WBB - 1 - L’ascesa delle Bestie

di Ghost Writer TNCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Io sono Leona ***
Capitolo 3: *** 2. Accordo ***
Capitolo 4: *** 3. Le Bestie di Traumburg ***
Capitolo 5: *** 4. Un gruppo improbabile ***
Capitolo 6: *** 5. Sentiero condiviso ***
Capitolo 7: *** 6. Una battaglia di squadra ***
Capitolo 8: *** 7. Combattere per uno scopo ***
Capitolo 9: *** 8. Un nemico in comune ***
Capitolo 10: *** 9. Destini incrociati ***
Capitolo 11: *** 10. Le tattiche dei leader ***
Capitolo 12: *** 11. Il prezzo dell’ambizione ***
Capitolo 13: *** 12. Un colpo al cuore ***
Capitolo 14: *** 13. Pena capitale ***
Capitolo 15: *** 14. Eroi e mercenari ***
Capitolo 16: *** 15. Zanne snudate ***
Capitolo 17: *** 16. Un mostro invincibile ***
Capitolo 18: *** 17. Figlia dell’inferno ***
Capitolo 19: *** 18. Identità ***
Capitolo 20: *** 19. L’ultimo nemico ***
Capitolo 21: *** 20. Noi siamo la BBS ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Prologo

Il cielo era limpido e silenzioso. Una manciata di nuvole chiare si muoveva placida al ritmo del vento, offuscando appena la vista di una grande luna verdastra. I raggi del sole giallo e relativamente grande riscaldavano dolcemente il terreno brullo, quasi desertico, fatta eccezione per sporadiche macchie di vegetazione e alcuni campi coltivati, molti dei quali abbandonati.

In quel panorama desolato spiccava una piccola cittadina disseminata di crateri ed edifici pericolanti, forse una colonia caduta in disgrazia. A poca distanza c’era quello che sembrava l’ingresso di una miniera sotterranea e ancora attiva: probabilmente era la principale fonte di sostentamento dei residenti.

Nella periferia del malridotto centro abitato erano sparpagliati diversi gruppi di prefabbricati, ognuno con la sua piccola miniera, ma quasi tutti sembravano abbandonati. Sulla terrazza di uno di questi edifici però c’era una ragazza[1]. Era stesa su una sinuosa e confortevole sdraio e osservava il cielo attraverso la tela olografica del suo ombrellone, la coda felina che ondeggiava distrattamente. Aveva i capelli biondi, corti e con una piccola treccina sul lato sinistro, un paio di orecchie da gatta e due grandi occhi color bronzo, ora velati da una patina di malinconia. Aveva da poco fondato una gilda, ma non tutto andava come avrebbe voluto: i soldi non erano un problema grazie alle numerose taglie riscosse – aveva addirittura realizzato il suo sogno di farsi una cabina armadio –, il vero problema era che non riusciva a trovare nuovi membri. Nessuno si era fatto avanti e quelli che aveva provato a reclutare si erano rivelati dei fottuti bastardi. Non sapeva più cosa inventarsi per attirare dei potenziali compagni.

«Ero sicuro che ti avrei trovata qui!»

La felidiana[2] non ebbe bisogno di voltarsi: aveva riconosciuto la voce dell’unico altro membro della gilda.

L’uomo, appena sbucato dalla porta che conduceva sulla terrazza, le andò incontro con passo sicuro. I suoi capelli scuri e mossi arrivavano quasi alla base del collo, la barba invece era corta e curata. Il naso era forse un po’ grande, tuttavia il suo viso risultava molto gradevole, in particolare gli occhi magnetici e il sorriso vivace. «Ehi, grandi notizie! Ti ho detto che andavo in città per rimorchiare, ma questa volta ho trovato anche di meglio.» Fece uno scatto con la testa per spostare alcuni ciuffi dal volto. «C’erano dei tizi che parlavano e non hai idea di cosa ho sentito! Può essere davvero la volta buona per far conoscere a tutti la nostra Brigata!»

La giovane drizzò le orecchie feline e si tirò su. «Di che si tratta?»

«Allora, adesso ti spiego…»

L’uomo seduto al piccolo tavolo metallico scostò alcuni ciuffi dagli occhi con un movimento del capo. «Insomma, so di non avere un nasino principesco, ma quello di quel tipo era praticamente una proboscide!»

L’affascinante insettoide di fronte a lui sorrise civettuola. Si trovavano in uno dei tanti night club della città e avevano scelto un tavolo appartato, proprio a ridosso di una parete, così da poter scambiare due parole senza essere disturbati. «Dai, continua, poi come avete fatto a fuggire?»

Il suo interlocutore esibì un sorriso saccente, reso ancora più accattivante dalla luce soffusa. «Beh, non è stato facile. Era la prima volta che affrontavo una Light-Meteorgun su un vero campo di battaglia, ma ti ho già detto che ho frequentato un’accademia dell’A&N[3]. Ho aspettato il momento giusto e poi sono saltato in avanti.» Le sue mani si mossero, incrociando due delle quattro della donna. «Sono saltato sul muro di un edificio e l’ho aggirato.» Le accarezzò il morbido esoscheletro arancione e avvicinò il volto a quello di lei. «Un fendente. Uno solo. È bastato quello per tagliare a metà la sua mitragliatrice.» Le loro teste erano così vicine da sfiorarsi. «Non c’è mai stata una vera battaglia.»

La donna fece un altro sorriso malizioso, poi chiuse gli occhi composti, allungando le labbra piene verso quelle di lui. Ma non le trovò. Quando sollevò le palpebre, l’uomo stava guardando altrove.

«Ehi, ma…»

Non ci mise molto per capire che lui non la stava ascoltando. Offesa, lo mandò a quel paese e si alzò, facendosi largo in malo modo fra gli altri clienti del night club. L’altro non ci fece nemmeno caso: le sue orecchie un po’ a punta avevano appena sentito qualcosa di molto più interessante e improvvisamente ogni distrazione era svanita; perfino la musica persistente non riusciva più a disturbare la sua concentrazione.

«La notizia è sicura al cento percento,» stava dicendo il goblin, seduto in un angolo del locale ad appena qualche metro dall’uomo, «l’Uovo dei Sindri[4] si trova qui, su Wunderwelt. Ce l’ha Aaron O’Neill, e lo tiene in casa sua come un fottuto trofeo! È la nostra occasione: se riuscissimo a prenderlo, dimostreremmo a tutti che è arrivato il nostro momento di prendere la città!»

Il suo interlocutore, un tizio dalla pelle ramata con una lunga mantella scura, gli fece segno di abbassare la voce, quindi si guardò intorno circospetto. «Sei proprio sicuro che ce l’abbia lui?»

«Te l’ho detto, è una notizia certa. Possiamo prenderlo.»

«Possiamo prenderlo noi invece!» esclamò l’uomo. «Pensaci: con un colpo del genere, otterremo di sicuro un bel po’ di visibilità, che è proprio quello che ci serve per farci conoscere. Senza contare che potremmo rivendere l’Uovo e guadagnarci un bel gruzzolo!»

La ragazza annuì, la coda bionda che ondeggiava al ritmo dei suoi pensieri. «Sì, mi piace come idea. E poi O’Neill è uno stronzo, sarei felice di prenderlo a calci. Però potevi anche saltare tutto il pezzo della tipa!»

L’altro sorrise. «Scusa, lo sai che ho la lingua lunga. Comunque è deciso, giusto?»

Lei ricambiò il sorriso e si alzò, pronta all’azione. «Ruberemo l’Uovo dei Sindri.»



Note dell’autore

E finalmente eccoci qui! Dopo un’interminabile attesa, comincio a (ri)pubblicare questo mio racconto, che nel frattempo ha anche cambiato titolo XD

Prima di andare al prossimo capitolo, vorrei ringraziare tutte le beta reader che mi hanno aiutato a rendere questa storia degna di essere pubblicata: ElenaTea90, Eryla, Hesper-M, Koganislove e TortaMillefoglie (ma ho comunque il terribile presentimento di aver dimenticato qualcuno >_<).

Ecco anche il banner realizzato da TortaMillefoglie per la revisione della storia :D

banner TortaMillefoglie

A presto e lasciate un commento, ogni suggerimento può essere utile! XD


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[1] Dal momento che nelle mie storie molti personaggi appartengono a specie immaginarie, ho scelto di utilizzare termini come “uomo”, “donna” e “ragazzo/a” anche per i non umani, così da evitare ripetizioni e strani giri di parole.

[2] Sottospecie originale di TNCS, appartenente alla specie dei faunomorfi (da “fauna”, ossia l’insieme delle specie animali). Il termine deriva dalla famiglia dei Felidae, che nella classificazione scientifica raggruppa i felini.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[3] La sigla sta per Atena & Neith. La prima è la divinità greca della guerra strategica, delle arti (intese come abilità tecniche) e della saggezza; la seconda è la divinità egizia della guerra, della caccia e della saggezza.

[4] Nella mitologia norrena, Sindri (spesso chiamato Eitri) è un nano, fratello di Brokk.
In TNCS ho scelto di adottare il nome “Eitri” come nome proprio del nano, e di utilizzare il nome “Sindri” per riferirmi ad entrambi i fratelli come se fosse il loro cognome.

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Capitolo 2
*** 1. Io sono Leona ***


1. Io sono Leona

Data:  4117 d.s., seconda deca[5]

Luogo: pianeta Wunderwelt, sistema Mjracle

Sporco e sferragliante, il vecchio treno a levitazione magnetica arrancava sulla monorotaia sotterranea che collegava le periferie e i vari quartieri di Traumburg. Andava chiaramente sostituito, tuttavia i soldi erano pochi e c’erano molte altre attività che richiedevano denaro: la terribile guerra civile che aveva sconvolto il pianeta era terminata da pochi anni e i segni del conflitto erano ancora evidenti. Quella stessa linea ferroviaria era stata ripristinata solo alcune deche prima, e per farlo erano stati acquistati dei vagoni usati, già pronti per essere smantellati e riciclati. In ogni caso forse era meglio così: con il tasso di criminalità che appestava il continente, un treno nuovo sarebbe stato solo un’attrattiva per vandali e ladri. E poi quel treno tutto rappezzato era diventato un vero punto di riferimento per i cittadini: più della metà dei vagoni erano fatti per il trasporto delle merci, quindi al suo arrivo nelle stazioni si formava sempre un piccolo mercato temporaneo.

«Sai, stavo pensando: se riusciamo a rubare l’Uovo a O’Neill, poi dubito che ce la farà passare liscia» affermò l’uomo, impegnato ad osservare il cemento che sfrecciava al di là del finestrino imbrattato. Il suo aspetto era quello di una specie strettamente umanoide come potevano essere gli umani o gli elfi, tuttavia una volta era finito in ospedale e i medici avevano scoperto che non apparteneva a nessuna di queste specie e che il suo DNA faceva supporre fosse un ibrido.

«Sì, ci stavo pensando anche io» ammise la felidiana, stravaccata con i piedi sul sedile di fronte. Aveva un fisico tonico e prestante e indossava un top nero a collo alto piuttosto aderente che metteva in risalto il seno pieno. Intorno al bicipite destro portava un bracciale dorato: era alto circa un pugno e aveva i bordi leggermente più spessi della parte centrale. Quest’ultima era decorata da una semplice linea in rilievo e un po’ più scura le cui estremità si avvicinavano descrivendo due archi, come a volersi avvolgere a vicenda. «Probabilmente cercherà di ucciderci, quindi forse la cosa migliore è toglierlo di mezzo direttamente.»

Durante la guerra civile Aaron O’Neill era stato un militare e aveva dato un considerevole contributo alla causa indipendentista. Gli abitanti del Continente Uno – l’unico abitabile dato il processo di terraformazione ancora in corso – si opponevano alle pretese della Pixel Inc., la quale aveva assorbito la società responsabile della terraformazione e intendeva imporre numerose nuove tasse. A fomentare una situazione già tesa, erano intervenuti diversi gruppi criminali, il che aveva portato nel giro di poche deche alla guerra civile.

La Pixel Inc., ostile ad interventi esterni, si era trovata a combattere da sola contro le milizie locali e i gruppi criminali, col risultato che, dopo anni di scontri e trattative fallimentari, aveva deciso di abbandonare il Continente Uno, concentrandosi sulla terraformazione del resto del pianeta.

In un primo momento questa era stata festeggiata come una vittoria dalla popolazione, ma l’euforia durò poco: in breve tempo i gruppi criminali avevano spazzato via i deboli governi, spartendosi il continente in piccole nazioni o città-stato. Anche diversi militari di alto rango come O’Neill avevano abbandonato la divisa per reclamare un territorio proprio.

La felidiana infilò una mano nella tasca dimensionale dei pantaloni chiari e ne tirò fuori una bottiglia di alcolico. «Potrebbe essere una buona occasione per fare un po’ di pulizia in questo schifo di città» commentò prima di bere un sorso.

L’ibrido scansò i ciuffi dagli occhi. «E poi uccidere il cattivone che controlla Traumburg ci darebbe ancora più visibilità.» Si mosse un po’ sul sedile alla ricerca di una posizione più comoda. L’imbottitura era un po’ rovinata, ma bastava guardare le altre sedute per capire che il solo fatto di averla era quasi un lusso. «Va be’, in ogni caso pensiamo a una cosa per volta: prima vediamo di scoprire se l’Uovo ce l’ha davvero O’Neill.»

***

«Sbrigati! Metti dentro i soldi!» gridò il giovane minotauro, poco più di un ragazzo. Aveva puntato la sua pistola a impulsi alla testa del negoziante, ma l’arma tremava leggermente fra le sue dita e il suo sguardo sembrava perfino più spaventato di quello della sua vittima.

«D’accordo, d’accordo, stai calmo» esalò quest’ultimo, un orco paffuto dall’aria del tutto inoffensiva. Sulla sua maglietta faceva bella mostra la protagonista di una famosa serie animata, una scelta perfettamente azzeccata dato che il suo negozio, piccolo ma ricco di espositori, era specializzato in fumetti, cartoni, videogiochi e gadget assortiti.

Il malcapitato prese il cybid[6] del criminale – un congegno tascabile pensato per conservare piccole somme di denaro elettronico – e lo avvicinò alla cassa. Il dispositivo, modificato illegalmente per forzare i trasferimenti, stava per entrare in azione quando la porta del negozio si aprì emettendo un’allegra musichetta.

Il rapinatore si voltò di scatto e rivolse la sua arma ai due nuovi arrivati. «Fermi! Andate via!» gridò, gli occhi sbarrati. Era così nervoso che sembrava sul punto di far partire un colpo per sbaglio. «Sparite o vi ammazzo!»

La felidiana allargò le braccia sbuffando. «Ma che cazzo! Non si può stare tranquilli un attimo in questa città!»

Il minotauro, udendo dei movimenti alle sue spalle, si girò di scatto e vide il negoziante con in mano un minaccioso fucile a proiettili fisici. Senza perdere tempo fece un gesto con la mano e l’arma saltò via, sbatté contro uno scaffale pieno di videogiochi e fece cadere due delle action figure disposte sulla sommità.

La felidiana mise una mano sulla spalla del rapinatore. «Ehi, non fare casini…»

Questi, colto di sorpresa, si mosse all’improvviso e sparò alla cieca, centrandola in pieno alla pancia. Il suo dito, paralizzato dalla paura, non voleva saperne di lasciare il grilletto: avrebbe consumato tutta la batteria se lei non gli avesse preso l’arma, facendola a pezzi come un modellino scadente.

Una volta disarmato il nemico, la giovane abbassò lo sguardo per controllare le condizioni del suo top. «Se me l’hai rovinato ti ammazzo…»

Il rapinatore, gli occhi sbarrati, capì che quella era la sua chance – forse l’ultima – per fare qualcosa: aprì di scatto la mano verso di lei e la felidiana venne sbilanciata all’indietro. Sembrava sul punto di volare via, ma dopo pochi istanti ritrovò l’equilibrio e i suoi piedi tornarono ben saldi sul pavimento di plastica colorata, come se un’altra forza invisibile fosse intervenuta per sorreggerla.

Incurante di quanto appena accaduto e sollevata del fatto che il suo vestito non si era danneggiato, gli sorrise. «Ti è andata bene.»

Il minotauro ricevette un tremendo pugno alla bocca dello stomaco, talmente forte da mozzargli il respiro e fargli sputare delle gocce di sangue. Cadde a terra, ma la ragazza lo sollevò.

«Ti prego, stavolta non dalla vetrina» intervenne il negoziante.

La giovane, che già lo stava sollevando oltre gli scaffali, si fermò e lo trascinò fino all’entrata. Aprì la porta e lo gettò sull’asfalto lurido.

Il rapinatore si tirò su a fatica. «Chi… Chi sei tu?» gemette, spaventato e dolorante.

«Io sono Leona» rispose la ragazza avanzando con aria minacciosa. «E tu devi smetterla di rapinare la gente, sono stata chiara?» Lo colpì col palmo sulla testa. «L’universo è grande, non buttare via la tua vita. E ora sparisci.»

Il minotauro corse via, terrorizzato. La giovane lo seguì con lo sguardo finché il ladro non svoltò l’angolo, a quel punto tornò nel negozio.

«“Grazie, Alphard”» le rammentò l’ibrido, lo sguardo concentrato sui cofanetti di alcune serie animate per adulti.

«Sì, grazie, Alphard» rispose lei. «Almeno ti sei reso utile.»

Quando il rapinatore aveva cercato di scaraventarla via, era stato l’uomo a tenerla saldamente piantata per terra grazie ad una delle sue abilità magiche.

«Leona, Alphard, mi avete salvato di nuovo!» esclamò il negoziante, che nel frattempo era andato a recuperare il suo fucile e a sincerarsi delle condizioni della sua merce. «Come posso sdebitarmi?»

«Ciao, Horst» lo salutò la felidiana appoggiandosi con familiarità al bancone pieno di adesivi. «Abbiamo sentito una voce e vorremmo capire se è vera.»

L’orco sprofondò sulla sua poltroncina ammortizzata e sorrise con aria saccente. «Beh, allora siete nel posto giusto. Di che voce parliamo?»

«È vero che O’Neill ha nella sua villa l’Uovo dei Sindri?»

Il negoziante fece un ghigno divertito e si piegò all’indietro fino a far cigolare la seduta. Horst non era un genio del crimine e non aveva abilità straordinarie, però se succedeva qualcosa a Traumburg – e in particolare qualcosa di riservato –, allora lui era sempre tra i primi a saperlo.

L’orco si godette ancora per qualche secondo quella suspense – se c’era qualcosa che adorava più delle ragazze virtuali, quel qualcosa era proprio il sapere le cose prima di tutti –, poi finalmente vuotò il sacco: «Ebbene sì, se l’è aggiudicato una settimana fa ad un’asta, e per un numero tra le otto e le nove cifre. L’ha portato nella sua villa qualche giorno fa e l’ha aggiunto alla sua collezione di opere d’arte.»

Leona non nascose la propria soddisfazione. «Ero sicura che non ci avresti deluso.»

Horst gongolò per il complimento, poi però diede voce al timore che si era acceso dentro di lui: «Non per farmi gli affari vostri, ma non starete pensando di rubarglielo… vero?»

La ragazza si tirò su. «All’inizio c’era venuta la mezza idea, ma ora puntiamo ancora più in alto.»

«Dobbiamo farci un po’ di pubblicità, se no non ci arriveranno mai incarichi decenti» aggiunse Alphard, che adesso stava studiando l’action figure di una guerriera tribale in abiti assurdamente succinti.

L’orco sollevò le sopracciglia, confuso. «Beh, in ogni caso buona fortuna» augurò loro prima di salutarli.

Usciti dal negozio, la felidiana e il suo compagno si diressero subito verso uno dei tanti locali dall’aria poco raccomandabile che tappezzavano le ampie vie di Traumburg. Le strade, disposte a scacchiera, riportavano ancora i segni dei numerosi scontri, e lo stesso valeva per i palazzi: si trattava per la maggior parte di edifici modulari – perfetti per le colonie in rapida espansione orizzontale e verticale – ma buona parte aveva subito danni considerevoli e una discreta percentuale era priva anche dei servizi più elementari.

Date le condizioni in cui versava la città, non c’era da stupirsi se per le strade piene di rifiuti si incontravano quasi solo bande di teppisti o passanti ubriachi.

Il night club verso cui erano diretti si chiamava “La Botte Ubriaca” e aveva come insegna proprio una simpatica botte cartoonesca intenta a bere un boccale dietro l’altro. L’atmosfera che li accolse era completamente diversa da quella pulita e allegra del negozio di Horst: buona parte dello spazio era occupato da tavoli e sedie dalle forme più disparate, le luci soffuse e colorate rischiaravano in maniera disomogenea l’ambiente, mentre la musica persistente animava il clima e scoraggiava gli orecchi indiscreti. Sebbene fosse ancora mattina, l’odore era già penetrante, un misto di alcol, fumo e sudore, c’erano ballerini e ballerine di specie diverse impegnati ad intrattenere i clienti, mentre nelle stanze ai piani superiori piccoli gruppi di persone discutevano di progetti più o meno legali.

«Ehi, benarrivati! Cosa vi porto oggi?» chiese loro la proprietaria, una centaura in carne dal viso allegro e con un seno perfino più prosperoso della felidiana.

«Il solito.» rispose la ragazza sedendosi al bancone. Non si tirava mai indietro quando c’era da mandare già un bel bicchiere di alcolico fresco e spumeggiante.

«Allora, gli affari come vanno?» domandò la centaura dopo aver servito loro due alti boccali pieni fino all’orlo di un invitante liquido dorato.

«Forse abbiamo trovato un buon lavoro, ma ci serve qualche uomo in più» le spiegò Leona dopo aver bevuto un sorso. «Sai se c’è qualcuno disposto a rischiare per un grande guadagno?»

La donna dietro il bancone si portò un dito sulle labbra carnose, studiando la folla che riempiva il suo locale. «Quei due là in fondo, il rettiliano e l’insettoide» disse indicando uno dei tavoli alla sua sinistra. «Sono arrivati da poco in città e mi sembra di aver capito che hanno bisogno di soldi. Potete provare a chiedere a loro.»

La giovane si voltò e non ci mise molto ad individuarli. «Ok, grazie mille» Prese il suo bicchiere e si alzò. «Alphard, smetti di fissare le ballerine e andiamo.»

«Sissignora!» esclamò l’ibrido senza però distogliere lo sguardo da quei corpi sensuali. Chissà se erano donne vere o solo degli ologrammi di pregevole fattura.

I due raggiunsero il tavolo indicato dalla proprietaria e si avvicinarono ad un paio di sedie libere.

«Possiamo sederci?» domandò la felidiana.

Il rettiliano, un tipo alto e muscoloso pieno di tatuaggi, la squadrò con aria poco amichevole. La sua struttura fisica era molto simile a quella delle specie umanoidi, non aveva capelli, barba e nemmeno sopracciglia, ma possedeva una coda sinuosa e ben proporzionata al resto del corpo. La pelle, composta da squame lisce e non molto coriacee, aveva una colorazione di varie tonalità di marrone e imitava vagamente le forme dei muscoli. Con ogni probabilità apparteneva alla specie dei dromeosauriani[7].

Senza troppo entusiasmo le fece cenno di accomodarsi.

«Salve, io sono Leona e lui è Alphard. Non vi faccio perdere tempo e vado subito al sodo: abbiamo in mente un lavoro molto remunerativo ma anche molto pericoloso, vi può interessare?»

«Quanto remunerativo?» esalò l’insettoide, o più precisamente il coleotteriano[8] a giudicare dal robusto esoscheletro rosso scuro che gli copriva buona parte del corpo. Aveva quattro braccia, di cui il paio superiore nettamente più sviluppato, e al posto del viso aveva una sorta di maschera chitinosa che lo rendeva completamente inespressivo.

«Ad una prima stima, potremmo ricavarci anche decine di milioni di arcos[9]» rispose Alphard. «Ma se siamo fortunati il nostro bottino potrebbe anche essere più ricco.»

L’entusiasmo sul viso del sauriano venne stemperato dalla sua diffidenza. «E quanto sarebbe rischioso?»

«Eh, questa è la nota dolente» ammise Leona.

L’ibrido fece uno scatto col capo per spostare i capelli dagli occhi. «Diciamo che se falliamo e non moriamo subito, ci converrà lasciare il pianeta.»

Al sentire quelle parole, il rettile preferì prendere un tiro dalla sua sigaretta quasi finita.

«Vi lasciamo un momento per parlarne tra voi» affermò Leona. «Se vi interessa, poi ne parliamo con calma in una delle stanze.»

Leona e Alphard si alzarono e si allontanarono di alcuni metri per lasciare ai due un minimo di privacy. Solo allora la giovane si concesse di soffiare fuori tutta la sua tensione: si agitava sempre quando cercava di convincere dei potenziali alleati. Aveva paura di fare qualcosa di sbagliato, di dire qualcosa di inopportuno e in generale di fare una cattiva impressione. «Beh, come ti sembrano?»

Alphard si strinse nelle spalle. «Entrambi sono interessati ai soldi, bisogna capire quanto sono disposti a rischiare.»

«Allora, tu che ne pensi?» iniziò il sauriano. «Quei soldi ci farebbero molto comodo.»

«Già…» convenne il coleotteriano con la sua voce vagamente spettrale. «E poi non conosciamo nessuno qui, unirci a loro potrebbe essere utile anche per raccogliere informazioni.»

«Dunque sentiamo cos’hanno in mente?»

Il suo compagno annuì. Si alzarono e insieme agli altri due raggiunsero una stanza libera dove discutere più tranquillamente, al riparo da sguardi e orecchi indiscreti.

«Io sono Gardo’gan, lui invece è Kael Makabi» li presentò il rettile. «Allora, cos’avete in mente di così remunerativo e pericoloso?»

«Beh, intanto io sono Leona Asterion e lui è Alphard Dragondozer» ci tenne a precisare la ragazza. «E quello che vogliamo è cambiare questa città.»



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[5] La sigla d.s. indica la datazione spaziale (detta anche datazione standard). L’anno spaziale ha una durata di circa 1,12 anni terrestri e si divide in 10 mesi chiamati “deche”.
Le età vengono comunque indicate secondo la durata dell’anno terrestre.

[6] Forma contratta di cyber-billfold, che in inglese significa portafoglio cibernetico.

[7] Specie originale di TNCS, spesso viene abbreviata in sauriani. Il termine deriva da Dromaeosauridae, una famiglia di dinosauri piumati.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[8] Sottospecie originale di TNCS, appartenente alla specie degli insettoidi. Il nome deriva dai coleotteri (Coleoptera nella classificazione scientifica).
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[9] Il valore di 1 arcos è comparabile a quello di 1 euro.

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Capitolo 3
*** 2. Accordo ***


2. Accordo

«Quello che vogliamo è cambiare questa città» affermò Leona, fiera e risoluta. Notando l’espressione poco convinta di Gardo’gan e ipotizzando una certa perplessità anche in Kael – decifrare la sua maschera chitinosa sembrava impossibile –, si convinse ad essere più precisa: «Il nostro primo obiettivo è rubare l’Uovo dei Sindri: rivendendolo, ricaveremmo un mucchio di soldi; mentre lo scopo finale è quello di farci pubblicità dato che nessuno conosce la nostra gilda.»

«Un momento, l’Uovo dei Sindri… Se non sbaglio i Sindri erano due fabbri-alchimisti o qualcosa del genere» rammentò il sauriano, che nel frattempo si era acceso un’altra sigaretta.

«Infatti, due dei più famosi fabbri-alchimisti mai esistiti[10]» confermò il coleotteriano. «Si dice che l’Uovo sia una specie di portale che conduce alla Fucina dei Sindri, dove sono custodite alcune delle loro creazioni più importanti. Mettendolo all’asta credo si possa arrivare anche a uno o duecento milioni di arcos, forse anche di più. Piuttosto avrei un’altra domanda: in che modo questo dovrebbe cambiare la città?»

«Beh, perché l’Uovo ce l’ha Aaron O’Neill, l’uomo che controlla la città.»

L’espressione del rettile palesò tutto il suo stupore e il suo disappunto. «E voi vorreste mettervi contro di lui?»

«Quel tipo è uno stronzo e questa città è uno schifo per colpa sua, faremmo un favore a tutti se lo prendiamo a calci!» affermò Leona.

«Non è questo il punto! Se volete mettervi contro di lui, io me ne vado subito! Sono venuto qui proprio perché non voglio avere problemi! Se avessi voluto combattere contro un supercriminale, sarei rimasto a Wunderburg!»

Fece per andarsene, ma Leona gli mise una mano sul braccio. «No, dai, aspetta…» Lo sguardo del rettile si fece glaciale e questo la convinse a farsi indietro. «Insomma, possiamo farcela. Mi occuperò io dei suoi uomini più forti, davvero. E poi sono stufa di arrangiarmi a riscuotere taglie perché nessuno ci commissiona degli incarichi! E sono ancora più stufa di vedere questa città cadere sempre più in basso! Senza contare che, anche togliendo tutti i costi per le armi e le attrezzature, ci rimarrebbero un mucchio di soldi.»

Gardo’gan soffiò con stizza una nuvoletta di fumo. «Fa’ come ti pare!»

«In realtà come progetto ha senso» obiettò Kael, che fino a quel momento si era concentrato sullo schermo olografico del suo olo-vice[11] da polso – un piccolo congegno simile nell’aspetto ad un sofisticato orologio, ma con tutte le funzionalità di un computer. «Se riuscissimo a prendere l’Uovo e a sconfiggere O’Neill, otterremmo soldi e prestigio, mentre se il nostro piano non dovesse funzionare, potremmo sempre andarcene senza rimpianti. Per quanto mi riguarda, il punto è questo: convincetemi che potete sconfiggere O’Neill e i suoi, e sarò dei vostri.»

Leona e Alphard si scambiarono uno sguardo, poi a turno si misero a spiegare le loro recenti imprese, fecero un elenco dei mercenari che avevano sconfitto e delle taglie che avevano riscosso. Per dare più credibilità alle loro parole, mostrarono loro anche le rispettive schede come allievi di un’accademia dell’A&N.

L’Atena & Neith era una società che gestiva un gran numero di istituti di formazione militare, per la maggior parte interforze, che preparavano i loro studenti per entrare in eserciti governativi come quelli dell’Impero o della Repubblica, in forze armate indipendenti come la SAF[12], oppure in corpi di polizia come l’ISD[13] o la Polizia Galattica. In ogni caso non erano pochi gli iscritti che, una volta terminati gli studi, sfruttavano le loro nuove conoscenze per seguire altre strade, proprio come la felidiana e l’ibrido.

«Ok, mi avete convinto» concluse Kael. Mentre i due raccontavano, si era premurato di verificare in rete la credibilità delle loro parole, e in effetti tutto quadrava. Forse il loro progetto non era poi così assurdo. «Un’ultima domanda: dove si trova la base della gilda? Avete detto di non voler prendere il controllo della città, ma sicuramente altri cercheranno di approfittarne e sarebbe meglio non trovarsi nel bel mezzo degli scontri.»

«Questo non è un problema: la gilda si trova fuori città, ci vuole il treno per arrivarci.»

Come sempre, il viso chitinoso dell’insetto non tradì la minima emozione. In effetti aveva solo due lunghe fessure quasi verticali che probabilmente proteggevano i suoi occhi, quindi non si capiva nemmeno se avesse naso, bocca o orecchie. Anche le due antenne grigio scuro che aveva sul capo sembravano più che altro delle corna. «Bene, non ho altre domande. Ah, è sottinteso che i guadagni verranno divisi in quattro parti uguali una volta detratte le spese.»

«Naturalmente» annuì subito Leona.

Quasi fossero d’accordo, la felidiana, l’ibrido e il coleotteriano si voltarono verso Gardo’gan.

Il sauriano, che un po’ di malavoglia era rimasto ad ascoltare, sbuffò un’altra nuvoletta di fumo. «Sì, avete detto tante belle cose, ma non sono ancora sicuro che valiate davvero quanto dite.»

«In effetti siamo più forti di quello che vi abbiamo fatto credere» ammise Alphard, l’aria disinvolta di chi è più che consapevole dei propri mezzi.

«Se non vi dispiace, anche io sarei curiosa di vedere come combattete» affermò Leona.

«Possiamo fare un bel due contro due» propose l’ibrido.

«Per me va bene» dichiarò Gardo’gan.

«Temo di non potermi tirare indietro» esalò il coleotteriano.

«Venite» disse Leona alzandosi. «In realtà possiamo combattere dove ci pare, ma è meglio farlo in un posto dove non saremo interrotti.»

Dopo aver pagato le consumazioni, lasciarono il locale e insieme raggiunsero uno spiazzo dall’aria abbandonata distante appena un isolato. Probabilmente in quel punto sarebbe dovuto sorgere un edificio, ma l’inizio della guerra civile aveva reso impossibile i lavori. Il grande rettangolo in terra battuta era occupato per buona parte da detriti, e bastava uno sguardo dell’edificio lì accanto – o meglio a ciò che ne restava – per capire da dove arrivassero tutti quei calcinacci. La città era piena di macchie di distruzione più o meno estese simili a quella.

«Che dite? Facciamo sul serio ma senza ammazzarci?» propose Leona.

«Altrimenti non avrebbe senso» convenne Gardo’gan. Serrò i pugni, sfoggiando lo sguardo inflessibile del guerriero che era in lui. I suoi muscoli possenti si tesero e tutto il suo corpo crebbe a vista d’occhio, trasformandolo in pochi secondi in un gigante di quasi cinque metri.

«Alphard, tu occupati dell’insettoide» ordinò la felidiana.

«Ricevuto!» esclamò l’ibrido impugnando la spada che teneva nel fodero dietro la schiena. La guaina posta nella zona lombare sfruttava una tasca dimensionale esattamente come quella dei pantaloni della ragazza, quindi poteva contenere l’intera lama in meno di una spanna.

Kael, che nel frattempo si era allontanato di qualche passo, ora impugnava un Woltan C-12 – un vecchio fucile d’assalto dall’aria usurata – e stava cercando una posizione favorevole dove attendere il suo avversario.

Leona osservò il suo compagno che neutralizzava i primi impulsi sparati dal coleotteriano, quindi rivolse la sua attenzione al sauriano. Gli sorrise, incitandolo ad attaccare. «Avanti, fammi vedere di cosa sei capace!»

Gardo’gan si abbassò sulle gambe e scattò in avanti, rapidissimo per uno della sua nuova stazza. Tirò un destro, ma Leona lo schivò con un balzo all’indietro. La felidiana scansò di lato il sinistro del rettile e si preparò a contrattaccare: i loro pugni destri si scontrarono con un botto sordo ed entrambi vennero sbalzati indietro.

Il sauriano si abbassò leggermente e con l’aiuto della coda rimase in equilibrio. Data la sua massa considerevole, era arretrato molto meno della ragazza, eppure questa non poteva considerarla una vittoria: quella bionda era davvero forte come diceva.

«Dai, è questo il meglio che sai fare?» lo stuzzicò Leona. «Vogliamo sconfiggere un supercattivo, non andare a fare una scampagnata!»

Gardo’gan digrignò i denti aguzzi e il suo corpo divenne ancora più grande e robusto. «Te la sei voluta!»

L’enorme pugno si abbatté sulla ragazza, rapido come un fulmine, potente come un tuono. Lo schianto fece tremare l’intera zona, il terreno andò in pezzi e alcuni calcinacci si staccarono dai malandati palazzi limitrofi, innalzando i relativi cumuli di macerie.

Il gigante ritirò la mano, in parte preoccupato di aver esagerato, invece sbarrò gli occhi alla vista della sua avversaria. In realtà non sembrava ferita: si era protetta con un braccio – uno solo! –, tuttavia il colpo era stato talmente violento da farla sprofondare nel suolo fino alle ascelle.

Alphard si voltò e non riuscì a soffocare una risata nel vedere la sua amica in quelle condizioni. «Ma guardati! Se non fosse per le tue tettone, direi che mi sembri un chiodo!»

La ragazza cercò di mascherare il proprio rossore serrando le labbra. Con le braccia si diede la spinta e senza fatica saltò fuori dalla buca. «Pessima mossa, amico.»

Il sauriano espirò dalle narici ampie, seccato per l’arroganza della sua avversaria. Si preparò a colpirla di nuovo, lei però fu più veloce: con un balzo fu alla sua altezza e gli sferrò un pugno alla mascella. In realtà non lo colpì: la sua mano si fermò a pochi centimetri dal viso del rettile, ma l’onda d’urto che ne seguì – alimentata dall’aura della giovane – fu talmente violenta da scaraventarlo a terra.

Gardo’gan, gli occhi sbarrati rivolti al cielo, rimase immobile per qualche istante, incredulo, poi avvertì l’acuta scarica di dolore. Ma chi diavolo era quella felidiana?!

Con un mezzo grugnito si rimise in piedi: non si sarebbe arreso tanto facilmente.

Tornò all’attacco, attento e determinato, tuttavia non servì a niente. Dopo un minuto era nuovamente a terra, ammutolito. Era tornato alla sua stazza originale e il suo respiro era accelerato. La sua pelle non riportava ferite, ma questo solo perché la sua avversaria non aveva utilizzato nessun’arma.

La felidiana entrò nel suo campo visivo, un sorrisetto compiaciuto dipinto sul viso. Non era riuscito a farle nemmeno un graffio.

«Allora, contento?» gli chiese porgendogli la mano.

«Sei proprio un mostro» rispose il rettile accettando l’aiuto.

«Cercherò di prenderlo come un complimento» commentò Leona tirandolo su senza particolare sforzo.

Poteva sembrare strano, ma dopo quella scazzottata sembravano già un po’ più in confidenza.

Si voltarono per raggiungere gli altri due combattenti, ma Alphard e Kael si stavano già dirigendo verso di loro.

«Allora, com’è andata?» chiese subito la felidiana.

«Mi ha distrutto la spada, però l’ho battuto tre volte» dichiarò l’ibrido scostando i soliti ciuffi e sfoggiando un sorriso trionfante.

«In realtà la seconda volta avrei vinto io» obiettò il coleotteriano. «E comunque abbiamo compagnia» aggiunse indicando alle sue spalle con il pollice della mano superiore destra.

Leona e Gardo’gan si spostarono per vedere meglio e subito individuarono una dozzina di persone dirette verso di loro. Non sembravano molto amichevoli.

«Voi!» esclamò quello che doveva essere il capobanda. Aveva i capelli tinti di blu e biondo platino, simili a fiamme, e sulle braccia facevano bella mostra dei tatuaggi tribali che richiamavano le linee aguzze dei suoi occhiali da sole. «Siete nel nostro territorio!»

«È colpa mia, non lo sapevo» ammise Leona facendo due passi avanti. «Ce ne andiamo subito.»

«Non così in fretta!» ribatté l’uomo. «È lei la felidiana?» chiese ad uno dei suoi uomini, un giovane minotauro.

La ragazza lo riconobbe subito come il criminale che aveva cercato di derubare il negozio di Horst, e anche il rapinatore diede prova di non essersi scordato di lei.

«Bene, in tal caso abbiamo due buone ragioni per darvi una lezione» affermò l’umano. «Dimostreremo a tutti di cosa sono capaci i Folgoratori di Traumburg!» aggiunse a gran voce, scatenando il feroce entusiasmo dei suoi subordinati.

Gardo’gan, per niente intimorito, sfoggiò una delle sue numerose espressioni poco amichevoli. «Li affrontiamo?»

Leona sospirò, quasi con rassegnazione. «No.» Si batté il pugno sul palmo. «Li distruggiamo.»



Note dell’autore

Grazie per aver iniziato a leggere la mia storia, tra due settimane (metà settembre) pubblicherò un nuovo capitolo ;D

IMPORTANTE: questa storia è ancora in fase di beta, quindi lasciate un commento e aiutatemi a renderla ancora migliore! ^.^

Ogni suggerimento può essere utile (e soprattutto alimenta la mia voglia di scrivere XD)!

A presto!


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[10] Nella mitologia norrena, Brokk ed Eitri/Sindri hanno creato Draupnir (l’anello di Odino), Mjöllnir (il martello di Thor) e altri oggetti magici destinati agli dei.

[11] Contrazione di olographic device, che in inglese significa dispositivo olografico.

[12] Shared Armed Force, Forza Armata Condivisa (pronunciato “shaf”).

[13] Interplanetary Security Department, Dipartimento per la Sicurezza Interplanetaria.

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Capitolo 4
*** 3. Le Bestie di Traumburg ***


3. Le Bestie di Traumburg

«Noi siamo i Folgoratori di Traumburg!» ripeté l’umano. «E io sono la Folgore Fiammante! E ora capirete perché mi chiamano così!»

Delle saette azzurrine crepitarono intorno al suo corpo e in un istante svanì. Il pugno del fuorilegge colpì Leona ed esplose in un vortice di fiamme gialle e blu. La ragazza venne sbalzata indietro, ma con una piroetta riuscì a rimettersi in piedi. La prima cosa che fece fu abbassare lo sguardo e i suoi occhi color bronzo si tinsero di rabbia nel vedere il bordo bruciacchiato del suo top.

«In genere preferisco fare altri giochetti con le donne, ma questa volta dovrò fare un’eccezione» commentò ironico la Folgore Fiammante.

«Adesso ti faccio vedere io» ringhiò Leona. Corse in avanti, lo sguardo truce, ma il suo avversario svanì in un lampo. Come una saetta ricomparve alle sue spalle e la colpì di nuovo, scatenando un torrente di fuoco che la fece piegare in avanti.

Del top nero non restavano che brandelli bruciacchiati, e a coprire il petto della ragazza rimaneva solo un reggiseno sportivo pensato proprio per resistere anche alle situazioni più estreme.

Leona si girò di scatto, cercando di afferrare il nemico, ma quello sfrecciò via come un fulmine.

«La velocità è il fattore più importante negli scontri» si vantò l’umano. «Come puoi sconfiggermi se sei così lenta? Ma sai qual è la parte più divertente? Io non devo nemmeno avvicinarmi a te!» I suoi tatuaggi tribali si misero a brillare di azzurro, portò indietro le mani e poi le mandò in avanti, scatenando un getto combinato di fuoco ed elettricità, ancora più potente dei precedenti. Leona digrignò i denti e sollevò le braccia per cercare di ripararsi, incapace di neutralizzarlo.

Si udì uno sparo e l’attacco si interruppe.

L’umano, che con un movimento rapidissimo aveva schivato il colpo, rivolse il suo sguardo contro Kael. Il coleotteriano imbracciava nuovamente il Woltan C-12, purtroppo però nemmeno i suoi impulsi sembravano in grado di contrastare la velocità della Folgore Fiammante.

«Sistemo i tuoi amici e poi sono di nuovo da te» affermò il capo dei fuorilegge in direzione di Leona. Saettò verso Kael, ma qualcosa lo fece inciampare e cadde a terra. Si voltò in un istante, però il pugno che ricevette fu ancora più rapido e lo mandò a sbattere nuovamente contro il terreno polveroso.

«Non sei poi così veloce» commentò Alphard dopo un immancabile scatto del capo.

Gli altri membri della banda sembravano impietriti, almeno fino a quando uno di loro non intervenne a spronali: «Beh, cosa state aspettando?! Muoviamoci!»

Destati dalle parole del secondo in comando, gli altri Folgoratori si lanciarono all’attacco tutti insieme, decisi a far valere la superiorità numerica. In un attimo le Bestie Selvagge vennero investite da una raffica di proiettili e incantesimi e questo le costrinse a dividersi per cercare di limitare i danni.

Leona, preoccupata per i suoi compagni, partì alla carica come un treno. Con un pugno scagliò via il secondo in comando, bloccò un bastone elettrificato e senza preoccuparsi minimamente di prendere scossa lo strappò dalle mani dell’utilizzatore. Questi venne sbilanciato in avanti dallo strattone della ragazza, che a quel punto non ebbe difficoltà a stordirlo con la sua stessa arma.

Alphard, la spada in pugno, sfruttò il piatto della lama per spedire al tappeto altri due avversari, gli altri invece si bloccarono appena Gardo’gan rivelò la propria abilità di gigantista. Di colpo si pentirono di aver attaccato briga con quei quattro.

Il capobanda, che dopo essersi rimesso in piedi aveva assistito al repentino tracollo dei suoi uomini, digrignò i denti per la rabbia.

Leona gli rivolse un sorriso beffardo. «Allora, ne avete abbastanza?»

«Fottiti, troia!»

Con una vampata l’umano partì alla carica, tirò un pugno fiammeggiante alla felidiana, ma fu lui ad avvertire una scarica di dolore alla mano, come se avesse colpito un muro indistruttibile. Prima che potesse indietreggiare, lei gli afferrò una spalla e strinse la presa con forza sufficiente da far scricchiolare l’articolazione. Lo schiacciò a terra, costringendolo in ginocchio.

«Noi siamo la Brigata delle Bestie Selvagge[14]. Se ci darete di nuovo fastidio, staccherò la testa a te e ai tuoi amici. Sono stata chiara?»

Il fuorilegge, che a fatica aveva soffocato un grido, si affrettò ad annuire. «S-sì.»

Solo allora la ragazza allentò la presa e lo lasciò andare. L’umano, visibilmente dolorante, arrancò in direzione degli altri Folgoratori e insieme a loro scomparve dietro ciò che restava di un muro portante. Avevano fatto male a mettersi contro le Bestie di Traumburg.

«Pallone gonfiato» commentò la felidiana. «E per colpa di O’Neill la città è piena di feccia del genere» aggiunse rivolta a Gardo’gan e Kael.

«Ehi, sicuro di stare bene?» commendò il sauriano in direzione di Alphard.

«Sì, non è niente» minimizzò l’ibrido, come se la profonda bruciatura prodotta da un proiettile al plasma non gli causasse alcun fastidio. In effetti la sua pelle stava guarendo quasi a vista d’occhio.

«Adesso cosa facciamo?» domandò il coleotteriano. Cessato il pericolo, aveva creato un gorgo sulla mano superiore destra e grazie ad esso aveva riassorbito il suo fucile.

«La nostra sfida l’abbiamo fatta, direi che possiamo andarcene» rispose la giovane. «Quindi ci aiuterete a prendere l’Uovo?»

Kael annuì, Gardo’gan invece prese un pacchetto di sigarette da una tasca dei pantaloni logori e impolverati, ne tirò fuori una, se la mise in bocca e solo allora fece un mugugno d’assenso. «Sì.»

«Ottimo, allora direi di trovare un posto tranquillo per cominciare ad elaborare un piano» affermò Leona. «Quando avremo stabilito gli elementi principali, sarà più facile trovare degli altri alleati. A proposito, voi vi siete già sistemati da qualche parte?»

«In un edificio abbandonato qui vicino, ma è una cosa temporanea» rispose il sauriano dopo essersi acceso la sigaretta.

«Beh, se volete, potete venire con noi alla sede della nostra gilda» propose Alphard. «Abbiamo un mucchio di stanze vuote.»

«Stavo per dirlo io» annuì la felidiana. «Anche per organizzarci sarebbe molto più comodo.»

«Se per voi non è un problema…» annuì Kael.

«Considerando che quello schifo di edificio non ha neanche l’acqua corrente, accettiamo subito» affermò il rettile.

«Ottimo! Allora venite, dobbiamo prendere il treno» dichiarò Leona, raggiante in testa al piccolo gruppo. «Ah, cazzo, dovrei mettermi qualcosa addosso…» aggiunse con un certo imbarazzo appena si ricordò di essere rimasta solo col reggiseno.

Alphard le porse il proprio gilet, un po’ bruciacchiato ma utilizzabile, e lei si affrettò ad indossarlo. «Ok, possiamo andare.»

«Ehi, aspetta un momento» obiettò Gardo’gan. «Ti ringrazio per l’ospitalità, però, ora che ci siamo anche noi, dovremmo decidere tutti insieme chi è il capo.»

«Cosa?! Io sono il capo!» ribatté la felidiana, più che determinata a difendere il proprio ruolo.

«E chi lo dice?»

La ragazza mostrò i denti aguzzi in un sorriso eloquente. «I miei pugni.»

***

«Capo! Capo! Grandi notizie!»

Il treant[15] di tipo quercia, fino a quel momento impegnato davanti ad un sottile monitor, si voltò verso la porta. Era alto almeno due metri e mezzo, e aveva un fisico robusto ma slanciato; il suo viso era pacato, serio e autorevole, al punto che perfino il suo naso lungo quasi dieci centimetri risultava perfettamente in armonia con l’abbigliamento elegante e formale. «Che succede?»

«Grandi notizie!» ripeté il goblin, che invece indossava abiti decisamente più sportivi, quasi trasandati. «Asterion ha abboccato: vuole rubare l’Uovo dei Sindri e sta cercando degli alleati. Abbiamo sentito che ne parlava alla Botte Ubriaca!»

La pianta umanoide si concesse un sorriso ai limiti della risata. Quasi non riusciva a credere che il suo piano avesse funzionato: era bastato fare in modo che Alphard Dragondozer origliasse la loro conversazione per indurre lui e Leona Asterion a progettare il furto dell’Uovo.

Tornò a concentrarsi sul suo subordinato: «Ha già trovato qualcuno?»

«Sembrerebbe di sì: un dromeosauriano e un coleotteriano. Li ho visti combattere e sembrano abbastanza forti, ma avranno comunque bisogno di altri uomini.»

Il treant tamburellò con le lunghe dita legnose sulla sua moderna scrivania, pensieroso. «D’accordo, di’ a Veronica di tenerli d’occhio: dobbiamo capire se possono diventare una minaccia.»

Il goblin annuì e lasciò lo studio.

Rimasto solo, l’albero umanoide si alzò dalla sua poltrona girevole, tanto comoda quanto sottile. Anche il resto dell’arredamento era molto sobrio e funzionale, fatta eccezione per qualche raffinato oggetto di design, come la teca per vini pregiati a forma di spirale o la macchina da caffè dalle linee slanciate.

Con fare soddisfatto si voltò verso l’alta libreria posta alle spalle della sua scrivania. Finalmente le cose avevano preso la piega che desiderava e tra non molto avrebbe potuto fare la sua mossa. Gli sembrava di aspettare quel momento da una vita.

Fece un paio di passi alla sua sinistra e delicatamente, quasi con riverenza, accarezzò la robusta cassa in finto legno posizionata in uno scomparto laterale. Aveva speso una fortuna per averla, ma era più che certo che ne sarebbe valsa la pena.

Senza fretta si posizionò davanti all’ampia finestra antiproiettile dello studio e incrociò le mani dietro la schiena dritta e fiera. Era già sera, eppure il sole splendeva alto nel cielo, come a voler evidenziare una volta di più le cicatrici sugli edifici e gli sguardi rassegnati dei passanti.

Fino a quel momento O’Neill era stato il padrone assoluto della città, si era arricchito sulle spalle delle persone comuni e aveva lasciato che la popolazione scivolasse in un degrado sempre più profondo. Ma presto le cose sarebbero cambiate.



Note dell’autore

Ciao a tutti, e come sempre grazie per aver letto questo nuovo capitolo! ^.^

Uauh, la situazione si è fatta subito incandescente, ma ci vorrà ben altro per vedere Leona in difficoltà XD

Nel finale ha fatto la sua comparsa un nuovo importante personaggio: mi raccomando, non dimenticatevi di lui!


Appuntamento a inizio ottobre per il quarto capitolo, e non dimenticate di lasciare un commento ;D


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[14] In inglese: Wild Beasts’ Brigade (da cui deriva il nome della saga).

[15] Nella letteratura fantasy, i treant – dall’inglese tree (albero) e giant (gigante) – sono alberi umanoidi in grado di muoversi.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

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Capitolo 5
*** 4. Un gruppo improbabile ***


4. Un gruppo improbabile

Un vaporoso strato di schiuma rosata si sollevava senza fretta dalla spaziosa vasca da bagno, avvolgendo Leona con il suo meraviglioso aroma fruttato.

Era stata una giornata intensa e proficua: finalmente erano riusciti a trovare un modo per ottenere la notorietà di cui tanto avevano bisogno, e per giunta avevano incontrato dei validi candidati per la Brigata.

Non c’era niente di meglio di un bagno caldo per celebrare il tutto e recuperare le energie.

Prese un mucchietto di spumeggianti bollicine rosate e se lo avvicinò al viso, gustandosi con tutta calma l’odore perfettamente bilanciato. Quel bagnoschiuma le era costato parecchio, ma non poteva farci niente: amava lavarsi con prodotti di lusso come quello, e finalmente aveva abbastanza denaro da poterseli permettere.

E pensare che un tempo odiava fare il bagno. Da piccola non voleva saperne di entrare nella vasca e sua madre si arrabbiava sempre. Tutti le dicevano che era un maschiaccio, a maggior ragione quando dava prova della sua forza straordinaria durante le risse con gli altri bambini. All’inizio non le importava, poi però, crescendo, aveva cominciato a sentirsi a disagio per questo.

Si accarezzò il bicipite destro, là dove di solito stava il suo inseparabile bracciale dorato.

Era arrivata al punto di detestare il suo potere. C’erano state sere in cui aveva immaginato di sbarazzarsi di quella forza mostruosa, di diventare una ragazza normale, fragile, indifesa.

Serrò il pugno e il profilo dei muscoli si delineò con eleganza sotto la pelle morbida e profumata.

In ogni caso ormai aveva superato i suoi drammi adolescenziali e aveva capito che essere donna non vuol dire essere debole. Il fatto di poter abbattere un palazzo con un pugno non doveva renderla per forza un maschiaccio. Quella forza straordinaria era semplicemente uno dei suoi talenti, al pari dell’essere brava in uno sport o in una determinata materia. Aveva moltissimi altri modi per dare prova della sua femminilità.

Alcuni colpi giunsero dalla porta della sua stanza. «Leona, sbrigati!» esclamò Alphard. «È arrivata la cena! Perché voi donne ci mettete sempre una vita a lavarvi?»

«Sì, arrivo!» gridò in risposta la ragazza.

Premette un pulsante per far fluire via l’acqua della vasca e si diede un’ultima sciacquata prima di avviare i getti d’aria calda, lo sguardo attento sulla sua immagine riflessa da uno specchio olografico.

Era solo una cena a base di piatti da asporto di un economico fast-food, però ci teneva a presentarsi pulita e in ordine al primo pasto con i suoi nuovi alleati.

Gardo’gan, affacciato alla finestra della sua stanza, osservava con occhi distratti il paesaggio misero e desolato della periferia, la coda che ondeggiava placidamente. Non che ci fosse molto da vedere: quel minuscolo agglomerato urbano versava nelle stesse, disastrose condizioni di Traumburg, con la principale differenza che era quasi disabitato. Le poche persone rimaste lavoravano quasi tutte come operaie nella piccola miniera limitrofa, l’unica fonte di sostentamento per quelli che non si erano rassegnati ad una vita da criminali.

E pensare che quel pianeta sarebbe potuto essere un luogo davvero piacevole in cui vivere: il clima era molto gradevole, a metà fra il primaverile e l’estivo, e le piante coriacee tipiche dei pianeti appena terraformati avevano già ripreso a crescere, sforzandosi – nonostante la poca acqua a disposizione – di coprire le tracce della guerra civile. Certo, il fatto che il ciclo giorno notte durasse più di ottanta ore poteva causare qualche fastidio, ma la Pixel Inc. stava provvedendo anche a questo pur di rendere Wunderwelt un luogo ideale in cui vivere; Continente Uno escluso, ovviamente.

In ogni caso Gardo’gan aveva ben altro a cui pensare: innanzitutto gli faceva uno strano effetto trovarsi lì, ospite di due perfetti sconosciuti incontrati quello stesso giorno. E poi continuava a rimuginare sull’idea di uccidere O’Neill e prendere l’Uovo dei Sindri: poteva essere il principio di una grande ascesa, ma anche l’inizio della loro fine. Senza contare che Leona si era messa in testa di voler essere a capo del loro piccolo gruppo.

Era ancora scettico riguardo alle capacità della ragazza, eppure forse la sua ambizione non era poi così insensata…

«Io sono il capo!» esclamò la felidiana, decisa e risoluta.

«E chi lo dice?» ribatté il sauriano.

«I miei pugni» fu la perentoria risposta della ragazza, con tanto di denti aguzzi in bella mostra. Ma la sua irriverenza ebbe vita breve. «Va be’, a parte gli scherzi, so bene che non sono i muscoli a fare un capo.» Si batté un dito sulla tempia. «È il cervello che fa un vero capo, e vi prometto che farò del mio meglio sotto questo punto di vista. So di avere ancora da imparare, ma di una cosa sono assolutamente certa: se avrete bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, io ci sarò. Permettetemi di essere il vostro capo, aiutatemi ad esserlo, e vi prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per farci raggiungere il nostro obiettivo. E poi chissà, magari vi convincerò anche ad entrare nella mia Brigata.»

Alla fine Leona non era tutta muscoli e tette: collaborare con lei avrebbe potuto rivelarsi interessante.

Qualcuno bussò alla porta.

«Ehi, è arrivata la cena!» lo avvisò Alphard.

«Sì, arrivo» rispose Gardo’gan, lasciando la finestra per dirigersi in bagno.

Di sicuro per un po’ di tempo non si sarebbe annoiato.

Kael, seduto ai piedi del letto, osservava la sua nuova stanza senza proferire parola. Si trattava di un ambiente semplice ma tutto sommato spazioso, aveva a disposizione un bagno personale e i padroni di casa gli avevano dato il permesso di utilizzare la cucina comune del piano terra, quindi sotto questo aspetto non poteva lamentarsi. Anzi, in confronto alla cella in cui era stato rinchiuso o alla topaia dove lui e Gardo’gan avevano dormito nei giorni precedenti, quella sembrava quasi una suite di lusso.

Era riconoscente a Leona e Alphard per la loro generosità, tuttavia un diffidente cronico come lui non poteva esimersi dal prendere alcune precauzioni. Se quei due avessero cercato di fregarlo, si sarebbe fatto trovare pronto.

Mentre attendeva l’arrivo della cena da asporto, toccò il quadrante del suo olo-vice e si mise a scorrere le ultime notizie riguardanti Traumburg. Tenersi informati su ciò che accadeva nei dintorni erano sempre una buona pratica, inoltre per il momento intendeva comportarsi in maniera il più naturale possibile, almeno fino a quando non fosse stato certo che non c’era qualche sistema di sorveglianza nascosto.

In passato si sarebbe dato del paranoico ad agire in quel modo, ma dopo ciò che aveva passato, aveva capito che la prudenza non è mai troppa. Le due Bestie Selvagge non gli avevano dato particolari ragioni per indurlo a dubitare di loro, ma proprio per questo non doveva abbassare la guardia.

«È arrivata la cena» annunciò Alphard dopo aver bussato un paio di volte.

«D’accordo, ti ringrazio» annuì il coleotteriano. Spense lo schermo olografico e andò a lavarsi le quattro mani.

L’obiettivo che si erano prefissati era ambizioso, molto ambizioso, e comportava rischi notevoli. Era proprio curioso di capire più nei dettagli come intendevano fare quei due a sconfiggere l’uomo più potente della città.

Una volta avvisati tutti gli inquilini dell’edificio, Alphard imboccò le scale per tornare al piano terra, là dove li attendeva la loro cena.

Era davvero felice di aver finalmente trovato dei compagni, tuttavia Gardo’gan e Kael non avevano proprio l’aria di quelli che fanno amicizia in fretta, quindi temeva che ci sarebbe voluto un po’ per guadagnarsi la loro fiducia. Fosse stato per lui, sicuramente non si sarebbero nemmeno presi la briga di ascoltarlo, per fortuna però c’era Leona. Lei aveva un talento naturale nel coinvolgere le persone, e presto quei due se ne sarebbero accorti: nel giro di qualche giorno anche loro sarebbero stati pronti a seguirla fino in capo all’universo, ne era convinto.

Viceversa, se non avevano intenzione di collaborare, peggio per loro: non sarebbe stata la prima volta che cacciavano qualcuno che voleva fregarli. In ogni caso l’atteggiamento distaccato e un po’ diffidente dei due in un certo senso lo rassicurava.

Ma adesso non aveva più voglia di starci a pensare, il suo panino ripieno lo stava chiamando. Sentiva già i passi degli altri che scendevano le scale, quindi cominciò a distribuire le varie porzioni, beandosi dell’aroma speziato che usciva dalla scatola da asporto.

Quella a cui stavano andando incontro era un’impresa a dir poco complicata, avrebbero dovuto dare fondo a tutte le loro risorse e capacità per uscirne vivi, quindi per il momento la cosa migliore da fare era riempirsi la pancia e liberare la mente. Avrebbero pensato l’indomani a come prendere l’Uovo dei Sindri.

***

«Sarà una vera impresa entrare lì dentro e uscirne vivi» sentenziò Gardo’gan tra un tiro di sigaretta e l’altro.

«Se fosse facile, lo farebbero tutti» gli fece notare Alphard.

«Un’impresa impossibile è proprio quello che ci vuole per dimostrare quanto valiamo» dichiarò Leona prima di bere un altro sorso dalla sua bottiglia.

Era prima mattina e i quattro si erano riuniti nell’ampio piano terra della sede della gilda per stabilire come procedere. C’erano panche, tavoli e un angolo bar a ridosso di una parete, e il soffitto alto rendeva l’ambiente ancora più grande e luminoso: era il luogo ideale per ritrovarsi tutti insieme. L’edificio era un po’ vecchio, ma erano già stati fatti dei lavori per sanare i danni più urgenti e c’era un ampio margine per personalizzarlo e renderlo ancora più accogliente. Anche le stanze ai piani superiori erano per lo più vuote o con pochi mobili essenziali, ciononostante i due nuovi membri avevano apprezzato molto il fatto di avere entrambi una camera personale.

«In ogni caso, prima di entrare in azione, io avrei bisogno di una spada nuova» sottolineò l’ibrido dopo un immancabile scatto del capo. Estrasse l’arma, la cui lama si era spezzata a nemmeno una spanna dalla guardia. In realtà non era stato Kael a romperla – gli impulsi del suo Woltan-12 non erano abbastanza potenti –, ma la colpa era dello stesso spadaccino che per errore aveva colpito una trave seminascosta tra le macerie.

«E io ho bisogno di un po’ di munizioni» aggiunse il coleotteriano. «O, meglio ancora, di un’arma decente.»

«Possiamo andare a Tradefield» suggerì la felidiana.

«A proposito di acquisti, devo procurarmi una sigaretta elettronica» intervenne Gardo’gan. «Non sono abituato alle tradizionali.»

«D’accordo, allora andiamo subito» stabilì Leona alzandosi in piedi. «Avrete intuito anche voi che da queste parti bisogna essere pronti a combattere in qualsiasi momento.»

«Per me va bene» rispose subito Alphard, ben presto imitato dal coleotteriano e dal sauriano.

Tutti insieme varcarono l’ampio ingresso principale e, dopo aver attivato la cupola antifurto, si avviarono verso la stazione del treno.

Il loro ambizioso progetto era ancora in fase embrionale, c’erano molti aspetti da analizzare e pianificare, ma senza dubbio predisporre un arsenale adeguato sarebbe stato un importante passo avanti, per il presente così come per un eventuale futuro tutti insieme.



Note dell’autore

Ciao a tutti!

Questa volta ho concesso ai miei personaggi un capitolo più “rilassante”: era arrivato il momento di tirare il fiato, così da conoscerli meglio in quella che potrebbe essere la vita di ogni giorno di un gruppo di aspiranti uccisori di un supercriminali XD

La vera notizia però è un’altra: questo qui sotto è un disegno (chibi) fatto da me di Leona, e nei prossimi capitoli ne pubblicherò altri per i vari personaggi principali.

Leona Asterion (WBB-1)

Appuntamento tra un paio di settimane per il nuovo capitolo.

Ciao! ^.^


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Capitolo 6
*** 5. Sentiero condiviso ***


5. Sentiero condiviso

Dopo aver lasciato la sede della Brigata, Leona e i suoi compagni raggiunsero la locale stazione ferroviaria e si sedettero su una panca di metallo per aspettare il treno. Di per sé il mezzo era molto veloce, tuttavia ce n’era solo uno e perdeva parecchio tempo ad ogni fermata per via dei mercati temporanei che andavano a formarsi.

Alphard, forte della sua lingua lunga, non aveva smesso un secondo di parlare. Dopo aver spiegato ai due nuovi alleati alcune curiosità su Traumburg, stilò un sommario elenco delle persone con cui era meglio non attaccare briga.

«A proposito, avete notato che tutti pagano il biglietto?» disse ad un tratto accennando ad alcuni ragazzi dall’aria poco raccomandabile. Uno dopo l’altro stavano diligentemente passando dai tornelli senza nemmeno provare a scavalcarli o ad eluderli con qualche stratagemma. «Ma non illudetevi: lo fanno solo perché il treno è di O’Neill, e chi non paga di solito ci rimette un arto.»

Gardo’gan e Kael annuirono distrattamente. Dunque era per questo se la felidiana e l’ibrido si erano premurati di comprare dei biglietti anche per loro.

Lo spadaccino, poco soddisfatto della stentata reazione dei due, cercò qualche altro argomento per coinvolgerli in una discussione. «È un bel tatuaggio» affermò dopo qualche secondo indicando il braccio sinistro di Gardo’gan. Il disegno copriva quasi tutto l’arto e raffigurava una donna rettile dai tratti angelici che tendeva una mano verso il basso mentre sullo sfondo c’erano delle nuvole che parevano in tempesta. Era stato realizzato con notevole maestria e sicuramente doveva essere molto importante per lui.

«Sì, ti ringrazio» gli rispose il sauriano, ma non aggiunse altro.

Alphard tentò altre volte di iniziare un discorso che non riguardasse l’imminente furto dell’Uovo, purtroppo però non riuscì a strappare più di qualche frase al rettile e tantomeno a Kael, che praticamente si limitò ai monosillabi.

Leona, che inizialmente si era illusa di averli convinti a fare squadra, capì che i due non si fidavano ancora di loro. Doveva fare qualcosa: anche mettendo da parte la sua speranza di convincerli ad entrare nella Brigata, era comunque importante che fra loro ci fosse una certa fiducia, a maggior ragione se pensava che tra non molto avrebbero dovuto mettere in gioco le loro vite in una battaglia senza esclusione di colpi.

«Ragazzi, se non vi dispiace, vorrei raccontarvi qualcosa di me, così vediamo di conoscerci un po’ meglio» affermò una volta preso posto sul treno.

La prima espressione di Gardo’gan le fece temere che avrebbero rifiutato – la maschera chitinosa di Kael, poi, era ancora un mistero per lei –, invece i due si limitarono ad un vago assenso.

Felice e sollevata, la felidiana pensò rapidamente a qualcosa da raccontare. «Ecco, ci sono. Vi abbiamo detto che abbiamo frequentato un’accademia dell’Atena & Neith, e per la precisione ci siamo conosciuti nella squadra di basket. In pratica tutti gli alunni devono praticare uno sport, ma purtroppo in quel periodo la squadra non era proprio al massimo della forma.»

«Ci chiamavano la “Truppa senza Testa” perché il vecchio capitano aveva finito il triennio e quello che aveva preso il suo posto era bravo, senza dubbio, però non era esattamente un leader» intervenne Alphard.

«Ehi, sto raccontando io!» lo sgridò Leona. «Tu e la tua lingua lunga! Comunque, stavo dicendo: individualmente eravamo bravi, ma non riuscivamo a fare gioco di squadra e a rendere come avremmo potuto. Mi ricordo ancora che dopo che avevamo perso contro la penultima in classifica mi sono messa a litigare col capitano, e alla fine lui mi ha tirato la fascia in faccia e mi ha detto “Se sei tanto brava, fallo tu!”. È stato straimbarazzante e sono rimasta lì imbambolata per non so quanto, però ormai non potevo più tirarmi indietro, quindi ho preso la fascia e, beh, c’ho provato. Devo dire che l’inizio è stato abbastanza traumatico, ero terrorizzata dall’idea che gli altri dipendessero da me, poi però pian piano abbiamo cominciato ad ingranare e siamo riusciti ad arrivare terzi. E, onore al merito, quello che era stato capitano è andato vicino a venire nominato miglior giocatore del campionato grazie alle prestazioni dopo aver ceduto la fascia.» Finita la frase, Leona abbassò le orecchie e fece una smorfia di colpevolezza. «Ok, detta così sembra che mi voglio vantare, ma il fatto è che non mi ero mai sentita così felice e realizzata: mi sentivo fiera dei miei successi e ancora di più di quelli della squadra. Non mi importava più di fare canestro: volevo far divertire i miei compagni e far vincere la mia squadra. Per me è questo essere un buon capo.»

«Tra l’altro grazie a lei abbiamo vinto il campionato successivo e siamo arrivati secondi il terzo anno» commentò Alphard scostando allegramente i suoi ciuffi ribelli. «È stata pure capitano di un All-Star Team!»

«Grazie, sapevo di poter contare sulla tua discrezione» ribatté ironica la felidiana. «Beh, dovrei aver finito. Grazie per avermi dato retta.»

«Ok, allora adesso è il mio turno» affermò lo spadaccino. «Allora, come vi ha accennato Leona, ci siamo conosciuti al primo anno di accademia nella squadra di basket, però bisogna dire che a quel tempo… beh, non andavamo molto d’accordo. Ti ricordi?»

«Eri proprio uno stronzo» annuì la ragazza, che nel frattempo aveva tirato fuori la sua bottiglia.

«Oh, avevo litigato con mia sorella, quindi era un brutto periodo!» Abbassò lo sguardo sull’anello argentato che portava al medio della mano sinistra. Aveva delle leggere incisioni, eleganti e affilate, forse delle rune in qualche antica lingua. «Comunque in realtà quando mi sono iscritto non ero molto motivato, non mi impegnavo negli studi e tantomeno negli allenamenti, però… beh, inutile girarci intorno: Leona mi ha cambiato. Mi ha convinto ad impegnarmi e pian piano ho ritrovato l’entusiasmo di raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissato. Insomma, il mio fascino è rifiorito!» aggiunse sfoggiando uno dei suoi sorrisi saccenti. «Ragazzi, fidatevi: a volte sembra una cogliona, ma voi seguitela e arriverete molto più lontano di quanto immaginate.»

«Grazie Alphard, ora chiudiamo la parentesi pubblicitaria e passiamo oltre» dichiarò Leona, le orecchie basse e gli zigomi un po’ arrossati a dimostrare il suo imbarazzo per gli elogi ricevuti. «Volete raccontarci qualcosa anche voi? Sarei felice di conoscervi un po’ meglio.»

Gardo’gan prese un tiro dalla sua sigaretta e poi soffiò una nuvoletta di fumo. «Boh, non è che c’è molto da dire su di me. Sono cresciuto in un quartiere di merda e ho dovuto imparare a difendermi, quindi mi sono abituato in fretta a sfruttare l’abilità di gigantista che ho ereditato da mio padre. Credevo di essere forte, ma poi ho incontrato una poliziotta che mi ha sconfitto. Gigantista del cazzo, facile vincere con un’intera squadra di supporto! Comunque, se la ritrovo, gli faccio ingoiare il distintivo!»

«Ehi, non accusare l’agente che ti ha arrestato!» ribatté Leona. «Non vorrei sembrare sgarbata, ma se fai cose illegali e poi ti arrestano, la colpa è solo tua.»

«Sappiamo che la nostra è una gilda illegale, però sai, abbiamo alcuni amici in polizia, quindi…» Alphard lasciò in sospeso la frase, ma era chiaro che a loro non facesse piacere che si parlasse male delle forze dell’ordine in generale.

Il sauriano emise un mezzo grugnito e si concentrò sulla sua sigaretta. «Comunque non so se conoscete Pryzonn, ma se vi beccano, pregate di non finire lì dentro: è un vero schifo, non c’è da stupirsi se il tasso di recidiva è superiore al novanta percento!»

La felidiana annuì. «Lo terremo a mente. E grazie per averci raccontato qualcosa di te.»

Gardo’gan si limitò ad un mugugno d’assenso. «E comunque cosa siamo, una comunità per tossici? Un tabagista, un’alcolizzata, un avaro… e tu cosa sei?»

L’ibrido sfoggiò un sorriso compiaciuto. «Ah, io sono privo di difetti!»

Leona però non fu d’accordo: «Lo so io: lui è…» E cominciò a fare scatti con la testa per imitare il suo compagno.

Senza nemmeno accorgersene, il diretto interessato fece lo stesso movimento per spostare i ciuffi dagli occhi. «Ehi, non è vero!»

«Mi permetto di sottolineare che l’essere parsimoniosi è un pregio, non una dipendenza» intervenne Kael, fino a quel momento in silenzio e concentrato ancora una volta sullo schermo del suo olo-vice.

«Giusto, vuoi raccontare anche tu qualcosa?» gli chiese la felidiana.

Lui distolse lo sguardo. O per lo meno ruotò il capo verso il finestrino: Leona e Alphard non erano nemmeno riusciti a capire se davvero le fessure verticali sul suo viso servissero a proteggere gli occhi – magari composti – o se sfruttasse qualche altro organo di senso. «No. Non ho niente da dire.»

«Come niente?!» esclamò la felidiana. «Dai, qualcosina…»

«Ho avuto una vita noiosa.»

«Mmh… D’accordo, magari un’altra volta.»

Dopo aver sentito il racconto della ragazza, il coleotteriano si era preso la briga di visitare il sito dell’A&N per verificare con precisione l’andamento delle prestazioni della loro squadra. I campionati tra le accademie, per quanto amatoriali, erano piuttosto sentiti dagli studenti, quindi sul sito ufficiale erano salvati i dati di tutte le partite giocate. E in effetti le parole dei due membri della Brigata trovavano piena conferma: le prestazioni della loro squadra erano migliorate sensibilmente da quando Leona aveva assunto il ruolo di capitano. Certo, questo non voleva dire che la felidiana sarebbe stata in grado di guidarli senza errori in un’impresa ardua come quella che avevano in mente, ma era comunque un punto a suo favore.

«Se proprio vi interessa, ho una laurea in economia.»

Leona drizzò le orecchie a quell’inaspettata rivelazione. «Davvero?! Cavolo, grande!»

Il coleotteriano annuì, ma non aggiunse altro.

«Anche in prigione non era particolarmente loquace» rivelò Gardo’gan, abituato ai silenzi dell’insetto.

Una volta arrivati alla stazione prestabilita, i quattro scesero dal treno magnetico e a piedi raggiunsero l’astroporto. Che poi definirlo “astroporto” sarebbe stato alquanto eccessivo: in realtà era uno spiazzo grande come tre campi da calcio dove varie astronavi mercantili facevano scalo per caricare e scaricare le loro merci. Alcuni equipaggi accettavano – dietro compenso – di dare un passaggio a chi voleva lasciare il pianeta, evitandogli l’onore di raggiungere l’astroporto di Wunderburg.

I quattro trattarono un po’ con i vari mercanti e alla fine ne convinsero una a dare loro un passaggio fino ad una stazione spaziale. Una volta raggiunta quest’ultima, bastò interrogare una delle intelligenze artificiali dell’astroporto per farsi spiegare il modo più rapido per raggiungere la loro meta finale.

Arrivati a Tradefield, Leona e Alphard sbarrarono gli occhi di fronte alla quantità esorbitante di negozi e di gente di ogni specie impegnata negli acquisti. Ne avevano sentito parlare – chi non aveva mai sento parlare di Tradefield? –, ma vederlo di persona era tutta un’altra cosa. Era come trovarsi all’interno di un immenso centro commerciale strutturato su diversi piano e interamente dedicato ad articoli militari o affini. C’erano davvero armi di tutti i tipi: da quelle bianche a quelle da fuoco, dai modelli in scala ridotta a quelli per giganti, ma anche artefatti magici, pozioni, armature, veicoli e mecha di ogni forma e dimensione. Trattandosi di una stazione spaziale indipendente, non era vincolata da molte leggi e quindi era possibile trovare praticamente ogni tipo di armamento. Girando un po’ e facendo le domande giuste, era anche possibile incontrare trafficanti d’armi di un certo livello: gente che, dietro un adeguato compenso, avrebbe potuto fornire qualsiasi prodotto.

«Comincio a dare un’occhiata» annunciò Kael. «Se trovo qualcosa, vi chiamo.»

«Anche io comincio a cercare una spada» disse Alphard. «Spero di non metterci una vita…»

«Io darò un’occhiata alle dotazioni per gigantisti» affermò Gardo’gan.

Leona ci pensò su un attimo. «Io…» Prese dalla tasca la bottiglia ormai quasi vuota. «Io cercherò qualcosa da bere.»

***

La Folgore Fiammante avanzava in silenzio lungo il muro sporco e pieno di scalfitture, guardingo, subito seguito dai suoi uomini. Era pieno giorno, ma in quella zona non c’era nessuno. Non che la cosa fosse strana: oltre quella parete si trovava uno dei depositi di Aaron O’Neill e a nessuno era permesso avvicinarsi. Per poter arrivare fin lì aveva dovuto sborsare tremila arcos agli uomini incaricati della sorveglianza, ma sapeva che ne sarebbe valsa la pena.

Aggirarono una catasta di elettrodomestici sventrati risalenti ad almeno cinque anni prima e dopo pochi metri si trovarono davanti un massiccio portone blindato. L’umano digitò una complessa combinazione sul tastierino numerico e la serratura scattò. Il battente cominciò a scorrere di lato e le luci si accesero in rapida sequenza emettendo dei leggeri scatti.

Gli occhi della Folgore si fecero lucidi per l’emozione: non aveva mai visto un simile assortimento di armi ed equipaggiamenti, e finalmente riuscì a dimenticare la notte insonne passata a tormentarsi alla ricerca di un modo per vendicarsi.

«Svelti, prendete quello che ci serve, ma non esagerate!» ordinò ai suoi subordinati. «Se O’Neill ci scopre, siamo tutti morti.»

La banda, che si componeva di dieci uomini e tre donne, varcò la soglia e si sparpagliò alla ricerca delle risorse adatte per sconfiggere le Bestie Selvagge.

I Folgoratori di Traumburg non si sarebbero piegati davanti alle minacce di una bionda e dei suoi compagni.



Note dell’autore

Ben ritrovati! Spero che il capitolo vi sia piaciuto ^.^

Per una volta ho limitato l’azione per dare più spazio alla psicologia dei personaggi. E dato che ho introdotto in maniera un po’ più ampia l’Atena & Neith, ne approfitto per dirvi che Leona e Alphard non sono gli unici personaggi ad averla frequentata, ma in altre saghe potrete incontrare diversi altri allievi ;D

Come per lo scorso capitolo, ecco un nuovo disegno chibi. Questa volta tocca ad Alphard:

Alphard Dragondozer (WBB-1)

Come sempre, vi ricordo che il prossimo capitolo uscirà tra un paio di settimane, verso metà ottobre.

Ciao! ^.^


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Capitolo 7
*** 6. Una battaglia di squadra ***


6. Una battaglia di squadra

L’assortimento di merci esposte a Tradefield era talmente vasto che i quattro ci misero molto più del previsto per trovare quello che cercavano. Alphard si perdeva continuamente ad osservare le vetrine dei negozi di armi bianche, Gardo’gan non riusciva a decidere quale tipo di equipaggiamento fosse più adatto al suo stile di lotta, e perfino Kael era caduto vittima del fascino di un assortimento di mitragliatrici Gatling ultraleggere per fanteria. Solo Leona si era resa conto che dal loro arrivo alla stazione spaziale – complice anche una breve pausa per il pranzo – erano passate più di tre ore.

«È colpa mia: c’erano talmente tanti negozi che non riuscivo a scegliere» si scusò Alphard al momento di lasciare Tradefield. Insieme all’acquisto della spada aveva potuto scegliere un fodero in omaggio, e alla fine aveva optato per un modello molto simile a quello che aveva in precedenza. L’elsa della sua nuova arma, le cui forme moderne suggerivano un prodotto molto avanzato, sporgeva leggermente dal fianco destro, mentre la lama era nascosta in una tasca dimensionale.

«Beh, l’importante è che abbiate trovato tutti quello che cercavate» affermò la giovane.

In realtà, quando ancora era alla ricerca dell’arma giusta, l’ibrido aveva saputo che da lì a poco sarebbe stata messa all’asta una Spada Infame di Gendarmeria, e il suo primo pensiero era stato di fare tutto il possibile per ottenerla: le Spade Infami di Gendarmeria erano famose per essere difficili da controllare, ma anche e soprattutto micidiali contro qualsiasi avversario. Aveva sorriso all’idea che forse con un arma del genere sarebbe stato possibile fare qualche graffio alla felidiana. Sfortunatamente la sola base d’asta era vicina alla loro soglia massima di spesa, quindi aveva dovuto rinunciare in favore di un prodotto più alla sua portata.

«Leona, perché tu non hai comprato nulla?» le chiese Gardo’gan. Dopo lunghe riflessioni aveva optato per un robusto bracciale da guerra che gli copriva quasi interamente l’avambraccio sinistro. Era in grado di generare un’armatura energetica su tutto il corpo, ma anche un potente scudo per le situazioni di emergenza, inoltre disponeva di un versatile mitra ad energia per colpire i nemici dalla distanza. Tra un negozio di armi e l’altro, aveva anche trovato il tempo per acquistare una pratica sigaretta elettronica simile nell’aspetto ad un sigaro un po’ consumato.

La ragazza si strinse nelle spalle con nonchalance. «Le armi non mi servono.»

L’ibrido mosse il capo per spostare i soliti ciuffi. «Tra l’altro è anche un po’ negata, quindi va a finire che la intralciano e basta.»

La diretta interessata gli rispose con un pugno sulla spalla che strappò un mezzo sorriso allo spadaccino.

Il clima durante il viaggio di ritorno fu decisamente più allegro e vivace rispetto all’andata. L’idea di raccontare qualcosa del proprio passato aveva senza dubbio contribuito ad avvicinare i quattro, tuttavia l’atmosfera venne improvvisamente turbata quando, al loro ritorno alla gilda, trovarono una brutta sorpresa ad attenderli.

La coda della felidiana si drizzò insieme alla pelliccia bionda. «Che cazzo! Ti allontani un attimo, e guarda cosa succede!»

Illuminato dal lento tramonto di Wunderwelt, un gruppo di persone si era radunato intorno all’edificio e, senza preoccuparsi degli eventuali passanti, stava facendo tutto il possibile per forzare lo scudo energetico e avere così la possibilità di entrare.

«Che facciamo?» chiese Gardo’gan, a cui non dispiaceva affatto l’idea di provare sul campo il suo nuovo bracciale.

«Che domande! Gli spacchiamo il culo!» esclamò Alphard scostandosi i ciuffi con stizza.

«Lasciate a me il capo» ordinò Leona battendosi il pugno sul palmo.

«Non sono quelli di ieri?» esalò Kael con la sua voce vagamente spettrale.

Guardando meglio, anche gli altri riconobbero i capelli tinti di blu e biondo platino della Folgore Fiammante, così come qualcuno dei suoi scagnozzi.

«Gli avevo detto di non venire di nuovo a seccarci» ringhiò la felidiana.

«Avevi detto che li avresti uccisi se l’avessero fatto» le rammentò Gardo’gan, un po’ curioso di vedere cosa avrebbe deciso di fare la giovane.

Leona fece un lungo sospiro per cercare di placare la rabbia. «Non me lo ricordare.»

«Beh, speriamo che, dopo aver preso a calci O’Neill, la gente capisca che è meglio non venire a seccarci» commentò Alphard, che invece non aveva perso il suo buonumore.

Aveva appena finito la frase che la felidiana scattò verso l’alto come un proiettile, dritta verso la base.

«Sa anche volare?» fece il sauriano, visibilmente stupito.

«No, però salta molto lontano» gli spiegò l’ibrido.

La felidiana, ormai in caduta libera, mosse le braccia per cercare di aggiustare la traiettoria, questo però non bastò ad evitarle un violento scontro con lo scudo della base.

Lo spadaccino sollevò le sopracciglia. «Che dire, non è facile dosare la forza giusta su una simile distanza.»

Leona, che grazie ad una piroetta era riuscita comunque ad atterrare in piedi, si premurò di mascherare la punta di imbarazzo rivolgendo sguardi poco amichevoli ai Folgoratori di Traumburg che la stavano circondando.

«Questa volta non riuscirai a sconfiggerci, puttana!» esclamò il capobanda. Sollevò le mani all’altezza del petto, quindi aprì e chiuse le dita alcune volte in un gesto piuttosto eloquente. «Allora, da dove vogliamo cominciare?»

La ragazza scomparve. L’umano non ebbe il tempo di guardarsi intorno che un dolore lancinante gli squassò lo stomaco. La forza del pugno di Leona, talmente veloce da sembrare invisibile, lo scaraventò indietro, gettandolo a terra ad almeno cinque metri di distanza.

«Allora, ti piace come inizio?»

Sistemato il capobanda, la felidiana rivolse la sua attenzione agli altri nemici. Ora che ci faceva caso, molti di loro avevano armi che la prima volta non aveva notato, ma questo non la impensierì: poteva sconfiggerli tutti senza problemi.

Alcuni colpi arrivarono da lontano e un paio di Folgoratori caddero a terra, i corpi scossi da convulsioni.

«Ehi! Non vorrai mica divertirti solo tu!» esclamò Alphard. Aveva indossato la fascia per capelli che in genere teneva al polso destro, e in mano aveva la sua nuova spada. Si trattava di una Verdict du Chevalier, un’arma lunga e abbastanza voluminosa, le cui forme elaborate lasciavano intuire fosse in grado di cambiare forma. Premette un pulsante vicino alla guardia e le lame – una liscia e ricurva nella parte finale e due seghettate poste in coppia vicino alla guardia – vennero avvolte da un tenue bagliore argenteo: si trattava di un flusso di plasma e grazie ad esso avrebbe potuto tagliare con il minimo sforzo anche i materiali più resistenti.

Un nemico sollevò il suo lungo fucile per vendicare i compagni caduti, ma Kael fu più rapido e colpì anche lui con un impulso stordente. Al contrario di Alphard e Gardo’gan, si trovava ancora a più di sessanta metri di distanza e da lì aveva sparato con il suo nuovo Thareuss 14, un potente fucile mitragliatore calibro 8.54. Si trattava di uno dei migliori fucili della sua categoria, in grado di funzionare sia con munizioni fisiche che ad energia, inoltre era una delle sue armi preferite, quindi non aveva saputo resistere alla tentazione di comprarlo. Per il momento si stava limitando a stordire gli avversari, ma in caso di necessità aveva pronto un caricatore compresso multi-tasca che conteneva centinaia di munizioni fisiche di vario tipo pur essendo grande come un pugno.

«Cosa fate lì impalati?!» imprecò la Folgore Fiammante, ormai di nuovo in piedi. «Occupatevi di loro!»

I membri della banda non se lo fecero ripetere e partirono alla carica, lasciando il loro capo da solo con Leona.

L’umano era stato colto di sorpresa dall’attacco della felidiana, tuttavia questa volta non sembrava aver accusato il colpo e il suo sguardo era ancora pieno di fiducia. «Mi spiace, ma dovrai fare molto meglio di così.» Il suo corpo e i suoi vestiti si erano tramutati in terra in corrispondenza dell’addome, rigenerando la ferita che altrimenti gli avrebbe impedito di combattere. «Adesso ho anche un talismano elementale di prima qualità: non mi farò sconfiggere di nuovo!»

Con il temine “talismani” venivano indicati tutti quegli artefatti magici in grado di assicurare al loro proprietario determinate abilità, e il loro prezzo poteva variare molto in base alla qualità e alla tipologia di potere. Col passare dei secoli erano state realizzate migliaia, se non addirittura milioni di varianti, quindi la possibilità di scelta era talmente ampia che chiunque – con un portafogli abbastanza gonfio – poteva trovare il talismano che faceva al caso suo.

La Folgore scattò rapidissimo, aggredendo la sua avversaria da ogni direzione e bersagliandola con proiettili di terra fiammeggianti. «Ti darò una bella lezione!»

Anche la supervelocità e il controllo del fuoco dell’umano erano dovuti a dei talismani, ma si trattava di artefatti di livello nettamente inferiore rispetto al Gearj che aveva rubato dal deposito di O’Neill. Quest’ultimo infatti faceva parte dei cosiddetti Talismarj, così chiamati per via della desinenza che accomunava tutti gli artefatti della sua categoria, veri capolavori risalenti ormai a millenni prima.

Quando finalmente la Folgore si fermò per riprendere fiato, Leona abbassò le braccia e inquadrò il suo bersaglio. Ancora una volta scattò rapidissima, piombando su di lui più veloce del vento. Caricò il pugno e colpì. L’uomo, che in quanto a rapidità non era da meno, riuscì a scansarsi appena in tempo, si gettò di lato e subito rispose con un geyser di terra che esplose proprio sotto i piedi della giovane.

In realtà il suo talismano non era un Gearj originale, si trattava infatti di una copia creata in laboratorio, ma questo non voleva dire che fosse meno potente. Quel Gearj sintetico gli dava la possibilità di controllare a piacimento la terra e poteva trasformare il suo corpo nell’elemento stesso, permettendogli di rigenerare quasi ogni ferita. Era proprio grazie a questa caratteristica che non doveva più temere gli attacchi fisici, e in più poteva sempre contare sulla sua straordinaria velocità e sull’abilità di manipolare il fuoco.

«Hai fatto male a minacciarci!» esclamò. «Nessuno può minacciare i Folgoratori di Traumburg!»

«Cazzo, ma dove le hanno prese tutte queste armi?!» imprecò Gardo’gan, un po’ in difficoltà contro un felino umanoide. Grazie allo scudo non aveva problemi a ripararsi dalle raffiche di fucile, tuttavia non riusciva a passare alla controffensiva.

Alphard, che in quel momento gli copriva le spalle, fece uno scatto con la testa, gesto assolutamente inutile dal momento che aveva i capelli legati. «Non ti preoccupare, ci stiamo solo riscaldando.»

Sempre protetto dallo scudo energetico, il sauriano caricò a testa bassa il suo avversario e lo scaraventò a terra. «Ah sì? E non sarebbe il caso di fare sul serio?»

L’ibrido sorrise. «Dai, lasciaci divertire ancora un po’. Tanto, se le cose si mettono male, c’è sempre Leona.»

«Mmh… Certo che quella è proprio un mostro, ma di cosa è fatta?! Aspetta, è una semidea?»

«No, però diciamo che sei sulla strada giusta.» gli rispose Alphard. Con un movimento repentino tagliò in due il fucile d’assalto del suo avversario, il quale per poco non perse una mano dal momento che l’arma aveva una configurazione bullpup molto compatta. Il malcapitato, paralizzato dalla paura, non riuscì a reagire nemmeno quando lo spadaccino gli tirò un vigoroso calcio nel petto, spedendolo a terra. «Tu da tuo padre hai ereditato il gigantismo, lei… beh, lei l’essere invincibile.»

Il sauriano fece un verso di stizza. «E chi sarebbe suo padre, si può sapere?»

L’ibrido continuò a sorridere. «Sconfiggiamo questi simpaticoni, e potrai chiederglielo tu stesso.»



Note dell’autore

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo!

Per prima cosa vorrei ringraziare Hesper-M, che mi ha dato un grande aiuto betando la storia: non c’è niente di meglio per un autore U.U

Per quanto riguarda il capitolo, le Bestie Selvagge hanno acquistato delle nuove armi, ma anche i Folgoratori non sono da meno: si preannuncia uno scontro molto più impegnativo del precedente.

Come due settimane fa, ecco un altro disegno chibi di uno dei protagonisti. Immagino l’avrete riconosciuto: è proprio lui, l’“allegro” Gardo’gun XD

Xhernan Gardo’gun (WBB-1)

Ormai lo saprete meglio di me, comunque il prossimo capitolo uscirà tra un paio di settimane, all’inizio di novembre.

A presto! :D


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Capitolo 8
*** 7. Combattere per uno scopo ***


7. Combattere per uno scopo

Alphard avvertì una minaccia imminente e, senza nemmeno guardare, mosse la sua Verdict du Chevalier. Il peso e le dimensioni erano ideali per il suo stile di combattimento, quindi non ebbe difficoltà a intercettare la raffica di proiettili fisici alla sua sinistra. Un’arma normale si sarebbe danneggiata, ma il flusso di plasma non serviva solo per attaccare: i colpi vennero in buona parte vaporizzati dalla lama luminosa e le schegge rimanenti deviarono in direzioni inoffensive. Solo gli spadaccini più capaci, dotati di riflessi straordinari e di un’ottima coordinazione, potevano eseguire con successo una simile tecnica, e l’ibrido era senza dubbio uno di questi.

Era stata sua madre adottiva ad addestrarlo, convincendolo ad affinare giorno dopo giorno la sua tecnica per migliorarsi sempre di più. Il suo nome era Rossweisse[16] ed era una valkyrja, una guerriera straordinaria per natura, e lo stile che lui aveva appreso assomigliava molto a quello della donna: elegante, rapido, preciso. Non sprecava energie in movimenti inutili e prestava sempre attenzione a dosare la forza di ogni colpo per non lasciare aperture all’avversario.

Scattò in avanti e con un montante potente e preciso fece saltare la spada del suo aggressore, anch’essa mutaforma. Quest’ultima non disponeva di un generatore di plasma, ciononostante era predisposta per resistere ai flussi di plasma dei nemici e quindi non venne intaccata.

Dopo essere entrato all’A&N, aveva impiegato meno di una deca per riuscire a sconfiggere tutti gli insegnanti di scherma dell’accademia. Gli unici in grado di tenergli testa erano i Cavalieri della Luce col rango di Maestro: si trattava di guerrieri straordinari che, grazie ad un lungo addestramento, avevano appreso le secolari tecniche di combattimento tramandate nel loro Ordine. Grazie ad un accordo tra la loro istituzione e l’A&N, alcuni Maestri tenevano delle lezioni anche nelle accademie, e in questo modo lui era stato in grado di perfezionare ulteriormente il suo stile.

Scattò alla sua destra e uno schiocco divampò là dove un attimo prima si trovava il suo braccio. Si voltò e vide una donna armata di una frusta fiammeggiante che lo guardava con aria di sfida. Dopo aver rivolto una doverosa occhiata alla scollatura della donna, decise che era il momento giusto per provare l’altra forma della sua arma. Disattivò il flusso di plasma e premette un altro pulsante. L’elsa si piegò e dalla guardia uscì un grilletto, le due lame seghettate si aprirono e vennero coperte da un rivestimento di plastica dura, allo stesso tempo la punta della spada si abbassò e arretrò per diventare la baionetta del fucile d’assalto appena formatosi.

L’ibrido sparò senza perdere tempo, ma la sua avversaria mosse l’arma fiammeggiante con un’abilità e una precisione tali da intercettare tutti gli impulsi.

«Questa frusta è proprio una figata!» esclamò la rettile, probabilmente una sauriana come Gardo’gan. Al contrario degli uomini, le donne di tale specie avevano i capelli, nel suo caso una fluente chioma di piume cremisi raccolte in una lunga treccia.

Sollevò la sua arma per passare all’offensiva, ma una raffica di proiettili d’energia la colpì alla schiena, gettandola a terra completamente paralizzata.

«Ehi! Così però non è divertente!» esclamò lo spadaccino.

Kael, ancora a distanza di sicurezza e consapevole della propria voce non particolarmente potente, preferì evitare di sprecare il fiato. Al contrario degli altri tre, lui non era un guerriero invincibile, non aveva talenti superiori alla norma e non possedeva capacità innate, quindi in battaglia poteva fare ricorso solo alla sua intelligenza e agli equipaggiamenti che aveva preparato. Proprio per questo motivo anni prima aveva deciso di acquistare un talismano di tipo Arsenal, che gli permetteva di immagazzinare una vasta gamma di oggetti all’interno del suo corpo. Si trattava di una capacità estremamente versatile, in particolare ora che aveva potuto assorbire armi cariche e bombe pronte all’uso, tuttavia doveva fare attenzione: il suo non era un talismano elementale, quindi non era in grado di rigenerare le ferite come invece poteva fare il Gearj della Folgore Fiammante. In ogni caso a Tradefield aveva comprato anche un’armatura energetica di ottimo livello e questo gli permetteva di affrontare le battaglie con relativa tranquillità.

Una fragorosa raffica di proiettili attirò la sua attenzione. A giudicare dal rumore, doveva trattarsi di un’arma da almeno seicento colpi al minuto, e infatti la riconobbe quasi subito come una M31 Light-Meteorgun, una mitragliatrice Gatling di fanteria in grado di sparare dai cinque agli oltre cento colpi al secondo. A impugnarla era il giovane minotauro rapinatore e il suo bersaglio era Gardo’gan, che per difendersi stava sfruttando lo scudo energetico del suo bracciale.

Ad un primo sguardo il rettile poteva sembrare in difficoltà, ma al coleotteriano bastarono pochi secondi per capire che il toro umanoide non aveva mai maneggiato un’arma simile. La sua postura era completamente sbagliata, non riusciva ad inquadrare bene il bersaglio e quasi tutti i colpi andavano a vuoto. Kael sollevò il suo Thareuss 14, prese accuratamente la mira e con un solo colpo alla testa spedì a terra il minotauro.

In effetti tutti i membri della banda avevano degli ottimi equipaggiamenti, tuttavia nessuno di loro sembrava in grado di sfruttarli al meglio. Se avesse dovuto tirare a indovinare, avrebbe detto che li avevano appena sgraffignati da qualche parte per poi andare a cercare vendetta senza nemmeno prendersi il disturbo di imparare a usarli.

Gardo’gan, ormai libero dal fuoco di soppressione, si guardò intorno alla ricerca di un Folgoratore. Alla fine Alphard aveva avuto ragione nel dire che non era il caso di impegnarsi, e tutto sommato era quasi contento di aver trovato degli avversari del genere con cui recuperare l’abitudine alla battaglia.

Un rumore elettronico lo indusse a voltarsi. Era pronto ad affrontare un altro nemico, ma ciò che vide gli fece scendere un brivido fino alla punta della coda: Alphard, completamente paralizzato, era sovrastato da un’enorme nemico, forse un mecha, la cui corazza metallica era tenuta insieme da giunture di energia semitrasparente.

Gardo’gan corse in suo aiuto, ma non fu abbastanza rapido: la macchina colpì lo spadaccino con un gancio destro e degli schizzi di sangue volarono in tutte le direzioni. L’ibrido rotolò all’indietro e stramazzò al suolo, inerte, come morto.

Il sauriano non ci pensò due volte e aumentò le sue dimensioni per vendicare il suo compagno. L’ammasso di metallo ed energia indietreggiò a causa del violento impatto, ma l’utilizzatore – posizionato all’interno del petto – non aveva nessuna intenzione di arrendersi.

«Avete fatto male ad abbassare la guardia! Vi farò vedere di cosa sono capace!» esclamò il nemico, che era stato colpito da un impulso stordente nelle fasi iniziali della battaglia.

Il Folgoratore provò un destro, ma Gardo’gan lo bloccò facilmente e rispose con un montante talmente potente da sollevarlo e gettarlo all’indietro. L’uomo provò a far rialzare la sua macchina, ma il sauriano la colpì con un poderoso pugno sul petto che la affossò nel terreno.

Quella corazza mimetica era piuttosto resistente, tuttavia il rettile poteva contare sull’armatura energetica del suo bracciale, il quale non aveva problemi ad adattarsi ai suoi cambi di dimensione grazie ad una struttura incredibilmente elastica posta sotto le placche di polimero.

Il sauriano continuò a colpire senza pietà e nel giro di mezzo minuto le giunture della spigolosa armatura nemica si dissolsero, lasciandola del tutto incapace di muoversi. Gardo’gan avrebbe voluto aprire l’abitacolo per dare una bella lezione al pilota, ma sapeva che sarebbe stato uno sforzo inutile: quel guscio era troppo resistente per essere aperto a mani nude, e poi Leona aveva chiesto a lui e Kael di evitare uccisioni inutili. Consapevole di questo, lanciò il più lontano possibile gli arti del mecha per assicurarsi che non rialzasse, dopodiché corse dall’ibrido. Gli bastò uno sguardo per capire la gravità delle sue condizioni: le costole sembravano quasi tutte rotte e aveva perso molto sangue, eppure respirava ancora. Potevano ancora salvarlo.

Senza pensarci due volte il sauriano si guardò intorno per cercare aiuto e la prima persona a cui pensò fu Leona: la felidiana aveva ormai sconfitto la Folgore Fiammante e lo teneva sollevato per il bavero della giacca come se non avesse peso.

«Vi avevo detto di lasciarci in pace» stava ringhiando la giovane.

Tirò un pugno sul mento del capobanda e questi cadde a terra, seguito da un paio dei suoi denti. L’umano era troppo dolorante per muoversi, così si limitò a guardare il cielo tinto dell’arancione del tramonto, chiedendosi come fosse stata possibile la sua sconfitta.

Leona strinse i pugni, osservandolo dall’alto verso il basso. Lei possedeva una forza straordinaria, ma sapeva bene che questa forza sarebbe stata inutile contro avversari che possedevano un talismano elementale come il Gearj del suo avversario. Era proprio per questo motivo che nel suo triennio in accademia si era impegnata ad apprendere una tecnica di arti marziali che – sfruttando la sua aura – le permettesse di inibire tale abilità magica negli avversari, rendendoli così vulnerabili ai suoi pugni. Non era stato facile padroneggiarla, ma i vantaggi che aveva ottenuto erano proporzionali all’impegno che ci aveva messo.

Con una mano afferrò il collo del suo avversario. Il suo sguardo era freddo, determinato: era lo sguardo di una persona pronta ad uccidere. La Folgore Fiammante, terrorizzato, provò a liberarsi, ma le sue braccia erano fiacche e doloranti. La felidiana strinse un po’ la presa e il viso dell’uomo cominciò a cambiare colore. Aveva detto a quell’idiota che gli avrebbe staccato la testa se si fosse azzardato a disturbarli di nuovo, ma aveva anche chiesto ai suoi compagni di evitare di uccidere quando possibile, quindi lei per prima doveva rispettare questo principio.

In realtà non aveva fatto una simile richiesta perché rispettava diligentemente la vita altrui, bensì perché era consapevole di quanto fosse doloroso perdere una persona cara. Perfino un uomo spregevole come la Folgore Fiammante poteva avere qualcuno che gli voleva bene, e il solo pensiero che questo qualcuno soffrisse un dolore simile a quello che lei aveva provato in passato, le risultava inaccettabile.

Allentò la presa sul collo dell’uomo e lui riprese a respirare forsennatamente.

«Un’ultima possibilità» esalò con voce impassibile, lo sguardo duro e autorevole. «Fatti vedere un’altra volta, e ti farò rimpiangere di non essere morto adesso.»

Gli prese la mano destra e la strinse di colpo, frantumando le ossa e spappolando la carne. L’uomo lanciò un urlo tremendo, tale che lei dovette aspettare diversi secondi prima di poter continuare: «La prossima sarà la testa.»

Senza aggiungere altro si alzò e si allontanò in direzione dei suoi compagni. La Folgore Fiammante, ancora tremante, si mise in piedi e, stringendo al petto ciò che restava della mano destra, si diresse dalla parte opposta. Non si sarebbe messo mai più contro le Bestie Selvagge.

«Leona, vieni, sbrigati!» esclamò Gardo’gan. «Alphard è ferito, dobbiamo portarlo subito in ospedale!»

«Sì, ho visto» annuì lei avvicinandosi all’ibrido, e con profonda sorpresa del sauriano il suo tono era più che altro seccato. «Alzati, idiota! Non si scherza su certe cose.»

Alphard chiamò a raccolta tutte le poche forze che gli erano rimaste per sollevare una mano e mostrarle il dito medio.

«Tranquillo, ci vuole ben altro per farlo fuori» affermò la felidiana. «Una volta gli ho spaccato la testa con un pugno e dopo un minuto era già in piedi che mi imprecava contro.»

«Tu… Tu hai fatto cosa?!» esclamò il sauriano, sempre più sbigottito. «Oh, vaffanculo!»

Quando Kael li raggiunse, la ferita sul petto dello spadaccino era già quasi completamente guarita e lui poté alzarsi senza eccessivi problemi.

«Ehi, non guardatemi come se fossi uno zombie!» esclamò Alphard con uno scatto del capo. «Sono pur sempre il prototipo di un supersoldato immortale!»

Gardo’gan allargò le braccia verso Kael, ma il coleotteriano era come sempre avaro di emozioni.

La felidiana, abituata a collaborare con l’ibrido, non ci fece nemmeno caso, troppo concentrata sui suoi vestiti sporchi di terra. Sbuffò e poi prese la bottiglia di birra che aveva comprato a Tradefield per annegare il dispiacere nell’alcol. «Dai, andiamo, così posso farmi una doccia.»

Disattivò lo scudo energetico che ancora proteggeva la gilda e superò l’alto portone insieme ad Alphard.

Gardo’gan e Kael rimasero fermi per qualche istante, poi si scambiarono uno sguardo. Avevano appena affrontato dei nemici disposti a tutto pur di ucciderli, eppure l’atmosfera che si respirava era sorprendentemente rilassata. E non dovevano dimenticare che, grazie alla felidiana e all’ibrido, avevano potuto rifornirsi di tutto il necessario per affrontare le future battaglie.

Senza perdere altro tempo anche loro varcarono la soglia dell’edificio.

Se fossero sopravvissuti alla folle impresa di eliminare Aaron O’Neill, forse non sarebbe stata una cattiva idea entrare a fare parte della Brigata delle Bestie Selvagge.



Note dell’autore

Ben ritrovati, e come sempre grazie per aver letto! :D

Anche in questo capitolo abbiamo scoperto qualcosa di nuovo sui nostri protagonisti: fateci l’abitudine, perché in futuro salteranno fuori molti altri dettagli ^.^

Anche questa volta vi propongo la versione chibi di uno dei protagonisti, si tratta dell’impassibile Kael (ed ecco svelato il segreto della sua poker face XD).

Kael Makabi (WBB-1)

Il prossimo capitolo uscirà a metà novembre, prima però una nota per chi avesse già letto quelli vecchi: ho aggiunto nel quarto capitolo la descrizione di uno dei tatuaggi di Gando’gun (pensavo di metterla più avanti, ma alla fine non ho trovato il punto adatto e quindi l’ho inserita lì). Ecco il pezzo “incriminato”:


«D’accordo, allora andiamo subito [a Tradefield].» stabilì Leona. «Avrete intuito anche voi che da queste parti bisogna essere pronti a combattere in qualsiasi momento.»

Tutti insieme lasciarono la sede della Brigata per raggiungere la vicina stazione ferroviaria e Alphard ne approfittò per dare sfogo alla sua lingua lunga.

«È un bel tatuaggio.» disse ad un tratto per cercare di coinvolgere i due nuovi alleati nella discussione.

Gando’gun, che di tatuaggi ne aveva diversi, intuì dalla direzione dello sguardo che l’ibrido si stava riferendo a quello che gli copriva buona parte del braccio sinistro. Raffigurava una donna rettile dai tratti angelici che tendeva una mano verso il basso mentre sullo sfondo c’erano delle nuvole che parevano in tempesta. Era stato realizzato con notevole maestria, e sicuramente doveva essere molto importante per lui.

«Sì, ti ringrazio.» gli rispose, ma non aggiunse altro.

Alphard tentò altre volte di iniziare un discorso che non riguardasse l’imminente furto dell’Uovo, purtroppo però non riuscì a strappare più di qualche frase allo squamasiano, e tantomeno al coleotteriano, che praticamente si limitò ai monosillabi.

Leona, che inizialmente si era illusa di averli convinti a fare squadra, capì che i due non si fidavano ancora di loro. Doveva fare qualcosa…


Bene, adesso è davvero tutto.

Al prossimo capitolo! :D


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[16] Rossweisse compare in AoD - 1 - I Gendarmi dei Re.

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Capitolo 9
*** 8. Un nemico in comune ***


8. Un nemico in comune

Era ormai tardo pomeriggio e una pioggia leggera aveva cominciato a riversarsi su Traumburg, spingendo i cittadini a cercare riparo negli edifici.

Leona e i suoi compagni si trovavano alla Botte Ubriaca e la prosperosa centaura dietro il bancone si era assicurata di non lasciarli con la gola secca. Del resto un po’ di alcol era quello che ci voleva per riscaldare l’atmosfera dopo una giornata alla ricerca di potenziali alleati. Ancora non avevano trovato qualcun altro disposto ad accettare – pur senza fare riferimento all’Uovo o a O’Neill, quasi tutte le bande non volevano farsi coinvolgere in imprese troppo rischiose –, in ogni caso alcuni gruppi avevano lasciato intendere che, se avessero trovato altre persone disposte ad appoggiarli, allora avrebbero riconsiderato la proposta.

Tra i quattro, quello con l’aria più pensierosa era Gardo’gan. Non aveva ancora deciso se accettare l’implicita proposta di entrare a far parte della Brigata, però quella mattina lui e Kael avevano parlato un po’ con Alphard, e in questo modo avevano scoperto un nuovo lato del carattere della felidiana e del rapporto che c’era tra lei e l’ibrido…

«Dai, Leona, è mezz’ora che stai decidendo come vestirti!» sbottò lo spadaccino, seduto a uno dei tavoli dell’ampio piano terra insieme a Gardo’gan e Kael, tutti e tre in attesa della giovane.

Tamburellò un po’ con le dita sulla spessa superficie di legno, poi si voltò verso il sauriano. «Ah, dato che siamo qui, volevo ringraziarti per avermi dato una mano ieri. Certo, non che ne avessi davvero bisogno, però si sa: l’unione fa la forza.»

«Avevo voglia di sfidare un altro della mia stazza, tutto qui» minimizzò il rettile. «Piuttosto, posso farti una domanda un po’ personale?»

Alphard fece uno scatto col capo. «Certo. Al massimo non ti rispondo.»

«Mmh… Ecco, mi chiedevo che rapporto c’è fra te e Leona.»

L’ibrido abbassò lo sguardo. «Ah… Beh, sì, è una domanda lecita. Beh, diciamo che siamo buoni amici. Nel senso… fosse per me potremmo essere anche di più, ma…» Scosse il capo. «Ma tra noi non può funzionare» ammise con una punta di rammarico. «Io… Io amo Leona, davvero, la amo come non ho mai amato nessun’altra, e… e vi assicuro che per me è davvero difficile starle a fianco pur sapendo che lei non potrà mai ricambiare i miei sentimenti. Però vederla sorridere è la cosa più bella che possa immaginare, farei qualsiasi cosa per renderla felice, e farei qualsiasi cosa per proteggerla.» Fece uno scatto col capo per spostare i ciuffi dagli occhi. «Sì, lo so cosa state pensando: a che serve proteggerla? Nemmeno una bomba a disgregazione le farebbe un graffio! Il fatto è che lei sarà anche indistruttibile fuori, ma dentro è come noi, anzi, è molto più buona e gentile di noi tre messi insieme.» Rimuginò un attimo su un esempio che desse più sostanza alle sue parole. «Vi ricordate di ieri, quando ha detto che una volta mi ha spaccato la testa con un pugno? Beh, quello che non vi ha detto è che, dopo averlo fatto, stava per mettersi a piangere. Nel senso: provate a immaginare di essere lei, di poter ammazzare chiunque con un pugno. Ok, quando devi combattere è una figata assurda, ma se una volta, una sola, ti arrabbi con un tuo amico e lo colpisci troppo forte, ce l’avresti sulla coscienza per il resto della vita. È per questo motivo che ha lasciato in vita l’idiota di ieri: perché non vuole superare quel limite. E io farei di tutto per aiutarla a non superarlo, sarei anche disposto ad uccidere al suo posto se fosse necessario.» Fece un altro scatto col capo, cercando di recuperare la sua aria spensierata. «Insomma, nella Brigata ci proteggiamo a vicenda, ma ognuno deve essere protetto in modo diverso. E se vi unirete alla gilda, sappiate che potrete contare sempre su di noi, ma anche noi dovremo poter contare su di voi.»

Gardo’gan era ancora immerso nei suoi pensieri quando un uomo si sedette accanto a Leona e le offrì un altro boccale.

«La ringrazio. A cosa devo il favore?» domandò la felidiana.

«Ho sentito che state cercando degli alleati» spiegò l’uomo, un treant di tipo quercia elegantemente vestito e con il naso lungo quasi dieci centimetri. «Anche noi stiamo cercando qualcuno che ci aiuti nella nostra impresa, ma al giorno d’oggi non è facile trovare qualcuno disposto a rischiare.»

«Non me lo dica» annuì la giovane prima di bere un sorso.

«Il mio nome è Ulysses Dąbriński, sono il capo dei Boia Tagliagole. Posso sapere a cosa puntate?» proseguì la pianta umanoide.

«Leona Asterion, della Brigata delle Bestie Selvagge. Beh, noi puntiamo a qualcosa che potrebbe farci diventare milionari, oppure potrebbe ammazzarci tutti.»

«Sembra interessante. Anche noi puntiamo a qualcosa del genere. Potremmo parlarne in un luogo con meno orecchie in giro, che ne dice?»

«Mi sembra un’ottima idea. Prendiamo una stanza?»

«Naturalmente.»

La giovane chiese alla proprietaria del locale la tessera di una stanza libera e poi imboccò le scale insieme ai suoi compagni, subito seguita da Ulysses e da un paio dei subordinati di quest’ultimo.

Come tutti i treant, il capo dei Boia Tagliagole superava i due metri e mezzo, e il suo portamento fiero non faceva che accentuare la sua statura. Al posto dei capelli aveva delle foglie verdi tagliate con cura, perfettamente in armonia con i tratti severi del viso e con gli occhi ambrati, calmi e riflessivi. Tutto di lui ispirava serietà e competenza: sembrava quasi un illustre docente universitario, una figura pressoché sconosciuta in una città di poveri e disperati come Traumburg.

La stessa Leona, osservando gli abiti formali e di pregevole fattura del suo potenziale alleato, si sentiva quasi in colpa a indossare una semplice felpa senza maniche e dei pantaloni sportivi a mezza gamba.

«Allora, qual è il vostro obiettivo?» chiese la felidiana appena si furono accomodati.

La sala era piuttosto spaziosa e l’illuminazione era diffusa in maniera uniforme dall’intero soffitto. Le pareti rivestite di materiali sintetici ad alta densità avrebbero reso impossibile spiarli dall’esterno e anche le abilità magiche erano neutralizzate da appositi inibitori.

Gardo’gan e Kael erano seduti accanto alla ragazza, attenti ad ascoltare la risposta del loro interlocutore, Alphard invece si stava intrattenendo con un’avvenente elfa dalla pelle bruna facente parte dei Boia Tagliagole.

«Come le ho già detto, quello che ho in mente è qualcosa di tanto ambizioso quanto pericoloso» affermò Ulysses, seduto sul divano di fronte a loro. «Tutte le volte che guardo questa città, la vedo precipitare sempre più verso il baratro, e ho capito che ormai non si può più aspettare. C’è bisogno di un cambiamento radicale, c’è bisogno di qualcuno che possa liberarla dalla sua prigione e darle la possibilità di rinascere. Io e miei compagni siamo tutti determinati a portare avanti questo progetto, ma non possiamo farcela da soli. È per questo che ci servono degli alleati.»

«In pratica volete togliere di mezzo O’Neill» dedusse Kael senza tanti giri di parole.

Ulysses si limitò a stringersi nelle spalle, senza confermare né smentire le parole del coleotteriano. «E voi invece? Qual è il vostro obiettivo?»

«Beh, il nostro obiettivo è molto meno nobile: ci servono soldi e abbiamo trovato qualcosa che potrà assicurarci un ricco bottino. Il problema è che questo qualcosa appartiene ad una persona molto importante e pericolosa.»

«Mi faccia indovinare: l’Uovo dei Sindri. Ho sentito dire che di recente Aaron O’Neill l’ha comprato ad un’asta milionaria.»

«Beh, quello sarebbe senza dubbio un ricco bottino» commentò la felidiana. «Devo dedurre che abbiamo un nemico in comune?»

Il treant sollevò le sopracciglia verdi. «Sembra proprio di sì.»

«Per caso ha già trovato degli alleati?» chiese ancora la giovane. «Io e il mio compagno Alphard ci siamo messi in contatto con alcuni gruppi; loro ad esempio sono due nostri alleati.»

«Oh, allora perdonatemi, pensavo foste tutti membri della gilda. Comunque, certo, siamo in contatto con altri gruppi che, come noi, desiderano realizzare un futuro migliore per la nostra città. Non vi nascondo che alcuni di questi gruppi sono motivati più da desideri personali che da veri ideali, ciò non toglie che il loro aiuto sarà indispensabile al momento dello scontro decisivo. Ovviamente non posso rivelarvi i loro nomi, ma vi assicuro che il momento della svolta è più vicino di quanto immaginiate.»

I due leader, insieme al sauriano e al coleotteriano, continuarono a discutere per quasi venti minuti, studiandosi a vicenda per capire l’effettiva utilità dell’alleanza, e alla fine tutti quanti parvero soddisfatti dall’esito del colloquio.

«Prendetevi pure il tempo che vi serve per riflettere su quanto ci siamo detti, e grazie per avermi dato la possibilità di illustrarvi il mio progetto» disse il treant. Si alzò. «Ora purtroppo devo salutarvi, ho degli impegni che non posso rimandare.»

Leona si alzò a sua volta e gli strinse la mano. «Naturalmente, e grazie a lei per averci interpellati. Le farò sapere quanto prima per la sua proposta.»

Ulysses le rivolse un sorriso amichevole. «Spero di poter contare su di voi. Arrivederci.»

Una volta usciti dalla Botte Ubriaca, i due gruppi si separarono e le Bestie Selvagge ebbero modo di ammirare l’hovercar di derivazione militare dei Boia Tagliagole. Per certi versi somigliava ad un affusolato fuoristrada fluttuante, e nonostante le sue dimensioni poteva vantare una notevole agilità.

Con una punta di invidia negli occhi, i quattro si misero in marcia verso la stazione più vicina, preferendo pensare al fatto che se non altro aveva smesso di piovere. Sebbene fosse ancora pomeriggio, secondo la giornata solare di Wunderwelt era notte fonda, quindi ora che nuvole si erano ritirate, era possibile ammirare un magnifico cielo stellato. Complice anche la pioggia, l’aria era un po’ più fredda rispetto a quando splendeva il sole, in ogni caso una felpa era sufficiente a compensare il leggero calo di temperatura.

«Ehi, Kael, qualcosa non va?» gli chiese Leona notando che il coleotteriano era rimasto indietro.

Questi aprì un portale e con disinvoltura fece sparire il rilevatore multifunzione che aveva in mano. Le luci delle insegne e i pochi lampioni funzionanti lasciavano grandi zone d’ombra, quindi nessuno ebbe modo di accorgersi di quello che stava facendo. «No, niente.» tagliò corto prima di raggiungerli.

Sia lui che Gardo’gan appartenevano a specie più adatte ai climi caldi, ciononostante sia gli insettoidi che i sauriani avevano sviluppato meccanismi di termoregolazione che li proteggevano dagli sbalzi termici, una caratteristica indispensabile per organi complessi e sensibili come il cervello.

«Allora, cosa ne pensate?» domandò la felidiana dopo un po’ che camminavano.

Alphard fece uno scatto con la testa. «Beh, senza dubbio il loro aiuto ci farebbe molto comodo. Il problema è che non sappiamo quanto ci possiamo fidare.»

«Cosa vuoi saperne tu?» sbottò Gardo’gan. «Hai parlato tutto il tempo con quella tipa!»

«Appunto! Ho raccolto informazioni!»

«In ogni caso Alphard ha ragione: ancora non sappiamo cos’hanno davvero in mente» affermò Leona. «D’accordo unire le forze per eliminare il bersaglio, ma non ci ha voluto dire come intende prendere il controllo dopo. Dubito che loro da soli abbiano la forza per farlo, e ancora non sappiamo chi siano i loro alleati. E non guardarmi così: guarda che ce l’ho anch’io il cervello!»

Il sauriano dissimulò il proprio stupore sollevando le braccia e mostrando un insolito sorriso.

«Dai, non stiamo a scervellarci adesso, abbiamo tutto il tempo per discuterne alla gilda» affermò l’ibrido. «Piuttosto, dobbiamo procurarci anche noi un’hovercar blindata come la loro! Avete visto che roba? Non possiamo mica andare in giro coi mezzi pubblici come quattro sfigati! Ne va della nostra reputazione!» Si portò una mano sul viso, colpito da una terribile sensazione. «Oh, però mi raccomando: non fate mai guidare Leona. Si schianterebbe anche col pilota automatico!»

«Gneee…» ribatté lei arricciando il naso, le orecchie basse e i canini in mostra.

Grazie a quel siparietto, i quattro ritrovarono un po’ di spensieratezza, ma nessuno di loro smise di riflettere sulla possibilità di allearsi con i Boia Tagliagole.

L’edificio in cui viveva O’Neill, essendo una ex base militare, era stato progettato per resistere a qualsiasi attacco, senza contare che al suo interno ospitava gli alloggi di decine e decine di uomini pronti ad intervenire in qualsiasi momento. Eppure tutti loro avevano l’impressione che quell’impresa non fosse più tanto folle.

Con i giusti alleati, anche un progetto così ambizioso poteva realizzarsi.

***

Un coro di voci disperate giungeva dal massiccio portone blindato, accompagnato da colpi forsennati. Nella grande stanza, spoglia e pressoché priva di finestre, erano presenti cinque persone fra uomini e donne, tuttavia nessuno accennava al minimo segno di reazione.

«La prego! Ci faccia uscire!» stavano gridando da oltre i battenti.

«Leuw! La supplico!»

«Faremo tutto ciò che vuole! Dica a O’Neill che faremo tutto ciò che vuole!»

All’improvviso le voci divennero urla di paura e dolore, poi piombò il silenzio.

Il licantropo in testa al gruppo, fermo e impassibile davanti al portone, fece partire una chiamata dal suo olo-vice da polso. Aveva un fisico atletico e slanciato, tipico dei dobermann, così come il manto nero focato su cui si intravedevano alcune vecchie cicatrici. Gli abiti che indossava erano di foggia militare: un’eredità dei suoi trascorsi nell’esercito al pari della postura fiera e della ferrea risolutezza.

«Ho dato una lezione a Vithifa e gli altri.»

«Bene. Ti hanno detto chi ha preso le nostre attrezzature?» domandò la voce dall’altra parte del collegamento.

«Dei teppisti di quartiere, hanno detto che si fanno chiamare i “Folgoratori di Traumburg”. Manderò qualcuno a prenderli.»

«Mmh, d’accordo. E assicurati che recuperino le nostre attrezzature.»

«Ovviamente.»

«Ah, Danray, ho una buona notizia: è arrivata l’enersapien[17] che ti avevo promesso, la stanno portando adesso nel tuo appartamento.»

Il licantropo, che dopo aver congedato i suoi uomini aveva lasciato a sua volta la grande sala, non riuscì a trattenere un sorriso di gioia. Non gli era mai capitato di andare a letto con un’enersapien, e non vedeva l’ora di scoprire com’era. «Grazie Aaron, sei un amico.»

«Lo so. Ma vedi di non esagerare: domani mattina ti voglio pronto al solito orario.»

Danray Leuw continuò a sorridere allegramente. «Farò il possibile. Buonanotte, colonnello.»

«Buonanotte.»

Chiusa la chiamata, il licantropo prese una fiaschetta dalla tasca interna della giacca e festeggiò con un lungo sorso del liquido alcolico. Aaron O’Neill era il padrone della città, e dal momento che lui era uno dei suoi uomini migliori, poteva godere di moltissimi privilegi.

Non avrebbe permesso a niente e nessuno di rovinargli la festa.



Note dell’autore

Ciao a tutti!

Credo dire, un capitolo molto ricco di informazioni: qualche ulteriore indizio sul passato (e sul presente) dei protagonisti, sono riemersi alcuni vecchi personaggi (Ulysses Dąbriński) e altri hanno fatto la loro entrata in scena (vi consiglio di tenere a mente il nome di Danray Leuw XD).

Purtroppo, causa impegni universitari, questa volta non ho nessun disegno da proporvi, ma cercherò di riprendere dalla prossima pubblicazione (anche se non so ancora chi disegnare :P).

Come sempre, appuntamento tra un paio di settimane (inizio dicembre) per il prossimo capitolo.

Ciao! :D


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[17] Specie originale di TNCS. Il nome deriva dalle parole “energia” e “sapiens”.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

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Capitolo 10
*** 9. Destini incrociati ***


9. Destini incrociati

L’annunciatore, un hystricide[18] a giudicare dai capelli dritti in testa come aculei, stava riassumendo l’andamento delle partite di calcio dell’ultima giornata, Gardo’gan però non sembrava particolarmente interessato.

«Quand’è che posso vedere l’ironball[19]?» chiese tra un tiro di sigaretta e l’altro. Finalmente aveva capito come far comparire il mirino per il mitra del suo bracciale, quindi adesso la sua principale preoccupazione era vedere la sintesi dell’ultima partita della sua squadra del cuore.

«Ssh, è quasi finito» ribatté Leona, concentrata sul grande schermo olografico del pianoterra.

Il sauriano fece un mugugno d’assenso e continuò a far dondolare la coda. In realtà sapeva già il risultato finale, tuttavia era da un pezzo che non vedeva una partita, o anche solo stralci partita, su uno schermo che fosse più grande di una spanna.

Per ingannare l’attesa tornò ad osservare il bracciale che gli copriva l’avambraccio sinistro: era leggero e aderente, e le placche di polimero grigio scuro gli conferivano una forma robusta ma allo stesso tempo affusolata, che non limitava in alcun modo i suoi movimenti. In pratica gli era stato regalato dalla felidiana e dall’ibrido, quindi ogni volta che lo guardava, ripensava a loro due.

La giovane sapeva essere alquanto seccante in certi momenti, però il suo atteggiamento spontaneo gliel’aveva resa pian piano più simpatica, inoltre la sua forza straordinaria ne faceva il tipo di capo che preferiva: quello che sta sempre in prima linea e che non ha paura di affrontare nessun nemico.

Lo spadaccino… Beh, Alphard aveva quell’aria da figo della situazione per cui gli avrebbe tanto voluto tirare un pugno sul naso, e chissà che magari il suo viso non ne avrebbe giovato. L’idea gli strappò un subdolo sorrisetto. Certo, quel suo tic di spostare i ciuffi dagli occhi gli aveva quasi fatto venire il mal di testa all’inizio, ma ormai ci stava facendo l’abitudine.

«Ehi, Gardo’gan: guarda che il servizio è finito» lo avvisò Leona vedendolo perso nei suoi pensieri.

«Alla buon’ora!» borbottò il rettile, che per celare una punta di imbarazzo si affrettò ad avviare il video che gli interessava.

Quando ebbe finito di vedere la sintesi della partita, tirò un sospiro di sollievo. «Bene, dai che forse riusciamo a rimontare un pochino.»

Spense lo schermo e si voltò verso la felidiana. «Sai, dovreste aggiungere un altro televisore qui dentro. E soprattutto nelle stanze.»

«Sì, non sarebbe una cattiva idea» annuì lei. «Ehi, devo dedurre che stai pensando di unirti alla mia Brigata?»

L’entusiasmo della giovane indusse Gardo’gan a stringersi nelle spalle con aria vaga. «Diciamo che ci sto pensando. Ma solo se aggiungi il televisore.»

«Oggi pomeriggio andiamo a prenderne uno!» promise lei, raggiante. «Ah, no, aspetta: abbiamo già speso un mucchio di soldi per le armi, forse è meglio prendere l’Uovo prima.»

Il sauriano fece un verso di stizza. «Sei peggio di Kael.»

La ragazza scoprì i denti aguzzi in un allegro sorriso. «A proposito, che fine ha fatto?»

«Mi ha detto che doveva fare una cosa in città, ma non mi ha detto quanto ci metterà. Piuttosto, toglimi una curiosità: se ti piace il calcio, perché all’A&N sei entrata nella squadra di basket?»

Leona fece spallucce. «Beh, mi sarebbe piaciuto entrare nella squadra di calcio, però coi piedi sono una pippa e non volevo fare la panchinara, così sono passata al basket.»

«Beh, da quello che ci avete raccontato, direi che hai fatto bene.»

«Decisamente!»

Tra i due calò un velo di imbarazzato silenzio, così Gardo’gan si decise a riprendere la parola: «Tra l’altro, se non sbaglio, Kael seguiva il basket prima di venire sbattuto dentro.»

«Beh, allora ci serviranno tre televisori! Comunque è presto per pensarci, prima dobbiamo sistemare O’Neill e prendere l’Uovo. Dai, Gardo, mettiamoci al lavoro intanto che aspettiamo Alphard.»

«Ok, ma non chiamarmi “Gardo”.»

Lei abbassò le orecchie. «Scusa. A proposito, non ce l’hai un cognome?»

«Gardo’gan è il mio cognome» ribatté il rettile.

«Ah. E il nome allora?»

Lui si strinse nelle spalle. «Non riusciresti a pronunciarlo.»

«Dai, fammi provare almeno!»

Il sauriano aspirò una boccata di fumo dalla sua sigaretta elettronica. «Magari un’altra volta: prima pensiamo a sistemare O’Neill.»

La giovane fece un mezzo sbuffo. «D’accordo…»

Alphard era ancora fuori per il suo giro di corsa mattutino, così si misero a studiare gli elenchi dei gruppi di mercenari con sede nei dintorni nella speranza di trovare qualche potenziale alleato.

C’era ancora molto da fare prima di poter sferrare il loro attacco e non potevano permettersi di lasciare nulla al caso.

***

La Folgore Fiammante camminava a capo chino, la mano destra sostituita da una protesi economica di seconda mano, e subito dietro di lui procedevano i membri della sua banda. Davanti a loro c’era un metarpia[20] – riconoscibile dal piumaggio verde sulle braccia e al posto dei capelli –, mentre ai loro lati erano schierate altre sei persone dall’aria minacciosa. Quelli erano tutti subordinati di Aaron O’Neill ed erano andati a prenderli nella loro base segreta – che evidentemente non era poi così segreta – per condurli alla villa dell’ex militare.

L’umano aveva provato ad opporsi, ma era stato tutto inutile: il suo attacco ai danni del metarpia era stato prontamente neutralizzato e subito dopo aveva perso i sensi, forse a causa di un qualche gas invisibile. Una volta riaperti gli occhi, aveva scoperto di avere un collare anti-magia che bloccava tutti i suoi poteri.

“Non rendere le cose più difficili” gli aveva detto il subordinato di O’Neill mentre lui cercava – invano – di liberarsi. Certo, come se la sua situazione potesse peggiorare!

Ora i Folgoratori di Traumburg si trovavano al secondo piano della villa e sembravano dei bambini spaventati in procinto di ricevere una sonora sgridata. La stanza era piuttosto spoglia, c’era solo un massiccio portone blindato proprio davanti a loro e qualche telecamera; le robuste pareti erano pressoché prive di finestre, ciononostante una luce diffusa dal soffitto rischiarava in maniera omogenea tutto l’ambiente.

«Il capo della banda si faccia avanti» ordinò una voce annoiata. Con ogni probabilità apparteneva allo stesso O’Neill ed era riprodotta da un altoparlante nascosto.

La Folgore Fiammante deglutì e si sforzò di mettere un piede davanti all’altro, fino a trovarsi completamente isolato dai suoi compagni.

«Signori, questo è quello che succede a chi si mette contro di me.»

Un rumore metallico si propagò dall’imponente portone e subito dopo un clangore di motori e ingranaggi accompagnò l’aprirsi dei pesanti battenti. L’umano sentì le gambe farsi instabili mentre le ombre dall’altra parte si diradavano, permettendogli di scorgere segni di graffi e macchie di sangue incrostato. All’improvviso una sagoma bianca saltò oltre la soglia e si avventò su di lui con gli artigli snudati.

I Folgoratori di Traumburg assistettero impotenti alla vista del loro capo che veniva divorato vivo, molti chiusero gli occhi o guardarono altrove, increduli e terrorizzati. Bastarono pochi secondi e della Folgore Fiammante rimase solo il collare anti-magia immerso in una pozza di sangue caldo.

«Bene, così avete conosciuto il famoso Mostro Bianco, la mia Marionetta» proseguì O’Neill.

I presenti, impietriti, non poterono fare altro che osservare la creatura che se ne tornava nella sua camera buia, il corpo attraversato da saette azzurre pressoché identiche a quelle della sua vittima.

«Da ora in avanti lavorerete per me, e vi consiglio di impegnarvi, perché altrimenti farete la stessa fine del vostro capo» li ammonì l’ex militare. «Ora andate, i miei uomini vi assegneranno degli incarichi. Dovete ancora risarcirmi per le attrezzature che avete danneggiato.»

Gli ormai ex Folgoratori di Traumburg non ebbero il coraggio di ribattere e si limitarono a chinare il capo, accodandosi remissivi ai loro nuovi padroni.

***

Kael si fermò davanti all’ingresso dell’edificio e si sistemò i vestiti. Risalivano a prima del suo arresto e già allora erano vecchi e consumati: non gli sarebbe dispiaciuto comprarne di nuovi, ma al momento aveva affari più urgenti.

«Il signor Dąbriński si trova al terzo piano» gli disse l’uomo che lo aveva accompagnato fin lì, un robusto minotauro di tipo ariete con il braccio destro biomeccanico.

Il coleotteriano annuì. «La ringrazio.»

Con passo deciso superò la porta automatizzata e si avvicinò all’ascensore. Dall’esterno il palazzo sembrava appena meno pericolante di quelli vicini, ma all’interno rivelava degli importanti lavori di restauro e miglioramento: tutte le crepe erano state sanate, sulle pareti si intravedevano dei rinforzi per migliorare l’ossatura dell’edificio e anche l’arredamento era piuttosto recente.

A giudicare dagli sguardi che ricevette, con ogni probabilità tutti gli inquilini facevano parte dei Boia Tagliagole, tesi avvalorata dal fatto che molti di loro portavano armi di buona fattura.

Come da accordi, il treant lo aspettava nel suo studio, un locale molto spazioso con ampie finestre antiproiettile da cui si poteva osservare un palazzo sventrato e un vecchio campo sportivo cancellato per metà da un’esplosione

«Buongiorno, signor Makabi» lo accolse il capo dei Boia Tagliagole stringendogli la mano. «Prego, si accomodi. Posso offrirle qualcosa?»

Il diretto interessato si sedette sul morbido divano rivestito di un materiale sintetico molto simile al cuoio. «Grazie, sono a posto.»

La pianta umanoide prese posto di fronte a lui. «Dunque, di cosa voleva parlarmi?»

Per ragioni di sicurezza il coleotteriano aveva dovuto farsi mettere un bracciale anti-magia che bloccava i poteri del suo talismano, così appoggiò sul tavolo la piccola scatola che già teneva nella mano inferiore sinistra. Premette un pulsante e le sei facce del contenitore divennero trasparenti, rivelando all’interno quelli che potevano sembrare tre comunissimi insetti. In realtà si trattava di famigli utilizzati per spiarli e Kael li aveva scoperti solo grazie al rilevatore multifunzione acquistato a Tradefield. Inizialmente non sapeva chi li avesse piazzati, poi aveva riscontrato la stessa firma magica subito dopo il colloquio con i Boia Tagliagole e aveva fatto due più due.

«Sicuramente già sapeva che li avevo trovati, anzi probabilmente ce ne sono anche altri nascosti meglio, comunque stia tranquillo: non ho intenzione di rivelarlo alla signorina Asterion e agli altri. Non ancora per lo meno. E, giusto per essere chiari, se mi succede qualcosa, un programma automatico informerà gli altri membri della Brigata di quanto ho scoperto.»

«Non si preoccupi, non è nostra abitudine aggredire gli ospiti» lo rassicurò Ulysses cercando di mantenere un tono calmo e rilassato, come se le parole del coleotteriano non lo avessero minimamente innervosito. «Dunque cosa vuole? Soldi? Desidera ricattarci?»

«Oh, no, certo che no. Deve sapere che ho passato gli ultimi tre anni rinchiuso a Pryzonn perché non sono stato in grado di scegliermi i compagni giusti, e non ho intenzione di ripetere lo stesso errore: quando attaccheremo la villa di O’Neill, voglio essere sicuro di trovarmi dalla parte dei vincitori.»

Il treant rimase fermo a riflettere per qualche istante, poi annuì e si rilassò sullo schienale. «Sa che le dico? Ha perfettamente ragione. Dunque vuole capire se i vincitori saremo noi o la BBS, ho capito bene? Prima però mi tolga una curiosità: cosa le fa pensare che non possiamo vincere entrambi?»

«Beh, in quel caso non sarebbe stato necessario piazzare degli insetti-spia. Sarò molto diretto: non mi interessa se ha intenzione di tradire la signorina Asterion, se vuole ucciderla per tenere per sé l’Uovo o se vuole sfruttarla in qualche altro modo; quello che mi interessa è capire se mi conviene restare con le Bestie Selvagge o se mi conviene passare dalla sua parte. Il mio modesto parere è che per voi la signorina Asterion sia indispensabile per riuscire a sconfiggere O’Neill, del resto l’ho vista combattere di persona e so quanto sia forte, ma il fatto che abbiate addirittura piazzato degli insetti-spia mi fa pensare che ci sia qualcos’altro sotto. Di cosa si tratta?»

Ulysses ascoltò con attenzione il discorso del coleotteriano e valutò in fretta quale fosse la mossa migliore per tirarsi fuori da quella situazione. Kael ci aveva visto giusto: l’alleanza con Leona era indispensabile per il suo piano e il timore che lui e il sauriano potessero rivelarsi una minaccia lo aveva indotto a inviare dei famigli per spiarli. E ora il suo eccesso di zelo gli si era ritorto contro. Non poteva permettere che la felidiana lo venisse a sapere, quindi non aveva altra scelta che convincere quel tipo a passare dalla sua parte. In effetti aveva già provato – senza successo – a piazzare un infiltrato nella BBS, quindi doveva essere bravo a trasformare quell’imprevisto in un’opportunità. Il vero problema era l’intelligenza dell’insetto: quel tipo era furbo e sarebbe stato capace di tutto. Doveva soppesare bene ogni parola.

«D’accordo, le spiegherò il mio piano» dichiarò il capo dei Boia Tagliagole. «E sono sicuro che alla fine non avrà più dubbi su chi saranno i vincitori.»



Note dell’autore

Ben ritrovati!

Dopo un excursus sportivo, fa finalmente la sua comparsa il Mostro Bianco – un personaggio da tenere d’occhio! – e a seguire abbiamo un interessante colloquio tra Kael e Ulysses.

Ovviamente non vi posso anticipare nulla, ma mi raccomando: non perdete il prossimo capitolo! E magari riuscirete anche a vedere Leona in versione chibi (ammesso che non salti fuori qualche nuovo esame >_<).

A presto! ^.^

PS: per chi non si fosse accorto dello spoiler di qualche capitolo fa, il nome di Gando’gun verrà svelato entro la fine della storia ;)


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[18] Sottospecie originale di TNCS, appartenente alla specie dei faunomorfi. Il nome deriva da Hystricidae, la famiglia degli istrici nella classificazione scientifica.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[19] Uno sport molto simile al football americano.

[20] Sottospecie originale di TNCS, appartenente alla specie dei faunomorfi. Il termine richiama le arpie.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

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Capitolo 11
*** 10. Le tattiche dei leader ***


10. Le tattiche dei leader

«Ok, ci siamo» affermò Leona. Prese un bel respiro. «Devo ammettere che sono un po’ nervosa.»

«È solo una riunione preliminare, non è il caso di preoccuparsi» la rassicurò Kael con quel suo tono piatto e vagamente spettrale.

La giovane sollevò lo sguardo fino al terzo piano dell’edificio che aveva di fronte. Per l’occasione aveva scelto degli abiti più eleganti del solito, sufficientemente formali da non sfigurare davanti ad Ulysses, ma senza dimenticare che dietro ogni angolo poteva nascondersi una rissa. Indossava anche degli orecchini a clip dorati con piccoli brillanti incastonati; fin da piccola avrebbe voluto farsi i buchi alle orecchie, ma il suo corpo indistruttibile non gliel’aveva permesso.

Diede un’ultima sistemata alla raffinata giacca bianca, un capo piuttosto costoso che per contrasto risaltava sui pantaloni neri. Questi ultimi erano fatti di un materiale elastico e resistente, perfetti per risolvere una scaramuccia di strada senza danneggiarsi. «Ok, andiamo.»

La sera precedente lei e i suoi compagni si erano riuniti per decidere se allearsi o meno con i Boia Tagliagole, e alla fine la proposta era stata accettata all’unanimità: avevano bisogno del loro aiuto per sconfiggere O’Neill.

La felidiana entrò per prima e Kael la seguì in silenzio. Dopo essersi incontrato con Ulysses Dąbriński, il coleotteriano aveva riflettuto attentamente sulle parole del treant ed era convinto di aver preso la decisione migliore. Forse non la migliore in assoluto, ma sicuramente la migliore per se stesso…

«Signor Makabi, lei conosce Hannibal, la Marionetta di O’Neill?» gli domandò Ulysses.

Kael allargò le quattro mani. «Sono arrivato da poco in città, mi spiace.»

«Hannibal è di gran lunga il guerriero più forte di O’Neill. È soprattutto grazie a lui se nessuno osa sfidarlo, e per sconfiggere un mostro simile mi serve qualcuno di altrettanto forte: qualcuno come Leona Asterion. Ma c’è dell’altro: Hannibal viene soprannominato “la Marionetta” perché O’Neill l’ha reso davvero una sua marionetta, al punto che può fargli eseguire qualsiasi ordine senza che lui possa minimamente opporsi. Adesso ha capito perché saremo noi i vincitori?»

«Lei vuole fare la stessa cosa con la signorina Asterion» intuì Kael. «Vuole trasformarla in una marionetta ai suoi ordini, e grazie a lei potrà controllare la città. Ma come pensa di riuscirci?»

Il treant esitò, non voleva rivelare un dettaglio così importante del suo piano, ma alla fine le insistenze dell’insetto ebbero la meglio e il capo dei Boia Tagliagole fu costretto a scoprire il suo asso nella manica più importante. Un asso che avrebbe potuto fargli vincere qualsiasi partita.

Il coleotteriano, molto colpito dalle parole del suo interlocutore, rifletté in silenzio per alcuni lunghi secondi. In effetti si trattava di un progetto notevole, e grazie ad esso la conquista di Traumburg sarebbe stata quasi una formalità.

«Allora, l’ho convinta?»

Kael si concesse ancora qualche teatrale momento prima di rispondere. «Sì. Devo riconoscere che ha architettato tutto alla perfezione, le faccio i miei complimenti.»

Il treant non nascose una punta di soddisfazione. «Ormai sarà chiaro anche a lei che nel giro di una settimana non ci sarà più nessuna Brigata delle Bestie Selvagge e che Traumburg avrà un nuovo padrone.» Si alzò in piedi. «Ora mi scusi, ma ho un appuntamento con i rappresentati di una società di costruzioni: deve sapere che quello dell’edilizia è sempre stato un settore molto redditizio.»

Kael si alzò a sua volta e gli strinse rispettosamente la mano.

Ulysses gli sorrise, ma mantenne salda la sua stretta. «Lei è una persona intelligente, ora che ha capito chi saranno i vincitori, cerchi di non avere altri ripensamenti. Ci siamo capiti?»

«Gliel’ho già detto: l’ultima volta che ho sbagliato a scegliermi i compagni, mi sono fatto tre anni a Pryzonn; non ripeterò lo stesso errore.»

«Signorina Asterion, mi permetta di ringraziarla ancora una volta per aver accettato di collaborare con noi» esordì Ulysses andando ad accogliere i suoi graditi ospiti. «Le assicuro che non se ne pentirà.»

«Il nostro nemico è lo stesso, sarebbe stato sciocco non collaborare» annuì la felidiana. «Le confesso che sono curiosa di conoscere i leader delle due bande a cui mi aveva accennato. Sono già arrivati?»

«Solo uno dei due. Venite, ve lo presento.»

Dopo aver ricevuto una videochiamata dove la giovane anticipava la sua adesione, Ulysses aveva chiesto a Leona di venire alla base dei Boia Tagliagole per discutere con due importanti alleati. Stando alle parole del treant, c’erano anche altri gruppi che sostenevano l’ambizioso progetto di spodestare Aaron O’Neill, tuttavia era preferibile non incontrarsi tutti insieme per non far nascere pericolosi sospetti: l’ex militare aveva numerose spie, quindi dovevano fare di tutto per mantenere un basso profilo.

«Signori, vi presento Salvatore Bicchierino, di Freudeburg. Salvatore, come promesso, lei è Leona Asterion, della Brigata delle Bestie Selvagge.»

«È un vero piacere conoscerla» affermò il diretto interessato stringendole calorosamente la mano. Era piuttosto basso, aveva la pelle di una sfumatura tendente al grigio e gli occhi erano incredibilmente scuri, senza sclere, quindi con ogni probabilità si trattava di un duergo[21]. Le rughe sul viso non gli davano un’aria molto amichevole, così come i numerosi anelli che aveva quasi ad ogni dito. Non portava la barba: quello dei nani e dei duerghi barbuti del resto era più che altro un semplice stereotipo.

«Prego, accomodatevi. Il signor Hopkins dovrebbe arrivare a breve» assicurò Ulysses. «Intanto provo a contattarlo.»

Dopo aver salutato anche Kael, Salvatore tornò da Leona per scambiare qualche parola con lei. Le spiegò con fierezza di essere un affermato criminale della vicina Freudeburg e che mirava ad espandere i suoi traffici di armi e droga anche a Traumburg. Per lui la sconfitta di O’Neill avrebbe significato una grande opportunità di guadagno, quindi era più che disposto ad aiutare il treant a prendere il potere.

«Signori, temo di avere una brutta notizia» annunciò Ulysses dopo averli raggiunti nella luminosa sala. «Mi hanno appena riferito che il signor Hopkins è morto in un incidente stradale.»

«Gliel’avevo detto che è da coglioni girare con un’auto scoperta su questo pianeta» commentò il duergo, per nulla addolorato per la sorte del suo alleato. «Sai già chi gli subentrerà? Altrimenti chiedi anche agli altri di portare qualche uomo in più e non ci saranno problemi.»

«I miei uomini se ne stanno occupando» annuì il treant, che non aveva perso il suo lucido autocontrollo.

Nonostante la prematura scomparsa del loro alleato, Ulysses e Salvatore cominciarono ad illustrare ai nuovi alleati le linee guida del loro piano. L’accordo era che ogni gruppo avrebbe mandato un certo numero di uomini, così da poter competere con le forze che O’Neill avrebbe schierato in sua difesa. Nella migliore delle ipotesi l’attacco a sorpresa avrebbe dovuto consentire ad una squadra scelta di entrare nella villa e raggiungere in breve tempo le stanze dell’ex militare per toglierlo di mezzo, ma dovevano anche essere pronti a portare avanti un vero e proprio assedio.

«Bene, per il momento è tutto» affermò Ulysses. «Ci incontreremo ancora nei prossimi giorni, nel frattempo mi assicurerò di aggiornare anche gli altri leader su quanto ci siamo detti.» Prima di congedarsi dai presenti, raggiunse la teca refrigerata dello studio e prese alcuni bicchieri dallo scomparto inferiore. «Se non vi dispiace, vorrei proporre un brindisi in onore della città e del nostro grande progetto.»

Distribuì gli alti calici ai suoi ospiti e poi cominciò a studiare con occhi orgogliosi le pregiate bottiglie di alcolico all’interno del refrigeratore.

Leona, gli occhi fissi sul suo bicchiere, deglutì con aria dispiaciuta. «Ecco… io in realtà starei cercando di smettere di bere, e sto anche faticando parecchio, quindi preferirei evitare.»

«Oh, mi dispiace, non immaginavo…» ammise Ulysses, rammaricato per l’imbarazzante situazione venuta a crearsi.

«Non puoi fare un’eccezione?» esalò Kael.

«Lo sai quanto sto faticando, no? Davvero, vi ringrazio molto, ma non posso accettare.»

«Non fa niente, ha ragione. La prossima volta mi assicurerò di preparare qualcosa di analcolico.»

«La ringrazio, sarebbe perfetto.» La felidiana si alzò. «Ora è meglio che andiamo, qualcuno potrebbe insospettirsi.»

Con quell’incontro avevano gettato le basi del loro importante progetto, ma dovevano stare attenti a non far trapelare nessuna informazione a riguardo. Il fattore sorpresa era quello che più di tutti avrebbe permesso di tenere basso il numero delle vittime – era proprio per questo che la data dell’attacco sarebbe stata definita solo all’ultimo momento – e la giovane era la prima a voler evitare inutili spargimenti di sangue. Sapeva che quella a cui andavano incontro sarebbe stata una dura battaglia, ma non voleva che si trasformasse in un massacro.

***

Aaron O’Neill, seduto sulla sua lussuosa poltrona, se ne stava fermo con le dita incrociate sull’imponente scrivania in legno. I capelli tagliati corti e accuratamente pettinati di lato erano blu scuro con qualche accenno di grigio; aveva le orecchie a punta, il che suggeriva fosse un elfo. Gli occhi, anch’essi del medesimo colore, avevano un’aria seria e marziale, tuttavia in essi non brillava più l’autorevolezza di un colonnello. Girava voce che, dopo aver lasciato l’esercito, si fosse un po’ lasciato andare, ma i sessanta e passa chili di grasso che aveva accumulato andavano ben oltre l’essersi lasciato andare.

Davanti a lui erano schierati due dei suoi uomini migliori: Danray e il metarpia dal piumaggio verde che aveva catturato la Folgore Fiammante. Ben presto qualcuno bussò alla porta e un uomo dagli occhi truccati fece il suo ingresso nel sontuoso studio.

«Ho sistemato Javier Hopkins» dichiarò il sicario, le cui iridi erano rosse come il sangue. Le sue dita terminavano con dei robusti artigli e la pelle era piuttosto scura, il che suggeriva fosse un tartariano[22]. «Ho simulato un incidente stradale, come aveva richiesto.»

«Bene, ottimo lavoro, El Sariq» annuì O’Neill.

Già da tempo era a conoscenza di una cospirazione – l’ennesima – contro di lui, ma la cosa non lo aveva impensierito particolarmente. Se nessuno aveva mai osato sfidarlo, non era solo perché tutti temevano la sua Marionetta: negli anni aveva costruito una fitta rete di informatori che coinvolgeva le persone più diverse, dai ricchi uomini d’affari ai poveri disperati. Sapeva tutto quello che accadeva nella sua città e questo gli permetteva di agire tempestivamente in situazioni come quella.

«Vi ho riuniti qui perché voglio che uccidiate queste persone il prima possibile» ordinò l’elfo mostrando su uno schermo olografico tre schede contenenti le generalità di altrettante persone.

Quando aveva scoperto che Javier Hopkins faceva parte di un’alleanza creata per eliminarlo, aveva subito ordinato ad alcuni suoi subordinati di indagare, e ora finalmente erano emersi i nomi di altri gruppi coinvolti nella vicenda, tra cui con ogni probabilità figurava anche il vero ideatore di tutto il progetto: Ulysses Dąbriński.

«Ma guarda, c’è anche Leona Asterion!» esclamò Danray, visibilmente soddisfatto. «Dicono abbia delle tette da paura; di lei me ne occupo io.»

Il metarpia al suo fianco, molto meno entusiasta, borbottò qualcosa tra sé.

«Cazzo vuoi, Rad-šatah? Pure tua moglie ha due tettone da sballo, non venire a farmi la predica!»

«Non parlare in questo modo di mia moglie!» lo ammonì l’altro.

«Smettetela subito» intervenne O’Neill, rivelando un’espressione marziale che nessuno si sarebbe aspettato di vedere su un viso paffuto come il suo. «Scegliete un bersaglio e andate ad ucciderlo.»

Il metarpia serrò i pugni, ma non osò ribattere. «Mi occuperò di Salvatore Bicchierino» affermò a denti stretti.

Perséy El Sariq prese il file rimasto, quello di Ulysses Dąbriński, e insieme agli altri due lasciò lo studio per dirigersi verso l’uscita.

Axel Rad-šatah rimase in silenzio per tutto il tragitto: per quanto odiasse O’Neill, l’elfo lo aveva minacciato di fare del male a sua moglie o sua figlia se non avesse collaborato, quindi non poteva opporsi ai suoi ordini.

Al contrario il tartariano dagli occhi truccati non mancò di esternare tutto il suo disappunto: «Che cazzo, ho lasciato il mio pianeta per fare fortuna, e invece non faccio altro che uccidere stronzi per conto di un altro stronzo! Bella merda!»

Danray, che viceversa era ben felice della sua occupazione, non fece altro che sognare ad occhi aperti il momento del suo faccia a faccia con Leona Asterion. Senza fretta tornò al suo attico di lusso – situato in uno dei quartieri appena ricostruiti – e si prese tutto il tempo necessario per prepararsi all’imminente battaglia. Secondo il file la felidiana aveva tre compagni, quindi sarebbe stato meglio liberarsi di loro prima di affrontare la giovane.

Dopo aver stabilito un piano e un paio di valide alternative, indossò la sua Crusader, una versatile armatura di fascia medio-alta. Come per quasi tutti i modelli, lo strato interno era costituito da una resistente tuta di fibre paramuscolari e antiproiettile, mentre il rivestimento esterno era formato da una corazza integrale realizzata in varie leghe metalliche. Non aveva molti armamenti, in compenso la cintura era dotata di svariate tasche dimensionali dove sarebbe stato possibile ammassare un piccolo arsenale.

Pronto alla battaglia, saltò in sella alla sua silenziosa hoverbike e in poco tempo raggiunse la base della BBS. In quel momento il sole era alto nel cielo, tuttavia il suo orologio indicava notte fonda e quasi sicuramente avrebbe trovato i quattro inquilini profondamente addormentati.

Lasciò il veicolo in una posizione strategica – nascosto dietro un edificio ma abbastanza vicino da poterne usufruire in caso di fuga – a quel punto aprì una delle tasche dimensionali della sua armatura e ne tirò fuori un sofisticato congegno. Si trattava di un apparecchio molto costoso in grado di decodificare le frequenze degli scudi energetici antifurto, e grazie ad esso un minuto dopo si stava già arrampicando su una parete dell’edificio.

Appena ebbe raggiunto una stanza occupata, posizionò un proiettore dimensionale e senza il minimo sforzo fu all’interno. Con passo felpato si avvicinò al letto. Già dalla sagoma termica aveva capito che quel sauriano non era Leona Asterion, così non perse tempo e da una delle tasche dimensionali della cintura fece comparire una pistola silenziata. Proprio in quel momento un’asse scricchiolò. Gardo’gan sollevò le palpebre e, nel vedere la sagoma dell’intruso, arretrò istintivamente. Non ebbe il tempo di pensare: Danray gli sparò a bruciapelo e il dolore cancellò ogni sua possibilità di reazione. Il rettile sbarrò gli occhi, ammutolito, e una macchia rossa cominciò ad allargarsi sulle lenzuola chiare mentre il licantropo raggiungeva la porta.

Ne restavano tre.



Note dell’autore

Ehilà! Si avvicinano le feste, ma Leona e compagnia non ci pensano proprio ad andare in vacanza XD

Anche in questo capitolo sono successe diverse cose e sono tornati in scena due personaggi già introdotti qualche tempo fa: il licantropo Danray Leuw e il metarpia Rad-šatah; ma non dimenticatevi nemmeno dell’uomo dagli occhi truccati ;)

Bene, anche per questa volta è tutto, appuntamento a gennaio (2017!) ^.^


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[21] Nelle leggende popolari, i duerghi sono una variante di nani.

[22] Specie originale di TNCS. Il nome è un riferimento al Tartaro, dove nella mitologia greca erano rinchiusi i titani; in esso finivano le anime dei malvagi, inoltre era il luogo d’origine di esseri mostruosi.
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Capitolo 12
*** 11. Il prezzo dell’ambizione ***


11. Il prezzo dell’ambizione

Danray lasciò la stanza dove aveva appena sparato a Gardo’gan e senza emettere un fiato attraversò il lungo corridoio su cui si affacciavano svariate porte. Grazie ai sensori integrati nell’armatura non aveva problemi a localizzare gli altri tre inquilini: uno su quello stesso piano e due al piano inferiore.

Sfruttando lo stesso congegno che aveva usato per superare lo scudo antifurto, decodificò il codice della seconda stanza e la serratura scattò. Aprì la porta, ma non ebbe il tempo di fare un passo che un allarme divampò a tutto volume, svegliando il proprietario della camera e con ogni probabilità anche gli altri due membri della BBS.

“Ma chi cazzo mette un antifurto nella sua stanza?!” imprecò mentalmente il licantropo, che non si aspettava una misura di sicurezza così estrema.

Kael, che in quanto a prudenza non era secondo a nessuno, grazie alla sirena ebbe il tempo di individuare la minaccia e senza pensarci due volte si tuffò dietro il letto. In un attimo attivò la sua armatura energetica e fece comparire il Thareuss 14 per respingere l’intruso.

Danray si riparò dietro la parete per evitare la raffica di proiettili ad energia, mise da parte la pistola e impugnò compatto fucile d’assalto con cui rispose al fuoco. Purtroppo il suo piano era andato in fumo, ma era pronto anche ad affrontare una battaglia: aprì un’altra tasca della sua cintura, afferrò la granata appena comparsa e la gettò nella stanza. L’esplosione fece tremare l’edificio e una raffica di punte metalliche attraversò l’entrata, riempiendo di buchi la porta e il muro di fronte.

Al piano di sotto Leona, svegliata da tutto quel baccano, si precipitò in corridoio. «Che sta succedendo?!»

Alphard, qualche metro più avanti con la Verdict du Chevalier in pugno e la fascia sui capelli, le rivolse uno sguardo solo per ammirarla in top e pantaloncini. «C’è qualcuno al piano di sopra, ma mi sembra una sola persona.» Non era un sensitivo, ma tra i quattro inquilini della base era quello più portato a captare eventuali presenze. «Tu vestiti, intanto me ne occupo io.»

La felidiana tirò leggermente la scollatura del top, sotto cui non portava nulla. In effetti sarebbe stato molto imbarazzante combattere in quelle condizioni. «Ci metto un secondo» gli assicurò prima di chiudersi nella sua stanza.

L’ibrido fece un inutile scatto col capo e sorrise. Di solito la giovane ci metteva una vita per decidere come vestirsi, ma era convinto che in una situazione del genere sarebbe stata pronta in meno di un minuto. Anche se un po’ gli dispiaceva di non vederla lottare solo con un top svolazzante… No! Doveva restare concentrato! Quelli di prima erano indubbiamente degli spari e un’esplosione: non si trattava di un banale topo d’appartamento.

Raggiunse le scale e con cautela cominciò a salire i gradini, concentrato ad ampliare le sue percezioni. Restando al riparo della parete non ancora imbiancata, lanciò uno sguardo nel corridoio e subito individuò l’intruso.

Danray, che lo aveva visto a sua volta, aprì il fuoco, ma Alphard fu rapido a mettersi al riparo.

Senza perdere la calma, analizzò la situazione: quel tipo aveva un fucile d’assalto e un’armatura, lui invece disponeva di un’arma mutaforma e di un pigiama. La tattica migliore era disarmarlo e costringerlo a un corpo a corpo.

Prese un profondo respiro e poi saltò allo scoperto. Con dei precisi movimenti della sua arma intercettò i proiettili fisici dell’avversario e in un attimo lo raggiunse. Con un fendente tagliò a metà il suo fucile grazie al flusso di plasma argenteo, provò a decapitarlo, ma Danray schivò prontamente. Indietreggiò di un passo e fece comparire una coppia di tonfa[23] dotati di lame con cui deviò un affondo.

Alphard capì subito che quelle armi erano più versatili della sua nello spazio ristretto del corridoio, tuttavia non aveva intenzione di arrendersi. «Non ti permetterò di fare del male a Leona!» esclamò sferrando un tondo. Dopo un attimo si corresse: «E per farle del male intendo uccidere me o gli altri!»

Il licantropo non rispose, con un tonfa cercò di aprire la guardia dell’avversario e con l’altro provò un affondo al collo. L’ibrido schivò all’indietro e poi fece qualche altro passo per guadagnare una distanza di relativa sicurezza.

Già da quei pochi colpi aveva capito quanto fosse pericoloso il suo avversario e anche la sua armatura sembrava di buon livello, tuttavia non si fece demoralizzare: ci voleva ben altro per spaventarlo!

Approfittando di quei pochi istanti focalizzò le sue percezioni su Gardo’gan e Kael per cercare di capire le loro condizioni. La forza vitale del coleotteriano era stabile, non sembrava ferito, al contrario il sauriano era molto debole: non poteva resistere ancora per molto.

Stava cercando di elaborare un piano quando Danray lo aggredì, colmando in un istante i pochi metri che li separavano. I due scatenarono una micidiale raffica di colpi e le pareti del corridoio si riempirono di scalfitture. L’ibrido scansò diagonale, indietreggiò di qualche passo e rispose con un tondo rovescio intriso di aura, certo di riuscire a guadagnare qualche istante: la mezzaluna di energia schizzò rapidissima verso il nemico, descrisse dei profondi solchi nei muri, ma non sortì alcun effetto sull’armatura del licantropo, che tornò all’attacco con decisione ancora maggiore.

Alphard si difese con precisione e senza paura, indietreggiando cautamente per attutire la forza dei colpi nemici. Doveva guadagnare tempo per Leona, ma non poteva ignorare le gravi condizioni di Gardo’gan: sapeva quanto la felidiana avesse a cuore i suoi compagni ed era certo che non si sarebbe data pace se gli fosse accaduto qualcosa.

E pensare che all’inizio la detestava proprio. Aveva addirittura pensato di lasciare la squadra di basket pur di starle lontano, eppure la giovane era riuscita, non senza difficoltà, a guadagnarsi la sua fiducia.

Era perfettamente consapevole di chi fosse il più forte tra loro due, ciononostante voleva fare il possibile per proteggerla. Perché sapeva che lei avrebbe fatto altrettanto.

L’ibrido bloccò un poderoso fendente del licantropo e proprio in quel momento percepì Kael che si muoveva verso il corridoio. Doveva fare qualcosa per far allontanare Danray, ma senza fargli capire le sue vere intenzioni. Quasi sicuramente anche il suo avversario si era accorto del coleotteriano grazie alla sua armatura, quindi lui per primo aveva tutti gli interessi ad allontanarsi per non dover fronteggiare due avversari contemporaneamente.

Alphard continuò a difendersi e arretrare, poi, appena ebbe raggiunto la porta di una stanza vuota, si tuffò all’interno. Danray, che pure si era accorto di Kael, non aveva nessuna intenzione di seguirlo, tuttavia l’ibrido sfruttò la sua abilità telecinetica per attirarlo all’interno e gettarlo a terra. Con uno scatto repentino si lanciò sul suo avversario, questi però fece una capriola e schivò il colpo in diagonale.

L’armatura di Danray avvisò il suo proprietario dei movimenti del coleotteriano nel corridoio, ma non aveva il tempo di occuparsene. Quello spadaccino aveva una tecnica notevole: avrebbe dovuto dare fondo a tutta la propria esperienza per riuscire a tenergli testa. In ogni caso aveva già un piano.

Alphard lo attaccò di nuovo, rapido e preciso, riuscendo a far arretrare il suo avversario. Il licantropo rimase sulla difensiva per alcuni colpi, poi all’improvviso scattò in avanti, aprì la sua difesa e lo colpì con un calcio in pancia. L’ibrido indietreggiò, un attimo in difficoltà, ma Danray non ne approfittò per attaccare, anzi corse fuori dalla porta. Lo spadaccino fece per inseguirlo, ma il licantropo lanciò qualcosa nella stanza. In meno di un secondo Alphard capì che si trattava di una granata e provò a rispedirla indietro con la sua abilità telecinetica, ma era già troppo tardi: l’ordigno esplose e una vampata di fiamme lo investì in pieno. Il calore tremendo sciolse la Verdict du Chevalier, la porta venne carbonizzata, le pareti divennero incandescenti e la finestra esplose, gettando schegge di vetro all’esterno dell’edificio.

Leona, che salendo le scale aveva avvertito lo sbuffo di aria rovente, si affrettò a raggiungere il piano superiore. «Alphard! Ehi, Alphard!»

Provò a chiamare ancora, ma non ricevette risposta. Quando raggiunse il corridoio, ciò che vide le fece rizzare la pelliccia della coda.

«Finalmente ci incontriamo, Leona Asterion» esordì Danray. Con il visore zoomò sul seno della felidiana, ora coperto da un gilet antiproiettile, ma non per questo meno attraente. «Wow, devo dire che la tua fama è meri-»

La giovane si avventò su di lui più veloce che mai, il viso deformato da un ringhio rabbioso, e con un pugno lo sparò via. Il colpo fu talmente violento che il licantropo attraversò l’intero corridoio, sfondò la finestra e volò fuori dall’edificio, precipitando a terra fra la polvere e i detriti.

Il subordinato di O’Neill sapeva che Leona era forte, ma non avrebbe mai immaginato che quel corpo sensuale fosse in grado di sprigionare una tale potenza. E meno male che d’istinto aveva attutito l’impatto sfruttando la sua aura, altrimenti nemmeno la sua armatura avrebbe potuto salvarlo. Bastava uno sguardo alle spesse placche metalliche del pettorale, ora completamente deformate, per capire quanto fosse stato violento quel pugno.

Leona sentì l’impulso di inseguirlo e di farlo a pezzi, ma si trattenne e corse nella stanza da cui ancora proveniva il flusso di aria calda. Ciò che trovò le fece accapponare la pelle: sul pavimento annerito era steso uno scheletro scomposto e mezzo carbonizzato, di cui si poteva intuire la struttura solo in parte umanoide.

La felidiana avvertì un tremore diffondersi in tutto il corpo, ma entrò comunque. Si sforzò di guardare con più attenzione e solo allora vide uno strano oggetto: non era un osso, era più simile ad un feto coperto di fuliggine. E proprio in quel momento si mosse.

«Asterion.»

La voce spettrale di Kael le fece prendere un colpo.

Leona non perse un solo istante: raccolse il corpicino e lo diede all’insetto. Non aveva tempo per le spiegazioni, doveva essere sintetica: «Nella stanza di Alphard c’è una capsula incubatrice: accendila e mettilo dentro.»

Kael, che già di suo non amava perdersi in chiacchiere, si limitò ad annuire e corse verso le scale.

Risolto quel problema, la giovane si precipitò verso la fine del corridoio per raggiungere l’intruso. Non le piaceva uccidere, però c’erano delle volte in cui faticava molto a trattenere la sua forza.

Sentiva il sangue che ribolliva dalla rabbia, ma non erano le drammatiche condizioni di Alphard ad alimentare la sua ira – nonostante il gravissimo danno subito, era abbastanza sicura che sarebbe riuscito a riprendersi –, quanto soprattutto il fatto di essere stati attaccati nella loro base, e per giunta mentre dormivano.

Quasi sicuramente era O’Neill il mandante di quell’azione spregevole, e per questo avrebbe pagato a caro prezzo, ma prima c’era qualcun altro che desiderava fare a pezzi.

Saltò fuori dalla finestra e atterrò con decisione tale da far tremare il terreno.

Di solito combatteva per proteggere. Questa volta avrebbe combattuto per uccidere.



Note dell’autore

Ciao a tutti!

Prima della pausa per le vacanze la situazione alla sede della Brigata non era delle più rosee, e finalmente lo scontro è entrato nel vivo.

Alphard ha fatto quello che ha potuto (e ci ha pure rimesso la spada), ora tocca a Leona e, conoscendola, la vera domanda è: fino a che punto si spingerà per vendicare i suoi compagni?

Ne approfitto per farvi notare che ho cambiato la copertina; la vecchia immagine di sfondo mi piaceva, ma ho preferito optare per uno sfondo più astratto che fosse “tutti pixel del mio Gimp” XD

Appuntamento a febbraio per il prossimo capitolo! ^.^


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[23] Un’arma delle arti marziali composta da un corpo a forma di bastone e da un’impugnatura posta in perpendicolare al corpo.

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Capitolo 13
*** 12. Un colpo al cuore ***


12. Un colpo al cuore

Leona si guardò intorno, cercando di individuare il suo avversario. Per una volta era felice che il sole brillasse alto nel cielo sebbene fosse passata da poco la mezzanotte. I raggi caldi illuminavano perfettamente le strade ampie e gli edifici malandati, riducendo la possibilità di venire attaccati di sorpresa. La maggior parte delle costruzioni era ad un piano o due al massimo: la sede della gilda era l’unico condominio che si era salvato dai bombardamenti e svettava sul resto del quartiere come un gigante. Era anche uno dei pochi edifici abitati, il che voleva dire che Danray aveva molti luoghi in cui potersi rifugiare, sempre ammesso che non si fosse già dileguato.

La felidiana tese le orecchie, cercando di captare la benché minima traccia del nemico. L’istinto le diceva di avventarsi sul primo rumore che percepiva, ma non poteva abbassare la guardia: il licantropo era riuscito a tenere testa ad Alphard, di sicuro non era uno sprovveduto.

Una raffica di proiettili solidi la prese alle spalle, ma i colpi rimbalzarono inoffensivi per poi cadere a terra tintinnando. Paradossalmente quelli neutralizzati in maniera più netta furono quelli che impattarono direttamente sulla pelle, mentre quelli che colpirono il giubbotto antiproiettile vennero ammortizzati dalle fibre reattive. Del resto Leona lo aveva indossato non tanto perché bisognosa di protezione, quanto per il fatto che il materiale sintetico di cui era fatto era estremamente difficile da distruggere, quindi il rischio di restare mezza nuda si riduceva sensibilmente.

Danray, che si era nascosto all’interno di una villetta abbandonata, non ci mise molto per capire di essersi fregato da solo. Ebbe a malapena il tempo di far scomparire l’arma che già la giovane si stava precipitando verso di lui. La felidiana sfondò ciò che restava della finestra da cui il licantropo aveva sparato e in un lampo si avventò sul suo avversario. Questi deviò il pugno della ragazza e la colpì alla base del naso. Leona arretrò di un paio di passi, sbatté contro un tavolo impolverato e subito tornò alla carica. Provò con un sinistro, ma anche questa volta il subordinato di O’Neill fu più svelto e con una proiezione la scaraventò di testa contro una vecchia credenza, che si sfondò nell’impatto.

Il licantropo sollevò a sua volta il pugno e l’armatura si accese di energia. Il colpo che sferrò fu rapidissimo, ma Leona – seppur a testa in giù – riuscì a bloccarlo. L’impatto che ne scaturì fu talmente violento che le assi del pavimento si spaccarono e la giovane sprofondò nel terreno. Per qualche istante non riuscì a vedere nulla, poi i suoi occhi felini si abituarono al buio improvviso e riuscì a scorgere un gran numero di rottami: forse si trattava di un vecchio box. Ma non aveva tempo da perdere a guardarsi intorno. Con un balzo tornò al piano terra, tuttavia non riuscì ad individuare Danray. Dubitava che l’armatura del licantropo possedesse un sistema di occultamento, quindi con ogni probabilità se n’era andato.

Un terribile presentimento la mise in allerta e senza nemmeno verificare il suo timore si fiondò verso la finestra, saltando fuori più veloce che poteva. Non era ancora caduta a terra che un ordigno esplose nella casa e delle terrificanti vampate di calore si diramarono in ogni direzione. Una lingua di fuoco la inseguì attraverso la finestra, sciogliendo in pochi istanti i suoi anfibi. Il calore terribile cominciò ad incenerire anche i pantaloni, ma per sua fortuna non andò oltre le ginocchia. Ancora una volta la sua pelle non era stata intaccata.

Sempre più furiosa, si rimise in piedi. Non ebbe nemmeno il tempo di cercare il suo avversario perché Danray, appena la vide, si lanciò contro di lei dal tetto della villetta, il pugno dell’armatura pervaso di energia. La felidiana non ci pensò due volte e rispose allo stesso modo, scontrando il suo destro con quello del nemico. L’impatto tremendo squassò l’aria, l’onda d’urto affossò il terreno, e il muro della villetta venne attraversato da crepe. Ma non furono gli unici a venire danneggiati: il metallo della corazza si era deformato paurosamente, comprimendosi all’indietro, incapace di resistere alla potenza dell’impatto. Entrambi i contendenti vennero sbalzati all’indietro, ma era Danray l’unico a ritrovarsi con una mano a pezzi e un braccio rotto.

Leona serrò la mano, le cui nocche erano appena un po’ arrossate, e in un attimo tornò all’attacco. Era sicura che la grave e dolorosa ferita avrebbe messo in difficoltà il suo avversario, ma si sbagliava: il licantropo le afferrò il polso con la mano sana e con un balzo rapidissimo incrociò le gambe sulla sua spalla. La felidiana rimase in piedi nonostante il peso improvviso, ma questo a Danray non importava: da quella posizione poteva comunque eseguire una leva articolare al gomito.

L’armatura del licantropo, come tutti i modelli di fascia medio-alta, disponeva di una vasta gamma di sistemi di emergenza in grado di far ripartire il cuore, arrestare le emorragie, bloccare gli arti fratturati e all’occorrenza anche somministrare alcuni farmaci e anestetici, così da permettere all’utilizzatore di abbandonare il campo di battaglia per ricevere le cure adeguate. Ma il subordinato di O’Neill non intendeva fuggire senza aver almeno vendicato il braccio rotto.

Leona strinse i denti e i suoi muscoli si tesero nel tentativo di spezzare la presa. Danray fece forza con tutto il corpo, aiutato non poco anche dalle fibre paramuscolari dell’armatura, il cui indicatore di sforzo però si stava rapidamente avvicinando alla zona critica.

La felidiana mostrò i denti aguzzi in un subdolo sorriso. «Sai, non è stata una grande idea.»

Il licantropo non ebbe il tempo di metabolizzare l’avvertimento che la sua avversaria piegò di colpo il braccio e un fragore metallico echeggiò nel quartiere, seguito da un colpo tremendo che fece tremare il suolo. Alcuni pezzi dell’armatura caddero a terra tintinnando, ma Danray non ebbe modo di sentirli, bloccato com’era con la testa nel terreno. Anche con la protezione della sua corazza, il cranio e le vertebre del collo si sarebbero sbriciolati se non avesse attivato per tempo l’Armatura Invisibile. Quest’ultima era un’efficace tecnica difensiva di arti marziali; come di ogni tecnica ne esistevano moltissime varianti, ma il suo scopo era sempre lo stesso: indurire il corpo per minimizzare i danni.

Non senza fatica il subordinato di O’Neill si liberò da quella scomoda posizione e si mise carponi, cercando di riprendere fiato in fretta. La sua armatura era molto danneggiata, ma per fortuna non l’aveva ancora abbandonato.

Maledizione, quella felidiana aveva scelto il modo più difficile per spezzare la presa, eppure ci era riuscita senza il minimo sforzo: doveva farsi venire un’idea, e doveva farlo in fretta se voleva tornare a casa vivo.

«Ti sei intrufolato nella nostra base e hai cercato di uccidere i miei compagni nel sonno» ringhiò Leona. «Non posso sorvolare su una cosa del genere!»

Il licantropo non rispose. La felidiana provò a colpirlo con un pugno, ma lui lo schivò con una capriola. Fece comparire un tonfa e provò a sua volta un attacco, ma la sua arma non riuscì nemmeno a graffiare la pelle della giovane. Senza perdere tempo attivò il flusso di plasma e si lanciò in un affondo. Bloccato, impallidì. Leona aveva afferrato la lama con una mano, incurante del bagliore rossastro che, a rigor di logica, avrebbe dovuto vaporizzare carne e ossa al solo contatto. Lei serrò la presa e il metallo si piegò come burro, gli strappò l’arma di mano e la gettò a terra. Come a riprova del suo corretto funzionamento, il flusso di plasma fece affondare il tonfa nel terreno per diversi centimetri prima di disattivarsi automaticamente.

Ormai Danray si era reso conto di non avere alcuna possibilità: lui era un soldato esperto e la sua armatura era un ottimo modello, eppure tutto ciò non era minimamente sufficiente contro un mostro simile. Era eccitato e terrorizzato al tempo stesso, ma soprattutto sapeva per esperienza che era inutile lanciarsi in battaglie perse. Saltò all’indietro e lanciò una bomba fumogena che in un attimo coprì il campo visivo della sua avversaria. Leona, che ancora non aveva rinunciato all’idea di finirlo, cercò di individuarlo attraverso la densa coltre grigia, ma ben presto capì che era inutile. Scagliò un pugno a mezz’aria e una folata di vento spazzò via la cortina di fumo. Ormai però era tardi: il licantropo aveva giocato bene la sua mossa, era saltato sulla sua hoverbike e stava sfrecciando via a tutta velocità. La giovane sapeva che, se si fosse impegnata, forse avrebbe potuto raggiungerlo, tuttavia aveva cose più importanti a cui pensare.

Serrati i pugni per reprimere la rabbia, spiccò un grande salto e così raggiunse la finestra da cui era uscita. Lì trovò Kael ad attenderla.

«Come sta Alphard?»

«L’ho messo nella capsula incubatrice, come mi avevi chiesto. L’indicatore diceva “rigenerazione in corso”.»

La giovane non ebbe il tempo di rilassarsi che un terribile presentimento la ghermì. «E Gardo’gan? Dov’è Gardo’gan?!»

«Quel tizio gli ha sparato, però io…»

Il coleotteriano non ebbe il tempo di finire la frase che Leona era già scattata: attraversò di corsa il corridoio e si fiondò nella stanza del sauriano.

Ciò che vide le gelò il cuore. Le lenzuola erano sporche di sangue, ma del rettile nemmeno l’ombra. Dov’era? Cosa gli aveva fatto quel maledetto?!

«Asterion.»

«Dov’è?!» gridò lei senza dargli il tempo di parlare. «Dov’è Gardo’gan?» Aveva gli occhi lucidi, come se fosse sul punto di mettersi a piangere.

«Non ti preoccupare, era messo male, ma l’ho sigillato in una capsula dimensionale[24]. So che non si dovrebbe fare con i feriti, ma almeno così avremo il tempo di portarlo in ospedale.»

Tutta la tensione e la paura della felidiana finalmente si sciolsero e lei tirò un enorme sospiro di sollievo, abbracciando il coleotteriano senza nemmeno pensarci. «Grazie Kael! Grazie!»

L’uomo, un po’ in difficoltà per quell’inaspettato slancio emotivo, le diede qualche pacca sulla schiena. «Eeh… Sì, prego.»

Lentamente Leona divenne consapevole di quello che stava facendo e subito si staccò da lui. «Scusami, io…» Abbassò le orecchie, imbarazzata. «Non lo faccio più.»

Kael si concesse qualche secondo per ricomporsi, poi diede voce ai suoi dubbi: «Cosa facciamo? Quello era molto probabilmente un subordinato di O’Neill, e sono sicuro che nei prossimi giorni ne arriveranno altri. Dobbiamo sbrigarci a portare Gardo’gan in ospedale, ma non possiamo lasciare Alphard… in quello stato, e non dovremmo nemmeno dividerci.»

«Sì, hai ragione.» Leona si passò le mani sui capelli arruffati, come per cominciare a dare un ordine a tutto quello che era successo quella notte. «Adesso ci penso, io… Mi serve solo un momento.»

Sapeva che quella che aveva scelto era una vita pericolosa, ma non poteva non essere sconvolta dopo quanto successo. Lei era il capo e per questo si sentiva responsabile di quello che succedeva ai suoi compagni. Avrebbe voluto fare di più per proteggerli, non poteva accettare che rischiassero di venire uccisi perfino all’interno della loro base.

Ora che l’impeto del momento si era attenuato, sentì la gola secca. Il suo corpo le diceva di rifugiarsi nella sua stanza, aprire il frigo e scolarsi la bottiglia più forte che aveva, ma non poteva farlo. Già una volta aveva ceduto alle tentazioni dell’alcol, quindi sapeva che non avrebbe risolto nulla. Eppure il desiderio era così forte, magari poteva concedersi una semplice birra…

Gridò di rabbia, e con un pugno trapassò la parete che aveva davanti. Scatenare parte della sua forza l’aiutò a mettere a tacere l’alcolizzata che era in lei, ma non era abbastanza per sfogare l’ira che aveva dentro.

Rimase immobile per alcuni lunghi istanti, il braccio ancora conficcato nel muro, poi abbandonò la fronte sulla superficie ruvida, le orecchie basse. No, non era solo rabbia la sua. Si sentiva… Si sentiva in colpa perché i suoi compagni erano quasi morti mentre lei non aveva nemmeno un graffio. Non era la prima volta che un simile pensiero le attanagliava la mente, e ogni volta doveva fare uno sforzo immenso per reprimerlo.

Il coleotteriano, ancora immobile al suo fianco, cercò di pensare a qualcosa che potesse aiutare la felidiana a superare quel momento difficile. Non poteva permettere che Leona perdesse la testa, ma non aveva idea di cosa dire. Non era mai stato bravo a interagire con le persone.

«Kael, vedi se riesci a riattivare lo scudo» gli chiese la giovane.

Preso in controtempo da quelle parole, l’insetto rimase immobile. Lei si voltò e il coleotteriano venne come ipnotizzato dal suo sguardo: la burrasca negli occhi di Leona si era placata, lasciando spazio solo ad una spietata risolutezza capace di ammutolire chiunque. «Quel tipo ha trovato un modo per spegnere lo scudo, cerca di capire come ha fatto e se c’è un modo per impedire che capiti di nuovo.»

Superato lo stupore, Kael si affrettò ad annuire e si avviò lungo il corridoio, diretto verso il generatore del sistema difensivo. Per quanto cercasse di non darlo a vedere, tutte e quattro le sue mani erano scosse da leggeri tremiti: vedere quell’espressione sul viso di Leona lo aveva terrorizzato. Il ringhio feroce che aveva intravisto contro Danray gli aveva fatto un po’ di paura, certo, ma non era niente in confronto alla gelida razionalità di poco prima: la felidiana non stava più pensando a come togliere di mezzo O’Neill, stava studiando il modo migliore per vendicare i suoi compagni.

Se c’era qualcosa di più spaventoso di un mostro invincibile, quel qualcosa era senza dubbio un mostro invincibile capace di bramare vendetta con totale lucidità.



Note dell’autore

Rieccoci qua!

Questa volta Leona si è proprio arrabbiata, non vorrei essere nei panni dei suoi nemici.


Cambiando un po’ argomento, in queste due settimane mi sono messo al lavoro per cercare di migliorare ulteriormente L’ascesa delle Bestie, per la precisione ho aggiunto un po’ di descrizioni per dare più risalto all’ambiente in cui agiscono i personaggi.

In breve, queste sono le aggiunte più significative ai capitoli precedenti:

- il ciclo giorno-notte di Shytia dura circa 80 ore.

- Traumburg è stata costruita nei pressi di una miniera, dove lavora la maggior parte dei cittadini (o per lo meno la maggior parte di quelli che non si dedicano ad attività criminali). Stesso discorso per i vari quartieri di periferia: ognuno ha il suo ingresso alla miniera sotterranea.

- il treno magnetico usato dai protagonisti è l’unico mezzo che collega le zone di periferia e i vari quartieri di Traumburg. È piuttosto veloce, ma è composto sia da vagoni passeggeri che da vagoni merci, quindi ad ogni fermata perde tempo perché si viene a creare una sorta di mercato temporaneo.

- l’astroporto di Traumburg in realtà è solo uno spiazzo dove atterrano e da cui partono astronavi mercantili. Alcuni equipaggi accettano di dare un passaggio a chi è disposto a pagare, ed è così che Leona e gli altri hanno lasciato il pianeta per andare a Tradefield.


Bene, adesso è davvero tutto.

Grazie per aver letto e appuntamento al prossimo capitolo! ^.^


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[24] Per chiarezza sottolineo che la capsula incubatrice e la capsula dimensionale sono cose completamente diverse. La prima è un’apparecchiatura medica, la seconda invece può contenere oggetti molto grandi in uno spazio molto piccolo grazie ad una tasca dimensionale.

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Capitolo 14
*** 13. Pena capitale ***


13. Pena capitale

Delle voci. Qualcuno stava parlando, ma non riusciva a capire chi fosse.

Una luce, chiara e abbagliante. Pian piano i suoi occhi si abituarono e l’ambiente circostante divenne meno sfocato. Vedeva delle pareti chiare, di un azzurro tenue e rilassante. Alla sua sinistra c’era un comodino e subito dopo una grande finestra, impossibile dire se reale oppure olografica. Sentiva qualcosa di morbido e leggero che gli accarezzava la pelle, forse lenzuola. Ma dove si trovava?

«Non ti preoccupare, ti ho detto che ne compreremo una nuova.»

Aveva già sentito quella voce: Leona.

«Ma quella mi piaceva tanto…» piagnucolò qualcuno. Sembrava un bambino, ma non aveva idea di chi fosse.

Si voltò lentamente. Sì, era proprio Leona: era seduta su una sedia lì a fianco e stava bevendo dalla sua bottiglia.

«E se non la troviamo più?» brontolò il bambino di fronte a lei. I capelli scuri erano tagliati molti corti, aveva due occhi vivaci e un naso forse un po’ grande. Aveva un’aria molto familiare, eppure non riusciva a riconoscerlo.

Un terribile presentimento gli fece gelare il sangue. «Porca puttana, ma quanto tempo è passato?!»

La felidiana, colta di sorpresa, cominciò a tossire, si piegò in avanti e sputò in maniera molto poco femminile il liquido che le era andato di traverso.

Il sauriano non se ne curò minimamente e indicò il bambino. «Non mi dirai che quel moccioso…!»

La ragazza continuò a tossire per alcuni interminabili secondi, poi scosse il capo. «No, non è come sembra. Questo è Alphard. Il suo corpo è stato bruciato, e così… Beh, diciamo che ha dovuto crearne uno nuovo, solo che ci vuole un po’ per farlo crescere.»

Gardo’gan però non era minimamente convinto. «Non provare a prendermi per il culo!»

«Ti assicuro che è così!»

«È vero! Io sono davvero Alphard!»

«Ma non ci credo neanche se me lo giuri!»

A sentire quelle parole, il bambino fece finta di mettersi a piangere. «Leona, Gardo’gan è tanto cattivo! Abbracciami forte!» esclamò allungando le mani verso il petto della felidiana.

Leona gli mise un dito sulla fronte per impedirgli di avvicinarsi. «Visto che bambino pervertito? Dimmi se non è Alphard?»

«Avrà preso dal padre! Dimmi quanto sono stato in coma!»

«Ehi, non fate chiasso» li sgridò Kael entrando nella stanza. «Vi ricordo che siamo in un ospedale.»

«Ehi, quanto tempo sono stato in coma?»

«Circa mezza giornata» rispose il coleotteriano, impassibile. «Ma non lo definirei coma.»

«Cosa?! E come me lo spieghi quel moccioso?!»

«Il tizio che ti ha sparato lo ha colpito con una granata a ipercombustione. L’ho messo io stesso nella capsula incubatrice per permettergli di rigenerarsi.»

Gardo’gan rimase in silenzio per qualche secondo, riflettendo su quelle parole. «Mmh, d’accordo… Aspetta, mi hanno sparato?! Chi cazzo mi ha sparato?!»

«Un subordinato di O’Neill molto probabilmente» rispose Leona.

Il sauriano si portò una mano alla fronte. «Me lo sentivo che ci saremmo messi nei guai. Ehi, dov’è la mia sigaretta?»

Kael la fece comparire da un gorgo sulla mano superiore destra e gliela porse. «Sei stato molto fortunato: se ti avesse sparato in testa, non avremmo potuto fare niente per salvarti.»

«Ah, grazie, molto confortante» commentò sarcastico il rettile. Assaporò un lungo tiro della sua sigaretta, come se davvero fossero passati anni dall’ultima volta. «Cazzo, dovrò rimettermi a fare pratica con l’Armatura Invisibile!»

«Anche Ulysses dei Boia e un altro membro dell’alleanza sono stati attaccati: non può essere un caso» gli spiegò la felidiana. «Alcuni di quelli che non sono stati presi di mira si sono già tirati indietro.»

«E noi che faremo?» volle sapere il sauriano.

La felidiana si strinse nelle spalle. Dopo l’attacco di Danray aveva rischiato seriamente di venire travolta dalle emozioni, ma per fortuna all’A&N non insegnavano solo a imbracciare fucili e a praticare sport. Per tre anni l’avevano preparata ad affrontare situazioni drammatiche, capaci di sconvolgere la vita di chiunque. Sapeva che il modo migliore per superare i momenti difficili era focalizzarsi su ciò che si aveva a disposizione, facendo appello a se stessi e a persone di fiducia, ma era perfettamente consapevole che non esisteva un manuale con la soluzione a tutti i problemi.

«Leona, ho sete!» esclamò Alphard, distogliendola dai suoi pensieri.

«Kael, puoi accompagnarlo tu alle macchinette?»

«Perché non l’hai chiesto prima?» esalò il coleotteriano con la sua voce spettrale.

Il bambino deglutì. «Perché prima non avevo sete. Leona, Kael mi fa paura!» piagnucolò nel tentativo di farsi abbracciare, ma di nuovo senza successo.

«Smettila di fare il bambino! Ormai non ci casco più!»

Alphard gonfiò le guance e uscì dalla stanza insieme all’insetto.

Rimasta sola con Gardo’gan, la giovane trasse un lungo sospiro. «Mi chiedevi se voglio andare avanti. Beh, fosse per me ti direi di sì, senza dubbio, il fatto è che…» Deglutì. «Io… Io ho paura di perdervi. So che è una cosa stupida, ma quando avevo dodici anni ho perso mia madre, e la sola idea di rivivere quel periodo…» Si strinse le braccia, come per farsi forza da sola. «Sai, è stato allora che ho cominciato a bere. Mi sentivo a pezzi e alla fine ho cominciato a bere una bottiglia dopo l’altra per… Non lo so, credo per dimenticare, per cancellare il dolore… Sono rimasta chiusa in casa a bere e basta per… per non so quanto; mi ricordo solo che quando mi sono svegliata, ero in ospedale. Un’amica di mia madre era venuta a casa e mi aveva trovata stesa a terra tra le bottiglie vuote…» Fece un’altra pausa. «Ho combattuto tantissime volte, anche contro parecchi avversari contemporaneamente, però quella è stata l’unica volta che ho rischiato davvero di morire.» Fece oscillare la bottiglia che aveva in mano, persa nell’ondeggiare del liquido ambrato. «Scusa, sto divagando. Il fatto è che… Insomma, io voglio davvero fare qualcosa per questa città, voglio sfruttare la mia forza per cambiare le cose in meglio, ma ho paura che qualcuno di voi si ferisca, o peggio.  Se non mi fossi messa in testa di rubare l’Uovo, tutto questo non sarebbe successo.»

«Leona, ascoltami: posso capire che ti preoccupi per me e per gli altri, ma non abbiamo bisogno di una babysitter. Cosa credi? Non è la prima volta che rischio di lasciarci la pelle. Quello che mi piace di te e della Brigata è proprio l’atmosfera spensierata, divertente, senza quel qualcosa di opprimente che c’è in molte gilde serie, sia legali che illegali. Tu non hai paura di combattere per ciò in cui credi, ed è proprio questo che mi spinge a seguirti. Quindi, a costo di sembrare indelicato: smettila di fare la madre, perché nessuno di noi ne ha bisogno.»

La felidiana rimase un attimo immobile, sorpresa da quelle parole, poi abbassò le orecchie, imbarazzata. «Ecco, io…»

«Sei o non sei il capo della BBS?!»

Al sentire quelle parole, un interruttore scattò nella testa della giovane, che di colpo scattò in piedi. «Hai ragione. Io sono il capo delle Bestie Selvagge, e ti prometto che Aaron O’Neill non resterà impunito. Nessuno può attaccare un membro della mia Brigata e sperare di farla franca!»

Gardo’gan aspirò un’altra boccata di fumo dalla sua sigaretta. «Beh, in realtà non sarei un membro della Brigata…»

«Oh, dai, che rompicoglioni!»

«E va bene, va bene, sono nella Brigata anche io, contenta?»

«Finalmente ti sei deciso!»

Provò ad avvicinarsi, ma lui la bloccò. «Se provi ad abbracciami, ti ammazzo.»

Delusa, Leona abbassò le orecchie. Poi sollevò il pugno con un sorriso speranzoso.

Gardo’gan sospirò e poi lo batté con il proprio. «Contenta? E menomale che è Alphard il bambino!»

***

La donna nello schermo, una felidiana dai capelli castano chiaro e gli occhi marroni, aveva il viso scarno e l’aria emaciata.

«So che questo è un periodo difficile per te, ma cerca di avere pazienza. Presto starò bene e potrò tornare a casa.» Aveva una voce stanca, flebile e affaticata. «Layla mi ha detto che sei di nuovo scappata per tornare a casa nostra. Per favore, non farlo più. Lei e Mesut[25] vogliono aiutarci, cerca di fare la brava con loro. Hai un dono straordinario, con la tua forza puoi salvare l’universo: non dimenticarlo mai. Ti voglio bene, Leona, e te ne vorrò sempre.»

Il video si interruppe e la giovane dovette asciugare la lacrima scesa lungo la guancia. Sua madre, Artemis[26], aveva registrato quel messaggio perché una grave malattia l’aveva costretta a letto in una camera isolata, impossibilitata ad uscire o anche solo a vedere sua figlia. Il giorno dopo il suo cuore si era fermato e quel video era diventato l’ultima testimonianza di quanto la amasse. Leona lo guardava di rado, era un ricordo molto doloroso, ma c’erano dei momenti in cui desiderava risentire la sua voce.

Ormai aveva preso la sua decisione: avrebbe tolto di mezzo O’Neill, ma prima si sarebbe incontrata con Ulysses Dąbriński per fargli capire le sue intenzioni.

Con la mano accarezzò il monile dorato che le avvolgeva il bicipite destro. Quello era stato l’ultimo regalo di sua madre e grazie ad un sigillo alchemico si poteva adattare al suo braccio, in questo modo non c’era il problema che potesse diventare troppo largo o troppo stretto. Non se ne separava mai.

Il suono roboante di una trombetta da stadio la destò dalle sue riflessioni: era il segnale che Alphard – ormai quasi tornato all’età adulta – aveva finito di preparare la cena.

Lei, Gardo’gan e Kael si riunirono intorno ad uno dei tavoli del pianoterra e l’ibrido servì le rispettive portate. Il sauriano, la cui specie era prevalentemente carnivora, aveva optato per una pietanza a base di carne speziata a cui poteva abbinare frutti o verdure a piacere; il coleotteriano invece aveva scelto una sorta di pizza riccamente farcita. Per se stesso lo spadaccino aveva preparato una ciotola piena di larve e insetti al forno da intingere in una salsa piccante, per la felidiana invece aveva fatto il suo piatto preferito: zaffiro di mare[27] al cartoccio.

Nonostante l’acquolina in bocca, la giovane si schiarì la voce per attirare l’attenzione degli altri tre. «Ragazzi, questa è la prima cena che facciamo con tutti e quattro come membri della Brigata, quindi volevo ringraziarvi ancora una volta per la vostra fiducia. Presto dovremo affrontare una dura battaglia, ma vi prometto che sarà solo la prima delle nostre imprese. Sarà il primo dei nostri successi.» Sollevò la sua bottiglia di alcolico. «A noi!»

Alphard, Gardo’gan e Kael sollevarono a loro volta i rispettivi bicchieri, felici e carichi per le parole del loro leader. «A noi!»

***

Era prima mattina e Ulysses Dąbriński passeggiava nervosamente nello spazioso atrio della sua base. Due dei suoi alleati erano stati uccisi, altri tre si erano ritirati e lui stesso aveva rischiato di saltare in aria a causa di un pacco bomba arrivatogli per posta.

In quel momento stava attendendo Leona Asterion: la felidiana aveva chiesto di vederlo, e lui aveva subito capito di dover sfruttare quell’occasione per portare avanti il suo piano. Era certo che la trovata del brindisi avrebbe funzionato, invece la giovane aveva rifiutato il suo pregiato Reilin d’annata, costringendolo ad escogitare un altro stratagemma per drogarla. Per riuscire a trasformare Leona nella sua marionetta era infatti necessario un complesso rituale, e non poteva certo compierlo con la felidiana che si ribellava. Oltretutto aveva un solo tentativo: solo un ristrettissimo gruppo di persone era in grado di preparare l’insieme di pozioni, sigilli prestampati e artefatti necessari, di conseguenza si facevano pagare una cifra esorbitante, tale da prosciugare completamente le casse della sua banda e da dover richiedere anche alcuni prestiti. Ma se non altro, una volta completato correttamente il rituale, il risultato era garantito al cento percento.

In quel momento la porta automatica dell’atrio si aprì e Leona fece il suo ingresso insieme a Kael. Al contrario della precedente visita, questa volta la felidiana non si era preoccupata troppo dell’abbigliamento, optando per una canotta sportiva, degli shorts e una paio di calze alla coscia.

«Signorina Asterion, sono felice che abbia voluto incontrarmi in questo momento difficile» esordì il treant andandole incontro con un caloroso sorriso.

Le porse la mano, ma lei la ignorò e continuò a fissarlo con aria tutt’altro che amichevole. «Non sono qui per giocare al teatrino» affermò in tono glaciale. «Mi consegni il materiale necessario a trasformarmi in una marionetta, o sarò costretta a ucciderla.»



Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo è saltata fuori una “nuova versione” di Alphard, sono emersi ulteriori dettagli sul passato di Leona e ho avuto modo di chiarire i pensieri di Gando’gun a proposito della Brigata.

E, tanto per non farci mancare nulla, Leona sapeva quello che aveva in mente Ulysses. Riuscirà il treantiano a venirne fuori tutto intero?


Ora un avviso importante: ho rinominato l’Uovo di Æskjnir in Uovo dei Sindri. Il motivo principale è che Æskjnir sarà anche un nome originale, ma non vuol dire nulla, Sindri invece è un nano della mitologia norrena (spesso chiamato Eitri). Eitri/Sindri insieme a suo fratello Brokk ha creato molti oggetti magici destinati agli dei, tra cui Draupnir (l’anello di Odino) e Mjöllnir (il martello di Thor).

In TNCS ho scelto di adottare il nome “Eitri” come nome proprio del nano, e di utilizzare il nome “Sindri” per riferirmi ad entrambi i fratelli come se fosse il loro cognome.

A presto! ^.^


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[25] Mesut Scahars è tra i protagonisti di CrD - 1 - Alba di Cristallo.

[26] Artemis compare in AoD - 1 - I Gendarmi dei Re.

[27] Un tipo di pesce originale di TNCS caratterizzato da una colorazione color zaffiro.

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Capitolo 15
*** 14. Eroi e mercenari ***


14. Eroi e mercenari

«Mi consegni il materiale necessario a trasformarmi in una marionetta, o sarò costretta a ucciderla» ordinò Leona con sguardo inflessibile.

Ulysses, colto di sorpresa, si sforzò di sorridere. «Come dice, scusi? Non credo di capire…»

La felidiana gli piantò una mano sul petto e senza tanti complimenti lo schiacciò contro il muro più vicino. «Non me lo faccia ripetere.»

Il treant la fissò per alcuni secondi, fiero e determinato, poi lanciò uno sguardo in direzione di Kael. «Evidentemente qualcuno ha di nuovo cambiato schieramento. Le consiglio di fare attenzione, signorina Asterion: prima o poi tradirà anche lei.»

Il coleotteriano rimase fermo e in silenzio. Non aveva intenzione di dare spiegazioni, soprattutto in quel momento.

«Non si preoccupi, mi occuperò anche di lui» dichiarò Leona, impassibile. Fece forza con il braccio e il petto di Ulysses cominciò ad emettere dei sinistri scricchiolii, così simili a quelli di un ramo sul punto di spezzarsi. Il treant, che sapeva di non avere alcuna possibilità di liberarsi, non riuscì a nascondere una smorfia di dolore.

«Sto ancora aspettando.»

Alcuni Boia portarono le mani alle armi, ma il loro capo li sgridò apertamente: «Fermi! Non avete speranze contro di lei!» La sua voce era fioca, gli mancava il fiato: i treant erano creature fatate, tuttavia anche loro avevano la necessità di respirare. «Jayden, vai a prendere la cassa e portala subito qui.»

Il goblin deglutì, e dopo un attimo di esitazione corse verso l’ascensore. Come gli altri membri della banda, non voleva che il suo leader venisse ucciso.

Leona allentò leggermente la presa, e questo permise a Ulysses di riprendere a respirare normalmente. La giovane si stava guardando incontro, controllando che qualcuno non cercasse di fare movimenti strani; il treant capì subito che doveva approfittare di quel momento per cercare di farle cambiare idea. «Cosa pensa di fare? Senza di me Traumburg sprofonderà nel caos. Io sono l’unico che può dare ordine e stabilità a questa città, io sono l’unico che può salvarla. Se mi uccide, nessuno potrà evitare un’altra guerra.»

La felidiana lo guardò in silenzio, lo sguardo freddo e la mano salda per non dargli la possibilità di fuggire. «Mi spiace, ma hai dimenticato di considerare un dettaglio: noi non siamo i buoni e non abbiamo nessuna intenzione di fare gli eroi. Le uniche cose che mi interessano sono i soldi e la fama; per quanto mi riguarda, Traumburg può anche venire distrutta dalla guerriglia che si scatenerà dopo la morte di O’Neill.»

L’ascensore si aprì e il goblin uscì con la cassa in finto legno che tanto era costata alla sua banda.

«E allora sei anche peggio di me!» esclamò Ulysses con uno scatto d’orgoglio. «Credevo fossi migliore della feccia di questa città, ma mi sbagliavo. Sei tale quale a O’Neill!»

Kael prese la cassa e poi si voltò verso la felidiana, in parte curioso di sentire una sua eventuale risposta.

Leona non ribatté immediatamente, si concesse qualche istante per dare più enfasi alle sue parole: «Ti sbagli, io sono diversa da lui. E lo sai perché?» Premette la mano sul petto e di nuovo il viso legnoso di Ulysses si contrasse in una smorfia di dolore. «Potrei uccidervi tutti con le mie mani, mentre voi non potreste farmi un graffio nemmeno se mi attaccaste tutti insieme. E tu sai bene che è così.»

Il treant, che quasi non riusciva più a respirare, implorò mentalmente che la sua agonia finisse. Quando finalmente la felidiana lo lasciò, lui scivolò lungo il muro fino a terra.

«Non voglio incontrarvi mai più» affermò la giovane. «Andatevene, lasciate questa città. O’Neill di sicuro proverà di nuovo a uccidervi, quindi è anche nei vostri interessi non essere nei paraggi. Ma se provate di nuovo ad intralciarci, O’Neill sarà l’ultimo dei vostri problemi.» Uno ad uno guardò negli occhi i presenti per far capire loro che non stava scherzando, poi si voltò e lasciò l’edificio insieme a Kael.

Il coleotteriano rimase in silenzio per un po’ mentre si allontanavano, poi decise che erano abbastanza distanti e diede voce ai suoi dubbi: «Ti odieranno e faranno di tutto per vendicarsi, proprio come quegli altri. Lo sai, vero?»

Leona sospirò. «Sì, è molto probabile. Il fatto è che…» Scosse il capo e si voltò verso di lui. «Non ce la faccio ad uccidere una persona così, per… per precauzione pensando che poi potrebbe causarmi problemi. Magari ti sembrerò una codarda, ma se lo facessi, non riuscirei più a guardarmi allo specchio.»

«Non penso che tu sia una codarda» ribatté Kael. «Ciononostante temo che prima o poi ci metteremo nei guai agendo in questo modo. Non mi fraintendere, ti riconosco come capo e rispetto la tua decisione, mi permetto solo di esprimere il mio parere.»

«Certo, e io rispetto il tuo parere. Ma non voglio versare più sangue del necessario.»

Raggiunto uno spiazzo abbandonato, deviarono dal marciapiede e il coleotteriano appoggiò la cassa sui resti di alcune macerie. Fece comparire una bomba, la attivò e la depose sulla superficie di finto legno prima di allontanarsi. Dopo pochi secondi il timer arrivò a zero e fu come osservare una singolarità dimensionale: lo spazio venne attraversato da una vibrazione e si distorse, risucchiando ogni cosa nel suo raggio d’azione.

Non ci furono esplosioni. Quella era una bomba a disgregazione, e gli unici suoni che produceva erano un crepitio al momento dell’attivazione e poi uno sbuffo quando ormai era tutto finito. Il suo effetto era semplice e devastante: cancellava ogni cosa nello spazio sferico intorno a sé, trasformando la materia solida e liquida in gas.

«Davvero non ti senti almeno un po’ un’eroina?» le chiese Kael dopo che si furono rimessi in marcia. «Ne avresti tutta l’aria.»

Leona scosse il capo. «Tempo fa ci pensavo, ma ormai ho capito che non fa per me. Essere un eroe vuol dire mettersi in gioco per aiutare gli altri, anche a costo di subirne le conseguenze. Un poliziotto che ogni giorno si impegna ad arrestare criminali pur sapendo che un solo proiettile basterebbe ad ucciderlo: quello è un eroe. Se davvero fossi un’eroina, farei tutto ciò che è in mio potere per salvare Traumburg, girerei la città per catturare ogni criminale e sbatterlo in cella, ma io non sono così. Io sono più il tipo di persona che raderebbe al suolo l’intera città se servisse a salvare i miei compagni, senza preoccuparmi dei danni per gli altri. E questo decisamente non è da eroi.»

Il coleotteriano rimase in silenzio.

«Ulysses ha ragione,» proseguì la felidiana, «quello che stiamo per fare getterà Traumburg nel caos, ma ormai non possiamo più tirarci indietro, non voglio tirarmi indietro. La BBS è una gilda di mercenari, facciamo solo quello che ci conviene… però sarei felice se questo potesse servire a migliorare le cose. Ucciderò O’Neill, a quel punto la città avrà la possibilità di salvarsi da sola. E se avranno bisogno di noi, sapranno dove trovarci.» Rimase in silenzio qualche secondo, poi si voltò verso Kael: «Immagino sarai un po’ deluso.»

L’insetto le lanciò un rapido sguardo. «In realtà no. In fondo ho scelto di restare dalla tua parte proprio perché sei così.»

«Allora, di cosa volevi parlarmi?» chiese la felidiana sollevando la sua bottiglia. Si trovavano nella stanza della giovane perché Kael aveva chiesto di discutere con lei in privato, senza che Alphard o Gardo’gan potessero sentirli. Come gli altri locali dell’edificio, l’arredamento era molto essenziale: un letto, un paio di mobiletti e un tavolo con due sedie. Del resto tutti i vestiti della giovane erano riposti nella grande cabina armadio adiacente, oppure abbandonati un po’ ovunque in attesa di essere lavati.

«Questa mattina sono stato dai Boia Tagliagole e ho parlato con Ulysses Dąbriński.»

Quella rivelazione stupì non poco Leona, che allontanò la bevanda dalla bocca.

«Non ci girerò intorno: ci sono andato per capire se mi conveniva restare con voi o se mi conveniva passare dalla loro parte.»

Lei sollevò un sopracciglio per quell’ammissione così sfacciata. «Devo dedurre che hai deciso di stare dalla nostra parte?»

Kael rimase un attimo in silenzio. «Sì, voglio stare con te e con la Brigata.» Di nuovo tacque per qualche istante. «L’altro ieri ci hai raccontato di te, della tua squadra di basket all’accademia, e poi mi hai chiesto se volevo raccontarvi qualcosa. Beh, la verità è che io vengo da una famiglia ricca, ho frequentato scuole prestigiose e i miei genitori non avrebbero avuto alcun problema a farmi avere un lavoro comodo e redditizio. Ma quella vita non mi ha mai attirato. Ero il classico ragazzino pieno di soldi che sognava di fare il criminale per gioco. E alla fine i miei “giochi” mi hanno fatto arrestare.» Serrò i quattro pugni e guardò altrove. «Avevo coperto di vergogna i miei genitori, eppure loro erano ancora disposti a pagarmi i migliori avvocati pur di evitarmi la prigione. Ma non ho voluto accettarlo, ero troppo orgoglioso. È per questo motivo che sono finito a Pryzonn.» Sollevò il capo verso di lei, come per guardarla negli occhi. «Ti chiederai perché te lo sto raccontando proprio adesso. Beh, perché io sogno ancora una vita di avventure, senza autorità, senza costrizioni. Se mi unissi ai Boia Tagliagole, loro sfrutterebbero la tua forza per prendere il controllo della città, ti trasformerebbero in una marionetta ai comandi di Ulysses Dąbriński, e magari mi ringrazierebbero per l’aiuto dandomi una bella casa nuova e un comodo incarico nella gestione della città. Ma come ti ho già detto, non è questo ciò che voglio.»

Leona, che aveva ascoltato attentamente le parole dell’insetto, non nascose una punta di stupore. «Devo ammetterlo, non pensavo fossi così… ribelle.»

«Io non pensavo che avessi la stoffa del capo» ribatté Kael, impassibile. Si strinse nelle spalle. «Mi sono ricreduto.» Aprì una mano e da un gorgo fece comparire il rilevatore multifunzione che aveva acquistato a Tradefield. «Il puntino colorato indica un insetto-spia: si trova nel piano terra, gli altri li ho catturati per portarli dai Boia Tagliagole e convincerli a spiegarmi il loro piano. Ho fatto credere a Ulysses Dąbriński che sto dalla loro parte, quindi fai finta che questa discussione non sia mai avvenuta. Sarebbe meglio se non dicessi nulla nemmeno ad Alphard e Gardo’gan.»

 La felidiana ci rifletté un attimo, poi annuì. «D’accordo, non lo dirò a nessuno.»

«Sai, te l’ho già detto, comunque sono davvero felice che ti sia unito alla Brigata» affermò Leona. «Insomma, sono molto giovane per essere il leader di una gilda, quindi mi fa piacere che ci sia tu a consigliarmi.»

Kael fece un leggero mugugno d’assenso. «Però guarda che non sono così vecchio.»

«Hai ragione, scusa, mi sono espressa male. A proposito, quanti anni hai?» Dato il suo esoscheletro, le risultava difficile farsi un’idea precisa dell’età del coleotteriano.

«Ventiquattro.»

La felidiana si bloccò, tanto che pure l’insetto dovette fermarsi.

Lei lo guardò dritto in faccia. «Sul serio?»

Kael allargò le quattro mani e annuì.

Leona scosse il capo e riprese a camminare, non per questo meno incredula. Fino a quel momento aveva pensato al coleotteriano come a un trentenne o più, invece aveva quasi la sua stessa età. Non riusciva a capacitarsene.

Anche quanto si furono riuniti con Alphard e Gardo’gan la sua espressione era alquanto turbata, al punto da preoccupare gli altri due membri della Brigata.

«C’è qualche problema?» le chiese subito l’ibrido. Ormai era tornato adulto e con tanto di barba incolta, i capelli però ci avrebbero messo ancora parecchio tempo per tornare lunghi come prima.

«No, niente, è tutto a posto» lo rassicurò Leona cercando di tornare presente a se stessa. «Abbiamo distrutto il materiale, da quel punto di vista non dovremmo avere altri problemi. Ho detto ai Boia di lasciare la città, ma non so se è stata una buona idea.»

Lo spadaccino le sorrise. «Non ti preoccupare, hai fatto quello che ritenevi meglio, è per questo che mi piaci. E poi anche noi abbiamo la pellaccia dura!»

Rincuorata dalle parole di Alphard, la giovane riuscì finalmente a mettere da parte quella piccola ma fastidiosa insicurezza che lo stupore per l’età di Kael aveva solo momentaneamente nascosto. «A voi com’è andata?»

«Siamo riusciti a metterci d’accordo con un mercante» rispose prontamente l’ibrido. «Ha detto che parte tra una mezzora scarsa: se ci siamo bene, se no ci lascia a terra.»

«Leona, davvero ce ne andiamo?» le chiese per l’ennesima volta Gardo’gan.

La felidiana annuì. «Tu devi ancora riprenderti dalla ferita, e tutti e quattro abbiamo un bersaglio disegnato dietro alla testa. Se lasciare in vita Ulysses è un rischio, restare in città è praticamente un suicidio. E un buon capo deve essere in grado di capire quando è il momento di ritirarsi.»

***

O’Neill tagliò una piccola fetta di torta farcita e la assaporò con calma, sperando che quel trionfo di gusto alleviasse i suoi tormenti.

Danray era tornato con una mano rotta dopo il suo attacco alla base della BBS: non era la prima volta che veniva ferito durante una missione, ma non si aspettava una simile complicazione. Evidentemente Leona Asterion era perfino più forte di quanto avessero ipotizzato.

Sospirò, afflitto. Non per via del licantropo – ormai le sue ferite erano già state sanate –, ma per la depressione di cui soffriva da anni. Il suo era un malessere subdolo e perpetuo dovuto ad una combinazione di fattori che andavano dalla monotonia della sua routine quotidiana fino al divorzio dalla donna che amava e alla conseguente impossibilità di vedere suo figlio.

Dopo la fine della guerra civile alcuni suoi subordinati gli avevano suggerito di prendere parte agli scontri per la spartizione dei territori e lui aveva deciso di assecondarli, sperando che quella nuova campagna lo aiutasse a lasciarsi alle spalle la fine del matrimonio.

La presa di Traumburg era stata festeggiata come un grande successo, si era illuso che il potere avrebbe guarito le ferite del suo cuore, ma l’effetto era durato poco. L’idea di consolarsi col cibo era maturata solo qualche tempo dopo, e con essa la sua pancia prominente. Lui infatti era un supersoldato geneticamente modificato, il suo corpo necessitava di molto più cibo di un elfo normale, tuttavia il suo stile di vita sedentario non gli permetteva di bruciare tutta l’energia che assimilava.

Guardò fuori da una finestra, scrutando i palazzi oltre la cinta di mura che proteggeva la sua villa.

Gli abitanti di Traumburg credevano che Aaron O’Neill fosse solo un grasso elfo pigro e menefreghista che manteneva il potere solo grazie alla forza dei suoi subordinati, e probabilmente avevano ragione. Non gli importava nulla della città e di tutto il resto, l’unico motivo per cui difendeva la sua posizione era la quantità enorme di denaro che ne ricavava, alimentata da piccoli incrementi sui prezzi dell’energia, dell’acqua potabile, dei trasporti, dei commerci e di tutto quanto avveniva in città. Tutti quei soldi gli permettevano di vivere nel lusso, in attesa che arrivasse qualcuno abbastanza forte da porre fine alla sua esistenza miserabile.

Già, ormai non aspettava altro che la morte, ma il suo istinto di soldato lo portava a fare di tutto per rimandare l’inevitabile.

Mise in bocca l’ultimo pezzo di dolce, quindi lasciò che il suo maggiordomo robotico portasse via il piatto vuoto.

Danray non era un tipo che esagerava, quindi se aveva definito Leona “un mostro alla Hannibal”, voleva dire che la felidiana era davvero abbastanza forte da rivaleggiare con il suo asso nella manica, il Mostro Bianco.

Incrociò le dita sulla pancia piena e chiuse gli occhi, abbandonandosi sull’alto schienale della poltrona imbottita.

Il suo responsabile dello spionaggio lo aveva informato che la felidiana e i suoi uomini avevano lasciato la città, ma il suo istinto di soldato gli suggeriva che quella fosse solo un’abile strategia per fargli abbassare la guardia.

Era davvero curioso di scoprire la prossima mossa della sua avversaria.



Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo sono emersi diversi nuovi dettagli sui protagonisti, inoltre i Boia Tagliagole sembra siano destinati ad uscire di scena (ma non spariranno del tutto, avete la mia parola!). A proposito: quanti si immaginavano che Kael e Leona avevano quasi la stessa età? :P

Finalmente ho anche presentato un po’ meglio il “vero cattivo” della storia. Spero che i suoi drammi esistenziali vi abbiano sorpreso almeno un pochino.


Ora un paio di “comunicazioni di servizio”: ho rinominato la reeb in birra (tanto la birra si può fare con qualsiasi cereale) e ho rinominato le Arti di Combattimento in arti marziali (perché alla fine sono praticamente sinonimi).


Bene, per il momento è tutto.

Appuntamento a metà marzo per il prossimo capitolo (è ora di passare all’attacco!).


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Capitolo 16
*** 15. Zanne snudate ***


15. Zanne snudate

Era notte fonda – in tutti i sensi – e l’atmosfera per le vie di Traumburg era quella abituale: in giro si vedevano solo pochi passanti ubriachi che barcollavano qua e là, attirati come falene dalle sgargianti insegne luminose dei locali notturni. Di tanto in tanto si udivano anche spari o scrosci di incantesimi: quando calava l’oscurità le dispute fra bande diventavano improvvisamente più accese, ogni gruppo cercava di approfittare della minore visibilità per espandere il suo piccolo territorio senza che O’Neill se ne accorgesse.

Il numero degli scontri aveva subito un’impennata improvvisa cinque giorni prima, quando si era sparsa la notizia che alcune bande di Traumburg e non solo si erano alleate per togliere di mezzo l’ex militare. Molti criminali si erano illusi di poterne approfittare per aumentare il proprio potere, ma ben presto tutti avevano capito che si trattava solo di un fuoco di paglia: il tentativo di spodestare l’elfo era fallito prima ancora di cominciare e i membri dell’alleanza erano stati uccisi uno dopo l’altro. Ormai nessuno ci pensava più e la flebile speranza che si era accesa fra i cittadini comuni era stata presto spazzata via: nessuno era in grado di sconfiggere il padrone della città.

Un rumore inconsueto interruppe la routine della notte, attirando l’attenzione di un paio di vagabondi sbronzi: si trattava di un vecchio furgone fluttuante in arrivo in città, forse proveniente da uno dei vicini centri abitati. Le sue linee erano robuste ma aerodinamiche, assicurandogli dei consumi contenuti senza però rinunciare ad un versatile spazio di carico. Sfruttando una o più tasche dimensionali sarebbe stato possibile fargli trasportare quasi ogni cosa.

Un uomo impegnato a fumare su una panchina tutta imbrattata seguì con la coda dell’occhio il veicolo. «Qui Sephiril: sta passando adesso.»

«Ragazzi, ho visto il furgone» segnalò un insettoide appostato fuori da un locale.

«State pronti, è diretto verso di voi» disse una terza persona, questa volta posizionata su un tetto, anche lei rivolta ai suoi compagni nascosti più avanti.

Il furgone, lanciato nella sua corsa, riuscì a superare un incrocio, poi un rumore sfrigolante inondò l’aria. Il veicolo sterzò di colpo, inclinandosi vistosamente, e il missile impattò con il terreno. Una sfavillante esplosione azzurra illuminò la strada, densa di energia elettrica, ma la barriera che proteggeva il veicolo brillò a sua volta nel tentativo di neutralizzarla. Il furgone arrancò per qualche metro, raschiando la strada polverosa e minacciando di spegnersi, poi però si riprese e recuperò un assetto stabile.

Ma gli ostacoli non erano finiti: meno di cinquanta metri più avanti, un’altra banda aveva piazzato le sue hovercar truccate, convinta che questo avrebbe fermato il mezzo. Il furgone cominciò a decelerare, forse per tornare indietro e cercare un’altra strada, invece proprio in quel momento qualcosa si fiondò sul posto di blocco: si trattava di una creatura di almeno quattro metri dotata di una muscolatura spropositata, tale che con la sola forza delle braccia lanciò via le hovercar e si piazzò davanti al mezzo in arrivo.

«Uccidete quello stronzo!» gridò qualcuno dal ciglio della strada, presumibilmente il proprietario di una delle vetture.

Un gruppo di persone si fiondò sul mostro e tra loro esplose subito un acceso scontro, tale che il veicolo fluttuante riuscì a passare oltre zigzagando tra incantesimi e oggetti scagliati in ogni direzione.

«Svelti, è la nostra occasione!» ordinò il capo di un’altra banda ancora. «Dobbiamo prendere quel fottuto furgone!»

Non era chiaro quanti fossero i gruppi di criminali intenzionati a depredarlo, ma una cosa era certa: ognuno di loro avrebbe preferito rinunciare al bottino pur di non farlo avere agli altri.

Il motivo di questa brama famelica era molto semplice: stando alle voci circolate in città, quel veicolo trasportava un numero imprecisato di Tatuaggi Chimerici, dei costosissimi sigilli magici che davano a chiunque la capacità di trasformarsi in una bestia dagli straordinari poteri. Non era emerso il nome del proprietario di quel ricco bottino, quindi molte bande di fuorilegge avevano pensato che quella fosse l’occasione ideale per fare un notevole salto di qualità.

Il furgone blindato superò di slancio uno schieramento di uomini armati, incurante delle raffiche di proiettili dirette contro il suo scudo, e continuò imperterrito la sua corsa. Il peggio sembrava ormai passato, ma proprio in quel momento un proiettile luminoso esplose a pochi metri dal veicolo: la barriera resistette, ma l’onda d’urto fu talmente forte da farlo piegare di lato fino a ribaltarlo.

Nel giro di pochi secondi i criminali interessati al saccheggio si radunarono intorno al mezzo di trasporto, minacciandosi a vicenda fino a trasformare l’anello di persone ringhianti in una rissa tutti contro tutti. La situazione sembrava ormai irrecuperabile, invece bastò un’esplosione di luce abbagliante per placare anche gli animi più caldi.

Un uomo dalla pelle ramata approfittò di quel momento di quiete per superare il cerchio di fuorilegge e piazzarsi davanti al furgone. Aveva le iridi rosse come il sangue, messe inevidenza dal trucco intorno agli occhi. Portava il pizzetto e le sue dita terminavano con dei minacciosi artigli. Ben presto alcuni criminali lo riconobbero e subito indietreggiarono: girava voce che negli ultimi giorni quel tipo avesse sterminato da solo i Boia Tagliagole e altre due bande di quartiere per un totale di almeno settanta omicidi.

Nel giro di pochi secondi altri uomini di O’Neill si fecero avanti, formando un secondo anello più piccolo intorno al veicolo per impedire a chiunque di avvicinarsi.

L’atmosfera era asfissiante e nessuno osava prendere la parola. L’uomo dagli occhi truccati stava per aprire bocca, quando la portiera del furgone si aprì e due orecchie bionde ondeggiarono nel silenzio.

«Lo dicevo che avrebbe funzionato!» esclamò Leona guardandosi intorno. Si arrampicò fuori dall’abitacolo e si piazzò in piedi sulla fiancata del veicolo, così che tutti potessero vederla. Indossava il suo giubbotto antiproiettile, dei pantaloni neri fatti con le stesse fibre super resistenti e degli altrettanto robusti anfibi. Non portava più la sua treccina, ma tre treccine aderenti che le attraversavano il lato sinistro del capo per poi unirsi al resto dei capelli. «Mi spiace ragazzi, ma non trasportiamo un cazzo. E se non ci credete, guardate pure.»

Il bagagliaio si aprì, ma come promesso da esso uscirono solo Kael e un seccato Alphard intento a massaggiarsi la testa. Anche loro indossavano dei completi neri da battaglia, probabilmente acquistati duranti la loro assenza da Traumburg. Quello di Kael comprendeva anche un casco, l’ibrido invece – forte delle sue incredibili capacità rigenerative – aveva preferito privilegiare i suoi sensi.

«Chi cazzo sei tu?!» gridò qualcuno.

«Io sono Leona Asterion, della Brigata delle Bestie Selvagge. Siamo stati noi a spargere la voce che questa notte sarebbe passato un furgone pieno di Tatuaggi Chimerici. E l’abbiamo fatto per un motivo: questa notte noi attaccheremo la villa di O’Neill! Questa notte noi uccideremo O’Neill! Se avete il fegato per essere qui, forse sarete anche così folli da unirvi a noi!» Allargò le braccia, come per tendere le mani a tutti i criminali radunati intorno a lei. «Prima dell’alba questa città sarà libera. Sarete voi a liberare questa città?»

A quel punto si sarebbe aspettata – o meglio sperava – di sentire grida di esultanza, invece cadde il silenzio.

«Non riuscirete mai ad entrare nella villa» le fece notare il tartariano dagli occhi truccati. Il suo tono non era autorevole o minaccioso: sembrava più una rassegnata constatazione.

La felidiana sorrise con aria saccente. «Questo lo vedremo.»

Un grido alle sue spalle attirò l’attenzione generale. Un robusto orco si avventò su di lei e la colpì alla testa con una possente spada. L’impatto fu talmente violento che i piedi della giovane affondarono leggermente nella portiera corazzata e il furgone scivolò in avanti di quasi mezzo metro.

Alcuni capelli biondi cominciarono a cadere verso il basso, lentamente, seguendo i sospiri del vento. Nessuno osava fiatare.

Leona si voltò senza smettere di sorridere. «Bel colpo.» Afferrò l’arma e con un calcio scaraventò via il subordinato di O’Neill. Senza il minimo sforzo piegò a metà la lama, dopodiché la piegò una seconda volta, rendendola non più lunga della sola impugnatura. Ma non poteva ancora dirsi soddisfatta: la ripiegò su se stessa una terza volta, deformando completamente anche l’elsa, a quel punto la schiacciò tra le mani fino a trasformarla in una palla di metallo irriconoscibile.

Con un gesto annoiato getto via ciò che restava della spada. «Qualcun altro?» chiese guardandosi intorno, scrutando i presenti per poi concentrarsi sull’uomo dalla pelle ramata.

Questi rimase in silenzio, reggendo il suo sguardo con espressione seria, poi sbuffò sonoramente e sollevò le braccia in un gesto di stizza. «Ah, chissenefrega, me ne torno sul mio pianeta. Mi sono rotto i coglioni di farmi il culo per quell’idiota!» Fece qualche passo, poi si voltò senza smettere di camminare. «Ehi, bionda! Di’ a quello stronzo che Perséy El Sariq lo manda a ‘fanculo!»

La felidiana, che si era preparata a molte situazioni ma decisamente non a quella, rimase in silenzio. «Eeh…» Si voltò verso Gardo’gan, che con qualche difficoltà era uscito a sua volta dall’abitacolo, ma poi si ricordò degli sguardi puntati verso di lei: doveva dimostrarsi forte, doveva far capire a tutti i presenti che non aveva paura di nessuno. «Perché non glielo vai a dire tu?»

Perséy, che aveva quasi superato l’anello di criminali, si fermò di colpo nel sentire quella provocazione. Lentamente si voltò, sfidando con i suoi intensi occhi rosso sangue quelli color bronzo della felidiana. Ma lei non esitò, non abbassò lo sguardo, non dimostrò la minima traccia di paura. Forse lei non lo conosceva, però nemmeno lui poteva dire di conoscere lei.

«D’accordo,» affermò a gran voce, «fa’ come ti pare.» E senza aggiungere altro se ne andò.

Leona, che non aveva abbassato lo sguardo un solo istante, riuscì finalmente a rilassare i muscoli, e la coda riprese a muoversi con naturalezza. Sfidare in quel modo il tartariano le aveva fatto sudare freddo; non perché avesse paura di affrontarlo, bensì per il timore di dire qualcosa di sbagliato e di minare così la sua credibilità davanti a tutti quei criminali.

Dato che la ricerca di alleati in maniera “classica” aveva avuto come unico risultato quello di ricevere in casa un sicario, lei e i suoi compagni avevano deciso di provare con un metodo più indiretto come attirare le bande di Traumburg con il miraggio di un facile e ricco bottino. La prima parte del piano aveva funzionato, ora però doveva convincere quella feccia ad attaccare la villa di O’Neill insieme a loro.

«Andiamo, ragazzi» ordinò la felidiana in direzione dei suoi compagni. Saltò giù dal furgone e si avviò con passo deciso verso la residenza dell’elfo. «Abbiamo una città da liberare.»

Gli uomini dell’ex militare, visibilmente preoccupati, si fecero subito da parte al passaggio delle Bestie Selvagge, così come i criminali schierati poco più indietro.

Il fatto di indossare dei vestiti dello stesso colore e della stessa marca non faceva che sottolineare ulteriormente il loro essere compagni, uniti per raggiungere lo stesso obiettivo. Tra i quattro, quella che spiccava di più era sicuramente Leona: il suo giubbotto era l’unico senza maniche, come a voler mettere in risalto il bracciale dorato che portava al braccio destro.

«Non ti voltare» esalò Kael dopo una decina di metri.

La giovane riportò in avanti sguardo e orecchie. «Non mi stavo voltando!»

Alphard, dimentico dei capelli cortissimi, fece uno scatto col capo. «Cominciano a muoversi» affermò con un sorriso soddisfatto. Grazie alle sue percezioni non aveva bisogno degli occhi per avvertire distintamente la massa di persone alle sue spalle. «Ci stanno seguendo.»

Uno dopo l’altro, lentamente e a distanza, i vari gruppi di fuorilegge si stavano incamminando sulla stessa strada delle Bestie Selvagge. Il fatto di aver tenuto testa a Perséy El Sariq aveva sicuramente fatto guadagnare punti a Leona e ai suoi compagni, ma tra vincere una sfida di sguardi e conquistare una base militare c’era una bella differenza.

In ogni caso erano tutti curiosi di dare almeno un’occhiata: se davvero c’era una possibilità di togliere di mezzo O’Neill una volta per tutte, allora valeva la pena rischiare.

***

«Signora, sono qui!» esclamò l’anfibiano[28] con un tatuaggio sul viso. «Sono molti di più del previsto!»

«Avvisate tutti quanti, li voglio qui il prima possibile!» ordinò l’ailurantropa[29] dal viso paffuto.

«L’avviso è stato inoltrato a tutti gli uomini, ma ci vorrà del tempo perché siano pronti a combattere» riferì un’intelligenza artificiale.

«Non importa, possiamo resistere per un po’ tempo» affermò la donna. «Lo scudo energetico è progettato per difenderci anche ad un bombardamento, non riusciranno a superarlo tanto facilmente.»

«Lo scudo energetico è stato spento!» gridò qualcuno, mostrando fin troppo apertamente la sua preoccupazione.

«Anche le torrette sono state disattivate» segnalò la IA. «La base è vulnerabile.»

«Come?! Non è possibile!»

«Qualcuno deve averli disattivati dall’interno. Al momento è impossibile effettuare il riavvio.»

L’ailurantropa si esibì in una sequenza di imprecazioni piuttosto varie e colorite. «Non possiamo resistere senza lo scudo. Qualcuno deve svegliare O’Neill e dirgli di inviare immediatamente il Mostro Bianco!»

«Ma, signora… O’Neill non vuole essere disturbato mentre dorme» provò ad obiettare una ragazza dal fisico gracile, tanto che i suoi occhi sembravano ancora più grandi e spaventati.

«Se O’Neill non interviene, saranno loro a svegliarlo! Dubito fortemente che la cosa gli farebbe piacere, o ha un’idea migliore?»

La giovane si affrettò a scuotere il capo.

«Allora vai subito a svegliare O’Neill!»

***

Aaron O’Neill, già sveglio a causa della battaglia appena scoppiata nel cortile, vide comparire l’ologramma della sua IA personale.

«Qualcuno sta attaccando la base» lo informò la ragazza virtuale con voce tranquilla. «La signorina Taryyn chiede di inviare immediatamente il Mostro Bianco per contenere i nemici fintanto che tutti gli uomini non saranno pronti.»

L’ex militare si concesse uno sbadiglio assonnato. Quella situazione lo aveva riportato indietro di molti anni – e anche di molti chili –, quindi una parte di lui era intimamente felice dell’attacco. «E lo scudo?»

«Pare sia stato disattivato dall’interno. Anche le torrette sono state spente.»

Il grasso elfo serrò la mascella. «Ho capito. Apri un canale verso la stanza di Hannibal.»

«Subito, signore.»

La IA si mise al lavoro e in un attimo apparve uno schermo olografico raffigurante un ambiente ampio ma cupo, privo di finestre e rischiarato solamente dalla flebile luce di uno monitor.

«Hannibal,» chiamò O’Neill con voce improvvisamente marziale, «ci sono degli intrusi nella base: uccidili tutti.»

Due occhi si accesero nella semioscurità. Si udì un ansare animalesco, poi delle parole pronunciate con voce incerta, poco più di un latrato: «Uccidi… tutti…»

Un allarme risuonò nella stanza e il soffitto cominciò ad aprirsi, rivelando che il locale era in realtà un piccolo hangar dove, in tempo di guerra, sarebbe stato possibile nascondere un veicolo per le emergenze. A giudicare dai segni di artigli e sangue incrostato sulle pareti, da tempo svolgeva una funzione ben diversa.

Hannibal sollevò il capo e dopo tanto tempo i suoi occhi chiarissimi rividero il cielo. Le sue orecchie canine si riempirono del fragore della battaglia, risvegliando i suoi istinti predatori.

Una chiostra di zanne aguzze brillò vorace alla luce delle stelle.



Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come promesso, è finalmente arrivato il momento di attaccare la villa!

In qualche modo le Bestie Selvagge sono riuscite a coinvolgere altre bande nella loro impresa, ma il difficile deve ancora venire.


A proposito, che ne pensate del nuovo look di Leona? Era da un po’ che volevo farla con le treccine aderenti, e ho pensato che nei giorni lontana da Traumburg ha avuto tutto il tempo per cambiare acconciatura XD

Sempre sul tema acconciatura, Alphard ha i capelli corti perché quelli gli crescono normalmente (ho aggiunto il chiarimento nel capitolo precedente).


Anche per oggi è tutto, appuntamento al prossimo capitolo (dove finalmente vedremo in azione il micidiale Hannibal!).

Grazie per aver letto e a presto!


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[28] Specie originale di TNCS. Il termine richiama gli anfibi (Amphibia nella classificazione scientifica).

[29] Specie originale di TNCS. Il nome deriva dalla fusione delle parole greche ailouros (gatto) e anthropos (uomo).
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

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Capitolo 17
*** 16. Un mostro invincibile ***


16. Un mostro invincibile

La villa di O’Neill era stata costruita poco dopo l’inizio della guerra civile e si trovava vicina al centro di Traumburg, così da poter controllare e difendere l’intera città. Molti degli edifici limitrofi erano stati distrutti dai bombardamenti, ma dopo la fine delle ostilità erano stati rapidamente ricostruiti, così da rendere l’ex base militare il cuore nevralgico di Traumburg.

Quella che all’inizio era stata il simbolo della vittoria indipendentista, ben presto si era trasformata la roccaforte del padrone della città, adesso invece era il teatro di un’aspra battaglia in nome di una nuova libertà.

Gli inquilini dei palazzi vicini non potevano non sentire il fragore dello scontro, ma nessuno osava sporgersi dalle finestre. Tutto quello che potevano fare era aspettare e sperare.

«Presto, fermateli! Fermateli!» gridò un centauro dal manto focato, probabilmente il responsabile di turno della difesa del cortile.

Alcuni uomini di O’Neill provarono a fare come ordinato, ma a Leona bastarono un paio di pugni per neutralizzarli e scaraventarli tra le aiuole curate. La maggior parte di loro indossava delle protezioni più o meno efficienti, ma quasi nessuno sembrava preparato per una vera battaglia.

Con la cupola energetica disattivata, lei e i suoi compagni non avevano avuto difficoltà a superare le mura difensive che circondavano la villa e avevano dato inizio l’attacco. Gli altri criminali però non si erano ancora uniti allo scontro. Per incentivarli sarebbe stato utile aprire il cancello, ma il subordinato di O’Neill che avevano corrotto non aveva ancora provveduto. Non avevano il tempo per sbloccare i battenti con la forza, e provare a aprire una breccia nelle mura sarebbe stato altrettanto difficile: il primo era fatto di vari strati di metallo, leghe e altri composti sintetici capaci di resistere perfino ad una bomba a disgregazione; la spessa muraglia invece poteva vantare la stessa ossatura, a cui abbinava un rivestimento di super-cemento, un materiale trattato chimicamente per renderlo praticamente indistruttibile.

«Certo che, se quello non si sbriga, se la sogna la seconda parte dei soldi!» esclamò Alphard dopo aver eseguito un impeccabile affondo.

Dopo varie riflessioni – e considerando il budget limitato – aveva deciso di rinunciare all’idea di comprare un’altra arma mutaforma, rassegnandosi ad usare una ben più economica spada d’energia. Non avendo una lama fisica, il peso era pressoché nullo e questo gli causava ancora qualche problema, inoltre con un’arma simile non poteva limitarsi a “colpire di piatto” un avversario privo di protezioni.

«Chissenefrega! Se ci sbrighiamo, possiamo entrare nella villa senza nemmeno bisogno di aiuto» affermò Gardo’gan con un feroce sorriso.

Ormai si era completamente ripreso dalla ferita infertagli da Danray, inoltre negli ultimi cinque giorni si era allenato molto per riabituarsi ad utilizzare l’Armatura Invisibile. Tale tecnica, unita al casco e alle fibre antiproiettile del suo nuovo completo, lo rendevano praticamente immune agli attacchi. La sua uniforme da battaglia era molto simile nell’aspetto a quelle dei suoi compagni, ma in realtà il suo prezzo era di gran lunga più elevato, infatti poteva adattarsi ai suoi cambi di dimensione senza risentirne minimamente in termini di efficienza.

Un cupo rumore meccanico attirò l’attenzione dei presenti e quasi tutti gli sguardi si concentrarono sul massiccio portone, che lentamente cominciava ad aprirsi.

«Alla buon’ora!» esclamò Alphard intercettando senza nemmeno guardare una scarica di elettricità. Si voltò di scatto e con la telecinesi spinse via il responsabile dell’attacco.

Leona, un braccio stretto intorno al collo del centauro per fargli perdere i sensi, osservò la massa di criminali che si riversavano urlando nel cortile della villa – che tra l’altro sembrava proprio lo sfarzoso giardino di una residenza nobiliare. Molto probabilmente la maggior parte di loro era addirittura peggiore degli uomini di O’Neill, per questo non si sentiva in colpa pur sapendo che molti non sarebbero usciti vivi da quello stesso cancello.

Fin dall’inizio la giovane aveva cercato degli alleati per attaccare la villa, ma una parte di lei temeva di mandare a morte certa delle persone che in fondo volevano il bene della città. Per questo, quando aveva scoperto che Ulysses desiderava trasformarla in una marionetta, ne era stata quasi felice: il fatto che lui volesse tradirla l’avrebbe fatta sentire meno in colpa nel caso lui non fosse sopravvissuto alla battaglia, e lo stesso valeva per i criminali con cui il treant si era messo in società.

La felidiana lasciò andare il responsabile della difesa, ormai privo di sensi, e fece un balzo di qualche metro. Un rumore la mise in allerta, sollevò le braccia e la statua scagliata contro di lei andò in mille pezzi. Non fece in tempo a individuare il responsabile dell’attacco che Kael lo aveva già colpito con un impulso stordente.

Al contrario dei suoi tre compagni, il coleotteriano si era appostato sulle mura e da lì poteva sparare quasi indisturbato. Data la sua visuale privilegiata, spettava a lui il compito di avvisare gli altri di eventuali attacchi a sorpresa o problemi in arrivo, ma per il momento non aveva ancora proferito parola.

«Gli uomini di O’Neill cominciano a ritirarsi» annunciò con la sua voce spettrale.

«E allora sbrighiamoci ad entrare, prima che arrivino i rinforzi!» esclamò Gardo’gan.

Le tre Bestie Selvagge, approfittando del momento di confusione nei difensori, si affrettarono a raggiungere l’ingresso più vicino della villa, ma proprio in quel momento una sagoma attraversò il cielo, abbattendosi con violenza nel mezzo del giardino.

Proprio come avvenuto per i rumori del cancello, quasi tutti si voltarono in quella direzione, e improvvisamente gli aggressori persero la loro spavalderia.

Solo pochissime persone potevano dire di aver visto la Marionetta di O’Neill, il Mostro Bianco, e di essere sopravvissute, eppure la sua fama era tale che tutti quanti lo riconobbero immediatamente. Il suo aspetto ricordava quello di un grosso licantropo, probabilmente di tipo ghiottone a giudicare dal muso più simile a quello di un orso. Il suo corpo era muscoloso ma ingobbito, con una pelliccia abbastanza corta e priva di colore, rovinata in più punti da ferite anche recenti. E non si trattava di lesioni rimediate in battaglia, ma che lui stesso si era inflitto a causa del perenne stato di prigionia. Bastava uno sguardo ai suoi occhi chiarissimi per capirlo: erano gli occhi di un predatore costretto a vivere in gabbia che finalmente poteva cacciare le sue prede. E quel giardino era pieno di prede.

I subordinati di O’Neill, seppur felici per l’aiuto, si affrettarono ad allontanarsi, temendo di poter finire a loro volta tra le grinfie di quella belva assassina, capace solo di uccidere e divorare.

Hannibal sollevò il muso e chiuse gli occhi, fiutando l’aria. Sentiva così tanti odori nuovi che faticava a distinguerli, ma non poteva assaporarli come avrebbe voluto. Il suo cervello, incatenato dalla maledizione di schiavitù impressagli da Aaron O’Neill, non poteva esimersi dall’eseguire i suoi ordini.

Riaprì gli occhi, scrutando i presenti. «Uccidi… tutti…»

In pochi istanti individuò la sua prima preda: uno degli invasori, che in un lampo di coraggio – o forse di follia – aveva pensato di approfittare di quel momento di stallo per correre verso la villa e rubare tutto il possibile.

Il corpo di Hannibal venne attraversato da saette azzurrine, identiche a quelle della Folgore Fiammante, e in un lampo raggiunse la sua vittima. La afferrò con una mano e i suoi artigli ricurvi affondarono facilmente nella carne. Sollevò il malcapitato, che ad occhio e croce doveva pesare almeno ottanta chili, e con un morso gli staccò la testa. Una parte di lui avrebbe voluto divorarlo, assaporare il sangue caldo e assorbire ogni goccia della sua energia, ma c’erano così tante prede lì intorno, prede molto più forti e invitanti.

Di nuovo richiamò l’abilità della Folgore Fiammante e, come una saetta azzurra, si avventò su un altro invasore. Questa volta il criminale, molto più alto e robusto della precedente vittima, si difese con uno scudo di energia e riuscì anche a tagliargli una mano con la sua ascia dotata di lama al plasma. Hannibal ringhiò, più di rabbia che di dolore, e lo investì in pieno con un getto di fiamme azzurre.

Il Mostro Bianco era in grado di sfruttare qualsiasi abilità magica delle vittime che divorava, ma solo fino a quando non esauriva la loro energia. A quel punto però gli restava un’ulteriore carta da giocare: poteva alterare il suo corpo, sfruttando le caratteristiche fisiche delle sue prede e mescolandole fra loro, tuttavia non poteva acquisire nessun colore al di fuori di sfumature estremamente pallide.

Il suo avversario, che aveva usato di nuovo il suo scudo per proteggersi, vide il getto di fuoco estinguersi di colpo, ma di Hannibal nessuna traccia.

Si guardò intorno, concentrato, tuttavia fu dal basso che arrivò l’attacco: la creatura si era trasformata in un serpente e in un attimo si avvolse intorno al suo corpo, bloccandolo tra le sue spire. Ricreò le braccia, questa volta però non aveva artigli, bensì chele affilatissime con cui tagliò le mani della sua vittima, disarmandola. E subito dopo pose fine alla sua agonia.

Avrebbe potuto andare avanti così per sempre, ma voleva di più. Il suo istinto lo spingeva a cercare avversari sempre più forti, sempre più potenti, così da poterli divorare per crescere ancora.

Tornò alla sua forma base e piantò i suoi occhi chiarissimi su Gardo’gan: sentiva dentro di lui un notevole potere, e fremeva dall’idea di divorarlo. Di certo quel completo antiproiettile non l’avrebbe fermato. Partì alla carica, rapido come un fulmine, ma qualcosa lo colpì. Cadde a terra, affondò gli artigli per fermarsi, ma venne colpito di nuovo. Questa volta non indietreggiò, anzi rispose subito all’attacco allo stesso modo. E una lieve scarica di dolore lo avvisò che le ossa della sua mano si erano sbriciolate nell’impatto.

Leona, che con un braccio aveva bloccato il pugno, guardò dritto negli occhi il Mostro Bianco. «Tu sei mio.»

Hannibal la fissò dall’alto dei suoi quasi due metri e mezzo, e subito qualcosa si accese dentro di lui. Non aveva mai percepito un simile potere all’interno di un essere vivente, e improvvisamente cominciò a provare un’emozione nuova: era un misto di paura, gioia e frenesia che accelerava il suo metabolismo, affinava i suoi sensi e stimolava il suo cervello. Improvvisamente si sentiva più forte, più veloce, più resistente: avrebbe dato qualsiasi cosa per affrontarla, e ancora di più per divorarla.

La sua mano, rigenerata a tempo di record, scattò rapidissima, ma la felidiana bloccò i suoi artigli e lo colpì alla testa con un calcio volante. Il Mostro Bianco venne sparato via, il cranio a pezzi, incapace di reagire. Rovinò a terra come un manichino deforme, rotolò per diversi metri e poi si fermò.

Leona si avvicinò con cautela, certa che non sarebbe stato così facile sconfiggere il suo avversario. E infatti dopo pochi secondi Hannibal si mosse, le gravi ferite vennero sanate e lui si rimise in piedi.

Invece di danneggiarlo, era come se l’attacco lo avesse stimolato ulteriormente, e i suoi occhi brillavano con ancora più ardore.

I due combattenti si avventarono uno sull’altro, bloccandosi le mani a vicenda. Il Mostro Bianco sovrastava la sua avversaria con la sua mole, ma la felidiana sfruttò la sua agilità: fece un balzo e gli tirò un doppio calcio nel petto. Le costole della creatura scricchiolarono e le spalle uscirono dall’articolazione, ma lui non ci fece nemmeno caso. Con la sola azione dei muscoli riportò le braccia al loro posto, scatenò una scarica elettrica che folgorò Leona e allo stesso tempo sfruttò la velocità di quei lampi azzurri per scaraventarla via. La ragazza si schiantò contro la cinta muraria prima ancora di capire cosa stesse succedendo, e l’impatto fu talmente violento che alcune crepe si diramarono sulla superficie di supercemento.

Ma non era ancora finita. Hannibal piombò su di lei, talmente veloce da risultare quasi invisibile, e la colpì con un pugno inarrestabile dritto in pancia. Questa volta nemmeno il muro corazzato riuscì a resistere: dei grossi pezzi di supercemento si staccarono dalla superficie, l’ossatura metallica si deformò e una specie di grosso bernoccolo apparve sul versante esterno.

Il Mostro Bianco arretrò di qualche passo per riprendere fiato e rigenerare la mano rotta per il contraccolpo, gli occhi fissi sulla sua avversaria che cadeva a terra. Ma non rimase al tappeto per molto: dopo un paio di secondi la felidiana si rialzò e sputò a terra, ma si trattava solo di saliva.

Sollevò lo sguardo verso di lui, riuscendo addirittura a sorridergli. «Complimenti, era da un…»

La raffica di terra la investì in pieno, intensa e rabbiosa come il suo avversario. La giovane, colta di sorpresa, cercò di proteggersi, ma la violenza di quell’attacco l’aveva già scagliata di nuovo contro le mura. Serrò le labbra per evitare che qualcosa le finisse in bocca, poi balzò in avanti. In un baleno superò lo sbarramento di terra e con un pugno mirò al collo del Mostro Bianco. L’impatto, alimentato dall’aura della giovane, ampliò a dismisura il suo effetto, la carne venne strappata via dalla potenza del colpo e le ossa si sbriciolarono. In un istante l’onda d’urto si estese anche al resto del corpo, sparandolo indietro fino a farlo schiantare contro le pareti esterne della villa.

Gardo’gan, che combatteva ad una trentina di metri di distanza, avvertì distintamente il frastuono dello schianto, e come lui quasi tutti i presenti.

Si guardò intorno. «Ehi, Alphard!» esclamò, e la sua voce venne trasmessa dal comunicatore integrato nel suo casco. «Devi dirmi subito chi cazzo è suo padre!»

Lo spadaccino fece un inutile scatto col capo. «Eeh? Ma non gliel’hai ancora chiesto?»

«Mi sono dimenticato» tagliò corto il sauriano. «Allora?! Hai detto che non è una semidea, ma allora che cazzo sarebbe? Un supersoldato-ibrido-maledetto-e-chi-più-ne-ha-più-ne-metta?!»

«Beh, il supersoldato ibrido sarei io, lei invece è molto peggio, ma non è stata creata artificialmente.» Eseguì una pregevole parata e poi si esibì in un calcio volante dritto sul mento del suo avversario. «Forse non ci crederai, comunque lei fa parte di una specie estremamente rara, una delle forme di vita più potenti mai esistite nell’universo, per non dire la più potente in assoluto.» Si concesse un istante per osservare la giovane che tanto amava e ammirava. «Leona è una figlia dell’inferno.»



Note dell’autore

Ben ritrovati, e come sempre grazie per aver letto questo nuovo capitolo.

Oh, finalmente abbiamo potuto vedere Hannibal all’opera. Contro uno così, perfino Leona dovrà faticare per riuscire a sconfiggerlo.

E, a proposito di Leona, nel prossimo capitolo spiegherò cosa sono i figli dell’inferno, quindi non vi anticipo nulla ;)

A presto! ^.^


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Capitolo 18
*** 17. Figlia dell’inferno ***


17. Figlia dell’inferno

Secondo alcune leggende, in un tempo molto remoto esisteva un unico Regno Infernale, talmente grande da poter accogliere le anime dei defunti da ogni parte dell’universo. Ma col passare del tempo, il numero delle anime divenne troppo elevato, talmente grande da destabilizzare il Regno stesso, che cominciò a collassare. Si spaccò in due, poi si divise ancora, e si trasformò, riplasmandosi in innumerevoli Regni Infernali.

E fu allora che apparvero loro: i figli dell’inferno. Esseri nati dal potere della morte, e per questo impossibili da uccidere. La negazione stessa della morte.

Col passare del tempo, alcuni di loro scelsero di unirsi ai mortali. Come i genitori, anche i discendenti erano destinati a vivere per l’eternità, a elevarsi sopra le masse e a realizzare l’impossibile. Ma questo potere reclamava un prezzo. L’energia che passava al nascituro veniva presa direttamente dal genitore, che in questo modo sanciva la propria condanna a morte. Perché per un figlio dell’inferno l’unico modo di tornare al suo luogo d’origine è proprio quello di generare un erede.

***

Alphard si assicurò che il suo precedente avversario fosse incapace di causargli ulteriori problemi, dopodiché si diresse rapido verso la villa.

Leona se la stava cavando egregiamente contro il Mostro Bianco – e la cosa non lo stupiva minimamente –, quindi lui poteva approfittare della confusione per cercare di raggiungere gli appartamenti di O’Neill e porre fine a quello scontro.

Aveva quasi raggiunto l’ingresso quando una barriera di energia rosa gli sbarrò la strada. Si voltò di scatto, appena in tempo per evitare un getto di fiamme. Il flusso caldissimo bruciò il terreno, ma Alphard era troppo occupato a schivare per preoccuparsene.

Dopo pochi istanti individuò il responsabile, anzi la responsabile: era un’insettoide, o più precisamente un’imenotteriana[30] a giudicare dall’esoscheletro uniforme, sottile ed elastico, molto simile alla pelle dei mammiferi. Aveva quattro braccia e le sue antenne erano piumose come quelle delle zanzare, ma non era stato questo a rapire gli occhi dell’ibrido. La giovane donna aveva un corpo degno di una modella e riusciva ad essere sensuale anche con dei robusti abiti da battaglia. I pantaloni aderenti non mancavano di sottolineare il sedere sodo e le gambe eleganti, il seno era pieno – appena meno abbondante di quello di Leona – e si sposava magnificamente con l’addome slanciato e i fianchi morbidi. Come i suoi compagni doveva essersi precipitata lì in tutta fretta, infatti non era truccata e i capelli rosso scuro erano raccolti in una veloce coda di cavallo.

Alphard era così perso ad ammirare il corpo sensuale della sua avversaria, che lei riuscì quasi a colpirlo con un pugno di energia rosa.

«Ok, prima la batto, e poi le chiedo di uscire» si disse per cercare di recuperare la concentrazione.

Come molti imenotteriani, la sua avversaria disponeva di ali troppo piccole per volare, ciononostante era in grado di restare sospesa a mezz’aria, probabilmente grazie ad un’abilità magica o a qualche dispositivo. Doveva trovare un modo per ridurre la distanza.

Alphard saltò di lato per evitare una specie di grande martello rosa, quindi sfruttò la telecinesi per tirare la giovane verso di sé. L’imenotteriana venne colta di sorpresa e per qualche istante non riuscì a reagire, poi però unì le mani e creò un potentissimo getto di fiamme. Alphard spiccò un enorme balzo per riuscire ad evitarle, a quel punto lei ne approfittò per raggiungerlo e colpirlo a distanza ravvicinata con un enorme pugno di energia.

Lo spadaccino cadde a terra e l’arma gli sfuggì di mano. Lei non ci pensò due volte e si tuffò verso di lui. Alphard, che nonostante la botta si era già ripreso, attirò verso di sé la spada, la riaccese e la puntò contro l’imenotteriana, già pronta a scagliare una palla di fuoco.

I due rimasero bloccati, fissandosi a vicenda per capire chi avrebbe fatto la prima mossa. E quei pochi istanti bastarono a entrambi per riconoscere il viso dell’altro.

«Tu?!» esclamarono in coro.

L’ibrido non riusciva a credere che quell’affascinante imenotteriana fosse la stessa che aveva piantato in asso per origliare dell’Uovo dei Sindri. E a giudicare dall’espressione della subordinata di O’Neill, anche lei era alquanto stupita.

La donna lo fulminò con uno sguardo, imbronciando le labbra piene – cosa che Alphard trovò incredibilmente attraente. Gli tirò un pugno in faccia, disarmandolo nuovamente.

«Adesso mi guardi, eh, stronzo!»

L’ibrido sfoggiò un sorriso beffardamente incantevole. «Se avessi saputo che eri così focosa, non ti avrei staccato gli occhi di dosso.»

I capelli dell’imenotteriana, le cui punte sfumavano ad un rosso più acceso, presero fuoco e i suoi occhi verdi parvero diventare incandescenti. Alphard, seppur colpito e ammirato, questa volta non si lasciò distrarre, sollevò di colpo le gambe e ruotò sulle braccia come una trottola, gettandola a terra.

In un attimo attirò di nuovo la spada verso la mano, la riaccese, ma si bloccò un attimo prima di affondare il colpo. Inutile, era più forte di lui: non riusciva a fare del male ad una bella donna.

La sua avversaria, che invece non aveva alcun problema a fare del male ad un bell’uomo, creò un getto di fuoco, riuscendo a sparare via il suo avversario.

Lo spadaccino cadde a terra, ma per fortuna il gilet rinforzato aveva resistito al calore e solo la superficie era un po’ bruciacchiata.

«Ehi, Kael, ho bisogno di una mano! Devi stordire la mia avversaria.»

Non udendo risposta, lanciò uno sguardo verso il portone, temendo che il coleotteriano fosse troppo occupato per rispondergli o peggio, invece alcuni colpi arrivarono proprio da quella direzione.

«Dai, potevi anche rispondermi!»

«Non è finita» ribatté il coleotteriano, e la sua voce spettrale risuonò nella mente dell’ibrido, trasmessa dal suo olo-vice da polso.

Lo spadaccino, che pensava di aver risolto la questione, tornò a concentrarsi sull’imenotteriana. Le era bastato creare una barriera rosata per difendersi dai colpi, e altrettanto facilmente si liberò di un elfo che pensava di prenderla alle spalle.

«Wow, gnocca e pure tosta!» esclamò Alphard, sinceramente entusiasta. «Leona, questa dobbiamo averla!»

«Questa chi?» chiese la felidiana, che pur essendo impegnata contro un avversario del calibro di Hannibal, era in grado di trovare il tempo per chiacchierare.

«Che cazzo, ma vi sembra il momento di parlarne?!» li sgridò Gardo’gan.

I due, colti in flagrante, non osarono ribattere e si concentrarono sui rispettivi avversari.

Hannibal, che aveva approfittato di quei pochi secondi per riprendersi dall’ultimo colpo subito, completò la rigenerazione del braccio sinistro. Il terreno lì intorno era pieno del suo sangue e dei suoi arti strappati, quindi era facile intuire il motivo della sua stanchezza.

La felidiana, o meglio la figlia dell’inferno, aveva capito ben presto che i suoi colpi non potevano uccidere il Mostro Bianco, però tutte le ferite che gli infliggeva lo stavano costringendo a consumare sempre più energia. Il corpo del suo avversario si era addirittura rimpicciolito a causa delle continue mutilazioni: adesso superava di poco i due metri d’altezza ed era nettamente più magro.

Hannibal provò ad evocare la supervelocità della Folgore Fiammante, ma tutto quello che ottenne furono due flebili saette azzurrine intorno al busto. Era inutile, ormai aveva esaurito i suoi poteri, però quel giardino era pieno di guerrieri più o meno forti. Il senso della fame lo spinse a voltare le spalle a Leona, lanciandosi a quattro zampe verso la persona più vicina. Non gli importava che fosse anche quello un subordinato di O’Neill, si avventò su di lui e gli affondò le zanne nel collo, strappandogli di netto la testa.

Pochi istanti dopo la sua vera avversaria lo raggiunse, ma lui afferrò la sua preda e saltò qualche metro più in là. Prima che lei potesse attaccarlo di nuovo, spalancò le fauci a dismisura, inghiottendo la sua vittima in un sol boccone. Non ebbe nemmeno il tempo di chiudere la bocca che la figlia dell’inferno gli era già addosso e con rabbia gli tirò un pugno alla bocca dello stomaco. Il cadavere dell’uomo saltò verso l’alto, e quando Hannibal serrò le zanne, già metà del suo pranzo era stato rigurgitato.

«Non ti permetterò di divorare altre persone!» gridò Leona, furiosa.

Il Mostro Bianco, rinvigorito dalla carne fresca, scoprì le zanne insanguinate. Lo sguardo della sua avversaria gli faceva paura, avrebbe voluto scappare, ma gli ordini di O’Neill erano chiari. Spalancò le fauci e si avventò su di lei, un assalto istintivo che non avrebbe mai potuto funzionare.

Leona non arretrò, anzi attaccò a sua volta: si abbassò quel tanto che bastava ad evitare gli artigli del nemico e gli sferrò un pugno al centro del petto. Come già fatto in precedenza, bloccò la mano a pochi centimetri dal bersaglio, limitandosi a far fluire l’aura per ampliare esponenzialmente la regione dell’impatto.

Ricordava ancora molto bene le parole del suo istruttore quando per la prima volta le aveva accennato ad una simile tecnica di arti marziali: “Leona, con i tuoi pugni puoi bucare un muro senza difficoltà; ora ti insegnerò a distruggere l’intero edificio.”

Il risultato fu come sempre devastante: il corpo di Hannibal venne compresso da un’energia impressionante, le sue ossa si frantumarono all’unisono e il suo corpo sanguinante venne sparato via, talmente forte da passare sopra la villa.

Il trucco era semplice: invece di colpire direttamente il bersaglio, l’energia cinetica veniva fatta fluire insieme all’aura, così da ampliare notevolmente il raggio d’azione dell’attacco.

“Con questa tecnica è come se, invece di sparare un proiettile contro il tuo avversario, lo investissi con un camion.”

Il Mostro Bianco stava per superare anche le mura esterne, nel giro di pochi secondi si sarebbe schiantato contro un edificio, ma non poteva arrendersi. Chiamando a raccolta le ultime energie rimaste rigenerò quasi istantaneamente tutto il corpo, che si gonfiò all’improvviso come un palloncino. Scoprì le zanne sempre più aguzze, tese tutti i muscoli, e dalla sua schiena esplosero due grandi ali di piume bianche, forti ma allo stesso tempo lacere. Con dei vigorosi battiti fermò la sua letale parabola e riprese quota, studiando da lontano la sua avversaria.

Gli ordini di O’Neill erano di uccidere tutte le persone nel giardino, eppure non riusciva più a pensare a nessun altro al di fuori della figlia dell’inferno: nella sua lunga vita gli era già capitato di trovarsi in difficoltà, eppure non aveva mai incontrato un nemico tanto forte.

Quella che si stava consumando tra loro era una battaglia talmente intensa che era riuscita a risvegliare i suoi istinti più primordiali, impressi così a fondo nella sua mente che nemmeno la maledizione di O’Neill era in grado di imbrigliarli.

Fintanto che l’ex militare era in vita, non poteva in alcun modo sottrarsi ai suoi ordini, eppure per la prima volta dopo anni di schiavitù, si sentiva nuovamente libero.

***

«Aah, finalmente ce l’ho fatta!» ansimò Alphard.

Aveva dovuto faticare non poco per riuscire a mettere fuori gioco l’imenotteriana senza rischiare di rovinare quel suo corpo meraviglioso, però poteva dirsi soddisfatto del suo successo. Certo, se lei avesse accettato di unirsi alla BBS sarebbe stato ancora più felice, ma evidentemente la donna non pensava che l’ibrido e i suoi compagni sarebbero stati capaci di eliminare O’Neill.

Poco male, dopo aver tolto di mezzo l’ex militare, avrebbero provato nuovamente a reclutarla. Per una così forte e allo stesso tempo affascinante ne valeva la pena!

«Abbiamo un problema» annunciò Kael, distogliendo lo spadaccino dalle sue piccanti fantasie.

«Che genere di problema?» domandò Gardo’gan, che al contrario di Alphard era ancora concentrato sulla loro missione. «Spero non siano altri nemici, perché non so più dove lanciarli.»

«È arrivato Danray Leuw» affermò il coleotteriano.

L’ibrido non ebbe il tempo di chiedere la posizione della nuova minaccia perché proprio in quel momento un uomo in armatura atterrò con violenza al centro del giardino. A tutti i presenti bastò uno sguardo per riconoscere la fisionomia da licantropo e dedurre che quello era proprio Danray.

Lo spadaccino ruotò un paio di volte la sua spada. «Ok, di lui me ne occupo io.»



Note dell’autore

Ciao a tutti!

L’imenotteriana che era stata piantata in asso da Alphard ha fatto la sua (ri)comparsa, e di nuovo lo spadaccino è rimasto vittima del suo fascino (e come dargli torto? XD).

Lo scontro tra Leona e Hannibal intanto si fa sempre più violento, spero di aver reso bene la psicologia dei due contendenti. In ogni caso per vincere bisognerà annientare completamente l’avversario: o uccidi, o muori.

Ciliegina sulla torta: Danray Leuw è tornato, più arrabbiato che mai. Alphard ha tutta l’intenzione di vendicarsi per essere stato bruciato vivo, ma riuscirà a tenere vivi i suoi propositi?


Bene, anche per questo capitolo è tutto.

Grazie a chi legge e commenta, e buona Pasqua a tutti :D


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[30] Sottospecie originale di TNCS, appartenente alla specie degli insettoidi. Il suo nome deriva dall'ordine degli imenotteri (Hymenoptera), che comprende insetti come le api, le vespe e le formiche.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

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Capitolo 19
*** 18. Identità ***


18. Identità

Danray arrestò i sistemi di volo della sua nuova armatura e si lasciò cadere al centro del giardino, atterrando con tutta la violenza necessaria a mettere in chiaro la sua rabbia.

In un attimo i sensori localizzarono tutti i nemici all’interno delle mura e il licantropo ordinò di fare fuoco senza nemmeno preoccuparsi di verificare che qualche suo alleato non fosse stato erroneamente coinvolto. Dalla schiena e dalle spalle si aprirono dei piccoli scomparti lanciamissili che spararono in rapidissima successione più di quaranta colpi. Nel giro di pochi istanti si udirono le prime esplosioni e un indicatore gli segnalò che più dell’ottanta percento dei bersagli era stato eliminato.

Nonostante l’umore pessimo, riuscì a sorridere: aveva fatto bene a spendere di più per comprarsi un modello di primissima fascia come quello. La sua nuova armatura era una IronHeart Mk6, prodotta dalla Hellmatyar Corporation e così chiamata in onore del fondatore della società: Albion Hellmatyar[31], soprannominato appunto “Cuore di Ferro”. Aveva trovato delle ottime recensioni in proposito – soprattutto rispetto al mezzo fiasco della Mk5 – e in effetti quella nuova versione si stava dimostrando degna della sua fama. Il design era abbastanza classico, con piastre composite le cui forme erano studiate per garantire la massima mobilità senza ridurre minimamente la protezione. Gli armamenti erano quasi tutti a scomparsa o basati su cybercell[32] ad altissime prestazioni, il che contribuiva a dare all’armatura un aspetto solido ed essenziale: quello non era un prodotto da esibire nelle parate, ma da sfruttare nelle più terrificanti zone di guerra dell’universo.

«Ma tu guarda chi ha deciso di farsi vivo!» esclamò qualcuno andandogli incontro. «Ah, ma questa volta sarò io a rasarti a zero. E poi vediamo se avrai ancora voglia di farti vedere in giro.»

Danray, che era già stato avvisato della presenza del nemico, si voltò verso Alphard. «Vedi di non fare lo spiritoso. Mi stavo scopando una licantropa fantastica, quindi sono già abbastanza incazzato.»

Lo spadaccino aprì la bocca per ribattere, ma una forza improvvisa lo schiacciò a terra, così intensa da bloccargli il respiro. Non immaginava che l’armatura del suo nemico disponesse anche di un generatore di gravità artificiale.

«Questa volta mi assicurerò che il tuo cadavere resti tale.»

Il subordinato di O’Neill gli puntò contro un braccio, in un istante le cybercell costruirono una tozza bocca fa cuoco e il colpo partì. L’ibrido intuì che si trattava di una granata a ipercombustione come quella che lo aveva quasi ucciso cinque giorni prima e subito provò a scagliarla via con la telecinesi. L’ordigno si fermò a mezz’aria, fece per allontanarsi, ma subito dopo esplose, investendolo con il suo terrificante calore.

Danray questa volta non si illuse di aver ottenuto una facile vittoria, anzi rimase attento e concentrato, pronto a colpire nuovamente.

Sollevò il braccio sinistro e la lama di Alphard sfrigolò a contatto con il rivestimento energetico dell’armatura.

Il viso dell’ibrido era orribilmente sfigurato: la pelle si era sciolta, al punto che i bulbi oculari e i denti erano rimasti quasi del tutto scoperti. «Tua ‘adre non ti ha insegnato che non si ‘ruciano le hersone?!»

Il licantropo non perse tempo a rispondere, aprì la mano destra e lo sparò via con un raggio d’energia. Fece un passo verso il suo avversario, ma la sua IronHeart lo avvisò di una minaccia. Con un movimento repentino e pressoché automatizzato schivò il proiettile fisico. Il colpo impattò con il terreno ed esplose in una piccola vampata azzurra, lui intanto aveva già individuato il responsabile dell’attacco.

Kael vide una nuova bocca da fuoco che veniva plasmata sulla schiena di Danray e si affrettò a ripararsi. La raffica di proiettili esplosivi fece tremare le mura, ma era sicuro che nemmeno una simile potenza di fuoco sarebbe stata sufficiente a superare gli strati di supercemento. Non in tempi brevi per lo meno.

Senza perdere la calma premette un pulsante sul caricatore del suo Thareuss 14 e subito apparve uno schermo olografico. Trattandosi di un caricatore compresso multi-tasca, poteva scegliere il tipo di proiettile più adatto ad ogni situazione. Prima aveva provato con una munizione anti-armatura, abbastanza potente da penetrare la maggior parte delle corazze umanoidi. Il problema era che un proiettile così pesante – e costoso – non poteva essere sparato a raffica, quindi doveva optare per qualcosa di più semplice.

Dopo una rapida riflessione, decise di rinunciare ai proiettili fisici e di passare a quelli ad energia: con quelli sarebbe stato più facile sovraccaricare il rivestimento energetico della IronHeart di Danray.

Pronto a fare fuoco, cominciò a spostarsi di lato in attesa che il nemico smettesse di sparare. Una volta che il baccano si fu arrestato, rimase al riparo ancora qualche secondo, poi si alzò cautamente. Aveva fatto sbucare meno di mezza testa quando la raffica esplose di nuovo, ancora più rapida di prima, costringendolo ad abbassarsi.

Cominciò a pensare ad una nuova strategia, ma non ne ebbe il tempo perché i suoi sensori lo avvisarono di una minaccia in arrivo. Non riuscì nemmeno a spostarsi che una raffica lo investì dall’alto, minando la resistenza della sua armatura energetica. Si gettò a terra supino e aprì il fuoco. L’aggressore, un piccolo droide volante, quasi sicuramente era stato inviato da Danray per stanarlo: doveva sbrigarsi a eliminarlo.

Il robot evitò i primi colpi e continuò a sparare, poi però un proiettile al plasma lo prese di striscio, destabilizzandolo e rendendolo un facile bersaglio.

Kael non poté non tirare un sospiro di sollievo. Quel piccolo droide era riuscito a sovraccaricare la sua armatura energetica, e solo i vestiti antiproiettile gli avevano evitato una brutta fine.

Certo che la IronHeart Mk6 era davvero piena di risorse: non gli sarebbe dispiaciuto farci un pensierino dopo aver intascato la sua parte del bottino.

Alphard, più che apprezzare le mille risorse della nuova armatura della Hellmatyar Corporation, stava cominciando ad odiarle. Ogni suo attacco veniva prontamente neutralizzato, e i suoi tempi di guarigione non erano certo rapidi come quelli di Hannibal.

Il suo viso, ormai pressoché rigenerato, aveva perso la consueta allegria, lasciando il posto ad un’espressione seria e concentrata. Contro un avversario come Danray non poteva abbassare la guardia un solo istante, ma non si sarebbe tirato indietro. Non voleva che Leona fosse costretta ad uccidere anche il licantropo.

Lo spadaccino si lanciò in un attacco ravvicinato, mirando alle giunzioni dell’armatura. Il suo avversario bloccò facilmente i primi due attacchi, poi lo sparò via con un raggio d’energia.

«Questa volta ti sbudellerò e poi ti brucerò» affermò Danray. «Poi mi occuperò dei tuoi amici, e alla fine sistemerò anche la tettona. Nemmeno lei può battermi ora che ho quest’armatura!»

Alphard questa volta non rispose. Aveva completamente abbandonato il suo atteggiamento spensierato, focalizzandosi solo sul suo obiettivo: uccidere il nemico. E per sfortuna del licantropo, non era la prima volta che risvegliava questa parte di lui, a lungo sopita, ma mai dimenticata.

In passato l’ibrido aveva fatto cose orribili: i suoi creatori lo avevano fatto addestrare come un assassino e gli avevano ordinato di uccidere decine di persone, ma si era sempre detto che lo faceva per una nobile causa.

Certo, sua madre non avrebbe mai approvato la decisione che aveva preso, ma a quel tempo lei era già svanita nel nulla, abbandonando lui e sua sorella al loro destino…

La luce abbagliante gli ferì gli occhi, costringendolo a richiuderli immediatamente.

Dove si trovava? Gli sembrava di essere in un letto, ma come aveva fatto a finire lì? Ricordava solo che stava scappando da una banda di criminali. Sì, lui e sua sorella avevano cercato di derubarli, e…

Si alzò di scatto. Dov’era sua sorella!?

Il movimento improvviso gli fece venire il mal di testa, impedendogli di ragionare lucidamente.

«Tranquillo, Alphard, sei al sicuro» gli disse una voce femminile, calma e rassicurante. «Sei a casa.»

Quando finalmente la testa smise di pulsare e riuscì a metabolizzare quelle parole, si voltò di scatto verso la persona che aveva parlato. Era una donna, ma non era in grado di capire se fosse una persona vera, un androide o chissà cos’altro. «No, questa non è casa mia. E poi dov’è mia sorella? Noi… Noi eravamo insieme, ma poi…»

Si premette un palmo sulla fronte, incapace di recuperare i ricordi.

«Questa è casa tua. La tua vera casa» affermò la donna. «Qui è dove sei nato, Alphard. E anche tua “sorella” si trova qui.»

«È qui? E come sta?» Si guardò intorno, ma in quella stanza c’era solo lui. «Ti prego, fammi andare da lei!»

«Purtroppo è stata gravemente ferita. Guarda tu stesso…»

Una porzione di parete divenne trasparente, permettendogli di vedere un letto molto simile al suo.

Subito scese dal letto e corse in quella direzione per vedere meglio.

Sotto le lenzuola bianche riposava una ragazzina più o meno della sua età, una faunomorfa a giudicare dall’aspetto strettamente umanoide e dalle lunghe orecchie da coniglia. La riconobbe subito grazie ai corti capelli argentati e ai lineamenti eleganti, ma allo stesso tempo gli bastò uno sguardo alle macchine a cui era attaccata per capire che non stava affatto bene.

«Vi prego, curate anche lei!» esclamò Alphard, le lacrime agli occhi. «Vi prego!»

«Possiamo farlo, ma ad una condizione» affermò la donna, impassibile. «Per anni i tuoi creatori ti hanno lasciato vivere come un bambino normale, hanno fatto in modo che incontrassi una valkyrja nella speranza che lei ti crescesse e ti addestrasse, ma adesso vogliono vedere dei risultati più specifici. Sono qui per dirti che, se farai tutto ciò che ti verrà ordinato, tua sorella riceverà le migliori cure possibili. Sei disposto a fare qualsiasi cosa per lei?»

Il ragazzo si voltò di nuovo verso il vetro. Il solo vedere Lexene in quelle condizioni gli causava una terribile fitta al cuore, non riusciva ad immaginare niente di peggio. «Sì. Qualsiasi cosa.»

E aveva fatto davvero qualsiasi cosa, al punto che lei, dopo essersi svegliata, non gli aveva più rivolto la parola per deche intere.

“Lo sai che voglio entrare in polizia, ma come posso prendere in mano un distintivo, sapendo quante vite è costato questo corpo?!” gli aveva gridato contro tra le lacrime. “Tu non sei più mio fratello!”

Tra loro non c’era nessun legame di sangue, così come nessuno dei due ne aveva con la loro madre adottiva, eppure sentire quelle parole gli aveva spezzato il cuore.

Si era sentito svuotato, aveva perso la voglia di fare qualsiasi cosa. Era stato solo per l’insistenza dei suoi creatori se, tempo dopo, si era iscritto ad un’accademia dell’A&N. Come quasi tutti gli studenti, si era unito ad una squadra, ma nemmeno il suo talento nello sport riusciva ad entusiasmarlo.

E poi aveva conosciuto Leona. Il primo impatto tra la vivacità della felidiana e l’apatia dell’ibrido era stato alquanto burrascoso, poi però lei gli aveva raccontato quello che le era successo, di come Laila e Mesut Scahars l’avevano aiutata a superare la morte di sua madre, e gli aveva fatto capire quanto fosse determinata a fare lo stesso con lui.

Certo, anche adesso non era facile avere a che fare con la giovane – in certe situazioni agiva in maniera fin troppo istintiva e non sempre aveva chiaro in mente quello che voleva –, però si sentiva straordinariamente fortunato ad averla incontrata. Perfino i suoi creatori erano stati felici di scoprire che aveva deciso di aiutarla a fondare una gilda: essendo concentrati su altri prototipi più avanzati, non avevano più bisogno di lui, quindi si sarebbero accontentati di ricevere dei resoconti periodici sulle sue imprese.

L’ibrido bloccò una nuova raffica di Danray, poi si fiondò su di lui senza paura, deciso a toglierlo di mezzo una volta per tutte.

Lui era nato come un esperimento, sua madre aveva fatto di lui un cavaliere, poi i suoi creatori lo avevano reso un assassino. Ora invece si sentiva solo una Bestia Selvaggia, e avrebbe fatto di tutto per raggiungere il suo obiettivo insieme ai suoi compagni.

***

«Quanto ci vuole ancora per ripristinare le difese?!» esclamò l’ailurantropa dal viso paffuto.

«Ho eliminato tutti i malware e ordinato la chiusura del cancello; ancora pochi secondi e potremo ripristinare le torrette e la barriera» le assicurò uno dei presenti, connesso direttamente al computer che aveva davanti per massimizzare la sua rapidità di azione.

La responsabile della difesa fissò con impazienza il grande schermo olografico all’interno della sala di controllo. Dalla sua postazione aveva assistito impotente all’invasione dell’ex base militare, aveva visto cadere uno dopo l’altro tutti i subordinati di O’Neill, e anche adesso che Danray si era unito allo scontro, aveva il terribile presentimento che non sarebbe stato sufficiente. La forza dei nemici aveva messo in fuga quasi tutti quelli che non erano già stati sconfitti, Perséy El Sariq non rispondeva alle chiamate, e anche il terzo uomo di punta di O’Neill, Axel Rad-šatah, risultava irrintracciabile. Vedere l’impenetrabile cancello che si chiudeva le stava restituendo un minimo di speranza, ma per porre fine a quella crisi era indispensabile rimettere in funzione tutti i sistemi difensivi.

La procedura era quasi ultimata, quando la porta della sala si aprì.

L’ailurantropa si voltò di scatto, ma ciò che vide fu una figura irriconoscibile, coperta com’era da una tuta da combattimento integrale. «E tu chi cazzo saresti?!»

L’uomo – ammesso che fosse un uomo – non rispose. Sollevò il pollice e l’ordigno che aveva in mano si attivò: non si trattava di un esplosivo, bensì di un EMP ad alta potenza che spense di colpo tutti i sistemi elettronici nella sala di controllo, che piombò nel buio.

Quando le luci di emergenza si accesero, un fumo denso aveva riempito la stanza. Tutti i presenti erano accasciati a terra o riversi sulle tastiera, privi di sensi, e il misterioso intruso aveva già fatto perdere le sue tracce.



Note dell’autore

Ciao a tutti! (e scusate il ritardo ^.^")

Leuw e Alphard se le sono date di santa ragione (anche se in realtà l’ibrido più che altro le ha prese), inoltre ho finalmente svelato un altro dettaglio del passato dello spadaccino.

E che mi dite di questo misterioso figuro comparso nel finale? Si accettano scommesse su chi si nasconde dentro quella tuta XD


Sicuramente alcuni di voi se ne sono già accorti, comunque questa settimana ho pubblicato due capitoli, ma l’altro era lo stesso del mese scorso. Il fatto è che ho voluto dividere i capitoli tre e quattro (che mi sembravano un po’ troppo lunghi) e li ho fatti diventare tre aggiungendo un paio di pezzi nel nuovo capitolo 4. Un gruppo improbabile. Per chi fosse interessato, i pezzi nuovi sono dedicati a Kael e Alphard e sono subito dopo i pezzi di Leona e Gando’gun.


Come sempre, grazie per aver letto e al prossimo capitolo! :D


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[31] Una discendente di Albion Hellmatyar, Eslife Hellmatyar, è tra i protagonisti della saga Crystal Dust.

[32] Fusione delle parole inglesi cyber (cibernetico) e cell (cellula).

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Capitolo 20
*** 19. L’ultimo nemico ***


19. L’ultimo nemico

Alphard si abbassò per evitare la raffica di proiettili d’energia e corse in avanti, rapidissimo. Con uno scatto laterale evitò il raggio di Danray e lo colpì con un poderoso diagonale sotto l’ascella. La lama luminosa emise un bagliore improvviso a contatto con la barriera energetica della IronHeart, ma anche questa volta non riuscì a superarla e l’ibrido dovette nuovamente indietreggiare.

Era tutto inutile: per quanto si sforzasse, la sua arma non era abbastanza potente. Kael stava facendo del suo meglio per riuscire almeno a sovraccaricare lo strato d’energia che proteggeva l’armatura del licantropo, tuttavia anche lui stava avendo grosse difficoltà.

Danray, che poteva godere dell’ingente investimento fatto, non aveva nemmeno bisogno di impegnarsi per riuscire a difendersi dagli attacchi congiunti delle due Bestie Selvagge, inoltre i raffinati sensori lo informavano di tutto quanto accadeva intorno a lui.

Ora che il cancello era stato sigillato, le uniche minacce erano quelle già presenti all’interno del giardino, il che comprendeva Leona e i suoi compagni, più un paio di criminali che in quel momento stavano combattendo con Gardo’gan. Considerando le armi a sua disposizione ed escludendo Leona e Hannibal, il subordinato di O’Neill avrebbe potuto eliminare tutti i presenti con un solo colpo.

L’allarme di minaccia imminente lo avvisò di un improvviso assalto di Alphard e l’armatura si mosse da sola, intercettando la lama di energia. In una situazione diversa avrebbe fatto comparire i tonfa e si sarebbe divertito un po’ a duellare con lui – doveva ammettere che quell’ibrido era un eccellente spadaccino, forse anche più bravo di lui –, ma in quel momento non era proprio dell’umore adatto.

Con uno scatto bruciante lo colpì al mento, gli torse il braccio e gli tagliò la mano, a quel punto lo gettò indietro con un calcio. L’ibrido cadde a terra e Danray serrò la presa sull’impugnatura dell’arma nemica, facendola a pezzi.

Ormai non aveva più senso perdere tempo, l’avrebbe fatta finita una volta per tutte: attivò il generatore di ipergravità e in un attimo quasi tutto il giardino venne schiacciato da un’incredibile energia, talmente forte da bloccare a terra tutti i presenti, solo Leona – che aveva appena scaraventato Hannibal contro la villa – riuscì a restare in piedi.

Una volta immobilizzati i bersagli, delle saette chiarissime si diramarono dall’armatura di Danray, piombando inesorabili sulle rispettive vittime. L’energia travolgente squassò i malcapitati da capo a piedi, neutralizzando le apparecchiature elettroniche, bloccando gli impulsi nervosi e minacciando di fermare i battiti del cuore.

Un simile attacco richiedeva moltissima energia, ma era talmente potente da riuscire a sconfiggere un intero plotone senza nemmeno alzare un dito.

Il licantropo si guardò intorno compiaciuto. Era andata esattamente come aveva previsto: escludendo i due mostri, tutti i presenti erano riversi al suolo, e appena due di loro davano ancora segni di vita. Non gli restava che finirli, a quel punto si sarebbe occupato della figlia dell’inferno.

Leona, che quasi non aveva risentito dell’effetto della gravità aumentata e della folgore, sapeva bene di non avere un solo secondo da perdere: i suoi compagni non avevano speranze contro un avversario come Danray ora che disponeva di una IronHeart Mk6.

Ignorando la stanchezza, si preparò a scattare verso il licantropo, ma una specie di fischio destò la sua attenzione. Ebbe a malapena il tempo di muovere le orecchie e ruotare gli occhi che qualcosa la colpì in pieno sulla tempia. L’oggetto, che in realtà era ciò che restava di un mattone di supercemento, si spaccò in tanti frammenti più piccoli, mentre la figlia dell’inferno indietreggiò leggermente.

Sapeva perfettamente chi era il responsabile dell’attacco, per questo aveva già i denti in mostra quando si voltò verso la villa. Aveva fatto di tutto pur di ucciderlo – e le sue braccia coperte di sangue ne erano la prova –, eppure Hannibal si ostinava sempre a rialzarsi. Per alcuni lunghi momenti combattere con il Mostro Bianco l’aveva galvanizzata: finalmente aveva potuto scatenare tutta la sua forza contro qualcuno, si era liberata di buona parte della frustrazione di non poter mai combattere sul serio, adesso però quel sadico entusiasmo se n’era andato, sostituito da una rabbia cocente. Non poteva perdere altro tempo, non adesso che i suoi compagni rischiavano la vita.

Una zampa bianca emerse dal buco nella facciata della villa – la cui resistenza era paragonabile a quella delle mura che circondavano il giardino –, seguita poco dopo dalla testa della Marionetta. La fiera ansimava vistosamente, ma ancora non voleva arrendersi, non poteva farlo. Combattere con Leona l’aveva fatto sentire libero, ma si trattava pur sempre di una mera illusione: i suoi istinti potevano anche sfuggire dalla maledizione di O’Neill, ma il resto della sua mente era ancora prigioniero.

Facendo appello all’ultimo briciolo di forza che gli era rimasto, ricreò il suo grande paio di ali, poi fissò la sua avversaria. Non c’era bisogno di parole per capire quello che stava pensando.

Leona trasse un profondo respiro, poi serrò i pugni insanguinati. «Ok, facciamola finita.»

Hannibal lanciò un ruggito fragoroso, colmo di rabbia e frustrazione, così forte da poter essere udito anche all’esterno del giardino. Avrebbe voluto cancellare ogni cosa, avrebbe voluto restare da solo con la figlia dell’inferno, ma questo andava oltre le sue capacità. Sapeva che la sua fine era vicina, per la prima volta in vita sua stava tremando di paura, ma non si sarebbe fermato. Spiccò un balzo, spalancò le ali e si lanciò all’attacco, più veloce che poteva.

Non aveva mai considerato la possibilità di morire, per questo era così terrorizzato, però non sarebbe scappato, non si sarebbe tirato indietro, non avrebbe esitato. Nella sua mente devastata c’era posto per un solo pensiero: meglio morto che schiavo.

Danray si avvicinò con passo sicuro ad Alphard, osservando i suoi parametri vitali sul visore dell’armatura. Nonostante tutti gli attacchi subiti, il suo corpo riusciva ancora a trovare la forza per arginare le ferite più gravi e restare in vita.

«Devo ammetterlo, la tua resistenza ti fa onore» affermò il licantropo. Nella sua lunga esperienza da soldato e poi da fuorilegge, non gli era mai capitato di trovare un avversario tanto coriaceo, solo Hannibal avrebbe potuto superarlo. «Non sarebbe stato male averti come subordinato.»

Tese il braccio verso di lui e chiuse il pugno, in questo modo le nanomacchine si attivarono per comporre sulla parte superiore dell’avambraccio una nuova bocca da fuoco.

«Come promesso, questa volta mi assicurerò che il tuo cadavere resti tale.»

Stava per sparare, ma la sua armatura segnalò una minaccia incombente e di sua iniziativa spiccò il volo. Non ebbe però tempo di allontanarsi molto: dopo essere salito di un paio di metri ebbe come un singhiozzo e la sua ascesa si arrestò. Qualcuno lo aveva afferrato per un piede, e l’aveva fatto con forza tale da far collassare il rivestimento energetico e deformare la corazza composita. In una frazione di secondo venne ribaltato a mezz’aria e poi scaraventato verso il basso con un’energia tale da far tremare il suolo.

Confuso e stordito, vide una sagoma evidenziata sul visore, ma nemmeno la sua armatura ebbe il tempo di reagire: un colpo devastante lo centrò in pieno petto, talmente forte che nel terreno si aprì una voragine e lui ci sprofondò dentro. La villa tremò paurosamente, e lo stesso accadde ai palazzi del resto della città. A giudicare dal fragore proveniente da oltre le mura, alcuni degli edifici pericolanti non avevano retto a quella specie di sisma e uno dopo l’altro erano definitivamente crollati.

Leona, a cavalcioni sul pressoché inerte Danray, fissò il suo avversario con occhi colmi di rabbia. Per la seconda volta quel tipo aveva quasi ucciso i suoi compagni: non le importava se qualcuno avrebbe pianto la sua morte, lo avrebbe tolto di mezzo a qualsiasi costo.

Caricò il pugno, ma una voce conosciuta risuonò nella sua mente: «Ferma!»

Si bloccò nel riconoscere il timbro vagamente spettrale di Kael, e sentirlo per la prima volta preoccupato attenuò la sua furia cieca.

«Uccidi Leuw, ma non distruggere la città» proseguì il coleotteriano. «Staccagli la testa e falla finita.»

Nonostante tutto, quelle parole riuscirono a strapparle un mezzo sorriso: anche in una situazione del genere, l’insetto non aveva perso la lucidità e aveva ben chiaro in mente quale fosse la mossa più efficiente. Un po’ lo invidiava: lei sapeva di avere un temperamento piuttosto acceso, a volte quasi istintivo, quindi ammirava molto la sua implacabile freddezza.

Mettendo da parte le sue riflessioni, strinse le sue dita insanguinate sul collo di Danray, schiacciando l’armatura fino a decapitarlo. Nel vedere il getto di sangue che sgorgava dal collo, le mani cominciarono a tremarle e la coda cercò di insinuarsi fra le gambe. Sapeva di averlo ucciso a sangue freddo per quella che riteneva una buona causa, eppure non riusciva a reprimere un misto di paura e orrore. Ma probabilmente era meglio così.

«Cazzo, fai proprio paura!»

La figlia dell’inferno, coperta di sangue dalla testa ai piedi, si voltò di scatto. Trovandosi davanti Alphard, gli corse incontro per abbracciarlo. Era senza dubbio felice di rivederlo in piedi, ma in parte lo fece per se stessa, per dirsi che era tutto a posto e che non doveva aver paura della sua forza mostruosa. «Stai bene?»

L’ibrido si concesse qualche secondo per bearsi della sensazione del seno di Leona che premeva sul suo petto dolorante. L’emorragia al braccio si era fermata, ma ci sarebbe voluto ancora un po’ per far ricrescere tutta la mano. «Aah, adesso sì…»

Avvertendo un tremito di paura nell’animo della giovane, si decise a cingerla con più dolcezza, protettivo. Eccola, la Leona di cui si era innamorato. La ragazza dolce e gentile che non avrebbe voluto fare del male a nessuno. Non gli importava se alla figlia dell’inferno non interessavano gli uomini, i sentimenti che provava per lei sarebbero stati sempre unici e speciali.

«Non rilevo altre minacce» affermò Kael appena li ebbe raggiunti.

«Tu stai bene?» gli chiese la giovane scostandosi da Alphard.

«Ho sfruttato un teletrasporto usa e getta per scappare appena Leuw ha attivato l’ipergravità, sto bene.»

«La prossima volta, teletrasporta anche me» sbottò Gardo’gan, riunendosi a sua volta al resto della Brigata. Si tolse il casco. «Cazzo, ma che ti è successo?!» aggiunse appena vide le condizioni di Leona.

«Non è niente, non è il mio sangue. Tu piuttosto, come stai?»

Lui fece un mezzo grugnito. «Ho visto giorni migliori. E menomale che ho fatto pratica con l’Armatura Invisibile!»

Paradossalmente era stata una fortuna che Danray lo avesse quasi ucciso pochi giorni prima, perché in questo modo aveva avuto la giusta motivazione a mettersi d’impegno con la tecnica difensiva che gli aveva appena salvato la vita.

«Ma si può sapere come hai fatto a ridurti così?» esclamò Gardo’gan, che ancora non riusciva a capire come una persona potesse ridursi nello stato inquietante in cui versava Leona.

La figlia dell’inferno ci mise qualche istante per trovare le parole giuste: «Mmh… Ecco… Diciamo che Hannibal mi si è sfracellato contro.»

Il sauriano fece un’espressione abbastanza disgustata. «Non ti invidio per niente.»

«Ehi, a proposito, si può sapere cos’hai fatto tu fino ad adesso?» commentò Alphard facendo un inutile scatto col capo.

«Che?! Mi prendi per il culo? Guarda che ho sistemato più gente io di voi tre messi insieme! Chi credi che abbia svuotato il giardino mentre Leona combatteva con Hannibal e tu pensavi alle tipe da reclutare?!»

«Ehi, guarda che non è così facile trovare delle gnocche che siano anche forti!» si difese l’ibrido. «Cosa credi? Che l’universo sia pieno di “Leone”?» aggiunse, guadagnandosi uno sguardo stupito pure dalla figlia dell’inferno.

«Non vorrei interrompervi, ma non abbiamo ancora finito» fece notare Kael.

Grazie all’inossidabile lucidità del coleotteriano, anche gli altri tre si ricordarono che restava ancora un nemico da togliere di mezzo prima di poter davvero cantare vittoria.

Tutti insieme raggiunsero l’ingresso principale della villa, e con un po’ di stupore videro il massiccio portone che si apriva al loro cospetto. Quando i battenti rivestiti da pregevoli bassorilievi si furono spalancati, i quattro si trovarono faccia a faccia con un individuo la cui identità era celata da una tuta da combattimento integrale. Era completamente nera, ma la foggia era molto diversa rispetto ai vestiti antiproiettile delle Bestie Selvagge.

«Ho liberato la strada» dichiarò il misterioso figuro. Portò le mani al capo e si tolse il casco, rivelando dei capelli simili a piume verdi, caratteristica tipica delle metarpie. «Vi porto da O’Neill» affermò Axel Rad-šatah.



Note dell’autore

Ben ritrovati!

Alla fine è toccato a Leona sistemare sia Hannibal che Leuw, ma del resto era quello il suo ruolo (se no a che serve avere un amico invincibile?).

E meno male che Kael non perde mai la lucidità, altrimenti pure Traumburg sarebbe stata demolita dalla furia della giovane.


Una rapida nota per Gando’gun: anche voi vi stavate chiedendo cos’avesse fatto fino a quel momento? Del resto ho messo solo qualche piccolo accenno alle sue scazzottate :P


Come promesso, è saltata fuori l’identità del misterioso figuro: avevate indovinato?

L’inizio principale era che, dei tre uomini di punta di O’Neill, era l’unico che ancora non si era visto :)

Considerati i miei tempi di pubblicazioni non proprio rapidissimi, ricordo a chi se ne fosse dimenticato che nel lontano capitolo 16 avevo accennato ad un subordinato di O’Neill corrotto dalla Bestie Selvagge…


Bene, anche per oggi è tutto, appuntamento tra un paio di settimane per l’ultimo capitolo (più epilogo).


A presto! ^.^


PS: finire a 19 capitoli sarebbe stato terribile, fortuna che sono riuscito ad allungare di uno ¦D


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Capitolo 21
*** 20. Noi siamo la BBS ***


20. Noi siamo la BBS

I quattro membri della BBS avanzavano con cautela, seguendo in silenzio Axel Rad-šatah. La struttura della villa di O’Neill era chiaramente quella di una base militare, ampia e robusta, tuttavia ogni ambiente era stato arredato con cura, combinando mobilia semplice ma elegante con svariate opere d’arte. Tra i quattro invasori, Kael era l’unico a poter vantare una certa conoscenza in storia dell’arte, quindi solo lui si era potuto accorgere che il valore dei capolavori che incontravano stavano progressivamente aumentando. La cosa non stupì il coleotteriano: se avesse avuto così tante opere d’arte e una villa intera in cui esporle, anche lui avrebbe concentrato le più preziose nei pressi della sua area privata.

Come preannunciato, l’onnipresente sistema di sorveglianza non dava segni di vita, e lo stesso valeva per le persone riverse a terra che di tanto in tanto incrociavano sul loro cammino. Nessuna di loro riportava segni di ferite, sembrava infatti che avessero solo perso i sensi.

Anche quello faceva parte del piano delle Bestie Selvagge: dopo aver lasciato Traumburg, avevano atteso un paio di giorni, dopodiché Leona e Kael erano tornati in città sotto mentite spoglie per cercare degli alleati. Ma non alleati qualsiasi: avevano bisogno di qualcuno che potesse accedere liberamente alla villa, così da poter disattivare i sistemi difensivi dell’ex base militare e spianare loro la strada. Non era stato facile trovare la persona adatta – O’Neill non era molto amato dai suoi subordinati, ciononostante quasi tutti avevano troppa paura per tradirlo –, alla fine però erano venuti a conoscenza della storia del metarpia e avevano deciso di fare un tentativo.

Durante la guerra civile Axel aveva combattuto sotto O’Neill, quindi, dopo la fine delle ostilità, aveva pensato che un uomo come lui sarebbe stato in grado di dare stabilità a Traumburg, rendendola una città sicura per sua moglie e sua figlia. Quando aveva capito le reali intenzioni dell’ex militare, era ormai troppo tardi, e la minaccia che venisse fatto del male alla sua famiglia gli aveva negato la possibilità di ribellarsi. Non era stato facile per lui accettare di tradire O’Neill per aiutare la BBS, alla fine però aveva capito che quella era la migliore occasione, anzi probabilmente l’unica, per riottenere finalmente la libertà.

Ora avanzava deciso, convinto della propria decisione, alle sue spalle c’erano Leona e Gardo’gan, pronti a respingere un eventuale attacco frontale, mentre a chiudere la fila si trovavano Alphard e Kael, che grazie alle raffinate percezioni e ai sofisticati sensori avrebbero potuto ridurre al minimo l’eventualità di subire un’imboscata alle spalle.

Tra i cinque, l’ibrido era quello che più di tutti avrebbe potuto avvertire la presenza di eventuali minacce, tuttavia non riusciva a concentrarsi fino in fondo. Prima aveva cercato di comportarsi in maniera allegra come al solito, ma in realtà si sentiva frustrato per aver perso così miseramente contro Danray. Lui era un supersoldato immortale, ma alla fine se erano salvi, era solo grazie a Leona. Certo, sapeva di non poter rivaleggiare con la forza della figlia dell’inferno, però non riusciva a darsi pace: avrebbe voluto fare di più per aiutarla.

Una volta sistemato O’Neill, per prima cosa si sarebbe comprato un’arma decente, e poi avrebbe cominciato ad allenarsi con molta più serietà, proprio come aveva fatto Gardo’gan. Cavolo, lui sì che si era fatto onore! Loro due avevano lo stesso compito, eliminare più nemici possibile mentre Leona si occupava di Hannibal, ma probabilmente lo spadaccino ne aveva sconfitti meno della metà del rettile.

Guardò l’anello argentato che portava al medio della mano sinistra, la cui superficie era impreziosita da sottili incisioni. La prossima volta sarebbe andata diversamente: avrebbe reso onore all’addestramento ricevuto da sua madre. Prima però c’era una cosa che voleva fare.

«Ehi, Kael.»

Il coleotteriano si voltò appena verso di lui.

«Mi faresti un favore?»

«Siamo arrivati» annunciò Axel una volta che ebbero raggiunto la fine di un ampio corridoio. «Dietro questa porta ci sono le stanze private di O’Neill.»

«Puoi aprirla?» gli chiese Leona.

Il metarpia scosse il capo. «Solo O’Neill può farlo.»

«Ci penso io» affermò Gardo’gan facendo un passo avanti e sciogliendosi le spalle.

Si preparò a colpire, ma la serratura scattò da sola e i battenti cominciarono a muoversi con aria solenne. Oltre la soglia si trovava un ampio studio, lo stesso dove il padrone della villa era solito ricevere i suoi uomini per assegnare loro gli incarichi. Anche quel locale richiamava lo stile degli altri ambienti, ma ad un livello nettamente superiore: la mobilia aveva un’aria più ricercata – in particolare l’imponente scrivania in legno che dominava l’ambiente – e ai lati opposti della stanza c’erano un paio di statue antiche dal valore inestimabile. Una parete era occupata quasi interamente da una finestra olografica raffigurante un panorama montano, mentre alle spalle della scrivania c’era una teca con all’interno un’armatura un po’ rovinata risalente ad alcuni anni prima.

E in piedi, appena appoggiato all’imponente tavolo, stava lui: Aaron O’Neill. Mentre nel giardino della villa si consumava un’aspra battaglia, lui aveva avuto modo di vestirsi e sistemarsi. Era da tanto che aspettava di ricevere qualcuno abbastanza forte e motivato da ucciderlo, quindi in un certo senso si sentiva in dovere di accoglierlo con il massimo rispetto.

Fece un passo avanti, sforzandosi di tenere una postura fiera nonostante la pancia voluminosa. «Devo ammetterlo, non pens-»

Un colpo di pistola interruppe le sue parole. Due. Tre. L’ex militare cadde all’indietro, sbatté contro la scrivania e poi stramazzò a terra.

Alphard restituì l’arma a Kael, che la prese senza palesare alcuna emozione. Al contrario, quando l’ibrido si voltò, scoprì di avere addosso lo sguardo incredulo di Gardo’gan e quello un po’ stupito di Leona.

Li guardò alternativamente per qualche istante. «Beh? Prima uccidi, poi chiacchiera. Dai, è la prima regola dell’assassino!»

Tra i quattro membri della BBS calò un inaspettato silenzio, fino a quando la figlia dell’inferno non si schiarì la voce per prendere in mano la situazione. «Bene, direi che adesso abbiamo davvero finito.»

«Ne sei proprio sicura?» obiettò Kael.

«Uffa, e chi manca? Abbiamo ucciso tutti, no?»

Il coleotteriano sospirò. «“Uovo dei Sindri” ti dice niente?»

La giovane drizzò coda e orecchie, tirandosi una pacca sulla fronte. Si era concentrata così tanto sui nemici da sconfiggere che si era completamente dimenticata dell’Uovo. «Cazzo, è vero! Eeh… Ehi, tu sai dov’è l’Uovo dei Sindri?»

Axel, rimasto sul ciglio della porta, annuì. «Si trova nel caveau, insieme a tutti i tesori più preziosi di O’Neill. Il problema è che O’Neill era l’unico in grado di aprirlo.»

«Troveremo un modo» gli assicurò Leona. «Dai, facci strada!»

Il metarpia entrò a sua volta nello studio e poi condusse le Bestie Selvagge nella zona riservata ad O’Neill, quasi ignorando il cadavere dell’ex militare che ancora perdeva sangue.

In breve raggiunsero il caveau e, come previsto dalla figlia dell’inferno, alla fine riuscirono ad aprirlo grazie all’inesauribile forza della giovane.

Alphard, Gardo’gan e Kael cominciarono a raccogliere tutto quello che potevano, nel frattempo la figlia dell’inferno ne approfittò per andare in bagno e cominciare a pulirsi dal sangue che la incrostava dalla testa ai piedi.

“Se ti vedono conciata così, penseranno che siamo dei pazzi omicidi e ci scambieranno per i cattivi!” aveva esclamato l’ibrido.

Leona si tolse il giubbotto antiproiettile e cominciò a lavarsi le mani. Notando l’espressione corrucciata di Axel, che le aveva fatto strada fino al lussuoso bagno, decise di provare a rassicurarlo: «Appena avremo piazzato un po’ di roba, ti daremo la seconda parte del compenso.»

Lui fece un mugugno d’assenso, come se i soldi non lo interessassero minimamente. «Scusa, faccio una chiamata.»

La figlia dell’inferno annuì e cominciò a sciacquarsi la faccia.

Meno di due minuti dopo il metarpia fu di ritorno.

«Tutto a posto?» gli chiese lei.

Axel fece di sì con la testa. «Ho chiamato mia moglie» aggiunse dopo qualche secondo. «Lei e mia figlia sono andate alla stazione, così, se fosse andata male, almeno loro sarebbero potute fuggire mentre gli uomini di O’Neill erano impegnati qui alla villa.»

La giovane annuì. «Pensate di rimanere?»

Il metarpia si strinse nelle spalle. «Finalmente siamo liberi e possiamo andare dove vogliamo, ma la nostra casa è qui. Se riuscirò a trovare un lavoro, allora resteremo, se no dovremo andare a cercare altrove.»

Dopo essersi asciugata il viso, Leona andò a recuperare il suo giubbotto per dare anche a lui una rapida ripulita. «Sai, stavo pensando: che ne diresti di unirti alla Brigata? D’accordo, non saremo proprio dei santi, però stiamo bene insieme e ci farebbe comodo qualcuno con le tue capacità.»

Il metarpia, anche se interessato, preferì non sbilanciarsi troppo: «Ci penserò, grazie per l’offerta.»

I due tornarono al caveau e per la prima volta la figlia dell’inferno ebbe modo di vedere dal vivo quell’Uovo dei Sindri da cui tutto aveva avuto inizio. La forma era proprio quella di un grosso uovo grigio scuro, con la superficie formata da placche lisce e lucenti intervallate da solchi più scuri che di tanto in tanto pulsavano di un flebile bagliore azzurrino. Ovviamente non era l’aspetto a dargli valore, bensì la leggenda che lo identificava come l’unico oggetto capace di condurre alla mitica Fucina dei Sindri.

Nessuno dei presenti sapeva se tale voce fosse vera, in ogni caso erano ben felici di poter mettere le mani su un artefatto così prezioso.

Dopo aver razziato a dovere la villa, i cinque raggiunsero il giardino e lì trovarono una manciata di ex subordinati di O’Neill di nuovo in piedi. Uno in particolare si diresse verso di loro: era il centauro dal manto focato che in un primo momento aveva guidato la difesa del cortile.

«Che ne è di O’Neill?» chiese semplicemente.

«Morto» rispose Leona, lapidaria. «L’abbiamo ucciso.»

L’uomo chinò il capo, pensieroso più che dispiaciuto. «Avete intenzione di reclamare la città?»

«No. Questa città merita un vero governo, a noi interessano solo le opere d’arte di O’Neill. E non abbiamo intenzione di combattere ancora con voi.»

«D’accordo.» Il centauro fece per voltarsi, ma si fermò. «Chi siete voi?»

La figlia dell’inferno sollevò inconsciamente il mento, fiera. «Io sono… Noi siamo la Brigata delle Bestie Selvagge.»

L’ex subordinato di O’Neill chinò appena il capo in segno di rispettoso saluto e si allontanò.

Nel surreale clima di silenzio venuto a crearsi, alcuni raggi di sole cominciarono a filtrare da oltre le mura, rischiarando il giardino e scaldando l’atmosfera. Sarebbe stata un’alba meravigliosa e poetica, l’inizio di una nuova vita per Traumburg, ma proprio in quel momento una fastidiosa pioggerella cominciò a riversarsi sulla città.

«Aah, no! Io odio la pioggia!» imprecò Leona, cercando di coprirsi con le braccia. «Mi finisce sempre nelle orecchie e mi rovina tutti i capelli!»

«Sbrighiamoci a raggiungere la fermata» suggerì Alphard.

«E lui che fa?» chiese Gardo’gan accennando ad Axel.

«Me ne torno anch’io a casa» rispose il metarpia. «Voi andate pure.»

Le Bestie Selvagge lo salutarono rapidamente e poi corsero verso il grande cancello principale, che nel frattempo avevano riaperto.

Nonostante la pioggia sempre più insistente, non poterono fare a meno di notare le macchie rosse che pian piano si stavano moltiplicando sugli edifici: erano lenzuoli, vestiti o anche semplici pezzi di stoffa che i cittadini avevano esposto appena avevano capito che qualcosa era cambiato.

Il rosso, il colore degli indipendentisti nonché il simbolo dei loro ideali di libertà e autodeterminazione, poteva finalmente tornare a sventolare, fiero come dopo la fine della guerra civile.

«Sembrano contenti» commentò Leona, felice di scoprire che altre persone avrebbero beneficiato della loro impresa.

«In realtà il difficile per loro viene adesso» fece notare Kael.

«Ehi, non fare il guastafeste!» lo sgridò Alphard. «Siamo degli eroi! Certo, siamo anche degli assassini, ma siccome abbiamo ucciso i cattivi, allora siamo degli eroi! Giusto?»

«Mah, quello che conta è che adesso tutti sapranno chi siamo e quanto siamo forti» affermò Gardo’gan.

«Beh, non posso darti torto» annuì l’ibrido. «Ehi, aspettate: “Non siamo eroi, ma se avete bisogno di un eroe, chiamateci”. Potremmo usarlo come messaggio pubblicitario!»

«Possiamo parlarne dopo?!» imprecò la figlia dell’inferno. «Mi sto inzuppando tutta!»

I quattro si affrettarono a scendere nella più vicina fermata del treno, ma questo non bastò ad evitare loro di bagnarsi da capo a piedi. I loro vestiti erano robusti e impermeabili, tuttavia solo Kael si era preoccupato di rimettersi il casco.

«E con questo possiamo dire tanti saluti alla nostra uscita di scena trionfale» commentò Alphard.

«Certe cose è meglio lasciarle agli eroi col mantello» ironizzò Gardo’gan.

«Giusto! Dalle nostre parti si festeggia con fiumi di alcol!» esultò Leona. Sollevò il pugno e subito venne imitata dai suoi compagni. Perfino Kael si prese la briga di tirare su un braccio superiore.

Avevano appena portato a termine la loro prima vera impresa, era tempo di festeggiare, ma non si sarebbero crogiolati a lungo nel loro successo: la storia della Brigata delle Bestie Selvagge era solo all’inizio.



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Capitolo 22
*** Epilogo ***


Epilogo

L’atmosfera all’interno della gilda era calda e movimentata, e questo perché il numero dei presenti era ormai raddoppiato. Axel Rad-šatah si era preso qualche giorno per riflettere sulla proposta di Leona, e alla fine aveva accettato di unirsi alla Brigata. Lui e la sua famiglia si erano trasferiti in uno degli appartamenti liberi e sua moglie aveva accettato di buon grado l’incarico di trovare i giusti elettrodomestici per ampliare la cucina e rendere fruibili altre stanze. Al contrario del marito, Sephiredd era una demone, aveva la pelle bruna e dei capelli argentei che sfumavano al lilla. Sua figlia Sora, seduta di fronte a lei, le assomigliava molto, fatta eccezione per i capelli piumati che sfumavano al verde, e per il fatto che non aveva la coda.

Leona sollevò la bottiglia e mandò giù un lungo sorso di birra. «Aah, che bello avere nuovi membri!» esclamò tutta contenta.

«Già, peccato solo che quella sia una prima donna» commentò Gardo’gan, seduto accanto a lei con la sigaretta in bocca e un grande schermo olografico davanti.

Come sperato da Alphard, oltre ad Axel e alla sua famiglia, anche l’imenotteriana con il potere del fuoco aveva accettato di unirsi alla Brigata, tuttavia il suo atteggiamento vanitoso e un po’ egocentrico non le aveva fatto guadagnare molte simpatie.

«Dai, Gardo’gan, non fare il maleducato. È appena arrivata: dalle un po’ di tempo per ambientarsi» la difese Leona. Qualche giorno prima il sauriano le aveva rivelato il suo nome proprio, tuttavia la figlia dell’inferno aveva rinunciato ben presto all’idea di usarlo. “Mi chiamo Xhernan” le aveva detto, ma i tentativi della giovane di ripeterlo erano stati alquanto imbarazzanti.

L’imenotteriana intanto, dotata di un ottimo udito, aveva sentito il commento del rettile e la cosa non le aveva fatto molto piacere. In realtà si sentiva un po’ in colpa a tenere quell’atteggiamento pretenzioso, ma la verità era che le sembrava di essere state reclutata solo per il suo aspetto esteriore e non per ciò che sapeva fare. E in effetti a volerla nella Brigata erano stati soprattutto Alphard, che già in passato aveva dimostrato di apprezzare il suo fisico da modella, e Leona, che in quanto lesbica aveva ammesso di trovarla molto attraente.

«Fiammetta, che ne pensi di questo set da cucina?» le chiese Sephiredd mostrandole un gruppo di elettrodomestici in offerta.

La diretta interessata, che si era offerta di aiutarla, lesse rapidamente le descrizioni dei prodotti. La demone e la sua famiglia si erano stabiliti lì solo un paio di giorni prima di lei, quindi si era sentita molto sollevata a sapere di non essere l’unico nuovo membro.

«E comunque non ti preoccupare,» proseguì la moglie di Axel vedendola giù di morale, «all’inizio possono sembrare un po’… “selvaggi”, ma sono delle brave persone.»

L’imenotteriana le sorrise, grata per la sua comprensione.

«Beh, ragazzi, questa dovrebbe essere l’idea» affermò Gardo’gan ad alta voce per farsi sentire da tutti.

Gli altri membri della Brigata si riunirono davanti allo schermo olografico del sauriano, osservando con ammirazione il disegno appena realizzato: raffigurava una catena disposta ad anello, spezzata nella parte superiore per aprirsi in due maestose ali di fuoco.

«Wow, ma allora è vero che sai disegnare!» esclamò Alphard.

«Ah, ah, ah» ribatté ironico il rettile.

«È magnifico» affermò Leona, entusiasta. «Ora abbiamo anche il nostro stemma!»

Diede una pacca sulla spalla a Gardo’gan e poi fece qualche passo indietro per permettere anche agli altri di guardare più da vicino il disegno e di complimentarsi con il sauriano.

Con un sorriso sulle labbra bevve un sorso dalla sua immancabile bottiglia di alcolico. Anche con la sua forza mostruosa, non sarebbe mai riuscita a sconfiggere O’Neill senza l’aiuto dei suoi compagni – non le sarebbe nemmeno venuta in mente una simile impresa – quindi si sentiva incredibilmente fortunata ad averli incontrati.

In realtà ora che erano in otto le sembrava di essere un po’ più “marginale”, ma tutto sommato la cosa non le dispiaceva: più membri voleva dire più persone pronte ad aiutarsi a vicenda. E poi non c’era niente di meglio di avere qualcuno con cui condividere il proprio impegno quotidiano e i propri successi.

Portò una mano al braccio destro, accarezzando il monile dorato regalatole da sua madre. Finalmente la gilda dei suoi sogni stava prendendo forma, sentiva di avere di nuovo una famiglia: niente avrebbe potuto renderla più felice.

Seminascosti tra alcuni cespugli, due occhi chiarissimi osservavano da lontano la sede della gilda.

Dopo essere stato fatto a pezzi da Leona, Hannibal ci aveva messo un po’ per riuscire a riprendersi. Per evitare la morte, si era trasformato in un piccolo roditore più facile da rigenerare, si era nutrito del suo stesso cadavere e poi aveva divorato i pochi corpi rimasti all’interno del giardino di O’Neill.

O’Neill… Finalmente si sentiva libero dalla sua maledizione, finalmente poteva tornare a pensare lucidamente. La sua mente, piegata dai brutali esperimenti che l’avevano trasformato nel Mostro Bianco, aveva perso parte della sua originale intelligenza, ma la sua coscienza e la sua razionalità non erano mai scomparse del tutto.

Ora che si era nutrito e che aveva potuto rigenerare tutto il suo corpo, gli restava ancora un desiderio da realizzare, qualcosa che O’Neill gli aveva sempre negato.

Dischiuse leggermente le fauci, sforzandosi di trasformare in parole il suo pensiero: «Le…o…na…»

***

«Se è interessato, le invierò un file con ulteriori dettagli» concluse l’ologramma con la sua voce falsata. Il volto dell’uomo era completamente in ombra, quindi ciò che catturava l’attenzione era il coniglio grigio con tre occhi che teneva sulle gambe.

«Accettiamo la sua richiesta» affermò Ulysses Dąbriński con voce ferma. «Il suo cliente non avrà di che preoccuparsi.»

«Ottimo. Il file le arriverà a breve. Arrivederci.»

«Un’ultima cosa,» lo interruppe il treant, «come la devo chiamare?»

«Oh, il mio ruolo è solo quello di coordinare persone più capaci di me, quindi può chiamarmi semplicemente “Coordinatore”. Se non ha altre domande, la saluto.»

«La ringrazio per il suo tempo e per la sua fiducia. Arrivederci.»

L’ologramma dell’uomo col coniglio scomparve e subito dopo arrivò il file preannunciato. Il capo dei Boia Tagliagole non perse tempo e subito si mise a leggerlo.

Come i suoi compagni, anche lui era stato ucciso da Perséy El Sariq per ordine di O’Neill, tuttavia nessuno aveva preso in considerazione il fatto che ognuno di loro sarebbe potuto tornare in vita. Un membro della banda era infatti un potente stregone e necromante, quindi già molti anni prima aveva intessuto un incantesimo straordinariamente complesso ed elaborato che, in caso di morte innaturale di un membro del gruppo, avrebbe richiamato la sua anima dall’aldilà per impiantarla in un nuovo corpo preparato per lo scopo. In quel momento tutti i Boia Tagliagole erano dunque vivi e vegeti, magari un po’ fuori allenamento, ma sicuramente pronti a prendersi la loro vendetta.

Il vero problema una volta tornati in vita era che ben presto avevano scoperto che la loro base era stata razziata di tutto – perfino l’impianto elettrico era stato sradicato dalle pareti –, quindi non avevano potuto fare altro che ritirarsi lontano da Traumburg, in attesa di un’occasione per rifarsi innanzitutto del denaro perduto. E ora quell’occasione era arrivata.

Stando al file, la persona da proteggere era un myketis chiamato genericamente “Z”. Poco male, l’unica cosa che gli interessava era che il lavoro suo e dei suoi uomini sarebbe stato ben ricompensato.

Quello sarebbe stato il primo passo per la rinascita dei Boia Tagliagole.



Note dell’autore

Uauh, siamo arrivati alla fine di questo racconto. Impressioni? Sensazioni? Giudizi? Personalmente, quando finisco una storia che mi è piaciuta sono sempre :D e D; al tempo stesso, ma spero di tirarvi un po’ su dicendo che

Wild Beasts will return

In particolare, cosa ne pensate dell’epilogo? Spero di avervi incuriositi. Cos’avrà in mente Hannibal? Ma soprattutto, cosa comporterà l’arrivo di Ulysses e i Boia sul nostro pianeta? Beh, lo scoprirete tra qualche racconto (devo prima scriverne due o tre per (ri)presentare tutti i personaggi necessari).


Ora una rapida nota tecnica: ho aggiunto il nome della madre di Leona, Artemis. Perché? Beh, perché è un personaggio che tornerà (ma non vi dico ancora dove :P).

E a proposito di personaggi, ecco i disegni dei due nuovi membri della Brigata :D

Axel Rad-šatah (WBB-1) Fiammetta Sarabi (WBB-1)


Passando ai doverosi ringraziamenti, ringrazio tutti quelli che hanno seguito le Bestie Selvagge fino a questo punto, e in particolare ringrazio (in ordine puramente alfabetico) devilboy98, Eilan21, morgengabe e The3rdLaw che hanno votato/commentato la storia ^.^


Un paio di informazioni più tecniche: ho sistemato il feed RSS del mio sito e prossimamente aprirò una nuova newsletter, così che possiate seguirmi più comodamente senza perdere nemmeno un capitolo.


Bene, dopo questo excursus, vi do appuntamento al mio prossimo racconto (questa volta fantasy): AoE - 1 - I Gendarmi dei Re, che per chi ha già letto è la versione rivista e ampliata di La strega e la bestia.

Il vantaggio di pubblicare ogni due settimane è che appena finisce una storia, posso partire subito con quella dopo ^.^


Ancora grazie per aver letto L’ascesa delle Bestie e a presto! :D


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