Keep this love in a photograph.

di DestinyHopeL
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Prologue :Remorse? ***
Capitolo 2: *** -Chapter 1 : Test? ***
Capitolo 3: *** -Chapter2: Past,present and future. ***
Capitolo 4: *** -Chapter 3 : Confusion ***
Capitolo 5: *** -Chapter 4: Change of program! ***
Capitolo 6: *** - Chapter 5 : Olympia Hotel ***
Capitolo 7: *** -Chapter 6 : Under the light of a thousand stars ***
Capitolo 8: *** chapter 7 : There is no end to a bad luck ***



Capitolo 1
*** -Prologue :Remorse? ***


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- Prologue:
 
Remorse?

 
 

«La sceneggiatura è la parte letterale del film, cioè la sua parte scritta e fa... » guardo lo schermo del cellulare e sbuffo, manca ancora mezz'ora alla fine della lezione. La professoressa Valeri continua a spiegare in quel modo assurdo "a braccio" -lo definisce lei- io lo definisco semplicemente delirio. Passa da un argomento all'altro senza la minima coerenza e si perde in discorsi al quanto personali dei quali nessuno vuole sapere, perché fondamentalmente a nessuno interessa. Prendo appunti distrattamente, il mio quaderno sembra un campo di battaglia -o peggio il piano malvagio di qualche pazzo che vuole conquistare il mondo- frecce partono da ogni dove. 

Ed eccola che ricomincia, ora sta parlando delle malattie che colpiscono cervello e sistema nervoso. Mi chiedo cosa c'entri con il cinema e con l'argomento precedente, ennesima freccetta e asterisco, tra parentesi scrivo: "CCNCN" Cose che non c'entrano niente. 

Faccio un mezzo sorriso e mi volto verso destra mordicchiando il tappo della Bic blu. La mia irritabile compagna di banco, nonché migliore amica ha la faccia schiacciata sul suo zainetto della "Vans" verde militare, amabilmente regalatole da me e dall'altra pazza alla mia sinistra. 

«Non prendi appunti?», chiedo quasi rassegnata, perché per quanto incomprensibili alla fine finisce per copiare i miei. Lei sbuffa e si rannicchia ancor di più sul banco, incrocia le braccia sul cuscino improvvisato e ci nasconde la faccia, «tanto questa roba non c'entra niente con la sua materia!» biascica ed io devo sforzarmi per sentirla. 

Alzo gli occhi al cielo: prevedibile! «Lo sai che vuole sapere ogni parola, sillaba o lettera esca dalla sua bocca.» bisbiglio per non farmi sentire dalla prof che mi lancia un'occhiata. Non esagero quando lo dico, ma per quanto odiosa, la Valeri è la più preparata dell'istituto e non solo nella sua materia sa praticamente ogni cosa -a volte mi chiedo se non sappia prevedere anche il futuro- e quindi è molto pretenziosa.

Le sfioro la rasatura lasciata scoperta dai capelli portati di lato in punta di dita, lascia andare uno sbuffo d'aria. È triste e questo le da conforto, lo so. Le scompiglio i capelli infilandoci le dita dentro, hanno il colore del grano. Sere alla mia sinistra ci osserva poi scrolla le spalle rassegnata e torna al suo quaderno. 

È così che seguo le lezioni di solito, con una mano prendo appunti e con l'altra cerco di dare un conforto alla mia migliore amica. 

Alza finalmente la testa dal banco e mi guarda, resto con la mano a mezz'aria poi la riposo sul banco. Mi sorride, un sorriso triste che non coinvolge gli occhi e poi si sistema i capelli alla bell'e meglio, sembra ci sia passato un uragano. Guarda il cellulare sul banco ed io assottiglio lo sguardo «è inutile, tanto qui non prende» sbotto acida, più di quanto volessi sembrare. «Aly...» tenta, ma non la lascio finire. «smettila di tormentarti così» inizio brusca «lei non ti scriverà», il mio tono si incupisce e sospiro. So di essere stata troppo diretta, ma è la mia migliore amica e non posso sopportare che soffra così.  

Finge di prestare attenzione alla lezione, "un po' tardi direi, no?".«Lo so, ma è più forte di me», abbassa lo sguardo e con la coda dell'occhio continua ad osservare il cellulare in attesa di un miracolo. Io non le dico niente.

«Non credo di aver mai amato nessuno così tanto...» il mio sguardo si addolcisce e m'intrufolo con il braccio sotto il suo in una specie di mezzo abbraccio, poggia la testa sulla mia. «Manca» dice solo, ed io la stringo più forte. 

Qualcuno ci guarda, c'è chi bisbiglia qualcosa d'incomprensibile, chi ridacchia e chi se ne sta per fatti suoi fingendo di seguire la lezione. Mi ricompongo in fretta perché la Valeri ci sta guardando con disappunto, mentre è impegnata in un discorso che non ha niente a che vedere con il cinema e la sua storia, le sue materie. Non dice niente, smette di guardarci non appena poso la penna sul foglio e fingo di scrivere. Sam riporta la testa sullo zaino e si gira dall'altra parte, la guardo per un secondo di troppo ma poi decido di fare la ragazza matura e torno ai miei appunti.

Dopo quella che sembra un'eternità  la campanella suona la fine dell'ora, ripongo il quaderno dei "piani malvagi" nello zainetto, l'astuccio e il diario. «Ora che abbiamo?» chiede contro voglia, ha ancora la testa sullo zaino. Tende le braccia in aventi per stiracchiarsi poi alza di poco la testa per guardarmi. 

«Educazione fisica» la informo e lei s'illumina alzandosi definitivamente, la guardo scettica. «Partita a Ping pong ?» azzardo,lei fa un mezzo sorriso ed io incrocio le braccia al petto perché so già che vuole dire. « Che sfizio c'è? Con te è troppo facile», mi prende in giro e il suo sorriso si allarga. Mi rilasso un po' e le do una pacca sul braccio fingendomi offesa, «non è vero!», mento spudoratamente, perché a Ping pong faccio proprio schifo. Chiudo lo zaino e lo isso su una spalla, gli altri già per le scale corrono per accaparrarsi le racchette migliori. 

«Non sapete chi mi ha scritto ieri sera...» inizia Sere mentre ci avviamo verso la porta. È su di giri e lo so perché gesticola tanto. «Chi dei tre?» precisa la mia amica con un ghigno mentre scendiamo piano le scale. «Volevi dire quattro, forse?» la correggo io e scoppiamo a ridere. Serena è facile che prenda una cotta per qualcuno, ci mette si e no qualche secondo poi attiva la modalità stalker e spia le sue "vittime." 

«Il tipo del bar sotto casa mia, quello carino». Aggrotto le sopracciglia e lancio un'occhiata a Sam che alza le braccia come a dire "non ne so nulla". Mi porto una mano alla fronte teatrale «siamo a quota cinque, andiamo bene!».

Ridiamo e ci guardiamo attorno oramai nel cortile. C'è un via vai di studenti perché ad ogni ora si cambia classe. «Allora devo raccontarvi tutto!» continua imperterrita la stalker. 

Mi guardo intorno distratta, ci sono gruppetti di ragazzi  impegnati a parlottare sparsi un po' ovunque e so con certezza che lo sto cercando. Sere racconta la sua "avventura" con il ragazzo biondo e bello del bar che scopriamo chiamarsi Mattia ma sono troppo concentrata a cercare qualcuno per darle attenzione. 

La scuola è fin troppo grande per i miei gusti e fin troppo antica, troppe scale, troppi corridoi, troppo tutto. A quanto pare si tratta di un vecchio convento di clausura. Ecco spiegata la piccola cappella- inquietante a parer mio- tra la vicepresidenza e l'aula insegnanti. 

E' divisa in tre palazzine, due collegate tra loro da un lunghissimo e larghissimo corridoio -che fa tanto scuola privata con tanto di dormitori -ed una palestra con annesso bar. Al centro del complesso si estende un enorme cortile con addirittura tre campi da pallavolo all'aperto, circondati da un'alta rete. Tutt'intorno sono piantati alberelli da frutto e qualche piantina da fiori dai colori vivaci.

«Cosa stai cercando? O meglio, chi?» Sam attira la mia attenzione, si è accorta che non stavo seguendo il discorso strampalato della "stalker" che prontamente si porta le mani ai fianchi facendo la finta offesa. «Nessuno?» azzardo mordicchiando il labbro inferiore. Non la convinco per niente perché inarca un sopracciglio assumendo la tipica espressione da "non dire cazzate".

Distolgo lo sguardo da lei e i miei occhi si scontrano con un paio d'iridi verdi come le foglie degli alberi tutt'intorno, un verde intenso, quasi liquido. Potrei affogarci. Il mio corpo si tende in avanti e un brivido mi corre lungo la schiena. Resto impietrita, il ragazzo dagli occhi verdi e i capelli raccolti in una piccola coda sorride soddisfatto prima d'inumidirsi le labbra con la lingua. 

«Stronzo!» sibilo piano e sento il vago ricordo delle sue labbra sulle mie, ne sento la consistenza, la morbidezza. Distolgo lo sguardo e mi accorgo che la mia amica mi sta fissando seriamente con i suoi grandi occhi azzurri. Il suo sguardo è tra il preoccupato e l'arrabbiato. «Lo sai chi» dico dopo un po' alzando gli occhi al cielo esasperata. Lei sposta i capelli che coprono la rasatura e mi prende sotto braccio «Andiamo a prendere un caffè va'?». Sbuffo mentre mi trascina via quasi con la forza.

Serena ci guarda e sorride solidale ed io ascolto la sua storiella sul tipo biondo del bar sotto casa sua che a quanto pare le ha chiesto di uscire, noi la incoraggiamo perché Sere è la tipa che "stalkera" e poi non fa mai nulla di serio.  È un po' sognatrice e a parer mio è innamorata dell'idea dell'amore. 

Dopo aver preso un buon caffè e aver salutato Mauro, il barista della scuola, ci dirigiamo verso la palestra. Quando varchiamo la soglia dell'aula la prof ci studia da sotto in su, un po' perché siamo in ritardo ed un po' per controllare chi ha  tuta e scarpette, anche se non credo siano poi così indispensabili per giocare a ping pong. Incrocia le braccia al petto, nessuna indossa la tuta ma abbiamo tutte le scarpette quindi chiude un occhio e decide di farci giocare comunque.

La palestra è grandissima ed al suo interno vi sono sei tavoli per giocare a tennistavolo , difronte ai quali sono posizionate tre scrivanie. Solitamente la palestra ospita tre classi alla volta, due tavoli per ogni classe. I ragazzi giocano a turno, altre classi organizzano veri e propri tornei. La nostra professoressa ci fa fare un po' come ci pare. Altri ragazzi  invece giocano a dama o altri giochi di logica, io faccio parte di quelli, perché a ping pong faccio davvero schifo.

Lore mi sorride, un sorriso di sfida, l'ultima volta ho perso e mi deve una rivincita. Attraverso la palestra fino a trovarmi davanti a lui «Allora? Questa rivincita?» ha già preso posto dietro la scrivania, mi stava aspettando, le pedine posizionate. Sorrido e corro a recuperare una sedia stipata contro il muro dietro di lui, poggio lo zainetto a terra e appendo il giubbotto all'appendiabiti da parete. Mi siedo e lo fisso con aria di sfida «stavolta non vinci», fa una piccola risata. E' incredibile quel ragazzo, ride con gli occhi, occhi così neri da non distinguerne l'iride dalla pupilla. Ha i capelli scuri come la pece, spettinati in un ciuffo liscio e morbido e la barba fitta ma ben rasata. Ero follemente innamorata di quella barba anni fa.  «Lo dici tutte le volte mi pare?» arriccio le labbra cercando di non sorridere «Questa volta vinco io » insisto, ma poi non ce la faccio e scoppio a ridere. Nel frattempo ha già "mangiato" due pedine in un colpo solo e fatto dama. Mi lancia un'occhiata con il sorriso nascosto dietro la mano che si è portato alla bocca con aria pensierosa. «Mhh, dicevi?».

L'ora passa in un batter d'occhio quando sono con lui perché mi fa ridere, non penso a nulla se non a ridere. Lo aiuto a riporre le pedine nell'apposita scatolina. Ho perso per l'ennesima volta. Ci dirigiamo verso l'uscita della palestra, in direzione del bar «Ti devo un altro caffè» dico sconsolata. 

Sam e Sere ci raggiungono sorridenti. «Perso?» Sere domanda con aria vagamente dolce come se volesse consolarmi, annuisco semplicemente. 

«Dovresti iniziare a scommetterci dei soldi, diventeresti ricco» Sam passa un braccio sulla spalla di Lore e mi scompiglia i capelli con la mano libera, faccio una smorfia. «Non credo che lei sia molto ricca, non guadagnerei poi molto.» ride puntandomi l'indice contro. «Potrei essere una ricca ereditiera e tu non lo sapresti» mi guarda complice «lo saprei» dice solo e quella frase, lasciata in sospeso come se nulla fosse sembra sottintendere molte cose, cose accadute molto tempo prima. Lo fa spesso, tende a ricordare il passato come se volesse farmi sapere che non ha dimenticato nulla di quei periodi, che non ha dimenticato nulla di me.

«Mauro, un caffè schiumato per il tipo qui» mi alzo sulle punte per farmi vedere oltre il bancone, perché quasi mi supera. Mauro ci guarda con fare rassegnato ,oramai abituato a vederci "bisticciare" a quel modo. « E uno macchiato per la bimba  qui»  precisa Lore, mi lancia un'occhiata di sottecchi. Sono fin troppo bassa per controbattere, non ho scuse è così e basta. Questa volta paga lui, "per solidarietà nei confronti delle bambine" dice ma io so che è perché gli fa piacere.

Lo osservo prima di sorseggiare il mio caffè e quello che vedo nei suoi occhi mi sorprende. 

Senso di colpa, rimorso, ricerca di redenzione.

 

Salve Ragazze!
Questa è la prima storia che pubblico qui su efp,era da molto che volevo farlo. Spero vivamente che il prologo vi sia piaciuto e vi abbia quantomeno incuriosito un pochino. Mi farebbe molto piacere ricevere i vostri messaggi con commenti e anche critiche, che saranno ben accette. Spero di aggiornareil prima possibile per darvi la possìbilità di conoscere meglio i personaggi, di stupirvi e rendervi partecipi di quella che è un po' la mia vita.
Lucia.
 

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Capitolo 2
*** -Chapter 1 : Test? ***


Chapter I

-Test?
 

Stamattina sono in ritardo, tremendamente in ritardo, non che non lo sia sempre e in qualunque occasione ma questa notte non ho chiuso occhio girandomi e rigirandomi tra le lenzuola. Lo sguardo di Lore e quello che vi avevo letto a tormentarmi. Evidentemente pensava ancora di dover espiare le sue colpe in qualche modo, nonostante io l'avessi perdonato, dopo tutto il male che mi aveva fatto. 

E all'improvviso tutto mi cadde addosso in una cascata di emozioni:

Rabbia. Frustrazione. Rimpianto.

Quello era il risultato: un paio di occhiaie profonde quanto il Grand Canyon e il rischio di essere sbattuta il portone in faccia dal custode.

Guardo l'orologio "cazzo" penso "non mi faranno mai entrare". Corro in direzione della scuola oltrepassando la cosiddetta via dei libri -perché colma di librerie e bancarelle dai libri usati- girando l'angolo. Ed ecco che vedo il portone sbattere. Chiusa fuori.

Il cellulare vibra nella tasca dei jeans, rispondo. «Dove cazzo sei?»

Dire che rischio di perdere un timpano è dire poco, Sam urla per sovrastare un rumore di sottofondo assurdo, sembra si trovi nel bel mezzo di una rivolta «che sta succedendo?» ignoro la sua domanda, «un casino, riesci ad entrare?» Sono ferma davanti al portoncino marrone e fisso il campanello alla sua destra.

«Posso provarci»

«bene, muoviti che la Valeri non è in classe!» così dicendo chiude la comunicazione.

Se la Valeri non era in classe voleva dire che stava succedendo qualcosa di abbastanza grave.

Faccio per premere il piccolo pulsantino bianco e rotondo ma qualcuno mi precede sovrastandomi con la sua presenza e sfiorandomi la mano.

Mi volto per capire chi è lo sfortunato ragazzo a cui tocca la mia stessa sorte. Lui mi guarda dall'alto, inevitabilmente. Lo sguardo vagamente divertito, ci colgo un pizzico di malizia. 

Mi sta addosso ed è tremendamente vicino «Che c'è non hai dormito pensando a me 'sta notte?» sul suo viso compare un ghigno ed io vorrei tanto farglielo sparire a suon di pugni. 

Ha i capelli color cioccolato legati in una piccola coda. Qualche ciuffo gli sfugge ricadendogli davanti al viso e dire che è bello è dire poco. «Certo che ne faccio di incubi ma mai di così orribili, non preoccuparti se avessi sognato te a quest'ora sarei come minimo all'inferno altro che notte insonne!» Sbotto acida incrociando le braccia al petto -lo so è un vizio- con fare altezzoso. I suoi occhi brillano di un verde carico oggi, vi leggo qualcosa, compiacimento? Divertimento?

Si avvicina fino a quando i nostri nasi non si sfiorano per poi deviare all'ultimo portando le sue labbra al mio orecchio. Mando giù un bel po' di saliva, le mie gambe tremano impercettibilmente, «beh, avrei altri metodi per farti perdere il sonno, e alla fine si che finiresti all'inferno... » dice in un sussurro ed io rabbrividisco maledicendomi.

Fa una piccola risatina, indietreggio fino a trovarmi incastrata tra il portone e le sue braccia. 

In quel momento non so bene se la sorte sia dalla mia parte o semplicemente vuole beffarsi di me perché il portone si apre di scatto trascinandomi con sé e sono quasi con il sedere sul lurido pavimento quando Ivan decide di essere al quanto cavalleresco e afferrarmi per la vita. Finisco inevitabilmente contro il suo petto per poi allontanarlo bruscamente.

Il custode ci fissa esterrefatto poi guarda Ivan «Non potrei farti entrare, è troppo tardi», ovviamente io non sono inclusa nel discorso. L'uomo basso e tarchiato punta lo sguardo su di me. Da come gli parla sono quasi sicura che se io non fossi lì, lo avrebbe fatto entrare tranquillamente,come se niente fosse. «Dai Luì, chiudi un occhio dopo ti offro un bel caffè» Luigi sbuffa ma ha l'aria divertita, Ivan fa uno dei suoi più smaglianti sorrisi convinto di avere la vittoria in pugno.  «Leccaculo» sussurro fingendo di tossire.

A quanto pare Luigi non è poi cosi convinto perché poggia il suo sguardo su di me fissandomi, «non posso proprio Ivan...mi dispiace». 

Fa per chiudere il portone ed il cretino mi afferra per un polso «Lei sta con me» dice solo, sgrano gli occhi ma non lo contraddico stupefatta.

Il custode ci guarda per un interminabile minuto soppesandoci, poi alza gli occhi al cielo e si sposta di lato lasciandoci via libera. Ivan mi trascina dietro di se tenendomi per il polso. «Prima o poi mi farai licenziare » l'uomo sospira e poi si strofina la barba bianca e rasata con la mano «questa è l'ultima volta, sia chiaro!» «Ricevuto, grazie Luì sei un grande» lo saluta con un cenno del capo e inizia a camminare in direzione del cortile trascinandomi con se senza mai lasciarmi. «Grazie per avermi fatto entrare ma potresti lasciarmi adesso?» Borbotto.

Ivan si ferma di colpo ed io rischio di precipitargli inevitabilmente addosso, di nuovo, ma i miei riflessi, che a quanto pare hanno ripreso a funzionare, mi tengono salda a terra.

I suoi occhi sono freddi nei miei, si spostano sulle nostre mani e mi lascia andare di scatto come se la mia pelle fosse così rovente da bruciare, da ustionare. «Non ringraziarmi, l'ho fatto solo per non rimanere fuori per colpa tua!». I suoi occhi sono puro ghiaccio.

Decido che non ne vale la pena, parlare con lui, ringraziarlo. Così lo lascio lì senza dirgli niente, semplicemente mi volto e m'incammino verso il cortile.

Quando lo raggiungo quello che vi trovo è il caos più assoluto, i ragazzi del quarto e del quinto sono riversati nei campi da pallavolo, parlano tra di loro creando un brusio di voci insopportabile. 

Intravedo la mia classe e mi dirigo verso i miei compagni. Sam e Sere mi corrono in contro, con loro c'è anche Lorenzo che inspiegabilmente guarda alle mie spalle. Anche le mie amiche iniziano a guardare nella stessa direzione, così mi volto. 

Ivan è semplicemente in piedi dietro di me. «Hai dimenticato questo» dice fissando Lore che ricambia il suo sguardo e poi riportando lo su di me. Sembra voglia sfidarlo. Afferro l'elastico per capelli che portavo al polso, «grazie », sussurro glaciale. Fa un cenno con la testa indifferente e s'incammina verso i suoi compagni. I miei tre amici mi fissano increduli.

«Che succede?» fa Sam sospettosa.

Per un momento sembro non esserci più sul pianeta terra, fisso il vuoto.

«Già! Qualcuno può spiegarmi che succede in questa scuola?» mi volto verso tutta quella folla.

Sam mi scruta indagatrice ma decide di non fare altre domande. «Sinceramente non ne sono poi così sicura, pare che siano arrivati dei soldi per la scuola, per dei PON. In realtà era una cosa che andava fatta l'anno scorso ma i soldi sono arrivati solo adesso!» 

Serena riassume brevemente la situazione ma comunque non chiarisce il perché di quel caos generale.

«E perché sono tutti qui?» sembra essere l'unica informata, quindi mi rivolgo a lei. « Qui viene il bello...sembrerebbe che se la scuola decidesse di non organizzare questi PON perderebbe i soldi, così hanno deciso di organizzare un viaggio studio all'estero di un mese, pagato interamente da loro. Teoricamente avremmo dovuto farlo al quarto anno, così hanno deciso di far partire solo 30 studenti, 15 del quarto e 15 del quinto!» Sgrano gli occhi «I professori sono tutti riuniti con la preside per discutere come scegliere questi fortunati studenti, ci hanno invitato ad aspettare in cortile perché c'erano troppe classi scoperte». «Quindi dobbiamo aspettare qui come cretini? Assurdo!» Sbotto.

Lore mi si avvicina prendendomi in disparte, le ragazze ci guardano ed io scrollo le spalle.

«Aly... si può sapere che è successo?» lo guardo sbigottita «Insomma, con quel tipo...» sono incredula, perché proprio lui non avrebbe diritto di fare di queste domande e lo sa, lo sa benissimo da come continua a fissarmi.

Ma quando ti innamori del tuo migliore amico e lui ti rifiuta c'è sempre un prezzo da pagare.

Ero piccola ed ingenua, al secondo anno di liceo. Non avevo sofferto per il suo rifiuto, non così tanto almeno, ma da come il suo comportamento era cambiato nei miei confronti. Decisi di rimanere al suo fianco come amica nonostante la mia cotta-più di una cotta - per lui, nonostante soffrissi a stargli così vicino. Iniziò a prendersi gioco di me, illudendomi, facendo ipotesi su una nostra eventuale relazione e poi tirandosi indietro. Era addirittura geloso dei ragazzi che mi giravano in torno, non che c'avessi la fila, mi consideravo abbastanza carina da piacere a qualcuno, quello sì. 

Mi trattava come se qualunque cosa avesse fatto nei miei confronti gli sarei comunque corsa dietro come un cagnolino. Mi rinfacciò le mie debolezze, tutte le cose che gli avevo confidato, le mie paure.

Evidentemente i suoi piani non andarono come aveva previsto, perché non gli parlai per due anni, nonostante il suo sguardo dispiaciuto. Mi chiese scusa, ma io non volli saperne. Gradualmente ci riavvicinammo e lui non fu mai più irrispettoso nei miei confronti. Lo perdonai senza mai dimenticare, ma mantenni comunque le distanze per non incappare nello stesso errore.

«Non è successo niente... e comunque non sono cose che ti riguardano!» la mia voce suona così fredda, affilata, quasi taglia l'aria. S'irrigidisce di colpo e io capisco di aver esagerato «Scusami , davvero non è successo niente...»mi calmo, ma quello sguardo insopportabile da cane bastonato non abbandona i suoi occhi. 

Faccio per raggiungere le altre ma lui mi trattiene afferrandomi il braccio.

«Aspetta... sei sicura di star bene? Se ha fatto qualcosa puoi di...»

«Dirtelo?» lo interrompo «non è successo niente, Ivan è irritante e stronzo e si crede chissà chi , ma non ha fatto nulla!». Improvvisamente si acciglia «quindi lo conosci...» sembra deluso. 

Sono così irritata che mi libero dalla sua presa con uno strattone. «Sì, ci siamo conosciuti quest'estate, quindi?», si dipinge sul suo volto un'espressione indecifrabile, un misto tra dolore e rabbia, «ed è successo qualcosa tra voi due?» improvvisamente si agita alzando la voce, tanto che alcuni ragazzi li vicino ci fissano curiosi.

«Oh per l'amor di Dio cos'è un interrogatorio?» devio il discorso alla bell'e meglio, non curandomi delle persone che ci stanno fissando . «Non cambiare discorso e rispondi!» sibila, i suoi occhi sono penetranti, sembra disperato. 

Fa una risata sarcastica e a me sembra di essere tornata a tre anni prima.

«Non dirmelo, credo di averlo capito da solo!» Il suo sguardo vaga per il cortile ed io lo seguo. Ivan ci sta osservando. «Senti...non so cosa credi di aver capito, ma non hai alcun diritto di metterci bocca in ogni caso ». Chiude gli occhi per un istante nel tentativo di calmarsi, «ce l'ho invece». Sgrano gli occhi e lo fisso incredula senza riuscire a proferire parola.

La preside decide che quello è un ottimo momento per fare un annuncio e -forse per la prima volta- la ringrazio mentalmente. 

Ci guarda dall'alto, dalla terrazza della palazzina nord. Improvvisamente un silenzio tombale. Il suo discorso è semplice e conciso, i trenta fortunati ragazzi che partiranno, saranno decisi in base ad un test d'inglese di difficoltà medio/alta perché la destinazione sarebbe proprio l'Inghilterra. Ovviamente anche la media scolastica influirà sulla graduatoria. La cosa sconvolgente è che quel test si farà praticamente adesso!

Dal cortile s'innalza un lamento generale, ai ragazzi non sta bene fare un test senza il minimo preavviso e nonostante io sia brava in quella materia sono d'accordo con loro. Ma a quanto pare dai piani alti hanno fretta, e sono sicura che i soldi non resteranno bloccati a lungo.

La preside è irremovibile, ci ordina di tornare nelle nostre aule, fredda e glaciale come la peggior regina delle nevi.

Ci dirigiamo verso le classi, gruppi di ragazzi che si spostano in diverse direzioni,c'è un brusio generale. Ognuno ha la propria opinione al riguardo.

Sono troppo pensierosa per affrontare un test. Sono brava in inglese, bravissima e ci voglio andare in Inghilterra ma non credo sia giusto farlo senza preavviso. Non è giusto e i confronti di chi non è presente, e ha perso un'occasione imperdibile.

Sam e Sere mi si affiancano sembrano agitate, «che ne pensi?» chiede una delle due. «Sinceramente credo che non sia giusto... potevano darci qualche giorno per studiare e prepararci come si deve.» loro assumono un'espressione che trasuda scetticismo da tutti i pori. Alzo gli occhi al cielo «so di essere brava, ma non parlavo per me, e comunque vi darò una mano perché se proprio devo partire ci dovrete essere anche voi con me!» 
«Brava? Dì pure che sei un genio o che sei inglese e non vuoi dircelo...» Mi accusa una sarcastica Sam.

Rido e per un momento dimentico tutta la "questione Lorenzo" e le sue assurde parole «vale lo stesso per te in matematica, da che pianeta vieni? No perché è impossibile capire quella roba!» Lei scrolla le spalle e noi scoppiamo a ridere. Saliamo le scale in fila dietro gli altri, entriamo in classe e prendiamo posto. 

La Valeri è visibilmente stizzita mentre consegna le fotocopie, hanno interrotto la sua preziosissima lezione di "storia del cinema" come darle torto.

Guardo la scheda che mi è stata appena consegnata e quasi rido, guardo Sam e Sere, una dietro e l'altra separata da me solo da un banco vuoto.

Sorrido perché sono sicura, noi quel viaggio lo faremo!


***

Salve ragazze!
Ecco il primo capitolo finito, spero che vi piaccia ed un minimo vi incuriosisca.
Sarei felicissima di ricevere i vostri commenti e sapere cosa ne pensate di quel po' che ho scritto.
Le critiche sono ben accette, vi chiedo di essere clementi perché è la prima storia che scrivo.
Vi ringrazio per aver letto il capitolo e con questo vi saluto, baci Lucia.

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Capitolo 3
*** -Chapter2: Past,present and future. ***


-Chapter II

- Past,present and future

 

Stamattina la preside ha convocato tutte le classi quarte e quinte in aula magna, spesso utilizzata per spettacoli o mostre fotografiche, ma anche come Sala cinema. È l'aula più grande dell'intera scuola e per questo motivo è adibita anche a teatro.

Salgo gli ultimi scalini di quell'infinita rampa e mi ritrovo a vagare per un lunghissimo corridoio alla fine del quale vi è una grandissima porta di vetro. Oltre la porta, la sala  è colma e per quanto possa essere grande non riesce a contenere un numero così elevato di studenti. 

La preside è sul piccolo palco dietro una lunghissima scrivania, è in piedi e vi si poggia con le mani. Alla sua destra il vicepreside ha un'aria seria. Ci sono quattro professori ai loro lati. Scruto tra la folla, una parte della sala è occupata da sedie, i ragazzi prendono posto ma molti restano in piedi, altri più audaci siedono sulle finestre sul lato destro dell'aula.

Riesco a individuare Marco, un compagno di classe -non troppo simpatico- tra la folla, è seduto accanto a Lorenzo e infastidisce Sabrina  nel posto davanti, la sua cotta storica. La poverina non sa più come rifiutarlo e lui non si arrende. Di certo non si può dire che non sia tenace. Sospiro e contro voglia li raggiungo. Non voglio affrontare Lore, sono settimane che lo evito. Dopo il test d'inglese, dopo quella lunga giornata che sembrava non finire mai sono fuggita via evitando il suo sguardo. 

Una volta a casa avevo parlato ai miei genitori dell'ipotetico viaggio e dalle loro facce si capiva chiaramente quanto sperassero non passassi quel test. 

Il posto accanto a Lore è occupato dal suo zaino, quando mi vede lo recupera invitandomi a sedere. Prendo posto e so che mi sta fissando, l'aria di chi vuole dire tanto ma alla fine preferisce il silenzio. 

Spero in un miracolo ma di Sam e Sere neanche l'ombra. 

La sala continua a riempirsi, la professoressa di algebra ha il registro stretto al petto mentre osserva l'orologio, a breve farà l'appello. Pur insegnando la materia che detesto, la Monti è una delle poche insegnanti degne della mia stima, per quanto la matematica sia la mia rovina, con il suo metodo d'insegnamento riesce a farmela comprendere in qualche modo. 

Ci tratta come se fossimo figli suoi e in classe durante le sue ore aleggia un'atmosfera familiare e serena, scherza e ride con noi per non farcela pesare quella assurda materia, senza perdere però la sua fermezza, conquistandosi tutto il nostro rispetto. 

Scruto tra la folla due volti familiari, mi vengono in contro e le porte alle loro spalle si chiudono facendo sprofondare l'intera aula in un sordo silenzio. 

La preside aggira la cattedra e qualcuno le porge un microfono, la sua voce si espande dalle casse sistemate ai lati della sala.

La lista con i nomi dei ragazzi idonei a partire sarà disponibile in bacheca, nell'atrio della scuola. I ragazzi presenti su tale lista dovranno presentarsi il giorno dopo in quella stessa aula alle ore 11.00. 

Ed io stavo giusto per chiedermi, perché disturbare tutte quelle classi e radunarle in quell'aula -che neanche un macello sarebbe stato tanto affollato- quando bastava un semplice annuncio fatto girare per le classi, quando la a risposta mi arriva dal lato opposto dell'aula nemmeno se la preside, con la sua aria da regina delle nevi, mi avesse letto nella mente.

Ci sarebbe stata un'assemblea d'emergenza dei professori, per decidere le sorti loro e degli alunni che sarebbero partiti.

Le mie due amiche sono in piedi ai lati della sala, addossate alla parete, parlottano fitto fitto lanciandomi qualche occhiata. Parlano di me e a giudicare dalle occhiate, anche di Lore. Scuoto la testa alzando gli occhi al cielo in un gesto fin troppo plateale.

Le luci si spengono improvvisamente, lasciando nello sgomento e al buio i presenti, compresa me, ma poi capiamo che vogliono semplicemente intrattenerci con un film quando il proiettore inizia ad illuminare  parzialmente la sala.

I poveri ragazzi in piedi decidono che il pavimento è un'ideale alternativa alle sedie e i professori raggiungono la presidenza -un piccolo studio alle spalle della sala- non senza prima qualche raccomandazione, seguiti dalla preside.

Non mi accorgo di aver sfiorato con le dita il polso di Lore quando mi sistemo meglio sulla sedia poggiando le braccia sui braccioli. Lui le afferra  tra le sue, ha le mani calde e grandi, in contrasto con le mie che sembrano puro ghiaccio e sono piccolissime, tanto da sembrare le mani di una bambina. Cerco di divincolarmi, di fuggire a quel contatto, ma lui stringe più forte incrociando le nostre dita.

«Lasciami!» sibilo tra i denti. 

E la paura mi si addensa nel petto, paura di abituarmi a quel tocco, paura del passato che inevitabilmente viene a bussare alla mia porta, paura di provare ancora qualcosa. «Shh, non muoverti, voglio solo...scaldarti.» dice piano, un flebile sussurro che fa crollare ogni mia difesa, ogni mio tentativo di difendermi, ogni singola paura. È a pochi centimetri dal mio viso e il calore del suo respiro m'investe.

Mi godo il torpore della sua mano che stringe la mia, assorbendone ogni singola goccia, perdendomi in quel tocco deciso ma carezzevole.

Le vite dei due protagonisti scorrono sullo schermo, due amici o quasi, la mia testa è affollata, troppo per prestarvi attenzione. È inceppata in quel singolo contatto, una scintilla che rischia di appiccare un incendio troppo grande e pericoloso da spegnere. Fa scorrere il pollice su e giù in una lieve carezza, stringo la presa consapevole di quel calore che sta sciogliendo ogni mia difesa. 

E lo vedo distintamente il mezzo sorriso soddisfatto che gli si dipinge in volto.

No! 

E come se qualcuno avesse deciso di farmi tornare alla realtà a suon di schiaffi, lascio la presa di botto liberandomi. Corruga la fronte sorpreso dall'improvvisa irruenza. «Grazie è calda abbastanza adesso!» La mia voce è tagliente e le difese che mano a mano stavano crollando tornano al loro posto.

Decido che pur essendo così grande quell'aula è troppo affollata e ho bisogno d'aria. Sono consapevole di star attirando troppo l'attenzione alzandomi e creando un varco tra i presenti per uscire ma ho bisogno di respirare.

Una volta fuori, non sono ancora soddisfatta, ho bisogno di distanza, ho bisogno di tranquillità. Percorro velocemente il corridoio a ritroso fino a un grande atrio. È come un grande incrocio stradale: a destra un altro lungo corridoio e di fronte un altro ancora, alla fine del quale piccole scalette conducono a una terrazza, praticamente sul tetto. 

La fisso combattuta, con uno slancio di irresponsabilità salgo le scale due gradini alla volta e mi ritrovo davanti ad uno spettacolo incredibile. "Perché non l'ho fatto prima?".
C'è una vista incredibile, tutta la città, il mare.

Poggio le braccia alla ringhiera, rilassandomi e facendomi cullare da quella tranquillità. Il vento mi scompiglia i capelli e finalmente ho tutta l'aria che volevo.

«Bella vero?»

Mi volto di scatto, colta di sorpresa. Ivan è sulla porta, sembra essere divertito. In una mano stringe uno zaino nero, la reflex appesa al collo, ha una strana luce negli occhi.

Indossa una di quelle camicie a quadri che tanto adoro, è così bello da far male agli occhi.

«Mi hai messo paura... perché mi hai seguito?»

Lui ridacchia e si avvicina poggiando i gomiti alla ringhiera, le sue braccia sfiorano le mie. Mi lancia un'occhiata poi guarda il panorama.

«Non credi di essere un po' troppo presuntuosa?»

Non rispondo perché sono sicura mi abbia seguito. Sbuffo e torna a guardarmi facendosi serio. I miei occhi nei suoi.

«Non ti stavo seguendo, vengo qui spesso.» ma so di per certo che sta mentendo.

«Cosa ti...tormenta?» sembra combattuto, la sua voce è un sospiro, quasi rassegnata. Come se fosse costretto a parlarmi, a chiedermi cosa c'è che non va. Sgrano di poco gli occhi e mi volto dall'altro lato, stupita che se ne sia accorto. «Niente» sussurro piano e raddrizzo la schiena allontanandomi di poco dalla ringhiera. Lui segue i miei movimenti «Mi hai seguito per questo? Per sapere cosa mi tormenta?» Sembra pensarci su, poi decide in uno slancio di sincerità di dire semplicemente la verità «Sì». 

M'incanto a guardare le sue labbra e rispondo con qualche secondo di ritardo, diffidente, perché in fondo gentile non lo è stato mai «Non...non sono affari tuoi». Ed ecco il muro che s'innalza, quel muro che mi sono costruita dentro per chiudere fuori il resto del mondo, per difendermi.

Mi fissa per un po', senza proferire parola. I suoi occhi sono freddi. «Sto scappando» dico solo, e so che forse per lui non ha alcun significato e non so per quale motivo mi sia confidata, ma la vista di quegli occhi così freddi mi ferisce. «Dal passato» specifico, perché il suo improvviso silenzio m'infastidisce. Sembra pensarci «Io credo che il passato sia passato, non dovrebbe influenzare il presente né tanto meno il futuro, e se così fosse...tu non dovresti permetterglielo né tanto meno dovresti scappare. Il passato lo devi affrontare definitivamente per potertelo buttare alle spalle, per poter guardare avanti.» 

"Dovrei affrontare Lorenzo?" 
Non ho il coraggio di controbattere, consapevole che abbia ragione. 

Distoglie lo sguardo da me e osserva l'orizzonte poi inizia a scattare con la sua reflex , è tutto concentrato a impostare i valori giusti per la fotografia perfetta. 

Io mi godo quello spettacolo.

«Posso?» dico ad un tratto, troppo affascinata da quella visione, troppo curiosa di vedere le sue foto. Gliela leggo negli occhi la stessa passione che ci metto io. E mi rendo conto che è quella piccola scintilla di passione che vedo nei suoi occhi ad attrarmi pericolosamente verso di lui, perché è la stessa che ho io. Mi porge la macchina fotografica e inizio a scorrere le foto, ci scambiamo direttive e consigli, siamo d'accordo su molte cose, su altre discutiamo. A un tratto mi pietrifico. Quello che vedo è sconvolgente, è bellissimo

Sono io, su quella terrazza. Il panorama, i capelli al vento scompigliati. Mi volto per guardare la sua espressione, sembra imbarazzato.

Ma i suoi occhi ardono «Se ti da fastidio la cancello, non vorrei mai mi denunciassi» sbotta un po' infastidito sulla difensiva. «No!» lo contraddico allarmata,  sembra sorpreso, «non farlo...è...bellissima.»

Ha ancora quell'espressione stupita dipinta in volto, sembra stia macchinando qualcosa, quasi sento le rotelline del suo cervello girare.

«Hanno pubblicato la classifica, ti va di dare un'occhiata?» Ha la speranza negli occhi mista ad una specie di stupore, come se avesse rivalutato qualcosa di me. «Ci sto!». Dico speranzosa.

Ci dirigiamo a passo svelto nell'atrio, intravedo la bacheca degli annunci, è piena. Mi avvicino piano, come se potesse andare in pezzi davanti ai miei occhi. Scorro tra i vari avvisi con lo sguardo, fino a quando non trovo quello che m'interessa, ma quello che leggo mi sconvolge.

***

Salve ragazze!

Eccomi con un nuovo capitolo, spero che la storia vi stia appassionando e vi piaccia almeno un po' di quanto piaccia a me scriverla. Vi lascio a questo secondo capitolo.

Baci Lucy :)

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Capitolo 4
*** -Chapter 3 : Confusion ***


 

 

- Chapter III

Confusion

Fisso la bacheca e quello che vedo mi turba parecchio, il mio nome, subito dopo quello di Ivan è l'unico che riconosco fra tutti. Sarò sola in questo viaggio. Non so se essere felice perché ho la possibilità di partire o piangere e disperarmi perché le mie migliori amiche non ci saranno. Ivan mi fissa senza proferire parola, il silenzio alleggia tutto intorno, fino a quando un brusio di voci sommesse non si avvicina sempre più, fino a diventare un rumore assordante. 

Il film è finito, la riunione è finita.

«Dove ti eri cacciata ?» Sam è al mio fianco ed io continuo a fissare quella stupida bacheca, lei segue il mio sguardo e quasi si paralizza. Ivan si allontana, dandoci spazio si dirige dai suoi compagni. Anche Sere guarda la bacheca, scorre i nomi con lo sguardo fino ad arrivare a un'unica conclusione.

«Non ci vado» il mio tono è monocorde, così vuoto che quasi penso di aver perso la mia anima. «Senza di voi non ci vado» ribadisco, entrambe si accigliano e quasi mi fanno ridere, se solo ne avessi voglia. So che non dovrei comportarmi così, so che quella è un'occasione irripetibile e che lo merito, sarebbe impossibile rifiutare, ma mi sentirei in colpa, mi sentirei una stronza. 

«Non lo dire nemmeno per scherzo!» 

Sam è la più aggressiva del gruppo, spesso mette paura alle persone e quando accade mi fa sempre ridere. È una di quelle persone difficili da capire, quelle che fraintenderesti spesso. Assurdamente io la capisco perché un tempo ero come lei, pronta a combattere contro il mondo, poi mi sono arresa al fatto che non potevo prendermela con chiunque solo perché dal mio punto di vista avevo ragione. Ero diventata molto razionale da quando avevo ferito una persona per me importante e questa era uscita dalla mia vita.

«Non potrei mai partire senza di voi», punto lo sguardo verso il basso, guardo le mie Dr. Martines nere per qualche secondo, e le immagini di tutto quello che avremmo potuto fare insieme mi scorrono davanti a gli occhi. «Non puoi rinunciare per noi, non te lo permetteremo», il tono gentile di Sere quasi mi rassicura. 

La folla di ragazzi ha raggiunto la bacheca e noi ci facciamo da parte. «Se non mi porti un souvenir, sappi che non ti rivolgerò mai più la parola» Sam incrocia le braccia al petto teatrale poi mi sorride, non saprei proprio cosa fare senza di loro.  

« Vi porterò il più bel souvenir», annuncio, il mio è un sorriso un po' forzato e rassegnato. «Mi dispiace», sospiro, i loro sguardi si addolciscono e mi stringono in un abbraccio, ricambio forte la stretta e so che sentirò la loro mancanza. 

L'ora di fotografia è tra le mie preferite, anche se il professor Alberti è un pazzo: gesticola e si muove troppo per i miei gusti, ma è bravo e ci fa scattare in sala posa. Spesso ci assegna qualche tema per le lezioni successive, poi partecipiamo a concorsi e mostre fotografiche. 

Scatto qualche foto con la reflex della scuola, imposto i valori giusti-per me- inquadro e metto a fuoco il soggetto. Le luci posizionate.

La fotografia è un insieme di fattori molto complicati, spesso le persone credono che sia semplice, "basta schiacciare un pulsante", ma non funziona esattamente così, sono valori costanti e legati fra loro. Tutto deve avere il suo preciso ruolo, il tutto collegato al tipo di fotografia che si vuole ottenere.  «Ragazzi, ricordate sempre che la luce è il fattore principale, senza la quale la fotografia non sarebbe possibile!»

I miei compagni di classe annuiscono convinti -non tutti certo- 

Il professore da un'occhiata allo schermo della reflex , «ben fatto», fa l'occhiolino ed io gli sorrido. 

Passo la reflex a Sam che inizia a smanettare impostando valori a suo piacimento. Sere oggi ci fa da modella, quando il prof non la vede assume pose improbabili.

Alla fine di ogni lezione Alberti ci consegna le nostre foto e ci dice di ottimizzarle a Photoshop con la professoressa Boschi che ci insegna le tecniche giuste da utilizzare.

Dopo aver lasciato l'aula in ordine ci dirigiamo verso il bar per l'intervallo, Sam accende una sigaretta ed io mi rassegno al fatto che non ci sia modo per farle togliere il vizio. Prima del bar, oltre un arco gigantesco c'è un cortiletto, sul lato sinistro l'entrata della palestra. 

La quinta K occupa la prima parte e dalla porta di vetro riesco a vedere distintamente Ivan giocare a Ping Pong. Ha la camicia arrotolata sulle braccia ed io mi fisso a guardare le sue spalle, l'incavo del collo, le guance leggermente arrossate, i movimenti del braccio in tensione.

Lore mi si para davanti, Sam e sere sono entrate ed io non me ne sono resa minimamente conto.

«Possiamo parlare?» il tono dispiaciuto -lo conosco fin troppo bene-. Dovrei dirgli di no, «se proprio dobbiamo...» ma decido di fare la persona matura. Sospira rassegnato, «me lo merito» Per poco non scatto come una molla e lo riempio di pugni -certo persona matura- 

Lo fisso, gli occhi pieni d'odio «che cosa ?» domando fredda, un pezzo di ghiaccio. «Questo tono, come mi tratti, il tuo disprezzo, lo merito», alzo un sopracciglio « sì, certo che lo meriti». Meglio non farmi arrabbiare, «perché sei uno stronzo, non so cosa vuoi precisamente da me e non lo sai nemmeno tu, quindi lasciami in pace» ma oramai è troppo tardi, continuo. I suoi occhi si spalancano, è sorpreso, perché ho ragione.

«È vero» guarda altrove, guarda Ivan. «Non so cosa voglio, ma non riesco a sopportare l'idea di te...con qualcuno» sibila quelle ultime  parole come fossero veleno  e Il mondo mi crolla addosso, va tutto troppo velocemente, è tutto troppo pesante.

«Fammi capire!?», quasi  urlo e la rabbia raggiunge livelli inimmaginabili «tu non sopporti l'idea di qualcun altro e mi hai rifiutato?» Il suo silenzio è come una scintilla e tutto prende fuoco, non mi controllo , ho voglia di spaccargli la faccia. «Tu non vuoi stare con me e credi di avere il diritto di mettere bocca nella mia vita ? Non vedi come suona assurda questa cosa?» 

Lo afferro per la maglietta e lo sbatto al muro. Lore non oppone resistenza, so che la mia è solo una pantomima, non gli faccio realmente male, è solo un modo per fargli capire quanto in realtà lui ne abbi fatto a me . «Te lo dico una volta e per tutte lasciami in pace!». Le ultime parole le sbraito, sguardi increduli corrono verso di noi. Qualcuno si avvicina per assicurarsi non si stia scatenando una rissa, Sam e Sere escono dal bar ed io mi allontano, mollando la presa su di lui. 

Oltrepasso l'arco che separa il cortiletto del bar dal cortile della scuola. L'ultima cosa che vedo è Sam che si avvicina minacciosa a Lore. Riprendo a respirare a fatica e non mi ero accorta di aver trattenuto il respiro. Tutto intorno è sfocato, un ronzio assordante mi riempie le orecchie. È assurdo il suo ragionamento, non ha senso. Cerco un posto per sedermi, la testa mi gira e la vista si annebbia, lo zaino mi scivola dalla spalla e faccio per prenderlo ma mi ritrovo con le ginocchia a terra. Mi siedo piano e il mondo gira tutt'intorno come se mi trovassi nell'occhio di un ciclone. Alcuni ragazzi mi fissano, altri ridono, qualcuno mi si avvicina. 

«Alyssa...», nessuno mi chiama mai così, nemmeno mia madre, e il mio nome non mi è mai parso così bello. Un braccio mi circonda la vita. Ivan mi tira su, i miei occhi cercano i suoi, sono freddi, taglienti, vuoti. «Che ci fai qui?» sussurro lui mi osserva ed io mi chiedo se ci si possa sentire nudi sotto uno sguardo . «Abbiamo sentito urlare, così siamo usciti a dare un'occhiata sperando in qualche rissa». Stupidi ragazzi e la loro passione per la violenza. «Quando ti ho visto attraversare l'arco eri pallidissima e ho pensato che saresti svenuta, non c'era tempo per avvertire qualcuno, così ti sono corso dietro», distoglie lo sguardo e continua a tenermi salda a terra. Il mondo gira di meno ed io mi chiedo il perché di questo distacco improvviso. Sam ci raggiunge mentre ci dirigiamo verso il bar, Ivan le porge il mio zaino e le dice di avvertire la professoressa. La lezione è cominciata da poco e lui sarà sicuramente rimproverato per il ritardo «dovresti... tornare in classe, io sto bene».

Mauro mi fa sedere sul davanzale della finestra che affaccia sul cortiletto e intanto diluisce lo zucchero nell'acqua «non ci penso proprio...almeno ho una scusa per saltare la lezione».

Bevo l'acqua con lo zucchero e nascondo il sorriso con il bicchiere, mi osserva e si accorge che sto ridendo «che c'è?», ingoio l'ultimo sorso d'acqua «No... è che, hai ottimi voti in tutte le materie, non sembri il tipo che salta le lezioni...». Il suo sguardo si accende e riesco a scorgere una piccola scintilla, sta architettando qualcosa, un mezzo sorriso gli si dipinge sul volto. Si avvicina pericolosamente al mio orecchio. Indietreggio con la schiena fino a toccare il vetro freddo della finestra, «che fai... controlli i miei voti adesso ? Sei proprio ossessionata da me...»Sbuffa una risata. Cerco di allontanarlo con i palmi delle mani premuti sul suo petto «Sei... arrivato primo nel test d'inglese ed io seconda, quindi ero curiosa di sapere...»  lui finalmente si allontana «Se fossi stata più attenta, avresti notato che abbiamo ottenuto lo stesso punteggio». Sgrano gli occhi sorpresa, ero troppo dispiaciuta per accorgermene, faccio per parlare ma lui mi precede «novantotto» dice solo ed era proprio quello che volevo sapere. Si allontana definitivamente, torna serio, freddo e distante e a me vengono in mente le parole di Ale, il mio migliore amico: "bipolare del cazzo" con tanto di faccina scazzata e quasi scoppio a ridere. 

Alessandro sa praticamente tutto di me, come io di lui, l'unico grande problema è la distanza che ci separa, ci eravamo conosciuti grazie ad uno stupido giochino per cellulare e ci eravamo visti una sola volta. Ivan, da quello che gli racconto non gli sta propriamente simpatico.

Mi osserva ed io inizio a pensare che sia davvero bipolare, il suo comportamento cambia in pochi secondi senza un apparente motivo. 

Mi sento meglio quindi decido di scendere dalla finestra e lui mi scocca un'occhiata divertita e si gode la scena per il semplice fatto che tra me e il pavimento ci sono parecchi centimetri di distanza. Io scendo senza problemi e noto il suo disappunto. Mi fa l'applauso e un mezzo inchino trovando comunque un modo per prendermi in giro.

Mi segue in silenzio quando, dopo aver ringraziato Mauro, esco dal bar, lo fa anche con lo sguardo, come se prima o poi potessi svenirgli d'avanti agli occhi. 

«Grazie» gli dico solo e lui resta in silenzio, si assicura che io stia bene con un'occhiata e poi mi accompagna in classe sempre senza proferire parola.

Quando torno a casa sono sola, i mie sono a lavoro e mio fratello all'università. Il cellulare inizia a vibrare: due messaggi, il gruppo con Sam e Sere e poi Ale.

Le mie migliori amiche mi tormentano per sapere cosa sia successo con Ivan e soprattutto del litigio con Lore. Racconto loro il discorso assurdo del nostro compagno di classe e nel frattempo chiedo un'opinione maschile ed interpello anche Ale. Il risultato,secondo la sua attenta analisi è che conosco troppe persone bipolari. Rido come una cretina davanti allo schermo del cellulare e mi rilasso rendendomi conto solo in quel momento di quanto quella situazione mi rendesse nervosa.

Sam vuole dettagli su Ivan e fa domande a raffica "Cosa vi siete detti? Vi siete baciati? Un bacetto a stampo, piccolo, piccolo? Insomma niente proprio?" Sorrido e cerco di rispondere rassegnata, ma è Serena a precedermi "Che fretta c'è? Tanto andranno in Inghilterra insieme, un mese, c'è tutto il tempo per i baci e..". Sgrano gli occhi «cazzo!», fisso lo schermo e non ci avevo minimamente pensato.

Sam inizia a sclerare e a sparare le peggiori cazzate, ed io mi rendo conto solo in quell'instante di non aver pensato minimamente a quel piccolo, minuscolo, enorme dettaglio. 

Ivan ed io insieme in Inghilterra per un mese intero.

***

Salve ragazze!
Ecco a voi il terzo capitolo, spero vivamente che non sia troppo noioso e che vi piaccia.
Fatemi sapere cosa ne pensate.

Baci Lucy

 

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Capitolo 5
*** -Chapter 4: Change of program! ***


-Chapter IV

-Change of program!

Quando alle 11.00 in punto raggiungo l'aula magna, è vuota. Il silenzio la fa da padrone. 

Mi accomodo su una delle tante sedie vuote. Dopo qualche minuto il vicepreside fa capolino dall'ufficio della preside, fascicoli di fogli tra le mani. Scorgo tra i nomi anche il mio. Pochi minuti dopo 30 ragazzi, compresa me siedono nella sala. 

Sono mollemente adagiata su una delle sedie libere -non propriamente composta- in religioso silenzio. 

Ivan siede a una decina di posti da me. È con una ragazza alta e mora, probabilmente una compagna di classe. Parlottano animatamente ed io li osservo con la coda dell'occhio. Sento una strana fitta allo stomaco, una parte remota della mia coscienza mi suggerisce : gelosia, ma sarei comunque troppo orgogliosa per ammetterlo. Quella ragazza è davvero bellissima, nonostante nell'aspetto sia totalmente semplice, ordinaria, ma forse la sua bellezza sta proprio in quello. 

Il vicepreside ha parecchie cose da comunicare e fogli da consegnare che dovremmo riportare rigorosamente firmati. Alcuni ragazzi interrompono il professore nel bel mezzo del discorso per comunicare che non possono prendere parte a quel progetto per motivi personali. Il professore li congeda tranquillizzandoli e sfoglia tra i fascicoli, si allontana per qualche minuto per poi tornare e riprendere il suo discorso. 

A quanto pare ci sono stati dei problemi con le famiglie che avrebbero dovuto ospitarci nella città di Birmingham in Inghilterra e gli Hotel non vogliono la responsabilità di trenta ragazzi che sarebbero benissimamente capaci di distruggere interi edifici. La conclusione del discorso è che la destinazione è improvvisamente cambiata. Valencia, Spagna.

La prima cosa che mi viene in mente è che noi non studiamo lo spagnolo, ma come se intuisse il mio disagio, l'uomo, in piedi di fronte a noi ci informa che dovremmo prendere parte ad un corso accelerato, per un'intera settimana.

Alloggeremo all' Olympia Hotel un albergo a quattro stelle a qualche fermata di metro dal centro della città. Loro, a quanto pare, non fanno storie per il numero dei ragazzi, e quasi non ci credo. Dopo aver frequentato i corsi, lavoreremo per le restanti tre settimane presso aziende specifiche del nostro campo. Nonostante il cambio di programma sono soddisfatta, La Spagna non è l'Inghilterra certo ma è comunque un'ottima meta.

Qualcuno fa il suo ingresso nella sala: Sam Sere e Lore.

E credo di capire perché il vicepreside si sia allontanato per quei secondi decisivi. Loro sono, per ordine di classifica, le persone che sostituiranno i ragazzi che hanno rifiutato il viaggio.

Sono combattuta, vorrei saltare dalla sedia e urlare di gioia per la vista delle mie migliori amiche e allo stesso tempo disperarmi per quella di Lore in piedi sull'uscio della porta. Ma quello che faccio è restare praticamente immobile. Le due pazze mi raggiungono, mentre lo stronzo incoraggiato dal mio sguardo di fuoco decide di sedersi in disparte.

Dopo quella che sembra un'eternità torniamo in classe con i fogli da compilare e l'itinerario completo del viaggio, comprese visite turistiche, tra le mani. Nonostante una presenza a me indesiderata non riesco a non esternare la mia gioia per avere le mie amiche con me.

«Non riesco a crederci, davvero!» Sam posa il suo sguardo altrove, su Lore. Io sbuffo perdendo tutto l'entusiasmo provato fino a quel momento, ma decido che nessun Lorenzo qualsiasi ha il diritto di rovinare la mia euforia e accantono la faccenda. «Vedrai che non sentirai neanche la sua presenza quando saremo lì.» Sere cerca di rassicurarmi e lancia un'occhiataccia a Sam. Io sorrido ad entrambe perché a modo loro cercano di proteggermi, «Ragazze, non permetterò a nessuno di rovinarci questo viaggio, tantomeno a Lorenzo Ferrara!»

Una settimana, una sola e saremo in Spagna.

Tutta la giornata la passiamo a parlottare e a organizzarci, sotto le occhiate di fuoco dei professori che continuano a richiamarci perché disturbiamo apertamente la lezione. In quei momenti di serenità la mia mente è libera da ogni problema, come se i due ragazzi più problematici di tutta la  scuola–per me- non saranno presenti in quel viaggio.

Quando varco la soglia di casa e porgo il foglio da firmare ai miei genitori leggo disperazione sui loro volti. Firmano con estremo coraggio, consapevoli che un'esperienza come quella non sarebbe capitata un'altra volta alla loro povera figlioletta che stranamente merita quel viaggio. Mia madre cerca di persuadermi «Sei proprio sicura? Lo sai che una volta su quell'aereo non potrai più tornare indietro?». Sospiro e cerco di non andare in escandescenza, è molto facile perdere la pazienza con mia madre. «Sono più che sicura!» non cambierò idea. Mio padre è più permissivo, e cerca di convincerla della mia sicurezza e del fatto che quella è un'occasione irripetibile. Soltanto quando mio fratello Emanuele -la persona che più amo al mondo– s'intromette in quel discorso mia madre decide di arrendersi al fatto che volerò in Spagna.

Tutta la settimana la passo tra i messaggi vocali di Sam, Sere e Ale -che è super contento del viaggio e m'incoraggia dandomi tutto il suo sostegno- e una dose massiccia di studio, interrogazioni e verifiche in tutte le materie, come se i professori, tutti insieme avessero deciso di punirmi per quel privilegio che mi era stato concesso. Ma in realtà è solo un modo- molto poco ortodosso e crudele per i miei gusti- per non farci restare indietro con il programma.

Il giorno della partenza sono molto agitata e continuo a controllare che sia tutto in ordine: Valigia, documenti, borsa, cellulare, macchina fotografica, obiettivi. Dopo essermi accertata che tutto sia al posto giusto do il permesso a mio padre di partire. L'appuntamento è alle 5.00 in punto nei pressi del Museo Nazionale della città e fortunatamente noi abitiamo non molto lontano da lì. Quando vedo l'autobus che ci porterà all'aeroporto Roma Fuimicino realizzo che il momento è arrivato. Mio padre trova un parcheggio di fortuna e mi aiuta con la valigia.

Sam e Sere sono già lì ed io mollo tutto: mio padre, mia madre, mio fratello e le valigie per correre da loro.

«Ragazze non ci credo, stiamo davvero andando in Spagna?»

Sam mi guarda e sbuffa una risata, cerca lo sguardo complice di Sere che ha la sua stessa espressione «Buongiorno Alyssa», sbotta lei con fare sarcastico, la ragazza dagli occhi azzurri mi fissa ed io mi rendo conto di essere arrivata lì come un uragano. «Che ti avevo detto Sere? Mi devi cinque euro», inizio a ridere e intanto noto mio padre che carica la valigia nel portabagagli dell'Autobus. Gli vado in contro,  «Sei troppo prevedibile Aly!» Mi urla una Sam a dir poco divertita. Noto che sia Lore che Ivan mi stanno fissando, cerco di ignorarli e saluto i miei genitori. Mia madre mi stringe così forte che quasi mi soffoca.«Dai è solo un mese!» le sussurro. «Lo so lo so» dice lei stringendomi più forte. Mio padre non dice niente ma con un solo sguardo e una stretta mi fa capire quanto sia fiero di me. Quando è il turno di Manu quasi piango, lui è la mia vita. Mi stringe forte «Non fare troppi danni sorellina! Ah e dici a quei due tipi lì di smetterla di guardarti così» Mi allontano di poco e lo guardo negli occhi, lui mi sorride sornione, i capelli ricci e scuri. I suoi colori sono in netto contrasto con i miei, lui è moro ed io ho i capelli di un castano chiaro. Lui ha gli occhi scuri,io verdi. Spesso ci scambiano per una coppia perché il nostro legame è tangibile, si nota a occhio nudo, e il non somigliarci per niente non aiuta. Mi stringe più forte e mi bacia la testa «Ti prego potami qualcosa del Valencia » quasi implora.I ragazzi e la loro stupida passione per il calcio. Sbuffo un "va bene" molto lamentoso e lui mi scocca un bacio sulla guancia. Mi dirigo verso i professori sotto lo sguardo vigile della mia famiglia. La professoressa Monti fa l'appello e poi ci fa accomodare nel pullman. Dal finestrino continuo a salutare la mia famiglia, noto le lacrime di mia madre e le mando un bacio con la mano.

Sono seduta accanto a Sam quando il pullman finalmente parte, la ragazza che in aula magna parlava con Ivan è seduta davanti accanto a Sere. Si chiama Marika ed è molto simpatica, semplicissima ma di un'allegria incredibile. È l'unica ragazza della sua classe e non conosce nessuno-a parte Ivan-. 

Sam ed io dividiamo le cuffie dell'Ipod e le note di Photograph ci guidano in quel viaggio. Tutte le ore insonni passate quella notte si accumulano e sprofondo in un sonno senza sogni con la voce di Ed Sheeran a cullarmi e la spalla di Sam a sostenermi. 

Dopo aver fatto il Check-in, aver superato i metal detector- con qualche difficoltà- fisso il mio biglietto giallo e  dopo aver raggiunto il Gate indicato, mi lascio cadere sulla sedia nera nella sala d'aspetto e attendo pazientemente il nostro volo. 

Il mio posto è il 17 c e non ho la più pallida idea di chi avrò seduto vicino. Sam e Sere hanno i posti vicini per loro fortuna. Tutt'intorno ci sono ragazzi che parlottano, riconosco qualcuno delle quinte e qualche ragazza delle quarte. «Io non ho mai preso l'aereo» Inizia Sam sbadigliando. Il viaggio è stato abbastanza lungo ed io mi sono praticamente appollaiata su di lei non facendola dormire per niente. «Nemmeno io in realtà» sbadiglio anche io influenzata da lei, sorride a quella reazione «non hai paura?» 

«Nemmeno un po', anzi non vedo l'ora!» comprendo con un'occhiata che a differenza mia lei è abbastanza spaventata «Fortunatamente hai Sere vicino» cerco di rassicurarla. La stalker si sente tirata in causa, «non lo sapete che la percentuale di morte è molto più elevata e probabile per un viaggio in treno piuttosto che in uno in aereo?» La fissiamo incredule «molto incoraggiante!» le rispondiamo in coro e lei se la ride tranquillamente. Sentir parlare di morte non aiuta mica!

Mando un messaggio a mia madre prima di imbarcarmi e aspetto il mio turno una volta messa in fila. L'hostess oblitera il biglietto strappando la matrice all'estremità e restituendomi la ricevuta. Mi ritrovo in un lungo corridoio prima di varcare la porta dell'aereo, due hostess mi danno il benvenuto in spagnolo ed io le ringrazio. Cerco il mio posto e per raggiungerlo devo oltrepassare le gambe di un ragazzo che non mi rende per niente facile la cosa. Una volta seduta guardo il finestrino e non vedo l'ora di volare. Mi volto per vedere chi è seduto al mio fianco e mi pietrifico. «Certo che sei proprio una persecuzione, è mai possibile che mi sei sempre tra i piedi?» Mi acciglio e lo fisso corrugando di poco la fronte. Nella mia mente la parola bipolare è ormai fissa, mi sembra di vedergli un'insegna lampeggiante sulla testa con tanto di freccia. «Guarda ora chiedo di cambiarmi di posto che dici?» sbotto acida, faccio per alzare la mano e attirare l'attenzione di un'Hostess – ovviamente la mia è solo una pantomima- ma lui sembra crederci davvero e mi afferra il polso con una certa violenza. «Non fare la stupida!», la sua presa è salda e non accenna a lasciarmi, dopo un po', dopo aver percepito  il calore di quel contatto, con uno strattone mi libero. «Smettila di cambiare personalità in pochi secondi, sei assurdo!» Ivan mi fissa incredulo ed io mi chiedo se non abbia seriamente qualche disturbo. Distolgo lo sguardo da lui e dopo aver seguito le istruzioni di sicurezza e aver allacciato le cinture decido di ascoltare la musica. 

Il decollo mi provoca una sensazione di vuoto allo stomaco, una sensazione bellissima. Ho un fischio nelle orecchie e mi sento pesante, decisamente sensazioni che non dimenticherò facilmente. Guardo il mondo dall'alto sporgendomi il più possibile verso il piccolo finestrino. In quel momento l'aereo s'inclina allargando la mia visuale. Il petto mi si gonfia di gioia. Guardo  fuori dal piccolo oblò e mi ci aggrappo con entrambe le mani, l'aereo torna poi in linea retta, mi siedo più composta con un' espressione indescrivibile sul volto. Chiudo gli occhi e sospiro, sentendo una leggera pressione sul corpo. Quando apro gli occhi Ivan è praticamente steso su di me, la reflex poggiata sul mio petto. Mette a fuoco muovendo le lenti e sfiorandomi di poco il viso. Smetto di respirare e riprendo solo quando sento il "clic" dello specchio che si alza e poi si abbassa. Torna al posto suo e fissa lo schermo con una luce negli occhi indescrivibile, sembra soddisfatto. Non riesco a distogliere lo sguardo quando nel suo ci vedo così tanta passione per la fotografia. Chiudo gli occhi a fatica sforzandomi di dormire e sono così stanca da riuscirci anche in fretta.

Il mio sonno è agitato, invaso da un profumo forte e intenso, quasi familiare. Sento un improvviso calore sulla mano e quando apro gli occhi Ivan dorme, con la testa poggiata sulla mia spalla e la mano mollemente adagiata sulla mia. Mi godo quell'immagine e quel calore per qualche secondo  prima di spostarlo delicatamente sul sedile. «Eravate molto carini, tu e il tuo ragazzo prima». Un ragazzo biondo, sulla ventina, seduto di fianco ad Ivan mi rivolge la parola «Oh, lui non è... il mio... ragazzo» e mi sembra di essere capitata in una telenovelas spagnola. Ivan mugola qualcosa inarcando le sopracciglia, parla anche nel sonno, fantastico! «Oh beh, in tal caso meglio così» ha lo sguardo divertito il biondo,  mi porge la mano «Io sono Lucas,» l'afferro prontamente ,«Alyssa» dico solo. In quel momento un'hostess si avvicina e dice qualcosa di incomprensibile. Lucas mi fa da traduttore e mi indica la cintura di sicurezza. Siamo in fase d'atterraggio. Ringrazia la donna che fissa Ivan ancora profondamente addormentato. Senza pensarci troppo mi allungo su di lui e gli abbottono la cintura, lui non fa un piega ma mi afferra una mano nel sonno. Lucas mi lancia un'occhiata maliziosa e l'hostess se ne va scuotendo la testa divertita. « Sei proprio sicura che non sia il tuo ragazzo?» Quel tipo sta iniziando a darmi sui nervi. Decido di azzardare una mossa poco leale e tiro fuori il cellulare dalla tasca. Gli mostro  una fotografia di me e mio fratello, io gli do un bacio sulla guancia e lui ha un sorriso smagliante sul volto, e l'amore di due fratelli viene facilmente confuso per altro da Lucas, facilitato dalla nostra poca somiglianza poi. «Ti sbagli... questo è il mio ragazzo.» gli dico mostrandogli bene la foto, lui se la ride per qualche strano motivo e Ivan stringe la presa su di me. Non mi ero resa conto si fosse svegliato. Gli occhi accesi di qualcosa che non mi so spiegare. Il pilota decide di salvarmi in qualche modo e inizia la sua manovra d'atterraggio. Poso il cellulare e mi sottraggo agli occhi indiscreti del ragazzo biondo. La presa di Ivan sul mio braccio si allenta ed io mi volto verso il finestrino godendomi lo spettacolo dell'atterraggio.


***

Salve ragazze!

Ecco a voi un nuovo capitolo, spero che vi piaccia e che mi facciate sapere cosa ne pensate molto sinceramente. Vorrei farvi alcune precisazioni, per farvi capire quanto in realtà la storia sia più o meno verosimile. Il cambio di località per il viaggio è una cosa che realmente mi è accaduta quando ero al liceo, e proprio come in questo capitolo ho dovuto frequentare un corso di spagnolo accelerato. Detto questo lascio a voi il giudizio di questo capitolo. 

Baci Lucy

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Capitolo 6
*** - Chapter 5 : Olympia Hotel ***


-Chapter V

-Olympia Hotel

Dopo essere atterrati, i secondi sembrano non passare mai. Mi guardo intorno, impaziente aspetto l'apertura delle porte. Slaccio la cintura di sicurezza, o almeno ci provo, e le mie mani sembrano non voler collaborare. 

Per qualche strano motivo, sono agitata ma so che la causa si trova alla mia sinistra ed ha anche un bel faccino. È da quando ha visto quella stupida fotografia che non smette fissarmi. Il biondo di fianco a lui se la ride per qualche assurdo motivo, ma decido di ignorarlo. Quando finalmente annunciano l'apertura delle porte -cosa che capisco solo dal caos generale di persone intorno che recuperano borse, cellulari e vari effetti personali- riesco finalmente a slacciare quella stupida cintura. Recupero lo zaino e praticamente scappo cercando di mettere quanta più distanza tra me e quei due ma, ovviamente, le sfighe non vengono mai da sole. 

M'imbatto in Lore, letteralmente ci sbatto contro e lui mi afferra appena in tempo, prima di causare un terribile effetto domino.  Le sue labbra si piegano in un mezzo sorriso ed io sono pronta ad ascoltare le sue prese in giro. «Da quando sei fidanzata con tuo fratello?» il suo sorriso si allarga tanto da diventare un ghigno. Aggrotto la fronte, «com..» faccio per dire ma lui m'interrompe subito. «Ero seduto dietro di voi...», si fa serio ed io capisco che quella è l'insorgere di una scenata, così sfuggo alla sua presa e scivolo al suo fianco, trovando il passaggio libero. Finalmente riesco ad uscire sotto lo sguardo attento e stupito di un'hostess che mi osserva correre via.

Una volta recuperate le valigie, un autobus ci aspetta per portarci finalmente all'Olympia Hotel, un albergo a quatto stelle poco fuori il centro della città, a cento metri dalla stazione della metropolitana.

La Hall non è molto grande, ma lo è abbastanza da ospitare trenta ragazzi e quattro professori con annesse valigie. Molto carina, è sui toni del blu, dell'azzurro e del marrone, da lontano scorgo una piccola area relax e una scalinata che, dovrebbe portare ad una terrazza.

A coppie di due ci registrano e ci assegnano una camera. Su un bigliettino c'è segnato il numero e la password del Wi-Fi. La chiave è una carta magnetica azzurra raffigurante un'onda d'acqua, in alto il logo dell'albergo. Io e Sam abbiamo la stanza 529 al quinto piano, mentre Sere è con Marika nella 524.

La nostra camera, è piccola ma carinissima. Un letto matrimoniale dalle lenzuola blu e azzurrine ne occupa gran parte, uno specchio da parete si estende sulla testiera. Sul lato sinistro, accanto al letto vi è un grandissimo armadio anch'esso ricoperto di specchi. Sul lato opposto invece, una piccola scrivania e, appeso alla parete un televisore.

Poggio le valigie alla parete libera e corro ad ispezionare il bagno. Quando esco, Sam, gambe incrociate sul letto, guarda fisso il cellulare, un'espressione indecifrabile in volto. Si accorge che la sto fissando e si lascia cadere all'indietro sui cuscini. 

Credo di capire il motivo di quella reazione. Mi avvicino piano e mi stendo al suo fianco senza dire niente in attesa che parli. «Ieri ha litigato con i suoi, di nuovo... erano giorni che non rispondeva ai miei messaggi, alle chiamate...», la sua voce s'incrina e una lacrima le scivola lungo la guancia. Chiude gli occhi per trattenerla e sospira. «Mi ha chiamato, era disperata e mi ha chiesto di portarla in un posto tranquillo, ed io come una stupida sono corsa da lei, come ho sempre fatto». Mi avvicino di più e la cingo con un braccio, con un'occhiata la incito a continuare. «Ha iniziato a piangere tra le mie braccia e ho provato a consolarla, e lei se n'è uscita con dei discorsi assurdi su quanto non mi meritasse, ed io non capivo. Oggi mi scrive che ha baciato un'altra, dopo che io sono corsa da lei, dopo avermi lasciato senza motivo, "perché se non stava bene lei non poteva far star bene me". Che senso ha avuto tutto? Vederci di nascosto, raramente e sempre in compagnia per colpa dei suoi. Che cazzo di senso ha avuto?»

La stringo più forte e lei scoppia in un pianto disperato, ed io vorrei compiere un omicidio perché, no, la mia amica non lo merita. Le accarezzo i capelli, nel vago tentativo di consolarla.«Sam... » dico piano «devi lasciarla andare, per te stessa, non per lei, perché non meriti questo...lei non ti merita!»

Poggia la fronte sulla mia spalla inondandomi la camicia di lacrime. E lo so che le mie parole non servono un granché, che potrei dire qualsiasi cosa ma non riuscirei a farla stare meglio. L'unica cosa che posso fare, di davvero utile, è esserci e ascoltare le sue parole.

Sam sembra la ragazza più forte al mondo ma in realtà è molto dolce e fragile. In quel momento il suo dolore è anche il mio e mi dispero nel tentativo di alleviarlo almeno un po'.
Quando finalmente si addormenta, mi alzo piano, senza svegliarla e decido di ordinare l'armadio e disfare le valigie, per distrarmi. Apro la finestra e quello che vedo non mi piace per niente, affaccia su un'altra camera. Proprio in quel momento qualcuno ha la mia stessa idea, Ivan fa capolino dalla parte opposta, la mia stessa espressione in volto. Dietro di lui un al quanto scocciato Lorenzo sbuffa. Li hanno messi nella stessa stanza, che enorme, gigantesco errore. 

Lui richiude la finestra, come a volermi nascondere,di fianco alla loro ce ne sono altre due. Dalla mia posizione riesco a vedere anche le camere del piano inferiore. Mi sporgo per guardare giù, e noto un piccolo giardino poi richiudo la finestra e sospiro. Alla mia sfiga non c'è mai fine.

Alle 13.00 siamo tutti in mensa, anche se lo definirei più un ristorante. Al centro della sala c'è un enorme buffet con molteplici pietanze, possiamo servirci da soli. La sala come il resto dell'albergo è sui toni del blu. Io opto per  la paella, considerando che è la specialità del posto. 

Raggiungo Sam, Sere e Marika al nostro tavolo. La mia compagna di stanza è ancora giù di morale ma cerca di sorridere almeno un po'. Cerco di conoscere di più Marika ma lei è molto concentrata sulla mia migliore amica. Le due iniziano a scambiarsi informazioni ed io sorrido sperando che possa essere una buona distrazione ai suoi problemi.

Alle 15.00 siamo tutti convocati in terrazza, che è davvero enorme. Sotto un mosaico di vetro soffiato colorato ci accomodiamo sui divanetti di vimini e ascoltiamo attenti le indicazioni dei professori. 

Quella settimana sarebbe stata abbastanza dura, otto ore al giorno di studio intensissimo della lingua Spagnola, per poi essere smistati in varie aziende, a seconda del nostro indirizzo di studio.

Le lezioni sarebbero iniziate quel pomeriggio stesso. 

Mezz'ora dopo, ci dirigiamo alla metropolitana situata alla fine della strada nel bel mezzo di un parchetto. I professori ci consegnano gli abbonamenti che ci serviranno per spostarci in città.

Raggiungiamo quella che per un'intera settimana considereremo "scuola". In realtà è un'associazione di scambi culturali. È situata nel bel mezzo della città, in un piccolo palazzetto al terzo piano. A prima vista sembrerebbe un comunismo ufficio con molteplici stanze, in totale cinque. All'ingresso, una sala d'aspetto con due divanetti di pelle nera, il nome dell'associazione "Esmovia" occupa tutta la parete sul lato opposto. Tutt'intorno un profumo di mele fin troppo dolce per i miei gusti.

Una ragazza sulla trentina,Irene, ci spiega- in italiano fortunatamente- che saremmo divisi in tre classi, a seconda dell'indirizzo di studio, dieci studenti per ogni classe. 

Sono appena le quattro del pomeriggio e seguire la lezione non è per niente facile, soprattutto perché non capisco una singola parola di spagnolo. Chiedo a Sam di farmi da interprete dato che ne capisce sicuramente più di me. Cerco di prendere appunti -altro che quaderno dei piani malvagi- quello è proprio aramaico antico. Nel frattempo Ivan intavola una conversazione in un fluente spagnolo con la "professoressa" facendola anche ridere ed io non credevo avrei potuto odiarlo di più di così.

Quattro ore dopo-le quattro ore più noiose della mia vita- siamo finalmente liberi di girovagare per il centro. Io Sam, Sere e anche Marika che oramai è parte integrante del gruppo, decidiamo di cenare fuori ed "esplorare" la città.

«Ragazze vi dispiacerebbe se invitassi anche gli altri?» Marika sorride, per niente consapevole del piccolo dramma che si sta consumando nella mia testa.

Sam e Sere mi osservano e restano stupite quando annuisco «nessun problema...». Marika si allontana e raggiunge i ragazzi nella piazzetta, afferra Ivan per un braccio, noi li osserviamo attenti e in silenzio, ci indica e lo sguardo di Ivan s'illumina. Ora siamo in otto ed è più difficile decidere dove andare, ma cerchiamo di accontentare tutti. 

Taco bell è abbastanza affollato, e non è certo il posto migliore dove mangiare ma mi accontento. A noi si sono aggiunti Ivan, Lore Luca e Roberto. Roberto è simpaticissimo e fa ridere un po' tutti coinvolgendoci nei suoi discorsi. Non è propriamente bello ma la sua simpatia è così coinvolgente da renderlo bello agli occhi di chiunque.

Passo la maggior parte della serata a parlarci e scopro che ha una relazione che dura da ben cinque anni. «Davvero? Cioè... è fantastico, dovete amarvi molto», lui se la ride «Pensa che ho già pronte le bomboniere per il matrimonio, ovviamente sei invitata» scherza lui e non riesco a non trattenere un sorriso. Roberto oltre ad essere simpatico e divertente, è un ragazzo adorabile, parliamo delle nostre vite private, mi accorgo che è anche un grande osservatore... «C'è stato qualcosa fra voi due vero?» fa ad un certo punto, io lo guardo stupita senza capire di chi parli. 

Nel frattempo abbiamo raggiunto la Plaza de la Virgen e il gruppo si è spezzettato in tanti piccoli gruppetti. La cosa assurda è che Lore e Ivan sono vicini, camminano in silenzio senza parlare, sorseggiando di tanto in tanto una birra. Sere è affiancata da Luca e mi sa che il bel Mattia del bar sia stato già rimpiazzato. Marika e Sam se la intendono non poco, scherzano ridono e parlano come se si conoscessero da una vita ed io sono sollevata.

«Di chi parli?», so di non essere per niente credibile, infatti la sua espressione trasuda scetticismo da tutti i pori. 

«Da cosa lo hai capito esattamente?» Ammetto rassegnata e lui sorride soddisfatto. Decidiamo di sederci alla fontana nel centro della piazza, mentre qualcuno continua a girovagare intorno. Sorseggio un po' di birra mentre aspetto impaziente le delucidazioni di Roberto.

  «Beh, innanzitutto Ivan non smette di tenerti d'occhio nemmeno per un secondo... credimi ha perfino contato ogni singolo sorso di birra...» istintivamente mi volto a guardarlo, le labbra incollate alla bottiglia, gli occhi fissati nei miei. Mi vengono i brividi, tanto che mi strofino le braccia lasciate scoperte da una semplice t-shirt. «E poi ero presente alla scenata nel cortiletto del bar, sembrava preoccupatissimo e appena hai attraversato l'arco ti è corso dietro». Cerco di convincermi che Roberto mi stia meno simpatico ma in realtà non voglio ammettere abbia ragione. 

Opto per la sincera e pura verità «Effettivamente, ci siamo conosciuti quest'estate, ad un falò», mi lancia un'occhiata allusiva ma io la ignoro continuando il discorso. «Ero davvero ubriaca e lui, forse lo era solo un po' meno di me, abbiamo iniziato a parlare di fotografia», sorrido a quel ricordo «abbiamo iniziato a litigare su un argomento e improvvisamente mi ha baciato, senza motivo ne una spiegazione... è stato un bacio, molto... intenso. Poi si è alzato e se n'è andato.»

Roberto mi guarda da sopra i suoi occhiali, sembra incredulo, la sua espressione mi fa ridere e la birra non aiuta a restare seri. «Immagina la mia faccia quando me lo sono ritrovata nella stessa scuola.» Scoppiamo a ridere entrambi, bevo un altro sorso di birra e mi alzo, la testa che mi gira vagamente. Non sono una grande bevitrice, alla seconda birra sono già più disinibita del previsto ma di certo non ubriaca. Associo quella reazione alle informazioni ricevute a bruciapelo da un osservatore esterno alla vicenda. Ma in realtà sono consapevole che il motivo sia ben diverso.Roberto mi afferra appena in tempo e mi porge il suo braccio. Decido di cambiare argomento e gli chiedo della sua storia d'amore. Mi parla di una migliore amica e di una scuola media, ed io mi chiedo come possa durare così tanto una storia tra due ragazzini.

Una volta tornati in albergo decidiamo di fermarci al Tirana caffè proprio lì accanto, Roberto non mi molla un attimo tanto da suscitare le battute dei presenti. Prendiamo posto al tavolino e mi accorgo della presenza della maggior parte degli studenti. Alcuni sono visibilmente ubriachi, altri giocano a biliardo, nell'aria si sente un vago odore di erba. Decido, da ragazza responsabile quale sono di ordinare una Sprite, ma finisco per bere il Mojito di Roberto. 

«Hola chica!» Sam mi urla all'orecchio e quasi non rovescio il drink sul tavolino, Roberto prontamente lo intercetta. Assottiglio lo sguardo e sono sicura che sia ubriaca. Marika non lo è certo di meno. La ragazza che ha attentato al mio orecchio mi comunica che sono stata sfrattata per la serata. Rido e alzo gli occhi al cielo ma so che quel comportamento è dovuto alla rottura con Veronica quindi cerco di essere comprensiva, spero solo che domani non se ne penta.

Roberto mi accompagna alla 524, quando busso non risponde anima viva e ho il presentimento che Sere sia ancora in giro con Luca, il compagno di stanza di Roberto. Rimasta chiusa fuori mi accomodo su uno dei divani nel salottino che precede la camera. Roberto mi fa compagnia fino ad una certa ora ma poi, dopo essersi scusato mille volte va a dormire. 

Mi accomodo meglio sul divanetto e dopo essermi sfilata le scarpe distendo le gambe. Parlo con Ale,gli racconto di quella giornata che sembra non voler finire mai. Mi addormento con il cellulare premuto sul petto. 

Sogno di volare su di una morbida nuvola e poi improvvisamente di precipitare nel vuoto.

Quando mi sveglio è tutto buio, sono in un letto e non so chi mi ci abbia portato, immagino che sia stata Sere, ma quando accendo la luce so di per certo che quella non è la sua stanza.


***
Salve ragazze!
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento. Finalmente eccoci in Spagna, l'Olympia Hotel esiste davvero ed io stessa ci sono stata con la scuola per un intero mese, alcune delle cose descritte sono parte dell'avventura che ho vissuto. Tornando ai nostri protagonisti, chissà cosa succederà in questa magnifica città, vi lascio con questo enorme dubbio... che presto sarà svelato :P
Baci Lucy
 

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Capitolo 7
*** -Chapter 6 : Under the light of a thousand stars ***


-Chapter VI

-Under the light of a thousand stars

«Perché sono nella tua stanza?» Chiedo al quanto confusa a un Roberto che mi fissa e per un momento non sa cosa dire. La luce proveniente dalla lampada sul comodino tra i due letti crea ombre informi sul suo viso. Recupera gli occhiali dal comodino li indossa e finalmente si alza. Io seguo i suoi movimenti con lo sguardo confusa. Quando dopo essersi portato una mano alla testa imbarazzato fa per parlare viene interrotto dal bussare insistente della porta, pugni s'infrangono sulla superficie. Spalanca gli occhi e rimane lì fermo con una mano tra i capelli. Probabilmente ci stiamo chiedendo la stessa cosa perché se fosse Luca, il suo compagno di stanza, non avrebbe bussato possedendo una chiave.

Chi potrebbe essere nel bel mezzo della notte?

Sembra in preda al panico ed io sono paralizzata ferma al centro della stanza. Mi suggerisce con un gesto della mano di nascondermi in bagno, quando una voce, una voce a me ben nota fa capolino dall'esterno, attutita dalla porta. «Senti Rodolfo o come cavolo ti chiami...vuoi aprire questa cazzo di porta, so che lei è lì!» Io e Roberto ci guardiamo, per un attimo confusi. «Mi vorresti spiegare cosa sta succedendo?» sussurro «Vorrei saperlo anch'io »sospira aprendo finalmente la porta. 

Lorenzo sembra furioso e dopo avermi fulminato con lo sguardo mi afferra per il polso. Nell'altra mano, quella libera stringe il mio cellulare ed io lo afferro strappandoglielo dalle mani. «Bel ringraziamento per averlo recuperato...» Lore sembra al quanto infastidito dalla mia reazione ma sono così confusa che vorrei solo tornare nella mia stanza. 

«Aly, scusami devo averlo dimenticato quando ti ho portato qui...» Roberto mi fissa e sembra seriamente dispiaciuto. Incrocio le braccia al petto e li guardo entrambi assottigliando lo sguardo. «Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo? Perché sono qui? E tu...» Punto l'indice al petto di Lore «come facevi a saperelo?».

Roberto si strofina gli occhi da sotto le lenti e sembra al quanto esasperato, io attendo la sua versione dei fatti che sembra proprio non volere arrivare. Non smetto per un secondo di guardarlo per incitarlo a parlare.«Avevo dimenticato il cellulare sul tavolino del salottino, così sono tornato indietro. Quando sono arrivato lì dormivi...ho pensato di svegliarti ma non ne volevi proprio sapere. Non potevo lasciarti lì, ho deciso di portarti in camera e aspettare che tornasse Luca per portarti da Serena, ma poi mi sono addormentato anch'io.» Roberto sembra sinceramente dispiaciuto e la questione si sbroglia. 

La stretta sul polso di Lore mi ricorda della sua presenza, e proprio non vuole lasciarmi, cerca di trascinarmi fuori e alla fine ci riesce sotto lo guardo stupefatto di Roberto, trascinandomi per corridoi e corridoi fino a raggiungere l'ascensore. Chiusi in quella piccola scatoletta di metallo, sento il peso della sua presenza e l'effetto che ha su di me. «Dove mi stai portando? E mi spieghi come facevi a sapere dov'ero?» Mi agito, perché è così che mi fa sentire. Continua a tenermi stretta senza proferire parola. Superiamo la hall sotto lo sguardo indifferente degli addetti alla reception. Sono incredula, perché qui c'è qualcuno che rapisce povere ragazze e loro se ne stanno a guardare ? Siamo fuori dall'albergo ed io mi guardo intorno preoccupata che qualcuno possa vederci. Non credo che l'idea di due ragazzi-per quanto maggiorenni- fuori nel bel mezzo della notte possa far piacere agli insegnati. Mi rassegno al fatto che devo seguirlo e solo dopo aver raggiunto il parchetto alla fine della strada mi lascia andare. Si siede sulla cesta-altalena e mi guarda fisso. Sembra esasperato io lo fisso e poi guardo in basso. Sono scalza, fantastico! 

«Come siamo arrivati a questo punto?» Sospira ed io mi chiedo come faccia a non saperlo visto che l'artefice di tutto è proprio lui. Nella mia testa scatta una molla: sono una povera ragazza trascinata in un parco, scalza, alle tre di notte. Lo guardo negli occhi illuminati da un lampione lì vicino e capisco che è serio. Vorrei prenderlo a pugni seriamente. «Perché non lo chiedi a te stesso?» sbotto acida. Lui si acciglia, mi guardo intorno «Mi stai dando la colpa?» assottiglia lo sguardo. 

Questa volta è il mio turno di aggrottare le sopracciglia, faccio una risata isterica «Perché di chi credi che sia la colpa? Magari di quel cavallino a dondolo lì, che dici?» faccio indicandolo. Lui si alza di scatto indispettito, mi sta addosso ed io indietreggio per ristabilire le distanze. «Di cosa vorresti incolparmi?Sei tu che ti sei innamorata di me!» Urla afferrandomi un braccio e facendomi male. Quelle parole sono come uno schiaffo in pieno viso, ma cerco di non darlo a vedere. Trattengo le lacrime, perché non avrà mai la soddisfazione di vedermi piangere. «Già...è stata forse l'unica mia col... l'unico errore che ho fatto!» Mi correggo all'ultimo. Stringe la presa «errore?» ripete perdendo il controllo, sembra proprio non gli vada a genio l'idea che per me sia un grosso e gigantesco errore. «Sì, errore! Se sei improvvisamente diventato uno stronzo, rinfacciandomi tutto quello che ti avevo confidato, non è di certo colpa mia!». Finalmente allenta la presa su di me, indietreggia di un passo scuotendo la testa. Sembra un pazzo, o qualcuno che si è appena reso conto di aver compiuto un omicidio. «Volevo fartela pagare...» è la sua enigmatica risposta, e con lo sguardo sembra essere altrove. «Hai rovinato la nostra amicizia, era tutto così perfetto...» Mi congelo sul posto, la mia rabbia e la mia frustrazione raggiungono livelli inimmaginabili. «Continui a non capire, a negare...sei tu quello che l'ha rovinata con quel comportamento! Ed io? Io ti sono stata accanto anche quando era l'unica cosa che mi faceva soffrire! Ti ho perdonato! Non posso credere di averlo fatto!» Urlo, urlo nel bel mezzo della notte e le mie parole sono un fiume in piena, tanto che mi trema la voce e stringo forte i denti per trattenere le lacrime. 

«Tu non capisci!» Inizia a sbraitare e mi afferra per le spalle scuotendomi.«Io non potevo a...».

Qualcuno mi si para davanti. L'unica cosa che riesco a vedere sono le gambe di Lore rannicchiate a terra, dopo la spinta «Smettila di tormentarla! Non vedi che non ti vuole?» Ivan sogghigna ed io temo in un'imminente rissa. Lore resta in silenzio, si accascia a terra portandosi le mani agli occhi poi fa una piccola risata, quasi isterica. «E credi che lei voglia te?» 

Dalla sua voce intuisco che il suo scopo è ferire, perché è lo stesso che aveva usato per ferire me: tagliente e freddo come un coltello che ti pugnala le spalle. Ivan non risponde, intenzionato a lasciarlo lì, gli dà le spalle. Il mio ex migliore amico si alza insoddisfatto e lo afferra per una spalla, le sue labbra si piegano in un ghigno, «se credi che facendo l'eroe lei te la darà, beh ti sbagli di grosso...»

La sua risata è inquietante e si espande nell'aria creando un eco insopportabile. Mi si gela il sangue nelle vene «...dopotutto è innamorata di me!» Non credevo che la sua intenzione fosse quella di ferire me. Ivan scarta la sua mano dalla spalla, serra i pugni e con non poca disinvoltura si volta assestandogli un pugno in pieno volto. Il mal capitato si porta le mani alla bocca inginocchiandosi. Dalla luce del lampione vedo il sangue colargli tra le dita. Chiudo gli occhi agitata e mi porto le mani al viso sconvolta. «Prova a ripeterlo e ti spacco il naso!»Ringhia, Lore nonostante la botta fa una risata. Ivan mi afferra e tenendomi per mano mi trascina via. 

In quel momento sento il peso del mondo crollarmi addosso, e so che mi sono ripromessa di non farlo, di non piangere in presenza di qualcuno, di sembrare forte ma proprio non ce la faccio. Le lacrime scendono silenziose, Ivan nemmeno se ne accorge e forse è meglio così. Cammina, il passo più veloce, di poco davanti a me. La stretta della sua mano in qualche modo mi conforta, ma le lacrime continuano a scendere imperterrite. Stringo impercettibilmente la presa. Lui si ferma di colpo, mi accorgo che ha volutamente percorso la strada più lunga e mi domando il perché. Si gira per osservarmi ed io volto la testa di lato, i capelli a coprirmi il viso. Con la coda dell'occhio lo guardo, sta fissando i miei piedi scalzi. Sgrana gli occhi e mi afferra il mento tra le dita costringendomi a guardarlo. 

Sembra sorpreso e non sa cosa dire. «Cosa c'è?! Ti diverte tanto vedermi così?» So che non dovrei prendermela con lui, in fondo è venuto a "salvarmi" dalle grinfie di Lore, ma odio essere guardata come se fossi una stupida bambina alla quale si è appena sbucciato un ginocchio. Non mi risponde ma colgo un guizzo nei suo occhi. Si avvicina e mi circonda con le braccia issandomi su una spalla. Io protesto scalciando. Impassibile continua la sua camminata «Sta ferma, altrimenti ti lascio cadere!» Sbotta lui, ma colgo un sorriso nella sua voce.

Una volta arrivati all'Hotel finalmente mi mette giù, ma proprio nel momento in cui sto per entrare mi afferra tirandomi contro la parete lì vicino. Mi inchioda  tra le sue braccia e il muro. Il battito del mio cuore accelera come impazzito, è troppo vicino. Sento il suo respiro caldo sfiorarmi il viso, le ginocchia tremano impercettibilmente e spero che le gambe reggano ancora un po'. Incrocio il suo sguardo e non riesco a capire, ci leggo tormento. Si avvicina ancora e sembra non intenzionato a muoversi, cerca il mio sguardo, è combattuto. Io guardo altrove, fisso le stelle e quando mi volto nuovamente verso di lui incontro le sue labbra. Infila le dita tra i miei capelli avvicinandomi, Io gli allaccio le gambe alla vita e quel bacio carezzevole diventa qualcosa di più. Dischiudo le labbra e accolgo la sua lingua, gioco con i suoi capelli liberandoli dalla coda. Le nostre lingue si accarezzano inseguendosi e lui mi spinge piano contro il muro annullando ogni distanza. Il ritmo accelera diventando frenetico, quasi disperato ed io lo seguo a fatica. Il cuore sembra voler uscire fuori dal petto, e così, avvinghiati riesco a percepire il battito altrettanto accelerato del suo. Le nostre lingue si accarezzano per un'ultima volta, ci stacchiamo e il suo sguardo è impenetrabile. Ci leggo disappunto. Quando torno con i piedi per terra faccio fatica a respirare. Si allontana di poco e non smette di fissarmi. Torno a respirare in modo normale, il battito del mio cuore non ne vuole sapere. «E quello per che...» Provo a dire ma le sue labbra sono nuovamente sulle mie, mi travolgono. A quanto pare non gli era bastato. Nemmeno a me.

Il suo bacio è travolgente, m'incendia e il suo sapore m'invade. È così pieno di passione che, sono sicura, sotto le palpebre serrate riesco a vedere tante piccole stelle, milioni di puntini luccicanti. Mi tiene la testa ferma con le mani, come se avesse paura che potessi svanirgli davanti agli occhi da un momento all'altro. Morde piano il labbro inferiore e mi sfugge un piccolo mugolio, stringo tra le dita una ciocca dei suoi capelli e quando si stacca piano non ho il coraggio di riaprire gli occhi. Mi prendo qualche secondo di troppo e poi mi costringo ad aprirli. Fa qualche passo indietro dandomi lo spazio necessario per fuggire via. Il cuore in gola, corro in direzione degli ascensori e proprio in quel momento le porte si aprono e un uomo ne esce quasi finendomi addosso . Mi guardo alle spalle, Ivan è ancora fuori, non so esattamente perché sto scappando. La paura mi si addensa nel petto, si trasforma in angoscia. Le porte si chiudono e l'ultima cosa che vedo sono i suoi occhi di un verde splendente fissarmi con una certo risentimento. 

la stanza 524 è dalla parte opposta alla mia, a due passi da quella di Ivan e Lore. Busso freneticamente in preda al panico perché l'ultima cosa che voglio è incontrare proprio lui.

Un'assonata Serena apre e sembra incredula, mi guarda e un velo di rabbia le si dipinge sul volto «Aly! Ma che cavolo di fine avevi fatto?». In quel momento la mia mente si affolla e la paura cresce, fino a diventare una specie di ansia. Sere deve accorgersi del cambiamento di umore perché sembra preoccupata, mi guarda meglio e si acciglia. Mi afferra per un braccio e mi tira dentro chiudendosi la porta alle spalle. «Che ti è successo? E perché sei scalza?» sospiro strofinandomi gli occhi con il palmo della mano. Guardo il letto «Ivan ha picchiato Lore e poi mi ha baciato» dico tutto d'un fiato per tenerla sulle spine con il solo intento di punirla, perché in fondo è un po' anche colpa sua. Lei mi segue ed io mi butto di peso sul letto, continua a sparare domande a raffica ma sono troppo stanca per risponderle.

«Domani ti racconto, promesso!» sospiro e mi rannicchio nel letto, nel tentativo di riposare per quelle poche ore rimaste.



***

Salve Ragazze!
Scusate l'attesa, ma ho avuto parecchie cose da fare questa settimana, nonostante tutto eccovi il capitolo pronto. Spero che lo apprezziate e mi facciate sapere cosa ne pensate.
Baci Lucy

 

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Capitolo 8
*** chapter 7 : There is no end to a bad luck ***


Chapter VII

-There is no end to a bad luck
 

 

«Allora? Vuoi per piacere, dirmi cosa cavolo è successo ieri ?» addento il mio toast con la marmellata e nel frattempo mi guardo intorno, perfettamente conscia di star cercando una persona in particolare. Di Marika e Sam neanche l'ombra, Sere continua a marcarmi stretta perché la sera prima dopo aver sganciato la bomba l'ho lasciata a bocca asciutta. Continuo a ignorarla persa nei miei pensieri, affonda un cucchiaio nei suoi cereali e continua a guardarmi. La sala è stracolma di studenti assonnati che girano intorno al buffet, indecisi su cosa mangiare. Guardo fuori dalla finestra, affaccia sulla strada e mi vedo ancora lì nel pieno della notte, le labbra di Ivan sulle mie. «Dai Aly, mi dispiace averti lasciato così ma come potevo saperlo?» Assottiglio lo sguardo e la guardo in cagnesco «Ti avrò chiamata un centinaio di volte...» Il mio umore non è dei migliori, per di più continuo a farmi domande inutili su quello che alla fine è stato solo un bacio.

«Lo so...è che Luca, beh mi  piace... ero distratta». Sospiro e faccio per parlare ma proprio in quel momento un sorridente Roberto, fin troppo sorridente per i miei gusti, si accomoda al nostro tavolo con un cornetto e un cappuccino.

«Ho saputo che una certa persona è stata pestata ieri sera...» ed ecco che il suo sorriso si trasforma in un vero e proprio ghigno, io sbuffo «Proprio piccolo quest'albergo» alzo gli occhi al cielo. Sorseggio il mio caffè, i due di fronte a me m'inchiodano con lo sguardo. «Che dite aspettiamo Marika e Sam? Così non mi ripeto...» Mi rassegno e i loro volti s'illuminano. La mia vita è appena diventata una soap opera.

Dopo aver varcato la soglia dell'associazione Esmovia, e aver inalato quell'insopportabile profumo di mele, sento una pressione addosso, quasi palpabile. Sguardi corrono da me a Lore, da Lore a Ivan e così via. Tutti continuano a bisbigliare, e la lezione di Spagnolo non è mai stata così interessante. Durante la pausa, ci informano che la seconda parte di lezione la svolgeremo all'aperto.

Il mercato è stracolmo nel centro della città e a coppie di due dovremmo informarci sui prezzi dei vari prodotti e annotarli su di un taccuino, rigorosamente in spagnolo ovviamente. Sere fa praticamente metà del lavoro, ed io mi limito a scrivere i prezzi e a fare qualche domanda di tanto in tanto. I Negozianti sono gentilissimi e sorridono quando spieghiamo loro che quella è un'esercitazione. Per un momento dimentico la questione Ivan e Lore e mi perdo nei racconti di quelle persone gentilissime.

«Alyssa, giusto?» Sere mi lancia un'occhiata, una domanda inespressa. Il ragazzo biondo fa capolino dalla piccola bancarella. «Lucas» dico sorpresa e lui sorride. Mi volto verso la mia migliore amica che è a dir poco stupita «Lui è Lucas, era sul nostro volo» dico presentandoglielo. «Serena» Lui le stringe la mano e lei sembra al quanto ammaliata dai suoi profondi occhi azzurri.  «Che ci fai qui?» chiedo sospettosa, se la ride bellamente «Secondo te? Ci lavoro!»

Mi rilasso per un secondo e lui deve accorgersene perché il suo sorriso s'allarga, mi chiedo come possa una persona sorridere così. Non c'è che dire Lucas è molto attraente, alto pelle ambrata, biondo occhi azzurri, sembra esser uscito direttamente da una scatola di Barbie. Serena ci osserva sospettosa. «Allora, come va con il tuo ragazzo?» per un momento devo essere sembrata al quanto incredula per poi ricordare tutta la messa in scena messa in piedi sull'aereo. Mi dipingo uno dei miei migliori sorrisi finti sulle labbra -e per migliori intendo che fanno proprio schifo, purtroppo non so fingere e tutto ciò che penso mi si legge in faccia.- «Benissimo! Ci sentiamo spessissimo...» Lucas se la ride e ancora una volta si prende gioco di me, dovrò rinunciare alla mia carriera d'attrice nata. Sospiro, «sai...» Inizia lui e nel frattempo Serena quasi sbava, incantata. «Quel ragazzo, Ivan, mi pare?» Aggrotto la fronte e  divento seria lo fisso in attesa. «Non ha fatto altro che guardarti per tutto il viaggio, poi ti ha scattato qualche foto. Quando abbiamo parlato, ha solo finto di dormire» Mentre il biondo sembra soddisfatto io non so che dire, e resto in silenzio. Lo guardo incredula «Ah, davvero? Noi dobbiamo raggiungere gli altri, mi dispiace... magari ci becchiamo in giro e ne parliamo con calma.»

Faccio per andare via di lì il più in fretta possibile, Lucas si fa improvvisamente serio, si sporge e mi abbraccia cogliendomi di sorpresa «Certo, spero di vederti quanto prima, Alyssa» sussurra al mio orecchio soffiando una risata. Resto congelata sul posto quando si allontana e mi accorgo che non è me che sta guardando. Non mi volto perché sono sicura di sapere chi ci sia alle mie spalle. Afferro Sere che nel frattempo si è chiusa in un assurdo mutismo e mi dirigo verso l'uscita del mercato. «Mi vuoi spiegare chi è quel tizio?». Purtroppo riacquista la sua loquacità fin troppo presto, inondandomi di domande, "cosa, come, quando, dove, perché. Una volta uscite all'aria aperta le spiego brevemente la questione.

«Cioè fammi capire, quel tipo ci prova con te e tu non fai niente?» Alzo gli occhi al cielo esasperata e mi porto una mano al viso, teatrale. «Quel tipo non ci stava affatto provando, voleva solo divertirsi a mettermi in difficoltà» ma lei non sembra per nulla convinta, io mi guardo intorno, Sam ci raggiunge e nel frattempo aspettiamo gli altri. «Alla fine non mi hai raccontato nulla» Lancio una gomitata alla mia migliore amica che improvvisamente si fa seria. «Perché non c'è nulla da raccontare, in realtà abbiamo parlato moltissimo, ma nonostante Marika sia una persona fantastica, con la mente ero altrove». Mi rabbuio perché credevo che fosse la persona giusta per far uscire Sam dal suo periodo buio, o quantomeno a distrarla un po'. Istintivamente l'abbraccio forte e lei ricambia la mia stretta. Non perdo però le speranze, il viaggio è appena cominciato, sicuramente troverò il modo di distrarla in qualche modo

Roberto e Luca ci prendono in giro facendo battute maliziose, battute alla quale siamo più che abituate.

Una volta in albergo decido che oltre a una doccia ho bisogno di dormire. Così dopo cena me ne resto in camera nella mia bolla di solitudine. Parlo con Ale e gli racconto le mie disavventure in Spagna. Nonostante il mio umore non sia dei migliori riesce comunque a farmi ridere e a distrarmi. Interrotta dal bussare insistente della porta, corro ad aprire convinta che Sam abbia dimenticato sicuramente qualcosa.

Lorenzo, con la sua solita aria da "niente può toccarmi" m'inchioda con lo sguardo, mi sta studiando, cerca di capire quello che provo. Tasta il territorio, io non riesco a guardarlo in faccia, alla mente mi affiorano quelle orribili parole ripetute come in un loop infinito e straziante. Gli lancio un'occhiata di sfuggita, curiosa di leggere qualcosa sul suo volto. Ha Il labbro gonfio e spaccato e per un attimo mi fa pena. Il suo sguardo vaga indisturbato per la stanza, sembra cercare qualcuno. «Che c'è? Non sei con il tuo salvatore?» il sarcasmo trasuda da ogni parola.

L'istinto di richiudere immediatamente la porta è molto forte, ci provo inutilmente consapevole di essere molto più debole di lui, infatti se la richiude alle spalle poco dopo e mi guarda oramai consapevole dell'odio che provo per lui.

«Cosa vuoi?» sospiro rassegnata. E ho quasi paura perché continua a cambiare atteggiamento, mi confonde. Abbassa lo sguardo, sembra pentito. Stringe forte i pugni come a volersela prendere con se stesso.

«Scusarmi.»  spalanco gli occhi e mi acciglio scettica, incrocio le braccia al petto e lo fisso per un po' « hai un modo di scusarti molto singolare, te l'hanno mai detto ?». Tutt' ad un tratto s'infervora, e mi afferra per le spalle. Indietreggio sorpresa e spaventata. «Ci sto provando, a dire e a fare la cosa giusta ! Ma tu con quel tuo tono da vecchia acida non mi rendi per niente le cose facili!»

Scoppio a ridere, una risata isterica per quanto finta, lui stringe la presa evidentemente infastidito. «Tu non hai la minima idea di cosa sia, la cosa giusta!» sputo fuori con tutta la rabbia trattenuta. Si rilassa per un secondo e assume quell'aria da cane bastonato, mi chiedo come abbia fatto ad innamorarmi di una persona evidentemente disturbata. Lo spingo via approfittando di quell'attimo di distrazione. «Non le voglio le tue scuse» il mio tono è innaturalmente calmo, stride con tutta la rabbia e la frustrazione che in realtà ho dentro. La mia calma apparente non regge, intaccata da quella nota stonata che sono le mie lacrime, che silenziose rigano le mie guance. «Vattene via.» Sussurro in quello che sembrerebbe un lamento.

Sono stanca, confusa e arrabbiata, vorrei essere uscita con le altre.

Lorenzo decide di confondermi ancora di più, mi attira a se stringendomi nella morsa di un abbraccio. Cerco di liberarmi, mi divincolo come un pesciolino nella rete ma è troppo forte. «Scusa,scusa,scusa...scusa» sembra disperato, fa scivolare la mano lungo tutta la schiena in una lieve carezza. Per un momento mi rilasso, ma le sue parole sono un vortice nella mia testa. Scoppio in uno di quei pianti devastanti, scossa dai singhiozzi mi stringo nella sua stretta. «Mi dispiace...» sussurra al mio orecchio. Lo allontano bruscamente e vedo un guizzo di rabbia attraversargli il volto per un attimo. Mi strofino gli occhi con le dita asciugando le lacrime che continuano a scorrere sul mio viso. «Vattene via» sospiro. Non sa cosa dire, rimane in silenzio, solo mi fissa indeciso sul da farsi. Vuole dire qualcosa, dischiude le labbra per un attimo per poi serrarle in una linea sottile e dura. «Mi dispiace» ripete ancora una volta rassegnato per poi chiudersi la porta alle spalle. «Anche a me» sussurro più a me stessa che a lui.

La settimana passa lentamente, tra le lezioni di Spagnolo e le varie visite guidate in giro per la città. Lorenzo sembra essersi rassegnato, non m' infastidisce né mi parla, continua ad osservarmi da lontano con il solito sguardo colmo di sensi di colpa. Io continuo ad ignorarlo dedicando tutte le mie attenzioni a Sam, Sere e Marika. La macchina fotografica sempre tra le mani, la mia cura da qualsiasi male. Ivan mi lancia qualche occhiata di tanto in tanto, i nostri sguardi s'incrociano, vorrei per un attimo essere dentro la sua testa. È freddo e distaccato, poi corre in mio aiuto e torna ad essere distaccato. Io non sono da meno dopotutto, sono scappata come la peggiore delle codarde. Mi chiedo se Lucas dicesse sul serio sulla questione delle foto.

La domenica siamo tutti riuniti in terrazza, i professori ci smisteranno nelle varie aziende. Sono in fibrillazione, spero di ritrovarmi con le mie amiche. Quando arriva il mio turno sono felice di appurare che sono con Sam e Marika. Sere è con Roberto e Luca e alla fine non è poi così male.

Il lunedì Irene, la rappresentate di Esmovia ci accompagna all'agenzia Fotografica pubblicitaria Abad per il colloquio di lavoro. Ci mostra la strada da percorrere per le restanti tre settimane. L'agenzia si trova nei pressi della "Mercadona", in un piccolo palazzetto al terzo piano. Jose Luis Abad, il nostro datore di lavoro e capo, sembra un uomo esigente ma simpatico, indossa una camicia a fiori azzurra e un pantalone verde militare. Avrà all'incirca quarantacinque anni, i primi capelli bianchi e la barba folta. Al suo fianco Pilar la sua assistente ci sorride, è molto giovane e sbarazzina, i capelli rosso vivo. Indossa un vestito a fiori azzurro e un paio di Vans dello stesso colore dei suoi capelli. Il colloquio non dura molto e nonostante le difficoltà con lo spagnolo ce la caviamo egregiamente, durante le ultime domande lo squillare di un cellulare interrompe Jose a metà del suo discorso. Irene dopo essersi scusata risponde, aggrotta le sopracciglia, inizia a parlare uno spagnolo frenetico, Marika sembra riuscire a capire sicuramente più di me e Sere. «Hanno messo dei ragazzi di Fotografia nel settore sbagliato, li trasferiranno qui perché a quanto pare è l'unica azienda rimasta». Mi si gela il sangue nelle vene perché come già detto, alla sfiga non c'è mai fine, ma ne sono più che certa quando Lore ed Ivan fanno il loro ingresso nella stanza, alla mia di sfiga non c'è mai fine!


Salve ragazze!
è da un po' che non aggiorno questa storia, mi stavo concentrando nella scrittura di "I've found freedom in your eyes".
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento. Aspetto i vostri commenti con ansia, baci Lucia.

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