Qu'est-ce qu' il est passé cette soirée?

di little_budina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 chapitre ***
Capitolo 2: *** 2 chapitre ***
Capitolo 3: *** 3 chapitre ***



Capitolo 1
*** 1 chapitre ***


In realtà Asia non sapeva con certezza quello che era successo quella notte. Era a casa di Jane, c’era l’alcol, le sigarette, e poi il buio. E poi era successo.

Era successo quello che non sarebbe mai dovuto succedere. Aveva sentito le urla, aveva visto una macchia sul pavimento. Cos’era? Sangue? No, forse era la sangria rovesciata, che si sperdeva, una macchia cremisi sul pavimento bianco. Bianco… forse era celeste… no, no, erano le pareti ad essere celesti. 

E poi…

“Asia! Asia! Ma che cazzo… alzati forza, alzati!”

Qualcuno la stava scuotendo, le mani sottili che stringevano con forza un paio di spalle pallide e ossute. Le sue. Asia portò lo sguardo sulla ragazza che aveva di fronte: Yumi, la sua coinquilina. Era una ragazza tranquilla e riflessiva, ed era giapponese, anche se parlava benissimo il francese (in fondo erano ormai 5 anni che viveva a Marsiglia). I suoi occhi scuri erano un calmante per l’anima, un unguento che lisciava e guariva, capace di far dimenticare qualsiasi turbamento. La frangetta le cadeva morbidamente sul viso, i capelli neri disegnavano un’aureola nera intorno al suo ovale perfetto. 

Socchiuse gli occhi nocciola :”Che è successo ieri sera? Tu lo sai vero?”

chiese, la voce tremula.

Asia sgranò gli occhi, sentì i conati di vomito arrivare, e prima che Yumi potesse fare qualcosa, iniziò a vomitare. La gola bruciava terribilmente, si sentiva soffocare. Quando finì si distese sul letto…

Sentiva la voce di Yumi arrivarle da lontano, come se loro due fossero alle estremità opposte di un tunnel.

Una volta l’amica le aveva detto che il suo nome significava sogno in giapponese. Aveva un senso, aveva pensato allora, ma in quel momento non riusciva a trovare nulla di poetico in quel nome. Trovò invece un nuovo pretesto per vomitare.

Di nuovo.

Yumi imprecò, ma Asia non capiva più nulla.

Solo una frase, impressa a fuoco nella mente, proprio davanti agli occhi, e lei sapeva che urgeva una risposta: cosa era successo ieri sera?

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Capitolo 2
*** 2 chapitre ***


Asia si svegliò molte ore dopo, scossa e puzzolente. Di alcol, di fumo, di vomito… 

Yumi le sorrise :”Perché non vai a fare una doccia? Ti farebbe bene un po' d’acqua, magari riesce a svegliarti” un cenno col capo, che le indicava un accappatoio già pronto sulla porta del bagno.

“Si, ok, vado” fece Asia, mentre cercava di sistemarsi un gonfiore pieno di nodi che erano i suoi capelli.

Sotto la doccia l’acqua scorreva lentamente e lavava via gli odori che aveva addosso, gli odori che, se ne ricordava bene, erano gli stessi di ieri sera, a casa di Jane. Ieri sera…ieri sera… 

Asia ebbe un sussulto, solo ora se ne era ricordata: cosa cazzo era successo ieri sera?  

Ricordava la macchia, le pareti bianche…no, anzi, il pavimento bianco… e ricordava Antoine. 

Ma certo! Quella sera c’era anche Antoine. Lo conosceva, erano usciti spesso insieme, frequentavano le stesse persone. Forse lui poteva aiutarla a ricordare.

Si fiondò fuori dalla doccia, legandosi un’asciugamano in vita, e urlò a Yumi:

“Chiama Antoine, lui ci aiuterà!” 

“Hai ricordato adesso?” fece lei, il tono sommesso.

“Si, ma ho bisogno di lui per il resto dei tasselli”.

 

 

 

“Ciao” Antoine la salutò, torturando la copertina malleabile del libro che aveva sulle ginocchia. Asia si accomodò sul muretto di pietra grigio. Una volta era bianco e perfetto, senza smussature né crepe. Poi la pittura aveva iniziato a scrostarsi, il muschio a crescere indisturbato e gli spigoli perfetti a frantumarsi. Prima ci andavano i bimbi per giocare. Ora c’erano loro lì, e solo da questo si poteva intuire la caduta di stile di quel muretto. O miglioramento, dipendeva dai punti di vista. 

Antoine si passò una mano tra i capelli. Erano leggermente più scuri di quelli di Asia, ma molto più corti. Quelli della ragazza erano un manto castano e soffice, lunghi fino a metà schiena, e d’inverno costantemente elettrizzati. 

Ora invece era estate, giugno, e i capelli ricadevano sulla schiena,  qualche ciocca ribelle le sfuggiva sul viso. Qualcun’altra si attaccava fastidiosamente sulle labbra, coperte di rossetto. Era un colore indefinito: poteva essere un bordeaux sbiadito, oppure il colore delle sue labbra, solo molto più scuro. Comunque Paul, il suo migliore amico, preferiva chiamarlo “la tua tinta”, perché anche se avesse tanti altri rossetti lei usava solo e sempre quello. 

Asia gli sorrise, mentre Yumi si parava davanti ai due, le braccia conserte, la solita espressione neutrale. I capelli d’ebano le arrivano sulla base del collo, un paio di brillantini scintillavano alle orecchie. 

Asia si rivolse ad Antoine: “Tu lo sai vero?” 

Il ragazzo sgranò gli occhi, ma tirò la bocca a mo’ di sorriso. Si vedeva che era teso come una corda di violino :“So cosa?”

“Ti prego Antoine, ho bisogno che tu mi dica di ieri sera. Non ricordo nulla”

“Beh, la prossima volta fatti di meno” una risatina, che sfociava quasi sull’isterico. 

Yumi fece una smorfia di sufficienza, mentre Asia guardava stupita il ragazzo al suo lato. 

“Senti stronzo, non me ne fotte se sei disturbato o cosa, sappiamo che tu c’eri ieri sera. Perciò parla. Né io né lei ricordiamo nulla. Quindi, cosa è successo ieri sera?” Yumi sapeva essere gentile quanto stronza. 

Antoine sussultò leggermente. Soffriva di un disturbo ossessivo-compulsivo, che grazie ad anni di terapie andava scemando, ma comunque odiava che la gente gli ricordasse continuamente della sua malattia. 

Asia, vedendolo così turbato, gli accarezzò il braccio, e gli sorrise con dolcezza. 

“Ti giuro, io non ho fatto nulla, te lo giuro!”le disse e scoppiò a piangere sulla spallina ci cotone bianca di Asia, il corpo scosso da profondi singhiozzi. 

Lei gli prese il viso e gli sussurrò :”Lo so,Antoine, lo so”. I suoi occhi incontrarono quelli del moro, quegli occhi che l’avevano sempre turbata. Erano blu scuro, come le profondità del mare e sembrava potessero scorgere anche i lati più intimi e oscuri della sua anima, la trama complicata e fitta dei suoi pensieri. Altre volte invece sembravano semplicemente gli occhi di uno squilibrato. Ma Asia continuò a sostenere quello sguardo, finché Antoine non si calmò. 

A quel punto Asia scese dal muretto, si aggiustò i jeans troppo larghi e sospirò :“Okay, va bene, facciamo che quella notte non sia mai esistita, ok?” 

Antoine annuì vigorosamente, ciuffi bruni che svolazzavano sul viso, mentre Yumi fece appena un cenno col capo, portandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. Era tornata tranquilla come sempre, i suoi occhi una marea calma e rassicurante. Gli occhi di Asia invece erano un turbinio nerissimo, così scuri da far confondere l’iride e la pupilla. Ma non erano occhi spenti, anzi: riflettevano la luce perfettamente, sembrando quasi liquidi, un diamante sfaccettato che splendeva di luce propria.

 Schiuse le labbra in un sorriso, dopodiché salutò Antoine con un bacio leggero sulla guancia, e trascinò via Yumi. 

 

Forse era davvero la cosa migliore scordare tutto ciò che era successo la scorsa notte.

 

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Capitolo 3
*** 3 chapitre ***


Antoine si incamminò verso casa. Aveva una giacca di jeans logora sui gomiti, con qualche spilla colorata attaccata qua e là: una sul petto, una sul taschino…

Non faceva freddo, a Marsiglia il caldo iniziava farsi sentire anche nei primi giorni di giugno, niente a che vedere con il clima fresco e talvolta piovoso di Parigi dove viveva prima Antoine. 

Gli alberi che affiancavano il viale del suo quartiere  sembravano così strani, pensò Antoine guardandoli. Erano piccoli stecchini neri e rinsecchiti con un’esplosione di foglie sui rami, una chioma decisamente troppo appariscente per dei torchi così modesti. La strada grigia sembrava quasi sbriciolarsi sotto i piedi di Antoine tanto che era vecchia, così come erano vecchie le case di quel quartiere. Le facciate, un tempo celesti e bianche, ora erano scrostate e in alcuni punti si vedevano addirittura i mattoni scuri delle pareti. Erano abitazioni scure, con poche finestre e Antoine era costretto a tenere la luce accesa costantemente nella sua piccola stanzetta. 

Quando abitava ancora con la mamma era tutto diverso. La casa era enorme e in ogni angolo c’erano finestre e balconi. Fu proprio vicino a uno di quei balconi che la mamma aveva cercato di spiegargli il suo problema: lui era malato, e no, non sarebbe morto e si, sarebbe potuto guarire, ma ci sarebbe voluto tempo. Tempo e pazienza. La mamma lo sapeva bene perché anche lei ne soffriva: disturbo ossessivo-compulsivo. Peccato però che lei soffrisse anche di depressione, che peggiorò in maniera preoccupate dopo la morte del padre di Antoine.

Una sera la mamma era andata fuori al balcone, una veste bianca che le solleticava dolcemente le caviglie e le fasciava i fianchi e sorridendo si era buttata di sotto. Nessun biglietto, nessuna spiegazione. Antoine aveva solo sei anni. Era andato a vivere da una zia che aveva visto si e no una volta, in una casa senza luce e senza balconi.

 Lo psicologo aveva detto che avrebbe aiutato, il fatto di non avere balconi in casa. Antoine non se n’era accorto, ad essere sinceri. Stava così male che non si accorgeva di queste piccolezze. Il dolore sembrava non scemare mai. Dopo un anno, dopo due, dopo sette, era sempre lì, un tarlo che gli logorava l’anima e che rideva beffardamente ogni volta che Antoine aveva uno dei suoi incontri con l’analista. Rideva, e sussurrava al suo orecchio “Davvero credi che queste sciocchezze ti aiuteranno? Che mi faranno andare via?”.

E infatti non andava mai via. 

Lo psicologo gli aveva assicurato che sarebbe guarito in poco tempo, ma aveva mentito: erano undici anni che Antoine era malato, erano undici anni che non vedeva miglioramenti. Era tutto inutile, tutto così superfluo. I voti a scuola, gli amici, il sesso. Ma che senso avevano tutto queste cose se non c’era sua madre con cui condividerle? Antoine andava a scuola solo per far contenta la zia, per mostrarle che aveva superato il suo trauma interiore. Ma era, anche quella, una bugia.
Infondo il mondo di Antoine era tutto una grossa, spessa e densa bugia, simile ad una nuvola di fumo che rimaneva intorno ai suoi occhi costantemente. La prima bugia l’aveva detta alla mamma. Gli aveva detto che anche se il papà era andato via a lui non importava. Lui era totalmente indifferente a tutto questo. Se solo la mamma fosse stata più attenta avrebbe sentito piangere il suo bambino ogni notte per tre lunghi mesi. Lacrime versate perché nonostante avesse solo cinque anni e nonostante fosse “squilibrato” lui aveva capito che non era stato abbastanza. Né per suo padre né per sua madre. E questo lo logorava.

L’ultima bugia che aveva detto Antoine era stata “quella sera io non ho fatto nulla”. Perché non era vero e lo avrebbero saputo tutti a breve. 

“Tra poco tutti lo sapranno” sussurrava la vocina “tutti, Antoine, sapranno che sei un pazzo”. 

:”Basta!” gridò lui e scoppiò a piangere, rannicchiato sotto la chioma di un albero dal tronco sottilissimo. Perché a volte è così: si scoppia. Perché a tenere tutto poi dentro si scoppia. 

   

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