bad blood

di littleheda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***



Capitolo 1
*** I ***


Stati Uniti d'America, 2139.


Sono passati più di 100 anni dalla rivoluzione che sconvolse gli Stati Uniti. Le città più importanti che rimasero in piedi dopo la guerra, vennero unite e modificate come le 5 stazioni americane, più la capitale, centro politico del paese. La più potente di esse era ovviamente la capitale, Washington D.C. Dopo gli scontri avvenuti, Washington fu la prima città a risorgere, seguita da New York, Los Angeles, Seattle, Houston e Chicago, le 5 stazioni.
Ogni stazione era divisa in più distretti. La legge era molto severa, e andava rispettata, altrimenti ti avrebbero riservato una cella nella prigione di ogni distretto, o saresti direttamente condannato a morte.

In ogni stazione c'erano tre distretti: Nord, Centro e Sud.
Nel distretto Nord abitavano coloro che avevano nelle mani il potere della stazione, i politici. Il primo fra tutti era il presidente della stazione, probabilmente la persona più importante di tutte, quella che prendeva decisioni drastiche su come far mandare avanti la popolazione.
Nel distretto Sud c'erano i lavoratori, persone definite come plebe, popolo. Coloro che mandavano i proprio figli nei campi di addestramento per farli allenare per la Selezione.
Il distretto Centro veniva presentato come un campo di addestramento per ragazzi dai 10 ai 18 anni. Fin dall'infanzia, si veniva accolti qui e addestrati con le proprie capacità, una sorta di scuola, ma molto più moderna.
Ognuno di questi ragazzi avrebbe dovuto imparare una disciplina.
Di solito le più apprezzate erano quelle in campo di medicina, tecnologia, scienze della terra oppure meccanica. Tutte materie che avrebbero portato ad avere un lavoro soddisfacente per mantenersi.
Oltre a questo, nei campi insegnavano anche a lottare, a difendersi per proteggere la propria vita o quella di qualcun'altro, come Chris faceva con sua sorella più piccola, Alexa.

Il giorno della Selezione era molto importante per l'America, e accadeva nell'anniversario dell'inizio della rivoluzione. Ogni 5 anni, dieci ragazzi dai 14 ai 18 vengono scelti ad estrazione per le loro potenzialità.
Uno dei 12 presidenti americani scelse di compiere questa missione, mandarli su un'isola dell'oceano Pacifico, a svolgere le proprie capacità. L'isola in cui venivano mandati era molto grande, piena di segreti e oscure verità che traboccheranno non appena i 10 atterreranno in quel posto.

 
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Erano giorni che lui non vedeva sua sorella. Si preoccupava troppo per lei. E' ancora una ragazzina, devo proteggerla, pensava. Dopo la morte dei genitori, lui si affidò completamente ai rischi della lotta, diventando così un vero e proprio lottatore. Si allenava ogni giorno, sapeva che avrebbe raggiunto il suo obiettivo. Voleva mostrare a tutti quanto fosse forte, nonostante tutti i dolori che aveva passato. Ma sotto la sua corazza, c'era ancora il bambino che trovò sua madre in fin di vita mentre lui giocava con la sorellina appena nata. Pensava che quella creaturina fosse stata solo che un dono mandato dagli dei.
Chris sapeva che in fondo sua sorella fosse ancora molto debole dopo la scomparsa del padre, aveva paura che lei non ce l'avrebbe fatta a sopportare tutto quel dolore che le opprimeva il petto ogni volta che andava a dormire. Sapeva come si sentiva sua sorella quando vedeva famiglie felici tornare nelle proprie case, mentre la sua casa era il centro di accoglienza della stazione di New York.
 
Chris era il tipico ragazzo 18enne a cui non fregava niente di nessuno, tranne che di Alexa, ovviamente. Era alto, magro ma muscoloso dato i suoi allenamenti nel campo, con degli occhi castani e dei capelli boccolosi castano chiaro che ricadevano sulla fronte che facevano impazzire tutte le ragazze del campo.
Lui non avrebbe mai voluto trovare qualcuno da amare seriamente, delle scappatelle con qualche ragazza le faceva, ma niente di serio. Voleva concentrarsi sul suo futuro.


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"Ehi, ci sei?" chiese il ragazzo biondo davanti a lui.
"Sì, scusa" rispose Chris al suo migliore amico Johnathan.
"Stai pensando alla ragazza castana che ti si era avvicinata l'altra sera alla festa?" chiese cercando di far tornare il suo amico nella realtà.
"Smettila, sai che odio quando fai queste battute" pensò a quella festa. La festa della settimana alla Selezione. Chiunque sarebbe stato scelto, prima di partire si sarebbe divertito alla festa che organizzava il campo in onore del fatto che mancasse una settimana al giorno decisivo.
"Ah ho capito" il ghigno si trasformò in un sorriso. Si guardò intorno. "Sei preoccupato per quel giorno" concluse la frase.
"Ho solo paura che venga scelta Alexa" rispose il ragazzo castano mentre si rigirava il bicchiere d'acqua tra le mani.
Johnathan non capiva la sua situazione, era figlio unico e preferiva così.
"Con tutti questi ragazzi secondo te sceglieranno proprio lei? Andiamo Chris, la tua vita non può girare solo intorno a lei, devi viverla. E dico sul serio, se la caverebbe anche senza di te" puntò i suoi occhi in quelli del ragazzo di fronte a lui, sapeva che quando qualcosa andava storto, uno ci  sarebbe stato per l'altro.
"Ho bisogno d'aria" rispose Chris, alzandosi dal tavolo della mensa del campo per uscire a fare una passeggiata. Non gli piaceva l'idea di partecipare alla Selezione. Per lui era una cavolata, non aveva senso quella missione. Sotto sotto c'era qualcosa di strano.
Non voleva sacrificare la propria vita per quel paese, ormai diviso da molti anni ormai. Era molto appassionato a quella rivoluzione da piccolo. Non vedeva l'ora di essere grande per capire più cose dalla vita, per rifarsene una nuova ed essere finalmente libero.
Ma ora, voleva solo rinchiudersi dentro una capsula del tempo, per voler tornare bambino, senza doversi preoccupare di nulla.
Mentre camminava sentì il bisogno di tornare nella sua stanza per riposare. Da quando Alexa cambiò alloggio, lui si sentiva perso e solo, non voleva perdere sua sorella, l'unica persona che lui avrebbe mai amato più della sua vita.

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Capitolo 2
*** II ***


Los Angeles, situata nella costa ovest degli Stati Uniti. La seconda città con più abitanti, dopo New York, e la prima a salvarsi durante la rivoluzione.
Gli abitanti della città erano molto agitati, il giorno dopo si sarebbe scoperto chi fossero stati i prescelti per la missione. Ma i più eccitati erano i ragazzi del campo, che attendevano con ansia il sorteggio.
Il campo aveva aperto le porte ai ragazzi, che come sempre entrarono e presero i posti nelle varie aule e palestre.
Jennifer, la 17enne conosciuta come "la ragazza dal braccio meccanico" entrò nella palestra A2 dove si allenava tutti i giorni.
Vi starete chiedendo cosa significhi braccio meccanico.
Fin da bambina, Jennifer, amava aiutare la sua famiglia, specialmente la madre a cucinare, e le piaceva molto ammirare le stelle con suo padre le sere prima di andare a dormire.
Sua sorella Cindy era già entrata a far parte del campo di addestramento, infatti la piccola non poteva vederla molto spesso. L'aveva sempre ammirata, la rispettava e quando potevano passare del tempo insieme era più che felice.
Purtroppo tutto questo si dissolse al compiere dei 14 anni di Jennifer, quando ci fu uno dei più devastanti incendi di Los Angeles nel distretto Sud, dove andarono a fuoco metà delle case, che vennero distrutte.
La casa di Jennifer prese fuoco. Lei e i suoi genitori uscirono in tempo, ma mancò una persona all'appello.
Cindy.
Jennifer corse subito dentro casa, nonostante le urla della madre che le dicevano di fermarsi, e stando attenta alle fiamme, gridò a squarciagola il nome della sorella, intrappolata tra scie scoppiettanti di un color misto tra il rosso e il giallo.
Cercò la sorella, ma niente da fare, era come se le fiamme l'avessero inghiottita. Si sentì solo che persa, avrebbe voluto salvarla. Il panico che aveva dentro si trasformò in dolore, quando il fuoco aggredì il suo braccio. Il fumo le annebbiava la vista, non vedeva quasi niente, ma percepiva il male che sentiva sia dentro, che fuori.
Trovò l'uscita e si buttò a terra, presa in braccio dal padre, che la trasportò fino al mucchio di gente radunata davanti le case. Le persone erano disperate, Jennifer vedeva negli occhi della gente il dolore che provavano vedendo le loro case bruciare. Ma il momento più brutto fu quando le sue orecchie percepirono le grida della madre disperata, che aveva perso per sempre la figlia che amava con tutta se stessa.
La ragazzina piangeva sia per il braccio gravemente ferito, sia per la perdita di Cindy, e non potè fare altro che guardare le fiamme che incendiavano gran parte delle abitazioni.
Dopo tutto il caos devastante, alcuni pompieri tentarono di spegnere il fuoco, e Jennifer venne subito soccorsa da un medico, il suo vicino di casa, che la portò immediatamente all'ospedale del distretto Sud.
Jennifer, la ragazzina che tentò di salvare sua sorella Cindy, perse il braccio destro. Non avrebbe più avuto una vita normale. Senza il braccio, le varie lesioni, senza una casa... ma soprattutto gran parte della sua vita andò in fumo.
I medici non poterono fare altro che amputarle il braccio, pensò che sarebbe rimasta senza per tutta la sua esistenza.
Fino a quando degli scienziati specializzati non trovarono una soluzione, un apparecchiatura in grado di restituire a Jennifer un braccio, ma fatto di metallo.
Ecco qual era la sua potenzialità.
Avere uno dei bracci più potenti della stazione.

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"Com'è andata ieri?" chiese Jennifer alla sua compagna di avventure Kayley.
"Benissimo, ho avuto cinquantacinque punti su sessanta!" esclamò contenta la ragazza mora, riferendosi al test di corsa, sfoderando uno dei sorrisi più belli che avesse mai visto Jennifer.
"Congratulazioni! Bisogna festeggiare allora!" corse ad abbracciare l'amica, che rise a quell'esclamazione.
"Magari stasera andiamo a mangiare qualcosa di più buono del cibo della mensa" fece l'occhiolino all'amica davanti a lei.
"Come vuoi" rise Jennifer "domani è il grande giorno quindi" si fermò per fare un sospiro "ho un'ansia che mi porta via"
"Già, ho troppi pensieri a cui pensare e in più questa Selezione... ma quel cavolo di presidente non aveva di meglio da fare che mandare a morire delle giovani vite?! Non voglio pensare a cosa stiano facendo quei poveri ragazzi laggiù... sempre se siano ancora vivi e vegeti" concluse la mora, posando il borsone, per poi lasciare le mani lungo i fianchi. Nei campi tutti avevano delle divise, non venivano ammessi i vestiti giornalieri. Non che fossero belli, ormai nel futuro i capi di abbigliamento erano solo cupi e scuri. Niente colori.
Jennifer voleva molto bene a Kayley, la considerava come la sorella mancata. Sapeva sempre come farla ridere, dato il gran senso dell'umorismo di Kayley, quasi sempre di buon umore.
La ragazza dai lunghi capelli castani stava per parlare, quando un'altra persona si intromise nel loro discorso.
"Salve belle fanciulle, pronte per questa magnifica giornata?" disse un ragazzo, Bruce, la cotta di Jennifer da più di due anni.
"Magnifica come la tua entrata di scena" Kayley diede un colpetto al petto di Bruce, che sorrise alla vista della risata della mora.
Jennifer sapeva che Bruce era segretamente innamorato di Kayley, glielo aveva confessato mesi prima e questo le spezzava il cuore. Kayley sapeva della sua cotta per lui, ma non poteva farci niente, lei non glielo avrebbe mai rivelato al ragazzo dai grandi occhi blu. Era come un triangolo amoroso, ma l'unica a soffrirci era sempre Jennifer.
Dopo qualche ora di allenamento Kayley e Jennifer uscirono dalla palestra, e si diressero nella mensa del campo, incontrandosi con Bruce. Una mattinata molto dure, pensò la ragazza.
Finalmente alle sei del pomeriggio finì gli allenamenti, e tornò a casa distrutta, come sempre.
"Ciao!" esclamò la ragazza sbattendo la porta di casa.
"Tesoro, sei tornata" rispose una voce dalla cucina, e intuì fosse la madre "tutto bene? Sei stanca?" la madre, dalla morte di Cindy, si preoccupava molto di più per Jennifer. Non avrebbe mai e poi mai voluto perdere anche la sua secondogenita.
"Si e si" rispose, guardando l'orario sull'orologio a muro.
"Sei pronta per domani? Noi vi vedremo dagli schermi della piazza del Nord" la madre si sedette al piccolo tavolo della cucina. Da quando il consiglio della stazione decise di ricostruire in poco tempo nuove case dall'incendio, gli spazi si rimpicciolirono notevolmente.
"Non credo di poterlo fare" rispose la ragazza con un sospiro di sconfitta.
"Tesoro" si alzò dalla sedia per andare in contro alla figlia "andrà tutto bene, vedrai. Ci sono poche possibilità che possano estrarre il tuo nome. In ogni caso, io ti sarò sempre vicina, e tenterò in tutti i modi di proteggerti" le lacrime sul viso della madre erano un duro colpo, odiava vederla piangere. Non aveva più le forze di nascondere la sua tristezza, e cominciò a piangere anche lei.
"Andrà tutto bene. Vedrai" ripetè la madre, abbracciando la figlia come se potesse perderla da un momento all'altro.

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Capitolo 3
*** III ***


Un rumore assordante svegliò Chris. Era la sveglia, che segnava le 6:30 del mattino. Con malavoglia si alzò dal letto, e cominciò a prepararsi per la lunga giornata che lo attendeva.
Il famoso giorno arrivò. Se lui o Alexa fossero stati estratti, la sua vita sarebbe cambiata del tutto.
 
Uscì dalla sua stanza e si diresse verso il campo del distretto Centro. Tutti i cittadini del distretto Sud e qualche politico del Nord si sarebbero riuniti nell'enorme piazza di New York, dove avrebbero visto l'estrazione dei due selezionati per la missione attraverso degli schermi. A quel pensiero, Chris si spazientì. Odiava stare al centro dell'attenzione, anche se di attenzioni ne aveva avute fin troppe nella sua vita.

Si diresse alla mensa, piena di ragazzi che aspettavano quel momento. Non c'era letteralmente un posto dove sedersi, cercò di identificare Johnathan per capire dove fosse finito, ma i suoi occhi si fermarono in un punto.
Vide i capelli biondi di sua sorella. Nonostante fosse bassina, riusciva a scorgerla tra la gente poco più alta, e affrettò il passo per raggiungerla.
Appena se la ritrovò davanti, Alexa non potè che alzare lo sguardo sul ragazzo, e i suoi occhi sprizzarono di felicità. In un attimo gli saltò addosso, rischiando di cadere.
 
"Ma dove eri finita questi giorni?" chiese contento il fratello più grande di rivederla.
"Mi hanno spostata di stanza, e mi sono allenata parecchio" rispose staccandosi dall'abbraccio  "anche io non ti ho più visto".
"Lo so. Ero in pensiero per te" disse lui guardando la ragazzina bionda.
"Sto bene. Chris" dopo un momento di esitazione continuò la frase "Ho molta ansia. E se dovessero estrarre il mio nome? Cosa farò? Non voglio finire in quel posto" il ragazzo lesse nei suoi occhi la preoccupazione di Alexa, aveva paura ed era normale.
"Non succederà, perchè in questo caso qualcuno potrebbe offrirsi volontario" le sorrise, sapeva che era contro le regole ma avrebbe fatto di tutto pur di proteggerla.
"No! Assolutamente no, è contro le regole e poi non vorrei mai che mi lasciassi qui senza nessuno" le lacrime minacciavano di uscire "non posso perderti" mormorò concludendo.
"Ascolta, può succedere di tutto. Perchè dovremmo pensare solo a noi? Ci sono tanti ragazzi qui e il nostro nome e la probabilità che esca è una su un milione" voleva consolare la sorella, probabilmente era vero quello che disse. Non credeva di partire, con più di cinquemila ragazzi non avrebbero mai fatto il suo di nome.
Alexa non fece in tempo a rispondere, che un autoparlante ripetè loro le istruzioni da seguire.
Il ragazzo ammirò la sorella, che, spaventata, si diresse verso l'uscita della mensa insieme ad un gruppetto di amici.
La vide uscire, e si meravigliò di quanto fosse cresciuta. Era cambiata dalla morte del padre, strappata via dal fratello vivendo in parte da sola. Nonostante i suoi 15 anni, si comportava come una persona matura. Chris sapeva che sarebbe diventata qualcuno nella vita.
 

Tutti i ragazzi dai 14 ai 18 anni del campo di addestramento della stazione di New York, come in tutte le altre stazioni, presero posto nella grande piazza del campo.
Chris, camminando a testa alta, scorse la chioma di Johnathan e gli corse incontro.

"Ma dove ti eri cacciato? Ti ho cercato ovunque" mormorò spazientito Chris.
"Ehi scusa, parlavo con Sarah, era in preda all'ansia e stavo cercando di calmarla" rispose il biondo.
"Johnathan sempre all'azione per la famosa Sarah" rise il ragazzo, mentre si passò la mano tra i capelli.
"Lasciamo stare... sono un caso perso" diede una spallata all'amico, che smise di ridere appena arrivati ai cancelli della piazza. Era composta da diversi giardini, dove i ragazzi si allenavano all'aperto.
Davanti a loro, le guardie controllavano che fossero presenti tutti i ragazzi, attraverso un chip di riconoscimento. Mentre i due erano in fila, al momento dell'inserimento dei dati di una ragazzina, una guardia fermò un ragazzo che tentò di scappare. Avrebbe voluto farlo anche lui, pensò.

Superate le guardie e il cancello, attraversarono i diversi giardini presenti fino ad arrivare alla piazza principale. Di fronte avevano un mega schermo, dove veniva trasmessa un'immagine con su scritto 'Giorno della Selezione'.
La cerimonia iniziò con l'ingresso del presidente della stazione di New York, che ringraziò per la partecipazione. Quando gli schermi trasmisero le immagini del distretto Nord della piazza principale, Chris ebbe un nodo alla gola, impossibile pensare quante persone stessero guardando la cerimonia dei propri figli.
Chris riuscì a scorgere la sorella alla sua destra, non troppo distante da lui. Era alto, riusciva a inquadrare bene le persone.
La guardava, e pensava cosa sarebbe successo nei prossimi minuti. Alexa si girò, incontrò lo sguardo del fratello e gli accennò un sorriso, palesemente falso.
 
"Oggi è il giorno tanto atteso per l'America. Estrarremo i due prescelti per questa missione attraverso il monitor, che mostrerà i due nomi. Buona fortuna" la donna si allontanò dal microfono, dopo un lungo discorso a cui Chris non prestò attenzione, seguita da altri uomini importanti, ma egli non ci aveva mai capito niente di politica, per questo non conosceva quelle persone.
Sempre questa gente, fece movimenti strani sullo schermo virtuale davanti a loro, e il ragazzo pensò di poter avere una crisi da un momento all'altro. Con un sorriso malefico, la presidente premette un pulsante, e un mucchio di scritte apparvero sul grande schermo. Fino a che non comparve quella decisiva.

 
"Il primo selezionato è..." Chris faticava a respirare dal panico "Darry Towell" tirò un sospiro di sollievo, anche l'amico accanto a lui.
"Forza, vieni avanti" ripetè la presidente.
Darry, un ragazzino sui 15 anni, era come bloccato. Secondo Chris sarebbe svenuto da un momento all'altro. Tutti i ragazzi guardarono come se gli facesse pena il ragazzino, ed altri esultavano per la scelta del monitor.
Darry si avvicinò al grande palco, rimanendo immobile, probabilmente non riusciva a salire gli scalini dallo shock.
Il ragazzo guardò Alexa, che aveva un misto di sollievo e ansia sul suo viso.
 
"E ora estrarremo il secondo selezionato"
Chris cercò di non pensare a quello che stava per accadere. Un altro nome innocente avrebbe seguito questo destino. Non voleva vedere lo schermo, così abbasso il capo, guardandosi le scarpe.

 
"Chris Walters"
 
Il cuore gli balzò in gola. Alzò la testa lentamente, mentre il suo amico lo guardava incredulo. Girò lo sguardo nella direzione della sorella, che puntò i suoi occhi azzurri spiccanti verso il fratello, la persona a cui teneva di più. Era senza parole, non riusciva a crederci.
Ma mai Chris si sarebbe aspettato che il suo nome venisse pronunciato. Sarebbe dovuto partire, lontano da casa e da sua sorella.
Tutti si girarono verso di lui, alcuni risero, altri erano felici e altri ancora in totale panico.

"Fatti avanti" pronunciò la presidente, cercando di individuare il ragazzo tra la folla, ma era impossibile.
In un attimo, Chris si fece strada tra le persone e tentò la fuga, invano perchè le guardie lo presero prima che potesse superare i cancelli laterali.

"No!" gridò la sorella, che in preda al panico cominciò a correre verso di lui, ma altre guardie la fermarono.
"Lasciatelo! Vi prego!" non riuscì a liberarsi dalla presa salda delle guardie, che cercarono di calmare la ragazzina.
Chris fu trascinato a forza vicino al primo selezionato. Le guardie non si staccarono da Chris, che cercò lo sguardo della sorella. Ma vide solo la sfortuna venire verso di lui.
Presto sarebbe partito, lasciando sua sorella da sola, e probabilmente non l'avrebbe più rivista.

 
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Jennifer non apprese quello che stava succedendo. Aveva creduto alle parole della madre, che l'avrebbe protetta nel caso fosse stata scelta.
Il presidente della stazione Los Angeles invitò i due prescelti a salire sul palco. Ma Jennifer era come bloccata.
Dopo che il presidente pronunciò il suo nome, la ragazza si guardò intorno, sperando di poter scampare a quell'incubo. Con il chip di riconoscimento venne riconosciuta, e le guardie cercarono di smuoverla da dove era in piedi immobile. Fu uno shock.
Appena arrivò alla grande scalinata, incontrò lo sguardo di una ragazza mora nelle prime file, non era Kayley.

Era Gwen.

Lei e Gwen erano molto amiche sin dall'infanzia, fino a quando suo padre non fu incarcerato per complicità di un furto della banca nella stazione Nord. Jennifer non aveva idea che parlandone in giro si sarebbe ricontorto tutto contro di lei.
Perse una sua cara amica confidandosi con la madre Elis, ma non fu colpa sua. Il padre di Jennifer ascoltò la loro conversazione, ed essendo poliziotto della stazione Sud, lo raccontò alla centrale di polizia, che diede un mandato di arresto per Blake Andrews. Aveva ferito i sentimenti della figlia, ma non avrebbe mai potuto tenere nascosto allo stato chi avesse derubato un grande patrimonio.

Lo sguardo pietrificato di Gwen le fece venire un tuffo al cuore. Dall'arresto del padre era diventata molto più fredda, cercava solo di allenarsi nel tiro con l'arco, forse immaginava che il bersaglio fosse stato Jennifer.
Il cuore della ragazza batteva all'impazzata, temeva che qualcuno lo potesse sentire. Ma perse un colpo quando sentì il nome della seconda selezionata.
 
"Gwen Andrews"

Puntò lo sguardo verso di lei nelle prime file.
Tutti si girarono e percepirono lo stupore delle parole del presidente.
Con fare saggio, camminò fino alla scalinata, e non ci mise tanto a salire.
Lei era una a cui non fregava niente del giudizio della gente, pensava solo a se stessa. I suoi occhi verdi lo dimostravano, la paura era solo una debolezza per lei. E lei non era debole.
Gwen guardò la ragazza di fianco con aria di interesse, come per dire "ecco che ci si ricontra".
 
In poco tempo il presidente finì il discorso e i ragazzi furono invitati a lasciare il posto, mentre condussero le due ragazze in una grande sala, dove gli attendevano molte chiacchierate.
Si sedettero su una piccola panca davanti ad un enorme scrivania, probabilmente del direttore del campo.

"Benvenute ragazze. Sono il direttore del campo, Jackovinch. Conoscete le procedure dei prossimi giorni o devo spiegarvele?" prese posto sulla sedia dietro la scrivania, fissando le due ragazze che erano indecise se parlare o meno.
"Sappiamo come funziona, non serve che ce lo ripeta" rispose con qualche nota di cattiveria la mora, che pareva già essersi stufata della situazione.
"Andrews, la smetta di commentare. Questo non è un gioco, e per la sua scortese risposta avrei potuto anche espellerla dal campo" disse Jackovinch, mentre scrisse qualcosa su un foglio.
Gwen sbuffò e si girò verso la sua ex amica. Gwen non sopportava starle così vicino, non dopo quello che le aveva fatto. Jennifer era molto dispiaciuta ma non potè fare granchè.
Jennifer, a sua volta, si girò per cercare di iniziare una conversazione, dato che le due ancora non si erano scambiate mezza parola.
"La smetti di fissarmi o devo girarti io?" chiese duramente Gwen, sembrava quasi una bulla.
Jennifer voltò il capo, non aveva parole per descrivere quanto dolore stesse provando in quel momento. La sua amica era sempre stata una ragazza dura, non le importava ferire qualcuno. Dovevi pensarla come lei, altrimenti non avresti legato.
"Preparate i bagagli con tutto il necessario, perchè domani partirete per Washington D.C. e incontrerete i selezionati delle altre stazioni. Avrete molto di cui parlare, vi spiegheranno tutto quello che dovrete compiere sull'isola. Passerete la notte in un alloggio del distretto Nord e potrete stare con i vostri familiari. Fino a stasera ci sarà l'allenamento extra e poi vi condurremo nelle vostre abitazioni" spiegò Jackovinch.
"Posso andare a trovare mio padre in prigione o devo essere costantemente controllata su tutto quello che faccio?" chiese la mora a braccia conserte.
"Potrai andare, ma sotto vigilanza. Ci assicuriamo sempre che i selezionati non se la filino via, dato che ci è capitato molte volte" fece l'occhiolino alla ragazza che distolse lo sguardo.
In tutto questo parlare Jennifer non aveva ancora aperto bocca, poi si diede coraggio.
"Ci alleneremo al campo?" chiese, ma si sentiva avvampare.
"Allora non ti hanno tagliato la lingua" disse Gwen sghignazzando.
"Andrews" il direttore rimproverò Gwen, che sbuffò amaramente "sì, ma in una palestra riservata"
"Bene. Abbiamo finito?" chiese la mora, e Jennifer la guardò come non lo faceva da tempo.
"Klare!" esclamò il nome di una guardia fuori la porta "portale nella palestra D7 e non farle uscire fino all'ora di pranzo" si alzò e si diresse verso la guardia, che obbedì agli ordini.
Sarebbe stata una lunga giornata, pensò Jennifer.


​Ciao a tutti! Spero vi piaccia questa storia, questo capitolo l'ho fatto più lungo giusto per mostrare le storie dei due ragazzi. Grazie per la lettura :)

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Capitolo 4
*** IV ***


Chris e Darry si trovavano nella sala d'attesa del campo. Il ragazzo accanto a Chris non faceva altro che cambiare posizione anche stando seduto, accavallando prima una gamba e tre secondi dopo l'altra mentre si mangiava le unghie dal nervosismo.
 
"Ma tu non hai paura di quello che ci succederà? Non pensi alle nostre famiglie? Io non voglio partire" chiese di colpo il ragazzino rompendo il silenzio.
"Non ho paura" rispose il ragazzo "e poi non ho una famiglia" continuò con la tristezza che gli passava nei suoi occhi castani.
"Come no? E chi era quella ragazzina che urlava mentre ti portavano via?" chiese curioso il ragazzino con gli occhi scuri intensi mentre cercava lo sguardo del ragazzo accanto.
"I miei genitori sono morti. E quella 'ragazzina' è mia sorella. Non me ne frega niente di partire, temo solo per lei" rispose Chris evidenziando la parola 'ragazzina' con le dita.
"Ah mi dispiace, non lo sapevo" mormorò Darry imbarazzato "Cosa pensi di fare con lei?"
Chris non fece in tempo a rispondere che la porta alla loro destra si aprì e una donna di mezz'età sbucò fuori.
"Towell, vieni con me. C'è la tua famiglia" annunciò la donna mentre aspettava che il ragazzino si alzasse.
Darry si alzò dalla sedia ed entrò. Finalmente pace, pensò. Non voleva rispondere all'ultima domanda di quel ragazzino strano. Non perchè non gli andasse, ma perchè non aveva una risposta.

Non conosceva un modo per non lasciare Alexa da sola. Se lui si fosse imbarcato per l'isola non sarebbe mai più tornato indietro. Tutti i suoi momenti, la stazione e i suoi amici sarebbero diventati solo ricordi. Non avrebbe mai rischiato la vita per quel paese.
 
Un'altra donna, sicuramente più giovane, aprì la porta della stanza davanti a lui.
"Sei Chris Walters?" chiese la signora mentre leggeva su un foglio. Il ragazzo annuì.
"Vieni, hai una visita" lo invitò ad entrare. Pensò fosse Alexa, ma non era pronto a prendere una decisione.

 
Quando vide il suo amico Johnathan rimase un po' stupito, ma anche sollevato.
"Ehi" esclamò il biondo cercando di abbracciare l'amico "mi dispiace tantissimo. So che domani partirai ma volevo prima salutarti. O probabilmente dirti addio" la sua espressione in faccia era strana, un misto tra malinconia e tristezza.
"Probabilmente lo è" non riusciva a guardare il suo amico negli occhi "Johnathan, questa storia mi puzza. C'è qualcosa di strano che il consiglio non vuole dirci. Non possono aver spedito tutti questi ragazzini a morire. Non è possibile che siano ancora vivi su un'isola deserta in mezzo all'oceano. Non si può sopravvivere così" finì la frase e il biondo annuì.
"Nelle prime Selezioni, i partecipanti dopo un tot di tempo furono rispediti a casa, sempre se ancora vivi. Ma poi qualche coglione ha cambiato le regole. Perchè farlo? Nascondono qualcosa di strano, e io cercherò di scoprirlo per voi. E' crudele compiere questi atti" concluse guardando l'orologio appeso al muro. Johnathan era sempre stato un impiccione, pensava Chris, ma era di buona parola. Il ragazzo non ricordava mai una volta in cui non si fosse scordato di una promessa. Aveva molta fede.
"Grazie, sei un vero amico" i due si abbracciarono, ma Chris non aveva finito di parlare "Johnathan, prenditi cura di Alexa, fino alla fine. Mi fido di te, lo sai" il ragazzo pensava alle grida di sua sorella mentre lo guardie lo trascinavano alla scalinata.
"Certo, non preoccuparti. La tratterò come la mia dolce sorellina" i due risero per un istante, fino a quando la donna di prima interpellò Johnathan, che fu costretto a lasciare la sala.
"Spero di rincontrarti. Buona fortuna amico" il tempo di un ultimo abbraccio, e Chris si ritrovò da solo, con la mente confusa.

 
Non era pronto ad affrontare nuovi pericoli, non era pronto a lasciare tutto per ricominciare.
Ricominciare senza sua sorella.


 
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"Mi sono allenata abbastanza" confessò Jennifer sotto lo sguardo del direttore del campo.
"Scott, deve allenarsi ancora un'altra ora per l'allenamento extra. Forza" replicò Jackovinch ed uscì dalla palestra D7.
"Sei stanca Scott?" la voce di Gwen la fece balzare, mentre la mora rise a quel movimento.
"No, a dire il vero non ho proprio voglia di spaccare altre tavolette" un sorriso ironico si mostrò sul suo bel viso, e Gwen distolse lo sguardo concentrandosi sulla sua freccia.
"Ho sempre pensato che fossi una persona simpatica. Ti ammiravo per come eri, ma dopo quello che hai fatto non ho avuto più voglia di vederti" disse decisa, mentre teneva gli occhi fissi sul bersaglio.
"Lo so, e mi dispiace tantissimo, Gwen. Sai che non avrei mai voluto che mio padre lo scoprisse. Non avevo idea che fosse a casa quel pomeriggio" era molto dispiaciuta, ma gli occhi di Gwen le fecero capire che lei non l'avrebbe mai perdonata.
"Hai incarcerato mio padre, e ora non potrò mai più vederlo" Jennifer vide i suoi occhi lucidi "solo per colpa tua. Mi ero fidata di te, e hai tradito la mia fiducia" non voleva piangere davanti a Jennifer, non poteva. Lei era forte e dura come una roccia.
"Gwen, provo ancora rimorso per tutto, va bene?"
"Non voglio discuterne ancora. Domani dobbiamo partire e sarà un lungo viaggio. Questo è un argomento chiuso" concluse infine la mora dai profondi occhi verdi, e prese un'altra freccia dalla custodia.
 
Jennifer ammirò la sua forza ad andare avanti, e ammirava anche quanto fosse diventata forte con il suo allenamento. Avrebbe tanto voluto fare pace, ma non se lo poteva ancora permettere. Erano passati due anni, il tempo guarisce le ferite, ma qui la ferita era ancora aperta.


​ciao a tutti, spero che il capitolo vi sia piaciuto, è un po' corto ma ne farò di migliori :) saluti!

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Capitolo 5
*** V ***


Alexa non poteva far partire suo fratello. Non avevano il diritto di strapparle via l'ultima persona che le era rimasta accanto.
 
L'ansia diventò panico quando la porta dell'ufficio del direttore del campo si aprì, lasciando intravedere un uomo robusto, probabilmente una guardia, che copriva la visuale della grande stanza dipinta di grigio.

"Sei Alexa Walters?" chiese questo, e la ragazzina annuì trattenendo il respiro "Entra" e lei fece altrettanto.

Quella stanza era veramente grande, piena di quadri e attestati, con una bandiera americana e un'altra accanto con su 6 stelline, le sei città sopravvissute alla rivoluzione. Al centro della sala, la scrivania del direttore, che si trovava lì seduto a compilare dei fogli.

"Salve" le sorrise "Walters, hai qualche problema?" chiese l'uomo in giacca e cravatta.
"Volevo parlare di... di mio fratello" balbettò Alexa, mentre si accomodò su una delle due sedie di pelle davanti la scrivania.
"Chris Walters? Il selezionato?" chiese il direttore posando i suoi occhiali sul ripiano della scrivania.
"Sì" annuì "non potete spedirlo lì. La prego, lo sa anche lei che questi giochi sono una stupidaggine" disse con un tono da spezzarle il fiato, quando vide l'espressione stupita dell'uomo.
"Non mi occupo di queste scelte, e lei sa bene che è impossibile non partecipare alla missione. Sono tantissimi anni che va avanti questa Selezione, e per nulla al mondo potremmo rinunciarci. Ne vale l'America" concluse giocherellando con la penna.
Alexa non si sentì mai così in imbarazzo. Sapeva di non poter far cambiare idea a quelle persone.
"Allora le chiedo di scegliere un'altra persona al posto di Chris. Per favore, noi due siamo orfani da più di tre anni e non voglio perderlo" era decisamente imbarazzata, ma se ne valeva la vita di suo fratello, allora avrebbe continuato.
"Ma lo sa che è contro le regole? O devo ripetergliele tutte? Il mio compito in questi giorni è assicurarmi che i due selezionati stiano in forma, che si allenino e che partano per Washington D.C. prima di intraprendere il viaggio. Il consiglio sceglie come fare, non sono la persona con più potere, signorina Walters" il tono dell'uomo era decisamente cambiato, ma poco interessava alla bionda.
"Ho capito. Non posso fare nulla insomma. Non potrei parlare con la presidente?" chiese con sguardo di sfida all'uomo, che sbalordito rispose.
"Cosa? Assolutamente no! Lei è una ragazzina, e non potrebbe mai parlare con un politico così importante, e di certo non farà cambiare idea a nessuno" detto questo, l'uomo chiamò la guardia a cui chiese di far uscire Alexa.
 
Una volta fuori l'ufficio, la ragazzina dai bellissimi occhi azzurri si rese conto di aver fatto una cavolata parlando con il direttore del campo. Non gli avrebbe mai fatto cambiare idea sulla Selezione, era un giorno molto importante per gli Stati Uniti, perchè ricordava l'inizio della rivoluzione.
 
Alexa si arrese, e decise di tornare al suo alloggio nel centro di accoglienza, mentre si perse nei ricordi della mattinata in cui incontrò per l'ultima volta gli occhi di suo fratello più grande, Chris.

-------
Gwen prese la sua roba e si diresse verso la guardia fuori il portone della palestra.
 
"Ho finito. Mi lasci passare" rispose a forza la ragazza, che venne bloccata dalla guardia vestita in uniforme nera.
"Dovete aspettare l'arrivo del direttore, altrimenti rimarrete qui" rispose con una voce roca che a Gwen metteva i brividi.
"Che schifo di regole, non si può fare un cazzo qui" sbuffò la mora mentre rientrò nella palestra, e posò lo sguardo sulla ragazza castana che stava sistemando su uno scaffale tutte le tavole intatte.
 
A Gwen iniziò a far pena Jennifer, forse perchè dopo tutto quello che avevano passato, anche lei meritava di essere felice. Ma la sua felicità veniva prima della ragazza davanti.
Era crudele, ma non voleva ancora perdonare Jennifer.
 
La mora si sedette su una panchina, e con tutta la sua volontà non guardò la ragazza.

"Penso di aver finito qui. Potresti passarmi quelle sulla panca?" chiese mentre si asciugò il sudore dalla fronte.
Gwen non prestò attenzione, era troppo impegnata a fissare il meraviglioso paesaggio dalle finestre, ovvero il tramonto.
"Gwen" ripetè per la terza volta Jennifer, e la mora si spazientì.
"Cosa vuoi?" esclamò con cattiveria.
"Ti ho chiesto solo un favore, calmati" Jennifer decise di prendere da sola le tavole, sarebbero costate altre energie, ma non le importava.
"Non faccio favori" la sua risposta le ricordò un libro che Jennifer aveva letto a tredici anni. Parlava di una ragazza più o meno come Gwen, spensierata, abbastanza cattiva e pareva che il mondo ce l'avesse con lei. Forse era solo un caso, ma la ragazza del libro era la copia di Gwen Andrews.
"Beh, sicuramente la gentilezza non è la benvenuta nella tua personalità" pensò ad alta voce la castana, che si fermò ad ammirare il tramonto "che spettacolo" commentò infine.
"Ne ho visti di più belli. Qui a Los Angeles non sono il massimo" ribattè Gwen.
"Dove?" chiese Jennifer, o come Cindy la chiamava, Jen.
"Sulla costa nord della California, quelli sono i miei preferiti. Mio padre mi portava sempre lì" la sua voce si era incrinata e i suoi occhi erano immobili sul sole che piano piano scompariva al ricordo del padre.

Jennifer annuì. Lei non era mai uscita dalla stazione, non aveva avuto modo di visitare qualche posto, ma dopo la rivoluzione l'America non permisero più di uscire ai cittadini dal paese, cosa contraria per i politici.

Avrebbe voluto vedere tantissime città, a partire da Parigi. Quando adocchiava qualcosa nei libri scolastici delle vecchie città si chiese come potevano vivere lì. Era meravigliata da tutti i luoghi del mondo, tanto da sognare di poterci un giorno arrivare. Se fosse nata 100 anni prima ne avrebbe avute di occasioni.

"Tua madre come sta?" chiese la ragazza dal braccio meccanico.
"All'idea che la sua unica figlia possa morire non si è tanto felici" rispose la mora, mentre tirava fuori la sua borraccia dal borsone.
"Anche la mia. E' scoppiata a piangere appena ci siamo incontrate" confessò, ricordandosi le parole della madre.
"Questo è un mondo crudele, nessuno ti aiuta senza qualcosa in cambio. Ci mandano come cavie a morire per la nostra patria. E che patria" Gwen non amava gli Stati Uniti, sarebbe voluta nascere in Europa, sarebbe stata libera di compiere ciò che avrebbe sempre voluto fare.
"Io sono spaventata all'idea di sbarcare su quell'isola. E' in mezzo al nulla!" esclamò a bassa voce Jennifer, come se avesse paura che qualcuno la possa sentire.
"Dovremo arrangiarci" rispose senza espressione.
"Vorrei tanto conoscere gli altri ragazzi e scoprire cosa hanno in mente" la gola secca di Jennifer non faceva che farle male, così bevve un sorso d'acqua. Cavolo, le sarebbe anche mancata l'acqua della sua stazione, pensò.

 
Pochi minuti dopo arrivò il direttore, che le condusse all'alloggio prestabilito.
Non aveva sonno, ma doveva dormire. Ma il pensiero di lei dispersa nell'oceano Pacifico non conciliava il sonno, purtroppo.


​hello peoplee, vi prometto che il prossimo capitolo sarà più interessante, e anche più lungo. alla prossima :)

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Capitolo 6
*** VI ***


Il giorno della partenza arrivò, e Jennifer non era pronta a lasciare la stazione con tutti i ricordi che la opprimevano di volta in volta.

La ragazza era molto sensibile, bastava anche la minima cosa per farla scoppiare in un pianto infinito. Avvertì una strana sensazione allo stomaco quando dovette lasciare il suo alloggio. Il consiglio aveva permesso alle due ragazze di portare solo uno zaino con dentro il necessario, che a dirla tutta, era mezzo vuoto. 

Uscì dalla stanza con mille pensieri che le attraversavano il cervello, quindi decise di prendere una boccata d'aria.

Fuori era brutto tempo, le nuvole di un grigio scuro coprivano il cielo, e Jennifer pensò che avrebbe cominciato a piovere in poco tempo.
Ma i suoi occhi castani dal cielo si spostarono al ragazzo che le faceva venire le farfalle nello stomaco, Bruce.

"Jennifer!" si mise a correre verso di lei.
"Bruce" ribattè lei, che sembrava abbastanza colpita alla vista del ragazzo.
"Non siete ancora partite?" chiese dubbioso.
"Abbiamo il volo in mattinata" rispose guardandosi le mani "che ci fai qui a quest'ora?" evidenziando il fatto che fossero quasi le sei.
"Ero venuto a cercarti, più o meno. Kayley mi ha detto che oggi saresti partita, quindi sono passato a salutarti. Non voglio rendere la cosa ancora più triste di quanto sia già, quindi mi limiterò ad augurarti buon viaggio. Sei forte, ce la farai a superare tutto" sorrise, e la ragazza perse un battito.
"Grazie" ringraziò timidamente, con un sorriso da ebete che odiava "Kayley? Non l'ho più vista, anche perché mi hanno tenuta legata come un cane" nella sua testa quelle parole sembravano una bella battuta, ma pronunciate ad alta voce erano tutta un'altra cosa.
"Kayley non sta passando un bel periodo, come sai è impegnata con i corsi. Non ha tempo neanche per i suoi amici" era abbastanza triste, riferendosi soprattutto al fatto che Bruce sarebbe voluto diventare ben più che amico con Kayley.
"Lo so, ma la sua migliore amica parte e non ha tempo neanche di guardarmi un'ultima volta in faccia?" era dispiaciuta, ma anche arrabbiata. Non riusciva mai a capire che sentimenti provasse.
"E' mortificata da tutto ciò. Non accetta ancora che tu sia stata scelta" Bruce abbassò lo sguardo, e Jennifer capì subito che lui era più giù di morale di quanto potesse immaginare. Bruce era un tipo felice, non faceva mai intendere la sua tristezza. Ma in quell'istante non fu così.
"Allora salutala e dille che le voglio bene. Non so se avremo contatti, ma qualunque cosa accadrà io penserò sempre a voi" detto ciò, la castana sentì chiamare il suo nome.

"Jennifer! Ma dov'eri? Ti ho cercata ovunque!" esclamò Gwen affrettando il passo verso i due.
"Ero uscita a camminare un po', tranquilla, non potrei scappare" disse per poi indicare con la testa le guardie ai cancelli.
"Fossi in te lo avrei fatto" rispose sghignazzando, e i suoi occhi puntarono sulla sagoma alta del ragazzo davanti.
Bruce era visibilmente a disagio, Gwen lo notava. Non era la prima volta che lo incontrava, tempo prima, durante gli allenamenti, li vedeva sempre insieme, e il suo cervello ipotizzò che fossero fidanzati.
"Comunque dobbiamo avviarci" disse la mora tornando a guardare la sua, come dire... quasi-amica. Non poteva esprimere a parole che relazione avessero le due "se vuoi salutare il tuo ragazzo fallo adesso o mai più"
"Ragazzo?" chiese con gli occhi sgranati la ragazza, che si mise a ridere insieme all'amico "Lui è Bruce, siamo amici, niente di più" rise ancora e il ragazzo annuì.
"Ah" imbarazzata dal momento "beh chiunque lui sia, non abbiamo tempo"
"Sei Gwen Andrews?" chiese di improvviso Bruce.
"Sì, perché?" ribattè la mora.
"Ti ho vista il giorno della Selezione... e poi per tuo padre" a quelle parole Gwen cominciò a spazientirsi. Voleva andare via da lì, e non tornare mai più.
"E' ora di andare" propose Jennifer, salutando di nuovo il suo amico, o il ragazzo che amava da tanto. Non lo avrebbe più rivisto, e faceva male pensarlo.


 
-------

"Chris!" lo chiamò Darry bussando alla porta della sua stanza temporanea.
"Che cosa vuoi?" aprì la porta sbuffando, erano le cinque di mattina e lui voleva dormire qualche ora in più, dato che non lo avrebbe più fatto, probabilmente.
"Non ti sei praparato?" chiese il ragazzino, notando che Chris fosse a torso nudo.
"No, e non ho intenzione di farlo se continui a bussare" si passò la mano tra i capelli "ma che diavolo di ore sono?!" esclamò dopo un attimo di esitazione.
"Le cinque di mattina" fece un piccolo sorriso al ragazzo, che infastidito dalla sua presenza chiuse la porta.

Ma la riaprì, non capì neanche lui perché.
"E tu vieni a svegliarmi alle cinque del mattino, quando dobbiamo presentarci alle sei fuori le stanze?" era quasi furioso, ma era il suo carattere.
"Sì!" esclamò Darry, che spostò lo sguardo sulla guardia a qualche metro dall'ascensore "Il direttore ieri ci ha chiesto di presentarci sotto nella reception per lo scanner e andare a fare la visita, e poi partiremo"
"Perché, viene anche il direttore?"

Il loro discorso venne interrotto dalla guardia di prima, che si avvicinò e fece un cenno ai ragazzi di uscire.
 
Due ore dopo si trovarono nell'aereporto di New York, distretto Nord, dove partivano tutti i politici con i mezzi. La tecnologia era molto avanzata dalla rivoluzione, difatti gli aerei destinati alle partenze erano strani, con più funzionalità e soprattutto più rapidi.

Chris era spaventato, ma non quanto il ragazzino che lo seguiva anche per andare in bagno.

"E noi dovremmo prendere un aereo? Mi spaventa molto l'idea di salirci, a te no? Insomma, nessuno esce dal proprio paese da anni e anni ormai, perché costruire aerei tecnologici solo per i politici? Io non capisco questa gente, non ha proprio sens..." non finì la frase che Chris perse la pazienza e sbroccò.
"Basta! Non ti sopporto più, sei petulante, hai una parlantina che solo Dio sa tacere, non ti puoi stare zitto un attimo? Hai capito che stiamo per lasciare tutto? L'America non sarà più la nostra casa ormai, ma lo sarà quell'isola dispersa nel mondo e chissà cosa troveremo lì!  Quindi ora, per favore, chiudi quella cazzo di bocca e fammi respirare" alzò la voce, e la sua faccia diventò rossa dalla rabbia. Forse era stato troppo duro con un ragazzino di soli 15 anni, ma non glie ne fregava assolutamente niente, i suoi pensieri scorrevano sulla sorella, che non vedeva da tanto. Non poteva credere di lasciarla ad affrontare la vita da sola.
Darry rimase sbalordito dalle parole del ragazzo più grande, che con grandi passi se ne andò da un'altra parte, lasciando il ragazzino castano da solo con mille domande senza risposte.
 
Un'ora dopo il direttore chiese ai ragazzi di seguirlo, li avrebbe portati a fare una visita medica, stabilita dal consiglio prima di far partire i selezionati. Era importante farsi visitare, se avessero avuto allergie di ogni tipo, o malanni vari avrebbero fatto imbarcare con loro anche medicine a sufficienza, affinchè potessero andare avanti senza problemi e senza dolori, e tra uno dei selezionati veniva scelto per forza uno studente di medicina in tirocinio.
Il direttore li condusse nella sala medica dell'aereporto, dove facevano esperimenti su esperimenti.

Il primo ad entrare fu Darry.

Chris era fuori, e dopo quelli che sembravano minuti infiniti, il medico, o anche scienziato, uscì dalla sala con un aspetto inquietante.

"Direttore, devo parlarle" era abbastanza preoccupato, lo dimostravano i suoi occhi coperti dagli occhiali da vista.
"Mi dica" pronto ad ascoltare, Chris altrettanto, con il suo udito ben sviluppato.
"Non possiamo far partire il ragazzo"
Con un attimo di panico, alcuni altri membri del consiglio si avvicinarono, e non potè farne a meno anche Chris, con il cuore in gola.
"Come sarebbe? Cosa succede?" chiese il direttore del campo preoccupato.
"Abbiamo trovato una malattia maligna, e con le piante che i ragazzi troveranno lì giù la sua salute peggiorerà" rispose il medico guardando l'uomo in giacca e cravatta davanti a lui, nonostante le altre persone intorno a loro.
"Si spieghi, non ho capito"
"Abbiamo riscontrato un problema al cuore, legato alle sue allergie, e tra queste anche le piante forestali. Se andasse lì senza prima aver effettuato delle cure, morirebbe per soffocamento. Gli mancherebbe sicuramente l'aria, e vivendo in una città artificiale non sarebbe abituato alla natura circostante" concluse tirandosi su gli occhiali sulla gobbetta del naso.

Chris balzò sul posto, e non riuscì a crederci. Come era possibile? Avrebbero rinunciato alla partenza dei 10 senza uno di loro?
Erano troppe domande, e si limitò ad ascoltare le proposte del consiglio sul da farsi.

"E nessuno sapeva di questo problema?! Com'è possibile che non sia venuto a galla?! Neanche il ragazzino ne era a conoscenza?"
"No, quando ho trovato il problema era scioccato quanto noi" disse intendendo anche della presenza di altri medici.
"E quindi? Non dovrebbe partire? Mi spiega io cosa dico al consiglio a Washington? Che ho estratto un ragazzo minorenne senza conoscere delle sue condizioni strane?! Deve partire comunque!" esclamò furioso il direttore.
"Non ne guadagnerebbe niente dalla morte certa di un ragazzino" mormorò Chris, e tutti si girarono verso di lui.
"Walters, dovrebbe rimanerne fuori" disse.
"Cosa pensa che faremo lì? Divertirci tutto il tempo? Sa quanto sia complicato lasciare le persone che amiamo per questa missione insensata? Deve essere facile starsene seduto su una scrivania aspettando che vengano selezionati dieci ragazzi e spedirli a morire, perché anche voi sapete che quello sarà il nostro destino" quelle parole gli uscirono dalla bocca come se fosse una specie di robot, e non se ne pentì.

Il direttore lo guardò come se avesse detto la cosa più assurda del mondo.
Si girò, facendo finta di non aver sentito, ma Chris non riuscì a capire di cosa stessero blaterando.

"Dobbiamo scegliere un altro selezionato, per sustituire Darry Towell. E io so chi, anche se ne va contro le regole" annunciò girandosi verso il ragazzo alto, che rimase immobile alla vista del ghigno dell'uomo.


"Portatemi qui Alexa Walters"

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Capitolo 7
*** VII ***


Era tutto pronto. L'aereo diretto a Washington D.C. avrebbe portato Jennifer e Gwen a conoscere gli altri selezionati. Avrebbero conosciuto i loro compagni di avventura, con chi avrebbero dovuto vivere.
 
Jennifer si voltò verso la madre, con il cuore a pezzi, e le lacrime che colavano sul suo viso pallido. All'ultimo abbraccio verso la donna che le diede la vita non poteva rinunciarci. Sentì le lacrime della madre impregnarsi nei suoi vestiti, e questo non le faceva bene.
"Andrà tutto bene, mamma" mormorò la ragazza in un pianto interrotto dai singhiozzi. Guardò gli occhi azzurri di sua madre.
"Sei forte. Ti voglio bene piccola mia" queste parole riempirono il cuore di Jennifer di gioia, ma anche di tristezza.

Jennifer salutò anche il padre, che a differenza della moglie, sembrava più sereno, ma sempre preoccupato. Non aveva un bel rapporto con lui, forse perché dopo la scomparsa di Cindy non si parlavano più come una volta... e dopo l'arresto del padre di Gwen finì tutto.
 
Una guardia dai capelli grigi tirò con forza la ragazza, che si staccò dall'abbraccio del padre. Insieme a Gwen, che se ne stava con sua madre a poca distanza, si diresse verso il ponte per l'entrata nell'aereo. Affianco c'erano anche il presidente della stazione Los Angeles, il direttore che sarebbe partito con loro per la capitale, e altri membri del consiglio per la Selezione.

"Sei pronta?" chiese Gwen alla ragazza al suo fianco.
"Mai stata per questo" rispose semplicemente guardando gli occhi verde smeraldo della compagna.

Jennifer udì una voce familiare da dietro, e non potè che girarsi per vedere chi fosse.

Kayley.
 
"Jennifer!" urlò correndo, cercando di oltrepassare le guardie armate a spintoni. "Fatemi passare! Jennifer!" continuò in preda al panico.
Jennifer fece retrofront, ma subito un uomo la bloccò.
"Non puoi lasciare il ponte" le disse con una stretta al braccio che la fece raggerlare.
"C'è una mia amica! Mi lasci passare!" esclamò la ragazza, che tentava in tutti i modi di divincolarsi dalla stretta dell'uomo.
"Kurt" chiamò Jackovinch "chiedi alle guardie di portare quella ragazza qui" disse infine il direttore, e Jennifer lo guardò stupita.
Due guardie condussero Kayley verso il ponte di partenza, e appena vide l'amica, corse come se potesse perdere l'ultimo posto verso la felicità.
"Mi dispiace di non essere passata, non avevo la forza" scoppiò in lacrime l'amica, abbracciandola.
"Non preoccuparti. E' tutto okay" rispose con occhi lucidi. Non aveva più lacrime da buttar fuori.
"Ti prometto che farò di tutto per rincontrarci" promettè Kayley guardandola nelle pupille. "Ci sono fin troppi segreti qui dentro, e mi farò aiutare per scoprire di cosa si tratta tutto ciò. Non sarà la fine della nostra amicizia" sussurrò velocemente la mora, che si guardò intorno per non farsi sentire.
"Ti voglio bene" si abbracciarono come non avevano mai fatto prima, e una guardia portò via Kayley, che fino all'ultimo, il suo sguardo non fece altro che posarsi su Jennifer.
 
"Ci siamo" disse Gwen guardando la compagna spaventata. "Non sarà così male il viaggio".

Era la prima volta che le due salivano su un aereo, e Jennifer non era entusiasta all'idea.
Con un nodo alla gola, l'equipaggio e le due selezionate si imbarcarono sul jet, e lasciarono per sempre la meravigliosa Los Angeles.

 
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"Non toccatela!" gridò il ragazzo dai capelli che arrivavano fin sotto le orecchie.

Si stava divincolando dalla presa ferrea della guardia armata davanti, per arrivare alla sorella. Dopo che Darry fu escluso dalla missione, il direttore del campo scortò due guardie per portare Alexa sul ponte di lancio.

Alexa era spaventata, alla vista del fratello si chiese cosa ci stesse facendo lì. Era troppo confusa per chiedere, ma il sollievo che provò per aver rivisto suo fratello un'ultima volta, era come averle gonfiato il petto di speranza. E per cosa? Per dover dire addio alla persona che qualche volta rubava razioni di cibo per darle a lei? Il ragazzo che l'aveva cresciuta e stimolata ad andare avanti nonostante fossero soli al mondo? No. Non avrebbe mai e poi mai voluto dirgli addio, come se niente fosse. Non avrebbe fatto partire il fratello per una missione suicida.
 
"Alexa" la chiamò il fratello.
D'istinto, lei si girò e notò le lacrime punzecchiare gli occhi di Chris.

Alcuni medici si diressero verso il corpo esile di Alexa, che stava tremando. Controllarono che non mostrasse strani sintomi, ma del resto, era una ragazza sana e forte. Proprio come il fratello.
"E' tutto nella norma, signore. Possiamo farla partire" disse un uomo in camice bianco. Farla partire? Cosa? Le pareva un incubo, non era possibile.
"Bene. Portateli nell'aereo, arrivo subito" dichiarò il direttore, e scomparve.

"Chris... cosa succede? Perché sono qui?" la voce della ragazzina bionda si incrinò, e pareva che potesse scoppiare a piangere da un momento all'altro.
"Ti fanno partire con me" si limitò a rispondere Chris, che tentò di dimostrarle che poteva benissimo farcela.
"Che cosa? E Darry? Perché io?" la sua voce implorava delle risposte.
"Non so cosa sia successo, ma devi promettermi che sarai forte. Staremo insieme, d'ora in poi" le sorrise per calmarla, ma si spense subito quando le guardie chiesero ai due di darsi una mossa.


I ragazzi arrivarono in fondo il ponte. Era tutto buio, c'era giusto qualche luce artificiale che spuntava di sottecchi dall'alto.
D'un tratto, la piccola ragazza bionda si accorse che non aveva potuto salutare la sua compagna di stanza, nonchè amica Vivian. Cominciarono ad essere amiche da quando i due fratelli persero il padre, quindi quando il consiglio li trasferì nel centro d'accoglienza. Anche Vivian non aveva una famiglia, era poco più grande di lei, con due bellissimi occhi scuri e lentiggini spruzzate su tutto il viso. Era molto bella, pensava Alexa, una vera amica da cui ispirarsi. Suo padre morì per una malattia incurabile, mentre la madre scappò dalla stazione, abbandonando la figlia al suo destino.
 
"Chris" chiamò il fratello. "Ho paura" abbassò la voce per non farsi sentire. I due si imbarcarono sull'aereo che li avrebbe portati in poco tempo a Washington D.C. Stava accadendo tutto troppo in fretta per lei.
"Non devi averne. Ci sono qua io. Ti proteggerò ad ogni costo. Andrà tutto bene, vedrai" disse a bassa voce, prendendo la mano della sorella.

Lei strinse ancora più forte la sua mano quando sentì il motore dell'aereo accendersi.
Ed ecco che i fratelli Walters lasciarono New York, la città dove nacquero, ma che non avrebbero più rivisto. Il loro primo viaggio insieme, come una vera famiglia.

ehilà, scusate la mia assenza, but i'm back bitches ;) ci vediamo al prossimo capitolo, spero vi piaccia!
​xoxo

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Capitolo 8
*** VIII ***


L'aria era diversa lì  a Washington D.C.
Non aveva mai visto un'altra città a parte New York, pensò Chris. Non aveva mai pensato possibile che ci fossero così tanti posti nel mondo, fino a 100 anni prima li avrebbe potuti vedere tutti. Ma una guerra può arrivare da un momento all'altro, distruggendo tutto quello che ci si trova intorno.
Dopo essere atterrati, si diressero verso un edificio molto alto, rivestito da finestre che lasciavano intravedere i vari uffici collocati all'interno. Non sembrava un grattacielo, pensò Chris. Dopo la rivoluzione, New York venne rasa quasi del tutto al suolo, lasciando qualche monumento integro. Gli unici grattacieli rimasti erano l'Empire e il World Trade Center, situato nel distretto Nord. Era talmente alto che lo poteva vedere benissimo anche Chris dal distretto Sud, dove abitava con Alexa e suo padre molti anni prima.
 
"Dove stiamo andando?" chiese d'improvviso il ragazzo.
"Dobbiamo incontrare il consiglio di Washington, poi conoscerete i selezionati delle altre stazioni" rispose il direttore, che non badò a puntare lo sguardo sul ragazzo alto.
Camminarono fino all'entrata dell'edificio, dove alcune guardie erano di pattuglia.
"Stazione New York" il direttore in giacca e cravatta tirò fuori un aggeggio elettronico con uno schermo poco illuminato dalla tasca "Sono con i selezionati" porse lo schermo all'uomo di mezz'età con un fucile in mano.
"Prego, da questa parte" si limitò a rispondere quest'ultimo.
Entrarono, e Chris si accorse che Alexa aveva la bocca aperta per lo stupore. Non avevano mai visto un palazzo così bello, così pieno. Il campo era un posto cupo, senza quadri o poltrone che abbellissero le sale principali.
"Mentre noi ci spaccavamo il culo per lavorare, loro avevano tutto questo? Ma per favore" mormorò tra se Chris, e parve che Alexa lo sentì, guardandolo in modo di supplica, forse per smetterla.
 
I due fratelli, il direttore e due guardie presero un ascensore, e una guardia spinse il pulsante elettronico per il piano da raggiungere. Era il 19esimo piano.
Qualche istante dopo, si ritrovarono in una sala con un tavolo che roteava per tutta la stanza, con alcuni membri del consiglio.
Questi si girarono, e guardarono i due ragazzi come se fossero atterrati sulla Terra in una navicella in quel momento. Alcuni parlottavano tra loro, altri che si presentavano al direttore. Chris guardò in direzione della poltrona più grande; era il posto del presidente americano.
Con grande stupore, il silenzio calò nella sala quando il presidente fece la sua entrata trionfale. Con la testa alta entrò e si mise a sedere sulla famosa poltrona.
Scrutò per bene i due ragazzi, che a dir poco si sentivano a disagio. Soprattutto Alexa, la tensione nei suoi muscoli si percepiva all'istante.

"Salve, signor Presidente. Ho con me oggi i due ragazzi per la missione" disse il direttore.
"Salve, Holter. La ringrazio per essere qui, insieme a questi bei giovani" era un uomo sulla sessantina, forse più vecchio, pensò Chris. Ricordò il giorno della sua elezione. Aveva 6 anni, ed era il compleanno di Alexa.
Lesse qualcosa sul tablet installato nella scrivania, e si stupì a leggere qualcosa.
"Due Walters? Coincidenze, o destino?" un risolino riecheggiò nella stanza. Quella battuta non era divertente per Chris.
"Può chiamarlo amore fraterno" rispose Holter, con un ghigno malefico sulle labbra.
 
Dopo almeno mezz'ora nell'ufficio, il signor Holter, Chris e Alexa si diressero di nuovo verso l'ascensore, dove li attendevano nuove conoscenze. Chris non era turbato dal fatto che da lì a qualche minuto avrebbe incontrato i suoi compagni di viaggio, quelli con cui avrebbe trascorso tutta la vita su quella maledetta isola. Ma non gli importava; una volta sul posto, sarebbe partito insieme ad Alexa per un rifugio tutto loro, per non dover essere schiavi degli Stati Uniti. Sarebbero stati liberi.
 
La sala dove entrarono era piccola; ma grande abbastanza da contenere almeno venti persone. Era vuota, ciò significava che furono i primi ad arrivare. New York era la stazione più vicina alla capitale, e in quel momento Chris capì.
Alexa sembrava spaventata, ma la conosceva troppo bene per capire che lo era per i ragazzi che avrebbero incontrato. Sarebbero stati tutti come loro? Impauriti e senza più speranza di sopravvivere? Non sapevano cosa avrebbero incontrato una volta atterrati, il loro destino era nelle loro mani.
 
"Prendete posto su una sedia, ragazzi" ordinò Holter, e i due fecero come chiese.
"Cosa dobbiamo fare?" chiese con voce stridula Alexa.
"Aspettare le altre stazioni. Non preoccupatevi, mi è arrivata notizia che Chicago sia atterrata da poco" rispose con noncuranza, saettando lo sguardo dalla porta alla ragazzina bionda.
Il silenzio calò nella sala, mentre Alexa era intenta a rigirarsi un braccialetto tra le mani.
"Dove lo hai preso quello?" chiese Chris notando lo sguardo triste della sorella.
"Me lo ha regalato Vivian per il mio compleanno" rispose fissando le perline di un verde intenso. Verde, il suo colore preferito.
"Oh" riuscì a dire Chris. Non conosceva bene Vivian, ma sapeva che Alexa era troppo timida per farsi tanti amici e di conseguenza Vivian era una dei pochi.
"Non ho avuto il tempo neanche di dirle addio" una lacrima le scorse sul suo bel viso, e sbattè le palpebre più volte per tentare di non scoppiare a piangere. Non voleva questa vita, ma d'altronde se ne sarebbe fatta una nuova insieme al fratello.
"Lei sarebbe fiera di te" la incoraggiò, con un sorriso confortante.
Lei non rispose, ma quelle parole le fecero capire che non si sarebbe dovuta arrendere, che avrebbe dovuto lottare per ritrovare la persona che era una volta. Ma poi pensò che lei non era mai stata nessuno. Non avrebbe mai trovato qualcuno da amare, con cui avere una famiglia. Il suo subconscio le ricordò che la sua casa era un centro d'accoglienza a pochi chilometri dal campo di addestramento, orfana da tre anni con l'unica persona importante rimasta al suo fianco. Chris.
 
Un rumore la riportò alla realtà, e vide entrare dalla porta un uomo alto in giacca e cravatta, seguito da due ragazzi alti, ma non quanto l'uomo.
Un ragazzo e una ragazza, precisamente: tutti e due biondi, lei con piccoli occhi azzurri e lui, invece, dei bellissimi occhi verdi, che a seconda della luce sembravano grigi. Avevano tratti del nord Europa, e pensò che fossero discendenti da una famiglia nordeuropera. Ma forse si sbagliava.
Alexa non smise un secondo di fissarli, era esterrefatta, ma allo stesso momento eccitata a vedere delle persone che non fossero della sua stessa stazione.

"Quanto tempo Paul!" esclamò Holter a questo presunto Paul. Si diedero una pacca sul braccio, come se si conoscessero da tanto. Beh, sono stati loro a portare i selezionati delle missioni precedenti, pensò Alexa, un minimo di conoscenza ce l'avevano.
Chris osservò i due ragazzi seduti di fianco a loro; riconoscere qualcosa delle persone non era il suo punto forte, ma i due sembravano grandi abbastanza da avere la stessa età di Chris, sui diciotto.

La ragazza bionda è molto carina, pensò lui. Ma forse sta con quello biondo, pensò di nuovo. O forse non devo farmi questi problemi dato che non li conosco neppure, pensò. Chris aveva amato solo una ragazza, che poi si rivelò una vera e propria stronza, Natalie. Nel suo cuore sapeva che non ci sarebbe mai stato più quel sentimento che ti porta le farfalle nello stomaco ogni volta che vedi la persona che ami. Non gli sarebbe più capitato, lo avrebbe impedito in tutti modi.
Chris non voleva innamorarsi di nuovo.
 
La ragazza alta, con un fisico snello e bionda si girò verso il ragazzo, che alzò lo sguardo notando i suoi occhi su di lui.
"Cos'hai da guardare?" chiese lui strafottente.
"Io? Sei tu che hai cominciato" rispose lei. "Ma non mi dispiace il fatto che mi guardi in quel modo" In quel modo? Si chiese Chris.
Girò la testa verso Alexa, che si guardava i piedi. A cosa stava pensando?
"Già cominci?" una voce si insinuò nella testa di Chris. Il ragazzo biondo parlò.
"Sta' zitto, Garrett" si limitò a rispondere lei, accavallando le gambe.
"Non ti ho detto niente, sei tu che provochi" il ghigno sulla sua faccia gli faceva venire voglia di prenderlo a pugni, ma non avrebbe potuto scatenare qualcosa dal nulla.
La bionda si girò verso Chris. "Sono Daphne" i suoi occhi sono bellissimi, pensò il ragazzo.
"Chris" rispose. Notò che Daphne pose lo sguardo verso la ragazzina accanto.
"E la tua piccola amica chi è?" chiese divertita, e Alexa alzò di scatto la testa.
"Mia sorella, Alexa"
"Tua sorella? Com'è possibile?" si domandò Daphne esterrefatta. Erano rari i fratelli estratti nella Selezione, c'erano stati pochi casi. Ma dallo sguardo della biondina, capì che non ci furono coincidenze.
Nel momento esatto in cui Chris stava per aprir bocca, entrarono i selezionati delle stazioni Seattle e Houston, seguiti dai direttori.
Una ragazza minuta dai capelli lunghi ramati, e con tantissime lentiggini entrò al fianco di un ragazzo alto, moro e con occhi scuri. Somigliava ad un ragazzo che Chris incontrava tutti i giorni nella sua palestra.
I due si misero a sedere davanti Chris e Alexa, forse imbarazzati dal momento.
Altri due ragazzi entrarono nella sala, una ragazza magra con dei lunghi capelli castano scuro e un ragazzo con occhi azzurro ghiaccio, come quelli di Alexa. Si guardarono tra di loro e Chris notò una cicatrice sul collo del ragazzo. Cosa aveva fatto per procurarsi una ferita così evidente?
 
"Bene ragazzi. Non siamo tutti, manca la stazione Los Angeles, ma tra poco ci raggiungerà" spiegò Holter. "Quindi, se volete presentarvi, fate pure. Ma sappiate che le presentazioni arriveranno dopo"
Chris non riusciva a pensare a cosa sarebbe successo da lì a poco. Non voleva pensare a cosa avrebbero incontrato sull'isola, e se fossero rimasti senza viveri? Come avrebbero fatto a superare l'inverno? E se l'isola fosse abitata da qualche strano individuo?
Chris cercò di scacciare quelle stupide domande dalla sua mente. Si volse verso Alexa, che fissava la porta in un'intensità che al ragazzo fece venire i brividi.
Beh, d'altronde, avevano ancora molto da seguire e imparare. Ma i veri sforzi sarebbero arrivati dopo, quando si sarebbero ritrovati soli contro il mondo.

 
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Jennifer sentiva un gran bisogno di scappare. Non voleva incontrare quei poveri ragazzi. Non voleva vedere i loro volti disperati. Sempre se lo fossero stati.
Gwen camminava a testa bassa davanti, e pensò al momento in cui scoprì cosa lei aveva fatto a suo padre. Non era colpa sua, in un certo senso, ma Gwen era troppo impegnata ad avercela con Jennifer che guardare in faccia la realtà. Non poteva ammetterlo.
 
Jackovinch cominciò a parlare con degli uomini davanti una porta. Jennifer e Gwen si guardarono imbarazzate, senza sapere se iniziare una conversazione.
Ma il silenzio era sempre la miglior scelta.
 
Quando Jennifer si ritrovò davanti almeno otto ragazzi disposti sulle sedie, le venì un colpo. Da stupida, rimase bloccata dietro di Gwen, che con aria irritata cominciò a guardarsi intorno, come se volesse trovare una via di fuga.
Jennifer notò subito tutti gli sguardi su di lei, in particolare di un ragazzo con degli occhi incantevoli, e una bella cicatrice chiara sul collo.
Gwen andò a sedersi sulle uniche sedie libere in prima fila. Un ragazzo con dei riccioli lunghi la seguì con lo sguardo mentre si andava a sedere. C'era una ragazza bionda accanto a lui, probabilmente una selezionata della sua stazione. Ma guardandoli meglio, notò che i due si somigliavano parecchio. Forse era il suo subconscio che le giocava brutti scherzi.

"Va a sederti, Scott" ordinò Jackovinch e molto titubante, Jennifer prese posto accanto alla ragazza che un tempo poteva definire amica.
"Possiamo cominciare. Oggi siete qui per uno scopo ben preciso. Voi siete il futuro degli Stati Uniti, e sarete voi a portare a termine i vostri potenziali che il campo vi ha concesso di fare. Da ora in poi, consideratevi come degli eroi, perchè i vostri sacrifici passeranno alla storia come tutti quelli dei precendenti ragazzi" Jackovinch e un altro direttore che Jennifer non aveva mai visto, iniziarono un discorso molto lungo, e Jennifer ci teneva ad ascoltare. Sentì Gwen sbuffare accanto.
"Ma adesso veniamo alle presentazioni" prese un foglio e ricominciò a parlare. "Dalla stazione Chicago, abbiamo qui Daphne Porter e Garrett Bailey" li invitò ad alzare le mani, per farsi riconoscere. Jennifer si girò, e vide che il ragazzo di prima con i riccioli e il viso scavato la guardava. Lei ricambiò lo sguardo, imbarazzata.
"Della stazione Seattle ci sono Emma Burton e Tyler Hill" una ragazza molto bella dai capelli color carota, alzò il piccolo braccio e abbassò subito lo sguardo, al contrario del suo amico moro di fianco.
"New York: Chris e Alexa Walters" d'istinto Jennifer si chiese perchè avessero lo stesso cognome. Erano capitati così? Si conoscevano prima d'ora? E se fossero parenti? O... addirittura fratelli? Impossibile, pensò lei, è raro che due fratelli vengano estratti. Chi erano?
Tutti si girarono verso di loro, e Alexa incrociò il suo sguardo, che fu costretta a distogliere dopo.
"Perché avete il cognome uguale? Siete per caso parenti?" chiese il ragazzo dalla ferita sul collo.
"Perché? Cosa c'è di strano?" chiese questo presunto Chris, che lo guardò con aria di sfida.
"Ragazzi, per favore. Non siamo qui per attaccarci a vicenda, quindi evitiamo" disse un direttore.
"E' stato lui a cominciare" protestò il biondino, un ragazzo molto affascinante. Il presunto ragazzo ricciolo. Jennifer avrebbe dovuto imparare in fretta tutti i nomi, altrimenti avrebbe fatto un sacco di brutte figure.
"Walters, datti una calmata" rispose il direttore.
Lui sbuffò irritato, e scivolò sulla sedia sconfitto. La ragazzina accanto lo guardò come per chiedere di smetterla. Gwen sghignazzò.
"Megan Cole e Aaron Thompson da Houston" il ragazzo dal segno sul collo alzò la mano, seguito dalla ragazza accanto, con dei bellissimi capelli lucenti.
"E infine, ma non per importanza, da Los Angeles abbiamo Jennifer Scott" alzò la mano titubante. "E Gwen Andrews" si sforzò di imitare la compagna.
I direttori cominciarono a spiegare il loro compito una volta sbarcati sull'isola, e tutto quello che avrebbero dovuto fare per sopravvivere. Era surreale il fatto che potessero parlare di sopravvivenza come se stessero dando consigli su come vestirsi per un evento importante.
"Perfetto. Avete qualche domanda?" chiese Jackovinch.
"Sì" esclamò Gwen. "Ma ci rendiamo conto di che pagliacciate siano?" l'espressione divertita sul volto del biondo, Garrett, era impagabile. Come quella di Chris.
"Andrews" la riprese lui.
"Non sto scherzando, adesso me ne potevo stare bene sul mio letto a dormire senza subirmi tutto questo" i suoi occhi erano sbarrati a due fessure, e d'improvviso calò il silenzio.
"Che c'è, Andrews, non vuoi passare del tempo con tutti noi? O hai semplicemente paura?" chiese Chris con aria di sfida, divertito dal momento.
Lei si girò a guardarlo, e un sorriso malizioso comparve sulle sue labbra carnose.
"Tranquillo, avevo di meglio da fare" lo provocò. Una scena stranissima, ma allo stesso tempo divertente. Si dissolse quell'aria imbarazzante che incombeva nella stanza.
La bionda, che a suo parere sembrava una snob viziata, sbuffò pesantemente.
"E' finito lo spettacolo?" chiese ironico un direttore.
Jennifer guardò la parete davanti a lei. Sentì delle risate alla sua sinistra. Non voleva voltarsi.
D'un tratto, udì una voce molto roca.
"Quando partiamo?" il ragazzo moro accanto alla roscia usò un tono molto indignato per chiedere qualcosa. Tyler.
"Manca poco, non preoccuparti" rispose Daphne al posto dell'uomo.
Una donna dai capelli color bronzo ed un rossetto rosso troppo esagerato comunicò ai direttori che l'aereo da trasporto era pronto per la partenza, e il panico assalì Jennifer.
Non si era preparata per tutto quello, e mai nella vita avrebbe pensato di allontanarsi dalla sua famiglia.
"Ci sarà da divertirsi" borbottò Gwen, mentre si incamminava verso la porta, pronta per un nuovo inizio.


Ciao! Scusate per l'assenza, ma eccovi qua il capitolo (e stavolta anche lungo!). Spero sia di vostro gradimento :)
 

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