Double Black

di thequeens
(/viewuser.php?uid=932863)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cani Randagi ***
Capitolo 3: *** Il tempo delle mele ***
Capitolo 4: *** Abilità ***
Capitolo 5: *** Separazione ***
Capitolo 6: *** Di nuovo soli ***
Capitolo 7: *** Oda ***
Capitolo 8: *** Mafia ***
Capitolo 9: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 10: *** Perdita di umanità ***
Capitolo 11: *** Suicidio ***
Capitolo 12: *** Soukoku ***
Capitolo 13: *** Albergo ***
Capitolo 14: *** Compleanno ***
Capitolo 15: *** Chiarimenti ***
Capitolo 16: *** Appuntamento ***
Capitolo 17: *** Convivenza ***
Capitolo 18: *** Akutagawa ***
Capitolo 19: *** Nuove Reclute ***
Capitolo 20: *** Addestramento ***
Capitolo 21: *** Abbandono ***
Capitolo 22: *** Lunga vita al Re ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Un cancello sbattuto in faccia.
Questo era tutto ciò che aveva ottenuto, nonostante i suoi sforzi; perché Chuuya ci aveva provato, e anche tanto.
Aveva provato a farli ragionare, a pregarli di lasciarlo restare, a dirgli che non aveva niente e nessuno là fuori, ma niente. A loro non importava, perché lui era pericoloso.
Era iniziato tutto il giorno prima, quando aveva quasi ucciso un suo compagno di stanza durante un litigio scaturito dai commenti di quest’ultimo riguardo la sua bassa statura; la sua maledetta abilità si era scatenata da sola, e lui aveva massacrato il suo interlocutore spinto da una rabbia che mai proverebbe un essere umano normale. Ma lui non era normale, tanto meno umano, anzi, si sentiva un mostro per quello che aveva fatto.
La faccenda si era risolta con un violento colpo alla testa infertogli da uno degli amici della vittima, e lui era svenuto lì.
Nonostante fosse inerme, i dottori dell’orfanotrofio erano spaventati a tal punto da non toccarlo nemmeno, e non si erano curati di portarlo in infermeria. 
Chuuya si era risvegliato molte ore dopo sul freddo pavimento della stanza che condivideva con altri tre ragazzi.
Non ci aveva messo tanto a ricordare l’evento, e la rabbia aveva lasciato il posto alla paura, perché sapeva che sarebbe successo qualcosa di spiacevole dopo la sua sfuriata.
Ci aveva visto giusto: sin dal giorno dopo, sia gli altri orfani sia gli inservienti che lavoravano lì si allontanavano da lui velocemente quando lo incrociavano per i corridoi, come se fosse una bestia feroce pronta ad attaccare al minimo contatto visivo.
Quello stesso pomeriggio il direttore dell’orfanotrofio lo aveva convocato nel suo ufficio insieme ad alcuni assistenti sociali dicendogli che doveva andarsene per preservare l’incolumità degli altri.
La notizia gli arrivò violenta come un pugno in un occhio.
Aveva tentato disperatamente di convincere il direttore a farlo restare, ma lui, impassibile, aveva rifiutato.
Gli aveva detto che era abbastanza grande per vivere da solo, e non aveva dato minimamente peso alle sue proteste.
Era abbastanza grande, se la sarebbe cavata da solo. La solitudine, era questa la punizione per le persone cattive. E lui si sentiva cattivo; cattivo e molto arrabbiato con se stesso.
La sua rabbia e la sua impulsività lo avevano portato alla perdita dell’unica casa che aveva.
E ora? Cosa avrebbe fatto?
Confuso riguardo gli avvenimenti delle ultime ore e incerto sul suo futuro, si allontanò dall'orfanotrofio.
(Restare qui non servirà a nulla.)
Il freddo pungente di dicembre si faceva sentire costringendo il ragazzino a stringersi nel cappotto.
Erano ore che camminava, non aveva idea di dove fosse, di quanta strada avesse percorso, né di quante ore fossero passate da quando era stato sbattuto fuori dall'orfanotrofio, ma una cosa la sapeva: un normale ragazzino della sua età, a quell'ora, doveva essere in casa a cenare allegramente con la sua famiglia.
Proprio in quel momento, passò davanti a Chuuya un bambino, insieme ai suoi genitori, intenti a rientrare in casa; ci fu uno scambio di sguardi tra i due per un momento,
(Cos'hai da guardare tu, che sei tanto fortunato?
finché quest’ultimo non sparì dietro la porta. 
Continuò a camminare; ormai era notte fonda, gli facevano male i piedi e la temperatura era sempre più rigida.
Iniziò ad innervosirsi e a respirare più pesantemente, ma cercò di controllarsi; comportarsi in quel modo non lo avrebbe di certo aiutato a trovare un posto per dormire.
Si colpì forte le tempie con entrambe le mani per riacquisire lucidità, così da avere una visione diversa di ciò che lo circondava; notò, infatti,
(un ponte!)
che non aveva visto prima,
(sono salvo, cazzo!)
e decise di bivaccare lì; tutto quello che trovò, furono varie scatole di cartone rotte, ammassate l'una sull'altra.
Si accomodò su una di esse, sistemandosi la giacca a mo' di coperta e poggiando il cappello accanto a sé.
Stava per addormentarsi, quando un rumore improvviso lo fece sussultare...



 
TO BE CONTINUED.




 
Angolo autrici: Ciao! Siamo A&G e questa è la nostra prima storia a quattro mani! Abbiamo concepito questa roba a seguito di parecchie headcanon che condividevamo ad ogni ora del giorno, e abbiamo deciso di costruirci una storia sopra.
Speriamo che questo prologo vi abbia incuriositi almeno un po', e grazie a tutti per aver letto fino a qui!
Ci teniamo ad informarvi che pubblicheremo un capitolo ogni giovedì! :D
A presto,
A&G

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cani Randagi ***


Aprì di scatto gli occhi e vide un sasso rotolare; volse lo sguardo verso la direzione dalla quale era stato lanciato e notò una figura avvicinarsi: camminava lentamente verso di lui, era in ombra e Chuuya non era in grado di vederlo in viso. 
Si tirò su velocemente, pronto a difendersi in caso venisse attaccato.
Trovava che apparisse molto inquietante, tantoché iniziava ad avere paura di lui.
La figura si fermò di colpo a pochi metri da Chuuya; ora la luce della luna gli rendeva possibile vederlo meglio: era un ragazzino alto, dai capelli castani e disordinati, doveva avere all'incirca la sua età.
“Che stai facendo qui?” chiese lo sconosciuto.
Chuuya indietreggiò fino ad incontrare il muro: “Questo dovrei chiederlo a te” disse teso.
“Perché sei sotto il mio ponte?” gli domandò il nuovo arrivato, ignorando la sua precedente risposta.
“Il tuo ponte?”
“Sì, il mio ponte. Qui ci vivo io, e tu stai invadendo la mia proprietà, ragazzino.”
“A chi hai dato del ragazzino?!”  si infervorò Chuuya.
“Se sei basso non è colpa mia...”
Il commento del giovanotto fu un duro colpo per il suo orgoglio. Mai gli era capitato che qualcuno si rivolgesse a lui in quel modo, mai.
Era sempre stato il più temuto all’orfanotrofio, cosa data in parte dalla consapevolezza delle persone riguardo la sua spaventosa abilità.
Non rispose.
“Comunque, non c’è bisogno che tu sia così teso, non voglio farti del male” disse il ragazzo.
“Non sono affatto teso” mentì Chuuya, iniziando a rilassarsi; aveva capito che il suo interlocutore non aveva cattive intenzioni e si appoggiò al muro con fare disinvolto.
“Allora adesso mi dici cosa stai facendo qui?” chiese nuovamente incrociando le braccia.
“Niente che possa interessarti” disse Chuuya, volgendo lo sguardo altrove.
“Ti ricordo che stai invadendo la mia proprietà, quindi dammi subito un buon motivo per non mandarti via a calci.”
“Ma che cazzo vuoi da me? Non ti sei neanche presentato e già pretendi di farmi il quarto grado!”
Lo sconosciuto sospirò ridacchiando: “Ma come siamo scurrili… io sono Dazai. Dazai Osamu.”
Chuuya lo guardò con circospezione, poi si presentò a sua volta: “Io mi chiamo Chuuya. Chuuya Nakahara.”
“Beh, mi sono presentato. Adesso dimmi cosa sei venuto a fare qui” tornò alla carica Dazai.
Chuuya esitò per qualche secondo, ma alla fine decise di dirgli la verità: “Non so dove andare.”
“Non sai dove andare, dici? Da dove vieni?” 
“Sono scapp... mi hanno buttato fuori dall'orfanotrofio in cui vivevo, quindi non ho più una casa” rispose, seccato.
Dazai iniziava ad incuriosirsi: “E perché ti hanno buttato fuori?”
“Non sono affari tuoi.”
Si guardarono per alcuni secondi, che a Chuuya parvero minuti; lo sguardo dell'altro era davvero penetrante e iniziava a sentirsi a disagio mentre il silenzio tra i due stava diventando sempre più imbarazzante.
“Allora, posso... restare?” chiese titubante: “Solo per stanotte,
(Sei caduto davvero in basso...)
ti prego!”
(...finito ad implorare come una maledetta checca)
“D'accordo” rispose Dazai dopo un po', fissando un punto di fronte a sé, pensoso.
Chuuya si sentiva un idiota e un debole per aver fatto una richiesta simile, era certo che se i volontari dell'orfanotrofio lo avessero visto in quel momento, glielo avrebbero rinfacciato a vita.
“Però, ti avverto: lì ci dormo io” disse Dazai ridestandolo dai suoi pensieri: “Tu puoi metterti...” stette in silenzio per qualche secondo guardandosi intorno in cerca di un posto adatto per sistemare anche Chuuya: “... là!” disse infine indicando un cumulo di terra con qualche misero filo d'erba che spuntava.
Chuuya lo guardò per un po', sdegnato: “Stai scherzando? Vuoi davvero farmi dormire su quello schifo?”
“Accontentati, altrimenti puoi anche andartene” lo rimbeccò Dazai.
“N-non puoi...” riprovò Chuuya, ma si interruppe.
Dazai inclinò leggermente la testa di lato, fissandolo interrogativo.
(fanculo. Tanto già ti sei sputtanato abbastanza)
“Non puoi prestarmi uno dei tuoi cartoni?” concluse, vergognandosi per essere un
(debole)
Dazai sospirò. Quel ragazzino stava iniziando a chiedere troppo!
“Va bene, puoi prenderne uno.”
Accolse con un risolino lo sbuffo impacciato di Chuuya mentre raccoglieva da terra un cartone parecchio più grande di lui, e lo osservò divertito portarlo alcuni metri lontano per poi sistemarcisi sopra.
Continuò a guardarlo per un po' mentre cercava la posizione giusta su quello scomodo cartone, poi si accomodò anche lui sul suo, prendendo una delle sue coperte e tirandosela fino alla testa, lasciando scoperti solo gli occhi per continuare ad osservare l'altro ragazzino. Era rannicchiato su se stesso e i suoi muscoli erano scossi da frequenti spasmi: probabilmente aveva freddo.
Fu in quel momento che gli venne in mente di prestargli una delle sue coperte, dopotutto lui ne aveva tante, pescate dai cassonetti o rubate da qualcuno più fortunato di lui.
Ne appallottolò una e senza dire nulla gliela lanciò addosso svegliandolo di colpo.
“Ma che fai?!” gli gridò Chuuya, trattenendosi dall'insultarlo pesantemente per averlo disturbato in quel modo.
“Ti presto una coperta, sai, si chiama gentilezza” rispose tranquillamente Dazai.
Chuuya si girò stizzito dall'altra parte, buttandosi addosso la coperta e serrando le palpebre.
“Potresti anche ringraziare.”
Silenzio. Dazai sospirò divertito: “Sei troppo orgoglioso per farlo, forse?”
“Stai zitto” borbottò Chuuya, pentendosi subito dopo di aver dato quella risposta e sperando che Dazai non lo udisse.
“Come vuoi. Buonanotte.”
Chuuya stette in silenzio per svariati minuti, pensoso.
Quel ragazzo era stato davvero gentile a dargli ospitalità, ed era stato ripagato dalla patetica rabbia di Chuuya; decisamente, non se lo meritava.
“Grazie...” disse.
Un sorrisetto soddisfatto da parte di Dazai: aveva vinto lui.
Chuuya non riusciva ad addormentarsi, si sentiva a disagio con gli occhi dell'altro puntati addosso; si aspettava che dicesse qualcos'altro, sperando di riuscire a conoscerlo meglio e avrebbe voluto anche capire quali fossero le sue vere intenzioni.
Ma la verità era che si sentiva profondamente solo, così decise di prendere la parola: “Perché?”
“Perché cosa?” chiese Dazai quasi con stupore; non credeva che il buffo ragazzino gli avrebbe rivolto la parola nuovamente.
“Perché mi stai aiutando?” 
“Te l'ho detto, per gentilezza.”
Una pausa.
“E poi, sinceramente... mi incuriosisci.”
Chuuya si inquietò non poco: “In che senso?”
“Non ti incuriosiresti anche tu se un ragazzino dal cappello stravagante spuntasse dal nulla invadendo la tua proprietà?” rispose scherzosamente Dazai.
“Ehi, il mio cappello non è affatto stravagante, e non sono un ragazzino!” si infervorò Chuuya, incrinando leggermente la voce.
“Ma dai, avrai al massimo undici anni...”
“Per tua informazione ne ho quattordici” rispose secco.
Dazai rimase leggermente stupito: “Oh, scusami. Pensavo fossi più piccolo, sai com'è... l'altezza...”
“Vaffanculo.”
Dazai rise: “Anche io ne ho quattordici.”
“E vivi in mezzo alla strada? Non hai una famiglia?” chiese Chuuya, cercando di dimenticare l'affronto appena subìto.
Dazai rimase sul vago: “Posso solo dirti che è successo qualcosa di brutto quattro anni fa.”
Chuuya era curioso, ma decise di non fare altre domande a riguardo.
“Forse un giorno te lo dirò” disse Dazai, sbadigliando rumorosamente: “Ora, se non ti dispiace, mi metto a dormire, che sono stanco. ‘Notte!”
 “Ciao” disse Chuuya voltandosi dall’altro lato.
Si addormentò in fretta, nonostante la scomodità del cartone.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il tempo delle mele ***


Lo scorrere dell'acqua e il cinguettio dei passeri era tutto ciò che si udiva a quell'ora del mattino.
Chuuya si era coperto fin sopra la testa, nel tentativo di riuscire a dormire ancora per qualche ora nonostante il sole fosse già alto.
Quando decise di aprire gli occhi ed emergere da sotto la coperta, rabbrividì, constatando che Yokohama a quell'ora era freddissima.
Guardandosi intorno notò che Dazai era già sveglio, intento a lanciare dei sassolini nel fiume; lo osservò per un po’, chiedendosi cosa mai trovasse di divertente nel farlo.
"Buongiorno?" chiamò titubante dopo essersi schiarito leggermente la voce.
"Oh, sei sveglio?" chiese Dazai sorpreso voltandosi verso di lui: "Buongiorno, e... bei capelli" disse cercando di trattenere le risate.
Chuuya si passò velocemente una mano tra la folta chioma fulva, tentando di sistemarla come meglio poteva e arrossendo violentemente, mentre Dazai scoppiava a ridere.
"Non ridere, idiota" ringhiò Chuuya.
"Acidello già di prima mattina, eh?" gli chiese Dazai asciugandosi gli occhi.
Chuuya continuò a guardarlo male e a borbottare parole ben poco gentili nei suoi confronti mentre si alzava dal giaciglio di fortuna e si stiracchiava.
"Dormito bene?" chiese Dazai.
"Uno schifo."
"Mi dispiace. Ma non ti preoccupare, l'albergo Osamu, in compenso, offre ai suoi gentili clienti una fantastica colazione!" esclamò allegramente Dazai, indicando un fazzoletto su cui erano poggiati un pezzo di pane e una mela.
"Gentili clienti, eh? Quindi, dato che io non sono gentile, mi dai una colazione di merda?"
"Io non ho insinuato nulla, stai facendo tutto da solo" disse Dazai, alzando le mani.
"Certo, come no" borbottò Chuuya iniziando a mangiare.
Dazai rimase ad osservarlo sovrappensiero, con un leggero sorriso sulle labbra. Provava tenerezza e simpatia per quel ragazzino, sentiva di doverlo proteggere.
"Che hai da guardare?" disse all'improvviso Chuuya con la voce ovattata a causa del cibo che stava masticando.
"Nulla" rispose ridacchiando: "Sbrigati a finire, così ti porto a fare un giro" aggiunse.
Chuuya lo guardò con circospezione per un po', la bocca leggermente aperta, in procinto di accogliere un altro boccone di pane: "Ho i miei tempi" disse, e finì con calma di mangiare.
Qualche minuto dopo erano a spasso per Yokohama, visitando tutti i posti più importanti della città ed eventuali punti di riferimento nel caso si perdessero.
Giunsero in un piccolo mercato vicino al porto. Era gremito di gente, quindi Dazai pensò che fosse perfetto per quello che aveva in mente. Prese Chuuya per un braccio trascinandolo in un punto meno affollato e iniziò ad illustrargli il suo piano: "Senti, sarà meglio che io ti insegni qualche trucchetto se vuoi sopravvivere in città, quindi resta qui e osserva attentamente quello che sto per fare" detto questo si allontanò, cercando comunque di non farsi perdere di vista dal nuovo compagno, che continuava ad osservarlo perplesso.
Si avvicinò furtivamente al banco della frutta e, dopo aver preso in mano una mela, apparentemente per saggiarne la qualità, la fece cadere a terra; la raccolse con una mano, mentre, con l'altra, ne infilò discretamente una seconda nell'ampia tasca della sua giacca.
Chuuya, che nel frattempo era rimasto a guardare, gli corse incontro: "Ma che cazzo stai facendo?!" urlò.
Dazai lo zittì, trascinandolo via dalla moltitudine di gente che li osservava curiosa.
Sospirò: "Ascolta... odio farlo, mettitelo bene in testa. Ma come pensi che possa sopravvivere, io?" gli disse, guardandolo negli occhi.
Chuuya non rispose.
"Anche la fantastica colazione dell'albergo Osamu viene da questo. Lo sai com'è la gente in città..." alzò lo sguardo al cielo: "Nessuno che ti aiuti senza volere niente in cambio. E così, faccio da solo" concluse, riportando lo sguardo a Chuuya.
Alcuni istanti di silenzio, interrotti da Dazai: "Comunque tieni" disse a Chuuya, porgendogli la mela: "So che hai tanta fame, quindi prendila. Il sapore dovrebbe essere uguale a quella di stamattina, in fondo l'ho presa dello stesso posto" gli sorrise gentilmente, e Chuuya non riuscì a fare a meno di ricambiare, mostrando sincera gratitudine per la prima volta.
"Mi è piaciuta, sai..." disse, addentando la mela, mentre Dazai lo osservava interrogativo: "Quella di stamattina, intendo" concluse, facendo un cenno al frutto che teneva in mano, voltandosi e iniziando a camminare verso il mercato.
Dazai lo raggiunse, sorridendo soddisfatto: "Allora, vuoi imparare?" gli chiese.
"Beh, non penso di aver altra scelta, non ti pare?" rispose Chuuya, con un'alzata di spalle.
"Già. Ma ti avverto, dovrai stare molto attento le prime volte: non essendo abituato, potresti farti beccare."
"Lo so, non sono mica scemo."
"E devi andartene via in fretta quando hai fatto…"
"Lo so. "
"E mai le mani in tasca, potrebbero sospettare qualcosa."
"Lo so."
Dazai continuò a dargli consigli, che Chuuya ascoltava passivamente e con fare annoiato, dando sempre la stessa, ripetitiva risposta.
"Tutto chiaro?" chiese alla fine il più esperto dei due.
"Sì." 
"Allora vai, stupiscimi" lo incoraggiò Dazai, spingendolo appena.
Chuuya lo fulminò con lo sguardo ma tornò subito a concentrarsi sul suo compito. Avvicinandosi allo stesso banco da cui aveva rubato poco prima Dazai, iniziò a guardare i vari tipi di frutta con indifferenza, poi allungò una mano, prese una mela e se la infilò nella tasca della giacca facendo finta di nulla. 
Purtroppo non andò bene come sperava.
"Al ladro!" gridò una signora che lo aveva visto compiere l'atto, mandandolo nel panico più totale. Sentiva gli occhi di tutti puntati addosso, ma per fortuna Dazai intervenne prontamente: "Ehi! Quante volte ti ho detto che non si prendono le cose degli altri senza permesso?" finse di rimproverarlo correndogli incontro, prendendogli la mela dalla tasca e rimettendola al suo posto.
Chuuya non capiva.
"Chiedo perdono" disse poi Dazai rivolto alla signora: "Il mio fratellino non mi ascolta mai e non ha ancora imparato le buone maniere" si inchinò leggermente per scusarsi, poi prese per mano il suo nuovo amico e si dileguò trascinandoselo dietro.
Chuuya era ancora confuso per quello che l'altro aveva detto di lui, ma siccome gli aveva pur sempre salvato la pelle, non osò fare domande.
Si infilarono in un vicolo abbastanza isolato e distante dal mercato, dove Dazai si fermò mettendo Chuuya con le spalle al muro: "Ti avevo messo in guardia, ma hai preferito non ascoltarmi" iniziò: "Visto cosa hai combinato ora? Potevamo finire in guai seri!" stava gridando senza rendersene conto.
"Senti, non l'ho fatto apposta! Era la prima volta..." cercò di giustificarsi Chuuya.
Dazai sospirò, tornando improvvisamente calmo: "Va bene, va bene, scusami, non volevo sgridarti in quel modo, fratellino"
"Piantala. È stato veramente imbarazzante."
"Più imbarazzante di quel cappello, dici?”
"Finiscila di prendermi in giro!" esclamò, con una voce decisamente troppo acuta.
"Se parli così sembri un'allegra donzella" continuò a schernirlo Dazai.
Non sopportandolo più, Chuuya mise fine alla disputa: "Vaffanculo!"
Dazai rise: "Andiamo, una signorina come te non dovrebbe parlare in modo così maleduc-ahi!" fu interrotto da un pugno sul braccio da parte di Chuuya.
"Sono minuto, ma forte. E ora taci" concluse quest'ultimo, ricomponendosi.
"Mi hai fatto malissimo, ma che hai, i superpoteri?" disse Dazai scherzando, senza sapere che, invece, aveva indovinato.
Chuuya perse un battito e sgranò gli occhi: non voleva che l'altro scoprisse la sua tanto odiata abilità. Non ora. Non ora che aveva finalmente trovato un nuovo compagno, che forse poteva definire amico
"Che hai?" chiese Dazai nel vederlo così preoccupato e improvvisamente silenzioso.
"Niente" rispose riprendendosi in fretta e incamminandosi fuori dal vicolo "Possiamo andare."
"Dove vuoi andare?" 
"Non lo so! Basta che ci allontaniamo da qui!" 
Stava gridando, sembrava quasi sull'orlo di una crisi isterica e Dazai non comprendeva il motivo del suo comportamento. Chuuya era sempre stato tranquillo e riservato, fino a quel momento; freddo, sì, ma comunque rilassato.
"Si può sapere che ti prende?" disse afferrandolo per un polso.
"Lasciami" rispose Chuuya sottovoce, imponendosi di restare calmo per evitare che la sua abilità si scatenasse all'improvviso. 
Dazai lo lasciò andare per evitare di innervosirlo ulteriormente: "Sicuro di stare bene?" gli chiese con più calma, sospirando.
"Sì. E ora andiamo" gli disse Chuuya, voltandosi ed incamminandosi fuori dal vicolo. 
Dazai fece per seguirlo: "Già, sarà meglio stare alla larga dal mercato per un po'."

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Abilità ***


Camminarono in silenzio, l'uno accanto all'altro, per parecchi minuti, senza una meta precisa e nessuno dei due aveva il coraggio di introdurre qualcosa di cui parlare dopo le vicissitudini di poco prima. 
Dazai si schiarì la voce: "C'è qualche posto in particolare che ti piacerebbe visitare?" chiese per rompere il ghiaccio.
"No, fai tu" fu la fredda risposta di Chuuya. 
Dazai lo guardò con circospezione tentando di scorgere un qualsiasi segnale nel suo sguardo, ma aveva la testa bassa e il viso parzialmente coperto dai capelli. C'era evidentemente qualcosa che lo turbava, ma era ovvio che non gliene avrebbe parlato a cuor leggero, quindi tentò di distrarlo: "C'è una ruota panoramica qui a Yokohama, potremmo fare un giro, che ne dici?" 
"Puoi permetterti di pagare un giro su una ruota panoramica?" fu la secca risposta che ottenne.
(in effetti...)
Tuttavia non si arrese facilmente: "Allora conosco un altro posto divertentissimo dove potremmo andare!" disse euforico prendendo il compagno per mano e iniziando a correre, finché non giunse di fronte all'ingresso di un parco giochi pieno di bambini.
"Perché siamo qui?" chiese Chuuya apparentemente annoiato.
"Per divertirci" gli rispose Dazai:"Sai cosa significa?" chiese sarcastico.
E, prima che l'altro potesse ribattere, lo trascinò con la forza all'interno del parco.
"Andiamo alle altalene?" propose amichevolmente.
"Va bene" rispose Chuuya.
Si incamminarono verso di esse, quando gli giunse la voce di un ragazzo, poco più grande di loro, che si trovava in gruppo con tre suoi amici: "Oh, guardate, c'è l'ottavo nano!" esclamò.
Chuuya, sentitosi preso in causa, si bloccò e volse lo sguardo al ragazzo che, incoraggiato dalle risate degli altri, continuava a schernirlo: "Ehi, cappello buffo! Salutami gli altri sette!"
Si sentì ribollire il sangue nelle vene: "Ora vengo lì e ti ammazzo, fottuto bastar-" 
"Fermo" gli disse Dazai troncando la sua furiosa camminata: "Lascialo perdere, lui e tutto il gruppo, sono solo degli idioti. E io non voglio altri problemi, quindi stai calmo."
"Calmo un cazzo! Hai sentito che ha detto?" sbraitò Chuuya, già parecchio irritato dagli avvenimenti precedenti.
Dazai cercò di placarlo: "Ho sentito, ma non mi sembra il caso di..."
"Ehi, lattina, chi è quello, il tuo fidanzato?" fece un altro ragazzo del gruppo.
Chuuya avvampò, boccheggiando: "M-malede-"
"Basta così, andiamo via" lo interruppe fermo Dazai, afferrandolo per un braccio e puntando i piedi per trascinarlo via.
Chuuya lo strattonò violentemente, liberandosi dalla sua presa e facendogli perdere l'equilibrio.
Finito a terra Dazai cercò subito di rialzarsi e, quando ci riuscì,
(qui si mette male)
il suo amico aveva già iniziato a dirigersi a passo pesante verso il gruppo.
"Oh, no! Si sta avvicinando!" esclamò uno, fingendosi spaventato.
"Scappiamo, gente, scappiamo!" fece un altro: "Ehi, da non crederci!" disse, quando Chuuya fu più vicino: "Da qui è ancora più bas-" fu interrotto da un violento pugno nello stomaco, che lo spedì due metri indietro.
Avendo assistito a quella scena, gli altri tre si fiondarono addosso a Chuuya: uno gli arrivò da davanti, intenzionato a colpirlo con un pugno, ma lui lo deviò, catturando velocemente il suo braccio tra le mani e storcendolo, spezzandogli il gomito come fosse uno stuzzicadenti; un altro gli bloccò le braccia dietro alla schiena in una presa salda, tuttavia Chuuya riuscì a liberarsi dandogli una testata sul petto così potente da rompergli le ossa dello sterno.
Dazai rimase sbalordito dalle capacità combattive dell'amico, così come tutte le persone che si erano radunate attorno alla rissa. Si accorse, però, che alcune di esse, allarmate dal vedere cotanta violenza, avevano chiamato le forze dell'ordine. 
Dopo aver mandato a tappeto i due, Chuuya si girò minacciosamente verso il terzo, che era stato a guardare, terrorizzato a tal punto da non muoversi nemmeno.
Si avvicinò a lui ansimando e provocando profondi solchi nel terreno ad ogni passo: "E tu? Stai a guardare mentre i tuoi amichetti le prendono?" un ghigno folle: "Ora ti faccio vedere io!"
Chuuya prese per la gola il ragazzo, tremante, e la sua essenza si scatenò: quest'ultimo iniziò a sollevarsi da terra, mosso da una forza oscura.
Le sirene che si sentivano in lontananza segnarono l'arrivo della polizia, e Dazai sgranò gli occhi in preda al panico: se avessero visto quello che stava succedendo,
(finirà in guai seri)
Scattò verso di lui: "Chuuya! Smettila!" gli urlò mentre correva, senza ricevere risposta.
Chuuya iniziò a stringere le dita per strangolare il ragazzo, che era, ormai, completamente sollevato in aria.
Le sirene si fecero ancor più vicine.
Dazai, quasi d'istinto, afferrò Chuuya per le spalle, il quale sentì il potere venir meno.
La vittima cadde con un tonfo sordo, tossendo sommessamente.
I ragazzi, stesi a terra e doloranti, furono l'ultima cosa che Chuuya vide, prima che Dazai lo trascinasse via: "C'è la polizia! Scappiamo!" gli urlò, prendendolo per un braccio e iniziando a correre a perdifiato.
Chuuya riusciva a stento a stargli dietro: l'amico era parecchio più alto di lui, aveva le gambe più lunghe.
Inoltre la vita di strada aveva contribuito a renderlo agile e veloce.
Dopo svariati minuti di corsa si resero conto che nessuno li stava seguendo, e si diressero verso il ponte, la casa di Dazai.
Quando vi giunsero, si fermarono per riprendere fiato: "Ci è andata bene, direi" disse Dazai ansimando.
Chuuya non rispose, impegnato a dar disperatamente ai polmoni l'aria di cui avevano bisogno.
Dazai si sedette a terra, e Chuuya gli si mise accanto, emulandolo. 
Ci mise due minuti buoni per far tornare il cuore al suo ritmo regolare, minuti che trascorsero nel completo silenzio.
"Cazzo..." mormorò Chuuya. Dazai gli rivolse un risolino divertito.
"Cazzo... cazzo!"
"Che c'è?"
"Cazzo!" esclamò Chuuya, dandosi un pugno rabbioso sulla coscia.
"Ehi, tutto bene?" chiese Dazai, allarmato.
"L'ho fatto di nuovo, cazzo!" un altro pugno.
"Calmati. Così ti fai male" disse Dazai, afferrandogli in polso con una delicatezza a cui Chuuya non era abituato.
Continuò ad inveire ancora per qualche secondo: "L'ho fatto di nuovo..." disse, infine, in un sussurro, iniziando a piangere senza rendersene conto.
Si toccò una guancia, guardandosi poi le dita bagnate.
Quante altre volte gli era capitato di piangere, in vita sua?
Da che ne avesse memoria, tante: aveva pianto quando i suoi genitori erano stati uccisi davanti ai suoi occhi e quando era stato portato in orfanotrofio; quando gli altri bambini, spaventati da lui, lo evitavano; svariate volte, per la solitudine, gli era capitato di addormentarsi con le lacrime agli occhi.
Ma non lo dava mai a vedere. Non poteva darlo a vedere.
Era troppo orgoglioso, eppure si era ritrovato a piangere davanti a uno sconosciuto.
Dazai, rimasto alquanto sconvolto dalla reazione di Chuuya, lo tirò a sé delicatamente, abbracciandolo.
Chuuya oppose resistenza: "Ma che stai facen-"
"Silenzio. Ne hai bisogno. Sei un essere umano, dopotutto" lo zittì Dazai, stringendolo più forte.
"Non è vero, sono un mostro. Hai visto che cazzo ho combinato?" gli disse con voce strozzata abbandonandosi sulla sua spalla.
Dazai sospirò: "Sì, ho visto. Ed è stato..." non riuscì a finire la frase, un brivido gli corse lungo la schiena.
Chuuya si staccò all'improvviso: "Come? Come è stato?" chiese, rabbiosamente.
Dazai non rispose, e si limitò a fissarlo.
"Ecco. Lo sapevo" disse amareggiato, iniziando ad asciugarsi le lacrime, nonostante le sentisse minacciose di sgorgare ancora.
Rimasero un silenzio per un po', fu Chuuya a romperlo: "Però tu..." rivolse lo sguardo a Dazai: "Sei riuscito a fermarmi. Come diavolo hai fatto?"
"Non ne ho idea" gli rispose Dazai, fissando il vuoto.
"Cioè, tu... mi hai afferrato, e io mi sono sentito... impotente."
"Già. Ma non intendevo farlo. Ero spaventato dall'arrivo della polizia, e ho reagito d'istinto" spiegò Dazai guardandolo serio.
"Anch'io ho reagito di istinto."
"Ma tu già lo sapevi? Di saper fare questo, intendo."
Chuuya finì di asciugarsi gli occhi: "Sì, io..." esitò per un istante: "Già l'ho fatto" concluse in un sussurrò.
Dazai capì, improvvisamente: "Allora è per questo che ti hanno cacciato via dall'orfanotrofio?"
Chuuya spostò lo sguardo verso di lui, sospirando: "Proprio così. Ho fatto un casino, sai?" disse, in tono piatto.
"Che cosa hai fatto?" gli chiese Dazai, corrugando la fronte.
"Ho picchiato il mio compagno di stanza. Lui mi aveva urlato contro che ero basso. Allora io gli sono andato contro e... ho fatto quel che ho fatto."
"Oh, andiamo!" esclamò Dazai: "Non puoi colpevolizzarti in questo modo, può capitare a tutti di perdere il control-"
"No, tu non hai capito" lo interruppe Chuuya: "Ho quasi ammazzato una persona, solo perché mi aveva offeso" un risolino isterico: "Proprio come ho fatto prima. Hai visto cosa ho fatto prima, eh, Dazai, lo hai visto?!"
"Chuuya..."
"LI STAVO AMMAZZANDO TUTTI, CAZZO!" gli urlò all'improvviso, dandosi un ennesimo, violento pugno.
"Non li hai ammazzati, stai tranquillo."
"E tu come fai a saperlo?" uno sguardo triste all’amico.
Dazai rimase interdetto: "Non li hai ammazzati" ripeté.
"Io non voglio essere un assassino" disse Chuuya.
"Non lo sei, infatti" lo rassicurò, poggiandogli una mano sulla spalla: "E non lo sarai mai" aggiunse.
"Però... quando sarò più grande diventerò più forte. E se continuassi ad essere così impulsivo, potrei davvero uccidere qualcuno. Io posso controllare la gravità, ma ancora non ho imparato a farlo bene, per questo ho paura" concluse Chuuya, sfogandosi per la prima volta con qualcuno, avendo finalmente una spalla su cui piangere.
Dazai rimase pensoso per un po': doveva ammettere che l'amico non avesse poi tutti i torti. Aveva ancora nitida nella mente la scena avvenuta poco prima. Non c'era alcun dubbio: Chuuya sapeva essere davvero pericoloso.
A Dazai si illuminarono gli occhi di colpo: "Ma io posso fermarti" disse semplicemente.
"E quindi?"
"Quindi possiamo esercitarci insieme!"
Chuuya aprì leggermente la bocca, trattenendo il fiato: "Già..." sussurrò.
Dazai continuò, euforico: "Non è fantastico? È come se ci completassimo a vicenda!"
Chuuya annuì lentamente: "Proprio così."
"Su, avanti! Prova a fare qualcosa di... non so, antigravitazionale" gli ordinò Dazai.
Chuuya fece per alzarsi: "D'accordo" disse, poggiando il cappello a terra e iniziando a camminare tranquillamente sul muro: "Questo è facile" disse, quando fu arrivato abbastanza in alto.
"Va bene, ora provo a farti cadere. Scendi un po', però, non sono così alto!" disse Dazai ridacchiando.
"Prendimi, non voglio sporcarmi" lo raccomandò Chuuya, dopo essersi avvicinato un po' di più a Dazai.
"Non ti preoccupare" lo rassicurò, concentrandosi e toccandogli un braccio: funzionò.
Chuuya sentì nuovamente la sensazione di impotenza, e cadde verso il basso. 
Sfortunatamente, Dazai non riuscì a prenderlo in tempo, e lo fece finire a terra: "Ti avevo detto di prendermi!" sbraitò Chuuya.
Dazai scoppiò a ridere e gli tese la mano per aiutarlo a rialzarsi.
Chuuya gliela scansò malamente e si rialzò, scrollandosi la polvere da sopra i vestiti: "Sei un idiota, però è stato divertente" gli disse, dandogli un pugno amichevole sul braccio.
"E tu sei isterico, però mi stai simpatico" ribatté Dazai.
Chuuya lo guardò risentito per un momento, per poi rivolgergli un sorrisetto complice che fu ricambiato: erano divertiti dalla situazione che si era venuta a creare e felici di aver trovato qualcuno con cui potessero essere finalmente se stessi.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Separazione ***


Passarono alcune settimane, in cui Chuuya affinò le sue doti da taccheggiatore e imparò a controllare meglio la sua abilità, grazie all'aiuto di Dazai che apprese, a sua volta, come utilizzare il suo potere per fermare l'amico.
Condividendo la vita di strada e allenandosi insieme, impararono a conoscersi meglio e ad ascoltarsi a vicenda diventando, in poco tempo, grandi amici. 
Oltre al migliorare insieme, ogni giorno facevano lunghe passeggiate per la città, scherzando e chiacchierando come due normalissimi ragazzi.
Partivano dal loro alloggio di fortuna nel pomeriggio, dopo l'allenamento, e, fino a sera, giravano per parchi e strade riempite dalla frenesia del periodo natalizio, guardando le vetrine delle pasticcerie con desiderio, invidiando i bambini che vi uscivano con in mano dolcetti caldi e che li squadravano con disprezzo, per via del loro aspetto trasandato da ragazzi di strada.
"Un giorno anche noi potremo permettercelo" diceva Dazai con fermezza, ogni qualvolta che Chuuya si lamentava delle loro condizioni.
Anche se non glielo dimostrava affatto, quest'ultimo provava grande ammirazione per l'amico, che riusciva sempre a fargli tornare il buonumore con la sua allegria e a tranquillizzarlo nei momenti di collera che lo affliggevano quando constatava come la vita fosse stata ingiusta con loro. 
Non lo avrebbe mai ammesso davanti a nessuno, ma si era affezionato a Dazai, considerandolo una guida, un punto di riferimento, il primo vero amico che avesse mai avuto, l'unica persona che avesse cercato di avvicinarsi a lui senza paura o pregiudizi.
Mancavano due giorni al Natale e, quel giorno, Dazai si svegliò più allegro del solito: "Bonjour amico!" esclamò ad un Chuuya ancora insonnolito.
"Parli francese e non me lo hai mai detto?"
"Ci sono tante cose che non ti ho mai detto" gli disse, strizzandogli l'occhio.
"Fai paura, fattelo dire" mormorò Chuuya: "Come mai così frizzantino, oggi?"
"Non lo so, penso sia l'atmosfera natalizia" gli sorrise: "Comunque, devo andare da una parte stamattina."
"Dove?" 
"E tu non puoi venire" continuò Dazai ignorandolo.
"Ma dove devi andare?" insisté Chuuya.
(a prendere il tuo regalo di Natale)
"Non te lo dico, Chu. Sta' tranquillo, aspetta una mezz'oretta e sarò di ritorno" una pacca sulla spalla per salutarlo: "A dopo."
"Ma perché non posso venire?" gli urlò da lontano.
"Ciao Chuuya!"
"Che diavolo avrai da fare... idiota" mormorò tra sé e sé, irritato. Gli bruciava tanto essere ignorato in quel modo, ma, siccome aveva particolarmente sonno, per quella volta lasciò correre e si mise di nuovo a dormire.
Dazai, invece, si incamminò verso il centro, dove sorgevano numerosi negozi, in cerca di qualcosa che potesse piacere al suo amico.
Passò davanti a un carretto di fiori,
(se fosse gay sarebbe perfetto)
sorridendo divertito dalla sua immaginazione,
(anche se lo sembra)
poi davanti a un negozio di giocattoli, un ferramenta, molteplici negozi di vestiti,
(se avessi dei soldi potrei prendergli un cappello nuovo)
senza però trovare nulla che potesse andar bene.
Optò, quindi, per un negozio di dolciumi che aveva adocchiato poco prima: il suo interno era affollato,
(meglio così)
sarebbe stato più semplice per lui rubare qualcosa.
Ma si sbagliò.
Era preso ad infilarsi l'ultima tavoletta di cioccolato nella tasca della giacca, 
(mi dispiace, amico mio, ma per ora non posso offrirti di meglio)
quando la voce di un uomo giunse alle sue orecchie: "Non dovresti rubare."
Dazai si sentì gelare a quelle parole, si voltò di scatto verso la persona che gli aveva parlato, sgranando gli occhi: non gli era mai capitato di essere colto in flagrante a rubare, era sempre stato vigile e aveva sempre agito con cautela, si assicurava ogni volta che nessuno lo stesse guardando, com'era possibile che ora qualcuno lo avesse beccato? Schizzò fuori dal negozio, seguito dall'uomo, e corse nemmeno lui sapeva dove. Il ponte era nella direzione opposta, ma a lui non interessava, voleva solo allontanarsi il più possibile da lì, sperando di non essere preso.
Ancora una volta si sbagliava.
Riuscì a percorrere qualche metro, poi si sentì afferrare per un braccio e venire spinto a terra. Impattò violentemente il ginocchio con l'asfalto gelido che ricopriva la strada e il braccio, trattenuto saldamente dietro la schiena, gli faceva male, ma, con sua grande sorpresa, venne lasciato dopo qualche secondo: "Non intendo farti del male, caro." 
Dazai cercò di rialzarsi, intenzionato a rimettersi a correre, ma cadde; ci provò di nuovo, cadde ancora: le gambe non gli rispondevano. Rimase a terra, la figura imponente di fronte a lui, che lo guardava spietato: "Come ti ho già detto, non intendo farti del male. Ma se provi a scappare così penso sarò costretto" gli disse, con gelido calore.
Dazai non rispose, squadrando l'uomo.
"Ora, dammi quella roba che hai rubato" gli ordinò: "Vado a riportarla al negozio."
Dazai gli consegnò la tavoletta di cioccolata a malincuore.
"Bravo, giovanotto. Non azzardarti a muoverti da qui, altrimenti ti denuncio" disse semplicemente.
(e come potrei...)
Passò alcuni minuti di terrore puro: desiderava scappare, ma sapeva bene che in quelle condizioni non ce l'avrebbe mai fatta.
Provò a sistemarsi meglio a sedere, cercando di non ascoltare il ginocchio gli urlava contro in modo bestiale; versò lacrime di nervosismo e paura.
Emise un rantolo di dolore quando riuscì a mettersi seduto: il suo ginocchio appariva in modo decisamente poco normale.
"Cazzo..." gemette, chiudendo forte gli occhi e respirando profondamente per cercare di calmarsi e far scemare il dolore, almeno per un po', concentrandosi su altro.
Quasi non si accorse che l'uomo era tornato: "Perché piangi?" gli chiese in tono beffardo.
"Penso di essermi rotto il ginocchio. La prego..." gli rivolse lo sguardo: "... mi porti all'ospedale, mi fa malissimo."
"Temo che ciò non sia possibile. Vedi..." si abbassò alla sua altezza: "... sono un personaggio piuttosto... famoso, direi. Se ti portassi in ospedale tutti mi vedrebbero. E io non posso farmi vedere da nessuno" gli spiegò, con tono solitamente usato per un bambino molto, molto piccolo.
"La prego..." tornò a implorare Dazai.
"Dai, alzati. Ti porto a casa mia" disse l'uomo, ignorandolo.
"Non ce la faccio ad alzarmi! Ho il ginocchio rotto!" urlò Dazai, al colmo dell'esasperazione.
Dazai era tra le persone più calme e pazienti del mondo, ma quell'uomo lo metteva a dura prova, con quella freddezza beffarda e cattiva e stupida, tipica di chi non vuole capire, di chi ha interesse solo verso se stesso.
"Non alzare la voce con me, carino" gli disse l'uomo: "Non sai con chi stai parlando" avvicinò il suo viso a quello di Dazai, il puzzo del suo alito che faceva a pugni col profumo costoso che aveva addosso: doveva essere molto ricco, a giudicare dal completo che indossava e dall'aria da damerino spocchioso che aveva.
"Alzati" comandò, di nuovo.
"Non ce la faccio" ripeté Dazai, in un sussurro. Provava freddo e caldo allo stesso tempo, la vista periferica stava iniziando ad appannarsi.
L'uomo sbuffò scocciato, poi portò le braccia di Dazai attorno al suo collo: "Rimani aggrappato" disse, iniziando ad alzarsi.
Dazai impallidì, al sol pensiero di doversi mettere in piedi: "La prego, non ce la faccio..." 
"Stiamo perdendo tempo" constatò secco l'altro.
"Non ce la faccio... mi lasci pure qui, mi troverà qualcun altro, se lei non ha voglia di perdere tempo."
"Non se ne parla. In piedi" ripeté l'uomo per l'ennesima volta: si alzò in modo troppo violento. Accecato dal dolore Dazai cercò di spostare il peso sulla gamba sana.
L'uomo gli diede la schiena, e se lo caricò a cavalcioni su di essa. Lo sistemò meglio, incurante della sofferenza provata in quel momento da Dazai che mantenne, comunque, la lucidità, quella confusa lucidità che ognuno di noi, malgrado la sofferenza, ha per istinto di sopravvivenza.
"Ecco, ci è voluto tanto?" fece l'uomo, sbuffando: "Ringrazia il cielo che abito qua vicino. Diamine, come pesi..."
Dazai non ebbe più la forza di rispondere. La sua lucidità svanì completamente. Scosso dai brividi, svenne sulla spalla del suo malvagio benefattore.
Chuuya, nel frattempo, era rimasto ignaro a dormire.
Quando si svegliò, notando che l'amico non era ancora tornato, diede un'occhiata al sole già alto e constatò che ben due ore erano passate dalla sua partenza.
Aveva i sensi ancora destabilizzati dal sonno, quindi iniziò a cercarlo con lo sguardo, spingendosi oltre, convinto di non aver controllato con la giusta attenzione, ma niente. 
Allora si alzò in piedi e fece un breve giro di ricognizione nei paraggi, sperando di trovarlo in procinto di fare qualcosa di
(stupido. Ma dove diavolo sei?!)
Sbuffò innervosito, le mani chiuse a pugno sui fianchi, indeciso sul da farsi.
Il panico lo avvolse,
(e se gli fosse successo qualcosa? Con quella faccia da schiaffi potrebbe essersi cacciato in qualche guaio...)
ma si rasserenò subito dopo
(magari si è solo trattenuto più del previsto. Forse ha incontrato qualcuno…)
Nonostante, però, cercasse di consolarsi e di non dargli retta, quel pensiero continuava a pulsargli, lontano, nella mente
(mi ha abbandonato qui. Ma no, perché dovrebbe? Lui non è cattivo, no. Non lo farebbe mai. Mai. In fondo, mi vuole bene. O forse no, e si è davvero stancato di me… ah, ma per quale motivo?!)
Si sedette sull’ammasso di cartoni ad aspettarlo.
Ogni minuto che passava, quella convinzione maligna si faceva sempre più forte.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Di nuovo soli ***


Quando riprese conoscenza aveva tutti i sensi intorpiditi e ci mise alcune decine di secondi per aprire gli occhi; mise a fuoco e la prima cosa che vide fu l'uomo che lo aveva salvato: "Ben tornato tra i vivi, caro" gli disse.
"Dove sono?" chiese Dazai con voce roca.
"A casa mia."
Osservò per un po' la stanza, che era arredata lussuosamente, per poi rivolgere la sua attenzione al letto su cui giaceva
(ma da quant'è che non dormo in un letto vero?)
e alla sua gamba sinistra, ingessata.
"Sono un medico, sai?" gli disse l'uomo e Dazai poté constatarlo anche dal camice bianco che indossava: "È stato lei a curarmi?" chiese, perplesso. 
"Proprio così."
Dazai non capiva: quando si erano incontrati quell'individuo sembrava davvero perfido, e invece ora lo aveva preso con sé e curato. Lo stava aiutando.
"So essere molto delicato, sai?" disse all'improvviso l'uomo vedendo l'espressione interdetta sul viso del ragazzino la cui schiena fu percorsa da un brivido nell'udire il suo tono di voce ambiguo accompagnato sempre dallo stesso sguardo bieco. 
"Chi è lei?" osò chiedere Dazai preso da un impeto di coraggio. 
"Il tuo nuovo protettore, direi."
Dazai aggrottò la fronte: "La ringrazio tanto per avermi aiutato, ma non ho bisogno di un protettore."
"Sì che ne hai bisogno! Non vorrai mica vivere tutto da solo in mezzo alla strada, vero?" gli chiese l'uomo beffardamente.
"Io non vivo da solo, ma con il mio amico" gli rispose Dazai: "Devo tornare da lui" concluse risoluto. 
"Non puoi" disse l'uomo, un sorriso sornione in viso. 
"Come, scusi?"
"Devi restare qui, caro."
"Perché?" chiese Dazai incredulo.
"Io ti ho aiutato" l'uomo si avvicinò al suo viso: "Quindi ora tu stai con me."
"Ma io non posso restare qui! Il mio amico ora non sa dove io sia, mi starà cercando" esclamò Dazai irritato. 
"Vorrà dire che continuerà a cercare!" rispose l'altro buttandosi all'indietro sulla sedia, ridendo della sua stessa battuta. 
Una lunga pausa. 
"Vedi..." si avvicinò di nuovo a Dazai: "Nella vita è tutto un dare e avere."
Dazai rimase in attesa, scrutandolo. 
"Io ti ho dato la salvezza" continuò l'uomo, prendendogli il mento con due dita: "E tu cosa mi dai?" concluse, continuando ad avvicinarsi pericolosamente al ragazzo, che si ritrasse spingendolo via, per quanto le braccia deboli glielo permettessero: "Che diavolo vuole da me?!" chiese sull'orlo di una crisi isterica ma cercando di apparire il più calmo possibile. Non voleva innescare alcun tipo di reazione violenta da parte di quell'uomo.
Ci furono alcuni istanti di silenzio.
"È proprio vero..." iniziò l'uomo guardandolo con disprezzo: "Voi bambini non state mai fermi" concluse.
Si diresse verso la finestra restando in silenzio a contemplare la strada, poi si voltò nuovamente verso il ragazzo: "Mi chiamo Ougai Mori."
Dazai si schiarì leggermente la voce:"Io Osamu Dazai."
"Allora Dazai" iniziò l'uomo enfatizzando particolarmente il suo nome: "Proprio non vuoi vivere con me?" chiese con una certa premura.
Aveva cambiato nuovamente atteggiamento e questo turbò il ragazzino che non riusciva a comprendere le intenzioni di quel losco figuro.
"No" si limitò a rispondere. 
"E perché no?"
(perché mi fai paura)
"Perché io vivo già con qualcun altro."
"E pensi che questo qualcun altro rifiuterebbe un'offerta simile solo per tornare da te?" gli chiese accompagnando la frase con un ampio gesto della mano: "Noi esseri umani abbiamo la straordinaria capacità di adattarci a tutto. Il tuo amico ti cercherà per un paio di giorni al massimo, poi si dimenticherà di te. Andiamo, sei un ragazzo intelligente."
Dazai non rispose. 
(mi starà pressando per i suoi scopi. Ma che vuole da me?)
Mori rimase in attesa di una qualsiasi reazione del ragazzo, senza risultato. Cercò quindi di spingersi oltre: "Probabilmente sarà anche contento che tu te ne sia andato. Da quanto ho capito vivevate come cani randagi: ora avrà una bocca in meno da sfamare" concluse con un'alzata di spalle.
"La smetta, non sa di chi sta parlando" rispose Dazai, stringendo i pugni sotto le coperte e
(CHE CAZZO VUOI SAPERNE TU?!?!?!?)
 iniziando a perdere la pazienza. 
"È inutile cercare di convincerti, sei così testardo che mi verrebbe voglia di picchiarti" disse Mori, un leggero sorriso sulle labbra: "Ma non lo farò. Dato che non vuoi vivere con me domani ti farò conoscere un nuovo amico, va bene?"
(ma dove vuoi arrivare? Maledetto mostro.)
Dazai sospirò: "Come vuole lei..." 
Si sentiva debole e stanco e in quel momento avrebbe voluto fare tutto tranne che discutere con quell'individuo ossessionato da lui. 
"Bravo ragazzo. Fa’ sogni d’oro" gli disse Mori e, sorridendo, lasciò la stanza. 
Appena sentì la porta chiudersi, Dazai ebbe l’impeto di distruggere tutto ciò che lo circondava, per quanto la gamba invalida glielo permettesse, ma si contenne, limitandosi a stringere con tutta la sua forza il materasso, stropicciando le lenzuola, per poi colpirlo con molteplici pugni.
Iniziò a respirare profondamente, e pian piano si calmò.
La situazione gli sembrava semplicemente assurda: era solo e spaventato, bloccato in casa di un maniaco che, per chissà quale ragione, non aveva minimamente intenzione di lasciarlo andare.
Inoltre non aveva modo di contattare la polizia: non c’erano telefoni nei paraggi e, se anche ci fosse riuscito, probabilmente si sarebbe ritrovato nei pasticci a sua volta, essendo un ladro; sempre se Mori non lo avesse ucciso prima.
Era, semplicemente, un incubo.
Decise di riposare un po’, così da avere le energie e la lucidità adatte a conoscere il famigerato nuovo amico.
Si abbandonò sui morbidi cuscini, sistemandosi meglio le coperte.
Il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi andò a Chuuya e, in quel momento, realizzò che quasi sicuramente aveva perso per sempre l’unico vero amico che avesse mai avuto; si sforzò di non pensarci, ma quel pensiero lo tormentò a lungo.
Trascorse una delle notti più inquiete della sua vita.
 
 
 
Era ormai tardo pomeriggio, il sole stava tramontando e Chuuya iniziava ad essere preoccupato per l'amico che ancora non aveva fatto ritorno. Era indeciso sul da farsi: non sapeva se andarlo a cercare o restare lì nel caso fosse tornato. 
(E se mi avesse abbandonato? Oppure potrebbe essersi fatto male, quell'idiota...)
Quei pensieri continuavano a tartassarlo tanto da non permettergli di restarsene lì senza far nulla, così si diresse verso il porto sperando di trovarlo lì, ma non fu così.
Raggiunse, quindi, il mercato, lo stesso posto in cui rubò per la prima volta.
(Magari lo hanno beccato a fare qualcosa)
Un altro pensiero negativo si insidiò nella sua testa. Iniziò a setacciare tutta la zona, passò anche per le scorciatoie e i vicoli nascosti che Dazai gli aveva mostrato, ma niente.
Era sparito.
Continuò a cercarlo fino a sera e, col buio, si ritrovò costretto a tornare al ponte, per evitare che qualcun altro gli rubasse il posto, cosa che, a detta di Dazai, era successa fin troppe volte.
Decise che avrebbe continuato l'indomani e si buttò sui cartoni, stanco e arrabbiato.
Si coprì fin sopra la testa cercando di addormentarsi, ma tutto ciò che fece fu continuare a rigirarsi sbuffando.
Era, effettivamente, la prima volta che passava la notte da solo: appena andato via dall'orfanotrofio aveva trovato qualcuno che lo accogliesse senza volere niente in cambio, eppure lui non aveva fatto altro che trattarlo male e ora che se n'era andato si era accorto di quanto, in realtà, ci tenesse.
Il suo amico non c'era più e ora si sentiva perso.
Non aveva più nessuno a guardargli le spalle.
Trascorse una delle notti più inquiete della sua vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Oda ***


Dopo aver dato dei piccoli colpi alla porta, Mori fece il suo ingresso senza aspettare risposta dirigendosi a passo svelto verso la finestra.
Dazai, che aveva i sensi ancora intorpiditi dal sonno, non gli diede molta importanza finché non spalancò improvvisamente le tende lasciando che la luce del sole illuminasse tutta la stanza costringendolo a coprirsi gli occhi con il dorso della mano.
(Ma che ore sono?)
"Su, svegliati" gli disse Mori avvicinandosi al letto: "Avevo detto che ti avrei fatto conoscere un'altra persona, no? Beh, eccola" concluse puntando il dito verso la porta dove stava in piedi un uomo sulla trentina. Dazai alzò una mano in segno di saluto e lo sconosciuto ricambiò.
"Lui è Sakunosuke Oda" disse prima rivolto al ragazzino, poi guardò Oda: "Lui invece è Dazai."
Dazai continuava a guardare quell'uomo con diffidenza
(sarà un maniaco anche lui?)
poi guardò nuovamente Mori e continuò a far passare lo sguardo dall'uno all'altro chiedendosi cosa avessero in mente.
"Allora vi lascio soli" esordì Mori uscendo dalla stanza e chiudendo la porta.
Nella stanza calò un silenzio imbarazzante, Oda continuava ad osservare il più piccolo che invece teneva lo sguardo basso mentre lisciava le pieghe del lenzuolo cercando di distrarsi e scaricare la tensione su qualcos'altro.
"Ginocchio rotto?" chiese all'improvviso l'uomo rompendo il silenzio.
"Già."
"Brutta cosa" continuò: "Quando avevo più o meno la tua età mi sono rotto un braccio."
"Quanto ci ha messo a guarire?"
"Circa un mesetto. Ma il tuo ginocchio temo ci metterà molto di più, mi spiace piccolo." 
Dazai si voltò di scatto verso l'altro, pronto a trovare una sorta di ambiguità o malizia nel suo viso che, invece, faceva trasparire una sincera bontà e genuino interesse verso di lui.
"Che c'è?"
"Nulla, mi scusi..." mormorò Dazai abbassando lo sguardo. 
"Puoi darmi del tu, se preferisci" gli disse Oda. Non gli arrivò alcuna risposta, allora comprese, sospirando leggermente: "Io non sono come lui."
"Lui chi?" chiese Dazai, fingendo di non capire. 
"Mori" lo guardò serio: "Ti ha fatto qualcosa?"
"No, signor-"
"Oda" lo interruppe l'uomo sorridendogli incoraggiante.
Dazai ricambiò timidamente: "Oda, d'accordo."
"Non aver paura di me, non ti mangio" disse Oda.
Calò il silenzio, interrotto dopo alcuni istanti dall'uomo: "A proposito, hai fatto colazione?" 
Dazai rimase sorpreso dalla domanda: come mai quello sconosciuto si mostrava così premuroso nei suoi confronti?
"No" rispose: "Il signor Mori non me ne ha dato il tempo" aggiunse, non curandosi di nascondere un'implicita accusa.
"Il signor Mori non dà mai tempo a nessuno" gli disse Oda alzandosi: "Vado a prenderti qualcosa" concluse uscendo dalla stanza.
Dazai rimase solo per alcuni minuti, chiedendosi cosa mai ci fosse in quell'uomo da attirarlo così tanto. Gli era stato presentato da Mori, quindi aveva il pregiudizio fosse una persona come lui, eppure gli stava dimostrando esattamente il contrario. Che stesse facendo buon viso a cattivo gioco?
Il ritorno di Oda lo ridestò dai suoi pensieri: "Eccomi qua" gli disse, posando un vassoio sul comodino accanto al letto: "Ti serve una mano?"
"No, grazie" disse Dazai mettendosi seduto con l'aiuto le braccia; solo allora sentì quanto la gamba inferma gli pesasse.
Oda aspettò pazientemente fino a quando Dazai non finì di mettersi comodo, poi gli poggiò il vassoio sulle gambe: "Scusami, ma non sono riuscito a trovare niente di meglio."
Dazai spostò lo sguardo su un coltello, un fazzoletto, latte, pane e marmellata: "Non preoccuparti, va benissimo così. E grazie tante" disse a mezza voce.
Prese il coltello e iniziò a spalmare della marmellata di fragole sul pane, leggermente impacciato. Mangiò con ingordigia e quando finì Oda si sedette sul letto e spostò il vassoio sul comodino lì accanto, poi si rivolse al ragazzino: "Se ti piacciono i libri posso procurartene qualcuno, almeno avrai qualcosa con cui distrarti."
Dazai esitò per alcuni secondi: "Non so leggere" disse alla fine, lievemente imbarazzato. 
Oda rimase inizialmente stupito, ma si ricompose: "Vorrà dire che dovrò insegnartelo io. Ne avremo di tempo."
Dazai lo scrutò interrogativo. 
"Mori ci ha fatto conoscere perché vuole che tu venga a vivere da me" spiegò Oda.
"Perché?" chiese il ragazzo stupito, tentando di sembrare meno rude possibile. 
"Perché lui qui è il capo e decide tutto."
"Il capo di cosa?" 
Oda lo guardò tristemente: "Di una cosa molto cattiva" si limitò a dire: "So che vuoi delle spiegazioni, ma io non posso dartele. Non sono autorizzato."
Dazai stette in silenzio per un po'. Dunque Oda era la pedina di un progetto perverso ideato da Mori. 
(io c'entro qualcosa. Me lo sento.)
"Stai attento a quell'uomo, Dazai" disse Oda improvvisamente: "Non fidarti mai di lui. È una persona viscida, abituata a trattare con gli altri solo per i suoi interessi."
Una pausa. 
(Me lo sento...)
"Sei sicuro che non ti abbia fatto nulla?" insisté Oda. 
"No, non mi ha fatto nulla" rispose Dazai scuotendo la testa: "Però mi fa paura" ammise abbassando di colpo la voce. Sapeva bene che non avrebbe mai dovuto azzardarsi a dire una cosa del genere ad uno sconosciuto presentatogli dal diretto interessato in persona, ma, nonostante tutto, sentiva di potersi fidare di quell'uomo, gli trasmetteva una sorta di energia positiva: "Non dirglielo, per favore..." lo pregò guardandolo di sottecchi.
"Assolutamente no!" esclamò Oda: "Ad essere sincero... fa paura anche a me" aggiunse, sorridendogli complice.
Continuarono a parlare del più e del meno per tutto il pomeriggio e più il tempo passava, più Dazai si convinceva che vivere con l'altro non sarebbe stato poi così male.
"Allora" gli disse Oda mentre si congedava: "So che per te sarà difficile vivere con un completo sconosciuto, ma vedrai che andremo d'accordo. Domani verrò a prenderti e andremo a casa mia" concluse.
Poi, notando la malinconia del giovane interlocutore, gli si avvicinò: "Se potessi ti lascerei andare, ma purtroppo sono obbligato a fare tutto quello che Mori mi ordina" gli disse, poggiandogli una mano sulla spalla.
"Non è per me, ma per il mio amico."
"Che cosa è successo?" chiese Oda.
Dazai gli raccontò di Chuuya e della disavventura capitatagli il giorno precedente: "...  quindi devo tornare da lui. Non sa dove io sia, e non voglio pensi che l'abbia abbandonato. Non voglio che mi odi."
Oda rimase pensoso per un po'.
"Quando guarirò mi aiuterai a scappare? Farò in modo che Mori non potrà incolparti" azzardò Dazai.
"Come ti ho già detto, lo farei volentieri. Io amo aiutare le persone, specie se mi si presenta la possibilità di salvarle da..." si bloccò improvvisamente, ma si rese conto che aveva già detto abbastanza: "È per questo che ti ho detto di stare attento a quell'uomo" concluse scoccandogli un'occhiata significativa.
"Capisco."
Dunque era questa l'alternativa? Stare al gioco di Mori o essere uccisi? Dazai pensò fosse orribile.
"Mi dispiace. Ti auguro una buona serata."
"Ciao, Oda. E grazie ancora" lo salutò con un cenno della mano. 
Passò tutta la sera a rimuginare sul suo destino e quella notte dormì poco e male. 
Il giorno dopo venne svegliato da Mori, che si degnò a malapena di dargli il buongiorno: "Pensaci tu a lui" disse freddamente a Oda, per poi lasciare la camera rivolgendogli un'occhiata fulminante e scostandolo malamente dall'uscio.
"Dormito bene?" chiese Oda facendo capolino da dietro lo stipite.
"Sì, grazie" mentì Dazai.
Oda entrò nella stanza, trasportando una sedia a rotelle e lo aiutò a salirci sopra, per poi guidarlo fino alla sua auto e dirigersi verso casa sua, che era abbastanza grande per una persona sola.
Gli fece fare un giro all'interno di essa per aiutarlo a familiarizzare con i vari ambienti e lo condusse, infine, alla sua nuova camera.
Dazai si rivelò da subito entusiasta della nuova sistemazione. Passava le giornate principalmente a casa da solo: Oda lavorava ma, nonostante tutto, riusciva sempre a ritagliare un momento la sera per insegnargli a leggere e a scrivere. Si faceva in quattro per lui e non gli faceva mai mancare nulla, come se fosse suo figlio, e il ragazzo trovava quell'uomo semplicemente straordinario.
Nonostante la soddisfazione di avere un nuovo amico, però, non riusciva a togliersi dalla testa Chuuya: sentiva che gli mancava, dopotutto avevano convissuto per quasi un mese, guardandosi le spalle a vicenda.
Cercava di nascondere la sua malinconia, ma Oda riusciva sempre, in qualche modo, a capire che Dazai avesse qualcosa che lo turbava, e quest'ultimo si ritrovava ogni volta a confidarsi con lui.
Si sentiva in colpa per la brusca separazione dall’amico, ma era felice di come gli era andata; dopo tanti anni aveva di nuovo un tetto accogliente sopra alla testa.
 
 
Era tarda sera e Chuuya non aveva ancora trovato nulla da mangiare.
Continuava a vagare per il porto anche se ormai era stanco, affamato e infreddolito tanto che stava per tornarsene a casa quando una voce femminile giunse alle sue spalle: "Ti sei perso?" 
Lui si voltò di scatto verso la persona che aveva parlato: era una donna dai capelli rossissimi avvolta in un kimono del medesimo colore. 
In un primo momento fu tentato di scappare ma la donna sembrava genuinamente preoccupata per lui, quindi decise di risponderle: "No, io vivo qui in strada."
Lei sembrò interessarsi seriamente al ragazzino tanto che si chinò alla sua altezza: "Vivi tutto solo?" gli chiese.
Chuuya ripensò a Dazai che lo aveva abbandonato come un cane, ed esitò un momento prima di rispondere: "Sì" disse soltanto, senza menzionare l'amico.
La donna si guardò intorno, come per accertarsi che nessuno li stesse guardando, poi si alzò in piedi: "Vuoi venire a casa mia? Ti offro qualcosa di caldo" disse  tendendogli la mano. Chuuya la guardò interdetto, poi le afferrò la mano con fare schivo e lei lo avvolse nella manica del suo kimono: "Starai gelando" spiegò così il suo gesto e iniziò a camminare con il ragazzino al suo fianco.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Mafia ***


Dopo alcuni mesi la gamba di Dazai si ristabilì del tutto, anche grazie alle premure di Oda, che si assicurava ogni volta che al suo protetto non mancasse nulla. 
In quei giorni le sue capacità di lettura e scrittura migliorarono di molto. Nonostante ci mettesse tanto a decifrare quel nuovo linguaggio si impegnava con tutto se stesso per imparare al meglio e si accorse di avere un debole per i romanzi di avventura. 
Teneva a mente i consigli di Oda, che scoprì essere un buon insegnante, e li applicava ogni volta che si esercitava: di tempo per farlo ne aveva, dopotutto passava quasi tutto il giorno a casa da solo perché l'altro lavorava. 
Che cosa facesse di preciso non lo sapeva: ogni volta che provava a chiederglielo Oda cambiava discorso, e Dazai lo rispettava, smettendo di fare domande. 
Nonostante fosse consapevole che il suo amico era un subordinato di Mori, non riusciva a vederlo come una persona cattiva: gli aveva raccontato più volte delle opere che faceva a beneficio dei bambini meno fortunati, suscitando un'ammirazione profonda in Dazai, che sognava di poter diventare come lui in futuro. 
Un giorno si svegliò più presto del consueto, si alzò dal letto e andò a fare colazione.
Passò la mattinata ad esercitarsi, come al solito, ma la sua concentrazione fu interrotta alcune ore dopo dal rumore frettoloso delle chiavi nella toppa: "Dazai" chiamò Oda appena entrò in casa: "Vieni con me" gli disse. 
Aveva uno sguardo truce in volto, il ragazzo se ne accorse subito. 
"Oda, che succede?" gli chiese accorrendo a lui. 
"Mori vuole parlarti."
"Perché?" 
"Andiamo, ci sta aspettando" disse l'uomo, prendendolo per un braccio e trascinandolo fuori casa con una certa urgenza, facendogli abbandonare l'attività che tanto lo appassionava. 
Anche in macchina Oda rimase silenzioso, e ciò fece angosciare non poco il ragazzo. 
Si sentiva profondamente inquieto, era convinto che di lì a poco gli sarebbe successo qualcosa di brutto. 
"Sta tranquillo, non c'è niente di cui preoccuparsi" disse Oda improvvisamente, più a se stesso che a Dazai.
"Mi spieghi cosa sta succedendo?"
Oda gli rivolse un rapido sguardo, senza dire nulla. 
Non si scambiarono una parola per il resto del viaggio, ognuno immerso nei propri pensieri. 
Arrivarono una decina di minuti dopo, scesero dalla macchina e si avviarono verso un edificio che Dazai non aveva mai visto prima. 
Entrarono al suo interno e camminarono fin quando non raggiunsero una porta chiusa. 
Oda portò la mano al freddo legno, ma si bloccò e rivolse lo sguardo a Dazai, abbassandosi alla sua altezza e scompigliandogli leggermente i capelli.
(cosa dovrà mai dirmi di così terribile?)
Si alzò e bussò.
"Avanti" rispose una voce fin troppo familiare.
Dazai entrò timidamente nella stanza e, notando che Oda era rimasto fuori, gli rivolse uno sguardo di supplica: perché non lo stava accompagnando?
"Chiudi" ordinò Mori freddamente: "Mi dà fastidio parlare con la porta aperta."
Il ragazzo obbedì a malincuore: avere lo sguardo bonario di Oda addosso sarebbe servito a rassicurarlo almeno un po'.
C'era odore di chiuso là dentro ed era buio, come se Mori ci fosse rimasto per giorni; e forse era stato davvero così, ne era convinto. L'uomo lo squadrò, un'espressione indecifrabile in viso. Aveva profonde occhiaie e il viso stanco.
"Ora che sei guarito dovrai fare delle cosette per me" esordì enigmatico.
Dazai perse un battito.
"Tranquillo, non ti tocco" disse Mori, accorgendosi della reazione dell'altro: "Posso avere di meglio che un ragazzino" concluse arrogante.
"Che cosa devo fare?" chiese Dazai flebilmente. 
"Devi diventare la mia guardia del corpo."
"Ma, io..."
"Mi appartieni" disse l'uomo prendendolo per il colletto: "E se osi disobbedirmi giuro che ti ammazzo" ringhiò.
Il ragazzo volle ribattere, ma si arrese. Sapeva che non sarebbe servito a nulla, quell'uomo otteneva sempre tutto ciò che voleva: "Va bene" si limitò a dire abbassando gli occhi e odiando il tono servizievole che assunse. 
Non si comportava così con nessuno, ma Mori gli faceva paura, per questo pensava fosse meglio mostrarsi disponibile.
"Domani inizieremo il tuo addestramento. Puoi andare" disse Mori gelido.
Dazai lo salutò inchinandosi leggermente e uscì dalla stanza, cercando di non dar a vedere la fretta che aveva nel farlo. Chiuse la porta tremante.
"Allora?" gli chiese Oda teso.
"Vuole che diventi la sua guardia del corpo" rispose Dazai.
Oda sospirò: "Maledetto..."
Dazai non seppe cosa dire: fino a poco prima pensava che, forse, fare da guardia a qualcuno non sarebbe stato così male, ma la reazione dell'amico era stata sufficiente a fargli cambiare rapidamente idea.
A partire dall’indomani iniziò a rendersi conto di cosa significasse lavorare per quell'individuo.
Aveva iniziato ad allenarsi con lui, ogni giorno. Le prime ferite iniziavano a comparire: sul viso, sugli arti, sulla schiena. Ad ogni errore riceveva un colpo, e a Mori non importava nulla di quanto gli facesse male.
"Una buona guardia del corpo deve essere capace a combattere" gli diceva sempre l'uomo tra una pausa e l'altra, per poi ricominciare a martoriarlo.
La sera tornava a casa distrutto e cenava velocemente, poi si faceva medicare le ferite da Oda, guardando documentari alla televisione per distrarsi dal dolore.
Sentiva di non riuscir più a sopportare quel ritmo stressante.
"Oggi ti porto da un amico" gli disse Mori dopo circa due settimane di sofferenza.
Gli aveva obbedito di nuovo, senza chiedere nulla, come un cane.
Lo aveva accompagnato nella casa dell'amico, l'odore della malattia di un povero vecchio che lo disgustava.
Era rimasto da parte a guardare mentre il coltello del dottore faceva il suo sporco lavoro, la nausea che gli montava mentre il sangue inzuppava le coperte.
E solo allora aveva capito. Mori lo aveva usato come testimone: non era stato altro che la pedina di un perverso gioco di potere.
Sentiva di odiarlo profondamente dopo quell'episodio, e Dazai non era solito odiare il prossimo, cercava sempre di trovare del buono, ma con lui era completamente inutile provarci. Lui era disumano.
Non ricordava molto di quello che successe dopo, solo che era tornato a casa sconvolto, più tardi del solito, e che si era ritrovato tra le braccia di Oda, a piangere come non faceva ormai da anni.
E allora lui gli aveva spiegato tutto: facevano parte della Port Mafia, un'organizzazione il cui scopo era far soldi illegalmente. 
Aveva scoperto che la persona uccisa altro non era che il boss precedente e, dato il decesso, Mori aveva preso il suo posto.
Qualche sera dopo, vagando per il quartier generale, trovò la porta dell'ufficio del boss socchiusa, e lo intravide all'interno con una donna che gli era capitato di incontrare già, ma di cui non conosceva il nome. Si avvicinò e iniziò ad origliare i loro discorsi: parlavano di qualcuno.
Qualcuno di davvero bravo, che sarebbe potuto diventare un membro molto importante della Mafia. Avrebbe voluto restare e sentire qualcosa di più, ma doveva fare attenzione a non farsi scoprire o avrebbe passato dei guai seri, soprattutto perché a quell'ora lui non sarebbe dovuto essere lì.
Nei giorni a seguire ebbe altre occasioni di vedere quella donna, finché non gli fu presentata da Mori stesso. Si chiamava Kouyou Ozaki ed era uno dei cinque esecutori della Port Mafia. La conobbe ufficialmente in un casinò che veniva frequentato spesso dai membri dell'organizzazione, e che era costretto a frequentare anche lui essendo diventato la guardia del corpo di Mori. 
Odiava quel posto. Erano pieno di gentaccia le cui vite erano ormai al limite. Probabilmente avevano perso tutto: casa, lavoro, famiglia e, anziché tentare di riprendere in mano la loro vita, davano via anche la dignità, ubriacandosi o dilapidando i loro soldi in scommesse, a poker o qualsiasi altro gioco d'azzardo. Altri, che probabilmente non avevano mai visto una donna nuda in vita loro, pagavano delle ragazze quasi svestite per poi vederle esibire in balletti poco casti.
Queste ultime lo irritavano particolarmente, perennemente ubriache, mentre gli facevano complimenti con quelle loro vocette squillanti e insopportabili da
(galline)
come le definiva lui.
Tuttavia gli tornarono utili.
Da quando aveva origliato, seppur brevemente, la conversazione di Mori e Kouyou, aveva sentito spesso parlare di un ragazzino che quest'ultima aveva preso con sé, e sembrava che in quel casinò tutti lo avessero già conosciuto meno che lui. Decise di informarsi su questo fantomatico personaggio chiedendo in giro, ma gli altri membri della Mafia gli rispondevano di non poter dare informazioni riservate a nessuno, e lo stesso facevano quei vecchi sempre presenti nel casinò: prima gli raccontavano di quanto promettesse bene, poi, quando Dazai chiedeva dove poterlo trovare, si inventavano di non saperlo o rispondevano di non poterlo dire. Quindi chiese alle prostitute, erano tutte talmente piene di alcool da ridere ad ogni domanda che Dazai gli rivolgeva, tanto che stava quasi per perdere la calma e mandarle al diavolo.
"È davvero un amore!" disse una di loro mentre un'altra scoppiava a ridere.
"E avete idea di dove possa trovarlo?" chiese il giovane.
"Certo! È in una delle stanze di sopra" rispose una indicando delle scale. 
Una volta quel posto era una locanda, ma il proprietario aveva deciso di trasformarlo in un casinò, lasciando le stanze a disposizione di chiunque fosse stato disposto a pagare per riposarsi o per pernottare. 
Un sorrisetto soddisfatto si dipinse sulla labbra di Dazai: "In quale esattamente?" 
"Non lo so" rispose sempre la stessa ragazza.
"Io sì, invece!" disse euforica un'altra del gruppo: "Mi sembra di aver visto la signora in rosso uscire dalla stanza in fondo al corridoio un giorno."
"Ne sei sicura?" chiese conferma Dazai.
"Ma sì, ero andata a trovare un amico e quando me ne sono andata l'ho vista, ne sono sicura!"
Il ragazzo salutò frettolosamente il gruppetto e, badando bene a non farsi vedere, corse su per le scale ritrovandosi in un lungo corridoio. Camminò a passo svelto verso la porta in fondo, come gli era stato indicato, e quando si ritrovò davanti ad essa esitò prima di aprirla.
(E se anche entrassi, cosa spero di ottenere?)
La sua era pura curiosità, ma come l'avrebbe spiegata all'altro, che si sarebbe visto piombare in casa uno sconosciuto?
Ma alla fine mise da parte qualsiasi tipo di pensiero, decidendo di buttarsi e aprire la porta per conoscere, finalmente, il giovane prodigio di cui tutti parlavano tanto.
La porta sbatté rumorosamente contro la parete a causa della troppa euforia che Dazai mise per aprirla, facendo sussultare il ragazzino all'interno della stanza, che in quel momento era seduto sul letto immerso nella lettura di un libro, prima che venisse interrotto. 
Quando Dazai lo vide sgranò gli occhi e rimasero a guardarsi in silenzio per svariati secondi, entrambi increduli e scioccati. 
"Chuuya!"
"Dazai!"

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Di nuovo insieme ***


Rimasero a guardarsi in silenzio per parecchi secondi che ad entrambi parvero un'eternità. 
Il primo a prendere la parola fu Chuuya che chiuse il libro con veemenza e lo gettò di lato scendendo dal letto con fare tediato: "Mi hai abbandonato come un cane!" gli gridò con tono accusatorio: "E ti ho cercato come un imbecille per giorni interi! Ti sei divertito a prenderti gioco di me, immagino!" 
Chuuya era fuori di sé, continuava a lanciare accuse all'altro senza lasciare che desse delle spiegazioni nonostante ci stesse provando, ma più tentava di aprire bocca, più il ragazzino sembrava innervosirsi e alzare la voce, così Dazai, dopo aver accostato la porta, decise di avvicinarsi a lui e lo prese per le spalle: "Ora smetterla di gridare e lascia parlare anche me!"
Chuuya respirò profondamente e si zittì, limitandosi a guardarlo con astio. 
Dazai sospirò: "Non è stata colpa mia. Non ti ho abbandonato, sono stato preso."
"Perché dovrei crederti?" chiese Chuuya ancora arrabbiato e diffidente nei confronti dell'altro.
Dazai lo guardò leggermente deluso dalla sua risposta, ma non si arrese e continuò a spiegare cosa fosse successo: "Quell'uomo, Mori, sicuramente lo avrai conosciuto..." disse.
Chuuya annuì e questo incoraggiò l'altro a proseguire: "Mi ha colto in flagrante mentre rubavo e mi ha portato a casa con sé. Sarei scappato se non avessi avuto un ginocchio rotto..." 
Chuuya continuava a guardarlo dubbioso: "Allora perché quella mattina eri così indecifrabile?"
"Indecifrabile?" ripeté l'altro non capendo cosa intendesse.
"Sì! Non hai voluto dirmi dove saresti andato! È perché avevi già programmato di andartene, non è vero?!" insisté di nuovo Chuuya.
"Ero andato a prendere il tuo regalo di Natale" lo informò Dazai: "Ma ovviamente non potevo dirtelo."
Chuuya sgranò gli occhi e la sua espressione mutò completamente; ora sembrava stupore misto a costernazione.
Lo guardò negli occhi ancora per un po', per cercare di capire se stesse mentendo o no, poi si infilò le mani in tasca e si schiarì la voce: "Immagino di doverti delle scuse" disse sottovoce e distogliendo lo sguardo.
"Non importa" lo rassicurò Dazai sorridendogli appena: "Mi basta averti ritrovato."
Chuuya alzò di scatto lo sguardo verso di lui ed esitò prima di parlare: "Sì... anche a me" disse poi, sempre a bassa voce.
Dazai notò il suo tono di voce poco convinto: "Sul serio, ero preoccupato per te e per la tua sorte" disse sedendosi sul letto seguito da Chuuya.
"Non dirlo a me, credevo ti fosse successo qualcosa di molto più grave" gli confessò.
"Quindi eri in pensiero per me?" chiese retoricamente Dazai con un sorrisetto insolente sulle labbra.
"Certo che sì, idiota" ammise l'altro arrossendo leggermente, ma cambiò subito argomento: "Come mai quelle bende?"
"Oh, queste... sono parte dell'allenamento col signor Mori" spiegò con un sorriso amaro, sfiorandosi il lato destro del viso.
"Quello è un pedofilo" sentenziò Chuuya: "Quando l'ho conosciuto è stato tutto il tempo a lanciarmi occhiatine ambigue, era inquietante da morire, davvero!" concluse, poi guardò più attentamente l'amico, che era rimasto silenzioso, e il suo sguardo si riempì di quella che sembrava preoccupazione: "Ti vedo cambiato" gli disse.
Dazai si sentì colpito da quelle parole. Era cambiato? Sì, e anche tanto: dopotutto aveva visto un uomo venire ucciso, uno spettacolo simile era fin troppo per un ragazzino della sua età, ma ormai, avendo a che fare con gente del genere, sentiva di stare perdendo la sua umanità poco per volta. Stava diventando come loro. Rimase in silenzio e con lo sguardo assente, mentre la mente gli si riempiva di quei pensieri, per un interminabile lasso di tempo, ma alla fine riuscì a mascherare tutta quella sofferenza come aveva imparato a fare già da tempo.
"Vorrei poter dire lo stesso di te, ma non sei cresciuto di un centimetro" lo beffeggiò ridacchiando, e ricevette un cuscino in piena faccia da parte dell'altro che riprese a guardarlo con quell'espressione imbronciata, ma questo non fece altro che divertire maggiormente Dazai, finché all'improvviso non gli mise un braccio intorno alle spalle: "Mi sei mancato, amico" gli sorrise.
"Anche tu" disse Chuuya facendo passare un braccio intorno alla vita dell'altro e sorridendogli di rimando.
"Ma come hai fatto a trovarmi?" chiese poi.
"Parlano tutti di te!" gli disse Dazai: "Cosa hai fatto di speciale?"
Chuuya ci pensò su per alcuni secondi: "Sono migliorato nel combattimento!" esclamò poi fiero di se stesso e, come per dimostrare quanto detto, diede un pugno nel fianco all'amico.
"E questo per che cos'era?! Mi hai fatto male!" si lamentò Dazai e ricambiò tirandogli anche lui un pugno, ma sulla spalla: "Ora sono forte anche io nel combattimento corpo a corpo, non avresti dovuto sfidarmi!" detto questo si lanciò su Chuuya tentando di bloccargli i polsi, ma nonostante la sua bassa statura quest'ultimo era parecchio forte, tanto da riuscire a ribaltare la situazione sedendosi sull'altro; Dazai ebbe nuovamente la meglio e riuscì a farlo tornare sotto di lui.
Furono interrotti da Kouyou che fece il suo ingresso visibilmente preoccupata, trovandoli in quella posizione alquanto imbarazzante: Dazai aveva bloccato i polsi di Chuuya, tenendolo fermo, mentre quest'ultimo cercava di togliersi l'altro di dosso spingendolo via con tutte le sue forze. E, per di più, erano ansimanti.
La donna si tranquillizzò nel vedere che stavano entrambi bene; si era preoccupata quando Mori aveva notato la sparizione del suo protetto, e la sua ansia era salita quando, dal buio del corridoio poté intravedere uno spiraglio di luce provenire dalla porta della stanza in fondo, segno che era stata aperta. Aveva temuto potesse essere successo qualcosa di grave.
"Ho interrotto qualcosa?" chiese sarcasticamente come tentativo di scaricare la tensione.
I due ragazzini si scambiarono uno sguardo confuso, e quando si resero conto della posizione in cui si trovavano, Dazai scoppiò a ridere mentre Chuuya diventò dello stesso colore dei suoi capelli.
"Deve aver frainteso, ci stavamo solo picchiando" spiegò Dazai, togliendosi da sopra l'amico e mettendosi a sedere sul letto.
Kouyou sospirò e si avvicinò a loro: "Perché sei qui tu?" chiese poi seria rivolta a Dazai.
"Avevo sentito parlare di un altro ragazzo ed ero curioso di sapere chi fosse" raccontò: "Quindi sono venuto a vederlo e ho scoperto che era lui!"
"Vi conoscevate già?" domandò la donna guardandoli.
"Sì, abbiamo vissuto per un po' insieme in strada" le spiegò Dazai.
"Chuuya non mi aveva mai parlato di te" disse rivolta a Dazai, ma guardando l'altro, leggermente offesa.
"Lo trovavo irrilevante" rispose brevemente lui lisciandosi la camicia, mettendosi le mani in tasca.
"Caro, avere un amico non è mai irrilevante! Così lo offendi" disse Kouyou sistemando meglio i ciuffi disordinati sulla fronte di Dazai.
Chuuya provò improvvisamente un vivido interesse per le sue scarpe, mentre Dazai rimase compiaciuto a farsi accarezzare da quella donna, che di oscuro sembrava non avesse nulla, anche se tutti dicevano il contrario.
"Godetevelo finché potete" disse improvvisamente la donna: "Non avete idea di quanto sia bello avere qualcuno da amare" concluse malinconica.
Chuuya la guardò comprensivo, per poi lanciare un'occhiata significativa a Dazai, che lo osservava in cerca di spiegazioni.
"Allora vi lascio, fate i bravi" disse Kouyou, ridestandosi dai suoi pensieri e sorridendogli.
"Ha visto l'uomo che amava venire ucciso qualche anno fa senza che potesse fare nulla" disse Chuuya a bassa voce quando la donna fu uscita dalla stanza: "Volevano fuggire da questo schifo, ma non ce l'hanno fatta."
Dazai sentì lo stomaco stringersi. Anche lui sapeva bene cosa significasse star a guardare senza fare nulla. Il senso di colpa che l'aveva accompagnato da quell'evento si fece vivo di nuovo. 
"Mi dispiace" disse semplicemente, lo sguardo perso nel vuoto. 
Chuuya notò che l'altro aveva cambiato ancora atteggiamento. Stava per chiedergli cosa avesse ma l'altro lo precedette: "Anche io ho visto un uomo venire ucciso. E non ho alzato un dito."
Chuuya non sapeva se essere colpito o dispiaciuto da quella rivelazione. Avrebbe voluto fargli mille domande, ma comprese che non era il caso, quindi, dopo essere rimasto in silenzio e con gli occhi sgranati per alcuni secondi, si limitò a chiedergli: "E cosa hai provato?"
Quella domanda colse Dazai alla sprovvista. Si aspettava che l'altro iniziasse a tempestarlo di quesiti di tutt'altro tipo, e sul momento non seppe esattamente cosa rispondergli. Forse perché nemmeno lui sapeva descrivere cosa avesse provato esattamente. Paura? Ribrezzo? Oppure odio verso quell'uomo?
"Non lo so esattamente. Forse rabbia, nausea e... impotenza" confessò: "Volevo fare qualcosa, ma allo stesso tempo sapevo che non avrei dovuto muovermi, altrimenti Mori mi avrebbe fatto fuori" disse.
"Che c'entra lui ora?" chiese confuso Chuuya.
Dazai gli raccontò l'evento che tanto lo aveva scioccato, le immagini ancora vivide nella mente. Non avrebbe dimenticato facilmente il suono cupo della pelle che si lacerava e gli schizzi di sangue dappertutto, ne era sicuro.
"Davvero pensi potrebbe ucciderti?" chiese Chuuya quando ebbe finito: sembrava a dir poco scioccato.
"Quel tipo è terribile."
"Sì, quello lo avevo intuito. Ma non credevo potesse arrivare a tanto."
"E invece sì. Anzi, sono certo sia disposto a far fuori anche te se non ti darai da fare qui."
"Cosa dovremmo fare?" chiese Chuuya a mezza voce.
"Non ne ho idea" rispose Dazai alzando le spalle: "Forse dobbiamo continuare ad allenarci e quando Mori ci riterrà all'altezza, probabilmente..." esitò: "Ci manderà ad uccidere qualcuno."
Chuuya sussultò a quelle parole: "No. Io non sono un assassino" disse fermo. Già gli era capitato di far del male ad altre persone, odiandosi subito dopo. Sapeva bene che non avrebbe mai avuto il coraggio di togliere la vita a qualcuno.
Dazai comprese e sul momento volle rassicurarlo, ma si bloccò: a cosa sarebbe servito? Erano nella Mafia, da lì in poi sarebbe stata una strada in salita. Sarebbero stati obbligati a seguire ogni ordine, pena la vita. Decise che la tenerezza non sarebbe servita a nulla: "Ma lo diventerai, purtroppo. O noi o loro" gli disse, risultando più freddo di quanto volesse. Si fece paura da solo.
"Non se ne parla, Dazai. Piuttosto mi faccio ammazzare" insisté Chuuya.
"Non dirlo neanche per scherzo, la vita è un dono" disse Dazai con tono secco, pentendosene subito dopo. Si rese conto che, in preda all'inquietudine per il discorso affrontato, si stava comportando bruscamente.
Decise, quindi, di alleggerire un po' la situazione: "E poi, ehi! Mi lasceresti da solo?" disse, portandosi le mani al petto e sbattendo le palpebre più volte con fare innocente.
Chuuya alzò gli occhi al cielo, passandosi una mano tra i capelli: "Sei un idiota, metterti a scherzare in una situazione del genere..."
L'altro lo fissò in silenzio per un po', sembrava pensoso: "Sai che sembri una donna quando fai così?" disse serio.
Chuuya lo guardò malamente, per poi colpirlo con una scarica di pugni sulla sua spalla: "Una donna colpisce così, eh, stronzo?"
Dazai aspettò pazientemente che finisse di picchiarlo, poi rise, massaggiandosi la spalla già provata dagli allenamenti con Mori: "Sono il tuo sacco da boxe preferito, scommetto."
"Proprio così" asserì Chuuya, soddisfatto di quanto fosse migliorato in poco tempo.
"Ritornando a noi, io non voglio uccidere" disse, dopo alcuni istanti di silenzio. Quel discorso sembrava chiuso, ma sentiva il bisogno di condividere il suo disagio con Dazai: il solo pensiero di dover impugnare una pistola lo faceva sentire perso.
"Nemmeno io, ma ci costringeranno" gli rispose l'altro tornando serio.
"Ma abbiamo quattordici anni! Per quanto Mori sia cattivo, c'è un limite a tutto. Non può farci uccidere da così giovani!" cercò di ragionare Chuuya.
"A quell'uomo non interessa e presto ci trasformerà in pedine e ci userà a suo piacimento" concluse Dazai malinconicamente.
"Dev'esserci un modo..." mormorò Chuuya.
Rimasero pensosi a trovare una soluzione per un po', finché Dazai non afferrò improvvisamente il braccio a Chuuya, facendolo sussultare: "Oda!" 
"C-cosa?" 
"Oda!" ripeté Dazai, sorridendo. Chuuya scosse la testa interrogativo.
"Oda è il tipo che mi ha adottato, ed è veramente fantastico" spiegò frettolosamente Dazai con un gesto della mano: "Ma il punto è che lui non uccide nessuno sebbene si trovi nella Mafia da svariati anni!"
"Ne sei sicuro?" 
"Sì, me l'ha detto lui stesso."
"Magari ti ha mentito" propose Chuuya.
"Assolutamente no, io mi fido di lui. E poi è davvero una brava persona, sai, aiuta i bambini orfani."
Chuuya continuò a fissarlo scettico, in attesa che l'altro proseguisse.
"Non mi racconta molto del suo ruolo nella Mafia, ma, dato che non ha mai ucciso nessuno, può essere che sia vicino a Mori, anche se non si stanno molto simpatici" disse Dazai, talmente veloce per l'euforia di aver trovato un sotterfugio che Chuuya fece fatica a seguirlo: "E allora?" chiese quest'ultimo, quando l'altro si fu bloccato per riprendere fiato.
"Allora" disse accompagnando la parola con un gesto della testa: "Se riuscissimo ad entrare anche noi nelle grazie di Mori, forse ci affiderà degli incarichi un po' più... leggeri, come spacciare o malmenare qualcuno, al massimo" concluse, per quanto si fece ribrezzo a parlare di quelle cose come se discutesse del tempo: stava iniziando ad arrendersi al male, lo sentiva.
Una scintilla sembrò accendersi negli occhi di Chuuya, ma scomparve poco dopo, sostituita da uno sguardo vagamente inquieto: "Però io non voglio diventargli simpatico indossando vestitini da bambina, o..."
"Ma no!" esclamò Dazai ridendo: "Anche se ci staresti bene, cara."
Chuuya alzò un pugno, pronto a picchiarlo di nuovo, ma Dazai lo afferrò con una mano, fermandolo: "Giuro che la smetto" disse sorridendo colpevole.
"Sarà meglio per te" borbottò Chuuya: "Comunque, genio del male, il tuo piano mi piace."
"Ci metteremo un po' ad abituarci a fare i cattivi, ma insieme arriveremo in alto e conquisteremo il signor Mori, vedrai. Diventeremo la coppia più forte della Port Mafia!"

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Perdita di umanità ***


Chuuya colpì per l'ennesima volta il sacco da boxe davanti a sé, il quale oscillò avanti e indietro finché non fu bloccato da Dazai: "Andiamo, mettici tutto te stesso!" disse, per poi lanciarlo di nuovo verso Chuuya che lo colpì nuovamente con tutta la forza che aveva in corpo.
"Già ti sei stancato?" lo schernì Dazai.
"Tu non stai facendo niente da mezz'ora" gli rispose Chuuya stizzito.
"Sono in pausa."
"Sei solo un fannullone" detto questo gli allungò un pugno che Dazai schivò prontamente rubandogli il cappello: "E tu sei un brontolone."
"Ridammelo, idiota!"
"Se lo vuoi devi venire a prenderlo" gli sussurrò Dazai sorridendo malizioso e iniziando a correre per tutta la sala.
Chuuya accettò di buon grado la sfida, e i due si rincorsero a lungo, finché Dazai iniziò a rallentare, per poi fermarsi ansimante. 
"Che fai, ti fermi? Già ti sei stancato?" gli chiese Chuuya beffardamente.
Dazai portò il cappello in alto: "Prendilo, nano."
Chuuya non disse nulla, poi il suo corpo venne circondato da un'aura rossa, e iniziò lentamente a sollevarsi in aria, arrivando all'altezza di Dazai e afferrando il cappello rapidamente, rimettendoselo in testa: "Preso. Uno a zero per me, stronzo" disse pacatamente e si avviò verso il sacco, ma Dazai lo agguantò per il polso facendolo tornare bruscamente coi piedi per terra, poi gli bloccò le braccia dietro la schiena: "Preso."
Chuuya ringhiò in risposta iniziando a dimenarsi nel tentativo di sottrarsi alla sua stretta, il fatto che essendo a contatto con Dazai non potesse usare la sua abilità lo innervosiva e non gli veniva in mente nulla per liberarsi.
Smise, quindi, di muoversi, lasciando perplesso il suo amico, per poi tirargli un calcio sulla tibia, che fece allentare la sua presa per un momento, dandogli il tempo di ribaltare la situazione e tenerlo fermo.
"Ma complimenti, caro, una mossa molto intelligente!" 
Si voltarono entrambi di scatto e si trovarono Mori davanti, intento ad applaudire leggermente sorridendo: "La cosa migliore in un combattimento è usare l'intelligenza, io lo dico sempre."
I ragazzi si ricomposero, inchinandosi leggermente alla vista del boss e salutandolo timorosi.
"Direi che sei pronto, Chuuya" disse Mori in un tono che fece poco piacere al diretto interessato.
"Pronto per c-"
"Continuate pure ad allenarvi, ci vediamo nel mio ufficio stasera" lo interruppe l'uomo, congedandosi con un cenno della mano.
"Secondo te che vuole?" chiese Chuuya quando Mori se ne fu andato.
"Non ne ho idea. Ma, ad essere sincero, non penso prometta niente di buono" rispose Dazai, guardandolo cupamente, cosa che fece preoccupare non poco l'altro ragazzo.
"Speriamo bene..." mormorò quest'ultimo.
"Dai, non preoccuparti, piuttosto fatti sotto, signor cappello buffo!" esclamò Dazai dandogli dei piccoli colpi sul petto, provocandolo nel tentativo di fargli pensare ad altro che non fosse l'incontro col boss.
Chuuya gli lanciò uno sguardo di sfida e la lotta continuò.
Quando si fece buio i due si diressero da Mori dopo aver cenato velocemente insieme.
Chuuya bussò cautamente alla porta, e un invito dall'interno li incitò ad entrare nell'ufficio che, come si accorse presto Dazai, non era lo stesso squallido bugigattolo di qualche mese prima, ma una grande sala, la cui parete composta esclusivamente da vetri offriva un'ampia vista sulla città.
Era talmente affascinante che Dazai pensò assomigliasse più a un salone da ballo che ad un ufficio: anche da lì era evidente quanto Mori fosse diventato importante.
Chuuya si tolse il cappello in segno di rispetto: "Buonasera" salutò educatamente.
"Buonasera, cari. Venite pure qui vicino a me" fece segno Mori, facendo sporgere un braccio dalla comoda poltrona su cui si trovava, proprio davanti alla vetrata.
I ragazzi obbedirono e rimasero in attesa.
Chuuya si fece quasi sfuggire un gemito quando vide cosa c'era sul tavolino accanto alla poltrona.
Lanciò uno sguardo sconcertato a Dazai, che già lo stava fissando da alcuni secondi: da buon osservatore qual era si era accorto prima di lui dei due oggetti di metallo che giacevano sul mobile, accanto a un bicchiere di vino.
"Ecco" disse Mori prendendoli in mano: "Sono per voi" disse consegnandoglieli.
I due si ritrovarono ognuno con una pistola in mano, tenendole delicatamente, come se fossero bombe pronte ad esplodere da un momento all'altro.
"Usciti dal quartier generale vedrete un mio subordinato ad aspettarvi in macchina, vi porterà in un posto un po' isolato dalla città, dove si erge solo un edificio fatiscente, quindi non potete sbagliarvi" fece una pausa, scrutando i due che lo guardavano dubbiosi.
"Appena arrivato" iniziò Mori spostando lo sguardo su Chuuya: "Troverai un gruppo di persone a fare da guardia, non so quante esattamente, ma non più di cinque o sei. Ti intimeranno di andartene, ma tu non dargli retta. Sono gli ultimi rimasti di una banda che ultimamente ci ha dato non pochi problemi, ma ora sono allo sbando, e non contano più nulla in questa città."
Dazai iniziò a capire dove volesse arrivare e continuò a spostare lo sguardo dal suo amico a Mori, sperando di sbagliarsi sulle sue previsioni.
"Ah, Chuuya, probabilmente ci sarà anche il loro boss, di sicuro rintanato nell'edificio come uno schifoso topo di fogna" disse Mori sfoderando un'espressione sprezzante: "Uccidili tutti, dal primo all'ultimo" concluse l'uomo, abbandonandosi sulla poltrona e bevendo un sorso dal bicchiere poggiato sul tavolino.
Chuuya rimase per alcuni secondi a boccheggiare, Dazai sgranò gli occhi: "Ma..."
"Tu, Dazai" lo interruppe Mori: "Va' con lui e assicurati che compia il suo dovere alla perfezione. Potete andare."
"Non posso farlo!" esclamò Chuuya.
"Certo che puoi. Sei perfettamente in grado di adempiere ad un compito simile ora" rispose Mori con calma disarmante.
"Boss..." tentò ancora il ragazzino: "Non ho mai fatto nulla di sbagliato, non può farmi questo!" cercò di convincerlo Chuuya.
"Non dovresti considerarla una punizione, ma una chance per migliorare" disse Mori con fare annoiato: "Questa è una prova in cui mi dimostrerai le tue capacità."
"Ma io non voglio uccidere! Non voglio essere un assassino, la prego!" continuò ad implorare Chuuya, non curandosi di apparire debole davanti a qualcuno. C'era in gioco la sua dignità di essere umano e del suo orgoglio gli importava ben poco.
"Quello che vuoi a me non interessa. Io so solo che ho bisogno di nuove reclute, e tu, mio caro, sei perfetto. Dentro di te arde una scintilla bestiale, l'ho vista mentre ti allenavi con Dazai. Ho visto un grande potenziale in te, e intendo sfruttarlo al massimo, che tu lo voglia o no. E ora va' e compi il tuo dovere."
Chuuya provò di nuovo a ribattere, ma ci pensò Dazai a zittirlo e a trascinarlo fuori dalla stanza.
"Ricorda, caro" riprese Mori, quando i due furono sul ciglio della porta: "Se te ne lasci sfuggire anche solo uno lo verrò a sapere, e a quel punto saranno affari tuoi" concluse voltando la testa verso il ragazzo, un ghigno disumano in volto. 
Il ragazzo annuì risentito, poi uscì, seguito a ruota da Dazai, che chiuse la porta e gli poggiò una mano sulla spalla: "Andiamo?" chiese il più delicatamente possibile.
Chuuya sentì una rabbia incontrollata esplodergli nel petto,
(togli quella cazzo di mano, bastardo) 
ebbe voglia di urlare,
(a te non tocca rovinarti la vita)
si sentiva come un animale in trappola.
Sospirò profondamente chiudendo gli occhi: "Andiamo" disse infine.
Salirono in macchina e circa un'ora dopo si ritrovarono in un vicolo di una zona dove non erano mai stati prima. Era notte fonda e l'aria era frizzantina, loro due erano fermi nello stesso punto, con la schiena poggiata contro il muro, da parecchi minuti ormai. 
Chuuya continuava a fissare la pistola che teneva tra le mani, profondamente turbato.
"Allora, entriamo o no?" disse Dazai, stanco di stare lì fermo ad aspettare e facendo abbassare di scatto lo sguardo all'altro.
"Non posso farlo..." sussurrò ancora una volta Chuuya.
Dazai sospirò: "Quel maledetto..." inveì contro il boss: "Non credevo ti avrebbe chiesto di fare una cosa simile... credo che in parte sia colpa mia se ora ti trovi in questa situazione" disse mettendogli una mano sulla spalla per tentare di dargli un minimo di conforto.
"Non credo sia il momento più adatto per stabilire di chi sia stata la colpa" disse freddamente Chuuya, poi rimase silenzio per alcuni secondi, prese un lungo respiro e disse: "Andiamo."
Svoltarono l'angolo con le pistole puntate davanti a loro, guardinghi, le orbite di Chuuya schizzavano da un angolo all'altro del vicolo alla ricerca di una qualunque fonte di pericolo, quando si udì uno sparo, dopodiché accadde tutto velocemente: prima che potesse comprendere la situazione fu prontamente spinto a terra dall'amico, poi si udirono altri tre colpi di pistola provenienti, questa volta, dall'arma di Dazai, che aveva freddato il nemico al posto suo. 
Quest'ultimo si stupì della facilità con cui lo uccise: non aveva esitato nemmeno per un attimo a premere il grilletto e a togliergli la vita, tanto che si fece paura quando se ne rese conto.
(Che cosa sto diventando?)
Accertatosi che l'uomo fosse morto, si avvicinò all'altro prendendolo per le braccia: "Ascoltami bene, Chuuya... per questa volta ti ho coperto, ma non potrò farlo per sempre. È la tua missione e sono certo che anche Mori ci stia sorvegliando in qualche modo, quindi non posso più prendere il tuo posto!" gli disse con fermezza: "Mi dispiace essere così..." rimase per un po' a scuotere la testa, fingendo di non riuscir a trovare un aggettivo adatto: "Disumano" disse infine, arrendendosi: "Ma o loro o te. Io non voglio che Mori ti uccida, amico mio" concluse.
Si guardarono dritti negli occhi a lungo, finché lo scatto di alcune pistole che venivano caricate fece voltare entrambi verso il fondo del vicolo: alcuni uomini, in fila uno affianco all'altro, stavano puntando le armi contro i due giovani, chiedendogli cosa fossero venuti a fare lì e intimandogli, poi, di andarsene. 
Tutto secondo le previsioni di Mori.
Ovviamente non vennero ascoltati e Chuuya, ancora restio ad usare la pistola, si lanciò contro di loro. Non dovevano essere stati assoldati con molta cura, viste le loro capacità parecchio scarse, tanto che Chuuya riuscì a metterli al tappeto con qualche pugno e qualche calcio, senza nemmeno il bisogno di utilizzare l'arma che gli era stata conferita. Ci pensò Dazai a finirli, per evitare che si rialzassero dando loro altre grane mentre sarebbero stati impegnati ad occuparsi del leader. 
Rimasero solo loro due, in piedi, davanti ai cadaveri di cinque persone, il cui sangue si mescolava l'uno con quello dell'altro.
Dazai sgranò gli occhi improvvisamente: era stato lui. Aveva ucciso cinque persone nel giro di alcuni secondi, impassibile, come un animale.
Gettò la pistola in mezzo ai cespugli, tremante, si portò le mani alla testa e affondò le dita nei capelli, stringendoli con tutta la sua forza.
"Dazai..." lo chiamò l'altro flebilmente, tendendo una mano verso di lui.
Aveva fatto tutto quello per lui e preservato la sua umanità sacrificando la propria. Lo aveva protetto dalla peggiore delle colpe.
Chuuya fece per avvicinarglisi, quando Dazai gridò facendolo sussultare: "Chuuya! Dietro di te!" 
Il leader di cui gli aveva parlato Mori, attratto dagli spari e dalla confusione che si era creata fuori dal suo covo, si stava avvicinando silenziosamente alle spalle del giovane, il quale ebbe appena il tempo di voltarsi che se lo ritrovò a pochi metri di distanza, un coltello in mano; allora puntò la pistola contro di lui e caricò il colpo, ma rimase lì tremante a guardare il nemico con gli occhi sgranati senza trovare il coraggio di sparargli, quando improvvisamente questi si scagliò verso di lui.
"Spara!" gli gridò Dazai con tutto il fiato che aveva in corpo quando vide che l'amico si ostinava a non reagire nonostante il nemico gli fosse ormai addosso.
Qualche istante di esitazione in più, probabilmente, gli sarebbe stato fatale; Chuuya chiuse gli occhi, strizzandoli più che poteva in preda al terrore, e premette il grilletto. Udì il forte rumore dello sparo, violento come un tuono, poi il silenzio più totale.
Riaprì lentamente gli occhi e vide il corpo ormai senza vita dell'uomo stramazzare a terra.
Il respiro si fece sempre più corto, lasciò andare la pistola che cadde ai suoi piedi con un tonfo sordo e si accasciò in ginocchio sulla fredda e umida strada del vicolo. Ansimante, il cuore sembrava volergli uscire dal petto e la testa iniziò a girargli.
Dazai si accovacciò vicino a lui e tentò di supportarlo accarezzandogli la schiena e sussurrandogli parole di conforto, cercando di dimenticare momentaneamente il senso di colpa e dedicandosi esclusivamente all'amico, come a volersi redimere per quello che aveva fatto.
Ma a Chuuya le orecchie pulsavano così tanto da ovattare tutti i suoni circostanti non permettendogli di sentire nulla, nemmeno i suoi stessi pensieri. La mente gli si stava annebbiando, una violenta stretta allo stomaco lo costrinse a vomitare tutto quello che aveva in corpo e Dazai gli tenne prontamente la fronte con una mano, mentre con l'altra gli scostava alcuni ciuffi che gli ricadevano davanti al viso. Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e glielo porse, ma Chuuya scansò la mano dell'amico con veemenza, si rialzò da terra e corse via. 
Corse a perdifiato per le strade di Yokohama, non conosceva la zona ma aveva un buon senso dell'orientamento e alla fine riuscì a trovare la via di casa. Suonò insistentemente alla porta, non curandosi del fatto che fossero le due e mezza di notte, e che probabilmente Kouyou e gli inquilini degli appartamenti limitrofi stavano dormendo. La donna impiegò un po' ad andargli ad aprire e non fu affatto stupita dall'aria sconvolta che aveva Chuuya: sapeva che prima o poi Mori gli avrebbe fatto uccidere qualcuno.
Tentò di accoglierlo tra le sue braccia per tranquillizzarlo, ricordava bene quanto fosse stata male lei la prima volta che uccise qualcuno, ma venne allontanata prepotentemente dal ragazzino che corse verso il bagno, chiudendosi lì e rimanendoci per tutta la notte.
Non aprì la porta nemmeno la mattina dopo, quando Kouyou bussò nel tentativo di parlargli e di dargli sostegno morale, siccome lo aveva sentito piangere sommessamente tutto il tempo nonostante avesse cercato di camuffare i singhiozzi con il rumore dell'acqua corrente, e si preoccupò quando vide che il ragazzo si ostinava a non aprirle. 
Dazai, nel pomeriggio, bussò alla sua porta per vedere come stesse Chuuya, e la donna chiese aiuto a lui per farlo uscire da lì.
Il ragazzo rimase con l'orecchio poggiato alla porta in ascolto, bussando solo dopo alcuni secondi.
"Chuuya" lo chiamò: "Sono io. Volevo solo vedere se stavi bene" tentò, ma non ottenne risposta. Tirò fuori dalla tasca una forcina, pronto a scassinare la serratura ma si bloccò; pensò che non fosse propriamente corretto fare irruzione in quel modo violando la sua privacy, oltre alla sua dignità: se l'amico ne avesse avuto bisogno sarebbe stato lui ad aprirgli. Il filo dei suoi pensieri si interruppe quando sentì la chiave venire girata nella toppa e poi lo scatto, segno che la porta era stata aperta. Si scambiò una rapida occhiata con Kouyou, la quale gli parve leggermente delusa, forse perché lei era stata rifiutata più volte, mentre a lui aveva aperto quasi subito, poi abbassò la maniglia ed entrò richiudendosi la porta alle spalle. 
Lo trovò seduto a terra su un fianco, con la testa poggiata al muro, gli dava le spalle e non si voltò a guardarlo nemmeno quando lo sentì entrare. Gli si avvicinò lentamente e si inginocchiò davanti a lui, così da poterlo guardare in faccia: solo allora notò quanto fosse divenuto pallido, aveva gli occhi rossi per il pianto e solcati da profonde occhiaie a causa della mancanza di sonno. Gli poggiò una mano sulla spalla scuotendolo lievemente, come per verificare che fosse ancora in grado di reagire. Chuuya sussultò al contatto improvviso e dopo alcuni lunghi istanti di silenzio le lacrime presero a sgorgare nuovamente, e mettendo da parte orgoglio e dignità, si gettò tra le braccia dell'amico che lo strinse in un piacevole e tranquillizzante abbraccio, mentre lui continuava a piangere come mai ricordava di aver fatto. 
A Dazai si strinse il cuore quando sentì il viso caldo dell'amico premuto contro il suo petto, che riversava tutta la disperazione di una vita spezzata per sempre. 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Suicidio ***


Rimasero lì dentro a lungo, fino alla mattina successiva, e nessuno dei due aveva avuto bisogno di dire nulla durante tutto quel tempo.
Ormai Chuuya aveva consumato tutte le sue lacrime, Dazai lo aveva accompagnato fino al divano e ora si trovava lì, seduto, fissando il vuoto.
Sentiva gli occhi bruciargli fortemente per il pianto e il sonno; si passò le mani sul viso, abbandonandosi allo schienale. Se avesse voluto avrebbe pianto ancora e ancora, ma era stanco persino per quello.
Era stanco di soffrire, ma sentiva il dovere di farlo per le vite che erano state spezzate quella notte. Ne sarebbe rimasto segnato a vita, lo sapeva.
Ci pensò Dazai a distoglierlo dai suoi pensieri: "Kouyou è andata al lavoro e mi ha detto di tenerti d'occhio. Vuoi che ti prepari qualcosa?" gli chiese con premura.
Chuuya scrollò leggermente le spalle, continuando a fissare il muro davanti a sé.
"Faccio io, dai" disse Dazai dirigendosi verso la cucina da cui provenne un gran trambusto: probabilmente aveva fatto cadere qualcosa. Se non fosse stato che stava a pezzi Chuuya avrebbe riso di quanto l'altro fosse impacciato.
"Dazai" chiamò, la voce arrochita che non raggiunse l'orecchio del diretto interessato: "Dazai" fece di nuovo Chuuya dopo averla schiarita.
"Che c'è?" chiese l'altro, facendo capolino dall'uscio della porta.
"Come fai ad essere così spensierato? Abbiamo ucciso delle persone, come..."
"In realtà" lo interruppe Dazai: "Voglio morire."
Chuuya fu profondamente inquietato da quelle parole: "In che senso?" chiese a mezza voce.
"Quanti sensi ci sono?" ribatté Dazai sarcastico, sorridendo leggermente.
L'altro rimase ferito da quella risposta così cinica, datagli in un momento del genere: "Vuoi scherzare?" chiese più duramente.
"No. Quello che ho fatto è orribile" disse Dazai tranquillamente: "Perciò è giusto che io la paghi."
"Smettila di dire stronzate, ho già visto troppi morti" disse Chuuya iniziando ad agitarsi: "E poi... sei stato tu a dirmi che la vita è un dono, ricordi?"
"Ma è un dono che ho strappato via ad altri, quindi è giusto che faccia lo stesso con me" spiegò Dazai.
Chuuya rimase interdetto: quella logica non aveva assolutamente alcun senso; quello che parlava non era il Dazai che conosceva, ma un folle.
"Non è da te dire certe cose, che ti sta succedendo?" gli chiese Chuuya sconvolto.
Il ragazzo non gli rispose, si voltò e si diresse verso la cucina: "Lo vuoi il tè?"
"Non voglio un cazzo!" sbotto l'altro: "Solo che la smetti di dire queste cose!"
"Ma perché te la prendi tanto? Non ho mica detto che devi morire tu." 
Chuuya boccheggiò per un po', poi esplose: "Perché io al contrario di te non sono egoista! Se ti ammazzassi non risolveresti nulla, mi lasceresti solo e basta!"
Dazai restò senza parole a quella sfuriata. Era affetto quello che vedeva davanti a sé?
"E non ti permettere, Dazai" continuò l'altro serio: "Non azzardarti nemmeno a lasciarmi da solo."
Sì, decisamente. Era affetto.
Dazai gli sorrise: "Dai, aiutami, non sono molto bravo in cucina..."
Chuuya prese quell'invito come una rassicurazione ma, in realtà, sapeva che avrebbe dovuto proteggerlo da se stesso molteplici volte.
Non si sbagliò. Pochi giorni dopo entrò in bagno senza bussare e lo colse in flagrante mentre stava per ingerire del detersivo. Rimasero a fissarsi in silenzio per un lunghissimo lasso di tempo, in cui Dazai si sentì mortificato per quello che stava per fare quando vide gli occhi pieni di delusione e terrore dell'amico che, tuttavia, non si arrabbiò per quella volta, gli tolse con gentilezza il detersivo dalle mani e lo abbracciò. Da quel momento in poi Chuuya cercò di stare con lui il più possibile e quando non potevano vedersi gli mandava messaggi abbastanza frequentemente, per assicurarsi non stesse facendo nulla di stupido.
Dopo quel tentativo ne seguirono comunque altri. La seconda volta aveva rubato a Mori uno dei bisturi che usava per uccidere, poi si era nascosto, o credeva di averlo fatto, nella sala da ballo del bar, dove il boss teneva la sua invidiabile collezione di vini pregiati, presente nell'enorme palazzo dove risiedeva. Si sedette lentamente su uno degli sgabelli presenti davanti al bancone dove venivano serviti gli alcolici durante le serate di gala, tirò fuori il coltellino dalla tasca e lo avvicinò pericolosamente al polso, ma si bloccò nell'udire una voce conosciuta chiamarlo con apprensione e farsi sempre più vicina. Cercò di sbrigarsi ad incidere la carne, nella speranza che Chuuya impiegasse un po' a trovarlo, o meglio, che non lo trovasse affatto, ma ecco che la sua esile figura fece la sua comparsa sulla porta. Senza esitare e senza dargli nemmeno il tempo di aprire bocca, gli si fiondò addosso, afferrandogli il polso della mano in cui stringeva il bisturi e buttandolo a terra cadendo insieme a lui. 
Si rotolarono a terra per un bel po', combattendo per il dominio sull'altro; Chuuya tentava di togliergli l'arma bianca, ma Dazai non sembrava affatto intenzionato a cedergliela, tanto che la rivolse contro l'amico, il quale, seduto su di lui, ebbe la prontezza di riflessi per agguantargli entrambi i polsi con forza e respingerlo. La loro lotta finì quando Chuuya, nel tentativo di afferrare il bisturi, si procurò un profondo taglio proprio sul palmo della mano sinistra. 
"Chuuya!" lo chiamò preoccupato Dazai, quando vide il sangue sgorgare copioso. Lasciò andare il coltellino sul pavimento e si fiondò ad assistere l'amico, scusandosi con lui molteplici volte. Lo aveva accompagnato a casa e si era occupato di lui personalmente: gli aveva medicato il taglio servendosi del kit di pronto soccorso che, sapeva, Kouyou teneva per le emergenze. 
"Se ti faccio male dimmelo e mi fermo" gli disse più volte durante il trattamento, ma Chuuya si limitava a farfugliare qualcosa di incomprensibile, senza nemmeno degnarsi di guardarlo. Non lo fermò neanche una volta, nonostante i lamenti che gli sfuggivano e i denti digrignati a causa dello sforzo che stava facendo per resistere al dolore.
Quando Dazai finì di avvolgergli la benda intorno alla mano la assicurò annodandola per bene: "Ecco fatto" gli disse sorridendo, poi calò nuovamente il silenzio tra loro.
Fu Dazai a romperlo parlando ancora: "Chuuya, la tua mano è piccolissima!" esclamò mettendo il palmo della sua mano contro quello bendato dell'amico, constatando quanto l'altro fosse più piccolo non solo di statura. 
"Taci" sussurrò Chuuya arrossendo appena, e ritraendo la mano di scatto.
Quella non fu l'ultima volta che Dazai tentò il suicidio, anzi, in seguito ci provò moltissime altre volte, quando riusciva a sfuggire al controllo eccessivo dell'amico; ma veniva sempre fermato da altre persone che gli stavano attorno: a quanto pareva era destino che non dovesse morire, che non dovesse abbandonare Chuuya così presto. Ogni volta pregava i suoi salvatori di non dire nulla all'amico ma, in qualche modo, questi veniva sempre a saperlo e lo rimproverava.
"Lasciami in pace, non sei mia madre!" gli aveva detto Dazai un giorno, esasperato dalle attenzioni di Chuuya.
Quest'ultimo se l'era presa, poi la delusione si era trasformata in rabbia, ed erano stati un pomeriggio intero a litigare, urlandosi a vicenda cose che non si sarebbero mai sognati di pensare l'uno dell'altro.
Dopo che si furono riappacificati Dazai chiese con calma: "Perché ti preoccupi così tanto per me?"
Chuuya rimase interdetto a quella domanda. Fino a poco tempo prima probabilmente gli avrebbe semplicemente risposto che era suo dovere farlo, in qualità di suo amico, ma ora non ne era più tanto sicuro. Nella sua mente aveva cominciato ad insinuarsi il dubbio che i suoi sentimenti per Dazai andassero oltre la semplice amicizia, anche se odiava ammetterlo persino a se stesso, e si spaventava quando lo faceva, ma non riusciva ad accettare il fatto che potesse piacergli un uomo, e probabilmente nemmeno la Mafia riteneva l'omosessualità un fattore accettabile. Certo, lui non era ancora sicuro del suo orientamento sessuale e di ciò che provava, ma qualcosa stava cambiando, si sentiva molto più legato all'altro, si preoccupava costantemente per lui, non voleva perderlo, per non parlare del fatto che apprezzasse qualsiasi tipo di contatto fisico con lui, o il semplice fatto che gli fosse vicino.
"Perché sì" gli disse semplicemente, lasciandolo con più domande che risposte, anche se era da un po' che aveva iniziato a sospettare qualcosa.
Dazai, dal canto suo, sentiva che non era più il ragazzo allegro e spensierato di un tempo: uccidere lo aveva cambiato nel profondo, aveva risvegliato la sua parte animalesca, ma ormai non gli importava granché.
Com'è che gli aveva detto Mori una volta? Noi esseri umani abbiamo la straordinaria capacità di adattarci a tutto. E così era stato. 
Si era abituato talmente tanto a far del male agli altri da prenderci gusto. Era diventato un sadico, faceva a gara con gli altri membri della Mafia a chi uccidesse più nemici e a chi spezzasse più ossa, impegnandosi al massimo per vincere: ci riusciva, e anche maledettamente bene, lo vedeva negli occhi compiaciuti di Mori.
Dall'altro lato vedeva la delusione in quelli di Oda, che sperava diventasse una brava persona nonostante tutto. Ma non gli importava, si sarebbe abituato anche lui.
E intanto continuava a mietere vittime: era bello uccidere, era soddisfacente. Lo sfogo perfetto per alleviare il senso di colpa che togliere la vita agli altri gli provocava: era un circolo vizioso.
Quando pensava a come la sua vita fosse caduta in rovina il suicidio gli sembrava l'unica via per uscire da quell'inferno di cui sembrava essere niente di meno che il diavolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Soukoku ***


"Hai già ucciso tutti i miei compagni, che cosa vuoi da me?" implorò la voce disperata di un uomo: "Ti prego, risparmiami, farò tutto quello che vuoi!"

"Stai zitto" sibilò Chuuya freddamente e lo colpì con un pugno sul viso talmente forte da poter sentire distintamente l'osso del collo che si spezzava: gli diede soddisfazione.

Prese per i capelli la vittima e la trascinò fino ad una grandinata là vicino, per poi aprirgli la bocca e farla appoggiare su uno scalino.

Gli diede un calcio in testa e gli ruppe la mandibola spietatamente, poi lo girò e sparò tre volte al suo torace senza batter ciglio.

"Hai fatto?" chiese Dazai, che si trovava sulla sommità della scala appoggiato alla ringhiera.

"Di quest'ultimo avresti potuto occuparti tu, sai?" ribatté l'altro acidamente.

"Non avevo voglia di sporcarmi le scarpe."

Chuuya alzò gli occhi al cielo: "Non ti sopporto quando fai così" gli disse, dandogli una testata sul braccio.

"È questo il modo di trattare il tuo migliore amico, Chuuya?" domandò Dazai guardandolo con finto oltraggio.

"Silenzio" disse Chuuya, poi prese il telefono, compose un numero e rimase in attesa: "Signor Mori? Abbiamo finito."

Dazai osservò il suo amico illuminarsi in un sorriso e ringraziare molteplici volte; probabilmente Mori si era congratulato con lui per l'ottimo lavoro svolto. Era sempre così: appena riceveva un complimento dal boss sfoderava un'espressione fiera e ci voleva non poco per cancellargliela dalla faccia.

"È stato facile, sì... certo, glielo dico subito. Grazie ancora" salutò Chuuya chiudendo la chiamata: "Vuole parlarci appena torniamo al quartier generale" si rivolse così a Dazai mentre riponeva il telefono in tasca: "Forse un nuovo incarico, forse vuole premiarmi" fantasticò: "Secondo me a te farà una bella ramanzina perché non fai mai nulla."

"In realtà io mi occupo delle tattiche e organizzo le missioni, mentre tu spacchi solo teste. Non mi sembra che faccia meno di te, comunque" disse Dazai pacatamente.

"Però io rischio di più" insisté Chuuya.

"Ma ci sono io a guardarti le spalle!"

"Wow, ora sì che sono tranquillo..."

Continuarono a bisticciare scherzosamente per tutto il tragitto. Piacevano ad entrambi quei momenti, li facevano sentire uniti.

Ormai erano passati sei mesi dalla notte in cui avevano ucciso per la prima volta, e quella era diventata un'abitudine per loro: avevano superato da tempo il senso di colpa che togliere la vita agli altri gli provocava e, mano a mano, erano diventati una delle squadre più forti e spietate della Port Mafia. Ne erano entrambi molto orgogliosi, oltre a Mori, dal quale i complimenti non mancavano di certo, che li incoraggiavano a migliorare.

Quando giunsero al quartier generale si fiondarono nell'ufficio del boss: "Ecco i miei bravi ragazzi" li accolse lui: "Mi state dando un'enorme soddisfazione, voi due" disse allargando le braccia. I ragazzi si scambiarono uno sguardo complice e si sorrisero.

"Detto ciò, veniamo al punto: il prossimo incarico non sarà facile, per niente. C'è un'organizzazione che ci sta minacciando da mesi e, onestamente, mi sono scocciato di vedermela girare attorno" fece una pausa: "Dovete distruggerla, senza lasciare nemmeno un membro. Badate, però: saranno tanti. So che avrei potuto mandare una squadra intera, ma voglio provare con voi due. È una sorta di... esperimento. Voglio vedere quanto riuscite a spingervi oltre" concluse Mori.

I due fissarono il boss per un po', la loro espressione che cambiava dall'insicurezza per la responsabilità che gravava su di loro alla determinazione a volerlo stupire.

Quella determinazione, però, scemò quando, nascosti tra gli alberi, poterono notare quanti fossero effettivamente i membri di quella banda: circa una decina di guardia, e chissà quanti altri si celavano chissà dove.

"È impossibile" disse Dazai: "Come facciamo ad ucciderli tutti da soli?"

Chuuya sapeva bene come fare, ma sapeva che sarebbe stato rischioso, perciò esitò prima di iniziare a parlare: "In realtà un modo c'è" disse a bassa voce, come se stesse ancora pensando.

L'amico comprese immediatamente a cosa si riferiva e spalancò gli occhi: "No" disse fermo: "Non lo abbiamo mai usato in una battaglia vera e propria, è troppo pericoloso per te."

"C'è sempre una prima volta" gli ricordò l'altro, guardandolo con quel sorrisetto sicuro di sé. 

"Sei sicuro di volerlo fare?" chiese Dazai: "Mi stai affidando la tua vita, non sei costretto, se non vuoi."

"Prima ammazziamo questi davanti, al resto pensiamo dopo" disse Chuuya e, seguito da Dazai, fece piazza pulita in alcune decine di secondi, tanto che i nemici riuscirono a malapena a capire cosa stesse succedendo.

"Dazai" lo chiamò: "Dovrebbe durare poco, ma sta' attento, potrei farti male" lo avvertì.

"D'accordo."

Avanzò di qualche passo, e mentre iniziava a togliersi i guanti, pronunciò la frase:

"Voi, concessori dell'oscura sciagura, non dovete svegliarmi di nuovo."

Come aveva detto, non durò molto: appena attivata la forma corrotta iniziò a lanciare gravitoni agli uomini, mentre Dazai gli stava attorno, sparando a chiunque fosse riuscito a sfuggire alle bombe di energia e potesse essere una minaccia per il suo amico.

Dopo un po' dovette constatare che Chuuya stava iniziando a perdere sangue dal naso e dalla bocca, segno che il suo corpo era quasi arrivato al limite

(devo fermarlo, o non ce la farà.)

Un urlo disumano di Chuuya lo fece voltare di scatto: aveva appena lanciato un'enorme sfera di energia, che si abbatté violentemente al centro della radura, distruggendo ogni cosa fosse presente nel suo raggio d'azione in un boato assordante, lasciando posto ad un esteso cratere.

(saranno morti tutti, così. Ben fatto, amico mio.)

Dazai si diresse verso di lui, pronto a farlo tornare normale, ma l'altro aveva iniziato ad usarlo da bersaglio mentre rideva sguaiatamente: per un momento gli fece paura.

Riuscì, con non poca difficoltà, ad avvicinarsi all'amico, per poi toccarlo di sfuggita sul braccio: quel contatto bastò.

Chuuya tornò in sé mugugnando stremato poi, quando le sue gambe stettero per cedere, fu sostenuto da Dazai, che lo depose delicatamente a terra: "Sei stato grande" gli sussurrò, ma quelle parole non furono udite dall'altro, svenuto tra le sue braccia.

Dazai chiamò Mori per informarlo del successo della missione e riaccompagnò l'amico a casa, aiutato da un altro membro della Mafia che li portò fino a casa di Kouyou. La donna comprese subito cosa era successo a Chuuya, essendo stata lei insieme a Mori a scoprire della forma corrotta del suo protetto, e iniziò a riempire di domande preoccupate Dazai, il quale la rassicurò calorosamente: sapeva bene quanto lei tenesse all'amico, come fosse sua madre.

Dopo averla salutata si diresse verso il quartier generale per comunicare i dettagli a Mori: ne uscì più felice di quanto avesse potuto immaginare.

Il giorno dopo Chuuya fu bruscamente svegliato da Dazai, che entrò nella stanza in cui stava dormendo come un uragano, sbattendo la porta e gridando: "Chuuya, non ci crederai mai!"

Si diresse di corsa a spalancare la finestra per poter vedere qualcosa, oltre al buio, in quella stanza, poi saltò sul letto dell'amico che, lentamente, era riuscito a mettersi seduto decentemente, nonostante gli dolesse ogni singola parte del corpo, probabilmente a causa della Corruzione, e continuava a stropicciarsi gli occhi per farli abituare alla luce.

"Ho una notizia fantastica!" continuò Dazai, per niente scoraggiato dal grugnito irritato con cui gli aveva risposto Chuuya.

"Cosa?" chiese continuando a guardarlo di traverso.

"Mori mi ha convocato" iniziò Dazai: "Ha detto che sono diventato davvero bravo e che gli sto dando grandi soddisfazioni e..." continuò a vantarsi per un po'.

"E...?" lo interruppe Chuuya sempre più irritato.

"E..." ripeté il ragazzino: "Ora sono un esecutore della Mafia" esclamò tronfio.

Chuuya sgranò gli occhi incredulo: sapeva che il ruolo dell'esecutore era parecchio importante, gli bastava guardare Kouyou. A coronare il tutto c'era il fatto che Dazai aveva solo quindici anni e che un esecutore così giovane non si era mai visto.

"Ha detto anche che la carneficina che abbiamo commesso stanotte potrebbe passare alla storia della Port Mafia, circolano voci secondo le quali saremmo i peggiori nemici della malavita!" continuò Dazai: "Ora ci chiamano Soukoku!"

Chuuya sentì il petto riempirsi d'orgoglio, ma quella sensazione durò ben poco: "Perché ha nominato esecutore solo te?" chiese poi leggermente offeso, e il che lasciò non poco interdetto l'amico.

"Non so esattamente da cosa dipenda... Forse mi ha ritenuto maggiormente all'altezza?" azzardò prendendolo in giro per allentare la tensione, ma ottenne l'effetto contrario e Chuuya si spazientì ancora di più: "Non potevi dirgli qualcosa del tipo 'entrambi o nessuno'?" chiese.

"Non trovavo conveniente rinunciare ad un'offerta simile" spiegò Dazai: "E se mi vuole qui come esecutore un motivo c'è, avrebbe potuto arrabbiarsi."

"Egoista."

"Prego?"

"Egoista" ripeté Chuuya calcando quell'aggettivo: "Hai pensato solo a quali vantaggi avrebbe portato a te lasciandomi indietro!" 

"Se sei geloso non è colpa mia" lo provocò Dazai: "Sono stato più bravo di te e basta."

"Ma io ho rischiato la mia vita per questa missione, mentre tu stavi a guardare, come al solito!"

"Io ti stavo coprendo, se proprio vuoi saperlo. E ho rischiato grosso per fermarti, dato che in quel momento eri talmente fuori di te da potermi uccidere."

"In ogni caso non te ne sarebbe fregato molto, tanto pensi solo a voler morire, vero?"

"Ora stai diventando offensivo" lo fece ragionare Dazai con tono fermo.

"Te lo meriti."

L'altro rimase senza parole, mentre Chuuya continuava a guardarlo male: "Sei davvero uno stronzo, Dazai" gli disse freddamente.

"Mi stai prendendo a parolacce senza nessun motivo, te ne rendi conto?" domandò Dazai.

"C'è un motivo."

"Ma cosa sei, un bambino?" sbottò Dazai: "Non puoi prendertela per così poco! Con me, per giunta, come se fosse colpa mia!"

"Vattene, prima che perda la pazienza e ti prenda a pugni."

"Non vuoi nemmeno ascoltarmi..." commentò Dazai alzandosi.

"No, infatti, non voglio" rispose Chuuya incrociando le braccia.

Non ottenne risposta dall'altro, che se ne andò sbattendo la porta.

Chuuya rimase per un po' in silenzio a rimuginare, poi si alzò dal letto di scatto, incurante del dolore e si vestì velocemente, per poi dirigersi al quartier generale, sebbene Kouyou gli avesse lasciato un biglietto accanto al comodino, "che tu possa avere una buona giornata di riposo" scritto elegantemente.

Bussò urgentemente alla porta dell'ufficio di Mori ed entrò con foga, trovando Kouyou seduta su una poltrona, intenta a bere del vino in compagnia del boss, quando la voce calma di quest'ultimo gli sopraggiunse.

"Chuuya!" lo salutò: "Sicuramente Dazai te lo avrà detto, ma ci tengo a rinnovare i miei più sentiti complimenti per..."

"Perché Dazai è diventato esecutore e io no?! Io ho fatto la parte difficile del lavoro, non lui! E per di più..."

"Calmati e ricomincia da capo, non ho capito nulla" lo bloccò Mori infastidito dalla sua insubordinazione.

Il giovane respirò profondamente e ricominciò: "Non è giusto che solo Dazai sia diventato un esecutore." 

"Uccidilo, allora" suggerì Mori con un'alzata di spalle. Kouyou gli lanciò un'occhiata severa.

"C-cosa?" chiese Chuuya in un sussurro sconcertato: improvvisamente era come se la sua rabbia fosse svanita.

"Vuoi diventare esecutore, no? Bene. Uccidi Dazai e prendi il suo posto, è così semplice."

Chuuya rimase a lungo in silenzio, profondamente colpito da quelle parole: "Non voglio ucciderlo, solo..."

"Come no? Non sei arrabbiato con lui?" domandò Mori retoricamente.

Chuuya non rispose.

"Cosa è successo?" interruppe Kouyou notando il disagio del suo protetto e fulminando Mori con lo sguardo.

Chuuya raccontò brevemente della discussione con Dazai, sebbene si trovasse non poco a disagio nel parlare di certe cose davanti a Mori che, nel frattempo, era rimasto ad osservare con un leggero sorriso: sembrava quasi si divertisse.

"Dovresti scusarti con lui" constatò Kouyou alla fine: "Non sei stato molto gentile."

Il ragazzo si sentì leggermente offeso nel vedere che la donna non aveva preso le sue parti; stette per in po' in silenzio, imbarazzato.

"So che sei molto orgoglioso, ma provaci. Ne va della vostra amicizia" continuò lei dolcemente.

Chuuya annuì, poi li salutò entrambi brevemente e uscì rapidamente dalla stanza. Si vergognava per aver fatto una sfuriata simile davanti al boss.

"Devi per forza essere così melensa?" sbuffò Mori abbandonandosi sulla poltrona.

"Gli stavo solo dando un consiglio. Per quale motivo, poi, gli hai detto di uccidere Dazai?" gli scoccò un'occhiata di rimprovero.

"Volevo solo divertirmi un po' con lui. Hai visto che faccia ha fatto?" disse Mori ridacchiando.

"Non dovresti giocare con i suoi sentimenti" asserì Kouyou freddamente.

"Già, sono una cattiva persona. Tanto sono ragazzini, litigano e fanno pace dopo cinque minuti" disse Mori: "Però..." girò la testa verso la donna: "Cosa intendi per sentimenti?"

A quella domanda lei sorrise leggermente: "Te ne sei accorto anche tu?"

Mori la guardò: "Beh, è difficile non accorgersene. Basta guardare Chuuya... è completamente cotto, povero scemo."

"Non prenderlo in giro" lo stroncò Kouyou.

"No, no... allora? Che ne pensi?" chiese Mori guardandola complice.

"Alla loro età è normale voler provare nuove esperienze. E poi... tu lo sai bene, vero? Povero scemo."

"È successo tanti anni fa" le rispose stizzito lui: "Un altro po' di vino, cara?"

"Molto volentieri."

Nel frattempo Chuuya si era avviato a passo svelto verso la palestra. Nonostante fosse titubante all'idea di dover chiedere scusa a Dazai, aveva deciso di dare ascolto a Kouyou e di andare da lui. Come si aspettava, lo trovò lì intento a prendere a pugni il sacco da boxe, senza alcun impegno però: era chiaramente irritato a causa della discussione e voleva semplicemente sfogarsi. 

Chuuya si schiarì la voce a disagio: "Ciao" disse semplicemente.

Dazai interruppe la sua attività, bloccando il sacco che oscillava con entrambe le mani, e senza nemmeno voltarsi disse: "Che sei venuto a fare?" 

Quella risposta non incoraggiò di certo Chuuya, ma decise comunque di provare: "Sai... stavo pensando..." iniziò titubante, e dopo aver esitato per trovare le parole giuste da utilizzare proseguì: "Ho esagerato un po' stamattina" disse infilandosi le mani in tasca e avanzando verso l'altro.

"Oh no, non hai esagerato" disse Dazai, ma una punta di ironia nel suo tono di voce tradiva quello che aveva appena detto: "Tu non esageri mai Chuuya, se mi fai qualche cattiveria è perché me lo merito, tanto sono solo un idiota, no?" 

Quella risposta così tagliente spiazzò totalmente l'altro: gli stava rinfacciando tutte le volte in cui aveva reagito con iracondia ai dispetti o commenti sarcastici e offensivi nei suoi confronti.

"No, intendevo..." esitò ancora una volta: "In fondo non è stata una tua decisione" continuò, il tono di voce iniziava ad abbassarsi.

"No, non lo è stata" gli rispose Dazai: "Però sono stato davvero uno stronzo a prenderla senza prima chiedere il permesso al mio invidioso amichetto del cuore" disse enfatizzando particolarmente quell'aggettivo.

Chuuya iniziava a perdere la calma, sapeva che avrebbe solo peggiorato le cose, ma le risposte così ciniche di Dazai lo stavano innervosendo.

"Oh che sciocco, non ti avrò fatto arrabbiare sbattendoti in faccia la verità?" lo sentì dire con nonchalance, come se gli avesse letto nel pensiero: non credeva di essere così trasparente. 

Strinse ancora di più i pugni, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo per calmarsi: "Smettila, dai. Non immagineresti mai a cosa stavo pensando prima" disse guardandolo e sforzandosi di sorridergli appena.

"Volevi ammazzarmi, Chuuya?" 

Quella domanda così retorica da parte di Dazai fu come una freccia dritta nel petto: "Come..." fu tutto quello che riuscì a dire con un filo di voce. La rapidità con cui l'altro aveva compreso la situazione lo turbò non poco.

"Come lo so? Per un attimo ho creduto fossi qui per quello..." disse Dazai amaro.

"Mi credi davvero capace di una cosa simile?" chiese Chuuya offeso: "Davvero pensi che potrei ucciderti?" insisté. Sentiva che Dazai non si fidava totalmente di lui e ciò lo faceva sentire ferito.

"Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme" alzò la voce Chuuya, il silenzio di Dazai ad incoraggiarlo a ribaltare la situazione: "Ti permetti di insinuare che..." scosse la testa scandalizzato: "Non sono così cattivo come credi."

A quelle parole, Dazai si voltò a guardarlo e iniziò a dirigersi lentamente verso di lui: "No infatti, tu sei una brava persona, mi vuoi così bene che sei riuscito a mettere da parte il tuo orgoglio e hai deciso di scusarti, ammirevole" disse, ormai trovandosi faccia a faccia con l'altro, che aveva iniziato ad indietreggiare, poi proseguì: "Ora ti aspetti che ti perdoni e che, magari, ti faccia i miei complimenti per aver rinunciato al tuo prezioso orgoglio pur di fare pace con me?" 

Chuuya si era ritrovato con le spalle al muro, incastrato tra di esso e il corpo del, forse non più così tanto, amico, e malgrado la situazione quella vicinanza lo fece sentire più a disagio di prima. Ormai ne comprendeva il motivo e gli dispiaceva che fossero arrivati a quel punto.

"Sì, sono profondamente commosso da cotanto affetto, grazie Chuuya per essere arrivato a tanto solo per me" disse fingendo di asciugarsi una lacrima, poi uscì dalla palestra, lasciando l'altro lì, da solo.

Sentiva il sangue ribollire nelle vene.

(Questo è quello che ottengo per essermi scusato?!)

Quel pensiero, tuttavia, non fece altro che confermare le parole che Dazai gli aveva rivolto poco prima: si aspettava di essere perdonato solo per, secondo lui, essere sceso così in basso arrivando a pregarlo di fare pace.

Non riusciva ad accettare che l'altro avesse ragione, tirò ripetutamente dei violenti pugni alla porta e uscì dalla palestra.

Il giorno seguente, però, dovettero affrontarsi un'altra volta: non potevano fermarsi con il lavoro e gli allenamenti solo per qualche sciocco dissidio. 

Quando Chuuya fece il suo ingresso Dazai era già lì e, per la prima volta, aveva iniziato senza di lui: non poté negare che quel fatto lo infastidì leggermente. 

Si diresse verso un altro sacco da boxe, non prima di essersi scambiato uno sguardo omicida con Dazai. Quella fu la loro unica interazione, finché Chuuya non prese parola: "Le tue doti nelle arti marziali sono al di sotto della media della Port Mafia, mi chiedo secondo quale assurdo criterio tu sia riuscito ad ottenere un ruolo così importante."

Dazai lo ignorò, non si voltò nemmeno di poco; proseguì imperterrito nella sua attività.

"Mi hai sentito?" fece Chuuya spazientito: anche questa volta non ottenne risposta.

Non amava essere ignorato, tanto meno dal suo amico, nonostante ora avessero litigato. 

"Perché mi ignori?!" gridò.

"Oh, credevo fossi arrabbiato a morte con quello stronzo di Dazai che è così egoista da lasciarti indietro" disse finalmente l'altro, con tono estremamente pacato.

Chuuya strinse i pugni: "Smettila di fare così." 

"Devo smetterla di sbatterti in faccia la verità?"

"Chiudi quella fogna!" sbraitò raggiungendolo in poche falcate e afferrandolo per il colletto della maglia.

Dazai non si scompose e restò fermo lì, senza muoversi di un centimetro, anche quando l'altro gli fu addosso. Poi, sempre con calma, gli disse: "Credevo non volessi essere ignorato."

"Infatti, specialmente perché stavo cercando di essere gentile con te!"

"Anche io ieri mattina lo ero stato, ma tu mi hai offeso comunque." 

"Ma poi ho cercato di parlare in modo civile e tu non hai fatto altro che insultarmi!"

"Perché te lo meriti, no?"

Quando Dazai citò le sue stesse parole, Chuuya non seppe cosa rispondere e in preda ad una rabbia impotente lo colpì in pieno volto con un pugno, non troppo violento, non voleva fargli davvero male, era stato più un gesto avventato.

Dazai si passò una mano sulla guancia dolorante e lo sguardo che rivolse all'altro metteva i brividi. Si fiondò su di lui, tirandogli un pugno a sua volta: "Ma che cazzo ti prende, sei impazzito?!" sbraitò.

"Ti sei servito di me e mi hai lasciato indietro!" lo accusò Chuuya, poi si scagliò contro di lui colpendolo alla pancia e facendo cadere a terra entrambi.

Continuarono a darsele di santa ragione rotolando sul pavimento, finché Chuuya non riuscì a rialzarsi prendendo l'altro per i capelli e tirandolo su, guadagnandosi, però, l'ennesimo pugno sul volto.

Stava per sferrargliene un altro di rimando, quando si sentì afferrare da dietro e si ritrovò bloccato, trattenuto per le braccia: Kouyou e Mori, attratti dalle urla e dal trambusto, erano intervenuti prontamente nel fermarli, e ora ognuno tratteneva il suo protetto. I due giovani respiravano velocemente per regolarizzare il battito cardiaco, accelerato a causa dello sforzo.

Fu Kouyou a parlare per prima: "Che vi è preso?! Guardate come vi siete ridotti!"

"Ha cominciato lui!" si giustificò Dazai.

"La causa sei tu e solo tu!" sbraitò Chuuya in risposta, cominciando a dimenarsi per liberarsi dalla presa.

"Silenzio!" tuonò la donna: "Non mi interessa chi ha cominciato, non cambia il fatto che arrivati a questo punto siete ridicoli!"

"Mi meraviglio di voi" aggiunse Mori.

Furono trascinati in infermeria a farsi medicare le molteplici ferite che si erano inflitti a vicenda. Erano seduti a debita distanza su due lettini diversi, costringendo l'infermiera a schizzare da un lato all'altro della stanza per potersi prendere cura di entrambi. Il silenzio era interrotto dai continui gemiti di dolore che emettevano ogni volta che un punto particolarmente dolorante veniva sfiorato. Una volta che ebbe finito di disinfettare le loro ferite, li lasciò soli: erano perfettamente in grado di tenere il ghiaccio premuto contro la guancia autonomamente.

"Quanto cazzo fa male" si lamentò ad alta voce Chuuya.

"Nemmeno dopo essermi allenato con Mori sentivo così tanto dolore" lo appoggiò l'altro.

Chuuya ridacchiò: "La prossima volta ci penserò due volte prima di prenderti a pugni" disse mentre l'ennesimo gemito uscì dalle sue labbra.

Dazai rimase in silenzio per alcuni secondi, poi disse: "E io ci penserò due volte prima di dirti certe cose.

Chuuya rimase colpito da quell'affermazione: si stava scusando con lui? Eppure sarebbe dovuto essere lui a chiedere perdono, ma allo stesso tempo fu felice di sentire che l'amico non era più così arrabbiato: "Credo di doverti delle scuse..." iniziò titubante, cercando le parole giuste. Dazai si voltò di colpo verso di lui incredulo, come a voler essere sicuro che quella scena fosse reale.

"Come dire..." continuò, il tono di voce che si faceva sempre più basso: "Io... ti ho detto cose orribili e ti ho accusato senza motivo, e..." esitò: "Ti chiedo scusa" riuscì a dire alla fine, con un filo di voce e continuando a dargli le spalle.

Dazai sbatté le palpebre un paio di volte, poi un sorrisetto dispettoso si fece strada sulla sua bocca: "Non credo di aver sentito bene" cinguettò.

Chuuya lo fulminò con lo sguardo, poi tornò a fissare il muro dal lato opposto, e a voce leggermente più alta ripeté: "Ti chiedo scusa."

"Continuo a non sentire" lo sfotté ancora l'altro.

"Ti chiedo scusa!" sbottò voltandosi di scatto verso l'amico, e ora che lo stava guardando, Dazai riuscì a notare il leggero rossore che gli copriva le guance.

"Oh, Chuuya si è scusato!" esclamò Dazai giulivo: "Questo  che passerà alla storia della Port Mafia, e non solo!" lo prese in giro. 

Il rosso sentì l'impulso di sferrargli un altro pugno, ma, per quella volta, decise di metterci una pietra sopra e andò a sedersi accanto al migliore amico appena ritrovato.

"Allora, amici come prima?" chiese Dazai tendendogli il mignolo.

Senza esitare Chuuya glielo strinse col suo: "Amici come prima."

 

 



 

Angolo autrici:

Chiediamo perdono per il capitolo più lungo del solito.
E ci tenevamo a precisare che quello con il mignolo non è un modo infantile di fare pace, ma i giapponesi, quando si fanno una promessa, se lo stringono, proprio come fanno i bambini qui in Italia, solo che loro lo usano a mo' di "croce sul cuore" :D
Alla prossima,
A&G

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Albergo ***


"Col cazzo che ci vado!"
"Chuuya..."
"No, Dazai, non esiste. Non ci penso nemmeno a dormire in uno schifo di locanda ora che possiamo permetterci qualcosa di meglio!" esclamò Chuuya poggiando le mani sui fianchi.
"Abbiamo bisogno di restare anonimi" spiegò pazientemente Dazai: "E nelle locande non frega niente a nessuno se sei minorenne o se hai appena ammazzato uno dei più grandi spacciatori del Paese..."
"Ma io voglio andare in un albergo!" continuò l'altro: "A cinque stelle!" aggiunse.
Dazai alzò gli occhi al cielo: si era stancato di sentir Chuuya blaterare come un bambino capriccioso.
"Sai che bella una stanza con la TV al plasma? O una piscina? Oppure..." si illuminò di colpo: "Un'enorme sala da ballo!"
Dazai rimase perplesso per un po': "Tu balli?"
"Ahm... no, ovviamente" borbottò Chuuya in difficoltà: "Sarà capitato una mezza volta, forse... comunque, non ha importanza!" si riprese prendendo a guardare l'altro con aria altezzosa: "Prenota due camere d'albergo" ordinò.
Dazai sospirò esasperato: "Per una notte sola potevamo anche andare in una locanda..."
"No. Abbiamo la possibilità di divertirci, quindi facciamolo!" disse entusiasta Chuuya.
"Non parli mai di divertimento, che ti sta succedendo?" osservò Dazai con un sorrisetto.
"Hai una pessima influenza su di me" disse l'altro scendendo dallo sgabello del bar in cui si trovavano.
"Sappi che ne sono fiero" commentò Dazai scompigliando i capelli del suo amico disordinatamente; prese il suo cappello dal bancone e glielo mise in testa, ricevendo uno sbuffo di disapprovazione e un pugno sul braccio.
"Imbecille. Ricordati di prenotare nel miglior albergo di Tokyo" disse Chuuya mentre si avviava verso l'uscita del bar aggiustandosi i capelli e il copricapo.
"Sono minorenne, mi spieghi come faccio?" domandò Dazai allargando le braccia.
Chuuya si fermò, girandosi verso di lui: "Sei alto, sembri un ventenne, falsifica i documenti ed è fatta" disse semplicemente.
"Mi tocca anche fare il doppio lavoro?" si lamentò l'altro.
"Sei tu l'esecutore qui" gli fece notare Chuuya, con una punta di acidità nel tono di voce.
Quel giorno il boss li aveva mandati a Tokyo per uccidere un pezzo grosso della malavita. Non sarebbe dovuto essere affar loro, dal momento che la Port Mafia operava solo a Yokohama, in particolare nei pressi del porto; era il loro territorio, e quello spacciatore lo aveva invaso, permettendosi di vendere merce lì.
Quando Mori lo era venuto a sapere aveva mandato immediatamente qualcuno ad indagare e aveva scoperto che il trasgressore in questione si spostava continuamente da una città all'altra del Giappone, ma risiedeva a Tokyo. Prima o poi, una volta finito il giro delle città, sarebbe tornato a Yokohama e, prima che questo accadesse, lo voleva morto. Per questo si trovavano a Tokyo: ormai il boss li riteneva due membri estremamente importanti e sapeva che, per quanto abile potesse essere quello spacciatore, per loro due sarebbe stato semplicissimo farlo fuori. E così era stato: si erano intrufolati nel suo attico, fingendosi suoi clienti, e in pochi minuti avevano sterminato lui e tutti i suoi scagnozzi.
Come premio per averlo ucciso Mori gli aveva dato il permesso di passare la notte a Tokyo, per poi ripartire il giorno successivo e tornare a casa.
Nonostante tutte le sue proteste, dal pomeriggio fino alla sera Dazai si ritrovò a dover adempiere ai capricci del suo amico: "Ecco qua, Chuuya, ti presento il signor Soichiro Matsuda!" esclamò mostrandogli il documento falso, secondo il quale era un giovane adulto di ventuno anni.
"Buonasera, signor Matsuda!" ricambiò l'altro togliendosi il cappello e azzardando un breve inchino.
Si sentiva particolarmente di buonumore: era perennemente stressato per il suo lavoro da mafioso e non aveva mai l'occasione di divertirsi, ma quella sera avrebbe staccato la spina assieme al suo migliore amico, sarebbero stati due normalissimi ragazzi in vacanza.
Aprì il portone dell'albergo ed entrò dopo aver fatto gentilmente passare un gruppetto di ragazze, che si girarono verso di lui ridacchiando.
"Mi sa che piaci a quelle tipe, Chuuya. Il cappello osceno evidentemente fa colpo" sussurrò Dazai abbassandosi al suo orecchio.
"Zitto, stavo solo cercando di essere galante, non mi interessano."
"Non ti interessano le donne? Ah già, dimenticavo che hai occhi solo per me" disse Dazai beccandosi un'occhiataccia da Chuuya, mentre si dirigevano verso la reception.
Dazai impallidì di botto: "Ehi, Chuuya..."
"Buonasera" fece quest'ultimo sorridendo alla ragazza e ignorando l'amico che continuava a battergli sulla spalla in cerca di attenzioni: "Abbiamo prenotato due camere a nome di Soichiro Matsuda."
La receptionist rimase ad ascoltare: "Mi servono i documenti" disse cordialmente dopo un po'.
Chuuya diede una gomitata a Dazai, che era rimasto come un ebete a rimuginare su chissà cosa: "Ah, s-sì, i documenti..." mugugnò frugando frettolosamente nelle tasche: "Ecco a lei" disse e li porse alla ragazza quando li ebbe trovati.
La signorina gli diede un'occhiata, annuì restituendoli al proprietario, poi iniziò a cercare sulla lista il nome falso di Dazai.
Controllò e ricontrollò più volte, per poi dire: "Mi spiace, qui non c'è nessun signor Matsuda."
"È impossibile, abbiamo prenotato!" sbottò Chuuya.
"In realtà..." intervenne Dazai: "Me ne sono dimenticato" disse sorridendo colpevole.
Chuuya si voltò lentamente verso di lui, e lo guardò così male che a Dazai sembrò di poter udire le minacce di morte che gli stavano passando per la testa in quel momento.
"Non c'è una stanza libera per noi?" chiese voltandosi di nuovo verso la receptionist.
"Mi spiace, ma siamo pieni" è quello che si sentì dire. 
"Impossibile, non è rimasta nemmeno una stanza?!"
"A dire il vero una ci sarebbe" disse la donna, dopo aver controllato meglio: "Ma ha un letto matrimoniale, se per voi non è un problema..."
"Va benissimo, la prendiamo!" esclamò in fretta e furia Dazai, buttandosi letteralmente sul bancone e schiacciando Chuuya contro di esso, senza nemmeno ascoltare la sua opinione prima: lo conosceva, sapeva benissimo che al posto di condividere un letto con lui avrebbe girato in lungo e in largo tutta la città per trovare una sistemazione soddisfacente; ma Dazai era stanco e voleva solo riposarsi, il suo amico aveva avuto fin troppe pretese, ora si sarebbe accontentato. Chuuya tentò di toglierselo di dosso mugugnando, mentre la ragazza li scrutava con un leggero sorriso sconcertato.
Poco dopo si stavano già dirigendo verso la stanza, usando l'ascensore, dove Dazai dovette sorbirsi altri insulti e lamentele: "Perché devi sempre mettermi in ridicolo davanti a tutti?!" sbraitò Chuuya: "E poi potevi almeno ascoltare cosa ne pensassi!" continuò.
"Sapevo che non avresti mai accettato, e siccome sono stanco e voglio riposare, non avevo tempo di soddisfare altri tuoi capricci" rispose con calma Dazai, ma era evidentemente stressato.
"Capricci?" ripeté l'altro offeso.
"Sì, capricci" confermò: "Stai facendo il bambino."
Chuuya sbuffò, ma non sapendo cosa ribattere decise di lasciar cadere l'argomento.
Arrivarono davanti alla stanza, Dazai infilò la chiave nella serratura e aprì la porta: dopo aver superato un ampio ingresso si giungeva nella camera da letto, che nonostante fosse per sole due persone era spaziosissima e, come aveva desiderato Chuuya, c'era una TV al plasma; inoltre il lungo balcone dava su una grande piscina. 
Non appena vide l'enorme letto, in cui si poteva benissimo stare in tre, Dazai ci si buttò sopra con un salto, constatando quanto fosse morbido e confortevole. Chuuya lo seguì a ruota: "Molto meglio di una locanda, eh? Che ti avevo detto?"
"Già, avevi ragione" ammise Dazai: "Ma ci è anche costato un sacco..."
"Suvvia, ce l'abbiamo i soldi ora" commentò Chuuya: "Ci facciamo un bagno in piscina?" chiese entusiasta.
"Mi piacerebbe, ma è tardi e voglio solo cenare e andare a dormire" gli disse Dazai cercando di apparire il più delicato possibile.
"Abbiamo pagato una fortuna e non vuoi nemmeno goderti un po' le comodità di quest'albergo?" chiese Chuuya deluso.
"Suvvia, ce l'abbiamo i soldi ora!"
Chuuya gli rispose con un grugnito: "Io volevo andare in piscina..."
"Vai a ballare con quelle ragazze di prima, no?"
"No, non mi interessano, ti ho detto" rispose Chuuya sbuffando.
"Davvero non ti interessano le donne?"
(Se glielo dicessi potrebbe scoprire i miei sentimenti.)
"Ho altro a cui pensare" fece Chuuya cercando di risultare convincente.
"Tipo? Agli uomini?" chiese Dazai divertito.
"No!" 
"Me?"
"Fottiti."
Detto questo Chuuya si alzò a sedere sul letto e mollò un pugno sullo stomaco all'altro per far alzare anche lui.
"Per la cena hanno degli orari qui, ci conviene muoverci se non vogliamo rimanere a stomaco vuoto" gli fece notare alzandosi in piedi.
A cena si abbuffarono di tutte le specialità del posto, senza badare a spese e, quando tornarono in camera, Chuuya aveva ricominciato a lamentarsi: "Che palle, Dazai. Sei un idiota" gli sbraitò contro.
"Sono stato tutto il pomeriggio ad occuparmi di quei dannati documenti e mi sono dimenticato di prenotare, succede" si giustificò Dazai: "E poi, ehi! Sei in un albergo a cinque stelle, proprio come volevi, e ancora non sei contento!"
"Non voglio dormire con te!" ribatté secco Chuuya.
"Allora mettiti sul pavimento" disse Dazai con un'alzata di spalle.
"Non esiste, il coglione sei tu e quindi ci dormi tu sul pavimento!"
"Ma che problema hai a dormire con me?" lo punzecchiò Dazai: sapeva benissimo che problema avesse l'altro, ma trovava che vederlo in difficoltà fosse estremamente divertente: "Tranquilla, cara, non ti tocco" gli disse Dazai mellifluo, insistendo per farlo imbarazzare ancora di più.
"E stai zitto!" esclamò Chuuya voltandosi con rapidità per tirargli un pugno, che prontamente venne schivato dall'altro, poi si chiuse in bagno per lavarsi, rimanendoci di proposito per alcune decine di minuti. Si era accorto che Dazai aveva capito tutto e non sapeva come comportarsi a riguardo: gli sembrava che dicesse certe cose solo per cercare di smascherarlo e ciò lo metteva in difficoltà.
"Che ci hai fatto in bagno tutto quel tempo?" chiese il moro spazientito, incrociando le braccia: ottenne solo un'occhiataccia dall'amico.
Dazai scrollò le spalle, iniziò a sbottonarsi la camicia, per poi sfilarsela e prendere la maglietta del pigiama, mentre Chuuya faceva lo stesso, credendo che l'altro non si fosse accorto di tutte le sbirciate che gli aveva dato.
"Sono bello?" gli chiese per provocarlo, quando rimase a guardarlo più a lungo del solito mentre si slacciava i pantaloni.
Chuuya arrossì violentemente, girandosi rapidamente verso il muro: "Fai schifo."
Dazai sorrise alla reazione dell'amico, che non fece altro che confermare i suoi sospetti: i metodi che adottava per cercare di nascondergli la sua omosessualità non lo avevano mai convinto.
"Fai una foto, così dura più a lungo" lo stuzzicò ancora, ricevendo la camicia dell'altro addosso in risposta, ma quel gesto non fece altro che divertirlo maggiormente: "Mi metto in posa, dai!"
L'atmosfera iniziava a diventare pesante, quindi Chuuya non gli rispose e preferì sdraiarsi sul letto piuttosto che continuare a discutere con lui, avendo cura di mantenersi sull'estremità, in modo da stargli il più lontano possibile: tutto a un tratto era come se la sua voglia di divertirsi fosse svanita.
Sentì il materasso abbassarsi sotto di sé a causa del peso dell'amico che ci si era appena seduto sopra, per poi infilarsi sotto le coperte e stendersi accanto a lui: "Buonanotte" cinguettò Dazai prima di allungare un braccio verso l'abat jour e spegnere la luce. 
"Buonanotte" ricambiò Chuuya e chiuse gli occhi nel tentativo di prendere sonno. Era stanco anche lui, eppure si sentiva teso nell'avere Dazai a pochi centimetri, nello stesso letto, e non riusciva a prender sonno. Dopo svariati minuti, quando fu sicuro che l'altro si fosse addormentato, provò a voltarsi dall'altro lato, siccome il bordo del letto non era proprio l'apice della comodità, e si ritrovò faccia a faccia con l'amico. Rimase a guardarlo mentre dormiva per una buona manciata di secondi: trovava che fosse davvero bello e gli venne voglia di accarezzargli la fronte, dove giacevano dei ciuffi di capelli disordinati, ma si trattenne poiché se Dazai si fosse svegliato sarebbe stato imbarazzante dover spiegare cosa stesse facendo. Nonostante ciò non riusciva a staccare gli occhi dal suo viso, percorrendone ogni centimetro, finché il suo sguardo non andò a posarsi sulle sue labbra. Arrossì al suo stesso pensiero di volerle baciare, e si voltò di nuovo dall'altro lato per evitare che altri desideri poco casti attraversassero la sua mente. 
(Oh, merda. Mi sono innamorato del mio migliore amico.)



 

Angolo autrici:
Sì, il signor Soichiro Matsuda è stato prepotentemente rubato da Death Note.
Ne abbiamo di fantasia! :D
A&G

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Compleanno ***


"Allora, come va con Dazai?" chiese Kouyou improvvisamente, guadagnandosi un'occhiata perplessa da parte di Chuuya: "Come dovrebbe andare?"
Stavano cenando e ormai quelli del pasto erano gli unici momenti di scambio che avevano, ma il ragazzo non si aspettava di certo una domanda simile.
"Ti piace, non è vero?" chiese retoricamente lei, sorridendo meschina.
Chuuya quasi si strozzò col cibo che stava ingoiando, tossì un paio e di volte e scattando in piedi disse: "No! Ovviamente non mi piace!" 
"Dovresti sapere che non puoi mentirmi" lo informò lei tranquillamente, il sorrisetto furbo, sempre sulle sue labbra, non accennava a voler sparire.
Il giovane si ricompose e riprese il suo posto: "È solo un amico" sospirò, ma il leggero rossore che iniziava a crescere sulle sue gote tradiva le sue parole, e Kouyou lo aveva notato: "Lo so che sei cotto di lui." 
Ora il viso di Chuuya era completamente rosso. Non provò a negare di nuovo quella che, ormai, era l'evidenza. Sapeva che sarebbe stato inutile con Kouyou, lei lo conosceva meglio di chiunque altro, e lui avrebbe dovuto immaginare che, prima o poi, avrebbe scoperto la verità, anche se non fosse stato lui a dirglielo.
"Come lo hai capito?" chiese, il tono di voce appena udibile.
"Non è difficile se non sai nascondere i tuoi sentimenti" gli fece notare lei.
"Ho fatto del mio meglio" disse lui ironicamente, un leggero sorriso era apparso sulle sue labbra.
"Piuttosto..." iniziò Kouyou facendosi seria: "Perché non me lo hai detto?"
"Non potevo sapere come l'avresti presa."
"Ti voglio bene, come avrei potuto prenderla male?"
Chuuya esitò: "Non credo che l'omosessualità sia un fattore accettabile qui nella Mafia."
Kouyou ridacchiò all'ingenuità del ragazzo: "In realtà, Mori stesso ha avuto rapporti con altri uomini in passato."
"Sul serio?" chiese lui sorpreso.
"Ha avuto un periodo di confusione e più di una relazione omosessuale" spiegò la donna: "Credo continui ad averne ancora oggi" disse dopo aver esitato per un po', poi rimase in silenzio, finché non fu come se si fosse improvvisamente illuminata: "Quasi dimenticavo!" esclamò alzandosi e dirigendosi verso il forno, dal quale tirò fuori una crostata e la poggiò sul tavolo, davanti a lui: "Oggi è il tuo compleanno, no? Auguri caro!" disse allegra.

"Grazie" mormorò Chuuya sorpreso. Impiegò un po' ad elaborare quello che Kouyou gli aveva detto: nonostante fosse il suo compleanno aveva avuto da fare con alcune controversie all'interno dell'organizzazione, e l'incarico ricevuto era stato particolarmente pesante, tanto che lui stesso si era dimenticato che giorno fosse. Kouyou, però, se ne era ricordata e, prima che tornasse, gli aveva cucinato la sua crostata preferita per fargli una sorpresa, che alla fine si era rivelata anche un premio di consolazione per la giornata stressante. 
"Dove vai?" chiese Kouyou quando, una volta finito di mangiare, lo vide infilarsi la giacca. 
"Credo che andrò a bere qualcosa" le rispose lui: "Non farò tanto tardi" la rassicurò, e dopo averla salutata, uscì.
Nel frattempo Dazai vagava per il quartier generale: non aveva visto Chuuya per tutto il giorno e, sebbene fosse il suo compleanno, non si era neanche degnato di mandargli un messaggio d'auguri.
Dopo che ebbe girato per tutte le stanze dell'edificio, non gli venne più in mente nessun posto in cui l'amico avrebbe potuto trovarsi. 
Sconsolato, si avviò verso l'uscita: sarebbe andato a cercarlo a casa sua. Improvvisamente vide il grande bar e si rese conto di non aver controllato lì. Quanto più si avvicinava al portone, tanto più sentiva una melodia ovattata provenire dall'interno. Aprì lentamente la porta, sbirciò al suo interno e rimase folgorato: vide Chuuya, da solo in quella stanza, intento a suonare il pianoforte che Mori aveva comprato, probabilmente solo per manie di grandezza, siccome non sapeva suonarlo, e che teneva nella sala, le mani eleganti si muovevano abilmente sui tasti, nel mentre che canticchiava sulle sue stesse note un motivetto dolce, così tanto da sembrare quasi una ninnananna.
Conosceva bene il suo migliore amico e, vicendevolmente, si confidavano sempre, ma lui non gli aveva mai parlato di quel talento; ne rimase a dir poco affascinato.
Varcò la soglia, chiudendo la porta delicatamente in modo da non disturbarlo, e si appoggiò al muro con le braccia incrociate, un leggero sorriso sulle labbra. Quando la melodia fu finita, Dazai si avvicinò all'amico, avendo cura di spaventarlo battendo con malagrazia sulle sue spalle. Chuuya sobbalzò a quel contatto improvviso, poi impallidì: "Quando sei entrato?" chiese teso.
"Abbastanza presto da sentirti suonare" rispose Dazai sorridendogli.
"Bastardo..." borbottò Chuuya arrossendo.
"Non devi vergognarti, sei davvero bravo" si congratulò Dazai.
"Davvero?" domandò l'altro alzando un sopracciglio.
"Davvero!"
Chuuya si sarebbe aspettato qualsiasi reazione da parte dell'amico, ma di certo non quella: invece di prenderlo in giro, come al suo solito, gli aveva fatto un complimento sincero.
"Comunque ti stavo cercando perché volevo farti gli auguri" riprese Dazai.
"Oh... grazie" fece Chuuya in difficoltà.
(Davvero se n'è ricordato?)
Per tutta risposta l'altro si sedette sulla panca accanto a lui ma, essendo troppo piccola per due persone, si ritrovarono attaccati l'uno all'altro; a Chuuya fece non poco piacere sentire il corpo caldo di Dazai accanto al suo: quel ragazzo aveva un effetto devastante su di lui.
"Chi te lo ha insegnato?" chiese improvvisamente Dazai.
Chuuya esitò per un po': "Mia madre" disse infine. Eccezion fatta per Kouyou, nessuno conosceva il suo passato. Oltre che con lei non aveva mai parlato a nessuno dei suoi genitori e della dolorosa separazione da loro; sebbene a volte avesse desiderato raccontare i suoi ricordi a Dazai, non ne aveva mai avuto l'occasione vera e propria.
Ma, ormai, aveva iniziato a parlare, quindi perché non andare fino in fondo?
Sospirò e iniziò il racconto: "Avevamo un piano a casa. Lei lo suonava spesso e a me piaceva un sacco, quindi poteva insegnarmi tante canzoni" fece una pausa, lo sguardo perso nei ricordi, le dita che accarezzavano leggermente i tasti dello strumento davanti a sé.
"I miei genitori erano persone importanti; avevamo una bella casa, eravamo ricchi. Però, un giorno, un uomo ha fatto irruzione e, dopo aver ucciso il nostro cane, ha ucciso anche loro davanti ai miei occhi con due colpi di pistola" qui la sua espressione mutò, trasformandosi in inquieta malinconia: "E io non ho mai saputo il perché. Mi ricordo che la prima cosa che feci fu avvolgermi in un lenzuolo e correre a nascondermi sotto il letto. Ero terrorizzato, del resto avevo solo otto anni. Dopo un po' un vicino, allarmato dagli spari, ha chiamato la polizia, e, poi... mi hanno portato in orfanotrofio. Però non ci volevo andare, sarei voluto rimanere con i miei per sempre. Lì, per mia fortuna, c'era un piano" cacciò un risolino per sdrammatizzare: "E io passavo le mie giornate a suonarlo. Almeno avevo qualcosa da fare."
Neanche a Kouyou aveva dato tutti quei dettagli, questo stava a dimostrare quanto si fidasse dell'amico.
"Penso spesso a loro" riprese: "Specialmente a mia madre. Lei... era una donna davvero straordinaria."
Ci furono alcuni istanti di silenzio, rotti da Dazai: "Anche i miei sono stati uccisi."
Chuuya si voltò verso di lui, desideroso di saperne di più; questo incoraggiò l'altro a continuare: "Però a loro non importava nulla di me. Mi dicevano che ero stato solo un errore, mi trattavano male e passavano tutte le loro giornate a drogarsi e ad ubriacarsi. Io rimanevo sempre a casa da solo, non sono mai andato a scuola ed ero senza amici. Avevo dieci anni quando li hanno ammazzati, e per me è stata una sorta di... liberazione."
"Perché li hanno uccisi?" lo interruppe Chuuya, che era rimasto ad ascoltare attentamente.
"Credo avessero dei problemi con i loro spacciatori, forse non pagavano da tanto" rispose Dazai incerto. Chuuya annuì e lo incoraggiò a proseguire.
"Poi sono andato a vivere in strada" continuò Dazai: "E, dopo qualche anno, ho incontrato un nano da giardino, che è diventato il mio migliore amico!"
"Vaffanculo!"
Dazai rise: "Siamo stati dei bambini felici, insomma" disse sarcastico.
"Felicissimi" aggiunse Chuuya.
"Beh, ora basta pensare al passato!" esordì Dazai alzandosi in piedi: "Dobbiamo festeggiare!" disse, prendendo energicamente Chuuya per le spalle che, anche se non lo diede a vedere, fu intenerito dall'entusiasmo dell'amico.
Dazai si infilò dietro al bancone del bar e si avvicinò agli alcolici. Scelse una bottiglia di Hermitage lasciato invecchiare dal 2004: non era il massimo per i loro standard, ma si sarebbero accontentati. 
Si accomodarono su uno dei tanti divani disponibili, Chuuya stappò la bottiglia, mandando il tappo chissà dove, e riempiendo il bicchiere a entrambi.
"Salute" disse sorridendogli, avvicinando il bicchiere al suo e facendoli tintinnare.
"Salute" ricambiò Dazai. 
Dopo pochi bicchieri, Chuuya era già brillo; nonostante amasse l'alcool, non lo reggeva bene. Anche l'altro non era esattamente quello che si definisce lucido, ma sicuramente era meno sbronzo dell'amico, il quale continuava a farfugliare frasi senza senso e a ridere stupidamente ogni volta che apriva bocca; Dazai lo trovava estremamente divertente e, dopo aver mandato giù l'ennesimo bicchiere, cominciò a tenergli compagnia ridendo insieme a lui senza sapere perché. 
"Ehi, Chuuya" cinguettò quest'ultimo: "Secondo te i gatti hanno i canini?" chiese ridacchiando.
Chuuya scoppiò a ridere dandogli una pacca sulla spalla: "Sei un idiota Dazai" riuscì a stento a farsi capire tra l'ilarità, poi gli si aggrappò al collo con entrambe le braccia: "Però ti voglio bene" biascicò subito dopo: "Sei il mio migliore amico" disse guardandolo nelle iridi scure e sorridendogli sghembo: "Hai davvero dei begli occhi" continuò dopo qualche istante di silenzio, il volto leggermente arrossato a causa dell'alcool che gli aveva totalmente dato alla testa.
Dazai non comprese il motivo di quelle affermazioni in quel momento, ma non ebbe nemmeno il tempo di pensarci che l'altro gli poggiò le mani sulle spalle e, facendosi leva su di esse, si sollevò e premette le labbra contro le sue. Era un bacio umido e disordinato, che sapeva di inesperienza e di vino; non erano abbastanza sobri per accorgersi di quello che stavano facendo, e si interruppero poco dopo quando la mano di Chuuya, poco stabile dal momento che aveva i sensi intorpiditi e il suo corpo non rispondeva perfettamente a ciò che gli comandava il cervello, scivolò dalla spalla dell'amico e andò a posarsi, invece, sulla sua coscia, proprio vicino all'inguine, usandola come sostegno per evitare di cadere rovinosamente a terra. L'altro si irrigidì a quel contatto, poggiò la mano su quella che l'amico gli aveva messo sulla coscia, e la scansò con poca delicatezza. Nonostante fosse completamente brillo, il suo cervello registrò perfettamente quegli eventi ed essendo stato colto alla sprovvista non era pronto ad avere un simile contatto col suo migliore amico. Quest'ultimo però, ora che non aveva più nulla a cui appoggiarsi, gli piombò addosso e si ritrovarono l'uno sopra all'altro. Il rosso scoppiò nuovamente a ridere mentre si rialzava, non senza difficoltà, seguito da Dazai, il quale venne presto stretto in un soffocante abbraccio da parte dell'amico: "Era da un po' che volevo farlo" mugugnò Chuuya strusciando la faccia sul petto dell'altro: "Mi piaci, Dazai" farfugliò ancora: "Tanto" concluse, quasi nel mondo dei sogni.
A quell'affermazione Dazai sorrise stupidamente: non sapeva il perché, ma si sentiva compiaciuto ad averlo conquistato. 
Gli tolse il cappello, inclinato sulle ventitré a causa del marasma che si era venuto a creare, lo poggiò sul tavolino lì davanti a loro e gli accarezzò la testa, per poi appoggiarcisi ricambiando l'abbraccio. Assieme al compagno scivolò velocemente nel sonno, che, seppur breve, fu profondo.
Si risvegliò, infatti, alcune ore dopo, il mal di testa che martellava incessante; si liberò delicatamente dalla stretta dell'altro, per poi stenderlo meglio sul divano. Rimase per un po' a contemplarlo mentre dormiva, proprio come l'altro aveva già fatto con lui in albergo. Quello era il suo migliore amico da quasi un anno e mezzo, eppure gli aveva confessato di essere attratto da lui: Dazai lo aveva capito da tempo e aspettava solo il momento che Chuuya glielo dimostrasse ufficialmente, ma era pronto a ricambiare? 
In pochi istanti si dette da solo la risposta che credeva avrebbe richiesto molto tempo per essere trovata: sì, era pronto.
Non credeva sarebbe mai successo, ma quel bacio, dato di sfuggita in un momento di totale confusione e irrazionalità, gli era piaciuto. Sorrise gaio, i muscoli della faccia contratti che gli accentuavano il mal di testa, e si avviò verso casa.
Una volta arrivato ci mise un po' per infilare correttamente la chiave nella toppa, ma non fece in tempo a girarla che la porta si aprì: "Sono le quattro del mattino, dove sei stato?" fece Oda con aria assonnata; il rumore prodotto da Dazai lo aveva evidentemente svegliato.
"Oh, ciao Odasaku. Al bar con Chuuya, era il suo compleanno" disse; fece per entrare dentro casa, ma un capogiro lo colse improvvisamente e dovette appoggiarsi al muro per non cadere.
"Ma quanto hai bevuto?" chiese Oda chiudendo la porta.
Dazai cacciò un risolino: "Abbastanza" disse con fare innocente.
Oda sospirò: "Abbastanza? Io direi un po' troppo. Cerca di non esagerare" lo rimbeccò, sostenendolo per accompagnarlo in camera sua senza che si sfracellasse la testa cadendo.
"Tranquillo, era solo per stasera" lo rassicurò Dazai.
"Non farci l'abitudine, altrimenti potresti diventare un alcolizzato" gli raccomandò Oda sbadigliando: "Buonanotte" disse dando una pacca sulla spalla al ragazzo, che si coricò senza nemmeno spogliarsi.






Angolo Autrici
Il fatto che Mori in passato abbia avuto più relazioni con altri uomini non lo abbiamo inventato per fare fanservice o per far quadrare la storia, è un riferimento al romanzo Vita Sexualis, una rappresentazione semi-biografica del vero Ougai Mori, in cui riflette sulle proprie esperienze omosessuali! :D
A&G

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Chiarimenti ***


Chuuya si risvegliò nel suo letto con un dolore lancinante alla testa.
(Come ci sono arrivato qui?)
Riconobbe immediatamente la sua stanza nonostante il buio, e rivolse lo sguardo verso la sveglia alla sua sinistra: segnava quasi mezzogiorno.  Provò ad alzarsi leggermente, ma il mal di testa lo costrinse a distendersi di nuovo e decise di restare lì; era evidente che quel giorno non avrebbe lavorato, quindi perché non riposare? 
Non fece in tempo a richiudere gli occhi che i ricordi della sera prima cominciarono a riaffiorare
(l'ho baciato?)
Si alzò di scatto a sedere e ripercorse mentalmente tutte le tappe della sera precedente, fino ad arrivare alla conclusione che
(sì, l'ho baciato...)
Si ributtò a peso morto sul letto e rimase a fissare il soffitto.
(Magari non se ne ricorda)
Quel pensiero lo fece stare tranquillo per qualche secondo.
(Ma io me ne ricordo, quindi perché lui non dovrebbe?)
Più pensava a quel bacio, più l'agitazione cresceva.
Chissà cos'altro aveva detto mentre non era lucido. Aveva sempre fatto attenzione a tenere ben nascosti i suoi sentimenti e ora se li era lasciati sfuggire solo per essersi concesso ad un po' di divertimento.
Si passò le mani sul viso emettendo un gemito sofferente, proprio quando Kouyou fece il suo ingresso nella camera con una tazza di tè tra le mani: "Sei già sveglio?"
"Da non molto" le rispose il ragazzo.
"Come ti senti?" chiese poggiando il tè sul comodino vicino al letto.
"Abbastanza confuso" disse lui prendendo la tazza e iniziando a bere lentamente.
"Ci credo! Non sei nemmeno tornato a casa, ti ho trovato ubriaco fradicio su un divano nel bar e ho dovuto riportarti indietro in braccio!" lo rimproverò la donna alterata.
Chuuya rimase perplesso per un po', non l'aveva mai vista così agitata.
Lei sospirò, si sedette sul letto e con più calma chiese: "Si può sapere che avete combinato fino a quell'ora?"
Il giovane sentì il calore farsi improvvisamente strada sul suo volto quando gli tornò in mente il bacio della sera prima: "Stavamo solo festeggiando" si limitò a dire.
Kouyou assottigliò lo sguardo che assunse un'aria inquisitoria. Era certa che il ragazzo non gliela raccontasse giusta.
Lui si sentì spogliato dall'occhiata penetrante della donna: "E abbiamo bevuto un po' troppo..." continuò incerto.
"Questo lo so" disse lei atona.
Chuuya strinse le lenzuola e abbassò lo sguardo in imbarazzo. Rimase in silenzio per alcuni istanti: "E io l'ho..." si bloccò: "L'ho baciato."
La donna sospirò: "E ci voleva tanto a dirlo?"
"Non è così facile" disse leggermente irritato.
"E lui?" chiese curiosa.
"Non lo so, non eravamo lucidi e non so nemmeno se lo ricorda" rispose agitato.
"E se lo ricordasse?"
"Non ricambierebbe mai."
"E se ricambiasse?"
Chuuya non rispose. 
"Non tormentarti troppo, rilassati e dai tempo al tempo" sorrise lei.
Nonostante le rassicurazioni di Kouyou, quei pensieri continuarono a tormentarlo per tutto il giorno e in quelli seguenti.
Le cose tra di loro divennero molto tese e Chuuya provò ad evitare svariate volte qualsiasi contatto con Dazai. 
Ripensare al bacio lo faceva sentire a disagio quando lo aveva vicino: temeva potesse ricordarsene e non voleva rischiare di dover toccare l'argomento. Ma, lavorando a stretto contatto con lui, gli era impossibile sfuggirgli sempre; tutto quello che poteva fare era trattarlo con freddezza e rispondergli a monosillabi.
Quella sera, per sua sfortuna, Mori aveva affidato loro un incarico di spionaggio, e si ritrovavano appartati in un vicolo buio e corto. Se ne stavano in silenzio, con la schiena contro il muro, in attesa del loro bersaglio che era in ritardo di più di mezz'ora ormai.
Dazai aveva notato che Chuuya era particolarmente teso, infatti si teneva a debita distanza da lui: "Allora..." cercò di ingaggiare una conversazione: "Come stai?"
Chuuya gli lanciò una rapida occhiata sospettosa: "Bene" rispose freddamente, e il dialogo si interruppe lì, riportando la quiete nel vicolo.
Dazai sbuffò: "Sta facendo un sacco di ritardo..." disse spazientito, riferito al loro bersaglio.
Chuuya non gli rispose: aveva le braccia incrociate e lo sguardo basso, segno che non voleva conversare.
Ma a Dazai sembrò non importasse più di tanto; infatti, sebbene Chuuya continuasse a rispondergli con sufficienza, lui non si arrese e cercò di mandare avanti la loro conversazione.
"Che fai domani?" chiese Dazai, rompendo il silenzio che si era venuto a creare.
"Niente, ho il giorno libero, sto a casa."
"E se andassimo da qualche parte?"
"Dove?"
"Non so, a fare un giro" propose Dazai: "Oppure potremmo andare a bere qualcosa."
Chuuya si girò lentamente verso di lui, poi gli rivolse un sorrisetto sarcastico: "Come se tutto quello che abbiamo bevuto l'altra sera non fosse abbastanza..."
(L'altra sera?!)
Impallidì.
(Imbecille! Metterti a parlare dell'altra sera davanti a lui!!!)
Dazai ridacchiò: "Abbiamo un po' esagerato, effettivamente..."
"Già" mormorò Chuuya, sollevato che l'altro non avesse toccato l'argomento che tanto voleva evitare.
"Sicuro di stare bene? Sei strano ultimamente" disse Dazai leggermente offeso: l'atteggiamento dell'altro iniziava ad innervosirlo.
"Sto bene."
"Se è successo qualcosa puoi dirmelo, lo sai..."
"Non mi è successo nulla, ti ho detto. Smettila di fare domande."
"Mi tratti freddamente da giorni, avrò il diritto di sapere cos'ho fatto, no?"
"Non sei tu... sono io che ho delle cose per la testa e non ne voglio parlare" rispose Chuuya irritato.
"Se non vuoi non posso costringerti, ma non puoi comportarti così senza motivo" lo rimbeccò Dazai.
"Ho detto che non voglio parlarne" ripeté Chuuya, questa volta più sgarbatamente.
Dazai lo fronteggiò, poggiando entrambe le mani al muro, così da non lasciargli alcuna via di fuga: "Dovresti smetterla di fare il vigliacco e affrontare la realtà."
La tensione era alle stelle e Chuuya non sapeva come comportarsi; fece per aprire bocca e ribattere, ma Dazai si chinò lentamente su di lui e poggiò le labbra sulle sue con delicatezza. 
Era un bacio a stampo sorprendentemente dolce e casto, come se Dazai si fosse premurato di fare attenzione a non ferirlo in nessun modo.
Chuuya, preso alla sprovvista, lo spinse via con forza interrompendo il contatto: "Ma che fai?!" gridò scandalizzato, il volto rosso un po' per l'imbarazzo, un po' per l'emozione. 
Dazai inclinò appena la testa di lato, guardando l'altro tra il confuso e il deluso: "Che c'è? Credevo che quello dell'altra sera ti fosse piaciuto."
Chuuya perse un battito, sgranò gli occhi e, se possibile, divenne ancora più rosso: "Quindi te ne ricordi?"
Dazai gli sorrise con tenerezza di rimando, e quel gesto bastò come risposta a Chuuya, il quale si sentì incoraggiato e, arrivando alla sua altezza, lo prese per il colletto della camicia e lo tirò a sé assaporando ancora una volta le sue labbra, stavolta senza nessuna incertezza. 
Continuò a baciarlo per svariati secondi, compiaciuto che l'altro continuasse a ricambiare; dopo, stanco di stare teso in punta di piedi, iniziò a scendere, concentrandosi sul suo collo, per poi abbracciarlo a lungo.
"Questo non me lo aspettavo..." mormorò Chuuya a testa bassa quando si separò da lui: "Che tu ricambiassi, intendo."
"Perché non avrei dovuto?"
"Non lo so, forse perché siamo due maschi... e tu sei il mio migliore amico..."
"Ero" precisò Dazai.
Chuuya lo guardò interrogativo.
"Insomma, non posso più definirti il mio migliore amico... noi due ora... siamo qualcosa di più, no? Possiamo dire di… stare insieme?" 
Quelle ultime parole uscite dalle sue labbra, a Chuuya, suonarono strane e sconosciute. Stava davvero iniziando una relazione con Dazai?
Arrossì leggermente, per poi liberare un lieve sorriso imbarazzato: "Se tu vuoi..."
"Sì, lo voglio!" esclamò Dazai con fare melodrammatico. Era in difficoltà anche lui, e quel comportamento ironico ne era la prova; Chuuya se ne accorse subito.
Sentirono un rumore nel vicolo, segno che il loro bersaglio era arrivato, e si misero al lavoro.
Quando ebbero finito, a tarda sera, rimasero l'uno davanti all'altro per svariati istanti; fino a quel giorno si erano sempre salutati con una pacca sulla spalla o, al massimo, un abbraccio, ma questa volta non erano totalmente certi di cosa avrebbero dovuto fare.
Fu Dazai a prendere l'iniziativa e a lasciargli un altro rapido bacio a stampo sulle labbra, per poi salutarlo con un cenno della mano, ricambiato timidamente da Chuuya, che rimase a guardarlo allontanarsi, un sorriso ebete sulla faccia che non riuscì a cancellare neanche mentre tornava a casa: ancora non riusciva a credere a ciò che era accaduto quella sera.
Entrò dentro casa canticchiando un motivetto allegro, accolto dal saluto di Kouyou, che se ne stava seduta sul divano a guardare un film, aspettando che lui ritornasse: "Com'è andata?" 
Chuuya si sedette accanto a lei: "Benissimo."
"Sembri felice, cosa è successo?" chiese, sollevata dal vederlo così rilassato: appariva decisamente il contrario rispetto a come era uscito da casa.
"Prova ad indovinare" rispose lui rivolgendole un sorrisetto furbo.
"Hai chiarito con Dazai?"
"Già."
Ci fu un momento di silenzio, in cui la donna rimase in attesa che il giovane continuasse.
"Io e Dazai stiamo insieme" fece Chuuya improvvisamente.
Kouyou si girò verso di lui stupita: "Davvero? E me lo dici così?"
Chuuya alzò leggermente le spalle, rivolgendo un sorrisetto alla donna, che gli rivolse una delicata carezza sul viso: "Auguri, caro."
"Grazie" rispose Chuuya; si sentiva sereno come non mai, finalmente libero dal peso che l'aveva a lungo tormentato.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Appuntamento ***


Chuuya non si aspettava una chiamata da parte di Mori quel pomeriggio.

Gli giunse nel bel mezzo di una partita a biliardo con Dazai, subito dopo aver messo in buca una palla ed essersi sorbito l'ennesimo commento pungente su quanto la stecca fosse più alta di lui; intimò all'altro di tacere e rispose.

"Ho una sorpresa per te" gli disse Mori col suo fare misterioso, senza neanche dargli il tempo di parlare.

Mille domande si insinuarono nella sua testa, curioso di sapere cosa volesse il boss, ma anche lievemente inquietato dal tono con cui gli si era rivolto: nonostante lavorasse per lui da quasi due anni non riusciva ad abituarsi al suo modo di fare ambiguo.

"Devo andare, continuiamo dopo" disse poggiando la stecca sul tavolo, guadagnandosi un'occhiata delusa da parte di Dazai e iniziando ad avviarsi verso l'uscita.

"Ma come, non mi saluti?" fece l'altro raggiungendolo e protendendo il viso verso il suo.

"No, niente romanticherie per te oggi" disse Chuuya secco, voltandosi: "Così impari a prendermi in giro."

"Sei cattivo..." commentò Dazai amareggiato.

Chuuya non gli rispose e si diresse verso l'ufficio di Mori, che stava ad aspettarlo con un sorrisetto enigmatico in viso: "Allora..." iniziò: "Sto per prendere una decisione importante, ma abbastanza rischiosa."

Il ragazzo annuì, incitandolo a proseguire.

"Posso fidarmi di te, Chuuya?"

"Spetta a lei decidere se fidarsi o meno."

La risposta accorta del giovane fece crescere un ghigno compiaciuto sulle labbra di Mori: "Voglio nominarti esecutore. Se non sbaglio l'idea ti attraeva una volta."

Un sorriso stupito si fece largo sul viso di Chuuya: "Davvero?"

"Già. A dir la verità quella sera avrei voluto far diventare esecutore anche te, insieme a Dazai. Ma ho preferito aspettare che diventassi un po' più... maturo e riflessivo. È un ruolo molto importante, capisci?" 

"Certamente."

"Ma ora penso tu sia pronto. Sei uno tra i membri più produttivi e penso che te lo meriti. So che non mi deluderai e farai del tuo meglio, come al solito."

"Non la deluderò, boss" rispose Chuuya ampliando il suo sorriso.

Felice come non mai tornò al locale dove, con sua sorpresa, Dazai si trovava ancora, intento a poltrire su uno dei numerosi divanetti.

"Sei ancora qui?" gli chiese stupito.

"Ti stavo aspettando, gnomo" fece Dazai alzandosi e andandogli incontro.

"Non è così che ci si rivolge ad un esecutore" rispose Chuuya con un ghigno altezzoso.

"Esecutore? Sei serio?" domandò l'altro scettico.

"Serissimo. Il boss ha detto che sono tra i più bravi dell'organizzazione, che me lo merito, che..."

"D'accordo, d'accordo" proruppe Dazai tappandogli la bocca: "Bravo. Rimani comunque uno gnomo."

Chuuya si scostò violentemente dall'altro, per poi tirargli un pugno sul braccio: "Rispettami."

"Ma se sono esecutore da più tempo di te!"

"Ma io sono più bravo!"

"A fare schifo? Sì, certamente!"

Uno sguardo omicida prese posto sul viso di Chuuya; Dazai ebbe l'accortezza di allontanarsi rapidamente da lui, ridacchiando alla sua reazione.

"Stavo scherzando!" esclamò quest'ultimo, riavvicinandoglisi nonostante si aspettasse altri colpi: "Sai che non lo penso veramente" disse, cercando di usare un tono caldo.

"Puoi pensare quello che ti pare, non mi interessa" ribatté Chuuya.

"Scherzi a parte, congratulazioni. Non pensi dovremmo festeggiare?"

"Per te ogni scusa è buona per festeggiare..."

"Ma questa è una scusa ottima!"

"E che vorresti fare?"

"Non saprei..."

Chuuya sbatté le mani sulle cosce con fare scocciato: "Hai mangiato?" chiese dopo un po'.

"No."

"Allora... che ne dici se andassimo a cena fuori?" 

"E dove? In uno di quei ristoranti stravaganti di tua conoscenza?" lo stuzzicò Dazai.

"Sei tu che non sai apprezzare la vera cucina!" sbottò Chuuya.

Dazai sorrise divertito: "Oh, Chuuya! Come potrei rifiutare un invito a cena da te, mio diletto?!"

"Piantala. Dai, prendi la giacca e andiamo."

"Agli ordini, signor esecutore" rispose Dazai, poi uscirono dal locale. 

Dopo alcuni minuti di cammino Chuuya si fermò davanti all'ingresso di un ristorante. 

Da fuori appariva lussuoso e sicuramente non era un posto per giovani come loro, ma il loro ceto sociale gli permetteva di mangiare in posti come quello. 

Chuuya entrò per primo e Dazai rimase non poco sorpreso quando non gli tenne la porta come faceva di solito. Pensò di prendere l'iniziativa, offrendogli la sedia quando raggiunsero il loro tavolo, ma Chuuya lo guardò severo e andò a sedersi sull'altra.

"Che hai?" chiese a bassa voce Dazai una volta seduto.

"Non fare gesti carini, questa non è una cenetta romantica" rispose acido Chuuya: "Nessuno dovrebbe sapere che stiamo insieme."

Dazai ci rimase leggermente male, ma cercò di non darlo a vedere: "D'accordo, siamo due semplici amici a cena fuori" ridacchiò poi.

Chuuya rimase a studiare il menù per una buona ventina di minuti: valutare quale piatto contenesse meno grassi richiedeva tempo e, anche se non voleva darlo a vedere, ci teneva a mantenersi in forma. Dazai contribuiva a rallentare la sua attività chiedendo informazioni su ogni singola portata.

"Hai finito di fare domande?!" chiese Chuuya spazientito, ma senza alzare la voce, all'ennesima domanda del compagno.

"E tu hai finito di fissare il menù senza decidere?" ribatté Dazai.

Chuuya emise un verso scocciato e chiamò il cameriere, che era già passato almeno tre volte a chiedere se fossero pronti ad ordinare. Finirono per prendere entrambi del curry al maiale nero, anche se Dazai prima di dire cosa desiderasse fece perdere propositamente tempo al cameriere con altre domande inutili sulle pietanze, solo per il gusto di irritare Chuuya: "Perché devi sempre farti riconoscere?!" chiese quest'ultimo una volta che l'inserviente se ne fu andato.

"La prossima volta impiegherai di meno a scegliere" spiegò Dazai, uno sorrisetto strafottente stampato sulle labbra.

"Ci tengo a sapere cosa sto mangiando" disse irritato lui.

"Hai solo un palato molto viziato" lo sfotté ancora l'altro.

"Raffinato, non viziato" precisò Chuuya.

"Sì, sì, come vuoi tu" disse Dazai con noncuranza per terminare lì quella discussione inutile: "Comunque... bell'atmosfera"  commentò, guardandosi intorno.

"È uno dei migliori ristoranti della città" gli disse Chuuya.

"Fortuna che abbiamo trovato posto anche senza prenotazione."

"Non parlarmi di prenotazioni..."

Dazai scoppiò a ridere in un modo decisamente troppo rumoroso per un posto di classe come quello.

"Abbassa la voce" sibilò Chuuya.

"Scusa" disse Dazai ricomponendosi: "Ma non posso far a meno di ridere quando ripenso all'albergo..."

"Finiscila."

"E a come eri imbarazzato a dormire con me..."

"Zitto."

"E alle sbirciatine che mi davi!" qui alzò la voce, ricominciando a ridacchiare; un po' di persone si girarono verso di loro, scandalizzati.

Chuuya fece di tutto per cercare di nascondere il viso nel fazzoletto: "Al ritorno te ne faccio pentire" minacciò.

"Sei tutto rosso!" continuò Dazai, senza ottenere risposta dall'altro.

Finalmente il cameriere arrivò con i loro piatti e iniziarono a mangiare; Dazai si curò di lamentarsi ad alta voce di quanto il cibo fosse bollente, suscitando altre occhiate.

"Ci fissano tutti" sussurrò Chuuya all'improvviso guardandosi intorno con la coda dell'occhio.

Dazai ci fece caso solo quando glielo fece notare l'altro, e dopo aver rivolto lo sguardo all'ambiente circostante disse: "È sicuramente colpa del tuo abbigliamento, Chuuya!"

"Cosa? Che c'entro io?! Sei tu che ti comporti come un bambino! Non sai stare un attimo fermo!" 

"Non sono io, sarà quel cappello ridicolo che indossi sempre..." ribatté Dazai alzando le spalle.

"La tua faccia è ridicola."

"Però ti piace tanto, altrimenti non staresti con me, o sbaglio?" iniziò suadente l'altro.

Chuuya si guardò intorno, terrorizzato all'idea che qualcuno potesse sentirli.

"E poi..." continuò Dazai sporgendosi verso di lui: "So che l'hai pensato anche tu mentre eravamo in quel letto insie-"

Non riuscì a finire la frase che Chuuya gli tirò un calcio da sotto il tavolo, facendolo sobbalzare e sovrastando il rumore basso delle posate sui piatti nel locale: "Stai zitto!" sibilò, cercando di preservare l'ultimo briciolo di decenza che gli rimaneva.

Con profondo orrore si accorse che tra i clienti più anziani si erano sollevati brusii e occhiate che la dicevano lunga su quanto le nuove generazioni fossero irrispettose.

Chuuya finì di mangiare in fretta e furia, poi si mise in piedi, prendendo Dazai per il colletto e obbligandolo ad alzarsi a sua volta, nonostante le sue proteste: "Ehi, io voglio il dolce!"

"Non me ne frega un cazzo, andiamo via" disse Chuuya a bassa voce.

I secondi in cui coprirono la distanza dal loro tavolo alla cassa furono tra i più lunghi della sua vita: sentiva gli sguardi sconcertati di tutti gli altri puntati addosso, e ci volle tutta la sua forza di volontà per continuare a guardare dritto davanti a sé.

Dopo che ebbero pagato uscirono dal ristorante, e la bomba esplose: "Portarti a cena fuori è stata l'idea più stupida, inutile, avventata e malsana della mia vita!" urlò a Dazai, la voce molto più acuta rispetto al normale, il viso rosso dalla collera.

"Io mi sono divertito."

"Tu ti diverti sempre a rovinarmi la giornata!" esclamò di nuovo Chuuya: "Lì dentro era pieno di gente che ci guardava in un modo... orrido! E tutto per colpa tua!"

"Che ti importa della gente, tanto non torneremo di nuovo qui, no?" disse Dazai con un'alzata di spalle.

Chuuya rimase a fissarlo oltraggiato: "Ma perché sei... così?!"

Dazai gli si avvicinò lentamente, per poi stringerlo e lasciargli un lieve bacio sulla guancia: "Così impari ad evitare i miei gesti carini."

Chuuya si scansò, arrossendo leggermente, poi iniziò ad incamminarsi verso casa senza dire nulla; non sarebbe più uscito con Dazai, ne era sicuro. Mai più.



Angolo Autrici:
Perdonate il ritardo colossale ma questa settimana è stata assurda per entrambe: tra febbre, verifiche e blocco dello scrittore ci siamo ridotte a scrivere il capitolo in fretta e furia in due giorni, quindi speriamo perdonerete anche la mancanza di qualità. :D
Grazie per l'attesa e la pazienza,
A&G

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Convivenza ***


"Vuoi darmi una mano o no?!" urlò malamente Chuuya al compagno, impegnato ad osservare il paesaggio circostante seduto su una delle numerose scatole appena trasportate.
Ne poggiò un'ennesima proprio accanto a lui, per poi tirarsi su sbuffando per la fatica.
"Chuuya, sei il miglior combattente della Port Mafia; tu sei forte, mentre io... guardami!" esclamò Dazai in tono melodrammatico: "A malapena riesco a reggermi in piedi..." disse, buttandosi a peso morto sulle scatole.
"Attento, lì ci sono le cose fragili!" ringhiò l'altro, iniziando a ricoprirlo dei più coloriti insulti. Era tutta la mattina che trasportavano scatoloni dal camion all'appartamento, e Chuuya si era lamentato innumerevoli volte della pigrizia del compagno, che replicava affermando che per lui non era troppo dura portare cose pesanti, gli sarebbe bastato manipolare i vettori di gravità con la sua abilità. 
"Io mi chiedo perché continuo a darti corda..." mormorò Chuuya tra sé e sé.
"Ma eri così entusiasta all'idea di andare a vivere insieme!" gli ricordò Dazai.
"La proposta me l'hai fatta tu!" ribatté Chuuya.
"Ma tu hai accettato di buon grado!"
"Solo perché non credevo sarebbe stata così dura."
"E siamo solo all'inizio!" cinguettò Dazai: "Imparerai a farci l'abitudine."
"Ora smettila di parlare e aiutami" disse Chuuya acido.
Dazai si alzò con finta fatica e obbedì; nonostante avesse continuato a lamentarsi per tutto il giorno, in due il lavoro fu molto più rapido, e già dal primo pomeriggio avevano finito di trasportare tutti gli scatoloni dentro la nuova casa.
Chuuya dovette ammettere che Dazai aveva fatto davvero un'ottima scelta; anche se l'appartamento non era troppo grande aveva un'atmosfera molto intima e accogliente: gli piacque sin da subito.
Il resto della giornata lo passarono a mettere a posto le cose più importanti, come i vestiti, e a comprare oggetti per la prima necessità che mancavano in casa, tra cui stoviglie, prodotti per la pulizia e cibo.
Tuttavia, anche una semplice azione come andare a fare la spesa fu devastante per Chuuya: il suo compagno, infatti, sembrava provasse particolare gusto nel farlo innervosire, riempiendo il carrello con sacchetti di patatine.
L'altro si portò le mani tra i capelli: "A che cosa ti servono..." si fermò un istante ad osservare le confezioni: "Venti pacchetti di patatine?!"
"Vedi, Chuuya..." iniziò a spiegare Dazai prendendone uno e mettendoglielo davanti al naso: "C'è la sorpresa dentro. Voglio collezionare i pupazzetti degli alieni!"
"Dazai" sospirò Chuuya, quasi in preda ad un esaurimento nervoso: "Vai a posarli immediatamente. Non voglio ritrovarmi a trasportare buste su buste di patatine fino a casa, non abbiamo neanche una macchina."
"E allora non ti compro il vino."
Chuuya rimase a fissarlo per un po', combattuto. Ora che vivevano da soli poteva finalmente bere quanto voleva senza far preoccupare Kouyou, e Dazai era l'unico tra i due che potesse comprare alcolici: aveva ancora i documenti falsi che gli erano serviti in albergo più di due anni prima; inoltre, a Chuuya non avrebbero mai venduto quel tipo di bevande, dato che sembrava più piccolo della sua età.
Sbuffò scocciato: "Porti tu le buste."
Dazai sfoderò un sorrisetto soddisfatto: come al solito, aveva ottenuto ciò che voleva.
Nei giorni seguenti si impegnarono a completare la sistemazione e l'arredamento, dal momento che mancavano alcuni mobili.
Ci impiegarono circa una settimana a preparare la casa alla convivenza che, proprio secondo le previsioni di Chuuya, fu per lui più dura di quanto si aspettasse: Dazai si era dimostrato una persona alquanto disordinata e a nulla servivano i rimproveri che gli rivolgeva ogni volta che trovava qualcosa fuori posto, siccome Chuuya, al contrario, ci teneva alla sua nuova casa e faceva di tutto per renderla sempre impeccabile. 
Come se non bastasse, dovettero dormire per più notti consecutive arrangiati su delle lenzuola ammassate sul pavimento, per colpa di quel genio del fornitore che aveva spedito il materasso a Osaka. 
"Come si può confondere Yokohama con Osaka?!" si lamentò Chuuya; l'unico lato positivo di tutto quel disastro era che, alla fine, avevano ricevuto il materasso in regalo per scusarsi del disagio.
Dazai doveva avere una particolare predilezione per i letti, poiché non appena finirono di sistemare le lenzuola sul materasso appena arrivato, questi ci si buttò sopra a peso morto, lamentandosi di quanto fosse stancante traslocare e di quanto avesse faticato quel giorno. 
Il suo respiro si mozzò per un attimo quando Chuuya, con la grazia di un elefante, si sedette a cavalcioni su di lui. Iniziò ad accarezzargli lentamente il petto, guardandolo languidamente dall'alto della sua posizione.
"Che intenzioni hai?" disse improvvisamente Dazai.
La fronte di Chuuya si corrugò e un'espressione delusa comparve sul suo viso. Si abbandonò su di lui, poggiando il viso tra il collo e la spalla del compagno, inspirando a fondo il suo profumo per poi sbuffare: "Devi sempre rovinare tutto" mormorò leggermente irritato, mentre giocherellava con il primo bottone della camicia del compagno nel tentativo di sfilarlo dall'asola. 
Dazai sorrise meschino, gli afferrò i polsi e con una rapida mossa lo portò sotto di sé, ribaltando le posizioni. Chuuya lo guardò perplesso a occhi sgranati, e sentì il viso prendere calore quando lo vide sbottonarsi la camicia. Se la sfilò lanciandola via, senza badare a dove sarebbe caduta, poi passò a prendersi cura del partner, con la massima tenerezza di cui era capace; in quel momento Chuuya si chiese, come poteva una mano che torturava e uccideva essere così delicata?
"Ho capito bene che intenzioni hai" sussurrò Dazai a pochi centimetri dalle sue labbra, che baciò con passione, e in quel letto si amarono a lungo in quella notte.
Il giorno dopo, la prima cosa che Dazai vide fu la schiena nuda di Chuuya, che dormiva raggomitolato su se stesso. Ricordava che la sera precedente si erano addormentati abbracciati, ma probabilmente il compagno si era spostato perché soggetto a una posizione scomoda.
(O forse perché ti vergogni...)
Rimase per un po' ad osservare quel corpo che aveva fatto suo quella notte: i tratti del suo viso, perennemente corrugati, nel sonno si distendevano, conferendogli un'aria beata e tranquilla.
Sorrise leggermente, passando una mano su tutta la lunghezza del fianco di Chuuya; lo sentì muoversi, emettendo un grugnito infastidito.
Decise di lasciarlo in pace a riposare, così si alzò lentamente dal letto e, dopo essersi infilato la camicia che la sera prima aveva disordinatamente lanciato sul pavimento, si diresse in cucina per preparare la colazione, cercando di farlo il più silenziosamente possibile e senza far saltare in aria nulla.
Quando tornò in camera con il vassoio tra le mani Chuuya si era appena svegliato. 
Lo accolse con un sorriso: "Buongiorno" gli disse allegramente.
"Ciao" rispose l'altro, ancora assonnato. Poi, quando vide cosa reggeva tra le mani, spalancò leggermente gli occhi, stupito: "È per me?" chiese incerto; Dazai non gli aveva mai dato l'idea di qualcuno propenso a cucinare, tanto meno a portare la colazione al letto.
"Certamente" gli rispose lui porgendogli il vassoio.
Chuuya si tirò su puntellandosi sulle braccia, emettendo un lieve gemito di dolore ma cercando di non darlo a vedere. Dazai, però, se ne accorse, e quello bastò a ricordargli il motivo per cui gli avesse effettivamente preparato la colazione.
Si sedette accanto a lui: "Scusami, non volevo farti male" disse improvvisamente.
Quella era stata la sua prima volta e Dazai, preso dalla foga, c'era andato giù pesante, finendo per fargli più male del previsto anche a causa dell'inesperienza. Avrebbe dovuto essere più delicato, considerando che era stata la prima volta anche per Chuuya.
"Non ti preoccupare" lo tranquillizzò quest'ultimo: "Sto bene" aggiunse abbassando gli occhi e sperando che il discorso cadesse lì. 
Si vergognava come un cane ad esserglisi concesso, ma non riusciva a negare che fosse stato bello provare una simile esperienza con Dazai. 
"La tua prima volta con un uomo, l'avresti mai immaginata?" disse quest'ultimo mentre finivano di mangiare.
Chuuya non seppe cosa rispondere e rimase a guardarlo in silenzio per un po', finché un leggero sorriso non apparve sulle sue labbra: "A dire il vero, non avrei mai immaginato saresti stato tu."
"Però sapevi sarebbe stato un uomo?" chiese retoricamente Dazai guardandolo con un sorrisetto odioso, che non scomparve neanche quando l'altro gli tirò violentemente un cuscino addosso. Per tutta risposta lui raccolse alcuni degli indumenti da terra e glieli lanciò: "Vestiti, siamo già in ritardo."
Chuuya si chiese se stesse parlando sul serio: "È già un miracolo se riesco a sedermi, Dazai..." disse sofferente. 
"Vorrà dire che starai in piedi."

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Akutagawa ***


"Vieni con me" gli aveva detto quel ragazzo, dopo aver ucciso tutti i suoi nemici alcuni minuti prima.
"Ti darò una ragione per cui vivere" gli aveva detto; e lui aveva acconsentito a lasciarsi guidare da quell'estraneo che da subito lo aveva tanto affascinato. Il primo e l'unico che gli aveva fatto provare qualcosa che non fosse odio.
Akutagawa non aveva provato tante emozioni in vita sua. La prima che si era fatta strada dentro di lui era l'odio, la seconda era stata l'ammirazione, che non credeva avrebbe mai provato per un uomo di cui conosceva appena il nome. 
Dazai si incamminò facendogli cenno di seguirlo, forse nel tentativo di metterlo a suo agio. 
"Dove andiamo?" chiese il più giovane, la voce arrochita come se non parlasse da giorni.
"Per stanotte puoi stare a casa mia, domani chiederò al boss un appartamento tutto per te."
Akutagawa sussultò a quelle parole. Era scettico, non riusciva a capacitarsi di come un completo sconosciuto potesse offrirgli di punto in bianco una nuova vita, senza neanche essersi curato di indagare sul suo conto.
Per di più, sebbene la vita che aveva condotto fino a quel momento fosse stata misera, con il sangue e la sofferenza a prevalere, l'idea di avere una casa tutta sua lo faceva sentire stranamente a disagio. Non era aperto a quel tipo di cambiamento, non sapeva come si sarebbe dovuto comportare, abituato com'era a quel tenore di vita che ormai considerava quasi la normalità.
Rimase fermo dov'era, guadagnandosi un'occhiata interrogativa da parte di Dazai: "Non vieni?" gli fece, inclinando leggermente la testa.
"Manca qualcuno" rispose l'altro.
Udirono dei rapidi passi avvicinarsi a loro, uno dopo l'altro. Si fermarono quando davanti a loro apparve una ragazzina, i capelli lunghi e neri, eccessivamente magra e pallida proprio come Akutagawa, gli occhi grigi, uguali ai suoi, circondati da occhiaie scure. Nonostante il suo aspetto trasandato, però, aveva un qualcosa di grazioso e volitivo allo stesso tempo.
"Ce l'ho fatta" disse lei lanciando uno sguardo risoluto al ragazzo, che si spense quando si accorse dello sconosciuto che stava vicino a lui; gli rivolse un'occhiata perplessa.
"Lei è Gin, mia sorella. Gin, lui è..." abbassò la voce incerto: "Il signor Dazai" disse poi, con soggezione.
"Suvvia, togli quel 'signor', mi fai sentire un vecchio!" esordì Dazai, aspettandosi l'ilarità generale, ma ricevendo solo occhiate timorose.
Cacciò un risolino: "D'accordo, Gin. Penso proprio dovrai venire anche tu con noi."
Per tutto il tragitto i due più giovani stettero sempre in silenzio, scambiandosi occhiate di supporto; a Dazai sembrarono due prigionieri condannati al patibolo.
Cercò di intrattenere una conversazione con loro, facendogli alcune domande sulla loro vita nel tentativo di conoscerli meglio, ma i due rispondevano a monosillabi, con il tono di voce appena udibile. Non si fidavano completamente di Dazai.
Akutagawa iniziava a sentire una sorta di timore nei suoi confronti, in parte per quello che aveva fatto poco prima, e in parte perché sentiva di dovergli rispetto e gratitudine per averli scorti sul fondo del baratro e tirati fuori.
Sebbene Dazai continuasse a cianciare amichevolmente di argomenti che andavano dalla vita nella Mafia al bel tempo in quei giorni a Yokohama, Gin si era artigliata al braccio del fratello e non sembrava intenzionata a staccarvisi.
"Che ne dici? Non sembra male la Mafia" bisbigliò timidamente, guardando Dazai di sottecchi.
Quest'ultimo l'aveva udita comunque: "Non lo è, infa-"
"Non è roba per te, Gin" le ringhiò il fratello, interrompendo il ragazzo più grande e fulminando la sorella con uno sguardo, che lei non faticò a sostenere, probabilmente abituata a quel genere di discussioni.
"Saprei cavarmela da sola, comunque" borbottò lei.
"Finiscila" la troncò Ryunosuke.
Gin alzò gli occhi al cielo. Sapeva che suo fratello diceva quelle cose per proteggerla, ma a volte le sembrava esagerasse; erano anni che vivevano per strada e molte volte si erano ritrovati a dover combattere per la sopravvivenza, talvolta quasi sfiorando la morte.
Ma, nonostante l'esperienza accumulata da entrambi dopo tutto quel tempo, il ragazzo non voleva cedere a farle affrontare situazioni pericolose e preferiva farsi carico di tutte le responsabilità.
Dazai li osservò battibeccare leggermente divertito,
(sembriamo io e Chuuya)
per poi annunciare l'arrivo a destinazione: "Eccoci qua, casa dolce casa!" esordì aprendo la porta; trovò il partner sul divano, con un libro in una mano e un bicchiere di vino nell'altra, probabilmente ad aspettarlo.
Non gli diede neanche il tempo di entrare, che lo accolse con un: "Dove cazzo sei stato?"
Dazai rise leggermente in risposta: non poteva biasimarlo, era rimasto fuori per quasi tutto il giorno e, quando faceva più tardi del solito, doveva sorbirsi le lamentele di Chuuya, che si metteva in testa fosse andato ad ammazzarsi o chissà cosa.
Continuò a sbraitare: "Ti sembra questa l'ora di rientra-" si interruppe quando vide i due ragazzini: "C-chi... loro, chi..." farfugliò, scoccando a Dazai un'occhiata perplessa.
"Buonasera, Chuuya! Loro sono Gin e Ryunosuke Akutagawa, staranno nostri ospiti stanotte."
L'altro ebbe un tic all'occhio: "Ma..."
"Vi preparo qualcosa da mangiare, d'accordo?" disse Dazai, interrompendo la prevedibile lamentela del compagno e fiondandosi in cucina a trafficare con piatti e fette di pane.
Chuuya rimase seduto sul divano, a fissare i due ragazzini in imbarazzo, per poi raggiungere Dazai in cucina: "Si può sapere da dove cazzo li hai pescati quei... cosi?!"
"Una delle bande malavitose affiliate alla nostra organizzazione ha ucciso tutti i loro compagni e io gli ho... dato una mano a sterminarli."
"Perché?!"
"Quel ragazzino ha del potenziale, potrebbe giovare non poco alla Port Mafia" spiegò Dazai: "Dopo un po' d'allenamento, è chiaro."
"Quello? Ma è un morto!"
"Oh, non far caso al suo aspetto trascurato, ti assicuro che potrebbe diventare uno dei più forti" si avvicinò lentamente a Chuuya: "Forse anche più di te..." lo provocò. Sapeva che colpendo il suo orgoglio sarebbe stato più facile convincerlo.
"Col cazzo!" esclamò lui spingendolo via: "Non voglio dei mocciosi in casa!"
"Sarà solo per una notte, te lo prometto."
"Non li voglio nemmeno per una notte!"
"Qual è il problema?" domandò Dazai.
"Non li conosciamo, e poi non mi piacciono i bambini."
"Non sono così piccoli come credi, il ragazzo ha due anni meno di noi."
"Sono comunque bambini" disse Chuuya stizzito, incrociando le braccia.
"Forse ho capito il tuo problema..." iniziò Dazai mellifluo.
"Cosa?" chiese incerto Chuuya, temendo la risposta dell'altro.
"Non vuoi gente in casa perché così non posso darti attenzioni."
"Non è per quello!" esclamò Chuuya arrossendo: "E poi, dove li mettiamo a dormire?"
"Nel nostro letto" rispose Dazai semplicemente.
L'altro lo guardò a bocca spalancata: "No" disse fermamente: "Questo non lo accetto, non esiste che due estranei dormano nel nostro letto. Abbiamo un divano e un futon, per quale motivo devono dormire lì? È già tanto se ti sto dando il permesso di fare questa stronzata!"
Dazai rise: "Ma non eri quello che teneva tanto a nascondere la nostra relazione?" domandò retoricamente, curandosi di alzare la voce.
"Devi stare zitto!" lo ammonì l'altro mettendogli una mano davanti alla bocca e guardandosi intorno.
"Non possiamo dormire insieme, quindi. Uno di noi dorme sul divano, l'altro sul futon, è così semplice."
Si guardarono per un po', poi Chuuya sospirò: "Il divano è mio."
"Certo, non voglio recarti altro disturbo, mio caro" disse Dazai con voce calda. Un'altra volta aveva avuto la meglio in un discussione con il compagno.
"Vado a fare il letto" disse Chuuya sconsolato.
Dazai finì di preparare da mangiare e portò i piatti ai due nuovi arrivati che, nel frattempo, parlottavano tra di loro; si ammutolirono non appena lo videro.
"Buon appetito" disse lui, servendogli la cena improvvisata, su cui si fiondarono avidamente senza neanche ringraziarlo.
Li osservò per un po' poi, ben pensando che i due volessero stare da soli, si diresse verso la camera da letto, dove Chuuya sistemava le lenzuola borbottando tra sé e sé parole poco gentili nei confronti di Dazai, interrompendosi di botto quando quest'ultimo sopraggiunse nella stanza.
"Sei un idiota" fece acidamente.
Dazai non gli rispose, aprì l'armadio e prese alcuni indumenti.
"Che fai?" chiese Chuuya.
"Dovranno pur dormire con qualcosa di pulito, no?"
"Non azzardarti a dargli roba mia" ringhiò Chuuya.
"I miei vestiti sono troppo grandi per Gin" disse Dazai, prendendo una vecchia maglietta del compagno e due paia di qualcosa che assomigliasse a dei pantaloni di un pigiama.
"Io giuro che ti uccido."
"Ma questa non la metti mai!" esclamò l'altro, prendendo un'altra maglietta, questa volta per il ragazzo, e dileguandosi prima che Chuuya potesse fargli seriamente male.
Poco dopo i due fratelli erano nel letto dei loro benefattori, il profumo delle lenzuola pulite riempiva le loro narici aiutando a conciliare il loro sonno. Non gli sembrava vero di avere un morbido materasso sotto di loro, al posto del cemento duro e polveroso su cui erano abituati a dormire. Ryunosuke dava le spalle a sua sorella, rannicchiato sul ciglio del letto. Non si era nemmeno curato di darle la buonanotte, e Gin non poté negare di esserci rimasta male; gli poggiò una mano sulla spalla e lo scosse leggermente, titubante: "Tutto bene?" gli chiese con premura.
"Sì" gracchiò lui atono. 
"Sei preoccupato?"
"No."
Gin non ci credette neanche per un istante, ma decise di lasciarlo stare ai suoi pensieri: "D'accordo" gli disse; si sporse verso di lui e gli lasciò un delicato bacio sulla guancia. Ryunosuke sussultò appena a quel contatto. Non era abituato al contatto fisico, né lo amava particolarmente, ma sua sorella era un'eccezione, lei aveva privilegi che non concedeva a nessun'altro, era l'unica persona che era stata da sempre al suo fianco senza mai lasciarlo, e non poté negare che quel gesto di benevolenza così genuino e improvviso gli avesse fatto piacere. Raramente si dimostravano affetto così apertamente, Gin era sicuramente la più incline dei due a farlo, eppure ogni giorno si prendevano inconsciamente cura l'uno dell'altra. Anche se lui era sempre freddo, si premurava di farla essere la sua priorità sempre e comunque, anche nelle cose più semplici. Ed era quello il loro modo di dimostrarsi amore: far sentire la loro presenza vicendevolmente.
Gin si girò a sua volta; il fruscio delle lenzuola fu l'ultimo rumore che sentirono in quella giornata.
La mattina successiva Chuuya poté stabilire che il divano era meno comodo di quel sembrasse, quindi era nervoso ancor prima di alzarsi e pensò bene di riversare tutta la sua rabbia su Dazai, che tra l'altro era una delle cause del suo malumore, gettando violentemente un cuscino sul futon accanto a lui, che però era già vuoto. 
"Buongiorno" si sentì dire dall'inconfondibile voce squillante del suo compagno: "Credevi stessi ancora poltrendo nel futon? Invece guarda! Ho preparato la colazione!" cinguettò Dazai indicando la tavola già imbandita delle più succulente pietanze che i due fratelli fino al giorno prima potevano solo sognare; Gin era non poco entusiasta all'idea di poter finalmente poggiare i denti su tutti quei dolci che di solito ammirava da dietro le vetrine dei negozi e iniziò a mangiare avidamente e senza troppi complimenti.
Nel frattempo Ryunosuke, appena uscito dalla vasca, era in piedi davanti allo specchio del bagno, intento ad aggiustarsi il colletto della camicia che gli era stata data, e si sentì sollevato nell'avere di nuovo qualcosa addosso. Non amava fare il bagno, non che ne avessi fatti molti prima di allora, ma stare senza vestiti equivaleva a non poter usare la propria abilità e si sentiva vulnerabile.
Quella volta fu particolarmente gratificante sentire finalmente della stoffa pulita strusciare contro la pelle. Afferrò la giacca nera che Dazai gli aveva poggiato sulle spalle la sera precedente e rimase a guardarla, accarezzandone delicatamente il tessuto, affascinato e terrorizzato all'idea di ciò che sarebbe stato in grado di fare indossando quel semplice indumento. 
Se la infilò: gli stava larga in vari punti, quasi toccava terra, e dovette ripiegare di poco le maniche. Del resto, lui era molto più basso di Dazai, il suo fisico era più minuto a causa della sua fragile costituzione, e stare a digiuno un giorno sì e l'altro pure in tutti quegli anni non lo aveva di certo aiutato. 
Diede un'ultima controllata al suo vestiario, uscì dal bagno e raggiunse gli altri, tutti radunati attorno al tavolo.
Gli fece piacere che almeno sua sorella stesse intrattenendo una conversazione con i padroni di casa, visti da lontano gli sembrarono quasi una
(famiglia?)
"Eccoti, finalmente" gli disse Dazai alzandosi dal tavolo: "Andiamo, ragazzi."
"Dal boss?" chiese Gin.
"Proprio così. Sono sicuro che farete un figurone e vi accoglierà a braccia aperte tra le sue reclute." 
Gin fece per alzarsi, ma si bloccò quando vide suo fratello pararsi davanti a Dazai: "Lei non viene."
Provò a contestare, ma un'occhiata fulminante di Ryunosuke la zittì. 
"E perché no?" chiese Dazai incrociando le braccia.
"Lei non viene, ho detto" ripeté il giovane, più fermamente.
Dazai si scambiò un'occhiata con Chuuya, rimasto leggermente stupito dalla risposta gelida del ragazzo. Come si permetteva quel moccioso ad usare un tono del genere davanti a due esecutori? Era certo che il partner gli avrebbe dato una lezione, ma, al contrario, egli si limitò a dirgli: "Come desideri"; la sua voce era calma, ma il suo sguardo tagliente bastò a far abbassare la testa ad Akutagawa.
"Sta' con lei, Chuuya. E fate i bravi" disse, rivolto al suo partner.
"Sicuramente" rispose l'altro fissando la ragazzina: Dazai l'avrebbe pagata per averlo lasciato a casa da solo con quella ragazzina. L'avrebbe pagata molto, molto cara.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Nuove Reclute ***


"Avanti" disse una voce totalmente sconosciuta ad Akutagawa, ma che Dazai conosceva fin troppo bene. 
Il ragazzo più grande entrò per primo, poi fece cenno all'altro di seguirlo e si ritrovarono entrambi al cospetto del boss.
"È lui?" chiese egli riferendosi al nuovo arrivato.
"È lui" confermò Dazai.
"Come ti chiami, caro?" chiese Mori direttamente al giovane.
"Ryunosuke Akutagawa."
"Hai trovato solo lui?" domandò ancora l'uomo rivolgendosi nuovamente a Dazai.
Il ragazzino lo precedette rispondendo al posto suo: "Sì" mentì. Voleva continuare a proteggere sua sorella, specialmente da quell'uomo che non gli ispirava affatto fiducia.
"No, ha una sorella" disse Dazai rivelando subito la verità. Akutagawa si voltò di scatto, dedicandogli uno sguardo che avrebbe fatto gelare il sangue a chiunque, ma non a Dazai, che prima che il ragazzino potesse ribattere qualunque cosa, ricambiò con un'occhiata altrettanto fulminante; bastò a far zittire Akutagawa che, essendo solo insieme a due uomini potenzialmente pericolosi, decise di mantenere un basso profilo. Non sarebbe servito ugualmente a proteggere Gin.
"Farò finta di non aver mai udito quella piccola bugia da parte tua" disse Mori mentre lo squadrava da capo a piedi: "Parliamo di cose serie, piuttosto" continuò tornando a volgere la sua attenzione a Dazai: "Perché pensi ci possa essere utile?"
"Ha del potenziale, potrebbe tornarci utile specialmente nelle squadre d'attacco" spiegò Dazai.
"E la sorella, invece?"
"Gin, beh... sembra abbastanza agile."  
"Quindi potremmo usarla per lo spionaggio o i lavoretti in cui serve un po' più di... discrezione" disse Mori, con un sorrisetto enigmatico.
Fu come se una mano gelida si fosse rimescolata nelle viscere di Akutagawa.
(Bastardo, trattarla come fosse un oggetto.)
"Se pensi potrebbero servirci, bene. Mi fido di te, Dazai."
(Io ti ammazzo. Maledetto bastar-)
"Ehi, ragazzo" chiamò il boss, interrompendo il filo dei suoi pensieri: "Hai una faccia terribile. Di chi è il funerale?" chiese scherzosamente, ridacchiando della sua stessa battuta.
(Il tuo, se non la smetti.)
Akutagawa sentì un moto di rabbia improvviso prendere il sopravvento: nessuno doveva permettersi di prenderlo in giro. Nessuno.
"Mia sorella è poco più che una bambina" sibilò, stringendo i pugni: "Non esiste che entri a far parte della Mafia."
"Non esiste, dici?" lo beffeggiò Mori: "Ti ricordo che sono io a porre le condizioni d'esistenza, qui dentro. Mi sono spiegato?" disse e il suo sorrisetto si spense, facendo posto a un'occhiata penetrante; sulle prime il ragazzo provò a sostenerla, ma la mano di Dazai sulla sua spalla lo fece calmare improvvisamente.
"E poi, non preoccuparti..." disse quest'ultimo: "Tua sorella non avrà alcun problema ad adattarsi, le bambine imparano in fretta, sono un esperto nel campo."
Un brivido corse lungo la schiena di Ryunosuke. Si sentiva decisamente inquietato da quell'uomo. Alzò lo sguardo verso Dazai, ma egli non ricambiò; sembrò, anzi, indifferente a quelle frasi ambigue. 
Il boss prese una chiave e la porse all'esecutore, poi parlò, rivolto al ragazzo più giovane: "Tu e Gin potete stare in questo mio appartamento per un po', poi dovrete andarvene. Ma tranquillo, qui nella Port Mafia i soldi girano facilmente."
Akutagawa annuì piano, senza dire nulla.
Dazai salutò il boss, poi, imitato dal suo nuovo protetto, fece per andarsene, ma il richiamo di Mori lo fece tornare sui suoi passi.
"Facciamo una cosa..." iniziò quest'ultimo: "Tu addestrerai il ragazzo, qui presente. La tua abilità di annullamento è perfetta per farlo esercitare. Di' a Chuuya di occuparsi di Gin, invece; chi meglio di lui per insegnarle a combattere?" chiese retoricamente, allargando le braccia.
Detto questo, li congedò con un gesto della mano.
Il ritorno a casa fu silenzioso e pieno di occhiate deluse da parte di Akutagawa nei confronti di Dazai; da lì in poi sarebbe stato il suo mentore, allora perché non lo aveva difeso? Che cosa se ne faceva la Mafia di una ragazzina, non avrebbero potuto solamente prendere lui?
"Non guardarmi in quel modo" esordì Dazai severamente, interrompendo il filo dei suoi pensieri.
Akutagawa abbassò lo sguardo: "È solo una bambina..."
Dazai schioccò la lingua, poi disse: "È inutile cercare di preservare un'ingenuità che non c'è più."
Quelle parole gli arrivarono come una doccia fredda. Era la verità, se ne rendeva conto, ma voleva comunque evitare di rovinare ulteriormente l'infanzia di sua sorella; Dazai non aveva alcun diritto di intromettersi.
"Ed è inutile che ti ribelli al volere dei tuoi superiori. Qui nella Mafia c'è una gerarchia ben precisa, tentare di fare l'eroe ti porterà solo guai" aggiunse l'esecutore.
Per il resto del viaggio non si dissero più nulla; Akutagawa si sentiva troppo arrabbiato e tradito per poter anche solo formulare una singola frase in cui non mandasse al diavolo il mondo intero, quindi continuò a mantenere la testa bassa mentre, a man a mano, si avvicinavano a quella che era stata la sua abitazione per una notte.

Nel frattempo, Chuuya e Gin erano rimasti a casa insieme; inutile dire che nessuno dei due volesse trovarsi lì in compagnia dell'altro, ma si erano ritrovati costretti.
La prima cosa che fece Chuuya fu attribuire la colpa al suo partner per averlo lasciato da solo con quella ragazzina, maledicendolo interiormente; Gin, invece, riteneva che suo fratello fosse troppo apprensivo nei suoi confronti e che non le lasciasse voce in capitolo per decidere della sua vita.
Erano seduti al tavolo ancora imbandito dalla colazione a lanciarsi sguardi fugaci, a tratti raggelanti.
Ma, pensò Chuuya, dal momento che sarebbe dovuto stare con quella mocciosetta ancora per alcune decine di minuti, tanto valeva provare ad intrattenere una conversazione.
"Dazai è un idiota" capitolò, forse per la millesima volta nella sua vita.
Un vago sorrisetto si fece strada sul viso di Gin; sapeva che quello davanti a lei era uno tra gli uomini più rilevanti della Port Mafia, ma con la sua statura esile, il suo cappello buffo e l'aria perennemente imbronciata non poteva fare a meno di provare curiosità e simpatia nei suoi confronti, anche se le incuteva soggezione.
Era un esecutore, una persona importante, di sicuro non avrebbe potuto parlarci come se fosse un suo coetaneo e non aveva idea di come rapportarsi a lui, quindi non gli rispose; inoltre, non lo conosceva ancora abbastanza bene per intrattenere un dialogo.
Chuuya, insoddisfatto dal silenzio della ragazzina, tentò di risollevare la conversazione con quel tipo di domande che sempre funzionano con i 
(mocciosi)
più giovani: "Quanti anni hai?"
"Dodici" rispose Gin a testa bassa, nel mentre che giocherellava con il suo bicchiere.
"E tuo fratello quindici, giusto?"
"Sì."
Chuuya annuì, poi di nuovo silenzio.
Perché cercare di parlare con quella ragazzina doveva essere così difficile? Forse perché
(è una cosa di famiglia.)
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli e alzando lo sguardo al soffitto.
Continuare a chiedere cose banali come quella non lo avrebbe portato da nessuna parte, avrebbe dovuto trovare qualcosa con cui far decollare un discorso decente.
Oppure, semplicemente, sarebbe potuto andarsene e lasciarla lì a giocare col suo bicchiere; ma chi voleva prendere in giro? Di lasciare un'estranea da sola in casa sua non se ne parlava nemmeno.
"Tra poco entrerai anche tu nella Mafia."
Gin lo guardò brevemente, per poi riabbassare lo sguardo, rivolgendo tutta la sua attenzione al motivo floreale della tovaglia.
(Maledetto Dazai, ma che razza di gente mi hai portato in casa?!)
Chuuya, decise, non avrebbe più parlato a quella ragazzina. Avrebbero passato il resto del tempo insieme senza dire nulla, tra sbadigli, sospiri e imbarazzanti colpetti di tosse.
Incrociò le braccia sul tavolo, per poi poggiarci la testa, iniziando il suo silenzio ostinato.
Gin gli rivolse un fugace sguardo: quella posizione raccolta gli conferiva un aspetto decisamente meno minaccioso, quasi sembrasse un bambino anche lui.
Quel fatto la incoraggiò. In fondo non c'era niente di male a parlare un po' con quel ragazzo; dopotutto, aveva pur sempre ospitato lei e suo fratello, sebbene non ne fosse sembrato molto felice.
Inoltre, Gin era di per sé bendisposta a fare amicizia, anche se Ryunosuke le aveva ripetuto tante volte di non fidarsi degli sconosciuti.
"Mio fratello non vuole che entri nella Mafia, però" disse lei improvvisamente.
Chuuya si stupì nell'udire la sua voce: non credeva che la ragazzina gli avrebbe rivolto la parola, timida com'era, infatti, non appena lui alzò la testa di scatto, Gin abbassò di nuovo lo sguardo, come se avesse pronunciato una scandalosa parolaccia.
"Tuo fratello non potrà sempre decidere per te, lo sai?" chiese Chuuya con un gesto della mano.
Gin lo guardò di traverso, leggermente irritata; chi era quello lì per poter fare certe affermazioni?
Tuttavia, si ritrovò ad essere in accordo con lui: anche se voleva solo proteggerla, a volte Ryunosuke sapeva essere davvero troppo apprensivo.
"Com'è la Mafia?" chiese lei, cercando di superare la lieve offesa.
"Allora..." iniziò incerto Chuuya; e ora? Cosa avrebbe dovuto dirle? O meglio, cosa voleva sentirsi dire, quella ragazzina?
(Niente parchi divertimento od orsacchiotti di peluches. Questo non è affatto un posto adatto a una bambina come te.)
Ricordava bene quanto fosse stato traumatico per lui l'ingresso nell'organizzazione e provava pena per quella ragazzina, più giovane di quanto lo fosse stato lui a quel tempo, che avrebbe patito lo stesso destino.
Dopotutto, sebbene per lui fosse ormai consuetudine far del male agli altri, non poteva far a meno di provare empatia verso di lei; Chuuya era un criminale, sicuro, ma non di certo un mostro.
Sapeva che presto la ragazzina avrebbe conosciuto sangue e morte, ma decise comunque di andarci piano e di risultare delicato: "I primi tempi non è facile ambientarsi" disse cauto: "Però dopo un po' ci si fa l'abitudine."
Gin annuì lentamente; aprì la bocca, come a voler chiedere altro, ma si bloccò esitando.
"Sì?" fece Chuuya, tentando di essere incoraggiante.
"Dovrò... uccidere delle persone?" chiese tutto d'un fiato lei.
Sul momento il ragazzo non seppe esattamente come avrebbe dovuto comportarsi; quella conversazione stava assumendo una piega sbagliata, non era di certo quello che voleva sentirsi chiedere, dal momento che non aveva idea di come risponderle.
"Beh, ecco..." mormorò in difficoltà: "Non da subito, ovviamente!" esclamò, illuminandosi di colpo per aver trovato un sotterfugio così geniale.
"Prima riceverai un addestramento serio, poi il boss ti assegnerà un lavoro e tu dovrai portarlo a termine. In generale funziona così per tutti" spiegò lui, appoggiandosi alla sedia in modo più rilassato: "Poi diventa un lavoro soddisfacente, soprattutto se riesci ad entrare nelle squadre speciali."
"Cosa fanno esattamente?"
"Beh, ci sono principalmente i membri dotati di poteri, come il sottoscritto" rispose lui baldanzoso.
"Anche Ryunosuke, quindi?"
Quella domanda gli fece tornare in mente la sera prima, quando Dazai gli aveva detto che il ragazzino sarebbe potuto diventare migliore di lui.
"Sì, anche lui" rispose leggermente stizzito, ma cercando di non darlo a vedere, dopo un attimo di esitazione.
"E la tua... la sua... abilità, signor Chuuya... cosa può fare?"
Chuuya si fece pensoso per qualche istante, si alzò dalla sedia e, utilizzando la sua abilità, si elevò da terra fino a poggiare i piedi sul soffitto, provocando stupore in Gin; poi, desideroso di avere ulteriore apprezzamento, iniziò a camminare sulla parete, ricevendo altri complimenti dalla ragazzina.
"È davvero bello!" disse lei, aprendosi veramente con Chuuya per la prima volta, incoraggiata dall'atmosfera di complicità venutasi a creare.
"Già" asserì fieramente lui; poi, un sorrisetto si fece strada sulle labbra: "Vuoi volare, Gin?"
La ragazzina gli rivolse un'occhiata meravigliata, a dir poco: "Posso davvero?"
"Certamente" confermò lui, scendendo dalla parete e porgendole la mano cordialmente; Gin la prese e Chuuya, come assicurato, la fece innalzare sempre più in alto, per poi farla fluttuare in tutta la stanza, godendosi le risate divertite della bambina.
Quando Dazai rientrò a casa, quella che gli si parò davanti fu l'ultima scena che si aspettava di vedere: il suo partner, Chuuya, colui che, per antonomasia, disprezzava i bambini come poche cose al mondo, stava usando la sua rispettabile abilità per giocare con una ragazzina.
Esordì con un: "Ciao!", curandosi di pronunciarlo in modo improvviso ed inaspettato, con l'intenzione di farlo spaventare; infatti Chuuya, colto di sorpresa, lasciò andare di colpo Gin, che si sentì cadere nel vuoto. Fortunatamente, però, lui ebbe la prontezza di spirito per prenderla al volo, riportandola immediatamente coi piedi sul pavimento. Imbarazzato, passò lo sguardo da Dazai ad un Ryunosuke molto, molto iracondo.
Dazai prese parola: "Gin, sono lieto di informarti che io e tuo fratello siamo andati a prendere..." tirò fuori le chiavi: "Un appartamento tutto per voi. Vieni, che vi accompagno."
La ragazzina annuì, poi rivolse un fugace sguardo di saluto a Chuuya, rimasto, nel frattempo, a guardare in disparte; si avviò verso Dazai e suo fratello, che stavano sull'uscio della porta.
Ryunosuke le lanciò un'occhiata fulminante, come se l'avesse beccata in procinto di fare cose scandalose.
"Vengo anche io" disse Chuuya all'improvviso: "Non ho voglia di rimanere qui da solo" giustificò poi la sua decisione.
Gli appartamenti di Mori distavano solo un quarto d'ora di cammino da casa loro, e lungo tutto il tragitto Gin continuò a tempestare Chuuya di domande sulla sua abilità, ora che si sentiva molto più a suo agio a parlare con lui.
Dazai, che camminava davanti a tutti gli altri, seguito immediatamente da Ryunosuke, volgeva lo sguardo verso di loro di tanto in tanto.
"Hanno fatto amicizia in fretta, eh?" disse poi, rivolto al ragazzino dietro di lui, che mugugnò irritato in risposta.
Ridacchiò tra sé e sé, divertito dalla situazione a dir poco esilarante, a parer suo.
Quando arrivarono fecero, tutti insieme, un breve giro della casa.
"Inizieremo domani l'addestramento" disse Dazai a Ryunosuke quando ebbero finito; poi, i due esecutori salutarono i ragazzini e ripartirono alla volta della loro casa.
"A quanto pare hai trovato una nuova amica oggi" rise Dazai dopo un po'.
"Volevo solo sapere che tipo di gente avevo in casa" rispose Chuuya sbrigativo, sperando che l'altro non continuasse con quella discussione.
Ma Dazai insistette: "Ci sai fare con i bambini, Chuuya!" cinguettò. Non che fosse seriamente interessato all'argomento, ma voleva divertirsi un po' con la poca pazienza del partner.
"No. Loro detestano me e io detesto loro" insisté l'altro.
"Ma se fino a poco fa eri così dolce!"
"Ti uccido."
Quello era il tipo di minaccia che Dazai riceveva quando Chuuya non sapeva più come controbattere e, in quel momento, un leggero sorriso soddisfatto fece incurvare le sue labbra. Poi decise di dargli la notizia: "Comunque, è un bene che ti stia simpatica, dato che sarai tu ad insegnarle le arti marziali."
"Davvero?" si stupì Chuuya. 
"Sì, sei contento?"
"Che abbiano scelto il miglior combattente della Port Mafia per fare da baby-sitter ad una bambina di dodici anni? No" commentò acido, ricomponendosi.
Dazai gli passò un braccio attorno alle spalle e lo strinse a sé: "Ora posso nuovamente coccolarti. Ti è mancato?"
"Per neanche mezza giornata? Assolutamente no" disse Chuuya sprezzante.
L'altro ridacchiò ancora: sì, gli era mancato, ne era sicuro; poteva dedurlo facilmente dal modo in cui si era stretto a lui senza esitazione invece di scacciarlo via come faceva ogni volta che erano in pubblico.
Il resto del viaggio di ritorno lo passarono camminando a braccetto.
"Eccoci qua" disse Dazai una volta tornati a casa: "Finalmente, siamo di nuovo solo io e te."

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Addestramento ***


"Ancora un'ultima volta, su" esclamò Dazai, all'ennesimo tentativo che Akutagawa fece nel provare a sopraffarlo con la sua abilità.

Era più di una settimana ormai che lo addestrava e, durante tutto quel tempo, Dazai non aveva fatto altro che incitarlo ad attaccare al massimo della sua potenza; aveva imparato a conoscere la sua abilità, e in breve tempo era riuscito a farsi un'idea generale di cosa potesse fare e quanto potesse spingersi oltre, ma Akutagawa era stanco: non aveva mai usato la sua abilità così a lungo, né che gli andasse farlo, dal momento che non riusciva a controllare quella bestia come voleva.

Sentiva che la fatica stava avendo il sopravvento, quindi non diede retta al suo mentore, ma continuò ad ansimare, le mani sulle ginocchia per sostenersi; un colpetto di tosse lo scosse.

"Allora?" gli fece Dazai.

Akutagawa si asciugò il sudore dalla fronte, cercando di guadagnarsi la comprensione dell'altro attraverso uno sguardo che aveva un'aria quasi implorante.

Dazai parve cogliere quell'implicita supplica, infatti, sebbene a malincuore, gli disse: "Sarebbe alquanto inutile farti continuare in queste condizioni. Per questa volta ti lascerò andare."

Fermo sulla porta Mori, con un sorrisetto sornione in volto, aveva osservato quel poco che bastava per poter valutare il metodo di insegnamento di Dazai e notare quanto, a suo avviso, inutile potesse essere per Akutagawa.

Nessuno dei due si era accorto della sua presenza e il boss dovette attirare la sua attenzione schiarendosi la voce. Vide Akutagawa rivolgergli un gelido e distaccato saluto, ma non gli diede troppa attenzione. Fece cenno di avvicinarsi a Dazai, che obbedì dopo essersi salutato brevemente col suo allievo.

Non appena raggiunse il boss, non fece in tempo a dire nulla o a salutarlo, che questi, poggiandogli una mano sulla spalla, gli disse: "Vieni, devo parlarti", invitandolo ad allontanarsi.

"C'è qualche problema?" chiese Dazai, una volta che si furono isolati abbastanza.

"Cosa speri di ottenere con quel metodo?" domandò retoricamente Mori.

Dazai non disse nulla e attese che l'altro continuasse.

"Hai forse dimenticato tutto ciò che ti ho insegnato?" chiese ancora il boss; un sorrisetto maligno iniziava a comparire sulle sue labbra, ma cercò di reprimerlo: "È così che ti ho addestrato?"

No, Dazai non aveva dimenticato nulla. Come poteva, del resto? Dopo essersi unito alla Mafia aveva passato svariati mesi a subire violenza fisica e psicologica dal boss; quest'ultimo lo definiva come il suo metodo di insegnamento, ma per il Dazai di un tempo era una vera e propria tortura. Ora, quell'uomo che l'aveva a lungo tormentato, gli stava chiedendo di fare esattamente la stessa cosa con Akutagawa; se fosse stato un essere umano normale avrebbe rifiutato, ma non lo era, quindi non fece altro che acconsentire e ripensare a quei ricordi con fredda indifferenza, come se fosse capitato ad un altro, non a lui.

"Non puoi lasciargli fare quello che vuole, devi essere più duro con quelli insubordinati come lui" continuò Mori: "Non vedi che non migliora?"

"Dal momento che abbiamo iniziato da poco, stavo cercando di essere un po' meno severo" spiegò Dazai, leggermente irritato dal fatto che qualcuno contestasse le sue capacità da insegnante.

"Sin dalla tua prima volta ti ho tirato su a suon di pugni, eppure guarda dove sei arrivato ora!" esclamò Mori: "Mi aspetto che tu faccia esattamente la stessa cosa con il tuo allievo" continuò serio.

Dazai annuì: "Farò del mio meglio."

Mori fece per andarsene, poi si voltò verso di lui e gli disse: "Prendi il toro per le corna e fagli capire chi comanda."

L'esecutore rimase da solo, ascoltando l'eco dei passi del boss allontanarsi; quando essi si affievolirono, se ne andò anche lui, dirigendosi a passo svelto verso il bar dove, sapeva, avrebbe trovato i suoi amici.

Lì passò una serata spensierato, sorbendosi, poi, le lamentele di Chuuya per quanto, a suo parere, fosse tornato tardi, "senza nemmeno fare una telefonata!"

D'altro canto, anche Akutagawa in quei giorni fu sereno, sentendo che, per la prima volta, la sua abilità avrebbe potuto farlo diventare un importante membro della Mafia.

Anche se Dazai non si era mai complimentato con lui, era convinto che sarebbe stata solo una questione di tempo; grazie ai suoi addestramenti sarebbe migliorato in fretta e gli avrebbe dato qualcuno di cui essere orgoglioso.

Il giorno dopo, motivato da quella convinzione, si diresse di nuovo dal suo maestro per un nuovo giorno di addestramento.

"Sei in ritardo" disse fermo Dazai quando vide il suo allievo fare finalmente il suo ingresso nella palestra. Ryunosuke rimase interdetto: il suo mentore non era mai stato puntiglioso sull'orario, siccome nella Mafia si narrava fosse lui stesso ad essere perennemente in ritardo.

"Non perdiamo altro tempo e cominciamo subito" sospirò il più grande staccando la schiena dal muro contro cui era appoggiato e mettendosi dritto in piedi proprio al centro della palestra: "Usa la tua abilità e prova a colpirmi" lo incitò Dazai. 

Akutagawa non se lo fece ripetere due volte: concentrò tutte le sue forze e riuscì a trasformare la sua giacca nella bestia nera che divorava qualunque cosa, e per sua grande contentezza gli ci volle meno del solito. Ma quella soddisfazione scemò nel momento in cui, quando spedì Rashomon verso Dazai, questi lo bloccò annullando la sua abilità e colpendolo con un calcio dritto in pancia. 

Akutagawa non capì. Fino a quel momento il suo mentore, colui che lo aveva portato via da quella fogna che erano i bassifondi e gli aveva garantito una ragione per vivere, non aveva mai alzato un dito su di lui. Eppure in quel momento non ci aveva pensato due volte prima di colpirlo, così forte da fargli sputare sangue. Dove aveva sbagliato? Aveva fatto come gli aveva chiesto, quindi perché? 

Cadde rovinosamente a terra, tossendo sommessamente e rotolando qualche metro più in là, poi udì la voce dell'esecutore: "Alzati e riprova" gli ordinò.

Poggiò i palmi a terra e, tremante, riuscì a rialzarsi quasi subito, continuando a sostenersi contro il muro. Non avrebbe perso tempo a pensare al motivo di quel gesto. Se quello era il suo metodo, se quello gli dava soddisfazione, allora Akutagawa lo avrebbe accettato pur di essere il motivo di quella soddisfazione. Un giorno sarebbe diventato forte grazie a quegli insegnamenti, Dazai avrebbe riconosciuto la sua forza e sarebbe stato fiero di lui per ben altri motivi.

Andarono avanti così per il resto dell'allenamento: non aveva mai preso così tante percosse prima d'ora, nemmeno quella volta in cui una banda di briganti, credendo fossero solo due ragazzini indifesi, aveva attaccato lui e sua sorella alle spalle, senza neanche dargli il tempo di capire cosa stesse succedendo; in quell'occasione se ne era uscito con qualche livido ma, dopo l'allenamento con Dazai, il suo corpo era pieno di contusioni, fortunatamente non visibili.

Quando finirono era tarda sera, e Ryunosuke, quella mattina, aveva proposto a Gin di incontrarsi fuori dall'edificio per tornare a casa insieme. Camminarono in silenzio per le strade di Yokohama, lui teneva le mani in tasca e lanciava qualche sporadica occhiata alla sorella: sembrava serena.

"Come stai?" le chiese all'improvviso.

Lei lo guardò leggermente stupita, non si aspettava quel tipo di interessamento da parte sua. 

"Bene" rispose: "Tu?"

Ryunosuke grugnì leggermente: "Ho visto giorni migliori" mormorò e cambiò immediatamente argomento: "Il vichingo ti tratta bene?"

Gin ridacchiò al soprannome che suo fratello aveva conferito a Chuuya. Quei momenti con sua sorella erano le uniche occasioni in cui si prendeva la libertà di sfottere i suoi superiori, ma rispettava la gerarchia, e davanti ad essi non si sarebbe mai permesso.

"Sì, è molto gentile" lo tranquillizzò.

Ryunosuke non poté negare di stare invidiando sua sorella, dal momento che il suo mentore non si dimostrava affatto gentile con lui.

"Non ha mai osato... toccarti?" enfatizzò particolarmente quell'ultima parola, per farne intendere il doppio fine che, tuttavia, Gin non colse, vista l'aria perplessa con cui lo stava guardando.

"Non ci prova con te, vero?" chiese più esplicitamente lui sospirando.

Gin avvampò: "No! È troppo grande per me!" sbottò: "E poi, sai... credo sia gay" disse poi più calma.

"Gay?" chiese Ryunosuke spalancando gli occhi.

"Sì, pensaci un attimo: lui e il signor Dazai vivono insieme e hanno solo un letto matrimoniale."

Akutagawa non disse più nulla, ma senza saperne il motivo percepì un vago senso di gelosia farsi strada nel suo petto.

Non avrebbe dovuto preoccuparsi della vita privata di Dazai, tuttavia il particolare che avesse potuto stare con uno come Chuuya lo infastidì leggermente.

"Tutto bene?" chiese Gin improvvisamente, scrutandolo con attenzione.

"Cosa?"

"Hai una faccia strana."

"È solo la mia faccia" rispose lui con nonchalance.

"Spiritoso" commentò Gin, tornando a rivolgere la sua attenzione alla strada davanti a loro, con grande piacere di Ryunosuke, il quale altro non desiderava che essere lasciato in pace a rimuginare su quanto accaduto quel giorno.

Decise che non avrebbe detto nulla a Gin; non voleva farla preoccupare in alcun modo. Magari, pensò, Dazai lo aveva trattato male per sfogarsi un po'. Dopotutto era un essere umano, le giornate brutte capitavano anche a lui.

Ma si sbagliava: infatti, anche nei giorni seguenti continuò a ricevere pugni e calci ad ogni errore. Gli sembrava quasi che più andasse avanti, più subiva violenze. Eppure si rendeva conto di stare migliorando giorno per giorno; allora perché continuava ad essere maltrattato?

Un giorno di qualche settimana dopo fece qualcosa di cui, in seguito, si pentì amaramente: era ormai da ore che stava continuando ad attaccare ed essere prontamente respinto dall'abilità di Dazai; lui, fermamente, continuava ad ordinargli di riprovarci, senza mai dargli tregua né tempo di riprendersi.

Fuori di sé dalla fatica e dalla frustrazione, Ryunosuke perse il controllo: "Ci sto mettendo tutto me stesso!" urlò con tutto il fiato che aveva.

Seguirono alcuni istanti di silenzio pesante; Dazai iniziò ad avvicinarsi a lui con il suo solito fare calmo.

Per un attimo Akutagawa pensò volesse aiutarlo a rialzarsi, magari sussurrandogli parole d'incoraggiamento o conforto, ma il suo rimase solo un semplice pensiero. 

Tutto quello che ricevette, invece, fu un pugno sull'occhio, forte come non mai; gli sembrò di vedere le stelle, da quanto era violento.

"Non usare quel tono con me" disse Dazai freddamente; se tutto quello che gli aveva fatto finora non lo aveva ferito abbastanza, quello che gli disse dopo fu come una coltellata dritta nel petto: "Evidentemente non ti stai impegnando abbastanza", gli disse. Poi, come se nulla fosse, tornò al suo posto, ordinandogli di ricominciare.

Quando finirono Akutagawa tornò a casa stordito, toccandosi l'occhio su cui spiccava un evidente segno scuro.

Entrò in casa e trovò Gin rannicchiata sul divano a guardare la tv, probabilmente uno dei tanti reality show da ragazzine; non ci fece troppo caso, dal momento che era troppo preso dal cercare di nascondere l'enorme livido sull'occhio, un po' con la mano, un po' sfruttando l'oscurità della stanza, illuminata solo dalla pallida luce dello schermo.

"Ehi, ciao!" gli fece sua sorella.

Ryunosuke ricambiò brevemente il saluto, studiando un modo per andare a medicarsi, a mangiare e a dormire senza che lei si accorgesse di nulla.

"Gin..." provò: "Perché non vai a dormire? È tardi."

La ragazzina passò uno sguardo all'orologio appeso di lato rispetto a loro: "Ma sono solo le nove."

Lui cercò di trovare la risposta che avrebbe potuto far sviare la conversazione a suo vantaggio, ma Gin lo precedette: "E poi ti stavo aspettando per cena."

(Mi ha fregato.)

"Io non... non mangerò stasera. Sono stanco, me ne vado a dormire. Tu cucinati qualcosa" disse Ryunosuke; fu convinto che con quella risposta sarebbe riuscito a chiudere il discorso e andarsene, ma quando lei si alzò, dirigendosi verso di lui con espressione leggermente delusa, cambiò idea.

"D'accordo. Buonanotte, allora" disse lei.

Il ragazzo, conscio di cosa stesse per fare, provò inutilmente a tirarsi indietro; Gin fece per abbracciarlo, ma si bloccò improvvisamente quando vide l'occhio nero del fratello, il quale era rimasto per tutto il tempo con la testa girata, nel tentativo di nasconderlo.

"Che hai fatto?" chiese, prendendo il suo viso tra le mani e sfiorando delicatamente le guance con i pollici.

"Niente" rispose lui, afferrando i polsi di Gin e scostandoli, per poi dirigersi verso la sua camera, intenzionato a chiudercisi dentro.

"Aspetta!" esclamò lei raggiungendolo di corsa e agguantandogli il braccio:

"Vuoi dirmi che cosa è successo?"

"No."

"Hai fatto a botte con qualcuno?" tentò Gin.

"Smettila di fare domande, non ti riguarda" la troncò lui freddamente.

"Mi riguarda eccome" alzò la voce lei incrociando le braccia.

Il ragazzo la fulminò con lo sguardo, ma la sorella non si scompose e continuò a fissarlo severamente.

Lui sbuffò seccato: la ragazzina non avrebbe ceduto facilmente, tanto valeva inventarsi una scusa qualunque e chiuderla lì.

"Sono scivolato e ho sbattuto la faccia contro il muro. È tutto" concluse, infilandosi le mani in tasca e guardando Gin: si ricordava di aver letto da qualche parte che per risultare credibili bisognasse mantenere il contatto visivo con l'interlocutore, in modo da non insospettirlo.

"Non ci credo" disse lei, facendo cadere il castello di carte che lui aveva accuratamente costruito: "Non sei così stupido da sbattere in quel modo. I riflessi per proteggere la faccia con le mani ce li hai."

Ryunosuke sospirò: "È stato Dazai mentre mi addestrava."

Proprio non riusciva ad accettare la verità; sebbene si fidasse ciecamente della sorella, solo ripensare a quel momento gli provocava una morsa di vergogna incalcolabile.

Gin era a dir poco scandalizzata: "Perché lo ha fatto?"

"Perché... non mi stavo impegnando abbastanza. E lui mi ha corretto."

Lei scosse la testa: "Non è questo il modo di correggere un allievo. È stato davvero cattivo" accusò sprezzante.

Ryunosuke provò un vago senso di fastidio a quelle parole: "Non ti permettere. È solo il suo metodo di insegnamento" ringhiò.

"Ti ha picchiato ingiustamente. Perché lo stai difendendo?"

"Adesso basta" sibilò lui stringendo i pugni, la testa bassa; e, in quel momento, Gin si rese conto che suo fratello non era poi così forte come voleva dimostrare.

"Non è giusto. Tu non meriti di essere trattato così" continuò lei, per poi dirigersi verso la cucina.

Il ragazzo non disse nulla; si limitò ad abbandonarsi sul divano e a fissare lo schermo della tv senza prestare realmente attenzione alle immagini che vi scorrevano. Pensava a come aveva risposto a sua sorella e si stupì di aver avuto quella reazione nei suoi confronti. In fondo lo stava solo difendendo, e aveva ragione: perché continuava a giustificare il suo mentore nonostante lo avesse trattato come un cane fino a poche ore prima?

Gin torno con un impacco di ghiaccio in mano, poi lo porse a suo fratello.

Ryunosuke lo premette contro l'occhio senza più dire nulla; lei, sebbene avesse altre domande, rispettò il suo silenzio e vi partecipò.

Rimasero così per svariati minuti, poi lui si alzò, andando a posare ciò che rimaneva del blocco di ghiaccio. Salutò brevemente la sorella e si buttò sul letto, infilandosi sotto le coperte, dando finalmente riposo al fisico stanco; una morsa gli attanagliò lo stomaco al sol pensiero che, il giorno seguente, sarebbe ricominciato tutto da capo.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Abbandono ***


"Come va con Chuuya?" domandò Oda al ragazzo seduto accanto a lui, prima di prendere un sorso dal suo bicchiere.

"Si lamenta in continuazione perché esco spesso con voi e torno tardi la sera, mi prende a parolacce e a volte non mi parla per ore intere" rispose fissando il bicchiere mentre giocherellava col ghiaccio al suo interno: "A parte questo bene!" aggiunse con entusiasmo Dazai, sorridendo ampiamente. 

"Magari si sente trascurato, gli dedichi abbastanza tempo?" suggerì Oda.

"Non ho voglia di passare del tempo con lui se mi tratta così, sinceramente."

"Perché non gliene parli allora? Dovresti essere più onesto con lui."

Dazai sospirò pesantemente, come annoiato da quella conversazione, e cambiò discorso: "Cosa hai fatto oggi al lavoro?" chiese. 

Nonostante Oda fosse solo il galoppino della Port Mafia, Dazai era sempre curioso di sapere quali mansioni avesse svolto quel giorno. C'era poco da raccontare, eppure il giovane lo ascoltò con attenzione.

"È tardi, dovresti tornare a casa" gli fece notare Oda una volta che ebbe finito di parlare della sua giornata.

"Ma la notte è ancora giovane!" esclamò Dazai con ilarità; stava evidentemente iniziando ad essere brillo.

"Ma tu non vuoi sorbirti le lamentele di Chuuya, o sbaglio?"

Dazai lo guardò deluso ed emise un gemito sofferente. Si alzò dal suo posto con pigrizia e uscì dal locale strascicando i piedi, seguito a ruota da Oda, che ebbe almeno la decenza di lasciare alcuni yen sul bancone.
 
 
 
 

Fu il buio ad accoglierlo quando aprì la porta. Cercò di essere il più silenzioso possibile per non svegliare il suo partner, credendo che dormisse, quando all'improvviso la luce si accese, costringendolo a socchiudere rapidamente gli occhi.

"Ti pare questa l'ora di rientrare?! Dove sei stato fino a quest'ora?!" sbraitò Chuuya, che era rimasto sveglio fino a tardi ad aspettarlo.

"Calma, calma, mi hai sfondato i timpani" si lamentò Dazai: "Ero andato a bere con Odasaku e Ango, come al solito."

Chuuya sospirò irritato e senza dire nulla si diresse verso la camera da letto con l'intenzione di coricarsi.

Sotto le lenzuola, Dazai parve prendere sonno subito, mentre la mente di Chuuya era troppo affollata, non voleva dargli pace né lasciarlo dormire.

Sentiva che Dazai si stava allontanando da lui, lo percepiva anche ora che stavano dormendo dandosi le spalle. Le loro scaramucce, per quanto banali potessero essere, erano diventate sempre più frequenti, passavano sempre meno tempo insieme, ma per quello si poteva anche dare la colpa al lavoro, eppure Dazai riusciva sempre a ritagliare un momento della sua giornata da spendere con Oda, ma non uno da dedicare a lui. 

Come se non bastasse, nonostante le mille raccomandazioni, capitava sempre più spesso che Dazai fosse troppo brillo anche solo per stare in piedi, e che Oda si ritrovasse con il ragazzo sulle spalle a camminare verso l'appartamento che condivideva con Chuuya. 

Ogni sera, quando sedevano tutti e tre in quel bar, Oda gli ripeteva di non esagerare con l'alcol, del resto non aveva nemmeno l'età legale per bere, ma Dazai sapeva di poter fare affidamento su di lui per tornare a casa sano e salvo, perciò non gli dava mai retta. Odasaku era da subito diventato un mentore per Dazai, da quando lo aveva preso con sé, salvandolo almeno temporaneamente dalle grinfie di Mori. Era come una luce che lo guidava in quel mondo dove regnavano le tenebre; sin dal loro primo incontro, quattro anni prima, quando Dazai era poco più che un bambino, gli aveva insegnato tante cose e le sue carezze gentili erano un toccasana dopo aver passato l'intero giorno a subire gli abusi di Mori. 

Quando quella luce guida si spense, Dazai si sentì solo e perso in mezzo all'oscurità.

"Come al solito sei tornato in ritardo..." quella fu la frase con cui lo accolse Chuuya alcuni giorni dopo, sospirando seccato, alzandosi dal divano e dirigendosi in camera da letto.

Dazai, invece, non si mosse, ma rimase fermo sulla soglia della porta, fissando distrattamente il pavimento; il suo silenzio contribuì ad attirare l'attenzione del partner: era consuetudine che si mettesse ad annunciare a voce alta il suo ritorno, e il fatto che non avesse ancora proferito parola fece incuriosire Chuuya ancora di più.

"Che è successo?" gli chiese avvicinandoglisi, senza ottenere risposta. 

"Dazai?" provò ancora.

L'altro si limitò ad evitarlo passandogli velocemente vicino, ma Chuuya ebbe la prontezza di agguantargli il braccio e costringerlo a fronteggiarlo: "Parlami!" gli disse quasi urlando e scuotendolo per le spalle.

"Odasaku è morto" rispose Dazai con una calma disarmante, poi si sottrasse alla presa del partner e si tolse la giacca, lasciandola cadere senza curarsi di dove sarebbe andata a finire e dirigendosi verso l'altra stanza.

"Aspetta un attimo!" esclamò Chuuya raggiungendolo.

Si parò di nuovo davanti a lui, bloccandogli la via: "Come è successo?" chiese. 

Dazai non rispose, gli occhi bassi che fissavano il pavimento. 

Chuuya sospirò piano, per poi stringerlo in un delicato abbraccio, che venne ricambiato dall'altro con una certa urgenza. Dazai stava cercando di apparire freddo, come al suo solito, ma in quel momento l'unica cosa che riuscì a fare fu desiderare nient'altro che calore. 

Abbandonò la testa sulla spalla dell'altro e gli raccontò tutto con voce tremante. Sembrò più volte sull'orlo delle lacrime, ma riuscì a mantenere il controllo persino in quel momento. Non che ci fosse qualcosa di cui stupirsi, dal momento che non piangeva da anni: la Mafia gli aveva totalmente prosciugato ogni briciolo di umanità, quasi a renderlo un involucro vuoto. 

Continuò a sfogarsi ancora per un po' poi, quando ebbe finito, restò per svariati minuti tra le braccia di Chuuya, che lo accompagnò nella loro camera.

Si coricarono l'uno accanto all'altro senza dire più nulla, Dazai che dava le spalle al compagno e quest'ultimo intento a fissare il soffitto, rivolgendogli un'occhiata di tanto in tanto, per assicurarsi che andasse tutto bene, anche se sapeva che non era affatto così; la luce della luna illuminava timidamente la stanza, permettendogli una maggiore visione.

"Ora i nostri uomini stanno ultimando i preparativi e si stanno accertando che tutto vada secondo i piani" disse Chuuya improvvisamente: "Domani, quando avranno finito, ci chiameranno e noi entreremo in azione. Sei pronto?"

"Sì" fece Dazai subito. Ma la sua risposta piatta fu data in modo troppo distaccato perché Chuuya potesse credergli.

Quest'ultimo riprese la parola: "Mi dispiace che sia successo, so bene quanto tenevi a lui..." si bloccò per qualche istante, speranzoso che Dazai desse segni di vita, ma l'unica cosa che ottenne fu il suo silenzio.

"Come ben sai..." ricominciò a parlare Chuuya, girandosi verso di lui: "Anche a me sono morte persone care. Posso capirti perfettamente."

"No, non puoi capirmi" gli rispose Dazai, sempre continuando a dargli le spalle.

"Ti conosco da quattro anni, certo che posso" fece l'altro, cercando di non irritarsi.

"Chuuya?"

"Dimmi."

"Per quanto tu possa sforzarti, non potrai mai capirmi davvero. Nessuno può e nessuno potrà mai" disse Dazai malinconicamente.

Chuuya restò silenzioso per svariati istanti, poi costrinse il partner a guardarlo in faccia: quelle sue affermazioni lo stavano facendo innervosire, decise che avrebbe preso in mano la situazione facendogli un discorso motivazionale, ma tutta la sua convinzione svanì quando, con gli occhi, incontrò il suo sguardo triste.

A quel punto, improvvisamente, si rese conto che senza Oda, Dazai era completamente perso; capì che tutta la sua brutalità e indifferenza erano, in realtà, solo delle maschere e che il vero Dazai non era altro che un ragazzino spaurito costretto troppo presto a diventare nientemeno che un mostro.

"Mi viene da ridere" disse Dazai atono: "Io sono il primo che uccide, ma quando muore qualcuno a me caro me la prendo. È strano, non ti pare?" chiese, fissando Chuuya dritto negli occhi.

"È... normale, credo" rispose quest'ultimo poco convinto, anche se sapeva bene che era solo una domanda retorica.

"No, non è normale... è davvero ipocrita. Sai cosa meritano gli ipocriti?"

"Dazai..."

"La morte!" esclamò Dazai, con un tono inadeguatamente allegro; il sorriso che comparve sulle sue labbra dopo fece inquietare non poco Chuuya, che aveva già capito dove l'altro volesse andare a parare.

Senza dire nulla si avvinghiò attorno alla sua vita: "Adesso basta", gli sussurrò.

"Ma io voglio morire, Chuuya" disse Dazai, tornado improvvisamente malinconico: "Lo voglio ora più che mai."

"Qualunque cosa tu voglia fare stanotte... non farla. Ammazzarti non riporterà indietro il tuo amico."

"Lo so. Ma almeno non sentirei più nulla."

"Ti ho di smetterla. Mettiti a dormire ora, domani ci aspetta una missione molto importante" disse l'altro, appoggiandosi al suo petto per dargli calore e rendendosi sensibile ad ogni suo movimento, sperando non andasse in giro per casa di notte alla ricerca di qualcosa con cui suicidarsi; ma Chuuya era talmente stanco che non si accorse minimamente di quando Dazai riuscì delicatamente a sfilarselo di dosso, dopo aver passato quasi due ore a riflettere su quella decisione, che avrebbe portato a un cambiamento drastico, ascoltando il respiro calmo del partner.

Si fermò a guardarlo per un po', prima di vestirsi velocemente. Provò un moto di tenerezza: gli era sempre piaciuto osservarlo mentre dormiva, e alla consapevolezza che non l'avrebbe più rivisto non poté non provare una leggera malinconia.

Una volta varcata la soglia di casa, avrebbe perso tutto ciò che aveva ottenuto in quei quattro anni, ma si accorse che non gli importava poi così tanto: dopo aver perso Oda niente aveva più un senso, quindi tanto valeva ricominciare una nuova vita.

(Oh, Chuuya. Hai tanta paura che io vada ad ammazzarmi, ma questa mia decisione è un vero e proprio suicidio: è la morte del vecchio Dazai, quello bastardo e spietato, ma è anche la rinascita un uomo nuovo.)

Si avvicinò lentamente a lui.

(Insieme a te ho passato tanti bei momenti, ma da oggi in poi non ne avremo più. Ti sto abbandonando, so già che mi odierai a vita per questo. Ma cerca di capirmi e, ti prego...)

"... perdonami" sussurrò, senza neanche rendersene conto.

Gli accarezzò delicatamente una spalla, poi, a passo lento, cercando di non fare rumore, lasciò l'appartamento.

La mattina seguente, un suono assordante fu la prima cosa a penetrare nelle orecchie di Chuuya, che lo fece svegliare di colpo, ma in quel momento non ci fece troppo caso; era troppo rintronato dal sonno e, inoltre, pensò si trattasse di qualcosa di molto pesante caduto chissà dove in strada.

Aprì gli occhi e diresse lo sguardo verso l'altro lato del letto: notò che Dazai non era lì. Si alzò di scatto, ripensando alle sue parole della sera precedente e cominciando ad immaginarsi tutte le fini che avrebbe potuto fare. 

In casa non c'era. Aveva controllato in tutte le stanze, era uscito sul pianerottolo, si era affacciato dalla finestra, ma di lui non c'era traccia, non aveva nemmeno lasciato un biglietto o un messaggio. Avvertì una forte stretta allo stomaco, insieme ad un brutto, orribile presentimento. Si vestì velocemente e uscì. 

Di improvviso capì da dove era venuto il forte rumore che l'aveva svegliato quella mattina: la sua macchina, la sua adorata macchina, parcheggiata fuori casa, era completamente a pezzi. Una bomba, pensò, quando si avvicinò a quell'auto ormai da buttare. Probabilmente un membro di qualche banda rivale aveva voluto giocargli un brutto scherzo.

(Maledizione.)

In quel momento era l'ultima cosa di cui riusciva a preoccuparsi, i soldi non gli mancavano di certo, ma si era affezionato a quella macchina, regalatagli da Dazai stesso per il suo diciottesimo compleanno.

Sospirò irritato, decise che sarebbe andato a piedi a cercare il partner.

Fece un rapido giro tra le strade di Yokohama, provò a telefonargli, ma non rispondeva, arrivò fino in periferia e controllò ovunque, ma non trovò né lui né il suo cadavere; almeno questo gli diede un minimo di sollievo. C'era ancora la speranza non si fosse ammazzato.

(E se si fosse buttato nel fiume?)

Di certo non avrebbe potuto controllare lì.

Non aveva più idea di cosa fare, si passò le mani tra i capelli, innervosito; improvvisamente il suo cellulare squillò. Rispose velocemente, senza neanche controllare chi fosse a cercarlo: "Dazai!"

"Chuuya, sono Mori."

(Merda.)

"Sono tutti pronti, mancate solo tu e Dazai. Buon lavo-"

"Dazai è scomparso!" urlò Chuuya: "Non so dove diavolo sia finito, è... lui è..."

"Non sarà mica andato ad ammazzarsi proprio ora, vero?!" tuonò Mori.

"Non lo so, cazzo!"

"Maledetto idiota, qui salta tutto!" sbraitò ancora il boss: "Vieni al quartier generale, ti darò i miei uomini per aiutarti a cercarlo; ma senza di lui non si può fare nulla, ci tocca battere in ritirata."

Sentì il boss terminare la telefonata, prevedibilmente iracondo.

In quel momento sentì anche lui un moto di rabbia impotente farsi strada nel suo petto, ma cercò di contenersi e si avviò verso il quartier generale.

Una volta che ebbe preso gli uomini di Mori al comando passò tutto il resto della giornata a cercare Dazai; da una parte la voglia di ritrovarlo, dall'altra l'ansia di ritrovarlo morto.

Per quale motivo lo aveva fatto? Erano, sì, anni che desiderava la morte, ma perché non gli aveva neanche lasciato un ultimo saluto?

Per tutto il giorno quei pensieri lo tormentarono, ma, dentro di sé, sperava che Dazai fosse solo andato in un'altra città, magari in pieno stato confusionale e, magari, che sarebbe tornato qualche giorno dopo.

Le ricerche finirono a tarda sera, senza risultato.

Tornò sconsolato a casa, il cuore pesante e lo stomaco chiuso dalla paura; si rese conto di non averlo neanche salutato la sera prima, abituato com'era alla sua presenza.

Nei giorni passati insieme non aveva fatto altro che lamentarsi con lui, a volte rovinando quei momenti che dava per scontato; spesso e volentieri non faceva altro che trattarlo male e prenderlo a parolacce.

Ripensare a tutto ciò gli fece venire un forte senso di colpa; ma la cosa che lo colpì più di tutte, e che realizzò solo in quel momento era che, in quegli anni, non gli aveva mai detto che lo amava. Glielo aveva spesso dimostrato con i gesti, ma mai esplicitato a parole, sebbene molte volte ne avesse avuto voglia.

E, ora che lo aveva perso, probabilmente per sempre, il rimorso di quelle mancanze si fece sentire più forte che mai.

Quella sera non cenò; senza neanche spogliarsi si abbandonò sul letto, distrutto; non si accorse nemmeno che, con gli occhi umidi, si stava addormentando abbracciando il cuscino.



Angolo Autrici
Ci scusiamo davvero tanto per essere mancate giovedì scorso, ma non siamo state a casa per alcuni giorni, perciò non abbiamo potuto pubblicare, né scrivere nulla :c
Speriamo comunque di esserci fatte perdonare con questo capitolo e ci teniamo ad annunciarvi che, purtroppo, col prossimo capitolo chiuderemo il sipario.
Alla prossima,
A&G

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Lunga vita al Re ***


Nei giorni seguenti alla dipartita di Dazai, l'intera organizzazione della Port Mafia fu in subbuglio: era appena scomparso uno tra i suoi più importanti​ membri e ciò aveva provocato non pochi problemi, che furono, fortuna loro, risolti rapidamente.

Il problema principale di Chuuya, però, non si era affatto risolto: il suo compagno era, molto probabilmente, morto. Questa convinzione gli aveva provocato un'enorme tristezza per alcuni giorni, che ostacolò molto il suo lavoro: aveva sempre lavorato con lui, quindi dover fare tutto da solo richiedeva il doppio dell'impegno, senza considerare che, ovviamente, anche i sentimenti facevano la loro parte.

Quella malinconia per la sua scomparsa durò due anni, finché non venne improvvisamente a sapere da Akutagawa che Dazai era ancora vivo, affiliato ad un'agenzia di persone dotate di poteri.

Inutile dirsi che a quella notizia la malinconia si trasformò rapidamente in rabbia, innanzitutto perché Dazai aveva tradito la Mafia, fingendosi morto e tornando magicamente in vita come suo nemico; ma la ragione principale della rabbia di Chuuya era, fondamentalmente, perché lo aveva abbandonato; da quel momento in poi gli venne voglia di ucciderlo, torturarlo e farlo soffrire atrocemente.

Quei pensieri omicidi facevano capolino principalmente la sera, quando era da solo ma, a volte, scomparivano, lasciandogli una profonda amarezza che solo un buon bicchiere di vino rosso avrebbe potuto fargli passare.

Quella sera era una di quelle; era quieta e tranquilla, e Chuuya camminava per le strade ormai buie di Yokohama. 

Si stava dirigendo a casa dopo una lunga e stressante giornata e, proprio per quel motivo, aveva deciso di evitare le strade rumorose e trafficate del centro della città, e si ritrovava a percorrere, invece, quelle del porto. 

L'aria salmastra gli riempiva i polmoni e il brusio in lontananza, proveniente dal viavai di macchine, accompagnava i suoi passi, gli occhi socchiusi fissavano la strada davanti a loro, ma non le prestavano seriamente attenzione. La sua mente era impegnata a chiedersi se la sensazione che continuava ad attanagliargli lo stomaco, da anni ormai, fosse solitudine. 

Scacciò rapidamente quel pensiero; non aveva motivo di sentirsi solo in quel momento, né lo aveva mai avuto in passato. Anche quando i ricordi di tutti i bei momenti passati con Dazai riaffioravano, non avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso che gli mancava. 

(La mia vita è mille volte meglio da quando non c'è lui. Niente più bende ovunque, carrello della spesa pieno, prese in giro, perdite di tempo...)

Ma quelle consolazioni suonavano così inutili e vuote che nemmeno lui ci credeva.

Quando iniziò ad avvicinarsi a casa sua, infilò le mani più a fondo nelle tasche, alla ricerca delle chiavi di casa. Aprì la porta ed entrò nell'appartamento: "Sono a casa" disse, non aspettandosi una risposta. Non ce n'era più stata una per anni. 

"Bentornato."

Chuuya quasi lasciò cadere le chiavi che ancora teneva in mano e imprecò alla ricerca dell'interruttore per illuminare la stanza. 

Quando lo trovò, la luce rivelò la familiare figura di Dazai seduta a gambe incrociate sul divano: "Vedo che non hai perso l'abitudine di salutare al tuo rientro, anche se ad una stanza vuota" disse lui stiracchiandosi.

Chuuya arrossì appena e gli lanciò le chiavi, che Dazai catturò prontamente, evitando che gli si conficcassero in un occhio.

"Che diavolo stai facendo a casa mia?!" tuonò Chuuya, pronto a prenderlo per il colletto della camicia e buttarlo fuori, ma si fermò quando lo sentì continuare. 

"Quanta freddezza..." si lamentò Dazai: "Te ne sei forse dimenticato?"

"Dimenticato cosa?"

"Lo hai dimenticato davvero..." disse Dazai ridacchiando, dopo una breve pausa: "Oh Chuuya, sei davvero la persona più imbarazzante che io conosca" lo prese in giro.

"Dimenticato cosa?!" chiese ancora Chuuya, questa volta quasi gridando. Il suo ex partner gli stava facendo perdere la pazienza con quel suo atteggiamento enigmatico, gli prudevano le mani dalla voglia di prenderlo a pugni e far sparire quel sorrisetto odioso dalla sua faccia, ma prima che potesse fare qualunque cosa si udì un breve scoppio e Chuuya si ritrovò sotto una pioggia di nastrini colorati e stelle filanti, che gli finirono anche nei capelli e sul cappello: la cosa lo urtò non poco.

"Buon compleanno, Chuuya!" cinguettò Dazai, uno sparacoriandoli in una mano e lo stesso insopportabile sorrisetto stampato sul volto.

"Oh..." fu tutto quello che uscì dalle labbra di Chuuya. 

Era davvero il suo compleanno. Era strano come qualcosa di così importante avesse perso il suo significato col passare del tempo, tanto da arrivare al punto di dimenticarsene.

"Grazie... credo" mormorò poi, più al pavimento che a Dazai, grattandosi il collo. Si ripromise di evitare di fargli del male, almeno per quella sera. "Ora che hai finito con questa pagliacciata..." iniziò, mentre rimuoveva alcuni coriandoli che gli si erano impigliati nei capelli: "Fuori."

"Cosa?"

"Vattene! Non puoi piombarmi in casa come se nulla fosse e..."

"Potrei andarmene" lo interruppe Dazai: "Ma ho un'idea migliore."

Chuuya avrebbe voluto chiedergli cosa avesse in mente, ma non era poi così sicuro di volerlo sapere. Ma non ebbe bisogno di chiedere, perché Dazai, senza attendere una risposta, tirò fuori da dietro la schiena una vecchia coroncina fatta di cartoncino color oro, aggiustata alla bell'e meglio con una spillatrice. Niente di eclatante, ma i ricordi legati ad essa erano travolgenti. 

Quando Chuuya compì quindici anni non ci furono grandi festeggiamenti, ma poco importò, dal momento che neanche lui era interessato a riceverne; però Dazai era entusiasta all'idea di divertirsi per quell'occasione, così inventò un gioco con quella corona: il festeggiato doveva indossarla e aveva il potere di far fare all'altro qualunque cosa volesse. 

Col passare degli anni erano cresciuti e quella cerimonia, se così potevano chiamarla, si era fermata, anche a causa del loro brusco allontanamento.

In quel momento, l'ultima cosa che Chuuya aveva voglia di fare era giocare con Dazai. Come poteva fingere che fosse tutto normale? Avrebbe dovuto comportarsi come se l'altro non se ne fosse mai andato?

"Dammi una sola ragione per non buttarti fuori a calci in questo preciso istante" disse serio Chuuya.

"Mi ami" ammiccò Dazai.

"Vuoi andare o devo..."

"Ok, ok... Diamine Chuuya, rilassati un po'..." un falso broncio comparve sul viso di Dazai: "Sai che per me è importante festeggiare il compleanno, ma se proprio tu non vuoi..." disse in modo suadente, sollevando una bottiglia di champagne e due bicchieri dal pavimento, dietro il divano: "Ti darò una motivazione."

Gli occhi di Chuuya si illuminarono, deliziati: quella, a suo parere, era un'ottima motivazione.

Sospirò, poi gli disse: "D'accordo", avvicinandosi a lui e porgendogli il capo: "Servimi pure."

Un sorrisetto furbo si fece largo sul volto di Dazai. Tolse il cappello dalla testa del rosso e lo lanciò via, beccandosi un'occhiataccia da parte del suo proprietario; poi prese la coroncina di cartone e la poggiò gentilmente sul suo capo: "Ecco fatto" disse, allontanandosi leggermente per ammirare il capolavoro: "Il mio re!"

Chuuya perse un battito,

(No che non sono il tuo re; per te non conto un cazzo, altrimenti non mi avresti abbandonato in quel modo)

qualcosa tra la malinconia e la rabbia lo smosse: "Basta così", disse, strappandosi via la corona dalla testa e buttandola violentemente a terra: "Ho ventitré anni ora, non voglio certo giocare come un moccioso."

"Andiamo, abbiamo appena iniziato..." disse Dazai, lievemente deluso da quello scatto improvviso d'ira. Raccolse la corona, facendole riprendere posto sul capo dell'altro, poi stappò la bottiglia e riempì prima il bicchiere di Chuuya fino all'orlo, poi il suo; ma, prima ancora che potesse poggiarci le labbra su, l'altro aveva già cominciato a bere.

"Non mi concedi nemmeno un brindisi?" chiese deluso.

Chuuya lo guardò di traverso, staccando malvolentieri le labbra dal bicchiere per poter parlare: "A cosa dovremmo brindare?"

Dazai ci penso su perplesso, poi un sorriso giulivo, ma chiaramente falso, si fece strada sulle sue labbra: "Lunga vita al re!" esclamò, guadagnandosi un'occhiata velenosa da parte dell'altro, che non ripeté nemmeno la frase. Si limitò a far tintinnare il bicchiere contro il suo, riprendendo poi a bere.

Non appena ebbe finito, vi versò dell'altro champagne, poi altro, poi altro ancora, finché non percepì la mente cominciare ad annebbiarsi; nel frattempo, Dazai era rimasto ad osservarlo in silenzio, ridendo sotto i baffi. Sapeva che da quel momento in poi ci sarebbe stato da divertirsi.

"Fa un caldo del diavolo" mormorò Chuuya, sbottonandosi la camicia, per poi toglierla, rimanendo a petto nudo, e abbandonarsi sul divano con uno sbuffo: "Tu non hai caldo?"

"Stai forse tentando di sedurmi?" domandò Dazai con voce calda. Conosceva già la risposta, sapeva che Chuuya era ancora cotto di lui, ma quella situazione era esilarante, quindi decise di approfittarne. Non si sentiva neanche in colpa; del resto, sapeva che il giorno dopo l'altro non avrebbe ricordato assolutamente nulla, tanto valeva lasciarsi andare e divertirsi un po'.

"Mi hai scoperto!" esclamò Chuuya, scoppiando a ridere, per poi tornare improvvisamente serio: "Torna con me, dai" biascicò.

Quella richiesta, a Dazai, sembrò più una supplica che parole al vento da parte di un ubriaco: "No, Chuuya" rispose, guardandolo fermamente; forse, pensò, avrebbe dovuto evitare di stuzzicarlo in quel modo.

"Perché non puoi tornare con me?" farfugliò nuovamente il rosso, aggrappandosi alla manica della giacca di Dazai non essendo per nulla stabile.

"Perché ognuno ha la sua vita ora" fu la diretta risposta dell'altro. Lo disse senza pensarci nemmeno per un momento, come se si aspettasse una richiesta simile.

"Ma possiamo stare ugualmente insieme, come ai vecchi tempi."

"No. Io e te facciamo parte di due fazioni completamente opposte. Siamo nemici, non possiamo stare insieme", ragionò Dazai.

"Perché deve essere così difficile?"

"Non lo sarà se ti dimenticherai di me."

"Ma io non voglio."

Nel salotto calò il silenzio per alcuni secondi, poi Chuuya continuò: "Dimmi la verità."

"Cosa?"

"Tu non mi ami più, non è vero​?"

Dazai non rispose e nella stanza regnò il silenzio.

"Lo sapevo", fu l'amareggiato commento di Chuuya.

"Non restarci male, su."

"Ero solo una scopata facile per te?" sbottò il rosso, improvvisamente innervosito dai continui rifiuti di Dazai.

"Assolutamente no. Io ero veramente innamorato di te, ma al tempo eravamo due ragazzini che volevano provare nuove cose, tutto lì. Ora siamo due adulti che hanno intrapreso due strade diverse."

"Proprio tu, che sei il primo idiota a comportarti come un bambino, parli di essere adulti..."

"Non avercela con me per questo. Non ho dimenticato tutto ciò che abbiamo passato insieme, ma non sono più innamorato di te."

"Allora le cose stanno così..." mormorò Chuuya, evidentemente deluso.

Dazai si accorse che, in quel momento, all'altro era caduto il mondo addosso: quel fatto lo fece sentire a disagio. Anni prima lo aveva abbandonato senza neanche salutarlo, e la consapevolezza di essere stato così egoista nei suoi confronti lo faceva sentire in colpa; ma era quello, del resto, il motivo che lo aveva spinto a recuperare la coroncina e a riproporre quel gioco a Chuuya: sperava che, concedendoglisi per qualche ora nel giorno del suo compleanno si sarebbe fatto perdonare. 

"Ma io sono venuto qui per te stasera, Chuuya. Esaudirò ogni tuo desiderio" gli disse, sorridendogli gentilmente.

Chuuya lo fissò per un attimo, gli occhi azzurri leggermente lucidi sembravano brillare proprio come un cielo stellato; si staccò dal suo braccio e riuscì a raggiungere il giradischi. Inserì un disco in vinile contenente un lento, poi si riavvicinò a lui e gli cinse i fianchi con un braccio.

"Ballare? Seriamente?" rise Dazai: "Pensavo volessi... fare l'amore."

"Non avrebbe senso. Tu non sei più innamorato di me, quindi non sarebbe amore, ma solo sesso. E io non voglio fare sesso con te."

Quella, poi. Di tante risposte che Dazai aveva immaginato, quella era sicuramente l'ultima, dal momento che quando stavano insieme non gli aveva mai detto di no.

Ballarono a lungo, guidati dalla dolce melodia proveniente dall'apparecchio, fin quando Chuuya prese la testa dell'altro tra le mani e la tirò a sé, baciandolo. 

"Però... volevo solo un ultimo bacio da te" disse, per poi abbracciarlo con urgenza, cercando disperatamente quel contatto che tanto gli era mancato e che, sapeva, mai più avrebbe avuto.

"Stasera faccio tutto quello che mi dirai tu" gli ricordò Dazai: "Se ne vuoi altri basta chiedere."

Chuuya doveva aver bevuto davvero troppo quella notte, e non importava che fossero stati solo pochi bicchieri. Forse era quella la ragione per cui, poco dopo aver espresso il suo desiderio a Dazai, si trovava disteso sul letto, l'ex partner sopra di lui che gli lasciava leggeri baci sul collo; scendeva fino alle clavicole, poi risaliva, senza permettersi di andare più giù, rispettando appieno la richiesta del festeggiato.

"Dazai" lo chiamò quest'ultimo, quasi senza fiato e completamente in estasi.

"Che c'è? Le mie attenzioni sono di vostro gradimento, vostra altezza?" lo vezzeggiò lui.

"Baciami."

"Non è quello che sto facendo?"

Chuuya lo afferrò per il colletto della camicia, portando i loro volti alla stessa altezza così che potessero guardarsi dritti negli occhi: "Sai cosa intendo."

Dazai ghignò: "Come desiderate, mio re."

E si chinò su di lui, unendo le loro labbra in un bacio casto e gentile, finché l'altro non gli afferrò il volto per approfondire l'atto. 

Chuuya perse la cognizione del tempo mentre si baciavano, ma fu come se lo avessero fatto solo per pochi secondi quando si separarono. 

Era come se non ne avesse avuto abbastanza, voleva durasse ancora più a lungo, ma quando provò a tirare nuovamente Dazai a sé, questi gli poggiò delicatamente un dito sulle labbra, guardando la sveglia digitale sul comodino accanto al letto. 

Mancava un minuto a mezzanotte.

"Hai tempo per un ultimo desiderio" lo informò Dazai, sembrando insolitamente gentile illuminato dai raggi argentei della luna.

Chuuya sentì una miriade di emozioni farsi strada in lui. Indignazione, malinconia... ma, sopra tutte queste, regnava il doloroso amore che provava per l'uomo che era sempre stato tutto ciò che desiderava, ma che non avrebbe mai più potuto avere.

(Presto tutto ciò finirà, lui andrà via e tu rimarrai solo, di nuovo, e per il resto dei tuoi giorni.)

"Resta con me" sussurrò Chuuya, quasi supplicante.

Dazai gli prese la mano, baciandone il dorso: "Certo, vostra maestà" disse, ma il tono della sua voce nascondeva qualcosa. Si abbandonò accanto al suo ex partner, su quel letto che conosceva fin troppo bene, tendendo le braccia verso di lui.

Chuuya quasi pianse, ma trattenne le lacrime; aveva imparato a farlo col passare degli anni. Gli aveva detto di sì. Era riuscito a convincerlo e a farlo tornare assieme a lui, e tutto per uno stupido gioco di compleanno. Benedisse il momento in cui aveva accettato di partecipare a quella messinscena, poi abbandonò il volto nell'incavo tra il collo e la spalla di Dazai. Le sue palpebre si chiusero involontariamente, e in pochi secondi era già addormentato.

 

 

Poche ore dopo, Dazai si risvegliò dal suo breve sonno. Si alzò sostenendosi sui gomiti, e poggiò la testa su una mano, rimanendo ad osservare il viso dormiente di Chuuya per alcuni minuti. Quando dormiva, aveva un'aria insolitamente tranquilla e rilassata. Gli scostò delicatamente i capelli dal volto, per poi districarsi dal suo abbraccio. Raccolse la giacca abbandonata su una sedia accanto al letto e se la infilò, constatando quanto fosse fredda rispetto al calore che emanava il corpo del rosso. 

"Buon compleanno, Chuuya" sussurrò Dazai nel lasciare la stanza, non osando guardare indietro o, sapeva, sarebbe stata ancora più dura lasciarlo lì. 

Sebbene gli avesse promesso che sarebbe rimasto, era già passata la mezzanotte quando Chuuya aveva espresso quel desiderio, e Dazai sapeva che doveva andarsene. 

 

 

Quando Chuuya si risvegliò, la prima cosa che percepì fu il dolore lancinante alla testa causato dall'alcol. Solo dopo aver aperto gli occhi realizzò di essere solo in quel letto. Avrebbe voluto poter dire che non ci rimase neanche tanto male, quasi se lo aspettasse che fosse un'altra menzogna quella della sera prima, ma per quanto potesse essere pronto a quel finale, continuava ad essere comunque dannatamente doloroso.

Gli aveva promesso che sarebbe rimasto per sempre, ma lo aveva abbandonato, di nuovo.

Gli aveva promesso la vita, ma lo stava uccidendo lentamente e dolorosamente.

Lo aveva illuso con i suoi giochetti, da abile manipolatore qual era, facendogli credere che una festa improvvisata, un po' d'alcol e qualche bacio da sbronzi avesse potuto sanare quella ferita aperta da tanto, troppo tempo.

Credeva sarebbe potuto tornare tutto come ai vecchi tempi; ma non aveva considerato che erano anni, ormai, che Dazai gli aveva chiuso le porte del suo cuore.

Credeva sarebbe riuscito a riconquistarlo a poco a poco, ma tutto quello che aveva ottenuto era una delusione, un rifiuto, un cancello sbattuto in faccia.

 

 

 

 

 

Angolo Autrici
Ed eccoci qui, l'ultimo capitolo, il gran finale di questa storia.
La fine ci fa male, del resto ne siamo affezionate tantissimo e di sicuro ci ha anche aiutate a migliorare le nostre capacità di scrittura.
Il finale potrà non piacere ad alcuni, che magari si aspettavano un lieto fine, ma la decisione di farla orientare sull'angst è nata molto tempo fa e, dal nostro punto di vista, è molto meglio così; è probabile che abbia lasciato un po' di amaro in bocca, ma era proprio questo l'intento.
Ringraziamo tutti quelli che ci hanno seguite e che ci hanno dato supporto, senza il quale, probabilmente, non saremmo riuscite ad andare avanti con la motivazione e la voglia con cui abbiamo iniziato ben cinque mesi fa.
Però, anche se questa avventura è finita, torneremo presto ad ammorbarvi con una nuova long! (piccolo spoiler: sarà una school!AU) :D
A presto,
A&G

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3572579