Inferno.

di charlotteohlin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Incontri ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


L’oscurità fu la prima cosa che percepii, una volta aperti gli occhi. Un nero profondo, soffocante, ed un insolito fruscìo. 
Dove sono finita?
Fortunatamente, le immagini davanti a me si facevano abbastanza nitide mano a mano che il tempo passava, così incominciai a percepire un’acquosa luminescenza giusto sopra di me, ad una discreta distanza. Mi sforzai con tutta me stessa nel mettere a fuoco, e finalmente riuscii a vederla: era la luna.
Vidi la luna brillare nel cielo notturno, tra quello che mi sembrò un intreccio di rami e foglie. Ecco, dunque, spiegato il rumore che poco prima mi aveva spaventata.
Mi mossi con lentezza, per capire esattamente dove fossi, e dalla mia analisi risultai essere stesa per terra, in mezzo ai fili d’erba di quello che aveva tutta l’aria di un bosco. Ormai mi ero quasi completamente abituata a quella luce così debole, e ne approfittai per osservare in giro.
Sembrava non esserci anima viva nei paraggi, e la cosa peggiore in assoluto era che non ricordavo minimamente come fossi arrivata in quel posto. Cercai di fare mente locale, ma non ricordavo di esserci mai stata prima, nemmeno da piccola. Di un fatto però ne avevo la totale certezza: sentivo di essere capitata lì per un motivo preciso. Non ricordavo bene quale, non ricordavo il perchè, ma qualcosa dentro di me mi diceva che ero esattamente nel luogo in cui dovevo essere. Con la testa piena di domande, iniziai a camminare fra gli alti alberi, senza una direzione prestabilita; avevo solo bisogno di cercare uno spiazzo dove poter godere di una luce relativamente più forte. Non so dire di preciso per quanto tempo camminai, ma facendomi strada tra quella selva, arrivai finalmente in spiazzo ben illuminato dalla luna. Osservai il cielo: la notte era profonda, la volta celeste completamente priva di stelle. 
E ora cosa faccio? Pensai, ed un senso di angoscia e di abbandono pervase tutte le cellule del mio corpo. Sono sola qui, in un luogo sconosciuto e lontana anni luce dalla civiltà.
Ad un tratto, tuttavia, proprio mentre lo sconforto stava prendendo piede in me, li udii.
Un suono di passi - anche piuttosto pesanti - a giudicare dal rumore emesso. Tesi le orecchie, preoccupata e speranzosa al tempo stesso. Magari qualcuno si era accorto che ero sparita, e probabilmente era qui per salvarmi.. O forse si trattava di un animale?
Nell’ombra della notte e del bosco, attesi che quella forma di vita si rivelasse; la avvertivo ormai vicina, vicinissima, probabilmente era ferma al confine della radura. Sentivo il suo sguardo sulla pelle, e fu proprio in quel momento che incominciai ad avere paura. Senza nemmeno accorgermene la gola si seccò, e presi a tremare. Quella cosa che mi fissava dal bosco non era umana, nè tanto meno un animale. Indietreggiai lentamente, ma non appena iniziai a scappare, i passi ricominciarono a pestare il terreno. 
Mi ritrovai così a correre nel buio del bosco, senza avere idea di dove potermi nascondere; intorno a me, il paesaggio notturno sfrecciava con lentezza sempre maggiore, e - se in un primo momento non ne capii il motivo - qualche attimo dopo iniziai a sentire le mie gambe estremamente pesanti. Più correvo, più cercavo di allontanarmi dal pericolo, e più la corsa risultava essere lenta e infruttifera. 
Cosa sta succedendo?!
Inciampai in una radice che usciva dal terreno e mi ritrovai lunga distesa per terra. Battei la testa sull’erba così forte da farmi girare la testa; sentii poi come se un peso enorme mi fosse caduto giusto sulla schiena, impedendomi in qualche modo di muovermi. Il problema è che non c’era proprio niente, sopra di me. Ero io, ed ero semplicemente paralizzata tra i fiori ed i fili d’erba.
Qualcuno rise, dietro di me. Una risata cattiva, sguaiata.
Era lui, era il Mostro.
Avvertii un forte formicolio alle dita, notai che le mie mani avevano iniziato a dissolversi, proprio come polvere al vento. 
Dunque, è questo ciò che si prova un attimo prima di morire..

***

Grace si svegliò di soprassalto, portandosi le mani alla bocca per trattenere un urlo.
Per un breve, brevissimo attimo pensò di essere morta sul serio.. Ma quando alzò lo sguardo davanti a se, vide una luce fioca provenire dalla finestra.
Stava albeggiando.

Angolo dell'autrice:
Buonasera! :) finalmente sono riuscita a postare l'inizio della mia ff su BSD ❤ so che questa prima parte può lasciarvi un po' basiti perchè non parla dei personaggi che tutti conosciamo, ma vi assicuro che questo passaggio è fondamentale per comprendere i prossimi momenti :) detto ciò, spero davvero di portare avanti questo progetto, perchè mi piace davvero molto!
A presto, Charlotte ❤

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Capitolo 2
*** Incontri ***


«Grace, mi stai ascoltando?»

Le gocce di pioggia cadevano sottili e regolari lungo tutta la superficie delle finestre del Florence, un pub italiano situato a metà strada tra la zona portuale ed il centro della città. Era molto buio fuori e, se si prestava la giusta attenzione, era possibile osservare la luce cangiante dei neon riflettersi nelle pozzanghere ai bordi della strada.

«Grace..?»

Questa volta, la giovane donna si voltò. Aveva un’aria decisamente provata, e Silvie – da buona osservatrice qual era – intuì che doveva trattarsi di qualcosa di profondamente diverso dal solito. Quella dell’amica, infatti, non sembrava una semplice stanchezza dovuta ad una giornata un po’ troppo impegnativa. La cameriera si appoggiò dunque al bancone, davanti a lei, e la squadrò con aria sospetta.

«Andiamo, sputa il rospo. Problemi di cuore?»

Grace alzò gli occhi al cielo, cominciando a caricare la lavastoviglie dietro il bancone con tazzine e cucchiaini usati. Non aveva molta voglia di parlare nuovamente delle sue notti insonni; quello della sera precedente era stato l’ennesimo incubo nelle ultime due settimane, e non avrebbe tirato ancora fuori il discorso per sentirsi dire sempre le stesse cose.

«Sto bene, Silvie, davvero – sospirò mentre riemergeva da sotto il piano di lavoro – e mi dispiace deluderti ma no, nessun uomo mi ha ancora spezzato il cuore.»

«Questo perché sei un’acida – la rimbeccò l’altra, ridacchiando – al massimo sei tu a spezzare i cuori degli altri! Ma andiamo, non c’è proprio nessuno che ti interessa?»

«Silvie..»

«Magari il proprietario di un ristorante in centro!»

«S-Silvie.. Per favore..»

«O forse un cliente..? E’ un cliente??»

Grace perse la pazienza e si erse come poteva sul bancone, avvicinando le sue labbra all’orecchio della sua amica pettegola.

«Stammi a sentire, - le intimò, a voce bassa e seria – la vuoi smettere? Non è niente di tutto questo, accidenti. Io ho.. Ho fatto nuovamente quel sogno.»

Silvie guardò Grace con un’espressione rassegnata, quindi estrasse un block notes da una delle tasche del grembiule e diede un’occhiata agli ordini delle bevande. Avrebbe voluto commentare a modo suo, probabilmente, ma non lo fece per rispetto ai sentimenti della sua amica; recuperò così le bibite ordinate e – una volta messe su un grande vassoio circolare – se ne andò tra i tavoli a continuare il suo lavoro con grande sollievo per Grace, che sospirò.

Erano giorni che ci rifletteva.

Sempre il solito fottuto sogno: si ritrovava stesa in un bosco durante la notte e poi - senza nessun tipo di logica -, veniva attaccata da una creatura mostruosa di cui, tuttavia, non ricordava le fattezze. Ma com’era possibile tutto ciò?

Ovviamente, la giovane non ne aveva la minima idea; più ci pensava, e più tutti i dettagli dell’incubo le sembravano strani e privi di senso.. Eppure, nel profondo del suo animo, sentiva che tutto questo avrebbe presto o tardi assunto una maggiore chiarezza. O almeno, questo era quello che si augurava una parte di lei.

Il tintinnare delle campanelle legate alla porta annunciò l’ingresso di un nuovo cliente proprio mentre Grace finiva di servire due caffè; la giovane non alzò da subito lo sguardo, ma intuì che ci dovesse essere qualcosa di strano nel momento in cui sentì il volume del chiacchiericcio affievolirsi massicciamente.

Quando alzò gli occhi, vide la motivazione di tutto quel disagio.

Un uomo dall’aspetto inusuale era entrato barcollando nel pub, e si era diretto verso il bancone. I suoi vestiti scuri erano intrisi d’acqua, specialmente il lungo cappotto nero che portava appoggiato alle spalle; sulla testa, invece, calzava una fedora nera – anch’essa completamente fradicia.

Grace si avvicinò a lui e gli sorrise cordialmente, come del resto faceva con tutti i clienti.

«Buonasera – lo salutò – cosa le porto?»

Il tipo alzò leggermente la visiera del cappello ed osservò la giovane donna con sguardo liquido: aveva due occhi stupendi, di un azzurro denso come i cieli d’agosto, che creavano un contrasto deliziosamente perfetto con la chioma ramata e ribelle che spuntava da sotto la fedora.

«Se ti chiedo un bicchiere di Chianti sai di cosa sto parlando, oppure l’aggettivo “italiano” sull’insegna è una sorta di specchietto per le allodole?»

Il peso di quelle parole fu per Grace equivalente ad uno schiaffone ben assestato in pieno volto. Rimase mezza intontita per una manciata di secondi e poi, all’improvviso, sentì il viso avvampare e la rabbia montarle vertiginosamente nello stomaco.

Avrebbe voluto rispondergli male - quasi nel peggiore dei modi - ma cercò di moderarsi. Dopo una seconda breve occhiata al nuovo arrivato, Grace notò che questi doveva aver già bevuto abbastanza e, dunque, sarebbe stato poco intelligente dare una risposta scomoda o fastidiosa.

Decise quindi di agire con disciplina.

«Beh – cominciò la ragazza, voltandosi verso lo scaffale dei vini rossi – Abbiamo il Chianti Classico, quello dei Colli Fiorentini, quello dei Colli Aretini.. O forse preferisce quello dei Colli Senesi..? Mi dica lei.»

Il giovane sorrise, evidentemente sorpreso.

«Quest’ultimo andrà benissimo. Non l’ho mai assaggiato.»

«Perfetto.»

Grace recuperò la bottiglia dal vano in cui era posizionata, la stappò e versò una generosa parte di contenuto all’interno di un bicchiere di cristallo per vini rossi. Il liquido aveva un bellissimo color ciliegia, ed emanava un profumo denso e fruttato, tanto che gli occhi del cliente si illuminarono di gioia.

«E’ squisito – disse l’ospite, guardando la ragazza dritta negli occhi, dopo aver accostato il bordo del bicchiere alle labbra per bere – Davvero ottimo. Se non altro, stasera mi sbronzerò con un prodotto degno del termine “vino”.»

Grace gli sorrise, imbarazzata, quindi continuò a sistemare piatti e calici dietro il bancone per cercare di tenersi quanto più occupata era possibile. Quell’uomo infatti sembrava emanare una qualche energia da ogni poro della sua pelle candida, ed il momento in cui la si percepiva in modo chiaro e diretto era proprio quando lo si osservava negli occhi.

Fortunatamente, Silvie tornò abbastanza presto dal suo giro di consegne al tavolo; appoggiò il vassoio sul mobiletto dietro di loro ed incominciò a farsi un po’ d’aria agitando la mano destra.

«Insomma, mi dici o no quello che hai sognato, Grace?»

La ragazza aprì la bocca per rispondere, quando il giovane dai capelli ramati si intromise nella loro conversazione.

«Grace? – sorrise, con le gote arrossate e lo sguardo sempre più liquido a causa dell’alcool – Un nome piuttosto occidentale, per una ragazza che abita in questa città. Ma trovo che sia bellissimo, ti si addice davvero tanto..»

Non ci volle chissà cosa per capire che il Chianti aveva fatto effetto sul controllo di quell’eccentrico cliente, ma nonostante ciò entrambe le ragazze rimasero molto tranquille: alla fine, erano abbastanza abituate alle persone brille in sala, e sapevano esattamente come agire nel caso che la situazione avesse preso una brutta piega.

«L-La ringrazio – balbettò Grace, rivolgendo al giovane uno sguardo imbarazzato – sono stata cresciuta da un italiano*, dunque ho un nome e delle abitudini piuttosto diverse da quelle giapponesi.»

Il rosso le sorrise e si dedicò poi all’ennesimo bicchiere di vino in silenzio, così le due ragazze lasciarono temporaneamente la sala per parlare più comodamente in cucina.

«Allora?» chiese Silvie, a braccia conserte.

Grace sospirò. «E’ sempre lo stesso sogno, Silvie. Mi ritrovo in un bosco, di notte, e camminando giungo ad una radura.. Quindi vengo aggredita da un mostro, che mi rincorre e mi raggiunge.. – fece una pausa, attorcigliandosi nervosamente le dita tra loro – Mi sveglio sempre con il fiatone, come se avessi corso davvero. Ricordo ogni particolare, perfino il freddo pungermi la pelle.. Ma lui, il mostro, quello no.»

Le amiche si guardarono silenziosamente, quindi Grace continuò. «Penso che sia uno.. – esitò, abbassando la voce al massimo – Penso che sia uno dei miei sogni. Quelli premonitori. Sai quelli che facevo anche da bambina? Inizio ad avere molta paura che possa succedermi qualcosa..»

Silvie sgranò gli occhi e si avvicinò ulteriormente all’amica.

«Grace, per l’amor del cielo, non cominciare con le solite idioz..»

Ci fu un tonfo, quindi un rumore di bottiglie infrante.

 

«Ma che diavolo..?»

Entrambe le ragazze si catapultarono in sala, e la scena che trovarono davanti fece gelare loro il sangue.

Un gruppo di tre clienti – che fino a poco fa aveva occupato il tavolino in fondo alla sala - aveva accerchiato con le spalle al muro il giovane dai capelli ramati che, meno di dieci minuti prima, la cameriera e la barman avevano lasciato appoggiato al bancone a bere il vino ordinato.

«Che.. Che sta succedendo?!» esclamò Grace, raggiungendoli.

L’uomo più grosso della coalizione rivolse alla ragazza uno sguardo grave.

«Ma avete la vaga idea di chi sia quest’uomo?! – esclamò, schioccandosi entrambe le nocche delle mani - Ora gli daremo una lezione che non dimenticherà tanto facilmente!»

Il rosso barcollò contro la parete, palesemente ubriaco, e ridacchiò.

«Fatti sotto, brutto stronzo. Avanti!»

Lo istigò con un gesto della mano, e quello non aspettò momento migliore per saltargli addosso. Grace immaginò il giovane dai capelli ramati spiaccicato al muro e, istintivamente, chiuse gli occhi; tuttavia, le cose andarono in modo alquanto diverso. Il tipo con la fedora, infatti, saltò in alto – troppo in alto perfino per un atleta – e finì per scavalcare tutte le teste dei suoi aggressori, finendo con i piedi sul soffitto.

«Ehi, ma cosa-

«Qualche problema? Ti vedo sconvolto.»

Il rosso si sistemò il cappotto sulla spalle, che incredibilmente gli rimaneva addosso nonostante quella fosse una situazione tutt’altro che fisicamente possibile, sotto lo sguardo incredulo dei suoi assalitori e delle due ragazze.

«Scendi subito, razza di bastardo!»

«Subito!»

Il rosso si piegò sulle ginocchia e saltò verso il basso, caricando indietro il braccio in modo da sganciare un pugno che arrivò diretto sulla guancia sinistra dell’interessato, il quale fu scaraventato fra i tavoli e le sedie.

Increduli, gli altri due aggressori corsero verso l’uomo più grosso, che emerse grondante di sangue da sotto una tovaglia ormai spiegazzata.

«Fossi in voi, me la darei a gambe.» disse divertito il rosso, appoggiandosi con la schiena al muro e sistemandosi il capello. Gli girava molto la testa, era evidente, ma cercò di restare quanto più sveglio possibile per evitare eventuali attacchi a sorpresa da parte del gruppetto di assalitori. Questi, tuttavia, soccorsero l’uomo più grosso senza contrattaccare; anzi, dopo aver parlottato tra loro, si diressero velocemente verso la porta d’ingresso.

«Sappi che non finisce qua, mafioso bastardo!»

E sparirono nella pioggia fitta di quella sera.

Sconvolta, Grace si avvicinò al rosso.

«Esigo delle spiegazioni – esclamò – Subito. Chi diavolo sei?!»

Il giovane si voltò verso di lei e la fissò, con sguardo annebbiato. La vide tremare, ma le sue forze lo stavano abbandonando lentamente. Si accasciò ancora, finendo a sedere sul pavimento.

«Il mio nome – mormorò – è Chuuya. Nakahara Chuuya

Dopodiché, il rosso fu sopraffatto dal buio.

Angolo dell'autrice:

* = ho inserito questo asterisco vicino al termine "italiano" perchè, in questa storia, molti dei personaggi sono di origine italiana o rimandano in qualche modo al nostro Paese. Il caso di Grace è appunto uno di questi ❤

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