Avatar: Storia dell’erede perduto - Libro 3 - Combustione - Prima Parte

di LanceTheWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. I: Quella mattina che il ‘Capo’ decise di non andare al lavoro! ***
Capitolo 2: *** Cap. II: Come era andata? La Giornata di Hikari - Prima parte ***
Capitolo 3: *** Cap. III: Come era andata? La Giornata di Hikari - Seconda parte ***
Capitolo 4: *** Cap. IV: Come era andata? La Giornata di Hikari - Terza Parte ***
Capitolo 5: *** Cap. V: Come era andata? La Giornata di Hikari - Quarta parte ***
Capitolo 6: *** Cap. VI: Come era andata? La Giornata di Hikari - Quinta parte ***
Capitolo 7: *** Cap. VII: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga – Prima parte ***
Capitolo 8: *** Cap. VIII: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga – Seconda parte ***
Capitolo 9: *** Cap. IX: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga – Terza parte ***
Capitolo 10: *** Cap. X: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga – Quarta parte ***
Capitolo 11: *** Cap. XI: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga - Quinta Parte ***
Capitolo 12: *** Cap. XII: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga – Sesta parte ***
Capitolo 13: *** Cap. XIII: La Tribù del Freddo - Prima parte ***
Capitolo 14: *** Cap. XIV: La Tribù del Freddo - Seconda parte ***
Capitolo 15: *** Cap. XV: La Tribù del Freddo - Terza parte ***
Capitolo 16: *** Cap. XVI: La Tribù del Freddo - Quarta parte ***
Capitolo 17: *** Cap. XVII: La Tribù del Freddo - Quinta parte ***
Capitolo 18: *** Cap. XVIII: La Tribù del Freddo - Sesta parte ***
Capitolo 19: *** Cap. XIX: La Tribù del Freddo - Settima parte ***
Capitolo 20: *** Cap. XX: La Tribù del Freddo - Ottava parte ***
Capitolo 21: *** Cap. XXI: La Tribù del Freddo - Nona parte ***
Capitolo 22: *** Cap. XXII: L'avventura di Castigatore - Prima parte ***
Capitolo 23: *** Cap. XXIII: L'avventura di Castigatore - Seconda parte ***
Capitolo 24: *** Cap. XXIV: L'avventura di Castigatore - Terza parte ***
Capitolo 25: *** Cap. XXV: L'avventura di Castigatore -Quarta parte ***
Capitolo 26: *** Cap. XXVI: L'avventura di Castigatore -Quinta parte ***
Capitolo 27: *** Cap. XXVII: Fuochi contro Fuochi - La finale - Si comincia! ***
Capitolo 28: *** Cap. XXVIII: Fuochi contro Fuochi - La finale - Secondo round ***
Capitolo 29: *** Cap. XXIX: Fuochi contro Fuochi - La finale - Ultimo round ***
Capitolo 30: *** Cap. XXX: L'avventura di Castigatore - Sesta parte ***
Capitolo 31: *** Cap. XXXI: L'avventura di Castigatore - Settima parte ***
Capitolo 32: *** Cap. XXXII: L'avventura di Castigatore - Ottava parte ***
Capitolo 33: *** Cap. XXXIII: L'avventura di Castigatore - Nona parte ***
Capitolo 34: *** Cap. XXXIV: Prigionieri ***
Capitolo 35: *** Cap. XXXV: Il Luogotenente - Prima Parte ***
Capitolo 36: *** Cap. XXXVI: Gli ultimi arrivati ***
Capitolo 37: *** Cap. XXXVII: Il Luogotenente - Seconda Parte ***
Capitolo 38: *** Cap. XXXVIII: Il Luogotenente - Terza Parte ***
Capitolo 39: *** Cap. XXXIX: Attacco al treno - Prima Parte ***
Capitolo 40: *** Cap. XL: Un salto al Nord ***
Capitolo 41: *** Cap. XLI: Attacco al Treno - Seconda parte ***
Capitolo 42: *** Cap. XLII: Attacco al Treno - Terza parte ***
Capitolo 43: *** Cap. XLIII: Attacco al Treno - Quarta parte ***
Capitolo 44: *** Cap. XLIV: Attacco al Treno - Quinta parte ***
Capitolo 45: *** Cap. XLV: Attacco al Treno - Sesta parte ***
Capitolo 46: *** Cap. XLVI: La calma ***



Capitolo 1
*** Cap. I: Quella mattina che il ‘Capo’ decise di non andare al lavoro! ***


Avatar: Storia dell’erede perduto
Libro 3 - Combustione
(Prima Parte)



By SD

Cap. I: Quella mattina che il ‘Capo’ decise di non andare al lavoro!


Faceva freddo quella mattina, ma il piccolo Lune non sembrava sentire nulla oltre l’euforia del momento. Era ben infagottato nel suo cappottino nuovo, comprato apposta per lui da Asami, ma era altro a tenerlo su di giri. Quel pomeriggio si sarebbero svolti i quarti di finale della juniores e loro c’erano arrivati. Accidenti! Per la prima volta da quando avevano cominciato quella avventura si sentiva davvero agitato. Per lui era iniziato tutto come un gioco, non credeva davvero che potessero arrivare fin li. Certo ci aveva sperato, ma… trovarsi ai quarti… beh, era un’altra cosa.
Si allentò la sciarpa che la mamma aveva confezionato per lui. Con l’arrivo della stagione fredda quella brutta tosse che la tormentava era peggiorata e da alcuni giorni si sentiva molto stanca preferendo stare a letto. Per questo motivo Asami l’aveva accompagnato a comprare quel cappottino. Alla mamma era davvero piaciuto molto. Lui ne era stato felice e anche la signorina Asami.
Posata la sciarpa sulla staccionata si tolse anche il soprabito attento a come lo riponeva.
Tahno e le ragazze non si vedevano ancora. Neanche Hikari faceva capolino dalla porta, avrebbe bussato se la mamma non si fosse raccomandata di fare il bravo: ormai era grande, gli aveva detto, aveva compiuto dodici anni e lui voleva troppo bene alla sua mamma per non seguire quel che diceva, soprattutto quando stava male. Sapeva che lo stava osservando da dietro il vetro della sua camera da letto al piano superiore della loro casa. Lo faceva sempre…
Sospirò decidendo che per un dominatore del fuoco scaldarsi era un gioco da ragazzi. Cominciò da solo a eseguire le prime figure.
Incendiò l’aria con la facilità che ormai gli era diventata propria, quasi non rammentava più le difficoltà che trovava nel farlo solo pochi mesi prima. Cominciò dapprima a far roteare lentamente quella fiamma accanto a lui, poi sempre più velocemente accompagnandola con il movimento di tutto il corpo.
Ne aumentò l’intensità e il calore. Ora sapeva come usare il ‘Chi’: il segreto era tutto nel respiro e… “caspita! Respirava da quando era nato, quindi…” ok, il paragone, doveva ammettere a se stesso, non era dei più intelligenti, ma il concetto era chiaro.
Finalmente quella porta si socchiuse.
Lune sperava davvero fosse Hikari, ma ad apparire fu il dominatore del fuoco sbagliato.
Mako uscì sorridendo, mentre la signorina Asami lo baciava sull’uscio di casa.
La signorina Asami gli piaceva ancora, ma aveva cominciato ad apprezzare di più le ragazze della sua età e quell’atteggiamento che un tempo lo avrebbe infastidito al contrario gli intenerì il cuore.
Quel grosso dominatore si voltò sorridente mentre, accennando a mettere il casco della moto, lo vide.
Lune gli sorrise, ma non cessò il suo fare… doveva scaricarsi.
Mako gli si avvicinò rubandogli la fiamma!
Ahhh, prima o poi sarebbe riuscito ad avere un controllo maggiore del suo sull’elemento che gli era proprio, ne era certo! Ma per il momento doveva starci… quell’incendiario era migliore di lui, ma… solo in questo!
Si fermò, sorridendogli a sua volta ormai privato del suo strumento d’allenamento.
-Ehi, moccioso! - Lo salutò l’uomo.
Lui come aveva imparato da Hikari congiunse le mani tra loro e chinò il capo in saluto.
Allargando il suo sorriso, Mako, fece lo stesso, prima di muovere un passo verso di lui, estinguere quella fiamma e dire: -È un po’ presto, sei nervoso? -
Lune annuì appena. Era diventato di poche parole… non se lo spiegava, ma… forse era diventato grande? La mamma diceva così.
-Non dovresti. - Gli disse questo, ancora. –Siete forti! Un peccato per il nome della squadra, ma per il resto…- lasciò cadere la frase senza aggiungere altro.
Il ragazzino si sentì rincuorato da quelle parole. Mako era gentile. Apprezzava davvero quanto aveva fatto, malgrado l’organizzazione dei furetti e il suo lavoro, per aiutarlo a migliorarsi.
-Verrai alla partita? - Domandò finalmente.
Questo annuì. –Non me la perderei per nulla al mondo! -
Lune sentì quel sorriso invadergli il faccino prima di rendersene realmente conto: aveva sperato davvero tanto ci fosse.

Mako si voltò verso la sua moto dopo l’ennesima gentilezza di Asami in quella mattinata. La sua Asami da qualche giorno era particolarmente… non sapeva come definirla… dolce, sì, dolce poteva andare. Si voltò, come detto, e lo vide: quel piccoletto del fuoco. Piccoletto poi, ormai gli arrivava al petto, una stanga per un dominatore del fuoco della sua età.
Gli venne da sorride. “Da che pulpito viene la predica!” pensò lui che ovviamente basso non lo era affatto.
Doveva essere nervoso per la partita di quel pomeriggio e il solo pensarlo lo riempì di tenerezza. In definitiva quel combinaguai era entrato nelle loro vite da anni ormai e da quanto ne ricordava era la prima volta che lo vedeva così ansioso.
Come suo solito si era divertito a rubargli la fiamma, ma non lo aveva visto protestare. Da quando la madre era peggiorata, lui aveva cominciato a comportarsi da ometto e anche il suo ciarlare si era molto ridotto. Non era più il ragazzino chiassoso che si divertiva a correre qua e là durante l’estate passata.
Ricordava bene quando era successo a Bolin: da un giorno all’altro lo aveva trovato più riflessivo, più attento, era sempre un confusionario, ma era diverso… era responsabile! Certo gli dispiaceva che sia il fratellino che quel ragazzino avessero appreso la cosa troppo precocemente per la loro età, ma… “non è possibile fermare il tempo! Rimanere per sempre bambini…”
Lui non ricordava quando aveva fatto i conti con la razionalità…
L’allargarsi di quel sorriso sul musetto di Lune, lo allontanò da quella nostalgia che piano aveva iniziato a invaderlo.
Gli posò una mano sulla spalla… “Si fa così con un vero ometto!” pensò ancora divertito, poi aggiunse: -Senti… e… se mi prendessi un giorno di riposo e ci allenassimo insieme? - Se lo avesse sentito Lin non avrebbe creduto alle sue orecchie, ma quel piccoletto era parte della famiglia.
Quegli occhioni rossi aumentarono di almeno una misura.
-Lo faresti davvero? -
“Ovvio che si!” Pensò, ma si limitò ad annuirgli.
Lo vide esultare saltando sul posto. “Perfetto!” Pensò, era quello il ragazzino che voleva vedere.
Posò il casco sul sellino e appresso lo spolverino di pelle.
-Dai, fatti sotto ragazzino! - Gli intimò allegro e il piccoletto non se lo fece ripetere due volte.

Hikari stava sorbendosi il suo tea caldo dietro la tenda della vetrata.
Sorrise vedendo arrivare Lune così presto.
Non uscì, se pure ne avesse l’istinto. Come le ricordava sempre Mamma Tai, esiste un tempo per ogni cosa, non bisogna correre troppo o si perdono momenti importanti, anche se possono sembrarci sciocchi inizialmente… sorrise ripensando a quelle parole e… quello era il momento del suo tea.
L’osservò muoversi, credendosi non visto, si stava comportando davvero bene!
Sorrise, mentre sorbiva l’ultimo sorso di quel nettare caldo.
“E sì! Era stato davvero un bel momento, aveva ragione la vecchia Taiyo!” Pensò.
Quante volte sarebbe capitato che quel piccoletto si sarebbe presentato agli allenamenti così mattiniero?
Molte altre probabilmente, ma quella era la prima!
Ancora sorrise.
“La prima esperienza è la più importante! Non per chi la vive, no. Non sempre almeno… ma per chi gli stanno intorno. Da quel momento ci rendiamo conto che qualcosa è cambiato, che qualcosa si è lasciato andare via, che altro si è guadagnato…” Scosse la testa ridacchiando a quei pensieri troppo simili a quelli della vecchia signora della casa di Zao.
Si scostò da quella vetrata in tempo per sentire la voce di Asami, dolcissima come sempre: –Lune è già arrivato. -
Si voltò annuendole.
L’amica le sorrise, probabilmente conscia che trovandosi dietro i vetri l’avesse già notato.

Tahno era nervosissimo: ritirò quei due pacchetti sonnacchiosi dalle loro case con talmente tanta frenesia d’arrivare alla villetta dell’amico il prima possibile da non riconoscersi. I genitori non volevano che nessuno dei tre piccoli saltasse la scuola e come dargli torto? Ma quel pomeriggio si sarebbero giocati l’accesso alle semifinali. L’unico momento buono per avere un po’ di tempo da dedicargli era quell’ora e mezza prima di rimetterli in macchina e portarli ognuno alla loro scuola.
Purtroppo però il traffico quella mattina sembrava essere spuntato dal nulla proprio per creargli intralcio!
Clacsonò a quell’imbecille che per poco, inchiodando di colpo, non lo mandava a sbattere contro il guard rail. Ahhh, come gli fremevano le mani, soprattutto quando quell’altro idiota sulla corsia accanto cominciò a dargli contro dicendo che si doveva spostare che lui doveva svoltare, ma accidenti! Lo vedeva o no che era bloccato in coda? Dove voleva che andasse? Stavano per rischiare di fargli saltare del tutto i nervi e finire le loro esistenze in una carneficina di cristalli di ghiaccio e lame di gelo, e… non se ne rendevano neanche conto! Poi…
La cucciolina dell’acqua destatasi per il baccano, lo guardò, strusciandosi gli occhi con la manina.
–Zio, ma questi tizi lo sanno che noi dobbiamo assolutamente allenarci oggi, che è importante! -
“Ehhh no! Al resto del mondo non importava, ma a lui sì, per la miseria!” Pensò, per poi dire dolcissimo a quella creaturina innocente, all’oscuro dei suoi pensieri omicidi verso gli altri automobilisti: -Eh, piccolina, anche se lo sapessero, non potrebbero fare molto, siamo bloccati! -
La piccola della terrà sbuffando e aprendo gli occhi a sua volta: -Zio, allora perché non accosti? Bloccati per bloccati, tanto vale fermarci e andare a piedi. -
La guardò per un attimo quasi fosse pazza, poi… il mare! Quello che vedeva alla sua destra, mentre si voltava verso le bambine sul sedile posteriore, era il mare e lui era uno stramaledetto dominatore dell’Acqua.
-Sai che ti dico Bumbum? Hai perfettamente ragione. -
-Io ‘ho’ sempre Ragione Zio Tahno, lo sai! -
Osservò la situazione: spostarsi era dura, eppure quel posticino libero… proprio lì davanti.
-Bumbum serve un favore allo zio, ti spiace tesoro? - Disse indicandogli il posto vuoto.
La bambina sbuffando: -E che ci vuole, è allenamento e magari questi strilloni se la piantano e mi fanno riposare le orecchie! -
Quando adorava la dolcezza di quella creaturina della terra, si trovò a pensare ironico.
Detto fatto e appena scesi dalla macchina, la bimba, partendo dalla posizione del cavaliere cominciò a dominare il terreno: la vettura davanti a loro venne sollevata da una massa di pietra, scostata proprio sopra le loro teste, mentre un’identica superficie di quell’asfalto spostava la loro macchina proprio nel posto stabilito. Il tutto senza lasciar fuori posto nemmeno un granellino di polvere da com’era quell’ambiente prima che Bumbum usasse il suo potere.
“Ahhh, la mia piccolina!” pensò Tahno orgoglioso, mentre la folla in parte si ammutoliva per l’evento e in parte protestava contro i dominatori in generale. Ma i clamori terminarono immediatamente quando si resero conto che con una macchina di meno quel serpente di metallo si poteva spostare di almeno un altro paio di metri.
-Ticthoc! - squittì l’antifurto mentre, prese le bimbe per mano, Tahno si incamminava attraverso le macchine bloccate fino sulla spiaggia, deserta sul termine dell’autunno.
Tutta quell’agitazione gli aveva fatto dimenticare che la casa dell’amico era sull’oceano… quell’oceano!
“Divertente!” pensò, vedendo quegli automobilisti ancora lì a imprecare contro gli spiriti, mentre lui richiamava le onde con il suo dominio, chiedendogli supporto per giungere a destinazione.
Su come portare poi i marmocchi a scuola ci avrebbe pensato in seguito.

-Come sarebbe a dire? - Protestò il capitano Saikhan. –Ha avuto la nomina da solo una settimana e quel ragazzino già si permette di prendersi la giornata libera? -
L’agente Song non poté non sorridere intimamente a quella sfuriata dall’uomo che il ‘ragazzino’ in questione aveva scavalcato. Certo Saikhan in assenza di Lin Beifong era sempre al comando dell’unità speciale dei dominatori del Metallo, ma a Capo della Polizia di Città della Repubblica era stato designato definitivamente Mako.
“Definitivamente.” Pensò ancora l’agente con una nota di nostalgia, cosciente che malgrado la donna avesse detto altro, già da tempo aveva fatto in modo che quanto gestiva in quella città arrivasse un pezzo alla volta nelle mani del ragazzo.
Lin era sempre più impegnata al fronte e presto avrebbe chiuso con quella vita, molti oltre lui, compreso Saikhan, se ne rendevano conto. Gli dispiaceva perdere il suo vecchio capo, ma Saikhan non era male, anzi, era un ottimo dominatore del metallo e probabilmente se non fosse stato plagiato da Tarrlok all’epoca adesso sarebbe stato lui sul podio più alto. Lui stesso ne era cosciente e proprio questa consapevolezza gli aveva fatto accettare la nomina del giovane Capo senza problemi, ma…
“Concediamogli almeno queste piccole sfuriate!” pensò ancora divertito, mentre i telefoni continuavano a squillare per quell’assurdo incidente a catena che aveva bloccato la città, per quel furto al museo avvenuto proprio approfittando del caos generatosi, per le risse tra i guidatori esasperati per il ritardo al lavoro e per il personale di polizia dimezzato sempre a causa dell’ingorgo.
“Non c’è che dire: Capo Mako ha scelto davvero il giorno migliore per prendersi una vacanza!”
Si fece scappare un risolino divertito, che attivò immediatamente il cipiglio del graduato davanti a lui.
Cercò la compostezza dovuta all’uomo che aveva difronte, ma non gli riuscì di non pensare a come l’avrebbe presa quando anche lui avrebbe disertato quel pomeriggio per andare a vedere la partita di Dominio della maggiore delle sue bambine.
“Oh! Povero capitano Saikhan, ma ha firmato il mio permesso da quattro giorni ormai e non esiste che io mi perda una sola partita della mia Bumbum!”
Ancora ridacchiò sotto i baffi, non poté evitarselo.


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Capitolo 2
*** Cap. II: Come era andata? La Giornata di Hikari - Prima parte ***


 
Cap. II: Come era andata?
La Giornata di Hikari - Prima parte
 

“Com’era andata?” Pensava Hikari, dopo gli allenamenti di quella mattina, mentre i piccolini mangiavano e Tahno ancora lì reguardiva sulle ultime direttive.
“Erano diventati bravi…” rifletteva ancora, sorridendo, vedendoli litigare per l’ultima fetta di torta ignorando il loro Mister, almeno apparentemente, più apprensivo di loro, per la partita del pomeriggio.
“Quel Tahno.” Pensava. “Aveva fatto in modo che tutto sembrasse un gioco, che si appassionassero più all’idea di fare qualcosa insieme invece di annoiarsi con complicati allenamenti ed eccoli lì adesso quei piccolini, più affiatati che mai! Ma non solo quei bambini, anche io ho imparato molto dal dominatore dell’acqua. Ho appreso da lui tecniche che non credevo efficaci nel richiamo del dominio e invece, senza rendermene conto ho cominciato a rubare tutti i piccoli segreti che questo insegnava ai ragazzi. Il più importante è stato capire che in uno spazio ristretto come l’arena di gioco non si possono usare ampi gesti per richiamare il dominio e che più un richiamo è ampio, più necessitava di tempo per essere eseguito, esponendoti ai colpi dell’avversario. Di nascosto ho provato a eseguire uno degli attacchi che gli avevo visto suggerire a Lune e rimasi talmente stupita di come, anche con poco, il fuoco mi ubbidiva. Di come seguiste i miei comandi appieno, senza dovermi più accontentare di poterlo solo richiamare, o sopirlo, tenendolo incollato a pochi centimetri dalle mie mani pur di utilizzarlo. Come è stato bello! Riuscire di nuovo a far danzare le fiamme… scoppiai a piangere da sola come una sciocca dopo aver visto quel fuoco… il mio fuoco, smettere di essere solo fiamma e calore, ma accendersi di vita… di nuovo vivo come era stato fino a questa primavera, prima di quell’incidente… una mia estensione, di nuovo… e non un semplice mezzo per… per infiammare l’aria come avrebbe potuto fare chiunque con un semplice accendino.”
-Li accompagno io a scuola. - Esordì Mako sorridendo, fino a quel momento silenzioso al tavolo.
-Siiiii! Ho sempre voluto andare in moto! - Gioì la bambina dell’acqua.
-Tre marmocchi su una moto? Non se ne parla! - Borbottò Tahno.
-Zioooo, sei il solito guastafesteeee!!!- Lamentò Kija.
-Spiacente di deludervi ragazzi, ma io avevo pensato alla satomobile di Bolin. - Ridacchiò il dominatore del fuoco.
I tre marmocchi sospirarono delusi, talmente ‘coraggiosi’ d’aver mandato solo la loro giovane capitana avanti per confermare i desideri di tutti e tre.
Tahno non tardò a ringraziare: -Mi togli davvero da una brutta situazione Mako. Solo… per quella di Bolin, non intenderai quella vettura sportiva nel garage? -
-E quale sennò? Non mi sembra ce ne siano altre. - serafico, rispose Mako, mandando giù una cucchiaiata di torta.
Il dominatore del ghiaccio assottigliando lo sguardo su di lui: -Non correre! Mi servono almeno fino a fine stagione ‘sti tre! -
Hikari vide Mako accennare un ghignetto per nulla rassicurante, per poi mugugnare un gutturale: -Ah-ha! -
-Non correre! - Arrivò calda la voce di Asami che riaccostatasi al tavolo con uno dei sacchetti del pranzo per i ragazzi lo abbracciava alle spalle. –Mi servi almeno fino a fine stagione! – terminando col posargli un bacio su una guancia.
Mako non poté evitarsi di sorriderle, mentre le due monelle facevano delle smorfie nauseate al gesto della ragazza.
“Mako.” Si soffermò Hikari a pensare, sorridendo a sua volta a quei faccini inorriditi a tanta dolcezza tra i due amanti. “Mako è l’altro a cui devo molto. Da quando Bolin è al fronte lui e Asami si sono trasferiti in questa casa e mi hanno aiutata in tutto… in tutte le mie pazzie, giorno dopo giorno. Ohhh, quanto gli piace protestare e sbuffare! Accidenti se gli piace!” Ridacchiò divertita alle spalle del dominatore del fuoco. “Ma, se pur apparentemente contro voglia, non ha smesso di appoggiarmi.” Lentamente quel sorriso l’abbandonò portandola ad altri pensieri. “Mako ha un controllo e un’abilità nel destreggiare il dominio che gli è proprio che io posso solo sognarmi. La sua tecnica non ha nulla di scenico o plateale, è semplice e affilata come una lama. Il suo dominio non conosce abbellimenti o vezzi… no. È sottile e letale e, proprio per questo, più stupefacente di quanto io abbia mai reso la mia fiamma. Uno sfoggio unico di potenza e decisione che unito a una buona visione d’insieme nell’arena lo rende temibile. Che spettacolo quella prima partita dimostrativa allo Show della fiera internazionale di Dominio sportivo. Quei tre insieme… com’era possibile batterli, ma… come mi ha fatto notare Korra, Tahno un tempo non era parte dei Furetti di Fuoco e sia Mako che Bolin sono cresciuti molto al suo seguito in quegli anni. Non riuscirò mai lontanamente a eguagliare quel dominatore del fuoco. E no Hikari… non vale più la scusa di essere malata… quindi non pensarci nemmeno. Come farò domani… non sono all’altezza.”
Guardava nel suo piatto. Ormai aveva smesso di mangiare e non faceva che tormentare una povera fragola.
Ancora un sospiro, per poi ricercare il sorriso. “Ohhh beh! Non sia mai detto che io mi tiri indietro! E poi… Mako mi ha mostrato molto, se non tutto, quello che è in grado di fare. Non lo deluderò… parola di Hikari!”
Mandò giù quella fragola… accidenti quanto era dolce!
Guardò Mako sorridendo di nuovo, mentre si caricava le due bambine sotto braccio quasi fossero due sacchetti di patate.
Kija protestava ridendo.
Bumbum ciondolava mani e piedi arresa a quella situazione, con il suo solito fare ‘a me non sconvolge niente'.
Anche Mako rideva, mentre con le piccole in braccio, seguito da Lune, posava un bacio leggero sulle labbra di Asami che allungava ai tre piccoletti il loro pranzo; apparentemente indifferente alla posizione assurda in cui questi si trovassero.
Asami era serena… davvero serena, malgrado Korra fosse al fronte. Ma come aveva accennato lei stessa, sarebbero tornati appena passato quell’autunno.
Quando il Dominatore del fuoco uscì dalla porta con il suo carico di bimbe e ragazzino al seguito, Tahno e Asami si voltarono verso di lei.
Sospirò alzandosi da quello sgabello.
-Al lavoro! - Disse con entusiasmo.
 
“Com’era andata?” Pensava Tahno schivando l’ennesimo colpo della ragazzina dai capelli chiari. “Piano Hikari aveva cominciato a partecipare agli allenamenti dei piccoli sempre più attivamente, un poco per volta come a non voler far notare la sua presenza. Ma io avevo notato da tempo il suo interesse: non è stato un caso che fossi tanto dettagliato in ogni spiegazione a costo di annoiare i miei giovani allievi. Ho provato sulla mia pelle cosa volesse dire non riuscire a padroneggiare più il proprio dominio e… potevo immaginare quanto fosse estenuante averlo a portata di mano, ma non riuscire a ottenere più nulla da lui, nulla di quello che eri abituato a mostrare al mondo. Forse sono un sentimentale, ma… Bolin mi aveva chiesto di pensare un po’ a lei e così l’ho fatto. Quello scemo non ha fatto altro che ripetermi che Hikari era sola, che era ferita nel corpo e nello spirito e che era orgogliosa come ogni sangue di fuoco. Già, questi piromani! Possono trovarsi con il volto a terra, immerso nel loro stesso sangue, ma non ti darebbero mai la soddisfazione di vederli rinunciare al loro orgoglio. Loro sono quelli forti! Si spezzano piuttosto, ma non si piegano. Ahhh… per quel che mi riguarda sono solo ‘quelli’ stupidi, che prendono fuoco facilmente e altrettanto facilmente esauriscono ogni ardore quando la questione smette di essere di loro interesse. Proprio come il loro elemento: brucia solamente finché c’è qualcosa da bruciare! Eppure… quanto mi rispecchiavo nello stato di quella ragazza? Troppo per rimanerne indifferente.”
Hikari fermò la sua furia all’ennesima schivata di Tahno.
La vide dare uno sguardo all’orologio alla parete del salone attraverso i vetri. Prese l’asciugamano abbandonato sulla ringhiera della veranda e si asciugò il viso.
-Non c’era bisogno che ci allenassimo anche oggi. - Gli disse.
Tahno si accostò a lei sorridendole.
-C’è la partita della Juniores dei Pipistrellilupo. - Continuò lei, quasi a voler dar più credito alla sua affermazione.
-Sì, e domani l’audizione per i Furetti di Fuoco! - Aggiunse lui, divertito alle parole della ragazza.
La vide sollevare le mani in segno di resa a quella realtà che non poteva negare.
-Gli ‘unici’ Pipistrellilupo ormai. – ironizzò un secondo, poi facendosi serio, continuò: -Dimmi solo una cosa, ne sei realmente convinta? - Domandò Tahno, seppure fosse già conscio della risposta.
La vide annuire e le tornò a sorridere, posandole una mano su una spalla a volerla rassicurare.
-Oltretutto, ritengo sia un male perdere le buone abitudini! - Le fece l’occhiolino con fare allegro. Ancora lei gli sorrise in risposta.
“Sempre di molte parole questi piromani!” Commentò il ragazzo mentalmente, divertito infondo.
Anche lui occhieggiò quell’orologio proprio sopra la testolina della moretta che si gustava il suo tea al calduccio della grande sala, mentre li osservava allenarsi, comodamente dal divano, al riparo dal freddo di quella stagione.
-Mi scuserai se oggi non mi tratterrò come sempre, ma, devo ammettere, di sentirmi un po’ ansioso! -
-Assolutamente! Posso capire come ti senti. –
Ovvio che lo capisse, pensò il dominatore dell’acqua, infondo avevano allenato quei ragazzi insieme. Accennò un sospiro, rubandole l’asciugamano dalle mani.
–Dovresti comprartene uno tuo. - Protestò.
-Ce l’ho, ma se lo uso poi si rovina! - Rispose.
Lui guardandola con occhi a fessura: -E… quindi rovini il mio? -
-Ovvio! - Rispose.
Fissò malamente quel visetto soddisfatto di se, per qualche secondo, prima di decidere d’arrendersi e salutare la fanciulla al di là della vetrata; quella tra le due decisamente più apprezzabile, tenendo conto che non si approfittava delle ‘suÈ cose.
“Ahhhh, Piromani!!!” pensò rassegnato, mentre Asami ricambiava il suo saluto sorridendogli e muovendo appena quelle dita sottili nell’aria. Si domanda come potesse quella ragazza tanto delicata essere parte del Team dell’Avatar, ma ne faceva parte, non c’era dubbio al riguardo.
Si voltò di nuovo verso la biondina silenziosa, infilando il ‘suo’ asciugamano nel borsone, per poi darle una scompigliata ai capelli… erano cresciuti o era solo una sua impressione?
Bolin odiava quando trattava Hikari al pari di un cucciolo domestico, ma… “È una dominatrice del fuoco, accidenti! È come avere un gatto: invadente, curioso, ama crogiolarsi al sole, non sa cosa voglia dire mettere dei confini o dei limiti… senza parlare poi della completa mancanza del concetto di proprietà altrui! Ma sopra ogni cosa, lo senti miagolare solo quando ha fame o si deve lamentare! Ahhh, però poi è dolcissimo… anzi un miele, quando vuole ottenere qualcosa. E… a volte ti disarma per quanta attenzione e dolcezza mette nel dimostrarti il suo affetto… Ahhh… Tahno, il brutto e che infondo ti piacciono i gatti e lo sai! Così maledettamente orgogliosi…” stava per voltarsi sul finire di quei suoi stupidi pensieri nel definire quelli che chiamava ironicamente ‘piromani’, quando quella domanda gli sfiorò la mente.
–Hikari! Non te l’ho più chiesto, ma… hai provato più a ballare? - La domanda da non fare, ma… prima o poi sapeva che glielo avrebbe chiesto, quindi… un’occasione valeva l’altra.
La vide limitarsi a dissentire con il capo per poi guardare altrove, mentre quegli occhi azzurri si incupivano.
Decise di non indagare oltre e limitarsi al solito: -A domani allora! -
Ovviamente la vide volgersi appena verso di lui accennandogli un sorriso.
“Ovviamente! Chi ha mai sentito un gatto salutare?” Tornò a ridacchiare mentalmente per poi avviarsi verso la spiaggia: aveva un’auto da andarsi a riprendere.

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Capitolo 3
*** Cap. III: Come era andata? La Giornata di Hikari - Seconda parte ***


Cap. III: Come era andata?
La Giornata di Hikari - Seconda Parte


“Com’era andata?” Pensava Asami mentre nell’antibagno del piano terra si sistemava il trucco finendo di prepararsi prima di andare al lavoro. Dal Bagno vero e proprio gli giungevano le chiacchiere di Kya e Hikari.
Sorrise.
“Di chi era stata l’idea di trasferirsi a casa dell’amico?” Tornava a pensare. “Ricordo solo che Mako aveva bofonchiato qualcosa su una chiacchierata con Tahno. Io non stavo ascoltando, non attentamente almeno, ero talmente persa a osservare il viso crucciato di Korra quella sera a tavola. Poi Bolin, come se fosse la cosa più normale del mondo, aveva esordito dicendo che Tahno aveva ragione: che se noi l’avessimo voluto la sua casa era a nostra disposizione. Anzi, ribadì più volte, la ‘nostra’ casa. Era nostra, diceva, da quando ci aveva consegnato le chiavi. Dovevamo solo dirglielo e lui avrebbe sistemato il piano superiore. A quel punto del discorso Korra si era animata dichiarando che per nessuna ragione al mondo avrebbe rinunciato alla sua bellissima camera, soprattutto adesso che aveva preso un letto degno di questo nome, acquistandolo, ovviamente, con un pagherò a nome del nostro comune amico e padrone di quella casa. Non dimenticherò mai la faccia di Bolin a quella notizia, eppure… eppure quegli occhi verdi… poteva obiettare e lamentarsi quando voleva, ma quello sguardo diceva chiaramente che era davvero felice di averci tutti lì.
Non ricordo esattamente come il discorso deviò su Opal, ma ricordo il viso di Mako. Si era crucciato mentre sentiva che la ragazza non aveva dissentito all’idea del fratello di rendere quella casa, la ‘loro’ casa, non apertamente almeno, ma… aveva poi messo dei paletti, come il fatto di aspettare almeno di avere il primo bambino e… mille altre cose futili a cui il ragazzo aveva acconsentito, convinto nel profondo che si potessero tutte attuare in tempi brevi. In tempi brevi… erano passati anni.”
Sospirò a quel pensiero, poi l’immagine del visetto improvvisamente saputo della sua Korra le fece tornare il sorriso. “Come accadeva spesso passavano da un discorso all’altro senza realmente finirne nessuno.
Hikari come suo solito ascoltava in silenzio.
Mako si era estraniato, ancora perso nei suoi pensieri alle parole del fratello.
Io osservavo quella biondina che sedeva accanto a Bolin: sorrideva, mentre il suo ragazzo si sbracciava nel bisticciare con Korra che riportava l’attenzione sulla sua ‘stupefacentÈ stanza. Mangiava lentamente e sorrideva. Guardava nel suo piatto e sorrideva. Sorrideva ancora, mentre allungava un po’ del suo pane a Pabu che lì accanto aspettava speranzoso. Chissà cosa la faceva sorridere così tranquillamente?
Avrei indagato, se la voce allegra di Korra non avesse dichiarato impunemente al moretto davanti a lei: -Certo che c’è un modo per convincermi a mollare la mia azzurrissima cameretta! -
Per ammantare d’enfasi le sue parole si era alzata e inveiva scherzosamente verso Bolin con le mani puntate sui fianchi.
Dall’altro capo del tavolo il suo interlocutore faceva lo stesso.
–Spiriti, magari fosse, sentiamo! - Disse questo alzando lo sguardo al cielo.
–La mollerei solo nel caso fosse in arrivo un bebè! - Rispose Korra convinta.
Quell’affermazione fece alzare a tutti lo sguardo sulla mia compagna, me compresa chiaramente.
Chi più, chi meno si ammutolì, assumendo un’espressione interrogativa.
A cosa si riferiva la mia Avatar? Parlava di un bimbo di Bolin? Certo non poteva riferirsi a Lune: uno, non era un Bebè, e due, aveva già la sua stanza nella casa accanto. Quindi?
Non feci in tempo a domandarlo che…
-Che bebè, scusa? -  La voce di Bolin, sempre il più rapido nel dar alito ai suoi pensieri.
–Io. - Rispose la mia Lei. –Io voglio un bebè! -
Che dire?
Chi più, chi meno, rimanemmo senza parole, tranne… quel… solito… Bolin, dallo sguardo improvvisamente tanto sottile quando indagatore: -Tu? -
-Si. - Rispose il mio amore.
-Ma lo sai come si accudisce un bebè? -
Korra annuì.
-Lo sai che mangia, che ha le sue necessità e che se non ne tieni conto si ammala e muore? -
Anche lo sguardo di Korra si strinse malevolo verso l’amico. –Per chi mi hai preso Bo! -
-È che ti conosco. -
Un secondo, entrambi in silenzio, si fissarono intensamente, poi Bolin ancora: -Ok, forse ho capito l’arcano. Korra, lo sai che cos’è un bebè? -
-Ovvio. -
-Non ne sono così sicuro. -
-È un bimbo. Un bimbo piccolo. Mooolto piccolo. - Dichiarava la mia brunetta arricchendo quella spiegazione facendo il gesto di ‘piccolo’ con le mani.
-Ok, lo sai! - costatò, portandosi una mano al mento e massaggiandoselo dubbioso. –Cos’è allora che mi sfugge?!-
-Che è l’Avatar. - La voce di Mako. Il suo tono non era duro, ma non era neanche felice.
-Giusto! - Esordì il fratello voltandosi e indicandolo quasi avesse avuto l’illuminazione del secolo.
E già, mi trovai a pensare, lei è l’Avatar. Solo il pensiero di avere un bimbo era una pazzia, bastava pensare a quando il Loto Rosso l’aveva rapita o a quanti avrebbero usato ogni mezzo a loro disposizione per poterla avere nelle loro mani. Dolce, adorabile, assurda Korra. Avevo sorriso a quel pensiero, a quanto era naturale e dolce che avesse avuto quell’idea, ma era inattuabile.
-Ma mica lo faccio io il bebè. - Obbiettò ancora lei.
Ancora con aria più saputa… ancora puntando quei pugni sui suoi fianchi, chiudendo gli occhi quasi a gustarsi quel momento di profonda verità. –Io sto sempre in giro, accidenti! Che me li sono presi a fare sti due? - Sempre rivolta a Bolin, mentre puntava una mano vero lei e Mako lì al suo fianco. –Sarà pure ora che si rendano utili! Mica posso fare tutto io! -”
Bloccò la mano mentre colorava le sue lunghe ciglia. Un sospiro, poi la mano riprese il suo da fare e così la sua mente: “Rimasi senza parole, priva di un pensiero coerente.
Mako si intimidì terribilmente.
Hikari sgranò quei due occhi azzurri, mentre Bolin… ohhhh! Non dimenticherò mai la sua espressione. Era talmente assurda! Non credo sia descrivibile…”
Ridacchiò al pensiero di quella mascella troppo bassa per essere ancora attaccata al resto della faccia.
Si diede uno sguardo nello specchio. Si sistemò una ciocca di capelli troppo indisciplinata e ritrovò la sua solita compostezza.
Dal Bagno vero e proprio una risata di Kya le giunse troppo allegra e troppo coinvolgente per non sorridere a sua volta.
Ancora uno sguardo in quello specchio.
Era pronta.
Aveva terminato, non rimaneva che salutare.
Si accostò alla porta: -Ragazze! Sto per andare…-
Non finì la frase che Hikari si era già affacciata alla porta sorridente. –Buon lavoro Asami e… non dimenticarti della partita dei marmocchietti. Sai quanto ci tengono. -
-Non me ne dimenticherò, puoi stare tranquilla! - Le rispose, mentre una Kya poco distante le sorrideva gentile in segno di saluto.
Era già sul vialetto di casa, per andare alla sua auto, quando… quella moto abbandonata poco distante: il casco sul sellino, le chiavi pronte per l’avviamento.
Chissà se fosse un caso che quella mattina, complice l’aria sempre più gelida, avesse deciso di mettere quel tailleur pantalone?
Sorrise. Ovvio, fosse un caso, ma… la tentazione era troppa e... anche il soprabito di pelle del compagno era lì a chiamarla.
Era enorme per lei, e non credeva le sarebbe caduto bene, ma… per quel che riguardava l’ampiezza delle spalle, ovviava riempiendolo quanto possibile con il seno, tirandolo più in avanti che poteva e sblusando in vita con la sua stessa cintura.
Ahhh! Mako l’avrebbe detestata, ma solo per un secondo, il tempo di ricordare quanto l’amasse!
E poi… poi sarebbe tornata prima della partita dei ragazzi.
“Gli spiriti, non fanno nulla per puro caso. Se non avessero voluto che prendessi questo splendore fiammante, non me lo avrebbero lasciato qui in bella vista!” Pensò divertita.
Infilò quello spolverino: enorme proprio come pensava, ma… per una volta proprio non le importava che qualcuno potesse trovarla meno attraente del solito… “Per una volta.” Pensò, respirando a pieni polmoni da quel bavero che si stringeva intorno al viso. “Voglio sentirmi addosso il suo profumo.”
Si intenerì, mentre le note calde di quel dopobarba le inebriavano i sensi, facendola sentire un po’ più sciocca, un po’ più giovane… riportandola con la mente a qualche anno prima… quando ancora pensava che non potesse esserci nessun altro oltre quel dominatore del fuoco nel suo cuore.
Allora era felice, ma... qualcosa mancava. Non si sentiva completa, ora invece… “Se solo Korra potesse stare di più a casa. Se solo noi potessimo starle affianco.”
Non le importava quale delle due opzioni. Sapeva solo di volerla vicino.
Ancora sorrise, avvolta nell’odore del compagno, scacciando quei pensieri che le incupivano troppo il cuore.
Strinse quella cintura, sentendo d’essersi infilata nella giacca di un gigante.
Non trattenne un risolino, pensando alla faccia della sua segretaria nel vederla così infagottata.
Solo qualche ora e poi sarebbe tornata a casa.
“Casa.” Ripeté nella sua mente, ricordando la vecchia e grande magione della sua famiglia. “Tutta colpa di Bolin.” Protesto mentalmente, ma senza cattiveria alcuna verso l’amico.
Com’era andata?
Era stato per la storia di trasferirsi in quella villetta sul mare.
Era stato a causa dei nuovi Furetti di Fuoco, dell’essere l’unica finanziatrice della squadra.
Era stato a causa dell’idea di Korra di avere un bambino.
Era stato per l’ospitare in quella grande casa la famiglia di Mako e Bolin quando era stata costretta a fuggire dalla capitale del regno della terra.
Era stato proprio per quei due fratelli rimasti soli troppo presto e troppo crudelmente.
Era stato per quel dominatore dagli occhi azzurri che si incaponiva sul come portare aiuto a quel medesimo regno, come da contratto… come stabilito negli accordi per tornare a giocare alla grande.
Così lo aveva fatto.
Aveva dichiarato di voler far diventare la sua enorme dimora di famiglia un istituto d’accoglienza per i bambini rimasti soli dopo i disastri che, uno dopo l’altro, avevano colpito quella terra un tempo tanto orgogliosa e forte da non temere neanche le truppe della Nazione del fuoco. Quella terra messa in ginocchio dalle mire del Loto Rosso prima e successivamente dalla follia di Kuvira… e tutt’ora ancora a cercar d’alzarsi, preda di un avvoltoio invisibile che banchettava sui suoi resti più deboli, rendendola ancora un campo di battaglia.
Talmente complicato nel ripensarlo adesso, ma così naturale quando le era balenato alla mente.
Nonna Yin e il resto della famiglia dei ragazzi fu entusiasta della sua decisione, volendosi far partecipe di quell’iniziativa per sentirsi di nuovo legati alla loro terra, potendo fare qualcosa attivamente per cambiare le sorti di altri che come loro erano state vittime del caos che aveva inghiottito tutto il loro popolo.
Mako… lo aveva visto commuoversi, ovviamente senza lacrime, ma senza nascondere quel calore che provava dentro, soprattutto mentre lei gli dichiarava che quelle porte sarebbero state aperte a tutti i bambini. A tutti quei bambini vittime della guerra, dei soprusi delle Triadi e della vita spesso troppo matrigna e poco signora.
Quella casa così grande si era così trasformata da il triste monito di quello che era stata per lei, dalla perdita di sua madre all’odio assurdo per il padre verso un’umanità che solo in superficie poteva sembrare dissimile dalla sua, in una casa di speranza per il futuro di tante giovani vite che non avevano fatto nulla di male se non nascere nel momento sbagliato, nel luogo sbagliato.
La ‘Casa di Yasuko’ aveva così aperto ormai da un paio di mesi le sue porte ai giovani del regno della terra e i giovani in difficolta. La casa che suo padre aveva fatto costruire proprio per la donna che amava ed era giusto portasse il suo nome.
Erano state tante le migliorie da fare e altrettante le spese, ma ne era valsa la pena e… al solo pensare ai primi piccoli volti intimoriti entrati in quella casa si sentiva di aver fatto la cosa giusta, la migliore che potesse pensare, per dare di nuovo credito e memoria alle persone che amava e alle persone che avevano permesso che quel progetto si realizzasse.
Mise in moto quella tigre di metallo e fusa.
La mente d’Asami scivolò sodisfatta su quelle due foto di famiglia incorniciate nell’androne di quella maestosa dimora. Alle targhe a loro dedicate.
“In memoria di Hiroshi e Yasuko Sato che con il loro amore hanno reso possibile che la fondazione Casa di Yasuko avesse le sue fondamenta. Alla dolcezza di una madre portata via troppo presto alla sua famiglia per le assurde mire delle Triadi. All’amore di un padre che è stato in grado di sconfiggere il suo odio tanto da votarsi a salvare il mondo intero dalla furia espansionistica dell’Unificatrice.” Non riuscì a trattenere una lacrima, mentre infilandosi il casco continuava a rileggere mentalmente quelle dichiarazioni d’amore ai suoi cari. “In memoria di San e Naoki, persi dai loro cari nella guerra senza nome che le Triadi muovono nella città nascosta sotto gli occhi di chi non vuole vedere. A due genitori amorevoli senza dei quali, io, Asami Sato, non avrei mai trovato l’ispirazione per dare vita al Progetto Casa di Yasuko. Senza i quali non avrei mai incrociato la strada della giustizia e dell’equilibrio.”
Una sgassata a folle per sentire quel motore ruggire tutta la sua potenza, prima di partire con quel pensiero dolce e sicuro nella sua mente: -Ne era davvero valsa la pena! –


 

 

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Capitolo 4
*** Cap. IV: Come era andata? La Giornata di Hikari - Terza Parte ***


Cap. IV: Come era andata?
La Giornata di Hikari - Terza Parte


“Com’era andata?” Si domandava Kya entrando nel grande salone dietro una Hikari troppo euforica in quei giorni. La vide mettere quel bollitore sul fuoco, mentre lei si accomodava su uno dei sgabelli accanto al bancone di marmo. Diede uno sguardo al mare e vide in lontananza il profilo dell’isoletta del tempio dell’aria di Città della repubblica.
Sorrise, pensando che la vita a volte fosse davvero strana: quella ragazza dai capelli chiari, dalla prima volta che l’aveva vista, non aveva smesso mai di sorridere. A tratti le aveva visto incupire lo sguardo, ma era sempre allegra e… si era associata a quell’altro ragazzaccio di Bolin che proprio a causa di quel suo sorriso strafottente e del suo carattere sempre euforico, sembrava incrollabile, ma era crollato. E quella piccoletta di cui si prendeva cura in quei mesi… ricordava le prime volte, quando arrancava dietro di lei mentre si spostavano dal bagno al salone, poi lentamente aveva cominciato a camminare sempre meglio e adesso sfrecciava avanti a lei mostrando appieno quell’argento vivo proprio della stirpe del fuoco.
Sorrise. Ancora guardò fuori. Certo che quella villetta era davvero carina, un bel posticino dove stare. Sembrava che Bolin l’avesse studiata bene. Chissà se suo fratello Tenzin si fosse mai reso conto di quanto fosse tutto ‘perfetto’ in quel luogo… da bravo ragazzo della terra voleva che le persone a cui tenesse fossero tutte a loro agio, lo si capiva dalle piccole cose. Era tutto così naturale da sembrare casuale, ma… aveva conosciuto troppi pianificatori del Regno della terra per cadere in quel dolce tranello.
“Ovviamente se ne è accorto.” Pensò ancora riferendosi al fratello più simile al padre. “Ovviamente…”
Quel giorno era un gran giorno! I piccoletti che frequentavano quella casa avevano una partita molto importante e lei era stata eletta dalla piccola Kija a curatrice ufficiale della squadra. Non ricordava bene come fosse avvenuto, ma, a dire della piccolina, la ragazzina della terra non era delicata neanche in allenamento e… in effetti da quella “promozione giardiniera” ne aveva sistemate di sbucciature, bruciature e occhi neri. Era convinta che quel gioco fosse troppo violento, ma… lei era stata cresciuta da una madre forse troppo apprensiva e un padre… beh… chi non sapeva chi fosse il monaco sopito per cento anni? Sorrise a quel suo ultimo pensiero.
Hikari gli servì il tea. La vedeva occhieggiare il telefono, mentre chiacchieravano del più e del meno… per lo più dei bambini, poi eccolo squillare.
Hikari fu al telefono prima che potesse fare un secondo trillo.
Tutti i giorni Bolin chiamava… tutti i giorni, non ne aveva mancato uno da quando era partito… ogni giorno alla solita ora. Puntuale come un orologio.
Si voltò sul suo stesso sedile, volgendo di nuovo lo sguardo al mare, mentre la ragazzina impiegava i suoi dieci minuti quotidiani a ricordare al ragazzo all’altro capo del filo quanto lo amasse e quanto le mancasse; a domandare su come stessero andando le cose al fronte, e poi, sul finire, arrivavano a Hikari le raccomandazioni troppo premurose del ragazzo che a tratti la innervosivano e a tratti la intenerivano immensamente… non aveva ancora capito in che percentuale, ma conoscendo i dominatori del fuoco forse, pensò Kya, un buon cinquanta e cinquanta. La chiamatasi concludeva poi con il momento dei saluti, su chi dovesse attaccare per primo; il tutto condito dai soliti ‘Ti amo!’ e quella cornetta, finalmente, trovava pace e con lei anche quella mocciosa del fuoco.
“Korra e Bolin sono lontani da molto, sono mesi ormai, eccezion fatta per qualche capatina per le dimostrazioni del ragazzo, una giornata, solo mezza a volte e poi di nuovo via.” Sospirò, pensando che al contrario del fratello minore lei aveva ben capito quanto la giovane Avatar fosse legata agli altri due ragazzi, oltre Bolin, con cui divideva quella casa. Erano bravi a mostrarsi solo come amici molto, molto… troppo affezionati, ma lei era una donna di mondo… ricordando in quel secondo sua madre Katara, troppo apprensiva. Lei e quell’altra scapestrata di Suyin ne avevano combinate di belle da giovani, poi… “Poi a un certo punto ti ritrovi adulta. A criticare negli altri proprio le azioni che hanno caratterizzato la tua vita.”
Si rispecchiava e non poco in quella fanciullina dai capelli chiari, soprattutto quando da lei e dai suoi coinquilini aveva appreso parte della sua storia. “Ovviamente non c’entra nulla l’aver origliato, assolutamente involontariamente, le telefonate di Hikari alla sua famiglia… no, no, assolutamente!” pensò ancora divertita.
Come lei, la piccola del fuoco, aveva intrapreso un viaggio… “Si viaggia per molte cose: per scappare, per portare aiuto, per cercare qualcosa, per scoprire se stesso… si parte anche per una sciocchezza a volte, ma… si conosce il momento in cui il cuore lascia la strada conosciuta, ma l’arrivo… l’arrivo è sempre una sorpresa… non è mai quello che ci aspettiamo. Viaggiando si vedono molte cose, alcune non riusciamo a comprenderle, mentre altre ci permeano dentro cambiandoci profondamente. Partiamo alla ricerca di qualcosa ammantato da un desiderio di libertà e ciò che troviamo, spesso, è totalmente diverso da quello che ci aspettavamo, ma ci arricchisce la vita. Io partii per conoscere il mondo e tornai dopo aver trovato la mia strada. Quella ragazza è partita per chissà cosa e ha incrociato la sua storia con l’Avatar. Che anche lei c’entri qualcosa con l’equilibrio e ancora non lo sappia?” Sorrise guardandola. Su una cosa c’era certezza: viveva in quella casa insieme alle persone che condizionavano l’esistenza di Korra più di tutte al mondo.
Ed eccola tirare fuori quel manoscritto.
Sorrise Kya a quel gesto… forse anche quello faceva parte dell’equilibrio… “Forse qualcuno deve sistemare le cose e chissà se non sarebbe stata quell’anonima ragazzina del fuoco?” Trovò la cosa divertente, sebbene l’aspetto di quella tipetta fosse tutto tranne che anonimo.
Ancora sorrise. Possibile che quando entrava in quella casa non faceva altro che sorridere? Forse c’era qualcosa nell’aria… poi… e sì! Tutto era ordinato come voleva il Feng Shui… vento e acqua, ma che ne sapeva quel testone della terra? Infondo era solo un ignorantello venuto dalla strada… “Già. Un ignorantello… con un cuore grande.”  Pensò, dispiacendosi di quella che mentalmente voleva essere una battuta, ma che sentì, nello stesso istante in cui le venne alla mente, che il ragazzo non meritava. Nessuno merita di essere etichettato per le avversità che gli ha parato dinanzi la vita. E se proprio doveva etichettarlo, era più corretto definirlo istintivo. “Si, istintivo gli si addice di più. Potrei indicare almeno un centinaio di cose che ha fatto senza riflettere, e probabilmente anche la disposizione di questa casa… non si tratta del Feng Shui, no…” Con più sicurezza poteva affermare che, essendo il ragazzo legato tanto alla terra quanto al fuoco, aveva semplicemente costruito quella casa volendola accogliente, funzionale e calda… e c’era riuscito. Rifletteva, mentre la ragazza ancora le illustrava l’ultimo capitolo che aveva scritto.
Un capitolo dolcissimo… dove ricordava quello che Korra aveva perso e tra le prime persone importanti per la ragazza c’era proprio la coscienza del grande Avatar Aang. Suo padre. Sentì la commozione farsi largo in lei, mentre quelle parole troppo fanciullesche, e forse proprio per questo così vere, le intenerivano il cuore. Il padre aveva fatto grandi cose, ma i libri di storia ne parlavano senza sentimento. Quella ragazza, non parlava delle importanti missioni che aveva compiuto il suo genitore, ma ne definiva un’immagine ricca di vita, di speranza, di umanità… quell’emozioni che il tempo aveva lentamente cancellato, ritenendole futili rispetto alla maestosità delle sue gesta, ma erano quelle che avevano fatto di lui l’Avatar della speranza.
Sorrise vedendo Hikari farsi un secondo più seria, per poi dire: -Quindi hai quasi finito, cosa ti impensierisce allora? -
Hikari sospirò pesantemente, quasi fosse più una bambina che una ragazza bell’è fatta. –Sono in dirittura d’arrivo, è vero, ma non ho realmente finito. Voglio aspettare che questa missione nel regno della terra si concluda prima di dichiarare il mio lavoro esausto. Credo che ciò che sta accadendo adesso, in quei territori, sia più importante di quanto già non possa sembrare, Kya. Alla fine si tratta di chiudere un cerchio, non lo credi anche tu? La storia di Korra è iniziata tumultuosa, dove, di volta in volta, eventi a catena hanno sconvolto il mondo, non per sua volontà… ma per la volontà dell’uomo di desiderare d’essere diverso da quello che dovrebbe, dall’odio, dall’invidia, dalla follia… fin tanto le ferite che hanno segnato la nostra epoca non saranno del tutto risanate non credo di poter mettere la parola fine a questa mia specie di racconto. –
-Ha un senso. - Si trovò ad annuire, mentre lasciava che il tea nella sua tazza si freddasse un poco per sorbirlo a dovere.
-Glielo devo. - Concluse a bruciapelo la ragazza, mentre Kya portava quel liquido caldo alle labbra.
Sorrise la dominatrice dell’acqua su quel bordo di porcellana. Quella della ragazza non era una domanda e quindi non richiedeva una risposta.
Finalmente stava bene, pensò ancora della creatura che aveva difronte. Korra glielo aveva chiesto come favore, ma, da brava dominatrice dell’acqua, aveva finito con il prendersela a cuore.
Korra aveva ragione, Hikari non sarebbe tornata a danzare, ma aveva fatto un ottimo lavoro su di lei e la Dominatrice della fiamma era sufficientemente testarda da non arrendersi all’evidenza e a quel dolore che diceva di non sentire. E in effetti non lo subiva nel fare le cose semplici, ma il dominio sportivo...  
“Ahhh!” ancora l’idea, che fosse insensatamente troppo pericoloso per essere uno sport, la invase. “È per questo maledetto dominio sportivo che sono ancora qui. Lo sforzo è enorme e… il dolore, dopo ogni allenamento intensivo, torna. Lei sa come destreggiarsi contando maggiormente sulla gamba sana, ma non può evitare di affidarsi anche all’altra. Le necessita per il solo fatto che gli spostamenti in questo stupido sport devo essere rapidi, se non istantanei. La mia paura e che possa subire altri danni, ma…” sapeva per esperienza che cercar di aver ragione con una creatura di fuoco era una battaglia pesa dal suo inizio. Quindi l’unica cosa era cercare di contenere i danni. Infondo la gamba stava davvero bene. Aveva avuto una ripresa lenta… lenta per una dominatrice, ma decisamente migliore delle aspettative della stessa Korra. Sforzarla le causava indolenzimento e dolore, ma Kya era abbastanza convinta che con il tempo, forse… proprio il fatto di essere in continuo allenamento, l’avrebbe aiutata a migliorare ancora la sua situazione. “Ovvio, sempre che prima non se la faccia staccare del tutto in qualche partita. Il dominio…”
-Hikari. - La chiamò, trovando nella sua mente un’idea assurda, quanto intelligente.
La fanciulla alzò lo sguardo dalla sua tazza per fissarla.
-Stavo pensando alla storia del cerchio che si chiude. -
Ancora Hikari l’osservava attenta.
-Hai presente la presentazione di Korra al mondo? -
La ragazza davanti a lei chinò la testolina di lato.
-Lo sai che la prima volta che l’umanità sentì parlare dell’Avatar avvenne attraverso il Dominio sportivo? -
Hikari le annuì sorridendo.
-Chissà se il domino sportivo c’entra anche adesso. Chissà se questa fissa di Bolin di tornare a gareggiare non sia un altro modo per chiudere il cerchio… sai cosa penso? Che forse esistono ancora troppe situazioni aperte. All’epoca di Amon, l’evento di Dominio che aveva annunciato l’Avatar al mondo non si concluse ‘sportivamente’ e se mai avessero voluto far qualcosa in seguito per riequilibrale le sorti di quella partita, la crisi dovuta agli Equalisti troncò di netto ogni tentativo di rivalsa dei furetti. Ovviamente si trattava di questioni decisamente più importanti e urgenti che una semplice competizione sportiva, ma… finendo così quel percorso, senza reale infamia, senza reale lode… è come se anche la conoscenza della nuova Avatar fosse stata troncata a quel punto… lasciando un’immagine di lei troppo immatura, troppo caotica per essere la custode dell’Ordine e dell’equilibrio. -
La fanciulla di fiamma l’ascoltava attenta.
-Chissà se il fatto che Tahno ora parteggi per riportare i furetti in auge, centri qualcosa con il chiudere il cerchio? Era stato all’epoca quello che più di tutti, spero involontariamente, aveva mostrato al mondo l’immagine di un avatar debole nel suo domino e troppo impulsivo. Chissà se la nascita dei nuovi Pipistrellilupo, quando Amon aveva decretato la fine anche della squadra vincente di quell’anno, voglia dire qualcosa. Chissà se riavere la possibilità di vincere l’ultima partita di campionato possa riequilibrare davvero ogni cosa. Sai… mio padre diceva che l’equilibrio parte dalle cose semplici… chissà? -
Hikari buttando giù una bella sorsata di Tea, con quel sorriso fanciullesco sulle labbra: -Sai Kya, per essere quella che dichiara che il dominio sportivo è pericoloso, ne sai di cose al riguardo. -
Kya sospirò e, guardandola biecamente, protestò: -Non era quello il fulcro del discorso, biondina! -
-Vero. - rispose. –Rimani con me per pranzo, giusto? -
-Ovviamente. - Rispose Kya bevendo il suo ultimo goccio di tea. –Dobbiamo dare supporto ai piccoletti per i quarti di finale…- “…disse quella che non apprezzava il dominio sportivo!” pensò di se stessa ridacchiando intimamente.
 

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Capitolo 5
*** Cap. V: Come era andata? La Giornata di Hikari - Quarta parte ***


Cap. V: Come era andata?
La Giornata di Hikari - Quarta Parte


Com’era andata? Quei mesi erano volati via e…
“Non c’è stato un giorno in cui non abbia pensato a lui.” Rifletteva Hikari, mentre finiva di prepararsi… Mentre sistemava quel maglioncino dal collo altro dello stesso colore dei suoi occhi. Lisciò con una mano la gonnellina a pieghe bianca che usciva appena sotto il lungo maglione. Le calze più scure della sua pelle le mettevano in risalto le gambe.
Non era rimasto nulla a ricordare la brutta ferita che aveva subito. Era prodigioso quanto erano in grado di fare i curatori dell’acqua e lei… beh, ne aveva avuti in paio d’eccezione!
Sorrise sospirando, mentre accostandosi al suo riflesso nello specchio si passava un filo di matita e un tocco di mascara scuro per far risaltare lo sguardo come le aveva insegnato Asami.
Un velo di quel rossetto rosa e per completare il tutto un sottile strato di matita per dare un po’ di colore alle sopracciglia molto chiare di suo.
Si perse nel suo stesso sguardo nello specchio per qualche secondo, prima di voltarsi verso il letto. Sfiorò con lo sguardo quel rossetto che aveva abbandonato lì da pochi secondi… quanti ricordi.
Sorrise, soffermandosi nel calore di quel pensiero, per prendere poi un elastico per capelli.
Li raccolse come poteva in un corto codino. Erano cresciuti. Non le dispiaceva, in passato non li aveva mai portati tanto corti, ma vivendo in strada aveva cambiato le sue abitudini.
Scosse la testa quasi a voler cacciar via quel soffio di malinconia che l’aveva sfiorata e raccolse tra le mani quella parrucca del colore invitante della cioccolata che giaceva su quello stesso letto.
La indossò con estrema facilità, ormai abituata a ripetere quel gesto ogni giorno…
“Si, ogni giorno tranne il Lunedì!” pensò.
Spazzolò quei capelli scuri, lunghi fin alla spalla.
Posò la spazzola accanto al rossetto e ancora sorrise, mentre infilava quegli stivaletti morbidi di camoscio bianco.
Si osservò un secondo nello specchio. Che strano vedersi con colori tanto dissimili da quelli che era abituata a indossare, eppure… non le stavano male!
“Chissà se Bolin mi riconoscerebbe?” Pensò, come faceva ogni volta che indossava i panni di una fanciulla dell’acqua di Città della Repubblica. La sua pelle era sempre, comunque, troppo chiara e i suoi occhi troppo allungati per dare una parvenza diversa a quella di un sangue misto. Ma Hasook aveva detto che chiara com’era rischiava di fargli scappar via i clienti anche se era una bellezza. Quel brontolone di Hasook la riteneva bella e lo diceva di continuo. Le persone dell’acqua, aveva imparato, erano così: dicevano sempre quello che pensano, anche a rischio di sembrare troppo duri o troppo critici.
Sorrise a quel pensiero, con la mente rivolta alla donna più bella che avesse mai conosciuto. Se piacevano tanto i tratti del fuoco al burbero Hasook, chissà cosa avrebbe fatto trovandosi difronte sua madre. Sarebbe rimasto senza fiato. Sua mamma Hoshi era davvero bella, lei… era solo un riflesso di quella bellezza, diluita dal sangue di un padre che non conosceva.
L’idea di quella parrucca era stata di Sukka. Ricordava di aver assecondato la cosa più per farla felice che per reale convinzione, ma quando l’aveva indossata, le era sembrato di vedere un pochino della sua mamma in lei e… non era più riuscita a rifiutare la cosa.
Era stupido forse, ma quando il suo riflesso la seguiva attraverso i vetri di quel locale, era come se la sua mamma le fosse di nuovo vicino…
“Sciocca di una Hikari!” Pensò, ma…. alla fine, che male c’era se la cosa la faceva stare bene e le riscaldava il cuore?
Come avrebbe voluto che sua madre la vedesse adesso: non era più una bimba piccola ormai, non ballava più per le strade. Era una donna libera, aveva conosciuto l’Avatar e viveva in una casa bellissima. Aveva trovato tante persone a cui voleva un mondo di bene e senza rendersene conto si era ritrovata anche un lavoro vero e la sua passione di dominatrice… la sua fiamma, aveva trovato un altro modo per danzare.
Le piaceva la sua nuova vita anche se a tratti si sentiva di non meritarla… di non aver fatto nulla per aver tanta fortuna, e… la sua famiglia, nella Nazione del Fuoco, le mancava così tanto e anche quel testone conosciuto solo l’estate passata… il padrone di quella grande casa. La persona che con la sua presenza le mandava via ogni dubbio e rendeva tutto talmente magico… surreale… meraviglioso.
Sospirò, quando la voce di Kya la richiamò all’attenti dalla porta della camera: –I piccoli ci aspettano, sei pronta? –
Hikari le annuì.
–Come mai hai indossato prima i panni della Hikari oscura? – Sorrise divertita la curatrice dell’acqua.
Kya si divertiva così tanto a paragonarla agli spiriti, visti i suoi colori, e quando vestiva quegli abiti, ovviamente, non poteva evitarsi battute di quel genere, ma… non le dispiaceva… non davvero almeno, anche se ogni volta… –Kyaaaa! – Protestava.
La donna scoppiò a ridere, mentre lei, prendendo il borsone da palestra che usava anche per il lavoro, la seguiva nell’altra stanza.
–C’è la partita dei ragazzi, non riuscirei a preparami in tempo per andare a lavoro, quindi…– Disse rispondendo alla donna.
–Giusto, poi chi lo sente quello stangone del tuo capo. – Ribatté questa, mentre raccoglieva il suo soprabito dall’attaccapanni accanto alla porta.
Lei fece lo stesso infilando quel cappottino bianco scamosciato.
“Un regalo di Mako.” Pensò teneramente.
Ognuna delle primissime cose che aveva avuto, da quando era arrivata in quella casa, erano stati regali. Non poteva essere diversamente, lei non aveva denaro suo all’epoca, e ogni cosa ricevuta aveva proprio per questo un posto speciale nel suo cuore… molto, molto speciale.
Mise la sacca blu a tracolla e raccolse dallo svuotatasche accanto al telefono il ‘suo’ mazzo di chiavi.
Tornò a stringere a dovere quel cappottino. Non si era abituata ancora a quel freddo che diventava, giorno dopo giorno, sempre più intenso in quella grande città.
Poi volgendosi verso la curatrice dell’acqua la trovò a osservarle le gambe.
“Deformazione professionale?” Si domandò.
Ma questa esordì dicendo: –Quel cappottino non è lunghissimo, eppure… dov’è finita la tua gonna? Ero sicura l’avessi prima di arrivare alla porta. –
A Hikari venne da sorridere. Più di una volta la donna aveva avuto da ridere sul suo abbigliamento, ma… –Kya, sono troppo bassa per mettermi gonne lunghe, sembrerei ancora più tappa di quanto già non sia! –
–Non sei bassa, sei minuta. Quella gonna invece è troppo corta, non c’è dubbio! Fossi nei panni del tuo ragazzo non ti manderei in giro così! –
–Questa gonna ‘è’ un regalo del mio ragazzo. – Ridacchiò, mentre la donna sbuffando apriva la porta e usciva all’esterno.
La seguì voltandosi solo un secondo: una mano sulla maniglia, volgendo lo guardo all’interno, verso il breve corridoio di quella casa… la sua casa.
Quante cose erano cambiate da quando era arrivata… quel divano rosso… Korra aveva insistito tanto, eppure a lei non dispiaceva quello vecchio… sospirò, abbandonando la sicurezza della sua casa, per raggiungere la coppia di vicini che attendevano lei e la dominatrice dell’acqua nella macchina.
Ed eccoli lì, la madre e il padre di Lune, pensò, avvicinandosi alla satomobile.
Cora era pallida in volto, ma le sembrava stare meglio dei giorni passati.
Le sorrise e lei ricambiò allo stesso modo, salendo nella loro utilitaria.
–Pronte signore? – Disse l’uomo con fare allegro.
Hikari annuì silenziosa, mentre Kya esordiva in un –Prontissime! –
L’uomo non si sarebbe mai perso una partita del suo ragazzo e lo stesso la sua dolce compagna.
–Sono lieta di vederla, sembra stare meglio Cora. – La voce di Kya.
L’altra donna annuendole rispose: –Quella tisana che mi ha mandato ha avuto un effetto miracoloso. –
–Cerchi comunque di non sforzarsi troppo, non le fa bene. –
–Stia tranquilla. Piuttosto Hikari... – Volgendosi verso di lei. –Che ne pensi se uno di questi giorni andiamo insieme a fare compere? Conoscendovi, senza di me avrete il frigo ormai del tutto vuoto. –
Non poté non essere affermativa a quella battuta: –Vuoto è dir poco, stasera qualcuno in casa rischia di leccarsi i piatti sporchi! –
Vide la donna ridere di cuore a quella sua battuta e non poté non sentirsene sollevata.
Ancora lo sguardo le cadde in quegli occhi tanto simili a quelli di sua madre, nello specchietto retrovisore dell’auto dei genitori di Lune.
Come aveva fatto a trovarsi a fare la cameriera al Pub di Hasook?
Cameriera poi… lei era la barista. A volte non sapeva esattamente darsi una risposta. Ricordava che ce l’aveva portata Tahno. Quando il ragazzo dell’acqua sapeva che rimaneva sola in casa, sbuffava imprecando mentalmente, almeno così le sembrava, contro qualche strana figura mitologica, poi allargava un enorme sorriso verso di lei, le diceva di prepararsi e la portava con se al suo impegno del momento… e quell’impegno si riassumeva quasi sempre nell’andare a lavoro.
Nakata era sempre tanto gentile con lei e lo stesso Hasook e sua sorella. All’inizio per sdebitarsi faceva compagnia a Nakata: le guardava il piccolo per darle qualche momento per rilassarsi, poi… con l’arrivo della stagione fredda, Hasook una sera si era bloccato a fissarla, mentre cercava di essere utile aiutando la giovane mamma a preparare la cena, prima che il resto dei presenti si mettesse al lavoro. Ricordava bene quello sguardo: quell’uomo difficilmente l’osservava tanto a lungo e la cosa la mise in soggezione. Poi, d’un tratto si alzò, le si accostò rifilandole un grembiule tra le mani. Al suo sguardo interrogativo rispose, che era grandina per non fare niente nella vita e che era il caso imparasse un mestiere vero, – che mica si può contare su quel perdigiorno del tuo compagno – le aveva detto.
Poi che cosa era successo?
Si era ritrovata dietro al bancone a seguire le indicazioni di Sukka. Quella ragazza era davvero eccezionale nel preparare i cocktail e servire al bancone, e da brava dominatrice del fuoco non poteva essere da meno. Si mise d’impegno e qualche tempo dopo Hasook gli rifilò tra le mani delle banconote. Non aveva afferrato subito il perché gliele avesse date; inizialmente pensò fosse il resto per un cliente, ma erano davvero troppe per servire a quel fine, poi la voce di Nakata, probabilmente vedendola basita a quel gesto: –Il tuo primo stipendio! Sei stata brava, te lo sei meritato. –
Il suo primo stipendio?... Abbracciò d’istinto quel colosso dell’acqua che si imbarazzò terribilmente a tanta confidenza fisica da parte sua, ma come poteva evitarselo? Era… felice… quella cosa… quel piccolo gesto, l’aveva resa così felice. Possibile che aveva trovato persone così? Possibile che loro tenessero davvero a lei? Ricordava gli sguardi sorridenti di Tahno e le due donne in quel momento: sapevano ogni cosa, ma non avevano fatto trapelare nulla. Era stata una gran bella sorpresa.
Era il giorno del suo compleanno. Si domandò se ne fossero a conoscenza, lei non aveva informato nessuno della cosa, non le piaceva l’idea di festeggiare senza Bolin… nessuno le fece gli auguri, ma quello fu un regalo meraviglioso.
Aveva sbaciucchiato quel burbero di Hasook sulla guancia che ancora più intimidito aveva protestato solo un… –Però devi fare qualcosa per quei capelli o rischi di farmi scappare via tutti i clienti! –. Hikari non aveva mai creduto che l’uomo dell’acqua lo pensasse davvero, ma era stato, probabilmente per lui, il modo migliore per trarsi dall’imbarazzo di quella situazione, e alla fine… complice Sukka, come poteva vedere ora in quello specchietto, qualcosa l’aveva fatta.
Al solo ripensare quegli eventi si sentì talmente bene: era bello sapersi di nuovo indipendente e la cosa più dolce di tutta quella storia era che, probabilmente, quella famigliola dell’acqua non si era resa neanche conto di quanto avessero fatto.
Lo stadio, davanti a lei, la distrasse dai suoi pensieri: erano finalmente arrivati.
Ed eccoli lì: il suo datore di lavoro con la sua mogliettina e Kuruk tra le braccia. Sukka si teneva sotto braccio un Tahno dall’aria sconsolata, mentre se la rideva divertita per qualcosa.
Lei e Kya scesero dalla macchina e gli si accostarono.
Non c’erano ancora tracce né di Mako, né di Asami, mentre le piccole dei Pipistrellilupo erano circondate dalle loro famiglie.
Lune era vicino a Bumbum quando, vedendo la madre e il padre, gli corse incontro allegro.
Stava per accostarsi anche lei a quella piccola comitiva quando il rombare di una moto, anche troppo conosciuta, richiamò la sua attenzione: Asami era arrivata.
Si era cambiata e vestita in maniera più consona a quel mezzo.
La vide sfilarsi il casco e troppi dei presenti rimasero senza fiato a quella cascata lucente di seta nera che erano i suoi capelli.
La situazione la divertì immensamente, soprattutto perché la ragazza sembrava non fare caso alla cosa.
–Ce n’è di gente oggi! – Arrivò alle sue orecchie la voce preoccupata di Lune, che notava la piazza davanti all’ingresso dell’arena gremirsi lentamente di persone.
–Sono i quarti di Finale. Cosa ti aspettavi moccioso! – “Mako?” pensò Hikari nel sentire la sua voce, ma… da dove spuntava?
Non poté non sfarfallare gli occhi a quella nuova presenza, che aggiunse: –Ce l’avete fatta ad arrivare, credevo di dovervi tenere i posti all’infinito! Forza entriamo! –
Era lì da prima, pensò ancora la ragazza sorridendo. Era all’interno, ecco perché non lo aveva notato.
–Non esiste! Io l’ho portato e tu lo appendi! – Brontolò il suo titolare.
Si voltò a curiosare cosa stesse avvenendo e lo stesso i presenti che lo conoscevano.
–Non se ne parla! Ma sei impazzito? Io non appendo quell’abominio nella panchina dei Pipistrellilupo! – Obbiettò Tahno.
Sukka ridacchiava lì vicino.
–Ci tieni al tuo lavoro?! – Continuò il dominatore dell’acqua.
Tahno si limitò a guardarlo male.
All’inizio della partita quello striscione troneggiava sulle teste dei giovani Pipistrellilupo: ‘Forza Pipistrelli! Zio Hasook offre un aperitivo gratis a tutti i veri Fan della nostra squadra del cuore, ma solo ai “Veri Fan”, quindi facciamogli sentire tutto il vostro affetto! E… ci vediamo stasera al Pub della Stazione, non mancate!’.
Hikari sospirò, sorridendo basita: quell’uomo non sapeva proprio cosa inventarsi per portare clienti al suo locale. Poi… finalmente, il fischio d’inizio.

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Capitolo 6
*** Cap. VI: Come era andata? La Giornata di Hikari - Quinta parte ***


Cap. VI: Come era andata?
La Giornata di Hikari - Quinta Parte

 
“Come era andata?” Pensava Hasook, mentre quella biondina mascherata da brunetta serviva al bancone. Il Pub era più pieno del solito seppure non fosse il fine settimana. Sapeva che quello striscione avrebbe avuto il suo effetto, alla faccia di Tahno!
Tahno… era stato lui a farlo sentire responsabile.
“Stupido Pipistrello! Non puoi venirmi a raccontare per filo e per segno quanto detto da quel folle del tuo amichetto e pensare che io non me la prenda a cuore.” Già, era andata proprio così!
Bolin ne aveva già passate parecchie e infondo teneva a quel testone, e quanto subìto anche da quella ragazzina del fuoco non lo lasciava certo indifferente. Bolin aveva il terrore di perderla e tutto grazie al comportamento della signorina Beifong. Quella moretta lo aveva reso talmente insicuro che a tratti non gli sembrava neanche il ragazzino avventato che aveva conosciuto quando anche lui era ancora un Furetto di Fuoco.
“Grazie Signorina Beifong, grazie di cuore! Per colpa sua mi sono pure umiliato per trarre d’impiccio quell’altro sciocco di Mako. Ahhhh!!! Se me la trovo d’avanti!” Protestava mentalmente, conscio del fatto che non avrebbe comunque torto un solo capello alla ragazza accusata.
“Esistono semplicemente persone che non sono fatte per stare insieme, che costringendosi alla convivenza si feriscono a vicenda, mentre… al contrario, mettendo un poco di distanza tra loro, riescono a creare qualcosa di magico e di buono. L’amicizia non è qualcosa da sottovalutare, assolutamente… basta guardare me e Mako. Non eravamo fatti per stare assieme, lontani rendiamo molto meglio… quasi andiamo anche d’accordo!” Sgranò gli occhi a quel pensiero mal riuscito. “No, non nel senso che io e Mako… parlo di cattive convivenze… no, cioè, intendo all’interno della squadra! Ma con chi diamine mi sto giustificando? Ahhhh!!! Come odio quel dominatore del fuoco, ma davvero! Che stavo pensando? Ah sì! A volte alcuni sentimenti vengono confusi con l’amore, altre volte succede il contrario.” Rifletteva ulteriormente, gettando per un secondo lo sguardo alla sua mogliettina dagli occhi stanchi per l’ennesima nottata in bianco.
Adorava la sua Nakata, e pensare che credeva fosse solo una bella amicizia all’inizio.
“A volte si cerca talmente disperatamente quel calore da confondere ogni sentimento gentile per amore. Quando ci si sente soli, abbattuti… quando pur di avere una carezza si cerca di far compromessi con la vita. Ma la alla vita non gliene fotte nulla che uno decida di accontentarsi o meno. Uno dovrebbe impararlo prima o poi. L’amore è decisamente qualcosa di più semplice e decisamente più complicato!” Si fece perplesso a quel suo ultimo pensare, trovando in effetti il controsenso talmente difficile da spiegare, ma talmente veritiero da decidere di non commentarlo oltre.
“Bolin era talmente radicato nelle sue convinzioni che quasi rischiava di non vedere quella biondina sotto la giusta luce. Probabilmente non fosse stato per Korra e per Tahno che hanno cercato di aprirgli gli occhi, se la sarebbe fatta scappare e poi… l’amore difficilmente bussa due volte. Lo devi afferrare quando ne hai occasione. Ma come sono arrivato fin qui? Oggi penso troppo…”
Guardò il suo bicchiere. No forse aveva ‘bevuto troppo’, per essere ancora a inizio serata, ma era contento! I pipistrellini avevano vinto!
Da non credere: chi lo avrebbe mai detto in passato che ‘lui’ avrebbe un giorno tifato per i Pipistrellilupo? Stava davvero vivendo un’altra vita! “Una bella vita.” Rise a quel nuovo pensiero. Adesso i piccoletti si erano guadagnati l’accesso alle semifinali.
Aveva ragione quel demonio di Ula quando diceva che Tahno poteva avere tutti i difetti del mondo, ma che nessuno dicesse che non ne sapesse di Dominio sportivo e con quei ragazzi aveva fatto davvero un bel lavoro. Ovvio che anche la materia prima era stata ben selezionata.
Si voltò a guardare i suoi ospiti, mentre si versava un altro goccio di liquore di licheni della Tundra del Sud.
Solo qualche mese prima non si sarebbe potuto permettere un secondo di pausa con il locale così pieno, invece… Sukka e Tahno erano veloci e precisi a servire ai tavoli, e Hikari se la cavava bene dietro il bancone. Lui ormai si limitava a preparare le cibarie e anche lì, quando chiedevano le portate già pronte, Hikari trovava il tempo di riscaldarle per lui ed evitargli anche quell’impiccio.
Era forte quella ragazzina, e pensare che l’aveva presa a lavorare, più con l’idea di fare un favore all’amico che per il bisogno di una mano in più, non che non servisse… D’altro canto il lavoro crescente aumentava i guadagni, ma anche la mole di fatica. Aveva davvero fatto la cosa giusta, sotto tutti i punti di vista. E quello stupido di Tahno aveva proposto addirittura di lavorare gratis per farle avere uno stipendio dicendo che a lui infondo non necessitava!
“Certo, perché è risaputo che sono uno scroccone… Ahhh!” Ma come potevano anche solo pensarlo? Ovviamente si sarebbero dovuti accontentare, ma alla fine li era tutta roba sua e le spese fisiche erano ridotte al minimo. Oltretutto i piatti e le bevande che andavano di più erano quelle che produceva lui stesso… quindi?
Certo non aveva di che lamentarsi. E… aveva fatto tutto da solo, da non credere! Lo aveva fatto per riportare a Città della Repubblica la sua sorellina e c’era riuscito. Senza togliere nulla ai loro nonni, ma… Loro erano figli di quella Città, come volevano i loro genitori, non della tribù dell’Acqua del Sud. Non avrebbe mai rifiutato la cultura del suo popolo, ma le loro vite… beh, quelle cominciavano lì, in quella città che aveva fatto incontrare i suoi genitori, che li aveva fatti innamorare. “Due culture diverse, ma lo stesso cuore… già!” pensò ancora, gustandosi quel liquore, il preferito di suo padre, ovviamente.
Sorrise. Le sue idee, anche se bizzarre, avevano portato a qualche risultato, e… anche quella sera. Alla fine quel che offriva erano sempre prodotti della casa, ma servivano a invogliare le persone a consumare qualcosa di più; a tornare se il servito era stato di loro gradimento e il personale gentile.
Sua sorella, per quanto lui avesse sempre da ridirne, era tutta sua madre: occhi grandi e un sorriso da far mancare il fiato. E quella finta brunetta? Sembrava che la clientela maschile apprezzasse parecchio le sue gonnelline corte e quell’idea di maliziosa ingenuità che si portava dietro. E… ok, anche Tahno non era certo da buttare.
“Ahhh! Ormai sono mesi che quello sta con mia sorella. Mi sta bene? Forse… Alla fine voglio per Sukka qualcuno che la protegga. Sempre. Che la tratti come merita, non solo perché è mia sorella, ma soprattutto perché non ha mai avuto davvero nulla nella vita oltre questo brontolone di suo fratello e due nonni cinici e pretenziosi, troppo abituati al freddo per dimostrare un minimo di sensibilità alla loro nipotina. E lei riusciva anche ad andarci d’accordo, a volergli bene.” Scosse il capo, divertito.
Ancora vedeva le famiglie di quei piccoletti festeggiare. Non vedeva male il simbolo del suo locale su quella divisa scura. Sorrise.
Accidenti, però, quanti campioni di Dominio Sportivo c’erano nel suo locale. Ula si era trascinata dietro anche Adi. Umi, ovviamente, non poteva mancare: era la madre della pipistrellina dell’acqua. In pratica la squadra delle Volpi del deserto era al completo. Per lo stesso motivo della professionista dell’acqua anche Shaozu era lì con loro e… Ming, certo non sarebbe mancato al ritorno dei Pipistrellilupo, anche se Juniores. Con Tahno, anche loro, erano al completo. Da non credere! Ming, poi, si era portato dietro qualche stellina di nuova generazione, uscita dalla sua palestra. E Mako… non dimentichiamoci l’ex-capitano dei Furetti di fuoco, e… accidenti c’era anche lui li! Per quanto si fosse ritirato da tempo ne aveva date di bordate all’epoca.
Ancora sorrise… “Peccato per l’assenza di Korra e Bolin, un vero peccato.”
Sukka gli ficcò sotto il naso un’ordinazione. La visionò attentamente e decise di mettersi all’opera.
Tutte quelle persone portavano sicuramente lustro al locale. “La signorina Asami poi…” Pensò alzando un momento lo sguardo nella direzione della moretta. Non solo la sua presenza era una calamita per i clienti, ma da quando aveva offerto loro la possibilità di preparare il catering del pranzo per la sede centrale delle sue industrie, la situazione aveva fatto quel salto di qualità che gli serviva per cominciare a essere davvero competitivi. C’erto questo aveva stravolto un po’ la loro routine, ma lui adorava portarsi il suo piccolo Kuruk al mercato la mattina, Nakata aveva sempre condiviso con lui la passione per la cucina e quello scemo di Kuzu, non aveva certo di meglio da fare.
“Ahhh come sono caduto in basso: ho messo a lavorare due tizi del fuoco nel mio locale.” Ancora sorrise, passandosi un dito sotto il naso a causa di una ciocca di capelli castani che sfuggitagli dalla coda gli era andata a solleticare il volto.
“Forse dovrei ascoltare di meno mia sorella!” Ma Kuzu, doveva ammettere, era davvero bravo in quel che faceva, per essere un piromane.
Sgranò gli occhi. “Piromane?! Ma che davvero? Ora mi metto a parlare come quel damerino dalla pelle candida?” Fece una smorfia contrariata.
Un’altra ordinazione: un altro piatto da preparare, appena consegnato quello che aveva tra le mani.
“Hikari era ferita e non solo nel corpo. Questo mi aveva detto Tahno. Bolin temeva che se ne andasse. Temeva si sentisse troppo indifesa… troppo inutile… e troppo sola per rimanere ancora tanto distante dalla sua terra. Ma qualunque cosa fosse venuta a fare qui non era ancora finita. Io non so cosa sia, ma qualcosa deve esserci per forza. Una ragazzina non parte da sola per il mondo se non ha un obbiettivo. Soprattutto non pellegrina per cinque anni, facendo la fame. Se non avesse avuto qualcosa d’importante da perseguire sarebbe tornata indietro da tempo ormai. Già! Bolin disse a Tahno che aveva fatto tanto per arrivare lì e rinunciare proprio quando poteva dirsi così vicina al suo obbiettivo era fuor d’ogni ragione, non glielo avrebbe permesso. E avrebbe fatto bene: non si smette d’inseguire i propri sogni.”
Si voltò verso la foto dei Suoi, dietro al bancone, appesa tra le cartoline dei clienti e i post-it dimenticati lì da tempo. Si voltò come sempre quando cercava intimamente un po’ di quel calore che provava quando era bambino, quel calore ormai sbiadito come quella foto, ma che lo continuava comunque a rassicurare di star facendo la cosa giusta.
Quella foto… erano davanti a quello stesso locale: il suo locale.
I genitori lo avevano comprato per avere la possibilità di costruirsi un futuro insieme. Poi… quello che era successo, aveva fatto sì, che quelle quattro mura acquistate tra mille privazioni e altrettante speranze, ammuffissero in solitudine. Era un ragazzino, ma… era riuscito a convincere i parenti del Sud a non vendere. Gli avevano detto che avrebbe pagato care le sue scelte, ma… ancora nessuno era venuto a chiedergli il dazio. Tranne qualche battibecco un po’ troppo pepato con la vita, forse.
Ridacchiò orgoglioso.
“No. I sogni non si gettano alle ortiche. Il sogno dei miei cari era quello di avere un’attività che gli desse la possibilità di crescerci onestamente. Il mio è di non sprecare quanto hanno fatto e tenere insieme la mia famiglia.”
Altro piatto, altra ordinazione.
“Stare sola, senza fare nulla, avrebbe accresciuto in quella fiammetta bionda solo il desiderio di finire lì la sua storia. Facendola sentire talmente abbattuta da rinunciare anche a quel poco di felicità che le offriva quel testone dagli occhi verdi. E ti immagini a ritrovarselo di nuovo seduto su quello sgabello a piangersi addosso? Non lo avrei sopportato davvero… è irritante! Certo non potevo mettere Hikari a servire ai tavoli con quella gamba, non all’inizio almeno.”
Due ordinazioni insieme. Un’alzata di spalle. C’erano stati periodi in cui non riusciva a contarne per quante ne arrivavano. Uno sguardo a Hikari che riscaldava nel forno elettrico dietro di lei un paio di portate del piatto del giorno, dando al contempo ascolto alle richieste di un gruppetto di ragazzi della stirpe dell’acqua. Li aveva visti altre volte quelli lì: fastidiosi, ma inoffensivi.
Quegli occhi azzurri da gatto sorridevano divertiti alle battute invadenti dei tre. A breve sarebbe intervenuto per quietare un po’ gli ardori.
“Quella è la tipa del mio amico, accidenti! Non posso mica permettere che la importunino.”
Finito di preparare quanto aveva davanti, mise in ‘stop’ la nuova ordinazione, per accostarsi alla ragazza. Stava per aprire bocca quando… -Ragazzi. Lasciatela un po’ respirare, sta lavorando! – Tahno, e il suo fare fintamente accondiscendente, era arrivato prima di lui.
Sorrise e tornò all’ordinazione abbandonata sul piano del bancone. Si mise all’opera.
Era abbastanza convinto che ormai girasse la voce che l’ex-capitano dei Pipistrellilupo lavorasse al Pub della Stazione: troppe persone arrivavano chiacchierando e occhieggiando nella direzione del moretto. A domande dirette nessuno del locale aveva appoggiato o smentito la cosa, si erano limitati a far cadere il discorso, con sorrisetti complici e battute ironiche. “Ma no… non è più in segreto, soprattutto dopo il mio stupendo striscione di oggi, e probabilmente devo anche essere grato alla sua fama. Anche se…” Si sentì dispiaciuto. “…devo ammettere di non aver preso bene quelle, se pur poche volte, che l’Avatar lo ha richiesto sul fronte. Un discorso è l’una tantum, ma… è tornato solo la settimana scorsa dall’assecondare la quarta richiesta in quell’ambito. Uno, due giorni, non sono molti, ne sono cosciente, ma… se gli succedesse qualcosa, chi la sopporterebbe poi a Sukka?”
Sbuffò a ordine completato, guardando male Tahno che ritirava il piatto.
Non bastava quello scemo di Bolin al fronte, ora si era affezionato anche a quest’altro a cui sembrava non dispiacere fare l’eroe part-time.
Altro fogliettino, altro da fare…
-Hasook, tutto bene? – “Mako?” E ora che voleva questo?
Alzò uno sguardo, tutto fuorché rassicurante, verso il Capo, momentaneo, della Polizia di Città della Repubblica.
Mako per nulla intimorito: -Non sei un gran chiacchierone, ma sapendo quando tenessi a questa partita mi sembri un po’ troppo giù di tono. -
-Che ne vuoi sapere ‘tu’ delle mie robe! – Rispose scontroso.
Mako non sembrò fare una grinza, decidendo al contrario di rispondergli con un sorrisetto saputo.
-Visto che sei qui. - Riprese Hasook. –Vediamo di parlare di qualcosa di utile. Rimani fino a chiusura? –
-Ovvio. Chi ti riporta a casa la barista, altrimenti? -
Hasook, sorrise. –E io che speravo fossi in partenza e ripassassi più tardi! -
Mako se la rise. Ad Hasook non dispiaceva troppo quel suo atteggiamento allegro, infondo la squadra dei ‘pulcini’ era un po’ anche la sua squadra.
Si perse di nuovo a pensare, mentre affettava quel grosso pomodoro.
Inizialmente accompagnava Tahno a casa la piccoletta. Il ragazzo o Sukka, non avevano mai protestato o le avevano fatto pesare la cosa, anzi, lo facevano con piacere. Oltretutto così Sukka poteva usargli contro la scusa di voler fare due chiacchiere con Hikari e passare il resto della serata con Tahno ‘che non era carino’, ovviamente, ‘fargli fare da autista’.
Certo, perché lui era nato ieri!
Hikari, però, era dispiaciuta della cosa. Dopo il primo periodo cominciò a obbiettare civilmente che poteva tornare a casa da sola, che non voleva dare fastidio. Hasook ricordava ancora lo sguardo di Sukka e Nakata alle sue uscite. Non erano discorsi che una ragazza poteva permettersi di fare a Città della Repubblica, soprattutto in quella zona. Da sola, di notte… Noooo, non se ne parlava!
Fu lui, però, a ricordarsi che a quell’investigatore del fuoco, piaceva fare le ore piccole. Soprattutto da quando era diventato il sostituto di Lin Beifong. Chiaramente non gli piaceva davvero far tardi, ma… lo faceva e quindi ne approfittò, senza far presente la cosa alla biondina, chiaramente. Mako si trovò subito d’accordo col passare lui a prendere la ragazza, ponendole la questione nella maniera più naturale possibile: le disse che tanto lui a casa doveva tornare e, guarda il caso, vivevano nella stessa casa e, se per il suo titolare non era un problema farla andare via quando era di passaggio la sera, la cosa poteva dirsi decisa.
Chissà se Hikari avesse mai lontanamente sospettato il piano che aveva progettato alle sue spalle. “Ehhh… peccato che questo non abbia fatto demordere Sukka dal passare parte della serata con quel damerino del suo ragazzo. Ahhh! E la mia Nakata che le dà anche manforte… Donne chi le capisce è bravo!”
-Stavo pensando Hasook…- Mako lo distrasse da quei pensieri.
Ma ancora lì era? Che ci voleva fare la muffa? Non gli piaceva che li vedessero troppo in confidenza, sia mai che qualcuno potesse pensare che gli andassero a genio i sangue di fuoco.
Lo guardò, chiaramente, malissimo.
Mako continuò: -Perché non perdi un po’ di tempo con i Lupetti? -
Il titolare del pub lo guardò interrogativo.
-Ne ho parlato anche con Tahno qualche giorno fa. - Diceva ancora il dominatore della fiamma. –Tu hai sempre avuto uno stile particolare, che nelle giovani leve si è perso. Tahno è più tecnico, Korra…- Sospirò. –Korra, come te, ha un buon livello di aggressività e un buon istinto, ma è lontana e a breve ci saranno le semifinali. -
-Ma di cosa stai parlando Mako. L’unico stile che conosco è quello del perdente, chiedilo al tuo compare dagli occhi azzurri, sicuramente non avrà problemi a confermartelo. -
Mako lo guardò improvvisamente male, assottigliando lo sguardo: -Dici sul serio o ancora ti brucia tutta quella storia? -
Lui si limitò a sbuffare.
-Tutte e due forse. - Rispose alzando lo sguardo verso di lui, mentre allungava il piatto completato alla sua sorellina.
-Sto dicendo sul serio. Il tuo stile era molto vicino a quello di mio fratello. Potente e immediato. Non ti sei mai perso troppo a pensare su cosa fare, lo hai sempre fatto e basta. Sentivi che dovevi fare in quella maniera e lo facevi, senza incertezze o ghirigori di nessun tipo. -
-Non ti piaceva il ‘mio’ stile o sbaglio? -
Mako sospirò a quelle parole. –È vero, l’ho detto. Ma era un momento particolare Hasook. Era davvero molto importante per me vincere. Se l’avessi pensato davvero non ti avrei mai preso in squadra, non credi? Poi ‘sai’ di essere un dominatore d’eccezione. -
Hasook lo guardò per un secondo, soppesando la cosa, poi: -Fammi capire Mako, cosa mi stai chiedendo realmente? -
-Kija, si blocca. Non è esattamente ciò che si può definire un’istintiva. È intuitiva, ma teme di far male all’avversario. Dovrebbe capire che le rivalità sono solo sul campo e che gli altri non hanno la stessa premura per lei. Spesso perde troppo tempo a pensare come prendere il punto limitando i danni. Per il momento ci è andata bene, ma…-
-Tu e quell’altro delicatino volete che pensi di meno e picchi di più, quindi in mancanza di Bolin avete chiesto a l’unico altro zuccone sulla piazza che conoscete. - Sorrise Ironico Hasook, senza offesa sul volto.
Mako si sentì di ricambiare quel sorriso. –Sai cosa intendo davvero. -
Annuì. –Sia la madre che il padre sono molto tecnici e poco istintivi, ma d’altro canto Umi è una professionista da tempo: la tecnica ha ormai soppiantato la freschezza del suo stile. Kija l’ho vista all’opera, l’istinto c’è, come dici tu è il coraggio di assecondarlo che manca. -
-Sapevo che di queste cose ancora te ne intendevi! -
-Perché? Tu hai smesso di capirne di Dominio solo perché sei diventato un tutore della legge? -
Mako alzò le mani in segno di resa, senza poter obbiettare all’affermazione del dominatore dell’acqua.
-Ok. - disse Hasook affermativo, mentre Sukka gli portava un altro appunto da preparare. –Una chiacchierata da dominatore dell’acqua a dominatrice dell’acqua. Ma non ti prometto nulla! -
Mako gli sorrise prima di allontanarsi.
Ahhh, si stava davvero rammollendo per dar credito a quel muso lungo. O… semplicemente era finito per lui il tempo di dover dimostrare per forza chi era, al ‘chi’ di turno.


“Com’era andata?” pensava Hikari vedendo i suoi due coinquilini attaccati a notte tarda al telefono. “Al fronte è ormai mattina e quello era il loro momento speciale da mesi per sentire Korra e Bolin.” Era stanca, la serata l’aveva distrutta… “Mannaggia alle idee di Hasook!”
Si trascinò stancamente nella sua camera da letto. Il tempo d’infilarsi la maglietta del compagno, per sentirselo vicino, che già il sonno le appesantiva le palpebre. Un respiro profondo, mentre affidava le sue premure agli spiriti, come ogni sera, chiedendo di proteggere il suo amore e la sua amica al fronte. Un nuovo respiro e... già s’era persa nel sonno.
 
 
 

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Capitolo 7
*** Cap. VII: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga – Prima parte ***


Cap. VII: Come era andata?
La Giornata di Pabu e Naga - prima Parte

 
Pabu stiracchiò le sue zampette proprio sul muso dell’altra pelosetta che sbadigliava mostrando la sua incredibile dentatura al sole appena nato.
Si guardò immediatamente intorno.
Com’era andata?
Quella notte come, le ultime del resto, aveva fatto molto caldo. Perciò avevano deciso di dormire al fresco e quale posto migliore di quello che gli umani chiamavano ‘Ponte della nave’?
Doveva essere prima del solito perché non gli arrivava ancora al nasino l’odore delle cose buone che preparavano per loro tutte le mattine. Questo era un guaio, soprattutto tenendo conto che aveva terribilmente fame, non che ci fosse una mattina che si svegliasse non affamato, ma…
Naga decise di avviarsi a cercare chi sa cosa. Lui sperava si trattasse dell’umano che rispondeva al nome di Bolin. Bolin era il suo umano preferito da sempre! Erano come fratelli lui e quella creatura senza pelo.
Annusava ancora l’aria.
E sì, Naga non lo deludeva quasi mai ed eccoli apparire li quei due umani a cui voleva un mondo di bene: Bolin e Korra.
Già a far versi in quell’affare freddo e ronzante, che gli infastidiva le orecchie. Però almeno loro sorridevano… sorridevano sempre quando usavano quella cosa strana di prima mattina. Questo era un bene.


Korra era all’apparecchio che Iroh aveva messo a disposizione del suo equipaggio, quando vide spuntare da dietro l’angolo la sua Naga e l’inseparabile furetto.
Era in piedi appoggiata al muro, mentre Bolin sonnecchiava, fingendo di essere sveglio, sulla panchina di metallo saldata alla parete di quel corridoio.
Sorrideva allegra alle parole di Mako e Asami. I piccoli che allenava Tahno si erano qualificati per le semifinali! Era bello poter parlare di qualcosa di futile.
Bolin accanto a lei protestò alla leccata di saluto della sua cagnolona ormai del tutto sveglio dopo quel trattamento. Sorrideva anche lui… di prima mattina non sembrava di trovarsi al fronte. Tutto era calmo, almeno per il momento. Presto sarebbero stati richiamati all’ordine dai loro vari impegni.
Attaccò ai suoi amori con il cuore più leggero, come sempre quando li sentiva.
Sospirò, voltandosi, pensando che a breve quella panchina di metallo si sarebbe riempita di uomini in fila per chiamare casa. Rimase perplessa, trovando lo sguardo di Bolin sgranato ad osservala.
Non le fu subito chiaro, ma quello sguardo interrogativo, voleva probabilmente dire che ne aveva combinata qualcuna… forse aveva la forma della cornetta tatuata in faccia?
Batte le palpebre ripetutamente, mentre il ragazzo assottigliando lo sguardo gli lanciava contro un muso offeso.
-Hai attaccato. - Disse lui.
Korra annuì, appena in tempo per chiarire i suoi dubbi e passarsi una mano tra i capelli imbarazzata, allargando un enorme sorriso, speranzosa che lui sorvolasse.
-E io? - Continuò lui allargando le braccia con fare offeso. –Volevo sentire come erano andati i piccoli. Accidenti Korraaa! - Finì con l’urlarle contro, alzandosi di scatto mentre il furetto si arrampicava sulla sua spalla.
Com’era andata poi?
Semplice: appena lo vide in piedi scappo via ridendo. Ovviamente Bolin l’inseguì con intenti bellicosi.
Rideva come una matta, sapendosi più veloce dell’amico, quando voltando l’angolo di quello strettissimo corridoio, che conduceva alla sala mensa, non urtò contro qualcosa.
-Ragazzacci! Mai che guardiate dove andate, vero? - La raggiunse la voce di Lin.
Accidenti se era tosta quella donna, o forse era tutto quel metallo che portava addosso; fatto stava che si sentiva rintronata. Si ritrovò bloccata di colpo e con l’amico che, raggiunta, le si fermò accanto. Tutti e due a chinare il capo imbarazzati, in segno di scusa, talmente imbarazzati da sembrare davvero due…
-Ahhh! Mocciosi! - Sbuffò Lin entrando in sala mensa.



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Salve! :-)
Volevo chiedere scusa a chi ha la pazienza di seguire questa storia per i miei molteplici errori. Purtroppo scrivo di getto e avendo poco tempo a disposizione riesco a malapena a dargli una letta dopo. Oltretutto il mio cervello sembra non voler vedere gli errori, è come se li sorvolasse… uff!!! Perdonooooo!!!!
 
 

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Capitolo 8
*** Cap. VIII: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga – Seconda parte ***


Cap. VIII: Come era andata?
La Giornata di Pabu e Naga - Seconda Parte

 
Lin era divertita dall’argento vivo che dimostravano quei due in qualunque momento eppure… Sospirò sedendosi al tavolo. Gettò uno sguardo verso i bancali per la mensa. I cuochi li stavano ancora allestendo. Abbassò lo sguardo un secondo, cercando di ritrovare un briciolo di allegria, non faceva bene a nessuno il suo muso lungo!
Rialzando il voltò si trovò davanti quel grosso canepolare.
Quella bestia la perseguitava!
Ma possibile che non capisse che lei non era tipo da animali?
Ancora sbuffo, guardando dall’altro lato, mentre quel musone cercava una sua carezza, infilandosi impertinente sotto il suo braccio.
Sospirò arrendendosi a darle quello che voleva. Infondo non sarebbe certo morta per un paio di grattate a quell’enorme coso bianco.
-Ahhh, mannaggia alle navi fatte per i dominatori! - protesto ad alta voce quasi sperando che la cagnolona capendo almeno un paio di parole decidesse di offendersi e andarsene. In effetti quelle navi erano strutturate per poter utilizzare il dominio degli elementi al loro interno e gli spazi erano abbastanza ampi per eseguire le loro tecniche e… farci passare un ingombrante canepolare.
La cosa la face sorridere, apparentemente senza motivo, o forse era quella specie di Pet therapy forzata… e a quell’idea il sorriso le si allargò maggiormente.
Da quando aveva ritrovato la pace con la sua famiglia, doveva ammettere di aver preso a ridere più spesso… troppo forse!
Decise di alzarsi, mentre la sala cominciava a riempirsi, per andare a prendere qualcosa di valido per la colazione.
La cagnolona la seguiva attenta…
-Oggi non hai nulla di meglio da fare tu? – Borbottò, per sospirare ancora al termine della frase.
Indicò, a uno dei soliti ragazzi incaricati dei viveraggi, un paio di portate che le gradivano e… si soffermò su quell’enormi fette di bacon. Uno sguardo alla pelosona bianca e, deludendosi di se stessa, chiese al soldato: -Aggiungici anche una decina di quelle! -
Il ragazzo sgranò tanto di occhi, ma lei fu rapida a indicarle, senza voltarsi, il grosso canepolare seduto al suo fianco, scodinzolante.
Le mise quanto voleva sul vassoio e lei tornò a sedersi.
Naga sembrava gradire quella colazione.
Lin non era sicura le facesse bene, ma… al massimo se la sarebbe tolta dalle scatole una volta per tutte!
Ancora sorrise alla sua stessa ironia, mentre la vedeva mangiare di gusto.
Chissà dove s’era ficcato quell’altro coso rosso che la tormentava quasi tutte le mattine da che erano lì.
Si incupì, tornando a guardare nel suo piatto, perdendo il sorriso.
Portò una mano a massaggiarsi gli occhi. Non aveva dormito molto quella notte. All’indomani sarebbe arrivato il principe del Nord con tutte le sue truppe e per quel momento sarebbe dovuto essere tutto perfetto. Purtroppo però i preparativi stavano andando a rilento, a causa di quegli stessi nemici per cui quegli uomini stavano giungendo.
Com’era andata?
C’erano state settimane in cui non gli avevano dato respiro, ma da un paio di giorni finalmente sembra tutto calmo. Questo non era un bene, tenendo conto che quello era il loro stile: intervalli di tempo tra un attacco e l’altro in cui potenziavano le forze. E ogni volta erano sempre più preparati, più forti. Era come se li studiassero, come se quegli attacchi servissero solamente a capire come strutturarsi per poter arrivare al punto di scagliare l’attacco definitivo. Il fatto che ogni volta avevano la meglio su di questi, con il loro repentino ritiro dopo i primi danni subiti, non faceva che accrescere in lei questa ipotesi.
Ancora sospirò. Secondo i suoi calcoli quello sarebbe stato un giorno tranquillo e quindi il giorno buono per recuperare il tempo perduto. L’allestimento del campo d’accoglienza sulla terra ferma stava procedendo a tentoni, ma… era convinta che se metteva al lavoro le persone giuste ce l’avrebbe fatta giusto in tempo per l’arrivo del sovrano della tribù dell’acqua del Nord.
Distrattamente accarezzò quell’enorme testona di nuovo posata sul suo grembo… quasi non se ne accorse se non a gesto compiuto.
Uno sguardo agli altri tavoli. Assurdo, lei era lì a far colazione con quel grosso cane, mentre gli altri, chi più chi meno, erano accostati a compagnie più piacevoli.
Sorrise malinconica.
“Eccolo lì quel coso fulvo.” Oggi trovava più invitante la spalla del padrone per rubacchiargli gli avanzi, mentre questo chiacchiera ridendo con Korra. Poco più in là un chiassoso Bumi, anche se ancora mezzo addormentato, stava sbraitando contro un Iroh divertito e lei… beh, lì con quella Naga. Almeno finché anche questa non si sarebbe stancata di lei per tornare da Korra. Già… lentamente un po’ tutti si erano allontanati da lei, ma era inutile rimuginarci sopra ormai. Le scelte che avevano fatto l’avevano portata a quello stato di cose e non se ne pentiva. Era orgogliosa di quanto aveva fatto, di quanto aveva ottenuto, solo a volte… doveva ammettere, di sentirsi sola!
Ancora sospirò… ancora sorridendo a quella bianca compagna.
Infondo ora che aveva riallacciato i rapporti con la sua famiglia, poteva in qualunque momento passare del tempo con loro, ma… non poteva non pensare che se lei era lì al posto di Tenzin era proprio perché Korra sapeva che tra i due era quella con i legami più deboli. Ovvio, alla fine Su aveva la sua famiglia a cui pensare e lei… ne era stata distante per quanto tempo? Troppo per sentirsene parte a pieno. Infondo per i figli più grandi era solo la figura sbiadita della sorella della madre nei racconti di quando erano piccoli, quando Suyin gli narrava le loro vicende. Opal… Opal non era male, ma era tristemente sicura che avesse preso un cammino non dissimile dal suo. Se ne dispiacque. Era una ragazza dolce e allegra quando l’aveva conosciuta, dotata di una sensibilità innata, ma col tempo aveva preferito le sue opere alla sua felicità. Stava facendo proprio come aveva fatto lei alla sua età, quell’atteggiamento all’epoca le era costato Tenzin e sua nipote… beh, aveva già perso Bolin.
Sospirò ulteriormente tornando a grattare la sua amica dietro un orecchio con la mano.
Le era passato l’appetito. Allungò quel poco che era rimasto nel piatto a Naga che non se lo fece ripetere due volte prima di approfittarne. Ancora le sorrise.
-Per assurdo, bestiona, lo sai con chi sto in buoni rapporti in questo periodo? - La cagnolona la guardava quasi la potesse davvero capire e Lin si sentì il dovere di ricambiare quell’attenzione con un’altra grattata ben assestata. -Con quei due pazzi dei figli più piccoli di Su. -
Naga socchiuse gli occhi mentre era il suo turno di cercare altre carezze strusciando il muso contro la mano della dominatrice.
–Già! - Ancora sospirò. –Per quante se ne dicono su quei due, fanno solo tanta confusione, ma non sono così insensati come si potrebbe pensare. Il metallo, signorina Naga, non è un elemento facile da manipolare. Necessita di disciplina e volontà forte. Perché pensi che quello scemo del padrone del tuo amichetto ci ha messo tanto ad apprenderlo? Ha la concentrazione di un gattopiranha. - Ancora sorrise.
Aveva trovato un punto di contatto con quei due piccoletti. La madre gli aveva pur insegnato le basi, e certo Suyin aveva un’abilità innata nel dominio proprio della loro famiglia, ma… lei ne aveva fatto da troppo tempo una maestria in ambito bellico e quei due gemelli, da bravi maschietti, erano più interessati all’utilizzo pratico, barra, pericoloso, anziché pratico, barra, elegante. Suyin aveva fondato addirittura nuove discipline artistiche e sport basati sul suo elemento, ma lei… ahhh come faceva male lei con il metallo… “Eheheheh!” ridacchiò mentalmente. Sapeva di non potersi equiparare alla sorella. Con il tempo i loro stili si erano totalmente distinti. Suyin era sottile nel combattimento quanto nella strategia, e altrettanto elegante e raffinata. Lei, sapeva che la sua forza era nell’impatto iniziale, era diretta e implacabile. Dove la sorella volgeva la forza del nemico verso se stesso, lei colpiva. Dove la sorella piegava, lei sfondava direttamente. Non si potevano paragonare, erano troppo diverse. E… quei due mocciosetti dagli occhi verdi, troppo simili ai suoi, una volta smessi i panni dei bravi bambini, avevano deciso di intraprendere la strada verso un dominio più aggressivo; ma i più si sarebbero sbagliati a pensare che, dietro il loro stile di lotta e il suo, non ci fosse tecnica. La tecnica era semplicemente adattata allo stile, non si parlava più di bloccare e voltare le situazioni a favore, adesso si trattava di apprendere come spezzare le armi del nemico.
-Quei due, signora Naga, diventeranno migliori di me e della madre. Può giurarci! – Sorrise, sorprendendosi ancora a parlare con l’unica lì che avesse vero interesse nell’ascoltare le sue sciocchezze.
–Da quando, poi, la madre ha decido di affidarmeli…- Ancora un sospiro. –Povero Mako! Ho intenzione di integrarli tra i dominatori del metallo di Città della repubblica, tanto per fargli fare le ossa, ma io… sai Naga, non ho intenzione dopo questa missione di riprendere in mano quel ruolo. Sono stato il capo della polizia di Città della repubblica troppo a lungo. Ti sembra eccessivamente pretenzioso, da parte mia, volermi dedicare un po’ a me stessa. Ahhh, certo non spero nel grande amore, ma… ho lasciato per troppo tempo che i miei doveri mi sottraessero dai miei reali desideri tanto da non ricordarmi più quali siano. Ad esempio, tu sai qual è il mio colore preferito? No!? Beh… sai, neanch’io. - Sorrise amaramente a quest’ultima riflessione.
“Ora però cerchiamo di pensare a qualcosa di più urgente. Prima risolveremo la situazione del regno della terra e prima potrò dedicarmi a riscoprire le mie passioni. Ho già un piano d’azione per finire i lavori stabiliti per domani mattina. E ce la farò anche a costo di far nottata.” Poi improvvisamente quel pensiero: –Il treno di metallo. - Le sfuggì dalle labbra.
Non sapevano molto di più, tranne che il nemico stava allestendo i binari per portare questo treno non si sa bene dove. La cosa suonava come uno scherzo di cattivo gusto ripensando a come Kuvira aveva lentamente riunificato i territori della terra. Senza contare che in parte questi ribelli si poggiavano proprio su quegli stessi binari… assurdo e decisamente inquietante!
Ancora una carezza alla cagnolona mentre con la coda dell’occhio notò appena in tempo Bumi alzarsi per accostarsi a lei.
Immediatamente, scorbutica come sempre, eruppe: -Ehi tu, ma non ce l’hai una padrona? -
Guardando storto quell’unica compagna di tavolo.
Sia mai che qualcuno, soprattutto quello sciocco di Bumi, potesse anche solo pensare che lei trovasse piacevole quell’affarona a quattro zampe.
 

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Capitolo 9
*** Cap. IX: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga – Terza parte ***


Cap. IX: Come era andata?
La Giornata di Pabu e Naga - Terza Parte

 
Bumi si sentiva strano a indossare di nuovo i vecchi abiti da Generale dell’esercito delle Fazioni Unite, ma non gli dispiaceva. Accarezzava quella cagnolona bianca con fare divertito, mentre attendeva il suo turno alla radio.
–‘Bumi, fammi il piacere di portarla via, non la sopporto più!’ - Disse facendo il verso a Lin. –Ho pensato che non sarebbe stato male coccolarti un po’ Naga. Tanto qui c’è sempre d’aspettare. –
Un altro rapido sguardo alla coda sperando che scorresse un poco più velocemente. Fortuna che il Generale Iroh aveva imposto che non si usasse più di dieci minuti a turno.
-Non è giusto però, io non sono un comune soldato. Sono un ex-generale e un errante dell’aria. Uff! - Sbuffò. –E mi tocca fare la fila. -
Bum-ju non amava il fronte e non lo aveva accompagnato, la cosa gli era dispiaciuta e non poco, ma l’avatar richiedeva il suo intervento come tattico, non come diplomatico e quindi… eccolo lì a fare la fila come quei bimbetti per lo più del fuoco.
Ancora Sbuffò accarezzando il canepolare che tranquillo scodinzolava come se nulla fosse.
-Che noia. Che ne dici bella se poi ci andiamo a prendere Pabu e andiamo a sgranchirci un poco le ossa sulla terra ferma? In teoria oggi sono di riposo… di riposo al fronte poi! Diciamo che finché nessuno ci cerca possiamo starcene tranquilli. Ok? -
Quasi avesse capito il grosso cane gli rifilò una leccata da manuale scodinzolando allegra.
-Già, ci vuole accidenti! - Commentò ancora portando le mani sui fianchi e piegandosi prima a destra e poi a sinistra per far scricchiolare la schiena. –Ahhh! Le mie vecchie ossa! -
Com’era andata? Come mai si trovava lì?
Semplice: doveva parlare con la madre dei suoi figli. Già!
Ancora uno sguardo alla fila e ancora sbuffò pesantemente per poi tornare a coccolare con un sorriso immenso la bestiola gentile che aveva davanti.
“È stato davvero bello risentirla quella prima volta.” Pensava. “Quella Hikari…chi avrebbe mai pensato che fosse quella piccoletta che Yue teneva attaccata alle sue sottane.” Ancora sorrise.
-E no, mamma, niente accade per caso! - si lasciò sfuggire ad alta voce.
Dopo quella rivelazione, come suo solito, aveva agito di impeto. Aveva fatto armi e bagagli e messa la ragazzina di Bolin sul suo bisonte volante erano partiti alla volta della Nazione del fuoco.
-Quanto ha sbraitato Tenzin! Dovevi sentirlo Naga. - Ridacchiò grattandola dietro le orecchie mentre lei gli uggiolava amorevole il suo gradimento.
“Ahhh, non esiste che mi faccia mettere i piedi in testa dal più piccolo di casa. A quella cosetta mancava la sua mamma e a me… beh, ormai ero diventato abbastanza grande e saggio da saper mettere insieme i pezzi della mia esistenza.”  Sospirò, senza allegria questa volta.
“Ero in missione l’ultima volta che vidi Yue. Passai a trovarla… quanto tempo era che con la mia truppa non passavamo tra quelle montagne? Otto, nove anni forse. Dovevamo attraversarle per portare rifornimenti e aiuti ai villaggi al di là della valle, a causa del nubifragio. Ovviamente non potevamo fermarci troppo, ma… avevo voglia di vederla, e… accidenti, passavo per il suo villaggio era il minimo che potessi fare!”
Gli tornò il sorriso, mentre finalmente la fila procedeva di un passo.
-Era la donna più bella che avessi mai incontrato. Ok, forse, ma dico forse, era semplicemente bella, ma le sue curve… wow! Un uomo è sensibile a queste cose. - Sempre rivolto al canepolare davanti a lui.
“Ricordo che fu gentile come al solito, ma non avevo potuto non notare il suo stupore sul viso quando mi vide sul vialetto del giardino della Casa di Zao. Era bella davvero, mentre giocava con quei tre marmocchi. Una scena deliziosa, tanto che mi poggiai alla staccionata per godermela al meglio. L’aria era fresca, i suoi capelli, chiarissimi per quella nazione, ondeggiavano al vento e il suo sorriso e le risa di quei fanciulli… ahhh! Sono davvero uno sciocco a volte.” Sorrise a quel suo pensiero. “Fu quella bimbetta dagli occhi chiari la prima ad accorgersi di me. Sgranò gli occhioni e si rintanò dietro la madre. I due maschietti più grandi a vederla agire così si pararono difronte alle due donne, microba compresa, ovviamente. Due musetti identici a quello della madre, immediatamente sulla difensiva. Quegli occhi verdi, risaltavano sulla loro carnagione scura, errata sia per un sangue di fuoco che per una stirpe della terra. Erano pronti a difendere le due damigelle da qualunque pericolo! Erano adorabili. Terribilmente arruffati, tutti e tre, ma decisamente adorabili. Quando invece fu lei a vedermi, dopo la sorpresa iniziale, mi dedicò uno di quei suoi sorrisi che mi facevano da sempre sentire migliore di quanto fossi. Sorrisi a mia volta, scavalcando quella staccionata, con l’abilità del giovane che ero allora. Lei scompigliò una di quelle testoline castane che aveva davanti per sussurrare poi qualcosa di cui io percepii solo la dolcezza. Quei musetti annuirono tornando sereni e presa la sorellina più piccola per mano si portarono sul retro. Rimanemmo soli. Lei sorrideva ancora. Quante volte ero passato per quel villaggio in passato, troppe… eppure, eppure me ne ero dimenticato. Sorgeva nell’unico valico possibile tra le montagne dell’entroterra della Nazione del fuoco, e l’esercito di cui all’epoca ero parte, passava per quel valico almeno una volta all’anno e quell’insediamento era il nostro punto d’appoggio più apprezzato, proprio per la rinomata bellezza delle donne che vi vivevano. Ero giovane e la vita militare, se pure non l’avessi scelta volontariamente, era nelle mie corde più di altro. Feci carriera velocemente e una volta divenuto ufficiale non fui più costretto a passare per quel valico. Eppure quella volta, dopo anni, per una diga danneggiata dalle piogge incessanti e interi villaggi allagati, ero di nuovo li. Quella fu l’ultima volta che ci passai.”
Ancora sospirò, ma senza perdere il sorriso, questa volta.
Un altro uomo terminò la sua chiamata e la fila si mosse di un altro singolo passo.
“Il tempo di salutarla, di fare due chiacchiere e chiederle di quei bambini che mi ritrovai nuovamente di partenza. Mi scusai come ero abituato a fare ogni volta quando il dovere mi chiamava e lei come al solito mi rincuorò dicendo che sapeva come fosse la vita di un soldato. Chissà perché lo faceva, perché era sempre così gentile… all’epoca mi portavo addosso la convinzione giovanile di essere il migliore al mondo e che, quindi, fossi in un qual modo speciale, ma con tempo, cominciai pensare che per quella donna non ero che un cliente come un altro. Eppure era davvero brava a farmi sentire importante…”
-Ahhh, quanto sappiamo essere stupidi noi uomini! - Sbottò dandosi una manata sul viso difronte alla cagnolona che a quel gesto piegò la testa osservandolo curiosa.
“Avevo avuto una bella cotta per lei in passato, poi… il lavoro… avevo dimenticato ogni cosa. Questo a riprova della indubbia stupidità maschile. È tipo una malattia, col tempo di solito passa… ma non vale per tutti. Ricordo che mi parlò parecchio di quella piccolina tanto chiara, ne andava così orgogliosa, mentre sui gemelli sorvolò abilmente. La cosa mi lasciò un po’ d’amaro in bocca, non era da lei, ma sorrideva… l’avevo vista giocare con loro e ne era innamorata come della femminuccia e allora perché? Pensai che, mentre parlare dell’uomo toccato dagli spiriti non le desse problemi, forse… l’uomo che le aveva regalato quei due gioielli della terra non doveva averle lasciato un bel ricordo. Andai via, che altro potevo fare? Stavo seguendo degli ordini precisi e poi… quelle erano questioni talmente lontane dal mio mondo. I villaggi come il loro erano lontani milioni di anni da quello che era il mondo nelle grandi città, sembrava che li tutto fosse fermo al secolo passato e io… io avevo ancora i miei sogni e la mia carriera. Non pensai più, né a lei, né a quel villaggio fino a quel giorno che vidi quella ragazzina a casa di Bolin. Poi quando tutto mi tornò alla mente, non vi affiorò come aveva fatto nel momento stesso in cui lo avevo vissuto. No… arrivò immerso nella maturità e nella consapevolezza che mi avevano, non per mia volontà, portato gli anni. Sentii che c’era qualcosa che dovevo ancora chiarire ed ero troppo vecchio per aspettare ancora.”
-Non nel senso che sono un vecchio bacucco… ma… insomma… mi hai capito, no?!- Sempre alla povera cagnolona silenziosa.
Un altro passo… qualcuno aveva finito di sentir casa.
-Insomma Naga, mi caricai la biondina come un sacco da campeggio, con la scusa di andare a fare una gita e al contrario passammo il fine settimana nella casa che le aveva dato i natali. Forte, no? - Rise di gusto, mentre la sua ascoltatrice riprendeva a scodinzolare.
-Che sguardo che fece quando riconobbe le vette della Nazione del fuoco. Era incredula… Ahhh!!! La bellezza di avere un bisonte volante come animale domestico! Ma… la verità era che avevo già perso il piacere di stare al fianco di un figlio, per il volere di sua madre, che… non potevo rischiare accadesse ancora, se bene, sperai in cuor mio di sbagliarmi. -
Altro passo. Altri dieci minuti passati.
“Quanto fu felice Hikari e io più di lei nel vederla tanto allegra. Non potevo che concederle un fine settimana e tra il viaggio di andata e ritorno avevamo solo quel giorno per stare con la sua famiglia. Avevo molto di cui parlare con Yue, ma… io lì ero l’estraneo. Eppure, come sempre mi sorrise quando mi vide e non finiva di ringraziarmi tra le lacrime, mentre si teneva quella fanciullina tra le braccia non meno commossa di lei. Me ne rimasi in disparte, era giusto così, ma li vidi quei due ragazzoni della terra, toppo alti e dalla pelle più simile a un retaggio d’acqua che a uno di terra. Ancora troppo spettinati e ancora troppo arrabbiati quando vedevano quel bell’imbusto, che ero io, avvicinarsi a quello che da bravi dominatori della roccia ritenevano il loro territorio. Forse mi sbagliavo, ma… stavamo per partire quando Yue mi chiamò in disparte, mentre Hikari chiacchierava con una vecchina talmente a modo da desiderarla come nonnina.
–Grazie. - Mi diceva ancora con quella voce bassa e gentile tipica del regno della terra.
Cosa sapevo di lei? Era stata venduta da piccolissima al padre del signore di quella casa e li era cresciuta. Chissà se era mai stata nel regno della terra o se era nata nella nazione del fuoco, magari da qualche fanciulla al seguito di chissà quale famiglia nobile in viaggio in quei luoghi e troppo ricchi per permettere alla servetta di badare più alla sua poppante che a loro.
Le dissi che non doveva ringraziarmi, avevo la possibilità di fare quel viaggio e lo avevo fatto. Tutto qui! E… anzi mi dispiaceva non essermi fatto vivo in tutti quegli anni.
Mi stupii nel sentirla dire: -Quindici. Sono passati quindici anni da quando ci siamo visti l’ultima volta. –
Da non credere! Aveva contato gli anni che si erano messi tra le loro vite. Assurdo! Eppure ancora gli sorrideva gentile. Quindici anni: ero passato dall’esercito della Nazione del fuoco a quello delle Nazioni unite e per una serie di eventi, tra cui il mio risvegliarmi come dominatore dell’aria, non mi era più tornata alla mente quella bellezza esotica in una terra in cui ancora non avevo ben imparato a distinguere gli uomini dalle donne… beh, almeno fin tanto non gli cresceva la barba!
Quindici anni: mi sentii addosso i sensi di colpa e per cosa? Infondo non avevo fatto nulla di cui preoccuparmi, o pentirmi, o… di cui semplicemente non andavo fiero.
–Ho solo seguito il mio destino. - Le dissi quasi a volermi giustificare, e lei rispose socchiudendo quegli occhi di smeraldo e sorridendo ancora più dolcemente.
Decisi di far l’uomo una volta tanto… non che normalmente non lo faccia e le domandai a brucia pelo: -Perché non mi hai detto dei due gemelli? –
Speravo di colpire nel segno e dal suo sguardo capii che lo avevo fatto.
Accidenti se era bella! Possibile che sembrasse che per lei il tempo non fosse passato?
Lui invece doveva sembrargli un vecchio rimbambito, memore del ragazzo forte e baldanzoso che era stato.
–Eri un soldato. - Si limitò a dire. –Non sapevo nulla oltre il tuo nome e… non sono una donna libera. Come avrei potuto cercarti? Non abbiamo avuto neanche un telefono fino al mese scorso e solo perché ce lo ha portato direttamente Lord Zuko. –
Già, tutto vero… Lord Zuko poi… lo aveva ammirato tanto in passato, ma a quanto pareva non era stato sufficiente per permettergli di rimanere accanto alla sua adorata piccina.”
Si stizzì in volto a quel pensiero e la cagnolona decise di leccarlo per rimettergli a posto i lineamenti.
Sorrise ancora, mentre a dividerlo dalla cornetta mancavano solo due persone.
“-Quando quel giorno passasti di qui, avrei voluto dirti qualcosa, ma… cosa avresti fatto? Ricordi? Mi parlasti della tua missione, dei tuoi progetti e… cosa te ne facevi di due marmocchi testardi e confusionari. –
Ricordo che risposi di getto: -Questo avresti dovuto farlo decidere a me. –
Le vidi lo sguardo sobbalzare. Me ne dispiacque, non ero mai stato tanto duro con una donna, ma… Izumi mi aveva ferito in un modo tale che in un qual modo riversai su Yue il mio astio.
–Intanto…- continuai: -I miei figli sono cresciuti come servi, mentre il loro padre era un uomo libero e il figlio maggiore dell’Avatar. –
M’era uscito così male. Non volevo ferirla… ahhhh! Stronzate! Volevo e come. Per l’ennesima volta qualcuno si era preso gioco di me, me lo dovevano leggere in faccia!
Poi lei, la sua voce amareggiata: -Non lo sapevo. –
E di colpo si inginocchiò riverente.
Possibile che non gliene avessi parlato? Neanche una volta in quegli anni?
Si. Possibile. Volevo molte cose da giovane e una di queste era dimostrare di potercela fare senza l’aiuto del nome del papino. Forse se glielo avessi detto sarebbe riuscita a trovarmi… quella situazione fece scemare il mio astio e mi affrettai a tirala su da terra.”
-Ti pare che lasciassi inginocchiata in terra la madre dei miei figli. Ma che persona sarei… ma daiii! -
Scosse la testa, arrivato ormai alla panchina di metallo. Vi si sedette stiracchiandosi verso l’alto. Naga posò la testa sulle sue gambe. Così era decisamente più comodo coccolarla.
“-Avevo paura me li portassi via. – Disse, mentre la rialzavo, con gli occhi lucidi. –Sono tutto il mio mondo. Non avrei resistito senza di loro. –
Ok… quello era un altro particolare a cui avrei dovuto arrivare da solo. Eppure l’unica cosa che mi venne in mente in quel momento fu: -E loro lo sanno? Sanno chi è il loro padre? –
La risposta non tardò ad arrivare: -Sanno che era un militare di carriera, gentile e divertente. Che come loro amava ridere e raccontare storie impossibili. –
Poi quel dolore al cuore mi invase. –Non dirmi che anche loro pensano che sia morto. –
Lei mi guardò non capendo a pieno le mie parole. La verità era che già un figlio pensava fossi un militare della Nazione del fuoco morto in azione. Se fosse accaduto una seconda volta, sarebbe stato a dire che ero davvero morto e non me ne ero accorto… accidenti! Noooo… sarebbe stato il colmo dell’assurdità!
Ma grazie agli spiriti lei dissentì con il capo. –Sanno che non sapevo come rintracciarlo. Che la loro mamma era stata talmente stupida di volere da quell’uomo gentile qualcosa da tenersi accanto e così erano nati loro. –
Ok… questo mi imbarazzò terribilmente, ma accidenti non ero più un ragazzino. Sorvolai domandando: -Pensano che li abbia abbandonati? –
Ancora quella testolina castana, talmente chiara da assumere le colorazioni del miele d’acero sotto quella luna, dissentì velocemente. –Gli dissi che era quel signore che li osservava dalla staccionata quel primo giorno sereno dopo tanta pioggia, ma che la mamma gli voleva troppo bene per dirgli di loro. –
In quel regno si trovavano creature spesso troppo oneste da farti sentire uno sciocco solo ad aver pensato male di loro.
Poi Yue sorridendomi come aveva sempre fatto: –Oggi non ti hanno riconosciuto con quella barba e le vesti dell’aria, come potevano! Loro ricordano un ufficiale della Nazione del fuoco. –
La guardai pensando che la preferivo così, sorridente, anziché impaurita. Chissà quante idee le si erano accalcate nella mente quando le avevo rivelato di essere il figlio dell’Avatar, quanta confusione doveva starci adesso dietro quegli occhi gentili.
–Se sei qui per loro… li porterai via, non è vero? –
Fui io a dissentire questa volta. –Yue, a breve partirò per una missione al seguito dell’Avatar Korra. Non so se tornerò. Non sono più un ragazzo, ma se l’Avatar ha bisogno di me, non posso rifiutarmi? - Le sorrisi. –Ti chiedo solo di dirgli di me. Sai che Hikari vive nella casa dell’Avatar e adesso sai chi sono, dove sono e come contattarmi se vuoi. Concedimi almeno di far parte delle loro vite e di dargli quello che per amore gli hai negato. Solo questo. Il resto lo decideranno loro. Sono grandi ormai, non posso e non voglio imporgli nulla. Ma è giusto che conoscano il loro retaggio non lo credi anche tu? Se al termine di questa missione sarò ancora in vita, ti chiedo solo di lasciarmi conoscere le persone che sono diventate e concedergli quella libertà che gli appartiene di diritto, se non camminerò più nel regno dei vivi, lascerò i miei voleri tra le mani della tua figlia più piccola già da domani. Sono il primogenito dell’Avatar Aang, nessuno metterà in dubbio quanto dettato nelle mie volontà. - La vidi incupirsi e farsi terribilmente seria e terribilmente più bella… ahhh! Sono sempre stato sensibile al fascino femminile.
Annuì silenziosamente. Non c’eravamo più visti, c’erano stati fraintendimenti e troppe cose non dette, ma finalmente…”
Era giunto il suo turno per parlare in quel maledetto attrezzo.
Naga si era sdraiata davanti quella panchina di metallo, impedendo a chi era dietro di lui di sedersi. Sorrise divertito alla cosa, gettando uno sguardo a chi era ancora in fila, lieto che quella cagnolona mettesse tra lui e loro lo spazio giusto per poter parlare senza essere udito.
Cominciò a sincronizzare quella sorta di radio-telefono, mentre ripensava alla sua ultima telefonata a quella meraviglia della terra, orgogliosa e gentile come una creatura di fuoco; alla chiamata prima, e a quella prima ancora, fino a diventare quella bella abitudine di sentirla ogni mattina.
“Ora sapeva che Hikari non era realmente la sua bambina, ma l’aveva cresciuta con l’amore di una madre. E stava raccontando di lui a Jishin e Chikyu.”
Sorrise a quel pensiero, desiderando per una volta di non tirare le cuoia in missione come aveva sempre sperato. Morire da eroe improvvisamente non aveva più il suo fascino, non in quella missione, almeno.
“Che stupido a sentirmi felice come un ragazzino quando mi ha rivelato che all’epoca si era presa una bella cotta per il soldatino dagli occhi celesti… soldatino che ovviamente sarei io!”
Ancora sorrise, mentre cercava di far funzionare quel mostro ronzante che aveva davanti.
“-Una cotta che forse non mi è mai passata. - Mi ha detto.”
Sospirò sentendo finalmente il primo squillo.
“E l’ultima volta: -Quando verrai a trovarmi? Mi manchi. –
Quanto mi sono sentito importante, come mi faceva sentire sempre il suo sorriso.
–Presto! Il prima possibile. - Ho risposto. -Voglio fare di te una donna libera. –
E accidenti se voglio farlo.” Razionalizzò, mentre con la coda dell’occhio vedeva la giovane Avatar avvicinarsi alla cagnolona polare… mentre un secondo squillo gli echeggiava nell’orecchio.
-Ecco dov’eri finita! Ti ho cercato da per tutto…-
Se disse altro, Korra, dopo di questo, Bumi non lo sentì, troppo attento a quel –Pronto. - troppo gentile e profondo, per non sapere chi fosse a chiamare a quell’ora.
-Yue… sono io. - Rispose.

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Capitolo 10
*** Cap. X: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga – Quarta parte ***


Cap. X: Come era andata?
La Giornata di Pabu e Naga - Quarta Parte

 
Korra aveva finalmente trovato la sua Naga. Pabu le stava acciambellato attorno alle spalle sonnecchiando come suo solito, più attivo di notte che di giorno in quel periodo dell’anno. Bolin glielo aveva lasciato con la scusa di doversi allenare. Scusa poi, sapeva che era vero, ma… Lui si allenava e a lei toccavano i compiti ingrati come andare a discutere con Iroh, Lin e Bumi le nuove informazioni riguardarti il Fronte di Ribellione. Grazie al cielo mancava ancora un’oretta prima che qualcuno la desse per dispersa e la richiamasse all’ordine, senza contare che Bumi era attaccato alla radio. Salì con la sua cucciola e il furetto fino al piano superiore, per poi uscire all’aperto. La brezza che proveniva dal mare era refrigerante soprattutto uscendo dagli ambienti caldi e torridi della nave. Si appoggiò alla balaustra e respirò a pieni polmoni. Sul ponte inferiore Bolin stava allenandosi con i ragazzi del gruppo Roku, si lasciò scivolare contro la sua Naga fino a sedersi in terra, spiando così attraverso quelle sbarre i ragazzi nel basso. Erano bravi, bravi davvero e decisamente un bel vedere dopo i giorni passati a cercare di guadagnare posizioni sul campo. Volse uno sguardo al cielo… era bello il cielo in quella tarda mattinata, sgombro da nubi, limpido e trasparente come gli occhi dei suoi cugini della tribù del nord. Come aveva definito Asami il colore dei loro occhi?
Lavanda. Si, li aveva definiti così, ma lei pensava che, se quel nome fosse dovuto al colore dei fiori della lavanda, c’era comunque qualcosa che non andava: quegli occhi erano decisamente più chiari e più freddi, ma… effettivamente definirli semplicemente blu, o azzurro, o viola, o ‘non sapeva cos’altro’, non dava ragione a quella tonalità così particolare, così tipica della famiglia reale e che, ovviamente, a lei non apparteneva.
Sospirò.
–Ok. Vada per il lavanda, Asami. - Disse al cielo sorridendo.
Suo cugino sarebbe arrivato all’indomani. Aveva fatto molto per averlo lì al loro fianco eppure avere a che fare con ognuno dei suoi parenti del Nord le dava pensiero. Una cosa era certa però, se l’arrivo di Desna e la sua armata non avesse cambiato le sorti di quello scontro allora nulla lo avrebbe potuto fatto. Strinse le labbra a quel pensiero incupendosi, ma davvero, giunti a quel punto, non sapeva cos’altro inventarsi. Era l’Avatar, era vero, ma al contrario di quanto cercava di dare a vedere, troppo spesso, era combattuta sul come agire.
Ancora un sospiro, per spostare poi lo sguardo a quel paesino portuale del regno della terra dove era ancorata quella enorme nave. Era davvero incantevole visto dall’alto. Sarebbero rimasti lì il necessario per fare rifornimenti, dare il tempo ai nuovi uomini per ambientarsi e poi si sarebbero avviati verso quello che sapevano essere il percorso del treno di metallo. Già, avrebbero abbandonato quel villaggio dai tetti verdi e quella nave e si sarebbero inoltrati nell’entroterra con i carrarmati della Nazione del fuoco. Una tappa a Yin per recuperare il resto delle truppe e una volta finalmente al completo avrebbero tentato l’attacco che sperava fosse quello definitivo.
Da quel che dicevano le spie che avevano infiltrato nel Fronte di Ribellione, su quel mostro a binari c’era uno dei loro capi, se non ‘il’ loro capo… saperlo con certezza non era stato possibile, ma era l’unica buona notizia che le era arrivata negli ultimi mesi ed era stanca di fare con i suoi uomini la parte del topo, sempre a doversi difendere, era ora di attaccare. Se non fosse stata la mossa decisiva, dare una sonora lezione a quei ribelli sarebbe comunque valso a guadagnare altro tempo prezioso per capire i loro reali intenti.
-Ahhh! La testa! - Protestò gettandosi contro la sua Naga e sdraiandosi definitivamente con le braccia incrociate sugli occhi nella speranza che l’assenza di luce dietro le palpebre potesse in un qual modo far cessare quel dolore leggero, ma costante, proprio al centro degli occhi. Possibile fosse tanto stanca?
Tolse le braccia dal viso, socchiuse lentamente lo sguardo verso quel villaggio di casupole basse e regolari.
Sorrise.
“È perfetto.” Si trovò a costatare. Non sembrava assolutamente che poco distante da quel luogo si era combattuto allo stremo delle forze.
Pabu, destandosi, le scivolò tra le braccia, riacciambellandosi poi, cercando una posizione migliore. Prese ad accarezzarlo tornando a guardare il cielo.
“Asami e gli strani nomi che dà ai colori.” Pensò, cercando un po’ di tranquillità nel fare bizzarro della ragazza che tanto amava e che tanto la faceva divertire. “Salmone, pesca, albicocca, lavanda, amaranto, ruggine, seppia… ahhhh!!!” Ridacchiò di gusto. “E perché no color ‘gatto che soffia’ o ‘cane che sbuffa’? Ahahahah!!!” Ancora rise e il piccoletto che aveva tra le mani mosse le orecchie infastidito. –Shhh! - Si sussurrò da sola, portandosi un dito sulle labbra. “Quercia anche è un colore per Asami… ma che razza di verde è il verde quercia? O era il marrone quercia… ahhh!” Protestò intimamente con il sorriso sulle labbra.
Aveva parlato con Asami finalmente, si trovò a riflettere mantenendo quel sorriso. Inizialmente aveva preferito prendere il discorso in maniera scherzosa, quasi per evitare che la cosa la prendesse alla sprovvista, ma poi… poi era arrivato il difficile: “Hiroshi era in pena per la sua bambina e per questo ancora intrappolato nel limbo che collega il mondo degli spiriti al nostro. Si era spinto sul limitare di quel confine, rischiando di perdersi pur di parlarmi. Chissà quanto aveva aspettato il mio passaggio e se fosse lì da sempre o solo da pochi minuti. Il tempo nel regno degli spiriti, e come loro lo percepiscono, è così diverso da quello che si è abituati a valutare. C’era tanta sofferenza nei suoi occhi… mi ha raccontato di quel bracciale; quel bracciale che da piccola Asami aveva fatto per la sua mamma. Era una bimba ed erroneamente lo aveva fatto talmente piccolo da poter stare solamente a lei. La sua mamma, dolcissima, le aveva detto che era meraviglioso che quel regalo non le stesse, perché così potevano avviare un’altra bella tradizione di famiglia, come assaltare papà quando arrivava da lavoro o mangiare tutti insieme nel lettone la domenica mattina.”
Korra sospirò.
“Ma Asami non smetteva di essere triste, era il compleanno della sua mamma, aveva lavorato tanto a quel piccolo dono e si sentiva talmente delusa da tenere a stento le lacrime, mi ha raccontato lo spirito del signor Sato. Ma la sua adorata moglie aveva continuato, dicendo che quel bracciale era il regalo più bello che potesse ricevere; le dava la possibilità di creare un legame speciale tra madre e figlia, ‘Quindi…’ disse lei a quel musetto arrossato dalle lacrime e baciando quelle dita minuscole tagliate dall’erba e i fiori che aveva intrecciato minuziosamente. ‘Ora questo…’ rubandolo dalle mani della piccina ancora offesa con se stessa. ‘…Questo lo metto a te. Lo terrai, amore mio, fin quando non sarai tanto grande da non poterlo indossare più e allora lo riporrai infondo al cassetto più bello della tua casa e lo lascerai riposare lì fino al momento che anche tu non avrai una bambina dolce quanto è stata fortunata la tua mamma d’avere.’ Carezzandole quel visetto ancora imbronciato. ‘Glielo metterai al polso come sto facendo io ora e le farai promettere che vi amerete per sempre e ci sarete sempre l’una per l’altra, come la tua mamma ci sarà per te piccola Asami, per sempre. Me lo prometti?’ La piccola aveva annuito ritrovando il sorriso, abbracciando la madre con tanto vigore che la stessa Yasuko se ne sentì travolta, a dire di Hiroshi. Quella fu l’ultima volta che Asami vide la sua mamma in vita… quanto poteva essere importante quella promessa e quell’amore per far brillare ancora quel bracciale del sentimento che le due donne vi avevano risposto? Troppo per non fare nulla… per non sistemare le cose.”
Tornò a schermarsi ancora lo sguardo dalla luce, sbirciando quel cielo chiaro attraverso le dita della sua stessa mano.
“Hiroshi mi disse che aveva conservato quel braccialetto a lungo, dopo che la sua piccolina, arrabbiata per la morte della mamma, lo aveva gettato via nell’impeto portato dal dolore di quella perdita e… aveva fatto come detto dalla sua amata, lo aveva riposto lui per la sua bambina nel cassetto più bello della sua casa, perché sapeva che prima o poi l’avrebbe cercato e così era stato. Quando la vide cercare quel piccolo oggetto carponi nel giardino di casa le aveva mostrato dove era stato riposto. La sua bambina gli aveva sorriso dolcissima e in quel momento, in quel piccolo lasso di tempo, il suo dolore si era quietato. L’aveva stretta a se promettendosi di non farle mai mancare nulla, di proteggerla sempre, eppure… travolto dalla sofferenza, aveva perso la via e finito con il tentare di ferire anche il suo ultimo legame con Yasuko, sua figlia Asami. Ricordava, Hiroshi, la sua piccola che gli chiedeva di vegliare su quell’oggetto, perché lui era il suo papà e solo i papà possono riuscire a compiere imprese così grandi e gravose, e… lui lo aveva fatto, fino al momento di parlarmi sul confine di quel bosco… di quel regno.”
-Quanto amo la mia Asami. - Disse con un filo di voce, mentre il sole filtrando tra le dita le andava a ferire lo sguardo.
Come poteva essere talmente egoista da non lasciarle mantenere la promessa fatta a sua madre?
Il suo amore voleva un bambino e anche lei si trovò a pensare che sarebbe stato fantastico avere un figlio. Sarebbe stata una riconferma del loro amore, dell’essere una famiglia, malgrado tutto… Avere entrambe un bimbo con Mako, sarebbe stato perfetto, ma… Lei era l’Avatar, non poteva, sarebbe stato impensabile. Avrebbe messo da subito quella creaturina in pericolo per il semplice fatto di avere un legame con lei, senza calcolare che non poteva permettersi una gravidanza; di quanti Avatar donna si conosce la discendenza?
Nessuno, da quel che ne sapeva e il motivo era proprio quello. Ma, a differenza delle sue altre rincarnazioni femminili, lei sapeva come sopperire alla cosa. Korra aveva due amori e la certezza che non le sarebbe mai riuscito di non amare disperatamente qualunque frutto della loro unione.
Sorrise ancora, mentre ancora quei raggi di sole la costringevano a socchiudere lo sguardo.
Un sorriso dolce… forse un po’ amaro, ma sicuramente sincero schiuse le sue labbra.
Erano sedute sul dondolo della veranda quando le aveva dato quel bracciale. Non aveva aggiunto altro a quel semplice gesto, la sua Asami aveva capito tutto e si era sciolta in un pianto a dirotto.
Si rammentò di aver pensato che fosse bellissima anche tra le lacrime, mentre la stringeva teneramente in quell’abbraccio cercando di rassicurarla.
–Ti prego, tesoro. - Ripeté a voce soffusa su quel ponte a quell’animaletto fulvo che teneva in grembo, così come aveva detto alla sua Asami mentre le accarezzava i lunghi capelli neri. –Convinci quello sciocco di Mako a regalarmi una bimba che abbia il tuo sguardo. -
Sorrise ancora mentre il furetto si stiracchiava.
-Ovviamente amerei pazzamente anche un maschietto, Pabu, ma la femminuccia me la devono fare… - Interruppe il suo dire sentendo la cagnolona alle sue spalle irrigidirsi e voltare il capo verso le scale e anche lei fece lo stesso.
-Eccoti finalmente! – Le arrivò la voce del Generale Iroh. –Ti stavamo aspettando in plancia, fortuna che so dove vieni a rintanarti quando non hai voglia di lavorare. - Aveva il tono gentile come sempre e divertito.
Gli sorrise tirandosi su e scrocchiando la schiena.
-Naaa… se mi conoscessi bene, sapresti che è impossibile trovarmi se non voglio che succeda. - Muovendo un primo passo verso l’uomo disse ancora: –Andiamo. -  e superandolo scese rapidamente le scale.
Si sentiva serena… serena come quando si era tolta, dopo interminabili giorni, quel peso dal cuore.
 



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Rieccomi qui come ogni lunedì.
Che dire?
Ho rallentato, e di molto, i miei ritmi. Voglio comunque ringraziare quei pochi che mi seguono per la pazienza dimostrata. Lo so, i lavori lunghi annoiano e io non sono certo un esempio di sintesi, cosa che non agevola affatto l’esistenza! ^-^;

Voglio approfittare di questo mio piccolo intervento per ringraziare anche le mie amiche Eirien e Mokuren per il sostegno e le correzioni dei miei obbrobri. Grazie di cuore, non so neanche come abbiate fatto ad arrivare a correggere fino al Capitolo XX di Lava. Grazie, la differenza con il lavoro originario si nota immediatamente, come sapete io posso rileggere quello che scrivo anche venti volte, ma non riesco a rendermi conto dei miei errori, non li vedo proprio… sono terribile!

Un grazie doveroso anche a Mary ed Edoardo per le loro parole gentili, grazie davvero!

In ultimo, ma non per ultimo, voglio ringraziare Virkhaell per essere in assoluto quello che pur non amando il genere continua a leggere questa Fic per vedere come finisce e sì (e questa la capiamo in tre X-D), Ivo non sarebbe stato per nulla male come nome.

Un bacio a tutti e al prossimo lunedì!

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Capitolo 11
*** Cap. XI: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga - Quinta Parte ***


Cap. XI: Come era andata?
La Giornata di Pabu e Naga - Quinta Parte

 
Era quasi l’ora di cena quando Iroh si voltò verso quell’affaretto rosso e peloso che si era impossessato del suo letto e da lì lo fissava attento, mentre si trovava seduto alla sua scrivania. Gli sorrise e Pabu come per invitarlo a giocare si rotolò sulla schiena, mostrando il pancino chiaro, e socchiudendo gli occhietti in una maniera che Iroh ritenne davvero tenera su quel musetto capovolto.
Si alzò, al dunque, decidendo d’andare ad accontentarlo.
Quel cosino sembrò gradire il trattamento e, quando il padrone di quella camera si sedette sul letto, cominciò a lottare con la sua mano quasi fosse un gatto.
Iroh non perse il sorriso, anzi… quel animaletto invadente era il giusto diversivo per staccare un poco dai pensieri che gli si accalcavano nella mente. Lo trovava decisamente simpatico, tanto che non aveva protestato quando, dal tardo pomeriggio, di ritorno con Bumi, Korra e Naga da una passeggiata al piccolo borgo portuale, gli si era, dapprima, allungato contro la gamba, più conscio di lui della frutta secca che vi dimorava dalla mattina, per poi finire con il seguirlo fino in camera.
Iroh adorava le mandorle di quella zona e ne aveva riposte una manciata sgusciata in un fazzoletto con l’idea di stuzzicarne qualcuna durante la giornata, ma alla fine a causa degli impegni aveva finito con il dimenticarselo. Ma, a quanto pareva, nulla sfuggiva a quel musetto a punta.
Allargò ulteriormente il suo sorriso, decidendo di porre fine al gioco dell’animaletto regalandogli un altro boccone del contenuto della sua tasca. Un modo decisamente gentile e meno brusco dell’abbandonarlo lì come un giocattolo, dopo che l’umano di turno si era stancato delle sue attenzioni.
Lo osservò mangiare quella mandorla ancora seduto sul letto, decidendo di grattargli la testolina; un ringraziamento in più per la compagnia che gli stava offrendo, prima di alzarsi e tornare al suo daffare.
Il piccolo amico lo seguì con lo sguardo finendo il suo spuntino e, quando Iroh si sedette, decise di raggiungerlo alla scrivania. Si accomodò sul bordo di quel piano di legno laccato, osservandolo con interesse. Ancora Iroh sorrise grattandolo sotto il mento, per poi tornare a controllare gli incartamenti davanti a lui.
Fece spazio alla mappa del Regno della Terra: v’erano segnati tutti i luoghi dove avevano avvistato i focolai ribelli, i luoghi delle battaglie e gli spostamenti documentati e presunti del nemico.
Fece un sospiro esasperato; la cartina di quel regno appariva ai suoi occhi come se un bambino vi avesse gettato sopra una copiosa manciata di coriandoli colorati… troppi coriandoli.
Si portò stancamente una mano allo sguardo, per poi poggiarci la fronte, assumendo una posa più scomposta di quanto fosse normalmente abituato a mostrare.
Quel piccoletto accanto a lui, tirandosi sulle zampette posteriori, posò quelle che sembravano delle manine microscopiche sulla sua guancia.
Iroh ritrovò il sorriso, voltandosi.
-Va tutto bene piccolino. Piuttosto non ti manca Bolin? - Disse con fare gentile e al sentire un nome conosciuto il cosino, ancora seduto sulle due zampine, reclinò la testa sventagliando un paio di volte un orecchio. Iroh si voltò del tutto verso di lui decidendo che era meritevole di un’altra mandorla. Questo la prese, accomodandosi meglio, per poi portarsela alla bocca.
-Speriamo che non ti facciano male o chi lo sente al tuo padrone dopo? - Si appoggiò contro lo schienale della sua sedia, pesantemente, cominciando a sbottonarsi, con una mano, la casacca della divisa, mentre con lo sguardo si perdeva verso il soffitto metallico.
-Temo, piccolo amico, che l’armata del nord non sia sufficiente a configgere questo nemico. - Disse apparentemente rivolto all’animaletto, ma senza guardarlo. –Non per l’esercito di per sé. So per esperienza personale e attraverso le documentazioni della Guerra dei Cento Anni, quanto quell’esercito sia temibile, ma… - Ancora un sospiro per volgere la testa verso il Furetto di Fuoco che trovò a osservarlo attento, abituato probabilmente a seguire gli strani versi che gli umani facevano di tanto in tanto.
Ancora a Iroh tornò il sorriso. Aveva sempre amato la compagnia degli animali. Possedeva una coppia di anguille segugio, ma che ovviamente rimanevano al palazzo. E dire che le aveva acquistate proprio per gli spostamenti nel Regno della Terra, ma alla fine si era affezionato e preferiva per loro la vita agiata della selva reale.
Grattò ancora Pabu, sapendo ormai perso il filo del discorso: era stanco e questo non giocava certo a favore della sua concentrazione, né tanto meno, doveva ammettere, quel piccoletto dagli occhi vispi. Per una volta però, non trovò necessario dargli peso.
“Tanto le cose importanti tornano sempre da sole alla mente.” Pensò, e infanti… “No, non è l’esercito che mi preoccupa, ma la pochezza d’informazioni. Non sappiamo cosa aspettarci realmente.”
-Analizziamo insieme tutti gli elementi, vuoi piccoletto? - Disse all’animale, ritrovando una postura più eretta e riaccostandosi al piano davanti a lui.
Con una mano portò disordine in quelle carte, quasi come se, così sparpagliate, potessero dargli indizi maggiori rendendo più semplice visualizzare quel che cercava.
-Bloccanti. - Esordì mettendo sotto il musetto dell’animaletto la foto di un gruppo tecnologicamente armato di quei soldati in grado di utilizzare i ‘Chi’ degli avversari a loro vantaggio.
-Dominatori del Metallo. Probabilmente ex-soldati dell’esercito di Kuvira. - E allo stesso modo gli pose davanti agli occhietti attenti un’altra immagine sbiadita, quasi fosse stata consultata lungamente.
-Artisti marziali con tatuata la simbologia del loto rosso, esperti d’alchimia e custodi di antichi segreti. - E un’altra fotografia dai contorni rovinati si posò accanto alle precedenti.
-Nordisti dell’acqua, probabilmente scontenti della perdita dei territori nel sud… accidenti! - Sbraitò involontariamente, sbattendo quell’immagine davanti al furetto che sobbalzò e quasi cadde dalla scrivania se Iroh non fosse stato abbastanza rapido dall’evitarlo.
–Scusami Pabu. A volte anche io perdo le staffe, ma accidenti… - Disse ancora. –Tra questi ci sono occultisti in grado di evocare le creature maligne del regno spirituale. Ti giuro piccoletto… - Disse accarezzandolo. –Sembra che tutti i mostri del passato si siano coalizzati per affollare i miei incubi. E la cosa peggiore è il non capire cosa abbiano in comune. Perché gli Equalisti dovrebbero trovare accordi con i dominatori? E perché i custodi corrotti delle antiche arti dovrebbero accumunarsi ai rozzi spiritualisti del nord? Non ha senso… nulla di tutto ciò ha senso e la cosa che mi preoccupa più di ogni altra è quanto possa essere pericolosa la persona che è riuscita a metterli insieme, o le persone, chiaramente. - Con una mano scorse sulla pelliccia rossa. –Chi può aver trovato il modo di far cooperare gruppi tanto dissimili? Soldati talmente nazionalisti come i dominatori del metallo e i dominatori dell’acqua del nord? Chi? Chi è stato in grado di trovare questo legame misterioso? E se fosse proprio questa persona, o gruppo di persone, il collante che li tiene insieme? Ahhh… se fosse così Pabu, nella realtà dei fatti, potrebbe essere un bene per noi, perché rendendo impotente quel collante le loro forze si sgretolerebbero, ma al contempo… quanta forza, abilità e carisma ci vogliono per tenere insieme un gruppo talmente disomogeneo e pericoloso? Chi è il mostro talmente potente da riuscire a riunire sotto di se i nemici del passato e volti nuovi di cui ancora non conosciamo il vero potenziale? –
Il piccolo ascoltatore gli posò una zampetta sulla mano, per poi rotolarsi su quelle foto per lui prive d’importanza, richiedendo una bella grattata al pancino. Richiesta che Iroh non tardò ad accontentare, mentre il furetto rimescolava le carte in tavola, immischiandosi in cose troppo lontane da lui.
–Già, hai ragione. - Disse ancora gentilmente il futuro Signore del Fuoco all’animaletto, quasi questo gli avesse dato una qualche idea. -C’è bisogno di qualcuno da infiltrare all’interno, ma chi? Di quelli mandati fino ad ora pochi sono sopravvissuti riuscendo a far ritorno e solo due bloccanti del gruppo Roku sono ancora ben infiltrati, ma a noi servirebbe qualcuno che possa arrivare alla vetta, loro sono fermi. Non riescono ad accedere ai livelli superiori, a chi manovra i fili. -
“Il Treno di metallo, poi... l’unica informazione davvero buona da mesi.” Un sospiro a quel pensiero non condiviso neanche con quel giocherellone davanti a lui che mandava in terra parte del suo lavoro, infilzando senza ferire la mano del generale con i suoi canini aguzzi, sollevandogli di nuovo il morale.
-Sei un combattente, proprio come il tuo padrone, vedo! - Divertito da quel piccolo antagonista improvvisato che giocava a fare il cattivo.
Improvvisamente, quasi fosse un lampo, gli sfrecciò nella mentene la più assurda delle idee. Si gelò sul posto, mentre l’idea di usare vecchi nemici come alleati cominciava a battergli insistentemente contro le tempie.
“Fattibile?” Si domandò, lasciando che il furetto avesse la meglio in quello scontro senza reali vincitori.
-Forse… Forse si potrebbe tentare, ma chi abbiamo catturato che possa risultare talmente affidabile per il nemico da fargli risalire la vetta? Dovrebbe essere qualcuno per cui, se gli negassero diritti, la vecchia fazione di appartenenza ne verrebbe destabilizzata o insorgerebbe, ma… seppure qualcuno ci fosse con queste caratteristiche, perché dovrebbe aiutarci? -
Il piccolino scese sulle sue gambe a elemosinare ancora una coccola prima di grattargli sulla tasca dove era custodito quel che più gli premeva d’ottenere in quel momento.
-Giusto Pabu! - Esordì, accontentando l’ingordo esserino. –Tutti hanno delle necessità, dei desideri, basta scoprire in cosa consistono. -
Quel piccoletto si era davvero meritato quel seme che ora stava rosicchiando e anche la grattatina sulla testolina, gradita al punto da concedere al giovane Generale una profonda strizzata degli occhietti tondi.
-Ma chi possiamo raggiungere di tanto valido in passato da non trovare intralci nella sua vecchia fazione di appartenenza? Prima pensiamo a questo Pabu, poi penseremo come convincerlo a fare quel che vogliamo, che ne dici? - Ancora una grattata, mentre il piccoletto sulle sue gambe continuava a fissarlo soddisfatto.
- Il luogotenente di Amon. – Cominciò a elencare il Generale delle Nazioni Unite. -O… Quello stesso Zaheer che ha fondato il Loto Rosso. Forse Kuvira. Già… anche parlare con Kuvira potrebbe servire, ma… no. Tutti videro la donna consegnarsi all’Avatar. Dichiarando la sua colpevolezza è diventata inutile per questo nostro strampalato piano, piccolo amico. Uhmmm… - Strinse le labbra pensieroso. –Forse dovrei smettere di pensarci troppo e approfittare di questi momenti di pace per riposarmi, giusto? -
Il furetto rispose acciambellandosi a dovere sulle sue gambe, ormai con la pancia piena.
Ancora Iroh sorrise. –Già, dovrei davvero riposarmi e portare questa mia idea all’attenzione dell’Avatar e dei suoi luogotenenti. Questa sarebbe la cosa giusta da fare, ma… sono fatto così, piccoletto. Non mi piace portare ai miei superiori solo l’abbozzo di un piano, preferisco di gran lunga presentargli risultati belli e fatti, ma… è anche vero che tra coloro che sono stati designati come responsabili in questa missione, a dire dell’Avatar Korra, nessuno è superiore agli altri e che il risultato migliore è quello che si ottiene collaborando. -
Decise di alzarsi, avendo ormai chiaro nella mente come fosse meglio agire e la certezza di essere troppo stanco per continuare a ragionarci sopra sperando di ottenere qualcosa di valido. Ma lo sguardo gli cadde sulle scartoffie che il piccolo mostriciattolo rosso aveva fatto cadere in terra e venne immediatamente catturato dalla lettera con impresso il sigillo reale.
Un nuovo sospiro gli scivolò tra le labbra mentre, facendo attenzione il furetto di fuoco, si piegava a raccogliere quanto riverso sul pavimento. Posò il tutto tra il caos creato sulla scrivania e ancora lo sguardo Tornò a quella lettera: suo nonno si era stancato di aspettare. se non avesse scelto una sposa nell’arco dell’anno corrente gliel’avrebbe trovata lui, e… l’anno stava per finire. Doveva dare continuità alla stirpe reale, così gli spiegava sua madre in quella missiva. Non era più un ragazzino e doveva rispettare i suoi doveri come futuro Signore del Fuoco, se non l’avesse fatto sarebbe valso come mancare di rispetto a tutto il suo popolo e, non per ultima, alla sua famiglia.
-Ahhh! - Sospirò pesantemente all’aria, mentre si lasciava cadere sul letto con il furetto tra le braccia.
Le donne non gli erano mancate in quegli anni, tutt’altro, ma scioccamente era convinto che dovesse sposare qualcuna che amasse e l’unica che gli era interessata tanto da fargli pensare che potesse essere il momento di mettere la testa a posto l’aveva allontanato.
Ancora sospirò, rammentando quanto si era legato alla giovane Avatar ottenendo da lei poco più che una manciata di scuse per averlo, a suo dire, usato per allontanare per poco la solitudine. Poteva capirlo, ma lui… Beh, lui c’era caduto con tutte le scarpe.
Come poteva essere diversamente?
Era bella, forte, altruista, gentile e… era l’Avatar. C’era davvero altro da dire oltre questo, per spiegare come aveva fatto a perderci la testa?
–Spiriti, permettetemi di non pensare a niente! - Disse ancora osservando esasperato quel soffitto, mentre l’esserino che aveva tirato giù con se decideva di sfuggirgli per muoversi verso la porta.
L’osservò grattare l’uscio. Ancora sorrise, alzandosi.
-Pabu, mi ero appena sdraiato! - Protestò, perfettamente conscio che certo a quel pelosetto la cosa non interessava affatto.
Aprì la porta, in tempo per trovarsi faccia a faccia con Bolin.
Rimasero un secondo in silenzio osservandosi, entrambi stupiti dell’essersi trovati a fronteggiarsi senza preavviso su quell’uscio.
-Ecco perché voleva tanto uscire. - Disse per primo Iroh sorridendo al ragazzo, con tono gentile.
Il dominatore della terra gli sorrise di rimando. –Ti ha dato fastidio? Korra mi ha detto che non ti ha mollato per un secondo questo pomeriggio. -
Iroh scosse il capo. –Tranquillo, mi piace la sua compagnia, ma immagino tu sia venuto qui per riprendertelo. -
Bolin annuì in risposta, accarezzando Pabu che, nel mentre, gli si era arrampicato sulle spalle.
Ancora il silenzio cadde tra i due.
“È imbarazzante.” Pensò Iroh, decidendo di chiudere il prima possibile quella situazione surreale, con l’uomo che sapeva conoscere il suo trascorso con Korra.
–Quindi Bolin, se non c’è altro, io… - Disse indicando alle sue spalle, per lasciar intendere che avesse altro da fare.
-Ah! Sì, certo, scusami. Ti lascio a… beh, a qualunque cosa tu stessi facendo. - Rispose imbarazzandosi il ragazzo dagli occhi verdi. –Ci vediamo, allora. -
Iroh annuì. –Certamente, a dopo Bolin. – Concluse, mentre l’altro dopo essersi affrettato a fare un cenno della mano in saluto, si allontanava.
Iroh si chiuse la porta alle spalle sospirando. Gli piaceva Bolin, sapeva quanto fosse valido come elemento, ma non credeva fosse un caso che Korra fosse ritornata portandoselo dietro.
L’Avatar gli aveva detto, tirandolo in disparte al suo ritorno: ‘Tranquillo, lui lo sa!’.
Ricordava di essersi sentito gelare dentro e per un dominatore del fuoco era un tutto dire!
Perché mai Bolin avrebbe dovuto saperlo se non fosse stato proprio lui la persona che occupava il posto nel cuore della ragazza che gli sarebbe piaciuto poter essere il suo?
Tornò verso il letto scuotendo la testa, ma ritrovando il sorriso. Non era tipo da rovinare la vita degli altri per un capriccio, era ormai passata per lui l’età della rivalsa su tutto e tutti, tipica dei giovani sangue di fuoco. Certo però Korra poteva evitarsi di metterli in quella brutta situazione, imbarazzati fin nelle ossa ogni singola volta che si incrociavano.
 

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Capitolo 12
*** Cap. XII: Come era andata? La Giornata di Pabu e Naga – Sesta parte ***


Cap. XII: Come era andata?
La Giornata di Pabu e Naga - Sesta Parte
 

Bolin, come al solito, aveva cenato di corsa in modo da trovare l’apparecchio libero.
Vi si catapultò ad una velocità impressionante eppure quel Kwei della sala macchine era già lì a parlare con la moglie.
Sbuffò dopo avergli lanciato la solita occhiataccia e si sedette sulla panca di metallo.
Pabu faceva capolino dalla sua casacca. Il suo cucciolo non aveva mangiato molto a tavola, forse già rimpinzato a dovere dal Generale Iroh, pensò il dominatore della terra.
Sorrise a quel pensiero, attendendo che l’uomo che l’aveva preceduto finisse la sua chiamata.
“Iroh non è male.” Pensò. “Peccato per la storia che mi hanno raccontato Korra e Mako. A me è sempre sembrato una brava persona, eppure il mio fratellone si è raccomandato di stare appiccicato al suo amore perché non si fida del ‘principino’, così lo ha definito.”
Un sospiro, mentre immerso nei suoi pensieri gli arrivò una leccata da manuale in piena faccia: Naga lo aveva intercettato prima che lui se ne rendesse conto.
-Naga! - Protestò ridendo, accarezzando la cagnolona che per facilitare la manovra gli si accovacciò accanto. Pabu ne approfitto immediatamente per arrampicarsi sul pelo morbido dell’amica.
-E tu bellezza? Da dove arrivi? - Domandò a quella testona che gli pesava sulle gambe.
In tutta risposta il canepolare uggiolò strusciandosi contro la sua mano.
-Tutto tuo! – Arrivò a quel punto la voce di Kwei, mentre agganciava la cornetta, sorridendogli.
Bolin fece lo stesso, alzandosi, dopo aver dato una pacca amorevole sulla groppa di Naga.
-Buone nuove da casa? - Domandò cortese all’uomo.
-Le solite. Credo che mia figlia abbia un fidanzato. - Rispose.
-Non è un po’ giovane? Quanti anni ha? Dodici, tredici? – Chiese prendendo la cornetta e cominciando a manipolare quella diavoleria elettronica.
-Quindici. Ma resta sempre la mia bambina. -
-Quindici? Ahhh, io sono proprio negato in queste cose! - Scuotendo il capo, mentre dalla cornetta proveniva il primo ‘Tuuu’.
-Tranquillo, nessun problema, e buona chiacchierata! - Terminò questi salutandolo.
 

 
Naga osservava Bolin sdraiata davanti a quella seduta di metallo fredda. Le piaceva quella panca, ma era troppo piccola per lei, allora preferiva accucciolarsi sul pavimento.
Korra era di nuovo nella stanza nella quale lei non poteva entrare. Quella dove se giocava con qualcosa tutti le gridavano contro e questo non le piaceva, quindi perché incaponirsi quando poteva osservare il daffare del resto dei suoi amici a due zampe?
Pabu poi le faceva sempre compagnia, questo era bello, e purtroppo anche lui spesso veniva cacciato da quella stanza antipatica.
Come la chiamavano gli umani?
Sala tattica o stanza tattica?
Beh, ‘tattica’ c’era, di questo ne nera sicura.
-Ghnaaaa!!!- Sbadigliò, infondo non le importava, le dispiaceva solamente star lontana da tutte quelle creature che le piacevano tanto.
Tornò a guardare Bolin, mentre il furetto di fuoco le affondava ritmicamente le zampine nel pelo dietro le orecchie. Quella cosa le piaceva, era come se le facesse dei massaggini… Pabu gli piaceva, fortuna che Korra gli aveva impedito di mangiarselo la prima volta che lo aveva visto.
Quanto tempo era passato?
Non lo ricordava, ma doveva ammettere a se stessa che a tratti ancora si domandava che sapore potesse avere, anche se infondo era un pasto miserevole vista la sua mole, molto preferibile averlo accanto come compagno di giochi.
-Ti sento stanca? - Diceva il ragazzo alla cosa di metallo che aveva vicino alla bocca con la stessa voce che Korra le riservava quando sorrideva serena.
Si allungò meglio, coccolata da quel tono tanto dolce quanto famigliare, seppure non capiva molto di quel rumoreggiare eccessivo che facevano gli umani.
Avevano un verso differente per ogni cosa e così dimenticavano le cose veramente importanti: fame, sete, gioco, rabbia, felicità e… fatemi le coccole che vi voglio bene!
Chiuse gli occhi, mentre Bolin diceva ancora: -Solo una giornata pesante? Sei sicura, tesoro? Non è che mi stai nascondendo qualcosa? -
Gli piaceva quel tono le carezzava le orecchie.
-Si, qui tutto bene. Abbiamo avuto il tempo di organizzarci per l’arrivo delle truppe dal nord. … No, no. Stai tranquilla, che se ti so in pena mi rattristo anch’io. … Certo che ti amo, come potrei… … Certo che mangio tutti i giorni. Piuttosto come va la gamba? … E Tahno si comporta bene con te e i ragazzi? … Non lo so se è una buona idea quella di lavorare da Hasook, sai? -
Un rapido balzo indietro del ragazzo le fece aprire un occhio e sollevare le orecchie. Bolin aveva scostato la cornetta dal viso dalla quale proveniva un ronzio più forte del solito.
Non se ne curò più del dovuto e mentre questo scemava e il ragazzo si riaccostava all’apparecchio, Naga tornava a far finta di sonnecchiare.
-Ok, ok… non mi faccio ammazzare e non critico le tue scelte, sono questi gli accordi, ma… Sicura di star bene, amore? … Ok. Ti penso sempre. … Si, Anche io. -
Quell’umano aveva abbassato il tono e di molto, anche questo era piacevole, pensò Naga, prima di sentire il ‘Click’ che produceva quell’aggeggio quando riponevano su di esso la parte che gli umani amavano tenere vicino al muso.
Era il segnale che il bipede spelacchiato di turno aveva smesso di rumoreggiare e potevano andare altrove, quindi riaprì i suoi occhioni, alzando il naso, prima di tendere le zampe davanti, stiracchiandosi. Ancora sbadigliò rumorosamente: uno sbadiglio degno di nota è uno che possano sentire tutti!
Quell’umano però era ancora lì fermo a guardare quel coso di metallo. Aveva un’espressione triste, anche se la bocca era piegata come quando era felice. Decise così che quella era una missione adatta a lei. Naga sapeva come evitare che quell’espressione rimanesse troppo sulla faccia dei suoi amici umani. Gli si strusciò contro con il muso, tanto da sentirlo protestare ridendo.
-Dai Naga, mi schiacci così! Smettila! –
Bolin ancora rideva e lei avrebbe smesso, certo, quando sarebbe stata sicura che quello sguardo brutto fosse andato del tutto via.
-Che combinate voi due? – Arrivò la voce allegra della sua Korra.
Si voltò di scatto felice di saperla lì. Il piccoletto che aveva sulla groppa decise di scendere rapidamente e arrampicarsi sulla sua umana preferita.
-Cioè, voi tre. Scusa Pabu, non ti avevo visto! – Le piaceva quando Korra sorrideva a quella maniera, però per lei era difficoltoso girarsi in quei corridoi, ma fortunatamente fu la sua umana ad avvicinarsi per coccolarla come meritava, dopo che aveva cancellato la tristezza dal volto di Bolin. Si sentì immediatamente soddisfatta di quelle attenzioni.
-Tutto bene a casa, Bo? - Domandò Korra.
-Hikari dice di sì, ma lo sai che lei direbbe qualunque cosa per non farci preoccupare! - Commentò l’altro.
Korra sorrise sempre carezzando la cagnolona.
-Allora perché Naga ti stava pastrugliando? - Chiese divertita.
-Che ne so io, chi li capisce i canipolari. - Commentò con un’alzata di spalle.
-Ti ho visto Bo, ti manca non è vero? - Arrivò dolcissima la voce della sua umana.
-Perché, a te non mancano? - Concluse il ragazzo con tono malinconico, prima di fare un cenno con il capo, segno che era ora di muoversi e andare altrove per permettere agli altri bipedi di utilizzare quella panchina e quel coso di metallo ronzante.
 

Che stanchezza che aveva, constatò Pabu, sbadigliando dopo la passeggiatina serale. Era stato bene con Bolin e Korra, ma adesso tutti quelli che conosceva avevano deciso di riposare ed erano rientrati.
Non si stava male lì, era calduccio e la cosa gli piaceva e molto. Peccato per quando quei rumori lontani, ma tanto forti da sentirsi fin lì, facevano scappare via tutti i pennuti della zona, mentre invece gli umani di quel posto accorrevano come spinti da chissà quale frenesia. Poi quell’odore di bruciato e di sangue quando tornavano… No, quando c’erano i rumori lontani a lui non piaceva proprio quel posto. Oltretutto Korra e Bolin non portavano con loro né lui e né Naga che erano costretti a rimanere lì ad aspettare. No, a Lui non piaceva aspettare e neanche a Naga, diventavano di cattivo umore.
Sbadigliò acciambellandosi sulla testa della sua amica tutta bianca. Era annoiato più che assonnato: aveva mangiato parecchio in quella giornata e dormito altrettanto, ma si sa, di notte se dai fastidio finisci sbattuto fuori dalle porte e questo era meno bello di annoiarsi.
Naga sembrava sonnecchiare tranquilla, controllò sporgendosi sul suo musone per percepirne al meglio il respiro.
I suoi occhietti erano capaci di vedere nell’oscurità e un rumore di lenzuola gli fece acuire lo sguardo verso il giaciglio di Korra. La vide stesa sul letto, le braccia dietro la nuca, lo sguardo al nulla.
Ohhh si, gli occhi dell’umana erano aperti, segno che poteva andare ad allontanare insieme a lei un po’ di quella noia.
Salì sul letto rapido e leggero.
Korra lo accolse sul suo ventre con un sorriso e cominciò ad accarezzarlo senza dire una parola.
Non importava in camera di chi lui si trovasse per riposare, quando non c’erano i rumori lontani era sempre così: l’umano di turno guardava il nulla, quasi questo fosse la cosa più importante del mondo e fosse fatto di nocciole e biscotti saporiti. Quando invece i rumori c’erano o dormivano lontano, altrove… lui non poteva saperlo, non lo portavano… oppure crollavano addormentati senza neanche fare le pulizie serali o sistemare il loro posto per riposare. No, neanche un giro su se stessi, nemmeno uno, per rendere il tutto più morbido, nulla!  
Quella carezza però era rilassante, morbida, gentile… gli piaceva Korra e tanto, quasi quanto Bolin. Sapeva come coccolarlo per allontanare la noia.
Alzò il musetto per guardarla e ne approfitto per allungarsi a darle una leccatina di conforto. Lui sapeva perché non dormiva: doveva stare attenta che non arrivassero i rumori lontani.
‘Dormi’ gli suggerì con una strusciatina del musetto sotto il suo. ‘Dormi Korra, ci sono io di guardia questa notte’, spiegò sfuggendole e acciambellandosi accanto al suo viso sul cuscino guardando attento prima lei e poi la porta. ‘Ti proteggo io, nessun rumore ti farà male’, concluse socchiudendo gli occhietti amorevolmente, come aveva imparato a fare per comunicare a quei grossi bipedi senza pelo quanto bene gli volesse.
 

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Capitolo 13
*** Cap. XIII: La Tribù del Freddo - Prima parte ***


Cap. XIII: La Tribù del Freddo
Prima parte



Kariq riposava e Ainik lo guardava dormire. Era mattina presto e non aveva né la voglia né il coraggio di svegliarlo dopo la notte appena passata. Sapeva che sarebbe dovuto partire quel giorno e come ogni volta che in quei mesi era successo il cuore le faceva male: ogni volta temeva che non l’avrebbe più rivisto, ma quel ragazzo dell’acqua tornava sempre come aveva promesso e piano, le sembrava, quel dolore si faceva sempre più leggero e la paura che l’uomo che amava non tornasse da lei non si basava più sull’insicurezza del loro legame, ma sulla possibilità che il suo soldatino potesse perdere la vita al seguito del Custode dell’Equilibrio. Da quando lo aveva conosciuto il freddo sembrava essersi affievolito in lei e, quando le era vicino, sembrava sparire del tutto.
Ma com’era andata?
La sciamana aveva detto che il piccolo che portava in grembo era un dominatore del fuoco, proprio come la metà del sangue di quel ragazzo silenzioso.
Era una continuità?
Si lo era. E come tale era un maschietto caparbio e forte, desideroso di vedere la luce. Avrebbe dovuto aspettare ancora qualche mese, ma stava andando tutto bene e quel ragazzo, a cui si era goffamente affidata nel primo giorno che le era stato portato, era forse più entusiasta di lei per l’arrivo di quel piccino.
Sembrava impossibile, ma era così: i serpenti di fiume che erano destinati a sparire con l’avvento del nuovo freddo, stavano invece crescendo proprio sull’appropinquarsi del nuovo inverno. E lei… lei ne era rigogliosa!
Lo vide schiudere gli occhi. Adorava i suoi occhi, non ne aveva mai visti di simili e, benché cosciente che la sua vita fosse sempre stata isolata dal resto del mondo, qualcosa le diceva che erano unici e solo per lei.
-Sei bellissima! - le giunse la voce assonnata del suo uomo insieme a una leggera carezza.
Respirò a pieni polmoni quasi il suo sguardo e la sua voce fossero per lei essenziali come l’aria per vivere.
Lo faceva sempre: diceva cose apparentemente prive di senso, in momenti tanto contrastanti con quelle parole, che non potevano non toccarle il cuore.
Si piegò a baciarlo.
-Si dice buongiorno, tesoro. - Gli disse.
Lui sorridendole allora… -Buongiorno tesoro, lo sai che sei bellissima? - Una breve pausa, mentre lo sguardo si faceva più attento. –Va bene così? - Il tono era morbido e dolce.
-Sì, sì. Direi che può andare. – Gli rispose, prima di posargli un nuovo bacio sulle labbra.
Addormentato era un incanto, ma sveglio… beh, sveglio diventava improvvisamente talmente reale in quel letto, come mai lo avrebbe anche solo sperato qualche mese prima, da farla sentire più viva che mai.
Kariq se la tirò su di sé abbracciandola teneramente, accarezzandola quasi fosse delicata come un cristallo, mentre ricambiava quel nuovo bacio.
Poi, come ogni volta che sapeva di dover partire, scostandosi da lei, si perdeva a osservarla, quasi a studiarne il viso… ogni singolo lineamento. Le aveva detto che era molto, molto, importante per lui; che aveva bisogno di imprimersi la sua dolcezza nella mente, perché così, qualunque cosa orribile avrebbe visto, i suoi occhi gentili l’avrebbero resa insignificante.
Ainik si domandava se fosse vero, ma lo trovava talmente romantico che lo lasciava fare e, a dirla tutta, l’idea di sentirsi tanto necessaria al suo uomo le carezzava l’anima.
Si era perso tante cose belle, le aveva detto, che non voleva perderne altre, neanche per un secondo. E lei, ovviamente, a ogni sua parola si scioglieva neanche fosse ghiaccio vicino al fuoco.
-Siete svegli voi due? – Le arrivò la voce di Tani, mentre entrava nella loro stanza, come suo solito, senza bussare.
Vide il suo amore allargare un sorriso divertito, prima di voltarsi verso la porta.
–Ehi, mai che vi trovo vestiti, ma insomma? – Protestava ancora la sua amica.
-E tu mai che avvisi prima di entrare. - Le rispose divertito Kariq, coprendosi a malapena, più per far cosa gradita alla sua sorella di nido che per reale pudore.
Tani sbuffò, sedendosi pesantemente sul letto accanto a loro. –La colazione è pronta, ma… sicuro che devi partire? Insomma ci sono quelle cose che, avevi detto, mi avresti dato una mano a riparare. -
-Sicuro. Ma le ripareremo insieme quando sarò di ritorno. - Le disse lui, posandole una mano, con fare gentile, tra i capelli e accennando ad alzarsi.
-Ogni volta ho paura che non torni. - Continuò Tani rattristandosi.
-E, ogni volta, ti prometto che tornerò e non ho mai mancato alla parola data, o sbaglio? - Ribatté lui, portandosi seduto, tenendo la fanciulla d’oro sulle gambe quasi fosse una bambina.
Ainik adorava quando lo faceva, era una sciocchezza, ma… la faceva sentire così sua, soprattutto davanti alle sue sorelle.
Sì, doveva ammettere a se stessa che il fatto d’essere anche loro piene di lui, irrazionalmente la ingelosiva, non una gelosia cattiva, no… ma… lei sapeva di essere tra loro l’unica veramente importante per il suo cuore e che, dopo quella lontana notte, aveva avuto sempre e solo lei… come era cosciente di essere stata lei a spingerlo tra le braccia delle sue tre sorelle nella speranza di avere tutte un futuro, ma lo amava troppo per essere razionale. E forse proprio per questo le piaceva talmente quando rimarcava il suo possesso su di lei, tanto da sentirsene orgogliosa e vincente. Vincente, senza aver partecipato a nessuna gara, a nessuna competizione, ma così si sentiva: vincente. Inebriata dalla sensazione di essere prima tra tutte. La prima nel suo cuore.
Kariq la strinse tra le braccia, mentre lei posava silenziosa contro il suo petto. Adorava il contrasto della loro pelle, così diversa, ma proprio per questo così invitante.
-Vero. - Rispose Tani, ritrovando il sorriso e alzandosi per spostarsi con una corsetta verso il corridoio.
Oltre lei, Tani era l’unica a star realmente bene. Questo pensiero la incupì al punto di sentirsi di dover cercare conforto stringendosi maggiormente al compagno.
Lui l’accarezzò, probabilmente ignaro dei suoi pensieri, ma sempre pieno di premure verso lei.
Le sue sorelle erano già piene quando incontrarono Kariq, ricordò la ragazza. La sciamana diede loro un modo per poter concepire comunque, malgrado la situazione già avviata, e la cosa andiede a compimento proprio come speravano, ma… a dire dell’anziana lince, il piccolo che Tani portava in se era sparito a vantaggio della nuova creatura che aveva preso a vivere. Una femminuccia sana e una tenace continuità, proprio come quel fratellino che costudiva in sé, Ainik.
Per Tanaka e Kota invece non era stato così semplice: da poco più di un mese erano cominciati i dolori. La sciamana aveva detto che purtroppo era prevedibile, piccole e deboli com’erano, ma che non avrebbe permesso accadesse loro nulla. Lo stesso non poteva però promettere per i loro piccoli. Tanaka poi… ricordava quel giorno che la trovò inginocchiata in terra che fissava con incredula disperazione le sue mani e le sue vesti insanguinate. Kariq era con lei e fu rapido nel portarla a letto e usare il suo dominio per aiutarla, mentre Tani correva a chiamare la vecchia Hula. Fu una fortuna, disse la saggia lince, che l’uomo si trovasse da loro. Tanaka aveva perso uno dei due piccoli che aspettava, confermarono le levatrici e curatrici del nord chiamate appositamente dalla loro anziana. Le dissero che anche l’altro piccino era a rischio ed era un miracolo che fosse ancora in vita: la sua sacca amniotica era danneggiata e se voleva avere qualche speranza che quel bimbo vedesse la luce, doveva rimanere più immobile possibile. Lei era fuori pericolo per il momento, ma non potevano dire con certezza che non si sarebbe verificato nuovamente, anzi, era più probabile il contrario. La sciamana e le curatrici consigliarono di terminare quella gravidanza sofferente, tanto per Tanaka, quanto per quel piccino, ma il serpente d’argento non volle sentire ragioni. Chiese in lacrime di aiutarla, dicendo che, se avessero badato a lei, anche i serpenti di terra avrebbero avuto la loro continuità. Poco valsero le parole di Hula nello spiegare alla ragazza che finalmente era tutto diverso, che avrebbe trovato un'altra acqua forte in grado di dare giusta completezza al suo spirito…parole al vento, Tanaka la guardava con una freddezza che non era propria alla sua natura, e Ainik per prima le disse che ci sarebbe stata, a costo di cambiarle gli abiti come a una bambola e accudirla come una bambina. Così ci si comporta tra sorelle, disse la più grande di quel nido… sorelle che si sono scelte come tali e come tali dividono lo stesso destino da sempre. Ci vollero giorni prima che la ragazza d’argento tornasse a sorridere.
Ma… anche la giovane Kota aveva dolori. Quanto successo a Tanaka diede la possibilità di intervenire per tempo, prima che tutto degenerasse, ma anche per lei, se voleva portare avanti la vita di quei due piccini, valeva la regola di stare quanto più calma e immobile poteva. Per la prima volta da quando la conosceva, Kota divenne tanto ubbidiente nel seguire quanto detto, seppure contro la sua vivace natura, che dimostrò immediatamente quanto davvero tenesse a quelle creature.
Erano stanche, tutte loro, di vedere, ogni frutto del loro ventre, perire prima o dopo. Ma quei due piccoli… il più debole, disse la prima tra le levatrici che la regina aveva mandato al loro villaggio, stava pesando anche sulla salute dell’altro. Inutile dire che neanche per Kota valsero ragioni, seppur logiche, per terminare volontariamente anche una sola delle vite che portava in corpo. Come poteva scegliere chi salvare e chi no?
Folle?
Forse, ma anche lei avrebbe fatto lo stesso. Rifletteva convinta Ainik.
Era stato già terribile anche solo pensare di freddare i loro corpi per ricevere la possibilità di continuare a mantenere il loro riflesso… per continuare a vivere, ma… ora che li sentivano muoversi in loro, come potevano?
Kariq, ovviamente, era preoccupato per quei piccoli esserini proprio come lei. Per quelli che erano i suoi figli, al di là del come e del perché. Le aveva rivelato d’essere sempre stato convinto che avrebbe finito la sua vita in solitudine, brindando, magari con qualche vecchio compagno sopravvissuto, alla nascita del figlio di qualcun altro e invece… proprio lui sarebbe diventato papà. Era strano, le aveva detto, non si era mai neanche posto questa eventualità in passato. La cosa lo confondeva e lo eccitava al tempo stesso, ma ne era certo: era felice. Era davvero felice!
Kariq si sollevò, tenendola tra le braccia. –Andrà tutto bene. - Disse, quasi a leggerle nel pensiero.
Ainik ritrovò il sorriso, mentre questi cominciava a muoversi verso l’uscio.
-Ehi, non vorrai andare a mangiare così? - Lo riproverò.
Le sorrise divertito: -No, ma voglio anche tenerti in braccio. -
Ainik mise su un finto broncio. –Vestiti! Non esiste che ti vedano così… non che non ti abbiano già abbondantemente visto, data la tua assoluta mancanza di pudore, ma… -
Il suo rimbrotto venne troncato da quel bacio inaspettato, dolce… sempre così deliziosamente dolce…
-Qualunque cosa tu voglia. - Le disse, liberandola dalle sue labbra, quasi fosse un sussurro. –Promettimi solo di non scappare da me, mai. -
-Mai. – Rispose teneramente, baciandolo a sua volta. Conferendo a quell’effusione talmente tanta passione affinché potesse diventare per il ragazzo quel faro che voleva e che gli rammentasse  sempre cosa lo attendeva di ritorno a casa. Per cosa valeva la pena tornare, per cosa valeva la pena non morire, non lasciarsi andare… Mai.

 

Kariq si stava portando al punto di raccolta. Era pensieroso mentre si muoveva per il villaggio dell’Ovest. Erano successe molte cose e, grazie agli spiriti, non tutte negative, anzi…
Com’era andata? Come mai lui si trovava in quel villaggio?
Semplice, lo aveva promesso ed essendo un uomo di parola aveva fatto il possibile per mantenere quanto detto.
“Era un venerdì sera…” Si scoprì a pensare. “Eravamo nuovamente stanziati a Ba Sing Se, come era da sempre. Era quello il luogo che l’avatar aveva scelto per i suoi gruppi speciali. Proprio dove serviva maggiormente: nel Regno della Terra. Mi stavo preparando lo zaino con le quattro cianfrusaglie che ho la pessima abitudine di portarmi sempre dietro e quella bambola dalle vesti tipiche della Tribù dell’Acqua del Nord. Fissai quel giocattolo sorridendo, domandandomi che faccia avrebbe fatto la mia nipotina nel vederla. Era una settimana che eravamo tornati a quelli che erano i nostri alloggi in quella città: quella camerata che si affacciava direttamente sul campo d’addestramento che i Dai Li non erano certo felici di condividere con noi. Ma anche loro, come il Regno della Terra, erano ancora allo sbando. Da polizia d’élite del regno più imponente del mondo erano diventati i galoppini prima di Long Feng, poi addirittura della principessa Azula, abbandonando ogni fedeltà al Regno. In tempi più recenti riacquistarono faticosamente prestigio tornando a servire la corona, diventando a tutti gli effetti la polizia segreta della monarchia sotto la regina Hou-Ting, ma… la regina morì. Soffocata da Zaheer del Loto Rosso. Nuovamente si trovarono in balia degli eventi. Per lungo tempo non si sentì parlare di loro, ma dopo il Congresso delle Nazioni avvenuto qualche anno prima, furono richiamati a servire il futuro Re Wu. Anche quel frangente però fu di breve durata: l’unificatrice deposte pubblicamente il principe e anche il loro esistere sembrò traballare. Fu solo dopo l’intervento dell’Avatar Korra nella sconfitta di Kuvira e del suo esercito e la decisione del principe Wu di istituire la Repubblica che, per volere dell’Avatar, vennero nuovamente assegnati a quello che era stato deciso per loro da sempre. Tornarono così a essere l’élite della sicurezza della città e per ovvie ragioni: la megalopoli era lo specchio del caos che colpiva il loro regno e serviva il pugno duro per far sentire i cittadini al sicuro malgrado tutto, e loro erano la figura inquietante che serviva. Strano, ma vero. Seppure più volte e in più vite avevano tradito l’Avatar, ora proprio l’Avatar necessitava di loro e… anche loro. Avevano così l’opportunità di redimere il proprio nome. Accettarono ovviamente, che sia stato per non rinunciare ai privilegi accumulati negli anni o per reale desiderio di dare nuovo lustro alle loro opere questo non posso saperlo, ma so che, in un qual mondo, si sentivano osservati da noi... Dagli uomini dell’Avatar di cui sapevano davvero poco, ma con cui dividevano quelli che erano stati i loro alloggi esclusivi e il loro campo di addestramento. E non sbagliavano, non del tutto almeno… noi eravamo lì per assicurare all’Avatar non solo un rapido intervento dove necessitava, ma anche per infondere nei Dai Li il giusto timore che li guidasse nella direzione giusta. Il fatto che alcune zone poi fossero del tutto escluse loro non faceva che dar alito ai loro sospetti. Quei sospetti che l’Avatar sperava di creare per tenerli in riga come detto. Ma… poco mi importava in quel momento. Desideravo solo tornare a Città della Repubblica, da quella ragazzina che mi voleva bene solo perché ero suo zio e a cui non interessava sapere nulla di me oltre questo. Sebbene quella città fosse il luogo dal quale eravamo giunti al Nord, era stato per tutti noi del gruppo Yangchen e del gruppo Roku solo un punto di passaggio, ma… quel fine settimana sarebbe stato finalmente il primo di una meritata vacanza dopo la missione appena terminata.
Riposi quella bambola nello zaino, con le dovute attenzioni che si devono al dono per una bambina, se bene lo zaino fosse troppo piccolo e il regalo troppo grande. Fu in quel momento che arrivò il comandante. Mi chiese di convocare Amaranto e Zoe per una missione speciale. Il mio fine settimana in famiglia doveva ancora attendere qualche ora a quanto sembrava, ma se l’Avatar necessitava di noi, era nostro dovere esserci, sempre e comunque.
Ci trovavamo al cospetto del dominatore della Lava e dell’Avatar Korra, quando il primo ci informò che i sovrani delle Tribù dell’acqua del Nord avevano richiesto la presenza di Opal Beifong come intermediario nei primi mesi di convivenza con il Popolo del Freddo e come voce presso il Custode dell’Equilibrio. Non era però un bene che l’errante dell’Aria si muovesse senza scorta alcuna per quei regni gelidi, così la nostra Avatar aveva deciso che le fossero affiancate due Guardie del corpo d’eccezione. Due dei membri migliori del suo esercito personale: i due dominatori dell’Aria del gruppo Yangchen. Ovviamente i ragazzi accettarono senza remora alcuna, affidandosi ciecamente alle parole del nostro comandante che li descriveva come i più adatti in caso di necessità a fronteggiare quel nuovo dominio così eccentrico e duttile. E… normalmente, anche per me non ci sarebbe stato alcun problema ad accettare quella decisione, se non avessi dato la mia parola alle fanciulle dell’albero di tornare da loro.
Ero in quella stanza solamente perché, come capitano del gruppo di cui i due dominatori richiesti facevano parte, dovevo esserne messo al corrente, eppure… per la prima volta nella mia vita mi sano sentito in disaccordo sulla scelta e in dovere d’obbiettare a quella decisione, ma… come? E… perché?
Era solo un sentimento e per nulla sorretto da valide argomentazioni, quindi la ragione subentrò suggerendomi di rimanere in silenzio, turbato, ma in silenzio.
La cosa sembro però passare inosservata dato che al termine dell’assegnazione, il comandante mi chiese di restare. Mi domandò cosa ci fosse che non andasse, e io chiesi a mia volta di poter parlare in maniera confidenziale e non ufficiale. Sia lui che l’Avatar acconsentirono e rivelai loro di desiderare di poter essere tra gli deputati per quell’incarico. Quando però me ne domandarono il motivo, mi trovai senza parole a sostegno della mia richiesta. Fu il comandante Bolin a rompere quel mio silenzio.
-È per le ragazze dell’albero, Kariq? - Mi chiese.
A quella domanda l’Avatar gli rivolse uno sguardo interrogativo.
Mi limitai ad annuire e la sua espressione si fece perplessa.
-Non capisco! Hula mi aveva assicurato che il loro influsso sarebbe cessato lontano dai loro occhi. - Continuò il comandante.
-Sono io a non capire, Bolin. – Intervenne la ragazza al suo fianco.
Mi sentii terribilmente in imbarazzo alle parole dell’Avatar.
-Da quel che ho avuto modo di apprendere, Korra, il Capitano del gruppo Yangchen si è affezionato molto alle quattro ragazze nel vecchio albero, te ne rammenti? Le fanciulle con i tatti da rettile. - Rincarò lui. –La sciamana mi aveva avvisato che per alcune persone trovarsi a fissare lungamente i loro occhi equivaleva a rimanerne ammaliati, ma la loro influenza perdura solo fin tanto vi si rimane accanto. Quindi non so come spiegarmelo. –
-Tengo realmente a loro, Avatar. Non si tratta di una malia. - Intervenni nel discorso. Entrambi si voltarono verso di me. Continuai: -Sono fanciulle adorabili. Non so come definirle diversamente. Sono fragili, eppure molto coraggiose. Sono gentili… - Ok, devo ammettere con me stesso di aver fatto un pessimo discorso d’inizio e i volti interdetti dei miei interlocutori mi davano chiara misura di quanto stessi blaterando a vanvera ai loro occhi.
Poi l’Avatar mi sorrise.
-Fammi capire Kariq, te ne senti responsabile? - Disse e… sì, aveva colto nel segno.
-Sono stato io a chiedere loro di fidarsi, mia signora, e lo hanno fatto, malgrado fossero creature delicate. Malgrado rischiassero molto hanno aperto la loro casa al freddo, pur di aiutarci nella nostra missione… - Ancora blateravo alla rinfusa, ma almeno avevo una direzione adesso e che sembrava sodisfare la Custode, come mi sembrava d’intuire dalla sua espressione improvvisamente molto compiaciuta alla mia bizzarra spiegazione.
Continuai: -Ho promesso loro che, appena ne avrei avuto possibilità, sarei tornato. -
Entrambi mi guardarono come se stessero valutando la cosa. Poi l’Avatar allargò un sorriso enorme verso il suo luogotenente.
-No, Korra. Non pensarci nemmeno. - Intervenne Bolin prima di lasciare che l’Avatar aprisse bocca. –L’aria è l’elemento che occorre in questa missione. Sebbene Kariq sia un’acqua estremamente potente, non è adatto a quanto ci siamo proposti. -
-Lo so. - Rispose la fanciulla. –Ma… Kariq potrebbe risolvermi un problema non indifferente e nel farlo porterebbe a compimento la parola data. Ma più che una missione ufficiale sarebbe una sorta di favore al suo Avatar. - Disse in fine lei, tornando a guardarmi gentile.
-Un favore, signora? -
Al mio domandare lei annuì silenziosa, per poi chiedere a sua volta, notando probabilmente il mio vestire in abiti civili e quel giocattolo da bambina che faceva capolino dal mio zaino. –Stai tornando dalla tua famiglia? -
Ancora mi trovai ad annuirle.
-Bene, salutami tuo fratello. E dì alla tua nipotina che accetto con piacere l’invito al suo compleanno come mi ha riferito il tuo comandante. - Rimasi un secondo meravigliato. Ma lei continuò: -E... sì! Bolin mi ha consegnato il suo bigliettino, se te lo stai domandando. Ma dalla tua faccia deduco che non riponevi troppe speranze in lui. - Sorrise divertita.
Ero davvero meravigliato. Devo ammettere di aver dubitato che il mio superiore prendesse anche solo in considerazione il desiderio di una bimba, ma avevo comunque consegnato lui quell’invito per l’Avatar. Bolin era parso divertito della cosa e non aveva dissentito alla mia richiesta di poterlo far pervenire alla maestra di tutti gli elementi, ma… era talmente inverosimile.
-Facciamo così Kariq. - Riprese lei. –Tu, recati dalla tua famiglia come avevi programmato e lasciami riflettere bene sulla questione insieme al comandante Bolin. Solo una cosa: divertiti. So quanto tieni alla tua nipotina e alla sua famiglia. Sono a conoscenza che tra te e tuo fratello ci sono dei dissapori, ma… sai che se non ti volesse bene e non ti desiderasse nella sua vita tu oggi non saresti qui con noi, vero? Non credo che avrete mai modo di vedere il mondo attraverso lo stesso sguardo, ma sono fermamente convinta che tu sia in grado di poter mandar giù più di un boccone amaro per il bene che provi per quella creatura che sicuramente non ha colpe… per la tua nipotina. Hai recitato la tua parte quante volte sotto il mio comando? Fatti un favore Kariq, per una volta, fallo ancora, ma per te stesso. So che può sembrare ipocrita, ma… sai meglio di me che tuo fratello non cederà mai nelle sue posizioni e non penso che tutto questo astio alle lunghe non arrivi anche alla più giovane dei tuoi parenti in vita. Se tuo fratello non è abbastanza forte da accettare realtà del mondo come quelle che viviamo noi tutti i giorni, forse, semplicemente tu, devi smettere di sventolargliele davanti alla faccia. Harlock non vuole che il suo mondo conosca altre brutture. Adesso che la sua vita sembra aver preso la giusta rotta non vuole ripiombare nell’oscurità del passato e… onestamente Kariq, per quanto anche io ritenga che sia sbagliato guardare il mondo con i paraocchi, non mi sento di dargli completamente torto. È il suo modo di difendere quanto ha di più caro: la sua famiglia. - Ricordo che terminò così il suo discorso.
L’Avatar diceva il vero e già molte volte mi ero fatto lo stesso discorso, ma quello che mi faceva male era sapere che la creatura orribile dalla quale mio fratello voleva difendere la sua famiglia in realtà fossi io.
Potevo capire quanto detto dalla mia signora. Potevo accettare di cercare un rapporto muovendomi a piccoli passi, ma avevo sempre così poco tempo a mia disposizione e Harlock era ogni volta così irritante… ogni volta al termine di una missione morivo dal desiderio di vedere quel viso così simile al mio, e ogni singola volta che scambiavamo anche solo due parole non vedevo l’ora di scappare via da lì per non cedere alla tentazione di spaccargli la faccia. Forse se avessi avuto più tempo per dosare ogni cosa… forse… ma non avevo tempo… non allora almeno.
Chissà, poi, come si erano conosciuti mio fratello e l’Avatar. Me lo chiedevo ogni volta e, ogni volta, non mi riusciva di domandarlo, né all’Avatar, né tanto meno a mio fratello.
Quella settimana, ricordo, passò tra i sorrisi di mia nipote e di mia cognata, intervallati dagli sguardi torvi di Harlock ogni qual volta accennavo anche solo per errore alla parola ‘dominio’ o al mio lavoro. E come suggerito dall’Avatar per una volta non colsi mai l’occasione per discutere con l’uomo così tanto simile a me d’aspetto, tanto era dissimile dal mio modo di ragionare.
Poi fu il turno di quell’invadente di Eizo, seduto sul letto della mia camera d’albergo. Appena uscito dalla doccia, me lo trovai lì con la sua aria canzonatoria, divertito dal fatto che in quell’albergo uno come lui poteva tranquillamente fare il bello e il cattivo tempo senza che nessuno se ne rendesse minimamente conto. Inutile rammentargli che era un albergo, appunto, e non una qualche struttura segreta in cui introdursi e che la gente comune non si aspetta certo che un arciere Yuyan tenti di entrargli in stanza. Nulla da fare, era divertito lo stesso… e infondo andava bene così, ricordo che pensai mentre ancora svestito mi asciugavo i capelli.
-Quindi ti ha mandato il comandante. - Costatai dopo il primo scambio di battute.
-Ah-ha! - rispose lui sdraiandosi, con il suo solito fare incurate, sul mio letto. Per poi continuare: -Ha detto di non tornare a Ba Sing Se. Che noi Yangchen cambiamo luogo di stazionamento. Così ha deciso l’Avatar. Il Loto Bianco sta allestendo quella che sarà la nostra base. Ha deciso che visti i nuovi sviluppi sia meglio che uno dei gruppi dei suoi uomini migliori sia sempre pronto ad intervenire negli spostamenti tramite il portale e certo non può mobilitare ogni volta la forza di polizia speciale della città. Equivarrebbe a sfornire Città della Repubblica di uno dei suoi strumenti migliori contro il crimine organizzato che imperversa in città. - Una pausa per prendere fiato. Per poi… -Certo che Città della Repubblica è proprio un brutto nome, non credi? -
Sorrisi a malapena. –Capisco. Quindi? -
-Quindi… ha detto che dovete finire di discutere di un favore… cose vostre. – Un alzata di spalle, per poi posare un bigliettino sul comodino, prima di scattare in piedi con un colpo di reni. –Ti lascio qui l’indirizzo, della nuova locazione. Non perderlo capitano, ok? -
Annuii in risposta. -Piuttosto… tua sorella? Strano che te ne vada in giro senza di lei. -
-Era qui, ma sentito lo scrociare dell’acqua nella doccia l’ho mandata via! Che ne sapevo su come saresti uscito da lì? -
-Bagnato. – Sorrisi, mentre lo vidi guardarmi torvo alla mia ironia.
-Ovviamente. - Disse divertito, prima di prendere la… finestra e andare. La finestra… ahhh! Per un arciere Yuyan le porte sono un optional!
Poi cosa avvenne?
Mi recai sul luogo in allestimento alla data e all’ora indicata. Anche gli altri del mio gruppo erano lì. La struttura che avrebbe ospitato noi e le nostre attrezzature era a poche centinaia di metri dal portale del Mondo degli Spiriti. Ufficialmente, ci disse l’Avatar Korra, avremmo risieduto lì per controllare attivamente quel passaggio, nella realtà dei fatti, le serviva che in caso di necessità fossimo pronti a recarci al di là di quella colonna di luce per accedere alle rispettive Tribù dell’Acqua del Nord e del Sud.
Terminata quella breve riunione chiese a me e Omari di restare un minuto. Entrambi, neanche a dirlo, acconsentimmo immediatamente a quella richiesta.
L’avatar si rivolse per primo all’uomo proveniente dalla sua stessa tribù: gli disse che sapeva di avergli chiesto molto in quegli anni e quanto la sua bambina gli mancasse. Era un elemento prezioso per il suo seguito, per tale motivo aveva immediatamente accettato la sua offerta di seguirla in passato, ma… si era spesso arrovellata i pensieri sul come concedergli più tempo con la sua famiglia, come riteneva fosse giusto e finalmente si era presentata l’occasione che cercava. Spostando il gruppo operativo Yangchen a Città della Repubblica, terminate le proprie mansioni sarebbe potuto andare a casa dalla sua bambina. Certo, un’ora di viaggio tra spiriti e ghiaccio non era cosa da poco, ma… era il massimo che poteva offrirgli al momento.
Il massimo… Omari era entusiasta della cosa e vantando una conoscenza con l’Avatar superiore a quella di ognuno di noi, di scatto la sollevò da terra di peso, abbracciandola e facendola ruotare con lui per la contentezza.
Korra non solo non obbiettò, ma dalla sua espressione mi sembrò felice per quel suo vecchio amico di famiglia, quanto lui stesso mostrava senza timore alcuno.
Risero per diversi minuti prima che il ragazzone del sud decidesse di mollare il suo Avatar al resto dei presenti, ovvero io, che non avevo ancora ben chiaro il motivo della mia presenza li se non la conoscenza ufficiale dell’operato dei miei superiori rispetto al gruppo che capitanavo, e il comandante Bolin.
Poi ecco arrivare la sua voce, appena qualche secondo dopo: -Riguardo a noi Kariq… -
Accennò lei, guardandomi fissamente. –Ricordi, capitano? Ti parlai di un favore. -
-Ricordo, mia signora. - Risposi.
-Bene. - Riprese. –Qui non solo gli uomini del fuoco del tuo gruppo sono più vicini alla loro Nazione e di conseguenza alle loro case, e lo stesso Omari grazie al portale, anche tu sei vicino alla tua famiglia. Sono convinta che potrai così approfittare del tuo tempo libero per riequilibrare il rapporto con i tuoi cari. Tuo fratello dovrà farsi una ragione, presto o tardi, del fatto che se lavori per l’Avatar sei un uomo dell’Equilibrio e della Giustizia e finirà di associarti esclusivamente ai tristi ricordi del vostro passato e al dolore che vi è stato consumato attorno. - Una pausa, mentre tornava a guardare un secondo Omari, prima di riprendere: -Non negherò a nessuno dei due che il vero motivo della mia decisione di spostare qui il vostro gruppo siete proprio voi. Molti possono non credermi, ma tengo estremamente a ognuno dei miei uomini. A ognuna delle persone che ha messo la sua vita e il suo destino nelle mie mani senza paura, senza ripensamenti. Ogni volta che scendo in battaglia al vostro fianco, so che darete il massimo, che farete l’impossibile per aiutarmi nella mia missione e io non voglio e non posso essere da meno. Vi devo ogni successo ottenuto insieme, vi devo troppo, per non darvene merito. -
Ero in silenzio e anche l’uomo al mio fianco sebbene il sorriso sul suo viso mi dava a intendere che la sua conoscenza della ragazza gli dava una certezza in quelle parole che, al contrario di quanto stava accadendo a me, non ne veniva stupito, ma emozionato.
Ma… come potevo io non meravigliarmi? L’Avatar, la persona più importante al mondo, aveva per noi così tante premure da non potermi sembrar vero.
-Ma Kariq, sono costretta a chiederti quella cortesia che ti ho finora solo accennato. Da qui avrai la possibilità di far visita alle fanciulle del Popolo del freddo come hai promesso loro, anche tutti i giorni volendo. Come per Omari, anche per te vige la regola che terminate le vostre mansioni giornaliere potrete gestire il tempo libero come volete e avrete, per mia intercessione e per il ruolo che ho disposto per il vostro gruppo qui a Città della Repubblica, libero accesso al portale. Solo… vedi Kariq… - Il suo tono si era fatto apprensivo. –I sovrani del Nord mi hanno imposto solo due guardie del corpo per la giovane Beifong. Ma è inutile dire che non sono tranquilla per la sua incolumità, viste le probabili opposizioni che potrebbe scatenare nel consiglio degli anziani come ambasciatrice. La regina non vuole più di due uomini al seguito di Opal, come ho detto, ma tu saresti lì per tuo conto. Capisci cosa intendo? Potresti farlo per me? Potresti essere il mio terzo sguardo in quel regno, pronto a intervenire se ce ne fosse necessità? Ovviamente non ti chiedo di sacrificare il tuo tempo libero, ma solo di tenere gli occhi aperti, solo questo. Se accetterai sarai chiaramente retribuito come preferisci. Chiedimi pure ciò che desideri e, nel limite delle mie potenzialità, ti do la mia parola che esaudirò quanto mi chiederai. -
La Signora degli Elementi era talmente preoccupata, mentre io ero semplicemente incredulo a quanto sentivo. Come poteva solo pensare che potessi rifiutarmi di assecondare quella richiesta, a conti fatti, insignificante rispetto a tutti i vantaggi che stavo già ottenendo da quella situazione?
-Voi non mi dovete nulla, Avatar Korra. - Le dissi. –Sono io quello che continuerà a esservi debitore in eterno. - Ok, forse colto di sorpresa ho un animo un po’ melodrammatico, ma… lo pensavo realmente e lo penso tuttora.
-Bene, allora non mi rimane che ringraziarti, ma sappi che provvederò comunque a trovare il sistema di sdebitarmi, Kariq. Per il momento, se non c’è altro, penso che possiate andare. - Terminò, tornando a sorriderci.
Bolin era ancora lì, alle sue spalle silenzioso: ci guardava con un mezzo sorriso sulle labbra, ma non fiatava, non diceva nemmeno una parola.
Un cenno del capo e stavamo per andare quando: -Ah, Kariq. Scusami, a che ora c’è la festa della piccola Katya oggi? -
Si era ricordata: l’Avatar si era ricordata della mia nipotina.
Quando ero diventato tanto fortunato da aver incrociato il mio cammino con il suo?
Non potevo crederci. Non posso crederci…”
Kariq bloccò il suo pensare trovandosi al limitare di quel bosco.
-Eccoti capitano. - Gli arrivò la voce di Omari… “Il quarto occhio” Pensò divertito conscio degli eventi che avevano portato nuovamente in quel regno anche l’altro dominatore dell’acqua del gruppo di cui era a capo.
Gli sorrise, scorrendo poi con lo sguardo alla ricerca del plotone del Nord; ed eccolo apparire alla sua vista lì, poco distante, in perfetto assetto da marcia. E al loro fianco il generale di tutti gli eserciti di quella terra e le sue ancelle.
Ghignò divertito, scuotendo il capo e volgendosi nuovamente al compagno di battaglia, con tono spavaldo: -L’avventura sta finalmente per ricominciare, vecchio mio! -
 

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Capitolo 14
*** Cap. XIV: La Tribù del Freddo - Seconda parte ***


Cap. XIV: La Tribù del Freddo
Seconda parte



Omari aveva raggiunto il suo capitano sul limitare del Bosco Sacro. Aveva notato da subito, vedendolo arrivare, quel suo solito fare serioso, ma doveva ammettere che, la permanenza in quel luogo, sembrava avergli fatto bene: era più tranquillo e aveva cominciato a sorridesse più di quanto avesse mai fatto da che lo conosceva.
A pensarci bene era proprio a causa di Kariq che si trovava di nuovo in quel posto: per il suo capitano e per i suoi maledetti sensi di colpa. Era lì dal giorno che gli aveva chiesto consiglio, come curatore ed esperto d’erbe, sulla gravidanza delle fanciulle serpente. Voleva sapere da lui se fosse a conoscenza di qualcosa che potesse anche solo alleviare i dolori a quelle ragazze e sì, qualcosa c’era. Ma Omari non era tipo di fare avventatezze e quindi, prima di consigliare una qualunque soluzione, aveva deciso di controllare di persona lo stato delle giovani. Così era tornato in quel villaggio e insieme ai suoi rimedi erboristici si era portato dietro anche una bella dose delle sue preoccupazioni. A lungo aveva evitato di pensare a come potessero andare le cose in quel villaggio, raccontandosi la favoletta del ‘ero in missione’ e sicuramente per chiunque avrebbe potuto anche funzionare, ma non per lui… era sì un guerriero al servizio dell’Avatar, un guerriero dalle vesti di lupo, un falconiere e un allevatore, ma prima di essere tutto questo era un uomo di medicina, uno sciamano, un curatore dell’acqua. Il problema vero per lui, da sempre, era fare i conti con la sua coscienza e spesso, veramente troppo spesso, era dura metterla a tacere, se mai ci fosse riuscito.
Sospirò scuotendo il capo con un misto di rassegnazione e ironia a quei pensieri che, come una brezza leggera e insistente, gli scompigliavano le idee.
Il suo capitano si mosse deciso verso il Principe del Nord e lui aspetto che lo superasse di un paio di passi prima seguirlo come era giusto quale suo sottoposto.
-Spero non sia stato un problema per voi, Generale Desna, accettare il nostro passaggio. - Disse Kariq a pochi passi dall’uomo che li fissava impettito dal dorso del sul suo destriero.
-Nessun problema, Capitano. - Rispose questi per cortesia, aspettandosi quella richiesta.
Kariq non aveva dismesso quel sorriso spavaldo, apparso non appena dichiarato che saremmo tornati dell’azione e per chi non lo conoscesse, come lo conoscevano lui e il resto dei suoi uomini, poteva risultare terribilmente irritante. Ma era parte del carisma del suo superiore, ed era proprio quel suo essere sprezzante a spingerti senza remore a dare sempre il meglio quando ti trovavi al suo fianco in battaglia, rifletté Omari, quella sua sicurezza… Alla fine Kariq sapeva come risultare pericoloso e quell’atteggiamento non faceva che rincarare la dose di pericolosità che emanava il suo dominio. Ma Omari era uno sciamano: era normale che quell’energia per lui fosse quasi tangibile, a differenza di altri.
-Bella cavalcatura. - Esordì a sua volta, senza volere. Notando la stazza possente del bufaloyak del Generale Supremo di tutti gli Eserciti del Nord.
Il suo cavaliere volse lo sguardo su di lui, ma non fu la sua voce a rispondergli.
–Il migliore delle scuderie reali. –
Quel tono sottile… -Mokuren. – Disse riconoscendola e volgendo verso la donna un cenno di saluto.
Anche quella fanciulla, come il resto del seguito personale del principe, sormontava uno splendido animale.
-Omari. - Pronunciò anch’essa il suo nome, accompagnando quel dire con un live chinar del capo. –Vi vedo bene. Come mai anche voi da queste parti? -
Il ragazzo del sud allungò le mani alle briglie della fanciulla, per avvicinare la grossa testa dell’animale a lui. Lo accarezzò con forza, studiandolo per pochi momenti, prima di rispondere senza alzare lo sguardo verso quel visetto dai tratti gentili. –Sono venuto a controllare i danni che la nostra missione ha causato in questo villaggio. –
Si limitò a poche, essenziali, parole: non aveva voglia di spiegare le sue ragioni, ma neanche di essere scortese. Sorrise alzando sulla ragazza uno sguardo compiaciuto, dicendo: –È una bella femmina. Come si chiama? -
La fanciulla rimase un secondo a osservalo scrutando nel fondo dei suoi occhi, probabilmente troppo blu e scuri, rispetto a quelli a cui era abituata, troppo ‘tipici’ della tribù alla quale lui apparteneva.
-Dalìa. - Rispose poi, sorridendo, senza battere quei suoi occhi da gatta. Tremendamente bella, come ognuna delle ancelle di quel giovane Generale, ma proprio per la sua caratteristica di non battere, se non raramente, le lunghe ciglia corvine e per quelle labbra rosse, come il colore del dominio nel quale si destreggiava, decisamente più inquietante delle altre.
-Dalìa. - Ripeté Omari, accarezzando con fermezza l’animale che ne parve compiaciuto. –Un bel nome per una bella creatura. - Tornando con lo sguardo al destriero del Nord.
“E anche la sua cavallerizza non è da meno.” Si trovò a pensare dopo aver notato che vestiva abiti più raffinati di quelli vistole indosso qualche mese prima, durante la loro missione.
-Non credevo di rivedervi. – Disse ancora lei, mentre Omari decideva di lasciare andare le redini della creatura.
Uno sguardo al suo capitano, prima di rispondere: -Ammetto d’aver pensato lo stesso. -
Non aveva notato prima quanto il suo superiore e il principe si fossero allontanati, ma erano ancora intenti a discutere e Kariq non sembrava necessitare ulteriormente della sua presenza. Preferiva di gran lunga, però, guardar loro anziché la fanciulla, cosciente dello strano effetto che gli facevano le donne. Quella in particolare poi, era una delle guardie del corpo del principe, quindi meglio scansare le brutte figure. Aveva imparato a sue spese che, per evitare di impappinarsi o dire fesserie, un buon metodo era non guardarle in viso, anche se non sempre funzionava, specialmente quando erano così belle.
–Piuttosto, Mokuren, non vi ho mai realmente ringraziato d’avermi guardato le spalle in missione. -
La fanciulla voltò la sua cavalcatura dandogli così il fianco, osservando in tal modo anch’essa nella sua stessa direzione.
-Non ce n’è mai stato bisogno che lo faceste, stavo semplicemente svolgendo il mio dovere. - Rispose lei e Omari, sicuro che, come lui, stesse osservando il Principe, decise di tornare a guardarla.
-Grazie lo stesso. Dovere o meno, era la mia vita che stavate tutelando e… beh, si sa che noi del sud non vi andiamo più molto a genio dopo la storia dell’indipendenza. -
La vide sorride e socchiudere appena quegli occhi truccati di scuro, tanto da sembrare ancora più profondi, se mai fosse stato realmente possibile dargli maggior intensità.
Una breve risata sommessa, elegante ed educata come competeva il suo rango di principessa del nord.
–A dirla tutta, non ci andavate a genio neanche prima. Sapete, la faccenda di Hasook, il ribelle che guidò gli insorti contro le antiche tradizioni nei territori al di là dell’orizzonte? -
-Ah già, sì! Beh, Non ci stavo pensando. - Ok, stava per cominciare a blaterare a vanvera. “Maledetto carattere del cavolo!” Protestò mentalmente. “Grande, grosso e… imbranato. Ma può essere?”
Ancora lei sorrise al suo dire.
“Certo che è bella!” Pensò, sorridendo a sua volta.
Poi Mokuren tornò a guardarlo e come uno sciocco, distolse lo sguardo intimidito.
Cominciava decisamente a detestarsi. Ma anche lei, forse a causa di quel suo atteggiamento, arrossò le guance.
“Ahhh! L’ho fatta anche imbarazzare, chissà che starà pensando adesso. Ok, Omari, sei un soldato al seguito dell’Avatar saprai trovare qualcosa da dire per tirarti fuori da questo impiccio?” Pensò tornando a guardarla.
-Ehm… - Facendo praticamente scena muta, passandosi una mano tra i capelli più imbarazzato di poco prima. “No, non la sai trovare, ‘Zotico dominatore del sud’ che non sei altro!”
-Quindi… ci sarete anche voi al fianco dell’Avatar. - Intervenne la ragazza a trarlo d’impiccio.
“Certo che è ancora più graziosa così imbarazzata. Chissà che diamine le ho portato alla mente con questo mio stupido modo di fare, beh… almeno lei è in grado di sbiascicar parola, non come me.” Sospirò mentalmente, sopraffatto dal suo stato che sin troppo conosceva.
Le annuì in risposta. Beh, quello almeno riusciva ancora a farlo!
-Mi fa piacere. - Continuò divertita, perdendo quel rossore, ma non il sorriso. –Peccato che siete del Sud, scommetto che altrimenti saremmo andati d’accordo! –
“Ironica, bella e ironica…” Il suo grado d’imbarazzo non poteva che aumentare, pensò affranto, mentre lei continuava: -Mi piace il vostro modo di lavorare, spero solamente di vedervelo fare con un po’ più di stoffa indosso, la prossima volta. –
“Quello sguardo malizioso…” Omari era cosciente che quella fanciulla del Nord stava solamente cercando di essere socievole e divertente, e lo apprezzava, ma il suo ‘imbarazzometro’ aveva ormai raggiunto livelli indescrivibili.
-Ah… beh sì! Insomma… nessuno da cui doversi far… insomma. Accidenti è imbarazzante! – Concluse sbattendosi una mano sul volto.
-A me non è sembrato ve la cavaste male, anzi… - Rimarcò lei con tono sottile, ma col ‘piffero’ che lui l’avrebbe guardata stavolta, se voleva almeno salutarla come un essere umano degno di questo nome.
-Beh, in effetti, sono addestrato per questo! - “Un attimo, ma a cosa sto rispondendo? All’utilizzo del domino, certo… il domino, ovvio… che sciocco!”
-Davvero? - Il tono di lei si fece meravigliato, mentre il suo Yak sembrava fremere dal desiderio di unirsi ai suoi simili accanto al Principe del Nord. –Sembrava uno ‘stile’ molto personale. Comunque… eccezionale anche il vostro potere, siete il primo che conosco a saper fare qualcosa di tanto impressionante! -
“Oh spiriti, se non parlava del dominio, stava riferendosi a… Ohhh, santi spiriti!” Pensò, sgranando gli occhi sotto quella mano che gli copriva i lineamenti. “Ora posso ufficialmente andarmi a nascondere. Ho superato me stesso… bravo, Omari, bravo… ahhhh!!! Ha ragione la mia bambina, sono… sono… sono… senza speranze!”
-Mi hai fatto mancare il fiato e non è da tutti, puoi credermi. – Disse con tono gentile, dandogli improvvisamente del Tu. –E… scusami, ti prego! -
-Uhm? – Domandò al massimo della sua dialettica in quelle occasioni, tornando a guardarla.
La vide sorridergli dolcemente. ‘Benedetta figliola’, così non gli era d’aiuto, anzi.
-So che non è carino far imbarazzare un soldato dell’Avatar, ma sei anche un uomo del Sud, e… era una tentazione troppo allettante. Non ho resistito! Sono una principessa orribile, lo ammetto! - Ancora sorrise.
“Accidenti se è simpatica!” Pensò, per poi aggiungere, ritrovando un minimo di tranquillità nel fare socievole della ragazza: -Non preoccuparti, infondo… al tuo posto, non mi sarei fatto sfuggire neanche io quest’opportunità. – Sorridendole a sua volta.
Lei ricambiò quel sorriso. -Ora scusami. - Disse, lasciando muovere di un sol passo la sua cavalcatura. –Il mio posto è al fianco al mio Principe. Ma… spero sinceramente di avere di nuovo l’opportunità di combattere al tuo fianco. Non è da tutti farmi sentire i brividi scorrere lungo la schiena solo facendo sfoggio del proprio potere. È stato… eccitante! Decisamente da ripetere. - Concluse facendogli un occhiolino e avviando quella splendida femmina di bufaloyak verso la sua destinazione.
“Sì, decisamente da ripetere!” Omari si limitò a salutarla con un gesto della mano e un sorriso divertito. “E dire che mi era sembrata una tipetta tutta dovere e niente sorrisi. Ahhh, non ci prendo proprio con le donne, io!” Pensò divertito. “Certo ha davvero un bel musetto… lo Yak, sto parlando dello Yak… ovvio!” Ma che diamine! Tentava di dissimulare anche mentalmente e con sé stesso? Questa storia cominciava davvero ad avere del paradossale.
Scosse il capo in segno di diniego e solo in quel momento notò l’accostarsi un gruppo di guerrieri del Popolo del Freddo agli uomini del Generale Desna.

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Capitolo 15
*** Cap. XV: La Tribù del Freddo - Terza parte ***


Cap. XV: La Tribù del Freddo
Terza parte


 
Tark si trovava accanto a Ujaraq e, per una volta, non si sentiva di fare lo sciocco.
Era nervoso, accidenti se era nervoso! In tutta la sua vita non si era mai allontanato dalla foresta per più di un paio di chilometri e adesso… adesso sarebbe andato lontano e non solo dalla sua casa, ma dalle intere terre ghiacciate del nord.
L’Avatar aveva richiesto i guerrieri più valenti del Popolo del Freddo per servirla e lui era tra questi. Quando glielo avevano proposto gli era parso davvero formidabile, ma dopo… piano che si avvicinava il giorno della partenza, aveva cominciato a provare uno strano sentore, come se lentamente perdesse sicurezza nelle sue azioni, nelle sue decisioni. Non era da lui e forze per questo ci aveva messo un po’ a capirlo.
Ancora lo eccitava l’idea di vedere cosa ci fosse al di là del mondo che aveva conosciuto fino a quel momento, trovarsi di nuovo al fianco dell’Avatar, poi... Wow! Eppure adesso… adesso sentiva quel senso di paralisi nello stomaco come quando da piccolissimo aveva incontrato per la prima volta un canepolare selvaggio.
Già, aveva una paura fottuta!
Le gambe però sembravano ancora rispondergli e questo era un bene.
Aveva accettato, era un onore incommensurabile e… non si sarebbe tirato indietro per nulla al mondo.
“Non sia mai detto che uno dei figlio di Uqualik la lepre, sia un vigliacco!” Si era ripetuto già quante volte?
E… ancora lo pensava, malgrado quell’angoscia si facesse sempre più intensa.
-Sua maestà, i miei uomini sono pronti. Posso fare altro? - Ujaraq stava chiedendo direttive al loro nuovo gran condottiero.
Il generale Desna scosse il capo prima di aggiungere: -Nulla Consigliere. Come potete vedere è tutto pronto. Non fosse che la mia amata sorella, la regina, ha mandato un suo messo chiedendo di attenderla e posticipare così la partenza fino al suo arrivo. Come sapete ho appoggiato la vostra richiesta di allestire le forze in partenza al limitare della foresta sacra, sia per facilitare il distacco dei vostri uomini da questo luogo, sia per la maggior vicinanza al portale, ma avevo sentore, che la mia adorata gemella, avrebbe avuto dei ripensamenti prima della partenza e non mi sbagliavo. - Un sorriso velatamente ironico si dipinse sulle labbra del principe del nord. –Non fraintendetemi, qualunque sua decisione sarà indubbiamente volta al bene del nostro popolo tutto, ma non mi sembra altresì conveniente per nessuno questa statica attesa, quindi, dato che Sua Maestà Eska ha deciso di farci ritardare la partenza, concedete ai vostri uomini libertà fino quando il sole brillerà a picco sulle nostre teste. – Disse ancora questi alzando lo sguardo al cielo mattutino. –Non vedo perché mai, voi che avete le vostre case così vicine, non dobbiate approfittarne. So per certo che i suoi uomini, Ujaraq, non hanno mai lasciato il nord. Posso solo immaginare quanto questo possa turbarli. -
-Vi ringrazio, Mio Signore. - Rispose chinando il capo quel grosso lupo.
Quelle parole… accidenti, avevano fatto diventare tutto reale, constatò Tark.
Un conto era saperlo: era lì ed era ovvio che lo sapesse, ma… il Generale di Tutti gli Eserciti del Nord aveva dettato l’ora della partenza e a mezzogiorno lui avrebbe detto addio alla sua terra.
-Un’ultima cosa Consigliere. - Ancora la voce del Generale al suo Capo villaggio. –Potete alleviare per noi questo freddo. I miei uomini hanno marciato per diverse ore prima di giungere in questo avamposto e cominciano a patire questo tempo inclemente. -
-Nessun problema, Mio Signore. Farò giungere quanto prima le sentinelle del muro. Stavo già pensando, dopo la vostra gentilezza nei nostri riguardi, di far pervenire a voi e i vostri uomini qualcosa di caldo che potesse ritemprarvi dal viaggio e darvi sollievo in queste ore di attesa. -
-Bene allora, Consigliere, procedete. - Concluse il sovrano, piatto nel tono, ma gentile nei modi.
Il Capo villaggio si mosse rapidamente verso l’interno della foresta. Il piccolo gruppo di uomini al suo seguito fece lo stesso, lo seguirono fedelmente come avevano sempre fatto, ma non prima di chinare rispettosamente il capo verso il Generale del Nord.
Tark sapeva che non sarebbe stato un vero addio ai suoi boschi, ma… l’Avatar li attendeva al fronte. Aveva sentito della guerra solo da pochi mesi e Ake era stato attento a spiegare in ogni minimo particolare le brutture a cui lui e gli altri in partenza avrebbe assistito. Avevano appena finito di vedere la loro gente soffrire e… andavano a incrociare le loro esistenze con altre genti nelle medesime condizioni. Ma se la Custode dell’Equilibrio li voleva al suo fianco, voleva dire che quello era il loro posto. Non gli riusciva però di non pensare che non fosse realmente preparato a una guerra come quella di cui aveva parlato loro il capo delle guardie del suo villaggio, istruito a dovere dai soldati dell’esercito che avrebbero affiancato. Non poteva non pensare che sarebbe potuto non tornare, ma la donna che l’aveva messo al mondo era stata la più forte delle fanciulle del nord che avevano portato a suo padre: era sopravvissuta alla sua nascita, pur di poter far ritorno a casa. Conosceva solo questo di lei, ma gli era sufficiente per sapere che sarebbe stato altrettanto forte. Chissà se lo aveva amato anche solo per un secondo, se aveva provato dispiacere nell’abbandonarlo sapendo di non poterlo mai più rivedere, sapendo che non ne avrebbe più avuto neanche la memoria… No, gli piaceva pensare che lo avesse fatto senza rimpianti, perché era forte, così come gli aveva detto suo padre.
Si lasciò sfuggire un sospiro. Non si era mai realmente reso conto del suono che aveva il suo respiro. Ohhh, aveva ascoltato molti respiri: quelli del riposo dei suoi fratelli che aveva imparato a riconoscere bene per poter sgattaiolare fuori casa a notte fonda e incontrarsi con il suo amico di sempre per allenarsi nell’uso del dominio, prima che il dovere li costringesse a ore e ore di immobilità. Poi c’erano stati i respiri che gli deliziavano i sensi ogni volta che aveva stretto tra le braccia il corpicino dolce di qualche ragazza del villaggio. Il respiro infuriato di suo padre, poi, quando aveva deciso di non seguirlo al Villaggio Centrale… già, quel respiro lo ricordava ancora bene. E… c’era anche quell’altro respiro, quasi se ne stava dimenticando, ma era sempre lì a sfuggirgli dalle labbra quando incrociava quella biondina dagli occhi da lupo: “Michiko…”
Michiko e Pachiko erano identiche per tutti, ed erano cresciute similarmente, ma con il tempo si erano differenziate e molto. Certo a colpo d’occhio distinguerle sarebbe stato impossibile per chiunque, ma il modo di muovere le mani, di sorridere… no, quello non era lo stesso. Michiko aveva sempre quello sguardo pensieroso…
Le conosceva da che aveva memoria, e come poteva essere diversamente?
Erano le prime continuità del lupo e due dominatrici della neve. Già… le conosceva da sempre, appunto, ma non aveva mai davvero parlato loro fino a poco meno di un anno fa.
“Wakka sì, lui… lui ha sempre avuto una predilezione per quelle gemelline già da prima che diventassimo le guardie del corpo della sciamana.” Si trovò a pensare. Ma Wakka, malgrado fosse il più silenzioso tra loro due, aveva qualcosa in più e lui lo aveva sempre saputo, ma non gli dispiaceva brillare della sua luce riflessa, erano amici e questo era l’importante. C’era stato un periodo però in cui quel grosso orso era diventato troppo apprensivo verso quelle due piccolette della casta dorata, che non facevano altro che ficcarsi nei guai, e Tark ne era stato geloso.
“Ehi, infondo quelle due rubavano tempo a Wakka, tempo che avrebbe potuto passare con me, quindi… a conti fatti, rubavano il ‘mio’ tempo!” Ma era poco più di un bambino all’epoca e Wakka, come il fratello, avevano sempre avuto la tendenza a prendersi tutto e tutti a cuore.
“Deve essere un marchio di famiglia.” Pensò accennando un mezzo sorrisetto.
Ovviamente a Tark quel risentimento era passato prima ancora che lui stesso se ne rendesse conto, ma questo non lo aveva aiutato certo a socializzare con le gemelline, tutt’altro. Infondo quelle ragazzine erano due ‘preziose’ continuità, lui che aveva da spartirci?
Anche se, sapeva di dover ammettere, mai gli avevano negato un saluto o un sorriso, da che avesse memoria.
Poi, quella notte dell’inverno appena passato, successe: si era appartato nel bosco con una bellezza dalle gambe lunghe. Erano stati bene, ma erano distanti dal muro che li divideva dai pericoli di quella terra e senza rendersene conto si erano spinti troppo lontano. Se ne era accorto solo nel momento che la sua conquista gli aveva fatto notare che per lei si era fatta ora di tornare a casa o i suoi si sarebbero preoccupati.
“E non si dica che Tark non acconsenta alla richiesta di una fanciulla.” Ricordò di essersi detto, e così, mentre stavano tornando verso il loro villaggio, lui aveva notato quei campi coltivati nel bosco. Non erano i campi del loro villaggio e allora?
Solo al Popolo del Freddo gli spiriti avevano concesso di coltivare in quei luoghi e si era reso così conto di essersi spinto fino al villaggio limitrofo. Probabilmente lui la ragazza avevano camminato per più di un’ora coccolati dalle chiacchiere, dalle smancerie e dalle aspettative di quella serata. E questo, purtroppo, era diventato un problema: se, come aveva pensato, si erano ritrovati vicino al Villaggio del Nord, questo avrebbe voluto solo dire che si erano mossi lungo la fascia di bosco dove le sentinelle del loro villaggio avevano avvistato i perlustratori dei soldati blu.
L’oscurità e la fortuna sicuramente li avevano aiutati durante la loro prima attraversata di quella zona, ma al ritorno… li aveva sentiti gridare e piangere. I piccoli del Villaggio del Nord, come loro abitudine, si erano recati ai campi di buonora, ma erano stati intercettati dagli uomini delle Tribù dell’Acqua.
Purtroppo Tark era sempre stato tante brutte cose, ma non era stato mai un vigliacco in grado di scappare lasciando dei bambini in pericolo. Poco gli era importato che la regola dettata dall’allora Signore della Fiamma, nel caso qualcuno avesse avvistato gli uomini blu, fosse stata quella di allontanarsi e avvisare le sentinelle più vicine di mettere in sicurezza il villaggio.
“Già… chi si trovava solo e in difficolta, per il Signore della Fiamma Nakula, aveva il dovere di urlare per avvisare del pericolo e sacrificarsi in modo da permettere agli altri di chiudersi al di là del muro di nebbia.” Pensò con un ghigno sarcastico dipinto sul viso.
“Io, però, non sono mai stato esattamente un bravo soldatino rispettoso delle regole del suo signore, perché, diciamocelo, alcune erano veramente insensate, senza contare che… sono uno stupido!” Pensò ancora, proprio come diceva sempre suo padre, ogni singola volta che si ficcava in situazioni del genere, perché, chiaramente, dopo aver lasciato la fanciulla che lo aveva accompagnato fino a quel momento al riparo tra le radici di un grande albero, dicendole con la sua solita faccia da schiaffi di rimanere in silenzio fino al suo ritorno, era corso a ficcarsi in guai più grossi di lui.
Erano tosti quei soldati, ma troppo certi di loro stessi. Probabilmente avevano controllato bene la zona prima di attaccare quei bambini, sicuri che non ci fossero altri… troppo sicuri e troppo lenti per colpirlo con il loro domino che conosceva solo il freddo.
Il suo scudo di calore era quasi inviolabile per il loro potere, mentre con la rapidità che gli era propria Tark aveva sottratto, uno a uno, quei piccoli coltivatori dalle loro mani. Era riuscito a chiudere quei soldati in un vortice di vapore troppo caldo per concedergli il coraggio di muoversi per oltrepassarlo dopo il primo malriuscito e ustionante tentativo, ma era il suo dominio e lui poteva intervenire come credeva su di esso, riuscendo così a permettere a quei bambini di allontanarsi dal pericolo. E, anche se piccoli, erano anch’essi dominatori istruiti come ogni ragazzino della sua gente che quando una veste bianca dai simboli d’argento da un ordine deve essere assecondato, sempre, senza obbiettare, senza perdere tempo. E lui indossava, grazie agli spiriti, la sua divisa e le sue mostrine d’argento.
Andarono quindi, come aveva intimato loro di fare, ubbidienti. Ma, avventato come sempre, si era reso conto troppo tardi che avrebbe dovuto chiedere loro di mandare rinforzi. Quei soldati erano in balìa del suo potere, ma quanto a lungo ancora sarebbe riuscito a sostenerlo?
“Avevo due possibilità: confidare che quei bambini avessero da soli l’idea di mandare qualcuno, oppure dismettere il dominio che mi apparteneva prima di finire le energie e affrontarli direttamente. Cosa scelsi? Beh, io sono sempre stato decisamente stupido e loro, infondo, erano ‘solo’ cinque dominatori dell’acqua.” Ricordava di aver pensato tra l’ironia e la strafottenza. “Cinque dominatori che avevo già messo in scacco, ma… erano, prima di ogni altra cosa, soldati addestrati. Eppure riuscii, forse grazie alla fortuna e alla mia stupida audacia, a metterli in fuga dopo qualche colpo ben assestato. Spiazzati probabilmente dall’averli liberati per affrontarli apertamente, dando così l’idea di essere più temibile di quanto realmente fossi. Per guadagnarsi la fuga, quei soldati, avevano colpito e assestato colpi terribili che avevo incassato senza mostrare patimento, ma… li avevo subiti e come!”
Rammentava che, dopo essersi assicurato che quei soldati si fossero davvero dileguati, s’era preso alcuni secondi per controllare le ferite subite. Quei maledetti aculei di ghiaccio gli si erano conficcati in profondità nella carne, ma non era quello né il momento di piangersi addosso, né di togliersi quel ghiaccili dal corpo se voleva evitare di perdere altro sangue e con questo i sensi… e non solo.
Da una parte era stato utile che il nemico avesse usato il ghiaccio: fin tanto quel gelo permaneva, Tark poteva dirsi dolorante, ma vivo e, in un qual modo, quel freddo gli intorpidiva i sensi tanto da fargli percepire quel dolore più lieve di quanto non fosse stato realmente, contando che già così faceva fottutamente male.
Cosa era rimasto da fare?
Avvisare il villaggio del nord?
No, lo avevano fatto sicuramente quei piccoli lavoratori, senza contare che, come stabilito da Nakula, non avrebbero certo abbassato la barriera per un solo ferito, quindi non rimaneva che recuperare la signorina che lo attendeva e scortarla a casa come le aveva promesso.
E lo fece, accidenti se lo fece, ma… era a pezzi.
Più si avvicinava al villaggio più sentiva quel gelo farsi strada in lui.
‘Non è nulla! Tranquilla.’ Aveva detto a quella fanciulla ritrovandola esattamente lì dove l’aveva lasciata. ‘Andiamo a casa.’ Aveva continuato e le aveva sorriso, così come le aveva sorriso appena superato il confine nord del loro villaggio. L’aveva guardata andare e, finalmente, aveva sentito di potersi lasciare andare.
Tutti erano in salvo: poteva fermarsi, sedere e riposare un poco, solo pochi minuti, ma… era stato solo un pensiero fugace, grazie al cielo!
Per quanto quell’idea lo avesse coccolato era ancora sufficientemente lucido per non cadere nella trappola del dolore e della stanchezza. Arrivare, però, alla tenda della sciamana dal lato opposto del villaggio, gli era improvvisamente sembrato più arduo di quell’ora e mezza di cammino.
Ricordava di aver mosso solo qualche passo prima di sentirsi chiamare.
“Quella mocciosa dagli occhi gialli era forse l’unica altra creatura sveglia del villaggio, oltre le guardie al muro che avevo schivato come la peste, per non rovinare la reputazione della ragazzina che avevo sedotto e spaventato a morte quella notte. E no, qualcosa mi diceva che non sarebbe più tornata con me nel bosco, chissà perché?” Pensò ironicamente, mentre rammentava quella lupacchiotta avvicinarsi preoccupata: “-Tark? Cosa…- Mi disse.
-Nulla Michi. Solo un problemino con i soldati blu, nulla che non si possa risolvere. – Le risposi, probabilmente sorridendo come il cretino che sono sempre stato. Pensando che era l’unica creatura sveglia oltre me, sì, ma anche l’unica che avevo davvero bisogno d’incontrare.
–Puoi chiamare Hula, Michi, per favore? Non credo di riuscire a muovere un altro passo. -  Chiesi, rendendomi conto in quello stesso momento di fissare il soffitto della tenda della sciamana.
Ma quando c’ero arrivato?
Era come se ci fossi finito magicamente, poi sentii ancora quella vocetta: -L’anziana Hula si è recata al Villaggio Centrale, come sua abitudine ogni primo del mese. –
-Ho scelto proprio un buon giorno per farmi massacrare. – Dissi ironicamente, sorridendo alla ragazzina. –Mi hai portato qui tutta da sola, Michi? – Le domandai ancora.
Ricordo che annuì. -Non che sia stato facile, grosso come sei, ma lasciarti lì, in terra, non era un’alternativa accettabile. –
-Grazie. Ma perché non hai chiesto aiuto? –
Ho ancora nella mente l’immagine di quelle guance farsi improvvisamente imbarazzate. -Ho pensato… vedi, forse ho sbagliato, ma ho creduto che se non lo avevi fatto tu, probabilmente c’erano delle ragioni. –
-Fammi capire, quindi… mi hai coperto anche senza sapere il motivo? – Ero sorpreso… sì, ero davvero sorpreso.
Michico annuì ancora dicendo: -Certo, si fa così con gli amici, no? –
‘Amico?’ Mi trovai a pensare. Quella ragazzina mi riteneva un amico, possibile?
–Già! – Mi limitai a dire, con ancora più sorpresa, mentre quella biondina dagli occhi di miele mi medicava le ferite al pari della Grande Sciamana del villaggio.
Rimanemmo in silenzio per diversi minuti, poi ricordo che le chiesi sorridendo: -Non mi domandi cosa ho combinato? –
Michiko dissentì con il capo. –Perché dovrei? Se avessi voluto parlarmene lo avresti già fatto, no? –
Mi ritrovai ad annuire a tanta semplice saggezza.
-Tranquillo. – Continuò lei. –Sei uno dei nostri guerrieri, avrai avuto sicuramente dei buoni motivi per conciarti in questo modo. –
Ricordo di essermi sentito contrariato da quelle parole e di aver sbuffato, dicendo bruscamente: -Ti fidi troppo della gente Michi, prima o poi ti ficcherai in qualche guaio così facendo. –
Ma lei mi sorrise. –Allora vorrà dire che aspetterò che tu mi venga a salvare. –
Era dolce… una sciocca, dolce, ragazzina, che si fidava troppo… veramente troppo di uno come me. –Lo sai che non sono esattamente un tipo affidabile, vero? – Mi sentii di metterla in guardia.
-Questo lo dici tu? Intanto mi chiami sempre con il mio nome. –
-Certo. È il tuo nome, come dovrei chiamarti? – Sbuffai ancora. E… ancora la vidi sorridere, mentre terminava di medicarmi.
Non mi rispose e tornò il silenzio.
Non mi era mai piaciuto il silenzio, quindi… -Cosa facevi in piedi così presto, Michi? –
Un’alzatina di spalle, fu la prima risposta della giovane allieva della sciamana, mentre finiva di sistemare gli strumenti usati, poi, sorridendo tranquilla, prima di tornare a guardarmi negli occhi disse: -Sono una quasi-sciamana, non dimenticarlo, Tark. Ho sognato che mi chiamavi. Tutto qui! Siamo amici se hai bisogno, lo sento. –
‘Amici… ancora. Davvero lo crede?’ Pensai, eppure, era arrivata, quando ne avevo avuto davvero bisogno.
–Michiko, non ti hanno mai detto che i lupi mangiano le lepri? – Le dissi nel mio solito, stupido, modo, nel tentativo di farle capire che non potevano essere amici: talmente diversi, troppo diversi per esserlo.”
Lei era una continuità, una dominatrice della neve, una curatrice, l’esatto opposto di quel che era Tark. Michiko infondo era solo un suo incarico: una delle tre persone su cui doveva vegliare come deciso dal capo delle guardie. Ruotando e accavallando i turni col suo amico Wakka.
“Wakka, già, dov’era finito?” Si domandò il figlio della lepre, non rammentandolo immediatamente.
“Al seguito della vecchia Hula, ma certo! Era il primo del mese. E dovevo rimanere io a controllare le due lupacchiotte. Appunto: davvero affidabile, esattamente come credeva Michiko!” Ghignò, ironicamente nella sua mente.
“-Sarà! Ma io non ho intenzione di mangiarti, piuttosto, non sarai tu a voler fuggire da me? – Ribatté Michiko scherzosa, adorabile. Ma… ricordo che pensai se non lo fosse sempre stata infondo.
-No.- Le risposi sorridendo. –Anche volendo dove vuoi che fugga, ridotto a un colabrodo? –
-In una zuppa, ovvio! –
-Ovv… Michi, questa è peggio di quelle che spara Wakka! – Protestai divertito.
-E da chi credi abbia imparato? – Ridacchiò lei.
Ricordo ancora quelle risa e quel visetto gentile. Quella mattina successe qualcosa… non so esattamente cosa, ma fu come se qualcuno avesse rimesso insieme i brandelli di me che avevo perso: forse la fiducia negli altri, forse la genuinità che al contrario mostrava quella mostriciattola bionda. Nakula mi aveva inviato in troppe missioni ai margini del bosco, insieme, sempre, alle solite altre non-continuità che riteneva sacrificabili per il bene del popolo del freddo e… ce lo diceva pure. Troppe, troppe volte, per poter continuare a credere che ci fosse realmente del buono dietro le azioni di una continuità verso un semplice guerriero.
-Un’ultima cosa, Tark. – Mi disse d’un tratto a bruciapelo. –Ti voglio bene, non voglio più vederti ridotto così, ok? –
‘Ti voglio bene.’ Mi ripetei nella mente, mentre le vedevo gli occhi, fino a un secondo prima allegri, inumidirsi per lo sciocco che aveva difronte. 
-Ok. – Dissi io. –Ma ti prego, non piangere. –
-Non sto piangendo. – Ribatté orgogliosa, mentre le lacrime non sembravano voler ubbidire alle sue premesse.
L’abbracciai, cos’altro potevo fare? E mi disse solo in quel momento, tra i singhiozzi, quanto l’avevo fatta preoccupare, quanto si era spaventata nel vedermi in quelle condizioni, e… che dovevo rimettermi quanto prima così poteva conciarmi per le feste come meritavo per essermi ficcato in chissà cosa e tutto solo, oltretutto.
E sì, me lo meritavo davvero!
Quanto meno per averla ridotta in quello stato: tremante come una foglia tra le mie braccia.
Ero davvero una brutta persona… un pessimo amico, per quella ragazzina, tanto da non essermi nemmeno accorto di esserlo, almeno per lei. Eppure avrei dovuto accorgermene: eravamo praticamente cresciuti fianco a fianco, ognuno nel suo ruolo, come stabilito dal signore del nostro popolo. Da quel momento, però, cercai di rimediare, fino ad arrivare a quel punto… al punto di, non riuscirmi più a privare dei suoi sorrisi, anche se mi facevano un male atroce, perché ormai sapevo… sapevo da quel giorno che per lei ero solo un amico, mentre io… a riprova della pessima persona che sono, mi ero stupidamente perso dietro quegli occhi da predatore così profondi da farmi capire cosa provano davvero le lepri quando guardano gli occhi di un lupo… quando sentono il cuore prima bloccarsi per poi riprendere a battere all’impazzata tanto da sentire male al petto.”
Ancora sospirò pensandoci, trovando ironico che, quel respiro sommesso, avesse allontanato per tutto il tempo in cui aveva pensato alla ragazza, quel senso di angoscia che gli appesantiva i polmoni.
Sapeva che l’amava, sapeva che lei gli voleva bene e sapeva che non era tipo da piangersi addosso.
Alla fine lei gli aveva dato qualcosa di bello, semplicemente decidendo di far parte della sua vita, poco importava come, quindi… perché struggersi per amore?
Sarebbe stato come rifiutare tutta la bellezza che aveva portato nella sua vita, e nooo… non sarebbe stato corretto.
Solo… ora che sapeva di aver ancora qualche ora non riusciva a non pensare di volerla passare con quella biondina dagli occhi gialli. Sicuramente lei non gli avrebbe negato la sua compagnia, come sempre del resto, malgrado le continue stupidaggini di cui era spesso artefice, perché, infondo, lui era il suo miglior amico.
 

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Capitolo 16
*** Cap. XVI: La Tribù del Freddo - Quarta parte ***


Cap. XVI: La Tribù del Freddo
Quarta parte


Avevano appena superato l’entrata nord del loro villaggio, quando Wakka sentì il Signore della Neve dichiarare: -Uomini, avete udito tutti. Il Generale Desna ci ha dato qualche ora di riposo, spendetela come meglio credete. Ci ritroveremo qui tra quattro ore. – Il tono dell’uomo malgrado la formalità risultava meno serio di quando conferiva con il principe del nord e questo lo faceva sorridere. Possibile che Ujaraq fosse in soggezione davanti al fratello della regina?
Sì, probabilmente era così, ma d’altro canto, fino a pochi mesi prima era l’uomo nero che non gli permetteva sogni tranquilli: il nemico terribile e spietato che avrebbe banchettato sui loro cadaveri.  E, in definitiva, anche lui si sentiva strano in presenza di quel principe, soprattutto quando giungeva al villaggio in veste ufficiale. In quelle occasioni era talmente diverso dal ragazzo che avevano portato quel lontano giorno nella tenda della sciamana Hula, invece, quando veniva solo per perdere un po’ del suo tempo per giocare con Tuk e Ina, beh, era tutt’altro discorso. Chissà poi perché veniva a giocare con quei due bambini, Wakka non lo aveva ancora capito e ovviamente nessuno del villaggio glielo aveva domandato. Ma chi avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere una qualunque cosa alla persona che per anni aveva popolato i loro incubi?
Naaa, non se ne parlava, tanto, prima o poi, qualcosa sarebbe saltata fuori, bisognava solo avere pazienza.
Rimase un po’ così, sovrappensiero, appoggiato ai grossi tronchi che delineavano il limitare di quel confine pensando a come spendere quel tempo che gli era stato concesso: una mezza idea l’aveva, ma era forse l’unica da considerare inattuabile, quando…
-Wakka, ti va di venire con me a salutare le nostre ragazze? - Disse Tark con il suo solito tono scanzonato, mentre si liberava del soprabito legandoselo per le maniche in vita.
-Le ‘nostre’ cosa? - Rispose perplesso, non capendo al volo la sua affermazione.
-Le sciamane. – Specificò accostandosi e sventolandogli una mano davanti al viso. –Tark chiama Wakka, c’è nessuno in casa? – Terminando col bussargli con le nocche sulla fronte.
Incrociando le braccia, per nulla scosso dal modo dell’amico, disse: -Ahhh! ‘Quelle’ ragazze, da come l’avevi posta sembrava… -
-Sembrava cosa, cretino? – Domandò Tark interrompendolo.
-Hai detto le nostre ragazze e quindi… - Nuovamente bloccato.
-Nostre, nostre, certo! Altrimenti di chi? Insomma, gli stiamo alle calcagna da quando erano piccolissime, in pratica gli dedichiamo quasi ogni ora della nostra giornata, ovvio che sono nostre! Sono il nostro unico incarico fisso. – Blaterava togliendosi anche la maglietta rimanendo a torso nudo.
E sì, che lì, vicino al muro, faceva un caldo terribile, ma, secondo Wakka, Tark aveva proprio il vizio si andare in giro mezzo svestito.
-Beh, se la metti così non hai tutti i torti. E… di conseguenza anche Hula è la nostra ragazza. -
-Ma certo che sì! - Rispose di getto, poi pensandoci… –Beh, lei è più la nostra vecchina. - Sorridendo allegro come suo solito, portandosi le braccia dietro la testa e stiracchiandosi come un gatto, prima di ammucchiarsi la maglietta nella cintura.
“Certo che fa davvero caldo!” Rifletté, sorridendo all’amico. –Vengo dove vuoi, basta che ci leviamo da qui Tark o finisco per sciogliermi. -
-So io dove porterei il coniglietto. - Arrivò con tono lascivo la voce di Ganoa, poi seria verso di lui: -Ciao Wakka. -
Tark sbuffando rivolse al n uovo arrivato uno sguardo sbieco, ignorando il grado superiore dell’uomo.
-Signore! - Fu rapido a rispondergli lui, tornando sull’attenti.
Ganoa, il grosso cervo da un occhio solo, sorridendo, fece rapidamente cenno a Wakka di lasciar correre con le formalità.
-Ganoa, ma proprio te dovevo incontrare? – Giuse la voce di Tark dal fare arreso.
Il capo delle sentinelle del muro di nebbia, anche lui a petto nudo, si fece ancora più vicino. –Problemi con il mio calore, coniglietto? - Squadrandolo dalla testa ai piedi come, ben sapeva, il ragazzo detestava.
-Lepre, sono figlio della lepre, non del coniglio. - Lo riprese.
-Sarà, ma sei così piccolo e carino che ti porterei all’istante nella mia tenda. -
“Ahhh! Povero Tark, Ganoa adora farlo irritare. D’altro canto il mio amico è l’unico talmente irriverente, tra i più giovani, da osare anche solo tenergli testa.” Pensò il figlio dell’orsa.
-Se per piccolo intendi più basso di te e di Wakka, vorrei farti notare, che non ci vuole poi molto! – Asserì Tark incrociando le braccia al petto e squadrando a sua volta l’uomo.
Wakka sorrise, notando che per una volta Tark sembrava meno infastidito del solito e non accennava minimamente a imbestialirsi come accadeva anche troppo spesso; cosa che costava a entrambi ore di rigore a pulire i vicoli accanto al muro, quelli più trascurati a causa dell’intensità del calore emanato.
Perché costavano a tutti e due?
Facile! Perché Tark non lo avrebbe mai lasciato da solo qualunque cosa avrebbe combinato e certo lui non poteva essere da meno.
-Uhm! Su questo non hai tutti i torti! - Rispose con il suo fare allegro il signore di quel vapore, poi allargando quel sorriso strafottente che lo caratterizzava e strizzando il suo azzurrissimo occhio buono: -Allora ti va di farmi compagnia, coniglietto? -
“Deve essersi accorto anche lui che Tark è più tranquillo del solito, non ha mai rincarato la dose… non che ce ne fosse mai stato bisogno, normalmente salta su tutte le furie appena gli dà del coniglio!” Pensava Wakka. “Ma d’altro canto, probabilmente, anche Tark si sente strano per questa partenza.” Sopirò, mentre la voce serissima dell’amico, dopo un attimo di silenzio passato a fissare attento il volto del capo delle sentinelle, quasi lo stesse valutando, disse: -D’accordo. Ci sto, Ganoa. Andiamo. -
I lineamenti del figlio del cervo sembrarono improvvisamente paralizzati da quella risposta.
“Sul serio?” Pensò Wakka, sbattendo le palpebre una, due volte.
-Sul serio? - Disse Ganoa, chinandosi con le mani sui fianchi a osservare quel ragazzino normalmente irriverente dritto in viso.
-Ah-ah! - Rispose la lepre. –Se ti va tanto di farti un giro in branda con me, togliamoci ‘sto dente, infondo non sei tanto male e sono convinto che uno debba provare tutto nella vita, prima di… -
-Ahhhh! - Sbuffò Ganoa, interrompendolo. –Ho capito. Oggi nessuno pulirà i miei vicoli. - Drizzandosi di nuovo sulla schiena.
“Morire Tark. Era questo che stavi per dire, amico mio?” Pensò Wakka rattristandosi.
-Guarda che sono serio. - Protesto Tark.
-Beh, io no, ragazzo mio. Mai stato! E comunque… voi due sgorbi non dovevate partire stamane? -
-La nostra partenza è stata posticipata di qualche ora. - Rispose lui rivolto all’uomo.
Tark, si voltò sbuffando guardando dal lato opposto.
Wakka vide il guardiano di quel muro, fare un viso dispiaciuto, osservando il fare del suo amico, prima di tornare a guardare lui. Stava per aprire bocca quando Tark, disse per primo: -Allora Wakka, andiamo? -
Come uno sciocco Wakka annuì, pur cosciente che, essendo voltato dall’altro lato, il leprotto non poteva certo vederlo.
Ganoa si soffermò a fissare Wakka seriamente, novità che preoccupò un poco il ragazzo.
-Voglio proprio vedere chi hanno messo a vegliare su quelle tre streghe. – Ancora era l’amico a parlare.
-Jasooki e Tukinaq, lo sai. Lo ha detto Ake appena ci ha dismessi. - Rispose sospirando.
-A sì? E io c’ero? -
-Si che c’eri Tark. -
-Ma un attimo. Se Jasooki e Tukinaq hanno preso il nostro posto… vuol dire che si sono presi anche le nostre donne. - Disse di colpo voltandosi con occhi sgranati.
-Ma non si sono presi un bel nient… - Stava per commentare, quando si sentì preso di colpo per il bavero e tirato giù faccia a faccia dall’amico.
-Come ha potuto Ake farci questo? Dopo tutti questi anni di servizio... E chissà come se la cavano, poi! Poterebbero metterle in pericolo. -
Ganoa lì accanto scuoteva il capo coprendosi il volto con una mano.
Wakka sorrise rassicurante. –Sai che sono forti. Molto forti, Tark, senza contare che Jasooki è una continuità. -
Ancora il ragazzo se lo tirò più vicino. –Quell’insetto, non può aver preso il nostro posto! – Commentò l’amico sconvolto.
-Ehm… il ragno non è esattamente un ins… -
-Non capisci. Quella è una continuità! Si dimenticheranno di noi. Penderanno dalle sue labbra. Accidenti! E io che ho dedicato loro i miei anni migliori, la mia gioventù… capisci! Ahhh, maledetto insetto! -
Wakka era sempre più perplesso.  –Hai sedici anni Tark, non mi sembri un vecchio rimbambito. E non credo… -
-Non crediii? Proprio adesso che quelle gemelline si sono fatte uno spettacolo, arriva la prima continuità di turno e se le porta a letto alla faccia nostra. Dove diamine vogliamo andare a parare noi due contro una continuità! Accidenti!!! -
“Accidenti!” Ripeté nella sua mente senza obbiettare all’amico che l’osservava fissamente a pochi centimetri dai suoi occhi. “Hai ragione. Come può sperare uno come noi di competere con una continuità?” Triste… si sentì improvvisamente troppo triste, proprio come scorgeva nel profondo di quegli occhi chiarissimi davanti a lui, anche se probabilmente per altri pensieri.
- Blaaa! Siete nauseanti. Baciatevi e fatela finita, vi prego! Così potremo ognuno riprendere il proprio lavoro, mi siete d’intralcio! - La voce di Ganoa schifata lo riportò con i piedi in terra, tanto da togliersi le mani dell’amico dalla giacca di pelliccia.
-Blaaa… ché? – Domandò Tark voltandosi verso il cervo che gli allargò uno dei suoi sorrisi spavaldi.
-Ahhh! Da giovane ero proprio come te, coniglietto! - Lo derise ancora.
Wakka assumendo un fare fintamente depresso disse: -Ma… ha solo venticinque anni, signore. -
“Sono entrambi tremendamente esagerati, santo cielo! Eppure… Pachiko...” Pensò, quando la voce dell’amico lo raggiunse di nuovo, esclamando: -Ora vado a dirgliene quattro a quelle mezze cartucce, continuità o non-continuità che siano, non mi fregheranno così la scopata della vita, ma la sono guadagnata, accidenti a loro! E quando mi ricapitano due gemelle! Ahhh, mi sentirà tuo fratello, vedraiiii!!! Ma proprio una continuità doveva mettergli accanto… ma porc… -
Wakka l’osservava, mentre blaterando si allontanava di gran lena.
Scosse il capo sorridendo, volgendosi poi verso il più alto in grado tra loro. –È tutto chiacchiere, non badateci! -
In risposta il grosso cervo scoppiò a ridere di gusto.  
Lui continuò sulle risa dell’uomo: -Senza contare che ha più speranze con la vecchia Hula che con le gemelle. -
Ganoa ancora rideva.
-E non penso ci creda davvero neanche lui, infondo. E… mi dispiace Ganoa, tolgo immediatamente il disturbo così che possa richiudere il passaggio. E conoscendolo, è meglio che lo raggiunga, non si sa mai. – Concluse con un cenno del capo per avviarsi nelle medesima direzione dell’amico.
Ganoa smise di ridere di colpo. –Aspetta un secondo Wakka. - Disse. –In verità volevo parlarti e chiederti scusa per l’accaduto. -
Il giovane figlio dell’orsa si fermò, voltandosi e sorridendogli gentile. –Ah, era per questo che vi siete avvicinato… Non preoccupatevi. Davvero. -
Lo vide scuotere il capo. –Ci abbiamo provato, ma non c’è stato verso. Quel ragazzo è una testa dura. Ananke e Anak sono arrivati addirittura a rinfacciargli degli errori del passato, ma non c’è stato verso. Non ha demorso neanche davanti allo sguardo implorante della sorellina più piccola. -
Stava parlando di Loki gli era chiaro, ma… “La sorellina più piccola? Michiko o Pachiko?” Si trovò a domandarsi.
-So di non andargli a genio, come del resto non vado a genio al suo amichetto Kaske, ma se quel gelido salmone era venuto a chiedermi aiuto poteva essere solo per qualcosa d’importante. Eppure… non è valso a nulla, Wakka, oltre a farti subire questo tira e molla, ragazzo mio. Kaske ha provato a proporre se stesso a Ujaraq, ma come sai, non è stato ascoltato. E, anche io, non fossi stato una continuità… - Era davvero rammaricato dell’accaduto.
Ancora Wakka gli sorrise. –Il villaggio ha bisogno più di voi che di me, Ganoa. È normale che il Capo Villagio non abbia ascoltato le vostre richieste. Da soli valete dieci dei vostri uomini per la resistenza e la durata che vanta il vostro dominio. Quindi non scherziamo. Va bene così. –
La continuità del cervo annuì. –Scusami con tuo fratello, puoi? Purtroppo raramente i miei incarichi mi permettono di far coincidere il tempo libero a nostra disposizione e quindi… -
Lo interruppe. –Lo farò, ma credetemi quando dico che non ce ne era assolutamente bisogno. Ora però… - Lasciò volontariamente la frase incompleta.
L’uomo gli annuì e lo lasciò andare.
Appena fu lontano sentì di nuovo premergli sulle spalle quel senso di angoscia. Era stata dura affrontare due volte lo stesso discorso e rendersi conto entrambe le volte che infondo era solo un ripiego e… forse per questo il figlio di Haakon il cervo, si dispiaceva per lui.
“Scusami con tuo fratello, ha detto.” Pensò, camminando per quella stradina che conosceva anche tropo bene. “Non ne ero sicuro, ma sospettavo che Ake c’entrasse qualcosa. È addirittura riuscito a mettere d’accordo il figlio del cervo e del salmone.” Un ghigno leggero, prima di trovarsi di nuovo a sospirare.
“Era stato emozionante sentire il discorso di mio fratello alle guardie riunite del villaggio. Era stato eccitante sapere che l’Avatar era rimasto talmente colpito dall’utilizzo del nostro dominio da volerci al suo fianco. Ma solo una tra le migliori guardie del villaggio sarebbe partito al seguito del Custode dell’Equilibrio e non poteva essere c’erto una continuità. Mi sentii il cuore esplodermi in petto quando davanti a tutti Ake aveva dichiarato il mio nome e quello di Tark come i migliori tra i suoi uomini, ai quali, non a caso, aveva affidato l’incarico di proteggere le preziose sciamane del villaggio. Mi sentivo… come posso definirlo? Lusingato, emozionato… no, non esiste un termine adeguato. Ma… solo uno tra noi due poteva andare, ribadì Ake, chiedendoci di valutare attentamente i pro e i contro di quella proposta prima di dargli risposta. Era tutto così surreale e meraviglioso al tempo stesso, almeno fin quando gli altri presenti vennero mandati via e mio fratello chiese a me e al mio amico di restare. Avevamo una decina di giorni, ci disse, e ci consigliò di parlarne tra noi. Ake mi guardava intensamente, a ogni parola. La cosa mi mise in soggezione dall’inizio, intuivo che c’era altro che voleva dirmi e, poco prima di licenziarci, lo fece…
-Wakka. - Mi chiamò.
Io e Tark ci fermammo.
-Dimmi. C’è dell’altro? -  Chiesi.
-Preferirei che non fossi tu ad accettare questo incarico. -
Mi sentii sopraffatto da quell’affermazione, deluso.
-Cosa? Stai scherzando? -
Lui dissentì con il capo.
-Ma… - Accennai, cercando le parole, con tono sconvolto. –Se non sono adatto a questo incarico, perché me lo hai proposto? -
Lo vidi stringere le labbra tra il disgusto e il nervosismo.
Tark ci osservava in silenzio, sgomento forse quanto me a quelle parole.
-Perché ‘sei’ adatto, maledizione! E se non ti avessi nominato, si sarebbe creato un vespaio tra gli uomini al mio comando, conoscendo il tuo valore, credendo che volessi tenere al sicuro il mio amato fratellino. -
-Ed è quello che sembra, ascoltandoti. Non capisco, Ake. - Ero… non so spiegare come mi sentivo…
-Non sembra, è così Wakka. -
-Come sarebbe a dire? Tark può andare a farsi ammazzare perché non è tuo fratello? Ti rendi conto cosa ci stai dicendo? - Dissi furente indicando il mio amico. –Non ti riconosco! -
-Non è così. - Rispose scuotendo il capo. –Se di una cosa sono sicuro è che Tark non si farà uccidere, ma lo stesso non posso dire di te. -
-Cosa? - Dissi ancora, incredulo a quanto sentivano le mie orecchie.
-Wakka tu… - Mio fratello scosse il capo irritato e preoccupato al tempo stesso. –Tu non hai la concentrazione adatta per il mondo la fuori. Credimi, io ho parlato a lungo con gli uomini dell’Avatar. -
-La concentrazione? Cosa c’entra… io ‘sono’ concentrato, sono un ottimo guerriero, so stare al mio posto, so eseguire gli ordini e non sono certo irriverente e caotico come questo qui. - Mi resi subito conto di aver ferito Tark con il mio dire, ma… non era rivolto a lui il mio rammarico. –Scusa Tark, non volevo… non intendevo… - Dissi rivolgendomi verso il mio amico di sempre cercando un briciolo di calma, per poi esplodere di nuovo: -Accidenti Ake! Vedi cosa mi stai facendo fare… io… - Ero talmente furente da non riuscire più a parlare, mentre stringevo i pugni dalla rabbia fino a farmi sanguinare le mani.
-Se nessuno dei due si tirerà in dietro, sarò comunque io a decidere chi di voi mandare, Wakka. - Disse freddamente.
-Io non rinuncio a servire l’Avatar. - Dissi col tono mozzato dalla rabbia, non riconoscendo quello che avevo davanti come il fratello che avevo sempre adorato.
-Capisco, quindi costringerai Tark a rinunciare, e lui da bravo amico lo farà, mostrandosi così un codardo davanti al resto delle guardie. È questo che vuoi? - Disse senza tono.
Era una minaccia. Ake mi stava minacciando. Ricordo che lo guardai sgomento, come poteva dire quello che stavo udendo, dove era mio fratello?
-Non… - Non mi riuscì di terminare la frase.
-Dammi retta Wakka, è meglio per entrambi che la scelta ricada su di me. –
-Fratello… - Ero furente, accidenti! –Perché? -
-Te l’ho detto, fratellino. Tark ha la giusta mentalità per affrontare il mondo esterno, tu… gli sei sicuramente superiore nella disciplina, ma non sei ancora all’altezza. Tark ha imparato a sue spese che non tutto il bianco che ci circonda è davvero bianco, mentre tu… - Un sospiro profondo prima di rincarare con più durezza: -Un esempio Wakka: sei rimasto incantato sotto la pioggia di frecce degli uomini dell’Avatar, ricordi? Quei soldati avevano l’ordine di non ferire, ma se così non fosse stato, fratellino? -”
Ancora un sospirosfuggì dalle labbra del figlio dell’Orsa, mentre a distanza scorgeva, finalmente, il fianco della capanna della sciamana.
“Cosa potevo fare a quel punto? Ero stato messo alle strette. Dieci giorni dopo, dichiarammo entrambi, sia io che Tark, di accettare l’incarico e Ake prendendone atto disse pubblicamente che ricadendo a quel punto la decisione nuovamente su di lui avrebbe assegnato quell’onore a Tark, motivando la sua scelta con pregi e difetti del mio amico, che sperava quella nuova esperienza avrebbe messo in luce i primi e smussato i secondi. È bravo a parole mio fratello… non lo credevo!” Pensò ancora, non celando del sarcasmo nella sua mente.
“Poi avvenne: l’unico che il capo dei guerrieri esterni aveva proposto, non accettò. E lo fece incurante di quanto tutto il villaggio potesse pensare di lui. Ma l’Avatar aveva richiesto tre uomini e quindi… nel pieno scontento di mio fratello, Ujaraq mi propose nuovamente di far parte di quel piccolo contingente d’uomini e ovviamente… io… accettai. Non riesco, però, ancora a togliermi dalla mente l’espressione sul volto di Ake, quando pronunciai la mia promessa. Il suo viso mostrava chiaramente quel che pensava e per quei suoi occhi celesti io non sarei mai più tornato, ma… gli dimostrerò che non sarà così che andranno le cose. Che sono all’altezza di questo compito.
Dopo la cerimonia mi disse solamente: -Spero con tutto il cuore di sbagliarmi, fratello mio. - E… da quel momento non prendemmo più quest’argomento.”
Wakka portò una mano a massaggiarsi il viso, quasi volesse mandar via quella sensazione pressante prima di accostarsi alle nuove guardie di quella casa e a Tark, chiaramente.
-Non torno, ma se torno e scopro che è successo qualcosa alle piccolette o alla vecchia, ti giuro che continuità o no, ti strappo tutte e sei quelle zampacce da insetto che ti ritrovi. - Gli giunse la voce dell’amico mentre inveiva contro quel malcapitato di Jasooki.
Ancora sospirò a quelle parole ritrovando però il buon umore.
–Otto, i ragni hanno otto zampe! - Disse entrando nella capanna scuotendo il capo sconsolato. “Inutile ricordargli che non si tratta neanche di un insetto!”
-Allora te le strappo tutte e otto… siamo intesi?! –
Wakka sorrise, mentre la voce dell’amico si attutiva alle sue spalle al richiudersi dell’ingresso.
-Ohh, allora le mie orecchie non mi ingannavano. - Gli giunse la voce della vecchia sciamana. –Mi era sembrato di sentire quel solito gracchiare insulso del tuo amico qui fuori. -
Lui si limitò a sorriderle avvicinandosi a quella sorta di bancone che divideva quella prima stanza in due parti precise al millimetro.
-Siamo sicuri che sia figlio della lepre e non del corvo? -
-Uhm… si abbastanza, mia signora! – Rispose divertito, prendendosi l’abbraccio della donna che gli si era fatta incontro.
-Come mai da queste parti, ragazzo mio? Non dovevate essere ormai al di là del portale? - Domandò ancora gentile.
-La regina ha chiesto di tardare qualche ora la nostra partenza e ho pensato di venire a salutare voi e le vostre allieve, grande saggia. -
Lei gli sorrise. –C’eravamo già salutati ieri sera, quando quella giovane continuità lì fuori vi ha dato il cambio per la notte, ma la tua premura mi fa comunque molto piacere, ragazzo. -
-È vero, ma… - Stava per rispondere incerto, venendo però interrotto dalla vecchia lince.
-Pachiko è sul retro. Sta sistemando gli antidoti. - Gli fece un occhiolino divertita.
Non commentò l’atteggiamento dell’anziana signora mentre lo liberava dal suo abbraccio ridacchiando.
Mosse un paio di passi, poi…
-Pachiko che sistema? - Domandò incredulo, credendo in un errore di persona da parte della sciamana.
-Non mi sono sbagliata, ragazzaccio! - Protestò questa puntando le mani sui fianchi e mettendo su un muso fintamente infastidito, per poi aggiungere con un sospiro stanco: -Ehhh, mio caro ragazzo! Questi mesi sono stati frenetici per tutti, non solo per voi guardie. Questa capanna è stata ampliata, per far spazio sia ai feriti che ai curatori che Sua Maestà ha mandato noi. Forse il contatto con le fanciulle dalla pelle scura o forse quanto è accaduto quella notte a Nakula, ha cambiato molto le nostre giovani sciamane. Anche la piccola Pachiko, Wakka, è maturata molto in questo periodo. Mi domando solo come mai tu non ci abbia fatto caso. - Aveva quel tono accondiscendente che gli dava sempre conforto e sicurezza.
“Come ho fatto? Già… come ho fatto?” Pensò, prima di rispondere: -La ricostruzione e il continuo via vai degli uomini delle Tribù del Nord hanno messo a dura prova ognuno di noi, grande sciamana. -
La vide annuire. -Le ‘altre’ Tribù del Nord, Wakka. - Lo corresse teneramente.
-Giusto, mia signora. – Aggiunse, chinando il capo riverente.
-I grandi cambiamenti devono dapprima avvenire nel nostro piccolo, ragazzo mio. - E aveva tremendamente ragione. –Adesso vai da lei! - Concluse facendo cenno di cacciarlo con la mano.
Non le negò il sorriso che gli aveva ispirato a quel dire complice, spostando le prime delle due file di tendaggi che lo dividevano da quella biondina dagli occhi gialli.
-Ahhh, alla vostra età anche io ne ho combinate di belle! - La sentì ridacchiare allegramente, mentre gli occhi gli si abituavano alla luce soffusa di quel locale.
Una delle ragazze dai capelli scuri al di là di quella tenda lo guardò attentamente prima di sorridergli, chinando appena il capo in segno di saluto.
Fece lo stesso in risposta.
Ormai conosceva ogni singolo volto e ogni nome delle persone che dimoravano in quella tenda.
Anche l’altra curatrice, sorrise al suo passaggio, mentre finiva di medicare la sbucciatura di uno dei piccoli del loro popolo che protestava neanche gli avessero tagliato una gamba.
La cosa lo intenerì, ma non poté non tornare con la mente alle parole della vecchia sciamana: come aveva fatto a non rendersi conto di quanto accadeva intorno alla giovane lupa?
Semplice, si erano allontanati.
Da quella notte, qualcosa era cambiato, forse quella piccoletta era troppo gentile per dirgli in faccia che si era pentita dei momenti passati insieme, adesso che poteva aspirare a un uomo migliore di lui con cui condividere quell’esperienza. E lui… si era sentito ferito da quel atteggiamento improvvisamente scostante e aveva preferito pensare a quanto c’era da fare, dedicandosi solo a essere il più efficiente possibile per il bene della sua gente e di tutte quelle persone che si affidavano a loro, in qualità di custodi del villaggio, per sentirsi al sicuro dopo quanto accaduto.
Si lasciò sfuggire un sospiro malinconico.
Eppure era stato bene e per un po’ si era illuso che anche per lei fosse stato speciale.
Accidenti, una continuità era andata a cercare proprio uno come lui?
Ci aveva voluto credere, perché infondo aveva sempre voluto bene a quella lupetta. Da prima che gli chiedesse di passare insieme quella notte, si era sentito più volte compiaciuto della sua abitudine di cercarlo quando aveva bisogno di aiuto, anche per le piccole cose, e del suo infilarlo quasi a forza nei suoi giochi. Adorava il suo modo di fare, ma Tark glielo diceva spesso, le continuità potevano trovare divertente perdere un po’ di tempo con quelli come loro, ma poi preferiscono quelli della loro risma. Non che questo fosse un male intendiamoci, infondo, diceva il suo amico, è così che va il mondo!
Aveva sperato che le cose tra loro tornassero almeno com’erano prima di quegli eventi, ma si era reso tristemente conto che quello sguardo che preferiva rifarsi al suolo più ce al suo volto quando la incrociava, non lo avrebbe più fatto partecipe dei suoi folli giochi, delle sue pazzie, eppure… c’erano stati momenti in cui avrebbe dato un occhio della testa per essere di nuovo vittima di qualcuno dei suoi scherzi, ma…
“Stupido io che ci sto ancora pensando.” Si rimproverò. “Questo nuovo compito non può che farmi del bene, almeno a questo riguardo. Perché allora sono di nuovo qui? E non dirti Wakka che ti ci ha trascinato Tark, ci stavi pensando già da prima e lo sai.”
Anche la sera passata, quando le avevano salutate, quelle due gemelline avevano abbracciato Tark con le lacrime agli occhi. Michiko aveva fatto lo stesso con lui, ma Pachiko… lei… gli aveva detto: -Quindi parti? - E al suo silenzioso annuire aveva solo aggiunto: -Cerca di tornare tutto intero, ok? -
Un abbraccio… lo aveva sperato, ma a quanto sembrava ormai era chiedere davvero troppo a quegli occhi di miele.
Un ghigno amaro gli si dipinse in volto, mentre scostava quelle ultime tende che facevano da ingresso al retro di quella struttura.
La vide immediatamente, infondo alla sala: era arrampicata in cima a una scala di legno e riponeva su di un alto scaffale delle ampolle che stringeva al petto.
Gli venne da sorridere al pensiero che, maturata o meno come gli aveva detto la sciamana, quella ragazza aveva sempre l’innata capacità di mettersi in situazioni pericolose anche nel fare le più piccole cose e trovarsela lì, in bilico su quei pioli, ne era solo una rinnovata dimostrazione.
Le si avvicinò dimentico, al solo guardarla, del dolore che sentiva infondo al cuore.Ma i suoi passi non erano stati abbastanza silenziosi dall’impedire alla fanciulla di rendersi conto di una nuova presenza nella stanza.
Pachiko si voltò.
Per un secondo a Wakka sembrò di vederle lo sguardo tremare sorpreso del trovarselo lì davanti, ma dopo quella fugace sensazione lei tornò a piegare lo sguardo verso i vetri che teneva al petto per poi riprendere a sistemarne uno.
Quel dolore alla bocca dello stomaco tornò più violento che mai. Cercò come se nulla fosse un mezzo dialogo, imbastendo un: -Ehi! Come hai fatto a salire la su, con tutte quelle ampolle tra le braccia? -
Al suo dire la vide perdere l’equilibrio e si affrettò a sorreggere lei e quella scala traballante.
Pachiko si appoggiò completamente contro quella scaffalatura per non cadere, e il rumore ovattato di legno e vetro che ne fuoriuscì fece preoccupare, e non poco, il giovane dominatore sotto di lei.
-Tutto bene? - Disse con voce preoccupata.
-Ah-ah! – Uscì gutturale dalla labbra socchiuse della fanciulla, mentre annuiva con la fronte poggiata contro lo scaffale di legno. Alcuni libri e contenitori erano caduti per quel involontario momento di trambusto.
-Vuoi una mano? - Le chiese lui con fare apprensivo.
La ragazza riassumendo una posa più consona. –Non ce n’è bisogno, ma grazie. -
-Dai, insisto. -  Aggiunse lui, mentre senza attendere un’ulteriore risposta le sfilava quelle boccette dalle mani, dandole la possibilità di sorreggersi meglio. –Dimmi solo dove vanno. -
La fanciulla, apparentemente arresa, gli indicò il ripiano proprio davanti a lei e il ragazzo, semplicemente stirandosi verso l’altro, posizionò quanto aveva tra le mani senza sforzo alcuno.
Pachiko lo guardò stranamente durante tutta l’operazione, poi sfoggiando uno di quei sorrisi che non le vedeva rivolgergli da mesi, disse: –Comodo essere nato gigante, vero? -
-Abbastanza, direi. - Sorridendo nel guardarla di sottecchi, mentre sistemava l’ultimo flaconcino in modo che si leggesse bene l’etichetta.
La vide voltarsi sulla scala sedendosi so uno dei pioli, tanto da riuscire per una volta a guardarlo negli occhi senza troppa fatica. Ancora gli sorrideva.
-Cosa ci fai qui? - Gli domand, con un tono misto di malinconia e gentilezza mentre con le mani si teneva a quello stesso legno sul quale posava.
-Hanno ritardato la nostra partenza e ho pensato di venire a salutarti. Vedi… ieri non mi sei sembrata troppo affettuosa. - Disse con un tono ironico. –Volevo darti la possibilità di rifarti! -
-Ohhh! Ma come siamo gentili! - Rispose lei divertita.
Era bello vederla nuovamente comportarsi così nei suoi riguardi… forse, il fatto che probabilmente non l’avrebbe più tormentata con la sua presenza per mesi, l’aveva addolcita un po’.
Wakka le sorrise.
-Hai sempre lo stesso bellissimo sorriso di sempre, lo sai? - Gli disse lei, malinconica nel tono.
Lui rimase un secondo perplesso a osservarla, domandandosi cosa c’entrasse quella frase gettata li senza alcun contesto, ma che riuscì a far scemare proprio quel sorriso che lei aveva appena apprezzato.
In un secondo nella testa gli fu davvero chiaro il motivo per il quale si trovava lì: stava per partire, non l’avrebbe vista per mesi o… per sempre, chi poteva dirlo, se anche suo fratello era convinto che non avrebbe fatto ritorno a casa. Doveva fare chiarezza su quella situazione o se ne sarebbe portato il rimpianto dietro per sempre e… anche lei, pensò stupidamente, se lui non fosse tornato. Anche se, probabilmente, era il solo tra loro a crederlo, costatò amaramente nella sua mente.
Fece un sospiro, mentre la vide incupirsi e voltare lo sguardo al pavimento nel vederlo perdere il sorriso.
-Scusami. - Le disse, riguadagnandosi la sua attenzione. –Scusami per non essere all’altezza delle tue aspettative, piccina. Non sai quanto me ne dispiace. Mi dispiace che ti sia pentita di aver perso il tuo tempo con una non-continuità, mentre avresti potuto avere di meglio. - Lei tornò a guardarlo con occhi troppo grandi per poterli fissare ancora. –Avrei dovuto evitarti di fare questo errore, ma ero lusingato che tu, la più bella ragazza del villaggio, avessi avuto occhi per me. Sono stato impulsivo e te ne chiedo scusa, Pachiko, ma… ti prego, non lasciarmi andare via così. Eravamo amici una volta, non è vero? -
Il ragazzo si sentì il volto afferrato con forza e voltato di nuovo verso quegli occhioni gialli.
-Sei… sei… - Il tono della fanciulla sembrava adirato. –Sei tanto bello quanto stupido, lo sai? -
-Cosa? - disse senza liberarsi da quelle manine e quei grandi occhi sempre più lucidi.
-‘Cosa’ lo dico io, sciocco di un orso. Dopo quanto è successo non mi hai più rivolto la parola se non per fugaci convenevoli e adesso vieni qui a chiedermi di scusarti per non essere stato all’altezza? All’altezza di cosa? Accidenti, se proprio devi, chiedimi scusa e per avermi spezzato il cuore, brutto idiota! Per avermi trattata come una di quelle sciocche dal nasino all’insù che ti fai di tanto in tanto. Non di ‘non essere all’altezza’. -
Si sentiva lo sguardo incatenato in quegli intensi specchi d’ambra che lentamente si riempivano di lacrime. Aveva come un groppo in gola…
“Io le ho spezzato, cosa?” Pensava, senza trovare il fiato per aprir bocca.
Poi lei, dopo interminabili secondi…  -Davvero pensi che sia la ragazza più bella del villaggio? – Disse imbarazzandosi tra le lacrime e tirando su con quel nasino arrossato in un modo talmente tenero che gli sciolse il cuore.
Cercò di annuire con la testa ancora bloccata tra quei sottili artigli da lupo. –Certo che sì. Sei la più bella, Pachi. -
-Stupido, lo sai che ho una gemella? - Disse ancora, liberandolo da una mano per andarsi a stropicciare gli occhi.
Le sorrise cercando di consolarla. –Non volevo farti piangere. Io… -
-Lo hai fatto invece. Ho pianto ogni giorno da quella notte, fino a finire le lacrime, e adesso… me lo stai facendo fare di nuovo. Perché non solo parti, ma mi vieni a dire anche che sono bella e… io ti trovo adorabile quando fai lo stupido… e… - Si portò anche l’altra mano a coprirsi lo sguardo per asciugarsi quei rivoli salati che gli rigavano le guance.
-Quindi… un po’ ti dispiace che parto? -
-Certo che sì! Ma sei davvero un idiota, accidenti! Ha ragione Michiko, sei senza speranza, ma… forse era Tark quello senza… ahhh… non mi ricordo… non l’ascolto mai davvero... -
Le accarezzò il visetto. –Quindi mi vuoi ancora un briciolo di bene? – Domandò cercando teneramente il suo sguardo.
Lei senza sottrarsi a quella carezza e accennando un sorriso, disse: -Dillo chiaramente che vuoi che ti spacchi in testa qualcuna di queste bottiglie! -
-Domanda sciocca! Hai ragione Pachi. – Disse ancora osservandola. –Allora… ho frainteso tutto e ho fatto un bel casino? -
-Già, direi proprio di sì, ma… forse io ti ho aiutato un pochino. - Singhiozzò una risatina, mentre misurava quel suo dire tra pollice e indice.
Wakka le liberò il visetto dalla mano che ancora le tormentava lo sguardo per poterla osservare al meglio.
–Dimmi solo una cosa Pachi. Ho ancora una possibilità per… sistemare le cose. Per… –
Ancora si sentì afferrare il volto, mentre le labbra della ragazza di getto si posarono sulle sue.
Una carezza che durò un solo secondo prima di percepire quel ghignetto a fior di pelle e la voce di lei sussurrargli: -Che fai non schiudi questa bocca? Ricordavo che baciassi molto meglio di così. -
Le sorrise a fil di labbra e soffusamente… -Ma io ‘bacio’ meglio di così. – Disse, prima di stringerla teneramente tra le sue braccia e baciarla come sentiva di aver desiderato da troppo, troppo tempo.
Si perse su quelle labbra deliziose per interminabili minuti, tanto che separarsene gli sembrò ferirlo più di una pugnalata al basso ventre.
-Ok. - Disse lei ansante. –Baci decisamente meglio di… -
Uno sguardo fugace a quegli occhi socchiusi e a quelle labbra arrossate dalla passione, che sentì quel desiderio non ancora quietato divampagli con più violenza in petto, tanto da spezzarle quelle parole sul nascere, baciandola ancora e ancora, mentre con le mani cercava altre soddisfazioni, carezzandole la gamba fin a salire lentamente sotto la gonnellina si pelliccia e stoffa, troppo ruvida rispetto al ricordo di quella pelle che bramava saggiare ancora, quando…
-Ehi, Wakka, brutto rospo, sei qui? – Era la voce di Tark che lo cercava.
Fu lei a scostarlo dalle sue labbra, dalle sue carezze.
-Certo che è davvero gracchiante a volte! -  Sbuffò non riuscendo però a smettere di fissare quegli occhi caldi come il sole. –Ha ragione la sciamana. -
-Scusi signorina, cercavo il mio amico, sa quello grosso come un armadio a due ante, ma più alto. Che lo ha visto? … Ha da fare per le prossime, diciamo… due ore? - La voce scanzonata dell’amico l’avrebbe riconosciuta tra mille, anche non volendo.
-È incorreggibile. - Disse ancora, sentendo le mani chi Pachiko carezzargli dolcemente il volto, chinando la testolina di lato per guardandolo ancora, prima di posargli un leggero bacio sulle labbra. –Dai, vai da quel guastafeste. – Gli disse sorridendo dolcissima.
-Solo se mi prometti di non piangere più. – Le sussurrò gentile.
La ragazza annuì, per poi continuare: -Solo se mi prometti di stare attento al fronte. -
-Te lo prometto Pachi. – Le disse con tono carico di tenerezza.
-Allora io non piangerò più, parola! – Gli sorrise, mentre stringendolo a lei lo carezzava guancia a guancia. Passò una manciata di secondi prima di sentirla poggiare saldamente i palmi sul suo petto, allontanandolo così da lei.
–Vai! – Gli disse ancora. -Io ho da fare, che credi? -
Le annuì, mentre guardandola indietreggiava verso l’entrata, sorridendo come uno sciocco.
-Guarda che ne riparleremo al tuo ritorno, signorino ‘scusa se non sono all’altezza’! -
-Ci conto, piccina... - Terminò facendole l’occhiolino e voltandosi.
Bloccandosi davanti alla pesante tenda si voltò appena e con tono deciso le disse: –A proposito, sai che non dovresti salire sulle scale con quelle gonnelline corte? Ti si vede tutto! –
Se voleva aggiungere altro, non fece in tempo, rincorso al di là della tenda da un pesante libro dalla copertina di pelle rigida.
Dall’altra parte Tark, vedendolo apparire all’improvviso e sentendo il tonfo del pesante plico in terra esordiva dicendo: -Ahia! Questo se ti prendeva ti stendeva, amico! -
Wakka scoppiò a ridere sentendosi sollevato dopo mesi.
Tark lo guardò come fosse matto, per un secondo o poco più, per poi alzare le spalle e superare la tenda per salutare anche lui la giovane sciamana.
-Certo che però ha ragione, ti sei vede davvero tutto da qui! Mica male, non c’è che dir… - Gli arrivò la voce ovattata della lepre al di l’ha del pesante tendaggio. –Ahia! Ehi, mi hai fatto male! E poi perché questo è più grosso di quello che hai tirato a Wakka? -
Il figlio dell’orsa si sentiva felice, tanto da non riuscirsi a togliere quel sorrisetto compiaciuto dal volto, mentre si trovava di nuovo all’esterno della capanna ad attendere Tark che, a quanto sembrava, aveva ancora voglia di tormentare quelle povere guardie che avevano preso il loro posto.
Osservava scioccamente la scena come se fosse la cosa più bella alla quale avesse mai assistito, sentendosi uno stupido ad aver perso così tanto tempo ed essersi ridotto all’ultimo momento per dire ogni cosa a quella lupetta… sì, davvero un grosso, enorme, mastodontico, stupido!

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Capitolo 17
*** Cap. XVII: La Tribù del Freddo - Quinta parte ***


Cap. XVII: La Tribù del Freddo
Quinta parte



 
 
Anak aveva accompagnato il padre fino al deposito delle pelli per fornire quanto prima ai soldati del Principe qualcosa che potesse riscaldarli al meglio in quelle ore di attesa. Era rimasto in silenzio, mentre il genitore si affrettava a mandare alcuni dei giovani del villaggio con quel primo carico al punto di raccolta degli uomini in blu. Lo stesso silenzio aveva mantenuto anche quando con il padre si erano portati alla capanna delle linci e il suo genitore aveva chiesto alle fanciulle che vi dimoravano di occuparsi del preparare qualcosa di caldo per quegli stessi soldati al margine del bosco. E, anche se questo voleva dire uscire dal villaggio al gelo di quell’inverno ormai alle porte, Kaula e le figlie non se lo lasciarono ripetere due volte. Conoscendole, Anak sapeva che, almeno le più giovani, da brave gattine, amavano starsene al calduccio in quel periodo dell’anno, ma nessuna di loro aveva minimamente obbiettato alla richiesta di Ujaraq.
Il ragazzo dagli occhi azzurri accompagnò successivamente il genitore fino al mercato degli scambi. Seguì con attenzione il modo di porsi del padre alle due continuità del corvo che avevano sostituito Kato da che era stato imprigionato. Si trovò a pensare che mai un membro della loro comunità era stato detenuto per tanto tempo come quell’alligatore. Sì, c’erano stati alcuni episodi con i giovani puma delle nevi, ma si trattava più di semplici ragazzate che di altro, senza né vittime, né grossi danni e, alla fine, ne erano usciti dopo qualche giorno al fresco con una bella lavata di capo da parte del Capo villaggio e della madre.
Anak sorrise, ripensando a quella volta che quei tre non fecero in tempo a riposarsi le orecchie dalle grida della madre Puma che il maggiore di loro venne colto in fallo nel rubacchiare della frutta al mercato.
“Ma si sa, con i gatti maschi è così! Proprio come dice la sciamana, sempre la più divertita dalle bravate di quei tre. Questo, ovviamente, finché non diventano abbastanza grandi da mettere un po’ di sale in zucca: fanno le cose senza ragionare, solo perché l’istinto gli dice di farlo!”
Un sospiro mentre la mente vergeva verso pensieri meno allegri: “Per lungo tempo ho creduto che quella prigione fosse nel villaggio solo per loro e per le ubriacature moleste dei miei coetanei dopo le festività e invece… invece poi è arrivato il giorno che quelle gabbie per esseri umani sono state usate per rinchiudere chi ha fatto davvero del male, consapevolmente, rischiando di spezzare definitivamente l’equilibrio tra noi e gli spiriti del Bosco Sacro. Mi domando se Kato e quello che è stato il suo signore, avrebbero comunque attuato quel piano assurdo, Avatar o meno? Infondo per aver tutto pronto dovevano averlo pianificato da tempo… eppure… Kato non si è espresso al riguardo, neanche una sola volta, durante gli interrogatori. Poco è sembrato importargli anche quando il Generale del Nord, senza mostrare verso di lui sentimenti di alcun genere, gli ha fatto presente che, se non avesse detto loro tutto quello che sapeva sull’operato occulto del precedente Signore della Fiamma, non sarebbe mai uscito vivo da quel luogo. Ma l’alligatore non ha proferito parola alcuna, né per dichiarare di non saper null’altro oltre quello già scoperto, né il contrario; sembra aver deciso di rimanerci in eterno in quella prigione, senza rivelare i piani segreti che Nakula probabilmente stava pianificando da anni.”
Immerso in quei pensieri quasi non si rese conto del padre che chiedeva a quei corvetti di dare il loro aiuto alle linci per trasportare quando serviva sul campo allestito per i soldati.
Lui e Nakula erano nati lo stesso anno e per un po’, da piccolissimi, erano stati amici, ma poi il grande Hakan morì. Suo padre prese Nakula nella loro casa. Si trovavano ancora al Villaggio Centrale quando avvenne e, nella testa di un bambino com’era all’epoca Anak, vedere il proprio genitore avere per quel piccoletto più attenzioni che per lui, lo portò lentamente a sentirsi ostile nei riguardi della piccola mangusta. Anak non fece mai realmente del male a Nakula, ma certo non gli alleggerì una sola volta le cose. D'altronde nessuno le aveva mai rese facili neanche a uno dei lupi, per volere stesso di suo padre. “Ma forse…” Si trovò a pensare. “…Se fossi stato più affabile… Nakula infondo non era un lupo, forse…” Rattristandosi maggiormente. “Sono sicuro che c’è stato un momento nelle nostre esistenze dove ci siamo ritenuti amici. Forse se gli fossi stato più vicino e lo avessi aiutato, invece di dargli contro per ogni mossa avventata che compiva senza dargli la minima spiegazione, forse… forse non sarebbe arrivato a quel punto, non avrebbe cercato la compagnia degli alligatori e lo sterminio delle continuità che riteneva inutili ai suoi fini.”
Ma a chi voleva dare colpe?
Probabilmente non era né lui il responsabile, né tanto meno il riflesso degli alligatori di fiume, se di tutti i figli del più grande tra i rettili del Villaggio del Sud, solo Kato si era mostrato fuor di senno come il Signore che serviva fedelmente.
Ancora un sospiro, mentre seguiva il padre che percorreva a lunghi passi la via che conduceva alla sede del consiglio.
-Anak. - Lo chiamò il genitore. –Perché non approfitti di queste ore per riposarti un po’? Vengo a chiamarti io quando è ora, figlio mio. -
Il ragazzo lo guardò ancora silenzioso e in dubbio sul da fare.
-Ascolta. - Continuò Ujaraq, bloccando il passo. –Questa notte non hai dormito per portare a termine il tuo dovere verso il villaggio, non vorrai presentarti dall’Avatar con gli occhi gonfi per il sonno perso? -
Adorava suo padre quando si mostrata tanto attento ai suoi bisogni; si sentiva stupidamente più amato, pur sapendo che lo amava comunque, anche quando da piccolo gli gridava contro se ne combinava una delle sue… e… doveva ammettere che un paio di notti in cella se le era fatte anche lui, ai tempi.
-Tranquillo papà. Non sono stanco, mi piace usare il mio dominio, soprattutto come sentinella del muro. Più che un lavoro è uno spasso star a sentire Ganoa raccontare le sue imprese o il resto dei ragazzi farsi grandi per le loro conquiste. - Sorridendogli, poi facendosi fintamente serio. –A tal proposito, papà, dovresti far qualcosa: quei guerrieri son fuor di testa! Terranno, sì, in piedi il muro, ma nel contempo chiacchierano come comari al mercato. -
-Ahhh! Perché a te dispiace, vero? -
-Beh, non proprio in effetti… - Disse incrociando le braccia al petto apparentemente pensieroso prima di sorridere di nuovo e riprendere: -Comunque papà, ho già sistemato ogni cosa, lo sai. Vorrei solo essere utile. -
Il grosso lupo gli posò sorridendo una mano su una spalla. –Sii utile a te tesso una volta tanto, Anak, dammi retta, vatti a riposare, figliolo. -
Si osservarono per qualche secondo poi, il più giovane tra i maschi della genia del lupo, annuì sicuro.
Infondo se a dirlo era suo padre… perché non farlo?
Si avviò verso quella che era la loro casa al margine ovest di quel villaggio.
Mentre procedeva non aveva voglia di pensare un granché, ma si può davvero non pensare?
Ogni cosa che gli si parava nella mente era triste e malinconica da quando avevano smesso di essere il Popolo del Freddo per diventare una delle Tribù dell’Acqua del Nord… da quando erano diventati la Tribù del Freddo.
Il perché?
Gli avrebbe fatto piacere credere che non ci fosse una reale motivazione, che fosse tutto dovuto solamente a quel periodo di cambiamento, all’avere in giro tutti quegli uomini una volta nemici, tutti quegli estranei che li guardavano sospettosi in casa loro, ma… ma la verità, volente o nolente, era che aveva perso un fratello. Buono o cattivo che fosse, quella mangusta orgogliosa era comunque suo fratello e lui non si trovava neanche nel villaggio quando aveva perso la vita per decisione dello spirito guardiano del bosco.
Si portò una mano a massaggiarsi la radice del naso.
Da quella perdita si era sempre dato molto, troppo da fare. Preferiva fare cose… cose di tutti i tipi pur di non soffermarsi a pensare all’accaduto, pur di non accorgersi che la persona con cui era diventata un’abitudine prendersi di petto al solo vedersi, non c’era più… non c’era più nessuno con cui prendersela semplicemente per partito preso, e non ci sarebbero stati più fratelli e sorelle a dividerli per evitare che si facessero più male del dovuto, non ci sarebbero state più punizioni da scontare insieme, ne ragazze da rubarsi a vicenda, nessuna gara da vincere per dimostrare all’altro chi era davvero il migliore dei due… nulla più di tutto questo, rimaneva solo… dover convivere con l’idea che la persona della quale aveva sperato di liberarsi crescendo, se ne era davvero andata per sempre e… quello stupido desiderio realizzato, ora, non lo faceva stare bene come aveva sempre creduto, tutt’altro: lo riempiva di malessere, di dubbi, di dolore immotivato e di… risentimento contro sé stesso.
“Quando Ganoa mi ha proposto di far parte degli uomini dell’Avatar, ho accettato immediatamente sperando così che quel senso di vuoto potesse andarsene, lontano da questi luoghi che mi ricordano troppo facilmente il mio ‘nemico’ fraterno; proprio per questo stesso motivo sono rimasto stupito quando, al contrario, Loki ha rifiutato il medesimo incarico. Senza neanche pensarci sopra, mio fratello ha dichiarato di essere un cacciatore, non un soldato, e che quello che gli offrivano non era cosa per lui. Non era cosa per lui? Non era un soldato? Cosa diamine era andato blaterando Loki quella mattina a Kaske?” Al solo pensiero Anak non poté evitarsi di scuotere il capo deluso.
“Mio fratello è tra i più temibili e inarrestabili combattenti del villaggio e non lo dico solamente perché è mio fratello, ma perché, se così non fosse stato, Kaske non lo avrebbe mai richiesto tra i suoi guerrieri. Ho sentito più d’uno degli uomini del figlio del Salmone parlare della furia di Loki in battaglia, eppure… eppure proprio lui, che si infervora al solo pensiero di menar le mani, ha detto un gentile e garbato ‘No grazie!’ e ha ripreso con quel che stava facendo, così, come se nulla fosse… come se gli avessero offerto un pasticcino, anziché l’incredibile onore di combattere al fianco del Custode dell’Equilibrio. Il Custode: quella creatura incredibile di cui avevamo solo sentito le meraviglie prima che arrivasse proprio nel nostro villaggio a sistemare le cose, a portare la pace con il nemico di sempre, ad allontanare il grande freddo.” Pensava. “Ho tentato di parlare con Loki, già da prima che Kaske chiedesse l’intervento di Ganoa al riguardo, sapendo che il Cervo possiede un buon ascendente su di me e la maggiore delle mie sorelle. Ma, al di là di quello che dicevo, Loki non faceva altro che limitarsi a rispondere che non era cosa per lui… ancora e ancora, senza aggiungere altro. Chiudendosi maggiormente in quella risposta e nella sua posizione, mostrando una crescente irritazione pian piano aumentava la mia insistenza e quella di Ananke. Ieri anche Pachiko ha preso le nostre parti e lui ne è sembrato sorpreso. Potrei giurare di averlo visto dispiaciuto, mentre la mia sorellina gli diceva che così facendo altri avrebbero pagato per le sue scelte ma invece di risponderle lui si è limitato a un’alzata di spalle, indifferente… indifferente proprio quel Loki che ha la pessima abitudine di prendere fuoco per un non nulla? Assurdo!”
Sospirò ormai davanti all’ingresso della loro abitazione. Normalmente non ci sarebbe dovuto essere nessuno all’interno di mattina, ma… oltrepassato l’uscio, notò subito quel corpicino rannicchiato accanto al braciere al centro della stanza, tra le pellicce.
-Michi, cosa ci fai qui? - Domandò immediatamente, accostandosi e chinandosi sulle ginocchia appena accanto alla sorella.
Michiko si voltò sollevandosi appena. Aveva un visetto pallido, le guance arrossate e gli occhi lucidi.
-Sorellina, tutto bene? - Disse preoccupato, portando una mano alla fronte della ragazzina, per controllare se scottasse.
Lei lo lasciò fare, poi sorridendo scosse la testolina. –Non mi sentivo bene e ho chiesto a Hula la cortesia di potermi riposare. -
Una carezza a quel musetto dagli occhi gialli per poi aggiungere: -E come mai non sei di sotto? Qui non puoi riposare a dovere, arriva il fracasso dall’esterno. Oggi nel villaggio c’è più clamore del solito a causa della nostra partenza. -
-Vero. – Disse tirandosi del tutto seduta. – Ma non me la sentivo di fare le scale, piuttosto… cosa ci fai qui, Anak? Hai deciso anche tu di non partire? - Il tono era basso e dispiaciuto.
-Certo che no! Non sono un vigliacco… - Mordendosi immediatamente le labbra, dicendo per la prima volta ad alta voce quel che pensava realmente dell’unico rinunciatario a quell’incarico.
-Non importa. - Fu rapida a dire lei. –Siamo solo io e te qui, fratello. E non sei l’unico a esserci rimasto male. -
Scosse il capo. –Non ci sono rimasto male, Michi, sono… deluso, solo questo, ma avrà le sue ragioni. Ma ora dai, ti porto giù io, ok? - Piegandosi su di lei per prenderla in braccio.
-No, no… lasciami qui. - Gli sorrise la sorellina scostando appena le sue mani. –Piuttosto… non mi hai risposto. -
-Il principe Desna ha ritardato la partenza e nostro padre mi ha mandato a riposare qualche ora. -
-Ha avuto un’ottima idea, sei stato di turno al muro questa notte. -
Lui si limitò ad annuire sedendole accanto.
-Come mai? Avete tutti portato a termine i vostri doveri fino all’ultimo, perché? - Domandò ancora lei. –Infondo nessuno ve ne avrebbe voluto se avesse chiesto qualche giorno di riposo prima di partire. -
-Per quelle due guardie rumorose che frequenti non posso pronunciarmi, ma per quel che mi riguarda… - Sospirò. –Lo sai mantenere un segreto, sorellina? -
-Ovvio che si! Sono una sciamana, non sai quanti segreti costudisco! - Disse sorridendo, ma con occhi ancora tristi.
-Bene… allora… - Il sorriso iniziale scemò in una smorfia di fastidio. –È per non pensare. Insomma… infondo non sappiamo cosa ci aspetta lì fuori, no? - Decidendo di rivelare solo parte della verità che stringeva nel cuore. -Solo… non dirlo a nessuno, altrimenti penseranno che me la stia facendo sotto? - Le strizzò un occhio ritrovando il suo solito fare.
-Capisco. Ognuno è fatto a suo modo. -
-Ora, me lo dici tu invece cos’hai? Quello è un visetto che ha pianto, o sbaglio? -
Dissentendo con il capo, rispose: -No. Non sbagli An! -
-E chi è che ha fatto piangere la mia sorellina? - Disse assumendo un tono minaccioso. –A chi devo andare a rompere la faccia prima di partire. -
Lei sorridendo, con tono divertito, aggiunse: -Così si che partiresti alla grande, vero? -
-Certo che sì! –
La sorellina rise di cuore prima di rispondere: -L’Avatar. È colpa dell’Avatar Korra, che vi porta via. Te e guardie rumorose comprese. -
Anak si sentì riscaldare il cuore al dire della ragazza, al punto da non potersi evitare d’abbracciarla.
-Ti voglio bene piccolina, vedi di stare tranquilla, ci pensa il tuo fratellone a proteggere quelle teste calde. Ok? –
Michiko annuì dicendo: -Ma chi protegge te? –
Come se non avesse sentito Anak continuò il suo ciarlare... –Per il picchiare l’Avatar… ehm… non saprei… sai tesorino, ho un codice d’onore… insomma, picchiare una donna… non è da me… -
-Di piuttosto che non ti va di prenderle da una ragazza. - Disse lei, ritrovando il sorriso tra le braccia del fratello.
 

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Capitolo 18
*** Cap. XVIII: La Tribù del Freddo - Sesta parte ***


Cap. XVIII: La Tribù del Freddo
Sesta parte



Amaranto se ne stava appoggiato a quella bassa staccionata accanto all’ingresso della capanna di Opal Beifong. Al lato opposto di quell’ingresso, Zoe, osservava divertita l’albero davanti a se e i due soldati che erano venuti a prenderli.
Era strano trovarsi lì insieme, solitamente lui e Zoe si alternavano nella custodia dell’ambasciatrice dell’Avatar in quel regno, ma oggi avrebbero lasciato il loro incarico ad altri due dominatori dell’aria: Otaku e Kai. Così gli aveva annunciato il loro capitano. Sempre Kariq gli aveva detto di tornarsene nel villaggio con Zoe e Omari per rimanere al caldo in quelle ore, bastava lui a controllare che tutto filasse liscio.
Malgrado il ritardo nella partenza dei due erranti non si vedeva traccia. Non si sentiva tranquillo a lasciare la giovane ambasciatrice da sola, ed eccolo il motivo per cui lui e Zoe erano lì davanti a quell’ingresso.
A Opal aveva fatto piacere saperli ancora in giro per qualche ora e, a dirla tutta, pensava il dominatore dell’aria, era stato lieto di vederla sorridere al loro ritorno. Era una ragazza graziosa e vivace, capiva perfettamente come mai fosse piaciuta tanto al comandante Bolin, al contrario non riusciva a comprendere il perché di quella separazione. L’unico dato positivo che sembrava trarne giovamento era il ritorno in servizio dell’uomo che gli aveva insegnato a sentirsi completo anche non riuscendo a divenire parte degli erranti.
Era un Dominatore, un ottimo dominatore, se non il migliore tra i dominatori dell’etere che conosceva, ma ci aveva messo un po’ a capirlo testone e volubile come ogni uomo della terra alla quale apparteneva: la Nazione del fuoco.
Uno sguardo a Zoe, mentre con la mente ancora vagava nei suoi pensieri, ignorando le parole del soldato seduto su uno dei grossi rami di quell’albero al di là del vialetto che interrompeva la bassa recinzione di legno che delimitava i deboli confini di quel percorso.
La sua amica non trattenne una risata e ad Amaranto non rimase che accertarne il motivo riportando l’attenzione ai due arcieri Yuyan che erano giunti con il grosso dirigibile da guerra per portarli a destinazione.
I due erranti sarebbero dovuti arrivare con loro, ma nulla.
Si domandava come mai avessero mancato l’appuntamento.
Otaku, come aveva avuto modo di conoscere nella missione di pochi mesi prima, era un tipo estremamente minuzioso e molto più abile di quanto avesse mai creduto in passato. Un po’ insicuro all’inizio, ma decisamente una sorpresa una volta messo sotto pressione. Di Kai ricordava poco, se non il periodo dell’addestramento presso Tenzin. Ricordava fosse un ragazzo troppo vivace e attivo per sottostare appieno agli insegnamenti del maestro dell’aria e, doveva ammettere, era uno dei pochi che gli piaceva di quel gruppo. Chissà se aveva mantenuto quell’aggressività che tanto lo faceva assomigliare a lui e a Zoe?
L’Avatar Korra non aveva certo scelto a caso i loro sostituti. L’aggressivo e istintivo Kai accompagnato dal placido e attento Otaku.
Eppure… non si vedevano ancora.
Si rese conto che nel suo tornare a pensare si era soffermato con lo sguardo probabilmente troppo a lungo sulla giovane appoggiata contro il tronco dell’albero.
Atsuko lo guardava interrogativa.
Sorrise alla ragazza, scuotendo il capo come a dargli a intendere che fosse solo sovrappensiero e questa sembrò accettare quel suo accenno, sorridendogli di rimando.
Le parole di Eizo gli giunsero con il solito tono canzonatorio della sua gente.
-Che notizie ci sono dal fronte soldato. - Diceva l’arciere con voce impostata. –Nulla di buono capitano, i Monsoni avanzano. -
Poi recitando un tono deciso: -Annientateli! -
Mettendo perplessità nell’impostazione: -Ma sono venti, signore. -
Nuovamente deciso: -Venti o trenta, non importa, annientateli lo stesso! -
Zoe scoppiò in un’altra risata allegra e anche a lui venne da sorridere, quando, notando qualcuno apparire da dietro l’albero e poggiarsi alla staccionata accanto alla sorellina del braccio destro del loro capitano, bloccarono entrambi il loro fare, ritrovando la serietà.
-Non ditemelo. - La voce di Eizo perplessa. –Il capitano è qui sotto. - Sospirò, lasciandosi cadere in avanti ciondolando dal ramo a testa in giù quasi fosse un lemure dell’aria.
Il giovane dai capelli biondi, che lui e Zoe conoscevano con il nome di Loki, era ora proprio viso a viso con l’arciere tatuato.
-Oibò! Non mi sembri Kariq, chi diavolo sei? - Domandò Eizo.
Il figlio di Ujaraq sorrise divertito a trovarselo a penzoloni, scostandosi di un passo, per mettere un po’ di distanza tra loro. –Loki e… tu sei uno degli arcieri dell’Avatar giusto? -
-Già, si! - Rispose Eizo incrociando le braccia e fissandolo, ancora appeso come un pipistrellolupo a quel ramo.
Eizo era un tipo divertente quando non era in servizio, ma decisamente poco affabile verso chi non conosceva.
Loki guardò l’arciere per qualche secondo, prima di aggiungere sempre sorridendo: -Forte, ma come fanno a non caderti le frecce dalla faretra in questa posizione. -
-Forse perché non è una faretra normale, genio? - Rispose il suo amico.
Loki ancora se la ghignò a quella risposta, mentre Eizo, con l’agilità che lo caratterizzava, ritornava a sedersi sul ramo. Ogni suo movimento non emetteva alcun rumore nella sua fluidità, cosa che sembrava talmente naturale se svolta da un arciere Yuyan, ma che nella realtà dei fatti era studiato nel minimo dettaglio per essere il più rapido e silenzioso possibile.
-Come mai da queste parti Loki? - Domandò Zoe al ragazzo che tornava a posarsi contro la staccionata.
Sia Zoe che Amaranto avevano avuto modo di parlare diverse volte con quel ragazzo dai colori così chiari durante i mesi trascorsi in quel luogo. Nel villaggio gli avevano detto che quel figlio del primo Lupo non era una creatura molto socievole, eppure con loro, con Kariq e Omari poi, era sempre stato tranquillo. Aveva sempre molte domande, soprattutto sui luoghi lontani da quella foresta e sulla vita che svolgevano le persone che non conoscevano i ghiacci eterni del nord.
-Vi ho visti da lontano chiacchierare con chi non conoscevo ancora e… eccomi qui! - Rispose il ragazzo dagli occhi d’ambra incendiata.
-Non mi piacciono le persone curiose. - Ancora Eizo, scostante.
Atsuko lo guardava curiosa, notò Amaranto; la ragazza fissava gli occhi del ragazzo, tanto simili ai suoi non fosse per quella ruota infiammata che ne delimitava l’iride. Probabilmente lo trovava strano, particolare… come infondo era successo anche a loro qualche tempo prima.
Loki sollevò lo sguardo verso l’arciere sulla sua testa. –Sembravi più simpatico mentre raccontavi quella storiella poco fa. -
-Ma io ‘sono’ simpatico, solo…- Cominciò a rispondere Eizo.
-Solo… ‘sono un malfidato cronico. Che difficilmente viene preso alla sprovvista e che proprio per questo entro in paranoia verso chi riesce ad avvicinarsi tanto senza che io me ne accorga.’- Lo interruppe Zoe, facendogli il verso, scherzosa.
A Eizo non riuscì di non sorridere.  –Sciocca, io non parlo così, ho un tono più profondo e sensuale. -
-Come no!? Sensuale poi…- Continuava a schernirlo la ragazza.
-Sensuale, sì, cara mia! Oltretutto ero tranquillo e avevo abbassato la guardia. -
-Certo. - Asseriva sorridendo Zoe.
-E questo tizio è silenzioso come un gatto, accidenti! – Brontolava, incrociando poi le braccia al petto fingendo di ammusarsi.
Amaranto trovava divertenti il loro battibeccarsi e non poteva non darlo a vedere mantenendo il suo sorriso osservandoli.
Atsuko ancora fissava il nuovo arrivato.
Loki si voltò verso l’arciera al suo fianco sentendosi osservato. Incrociando il suo sguardo rimase un secondo sorpreso. Sorpresa che aumentò maggiormente quando la fanciulla gli sorrise placidamente, incapace a distogliere lo sguardo come una normale fanciulla, troppo addestrata nella disciplina degli arcieri-ninja del loro popolo e troppo abituata a tener testa a individui sicuramente peggiori del giovane figlio del Capo Villaggio.
Amaranto si sentì il dovere di salvare il giovane da quella non voluta prova di forza, permettendogli di voltarsi, domandando: -Direi più come un lupo, Eizo. Giusto Loki? -
Il biondino annuì voltandosi come era prevedibile e rispondendo: -Si, direi proprio di sì. Anzi scusate la mia pessima attitudine al presentarmi. Sono Loki, come detto, figlio di Ujaraq il capo di questo Villaggio. -
Amaranto, vedendo il ragazzo tornare a fissare la fanciulla dal volto tatuato finita la sua presentazione, sprecando così la via di fuga che gli aveva offerto, non poté evitarsi un ghigno.
Un cenno del capo di Atsuko fu il massimo della risposta che Loki ottenne da lei accompagnato dal suo sorriso, mentre Eizo, balzando in terra proprio davanti a lui, aggiunse parlando per entrambi: -Lieti di conoscerti. Il mio nome è Eizo e lei è mia sorella Atsuko. - Terminò porgendogli la mano.
Il ragazzo dalle vesti bianche non tardò a stringergliela.
L’arciere sorrise, dicendo: -Scusa il mio pessimo carattere, ma come dice Zoe, non amo essere preso di sorpresa, piuttosto… Loki, dici? Dove ho già sentito questo nome? -
Volgendosi dal ragazzo alle due sentinelle della capanna.
-E’ uno dei nomi dei ragazzi a cui è stato chiesto di far parte dell’esercito personale dell’Avatar. - Rispose Amaranto.
-Ehi, allora ho davanti un collega! - Rispose Eizo divertito. –Combattere al fianco dell’Avatar è un onore, ma… lasciatelo dire, Bolin ti distrugge all’inizio. Sai è uno di quelli che preferisce romperti lui piuttosto che farti massacrare in battaglia, presente? -
-Fermo, fermo, fermo Eizo! Sei fuori strada. - Intervenne il dominatore dell’aria. –A Loki è stato proposto, ma non ha accettato. -
-Ah no? - Perplesso guardando Amaranto. –E come mai? - Voltandosi di nuovo verso il ragazzo dai capelli chiari. –Non ti avranno già detto quanto è pessima la cucina in caserma, spero! Guarda, puoi stare tranquillo, dopo un po’ ci si abitua, e se ci ho fatto il callo io che ero abitato alla cucina di corte… ma perché te lo sto dicendo? - Scuotendo poi il capo.
La sorella portandosi una mano a coprirsi il viso divertita, scosse la testa.
-No, non è per questo, ma… si mangia davvero così male? - Domandò Loki con fare tranquillo.
-Male? Male è dire poco, amico mio. - Battendogli una mano sulla spalla. –Beh, forse amico è esagerato, ti conosco da tipo un cinque minuti? Vabbè, ma mi stai simpatico, quindi chi se ne frega! -
Ancora il ragazzo sorrise. –Non mi ritengo pronto, tutto qui. -
Amaranto assottigliò lo sguardo con fare indagatorio. Era la prima volta da che ne parlavano che il ragazzo accennava a una risposta quanto meno lievemente dissimile da quelle date fino a quel momento.
-Piuttosto, come mai siete ancora qui? - Domandò rivolgendosi a lui il figlio di Ujaraq, senza accennare fastidio al fare dell’arciere.
-La partenza è ritardata di qualche ora. - Rispose Amaranto.
-Capisco. - Abbassò il capo pensieroso, Loki.
-Se vuoi, sei ancora in tempo. - Arrivò la voce gentile di Zoe. -Kaske dice che per te sarebbe una grossa opportunità, oltre che un onore. Che potresti crescere molto nel tuo potere affianco agli uomini dell’Avatar e imparare cose che qui non pensate neanche possano esistere. -
La sua amica proprio non voleva darsi pace per la decisione di quel biondino a non seguire la loro signora.


Loki si sentiva più dolorante del solito alzandosi quella mattina dai propri incubi.
Si era preparato poi come sempre e come sempre si era recato nel bosco a caccia, poi… l’aveva vista: era rimasto senza fiato nel vedere, per la seconda volta nella sua vita, quella grossa nave volante sorvolare il bosco sacro.
Quel senso di oppressione che sentiva allo stomaco si fece più forte, cosciente che quella diavoleria era lì per portare via con se, non solo l’esercito del generale Desna, ma anche quanti avevano accettato di seguire l’Avatar e lui… non era tra questi.
Per un secondo gli sembrò di perdere il senno, tormentandosi senza motivo in quella realtà, ma… riuscì a recuperare abbastanza velocemente la calma. Certo però… con quel grosso affare sul bosco, cacciare si preannunciava impossibile, gli animali erano spaventati e in allerta.
Decise di dare le spalle a quel bestione volante che attraccava al terreno al di là degli alberi, rendendosi ormai quasi invisibile allo sguardo.
Quel dirigibile se ne sarebbe andato a breve attraverso quello stesso portale da cui era giunto, pensò, ma la caccia ormai era rovinata e tanto valeva tornarsene al villaggio.
Si stava recando alla conceria da suo fratello Kerkeci, quando, con sua sorpresa, vide ancora lì i due dominatori dell’aria a guardia dell’ambasciatrice dell’Avatar e con loro due tizi armati di arco e faretra.
Non riuscì a trattenersi dall’avvicinarsi. Aveva sentito meraviglie sugli arcieri che avevano accompagnato l’Avatar Korra: dicevano che non possedevano un dominio, ma che la loro abilità era impressionante e che i loro visi tatuati potevano intimorire anche il più coraggioso tra loro, ma lui… come la maggior parte dei suoi fratelli, non era al villaggio nel momento che questi avevano agito.
Loki era di natura schivo, un solitario per così dire.  Non che non amasse la compagnia, ma nella realtà dei fatti era cosciente di essere facile a irritarsi, preferendo ai più la sua famiglia, i pochi in grado di sopportare i suoi balzi di umore e il suo caratteraccio. Eppure non si era trovato male a parlare con i soldati dell’Avatar, nella fattispecie proprio con le guardie dell’Ambasciatrice: Zoe era una tipetta allegra e Amaranto… un po’ gli assomigliava: parlava per lo più se necessario, ma non dava in escandescenza come lui. Era decisamente più controllato, almeno questo gli sembrava. Aveva pensato che potesse essere dovuto alla disciplina militare a cui il ragazzo della Nazione del Fuoco era stato sottoposto, mentre lui non era un soldato, era un cacciatore e forse per questo più abituato a seguire maggiormente l’istinto piuttosto che le regole. A volte svolgeva il ruolo di sentinella al seguito di Kaske, il capo degli uomini con il compito di controllare il perimetro esterno del villaggio. E proprio Kaske era forse l’unico che poteva realmente considerare un amico in quel villaggio, ma… aveva fatto il suo nome a suo padre.
Kaske, figlio del salmone e maestro delle energie fredde della nebbia, aveva detto a Ujaraq che era il migliore tra i suoi combattenti e il più adatto a servire l’Avatar.
Era furioso con l’amico, non avrebbe dovuto farlo, non senza avvisarlo almeno, ma… gli era troppo legato per tenergli il muso troppo a lungo.
Sorrise alla storiella dell’arciere sul ramo, accostandosi. Lui e la ragazza appoggiata al tronco non sembravano tanto spaventosi come gli avevano raccontato, anzi… Seppure all’inizio quello che si presentò con il nome di Eizo parve scontroso e irascibile, notò che con la stessa rapidità con cui prendeva fuoco sapeva ritornare all’umore perso. Gli ricordava nei modi suo fratello Vilks dandogli quella sensazione di famigliarità che non gli dispiacque. Al contrario però quella fanciulla… quel ragazzo aveva detto che era sua sorella. Si poteva notare la somiglia in quegli occhi del colore del miele stranamente simili a quelli di suo padre.
Si sorprese trovandola a fissarlo, senza mostrare imbarazzo o cedimento quando i loro occhi si incrociarono, tutt’altro: per un secondo gli sembrò lo sfidasse a dimostrare chi tra i due fosse il vero predatore, se il lupo o l’arciere. Gli aveva fatto sentire i brividi lungo la schiena e si diede dello stupido nel momento immediatamente successivo, in cui si trovò a rispondere ad Amaranto.
“Io… intimorito da una ragazzina, ma scherziamo?” Pensò.
Voltandosi, dopo una manciata di secondi, la trovò ancora a guardarlo. Da curioso maschio della tribù del freddo che era, cercò di intuire quale fosse il suo reale aspetto e, stupidamente, si domandò se fosse carina al di sotto di quei tatuaggi, ma non ottenne la risposta che cercava.
Quei segni sanguigni le modificavano i lineamenti, gli unici tratti davvero apprezzabili erano il colore degli occhi e quelle labbra carnose.
Per qualche secondo, però, la stranezza di quella creatura lo distrasse da quel fardello che portava nel cuore. Un secondo, non di più, dal momento che la voce dell’altro arciere lo riportò con i piedi in terra e… frastornato dal trovarsi qualcosa di così particolare davanti agli occhi, e da quel ciarlare veloce dell’uomo, rispose onestamente per la prima volta a ‘quella’ domanda.
–Non mi ritengo pronto, tutto qui. -
Rendendosene contò cercò di sviare l’argomento, ma la dominatrice del vento incalzò: -Se vuoi, sei ancora in tempo. Kaske dice che per te sarebbe una grossa opportunità, oltre che un onore. Che potresti crescere molto nel tuo potere affianco agli uomini dell’Avatar e imparare cose che qui non pensate neanche possano esistere. -
Come se Kaske non glielo avesse ripetuto allo sfinimento.
Non riuscì a trattenere un sospiro, esausto dal continuo ripetere di quelle parole nei giorni che avevano preceduto quella partenza.
La fanciulla che aveva posto la questione lo fissava seriamente.
Non ci aveva messo troppo a capire da quando aveva cominciato a parlare con gli uomini dell’Avatar che ritenevano servire la loro signora un privilegio senza uguali e che le erano fedeli fin nel profondo della loro anima.
-Anche se avessi cambiato idea Zoe, non sono più in tempo come dici. Io non ho giurato come gli altri e l’Avatar ha richiesto solo tre uomini al nostro popolo. Senza contare che se pur fosse possibile sottrarre a uno dei tre guerrieri l’incarico che gli è stato dato e sostituirlo, sarebbe ingiusto. - Gli sembrava di aver assemblato un ottima difesa.
Ma la piccoletta del fuoco obbiettò senza timore: -‘Se avessi’, Loki? Stai quindi mettendo sulla bilancia questa opportunità? - Senza dargli il tempo di rispondere, sfoderando un sorriso simile a quello che vedeva apparire sulle labbra della loro sciamana quando li coglieva in fallo, continuò: -Per quel che riguarda il tempo, cacciatore, l’aeronave è ancora attraccata e noi siamo ancora tutti qui. L’avatar ha richiesto non tre uomini, ma ‘almeno’ tre uomini al vostro popolo e…- prendendo un respiro. -…Le vere promesse Loki, sono quelle che si celano nel cuore, non quelle che affiorano alle labbra. -
Si, per molti versi quella creaturina minuta, che non ne bastavano quattro per fare lui, gli ricordava la loro sciamana: furba, testarda, sempre con la risposta pronta e maledettamente devota al culto dell’Avatar.
Ancora sospirò: -Zoe ascoltami…-
-No, ascoltami tu, ragazzino. - Lo interruppe questa.
“Ragazzino, poi… a lui?”. Pensò. “Ma se sono visibilmente più vecchio di te, mocciosa.”
-Hai davanti a te la possibilità che si presenta una volta nella vita, quella di servire il bene. E non il bene in senso lato, ma il bene assoluto, te ne rendi conto? -
-Il bene assoluto dici? - Sbottò ancor prima di ragionarci realmente. –E per te è un bene, aver lasciato che Jurupa prendesse la vita di mio fratello? –
Troppo tardi gli arrivò la coscienza delle parole appena dette, troppo tardi per quietarle nel suo animo come aveva fatto nei mesi passati.
Si sentì immediatamente nudo davanti a quelle persone. Rapidamente cercò con lo sguardo i loro visi nella vana speranza di non essere stato udito, ma… erano espressioni sbigottite quelle che lesse sui loro volti.
-Tuo fratello? - Domandò Zoe, senza capire.
-Incolpi l’Avatar per quanto successo a Nakula, Loki? - Si unì alle loro, la voce di Amaranto.
Si sentì ancora più scoperto. Era questo?
Sì, era questo, ma non solo… scoprire che il fantomatico Custode dell’equilibrio, di cui tanto avevano decantato le lodi i loro anziani; quello che credeva una creatura buona, fosse in realtà talmente spietato da calpestare i sentimenti delle persone che lo rispettavano pur di raggiungere i suoi scopi. Siano stati questi giusti o meno, il bene assoluto non dovrebbe usare ogni mezzo per piegare gli altri al suo volere. Dovrebbe avere dei limiti e, agli occhi di Loki, questa nuova Avatar, aveva lungamente superato quei limiti.
-Parlate di bene assoluto, ma che razza di bene è quello che si ottiene attraverso la violenza? Certo, probabilmente sono l’ultimo a poter parlare di questo, ma… l’Avatar si ferma mai a pensare che le persone che sacrifica per la sua causa spesso hanno una famiglia, delle persone che gli vogliono bene e che forse… forse hanno solo perso la via? Che forse basterebbe dargli una seconda possibilità per cambiare le cose? - Ormai si era tradito, tanto valeva sputargli in faccia tutto quello che pensava.
-Quando dici di non essere adatto, quindi… intendi dire che non sei adatto a servire una persona come l’Avatar che descrivi? - Domandò dispiaciuta ancora la ragazza.
Per un secondo calò il silenzio.
Avrebbe risposto di sì a quella domanda, ma vedeva su quel viso dai tratti sottili, un’espressione talmente sofferente alle sue parole che tornò in lui il dubbio che stesse sbagliando… quel dubbio che non gli aveva concesso notti tranquille in quei giorni.
Poi quell’arciere… -Accidenti! Non che ne abbia capito molto, ma… dal tuo punto di vista, amico, sarebbe come servire l’assassino di tuo fratello! Capisco il perché di tutto questo astio. -
Gli altri erano in silenzio, mentre il ragazzo tatuato parlava.
Loki si volse a guardarlo.
-A te dire che l’Avatar è una brava persona varrebbe solo come gettare la benzina sul fuoco. Senti, io non ti conosco e non conosco la tua situazione. In questi mesi sarei potuto venire qui quando mi aggradiva. Il punto di stallo del nostro gruppo è stato spostato accanto al portale, ma per quanto potessi trovare allettante curiosare su di un popolo che non sapevo neanche esistere fino a pochi mesi fa, il tempo libero a mia disposizione ho preferito usarlo per andare a trovare la mia famiglia. Ora, ti domanderai perché te ne parlo, ma… so che vuol dire amare i propri cari e posso comprendere il tuo astio, ma a volte le persone fanno cose sbagliate e si è portati a prendere delle decisioni veloci, rapide. Delle decisioni che normalmente non accetteremmo per buone, ma… comunque le uniche attuabili in quel momento. Non so perché te lo racconto, ma… io odio mio padre. Lo odio più di ogni cosa al mondo, eppure, quando vedo qualcosa che ricorda anche lontanamente il tempo passato con lui, non posso che sperare di vederlo, anche solo di sfuggita: spero che uno dei volti tra la folla possa essere il suo. E’ irrazionale eppure mi ritrovo a farlo e so per certo che fuggire da lui è stata l’unica soluzione possibile per sopravvivere. Sono cosciente che presto o tardi ci avrebbe ammazzati nella migliore delle ipotesi, perché di troppo… perché inutili, perché troppo piccoli e rumorosi. Eppure, malgrado il mio odio… una parte di me non riesce a smettere di amarlo… ci stava affamando, ci picchiava ogni giorno dalla morte di nostra madre e… posso assicurarti che sapeva fare anche di peggio. –
Loki aveva perso la voglia di parlare, ma cosa c’entrava tutto questo con l’Avatar? Doveva capirlo.  –Hai detto che tornavi dalla tua famiglia, poi mi dici che tua madre e morta e che non vedi più tuo padre… non capisco… e l’Avatar? Cosa c’entra in tutto questo? -
-Te lo spiego, anche se non sono il massimo con le parole e te ne chiedo scusa, ma… vedi, è normale amare chi ci è intorno, esiste un legame invisibile che ci unisce ai nostri genitori, ai nostri fratelli e che troppo spesso ci fa passare sopra i loro errori, sopra i loro difetti, ma… fino a quanto possiamo sopportare? Seguire un ideale giusto, non vuol dire infangare il loro nome, non vuol dire fare necessariamente la cosa sbagliata scegliendo un’altra direzione da quella che avevano pensato per noi. Io e mia sorella siamo stati cresciuti in una famiglia che avrebbe potuto benissimo lavarsi le mani di noi. Potevano non fermarsi a soccorrere due mocciosi insanguinati e spaventati, ma lo hanno fatto. L’Avatar poteva guardare dall’altra parte Loki, tu avresti ancora tuo fratello. Io avrei avuto all’epoca ancora mio padre, ma… quanto avrei resistito? E quanto avrebbe resistito ancora il tuo popolo? Non sapevo che Nakula fosse tuo fratello, ma quelle piccole che aveva in ostaggio, se erano anche loro figlie di Ujaraq come avevo capito all’epoca, voleva solo dire che era disposto a sacrificare le sue stesse sorelle, le tue sorelle… quanto tempo ci avrebbe messo a immolare ognuno di voi alla sua causa? Io non lo so, e a dirla tutta non so nemmeno se lo avrebbe fatto, come non posso sapere se mio padre sarebbe stato mai in grado di fermarsi un giorno e smettere di farci del male, ma… qualcosa la so, Loki. So che io ho ancora mia sorella, la mia vita e la mia dignità per quella scelta fatta d’istinto, presa al volo, perché quel giorno mio padre è arrivato troppo ubriaco in casa per ricordarsi di chiudere la porta come faceva sempre dopo averci massacrato di botte. Il tuo popolo ha ancora un futuro in cui sperare. Tu hai ancora tuo padre e le tue sorelle che, quel fratello che piangi nell’anima, voleva morti, e questo grazie alla scelta istintiva della nostra signora di portarvi aiuto, nonostante il vostro popolo, corrotto dalle parole di Nakula, la volesse assassinare. Puoi non credermi, ma ti sto parlando con il cuore in mano, Loki. Posso assicurarti che appoggiare l’Avatar non è sempre facile, non è sempre bello e non sempre è semplice da comprendere, ma è la cosa giusta. E questo nostro Avatar, più di quelli passati, sa bene cosa voglia dire avere gli altri contro pur di fare la cosa giusta. Posso assicurarti che nessuna sua decisione è mai presa superficialmente. Ti hanno mai detto i miei amici qui, qual era realmente la nostra missione? Il motivo per il quale siamo giunti in questo luogo? -
Loki si limitò a dissentire con il capo.
-Arrivammo qui, perché ci venne riferito che voi foste creature malvagie. Che da anni la vostra gente, perpetrava atti ignominiosi alle spalle delle altre tribù; rapendo e stuprando i loro giovani, derubando le loro riserve e i loro mercati, eppure… malgrado tutte le brutture riferite su di voi al nostro Avatar, malgrado i più fatti a sostegno di quelle parole, Korra ha voluto vedere con i suoi occhi cosa accadeva… chi eravate. Tu e il tuo popolo avete visto il suo potere, eppure ha rischiato se stessa e i suoi uomini per aiutarvi, quando avrebbe potuto spazzarvi via con la stessa semplicità del solo pensarlo. Se avesse voluto far realmente del male a Nakula, non gli avrebbe dato la possibilità di scegliere, non gli avrebbe dato la possibilità di svolgere un duello per mettere in chiaro le cose… parli di seconde possibilità, Loki? Pensa, quindi, quante seconde occasioni in quei due giorni ha dato l’Avatar al tuo fratello sfortunato? In fine si è trovata a decidere chi meritasse davvero una chance di sopravvivenza e quello era il tuo popolo, non il tuo signore. E ancora… malgrado tutto, lei ha preteso che fosse solo catturato e reso impotente. Ha lasciato che fosse il tuo popolo a giudicarlo e, prima ancora che Jurupa intervenisse per evitare che si estinguesse anche lo spirito che dimorava in lui, il vostro nuovo signore aveva deciso di lasciarlo nelle mani di quello stesso spirito. Onestamente, pensi davvero che Jurupa avrebbe lasciato vivere tuo fratello anche se il principe del nord non avesse richiesto la sua vita? Io penso che sarebbe valso solo a prolungargli di qualche giorno quell’agonia… ma io conosco solamente quello a cui ho assistito e ti chiedo di scusarmi se ciò che ho detto t’ha ferito, ma… tu, amico, stavi offendendo una delle mie ragioni di vita: il mio Avatar. Noi non potremmo fare quel che facciamo senza credere ciecamente in lei. -
Loki, ormai calmo, cercava di far ordine nella sua testa. Sfiorò rapidamente con lo sguardo chi lo circondava: il ragazzo che aveva parlato non poteva sapere che lui non si trovava nel villaggio quel giorno di cui raccontava, lo vide sospirare, mentre i due dominatori dell’aria l’osservavano in silenzio; la fanciulla dallo sguardo fiero aveva finalmente abbassato il viso al suolo, ma non se ne sentiva orgoglioso… tutt’altro.
-Su una cosa hai sicuramente ragione, Loki. Non sei pronto a servire l’Avatar. Non si può seguire un ideale senza crederci pienamente. Non si può seguire il Custode senza fidarsi delle sue scelte. Mi spiace che le parole della mia amica Zoe ti abbiano sconvolto al punto di sentirti in dovere di spiegare le tue motivazioni, quando la tua scelta era sensata. Ma sai… tra noi ci prendiamo spesso in giro, ma la sua fede è incrollabile. Probabilmente proprio per questo non si capacita che sia così facile per altri guardare davanti a loro senza realmente vedere la verità. -
Loki si sentì affiorare un ghigno sulle labbra a quelle sue ultime parole. –E tu saresti quello che non sa parlare? - Disse ironico. –Potresti convincere un cieco a vederci, accidenti! Dovresti far propaganda, te lo ha mai detto nessuno? -
A quella frase, i presenti, compreso quel logorroico arciere, sorrisero.
-Perdonami Loki. - Disse inaspettatamente Zoe. –Ho reagito male. Quel melodrammatico di Eizo ha ragione, ma… in questi mesi, m’era sembrato che tu avessi voglia di vedere cosa ci fosse al di là di tutto questo freddo e non capivo perché…- una breve pausa. – insomma… non capivo come potessi rinunciare a venire con noi. Credevo onestamente fossero altri i motivi, che so, insicurezza… o roba del genere. Scusami. La scelta è solo tua, come ha detto tuo padre difronte al tuo rifiuto. -
-Non sbagli, Zoe. Vorrei venire con voi, ma… il mio cuore ancora non è in pace. Sono curioso di sapere cosa c’è al di là del portale, al di là di questo mare ghiacciato, ma non sono sicuro di voler fare la differenza nelle dispute tra gli altri regni. Siamo appena usciti dalla nostra guerra e…- Un profondo sospiro. -Ci chiedete di partecipare a un'altra, lontana da noi, che non riguarda la nostra gente, poi… mi viene da pensare a quello che dice mio padre; che siamo tutti uguali infondo, vesti bianche o vesti blu che siano. E questo pensiero si allarga a chiunque respiri la nostra stessa aria, eppure… non so se sia sufficiente. Mi capisci? - Sentendo doveroso parlare con la stessa sincerità dimostrata dall’arciere.
Zoe annuì al suo fare.
Le sorrise malinconico prima di sentire qualcuno prendergli la mano.
Si voltò.
La ragazza tatuata lo guardava e del fratello notò che possedeva anche lo sguardo fermo, ma gentile.
Stringeva la sua mano e, come era già accaduto, si trovò incatenato a quegli occhi incorniciati dai simboli scarlatti della Nazione del fuoco.
Gli sorrise.
Per un secondo quel suo modo di guardarlo, di stringere la sua mano, gli sembrò invitarlo a non rinunciare a quel che desiderava.
-No, Atsuko, non credo sia una buona idea. - Disse il fratello.
-Eppure, Eizo, non lo so, sai? - Commentò Amaranto portandosi una mano sotto il mento pensieroso.
-Non mettertici anche tu, Ama. Fammi la cortesia, già mia sorella è terribilmente testarda, vedi di non darle manforte. - Insistette il ragazzo tatuato.
Loki non li guardava, sentiva il loro dire, mentre osservava quel visetto dai tratti confusi che a quelle parole allargava un sorriso dolcissimo tirando appena quella mano verso di se.
-Eizo, infondo l’Avatar non ha mai rifiutato a nessuno l’opportunità di aprire gli occhi e il ragazzo vuole vedere il mondo fuori da questa foresta. - Continuava il dominatore dell’aria.
-Non insistere Ama. E tu, Atsuko, smettila di fare pressione a quel ragazzo. Hai capito, sorellina? - Riprese entrambi, guardando prima l’uno e poi l’altra.
Ma ignorando il dire del fratello, Atsuko, accennò un assenso col capo che, a Loki, parve volergli dar coraggio.
Erano quindi davvero così ‘mostruosi’ quei due arcieri, proprio come dicevano di loro, se erano in grado di confonderlo e riordinargli le idee al tempo stesso, solo guardandolo?
-Sono d’accordo! - La voce di Zoe decisa. –Vieni con noi, Loki. Tu non eri qui quando l’Avatar ha dato una nuova direzione all’esistenza del tuo popolo, ne sei stato travolto senza possibilità di scelta. Sono convinta, come sta facendo notare la nostra compagna, che tu debba vedere con i tuoi occhi per capire davvero, per fare chiarezza. L’Avatar non ti allontanerà, posso scommetterci la mia stessa vita! -
-Zoe, anche tuuu! - Disse Eizo con tono ormai arreso.
La voce di Loki, ovattata e gentile come non avrebbe mai creduto lui stesso potesse essere, domandò agli occhi davanti a lui: -Posso davvero? -
Ancora ottenne solo un sorriso come risposta da quella fanciulla… ancora un debole assenso del capo.
-Si che puoi! - Sospirò Eizo. –Ma sia chiaro, io non c’entro nulla! Avete fatto tutto voi tre. Non posso prendermi sempre io le scarpe in testa dal capitano, accidenti! -
-Zitto, brontolone che non sei altro. - Disse Zoe, mentre Loki era ancora perso in quegli occhi immobili. –Come se a te non importasse. Guarda che lo sappiamo tutti che fai tanto il duro, ma che alla fine sei un tenerone. -
-Tene… ché? Ma scherziamo? - obbiettò l’arciere.
La fanciulla dell’aria scoppiò a ridere seguita dal silenzioso Amaranto.
Un cenno deciso del capo, mentre il sorriso gli si allargava in volto, fu la risposta di Loki alla richiesta silenziosa della giovane arciera.
Passò meno di un secondo, prima che la ragazza, toltasi una scarpa, la tirava in testa al fratello, scoppiando a ridere, senza però abbandonare la sua mano.
“Strana… strana gente quella della Nazione del Fuoco.” Pensò, non riuscendo a trattenere le risa vedendo quel povero arciere preso in piena faccia dallo stivaletto della sorella.
“E’ giusto così: non mi sarei mai perdonato davvero per aver deciso di non partire. Forse, proprio come ha detto Zoe, devo solo avere l’opportunità di vedere con i miei occhi per capire. E… devo avvisare mio padre della mia decisione, i mie fratelli… non mi resta molto tempo. Mi uccideranno stavolta! Ma… non mi sento di lasciare questa mano… ora che il dolore sembra finalmente scomparso.”
-Ma… ma… ma… Atsuko!?- Lamentava il colpito in pieno.
-Ma daiii, potevi schivarlo! - Ridacchiava Zoe. –Sei più rapido di una scarpa! -
-Sempre che a tirarla non sia mia sorella, però! E poi… non credevo lo facesse davvero! - Ancora protestava l’arciere.
-Come, no!? Ma se lo sai che tua sorella è una iena! - Diceva Amaranto.
Atsuko scoppiò a ridere divertita.
Loki sorrise ancora osservandola… forse poteva lasciare quella mano ormai. La paura che quel dolore potesse tornare, abbandonandola, era sparita: portata via da quelle risa.
Poteva, ma non lo fece.
Era piacevole avere qualcuno che lo rincuorasse dopo che, per mesi, si era tenuto tutto dentro, senza permettere a nessuno di scorgere nel suo cuore.
Sì, era davvero piacevole.
 
 

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Capitolo 19
*** Cap. XIX: La Tribù del Freddo - Settima parte ***


Cap. XIX: La Tribù del Freddo
Settima parte



Opal sorrise rasserenandosi dietro la porta di legno di quella che considerava la sua capanna nel Villaggio dell’Ovest. Vi si era accostata per informare i ragazzi all’esterno del contenuto di quel biglietto consegnatole da Eizo, ma... udendo le argomentazioni del figlio del lupo all’esterno, aveva preferito attendere qualche secondo. E… aveva fatto bene.
I ragazzi al seguito di Korra erano sicuri e ben motivati. Lei, si trovò a riflettere, forse non avrebbe ottenuto lo stesso risultato, quindi… bene così!
Un sospiro accompagnò il suo pensiero, prima di decidere di tirare quel chiavistello.
Come Korra aveva preannunciato quella convivenza non aveva trovato solo favori, al contrario. Ma, per quanto potesse sembrare strano, quelli che l’Avatar riteneva i più probabili oppositori a quella manovra erano stati spaventati adeguatamente tanto da evitare ogni intervento diretto, almeno fino a quel momento; almeno fin tanto continuavano a temere quelle genti, la furia dell’Avatar e delle sue truppe che ancora si muovevano nei territori del Nord. Al contrario tra il Popolo del freddo, che avrebbe dovuto accettare quella situazione in maniera più rosea, aveva trovato diverse contrarietà tra i capi degli altri villaggi.
Mika, la figura più eminente dopo il nuovo Hakan e Ujaraq, considerata saggia al pari della somma sciamana Hula dalla gente di quella nuova Tribù dell’Acqua, si era dimostrata un osso duro: legata alle tradizioni del loro popolo come, se non di più, del consiglio degli anziani della regina Eska. Di temperamento guardinga, testarda e risoluta, aveva tollerato quella situazione più che accettala.
“Tollerato.” Si ripeté mentalmente Opal. “Tollerato è la parola giusta. L’Orsa porta rispetto all’Avatar e ai suoi uomini, ha fede nelle decisioni prese dallo spirito guardiano di questa foresta, ma la sua fierezza non le permette di ritenere al suo stesso livello quelli che ai suoi occhi rimangono coloro che hanno incominciato il tutto. Gli uomini blu, così ancora li chiama, quelli che dapprima hanno limitato i loro territori e poi cercato di distruggerli mentendo e ingannando la loro stessa gente. Quegli uomini che li hanno portati con le loro azioni a diventare simili a loro più di quanto mai volessero le loro anime per poter vivere… costretti così a perpetrare in peccati disonorevoli e meschini di cui lei stessa, ha detto, ne porta ancora i segni sul cuore. Inutile dire che Kae, prima e unica continuità dell’Aquila, Signora del Villaggio del Nord, affiancata nelle sue decisioni dal suo sciamano Naitik il secondogenito di Mika l’Orsa, è del tutto concorde con la linea di pensiero della madre del suo uomo più fidato. La stessa ostilità ho riscontrato anche in Tuktuvak, non-continuità del Cervo, a capo del Villaggio del Sud. Fortunatamente Hakan ha scelto come suo successore alla guida del Villaggio dell’Est, Ulrik, la prima tra le sue guardie, non-continuità del Ragno di palude e in linea con il pensiero del suo signore. Questa tensione è trattenuta proprio dalla fede di questo popolo nel Custode dell’Equilibrio e dalle tradizioni che considerano inviolabile il diritto di successione del titolo di signore delle loro genti ottenuto tramite Ashvin Kai, eppure… non sono tranquilla, ed è stato questo il motivo per il quale nella mia ultima missiva a Korra ho dichiarato che temo la messa in atto delle nuove costruzioni in tutti e cinque i villaggi della tribù del freddo. La partenza dei lavori metterà in stretto contatto i costruttori delle altre tribù con i villaggi più ostili. Ho il terrore che possano scatenarsi delle rivolte sapendo quanto, sia l’uno che l’altro popolo, siano orgogliosi e fermi nelle loro opinioni.”
Ancora un sospiro.
“L’ago della bilancia in grado di determinare le azioni di questo popolo è l’Orsa: tanta è la sua influenza. Mika non ha preso ancora una posizione di netto contrasto, ma sono ormai certa che, se questo dovesse accadere, i più la seguiranno come hanno fatto sempre in passato. Da quanto sono venuta a conoscere, la Signora del Villaggio Centrale è la Prima di tutto il suo popolo toccata dagli spiriti e Originale dell’Orso; domina le energie fredde della Nebbia con talmente tanta maestria d’essere annoverata tra i migliori guerrieri del suo popolo; ha un carattere e una determinazione talmente forti da renderla temibile nel consiglio dei Cinque Signori del Popolo del Freddo e, seppure difficilmente si intromette nelle situazioni che non la riguardano direttamente, nei rari casi in cui ha dichiarato la sua posizione nessuno ha posto mai alcun tipo di obbiezione al riguardo. Oltre all’Avatar e alle tradizioni, l’unica reale influenza sulle decisioni dell’Orsa è apportata dai suoi sei figli e, inaspettatamente, dal suo braccio destro, Hakk l’Originale del Serpente di terra. Abile cacciatore e combattente, Hakk, è l’unico dei serpenti originali, oltre ad Ainik del Villaggio dell’Ovest, a essere ancora in vita; è risaputa la sua relazione romantica con Mika che lo rende agli occhi di molti un capo al pari dell’Orsa. Consigliere personale della Capo villaggio, è l’organizzatore dell’attività principali del popolo del freddo, ha sempre avuto forti contrasti con Nakula in passato che, come Signore del loro popolo e residente nel medesimo centro, aveva avuto spesso pretese sul controllo delle sue mansioni. Il Serpente di terra è anche il padre di Tanaka e per questo profondamente e maggiormente toccato da quanto l’Avatar e il Principe Desna hanno fatto per le ultime continuità dei Serpenti del suo popolo, strappandole a quello che doveva essere un fausto destino. Ovviamente cambiare l’impostazione di Mika nei riguardi delle altre Tribù dell’Acqua del Nord si sta rivelando un’impresa tutt’altro che facile. L’unico modo che ho trovato per dare a questa nobile creatura fiducia nei nostri progetti per il futuro è stato puntare sulla sua progenie e su quella del suo compagno, mostrando a menti più aperte la grandezza dell’Avatar e delle sue opere in questo regno. Questo mio sistema finora si è dimostrato all’altezza delle nostre aspettative, mantenendo l’attività della Signora del Nord in una sorta di mobilità. L’Orsa ci sta valutando, scrutando da lontano noi e le nostre azioni. Ma… quanto potrebbe tollerare eventuali insurrezioni se l’attrito della sua gente con le altre tribù venisse, come temo, in superficie una volta condotti i costruttori del nord nelle sue terre? La situazione rischia di esploderci tra le mani e quanto fatto finora dall’Avatar, la Regina Eska e il suo Generale Maggiore finirebbe col dissolversi come neve al sole. Ma io sono qui. E… penso di sapere come fare. Mi trovo in questo luogo per volere sia dell’Avatar che per la fiducia dimostrata nei miei riguardi della Regina del Nord e non è mia intenzione deluderle. Ho già sbagliato troppo in passato nei confronti di Korra, non posso permettermi di errare ancora. Tengo realmente al bene di questo popolo: ho conosciuto da vicino in questi mesi di convivenza cosa hanno dovuto sopportare per anni. E come errante mi spetta assicurarmi che i diritti di entrambe le parti vengano rispettati; come ambasciatore dell’Avatar è mio dovere rendere questa integrazione il più indolore possibile per portare l’Equilibrio tra questi popoli. E… Ne sono orgogliosa! Mi sento nuovamente felice dopo anni. Finalmente so di aver ricominciato a fare le cose per bene.”
Un sorriso si dipinse sulle sue labbra, aprendo e varcando la porta.
I ragazzi all’esterno cessarono il loro ciarlare. Ricomponendosi e volgendosi verso i lei.
Un cenno del capo, accompagnato dal suo sorriso, fu il lieve saluto a quella piccola combriccola di guerrieri. Poi con gentilezza, richiamando i due che l’avevano sempre affiancata in quella missione, disse: -Amaranto, Zoe. Vorrei parlarvi un secondo. -
Ancora un sorriso rivolto agli arcieri e al giovane cacciatore e un legger chinar del capo come saluto prima di licenziarsi. Un cenno, poi, ai dominatori dell’aria che senza obbiettare la seguirono nella casupola silenziosi.
-Scusatemi, non era mia intenzione rovinare la vostra piccola rimpatriata. – Disse Opal con reale dispiacere nella voce appena la porta si richiuse. –Ma ritengo sia doveroso da parte mia spiegarvi il motivo del ritardo degli erranti che prenderanno il vostro posto al mio fianco, cosciente della preoccupazione che vi ha portato a vegliare su di me fino all’ultimo. -
I ragazzi si guardarono interrogativi tra loro prima di tornare a volgersi verso di lei.
-E’ tutto scritto in questa lettera. - Riprese, mostrandogli la missiva consegnatale dall’arciere Yuyan. –Non vi ho tenuto all’oscuro delle mie preoccupazioni in questi mesi, ebbene, sapete perfettamente che queste sono aumentate con l’arrivo dell’inverno e l’approssimarsi inevitabile delle opere di costruzione che vedranno fianco a fianco la Tribù del Freddo con gli ingegneri del resto delle Tribù dell’Acqua del Nord. E’ da diverso tempo che ho fatto presente la nostra Avatar delle mie perplessità e, insieme, siamo giunte a una soluzione. -
I due dominatori dell’aria l’ascoltavano in silenzio.
-Altri due ambasciatori potrebbero aiutarmi a mitigare gli animi qualora ce ne fosse bisogno, ma… La Regina del Nord ha imposto chiari paletti al riguardo e questo è il motivo per cui loro mi saranno affiancati come custodi e non come pari. Questo almeno sulla carta. -
Opal vide chiaramente a quelle parole l’espressine stupita e accondiscendente di Zoe contrapporsi allo sguardo turbato dell’altro guerriero.
L’errante allargò verso il ragazzo un sorriso, prima di rivolgerglisi placidamente: -Amaranto, sono convinta che ti turbi il pensiero di chi veglierà su me e i miei compagni, se il loro giungere in questo luogo è quello dissimile da quanto scritto sulla carta, ma… non temere. Ne io, ne tanto meno l’Avatar siamo delle sprovvedute. - “No, non lo sono più!” non riuscì a evitarsi di pensare.
A questa affermazione anche il volto di Zoe si crucciò quasi si fosse appena resa conto della situazione.
-Dobbiamo costruire. - Aggiunse Opal. –E chi sono i migliori costruttori al mondo? Chi è stato così abile in passato da edificare fortezze talmente inespugnabili da diventare leggenda? -
A quella retorica, la fanciulla dell’aria difronte a lei rispose d’istinto, alleggerendogli il cuore grazie a tanta impulsiva ingenuità: -Gli ingegneri del Regno della Terra, mia signora. -
-Infatti. - Confermò fermamente lei con un assenso che capo. –Gli Ingegneri del Regno della Terra. -
Al ripetere le parole della ragazza, notò gli occhi di Amaranto aumentare di misura, dandole chiaro sentore che la sua intelligenza sottile avesse appena annoverato se non la soluzione decisa, un buon ventaglio di quelle applicabili.
Opal ancora sorrise prima di riprendere: -La versione ufficiale informerà la Regina e il suo consiglio che, con l’inverno ormai alle porte, è di vitale importanza velocizzare la messa a punto dei lavori stabiliti e che l’Avatar, messo al corrente di questa necessità dalla mia persona, ha dato la possibilità alle Tribù  dell’Acqua del Nord di avvantaggiarsi dell’utilizzo di due tra i migliori ingegneri al suo servizio e di quattro costruttori di indiscussa efficacia essendo questi due dominatori delle piante e due evoluti della terra e, di conseguenza, in grado di ergere strutture con una rapidità senza eguali in questo Regno. –
Sottile, la voce del dominatore dell’aria, fermò involontariamente il parlare di Opal, dichiarando: -Il Gruppo Kyoshi. -
Un’espressione soddisfatta, accompagnata da un assenso deciso, illuminò il viso della ragazza.
-Esatto. - Disse lei. -Gli uomini dell’Avatar si troveranno in questo modo proprio dove rischiamo i maggiori problemi e al fianco mio e dei miei compagni. –
-Così la nostra signora Korra non mentirà affatto dichiarando di mettere a disposizione del Nord i migliori tra i suoi costruttori. Nessuno, com’è prevedibile, farà domande sulla loro provenienza trovandosi a poter rubare con gli occhi le tecniche del regno più avanzato nella costruzione edile al mondo. - Giunse la voce estasiata di Amaranto.
L’atteggiamento del ragazzo e il sorriso compiacente che si dipinse sul volto di Zoe, riempirono Opal di orgoglio per quell’idea di cui si sentiva genitrice. Gli piaceva… finalmente il suo lavoro le piaceva di nuovo.
-Geniale! - Arrivò la voce di Zoe. –Effettivamente il gruppo Kyoshi è quello che si occupa dell’impianto e del controllo dei nostri campi base e delle nostre difese. Sono esperti di sicurezza e di… pazienza! - Un sorrisetto saputo.
Opal annuì alla ragazza non senza pensare che quel ghignetto celasse il ricordo involontario di qualche scherzetto che, senza dubbio, questa aveva compiuto ai danni del gruppo difensivo più solido ed efficace al servizio dell’Avatar. Questo pensiero non poté che aumentarle il sorriso.
-Due guerriere Kyoshi, Annchi e Daiyu, figlie di uno dei più eminenti ingegneri del regno della terra... due ragazze dai movimenti eleganti, derivanti dal loro culto del nastro di seta rosso, non potranno mai essere associate a dei combattenti, tanto meno i due svampiti dominatori della Palude Nebbiosa o lo scorbutico dominatore della terra Liang. Al contrario mi preoccupa il temperamento di Dewei, è sempre un ex Dai Li e tendenzialmente i nobili della Terra ritengono le tribù dell’acqua retrograde e barbariche. - Rifletteva Amaranto a voce sommessa.
-No, non sono del tuo stesso avviso, Amaranto. - Intervenne Zoe. –Il comandante per assicurarsi che la fede di Dewei nell’Avatar fosse genuina non gli ha reso la vita facile, rammenti? E se è riuscito ad andare d’accordo con due dominatori delle piante come Tho e Huu…-
-Hai ragione. - Amaranto non poté che annuire al dire della ragazza, mentre Opal, curiosa, domandava: -Tho e Huu? -
-Sì. - Rispose Zoe.
-Mah… non saranno mica i Tho e Huu dei racconti di nonna Toph, vero? - Ancora s’informava Opal sorpresa.
-No, no, no. - Sorrideva divertita Zoe. –Ci mancherebbe! Quanto dovrebbero avere? Quasi cento anni, mia signora, no. Semplicemente da quel che sappiamo, non hanno molta fantasia con i nomi nella Palude Nebbiosa. -
Amaranto annuendo: -Vero, Ambasciatrice. A quanto pare amano portare i nomi dei loro antenati più illustri, tutto qui. Probabilmente sono imparentati con le persone di cui parlate, ma non ci metterei le mani sul fuoco. Non metterei ‘mai’ le mani sul fuoco quando si tratta di dominatori della Palude Nebbiosa. -
Sorrisero entrambi, poi Zoe: -Però che buffo sentir chiamare ‘nonna’ la signora del metallo Toph Beifong. Mi dà una sensazione… brrrr… - Scuotendo le spalle quasi fosse percossa da un brivido.  -…Strana… strana davvero! - Concluse sorridendo con lieve imbarazzo.
Opal non poté che risponderle: -Posso capire, ma è la mia adorata nonnina, che posso farci? -
Zoe accennò un piccolo inchino per poi sorriderle con più confidenza di quella dimostrata fino a quel momento in quella stanza.
 
Opal si trovò a pensare a quanto fosse bella quella sensazione: quei mesi passati assieme, in quello sperduto villaggio nella foresta del Nord, l’avevano unita molto alla ragazza e le avevano insegnato a distinguere sufficientemente l’umore quasi imperscrutabile del silenzioso Amaranto, più di quanto avesse fatto il tempo d’addestramento come erranti. Lentamente si stava acquetando anche il dispiacere per l’aver trovato Amaranto un osso più duro con cui socializzare, ma il guerriero proveniva da un lignaggio privilegiato, l’etichetta e la disciplina imparata negli anni lo poneva sempre a una ponderata distanza dal frivolo e il confidenziale, ormai lo sapeva e stava imparando ad accettarlo… imparando ad apprezzare per questo quei suoi sporadici momenti di cordialità.
Un sospirò sfiorò le sue labbra, ma per una volta non aveva nulla a che fare con i piani dell’Avatar e le sue preoccupazioni.
-Ci tenevo molto a farvi partecipi di quanto deciso con l’Avatar Korra. Presto il gruppo Kyoshi e miei compagni saranno qui, quindi… non temete per me. Ci rivedremo presto, ne sono convinta. -
Zoe annuì a quelle parole.
-Solo un’ultima cosa, Ambasciatrice Beifong. - Richiese attenzione, Amaranto. –Siete a conoscenza della motivazione per cui i due ambasciatori non sono ancora giunti al Villaggio dell’Ovest? -
-Arriveranno presto, Amaranto. Sono stati inviati al cospetto di Sua Maestà Eska per informarla delle decisioni incombenti. Con molta probabilità il ritardo nella vostra partenza è da attribuirsi proprio a questo evento. - Concluse.
-Comprendo. Se non c’è altro, Ambasciatrice, ritengo sia consono per noi togliere il disturbo. - Disse in fine il ragazzo con un leggero inchino.
Opal rispose facendo lo stesso e Zoe a seguire.
Entrambi i ragazzi uscirono silenziosamente dalla porta dalla quale erano entrati.

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Capitolo 20
*** Cap. XX: La Tribù del Freddo - Ottava parte ***


Cap. XX: La Tribù del Freddo
Ottava parte



Loki aveva lasciato suo fratello Anak e il padre nella Costruzione Adibita a Ospitare il Consiglio delle Tribù dell’Acqua del Nord.
Il padre non aveva preso la decisione della sua partenza troppo bene, ma neanche male… diciamo che potesse definirsi evidentemente confuso. Ma aveva detto che si fidava delle sue decisioni e che se era davvero quello che voleva, lui non poteva che augurargli il meglio. Gli aveva risposto, come a Kaske prima di lui, che desiderava vedere il mondo. Avevano accettato quella sua risposta, questo era l’importante.
Ma… “Prima o poi dovrebbero dare un nome migliore a quella benedetta costruzione!” Si ritrovò a pensare. “Anche Capanna del Consiglio potrebbe andare, Che Costruzione Adibita a Ospitare il Consiglio delle Tribù dell’Acqua del Nord non si può davvero sentire. Come la chiamano la sede del Consiglio degli anziani nella capitale? Camera del Consiglio, mi sembra, quindi che male c’è a chiamarla Capanna del Consiglio? Bah! Chi li capisce questi burocrati del nord con i loro vestitini blu! Certo avendo noi tradizionalmente il Consiglio dei Cinque Capo Villaggi probabilmente temono si possa creare confusione, ma il Consiglio dei Cinque si svolge ciclicamente in ognuno dei villaggi, mentre questo altro consiglio avrebbe una sede fissa… uhm… certo, però… quella costruzione ha davvero un nome esagerato per essere formata da due pareti, un enorme tavolo e qualche seggiola in croce. Ovviamente con tetto, pavimento, porte e finestre incluse, ma…” Un risolino divertito. “Nessuno ha pensato al bagno.” Ancora più divertito nell’espressione. “Poveri vecchietti del Nord, intimoriti e pure costretti a tenersela. Forse qualcuno dovrebbe farlo notare, ma certo… non io!”
Scoppiò in una fragorosa risata che lo piegò in due a quel pensiero e all’assurdità di chi avesse messo su quel grosso padiglione di legno e pietra.
Ancora rideva di gusto, fermo nel suo andare, quando schiudendo gli occhi si trovò davanti il musetto incuriosito della piccola Ina che lo guardava con i suoi enormi occhi gialli.
Cercò compostezza, non riuscendoci immediatamente, ma… un colpo di tosse per riequilibrare la voce, una riavviata ai capelli, di seguito una passata della mano sul viso tanto per controllare che ogni lineamento fosse esattamente al suo posto e il gioco era fatto! Puntò il pugno sul fianco prima di volgere verso quello scricciolo d’aquila uno dei sorrisi più equilibrati che avesse mai prodigato: non troppo eccessivo, non troppo invadente, tanto meno troppo divertito o poco interessato… come li chiamava il suo amico Kaske? Ah, sì! Sorrisi di convenienza. Questo era.
“Già! Un sorriso di Convenienza.” Pensò, ma prima che potesse aprire bocca, la piccola, sfarfallando le lunghe ciglia, che come raggi di sole impreziosivano il suo visetto, domandò: -Cosa ti fa divertire tanto, maestro? -
“Vecchietti che se la fanno sotto!” No, non poteva dirglielo. Non poteva mostrare alla sua giovane allieva, a cui tentava di inculcare nella testa da anni ormai, e con ben poco successo, il rispetto per gli anziani, che lui per primo non ne possedeva… almeno per gli anziani degli uomini blu.
“Ok, Loki. Qual è la prima cosa sensata che ti passa per la mente? La partenza…” Il tempo di pensarlo che già dalle sue labbra… -Parto. Vado con gli uomini dell’Avatar. -
La fanciullina chinò la testolina di lato facendosi sospettosa nello sguardo.
“Ok, non le basta…” Pensò e aggiunse: –Ti domanderai cosa c’è da ridere. Ebbene signorina, rido perché mi sono deciso dopo i tempi stabili ed è solo un caso fortuito che l’esercito del Nord sia ancora accampato ai margini del nostro bosco. -
“Ok.” Ammise a se stesso, quella scusa gli era uscita proprio bene.
-Capisco, maestro. - Ancora la voce della piccolina. –Quindi… se tu vai via chi baderà al mio addestramento? -
Loki sorrise amorevole a quella preoccupazione osservandola. L’espressione sul visetto della bambina svelava più dispiacere nel saperlo in partenza che per le lezioni sul dominio delle energie fredde.
–Quindi ti preoccupi solo per il tuo allenamento e assolutamente non del fatto che potrei morire tra chissà quali atroci tormenti? - Disse volutamente provocatorio, ma lasciando trapelare nella sua voce tutta l’ironia messa in quella frase.
La piccola, sgranando i suoi occhioni, accennò un… -Ma…- Immediatamente reso silente dal dito che Loki le posò sulle labbra.
-Shhh! - Soffiò lui, per poi riprendere teneramente verso quella cosina che Nakula gli aveva chiesto di addestrare ormai da anni. –Ho già parlato con Kaske. Si occuperà lui del tuo apprendistato, ma… non te l’ho mai chiesto, Ina. E’ davvero quello che vuoi? Intendo dire, piccola, adesso che il nostro signore è il nuovo Hakan, potresti dedicarti a quello che ti piace di più. -
La piccina ancora lo guardava.
La prese in braccio portandosi a sedere sulla bassa staccionata che limitava i confini delle viottole del loro villaggio.
Ina non si lamentò del trattamento ricevuto, anzi, sorrise al fare del suo, normalmente burbero, istruttore.
Loki si poggio con il fianco contro la grossa botte di legno scoperchiata ricolma d’acqua. Una come tante sparpagliate per il suo villaggio, utili qualora fosse stato necessario utilizzare il loro dominio. Uno sguardo al suo interno trovandosi a pensare stupidamente… “Neanche un vasino gli hanno messo!” Ok, era chiaro ormai, la storia dell’assenza di servizi igienici nella capanna del Consiglio non voleva abbandonare il suo cervello, ma… quella bimba…
-Ascolta Ina, hai mai pensato di tornare al tuo villaggio? Da tua sorella Kae? Lei potrebbe insegnarti quello che ti serve come se non meglio di me. -
La piccola annuì. –Sì, maestro, ma sono qui da tanto ormai. Questo ‘è’ il mio villaggio, qui ci sono i miei amici. E poi… Kae è troppo seria e i fratelloni… loro usano la fiamma. -
-Seria? Come seria, e io non sarei serio? - Assumendo un fare imbronciato.
Ina, socchiudendo gli occhioni e sorridendo, asserì decisa, annuendo: –Sì. Ma solo quando gli altri guardano. -
-Solo quando… uff! - Sbuffò fintamente rassegnato Loki.
Qualche secondo di silenzio tra i due per, poi guardarsi intorno circospetto e tornare a sorriderle. –Apposto nessuno in vista! - facendole l’occhiolino.
La bambina scoppiò a ridere.
Gli piacevano i bambini, ma che non si dicesse ad alta voce, ne sarebbe andata della sua reputazione.
Sembrava ieri quando Nakula gli aveva affidato quella piccola continuità dell’aquila che gli arrivava, sì e no, al ginocchio, mentre adesso… nei suoi venerandi 10 anni d’età, gli arrivava quasi allo sterno. Una bella stanga per la sua età, anche per una dominatrice delle energie fredde.
Ina era l’ultima figlia di Tallulah, toccata dallo spirito dell’aquila e sorella del grande Hakan. “La sua nascita è stata un miracolo. Nessuno si sarebbe mai aspettato la venuta al mondo di una continuità da un non-dominatore che si era perso nel bosco. Eppure era successo e con l’avvento nel nostro villaggio degli uomini dell’Avatar tra cui Kariq, un dominatore dalle ascendenze miste, che è stato in grado di generale continuità sia di fiamma che di neve, si è fatta largo in me l’idea che anche il padre di Ina fosse per parte di fuoco. Lei al momento è la più piccola continuità legata alla neve, come testimoniano i suoi grandi occhi gialli da rapace.” Pensò. “L’ho vista crescere… quanto vorrei saperla felice!”
-Quindi Ina, non c’è altro che ti piacerebbe fare oltre allenarti come guardiana? - Domandò ancora.
La piccola tornò a pensarci, poi come illuminata da un’idea improvvisa, disse: -La cacciatrice. Proprio come te, maestro! -
Gli occhi del ragazzo si tramutarono in due fessure. –Ahhh! Aquile… tutte piume e niente inventiva! -
La piccola piegò la testolina di lato come un gatto.
Lui la continuò a fissare silenziosamente, pensando: “Chissà come mai Nakula aveva deciso per lei un destino diverso dalle altre continuità. Chissà perché non la voleva come produttrice, ma… infondo era la sua cuginetta.”
-Mi piace anche giocare con Tuk e Achak, ma non mi piace coltivare la terra come fanno loro. - Continuò lei distogliendolo da quel pensiero.
-Beh, sapere quello che non ci piace è già qualcosa. - Sottolineò lui.
-Vediamoooo… Mi piace menare le mani, come te maestro. Usare il mio dominio, difendere i miei amici e… mi piace anche Desna. - Disse convinta.
-Desn… Ina, nooo! Quante volte ti ho detto che devi portare rispetto verso le persone più grandi di te. Oltretutto Desn… il Principe Desna è… un ‘principe’ per l’appunto. - Gettandosi una mano sul viso sconsolato.
-Infatti! Tu sei vecchio e ti chiamo maestro. Ma è stato Desna a dirmi di chiamarlo così. Mi piace Desna, maestro, e quello che sa fare. Tutti lo rispettano. - Poi pensandoci bene… -Da grande posso diventare una principessa? -
-Ahhhh…fammi pensareeee… No. Non credo proprio. Ma come ti vengono in mente queste cose? - Scuotendo il capo.
-Me l’hai detto tu, maestro, di osare con la fantasia. -
-Usare al massimo, mai detto ‘osare’. Poi… Inventiva, non fantasia e comunque… stiamo esagerando non credi? Vola più basso, aquilotto. - Accompagnando il suo dire con il gesto di andarci piano.
-Ma Nakula lo diceva spesso. - Guardandolo dubbiosa.
-Cosa ti diceva Nakula, piccina? - Domandò istintivamente, senza capire cosa intendesse la bambina.
-Che tra qualche anno sarei diventata la sua principessa. E avremmo governato insieme tutto il Nord. -
A quella rivelazione, Loki rimase senza parole. “Cosa voleva fare Nakula?” gli saettò nella testa. “Perché la piccola Ina? Che volesse crescerla come sua guardia del corpo? Che volesse un’energia fredda a equilibrare la propria?” Qualunque idea gli balenasse alla mente in quel momento suonava assurda e priva di senso. “Senza contare che questa piccola continuità non riesce ancora a dominare la nebbia, ma solo l’acqua e il freddo.”
Scacciò ogni altro strano pensiero dalla mente, intenerito, nel ritrovandosi a guardare nuovamente quegli enormi occhi gialli.
-Ti rivelo un segreto Ina, ma mi raccomando non dirlo in giro. –
La piccola annuì decisa.
-Tutte le bambine sono principesse per chi le ama. - Le disse con dolcezza. –Nakula ti voleva molto bene, piccina. -
La bimba gli sorrise soddisfatta. –Quindi sono anche la tua principessa, maestro? -
-Più la mia mostriciattola, direi, ma la mia mostriciattola principesca. - Le sorrise.
Ina rimase al gioco, cosciente del bene che quel grosso dominatore provava per lei. –E quando non sarò più una bambina smetterò di essere una principessa? -
-Uhm… solo per un po’. - Rispose, mentre lei lo guardava attenta. –Finché non troverai un Dominatore tanto forte quanto stupido in tua presenza. Che comincerà a balbettare il tuo nome diventando del colore dei pomodori maturi, inciamperà sui suoi stessi piedi e ti farà ridere… tanto, tanto ridere. E… Ti farà anche piangere. Desiderai starne alla larga per l’imbarazzo o per la rabbia, ma poi farà qualche stupidaggine che ti riempirà di tenerezza e… a quel punto, deciderai che non ti merita, ma di dovergli stare accanto, perché da solo riuscirebbe a strangolarsi con le stringhe delle sue stesse scarpe. In quel momento capirai di aver trovato il tuo principe, anche se un po’ maldestro, e potrai tornare bambina tra le sue braccia, tesoro mio. Scoprirai di non aver mai smesso di essere una principessa, ma di averlo solamente dimenticato per un poco, perché nessuno ti faceva più sentire tanto importante come quando eri piccola… perché nessuno riuscirà a farti sentire come ti farà sentire lui, e… fidati, a quel punto, gli potrai far fare qualunque cosa. - Soddisfatto nel tono.
-Qualunque? - Domandò rapidamente ed emozionata.
-Già, ma una brava principessa conosce la moderazione, ricordalo. - Aggiunse con voce solenne.
-Lo ricorderò, maestro. Solo… Kaske, fa paura! Posso avere un altro maestro? -
-No.- Lapidario.
-Ok. - Rispose tranquilla.
-Piuttosto, scricciolo, cosa combini con… ehm… Desna, quando viene al villaggio? -
-Per te, maestro, ‘Principe’ Desna. - La bimba ridacchiò.
Lui, guardandola malissimo, assumendo un tono burbero. –Principe, ok, Principe, ma forza, spara, mocciosa! -
-Ahhh, le solite cose. Facciamo dei giochi con l’acqua. Desna è un fenomeno con le energie fredde, lo sai? -
-Non ne dubitavo. - Le disse di malavoglia, sorridendo a denti stretti.
Poi riprese la piccola, contando sulle dita: -Facciamo le figurine di ghiaccio, rubiamo l’acqua ai fiori e alla terra, poi addensiamo insieme l’aria mutandola in tante goccioline… questo mi piace particolarmente, come mi piace… fare la neve… è divertente anche quello, sai? Il principe, però, non sa fare la neve, ma… io non so fare la nebbia, quindi siamo pari. – Un’alzatina di spalle, mentre con un ditino, porgendosi da sopra la spalla del suo maestro, cominciava a fare dei cerchi nell’acqua del grosso barile contro cui poggiavano.
Loki, sgranando gli occhi non visto... “Addensare gocce nell’aria e far nevicare? Rubare l’acqua… ma… io e mio padre siamo tra i migliori dominatori della neve di questo popolo e non riusciamo…” Bloccato nel suo pensare dal baluginare della luce riflessa nell’acqua alla periferia del suo sguardo, si volse verso il fare della bimba, ma… non come poteva esserci un riflesso? Il sole non permeava la coltre di nebbia che ricopriva il villaggio.
Lo sguardo gli si allargò maggiormente nel vedere la bimba, concentrata nel suo gioco, far brillare l’acqua di un celeste tenue.
–Questo…- La sua voce uscì fievole. –Anche questo ti ha insegnato il principe Desna? -
La bimba sorridendo, senza togliere lo sguardo dalla superficie liquida di quel barile… -No.- dissentì con il capo. –Ma da quando me lo ha visto fare, ha cominciato a spiegarmi come giocarci. Ha detto che quando sarò più grande mi mostrerà come si può usare questo potere per guarire le ferite. E’ una cosa bella, vero, maestro? -
“Vero che sì, accidenti!” Pensò. Forse era questo il motivo per il quale Nakula, la voleva addestrata e al suo fianco. Quella piccola continuità non dominava la nebbia, ma l’acqua, se non addirittura qualcosa di più… una dominatrice dell’acqua… nel loro popolo? Unica, quanto preziosa… “E la vecchia Hula si era limitata a percepirne in lei solo le energie fredde, dando per scontata la sua appartenenza al dominio della nebbia proprio del nostro popolo. Divertente, quasi come i vecchietti senza vasino… già!” Ok… era attestato, sarebbe potuto cadere il mondo, ma fintanto qualcuno non avesse fatto qualcosa per aiutare le vesciche doloranti degli anziani del nord, lui non si sarebbe tolto dalla testa quei volti contriti nel tenersi dentro quanto le loro viscere volevano espellere all’esterno… era malato, terribilmente malato! E quell’ultimo pensiero ne era la prova.
-Sì, una gran bella cosa, Ina. Perché non me lo hai mai detto? -
La bimba guardandolo dispiaciuta: -Anche Desna dice che è una bella cosa, ma Nakula aveva detto il contrario. Diceva fosse era una cosa brutta e di non parlarne con nessuno, almeno fin tanto non avessi imparato a usare anche la nebbia. -
Gli occhi d Loki da poco tornati alla normalità si spalancarono nuovamente. “Cosa? Imparato… ma se, come penso, la piccola è dell’Acqua, non potrà mai…apprendere… la… nebbia!” Si disse mentalmente, mentre si faceva chiara in lui l’idea che Nakula avesse intenzione di tenere quell’informazione e quella piccola dominatrice solo per lui.
-No, non è una brutta cosa, piccina. Sai, Nakula, ti voleva bene, ma questo non vuol dire che le persone che ci vogliono bene non possano anche sbagliare, capisci? -
Ina annuì. -Quindi… stavo pensando, maestro…- Facendosi pensierosa. –Zietta Lapsa è la principessa di Kerkeci. -
L’espressione di Loki tornò a gelarsi, rabbrividendo, quasi come se una goccia fredda gli fosse scivolata lungo la schiena.  –No tesoro, quello è Odio. Odio puro e immotivato, maaa… convengo con te che il passo tra le due cose a volte può essere sottile! - Facendo il segno di ‘piccolo’ con le dita.
-Invece…- Alzandosi e mettendola con i piedi in terra. –Vuoi sapere una cosa divertente? - Prendendola per mano e avviandosi verso l’abitazione di Kisha. La continuità della volpe aveva preso la piccola Ina con lei da quando i bambini erano stati restituiti alle loro madri e ai loro padri, chi ne aveva ancora, almeno… da quando i piani di quel suo fratello erano stati disfatti, si… proprio disfatti, smontati con la stessa facilità e rapidità con cui una tessitrice disfa un maglione.
La bimba annuì.
Lui riprese: -I costruttori che hanno fabbricato la Costruzione Adibita a Ospitare il Consiglio delle Tribù dell’Acqua del Nord, non ci hanno messo il bagno. -
-Forteeee! - Esordì la bimba divertita.
-Forte davvero! - Ridacchiò lui…
-Ah, maestro, ma perché non trovano un nome migliore a quella grossa capanna mezza tonda? -
-Ehhh…- Sospirò. -Me lo domando anche io, tesoro. Piuttosto… chiamami Loki, basta con questo maestro, da oggi ci chiamerai Kaske così, ok? -
-Ok, maestro! -
-Ho detto… - interrompendosi sospirando e scuotendo il capo falsamente deluso. –Uff… Aquile! -

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Capitolo 21
*** Cap. XXI: La Tribù del Freddo - Nona parte ***


Cap. XXI: La Tribù del Freddo
Nona parte



Opal si portò alla piccola scrivania di quella casupola tanto modesta quanto efficiente.
Si sedette sorridente, lieta che i due dominatori dell’Aria avessero apprezzato quanto lei aveva detto.
Prese dal cassetto un quadernino dalla copertina rigida di colore arancio. Ci scribacchiò sopra distrattamente alcune idee balenate all’improvviso dopo quella chiacchierata, mentre dall’esterno giungevano ancora le risa dei ragazzi in partenza per il Regno della Terra.
Un sospirò, poi un nuovo sorriso: quei due dominatori della Nazione del fuoco le sarebbero mancati da morire. In quei mesi non erano stati solo le sue guardie del corpo, erano state le uniche persone con cui dividere realmente i suoi sentimenti, i suoi pensieri.
Zoe per cui durante l’allenamento con gli erranti aveva provato solo un senso di antipatia era invece molto più vicina a lei in ideali di quanto potesse mai aspettarsi: decisa, caparbia, pronta a tutto per portare equilibrio e giustizia e… proprio come lei, sempre pronta ad aiutare chi ne avesse avuto bisogno, poco importava di che regno fosse. ‘Una persona in difficoltà è una persona in difficoltà.’ Diceva e lei conveniva in pieno con questa idea e il pensiero che la debolezza vera è quella dell’animo, non del corpo.
Amaranto, invece… che fosse un dominatore dell’Etere eccezionale, se ne era accorta da subito durante l’addestramento con il maestro Tenzin, ma, proprio come Zoe, si era mostrato insofferente allo stile di vita degli erranti. Più propenso a rispondere a un offesa con la spada che con l’indifferenza e la pietà. Senza parlare poi della dieta…
“No, nessuno di quei due si può definire un vegetariano!” Opal sorrise a quel pensiero.
Ormai lei aveva disgusto solo a sentire l’odore della carne cotta, ma loro… sembrava quasi che privati di questo alimento ne risultassero debilitati e nervosi.
“In effetti Zoe a pancia piena è un'altra persona.” Pensò ancora lei. “Allegra, vivace… troppo vivace forse! Ma quando ha lo stomaco vuoto torna a essere la ragazzina irritante intravista al Tempio dell’Aria del Nord.”
Un nuovo sospiro le portò via il sorriso.
“Quel che per me è stato semplice, quasi un passo necessario e benevolo da affrontare, per molti altri non lo è stato. Per quanto potessero credere nella missione d’Errante dell’Aria, per quanto potessero desiderare di seguire quello che sembrava il loro destino, questo… non si mostrò sufficiente.”
Anche la luce nei suoi occhi si spense.
Ricordò alcuni discorsi fatti con Amaranto, di quando il ragazzo le aveva detto di essersi sentito morire dentro nel momento in cui Tenzin gli aveva detto di non averlo trovato adatto. Sapeva di essere un dominatore d’eccezione, credeva fermamente nella giustizia, ma… non era adatto, questo gli aveva detto il Grande Maestro dell’Aria. Per lui era stata una sconfitta e leggendo quel sentimento nei suoi occhi, Tenzin adombrandosi gli aveva rivelato che era proprio quello stesso sentimento a renderlo in adatto. Lui era e sarebbe stato per sempre un guerriero. Il figlio dell’Avatar Aang non riteneva giusto piegare la sua natura anziché assecondarla, in cosa sarebbe valsa altrimenti tutta la saggezza d’errante accumulata negli anni? Avrebbe fatto di lui una tigre in gabbia, tanta fierezza e bellezza non potevano essere rinchiuse. La sua ferocia prima o poi avrebbe spezzato le sbarre che lo trattenevano, e la sua disciplina non l’avrebbe salvato dai sensi di colpa.
Le aveva detto il ragazzo di non aver capito subito e di essersi odiato per essere stato di nuovo un fallimento: non bastava essere l’onta della dinastia degli Osain, unico erede maschio nato e privo del dominio del Fuoco. Non bastava essere stato soppiantato nella linea di discendenza della sua famiglia della sorella minore. Non bastavano le offese subite dalla cerchia dei giovani che lo ritenevano un inetto privo di furore e quindi dell’anima di un reale. No, a quanto sembrava non bastavano, come non bastavano agli spiriti le lacrime della madre che chiedevano quali colpe avesse avuto per generale un figlio debole o di quali peccati si fosse macchiato il padre per meritare tanta vergogna nella loro casa. No… non bastavano. Quando finalmente il risveglio in lui del domino dell’aria aveva rivalutato la sua immagine agli occhi della famiglia, lui sarebbe dovuto tornare a casa nuovamente schiacciato dal destino.
“Non deve essere facile per un Nobile privo di dominio vivere nel regno del fuoco.” Pensò dispiaciuta Opal.
Quella sera che avevano bevuto tutti e tre un po’ troppo, per festeggiare il loro primo grande successo in quel regno, quel ragazzo le aveva raccontato, di aver fatto di tutto per essere sempre all’altezza: era il migliore nella disciplina bellica, nell’arte della spada e nella lotta. Poteva atterrare un dominatore prima che questo potesse anche solo pensare di richiamare il suo potere. E... indubbiamente i suoi genitori lo apprezzavano e amavano per questo, ma sempre e solo come si ama un figlio malato: con una pietà che umiliava il suo essere e il suo orgoglio.
Non sarebbe mai potuto tornare a casa portando con se quell’ultima sconfitta. Avrebbe piuttosto preferito che i suoi lo sapessero morto nel tentativo di riuscire come errante, più che l’aver fallito. E questo, probabilmente, Tenzin lo sapeva meglio di quanto Amaranto stesso potesse rendersene conto e quello stesso giorno gli presentò Bolin.
“Ironico. Ho dovuto sapere da Amaranto quanto mio marito avesse fatto per lui. Mi domando ancora a volte come ho potuto disinteressarmi della sua vita, credendo che fosse limitata al periodo che passavamo insieme.” Strinse le labbra amareggiata, decidendo di tornare a pensare a quel ricordo abbandonato solo per pochi secondi. “Amaranto non poteva diventare un monaco dell’Aria, ma ciò non voleva significare che l’Avatar, e per ciò il destino, non avesse piani più grandi per lui. Questo gli disse Maestro Tenzin. Assecondare la sua natura fece di lui un Dominatore più potente di quanto potesse immaginare. La disciplina marziale che si era imposto, per dimostrare di non essere un debole ai suoi cari, lo aveva reso un guerriero elementare più completo e temibile. Mai sguarnito di abilità e indisarmabile del suo dominio.”
Un sorriso al pensiero della nobiltà d’animo di quel guerriero della Nazione dal fuoco, quando… “Come Dominatore al servizio dell’Avatar, la famiglia cambiò atteggiamento nei suoi confronti e con questi anche la cerchia di nobilastri che lo avevano schernito in passato. I suoi pregarono Agni di perdonarli per aver mal interpretato i segni e di essere stati tanto sciocchi da non capire che gli aveva donato un successore più degno di quanto le altre famiglie blasonate potessero anche solo immaginare e… quando svestirono la sorellina del simbolo di successione della casata Osain, quando quella stessa sorella gli porse lo stemma che aveva sempre portato con dignità e onore, lui ora in qualità di capo famiglia glielo riconsegnò. Non era stato allevato come un principe, ma esclusivamente come un guerriero, mentre la sua sorellina… lei era la principessa predestinata. E… come tipico delle famiglie del fuoco non ci furono clamori o prese di posizione esagerate, no… nella compostezza che li caratterizza, accettarono la decisione del ragazzo. Forse con una punta d’orgoglio qualcuno, forse con un poco di rammarico altri, con gratitudine sicuramente la sua sorellina. Fatto sta che Amaranto Osain preferì servire l’Avatar come sua unica priorità, come altri prima di lui avevano già fatto… come Bolin, Mako e Asami per primi.”
Tornò a rattristarsi, volgendo il capo su quegli incartamenti al lato del libricino che aveva appena riposto: Le pratiche per l’adozione di Lune erano concluse, mancava solo l’ultimo passo…
“Farlo sapere al piccolo! Non sarà semplice… come ogni ragazzino del fuoco ha un carattere forte e orgoglioso, ma sapevamo che prima o poi saremmo giunti a questo punto. Il giudice della causa di affidamento ha ormai stabilito la data per incontrare il ragazzo. Sarò egoista a pensarlo, ma… mi sento sollevata della decisione di Cora e del marito di voler informare da soli il figlio. Ho affrontato capi di stato e situazioni fuor da ogni umana comprensione, ma non credo di riuscire a guardare quel piccolino in viso e farcela a spiegargli senza scoppiare in lacrime il perché di quella decisione da parte dei suoi genitori. Non riuscirei a rivelargli che non solo avrà sulla carta un altro papà e un’altra mamma, ma che questo è stato fatto per il suo bene…” Si portò una mano al viso, mentre cominciava a versare calde lacrime. “…perché la madre che ama più di ogni altra cosa al mondo sta morendo lentamente e vuole che nessuno possa togliere al suo bambino la propria dignità, strappandolo alle persone che ama, rendendo quella perdita ancora più dolorosa. No… non ce la potrei mai fare… se solo così, pensandolo, me ne sento devastata. Come non mi riesce di non sentirmi delusa che… malgrado abbia visto crescere quel piccoletto, non sarò io la donna che gli starà accanto quando Cora ci lascerà… anche se spero con tutto il cuore che Bolin me lo permetta. Che mi permetta almeno questo… se pure so di non meritarmi più nulla da lui, ma quel bambino è anche un mio affetto.”
Raccolse quegli incartamenti, scorrendoli pagina per pagina con lo sguardo. Lentamente le lacrime sembravano quietarsi… Lentamente, mentre razionalizzava che quello che era stato il suo uomo tutto era fuorché una persona tanto meschina da tenerla distante da quel piccoletto tutto occhi. Poi quel penultimo foglio… un sorriso amaro le si dipinse sul viso. Era scritto a mano. Una scrittura anche troppo famigliare le rammentava gli accordi presi e l’inutile raccomandazione di non mancare all’incontro con il giudice per l’affidamento.
-No… Non mancherò Bolin e… ricordo perfettamente i nostri accordi, come potrei dimenticarmelo, quando tu, maritino mio, non fai che ricordarmelo a ogni occasione? –
Un attimo di indecisione nel volgere quella lettera, consapevole dell’ultimo foglio di quel sottile plico, ed eccola apparire… la richiesta di divorzio, formulata dal suo compagno, mancante solamente della data e della sua firma, per renderla reale.
Ancora amarezza sul suo viso… nella triste consapevolezza che non era lei la vittima, in quella situazione, per quanto se ne sentisse devastata.
D’istinto prese la penna dal portamatite sulla scrivania e firmò nei tre punti richiesti.
Terminata l’operazione si sentì svuotata, come se le avessero strappato via parte di se.
Mancò un respiro, ne fu cosciente e poi… riprendendo a respirare, riordino quei fogli e lì rinfilò nella loro busta.
Sorrise senza rimpianti ad amareggiarle il volto, mentre sigillava quell’incartamento. Mentre con la stessa penna che poco prima aveva trovato tanto pesante, scriveva sulla busta bianca l’indirizzo di quella che era stata anche la sua casa. Si rese improvvisamente conto di trovarsela leggera tra le mani, anche quei fogli… erano adesso leggerissimi e… anche la sua mente, le sembrò. Forse le serviva solo questo, trovare il coraggio di scrivere la parola fine, per regalarsi una nuova possibilità…
“Si, forse solo questo! Forse…eppure fa ancora male… ogni giorno di meno, ma… chissà se passerà mai davvero? Zoe dice di sì.”
Una risatina apparentemente troppo ilare ed eccessiva, scatenata dal pensiero di quella ‘donna di mondo’ di Zoe dai suoi ‘venerandi’ diciott’anni d’età… Una risata eccessiva è vero, ma talmente liberatoria che se ne stupì lei stessa. Come si stupì a riflettere senza attribuire colpa alcuna… -Oltre al fatto che si chiama Hikari, non so nulla della donna che ha scacciato da lui gli incubi. -
Un nuovo sorriso.
-Non so neppure che volto abbia. Mi auguro solamente che lo tratti meglio di quanto abbia fatto io. Non che ci voglia poi molto… in effetti! -
Ancora scoppiò in una grossa risata…
-Certo che sono stata davvero pessima! Mi dispiace davvero Bolin, mi dispiace davvero…-
Calmandosi e muovendosi verso la porta con quella busta tra le mani, sorrise.
-Beh… colpe non te ne attribuisco signorina Hikari, ma un pizzico di invidia, almeno… concedimelo! -
 
 

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Capitolo 22
*** Cap. XXII: L'avventura di Castigatore - Prima parte ***


Cap. XXII: L’avventura di Castigatore
Prima Parte
 

 
Castigatore era acciambellato su quel tappeto morbido e ruvido al tempo stesso che gli piaceva tanto. Gli umani che gli davano da mangiare lo mettevano li proprio per lui e lui faceva molte cose con quel bellissimo tappeto del colore del cielo: ci dormiva, ci giocava ammucchiandolo tutto o lo usava per fare delle gran belle scivolate sul pavimento liscio, ci si faceva le unghie, lo usava per stiracchiarsi appena sveglio e quando nessuno lo guardava lo mordicchiava sugli angoli per pulirsi i denti. Gli piaceva molto anche sfilacciarlo, ma poi l’uomo dalla voce grossa gli gridava dietro parole incomprensibili e a lui gli toccava andare fuori nel vicolo, non importava che tempo facesse all’esterno, ma era comunque meglio del sentirlo gridare… era davvero, davvero, davvero l’alternativa migliore. Senza contare che più scappava via veloce, più il pasto al suo ritorno era delizioso.
Chissà perché poi? Si domandava mentre stiracchiandosi mostrava alla biondina che prima di passare sul suo tappeto aspettava sempre che si spostaste il suo maggior vanto: gli artigli bianchissimi e affilatissimi.
Era stato proprio bravo ad addestrarli tutti quegli umani, vecchi e nuovi. Si complimentò con se stesso e facendosi di lato lasciò che l’umana di nome Hikari cominciasse a fare le sue cose in quella stanza.
Hikari portava con se sempre quella grande borsa. A lui, Castigatore, che sapeva essere questo il nome che gli aveva dato il suo umano brontolone, piaceva particolarmente infilarcisi dentro e dato che quella giovane umana era l’unica che non protestava della cosa e glielo lasciava fare le concedeva di tanto in tanto di essere accarezzato, ma mai in presenza dei suoi tre umani preferiti, per carità!
Aveva faticato troppo per insegnargli come si tratta un gatto serio come lui per farsi cogliere con le zampette in pasta. Loro erano speciali e gli voleva molto bene, ma erano terribilmente zucconi, soprattutto Hasook dalla voce grossa. Quindi doveva dar loro messaggi chiari per non essere frainteso e si lasciava coccolare e coccolava solo quando percepiva che c’era qualcosa che non andava come doveva, in questo modo i suoi umani avevano ben chiaro l’affetto che lui gli voleva: se lo avessero visto gentile con chiunque, oppure se lui gli avesse concesso più attenzioni, loro avrebbero creduto che fosse normale e le cose normali alle lunghe diventano noiose e non avrebbero mai davvero capito l’entità del suo amore per loro. Quindi…
…C’era stato quando a quel grosso umano dagli occhi sottili batteva il cuore fortissimo per la sua umana preferita, la terza entrata in quella casa. Lo aveva confortato a dovere e lui l’aveva guardato in quel modo che gli aveva fatto capire che erano amici e gli amici ci sono sempre quando serve… per darti coraggio e… lui le aveva parlato finalmente. Già… c’era anche lui quando Hasook aveva detto tutte quelle cose sconclusionate a Nakata e lei lo aveva stretto forte forte rubandogli il respiro, ma senza ucciderlo, gli umani lo fanno spesso e lui sapeva che era una cosa buona quando accadeva.
…C’era stato anche quando Sukka non dormiva la notte per gli esami. Poi cosa fossero questi ‘esami’ di cui gli parlava lui non lo sapeva, ma per lei erano importanti e quindi anche per lui lo erano. E c’era stato anche quando si struggeva miagolando alla luna, ma nella lingua degli uomini ovviamente, già… lui si metteva lì accanto a lei e se c’era da miagolare, miagolava con lei e se c’era da farla addormentare giù a fusa alla rinfusa! Sukka gli sorrideva, si asciugava le lacrime che gli suscitava la Grande e bianca Madre di tutti i gatti, e di qualche umano speciale come lei, e lo lasciava dormire per una notte ai piedi della sua cuccia morbida. Adorava quelle coperte, erano le coperte più calde del mondo e quando giocava a rubarle i piedini per farla ridere capiva che gli voleva bene… che si volevano un mondo di bene.
…C’era stato anche per Nakata… la sua umana Nakata era davvero particolare, era un po’ come lui: non gli concedeva carezze o coccole, ma lo guardava da lontano, gli sorrideva spesso e lo chiamava quando aveva necessità di sapere dove fosse soprattutto se c’era la pioggia fuori o il caldo era insopportabile…. Già in quei momenti lo cercava sempre. Poi gli dava da mangiare le cose migliori, non le più buone, no… a quelle ci pensava Sukka, ma… quelle di Nakata sapeva che erano migliori, perché non gli facevano mai male al pancino; poco saporite a volte, tanto da fargli girare il muso, ma… lo riempivano e lo facevano stare bene: erano fresche d’estate come l’acqua della sua ciotola che lei gli cambiava di continuo durante i mesi caldi e calde d’inverno e più grasse e saporite… Ahhh!!! Quanto gli piacevano i cibi grassi, ma… aveva imparato che troppi lo impigrivano e gli facevano far rumori strani che gli uscivano dalla parte sbagliata.
Un giorno però Nakata era sparita. Era sparita per diversi giorni senza lasciare traccia e lui era preoccupatissimo; anche Hasook gli sembrava preoccupato, ma non come lui… aveva pensato il peggio: forse qualcuno l’aveva schiacciata sotto la ruota di una macchina, o… qualcuno dei bassi fondi l’aveva catturata e mangiata. Ne aveva sentite troppe per non essere preoccupato e guardingo… succedeva sempre così, prima spariva uno degli umani che avevi imparato ad amare, poi un altro e alla fine ti ritrovavi solo. Era successo così con la sua vecchia famiglia, una grande macchina li aveva portati via da lui e non li aveva più rivisti, ma adesso c’erano quei tre… all’inizio non gli voleva benissimo, ma… un gatto ha bisogno di molte cose per vivere dignitosamente e una di queste è avere qualcuno d’amare e loro sembravano degni di fiducia e del suo amore, solo… aveva paura, una grandissima paura che qualche grossa macchina portasse lontano anche loro e la sparizione di Nakata era un bruttissimo presagio: non voleva ritrovarsi di nuovo solo, questa volta si sarebbe lasciato morire, parola di gatto! Ma Nakata dopo il settimo giorno d’assenza tornò a casa. Si muoveva lenta, ma gli sembrava tanto felice e anche lui era felicissimo di riaverla lì con lui… nessuna macchina si era portata via la sua Nakata e al suo ritorno aveva portato con se un cucciolo rumoroso. Non gli piacevano i rumori, ma gli piacevano i cuccioli, peccato che la prima volta che tentò di guardarlo da vicino Hasook lo cacciò via alla solita maniera: urlandogli contro, ma… la notte stessa, mentre quel suo grosso umano era impegnato con tutta quella gente in basso lui era salito su per le scale fino alla stanza che l’omone divideva con Nakata. L’umana era sveglia, seduta sul letto, e accanto a lei c’era un’altra cuccia più piccola. Lo vide entrare nella stanza, ma non gli disse nulla, limitandosi a sorridergli e… quando salì sul letto lasciò che lei gli lisciasse appena il pelo. Nakata era come lui, queste cose non le faceva spesso, ma le era mancata tanto e quindi perché non permetterglielo? E sicuramente anche lui le era mancato era fuor di dubbio: era il migliore tra tutti i gatti del vicolo quindi non poteva essere diversamente… non poteva non essergli mancato tantissimo. Si mosse cauto su quelle lenzuola sotto lo sguardo attento dell’umana e lentamente andiede a sbirciare in quel lettino dal bordo altissimo. Quel cosino odorava di latte e di buono. Gli piacque da subito. Nakata gli disse: -Ti piace Kuruk, Micetto? - Lei lo chiamava così… ‘Micetto’. La guardò per poi ritornare a guardare nella culla… e sì, quel cosino gli piaceva parecchio e lo espresse alla sua mamma con una lenta strizzata dei suoi occhioni. Quello era proprio ciò che mancava alla sua famiglia: così piccolo sarebbe stato facile addomesticarlo da subito. Ehhh… aveva parecchio lavoro da fare, ma sapeva come farlo e il tempo non gli mancava. Si sedette tra Nakata e quel lettino per controllare che nessuno facesse male al più piccolo della sua famiglia e alla sua mamma che doveva essere davvero stanca visti i suoi occhi tanto grandi più piccoli del solito da quando era tornata. Quando Hasook entrò in camera e lo guardò malissimo lui fece altrettanto. Ahhh!!! Doveva ricordare di continuo a quell’omone chi era il vero gatto tra loro… che fatica!!! Ma… grazie alla Grande Madre di tutti i gatti, Nakata gli disse: -Lascialo stare è un Micio. È normale per lui essere curioso. -  di quei suoni capì poco oltre ‘Micio’ che era sempre un altro dei modi con cui lo chiamava Nakata, per l’appunto, ma quel grosso umano di Hasook dopo non gli proibì più di entrare nella sua camera e di controllare quel cucciolo rumoroso che di tanto in tanto faceva le bollicine dalla bocca.
“Ahhh!!!” sbadigliò ancora cominciando a far pulizia come era doveroso per ogni gatto degno di questo nome. Ogni volta che si svegliava doveva ripensare alle cose più belle della sua vita… era importante… o se ne sarebbe dimenticato. Quindi anche quella sera, come quella prima e quella prima ancora... e prima, prima, prima ancora aveva ricordato tutto quello d’importante che c’era da ricordare.
Una volta terminata la pulizia delle zampette si accostò a quel borsone tanto invitante.
Hikari ne prendeva da dentro cose su cose e cambiava i suoi colori.
Chissà poi perché? Ma si sa… sono pazzi questi umani!
Quindi… come suo solito, aspettò che avesse terminato per mettersi al calduccio nella sua sacca aperta, tra quei vestiti puliti e profumati che lo riscaldavano tanto…
Sì… l’inverno quell’anno era arrivato più freddo di quanto ricordasse fosse mai stato in passato. Tanto che faceva freddino un po’ da per tutto anche in casa, ma in quella sacca si stava davvero bene!
“Sì, proprio bene!” Pensò, acciambellandosi di nuovo per osservare da quella nuova posizione ogni cosa… lui osservava tutto, ovvio! Che razza di gatto sarebbe stato altrimenti?

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Capitolo 23
*** Cap. XXIII: L'avventura di Castigatore - Seconda parte ***


Cap. XXIII: L’avventura di Castigatore
Seconda Parte


 
Hikari osservava quel gattone mentre finiva di pettinarsi che, come suo solito, dopo aver controllato che indossasse a dovere gli abiti da lavoro prendeva possesso della sua borsa. Glielo lasciava fare volentieri, chi meglio di lei che era una creatura del fuoco poteva capire quanto freddo poteva avere quel gattone sul finire di quell’autunno che preannunciava un inverno rigidissimo? Oltretutto era l’unico momento in cui Castigatore le concedeva di farsi grattare quella grossa testolina nera che aveva, sbadigliando per lo più, prima di acciambellarsi al meglio. Le impelacchiava un po’ i vestiti, ma… aveva vissuto in strada, che diamine potevano essere in confronto un po’ di peli di quel rotolo di muscoli e pelliccia?
Sorrise al brontolio di gradimento della bestiola, prima di avviarsi ad aiutare Hasook e Sukka a sistemare i tavoli per l’apertura. Lei non serviva che di rado ai tavoli e solamente se tutti erano impegnati in altro, per lo più il suo compito era stare dietro al bancone.
Quel giorno era arrivata prima del solito, doveva prendere ancora confidenza con gli orari del filobus che da casa la portava alla stazione da quando Hasook aveva cominciato ad aprire in anticipo con l’arrivo della nuova stagione.
Entrò nel locale lasciando la porta aperta dietro di se, sapeva quanto al miciotto piacesse controllare il suo operato, era il suo giudice più severo… sorrise a quel pensiero osservando quegli occhioni tondi osservarla silenziosa, fingendo disinteresse quando incrociavano i suoi.
Hasook le aveva dato le chiavi della porticina sul retro: l’ingresso al pian terreno della sua casa. Era stato bello, perché voleva dire che la riteneva degna della sua fiducia anche se, a suo dire, era giusto far così perché non poteva alzarsi ogni cinque minuti per andare ad aprire a chi suonava quando doveva finir di sistemare.
“E’ una forza Hasook!” Pensò.
Non c’era ancora nessuno li oltre lei. Fece un sospiro sorridendo e rimboccandosi le maniche cominciò a tirar giù le sedie dai tavoli. Avrebbe potuto aspettare, ma… meglio non fermarsi a pensare quel pomeriggio… mooolto meglio non fermarsi a pensare, o sarebbe arrivata, dopo i pensieri, l’agitazione ed era l’ultima cosa che voleva.
Era ancora sola a recuperare le tovaglie sotto il bancone quando sentì quei risolini accompagnati da passetti piccoli quanto pesanti. Si voltò. Accanto alla porta apparve una Nakata sorridente che tenendo il suo bambino per le manine lo sorreggeva per lasciarlo sgambettare quasi fosse uno dei grandi. Il piccolo rideva e rideva… fermò il suo da fare per godersi quella scena. Cose di quel genere le davano sempre la giusta serenità nel cuore, ricordandole perché il suo amore era al fronte invece che lì con lei. Lui lottava con l’Avatar e il resto degli uomini coraggiosi al suo seguito per permettere che scene come quelle diventassero la normalità e non l’eccezione.
-Sei già qui? - Le domandò la donna, tirando su il piccolo al petto e avvicinandosi.
Lei sollevandosi con le tovaglie in mano le annuì in risposta.
Nakata le sorrise gentile mentre lei aggiunse: -Ho pensato di arrivare con un po’ d’anticipo per essere un pochino più d’aiuto dato che stasera…-
-Stasera ci dai buca! - La voce di Hasook alle spalle di Nakata la raggiungeva finendo la sua frase, se pur non proprio come l’avrebbe terminata lei.
Ancora sorrise, chinando leggermente il capo al ragazzone che entrando e baciando sui capelli la compagna, si infilava il grembiule.
Uno sguardo in torno da parte del proprietario del Pub prima di tornare a guardarla. -Hai già fatto quasi tutto. Non vorrai stancarti vero? Chi lo sente poi quel moretto fastidioso? - Disse.
Lei sorrise domandandogli: -Tahno? -
-E chi sennò? - Sbuffò. –Dai, finiamo velocemente che così ti preparo qualcosa da portarti via. Avrai lo stomaco chiuso adesso, ma sono convinto che una volta passato il nervosismo ti si sveglierà una fame da lupo. -
E così andiede: Hasook le preparò i suoi tramezzini preferiti prima dell’apertura.
Alle sei il locale era perfetto per ospitare i primi clienti.
Erano le sette quando Sukka entrando di corsa, infilandosi accanto a lei dietro al bancone, legando il secondo dei due codini che amava portare come acconciatura in quel periodo, la guardò di sbieco.
-Hikari? Ancora qui? Sono le sette accidenti! E non sei ancora pronta per andare! -
“Le sette?” Pensò la dominatrice del fuoco alzando il visetto verso l’orologio da parete appeso sulle loro teste. “Di già!?”
E si, erano proprio le sette ed ecco arrivare la prima fitta allo stomaco… e il desiderio di andare unito all’irrefrenabile voglia di nascondersi in un angolino al buio fino all’indomani.
Si voltò d’istinto verso Hasook, anche lui stava guardando l’orologio e senza voltarsi verso di lei con un tono piatto disse: -Fila via Hikari. Non ti voglio rivedere prima di domani pomeriggio. -
Quel suo solito modo di dire le cose, che sembrava sempre rimproverarla… ormai la inteneriva.
Gli sorrise annuendo di getto e sfilandosi il grembiule.
Sukka glielo prese al volo dalle mani infilandoselo a sua volta.
Rimase un secondo a osservarli poi la ragazza con fare gentile: -Vai! Non mi vorrai far morire il fidanzato di crepacuore, vero? -
Dissentì con il capo, mentre Hasook, le si avvicinò con fare minaccioso.
Hikari impallidì nel vederlo così serio. Una goccia di sudore freddo le scivolò lungo la schiena. Poi… senza dire nulla l’uomo le mise tra le mani il sacchetto con la cena.
–Fila! - Le disse quasi fosse un ringhio.
Quasi inciampò indietreggiando scontrandosi contro Nakata che arrivata alle sue spalle si preparava a dare un poco di aiuto anche lei in quella giornata tanto importante… che sapevano tanto importante per il suo piccolo cuore da incendiaria.
Nakata se la rise divertita, mentre tra i mille inchini che era abituata a esibire assieme alle sue scuse, Hikari riguadagnava il retro del locale. Lì il piccolo Kuruk non visto dalla mamma e dal suo papà giocava con il gattone seduto sul tappeto dell’ingresso.
“Povero micione!” Pensò divertita dal vederlo ciondolare arreso nell’abbraccio, forte troppo forte, del più piccolo di casa. Il tempo di quel pensiero che arrivata a quello che era diventato il suo armadietto, da quanto asseriva l’etichetta sulla sottile anta di legno, si sfilava la parrucca infilandola nel suo borsone, riavviava i capelli e… prendeva un profondo respiro guardandosi allo specchio.  Non voleva sembrare troppo ingessata, ma neanche eccessivamente sciatta. Alla fine aveva optato per un trucco leggerissimo, un paio di Jeans azzurri che richiamavano il colore dei suoi occhi e quella camicetta rossa che Asami aveva insistito comprasse per quell’evento. Quella camicetta rossa che era diventata un poco il suo porta fortuna e che le ricordava a che sangue appartenesse.
Un nuovo respiro e poteva giurare di star davvero per muoversi quando la voce di Hasook, che da bravo malfidato faceva capolino dalla porta, le ribadiva urlando: -Lo sapevo di trovarti ancora qui? Fila ai provini, piromane perditempo che non sei altro! -
Istintivamente scattò sull’attenti, un po’ per l’insano timore che aveva per quell’omone dell’acqua un po’ per prenderlo in giro. Afferrò la sua borsa da palestra ridendo allegra come suo solito e corse via, scavalcando il piccolino sull’ingresso.
Non fece caso immediatamente che il gatto con il quale Kuruk giocava fino a pochi minuti prima era sparito, né tanto meno, colpevole la frenesia del momento che la sua sacca pesasse più di quanto non facesse normalmente… non ci badò neanche quando scesa dal bus che la portava allo stadio di dominio sportivo, raggruppava nuovamente tutto il suo coraggio prima di entrare. Non se ne accorse neanche mentre si trovava in fila con gli altri dominatori del fuoco davanti al vecchio proprietario di quel luogo che controllava le loro credenziali… non se ne accorse, no… fino a quando, seduta sulla panca di legno negli spogliatoi non aprì quella borsa per cambiarsi e prendere le protezioni che le necessitavano per cominciare a riscaldarsi… fino a quando non trovò due occhioni gialli e tondi a osservarla da dentro la sua sacca.
 

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Capitolo 24
*** Cap. XXIV: L'avventura di Castigatore - Terza parte ***


Cap. XXIV: L’avventura di Castigatore
Terza Parte


 
Tahno si era trovato quella borsa con il gatto di Sukka tra le mani senza capire esattamente come: una Hikari imbarazzatissima inseguita dal vecchio Toza gli era apparsa davanti con il fiatone, mollandogliela tra le braccia, dicendo solo un ‘ti pregoooo’ accompagnato da ‘non so come sia finito qui’ prima di scappare alla stessa velocità con la quale era apparsa e lasciandolo a fronteggiare quel grosso omone della terra di Toza che lo guardava con sospetto.
-E’ il mio gatto! - Fu la prima risposta che gli balenò nella mente.
L’uomo assottigliando maggiormente lo sguardo, rispose: -E questa è la mia palestra non un giardino zoologico. -
Aveva ragione, ma ormai quel gatto era lì, che voleva fare? Ucciderlo?
Toza diede uno sguardo a quella borsa azzurra che Hikari usava per il lavoro, sembrò convincersi della cosa e aggiunse sbuffando: –Ahhh c’è stato un furetto per anni qui, ci può stare anche un gatto per qualche ora, ma… finite le vostre cose, non voglio più rivederlo, siamo intesi? -
Quell’omone infondo era una gran brava persona.
Tahno gli sorrise ringraziandolo.
L’uomo si allontanò per qualche passo, poi fermandosi si voltò con sguardo severo.
Per un secondo il dominatore dell’acqua ebbe il sentore che questi avesse cambiato idea, ma facendosi scuro in viso gli disse: -Mako ancora non è arrivato e l’attesa ha cominciato a far girare voci sulla biondina del fuoco. Forse dovreste mettere in chiaro la questione o rischiate che le facciano passare brutti momenti. Troppi dominatori del fuoco tesi come corde di violino nella stessa stanza, acquatico, non promettono bene. -
-Già! Vedrò cosa posso inventarmi. - Rispose lui.
Tahno temeva che potesse accadere qualcosa del genere.
-Quella piccoletta non mi dispiace. L’ho vista all’opera quando l’avete portata qui per farle prendere confidenza con l’arena, ma… non sono stato l’unico a vederla in vostra compagnia. Le voci girano e gli incendiari sanno essere fantasiosi, invidiosi e vendicativi. -
Un assenso del capo fu la risposta di Tahno, altrettanto preoccupato nello sguardo.
A Toza sembrò bastare e con un cenno similare si diresse nuovamente verso gli spogliatoi.
“Toza non ha tutti i torti.” Pensava il nuovo capitano dei Furetti di Fuoco. “Anzi! Anche se ha dimenticato di annoverare tra le tante cose quanto i sangue di fuoco siano aggressivi, sempre.”
Tahno tornò con lo sguardo a fissare la piazza al di là della vetrata dello stadio di dominio sportivo. Mako ancora non si vedeva.
Quel grosso gattone che fuoriusciva solo con la testa e quelle due zampette dalla sacca sembrava stranamente docile. Effettivamente da quando era nato Kuruk, Sukka diceva che lo trovava più gentile. Lui non lo aveva mai trovato così male a dire il vero. Pensò, tornando a osservarlo in quegli occhioni tondi e il gatto fece lo stesso per qualche secondo prima di tornare a guardare insieme fuori dal vetro.
-Ma come sei arrivato qui Casti? –
La borsa di Hikari dove amava acciambellarsi dall’inizio dell’autunno era un indizio sufficiente per farsi un idea sul come e il perché. Rise scuotendo il capo, sempre guardando il via vai di gente fuori nella piazza della piccola penisola Yue Bai.
Poi… -Hikari. – disse sospirando, lasciandosi sfuggire un pensiero. –Speriamo micione che non si creino davvero delle brutte situazioni intorno a quella piccoletta. Mi dispiacerebbe davvero, ma la tensione è alla base del dominio sportivo, se non riesce a reggere la pressione tra dominatori, non è adatta a quel mondo. E chi meglio di me può saperlo? Sai, Casti, ai vecchi tempi ho tartassato sempre all’estremo i giocatori delle squadre rivali. Se cedevano prima della partita, meglio ancora. -
Un ghigno divertito si aggiunse al suo dire.
Il gatto sembrava ascoltarlo.
Poi di nuovo serio, riprese: -Sia io che Mako l’abbiamo avvertita che sarebbe potuto accadere. Le abbiamo detto di non cogliere nessuna provocazione, e lei ha promesso di farlo, ma… è sempre un incendiaria, quanto credi che possa resistere prima di esplodere? -
Un miagolio sommesso sembrò voler essere una sorta di risposta da parte del micione.
Tahno gli sorrise. –L’ho ficcata davvero in una brutta storia. Bolin mi ammazzerà quando lo saprà! -
Non poté trattenere una risata, quasi a trovare l’idea di azzuffarsi con il dominatore della lava decisamente divertente. Era fuor di dubbio che gli mancava, chi lo avrebbe detto solo qualche anno prima?
-Con l’inizio del campionato sarà di nuovo qui e ce le potremo dare come ai bei vecchi tempi! -
Rise ancora prima tornare con la mente a Hikari.
“Avevo notato che stava assimilando quello che insegnavo ai ragazzi per riuscire a utilizzare il suo dominio al meglio. Il suo controllo sulla fiamma ha un che di magico quasi quanto Mako, ma decisamente più gentile. Quel grosso incendiario, ordina al fuoco, lei… sembra chiedergli il permesso, ma entrambi sono in grado di far proprio l’elemento anche se chiamato da altri e…”
-…Ho rimuginato su questa cosa per giorni, gattone. Sapevo anche io che era una pazzia, ma…-
“…Non riuscivo a togliermi quel tarlo dalla testa. E alla fine ho voluto vedere come se la cavava davvero in campo. Non sembrò strano a nessuno quando allenando i bambini me ne uscii cogliendo una battutaccia di Bumbum con l’idea di fare una bella partitina ‘maschi contro femmine’ la priva volta, e, dato che le signorine volevano la rivincita, la seconda è venuta da se e così la terza fino a diventare parte integrante del nostro allenamento.”
-Nel mentre, Casti, continuavano le prime selezioni per i furetti. Quando io e Mako Ci allontanavamo per qualche giorno era Kari a prendersi cura dei mocciosi. - Un sorrisone a quel gattone per poi tornare a guardare fuori.
“Poi dopo un allenamento un po’ più stancante del solito la ‘signorina Sato’ mi si avvicinò con il suo fare sempre apparentemente tranquillo.
-Cosa stai combinando Tahno? - Mi chiese.
Poco valse il mio dissimulare sul fatto di trovarmi in quel preciso momento ad asciugarmi la fronte madida di sudore, quegli occhi verdi avevano visto chiaramente i miei movimenti in quei giorni nei confronti della biondina.
-Si sta riprendendo bene e ho pensato…- le dissi come se fosse la cosa più normale di questo mondo, ma la vidi accigliarsi.
-Parla chiaro. - Mi disse lei e così feci.
Le raccontai che più mi trovavo a valutare i dominatori della fiamma durante i provini più mi rendevo conto che il controllo di Hikari e la sua precisione erano migliori della maggior parte di loro. Era un tormento avere a portata di mano una dominatrice così dotata e doverla usare solo come babysitter per i pipistrellini.
Asami a quel punto mi stupì.
-Invece di tormentarti tanto, perché non ti togli il dente e gliene parli? Secondo me Hikari dovrebbe avere tutto il diritto di sapere quello che pensi di lei. - Mi disse e…”
-Aveva ragione, signor Gatto della Stazione. Mi disse che non gli piaceva l’idea che Hikari potesse farsi male, ma se davvero era dotata come dicevo era giusto che lei lo sapesse. -
“E gliene parlai. Per giorni vidi quel musetto pensieroso aggirarsi per casa, finché trovò fermezza e mi rivelò: -Ho deciso di provare. Se a te va bene Tahno… se va bene a Mako. Voglio provare, ma… non ditelo a Bolin, se non riuscissi mi vergognerei troppo. -
Mako ha il mio stesso occhio e non fece troppe obbiezioni quando gliene parlai. Certo come me era preoccupato per le condizioni di salute della ragazza e della reazione di Bolin al riguardo, ma era brava, davvero brava…”
-…e probabilmente tra i migliori che avevamo visionato fino a quel momento. Ma una cosa è il dominio in se, una cosa la sfida, Casti! -
“Non mi piaceva l’idea di non mettere al corrente Bolin della cosa, ma potevo capire i discorsi che fece Hikari più volte quando con Mako le facevamo notare la cosa. Lei temeva, e giustamente a parer mio, che Bolin si impuntasse sul non volerla lasciar gareggiare. Che temesse per la sua salute al punto da impedirglielo e se le si fosse imposto lei non sarebbe riuscita a non accontentarlo. Se lo sentiva nel profondo del cuore, ma… se fosse riuscita sarebbe valso come a dire che non era diventata del tutto inutile come dominatrice del fuoco, che poteva fare di nuovo del dominio la sua arte e… fare una sorpresa al suo ragazzo che sperava, dopo i più che probabili mille dubbi iniziali, potesse capire e gradire la cosa.”
Una risata.
–Non avevamo però calcolato che anche Kya sarebbe stata contraria, ma… decisamente un osso meno duro di Bolin da affrontare, ma accidenti che fatica convincerla! Fortuna che ha il cuore sensibile verso i più piccoli che, al contrario, saputa la cosa ne rimasero entusiasti. -
“Kari però non avrebbe potuto partecipare alle prime selezioni. La sua gamba era migliorata e molto, ma stressare quell’arto danneggiato prima del tempo era un rischio che nessuno di noi era tanto incosciente da farle correre. Io, Mako e Asami decidemmo così di comune accordo di scrivere il suo nome tra i dominatori che avevano superato le prime selezioni senza farla gareggiare. Avrebbe avuto il tempo di rimettersi al meglio e di allenarsi nel vero Dominio Sportivo, ma poi se la sarebbe dovuta veder da sola e contro i migliori incendiari del globo che tentavano la carriera professionistica. E finalmente è arrivato quel giorno, il giorno di scendere in campo e dimostrare a tutti quanto vale.”
-Non ci saranno preferenze, Casti. Le vogliamo bene, ma abbiamo faticato troppo per arrivare a questo punto e, per quel che mi riguarda, voglio vincere. Voglio vincere questo campionato e, parola mia, non sceglierei mai nessuno che non sia all’altezza delle mie aspettative. -
“Le selezioni finali si divideranno in tre manche. Saranno dure. Non nego che mi dispiace pensare a quanto peso dovrà sopportare quella piccola incendiaria, ma… sono convinto, come disse la stessa Asami quando prendemmo questa decisione insieme, che comunque vada sarà per lei una bella esperienza rimettersi davvero in gioco, riprendere in mano le redini della sua vita.”
Il gattone si dimenò nel borsone tra le sue braccia e dovette rinsaldare la presa, distogliendosi così dai suoi pensieri, nello stesso istante, finalmente, quel rombare di motore tanto atteso… Mako e Asami avevano appena fermato la moto nel cortile dell’Arena di Dominio Sportivo.
“Era ora!” Pensò guardando l’orologio al suo polso e muovendosi verso l’ingresso per andare incontro ai ragazzi.
 
 
-Ce l’avete fatta, finalmente, ad arrivare! - Li riprese Tahno affacciandosi da sopra la gradinata. Il gattone ancora faceva capolino senza protestare da quella sacca.
-Colpa mia! - Rispose Mako salendo le scale insieme ad Asami. -Una brutta sparatoria e…-
-Lascia stare. - Lo interruppe il dominatore dell’acqua. – Una sparatoria? Davvero vuoi scusarti per il fatto di far bene il tuo lavoro? E poi… Far alzare la tensione dei partecipanti al provino, non è poi così male. E’ importate vedere anche come se la cavano sotto pressione. -
Lo pensava davvero, malgrado si dispiacesse per Hikari.
-E quel cosetto lì? - Domandò Asami vedendo Castigatore tranquillo nella sacca azzurra.
Tahno rispose senza celare divertimento nella voce: -La fiammettina di Bolin se l’è portato dietro da lavoro. -
Poi Mako scuotendo il capo disse sorridendo: -Ma dove avrà la testa! Proprio la degna ragazza di mio fratello! -
-Sarà agitatissima, anche se non lo dà a vedere. – Riprese la vocetta di Asami gentile. –Ma adesso muoviamoci. Finalmente i finalisti dei provini sono giunti tutti a Città della Repubblica. Siamo arrivati agli scontri decisivi, ormai questi ragazzi si giocheranno il tutto per tutto. Sono i migliori sportivi della fiamma che avete scovato nelle tappe della Fiera Internazionale dei Giochi di Dominio. Sono i migliori dei quattro regni. Non vedo l’ora di vederli all’opera! Andiamo, li abbiamo fatti aspettare anche troppo! - Concluse con entusiasmo.
I due ragazzi sorrisero.
“Sono lieto che Anche Asami sia entrata nella giuria per questa ultima parte delle selezioni.” Pensò Tahno muovendosi insieme ai ragazzi per raggiungere il podio dal quale avrebbero giudicato i concorrenti alla sfida. “Essendo lo sponsor unico della squadra e avendo dedicato così tante forze e la sua intera casa a questa stramberia mia e di Bolin era il minimo che avesse anche lei voce in capitolo.”
 
Si accomodarono ai loro posti.
Da dove si trovavano avevano una visuale piena del campo di gioco.
Avevano preparato diverse ‘sorprese’ per i partecipanti a quell’ultima fare dei provini.
Tahno era emozionatissimo all’idea che al termine di quelle manche la loro squadra avrebbe avuto finalmente il suo dominatore del fuoco.
Posò il Borsone con il micio accanto alla sua postazione.
Il micione sembrava sonnecchiare tranquillo.
Mako chiese al ragazzo incaricato di dare il via ai giochi di far entrare il primo dominatore e questo eseguì immediatamente uscendo dalla porta alle loro spalle.
Ed Eccolo il numero Uno sulla lista dei giocatori da visionare per l’ennesima volta. Tutti e tre controllarono gli appunti presi su quel ragazzo nelle loro cartelline, prima di informarlo su cosa avrebbe dovuto mostrar loro.
Tahno non poté non sorridere a quell’appunto scarabocchiato di Bolin a piè di pagina, pensando che da qualche parte, se ricordava bene, doveva essercene uno anche della signorina ‘devo sempre dire la mia’ Korra.
Sorrise, mentre la voce di Asami ripeteva il nome del ragazzo nel microfono davanti a lei chiedendo di precisarle la sua provenienza.
Presi dalla situazione nessuno dei tre ragazzi si accorse che il micione fino a quel momento tranquillo era nuovamente sparito, senza lasciare tracce dietro di se.
 

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Capitolo 25
*** Cap. XXV: L'avventura di Castigatore -Quarta parte ***


Cap. XXV: L’avventura di Castigatore
Quarta Parte


Castigatore doveva ritrovare la biondina era importante, pensava, mentre si muoveva nuovamente all’interno dello stadio. Hikari era tanto, tanto, tanto agitata e lui lo sapeva… i gatti sanno sempre queste cose. Non era agitata come Tahno, quell’altro umano che aveva adottato da un po’. No, lui era più come se fosse emozionato e su di giri, mentre invece Hikari aveva l’odore di chi ha paura e questo non andava affatto bene. C’erano troppi umani con gli occhi gialli come i suoi. Gli umani di quel tipo capiscono subito se hai paura e di solito fanno in modo che la cosa degeneri.
Ahhh, fortuna che c’era lui! Lui sapeva come evitare la cosa, bastava guardarli fissi fissi e loro capivano che dovevano girare alla larga, ma doveva fare presto, quella cosetta era tanto che si trovava da sola.
Il micione annusò attento l’aria, ma nulla.
Si mosse ancora lungo il muro di vetro dal quale con Tahno stavano guardando fuori poco prima, ma ancora nulla… poi… quell’odore interessante.
Non era Hikari, ma… era davvero troppo interessante per non seguirlo.
Hikari avrebbe resistito un minuto in più. Un solo minuto, il tempo di capire di cosa si trattasse.


 
Il signor Butakha si sedette accanto al signor Cheng Su tra gli spalti dello stadio.
-Hanno iniziato vedo. - Disse, passando all’altro uomo una confezione d fiocchi di fuoco, una bottiglietta d’acqua e un hot dog fumante.
Cheng Su annuì silenzioso prendendo quanto l’altro uomo gli porgeva.
-Cosa ne pensi? - Disse ancora l’organizzatore del torneo, non che il padrone di casa.
-Dei due Furetti? –
Butakha annuì.
-Sono stati bravi. - Rispose Cheng. -Hanno portato a termine quanto promesso, almeno fino a questo momento. -
L’uomo si appoggiò pesantemente sulle ginocchia sporgendosi in avanti. –Già! Conosco Mako e Bolin da quando erano dei mocciosi, sono bravi ragazzi e sono stati allenati nel dominio sportivo da Toza l’ex-capitano dei Cinghiali furiosi. -
-Mi ricordo. I Cinghiali sono stati la squadra con il maggior numero di tornei consecutivi vinti fino a quando i Pipistrellilupo non gli hanno rubato il titolo. -
-Già, vecchio mio. - Sospirò Butakha amareggiato al ricordo di quella sventurata finale.
-Questa nuova squadra promette bene, quei due ragazzi sono davvero motivati e a ragione, da quanto ho visto nelle dimostrazioni nei quattro regni, sono davvero eccezionali. Gli altri team se la vedranno brutta. -
-Non ne sono così convinto, Cheng. – Rispose, riassumendo una posizione eretta, mentre sul ring una dominatrice del fuoco mostrava la sua abilità.
L’uomo di Città della Repubblica osservò quella prova, un minuto, in silenzio, mentre Cheng Su attendeva il seguito di quella affermazione.
–Le nuove leve sono molto forti. - Riprese. –E sono scresciute allenandosi sugli schemi del passato e sulle ‘loro’ tattiche di gioco. I nuovi Furetti rischiano per questo di essere troppo prevedibili. Oltretutto la squadra che allena Ming ha superato l’ammissione a questo campionato e a pieni punti. Ming conosce perfettamente lo stile del suo Ex-capitano… eh no, Cheng, fossi in te non darei nulla per scontato. Sono forti è vero, ma non sono gli unici a esserlo, anzi… Le vecchie squadre sono sempre più agguerrite e navigate, i nuovi tenaci e potenti. Per quel che mi riguarda partono svantaggiati, non sono sicuro che scommetterei su di loro, non adesso almeno. No, non sarà certo una passeggiata, mi auguro solo che riescano a superare gli ottavi, così gli spettatori non rimarranno troppo delusi. -
-Come sei catastrofico! - Lo riprese Cheng mordendo il suo panino e posandolo sul sedile accanto al lui per bere un goccio di acqua.
Un altro promettente dominatore saliva a dimostrare quando valeva sul ring, sotto lo sguardo attento del padrone di quello stadio.
-Sono realista, amico mio, solo questo! - Commentò nuovamente l’uomo, notando distrattamente una codina nera sparire dietro l’arcata d’accesso agli spalti accanto a loro.
Un’alzata di spalle indifferente mentre la voce di Cheng Su arrivava alle sue orecchie dicendo: -Ehi Butakha, hai finito tu il mio Hot Dog? L’avevo posato sull’incarto dei fiocchi e ...-
 
Quel gattone sapeva di carne alla piastra, Ketchup e maionese. Pensò Hikari mentre lo prendeva tra le braccia. Quel qualcosa che normalmente le faceva pensare che quel micione potesse da un momento all’altro staccarle una mano ad artigliate, quel giorno, non sembrava apparire in quegli occhioni gialli. Ma forse era solo la tensione accumulata che le faceva sembrare ogni cosa meno ‘preoccupante’ di quella sfida nella quale si era praticamente gettata da subito a testa bassa.
Castigatore si lasciò sistemare il mantello da una sua leggera carezza, mentre Hikari si regalava un momento per prendere fiato. Il primo scoglio era stato superato: era scesa in capo per la prima prova di quella selezione. Ora poteva solo aspettare.
Probabilmente a momenti sarebbe dovuta scappare di nuovo con quel gattone tra le braccia appena il grosso omone della terra che le avevano presentato come Toza fosse tornato in quegli spogliatoi.
Stava sorridendo a quel musetto tondo, quando quel ragazzo le si sedette accanto.
Non lo guardò. Si erano tutti raccomandati con lei di non cogliere nessun tipo di provocazione o dare a qualcuno la possibilità di poter intraprendere una qualunque disputa. Doveva fare la brava, si disse.
Il tizio lì accanto si posò pesantemente contro lo schienale della panca sospirando. Doveva essere bello grosso per far scricchiolare quella panca.
Lo scorse con la coda dell’occhio… si stava asciugando il sudore ignorandola. Non la guardava, questo era un bene, non lo era al contrario che, malgrado si fosse ripromessa di non voltarsi, lei lo avesse comunque fatto. Aveva davvero una pessima difesa contro la sua stessa curiosità, pensò arrendendosi all’evidenza.
Il ragazzo che stava sbirciando era un grosso dominatore dagli occhi di un giallo tendente al verde e dai capelli castani. La carnagione era leggermente brunita e malgrado i lineamenti fossero quelli del fuoco, tutto il testo faceva pensare che potesse provenisse dal regno della terra: altezza, ampiezza delle spalle, baricentro del corpo, espressione divertita malgrado la prova appena passata.
Tornò a guardare Castigatore.
-Non te la sei cavata niente male numero… 74. - Disse l’uomo al suo fianco volgendosi appena in avanti sulla panchina per controllare il numero che le avevano appuntato sulla maglietta alla prima chiamata delle selezioni in quell’arena. Possedeva una voce profonda proprio come si sarebbe aspettata da un ragazzo della terra.
Il gattone si voltò a guardare lo sconosciuto e, dato che la cortesia imponeva anche a Hikari di voltarsi e rispondere, lei fece lo stesso.
-Grazie. - Si limitò a dire, onde evitare di concedere appigli per attaccar briga.
Ma questi, allungando una mano, aggiunse: -Piacere, io sono Tori, e tu? -
Nella sua testolina Hikari si sentì piccola e nei guai, sospirò intimamente senza darne parvenza esterna: sembrava non avere possibilità di fuga da quell’improvvisato interlocutore.
-Hikari. - Rispose a sua volta, stringendogli la mano. –Piacere mio. -
Forse poteva bastare così… forse…
-Forte! E’ il tuo gatto quello? -
…No. A quante pareva non gli bastava.
Non c’è nulla peggiore di un curioso sangue di fuoco, che un curioso sangue di fuoco con l’attitudine a chiacchierare di un uomo della terra.
“Ok, Hikari.” Si disse. “Sorridi e sii gentile e se la situazione degenera almeno… metti in salvo il gatto!”
-Non esattamente, è del mio datore di lavoro. Ama dormire nella mia sacca e… beh…- Rispose lei.
-Ahhh! Capisco. - Esordì lui con tono allegro, senza darle possibilità di terminare la sua frase. -In pratica te lo sei portato dietro senza volere. Quindi… se non ti prendono in squadra i Furetti, rischi di rimanere anche senza lavoro per aver rapito il gatto del capo! -
“No, no… non ridere Hikari!” Si disse, ma stava già mostrando un risolino trattenuto stentatamente.
-Ahhh! Allora sai anche sorridere. E’ da quando sei arrivata che sei stata sempre seria seria in disparte, credevo fossi diventata parte dell’arredo prima che scendessi in campo. A proposito, come già detto, complimenti per il controllo. Io non credo di essere riuscito a far altrettanto quando è stato il mio turno, ero troppo nervoso. Cavolo!!! I Furetti di Fuoco, mica una squadrucola qualunque! - Esclamò ammirato nel tono.
-Grazie ancora. Purtroppo non ho osservato nessun altro all’opera e non posso darti il mio parere al riguardo. - Rispose onestamente la ragazza.
-Naaa… non preoccuparti, lo so da solo che sono bravo, non cerco mica chi me lo venga a dire. Solo… non credevo che ce ne fossero di migliori di me. Sai sull’Isola Kyoshi non sono molti i dominatori del fuoco al mio livello. E… tu da dove vieni? -
-Ging-Sho. Si trova nell’entroterra della Nazione del Fuoco! -
-Forte! Credevo che fossi di qualche posto qui dell’Unione. Sai… con quegli occhioni azzurri. - Indicandole il visetto all’altezza del naso.
-Quindi pensi davvero che sia andata bene? -
Il ragazzo annuì, stiracchiandosi. –Certo che sì! Ma sei uno scricciolo, mi spiace dirtelo signorina, ma… hai dato uno sguardo intorno? Nessuno qui ti darà la minima possibilità di andare avanti appena cominceranno gli scontri veri e propri. Ti staranno dosso come possono. Anche le altre ragazze ti sono superiori per stazza e atteggiamento e, da quel che ho visto, malgrado il tuo controllo, la fiamma che richiami è sottile e leggera. Gli altri hanno dimostrato una potenza temibile e un atteggiamento impetuoso. Temo dovrai cercarti in fretta un altro lavoro… e già! -
“Eccolo… sembrava simpatico, invece…” Pensò Hikari.
-Ma… tranquilla! Tanto neanche loro hanno troppe speranze di superare la selezione. Stanno perdendo il loro tempo qui. Perché, devi sapere, non ho la benché minima intenzione di tornarmene a casa con la coda tra le gambe. Sono venuto qui per prendermi quel posto in squadra e lo farò, a costo di spezzare tutte le ossa agli altri partecipanti. Quindi… ti avviso signorina, se dovessi farti male in campo, nulla di personale, intesi? Come ti ho già detto, voglio solo il ruolo che merito e… il mio posto è con la fascia rossa dei Furetti di Fuoco. - Disse strizzandole un occhio con fare divertito.
-Non credere di intimidirmi. -  Rispose lei indispettendosi difronte a quell’atteggiamento.
“Ops… mi avevano messo in guardia dagli altri, ma non da me stessa… Ahhh… sono anche io una dominatrice del fuoco. Ma che pensano a volte Mako e Tahno? Uff! E cosa crede questo qui, che io sia venuta qui a girarmi i pollici? Anche io voglio quel posto in squadra. Accidenti!” pensò riservando al ragazzo uno sguardo bieco.
-Intimidirti? - Sgranando gli occhi. –No, no… ci mancherebbe! Volevo solo farti presente chi sarà il nuovo furetto e… darti la possibilità di andartene via mantenendo ancora intatto il tuo orgoglio. Cavolo… sono una brava persona io, che credi? Non ti sembrerò uno di quei piromani arrogantelli di Città della Repubblica, spero? -
“Troppo forte… accidenti, ha parlato troppo forte!” Pensò Hikari preoccupandosi, poi notando quel sorriso sulle sue labbra… “No… ha voluto che lo sentissero! Lo ha fatto di proposito!”
-Ha chi hai dato degli arroganti? - E… il primo dei dominatori di quella città aveva abboccato all’amo, pensò Hikari volgendosi verso il ragazzo del fuoco che aveva appena parlato.
Poco più indietro, rispetto a lui, si trovavano altri due ragazzi dalla stessa espressione torva.
-Arrogantelli. - Disse Tori alzandosi e scrocchiando il collo. –Arrogantelli per la precisione. Che avete anche problemi alle orecchie in questa città? -
“Ok, è accertato, vuole farsi ammazzare.” Ancora il pensiero di Hikari.
-Ehi, se stai cercando rogne, le hai trovate! - Rispose il ragazzo con il numero 33 sulla maglietta.
-E chi me le dovrebbe dare, sentiamo, tu? - Il tono di Tori era canzonatorio. –Sai, mi alleno da una vita a rimettere a posto gente come te, più che una rogna, mi sembri un pavoncello spennato, ma che ti sei messo in testa, un animale morto? -
“Pazzo come tutti quelli della terra… accidenti a lui!” Pensò Hikari, non riuscendo a trattenere un risolino notando effettivamente l’assurdo taglio di capelli del ragazzone di Città della Repubblica.
-Insolenti! - Esclamò quel dominatore offeso, scagliando un pugno proprio verso il ragazzo che lo aveva aizzato.
“Insolenti? Come ins… noooo… ho riso come una sciocca!” Pensò Hikari, non potendo non notare Tori assumere una posizione da… “Ma… quella è una delle posizioni dello Shaolin praticato nelle regioni settentrionali della Nazione del Fuoco! Non è solo uno sportivo, questo dominatore è…”
Il ragazzone schivò agilmente quel goffo tentativo di colpirlo facendosi di lato.
Hikari bloccò il suo pensare nel veder capicollare il ‘33’ proprio davanti ai suoi piedi, sbilanciato nel suo stesso attacco.
La ragazza ancora non riuscì a trattenere un ghignetto divertito.
Rapidamente si portò una mano a coprirsi la bocca, cercando di dissimulare per evitare di venir messa di mezzo, ma… non le riuscì!
Gli altri due dominatori fino a quel momento in silenzio, vedendo il loro ‘capetto’ a terra, non tardarono a lanciarsi contro Tori, mentre l’uomo in terra si alzava fissandola in viso.
Hikari era ancora seduta su quella panca… ancora stringeva quel gattone tra le braccia…
-Bastardi! - Esclamò cercando rivalsa su di lei essendo la più vicina o probabilmente quella apparentemente più debole dei due.
Era troppo vicino e lei praticamente impossibilitata a schivare…
 
Tori ancora aveva schivato uno dei due attaccanti facendogli lo sgambetto e mandandolo a gambe all’aria proprio come quel povero Numero 33, mentre fermava il secondo dominatore piantandogli una mano sulla testa e, grosso com’era, lo teneva sufficientemente lontano da lui da non esserne colpito. Mostrava un sorriso divertito, mentre dichiarava: -Ahhh! Ti consiglio di crescere qualche centimetro ragazzino se vuoi giocare con me! -
Il tempo di formulare quella frase che…
-Bastardi! - Sentì volgendosi verso il primo che era riuscito a far imbestialire.
Notò, già con la coda dell’occhio, quel rozzo richiamo che preannunciava l’infiammarsi del suo palmo.
Rapidamente scaraventò contro la panca l’uomo che teneva per il capo e con la flessuosità propria del suo stile di combattimento parò il pugno di quel dominatore troppo facile a ‘infuocarsi’. Lo bloccò a pochi centimetri dal visetto della… “Biondina? Ma… Dove sta la Biond…” Pensò, trovandosi stupito a guardare una panca deserta e bloccandosi stupidamente tanto da ricevere in pieno il colpo del secondo uomo che aveva gettato in terra.
No, non faceva mai bene un pugno in faccia, ma ne aveva presi troppi e da dominatori della terra più grandi e grossi di quel moscerino del fuoco. Cosa pensava di fargli con un colpo del genere, il solletico?
Fu però sufficiente a fargli volgere appena il volto al pavimento.
“Ahhh, eccola!” pensò, ghignando divertito, forzando il pugno dell’uomo che teneva nel palmo della mano destra e sferrando un sinistro in pieno volto a quell’altro che non aveva saputo starsene al suo posto.
“Divertente!” Pensò, sentendo l’adrenalina carezzargli i sensi.
La ragazzina si era lasciata scivolare in terra, passando letteralmente tra le gambe del ragazzo. Data la sua postura l’avrebbe probabilmente colpito tra i gioielli di famiglia, non fosse rimasta stupita dal suo intervento.
-Prenditela con quelli della tua taglia! – Intimò al primo ragazzo, non senza notare che la mano che stringeva non aveva bruciato la sua pelle come si era preparato a sopportare appena il suo istinto lo aveva portato a fermarne il colpo.
 
Hikari non si aspettava che quel grosso attacca brighe conoscesse la tecnica che aveva visto insegnare a sua madre dall’uomo a cui apparteneva il colore dei suoi capelli. Non si aspettava neanche che l’aiutasse dopo aver scatenato quella rissa. Rimase per questo a fissarlo dal pavimento con occhi sgranati, dopo aver istintivamente fatto suo il fuoco del dominatore Numero 33. Un secondo, non di più, prima di alzarsi dal suolo con quel gattone ancora tra le braccia. Anche l’altro uomo nuovamente in terra, poco distante da lei, si stava alzando e con l’aria non certo amichevole.
Istintivamente assunse una posizione difensiva… la stessa che aveva visto mille volte eseguire al genitore che non conosceva. Nello stesso istante notò gli occhi degli altri dominatori nella stanza su di loro. Conosceva quello sguardo e la tensione che si accumulava nei loro arti tanto da farli flettere impercettibilmente. Voleva dire solo una cosa: a breve sarebbero intervenuti e, qualcosa le diceva, non certo dalla sua parte…
“Anche perché quel dominatore del cavolo ha cominciato per primo e io ridendo come una stupida ho permesso che…” Il suo pensiero venne interrotto dall’intervento dell’uomo che aveva visto sollevarsi.
Rapida saltò sul posto, evitando la sua falcata, tenendo il micione al seno. Sapeva che la gamba era guarita, ma… il timore le faceva eseguire quelle manovre, con maledetta lentezza rispetto a quella che ricordava benissimo essere la sua reale rapidità… eppure… eppure era bastata a evitare quel colpo e piazzato un piede in petto a quell’uomo lo allontanava da sé, gettandolo di nuovo al suolo.
Nel mentre Tori alle sue spalle contorceva tanto il braccio che aveva tentato di colpirla da costringere il ragazzo a voltarsi impotente.
Istintivamente Hikari indietreggiò raggiungendo il fianco di quell’attaccabrighe dagli occhi spolverati di smeraldo.
Lo vide ghignare e probabilmente lei stava facendo lo stesso. L’adrenalina muta gli atteggiamenti dei sangue di fuoco, alimenta i loro istinti, gli dà alla testa... e… li diverte terribilmente! E’ droga per loro… e per lei certo non faceva differenza.
-Ok, Hikari alle brutte, porta in salvo il gatto! - La voce di quel Tori ad aumentarle il sorriso sardonico.
Era simpatico, pensò, non fosse del tutto matto come un cavallo!
 
Castigatore stava fissando quegli occhi gialli come sapeva, ma… quella biondina non gli dava il tempo di fare la sua magia, sballottandolo di qua e di là. Non sembrava cavarsela male al momento… per un po’ l’avrebbe lasciata giocare, ma… se la situazione fosse peggiorata, ci avrebbe pensato lui! Avrebbero capito quegli occhi gialli chi era il vero gatto tra loro!
 
Tori bloccò l’attacco diretto di quei due gettandogli addosso il loro compagno che, fino a quel momento, aveva usato come uno scudo. Aveva visto più volte quei ragazzi tentare di richiamare il loro dominio, ma questo sembrava non volergli ubbidire. Come lui anche altri dei presenti lo avevano notato e la cosa riusciva a ritardare il loro intervento.
“Peccato!” Pensò. Era teso e non conosceva nulla in grado di rilassarlo come una bella scazzottata, senza contare che… adorava intimorire gli altri partecipanti a quelle selezioni dando sfoggio delle sue capacità. Nel regno della terra aveva funzionato piuttosto bene, in molti, dopo avercele prese, avevano dato forfait.
“Mi alleno da tutta la vita nel dominio sportivo e da un po’ di più nelle tecniche del fuoco.” Pensò ironicamente. “Eppure non avevo mai visto qualcuno mettere a cuccia le fiamme come riesce a fare questa bambolina. Forte! Ma… questa capacità può sicuramente intimidire in una rissa da spogliatoio, ma non so quanto possa esserle utile sul ring di dominio.”
Ancora vide quei tre rialzarsi e…
 
Stavano riattaccando quando Toza aveva aperto la porta dello spogliatoio, pensava Hikari guardando il grosso dominatore della terra e i suoi occhi sottili puntati sui presenti.
Tutti gli ardori erano cessati al suo arrivo, ma non era certo tanto stupido da non capire il perché in quella stanza tutti fossero in piedi.
Si sentì rincuorata da quella presenza, poi lo vide guardarla male. Eh sì! Stava guardando male proprio lei.
“Possibile che oggi non mi riesce di passarne una?” Pensò sospirando la ragazza.
Toza gli si avvicinò, ma… non guardava lei… guardava…
“Casti?” Pensò… “Oh sì! Castigatore è di nuovo qui da dove lo ha cacciato via solo un’oretta fa. Non devono piacergli per nulla i gatti, mi sa!”
L’omone sospirò scuotendo la testa rassegnato, poi accostandosi alla lavagna sul fondo di quella stanza richiamò l’attenzione dei presenti su una lista di nomi che aveva tra le mani e l’appese.
-Dominatori del Fuoco, molti di voi vengono da lontano e vi ringrazio tutti a nome degli organizzatori di questo evento per aver deciso di partecipare all’audizione che decreterà la fascia rossa dei Furetti di Fuoco. Questa che vedete è la lista di chi si è guadagnato l’accesso alla seconda prova. Chi non appare in questo elenco di nomi, può tornare a casa. Ci tengo comunque ricordare a tutti i presenti che siete i migliori dominatori del fuoco dei quattro regni, ma, come in ogni competizione che si rispetti, non a tutti è permesso portare a casa il premio finale. –
Detto questo si fece di lato lasciando che gli sportivi li presenti potessero visionare quella tabella.
Hikari sentiva un groppo in gola mentre scorreva con lo sguardo su quella lista, cercando il numero che le avevano assegnato, sperando d’aver almeno passato quella prima parte ed… eccolo!
-‘N° 74 – Hikari di Ging-Cho (Regione di Trogdor - Nazione del Fuoco)’- Lesse con un filo di voce, sentendosi immediatamente pervasa dall’entusiasmo.
Ce l’aveva fatta, era ancora in gara.
E… anche quel grosso dominatore che le faceva l’occhiolino sorridendo con il pollice alzato nella sua direzione: ‘N° 50 – Tori di Oyaji (Isola di Kyoshi – Regno della Terra)’
 

Intorno a lei era di nuovo tutto un vociare, pensava Hikari.
Toza era ancora accanto a quella lavagna attendendo che tutti controllassero quella lista e che, chi non avesse superato la prova, liberasse quel grosso stanzone.
-Se volete, potete assistere al resto delle selezione dagli spalti. - Disse a un gruppetto di ragazzi, che dopo lo salutavano uscendo.
Sospirò, ancora non le sembrava vero poi…
-Lo sai che non è carino colpire un uomo negli zebedei? Non che sia carino colpirlo in faccia, ma… mi hai capito, no? – Le giunse la voce del numero 50 distraendola dall’anziano dominatore.
Lei, non afferrando a cosa di riferisse, sbatté le palpebre un paio gli volte e…  -Non cap…-
Non le lasciò terminare la frase, dicendo: -Al 33, quando eri in terra, hai presente? -
-Ahhh! - Esclamò Hikari con fare meravigliato. – Le ginocchia… volevo colpirlo alle ginocchia. Volevo evitare che continuasse e non rischiare di farlo arrabbiare ancora di più! – Gli sorrise tranquilla.
-Ginocchia… giusto! Quasi avrei preferito vederlo piegato in due, ma… sì, le ginocchia… ha senso. Dietro magari… così non si rialzava… eh no! –
Hikari non trattenne un risolino nel sentirlo borbottare sull’accaduto.
A quanto sembrava possedeva davvero molti caratteri distintivi della terra, come la cocciutaggine e il rimuginare su qualcosa finché non gli fosse sufficientemente chiara. Le aveva praticamente sbattuto in faccia che faceva più bella figura a tornarsene a casa, ma… non le sembra un cattivo ragazzo, oltretutto… era un artista marziale.
A quel pensiero, facendosi seria e fissandolo, gli disse: -Conosci le tecniche della mia nazione, ho visto. –
-Già! - Sempre sorridendo tranquillo. -Mio padre è nativo della Penisola di Azun. –
-Ora mi è tutto chiaro, avevo riconosciuto lo stile. - Aggiunse tornando a sorridergli.
Venne però il turno del ragazzo di farsi serio, spostando lo sguardo da lei alla fasciatura che stava sistemando per evitare che le protezioni gli ferissero le mani.
-E’ vero quello che dicono? – Le domandò.
-Non saprei. Di cosa stai parlando esattamente? - Cercando per l’ennesima volta di capire quel che intendeva.
-I ragazzi. - rispose gettando uno sguardo a un gruppetto degli altri partecipanti a quelle selezioni. –Mentre eri sul ring. Il gruppo proveniente dalla Nazione del Fuoco ha detto di non averti mai vista gareggiare nella prima parte delle selezioni, mentre i tipetti di questa città vanno dicendo che ti hanno vista insieme al nuovo capitano dei Furetti. –
-Ah! Capisco. - Il tono della ragazza si fece dispiaciuto. -Allora è per questo che ti sei avvicinato prima. Volevi assicurarti da dove venissi e...-
La interruppe… tanto per cambiare… dicendo: -In parte. Me ne stavo poco distante da te, prima che arrivasse il gatto, e sentivo quei tipetti dall’altra parte insinuare che tu avessi avuto regalato l’accesso a questa fase delle selezioni per le tue… ‘frequentazioni’. - Facendo con le dita le virgolette a mezz’aria. –Mi sono domandato il perché non reagissi. La risposta più valida era che fossi sorda, dato che li sentivo io che mi trovavo più distante e… volevo vedere se ci sentissi. -
Hikari sorrise istintivamente a quell’assurda idea, ma senza reale allegria.
-Quindi? Qual è la verità? – Disse rincarando la domanda iniziale.
-Mi è stato detto di non cogliere le provocazioni, tutto qui! Ci sento benissimo, tranquillo! - Rispose lei accarezzando il micione sulle sue gambe, cosciente dello stare eludendo la vera domanda, ma forse…
-Ok, che non eri sorda c’ero arrivato da solo. Ma sul resto che mi dici? -
“Niente forse…” pensò tra il divertito e il rassegnato Hikari. “Cicciuto come la gente della Terra, Non c’è dubbio!”
-Ho fatto finta di nulla, Tori, perché stavano dicendo la verità. - Rispose lei.
Il ragazzo la guardò corrugando la fronte.
Lei continuò: -Non pensare subito male di me. E’ vero, conosco Tahno e… i selezionatori di questo evento hanno deciso di farmi partecipare direttamente alla fase finale senza aver affrontato le prime prove. E’ tutto vero, ma… me lo hanno concesso non perché non volevo parteciparvi, ma perché non potevo. - Voltandosi verso di lui lo trovò a guardarla amareggiato.  -Mi dispiace davvero vederti così deluso, ma… non mi era possibile presenziare alla prima fase. Non potevo davvero. Mi dispiace. -
-Uff…- disse incrociando le mani dietro la testa e appoggiandosi contro lo schienale della panca. –Questa non me lo aspettavo. Mi sembravi una tipetta a posto in definitiva, invece sei la raccomandata come dicono. In pratica tutti i presenti, compreso me, stiamo solo perdendo il nostro tempo. Cazzo pero! Non è corretto biondina. C’è gente qui che per arrivare a questo stadio ha investito i risparmi di una vita e persone, come il sottoscritto, che hanno il sogno di entrare nella lega e… beh… questa cosa fa davvero schifo! -
Il tono del dominatore era calmo anche se terribilmente deluso. Era l’atteggiamento tipico del suo dominio quando si trovavano costretti ad arrendersi a qualcosa troppo grande anche per loro.
-Se non lo dico ad alta voce, ragazzina, è perché ti lincerebbero. – Continuava il dominatore. –E per quanto posso essere un attacca brighe… questi ti ammazzerebbero, non che avrebbero tutti i torti, lasciatelo dire. - Tornò a guardarla malamente.
Quelle parole riuscirono a farla sentire ancora più in colpa più di quanto già non si sentisse, ma…  Non avrebbe mai davvero potuto partecipare alle prime selezioni.
Sentì le lacrime inumidirle gli occhi, ma… per quanto si rendesse da sola conto che non fosse giusto lei voleva essere li. I suoi amici avevano fatto tanto per lei ed… era quello che voleva. Era lì perché era quello il luogo dove voleva essere. Dove si sentiva di ‘dover’ essere. Quindi…
-Hai detto a quei ragazzi prima che avevano problemi alle orecchie, ma a quanto pare anche tu non sai ascoltare. -
Lo vide accigliarsi maggiormente a quella frase, mentre lei tratteneva a stento quelle lacrime che spingevano per scendere in un misto di rabbia e dispiacere.
-Senti…- cercò di intervenire lui con tono aggressivo.
-No, senti tu! - Lo interruppe lei questa volta puntando gli occhi nei suoi. –Io sono qui perché quelle persone pensano che me lo merito, ok? Mi hanno dato solo una possibilità, il resto spetta a me, quindi ne tu, né gli altri siete qui a perdere tempo. Quando ho detto che non potevo partecipare alle prime selezione era proprio questo. Non potevo. Non perché avessi qualcos’altro di meglio da fare o mi girassi i pollici. Ho avuto un brutto incidente e… accidenti! Non volevo che né Tahno, né altri, ne facessero parola per non essere compatita e… e ora sono io a parlarne, ma…- Non le riuscì di non infuriarsi pur mantenendo un tono basso. –Ho rischiato di perdere una gamba, maledizione! E se mi trovo qui, malgrado, come hai detto tu stesso, io sia la più fragile tra i presenti e probabilmente quella meno intimidatoria; rischiando di vanificare quanto fatto in questi mesi e ritrovarmi di nuovo a combattere per rimettermi in piedi è solo perché voglio diventare una professionista del dominio. Ho l’occasione di rimettermi in gioco e né tu, razza di bestione saputello, né nessuno dei presenti in questa stanza, mi farà cambiare idea per quanto ne vogliate dire! Ci siamo intesi? Quindi. Tori. Se qualcuno. Oggi. Tornerà a casa. Con la coda tra le gambe. Quel qualcuno. Non. Sarò. Io! -
-Wow! - Fu la risposta del ragazzo a occhi sgranati, portandosi le mani avanti in segno di resa. –Calmati tigrotta! O rischio di eccitarmi davanti a tanta decisione! -
“Ma che risposta è?” Pensò Hikari sentendosi morire dentro ogni desiderio di rivalsa verso il ragazzone. “E’ tutto della terra questo, strano che il fuoco gli dia retta!” trovandosi spiazzata davanti a quel atteggiamento che gli ricordava tanto il suo amore.
Sbuffò, lasciando ciondolare le braccia verso terra.
-Ok, ok! Ritiro tutto quello che ho detto, ma… fai impressione così! Hai spaventato anche il gatto! Guarda come ti guarda, povera bestiola! - Disse ancora quel coso terra-fuoco che le si trovava di lato ed era vero, quel micione la fissava attento.
Rapidamente tornò ad accarezzarlo per tranquillizzarlo che quelle parole dure non era certo per lui. Ma diamine, quel tizio lì accanto le aveva fatto ribollire il sangue.
Sospirò per calmarsi. Le lacrime grazie al cielo erano rimaste al loro posto senza darle un ulteriore imbarazzo.
-Mi dispiace. Non potevo saperlo. Ma ora che lo so… mi sentirò di più un mostro quando ti rimanderò a piangere a casetta, bellina! - Nuovamente baldanzoso.
“Bel… Bellina… no, dopo questa… voglio morire!” Pensò Hikari rassegnata e coprendo le orecchiette al miciotto disse incurante della persona che aveva accanto: -Non ascoltarlo Casti, ne va della tua salute mentale! Credimiii! –
 

Hikari stava ancora scherzando con il dominatore al suo fianco quando Toza con un colpo di tosse richiamò l’attenzione di tutti.
La ragazza lo vide dare uno sguardo all’orologio alla parete per poi tornare a guardarli nel loro insieme e dire: -Bene dominatori, quelli di voi rimasti in questa stanza hanno dimostrato di essere tra i migliori come accuratezza e rapidità. La prossima fase metterà alla prova non solo quanto avete dimostrato, ma anche la vostra resistenza e la vostra abilità non più nel utilizzo del fuoco, ma nel dominio sportivo. Sarete divisi in squadre composte da tre giocatori. Ogni squadra affronterà ognuna delle altre in quella che, al di là di vedere in campo esclusivamente dominatori del fuoco, si svolgerà come un vero e proprio incontro. Verrete valutati in base ai vostri successi in questo ambito e al vostro comportamento in campo. Dato che non tutti i presenti vengono da questa realtà sportiva mi è stato chiesto di illustrarvi brevemente le basi del gioco. Il mio consiglio e di ascoltare tutti in quanto una spolverata sulle regole base non fa mai male, onde evitare di trovarsi espulsi. Perché trattandosi di una vera e propria competizione, sarete posti anche sotto il controllo di veri arbitri di gioco. Detto questo… rammento a tutti brevemente che l’obbiettivo di questo sport è quello di guadagnare quanto più territorio possibile all'interno del ring entro tre minuti, o, in alternativa, di mandare i membri della squadra avversaria oltre il bordo del campo di gioco. Ed ora passiamo nello specifico. – Un sospiro per poi riprendere. - Il campo di gioco come sapete è esagonale e diviso in due parti: una rosso e una blu. Ogni parte è composta da tre zone. Su ogni lato del campo di gioco troviamo ventuno fori che dispensano dischi di argilla pesante, per i dominatori della terra, che, per ovvie ragioni, solo per oggi quei saranno sigillati. Lo stesso vale per le griglie che corrono lungo le divisioni delle varie zone, e che permettono ai dominatori dell’acqua di accedere al loro elemento attraverso le depressioni al di sotto del ring. Ma dato che le griglie segnano anche le zone in campo si illumineranno comunque di verde per segnalare alle squadre quando avanzare o di rosso per indicare una penalità. Non dimenticatevi che le corde flessibili sui lati periferici del ring non servono solo ai dominatori della terra per far rimbalzare tatticamente i dischi da loro dominati, ma soprattutto per ricordare che mandare un giocatore avversario fuori dal ring da quei medesimi lati equivale a una penalità. Sono esclusivamente le due estremità dell'anello aperte che consentono di guadagnare punti mandando l’avversario nell'acqua sottostante. Fate attenzione perché gli arbitri sono particolarmente severi su questo punto. - Una breve pausa quasi a riprendere fiato. - All'inizio della partita, ogni squadra deve rimanere all'interno della prima zona la più vicina al centro dell'arena. Una volta che un concorrente viene spinto o costretto a retrocedere nella zona successiva da un membro della squadra avversaria, deve rimanere in quella zona e non può tornare alla precedente. Questo vale fino ad arrivare nella terza e ultima zona. Se un giocatore viene mandato fuori dalla parte posteriore del ring, non può tornare in campo in quel round, deve aspettare il prossimo. Se tutti e tre i membri di una squadra vengono spinti fuori della prima zona, la linea centrale si illumina di verde e la squadra che li ha fatti retrocedere può avanzare nella prima zona sull’altro lato del campo; se lo fanno, non possono tornare indietro. Se riescono a mandare tutti i membri del team avversario nella terza zona, un'altra luce verde appare tra la prima e la seconda zona, ed è possibile avanzare ulteriormente nella zona avversaria. Tuttavia, se una squadra che è stata spinta indietro riesce a sua volta a far indietreggiare la squadra avversaria, possono avanzare in avanti di una zona. L'obiettivo principale per entrambe le squadre è quello di far indietreggiare l'altra squadra ottenendo in tal modo più territorio possibile. Ogni partita è composta da tre round di tre minuti ciascuno. La squadra che riesce a ottenere il maggior territorio entro il lasso di tempo stabilito vince il round. Ciò significa che anche se due giocatori di una stessa squadra sono stati eliminati, ovvero gettati al di là del ring, la squadra può ancora vincere se il giocatore restante riesce a ottenere il maggior territorio entro la fine del round. Se nessuna delle parti è riuscita a guadagnare territorio, la squadra con il maggior numero di giocatori ancora in campo vince. In caso i giocatori in campo siano presenti in egual numero nell’una e nell’altra squadra, il round finisce in un pareggio, e si procede con il tie-break. – Per un secondo Hikari notò che lo sguardo di Toza stornò sul il micetto che aveva tra le braccia, mentre continuava. -All'inizio del tie-break, l'arbitro lancia una moneta, ciascun lato della moneta corrispondente ad una squadra: blu o rossa. La squadra che vince il sorteggio decide l'elemento in cui si sfideranno i concorrenti. Se la squadra vincente sceglie il ‘fuoco’, per esempio, saranno i dominatori del fuoco a vedersela tra loro in uno scontro uno contro uno; il vincitore si aggiudica il round per la sua squadra. Il tie-break, come spero sappiate, si svolge sulla piattaforma al centro del ring che viene rialzata appositamente per lo scontro. La piattaforma per il tie-break comprende un totale di quattro distributori per l’elemento terra su entrambi i lati, griglie per l’acqua che corrono lungo il perimetro, nonché al centro, che vengono sollevate insieme con la piattaforma. I giocatori possono usare i loro rispettivi elementi e praticare anche delle prese o impegnarsi in una lotta a mani nude, ma sono vietati colpi al volto o al ventre. L'obiettivo è quello di mandare l’avversario fuori dal cerchio. Il giocatore che cade prima perde il tie-break, e la squadra avversaria vince quel determinato giro. Se entrambi i giocatori cadono dal cerchio contemporaneamente, il giocatore che tocca prima il terreno di gioco perde il tie-break. Se l'arbitro non è in grado di determinare chi ha toccato per primo il suolo, si svolge un secondo tie-break tra altri due membri delle squadre con un elemento diverso. Quando ogni squadra ha vinto un round e il terzo finisce in una situazione di stallo, un tie-break face-off viene utilizzato per determinare quale squadra vince l'incontro. Un metodo alternativo per vincere la partita è compiere un k.o., ovvero quando tutti e tre i giocatori della squadra avversaria vengono mandati fuori dal ring nello stesso turno. Consiste quindi in un’eliminazione diretta che consente la vittoria della partita, a prescindere da quanti round abbia già vinto l’avversario. Il gioco però può continuare se almeno un giocatore riesce a tornare sul campo di gioco prima di toccare l’acqua oltre il ring, questo può avvenire sia appendendosi sul bordo dell'arena o riuscendo a usare il proprio dominio per una durata non superiore a un secondo per tornare in campo o se un altro membro del team o entrambi riescono rispedirlo sull'arena. – Un profondo respiro del vecchio allenatore per poi riprendere. –Tornando nello specifico, dominatori, ricordatevi che l’utilizzo di qualunque ‘esplosione’ o colpo di fuoco, non deve superare un secondo di durata, il che significa che non si possono utilizzare flussi costanti di fuoco con effetto ‘lanciafiamme’ contro i loro avversari. Tanto per specificare lo stesso vale per i dominatori dell’acqua. Non sono ammessi colpi di fuoco diretti alla testa di un avversario a differenza di acqua e terra. I dominatori del Fuoco non hanno limitazioni sul modo con cui produrre le proprie fiamme, ma non sono autorizzati a utilizzare il dominio del fulmine, qualora lo posseggano, durante il gioco. Se un giocatore subisce un infortunio durante una partita, il gioco viene interrotto e il giocatore viene rimosso dal ring; Tuttavia, i partecipanti feriti possono essere autorizzati a continuare se attestano di esserne ancora in grado. I giocatori feriti mentre vengono gettati giù dall'orlo del ring saranno salvati dai funzionari di gioco. In entrambi i casi, la squadra deve continuare l'incontro senza sostituzione. Le sostituzioni possono compiersi esclusivamente prima dell’inizio di un round. Nessun membro di una squadra in corsa per il campionato può intraprendere uno scontro fisico con un giocatore di una squadra avversaria al di fuori di una partita di dominio sportivo. In questo caso, la squadra che ha istigato la lotta verrà espulsa dal torneo, mentre la squadra aggredita può continuare. Inoltre, un concorrente può gareggiare solo per una squadra. Nel caso in cui l'Avatar partecipi a un incontro, lui o lei che sia, deve utilizzare esclusivamente un elemento. - Un’espressione perplessa sul volto di Toza prima di precisare: -Ovviamente questa parte non riguarda la prova che state per affrontate, in quanto nessuna delle squadre formate avrà riserve né tanto meno disporrà dell’Avatar nelle sue file. -
Hikari pensò che probabilmente il vecchio allenatore fosse talmente abituato a far quel discorso ai suoi allievi da aver un secondo dimenticato di non trovarsi in un vero e proprio torneo.
Toza riprese: -Esistono diverse violazioni alle regole che si traducono in una sanzione. Facendo un passo su una zona quando non sono verificate le condizioni adeguate, mandare un giocatore fuori l'arena dai lati vietati e l'uso di ‘inutili rugosità’, come il colpo continuato di un elemento contro un avversario, questo comportamento costerà all'autore del reato una sanzione di zona e dovrà retrocedere. Nel caso del Avatar, tanto per farvi un esempio, una sanzione può essere rilasciata se questi dovesse utilizzare un elemento diverso da quello designato. Inoltre, insultare e colpire intenzionalmente l'arbitro o il pubblico con un elemento viene considerata una violazione. Anche se ritengo improbabile che qualcuno possa farlo, i dominatori non sono autorizzati a colpire il tetto dell'arena con il proprio elemento. I giocatori che intenzionalmente contravvengono a una regola possono essere ammoniti con un ventaglio giallo. I recidivi ricevono un ventaglio rosso, con la conseguente espulsione dal gioco. La squadra dove un giocatore viene espulso deve continuare senza diritto di sostituzione, ovviamente. – Una breve pausa. –Con questo credo di aver concluso le spiegazioni. A breve arriverà il ragazzo incaricato di annunciarvi i giocatori che sono stati associati per formare le squadre. I vostri numeri sono stati estratti casualmente, quindi non scervellatevi nel cercare ‘un perché’ o ‘un per come’ siete stati affiancati l’un l’altro. Spero che sappiate dare il meglio di voi in capo. Ci rivedremo al termine di questa sfida, buona fortuna ragazzi! - Concluse finalmente l’uomo uscendo successivamente fuori da quello stanzone.
 
Il tempo di un sospiro, nel trovarsi affiancata in squadra proprio con quel benedetto numero 50, che già era tempo di scendere in campo.


 

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Capitolo 26
*** Cap. XXVI: L'avventura di Castigatore -Quinta parte ***


Cap. XXVI: L’avventura di Castigatore
Quinta Parte


 
A poco valse che Hikari cercasse di lasciare Castigatore sulla panca di quello spogliatoio, il micione appena possibile sgattaiolò fuori a cercarla.
Seguì il suo odore fino alla panchina della squadra blu, ma non la trovò… almeno non subito. Lì non c’era nessuno, possibile? Eppure lui era sicuro che Hikari dovesse trovarsi lì, glielo dicevano il suo naso e il suo palato eppure non c’era… sbirciò da per tutto, anche sotto la panca di metallo, sia mai che si fosse fatta piccina piccina per nascondersi. Stava quasi per perdere le speranze, quando i rumori al di là dello strapiombo su quella sorta di grande pozzo richiamarono la sua attenzione.
Acuì lo sguardo, già eccezionale di suo, e la vide: Hikari era al centro del pozzo su una specie di piattaforma colorata e… se le stava dando di santa ragione con quegli umani dagli occhi gialli. Come aveva fatto ad arrivare fin lì, ma soprattutto, come poteva fare ad arrivarci lui?
Era una situazione complicata, ma era un gatto e un modo lo avrebbe trovato, non fosse che quell’omino vestito di bianco e nero, che osservava quanto accadeva su quel basamento dove si trovava Hikari da quella sorta di affare sollevato, fischiò ferendogli le orecchie e tutto si quietò.
“Ahhhh che male!” Pensò, mentre si tormentava con la zampetta il sibilo che sembrava essergli rimasto nelle orecchie. Un paio di passate fatte come si deve e tutto era tornato a posto e Hikari, e quel grosso occhi gialli, e un altro brutto ceffo dalla faccia lunga, erano apparsi proprio lì dove si trovava lui.
“Come…?” Si domandò, senza riuscire a scorgere nulla di diverso lì attorno, ma sicuramente ci doveva essere un passaggio ben nascosto da qualche parte per non essere seguiti. Già, doveva essere proprio così!
Guardò la giovane umana: aveva un muso serio serio e lo sguardo molto grande.
Gli occhi grandi vogliono dire poche cose: paura, stupore, dolore. Ahhh! Anche pazzia, si ricordava bene del vecchio gatto rosso del molo, quello sì che era fuori di zucca e aveva sempre lo sguardo così! In un occhio… l’altro rimbalzava quasi fosse una pallina di gomma, ma vabbè… il povero Roscio c’entrava poco adesso, pace alla sua coda spelacchiata e…
-Toh, signorina! Il tuo gatto è arrivato fin qui! - Il coso che si era battuto al loro fianco lo aveva notato per primo.
Bene, lui rispettava i prodi guerrieri e fissandolo come sapeva quell’omone capì immediatamente il messaggio nei suoi occhi: ‘portami dall’umana che mi appartiene, compagno di artigliate!’.
Lui eseguì immediatamente, prendendolo in braccio per poi posarlo sulla panca accanto a Hikari.
Ehhh lui sì, che sapeva farsi capire dagli umani, mica come quella pelosetta bianca che si affacciava sciantosa dal balconcino del primo piano del palazzo circolare… ahhh quella pelosetta, un giocattolo per la sua piccola umana, ma… accidenti che spettacolo con quei baffi lunghi e quel pelo spettinato… prima o poi sarebbe arrivato su quel balconcino e…
-Casti! Ma accidenti non ti riesce di stare fermo e buono a quanto pare! - Hikari lo aveva riconosciuto e lo stava ringraziando per essere lì, ovvio!
Rispose con una strusciata della sua testona contro la mano della ragazza nel suo modo per dirle ‘tranquilla, ora che sono arrivato andrà tutto al meglio’.
Lei sospirò e sorrise… “Bene.” Pensò il gattone, aveva capito e finalmente quegli occhi troppo grandi erano spariti.
Si stava facendo accarezzare da quella biondina mentre gli altri due in disparte chiacchieravano.
-Che sfortuna! - Rumoreggiava l’umano che non conosceva. –Siamo capitati proprio con quella ragazzina. -
-Non se l’è cavata male. - Rispondeva con un fare perplesso l’altro.
-Sai che intendo, Tori. Siamo alla fine del primo round e già è distrutta, senza contare che, se non fossi intervenuto tu, sarebbe uscita fuori al primo colpo del numero 15. -
-Già, ha una potenza quello da far paura! Ma… è più combattiva di quanto immaginassi e… per forza è uno straccio, l’hanno tartassata per togliersela dalle scatole pensando che piccola com’è avrebbero… -
-Ovvio è l’anello debole di questa squadra. -
-Sarà, ma sul campo c’è rimasta. -
-Ma non ha fatto molto di più oltre evitare di finire a mollo e abbiamo comunque perso il primo round. -
-E… non finire a mollo non rientra proprio tra gli obbiettivi di questo gioco? - Continuava il gattone onorario facendo una faccia strana.
-Si, ma anche guadagnare terreno e lei…-
-Lei non ce ne ha fatto perdere più di quanto ne abbiamo perso noi e comunque… senti, siamo in squadra con lei, ok? Che vuoi fare lamentarti tutto il tempo o dimostrare ai giudici quel che sai fare? -
Ok, quello che chiamavano Tori cominciava ad alterarsi, pensò il gattone, forse a breve gli si sarebbe avvicinato per dargli una mano a sistemare quell’altro coso.
-Bah, io dico solo che con quella siamo partiti in svantaggio. -
-Hai me in squadra, cosa vuoi di più?!- Quel grosso umano se la rise, ma a Castigatore arrivò ben chiaro l’odore di testosterone che emanava, trovò la cosa interessante, non credeva che gli umani potessero intimidire gli altri umani anche ridendo… ma d’altro canto i gatti non ridono, quindi… e finalmente quell’altro la piantò di lagnarsi, qualunque cosa stesse dicendo… l’intimidazione è alla base delle vita sociale per un gatto, se fai capire subito chi comanda, gli altri non creano problemi e quell’umano probabilmente la pensava proprio come lui.
Fortuna che gli umani non avessero il suo udito, altrimenti Hikari si sarebbe impicciata di quella disputa, lei era un po’ come gli occhi gialli, le piaceva immischiarsi nelle liti e spesso scattava per un nonnulla, già! Ma se ne stava tranquilla a riprendere fiato… Se le erano date là in mezzo, fortuna che era finita e lei era tutta intera. Nel dubbio però riprese a fissarla cercando l’azzurro delle sue iridi.
Lei gli sorrise dolcissima, era questo che gli piaceva di quella piccola umana, il fatto che con lui fosse sempre dolce proprio come la sua adorata Nakata.
Ancora tornò a strusciarsi contro di lei e la sua voce lo coccolò gentile: -Tranquillo Casti, lasciali parlare, era il primo round… io non ho visto quello che gli altri erano in grado di fare nel primo turno di questa selezione. Ero troppo agitata, ma adesso conosco cosa la squadra avversaria può mettere in campo. Il secondo tempo sarà diverso, parola di Hikari e poi… tu sei qui, micione, non posso mica fare una brutta figura davanti al gatto del capo! - Sorrise teneramente posandogli per la prima volta un bacio sulla testa. Normalmente Casti se lo lasciava fare solo dal piccolo Kuruk e da Sukka, ma… sì, per questa volta era giusto fare un’eccezione.
-Va meglio? - La voce del suo nuovo amico, che si sedeva accanto a Hikari. Sempre quel sorriso, ma a lei non voleva mettere paura e certo che non voleva, era una femmina!
Hikari annuì senza far uscir alcuno verso fuori dalla sua bocca.
-Bene. Dopo il discorsetto che mi hai fatto nello spogliatoio, ci sarei rimasto male se avessi mollato al primo intoppo. - Spavaldo nel tono, poi facendosi improvvisamente serio. –Voglio vincere, Hikari. -
La ragazza e Tori si fissarono per un secondo, prima che quel fischio intenso torturasse nuovamente le sue povere orecchie. Il ragazzone si alzò, dicendo: -Andiamo. -
‘Andiamo’ sapeva cosa volesse dire, glielo dicevano spesso, ma… dove voleva portare la sua Hikari?
Hikari annuì alzandosi a sua volta.
-Gnaaa!?- Miagolò lui, che tradotto dalla lingua felina stretta vuol dire ‘Ok, vengo anche io! Dove si va?’, seguendo tutti e tre gli umani su una piattaformina al lato senza sbarre di quello strapiombo sul pozzo.
-Dove credi di andare tu? - Lo prese per la collottola quel grosso e vecchio omone dagli occhi verdi apparso dal nulla.
Ahhh, che fastidio quando fanno così.
“Dì, ma sei mica parente di Hasook, tu?” Pensò, guardandolo malissimo, mentre lo metteva sulla panchina di metallo.
-Passi per l’averti in giro, ma sul ring… non se ne parla, gattaccio! -
“Sì, doveva davvero essere parente di Hasook, anche lui lo chiamava gattaccio!”
 
 
 

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Capitolo 27
*** Cap. XXVII: Fuochi contro Fuochi - La finale - Si comincia! ***


Cap. XXVII: Fuochi contro Fuochi
La finale - Si comincia!


Vinsero quell’incontro, rifletteva Tori, quello dopo e quello dopo ancora.
Chissà se era un caso o meno, ma da quella prima selezione erano rimasti solo in 48, avevano formato 16 squadre, proprio come in ogni campionato di dominio sportivo che si rispettava.
Avevano vinto il primo scontro ed erano rientrati tra le otto squadre che si sarebbero continuate a fronteggiare. Avevano vinto il secondo ed erano tra i quattro team a continuare. Avevano vinto ancora ed erano rimasti solo loro e quella squadra di giganti, ragazza compresa. La moretta dagli occhi rossi, faceva paura, ma quello che lo intimoriva maggiormente era quel silenzioso numero 3. Sapeva sempre dove colpire per fare più male e la sua potenza d’impatto, gli scocciava ammetterlo, era decisamente superiore alla sua.
Quel gatto dalle braccia di Hikari lo stava fissando, allungò una mano ad accarezzarlo, per poi volgersi verso la volta a vetri di quello stadio. Si era fatto davvero tardi. Molto tardi e non aveva messo nemmeno un boccone nelle stomaco. La tensione gli aveva tolto l’appetito, ma adesso, arrivati a quel punto e con la stanchezza di tutta la giornata addosso si sentiva lo stomaco sotto sopra. Avrebbe mangiato volentieri quel gattone non gli fosse simpatico e non odiasse trovarsi i peli tra i denti, pensò ironicamente.
-Tramezzino al prosciutto?! - La voce di quella ragazzina dai capelli tinti, quasi a leggergli nel pensiero.
Lui batté un paio di volte gli occhi e lei sventolandogli davanti quel boccone disse ancora: -Il tuo stomaco fa rumore da un po’! -
Gli sorrise.
-Già è vero! - Rispose lui.
-Io non ce la faccio a mangiare, ma… il tuo stomaco è fastidioso! - Sempre sorridendo. Si vedeva che era affaticata, ma non sembrava assonnata come il resto dei presenti, strano dopo tutti i colpi che aveva preso in campo.
-Grazie. Mi domandavo cosa fosse quel sacchetto che tenevi appeso nel tuo angolo. – Disse, accettando il pasto che gli offriva.
Ridacchiò, per poi dire: -Me li ha preparati il mio capo, mangiane quanti ne vuoi, lui non ha il senso della misura a volte. -
-Dov’è la tua sacca? Me lo domandavo da un po’… le tue cose cono sparse un po’ dovunque qui, ma della sacca non mi sembra di veder traccia, non ti sarai mica portata tutto…-
-Ahhh! - lo interruppe. –Ce l’ha Tahno. Quando ho trovato Casti nel borsone gli avevo chiesto di tenerlo e… da qualche parte dovevo metterlo, ma… alla fine è scappato come puoi vedere. -
-Tahno. E’ lui il tuo capo? - Curioso, cercando di capirci qualcosa.
-No, no, anche se gli do una mano con i pipistrellilupo. La juniores. – Sembrò voler precisare.
-Ora si spiega la tua abilità. Sei un allenatrice. -
-Io mi definirei più una vittima sacrificale da dare in pasto a tre mocciosetti esagitati per farli stare buoni, ma… sì, credo che allenatrice possa andare, anche se non ho le credenziali per farlo, sono solo una dominatrice della fiamma che aiuta un dominatore professionista a tener in riga dei piccoli mostri. -
-Certo che quando vuoi chiacchieri…-
La vide imbarazzarsi. Poi… -Scusa! Il mio ragazzo è della terra ed è molto lontano, praticamente non facciamo altro che parlare al telefono e… sono diventata una campionessa nel parlare a raffica. Abbiamo al massimo 10 minuti al giorno, quindi…-
-Dieci minuti? Come mai? È uno spilorcio o cosa? - Curioso, dopo un bel morso a quel triangolo di pane.
-E’ nell’esercito. Li funziona così. - disse con un tono improvvisamente dolce.
-Ah, capisco! Mi dispiace. Non deve essere facile. -
La vide alzare le spalle. –Lui è felice così e io sono felice se lui lo sia, quindi…- allegra nel tono. –…E poi la guerra non può durare in eterno. - Quella cosetta del fuoco era davvero dolce, il ragazzo di cui parlava doveva essere un tipo davvero fortunato.
-Beh, la guerra no, ma le persone muoiono. - Si rese conto troppo tardi della gaffe, eppure lei, alzando lo sguardo a quella stessa vetrata che aveva incantato anche lui precedentemente, sorrise.
-Non c’è bisogno di andare in guerra per morire, Tori. Credimi. Ci sono persone speciali a cui puoi spezzare le ali solo dandogli la parvenza di un futuro roseo, vedi, il mio amore rientra tra questi! Stava morendo lontano dal suo mondo. -
-Forte, ne hai di cose da raccontare. -
-Volendo! - Disse tornando a guardarlo.
-Insomma, se allenare questa squadra juniores non è il tuo reale lavoro, cosa fai per vivere? -
-La barista… beh, anche la cameriera se serve. Per questo sono abituata a fare le ore piccole. -
Che ne sapeva del fatto che si era domandato come mai sembrasse più riposata degli altri presenti?
-Io sto in miniera. Non è male, la paga è buona e la gente simpatica, ma… sono un dominatore del fuoco, voglio brillare… devo brillare, Hikari. Non riesco a pensare di continuare la mia vita rinchiuso a lavorare in un buco sotto terra. -
La ragazzina annuì. –Nemmeno io. Non riesco a immaginare la mia vita senza l’incessante bruciare della mia fiamma. -
-Capisci quindi perché non posso lasciarti vincere, non è vero? -
La ragazzina annuì, poi mettendo su un sorriso furbetto, domandò a sua volta: -Capisci perché non posso lasciarti vincere, non è vero? -
-Impertinente! - Bofonchiò a denti stretti.
Lei sorridendo gli passò una bottiglietta d’acqua, la prese buttandone giù un goccio, ci voleva dopo tanto pane. Era una tipetta davvero attenta, pensò ringraziandola con un semplice gesto del capo.
Si volse poi silenzioso verso l’altro ragazzo nella loro panchina. Quel loro compagno di squadra era messo decisamente peggio di loro, i curatori, stavano dandogli una sistemata a quella brutta botta alla spalla che lo tormentava da quel primo incontro… il numero 15 che non aveva passato il primo giro ne era stato l’artefice… peccato! “Peccato davvero, è uno tosto!” Pensò. “Da solo si stava praticamente reggendo la partita.”
Il fischio… era di nuovo il momento di scendere in capo.
 
Hikari si sentiva al centro delle loro attenzioni e per quanto normalmente potesse farle piacere, quando le ‘attenzioni’ in questione risultavano essere i colpi dei tre dominatori del fuoco avversari non era affatto ne carino, ne divertente. Avevano già perso un uomo e mancava un minuto alla fine del primo tempo. Tori li aveva avvisati: avrebbero puntato prima quelli che ritenevano più deboli. Forse avrebbe dovuto sentirsi lieta del fatto che avevano scaraventato fuori dall’anello proprio quello che solo poco tempo prima aveva fatto il gradasso nei suoi confronti, ma… erano in svantaggio e quel giocatore con il numero 3 ben in evidenza sul petto non solo colpiva come un martello pneumatico, no, non bastava, se ne rimaneva in dietro ben coperto dai due compagni di gioco. In effetti Tori aveva preventivato anche questa opzione. ‘Colpite prima il ragazzino!’, aveva detto e… se tutti e tre lo avessero fatto, forse… ma era inutile pensarci adesso. Il loro compagno di squadra non brillava certo di intelligenza e cooperatività.
-Hikari, al mio cenno, non difendere, attacca la numero 18! - Le disse inaspettatamente il ragazzone della sua squadra.
“Non difendere?” Non difendere quando ti trovi sotto attacco, o non schivare, voleva dirsi farsi parecchio male, ma…
Annuì a quelle parole quasi sussurrate accanto a lei.
…Farsi male era stato messo in conto, quindi… osservò Tori, mentre le sembrava attaccare a caso, senza una apparente logica, avvicinandosi di nuovo a lei.
Senza che nessuno lo avesse decretato a capitano, quel ragazzo, aveva coordinato tutti i combattimenti fino a quel momento e… avevano vinto. Perché dubitare di questa sua ultima strategia? Decisamente rischiosa per quel che la riguardava, ma… Tori le aveva detto di allenarsi da una vita nel Dominio Sportivo e, diciamocela tutta, lei era venuta a conoscenza della sua esistenza solamente dall’estate passata. Se diceva di prendersi qualche colpo… beh, se lo sarebbe preso! E…
Il segnale.
Vide i colpi infuocati dei loro avversari sfrecciarle contro e individuò immediatamente il suo obbiettivo. Colpì concentrando tutto il suo potere in quel singolo fuoco… tutta la potenza di quei tre addosso l’avrebbe scaraventata fuori dal ring, ma… almeno avrebbe avuto la soddisfazione di buttare fuori uno dei loro.
Vide il colpo di Tori, quasi sincronizzato con il suo, partire accanto a lei, mentre le fiamme le detonavano addosso facendole perdere stabilità sulla piattaforma, spingendola indietro.
La ragazzona dell’altro Team se li prese in pieno stomaco alla massima potenza, impreparata a trovarsi lei sotto tiro che non era certo la più debole della squadra e neanche la più forte.
Un ghigno di Hikari rassegnato a quel bagno umiliante morì sul nascere, quando si sentì boccata e impossibilitata a retrocedere.
-Non ti mando a mollo, ragazzina! -
“Tori?” Pensò.
Il ragazzo s’era preso lei e quei colpi pur di mantenerla in campo, parandosi alle sue spalle.
-Forte! - Esordì stupita.
-Lo so, bellina, mamma mi ha fatto bello grosso mica per nulla! - Disse ironizzando.
Ok, quel Tori non era niente male come compagno di squadra e aveva lo stesso terribile senso dell’umorismo del suo Bolin che la metteva di buon umore.
-E ora… il pezzo grosso. Ci stai o sei troppo bruciacchiata? -
-Ma… ora se lo aspettano. -
-Già, è questo il bello! - Le sorrise divertito, mentre il tempo scorreva.
Mancavano 20 secondi alla fine. Entrambe le squadre con due giocatori e in seconda posizione. Sebbene il giocatore più temibile era l’unico adesso a tenere il podio più in alto per la sua squadra, mentre il suo compagno era nell’ultima zona, colpire quest’ultimo sarebbe stato più logico.
-Al mio 3, non perdere tempo a schivare, colpisci a raffica, dobbiamo fargli perdere terreno. –
“Attaccare? Ok, ma… qual è la sua strategia? Spiazzarli, forse? Si, ecco cosa… spiazzarli!”
15 secondi alla fine.
-1. - disse Tori, mentre le diventava sempre più chiaro che l’altra squadra stava tentando di temporeggiare: al tie-break nessuno di loro probabilmente avrebbe resistito all’impatto dei colpi di quel numero 3.
-2. -
“Mancano quasi dieci secondi… forse…”
-3. - Disse quel ragazzone ed ecco partire le loro fiamme.
Lei poteva richiamare il domino più velocemente di Tori e quindi sferrare più attacchi, ma… quel Tori, mentre si prendeva addosso i colpi dell’altra squadra riparandola volutamente, cominciò a sferrare fuochi di una potenza che non aveva mai mostrato fino a quel momento.
Il loro bersaglio si chiuse in difesa cercando di mantenere la posizione sotto i loro colpi incessanti.
Ed eccolo il fischio che segnava la fine di quel primo round.
Il fuoco in campo si quietò improvvisamente.
Il suono del tabellone annunciò la decisione dei giudici.
Hikari non si voltò a guardare il risultato. Il tie-break era dietro l’angolo e quel round poteva dirsi perso, quando…
Il compagno del numero 3 esordì imbruttendosi in un –Cosa? Ma siete pazzi? Come sarebbe a dire che hanno i vinto i blu?!-
“I blu?” Pensò Hikari. “I blu siamo noi, possibile?” Voltandosi vide sul tabellone quel primo tempo assegnato proprio al loro colore.
Di scatto guardò Tori. Lo trovò a sorridere beffardo come suo solito. Poi indicando con il suo musone verso gli avversari l’invitava a voltarsi.
Lo fece e… quella griglia rossa sotto il piede del numero 3 indicava la retrocessione.
Aveva invaso l’ultima zona per pochi centimetri, ma era stato sufficiente per garantire ai sui avversari la vittoria.
“…A noi! Noi… abbiamo vinto!”
-E ora ci serve solo un altro round e siamo a posto! - La voce di Tori.
Quel ragazzo non aveva ancora sfoderato tutte le sue carte, almeno fino a quel punto, pensò Hikari. Prima di quello scontro si era limitato a sviluppare la fiamma necessaria per vincere, ma… solo pochi secondi prima aveva dimostrato una potenza d’attacco quasi equiparabile a quel numero tre che adesso li guardava con occhi più sottili di quanto già non fossero quelli di un sangue di fuoco…
“L’ha presa sul personale!” Pensò infine di quel giocatore, mentre quella faccia da schiaffi al suo fianco gli faceva impunemente ‘ciao ciao’ con la mano, mentre la piattaforma mobile li riportava nella loro panchina.
 

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Capitolo 28
*** Cap. XXVIII: Fuochi contro Fuochi - La finale - Secondo round ***


Cap. XXVIII: Fuochi contro Fuochi
La finale - Secondo Round


Erano bruciacchiati, ma avevano vinto il primo turno, pensava Tori, mentre un guaritore leniva quel poco dolore che si era causato. Ahhh, le ustioni vere sono altra cosa, suo padre lo sapeva bene e gliene aveva causate di dolorose. Il suo genitore non era mai stato un maestro clemente quanto si trattava di insegnare le tecniche del suo dominio, ma era anche stato un padre amorevole e saggio. Aveva grandi progetti per lui, ma… era morto troppo presto per vederglieli realizzare e… forse… per come erano andate dopo le cose, una parte di lui pensava che fosse stato meglio così. Il suo bel matrimonio con quella signorina per bene della Nazione del Fuoco dopo la morte del genitore era sfumato e lo stesso si poteva dire per quanto riguardava il suo ingresso tra le guardie reali.
“Mio padre metteva il titolo, mentre la famiglia della mia futura mogliettina avrebbe dovuto aprirmi le porte giuste. Questi erano gli accordi, ma…” Pensò. “Un minatore non era certo quello che volevano per la loro preziosa bambina, passare sul suo sangue misto era già stato un boccone troppo amaro da buttare giù, ma … ‘Un minatore!? Che scherziamo!’” Scosse il capo ghignando, ormai quella storia non lo toccava più, chissà come mai gli tornava in testa proprio adesso, eppure… avrebbe davvero desiderato realizzare i sogni di suo padre. “Era un ex-militare, si era trasferito sull’isola Kyoshi in vecchiaia per trovare un po’ di tranquillità e per vedere un po’ di quella terra che lo aveva sempre affascinato. Conobbe mia madre e, malgrado la differenza d’età, fu subito amore. Spese il denaro che gli era rimasto per comprare un pezzo di terra e costruire la loro casa. Allenava i giovani nell’arte della spada e quel poco che guadagnava bastava per tirare avanti dignitosamente. Era grato alla sua vita. L’esercito era stato la sua vocazione, ma lo aveva anche privato di una famiglia vera. Tutta la sua famiglia aveva servito la Nazione del Fuoco e c’erano morti. Mio padre non voleva lasciare una vedova troppo giovane e un figlio costretto a crescere orfano di una guida come aveva provato sulla sua pelle per questo non si era mai sposato prima. Convinto che la sua vita fosse quella di rimanere solo aveva speso quasi tutti i suoi averi per quel lungo viaggio, ma… gli spiriti avevano ancora delle sorprese da parte per lui e non solo una moglie, gli mandarono anche un figlio. Ringraziava ogni giorno il cielo di quella benedizione, ma seppure l’avesse visto crescere come non avrebbe mai creduto possibile, sperava per lui il meglio che potesse concepire una mente di fuoco qual era, suo figlio rimaneva comunque un mezzo sangue… un mezzo sangue con un titolo nobiliare di tutto rispetto, ma pur sempre un mezzo sangue.” Sorrise ripensando a se stesso in terza persona, con distacco da quegli eventi. “Non eravamo ricchi e dopo il passaggio dell’Unificatrice quei pochi denari messi da parte da mio padre per garantirci qualche anno di tranquillità dopo la sua scomparsa, mentre avrebbero dovuto realizzarsi i suoi progetti, ci vennero sottratti. Era un brav’uomo, aveva pensato a tutto, tranne alla possibilità di una guerra. E’ ironico pensare che proprio un soldato non calcolasse quella opzione, ma… forse sperava in cuor suo che almeno la mia generazione potesse essere risparmiata da quella piaga e invece… invece accadde! Io e mia madre dovevamo trovare un modo per vivere, mi offrirono un lavoro da minatore e accettai senza remore. Era un lavoro onesto e la paga era buona, ma… accettandolo misi la parola fine ai sogni di mio padre. In definitiva però, malgrado i suoi insegnamenti non ho avuto mai la stoffa del nobile: mi è sempre piaciuto troppo fare le ore piccole e ubriacarmi con gli amici per essere davvero il figlio che voleva, eppure… mi ha sempre amato senza timore di dire al mondo, ‘quello è mio figlio!’ anche quando ero talmente stanco per la notte in bianco da dovermi reggere sulla mia stessa spada durante gli allenamenti. Ad ogni mia bravata, la mamma dava di matto, mentre lui, senza perdere il suo contegno si limitava a sorrisetti divertiti. Era davvero forte mio padre e infondo voleva solo darmi quel che secondo lui mi spettava di diritto e per un po’ mi ero convinto che dovesse essere giusto così e… avevo davvero amato quella moretta dagli occhi nocciola e una parte di me è ancora convinta che un poco anche lei mi amasse. Già!”
Un nuovo sguardo a quei suoi due compagni di squadra decidendo di accantonare tutti quei pensieri, tenendone per se solo uno, quello più dolce, quella stupida abitudine di chiudere l’anno davanti la finale di Campionato, suo padre che incitava la squadra preferita suggerendo quasi potessero sentirlo tattiche e schemi; era un mostro in strategia per questo apprezzava tanto quel gioco da non disprezzare che lui, suo figlio, si dividesse tra i suoi insegnamenti e il gioco del dominio con i ragazzi della sua età.
Un sorriso beffardo soffermandosi con lo sguardo sul ragazzo davanti a lui.
Per quanto testardo fosse quel suo improvvisato compagno della Nazione del Fuoco, la sua spalla era davvero ridotta male e dopo più di cinque estenuati ore a prenderle, beh… non credeva potesse farcela a continuare.
Prese un sospiro, il curatore aveva finito di sistemarlo ormai e tra pochi minuti sarebbero tornati in campo.
Tori si avvicinò al suo compagno. –Ehi amico! - Gli disse. –Come va la spalla? -
-Tutto a posto! Tranquillo. -
-Già! Ne ero sicuro. - Proprio come non aveva dubbi che nessun sangue di fuoco potesse ammettere di sua spontanea volontà di trovarsi in difficoltà.
Sorrise al ragazzo, poi… -Ascolta, sai dirmi che differenza c’è tra giocare con due uomini in campo dall’inizio partita o con due uomini dopo solo 5 secondi dall’inizio? -
-Se è per il primo tempo... hai ragione, Tori, ma non mi aspettavo tanta potenza e…-
-Io amo il Dominio sportivo e tu? - L’interruppe il ragazzone.
-Certo, che domande, non sarei qui se…-
-E credi di poter continuare a giocare se dovessi prendere un colpo troppo forte a quella spalla? - Riprese sempre interrompendolo. –Rischi di farti seriamente male, amico, e di non poter più giocare e non parlo solo di oggi. Mi capisci? -
-Ma…- Tentò di obbiettare l’altro.
-Niente ‘ma’, ci stanno mettendo sotto pressione, sia fisica che mentale. Quella botta normalmente l’avresti sistemata con un buon curatore e un paio di giorni di riposo, ma in queste condizioni, rischia di diventare una cosa seria. Non esistono solo i Furetti, amico. Sei in gamba e potrai sicuramente fare del Domino Sportivo la tua vita, ma per farlo devi rimanere intero. -
-Mi stai chiedendo di rinunciare? -
-Ti sto chiedendo di pensare a te e non incaponirti come tutti quelli a cui il sangue brucia troppo ardentemente. Credi che mi faccia piacere giocare senza un uomo in campo? Quei cinque secondi in cui ti bersagliano per me sarebbero manna per dedicarmi a quel moretto con il numero 3 sulla maglia, ma… siamo qui tutti per la stessa cosa e sarebbe da sciocchi bruciare ogni nostra possibilità solo per entrare in una squadra. Questa non è l’unica squadra. E’ prestigiosa, indubbiamente, ma non è l’unica. Sai meglio di me cosa accadrà se scendi in campo, fai la borsa e rimettiti per tentare l’ingresso in qualche altro team è un consiglio e…- aggiunse ghignando. -…Sarai sempre quello che ‘è arrivato in finale nelle selezioni dei Furetti di Fuoco, non fosse stato costretto a ritirarsi per quel brutto infortunio…’- recitò quell’ultima parte come se stesse esprimendo un parere futuro, lasciandola poi morire volutamente incompleta, prima di riprender seriamente: -Questa cosa ti può dare una chance per aprirti molte porte in futuro, sei intelligente, potresti usarla al meglio. –
-Meglio essere un probabile finalista che uno scartato, è questo che mi stai dicendo? - Disse ormai quasi arreso nel tono.
-No, ti sto dicendo che hai una carriera davanti, non buttarla alle ortiche per uno sciocco incaponimento in campo. -
Qualche secondo di silenzio, poi il ragazzo dagli occhi rossi, volgendosi verso il suo curatore… -Scusami… puoi riferire ai giudici che non sono in grado di continuare? -
Il curatore assentì silenzioso.
-E’ la scelta migliore. - Lo rassicurò Tori, per poi alzarsi e andare a sedersi accanto a Hikari.
-Bel discorso. - Disse la biondina appena gli fu accanto.
Sorrise a quel dire, voltandosi verso di lei con quel suo solito ghignetto. I curatori l’avevano rimessa a posto, era come nuova e, almeno apparentemente, meno stanca di lui.
Se la sarebbero vista brutta solamente in due in campo e contro quei tre poi, ma… La biondina ne sembrava divertita e il suo sangue troppo carico di adrenalina per non trovare quella nuova sfida deliziosamente eccitante.
-Credevo che volessi vincere. – gli chiese.
-Ovvio, ma non sulla pelle di un’altra persona e poi... basto da solo bellina! -
-Chiamami un’altra volta bellina e…-
Ed ecco il fischio che annunciava alle squadre di entrare in campo per l’inizio del secondo tempo.


“Hikari, i tuoi punti di forza sono l’agilità, la velocità e l’affinità con il tuo elemento non dimenticarlo. La potenza di fuoco è secondaria se sai dove e come colpire.” Le aveva detto Mako, quello che non le aveva detto era che molti dei partecipanti avevano le sue stesse abilità.
Era esausta e mancavano pochi secondi alla fine.
Tori le aveva detto di riequilibrare i giocatori in campo cominciando con eliminare il più debole dell’altra squadra, il tempo del fischio di inizio e il malcapitato era già precipitato nel pozzo colpito alla sprovvista dalle sue raffiche e dalla potenza d’impatto di Tori.
Poi però… “Quel numero 3… se l’era davvero presa sul personale e dopo il bagnetto al suo amico, aveva deciso che era il mio turno di darmi una sciacquata.” Pensava Hikari. Lui e quell’altra ragazzona al suo fianco l’avevano bersagliata senza pietà, non che non se lo aspettasse, ma… tutti quei colpi alla sua destra… tutti quei ‘maledetti’ colpi alla sua destra. Si erano accorti che era più lenta da quel lato e più timorosa. All’inizio si erano limitati a metterla in difficoltà, ma poi avevano capito. Quel primo colpo alla gamba e lei aveva sentito la paura crescere. Era stanca e… un secondo colpo, senza che potesse reagire le fece perdere terreno.
No, non andava bene, quel timore la frenava e la rendeva un bersaglio ancora più facile, ma… non voleva tornare a essere un peso. Si sentiva schiacciata dalle sue emozioni eppure sapeva a cosa andava incontro quando aveva deciso di intraprendere quell’avventura.
Quel globo di fuoco improvviso e veloce stava per colpirla… non poteva evitarlo.
-Cosa ti prende Bellina? Non vorrai mollarmi da solo? - Tori era davanti a lei.
Quel ragazzone si era preso quel colpo al posto suo indietreggiando nella sua zona. La griglia al centro del campo si illuminò di verde. L’altra squadra guadagnò la prima zona nel campo blu.
-Tori. - Si limitò a chiamare.
-Non mollarmi Hikari. Da solo non ce la faccio. - Le sussurrò senza guardarla, mentre un’altra serie di colpi potentissimi stavano per investirli senza pietà alcuna.
E no che non lo avrebbe mollato, volevano entrambi lo stesso posto nella squadra, ma in quel momento erano dalla stessa parte e lui si era preso più di una volta i colpi che avrebbero dovuto precipitarle contro.
Il tempo di un respiro, il tempo per capire cosa voleva davvero e quanto quel ragazzone teneva a quella fascia rossa, che…
Piccola e agile com’era non gli fu difficile scivolare al fianco del suo compagno di squadra e nel tempo di assottigliare lo sguardo su quelle fiamme, il suo corpo rammentò come le faceva danzare. Roteò le mani disegnando due spirali concentriche che si rincorrevano e quei fuochi seguirono il suo comando ballando nell’aria come se gli fossero sempre appartenuti prima di esaurirsi.
-Scusa, Tori, ma cominciavo a stancarmi di essere la principessina in difficoltà! - Spavalda come gli scatenava quel tipo di dominio, il ‘suo’ tipo di manipolazione dell’elemento, quando… se ne sentiva talmente invasa da divenire lei stessa la fiamma.
-Wow! - Riuscì solamente a esprimere il ragazzo, mentre il fischio che decretava la fine del secondo tempo assegnava la vittoria alla squadra avversaria.
-Tori, ti ho già detto che odio quando mi chiami ‘bellina’! - Disse volgendosi verso quel grosso numero 50, stringendo il pugno nell’altra mano e facendolo scrocchiare. –Abbiamo ancora un round e questa volta gli faremo vedere chi è che comanda su questo ring! -
-Ok…- Rispose lui con quel ghigno saputo in volto. Una pausa quasi impercettibile e poi… -…Bellina! –
 
 
 

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Capitolo 29
*** Cap. XXIX: Fuochi contro Fuochi - La finale - Ultimo round ***


Cap. XXIX: Fuochi contro Fuochi
La finale - Ultimo Round


Il micione nero era scomparso, rifletteva Tori guardandosi intorno. Era dall’inizio della partita che non l’aveva più visto… ora, come mai pensasse a quel grosso gatto invece che all’ultimo round? Questo non gli era troppo chiaro, ma... forse, era semplicemente perché erano arrivati ad un passo dalla fine. Comunque sarebbe andata ormai era quasi finita e la cosa gli infondeva la giusta serenità per continuare quella gara sgombro della tensione accumulata, tanto da potersi permettere di concentrarsi su altro.
Era bravo e lo sapeva. Stava dando il massimo?
No… non ancora, non ce ne era stato bisogno fino a quel momento, ma prima che fosse finita si era ripromesso, vincitore o vinto, i giudici avrebbero visto cosa era in grado di fare e, eventualmente, a cosa stavano rinunciando. E… Quello era il momento. Se come sembrava avrebbero preso come fascia rossa il migliore della squadra che avrebbe vinto quel torneo inaspettato, da quel punto in poi o si vinceva o si perdeva, lui avrebbe dato il massimo. Solo in quell’istante aveva sentito così chiara quella sensazione, quella che diceva di mettercela davvero tutta perché ormai era fatta... erano agli sgoccioli.
Il gattone, tornò a pensare, non c’era e si trovò a guardare gli spalti nel tentativo di intravederlo, ma… quando era arrivata tutta quella gente?
Quando avevano aperto le porte al pubblico?
Un attimo… ora che ci pensava, nessuno aveva detto che quella selezione sarebbe stata a porte chiuse e… si era già domandato come mai sul foglio di partecipazione ufficiale c’era scritto che sarebbero cominciate alle nove di sera, mentre loro erano stati fatti arrivare molto prima.
Incredibile, non ci aveva fatto caso, concentrato com’era su quegli incontri, e dire che la concentrazione non era mai stato il suo punto forte.
Sarebbe stato bello se sua madre fosse potuta essere lì, tra quella gente… quella madre che gli arrivava a malapena al petto; ricordava quando da piccolo le sembrasse una gigantessa, soprattutto quando puntando le braccia sui fianchi inveiva contro il padre.
“Che corde vocali aveva la mia mammina!” e ce ne aveva ancora, ma era anche vero che suo padre era terribile con le sue stramberie da dominatore del fuoco e quella fissa per il banjo. “Santo cielo papà! Eri un pessimo musicista, mamma avrebbe dovuto bruciarti quel banjo!”
Sorrise.
Certo che ce n’era di gente e… “Ohhh! I ragazzi eliminati! Eheheh… guarda c’è anche il numero 33 e i suoi scagnozzi…”
Lo stavano guardando e lui non poté non salutarli con fare sardonico.
Ahhh!!! Era davvero pessimo, ma quanto era divertente stuzzicare gli altri?
-Ahahahah!!!- Se la rise di gusto a quel pensiero, per poi sorridere a quella biondina che si voltò a guardarlo come fosse pazzo.
In tutta risposta le indicò gli spalti e la vide allargare quegli occhioni azzurri tanto da sembrare una fanciullina dell’acqua invece che del fuoco…
“Ehehehe! Nemmeno lei ci aveva fatto caso. Divertente!” Pensò, per tornare a guardare tra quella gente se ve n’era qualcun'altra di conosciuta e… “Si, accidenti!”
Quelli che vedeva, negli spalti migliori erano alcuni dei giocatori che avevano ottenuto l’ingresso al campionato.
“Porca miseria!” Pensò, mentre cominciava a farsi chiaro in lui il motivo della loro presenza lì. Volevano vedere quanto fosse valida la nuova fascia rossa dei Furetti. Ovvio!
Tornò a guardare Hikari, indicandogli silenziosamente con un dito l’allenatore delle Ghiandaie blu di Cascata Bianca.
Il faccino di Hikari non era cambiato di una virgola.
“Che sia morta sul colpo?” Si domandò, ma allo schiudere della labbra della ragazza per la sorpresa, dovette confutare quel pensiero illogico.
-Quanta gente! - Disse lei. –E… c’è anche l’amico di Tahno! -
“L’amic…” Pensò stupendosi di quell’uscita. “Ahh sì, ovvio, l’allenatore Ming delle Ghiandaie blu era un ex-compagno di squadra dell’attuale Furetto dell’Acqua. Logico che Hikari lo abbia prima accostato a un conoscente che a un rivale.”
Sorrise dicendo: –E già! -
-Ohhh, guarda! - Disse lei alzandosi fino a sporgersi alla balaustra di metallo che si affacciava sul pozzo di gioco. –C’è anche la mamma di Kija con suo marito e le sue amiche. Lune?! Guarda c’è Lune con il papà e Bumbum, Korra e Fiona con il loro nonnino. E’ tardi per loro, cosa fanno tutti svegli a quest’ora? - Salutò con un cenno della mano.
Di cosa stesse parlando la ragazza Tori non lo capiva davvero, ma era divertente vederla così entusiasta. Gli era ormai chiaro che se bene natia della Nazione del Fuoco quella ragazza viveva e lavorava in quella città.
-Hiii! - La vide sibilare e tornare sulla panchina di metallo accanto a lui, mentre proteggendosi il viso dal lato degli spettatori gli diceva con tono preoccupato: -Hai visto come mi guardava male il Dottor Song? -
Sorrise ancora, limitandosi a posarle una mano sulla spalla. Gli era chiaro ormai che tra quegli spalti lei aveva i suoi amici e probabilmente se quell’evento si fosse tenuto sull’Isola Kyoshi la situazione sarebbe stata inversa…
-Sono qui per te Hikari! - Rispose alla ragazza.
La vide perdere quella rigidezza ricevuta dallo sguardaccio di chi sa chi tra gli spalti e sorridergli con fare tenero.
-Per me? Non mi avevano detto nulla. - Commentò con un sorriso, tornando tranquilla.
-E’ una bella sensazione, non è vero? - La vide annuire alla sua domanda. –Senti ragazzina, quello che hai fatto verso la fine dell’incontro è stato un caso o lo puoi fare sempre? -
Riottenne con quel dire la sua piena attenzione.
-Sempre. - Fu la sua risposta.
-Perfetto! E’ una buona cosa. Vedi, loro hanno il vantaggio numerico e ora si aspettano che tenteremo di riequilibrare le sorti in campo e sarà praticamente impossibile per noi riuscirci. Sono forti! Rischiamo solamente di perdere tempo e probabilmente è questo che vogliono. Tenere il gioco in due è più faticoso e loro lo sanno. Se riescono a farci correre a destra e sinistra per stancarci maggiormente il loro gioco è fatto e noi perdiamo, Hikari. Non ci vuole nulla a buttare in acqua un giocatore spompato. -
-Quindi che proponi? -
-Giochiamo. Giochiamo come se fossimo in tre, senza strategie speciali. Solo diamo il massimo. Io non sono in grado di difendere come te, mi faccio forte della mia stazza e la mia scorza dura, ma… fa male Bellina! E ripartire dopo è sempre un bello sforzo. Finora ti ho fatta stare il più indietro possibile per evitarti un bagnetto, ma… ora ti piazzi d’avanti. Ok? -
Lei lo guardava attenta.
-Sei veloce e il tuo richiamo è talmente rapido da farti sembrare uno spirito di fuoco. Hai presente, no? Gli uccellidrago o le fenici e sei altrettanto leggera purtroppo, ma… non sviamo. Dicevamo? Ah sì! Sei abbastanza veloce da parare e contrattaccare, non ti chiedo altro. Coprimi Hikari al resto ci penso io. Non puntiamo a eliminarli dal gioco, puntiamo a prendere terreno. Sei con me? -
-Sono con te. - Gli sorrise la ragazza. –Solo temo di non essere abbastanza veloce per contrattaccare se devo proteggere entrambi. -
-La priorità è ripararci, ragazzina, altrimenti finiremo spompati dopo il primo minuto di gioco. E poi, quando si stancheranno di temporeggiare, sarà il nostro turno per attaccare, Ok? -
Ancora questa annuì, mentre il fischio dell’arbitro li richiamava in campo.


Il primo terribile minuto era passato, pensava Hikari. Erano stati bravi, avevano mantenuto la posizione e senza troppa fatica in effetti. Quella ‘strategia, non strategia’, come l’aveva chiamata Tori, non era male e, a dirla proprio tutta, lei si stava divertendo. Adorava far danzare le fiamme al ritmo dei suoi pensieri, dei suoi respiri. Ma, come aveva fatto notare il ragazzone, dovevano guadagnare terreno o a parità di zone, avrebbe vinto la squadra con più giocatori in campo e non erano certo loro. La squadra avversaria come previsto stava temporeggiando, se la situazione non fosse cambiata avrebbero vinto.
Un secondo di respiro tra un colpo e l’altro e mentre dissipava le fiamme rivolte al ragazzone al suo fianco lo vide voltarsi verso di lei facendogli l’occhiolino sereno. Forse anche lui si stava divertendo e… infondo era giusto così, i giochi erano stati fatti. Se pure fossero riusciti a eliminare uno dei tre avversari, sarebbero andarti al tie-break e quel ragazzo dagli occhi sottili che capitanava l’altra squadra aveva un potere d’impatto senza eguali. Non avrebbero vinto neanche in quel caso… ecco forse perché Tori sorrideva e si… tanto valeva divertirsi a quel punto, non senza rinunciare ovviamente; tanto per chiunque stava osservando quella partita, giudici compresi, avrebbero avuto ben chiaro che, come per l’altra squadra sembrava certa la vittoria, al di là delle regole, i vincitori reali di quello scontro sarebbero stati comunque loro.
Loro perché in due solamente stavano tenendo la posizione…
Loro perché malgrado tutto gli stavano ancora dando filo da torcere…
Loro perché… perché nessuno aveva il suo controllo del fuoco tra i giocatori in campo e perché quella faccia tosta al suo fianco aveva una gran testa e aveva previsto ogni cosa, da prima che scendessero in campo.
Nessuno di loro due sarebbe stato il nuovo Furetto del fuoco, ma di loro ne avrebbero parlato e quanto… Ne era certa, proprio perché troppa della sua gente era tra quegli spalti e sapeva quanto potessero essere pettegoli quando volevano.
Ahhh! Narcisista come tutti i sangue di fuoco e modesta…
“Modesta? Una donna libera della Nazione del Fuoco, modesta? Ma farmi il piacere Hikari!” Si disse divertita, mentre si trovava a parare i colpi convogliati da quei tre proprio su di lei… proprio sulla più debole!
Eppure… lei era ancora in campo e le loro fiamme: estinte!
-Giochiamo allora…- Le sfuggì divertito il suo pensiero.
-Vuoi giocare? - Disse Tori sentendola. –E ‘giochiamo’. - Rimarcò quell’ultima parola come a voler sottolineare che non stava parlando di gareggiare, ma di divertirsi.
Lo vide sospirare sempre con quel sorriso beffardo su quell’affilata faccia da schiaffi.
-Appena lo rifaranno Hikari, perché lo rifaranno… fidati! Appena ti riattaccheranno tutti e tre per dimostrare che sono migliori di noi, dopo aver dissipato le fiamme grida con tutto il fiato che hai in corpo e carica il colpo più potente che hai verso la moretta, ma… non attaccare. -
-Ok. - Rispose lei, quasi fosse un sussurro, proprio come aveva fatto lui.
Poi… schivando l’ennesimo colpo Tori disse a piena voce: -Potete tentare quel che volete, ormai sapete che siamo migliori di voi. Potrete anche vincere la partita, ma ve lo sognate un controllo come quello della mia amichetta! -
“Certo che mi riprenderanno di mira. Dopo questa, se c’è qualcosa che posso dire di Tori e che sa come mandar la gente su tutte le furie!” Pensò ghignando Hikari.
Ghignando proprio a dovere in effetti, dando l’impressione di asserire a quanto detto dal dominatore dagli occhi spolverati di muschio e grano.
Un irritato –Stai zitto, te lo faccio vedere io chi è il migliore in campo! – uscì dalle labbra del numero 3, accompagnando quelle parole con uno dei suoi più violenti colpi, rivolto proprio verso Tori.
Hikari non poté che mantenere quel ghigno, mentre, all’incrociare delle braccia davanti al viso del suo compagno di squadra, questi veniva investito in pieno da quel colpo indietreggiando di una zona senza perdere la sua faccia da schiaffi.
Non aveva difeso il suo compagno e perché avrebbe dovuto?
Luce rossa. Ventaglio giallo. Prima ammonizione per la squadra rossa.
-Certo non tu! - La risposta saccente di Tori, mentre scioglieva le mani dal suo volto.
-Fallo! - Gridò l’arbitro. –Numero 50, torna in prima posizione. Numero 3 alla prossima sei fuori! -
Hikari non poté non scoppiare a ridere dicendo volutamente provocatoria: -Ci siete cascati come pivelli! Parleranno parecchio anche di questo! -
Quegli sguardi inviperiti verso di lei volevano dire che aveva avuto una brava maestra… per una volta tanto comportarsi come la piccola Bumbum non era niente male!
Quanto passò? Un secondo, forse due, prima che quei tre decisero di riversarsi di nuovo contro di lei simultaneamente. Era quello che aspettava Tori e… lei era troppo curiosa per non accontentarlo, per vedere cosa si era inventato in quella testa matta.
Ed eccola dissipare le fiamme, possibile che ancora non avevano capito che non era la potenza a farla da padrona in quell’ambito? Che non era il dominatore più forte a vincere quello scontro, ma il controllo… la volontà.
Balzò in avanti nella sua zona gridando quanto più selvaggiamente poteva con gli occhi fiammeggianti fissi sul numero 18, quasi dovesse scaricarle addosso il colpo più potente visto in quella partita e… quando tutti e tre i loro avversari si concentrarono su di lei, una fiamma improvvisa investì il più debole della squadra: venne catapultato in acqua, proprio mentre la moretta si chiudeva in difesa e lei, Hikari… beh, lei… si fermava sulla griglia centrale come se niente fosse, fingendo di controllarsi le unghie.
-Due a due! - Disse con tanta dolcezza nel tono da trovarsi troppo smielata lei stessa, volgendo solo lo sguardo verso i due rimasti in campo.
-Ora sì che mi diverto! - La voce di Tori.
Chissà se qualcun altro oltre lei si era accorto della potenza che quel dominatore aveva convogliato in quell’attacco, tanto da far perdere ben tre zone a un individuo in un colpo solo. Peccato che nel farlo avesse perso rapidità d’esecuzione ed era per questo che gli era servita lei… l’aveva usata come diversivo… geniale!
Ancora sorrise, mentre era finalmente il loro turno di attaccare, visto che quei due erano ancora imbambolati a leccarsi l’ennesima ferita all’orgoglio.
Non indietreggiarono sotto i loro fuochi, erano maledettamente bravi quei due e coriacei come pochi.
Un altro minuto era passato e solo un altro li divideva dalla fine di quell’incontro.
Entrambe le squadre in prima zona. Due giocatori per team. Un’ammonizione per i Rossi.
Tori si era divertito, ma… lei in un qual modo stava nuovamente danzando. Un ballo diverso da quelli a cui era abituata, ma non meno eccitante.
La furia degli ultimi eventi aveva spinto i loro avversari a riequilibrare le loro stime, dovevano sottometterli a tutti i costi, perché temporeggiare rischiava di essere fallimentare, concedendogli troppo spazio di azione ed allora… ripresero ad attaccare ed attaccare ancora e lo stesso la squadra blu.
Hikari difendeva, mentre Tori offendeva con quanta più rapidità di fuoco potesse.
Improvvisamente gli dovette diventar chiaro che non era Hikari il bersaglio con la difesa più debole in campo e senza preavviso scagliarono la combinazione dei loro colpi contro il brunetto al suo fianco.
‘Senza nessun preavviso’, ma… da parte loro, perché Hikari e Tori già sapevano che sarebbe accaduto, se lo aspettavano e come da programma la ragazza dai capelli biondi ispirando lentamente richiamò a se quelle fiamme e quasi fosse una dominatrice dell’acqua quelle onde di luce volsero verso di lei, non era ancora passato un secondo che espirando rapidamente quel fuoco esplose in mille bagliori: eccitante come un fuoco pirotecnico, ma elegante come un volo di farfalle, mentre Tori si avventava contro quel numero 3.
Il fischio dell’arbitro.
Il numero tre era precipitato all’indietro scivolando sul terreno di gioco spinto da quel colpo fino al bordo del campo e di lì nel vuoto.
La partita era finita.
Il numero tre era in acqua.
Lo sguardo della moretta in campo era terrorizzato.
Ma…
- Tie-break! - Dichiarava l’arbitro, mentre la luce del tabellone si illuminava.
Tori aveva colpito dopo il doppio fischio che segnalava la fine del round. Azione non valida, ma… lo sguardo di quel dominatore bagnato fino alle ossa che riguadagnava il campo, aveva finalmente perso sicurezza.
“Tori aveva sentito il fischio, ma aveva portato comunque a termine il colpo, perché… -
Il lancio della moneta.
“Perché questo ora gioca a nostro vantaggio!” Pensò Hikari.
-I blu scelgono per primi. - Dichiarò l’arbitro, data lettura del risultato di quel tiro.
“Se il 3 vacillerà sulla pedana…”
-Chi scegliete? - Domandò l’arbitro di gioco.
“Tori potrà avere la meglio!”
-Hikari. - Esordì Tori.
“Hik… ma sei fuori?” Inveì mentalmente la fanciulla, mentre sentiva la pesante mano del ragazzo colpirla rassicurante sulla spalla.
-Sei più veloce di lui e più intelligente. Non dargli respiro e… non deludermi, voglio vincere! - Diceva il suo compagno di squadra.
-Sei un pazzo! - Rispondeva Hikari con un fil di fiato.
-Lo so! Ma fidati, quello poi quanto peserà a occhio e croce? Due, tre volte te? Non difendere, attacca, attacca quasi fossi una mitragliatrice. -
-Cos’è una mitragliatrice? -
-Tu attacca a raffica e basta! - Dichiarò lui spingendola oltre il cerchio di metà campo, proprio sulla pedana, per poi cominciare a ridere a crepa pelle all’uscita della ragazza!
-Vado io! - Dichiarò il numero 3, mentre la sua compagna annuiva.
Tori continuò a ridere… -Mossa sbagliata moretto! - Disse volutamente per farsi sentire. –Non sai quanto! - Senza trattenersi nel ridere, quasi con le lacrime agli occhi.
Della squadra avversaria sembravano perplessa una e sempre più furioso l’altro, mentre Hikari… beh, Hikari pensava da quando l’aveva visto la prima volta che quel ragazzo fosse matto da legare, quindi… un’alzatina di spalle prima di trovarsi il moretto a fronteggiarla al centro del campo, mentre la pedana si alzava sotto i loro piedi.
Entrambi i contendenti erano tesi come corde di violino.
Il fischio e…
Hikari fece proprio come suggerito da quel pazzo mezzosangue. I suoi colpi piovvero rapidi sull’avversario. Questo, non cercando alcuna difesa, convogliava il suo fuoco in un unico devastante colpo. L’uno affondò un potente diretto infuocato alla bocca dello stomaco, l’altra infierì con colpi infuocati veloci e ripetuti che detonavano al fianco.
Non durò che un secondo, due al massimo, che Hikari si ritrovò scagliata a terra.
Il suo sederino e il suo orgoglio le dolevano, mentre riaprendo gli occhi a quel fischio, si trovava accoccolato davanti a lei sui calcagni, Tori che la guardava sorridente.
-Sei stata brava. Quasi vincevi. Mi sa che sei più pesante di quanto credessi… pazienza! Piano B.- Disse il ragazzo scoppiando di nuovo a ridere.
-Tie-break, concluso col risultato di parità. - Diceva l’arbitro.
-Già, già, Bellina! - Ridacchiava ancora lui.
-Salga sul ring il giocatore del fuoco restante per la squadra Blu. - Dichiarava ancora l’arbitro.
-Sentito? - Diceva il ragazzo indicando alle sue spalle, alzandosi. –Vuole proprio me. -
-Squadra Rossa chi dei restanti dominatori del fuoco scegliete per il faccia a faccia? -
Non importava chi avrebbero scelto… pensava Hikari sorpresa, nessuno dei due restanti era all’altezza di Tori e… questo lui lo sapeva, lo sapeva da… “Da quando aveva deciso che era abbastanza leggera che se fosse riuscita a sbilanciare il suo avversario, pur cadendo insieme lei avrebbe toccato il pavimento per ultima. Stupido! Non lo sa che queste cose valgono solo per le grandi altezze?”
Ohhh, certo che lo sapeva, infatti a differenza di quanto avesse voluto far intendere, doveva aver tenuto conto che la potenza del numero tre in un contrasto diretto con la sua piccola mole l’avrebbe sbalzata in lunghezza prima di farle toccare il campo di gioco, mentre lui sarebbe, semplicemente, precipitato.
Era ancora lì a rimuginarci mentre davanti ai suoi occhi quel bellimbusto che sembrava tutto muscoli e niente cervello colpiva con tutta la sua potenza quella gigantessa del fuoco.
Ancora il fischio.
La Numero 18 era a terra.
Tori se ne stava ben eretto sulla pedana.
Avevano vinto!






 

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Capitolo 30
*** Cap. XXX: L'avventura di Castigatore - Sesta parte ***


Cap. XXX: L'avventura di Castigatore
Sesta Parte
 

Castigatore se ne stava di nuovo in quella sacca. Alla fine quel grosso omone lo aveva riportato da Tahno. E… pazienza! Tanto alla prima occasione si sarebbe di nuovo messo all’opera per recuperare la biondina. Certo però che quei due umani avevano davvero delle brutte facce in quel momento… chissà poi dove era finita l’umana dai capelli scuri?
Un attimo prima c’era, poi… quando quel Tahno e quel grosso occhi gialli parlavano… era sparita! Peccato, gli aveva rifilato una bella grattata tra le orecchie e l’aveva chiamato Micino proprio come lo chiamava Nakata. Micino era un nome che gli piaceva, soprattutto perché si accompagnava spesso con coccole e buoni bocconi.
Si accomodò meglio nella borsa, per il momento scappare era impossibile, la porta dietro era ben chiusa e d’avanti c’era quello strapiombo pieno d’acqua. Doveva pazientare.
Tornò a guardare Tahno: l’umano era particolarmente attento a quelle carte che si sventolava davanti al naso e agli occhi seri.
-Non saprei Mako, dici il Numero 15? - Disse d’improvviso rivolto all’umano dagli occhi gialli.
-Voglio rivederlo all’opera. È stato poco sul ring è vero, ma ha dimostrato di avere una bella grinta. -
-Uhm… vediamo cosa dice Asami, ma…- Tahno non terminò la frase.
La moretta dagli occhi verdi era appena tornata. Ahhh… i suoi sensi di gatto lo avevano avvisato in ritardo e non era riuscito a prendere la via della fuga, ma… ci sarebbero state altre occasioni, certamente e… aveva portato con se un buon odorino. Un odorino interessante… interessante davvero!
-Proprio di te parlavamo! - Miagolò il tizio che non conosceva, anche se a guardarlo bene… forse lo aveva incontrato qualche volta, ma non doveva essere nessuno di importante se non se ne ricordava; infondo a casa di Hasook girava sempre tanta gente, soprattutto la sera.
Castigatore annusò l’aria mentre la moretta avvicinandosi, dopo aver sorriso in direzione dell’umano che aveva parlato, diceva, mettendogli una ciotola sotto il muso: -Eccoti un po’ d’acqua fresca, Micino. -
Uhm… la ciotola era invitante ed era giusto quello che ci voleva, ma non era l’odorino buono che aveva sentito, pensò dissetandosi a dovere e strizzando gli occhioni verso quell’umana tanto gentile. E… mentre prendeva un’ultima leccata da quella ciotola gli tornò immediatamente chiaro il sentore che sentiva attorno a quel grosso sconosciuto.
“Ecco chi è!” Pensò il micione. Ora, ritemprato e coccolato, gli veniva chiaro alla mente, ehm… al naso, sì, sarebbe più corretto dire ‘al naso’. Quell’uomo aveva cambiato i suoi colori, per questo non gli sembrava famigliare, di solito era tutto nero e puzzava di fumo quando si veniva a portare via Hikari. Già, era proprio quell’umano taciturno e con gli occhi stanchi non c’era più alcun dubbio ad annusarlo meglio, ma… adesso parlava e parecchio e non gli sembrava tanto stanco in effetti.
Poi, improvvisamente… a distrarlo dai suoi pensieri tornò quel profumino…
“Buono!” Constatò mentalmente, voltandosi.
Non sapeva cosa gli stesse mettendo davanti la ragazza, ma era gradevole, gli apriva lo stomaco. La vide dischiudere una specie di cartoccio, mentre grattandogli di nuovo la testolina diceva: -Spero che ti piaccia piccolino, non c’era molto altro per un gatto al bar dello stadio, mi dispiace! -
Carne, era della carne che non aveva mai mangiato ed era tutta arrotolata su se stessa, ma era proprio quel che ci voleva per ritemprare la sua anima guerriera.
-Grazie Asami e scusami se ti ho dato questo fastidio. - Diceva Tahno.
-Quale fastidio! E’ stato un piacere prendere una boccata d’aria e poi siete voi gli indecisi, io i miei nomi li ho già fatti. A proposito avete visto quante persone in attesa di sapere chi sarà il nuovo furetto? -
-Già… la cosa mi mette soggezione, devo ammetterlo! - Rispondeva ancora il ragazzo dagli occhi azzurri.
La moretta gli sorrise ancora.
-Ricapitolando ragazzi, avete deciso gli ultimi due? Si era stabilito che dopo questa prova avremmo scelto i sei migliori in campo per continuare la nostra valutazione. - Disse la ragazza ancora accoccolata accanto al gatto.
I due ragazzi si guardarono dubbiosi per qualche secondo poi Tahno prese la parola. –Azael, numero 15. Mako vorrebbe rivederlo all’opera e mi sento abbastanza d’accordo. E’ stato tra i primi eliminati, ma si è comportato davvero bene in campo. -
Asami a quel dire si alzò, accostandosi al grosso bancale di legno davanti a loro e scrutando tra alcuni fogli li appoggiati, disse: -Uhm… Azael, dite. - Una lieve pausa mentre gli occhi le scorrevano veloci su quanto contenuto in quegli incartamenti. –E’ l’unico rimasto in esame delle Tribù dell’Acqua. Non che si trovino tutti questi dominatori del fuoco al sud in effetti, ma mi è sembrato capace. Ha portato avanti la squadra per tre round completi contro i vincitori della prova, malgrado nell’assegnazione fosse capitato con due fuocherelli poco cooperativi. -
-È il mio stesso pensiero. - Convenì Mako.
-Ottimo allora ha il mio pieno voto e se anche Tahno è d’accordo si va ad aggiunge ai quattro ragazzi già scelti. - Disse la fanciulla, tornando a scorrere tra le carte sul tavolo di legno.
-A me sta bene! - Disse il ragazzo chiamato in causa.
Asami sorrise, davanti a se aveva due pile d’incartamenti e quel foglio che aveva tra le mani trovò posto su quella più piccola, poi disse: -Ne manca solo uno da aggiungere alla rosa. Hikari o Lanzo? -
Mako sospirò pesantemente: -Come sapete io opto per Hikari, voglio vedere come se la cava contro terra e acqua prima di…-
Tahno intervenne interrompendolo: -Mako sai quanto ho desiderato che partecipasse a queste prove, ma… tu stai parlando con il cuore. La nostra Kari è in gamba accidenti, una dominatrice di tutto rispetto, veloce ed agile, ma…-
Fu Mako a interromperlo questa volta: -‘Ma’ cosa Tahno? L’abbiamo spinta a gareggiare e…-
-La decisione finale è stata sua. - Sferzò l’aria la voce di Asami, seria e implacabile.
I due ragazzi la guardarono ammutolendosi.
Asami riprese: -Il punto è un altro. Secondo voi questo Lanzo è stato migliore di Hikari in campo o no? Sapete tutti e due quanto voglia bene a Hikari, ma se non è all’altezza le faremmo solo un torto portandola avanti. Non è una ragazza stupida, ma soprattutto ognuno di noi, compreso Bolin che è al fronte, ha riposto in questa nuova squadra tempo, energie e speranze, quindi… vi ripeto la domanda. Tra Hikari e Lanzo chi è il migliore a parer vostro? -
-Hikari. - Sibilò Tahno, dispiaciuto.
-Il mio parere Asami già lo conosci. - Concluse Mako.
-Bene allora! - Esclamò la ragazza, spostando un ulteriore foglio di carta dalla pila più alta a quella più bassa. –Abbiamo i sei concorrenti che si cimenteranno nell’ultima prova, finalmente. - Disse posando una mano sul gruppetto più esiguo di carte.
 
Il tempo di chiamare il giudice di gara per riferire il risultato ai concorrenti in attesa nello spogliatoio e al pubblico che Mako domandò ancora: -Tahno, se anche tu pensi che sia tra i migliori, perché ti sei impuntato tanto? -
Il dominatore dell’acqua sospirò, dicendo: -E’ tra i migliori, ma… finora non ha spiccato particolarmente sugli altri cinque, compreso il numero 15 che abbiamo visto per meno di 10 minuti in gioco. E’ vero, il suo dominio del fuoco è eccezionale, ma il punto adesso non è più trovare il miglior dominatore del fuoco, ma il miglior ‘giocatore’ del fuoco. Mi capisci? -
Mako annuì.
Asami li guardava silenziosa, poi annuendo: -Sappiamo entrambi che sceglieremo solo in base alle nostre necessità e non al nostro affetto. Devo rivelarvi però che non credevo neanche passasse la prima parte della selezione e invece…-
I due la guardarono un secondo stupiti.
-Ma sei stata d’accordo con me nel proporglielo. - Fece notare Tahno.
La ragazza annuì. –Questo è vero, come è vero che non sono una dominatrice, ma ne ho viste a sufficienza di partite per capirne quanto un giocatore esperto, posso assicurarvelo. -
-Non lo abbiamo mai messo in dubbio, Asami. - Asserì Mako.
Ancora la fanciulla sospirò sorridendo, sollevando appena le spalle. –Hikari è guarita, lo sappiamo tutti, ma… qualcuno di voi l’aveva mai vista azzardare nel suo potere prima di questa sera? -
I due si scambiarono uno sguardo prima di dissentire.
-E’ questo. - Riprese Asami. –Lei non lo ammetterà mai, ma ho pensato lungamente che avesse paura. Paura di farsi male di nuovo, paura di sentire dolore, paura di guardare in faccia la realtà e scoprirla peggiore di quanto avesse anche solo immaginato. Sapere di non poter tornare a fare quello che amava, non credo le rendesse più semplice doverlo provare sulla sua pelle. Eppure, oggi, per la priva volta l’ho vista azzardare. Ha dato il massimo e… sì, non ha spiccato particolarmente sugli altri per potenza o impatto, ma è stata tremendamente brava se la paragonate a quella ragazza che si limitava ad accendere, alimentare o spegnere le fiamme durante gli allenamenti dei ragazzi. A quella ragazza che difficilmente si staccava dalla grossa pietra in giardino. Eppure ha azzardato e mentre lo faceva sorrideva. Si stava divertendo. Riuscite a seguirmi? -
I due ancora annuirono sulla domanda e sul sorriso della moretta.
-Che vinca o perda questa prova non importa. Comunque andrà le sarà utile per andare avanti accantonando la sua paura. E quella ragazza sul campo non mi è apparsa ne timorosa ne inutile, come troppo spesso ho letto nei suoi occhi quando si fissava a guardare il fuoco. Doveva affrontare questa prova o il fuoco che aveva dentro prima o poi sarebbe esploso nella maniera peggiore. Come disse una volta Korra quando studiava i chakra, la paura e la vergogna bloccano il fuoco. Hikari doveva capire di non dover temere o vergognarsi di nulla e, da quel che ho visto, le è finalmente chiaro. Non importa se sarà il nuovo furetto, importa solo che abbia di nuovo fiducia in se stessa e nel suo elemento. Il resto… beh, il resto sarà come sarà, ma per quel che mi riguarda sarà comunque una vittoria. -
Mako sorridendole dolce, le si avvicinò abbracciandola, per poi dire: -Era il tuo piano sin dall’inizio, ammettilo! -
Asami in risposta si limitò a mantenere acceso quel suo dolce sorriso.
Tahno scosse il capo anch’esso sorridendo in un’alzata di spalle divertita.
 
L’illuminarsi dell’insegna che decretava i nomi dei finalisti riportò l’attenzione dei tre ragazzi sull’arbitro di gara che in contemporanea decretava: -I finalisti di questa gara che si sono guadagnati l’accesso alla prova successiva sono:
Numero 3, Zed di Città della Repubblica della Repubblica delle Nazioni Unite.
Numero 15, Azael della Tribù di Yakim nel Deserto Ghiacciato della Tribù dell’Acqua del Sud.
Numero 18, Zaira di Città del Porto della Repubblica delle Nazioni Unite.
Numero 50, Tori del villaggio di Oyaji nell’Isola Kyoshi del Regno della Terra.
Numero 74, Hikari della contrada di Ging-Cho nella regione di Trogdor della Nazione del Fuoco.
Numero 130, Nari della contrada di Akada nella Capitale del Fuoco della Nazione del Fuoco. -
Il tempo di un respiro, al termine di quell’annuncio, più che mai convinti delle loro decisioni, che la porta si aprì.
-Eccoci, dove sono quelli da pestare? - Una voce allegra giungeva dalla porta.
-‘Valutare’, non pestare, Wei! - Una seconda voce fintamente sconsolata.
Mako e Asami sorrisero voltandosi.
-Qualcosa mi dice che voi siete i due gemelli del Clan del Metallo! - Arrivò l’affermazione di Tahno volgendosi ai due ragazzi dagli occhi verdi.
-Ovviamente e sempre pronti a essere d’aiuto! - Disse il primo dei due che aveva parlato.
-Non potevamo rifiutarci, soprattutto quando a domandarcelo è stato l’Avatar in persona e il suo Team. - Disse il secondo strizzando l’occhio in direzione di Mako e Asami. –E’ bello rivedervi dopo tanto! -
Il primo dei due a proferir parola ancora guardando il dominatore dell’acqua d’avanti a lui e allungando la mano: -Wei, piacere di conoscerti! Tu sei il tanto decantato Tahno, non vedo l’ora di vederti all’opera dal vivo finalmente, spero di fare almeno un paio di Round con te. Ahhh! Quello che sta facendo il cascamorto con la signorina Sato è mio fratello Wing, chiaramente… tanto per specificare, sai non siamo tanto riconoscibili, soprattutto di primo acchito. -
E… Wing, effettivamente, concludendo in quel momento il suo baciamano alla fanciulla dagli occhi gentili, si voltò accennando un nuovo saluto con la mano in direzione del moretto dagli occhi azzurri.
-Il piacere è tutto mio! - Rispose Tahno stringendo la mano che il ragazzo gli aveva offerto e annuendo verso l’altro. –Vedrai Wei che non mancherà occasione, seppure si è deciso di procedere con un affiancamento casuale. -
Wei sorrise al dire dell’uomo.
-Quando tocca a noi? - Arrivò la voce di Wing rivolto a Mako. –Non sto nella pelle all’idea di darle di santa ragione a dei dominatori del fuoco, a mio fratello e a qualcun altro! -
-In teoria, appena arriverà l’altro dominatore dell’Acqua. - Sorrise Mako. -Ma sembra tardare. -
-Viene da molto lontano? - Domandò ancora il moretto dagli occhi verdi.
-Non direi, il Pub della Stazione non è poi così lontano. -
 
“Finalmente!” Pensò Castigatore. La porta era rimasta aperta e ritemprato a dovere da carne e acqua non ci mise che il tempo di un sospiro per trovarsi di nuovo a percorrere i lunghi corridoi di quella grossa casa.
Ma… dovette procedere con cautela, questa volta c’erano diverse persone che parlavano mentre sostavano davanti uno strano aggeggio dal quale uscivano dei contenitori con del liquido fumante e lo stesso davanti a quella finestrona dove un omino con un cappello strano li affacciato dava a delle persone in fila del cibo dall’odore appetitoso.
Fece in tempo a svoltare l’angolo prima di vedere il suo umano di nome Hasook entrare trafilato da quella grossa arcata. C’era mancato un soffio che lo vedesse… Fortuna che lui era rapido e agile proprio come… proprio… come… beh, come un gatto, che domande!
 

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Capitolo 31
*** Cap. XXXI: L'avventura di Castigatore - Settima parte ***


Cap. XXXI: L'avventura di Castigatore
Settima Parte
 

Era tra i finalisti! Pensava Hikari sorpresa, mentre si trovava di nuovo tra le braccia quel gattone nero.
Non credeva fosse possibile soprattutto tenendo conto della forza degli altri dominatori presenti, eppure il signor Toza aveva attaccato la lista dei partecipanti all’ultima prova e lei era tra questi.
No, non poteva crederci, ma la cosa la eccitava terribilmente: malgrado tutto quello che aveva passato, era ancora una dominatrice di tutto rispetto e non solo perché era lei a pensarlo, ma perché anche altri la ritenevano tale.
Era una sensazione bellissima. Troppo bella per essere vera!
-Ehi, a quanto pare, sbagliavo nel consigliarti di andartene a Casa. - La voce di Tori.
Ovviamente anche lui aveva superato quella prova e come poteva essere diversamente?
Per quanto le fosse sembrato un gradasso di primo acchito, quel dominatore era un portento. E… più lo conosceva più non riusciva a non pensare che fosse il più adatto dei restanti a meritare quella fascia.
Gli sorrise in risposta.
-Stavolta però dovremo darcele di santa ragione a quanto pare. -
Ancora lei annuì.
-Mi dispiace, sai? - Disse ancora lui incrociando le braccia dietro la testa. –Mi ero abituato a quel tuo bel musetto, Bellina! -
-Ehi, ci scontreremo, tutto qui, non muoio mica! - Rispose sorridendo.
-Intendi dire che quando ti umilierò pubblicamente, battendoti, tu non mi odierai e non mediterai vendetta? -
-No, non penso. - Disse lei con un’alzata di spalle come se nulla fosse.
-Strano! Non sei solo una dominatrice vieni dalla Nazione del Fuoco, quelli della tua terra sono i peggiori verso chi calpesta il loro orgoglio. -
Lei sorridendo serafica… –Ho detto che ‘non penso’. ‘Non penso’ che riuscirai a umiliarmi, ragazzone! -
-Ahhh, ti pareva, mai che tu me la metta facile a quanto pare! - Disse lui scoppiando a ridere.
Ormai lei aveva visto a bastanza degli altri partecipanti a quella gara. Le era ben chiaro che difficilmente avrebbe avuto la meglio su quel testardo dominatore, ma non gliel’avrebbe resa certo facile… infondo non era detto che anche il suo fuoco non le avrebbe ubbidito, preferendola a Tori… era tutto ancora da giocare.
Diede rapidamente uno sguardo ai concorrenti rimasti.
Il numero 3 ancora la turbava. Era probabilmente il più forte in campo, decisamente attento e opportunista. Riusciva rapidamente a capire dove colpire per fare più male possibile e non aveva alcun risentimento nel farlo.
Azael lo avevano fronteggiato nel primo turno di quel torneo tra fuochi. L’aveva ripetutamente bersagliata tanto da farle prendere in continuazione campo ed era riuscito anche a danneggiare gravemente la spalla al loro compago di squadra. Era tosto, era chiaro e in questo nuovo scontro non avrebbe avuto la limitazione di trovarsi in campo con due giocatori troppo accentratori tanto da non sottostare a una minima strategia di gioco che non li vedesse al centro della scena.
La gigantessa dagli occhi gialli che era stata in squadra con il numero tre era brava, era vero, ma… non la riteneva un pericolo per lei, aveva già annotato mentalmente i suoi pregi e le sue mancanze in gioco. Le era ben chiaro che se non avesse fatto passi falsi era improbabile che potesse perdere in uno scontro contro di lei.
L’altro ragazzo della Nazione del fuoco come lei era molto tecnico, indossava l’ultimo numero assegnato, ma non era c’erto l’ultimo in quanto ad abilità. La sua squadra era stata eliminata da quella del numero tre in semifinale e probabilmente da quanto aveva visto fino a quel momento avrebbe avuto la meglio su tutti i finalisti, tranne Tori e quel Zed.
Chi rimaneva?
Tori… beh, che dire… certo sarebbe stato davvero bello finire quella giornata alla grande, ritrovandosi in combattimento contro di lui, ma… di quella prova non aveva capito molto: a quanto sembrava in ordine numerico, quindi partendo dal numero tre, avrebbero estratto un avversario, poi questo avrebbe a sua volta estratto il nome del dominatore della terra che lo avrebbe fiancheggiato, lasciando nuovamente all’altro l’estrazione del dominatore dell’acqua. Così formate le squadre avrebbero gareggiato l’una contro l’altra per un unico round, prima di passare il testimone ai due giocatori dopo di loro e poi questi ai successivi. Questa era la parte semplice, era il dopo che le era poco chiaro, ovvero quello che riguardava le valutazioni dei giudici. Avrebbero scelto tra i vincitori dei tre scontri, oppure, come per la prova precedente, il tutto serviva semplicemente per vederli all’opera? E chi erano i dominatori che li avrebbero fiancheggiati?
Una carezza a quel gattone, sospirando.
-Ehi! - Ancora Tori richiamava la sua attenzione, mentre dall’ingresso appariva di nuovo l’anziano dominatore della terra.
Si voltò a guardarlo e lui tendendole una mano le disse: -Senti, Bellina, ci tenevo a dirti una cosa ok? -
Lei guardò la sua mano e, sorridendo a quanto le parole del ragazzo fossero discordanti con quel gesto, l’afferrò. Infondo le piaceva il suo modo di fare.
Tori le sorride stringendo la sua mano più di quanto lei si aspettasse e tirandosela contro il petto, per dire ancora: -E’ stato un piacere conoscerti, sei una tipetta apposto e capisco perché i tuoi amici ti abbiano voluta qui, meriti di starci. Questo volevo dirti! Metticela tutta, io farò lo stesso e magari chi sa, un giorno ci scontreremo di nuovo! Non mollare, fammi solo questo favore, ok? -
Sorrise… sorrise per forza, o sorrideva o si commuoveva… quel ragazzone la stava rincuorando su uno dei suoi maggiori dubbi in quella storia: l’essere lì senza aver passato la trafila ufficiale… pur avendo accettato quella situazione, non le riusciva di sentirsi sporca, come se avesse barato e… con quel suo stravagante atteggiamento, Tori le stava dicendo che non aveva sbagliato ad aver accettato, che meritava di stare lì tanto quanto gli altri.
-Fammi capire, mi stai ancora dicendo velatamente che sarai tu il nuovo Furetto? - Disse lei cercando di dare altro senso a quella conversazione.
Tori sorridendo e abbandonando la sua mano, aggiunse: -Guardati in torno, Bellina, hai ancora qualche dubbio? -
Non ebbe il tempo di rispondere che Toza chiamò il numero tre dichiarando che era atteso sul palco.
Quel ragazzo annuì alzandosi e avviandosi.
Il resto della stanza rimase in silenzio fin tanto che il numero 130 non domandò all’anziano allenatore: -Possiamo assistere allo scontro? -
Questi annuendo, rispose: -Ovviamente, ma dovrete attendere che le squadre vengano assegnate. -
Il ragazzo dall’accento tanto familiare si limitò ad annuire in direzione dell’uomo.
Qualche secondo e giunse il ragazzo che li aveva condotti in quello spogliatoio la prima volta.
-Numero 15, sei atteso in campo. - Disse il giovane.
Azael si alzò seguendolo.
Il primo combattimento stava per avere atto.
 
L’incontro era già iniziato quando gli era stato permesso finalmente di poter vedere cosa accadeva in campo. Erano tutti e quattro accalcati contro la balaustra della panchina dei blu mentre scoprivano che a fiancheggiare i due fuochi ci sarebbero stati lo stesso Tahno e l’ex-Furetto di Fuoco Hasook per l’acqua, mentre come terre avrebbero avuto l’onore di gareggiare al fianco dei gemelli del clan del metallo i figli minori della signora del metallo Suyin: Wei e Wing, gli inventori del gioco del Disco Volante.
Tori era senza parole e non riusciva a schiodare gli occhi da quell’incontro.
Poi quella vocetta: -Oh santo cielo! -
“Hikari.” Pensò il ragazzo. “Probabilmente anche lei è esterrefatta come me per le presenze in campo.”
Si voltò appena in tempo per vederle lasciar scivolare in terra quel grosso micione e portarsi le mani al volto.
-C’è Hasook! - Disse ancora.
Lui si limitò ad annuire, credendo in una qualche probabile vecchia cotta da Fan.
La ragazza di nome Zaira si voltò curiosa, mentre il numero 130 rimaneva fisso sull’incontro.
Toza sembrava più interessato al micione in terra.
Di scatto la ragazzina dai capelli biondi si voltò verso l’omone alle loro spalle e afferrandolo per il bavero, disse di getto, portandolo alla sua altezza per fissarlo in volto terrorizzata: -Per favore, mi dica che esiste una regola… qualcosa del genere… o che so io, che impedisca ai giocatori di essere costretti a picchiare il proprio datore di lavoro… la pregooo! -
Toza aveva un’espressione assurda mentre la proprietaria di quella vocina smielata e inorridita sudava freddo.
La moretta lì presente non poté non ridere a quella scena, mentre il povero dominatore della terra intimidito dall’essere stato colto impreparato da tanta esuberanza si liberava dalle mani di Hikari dicendo: -Tutti pazzi questi dominatori del fuoco! -
Ancora una volta Tori non aveva capito le reazioni di quella ragazza, forse parlava di Tahno, ma… aveva nominato Hasook… “Ahhh! Chi la capisce è bravo!” Pensò, colto alla sprovvista dal fischio che decretava la fine dell’incontro.
-Accidenti, non me l’aspettavo! - Giunse la voce del ragazzo che rispondeva al nome di Nari.
Tori si voltò.
Contro ogni aspettativa era stato il numero 15 a vincere quello scontro.
 
Fu il turno di Zaira a estrarre il suo sfidante.
Hikari sperò con tutta se stesse di poter essere lei, ma al contrario toccò a quel bellimbusto di Tori.
-Toppo facile! Lassù qualcuno mi ama! - Esclamò il ragazzo appropinquandosi alla pedana che lo avrebbe portato sul palco.
La numero 18 non era stata fortunata, si era già scontrata con Tori e… aveva perso! Pensò la fanciulla. Malgrado i dominatori che la fiancheggiavano Zaira, come era prevedibile, non riuscì a portare a casa la vittoria.
-Scontato! - Si lasciò sfuggire tra le labbra, mentre il dominatore del fuoco restante accanto a lei, disse seriamente: -Non rimaniamo che noi due! -
Il tono di sfida era palese e non fece altro che aumentarle l’adrenalina che le scorreva in corpo.
 
Castigatore era tranquillo. L’umana adesso sembrava aver dimenticato la paura e ovviamente tutto per merito suo. Certo sembrava ansiosa e agitata, ma… la paura era scomparsa e questo era bene. Ora non occorreva fare altro, poteva tornarsene alle sue cose… le cose veramente importanti: la sua casa, la sua famiglia umana, i suoi secchioni accanto al muro di mattoni e… doveva assolutamente fare i suoi bisogni, se l’era tenuti da parecchio… quindi…
Si guardò intorno: ora doveva far capire alla biondina che doveva riportarlo alla sua tana.
Ecco il momento: lei si stava girando, lo stava per guardare, ma…
Quella voce fortissima che non si sapeva da dove venisse, echeggiò da per tutto e soprattutto nelle sue orecchie e rovinò tutti i suoi piani, dicendo: -Il Numero 74 contro il Numero 130. -
Hikari si allontanò da lui prima che potesse fare qualunque cosa…
Castigatore sbuffò indispettito. Ma pazienza… aveva altri umani lì che conoscevano dove si trovava la sua dimora… avrebbe convinto qualcuno di loro a portarlo a casa e ‘detto fatto’ era di nuovo per quei lunghi corridoi.
 
-Facciamogliela vedere, quando mi ricapiterà di dargliele di santa ragione a quel damerino del ragazzo di mia sorella!?- Diceva Hasook.
Grazie al cielo era nella sua squadra, pensava Hikari, altrimenti con molta probabilità sarebbe stata lei a prendersi i colpi del suo principale.
Tahno però la conosceva. Si erano allenati lungamente insieme e non le stava dando respiro, fortuna che… lo stesso valeva per lei e sapeva che il ragazzo seppure avesse una potenza invidiabile e l’eleganza di un ballerino, non era rapido quanto lei. Nessuno dei presenti in campo fino a quel momento aveva dimostrato una velocità di richiamo e d’esecuzione dei colpi similare alla sua. Avevano fatto molto per insegnare a Lune a difendere e adesso era lei a usufruire di quegli insegnamenti.
Incredibile! Assurdo e incredibile!
Eppure, la sua rapidità riusciva a rendere inutili tutti gli attacchi del dominatore del fuoco della squadra avversaria, il giovane dominatore della terra al suo fianco la difendeva dai fendenti di Tahno e Hasook colpiva. Niente male! Niente male davvero… da non credere… il suo datore di lavoro era davvero in gamba come dicevano, e quei due ragazzi della terra sapevano davvero il fatto loro, ma… dove aveva già sentito i loro nomi?
-Mancano 10 secondi alla fine, ragazzi! - Diceva ancora Hasook. –Al loro attacco, difendete e mirate tutti al moretto dell’acqua, voglio fargli fare il bagnetto che merita! -
Era il suo capo e da quel che aveva capito, quello tra loro tre che ne sapeva di più di dominio sportivo, quindi… sferrò il suo attacco nel secondo appena successivo a quello avversario e anche Wei, il ragazzo della terra, fece lo stesso… accompagnato dal getto d’acqua di Hasook colpirono il bersaglio prestabilito senza premura alcuna e…
“Povero, povero, povero Tahno!” Pensò Hikari divertita. “In tre contro uno, che brutte persone che siamo!”
Vinsero per la differenza numerica dei giocatori in campo.
 
“A quanto pare ce l’abbiamo fatta entrambi!” Pensò Tori osservando il termine di quell’incontro. “E senza scontrarci, peccato… peccato davvero, mi domando se sarebbe riuscita a bloccare la mia fiamma come ha fatto con quella degli altri.”
-Ahhhhh! - Gridò portandosi le mani tra i capelli e alzando il volto verso la volta a vetri.
Il numero 15 accanto a lui si voltò a guardarlo perplesso.
-Che c’è? - Disse ancora Tori rivolgendosi al ragazzo. –Non posso essere disperato? Ho appena perso l’occasione di farmi la mia arcinemica. Ogni dominatore sportivo che si rispetti ha un arcinemico e avevo scelto lei… come farò adesso! Senti, non è che vorresti prendere il suo posto? -
-Tu sei fuori di testa, te lo hanno mai detto? - Domandò a sua volta ancora più perplesso.
-Qualche volta. Come lo sai? Sei forse un mago? - Continuò Tori stupendosi.
-Certo. Sono un mago, che non si vede dal cilindro? - Ironizzò Azael.
-Cilindro? Forte, un mago con un cilindro invisibile… sei perfetto come arcinemico… cominciami ad odiare, bello. - Indicandolo con strafottenza e scrocchiando la lingua contro il palato facendogli l’occhiolino.
-Dammi una ragione. - Disse l’altro incrociando le braccia al petto e assumendo un fare serio.
-Te ne do due di ragioni, tesoro: la prima…- Facendo cenno di contare sulle dita. -…è che ho bisogno di un’arcinemico, ovvio! La seconda e che sarò io il Furetto che manca a questa squadra, quindi spero che tu non abbia già svuotato le valigie perché te ne stai per tornare a casa con la coda tra le gambe, ragazzino. -
 
 

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Capitolo 32
*** Cap. XXXII: L'avventura di Castigatore - Ottava parte ***


Cap. XXXII: L'avventura di Castigatore
Ottava Parte


 
Castigatore stava gironzolando di nuovo, possibile che il suo naso gli indicasse tutto tranne la strada giusta?
Troppe persone, troppi odori… e il suo era diventato talmente flebile, avrebbe dovuto marcare quel territorio, sarebbe stato più semplice.
C’era una bella confusione, confusione che cessò appena un suono acuto echeggiò in tutta quella grossa casa.
Le persone si bloccarono per muoversi di seguito tutte in un’unica direzione e quelle che stavano facendo qualcosa si sbrigarono a portarla a termine per dirigersi anche loro velocemente verso uno stretto passaggio.
Quelle persone sembravano sapere dove andare, formando una lunga fila, e così il gattone decise che se tutti andavo in quella direzione, forse lo stesso avrebbero fatto le persone che conosceva.
Aspettò che il trambusto iniziale si quietasse in modo da procedere senza dare troppo nell’occhio e varcò quello stesso ingresso proprio mentre la voce fortissima che rimbombava da per tutto cominciava ancora una volta a parlare.
Sbucò su una sorta gradinata che guardava verso quel solito pozzo.
Possibile che dovunque andasse si trovava sempre affacciato su quell’acqua?
-I numeri che chiamerò facciano un passo avanti. Numero 15, Azael della Tribù dell’Acqua del Sud. Numero 50, Tori del Regno della Terra. Numero 74, Hikari della Nazione del Fuoco. Siete i finalisti di quest’ultima prova! - Disse quella voce nell’aria.
Un chiasso insopportabile si alzò da quelle gradinate: quelle persone battevano le mani e emettevano strani suoni, alcuni si alzarono.
Per una frazione di secondo l’istinto disse al micione di correre ai ripari, ma tutto si quietò proprio come era stato scatenato non appena quel vocione parlò ancora: -Ma… solo uno indosserà la fascia rossa dei Furetti di Fuoco. E’ una scelta ardua, chi si guadagnerà la fascia? Cosa premieranno i maggiormente i giudici? La forza, la tecnica o la velocità? Ancora un po’ di pazienza signori e lo sapremo. -
Appena la voce cessò le persone tutt’attorno ripresero a chiacchierare, era chiaro che lì non c’era quello che cercava.
Indietreggiò accanto al muro, un ultimo tentativo certo non sarebbe gustato, pensò fermandosi, il tempo di far calmare il suo cuoricino che gli era balzato in gola quando tutti quegli umani avevano fatto fracasso. Ahhh! Ma che gli prendeva a volte a quei bipedi?
Non sanno che la calma e il riposo ti fanno vivere di più? E… fanno vivere meglio anche il prossimo, specialmente se si tratta di un vecchio gatto come lui.
Su quella piattaforma al centro del pozzo c’era di nuovo Hikari.
Era pensieroso… forse era il caso di tornare indietro, pensò prima di sentire tra tutto quel vociare una voce di donna che aveva imparato a riconoscere da qualche tempo.
-Quei ragazzi sono tutti e tre molto forti! - Diceva.
Acuì lo sguardo nella direzione dalla quale proveniva, era solo un sussurro, ma era sicuro di sapere di chi si trattasse.
-Il livello è alto, anche io avrei dei dubbi su chi scegliere. - Anche quest’altra voce femminile era conosciuta.
-Mammaaaaa! Eccoci abbiamo portato il gelato? - Questa squillante poi… Ohhh, ne era certo ormai…
-Amore, ragazze! Spero di averci indovinato, c’era una calca assurda al bar. - Questa anche gli ricordava qualcosa, ma doveva ammettere di avere più orecchio per le voci femminili.
Si avviò cautamente lungo la fila di piedi fino ad arrivare davanti a quella bambina dagli occhi gialli, com’è che si chiamava? Quella che rideva sempre…
Le tre donne avevano tutte in mano un gelato, mentre l’uomo che aveva parlato si sedeva con in braccio quella cucciola.
-Grazie tesoro di mamma! - Diceva ancora la prima voce.
-Gatto? Guarda papà il gatto dello zio Hasook! - Diceva la piccola.
-Cosa? - Esclamava un coro non ben definito di voci.
-Kija, sei sicura, per me i gatti sono tutti uguali! - Diceva l’uomo.
Kija! Ecco come si chiamava quella bimba, pensò il gattone.
-Certo che sì! Mi ha fatto compagnia mentre lo zione mi spiegava come picchiare a dovere il prossimo. -
Le tre donne risero sotto i baffi, mentre l’uomo perplesso… -Non so se ti faccia bene frequentare lo zio Hasook, sai? -
Era da un po’ che quella e altri due piccoli di umano venivano regolarmente a far visita alla sua casa. Di solito arrivavano con Tahno, ma spesso, soprattutto quando Hasook cominciava a brontolare, se ne andavano con altre persone e tra queste c’erano almeno un paio di quelle li presenti.
-Piuttosto mi domando cosa ci faccia qui? Che sia scappato? - Diceva ancora la voce di quella che aveva capito si chiamasse Mamma.
Certo però, pensò Castigatore, gli umani usavano spesso questo nome.
Si strusciò abilmente alle gambe dell’uomo che si chiamava Papà.
L’altra cosa strana era che le persone che si chiamavano Mamma si associavano spesso a quelle che si chiamavano Papà… bizzarri questi umani!
-Probabile. Sembra conoscerci in effetti. Penso che dovremo riportarlo da Hasook. Facciamo una cosa Kija, ti ricordi come si chiama? Tanto per non rapire il gatto di qualcun altro. Non sarebbe carino non credi? -
-Casti! - Disse la bimba annuendo e udendo quel verso il gattone decise di addrizzare le orecchie e saltarle sulle gambe.
-E si, a quanto sembra è proprio lui. - Sorrise Papà. –Facciamo così, tu piccola mia tieni in braccio il gattone, appena finito tutto lo portiamo dal suo padrone, ok? -
La bimba annuì dandogli una bella carezza sulla sua testona pelosa.
Peccato per quelle manine appiccicose, ma un gatto sa fino a che punto sopportare per arrivare ai suoi scopi e… quello era il momento di sopportare, appunto!
Poi quella occhi gialli che non aveva parlato fino a quel momento disse: -Ehi, Shaozu, hai più pensato alla mia proposta? -
Lo sguardo era ancora sulla pedana al centro del pozzo, era seria in viso.
-Quella di entrare come riserva nella vostra squadra? - Domandò l’uomo a sua volta.
-Già. - Rispose lei.
Le altre presenti li guardavano silenziose.
-Te l’ho detto Adi, se dovesse servire, puoi contare su di me, ma non ho intenzione di entrare in squadra. Ho amato immensamente il Dominio sportivo e ancora è una parte importante di me, ma la mia vita adesso è un’altra. Non saprei come fare con il mio lavoro alla sala da Tea, né tanto meno con i ragazzi del complesso il lunedì e certo non voglio togliere tempo alla mia famiglia. No, Adi, esiste un momento nella vita di un giocatore di dominio di passare dal giocare attivamente al sostenere la sua squadra. E la mia squadra sono la mia splendida Umi e la mia piccola Kija. -
Il bacio della donna chiamata Mamma non si fece aspettare, mentre le labbra dell’umana che aveva parlato si piegavano in un sorriso compiaciuto.
-Lo sai che ti amo? - Diceva Mamma, tornando a baciare Papà sul suo –Anch’io! -
-Bene, quindi non c’è problema per te se dovessi proporlo a uno di quei ragazzi in campo! -
-Assolutamente! Conosco la situazione. -
-Malgrado la mia ottima ripresa dopo quella stupida caduta mi affatico maggiormente. C’è bisogno di sangue giovane e loro sono tutti e tre troppo bravi per lasciarli nelle mani della concorrenza, spero che ne converrete con me ragazze e… - aggiungendo con tono divertito: -...Marito di Umi! -
-Certo che sì, Capitano! - Disse divertita la donna dagli occhi verdi.
Mentre Mamma e Papà si limitarono ad annuire.
Kija era più interessata a leccare il suo gelato e a scompigliargli il pelo.
-Solo una cosa, se lo scartano a me piace da morire quello grosso con gli occhi turchesi, insomma… sono ancora singol! -
-Ulaaaaa! - Dissero all’unisono verso la donna, prima di scoppiare a ridere.
 
 
 

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Capitolo 33
*** Cap. XXXIII: L'avventura di Castigatore - Nona parte ***


Cap. XXXIII: L'avventura di Castigatore
Nona Parte


 
Finalmente era a casa! Ahhh, che meraviglia ritrovarsi di nuovo sul proprio tappeto ruvidino ad acciambellarsi dopo essersi finalmente liberato dalla pressione nel pancino, pensava Castigatore, non ce la faceva davvero più a trattenerla, ma adesso… adesso era il paradiso!
-Quindi si era infilato nella sacca di Hikari. – Diceva la sua Nakata a Hasook, mentre lo accarezzava piegata sulle ginocchia. –Poverino deve aver passato l’inferno, menomale che sei riuscito a riportarlo a casa. -
-Da quello che mi hanno detto Hikari e Tahno non è riuscito a starsene buono a lungo, scappava di qua e di là! Pensa che all’ultimo lo ha trovato la piccola Kija sugli spalti. -
-Micino! Chissà quanta paura! - Disse la sua umana dolcissima. Sicuramente aveva saputo della sua prode impresa nel prendersi cura dell’umana dai capelli biondi e ora lo omaggiava con complimenti e coccole!
-Piuttosto, amore mio, come sono andate queste selezioni? Io e Sukka non siamo riuscite a chiudere occhio, poi… beh, poi appena arrivato Tahno si è portato via la tua sorellina senza dire altro oltre quel ‘ciao’ mentre mi baciava sulla guancia apostrofandomi con il termine ‘cognatina’ che a te piace tanto, per poi scappare via dicendo che era stanco… quindi? - Disse mettendo un pizzico di ironia, enfatizzando il tutto.
-Quindi lo ammazzo, ovvio! Sta diventando troppo sfacciato, sta portando la mia dolce Sukka su una brutta strada, me lo sento! -
-No, tesoro, intendo con la selezione. L’altra parte della storia la conosco anche troppo bene e credo di sapere già da adesso come andrà a finire. –
-Uhm…- Mugugnò tra l’offeso, il perplesso e il pensieroso.
-Insomma, amore, hanno preso o no la nostra Kari in squadra? -
-Vedi…- Ancora un sospiro. –Kari è brava davvero, accidenti! Non l’avrei creduto se non l’avessi visto con i miei occhi, ma…-
-‘Ma’? Non dirmi…-
-Già! Non l’hanno presa. -
-Ma perché? Insomma se è brava… Oltretutto è di famiglia ormai, non capisco! - Disse la ragazza alzandosi.
Hasook le sorrise abbracciandola stretta, per poi baciarla sulla fronte.
-Erano tutti molto bravi. Non conosco tutte le sfumature della faccenda, ma se ci pensi bene, amore mio, non è difficile immaginare i motivi che possono aver spinto i ragazzi a preferire qualcuno ‘sano’ e forte a Kari. -
Nakata sospirò dispiacendosi. –Ma… ora sta bene. -
-Già, ma i Furetti sono stati pubblicizzati come la squadra da battere. Hanno comunque chiesto il mio parere e… -
-E… -
 
“Che dire?” Pensava, Shaozu alla guida della sua utilitaria mentre riportava a casa le ragazze. Quando chiesero a Tahno di poter raggiungere quel ragazzo negli spogliatoi questo aveva acconsentito immediatamente. Shaozu sapeva di poter sempre contare su di lui, ne avevano passate troppe insieme…
Il ragazzo del fuoco negli spogliatoi era rimasto esterrefatto dalla loro richiesta, ma dopo quel primo momento di confusione aveva accettato la proposta delle ragazze con reale entusiasmo e gratitudine nella voce. Quindi… che altro dire? Sicuramente la squadra delle Volpi del Deserto era stata molto fortunata nell’ottenerlo come riserva. 
“Ula è stata fortunata!” Ridacchiò tra se e se l’ex Pipistrellolupo.
Era bravo, davvero bravo quel… Azael.
 
Buon cibo, acqua fresca, coccole e… la possibilità di dormire sul lettone accanto ai suoi umani preferiti. Cosa c’era di meglio nella vita di un gatto?
Era la giusta conclusione di una giornata eroica, stupefacente e gattosamente eccitante! Pensava il Gattone nero acciambellato ai piedi del letto.
E… si! Davvero un bella giornata, ma… la consuetudine, soprattutto per un gatto di tutto rispetto come lui… si lasciò coccolare dal tepore del camino che gli piaceva tanto, mentre lentamente i ricordi della giornata e la certezza che mai si sarebbe tirato indietro dall’aiutare i suoi cari, sfumavano… mentre quel dispettoso uccellino azzurro che lo tormentava da sempre tornava a occupare i suoi sogni e… riusciva a catturarlo. Finalmente! Quale miglior vanto con la gattina bianca del balconcino del primo piano? Beh… almeno nei sogni quel pennuto non si sarebbe più preso gioco di lui e avrebbe avuto la sua Bella tutta per lui… sì… proprio per lui… solo per…
-Dormi! Dormi gattone! - La voce di Hasook, a coccolargli i sensi, mentre gli passava una mano tra la folta pelliccia invernale, scatenandogli il desiderio di far le fusa. –Qualcosa mi dice che te lo meriti! -


 

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Capitolo 34
*** Cap. XXXIV: Prigionieri ***


Cap. XXXIV: Prigionieri
 


Il Fronte di Ribellione era venuto a conoscenza dell’arrivo della loro armata nel territorio di Yin e… aveva attaccato.
Ma come erano riusciti a saperlo? Si domandava Bolin.
Qualcuno nelle loro file, forse?
No, era impensabile, conosceva ognuno dei suoi uomini, si fidava di ognuno di loro, e allora?
Fatto stava però che era ridotto male e lo stesso valeva per molti dei loro.
L’intervento dei Soldati del Nord, come avevano preventivato, era riuscito a interrompere il modus operandi del nemico. Gli uomini di Desna bloccando la loro fuga li avevano costretti a entrare per la prima volta in un vero e proprio scontro diretto. Non più toccata e fuga.
Era stato grandioso!
Per una volta avevano avuto la meglio, ma non si aspettavano quell’attacco e questo fatto rimaneva. Chi diavolo poteva essere tanto folle da attaccare l’esercito dell’Avatar proprio nel momento di massima densità?
Assurdo. Era un comportamento assurdo non fosse…
-Forse qualcuno dei ragazzi ha parlato della cosa al di fuori dell’ambito militare. - La voce di Korra, che faceva il suo ingresso in quella stanza con Varrick al seguito, lo aveva interrotto dal suo riflettere.
La vide sfarfallare le dita della mano nella sua direzione, salutandolo, mentre continuava a parlare.
Le rispose con un sorriso.
-Forse…- Diceva la ragazza.
L’uomo con lei l’interruppe portandosi una mano al mento con fare pensieroso, dicendo: -Possibile che il nemico avesse disposto delle ricompense ai civili se avessero dato informazioni sulle nostre mosse? Infondo non tutti gli abitanti del popolo della terra ci vedono di buon occhio e alcuni potrebbero aver visto in una proposta del genere solo un’occasione per trarre beneficio. -
Korra annuì al dire di Varrick, mentre sorridendo a Bolin si sedeva accanto al suo letto.
-Come ti senti? - Gli domandò dolcissima.
-Va tutto bene. Il vantaggio di aver acquisito tra le nostre file l’élite dell’esercito del Nord aumenta anche il numero dei curatori a nostra disposizione… mica male no! -
Lei sorrise scuotendo il capo alla sua risposta.
-Potrebbe essere, ma non me la sento d’imporre agli uomini di rimanersene segretati nei nostri ambienti che siano la corazzata o questo campo base. Devono poter avere l’occasione di distrarsi o rischiano di impazzire e noi con loro. - Continuava l’Avatar, rivolta all’inventore della Tribù dell’Acqua del Sud.
-Se la pensi così Korra, le alternative sono due: o limitiamo le informazioni ai sottoposti o imponiamo loro di non fiatare riguardo le nostre azioni. - Aggiungeva l’uomo con i baffetti.
Bolin ritornava silenzioso ascoltandoli.
Korra scosse il capo: -I nostri uomini conoscono di ogni missione solo quanto è strettamente necessario loro sappiano, ma non puoi chiedermi di non dirgli il motivo per cui stanno mettendo in pericolo la loro stessa vita. Per quanto riguarda invece il non dover parlare all’esterno delle nostre mosse… Varrick, nessuno di loro è talmente stupido…-
-Beh, ma qualcuno deve aver detto qualcosa…-
-Sicuramente, ma dimmi secondo te dovrei evitargli di andare a bere in taverna o di corteggiare qualche bellezza del luogo? Sai come la penso e, per quel che ne so, potrei essere stata proprio io a dire qualcosa all’esterno magari a quei ragazzini al porto, ricordi? Avevano visto che sbaraccavamo e ci muovevamo verso nord. Forse qualcuno mi ha chiesto dove andavamo e… dai non sarebbe stato difficile capire il resto, ammettilo! Senza contare che potrebbero aver intercettato le nostre comunicazioni cartacee o quelle radio. Dimmi, non hai riferito a Zhu Li mai nulla riguardo i nostri spostamenti? -
-Ma che c’entra…-
-C’entra. Non possiamo farci schiacciare psicologicamente da questa cosa e mettere, che so, delle punizioni esemplari a chi non riesce a non dire all’amichetta di turno un ‘domani partiamo!’… Sii ragionevole Iknik. Questa cosa aumenterebbe solo il malcontento e abbasserebbe l’operatività dei nostri uomini. -
-Stavamo parlandone ufficiosamente Korra. Non prenderla sul personale, io vorrei solo evitare che qualcuno si faccia ancora più male del dovuto. Oltretutto abbiamo le nuove reclute in addestramento, quei pivellini che tu e Bolin avete voluto far arrivare qui dalle foreste. - Terminò sbuffando.
-Lo so. E… malgrado siano reclute e pivellini, come hai appena detto, si son dati parecchio da fare, non trovi? -
-Siii Korra, ma tranne quel Tark, stanno tutti in infermeria e se la ridono manco avessero partecipato a una fiera di paese! -  Aggiunse, gettandosi una mano sul viso esasperato.
-Io li trovo adorabili e… dai non posso impedire ai soldati di farsi una birra ogni tanto! -
-Una bir… ahhh! Gli spiriti abbiano pietà di noi! Korra non è questo il punto! - Ancora più esasperato. –Tu hai rischiato di farti male seriamente e questo qui…- Indicando Bolin nel letto. –E’ vivo per miracolo! Volete farmi venire i capelli bianchi prima del tempo? -
-Non te lo vorrei dire, ma hai già qualche capello bianco! - Intervenne Bolin dopo tanto ascoltare in silenzio.
-Zitto tu! Qualcuno ha chiesto il tuo parere? - Lo riprese Varrick incrociando le braccia al petto indispettito.
-Veramente siete venuti voi nella mia…- Cercò di riprendere subito interrotto dall’uomo.
-E che c’entra, non volevi mica che ne parlassimo per i corridoi! -
-Ehhh…- Mugugnò perplesso senza saper cos’altro dire.
Korra in tutta risposta non riuscì a trattenere una risata.
-Ahhh! Sei più pazza tu di quei biondini della stanza accanto! - Sospirò il poveruomo.
 
Non le riusciva di smettere di ridere, pensava Korra. Era sempre così ogni volta che malgrado se la fossero vista brutta l’avevano poi scampata: era troppo lieta di avere ancora tutti lì i suoi uomini per non trovare ogni banalità ilare. Ma questa volta non c’era stato solo questo: malgrado le ferite riportate, avevano per la prima volta riportato un successo vero, un successo che aveva condotto l’esercito nemico nelle loro mani. Avevano vinto davvero e non perché il Fronte dopo aver infierito come voleva, lasciava il campo prima di subire danni ingenti. Avevano vinto, punto e basta!
Capiva le perplessità di Varrick, ma la fuga di informazioni era qualcosa con cui da tempo aveva imparato a convivere, era parte di ogni battaglia a cui aveva partecipato, il suo amico era solo sconvolto per il numero di uomini feriti.
Iknik Blackstone Varrick era un pianificatore e non riusciva a concepire di non poter controllare a pieno quella situazione. Le guerre che l’uomo del Sud aveva combattuto erano state svolte in maniera molto differente da quella attuale: la prima, la ribellione del Sud, con il solo intento di averne lui stesso beneficio personale. Oltre a pagare un manipolo di mercenari a cui non doveva spiegazioni, ma solo obbiettivi, e al fomentare con la menzogna un popolo già scontento, non aveva dovuto fare molto altro. Le uniche persone che conoscevano realmente i suoi intenti erano la sua fidata Zhu Li e lui stesso. La seconda guerra che aveva combattuto lo aveva visto all’inizio solo negli ambiti di un ricercatore al servizio di Kuvira e dopo il voltagabbana aveva aggiunto al suo ruolo di ingegnere quello di supporto per la loro missione. In quell’occasione aveva messo in pericolo la sua stessa vita, ma… ora sembrava essersene dimenticato e… infondo… era giusto così!
Rise ancora di gusto, mentre Bolin e Varrick si battibeccavano. 
-Ahhh, io semplicemente non voglio che voi moriate e non voglio morire… è chiaro questo? - brontolava.
-Chiaro, chiaro. Ci vuoi bene! - Disse Bolin.
-Comunque, amico mio, mi spieghi perché ti sei fatto ridurre in questa maniera? - Domandò L’uomo al ragazzo davanti a lui sedendosi a sua volta ai piedi del letto.
-Ovvio, perché sapevo che mi avreste rimesso in sesto in due giorni. - Rispondeva il più incoerente dei suoi Luogotenenti.
-Tre giorni, tanto per specificare. - Lo riprese l’uomo mostrandogli con le dita il numero appena proferito.
-Ah tre? Forte, me ne devo essere perso uno per strada. - Diceva questo facendosi pensieroso.
Lei sorridendo, disse: -Suzume e Azuma. -
L’uomo si voltò a guardarla con fare interrogativo.
Bolin sorrise compiaciuto dalla risposta, abbassando lo sguardo alle lenzuola.
-Tra gli uomini del nemico…- Riprese lei. –…c’erano i nostri infiltrati. Solo io, Bolin e il restante del gruppo Roku conosciamo il loro aspetto. Chiunque altro dei nostri uomini li avrebbe affrontati come si affronta un nemico, rischiando così di farci perdere questo nostro vantaggio. Senza contare che loro, come da ordine, non si sarebbero mai risparmiati in combattimento. Lo sai Varrick, il nostro Bo ha il cuore tenero, avrebbe mai permesso a quei due ragazzi di portarsi sulla coscienza l’essere stati costretti a ferire o, peggio ancora, a uccidere chi sapevano dalla loro parte? La posizione nella quale si trovano è già talmente dura così. -
-Capisco. - Disse l’uomo andando a incrociare nuovamente le braccia. –Voi eravate tra i pochi contro i quali avrebbero potuto combattere senza contenersi e sviare così eventuali sospetti su di loro. Oltretutto il nemico è a conoscenza che, se non è strettamente necessario, evitate di portare lo scontro a un esito mortale. -
Sia lei che Bolin annuirono.
-La ‘passerotta’ è riuscita a sfuggirmi… sapevo già quanto fosse veloce, ma ha dato il meglio di se in combattimento, riuscendo a bloccarmi a dovere proprio sotto i colpi incessanti del resto del gruppo Roku in mio appoggio, mollandomi lì, accasciato tra le braccia di Hayato, come un fesso. Azuma al contrario ha capitolato contro Korra, non esiste disonore nell’essere messo al tappeto dall’Avatar non credi? E ora è tra i prigionieri. - Disse Bolin sorridendo orgoglioso.
-Hummm… e questo è un bene o un male? Non riesco a capirlo. - Domandò l’uomo.
-Un bene. - Rispose la ragazza. –Avremo modo di parlare a quattrocchi con Azuma di quanto sta succedendo al fronte e… organizzarci con Iroh per mettere in piedi l’evasione… dobbiamo farla per benino o rischiamo che non ci caschino. - Ghignò sul finire della sua stessa frase all’unisono con il moretto nel letto.
 
Varrick era confuso. Sì, aveva messo insieme qualche pezzo che non gli quadrava, ma… seppure al corrente dei piani avviati fino a quel momento questa parte ancora non gli infondeva le giuste ‘vibrazioni’.
-Fatemi capire. - Disse Iknik. –Dopo tutta questa fatica volete liberare i prigionieri? Insomma capisco che vogliate rimandare il nostro uomo dal nemico, ma se riusciamo a tirar fuori qualche buona informazione dai soldati catturati, questi una volta fuori riferiranno quanto detto e il Fronte avrà tutto il tempo di riorganizzarsi. -
-Iroh. - Disse l’Avatar. –Ricordi il discorso di Iroh e la sua proposta? -
Varrick si portò nuovamente una mano al mento pensandoci sopra.
-Certo. – Disse, rammentando il giovane generale della Nazione del Fuoco mentre imbastiva quel discorso che metteva in risalto il buon lavoro dei due bloccanti del gruppo Roku, ma la loro impossibilità nel risalire la china per aver così accesso alle informazioni davvero utili. Per conoscere così non solo i comandi, ma i veri e propri intenti del nemico. Si lo ricordava!
-Bene. Ricordi quindi anche la lista di persone che ci ha proposto? - Continuava Korra.
Ancora Varrick annuì, talmente istintivamente all’inizio che nel momento in cui la realtà dei fatti prese reale forma nella sua mente non poté non sgranare gli occhi.
I due ragazzi davanti a lui sorrisero compiaciuti della sua reazione.
Iroh aveva proposto di infiltrare tra le fila nemiche, qualcuno a cui non avrebbero potuto negare il rispetto dovuto, qualcuno che potesse risultare incorruttibile anche alle astute manovre dell’Avatar e dei suoi uomini. Avevano trovato la persona che faceva al caso loro, ma necessitavano di opportunità e… adesso… eccola!
Varrick, sciogliendo l’intreccio della braccia, batté di scatto il pugno sulla mano, dicendo: -E’ geniale! Dobbiamo solo trovare il modo di mettere la nostra pedina nelle condizioni di riuscire a fuggire per prima e liberare gli altri. Questo metterebbe ancora più in risalto la sua devozione alla causa e… gli dovrebbero un favore. -
Gli altri due annuirono.
-Ottimo! - Un nuovo pugno sullo stesso palmo. Tutto finalmente ‘vibrava’ nel modo giusto… –Solo… la questione della fuga d’informazioni? Lo capite o no che è un problema? - …beh, quasi tutto.

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Capitolo 35
*** Cap. XXXV: Il Luogotenente - Prima Parte ***


Cap. XXXV: Il Luogotenente
- Prima Parte -


Lin sospirò profondamente poco prima di sedersi a quel tavolo di metallo.
L’accampamento a Yin era molto spartano e quando c’era bel tempo erano soliti mangiare all’aperto. Ci era già stata diverse volte in quei due anni di continua guerriglia e a differenza delle volte passate gli ingegneri militari avevano ampliato l’istallazione con diverse casupole in legno e pietra. Trovò ironico, ma non le riusciva certo di sorridere, pensare che per alcuni di quegli uomini quella era ormai diventata una seconda casa, tanto da impiantarvi costruzioni stabili.
Quella situazione aveva dell’assurdo, procedeva con una lentezza esasperante e ogni volta che sembravano aver la meglio e aver così ottenuto qualche progresso, accadeva sempre qualcosa che li rimandava in dietro più di quanto avevano creduto di essersi mossi verso la meta finale.
Yin si trovava proprio al centro di quel conflitto, ma il Fronte di Ribellione non si era mai spinto ad attaccarli frontalmente. Forse qualcosa stava cambiando… forse anche loro cominciavano a stancarsi dello stagnare in quello continuo stallo, impegnati come in una danza, un passo avanti, uno in dietro… ma sempre in definitiva fermi allo stesso punto, almeno così sembrava di primo acchito, ma… la verità era ben diversa.
Loro erano subentranti nello scontro quando questo nemico aveva già steso le sue mani sui territori più deboli ed esposti del Regno della Terra e loro stavano solo rallentando il loro procedere, ma erano lungi dal fermarlo e se ne erano resi conto da un bel po’ oramai, per questo erano importanti strategie nuove, nuove armi, nuovi uomini… uomini freschi.
“Uomini freschi, giunti dalle terre ghiacciate del Nord.”
Sorrise per forza all’involontario gioco di parole espresso nella sua mente. Anche per il suo pessimo morale quella sciocchezza era irresistibile.
Scosse appena la testa. Era per questo che l’ausilio delle truppe del generale Desna era fondamentale giunti a quel punto, e… di solito… a quel punto, proprio quando i suoi pensieri cominciavano a gravare maggiormente sulle sue spalle, facevano capolino quel grosso canepolare e il suo amichetto, giusto in tempo per portarla via dal suo riflettere e permettere alla sua mente di riposare un poco, trovandovi in effetti una sorta di valvola di sfogo, ma… a quanto sembrava, oggi avevano disertato al loro appuntamento.
Anche questo pensiero la fece sorridere, un sorriso malinconico, ma pur sempre un sorriso… abbassarsi a sperare nella compagnia di due insulsi animaletti per darsi pace. Ehhh! Stava davvero invecchiando.
-E’ permesso? - Qualcosa era arrivato comunque a quanto sembrava, ed essendo impossibile che le bestiole avessero in una sola notte ricevuto il dono della parola e, anche volendo supporlo, quella voce maschile era poco adatta a Naga e decisamente troppo bassa per appartenere al piccoletto dal manto rosso.
-Certo. - Si limitò a rispondere all’uomo che lei stessa aveva condotto in quel campo da alcuni giorni ormai.
“In tempo per l’attacco!” Pensò ironizzando, quasi la cosa le avesse fatto fare una brutta figura, ma… avevano vinto infondo, eppure… non se ne sentiva felice. Che c’era da ridere?
“La guerra è guerra da qualunque parte la si guardi.”
Il sorriso spavaldo che rivolgeva ai suoi sottoposti serviva solamente a tenere alto il loro morale, non certo il suo e in quel momento anche quella coscienza non riusciva a farla sorridere.
L’uomo dagli occhi azzurri piegò appena un angolo delle labbra, accomodandosi con il suo vassoio proprio davanti a lei.
L’odore delle esplosioni dei giorni passati ancora rendeva quell’aria ferrosa e bruciata, ma nessuno sembrava farci realmente caso.
Uno sguardo distratto alle pietanze che aveva l’uomo sul vassoio per poi dire indicando lo stufato di verdure: -Non ti consiglio di mangiarlo. So di gente che ci ha rimesso le penne! -
Il cuoco l’aveva buggerata una volta e… d’accordo che dovevano reintegrare liquidi, ma quella zuppa era talmente salata che non bassava tutta la riserva d’acqua di quell’avamposto per ripulirti poi la bocca.
-E’ così male? - Domandò con un tono piatto, ma tranquillo, l’uomo.
-Io ti ho avvisato. - Rispose lei ironica, mentre lo vedeva scrutare nella ciotola con fare improvvisamente sospetto.
Ling era questo il suo nome, o per meglio dire il nome che gli avevano dato per poterlo inserire nel sistema, visto che non era stato possibile sapere di più sul suo conto, tranne il fatto che fosse conosciuto dai più solo con l’appellativo di Luogotenente.
Già, il Luogotenente di Amon e lei lo aveva portalo lì, come era stato volere del suo Avatar.
Sorrise tornando a tormentare con la forchetta l’ultimo pezzettino di carota nel suo piatto.
-Alla fine hai trovato il coraggio di uscire dal tuo alloggio. - Disse all’uomo.
-Non era certo il coraggio che mi mancava, ben più la voglia. -
-La voglia? Credevo non vedessi l’ora di respirare aria nuova dopo essere stato segregato per anni nella prigione di Città della Repubblica. -
-Questo è vero. Ma una cosa è uscire, un’altra è essere costretto a sopportare gli sguardi saccenti di gente che giudica senza conoscere realmente i fatti. -
Lin alzò finalmente lo sguardo su di lui. Sembrava che il tempo non fosse passato per quel l’uomo: gli occhi freddi e tristi, i capelli neri cortissimi e quei baffi tipici della discendenza del Regno della Terra impiantata a Città delle Repubblica.
-Ancora non lo capisco. - Disse lei indicandolo con la forchetta che aveva in mano e tanto di carota infilzata.
L’uomo che stava per assaporare quella brodaglia immangiabile si fermò tornando a puntare quegli occhi chiari nei suoi.
-Perché hai cambiato idea. Mi ero ripromessa di non chiedertelo, ma…- Si interruppe vedendo il ‘Luogotenente’ posare sul tavolo il suo cucchiaio prima di incrociare le mani sotto il mento sorridendo sarcastico, appoggiato pesantemente sui gomiti.
-Rispondete prima a una mia domanda, volete? -
Lin si limitò ad annuire.
-Prima che voi arrivaste sedevo solo ad un tavolo in disparte. Io vengo tenuto a distanza perché considerato un ‘ex-nemico’, ma voi Capo Beifong che scusa avete? -
Lin si sentì pentita di aver acconsentito a quella richiesta, ma ormai lo aveva fatto ed era doveroso rispondere. Ammiccò un sorriso sospirando, poi disse: -Non è stato sempre così, non credere! Solo… con il tempo ho preferito mettere delle distanze tra me e gli altri. Nel mio lavoro, ‘Luogotenente’, la gente muore e per non esserne ferita di continuo ho preferito evitare di affezionarmi, semplice! -
L’uomo la fissava ancora. –E poi? -
-Poi… ho semplicemente perso l’abitudine di socializzare, tutto qui! -
-E siete pentita delle vostre scelte? -
-No. Pentita no, no di certo. Ho dei rimpianti, questo sì, ma chi non ne ha? Con la maturità di poi avrei probabilmente affrontato alcune questioni in maniera diversa, ma… avrei comunque fatto quello che ho fatto perché era giusto farlo, per uno scopo superiore per così dire…- Un sorriso questa volta sincero. -…anche se non per tutti è facile da intravedere. Soddisfatto ora? -
L’uomo difronte le annuì.
Lei gli aveva risposto mettendo da parte ogni remora perché in fondo quella era la parte di lei che tutti già conoscevano, la devozione alla causa.
-Direi di sì. - Rispose. –Ho cambiato idea a causa vostra, per le parole che avete rivolto all’Avatar, Capo Beifong. - Sciolse le dita, scorrendo con la mano e con lo sguardo sul bicchiere d’acqua mezzo pieno davanti a lui. Se lo portò alle labbra, ne bevve qualche sorsata per poi tornare a guardarla, mentre lo riponeva nuovamente sul tavolo. –Quando venni catturato e rinchiuso dietro le sbarre nove anni fa, mi aspettavo da voi un comportamento quanto meno similare a quello che vi avevamo offerto quando eravate voi sotto le nostre cure, invece… ricordo che diceste alle guardie di trattarmi con riguardo che in definitiva stavamo dalla stessa parte. Non capii subito il motivo di quelle parole. -
Lin si scoprì ad abbassare gli occhi sorridendo, forse in parte intimidita.
-Non me ne rammentavo. -
-E perché avreste dovuto. - Aggiunse riprendendo in mano il suo cucchiaio pronto ad assaggiare quell’obbrobrio verdeggiante sovrappensiero. Appena portato il contenuto di quel cucchiaio alle labbra l’espressione si fece disgustata e si affrettò ad afferrare nuovamente il bicchiere d’acqua per far sparire quel saporaccio dalla bocca.
Lin non riuscì a trattenere un risolino. –Ti avevo avvisato. -
-Credevo di trovarmi in una terra mineraria, ma di metallo, non di sale, accidenti! -
-Che dire, il nostro cuoco ha un idea tutta sua sulla distribuzione dei sapori a quanto pare. - Ironizzò lei.
Lui tornando serio e mettendo da parte la ciotola ‘avvelenata’, disse: -Non avete messo nemmeno un soldato di guardia alla mia tenda. -
-Perché, se tu volessi scappare da una struttura del genere ci sarebbe qualcosa che potremmo fare per evitarlo. Un conto è una prigione di massima sicurezza, un conto un paio di tende, non credi? -
Era una domanda retorica ovviamente, Lin ricordava bene quante volte si fossero scontrati con quell’uomo in passato, quanto fosse scaltro e tenace… inutile menar il can per l’aia.
-Voi avete l’Avatar. -
-L’Avatar non può essere dovunque e conoscere ogni cosa, lo sai meglio di me, ‘Luogotenente’. Piuttosto non mi hai ancora dato piena soddisfazione, o sbaglio? -
Un sorriso da parte dell’uomo che trovò finalmente appagamento in una prima forchettata di riso, per poi dire: -E’ vero. Per un po’ mi ero dimenticato delle vostre parole e quando vi presentaste con l’Avatar alla mia cella non mi sentivo certo molto collaborativo, ma la Custode dell’Equilibrio mi chiese di dormirci sopra prima di darle una risposta definitiva. -
-E tu ribadisti che non dovevi certo pensarci e aggiunsi qualcosa che suonava come… ‘Voi sporchi dominatori’. – Facendo volutamente una imitazione caricaturale della persona che aveva difronte.
Ancora l’uomo davanti a lei sorrise. –Vero e voi posando una mano sulla spalla dell’Avatar le diceste di andare. Alzando poi lo sguardo su di me continuaste: ‘Abbiamo lo stesso scopo, mi domando solo perché lui non riesca a vederlo. Rimanere rinchiuso qui non farà davvero la differenza’. A quel punto mi ricordai. Avevate già detto qualcosa di simile e mi trovai d’improvviso a riflettere sulla marmaglia che mi circondava in quel luogo: criminali sì, ma per la quasi totalità dominatori che avevano usato le loro capacità per danneggiare gli altri, dominatori o non-dominatori che fossero. E capii cosa volevate dire sin dall’inizio. Voi volevate giustizia, uguaglianza, proprio come me, ma differivamo nei metodi e nei natali. Ohhh… ci ragionai davvero per tutta la notte e al mattino seguente accettai la vostra proposta in cambio della libertà e del vostro impegno nel modificare le pene riservate ai dominatori macchiati di reati di profonda gravità con la perdita del loro dominio. Non credevo accettaste e invece…- Lasciò morire così la sua frase, gustando un nuovo boccone di riso.
Lei si limitò a riordinare le stoviglie e i piatti sul suo vassoio.
-Che meriti o colpe ha chi nasce con o senza dominio? Dovremmo difendere i più deboli dalle ingiustizie e non esaltarle…-
Un ghignetto da parte dell’uomo. –La devozione alla causa mi aveva accecato, ma non commetta l’errore Capo Beifong di pensare che le mie idee al riguardo siano cambiate. -
-Onestamente, spero che siano ‘Maturate’ e che tu abbia capito di aver confuso la devozione alla causa con la devozione all’uomo. -
Ling strinse la labbra amaramente al suo ultimo intervento.
-Oltretutto Raiko non è certo dispiaciuto all’idea di togliere il dominio a persone tanto pericolose e anche se lo fosse stato in questi anni ha perso ogni facoltà decisionale sul volere dell’Avatar. Korra non è più la ragazzina insicura che ricordi Ling. -
Lin si alzò con il suo vassoio in mano. –Se permetti! -
Un cenno del capo in risposta mentre quegli occhi azzurri erano fissi nei suoi. Si voltò appena sfuggendogli per andare, quando la sua voce intervenne ancora: -La tua devozione ti ha resa sola, la mia ha fatto di me un criminale. -
Un ghigno fu la sua risposta prima di andare a posare il tutto dove dovuto e muoversi per recarsi dove sapeva di trovare il resto degli organi di comando: l’infermeria, ovviamente, pensò divertita.
Ling non era a conoscenza che esistevano altri infiltrati oltre lui, rifletteva la donna. Se anche avesse tradito le loro aspettative passando al nemico, il danno sarebbe stato irrisorio, al contrario se avesse mantenuto la sua parola i vantaggi sarebbero stati immensi.
Gli avevano dato loro stessi un pacchetto di scarne informazioni e quel poco che aveva visto in quei giorni era stato solamente quanto il nemico in teoria già sapeva: chi era al comando e orientativamente di quanti uomini e di che mezzi potevano disporre. Tutto ovviamente molto aleatorio e per nulla compromettente.
Si fermò un secondo sull’uscio della camera dove sapeva trovarsi il giovane dominatore della lava. Le risa di Korra e Bolin le infastidirono piacevolmente i pensieri ed entro nella stanza sorridendo.

 
 
 

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Capitolo 36
*** Cap. XXXVI: Gli ultimi arrivati ***


Cap. XXXVI: Gli ultimi arrivati

 
Karol se ne stava seduto su quella sedia di legno mentre quei tre biondini commentavano ancora dopo giorni i fatti avvenuti.
Se ne stava silenzioso… in quell’edificio si stava molto meglio che fuori, soprattutto per uno come lui, abituato più al freddo che alle temperature torride di quel regno.
Aveva sempre immaginato un giorno di andare in un posto più caldo, ma così era decisamente troppo. E poi… diciamocela tutta, lui era uno dei quattro guardiani della Fonte Sacra, chi mai avrebbe solo lontanamente sperato che potesse allontanarsi tanto dal suo incarico, eppure… eppure la regina era la regina e ogni suo volere era un ordine per il popolo, lui compreso. E la sua Regina lo voleva lì, accanto al Generale Supremo del Nord.
Erano passati mesi da quando avevano assimilato la Tribù del Freddo eppure ancora non si abituava ai loro colori e ogni tanto, proprio come in quel momento, si perdeva a osservarli. Infondo non erano per nulla dissimili da loro né per stazza, né tanto meno per quel che riguardava i lineamenti. Chissà come mai in passato avevano fatto alla sua gente tanta paura… certo molti di loro erano veramente imponenti come quel Wakka che era lì con loro e alcuni avevano i lineamenti affilati e sottili, ma per il resto erano in tutto e per tutto figli del freddo proprio come lui.
Un sorriso gli si dipinse sulle labbra non visto e né tantomeno calcolato da quei tre ragazzi rumorosi.
“Rumorosi…” Questo valeva per Anak e Loki in quel momento, Wakka al contrario sembrava tranquillo. Aveva imparato che normalmente Loki e Wakka erano taciturni e schivi: anche se si trovavano tra di loro difficilmente perdevano tempo a parlare di sciocchezze come invece tendevano a fare Anak e Tark. Anak però non mancava mai di coinvolgere il fratello nelle sue conversazioni e lo stesso faceva con Tark nei confronti di Wakka. Questo avrebbe fatto pensare ai più che messi insieme, Anak e Tark, fossero una sorta di male incarnato, al contrario, quando questo accadeva i due sembravano perdere brio. Sembravano aver davvero molto poco in comune di cui parlare, seppure a differenza degli altri due era più semplice appassionarli in discussioni di qual si voglia tipo.
Desna glieli aveva affidati. Non gli piaceva fare la balia, ma pazienza, se era questo il volere del Generale.
Sospirò mantenendo il sorriso, tanto a quei tre di lui importava al pari di zero, per accorgersene.
Si voltò a guardare fuori dalla finestra.
Il suo generale gli aveva detto semplicemente di stargli accanto, loro erano lì indipendentemente dal resto dell’esercito del Nord, ma erano parte di un popolo rimasto isolato a lungo e temeva che tutte quelle novità potessero condizionarli negativamente e che, per quanto la loro presenza lì fosse stata per volere dell’Avatar, se fosse loro successo qualcosa la gente della foresta avrebbe incolpato i sovrani del Nord dell’accaduto.
Bolin forse aveva intuito qualcosa al riguardo e lasciava che sbirciasse gli allenamenti senza obbiettare minimamente al riguardo.
E infondo quale disturbo poteva dare?
Era addestrato a stare in silenzio, immobile e in disparte per ore.
Un nuovo sospiro nel guardare all’esterno l’aria afosa piegarsi accanto ai macchinari metallici.
La sua regina voleva che tenesse d’occhio il suo generale, il generale voleva che controllasse quei biondini e… quei biondini?
Chissà loro cosa volevano, probabilmente che sloggiasse e li lasciasse in pace.
-Ehi, è una mia impressione o oggi qualcosa non va? - La voce di Wakka lo fece sobbalzare e voltandosi lo trovò in piedi accanto a lui.
Anche gli altri due lo guardavano fissamente, ma… quando avevano smesso di chiacchierare?
-Cosa? - Si limitò a domandargli non capendo bene a cosa si riferisse quel gigante dagli occhi chiari.
-Non hai fatto altro che sospirare da quando sei qui. Ci dobbiamo preoccupare? - Domandò Loki, specificando.
-Ahh! No, no assolutamente. Non fate caso a me. - Rispose sorridendo verso i tre ragazzi.
Loki sembrò accettare la cosa con un’alzata di spalle.
-Come vuoi. - Aggiunse Wakka. –Ma hai combattuto al nostro fianco, ti dobbiamo molto. Quindi se qualcosa ti turba puoi parlarcene quanto meno ti daremo ascolto. -
-Sempre se a turbarti non fossimo proprio noi. Non deve essere divertente far da guardiano a un gruppetto di quelli che fino a poco tempo fa rientravano a pieno titolo nella lista delle creature da eliminare a vista. - Intervenne Anak.
Karol stava per intervenire quando Wakka disse: -Ho avuto modo di notare che tu sai combattere come loro. Intendo dire, come i soldati dell’Avatar e gli uomini blu. Lavorare di concerto, mentre noi… beh, siamo molto più individualisti, non è stato un caso che ci siamo affidati alle tue direttive quando ci siamo trovati in quel marasma. Così tanti uomini gli uni contro gli altri… è stato impressionante. -
-Vero. - Dissero all’unisono gli altri due.
-Forte, ma impressionante! – Aggiunse Anak.
-Per me è naturale, non dimenticate che sono uno di quegli uomini blu di cui parlate. Ci addestrano così, che ci volete fare? - Disse Karol sorridendogli.
-Ahhh! Pensa che prima di vederti all’opera credevo che fossi solamente il fidanzato della regina del Nord. - Disse a bruciapelo Anak, mentre stringeva l’elastico della corta coda di capelli.
-Già, vero! - Commentò Wakka, annuendo
-Infatti. - Costatò Loki, incrociando le braccia al petto.
-No. No. No. Macché? Cosa? Nooo! - Disse lui imbarazzandosi. –Come vi è venuto in mente, santo cielo! -
-Ahhh! E allora perché sei arrossito in quel modo? Ti piace la regina? – Ghignò Anak.
-Non c’è niente di male, è una bellezza. Un po’ freddina per i miei gusti, ma una vera bell…- Commentò Wakka interrotto da Loki: -Neanche a me dispiace a dirla tutta. –
-Già! - Ammiccò Wakka all’unico dei presenti con gli occhi gialli.
-Allora, fermi tutti! Non mi avete mai rivolto la parola se non per cose strettamente necessarie e adesso di punto in bianco vi preoccupate per me e della mia vita privata? Insomma… non mi sembra normale. - Prese la parola Karol. –E con Sua Maestà la Regina Eska siamo solo amici, né più, né meno. Quindi datevi una calmata al riguardo e dimostrate un po’ di rispetto per la vostra regina, accidenti! -
-Ahhh! - Commentò Loki.
-Credo di parlare per tutti i presenti se dico di non averti mai rivolto la parola solamente perché non avevo nulla di cui parlarti. Insomma sei un soldato blu, mettiti nei nostri panni e concedici un po’ di cautela al riguardo, oltretutto non è che tu sia stato un gran chiacchierone se vogliamo proprio parlarne. - Disse Anak con fare divertito.
-Abbiamo combattuto insieme. Il combattimento mostra il vero volto delle persone che ti sono accanto, non puoi avere maschere nell’immediatezza della battaglia. - Disse il ragazzo davanti a lui.
-E’ normale che qualche curiosità sul tuo conto ce la vorremmo togliere, insomma… ti abbiamo visto sempre o accanto alla Regina del Nord o al suo Generale ed entrambi sembravano non trovare fastidiosa la tua presenza, mentre al contrario gli sguardi che rivolgevano agli altri uomini che entravano nelle loro immediate vicinanze erano spesso irritati e scostanti. Anche le fanciulle al seguito del Principe Desna hanno sempre mantenuto una certa distanza, cosa che tu non hai mai osservato. - Lo informò Loki.
-Wow! - Esordì stupito Karol. –Accidenti! Wow! E dire che credevo di essere praticamente invisibile. -
-Comunque se siete amici, come dici, ha un senso. In pratica gli altri sono solo subalterni, giusto? Il loro ruolo è ufficiale, mentre il tuo è sentimentale… si, adesso mi torna tutto! - Disse Anak annuendo e incrociando le braccia al petto con fare soddisfatto.
-Ma quindi sei un guerriero o cosa? - Domandò Wakka ulteriormente.
Karol tardò un secondo a rispondere a quella domanda ancora stupito di quanto quei ragazzi apparentemente indifferenti avessero in realtà notato: -Non so che dirvi. Credo che mi tollerino, tutto qui. Credo di essere la persona che può vantare più anni di servizio al loro fianco. Al loro, non a quello del precedente sovrano, e penso che questo qualcosa conti in effetti. Mi piace pensare di essere loro amico, mi concedono spesso di parlare loro senza remore, ma da qui ad averne la certezza è tutt’altra cosa. E… sono un soldato Wakka. Uno dei soldati scelti dell’esercito del Nord, addestrato nel corpo e nella spiritualità dell’elemento che domino per essere degno di proteggere la Fonte Sacra. -
I tre rimasero un secondo in silenzio, poi Anak prese per primo la parola: -Certo però detta così è parecchio triste. Gli amici sanno di essere amici… così, bah! Non so… mi dispiace… era per questo che sospiravi? -
-Già… in effetti era per qualcosa del genere. - Rispose lui con un po’ di rammarico nella voce.
-Fammi capire, se sei a guarda della Fonte, non ti trovi un po’ lontano dal tuo incarico? - Domandò Loki.
-E’ vero anche questo. Ma sapete la regina mi ha voluto qui, al fianco del suo generale, ed eccomi! - Rispose ancora.
-Deve riporre davvero molta fiducia in te per affidarti suo fratello. - Constatò Loki.
Karol gli sorrise.
-Sei un soldato. - Esordì Wakka fuor di discorso. –Questo è! Ora mi è tutto chiaro. -
Karol e gli altri due ragazzi lo fissarono senza capire.
-Noi siamo guerrieri. - Continuò il più imponente dei presenti. –E’ questo! Dobbiamo diventare dei soldati, solo così potremo essere davvero utili all’Avatar. -
Il restante degli interlocutori si limitò ad annuire.
-E tu puoi darci una mano in questo, non è così? - Disse ancora il ragazzo.
-Si, penso di sì. Infondo è quello che sono, anche se… diciamocelo… dovreste prima imparare un pizzico di umiltà. Insomma… ho notato quanto a ognuno di voi piace essere al centro della scena. Sempre sperando poi che Bolin non se la prenda se vi do una mano. -
-E perché dovrebbe? Infondo tu sei sempre stato presente ai nostri addestramenti. - Intervenne Loki.
-Già, ma… centro della scena? Non siamo le prime donne di cui parli! Ehi… ‘Noi’ siamo disciplinatissimi! - Protestò Anak.
Karol stava per dire la sua al riguardo, quando la porta si aprì.
Tark entrò nella stanza esordendo con il suo solito sorrisetto beffardo in viso: -Come state signorine? Non siete stufe di fare sempre le prime della classe? Mi avete rotto con ‘sta storia che siete ammaccate. Quel perverso di un Bolin anche dal letto di morte mi ha costretto ad allenarmi e tutto solo soletto, affidandomi a quell’altro sadico di Hayato, ma… dico? Si fa così? ahhh! Ciao Karol. – Terminò sedendosi pesantemente sul letto vuoto di Wakka.
“Letto di morte?” Pensò Karol perplesso.
-Forse… - Riprese Wakka tornando a guardare il Guardiano della Fonte, mentre gli altri due fissarono malamente Tark. -…Un pochino… forse… lo siamo! – Imbarazzato, facendo segno di ‘poco’ con le dita, per poi scandire: - Ma. Mai. Quanto. Lui! - Terminò indicando alle sue spalle l’ultimo arrivato.
Karol sorrise in risposta, mentre nell’attimo immediatamente successivo la situazione vergeva nuovamente nel caos al quale era ormai abituato.
Si soffermò nuovamente a guardare quei ragazzi rumorosi, più rumorosi che mai ora che l’unico che mancava all’appello li aveva raggiunti.
La sua regina voleva che tenesse d’occhio il suo generale, il generale voleva che controllasse quei biondini e quei biondini volevano che li aiutasse a diventare dei soldati.
Ora sembrava aver tutto un senso… solo una cosa mancava ancora: lui… cosa voleva?
Sospirò tornando a guardar fuori dalla finestra.
Quel cielo limpido era proprio del colore dei ‘suoi’ occhi…
-Ehi, tutto bene? Come mai quel sospiro? - La voce di Tark, degno compare di quell’altro energumeno dagli occhi azzurri.
-Giustappunto…- Arrivarono all’unisono le restanti tre voci.
Sospirò nuovamente… -Ehhhh! Ma che stiamo all’asilo? - …che altro poteva fare?


-Cos’è l’asilo? – Domandava Tark mentre dalla porta lasciata socchiusa faceva capolino il bel visino dell’Avatar.
-Ragazzi, tutto bene? - Chiese la Fanciulla.
La stanza piombò nel silenzio notò il figlio dell’Orsa, mentre quella creatura del sud sorrideva loro stringendo quegli occhioni blu in un modo troppo adorabile per lasciar anche solo intuire chi si celava realmente dietro il suo aspetto.
I più annuirono… Anche lui annuì.
-Bene. –Continuò lei. –Tark? – Chiamò posando lo sguardo sul suo amico.
Lo sguardo del ragazzo sobbalzò. –Si? - Disse sorpreso.
-Com’è andato il tuo addestramento oggi? Mi ha detto Hayato che sembravi un po’ distratto. -
-Quello spione! - Disse a mezza bocca.
Wakka e il resto dei presenti restavano in silenzio osservando la scena e voltandosi di volta in volta verso chi dei due prendeva la parola.
Korra allargò il suo sorriso verso il ragazzo per poi aggiungere: -A dire il vero lo ha riferito a Bolin, ma dato che mi trovavo lì… -
-Ahhh, è ancora vivo? - Disse il leprotto meravigliato, incrociando le braccia. –Chi lo avrebbe detto, solo ieri sembrava in fin di vita! -
-Fa il patetico per non sgobbare, dopo un po’ ci si fa il callo, credimi! -
-Peccato, devo ammettere che dopo i primi allenamenti un po’ ci avevo sperato. Insomma, è un sadico quello, lo sai signora Avatar? -
“Impertinente!” Pensava Wakka inorridito.
Tark sembrava divertito.
Korra sembrava divertita.
-Certo che lo so. L’ho fatto luogotenente per questo, che credi? -
-Forte! Allora se divento antipatico e violento, fai luogotenente anche me? -
“Violento? Già lo sei. Antipatico? Sei sulla buona strada, amico mio!”
-Uhm… se ne può parlare! - Rispose la fanciulla ticchettando un paio di volte con l’indice sul mento guardando in aria.
-Ottimo! Allora comincia ad aggiungermi alla lista, signora Avatar. - Disse Tark più gasato che mai sollevando un pugno davanti al viso e stringendolo entusiasta.
-Dai Biondino! Molla il brunetto e questi moribondi e vieni a farti un giro con il tuo Avatar, forza! - Disse quella meraviglia strizzando un occhio verso quello sciagurato del suo amico.
-Ma… non lo so, sai? - Ebbe lo spudorato coraggio di dire quell’insulso essere all’Avatar in persona, sbuffando... oltretutto! –Sono bello stanco, quell’Hayato è un mostro, signora Avatar! -
A breve Wakka lo avrebbe mandato fuori lui e suon di calci nel didietro.
“Ha la fortuna di essere cercato dall’Avatar in persona e fa il cretino? Il cielo piangerà per questo! LUI piangerà per questo!” Pensò il giovane orso.
-Chiamami Korra e… non farti pregare. Forza, ti aspetto fuori! –
Possibile che la Custode se la ridesse, mentre voltandosi si avviava?
Possibile?
Possibile che gli concedesse la facoltà di chiamarla per nome?
-Fuori? Ma fa caldissimo, signora Korra! - Brontolò tirandosi comunque in piedi muovendosi verso l’uscio.
L’Avatar si voltò di scatto, questa volta furente!
Wakka si sentì gelare il sangue, mentre gli parve di vederle una vena pulsare irosa sulla tempia.
Un passo rapidissimo e afferrato Tark per il bavero, l’Avatar se lo tirò giù faccia a faccia.
–Chiamami Avatar, chiamami Korra… ma chiamami ancora ‘signora’ e ti mando a fare compagnia ai tuoi amichetti, intesi?! -
Questa volta il leprotto scattando sull’attenti esordì mostrando finalmente un po’ di rispettoso timore: -Si Korra! Certamente Korra! Come vuoi Korra! -
In un attimo l’Avatar ritrovò il sorriso, mollando la presa e, con un colpetto d’assestamento, spolverandogli la divisa disse nuovamente dolcissima: -Bravo ragazzo, seguimi! -
Appena la ragazza varcò la soglia, Tark voltandosi verso di loro disse soffusamente, prima di uscire: -A volte quella brunetta fa paura! -
-Solo a volte! - Si lasciò sfuggire Wakka a denti stretti, ancora madido di sudore lui al posto del suo amico, mentre la porta alle spalle dei due si chiudeva.
–Tu mi fai paura a volte, Tark. Ditemi, perché lo frequento? - Aggiunse colpendosi il viso con una manata.
-Ahhh, non guardare me! - Disse Loki. –E’ amico tuo quello! Io con questo ho la scusa che è mio fratello… - Indicando il minore dei figli del Lupo.
-Ehi! - Disse Anak guardando malissimo il fratello maggiore. –Guarda che neanche io ti ho scelto, bello! Mi sei capitato! -
Karol non parlava, ma il suo volto perplesso la diceva lunga.
-Non è un cattivo ragazzo! - Si sentì di giustificare l’amico. –Si farà ammazzare prima o poi, è sicuramente un po’ fuori di testa e il suo senso del rispetto fa un po’ desiderare, certo, ma… non è un cattivo ragazzo, giuro! –
Ma a chi voleva darla a bere, era pessimo!
Eppure… era lì a difenderlo…
Perché… era sì una pessima lepre, ma una pessima lepre con un grande cuore e lui lo sapeva bene.
 
La loro Avatar era davvero una tenerona, pensava Tark, mentre cercava di rincuorarla. Era preoccupata che essendo il più giovane presente fosse scioccato dagli eventi accaduti: in definitiva, diceva, lui aveva visto i suoi compagni in un lago di sangue, ma… quante altre volte era già capitato?
Quante altre volte si erano scontrati con gli uomini blu?
Almeno questa volta erano tutti vivi.
No, non era questo che lo preoccupava!
Sorrise spavaldo come al solito.
-Già! Ed io che speravo di essermeli tolti di torno una volta per tutte, ma niente! -
Lei gli sorrise.
-Dai, non fare il duro con me? Cos’hai? - Domandava ancora.
Cosa aveva? Ahhh… se davvero avesse potuto parlargliene!
-Perché ti interessa tanto? È strano…- Disse guardandola. –Tu, Korra, sei l’Avatar. Che ti importa di uno come me? Avrai sicuramente cose più importanti a cui pensare. -
Quella che voleva essere una semplice battuta non scaturì l’effetto desiderato.
La vide incupirsi e abbassare il capo.
Poi la sua voce gli arrivò dispiaciuta: -Vi ho trascinato io qui. Siete una mia responsabilità! -
Ok… una ragazza triste era troppo da sopportare per lui, anche se era l’Avatar… maggiormente se era l’Avatar… in effetti!
-Ho rischiato di morire. Tutto qui! - Poteva essere anche uno sfrontato a volte, ma non voleva certo che la loro Avatar continuasse ad avere quel musetto sofferente. –Sai Korra, ho fatto una promessa. Ho promesso di tornare vivo al mio villaggio e… per una frazione di secondo, durante la battaglia, ho temuto di non poter mantenere quella promessa. -
La brunetta dalla pelle scura lo guardava ancora dispiaciuta.
-Sai, non è il morire di per se, ma… se fosse successo, quella persona a cui ho promesso di tornare avrebbe pianto! Non voglio farla piangere, solo questo! -
-Solo questo? - Ripeté lei.
-Già, solo questo, nulla di veramente importante infondo, quindi stai tranquilla e… togliti quell’espressione triste dal viso. Poi chi lo sente quel bacchettone di Wakka se scopre che ho fatto piangere l’Avatar? -
Lei scuotendo il capo, disse: –No, non intendevo… non è ‘solo questo’, quanto mi hai detto non è poco, anzi! E non dire che non è importante, se ti da pensiero deve essere per forza importante e… Non esiste che io mi metta a piangere per te, ragazzino, non ci sperare! -
Terminò dandogli un colpetto su una spalla con fare divertito.
Un breve silenzio, per poi riprendere, dicendo: -Vediamo allora di mantenere questa promessa, ok? Sai, Tark, anche io ho promesso di tornare… di tornare ogni volta. Troppo spesso però mi sono sentita sopraffatta dalla situazione e sperare per un attimo di farla finita, ma… quella promessa mi ha sempre tenuta con i piedi a terra, concentrata sul mio obbiettivo. Fai in modo che anche per te sia questo: un obbiettivo, non un obbligo e vedrai che potrai solo trarne forza, perché, se ci pensi bene, c’è qualcuno che ha fiducia e crede in te anche quando tu stesso non riesci più a vederti sommerso fin sopra la testa nelle brutture della vita e… chi siamo noi per deluderli? -
-Già… chi siamo? - Quell’Avatar era riuscita a commuoverlo, sciocca Avatar! Eppure… aveva ragione. Era l’Avatar ovvio che avesse ragione, ma…
-Beh, tu almeno sei l’Avatar! -
Lei gli sorrise.
-Già. Così dicono! - Rispose con falsa non curanza, per poi aggiungere tornando gentile: -L’Avatar, Tark, è un simbolo, ma io non sono solo questo. Sono una persona come te e i tuoi amici e come tale ho anche io i miei affetti, i miei desideri. -
-Cavolo però… così è tosta! - Si lasciò sfuggire. –Come fai a mettere d’accordo tutto? -
-A volte ci riesco, a volte no! Comunque ci provo, questo è l’importante! - Disse guardando in alto assumendo un fare spensierato.
-Non ci credo che tu non riesca in qualcosa, sei l’Avatar, non prendermi in giro! -
-Credi? Allora ti sfido ad assaggiare le mie prugne di mare? - Disse assottigliando lo sguardo minacciosamente.
Qualcosa in quel momento, forse un presentimento o chissà, gli suggerì che l’Avatar fosse una pessima cuoca.
-Non so perché…- Disse con un fremito nella voce. –…Ma credo che rifiuterò l’offerta. Grazie. -
La vide cambiare repentinamente espressione e scoppiare a ridere.
Se ne sentì rincuorato.
-Sono felice che tu e i tuoi amici siate dei nostri. Mi piacete un sacco e vi prometto che tornerete a casa! - Disse alzandosi e strizzandogli un occhio.
-Ahhhh! Troppe promesse! - Disse con fare divertito portandosi entrambe le mani tra i capelli. –Rischio di uscirne matto! -
Ancora lei sorrise. –Ora però…- Disse.
-Devi andare, immagino. -
-Già! -
-Sei l’Avatar, strano che ancora non ti siano venuti a cercare. -
-Vero. - Disse in un sospiro, sorridendogli ancora. –Ricorda la tua promessa e io ricorderò la mia, ok? Ci conto. -
Lui annuì e lei dopo un secondo di silenzio si allontanò senza fiatare.
La vide andare: qualche passo, prima di infilarsi le mani in tasca e cominciare a fischiettare…
“Ahhh! Strana forte la nostra Avatar!” Pensò divertito, ma era bello averla come Avatar.
Era strana, ma decisamente un bel tipetto, forte, fuor d’ogni dubbio.
Era davvero l’Avatar di tutti che diceva la vecchia Hula… tanto da preoccuparsi anche di quelli come lui.
Sentì il desiderio di ridere e rise… rise da solo su quella panca di metallo.
Chissà poi perché quasi tutto lì era di metallo.
Un metallo che quel sole rendeva rovente e insopportabile eppure… eppure aveva di nuovo voglia di ridere di cuore.
Quell’angoscia che si portava dietro, da prima di partire lo aveva finalmente abbandonato, ma accidenti… quante volte ti può capitare nella vita che l’Avatar si paragoni a te e riuscire addirittura ad uscirne a testa alta? Quante volte può capitare anche lontanamente che l’Avatar possa perdere il suo tempo a parlarti?
No, era fuor d’ogni dubbio, lui non sarebbe morto, non in quella guerra almeno, aveva una promessa da mantenere e l’avrebbe mantenuta, oltretutto aveva l’Avatar come guardia del corpo!
Le risa lo scossero ancora più violentemente…
“L’Avatar come babysitter, in quanti possono dir lo stesso?”
Poi calmandosi finalmente e portando una mano ad asciugarsi gli occhi umidi tanto le risa lo avevano travolto… “Ahhh! Michi, devo tornare almeno per raccontarti questo.”
Sorrise, alzando lo sguardo a quel cielo troppo bello per aver assistito solo pochi giorni prima ad una battaglia talmente cruenta da impensierire addirittura la loro Avatar.

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Capitolo 37
*** Cap. XXXVII: Il Luogotenente - Seconda Parte ***


Cap. XXXVII: Il Luogotenente
- Seconda Parte -


 
Il suo principe e il suo Comandante lo avevano avvisato, pensava Azuma, eppure… Quando quell’uomo aveva sciolto le corde che legavano lui e gli altri in quella sorta di cella in cui erano rinchiusi non poté non notare il suo sguardo… Si era assottigliato nel suo e aveva ghignato in modo inquietante. Lui non doveva sapere chi fosse, questo gli avevano detto…
Lo fissò dal resto del gruppetto malandato di superstiti di quella fuga. L’uomo conosciuto come il Luogotenente di Amon stava infuriando contro uno di quelli che sapeva essere stato insieme a lui parte del movimento equalista. Quell’uomo aveva liberato anche i dominatori rinchiusi con loro e il Luogotenente si era visto da subito contrario e quel momentaneo ‘Si fidi di me, signore!’ proferito con devozione durante l’evasione se poteva essere stato sufficiente a lasciare che quegli occhi di ghiaccio gli ringhiassero un ‘fai quello che ti pare, ma muoviti’ ora non sembrava più bastare.
Quelli che una volta erano bloccanti al suo servizio erano stati costretti a bloccarlo quando, appena fuori dalla zona di pericolo, in tutta risposta aveva rapidamente reso impotenti i dominatori liberati, intimando agli altri di lasciare lì la zavorra.
Si trovavano diversi chilometri a sud dell’accampamento dell’Avatar, tra i grandi massi che segnavano il confine di quel territorio e l’inizio delle montagne rocciose e dei suoi boschi.
-Cosa vuol dire che sono vostri alleati! - Inveiva l’uomo, mentre riprendeva il controllo delle sue movenze prima di quanto avrebbe dovuto.
-Si calmi la prego, si fidi di me. Arrivati all’accampamento le sarà tutto chiaro. - Diceva l’altro con palese sul suo volto il dispiacere di trovarsi a deludere una persona che indubbiamente stimava.
-Allora è vero quello che dicevano. Davvero state lavorando con i dominatori, voi…-
-La prego! - Disse ancora l’uomo inginocchiandosi. –Sono successe molte cose mentre lei non c’era, si fidi di noi Luogotenente. -
A quel gesto di sottomissione quell’ufficiale ferito sembrò perdere baldanza. La sua espressione era dolorante, malgrado non mostrasse danni fisici. Scivolò con lo sguardo sugli altri bloccanti presenti e tutti abbassarono il capo tra la sottomissione e il dispiacere.
Fissò anche lui e Azuma non tardò a mimare lo stesso gesto.
Sospirò pesantemente. Poi con voce rammaricata e bassa chiese: -Siamo molto lontani da questo accampamento? -
-No signore. - Disse l’unico dei presenti che aveva mostrato il coraggio di affrontarlo direttamente.
-Sono stanco e deluso. Forse avrei fatto meglio a farvi marcire nelle tende dell’avamposto dell’Avatar come i cani dei dominatori che siete diventati. - Il tono non era cambiato. –Avete perso la via, ma sono stanco! Riprenderemo questo discorso una volta giunti a destinazione. -
I più annuirono, mentre l’uomo facendo cenno al ribelle in terra gli chiedeva di mostrargli la strada.
Si avviarono sorreggendo i dominatori ancora inermi e lo stesso fece anche Azuma.
Sui volti dei bloccanti presenti era chiaro il segno di quel colpo subito.
Quell’uomo… sapeva chi erano i bloccanti e chi i dominatori, pensava l’infiltrato dell’Avatar. La sua percezione del Chi era talmente profonda da distinguere le energie emanate dai presenti quasi al pari dei saggi dell’isola Bhanti. Questo lo rendeva molto più pericoloso di quanto potessero immaginare, ma possibile che all’epoca non si fosse reso conto che Amon era un dominatore oppure… in questi anni aveva approfondito le sue abilità?
Il ragazzo riteneva più probabile la seconda ipotesi. Era fuor di ogni dubbio che quell’uomo avesse trovato un modo per occupare appieno quei lunghi anni di prigionia e in cuor suo, visto tutto l’astio che dimostrava verso i dominatori, sperava sinceramente che fosse stato mosso da semplice noia e non dalla bramosia di vendicarsi.
“Speriamo di non aver liberato un nuovo nemico. In questo momento sarebbe insostenibile per le nostre forze se riuscisse a creare un altro fronte nemico.” Pensò, tornando a guardare l’uomo che accanto a chi indicava la via da seguire apriva la fila.
“Spero davvero spiriti che la sua scenata sia servita sola per non dare modo ai presenti di fare domande e portarlo direttamente a destinazione, altrimenti… siamo nei guai!”
 


Erano arrivati. Avevano camminato per tutto il resto della notte ed era ormai quasi sera, ma erano giunti in quello stesso avamposto da dove era partito l’attacco che li aveva visti cadere prigionieri delle forze dell’Avatar, rifletteva Azuma.
Tra i fuggitivi c’era stato un gran parlare dell’uomo che li aveva liberati e del perché fosse lì, ma appena le chiacchiere si alzavano di volume bastava uno sguardo di quello stesso uomo dagli occhi azzurri per far quietare ogni ardore, soprattutto se a parlare erano dominatori. Era stato ben chiaro da subito che non li vedeva di buon occhio e già si sarebbe liberato volentieri di loro una volta quindi perché rischiare più del dovuto?
I presenti erano stanchi, molti feriti, altri irritati verso quell’uomo ostinato, ma nessuno era uno stupido.
Il dominatore al suo fianco si lasciò sfuggire: -E’ una mia impressione Azuma o voi bloccanti siete più devoti a lui che alla nostra causa? -
Ovviamente lui non rispose, limitandosi a un sorrisetto di convenienza, ma era vero: da quando quell’uomo era apparso le priorità dei non-dominatori presenti era immediatamente cambiata. Quell’uomo possedeva una presenza forte e carismatica anche se probabilmente non al livello di quello che era stato Amon… almeno da quel che sapeva dei fatti accaduti all’epoca, ma lui… all’epoca, appunto, aveva appena 12 anni e se ne stava tranquillo sulla sua isola a studiare per diventare un saggio esperto nella conoscenza dei Chi e della guarigione, che perdeva ogni suo momento libero a giocare con i bisonti volanti e sperare di diventare un giorno un grande sciamano del suo popolo.
“Ironico, da monaco a guerriero!” Penso distraendosi come non avrebbe dovuto data l’importanza di quanto accadeva. Una frazione di secondo, non di più, ci avrebbe giurato sopra la sua stessa vita, eppure… quell’uomo dalle fattezze miste, teneva per il bavero una veste rossa che aveva probabilmente solo azzardato a rivolgergli la parola.
-Chi diavolo sei tu? Feccia! - Dichiarava gettando via quel dominatore quasi fosse uno straccio da terra, bloccato nell’utilizzo del suo corpo dal collo in giù senza neanche quasi accorgersene e… fortuna che non era armato… ma un Chi soldier ha davvero bisogno di armi?
Nel secondo immediatamente successivo, in quell’avamposto, una decina di altre vesti rosse accorsero a far cerchio attorno a l’uomo in terra che portava ben chiare le lustrine da tenente.
Un attimo e alle spalle del Luogotenente altrettanti bloccanti si schierarono pronti a intervenire.
“Loto Rosso verso bloccanti. Dopo questa posso dire di averle viste tutte!” Ironizzò dentro se stesso sdrammatizzando i fatti e muovendosi anche lui a favore dell’uomo dagli occhi azzurri.
Un ghigno di questo nel volgersi appena verso i suoi uomini.
Quel dominatore aveva avuto ragione, le parti si stavano riorganizzando e se pure stremati quei bloccanti sapevano come far fronte a quelli che avevano difronte. Loro erano semplicemente uomini addestrati, ma quelli dinanzi a loro senza il loro dominio erano solo uomini… solo questo!
Un ghigno ulteriore del Luogotenente mentre i suoi muscoli si flettevano pronto a scattare, nel momento stesso in cui anche Azuma si rendeva conto che i Dominatori del metallo presenti e quelli dell’Acqua rimanevano immobili a osservare la scena.
 “No, non sono il fronte unito che vogliono mostrare all’esterno!” Un pensiero fugace, un lampo, non di più… e no, non lo erano, soprattutto se qualcuno rispolverava in una singola delle parti quei valori che li avevano portati a lottare.
Un battito di mani proprio dopo quel primo rapido passo, bloccò i loro intenti.
E mentre l’aria si svuotava dalle invettive e quel battito risuonava instancabile, il generale di quel corpo di armata si muoveva verso il nuovo arrivato.
-Ottimo, vedo che non avete perso il vostro temperamento. Voi dovreste essere quello che chiamano Luogotenente, giusto? Ho sentito molto parlare di voi in passato, ma era un po’ che non avevamo vostre notizie, credevamo che fosse passato a miglior vita. -
L’uomo dagli occhi di ghiaccio ergendosi in tutta la sua statura si voltò fissando il nuovo arrivato negli occhi.
–Spiacente di deludere le vostre aspettative, ma sono ancora vivo e vegeto come potete vedere. -
-Non le deludete affatto. Anzi. Ho sentito molto parlare di voi, come ho detto, e ho sempre ritenuto che il vostro appellativo non vi rendesse merito. Eravate sicuramente più di un semplice maresciallo al servizio di Amon, eppure…-
Il ghigno sul volto del grosso bloccante interruppe il dire dell’uomo.
-Bene. Sapete chi sono, ve ne do atto, ma a quanto pare in questo avamposto se pur dimostrate di conoscere i gradi militari mancate di rispetto e cortesia, senza contare che state solo rimandando l’inevitabile. Credetemi. Il tempo di sistemare questi debosciati dalle tuniche rosse e io e i miei uomini toglieremo il disturbo, sempre che non vogliate anche voi rischiare una pessima figura davanti i vostri subalterni. -
Il generale assumendo un’espressione dispiaciuta, disse: -Avete ragione, dove ho la testa. Tutta l’euforia di vedervi di ritorno che non mi sono ancora presentato. Il mio nome è Hēi Wūyā e sono il generale responsabile di questo avamposto e come tale quelli che definite i vostri uomini sono anche i ‘miei’ uomini. Ma posso capire la confusione, siete rimasto fuori dai giochi per lungo tempo, quindi… prima di perseverare in quello che potrebbe rivelarsi un grosso errore lasciate che vi spieghi, poi deciderete con calma cosa fare e chi umiliare. Non siamo vostri nemici, credetemi e giunti a questo punto non credo che qualcuno vi corra dietro, non credete? -
Il tono accondiscendente del Generale mascherava solo la sua sicurezza di trovarsi difronte un individuo potenzialmente destabilizzante se non assecondato, ma anche un’immensa risorsa se quanto detto sul suo conto fosse risultato veritiero. L’altro annuendo lentamente senza perdere il suo ghigno…
–Parliamo allora! - Disse, mentre i bloccanti alle spalle del Generale che non erano stati catturati in quell’attacco, già come mostrava ogni loro singolo muscolo si erano schierati pronti a ubbidire al loro vero ‘padrone’. Cosa che ovviamente il Generare Wūyā non aveva notato, ma che ad Azuma stava facendo tremare lo stomaco.
Se il Luogotenente era pronto ad attaccare tutti i presenti che sapevano chi fosse erano pronti a seguirlo senza remora alcuna, se al contrario era pronto a parlare i loro animi si quietavano.
Impressionante e spaventoso… persino per un uomo dell’Avatar quale lui era. Probabilmente i suoi superiori non si aspettavano tanta devozione oppure si fidavano davvero di quell’uomo, Ma lui… sicuramente non era tranquillo!
Erano momenti come quello che gli facevano rimpiangere la scelta di aver mollato il tempio di Bhanti per seguire i suoi ideali… non che se ne fosse mai pentito, ma a volte l’idea di una vita spensierata nella terra che aveva dato i natali al primo Avatar passava improvvisamente da mortalmente noiosa a terribilmente allettante.
Un ghigno in viso non tardò a mostrarsi mentre per l’ennesima volta si era perso parte del discorso…
“Sono davvero un pessimo infiltrato a volte!” Si rimproverò pur sapendo che non era così. Era la stanchezza della notte passata a camminare, della fame ancora non saziata e tutta la tensione accumulata in quelle ore al seguito di quell’uomo per lui sconosciuto che non gli dava le certezze che avrebbe sperato.
Probabilmente il Generale aveva chiesto il nome dell’uomo con cui parlava perché la prima cosa che udì fu’ la risposta dell’uomo con i baffi: -Luogotenente va più che bene. -
-Bene allora, ‘Luogotenente’, per farvela breve, le persone qui riunite hanno tutte un unico nemico e sconfitto quel nemico potranno dedicarsi ai loro reali intenti, ma fino a quel momento si adoperano gli uni per gli altri per non soccombere. -
-Quindi se ho capito bene, questa è una cooperazione momentanea per annientare l’Avatar e i suoi uomini…-
-Ritagliandoci per noi il giusto spazio di territorio che ci necessita per poter adempiere ai nostri progetti. -
-Dopodiché ognuno è libero di scannarsi come meglio crede. -
-E’ un modo di vederla. Io preferisco pensare che una volta che l’Avatar rinascerà nel regno della terra, noi del Loto Rosso potremo plasmare la sua identità per il bene dell’umanità e con lui creare un mondo privo di diversità e d’ingiustizie. -
“Che poi è quello che si Prefigge anche l’attuale Avatar se questi tizi glielo lasciassero fare.” Pensò Azuma divertito della follia dei loro intenti e della loro più totale cecità. Convinto che nella realtà dei fatti, tante belle parole nascondevano solo il desiderio dei più di guadagnare potere o forse… forse erano solo pazzi… solo questo.
-O per dirla come più vi aggradisce, Luogotenente, ognuno dei nostri movimenti è un nemico più semplice da battere per l’Avatar e i suoi uomini, ma insieme siamo quantomeno inarrestabili. - Terminava il Generale.
Il Luogotenente lo fissava adesso decisamente più serio di quanto visto fino a quel momento: gli occhi stretti puntati sul volto dai lineamenti del fuoco di quel Generale ribelle.
-Chi siete? - Domandò in un soffio, lasciando intendere che forse se ne potesse parlare realmente.
-Voi, i superstiti del movimento Equalista. - Disse indicandolo, poi portandosi una mano al petto… -Noi, i discepoli nascosti del Loto Rosso. - Poi indicando uno dei dominatori dalla pelle scura… -I Dominatori delle terre del Nord che si sono visti strappare i proprio domini al sud per opera dell’Avatar e… per finire…- Indicando gli uomini dai tratti del regno della terra. -…I soldati ancora fedeli all’idea di unificazione di Kuvira. Insieme siamo il Fronte di Liberazione. Liberi dal predominio degli uni sugli altri, dei potenti sul popolo, dalle azioni di un’Avatar incosciente nella speranza di unificare questi territori nella giustizia. -
-Parli troppo per i miei gusti, ma… non nego di trovare parti del tuo discorso allettanti. Gli uomini che sono giunti con me sono stanchi, feriti e affamati. Per il momento deporrò l’ascia di guerra in vostro favore, ma ne riparleremo appena questa situazione si potrà dire risolta. - Concluse indicando i ‘suoi’ uomini.
L’altro uomo annuì facendo cenno di occuparsi dei fuggitivi, per poi tornare a posare gli occhi sul Luogotenente di Amon e domandare: -Toglietemi solo una curiosità: dove siete stato in tutti questi anni? -
-In una prigione segreta di massima sicurezza a Città delle Repubblica. - Rispose senza scomporsi di una virgola.
-Oh, e come mai vi trovavate da queste parti? - Disse l’altro assottigliando maggiormente lo sguardo.
-L’Avatar mi ha proposto di lavorare per lei in cambio della libertà. - Dichiarò tranquillamente con un’alzata di spalle divertita al riguardo.
Azuma si sentì morire dentro mentre un dominatore dell’acqua gli faceva cenno di seguirlo… il piano non era questo, lui era lì per essere interrogato dall’Avatar sul modus operandi dei Bloccanti, questo aveva stabilito il Generale Iroh… cosa stava succedendo?
-E voi avete accettato immagino. - Domandò ancora il generale senza cambiare espressione.
-Ovviamente. Quale occasione migliore per poter sfuggire da quell’insulsa ragazzina e dai suoi piani strampalati? - Ancora impassibile.
-Probabilmente anche io avrei fatto lo stesso! Me ne compiaccio. Spero vogliate unirvi a me per la cena in modo da discutere più approfonditamente di quanto abbiamo in comune. -
-Non corra troppo Generale. - Disse abbassando e scuotendo il capo senza abbandonare il sorriso. –Prima voglio sapere chi sono questi ragazzini che vestono i panni da bloccante. -
-Ragazzini? - Ripeté in domanda l’altro uomo senza capire immediatamente.
L’uomo in risposta indicò Azuma e altri bloccanti li presenti compresa la giovane Suzume.
Immediatamente il generale blocco l’incedere dell’uomo che accompagnava Azuma con un cenno della mano attendendo una risposta alla sua richiesta.
Il ragazzo si sentì gelare il sangue.
-Questi mocciosi non possono far parte del movimento Equalista all’epoca saranno stati poco più che bambini. – Disse il Luogotenente.
-Giusta osservazione e ho una giusta risposta per voi. Vedete, molti sono figli e allievi di quelli che hanno combattuto al vostro fianco. -
Il Luogotenente assottigliò maggiormente lo sguardo.
“Ora capisco il perché di quel ghigno mentre mi liberava.” Pensò Azuma.
-Comprendo e scusate ancora il mio ardire, Generale, ma…- Non fosse stato così preoccupato, Azuma avrebbe detto che il Luogotenente stava mostrandosi volutamente propositivo nei confronti dell’altro uomo per garantirsi la sua fiducia. -…sono stato il primo a essere istruito nell’arte di bloccare da Amon e in seguito ho addestrato quelli che avrebbero avuto successivamente l’onore di preparare le truppe equaliste e ho sempre avuto premura di far imprimere nella mente di quegli uomini il giusto modo di esprimersi qualora avrei chiesto conferma della loro identità. Spero quindi non sia un problema per lei che io mi premunisca di controllare di persona le referenze di questi soldati. Sa... dopo nove anni dietro le sbarre non ho tutta questa voglia di finirci nuovamente, credo che comprenda. -
-Comprendo benissimo e se può farle piacere…- Lasciò cadere volutamente la frase mentre il Luogotenente percorrendo un percorso in linea retta che comprendeva molti dei bloccanti più giovani compreso Azuma riprendeva a dire: -Sono sempre stato molto attento. Qualcuno potrebbe addirittura dire ‘paranoico’, ma la mia devozione alla causa mi imponeva di affidare il destino del nostro futuro nelle mani di uomini capaci. Ho sempre voluto conoscere ogni singolo nome dei miei sottoposti, ogni viso. Quello che poteva essere sconosciuto ai miei soldati non doveva esserlo a me quindi… Ragazzo. – Disse bloccandosi davanti uno dei più giovani. –Tu chi sei? -
Prontamente il ragazzo rispose: -Shunrei, allievo e figlio di Ruiko, addestrata da Anok vostro allievo Signore. -
-Ben fatto. - Disse l’uomo compiaciuto. –Salutami tua madre, ho buoni ricordi sul suo operato. -
-Potrà farlo lei appena vorrà, Signore, è in questo avamposto insieme a noi. - Aggiunse il ragazzo.
-Oh, lo farò con estremo piacere. Sono convinto che ti comporterai al meglio per seguire la causa. -
Tutto era silenzio.
Il Luogotenente si mosse ancora bloccandosi difronte ad Azuma.
-Noi siamo giunti qui insieme, dimmi, chi sei? -
Azuma trattenne il desiderio di deglutire a vuoto e ripeté come era stato istruito: -Azuma, allievo e figlio di Kyo e Ayoshi, addestrati direttamente da voi Signore. -
L’uomo assottigliò maggiormente lo sguardo. I due uomini che aveva nominato erano sì facente parte dell’esercito di Amon, ma il loro aspetto era quello della tribù dell’acqua che poco collimava con i suoi tratti di fuoco.
-Kyo e Ayoshi avevano solo due figli maschi, Harlok e Kariq, la loro sciagura. -
Ricordava anche i nomi dei figli, assurdo!
Prontamente rispose: -Sono il terzo genito, Signore! -
Sorrise socchiudendo gli occhi con un fare compiaciuto che ad Azuma fece sudare freddo, poi…
-Sai, in questi anni ho avuto modo di dividere la cella con il buon vecchio Kyo e amava parlare lungamente dei suoi figli, era dispiaciuto che nessuno di loro andasse a trovarlo, dovresti rimediare quanto prima, non credi? - disse.
-Credevo fosse morto, Signore. -
-No, non lo è, ma certamente se si trova come mi trovavo io in una cella di massima sicurezza in una prigione segreta è normale che tu lo pensassi. Ma risolveremo, troppi dei nostri sono in quel carcere. - Concluse per passare oltre, lasciando intendere parte dei suoi progetti futuri… possibile che se l’era scampata così facilmente?
-Nove anni. - disse ancora fermandosi difronte a Suzume. –Nove anni e, malgrado le proposte fattomi dall’Avatar ei suoi scagnozzi, non ho mai rivelato un solo nome degli uomini che comandavo. Mai. E sai perché ragazzina? -
-No, Signore. –
-Perché non ho mai messo me stesso davanti quello in cui credo e credono i miei uomini. Perché poco contava il mio sacrificio se loro erano liberi per continuare la nostra missione, quindi… dimmi ragazzina, tu, chi sei? -
Quell’uomo in quella scena plateale stava riaffermando la propria posizione, pensò Azuma, non potendo trattenere una sensazione di ammirazione sul suo operato se pur sapeva che non collimava con gli ideali per seguiva il Custode. 
-Suzume, allieva e figlia di Ayame, addestrato da Anok, vostro allievo, Signore! -
L’uomo davanti a lei sorrise socchiudendo appena gli occhi.
-Ayame, mi ricordo di lui, ha poi risolto quel suo problema di pelle? -
-Si, signore. -
Ancora l’uomo sorrise scorrendo con lo sguardo sugli altri presenti.
Azuma con la coda dell’occhio notò da subito il giovane bloccante accanto a lui crucciarsi, poi nel tornare a guardare il Luogotenente notò che i suoi occhi erano giunti fino a loro. Il suo sorriso non era scemato e incrociando le braccia dietro la schiena si rivolse al generale caldamente, quasi stesse parlando a un amico di lunga data.
–Generale, ammetto di aver fame, credo sia giunto il momento di accettare la sua proposta e farle compagnia mettendo qualcosa sotto i denti. -
L’altro uomo non tardò ad assentire a quanto richiesto facendo strada.
Appena scomparvero alla vista dei presenti… fingendo anche lui malcelata incertezza, disse al ragazzo lì accanto semplicemente un –Non capisco…- sicuro che l’altro non si sarebbe fatto mancare l’occasione di accennare anche lui ai suoi dubbi.
Dubbi che gli scambi di sguardi accanto a loro non facevano che aumentare.
-Nemmeno io, Azuma. - Il giovane Shunrei era caduto nella sua trappola. –Da quel che sapevo il volto di Ayame era stato deturpato irrimediabilmente da un dominatore del fuoco. -
Azuma si sentì gelare il sangue, mentre la voce dell’anziano bloccante che aveva impedito al Luogotenente di abbandonare i dominatori lungo il tragitto, giunse alle sue spalle, dichiarando: -Senza contare che Ayame era una donna, ragazzo mio. -

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Capitolo 38
*** Cap. XXXVIII: Il Luogotenente - Terza Parte ***


Cap. XXXVIII: Il Luogotenente
- Terza Parte -



Harper era il nome dell’uomo che aveva impedito al Luogotenente di abbandonare i dominatori lungo la il tragitto della fuga, pensava Azuma. Non che non lo avesse saputo da prima, ma… doveva pensare a qualunque cosa, anche se sciocca, pur di resistere al peso che aveva nel cuore solo all’idea di quel corpicino avvolto in una coperta e gettato nel cavo del sidecar della moto che il generale gli aveva assegnato per eseguire la sua missione.
Harper si trovava dietro di lui sul sellino.
Un sospiro. La loro meta era ormai a meno di una decina di minuti di distanza eppure…
Ricordò quando il generale e il Luogotenente si erano di nuovo riuniti a loro: era passata qualche ora, ma l’espressione del generale Wūyā la diceva lunga su come era andato quel lungo pasto. Era lieta come quella di un bambino dopo aver scartato un bel regalo di compleanno e mal celava il suo gongolare all’idea di aver probabilmente fatto suo quell’uomo dall’apparenza tanto terribile. Poi era avvenuto: uno scambio di sorrisi tra i due e quell’ordine orribile. Suzume era stata immediatamente resa impotente e accusata di essere una nemica del Fronte di Ribellione e qualche minuto dopo i bloccanti di quell’avamposto erano stati tutti radunati in una stanza. Il Luogotenente aveva passato in rassegna uno a uno tutti i presenti e con sua sorpresa Suzume non fu l’unica a essere presa.
Azuma non conosceva nessuno di quegli altri uomini, ma sapeva che l’Avatar non era l’unico interessato all’operato del Fronte.
Lui al contrario se l’era scampata che fosse per miracolo, per meriti o per fortuna questo non lo aveva capito, ma se l’era scampata e questo contava.
-Due, come abbiamo pattuito. – Aveva detto il generale e all’annuire dell’uomo al suo fianco in risposta si aggiunse un gesto della mano.
-Tu e tu. – Aveva detto, indicando me e Harper.
Un passo avanti come era doveroso al gesto del Luogotenente mentre il Generale aveva approfittato della situazione per illustrare l’accaduto: -D’ora in poi, uomini, abbiamo tra noi un nuovo alleato. Intelligente e scaltro a tal punto da riuscire a leggere tra le trame dell’arazzo dei nostri ideali. Ha ben capito che l’importante al momento non sono i mezzi che utilizzeremo, ma il fine. E per dimostrargli tutto il mio rispetto ho accettato di affiancargli due sottoposti facenti capo direttamente a lui. A breve invierò al consiglio direttivo del nostro movimento una missiva che illustra la sua presenza qui e attenderemo notizie al riguardo, ma per ora, portate il rispetto dovuto al nostro ritrovato amico. -  
I presenti erano scattati sull’attenti e avevano salutato com’era doveroso.
Lui e Harper avevano guadagnato un’ulteriore lustrina sulla loro divisa.
Ancora un sospiro ovviamente quasi impercettibile all’uomo alle sue spalle.
Stavano riattraversando quel bosco che aveva coperto la loro fuga. A breve sarebbero spuntati sulla cima della rupe che delimitava il perimetro dei perlustratori dell’Avatar.
Erano passati dieci giorni dalla loro fuga e gli uomini e le donne accusati di tradimento erano stati torturati ininterrottamente e in modi indicibili pur di poter avere da loro le informazioni che desideravano.
Anche Suzume era stata torturata.
Anche Suzume era stata costretta a parlare e lui… lui era presente.
Era lì perché il generale non aveva obbiettato alla richiesta del Luogotenente di partecipare a quel mostruoso interrogatorio ed era lì… mentre la sua amica soffriva fuor d’ogni umana ragione, impossibilitato a intervenire e lei… in fine… aveva parlato.
Aveva detto chi era, da dove veniva, da chi prendeva gli ordini, cosa aveva comunicato ai suoi sui movimenti del fronte, ma non aveva detto mai il suo nome. Mai lo aveva guardato con occhi speranzosi o compassionevoli, mai aveva commesso l’errore di far trapelare che in quella missione non fosse sola.
Poi… loro, il nemico, ottenuto quello che volevano e coscienti che nessuno dava ai suoi infiltrati informazioni utili sul gruppo di appartenenza proprio perché perennemente a rischio di essere scoperti, le torture finirono.
Una a una le spie dei potenti delle terre del fuoco, dell’acqua e della terra erano state giustiziate e rispedite ai loro signori come monito sull’operato del Fronte. Questo non avrebbe certo impedito a quei sovrani di provarci ancora, ma avrebbe senza dubbio inorridito i loro occhi delicati tanto che al solo pensiero un’espressione di soddisfazione appariva beffardamente sul volto del generale e del Luogotenente.
Anche Suzume era stata uccisa e il suo corpo dilaniato avrebbe dovuto ricordare all’Avatar contro chi si stava mettendo.
Ma… ecco apparire il bordo di quel crepaccio.
Azuma bloccò la moto all’ultimo secondo rischiando di precipitarvi lui stesso.
Harper disse qualcosa, ma il ragazzo non vi badò che fosse importante o i semplici accidenti per averli quasi fatti ammazzare.
Non spense il motore, né tanto meno le luci. Infondo la loro missione consisteva proprio nel farsi scorgere dal nemico per poi fuggire via e… avevano un ottimo diversivo con loro.
Si morse un labbro a quel pensiero, mentre il grosso bloccante insieme a lui scendeva dalla sella e preso l’involto inerme lo lasciava rotolare giù da quel picco come da programma.
Una luce intenza lo colpì negli ogni e malgrado la visiera scura del casco, lo costrinse a pararsi la vista con la mano.
Quello che voleva il Luogotenente era stato fatto: erano stati visti, ora… ora potevano andare.
Harper salì rapido sul sellino, mentre le sentinelle dell’Avatar si mossero al loro inseguimento.
Poche centinaia di metri a tutta birra e quelle luci che li inseguivano scomparvero. Segno che dovevano aver trovato il loro ‘diversivo’.
Azuma si permise di rallentare la corsa e alzando la visiera del casco per farsi udire dal compagno domandò: -Perché sei stato tanto gentile? -
Anche l’altro si scoprì il volto per dire: -Parli della piccola Suzume? -
-E di chi sennò. – Disse, rammentando in quello stesso secondo l’immagine l’uomo che adagiava quasi rispettosamente il corpo avvolto sul ciglio di quello strapiombo, spingendolo poi lungo il crinale quasi stesse cullando un bambino addormentato.
-Non lo so. - Fu la sua risposta. –Forse perché la conoscevo o… credevo di conoscerla. –
-Già! - Fu il suo unico commento mentre si riabbassava la visiera.
-O semplicemente perché infondo la sua unica colpa è stata quella di fare quanto le avevano ordinato. Quello che facciamo noi, no? -
Azuma non rispose.
“-Il Luogotenente è tornato. -” Ricordò le parole di quello che la polizia di Città della Repubblica aveva nominato come Ling, torreggiante dal pulpito di metallo che s’affacciava sul magazzino mezzi, dove i soldati del fronte erano soliti riunirsi prima di un attacco.
Ricordò il battere dei tacchi dei bloccanti a quelle parole e reggersi sull’attenti.
Ricordò il ghigno dell’uomo al suo fianco.
No. Non era cambiato come speravano.
Era diverso da come gli avevano raccontato di lui, questo sì: più attento, più astuto e più vendicativo che mai!


 

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Capitolo 39
*** Cap. XXXIX: Attacco al treno - Prima Parte ***


Cap. XXXIX: Attacco al treno
- Prima Parte -



Dove doveva andare quel treno e per quale motivo?
Questo Korra non era riuscita a saperlo, ma di una cosa era certa, sapeva dove si trovava ed era decisamente troppo grosso e ingombrante per poterlo spostare, sebbene il nemico avesse saputo da Suzume i loro intenti.
Sapevano che avrebbero attaccato?
Certo.
Pensavano davvero che tutto quello spiegamento di truppe e materiali non sarebbe stato individuato?
Certo che no.
Quindi in definitiva cambiava veramente poco.
Il nemico si aspettava comunque un loro attacco, averne avuto la certezza non indicava loro né il come né il quando.
Korra e i suoi uomini speravano nell’effetto sorpresa?
Sì, ma solo in parte, anche loro erano coscienti di essere attesi, l’unica differenza sarebbe stata che adesso i nemici, più consci dei loro intenti, avrebbero sicuramente aumentato le difese.
Chi sopraintendeva i lavori?
Loro non lo sapevano, ma le ultime informazioni arrivate da Azuma e Suzume dichiaravano che a capo delle operazioni riguardanti il treno di metallo c’era un pezzo grosso, quanto grosso non lo sapevano… Korra sperava il più grosso!
Sapeva da sola che sarebbe stata troppa grazia da parte degli spiriti, ma che male c’era a sognarlo?
Che male c’era a sperare di trovare ad attenderli proprio la causa di tutti i mali di quel regno e chiudere con lui tutto quel ciclo di brutture e barbarie?
Se così non fosse stato, pazienza. Avrebbero comunque tolto un’arma importante al nemico e… aveva notato da tempo che mentre i soldati di quel Fronte, una volta catturati, preferivano uccidersi più che parlare, quelli con le lustrine sulle maniche al contrario erano molto più legati alla loro vita e, dopo le prime incertezze, preferivano parlare. Questo valeva a dire che chiunque fosse stato il graduato importante lì presente ne avrebbero comunque tratto informazioni utili.
Quei pensieri ronzavano nella testa della ragazza mentre osservava quei soldati di guardia un po’ ‘troppo da vicino’… avrebbe detto Bolin.
Un ghignetto. Il suo amico non avrebbe tardato nell’arrivare per portarla indietro, ma era importante per lei poter vedere con i suoi occhi quello che accadeva nel punto che era stato fornito loro dai ragazzi infiltrati tra i ranghi nemici.
Quel capannone sui binari… enorme. Non poteva certo nascondere qualcosa di piccolo. Il via vai di uomini armati, le recinzioni di metallo che non permettevano che si potesse scorgere più all’interno di quanto già lei non facesse, se non… in forma spirituale… ed era proprio quella la carta che il Generale Iroh aveva consigliato di giocare.
Era concentrata su quel che vedeva, ma percepì ugualmente i suoi passi. Era arrabbiato, lo sapeva. Ma lei doveva essere lì, doveva farlo, doveva rimanere concentrata sulla missione o la sua mente, lo sapeva bene, sarebbe stata invasa dalla tristezza di tutti gli eventi accaduti e lei questo non poteva permetterselo.
-Ti avevo detto di non avvicinarti troppo. - Le arrivò la voce di Bolin.
Il ragazzo le si accucciò accanto. Korra sapeva di aver trovato un buon nascondiglio, ma…
-Quella specie di magazzino è pieno di dominatori del metallo. Credi davvero Korra che nessuno stia controllando il perimetro? -
-No, ma siamo ancora fuori dalla loro portata. -
-Non puoi dirlo con certezza, è un azzardo. Torniamo indietro. -
Lei annuì sul finire del ragazzo, commentando: -Loro non sono te. Stai tranquillo. -
Un sorriso sconsolato apparve in viso all’amico mentre posandole una mano sulla sua spalla le faceva ceno di muoversi.
Korra ubbidì senza discutere.

-Quindi è tutto pronto? - Domandava Lin a braccia conserte appoggiata contro il muro.
Iroh annuì in risposta preoccupato malgrado tutto.
-Tranquillo ragazzo! - Arrivò la voce di Bumi al principe della Nazione del fuoco accompagnata da una pesante pacca sulla spalla.
–Hai fatto un ottimo lavoro. - Intervenne il principe del nord, lapidario e senza alcuna inflessione nel tono.
Era vero, lo sapeva, come sapeva che non era più il tempo della modestia: la quasi totalità del piano era stata ideata da lui, ma quelle piccole leggerezze a cui Lin e Bumi avevano dovuto porre rimedio gli lasciavano ancora l’amaro in bocca. Lo stesso amaro che sentiva quando si soffermava a pensare sul non essere a conoscenza a cosa mirassero i loro nemici con la costruzione di quel treno. Per quanto ne sapeva poteva benissimo essere un semplice diversivo.
“No, no… non lo è. Non può esserlo!” Si disse, scuotendo il capo e accennando un sorriso al vecchio ammiraglio richiamato a servire l’Avatar.
Il dispiegamento ingente di forze, la quantità esorbitate di materia prima e di rifornimenti… no, tutto faceva pensare che quanto stavano costruendo in quel capannone era essenziale e non un semplice diversivo.
-Appena Jinora sarà qui, procederemo con la fase finale. - Disse Korra alzandosi per controllare meglio gli schemi cartacei posti sul tavolo davanti a lei. –Ci manca solo sapere cosa c’è all’interno e il gioco è fatto. -
Aveva uno sguardo talmente intenso poggiata con i palmi sul tavolo di legno e il capo chino… pensò Iroh, sperando di non aver dimenticato nessun piccolo particolare a cui il caso avrebbe potuto agganciarsi.
-Non mi piace l’idea di portar qui la giovane errante, ma è davvero l’unico modo per avvicinarsi senza essere visti. - Commentava Varrick.
Ancora Iroh si trovò ad annuire per poi aggiungere: -Appena avuto un quadro completo degli uomini presenti e dei mezzi che possono mettere in campo, procederemo. Mentre i nostri uomini si occuperanno delle truppe presenti distraendo il nemico, noi entreremo nel magazzino e rapiremo il graduato o i graduati presenti. Una volta raggiunto il nostro obbiettivo, procederemo con lo smembramento delle loro risorse come da programma. -
Korra alzando gli occhi di scatto e gettandoli in quelli dell’uomo che aveva appena parlato: -Potremmo azzerare i tempi di attesa se fossi io a entrare in forma spirituale e controllare il luogo. -
-Non se ne parla! - Intervenne Lin. –Abbiamo già discusso questo punto, Korra. Non sappiamo in cosa consistano le capacità dei membri del Loto Rosso che si sono uniti al movimento. Rischi di venir scoperta e che conoscano qualche diavoleria in grado di impedire al tuo spirito di ricongiungersi al corpo. Sei l’Avatar, un rischio del genere è inconcepibile. -
Korra si morse il labbro sedendosi. Un sospiro, mentre portando una mano alla fronte… -Quindi Jinora è sacrificabile, mentre io…- Un moto di rabbia la scosse come un fremito.
-Korra…- Chiamò con fare amorevole Bumi. –Sai che nessuno più di me vorrebbe Jinora al sicuro, ma sappiamo tutti che quanto detto da Lin corrisponde a verità. Perdere l’Avatar equivale a perdere la speranza. -
Iroh si sentì profondamente dispiaciuto mentre i due parlavano. Scorse con lo sguardo sui presenti: Bumi ora era accanto a Korra, entrambe le mani pesavano sulle spalle della ragazza. Varrick, come lui e il principe Desna, era seduto a quel tavolo. Lin era ancora appoggiata alla parete con il volto basso. Bolin accanto alla porta non aveva ancora aperto bocca.
Si soffermò un secondo sul ragazzone della terra: sembrava pensieroso, lo sguardo crucciato fisso su Korra. Poi d’improvviso… scostandosi con uno scatto di reni dallo stipite al quale era appoggiato, disse: -Bene. Visto che abbiamo finito, io andrei. –
“Finito?” Pensò esterrefatto, nessuno aveva messo la parole fine a quel discorso.
-Andare? Ma cosa stai dicendo? - Arrivò la voce di Varrick stupita quanto il suo pensiero. –Ti sembra davvero che abbiamo finito qui? -
-Si. Direi di sì. - Rispose l’altro senza perdersi a pensarci sopra accompagnano il suo dire con un’alzata di spalle.
-Dobbiamo ancora decidere chi effettivamente avrà l’incarico di entrare in quel capannone di metallo e chi resterà a tener il forte, per così dire. - Rispose l’uomo della tribù dell’acqua del sud.
-Uhm… - Mugugnò Bolin per poi aggiungere: - Dici di no, quindi…Vediamo… - Continuò alzando gli occhi al soffitto e ticchettandosi un dito sul mento. -Sappiamo già che saranno alcuni dei presenti… Io direi che, dopo questa fase piagnisteo, Korra opterà per lasciare te a casa, Varrick. Sei un tecnico non un combattente, sarebbe da pazzi portarti. - Tornando a guardarlo… -Io preferirei lasciare l’Avatar al sicuro, ma con Korra, si sa, questi discorsi è inutile anche solo pensarli! - Un sbuffare rassegnato per poi continuare: -Oltre te lei insisterà per lasciare Iroh e Desna a coordinare ognuno il suo esercito. Ma… dove il Generale del Nord non farà obbiezioni, il generale dell’Unione protesterà, e a buon motivo, che è preferibile sia Bumi a gestire l’esercito in quanto più navigato e bla bla bla… ma sappiamo tutti che è solo perché il piano è il suo e col cavolo, scusatemi il termine, se ne starà buono in disparte solo a dar ordini. Poi… -Infilandosi le mani nelle tasche e tornando a guardare il soffitto… -Bumi accetterà la cosa anche perché tra un dominatore del fuoco e Korra che discutono meglio non metterci mano se non te la vuoi ustionare. Lin verrà per forza, ovviamente. Perché? Perché io non mi muovo senza di lei... avete visto o no quanto mena quella donna? E… dato che Korra mi vuole in campo non potrà negarmelo; anche perché tutti i presenti sanno che avrei preferito infiltrare uno dei miei gruppi in quell’edificio e non solo perché più razionale e pratico, lasciando a sicuro alcune delle menti e delle persone più influenti del nostro secolo, ma soprattutto perché i miei ragazzi sono addestrati appositamente per compiere missioni del genere. Uhm…- una breve pausa sfilando una mano dalla tasca per andarsi a grattare la nuca... –Poi che altro?! Ah sì! A questo punto passerete a parlare del qualitativo e quantitativo degli uomini che serviranno per attaccare il grosso della truppa nemica, ma ovviamente potrete ben stimarlo solo successivamente aver ottenuto le stime su quell’avamposto da Jinora, quindi… un discorso del tutto inutile, ma che vi condurrà solamente ad accettare la mia proposta di mettere al comando degli squadroni scelti per l’attacco, qualunque essi siano, i miei uomini per coordinarli. Proposta che avvallerete non senza storcere il naso, ma che accetterete proprio perché ‘io’ ho accettato di lasciarvi tentare per l’ennesima volta un suicidio ‘evitabile’ addirittura accompagnandovi nel farlo... Mentre voi dovete ancora attendere per decidere chi mandare io so perfettamente chi dei miei è il più adatto a questo scopo. Detto questo, dimentico qualcosa o posso andare a dedicarmi ai miei ragazzi? Sapete, loro a breve dovranno andare in missione, non ho tempo da perdere con voi a fare i signori della guerra…- E così concluso e aperta la porta, uscì, lasciandoli lì basiti.
-Figlio di…- Stava per esordire Bumi, quando un gesto della mano di Korra lo interruppe.
-Inutile sprecarci fiato. - Disse Lin. –Sappiamo tutti che il suo discorso non fa una piega. -
Desna assentì alle parole del capo della polizia di Città della Repubblica.
-Già! - Ghigno Korra per poi annuire.
-E quindi? Che si fa? - Domandò Varrick.
-Semplice. – Tornò a prendere la parola Bumi, scostando una sedia e tornando a sedersi a quel tavolo. –Mettiamo per iscritto quanto deciso. Tanto per ricordarcelo una volta stimate le forze nemiche. -
Iroh, non commentò, infondo la versione del ragazzo era la più logica e attuabile possibile tra quelle che comprendevano la presenza dell’Avatar in quella missione e… la sua, ovviamente!
Un sorriso gli sfuggì dalle labbra.
-Era furioso! - Arrivò il tono piatto del Generale Desna.
“Furioso? Usare il termine furioso è limitativo, ‘Generale’.” Pensò Iroh.
Da quando il Fronte di Ribellione aveva spedito indietro Suzume, Bolin era intrattabile.
 

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Capitolo 40
*** Cap. XL: Un salto al Nord ***


Cap. XL: Un salto al Nord


Michiko si stava dirigendo nella tenda della sciamana. Il freddo era sempre più intenso e quell’inverno come era stato preventivato sarebbe stato gelido come non mai.
Le sentinelle del muro a stento tenevano alta la nebbia e malgrado il loro lavoro anche all’interno del villaggio il calore del suo respiro condensava in un leggero fumo bianco.
Sentiva le mani intorpidite malgrado i guanti: le aprì e le chiuse un paio di volte prima di alitarvi sopra nel tentativo di riscaldarle. Tentativo quasi del tutto vano non fosse talmente vicina a una delle fiaccole che delimitavano le vie di quel villaggio. Si soffermò a quel tepore, si voltò istintivamente verso quella casupola abbandonata da quasi due mesi ormai. Infondo non le sarebbe dovuto importare molto, ma quel giorno, come ogni giorno, percorrendo quel breve tragitto non poteva evitarsi di sfiorarla con lo sguardo da quando quella sciocca lepre era andata via.
Pachiko e la sua amica Iekika l’avrebbero sicuramente presa in giro se solo lo avessero saputo. Quante volte aveva consolato l’amica proprio a causa di quello sbruffone dai capelli scompigliati?
Troppe per poter anche solo permettersi di fare quella stessa fine, eppure… era lì a guardare quella catapecchia che rispecchiava in pieno la poca cura che aveva per le cose.
Sbuffò su quelle mani troppo minute per appartenere alla stirpe del lupo, eppure ne era parte, quale scherzo della sorte. Chi mai avrebbe pensato che lei e Ananke avessero la stessa origine? Ananke… così bella, grande e forte! E quello sciocco che glielo faceva sempre notare…
“-Lupacchiotte…- Così ci definisce quello stupido.” Ricordava. “-Lupacchiotte altro che lupe, siete a malapena due cucciolotte rumorose, ecco cosa siete! - E deve pensarlo davvero, dato che Iekika, se pure di pochissimo più grande di me e Pachiko al contrario ha avuto le sue attenzioni.”
Un nuovo sospiro, di nuovo bloccata a causa di quegli assurdi pensieri, troppo lontana dal fuoco per non sentirsi percorrere da brividi gelidi.
-Iekika. - Nominò sottovoce, riprendendo il passo, mentre l’aria fredda che aveva trovato libero accesso alla sua bocca per quel suo stupido gesto ora le gelava la gola.
“Iekika.” Pensò ancora. “La più giovane delle tre continuità della lince e la preferita dalla sua adorata nonnina Hula.” Un sorriso amaro le piegò le labbra, forse per un impeto di insensata gelosia, forse per quel vento che non smetteva di soffiare. Si sistemò meglio la stola di pelliccia che le avvolgeva parte del visetto.
“E dire che ho sempre pensato che sembrasse molto più piccola di quello che è realmente. Ma a quanto pare… ahhhh! Basta pensare a quello stupido!!! Iekika ha un carattere adorabile, dolce e terribilmente sensibile… questo dovresti invidiarle, non certo il suo passato con quel tappo sprovveduto!” Strinse la mani attorno al collo di pelliccia cercando di far entrare meno freddo possibile. Voleva bene alla sua amica, era solo il pensiero di quella stupida guardia lontana a farle fare ragionamenti insulsi… sapere che lui, Wakka e i suoi fratelli erano chissà dove ad affrontare chissà quali pericoli…
Accelerò il passo che mutò in una corsetta appena vide la tenda della sciamana.
Entrò rapidamente chiudendo i pesantissimi tendaggi alle sue spalle.
Il tepore di quel luogo la invase quassi fosse un muro di calore e complice la breve corsa se ne sentì immediatamente coccolata.
Un respiro profondo per tornare a far provare ai propri polmoni quel calore confortante prima di dare uno sguardo intorno.
La sala era vuota.
Si tolse e appese il soprabito accanto alla stufa, per evitare che la condensa gelida sciogliendosi lo bagnasse.
-Venerabile Sciamana, sono arrivata! - Annunciò con un tono alto, ma senza urlare.
Nessuno rispose a quel richiamo. Strofinò le mani tra loro e si diresse dietro il bancone. Scovò immediatamente quella cassa vuota che la sorella amava usare come seduta quando si trovava a dover sostare in quel luogo e per una volta ne approfittò sorridendo.
Pachiko doveva essere lì, c’erano i suoi appunti di medicina sparpagliati su quel bancone.
Li accorpò distrattamente, facendone una pila e sospirando scivolò con o sguardo su quella vecchia stufa di metallo. Hula diceva che quella era una delle poche cose che erano rimaste della nave da guerra della Nazione del Fuoco che l’aveva portata li. La vecchia sciamana adorava quella stufa e anche lei. Proprio come la sua amica adorava ascoltare le storie di terre lontane, di guerrieri dai nobili ideali e le prodezze degli Avatar che la saggia vecchina narrava quando da piccole le radunava davanti a quel ferro fuligginoso. Quanti sonni ci si era fatta lì accanto la sua sorellina Pachiko mentre lei e Iekika ascoltavano attente.
-Ahhh! Amica mia…- Disse sottovoce sorridendo, appoggiata su quel bancone di legno e lo sguardo perso nella fiamma. –Quello stupido non sa che si è perso con la sua mania di correre dietro ogni gonnella che gli fa la sciantosa. Sei identica a tua madre… credimi, se ne pentirà… o se sé ne pentirà! -
Forse il calore dopo tanto freddo o l’aria calda rarefatta della stufa le davano un senso di piacevole torpore che l’invitava ad addormentarsi… ovviamente non si sarebbe messa a fare un pisolino, ma era talmente piacevole che incrociando le mani sotto il viso, si accucciolò sul banco davanti a lei, ancora seduta su quella cassa.
“Solo qualche minuto.” Si disse. “Il tempo di rimettermi in sesto e partire come al solito.”
Il tempo di un batter di ciglia che la sua mente tornò a quella casetta abbandonata. Se nessuno se ne sarebbe curato, con il peso della neve che quell’inverno preannunciava di abbattere sulle loro teste si sarebbe sicuramente distrutta.
Un nuovo sospiro. Per quanto volesse dire all’amica per consolare il suo cuore spezzato non poteva evitare di pensare che anche lei adorava il fare canzonatorio di quegli occhi azzurri che per alcuni versi gli ricordava il modo di fare del padre e dei fratelli. Adorava il suo senso dell’amicizia che in tutto e per tutto rispecchiava il proprio. E proprio per questi motivi che quel giorno… “…Il giorno della sua partenza, ho cercato di cacciare via quello sciocco sentore… quella mia stupida idea di non essergli del tutto indifferente. Era lì solo perché noi siamo amici, solo per questo… era il mio cuore ferito per tutte le perdite che ho dovuto affrontare quel giorno a farmi vedere quello che non c’era. Ero stata a tanto così dal baciarlo e rovinare la nostra amicizia per sempre, proprio com’è successo a Iekika. So perfettamente che tutte le relazioni di Tark si concludono in un solo modo, dopo di che cerca qualcun'altra da poter sedurre. Ottenuto quello che vuole dalla ragazza di turno, questa smette di essere interessante per lui. Ahhh! Se non fosse talmente carino…” Sospirò.
–La verità e che non mi sarebbe dispiaciuto avere qualche sua attenzione. - Le uscì sottile e sconsolato dalle labbra. -Ma non ho nemmeno intenzione di diventare una delle tante tacche sulla sua ascia, seppure… malgrado quel suo fare da brigante, non ha mai sbandierato ai quattro venti i nomi delle fanciulle con cui è stato. – Una breve pausa per poi continuare con fare irritato: -Cosa che al contrario non hanno mancato di fare molte delle ragazze in questione. -
Poi sconsolata nella sua mente: “Se non mene avesse fatto parola Iekika non avrei mai saputo di lei e di Tark.”
Un ultimo sguardo al fuoco scoppiettante e… -Basta pensare! - Disse quasi stesse togliendosi un peso dalle spalle. –Abbiamo da lavorare qui. Dobbiamo ancora assicurarsi di avere abbastanza scorte di erbe medicinali e sieri per affrontare il lungo inverno. - Concluse scattando in piedi per poi prendere da uno dei cassetti del bancone dei fogli scribacchiati e qualcosa per continuare a scriverci sopra.
Si dedicò di seguito agli scaffali alle sue spalle. Il tempo di avvicinarsi a sufficienza per controllare esattamente da che punto si era fermata poche ore prima che l’ingresso di quella tenda fece entrare, insieme al gelo, la figura alta e ammantata di blu di una delle due guardie personali della Regina.
Si voltò appena in tempo per vedere il ragazzo scoprirsi il volto.  
Sorrise. Lo conosceva, era già stato loro ospite a sua insaputa e forse proprio per questo inconsciamente aveva un atteggiamento più disteso verso il suo popolo.
-Dimmi? Cosa posso fare per te? – Domandò lei.
Il ragazzo sorridendole placidamente, rispose: -Sono parte della scorta di Sua Maestà la Regina Eska. Dopo aver perlustrato lo stato del ghiacciaio, la mia signora ha fatto esplicita richiesta della sciamana di nome Michiko. Siete voi? -
Era divertente ascoltare quegli uomini che ogni volta ribadivano il loro incarico nel villaggio, e annuì per questo divertita.
-Siete fortunato a quanto pare. Ma ditemi, sua maestà sta bene? -
-Si. Sciamana non temete, Sua Maestà è lungamente più forte di quanto il suo esile corpo possa dimostrare. Solo… rammenta l’infuso che siete stata talmente gentile da offrirle dopo la traversata della banchisa e quanto l’aveva ritemprata da tutto quel gelo. -
-Comprendo. La nostra signora gradisce che gliene prepari dell’altra? -
-Se non vi è di disturbo, mi ha detto di riferivi. -
-Nessun disturbo, come vedete non ho molto da fare al momento e comunque non negherei nulla a Sua Maestà. -
-Vi ringrazio. La Regina Eska vi attende allora nella capanna per lei allestita. Mi ha detto di riferirvi, in caso aveste accettato, di fare con comodo, comprende i vostri impegni e i disagi che questo suo capriccio potrebbe comportarvi. -
-Andate e riferite alla Nostra signora di non preoccuparsi di nulla. È un immenso piacere servirla, dopo quanto sta facendo per noi. -
Un lieve inchino in saluto prima di andare…
Michiko rimase qualche secondo a osservare silenziosa l’ingresso, poi scuotendo il capo… -Lieta davvero che i miei intrugli energetici piacciano alla Regina. Ci mancherebbe che, dopo quanto sta facendo nonostante il freddo pur di non farci trovare inermi all’arrivo del grande freddo, io la faccia assiderare. Senza contare che non le era dovuto controllare di persona l’incremento del gelo eppure… eppure va là fuori come fosse uno dei suoi servitori… assurdo! -
“Certo, non è quella che si può definire una creatura socievole, ma si adopera pienamente per quello che ritiene il suo popolo in prima persona e questo… ai miei occhi, e non solo, vuol dire veramente molto!”
-Vuol dire che ci ritiene davvero parte della sua gente. - Disse cominciando a prendere erbe e bacche per il suo infuso.
Un ottimo infuso, non fosse che la sua preparazione non troppo veloce purtroppo necessitasse anche di un continuo rimestare, mentre si trovava sulla fiamma.
Girando il liquido, inizialmente verdastro venato di rosso che doveva assumere un caldo color del bronzo, si perse di nuovo nei suoi pensieri: “Anak era sceso nella tana. Ero sola rannicchiata a occhi chiusi accanto al fuoco quando Tark entrò nella capanna senza neanche bussare, come suo solito. Non lo riconobbi e non riconobbi i suoi passi fin quando non mi si accovacciò vicino e posandomi la mano delicatamente sui capelli, disse con voce sottile: -Ehi! Sei sveglia? -
Me lo sono trovato così vicino da non poter non abbracciarlo d’istinto e quello sciocco che mi domandò addirittura il perché di tanto affetto.
-Perché? Perché vi farete ammazzare fuori di qui, ecco perché! Io lo so, come so che non riuscirò a dormire un solo secondo sapendovi tanto lontani. -
Sorrise come uno sciocco, quasi fosse intenerito dalle mie parole.
-Quindi, ti dispiace per me? -
-Ovvio che sì, stupido coniglio! -
Alzò gli occhi al cielo sbuffando, ma non mi riprese.
-Sarete talmente lontani… come farò a sapere se state bene, se vi è successo qualcosa… se… ti è successo qualcosa? - Stupida, stupida, stupida che non sono stata altro… ho rischiato di sembrargli una ragazzina infatuata e poi… di lui e di quel brutto muso… adorabile! Ahhhh!!! Come odio le lepri e quei loro occhietti subdoli.”
Sorrise involontariamente mentre piano quel liquido si avvicinava al colore desiderato.
“-Lo sentirai. - Rispose lui, sorridendomi con una dolcezza tale da farmi arrossire.
-Lo sentirò? - Ripetei seduta davanti a lui, accennando a portarmi una mano ad asciugarmi gli occhi ancora umidi del pianto che non mi aveva vista versare.
Annuì prendendomi la mano tra le sue e portandosela al petto. –Lo sentirai, come lo hai già sentito in passato, ricordi? Siamo amici, lo hai detto tu. Gli amici sentono queste cose. -
Amici aveva detto… amici… mai mi aveva fatto così male pesarlo… non che volessi altro da lui, non che sperassi…”
-Bugiarda! - Disse rimestando quel liquido bollente, pronta a setacciarlo prima di portarlo alla Regina. –Non lo vuoi, sai che è sbagliato, ma non dire che non lo speri. -
Un sospiro, mentre il liquido purificato dalle strette maglie di quel filtro di stoffa grezza, formava una sottile colonna dai riflessi del miele e del ciliegio.
“-Perché sei venuto qui? - Gli domandai senza collegamento alcuno con il discorso già iniziato, mentre la mia mano era ancora tra le sue.
-Per te, che domande. Vuoi forse mandarmi via senza neanche salutarmi? - Disse facendo lo stupido come suo solito, ma con quella voce… Non avevo mai sentito così la sua voce.
-Mi hai salutata ieri? -
-Già! Ma… non mi è bastato e poi… ragiona Michi. Oltre te, Pachi, Hula e Wakka io non ho nessuno qui. Mio padre, beh… non credo neanche gli importi più molto di me, sai cosa mi disse quando mi rifiutai di seguirlo. Disse che lontano da lui mi sarei fatto ammazzare, disse che per il passato signore della fiamma io e le altre non-continuità non eravamo altro che carne da macello… non credo sappia nemmeno che io sia ancora vivo, sempre che gli possa ancora interessare. E comunque… Wakka me lo porto con me, Hula e Pachi le ho già salutate, mi rimanevi solo tu. -
-Ahhh! - Esordii io ritrovando il sorriso. –Quindi ero l’ultima della tua lista. -
-No. Semplicemente non eri dove ti ho cercata. Non è da te saltare anche un solo giorno di lavoro. -
-Questo è vero! - Asserii intimidendomi di nuovo come una sciocca e abbassando il capo per non sostenere il suo sguardo.
-Sarai sempre la mia prima scelta! - Disse quello stupido fuor d’ogni logica, lasciando scivolare una delle sue mani dalla mia che ancora teneva al petto.
Appena il tempo di alzare il viso per vedere cosa stesse combinando che quella stessa mano mi affondò tra i capelli accarezzandomi, mentre le sue labbra mi posavano un bacio sulla guancia. Non mi aveva mai baciata prima… non che fosse chissà cosa, ma… io lo avevo anche preso in giro per questo, sembrava sempre che ogni gesto di tenerezza da parte mia e di mia sorella gli desse fastidio e… e adesso mi baciava, con una dolcezza tale da farmi mancare il fiato neanche mi avesse baciata sulle labbra.
Rimasi immobile, paralizzata, fin tanto scostandosi da me non mi sussurrò a fil di pelle: -Cerca solo di non dimenticarmi ok? -
Mi voltai lentamente tanto da potermi specchiare nei suoi occhi di cristallo e cielo.
-Non dimenticarmi ti prego, anche se non dovessi tornare. - Era talmente vicino quel sussurro da sentirlo accarezzare le mie labbra.
Avrei fatto una sciocchezza… ero sul punto di fare una sciocchezza… ma quelle ultime parole mi riempirono di talmente tanta tristezza che gli gettai di nuovo le braccia al collo, stringendolo forte tanto quanto forte era il mio desiderio di non lasciarlo partire e… scoppiai in lacrime.
Egoista, stupida Michiko, triste per i suoi fratelli, ma così terribilmente coinvolta da quello stupido guerriero da essermene dimenticata… di essermi dimenticata di tutto… solo avendolo accanto.
-Ehi, ehi! Che fai piangi? Non mi piace vederti piangere. Se piangi fai stare male anche me. - Dolce, stupidamente dolce nel tono.
-Allora evita di farmi piangere. –
-Dimmi solo come e lo farò, Michi. - Era dolce e serio non credevo fosse possibile esserlo al tempo stesso, invece…
-Torna da me stupida lepre se non vuoi vedermi piangere o ti giuro che ti dimenticherò appena finite tutte le mie lacrime, parola mia! Quindi promettilo… Promettimi che tornerai… promettimelo! - Gli singhiozzai sul petto come una bambina.
Quanto devo essergli sembrata infantile e sciocca.
-Te lo prometto! - Sussurrò al mio orecchio.”
Rimase un secondo imbambolata mentre quell’infuso aveva terminato di colare nella tazza.
Non era più il momento di rimuginarci su: la tisana era pronta, la Regina l’attendeva.
 

-Davvero un ottimo lavoro. Ho fatto bene a rivolgermi a lei. – Disse la Regina del Nord.
-La ringrazio Vostra Maestà. - Rispose la ragazzina dagli occhi da lupo.
Era piacevole dopo aver patito tanto vento gelido nel bosco poter stringere quella tazza calda tra le mani.
Eska attese che Michiko uscisse dalla stanza per poi sospirare.
Istintivamente si portò una mano alla fronte coprendosi gli occhi dalla luce di quel tramonto infuocato che bruciava, ancora più dell’orizzonte, i suoi pensieri, attraverso quel piccolo spiraglio nella tenda che gli uomini di quel villaggio avevano il coraggio di chiamare ‘finestra’.
Sorrise massaggiandosi le tempie mentre posava quella tazza ancora intonsa sul tavolino poco distante.
“-Finita questa missione mi sposo. -” Così l’aveva salutata suo fratello.
Erano passate diverse settimane ormai, ma quel pensiero ancora le girava per la testa, pressante e assurdo.
“-Non mi importa cosa ti inventerai, ma la sposerò, con o senza il tuo favore, sorella. -”
Quanto suo fratello desiderava non era certo vantaggioso al loro regno e chiunque avrebbe pensato che fosse pressoché assurdo sposare un’ancella di cui poteva disporre a pieno piacimento avendone già la più completa fedeltà. I matrimoni tra regnanti, si sa, si fanno per stringere patti duraturi, l’amore… l’amore non è cosa che dovrebbe toccarli… eppure.
Un nuovo sospiro.
Eppure… lei solo pochi anni prima si stava sposando solo per quello sciocco sentimento. Certo all’epoca non era la Regina e il mondo in definitiva le sembrava non potesse negarle nulla, ma… la realtà era che il padre era impegnato dietro i suoi folli progetti e se avesse davvero tenuto al suo popolo come lei, probabilmente avrebbe accettato quel matrimonio solo come un capriccio e al momento giusto, se lei non se ne fosse stancata prima, avrebbe provveduto a eliminare l’intralcio.
La sola idea di pensare a Dakota come un semplice ostacolo da abbattere la fece rabbrividire. Sapeva quanto quella ragazza era devota al suo regno e quanto contasse per suo fratello, ma soprattutto sapeva quanto suo fratello contasse per lei. E… infondo, a forza di averle in giro, si era affezionata anche lei a quelle principessine, ma se non avesse posto un freno alla cosa, presto o tardi, qualcuno dei nobili del consiglio avrebbe provveduto di sua mano, ne era certa.
Desna doveva capire che impedirgli di sposare la donna che amava era anche un modo per salvarle la vita.
“Desna che deve capire…” Il solo pensiero rivolto al testardo fratello, la fece scoppiare in una sonora risata, fortuna che era sola in quella stanza o avrebbe rischiato di far bloccare il cuore a più di una persona. Sapeva che non esisteva modo per convincere il fratello quando si metteva qualcosa in testa.
“Lui è un combattente, lei una combattente. Mi direbbe di non preoccuparmi e… sicuramente… avrebbe anche ragione. La verità è che l’unica in grado di fargli cambiare idea è proprio la fanciulla che intende sposare, ma…”
-Ahhhh! - Sospirò a voce piena portandosi entrambe la mani al volto e lasciandosi scivolare sul quello scranno di legno perdendo la sua solita regalità.
“La verità è anche un’altra: voglio vedere mio fratello felice e se sposarsi lo rende felice… allora ritengo di dover essere anche io felice per lui. Preoccupata, ma felice e… gelosa! Terribilmente gelosa… insomma lui è il mio fratellino, quello imbranato tra noi due… quello che ha sempre avuto bisogno di una mano, quello… quello che quando piangevo la notte veniva ad abbracciarmi…”
Sorrise scuotendo il capo e tornando a guardare fuori da quel pertugio dal nome inappropriato.
-Quello che mi ha sempre impedito di inciampare e mostrarmi ridicola, quello che c’era sempre quando avevo bisogno di lui, anche se non me ne rendevo conto… Quello che quando mi sentivo a pezzi trovava il modo di rimettermi insieme. -
Ancora lo sguardo volto a quel tramonto...
“Infondo è giusto che ottenga ciò che desidera. Cosa ha mai desiderato veramente mio fratello che fosse solo suo? Che fosse un desiderio ‘tutto’ suo e non votato a esaudire il volere mio, di mia madre, del nostro popolo e prima ancora di nostro padre?”
Si tirò su tornando a sedersi come dovuto.
-Certo c’è stata quella volta della torta di mirtilli. Si era fissato con quella torta, ma avevamo cinque anni… non credo che conti! -
Di nuovo un risolino le scosse le spalle, decisamente più garbato di poco prima.
-Voi sposarti? Bene. Ammetto che mi hai lasciata senza parole fratello per la seconda volta. Prima la storia di tuo figlio e poi questa del matrimonio, ma se è quello che vuoi… è quello che voglio anche io! Dovranno solo provare a torcere un capello alla tua bella e vedranno quanto sa essere ‘gentile’ questa regina, altro che la mancanza di servizi igienici nei luoghi adibiti per il consiglio. -
Un ghignetto.
-Ma preparati fratello, non mi basta solo un nipotino da coccolare e non pensare che ti permetta di organizzare da solo il tuo matrimonio. Sei incapace di scegliere un vestito diverso dal mio, figurati averne uno tutto tuo, per un giorno ‘tutto tuo’… e di Dakota, certo! Credo che anche la sposa conti qualcosa infondo. -
Ancora tornò a ridere, scuotendo il capo, riparandosi il viso con la lunga manica.
L’infuso che la giovane sciamana le aveva portato fumava ancora invitante sul tavolino al suo fianco e l’aroma dolce di frutti di bosco le invase le narici, addolcendogli i pensieri.
Scostando la mano dal volto per prenderne un nuovo sorso si soffermò su quelle maniche ampie e… perfette.
Chinò appena la testolina di lato.
Raccolse tra entrambe le mani la tazza di terracotta smaltata tipica di quel villaggio.
Si alzò da quello scranno guardando il riflesso del suo volto nel liquido bruno tra le sue mani che trasfigurava la sua immagine formando cerchi concentrici a ogni suo più lieve movimento.
Sentì la testa sgombra dai pensieri di quei giorni talmente intensi proprio come quel freddo sempre più pungente da non averle concesso, se non in quel momento, di riflettere su quello che egoisticamente aveva più importanza per lei.
Gustò quella tisana dolciastra dal retrogusto terroso e morbido, lentamente, in piedi, un sorso dopo l’altro.
Posò quella tazza da dove l’aveva presa, sistemò i capelli già perfetti di suo, raccolse il soprabito di pelliccia da quello stesso trono sul quale sedeva e si avviò verso l’esterno.
-Ahhh! È da stupidi osservare un tramonto del genere rinchiusi in una gabbia. - Disse con ritrovata freddezza nel tono prima di varcare la soglia d’ingresso.


Opal era tornata solo da qualche ora dal Villaggio Centrale. Lì i lavori procedevano bene… molto meglio di quanto si aspettasse. Per i soldati del nord avere a che fare con dei dominatori così diversi da loro sia per atteggiamento che per abitudini non gli lasciava il tempo di rimuginare sul dove si trovassero. Lo stesso valeva per la gente di quel villaggio che sicuramente era più curiosa di quanto vedeva fare a quei costruttori che univano l’ingegneria all’uso del loro dominio piuttosto che degli uomini dalle vesti blu.
Tutti fortunatamente distratti, tutti. Tutti, tranne la capo villaggio.
Sospirò mentre riscaldava l’acqua per il suo bagno… ahhh, se ne aveva bisogno!
Kai era tornato con lei, mentre Otaku era rimasto sul posto con una scusa tanto geniale quanto banale di cui al momento ricordava poco, in effetti.
Quell’acqua non sembrava ancora calda abbastanza… sorrise, rassegnandosi al fatto che probabilmente non lo sarebbe mai stata, dato che quel tempore ideale che desiderava era tale solo nella sua mente provata dal freddo sempre più intenso di quegli ultimi giorni.
Decise che andava bene così infondo, cominciandosi a spogliare quando qualcuno busso alla sua porta.
Rinunciò, non senza rammarico, ai suoi intenti, rinfilando rapidamente quel maglioncino a collo alto che le aveva spedito suo fratello Huan e a cui si era immediatamente tanto affezionata da non sembrar possibile, soprattutto perché il nero non era certo il suo colore preferito. Ma il calore… ahhh… il calore, quello lo amava. Soprattutto se accostato al ricordo di casa… della sua famiglia.
Aprì la porta distratta da quei pensieri e quasi rimase sconcertata dal trovarsi di fronte la Regina del Nord e scorta al seguito… chiaramente.
-Ambasciatrice Beifong. - Si limitò a pronunciare la donna in saluto.
-Re… Regina Eska? - Pronunciò ancora titubante domandandosi come mai quella sovrana fosse andata a bussare a un’ora così improbabile alla sua capanna.
-Bene, vedo che vi ricordate di me. - Disse, ovviamente sarcastica, e senza inflessione alcuna nel tono. –Mi concedete di entrare o devo ordinare ai miei uomini far irruzione nella vostra casupola, legarvi e interrogarvi a mio piacimento? - Ok… cosa stava succedendo? Era seria o stava scherzando? Perché gli spiriti non avevano dotato quella donna di un minimo di empatia, almeno nel tono?
-No, ci mancherebbe! - Rispose di getto. –Entrate Vostra Maestà. -
Un lieve sorriso su quelle labbra la fece rabbrividire più di quanto ogni parola detta fino in quel momento.
-Bene. - Aggiunse la sovrana, poi rivolgendosi alle guardie: -Voi rimanete fuori ad attendermi. -
I due uomini annuirono scattando sull’attenti. -Agli ordini, Mia Signora. - Esclamarono all’unisono.
La regina rimase per qualche secondo a osservarli con la coda dell’occhio, poi chinando appena il capo di lato… -Ho cambiato idea. Non voglio rischiare che ascoltiate i miei discorsi anche se per un caso fortuito. Andate nelle vostre tende a riposare. - Una breve pausa. –Al caldo. -
-Ma… Mia signora…- Provò a obbiettare uno dei due. Lo sguardo gelido della fanciulla freddò ogni suo intento sul nascere, mutando il suo dire in… -Come voi desiderate, Mia Signora. -
Un sorriso garbato verso quei due uomini, accompagnato da un gesto della mano, che ricordava quello di un bambino che vuole allontanare un cucciolo, che concluse quel breve interludio… o forse fu la porta che si chiuse alle spalle della Regina a chiuderlo… Opal non lo ricordava bene, ma fatto stava che da lì a breve si trovarono entrambe sedute intorno al tavolo circolare della sua stanza con davanti del brodo fumante.
Sì… ovvio che Opal avesse usato l’acqua per il suo bagno e… qualche legume, più esattamente dei fagioli in scatola, sale, qualche spezia e della minestrina di semola… ma d’altro canto, l’acqua era già sul fuoco e davvero qualcuno poteva anche solo pensare che fosse possibile con la Regina del Nord in casa poter trovare un ritaglio di tempo per farsi un bagno caldo? Ma daiii, non siamo ridicoli… e poi… lei aveva fame, la regina non aveva mangiato e… ahhh… ma davvero lo sto spiegando? Continuando…
Dopo alcune chiacchiere di rutine, parlando del tramonto, di come stavano andando i rispettivi incarichi in quel luogo e dello scherzetto sulla porta, terribile avrebbe aggiunto con piacere Opal, di poco prima, il tutto volse sulla data della sua partenza.
-Quindi tra una settimana solamente? - Domandò conferma la Regina.
-Sì, Vostra Maestà! -
-Capisco. E chi vi sostituirà in questo incarico? -
-La maestra dell’aria Jinora, Vostra Maestà. -
La regina assottigliò gli occhi guardandola fissamente. Poi… -Smettetela di chiamarmi ‘Vostra Maestà’. Sono qui in veste ufficiosa. Avevo solo voglia di fare due chiacchiere. -
-Come volete, sua…-
Lo sguardo della donna davanti a lei si assottigliò maggiormente.
-Come… come volete… e basta! –
-Saggia decisione. - Concluse la sovrana del nord prendendo una cucchiaiata di quel brodo.
“Solo chiacchiere?” Si domandò l’errante non sentendosi certa di quella affermazione, cosciente che nulla di quanto facesse quella donna fosse privo di una reale motivazione e tanto meno che questo non fosse calcolato in ogni singolo dettaglio.
-Quanto vi tratterrete lontana? -
-Non più di qualche giorno. Il tempo di adempiere alle mie promesse. -
-Il processo per l’affidamento di quel ragazzino del fuoco, giusto? Chiamate le cose con il loro nome, Opal, non offendete la mia intelligenza e soprattutto le mie spie. -
Fu il turno della ragazza dagli occhi verdi di assottigliare lo sguardo sulla regina, mandando giù una cucchiaiata di minestra.
-Capisco. Bolin vi ha raccontato tutto. - Disse Atona.
-Ovvio che sì. - Confermò Sua… Eska.
Opal si trovò a sospirare pesantemente. –Quindi sapete ogni cosa? Incredibile. -
La fanciulla sorrise lievemente. –Siamo amici. Più di quanto forse voi o altri potreste immaginare. -
Già, doveva davvero essere così, dopotutto. Ragionò Opal sorridendo a sua volta.
-Finalmente conoscerete la fidanzatina del nostro comune ‘amico’. -
Ahhh… era questo! La regina era curiosa… pensò ancora per poi rispondere: -Credo proprio di sì. -
-Sarete nervosa, immagino. Io lo sarei. Ma ditemi… sapete già qualcosa su di lei? -
Opal annuì. –Molto poco. So che si chiama Hikari, che è una dominatrice del fuoco e…-
L’errante si interruppe nel momento in cui la regina quasi soffocava bevendo da quell’intruglio di fagioli e poco altro che si era inventata.
-Fuoco? Siete sicura? - Disse dopo un colpo di tosse, quasi non potesse trovarlo possibile.
-Sì… fuoco. Ne sono certa. Insomma… questo mi hanno detto i suoi uomini. -
-Che stranezza. Cosa c’entra Bolin con una ragazza del fuoco? - Domandò più a se stessa che a lei, incrociando le braccia al petto apparentemente pensierosa e… umana… almeno a quella rivelazione. –Lui ha sempre adorato la carnagione scura delle donne dell’acqua, gli occhi chiari dai riflessi freddi e le curve procaci, cos’ha da spartire con un’insipida silfide di fuoco? Non me ne capacito. -
Opal non poté evitare di sorridere malinconicamente a quel dire. –Già. - Si limitò a rispondere.
Era vero e forse era proprio per questa sua predilezione che il ragazzo apprezzava anche lei, la sua carnagione scura, i suoi occhi chiari… sapeva di aver molto dell’aspetto dell’acqua in lei… poi senza neanche accorgersene… sussurrò con un fil di voce: -Forse questa volta ha scelto il cuore per lui e non gli occhi… forse l’ama talmente da trovarla perfetta anche se dissimile dal genere di ragazza che apprezza. -
Eska la guardò un secondo silenziosa e in quel secondo Opal si rese conto di quanto potesse essere vero quanto aveva appena enunciato.
-Forse. - Disse Eska. –O… più semplicemente è una fiammetta dal sangue misto con le fattezze dell’acqua. -
Ok… detta così, sembrava decisamente più verosimile… almeno in quell’esatto momento.
Questo pensiero la fece ridacchiare sotto i bassi, dapprima lievemente, pensando a quanto poco si fidavano delle scelte del ragazzo sia lei che la regina, poi quasi istericamente nel pensare che quel Bolin che credeva di conoscere le sembrava aver lasciato il posto a un ragazzo fin troppo deciso per prendere le sue decisioni ancora in maniera così superficiale e… poi quel riso morì, annegato nella stupida sensazione di essere stata una scelta superficiale, un capriccio… no… forse inizialmente, ma… no, non avrebbe sofferto tanto per lei se quel che provava non fosse stato sincero. E… ancora i sensi di colpa.
Si rabbuiò e si ricordò di non essere sola in quella stanza.
La regina la guardava con fare interrogativo e… magari… avrebbe dovuto darle qualche spiegazione per evitare di sembrarle pazza… e, proprio mentre cercava qualcosa di decente da dirle e che avesse un vago sentore di sottile intelligenza, lo sguardo le cadde su quei fogli dalla calligrafia elegante posti poco distanti da lei su quello stesso tavolo.
Sì… aveva apparecchiato per modo di dire, ammettiamolo. Si era limitata a riempire i piatti e posarli sul tavolo così com’era… aveva aggiunto solo un paio di bicchieri, di tovaglioli e di cucchiai… ahhh e la brocca dell’acqua, chiaramente… ahhh! Era davvero una pessima padrona di casa se colta di sprovvista! D’altro canto un po’ di soggezione le era permessa, no? Lei sola in casa con la Regina Eska della quale era risaputo il fatto di non averla esattamente in simpatia.
-Cosa sono? - La raggiunse la voce di Eska, notando probabilmente il suo soffermarsi troppo lungamente su quelle missive aperte.
-Lettere. - ovvio… cosa dicevamo della ricerca di un briciolo di intelligenza?
Cercò di riprendersi come poteva. –Immagino che anche voi abbiate chi vi informa su come vadano le cose sul fronte della Terra e non intendo vostro fratello. -
-Ovvio. I fratelli tendono a omettere dettagli che potrebbero darmi preoccupazione. - Poi dandole una confidenza che Opal si sentì non meritare, continuò: -Ma soprattutto ho bisogno di avere notizie su di lui. Notizie che altrimenti non riuscirei mai a ottenere se non a missione compiuta. Ma nel frattempo chi metterebbe pace al mio cuore in pena? -
Opal Annuì. –Il Regno della Terra è il mio regno. Tutta la mia famiglia vive a Zaofu e non bastasse molti dei miei cari sono impegnati proprio nelle zone di guerra. Immagino possa comprendere la mia frustrazione nel non essere messa al corrente della reale situazione. -
Fu la regina ad annuire questa volta. –Il mio uomo è Karol, anche se, pensandoci, dovrei mandare qualcuno a controllare anche lui. E il vostro? -
-Amaranto. - Disse tranquillamente.
-Amaranto? - Domandò incuriosita la regina. –Uno dei soldati che vi erano stati affiancati come guardie del corpo? -
Di nuovo Opal annuì. –Proprio lui. -
-Interessante. -
-Gli ho chiesto semplicemente se poteva farmi sapere come andavano le cose. So che non può certo riferire nulla riguardo alle opere dell’Avatar in quei luoghi, ma… può sempre dirmi come va? Come stanno Korra e Bolin, mia zia Lin e quei ragazzi dai capelli chiari che sono lì con loro. -
Sul finire della frase si incupì.
-Solo questo? Mi sembrate improvvisamente adombrata o sbaglio? -
-Non sbaglia. Tra gli uomini che sono stati affidati all’Avatar c’è il più giovane dei figli maschi dell’Orsa. -
-Una lama a doppio taglio. Se da una parte trovarsi al fianco dell’Avatar potrebbe confermare a sua madre la nostra buona fede, dall’altro, se dovesse succedergli qualcosa, noi saremo i soli responsabili agli occhi della Capo villaggio e rischieremo in una volta sola di perdere quanto fatto fin ora. -
-Proprio così. -
-Comprendo. Ma parlando di questo Amaranto? Se non ero è piuttosto belloccio, o ricordo male? -
Opal imbarazzandosi… -No, non ricordate male, ma… non travisate per favore. Siamo solo entrati in confidenza, tutto qui. Ho avuto la fortuna di instaurare una bella amicizia con lui e Zoe. -
-Ma lui è l’unico che vi scrive, o sbaglio? -
-Sì, in effetti questo potrebbe creare dei malintesi, ma…- Ancora più intimidita…
-Ma? - Eska sembrava più curiosa di un gatto.
-Ma…- Respirò profondamente cercando di ritrovare un po’ di lucidità attraverso tutto quell’imbarazzo. –Abbiamo cominciato a parlare di come ci sentiamo. E’ utile, sapete? Siamo entrambi lontani da casa, impegnati su fronti diversi, ma… la solitudine e la nostalgia si fanno troppo spesso largo in noi e con loro il desiderio di mollare tutto. Nessuno di noi due può parlarne con la famiglia o non otterrebbe altro se non farli preoccupare più di quanto già non siano sapendoci tanto distanti, né tanto meno con chi ci è direttamente accanto aggiungendo inutili preoccupazioni a chi probabilmente ne porta altrettante sulle spalle, ma… proprio perché impegnati in ambiti diversi forse… non saprei spiegarvi meglio come… ma in questo modo riusciamo a toglierci qualche masso dal cuore. A volte… dopo avergli scritto, mi sembra di andare avanti più leggera, più vitale… non so se riesce a capirmi. -
-Siete già andati a letto insieme? - Disse, sorbendo quell’ultimo sorso di brodaglia, con una tranquillità nel tonò che non solo riportò l’imbarazzo sulle gote della fanciulla, ma che lo montò al punto da renderla incoerete nella sua risposta.
-In? Nooo… No, no, no… ma cosa? No, certo che no. Perché dovremmo? Insomma. Siamo amici. Non quel genere di amici… amici e basta. Ecco! Sì. Amici e basta. -
-Un semplice ‘no’ sarebbe stato sufficiente, Opal. - Disse alzandosi, sfiorando appena le sue labbra con il tovagliolo prima di posarlo sul tavolo. –Credo sia giunta per me l’ora di tornare nei miei alloggi. Grazie per avermi offerto la cena. Era la peggiore zuppa che avessi mai mangiato, ma almeno era calda. -
Opal si alzò di seguito. –Vi accompagno. -
-Non ce n’è bisogno alcuno. La capanna dove risiedo quando mi trovo in questo villaggio non è poi così distante. –
-Insisto. - Aggiunse con decisione e all’annuire della Regina capì di aver ottenuto quanto voluto.
Indossati i rispettivi soprabiti uscirono in quella serata gelida.
“La peggiore Zuppa che avesse mai mangiato!” Pensò Opal, mentre silenziose percorrevano quel vialetto. “Non era poi così male… tenendo conto che ci siamo sorbite il ‘mio’ sospirato bagno caldo!” Un sorriso le riscaldò divertito il visetto. Piccolo e insignificante particolare che non le avrebbe ‘mai’ rivelato, ovviamente.

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Capitolo 41
*** Cap. XLI: Attacco al Treno - Seconda parte ***


Cap. XLI: Attacco al Treno
-Seconda parte-


Era notte inoltrata. Procedevano accanto ai vecchi binari impiantati da Kuvira abbandonati ormai da tempo.
“E… speriamo che tali rimangano!” Pensava Korra mentre si avvicinavano alla loro meta.
Quella ferrovia attraversava tutto il Regno della Terra, un’opera tanto grande, prima o poi, sarebbe stata utilizzata per scopi più nobili di quelli che gli avevano dato i natali, ma era ancora presto.
Quel regno versava in una situazione insostenibile soprattutto nelle contee più periferiche.
Nelle grandi città tutto sembrava continuare a svolgersi quasi come se nulla fosse… quasi.
Gli uomini che Korra, con l’aiuto dell’Unione, aveva posto a controllare i grandi centri facevano un lavoro impeccabile, ma non privo di difficoltà. Il popolo era sempre sul limitare del collasso politico. La politica poi… ahhh! Quale politica?
Si erano accorti ormai da tempo che per quel popolo, abituato da secoli alla dittatura, la democrazia risultava qualcosa di troppo lontano dal loro modo di vivere, erano rimasti come disorientati senza capire realmente cosa dovevano e a chi?
E… se stessi a loro stessi, non era la risposta che li tranquillizzava.
Avevano perso l’identità e i più temevano di venire assimilati dai territori limitrofi più potenti e organizzati, gli altri speravano che accadesse presto.
Non esiste cosa più difficile, nel fare il bene di una nazione, che far capire alle persone che lo stai facendo per loro.
La verità era che l’Unione, già abituata a quella tipologia di governo, non riusciva a capire che catapultare quella gente in una realtà così diversa dalla propria non era la soluzione; si sarebbero dovuti avvicinare gradualmente alla cosa, procedere un passo alla volta, invece… era come avergli servito il dolce senza passare per le altre portate: sulla carta era buono e decisamente sfizioso, ma non saziava la loro fame.
Parlarne a chi di dovere, al consiglio organizzato da Tenzin su richiesta di Korra stessa, non aveva portato a molto; non più di una pacca sulla spalla, accompagnata da un ‘hai perfettamente ragione, ma…’
“Ma ne riparleremo una volta sconfitto questo nemico!” A quel pensiero Korra sbuffò, rendendosi conto di essere ormai vicina al punto prestabilito.
“E nel frattempo?” Si domandò. Ma non riuscì a darsi la risposta cercata, se mai l’avesse avuta, perché un cenno di Bolin le ricordò che era ora di dare inizio alle danze vere e proprie.
A pochi metri da quel punto seminascosto dalle rocce iniziava la zona off-limits per loro: la zona dove avevano stimato dovesse arrivare il controllo sul territorio dei dominatori della terra al servizio del Fronte di Ribellione.
Al cenno del suo luogotenente i due dominatori dell’aria del gruppo Yangchen, lei e Tenzin presero posizione, entrando in azione.
Sì, qualcosa nel piano originario era effettivamente cambiato, com’era tra l’altro preventivato dopo che avessero saputo cosa celava l’interno di quel grosso ammasso di ferraglia. Tenzin aveva accompagnato Jinora, era prevedibile che non l’avrebbe mandata da sola in zona di guerra, ma Korra sperava sinceramente che l’uomo mandasse qualcun altro degli erranti con la figlia e che non venisse lui stesso. L’Avatar sapeva bene che tenere il maestro in disparte da un’azione del genere sarebbe stato pressappoco impossibile, senza contare che la sua idea di muoversi con i pattini d’aria per avvicinarsi non percepiti al punto cieco di quel grosso edificio era indubbiamente un’ottima soluzione e questo spiegava anche il motivo della presenza di Zoe e Amaranto in quel luogo.
Al suo ruotare armonico di braccia all’unisono con gli altri tre dominatori dell’aria, quasi fosse una danza primordiale, il vento cominciò a vorticare sotto i loro piedi e quelli del compagno predestinato: Iroh con lei, Bolin con Tenzin, Lin con Zoe e Eizo con Amaranto…
“Eizo anche questa è stata un’altra bella idea dell’ultimo genito dell’Avatar Aang sostenuta a pieno dal mio ‘adorabile’ luogotenente.” Pensò la Custode dell’Equilibrio scuotendo impercettibilmente il capo tenendo saldo il generale al suo fianco mentre cominciavano a muoversi sul percorso deciso a tavolino.
L’idea di Tenzin, anzi, le idee di Tenzin erano ottime, ma a suo parere erano in troppi per quella parte della missione: otto persone per una manovra d’infiltrazione dove più aumenta il numero dei partecipanti più era facile essere scoperti, ma… aveva un asso nella manica che avrebbe giocato a tempo debito.
Come da programma nessuno notò il loro avvicinarsi grazie a quei cuscinetti d’aria che li tenevano sollevati dal suolo e che interrompevano le capacità percettive dei dominatori nemici.
Grazie alla giovane maestra dell’aria erano riusciti a stabilire alla perfezione le turnazioni degli uomini di guardia in modo da poter forare il loro sistema di difesa non visti.
Superarono l’alta recinzione con l’utilizzo dello stesso dominio che li aveva portati fin li.
Le torrette di guardia monitoravano per lo più l’esterno, quindi una volta varcato quel confine di metallo, se nessuno avesse fatto passi falsi, quei riflettori non avrebbero avuto motivo di puntarsi nella loro direzione.
Il problema più grande da superare era il punto di vedetta sul tetto dell’edificio: quella sorta di grosso faro non doveva smettere di segnalare che tutto filava liscio e… non doveva notarli, ovviamente.
Approfittando del breve intervallo di buio tra un fascio di luce e l’altro Amaranto ed Eizo salirono rapidamente sul tetto.
Erano ormai addossati alla parete dell’edificio e nessun dominatore del metallo controllava il via vai in quel luogo, sarebbe stato assurdo calcolando la quantità di persone presenti.
Il sibilo quasi impercettibile dello scoccare di una freccia sferzò l’aria colpendo il suo bersaglio senza che questi potesse emettere un fiato.  Quel corpo inerte non produsse il benché minimo rumore trovandosi immediatamente sorretto dal rapido dominatore dell’aria.
Quel faro continuò a girare senza intoppi celando al suo interno quel corpo privato della vita e Amaranto ai comandi di quella luce.
Un ticchettare leggero sul metallo di quella struttura da parte dell’arciere era il segnale che Bolin aspettava per dare loro il via libera per muoversi da quella postazione sul tetto.
Ora che gli occhi di quella sentinella non erano più un problema potevano prendere un respiro prima di proseguire con quanto stabilito. Avevano ancora due ore prima che qualcuno andasse a dare il cambio a quell’uomo, cosa d’altro canto insignificante tenendo presente che le loro truppe avrebbero attaccato molto, decisamente molto prima, pronte a muoversi dal di là della rupe al loro segnale.
Korra vestì rapidamente i panni del soldato ormai fuori gioco e, lasciato Amaranto sul tetto come già deciso, fece cenno ai compagni di prepararsi a scendere la scala metallica che da lì li avrebbe condotti alla prima tappa all’interno di quel capannone: uno dei depositi d’armi. A controllare quel luogo solo una sentinella ai piedi di quella stessa scala e due alla porta.
Un respiro profondo e Lin si lasciò cadere nel pozzo diritto di quel condotto a pioli.
Il tempo di veder apparire un barlume di stupore sul volto di quei tre uomini che, senza lasciargli il tempo di capire cosa stesse succedendo, il metallo intorno a loro li avvolse fino a renderli impotenti.
Un ghigno si dipinse sul volto della donna, ancora ginocchio a terra e mano affondata in quello stesso metallo di cui era quasi totalmente costituita quella costruzione.
Il resto della combriccola scese rapidamente senza emettere un fiato.
Fu il turno di Bolin, Lin e Iroh di indossare le divisi di quegli uomini.
La stanza dove si trovavano era l’unica ad avere guardie all’interno, fatto dovuto alla presenza del condotto che portava alla torretta centrale.
Come detto da Jinora, fuori da quella porta si accedeva a un breve corridoio cieco e, oltre quella dove si trovavano, c’erano altre tre armerie. Due guardie per porta e due sull’unico ingresso a quel corridoio. Un totale di otto sentinelle. Troppe e troppo distanti le une dall’altre per un qualunque dominatore che non volesse fare il minimo rumore, ma…
Eizo era già in postazione, l’abilità e la rapidità che avevano gli arcieri Yuyan nel colpire bersagli multipli con un sol colpo era leggendaria… gli bastava uno spiraglio.
Il tempo di socchiudere la porta che il suo colpo partì rapido e silenzioso come l’aria.
I nemici colpiti in pieno petto si accasciarono contro la parete, scivolando a terra inerti, senza emettere alcun rumore, privati della vita prima che potessero rendersene conto.
Korra sapeva perché quegli arcieri erano considerati una leggenda, ma averne la riconferma davanti ai suoi occhi era tutt’altra cosa.
Intrapresero il corridoio.
Trascinarono all’interno delle polveriere quei corpi esanimi.
Rapidamente Zoe e Tenzin indossarono anche loro le vesti delle guardie nemiche. Per quanto riguardava Eizo era impossibile per lui portare abiti diversi da quelli che erano parte completa del suo armamentario, ma sapeva come diventare invisibile.
Una manciata di secondi ed erano pronti a passare allo step successivo, quando…
-Tenzin, Zoe. Voi rimarrete qui a coprirci le spalle. - Sussurrò Korra. “Ecco il mio asso nella manica.” E… senza dare a nessuno dei due il tempo di poter ribattere il suo ordine, aggiunse: -Quando il nostro esercito attaccherà se non permetteremo al nemico di armarsi le chance di batterli in campo aperto saranno maggiori. Sorvegliate questa porta e impedite al nostro avversario di accedervi. – L’aveva studiata nei minimi particolari: troppo valida come proposta per essere contestata e realmente importante in quel frangente per ignorarla e proseguire. -Piazzate i loro stessi esplosivi. Timer 20 secondi, non di più. Ci sarà un secondo segnale dopo l’aver dato il via alle nostre truppe. A quel segnale partite col conto alla rovescia, recuperate Amaranto dal tetto e unitevi alle truppe in attacco. – I due dominatori dell’aria annuirono. –Bene! Tenzin, lascio questa fase tutta nelle tue mani. So che non mi deluderai. -
-Non accadrà, Korra. - Rispose il maestro dell’aria, mentre i quattro con le divise ribelli varcarono la porta.
Korra notò immediatamente la sparizione dell’arciere, ma sapeva che non doveva essere troppo distante. Quei prodigi scelti della Nazione del Fuoco erano in grado di svanire nell’ombra e muoversi anche sulle pareti. Ma non era il momento di pensarci.
Da quella porta si accedeva a un camminamento sopraelevato che circondava il centro di quell’Avamposto.
Una guardia le passò accanto senza badare loro. Un tuffo al cuore per un momento, probabilmente tutti pronti a intervenire, arciere compreso, ma non ce ne fu bisogno, il loro travestimento aveva funzionato.
Korra si affacciò un secondo alla balaustra e finalmente lo vide: un gigante di metallo scuro, un treno con un ché di demoniaco e malvagio.
Il perimetro tutt’intorno pullulava di sentinelle, neanche fosse giorno. Ma non era giorno… e la fase successiva del loro piano ne era la riprova.
Da quel ballatoio di metallo si accedeva a quattro porte: l’ultima dava accesso a un’area attigua più piccola di quella dove stanziavano in quel momento e, a dire di Jinora, era lì che tenevano gli armamenti pesanti e le armature meccaniche da combattimento. Ma non era quella a interessarli al momento, piuttosto le restanti tre porte.
Proseguendo con fare deciso verso l’ultimo ingresso, al di là del quale quella balconata terminava con una scala che portava al piano inferiore, uno ad uno si posizionarono accanto alle altre tre soglie: Lin alla prima, Bolin alla seconda, Korra alla terza, mentre Iroh procedette verso la scala posandosi contro il corrimano, controllando distrattamente la situazione.
Un cenno del capo da parte del Principe del Fuoco che testimoniava campo libero fu il segnale che aspettavano per far irruzione in quelle stanze.
Entrarono contemporaneamente quasi fossero mossi dalla stessa mano invisibile.
Una luce rossa appesa all’interno su quella porta appena aperta e un’altra sul fondo di quella camerata su di un’altra porta illuminavano flebilmente l’ambiente.
Solo il tempo di memorizzare ogni singolo letto a castello di quella camerata ricavata dal metallo, che l’abilità di Korra nel dominio di quell’elemento fece da padrona, avvolgendo ogni giaciglio, e i loro ospitanti assopiti, in capsule di metallo.
Uno dopo l’altro.
E… una dopo l’altra, nell’istante immediatamente successivo, quelle capsule perfette si accartocciarono su se stesse.
Lo stesso, lei ben sapeva, stava accadendo nelle altre due stanze.
Una smorfia di disgusto a lavoro compiuto per voltarsi e affrontar… quando, dalla porta sul fondo fece la sua comparsa un uomo. Il tempo di averlo nella sua visuale che quella stessa porta, su cui il soldato ancora posava la mano, lo avvolse rendendolo inoffensivo.
Un sospiro di sollievo… “Promemoria Korra, la prossima volta controllare anche in bagno.”
Ma… c’era qualcosa da affrontare adesso e là fuori: il grosso dei nemici era fuorigioco, ma il clamore soffuso del torcersi di una tale quantità di metallo non era certo passata inascoltata.
Ma era preventivato proprio come era certo che molti di quegli uomini erano dominatori del metallo. Per questo non potevano permettere che si liberassero, non potevano permettersi di avere pietà… una stretta al petto per il dispiacere, mentre raggiungeva i compagni all’esterno.
La sirena che annunciava la loro invasione sibilava intensa e incessante nelle loro orecchie.
Era il momento: dovevano impedire alle truppe nemiche all’esterno di convergere nel capannone centrale. Era ora del segnale.
Un fischio a due dita da parte dell’Avatar informò Eizo che era il suo turno di agire.
Una freccia scaturita da un punto imprecisato di quel comprensorio, colpì uno dei lucernai infrangendolo, seguita da un altro dardo fischiate più di quell’allarme e che illuminò a giorno il cielo sopra di loro… su quella scatola di metallo.  
Quello era il segnale che l’esercito aspettava per attaccare.
Ora rimaneva a loro solo da sistemare i soldati all’interno e… i loro mezzi pesanti.
Eizo era incaricato di occuparsi della parte riguardante le armature meccaniche e il restante dei loro automezzi armati. Una serie di sibili ed esplosioni proveniente dall’altra sala era la conferma che l’arciere sapeva come fare il suo lavoro.
“Ok, portarsi dietro un arciere Yuyan non è mai una brutta idea.” Pensò la ragazza, mentre ritrovata la sua spavalderia scagliava sfere infuocate da quella balaustra verso gli uomini sotto di loro.
Il metallo si accartocciava intorno a soldati inermi contro il potere della signora Beifong, la terra si squarciava infiammandosi mettendo la giusta distanza tra loro e i nemici, mentre proiettili di elettricità scaricavano la loro furia sulle armature metalliche attive in quell’hangar.


 

 

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Capitolo 42
*** Cap. XLII: Attacco al Treno - Terza parte ***


Cap. XLII: Attacco al Treno
-Terza parte-


Il treno era lì a pochi passi da loro, il tempo di sistemare quei soldati e avrebbero raggiunto il loro obbiettivo. Era lì, pensava Lin, che la giovane maestra dell’aria aveva detto si trovava la persona a cui il resto degli uomini di quell’avamposto portava rispetto. Dormiva, lavorava, mangiava sempre e solo all’interno di quel convoglio; non usciva se non per dare ordini ai suoi sottoposti.
Uomini che, purtroppo… erano ancora troppi e ben addestrati. Ma finché gli scaricavano addosso solo poteri elementali e proiettili per lei, e i suoi compagni in quella missione, si trattava di un gioco da ragazzi.
Eresse rapidamente un muro di pietra mentre dei globi infuocati le venivano scagliati contro, infrangendosi su quello scudo improvvisato.
Poi… quelle luci si accesero una dopo l’altra e quel rumore basso e intenso come di turbine in accelerazione riempì l’ambiente circostante.
Il gigante si era risvegliato: il treno era stato messo in moto.
Il portale anteriore di quel capannone di metallo cominciava ad aprirsi e, non bastasse, ecco arrivare quanto di più odioso esisteva sulla faccia del pianeta: bloccanti.
-Korra! - Gridò. –Se hai un diversivo, è il momento di attivarlo! -
L’aprirsi di un sorriso spavaldo sul volto della fanciulla, accompagnato dal suo assenso fu la riprova di quanto già sapeva.
Le bolas dei bloccanti, ruotarono nell’aria verso l’Avatar. Addestrati ad approfittare di ogni minima distrazione non si poteva dire che quei soldati non sapessero la loro.
Le gambe di Korra vennero bloccate, strette l’una all’altra e un suo braccio destro incatenato a una delle sbarre di metallo di quella costruzione. Lin la vide portarsi l’altra mano alle labbra senza perdersi d’animo e fischiare.
Lin era bersagliata da quei dominatori del fuoco e impossibilitata a intervenire, ma grazie al cielo il generale Iroh non tardò a investire quei bloccanti in corsa con le sue fiamme, scaraventandoli a distanza di sicurezza e parandosi davanti alla compagna.
La freccia richiesta dall’Avatar risuonò alta nel cielo attraverso quella vetrata già sfondata.
Le porte dell’hangar continuavano ad aprirsi.
La luce abbagliante che scaturì da quel dardo sonante per un secondo tolse i colori all’ambiente circostante.
-Bolin! – Disse Lin richiamando l’attenzione del ragazzo. –Quel treno non deve uscire da qui! -
Quel moretto era troppo abile per non capire al volo le sue intenzione e appena l’esplosione delle armerie, innescate dai due erranti dell’aria, fecero tremare tutto l’avamposto distraendo il nemico, il loro dominio squarciò il suolo, sollevando quel mostro di metallo, spaccando e arricciando i binari sotto di lui quasi fossero di latta. Parte dei vagoni di coda rotolarono sul fianco.
-Bel lavoro! - Giunse la voce dell’Avatar, mentre si liberava il braccio bloccato.
Un attimo di distrazione da parte di Lin nel sollevare quel treno, solo un attimo, che sul dire della ragazza un bloccante non visto le fu sotto, affondandole la sua l’arma tra le costole e inondandola da tanta elettricità da farle mancare i battiti, il respiro… Un secondo non di più o avrebbe perso i sensi…  Fu il tempo che trascorse prima che il dominatore della lava rendesse quell’uomo un tizzone ardente ‘congelato’ nella pietra fumante.
-Non c’è di che, capo Beifong! - Disse quel moccioso con il suo solito ghignetto spavaldo in volto.
Neanche il tempo di rivolgergli un sorriso sarcastico che la voce di Korra, ormai liberatasi, ordinò: -Iroh con me! Lin, Bolin, copriteci le spalle, tentiamo di entrare! -
Neanche il tempo di annuire che la corsa dell’Avatar e del dominatore del fuoco venne schermata da lastre di metallo e pareti di pietra.
I colpi che li bersagliavano senza sosta deformavano il metallo e infrangevano la pietra con la stessa rapidità in cui i due compagni procedevano.
-Permettetemi! - Disse la donna dagli occhi verdi con tono divertito, mentre dominando la terra sotto i loro passi creava un camminamento di roccia ‘viva’ velocizzando così i loro scopi.
Bolin la coprì abilmente mentre si adoperava per quello scopo.
Erano quasi a destinazione, pochi passi in corsa.
Lin vide la dominatrice di tutti gli elementi incrociare le braccia, le mani ripiegate ad artiglio davanti al volto, pronta con il controllo che possedeva sul metallo per squarciare la paratia del treno ed entrare, ma…
-Cosa diamine?!- Esordì Korra bloccandosi, alle sue spalle anche Iroh fermò la sua corsa… -E’ platino! Maledizione, è platino! -
“Cosa? Questo la piccoletta dell’Aria non ce lo aveva detto… ma come poteva distinguere un metallo dall’altro in forma spirituale?” Pensò Lin senza perdere d’occhio la situazione, accorrendo a fortificare le difese già alzate accanto ai due ragazzi ora più pericolosamente che mai al centro vero e proprio del conflitto.
-Scostatevi e lasciatelo a me! - Arrivò la voce di Bolin quasi ringhiante, mentre si liberava della presa di un’armatura di metallo, inchiodandola alla parete con il suo dominio.
Il tempo di vedere gli occhi del ragazzo voltarsi verso quel metallo indomabile che il suolo si mosse per lui, portandolo il più vicino possibile, e bloccandosi nel momento esatto in cui, da quella stessa terra, due lingue di magma incandescente serpentarono rapide dai lati del dominatore della lava fino a colpire il metallo nero.
Lin velocemente arrivò in difesa alle spalle del ragazzo, mentre il platino mostrava il suo vero aspetto cominciando a sciogliersi sotto i getti di quel dominio rovente.
-Sistemate i soldati rimasti e raggiungeteci! - Ordinò categorica l’Avatar a varco aperto, fiondandosi all’interno seguita dal Generale dell’Unione.
-Bene! Tocca a noi, Moccioso! - Disse Lin al giovane accanto.
-Dopo di lei, Capo Beifong! - Disse quel dominatore trovando il tempo di accennarle un inchino. –Prima le signore. - Sorrideva, i muscoli tesi visibili sotto quella tuta aderente, pronto come lei a gettarsi nella mischia.

 

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Capitolo 43
*** Cap. XLIII: Attacco al Treno - Quarta parte ***


Cap. XLIII: Attacco al Treno
-Quarta parte-


 
Purtroppo in guerra o uccidi o vieni ucciso. Lo avevano imparato a caro prezzo lui e i suoi uomini, con i sogni dilaniati da incubi incoerenti e sensi di colpa che non li avrebbero mai abbandonati, ma con cui avevano imparato a convivere. Questo pensava Iroh, mentre un nuovo avversario finiva in terra con il volto fumante completamente ustionato dal suo palmo infuocato.
Come detto dalla giovane Maestra dell’Aria quei vagoni erano tutto fuorché vuoti e quelle guardie decisamente più addestrate di quelle all’esterno e l’ambiente ristretto certo non facilitava le cose… almeno a lui e all’Avatar Korra.
Era strano trovarsi lì in supporto dell’Avatar in quel primo vero attacco al nemico dopo quasi due anni in cui erano stati costretti a subire cercando di mantenere la posizione. Finalmente era arrivato il momento del contrattacco.
Lui e Korra si accostarono ai lati della porta di quel vagone, un cenno del capo della donna e immediatamente irruppero in quello successivo. Sapevano cosa avrebbero trovato: sentinelle pronte a tutto per difendere il prezioso carico di quel treno.
Attaccarono quasi alla cieca. I loro fuochi saettarono all’interno rapidi e inclementi.
Due sentinelle a terra, altre due sul fondo.
Caricarono.
Cercare di schivare i colpi in quell’ambiente ristretto era quasi impossibile.
Iroh Riuscì a pararsi davanti all’Avatar, riparandola da una fiammata diretta.
Sentì il braccio bruciare, ma non meno di quanto già gli dolesse la gamba. Ma doveva andare avanti, non era il momento di leccarsi le ferite, un passo falso e tutto quel lavoro rischiava di vanificarsi.
Dovevano percorrere tutto quel treno. Era l’unica tattica possibile per poter affrontare i nemici un po’ alla volta, senza rischiare di trovarsene accerchiati entrando attraverso uno dei vagoni centrali. Bolin e Lin coprendogli le spalle evitavano che i soldati nell’hangar entrassero dal retro, questo gli garantiva che il pericolo venisse solo da una direzione.
La loro meta?
Il vagone appena prima della locomotiva.
Perché non erano entrati dal capo di quel treno invece che dalla coda?
Semplice: quanto si trovava all’interno di quel vagone e della locomotiva, descritto da Maestre Jinora, era risultato a Varrick un elaborato marchingegno tecnologico. Vi aveva riconosciuto qualcosa di suo, ideato all’epoca della battaglia contro Kuvira, e qualcosa di risalente alla guerra contro gli Equalisti. Dalla spiegazione, anche se dettagliata, non aveva potuto afferrare ogni singolo particolare non trovandosi direttamente presente, ma una cosa aveva detto con sicura certezza: un passo falso in quel settore e avrebbero rischiato di saltare in aria. E, ovviamente, loro non erano intenzionati a dargliela vinta così facilmente!
Korra scivolò al suo fianco con uno scatto, infierendo sulle due sentinelle che caddero in terra prive di sensi.
Altro varco da superare. Stessa tecnica.
Tutto bene anche per quel che riguardava quel vagone.
In quel treno solo dominatori del fuoco e bloccanti, non c’erano dominatori del metallo. Perché?
Ovvio, quel mostro non era fatto di comune metallo. E… come loro potevano procedere solo utilizzando le fiamme. A quanto pareva gli ex-appartenenti all’esercito della ‘Grande Unificatrice’ avevano imparato dai loro errori: quel treno non era solo corazzato di platino, anche il suo interno era totalmente plasmato in quel maledetto metallo.
Un colpo schivato, tre nemici in terra.
-Bloccanti! - Ringhiò Korra dopo aver atterrato un uomo al centro di quel vagone, notando le porte sul fondo aprirsi e per far apparire due uomini dalle armi inconfondibili.  
No, l’Avatar non detestava nulla quanto i soldati Equalisti, ormai era chiaro.
Immediatamente al ruotare delle loro bolas, la vide farsi di lato schivando abilmente. Neanche il tempo di vedere le loro armi colpire o meno il bersaglio che quei soldati già erano addosso alla ragazza: guanto elettrizzante alla mano uno e manganello elettrico l’altro.
Ahhh! Potevano anche aver imparato a usare armi di platino e plastica per non venire disarmati, ma per quanto riguardava l’elettricità lui forse ne sapeva qualcosina di più.
Non nascose il suo ghigno spavaldo, mentre richiamando il fulmine e appoggiando entrambe le mani in terra… -Korra, Salta! -
La ragazza non se lo fece ripetere due volte, già intenta a schivare quei due uomini, che nel tempo di un secondo caddero al suolo consumati dal suo fulmine.
-Il platino non sarà domabile dai dominatori del metallo, ma per me è solo un conduttore come un altro! - Disse rialzandosi, prendendo fiato un secondo… un secondo fermo dopo tanto correre.
Anche Korra sembrò approfittarne, anche lei non di più del tempo che Iroh aveva impiegato a dare quella spiegazione.
Nessuno apparì ulteriormente alla porta. Che fosse un buon segno?
Di solito i bloccanti non arrivano mai da soli, il loto maggior divertimento sembrava essere quello di attaccare in massa. Eppure…
Quanti vagoni avevano oltrepassato fino a quel momento?
Sei. Si, ne avevano passati sei, quindi ora il gioco incominciava a farsi serio.
Avevano superato rispettivamente quelli adibiti a cuccette, il vagone merci con i rifornimenti alimentari e la zona mensa, ma…
Oltre quella porta, sarebbero entrati nei vagoni di stoccaggio: quattro vagoni molto più grandi di dimensioni rispetto a quelli appena passati, dove la Maestra dell’Aria aveva dichiarato di avervi visto immagazzinate moltitudini di armi e centinaia di armature meccaniche e, giunti a quel punto, Iroh era ormai certo che fossero anch’esse forgiate nello stesso metallo del treno.
Quelle macchine erano armi micidiali, ma difficili da spostare velocemente e la loro presenza lì dava una risposta alla creazione di quel treno: sfruttando i vecchi binari era possibile trasportare rapidamente armi, macchine e truppe, in qualunque regione del Regno della Terra con risultati devastanti. Per loro fortuna però gran parte dei binari dovevano essere riparati e quel treno non era ancora del tutto terminato.
Come per le altre porte varcarono anche quella fiamme alla mano, ma…
Si bloccarono sbalorditi, poi Korra, puntando le mani sui fianchi, sorridendo e scuotendo il capo, disse con voce divertita: -Generale, la prossima volta meno euforia con i tuoi fulmini, se non vuoi rischiare di farci saltare per aria. -
Quella prima stipa era ancora percorsa da scintille e lo sfolgorio di lievi scosse elettriche ancora non scaricate. I macchinari fumavano e alcune armature meccaniche erano ripiegate su loro stesse. In terra diversi uomini privi si sensi.
L’impianto d’illuminazione sovraccaricato, qui come nell’altro vagone, aveva fatto esplodere le lampade, ma lo sfrigolare dell’elettricità nei cavi scoperti e penzolanti era uno spettacolo inquietante.
-Muoviamoci con cautela. - Disse ancora la ragazza, procedendo lentamente sui frammenti di vetro in terra. –Se quei cavi toccano il metallo rischiamo di friggere anche noi. -
Annuì proseguendo così come richiesto dall’Avatar.
L’elettricità non lo intimoriva molto, ma anche per lui una scarica molto potente avrebbe potuto metterlo al tappeto o peggio.
-Speriamo di essere fuori di qui prima che Eizo trovi l’impianto idraulico. - Si sentì di far notare lui.
Un ghignetto giunse dalla direzione dell’Avatar. –Ci manca solo che finiamo storditi dal fuoco amico… beh! ‘Acqua amica’ sarebbe più corretto in questo caso. –
-E se a dirlo è l’Avatar dell’Acqua poi…-
Entrambi non poterono trattenersi dal sorridere a quella sciocca battuta.
Assurdo! Il campo di battaglia faceva sempre uscire il peggio da ognuno di loro, e il loro peggio, a quanto pareva, era proprio quell’assurda vena di condivisa follia.


Korra sentiva l’adrenalina scorrergli sotto pelle.
Lei e Iroh avevano appena superato il terzo vagone armamenti di quel treno.
Il principe del fuoco aveva involontariamente fatto un ottimo lavoro con quel suo fulmine e fino a quel momento non c’erano stati intoppi, imbattendosi per lo più con gente stordita o priva di sensi: un gioco più semplice di quanto si aspettasse, ma… in quello che doveva essere l’ultimo vagone, prima del laboratorio di ricerca che le aveva descritto Jinora, c’era la luce.
Una luce rossa e lampeggiante, ma sufficiente a darle immediatamente l’avviso che se la luce non era del tutto saltata, neanche i suoi occupanti dovevano essere del tutto privi di sensi.
Il tempo di quel pensiero che il colpo balenante di una di quelle armature di metallo la prese in pieno. Si sentì quasi friggere lo stomaco dall’elettricità che le scorreva dentro, ma… un grido angosciante e quel gigante, fumando dalle giunture, mollò la presa.
Iroh aveva sfondato a pugni l’oblò di vetro di quel mezzo meccanico e inondato il suo cabinacolo di fiamme. La mano del generale era ridotta male, ma avrebbe potuto ben dire di averle salvato la vita e… per l’ennesima volta, l’ennesima da quando combattevano su quel fronte.
Quell’armatura vacillò incontrollata e crollò in terra, mentre un’altra si faceva sotto, questa volta attenta dall’avvicinarsi troppo al dominatore del fuoco, lanciando proiettili esplosivi da una paratia abbassata all’altezza del petto.
Il tempo di ripararsi dietro uno di quegli stessi mostri privo di pilota che Iroh… -Scusa Korra! - Disse con tono divertito afferrandola col braccio dalla mano ferita e tirandola su dal suolo.
Un bagliore d’orato gli illuminò lo sguardo mentre l’arto libero veniva percorso per un millesimo di secondo da un serpeggiare elettrico quasi impercettibile prima di scaturire dalla punta della mano come un vero e proprio fulmine colpendo il nemico davanti a loro.
La luce lampeggiò friggendosi. Erano nuovamente al buio.
Equazione semplice: armatura meccanica, più, pavimento di platino, uguale, ambiente percorso da scariche elettriche.
-Lo sai che rischi di farti male se continui a scagliare saette a destra e a manca? - Disse ironizzando, mentre la rimetteva in terra.
-Daiii! Lo sai che il mio fulmine non può ferirmi. - Rispose lui, quasi dovesse essere la cosa più ovvia di questo mondo.
-Dimentichi che rischiamo di saltare in aria! - Affermò la ragazza assottigliando lo sguardo.
-Ah già! - Disse lui alzando lo sguardo al soffitto ancora percorso dalla sua scossa. –Ma tra saltare in aria ‘forse’ o morire per mano di questi aggeggi tecnologici ‘adesso’, tanto valeva tentare, no? -
-Te lo ha detto mai nessuno che sei un pazzo? -
-Giusto un paio di persone, in effetti. - Rispose lui sollevando un sopracciglio.
-Non era una domanda. – Aggiunse Korra sbuffando un sospiro, poi… vedendo chiaramente in quella mezza oscurità le luci di uno di quei giganti illuminarsi… -Attento! – Disse, spingendolo violentemente di lato dietro il mostro appena abbattuto, giusto in tempo per evitare una nuova rosa di proiettili.
Iroh, in terra sotto di lei, scostandola, per tirandosi in piedi dietro quel improvvisato riparo, disse ora visibilmente furioso: –Ma allora non volete proprio imparare! -
Entrambe le mani si illuminarono di energia lampeggiante un secondo prima di vederlo scavalcare quell’ammasso di ferraglia fumante e scagliarsi contro il nuovo avversario.


 

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Capitolo 44
*** Cap. XLIV: Attacco al Treno - Quinta parte ***


Cap. XLIV: Attacco al Treno
-Quinta parte-


“Ecco finalmente il laboratorio.” Pensò Korra dopo aver messo al tappeto gli occupanti di quel nuovo enorme vagone.
Era un po’ bruciacchiata, non c’era che dire, ma al di là di quel centro di ricerca su rotaie si trovava l’alloggio del capo di quella ‘baracca’.
Si sentiva fremere. Fin lì era stato anche troppo facile: le sembrava impossibile che fosse da solo, ma presto se ne sarebbe accertata.
Il compagno al suo fianco aspettava un suo cenno per agire.
Un profondo respiro ed eccola tendere i muscoli per dare il via a quel nuovo spettacolo, quando alle loro spalle… -Allora, chi di voi due mi ha quasi fritto le natiche? Fortuna che sono un tipetto coriaceo, altrimenti…- Era la voce di Bolin.
-Ancora qui? Speravamo di trovarvi già a torchiare il grosso bastardo che ha messo su questa follia! - L’arroganza di Lin l’avrebbe riconosciuta tra mille.
Si voltò sorridendo. –Che domande, vi aspettavamo, non è evidente? Non volevamo mica togliervi il piacere di farci da spalla! –
-Sì, come no! - Commentò la donna mentre Bolin le parlava sopra, dicendo: -Ehi, ehi, ‘eroina’. Abbassa la cresta, io non sono la spalla di nessuno. -
-Tecnicamente essendo uno dei cavalieri del…- Intervenne Iroh immediatamente interrotto.
-Ok, ok, ho capito! La signora qui presente…- Aggiustò il tiro il ragazzone della terra indicando Lin. -…Non è la spalla di nessuno, intesi! – Poi, assottigliando lo sguardo e fissando il generale, aggiunse: -Sei tu che m’hai bruciacchiato, vero? -
-Direi che abbiamo cose più importi a cui pensare e, ma… è una mia impressione o siete completamente fradici? - Cambiò abilmente discorso il generale.
-Già, nessuna impressione. Siamo zuppi fin nelle ossa. Eizo ha fatto davvero un buon lavoro. Le tubature sono saltate e la pressione, inondando l’hangar, ha mandato in tilt tutte quelle robe tecnologiche. Armature, armi e altre diavolerie che non ti sto a dire. – Spiegò il dominatore della lava
-Uhm… grazie agli spiriti avevate inclinato il treno altrimenti…-
-Altrimenti cosa? -
Iroh stava per rispondere al ragazzo dagli occhi verdi, quando Lin… -Forza muoviamoci! Non siamo qui mica per fare un pic-nic. - Disse, superando Bolin con una spallata.
Korra si limitò ad annuire più determinata che mai, ora che anche il resto dei suoi amici era lì con lei.


Eizo aveva svolto il suo compito: come da programma la prima cosa che aveva fatto era stato manomettere l’impianto antincendio per permettere all’Avatar e ai suoi di entrare nel treno. Aveva sigillato l’unica derivazione che conduceva l’acqua al di fuori di quell’hangar e bloccato, con i comandi manuali, i bocchettoni del getto, per poi dedicarsi al sabotaggio del deposito armature. Quando i sensori avevano captato un aumento esagerato del calore e del fumo in quel magazzino, dovuto allo scontro elementare, avevano attivato l’erogazione dell’acqua che scorrendo nelle tubature senza trovare alcuna via di sfogo aveva aumentato la pressione al punto tale che quell’impianto provvisorio era finito con il collassare su se stesso, esplodendo. I macchinari e le armi cominciarono così a dare segni di mal funzionamento e a bloccarsi. In quel momento, preciso come un orologio, l’esercito del nord, guidato dal generale Monraq, faceva il suo arrivo proprio dall’ingresso principale e in un attimo quel poco che ancora funzionava era stato bloccato nel ghiaccio.
“Tanti cervelli tutti insieme e nessuno che avesse pensato a fare quei cosi a tenuta stagna. Divertente!” Pensò Eizo, mentre osservava in basso, da una trave della costruzione, il generale Monraq avere tutto sotto controllo.
“E’ l’era dell’Avatar dell’acqua, sciocchi! Se avete intenzione di esserle nemici dovreste almeno avere l’accortezza di non bagnarvi.” Ridacchiò tra sé e sé spostando lo sguardo su quel treno diventato ormai il fantasma malridotto dello splendore scuro che era stato meno di un’ora prima.
Gli oblò erano progettati in modo che non si potesse guardate all’interno. Ma le sue frecce nel clou dell’attacco avevano infranto i vetri dei primi vagoni per permettergli di fare quello che sapeva fare meglio: osservare ed essere pronto a intervenire. Aveva usato frecce esplosive da contatto, che non solo erano parse agli occupanti di quel bestione di metallo dei colpi sfuggiti ai dominatori del fuoco, ma non superando quel limite, infrangendosi e disintegrandosi contro il vetro, non avevano rischiato di far saltare in aria Avatar e amici.
Vide il suo comandante e Lin raggiungere l’Avatar e il Generale Iroh. Mancava poco. E se qualcosa fosse andata storto lui era pronto a scagliare le sue frecce che fossero servite ad attaccare o a mandare segnali.
All’arrivo del Generale Monraq, il suo comandate aveva dichiarato che lasciava il controllo di quella postazione nelle sue mani in modo da poter raggiungere l’Avatar. Il generale si era limitato ad annuire per poi ordinare di perlustrare la zona.
Le truppe dell’unione guidati dai suoi compagni erano ancora fuori. Avevano avuto il compito di tenere a bada le truppe esterne aprendo un varco all’esercito del Nord. Quei cosi metallici non avevano speranza contro quei dominatori, e suo era stato il compito di fornirgli le cartucce da sparare…
“Ehm… l’acqua da spar… ahhh!!!” Pensò con lo sguardo fisso su quel che accadeva nel treno: gli scienziati e il grosso delle guardie del vagone laboratorio erano convogliate tutte nel vano successivo. Li vedeva sudare freddo mentre fissavano la porta coscienti di cosa da un momento all’altro sarebbe piombato su di loro.
Impugnò la sua arma e incoccò quattro frecce. Tese l’arco e schioccò la lingua imitando il gemere della corda rilasciata.
Ahhh! Quanto sarebbe stato facile per lui eliminarli, ma… non era il protagonista della storia! Trattenne a stento una risata a quell’ultimo pensiero. Abbassando il suo arco.
“Basta giocare!” Si disse. La verità era che quelli come lui coprono le spalle e non accelerano i tempi, il rischio altrimenti era che se le cose fossero sfuggite di mano nessuno sarebbe stato pronto a metterci una toppa.
La voce di Hayato che chiedeva la stima della situazione al Generale del Nord voleva solo dire che le truppe dell’unione avevano finalmente varcato anche loro quell’uscio.
Fuori tutto era finalmente calmo. Mentre l’esercito del Generale Monraq rimaneva all’erta le forze dell’Unione cominciavano a far un po’ di pulizia: per prima cosa cominciarono a radunare i prigionieri rendendoli impossibilitati a nuocere ulteriormente. Anche se nemici la maggior necessitava di cure e l’Avatar aveva già predisposto che ne avessero. La seconda cosa era occuparsi dei morti. Non era mai piacevole accatastare i corpi, ma qualcuno doveva pur farlo.
Eizo non aveva mai amato quella parte del far pulizia; non gli piaceva vedere quelle che, fino a pochi momenti prima, erano persone a tutti gli effetti, trattate come sacchi della spazzatura e, grazie agli spiriti, la sua missione gli stava evitando quello spettacolo, attento solamente a quanto accadeva nel treno.
“Cosa avrà da blaterare il comandante invece di intervenire?” Pensava, vedendo Bolin agitarsi fisicamente conversando con il Generale. “Ma davvero stanno perdendo tempo in chiacchiere?” non sapeva se esserne divertito o cosa. Ma no, sicuramente avevano trovato qualche cosa che non collimava con il piano originario e stavano valutando il miglior modo per irrompere nell’altro vagone.
L’altro vagone… quell’uomo sul fondo del vagone, seduto tranquillamente a quella sorta di pannello comandi, che dava le spalle al resto dei presenti. Era così tranquillo… troppo tranquillo, mentre premeva una serie di tasti davanti a lui. Non gli piaceva…
-Zak! E non ci sei più bello! Non dovresti sentirti tanto al sicuro. - Disse sottovoce, socchiudendo l’occhio sinistro e accennando a scagliare una freccia invisibile, quando il gruppo di Korra guadato dalla signora Beifong sfondò quell’ingresso con la grazia che solo quella donna, e il suo piede destro, possedevano. Pensò divertito.
-Uno. - Cominciò a contare. -Due. Tre. Quattro. - Ghignò compiaciuto. –Quattro secondi. Niente male davvero! - Commentò infine vedendo al tappeto tutti gli ostacoli umani che si frapponevano tra l’Avatar e il suo obbiettivo.
Purtroppo però quel sorriso divertito sulle labbra dell’arciere si spense di colpo: quell’uomo in camice bianco era ancora seduto come se nulla di quanto stesse accadendo lo tangesse minimamente. Vide la sedia girevole ruotare e mostrare l’uomo che battendo le mani si beffava dell’Avatar e dei suoi uomini per nulla intenzionato ad alzarsi al cospetto dell’unica Maestra di tutti gli elementi.
-Fottuto bastardo! - Sibilò a denti stretti, questa volta davvero tentato di fargli saltare la testa.    


 

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Capitolo 45
*** Cap. XLV: Attacco al Treno - Sesta parte ***


Cap. XLV: Attacco al Treno
-Sesta parte-


 
-Complimenti! Un ottimo lavoro, Avatar. - Disse l’uomo col camice, dopo aver smesso di battere le mani, seduto sulla sua sedia come se nulla fosse.
-Ti aspettavamo. - Continuava, scavallando le gambe e puntando le mani sui braccioli di metallo per sporgersi in avanti con gli occhi fissi in quelli di Korra. –Sapevamo che saresti giunta anche se, in tutta onestà, speravamo che il regalino che ti avevamo spedito ti avesse fatto cambiare idea, ma a quanto pare ci sbagliavamo. Non avrei mai pensavo che la grande Avatar Korra avesse il coraggio di spezzare così tante vite, ma con mia grande sorpresa non hai avuto nessuno scrupolo al riguardo. Eravamo preparati al tuo arrivo eppure sei riuscita a sgominare tutto il nostro esercito. Un vero peccato, non trovi? Tutti quegli uomini morti solo perché fedeli ai loro ideali. Tanto spreco di sangue per non concludere niente. -
-Dopo che avrò finito con te vedremo se avrai ancora voglia di dire che non abbiamo concluso niente! - Bolin parlò per primo, irritato forse più di lei dalle parole di quel tizio, constatò Korra, ma… dove aveva già visto quel tizio?
-Taci leccapiedi! - Inveì l’uomo urlando verso Bolin. –Sto forse parlando con te? – Quegli occhi sgranati lasciavano trapelare la furia verso chi gli aveva rotto le uova nel paniere e la sua più completa follia.
Il resto dei presenti non parlava.
Iroh e Lin se ne stavano a lato, crucciati, braccia conserte.  Sembravano ascoltare pensierosi quanto quell’uomo aveva da dire.
-Leccapiedi? Dovresti stare più attento a chi hai di fronte, ometto! - Rispose iroso Bolin che superandola afferrava l’uomo per il bavero tirandolo finalmente su da quella sedia.
-Puoi dire quello che vuoi, ma come puoi leggere negli occhi del mio amico, ti conviene stare zitto e venire con noi! -
Di nuovo l’uomo scoppiò in una fragorosa risata al dire di Korra.
“Occhi gialli, capelli neri, carnagione chiara, statura nella media. Sicuramente un uomo della Nazione del Fuoco, ma dove l’ho già visto?” Pensava la ragazza, mentre…
-Ridi? Vediamo se riesco a toglierti questo riso dalla faccia! -
-Calmati Bolin, non ne vale la pena, abbiamo vinto! Solo questo conta. Andiamo! -  Intervenne ulteriormente l’Avatar, onde evitare che il ragazzo rovinasse quella loro ‘preziosa’ fonte d’informazioni.
Bolin sbuffando sembrò ritrovare contegno, allentando la presa intorno al collo dell’uomo. -Ritieniti fort… - Accennò a dire, mentre quello: -Vinto? Oh sì, vinto! Se per voi vincere vuol dire saltare per aria con il vostro intero esercito e qualche villaggio nelle vicinanze, direi di sì… avete vinto! - Ancora rideva.
Bolin lo teneva appeso, ma Korra a quel dire gli fu immediatamente accanto e strappandolo dalle mani del compagno lo attaccò violentemente alla parete.
–Cosa stai dicendo? -
Rideva. Lo aveva appena sbattuto con tutta la forza che aveva in corpo contro una parete di metallo e lui rideva.
-Allora? - Intimò ulteriormente la ragazza, lasciando che l’uomo ripetesse l’esperienza, una seconda e una terza volta.
-Dottor Yakamochi. Siete voi, non è vero? - La Domanda di Iroh, finalmente, suscitò qualcosa in quel pazzo.
-Principe Iroh! Che piacere incontrarla, quel che si dice sul suo acume a quanto pare corrisponde a verità. Non a caso siete stato l’unico dei presenti a riconoscermi. -
“Il professor Yakamochi. Possibile? Come aveva fatto a non riconoscerlo?” Pensò l’Avatar. “Nipote dell’uomo che, sotto il governo di Ozai, grazie all’ausilio delle sue scoperte in ambito bellico, aveva reso le forze militari della Nazione del Fuoco devastanti al punto da essere paragonate a veri e propri demoni. Ecco perché mi tornava famigliare il suo volto, quest’uomo è il più grande ingegnere della Nazione del Fuoco e una delle maggiori menti belliche al servizio... al servizio della terra del fuoco, al nostro…” Era esterrefatta al punto da non riuscire a parlare.
-Ecco dove ti ho già visto! - Esclamò Bolin ancora più furioso che mai. –Sei tu allora. E’ tutta colpa tua se il nemico sembrava conoscere in anticipo ogni nostra mossa. Non sembrava: la sapeva! -
Glielo strappò di mano gettandolo malamente su quella sedia.
-Ohh! Il Cagnolino dell’Avatar vuole un osso! - Ebbe il coraggio di commentare l’uomo.
-Com’è possibile professore. Io ho sempre creduto che lei fosse dei nostri, mio nonno si è sempre fidato ciecamente di voi! - Intervenne Iroh. –Siete parte del Loto Bianco, avreste dovuto essere al servizio dell’Avatar e invece…-
L’uomo ancora non si toglieva quel ghigno dalla faccia.
Tutto a Korra tornava adesso: già aveva pensato che ci fossero degli infiltrati, ma non a livelli così profondi.
-Già, talmente importante per l’Avatar che neanche ricordava chi fossi. Bell’Avatar… proprio l’Avatar che tutti aspettavamo. - Parlava quel traditore.
-Korra. - La chiamò Bolin. –Dimmi che non ti serve, ti prego! -
Lo guardò ancora pensierosa, ma non gli rispose. Chissà quanti altri che riteneva fidati in realtà stavano tramando contro di loro.
-Parte del Loto, sì. - Giunse la voce di Lin. –Ma del colore sbagliato a quanto pare. -
“Il Loto Rosso.” Pensò Korra a seguito di quelle parole, poi Lin continuò: -Piuttosto sono l’unica ad aver fatto caso alla parte del ‘Saltare in aria’ in questa… ehm… ‘stanza’? -
-Accidenti è vero! - Disse Bolin. –Cosa diavolo intendi con il far saltare in aria? -
-Proprio quello che ho detto, Scherzo della Natura. - Rispose quello, di nuovo con il collo stretto pericolosamente nella presa del ragazzo.
-Questo vuole farsi uccidere! Non ci cascare, moccioso! - Intervenne Lin. -Parla Professore! O la morte sarà l’ultimo dei tuoi problemi, credimi! - 
Era furiosa. Adesso Korra era davvero fuori di se. Senza quasi rendersene contò un turbine d’aria partendo da lei lo stappò violentemente dalle mani del ragazzo sbattendolo sulla parete al lato opposto.
-Apri quella lurida bocca e parla, maledizione! –


-Fortuna che c’era il letto! - Si lasciò sfuggire Lin sarcastica, mentre Korra sul limite dello stato d’Avatar scagliava quel tizio addosso alla parete sopra quel letto... appunto!
Non era stata certo una carezza: il sangue gli colava copiosamente sul volto da sotto la frangia di capelli scuri, mentre tossiva via un fiotto di sangue dalla bocca e dal naso.
Lin lo vide osservare il sangue sulle mani che si era portato alle labbra e scoppiare di nuovo in una fragorosa risata.
–Volete sapere cosa è successo e cosa succederà? - Disse ancora con quel sorriso tatuato in faccia. –Non c’è problema, tanto a breve saremo tutti morti! Non ci potrai far niente piccola Avatar. -
Il tempo passava e quello… “Ma certo, sta perdendo tempo! Il suo piano era questo sin dall’inizio, quindi… forse siamo ancora in tempo.” Pensò la donna, movendo un passo verso di lui decisa a fargli vomitare tutto quel che sapeva, quando… l’uomo cominciò da solo a dare le risposte che cercavano.
-Sapevamo che saresti arrivata, te l’ho già detto, non ricordi? Credevi che davvero vi avremmo fatto trovare qui i risultati delle nostre ricerche? Questo che vedete, se già non lo sapevate, non è solo un mezzo di trasporto, ma uno dei laboratori ingegneristici più avanzato al mondo. Abbiamo messo insieme il meglio della tecnologia dei tre regni, ma non avrete nulla di quanto abbiamo creato. Non saprete mai con cosa avrete a che fare fino all’ultimo. E questo perché appena abbiamo saputo che conoscevate la nostra locazione abbiamo spostato al sicuro quanto avevamo già progettato e tutte le mie ricerche con loro. Quello che vedete qui non è né più, né meno di quanto avevate già visto in passato, ma quello che vi aspetta… ahhhh… non potete nemmeno immaginarlo! -
“Sta ancora temporeggiando!” Pensò Lin ringhiandogli contro: -Parlaci dell’Esplosione, accidenti! -
-Ogni cosa a tempo debito signora Beifong. Non sono neanche troppo sicuro che vi siate resi conto, nella vostra ottusità, di essere caduti in una trappola… beh, in effetti una trappola che non ha funzionato un granché dato che il piano principale prevedeva di farvi trovare ad attendervi truppe quattro volte superiori a quelle che vi aspettavate, ma, a quanto pare… dovremmo cercare altre spie tra le nostre fila, quella ragazzina delicata non doveva essere l’unica… ricordo ancora il suono delle sue ossa mentre si spezzavano. Tragico, ma necessario purtroppo! - Disse sadicamente. –Ma torniamo a noi, dicevano? A sì, la trappola. Purtroppo per voi avete superato il Piano A del nostro piccolo stratagemma e siamo stati costretti a passare al meno gradito Piano B. Sapete, speravamo di salvare armi e bagnagli e tornare a casa con la graziosa testolina dell’Avatar come trofeo e invece… ahhhh! Tutto questo ben di Dio sprecato! Ma chi se lo aspettava che l’Avatar avrebbe avuto il fegato di giustiziare così tanti uomini inermi, nel sonno poi…proprio un comportamento degno di un Avatar, non c’è che dire! - Ironizzò.
-Basta perdere tempo o ti giuro che non avrai la fortuna di morire rapidamente! - Sbottò Lin.
-Su, su, non si arrabbi Capo Beifong! - Disse questo senza sapere che doveva temere maggiormente chi sovente era portato a parlar anche troppo, ma che in quel momento lo guardava silenziosamente con occhi lucenti e il suo ‘cagnolino’: aveva visto i muscoli del ragazzo fremere dal desiderio di spaccare le ossa a quel tipo proprio come aveva saputo avevano fatto alla sua giovane allieva.
-Piano B, dicevano. – Riprese l’uomo. –Il piano B comprendeva, ahimè, la bizzarra idea di un tizio di vostra coscienza, sapete si fa chiamare il Luogotenente, vi ricordate di lui o devo rinfrescarvi la memoria? - Il ringhiare sommesso dell’Avatar e la pressione dell’aria improvvisa che lo schiacciava nuovamente contro la parete fu l’incentivo giusto per continuare: -Il piano B consisteva nell’avviare l’autodistruzione di questo treno. Sapete oltre a essere un gigantesco e pregevole gioiello tecnologico è anche una potentissima testata esplosiva di enorme gittata. Devo ringraziare per questo gli studi di un altro vostro vecchio amico di cui ho rinvenuto gli studi: Varrick. Un tizio geniale, un po’ strano, ma geniale non c’è che dire! Continuando… purtroppo l’attivazione di questo ordigno è un tantino complessa, o volevamo essere certi che se fossimo stati costretti ad attivarla l’Avatar sarebbe morto su questo treno, quindi… è stato necessario da parte mia aspettarvi qui e, come ben detto dalla signora Beifong, perdere un po’ di tempo. Sapete, la giusta durata, dato i danni che avete apportato al mio sistema… siete disastrosa Avatar, per poco rischiavate di non farci andare a segno neanche il Piano B, cosa che sarebbe stata decisamente un problema dato che non avevamo un Piano C. Immagino capiate. -
-Questo… Questo posto sta per saltare in aria? - Domandò Iroh, guardandosi in torno.
-Si, principino, direi proprio di sì, tra circa…- Disse l’uomo guardando l’orologio al polso. –Un sette, otto minuti al massimo. Per carità potete anche provare a scappar via, nessun problema, tanto il raggio dell’esplosione, come vi ho detto, coprirà un aria molto vasta. Pensate che verrà rasa al suo anche la piccola e graziosa cittadina di Xìng huā. Povera gente inconsapevole, ma l’Avatar non ha voluto perdere. E…-
-Dimmi dove si trova la bomba. - Disse categorica Korra.
-Se proprio ci tieni, tanto non farai in tempo a disinnescarla anche perché non esiste un modo, credimi lo so bene, altrimenti non sarei qui a morire per i miei ideali. -
-Si, si, tutto molto nobile, ora parla: dove si trova? -
-Tempo perso, ma come vuoi. Ce l’hai proprio sotto i piedi, ma tanto è inutile. -
-Sotto…- Disse Korra abbassandosi a controllare il pavimento.
Neanche il tempo di pensarci che il generale Iroh tirato via il tappeto scoprì una botola.
Korra sollevò il portello e immediatamente fu visibile a tutti quel terribile conto alla rovescia: 6.47… 6.46 … 6.45 …
-Lin, Iroh! - Chiamò l’Avatar. –Radunate tutti i dominatori del fuoco, se davvero non dovessimo riuscire a bloccare quest’esplosione cercheremo almeno di contenerla. -
-Stupida illusa, secondo te, qualche dominatore del fuoco…- Cercò di intervenire il folle scienziato.
-Taci! Non conosci i miei dominatori, e voi andate! Bolin vediamo se riusciamo a smembrare questa cosa, tu hai lavorato per Varrick in passato, dovresti capirne qualcosa. - Fu rapido l’intervento dell’Avatar.
Lin e Bolin annuirono, ma Iroh… -La conosco! - Esordì.
I presenti si voltarono a fissarlo.
-La testata esplosiva sarà anche simile a quella ideata da Iknik, ma questa è ingegneria della Nazione del Fuoco! -
-Perfetto allora. -  Disse Korra. –Bolin con Lin. Iroh con me e vediamo di portare a casa la pelle! -
I dominatori della Terra annuirono e rapidamente si allontanarono da quel vagone col traditore.
-E dire che ero convinta che questa battaglia sarebbe stata la prima di molti successi! - Disse Lin in corsa.
-Mai dire ‘mai’! - Rispose il ragazzo rapido al suo fianco, che portava sottobraccio quasi fosse un sacco di patate quello scienziato. –Ho piena fiducia nell’Avatar! -
Lin sorrise al dominatore della lava, ormai fuori da quel treno. –Anch’io, ma non diciamoglielo, ok? –
Quell’uomo era improvvisamente calmo, notò Lin mentre Bolin richiamava i suoi uomini.
L’ultima volta che lo aveva visto, quel timer segnava 5.59 minuti.


-Hayato, raduna immediatamente tutti i dominatori del fuoco! Izanami, anche tu! - Ordinò Bolin al capitano del Gruppo Roku e alla sua vice, subentrata al posto di Suzume, messi al comando rispettivamente della prima e della seconda divisione dell’esercito al servizio del Generale Iroh.  
-Heng, Xia, fate lo stesso con i dominatori della Terra sotto di voi. - Comandò ai due dominatori del metallo a capo dei due battaglioni specializzati rimasti.
Bolin non li vide annuire, ma ne fu certo, come era sicuro della loro devozione nell’Avatar.
-Atsuko, ho bisogno anche di te! - L’arciera del gruppo Yangchen, al comando del gruppo misto e più rapido dei cinque, apparve davanti a lui silenziosa come un’ombra. –Mi servono i tuoi dominatori del fuoco e della terra. Radunali e passali sotto il comando di Hayato e Heng. Immediatamente! -
La ragazza annuendo sparì così come era apparsa.
Gli eserciti del fuoco e della terra impiegati in quella battaglia si mossero rapidamente mettendosi in formazione, lo stesso i dominatori richiesti al quinto battaglione.
-Gruppo Roku, Atsuko, qui! - Non passò un secondo che i quattro ragazzi e l’arciera si trovarono a fronteggiare il loro comandante.
-Gruppo Roku, presente, signore! - Dichiarò Hayato per tutti.
-Perfetto, abbiamo poco tempo. A quanto pare questo treno è un enorme ordigno esplosivo sul punto di esplodere. L’Avatar e il Generale Iroh, stanno facendo il possibile per evitarlo, ma noi dobbiamo comunque essere pronti. Hayato, Heng c’è bisogno dell’aiuto di tutti, ho dunque posto sotto i vostri comandi anche i dominatori del fuoco e della terra della quinta divisione. -
-Si, signore! - Risposero i due ragazzi all’unisono.
-Heng, Xia, fate innalzare e mantenere ai vostri uomini cerchi concentrici di pareti frangi-fiamme usando come epicentro i vagoni di testa del treno. E’ da lì che eventualmente si espanderà l’esplosione. Le pareti non dovranno essere continue in modo da permettere ai dominatori di procedere per contenere l’esplosione e rialzare le pareti abbattute dal primo impatto e retrocedere se dovesse essere necessario. -
-Si, signore! - Risposero a una voce.
-Hayato, Izanami, i dominatori del fuoco prenderanno posizione accanto ai dominatori della terra. Cercheranno di contenere le fiamme e procederanno con questi per ridurre la portata dell’incendio e soffocarlo, tutto chiaro? -
-Si, signore! - Ribadirono i due dominatori del fuoco.
-Appena verranno innalzate le pareti, posizionate i vostri uomini intorno alla penultima cerchia, in modo che l’esplosione vi arrivi già parzialmente attutita, almeno così voglio sperare. Gruppo Roku, Andate! -
-Agli ordini, signore! - Dissero dileguandosi rapidamente.
-Atsuko, avvisa il generale Monraq e metti al riparo le sue truppe e il resto del tuo battaglione dietro l’ultima cerchia di Frangi-fiamme. Conto su di te! -
La ragazza annuì prima di andare.
Bolin controllò il cronometro al suo polso: tutto quel da fare aveva dimezzato il tempo a loro disposizione.
 

 
Iroh era inginocchiato accanto a Korra davanti a quella botola.
Osservava la ragazza fissare il timer silenziosa da quando Bolin e Lin si erano allontanati con il professore.
La vide sospirare per poi accennare un ghignetto scrocchiandosi le nocche delle mani tra loro, per poi… -Forza al lavoro! -
Si limitò ad annuire mentre la ragazza dalla tasca tirava fuori un ritaglio di carta ripiegato.
La vide aprirlo e allisciarlo a terra accanto alle sue gambe.
Sapeva di cosa si trattava: era lo schema del generatore che alimentava quel treno, che avevano trovato sul corpo di Suzume.
-Iroh, guarda questo straccio di schema, guarda questo marchingegno davanti a noi e dimmi cosa ne pensi? -  
-E’ stata aggiunta una carica esplosiva all’accumulatore d’energia del treno in modo da innescarne l’esplosione. -
-Dici di conoscere questo tipo di ordigno. Pensi che si possa staccare senza problemi da questa roba? -
-Se lo facessimo la carica interna salterebbe sicuramente. Il meccanismo è collegato in maniera sensibile sia al timer che all’oggetto a cui è ancorato-
-E questa cosa che dici come si connette alla carica? -
-L’esplosivo all’interno viene innescato da dei collegamenti elettrici che attraverso una semplice scarica ne determinano l’esplosione. -
-Una scarica, quindi… capisco. E se distaccassi tutto l’involucro contemporaneamente da questa carica interna? -
-Basterebbe distaccare i cavi contemporaneamente, ma come pensi di fare? -
La vide sorridere.
-Questo affare è di metallo, semplice e magnifico metallo. Si vede che pensavano fosse uno spreco usare del platino per qualcosa destinata a saltare in aria. -
Iroh rimase un secondo stupito, poi… -Non può essere così semplice! -
-Qualcuno non dice sempre che tanto vale rischiare? Oltretutto il professor Yakamochi parlava da non-dominatore. Sai come sono fatti i non-dominatori, no? Tendono sempre a dimenticare fino a che punto si possono spingere i nostri poteri e poi… io sono l’Avatar! - Ancora se la rise strizzandogli un occhio e rigirandogli contro quanto aveva dichiarato solo poco prima, mentre posando una mano leggera sull’ordigno lo sguardo le baluginò lievemente. –Ok. - Disse quando quella lieve luminescenza si disperse. –Questa cosa che dovrebbe esplodere è una specie di panetto con sei distinti fili metallici che vi entrano dentro? -
-Sì. - Si limitò a rispondere sbalordito dell’analisi che la ragazza aveva fatto della bomba. –Ma attenta Korra, se non esegui il tutto contemporaneamente... –
-Sai che ho pensato? - Lo interruppe lei. -Distacco i fili, invece che dal panetto, da dove sono attaccati più saldamente, qualcosa vorrà dire se si sono impegnati tanto a fissarli a quel modo, no? E’ da lì che dovrebbe partire la scossa, giusto? -
-Non è esattamente così, come posso spiegarti… è un circuito: se interrompi il circuito…-
-Esplode, ok. Ma sono già passati due minuti e non ne capisco molto di questa roba, quindi dimmi solamente se la mia idea può funzionare o meno. – Lo interruppe di nuovo.
-Si. Dovrebbe funzionare, ma deve avvenire tutto nel medesimo istante. -
-Bene! Allora augurami buona fortuna! - E nel dirlo i suoi occhi si illuminarono.
A Iroh mancò il fiato: quell’ordigno, in meno di un secondo, si apri, dividendosi nei suoi componenti principali e fluttuando in aria di fronte ai suoi occhi.
Korra aveva smontato del tutto anche il timer fermo ormai a 2.35 minuti.
Il tempo di un battere di ciglia e quel metallo si radunò in una sfera perfetta lontana dal panetto d’esplosivo e dal generatore del treno.
Quella benedetta ragazza gli aveva fatto perdere dieci anni di vita, ne era sicuro.
-Ok. - Disse l’Avatar dopo un sospiro. Sbattendo le mani tra loro a lavoro compiuto. –Siamo vivi, quindi penso che ce l’abbiamo fatta. Non è stato forte? - Alzandosi gli allungò una mano per aiutarlo a fare lo stesso.
Ancora imbambolato raccolse quell’invito.
-Andiamo. - Disse con tono dolcissimo socchiudendo quegli occhi blu come se nulla fosse.
Il cuore, finalmente, riprese a battergli in petto.
-Ma… non ti avevo ancora augurato Buona Fortuna. - Disse con tono turbato.
-Ahh già, è vero! – Commentò lei, portandosi entrambe le mani sui fianchi e cominciando a camminare verso l’uscita. –Prometto che me ne ricorderò la prossima volta! -
-Cos… Prossima volta? - Disse andandole dietro. –Quale prossima volta? Voglio sperare che non ci sia una ‘prossima volta’! -
 


Lin era poco distante dallo squarcio nel vagone dal quale erano usciti. Accanto a lei quel professore, che, adeguatamente ammanettato, dopo tanto parlare sembrava finalmente aver trovato la pace. Lei sperava solo che l’Avatar riuscisse nel suo intento altrimenti quella vittoria rischiava di trasformarsi in una terribile disfatta.
Sospirò pesantemente, erano passati solo una manciata di minuti da quando erano lì, eppure l’ansia le faceva sembrare che fosse passata un’eternità.
Vide finalmente il dominatore della lava accostarsi a lei.
- Se li vedremo arrivare di corsa vorrà dire che non ce l’hanno fatta, quindi rimaniamo pronti a dargli supporto erigendo una barriera. - Disse Bolin bloccandosi accanto a lei.
Lin si limitò ad annuire, quando quel professore, ritrovando la voce, domandò: -Quanto manca? -
Vide Bolin assottigliare lo sguardo senza rispondergli, mentre lei… -Un minuto adesso. –
Sollevò lo sguardo dal suo orologio in tempo per vedere l’uomo sorridere.
–Bene. Addio allora, ormai siamo agli sgoccioli, se avete qualcosa di bello a cui pensare vi consiglio di farlo adesso. -
-Stai zitto, uccello del malaugurio! Korra ce la farà. Lei ce la fa sempre. - Gli rispose Bolin senza inflessione nel tono.
-Ne dubito, ma anche se avesse trovato il modo per disinnescare quella bomba, non cambierebbe nulla! - Continuò lui con una nota di compassione nella voce.
-Cosa stai blaterando? - Domandò Lin, irritata da quell’atteggiamento.
-Il vostro Avatar mi ha chiesto dove si trovava la bomba, non quante ce ne fossero. - Rispose questo riprendendo a ridere. -Non esiste un modo, non perché sia un ordigno complesso da disinnescare, ma perché c’è un secondo dispositivo collegato alla testata del generatore. -
-Cosa? - Esordirono all’unisono Lei e il ragazzo al suo fianco.
Di getto si voltarono verso l’apertura: videro in lontananza le sagome dei due compagni procedere lentamente.
-Korra. - Un sussurro di Bolin prima di lanciarsi in corsa verso l’amica.
Lo stesso fece Lin al suo fianco.
Una corsa forsennata, fin quando Lin, cosciente che non li avrebbero raggiunti in tempo, radunando tutto il fiato che aveva in corpo, urlò: -C’è un’altra bomba, correteeee! -


Iroh e Korra stavano prendendosela comoda ormai sventato il pericolo, quando…
-C’è un’altra bomba, correteeee! - Arrivò la voce del capo della polizia di Città della Repubblica.
Iroh si voltò rapidamente verso l’uscita e in lontananza vide Bolin e Lin.
-Un’altra…- Il tempo di quel bisbiglio dalla voce di Korra che entrambi cominciarono a correre verso i due compagni.
-Usa il fuoco, Korra! - Urlò alla ragazza accanto a lui, che annuendo cominciò letteralmente a volare attraverso quei vagoni, usando le fiamme come i propulsori di un aereo.
Lui le era accanto, facendo lo stesso.
Poi fu un attimo. Lo percepì così nitidamente: un fuoco potentissimo stava divampando verso di loro. Il generatore era appena esploso.
Un millesimo di secondo e gli fu chiaro cosa doveva fare: Bolin e Lin erano ormai così vicini, ma il fuoco di Korra non era abbastanza forte. Era l’Avatar, era il maestro di tutti gli elementi, ma il suo fuoco, non possedeva il pieno potenziale se non in forma d’Avatar e da quando aveva perso le coscienze dei suoi predecessori non riusciva più a entrarci coscientemente in modo da guidare al meglio i suoi intenti. Vide tutto così chiaramente in quel microscopico lasso di tempo: il fuoco di Korra non era sufficiente, era vero, ma il suo sì.
Sorrise, mentre ancora in piena velocità stappava uno dei ripiani dei tavolini di metallo di quel treno e afferrata la sua amica, riparandola di peso dietro quella lastra, caricava a pieno il suo potenziale elementale.
Il fuoco radunato tra le sue mani si scatenò contro quel metallo.
Vide quel visetto dagli occhi grandi allontanarsi da lui con la stessa rapidità con cui il calore delle fiamme lo raggiunsero, avvolgendolo senza pietà.
 

Hayato sapeva perfettamente quando dare il segnale: se ci fosse stata un’esplosione avrebbe percepito immediatamente l’ardere intenso del suo elemento dentro di sé. Ed… eccolo!
Un secondo e come lui anche Izanami diede il via a quei dominatori che percependo come loro la fiamma si trovarono focalizzati e pronti a contenere quell’esplosione nel momento stesso in cui l’avvertirono prendere vita.
“Una potenza di fuoco mai sentita prima!” Pensò, mentre, insieme agli uomini al suo comando, mantenevano la posizione schermati dai dominatori della terra. Un calore tanto dirompente che sollecitava il loro elemento a espandersi e divampare invece che contenersi.
Per un secondo temette di dover dar l’ordine d’indietreggiare, ma erano troppi e troppo addestrati per non riuscire, gli gridò il suo ego amplificato da tanto fervore.
Poi il fischio di quella freccia!
Conosceva quel suono, non era per lui o per gli altri dominatori della fiamma, era il richiamo all’ordine dei dominatori dell’aria.
Un ghigno gli si aprì in volto.
“Quell’arciere non imparerà mai a stare al suo posto!” Pensò cosciente che l’ordine che aveva dato l’Avatar a Eizo era quello di osservare e intervenire solo se necessario, ma era grato a quell’inaspettato arrivo che concedeva loro di respirare.
“Forse, ma solo forse…” Pensò, mentre il suo addestramento gli adduceva un po’ d’umiltà a quell’orgoglio che gli bruciava dentro come non mai, aizzato da quelle fiamme. “…un pizzico di aiuto era quello che serviva!”.


Korra venne presa alla sprovvista dall’intervento di quel dominatore del fuoco accanto a lei.
Fece appena in tempo a notare il suo sorriso, dietro la lastra di metallo che parò tra di loro, prima che la spingesse via con una potenza inaudita.
Lo vedeva sorridere mentre il contraccolpo lo spingeva verso quell’inferno, inghiottito dalle fiamme che lo avvolgevano come onde di fuoco liquido.
Fu un secondo forse, forse meno, ma quell’immagine le dilaniò l’anima mentre il suono della sua voce gridava disperatamente: -No, maledizione, nooo! -
Poi…
D’improvviso l’oscurità le coprì lo sguardo e attutì il rombare di quell’esplosione divampante.
-No, Iroh, no. - Erano le uniche parole che aveva nella testa, pronunciate forse sommessamente, mentre si trovava stretta tra le braccia di Lin dietro una salda parete di roccia e metallo.
Le lacrime scendevano copiose a bagnarle il viso. Quando avevano cominciato a scendere non lo sapeva, sapeva solo che non riusciva a fermarle, non poteva, non voleva.


-No, maledizione, nooo! - Urlava Korra spinta rapidamente verso di loro, sentì Lin in quel attimo. Immediatamente si preparò a bloccare la furia di quella spinta e a riparare la ragazza, quando, un millesimo di secondo dopo quel richiamo, un’altra voce al suo fianco ringhiava furente: -Non te lo permetto. -
“Bolin!” Pensò, intravedendo in tutto quel clamore un lampo verde attraversargli lo sguardo.
Il ragazzo non accennò a ripararsi e appena strinse l’Avatar tra le braccia, riparò lei stessa e entrambi i ragazzi in una spessa cupola di pietra e metallo.
Quella maledetta esplosione, però, frammentò quasi immediatamente parte della sua difesa, malgrado, ne era certa, i dominatori del fuoco stessero facendo il loro lavoro; perché altrimenti non sarebbe riuscita a resistere neanche quel poco che le era servito per lasciar passare l’onda d’urto di quell’esplosione su di loro senza venirne distrutti.
Sentiva il fiato corto mentre rinsaldava in continuazione il suo dominio per tenere alta quella parete curva… curva a sufficienza da creare il meno attrito possibile con quelle fiamme che l’investivano nel pieno della loro furia.
Fremeva sotto la tensione causata da quello sforzo, mentre il ragazzo, ancora immobile, se ne stava imbambolato con lo sguardo di un verde rilucente fisso nel vuoto.
Aveva bisogno di lui… doveva farlo reagire.
Ignorò quel sibilare udibile anche attraverso quel divampare di fiamme.
-Basta Bolin! Fermati non c’è più niente che puoi fare! - Gli intimò anche lei con il cuore spezzato per la sorte del giovane generale.
Forse quella triste consapevolezza, forse il lavoro dei dominatori alle loro spalle, ma quel fuoco le parve meno severo.
-Non direi, capo Beifong. Sempre che tener bassa la temperatura per evitare di arrostirgli quel poco di cervello che gli è rimasto, sia una cosa inutile. - Rispose lui lucido… troppo lucido e sarcastico e non scioccato come credeva.
L’acqua che sentì tornare a bagnarle le ginocchia fu la riprova che la sua non era un’impressione: davvero quel fuoco stava indietreggiando.
-Korra preparati. È maledettamente rovente! - Ordinò la voce del ragazzo all’Avatar che ancora con sguardo disperato fissava davanti a lei.
Fu questione di un attimo: le sembrò di vedere qualcosa muoversi tra quelle fiamme, ma cosa…
Un altro millesimo di secondo e quell’ombra indefinita tra le vampe prendeva forma umana… Una sagoma umana che avanzava verso di loro.
Meno di un secondo e quella cosa uscì da quell’inferno: un uomo in armatura fumante.
“Ma com’è possibile!” Pensò e… no, non era un’armatura, era… metallo, metallo rovente plasmato attorno a un corpo…
-Iroh. - Sentì pronunciare al suo cuore e alla voce di Korra.
La ragazza subitamente reattiva animò l’acqua intorno a loro, investendo quell’armatura.
Freddandosi e fumando, quel metallo mostro la sua vera natura: brillando di un colore più chiaro e lucente dell’argento.
Non poteva credere ai suoi occhi, mentre quell’uomo di ‘latta’ sfilava il suo elmo senza non poca fatica: mostrando il volto bruciacchiato, ma vivo, del Principe del Fuoco.
“Bruciacchiato, solo bruciacchiato… incredibile!” Pensò, ragionando solo in quel momento che il moccioso accanto a lei aveva aperto un varco nella parete che aveva eretto, per mettere quell’uomo al sicuro… fuori dalle fiamme.
-Ma… è platino? - Esordì Korra.
-Un… ‘sono felice di vederti ancora vivo e vegeto’, andava anche bene! - Ironizzò Iroh, come ogni sciocco sangue di fuoco che gli spiriti avessero mai mandato a camminare su questa terra.
Poi le divenne chiaro quanto appena udito, mentre voltandosi verso Bolin lo vedeva prendere posizione e difendere anche lui l’integrità del muro.
-Come è possibile? Da quanto puoi dominare il platino? - Sentì l’urgenza di domandare Lin a quel dominatore ora che finalmente sentiva il cuore più leggero.
Korra non le era più accanto, stava abbracciando quello sprovveduto suicida.
-Non è come sembra. - Le rispose Bolin. -Non è platino puro. Ho agito d’istinto, cercando qualcosa che facesse al caso mio, quando ho visto Iroh avvolto dalle fiamme e... lì, non c’era solo platino. C’erano vetri, cavi elettrici in rame e altri minerali. Nel momento che l’esplosione ha lacerato il treno, cosa avvenuta l’attimo prima che divampasse avvolgendo Iroh, ne ho approfittato. Ho richiamato la lava dal terreno sottostante e il mio calore ha fuso tra loro questi vari elementi prima dell’esplosione stessa. E dopo non ho fatto altro che approfittarne. Come freddo il manga posso freddare qualunque cosa sia sotto il mio comando, ehh… ma davvero vuoi che te la spieghi nei minimi particolari, Signorina Beifong? Non sarebbe invece meglio ricordare a quei due lì, abbracciati a non far niente, di utilizzare il loro dominio sul fuoco per aiutarci? - Terminò ironizzando come suo solito.
-Come stai? Tutto a posto? - Domandava ancora Korra incredula.
-Sto bene. Davvero! Grazie al tuo amichetto…- Rispondeva lui, interrotto da Lin…
-Ehi! Avete sentito o no il dominatore al mio fianco? Che ne dite di finirla con le smancerie e darci una mano viste che siete tutti interi? -
Neanche il tempo di dirlo che Iroh si concentrò immediatamente su quelle fiamme, proprio accanto al moretto dagli occhi verdi.
Gli occhi di Korra, accanto a lei, avevano finalmente ritrovato la loro spavalderia.
-Korra, se non l’hai sentito, qualche secondo fa il tuo arciere preferito ha richiamato tutti i dominatori dell’Aria e, senza offesa, ma con Iroh qui a controllare le fiamme, cosa ce ne facciamo di te? - Lo scherzoso strizzare di un occhio da parte del dominatore della lava gli evitò probabilmente la furia dell’Avatar, notò Lin.
-Vai, ti copriamo noi. – Le disse e per una volta la ragazza accettò senza storie.
–Bene. - Disse ancora Bolin appena Korra fu andata. –Visto che ci siamo tutti adesso, che ne dite se cominciamo a indietreggiare per riunirci al resto delle truppe e toglierci da questo calvario? -
Iroh si limitò ad annuire a quella richiesta, mentre lei… -Ovvio che sì! - Sentì di rispondere sorridendogli.


Un respiro profondo e Tenzin, insieme a Zoe e Amaranto, cominciò la sua danza per soffocare quell’incendio così come richiesto da quell’arciere tatuato.
Eizo era accanto a loro se bene i suoi occhi fossero assottigliati a guardare, sembrava, oltre quelle fiamme. Passò poco più di un minuto che lo scorse con la coda dell’occhio mettersi sull’attenti.
-Avatar. - Lo sentì salutare.
-Vedo che state rapendo l’aria al fuoco. - Udì la voce di Korra. –Un’ottima intuizione, bravo Eizo, ma dimmi, come sta andando? -
-Lentamente, mia signora. Abbiamo solo tre dominatori dell’aria. -
-Hai il Grande Maestro dell’Aria, amico mio, non lo chiamerei ‘solo un dominatore’. -
Tenzin non riuscì a trattenere un sorriso al dire della ragazza volgendo appena lo sguardo verso di lei.
La vide arrotolarsi le maniche e accostandosi a loro tre… -Da adesso siamo in quattro! - Disse immediatamente raggiunta dal sorriso dell’arciere accompagnato da una voce che conosceva anche troppo bene: -Dì pure cinque! -
“Jinora.” Pensò, mentre l’aria spostata dal grosso e silenzioso bisonte dell’aria annunciava la sua scesa accanto a loro.
-Jinora, ma che ci fai tu qui! - Disse Korra prima che lui potesse intervenire con una bella strigliata.
-Passavo da queste parti. - Disse la più grande delle sue bambine ironizzando con un’alzatina di spalle.
-Sei proprio come tuo padre. Non sai stare lontana dall’azione! -
-Che vuoi farci Korra, mi annoiavo. – La vide rispondere facendo l’occhiolino.
Il tempo di armonizzarsi con i loro movimenti e anche le due ragazze cominciarono a piegare l’etere al loro volere.
Tenzin si sentì preoccupato e al contempo orgoglioso per presenza della giovane maestra lì accanto a loro.
Un sospiro, intimamente compiaciuto, per poi tornare a controllare l’elemento che gli apparteneva.

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Capitolo 46
*** Cap. XLVI: La calma ***


Cap. XLVI: La calma


Il villaggio di Xìng huā era salvo, pensò Korra osservando le macerie fumanti di quell’avamposto da sopra la collina.
-Avatar, la stanno aspettando al campo. - Le arrivò la voce di Eizo alle spalle.
Sorrise socchiudendo gli occhi e abbassando il capo come ad asserire alla sua richiesta prima di voltarsi.
Qualche passo accanto all’arciere prima di battergli una pacca sulla spalla.
-Te l’ho detto che hai fatto un ottimo lavoro, Eizo? Ho fatto bene a volerti con noi dall’inizio. -
Il ragazzo sorrise.
-No, in effetti. E devo ammettere di aver temuto per voi, Avatar. Avete presente quando siete uscita in avanscoperta con gli abiti del nemico? Bene, lì ho pensato potesse accade qualcosa del tipo: ‘Il tuo abito è forato quasi fosse stato trapassato da… una… freccia… AIUTOOO! Sono all’interno! I nemici sono all’interno, Guardieeeee!’ - Disse recitando l’ultima parte con maestria.
Korra prima trattenendo una risatina, poi facendosi serissima per stare al gioco… -‘Ormai è tardi… generale. Almeno per voi.’ E… Pffff!!! - Disse con voce impostata mimando sul finire il suo di un’esplosione di fuoco con le mani.
-Generale? Mira in alto Avatar… io lì ho visto, sì e no, qualche caporale! - Fece notare Eizo incrociando le braccia al petto. –Certo però che detto così, fa paura. Poi se ci aggiunge anche quella cosa degli occhi bianchi… Brrr! - Fingendo i brividi. –Peccato che non fabbrichino frecce che non forano gli abiti? Non sarebbe male averne qualcuna, almeno la prossima volta non rischio un infarto… -
-Sei una forza, lo sai? - Disse ancora lei non nascondendo una risata, regalando al ragazzo una nuova pacca sulla spalla, prima di infilarsi le mani in tasca.
-Io sì, ma… lo potrebbe ribadire davanti al resto del gruppo Yangchen, sa… quelli non hanno una gran fiducia nelle mieee… chiamiamoleeee… capacità amministrative. Sa, magari utilizzando qualche bella parola d’effetto che mi faccia risultare ancora migliore di quanto già non sia. - Disse scherzoso, infilando a sua volta le mani nelle tasche, mentre si dirigevano verso il campo che lei stessa aveva fatto allestire per i feriti.
-Modesto! - Commentò lei divertita.
-Ecco ‘modesto’ mi sembra azzeccato in effetti, mette in risalto la mia immensa disponibilità e…-
-Quello è ‘altruista’. -
-Quello chi? Ora chi è questo Altruista? Ehi signorina Avatar, qui si parla di far fare una bella figura a me, non a chi che sia! - La riprese lui fintamente serio, colorando il suo dire con un broncio da oscar che neanche Nuktuk al suo meglio…
-Piuttosto, mia signora. - Le arrivò la sua voce inaspettatamente seria. -Mi può spiegare perché ha portato me al posto di mia sorella? Insomma io e lei abbiamo le stesse abilità, ma essendo più minuta di me probabilmente per questa missione sarebbe stata la scelta migliore. -
Un sospiro. –Uhm… preferivo uno grande e grosso a una cosina sottilina come lei. -
-Grande e grosso. Avatar, ma mi ha guardato bene? - Commento con voce perplessa cosciente di rispecchiare fisicamente in tutto e per tutto la tipologia standard dell’uomo del fuoco. -Forza, fuori la verità. -
-Mi serviva qualcuno che badasse ai biondini. - Disse lei tranquillamente, senza farsi pregare troppo.
-I ragazzi del nord? -
-Ah-ah! -
-E… avete scelto ‘mia’ sorella come babysitter? -
-Già! Sembra strano, vero? Ma con lei fanno i bravi e sembra l’ascoltino. -
-Avatar, sa che mia sorella non parla, vero? - Sempre più perplesso.
-Sì e in effetti questo rende la situazione d’insieme ancora più inquietante e surreale…- Perplessa a sua volta.
-Sarà quel suo fare gentile. - Con tono piatto.
-O… quel suo modo di guardarti fissamente scuotendo il capo che ti fa sentire talmente piccolo e sciocco al punto da vergognarti di te stesso. - Continuò lei con tono altrettanto atono.
-Lo ha notato anche lei? - Senza cambiare impostazione.
-Si, direi di sì…-
-Mette i brividi, vero? -
-Ho la pelle d’oca solo al pensarci. -
-La capisco, mi creda mia signora, ma…-
-Ma non facciamogliene parola, ok? -
-Assolutamente. -
-Perfetto. - Concluse l’Avatar, mentre entrambi si incamminavano verso il sole nascente.
Quella lunga notte era finalmente giunta al termine.


-Come non riesci a tirarmi fuori? Sei tu che mi hai infilato qui dentro e… - Protestò Iroh sbalordito seduto sulla panca di metallo in una delle tende di quel campo ospedaliero.
-Non ci riesco. Non domandarmelo, non so il perché. A volte faccio delle cose, ma poi… ahhhh! Ti giuro non lo so! Non lo so perché quel maledetto platino ora non mi risponde più… forse proprio perché ‘è platino’… - Rispondeva il dominatore della lava mettendosi le mani tra i capelli a un Iroh sbalordito.
Il generale dell’Unione, con fare serio e senza distogliere lo sguardo dal ragazzo, chiamò: -Medico, sega! -
-Giuro che mi dispiace! - Disse ancora Bolin sbuffando un sospiro, lasciando cadere le spalle verso il suolo e se stesso seduto, accanto al dominatore del fuoco.
Una pausa mentre il medico richiamato attivava quel seghetto circolare.
Poi…
-Grazie. - Disse Iroh con tono gentile.
-Non c’è di che, amico. - Rispose l’altro, sorridendogli.



Fine Libro 3 – Prima parte







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E anche questa storia è finita! Ammetto di lasciarla con un po' di nostalgia, la prossima partirà dai festeggiamenti per la vittoria. Ovviamente è già in cantiere, ma temo non mi entusiasmerà scriverla come è avvenuto con questa e la precedente perché darà più spazio alle storie personali dei vari personaggi che all'azione, ma ogni tanto una storia più leggerina ci vuole, no? Spero che continuerete comunque a seguire le vicissitudini in cui infilo i nostri eroi, un abbraccio gigante a tutti quelli che hanno continuato a leggere e a sostenermi in questa avventura, in particolare a Eirien il cui aiuto è sempre indispensabile, a Virkhaell che malgrado mi dice di star passando un brutto periodo è sempre li con la penna in mano per correggermi, a Moku che spero finisca presto la sua Fanfiction su Harry Potter in modo da poterla pubblicare e leggere, a Fede che con le sue immagini rende questi miei mortori più allegri e vivaci a Era Kim che mi riempie di lettere sperando che mi sbrighi a correggere Lava e a Donnasole che anche se si è unita a questa piccola avventura da poco si è rivelata illuminante per il mio pessimo stile di scrittura.
Un bacione a tutti e alla prossima,

Lance.

 

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