CAPITOLO UNO
“I Had
a Dream”
Una
volta mia nonna mi disse che la vita è soltanto un
sogno; che la morte è il momento in cui ci svegliamo davvero
e viviamo per
l’eternità.
Da
questo, una domanda mi sorse spontanea: se la vita è
soltanto un sogno e la morte non è altro che l'inizio della
vita, cos’è un
sogno?
E a
proposito di questo, mi disse, con poche e semplici
parole, che un sogno è come una piccola morte;
nonché un piccolo assaggio della
vita come non l’avevo mai conosciuta: un mondo dove tutto
è possibile e nulla
è… impossibile!
~
Quella mattina,
Joanna si
svegliò all’alba, avvolta dentro al suo
piumone bianco. La sua camera era dominata
da soli due colori: il bianco e il nero; giusto un accenno di beige,
dato solo
dalle cornici di qualche quadro. Era spaziosa, ariosa, i raggi del sole
filtravano attraverso il lucernario posto sopra il suo letto; quelli
stessi
raggi così caldi e giocosi, le solleticarono il viso,
svegliandola dolcemente.
Era Domenica.
Fissò
il soffitto per
qualche minuto prima di alzarsi, come era solita fare, ripensando a
cosa avesse
sognato durante la notte.
Naturalmente,
ricordare un
sogno, richiede quasi sempre un immenso sforzo mentale per gli esseri
umani;
molto più di un qualsiasi sforzo fisico, a volte.
Allora, Joanna,
continuò a
sforzarsi di ricordare ogni minimo dettaglio, ripensando alle
sensazioni
provate; sensazioni piacevoli, che non provava da tempo. Si
sforzò di ricordare
mentre preparava il caffè, mentre leggeva il giornale a
tavola, mentre
sorseggiava quello stesso caffè, mentre si lavava i denti
con il cane che
gironzolava intorno alle sue gambe e, infine, mentre osservava allo
specchio i
suoi capelli lunghi, biondi e scompigliati.
La giovane e
single,
Joanna, si sforzò per quasi tutto il giorno di ricordare
quel banale sogno: un
sogno che decise di raccontare alla sua migliore amica nel momento in
cui si
ritrovarono a pranzo insieme nel loro solito ristorante.
La sua amica si
chiamava Mona
Bay ed era quel tipo di amica sempre diretta, che non aveva mai peli
sulla
lingua; quel tipo di amica che detestiamo perché ci dice
sempre la verità,
spesso pungente, ma di cui non possiamo fare a meno. Per tutta la vita
aveva
combattuto con i suoi problemi di peso e sopportato i commenti della
gente, le
risatine delle ragazze più popolari del liceo, quelle
perfette, a cui nulla
andava mai storto. Aveva collezionato diversi rifiuti da parte di
ragazzi per
cui lei moriva al solo incrociarsi dei loro sguardi; sguardi che, in
realtà,
incrociava solo lei, immaginando accadesse la stessa cosa anche
all’altra
persona. Quei rifiuti, spesso umilianti, fatti di scene patetiche,
erano
odierni teatri della sua vita. Ma, alla fine, dopo tutta quella
sofferenza, ce
la fece, non mollò: dimagrì tra
l’estate dell’ultimo anno di college e
l’inverno di quella che sarebbe stata la sua vita da adulta.
Mona ebbe
sicuramente la
sua rivincita, pur non avendo mai raggiunto quel risultato sperato;
tuttavia,
nessuno è perfetto fino in fondo: era questo il suo motto.
Ciò
che non perse mai,
invece, fu il suo carattere combattivo e determinato, che durante
quegli anni,
le permisero di sopravvivere a qualsiasi cosa.
Amava portare i
capelli
corti fino alle spalle, optando quasi sempre per un rosso acceso dalla
sua
parrucchiera di fiducia.
Era
l’amica più divertente
che Joanna avesse mai avuto. Un difetto? Si ritrovava quasi spesso a
peccare di
scetticismo. Era quel tipo di persona che: se non vedo, non credo.
Persino
davanti alle prove più schiaccianti, cercava di negare
l’evidenza: scettica
fino al midollo!
“Quindi,
fammi capire, tu
sei in questo luna park… - fece una pausa, masticando la
carne che si era
appena portata alla bocca con la forchetta
– incontri questo gruppo di amici, ridete,
scherzate, tu vinci anche
peluche e… - mandò finalmente giù il
boccone – poi ti sei svegliata? Tutto qui
il tuo sogno, Joanna?”
L’altra
ci fantasticò
ancora, completamente succube: “E’ assurdo dire che
mi sono sentita bene, in
quel sogno? Ero con questi amici ed era come se ci conoscessimo da
sempre;
sorridevamo, tiravamo freccette, dondolavamo sulla ruota panoramica e
poi… -
arrosì – c’era questo ragazzo fra loro,
che mi piaceva proprio tanto. – sorrise
come una stupida - Sai, Mona? Credo che ne fossi innamorata.
– rettificò subito
– Cioè, non io, ma la Joanna del sogno.”
“Quindi
hai dei fantastici
amici che non esistono e sei innamorata di un tizio che…
Beh, non esiste
nemmeno lui!” esclamò sarcastica, sottolineando
l’assurdità delle sue parole
con un sollevamento delle sopracciglia.
Joanna cadde
dalle nubi, a
quel punto, seccata dalle faccette che l’amica assunse:
“La smetti, Mona? Ti
sto raccontando il mio sogno, vorrei che mi prendessi sul
serio.”
Quella
poggiò le posate,
come se avesse qualcosa da cacciar fuori con severità:
“Ma io ti ascolto,
Joanna. Ti ascolto sempre!”
“C’è
qualcosa che devi
dirmi?” sussultò sorpresa, rendendosi conto che
Mona era infastidita da
qualcosa.
“Sì,
Joanna! Non fai altro
che vivere nei sogni, quando puoi benissimo vivere qui, nel mondo
reale. – le
spiegò, cercando di essere il più delicata
possibile – Non hai bisogno di un
sogno per uscire con un ragazzo, o per fare nuove amicizie…
- sospirò, mentre
Joanna abbassava lo sguardo – Ascolta, lo so che non hai
avuto un passato
facile. Sei ancora ferita da ciò che ti è
accaduto, ma ormai sono passati più
di due anni da quella vicenda.”
“Per
me non è più così
facile fidarmi di qualcuno, lo sai meglio di chiunque altro.”
replicò in
maniera molto provata e sofferente.
“Non
tutti sono come Kyle,
tesoro. – cercò di darle il suo punto di vista,
come aveva sempre fatto -
Certo, ci sono molti altri ragazzi cattivi lì fuori, posso
garantirtelo io
stessa, ma ci sono anche ragazzi buoni: ragazzi che non ti farebbero
mai quello
che ti ha fatto lui.”
“Forse
hai ragione… –
accennò un sorriso malinconico, gli occhi
lucidi e testimoni di tanto dolore – Per colpa di Kyle mi
sono così isolata,
che ci è voluto uno strano sogno per farmi rendere conto di
quanto sia ancora
condizionata da quello che mi ha fatto. - provò rabbia in
quel momento - Sai,
l’altro giorno i miei colleghi in ufficio mi hanno invitata a
bere qualcosa e
io… beh, io non sono proprio riuscita ad unirmi a loro. Non
ce l’ho fatta!”
“E
invece dovevi! – le
prese la mano, lungo il tavolo – Se continui ad allontanare
il mondo da te
stessa, Kyle vince, Joanna; nonostante il bastardo sia rinchiuso in una
cella e
sia lui ad essere quello lontano dal mondo per davvero. –
gliela strinse,
provando ad incoraggiandola – Tu sei libera adesso, non deve
avere più potere
su di te.”
“Hai
ragione, sono libera
adesso. In quel sogno mi sono sentita bene solo perché nulla
di tutto ciò era
reale. E quando qualcosa non esiste, non c’è
minaccia.”
“È
ora che tu faccia i
conti con la realtà, con le persone che esistono davvero.
– le sorrise – E
vedrai che anche ciò che è reale può
farti del bene: io ne sono la prova
vivente, sono tua amica. Devi solo buttarti.”
Joanna
ricambiò quel
sorriso sincero, felice di avere quella solida ancora di salvezza in
grado di
farla riemergere dalle acque più profonde.
“Grazie,
Mona.”
Subito dopo quel
chiarimento, la conversazione tornò ad essere più
leggera e allegra, e Mona era
curiosa di sapere altro su quel sogno.
“Allora,
com’era questo bel fusto dei tuoi
sogni?”
“E’
un vero peccato che tu
non possa vederlo, la mia descrizione non gli renderebbe giustizia.
– spiegò,
ammaliata nel ricordarlo – La cosa buffa è che ci
siamo scattati delle foto,
sia con lui che con gli altri nostri amici. – rise
– Te le farei vedere, ma non
esistono.”
“Un
vero peccato!” esclamò
delusa, mettendo il broncio per un istante.
Improvvisamente,
il
telefono di Mona squillò e quella lo tirò fuori
dalla borsa, osservando lo
schermo.
“E’
mia sorella, le ho
promesso di andare con lei in un negozio di antiquariato,
giù a Grenview. – le
fece sapere, arretrando con la sedia - Sta arredando il suo nuovo
appartamento,
perciò…”
“Ok
ok, allora non ti
trattengo oltre. – prese il portafoglio dalla sua borsa -
Pago io il conto,
stavolta!”
Mona le
passò accanto,
dandole di sfuggita un bacio sulla guancia: “Grazie, tesoro.
E mi raccomando,
esci dalla Dreamzone! Il mondo reale aspetta di conoscerti e tu sei
troppo
preziosa per non lasciarti vivere da chi ti merita.”
“Ma
smettila!” esclamò
ridendo, guardandola andare via in maniera goffa; quasi si
scontrò con il
cameriere per la fretta, facendo una delle sue solite figuracce, che
avevano
del comico alla fin fine.
Rimasta da sola,
a quel
tavolo, Joanna restò lì seduta a riflettere per
qualche minuto sulle parole
dell’amica. Tra il brusio di voci che la circondava, di gente
che pranzava
oltre l’ora di punta, decise di seguire il suo consiglio.
~
Più
tardi, verso sera,
Joanna era sdraiata sul suo letto; indossava una di quelle enormi
magliette
bianche con sopra una frase divertente; le sue gambe accavallate erano
scoperte
e luminose sotto la luce tenue delle sue lampade da notte.
Rilassata,
iniziò a
scambiarsi diversi messaggi con qualcuno tramite una delle
più famosi
applicazioni per incontri, ovvero Tinder; sembrò essere
molto coinvolta.
Joanna:
Quindi
fai l’avvocato? Mmh, mi sarebbe piaciuto vedere una foto di
te in giacca e
cravatta.
Ruben:
Se vuoi te la
mando.
Joanna:
Ok.
Joanna
ricevette la foto. Ruben
appariva come il classico uomo che corre tutte le mattine, che mangia
cibi
salutari, che ama i capi da figura professionale al punto da adorarsi
allo
specchio mentre essi li calzano a pennello e, infine, che ha molto da
dire a
livello intellettuale; ciò non escludeva, però,
che potesse essere un
donnaiolo, dato l’aspetto: un argentino con barba e muscoli,
se lo poteva
permettere.
Ruben:
Allora?
Sono carino?
Joanna:
Molto!
Ti preferisco in giacca e cravatta.
Ruben:
Sono
colpito!
Molte altre mi preferiscono in addominali e basta.
Joanna:
Beh,
io non sono come le altre.
Ruben:
Mi
mandi una foto anche tu?
Joanna:
Mi
sembra equo. Ma ti avverto, non ti aspettare una foto in bikini e il
sedere
puntato verso la fotocamera: non sono una troietta.
Ruben:
Aspetto…
Joanna
cercò una foto nella
galleria del suo telefono, una in cui fosse molto carina.
Improvvisamente,
mentre la stava cercando, ne trovò una che attirò
la sua attenzione in maniera
misteriosa; tanto da farle dimenticare del ragazzo con cui stava
chattando.
“Non
è possibile!” esclamò
incredula, un filo di voce.
Quella che aveva
davanti,
era la stessa foto scattata nel sogno assieme a quel gruppo di amici al
luna
park.
Ruben:
Ehi,
ci sei ancora?
Joanna
visualizzò quel
messaggio, ma ormai aveva la testa altrove per poter continuare a
flirtare con
quel ragazzo; che, in fin dei conti, le era anche piaciuto.
Disorientata, si
alzò e si
infilò i pantaloni della tuta e una giacca pesante, a caso,
dall’appendiabiti.
“Bluto??
– chiamò il cane -
Forza, bello!”
Quello accorse
immediatamente al suo richiamo, arrivando dall’altra stanza,
e Joanna, dopo
aver infilato il telefono in tasca, gli agganciò il
guinzaglio, aprendo la
porta di casa per uscire.
~
Scesa in strada,
Joanna era
al telefono con la sua amica Mona, raccontandole ciò che le
era appena successo
con molta agitazione.
“Hai
ricevuto la foto che
ti ho mandato?”
“Sì,
e sono sconcertata dal
fatto che tu abbia incontrato delle nuove persone senza di me. E che tu
abbia
fatto così in fretta, dopo il mio consiglio; a questo punto
non so se essere
fiera perché segui i miei consigli, oppure odiarti
perché questa sarà la
telefonata in cui mi scarichi per i tuoi nuovi amici esteticamente
carini.”
“Mona,
io non conosco
quelle persone, ok? – le spiegò in maniera
coincisa – Non noti qualcosa di
familiare?”
L’altra
sembrò non
prenderla sul serio, come al solito: “Ehm… adoro
la sciarpa che indossi, quando
l’hai comprata? Aspetta, forse c’ero
anch’io, era durante il Black Friday?”
“Non
ho mai comprato quella
sciarpa! – si innervosì - E comunque non mi
riferivo ai vestiti, ma alla ruota
panoramica!”
“Ok, e
allora?”
“Il
sogno, Mona! – cercò di
accendere la lampadina del suo cervello - Nel sogno di cui ti ho
parlato, io e
quelle persone eravamo in un luna park.”
Finalmente il
tono
dell’amica si fece serio, come Joanna sperava:
“Oookeeey… - si schiarì la voce
– Allora, vediamo se ho capito bene: tu mi stai dicendo che
nel tuo telefono
hai trovato una foto scattata con persone che non hai mai incontrato
nella tua vita,
in un luna park in cui non sei mai stata, ma che questa foto non
dovrebbe
esistere perché, in realtà, è stata
scattata in un sogno che hai fatto ieri?”
chiese conferma del suo ragionamento con tono immancabilmente scettico
e,
perciò, interrogativo.
“Esatto!
– buttò gli occhi
al cielo - Finalmente!”
“Ok,
Joanna, cosa vuoi che
ti dica? Che questa cosa non è folle?”
L’altra
si mise una mano
trai capelli, disperata e confusa: “Non lo so, non riesco a
capire. E’
inquetante!”
“Lo so
che è inquietante,
non dirlo a me! Pensavo che la cosa più inquetante che
avessi sentito fosse la
storia di mio cugino Andrew, inseguito dalle api rosa; il che mi
sembrava
inventato di sana pianta e infatti avevo ragione, due giorni dopo
l’ho beccato
alla marcia del gay pride vestito da ape rosa.”
“Vestito
da ape rosa? –
pensò di aver capito male, per poi tornare sul discorso
principale con molta
apprensione – Senti, Mona, che cosa faccio, adesso?”
“Ehm,
andare a dormire per
non arrivare in ritardo a lavoro, domani?”
sbadigliò a tratti.
“Sicura
che è il mio di
lavoro per cui sei preoccupata? – si infuriò
– O il tuo?”
Mona, ormai,
aveva un tono
esausto: “Joanna è tardi, domani apro io la
botique. E tu devi arrivare in
ufficio presto, quindi sono preoccupata anche per te. Devi
dormire!”
“Caspita,
Mona, ti ho
appena mandato una foto che non esiste e tu pensi ad andare a
dormire?”
“Beh,
ieri ho sognato un
cavallo parlante dentro una piscina, ok? – replicò
isterica - Preferirei
chiuderla qui, prima che le cose bizzarre che stanno accadendo a te,
accadano
anche a me!”
“Bene!
Va’ pure, scarsa
definizione di migliore amica!” esclamò offesa,
chiudendole la chiamata in
faccia.
Sbuffando,
tirò il cane
indietro: “Forza, Bluto! Torniamo a casa.”
~
Rientrata,
Joanna pensò
ancora a quella foto: ormai era un ossessione per lei. Quando si
sedette sul
letto, dopo essersi spogliata, provò a cercare i volti di
quelle persone
tramite internet, ma con scarsi risultati: il motore di ricerca non
diede alcun
risultato.
Arresa e stanca,
poggiò il
telefono sul comodino e spense la lampada. Sotto le coperte, finalmente
si
addormentò, illuminata dalla luce della luna, che filtrava
attraverso il vetro
del lucernario.
~
Sei ore
più tardi, Joanna
spalancò gli occhi: fece un nuovo sogno, le
sembrò di essersi addormentata da
un solo minuto. Era l’alba.
Per paura di
dimenticarlo,
si alzò in fretta e furia, prendendo carta e penna;
iniziò a segnare tutto ciò
che ricordava, come se questo le potesse servire a qualcosa.
Subito dopo, si
fece una
doccia, si vestì, riempì la ciotola del cane e
uscì di corsa, stringendo quel
foglio in una mano.
~
Alla solita
caffetteria in
centro, Joanna sedeva con Mona; le tese davanti agli occhi il foglio,
aspettando che lo prendesse, mentre la cameriera poggiava le loro
ordinazioni: due
cornetti alla marmellata, un cappuccino e un caffè nero.
Mona
roteò gli occhi sotto
i suoi occhiali scuri, massaggiandosi una tempia, leggermente seccata e
affamata: “Joanna, devo aprire la botique tra un quarto
d’ora, vorrei godermi
questo cappuccino con la schiuma a cuore; che tra l’altro ha
pure una crepa:
persino il barista si prende gioco della mia vita
sentimentale.”
“Leggi!”
le ordinò,
scuotendo il foglio.
Finalmente Mona
lo prese,
accennando un espressione poco interessata: “… Ah,
wow, hai di nuovo incontrato
il ragazzo dei sogni che ti piaceva. – disse sarcastica, la
voce scialba - Gli
hai detto che la vostra non-foto è rimasta sul tuo telefono?
No? Che peccato!”
fece il suo monologo lampo, mirato a marcare il suo totale disinteresse.
“Mona,
davvero non mi
credi?”
“Non
lo so, è tutto così
assurdo, non credo a queste cose! – si dimostrò
diffidente - Chi mi dice che tu
non abbia incollato la tua faccia in quella foto e mi stia prendendo in
giro?”
“Non
è photoshop, Mona. –
le disse con il cuore in mano e gli occhi lucidi – Te lo
giuro sulla mia vita;
dovessi tornare a rivivere quei giorni con Kyle se sto davvero
mentendo: e lo
sai perfettamente che non posso mentire su una cosa del genere, dopo
quello che
ho passato.”
Turbata, Mona
sembrò
crederle: “Oh mio Dio, Joanna…
Com’è possibile tutto questo?”
“Non
lo so, ma ti prego… -
ancora una volta, scosse il foglio davanti ai suoi occhi –
leggilo
attentamente!”
Quella
sospirò,
ascoltandola: “Allora, qui hai scritto che lui si chiama
Spencer… - prese una
pausa per passare all'informazione successiva – Siete su una
spiaggia a giocare
a scarabeo; lui compone continuamente la parola SFPD, mentre tu hai i
polsi
incollati…”
“Non
riuscivo a staccarli,
ma nonostante ciò non mi sono spaventata.”
Mona
abbassò il foglio,
curiosa di scoprirne di più: “Ascolta, ma nel
sogno tu sai di stare sognando?”
“No,
lo so solo quando mi
sveglio. Cioè, so di aver sognato, ma in quel momento non
sono io ad avere il
controllo delle mie azioni – si sentì
improvvisamente confusa, mentre Mona era
perplessa – Non so come spiegarlo, è
complicato.”
“No,
non è complicato.
Anch’io mi sveglio sapendo che nel sogno non ero consapevole
di stare sognando.
A te l’ho chiesto perché potrebbe essere stato
differente vista la situazione,
ma a quanto pare no.”
“Che
potrebbe significare
SFPD, secondo te?”
“Potrebbe
essere una sigla
di qualcosa… mhh... - ci riflettè –
Tipo… Polizia di San Francisco o…” e a
quel
punto sgranò gli occhi assieme a Joanna, nello stesso
istante.
“Oh
mio Dio, delle manette!
– si sollevò dalla sedia, adrenalinica –
I miei polsi erano incollati come
quando ti mettono le manette: è questo che vuole dirmi il
mio sogno!” esclamò
con enfasi.
Tutti i clienti
della
caffetteria e qualche passante, puntarono subito lo sguardo sul loro
tavolo,
imbarazzando Joanna, che si risedette mortificata.
Mona riprese la
conversazione, bisbigliando per via della figuraccia appena fatta:
“Ok, il tuo
sogno ti sta dicendo che finirai in prigione in stile Orange
is the new black? Per caso hai visto una delle protagoniste
nel tuo sogno? Sai, potrebbe essere un indizio.”
“O
forse mi sta dicendo che
devo rintracciare così le persone che ci sono nella foto,
chiedendo aiuto alla
polizia.”
“E
cosa dirai: "Salve, agenti, per caso nel
vostro database
ci sono i miei amici immaginari."? - replicò
sarcastica e realista –
Non funziona così, tesoro. Finiresti a sniffare i tappi
delle penne in qualche
bizzarro manicomio con i corvi e il cielo grigio sullo
sfondo.”
“E se
non fossero
immaginari? Se esistessero davvero? – pensò -
Magari sono da qualche parte che
si stanno facendo le mie stesse domande.”
“Quindi
che vuoi fare? –
chiese Mona, osservando l’ora sul suo orologio da polso
– Seriamente, se non
corro ad aprire la boutique, Natalie mi uccide.”
Joanna
reagì con determinazione:
“Se il mio sogno mi suggerisce di rivolgermi alla polizia,
allora mi rivolgerò
alla polizia. Magari questo ragazzo dei miei sogni è un
poliziotto, tentare non
costa nulla.”
“E gli
altri ragazzi nella
foto?”
“Una
cosa alla volta, Mona;
loro li ho visti solamente in un sogno, quello del luna park, mentre
questo
ragazzo… beh, l’ho visto per ben due
volte.”
“Ok,
se vuoi facciamo un
salto al distretto verso l’ora di pranzo. – prese
la borsa, pronta ad alzarsi –
Ora devo proprio andare, perciò che mi dici?”
L’altra
era molto
pensierosa, lo sguardo fisso verso il basso:
“…Ehm, ok, va benissimo. Più tardi
andremo insieme.”
“Perfetto,
però adesso
corri in ufficio. – indossò i suoi occhiali da
sole, che prima aveva poggiato,
mandandole un bacio volante con il dito – A dopo!”
“Ciao,
Mona.“ la salutò
distrattamente.
Per Joanna,
quella visita
al distretto, rappresentava motivo di ansia. Non sapeva se avrebbe
incontrato
quel ragazzo dei sogni, oppure no, e la cosa la stava mandando
letteralmente
fuori di testa; le sembrò quasi di essere tornata indietro
nel tempo, a quando
l’unico problema era cosa mettersi per il ballo di fine anno.
~
Come tutti i
giorni, Joanna
arrivò in ritardo in ufficio; lavorava come reporter
cronista allo Yell of
news, una delle riviste più note di San Francisco, nata da
pochi anni dal suo
fondatore, Edward Yell.
Non appena
uscì
dall’ascensore, si sedette alla sua scrivania, liberandosi
subito dall’ingombro
del capotto e della borsa; quando si mise comoda sulla sedia,
notò i suoi
colleghi, non molto lontani da lei, riuniti in cerchio a parlare di
qualcosa;
del resto, era quello che facevano tutti i giorni: parlare del
più e del meno,
scherzare fra loro, scambiarsi informazioni. Joanna non aveva mai
partecipato
per scelta, restando sempre sulle sue.
Ora che Mona,
però, le
aveva fatto notare quanto fosse sola, Joanna si sentì
esclusa per davvero e a
quel punto, con i consigli della sua amica che le rimbombavano nella
mente, si
alzò in piedi, si sistemò il giacchetto e prese
coraggio; si avvicinò a loro,
girati di spalle, che nemmeno si accorsero della sua vicinanza. Joanna,
però,
non demorse e, dopo un piccolo sospiro, finalmente si fece sentire.
“Ehi,
di che parlate?”
domandò, sfoggiando un sorriso insicuro.
I suoi colleghi
smisero di
parlare, voltandosi simultaneamente: erano in tre. Uno di loro, Nigel
Finnegan,
padrone della scrivania attorno a cui gli altri due erano raccolti,
prese
parola, piacevolmente sorpreso.
Nigel appariva
bello e
brillante, il tipico ragazzo circondato da molte persone, sempre al
centro
dell’attenzione, socievole; ciò che lo distingueva
particolarmente dagli altri,
però, era la sua bontà d’animo nei
confronti della gente.
“Ehi,
Joanna. Ciao. – le
sorrise, gentile - Niente, parlavamo del compleanno di Lambert,
volevamo organizzare
una festa a sorpresa per lui, qui in ufficio.”
“Lambert,
il nostro
redattore capo? Il burbero e severo Lambert? –
sottolineò Joanna, cercando di
fare conversazione – Non pensavo fosse il tipo da feste a
sorpresa.”
Seguendo a ruota
le parole
di Nigel, fu il turno di Miranda Gibbins, in piedi accanto a Nigel; in
ufficio,
tutti sapevano che Miranda aveva una cotta per lui: pendeva
letteralemente
dalle sue labbra. Il suo carattere la portava spesso ad essere
graffiante,
quasi ostile, ma solo nei confronti di chi la ostacolava in qualcosa.
Appariva
esuberante, e, come ogni afroamericana che si rispetti, sfoggiava il
suo
cespuglio di capelli ricci con la stessa grazia di una modella che sa
quali
sono i suoi punti forti.
“Beh,
Lambert è simpatico
quando si apre. – la guardò dall’alto,
uno sguardo di sufficienza - Pensavamo
di fare anche una colletta per un regalino.”
“Fantastico,
allora mi
unisco! – esclamò Joanna, entusiasta –
Vorrei conoscere anch’io questo lato
simpatico di Lambert, quando non ci sgrida per le storie che li
rifiliamo.”
Venne la volta
di Geremia
Westwick, il più giovane dei reporter; indossava sempre un
papillon, abiti su
misura e usava tanto gel per capelli. Timido, bassino, dai capelli rossi e frivolo nei
modi, non
nascondeva la sua evidente omosessualità.
“Sono
Geremia! – le strinse
subito la mano, felice di fare la sua conoscenza – Sono qui
da un anno e credo
che questa sia la prima volta che ti sento parlare.”
Era soprattutto
schietto e
diretto. Joanna era molto coinvolta dalla sua personalità
elettrizzante.
“Il
piacere è tutto mio,
Geremia. – rise, divertita dal suo brio - Hai una stretta di
mano molto
energica!”
“Vado
in palestra da soli
due mesi, tra un anno conto di riuscire a piegare un
cucchiaio.”
Joanna lo
trovò davvero
simpatico, condividendo il sorriso che le era stato appena strappato,
assieme a
Nigel; Miranda, invece, restò frigida, interpretando subito
gli sguardi tra
Joanna e Nigel come una minaccia.
“Allora
vado a prendere il
portafoglio, sapete già cosa regalarli?” chiese,
volendo essere partecipe.
“Una
penna, Joanna. –
rispose Miranda, cinica – Lambert è ossessionato
dalle penne, non hai visto la
collezione che ha nel suo ufficio?”
“Ehm,
non ci ho fatto
caso…” disse intimidita, quasi mortificata nel non
saperlo.
Miranda
restò allibita, sottolineandolo
con sconcerto: "Ne ha una mensola piena!"
“Dai,
a pranzo metti la tua
parte. – Nigel controllò l’orario
– Ora dobbiamo metterci a lavoro.”
“No, a
pranzo ho un altro
impegno, mi dispiace. – spiegò Joanna, mentre
Miranda si lasciò andare ad una
piccola smorfia; come se fosse sorpresa dal fatto che avesse degli
impegni – Ti
do la mia parte adesso, ok?”
“Ok,
Joanna.” le sorrise di
nuovo Nigel, sempre con molta dolcezza.
Joanna
ricambiò quel
sorriso, poco prima di tornare alla sua scrivania. Miranda era sempre
più
irritata.
~
Più
tardi, Mona e Joanna
stavano salendo le gradinate del distretto; quest’ultima non
perse occasione
per condividere con lei la sua mattinata lavorativa.
“…Non
pensavo di riuscire a
farmi avanti, finchè non ho sentito la tua voce martellante
nella testa, stile
grillo parlante, e sono riuscita a rivolgere loro la parola, ci credi?
-
raccontò eccitata - Nigel e Geremia sono così
simpatici e gentili, mentre
Miranda devo ancora inquidrarla. Sono contenta." concluse con un
sorriso
raggiante.
“Sono
così fiera di te,
anche se la mia voce non è martellante, credo sia esagerato
da parte tua. E
poi, più che grillo parlante, sono più la tua
fata madrina: ti porterò in
boutique a comprare un abito carino per la festa a sorpresa di Lambert.
Ovviamente, sconto amici!” le bisbigliò.
“Mona,
è una festa a
sopresa in ufficio, non una passeggiata sul red carpet: mi
vestirò come al
solito.”
“Per
favore, non mettere
quel maglione giallo sopra la camicia azzurra. – le
pregò, disgustata – L’ultima
volta non riuscivo a guardarti negli occhi.”
Joanna si
fermò di colpo,
all’ingresso, guardando l’amica con uno sguardo da
cucciolo bastonato: “…Ma io
volevo mettermi proprio quel maglione giallo assieme alla camicia
azzurra.”
“Mi
stai prendendo per il
culo, vero?” sperò fosse così, basita.
Quell’altra
subito sorrise,
smentendo: “Certo, che ti sto prendendo per il culo. Non
è il red carpet, ma ho
una dignità ancora.”
Mona sorrise,
sollevata dal
fatto che scherzasse. Le due donne non persero altro tempo in
chiacchiere:
finalmente entrarono nel distretto.
~
Tra il caos dei
telefoni
che squillavano e agenti che facevano avanti e indietro negli uffici,
Joanna e
Mona si sentirono leggermente perse e fuori luogo;
quest’ultima, però, decise
di prendere le redini della situazione.
“Joanna,
presto, dammi il
tuo telefono con la foto al luna park!” le ordinò.
“Perché?”
Con gli occhi le
indicò un
uomo in divisa, dietro alla propria scrivania; molto attraente, alto e
dalle
spalle larghe: “Così chiedo a quel poliziotto
laggiù, se conosce il tuo ragazzo
dei sogni, ovviamente.”
Joanna diede una
lunga
occhiata all’uomo: “Ok, perché proprio
lui?”
Arrendendosi con
uno
sbuffo, Mona si smascherò: “Sì, Joanna,
è l’unico poliziotto che mi attira
sessualmente, qui dentro! – la tirò per un braccio
– Forza, andiamo!”
“Oh
mio Dio, vuoi flirtare
in un momento come questo?” le domandò a pochi
passi da lui.
Senza
risponderle, Mona le
strappò il telefono dalle mani, impersonando una voce
abbastanza impostata,
fingendo totale indifferenza: “Salve, agente Tesler
– lesse sulla targhetta,
spostando la sua chioma dietro alle spalle con un rapido movimento
della testa
– Per caso conosce questo ragazzo nella foto? Credo che
lavori qui.” tese il
braccio in avanti, poggiando il dito indice sullo schermo,
indicandoglielo.
L’agente
si chinò in avanti
per guardare meglio.
“Ehm…
ma il suo dito indica
una ragazza, a meno che prima non fosse un uomo
e…” ribattè quello, insinuando
un cambio di sesso.
Mona
ritirò il telefono,
riguardando la foto: “Cosa?”
“E’
quello accanto a me,
Mona.” la riprese Joanna, imbarazzata.
“Lo
so! – esclamò Mona,
indispettita – Ho sbagliato, il mio dito è troppo
grosso, abbiamo capito! – si
girò verso l’agente, meno inviperita, fingendo un
sorriso – Ehm, è il ragazzo
con il maglione blu. - gli consegnò il telefono, ancora
fresca di figuraccia e
la voce piccola – Non credo ci sia bisogno che debba
indicarglielo di nuovo.”
“No
no, questo ragazzo non
lavora qui. – riconsegnò il telefono alle ragazze
– Però potete chiedere a lui!
– indicò un altro agente – Lui
saprà aiutarvi di sicuro, lo conosce.”
“Davvero?”
sussultò Joanna,
sgranando gli occhi.
“Oh
mio Dio, allora è tutto
vero!” esclamò Mona, spalancando la bocca in
maniera esagerata, attirando
subito una brutta occhiataccia da parte dell’amica.
“Sul
serio, Mona? – le
strappò via il telefono, furibonda – Grazie agente
Tesler, ci è stato davvero
utile. – accennò un sorriso per salutarlo,
tornando subito ad un espressione
arrabbiata quando Mona la fissò – Sei
incredibile!” esclamò, infine, camminando
verso la scrivania dell’altro agente.
Mona la
fermò subito per un
braccio, vendendola parecchio spedita e incosciente: “Ehi
ehi, che stai per
fare?”
“Sto
andando da quel tizio,
non hai sentito cosa ha detto l’agente che ti attira
sessualmente?” ribattè
Joanna, non accorgendosi di aver alzato un po’ troppo la voce.
Le due
sgranarono gli occhi
nello stesso istante, voltandosi lentamente: l’uomo le aveva
sentite, restando
a fissarle come uno stoccafisso.
Imbarazzata fino
ai
capelli, Mona strappò nuovamente via il telefono dalle mani
dell’amica,
scappando via come una tredicenne; Joanna, dopo un sorrisino
mortificato a
quell’agente, la seguì a ruota.
Il momento della
verità era
arrivato, le due erano di fronte all’uomo che, finalmente,
avrebbe dato loro
delle risposte.
“Scusi,
salve! – esclamò
Joanna in modo affannato, dopo che le due si erano accalcate
l’un l’altra dopo
la corsa – L’agente Tesler ha detto che lei
può aiutarci.”
Quello
spostò lo sguardo
fra le due, poggiando le sue scartoffie, rendendosi subito disponibile:
“Sì,
che succede?”
“Ehm…
- Mona sollevò il
telefono con timore – Io e la mia amica ci chiedevamo se
conosce questo ragazzo
nella foto.”
L’agente
Goodwin, così si
chiamava, prese il telefono dalle sue mani, poi si lasciò
scappare una risata:
“Ma questo è mio fratello, che ci fa in un luna
park con… - sprofondò
immediatamente nella perplessità – Chi sono queste
persone? – domandò loro –
Conosco mio fratello, non si vestirebbe mai in questo modo. E sono
certo che
queste persone non facciano parte della sua vita.”
Joanna ebbe
timore a
chiedere: “P-perché?”
“Perché
mio fratello è un
tossico, non ha amici per bene come quelli nella foto; è
uscito dalla clinica
da almeno due settimane, mentre questo scatto ha la data di ieri.
– riflettè
sulla cosa, divertito – Mio fratello che sorride felice in un
luna park: questo
è senza dubbio photoshop!”
In
quell’istante, era come
se il tempo si fosse fermato per Joanna: l’uomo che aveva
idealizzato tramite
quei sogni, non coincideva con l’uomo che era nella
realtà.
Nulla era
più certo e
Joanna non potè che restare lì in piedi, davanti
a quell'agente, totalmente
pietrificata.
Sarebbe stata
disposta a
incontrare Spencer Goodwin e scoprire il mistero dei suoi strani sogni?
CONTINUA NEL CAPITOLO DUE
Prestavolto:
Joanna Alldred
(24 anni) –
Melissa Benoist
Mona Bay (25
anni) – Andrea
Bowen/Foto dell'attrice nel 2016
Nigel Finnegan
(26 anni) –
Alexander koch
Miranda Gibbins
(25 anni) –
Alisha Wainwright
Gerimia Westwick
(22 anni)
– K.J apa
Agente Derek
Goodwin (31
anni) – Austin Nichols
Agente Jonathan
Tesler (36
anni) – Sullivan Stapleton
Spencer Goodwin
(27 anni) –
Luke Mitchell/Foto dell'attore nel 2017
|