THE WALKER SERIES - The city

di Crilu_98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The accident ***
Capitolo 2: *** The letter ***
Capitolo 3: *** The city ***
Capitolo 4: *** The flat ***
Capitolo 5: *** The kiss ***
Capitolo 6: *** The investigation ***
Capitolo 7: *** The prison ***
Capitolo 8: *** The date ***
Capitolo 9: *** The lady ***
Capitolo 10: *** The walk ***
Capitolo 11: *** The White Light ***
Capitolo 12: *** The killing ***
Capitolo 13: *** The shrift ***
Capitolo 14: *** The inspection ***
Capitolo 15: *** The factory ***
Capitolo 16: *** The shot ***
Capitolo 17: *** The reasoning ***
Capitolo 18: *** The kidnapping ***
Capitolo 19: *** The talk ***
Capitolo 20: *** The escape ***
Capitolo 21: *** The quarrel ***
Capitolo 22: *** The reconciliation ***
Capitolo 23: *** The strike ***
Capitolo 24: *** The accountant ***
Capitolo 25: *** The solution ***
Capitolo 26: *** The orphan ***



Capitolo 1
*** The accident ***




P.O.V. Mark
 
L’aria odorava di pioggia e un’occhiata al cielo grigio confermò la mia sensazione: stava per arrivare un temporale, il primo di quell’autunno. Ben presto il freddo si sarebbe insinuato sotto le vesti e avremmo iniziato a raccogliere la legna da ardere nel camino. Mi alzai riluttante dai gradini del saloon, lanciando un cenno di saluto ad Abraham, il proprietario: lui e mio padre erano amici da prima che Rosenville sorgesse dal nulla, fin dai tempi gloriosi della costruzione della ferrovia. Per me, come per gli altri numerosi operai, il saloon costituiva l’unico svago dopo una faticosa giornata di lavoro e prima di rientrare a casa. Si diceva che prima fosse un bordello e che Abraham, quando l’aveva ricevuto in eredità, aveva convinto le ragazze che ci lavoravano come prostitute a rimanere alle sue dipendenze, ma come cameriere. Sembrava una storia inverosimile, ma i dipendenti del saloon erano tutte donne.
La fabbrica di Rosenville produceva componenti di treni: ruote, locomotive e vagoni vedevano la luce in fucine soffocanti, che ricoprivano la nostra pelle di uno spesso strato di fuliggine.
Ma non mi sarei mai lamentato di qualcosa che contribuiva ad aiutare la mia famiglia, sebbene fosse quasi ora per me di sistemarmi, come ripeteva spesso mia madre.
Mi stiracchiai, facendo una smorfia per le proteste dei muscoli indolenziti e sbattendo le palpebre davanti all’improvvisa luce del sole pomeridiano.
Il quieto chiacchiericcio di Rosenville sembrava uguale a quello degli altri giorni, ma chi era cresciuto in quella cittadina sapeva bene come capire se qualcosa non andava: le donne procedevano velocemente in piccoli gruppi senza fermarsi lungo la strada e gli uomini non si riunivano a parlare come al solito, limitandosi a lanciarsi occhiate furtive oltre il fornello della pipa.
Il motivo di tanta agitazione era un gruppo di pistoleri, di passaggio in città per scortare un carico d’oro per conto di una banca di Washington. Le loro carte erano in regola e l’oro che trasportavano sembrava pulito, secondo i controlli; tuttavia, a Rosenville tutti si chiedevano come fosse possibile che una banca avesse affidato un tale incarico a degli uomini così poco raccomandabili.
Facce maligne e ghigni sdentati spuntavano da sotto i cappelli malandati e le loro mani non si allontanavano mai molto dalle fondine. Ispiravano un reverenziale timore e sapevo che l’atmosfera della cittadina si sarebbe notevolmente rilassata quando il carico d’oro sarebbe ripartito con il treno, la mattina dopo.
-Mark!- mi chiamò la voce rauca di Abraham, giunto sulla soglia:
-Sì?-
-Di’ a Russell di tenere la Colt pronta, questa notte. Quei tizi non mi piacciono per niente, non vorrei che per noia iniziassero a bighellonare per le fattorie!-
Rabbrividii e lo ringraziai, improvvisamente ansioso di tornare a casa: la nostra fattoria era isolata rispetto al centro cittadino e mi sarei assicurato che mia sorella Elizabeth, che a quell’ora era sicuramente a lezione da un’amica di nostra madre, tornasse con me.
Strinsi i pugni, affrettandomi in direzione della casa di Annabeth e Kasper Nowak, anch’essi amici di vecchia data dei miei genitori: era stata mia madre ad insistere affinché sia io che Elizabeth imparassimo a leggere e scrivere correttamente, sebbene mio padre sembrava non comprendere l’importanza della cultura.
Mentre io avevo smesso di prendere lezioni non appena avevo raggiunto l’età per andare a lavorare in fabbrica, Elizabeth studiava con interesse ed entusiasmo e tutti noi eravamo orgogliosi di lei, una ragazza intelligente, solare ed estremamente gentile con tutti.
Fu quindi con grande terrore che mi accorsi di essere arrivato in ritardo: la mia piccola sorellina, di soli sedici anni, era stretta tra le braccia di uno dei pistoleri. A niente servivano le lacrime che rigavano le sue guance o i calci che lanciava contro gli stinchi dell’uomo: quello continuava a ridere divertito, tenendole una mano sulla bocca e l’altra sul seno.
Non appena provai ad avvicinarmi fui bloccato dai compari dell’aggressore, che spedii a terra con un paio di spinte ben assestate.
-Lascia andare mia sorella, bastardo!- ringhiai, rosso per la rabbia. Per tutta risposta, le mani dell’uomo si fecero ancora più avide, scostando il colletto dell’abito di Elizabeth.
Fui colpito da un ricordo che mi fece vacillare, mentre la vista mi si offuscava e nelle orecchie risuonava il lamento ovattato di mia sorella.
Quando avevo quindici anni – ed Elizabeth solamente nove – stavo aiutando mia madre nell’orto, quando la sentii gridare: era stata spaventata da una piccola lucertola sbucata dall’erba all’improvviso. La mia prima reazione era stata quella di scoppiare a ridere, ma mia madre aveva stretto le labbra e mi aveva rimproverato aspramente:
-Tua sorella ha bisogno del tuo aiuto e tu ridi? Male, Mark, molto male! La famiglia è molto importante per i Cheyenne, quante volte te lo devo ripetere? E visto che anche voi siete in parte indiani, è bene che impariate a prendervi cura l’uno dell’altro!-
Incrociai gli occhi scuri di Lizzie che mi fissavano terrorizzati:
“E’ tua sorella, ha bisogno di te!” ringhiò l’istinto dentro di me “Aiutala! Salvala!”
Frugai nelle tasche, alla ricerca dell’unico oggetto che poteva essermi utile in quella situazione; poi, senza esitare, scattai e colpii l’uomo al costato con il coltello. Con un gemito di raccapriccio lo sentii affondare fino all’impugnatura e quando ritirai la mano la vidi coperta di sangue denso e scuro. Il pistolero scivolò a terra con un ultimo gorgoglio sorpreso.
I suoi compari, che nel frattempo si erano ripresi, mi circondarono; Elizabeth, finalmente al sicuro tra le mie braccia, continuava a singhiozzare:
-Cosa hai fatto? Oh buon Dio, Mark, cosa hai fatto…-
Saremmo stati spacciati, se Kasper Nowak non si fosse affacciato sul retro della sua abitazione, stringendo il fucile con cui occasionalmente andava a caccia: con il sangue freddo che lo caratterizzava colpì uno dei pistoleri ad una mano, facendolo imprecare. Non persi tempo a controllare cosa facessero gli altri:
-Corri!- urlai alla ragazza, mentre strappavo il coltello insanguinato dal cadavere dell’uomo che avevo assassinato.
“Sono un assassino!” realizzai, e per un attimo il pensiero mi paralizzò. Poi un acuto dolore alla spalla mi fece capire che ero stato colpito e senza esitazioni seguii mia sorella nella strada verso casa.
Corremmo a perdifiato lungo il sentiero, cercando di mettere quanta più strada possibile tra noi e Rosenville; proprio quando la nostra abitazione apparve all’orizzonte sentii le gambe cedere e mi ritrovai in ginocchio tra l’erba, incapace di alzarmi.
-Mark?- bisbigliò Elizabeth, accucciandosi vicino a me -Mark, siamo quasi arrivati, avanti!-
Ma ero troppo debole anche solo per risponderle e in pochi istanti scivolai nell’oblio.
 
La prima cosa che vidi al mio risveglio fu il tatuaggio sul collo di mia madre, china su di me: Elizabeth mi aveva trascinato fino alla fattoria ed ora sedeva in un angolo della stanza, mentre lacrime silenziose continuavano a scendere dai suoi occhi. Mio padre era in piedi accanto a lei, pallido come non l’avevo mai visto e con le braccia incrociate sul petto. Nonostante le rughe ed i capelli grigi, l’avevo sempre visto come un simbolo di incrollabile forza: in quel momento, invece, mi sembrava debole e stanco.
-Riesce a reggersi in piedi?- mormorò, brusco. Mia madre si voltò di scatto verso di lui:
-Stai scherzando, spero! Gli hanno sparato, Russell!-
-Deve andarsene subito.-
Quelle parole mi gelarono il sangue nelle vene.
“Lasciare Rosenville?”
Ero troppo confuso per seguire bene la conversazione.
-E’ debole, non riuscirà mai ad andarsene sulle sue gambe!-
-Deve!- sentenziò mio padre, avvicinandosi al mio letto. Mi passò una mano sulla fronte con un gesto affettuoso:
-Forza, ragazzo, tirati su!-
Obbedii e vincendo la nausea ed il dolore mi tirai a sedere sul letto e poi in piedi. Barcollai un po’, ma rimasi stabile.
-Che ti avevo detto? E’ un Walker, dopotutto!-
Le labbra di mia madre tremarono, mentre sussurrava:
-Non puoi mandarlo via, è solo un ragazzo… Spiegheremo tutto alle autorità e…-
Mio padre la prese per le spalle:
-Ascoltami… Namid, ascoltami! Alla banca non importa un accidenti se la piccola Lizzie è stata quasi stuprata da quella bestia e che Mark l’ha difesa: per loro sono solo soldi in più da spendere e non è una cosa che gli va a genio! Lo manderanno alla forca senza perderci neanche una notte di sonno!-
A quel punto mia madre iniziò a piangere e per me fu un duro colpo: non l’avevo mai vista così disperata in ventidue anni di vita.
-Mamma…- dissi dolcemente, cercando di abbracciarla, ma Namid Walker si scostò con aria orgogliosa, riacquistando la forza che l’aveva sempre resa meravigliosa ai miei occhi.
Ci muovemmo velocemente: mia madre si prodigò a prepararmi qualcosa da mangiare, mio padre mi consegnò buona parte dei risparmi di una vita ed Elizabeth… Elizabeth si limitò ad aggrapparsi al mio collo, supplicandomi di non andarmene.
-E’ colpa mia!- singhiozzava -Non volevo che accadesse tutto questo!-
Le scompigliai i capelli, come ero solito fare quando era una bambina e si indispettiva se le tiravo le trecce:
-Niente di tutto questo è colpa tua, Lizzie!- mormorai, cercando di nascondere il tremito nella mia voce -Rifarei ogni cosa, se servisse a proteggerti.-
-E’ ora!- sentenziò mio padre, affacciandosi sulla soglia -Quei pistoleri arriveranno da un momento all’altro e noi gli diremo che non sei mai arrivato qui.-
Mi abbracciò stretto, stando attento a non premere sulla ferita alla spalla:
-Buona fortuna, figlio mio!-
 
Fu così che lasciai Rosenville al calar della sera di una giornata d’autunno. Ero a piedi, senza una meta né un amico al mondo: potevo contare solo su me stesso. Con un nodo alla gola, mi diressi verso Ovest senza mai guardarmi indietro.
 
 
 
Angolo Autrice:
Sono tornata alle prese con la famiglia Walker e anche prima del previsto J
Questo capitolo è una sorta di prologo alla storia, che prende avvio dieci anni dopo questo "incidente". Vi avviso fin da subito che sarà narrata per la maggior parte dal punto di vista di Elizabeth e che presto lasceremo Rosenville e i due vecchi protagonisti, Namid e Russell, per spostarci a San Francisco… Ma non vi anticipo nient'altro xD
Spero che questa piccola introduzione vi sia piaciuta! Non esitate a lasciare recensioni, lo sapete che mi fate felice :D
Purtroppo gli aggiornamenti di questa storia saranno molto lenti perché in questo periodo lo studio mi tiene molto impegnata, quindi non so quando tornerò a pubblicare… Spero presto!!!
 
Crilu

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Capitolo 2
*** The letter ***




P.O.V. Elizabeth
 
Osservai con aria risoluta la sottile patina di ghiaccio che intrappolava l’ascia con cui ero solita tagliare la legna. Afferrai saldamente il manico e imprimendogli tutta la forza che avevo nelle braccia tirai; udii un leggero scricchiolio, ma l’ascia non si mosse.
Frustrata, battei i piedi per terra e contemporaneamente mi portai le mani intirizzite alle labbra per riscaldarle: il Sacro Natale era passato da pochi giorni e il gelo si insinuava dappertutto, nonostante i numerosi strati di vestiti che indossavo.
Mio padre era a letto malato, mia madre si prodigava per assisterlo e così toccava a me l’ingrato compito di spaccare i ciocchi di legname per riattizzare il fuoco. Un compito che dieci anni prima mio fratello Mark avrebbe compiuto senza sforzi.
Chiusi gli occhi, mentre il familiare senso di nausea e colpa mi invadeva il petto, minacciando di soffocarmi: stavamo per entrare nel primo anno del nuovo secolo e di mio fratello nessuna traccia.
In quei dieci, dolorosissimi anni mio padre non si era mai dato per vinto: dopo che le acque a Rosenville si erano calmate aveva inviato messaggi a tutti i suoi ex-compagni di lavoro della ferrovia e si era tenuto informato su tutti i ricercati. Mark sembrava semplicemente scomparso nel nulla.
Se da un lato la cosa ci rallegrava – se la sua famiglia non riusciva a trovarlo, allora di certo non ci sarebbero riusciti neanche i federali – dall’altro ci gettava in una cupa malinconia: poteva essere morto, oppure aver cambiato continente e noi non avremmo mai saputo niente. Probabilmente riteneva di tenerci al sicuro senza scrivere neanche una riga, ma io lo odiavo per questo.
“Dove sei, Mark?” mi chiesi per l’ennesima volta, riuscendo finalmente a disincagliare l’ascia dal ghiaccio con un movimento brusco che mi fece barcollare all’indietro.
“Mi sento così inutile senza di te…”
Mark era stato sempre l’esempio da seguire, il mio rifugio e il mio migliore amico: senza la sua presenza rassicurante sembravo ancora più goffa e taciturna di quanto non ero in realtà.
Avevo ancora impressa sulla pelle la sensazione di quelle sudicie mani che mi palpavano senza ritegno e gli incubi erano durati per mesi, prima che recuperassi una parvenza di sanità mentale. Abbastanza affinché gli abitanti di Rosenville iniziassero a considerarmi pazza, diceria alimentata dal fatto che non avevo più messo piede fuori dai confini della fattoria dal giorno in cui Mark aveva ucciso il pistolero. Le minacce di mio padre e le preghiere di mia madre erano state inutili: quel piccolo terreno sicuro e tranquillo era diventato il mio mondo, l’unico in cui potessi vivere senza terrore.
A sedici anni avevo una fervida fantasia, molto entusiasmo e il desiderio inconfessabile di girare il mondo; a ventisei, ogni giorno ripetevo meccanicamente gli stessi gesti nella speranza di annullare i pensieri crudeli che si agitavano nella mia mente. Scossi il capo, ridacchiando tra me e me:
-Forse sei davvero pazza, Lizzie. Guardati, parli anche da sola!- mormorai, posizionando sul ceppo un pezzo di legna da tagliare.
Un discreto colpo di tosse mi distolse dal mio lavoro. Mi voltai e vidi che il postino di Rosenville stazionava imbarazzato oltre la staccionata di legno, a poche iarde da me: mi fissava quasi intimorito, spostando il peso del corpo da un piede all’altro.
“Da quanto mi stava osservando?” pensai, avvicinandomi titubante. “Pensa che bel pettegolezzo per le signore di Rosenville, Lizzie!”
Ero consapevole che il mio aspetto rispecchiava l’incuria e la solitudine che caratterizzavano la mia vita: nonostante mio padre si fosse ostinato, per anni, a comprarmi vestiti belli ed eleganti nel tentativo di riscuotermi dalla mia apatia, indossavo sempre due o tre abiti sgualciti e rammendati, ormai scoloriti per i numerosi lavaggi. La mattina legavo i capelli neri in una crocchia alla base della nuca, ma dopo poche ore erano già in disordine.
Mi diressi verso l’uomo con passo marziale e un cipiglio severo, ma sentivo il cuore battere ad una velocità inconsueta: quasi mai giungevano lettere per la famiglia Walker. Se si trattava di brevi messaggi da parte degli amici di mio padre era Abraham a consegnarceli; speravo quindi con tutto il mio cuore che fosse una missiva da parte di Mark.
Il postino osservò il mio incedere come se si aspettasse un assalto di qualche genere e senza neanche salutare mi porse una busta stropicciata e chiusa male. Sgranai gli occhi, battendo a terra con uno stivale mentre la prendevo con dita tremanti.
“Può davvero essere da parte sua! Oh Signore, non tradire la mia fiducia così!”
Il postino continuava a fissarmi ed io ricambiai lo sguardo, incerta, poi mi schiarii la voce:
-Vuole… Vuole entrare?-
L’uomo inarcò un sopracciglio, quasi offeso:
-No, certo che no!-
Allora sorrisi, indecisa se chiamare o meno mia madre per trattare con quell’individuo: erano anni che non mi ritrovavo a parlare con un estraneo e sentivo addosso tutto il peso dell’inesperienza.
Poi ebbi l’illuminazione:
-Mi perdoni!- esclamai, rovistando nelle tasche del grembiule che indossavo e tirando fuori qualche spicciolo -Dev’essere stata una bella scarpinata da Rosenville fino a qui, eh?-
Il postino intasco i soldi con aria vagamente soddisfatta:
-Certamente, una bella scarpinata! Buona giornata, signorina Walker!-
Lo osservai allontanarsi con una strana eccitazione nell’animo, poi corsi sul retro della casa, sperando che nessuno dei miei genitori si fosse accorto del suo arrivo: non ero sicura che la lettera fosse di Mark e non volevo alimentare le loro speranze. Mia madre si era consumata lentamente nell’aspettare l’improbabile ritorno del figlio e mio padre, meno incline a mostrare le sue emozioni, ogni sera si ritirava in silenzio a fissare il sentiero che portava a Rosenville, come se aspettasse di vederlo comparire da dietro una curva.
Mi buttai sul vecchio dondolo scricchiolante che si trovava sulla veranda e tirai la carta con così tanta foga da strapparla. Ma il sorriso spontaneo che mi era sorto nello stringere a me quella busta rimase congelato sulle mie labbra; una piccola porzione della mia mente, quella non annichilita dal dolore, ringraziò il mio buonsenso per non averla portata dai miei genitori con false speranze.
Il testo era breve, scritto con una calligrafia disordinata ed elegante che non era sicuramente quella di Mark.
 
Spettabile signor Russell Walker,
le scrivo per la difficile situazione in cui versa vostro figlio Mark. E’ infatti con grande dispiacere che la informo del suo imprigionamento e di una sua probabile condanna a morte nel giro di poche settimane.
 
Connor Price
 
 “Chi è questo Connor Price?” mi chiesi, mentre assimilavo l’informazione principale, quella che mi rifiutavo di accettare. “Mark è stato catturato. Potrebbero averlo già giustiziato!”
Dolore e rabbia mi fecero pizzicare gli occhi: se da un lato avevo quasi la certezza di aver perso mio fratello per sempre, dall’altra ero infuriata con lui.
“Neanche in punto di morte ti degni di farci sapere qualcosa, Mark? Almeno per mettere in pace la povera anima di nostra madre?”
Mi pentii quasi subito di quei pensieri incoerenti e rabbiosi. Del resto, era colpa mia se Mark rischiava la forca.
“Solo colpa mia.”
Presi a camminare a grandi passi per la veranda, continuando a stringere la lettera fra le mani mentre ragionavo:
“Innanzitutto, mamma e papà non devono mai, mai venire a sapere della lettera; in questo senso, il fatto che non abbiano visto il postino è stato davvero un colpo di fortuna! Poi, potrebbe darsi che Mark non sia morto, che per lui ci sia ancora speranza… Oh, Lizzie, no, cosa vai a pensare? Questa lettera è stata spedita settimane fa, anche se Mark fosse stato appena catturato a quest’ora non ci sarebbe più nulla da fare! Però…”
Però il mio animo era tormentato dall’idea che Mark fosse stato solo negli ultimi momenti della sua vita e che nessuno si fosse preso cura dei suoi resti. Fu così che presi una decisione che io stessa ritenevo azzardata, folle e pericolosa: decisi che sarei andata a riprendermi mio fratello ad ogni costo.
Non importava che fossero dieci anni che non uscivo più da casa mia, né che non avessi nessuno su cui contare per rivendicare i miei diritti di sorella sul corpo di Mark. Giurai semplicemente a me stessa che l’avrei riportato a casa. Per farlo, però, dovevo mentire ai miei genitori… E solo il Cielo sa quanto sia difficile ingannare Russell e Namid Walker!
 
A cena alternai stati di allegria a momenti di completo mutismo nel disperato tentativo di non allarmare i miei genitori; fortunatamente, mia madre, che di solito riusciva sempre a fiutare le mie menzogne, era troppo preoccupata per la salute di suo marito per rendersi conto della mia agitazione. In effetti mio padre era invecchiato a vista d’occhio nel giro degli ultimi due anni: era come se la sua solita energia l’avesse abbandonato di colpo, lasciandolo a boccheggiare come un pesce tirato a riva. I capelli brizzolati e le rughe, però, non riuscivano ad offuscare la sua autorità:
-Sto diventando vecchio, Lizzie.- mi aveva detto solo pochi giorni prima, la vigilia di Natale -Davvero vuoi lasciarmi morire senza la possibilità di godermi una bella discendenza?-
-Non so dove potrei trovare un marito per soddisfarla, padre…- avevo risposto, confusa ed intimorita dalle possibilità implicite in quella strana affermazione. Per qualche motivo mio padre era convinto che potessi superare il mio passato e trovare un marito alla veneranda età di ventisei anni: alcuni dicevano che gli indiani, oltre ad avergli donato una moglie, gli avessero affidato anche qualcosa di molto più oscuro e misterioso. E nel sentirlo parlare con lo sguardo vacuo un brivido mi spingeva quasi a credere a quelle dicerie.
Aspettai fino a quando la luna non rischiarò completamente i prati al di fuori della finestra della mia stanza; allora scivolai con cautela fuori dalle coperte, mi vestii con l’abito più sobrio che trovai e sopra ci buttai una giacca pesante presa in prestito dal guardaroba di mia madre.
“Scusa, mamma!”
Scesi le scale stando attenta a non fare rumore con la modesta borsa che portavo – e che conteneva tutto ciò che ritenevo mi sarebbe tornato utile in quel viaggio – e a non inciampare nell’orlo della gonna, molto più morbido e vaporoso di quelli a cui ero abituata.
Quando raggiunsi il muretto che segnava il confine della nostra proprietà iniziai a sudare e a respirare a fatica: ero angosciata dalla prospettiva di dover incontrare nuovamente della gente e per la prima volta fui sfiorata dal pensiero che quella fosse una missione troppo grande per una ragazza sola, specie se introversa come me.
“Si tratta di Mark, Lizzie!” mi dissi, per farmi coraggio, e subito l’aria riprese a riempirmi con facilità i polmoni, premettendomi di incamminarmi di buona lena verso Rosenville.
Solo quando fui in piedi sulla banchina della stazione, in attesa del primo treno della giornata, sfiorai con le dita la lettera che tenevo in tasca, pensando a quella che avevo lasciato sul mio comodino. Speravo che le righe che avevo scritto bastassero a dare un minimo di conforto ai miei genitori: senza nominare la missiva che era giunta il giorno prima, mi ero limitata ad informarli della mia decisione di andare a cercare Mark. Un progetto che ai loro occhi doveva apparire impossibile, da pazzi.
“E forse è proprio così!” pensai, piegando le labbra in una sorriso nervoso.  
Tirai fuori la busta spiegazzata e lessi un’altra volta l’indirizzo, per essere certa di ricordarmelo nel caso in cui l’avessi persa:
“Fisherman’s Wharf, San Francisco, California. Chiunque tu sia, Connor Price, sto arrivando.”
 
 
 
Angolo Autrice:
Buonasera :D
Ho lavorato molto su questo capitolo, perché introduce la vera protagonista della storia, cioè Elizabeth: spero che sia venuto bene e personalmente sono soddisfatta della tridimensionalità che ho dato a questo personaggio… Solo una cosa mi ha creato perplessità e perciò vi faccio una domanda: nella prima storia, The Railroad, come persona di cortesia usavo il voi, mentre qui ho utilizzato il lei. Il fatto è che gli anglofoni non fanno tutte le distinzioni che facciamo noi, quando si tratta di trattare con gli estranei; comunque, il voi mi sembrava esagerato per una storia ambientata nel primo '900 in una città moderna ed attiva, soprattutto perché i protagonisti sono giovani… Voi che ne pensate? A parte il fatto che forse sono un po' paranoica? xD
 
Crilu 

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Capitolo 3
*** The city ***




Quando scesi dal treno e mi lasciai alle spalle la nebbia soffocante della stazione mi ritrovai in un ambiente a me totalmente estraneo, sconosciuto… Ed incredibilmente affascinante.
Se sulle prime i nuovi odori e la straordinaria moltitudine di scenari che mi si presentarono davanti mi stordirono, il mio istinto sospettoso mi fece riprendere in fretta: San Francisco era molto diversa da Rosenville, ma le regole basilari di sopravvivenza erano le stesse dappertutto.
Scacciai con uno sguardo truce i bambini che mi si accalcavano attorno per chiedere l’elemosina e derubarmi di qualche spicciolo, poi mi infilai nella folla di persone e carrozze che invadeva la strada principale, sicura di attirare così meno attenzioni indesiderate di quante ne avrei ricevute se fossi rimasta ferma a bocca aperta sui gradini della stazione.
Mi osservai intorno stringendo a me la borsa che costituiva il mio unico bagaglio: credo di non essermi mai sentita così piccola come in quel momento!
Non sono altissima e le mie curve formose, totalmente opposte a quelle aggraziate di mia madre, contribuiscono a farmi sembrare più bassa; ma davanti agli immensi edifici che si stagliavano contro il cielo terso incassai istintivamente la testa nelle spalle, comprendendo d’un tratto lo stato d’animo delle formiche.
Non erano solo i palazzi ad impressionarmi: San Francisco offriva una varietà di personaggi molto pittoresca. Quelli che, come me, venivano da fuori città si riconoscevano subito per la perenne scintilla di meraviglia che gli illuminava lo sguardo; c’erano poi comuni accattoni e mendicanti, ma anche dame ingioiellate e uomini eleganti che mi sfioravano nel passarmi accanto. I venditori ambulanti esponevano merci mai viste e rischiai seriamente di cadere a terra quando notai dei lunghi pali conficcati sul bordo del marciapiede, sormontati da una raffinata gabbia di metallo.
Erano lampioni, un oggetto ancora sconosciuto a Rosenville.
-Sa dirmi dov’è Fisherman’s Wharf?- chiesi gentilmente ad un signore che vendeva frutta candita ad un angolo della strada, mostrandogli la lettera. Cercai di non lasciar trapelare il mio desiderio per quei dolci deliziosi, sebbene fosse difficile: non ne assaggiavo uno da quasi vent’anni, ma ricordavo la dolcezza dello zucchero che si scioglieva in bocca… Mi riscossi appena in tempo per sentire la risposta perplessa alla sua domanda.
-Fisherman’s Wharf non è un indirizzo, signorina, è un quartiere. Uno dei più poveri, malandati e sporchi quartieri che questi occhi stanchi abbiano mai avuto il dispiacere di vedere!-
“Incoraggiante, come descrizione!”
-Come ci si arriva?-
Il vecchio strabuzzò gli occhi ed azzardò una risata divertita, ma divenne mortalmente serio quando capì che non stavo scherzando.
-Non vada laggiù da sola, signorina: è pieno di pescatori alcolizzati e di immigrati che non esiterebbero ad assalirla!-
Avvertii sulla mia pelle la pressione di un paio di mani ruvide e tremai al pensiero di dover sopportare una seconda volta il tocco di un uomo, ma scrollai le spalle come se la cosa non mi importasse. Il venditore sospirò:
-Va bene, allora. Guardi, trovi un omnibus che la porti al Civic Center, più in là non ci arriva nessuno: ci sono solo le case di russi e cinesi, cinesi e russi! Quando inizierà a sentire qualcuno che parla italiano e sentirà l’odore del mare impregnare tutta l’aria che respira, allora sarà arrivata a Fisherman’s Wharf.-
Lo ringraziai e mi allontanai ancora più scoraggiata, chiedendomi come avrei fatto a trovare Connor Price in un ambiente tanto ostile.
 
Il venditore non aveva esagerato: una volta che mi fui lasciata alle spalle i fasti del centro – il teatro dell’Opera, il municipio, i musei e le biblioteche – mi ritrovai d’improvviso a camminare in mezzo a case sorte a casaccio, grigie ed uniformi come funghi. Sentivo su di me gli sguardi curiosi e sospettosi di gente di cui non capivo la lingua: i russi avevano occhi e capelli di colori sbiaditi, pelle pallidissima e lineamenti spigolosi, ma li trovavo stranamente rassicuranti perché mi ricordavano Kasper Nowak, marito di Annabeth e amico di mio padre; non avendo mai visto un cinese, invece, rimasi impressionata dalla pelle gialla e dagli occhi obliqui che mi scrutavano indagatori.
In breve, però, anche le case grigiastre e i loro esotici occupanti si diradarono per lasciare spazio ad un ambiente completamente diverso dalla moderna città che avevo attraversato: il mare si dispiegò davanti ai miei occhi all’improvviso, non appena girai un angolo di strada, illuminato dal sole che si avviava al tramonto. La brezza marina, potente e dall’odore salmastro, mi scompigliò la crocchia e mi fece stringere nel pesante cappotto mentre scandagliavo con occhi curiosi e preoccupati Fisherman’s Wharf. Sembrava un gigantesco molo costruito interamente in legno, che si elevava sopra le acque grazie a robusti pali piantati sul fondale, a cui erano attraccate numerose piccole barche, senza dubbio destinate alla pesca. Sopra alcune di esse c’erano ancora dei pescatori intenti a rovistare tra le reti, nonostante l’ora fosse tarda e la giornata nuvolosa.
Alcune case in mattoni, con l’intonaco scrostato dal vento, seguivano il percorso dei moli fino alla lingua di terra più lontana, poi si interrompevano ed iniziava una banchina arida e disabitata; più in là ancora si potevano intravedere i palazzi del lato est di San Francisco, costruita su una piccola penisola e perciò circondata per gran parte dall’Oceano. Si era levata una nebbia leggera e umida che mi impediva di osservare per bene il mare, che vedevo per la prima volta: sapevo che al di là della baia c’era un’altra striscia di terra e nel mezzo un’isola disabitata, ma tutto ciò che riuscivo a vedere era l’oscurità densa e minacciosa dell’acqua agitata.
Mi riscossi e mi guardai intorno, chiedendomi in che modo avrei potuto trovare Connor Price in quel posto deserto: oltre a me e agli ultimi pescatori c’era solo qualche cane randagio e scheletrico che adocchiava la mia borsa con sguardo famelico.
Rimasi a lungo ferma tra le case del molo, mentre brividi incontrollati scuotevano il mio corpo: fino ad allora quel viaggio mi era sembrato abbastanza semplice da affrontare, avevo parlato con poche persone e sempre con una naturalezza che non lasciava intendere nulla di ciò che avevo passato. Ma l’avvicinarsi della notte, il luogo desolato e il chiacchiericcio brusco dei pescatori… Beh, mi dava quasi la nausea.
-Mark.- borbottai, chiudendo gli occhi e ricacciando indietro i conati di vomito -Mark, Mark, Mark…-
Dopo quella che mi sembrò un’eternità riacquistai una relativa calma e mi avvicinai con passo deciso ai pescatori che, una volta assicurate le cime delle barche al molo, stavano camminando verso casa.
Non appena furono a portata d’orecchio capii che non parlavano inglese, ma una lingua piena d’intonazioni: sembrava quasi che cantassero, invece di chiacchierare.
Un ragazzo alzò gli occhi dalla strada, incrociò il mio sguardo spaesato e fece un fischio nella mia direzione, sorridendo; poi disse qualcosa che fece scoppiare a ridere i suoi compagni ed io fui tentata di voltare loro le spalle e mettermi a correre. Qualche segno di inquietudine dovette trapelare sul mio viso, perché il ragazzo alzò le mani e si avvicinò a passi lenti, senza perdere il sorriso:
-Non si preoccupi, signorina!- esclamò con un accento piuttosto marcato -Non deve avere paura di noi!-
Socchiusi gli occhi, studiandolo assorta. Non era molto alto, ma aveva un fisico robusto e allenato, probabilmente frutto di una vita di fatica; il sorriso e gli occhi bruni e luminosi lo facevano sembrare un ragazzino, ma alcune rughe intorno agli occhi e sulla fronte indicavano che doveva avere almeno la mia età. I capelli erano ricci, folti e di un gradevole color cioccolato che si confondeva con la pelle bruna. Allora capii perché quella lingua cantilenante mi fosse familiare: la parlata di Jacob Fano, uno dei colleghi di mio padre, ne conservava l’eco.
-Italiani?- chiesi, un po’ tranquillizzata ma non ancora pronta a rilassarmi. Il ragazzo allargò il sorriso e chinò il capo in una sorta di buffo inchino:
-Antonio Iaconi, molto piacere!- disse, avvicinandosi mentre il resto del gruppo proseguiva per la sua strada.
-Ma gli americani mi chiamano Tony!- aggiunse con un occhiolino.
Neanche la mia naturale diffidenza poté resistere alla spensieratezza di Tony che dopo aver saputo chi stavo cercando, senza troppe cerimonie mi prese sottobraccio e si incamminò verso la casa di Connor Price. Una tale confidenza da parte di chiunque altro sarebbe apparsa scandalosa e mi avrebbe fatto innervosire, ma quell’italiano sembrava capace di mettermi a mio agio anche in una situazione così tesa. Nonostante il suo inglese fosse molto scarso e pieno di intercalari italiani intraducibili riuscì a intrattenermi piacevolmente con la sua parlantina nel tempo che impiegammo a raggiungere un palazzo anonimo e buio. Solo da alcune finestre in alto penetrava un sottile spiraglio di luce.
-Tony, è sicuro che sia la casa giusta?-
-Sì, signorina, il signor Price vive qui!-
-Come fa a conoscerlo?-
Tony ammiccò in un modo strano e affermò:
-E’ impossibile non conoscerlo, signorina. Lei dovrebbe saperlo!-
Aggrottai la fronte, chiedendomi seriamente chi diamine fosse il mittente della lettera:
-Che mestiere fa il signor Price?-
Il ragazzo perse all’improvviso ogni traccia di allegria:
-Quindi lei non conosce personalmente il signor Price?-
Non feci in tempo a rispondere che lui già mi stava tirando via per un braccio:
-Ma cosa fa?- strillai, indignata. Tony si passò una mano tra i capelli, spostando all’indietro i ricci che gli coprivano gli occhi; sembrava molto più anziano e maturo di quanto non fosse pochi minuti prima.
-Il signor Price non è americano, signorina. E’ un nobile inglese.-
-Un… Nobile?- ripetei, sbigottita. -E vive qui?-
“Mark, in che guaio ti sei cacciato stavolta?”
-Un nobile in disgrazia.- precisò allora Tony, lanciando occhiate preoccupate alle finestre illuminate all’ultimo piano -Non ne so molto, signorina, ma non sono stupido: basta vedere la vita che fa per capire perché la sua famiglia l’ha mandato qua in America. Femmine, vino, locali poco raccomandabili… E dicono che da qualche tempo abbia anche iniziato a frequentare gli operai e i sindacati, sebbene sia disoccupato!-
-Se non ha un lavoro, come fa a mantenersi?-
Tony si strinse nelle spalle:
-Non lo sa nessuno. E’ uno dei motivi per cui non voglio che lei salga da lui, signorina. Credevo che lei lo conoscesse… Ma se non è così non posso proprio lasciarla salire da sola! Sarebbe da irresponsabili lasciare una femmina nelle mani del signor Price!-
Iniziai nuovamente a tremare, ma sperai che l’italiano credesse fossero brividi per il freddo della sera; la brezza marina, infatti, si era trasformata in un vento gelido e pungente. Scossi la testa, lusingata e al tempo stesso preoccupata per l’eccessiva premura del ragazzo:
-Grazie, Tony, ma credo proprio di dover salire. Ne va della salvezza di una persona a me molto cara.-
Non mi fidavo abbastanza per fare il nome di Mark. Tony sembrò molto combattuto, ma alla fine lasciò andare la manica del cappotto:
-Va bene, signorina, vedo che è convinta di quello che fa. Lei adesso sale, però io rimango un po’ qua sotto, va bene? Se c’è qualche problema faccia un fischio e sono da lei!-
Sorrisi e lo ringraziai con calore, prima di entrare nell’androne buio e freddo del palazzo. Sarebbe apparso disabitato, se non fosse stato per i rumori e la luce che provenivano dall’appartamento di Connor Price. Mentre mi affaticavo lungo le scale rimuginai su questo misterioso individuo: un nobile inglese diseredato, libertino e poco raccomandabile… Mi sembrava impossibile che potesse aver preso a cuore la situazione di Mark. Tony aveva anche parlato di sindacati ed operai, aumentando così la mole di domande che mi ronzava in testa; speravo davvero che l’inquilino dell’ultimo piano avesse qualche risposta.
Una volta giunta davanti alla porta d’ingresso dell’unico appartamento dell’ultimo piano esitai, udendo il suono delle risate – alcune sicuramente femminili – e il tintinnare dei bicchieri. Il sole era calato da poco e sembrava che lì dentro fossero intenti a fare festa. Storsi il naso:
“Strani, gli inglesi!”
Fiduciosa sulla presenza di Tony davanti al palazzo, mi feci coraggio e bussai.
 
 
Angolo Autrice:
Ecco qua una prima occhiata d'insieme a San Francisco :) ho cercato di descriverla in maniera verosimile nonostante la scarsità delle fonti: era ovviamente meno estesa di oggi, ma i quartieri citati esistevano già allora. L'isola nominata da Elizabeth è Alcatraz, al tempo ancora sconosciuta, in quanto la famosa prigione non era stata ancora costruita.
Vi piace Tony? Lo rivedremo presto, visto che è rimasto così colpito da Lizzie! Nel frattempo lei dovrà affrontare il misterioso Connor Price…
Alla prossima e grazie a tutti voi che seguite questa storia :D
 
Crilu 

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Capitolo 4
*** The flat ***




I rumori all’interno dell’appartamento si interruppero per un breve momento, poi le risate ripresero, mentre dei passi pesanti si fermavano al di là della porta chiusa. Ero talmente nervosa che stringevo il manico in cuoio della borsa fino a deformarlo e il battito affannoso del cuore mi rimbombava nelle orecchie; la nausea che mi aveva assalito appena arrivata in quel quartiere tornò più pressante di prima, facendomi vacillare. Non sapevo se fosse una reazione dettata dalla paura che covavo nei confronti di tutto il genere maschile o una semplice espressione della mia timidezza.
Quando finalmente la porta si aprì, il nervosismo prese il sopravvento e dopo aver lasciato cadere la borsa ai piedi dell’uomo che si era affacciato sul pianerottolo barcollai all’indietro, aggrappandomi al corrimano in ferro battuto delle scale. Chiusi gli occhi e chinai la testa nel vuoto, sperando così che la mia vista appannata tornasse normale. Fui anche sul punto di rimettere, ma riuscii a controllare in maniera ferrea le reazioni del mio corpo.
-Beh, di solito non faccio questo effetto alle donne!-
La voce dietro di me era roca e divertita, ma vi lessi anche una punta di risentimento: Connor Price era molto sicuro del proprio fascino. Girandomi ad osservarlo, sollevata per l’attenuarsi della nausea, compresi facilmente perché.
L’uomo si era appoggiato con le braccia incrociate ad uno stipite della porta, facendo sì che la bianca camicia stropicciata che indossava si tendesse sui bicipiti e lasciasse intravedere la peluria del petto dal colletto sbottonato; risalii con lo sguardo sui muscoli tesi del collo e sulla mascella squadrata coperta da una corta barba bionda, fino ad incontrare un paio di occhi castani che ammiccavano trionfanti. Arrossii, capendo che Price aveva letto nel mio sguardo esattamente quello che vedeva negli occhi di tutte le donne. Pura e sincera ammirazione.
La stanchezza ed il nervosismo si stemperarono in un’irritazione altezzosa.
-Sto parlando con Connor Price?-
-In persona!- sorrise lui, mettendo in mostra dei denti incredibilmente candidi e dritti. Serrai le labbra, quasi vergognandomi dei miei incisivi storti e un po’ scheggiati.
-Ho bisogno del suo aiuto!- esclamai, raccogliendo la borsa da terra e avvicinandomi all’uomo, che per tutta risposta allargò il sorriso.
-E’ sempre un piacere poter aiutare una ragazza così graziosa!-
Accolsi il suo commento inarcando le sopracciglia, scettica. La sua vicinanza non era sgradevole come quella degli altri uomini, ma neanche rassicurante come quella di Tony: come un predatore in attesa di lanciarsi sulla preda in trappola, Connor Price mi fissava con malcelata soddisfazione.
D’improvviso mi sentii infiammare d’indignazione e con un improvviso quanto bizzarro cambiamento d’umore persi tutta la timidezza e la ritrosia che mi avevano sfiancato durante il viaggio. Puntai il dito contro il petto dell’uomo e anche se gli arrivavo a malapena alle spalle, qualcosa nel mio sguardo lo costrinse a fare un passo indietro.
-Mi stia a sentire, Price, ma prima si tolga quel sorriso strafottente dalla faccia: non le è venuto in mente che potessi essere qui per un motivo ben più grave di una squallida unione con lei? Dunque è vero ciò che si dice in giro, lei non sa fare di meglio nella sua vita che ubriacarsi e sedurre fanciulle?-
L’allegria scomparve dal suo viso, sostituita da un lampo di rabbia e poi da un’espressione neutra e vagamente annoiata:
-Un’altra moralista che bussa alla mia porta… Non credevo che ce ne fossero di così coraggiose da infilarsi nella tana del lupo una vola calato il buio!- ghignò -E quali sarebbero i motivi che l’hanno portata da me, così gravi ed urgenti da interrompere la mia festicciola privata?-
Fui intimamente soddisfatta dello sconcerto che dimostrò quando dissi:
-Sono la sorella di Mark Walker. Credo che lei abbia delle informazioni su mio fratello.-
Senza alcun preavviso, l’uomo mi afferrò per il mento e mi osservò attentamente con gli occhi socchiusi, voltandomi il capo da una parte e dall’altra, poi sospirò:
-Gli assomigli in qualche cosa, sì… Ma come faccio ad essere sicuro di ciò che dici?-
Gli sventolai la lettera funesta davanti agli occhi.
-E’ una garanzia sufficiente?- sibilai. Prima che Price potesse rispondere fu raggiunto da una donna alta e longilinea che indossava un elegante abito da sera nero, su cui ricadevano delle ciocche biondo miele. Mi studiò per qualche istante, poi aprì le labbra in un sorriso pieno di affettazione:
-Ma cher, chi è questa donna?-
-Non sono affari tuoi, Monique!- sbottò l’uomo in maniera brusca, senza staccare gli occhi dalla lettera che tenevo ancora in mano. La bionda sembrò offendersi per quel tono poco cortese e si aggrappò al suo braccio con fare insistente:
-Connor, siamo in ritardo!- si lamentò, mettendo il broncio. A me sembrava una bambina, ma potevo scommettere tutto ciò che avevo sul fatto che gli uomini la ritenessero una smorfia seducente. Monique aveva pronunciato il nome di Connor con un accento strano, roco e graffiante: potevo scommettere anche sul fatto che i due fossero amanti.
-Faremo sicuramente tardi, se non ci sbrighiamo!- riprese la bionda.
“Dove dovranno mai andare a quest’ora, con tutta questa fretta?”
Price sembrò ridestarsi da una meditazione profonda, perché all’improvviso mi chiese:
-Hai un posto dove stare?-
Scossi la testa:
-No, sono arrivata oggi in città.-
-Da dove vieni?-
-Rosenville, Wyoming.-
Monique arricciò le labbra in un’espressione di evidente disgusto; dietro di lei, potei vedere che altre due ragazze e un uomo, tutti vestiti in modo impeccabile, si erano affacciati da una delle stanze illuminate. L’unico apparentemente fuori luogo, con i suoi abiti trasandati, era il padrone di casa.
-La sorella di Mark…- borbottò, passandosi una mano tra i capelli biondi, lasciati leggermente più lunghi di quanto imponesse la moda. -Tu non dovresti essere qui. Mark mi ha ordinato di scrivere quella lettera proprio affinché vi metteste l’animo in pace!-
-Cosa è successo a mio fratello?- chiesi con il cuore in gola -Dov’è? Perché ha chiamato proprio lei? Cosa c’entra lei con Mark?-
Come se non mi avesse sentito, Price si liberò dalla stretta di Monique:
-Come hai detto che ti chiami?-
Sospirai:
-Non l’ho detto. Il mio nome è Elizabeth, comunque.-
-Elizabeth, che nome comune!- sbuffò Monique, ansiosa di riottenere l’attenzione dell’uomo.
“Monique, che nome volgare!” avrei voluto rispondere, ma mi trattenni.
-Bene, Elizabeth, allora è deciso!- sentenziò Connor, facendo un cenno agli altri ospiti ed afferrando una giacca nera appesa chissà dove per indossarla. -Starai qui e quando tornerò parleremo di tuo fratello!-
-Che cosa?- strillai, incredula -Senta, Price, noi parleremo adesso! Non mi sono fatta tutta questa strada dal Wyoming alla California per sentirmi dire di aspettare chiusa in casa mentre mio fratello potrebbe essere già stato giustiziato!-
Di nuovo, Connor Price parve non sentirmi e con uno strattone mi tirò in casa, mentre i suoi ospiti uscivano, lanciandomi occhiate divertite. La stretta dell’uomo era salda mentre mi guidava tra i vari ambienti dell’appartamento, fino a farmi cadere su un divano dalla stoffa costosa, ma rovinata dal tempo.
-Ecco, stai qui, da brava!- esclamò bonario, come se stesse accarezzando la testa del suo cane da compagnia preferito. Mi chiesi come potesse avere successo con le donne, se le trattava con così ostentata condiscendenza.
“O forse si comporta così solo con te, povera e sprovveduta ragazza del Wyoming senza alcuna attrattiva!”
Fu quel pensiero a farmi lanciare degli improperi contro Price, mentre la porta di casa si chiudeva a chiave alle sue spalle.
Per un po’ continuai ad inveire, poi mi premetti le dita sulle tempie che pulsavano: ero esausta, non facevo un sonno degno di questo nome da due giorni a quella parte e lo stomaco brontolava per la fame. Nonostante questo, non intendevo darla vinta a quell’uomo odioso!
Girovagai per l’appartamento alla ricerca di una via di fuga, ma sembravano non esserci: le stanze erano spoglie e il mobilio, come il divano, era di buona fattura ma usurato. Sul tavolo del salotto c’erano dei bicchieri sporchi e una bottiglia del vino quasi vuota.
Udii dei rumori al di fuori della porta, come di qualcosa che grattasse sul legno.
“Ci saranno forse dei topi in questo palazzo?” pensai, disgustata e sempre più decisa ad andarmene. In quel momento non mi aveva ancora sfiorato il pensiero che non avessi la più pallida idea di dove fossero diretti Price e i suoi compagni.
Con un po’ di fatica spalancai le ante in legno della finestra del salotto: erano talmente incassate da farmi sorgere il dubbio che non venissero aperte da anni. Respirai l’aria fresca della notte, osservando ammirata le luci lontane della città, oltre la nebbia che aveva invaso Fisherman’s Wharf, poi mi affacciai, sporgendomi con tutto il busto:
“Va bene, troppo alto, da qui non si passa!”
Mi stavo per ritirare quando il davanzale in muratura su cui mi ero appoggiata si sbriciolò, facendomi oscillare nel vuoto per pochi, terribili secondi: ebbi giusto il tempo di spalancare gli occhi, poi mi sentii afferrare da dietro da un paio di braccia robuste che mi tirarono al sicuro con i piedi ben piantati sul pavimento dell’appartamento.
-Oh… Dio!- esclamai, sollevata, tremando violentemente.
-Cosa credeva di fare, signorina?- chiese la voce di Tony, severa. Incrociai il suo sguardo preoccupato e senza pensarci gli buttai le braccia attorno al collo, mentre lui tossicchiava imbarazzato.
-Grazie! Se non fosse arrivato…-
-Bah, si figuri, signorina!- mormorò il ragazzo, sciogliendo l’abbraccio. Sorrisi:
-Come è entrato?-
-Ho visto il signor Price uscire insieme ad un uomo e ad altre ragazze, ma lei non c’era e quindi ho pensato che fosse successo qualcosa di brutto. Perciò ho aspettato che si allontanassero, sono salito e ho forzato la serratura!-
Osservai con aria soddisfatta la porta spalancata dell’appartamento, pregustando il momento in cui Price sarebbe tornato.
-Non mi ha risposto: cosa intendeva fare, affacciandosi in quel modo dalla finestra?- riprese Tony, incrociando le braccia sul petto. Indossava una camicia leggera che un tempo, forse, era stata bianca ma adesso aveva assunto una triste tonalità grigia; mi chiesi come facesse a non sentire freddo.
-Cercavo un modo per andarmene di qui.- sospirai, poi d’impulso decisi di confidarmi con lui -Sono venuta a San Francisco per mio fratello, Mark, che è ricercato… Diciamo ingiustamente, dalle autorità. Price aveva scritto a mio padre affermando che era stato catturato, senza aggiungere altro e quando sono arrivata alla sua porta per chiedere maggiori spiegazioni se n’è andato con la sua combriccola, chiudendomi qui fino al suo ritorno. Quantomeno irritante…-
Tony rifletté per un po’ su quanto gli avevo detto, mentre io mi allacciavo il cappotto, pronta ad uscire e ad affrontare Price:
-Suo padre l’ha lasciata venire a San Francisco da sola?- chiese poi, la fronte corrugata nello sforzo di capire.
-Mio padre non sa nulla!- ridacchiai. Gli occhi scuri del ragazzo si accesero di ammirazione e mi seguì lungo le scale:
-Venga con me! So io dove si trova il suo signor Price adesso…-
 
 
 
Angolo Autrice:
Che ne dite del primo incontro con Price? Ci ho lavorato molto, perché ci tenevo a descrivere bene la sua arroganza… Oltre che il suo indiscutibile fascino! xD
Elizabeth ha rischiato una brutta caduta, ma per fortuna c'era Tony pronto a salvarla! Dove saranno diretti???
Grazie a tutti coloro che seguono questa storia,
A presto
 
Crilu 

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Capitolo 5
*** The kiss ***




------> https://www.youtube.com/watch?v=W7DpshioNnA <------


-When the red red robin comes bob-bob bobbin’ along, there’ll be no more sobbin’ when he starts throbbin’ his old sweet song…-
Mi guardai intorno estasiata, mentre la cantante sul palco continuava a cantare con voce melodiosa, stretta in un abito nero e luccicante di paillettes e accompagnata da una piccola orchestra.
Il locale era stretto, buio e fumoso eppure si respirava un’aria allegra, rilassata; non potei fare a meno di sorridere, catturata dall’atmosfera.
Fu la presa gentile di Tony sul mio braccio a riscuotermi:
-Guardi!- mormorò indicandomi un tavolo vicino al palchetto della cantante -Ecco Price!-
Aveva ragione: Connor Price, Monique e gli altri loro amici erano seduti attorno al tavolo su cui campeggiava un’enorme bottiglia di vino dall’aspetto costoso. Mi chiesi dove trovassero i soldi per pagare tante bevute e perché si fossero scomodati ad uscire di casa se il loro fine era ubriacarsi.
“Potevano continuare benissimo nell’appartamento!”
-Cosa facciamo?- chiese Tony, che sebbene conoscesse il locale sembrava molto a disagio: probabilmente non era l’ambiente adatto a lui.
-Non lo so!- mormorai, stordita dalle novità e dalla stanchezza. Quando vidi che alcune coppie si alzavano per danzare davanti all’orchestra fui invasa da una scarica di energia: da ragazzina mi piaceva molto ballare, seguire il ritmo della musica e buttare indietro i capelli sciolti mentre l’abito delle feste svolazzava attorno alle mie caviglie. Osservai malinconica il vestito liso che avevo indossato per viaggiare e decisi che meritavo una pausa dalle preoccupazioni. Mi sciolsi la crocchia, lasciando liberi i miei capelli neri e mossi, poi mi voltai sorridendo verso un Tony stupefatto.
-Venga!- esclamai, mentre la cantante si interrompeva e lasciava spazio ad un intermezzo del contrabbasso -Balliamo!-
Trascinai il ragazzo in mezzo alla pista e senza timore gli posizionai le mani: una sulla mia spalla, l’altra sul mio fianco.
-Non so se è il caso…- balbettò lui, ma in pochi istanti eravamo già catturati dal giro delle coppie e della musica.
Respirai a fondo l’aria viziata del locale, che in quel momento mi sembrava la più pura e corroborante del mondo, sentendomi giovane e piena di energie… Almeno finché non incontrai un paio di furenti occhi castani che seguivano ogni mia mossa. Allora la rabbia che provavo nei confronti di Connor Price mi spinse ad agitarmi a danzare sempre più veloce, portando con me Tony che quasi non riusciva a stare al mio passo.
-Wake up, wake up you sleepy head, get up, get out of your bed! Cheer up, cheer up the sun is red, live, love, laugh and be happy! What if I were blue, now I’m walking through fields of flowers…-
Quando la cantante riprese il suo motivetto allegro, Price si alzò e senza troppe cerimonie si infilò tra i ballerini, strattonandomi via da lì. Tony si mise di mezzo, con espressione severa: era più basso di Price, ma anche molto più robusto.
-Cosa sta facendo?- borbottò l’italiano, incrociando le braccia al petto.
-Cosa sta facendo lei, piuttosto!- sbottò l’altro, nervoso, continuando a tenermi il braccio con così tanta forza che iniziai a non sentirlo più -La signorina, qui, è sotto la mia protezione!-
-Bella protezione, lasciarla rinchiusa in quella casa fatiscente!- replicò Tony. Price mi scoccò un’occhiata accusatoria:
-Dovevo immaginare che avresti potuto contare su qualche aiuto esterno!- ringhiò a denti stretti. Il mio amico sembrò arrabbiarsi sul serio:
-Senta, io sono una persona pacifica, ma mi sta facendo venir voglia di spaccare il suo bel muso aristocratico! La signorina Walker ha rischiato di morire per la sua negligenza!-
L’uomo si voltò verso di me:
-E’ vero?- chiese, osservandomi con attenzione lungo tutto il corpo. Mi liberai dalla sua stretta, che nel frattempo si era allentata:
-Sto bene, Price, anche se il suo appartamento conta un davanzale in meno adesso! E, per favore, possiamo andare  a parlare fuori di qui? Ci stanno guardando tutti!-
-Hai ragione!- replicò Price dopo qualche istante di silenzio, poi mi strattonò verso un’uscita secondaria.
-Aspetti qui!- intimai a Tony, ben sapendo che la sua presenza avrebbe solo portato ad una rissa.
Sbucammo su un vicolo buio e periferico ed il freddo improvviso mi mozzò il fiato. Price si allontanò di qualche passo, restando fermo a scrutare l’oscurità della notte, poi con uno scatto tornò verso di me e mi schiacciò contro il muro.
-Sei forse impazzita!?- ruggì, con gli occhi che brillavano. -Mark mi ucciderebbe se sapesse che ho lasciato sua sorella nelle mani di uno sconosciuto!-
-Tony è una brava persona, non uno sconosciuto!- replicai.
-Oh, certo e questo lo sai conoscendolo… Da quanto? Una giornata?-
-Poche ore!- ammisi -Ma si è comportato molto più correttamente di lei, signor Price!-
-Basta con questa cortesia!- sbuffò, ricercando il pacchetto di sigarette nella tasca della giacca -Mi fa sentire vecchio! Mi piace essere chiamato con il mio nome!-
“Vecchio?” mi chiesi, spalancando gli occhi. Nella penombra, con la camicia stropicciata, i capelli in disordine e la sigaretta tra le labbra, sembrava un ragazzino tirato giù dal letto in piena notte.
“Non può essere un nobile inglese: non si farebbe mai chiamare per nome da una come me!”
-Va bene, allora… Connor- ripresi, più calma -Dovrà ammettere che tutto questo non sarebbe successo se lei non mi avesse chiusa in casa come un cane riottoso!-
-Tutto questo non sarebbe successo se tu avessi seguito le istruzioni nella lettera!- borbottò lui -E poi quella al momento mi sembrava la cosa migliore da fare!-
-Seguire le istruzioni! E’ di mio fratello che stiamo parlando!-
-E del mio migliore amico!- ribatté lui con tranquillità -Ho provato ogni mezzo legale per tirarlo fuori di galera, te l’assicuro…-
-Come ha fatto ad essere riconosciuto? Sono passati dieci anni!-
Price aggrottò la fronte, sospirando:
-E’ una storia complicata in cui tu faresti meglio a non entrare…-
Stavo per replicare, quando sentimmo forte e chiara la voce della cantante:
-Rain may glisten but still I listen for hours and hours, I’m just a kid again, doing what I did again, singing a song…-
La porta del locale si era aperta e ne erano usciti due uomini vestiti di nero. Sentii Connor imprecare, poi mi ritrovai stretta tra le sue braccia:
-Zitta!- mi intimo e la preoccupazione che traspariva dal suo sguardo mi costrinse ad obbedire.
-Chi sono?- sussurrai tremando.
-Mob. Criminali. E’ anche per colpa loro che tuo fratello è finito in prigione. E non sono in buoni rapporti con loro!-
Rabbrividii, comprendendo d’un tratto che la faccenda era molto più intricata e pericolosa di quello che pensassi. Prima che avessi il tempo di realizzare le implicazioni di ciò che Connor aveva detto, sentii le sue labbra premere sulle mie: il suo abbraccio si fece più rilassato, più morbido, mentre io al contrario mi irrigidivo.
-Ssshh!- mormorò lui, accarezzandomi i capelli con delicatezza, come un perfetto innamorato. In realtà non gli era sfuggito nulla, né il tremito che continuava a scuotermi né il terrore che aveva deformato i miei lineamenti; continuava a tenere il viso in ombra, bloccandomi tra il suo corpo caldo e il freddo muro di mattoni. Mi accorsi che uno degli uomini ci stava osservando con perplessità, per poi girarsi verso il compagno e bisbigliare:
-Qui non c’è!-
I due rientrarono nel locale, chiudendosi la porta alle spalle. Una volta ripiombati nell’oscurità, Connor respirò profondamente, tirando fuori dalla tasca un’altra sigaretta e accendendosela con movimenti nervosi. Non appena soffiò fuori la prima boccata di fumo si rilassò e fu allora che la mia mano si schiantò violentemente contro la sua guancia resa ispida dalla barba.
L’uomo mi guardò stupefatto, massaggiandosi la guancia:
-Mi hai… Schiaffeggiato?- ringhiò, offeso. Io ero ancora accasciata contro il muro, con il cuore in tumulto e le gambe che minacciavano di cedere se solo avessi osato fare un passo.
-Non. Farlo. Più!- boccheggiai, respirando affannosamente.
“E’ stato tutto uno sbaglio, Lizzie! Tutto questo è stata una pessima, pessima idea! Ti sei solo illusa di poter evitare ogni contatto con gli uomini, anche se sapevi benissimo che non sarebbe mai stato possibile!”
Connor piegò la testa da un lato, riflettendo, poi annuì come se fosse arrivato alla conclusione di un ragionamento; quando gli occhi castani tornarono a posarsi su di me, la sua espressione era più calma e controllata. Ogni traccia di divertimento o sfrontatezza era sparita dal suo viso, lasciando un volto segnato dall’inquietudine. Di colpo realizzai che effettivamente Connor Price non era più un ragazzino, anzi… Doveva avere l’età di Mark, se non qualche anno in più.
-Sono contento che tu abbia finalmente deciso di passare a darci del tu. Per quanto riguarda il bacio, non te lo avrei dato se non fosse stato necessario, mia cara. Ora, visto che non mi dai tregua, ti spiegherò in breve cosa è successo a tuo fratello: da quanto mi ha raccontato è arrivato a San Francisco sei anni fa, dopo qualche anno passato a girovagare lungo la costa. Se te lo stai chiedendo, sì, so che ha ucciso un uomo a Rosenville; so anche perché.-
Io sobbalzai e Connor piegò un angolo delle labbra in un sorriso astuto:
-Mark ti ha descritta, testuali parole, come “la ragazza più graziosa, dolce e timida di questo mondo”… Ah, l’amore fraterno!-
-Vai avanti!- ringhiai, sperando che il buio nascondesse il rossore affiorato sulle mie guance.
-Che tu ci creda o no, io e tuo fratello siamo diventati amici: frequentavamo entrambi le riunioni clandestine dei rossi, sebbene io non fossi un operaio, mentre lui sì.-
-I… Rossi?- chiesi, mentre un sospetto allarmante si faceva strada nella mia testa -Non intenderai i socialisti, spero!-
Connor sollevò un sopracciglio, quasi irritato dalla mia espressione scandalizzata:
-Sì, esattamente. Perché?-
 
 
Angolo Autrice:
Beh, direi che è un capitolo piuttosto denso di avvenimenti! xD
Ho diverse cose da dire, perciò vedrò di andare con ordine: la canzone (di cui vi ho messo il link sopra) è di genere swing, che in realtà in quegli anni era solo agli albori… Ma è stata la mia colonna sonora mentre inventavo questa storia e quindi mi sembrava carino mettercela :)
Sulle brusche maniere di Price, così come sulle sue strane fissazioni, ci tornerò in seguito… Nel frattempo Elizabeth rimane scioccata nello scoprire che suo fratello non solo è un socialista (in America quasi più che in Europa i socialisti avevano vita dura :( ) ma anche implicato con la mafia! "Mob" non è il termine più adatto per definire la criminalità organizzata di questo periodo, ma anche questo sarà chiarito meglio più in là.
 
Se vi state chiedendo come mai ho aggiornato così presto, ebbene, ho una brutta notizia da darvi: penso che starò ferma una, se non due settimane. Purtroppo la scuola mi sta sommergendo, gli esami si avvicinano e come se non bastasse ho anche un test per l'università a fine mese…. :'(((
Perciò aggiorno tutte le storie oggi, visto che non so quando potrò di nuovo rimettermi a scrivere e a pubblicare con regolarità!
Alla prossima e fatemi sapere cosa ne pensate del bacio xD
 
Crilu 

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Capitolo 6
*** The investigation ***




-Ma… Mio fratello non può essere socialista! Noi… I nostri genitori ci hanno cresciuto con sani principi…-
-E’ forse insano richiedere giustizia?- replicò l’uomo duramente, con gli occhi che scintillavano di una luce nuova, magnetica -Sei mai stata in una fabbrica, Elizabeth? No? Turni massacranti, salari bassi, vessazioni…-
-Mio padre ha costruito la Frist Transcontinental Railroad!- lo interruppi, indignata -E poi ha continuato a lavorare come operaio, spaccandosi la schiena e sopportando ingiustizie ogni giorno! Ma non per questo si è unito a dei… Rivoluzionari che predicano la lotta armata!-
Connor scoppiò a ridere: la risata graffiante e divertita era un suono innaturale nel vicolo buio e maleodorante.
-Mia cara, non tutti sono decisi ad imbracciare un fucile o ad incendiare le fabbriche con dentro i loro padroni, su, andiamo! In Europa ho incontrato uomini pronti a tutto, anche a dare la propria vita, pur di raggiungere i propri obiettivi, ma qui in America… No, qui siamo esenti da tali estremismi. Credimi, la lotta armata che tanto ti spaventa non avrà mai luogo.-
-E allora che senso ha riunirsi di nascosto, se non potete complottare nulla?- replicai, incrociando le braccia al petto con aria di sfida.
-Noi non…. Complottiamo!- sbottò l’uomo, esasperato -Dio, sei proprio una ragazzina ignorante uscita da una polverosa e sbiadita cittadina montana! Sei sicura di essere la sorella di Mark?-
Quelle parole mi ferirono più di quanto diedi a vedere, perché fin da bambina mi ero resa conto di essere io l’elemento discordante all’interno della famiglia Walker, già di per sé piuttosto bizzarra, se si considera che i miei genitori erano un uomo bianco e una donna indiana. Mio padre Russell era di poche parole e poteva apparire scorbutico, ma tutti a Rosenville lo ammiravano per il sangue freddo che possedeva in ogni occasione e per il coraggio che aveva dimostrato più volte nel corso della sua vita. Mia madre, una donna tenace e caparbia, continuava a seguire i dettami della sua tribù nonostante il sospetto delle altre donne e amava con disinvoltura e fierezza ogni segno della sua ascendenza mezzosangue. Mio fratello era il perfetto connubio della loro forza e della loro saggezza: la maggior parte del tempo era pacato e ragionevole ma all’occorrenza si trasformava esattamente in ciò che la sua famiglia aveva bisogno, che fosse un contadino, un diplomatico, un operaio o un difensore.
Ed io? Io ero una ragazzina timida, paurosa, dall’aspetto fragile e delicato, perennemente indecisa e profondamente incuriosita dal mondo esterno. O almeno, prima dell’incidente ero così: una volta spezzata la bolla incantata in cui ero vissuta e aver sbattuto il muso contro la cruda realtà, avevo perso parte della mia ingenuità. L’insicurezza, invece, era ancora integra, alimentata con gli anni dal confronto immaginario con Mark; alla fattoria mi ero fatta carico di ogni suo compito, anche il più duro, per dimostrare a tutti e soprattutto a me stessa che anche io ero una Walker e che non mi sarei spezzata per un po’ di sana fatica.
Battei le palpebre per scacciare qualche lacrima amara mentre Price, nel frattempo, continuava il suo discorso senza curarsi di avere la mia attenzione:
-Ciò che gli operai vogliono è rappresentanza. Rappresentanza pacifica, che permetta un dialogo decente con i loro datori di lavoro. Uno strumento per dichiarare al mondo la loro esistenza e per migliorarla.-
-So cos’è un sindacato.- lo anticipai, sbuffando.
“Sarò anche sciatta, inesperta e chiusa come un riccio. Ma ignorante proprio no!” 
-Bene, allora ti sarà più facile seguire la storia. Mark lavora, insieme ad altri compagni socialisti, nella fabbrica di armi di Thomas Calloway, borghese conservatore fino al midollo. Ma per qualche sconosciuto motivo Calloway aveva preso in simpatia tuo fratello, nonostante la discutibile posizione politica e la totale assenza d’informazioni sul suo passato.-
-La… Totale assenza d’informazioni?-
-Si era presentato con un cognome falso, Smith, supportato da documenti altrettanto fasulli. Non chiedermi come abbia fatto a procurarseli, questo non lo so. Fatto sta che il padrone ammirava l’intelligenza e la praticità di tuo fratello: la sua ragionevolezza è stata spesso fondamentale quando la situazione con gli altri operai si faceva tesa. Per un po’ – per un bel po’, in effetti – tutto è filato liscio. Poi, qualche mese fa, Mark è arrivato da me raggiante perché Calloway gli aveva affidato un compito segreto e di grande importanza: il vecchio si era infatti accorto che alcuni pezzi di produzione non lasciavano la fabbrica. O perlomeno, non lo facevano ufficialmente: le armi venivano costruite ed imballate, ma non tutte venivano poi inserite nei carichi blindati che le dovevano trasportare alle loro destinazioni.-
-E Thomas Calloway come ha fatto ad accorgersene?- chiesi, domandandomi come un traffico illecito di armi potesse essere collegato ad un omicidio avvenuto dieci anni prima.
-Lamentele dai suoi clienti, credo, perché ad una prima occhiata nessuno si sarebbe accorto di nulla: il ladro è stato molto accorto nel prendere solo due o tre pezzi alla volta, variando i giorni ma mantenendosi costante. Le sottrazioni erano almeno due al mese. Detta così potrebbe sembrare poco, ma chi è interessato ad ottenere buone armi senza farlo sapere alle autorità è disposto ad essere paziente.-
-E così i criminali si rifornivano illegalmente dalla fabbrica di Calloway grazie ad un collaboratore interno?-
-Sì.-
-Come fai a sapere tutte queste cose?-
-Me le ha dette Mark. Non poteva controllare direttamente i carichi perché era addetto alla fucina e un cambiamento di postazione senza alcun motivo apparente avrebbero potuto insospettire il ladro; anche chiedere agli altri lavoratori sarebbe stato controproducente e pericoloso, perciò ha dovuto cercare un’altra strada. Sono stato io a fornirgli informazioni sulle bande… No, calma, calma! Non sono un affiliato! E’ semplicemente che in locali come quelli che frequento io, come hai visto, è facile incontrare gente di tutti i tipi…-
-Perché Calloway ha coinvolto proprio Mark? Sapeva che non poteva avere le conoscenze adatte… O sì?-
-Calloway è un vecchio radicale ed arcigno, ma ha fiuto per ogni genere di affari: nonostante l’età non delega a nessuno il controllo delle fabbriche e riconosce a pelle di chi servirsi. Mark era semplicemente entrato nelle sue grazie e probabilmente era l’unico uomo di cui si potesse fidare lì dentro. Circa un mese fa eravamo arrivati veramente vicini ad avere il nome del nostro uomo, quando dal nulla un tizio si presenta da Calloway e gli rivela chi è Mark in realtà. Calloway fa le dovute ricerche, scopre che è vero e fa sbattere dentro tuo fratello: così, senza un ripensamento!-
Mi girava la testa per la mole di informazioni e di domande che attraversavano i miei pensieri:
-Non capisco… Perché quest’uomo si è presentato proprio ora? Chi l’ha informato?-
Connor buttò a terra la cicca della seconda sigaretta, ma non ne accese un’altra, limitandosi a fissarmi con occhi meditabondi:
-Se vuoi il mio parere, credo che sia tutta opera di Calloway stesso. Voglio dire, non è esattamente il datore di lavoro ideale e i suoi operai farebbero di tutto per screditarlo. Perciò, non volendo rinunciare al suo lucroso e sporco affaruccio con la mafia, incarica Mark, il suo operaio più fidato, di indagare sugli ammanchi: è una cosa logica, fila perfettamente. Solo che Mark, più sveglio di quanto Calloway ritiene possa essere un operaio, si avvicina troppo alla verità: allora il vecchio che fa? Scava a fondo nel passato inesistente di quest’uomo fino a trovare un pretesto per allontanarlo. E che pretesto! Abbastanza da sbatterlo in galera con una condanna a morte sulla testa!-
-Beh, potrebbe anche essere…- mormorai, dubbiosa. Ne sapevo troppo poco per potermi fare un’idea mia.
-E’ tutto?-
-Più o meno. Ci sono sempre quegli uomini che battono la città cercando di scovarmi e piantarmi una pallottola in testa per farmi tacere. Sono l’unico che sa esattamente a che punto fosse arrivato Mark con la sua indagine segreta.-
-Oddio!- sbottai, nervosa e stanca -E’ assurdo! Price…-
-Connor.-
-Connor, giusto. Perché…- deglutii, cercando di rimanere lucida e di non scoppiare a piagnucolare come una bambina. L’uomo che avevo davanti si era già fatto un’opinione poco edificante della sottoscritta, non c’era bisogno di fornirgli ulteriore materiale su cui sghignazzare -Perché non l’hanno giustiziato subito?-
-Sono passati tanti anni e la burocrazia è lenta. Pensavo che fosse un vantaggio, ma quando lo sono andato a trovare, Mark ha detto che non vuole evadere né difendersi. Ha detto che è stanco.-
-Stanco!?- strillai, allibita, staccandomi dal muro e gesticolando come impazzita -Oh, povero caro, è stanco! Beh, anche noi lo siamo, anche la sua famiglia è stanca di vivere nell’incertezza e nell’angoscia! Devo assolutamente vederlo, devi portarmi da lui! Io gli farò cambiare idea e…-
Avevo fatto a malapena due passi quando le mie gambe cedettero ed io mi sarei ritrovata a terra se Connor non mi avesse afferrata per un braccio, sostenendomi.
-Calma, tigre!- sghignazzò divertito -Cosa pensi di fare, bussare alla porta del carcere a quest’ora della notte? Tu devi riposare e forse anche mangiare qualcosa…-
Annuii debolmente, avvertendo distintamente l’acuta spossatezza che pervadeva il mio corpo.
-Che ne dici di recuperare il tuo cavaliere dalla bianca armatura?-
-Oddio, Tony!- esclamai, portandomi una mano alla bocca -Me ne ero completamente dimenticata!- Connor inarcò le sopracciglia:
-Povero ragazzo, che grande considerazione!-
-Non ti ci mettere anche tu, per favore! Tony è stato molto gentile, ma io avevo urgenza di parlare con te!-
-Mmm, sì, parlare. Penseranno proprio questo…- ridacchiò ancora l’uomo. Io mi ero già avviata verso la porta del bar, ma mi voltai di scatto e gli puntai l’indice contro con aria severa:
-Bada di comportarti bene, screanzato! Questa ragazzina ignorante del Wyoming non accetta di essere presa in giro da te o dai tuoi boriosi amici!-
Lui alzò le mani in un gesto di resa: sembrava molto più rilassato, ora che mi aveva spiegato come erano andate le cose.
-Afferrato, tigre!-
 
Avevo congedato Tony con un sorriso di scuse, mentre lui scrutava dubbioso e vagamente irritato Price che mi aspettava sull’uscio di casa sua.
-Sicura di voler rimanere qui?- aveva bisbigliato -Non so se sia una buona idea. Voglio dire, vi siete appartati e vi hanno visto tutti, io…-
-Tony, stia tranquillo!- avevo risposto, poggiandogli una mano sul braccio con fare rassicurante, anche se in realtà avevo ancora il cuore in tumulto per le rivelazioni di quella sera -Price non mi sfiorerà neanche con un dito, gliel’ho detto, è un amico di mio fratello. Starò bene qui… Ci vediamo in giro?-
A quelle parole il ragazzo, ancora poco convinto, si era illuminato e aveva risposto con un sorridente:
-Quando vuole, signorina Walker!-
Quando entrai nell’appartamento, Connor aveva già disposo una coperta ed un cuscino sul divano malmesso del salotto.
-Io dormirò qui. La camera è in fondo al corridoio.-
Non mi preoccupai di dirgli che avevo già esaminato ogni centimetro di quella casa, ma insistetti per prendere il suo posto. Price mi congedò con un’occhiata insofferente:
-Sono stanco, va bene? Vorrei dormire! Diamine, so anche essere un perfetto gentiluomo, quando voglio, perciò ora fila a letto!-
Obbedii senza replicare, felice di poter finalmente riposare in modo decente dopo sette lunghi giorni di viaggio in cui avevo sonnecchiato giusto un’ora o due sui vari treni.
Nello stato appena precedente al sonno più profondo percepii una strana sensazione: come se i fantasmi che avevano disturbato le mie notti negli ultimi dieci anni fossero svaniti, ora che ero raggomitolata tra le coltri che avevano lo stesso profumo della pelle di Connor Price.
 
 
Angolo Autrice:
Eh già, sono tornata!
Con un capitolo molto denso di informazioni su cui sono molto dubbiosa: Price doveva fare il punto della situazione in fretta affinché la storia potesse andare avanti, ma temo che potrebbe risultare confusionario! Perciò, se non capite qualcosa non esitate a chiedere :)
Ah, e ovviamente recensite che così farete tanto felice una povera studentessa distrutta! xD
 
Crilu 

 

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Capitolo 7
*** The prison ***




Mi svegliai più serena, completamente ristorata dopo quella lunga notte piena di avvenimenti. Un po’ della mia tranquillità svanì non appena ricordai tutti i particolari della notte precedente: un fratello socialista, un imprenditore corrotto impossibile da smascherare… E un bacio rubato che bruciava ancora sulle mie labbra.
Decisa a non lasciarmi influenzare mi vestii in fretta, legai i capelli nella solita crocchia e mi diressi in soggiorno, dove trovai un Connor Price ancora profondamente addormentato sul divano, nonostante fosse quasi mezzogiorno.
Non si era cambiato da quando eravamo rientrati, limitandosi a sbottonare i polsini della camicia per arrotolarsi le maniche fino al gomito; rimasi per un attimo turbata nell’osservare l’espressione infantile che aveva quell’uomo mentre dormiva, totalmente in contrasto con l’aura da predatore che lo circondava quando era sveglio. Ero imbarazzata nel sostare davanti a lui ma non avrei saputo indicare una ragione precisa del mio disagio, perciò mi limitai a scuoterlo per un braccio e svegliarlo.
L’uomo emise un grugnito insoddisfatto e sbatté le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco la mia espressione severa:
-Buongiorno, Price!- esclamai, impaziente.
-Connor…- biascicò lui, ancora non del tutto lucido, mentre si rigirava sul divano alla ricerca di una posizione più comoda. -Mi chiamo Connor, perché nessuno sembra afferrarlo?-
-Non ho tempo da perdere in questioni così futili!- strillai, mentre i residui del mio buonumore evaporavano in fretta -Hai promesso di portarmi da mio fratello, oggi!-
Fissò gli occhi castani nei miei e sospirò:
-Che il Cielo mi assista, Mark non me lo perdonerà mai…-
 
Effettivamente, mio fratello non prese molto bene il mio arrivo nella sua cella. Mi ero aspettata un ambiente simile alle carceri di Rosenville, buie, umide e pericolanti; invece ero entrata in una costruzione dagli spazi angusti, ma pulita e relativamente calda. Mentre entravamo nel cortile interno, avevo osservato con un brivido le guardie armate che ne percorrevano il perimetro e Connor si era chinato verso di me:
-Sai perché hanno costruito una prigione così grande proprio in questa zona?- mi sussurrò, riferendosi al promontorio roccioso a picco sul mare su cui ci trovavamo. Scossi la testa.
-Perché così è impossibile scappare.-
Era un’ammonizione ed io la colsi chiaramente, abbandonando ogni piano di evasione ancora prima di entrare nella cella di Mark.
Mi presi qualche istante per osservarlo, mentre lui, superato lo sbigottimento iniziale, era balzato in piedi ed aveva iniziato ad imprecare contro il mio accompagnatore.
Mio fratello si era irrobustito negli ultimi anni e aveva lasciato crescere i capelli e la barba: era il ritratto giovanile di nostro padre, sebbene gli occhi verdi fossero più torbidi e scuri di quelli di Russell Walker.
-Mark, per favore!- lo redarguii, fermandolo un attimo prima che si potesse slanciare su Connor, che lo fissava con aria colpevole -Lascialo stare. Sono io che ho insistito per venire qui!-
Mark puntò gli occhi scuri e tormentati su di me e piegò il capo di lato:
-So quanto puoi essere testarda…- mormorò, mentre i suoi occhi si facevano lucidi -Sei ancora la mia piccola Lizzie, dopotutto!-
-Oh, Mark!- singhiozzai, mentre lui mi stringeva in un abbraccio caldo che avevo aspettato per dieci anni.
-Sei il peggior fratello di tutti i tempi!- sbottai tra le lacrime e sentii i muscoli della sua schiena tendersi. -La mamma si è consumata giorno dopo giorno, papà non è stato più lo stesso e neanche io, Mark!-
-Nessuno di noi è rimasto lo stesso, Lizzie…-
-Dieci anni e neanche una riga!-
-Lo so, mi dispiace!- mormorò mio fratello, staccandosi -Avevo paura di mettervi nei guai e poi… Non sono stati anni molto facili, per me!-
-Neanche quando sei entrato nella fabbrica di Calloway?- sibilai, come una bambina dispettosa. Avevo meditato molto su cosa avrei detto a Mark se mai un giorno avessi avuto la fortuna di rivederlo, ma in quel momento nessuna dolcezza mitigava la severità del mio tono: ero troppo arrabbiata per l’ingiustizia della sua situazione.
Mark mi scrutò da capo a piedi e sorrise:
-Sei cresciuta, Lizzie, e non solo nel corpo! Sei molto più ardita di quanto ricordassi!-
Lanciai un’occhiata di sbieco a Connor, che stava soffocando una risata con un attacco di tosse:
-Price, qui, mi ha detto che non vuoi fare nulla per uscire di galera: è vero?-
Mark sbiancò leggermente in volto:
-Io… Sì. Insomma, cosa potrei mai fare? Sanno chi sono!-
-E’ passato tanto tempo, potremmo richiedere la grazia!-
Mark si rivolse all’amico, che sostava sull’entrata della cella, qualche passo indietro rispetto a me:
-Le hai raccontato tutto di Calloway?-
-Sì.-
-Bene. Allora devi sapere che avevo deciso di chiedere aiuto a Calloway come “pagamento” per il servizio reso, ma ovviamente adesso è lui stesso che preme per la mia condanna… Non ho avuto il tempo di spiegargli…-
-Sciocchezze!- sbottò Connor, infastidito -Sai benissimo che c’è lui dietro il tuo arresto, Mark. Come puoi continuare a difenderlo?-
-Questa è solo una tua supposizione! Calloway è un uomo vecchio stile: non dico che sia onesto ed integerrimo, ma neanche che abbia ordito questa trappola macchinosa per incastrarmi. Perché chiedermi di indagare in primo luogo?-
Connor sbuffò, per niente convinto, mentre io rimasi colpita da quell’interrogativo: apriva uno scenario molto più complesso.
La guardia batté sulle sbarre della cella:
-Tempo scaduto!-
-L’uomo che ti ha incastrato… Chi è? Dove si trova?- mormorai all’orecchio di mio fratello mentre mi abbracciava ancora.
-Non posso dirtelo, Lizzie. Mi dispiace, ma davvero non posso.-
Mi divincolai dal suo abbraccio:
-L’hai detto tu stesso che sono cresciuta: non devi più proteggermi, so badare a me stessa! Sono qui, no?-
Mark sorrise: era un sorriso stanco e preoccupato e d’improvviso ebbi la sensazione che io e Connor non fossimo a conoscenza di tutti i fatti.
-Non sei tu che sto proteggendo!- bisbigliò ancora Mark, mentre ci allontanavamo lungo il corridoio.
 
-Non è me che sta proteggendo…- riflettei, mentre Connor mi guidava per le affollate strade di San Francisco guardandosi attorno con fare nervoso. -Ma allora chi?-
-Ne possiamo discutere più tardi?- chiese lui esasperato.
-Che ti prende? Sei strano…-
-Ho l’impressione che ci seguano. Fin da quando siamo usciti dalla prigione.-
Feci saettare lo sguardo da una parte all’altra del marciapiede, ma nessuno sembrava far caso a noi; nel mezzo della strada, carrozze e rumorose automobili procedevano indifferenti.
Colsi un movimento affrettato dietro di noi e mi girai a controllare meglio: vidi una donna vestita di blu, con il capo celato da un grazioso cappellino decorato con delle peonie, che si nascondeva nell’ombra di un androne. Socchiusi gli occhi nel tentativo di scorgere i suoi lineamenti, ma Connor mi strattonò violentemente in una strada laterale. Ci ritrovammo davanti ad un dedalo di vicoli che il mio compagno non esitò ad imboccare a casaccio.
-Dove stiamo andando?-
-Non mi importa un accidente di dove andiamo, hai capito? L’importante è seminare i nostri inseguitori!-
-Ti preoccupi di una signora con delle peonie sul cappello?-
-Eh? Che vai farneticando? Io sto parlando di quei due tizi vestiti da marinaio col coltello in mano…-
Non fece in tempo a finire la frase che i due uomini sbucarono da dietro l’angolo, tagliandoci la strada. Erano alti e ben piazzati, sicuramente adatti a svolgere il tipo di mansione per cui ci stavano braccando in una stradina desolata di San Francisco… Anche se non avevo ancora capito se volessero ucciderci o rapinarci.
Con un gesto brusco che mi sorprese, Connor mi spinse dietro di sé: sapevo che non era armato, ma non aveva esitato un attimo a farmi da scudo contro i due che si avvicinavano minacciosi. Mi ricordavano in maniera inquietante i pistoleri di Rosenville e sentii la familiare nausea montare alla bocca dello stomaco mentre in un lampo mi tornavano in mente le mie mani e il mio vestito sporchi di sangue.
-Appena si buttano su di me…- sibilò Price, riportandomi al presente con una semplice stretta di mano -Scappa, torna sulla strada principale.-
-Non posso abbandonarti qui!- sussurrai terrorizzata -Cosa faccio senza di te?-
Connor, incredibilmente, sorrise:
-Non avrei mai potuto immaginare di sentirti dire una cosa del genere, sono lusingato! Vai a casa del tuo bell’italiano e aspetta che le acque si siano calmate… Come hai detto a tuo fratello, tigre, puoi cavartela da sola!-
-Non sono una tigre!- mormorai, mentre mi irrigidivo, pronta a correre per salvarmi la vita.
Proprio quando il primo uomo sembrava pronto a scattare, uno sparo risuonò nel silenzio tombale del vicolo: il tizio barcollò, prima di cadere a terra con una macchia scarlatta all’altezza del petto.
L’altro si guardò attorno, sorpreso, cercando di capire da dove fosse partito il colpo.
-Dov’è il vostro complice?- gridò con voce rauca, prima di essere colpito alla testa da un secondo proiettile. Dopo un lungo istante di silenzio, da dietro un angolò uscì la donna in blu, che stringeva tra le mani guantate una piccola pistola fumante: per quanto mi risultasse incredibile, quella donna doveva averla nascosta… Nella borsetta!
Adesso che era più vicina potevo osservare il suo volto sotto il cappello: aveva gli occhi castani, ma più scuri rispetto alle iridi dorate di Price, sormontati da due sopracciglia folte ed espressive; le guance erano macchiate da numerose efelidi, sebbene la ragazza avesse tentato di nasconderle con uno spesso strato di trucco. Le labbra scure e piene erano piegate in un timido sorriso imbarazzato, come se fossimo ad una serata di bridge e non in un vicolo che puzzava di pesce con due morti ammazzati in mezzo a noi. I capelli erano di un colore indefinito tra il castano e il rosso e ad inizio mattinata dovevano essere legati in una bella acconciatura piena di boccoli capricciosi, ma la sconosciuta doveva essersi affannata parecchio nel seguirci, perché diverse ciocche mosse le ricadevano scomposte sul viso. Era decisamente più giovane di me, come notai con un pizzico di incredulità.
Nel complesso era una bellissima ragazza, vestita con abiti di indubbia qualità, perciò non riuscivo a trovare un nesso con il duplice omicidio che aveva appena commesso. Poi però sentii Connor trattenere il fiato:
-Tu sei Barbara Calloway!- 
 
 
Angolo Autrice:
Scusate il ritardo, spero di essermi fatta perdonare con l'entrata in scena di questi due nuovi personaggi!!! Soprattutto con la sconosciuta di fine capitolo xD
Sebbene mi allettasse l'idea di rinchiudere Mark ad Alcatraz, la famosa prigione non era ancora stata costruita all'epoca… E un solo omicidio vecchio di un decennio non sarebbe comunque stato un reato così grave da costargli una tale pena!
Spero che il capitolo vi piaccia!
A presto
 
Crilu
 

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Capitolo 8
*** The date ***




P.O.V. Mark
 
L’ombra che le sbarre proiettavano sul pavimento andava allungandosi man mano che il sole tramontava in mezzo alle onde: l’Oceano, per quanto potevo vedere dalla stretta finestra della mia cella, era molto agitato quel giorno.
La prigione era rumorosa: potevo sentire le urla dei pazzi, gli insulti degli altri detenuti, gli ordini delle guardie e il tintinnio acuto delle sbarre quando i secondini sbattevano i loro manganelli su di esse… Ma in realtà non mi curavo nulla di tutto ciò. Ero seduto sulla mia branda da non so quante ore, ero talmente assorto nelle mie riflessioni che non avevo fatto caso né al tempo che passava né all’ambiente spoglio che mi circondava.
Pensavo a Barbara.
 
La prima volta che l’avevo vista era una ragazzina che saltellava per la fabbrica incurante dei richiami di suo padre e della domestica che l’accompagnava. Io ero entrato a lavorare lì da pochi mesi e non avevo ancora colpito positivamente Thomas Calloway, né mi ero avvicinato ai miei compagni socialisti: tutto ciò che mi interessava era mantenere un basso profilo. Cosa che sarebbe risultata impossibile se la figlia del capo, tra tutti gli operai, avesse perseverato nello squadrare da cima a fondo proprio me.
-Tu sei nuovo!- esclamò, piazzandosi davanti alla mia postazione con le mani sui fianchi e senza mostrare nessun imbarazzo. Le lanciai una breve occhiata timorosa, stimando che dovesse avere l’età di Elizabeth o anche di meno: questa era l’unica cosa che quella ragazzina intraprendente avesse in comune con mia sorella.
-Sì.- risposi comunque, temendo di risultare scortese e che lei si risentisse. Pensai che così se ne sarebbe andata, ma la ragazza non accennava a muoversi:
-Non dovrebbe rimanere qui, signorina, è pericoloso!- borbottai, puntando nuovamente il mio sguardo sulla fucina in funzione.
Barbara alzò le spalle con aria noncurante:
-Curioso, usi le stesse parole di mio padre!-
-Barbara Calloway!- tuonò la voce del padrone dal piano superiore -Vieni qui immediatamente!-
Mentre la ragazzina si girava verso le scale con aria incerta, la fucina ribollì e con orrore vidi che stava per produrre una fiammata che l’avrebbe investita in pieno. Non mi fermai a riflettere: afferrai Barbara per la vita e la tirai indietro, al sicuro tra le mie braccia. Le feci scudo con il mio corpo fino a quando la fiammata non si estinse ed entrambi riaprimmo gli occhi, affannati e spaventati ma illesi. Mi incantai ad osservare quelle iridi calde e liquide di lacrime, mentre lei iniziava a torturare il labbro inferiore con i denti… Fu in quel momento che capii che avrei amato quella fanciulla contro ogni logica e contro ogni regola. Non amavo definirmi un idealista o un sognatore, ma ero fatto così: le promisi fedeltà eterna nell’istante stesso in cui, con un respiro profondo, Barbara Calloway mi sorrise e mi sussurrò un grazie riconoscente.
-Barbara!- gridò Thomas Calloway all’improvviso, strattonando indietro la figlia ed osservandola con attenzione e preoccupazione. Poi si voltò verso di me:
-Lei ha salvato la vita di mia figlia, giovanotto. Qual è il suo nome?-
-Mark Smith.-
-Bene, Smith, lei merita una ricompensa. Cosa desidera?-
Lo fissai con gli occhi sgranati, lottando per non lasciarmi sfuggire ciò che bramavo più di ogni altra cosa: tornare a Rosenville e riabbracciare la mia famiglia. Ero solo un umile operaio, che per di più aveva fornito generalità false al momento dell’assunzione.
-Io voglio…- balbettai, mentre venivo analizzato da due paia di occhi intelligenti ed incuriositi.
-Io voglio che lei sostituisca questa fornace, signore. Non è la prima volta che esplode in questo modo.-
Thomas Calloway rimase in silenzio, accarezzandosi i folti baffi castani, poi ridacchiò soddisfatto e se ne andò, tenendo una mano poggiata sulla spalla della figlia.
-Hai sprecato un’occasione, amico!- sbraitò Ezra Clarke, uno dei membri di spicco del nascente sindacato. Io mi strinsi nelle spalle e non risposi. Una settimana dopo, la fornace fu sostituita.
 
Non incrociai più Barbara per un paio d’anni, nonostante la mia vita fosse cambiata e in meglio. Alle assemblee dei compagni mi ero fatto degli amici, tra cui Connor: era eccentrico ed esagerato in tutto, che si trattasse di bere o infervorarsi per una giusta causa, ma era anche molto simile a me per i segreti che custodiva. Era l’unico a cui avessi avuto il coraggio, fino a quel momento, di rivelare la mia storia, sicuro che non sarebbe mai andato a riferirla alle autorità.
Nello stesso tempo, la stima di Calloway nei miei confronti era cresciuta e questo mi aveva conferito il ruolo di mediatore tra lui e i miei colleghi; spesso anche Ezra preferiva affidarsi a me, sicuro che con la mia diplomazia sarei stato capace di riuscire dove gli altri fallivano con la loro eccessiva arroganza ed irruenza.
Mi ritrovai davanti la ragazza all'improvviso, mentre uscivo dalla fabbrica al termine del mio turno di lavoro e sul momento non la riconobbi: sostava all'angolo della strada e giocherellava distrattamente con l'ombrellino da passeggio che portava appeso al braccio.
La scambiai per la moglie o la fidanzata di qualche mio collega e la superai senza neanche accennare un saluto, ma la sua voce squillante e divertita mi fece voltare di scatto:
-Che modi, Mark Smith!-
Il corpo aveva perso ogni traccia della goffaggine infantile, diventando snello ed aggraziato, ma non androgino o scheletrico: Barbara aveva delle curve morbide e proporzionate alla sua altezza, notevole per una donna. Arrivava facilmente a guardarmi negli occhi e notai subito che le lentiggini si erano fatte più marcate e risaltavano anche sotto la cipria.
Solo gli occhi erano rimasti immutati: erano le stesse iridi calde e scintillanti che popolavano i miei sogni dal nostro primo, breve incontro. 
-Signorina Calloway!- borbottai, impacciato, sfiorandomi il berretto con una mano. Il buonsenso mi suggeriva di proseguire e lasciarmi quella ragazza alle spalle, per non soffrire inutilmente… Invece rimasi lì, a fissarla intensamente senza trovare un buon motivo per parlare o una scusa per ascoltare di nuovo il suono cristallino della sua risata.
-Sto aspettando mio padre!- disse infine lei, rompendo il silenzioso scambio di sguardi con un'alzata di spalle -Ha detto che stasera andiamo a teatro… Mah!-
-Non le piace il teatro?- chiesi, nel disperato tentativo di portare avanti la conversazione senza sembrare scortese o rivelare qualcosa di troppo su me stesso.
-E'… Vecchio, triste e pesante. Mi piacerebbe molto passare una serata in uno di quei locali di cui la gente parla a mezza voce… Sa, uno di quelli in cui si balla la nuova musica, si beve e si resta a chiacchierare fino a tarda notte? Ovviamente mio padre non me lo permetterebbe mai, non è il posto adatto ad una signora come me, secondo lui! Ma mi perdoni, le mie devono sembrarle chiacchiere di una ragazzina viziata!-
Incurvai gli angoli delle labbra verso l'alto: più che altro, mi sembravano le parole di una ragazza ansiosa di spiccare il volo per conoscere il mondo. Mi ricordava Elizabeth…
-Signorina Calloway!-
Il contabile della fabbrica, Simon Grey, si stava avvicinando a lunghe falcate con un sorriso mellifluo e una volta giunto vicino a noi si esibì in un cortese saluto. Mi lanciò una fredda occhiata di disapprovazione, prima di rivolgersi nuovamente a Barbara:
-Signorina Calloway, suo padre mi manda a dirle che è stato invitato a cena da uno dei suoi nuovi soci e purtroppo non riuscirà a liberarsi per il teatro di stasera… Il che è un peccato, considerato che aveva già pagato i biglietti. Li ho qui con me, se vuole potrei accompagnarla io… Con la sua scorta, beninteso!-
Solo allora mi accorsi dei due individui vestiti impeccabilmente che bighellonavano nei dintorni, senza mai perdere di vista la ragazza: se anche avessi pensato di tenere nascosto quell'incontro al mio datore di lavoro, non sarebbe stato possibile in nessun caso.
Barbara socchiuse gli occhi sorridendomi gentilmente e io pensai che fosse il momento giusto per defilarmi; per quanto ritenessi Grey un essere irritante ed avido, non credevo che sarebbe stata in pericolo in sua compagnia. Ma la ragazza era di tutt'altro avviso:
-La ringrazio, signor Grey, ma credo che tornerò a casa: ero già piuttosto stanca e sono sollevata che questa faccenda del teatro sia saltata… Signor Smith, fa qualche passo con me?-
Boccheggiai, mentre il contabile torceva le labbra con una smorfia e mi fulminava con gli occhi.
"Domani a lavoro me la farà pagare!" pensai, rabbrividendo impercettibilmente e desiderando di poter uscire indenne da quell'imbarazzante situazione. Barbara, però, mi aveva già offerto il braccio che fui costretto ad accettare… Salvo lasciarlo andare di botto una volta girato l'angolo. I mastini di Calloway si mantenevano a distanza, ma potevo percepire il loro sguardo attento ed indagatore.
-Mi ha messo in un bel guaio!- borbottai, accigliato. Lei ridacchiò, poi si avvicinò ancora di più a me, arrivando a sussurrarmi nell'orecchio; io mi irrigidii, avvolto dal suo profumo costoso e dolce, tentando di non muovere un muscolo nella sua direzione. Eravamo in una strada trafficata, ma trattenermi dal toccarla era difficilissimo.
-Fra due ore, all'entrata principale del Golden Gate Park. Voglio una serata diversa.-
Si staccò, mi fece un breve cenno di saluto e in pochi istanti era stata già inghiottita dalla folla.
 
Non sapevo cosa mi avesse spinto davanti all'entrata del parco, mentre nella mente avevo ben chiari tutti i motivi per cui avrei dovuto disertare quell'appuntamento.
"Ma è davvero di questo che si tratta?" mi domandai, confuso, mentre aspettavo Barbara con un piccolo mazzolino di fiori in mano. Era l'unica cosa che mi potevo permettere e mai come in quel momento provai rabbia e vergogna per il lavoro che svolgevo e per lo stipendio da fame.
"Di solito sono gli uomini a fare il primo passo."
Ma Barbara era una ragazza speciale, non si sarebbe mai accontentata di un damerino qualunque: me ne accorsi subito, non appena la vidi avvicinarsi con un ampio sorriso.
-Non credevo saresti venuto!- esclamò, accettando i fiori con una luce entusiasta nello sguardo che mi fece stringere il cuore. Ma il tono vittorioso ed il sorriso trionfante che accompagnava quelle parole cancellarono ogni traccia di tenerezza. Ero innervosito dalla piega che avevano preso gli eventi e dal tormento che Barbara mi dava, così vicina eppure così lontana.
"Non è per te!" mi ripetei per l'ennesima volta "Puoi avere chi vuoi, ma non lei!"
-Basta con i giochetti!- sbottai ad un tratto, mentre passeggiavamo nei vialetti del parco, illuminati da graziosi lampioni in ferro battuto. Non avevo mai pensato di visitare un posto del genere, non era stato pensato per la mia classe sociale. Barbara si voltò verso di me con fare interrogativo:
-Perché tutto questo? Perché rivolgermi la parola, mettermi nei guai? Si annoia, forse?- domandai, in maniera più brusca e rude di quanto volessi. La ragazza, però, non si fece intimorire; rifletté per qualche istante accarezzando delicatamente i petali dei fiori che teneva in mano, poi rispose.
-La mia vita è abbastanza noiosa, è vero. E' vero anche che sono una ricca ragazza viziata che non conosce il mondo né la vita… Le mie uniche occasioni di libertà sono quelle poche volte che riesco a sfuggire alla mia amata "scorta"!- piegò le labbra in un ghigno amaro -Tu, invece… Non lo so, hai qualcosa di diverso. Sei estraneo a questa città, sei pieno di forza e di vita repressa! Mi piaci.-
Rimasi spiazzato da quella semplice ammissione.
Da quando le avevo salvato la vita avevo sognato un mondo in cui Barbara Calloway avrebbe potuto dirmi una cosa del genere, un mondo in cui lei non era la figlia del mio padrone, ma solo la donna che amavo. Avevo immaginato il suo corpo steso accanto al mio sul letto, anche se la fantasia non mi aveva mai ispirato l'emozione e l'eccitazione che provavo nell'osservare dal vivo le sue curve strette in un abito semplice e poco pretenzioso.
Col tempo avrei imparato a capire che Barbara era esattamente come si presentava: sicura di sé, impulsiva, schietta e dotata di notevole senso pratico. Avrei conosciuto ogni particolarità del suo corpo, grazie ai numerosi incontri che avvenivano nel buio della notte, quando mi introducevo di nascosto in camera sua; avrei imparato a memoria il suo profumo, la sua voce e la sua risata.
Ma tutto iniziò quella sera, in un vialetto curato e silenzioso del Golden Gate Park: quando Barbara si voltò a scrutarmi con i suoi occhi grandi e caldi, l'attirai a me di slancio e la baciai, deciso a non lasciarla più andare.
 
 
Angolo Autrice:
Innanzitutto scusate il ritardo, ma neanche mi ero accorta che fossero già passati dieci giorni dall'ultimo aggiornamento xD
Questo è il capitolo che io chiamo "capitolo-bolla" perché è come se fosse qualcosa di distaccato dalla storia pur facendo parte di essa: volevo trovare un modo originale per spiegare il passato di Mark e Barbara prima che lei si presentasse a Connor ed Elizabeth!
Quindi adesso sappiamo meglio chi è la nostra lady misteriosa! Spero che il capitolo vi piaccia e di poter riprendere ad aggiornare con maggiore regolarità!
 
Crilu 

 

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Capitolo 9
*** The lady ***




La ragazza fece una smorfia, forse scontenta che Price l’avesse smascherata con tanta facilità, poi però socchiuse le labbra in un sorriso divertito:
-Sì, quello è il mio nome.-
Connor era pallido come se avesse appena visto un fantasma:
-Barbara Calloway… La figlia di Thomas Calloway?-
Lei inarcò le sopracciglia:
-Ce ne sono forse altre in città?-
-Gesù, è identica a suo padre!-
Feci un passo avanti, improvvisamente interessata: ci studiammo a vicenda per qualche minuto, poi parlai.
-Perché ha ucciso questi uomini? E perché ci seguiva?-
-E’ qui per conto di suo padre?- Si intromise Connor, deciso: aveva riacquistato un po’ di colorito ed ora fissava la Calloway con ostilità.
La ragazza scoppiò a ridere, facendo scivolare con disinvoltura la pistola nella borsetta che portava legata al polso:
-Direi proprio di no, signor Price. Mio padre non sa che sono qui né che vi stavo seguendo, anzi, credo che non sia stato affatto informato dell’arrivo della signorina Walker in città… Ma di questo, vedete, non posso esserne certa: mio padre ha la brutta abitudine di voler controllare il mondo, compresa la sottoscritta. Cosa che gli riesce piuttosto male, devo dire.-
-Immagino di sì, se le permette di commettere omicidi indisturbata!- esclamai, aggirando i cadaveri con un moto di disgusto ed osservandola più da vicino: gli occhi castani avevano delle pagliuzze dorate che li facevano risplendere come due gemme.
-Oh, beh, mio padre non sa neanche che possiedo una pistola, signorina Walker!-
-Come sa il mio nome? Come ha fatto a rintracciarci? La smetta di girare intorno alle nostre domande!-
Barbara Calloway mi suscitava un’istintiva simpatia ed ammirazione per come aveva gestito la pericolosa situazione, ma al contempo la sua freddezza ed elusività mi mettevano in guardia.
-Molto bene!- replicò lei, asciutta, spostando lo sguardo da me a Connor, che si era posizionato al mio fianco, come per proteggermi.
“Mi chiama tigre, ma mi tratta come una bambina bisognosa!” pensai infastidita, ripromettendomi di chiedergli il motivo di un soprannome così inadeguato.
Barbara si sistemò meglio il cappello e ci fece cenno di seguirla lontano da lì; percorse un paio di stradine si voltò bruscamente ed incrociò le braccia al petto.
-Volete sapere la verità? Ebbene, eccola: vado a letto con Mark Walker da un paio d’anni. Ne sono innamorata e non ho alcuna intenzione di vederlo morire, anche se lui si ostina a perseverare nella sua indolenza!-
Mi voltai verso Price, che sembrava ugualmente sbigottito:  
-Mark… Lei… Amanti?- farfugliò, passandosi una mano sul mento, incerto su come reagire a quella notizia. Io, nel frattempo, stavo valutando la signora che avevamo davanti: evidentemente benestante ed evidentemente insoddisfatta della vita che suo padre le offriva, doveva aver trovato un divertente svago tra le braccia di mio fratello, umile operaio. Al solito, la mia espressione mi tradì, perché Barbara si accigliò e mi disse, con voce tagliente:
-Non sono mai stata attratta dal brivido del proibito, signorina Walker. Io amo Mark perché è Mark, non perché è l’amante perfetto per suscitare le ire di mio padre, che è ovviamente all’oscuro di tutta questa storia. Per rispondere alle vostre precedenti domande, quando sono andata la prima volta a trovarlo in carcere, Mark mi ha informato del fatto che Price avrebbe scritto alla sua famiglia e quindi ho incaricato uno dei miei collaboratori di sorvegliare la sua casa giorno e notte; sono venuta in possesso di numerose informazioni preziose, compresi la sua identità, signorina Walker, e i sospetti nei confronti di mio padre, signor Price. E ho ucciso questi uomini perché mi servite entrambi.-
 
Barbara analizzò a fondo il disordinato soggiorno dell’appartamento di Connor, prima di posare borsetta e cappello sul tavolino e sedersi compostamente su una sedia. Teneva la schiena rigida e diritta e ci fissava non più con divertimento, ma con preoccupazione: sebbene la sua versione dei fatti mi sembrasse incredibile, doveva tenere davvero a Mark.
Connor ci raggiunse dopo aver controllato che nessuno ci avesse seguiti fino a Fisherman’s Wharf: la ragazza, infatti, si era preoccupata che le guardie che suo padre le metteva alle costole quando usciva riuscissero a rintracciarla.
-Di solito non è un problema seminarle!- aveva detto -Ma ogni volta che torno a casa me ne ritrovo intorno il doppio! Per questo desidero che il nostro incontro si prolunghi il più a lungo possibile: non so quando sarò di nuovo in grado di comunicare con voi!-
L’aggiornammo su ciò che sapevamo:
-Mio padre non è un santo, ma neanche un criminale. Sa bene che vendere armi è un mestiere dai risvolti pericolosi ed ha sempre evitato di immischiarsi con gente poco pulita.-
-Come fa ad essere tanto informata sugli affari di suo padre?- chiese Connor, lasciandosi cadere sul divano. Mi sorpresi nel notare una certa affinità nei loro modi di fare e di esprimersi, che denotava un’educazione elevata; ma mentre Barbara Calloway, pur essendo una donna fuori dagli schemi, esaltava quest’impostazione affettata, Connor Price sembrava fare del suo meglio per nasconderla, sfiorando a volte la maleducazione.
-Basta saper osservare ed essere pazienti, signor Price. E le posso anche assicurare che mio padre in questi giorni si sta dannando per l’errore commesso: riteneva di potersi davvero fidare di Mark.-
-Mio fratello è un uomo degno di fiducia!- sbottai, incapace di trattenermi -Dieci anni fa ha ucciso un uomo, è vero, ma lo ha fatto per proteggere me. Questo è stato riferito a suo padre?-
Barbara sgranò gli occhi, tamburellando con le dita curate sulla superficie del tavolo:
-Questo spiega molte cose, compresa la ritrosia di Mark a confidarsi con me. No, non credo mio padre ne sia al corrente: ho visto solo di sfuggita l’uomo che ha fatto la spia sul conto di Mark, ma non mi ispirava affatto fiducia.-
Mi chinai verso di lei, eccitata:
-Lei ha visto quell’uomo? Saprebbe descrivercelo?-
La ragazza mi imitò, avvicinandosi a me con un sorriso trionfante: era strano il fatto che due perfette sconosciute fossero arrivate all’improvviso ad assumere un atteggiamento così intimo, come se fossimo due vecchie amiche in procinto di confidarsi dei segreti.
-Posso fare di più, posso darvi il suo nome! Si chiama Roger Jefferson e vive dalle parti di South End… Un posto poco raccomandabile, quindi non escluderei che potrebbe essere anche lui legato a qualche gangster.-
-Gangster?- borbottai, confusa. Connor si piegò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia e appoggiando il viso sul palmo delle mani, poi sbuffò:
-E’ un termine che indica chi è a capo di una banda* criminale. Ce ne sono diverse qui a San Francisco e non tutte sono americane: da qualche anno anche italiani, russi e cinesi hanno iniziato a fare affari in maniera illecita. Se il colpevole dei furti è un affiliato sarà come cercare un ago in un pagliaio!-
Barbara annuì:
-Ha ragione, oltre al fatto che a nessuno dei grandi gangster di San Francisco piace chi ficca il naso nei loro affari… E per gestire un traffico di armi che perdura nel tempo si deve trattare di uno dei clan più importanti!-
-Non mi interessa, sono pronta a correre qualsiasi rischio per mio fratello!- dichiarai solennemente.
-Bene, perché io sono pronta a fare lo stesso!- replicò la ragazza.
Ci fissammo a lungo con aria di sfida, poi Connor si intromise con voce pacata:
-Credo che ora sia meglio che lei vada a casa, signorina Calloway, non vorremmo allarmare suo padre più del dovuto. La ringrazio per le informazioni che ci ha fornito, provvederò a cercare questo Roger Jefferson a South End e vedremo cosa ne esce fuori.-
-Va bene, ma si sbrighi!- mormorò Barbara indossando nuovamente il cappello -Non abbiamo molto tempo…-
 
Non appena la porta dell’appartamento si fu chiusa alle spalle dell’amante di Mark io mi girai verso Connor, ancora seduto sul divano con aria pensierosa.
-Se pensavi di andare a cercare Jefferson senza di me hai fatto male i tuoi conti!- soffiai, indispettita. Connor abbozzò un sorriso, continuando però a fissare il pavimento:
-Sarebbe impossibile tenerti fuori dai guai! Solo, lascia andare avanti me per primo, d’accordo? Sarebbe inutile venire con me ogni giorno a battere i bar alla ricerca del nostro uomo: una volta che l’avrò individuato ti prometto che ti porterò da lui e potremo fargli tutte le domande che vuoi!-
Sbuffai, per nulla convinta:
-E se gli uomini che ti cercano finalmente ti trovassero mentre vai in cerca di Jefferson? Devo venire con te!-
Finalmente tornò a guardarmi negli occhi ed abbozzò un sorriso:
-Tranquilla, tigre, so come muovermi. E poi ho un altro incarico per te: vedere se il tuo Tony sa qualcosa di utile sui gangster italiani. Potrebbe aiutarci a restringere il campo delle ricerche, cosa utilissima per chi come noi è a corto di tempo.-
Arrossii furiosamente, piantandomi davanti a lui con le mani sui fianchi:
-Mettiamo in chiaro alcune cose: primo, non è il mio Tony! Secondo, credo che sia una perdita di tempo, perché Tony è una brava persona che non si immischia in attività criminali. Terzo, smettila di chiamarmi tigre, mi sono stancata delle tue prese in giro!-
Connor resse il mio sguardo, assumendo l’espressione neutra ed annoiata che aveva la prima volta che l’avevo visto:
-Primo, per come ti guardava l’altra sera a lui piacerebbe molto essere il tuo Tony. Secondo, non si può mai sapere con queste grandi famiglie italiane, sembra che siano tutti imparentati in qualche modo. Terzo, la mia non è una presa in giro.-
Inarcai le sopracciglia, decidendo di concentrarmi solo sull’ultima risposta:
-Ah no?-
L’uomo piegò la testa da un lato:
-Una volta ho visto una tigre, in Inghilterra. Era in gabbia e sembrava avesse perso ogni interesse per ciò che la circondava: restava sdraiata con la maestosa testa tra le zampe a fissare le persone dall’altra parte delle sbarre. Il guardiano che la doveva controllare, non so se perché fosse ubriaco o semplicemente idiota, si divertiva ad infilare le dita nella gabbia, ridendo dell’immobilità della bestia… Finché, con uno scatto impossibile da prevedere, la tigre gli balzò addosso e gli tranciò la mano.-
Sussultai:
-Quindi tu mi paragoni ad un animale sanguinario, capace di staccare di netto la mano di un uomo?-
-No, credo semplicemente che nessuno debba sottovalutarti, tanto meno io o Mark. Penso che per quanto tu possa rimanere immobile, non esiterai mai ad attaccare, una volta raggiunto il punto di rottura. Vedi, io ti ammiro, perché tu… Sai comprendere quand’è il momento di reagire.-
-Tu no?- chiesi, meditando su quelle parole cariche di malinconia.
Connor si alzò in piedi, stiracchiandosi:
-E’ ora di andare a letto, tigre, domani ci aspetta una giornata impegnativa. La signorina Calloway ha ragione: il tempo che abbiamo a disposizione non è molto.-
 
 
*in inglese venivano chiamate “gang”, da cui “gangster”.
 
 
Angolo Autrice:
Sono tornata! E questa volta con una Barbara Calloway adulta e decisa, che si scontra/incontra con Lizzie sull'argomento 'Mark'!
L'intervento delle "giovani" gang (all'inizio del '900 non avevano ancora il potere e l'autorità che guadagneranno negli anni '20 e '30) per il momento rimarrà sullo sfondo: l'incontro con Roger Jefferson riserverà non poche sorprese…
A presto!
 
Crilu 

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Capitolo 10
*** The walk ***




Respirai a fondo la brezza marina: ora che mi stavo abituando all'odore forte del pesce e del porto, quel venticello fresco e corroborante era ciò che mi serviva per racimolare il coraggio di avvicinarmi alle barche da pesca. Avevo passato l'intera giornata nell'appartamento di Price, che invece l'aveva abbandonato la mattina presto per "fare dei giri", come aveva detto lui: era in uno stato febbrile e nervoso, pronunciava sottovoce i nomi delle persone che doveva incontrare e aveva impiegato quasi mezz'ora nel cercare il cappello.
-Se ti agiti sempre così capisco perché in quasi un mese non sei stato di alcun aiuto per Mark!- avevo borbottato, porgendogli il copricapo ed interrompendo così la sua ricerca costellata da imprecazioni. Connor aveva emesso un basso grugnito che poteva avere numerose interpretazioni, che variavano da 'grazie' a 'togliti dai piedi'.
L'attesa era stata snervante, nonostante mi fossi tenuta occupata nel riordinare la casa: mi ero applicata con impegno e determinazione per non lasciarmi sopraffare dallo sconforto, con il risultato che adesso le braccia e le spalle mi dolevano per le ore passate a sfregare le superfici incrostate.
Rabbrividii al pensiero dell'incuria di Connor e di quanto ci fosse ancora da fare per rendere presentabile quell'appartamento.
Finalmente individuai Tony, intento a rammendare una rete su una delle imbarcazioni: nonostante fosse quasi il tramonto e il sole calasse rapidamente, il ragazzo non sembrava aver difficoltà nell'esaminare le corde e chiudere i buchi tra le maglie con rapidi e precisi movimenti dell'ago.
Mi incamminai lungo il molo di legno, mentre il vento faceva ondeggiare le mie gonne in maniera buffa, tanto che per poco non inciampai; mi sentivo a disagio sotto lo sguardo indagatore e curioso di tutti quegli uomini, molti dei quali italiani. Tony alzò lo sguardo quando ero quasi arrivata davanti a lui e scoprì i denti candidi in un sorriso:
-Allora Price non l'ha mangiata!- ridacchiò, lanciando il suo capo della rete ad uno dei compagni, che protestò infastidito. Tony si strinse nelle spalle e gli mormorò qualcosa in italiano con aria gioviale, prima di raggiungermi e prendermi a braccetto con familiarità:
-Dove andiamo?- chiesi, divertita.
-Ovunque lei vuole, signorina Walker!-
-Ma non deve lavorare?-
-Come vede, ho appena smontato!- replicò lui in tono furbo.
Il mio buonumore si smorzò quando ricordai perché ero uscita a cercarlo e sospirai:
-Qualcosa non va?-
-Temo di sì.-
Mi fermai solo quando fui sicura che nessuno prestasse ci più attenzione e portai una mano al colletto chiuso del vestito, desiderando di poterlo aprire per far passare più aria: stavo soffocando.
-Le avevo già detto perché mi trovo a San Fransisco, giusto? Beh, mio fratello Mark rischia di essere giustiziato per un omicidio che ha commesso tanti anni fa. La sua vita dipende dalla testimonianza dell'uomo che l'ha denunciato.-
Non era così che avrei voluto introdurre l'argomento: se Tony, al contrario di quanto pensavo, fosse stato implicato negli affari malavitosi dei suoi conterranei, avremmo perso ogni possibilità di rintracciare Roger Jefferson e costringerlo a cambiare versione. In quel momento, però, avevo un estremo bisogno di chiarire la situazione con lui: tenevo al suo giudizio e sapevo che mi ero comportata in modo strano e sospetto, l'ultima volta che ci eravamo visti.
Tony sgranò gli occhi, poi si passò una mano sul mento rasato:
-Perché mi sta dicendo queste cose proprio adesso?-
-Perché voglio che capisca che c'è un motivo dietro a tutto ciò che ho fatto fin da quando ci siamo conosciuti… E anche perché ho bisogno di aiuto.-
Il ragazzo annuì:
-Di cosa si tratta?-
-Ecco… Non si offenda, ma… - tentennai, non riuscendo a trovare un modo delicato per introdurre l'argomento. Mi sorpresi a pensare che al mio posto Barbara Calloway non avrebbe avuto problemi.
-In breve, l'uomo che cerco si chiama Roger Jefferson ed è affiliato ad una delle bande criminali di San Francisco… Io mi chiedevo se lei…-
-Se ne sapessi qualcosa?- ringhiò Tony, improvvisamente teso e sbigottito -Perché? Perché sono italiano?-
-Beh, Price ha detto…-
-Ah, giusto, Price!- sbuffò lui, sempre più adirato. Poi all'improvviso si acquietò e mi studiò attentamente con i suoi occhi scuri:
-Che relazione c'è tra lei e Price?-
-Scusi?-
-Mi ha sentito: la natura della vostra relazione.-
-Ha qualche importanza?-
-Per me, moltissima. Non tocco la donna di qualcun altro!-
Scoppiai a ridere incredula:
-Io e Connor Price? Non scherziamo! E' il migliore amico di mio fratello e mi sta dando una mano a liberarlo… Tutto qui. Non sono la sua donna, per amor del Cielo!-
Tony fece un mesto sorriso e chinò il capo in un gesto di scuse:
-Se le cose stanno così, allora l'aiuterò volentieri… Anche se non ho nulla a che fare con questa gente, sia chiaro! Però vedrò di chiedere in giro se qualcuno conosce Roger Jefferson.-
-Grazie, Tony, lo apprezzo molto. Ci conosciamo appena eppure non so come avrei fatto se non l'avessi incontrata… Sono in debito con lei.-
Lui si strinse nuovamente nelle spalle: probabilmente era un suo gesto abituale per oltrepassare una questione che non gli andava a genio. Mi riprese gentilmente sottobraccio:
-Non ci pensi più e per un poco, signorina Walker, veda di rilassarsi. Per quanto riguarda questo debito nei miei confronti… Beh, credo che un paio d'ore spese in mia compagnia basteranno a ripagarlo!-
Risi, lasciandomi condurre verso il litorale: era da pazzi fidarsi così di un uomo che non conoscevo, ma Tony aveva una luce sincera e cortese negli occhi e si era sempre comportato bene con me.
-Signorina Walker, posso farle una domanda?- chiese Tony dopo un po'.
-Solo se mi chiami Elizabeth e smetti di darmi del lei!- replicai io, osservando con meraviglia il tramonto che tingeva di rosa ed arancione le acque dell'Oceano.
-Elizabeth… Cosa ha fatto tuo fratello?-
Mi irrigidii e la sensazione di pace e tranquillità che le rassicurazioni del ragazzo avevano instillato in me svanirono di colpo. Mi appoggiai ad un muretto di legno che costeggiava la spiaggia e lo fissai assorta mentre lui aspettava pazientemente la mia risposta, deciso a non lasciar cadere il discorso. 
-Dieci anni fa… Sono stata quasi deflorata da un gruppo di pistoleri che si trovavano di passaggio nella nostra città.- Era straordinario come il dovermi confrontare per forza con ciò che mi era accaduto fosse molto più utile degli anni spesi a cercare di dimenticarlo. Più ci riflettevo, più riuscivo ad assumere un atteggiamento distaccato nei confronti di quei dolorosi ricordi; a casa, invece, più ci sforzavamo di ignorarli e più questi aleggiavano tra noi.
Tony strinse le labbra ed incrociò le braccia al petto, turbato:
-Mi dispiace…-
-No… Mio fratello… Lui è arrivato in tempo, ma nella colluttazione ha ucciso uno di quegli uomini. A Rosenville non avrebbe mai ottenuto un processo equo, perciò mio padre l'ha convinto a fuggire. Non abbiamo avuto più notizie di lui finché il signor Price non ci ha scritto per informarci che era finito in prigione.-
Il ragazzo saltò sul muretto in pietra che costeggiava la spiaggia battuta dal vento, continuando a camminare al mio fianco:
-E' una situazione complicata e se non vuoi dirmi altro, lo capisco. Volevo solo essere certo di non immischiarmi in qualcosa di losco!-
-Non te lo chiederei mai!-
-Lo so. Ti conosco poco, ma credo che tu sia una persona degna di fiducia. E' di Price che non mi fido.-
Il tono stizzito della sua voce e il luccichio indispettito che brillò nei suoi occhi castani per un fugace momento mi spinse a ripensare alle parole di poco prima.
-Tony… Quando hai detto che non tocchi la donna di un altro…-
Con mia estrema sorpresa, Tony arrossì fino alla punta delle orecchie e si passò una mano tra i capelli, spettinandoseli:
-Signorina Wlaker… Elizabeth, io… Sono stato scortese e precipitoso, ecco!-
Sbuffai e gli lanciai un'occhiata perentoria, divertita dal suo imbarazzo ma decisa anch'io ad ottenere le informazioni che volevo. Alla fine lui capitolò:
-Fin dal nostro primo incontro, mi hai incuriosito e suscitato meraviglia… Ti reputo una bella ragazza, dolce, forse troppo intraprendente… Ma, per quanto mi sembri incredibile, mi piace anche questo lato di te. Mi piaci. Non prenderla come una dichiarazione, perché non lo è, però… Pensaci su. Comunque andrà a finire la storia di tuo fratello, io sarò qui ad aspettarti per conoscerti meglio. E poi, chissà, corteggiarti…-
Mi bloccai, stupita dalla semplicità e dall'onestà che mi stava dimostrando. Lo squadrai bene, soffermandomi sui lineamenti spigolosi, sui capelli riccioluti e scuri che gli davano un'aria da bambino, sui vestiti consumati ma perfettamente in ordine. Tony era un lavoratore, un ragazzo sveglio e capace, con cui ogni donna avrebbe desiderato metter su famiglia. E allora perché io, seppur lusingata dalle sue parole e positivamente colpita dal suo comportamento, mi ritrovai ad immaginare al suo posto Connor Price?
Fu un pensiero fugace, ma bastò a cancellarmi il sorriso dalla faccia: quel bacio tra noi era stata una finzione dettata dal momento di pericolo, un segreto privo di valore. Ma Connor era stato così intenso nella sua intrusione! Come se baciarmi fosse l'unica cosa importante al mondo! Ero certa che Tony, con il suo candore e la sua sincerità, non mi avrebbe mai toccato in quel modo.
-Elizabeth, ti ho turbato, perdonami…-
-No, al contrario: è stato bello passeggiare con te e parlare. Vorrei solo che ci fossimo incontrati in circostanze diverse… Si è fatto tardi, mi accompagni a casa?-
Tony annuì e tornammo indietro continuando a chiacchierare tranquillamente, ma l'atmosfera leggera e rilassata di pochi minuti prima era svanita.
 
Appena entrata nell'appartamento dovetti fare i conti con un Connor parecchio nervoso ed intrattabile.
-Dove sei stata?- sbraitò, appoggiandosi con le spalle allo stipite della porta del soggiorno.
-Scommetto che se provassi a farti la stessa domanda tu non risponderesti…- borbottai, alzando gli occhi al cielo. Provai a superarlo per dirigermi in cucina e preparare la cena, ma l'uomo non sembrava intenzionato a spostarsi.
-Dove sei stata?- ripeté, severo.
-A parlare con Tony, come programmato. Che problema hai?-
Connor socchiuse gli occhi:
-Fino a quest'ora?-
-Il sole è tramontato da meno di mezz'ora, Connor: ripeto, qual è il tuo problema?-
-Nessuno!- borbottò lui, scostandosi e permettendomi di passare. Credevo che l'interrogatorio fosse finito lì, ma lui mi seguì fino al minuscolo cucinino, sempre fissandomi con quell'aria torva:
-Che ti ha detto il bell'italiano?-
-Smettila di chiamarlo così! Ha detto che ci aiuterà, o piuttosto, che aiuterà me, visto che ti detesta!
-Che gentiluomo! Scommetto che ti ha anche riaccompagnato a casa!-
Mi voltai verso di lui con le mani sui fianchi:
-Sì, l'ha fatto, e allora? Ha anche chiarito le sue intenzioni nei miei confronti, se lo vuoi sapere! Comunque sono affari miei: tu, piuttosto, hai trovato Jefferson?-
Price rimase qualche istante in silenzio, sbattendo le palpebre, poi mormorò un 'no' a malapena udibile ed abbandonò la stanza, lasciandomi finalmente cucinare in pace.
 
 
Angolo Autrice:
Una bella passeggiata corroborante sarebbe stata un bene per la nostra Lizzie, se non fosse stata accompagnata da discorsi così impegnativi! Tony ha scoperto le sue carte, ora tocca ad Elizabeth decidere… E nel frattempo Jefferson rimane introvabile. Che ne dite del capitolo???
Alla prossima!
 
Crilu 

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Capitolo 11
*** The White Light ***




Fu verso il sesto giorno della mia permanenza a San Francisco, quando ormai iniziavo a perdere le speranze di vedere Mark uscire vivo dalla prigione, che la monotonia asfissiante delle mie giornate subì un violento scossone.
La mattina fui svegliata da degli energici colpi alla porta; mi coprii con una vestaglia e mi affacciai sul corridoio, dove vidi Connor intento ad armeggiare con il chiavistello. Repressi una risata nel vederlo così impacciato e lento a causa del sonno, con i capelli scompigliati e l'impronta del cuscino sul viso: era molto diverso dall'immagine vanesia ed elegante che amava mostrare agli altri.
-Dai, faccio io!- ridacchiai, spostandolo con una spallata leggera.
Sul pianerottolo c'era un uomo di mezz'età alto e robusto, con le mani ed il viso segnati da anni di duro lavoro: aveva una faccia squadrata, capelli e barba brizzolati e due occhi grigi che ci osservavano con molta curiosità. Connor sembrò riacquistare la lucidità:
-Signor Clarke! Che sorpresa!- mormorò, spostandosi per lasciarlo entrare -Elizabeth, lui è Ezra Clarke, uno dei colleghi di Mark… Nonché rappresentante degli operai della fabbrica di Calloway!-
L'uomo si toccò il cappello in segno di rispetto e mi rivolse un mezzo sorriso imbarazzato:
-Immagino che lei sia la sorella di Mark, la piccola Lizzie!-
Arrossii furiosamente per quel tono confidenziale e notai a malapena che anche Connor si era irrigidito, lanciando a Clarke un'occhiata di rimprovero. Lui si strinse nelle spalle, dicendo:
-Sono qui per conto di Mark, gli ho fatto visita questa mattina: voleva che mi accertassi che sua sorella stesse bene… E che anche lei stesse rigando dritto, Price!-
-Tutto qui?- chiese Connor, assumendo l'aria scontrosa che gli era abituale. Ezra Clarke non staccò gli occhi da me, mentre parlava:
-Abbiamo notato la sua assenza, alle scorse riunioni del partito…-
-Ho avuto altro da fare!- commentò Connor con tono sarcastico. -Devo tirare un amico fuori dai guai!-
-Mark è in una brutta situazione… Brutta davvero! Ma non per questo dobbiamo trascurare la nostra lotta… Ora che lui non c'è più, i rapporti con Calloway sono sempre più tesi: ha tirato la cinghia, il vecchio bastardo! Minaccia di licenziarci tutti se solo osiamo protestare!-
-Vedrà che troveremo una soluzione!- rispose Connor, spingendolo praticamente fuori di casa. Continuarono a parlare sottovoce sull'uscio per un po', ma non li stetti ad ascoltare: riflettevo su ciò che aveva detto Clarke, sul suo sguardo indagatore e su quanto fosse necessaria una seconda chiacchierata con Barbara Calloway.
Come se l'avessi evocata, poche ore dopo, mentre passeggiavo per il mercato del pesce, fui affiancata proprio dalla figlia di Thomas Calloway: quel giorno indossava un completo antracite sobrio e scialbo, cosa che l'aveva aiutata a confondersi con la folla senza essere riconosciuta.
-Cosa ci fa lei qui?- sibilai, mentre la ragazza mi si affiancava con noncuranza.
-Sono venuta per richiamare Price dalla sua battuta di caccia: ho scoperto dove si trova Jefferson!-
-Lei?- esclamai stupita -E come ha fatto?-
Barbara ridacchiò:
-Ho assunto un investigatore privato, ovviamente. Un uomo dalla precisione maniacale e dal fiuto imbattibile, il signor Mitchell! Vi starete chiedendo come abbia potuto ingaggiarlo. Ebbene, morendo mia madre mi ha lasciato in eredità una piccola fortuna che amministro da due anni, da quando, cioè, ho deciso di essere indipendente da mio padre. Ci ho messo un po' a convincerlo a firmare i documenti, ma adesso non devo più rendere conto a lui delle mie spese.-
Tacqui per un po', ammirata dalla sua caparbietà: io avevo spesso trattato il denaro, ma per necessità, mentre lei l'aveva usato come mezzo per ottenere più libertà.
-Dove si trova Jefferson?-
Un luccichio divertito e risoluto brillò nei suoi occhi:
-Ah, no! Niente da fare: non ho nessuna intenzione di essere lasciata fuori! Vi ci condurrò stasera… E Price farebbe bene a venire armato: non è esattamente un posto raccomandabile!-
 
Connor si affacciò sulla porta della mia stanza senza bussare e mi studiò con occhio critico:
-Non va bene!- sentenziò, indicando l'abito che indossavo. Mi guardai allo specchio a figura intera appeso alla porta dell'armadio: il vestito era fatto di un buon tessuto, resistente e pesante, perfetto per le fredde nottate invernali.
-Cosa ho che non va?-
-Forse non hai capito bene dove stiamo andando!- borbottò l'uomo, aprendo un'altra anta dell'armadio e frugando tra vestiti inconfondibilmente femminili. Ne tirò fuori uno, ma io incrociai le braccia e dissi fermamente:
-Non indosserò la veste che una delle tue amanti ha lasciato qui, Connor!-
Lui me lo tese con un sorriso sardonico sulle labbra:
-Puoi scegliere: o fai questo piccolo sacrificio, o te ne resti a casa.-
Agguantai la veste di scatto, furiosa; il mio malumore aumentò quando lo udii ridere mentre lo spingevo fuori dalla stanza.
"Devo ammettere che Price ha buon gusto…" pensai poco dopo a malincuore, mentre rimiravo la mia figura, incorniciata dalle decorazioni colorate che impreziosivano lo specchio.
Lo scollo era molto più ampio di quelli a cui ero abituata e lasciava scoperta buona parte delle spalle, mentre il tessuto era talmente leggero da risultare impalpabile e al confronto il mio abito precedente sembrava fatto d'ortica! Il colore dorato si intonava alla mia pelle, leggermente più scura rispetto a quelle delle altre donne a causa della mia ascendenza indiana; osservando i motivi damascati e le rifiniture argentate che ornavano l'ampio strascico, mi chiesi se Connor non l'avesse scelto proprio perché sembrava essere stato cucito per me… O se invece avesse preso il primo che gli fosse capitato sottomano. Sebbene fossi curiosa di rovistare nell'armadio non volevo fare tardi all'appuntamento con Barbara e, superato l'impaccio iniziale per quel vestito (molto più stretto di quanto il decoro imponesse alle signore di Rosenville), mi diressi con sicurezza all'ingresso.
Vidi un lampo insolito brillare nelle iridi castane di Price e quasi caddi dalle scale nel sentirlo borbottare qualcosa che suonava come:
-Ti sta molto bene, questo vestito…-
Poi, senza preavviso, sciolse la treccia con cui avevo legato i capelli e con poche mosse li dispose attorno al viso. Mentre io lo fissavo esterrefatta fece un passo indietro ed annuì con aria soddisfatta.
-Ora è perfetto!-
Sembrò sul punto di aggiungere altro, ma alla fine desistette, mentre la luce maliziosa ed ammirata abbandonava le iridi castane. Decisi di ignorarlo e di spostare la conversazione su un altro argomento, cosa molto difficile dal momento che Connor sembrava ipnotizzato dal tessuto velato delle maniche a sbuffo, che volteggiavano ad ogni mio movimento:
-Sei armato?-
L'uomo sembrò riscuotersi e spostò la giacca elegante che indossava quel tanto che bastava per far luccicare il metallo scuro e lucido di una pistola.
-Credi che sarai costretto ad usarla?- chiesi, rabbrividendo.
-Mi auguro di no. Certo, se sapessi con più precisione dove stiamo andando sarei più tranquillo!-
Barbara ci attendeva ad un lato della strada in una carrozza scura ed anonima presa a noleggio. Il viaggio fu teso, soprattutto dopo che Connor ebbe appreso il nome del locale:
-The White Light … Non è esattamente il posto che avevo in mente per Roger Jefferson!-
-Perché?- chiesi, incuriosita. A rispondermi fu Barbara, Connor era ormai perso nei suoi ragionamenti:
-Non è un locale notturno, né una bettola, ma un ritrovo per gente come… Beh, come me, presumo. La mattina gli uomini ci vanno a bere il caffè e a leggere il giornale, la notte a bere liquori e a giocare d'azzardo… Spesso accompagnati da donne che non sono le loro devote consorti!-
-Che ci fa un delatore in un locale del genere?-
-E' quello che dobbiamo scoprire.-
 
Non appena misi piede nel The White Light, fui immensamente sollevata per aver seguito il consiglio di Connor. Intorno a me, infatti, vedevo persone vestite con un'eleganza senza pari: donne adornate con gioielli pesantissimi, lustrini e strane piume colorate, uomini con completi costosi, orologi d'oro attaccati al panciotto e portasigari placcati in vari materiali preziosi. Tutto quel lusso per un attimo mi fece girare la testa, ma fui accorta nel non lasciar trasparire nulla del mio stupore. Come se avesse percepito il mio disagio, Connor mi strinse leggermente il braccio ed io mi voltai a guardarlo: sebbene gli occhi cupi e la mascella contratta indicassero chiaramente che avrebbe preferito non essere lì in quel momento, la sua figura si amalgamava all'ambiente. Ancora una volta, mi chiesi chi fosse in realtà Price e cosa nascondesse sotto il suo astio per i ricchi e l'atteggiamento da libertino.
Seguimmo Barbara attraverso la folla  nelle diverse stanze del locale: alcune erano sature di fumo, altre piene di tavoli da gioco e schiamazzi, in altre ancora la gente discuteva attorno a piccoli tavolini rotondi. La ragazza si appoggiò con naturalezza al bancone lucidissimo dietro al quale dei camerieri in livrea attendevano le ordinazioni; all'apparenza sembrava uguale a tutte le altre donne del bar, languida e frivola, ma in realtà i suoi occhi scandagliavano implacabili la gente lì riunita.
Poi sorrise e si chinò verso di noi, come se stesse per confidarci un segreto:
-Là, vicino alla colonna: è l'uomo col cappello grigio!-
Seguii il suo sguardo e all'improvviso ogni cosa nella stanza divenne sfocata: la musica allegra venne sovrastata dal battito frenetico del mio cuore e dal suono strozzato che sfuggì dalle mie labbra. Non riuscivo a credere ai miei occhi, eppure Roger Jefferson era proprio lì, davanti a me, intento a fumare una sigaretta con aria meditabonda.
-Tigre?- mormorò Connor, chinandosi verso di me fino a coprirmi la visuale. Fu allora che riacquistai parzialmente il controllo, sebbene sentissi ancora le lacrime premere ai bordi degli occhi.
-Elizabeth, stai bene?- chiese Barbara, piegando il capo di lato. Ci misi qualche istante di troppo a riordinare le idee e ad articolare una frase sensata:
-Roger Jefferson… Era là. Era a Rosenville, dieci anni fa. E' uno dei pistoleri, è stato testimone dell'omicidio!-
Ma quando Connor si girò nuovamente verso il nostro uomo, livido in volto, questi era sparito.
 
 
Angolo Autrice:
Finalmente la storia inizia a dipanarsi, o per lo meno a procedere più velocemente! xD
Eh sì, Jefferson è strettamente connesso al passato di Lizzie, ecco perché ha potuto testimoniare contro Mark… Resta da vedere cosa succederà ora che i nostri hanno trovato il loro delatore!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, a presto
 
Crilu  

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Capitolo 12
*** The killing ***




-Dividiamoci!- propose Barbara, accarezzandomi la spalla con fare protettivo e allo stesso tempo scandagliando la stanza con una foga quasi rabbiosa.
-Dobbiamo assolutamente ritrovarlo!-
Connor annuì ed in breve sparirono dalla mia vista, confondendosi nella folla. Solo io rimasi come un'ebete accanto al bancone, cercando disperatamente di non piangere, di non urlare per la frustrazione, di non scappare da quel locale che ora mi soffocava.
-Ehi, dolcezza!- la voce amichevole del cameriere mi riscosse, ma dovetti sbattere le palpebre più volte prima di riuscire a vederlo bene. L'uomo sorrise e mi allungò un bicchiere:
-Tieni, offre la casa… Sembra che tu ne abbia bisogno!-
Lo ringraziai con un cenno del capo e buttai giù il liquido ambrato tutto d'un fiato: il brandy mi infiammò la gola e lo stomaco e mi diede la giusta energia per riprendere la mia ricerca.
Vagai a lungo tra le sale, ignorando i fischi d'apprezzamento e i richiami allegri degli uomini ai tavoli d'azzardo. Dopo quelle che mi sembravano ore, preoccupata perché non c'era traccia né di Connor, né di Barbara, né tantomeno di Jefferson, notai un inconfondibile cappello grigio dirigersi verso l'uscita.
Lo seguii, stando attenta a non farmi notare e a non inciampare nel vestito; l'aria, fuori dal locale, era gelida e mi passai le mani sulle braccia nel tentativo di riscaldarle.
Roger Jefferson procedeva rilassato e con andatura arrogante verso la propria meta… Ad un tratto accennò anche un motivetto, che risuonò sinistro tra i vicoli bui.
Poi si fece più cauto e un paio di volte fu sul punto di scoprirmi mentre si inoltrava in mezzo alle case scure, fino ad infilarsi in un seminterrato rischiarato da una lampada fioca. Accostandomi all'uscio riuscii a captare la conversazione degli uomini all'interno e sebbene l'illuminazione fosse troppo scarsa e la finestrella troppo piccola e lurida per riconoscere i loro volti, individuai almeno tre figure all'interno: una era quella del delatore, mentre le altre due erano sedute ad un tavolo e davano le spalle alla porta.
-Jefferson! Ben arrivato!- esclamò una voce rauca e profonda, appartenente senza ombra di dubbio ad un ubriaco, poiché le parole erano sconnesse e strascicate.
-Poche chiacchiere!- sbraitò Jefferson, che sembrava aver perso tutta l'allegria di poco prima. Era evidente che quell'ambiente non gli piacesse e ciò rendeva i suoi modi molto più rudi, come se d'improvviso fosse tornato ad essere il pistolero di Rosenville.
-Dove sono i miei soldi? Ne ho bisogno subito!-
-Pazienta ancora, amico… Manca qualcuno!-
Mi sentii mancare quando udii un rumore di passi fermarsi alle mie spalle. Poi una mano scese a coprirmi la bocca e fui strattonata lontano dalla porta. Stretta contro il corpo del mio aggressore, sentii gli uomini all'interno esclamare:
-Avete sentito?-
-Non è nulla, sta' buono! Sarà stato qualche cane randagio!-
Delle labbra calde si accostarono al mio orecchio:
-Adesso ti lascio andare, Elizabeth. Ma, mi raccomando, non urlare!-
-Tony!- bisbigliai, mentre delle lacrime scivolavano sulle mie guance, residuo del terrore cieco che avevo provato. -Mi hai spaventato a morte!-
-Bene, così impari ad essere imprudente!- mi rimbrottò lui con aria grave -Potevi essere scoperta da un momento all'altro, così, sull'uscio! Dov'è Price?-
Mi lanciò un'occhiata stupita, in cui colsi anche un lampo di apprezzamento:
-E perché sei vestita in questo modo?-
-Io, Price e … Un'amica di mio fratello stavamo seguendo il delatore, Roger Jefferson. Ci siamo divisi ed io l'ho scovato e seguito fino a qui. Tu, piuttosto, cosa stai facendo?- sospirai, lanciando un'occhiata al vicolo dalla nicchia in cui eravamo nascosti. Non appena l'uomo misterioso fosse arrivato, ci saremmo potuti avvicinare ed ascoltare meglio i loro discorsi; speravo solo che non si lasciassero sfuggire qualche informazione importante mentre noi non potevamo sentirli.
-Più o meno la tua stessa cosa!- rispose Tony, con un mezzo sorriso -Ho tenuto d'occhio alcune famiglie che, si sa, sono legate alla malavita americana di questa città. Sono molto temuti e per la loro… Protezione, come dicono loro, vogliono i soldi della povera gente.-
Mentre parlava il suo tono si era fatto più duro e l'accento più marcato.
-Ho seguito uno dei più giovani, un idiota che pensa sempre e solo a bere. Sbraitava a gran voce che stanotte avrebbe avuto per le mani tanto di quel denaro da potersi comprare un'intera osteria… Solo che avrebbe dovuto consegnarlo ad un pezzente. Ho pensato che potesse essere collegato al guaio di tuo fratello ed avevo ragione!-
Ci zittimmo di colpo nel vedere il quarto uomo scivolare furtivamente nella stradina e poi oltre la porta cigolante; poi, con estrema prudenza, ci avvicinammo di nuovo ad essa. Purtroppo la luce dell'unica lampada ad olio presente lì dentro era di ben poca utilità nel distinguere i lineamenti del nuovo arrivato, sebbene ci stesse di fronte.
-Winter! Ben arrivato!- esclamò di nuovo l'ubriaco, sempre più allegro. Doveva essere quello che Tony aveva pedinato.
-Abbassa la voce, idiota!- ringhiò l'uomo corpulento che rispondeva al nome di Winter -Se continui così tutto il vicinato saprà gli affari nostri!-
-Adesso che è arrivato anche lei, si può finalmente concludere!- sbuffò Jefferson, camminando nervosamente per la stanza -Non mi piace che questi incontri vadano per le lunghe!-
L'individuo che fino a quel momento era rimasto in silenzio, con le spalle verso la porta, prese la parola:
-Che durino un'ora o dieci minuti, a lei che importa? O forse era così ansioso di iniziare la sua nuova vita che ha già speso denaro che non possiede? I soldi che le daremo devono essere guadagnati… Non ammettiamo errori!-
-Ma che errori ed errori!- sbuffò ancora Jefferson, ridacchiando sguaiatamente -In tribunale si dice solo la verità, no? Ed è esattamente quello che farò io!-
Winter borbottò qualcosa che non capii, troppo concentrata ad analizzare la voce dell'uomo sconosciuto: ero sicura di aver già sentito quel timbro basso e rauco… Ma dove?
-Stia solo attento a non chiacchierare troppo!- sibilò ancora lo sconosciuto, prima che il tonfo di una valigia sul tavolo ci avvisasse che lo scambio stava per terminare.
Io e Tony scivolammo silenziosamente fuori dal vicolo, ma non fummo abbastanza veloci ad allontanarci: eravamo ancora in mezzo alla strada quando la porta si spalancò.
Tony mi spinse contro il muro, fuori dall'alone di luce dei lampioni; mi sembrò di rivivere la mia prima sera a San Francisco, quando Connor mi aveva baciata.
Osservammo con il fiato in gola Winter, l'ubriaco e l'uomo in nero, con il bavero della giacca alzato, allontanarsi in direzione opposta alla nostra. Jefferson, invece, sostò qualche minuto davanti alla stradina, fumando una sigaretta dall'odore acre.
Eravamo ancora troppo vicini per andarcene senza far rumore e sarebbe bastato che l'uomo si voltasse per vederci... A quel punto saremmo stati spacciati.
Coglievo lo stesso pensiero nelle iridi preoccupate di Tony ed osservavo impotente la brace rossastra della sigaretta farsi sempre più flebile, fino a spegnersi. Jefferson la buttò a terra e schiacciò la cicca con il piede.
"Ti prego, procedi dritto!" mi ritrovai a pregare "Ti prego, non venire verso destra, ti prego…!"
Invece l'uomo si girò e si pietrificò nel notarci: non un suono sfuggì dalle nostre labbra mentre lui tendeva la mano verso la tasca dei pantaloni, per afferrare la pistola con cui ci avrebbe ucciso.
Percepii i muscoli di Tony tendersi, pronto a slanciarsi in avanti per attaccare Jefferson, ma non ce ne fu bisogno.
Dalle ombre si distaccò una figura alta e snella, inconfondibile:
-Connor!- sussurrai, esterrefatta, mentre Price soffocava con una mano il grido rabbioso di Jefferson e con l'altra gli impediva di spararci.
Accadde tutto in pochi istanti: Connor afferrò la pistola, tolse la sicura, la puntò alla tempia dell'uomo e fece fuoco. Il rumore dello sparo si confuse con il tonfo del corpo che cadeva.
Il sangue e altra materia viscosa e rossa schizzarono sul selciato e sul volto di Price, che ci osservava con le labbra strette in una smorfia.
"No" mi corressi "Sta fissando me."
-Elizabeth?- sussurrò infatti, preoccupato -Stai bene?-
Non risposi, come al solito persa nei ricordi di un pomeriggio d'autunno nella cittadina di Rosenville; possibile che ogni mia azione, ogni fatto dovesse ricordarmi quel terribile giorno?
L'uomo fece un passo avanti, verso di me, ma io istintivamente mi scansai, respirando affannosamente. Price si immobilizzò con le mani macchiate di sangue abbandonate lungo i fianchi e  colsi nei suoi occhi una scintilla di rimorso.
Quello stato di calma apparente si spezzò non appena si accese una luce qualche casa più in là: allora Tony mi afferrò per un braccio (io, infatti, non riuscivo a distogliere lo sguardo dagli occhi vitrei di Roger Jefferson) e fece un cenno d'intesa a Connor, che ci seguì senza più fiatare.
 
Eravamo nuovamente soli. Soli in una casa buia e fin troppo silenziosa per i miei gusti: Barbara, pallida e preoccupata, ci aveva accolto con sollievo davanti all'uscita del The White Light, prima di salire in carrozza e tornare a casa; Tony mi aveva lanciato un'occhiata penetrante ed affettuosa prima di lasciarmi sull'uscio dell'appartamento di Price.
-Sicura di voler rimanere con lui? Potrebbe…-
-Non è pericoloso, Tony. E credo che abbia davvero bisogno di me, in questo momento…-
Ero seduta al tavolo del salotto e tamburellavo nervosamente le dita sul legno; Connor, invece di buttarsi come al suo solito sul divano, era rigidamente appoggiato allo schienale della poltrona a pochi passi da me.
-Potresti smetterla, per favore?- gracchiò ad un certo punto, in un tono spento ma ugualmente autoritario. Sospirai:
-Hai ucciso un uomo.-
"Perfetto, Lizzie: proprio il modo migliore per affrontare l'argomento!"
Connor balzò in piedi e si avvicinò minacciosamente:
-Stava per uccidere sia te che quel ragazzino imberbe e stupido! Cosa avreste fatto se io non fossi stato lì fuori a cercarti, invece che continuare a soffocare in quel locale nauseante?-
-Stavi cercando me?- domandai, spalancando gli occhi. Fino a quel momento avevo dato per scontato che stesse seguendo anche lui Jefferson.
L'uomo si chinò verso il mio viso, gli occhi che scintillavano cupi dietro alle ciocche di capelli ormai spettinati.
-E chi altri? Ti ho vista imboccare l'uscita di corsa, ma c'era troppa folla e non sono riuscito a seguirti subito… Ho vagato tra le strade e stavo diventando pazzo per la preoccupazione, quando ho visto Jefferson dall'altro lato della via. E poi ho visto voi e…-
-L'hai ucciso!- ripetei, incapace di accettare la sua freddezza. Connor emise un gemito esasperato:
-Sì, l'ho ucciso, dannazione! Dovresti esserne contenta: senza più testimone il processo di Mark si arenerà per un bel po'!-
-Non potrei mai essere felice della morte di un uomo!- replicai, fissandolo con aria di sfida -E tu?-
L'uomo sembrò perdere di colpo tutta la sua aggressività:
-Non lo so…- mormorò, accasciandosi di nuovo sulla poltrona. -Una volta non avrei mai potuto, ma adesso…-
La sua voce si perse in un mormorio indistinguibile.
Restammo così per quelle che mi parvero ore, ma quando accennai ad alzarmi per andare a dormire (era ormai mattina e quasi iniziava ad albeggiare), Connor ridacchiò istericamente.
-Cosa pensi di me, piccola Lizzie?-
Il suo tono metteva i brividi ed io non risposi. Lui insistette, lanciandomi un'occhiata colma di disperazione:
-Cosa penseresti di me, se ti dicessi che questo non è il primo uomo che ho ucciso?-
 
 
Angolo Autrice:
Questo capitolo è piuttosto denso di avvenimenti… L'unica buona notizia è che Jefferson non potrà più testimoniare contro Mark! xD E preparatevi, perché nel prossimo capitolo Price farà un'inaspettata confessione…
 
Crilu 

 

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Capitolo 13
*** The shrift ***




-Cosa penseresti di me, se ti dicessi che questo non è il primo uomo che ho ucciso?-
 
Ponderai con calma la mia risposta, senza osare distogliere lo sguardo da quello quasi folle di Connor: gli occhi color ambra risplendevano di una luce febbrile e tormentata.
-Vengo da un territorio selvaggio, la violenza non mi stupisce. Mio padre è stato in guerra e ci sono delle persone che lo considerano ancora un assassino per questo…-
Price scosse la testa, sbuffando irritato.
-No. Io ho ucciso a sangue freddo, guardando negli occhi l'uomo a cui ho sparato. Cosa mi dici di questo?-
Piegai il capo di lato, con uno strano ronzio nelle orecchie: ero stanca, sconvolta e quell'aspetto di Price non mi piaceva. Nonostante fosse prepotente, ombroso e la maggior parte delle volte anche sgarbato, Connor era il mio unico punto fermo in quella città, un solido ponte di collegamento tra me e Mark; mi ero affidata a lui un po' per necessità e un po' perché l'uomo che avevo intravisto sotto la sua maschera di impertinenza mi era sembrato degno di fiducia.
-Cosa è successo?- chiesi quindi, decisa a saperne di più.
Pensavo che lui si sarebbe opposto, che se ne sarebbe andato o che semplicemente non avrebbe risposto alla mia domanda; invece iniziò a raccontare come se avesse aspettato quel momento da tutta una vita.
-Il mio vero nome è… O per meglio dire era… Connor Lennox. Sono il figlio cadetto di un duca inglese, ma non credo che questa notizia ti sorprenderà, non è un segreto da queste parti. Nessuno sembra capire la mia simpatia per questi rivoluzionari, ma la verità è che sono stato un ribelle fin da ragazzino; questa realtà non mi piace e non mi vergogno di ammetterlo, così come non mi vergognavo dei miei natali pur mischiandomi alla gente comune. Quando ero più giovane sognavo un mondo giusto, nuovo, una società egualitaria… Ora continuo a lottare più per abitudine che per reale convinzione. Dunque, ero e sono un ribelle, cosa che risultava inaccettabile al mio aristocratico padre: mi proibì qualsiasi lettura, arrivando a confinarmi nelle mie stanze affinché non avessi altri contatti pericolosi con il mondo esterno! La sua ambizione, però, lo portò a cercare anche di inserirmi tra i miei pari, dove avrei potuto contrarre un matrimonio vantaggioso per la sua carriera politica…-
-Di solito questo è un ruolo che spetta alle donne!- commentai, con un mezzo sorriso. Connor piegò un angolo della bocca, imitandomi senza allegria.
-Quando si trattava di potere, mio padre non faceva distinzioni tra maschi e femmine, o tra familiari ed estranei: eravamo tutti sacrificabili. Per mia sfortuna, scoprii che quella società che tanto disprezzavo poteva soddisfare i miei istinti più bassi, ovvero la passione per il gioco, per l'alcool, per le donne… Divenni un uomo molto diverso dal ragazzo sognatore e pieno di ideali che ero stato. Una sera incontrai una donna di qualche anno più vecchia di me, bellissima, arguta, raffinata e… Sposata. E non con un vecchio barboso che la guardava a malapena, ma con un suo prestante coetaneo! Ho avuto modo di riflettere molto su questa faccenda, nel corso degli anni, ed ora ti posso dire che lei era annoiata dal lusso, dal marito e dalla vita. Perseguiva un piacere dopo l'altro, compiacendosi delle sue conquiste ma stancandosi velocemente di ogni uomo che aggiungeva alla sua lista di amanti. Quando la incontrai… Più o meno sei anni fa… Non la pensavo a questo modo, anzi, la credevo follemente innamorata di me. Non posso affermare che da parte mia fosse amore, probabilmente era invece solo un capriccio giovanile; fatto sta che il marito di questa gentildonna, irritato dalla mia costante presenza in casa sua e dalle voci del ton londinese, mi sfidò a duello.-
Sobbalzai, irrigidendomi sulla sedia su cui ero adagiata: iniziavo a capire come sarebbe andata a finire quella storia.
-Ci sfidammo all'alba di un giorno nebbioso, in mezzo ad un prato; lui era furioso, io spavaldo. Sparammo la prima volta, ma entrambi i colpi andarono a vuoto. La seconda sentii un bruciore diffuso sul petto e strabuzzai gli occhi, convinto di stare per morire… Invece era solo un graffio, mentre l'altro uomo era a terra, agonizzante.-
Si interruppe, emettendo un verso a metà tra la risata ed il singhiozzo.
-Ho ucciso un uomo per gioco… Per niente. Per qualcosa di vago, di indefinito, per qualcosa che ho perso o che forse non ho nemmeno mai avuto! Dio, si può essere più sciocchi?
Mio padre schiumava di rabbia: mi diseredò, ma la misericordia di mia madre lo convinse ad esiliarmi in America con qualche bene. Ad ora, vivo della carità di quella santa donna che si priva di una parte della sua rendita annua per mantenermi…-
La sua voce si spense con un ansito incerto e rimanemmo in silenzio a lungo. I suoi occhi erano più limpidi ora che aveva ultimato la sua confessione, ma non per questo l'aspetto di Connor era più rassicurante. Aveva ancora i capelli scompigliati ed il volto rigato del sangue di Jefferson; fu per quello che, quando si avvicinò in cerca di una mia reazione, io sobbalzai. Non avevo mai sopportato la vicinanza del sangue.
Lui, ovviamente, interpretò male quel gesto e a nulla valsero i miei richiami, i miei tentativi di trattenerlo: in pochi istanti stava già correndo per le scale, ferito ed instabile, diretto chissà dove.
 
Non uscii di casa per un giorno intero, torcendomi le mani nell'attesa che Connor tornasse. Avevo provato a tenermi impegnata, ma i miei pensieri tornavano sempre a concentrarsi su quegli occhi addolorati che si velavano di furore.
"Dove sarà adesso?" mi chiesi, angosciata, quando vidi che la notte iniziava a calare e di Price non c'era traccia. Senza neanche formulare un programma logico afferrai cappotto e cappello e mi avventurai tra i moli di Fisherman's Wharf alla ricerca dell'unica persona che mi poteva aiutare.
-Sa dirmi dove abita Antonio Iaconi?- chiesi ad una vecchietta incartapecorita che fissava il mare con occhi vacui da uno dei moli. Dovetti scandire più volte la domanda prima che lei mi indicasse una serie di casupole con l'indice nodoso; la ringraziai con un cenno del capo e mi avviai freneticamente verso le dimore dei pescatori, scrutando con lo sguardo le masse di lavoratori che tornavano a casa in quel momento.
Fu Tony a venirmi incontro, accompagnato da un altro ragazzo italiano che non conoscevo.
-Lui è Giacomo: è arrivato da poco, non parla l'inglese molto bene… Per questo sta con me.- mi spiegò con un sorriso.
-Tony, non abbiamo molto tempo: Price è scomparso da ieri sera!-
-Scomparso?- ripeté lui, rabbuiandosi -In che senso? Temi che l'abbiano preso per la… Per ciò che ha fatto ieri?-
-No, se ne è andato. Noi… Ecco… Stavamo parlando poi lui si è arrabbiato perché io…-
Una scintilla di rabbia attraversò le iridi verdi del ragazzo:
-Ti ha forse molestata in qualche modo?-
-Santo cielo, no! E' tutt'altra storia, Tony… Ti prego, aiutami a ritrovarlo!-
Lui sbuffò, scambiando con Giacomo qualche parola in italiano, poi mi sorrise con la sua solita aria gioviale:
-Stai accumulando favori su favori: fra un po' ti toccherà di nuovo uscire con me!-
Io ridacchiai, ma non risposi: in quel momento la preoccupazione per Connor sovrastava qualsiasi altra emozione.
Entrammo in ogni bettola e in ogni osteria che incontrammo: ero sicura, infatti, che Price si fosse rintanato da qualche parte a bere. Le altre opzioni – che si fosse rifugiato in qualche bordello o che stesse sperperando il suo poco denaro al tavolo da gioco – non le volevo neanche prendere in considerazione.
Finalmente lo trovammo disteso per terra vicino al porto, con il fiato che puzzava tremendamente di alcool e privo di conoscenza; i due ragazzi lo trasportarono fino all'appartamento mentre io masticavo improperi poco signorili nei confronti di quell'aristocratico inglese da strapazzo.
Appena entrati in casa Tony si voltò verso di me con aria confusa:
-Dove lo mettiamo?-
Sebbene da quando fossi arrivata Connor dormisse sul divano, non esitai nell'indicargli la camera da letto. Ma mentre lo adagiavano sul materasso Giacomo mi squadrò in modo approfondito e vagamente accusatorio, prima di borbottare qualcosa nella sua lingua natia; Tony si irrigidì e gli rispose a denti stretti, poi fece per congedarsi.
-Cosa ha detto il tuo amico?- domandai, forse un po' troppo vivacemente. Il ragazzo sembrava restio nel rispondermi:
-Ha chiesto se per caso voi due siete sposati…-
-E  che hai risposto?-
-Che non sono affari suoi!-
Io ridacchiai ancora, sentendo montarmi dentro un principio di isteria, ma Tony era serio:
-Dimmi la verità, Elizabeth: dormite insieme?-
Dovetti far ricorso a tutta la mia pazienza per non mollargli uno schiaffo e cacciarlo fuori di casa. Da parte sua, Tony sembrava già pentito di avermi posto quella domanda e si affrettò ad aggiungere:
-Voglio dire, ci sono i suoi abiti qui e nella casa non ci sono altre stanze da letto, quindi…-
-Per l'ultima volta: tra me e Connor non c'è niente! Siamo costretti a questa convivenza forzata di cui farei volentieri a meno! E lui dorme sul divano!-
Il ragazzo meditò un attimo su quelle parole, poi, prima di varcare la porta, disse:
-Sappi che da noi sarai sempre la benvenuta!-
Sospirai, adagiandomi un attimo contro il muro del corridoio prima di andare a verificare le condizioni di Price. Sorprendentemente, lo trovai con gli occhi aperti, anche se non era del tutto lucido; prima che potessi aprire bocca ringhiò:
-Convivenza forzata, eh?-
Chiedendomi perché si fosse soffermato proprio su quelle parole, mi sedetti sulla sponda del letto e lo ignorai:
-Come ti senti?-
Connor mi fissò attentamente, poi si fece forza sui gomiti con un gemito di dolore e si chinò verso di me:
-Sono piuttosto irritato, piccola tigre!-
-Ah, tu sei irritato?- sibilai, incrociando le braccia al petto. -Sei sparito per un giorno intero, Connor!-
-Sì, ma tu mi sei venuta a cercare! Perché eri preoccupata, vero, Lizzie? Vero che eri preoccupata per me? Sì, tu lo sei, tu a me ci tieni… Anche se meno di quanto tieni a quell'italiano incapace!-
-Cosa stai blaterando?-
-Cose senza senso, sono ubriaco, no? Ma forse un po' di senso lo hanno, almeno per me… E visto che sono ubriaco e non ci ricorderemo di questa conversazione, domani mattina, ti dirò un segreto!-
Connor sorrise e l'espressione felice distese i tratti severi del suo volto, rendendolo più giovane.
-Fin dal momento in cui sei apparsa sulla mia porta, Elizabeth Walker, ho ammirato ogni aspetto di te. Le tue contraddizioni, la tua bellezza, la tua inesperienza… Sai, probabilmente mi sono innamorato di te. Buffo, no? Ho girato i bordelli di tutto il mondo e infine ad insegnarmi l'amore è una ragazzina sprovveduta del Wyoming, ah!-
Si sporse ancora, mentre io ero come paralizzata, incapace di muovermi; Connor sfregò la testa contro la mia spalla come un gatto, con le braccia mi circondò la vita.
-Hai un profumo così buono…- bisbigliò, giocando con i miei capelli -Queste notti l'ho sognato spesso, ad occhi aperti… Mentre ti immaginavo nella stanza accanto, intenta a spogliarti o a dormire con quella deliziosa camicia da notte… Sì, perdonami, mia cara, non ho resistito: ti ho spiato, ma ti giuro su quello che vuoi che non ho messo piede in questa stanza mentre tu riposavi! Sei così bella, così diversa da me! Forse è per questo che ti voglio così disperatamente!-
D'improvviso, mentre io iniziavo quasi ad abituarmi al suo calore e al suo tocco, Connor si lasciò ricadere sui cuscini.
- Me ne sono reso conto ieri sera, sai? Quando Jefferson stava per spararti non ci ho visto più! Farei di tutto per te, sacrificherei la mia vita senza pensarci un istante e la cosa mi spaventa… Per questo non posso sopportare il tuo disprezzo. Potrei sopportare la tua esasperazione, la tua rabbia, forse anche la tua indifferenza… Ma il disprezzo no, proprio no! Perché, vedi, ti voglio come non ho mai voluto una donna in tutta la mia vita e ti amo come nessuno ti potrà mai amare, in questo mondo o nel prossimo.-
Stava ormai scivolando nel sonno, quando lo udii sussurrare:
-Ma non potrò mai averti… Perché sei la pura sorellina di Mark, mentre io sono un assassino…-
 
 
Angolo Autrice:
Ecco il mio capitolo preferito : D
Connor è un personaggio difficile da trattare ed essendo così chiuso e scostante l'unica trovata che mi è venuta in mente per fargli dire ciò che pensava era farlo ubriacare xD
Spero comunque di non aver esagerato e che il cambiamento non risulti troppo repentino… Ma non preoccupatevi, dal prossimo capitolo tornerà ad essere il solito mascalzone irriverente di sempre, anche se spero di essere riuscita a rendervelo un po' più simpatico ahahah xD
Queste "confessioni" sono un vero e proprio punto di svolta per questo personaggio, quindi che ne dite del suo passato turbolento? E come pensate che reagirà Elizabeth?
Alla prossima
 
Crilu 

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Capitolo 14
*** The inspection ***




-Buongiorno…-
La voce di Connor alle mie spalle mi fece sobbalzare e per poco non lasciai cadere gli acquisti che avevo fatto al mercato. L'uomo era adagiato con la sua solita indolenza ed un'aria ancora più sfatta ed assonnata del solito contro lo schienale della poltrona e mi osservava con evidente riprovazione.
-Buongiorno anche a te!- replicai, tentando di tenere fermo il mio tono di voce. Ognuna delle parole che aveva pronunciato la sera prima erano ben impresse nella mia testa, ma mi rifiutavo di rimuginarci sopra; cercavo disperatamente di convincermi che fossero solo i deliri sconnessi di un ubriaco, sebbene intimamente sapessi bene che era la pura verità.
Lo sguardo vigile di Price e la sua rude sollecitudine nei miei confronti erano la prova che le sue non erano parole buttate al vento… Era una situazione troppo complessa per una ragazza pratica e semplice come me e quasi desiderai che ci fosse mia madre lì a consigliarmi.
Non potendo rivolgermi a lei, mi ero risolta ad ignorare sia la tormentata dichiarazione di Price sia il corteggiamento di Tony: l'uno mi attraeva come l'ago di una bussola viene attratto dal Nord, una sensazione ineluttabile ed imprescindibile, l'altro era tutto ciò che da ragazzina sognavo di trovare in un uomo, ma preferivo anteporre ad entrambi la salvezza di mio fratello.
"Codarda!" mi rimproverò la mia coscienza, mentre mi dirigevo in cucina e Price mi seguiva con un'espressione strana in viso.
-Dove sei stata?-
-Non è evidente?-
-Con Tony?-
Mi voltai, scrutandolo in viso per vedere se quella domanda nascondesse un collegamento con le confessioni del giorno prima; ma Connor sembrava solo stanco e provato, oltre che reduce da una colossale sbronza.
"Bene, così non dovrò affrontare altre conversazioni imbarazzanti."
-Quel gentile ragazzo ha un lavoro, a differenza di un certo nobile di mia conoscenza!- sibilai, con tono più duro del dovuto -Sono uscita da sola.-
-Hai perso il senno? Con tutto quello che è successo due giorni fa dovresti restare chiusa in casa e…-
Fu interrotto da degli energici colpi alla porta. Price si immobilizzò, lanciando un'occhiata alla camicia stropicciata e sporca che indossava dal giorno prima.
-Renditi presentabile!- gli sussurrai, superandolo per andare ad aprire. Connor mi afferrò per il polso, da cui si diramarono piacevoli brividi caldi lungo tutto il braccio:
-Non farlo! Non sai chi puoi trovare dall'altra parte!-
-Chiunque sia, non assaliranno una ragazza senza apparente motivo!-
Lo sguardo di Connor si addolcì, mentre chi era sul pianerottolo bussò una seconda volta:
-Sei così ingenua…- mormorò, come in un'eco di ciò che aveva ammesso tra i fumi dell'alcool, accarezzando la mia mano. Sembrò quasi sul punto di aggiungere altro, ma una voce imperiosa gridò:
-Connor Price, apra la porta, in nome della legge!-
 
I gendarmi che mi apparvero davanti quando aprii l'uscio erano diversi da come li immaginavo: avevano un'aria torva, ma erano entrambi sgraziati e con le divise male allacciate, perciò fallivano nel loro intento di sembrare minacciosi.
-Cerchiamo il signor Connor Price!- sbraitò il più basso, cercando di introdursi nell'appartamento.
-Che modi!- replicai, indignata, ma la bocca mi si seccò nel notare la terza figura che si stagliava nel vano della porta. Non perché l'uomo con l'elegante cappotto grigio fosse orribile a vedersi, anzi: si trattava di un bell'uomo sulla quarantina, con capelli brizzolati ben pettinati, lineamenti decisi e una barba grigia ben curata. Sorrideva con aria accondiscendente e lo si sarebbe potuto definire affascinante, se i suoi occhi non avessero avuto un inquietante scintillio rapace. Le iridi azzurre si fissarono su di me e con un gesto intimò ai due colleghi in divisa di fermarsi:
-La signora Price, suppongo?- disse, con voce paterna. Io arrossii e spalancai la bocca.
-No, io veramente…-
-Non siete sposati?- insinuò ancora l'uomo con il cappotto, sempre sorridendo. Ora la sua voce aveva un tono più mellifluo.
-La signorina Walker è sotto la mia tutela, ispettore Nelson. Salve, signori, a cosa devo l'onore dalla vostra visita?-
Connor era apparso al mio fianco al momento più opportuno e poggiandomi una mano sulla spalla, come a sottolineare le sue parole, mi aveva salvato dalle domande infide dell'ispettore.
-Lo conosce?- sibilai, utilizzando la terza persona per pura formalità davanti a degli estranei. Connor non distolse lo sguardo da Nelson, rispondendo cupamente:
-Ci siamo incontrati anche troppo spesso, ultimamente…-   
-Walker, eh? Parente di Mark Walker?- ridacchiò l'ispettore, senza perdere il buonumore.
-Sono sua sorella!- risposi, stupendomi io stessa della tranquillità con cui fronteggiai lo sguardo dell'uomo.
-Oh, adesso si spiega tutto! Sa, Price, il principale testimone nel processo del suo amico… Nonché fratello della signorina qui presente… E' stato ritrovato morto ammazzato ieri mattina. Conveniente, non le pare?-
Connor non abbandonò la sua aria rilassata ed indolente, ma strinse le labbra e rispose beffardo:
-E' un'accusa, ispettore? Per favore, sia più chiaro! Mi ha già accusato di istigazione alla rivolta, di aver partecipato a convegni illegali e di finanziare i rivoltosi socialisti… L'omicidio, in effetti, mancava alla lista!-
Nelson divenne serio di colpo:
-Attento, Price! Lei scherza un po' troppo, per i miei gusti… Siamo qui per ispezionare la dimora e trovare eventuali prove della sua implicazione nell'omicidio di Roger Jefferson. Con permesso, signorina Walker!-
Mentre i due poliziotti frugavano in ogni dove e l'ispettore studiava l'appartamento vagamente annoiato, io feci del mio meglio per non scoppiare a piangere.
"La camicia sporca di sangue, la pistola… Troveranno tutto. Oddio, anche Connor finirà in carcere, anzi, dritto al patibolo!"
Non riuscivo a capire come facesse a nascondere così bene l'ansia e la preoccupazione.
-Avete finito?- domandò Nelson quando i due gendarmi gli si presentarono davanti. Quelli esitarono:
-In realtà, signore, ci mancherebbe la camera da letto…-
-E perché non avete proceduto con l'ispezione?-
-Credo di capire cosa sia successo.- intervenne Price con un sorrisetto serafico sul volto -Deve sapere, ispettore, che la camera da letto è ad uso esclusivo della mia ospite. Da quando lei è qui, io dormo sul divano!-
Nelson spostò lo sguardo da Price agli altri due uomini, poi ghignò:
-Se questo è un trucco per non farci indagare in quella stanza, Price, non le è riuscito! E voi due, muovetevi, avanti!-
-Ma, signore, non è decoroso!- protestò debolmente uno dei due.
Connor si voltò verso di me; tutt'oggi non so come feci a comprendere così bene il messaggio delle sue iridi ambrate, ma feci un passo avanti ed esclamai:
-Se i signori sono d'accordo, vi scorterei io nella mia camera!-
Sostenni fermamente lo sguardo indagatore di Nelson:
-Non vorrete mica frugare in mezzo alla mia biancheria privata, spero!- insistetti, con tono sdegnato.
L'ispettore sbuffò, scuotendo la testa, poi ci fece cenno di procedere.
I gendarmi sembravano incapaci di agire con discrezione: aprivano i cassetti facendoli quasi uscire dal cassettone, mettevano in disordine i miei abiti senza curarsi poi di rimetterli al loro posto… Quando il più allampanato e giovane dei due provò ad aprire il cassetto della biancheria, mi piantai davanti a lui con le braccia incrociate e le guance che andavano a fuoco.
-Qui no, per favore!- esclamai, con tono più dimesso ed incerto di quanto intendessi. L'uomo, però, si affrettò ad obbedirmi e in pochi minuti l'ispettore Nelson dovette ammettere che la perquisizione non era andata a buon fine.
-So che lei è implicato in questa storia, Price… E troverò anche il modo di provarlo!- ringhiò nell'andarsene, avendo ormai perso tutta l'amabilità ed il buonumore di quando era arrivato.
Una volta che la porta si fu richiusa alle sue spalle, Price si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, rilassando i muscoli contratti per la tensione, mentre io mi diressi a passo spedito verso la camera.
Come avevo immaginato, nel cassetto della mia biancheria c'erano la camicia impregnata di sangue di Connor e la sua pistola.
-Brutto…!- provai ad esclamare, prima che la sua mano mi tappasse la bocca.
-Ssssh, tigre!- sussurrò nel mio orecchio, con un accenno divertito -Potrebbero essere ancora lì fuori ad ascoltarci!-
-Sei un pervertito!- sibilai allora, inviperita. -Hai superato il limite della decenza, Connor!-
-Sì, direi di sì!- rispose, sornione e quasi compiaciuto. Poi mi strizzò l'occhio:
-E non sarebbe neanche la prima volta!-
Sbuffai, pronta a rispondergli a tono, ma fu allora che mi resi conto appieno della nostra situazione: Connor mi stava vicinissimo, aveva fatto scivolare la mano dalla bocca al collo e non sembrava intenzionato a spostarla. Il contatto con quel palmo caldo e morbido era piacevole, ma stuzzicava anche un istinto che credevo di non possedere: sentii il mio corpo scaldarsi mentre lo sguardo di Connor si posava sulle mie labbra.
-Sei… Sei incorreggibile, Price!- balbettai, imponendomi di non fissare quelle iridi ammalianti.
Connor non si scompose:
-Mai affermato il contrario, tigre. Ma ti devo fare i miei complimenti: prima hai compreso immediatamente ciò che non potevo dirti a parole!-
Io mi strinsi nelle spalle, mentre l'uomo continuava:
-Sai, forse mi sbagliavo ieri sera.-
Mi irrigidii e sentii la bocca farsi d'improvviso molto arida:
-Cioè?-
-Forse non siamo così incompatibili, io e te!-
E fischiettando per quella conclusione beneaugurante prese il cappello ed uscì di casa, lasciandomi basita ai piedi del letto.
 
 
Angolo Autrice:
E così conosciamo un altro personaggio particolare (e leggermente sinistro): l'ispettore Nelson sarà la minaccia appostata alle spalle di Connor, che d'ora in poi dovrà stare molto attento a come si muove. Che ne dite della sua trovata? E' proprio nel suo stile xD anche se Lizzie pare non aver apprezzato… In questo capitolo mette in pausa i suoi sentimenti in nome dell'affetto fraterno, ma per quanto potrà reggere questa debole scusa?
 
Crilu 

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Capitolo 15
*** The factory ***




Dopo la cortese visita dell'ispettore Nelson ero tesa come non mai e quando qualcuno bussò nuovamente alla porta sobbalzai. Connor non era ancora tornato dalla sua passeggiata ed io ero incerta se aprire o meno. Poi, però, la voce familiare di Tony mi fece sorridere:
-Elizabeth? Sei in casa?-
Spalancai l'uscio e rimasi stupita dal ragazzo che mi trovai davanti: aveva i riccioli pettinati all'indietro, una camicia pulita e dei pantaloni ed una giacca quasi eleganti che non gli avevo mai visto indosso. Tra le mani, invece, teneva il solito berretto da pescatore grigio, consunto dall'uso.
-Tony!- esclamai, fissandolo sorpresa. -Cosa succede?-
Lui abbozzò un sorriso:
-E' domenica. Torno adesso dalla Santa Messa!-
Mi passai una mano sulla fronte, stupefatta: non tanto per aver mancato la funzione (erano dieci anni che non mettevo piede in una chiesa) ma per il fatto che gli eventi mi avevano travolto a tal punto da farmi perdere la nozione del tempo.
-Ero passato a vedere come stavi.- continuò Tony, ora più serio. -E mi chiedevo se avessi voglia di passeggiare ancora con me. Dopotutto, me lo devi, ricordi?-
Scoppiai a ridere e preso il soprabito lo seguii per le scale.
-Ho delle novità per te!- mi disse, mentre camminavamo lungo le vie del quartiere che sembrava più moderno, giovane e molto frequentato rispetto ai giorni settimanali. Anche la bruma che solitamente avvolgeva Fisherman's Wharf si era diradata e un pallido sole invernale illuminava il mercato rionale.
-Davvero?- chiesi, con gli occhi che brillavano.
-Già. Stuart, l'uomo che stavo seguendo l'altra sera, è morto.-
-Morto?- strillai, attirando l'attenzione di alcuni passanti.
-Purtroppo sì, non ci potrà essere di nessuna utilità… Mi dispiace.-
-Come è morto?-
-Annegato cadendo dal molo. Dicono che fosse ubriaco come al solito, ma io non ci credo. Vedi, è vero che negli ultimi due giorni l'ho visto solo di sfuggita, ma era diverso: più sospettoso, quasi spaventato da qualcosa… Credo sapesse cosa lo aspettava.-
-Intendi dire che qualcuno lo ha ucciso?-
Tony si guardò intorno a disagio, poi accostò le labbra al mio orecchio:
-Io non l'ho detto, capisci? Nessuno lo dice… Ma molti lo pensano.-
-Comprendo…- mormorai, pensierosa.
Passeggiammo fino al pomeriggio e anche se Tony costituiva un'ottima distrazione dalle preoccupazioni, i miei pensieri tornavano sempre all'ubriaco morto annegato…
"Ti sei infilata in qualcosa più grande di te, Lizzie. Cosa ne sai tu di omicidi? Beh, a pensarci bene, forse ne so fin troppo…"
Fu allora che incrociammo Connor, scuro in volto. Pensai che fosse perché ero uscita senza preavviso, ma lui parve fare appena caso alla presenza di Tony al mio fianco:
-C'è un problema.- affermò, nervoso.
-Ha sentito anche lei di quell'uomo?- intervenne subito l'italiano.
-Eh?- sbraitò Price, con gli occhi stralunati -Quale uomo?-
-Quello che seguivamo l'altra sera… Che è morto annegato…-
-Ah, no, no… Notizia interessante, ma quella che ho da riferirvi io è più urgente. Elizabeth, dobbiamo andare, svelta!-
-Ma dove?- domandai, mentre lui mi prendeva per un braccio, come d'abitudine, ed iniziava a trascinarmi via con sé. Tony inarcò la fronte davanti a quel gesto, ma ci seguì senza commentare. Non credevo che Connor avrebbe risposto alla mia domanda, invece dopo un po' lo fece:
-Alla fabbrica di Calloway. Gli operai minacciano di occuparla.-
 
Quando arrivammo davanti alla fabbrica ebbi difficoltà a scorgerne i cancelli oltre la folla rumoreggiante. Apparve subito evidente che gli operai dovevano aver chiamato a protestare anche altri colleghi che non lavoravano lì; alla testa del gruppo più facinoroso vidi Ezra Clarke intento ad inveire contro un uomo che sostava dall'altra parte dei cancelli chiusi. Non c'era bisogno che Connor mi spiegasse chi fosse: la somiglianza tra Thomas Calloway e sua figlia Barbara era, in effetti, impressionante.
L'uomo fissava Clarke con puro disprezzo, incurante dei sassi e degli altri oggetti che gli venivano lanciati attraverso le sbarre.
-Inutile gridare così, Clarke!- ruggì, con una voce insolitamente potente per un uomo della sua età
-Fra poco vi sgombereranno!-
Già si intravedevano, ai lati della strada, alcuni agenti pronti ad intervenire…
-Sarà un massacro!- bisbigliò Tony, sgomento.
Senza pensarci due volte mi infilai tra i lavoratori che rumoreggiavano inferociti, fino a raggiungere Clarke. Dietro di me sentii i richiami allarmati di Connor, ma non ci badai ed afferrai il sindacalista per la manica della giacca:
-Cosa sta succedendo?-
L'uomo mi guardò con gli occhi stralunati, poi sorrise ai suoi compagni:
-Guardate, la sorella di Mark è venuta a protestare con noi!-
Prima che quegli uomini potessero inghiottirmi con entusiasmo nel loro corteo, costrinsi Clarke a fissarmi negli occhi:
-Cosa sta succedendo?- ripetei -Cosa state facendo? Vi farete ammazzare così!-
Lui fece un cenno con il capo a Calloway, che seguiva da lontano il nostro discorso; avvertivo il peso del suo sguardo attento sulla nuca.
-Lo chieda a lui, signorina Walker. Ha minacciato di chiudere la fabbrica e di licenziarci tutti finché non denunciamo il colpevole di certi ammanchi nei carichi… Lascerà senza salario e senza pane decine di famiglie!-
Il rumore della folla era sempre più forte ed il numero degli agenti che la circondavano sempre più grande… Mi guardai attorno, ma non riuscii a ritrovare né Tony né Connor. Allora fischiai, come mi aveva insegnato mio padre per richiamare il suo cavallo Tasunke: un sibilo potente e prolungato ottenuto con due dita infilate in bocca. Molti degli operai si fermarono, sorpresi; anche alcuni poliziotti si arrestarono per vedere cosa sarebbe successo. In una strada un po' più silenziosa, ma non per questo meno tesa, mi avvicinai al cancello, fino a trovarmi a pochi palmi di distanza dal volto affilato e rugoso di Thomas Calloway. Ci fissammo attraverso le sbarre e a differenza di quanto mi aspettassi non provai disagio o paura, ma sostenni calma il suo sguardo.
-Mi faccia entrare.- mormorai, conciliante. L'uomo sorrise senza scoprire i denti:
-Non vedo il motivo, signorina Walker. Se aprissi il cancello, questa gentaglia si riverserebbe in massa nella fabbrica e farebbe a pezzi il sottoscritto!-
-Non sono bestie inferocite, signor Calloway!- puntualizzai, leggermente irritata -Mi faccia entrare, la prego, io… Devo parlarle!-
-Di suo fratello, per caso?-
-Anche. Ma in particolar modo di certi furti da lei subiti…-
Una scintilla di interesse brillò negli occhi di Calloway, che borbottò, diretto alle guardie armate che presidiavano l'entrata:
-Fateli stare indietro…-
Poi aprì di poco il cancello, appena il necessario affinché riuscissi a scivolare nell'ampio cortile della fabbrica. Mentre ci dirigevamo all'interno dell'edificio mi voltai solo una volta: in mezzo ai lavoratori che avevano ripreso a vociare scorsi Connor, aggrappato alle sbarre del cancello nonostante qualche agente cercasse di tirarlo via. Aveva le nocche sbiancate dallo sforzo di non muoversi da lì e si reggeva ben saldo sulle gambe, così che gli altri uomini non riuscivano a spostarlo neanche di pochi pollici. Mi fissava con un'intensità simile a quella dimostrata da ubriaco e sembrava voler aprire a forza il cancello per venire con me; i suoi occhi castani trasmettevano un messaggio ben preciso.
"Stai attenta, tigre."
 
Ero seduta su una comoda poltrona damascata all'interno dell'ufficio di Thomas Calloway, ma non mi ero mai sentita così a disagio. Mi guardai intorno, chiedendomi come un ambiente così ordinato e lussuoso potesse trovar posto in quella fabbrica di umili mattoni e ferro battuto.
Il proprietario si era accomodato dall'altra parte della scrivania e per un attimo mi chiesi se non mi fossi infilata da sola nella tana del lupo:
"Come posso essere così sicura che non ci sia lui dietro tutto questo? Che non sia stato lui a creare ad arte la faccenda dei furti per coprire i suoi traffici e che abbia incastrato Mark una volta che gli era diventato scomodo?"
Ma a supportarmi avevo le parole ferme e sicure di Barbara ed il mio istinto, di cui avevo imparato a fidarmi per leggere le persone. Osservai Calloway senza proferire parola, passando dai folti capelli bianchi ai baffi ben curati, per poi scendere sul petto ampio e sulle spalle squadrate. Sgranai gli occhi, sorpresa:
-Lei è malato, signor Calloway?-
L'espressione dell'uomo, vagamente annoiata e divertita, si fece allarmata:
-Come lo sa? Chi gliel'ha detto?-
-Il suo respiro. E' stentato, ma fa di tutto per non mostrarlo, vero? Eppure lei sa che non potrà continuare ancora a lungo…-
Quell'intuizione inaspettata mi poneva in una posizione di vantaggio e mi predisposi ad affrontare quel colloquio con maggiore sicurezza. Il vecchio sembrò perdere di colpo gran parte delle sue energie e della sua alterigia:
-Ha ragione, signorina Walker: non potrà andare avanti così per molto, ormai.-
-Chi altri ne è a conoscenza?-
-Solo il mio medico di fiducia, per il momento. Ho già abbastanza grattacapi senza che qualcuno venga a pretendere la mia eredità prima che il mio corpo diventi freddo nella bara!-
-Credevo che il patrimonio passasse a sua figlia…-
Gli occhi azzurri di Calloway si venarono di tristezza:
-I soldi, certamente. Ma tutto il resto? La fabbrica, i commerci, i contratti… Non sono cose che Barbara potrebbe gestire. E' una donna e sarebbe indecoroso che si mettesse a discutere di quante e quali armi vendere a chissà chi… E poi non voglio costringerla alla vita che ho fatto io, inghiottito dal mio lavoro.-
Si interruppe, abbozzando un sorriso:
-Sa, adesso noto la somiglianza con suo fratello. Avete entrambi la pericolosa capacità di far parlare le persone senza che esse si rendono conto di ciò che stanno rivelando!-
Io piegai il capo di lato, riflettendo:
-Si fidava di Mark?-
L'uomo strinse i pugni, adirato:
-Sì, gli avevo concesso fiducia e credevo che la meritasse. Invece lui mi ha tradito!-
-Non è vero!-
-Sì, invece! Aveva promesso di mantenere il segreto sui furti ed eccola qui, pronta a ricattarmi!-
-Sta dicendo delle assurdità!- sbottai -Lei è offeso dal fatto che l'umile operaio che aveva preso a benvolere le avesse nascosto qualcosa. Sa almeno perché Mark ha ucciso quell'uomo, tanti anni fa?-
Lui scosse la testa ed io continuai, sempre più infervorata:
-Perché io ero in pericolo. Lui mi ha difeso, perché Mark difende sempre le persone a cui tiene. E non ha detto una parola su di lei; è stato il suo amico, Connor Price, a raccontarmi come sono andate le cose, quando sono arrivata a San Fransisco.-
Mi adagiai contro la poltrona, respirando affannosamente:
-Mio fratello voleva chiederle aiuto una volta scovato il colpevole dei furti. Ma Roger Jefferson, istigato da qualche criminale implicato in questa storia, gliel'ha impedito… Quello che le chiedo ora, signor Calloway, è del tempo. Tempo che ci sarà utile per capire chi c'è dietro a tutto questo, ma sarà tutto inutile se lei chiuderà la fabbrica! Cosa spera di risolvere, in questo modo?-
-Tempo!- borbottò l'uomo, esasperato -Si rende conto che mi sta chiedendo l'unica cosa che non ho? Barbara è nubile e quando io non ci sarò più cosa ne sarà della fabbrica o degli operai? Non sono un bastardo senza cuore, signorina Walker! Solo, non voglio vedere ciò che ho costruito cadere a pezzi per colpa di un miserabile ladruncolo! E chiudere mi sembra l'unica soluzione logica affinché le mie armi non scorrazzino per la città in mano a gangster non paganti!-
Mi chinai in avanti, con gli occhi lucidi per la tensione e l'amarezza:
-La prego, signor Calloway…-
-Roger Jefferson è morto.- disse lui dopo qualche istante, molto lentamente -Immagino che questo rallenterà il processo nei confronti di suo fratello almeno di qualche settimana. E' tutto il tempo che posso concederle.-
 
 
Angolo Autrice:
Finalmente libera :D
Purtroppo, visto che mi trasferirò al mare non so se e quando avrò internet per riaggiornare, perciò oggi posterò anche i capitoli di Fables e Fidati di me.
Finalmente arriva sulla scena Thomas Calloway: cosa ne dite, colpevole o innocente?
 
Crilu 

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Capitolo 16
*** The shot ***




Appena misi piede fuori dalla fabbrica ripresi a respirare a pieni polmoni, più rilassata. Calloway aveva già provveduto ad aprire i cancelli e a far riprendere la produzione, perciò lo spiazzo antistante la cancellata era sgombro, fatta eccezione per i miei amici.
Entrambi avevano espressioni tese e preoccupate, ma il primo a scattare, quando mi vide avanzare timidamente verso di loro, fu Tony. E probabilmente fu quello a salvargli la vita.
Uno scalpiccio di passi, uno sparo, il grido affannato di qualche signora ignara… Ecco tutto ciò che ricordo, visto che ero girata dall'altra parte, intenta a ragguagliare Tony su ciò che era avvenuto.
Quando mi voltai, vidi Connor a terra che si premeva una mano sulla spalla insanguinata.
-Oh, Dio!- esclamai, correndo verso di lui, mentre il mio sguardo saettava alla ricerca dell'attentatore. Avvertii i passi di Tony dietro di me e un attimo dopo stavamo rotolando a terra, mentre un secondo proiettile ci mancava di poco.
-Lasciami! Lasciami!- strillai, gli occhi fissi su Price, indifeso e in piena vista al centro della piazza. Tony cercò di bloccarmi le braccia e di farmi scudo col suo corpo, ma riuscii a rifilargli una gomitata nel torace che gli mozzò il respiro e permise a me di barcollare in avanti.
Per qualche istante sia noi che gli altri passanti terrorizzati rimanemmo in attesa, sicuri che il cecchino invisibile avrebbe proseguito la sua opera; invece i minuti passavano ed io ero sempre più consapevole della macchia di sangue che si allargava sotto il corpo di Connor.
Quando fu chiaro a tutti che non ci sarebbero stati altri spari la piazzola si rianimò e alcuni agenti, rimasti nei dintorni dopo la sommossa degli operai, si dispersero tra i viottoli alla ricerca dell'assassino. Neanche uno si curò del giovane ferito, perciò nessuno mi impedì di inginocchiarmi accanto a lui per aiutarlo ad alzarsi.
-Presto!- ringhiò a denti stretti, vacillando nel tentativo di reggersi in piedi senza gravare su di me.
-Dobbiamo andarcene prima che vengano a farci delle domande!-
-Forse ci potrebbero aiutare…- mormorai, con voce spezzata dallo sforzo di sorreggere il suo peso da sola. Per fortuna Tony fu al mio fianco in un attimo e passando un braccio sotto le spalle di Connor iniziò a trascinarlo lontano dalla fabbrica di Calloway.
-Lascia la polizia fuori da questa storia, Elizabeth!- mormorò Connor affannato -Non vogliamo che tutto questo arrivi alle orecchie dell'ispettore Nelson, vero?-
-Va bene…- risposi, dopo un attimo di esitazione, passandomi una mano tra i capelli e scompigliando l'acconciatura ordinata. Ci eravamo riparati sotto un portico di una strada laterale e sembrava che la situazione si fosse calmata: la piazza era deserta e nessun fischio di pallottole attraversava l'aria.
-Andiamo a casa.- decisi, lanciando un'occhiata preoccupata alla ferita di Price, ma lui scosse la testa, stringendo i denti per il dolore causato da quel gesto veemente.
-Sanno chi siamo, dove abitiamo e cosa stiamo facendo. Non è sicuro là.-
-Tu hai bisogno di cure!- replicai, asciugandogli il sudore che iniziava a colare dalla fronte pallida.
-Potete venire a stare da me.- propose allora Tony.
-Non posso mettere in pericolo anche te!- ribattei, preoccupata -Da quello che dice lui siamo dei bersagli mobili, ricercati dai sicari di qualche pericolosa banda criminale. Non possiamo chiederti questo!-
-C'ero anche io in quella piazza!- disse il ragazzo lentamente, con espressione seria -Sanno che collaboro con voi, sono già in pericolo. L'unico vantaggio che abbiamo è che non mi conoscono. Casa mia è il luogo più sicuro per voi, adesso!-
Quello sguardo ombroso e consapevole lo rendeva più anziano e maturo, lasciando intravedere un carattere forte e saldo come una roccia.
Incapace di replicare ad una logica così stringata, mi limitai ad afferrare un braccio di Connor per tirarlo in piedi.
 
La casa di Tony era pulita, ma decisamente troppo buia e stretta per il numero di persone che ci vivevano. Oltre ai suoi genitori, alle due sorelle e al fratello più piccolo, in un cantuccio stava seduta anche una vecchia signora incartapecorita, che fissava il vuoto con occhi assenti.
-La nonna non aveva più nessuno in Italia, siamo stati costretti a portarla con noi…- mi spiegò, mentre trascinavamo Connor, ormai incosciente, fino alla branda che sua madre aveva preparato
-Però non si è mai adattata a questa situazione. Ormai non parla neanche più.-
Osservai preoccupata il volto bianco di Price, mentre mi affaccendavo a bendargli strettamente la ferita:
-Si riprenderà?- domandai con un filo di voce, torcendomi le mani.
-La buona notizia è che la pallottola non è rimasta incastrata nella sua carne: avremmo avuto serie difficoltà ad estrarla senza l'aiuto di un medico! Ora bisogna solo sperare che non gli salga la febbre!-
Rispose il mio amico, dopo aver discusso un po' con sua madre, che aveva esaminato Connor con occhio critico. In un gesto spontaneo Tony mi circondò le spalle con un braccio, stringendomi delicatamente a sé.
-Sta' tranquilla, Elizabeth: Price è un uomo forte e nel fiore degli anni. Sono sicuro che in pochi giorni sarà di nuovo in piedi!-
Ricordando l'eccezionale tempra che Price aveva dimostrato nel riprendersi velocemente da qualsiasi tipo di sbornia accennai un sorriso e mi rilassai un attimo nell'abbraccio dell'italiano. Poi saltai su come se fossi stata punta da uno spillo, rossa in volto.
"Cosa stai combinando, Lizzie? Sei a casa sua, davanti ai suoi parenti e di fronte al capezzale dell'uomo che ha confessato di amarti!"
-Io… Io… Forse è meglio se ci adoperiamo a continuare le ricerche!- balbettai, prendendo a camminare nervosamente avanti e indietro sotto lo sguardo incuriosito del fratellino di Tony. Lui inarcò un sopracciglio, deluso, ma non commentò, limitandosi a stirarsi sulla sedia di legno su cui si era appoggiato, flettendo i muscoli del torace e dell'addome. Non saprei dire se l'avesse fatto intenzionalmente, ma io sprofondai ancora di più nell'imbarazzo.
-Devo mandare un messaggio a Barbara Calloway!- esclamai, iniziando a mettere in ordine i pensieri.
-Devo avvertirla del colloquio con suo padre e del fatto che qualcuno abbia sparato a Connor. Oh, e se l'ispettore Nelson tornasse all'appartamento e lo trovasse vuoto?-
Prima che Tony avesse il tempo di rispondermi fui folgorata da un pensiero agghiacciante, che mi fece spuntare le lacrime agli occhi.
-Tony!- piagnucolai, tirando su con il naso -Temo di aver compromesso tutto!-
-Che vuoi dire?- chiese lui, balzando in piedi ed avvicinandosi a me. Capivo che avrebbe voluto accarezzarmi e consolarmi in qualche modo, ma si trattenne.
-Nessuno sapeva che saremmo stati in quella piazza, oggi. Se il cecchino avesse seguito noi o Connor, beh, abbiamo attraversato decine di vicoli deserti prima di giungere davanti alla fabbrica di Calloway, avrebbe potuto benissimo spararci in quel momento! No, chiunque sia il nostro attentatore, è stato avvertito dopo l'inizio della sommossa… Da qualcuno che mi aveva visto lì e che conosceva Connor e il suo rapporto con Mark!-
-Thomas Calloway…- sibilò il ragazzo, spalancando gli occhi. Annuii, sentendomi un'idiota per essermi fatta raggirare da un vecchio malato e all'apparenza stanco. Non riuscivo a cancellare dalla mente le espressioni sincere che avevo visto affiorare in quello sguardo d'acciaio.
"Decisamente, non sei tagliata per questa vita!"
-Inutile piangerci troppo sopra.- mormorò gentilmente Tony -Abbiamo comunque dei punti fermi da cui partire.-
-E quali sarebbero?-
-Innanzitutto, Alberto consegnerà un tuo messaggio alla signorina Calloway….-
-Va bene. Passatemi carta e penna!- Tony e il fratellino si scambiarono un'occhiata imbarazzata.
-Qui nessuno di noi sa leggere o scrivere, signorina.- balbettò il ragazzino, a disagio.
-Oh… Giusto. Beh, allora ascoltami, Alberto: devi trovare il modo di parlare direttamente con Barbara Calloway, hai capito? Solo con lei, non riferire il messaggio a nessun altro, mi raccomando! Le devi raccontare ciò che è successo oggi in piazza e le devi chiedere di cercare informazioni utili su suo padre, che ci potrebbero portare all'identità dei nostri nemici.-
"Cosa faremo una volta che avremo i nomi dei gangster coinvolti? Andremo a farci una chiacchierata amichevole? O li consegneremo alla giustizia? E in che modo questo aiuterà Mark? Non è accusato del furto in fabbrica, ma di un omicidio!"
Scacciai questi pensieri mentre Alberto, ubbidiente, ripeteva a memoria il messaggio da riferire. Poi il ragazzino corse fuori di casa sulle gambe magre, alla ricerca della residenza dei Calloway.
-Poi?- chiesi a Tony, sedendomi accanto a Price, ancora svenuto.
-Beh, ora sappiamo che il nostro uomo non si trovava lontano dalla fabbrica, altrimenti non sarebbe arrivato in tempo: bisognerebbe fare qualche ricerca nel quartiere e di questo posso occuparmene io…-
-Assolutamente no! L'hai detto anche tu che ti hanno visto con noi, in quella piazza. Tutti capirebbero subito cosa stai cercando!-
-Sì, ma ti ho anche detto che non sanno chi sono, mentre conoscono bene i bersagli, cioè tu e il signor Price! Con un po' di fortuna, nessuno farà caso a me… Del resto, ho già svolto un compito simile e tutto è filato liscio, no?-
A malincuore, dovetti ammettere che il suo discorso era ragionevole.
-Mi chiedo quando Calloway abbia deciso di ucciderci…- mormorai, appoggiata alla finestra, mentre il sonno stava per prendere in sopravvento.
-In che senso?- mi rispose l'assonnata voce di Tony, poco lontano da me.
-Voglio dire… E' stato con me tutto il tempo. Non l'ho visto fare dei gesti strani o avvicinarsi al telefono…-
-Dormi, ora, Elizabeth. Ci penseremo domani mattina.-
 
Fui svegliata ben prima dell'alba da un lamento soffocato. Sbattei le palpebre cercando di abituarmi all'oscurità e mi resi conto che ero stata l'unica a svegliarmi: Tony riposava su una sedia a pochi passi da me, avendo ceduto il suo letto a Price. Con un guizzo di lucidità compresi che era stato proprio Connor a destarmi, con dei gemiti di dolore strozzati.
-Calma!- sussurrai, quando lui sussultò e spalancò gli occhi, ancora confuso e spaesato. -Calma, Connor. Siamo a casa di Tony, siamo al sicuro.-
Connor afferrò il mio braccio e contemporaneamente mi squadrò attentamente per assicurarsi che stessi bene, poi ricadde sul cuscino con un sospiro di sollievo.
-La ferita ti fa male?- mormorai, liberandomi dalla sua stretta e chinandomi sulla fasciatura.
-Brucia un po', ma non è grave.- borbottò lui, osservandomi con gli occhi socchiusi. Venni scossa da un brivido nel notare la fame che brillava nel suo sguardo castano. Ero seduta sul bordo del suo letto, ma mi ero sporta talmente in avanti per controllare la ferita che ormai le nostre teste si sfioravano. Nonostante la situazione, constatai con stupore che l'odore della pelle di Connor era rimasto immutato; era lo stesso profumo penetrante e deciso che permeava la stanza in cui dormivo, sebbene fossero settimane che lui non ci mettesse più piede.
-Lizzie?- mi chiamò lui, costringendomi a guardarlo in viso con l'autorità che sembrava insita nella sua voce.
-Cosa c'è?- bisbigliai, avvertendo una curiosa e calda sensazione allo stomaco.
-Ho tanta voglia di baciarti.-
Sussultai, premendo inavvertitamente le dita sulla sua spalla, ma dopo una lieve smorfia Connor sembrò ignorarle.
-Non sta bene…- balbettai, agitata ma consapevole di non volermi tirare indietro. Questa era forse la cosa che mi spaventava più di tutte: io volevo di nuovo le labbra di Connor sulle mie!
Lui dovette leggere qualcosa sul mio viso perché sorrise ed alzò leggermente il capo:
-Facciamolo lo stesso…-
Capii che anche per lui richiedere un bacio invece di prenderselo era un'esperienza nuova e che se mi fossi tirata indietro in quel momento non avrebbe reagito.
Quasi inconsciamente, mi chinai verso di lui.
 
 
Angolo Autrice:
Bene, ai numerosi problemi di Elizabeth e Connor si aggiunge un cecchino misterioso. L'avrà davvero assunto Calloway? xD
 
Crilu

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Capitolo 17
*** The reasoning ***




Le labbra di Connor avevano un gusto amaro e salato, che assaporai a fondo mentre lui giocava con la mia lingua e mi tirava a sé con una presa leggera dietro la nuca. L'altra mano scivolò lungo la mia schiena, accarezzandomi quasi con venerazione. Ero colpita dalla dolcezza di quel bacio, visto che la prima volta mi aveva spinta contro il muro di un vicolo buio: sembrava che volesse trarre il massimo godimento dalla sua seconda opportunità.
-Così dolce…- mormorò, con gli occhi che brillavano, mentre mi baciava più castamente una guancia -E' inebriante. Non credo di poterne fare a meno…-
Aveva appena iniziato a mordicchiarmi le labbra, facendomi sorridere, quando il rumore improvviso della porta d'ingresso che veniva spalancata ci fece sobbalzare.
Mentre Tony si riscuoteva di colpo e sua madre correva trafelata nella stanza per rimproverare Alberto, rientrato solo in quel momento, io mi scostai da Connor facendo attenzione a non incrociare il suo sguardo. Poi, con estrema sorpresa di tutti, Barbara si affacciò sulla soglia. Analizzò con interesse l'ambiente spoglio ed incantò con un sorriso i presenti, prima di mormorare delle parole affettuose in italiano. Vidi Alberto raddrizzare la schiena con una smorfia orgogliosa che risultava buffa sul suo viso da ragazzino.
Non appena mi notò, in piedi accanto al letto di Price, mi si fece incontro con gli occhi leggermente più tristi.
-Ho ricevuto il tuo messaggio!- bisbigliò, lanciando a Connor un'occhiata preoccupata.
-Non posso ancora credere che mio padre abbia avuto un tale ruolo in tutto questo!-
Con un gesto che sorprese me per prima, le presi affettuosamente le mani tra le mie:
-Ci sono molti punti oscuri in questa faccenda, Barbara. Per il bene di Mark, dobbiamo far luce su di essi il prima possibile e sono sicura che tu ci possa aiutare.-
-Qualsiasi cosa!- esclamò lei, con gli occhi che brillavano -Ieri sera, quando questo ragazzino è venuto a portarmi il tuo messaggio, l'ho fatto aspettare in casa e durante la notte ho controllato nello studio di mio padre, ma non ho trovato nulla che possa esserci d'aiuto… Nessun nome, un indirizzo o qualche cosa che potesse collegarlo al traffico d'armi!-
-Thomas Calloway non è affatto stupido: se anche fosse in possesso di carte incriminanti non le terrebbe nel suo studio! Deve aver trovato un altro modo per truccare i registri in modo che ad una prima occhiata tutto sembrasse in ordine!- brontolò Connor, socchiudendo gli occhi. Barbara gli rivolse un'occhiata poco amichevole, ma prima che potesse replicare intervenni io:
-Fino a quando rimarremo qui, non è di Calloway che dovremo preoccuparci! Questa notte ho riflettuto sulla sparatoria e credo che sia collegata al volo di Stuart dal molo…-
-Chi è Stuart?- chiese la ragazza, confusa.
-Uno degli uomini presenti la sera in cui Roger Jefferson ha ricevuto il suo compenso per testimoniare contro Mark. Seguite il mio ragionamento: Mark fa bene le sue indagini e inizia a stringere il cerchio intorno al ladro, o ai ladri... Non sappiamo in quanti sono coinvolti all'interno della fabbrica… Così questo, o questi, si rivolgono ai loro soci, membri di una qualche banda mafiosa di San Francisco, per risolvere il problema costituito da questo operaio.-
Barbara, Tony e Price, che aveva insistito per alzarsi e sedersi accanto agli altri due attorno al modesto tavolo della cucina, mi fissavano attenti ed io abbassai la voce, come al solito timorosa di sbagliare:
-Invece di eliminarlo direttamente, indagano a loro volta e scoprono il suo ingombrante passato, il mezzo perfetto per toglierselo di dosso… Perciò rintracciano Roger Jefferson e lo convincono a presentarsi da Calloway e a denunciare Mark. Tutto fila liscio, finché Jefferson viene ucciso la sera stessa in cui riceve i soldi pattuiti. Ora, noi sappiamo bene come è andata, ma Stuart, il misterioso Winter e il quarto uomo di cui non conosciamo l'identità no e vengono messi in allarme… A questo punto, eliminare Stuart, inaffidabile, ciarliero e sempre ubriaco appare come una scelta molto saggia.-
-Mettiamo che il tuo ragionamento sia giusto: come facevano a sapere che tu e Connor vi trovavate lì? Perché prendervi di mira, se non perché Calloway li aveva avvertiti?- domandò Tony, la fronte corrucciata.
-Qualcuno li ha avvertiti, questo è certo. Ma non credo che sia stato Calloway: ormai non posso più credere che abbia orchestrato questa messinscena per incastrare Mark… Non ha senso! Se avesse voluto davvero uccidermi, ha avuto quasi un'ora di tempo mentre mi trovavo con lui nel suo studio, soli. E mi fido del mio istinto e di mio fratello, quando entrambi mi dicono che Calloway è un uomo severo ed intransigente, ma a suo modo onesto.-
Per qualche istante, il silenzio fu rotto solo dai rumori del porto che entravano dalla finestra aperta. Poi Connor ridacchiò:
-Sei straordinaria, tigre. L'ho sempre pensato, ma ogni volta la tua intelligenza mi lascia stupito!- Arrossii, lusingata ed orgogliosa di me stessa: la fatica ed il lavoro manuale non mi avevano mai spaventata, ma ero sempre stata restia ad esprimere ad alta voce ciò che pensavo. A Rosenville una ragazza con un'opinione non era vista di buon occhio.
Invece di crogiolarmi nel mio piccolo successo mi rivolsi a Barbara:
-Per trovare Jefferson ti eri rivolta ad un investigatore privato. Ti fidi abbastanza da mandarlo a cercare il cecchino nel quartiere che Tony ti indicherà?-
-Lo pagherò quel che serve per renderlo un uomo fidato!- scherzò lei, con un debole sorriso. Mentre l'accompagnavo alla porta, la sentii sospirare. Poi si voltò verso di me con gli occhi sgranati:
-Ti devo ringraziare.-
-Per cosa?-
-Ero disperata all'idea di dover scegliere se coprire mio padre o salvare l'uomo che amo… Ora nutro di nuovo la speranza di poterli avere entrambi nella mia vita!-
-Sì, beh… Non abbassare la guardia, non è detto che tuo padre sia totalmente estraneo a questa storia. Prima troviamo un modo di tirare Mark fuori di prigione, poi vedremo come riconciliarli… E chiamami Lizzie, per favore.- borbottai, imbarazzata.
Barbara sorrise e compresi come mai Mark si fosse innamorato di lei: aveva un sorriso capace di illuminare la stanza.
-Allora grazie… Lizzie.-
 
La settimana seguente trascorse in un'attesa snervante. Non avevamo notizie di Barbara e sia io che Connor, quasi del tutto ristabilitosi, eravamo impossibilitati a lasciare la casa di Tony. Il mio amico aveva ripreso il suo lavoro ed ogni sera ci aggiornava sulle chiacchiere di Fisherman's Wharf.
L'appartamento di Connor era stato perquisito dalla polizia, messa in allarme dal suo coinvolgimento nella sommossa operaia, e successivamente da un gruppo di uomini di cui nessuno sapeva fornire una descrizione.
-La casa è un disastro!- ci riferì la sera stessa Tony, con espressione contrita. Ma non mi interessava granché dello stato in cui le due ispezioni avevano lasciato l'appartamento: piuttosto, pensavo al senso di sicurezza e di pace che in quelle settimane avevo imparato ad associare a quelle quattro pareti. Non riuscivo a stabilire se mi disgustasse ed inquietasse di più l'idea che le mie cose fossero state esaminate dal freddo ispettore Nelson o da dei malviventi sconosciuti.
Non ero neanche riuscita a parlare con Connor del bacio che ci eravamo scambiati e di ciò che significava per entrambi. Vista la grande quantità di tempo libero che avevo a disposizione avevo deciso di analizzare con calma e razionalità l'insieme confuso di emozioni che si era impadronito di me da quando avevo messo piede in città: guardandomi allo specchio vedevo che non ero affatto cambiata, ma ero altrettanto sicura di non essere più la ragazza che conduceva una vita solitaria e ritirata in una fattoria del Wyoming.
Quando perciò decisi di mettere ordine tra i miei pensieri, fui quasi stupita dalla scelta che il mio cuore aveva fatto: la vecchia Elizabeth, quella che non era stata ancora stretta dalle mani rudi di un pistolero, si sarebbe buttata sognante tra le braccia di Tony; la donna pratica ed insicura che ero diventata, invece, voleva Connor.
E rimasi spaventata dalla veemenza e dalla furia del mio desiderio, che mi portava a seguire ogni movimento di Price, ogni riflesso del sole sui suoi capelli scompigliati e sul suo sguardo malinconico.
Mi sembrava di aver inavvertitamente rotto un argine invisibile nel momento stesso in cui avevo deciso che Tony non sarebbe mai stato niente di più che un amico: il mio corpo, rimasto muto per dieci anni, prese a mandarmi segnali che non comprendevo e di cui mi vergognavo.
Fu anche per questo che non mi impegnai più di tanto ad eludere la sorveglianza sospettosa di Maria, la madre di Tony, e la presenza curiosa di Alberto.
Quello che mi era sembrato un ottimo rifugio sicuro iniziava improvvisamente a starmi stretto e rischiai di impazzire in balia dei miei diversi stati d'animo: un attimo ero smaniosa di rimanere sola con Connor, l'istante dopo mi allontanavo da lui come se fosse il diavolo.
Infine fu lui a prendere l'iniziativa, una mattina che Maria aveva deciso di andare col figlio al mercato: saremmo rimasti soli in quella casa giusto un paio d'ore ed io avevo vigliaccamente pensato di trascorrerle a rammendare alcuni panni che attendevano in una cesta vicino al focolare.
Invece Connor mi afferrò per un braccio mentre passavo e con una torsione gentile del polso mi fece accomodare sulle sue ginocchia, imprigionandomi poi con le braccia.
-Io e te abbiamo un discorso in sospeso…- mormorò, con un sorriso strafottente.
-Ah, davvero?- borbottai, abbassando il viso per non fargli notare il rossore delle mie guance. Lui, però, pose due dita sotto il mio mento e mi costrinse a fissarlo negli occhi:
-So che hai paura e che io non sono esattamente un buon partito: se non ne volessi sapere nulla di me sarebbe logico e non ti biasimerei. Ma tu, Elizabeth, mi fai desiderare di essere una persona migliore, un uomo degno di te… Non mi era mai successo prima. Anche io ne sono rimasto terrorizzato all'inizio, credimi: cercavo di evitarti perché nessuna mi aveva mai attratto come te e speravo che vedere il mio lato peggiore ti avrebbe allontanata. Invece tu, nonostante tutto, sei rimasta. Non ho le parole per spiegarti quanto questo significhi per me!-
-Credo che tu ti sia espresso molto bene quando eri ubriaco!- balbettai -Nessuno mi aveva detto delle cose così dolci e… Così vere. Probabilmente è lì che ho realizzato di amarti, anche se non l'avrei mai ammesso!-
-E adesso cosa è cambiato?-
Mi morsi le labbra, mentre Connor aspettava paziente una mia risposta.
-Nulla, in apparenza. Sono io che… Non so, forse non sono pronta, forse non lo sarò mai…-
Price mi interruppe con un bacio, prendendomi il viso tra le mani e stringendomi a sé come se fossi un tesoro inestimabile.
-La mia piccola tigre…- mormorò tra un bacio e l'altro, passandomi le mani sui seni e sui fianchi.
-Nessuno potrebbe mai essere pronto per una cosa del genere…-
Stavo per confessargli quanto il mio corpo trovasse piacevoli quelle carezze, ma le voci concitate di Maria ed Alberto che salivano le scale ci fecero sobbalzare.
Non ebbi neanche il tempo di ricompormi che il fratello di Tony si precipitò nella stanza, pallido e con gli occhi sgranati:
-Hanno rapito la signorina Calloway!-
 
 
Angolo Autrice:
Eh già, una notizia-bomba proprio sul più bello… Peccato! xD Adesso Connor ed Elizabeth avranno un problema decisamente più urgente dei loro sentimenti in sospeso e dovranno ingegnarsi per risolverlo.
Scusate per il ritardo nell'aggiornamento ma non ero del tutto sicura di come era uscito il capitolo (un po' della confusione di Lizzie aveva contagiato il testo xD)!
A presto
 
   Crilu  

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Capitolo 18
*** The kidnapping ***




Non avevo ancora afferrato il senso di quelle parole che già avevo raggiunto la porta per correre in strada. Essendo sopraffatta dalla paura e dall'ansia agivo senza pensare, con in testa solo quel sottile filo di complicità che si era appena instaurato tra me e Barbara Calloway.
Il braccio di Connor apparve nel mio campo visivo e richiuse senza sforzo l'ingresso:
-Dove credi di andare?-
-A cercarla, ovviamente!-
-Elizabeth, non essere sciocca! Non conosci questa città, non sai niente dei suoi abitanti e sicuramente non puoi avere alcuna idea di dove abbiano portato la signorina Calloway!-
Mi voltai verso di lui, scansando i capelli che mi erano finiti davanti agli occhi:
-Va bene, allora mi guiderai tu. Ma io non posso rimanere qui senza fare niente, Connor! Io devo fare qualcosa!-
Price mi osservò con aria meditabonda per diversi minuti, poi sospirò:
-Siamo d'accordo, allora. Ma vedi di non fare nulla di avventato!-
-Io non faccio mai nulla di avventato!- borbottai.
Connor, che stava ringraziando Maria per l'ospitalità, raccomandandole di dire a Tony di stare in guardia, mi rivolse un'occhiata omicida.
-Credevo di averti visto mentre ti infilavi nel bel mezzo di una pericolosa sommossa di operai inferociti, ma evidentemente devo essermi confuso con un'altra testarda ragazzina del Wyoming!- sbottò mentre uscivamo dall'edificio.
-Non iniziare, per favore…- mormorai, respirando a fondo la brezza marina e sforzandomi di non lasciar uscire le lacrime. Connor comprese la situazione e mi sfiorò la guancia con una carezza affettuosa.
-Non è il momento di lasciarsi abbattere, tigre! Il tempo ci è nemico! Direi di iniziare da dove Barbara… O meglio, il suo investigatore… Ha lasciato a metà. Dobbiamo tornare alla fabbrica e cercare lì intorno!-
 
Dopo ore di inutili vagabondaggi ero sfinita, accaldata ed iniziavo a disperare nella riuscita delle nostre ricerche.
Connor mi strattonò per la manica, visto che mi ero quasi assopita appoggiandomi contro il muro di un palazzo:
-Mi hanno indicato un locale poco raccomandabile qui vicino. E' probabile che chi ci ha sparato fosse lì quando ha ricevuto il messaggio… Sicuramente potranno darci delle informazioni utili!-
Il locale era una vera e propria bettola situata in una zona fatiscente, in cui le case erano sorte a caso le une sulle altre fino a formare un labirinto inestricabile di vicoli. Price spiò l'interno, poi si rivolse bruscamente a me:
-Tu resti fuori!-
-Ma…-
-Niente ma! Dovrò essere estremamente cauto per riuscire a scoprire ciò che ci interessa e non potrò farlo se dovrò badare alla tua sicurezza!-
-Non c'è bisogno che tu lo faccia!-
-Elizabeth!- ringhiò esasperato.
-Va bene, va bene!- sbuffai, incrociando le braccia al petto -Rimango qui!-
Connor sorrise:
-Brava ragazza!-
Poi mi sorprese con un casto bacio sulla fronte e si infilò nello stretto uscio del locale sconosciuto.
Per un po' rimasi ferma lì davanti cercando di resistere alla tentazione di sbirciare all'interno, ma in breve, annoiata ed incapace di rilassarmi, presi a girovagare tra le viuzze, badando di non perdere mai di vista la bettola.
"Se Connor uscisse e non mi trovasse mi rinchiuderebbe in casa e butterebbe via la chiave!"
Persa in questi pensieri svoltai a destra e raggelai, perché a pochi passi da me c'era il corpo di un uomo. La mia mente corse indietro agli uomini uccisi da Barbara in una stradina simile a quella, ma il cadavere che avevo davanti era diverso: era un signore sulla cinquantina, dal viso anonimo e vestito con abiti di buona fattura. Aveva una certa aura di rispettabilità che stonava sia con l'ambiente sia con il foro di proiettile che spiccava sulla fronte pallida.
Mi guardai attorno, chiedendomi con un brivido perché l'avessero lasciato lì anche se doveva essere deceduto da diverse ore, vista la sgradevole puzza di morte che appestava l'aria. Vincendo la repulsione mi chinai ad osservare il cappotto scuro dell'uomo: ero sicura di averne già visto uno simile. Frugai tra le sue tasche con il sangue che scorreva molto più velocemente del normale, tanto che riuscivo a sentire solo il battere agitato del mio cuore. Il risultato della mia indagine all'apparenza fu ben misero: un paio di occhiali da naso un po' consunti, un portamonete di pelle con sopra le iniziali "E. M." e un pacchetto di sigarette in cui, notai, il pover'uomo aveva riposto anche quella che non aveva finito di fumare, allineata al millimetro accanto a quelle ancora intatte.
"Che precisione maniacale!" pensai, con un sorriso che rimase congelato sulle mie labbra. All'improvviso la soluzione era emersa nella mia mente in modo limpido e naturale, collegando tra loro immagini e stralci di conversazione che non ricordavo neanche di aver udito.
Gli occhi freddi dell'ispettore Nelson e il suo impermeabile scuro, lungo ed anonimo, perfetto per passare inosservato tra le strade affollate della città.
Le parole di Barbara sull'uomo che aveva scovato Jefferson: "Un uomo dalla precisione maniacale e dal fiuto imbattibile, il signor Mitchell!"
"Ti fidi abbastanza da mandarlo a cercare il cecchino nel quartiere che Tony ti indicherà?"
"Lo pagherò quel che serve per renderlo un uomo fidato!"
Indietreggiai, frastornata dalla portata di quell'intuizione. L'uomo che giaceva in modo scomposto ai miei piedi, morto, era l'investigatore Mitchell!
"I soldi di Barbara non sono stati abbastanza."
Quando il poveretto si era visto spacciato aveva rivelato anche il nome della sua cliente nel tentativo di salvarsi la vita… Chiunque l'avesse ucciso aveva rapito Barbara e sapeva che lei non era da sola.
"Sapeva che qualcuno avrebbe ripercorso le tracce di Mitchell!"
Ebbi appena il tempo di voltarmi, andando a sbattere contro un uomo robusto, prima che un violento colpo alla testa mi togliesse la vista ed i sensi.
 
Quando rinvenni ero in una stanza in penombra e facevo fatica a distinguere qualcosa oltre alla figura imponente che mi scrutava con freddezza. Un mugolio alla mia destra mi spinse a ruotare il collo per quanto me lo consentivano la nuca dolente e le braccia legate allo schienale della sedia su cui ero seduta: Barbara, apparentemente illesa ma con gli occhi terrorizzati ed un bavaglio sulla bocca, era stata immobilizzata allo stesso modo.
Riportai l'attenzione sull'uomo, che ancora non aveva aperto bocca: portava un completo da imprenditore, un cappello elegante e tra le labbra carnose stringeva un sigaro acceso che brillava rossastro nella semi-oscurità della stanza. Gli occhi erano neri e torbidi, i capelli castani mostravano delle ciocche bianche sulle tempie.
-Chi è lei?- chiesi, sforzandomi di ignorare la testa che mi pulsava in modo doloroso.
-Questo non le deve interessare.-
Quella voce… D'improvviso ero sicura che quell'uomo fosse presente la notte in cui Jefferson era stato ucciso. L'avevo visto entrare nella casa: era quello che rispondeva al nome di Winter.
"Un soprannome quanto mai azzeccato!" pensai, rabbrividendo. Winter sbuffò:
-Noi e suo fratello avevamo un patto, signorina Walker. E non ci piace essere presi in giro!-
-Mark non farebbe alcun patto con voi!- sibilai, strattonando i lacci che mi stavano ferendo i polsi. Winter sogghignò, avvicinandosi di qualche passo a Barbara, la quale sussultò e strinse convulsamente le palpebre.
-Oh, invece Mark sapeva tutto, o quasi, della nostra piccola organizzazione. Devo dire che anche lei è molto acuta, per essere una donna… Dev'essere un tratto di famiglia. Comunque, sono andato a trovarlo in prigione, per assicurarmi il suo silenzio in cambio dell'incolumità di questa graziosa fanciulla. Suo fratello sapeva che se avesse parlato la signorina Calloway sarebbe stata vittima di… Uno spiacevole incidente, diciamo!-
Lo sguardo dell'uomo si fece di colpo ancora più crudele e furioso:
-Era quasi fatta, ma la sera stessa in cui avremmo potuto catturare ed eliminare anche Connor Price questi sparisce, per poi ripresentarsi due giorni dopo nella cella di Mark insieme a lei, come se non avesse mai ricevuto le nostre minacce!-
Ricordavo quanto avessi insistito per andare a trovare mio fratello e mi si strinse il cuore al pensiero che Connor avesse deciso di sfidare quegli uomini spietati per me. Adesso comprendevo la sua inquietudine.
-Da lì in poi, lei è stata la causa di tutti i nostri problemi, signorina Walker: sembrava essere sempre un passo avanti, ci sfuggiva, eliminava i nostri uomini sotto al nostro naso! Lei è… Un soggetto insolito.-
-La ringrazio…- biascicai, sarcastica. Le labbra di Winter si piegarono in un sorriso soddisfatto:
-Sono sicuro che non sarebbe arrivata tanto lontano, se non avesse ricevuto delle informazioni da suo fratello. Perciò, dopo esserci liberati di quel ficcanaso di Mitchell, abbiamo ritenuto opportuno prendere in custodia la sua amica, qui… Non possiamo permettere che un semplice operaio ci manchi di rispetto in questo modo!-
-Mark non è mai venuto meno al vostro "patto"!- esclamai, indicando Barbara con un cenno del capo -Lasciate andare almeno lei, non vi ha fatto nulla!-
-Ne dubito… E comunque ciò che mi sta chiedendo è impossibile da realizzare!-
-Cosa intendete farci?- mormorai.
-Oh, io attenderò fino a quando non avrò in mano anche Price, signorina Walker. Poi vi zittiremo una volta e per sempre!-
 
P.O.V. Mark
 
Il messaggio di Connor arrivò nascosto in una pagnotta, che le guardie mi dissero essere una carità da parte di un anonimo benefattore. Avrei sorriso dell'ingegno del mio amico, se non fosse stato per quelle righe vergate di fretta su un pezzo di carta stropicciato:
 
Hanno preso Barbara ed Elizabeth. Le stiamo cercando, ma abbiamo bisogno del tuo aiuto.
Mark, ti prego: non posso lasciare che a tua sorella accada qualcosa di male.
 
Balzai in piedi, prendendo a misurare a grandi passi lo spazio ristretto della mia cella. Avrei potuto confessare ciò che sapevo, riferire i pochi nomi che ero riuscito a scoprire, ma sarebbe stato inutile.
Mi avevano sbattuto in galera per un altro motivo e nessuno avrebbe preso sul serio le parole di un assassino; anche nel caso in cui invece mi avessero creduto, Barbara e Lizzie sarebbero morte non appena Winter avesse capito che avevo messo la polizia sulle sue tracce.
"Potrebbe averle già uccise… Forse crede che tu abbia già parlato!"
Scossi la testa: non era il momento di indulgere a tali pensieri, avevo bisogno di tutta la mia lucidità e della mia forza di volontà: dovevo evadere.
Poche ore dopo, quando il sole stava per tramontare, ci radunarono in cortile per il nostro breve momento d'aria fresca; ero ammanettato, come tutti gli altri prigionieri, e le guardie piantonavano tutto il perimetro.
"Non è possibile fuggire da qui!" pensai, scoraggiato. Poi ebbi un'idea totalmente folle, dettata solo dall'angoscia che provavo in quel momento. Aspettai il momento più opportuno e mi lanciai in una corsa disperata verso le mura del cortile, che per tre lati davano sulla cinta esterna della prigione e da una parte si affacciavano invece sull'Oceano.
Evitai più secondini che potei e un paio li abbattei con dei pugni bene assestati, ma in breve mi ritrovai circondato sulla passerella di ronda. Il vento mi schiaffeggiava i capelli mentre mi sporgevo a lanciare un'occhiata verso il basso, incurante dei richiami irati delle guardie: sotto di me le onde si frantumavano contro la parete rocciosa del promontorio con un boato sordo.
"E' una follia!" cercò di richiamarmi la mia razionalità. Ma io pensai al sorriso di Barbara e agli occhi di Lizzie e non ebbi più dubbi.
Saltai.
 
 
Angolo Autrice:
Scusate per l'attesa, queste settimane sono piene di impegni e studio e sono ancora senza internet xD Però spero sia valsa la pena aspettare per questo aggiornamento, sicuramente ricco di eventi… Come faranno Barbara ed Elizabeth ad uscire dalla nuova e pericolosa situazione? E cosa ha in mente Mark?
 
Crilu 

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Capitolo 19
*** The talk ***




Winter se ne era andato con un sorriso gelido da quelle che mi parevano essere ore. Avevo passato il tempo alternando stati di veglia in cui cercavo di tranquillizzare Barbara – ancora imbavagliata – e momenti di torpore in cui la testa mi ricadeva sul petto e la vista si faceva sfocata. Ormai non sentivo neanche più le mani e la corda attorno alla mia vita era troppo stretta perché respirassi normalmente in quella scomoda posizione. Mi chiedevo se Connor avesse una qualche probabilità di ritrovarci, ma sapevo che era difficile e mi tormentava sapere che in quel momento stesse sicuramente impazzendo dalla preoccupazione. Rabbrividii nell'udire le piccole zampe di topi invisibili grattare in qualche angolo buio e per non pensarci mi concentrai, come ipnotizzata, su delle gocce d'acqua che cadevano dal soffitto ad intervalli regolari.
Fu allora che la porta si socchiuse un poco, lasciando entrare dell'aria pulita nella stanza satura di umidità; Barbara spalancò gli occhi e si dimenò sulla sedia, ma ad entrare non fu Winter.
L'uomo che apparve sulla soglia era Ezra Clarke.
-Lei!- gridai, esterrefatta. Per un attimo colsi un lampo di imbarazzo nelle iridi dell'operaio, ma poi lui si strinse nelle spalle ed arricciò le labbra in un sorriso furbo.
-Già, io.-
-Ma… Non ha senso…- balbettai. Ezra sbuffò, soffocando una risata:
-Cosa non ha senso, signorina Walker? Che abbia deciso di aumentare le mie entrate collaborando con questi gentiluomini?-
-E' stato lei la causa di tutto questo!- scattai  -E' colpa sua se Mark è in prigione! E' colpa sua se i suoi colleghi rischiano di perdere il lavoro! Ed è un sindacalista: come ha potuto farlo?-
Clarke si avvicinò di qualche passo, studiandomi con aria pensierosa.
-Sa, la prima volta che l'ho vista non potevo credere che lei fosse la sorella di Mark. Voglio dire, non vi somigliate per niente e lei aveva l'atteggiamento di una lepre presa in trappola… Invece lei è la cacciatrice, sempre parlando per metafore. Lei che, come suo fratello, ha la formidabile capacità di mettere in relazione tutti gli elementi che avete in mano e risalire alla verità… Ma entrambi siete totalmente incapaci di capire le persone!-
Sussultai, rendendomi conto che aveva appena esternato una grande verità.
-Lei dovrebbe rappresentare gli interessi dei suoi compagni…- mormorai, incerta.
-E invece ho sfruttato la mia posizione per arricchirmi, è semplice. Dio mio, sembra sinceramente sconvolta! Il mondo gira così, bambina, lo sanno tutti… Tranne lei e Mark, a quanto pare. Povero Mark, così vicino a vedere la realtà… Eppure così cieco!-
-Vuole dire che mio fratello non sapeva che era lei il ladro?-
-Esattamente. Forse, se avesse avuto a disposizione un altro paio di giorni, allora avrebbe aperto gli occhi… Invece, nonostante fosse riuscito a risalire a Stuart e si fosse fatto un'idea abbastanza precisa di come funzionasse il nostro piccolo inganno, la sua mente si rifiutava di comprendere la mia colpevolezza! E' stato un ingenuo.-
-Mark è un uomo onesto!- ringhiai, mentre le lacrime premevano ai bordi dei miei occhi -E non avrebbe mai potuto immaginare un tradimento del genere! E lei, lei… E' un bastardo ipocrita, Clarke!-
L'uomo mi guardò quasi con compassione:
-Il socialismo, la democrazia, l'uguaglianza… Sono belle parole, signorina Walker, ma non portano lo stipendio a casa. Le teorie di Marx e i libri di Engels non ti fanno mangiare… Ci ho messo un po' anche io a capire che la realtà, purtroppo, è sempre molto diversa da come la vorremmo e che nonostante i nostri sforzi non può essere modificata. A cosa serviranno gli scioperi? Le proteste? A nulla, ecco a cosa!-
-Ma era lei a guidare la sommossa contro Calloway!- strillai, allibita e confusa.
-Ma certo, era il mio dovere da sindacalista! Non sono mai stato un buon capo, ma non sono uno stupido: so leggere e scrivere e questo può fare la differenza quando si tratta di parlare ad una massa di operai ignoranti ed analfabeti. E' facile manipolarli, sobillarli contro il padrone che ha ingiustamente incarcerato un nostro compagno… La mia presenza in quella piazza non era solo sensata ma si è rivelata anche necessaria, vista la sua inopportuna comparsa!-
-Immagino quindi che sia stato lei a dare l'ordine di eliminarci!-
-Una mossa avventata, lo ammetto, ma lei mi aveva spaventato, signorina Walker. L'avevo sottovalutata e quando la vidi entrare nella fabbrica con Calloway capii che quell'errore avrebbe potuto far saltare l'affare: dopo la morte di Jefferson io ed i miei soci eravamo parecchio… Nervosi, diciamo. Purtroppo con quel poco preavviso non sono riuscito a trovare che un dilettante, che si è fatto prendere dal panico quando ha visto i gendarmi lanciarsi al suo inseguimento. Ma penso che sia comunque riuscito nel suo intento. Come se la passa Price?-
"Non sanno che era con me in quel quartiere!" pensai, con un moto di sollievo che nascosi alla perfezione.
-Sopravvivrà.-
-Non a lungo, temo!- sghignazzò Clarke, avviandosi verso la porta.
-Lei ha paura, vero, signor Clarke?-
L'uomo si irrigidì e si voltò nuovamente verso di me con i lineamenti tirati dalla sorpresa.
-Cosa sta farneticando?-
-Lei ha ragione: né io né Mark siamo bravi a comprendere la vera natura delle persone. Nostra madre ci ha però insegnato a leggere le loro emozioni. E lei ha paura di essersi spinto troppo oltre.-
La mia voce assunse un timbro sinistro che echeggiò lungo le pareti umide della nostra prigione.
-Ha vergogna di ciò che ha fatto. Altrimenti perché sarebbe qui, a parlare con me?-
Le dita di Ezra Clarke allentarono il colletto della camicia con gesti frenetici ed i suoi occhi guizzarono angosciati e come impazziti da una parte all'altra. Poi, però, l'operaio riacquistò una parvenza di compostezza e si inoltrò verso il corridoio fiocamente illuminato.
-Sbaglia a pensare di conoscermi. Questo è solo un addio, signorina Walker, perché quando la vedrò di nuovo, lei non sarà più tra i vivi.-
 
La tensione delle ore successive fu acquietata solo in parte dall'arrivo di un uomo che ci servì malamente da mangiare: sebbene un tozzo di pane potesse fare poco contro i crampi del mio stomaco, quella presenza arcigna mi confortò.
"Se ci nutrono vuol dire che sono ben lontani dal prendere Connor. C'è ancora speranza!"
L'altro aspetto positivo fu che finalmente Barbara venne liberata del bavaglio ed il nostro carceriere non ritenne necessario metterglielo di nuovo prima di andare via. La ragazza aspettò che lui fosse andato via, prima di lasciarsi andare ad un'isterica litania di imprecazioni che mai mi sarei aspettata sulla sua bocca.
Quando finalmente si fu calmata, rivolse verso di me gli occhi castani rossi per il pianto:
-Stai bene, Lizzie?-
-La testa mi gira, ma più per la fame che per la botta che mi hanno dato. E non sento più le braccia… Tu?-
-Più o meno lo stesso, tranne per il fatto che ero ben cosciente mentre mi portavano qui.-
-Quindi sai dove siamo?-
-No, purtroppo ero bendata… Ma ho contato i passi che ho fatto per arrivare in questa stanza. Sono quasi del tutto certa di poter trovare l'uscita.-
-Beh, non è molto rassicurante, ma se è tutto ciò che abbiamo…-
-Prima dobbiamo trovare il modo di liberarci.-
"Già, questo potrebbe essere un serio problema."
Provai a tirare i legacci che mi tenevano stretti i polsi, ma ottenni solo una fitta di dolore che si ripercosse fino alle spalle; poi però mi accorsi che sbilanciandomi poco alla volta riuscivo a trascinare la sedia attraverso la stanza.
Lasciando vagare lo sguardo sulle pareti spoglie vidi alcuni chiodi storti che in origine dovevano sostenere uno scaffale. Li indicai a Barbara:
-Sono troppo in alto per me. Tu sei più alta, forse…-
-E' una pazzia! E se tornano prima che io riesca a liberarmi?-
-Ci danno da mangiare una volta al giorno, giusto? Bene, allora abbiamo altre dodici ore a disposizione. Se Winter o Clarke si facessero vivi prima… Beh, a quel punto non ci sarebbe più molto da fare per noi.-
 
P.O.V. Mark
 
Ero bagnato fino al midollo ed indossavo ancora gli abiti da carcerato quando mi introdussi senza far rumore nel giardino della residenza dei Calloway.
La prima volta che ero entrato nella camera di Barbara a quel modo, arrampicandomi sulla pianta che svettava accanto al suo balcone, ero teso e spaventato da ciò che avrei trovato dall'altra parte. Di certo non mi sarei mai aspettato la visione della sua pelle chiara appena nascosta dalle lenzuola impalpabili e i suoi occhi languidi che scintillavano, pieni di aspettative, nell'oscurità della stanza. La stessa in cui ora sostavo, sgocciolando sul prezioso tappeto in foggia orientale, osservando con malinconia il letto vuoto ed intatto.
Condividere le mie notti con lei era più di un'abitudine, era una droga. Ciò che amavo di più erano la sua espressione soddisfatta dopo il sesso e le parole sconnesse che mi sussurrava all'orecchio prima di addormentarsi, dolci come le fusa di una gatta; ma in quel momento sentivo anche la mancanza delle albe che mi avevano costretto ogni volta ad abbandonarla, dopo aver rimirato il suo volto disteso nel sonno per tutto il tempo che potevo.
Silenziosamente mi riscossi da quei ricordi dolorosi e mi mossi furtivo attraverso le stanze deserte di quella casa: ciò che cercavo non era certo nella stanza di Barbara.
La porta dello studio di Thomas Calloway non era chiusa a chiave e mi fu facile scivolare all'interno senza farla scricchiolare neanche un po'.
Sapevo bene, grazie anche alla visita che quel tale, Winter, mi aveva fatto durante la prigionia, che non ero molto lontano dalla verità quando Jefferson era emerso dal passato per rovinarmi la vita.
Non ero per questo più vicino a scoprire l'identità del ladro della fabbrica, ma avevo un piano, pazzo e disperato almeno quanto l'idea di buttarmi dalle mura della prigione.
I lividi e le abrasioni che mi ero procurato sbattendo contro gli scogli bruciavano, ma in qualche modo contribuivano anche a mantenermi concentrato sull'obiettivo. E il mio obiettivo, invece di essere chiuso nel primo cassetto della scrivania di Calloway, era tranquillamente appoggiato sul suo ripiano, in bella vista.
Mi irrigidii, alternando lo sguardo tra la pistola lucida e Thomas Calloway, che sedeva nella sua solita poltrona. Il buio quasi totale mi impediva di scorgere i dettagli del suo volto, ma ero quasi certo che non intendesse spararmi. Lui fu il primo a rompere il silenzio:
-Sapevo che saresti venuto qui.-
-Quindi immagino che appena metterò piede fuori di qui sarò circondato e riportato in prigione.- sibilai, infuriato. Calloway scosse la testa:
-No, no, ragazzo… Non ho detto niente alla polizia.-
-Perché?- Ero sorpreso e sospettoso, perciò non avanzai di un passo, anche quando l'uomo mi fece cenno di avvicinarmi.
-Perché tu hai protetto Barbara meglio di quanto potessi fare io. L'hai addirittura amata più di me… Oh, l'ho scoperto da poco, grazie ad una delle mie cameriere: è venuta da me la sera in cui lei è scomparsa, confidandomi, piena di vergogna, delle vostre avventure notturne. Aveva paura che Barbara stesse tentando di farti evadere! E non mentirmi, so che te l'ha proposto. Credo che tu sappia chi c'è dietro tutto questo, o almeno lo sospetti, ma hai tenuto la bocca chiusa, rischiando di essere impiccato… Perché?-
-Perché avevano minacciato Barbara.- confidai, in un soffio. Calloway annuì:
-Sì, lo immaginavo. Bene, veniamo a noi ora: sei qui per uccidermi?-
-Cosa?- esclamai, allibito -No, certo che no!-
-Oh, ragazzo, forse me lo merito, sai? Ho lasciato mia figlia indifesa e sono troppo vecchio e malato per correre a salvarla. Però sono sollevato che non userai questa pistola contro di me, alla fine: prendila, è tua. Eri venuto a prendere questa, no?-
Circospetto, come un animale selvatico che fiuta la trappola, mi avvicinai alla scrivania e soppesai l'arma, una delle migliori della produzione di Calloway.
-Direi che ora non posso uscire dalla porta padronale.- commentai, lanciando una veloce occhiata alla finestra.
-Direi di no.- borbottò Calloway e finalmente si mosse: la luce della luna mi rivelò un viso stanco ed improvvisamente invecchiato, come se la preoccupazione per la sorte di Barbara gli avesse sottratto interi anni di vita. Gli occhi, però, brillavano acuti e decisi come sempre:
-Non ho ben capito qual è il tuo vero nome.-
-Mi chiamo Mark Walker…- mormorai, sentendo che una parte di me, dopo dieci anni, tornava finalmente a vivere, libera dal peso di una menzogna che avevo raccontato per troppo tempo.
-Ed è un nome onorevole?-
-Ho cercato di renderlo tale, sì. A questo proposito, signore, io…-
-Parleremo un'altra volta di quell'omicidio, Mark Walker. Ora, ti prego, riporta a casa la mia bambina.-
Per un attimo rimasi come folgorato, incapace di credere che Thomas Calloway mi avesse appena supplicato; poi sentii il petto gonfiarsi d'orgoglio e per un attimo l'angoscia si fece meno pressante.
-Lo farò, signore. Fosse anche l'ultima cosa che faccio.-
 
 
Angolo Autrice:
Purtroppo sindacalisti come Ezra Clarke non erano l'eccezione a quell'epoca: la maggior parte di loro finì per tradire la causa degli operai, stringendo accordi con i padroni delle fabbriche, il governo americano o la mafia statunitense, come in questo caso.
Lizzie e Barbara non sono rimaste con le mani in mano, ma non tutto va come previsto: ve l'aspettavate questo tentativo di fuga, o credevate che avrebbero atteso Connor e Mark? E a proposito di Mark, che ne dite del discorsetto che ha fatto Calloway?
 
  Crilu 

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Capitolo 20
*** The escape ***




Quando finalmente Barbara mi slegò i polsi, dopo ore passate a tendere l'orecchio per ogni minimo scricchiolio, sentii rinascere in me una piccola speranza di salvarmi.
-Bene! Ora come facciamo ad uscire di qui?-
Barbara mi fece cenno di tacere e socchiuse la porta, osservando il corridoio con circospezione. Ci muovemmo velocemente come ombre, con il cuore che ci batteva all'impazzata mentre scivolavamo lungo i muri umidi.
"Dev'essere uno scantinato!" pensai "Ma è così grande! Ci starebbe tutta la fattoria dentro!"
Eravamo infatti incastrate in un oscuro labirinto di stanze e corridoi che sembrava non finire mai. Barbara era concentrata nel contare i passi per percorrere a ritroso la strada che ci avrebbe portato all'uscita, mentre io ero preoccupata per Price e Tony: non sapevo dove fossero e se gli uomini di Winter gli fossero già addosso.
Ad un tratto la ragazza si immobilizzò e mi fissò con aria terrorizzata:
-Via di qui!- bisbigliò concitata, spingendomi oltre una porta aperta -Sta arrivando qualcuno!-
Ci ritrovammo in quello che supposi essere un magazzino, per via delle numerose casse accatastate disordinatamente le une sulle altre. Sgranai gli occhi quando ne esaminai il contenuto:
-Ma queste sono…-
-Armi. Quelle rubate alla fabbrica di mio padre!-
Gli occhi di Barbara scintillavano rabbiosi, ma ci zittimmo quando sentimmo che i passi degli uomini nel corridoio si facevano più concitati e numerosi.
-Hanno scoperto la nostra fuga!- mormorò la ragazza, prendendomi per un braccio e conducendomi verso i punti più oscuri della stanza. Ma sebbene osservammo il perimetro più volte, non c'erano altre vie d'uscita oltre a quella dalla quale eravamo entrate; l'unica fonte di luce era un lucernario dal vetro sporco che a giudicare dall'altezza doveva sbucare sulla strada, all'aperto.
-Facciamo così: tu adesso ti aggrappi a me ed esci da lì, poi io ti seguo!-
-No, io… Io non ho mai fatto una cosa del genere! Esci prima tu!-
-Non essere sciocca!- mi rimbrottò Barbara -Sei troppo bassa per arrivare alla finestra da sola ed io non ho abbastanza forza per issarti fin lassù una volta che sarò uscita. Fidati di me, aggrappati alle mie spalle e tirati su!-
Feci come mi aveva ordinato, arrampicandomi sul suo corpo snello e aggrappandomi con forza disperata al vetro del lucernario mentre le voci dei nostri carcerieri si innalzavano e si facevano sempre più vicine. La finestra scricchiolò un po', ma alla fine riuscii ad aprirla e una zaffata di aria fresca e purificatrice colpì il mio viso per la prima volta dopo giorni. Mi ferii i gomiti e i palmi delle mani mentre, con un notevole sforzo a causa delle mie forme generose, sgusciavo nella stradina maleodorante e sconosciuta, finalmente libera. Mi girai verso Barbara per incitarla a sbrigarsi, ma la voce mi morì in gola quando incrociai i suoi occhi: la porta del magazzino era stata aperta con violenza.
-Scappa, Lizzie!- sussurrò, prima di richiudere il lucernario.
 
Impiegai ore per raggiungere Fisherman's Wharf: ero sconvolta e spaventata mentre scappavo da quell'anonima palazzina in cui ero stata rinchiusa e sentii montare il panico quando compresi che ero in una parte di San Francisco in cui non ero mai stata.
Ma dovevo avere qualche santo in Paradiso, perché riuscii ad arrivare in centro senza che gli uomini di Winter mi riacciuffassero o che qualcuno tentasse di importunarmi. Di lì, sempre battendo i denti per l'angoscia che lentamente scemava via da me, mi incamminai a piedi verso l'appartamento di Connor. Barcollavo quando finalmente terminai di salire l'ultima rampa di scale e solo in quel momento mi venne in mente che probabilmente Price non era lì date le circostanze e che, anzi, probabilmente i miei aguzzini mi stavano aspettando dietro la porta socchiusa. Perciò mi voltai, decisa a recarmi da Tony quando una presa ferrea me lo impedì: urlai, ma la voce che udii vicino al mio orecchio mi zittì all'istante.
-Elizabeth?- sussurrò Mark, incredulo -Sei davvero tu?-
Mi voltò verso di sé ed io potei osservare da vicino la barba lunga e le occhiaie che sfoggiava in un viso decisamente più smunto e pallido di quanto ricordassi. Poi fui stretta in un soffocante abbraccio fraterno che mi fece spuntare le lacrime e in pochi attimi stavo piangendo incontrollata, singhiozzando e stringendomi forte contro il petto di mio fratello.
-Come hai… Come fai ad essere qui?- sussurrai, con la voce rotta per la commozione.
-Sono evaso. Pensavo di trovarci Connor ma…-
-Dopo che mi hanno rapita si sarà nascosto in un posto sicuro, ma non ti preoccupare: credo di sapere dove sia.-
-E Barbara?-
Sentii che gli occhi mi si appannavano e mi morsi il labbro inferiore, che tremava:
-Non è riuscita a scappare, io… Oh, Mark io mi sento così meschina per essere qui, mentre lei è ancora nelle mani di quegli uomini!-
Tutto il corpo di Mark fremette e il dolore e la paura gli distolsero i lineamenti, ma lui mi lasciò comunque un bacio sulla fronte, mormorando:
-La libereremo, Lizzie. Lei starà bene e mi assicurerò che quei bastardi abbiano ciò che si meritano!-
 
Quando giungemmo alla palazzina di Tony era buio. Bussai alla porta e fu proprio il mio amico ad aprirmi: non appena mi vide divenne pallido come un fantasma.
-Elizabeth!- esclamò -Sei… Viva!-
Successivamente fui stretta nel secondo abbraccio mozzafiato della giornata, ma questa volta mi liberai subito e dolcemente dalla presa del ragazzo.
-Tony, lui è Mark, mio fratello…-
Il mio amico sgranò gli occhi e fece per parlare, ma fu spinto via dalla mole di Connor, che mi fissava con gli occhi accesi di una luce folle.
-Tu!- ringhiò, strattonandomi per le spalle -Ti avevo chiesto una cosa, Elizabeth, una cosa sola, per Dio! Dovevi aspettarmi lì fuori, dannazione, era un compito così difficile!?-
Non era certo la reazione che mi aspettavo. Lo fissai inebetita, mentre le lacrime riprendevano a scendere; mi odiai per la mia vulnerabilità e provai a fermarle, con scarso successo.
Il mio terrore (e forse anche l'imprecazione di Tony, che non poteva intervenire grazie a mio fratello che gli bloccava la strada) sembrò sortire un effetto calmante su Price, che mi lasciò andare di botto. Tony mi scortò dentro casa lanciandogli un'occhiataccia ostile.
-Siamo tutti sottosopra, perdonaci. In questi giorni abbiamo temuto il peggio!-
-In questi giorni?- esclamai, allarmata, facendo un passo indietro ed osservando i tre uomini -Quanto tempo sono stata via?-
Tony inarcò un sopracciglio e si passò una mano tra i ricci, preoccupato:
-Ti stiamo cercando da ben tre giorni, Elizabeth…-
"Quindi sono rimasta svenuta più a lungo di quanto pensassi!" realizzai con un brivido.
Poi mi feci forza e li informai di ciò che ero venuta a sapere durante la prigionia.
Quando raccontai della mia conversazione con Ezra Clarke Mark era incredulo:
-Non può essere, Lizzie!- borbottò, scuotendo la testa -Lui è…-
-Un sindacalista corrotto!- ringhiò Connor, con i pugni che si stringevano e si aprivano in maniera nervosa. Ero sicura che se Barbara non fosse stata ancora nelle mani di Winter sarebbe corso da Clarke; invece si limitava a sedere in bilico sul davanzale stretto dell'appartamento di Tony, fissando tutti con aria torva.
-Sapresti condurci a quel palazzo?- chiese l'italiano.
-Forse… Ricordo la zona, ma gli edifici erano tutti uguali e non mi sono fermata ad osservarlo! E poi, anche se ci muovessimo ora, Barbara non sarà più lì!-
-Lei no, ma le armi di Calloway sì!- rispose trionfante lui, girandosi poi verso gli altri.
-Se riuscissimo a provare l'identità del ladro, Calloway potrebbe aiutarci!-
-Io non mi fido di quell'uomo!- brontolò Price.
-Io sì, ma non è questo il punto!- spiegò gentilmente mio fratello -Calloway in questo momento ha le mani legate: se organizzasse anche solo un giro di ronda in più attorno alla fabbrica sarebbe Barbara a farne le spese e il vecchio lo sa bene; se facesse arrestare Clarke, ammesso che si presenti ancora a lavoro, lei rischierebbe la vita. Non metterebbe mai a rischio l'incolumità di sua figlia… E neanche io, se è per questo. No, dobbiamo agire in un altro modo. Non si potrebbe rintracciare Winter? Voglio dire, è un criminale coinvolto in un giro piuttosto esteso, qualcuno dovrà pur sapere di lui!-
-Non se 'Winter' è il suo soprannome. Non è inusuale in quell'ambiente, è più sicuro che usare i nomi veri…-
Fummo interrotti dall'arrivo di Alberto, che balbettò qualcosa in italiano al fratello. Tony balzò in piedi, lanciando a Price il suo soprabito e facendoci cenno di seguirlo.
-Che succede?- chiese Mark, teso. Vidi con sorpresa che la sua mano si era serrata attorno ad una pistola che teneva nascosta sotto la giacca. Era senza dubbio cambiato rispetto all'uomo che conoscevo io. Tony aprì un finestrone che si affacciava sul lato posteriore dell'edificio.
-C'è un certo ispettore Nelson alla porta. Non so cosa voglia, ma sicuramente non gioverà alla signorina Calloway se veniamo tutti arrestati!-
-Cristo! Quell'uomo è un segugio!- sbottò Connor, uscendo sul terrazzino che dava sul molo
-Ti vorrà fare domande per la sparatoria che mi ha coinvolto, poco ma sicuro!- 
-Non c'è tempo per le supposizioni: dovete andarvene!- replicò Tony, mentre Mark si stava già calando dal terrazzo, atterrando sul terreno poco più in basso.
Connor stava per seguirlo, ma si irrigidì quando Tony mi trattenne gentilmente, afferrandomi la mano e portandosela alle labbra.
-Sono felice che tu stia bene!- mormorò, accarezzando le mie dita con le sue, più scure e callose.
-Elizabeth!- mi richiamò Price, con tono noncurante. -Non vorrai incontrare di nuovo l'ispettore Nelson, o no?-
Feci un timido sorriso rassicurante a Tony, poi mi aggrappai a Connor e reprimendo a stento uno strillo di terrore mi lanciai nel vuoto… Finendo tra le braccia salde e sicure di mio fratello.
Non appena Connor balzò a terra ci dileguammo tra i moli, appena rischiarati dal sole nascente.
 
 
Angolo Autrice:
Come finale non è granché, ma non sapevo davvero dove interrompermi altrimenti >.<
Spero comunque che il resto del capitolo vi piaccia xD
 
Crilu 

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Capitolo 21
*** The quarrel ***




-Dove andremo?- chiesi, angosciata. Ci eravamo allontanati il più in fretta possibile dalla casa di Tony, vagando senza meta sui moli. Attorno a noi si muovevano numerosi pescatori e le loro occhiate curiose e sospettose mi mettevano in agitazione: ero sicura che l'ispettore Nelson avrebbe trovato molte informazioni soddisfacenti se avesse deciso di fare una passeggiata al porto.
Mark, che manteneva la testa bassa e il bavero della giacca alzato sul mento, ebbe un'idea improvvisa:
-Connor! Hai ancora le chiavi di casa mia?-
Price strabuzzò gli occhi:
-E' una follia, Mark. Sarà il primo luogo in cui ti saranno venuti a cercare non appena sei evaso e anche se non ti hanno trovato, potrebbero tenerla d'occhio!-
-Mantenere degli uomini a guardia di un condominio operaio? La polizia non spreca così le sue risorse! E poi, abbiamo forse delle alternative valide?-
Per nostra fortuna, mio fratello aveva ragione: forse perché erano convinti che Mark non sarebbe mai più tornato lì, forse perché l'ostilità dei suoi vicini di casa avevano innervosito i poliziotti, fatto sta che non trovammo nessun agente ad aspettarci davanti a quell'edificio anonimo e spoglio incassato tra altri due palazzoni identici.
Mi guardai intorno, vagamente disgustata: l'androne delle scale aveva bisogno di una pulita e così i corridoi che si aprivano su numerose porte molto simili tra loro. Mark si fermò davanti ad una di esse e Connor sbuffò, tirando fuori il suo mazzo di chiavi: una era quella dell'appartamento di mio fratello.
-Davvero vivevi qui, Mark?- mormorai, confrontando l'angusto spazio di quei locali spogli con i dorati campi della nostra fattoria. Mio fratello sembrò in imbarazzo, ma scrollò le spalle senza rispondere. Poi borbottò:
-Devo prendere contatti con Calloway…-
-Vengo con te!- propose subito Price.
-No. Tu devi rimanere qui!-
Connor si accigliò:
-Non essere sciocco: sei un ricercato, non hai speranze di avvicinarti a Thomas Calloway da solo!-
-L'ho già fatto e sicuramente lui si sarà premurato di lasciarmi un modo per entrare. E' molto in ansia per Barbara…-
Price grugnì, mentre io mi sentii stringere il cuore nel vedere quella stessa ansia negli occhi incupiti di Mark.
-Senti, potrai anche essere stato lì l'altra notte, ma ora è pieno giorno e l'ispettore Nelson è sulle nostre tracce…-
-Non posso lasciare mia sorella da sola!- sbottò allora Mark, interrompendolo. Connor si irrigidì e mi lanciò una lunga occhiata penetrante.
-Potrebbe venire anche lei. Tua sorella non è una donna a cui piace essere ignorata!-
La sua affermazione mi sorprese e mi fece sorridere, ma da un lato mi intristì anche:
"Forse non vuole rimanere solo con me? Forse si è già pentito delle cose che mi ha detto?"
Data la sua fama, non sarebbe stato affatto strano. Mark rifletté sulle implicazioni di quell'affermazione e sembrò quasi propenso a cedere, ma alla fine scosse la testa.
-E' meglio così. Nel caso in cui mi arrestino di nuovo, devo sapere che c'è qualcuno che salverà Barbara. Riesci a capirmi?-
Vidi le spalle di Connor irrigidirsi sotto il peso di quella responsabilità:
-Sì, capisco…- mormorò, con gli occhi bassi. Mio fratello abbozzò un sorriso e gli batté una mano sulla spalla, poi mi accarezzò sui capelli. Mi sforzai di nascondere al meglio l'inquietudine e l'angoscia che mi agitavano:
-Stai attento!- esclamai, sulla porta dell'appartamento. Mark, che era già sulle scale, guardò in su con espressione seria:
-Anche voi. Questo quartiere non è certo il luogo più sicuro per nascondervi…-
 
Perciò rimasi sola con Connor. L'aria tra noi era molto più tesa di quanto mi fossi aspettata e avevo il sospetto che non fosse solo a causa del risentimento che nutriva nei miei confronti perché gli avevo disobbedito. D'improvviso l'inquietudine e la stanchezza delle ultime ore sembravano pesarmi molto di più.
-Insomma, si può sapere che cos'hai?- sbottai, quando Connor fece per defilarsi in un'altra stanza senza avermi rivolto la parola. Quando si girò verso di me aveva la stessa espressione annoiata con cui mi aveva accolto la sera in cui l'avevo conosciuto.
-Sono braccato dalle forze dell'ordine e da una banda di criminali e invece di darmi da fare sto qui a farti da balia… La cosa mi infastidisce parecchio!-
Scattai in piedi, ferita ed umiliata, aprendo la porta con un gesto secco.
-Prego, vai!- strillai con tono velenoso -Se desideri tanto farti ammazzare non sarò certo io a fermarti!-
Price sbuffò e mi raggiunse per serrare l'uscio; senza tanti complimenti tentò di scansarmi, ma mi parai nuovamente davanti a lui, con le lacrime che minacciavano di sgorgare incontrollate ad ogni istante.
-Mi dispiace per non essere rimasta ad aspettarti davanti a quel locale!- mormorai con tono più basso, vagamente piagnucoloso -Non sai quanto mi dispiace! Tu non sai cosa ho passato, Connor, rinchiusa con Barbara in quello scantinato fatiscente, con la convinzione che saremmo morte entro poche ore! Tu non sai cosa sto passando adesso, mentre lei è ancora nelle loro mani e tu all'improvviso sembri… Diverso.-
Gli occhi castani dell'uomo rimasero freddi, con una traccia di cupo e beffardo cinismo che brillava in fondo allo sguardo.
-Spostati, Elizabeth, o tutto il palazzo saprà i nostri guai. E a quel punto non dovremo far altro che aspettare che l'ispettore Nelson ci venga a prendere!-
Barcollai all'indietro, frastornata dal suo comportamento ed in preda ad una cocente delusione; fino a quel momento avevo sperato che il suo comportamento fosse solo una ripicca, ma iniziavo a ricredermi. Price sospirò e si voltò verso di me, appoggiando le ampie spalle contro la porta d'ingresso.
Il silenzio si fece sempre più pesante finché non scoppiai in un pianto incontrollato e singhiozzante.
-Io ci avevo creduto!- balbettai tra le lacrime -Avevo creduto davvero alle tue parole, Connor! Quando dicevi di amarmi, quando dicevi… Di ammirarmi! E tutte le volte che sembravi comprendermi, accettarmi per quello che sono, senza pretendere nient'altro! Io ci credevo, maledetto bastardo! Non puoi farmi questo! Non dopo che…-
La mia voce si spezzò e per un momento tentai di fermare il flusso di parole che sfuggiva dalle mie labbra, ma alla fine decisi che arrivati a quel punto, tanto valeva che l'umiliazione fosse completa.
"Magari, se gli urlo tutto addosso ora, inizierà a farmi meno male. E quando non mi sarà rimasto più nulla da dirgli, forse mi sentirò meglio…"
Perciò continuai:
-Non dopo che sei stato l'unico motivo che mi ha permesso di non crollare davanti a Winter o a Clarke. Pensavo a te, alla forza che riuscivi a darmi e continuavo a sperare. Ma era tutto un'illusione… La sciocca fantasia di una ragazza di campagna…-
Avvertii un impercettibile mutamento nel contegno rigido di Connor: un fremito quasi impossibile da cogliere, un'istantanea distorsione dei lineamenti in una smorfia di sofferenza.
Pensai subito di essermelo immaginato, perché quando parlò la sua voce era calma e controllata:
-Credimi, è meglio così. In fondo lo sapevamo entrambi che se avessimo iniziato una relazione non ci avrebbe portato da nessuna parte…-
-E allora perché?- sbottai -Perché farmi quelle dichiarazioni? Il libertino Connor Price voleva levarsi lo sfizio di portarsi a letto la sorella del proprio migliore amico? O forse ti dava fastidio la competizione con Tony? Perché…-
La rabbia di Connor esplose senza avvertire e il suo grido di frustrazione fu talmente aggressivo che istintivamente feci un passo indietro.
-Davvero non ci arrivi?- ringhiò, con le guance arrossate e la fronte corrugata -Dannazione, come puoi essere così cieca?-
Respirò profondamente e coprì con pochi passi la distanza che ci separava: i nostri nasi si sfioravano e nei suoi occhi brillava la stessa fiamma di quando si impegnava per qualcosa in cui credeva.
-Dici che non so cosa hai provato e probabilmente è vero. Ma tu non sai ciò che ho provato io: l'angoscia, il terrore di averti persa per sempre, il pensiero che potessero torturarti o, peggio, violentarti… Stavo impazzendo e sai perché? Perché era colpa mia! Io avevo promesso a Mark che ti avrei protetta, lo avevo giurato a me stesso non appena avevo compreso di amarti! Non ne sono stato capace, purtroppo.-
Mi guardò con malinconia:
-Non sei mai stata uno sfizio, Elizabeth. Fin dall'inizio, tu sei stata… Beh, qualcosa di più.
Non mi ero mai fermato a parlare con una donna fuori dalle lenzuola, prima di te. Non avevo mai sorpreso una ragazza mentre cucinava per me e non ero abituato ad averne una che sistemava il mio disordine senza essere pagata per farlo. Mi hai aperto gli occhi, sciocca ragazzina del Wyoming, e mi sono lasciato contagiare dalla tua innocenza e dal tuo ottimismo: ho davvero pensato che potesse funzionare. Dio, ero così dannatamente felice quando mi hai baciato, mi sembravo un fanciullino di dodici anni alle prese con la prima cotta!-
Scosse la testa accennando una risata e si scompigliò ulteriormente i capelli:
-Tutto ciò che ti ho detto, ogni singola parola… Era vero. Ciò che provavo, ciò che mi fai provare anche adesso… E' tutto estremamente vero. E fa male, dannazione, fa un male cane! Perché la triste verità è che tu meriti qualcosa di più di un aristocratico fallito ed alcolizzato ed io merito sicuramente di meno di quanto tu sia disposta ad offrirmi. Voglio dire, cosa potrebbe mai darti la vita, se ti permettessi di rimanere al mio fianco? Solo amarezze, disillusione e povertà. Io non voglio questo per te, Lizzie… Voglio… Io voglio…-
-Stai piangendo?- mormorai, incredula. Effettivamente gli occhi di Price erano lucidi e la sua intera figura tremava come se stesse per spezzarsi. Lui annuì:
-E'… E' la cosa più difficile che abbia mai fatto, ma io voglio solo che tu sia felice. E potresti esserlo molto di più con un uomo come Tony che con me.-
Il silenzio che calò nella stanza fu rotto dopo pochi istanti dal mio risolino isterico e sommesso. Mi passai una mano sulla fronte e mi ritrovai a fissare un Connor esterrefatto e leggermente indignato.
-Il primo gesto davvero altruista della tua esistenza…- ridacchiai beffarda -E lo sprechi per una cosa totalmente inutile?-
 
 
Angolo Autrice:
Questo capitolo è stato un parto. Lo giuro.
Ho dato fondo ad ogni mia energia creativa per scriverlo, quindi spero davvero che vi piaccia ahahahah
Purtroppo devo anche dirvi che per un mesetto circa gli aggiornamenti saranno piuttosto irregolari perché sto tentando di trasferirmi per l'Università ma la sfiga mi perseguita… Perciò non so quando starò a casa con computer, wi fi ecc… Ergo non so quando arriverà il prossimo capitolo xD
Scusate e a presto, spero
 
   Crilu 

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Capitolo 22
*** The reconciliation ***




-Prego?-
In quell'unica, sdegnosa domanda Connor era riuscito a far entrare tutto il suo orgoglio ferito. D'improvviso mi sentii leggera e molto più sicura di lui, che sotto l'aspetto tormentato celava lo smarrimento che lo faceva sembrare un bambino. Gli accarezzai con la punta delle dita gli zigomi affilati e coperti da una leggera peluria disordinata. Era totalmente diverso da come amava presentarsi in società: nessun completo alla moda, niente capelli pettinati né viso ben rasato, quella sera.
Perché il vero Connor era così: inquieto e ribelle, anticonvenzionale... Più tentava di adeguarsi al mondo più ne risultava estraneo. E finalmente compresi che era stato soprattutto questo ad attrarmi: anche se a prima vista potevamo sembrare opposti, quel disagio ci univa a un livello molto più profondo di quanto gli altri potessero mai immaginare.
Eravamo diversi, avevamo abbandonato i ruoli che la gente ci aveva cucito addosso ed entrambi portavamo ancora addosso le cicatrici delle nostre scelte.
Sorrisi, mentre nuove, calde lacrime riprendevano a scorrermi sulle guance: solo che queste erano di pura gioia. Di slancio posai le mie labbra sulle sue e non mi fermai; non aspettai che Connor rispondesse al mio bacio, non mi lasciai frenare dalla timidezza. Tastai con delicatezza le morbide ciocche bionde che gli si arricciavano attorno alla nuca, avvertii il suo corpo che cedeva sotto il mio abbraccio… Poi, velocemente come era iniziato, tutto finì ed io mi ritrovai a sbattere le palpebre davanti ad un uomo infuriato.
-Allora non hai ascoltato nulla di ciò che ho detto?- sbraitò, gesticolando come un indemoniato.
-Ogni parola!- replicai, senza poter nascondere l'allegria -Ma sei tu che ti sei dimenticato di ascoltare la cosa più importante!-
Gli posai una mano sul petto, lì dove il suo cuore batteva all'impazzata, e Price ammutolì.
-Ti prego, se davvero mi ami, allora lascia decidere a me della mia felicità…- mormorai con voce tremante -Io credo che non potrei mai, mai essere felice con un uomo che non sia tu, Connor. Perché solo tu hai capito che in realtà sono una tigre e che non ho bisogno di nessun custode, quindi solo tu potresti essere il mio compagno. Perché per tutti gli altri rimango una ragazzina, ma con te sono finalmente una donna!-
Avrei voluto dire molte altre cose, ma la voce mi si spezzò e poi Price non mi diede il tempo di aggiungere altro: con un sospiro di liberazione mi prese per le spalle e mi strinse a sé, poggiando il mento sul mio capo e coprendolo di baci leggeri e tremanti.
-Continuo a credere che non sia una buona idea…- borbottò dopo un po', scostandosi leggermente per potermi guardare negli occhi.
-Oh, sta' zitto!- esclamai, alzando lo sguardo al cielo e baciandolo di nuovo. Sembrava che non ne avessi mai abbastanza.
Non so come riuscimmo ad arrivare sul letto di Mark: barcollando come ubriachi, forse, appoggiandoci ai muri pur di non staccare le labbra da quelle dell'altro.
Crollai sul materasso, duro come una roccia ed altrettanto freddo, con una risata felice; Connor rimase in piedi, fissandomi con un'aria strana.
-Cosa c'è, ora?- chiesi, un po' preoccupata. Sapevo che il mio aspetto non doveva essere granché: tre giorni di prigionia e la rocambolesca fuga avevano ridotto il mio vestito ad uno straccio incolore ed i miei capelli erano aggrovigliati ai lati del mio viso.
Price piegò il capo di lato, improvvisamente nervoso:
-Non so che fare… Voglio dire, sì, lo so, accidenti se lo so! Ti desidero, ti voglio nuda nel minor tempo possibile… Ma ho paura che non sia quello che vuoi tu…-
-Dov'è finito il Connor Price che conosco io?- lo rimbrottai, piegandomi verso di lui -Quell'irriverente, insopportabile mascalzone dalla battuta sempre pronta che mi ha fatto innamorare?-
Connor sussultò, come se non fosse pronto a sentirsi dire una cosa del genere. Come se non lo ritenesse possibile.
"Credevi forse che fossi l'unico a poter amare senza condizioni, senza curarsi dei difetti?" pensai, con indulgente dolcezza.
Si sedette affianco a me, seguendo con la mano le curve del mio corpo; aveva un'aria sognante mentre mi contemplava, ma nonostante ne fossi lusingata non ero del tutto soddisfatta. Volevo di più ed arrossii per quei pensieri così audaci.
-Non voglio che tu abbia paura di me! Non voglio farti male!- sbottò lui all'improvviso, tornando a guardarmi in volto.
-Tu non sei come loro!- ribattei subito, rannicchiandomi nel suo abbraccio -Io so che non sarai mai come loro. Io mi fido di te, ti amo e ti voglio. Il resto non ha importanza.-
-Anche se non ho un anello da darti?- sussurrò, scompigliandomi i capelli.
-Beh, ci sarà tempo per quello!- ridacchiai, strizzandogli l'occhio.
Poi non ci fu più bisogno delle parole, mentre Connor slacciava con impazienza gli infiniti bottoni del mio vestito e mi liberava della sottoveste. Non mi lasciò il tempo di imbarazzarmi, perché si tolse la camicia e fece sparire i pantaloni con altrettanta celerità.
Continuò a guardarmi negli occhi mentre si stendeva su di me per essere sicuro che il mio consenso non venisse mai meno; sussultò insieme a me quando mi fece male, entrando, e mi baciò la punta del naso in segno di scusa.
Le prime spinte furono gentili e prudenti, le sue mani curiose ed esperte; ma man mano che il ritmo dei nostri corpi accelerava sentivo il suo respiro sul mio collo farsi affannato e le dita serrarsi attorno ai miei fianchi.
-Non scappo mica!- sussurrai ad un certo punto, con la voce spezzata per il piacere che iniziava a montare.
-Non te lo permetterei mai!- rispose lui con un ringhio -Ora sei mia, Elizabeth Walker!-
L'orgasmo che accompagnò quelle parole fu talmente intenso che gli perdonai anche lo slancio di possessività maschile. Singhiozzai, credo, tanta era la sorpresa e la felicità che quell'amplesso mi aveva regalato; mi aveva però anche lasciata svuotata ed intorpidita. Così, l'ultima cosa che riuscii a fare prima di scivolare in un dolce sonno ristoratore fu di circondare il caldo torace di Connor in un abbraccio.
 
Fui strappata ai miei sogni da delle grida concitate e da un'improvvisa, sgradevole sensazione di vuoto. Socchiusi gli occhi e la scena che riuscii ad intravedere me li fece spalancare. Balzai in piedi, incurante della mia nudità, per frappormi tra Connor e… Mio fratello.
Mark aveva i lineamenti stravolti dall'ira e stringeva i pugni come se non vedesse l'ora di scaricarli sulla faccia di Price. Connor, da parte sua, aveva una postura rigida ed orgogliosa. Arrossii nel vederlo in tutta la sua gloria alla luce del mattino.
Mark boccheggiò, spostando lo sguardo tra me e lui, poi strillò:
-Elizabeth… Copriti, per amor di Dio!-
Obbedii, stringendomi le lenzuola attorno al corpo, poi tesi a Connor i suoi abiti, ma lui non si mosse.
-Hai tutto il diritto di essere arrabbiato!- iniziò, ignorando l'occhiata torva di mio fratello -Non mi sono comportato come un gentiluomo, è vero. Ma le mie intenzioni con Elizabeth sono più che onorevoli!-
-Mi è difficile crederlo!- ringhiò Mark -Quando per anni ti ho visto saltare da un letto all'altro e da una puttana a quella successiva… Senza il minimo rimorso o ripensamento! Spiegami perché questa volta dovrebbe essere diverso!-
-Perché io amo tua sorella!- replicò tranquillamente Connor, poggiandomi una mano in mezzo alle scapole. L'audacia che la sera prima mi aveva animato sembrava scomparsa e mi vergognavo troppo per osservare qualcosa che non fosse il pavimento. Almeno fino a quando delle dita gentili non mi costrinsero a guardare due occhi nocciola che scintillavano di orgoglio:
-Perché è la donna più straordinaria che abbia mai conosciuto.- disse, sempre rivolto a Mark, ma fissando solo me -E non so quale pazzia l'abbia colta, ma da quando ho scoperto che anche lei mi ama, talmente tanto da passare sopra ai miei considerevoli difetti e al fatto che non ho nulla da offrirle se non un nome falso, beh, io non riesco ad immaginare un solo istante della mia vita che mi vedrà separato da lei!-
Mark sospirò: il fiato che gli uscì dalle narici mi ricordò un toro imbizzarrito, ma ora era decisamente più calmo.
-Temo quindi che mi dovrò adeguare a questa realtà!- commentò con tono cupo. Poi mi fissò intensamente, con fare quasi accusatorio:
-Lizzie, sei davvero sicura di ciò che fai? Perché se ti sei pentita, anche solo per un momento, di quello che è accaduto stanotte… Beh, non ti preoccupare, in qualche modo sistemeremo tutto. Non ti devi sentire obbligata nei suoi confronti.-
Sentii i muscoli di Connor tendersi, dietro di me; non so se l'avesse fatto apposta, ma Mark aveva espresso in una sola frase tutte le sue peggiori paure.
-E' la vita che ho scelto. E non si torna indietro, adesso.-
Mio fratello si rilassò del tutto, assumendo un'aria quasi amichevole.
-Bene, allora. Benvenuto nella famiglia Walker, amico! Però… Rivestitevi, per favore!- borbottò, dandoci le spalle -Ho delle cose da riferirvi! -
 
Quando finalmente riuscimmo a raggiungere Mark nel salotto, era passato sicuramente molto più tempo di quanto avremmo dovuto impiegare per infilarci i vestiti.
Il fatto era che Connor sembrava un ragazzino pieno di energie e non riusciva a lasciarmi andare, continuando ad abbracciarmi, a baciarmi e a farmi volteggiare per la stanza – e dato che non sono una piuma, fui piacevolmente colpita dalla sua forza.
Io, invece, mi sentivo stanchissima: avevo dormito poco e avevo le gambe anchilosate per aver fatto l'amore con Connor per gran parte della notte. La preoccupazione per Barbara, poi, mi faceva sentire in colpa e aveva disegnato due ampie occhiaie scure sulle mie guance.
Perciò mi lasciai cadere su una sedia per ascoltare ciò che Mark aveva da dirci.
-Sono riuscito a mettermi in contatto con Calloway e a riferirgli dei recenti sviluppi. Eravamo d'accordo sul fatto che non potevamo procedere direttamente contro Clarke, ma il vecchio ha avuto un'altra idea.-
-E sarebbe?-
-Ezra sta organizzando un grosso sciopero ed intende coinvolgere anche altre fabbriche. Una manifestazione del genere genererebbe un caos indescrivibile e Calloway teme che Winter e i suoi uomini possano infiltrarsi tra gli operai per portare a termine un altro furto, più grande dei precedenti.-
-Se riuscisse a convincere anche gli altri operai, è un'ipotesi plausibile!- commentò Connor -Sarebbe impossibile distinguere i lavoratori di fabbriche diverse, figuriamoci capire chi è operaio e chi non lo è. Senza contare che presto potrebbe degenerare in uno scontro con le forze dell'ordine!-
-E' quello che ho pensato anche io. Anzi, se mettere a segno l'ultimo colpo è davvero l'intenzione di Winter, non si farà scrupoli ad aizzare i lavoratori contro i gendarmi!-
-Sarà un massacro!- esclamai, spaventata -Per quando è previsto lo sciopero?-
-Domani.- rispose cupamente Mark, passandosi una mano fra i capelli.
-Cosa? E' impossibile! Non può raccogliere tante persone in così poco tempo!-
-Tu non conosci la situazione di quella povera gente, Lizzie!- replicò Connor -E anche se Clarke non è mai stato un grande affabulatore, basterà dare gli spunti giusti: parlare dei padroni che li sfruttano, criticare i turni infiniti, fare un accenno alle loro mogli ai loro figli ed infine, come tocco finale, fargli balenare davanti agli occhi la prospettiva di un futuro migliore. Come asini davanti ad un cesto di carote, quegli uomini caricheranno in massa pur di avere la possibilità di elevare la loro posizione sociale!-
Aggrottai la fronte, perplessa:
-Tutto questo è terribile, ma non riesco a comprendere come possa tornarci utile. C'è il rischio che, se tutto va secondo i loro piani, Winter e i suoi complici spariscano nel nulla nel giro di ventiquattr'ore; come può lo sciopero tornarci utile?-
-La polizia non può controllare ogni soggetto e secondo l'opinione di Calloway, basterà confonderci nella folla per seguire Clarke senza essere scoperti. Con un po' di fortuna ci porterà da Barbara!-
 
 
Angolo Autrice:
Ok, so che qualche scena di questo capitolo potrebbe sembrare un melenso cliché, ma… Niente, ho bisogno di cose dolci e zuccherose in questo periodo! xD
Perciò godetevi la riappacificazione tra Connor ed Elizabeth, perché ci stiamo avvicinando al gran finale!
 
    Crilu 

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Capitolo 23
*** The strike ***




"Non sono pronta!"
Ecco cosa pensai quando insieme a Mark e Connor mi trovai davanti alla folla di operai.
Il punto era che a Rosenville nessuno scioperava (nonostante il lavoro in fabbrica o nei campi fosse duro, faticoso e spesso ingiusto) e anche se qualche pazzo avesse deciso di mettere in piedi una simile iniziativa, essa non avrebbe mai avuto le proporzioni di ciò che vidi quel giorno a San Francisco.
Uomini in abiti da lavoro o con quelli delle feste, donne dall'aria volitiva ed arrabbiata, addirittura piccoli monelli che sgusciavano tra le gambe dei passanti, agili come cavallette… Tutti erano pervasi da una strana euforia che da un momento all'altro avrebbe potuto trasformarsi in rabbia e violenza. Soprattutto perché gli agenti che tenevano d'occhio la situazione da ogni angolo della strada erano tesi, nervosi e pronti a scattare al minimo cenno di tumulto.
-Non abbiamo molto tempo!- commentò Mark in tono grave. -Il corteo principale muoverà verso il Mission District, dove raccoglierà altri manifestanti, e poi punterà verso il centro della città… Anche se dubito che li lasceranno avvicinare al municipio!-
-Clarke non è qui in mezzo!- intervenne Connor, scrutando attentamente la folla -E dobbiamo anche tenere d'occhio la fabbrica di Calloway!-
-Siamo solo in tre!- esclamai, esasperata -Come potremmo cercare Clarke qui e sorvegliare la fabbrica allo stesso tempo?-
-Perché non siamo da soli!- mi rispose Mark, alzando la mano in un cenno di saluto. Spalancai gli occhi quando dal corteo emerse la figura familiare di Tony, seguito da Giacomo e da altri pescatori italiani.
-Cosa ci fa lui qui?- domandò Connor con la fronte aggrottata. Era sorpreso quanto me e anche vagamente ostile.
-Ieri sera il signor Walker mi ha spiegato cosa sta succedendo e ha chiesto il mio aiuto. Se ci dite come è fatto questo Ezra Clarke, state pur certi che noi lo troveremo!-
Mi voltai verso mio fratello:
-Quindi è questo il piano?-
-Esatto!- annuì lui -Mentre io, Tony e gli altri ci mescoleremo agli operai tu e Connor vi dirigerete verso la fabbrica!-
Storsi il naso in una smorfia dubbiosa:
-Non mi piace molto. Perché non possiamo rimanere anche noi qui e mandare gli amici di Tony alla fabbrica?-
-Perché tu sei l'unica ad aver visto in faccia Winter ed è probabile che ci sia anche lui, se ci abbiamo visto giusto. Inoltre tu e Connor non sembrate affatto operai!-
Osservai prima il mio abbigliamento sobrio ma di buona qualità, poi i lineamenti aristocratici di Connor e sospirai: per quanto l'idea di mio fratello non mi piacesse, era la nostra unica possibilità.
 
Si rivelò anche essere l'idea migliore, ma questo lo ammisi solo dopo diverso tempo. Lì per lì, infatti, mi sembrò solo un gran disastro!
A causa dello sbarramento delle forze dell'ordine il corteo fu impossibilitato a seguire il percorso previsto. Dopo numerose proteste e qualche rissa, stando a quello che mi raccontò poi Mark, la folla sempre più infervorata ed arrabbiata prese a dilagare per le strade laterali, cercando di evitare per quanto possibile lo scontro con i poliziotti armati e pronti a sedare il tumulto con la violenza.
Nei quartieri periferici di San Francisco si scatenò il caos.
Fu così che quando io e Connor arrivammo alla fabbrica di Calloway, questa era stata già presa d'assedio dagli operai. Per quanto cercassimo di chiedere in giro, nessuno sembrava aver visto però Ezra Clarke.
-Stammi vicina, Elizabeth!- mi ordinò Connor, mentre gli spintoni si facevano più violenti e le grida più alte. Mi aggrappai al suo braccio, ma con la coda dell'occhio scorsi una figura familiare oltre il cancello della fabbrica.
"Winter!" realizzai, mentre il criminale entrava nel cortile da una porta laterale, senza essere visto.
-Connor, andiamo! E' lì!- gridai, con quanto fiato avevo in gola, sporgendomi verso la fabbrica. Ma la folla era troppo pressante e quel semplice gesto bastò a spezzare il nostro contatto fisico: mi voltai per cercarlo e chiamarlo, ma Price era sparito in mezzo ad una moltitudine di facce sconosciute. Non ebbi altra scelta che andare da sola, perché il timore che Winter sparisse insieme alla nostra unica possibilità di salvare Barbara era angosciante.
La porta che l'uomo aveva utilizzato era chiusa a chiave, perciò dovetti fare il giro della recinzione fino a trovare un lato che quasi sfiorava il muro della costruzione vicina, fortunatamente non assediato dal corteo di protesta. Un albero da frutto dai rami eleganti ed arcuati era cresciuto sul lato della strada, estendendosi fin sopra al muro: pregando affinché non si spezzasse sotto al mio peso, mi arrampicai sulla pianta e mi lasciai cadere dall'altra parte.
Mi graffiai le mani e strappai la gonna in diversi punti quando atterrai sulle ginocchia, ma non me ne curai: incespicando, vagai alla ricerca di Winter, pensando in fretta ad un modo per fermarlo.
 
P.O.V. Mark
 
Fui strattonato e spintonato a lungo prima di individuare Clarke in mezzo alla folla. Avevo perso di vista Tony e i suoi compagni perciò mi feci largo da solo attraverso gli operai, fino a raggiungere il palchetto improvvisato dal quale il sindacalista stava arringando il popolo. Non appena il suo sguardo incontrò il mio gli mancarono le parole ed impallidì vistosamente.
Per qualche istante comunicammo così, con gli occhi: i miei accesi di una furia indescrivibile, i suoi sgranati per la sorpresa e per la paura. Poi, da vigliacco qual era, alzò il dito contro di me, voltandosi verso i poliziotti che sostavano poco lontano:
-Agenti, è un evaso! Un criminale! Catturatelo!-
La folla si agitò mentre gli agenti tentavano di attraversarla per raggiungermi, ma fortunatamente qualcuno mi riconobbe e decise di ostacolarli per garantirmi la fuga. Ma io non intendevo fuggire, perché avevo visto Clarke defilarsi silenziosamente.
Non so per quanto tempo navigai in mezzo a quella marea umana nel caldo umido di una delle prime giornate primaverili. So solo che tornai finalmente a respirare quando Ezra si infilò in un vicolo laterale ed io lo seguii.
-Fermati!- rantolai, riprendendo il fiato -Fermati, Clarke!-
Ovviamente non mi ascoltò e fui costretto a lanciarmi di peso su di lui per frenare la sua corsa. Gli rifilai un calcio tra le costole, seguito da un pugno sul volto e un altro sul petto: ero ridotto alla stregua di una belva inferocita e colpivo alla cieca, senza riflettere. Riuscivo solo a pensare a Barbara, a quanto dovesse essere spaventata, all'amicizia tradita da un compagno di cui mi fidavo, all'uomo che avevo assassinato e agli occhi terrorizzati di una giovanissima Lizzie…
Stavo per scaricare l'ennesimo colpo su Clarke, ma un braccio vigoroso mi bloccò.
-Basta! O lo ammazzerà!- esclamò una voce sgomenta dall'inconfondibile accento italiano.
Tony mi spintonò via ed afferrò Ezra per il bavero della giacca, aiutandolo a mettersi a sedere. Solo allora vidi realmente chi avevo davanti: un uomo inerme e spaventato, col volto tumefatto per i miei pugni e gli occhi lucidi. Ciononostante, la mia rabbia non si era affatto sopita.
-Faresti meglio a dirmi subito dove l'avete portata, Ezra!- sibilai, mantenendomi ad una certa distanza per non cadere nella tentazione di picchiarlo di nuovo.
Il sindacalista balbettò qualcosa di incomprensibile e Tony lo sollevò, spingendolo contro il muro.
-Non ha sentito il signor Walker?- domandò, beffardo -Dove avete messo la signorina Calloway?-
-Io… Io non lo so!- piagnucolò l'uomo, cercando di farsi più piccolo davanti alle nostre espressioni minacciose.
-Non farmi perdere la pazienza!- ruggii -Mi fidavo di te! Cristo, ti ritenevo addirittura una brava persona! E invece sei solo un verme schifoso, troppo codardo anche per affrontare i tuoi errori! Oh, ma te la faccio pagare, Clarke, fosse anche l'ultima cosa che faccio prima di essere giustiziato, io te la faccio pagare per tutto ciò che mi hai fatto!-
-Arrabbiarsi così non serve a nulla!- mi redarguì Tony, poi fece un cenno d'intesa ai suoi compari che attendevano in fondo alla strada.
-Signor Clarke, dia retta a me, le conviene parlare. Perché altrimenti la lascio con i miei amici laggiù, li vede? E loro non sono gentili quanto noi…-
-Voi non capite!- strillò Clarke, con le pupille dilatate che roteavano come impazzite -Se parlo mi ammazzeranno come un cane! Non è gente con cui si scherza!-
-Tu gli hai consegnato mia sorella, bastardo!- ringhiai, scostando l'italiano e afferrandolo per la gola.
-Anche io potrei ammazzarti per questo! Come vedi, la scelta è tua!-
Ezra annaspò in cerca d'aria, mentre la mia presa si faceva sempre più serrata. Infine, con un singulto, mi fece segno di lasciarlo andare.
-L'hanno nascosta nel cantiere di una fabbrica in costruzione, sulla Terza Strada.-
-Sia più preciso!- gli intimò Tony.
-Sentite, non lo so, va bene? So solo che l'hanno sistemata lì in modo che non potesse scappare, in attesa di eliminarla una volta fatto il colpo!-
Mi voltai verso l'italiano pallido in volto:
-Per quanto ne sappiamo, Winter potrebbe aver già messo le mani sulle armi di Calloway!- sibilai, mentre l'angoscia mi chiudeva la gola.
-Allora dobbiamo fare in fretta!-
 
P.O.V. Elizabeth
 
Iniziai a perdere le speranze quando compresi di essermi persa: il complesso di edifici costruiti attorno alla fabbrica di Calloway era molto più complesso di quanto non sembrasse ad una prima occhiata ed io, che vi ero entrata una volta sola, non sapevo riconoscere la struttura principale dagli uffici o dai magazzini.
Il vociare concitato degli operai si era affievolito, segno che dovevo essere ormai sul retro della fabbrica. Fu per puro caso, quindi, che incappai nel posto giusto al momento sbagliato: stavo per girare l'angolo di quello che presumevo fosse un magazzino per gli imballaggi, quando mi resi conto che davanti a me Winter e altri due uomini stavano caricando le armi in tre ampie casse.
Subito mi tirai indietro e mi appoggiai con la schiena al muro: avevo il respiro accelerato ed il cuore che batteva così forte nel petto da oscurare ogni altro rumore.
"Li ho trovati!" pensai, sgomenta "E adesso che faccio? Oh, stupida, stupida Elizabeth! Dovevi pensarci prima!"
Poi i miei pensieri si zittirono di colpo. Sentii l'inconfondibile suono di una pistola che veniva armata e pochi istanti dopo una fredda canna d'acciaio fu premuta contro la mia tempia.
 
 
Angolo Autrice:
Beh, Lizzie in effetti non è stata molto intelligente… xD vedremo come se la caverà! Che ne pensate del capitolo? Il titolo può essere tradotto sia con "sciopero" sia con "colpo, sorpresa" in riferimento ovviamente alle macchinazioni di Winter.
Ci stiamo avvicinando all'epilogo ed io intanto ringrazio tutti coloro che hanno recensito perché abbiamo raggiunto quota 100 recensioni!!!! Grazie grazie grazie!!!!!!
 
 
   Crilu

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Capitolo 24
*** The accountant ***


P.O.V. Mark
 
Il tempo che impiegammo per raggiungere la Terza Strada, nella periferia sud di San Francisco, mi parve infinito. Avevamo affidato Clarke, stordito da un colpo ben assestatp di Tony, ai suoi amici, che avevano assicurato di tenerlo d'occhio per noi finché andavamo in cerca di Barbara. Nonostante mi fossi sfogato su di lui ero riuscito ad allontanare solo in minima parte l'ira selvaggia che mi ardeva nelle vene e che mi obnubilava la mente. Il fatto che avessimo dovuto attraversare di nuovo il corteo di protesta, per di più controcorrente, aveva dato fondo a ciò che restava nella pazienza, perché mi sembrava di nuotare in un gigantesco barattolo di melassa calda e soffocante: ogni passo che facevamo era parzialmente contrastato dalla forza della folla che ci spingeva indietro.
Quando finalmente fummo lontani dalla zona calda della città tornai a respirare con normalità, schiarendomi anche le idee: lanciai uno sguardo d'intesa a Tony, che aveva appoggiato le mani sulle cosce per riprendere fiato, ed iniziammo a correre come forsennati.
La Terza Strada era un viale moderno in cui si alternavano magazzini e negozi di vario genere, ma nessuna fabbrica, tanto che iniziai a temere che Ezra ci avesse depistato.
Poi individuammo il cantiere, che in realtà era situato dietro alla strada, in uno spiazzo brullo e lontano da ogni altro edificio, da cui si poteva vedere la scintillante distesa dell'Oceano.
-E' deserto!- bisbigliò Tony, mentre si guardava intorno circospetto -Crede che sia una trappola?-
-Non lo so!- mormorai di rimando -Potrebbero aver lasciato degli uomini a guardia di Barbara, per assicurarsi che non riuscisse a scappare…-
-E nel caso che facciamo?-
-Io ho questa!- replicai, tirando fuori la pistola di Calloway e preparandomi allo scontro.
Ci avvicinammo con circospezione e bastò un'occhiata veloce al di sopra della staccionata di legno che chiudeva il cantiere per confermare le mie premonizioni: due uomini armati sorvegliavano un capanno di legno malmesso, che doveva servire da rimessa per assi e altro materiale del cantiere.
-Non sembrano molto attenti…- bisbigliò Tony con la fronte aggrottata. E aveva ragione: uno era seduto per terra a sonnecchiare con il cappello sugli occhi, mentre l'altro girovagava attorno alla casupola con fare annoiato, senza realmente prestare attenzione a ciò che gli accadeva intorno.
Fu grazie a ciò che riuscimmo a scavalcare la staccionata senza essere notati.
Purtroppo l'ambiente offriva pochi ripari per avvicinarci indisturbati e Tony mi fece segno di non continuare, appostandosi dietro un cumulo di scarti di legname.
-Non possiamo andare più in là!- mormorò l'italiano.
-Lo so!- sbuffai -Ma Winter potrebbe tornare da un momento all'altro!-
-Allora gli spari!-
Lo guardai stranito:
-Sta scherzando?- ringhiai, mentre il mio animo, mio malgrado, iniziava ad accarezzare quell'idea. Ma il senso di orrore e di disgusto per me stesso che avevo provato uccidendo il pistolero di Rosenville era un doloroso marchio che non avrei mai dimenticato.
-Non ho detto che deve ucciderlo!- si affrettò a spiegare Tony, forse comprendendo il corso dei miei pensieri. -Basterà renderlo inoffensivo!-
-Non ho una grande mira…- borbottai, incerto -E poi sono in due, no? Se sparo ad uno il suo compare risponderà al fuoco!-
-Faccia provare me!-
Prima che potessi fermarlo Tony mi aveva già strappato la pistola dalle mani e sporgendosi da sopra alla catasta di legna fece fuoco.
L'uomo in piedi cadde a terra imprecando e scalciando, tenendosi la gamba ferita, mentre il suo collega balzò in piedi e si guardò attorno con gli occhi ancora rossi per il sonno. Senza esitare l'italiano prese nuovamente la mira e lo centrò ad un braccio.
Poi sorrise con aria soddisfatta, restituendomi l'arma.
-Ecco fatto. Ora possiamo andare!-
 
P.O.V. Elizabeth
 

Mi voltai lentamente e sbattei le palpebre con fare perplesso quando mi trovai di fronte un viso del tutto sconosciuto. Era un uomo poco più alto di me, vestito con un completo elegante ma anonimo e con i capelli pettinati all'indietro; un paio di baffetti biondi gli ombreggiavano le labbra sottili e i suoi occhi di un verde pallido mi squadrarono con cattiveria e una sorta di soddisfazione. La mano che mi puntava la pistola contro era pallida e dalle dita incredibilmente magre e lunghe.
-Ah, la giovane Walker!- esclamò gioviale la voce di Winter alle mie spalle, facendomi rabbrividire.
Girandomi incrociai il suo sguardo, ma non risposi, limitandomi a fissarlo con ostinazione.
Lui fece un cenno e l'uomo che non conoscevo mi sospinse in avanti fino a che non mi trovai bene in vista in mezzo al gangster e ai suoi uomini.
-Non credevo che ci avrebbe privato della sua compagnia così precipitosamente!- ghignò Winter
-Soprattutto lasciando indietro la sua amica… Tutta sola e spaventata! Oh, Elizabeth, no… E' stata davvero scortese!-
Strinsi i pugni e ancora una volta non risposi: la paura e la rabbia mi stavano soffocando.
-Vedo che ha conosciuto l'ultimo membro della mia speciale congrega! Dubito che abbia mai incontrato Simon Grey prima d'ora, anche se lui conosce molto bene suo fratello!-
Analizzai il signor Grey con una buona dose di disprezzo, ma lui non parve farci caso: continuava a fissarmi, arricciando le labbra in un sorriso inquietante. Quando parlò, la sua voce era roca e fievole:
-Sì, noto un'incredibile somiglianza. Mark Smith… Intendo dire, Mark Walker…. Non mi aveva mai convinto fino in fondo!-
-Neanche lei deve aver fatto una grande impressione a mio fratello: da quando sono venuta a conoscenza della sua indagine non l'ha mai nominata!- replicai.
Grey ridacchiò:
-Questo perché era troppo concentrato a sollevare la gonna di Barbara Calloway per accorgersi di cosa gli accadeva intorno! Ma è anche vero che ho sempre mantenuto un basso profilo in questa storia…-
-Dica pure che il suo ruolo è di marginale importanza!- esclamai, lanciandogli un'occhiata di derisione. Non avevo più il controllo delle parole che sfuggivano dalla mia bocca, poiché la mia mente si focalizzava su un unico pensiero: di lì a breve sarei morta.
-I suoi colleghi, da veri gentiluomini, non ritenevano necessaria la sua presenza alle loro riunioni!-
Simon Grey sembrò colpito dalla mia rivelazione e ciò fu la conferma che aveva solo un piccolo compito da svolgere nel complicato traffico ideato da Winter. Quanto a lui, il suo viso fu deformato da un lampo di stupita comprensione:
-C'era anche lei quella sera… Ci avete spiato! Allora avevo ragione, siete stati voi ad uccidere Jefferson! Grey, finiscila! Ha già creato fin troppi problemi!-
Io sobbalzai, insieme al pover'uomo che fissò il gangster con occhi stralunati:
-Ma, signore… Io…-
-Ho detto di spararle, per Dio! Obbedisci, se non vuoi che spari io a te!-
Vidi Grey alzare l'arma con mano tremante e respirai a fondo, sforzandomi di non piangere.
"Sto per morire. Mamma, papà… Mi dispiace. Ma adesso Mark ha una possibilità di tornare a casa…"
Rivolsi un pensiero affettuoso a Barbara e a Tony e da ultimo pensai a Connor. Tentai di ricostruire i suoi lineamenti dietro le palpebre chiuse: le labbra sempre vagamente imbronciate, i capelli in disordine e gli occhi magnetici che mi fissavano con amore dissiparono per un istante l'angoscia che mi serrava il petto e la gola.
Stavo per affidare la mia anima a Dio quando sentii lo sparo. Aprii gli occhi di colpo, boccheggiando per l'incredibile sensazione di essere ancora viva. Simon Grey, invece, giaceva a terra in una pozza di sangue che scorreva copioso e gemeva ad alta voce.
Mi guardai velocemente attorno e mi buttai a terra quando gli uomini di Winter aprirono il fuoco verso diverse direzioni imprecisate; ma ben presto furono colpiti a loro volta e costretti ad arrendersi da una squadra di poliziotti in divisa. Fu allora che la voce imperiosa dell'ispettore Nelson risuonò nello spiazzo, mentre l'uomo, avvolto nel solito impermeabile grigio, avanzava a grandi passi.
-Signori, siete in arresto!- esclamò, con evidente soddisfazione. Poi i suoi occhi d'acciaio si posarono su di me, ancora stesa a terra, e mi parve che il sorriso si allargasse un poco.
-Siete tutti in arresto!-
 
P.O.V. Mark

 
-Dove ha imparato a sparare in quel modo?- borbottai, mentre armeggiavo con il catenaccio che teneva chiusa la rimessa. I due uomini di Winter, legati alla catasta di legname, bestemmiavano ed imprecavano per la furia ed il dolore delle ferite, lanciandoci gli insulti più orrendi.
-Un amico di mio padre teneva un fucile da caccia…- rispose Tony, l'accento più marcato mentre ricordava il suo Paese d'origine.
Finalmente con un ultimo strattone il lucchetto cedette e la porta si spalancò; l'interno del capanno era buio e silenzioso e per un tremendo momento pensai che avessimo sbagliato tutto e che Barbara non fosse lì.
Poi la sua figura longilinea si stagliò nell'ombra mentre lei veniva avanti con passi incerti, incredula su ciò che i suoi occhi vedevano.
-Mark…- balbettò, portandosi una mano alla bocca mentre le lacrime iniziavano a scendere sulle sue guance.
Si gettò contro di me ed io la strinsi al volo, come avevo fatto nella fabbrica di suo padre il primo giorno che l'avevo conosciuta. La feci accoccolare tra le mie braccia e la tenni stretta contro di me fino a quando la tensione non si attenuò e le sue guance, prima estremamente pallide, ripresero un colorito sano e roseo.
Solo allora le alzai il viso verso di me e la baciai. In prigione le sue labbra mi erano mancate più della libertà, anche più della mia famiglia: ora che le avevo assaggiate di nuovo non avevo alcuna intenzione di farne a meno.
 
 
Angolo Autrice:
Eh già, sono ancora qui xD con un pizzico di fortuna dalla prossima settimana avrò una connessione internet decente e potrò tornare ad aggiornare con regolarità!
Intanto vi lascio con questo, ahimè, penultimo capitolo di The City e aspetto di sapere cosa ne pensate!
 
  Crilu 

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Capitolo 25
*** The solution ***





P.O.V. Elizabeth
 
Frastornata, mi lasciai trasportare alla stazione di polizia in una sorta di trance, quasi portata di peso dagli agenti. Ricordo che fu Nelson a prendermi in custodia, separandomi da Winter e dai suoi uomini; mi accompagnò lungo degli ampi corridoi di marmo grigio tenendomi per un braccio, ma evitando accuratamente di guardarmi negli occhi.
Quando mi trovai di fronte ad una cella riacquistai un po' di lucidità e mi voltai verso di lui.
-Io non le dirò nulla!- dissi, con una voce molto più ferma di quanto potessi immaginare.
L'ispettore sbuffò, alzando gli occhi al cielo:
-Sì, l'avevo immaginato… Non è per questo che l'ho portata qui. Non è davvero in arresto, signorina Walker.-
-Perché eravate lì? Come avete fatto a trovarmi?-
Nelson ammiccò verso la cella:
-Lo chieda a lui!-
Solo allora mi accorsi che sulla panca di ferro dietro le sbarre era seduto Price, con la testa fra le mani.
-Connor!- esclamai, avvicinandomi. Al suono della mia voce l'uomo alzò il capo di scatto e con poche, ampie falcate era di fronte a me con gli occhi che esprimevano autentico sollievo.
-Stai bene?- mormorò, facendo passare una mano attraverso le sbarre per accarezzarmi il viso.
-Sì!- risposi, non ritenendo quel momento adatto a rivelargli quanto fossi stata in realtà vicina alla morte -Cosa è successo? Perché l'ispettore Nelson ti ha arrestato?-
Connor sospirò:
-Perché ho confessato di aver assassinato Roger Jefferson!-
-Cosa hai fatto?-
Si tirò indietro e prese a passeggiare nervosamente per la stanza:
-Mi dispiace, Lizzie, ma era l'unico modo. Quando ti ho persa nella folla ho capito che da solo non sarei mai riuscito a ritrovarti… Perciò ho chiamato l'ispettore per intimargli di introdursi nella fabbrica di Calloway. Ero sicura che fossi lì e per fortuna non mi sono sbagliato! Solo che per spiegargli tutto sull'identità di Winter e dei suoi complici ho dovuto ammettere di aver assistito al loro incontro con Jefferson… E anche di avergli sparato, poi.-
-Oh, Connor…- singhiozzai, fissandolo terrorizzata. -E' colpa mia, se ti avessi aspettato…-
Lui si avvicinò di nuovo e mi strinse le mani, massaggiandole con dolcezza.
-Saremmo morti entrambi, temo. E' andata bene così, almeno tu sei salva ed è questa la cosa più importante, per me. Mi hai cambiato, tigre, mi hai cambiato così tanto… Se mi condanneranno, affronterò la morte a testa alta perché so di aver fatto la cosa giusta per proteggerti!-
Avrei voluto stringerlo a me, baciarlo, dare libero sfogo alle mie lacrime; invece l'ispettore Nelson, che ci aveva lasciati soli, ricomparve nella stanza. Mi guardò con un'espressione indecifrabile:
-Ci è venuto a trovare suo fratello, signorina Walker…-
-Mark? Mark è qui?- strillai, sgomenta.
"No, Signore, no! Tutti e due no!"
Nelson, però, non sembrava molto contento:
-Già, proprio così. E non è arrivato da solo!-
 
Quando mi affacciai nell'atrio della stazione di polizia la prima persona che vidi fu Barbara, che mi corse incontro piangendo. Di slancio la abbracciai, commossa:
-Mi dispiace!- sussurrai con voce incrinata -Potrai mai perdonarmi?-
-Per cosa?- rispose lei, con l'ombra di un sorriso sul volto sciupato -Per essere andata a chiamare i soccorsi? Non essere sciocca, Elizabeth, fuggendo mi hai salvato la vita!-
Annuii, sollevata, lasciando vagare lo sguardo oltre le sue spalle e rimanendo sorpresa dal vedere Thomas Calloway in persona al fianco di Mark.
Con il cappello elegante, i baffi impomatati ed il bastone da passeggio non sembrava né vecchio né malato, ma immaginai che riavere la figlia rapita accanto a sé avesse giovato al suo aspetto.
-Signorina Walker, è un sollievo vederla sana e salva!- esclamò con fare galante, avvicinandosi per stringermi la mano. Rimasi sorpresa che un uomo all'antica come lui stringesse la mano ad una donna, per di più di una classe sociale inferiore; ma l'ammirazione e la riconoscenza che provava trasparivano dal suo sguardo e in quel momento dovevano contare più dell'etichetta.
Poi si rivolse all'ispettore Nelson che si era fermato qualche passo indietro; anche il glaciale ufficiale di polizia sembrò in difficoltà davanti alla mole e allo sguardo tagliente di Calloway.
-Mi debbo congratulare anche con lei, ispettore Nelson: ho appena saputo dell'arresto che ha condotto poche ore fa. Un gran colpo!-
-Certamente, signore!- replicò l'altro -Ma ora dovrei procedere anche ad arrestare quell'individuo dietro di voi, il signor Walker. E' un impostore ed un assassino, signore! E per di più è già evaso dalle nostre prigioni!-
Calloway scambiò un'occhiata d'intesa con Mark:
-Arrestarlo? Magari per sbatterlo nella stessa cella del suo amico Connor Price, eh?-
Nelson si limitò ad inarcare un sopracciglio, senza rispondere, e l'altro continuò.
-Vede, ispettore Nelson, anch'io ho fatto le mie indagini. Da queste risulta che dieci anni fa un gruppo di pistoleri incaricati di scortare l'oro di una banca si fermò in una cittadina del Wyoming di nome Rosenville. Qui causarono diversi disturbi alla comunità, arrivando addirittura a tentare di stuprare una giovane di sedici anni… Mark Walker, nel tentativo di salvare la sorella, accoltellò uno di questi uomini.-
-Conosco questa storia, signor Calloway, e mi dispiace per la signorina Walker. Ma il motivo non cambia la realtà dei fatti: dieci anni fa il signor Walker uccise un uomo e non ha pagato per questo delitto!- sbottò l'ispettore, stringendo gli occhi.
-Fu costretto alla fuga dal nostro ingiusto sistema giudiziario, che avrebbe sicuramente favorito la banca nel processo. Dieci anni lontano da casa e dalla famiglia, solo e senza un soldo… E lei crede che non abbia pagato abbastanza?- insistette Calloway.
-Non spetta a me decidere!-
-No, infatti. Per questo le chiedo di liberare il signor Price e di non perseguire ulteriormente Mark!-
-Come, prego?-
Nelson era allibito, come me del resto.
"Possibile che l'influenza di Calloway arrivi fino a questo punto?" pensai, cercando conferme nello sguardo di mio fratello. Ma Mark era impassibile, al fianco di Barbara.
-Un'altra importante scoperta fatta dai miei collaboratori… Non per niente sono agenti della Pinkerton… E' che quei selvaggi "custodi" in realtà erano una banda di rapinatori. La polizia di contea gli stava con il fiato sul collo e perciò decisero di spacciarsi per pistoleri a pagamento, facendosi ingaggiare dalla banca con lo scopo di allontanarsi dalla loro solita area.-
Mentre parlava, Calloway tese a Nelson un plico di fogli: nonostante le fotografie fossero macchiate e rovinate dal tempo, non ebbi molte difficoltà nel riconoscere i miei assalitori.
-Quelle sono copie dei mandati di cattura emessi, tra gli altri, per Jesse Hamilton, l'uomo ucciso da Mark, e per Roger Jefferson. Come può vedere, lo Stato li voleva vivi o morti ed era disposto a pagare per loro… Dove potremmo fare richiesta per queste taglie?-
Ero così felice che avrei voluto abbracciare Thomas Calloway, ma mi trattenni e gettai invece le braccia al collo di mio fratello.
-Sei libero!- esclamai, con la voce rotta dall'emozione -Sei libero, finalmente!-
Avrei voluto correre a dare la buona notizia a Connor, ma l'ispettore mi trattenne. Era infuriato, ma tentava ancora di mantenere un po' di compostezza:
-A quanto pare sia il signor Walker che il signor Price non devono essere incarcerati e condannati per gli omicidi commessi, anzi… Possono ritirare le taglie che gli spettano. Dopo aver scontato i loro mesi di carcere, si intende!-
-Carcere?- esclamò Barbara, confusa. -Ma, ispettore, non può! L'ha detto anche lei che…-
-... Non possono essere condannati per omicidio. Ma per sciopero politico, associazione illecita, istigazione alla rivolta e simpatie sospette sì! Due o tre mesi di galera non ve li leva nessuno!-
 
P.O.V. Mark
 
Tre mesi di carcere con la prospettiva di tornare libero e poter riabbracciare la mia famiglia, senza dover più fuggire, mi parvero un prezzo accettabile per quell'omicidio che pesava sulla mia coscienza, a prescindere dall'identità del criminale che aveva messo le mani addosso a mia sorella.
Soprattutto ad animare le mie giornate era la prospettiva del matrimonio con Barbara: gliel'avevo chiesto pochi minuti prima che i poliziotti mi ammanettassero e l'immagine di lei che mi gridava il suo sì rimarrà per sempre una delle più belle nella mia memoria.
Connor si era adattato con qualche screzio alla vita da prigioniero, sebbene soffrisse moltissimo per la lontananza da Elizabeth.
-Noi due dobbiamo parlare di una cosa!- dissi, mentre ci preparavamo ad uscire da lì. La nostra pena era scaduta e non vedevo l'ora di tornare a Rosenville, anche se solo temporaneamente. Calloway mi aveva offerto di aiutarlo nella gestione della fabbrica ed io avevo accettato: la sua malattia procedeva velocemente e nessuno sapeva esattamente quanto tempo gli rimanesse.
Connor grugnì, gettandosi su una spalla il suo bagaglio. Prendendolo come un cenno d'assenso, continuai:
-Hai intenzione di fare di Elizabeth una donna onesta, vero?-
Il mio amico si passò una mano tra i capelli:
-Vuoi che sia sincero?-
-Ovviamente!-
-Lo desidero molto, sì. Però c'è un grosso problema, forse insormontabile…-
-Di che si tratta?-
-Lei vuole che venga con voi a Rosenville… A conoscere vostro padre per chiedere la sua mano.-
-E quindi?-
-E quindi? Ma stai scherzando? Come potrò mai fare una buona impressione a tuo padre? Lui è un eroe della guerra civile che ha costruito la First Transcontinental Railroad… Ed io solo un diseredato con una pessima reputazione!-
-A Rosenville nessuno conosce la tua reputazione di libertino dedito all'alcool e al gioco. Tu resta lontano dalla bottiglia, dalle carte e soprattutto dalle donne e vedrai che nessuno ti chiederà mai nulla! Quanto a mio padre… Beh, Russell Walker non è certo un uomo facile, ma vedrai, ti piacerà! Da giovane era spaccone come te ed è anche altrettanto bravo con la pistola!-
Price sbuffò, senza rispondere; era evidente che la questione lo inquietasse parecchio, perciò gli poggiai una mano sulla spalla, costringendolo a fermarsi a pochi passi dall'uscita della prigione:
-Elizabeth ti ama, Connor. E io ti devo ringraziare, perché non avrei mai pensato di poter rivedere lei o i miei genitori: è tutto merito della tua lettera, anche se l'hai scritta con tutt'altro intento! Lei è tornata a vivere solo grazie a te: non te lo dimenticare mai, i miei genitori non lo faranno!-
Quando uscimmo, trovammo ad aspettarci un nutrito gruppo di persone: c'erano Elizabeth, Barbara e Calloway, ma anche Tony con suo fratello e qualche operaio della fabbrica venuto a congratularsi con noi.
-Perché lui è qui?- sentii borbottare Connor mentre abbracciava Lizzie.
-Non essere sciocco, Price, ci ha aiutato molto e lo sai! Era giusto che ci fosse anche lui!-
Smisi presto di ascoltarli, perché davanti a me c'era la donna che amavo, con il suo splendente sorriso e gli occhi scintillanti di lacrime di felicità. La afferrai per la vita e le sussurrai all'orecchio quello che avevo promesso a me stesso molto tempo prima:
"Non ti lascerò mai più andare!"
 
 
Angolo Autrice:
Con Thomas Calloway come deus ex machina che salva la situazione, questa storia può dirsi conclusa! In effetti, questo è l'ultimo capitolo "effettivo": il prossimo sarà un epilogo e contemporaneamente la premessa alla prossima avventura della famiglia Walker (che però non inizierò subito, anzi!).
Mi dispiace separarmi da questi personaggi quasi quanto mi è dispiaciuto abbandonare Russell e Namid :'( ma tornerò comunque presto nella sezione storica, perciò mi consolo xD
Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate!!!
 
  Crilu

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Capitolo 26
*** The orphan ***




Rosenville, Wyoming, 1918
 
P.O.V. Elizabeth
 
Il cielo minaccia pioggia ed io sono di nuovo in cortile a spaccare la legna, mentre il vento fa turbinare le ciocche di capelli sfuggite alla mia crocchia.
Barbara si affaccia sul portico tenendo per mano la maggiore delle sue figlie, Roxanne:
-Rientra, Lizzie, o ti bagnerai!-
Io annuisco, raccolgo i ciocchi che ho già tagliato e li riporto in casa, mentre iniziano a cadere le prime gocce. In breve tempo si scatena un vero e proprio temporale e i miei tre nipoti si contendono la vista dalla finestra:
-Ragazzi, non aprite la finestra, mi raccomando!- esclama Barbara con preoccupazione, mentre mi aiuta ad apparecchiare la tavola.
-Lasciali stare, dai! La brulla campagna del Wyoming sferzata dal vento è un paesaggio totalmente diverso da San Francisco… E' normale che li affascini! Anche a me piaceva guardare fuori dalla finestra durante i temporali, da piccola!-
Mi fermo un istante: è un'esitazione quasi impercettibile, ma mia cognata la nota e mi guarda con affetto.
E io mi vergogno, tantissimo.
Perché ogni volta che guardo i miei nipoti, o il suo fisico leggermente appesantito dalle gravidanze, ogni volta che incontro un bambino o parlo della mia infanzia… Ecco, io mi chiedo perché proprio io non dovessi avere figli! E provo una delusione cocente ed un'invidia profonda per Barbara e Mark, sebbene adori Roxanne, Thomas e la piccola Sarah.
 
Quando Mark e Connor uscirono di prigione la vita mi sembrava una favola in cui tutto si sarebbe risolto per il meglio: dopo tanti dolori ed affanni credevo che una buona stella avesse ripreso a splendere su di me.
Mark si stabilì a San Francisco e alla morte di Calloway, sopraggiunta qualche anno dopo il matrimonio, prese definitivamente il comando della fabbrica, facendola prosperare, tanto che adesso, in tempo di guerra, Barbara non deve neanche supervisionarne la produzione.
Io e Connor, invece, non avevamo le idee chiare sul nostro futuro: sapevamo solo che eravamo innamorati e che saremmo stati felici dovunque, insieme. Così, un po' perché i miei genitori erano anziani e un po' perché i modi spicci e diretti della gente di qui piacquero subito a mio marito, finimmo per installarci nella fattoria di famiglia.
Mio padre è morto più di dieci anni fa, stroncato da un infarto improvviso che ci lasciò tutti sconvolti: fu allora che iniziai a pensare sul serio a costruirmi una famiglia tutta mia, forse perché il vuoto lasciato da Russell Walker nel cuore di mia madre veniva in parte colmato da me che le stavo accanto.
Con Connor non ne avevo mai parlato, ma fu subito entusiasta dell'idea: dopotutto, i figli erano una conseguenza naturale del matrimonio, o almeno così pensavamo.
Per mesi aspettammo, facendo progetti e supposizioni con una speranza che lentamente, mentre i mesi diventavano anni, si trasformò in amarezza.
Abbiamo consultato diversi dottori ma nessuno è stato in grado di dirmi perché non riesco ad avere figli e quest'incertezza, il dubbio di non essere all'altezza, di avere qualcosa di sbagliato, è un tarlo che mi consuma: anche se Connor non ha mai fatto o detto nulla per farmi sentire in colpa, so che avrebbe voluto essere padre.
Ma ormai non ha senso pensare a queste cose, perché sia io che Connor siamo invecchiati parecchio in questi diciotto anni e come se non bastasse si doveva aggiungere anche la guerra!
Personalmente, non avevo mai riflettuto su un possibile intervento del nostro Paese negli scontri in Europa e per i primi anni il conflitto era rimasto relegato al giornale che Connor leggeva mentre beveva il caffè. Era qualcosa di lontano, quasi immaginario.
Poi Tony, con cui mi ero tenuta in contatto negli anni, mi scrisse che sarebbe partito come volontario: l'Italia era entrata in guerra e lui sentiva il dovere di aiutare quella che nonostante la distanza sentiva come la sua vera patria.
La notizia mi turbò, ma quasi subito la vita alla fattoria mi impose di tornare alle mie abitudini: badare all'orto, ai campi e al bestiame aiutata da Connor, accudire mia madre, che dopo la morte del marito deperiva a vista d'occhio, tenere in ordine la casa…
Sembra una beffa, se ci penso ora: fatta eccezione di mia madre, tutto il resto non ha più importanza. Mentre il mio amico andava in guerra, io pensavo ad una casa che ora è il regno del disordine, visto che Barbara, un po' per aiutarmi e un po' per avere accanto una presenza amica, si è trasferita qui con i bambini per un tempo indeterminato. Il suo denaro è fondamentale in questi tempi duri, perché senza l'aiuto degli uomini mandare avanti la fattoria è sempre più difficile.
Mark e Connor sono partiti un anno fa, sebbene io avessi egoisticamente sperato fino all'ultimo che non fossero chiamati alle armi: dopotutto si avvicinano ai cinquant'anni e nessuno dei due ha più il fisico di un tempo.
Da allora le notizie ci giungono in maniera frammentaria e distorta: a volte qualche conoscente di Rosenville scrive di aver visto o l'uno o l'altro in trincea, altre volte io e Barbara siamo così fortunate da ricevere le loro lettere, scritte con inchiostro sbiadito al lume di un mozzicone di candela.
Non oso immaginare l'inferno che stia attraversando mio marito in questo momento, lui che aveva giurato di non versare mai più una goccia di sangue… La sua ultima lettera risale a due settimane fa: scriveva di vivere in un incubo in cui gli uomini erano massacrati come bestie e tra le righe, soprattutto quelle in cui cercava di sembrare allegro e spavaldo come sempre, riuscivo ad intravedere orrori anche peggiori, di cui nessun giornale parlava.
"Prego che tu sia vivo!" pensai, come ogni sera, mentre aiutavo mia madre a sedersi a tavola "Prego che tu riesca a tornare da me!"
-Bambini, a tavola!- esclamo, cercando di non mostrare davanti a loro le lacrime che premono per uscire dai miei occhi. Roxanne e Thomas si affrettano a sedersi sulle loro sedie, mentre Sarah si volta verso di me e mi squadra con i grandi occhi blu che ha ereditato da mio fratello.
Mentre la primogenita ha lo sguardo scaltro e la corporatura snella dei Calloway, la più piccola è una vera Walker: è venuta al mondo senza piangere, scrutando tutti con le sue iridi limpide e curiose. E' tenace e tra i miei nipoti è quella che preferisco, tant'è che mi piace giocare con lei, nonostante il distacco che mi sono imposta nei confronti dei bambini.
-Zia Lizzie!- mi chiama, facendomi cenno di avvicinarmi con la manina.
-Zia Lizzie, vieni, guarda!-
Mi avvicino alla finestra, convinta che mi voglia mostrare le foglie che rotolano o qualche altra stranezza del paesaggio, ma quello che vedo mi ghiaccia il sangue nelle vene. Mi sento mancare, barcollo e mi porto una mano al petto, convinta di stare per soffocare.
-Elizabeth!- grida mia madre, allarmata -Cosa succede?-
Io non rispondo, sto già correndo verso la porta, la spalanco e mi getto fuori incurante del vento e della pioggia. Arranco alla cieca finché non mi sento afferrare da delle braccia che conosco bene e con un singhiozzo mi abbandono contro un torace solido e caldo.
-Oddio…- balbetto -Oddio, Connor, sei tornato…-
Mio marito mi scosta i capelli dagli occhi e mi bacia la punta del naso, poi le labbra e la fronte.
Lo osservo attentamente, facendo saettare lo sguardo da un dettaglio all'altro: ha i vestiti impolverati e fradici per il viaggio, i capelli e la barba sono lunghi e conto più ciocche grigie di quante ne ricordassi. Noto che si stringe un braccio al petto, ma non faccio in tempo a chiedere, perché Connor mi precede:
-Andiamo in casa!- mi dice gentilmente, poggiandomi una mano sulle spalle.
Solo quando siamo di nuovo all'asciutto mi rendo conto che nella giacca della sua uniforme è nascosto qualcosa: grande è la mia sorpresa quando, con estrema delicatezza, Connor tira fuori un neonato che viene svegliato dalla luce e dal rumore, mettendosi a piangere.
-Connor…- mormora Barbara confusa, mentre mia madre borbotta qualcosa in lingua Cheyenne. Una preghiera di ringraziamento, forse.
-Connor!- ripeto io, frastornata, mentre i bambini rimangono muti in un angolo della stanza -Chi è questo bambino?-
-Nostro figlio!- risponde lui con serietà, affidandolo a me. Sento che Barbara gli chiede notizie di Mark:
-Non siamo più nello stesso reparto, purtroppo. So che è stato ferito in un attacco con il gas e che l'hanno allontanato dalle trincee. Non so se sia un bene o un male: i gas che i tedeschi utilizzano sono micidiali! Ho visto soldati sopravvivere, ma in condizioni pietose…-
La sua voce sfuma, così come ogni altro rumore attorno a me. Ho occhi ed orecchie solo per il piccolo che stringo tra le braccia e che sembra essersi calmato. I suoi occhi hanno una forma vagamente allungata e sono verdi come le foglie bagnate dalla pioggia primaverile. Ha dei corti ricciolini rossi e un colorito sano, nonostante sia troppo magro per la sua altezza:
-Chi è, Connor? Dove l'hai trovato?-
-E' un orfano, Lizzie. Mentre esploravamo delle case che erano state fatte esplodere dalle bombe, abbiamo sentito il suo pianto e l'abbiamo tirato fuori dalle macerie, miracolosamente vivo. Ho pensato che fosse un segno e ho chiesto ai miei superiori di poterlo tenere con noi: hanno accettato, anche perché nessun orfanotrofio in Europa è sicuro, di questi tempi. Ho ottenuto una licenza speciale per portarlo a casa… Per portarlo da te!-
E' esitante, ora, ma non appena si avvicina vedo gli occhi del bambino illuminarsi e quando Connor gli stringe per gioco la manina lui sorride, rivelando due meravigliose fossette sulle guance.
Poi rivolge nuovamente la sua attenzione a me e agita le braccia, emettendo dei versi felici.
-Vedi, è un seduttore!- esclama mio marito.
-Allora è proprio tuo figlio!- scherza Barbara, anche se noto lo sforzo che sta facendo per non scoppiare a piangere davanti ai figli dopo le brutte notizie ricevute. Anche io sono preoccupata: per la sorte incerta di Mark, per la guerra, per le cose che Connor mi sta tacendo e che vedo riemergere come demoni oscuri nei suoi occhi… Ma ci sarà tempo per questo. Improvvisamente mi sembra che ci sia di nuovo tempo per tutto.
-Come si chiama?-
-Non lo so, tigre, te l'ho detto: l'abbiamo trovato in un cestino abbandonato in mezzo a delle case bombardate…-
-Sì, ma tu come lo chiami?-
Connor si grattò il mento:
-In questi giorni, mentre tornavo qui… Beh, io lo chiamavo Edward. Non lo so perché, non mi è mai piaciuto particolarmente il nome Edward, ma suonava bene!-
-Edward!- sussurrai, cullando il bambino. "Mio figlio!"
-Edward Price! Ti piace, tesoro?-
-Zia Lizzie!- strillò la voce acuta di Sarah -Posso vedere il mio cuginetto, zia Lizzie? Posso? Posso?-
Sorrisi e mi chinai affinché i tre ragazzini potessero conoscere il nuovo arrivato in famiglia.
-Benvenuto tra i Walker, Edward Price!- esclamò mia madre con dolcezza -Sei a casa adesso, piccolino. D'ora in poi lo sarai sempre.-
 
 
 Angolo Autrice:
Come ogni volta, scrivere le note in fondo all'ultimo capitolo di una storia per me ha un sapore dolceamaro: la soddisfazione di concludere un racconto e le idee per i prossimi non bastano a contrastare la nostalgia che avrò per questi personaggi :')
Conto di tornare a scrivere della famiglia Walker, perché le loro avventure non sono ancora finite, ma di sicuro non subito: ho altre storie che aspettano già da troppo tempo che io mi impegni a finirle xD quindi credo che prima terminerò di pubblicare Fidati di me e poi tornerò nelle atmosfere di Hereditas, che sono sempre state le mie preferite!
Ringrazio infinitamente Eilan21, ladyathena, OldKey, Old Fashioned, Alessia Krum ed Ele240785: non avete idea di quanto mi avete aiutato con le vostre recensioni!
E ovviamente sono felice anche per tutti quei lettori silenziosi che hanno apprezzato questa storia.
A presto
 
   Crilu 

 

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