You are the Future.

di WolfieIzzy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Parigi. ***
Capitolo 2: *** 2. L'Adepta. ***
Capitolo 3: *** 3. L'Addestramento. ***
Capitolo 4: *** 4. Le lettere di Haytham. ***
Capitolo 5: *** 5. La Confraternita. ***
Capitolo 6: *** 6. In missione. ***
Capitolo 7: *** 7. Prima del ballo. ***
Capitolo 8: *** 8. Napoleone? ***
Capitolo 9: *** 9. Disavventure. ***
Capitolo 10: *** 10. Visite. ***
Capitolo 11: *** 11. Nouvelles aubes. ***
Capitolo 12: *** 12. La Verità. (1) ***
Capitolo 13: *** 13. La Verità. (2) ***
Capitolo 14: *** 14. Ivre d'amour. ***
Capitolo 15: *** 15. Coccarde tricolori e fazzoletti rossi. ***
Capitolo 16: *** 16. L'Inizio della fine. (1) ***
Capitolo 17: *** 17. L'Inizio della fine. (2) ***
Capitolo 18: *** 18. Errori e ricordi. ***
Capitolo 19: *** 19. La bile nera. ***
Capitolo 20: *** 20. Il verdetto. ***
Capitolo 21: *** 21. Il preludio. ***
Capitolo 22: *** 22. Il ritorno di Eleanor. ***
Capitolo 23: *** 23. Il Glorioso 13 Vendemmiaio. (1) ***
Capitolo 24: *** 24. Il Glorioso 13 Vendemmiaio. (2) ***
Capitolo 25: *** 25. Epilogo. ***



Capitolo 1
*** 1. Parigi. ***


Aprile 1795

Non ne potevo più.
Non vedevo l'ora di arrivare a Parigi: quel viaggio mi aveva praticamente distrutta. Era passato quasi un mese da quando ero partita da casa. Quasi due settimane di viaggio in nave da Boston a Londra, dove ero dovuta fermarmi per qualche giorno a ripulire la vecchia villa di famiglia per sistemare le mie cose, e da lí, un'altra traversata verso il porto di Calais, dal quale ora mi stavo dirigendo in una carrozza decisamente più confortevole dei miei ultimi mezzi di viaggio verso la tanto agognata Parigi. 
Personalmente non ero mai stata in viaggio, cioè, per meglio dire, non avevo mai intrapreso un viaggio che fosse più lungo di qualche giorno e soprattutto non ero mai uscita dal continente Americano. Mi ero trasferita qualche volta insieme a mio padre, anche se non ero mai riuscita a passare molto tempo con lui per via del suo "lavoro". Chiamiamolo così.

Perchè io, Eleanor, ero figlia di Connor Kenway, che di certo non era un uomo normale. Mio padre era un Assassino. 

Mi venne da ridere perchè fino ai 12 anni non avevo idea di cosa significasse quella parola. 
Ma avevo iniziato a capire già verso i 10 anni cosa volesse dire, soprattutto perchè mio padre mi aveva affidato sempre a dei tutori di un certo tipo che non erano le balie delle mie compagne di giochi.
Winston Bradford, il mio tutore, mi aveva inquadrata già da piccola, istruita ed allenata in vista di questo viaggio e del mio inserimento nell'Ordine degli Assassini da quando avevo 13 anni, fino ai 21 di adesso. Perchè in Francia, pero'? Beh, la verità era che avevo una lettera di presentazione: una "raccomandazione" per diventare allieva del Maestro Arno Victor Dorian. 

Mio padre fin da piccola aveva voluto proteggermi da tutto ciò che lo riguardava come Assassino, ovviamente non trascurando il fatto che io ricevessi un'educazione adeguata. Ma, un anno fa mi ha presa da parte, e mi ha detto che avrei dovuto continuare la sua missione in Francia, perchè rimanere lí era troppo pericoloso per me. Stava ancora lavorando, infatti, nel ramo degli Assassini di quelli che erano diventati gli Stati Uniti d'America e voleva che io facessi un'esperienza formativa lontano da lì, perchè ormai ero cresciuta e gli dispiaceva e non riteneva giusto tenermi confinata in una casa in qualche paesino in mezzo alle praterie. Per questo mi aveva mandata qui, in Francia, dove la piaga Templare era stata praticamente debellata. Da chi? Dal Maestro Arno Victor Dorian, appunto. Aveva ucciso François Thomas Germain, il Gran Maestro Templare, un anno fa, dopo aver eliminato tutti i suoi subalterni. Un'impresa che da quello che avevo sentito, gli era costata tanto, troppo. 

Ma io ero lì appunto, per iniziare il mio percorso nella Confraternita e ambientarmi, chissà, ad una nuova vita nel vecchio continente. A Londra in teoria, dov'era la mia antica casa di famiglia. Ma papà aveva preferito Parigi perchè, diceva, a Londra è meglio che fino a che non sarai preparata ad affrontarla, certa gente non sappia del tuo arrivo. Io mi ero riproposta di non chiedere altro: stravedevo per lui, e così feci. Partii, entusiasta dell'opportunità che mi era stata offerta.

Ero un'ottima spadaccina, diceva Winston. E la considerava un'abilità rara, probabilmente ereditata da mio nonno. Avrei dovuto secondo lui coltivare il mio talento, oltre allo studio della lingua francese. Credevo che in realtà fosse stato di più lui a volere la mia partenza, e che successivamente avesse convinto mio padre sul fatto. In effetti passavo quasi più tempo, anzi sicuramente più tempo con Winston che con mio padre, e tra noi si era creato un rapporto bellissimo. Mi mancava già molto, infatti. Mi mancavano le sue storie, anche quelle che mi raccontava su mio nonno Haytham. 
Non sapevo molto su mio nonno, ma sapevo chi fosse, e sapevo quello che aveva fatto mio padre. Ed era uno dei motivi per cui avevo deciso di venire in Europa: volevo scoprire di più sul suo operato, ed ero sicura che qualcuno in questo mi avrebbe potuto dare una mano.

Mentre la carrozza rallentava, io guardai fuori dal finestrino. Stavamo arrivando a Parigi. Il traffico intorno a noi di veicoli e persone di qualsiasi genere me lo fece notare subito.

Spostai lievemente il mio cappello, dono ricevuto da mio padre prima del viaggio, e controllai di avere tutto a posto. La spada corta che portavo al fianco, anche quella affidatami prima della partenza, riflettè la luce bianca che passa dal finestrino. La rinfoderai, anche se mancava ancora un po' prima dell'arrivo. 

Dopo qualche decina di minuti arrivammo in città: era un'esperienza nuova per me, che fino a quel momento non avevo mai visto una città veramente Europea. Era molto diversa da Londra, ed era decisamente l'opposto di Boston. Non era grigia come la capitale inglese, nè fresca e marina come la città in cui ero nata. I palazzi erano enormi, dai tetti blu, ed ebbi la sensazione di trovarmi a casa. Era molto accogliente. Appena la carrozza imboccò la strada che portava alla Locanda dove avrei dovuto alloggiare per qualche tempo, ebbi l'opportunità di ammirare la vita che animava quei meravigliosi viali: banchetti con ogni genere di merce, e decine di persone che li percorrevano. All'apparenza la città sembrava abbastanza tranquilla rispetto a tutti gli episodi che avevano attraversato quelle strade da non molto tempo. In effetti, si respirava aria di libertà. 

La carrozza si fermò e io scesi. Mi guardai intorno, captando il maggior numero di informazioni che potei. L'aria era fresca, tiepida, era ormai primavera. Diversa. Feci portare i miei bagagli all'interno della locanda, e la simpatica signora dietro al bancone mi fece aiutare a portarli nella mia stanza da un ragazzo più o meno della mia età. 

'Benvenuta a Parigi, Mademoiselle'. Mi disse cordialmente, dopo aver sistemato il mio ultimo bagaglio all'interno della stanza.

Io gli sorrisi. 'Grazie mille, ..' 'Sono Pierre.' 'Allora grazie, Pierre.' 

Uscì e chiuse la porta, e io mi lanciai malamente sul letto. Ero davvero distrutta, e infatti mi addormentai poco dopo, vittima della stanchezza del viaggio. 

Non so quanto tempo passò dopo, ma mi svegliai di colpo. Sentivo un leggero mal di testa, e avevo decisamente fame. Andai alla finestra per rendermi conto di che ora fosse: primo pomeriggio. In effetti aveva senso, considerando che ero arrivata in mattinata. Sbadigliai e mi misi leggermente a posto davanti allo specchio. Mi pettinai i lunghi capelli castano scuro, per poi legarli in una coda alta, e mi sciacquai il viso con l'acqua che avevo riscaldato sulla fiamma.

Mi infilai la giacca e scesi al pian terreno per mangiare qualcosa. Quando ebbi finito ringraziai Madame Louise, la locandiera, e approfittai per chiederle dove fosse la residenza De La Serre, dove alloggiava Il Maestro Dorian.

Lei rispose che non era lontano dalla Locanda, qualche boulevard più in là. La ringraziai di nuovo e uscii, sperando di trovare sia la casa che il signor Dorian dentro.

Mi avviai per il boulevard illuminato dal sole del pomeriggio verso la residenza dei De La Serre, e nel frattempo mi godevo quell'atmosfera così diversa da quella a cui ero abituata. Prima di tutto, non avevo mai girato liberamente per una città come avevo fatto da due mesi a questa parte. E se mi trovavo a camminare in mezzo a delle persone, soprattutto, ero stata educata a tenere la testa bassa e camminare il più velocemente possibile. Inutile dire che non avevo mai girato per luoghi pubblici da sola. 

Arrivai alla residenza De La Serre, dove in teoria dovrebbe esserci stato il Maestro Dorian. Bussai tre volte alla porta e feci un passo indietro. Mentre aspettavo scrutai la facciata principale: un bellissimo palazzo. I balconi pero' erano chiusi al piano superiore, e ce n'erano solo due aperti a quello inferiore.

'Chi è?' sentii chiedere da dietro la porta. 

'Eleanor Kenway. Cerco il Maestro Dorian.' dissi.

La porta si aprí lievemente e una figura maschile apparve. 

'Sono io.' disse, e quando vide che probabilmente non avevo un'aria minacciosa aprí di più la porta e mi squadrò da capo a piedi.

'Kenway, avete detto?' chiese. Probabilmente, anzi sicuramente aveva sentito il mio nome in passato.

'Si, Signore. Sono la figlia di Connor Kenway, e nipote di Haytham Kenway.' dissi, guardandolo negli occhi.

Credevo fosse più grande. Grande nel senso di età: rimasi stupita dal fatto che sembrava leggermente più vecchio di me. Era decisamente bello, un viso dai lineamenti estremamente graziosi, ma comunque virili. Aveva una cicatrice sotto l'occhio e la barba lievemente accennata. I capelli castani, un po' più chiari dei miei, erano legati in un codino. Era vestito in modo ordinario, camicia, gilet, fazzoletto rosso e coulottes, i pantaloni sotto al ginocchio che andavano di moda in Francia, da quel che avevo sentito.

Nel frattempo mi stava ancora guardando, ma la sua espressione era cambiata: non più diffidente, ma incuriosita. Mi fece segno di entrare e seguirlo nel salotto del palazzo: era tenuto piuttosto bene, si vedeva che era stato rimesso al fresco da non molto. Mi sedetti su un divanetto e lui fece la stessa cosa su una poltrona di fronte a me. 

'Mademoiselle Kenway, come mai siete qui?'

'Vedete, signore, mio padre desiderava che io partissi per la Francia per concludere il mio addestramento da Assassina. E ha voluto che intraprendessi il mio percorso nella Confraternita qui, a Parigi, presso di voi.'

Arno distolse lo sguardo per un attimo, poi si riconcentrò su di me. 
'A Parigi, come mai?'

'Ecco, mio padre mi ha sempre voluta proteggere dalle sue attività negli Stati Uniti, lo vedevo poco, e quasi nessuno sa che sono sua figlia. Ha voluto mandarmi qui perchè, in seguito al mio bisogno di essere iniziata al Credo, ha considerato la Confraternita Francese come una delle migliori al Mondo, e Parigi una città adatta alle mie esigenze. Finito l'addestramento, dovrei tornare alla vecchia casa di famiglia a Londra.' 

Lui sorrise lievemente. 'Capisco. Posso vedere la lettera?'

'Certamente.' Gliela passai. 

Lui la lesse attentamente, e si fermò due o tre volte per scrutarmi meglio sopra il bordo del foglio di carta. Avrei dovuto spiare quella lettera prima, pensai. Chissa cosa c'era scritto.

Finito di leggere la ripiegò e la ripose nel taschino del gilet.

'Benissimo, Mademoiselle Kenway. Vostro Padre ha già provveduto a raccomandarvi a me. Vi aspetto domani sera, alla Confraternita degli Assassini di Parigi. Fatevi trovare alla Sainte Chapelle alle otto di sera. A domani.'

Wow. Già finito? Pensai. Si vede che mio padre aveva saputo bene cosa scrivere. 'Grazie mille, Monsieur Dorian. A domani.' Mi accompagnò all'uscita, si inchinò leggermente sorridendomi e chiuse la porta. Io sospirai: era fatta. Il giorno successivo sarei stata probabilmente nominata Iniziata.

Tornai alla Locanda dopo aver fatto un giro in città, godendomi la vista della Parigi serale. I boulevards erano già molto meno popolati, le persone erano già tornate alle loro case. Parigi di sera era ancora più bella, accarezzata da un vento fresco. Una musica leggera proveniva da una piazzetta. Mi avvicinai, cullata dalle note. Un uomo stava suonando il violino. Dopo essermi goduta ancora per un po' la melodia, rientrai alla Locanda.

Mi fiondai a letto il prima possibile, avevo ancora la stanchezza del viaggio addosso dopotutto. Lanciai la giacca e mi tolsi gli stivali e i pantaloni, infilandomi a letto solo con la camicia, e caddi in un sonno profondo.

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Capitolo 2
*** 2. L'Adepta. ***


'Eleanor... Eleanor...' 
Qualcuno mi stava chiamando.
'Eleanor, sono qui.'
Sentivo una voce, ma non vedevo nulla.
'Eleanor!'
Era mio padre.
'Papà! Dove sei?'

Mi ritrovai catapultata in un bosco. Indossavo un vestito bianco. Era giorno, il sole illuminava il terreno con la sua luce filtrata dai rami degli alberi. 

'Eleanor!' 
Non lo vedevo... 
All'improvviso sentii qualcosa dietro di me. Mi girai di scatto: era un lupo. Un lupo enorme, nero, con gli occhi sanguinanti. Ringhiava verso di me. 

Mi andò il cuore in gola, e mi paralizzai. Cominciai a pensare vorticosamente a cosa fare.

'Eleanor, scappa!' urlò mio padre. 
Le mie gambe si destarono e iniziai a correre, sempre più veloce, all'impazzata, nella direzione opposta al lupo. 'Papà! Aiuto!' urlavo, e correvo. Mi mancava il fiato, e sentivo i passi pesanti del lupo dietro di me. 

'Eleanor, corri! Più veloce, sono qui!'
Correvo, correvo in mezzo al bosco, ma non lo vedevo... all'improvviso mi sentii tirata giù e venni catapultata in una trappola, cadendo nel vuoto.

Fu in quel momento che mi svegliai di soprassalto.
'Oh, Cristo.' avevo il cuore che mi batteva a mille ed ero sudata fradicia. Perchè dovevo agitarmi in quel modo proprio oggi? Scossi la testa, e mi alzai dal letto. 

Scaldai l'acqua che Madame Louise mi aveva portato ieri sera e mi lavai come meglio potei. Poi mi rivestii, infilai la cintura con la mia spada, la giacca e mi legai i capelli. Mi guardai allo specchio che mi aveva regalato Winston per i miei 17 anni: sembravo pronta. 

Scesi nell'atrio della Locanda, salutai Pierre e gli chiesi se c'era qualcosa da mangiare. Lui mi portò del pane fresco e una zuppa, che sparirono in meno di un minuto. 

Uscii dalla Locanda: era circa l'una e mezza di pomeriggio. Andai in esplorazione per la seconda volta, questa volta decisa ad entrare in qualche negozio. 

Alla fine del boulevard c'era una libreria graziosissima che attrasse subito i miei occhi. Entrai. 

'Buongiorno.' dissi all'anziano signore appollaiato dietro al banco.

'Bonjour Mademoiselle.' rispose lui cordiale, sorridendo. Poi tornò alla sua lettura, lasciandomi libera di esplorare gli scaffali. 

Letteratura, Filosofia, Scienze, Arte: c'era veramente di tutto. Fui attratta dalla famosa 'Enciclopedia' di Diderot e D'Alambert, che aveva suscitato tanto scalpore nei decenni precedenti. 
Ma ecco il trattato Il Contratto Sociale, di Jean Jacques Rousseau, il grande pensatore francese. 
Passai perlomeno due ore a sfogliare i vari libri, poi uscii e andai a visitare altri quartieri parigini finchè non arrivarono le sette di sera. Mi resi conto dell'orario e iniziai ad avviarmi verso la Sainte Chapelle.

Ed eccola qui, che si stagliava nel cielo illuminato da un tramonto rossissimo. Le vetrate policrome erano davvero meravigliose. Ecco un'altra cosa che amavo di Parigi: le Chiese. In America non ne avevo mai viste di così spettacolari.

Mi avvicinai all'entrata, il cancello era aperto e non sembrava ci fosse qualcuno. Feci qualche passo verso l'entrata fino a quando non avvertii un sibilo nell'aria sopra di me, seguito da un'ombra incombente dall'alto. Istintivamente, saltai all'indietro. 

Davanti a me era atterrato un uomo incappucciato, veste blu, bordi borgogna. Il fazzoletto rosso al collo lo rendeva familiare, e quando alzò il volto e si abbassò il cappuccio capii che avevo ragione. 

'Voi si che sapete entrare in scena, Monsieur.' gli dissi.

Arno ridacchiò. 'Dovete abituarvi a questo genere di cose, Eleanor.'

Io annuii, distogliendo lo sguardo.
'Probabilmente.' 

'Vogliamo entrare?' mi chiese, invitandomi a seguirlo.
Annuii e lo seguii nella Chiesa. 

Dopo essersi assicurato del fatto che fosse vuota mi accompagnò verso l'altare. Su di esso attivò uno strano meccanismo che fece spostare un pannello del pavimento, al di là del quale mi invitò a scendere. 
Cominciammo a scendere sempre di più, addentrandoci nel sottosuolo: ci trovavamo in delle gallerie sotterranee.

Illuminate da torce ai muri laterali, tre gallerie si aprivano davanti a noi. Arno mi fece passare avanti. 

'Procedete.'
Io cosí feci, sino a quando non mi ritrovai davanti ad un ballatoio con una doppia scalinata e una nicchia a forma di simbolo degli assassini. All'interno conteneva una specie di calice enorme.

Vidi tre figure avvicinarsi al piano superiore del ballatoio: incappucciate, indossavano una grande tunica bianca con decorazioni dorate.

'Fatti avanti, fanciulla. Qual è il tuo nome?' Disse quello al centro, la sua voce subí un eco spettrale a causa del luogo in cui eravamo.

Io feci un passo avanti, le mani dietro la schiena. Alzai il viso. 'Kenway, Eleanor Kenway, figlia dell'Assassino Connor Kenway, Maestro della Confraternita Statunitense.' 

I tre si guardarono l'un l'altro in silenzio, e bisbigliarono qualcosa. Incutevano un certo timore.

'Eleanor Kenway, sei pronta per iniziare il tuo addestramento per diventare un'Assassina? Sei pronta ad intraprendere la via dell'Aquila?' chiese la figura a destra, una voce femminile.

'Lo sono.' risposi decisa.

I tre si guardarono tra di loro e bisbigliarono di nuovo qualcosa. 

'Bene, Eleanor. Avanza e bevi dal calice: dobbiamo sapere se sei degna di questo compito.' 

Ok, adesso ero un po' preoccupata.  Mi girai verso Arno, che annuì, guardandomi negli occhi. 

'Avanti, Eleanor.' disse.

Io avanzai fino alla nicchia e presi la coppa in mano. La avvicinai alle labbra e bevvi un qualcosa di trasparente, dai toni dorati. 

Un secondo dopo ebbi delle allucinazioni: davanti a me, al posto della nicchia sulla quale si trovava prima il calice, c'era un portale illuminato da una luce bianchissima. Entrai coprendomi gli occhi, e mi ritrovai in un ambiente familiare. 

Quel bosco, di nuovo. Era quello del mio sogno. Mi guardai intorno: avevo di nuovo quel vestito bianco addosso, ma alla vita avevo la mia cintura e la mia spada appesa. 

Alzai lo sguardo, e davanti a me vidi di nuovo quel lupo nero. Ringhiava ancora verso di me. 

Tirai istantaneamente fuori la spada, pronta ad affrontarlo.

'Eleanor! Eleanor, sono qui.'
mi girai, e vidi mio padre. Indossava gli abiti di Assassino.

'Seguimi. Veloce!' disse, e iniziò a correre. 

'Aspetta!' gridai, e mi misi anche io a correre per seguirlo. 

Era velocissimo, e correva davanti a me sul terreno che iniziava a spaccarsi e a creare voragini: saltai, evitandole, mentre mio padre era sempre più lontano, e dietro di me il lupo correva e ringhiava. 

'Basta!' urlai e mi girai all'improvviso, mentre il lupo spiccava un balzo, pronto ad attaccarmi. Io sguainai la spada e mi lanciai verso di lui, puntando allo stomaco. 

Gridai, presa dall'adrenalina, quando la lama si infilò nella sua carne. Dalla ferita uscì una luce bianca che mi accecò, catapultandomi di nuovo alla realtà, alla Confraternita. 

Barcollai, non riuscendo ancora a vedere bene. 

'Ma che.. cos'è successo...' mormorai.

'Eleanor Kenway.' disse la figura al centro. 

Io alzai lo sguardo e sentii Arno dietro di me, che mi appoggiava la mano sulla spalla destra. 

Lo guardai: mi stava sorridendo. Ce l'avevo fatta?

'Brava, Eleanor.' disse.

Io sospirai. 

'Hai superato la prova. Dalla luce, sei piombata nel buio. Dal buio, ritornerai alla luce. Da questo momento, Eleanor Kenway non esiste più. Da questo momento tu sarai Eleanor, l'Assassina. Inchinati, ora.' disse la figura femminile.

Cosí feci, e Arno, davanti a me, mi poggiò la mano sulla spalla destra.

'Io, Arno Victor Dorian, ti assegno il grado di iniziata. La tua liberazione ha inizio.' disse. 

Prese uno strano affare, che mi infilò al braccio destro.

'Questa è la lama celata. L'arma di noi Assassini. La userai nell'addestramento.' mi disse, stringendola e adattandola al mio braccio tramite delle cinghie.

Io lo flessi, e la lama uscì, micidiale, riflettendo la luce delle fiaccole al muro. Guardai Arno, che mi stava sorridendo.

'Sei pronta, ora.' gli sorrisi anche io: finalmente ero entrata a far parte degli Assassini.  


Angolo dell'autrice:
Salve a tutti, spero che la storia vi stia piacendo: se ne avete piacere lasciatemi pure una recensione, cosí posso capire cosa ne pensate. Io sono Izzy, ed era moltissimo tempo che non scrivevo qualcosa qui su EFP. Ci tengo molto a questa storia e a sentire le vostre opinioni! Ci vediamo al prossimo capitolo. 

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Capitolo 3
*** 3. L'Addestramento. ***


'Ah, una cosa.' mi disse mentre uscivamo. 
'Non voglio essere chiamato più Monsieur o Signore. Mi fa sentire dannatamente vecchio. Ora sono il tuo Maestro, e... dammi del tu, per favore. Ho solo sei anni più di te.'

Io lo guardai e sorrisi. 'Va bene, Maestro, sarà fatto.' 

Ci avviammo verso la sua residenza, il cielo di Parigi era cosparso di stelle. 

Mentre camminavamo mi chiese qualcosa in più su di me.

'...Quindi hai passato un'infanzia relativamente tranquilla.' 

'Diciamo di si, sono sempre stata abbastanza protetta. A discapito ovviamente del mio rapporto con mio padre: lo vedevo sempre poco. Era spesso in viaggio, e io mi sono affezionata al mio tutore. Fortunatamente c'era lui.' dissi, ripensando a Winston.

'Ti manca? Deve essere strano essere lontano da casa, da sola.'

Annuii. 'Devo dire di si. Lo confesso, in barca ho passato più di qualche notte con le lacrime che scendevano. Tutto questo mi spaventava un po', non essendo mai stata abituata a cavarmela per i fatti miei.'

'Posso capirti... più o meno. La mia è una vicenda un po' più complicata.' disse. 'E anche abbastanza lunga. Ma avremo tempo di conoscerci meglio e parlare quanto vorremo.'

Eravamo arrivati alla Villa De La Serre.

'Beh, allora buonanotte, Maestro.' gli dissi, appoggiandomi al cancello.

'Buonanotte, Eleanor. Domani inizamo: ti aspetto in Place de la Guillotine alle otto, sotto l'obelisco. Ti insegnerò a muoverti per la città senza farti notare.' mi disse.

'Sono impaziente.' dissi. Uscì sarcastico, ma lo ero davvero. 

'A domani, Eleanor.' mi sorrise.

'A domani, Maestro.' feci un mezzo inchino e mi avviai alla locanda. Domani avrei iniziato sul serio.


La mattina dopo mi presentai in orario in Place De la Guillotine. La città si stava animando, il sole si stava alzando nel cielo. 

Mi diressi verso l'obelisco dove era appoggiato Arno, intento a leggere un giornale. Aveva il cappuccio abbassato, qualche ciuffo che gli incorniciava il viso. Mi fermai qualche secondo ad osservarlo.

Scossi la testa e mi avvicinai.

'Buongiorno.' dissi.

Lui alzò la testa e sorrise.

'Buongiorno Eleanor. Come stai?'

'Abbastanza bene, grazie. Non ho dormito molto... l'eccitazione, mi sa.' dissi.

Lui ridacchiò. 'È comprensibile. Dimmi Eleanor, cosa vedi?' indicò la piazza.

'Beh, delle persone... qualche bancarella.. delle guardie.' dissi, alzandomi in punta di piedi.

'Ottimo.' disse. 'Cominciamo: dobbiamo arrivare dall'altra parte della piazza senza farci notare dalle guardie e soprattutto da qualche rivoluzionario ancora un po' troppo entusiasta.'

'E come facciamo?' gli chiesi.

Lui si avvicinò a me. Dalla tasca interna del cappotto tirò fuori qualcosa di ripiegato, della stoffa credo. Me la passò.

'Un regalo.' disse. 

Io la dispiegai e la alzai davanti ai miei occhi. Era un cappuccio da attaccare al mio cappotto. Stessa stoffa, stesso colore verde scuro. Lo adattai e lo infilai. Non mi ostruiva la visuale, anzi. E in più mi avrebbe nascosta, il che era perfetto.
Ora mi sentivo un'Assassina a tutti gli effetti.

'È fantastico, Maestro. Grazie.' dissi. 

Arno sorrise. 'Ti sta benissimo. Ora possiamo iniziare.' 

Annuii.

'Una delle prime regole del Credo: Nasconditi alla vista. Seguimi.' disse.

Si alzò il cappuccio sul capo e si infilò in mezzo alla folla, facendomi segno di stargli vicino. 

Lo seguii in mezzo alle persone. Arno mi fece fermare, avvicinandomi a lui con la mano.

'Guardati intorno. Concentrati.' mi disse.

Io feci come diceva: mi concentrai sulle persone, le osservai con attenzione. Non molto distanti, vidi due figure che mi sembrarono evidenziate, più luminose rispetto alle altre. Due guardie. Mi concentrai meglio, strizzando leggermente gli occhi: ora apparivano illuminate rispetto all'ambiente e alle persone circostanti, che si erano oscurate. 
Com'era possibile?

Scossi la testa, e guardai Arno.

'Credo di aver visto...'

'Si, Eleanor. Hai appena usato l'Occhio Dell'Aquila. Non avevo dubbi sul tuo possesso di questa qualità: probabilmente per te è ereditaria, quindi non ci sarà nemmeno bisogno di insegnartela.'

'Wow... avevo sentito della sua esistenza, ma questa è la prima volta che scopro di averlo.'

'Scoprirai di averne tante altre, di qualità. Fidati di me. Ti farò diventare un'Assassina perfetta.' 

Gli sorrisi, e lui a me. Stavamo iniziando a coltivare un ottimo rapporto, e questa cosa mi rendeva davvero felice.

Arno mi insegnò quella mattina a muovermi tra la folla senza farmi individuare dalle guardie, e alla fine della giornata ero riuscita a imparare molti trucchetti per passare inosservata. 

'Impari in fretta.' mi disse. 'Non ci vorrà molto a farti diventare un soldato.'

Io gli sorrisi. 'Spero di essere pronta presto.' 

Si era fatto abbastanza tardi, e Arno mi accompagnò alla locanda, dandomi appuntamento al giorno dopo davanti a casa sua per 'vedere quanto te la cavi con la spada.' 

Io non vedevo l'ora di iniziare.

Mi presentai puntuale il giorno dopo davanti alla residenza De La Serre, dove Arno mi accolse e mi accompagnò nel giardino all'interno.

Si tolse la giacca rimanendo in camicia, consigliandomi di fare lo stesso.

'Bene, Eleanor.' disse, estraendo la spada. 'Fammi vedere che sai fare.' 

'Ah, così, subito?' dissi, lanciando la giacca su una panchina ed estraendo la mia spada corta dal fodero.

Arno ridacchiò. 'Certo. Sono impaziente.' Abbassò lo sguardo sulla mia spada.

'Carina.' disse. 'Ma per l'allenamento è meglio usarne una di dimensioni normali, leggermente più grande.' 

'Va bene.' dissi.

Tornò dentro casa e ne uscí un paio di minuti dopo con una spada simile alla sua, con un manico molto elegante e decorato finemente.

Io appoggiai la mia sulla panchina sopra la giacca.

'Wow, è stupenda.' dissi, quando me la porse. Ne ammirai i dettagli eleganti, doveva essere una spada da donna.

Arno sorrise. 'Questa è più adatta. Ora possiamo iniziare.' 

'Perfetto.' dissi, mettendomi in posizione. Arno mi osservò attentamente, mentre cercavo di rimanere il più ferma possibile in posizione di guardia, con un piede avanti e la spada alzata. 

'Bene, è un ottimo inizio' disse, ma all'improvviso spostò le mani sui miei fianchi, aggiustandomi la posizione della schiena. Non mentirò, mi colse di sorpresa, facendomi sussultare leggermente. Aveva un tocco delicato, fortunatamente.

Mi alzò leggermente il mento con un dito, e io lo guardai di sfuggita, il suo viso e il suo sguardo concentrato su di me.
'Ora sei perfetta.' Io sorrisi.

Arno si mise in posizione davanti a me. 'En garde.' disse.

Io lo fissai attentamente, pronta a captare qualsiasi movimento. 

Dopo qualche secondo, partí velocissimo, attaccandomi. Io indietreggiai con successo e risposi, facendo scontrare la lama della mia spada con la sua.

'Un buon inizio.' disse, ritornando in posizione. 'Ora attacca tu.'

E cosí feci, subito dopo, forse un po' troppo di fretta dato che Arno riuscí a pararmi e a spostarsi di lato.
'Avanti.' disse. 'Continuiamo.' 
Io lo attaccai di nuovo con un fendente ben piazzato, al quale lui rispose prontamente attaccando in risposta. Io parai e continuammo cosí per qualche secondo, fino a che non riuscí a disarmarmi, puntandomi la punta della spada sotto il mento.

Ridacchiò. 'Molto bene, Eleanor. Sai come muoverti.' abbassò la spada, permettendomi di poter riprendere qualche respiro. Era velocissimo e aveva una tecnica impeccabile, come avevo sentito dire.

'Grazie, Maestro.' dissi, recuperando la spada. 

Il secondo duello riuscí più o meno uguale, solo che non riuscì a disarmarmi cosí facilmente e io riuscii a scovare un punto scoperto all'altezza del suo fianco, dove mi lanciai. Non feci in tempo ad avvicinarmi di un passo, pero', che Arno si era già defilato e mi aveva affiancato, afferrandomi per la vita.

Non riuscii a capire come aveva fatto e mi irrigidii, ma purtroppo questo non mi aiutò, perchè si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò 'Piano, lionne.'* 
Io diventai paonazza, sorridendo nervosamente.

'Stavo per prenderti...' dissi, cercando di nascondere il colore delle mie guance. Arno mollò la presa e non distogliendo il suo sguardo dal mio, disse: 'Esatto, stavi per.' Io gli feci una linguaccia, causando una sua risata.

'Avanti, continuiamo.' 

Continuammo per quasi tutto il giorno, io ero sfinita. Ma ero anche felicissima. Arno era un Maestro fantastico, e quel giorno avevo imparato un sacco di cose sul duello con la spada. 

* leonessa, in Francese. 
Angolo dell'autrice: 

Salve belli. Spero che la storia vi stia piacendo, mi sto impegnando un sacco a scriverla. Mi era mancato un sacco farlo. Sarei felice di sapere cosa ne pensate! Vi piace Eleanor? Come pensate procederà?

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Capitolo 4
*** 4. Le lettere di Haytham. ***


'Winston ti ha preparato bene, comunque. Si vede che avevi già delle ottime basi.' disse Arno, sedendosi sulla panca vicino a me.

'Spero di diventare brava quanto te, un giorno.' gli dissi.

Arno sorrise. 'Beh, modestamente sono un ottimo maestro.'

Ridacchiai. 'È vero. Per essere cosí giovane sei già un Maestro. Questo ti fa onore.'

'Grazie, Eleanor. Io sono felice di addestrare un'allieva come te. Conosco la storia della tua famiglia, discendi da alcuni dei più grandi Assassini di sempre.'

Abbassai lo sguardo, consapevole del peso che portavo sulle spalle. 'Credi che riuscirò a onorare il mio cognome?' gli chiesi.

'Certo che si. Hai delle potenzialità pazzesche, sai quello che vuoi, e sei una bellissima ragazza. E in più, hai me come Maestro... non ti potrebbe andare meglio di cosí.' disse, e mi diede un buffetto  sulla guancia, facendomi arrossire. Mi aveva appena fatto un complimento?

'Grazie Arno.. Maestro.' dissi, cercando di non guardarlo negli occhi. Era vicinissimo al mio volto.

'Tranquilla, puoi chiamarmi Arno. Ormai non lo fa quasi più nessuno, e mi manca sentire il mio nome pronunciato da una voce femminile...' 

Alzai lo sguardo, e scrutai la sua espressione. Sapevo che aveva avuto una relazione con una Templare, Elise De La Serre, che era morta combattendo con lui contro Germain. Si stava riferendo a lei.

'Elise, vero?' dissi. Mi scappò. 

'Si. Lei è stata l'ultima a chiamarmi così.' 
Da quello che avevo sentito grazie alle lettere che mi aveva scritto Winston, Arno aveva perso suo padre, l'Assassino Charles Dorian, da piccolo. Poi fu adottato da François De La Serre, che lo crebbe come un figlio, insieme a sua figlia, Elise appunto, che aveva la sua stessa età.

'Mi dispiace per tutto quello che hai passato, Arno.' dissi. Suonava banale, ma era sincero. 'Io, come te, non ho mai conosciuto mia madre.' 

'Grazie, Eleanor. Significa molto per me. Non sono abituato a parlare di quello che mi è successo...'

'Posso immaginarlo. E non voglio costringerti a farlo. Se non vuoi che ti faccia domande, dimmelo pure.'

Arno scosse la testa. 'No' disse, e mi spostò un ciuffo di capelli dal viso. 'Sento che mi fa bene parlarne, e che mi posso fidare di te. Magari potrai aiutarmi a non pensarci più.' non tolse il suo sguardo dai miei occhi. 

Riuscii a notare la sfumatura verde nel castano delle sue pupille, e seguendo la linea del naso, il mio sguardo cadde sulle sue labbra. Erano perfette. Ma no, non dovevo nemmeno pensarci. Mi scostai.

'È meglio che vada.' dissi. 'Ci vediamo domani.' Presi le mie cose.

Arno si alzò e si avvicinò a me per salutarmi. Mi abbracciò, e io riuscii a malapena a rispondere a quel gesto, colta di sorpresa, e quasi mi sciolsi in quei pochi secondi tra le sue braccia. 
'A domani, Eleanor. E grazie.' disse al mio orecchio. 

Gli sorrisi, e uscii dal cancello del giardino, ancora scossa dalla nostra ultima conversazione. Sorrisi tra me e me mentre mi avviavo verso la locanda: non vedevo già l'ora arrivasse il prossimo giorno di addestramento.

I giorni e le settimane successive passarono piuttosto velocemente. Arno mi addestrava in modo serio e imparai a muovermi per la città in modo veloce e con la corsa acrobatica, a scavalcare muretti, ad arrampicarmi sui tetti, a fare dei salti pazzeschi e ad usare meglio la spada, i pugnali e anche ad utilizzare una pistola. Sebbene molti allenamenti fossero stressanti e spesso noiosi, Arno mi agevolava moltissimo, aiutandomi a sviluppare uno stile di combattimento a mani nude e con le altre armi personalizzato e a migliorarlo, rendendolo sempre più fluido e adatto a me. 
Cominciavo a sentire il bisogno, pero', di andare in missione, di provare me stessa a me stessa, di combattere, di vedere i risultati di quelle settimane. 

'Continua ad allenarti così e sono sicuro che il Consiglio mi concederà di portarti in missione con me, molto presto.' mi disse una mattina Arno, mentre mi insegnava ad usare la Lama Celata per gli attacchi dall'alto. 

Avevo già rischiato di fratturarmi una caviglia un paio di volte quel giorno, lanciandomi dal cornicione del palazzo per infilzare un manichino imbottito sotto di me. Maledetto manichino. Volevo inaugurarla sul serio la mia lama celata, infilarla nella gola di qualche criminale. Sentirmi finalmente utile.

Mi rialzai in piedi per la decima volta e ritrassi la lama celata, sbuffando. 'Spero succeda presto.' 

'Arriverà il tuo momento, lionne.' 
mi fece l'occhiolino. Io gli risposi con uno sbuffo.

In quelle settimane avevo cercato di dimenticare quello che era successo al primo allenamento con la spada, ma non ci ero riuscita. Ormai Arno era diventato la mia quotidianità, non potevo evitarlo, dovevo fare i conti con quello che sembrava essere un... qualcosa, che stavo iniziando a provare per lui. 
E lui, di certo, non poteva saperlo. Non poteva e non doveva saperlo, ma... come avrei fatto a farmelo passare? Scossi la testa, mentre mi arrampicavo di nuovo sulla parete del palazzo. Mi sarebbe dispiaciuto rovinare il nostro rapporto, che era diventato di fiducia reciproca. Certo, era il mio Maestro, ma era diventato di più per me, un punto di riferimento. L'unica cosa che potevo fare per ora, era non pensare che forse mi stavo infatuando, e terminare questo diavolo di allenamento.

'Avanti, salta e attacca di nuovo. Poi per oggi abbiamo finito.'

Così feci: balzai dalla terrazza del primo piano, infilando la lama nella clavicola del manichino, e atterrai anche decentemente, con una capriola abbastanza elegante.

'Bravissima.' disse Arno, e mi offrì la sua mano per rialzarmi. La afferrai e mi tirai su. Ero distrutta.

'Vai a rinfrescarti e a riprendere fiato, ho una cosa da farti vedere che ti fará felice.' disse Arno. 
Io lo guardai dubbiosa.

'Devo avere paura?' gli chiesi.
Lui rise.

'No, assolutamente. Fidati di me. Ti aspetto nel mio studio.' disse, io entrai in casa e mi diressi verso il bagno, dove trovai una tinozza di acqua con cui mi risciacquai.

Uscii e andai nello studio di Arno, che mi aspettava seduto sulla scrivania. Appena mi vide, mi fece sedere di fronte a lui.

Da sotto la scrivania tirò fuori un pacco di lettere tenute insieme da un nastro rosso. 

'Credo che queste le debba avere tu.' disse, e me le passò. 

Lessi il nome sul bordo della prima busta: H. Kenway. 

Mi andò il cuore in gola, e guardai Arno. 'Prova a leggerne una.' disse, non togliendo il suo sguardo da me.

Quelle lettere erano di mio nonno? Ma che...?

Sciolsi il nastro e tirai fuori la prima lettera velocissimamente. 

'Boston, 1770. .... è possibile. Una pace fra Assassini e Templari... la convivenza pacifica... è ora di smetterla con questo conflitto che dura da secoli. Cerchiamo entrambi la Pace... Se solo cercassimo uno scambio diplomatico, invece di combatterci e spargere sangue senza motivo.' alzai gli occhi, e mi coprii la bocca con la mano. 
Mio nonno voleva la pace fra Assassini e Templari. 

Guardai Arno cercando risposte con gli occhi. 'Ma come...' riuscii a dire a bassa voce. 

'Queste lettere le ha recuperate Elise, a Londra, dalla sorella di tuo nonno. Le ho trovate nel baule che mi ha lasciato dopo che...' si fermò, abbassando lo sguardo. 
'Voglio che tu le abbia per un po' di tempo, e che le legga, e poi, se vorrai, le porteremo insieme al Consiglio.'

'Arno, non so cosa dire...' mormorai. 

'Non devi dire nulla. Sono felice di potertele dare, prima di portarle al Consiglio. So quanto ci tieni a conoscere l'attività di tuo nonno... le ho lette anche io quelle lettere, sapevo quanto Elise ci teneva. Lei e tuo nonno la pensavano allo stesso modo.' 

Io non sapevo veramente cosa dire. Avevo sempre desiderato conoscere meglio mio nonno, sapevo che era un Templare e che mio padre l'aveva ucciso in un duello, della sua attività negli Stati Uniti grazie a Winston, che mi aveva raccontato di lui. 
Mio padre non ne parlava quasi mai, probabilmente per il fatto che la pensava diversamente da lui sul conflitto Assassini-Templari. Io non ce l'avevo con lui perché l'aveva ucciso, quello faceva parte di qualcosa più grande di me e non avevo mai sentito il bisogno di aver conosciuto Haytham, fino ad ora. Ora avevo in mano qualcosa che mi permetteva di avvicinarmi a lui e ai suoi ideali, nonostante fosse un Templare e io stessi per diventare un'Assassina.

'Grazie, Arno... significa davvero tantissimo per me.' gli dissi. 

Lui mi sorrise. 'Sapevo che ti avrebbe fatta felice.'

Mi accompagnò alla porta, dandomi appuntamento al giorno dopo alla Confraternita, dove avrei finalmente conosciuto gli altri Adepti e Iniziati per una riunione sulla situazione della città. 



Angolo dell'autrice: 
Eccoci qui con un nuovo capitolo: Eleanor ha quasi terminato il suo Addestramento, e fra poco inizierà la sua avventura. Ma Arno ha voluto affidarle le lettere di Haytham, in cui parla di una possibile pace fra Assassini e Templari. Se avete letto il romanzo di Unity, sapete che queste lettere sono esistite davvero! Credete che sarà mai possibile una pace fra le due fazioni? Beh, noi ci vediamo al prossimo capitolo, che arriverà presto! Continuate a scrivermi cosa ne pensate nel frattempo, leggere le vostre opinioni mi rende davvero felicissima! <3 Un bacio, Izzy

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Capitolo 5
*** 5. La Confraternita. ***


Mi presentai puntuale il giorno dopo, di sera, alla Sainte Chapelle. Riuscii ad attivare da sola il meccanismo che mi aveva mostrato Arno la prima volta grazie all'Occhio dell'Aquila, e mi ritrovai di nuovo nel Covo.

Questa volta ebbi la possibilitá di guardarmi meglio in giro, essendo da sola. Era veramente un posto mozzafiato: doveva essere di epoca Medievale Gotica. Era cupo come lo ricordavo, illuminato dalle fiaccole al muro, il soffitto piuttosto alto e l'atrio con la galleria che portava ad una doppia scala.

Non ero sola, stavolta: l'atrio era gremito di Assassini. Non tantissimi, circa una trentina, forse qualcuno in più. Feci qualche passo avanti cercando Arno con lo sguardo, in un primo momento non lo vidi, e notai che qualcuno si era accorto della mia presenza.

'Buonasera, Mademoiselle...?' 

'Kenway. Eleanor Kenway.' dissi, al ragazzo più o meno della mia età che mi aveva rivolto la parola.

'Ullallà, un cognome che parla da sè. Immagino siate quell'Eleanor di cui abbiamo sentito un po' tutti parlare.' alzò un sopracciglio.

'È probabile.' abbassai lo sguardo. 'E voi invece siete?'

'Etienne Lacourt, recentemente promosso al grado di soldato. Enchantè.' disse, e si inchinò lievemente. 

Lo osservai: aveva una divisa da Assassino rossa, i capelli biondo scuro e due begli occhi chiari.

'Piacere di conoscerti, Etienne.' dissi. 'Hai per caso visto il Maestro Dorian?'

'Arno? Sta parlando con i Consiglieri e il Mentore, devono annunciarci qualcosa. È per questo che siamo tutti qui. Dovrebbe arrivare tra poco.'

Annuii e lui mi sorrise, invitandomi a fare la conoscenza degli altri Adepti. Mi presentò Camille, Assassina da quasi un anno, e Gerome, che faceva parte della Confraternita da qualche mese. Sembravano tutti molto amichevoli, e mi sentii accolta a dovere. 

Le porte dell'atrio si spalancarono, e gli Assassini si diressero davanti alla doppia scala, attraversando la galleria. 

Arno e altri due maestri stavano confabulando al centro della stanza, davanti all'altare. 

'Vieni, Eleanor.' Etienne mi invitò a stargli accanto mentre ci sistemavamo in mezzo alla sala, in attesa di non sapevo cosa.

Il silenzio fu rotto dalle porte della stanza al di sopra della scala, dalla quale uscirono tre figure vestite di bianco, con delle decorazioni dorate sulla veste... erano i Consiglieri, quelli che avevano assistito alla mia Iniziazione!

Erano senza cappuccio stavolta pero', e finalmente riuscii a vederli: l'uomo al centro doveva essere il Mentore, sulla sessantina, portava una parrucca grigia. Alla sua destra si trovava la figura femminile, 50 anni circa, mora. A sinistra invece, un uomo sempre sui 45-50 anni, dalla pelle più scura, e i capelli neri di media lunghezza.

Fu lui a parlare. 
'Assassini.' disse, la voce rimbombò sui muri di pietra. 'Vi abbiamo riuniti qui oggi per parlarvi della situazione della città di Parigi, e di una sospetta attività Templare.' 

Un mormorio si alzò tra di noi.

'Il Mentore Maillard vi spiegherà meglio la situazione.' e gli passò la parola.

'Confratelli, siamo venuti a conoscenza dell'esistenza di un covo di Templari a est della città. Non abbiamo notizie certe, tranne per il fatto che alcuni membri dei Templari sono arrivati in città recentemente dall'Inghilterra. Abbiamo una lista di nomi. Vi dividerete, e scoprirete cosa stanno tramando.' 

'Il n'est pas possible!' disse un Assassino alla mia destra. 

'Nemmeno qualche mese di libertà e quei bastardi tornano all'azione.' sbottò Camille.

'I Maestri Mercier, Roussel e Dorian sceglieranno tre adepti ciascuno, con l'aiuto dei quali scoveranno uno dei tre nomi che siamo venuti a scoprire. Buona fortuna, Fratelli.' i tre Consiglieri si ritirarono entrando nella porta dietro la scala, che si chiuse con un tonfo dietro di loro.

Sospirai. Tutta questa situazione mi stava scioccando e non poco. Forse, finalmente, sarebbe successo qualcosa. Forse stavo per avere la mia occasione.

Avanzai di qualche passo insieme ad Etienne, per scoprire chi sarebbe stato scelto. 

I Maestri Mercier e Roussel scelsero tre dei loro allievi ciascuno, ora era il turno di Arno.
Teneva un foglietto in mano, presumibilmente dove c'era scritto il nome del Templare inglese che avremmo dovuto scovare.

'Sceglierò tre fra i miei allievi, ciascuno di un grado differente, per questa missione.' alzò lo sguardo, dandomi la possibilità di scrutarlo meglio. Aveva addosso la divisa da Maestro Assassino, come quando mi aveva assistito all'Iniziazione. Non potevo fare altro che ammirarlo, in quella divisa stava veramente... benissimo. Maledizione, perchè doveva essere cosí bello? 
Scossi la testa, cercando di concentrarmi sulla scelta.

'Etienne Lacourt.' Arno lo chiamò, ed Etienne mi sorrise, per poi andare a mettersi al suo fianco. 

'Camille Guillet.' disse. 
Camille sorrise soddisfatta, e si affiancò ad Etienne, accompagnata da qualche incoraggiamento.

Cominciai a surriscaldarmi e a irrigidirmi. Volevo che l'ultimo nome fosse il mio. Volevo finalmente avere la mia occasione. 

'Ti prego, ti prego, ti prego...' continuavo a ripetere nella mia mente.

'Eleanor Kenway.' 

Oddio. Non ci potevo credere, mi aveva scelto! Sussultai dopo aver sentito il mio nome, e tirai un sospiro che concentrò l'attenzione di tutti i presenti su di me. 

Andai verso Arno praticamente saltellando come un cerbiatto, e appena i suoi occhi mi videro uscire dalla fila, mi sorrise divertito.

'Merci.' gli dissi a bassa voce, per poi mettermi alla sua destra. 

'Non devi ringraziarmi: devi ringraziare te stessa, lionne.' mi disse.

'Brava, Elenoire.' Etienne mi mise una mano sulla spalla, congratulandosi, e lo fece anche Camille.
 Elenoire? Mi piaceva. Mi faceva sentire ancora più parte della Confraternita Francese. 

'Voi altri Assassini: io e gli altri Maestri vogliamo che setacciate strade, locande, negozi, edifici, e che riportiate al Consiglio qualsiasi indizio o sospetto abbiate. Ci fidiamo dei vostri occhi e delle vostre orecchie: lavorate da soli bene come avete sempre fatto.' disse il Maestro Roussel, e il gruppo di Assassini rimasti, dopo averci congedato con un inchino, uscì dall'atrio in modo omogeneo.

Io, Etienne, Camille e Arno avevamo una missione da compiere, un Templare da scovare. 

'Allora ragazzi: vediamo di chi stiamo parlando.' disse Arno e aprì il biglietto. Lessi il nome scrittovi sopra: Edward Carroll. 

'Carroll. Carroll...' disse Arno.

'Lo conosci?' chiese Etienne. 

Arno annuí. 
'I Carroll sono dei Templari di Londra.' disse. Mi guardò, facendomi cenno di spostarmi con lui da un'altra parte.  

'Etienne, Camille: ho bisogno che mi portiate delle informazioni dal registro ospiti delle locande a est della città, in cerca di nomi e volti che vi sembrano loschi. Ci vedremo stasera davanti a Notre Dame.' 
Etienne e Camille assentirono, e uscirono dall'atrio.

Arno si girò verso di me.
'I Carroll avevano ingaggiato l'omicidio di Elise e sua madre senza che lei lo sapesse.'*

'Oddio.' dissi. 

'Furono loro a ingaggiare un attentato a lei e sua madre, ma lei non lo scoprì mai. Ero presente quando Frederick Weatherall, l'ex istruttore di Elise, uccise l'Assassino rinnegato che i Carroll ingaggiarono a questo scopo, un certo Ruddock che Elìse conosceva, ma che non sapeva lavorasse per loro.'

'Aspetta.' dissi. 'Tu sapevi che Ruddock avrebbe dovuto uccidere Elìse e sua madre?' 

'Non lo sapevo. Lo scoprii quando Ruddock venne da me per darmi le lettere di tuo nonno, che gli avrebbero consentito la riammissione nella Confraternita. Elise gliele aveva lasciate, ma io ero solo una scusa: in realtà, voleva consegnarle ai Carroll.'

La storia era abbastanza complicata. 

'Questi Carroll sono ancora vivi?'

'Credevo di no. Elise aveva eliminato la loro figlia May e il padre. La madre era sopravvissuta, ma non avrei mai pensato sarebbe tornata. Non resta da scoprire chi è questo Edward.' disse.

'Cosa faremo?' chiesi. 
Arno si sistemò un ciuffo di capelli e sospirò, pensando alla situazione.

'Dobbiamo cercare: non c'è nient'altro da fare.' disse. 'Andiamo.'

*Riferimenti al romanzo di Unity, che è concentrato sulla storia di Elise. 


Angolo dell'autrice:
Ciao belli! Allora, eccoci alla fine di un altro capitolo. Finalmente Eleanor sta iniziando a prendere parte nella Confraternita, ed è stata scelta da Arno per una missione da portare a termine. Sta iniziando a succedere qualcosa di importante per lo sviluppo dei fatti! Continuate a scrivermi che ne pensate, sono curiosa di sapere le vostre opinioni sullo sviluppo della storia e i nuovi personaggi! Il prossimo capitolo arriverà presto. Vi mando un bacio come al solito! <3 Izzy

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Capitolo 6
*** 6. In missione. ***


Lo seguii fuor dal Covo e in giro per la città, mentre setacciavamo ogni strada, locanda, tetto di palazzi. Non trovammo quasi nessuna informazione di particolare rilievo. 

'Dobbiamo andare a Notre Dame, forse Etienne e Camille hanno scoperto qualcosa.' 

Ci dirigemmo verso la Chiesa saltando da un tetto all'altro, in una Parigi illuminata dal tiepido tramonto di inizio estate. 

Etienne e Camille ci aspettavano appollaiati sul tetto della Chiesa, a destra della navata centrale.

Arno ed io ci arrampicammo, fece andare me per prima per vedere come me la cavavo a velocità. 

'Niente male. Tutte le flessioni che ti ho fatto fare sono servite a qualcosa.' disse, una volta salito sul parapetto della terrazza dopo di me. Io gli lanciai un'occhiataccia, che gli provocò una risata.

'Allora? Avete scoperto qualcosa?' chiesi a Camille ed Etienne.

'Bonsoir, Elenoire.' Etienne si illuminò appena mi vide, inchinandosi. 

'Buonasera a te.' dissi ridendo.

'Io mi comporto da gentiluomo, e ricevo risate in cambio...' si lamentò.

'Allora?' disse Arno.

'Abbiamo scoperto qualcosa, si. E anche di succoso.' disse Camille, sorridendo soddisfatta.

'Sappiamo il nome della locanda dove soggiorna Carroll, sotto falso nome.'

'Come cavolo ci siete riusciti?' chiesi.

'Il mio charme ha persuaso la locandiera a darmi il nome in un secondo, ovviamente.' si vantò Etienne.

Camille e Arno rotearono entrambi gli occhi.

'Certo, come no.' dissi io, incrociando le braccia in segno di sfida.

'Non mi credi? Posso dimostrarti il contrario.' alzò un sopracciglio.

'E avanti Etienne, fai il serio per una volta!' disse Camille, tirandogli uno scappellotto. Lui la fulminò con lo sguardo.

'Perfetto, ragazzi, ottimo lavoro.' disse Arno. 'Dobbiamo recarci lì il prima possibile.' disse. 

La locanda 'Le Soleil Rouge' distava non lontano da lì, e ci arrivammo in poco tempo.

Io, Arno, Etienne e Camille perlustrammo la zona dall'alto dei tetti per abbastanza tempo, fino a quando il cielo non fu abbastanza scuro, e le strade quasi completamente vuote. 

Arrivammo sul tetto della locanda. 

'Bien.' disse Arno. 'Etienne e Camille, controllate non ci siano guardie o scagnozzi intorno. Io ed Eleanor proveremo ad entrare da una finestra.' Etienne e Camille assentirono, e saltarono giù.

Seguii Arno calandomi dalla parete del palazzo, finchè non trovammo una finestra aperta. Lasciai che Arno controllasse che non ci fosse nessuno dentro alla stanza, e quando fu sicuro entrò. Lo seguii dentro. 

Cominciammo a controllare cassetti, cassapanca, il letto e i comodini in cerca di qualcosa.

'Bingo.' dissi io, trovando un taccuino rilegato in cuoio sotto al materasso. 

Arno si avvicinò, e io lo aprii all'ultima pagina.

22 Giugno. Incontro con Lagarde al suo Palazzo. 

Guardai Arno, che mi prese il taccuino dalle mani e lo sfogliò velocemente.

'È di Carroll.' disse. 'C'è il suo nome.'

'Il 22 è domani. E questo Lagarde... l'hai già sentito?' gli chiesi.

'È un membro della Convenzione.' mormorò Arno. Io alzai le sopracciglia.

'Templari. Trovano sempre un modo per finire al Governo, anche quando praticamente non esiste.' disse.

'Domani dobbiamo andare a questo benedetto Palazzo e scoprire cosa vogliono.' dissi. Arno mi guardò e annuì. 

'Usciamo da qui, prima che ci scoprano.'

Ritornammo sul tetto della locanda e Arno, con un fischio, richiamo Etienne e Camille, che stavano facendo la guardia sulla strada.

Il giorno successivo andammo al Palazzo di Lagarde. 
Nemmeno a domandarselo, c'erano due guardie davanti alla porta principale, e altre due sul retro. Fortunatamente riuscimmo ad entrare dal tetto, scendendo dalla parte del giardino interno. Chissà perchè qui la Rivoluzione non si vedeva neanche per scherzo: il palazzo era perfetto, fuori e dentro. Io e Arno riuscimmo ad intrufolarci dalla terrazza al terzo piano. 

Sembrava vuoto: sia l'ala destra che quella sinistra erano senza guardie nè altre persone.
Scendemmo le scale, io a destra e lui a sinistra. Arrivati al secondo piano, la situazione era già diversa. Un lungo corridoio univa le due scale, e lungo questo erano appostate tre guardie dalla veste blu e il tricorno.

Riuscivo a vedere Arno dall'altra parte della sala: mi fece il segno di attaccare subito. Era arrivato il momento.

Mi lanciai silenziosamente all'attacco sguainando la lama celata, e riuscii a infilarla nella gola della guardia più vicina a me.
 In due secondi, fu a terra. Il sangue gli colava copiosamente dal collo, il tricorno caduto, la mano a cercare invano di fermare l'emorragia.

'Assassine...' riusci a sibilare, gli occhi strabuzzati mi fissarono prima che perdesse definitivamente i sensi.
Un secondo dopo, gli occhi erano roteati all'indietro. 

Avevo appena ucciso il mio primo uomo.

'Eleanor, attenta!' urlo Arno, destandomi da quel momento di alienazione.

L'altra guardia stava arrivando verso di me con la spada sguainata. 

Mi andò il cuore in gola per un secondo, quando vidi gli occhi dell'uomo infuocati e la sua espressione truce avanzare verso di me, ma subito presi la mia spada e lo attaccai. Lui parò il mio colpo senza problemi, e mi attaccò di rimando: riuscii a schivarlo.

Non feci in tempo a girarmi che vidi la spada di Arno uscire dallo stomaco della guardia, e sentire il suo ultimo sospiro, prima che cadesse rovinosamente a terra. 

Io e Arno assistemmo ai suoi ultimi secondi di vita. 

'Cre... credevate di averci eliminato, maledetti bastardi.' sibilò. Sorrise, ma un fiotto di sangue gli uscí dalla bocca, e morí.

Io tremavo, e riuscivo a respirare a stento. 'Oh mio Dio...' dissi, e caddi sulle ginocchia.

Arno mi afferrò sotto le braccia.

'Eleanor, va tutto bene. Siamo vivi. Sei stata bravissima.' mi sussurrò, cercando di rassicurarmi.

'Arno, ho appena ucciso un uomo. Non... non l'avevo mai fatto... è stato orribile.' dissi, portandomi una mano alla bocca.

'Lo so.' disse lui. 'È una cosa terribile. Ma è necessaria. Noi Assassini facciamo questo per vivere. Uccidiamo chi non rispetta la libertà di scelta degli uomini.' 

Io cacciai indietro le lacrime. 
'Giusto. È il nostro Credo.' mormorai.

'È il nostro Credo.' ripetè Arno, e mi sorrise, aiutandomi ad alzarmi.

Al centro del corridoio c'era un'altra scala che portava al piano inferiore. Arno avanzò, e io lo seguii.

Ai piedi della scala c'erano altre due guardie, che riuscimmo ad eliminare silenziosamente con la lama celata. Nascondemmo i cadaveri dentro una stanza laterale vuota.

Nel corridoio principale, una grande porta bianca arrivava quasi fino al soffitto davanti a noi. Era socchiusa.

Arno si avvicinò per origliare, e mi fece segno di avvicinarmi.

'Signor Lagarde, gliel'ho detto: non ho idea di dove siano quelle lettere. Sono qui per questo.'

'Farete meglio a trovarle, Carroll. Vostro fratello non ci è riuscito, quella volta, e gli è andata male: non vorrei che anche voi faceste la sua stessa fine.'

'Non sarà così. Le troverò, e le brucerò. L'Ordine dei Templari di Francia sta per rinascere, e io voglio contribuire. Quelle lettere non possono finire in mano agli Assassini.'

'Questo è un ottimo spirito per iniziare. Se poi mi porterete le lettere, vi lascerò tornare a Londra in Pace. Finite quello che aveva iniziato vostro fratello una volta per tutte.'

'Lo farò, Monsieur Lagarde, statene certo.' disse Carroll.

Arno aprí la porta e irruppe nella stanza, affiancato da me.

'Di quali lettere state parlando?' chiese minaccioso. 'Farete meglio a essere chiari subito, vi avverto.' disse a denti stretti, mostrando la lama celata.

Lagarde, dietro la sua scrivania, ridacchiò. Era un uomo di mezza età, e sembrava viscido solo alla vista. 

Carroll, con una mano appoggiata alla scrivania, se la cavava leggermente meglio. Apparte la cicatrice che gli trapassava l'intera guancia sinistra, donandogli l'aria di un uomo spregevole.

'Aha, chi abbiamo qui? Arno Dorian, se non sbaglio.' disse Lagarde.

'Ed Eleanor Kenway.' dissi, affiancandomi ad Arno.

Carroll per poco non cadde per terra.

'Come?... Kenway? Non... non può essere.' disse.

'Oh, eccome se può essere.' dissi io. Tirai fuori le lettere di mio nonno dalla tasca interna della giacca.

'Per caso sono queste che cercate?' le sventolai nell'aria, vedendo i suoi occhi seguirle con lo sguardo come avrebbe fatto un cane con una bistecca.

'Farà meglio a consegnarmele immediatamente, signorina Kenway.' disse Lagarde, poggiandosi minacciosamente in avanti sulla scrivania.

'Neanche morta' dissi io, infilandole di nuovo nella giacca. 'Potete venirvele a prendere, se ne avete il coraggio.'

Carroll sguainò la spada, venendo verso di me.

Anche io feci lo stesso.

'Non potete capire nulla di quelle lettere, Eleanor. Vostro... nonno, aveva una visione totalmente distorta dell'Ordine. Una pace con gli Assassini non sarà mai possibile.' disse, e vibrò un colpo di spada a cui risposi dignitosamente.

'Finchè il vostro Ordine sarà pieno di gente come voi, gli Assassini non avranno interesse a collaborare con i Templari!' disse Arno a Lagarde.

'Quello che inseguite è un sogno, Dorian. Un sogno dal quale sarà meglio vi svegliate. La città è ancora nel caos. Dobbiamo rimettere a posto le cose. Dobbiamo riportare l'Ordine.' 

Io attaccai Carroll, che si era distratto per osservare Arno, e lo ferii all'altezza delle costole con la spada. 'Ah!' urlò lui dal dolore, cadendo sulle ginocchia.

'Maledetti Assassini.' disse, premendosi sulla ferita.

'Quante vite sprecate per delle lettere...' mormorai, e gli conficcai la spada sopra lo stomaco, per poi toglierlo di mezzo con il piede. Era stato più facile del previsto.

Nel frattempo Lagarde sotto lo sguardo di Arno, aveva assistito alla scena. 'Guardie!' urlò. 

Un secondo dopo la porta dietro la scrivania si aprì, e sei guardie armate entrarono nella stanza.

Lagarde uscì aprendosi un varco tra di loro. 

'Si, vattene, vigliacco! Non la passerai liscia!' urlai. 

'Non riuscirete a riportare l'Ordine in vita, non finché ci saremo noi!' disse Arno. 

Le guardie si stavano avvicinando pericolosamente.

'Andiamo!' mi disse Arno, e cominciò a risalire le scale a velocità impressionante. Io lo seguivo correndo il più veloce possibile. 

Riuscimmo a risalire sul tetto abbastanza velocemente, ma le guardie ci stavano alle calcagna e ci raggiunsero mentre saltavamo fra i tetti degli altri palazzi.

'Maledizione!' imprecò Arno, quando un proiettile di fucile colpì un camino a un metro da lui.

Mi girai, e vidi tre guardie che correvano verso di noi.

'Abbassati!' dissi ad Arno, mentre prendevo la mira con la pistola: lui si spostò, permettendomi di sparare un colpo che finì in petto alla guardia più vicina.

Arno mi guardò con stupore, e con la sua lama fantasma infilzò la seconda guardia, facendola cadere dal tetto.

La terza guardia stava caricando il fucile, mentre una quarta si stava avvicinando.

'Cristo Santo, ma quanti sono!' dissi io, e mi girai per scappare: purtroppo però il palazzo più vicino era troppo distante per raggiungerlo con un salto. 
Eravamo in trappola.

'Arno, siamo in trappola!' dissi disperata.

Lui si avvicinò e guardò giu: c'era solo un carro pieno di paglia ai piedi del palazzo.

'Non lo siamo.' sospirò, e mi fissò dritto negli occhi. 
'Eleanor, non credevo  di insegnartelo così, ma... devi saltare nel carro.' disse.

'Cosa? Sei impazzito, finirò a pezzi!' gridai, esasperata.

'Ascoltami. Non finirai a pezzi. Salta e basta!' mi disse prendendomi per il braccio, gli occhi ancora fissi nei miei.

Mio Dio, sarei morta sicuramente. Era troppo, troppo alto... 

'Fallo!'

Annuii deglutendo, e mi affacciai al bordo del palazzo. Guardai prima il carro, poi in alto, il cielo nuvoloso. 
Mi parve di vedere un'uccello, un'aquila forse, sopra la mia testa, scura, con le ali spiegate. Per un momento mi parve di sentire i piedi che si staccavano dal terreno. Chiusi gli occhi, e allargai le braccia, mentre facevo un passo avanti: saltai nel vuoto.

Un secondo dopo, senza nemmeno rendermene conto, ero atterrata sulla paglia. Non avevo sentito alcun colpo, e non avevo un graffio. Com'era possibile?

Sentii il rimbombo di uno sparo, seguito da un tonfo terribile alla mia destra, nel vicolo.

Feci uscire la testa dalla paglia per vedere cos'era accaduto: era il corpo della guardia che ci
stava seguendo, la giacca blu si stava macchiando di sangue al centro del petto. 

Uscii dalla paglia, e andai verso il corpo. Frugai nelle tasche, e in una interna trovai un biglietto. 
'Invito per il Ballo a Palazzo Poulain, domani alle 18.00' c'era scritto. 

Un fruscio alle mie spalle mi indusse a girarmi di scatto, la lama celata sguainata verso il carro.

Dalla paglia uscì Arno, saltandone fuori con eleganza. Sospirai, ritraendo la lama.

'Non mi pare di vederti morta.' disse, sarcastico.

'Già, divertente.' risposi io. 
'Come cavolo ho fatto, pero'?' 

'Salto della Fede. Una prerogativa di noi Assassini: alla fine dell'Addestramento, per provare di essere veramente degni di stare nella Confraternita, gli Iniziati devono farlo, e saranno elevati al grado di Discepoli. È una prova di coraggio.'

'Quindi io ho appena...'

'Si, sei passata di grado. Congratulazioni.' mi fece l'occhiolino, e ridacchiò per la mia espressione confusa, probabilmente.

Io scossi la testa. 'Grazie...' 

'Cos'hai trovato?' mi chiese, avvicinandosi. Gli passai il bigliettino.

'Palazzo Poulain... un altro membro della Convenzione. È assurdo.' disse.

'Secondo te questo Poulain è in combutta con i Templari?' gli chiesi, notando la sua espressione preoccupata sotto il cappuccio.

'Spero vivamente di no.' mi rispose. 'Ma per scoprirlo, dobbiamo infiltrarci domani.' 

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Capitolo 7
*** 7. Prima del ballo. ***


Nel frattempo alla Confraternita si scoprì che gli altri due nomi degli inglesi che erano saltati fuori avevano a che fare con delle bande di criminali rivoluzionari.
Arno mi disse che i Templari spesso aizzavano il popolo sfruttando i malviventi, in modo da impaurire la gente e costringerla a fare quello che volevano. 

'L'Ordine. Facile ottenerlo con il terrore.' mormorai tra me e me, mente il giorno dopo mi dirigevo a Villa De La Serre.

Mentre camminavo per i boulevards, ebbi la possibilità di guardare meglio quelle strade, quelle persone, quella realtà, come se ogni giorno che passavo a Parigi mi permettesse pian piano di vedere la vera situazione della Francia.
La povera gente che animava la città aveva la stanchezza nei volti, il peso di una lotta per la libertà addosso. Le strade sembravano quasi abbandonate, non c'era quasi nessuno apparte qualche guardia pronta a reprimere qualsiasi agitazione dei Rivoluzionari, e ogni tanto qualcuno che passava impaurito. 
In quei giorni c'erano stati dei moti, quindi era comprensibile. Un uomo passò con quello che sembrava essere suo figlio a mano, un bambino di circa sei o sette anni. In quel bambino vidi una speranza per il futuro di quella Nazione, che era stata così coraggiosa negli ultimi anni.

Un popolo, quello Francese, che aveva avuto il coraggio di rivendicare i propri diritti, che voleva scostarsi quell'ancien régime di dosso, che voleva essere riconosciuto come cittadino, e non come suddito di un sistema che ormai era diventato polveroso e troppo vecchio per sopravvivere.
Una realtà simile, pensai, l'aveva vissuta mio padre a casa, negli Stati Uniti. In prima persona. 

Bussai alla porta della Villa, e ad aprirmi non fu Arno ma una ragazza. 
Ci mancava solo questa.

Mi sorrise cordialmente, aprendo di più la porta.

'Bonjour. Entrate pure.' disse.

Io entrai, non poco confusa. 
La ragazza mi fece cenno di seguirla. 
'Arno, è arrivato qualcuno per te.' disse, e dal soggiorno sbucò lui, finalmente.

'Ben arrivata.' disse. 'Hai già conosciuto Heléne?' 

'Veramente no.' dissi io, guardando la bionda ragazza al mio fianco, che mi sorrideva.

'Beh, questa è Heléne. Heléne, lei è Eleanor.'

'Piacere di conoscerti.' dissi io, porgendole la mano. Lei la strinse.

'Il piacere è mio.' disse. 
Ok, ma non sapevo ancora chi era...

'Heléne era la dama di compagnia di Elise.' disse Arno, quasi leggendomi nel pensiero.

'Ah, le hai già raccontato tutto vedo.' disse lei.

'Quasi tutto.' rispose Arno. 

'Beh, vi lascio qui a conoscervi, io devo mettere a posto delle cose in studio. Poi io e te dovremo vestirci per il ballo.' disse. Come?

'Vestirci per il ballo? Credevo saremmo entrati di nascosto.'

'E perchè mai? Abbiamo un invito. Possiamo entrare senza problemi, basterà passare inosservati.' disse.

In effetti aveva ragione. 

'Si ma... come?' chiesi io.

'Beh, credi che non abbia dei vestiti eleganti messi da parte per queste occasioni?' chiese lui, retorico.

'Tu di certo, ma io...? Non ho portato nulla di elegante. A dire il vero, non ho mai avuto un vestito elegante.' riflettei.

'Non è un problema, userai uno dei vestiti di Elise.' disse Heléne. 

'Davvero...?' chiesi io guardando Arno, quasi chiedendogli il permesso.
Arno sorrise.

'Si, Eleanor. Credo ti starà bene.' 

'D'accordo...' mormorai io, lievemente in imbarazzo.

'Beh, sono quasi le quattro di pomeriggio. Sarà meglio iniziare a prepararci.' disse Arno. 
'Ci vediamo fra un'ora. Ti lascio nelle mani di Heléne.'

Annuii e mi girai verso Heléne, che mi prese per mano e mi portò al piano superiore, nella vecchia stanza di Elise.

Era veramente bellissima. Il letto a baldacchino era perfettamente intatto, tutto era ordinato. La stanza era illuminata dalla luce del primo pomeriggio, e sembrava che le appartenesse ancora, che fosse la stanza di una ragazza viva. Magari a me faceva questa impressione perché non l'avevo conosciuta. 
Me la immaginai, mentre Heléne cercava un vestito adatto nell'armadio, e io la aspettavo seduta sul divanetto ai piedi del letto.

Avevo visto il suo ritratto nella libreria qui al piano superiore qualche giorno prima. Sembrava davvero bellissima, vestita in un abito da festa, mentre teneva elegantemente un ventaglio nella mano sinistra. Aveva dei meravigliosi capelli rossi, ondulati e lucenti, gli occhi chiari blu, simili ai miei, e un viso bellissimo. 

Capii perché Arno era così innamorato di lei, e mi sentii rattristata. Doveva essere stato veramente terribile averla persa. Non volevo sembrare egoista, ma... speravo di aiutarlo ad affievolire quel ricordo doloroso, prima o poi.

'Questo mi sembra perfetto.' disse Heléne dietro di me, risvegliandomi dai miei pensieri. 
Mi girai e vidi il vestito che aveva scelto: era azzurro intenso, in raso di seta. Mi alzai per guardarlo meglio: il tessuto era meraviglioso, liscio e spesso, un po' pesante, ma questa caratteristica ne denotava la qualità. Il corpetto era decorato con dei dettagli in pizzo bianco sui bordi, uguale al pizzo della sottoveste e dei merletti che uscivano dalle maniche al gomito, e dalla scollatura quadrata. Era davvero bellissimo. 

'Meraviglioso, vero?' mi chiese Heléne. Io annuii, sorridendole. Speravo di entrarci senza problemi.

Mi spogliai appoggiando i miei vestiti sul divanetto. Heléne mi infilò subito la sottoveste, notando il rossore delle mie guance. 

'Hai un corpo bellissimo Eleanor, non vergognartene.' mi disse, dolce come sempre.

'Grazie mille Heléne...' risposi io, ancora rossa in viso. 
Nessuno mi aveva mai vista senza vestiti, tranne la mia balia Lizzie, ma dai 15 anni in poi mi ero sempre preparata e vestita da sola.

Heléne mi infilò prima la gonna dall'alto, che era divisa a strati, e aveva bisogno di essere sostenuta da una rete metallica che mi legò in vita con un nastro. 

'Sarò sincera, mi chiedo come facciano le nobildonne a indossare questi vestiti praticamente ogni giorno.' dissi, suscitando la reazione divertita di Heléne.

'Questo è uno dei motivi per cui ringrazio di non far parte di quella categoria.' disse lei, infilandomi il corsetto. 

'È meglio che ti appoggi da qualche parte e inizi a trattenere il respiro.' mi consigliò lei.

'Oh mio Dio, ma è una tortura!' mormorai mentre Heléne mi stringeva i lacci, e vedevo il mio povero seno sempre più schiacciato. Cercai di tenerlo a posto con una mano tirando su la sottoveste, o sarebbe fuoriuscito a momenti.

'E devi ritenerti fortunata perchè tu sei già abbastanza magra e con la vita stretta, pensa cosa devono patire certe donne che non hanno avuto questa fortuna...' disse lei.

'Ok, abbiamo fatto. Devi solo infilare la giacca e abbottonarla.' me la passò, e io la infilai e la abbottonai, per poi sistemare meglio le maniche e i merletti che uscivano.

Incredibilmente, sembrava starmi. Mi guardai allo specchio attaccato al muro, e vidi che la tortura a cui mi ero sottoposta aveva portato i suoi frutti.
Mi sembrava così strano vedermi vestita così, io che ero sempre stata abituata ad andare in giro in pantaloni e giacca. Dovevo dire che stavo scomoda e non poco, ma potevo abituarmi, almeno per la serata.

'Stai davvero benissimo.' mi disse Heléne, e mi mise a posto la gonna.

'Vieni, ora pensiamo ai capelli.' e mi fece sedere alla toilette.

Guardai la mia immagine riflessa allo specchio, e vidi quel po' di mio padre nel castano scuro dei miei capelli e nella mia carnagione leggermente olivastra, ma mio nonno nei lineamenti 'tipicamente inglesi' come li chiamava Winston, e negli occhi, ghiacciati, che erano sempre stati a contrasto con i miei colori. 

Heléne sciolse la lunga treccia in cui erano legati i miei capelli e iniziò a pettinarli.

'Sai, Arno mi ha parlato di te...' disse. Io cercai di non sussultare e non sembrare troppo interessata, quindi sorrisi.

'... sono felice che ti stia addestrando. Ha passato dei mesi veramente difficili da quando Elise se n'è andata.'

'Posso immaginarlo.' mormorai, pensando a tutto quello che aveva affrontato nella sua vita.

'Sai, lui è un po' particolare. Non ha mai messo in mostra i suoi sentimenti e le sue emozioni, nè con me o con Jacques, il mio fidanzato, e da quello che mi raccontava Elise, addirittura nemmeno con lei. Il fatto che abbia perso suo padre da piccolo, e sia stato incolpato per l'omicidio di Monsieur De La Serre, l'unica persona di cui si fidava, ha contribuito a renderlo introverso e fragile. Quando è stato per un periodo qui con noi e con Frederick Weatherall, l'istruttore di Elise, passava molto spesso del tempo da solo, beveva, non parlava quasi mai e spariva spesso, anche per giorni. Poi io e Jacques ci siamo trasferiti insieme fuori città, e ci è dispiaciuto lasciarlo da solo, perchè anche Weatherall era tornato a Londra. L'unica cosa che lo ha tirato su è stata la sua riammissione nella Confraternita, con il titolo di Maestro. E poi, sei arrivata tu.' 

Sorrisi, pensando che forse stavo facendo qualcosa di buono per lui. Ed era una cosa importante. 

'Si fida ti te, Eleanor, e ti vuole bene. E da come lo guardi, vedo che anche tu sei affezionata a lui...' 

Cercai di non diventare paonazza.
'È la verità, ci tengo molto a lui. È diventato il mio punto di riferimento, la persona di cui mi fido. È più di un Maestro per me.' L'ultima frase mi uscì spontanea, e abbassai lo sguardo.

Heléne mi mise una mano sulla spalla. 'Arno può avere paura dei suoi sentimenti, ma tu non farlo.' 

Io le sorrisi, e vidi che lei forse aveva capito. Provavo qualcosa per lui, ed era difficile da nascondere. 

'Ti prego Heléne, non farne parola con nessuno...' 

'Certo che no! Per chi mi hai presa? Sarò una tomba. E anzi, ti auguro il meglio. Potresti essere una benedizione per lui.'

'Lo spero...' mormorai, con il cuore davvero pieno di speranza. 

'Avanti ora, cerchiamo di legare bene questi capelli.' disse, e un quarto d'ora di arricciamenti e annodamenti dopo la mia enorme massa di capelli era legata in una meravigliosa acconciatura. Heléne mi passò uno specchio con cui potevo ammirare il lavoro da dietro: era una specie di chignon complicatissimo, con due boccoli che mi ricadevano ai lati del viso, incorniciandolo.

Mi fece anche indossare una bellissima collana di zaffiri, abbinati a due orecchini uguali a goccia.

Guardai il risultato finale allo specchio: non sembravo nemmeno io. 

'Heléne, sembro un'altra persona!' dissi mentre giravo davanti allo specchio.

'Sei stupenda, Eleanor. Qualcuno laggiù appena ti vedrà prenderà un colpo.' 

'Hai fatto un lavoro stupendo. Grazie, davvero.' le dissi, e le diedi un bacio sulla guancia. Era stata veramente un tesoro con me. 

'Grazie a te. Avanti ora, cherie. Hai una missione da compiere, non dimenticarlo.' Annuii, e presi lo stiletto dal fodero della mia cintura, infilandolo all'interno della manica del vestito. Mi dispiacque lasciare la lama celata lì, ma non avevo dove nasconderla.

'Ti aspetto giù.' mi disse Heléne.

Uscii dalla stanza e scesi le scale: ai piedi c'erano Arno, Heléne e quello che probabilmente era Jacques, che stavano confabulando.

Appena fui visibile smisero di parlare, e mi guardarono tutti quanti. 

Arno fu l'ultimo a girarsi, e quando mi vide sgranò gli occhi e fece un sorriso gigantesco. 

'Vi prego, non fissatemi così.' dissi io, coprendomi il volto con le mani mentre scendevo gli ultimi scalini.

'Fatti vedere.' disse Arno, e mi prese una mano avvicinandomi a lui, per poi farmi roteare.

'Sei perfetta.' disse, e mi sorrise. Io non volevo sapere di che colore ero in quel momento.

'Grazie. Anche tu pero', eh!' gli dissi, e lo ammirai in tutto il suo splendore: aveva addosso un completo elegantissimo, nero, una giacca con doppiopetto e bottoni argentati, e un nastro rosso scuro al collo.

'Modestamente.' disse lui, accenando un inchino. Ridacchiai, dopo aver visto Heléne che ammirava la scena con un sorrisetto soddisfatto. 

'Eleanor, questo è Jacques, il mio fidanzato.' me lo presentò: il ragazzo dai capelli neri e gli occhi verdi fece un inchino e mi baciò la mano, sorridendomi.

'Enchantè, Mademoiselle Kenway.' 
disse. Era proprio carino, lui ed Heléne stavano bene insieme.

'Piacere mio, Jacques. Sei fortunato ad avere al tuo fianco una ragazza come Heléne.' gli dissi, e lui annuí, per poi dare ad Heléne un bacio sulla guancia. Erano dolcissimi.

'Eleanor, è meglio andare, manca poco all'inizio del ballo.' mi disse Arno, mentre si sistemava la lama celata sotto la manica della giacca.

Salimmo su una carrozza che ci aspettava fuori dal cancello, io da una parte e lui dall'altra.

'Questo vestito è davvero una prigione.' dissi, quando finalmente riuscii a metterlo a posto dentro il vano della carrozza.

'Devi resistere solo stasera, e poi ti sta benissimo.' disse lui. 

'Anche tu sembri un damerino. Comunque spero riusciremo a passare inosservati, considerando che non abbiamo potuto portare quasi nessuna arma.' 

'Tu segui me, e vedrai che andrà tutto secondo i piani.'

'Arno, almeno sei sicuro che non ti riconoscerà nessuno lí dentro?' gli chiesi. Si, stavo iniziando ad agitarmi.

'Quasi tutti i nobili che conoscevo hanno fatto una brutta fine negli ultimi due anni. La maggior parte di loro è stata ghigliottinata durante il terrore di Robespierre. E comunque, l'elîte di Parigi ora non è più quella di una volta. I pochi nobili rimasti sono riusciti a fare accordi con il Direttorio, ed è questo il motivo per cui sono ancora vivi.' disse.

'Capisco. Beh, spero non avremo problemi.' mormorai.

Arrivati a Palazzo Poulain, leggermente fuori il centro, io e Arno scendemmo dalla carrozza. Mi misi a posto il vestito, e Arno mi prese per l'avambraccio, portandomi in un angolo.

'Ascoltami bene. Stasera dobbiamo carpire più informazioni possibili dagli invitati, e tornare con qualcosa di concreto in mano. Inoltre, dovremmo inventarci un nome...' pensò, grattandosi il mento.

'Monsieur e Madame Peltier.' dissi. Non avevo idea di come mi fosse uscito.

'Très jolie.' disse Arno, e mi sorrise.
'Che lo spettacolo abbia inizio.'

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Capitolo 8
*** 8. Napoleone? ***


Mi porse il braccio, e ci avviammo verso il cancello del palazzo, davanti al quale altre persone stavano lasciando l'invito. 

'Bonsoir, Monsieur et Madame. L'invito, prego.' disse l'uomo dalla parrucca grigia.

Arno glielo porse, e ci fece passare.

Ci dirigemmo verso l'entrata principale e al primo piano, dove si trovava la sala da ballo e dove venivano annunciati gli ospiti. 

Arno si guardava intorno con fare attento e sospettoso, mentre scrutava gli ospiti.

'È pieno di gente losca e membri dei Consigli della Convenzione.' mi disse a bassa voce.

Quando fu il momento di farci annunciare in sala, usò il nome che gli avevo proposto.

'Monsieur e Madame Peltier.' annunciò il goffo araldo, mentre io e Arno cercavamo di passare il più inosservati possibile, anche se dovetti coprire una risatina con il mio ventaglio al nostro ingresso. 

Mi guardai intorno: la sala da ballo era piena di persone che conversavano e danzavano.
 Iniziai a scrutare i volti, e ad allungare le orecchie, ma sembrava che non ci fossero commenti di particolare rilevanza, se non lamentele e paure per la situazione della Francia attuale, e guardando quella scena in effetti era comprensibile: per strada la gente moriva di fame o veniva ammazzata, e qui veniva messo in atto questo penoso ricevimento, il cui scopo mi sfuggiva. 

Presa dal nervosismo, mi feci versare un bicchiere di champagne.

'Il primo e l'ultimo.' disse Arno, guardandomi contrariato. 

Io roteai gli occhi e bevvi il dolce liquido, assaporandone il gusto fruttato. 
Mi sarebbe piaciuto averne ancora, ma all'improvviso Arno mi avvicinò a lui, nascondendomi con la sua figura. 

'Ho visto un mio vecchio conoscente. Dobbiamo spostarci.' disse e mi prese per mano, trascinandomi in uno dei corridoi paralleli dove c'erano molte meno persone. 

Ora avevamo la possibilità di poter girare più liberamente, e infatti trovammo qualcosa di interessante: una porta socchiusa, dalla quale, come avevo imparato recentemente, potevano saltare fuori informazioni succose.

'Coprimi.' dissi ad Arno, mentre cercavo una buona posizione per origliare.

C'erano delle voci maschili...
'Non può andare avanti così, Lagarde. Vi siete fatto ammazzare Carroll davanti agli occhi da degli Assassini, e non siete nemmeno riuscito a farli catturare. Noi abbiamo altre faccende da sbrigare, il popolo è instabile e volubile, e voi sprecate occasioni.'

Lagarde era lì dentro. Mi andò su il battito cardiaco.

'Le bande di malviventi che avevamo ingaggiato sono state quasi tutte decimate. Ora ditemi, cosa dovremmo fare?'

'Non lo so Poulain, non lo so. Siamo in netta minoranza nel Consiglio, ma non possiamo sgarrare di nuovo. Dobbiamo escogitare qualcos'altro per far rinascere l'Ordine.'

Io ero sconvolta, e quando alzai gli occhi vidi Arno che mi fissava incuriosito. 'Alors?' chiese a bassa voce. 

Io gli feci il segno che glielo avrei spiegato dopo, perchè stava arrivando qualcuno.

'Ah beh, guarda chi si rivede.' disse una voce dietro la sua schiena.

Arno si girò e vide l'uomo davanti a lui.

'Napoleone?' chiese a se stesso, incredulo.

'Quanto tempo è passato?' disse l'uomo, che non riuscivo a vedere: mi scostai immediatamente dalla porta, per guardarlo in viso.

Era... basso. Più basso di me di una decina di centimetri, di circa venti rispetto ad Arno, e magro. Vestito elegantemente in tenuta militare, giacca blu decorata da fregi dorati e coulottes bianche, teneva il tricorno nella mano destra. Notai subito gli occhi vispi e svegli, grigio-azzurri come i miei, e il naso allungato.

'Molto. Non c'è una stanza dove possiamo parlare?' chiese Arno.

Non avevo idea di chi fosse questo tizio...

Napoleone, se si chiamava così, mi guardò, poi guardò Arno, e ci fece segno di seguirlo. Disse all'uomo che lo accompagnava di aspettarlo fuori dalla porta di una stanza alla fine del corridoio, nella quale ci fece entrare.

'Sono felice di rivederti.' disse Napoleone, sedendosi al tavolo da pranzo al centro della sala. 'A dire la verità, volevo proprio cercarti.'

'Davvero?' disse Arno sedendosi al tavolo dal lato opposto. Mi sistemai vicino a lui.

'Certo che si, ma prima presentami questo bel fiore.' mi squadrò attentamente, e mi sorrise.

'Lei è...'

'Eleanor Kenway, Monsieur...' 

'Bonaparte. Ma chiamatemi pure Tenente, dato che di fatto è quello che sono. Piacere di conoscervi, Mademoiselle.'

'Il piacere è mio, Tenente Bonaparte.' 

'Fai carriera, amico mio.' commentò Arno.

'Così pare. Ma non sono nemmeno a metà del percorso. E tu, Arno? Come stai?'

Arno mi guardò e sorrise. 'Molto meglio, ultimamente.' 

Io abbassai lo sguardo cercando di nascondere il mio sorriso, probabilmente con le guance infiammate quanto lo era il mio stomaco. Se voleva mettermi in imbarazzo, ci stava riuscendo alla grande.

'Capisco. Ho sentito che sei stato riammesso nella Confraternita, dopo aver finalmente eliminato Germain. Congratulazioni, amico mio.'

'Ti ringrazio, davvero.' 

'Comunque quell'offerta per un tuo eventuale ingresso nell'esercito al mio fianco è ancora aperta.' disse.

'Grazie, Napoleone. Probabilmente se ti avessi incontrato un paio di mesi fa avrei accettato, ma... recentemente la Confraternita mi sta tenendo abbastanza occupato.'

'Si, ho sentito dell'omicidio di quel Carroll. Sei stato tu?'

'Sono stata io.' dissi, inserendomi in un modo che non avevo previsto nella conversazione.

'Ah, congratulazioni. Una rosa con le spine. Ottima scelta la tua compagna, Arno, lasciatelo dire.' commentò Napoleone divertito.

'È stata un'allieva ottima, ed è una compagna d'armi ancora migliore, lo ammetto.' disse. Era in vena di complimenti?

'Oh avanti, non elogiarmi così tanto che poi mi esalto.' dissi scherzando, e causai la reazione divertita di entrambi i miei interlocutori.

'Beh Arno, tornando alle faccende serie, ho una proposta per te... per voi. Per gli Assassini.'

'Sono tutt'orecchi.' 

'Sono ben consapevole che la vostra Confraternita sta avendo a che fare con dell'attività sospetta in città, Templare, lealista-estremista o filo monarchica che sia.'

'È la verità. Avete qualche informazione che potrebbe farci comodo, tenente?' chiesi io.

'Un'informazione, un consiglio, un avvertimento. Tutti e tre.' disse, e dopo aver visto le nostre facce incuriosite, andò avanti.
 
'Vorrei offrirvi una collaborazione. Arno, tu sai che io ho sempre sostenuto le attività della Confraternita, nonostante non ne faccia parte.' 

'È la verità. Ma che tipo di collaborazione?'

'Una collaborazione con l'esercito. Al momento non sono in campo con i miei soldati, ma il Governo si aspetta che io vada al confine occidentale alla fine di quest'estate. Hanno gli occhi puntati su di me, sperano di vedere i miei successi per poi sfruttarmi per la repressione qui in città.'

'E tu cosa hai intenzione di fare?'

'Ci sto riflettendo profondamente. Se vado al confine, potrei aumentare le possibilità di acquistare la loro fiducia, e ottenere successi militari. Ma ho bisogno di tenere sotto controllo la situazione qui in città, e con l'esercito non posso farlo. Ho bisogno del vostro aiuto.' disse, guardando Arno.

'Capisco. Ma il nostro aiuto per cosa, esattamente?' chiese lui.

'Volete impedire la rinascita dell'Ordine Templare, colpendoli dall'alto. Quello lo posso fare io. Voi dovrete aiutarmi colpendoli dal basso, nelle strade, dove hanno l'appoggio degli estremisti, dove è la loro vera forza. I Templari al Governo sono decisamente pochi, e li posso gestire io con le conoscenze che ho al Consiglio e alla Convenzione.'

'Quindi noi dovremmo colpire gli estremisti e i malviventi che i Templari usano per spaventare la popolazione.' dissi io.

'Esattamente, Mademoiselle.' rispose Napoleone.

'Non è un'idea malvagia.' commentò Arno. 'Agiremo come soldati contro l'"esercito" dei Templari, ovvero gli estremisti e i criminali.'

'Ho sempre saputo che eri un uomo perspicace, Arno.' disse Napoleone. Arno ridacchiò.

'Ne parlerò immediatamente con il Consiglio, e ti farò sapere.' ci alzammo tutti e tre, e ci dirigemmo verso la porta.

'Confido di rivederti fra due giorni a Versailles, al tramonto.' Napoleone strinse la mano ad Arno, e baciò la mia.

'Accompagna i signori alla loro carrozza, prima che qualcuno li veda.' disse al suo sottoposto, che ci scortò verso una scala nascosta che portava all'esterno.

'Grazie, Napoleone.' gli dissi io.

'Grazie a voi. Il vostro supporto è importante.' mi disse, e si avviò verso la sala da ballo, mentre Arno mi prese per mano.

Seguimmo il sottoposto di Napoleone fino alla nostra carrozza e tornammo verso Villa De la Serre, mentre un tremendo temporale estivo stava iniziando.
'Da quando conosci Napoleone?' chiesi ad Arno, mentre eravamo in viaggio.

'Da un paio d'anni. Ci siamo incontrati per caso negli appartamenti del Re, stavamo cercando entrambi qualcosa. Io delle lettere di Mirabeau, il mio vecchio Mentore, lui la chiave di un tempio dov'era nascosto un manufatto dei Precursori, anche se al tempo non me ne accorsi.'

'Un manufatto dei precursori?'

'Esatto. La Mela dell'Eden, per la precisione. È uno strumento con un potere incredibile, in grado di uccidere decine di uomini in un solo colpo. Ma se tenuto nelle mani sbagliate, può provocare dei danni irreparabili. Per questo sono arrivato al tempio in Franciade prima di lui, recuperato la Mela, e l'ho spedita in Egitto, dove sarebbe stata al sicuro.'

'E Napoleone ha saputo che ci sei arrivato tu per primo?'

'Ovviamente no. È stato accusato di diserzione e alto tradimento ed arrestato prima. Logicamente, se l'è cavata in pochi giorni, con la sua furbizia. È un alleato, certo, ma dobbiamo comunque essere cauti se trattiamo con lui.'

'Capisco. Ad occhio sembra molto sveglio e pragmatico.'

'Lo è.' ammise lui. 'È un uomo che sa quello che fa, e soprattutto che sa cosa vuole.'

Arrivati alla Villa fummo costretti a correre sotto la pioggia scrosciante per raggiungere l'entrata.

'Vuoi bagnarti tutto? Corri!' dissi ad Arno mentre attraversavo il giardino della Villa per ripararmi all'interno.

'E tu saresti un'Assassina che fa fuori tre uomini alla volta? Non dirmi che ti spaventano due gocce!' mi disse mentre cercava di prendermi, e quando ci riuscí mi bloccò e iniziò a mimare un ballo da sala sotto la pioggia che continuava a cadere senza sosta.

'Arno ti prego, odio la pioggia! E poi bagnerò tutto il vestito!'

'Oh avanti, signora Peltier, non vorrete negare un ballo a vostro marito!' mi avvicinò a lui e iniziò ad accennare un valzer in mezzo al giardino. 'Magari.' pensai.

'Faccio schifo a ballare, mi dispiace!' cercai di dissuaderlo, ma sembrava non mollare la presa, così mi arresi.

'Non è vero, basta seguire me. Guarda i miei piedi: uno, due, tre. Un, deux, trois.' mi feci guidare e scoprii che in effetti non facevo così pena.

'Ok, ora ci stiamo davvero inzuppando, andiamo. A chi arriva primo!'

'No, ti prego, non riesco a correre con questo vestito!' sbuffai e alzai la gonna che si era anche appesantita per colpa della pioggia, mentre Arno mi aveva già seminato alla grande.

*Angolo dell'autrice*

Salve belli! Allora, che ne pensate a proposito del modo in cui si sta sviluppando la storia? Vi annuncio che il personaggio di Napoleone avrà un ruolo molto, ma molto importante da qui fino alla fine della storia per i nostri Assassini. Che ne pensate del suo arrivo? Secondo voi si rivelerà un alleato degno di fiducia? 
Ci rivediamo al prossimo capitolo! Un bacio enorme <3
Izzy

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Capitolo 9
*** 9. Disavventure. ***


Arrivai in soggiorno completamente distrutta e zuppa d'acqua, desiderando solamente di lanciarmi su un divanetto, ma Arno mi afferrò per un braccio, facendomi scontrare con il suo petto. 
Me lo ritrovai a due centimetri dal viso, anche lui zuppo, con i capelli bagnati che gli ricadevano sul viso.

'Ti ho battuta.' mi disse, e mi sorrise. Gli sorrisi anche io.

'Facile quando non hai dieci chili di stoffa addosso e una rete metallica legata ai fianchi.' dissi in tono di sfida.

'Può darsi. Ma puoi fare di meglio.' mi rispose, e dal nulla iniziò a slegarmi i capelli, facendomeli ricadere ciocca a ciocca, umidi, ai lati del viso.

Si creò un silenzio che avrei potuto definire imbarazzante se non fossi stata distratta dal suo sguardo  attento, le labbra leggermente socchiuse, le sue dita che scorrevano tra le mie ciocche e toglievano le forcine che tenevano legata la complicata acconciatura di Heléne.

'Ti preferisco così, libre et belle.' disse alla fine, quando il suo indice aveva sciolto l'ultima ciocca di capelli e stava scorrendo sul lato della mia guancia.

Era così vicino, i suoi occhi fissi nei miei, che non riuscivano a staccarsi da quelle labbra.

'Arno...' mormorai, ma un secondo dopo le sue labbra erano sulle mie. 

L'unica cosa a cui riuscii a pensare fu "Finalmente". Finalmente stava succedendo. Erano due mesi che bramavo quel tocco delicato, non per correggermi o proteggermi in missione, ma semplicemente per me, su di me.

Risposi al bacio in ritardo, chiudendo gli occhi e soddisfando il desiderio delle mie dita, che si infilarono fra i capelli dietro la nuca di Arno, mentre la sua mano sinistra mi stringeva a lui dietro il corsetto che se prima mi soffocava, ora stava contenendo un'esplosione di emozioni che avevo solo sognato di liberare per settimane.

Non avevo idea di quanto tempo stesse passando, perché le uniche cose che riuscivo a percepire erano la mano di Arno che stringeva lievemente il mio punto debole al lato del collo sotto l'orecchio, il rumore della pioggia che batteva ancora persistente sulla ghiaia del cortile, e le labbra di Arno sulle mie,  che approfondivano il bacio ogni secondo di più. Maledetti francesi e la loro abilità nel baciare...

Non sapevo in che modo, ma trovai la forza per staccarmi, con non poca difficoltà, dal suo viso, poggiando le mie mani sul suo petto.

'Io... forse è meglio che mi tolga questo aggeggio infernale di dosso.' sussurrai, emettendo più aria che parole, ancora infiammata da quel contatto e con le ginocchia tremanti.

'Forse posso aiutarti. Girati.' mi disse Arno, con un sorrisetto soddisfatto e gli occhi socchiusi.

'Solo con i lacci, Arno...'

'Ma certo, lionne. Solo i lacci.' disse, e dopo che mi fui tolta la giacca iniziò a slacciarmi il corsetto da dietro, elegantemente e lentamente, senza darmi il modo di scoprire se fosse un esperto in quest'arte.
Quando finì e io fui in grado di respirare normalmente di nuovo, mi rigirai ritrovandolo alla stessa distanza di prima.

'Forse... è meglio... vado a cambiarmi.' dissi con gli occhi fissi a terra. 

'Ti aspetto qui.' mi disse lui, alzandomi il mento con la mano. Annuii.

Mi fiondai camminando velocissima sopra le scale verso la camera di Elise, nella quale piombai sul letto sprofondando la faccia nel cuscino.
Era successo veramente. 

Dopo aver emesso un verso simile a un urlo nel cuscino, che mi aiuto a scaricare un bel po' di emozioni, mi alzai e mi tolsi prima la giacca, poi il corsetto, le gonne, quella maledetta rete metallica che mi aveva anche lasciato un segno rosso sui fianchi, e mi rivestii, per poi rimettere tutto a posto con cura.

Feci per legare i miei capelli di nuovo in una coda, ma poi sorrisi tra me e me ripensando a quello che mi aveva detto Arno, e li lasciai sciolti.

Scesi nell'atrio, dirigendomi verso lo studio di Arno. Lui era seduto su un divanetto a leggere delle lettere, si era tolto la giacca e sbottonato la camicia.

'Hei.' dissi entrando, e mi sedetti vicino a lui.

'Come va?' mi chiese.

'Per i miei fianchi, decisamente meglio.' dissi. 'Per il resto... bene, credo.'

'Eleanor... non so cosa mi sia preso prima.' disse lui. Aspetta, cosa...?

'Nemmeno io.' risposi di getto, non capendo cosa stesse succedendo.

'Mi dispiace, io non... vorrei rovinare il nostro rapporto.' disse, e mi prese la mano. Io mi irrigidii.

'Rovinare il nostro rapporto? Arno, di che rapporto parli esattamente?' chiesi, e ritrassi la mano. Che rapporto c'era fra di noi? 

'Di un rapporto di fiducia. Eleanor, io mi fido di te, e tu, spero, di me. Rischiamo le nostre vite tutti i giorni lì fuori, fianco a fianco, e se per caso dovessi perderti o dovessi perdermi tu, non vorrei soffrissimo ulteriormente.' Ma stava scherzando? 

'Ma certo.' sbottai io, alzandomi dal divano. Non potevo credere a quello che avevo appena sentito.

'Hai ragione. È meglio che me ne vada, ora.' presi le mie cose, e uscii dalla stanza, desiderando solamente di andarmene da quella casa.

'Eleanor, ti prego, non andartene così...' mi seguì alla porta.

Io mi girai di scatto, ritrovandomelo faccia a faccia.

'Mi dispiace che tu sia ancora così ancorato al passato, Arno. Spero per te che riuscirai a rifarti una vita. Ma se non sei disposto a rischiare nemmeno un po'... ho seriamente paura per te.' gli dissi, e fu quello che effettivamente avevo in testa, anche se probabilmente uscì di getto.

Lui infatti abbassò lo sguardo, e si allontanò, lasciandomi correre via sotto un cielo grigio dal quale arrivavano le ultime gocce di pioggia.

Fortunatamente, pensai, sotto quelle nessuno si sarebbe accorto che stavo piangendo.

Arrivata alla locanda Pierre mi passò una lettera che era arrivata per me da Winston.

'Tutto bene, Mademoiselle?' mi chiese, probabilmente notando i miei occhi arrossati.

'Si Pierre, grazie.' presi la lettera. 'Vado di sopra.'

'Buona serata, allora.' mi sorrise cordialmente.

Mi sedetti sul letto, sbuffando, e la aprii.

'Cara Eleanor,
ho sentito che sei entrata nella Confraternita e che ti stai dando da fare nelle attività in città, contro i realisti e i Templari. Sono orgoglioso di te. 
Ti scrivo perché tuo padre mi ha intimato di chiederti di trovarti un lavoro, qualcosa da fare in città di giorno oltre all'attività segreta nella Confraternita in modo da non destare sospetti, anche se ormai è un po' tardi. So bene che non sarai entusiasta dell'idea.
Indovina? Sono arrivato a Londra, per starti più vicino. In realtà è perché il Consiglio internazionale degli Assassini ha richiesto la mia presenza, ma sono felice di stare qui per qualche settimana, così potremo sentirci più assiduamente. Tra l'altro sono stato a casa tua, signorina, e ho visto che non hai rimesso a posto le stanze. 
Comunque, tornando alle cose serie, sono stato informato che un certo Lagarde, se non sbaglio si chiama così, ha fornito il tuo nome ad alcune bande di criminali realisti Parigini, che ti stanno cercando. Per questo non è più sicuro che tu stia in quella locanda, quindi ascolta il mio consiglio: cercati qualcosa da fare in città, fuori dai quartieri più agitati.
So che il Maestro Dorian è proprietario di un Cafè. Magari lui può aiutarti. 
Con affetto,
Winston'

'Maledizione!' dissi, sbattendo la lettera sul letto.

C'era qualcos'altro che mi poteva andare storto, quel giorno? 
Ci mancava solo mio padre che mi tagliava i fondi e dei criminali che mi cercavano, adesso!
Beh, almeno Winston mi aveva scritto ed era a Londra, vicino a me. Ma questo non bastò a consolarmi.

'E ora cosa faccio..' piagnucolai tra me e me. Con Arno ci avevo appena litigato, non avevo nessun tipo di contatto in città che non fosse all'interno della Confraternita, e tra poco non avrei avuto più nemmeno un posto in cui dormire. 

Presa dallo sconforto e dalla rabbia, afferrai la mia spada, mi infilai il cappuccio e mi diressi alla Confraternita, uscendo dalla finestra. Non c'era alcun modo con cui potessi sfogarmi meglio in quel momento che richiedere qualcosa da fare per aiutare gli Assassini.

'Eleanor.' il Maestro Roussel mi salutò appena mi vide.

'Buonasera, Maestro. Sono qui per richiedere una missione.' gli dissi.

Lui sorrise, mentre metteva a posto delle carte. 
'Una missione? Hai voglia di mettere a posto qualche criminale?'

'Esattamente, Maestro.' 

'Ti vedo agitata, va tutto bene?' mi chiese.

'Certo che si. C'è qualcosa che posso fare, allora?'

'In effetti si. Alla corte dei Miracoli il Roi des Thunes ci ha chiesto aiuto perché degli estremisti minacciano i poveri nelle strade costringendoli a dargli quel poco che riescono a racimolare con l'elemosina. Forse tu puoi riuscire a sistemarli.'

'Lo farò volentieri, ma... questo Roi des Thunes sarebbe?'

'Sarebbe... il re dei mendicanti, un tale Marchese De Sade. È un libertino che sta destando non poco scandalo per le sue pubblicazioni erotiche.' 

'Un tipo interessante, quindi.' dissi, ridacchiando. 'Mi dirigo subito alla Corte dei Miracoli.' 

'Mi raccomando Assassina, stai attenta.' mi intimò il Maestro.

'Assolutamente, Maestro Roussel.' dissi, accenando un inchino e corsi via fra i tetti, diretta alla Corte.

Mentre mi dirigevo verso il quartiere, sentii qualcuno che mi seguiva sui tetti. Girandomi all'improvviso con la mano sulla spada, trovai qualcuno di familiare.

'Elenoire.' mi salutò Etienne, togliendosi il cappuccio.

'E tu che ci fai qui?' gli chiesi, e lo abbracciai.

'Il Maestro Roussel mi ha chiesto di accompagnarti. Testa dura che non sei altro, credevi di poter affrontare una missione del genere da sola?' mi scompigliò i capelli.

'In effetti hai ragione... grazie per essere venuto. Mi fa piacere vederti, oggi sono successe troppe cose.' 

'Aha, il tuo sguardo parla per te. Me le racconterai più tardi. Ora abbiamo una missione da portare a termine.' mi sorrise, e mi seguì al quartiere.

La Corte dei Miracoli era come ne avevo sentito parlare: un luogo degradato, frequentato da bande di criminali, mendicanti, clochard e prostitute. I palazzi qui non esistevano, c'erano solo case fatiscenti e maltenute, fumo che usciva dalle fognature in cui Dio solo sapeva cosa accadesse.

'Che posto.' dissi, mentre mi dirigevo con Etienne alla "corte" del Roi des Thunes.

'Stammi vicina, Eleanor. Come vedi, siamo in una zona decisamente malfrequentata, e nonostante siamo armati, è meglio tenere gli occhi ben aperti.'

Arrivati a una locanda con l'insegna sbiadita io ed Etienne entrammo, trovandoci uno spettacolo molto... particolare, davanti agli occhi.

Gente ubriaca e barcollante, uomini mezzi nudi, donne svenute sui divanetti, una rissa con persone che scommettevano in un angolo, una capra che mi passò accanto saltellando.

'Dove diavolo siamo finiti?' mi chiesi ad alta voce.

'Benvenuti nel mio regno, giovani viandanti!' una voce maschile dal tono alquanto sospetto destò il mio sguardo al centro della sala, dove su una dormeuse sedeva un uomo apparentemente vestito con abiti da nobile, che a uno sguardo più attento si rivelarono grotteschi.

La camicia lacerata lasciava il petto scoperto, un nastro viola legato al collo e una parrucca spettinata completavano l'aspetto piuttosto viscido di quell'uomo che ci scrutava con uno sguardo incuriosito e un sorriso che non prometteva nulla di buono.

Io ed Etienne, che probabilmente avevamo avuto la stessa impressione, ci guardammo l'un l'altra con un sopracciglio alzato.

'Buonasera, voi dovete essere...'

'Donatien Alphonse François, Marchese De Sade.' disse, alzandosi dal divanetto, e fece un inchino a dir poco esagerato.

'...Appunto.' dissi io.

'Marchese De Sade, io sono Eleanor, e questo è il mio amico Etienne.'

Come se Etienne non fosse stato nominato, il Marchese cominciò a girarmi intorno mentre teneva una mano sotto il mento e con l'altra sorreggeva un bicchiere di vino, presumibilmente. Continuò a fissarmi per qualche secondo sotto il mio sguardo sbigottito, e quello giusto un po' alterato di Etienne.

'Molto, molto, molto lieto di conoscervi, ma cherie.' mi prese la mano e mimò un baciamano alquanto imbarazzante. Io la ritrassi a fatica, facendo finta di niente.

'Siamo Assassini, Marchese. E siamo qui per fornirvi aiuto.' disse Etienne.

De Sade alzò un sopracciglio e si risedette sul divanetto, dopo aver spostato una ragazza mezza svestita e probabilmente svenuta (speravo fosse svenuta) per il troppo alcool o assenzio.

'Ma certamente. Assassini. Ho un amico Assassino, Arno Dorian.' disse, e sorrise. 
'È un po' che non ho sue notizie.'

'Arno è il nostro Maestro, ma oggi ci siamo qui noi. E siamo venuti per fornirvi il nostro aiuto.' dissi risoluta.

'Una ragazza che sa quello che vuole. Non se ne vedono tante in giro, mia bella Eleanor.' sibilò.

'Comunque si, dei bruti realisti stanno importunando la gente del mio Regno... quartiere, insomma. E io di lotte non me ne intendo, a meno che non siano quelle sul letto.' disse e ridacchiò, non togliendo il suo sguardo da me.

Io cercai di rimanere impassibile a quelle frecciatine provocatorie, anche se distolsi lo sguardo deglutendo disgustata.

'E dove possiamo trovarli, questi bruti?' chiese Etienne.

'Tengono in ostaggio la povera gente nelle fognature, per costringermi a pagarli. Peccato che io di soldi non ne abbia, e quindi non sono in grado di aiutarli.' sorseggiò un po' di vino.

'Ottimo. Li elimineremo. Etienne, andiamo. Marchese...' lo salutai.

'Spero di rivedervi presto, Mademoiselle.' mi disse. 'Grazie per la vostra disponibilità. Sono sicuro che potrò ricompensarvi a dovere...'

'Ehm, a quello penseremo dopo.' dissi, anche se sapevo che finita la missione l'ultima cosa che avrei fatto sarebbe stata tornare da lui. 

'Bonne Chance, mes chevaliers!' disse a voce alta, mentre io ed Etienne uscivamo di fretta da quel bordel... posto.

'Pour l'amour du Christ, che tipo.' disse Etienne. 
'Mi sono trattenuto dallo spaccargli i denti un paio di volte, sappilo.' disse.

'Tranquillo Etienne, so come affrontare un pervertito... credo.' dissi, e lui rise insieme a me.

'Andiamo ora, dai.' 

Ci dirigemmo più o meno furtivamente all'ingresso delle fognature, eliminando qualche estremista.

'È strano che ce ne siano così tanti in giro qui.' constatò Etienne. 'Di solito stanno vicino alle piazze, dove c'è una gran massa di popolo.'

'Quel bastardo di Lagarde ce li ha proprio mandati, eh?' commentai io.

'Mi sa di si.'

Entrammo da un tombino e ci ritrovammo in una fitta e buia rete di fognature, illuminata solo da qualche lanterna che avevano appeso gli estremisti ai muri gocciolanti.

'Attenta, Eleanor!' Etienne mi avvisò all'ultimo momento e schivai un coltello che mi stava arrivando in testa.

'Non potete stare qui, luridi Assassini!' urlò uno di loro, venendoci addosso pronto alla lotta: erano tutti uomini piuttosto grossi, il che non mi entusiasmava affatto. La lotta a mani nude non era il mio forte, anche se me la cavavo decentemente a stordire.

Io ed Etienne riuscimmo più o meno ad atterrare i quattro uomini che ci avevano attaccato, con non poca fatica, pero'. 
E da quello che sembrava non eravamo nemmeno a metà del percorso.

'Maledizione.' imprecai, quando dopo aver percorso altri tunnel e gallerie ci trovammo di nuovo davanti uno stuolo di nemici.

'Etienne, come facciamo? Sono troppi, e sono forti. E io sto finendo le munizioni.'

Etienne mi guardava preoccupato, e come me era leggermente provato dagli scontri.

'Proviamo ad andare avanti. Possiamo farcela, Eleanor.' cercò di rassicurarmi, anche se non sembrava molto convinto.

Io annuii deglutendo, e sperai sarebbe andato tutto bene.

Purtroppo mi ricredetti poco dopo, quando nemmeno una bomba fumogena riuscì a impedire a due sgherri di riuscire a bloccarmi. 

'Lasciatemi, bastardi!' urlai, dimenandomi, e mollai un calcio sulle ginocchia di uno dei due che mollò leggermente la presa, dandomi la possibilità di muovere la mano e infilzargli il ventre con la lama celata. L'altro però era ancora ben saldo al mio braccio destro, e mi sferrò un pugno sul fianco che mi fece mancare il respiro per qualche secondo.

'Stai ferma, sgualdrina.' disse, mentre si assicurava che non riuscissi più a muovermi.

Nel frattempo erano arrivati altri uomini, non capii quanti, ed Etienne stava avendo molte difficoltà a gestire i due sgherri che continuavano ad attaccarlo: appena si accorse che mi avevano catturata, pero', si fiondò nella mia direzione.

'Eleanor! Eleanor, no!' urlò, ma fu bloccato dai due uomini che gli puntarono una pistola contro, e arrestò la sua corsa.

'È meglio che tu non faccia un passo in più.' quello che doveva essere il capo della banda arrivò da dietro di me a passi lenti, che rimbombarono sulle pareti della galleria.

Alto, grosso, portava abiti simili a quelli di tutti gli estremisti, cappellino rosso e pantaloni a righe. I piccoli occhi incastrati in quel volto truce mi guardarono, e un sorriso maligno si formò mentre la sua mano mi alzava il mento con il dito. Io mi ritrassi schifata da quel tocco ruvido e manesco.

'Oh, il signor Lagarde ce l'aveva detto che avremmo avuto a che fare con un tipetto particolare.' sibilò.

'Lasciatemi andare, e vi risparmieremo la vita.' dissi a denti stretti.

Gli estremisti scoppiarono tutti a ridere, il capo, l'uomo che mi teneva ferma e i due uomini che puntavano la pistola contro Etienne.

'Voi cosa? Hahaha, ma guardatevi. Siete in trappola.' mi disse, a un centimetro dal volto. Io mi dimenai, volevo solamente tirargli un cazzotto in faccia, ma non potevo muovermi.

'Portatela dentro.' disse poi, concentrandosi su Etienne.

'No! Lasciatemi, bastardi!' urlai.

'E tu, se non vuoi essere trapassato da due pallottole, sparisci.' disse ad Etienne.

Lui cercò di reagire. 'Eleanor, non ti lascio qui! Lasciatela andare, animali!' e corse verso di me, ma uno dei due uomini lo afferrò e lo buttò a terra.

'Vattene, se non vuoi morire!' gli urlò.

'Eleanor, stai tranquilla. Tornerò il prima possibile.' gridò e si alzò.

L'uomo a sinistra gli puntò la pistola in fronte, pronto a sparare.

'Etienne, per l'amor del cielo, vai via. Ti prego.' dissi, quasi scoppiando il lacrime.

Lui mi lanciò un'ultima occhiata dispiaciuta, poi corse via.

Gli uomini, dopo aver riso, mi strattonarono in un vicolo cieco e mi legarono al soffitto con una catena, che legarono ai miei polsi con delle manette. Quella posizione mi costringeva a stare con le braccia alzate, impossibilitata a liberarmi in qualsiasi modo.

'Lurida bestia.' dissi all'uomo che chiuse le manette.

'Se non stai zitta, per te finisce male.'

'Maledetti!' urlai. 'Che cosa volete da me, bastardi! Voi e il vostro capo, quel figlio di puttana di Lagarde, vi meritate di essere sgozzati!' 

'Piano, piano con queste parole, signorina.' un uomo basso si avvicinò a me, vestito in uniforme. Lagarde.

'Finalmente vi siete degnato di farvi vedere, vigliacco.' dissi.

'Non ho tempo da perdere, signorina Kenway. Ditemi dove sono quelle lettere, e vi lasceremo andare.' 

Io risi, nervosa. 'Dovrete passare prima sul mio cadavere.' 

'Io vi avverto. Se non parlate, è solo peggio per voi. Jacques!' disse, e lo scagnozzo che mi aveva appeso al soffitto tornò.

Non feci in tempo a prevedere la sua mossa, purtroppo, perchè in un secondo mi sferrò un pugno allo stomaco che mi fece mancare il respiro, e sentii delle ossa incrinarsi, provocandomi un dolore spaventoso.

'Luridi... bastardi...' mormorai. 'Se pensate che percuotermi mi farà aprire bocca, dovrete tenermi chiusa qui per mesi.'

'Tornerò più tardi, signorina Kenway.' disse Lagarde, senza guardarmi in faccia. 'E sarà meglio per voi dirmi dove sono, a quel punto.' se ne andò.

Lo scagnozzo mi sputò ai piedi e si sedette su una sedia vicina. Era lì per controllarmi.

Io non potei fare altro che riflettere, e pensare vorticosamente a cosa fare per liberarmi. Mi avevano disarmata, ed ero appesa a una catena d'acciaio fissata al soffitto. 
Mi venne da piangere a pensare in che situazione mi stavo trovando, per colpa della mia impulsività. La verità era che avrei voluto dare la colpa ad Arno, perché se ero qui era solamente perché quel cretino mi aveva fatto innervosire.
Ma in realtà era tutta colpa mia, della mia immaturità. Ed ero stata doppiamente stupida perché ora sicuramente sarebbe finita male per me in ogni caso. 

Sentii di nuovo una fitta terribile allo stomaco sulla destra, dove avevo ricevuto il pugno. Strinsi i denti, e cercai di consolarmi all'idea di quello che stavo per passare. Probabilmente, sarebbe stato meglio morire subito... ma no. Io ero Eleanor Kenway. Non potevo abbattermi in questo modo. Dovevo reagire, resistere. In un modo o nell'altro, sarei riuscita ad uscire di qui.

*Arno's POV*

Mi ero diretto alla Confraternita di mattina presto, perché quella notte non ero riuscito a dormire. Era da un bel po' di tempo che non mi succedeva, ultimamente non avevo avuto di questi problemi, e non bevevo da tempo. Ma quella notte, purtroppo, ricaddi nei miei pensieri più bui. Non volevo perdere Eleanor, a lei tenevo troppo. Ripensai ad Elise, a quello che avevamo passato, al fatto che l'avevo persa, e a quanto ancora mi mancava... e al fatto che ancora, dopo più di un anno da quando era morta, non fossi riuscito a dimenticarla. Il fatto era che tornare con la mente nel passato era per me una cosa terribile, appena proiettavo i miei pensieri all'indietro non riuscivo più ad uscirne, se non imbottendomi di alcool. Ma era come se ne dipendessi. Come se fossero l'unico luogo in cui potevo rifugiarmi nei miei momenti di sconforto... eppure, invece di darmi la forza per andare avanti, mi trascinavano sempre verso il fondo, che ormai avevo toccato cosí tante volte che per me era diventato familiare.

Scossi la testa, cercando di concentrarmi sul presente, ovvero l'unica cosa che avrei dovuto avere in testa.

Alla Confraternita, da quello che vidi, c'era fermento: vidi Etienne sudato che cercava di riprendere fiato, seduto al tavolo del Consiglio.

'Cosa succede?' chiesi, e mi tirai giù il cappuccio. 

'Arno, la tua protégé...' disse Roussel, guardandomi preoccupato.

'Eleanor? Dov'è? Cosa le è successo?' dissi agitato.

'Arno, mi dispiace, io... erano in troppi...' disse Etienne.

Io lo presi per il colletto del cappotto, sollevandolo dalla sedia.
'Etienne, dove diavolo è Eleanor?' dissi a voce alta, preso da una rabbia incredibile.

'Corte dei Miracoli. Eravamo in missione, noi... Lagarde ci ha teso una trappola. L'hanno presa loro.' disse, stava tremando.

Io lo mollai facendolo ricadere sulla sedia, e mi girai, mettendomi una mano fra i capelli. Cosa diavolo aveva combinato?

'Alza quel culo immediatamente e seguimi!' gridai ad Etienne e corsi via da lì, rimettendomi il cappuccio. Se le avessero torto un capello, non me lo sarei mai perdonato.

*Eleanor's POV*

Non mi resi conto di quanto tempo passò da quel momento, perchè mi ero mezza addormentata. Mi destai dal sonno, dopo aver sentito dei rumori provenire dalle gallerie.

Lo scagnozzo si alzò dalla sedia, dove si era addormentato anche lui, e alla vista di Lagarde si avvicinò a me di nuovo.

L'uomo mosse qualche passo nella mia direzione, con un sorrisetto maligno in volto.

Lo precedetti a parole. 
'Come vi ho già detto prima, è tutto inutile. Potete anche ammazzarmi. Non scoprirete mai dove sono le lettere. MAI.' enfatizzai l'ultima parola a voce più alta, e Lagarde si avvicinò ancora di più al mio volto.

'Troppo tardi. Abbiamo scovato il tuo nascondiglio, douceur. Credevo che i miei avvertimenti ti sarebbero stati utili, ma... a questo punto non mi servi più.' disse, e prese la sedia, spostandola davanti a me in modo che potessi vedere meglio il suo meschino volto. 

Lo guardai negli occhi, sporgendomi in avanti il più possibile.
'Voi, e tutti quelli come voi, siete la rovina di questo Paese.' dissi, mossa da una scarica di adrenalina. Ormai non avevo più nulla da perdere.

'Credete di poter fermare il progresso. Di mantenere l'Ordine. Di togliere la libertà al popolo. Siete solo dei megalomani. Il vostro Ordine non rinascerà, lo giuro sulla mia testa. Non riuscirete a salire di nuovo al potere. Non finchè io sarò viva.' Lagarde, se prima appariva sicuro di sè, ora aveva cambiato espressione.

Visibilmente corrucciato e innervosito, si alzò dalla sedia e la lanciò al muro.

'Jacques, finisci quello che avevi iniziato!' esclamò scocciato, e se ne andò.

Io cercai di ritrarmi, ma mi beccai solo uno schiaffo fortissimo in faccia, che mi fece sentire il sapore ferroso del sangue in bocca. 
Tossii, e sputai il sangue a terra.

L'uomo si stava preparando per darmi un altro pugno, quando si sentirono delle urla e del rumore di lame che cozzavano all'esterno. 
Si girò, preoccupato, ma mezzo secondo dopo uno sparo lo fece cadere a terra.

Io non riuscii nemmeno ad alzare la testa, ancora scossa dal bruciore dello schiaffo, ma sentii qualcuno afferrarmi e sollevarmi delicatamente fra le sue braccia.
Un profumo familiare giunse alle mie narici, e le mie braccia furono liberate da altre due mani.

'Sono qui, lionne. Sei salva.' era Arno...

Mi baciò la fronte, mentre mi portava fuori da quel posto. Io scoppiai a piangere per un secondo, stringendo debolmente al suo collo le braccia che sentii di nuovo parte del mio corpo, grazie al sangue che cominciò a ricircolarvi. 
La vista familiare del suo profilo che sporgeva dal cappuccio, finalmente, riuscì a rassicurarmi e chiusi gli occhi, perdendo i sensi.


*Angolo dell'autrice*

Salve miei cari! Allora, eccoci qui con un nuovo capitolo che definirei movimentato, e sono sicura sarete d'accordo con me hahahah.
Spero vi abbia fatto piacere un po' d'azione, nonostante lo screzio di Eleanor e Arno! Il nostro Assassino Francese, a quanto pare, è ancora sensibile al suo passato. Ed Eleanor purtroppo presa dallo sconforto si è andata a infilare in un pasticcio... come andrà a finire? Scopriremo insieme come continuerà la storia nel prossimo capitolo! Un bacio,
Izzy

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Capitolo 10
*** 10. Visite. ***


*Arno's POV*

Continuavo a guardarla mentre dormiva. 
I capelli leggermente spettinati sul cuscino, le labbra socchiuse, il petto che si alzava e si abbassava al ritmo dei suoi respiri.
Non potevo evitare di guardare il suo labbro superiore spaccato, e l'ematoma che usciva dal bordo della camicia, sopra la clavicola. Mi infiammai momentaneamente, scosso dalla rabbia.
Il fatto era che nonostante fossi riuscito ad arrivare in tempo e ad evitare il peggio, mi sentivo comunque in colpa. Come avevo potuto lasciarla andare ieri pomeriggio? 

Scossi la testa, pensando a quanto ero stato stupido. L'avevo lasciata scappare via, l'avevo lasciata mettersi nei guai. Non potei non pensare a come mi fosse successo tante di quelle volte lo stesso con Elise. Avrei voluto starle sempre vicino e impedire che ogni volta si andasse a cacciare in qualche casino. Ma puntualmente andava sempre a finire allo stesso modo, ovvero con me che la salvavo. Eppure, ogni volta che la scampavamo, insieme, era come se il nostro legame si rinforzasse, si stringesse e diventasse sempre più indissolubile. 

Con Eleanor, pero', era diverso. Non ero cresciuto con lei, non sapevo qualsiasi cosa riguardo al suo carattere, non conoscevo ogni minima sfumatura del suo comportamento, non avevo avuto modo di osservarla giorno e notte e cogliere ogni minimo particolare della sua persona. 
Eppure c'era qualcosa in lei, che mi aveva fatto risvegliare da quell'amaro e pesante torpore dell'anima in cui ero caduto negli ultimi mesi. Qualcosa che stavo facendo tanta fatica ad accettare, che mi spaventava, che avevo paura mi stesse trascinando fuori. Avrei avuto il coraggio di farmi portare alla luce, di nuovo? Dopo quello che era successo ieri, ne ero ancora fortemente dubbioso. Cercai una risposta nel suo viso, un qualche segno che mi avrebbe potuto aiutare a capire se ce l'avrei fatta. Eleanor non si mosse per qualche secondo, ma poi allungò un braccio, inconsapevolmente, verso di me.
Le presi la mano, liscia e aggraziata, accarezzandone lievemente le nocche. 
L'unica sicurezza che vidi, fu quella che per nulla al Mondo l'avrei lasciata mettersi di nuovo in pericolo. Per il resto, probabilmente, dipendeva solo da me.

Dopo essere rimasto qualche altro minuto seduto su quella sedia al bordo del letto, ad osservare il caldo sole di fine giugno illuminare con i suoi ultimi raggi della giornata le pareti della stanza, mi alzai, dirigendomi a Versailles per parlare con Napoleone. Avrei voluto che anche Eleanor venisse con me, ma in quelle circostanze era meglio fosse rimasta lì a dormire.

*Eleanor's POV*

Aprii gli occhi a fatica, mentre mi svegliavo, accaldata, con un terribile mal di testa ad accompagnare il tutto. 
'Fantastico.' fu la prima cosa che pensai, e poi respirai sonoramente, inalando un'aria decisamente più pulita di quella che ero stata costretta a respirare nelle ultime ore.

Dove diavolo ero? Mi guardai intorno: una stanza modestamente arredata mi circondava. Una scrivania, un armadio, una cassettiera e uno specchio. E il letto dov'ero stesa. Mi massaggiai le tempie, ancora doloranti, e cercai di tirarmi su: non riuscii a muovermi per più di dieci centimetri. Una fitta terribile alle costole mi fece quasi tirare un urlo di dolore, che mascherai a fatica.

Mi toccai lievemente sotto la camicia: una fasciatura mi teneva stretto il busto. Probabilmente, anzi sicuramente mi ero fratturata almeno un paio di costole. Sbuffai, prendendo lo specchio posto sul comodino alla mia destra. Mi guardai in viso, preparandomi al peggio: fortunatamente non fui così sconvolta dal mio aspetto. Qualcuno mi aveva lavato e medicato le ferite considerando che non avevo tracce di sangue in volto tranne per il labbro superiore graffiato e qualche lacerazione minore sulla guancia e sulla fronte, ma era tutto disinfettato. 

Riuscii, molto attentamente, a mettermi seduta spostando qualche cuscino dietro la mia schiena. Sulla sedia della scrivania notai i miei vestiti: vi erano appesi i miei pantaloni e la mia giacca, gli stivali a terra, e le mie armi erano appoggiate sulla cassapanca ai piedi del letto. Fortunatamente. 

Sentii bussare alla porta. 

'Eleanor, sei sveglia?' chiese una voce femminile a me familiare.

'Si, avanti.' risposi.

Heléne entrò nella stanza, e un sorriso sincero le abbellì il volto appena posò i suoi occhi su di me.

'Cherie, sono così contenta di vedere che stai bene.' disse, e appoggiò un cestino sul tavolo, per sciogliere poi il fazzoletto che legava i suoi capelli dorati.

'Bene è un parolone. Ma sono viva, fortunatamente.' dissi.

Heléne si sedette sulla sedia, che avvicinò al letto. 

'Hai dormito per mezza giornata. Appena Arno ti ha portato qui abbiamo chiamato un dottore per visitarti. Avevi perso i sensi, e ti sei rotta due costole. Cosa avevi in testa?'

'Non lo so, Heléne. Sono stata presa dall'impulsività e mi sono lanciata in una missione per la quale non ero ancora abbastanza pronta.' mormorai.

'Beh, ce ne siamo accorti. Dovrai stare almeno una settimana e mezza a letto, lo sai? E indovina chi ti dovrà accudire? Già. Moi.' si indicò, e io ridacchiai.

'Heléne, davvero, non so come ringraziarti. E non so nemmeno come farò a stare una settimana e mezza chiusa qui dentro... ma dove diavolo siamo, tra l'altro?' chiesi.

'Ile Saint Louis, Cafè Theatre. È di proprietà di Arno, Jacques lo gestisce insieme a me.'

Ah, così era questo il famoso Cafè di cui parlava Winston nella sua lettera. 

'Capisco. Ma come mai non mi avete portato a Villa De La Serre?'

'Poco sicuro per te, ma chère. Il Cafè è più centrale, oltre al fatto che sarà la tua nuova casa.' disse. Avevano già sistemato tutto?

'A proposito di casa, le mie cose...' mormorai. 'Avevano scoperto dove stavo. Come farò a riaverle?' 

Heléne sorrise. 'Abbiamo recuperato tutto prima che gli scagnozzi di Lagarde potessero arrivare alla tua locanda, Eleanor.'

'Aspetta, tutto... tutto?' chiesi.

'Tutto.' disse Heléne. 'Lettere comprese. Le ha Arno.'

Io tirai un sospiro di sollievo enorme. Grazie a Dio.
Ebbi un po' paura di quello che stavo per chiedere.

'Heléne, lui... dov'è?' chiesi, pentendomene subito. 

'Non ricordi? All'incontro con Napoleone. Dovrebbe tornare presto.'

'Ma certo, come avevo fatto a scordarmene.' mormorai. Avevo qualche ora per prepararmi a rivedere Arno, almeno.
'Comunque, sono davvero felice che tu sia qui. Stai facendo così tanto per me, e non so come ringraziarti...'

'Hei, hei, cherie. Non devi ringraziarmi. Per me è un piacere prendermi cura di te... anche se questa volta era evitabile!' tutte e due ridacchiammo all'unisono.

'Ho paura che questo sia solo l'inizio della mia missione.'

'Eleanor... non ti abbattere. Nonostante tu non sia riuscita a compierla da sola, sei qui, sei viva, e sei sopravvissuta a una trappola ordita apposta per te. A me non sembra poco.'

Annuii, cercando di convincermi. Del resto era stata la mia prima vera missione affrontata da sola, nonostante, come avevo appreso troppo tardi, fosse una trappola. Ma come aveva detto Heléne ne ero uscita viva. Abbastanza ridotta male, ma viva.

'Ti ho portato qualcosa, devi essere morta di fame.'

'Oh, si, ti prego.' dissi, e Heléne mi porse un sacchettino con dentro...

'Pain aux raisins. Dolce all'uvetta, fatto qui. Non da me, ma ti assicuro che è fantastico.'

Lo divorai in trenta secondi, e per quel poco che riuscii a concentrarmi sul sapore, sembrava ottimo.

'Dèlicieux.' dissi, dopo aver mandato giù l'ultimo boccone, e Heléne rise alla vista probabilmente delle mie guance piene di cibo.

'Beh, il fatto che tu abbia appetito è un segno che stai bene. Ora, sfortunatamente, mi ritiro a casa, ma mi raccomando, tu riposati. E bonne chance pour plus tard, con Arno.' mi fece l'occhiolino.

'Non so cosa tu intenda, ma grazie comunque...' dissi, fingendo di non aver capito, mentre la porta della camera si chiudeva.

Mi distesi di nuovo sui cuscini, quasi pronta a risprofondare in un sonno di cui avevo piuttosto bisogno, quando dalla finestra aperta udii un fruscìo. 

L'ormai lieve luce che il sole stava portando via con sè non mi permise di riconoscere subito l'individuo che era piombato in stanza, e per questo per poco non mi prese un attacco al cuore.

'Elenoire!' esclamò una voce che ormai conoscevo fin troppo bene.

'Etienne, maledizione, ti sembra il modo di entrare?' sbottai.

Lui rise, abbassandosi il cappuccio, e si sedette sulla sedia al bordo del mio letto.

'Vous avez raison, ma chère. Ma sai che non amo le entrate teatrali.' disse.

'Già, colpa di Arno. Ci ha contagiati troppo.' dissi io, ed Etienne annuì, d'accordo con me.

'Eleanor, da dove comincio? Non so se chiederti perdono in ginocchio o ammazzarti per avermi trascinato in quel posto, quasi facendomi ammazzare, prima dagli estremisti e poi da Arno, quando ha scoperto dove eri finita.' 

'Etienne, ti prego. Ho già i miei sensi di colpa che mi attanagliano. Non mettertici pure tu.' sbuffai.

'E va bene. Facciamo che questo episodio lo dimentichiamo, mh? Anche se mi sa che rimarrai a riposo per un po' di tempo, a vederti così.' 

'Una settimana e mezza qui dentro. Cosa dovrei fare?' 

'Riposare, Elenoire. Anche io mi sono rotto una costola qualche mese fa, ed è meglio seguire le istruzioni dei dottori, se non vuoi aggravare la situazione.'

'Già.' sbottai. 'Beh, si da' il caso che mentre tu ti darai da fare io starò qui a rigirarmi i pollici e a meditare sulla mia esistenza.'

'Non necessariamente. Posso portarti qualche libro, oltre che la mia affascinante compagnia.' mi fece l'occhiolino.

'Per i libri sono d'accordissimo, per il resto, mi sta tornando il mal di testa e l'ultima cosa che voglio sentire, senza offesa, sono le tue vanità.' Etienne rise.

'D'accord, Mademoiselle. Ci vediamo allora, eh?' mi baciò la guancia.

'Portami dei bei libri, mi raccomando!' gli dissi.

'Dubiti dei miei gusti, Elenoire? Ti dimostrerò il contrario, vedrai. Au revoir!' disse, e saltò fuori dalla finestra alla stessa velocità con cui era entrato. Io scossi la testa sorridendo. Etienne era veramente un amico, gli volevo bene.

Riuscii a riaddormentarmi in pace per un'altra oretta, più o meno.
Poi mi svegliai perchè mi sentivo osservata.

E infatti, appena aprii gli occhi, vidi Arno seduto sulla sedia vicino al letto, un braccio appoggiato al ginocchio. Era in camicia, qualche ciuffo di capelli gli incorniciava il viso, e aveva uno sguardo indecifrabile puntato alla parete.

'Sei rimasto qui a fissarmi mentre dormivo?' gli chiesi con la voce assonnata mentre cercavo di tirarmi su come prima, ma feci fatica.

Arno si alzò e mi aiutò a sistemarmi, prendendomi delicatamente da sotto le spalle.

'Diciamo di si. Come stai?' mi chiese, sedendosi sul letto accanto a me.

'Come sto, Arno? Ho due costole rotte, un labbro spaccato, un mal di testa terribile che va e viene. Ma almeno sono sana e salva...grazie a te.' ammisi, distogliendo lo sguardo.

'Eleanor, perchè te ne sei andata in quel modo ieri?' Cristo, era arrivato il momento che temevo da tutto il giorno, eh?

Io mi bloccai, e lo fissai. Avrei voluto urlargli dietro qualsiasi cosa, ma non ero nella posizione ideale per farlo.

'Sarei dovuta restare? Dopo che tu mi avevi detto di aver commesso un errore baciandomi? Arno, ma sei serio?'

Lui scosse la testa, e si alzò in piedi.

'Eleanor ti prego, cerca di capirmi. È passato un anno da quando Elise è morta. Io ho passato mesi a crogiolarmi nel mio dolore, vivendo nei ricordi. E poi sei arrivata tu, con la tua innocenza, la tua semplicità, e mi hai aiutato, mi stai aiutando a uscirne fuori. Ma maledizione, ho passato una vita intera a cercare di rimediare ai miei errori e a quelli degli altri. La verità è che non mi sembra vero, Cristo, che tu sia arrivata, che qualcuno mi stia dando una possibilità per dimenticare tutto quello che mi è successo una volta per tutte, un'altra possibilità per cominciare a vivere sul serio. L'unica occasione che ho avuto per redimermi e allo stesso tempo dimenticare tutto è stata la Confraternita, anche se è per colpa di questo assurdo conflitto perenne per cui combattiamo che ho perso così tanto... Ma apparte questo ieri ho agito d'impulso, lo ammetto. La verità è che ho paura. Paura di perdere tutto quello che di buono ho guadagnato ultimamente, paura di perdere te.' si avvicinò al letto, sedendosi dov'era prima, e mi prese la mano.

'Ieri appena ho saputo cosa ti era successo volevo prendere tutto quello che avevo sottomano e spaccarlo. Non potrei sopportare di vederti scivolare via da me, come quasi tutte le buone occasioni che ho avuto nella vita. Non posso pero' allo stesso tempo tenerti costantemente sotto controllo. Eleanor, dammi tempo. Tempo di metabolizzare tutto questo... quello che ho detto ieri non è la verità, non tutto, per lo meno.'

'Arno, io non...' mormorai, sconvolta. 

'Ti prego, fammi finire.' disse, guardandomi negli occhi.

'È vero che ho paura di perderti, che tra noi due c'è un rapporto di fiducia, ma non posso negare che provo qualcosa per te, qualcosa più di un semplice legame di amicizia o di fiducia, Eleanor. È solo che non sono abituato a vedere le cose andare nel verso giusto per me. Ho solo bisogno di averti al mio fianco, per essere sicuro che sarà finalmente così, per una volta. E credimi, sto facendo una fatica immane a dirti tutto questo, adesso.'

Io non sapevo cosa dire, gli presi solo la mano, stringendola fra le mie.

'Io sono disposta a fare qualsiasi cosa per stare al tuo fianco. Non ti chiedo di appoggiare le mie scelte. Non ti chiedo dedizione assoluta, o di proteggermi da tutto quello che c'è lì fuori. Ti chiedo solo di affrontare tutto quello che ci aspetta fianco a fianco, nel bene e nel male. E ti prometto che resterò con te sempre, comunque, qualsiasi cosa ci succeda. Ma tu, Arno, devi essere disposto a rischiare, altrimenti non potrò aiutarti.' dissi.

Arno sorrise, e mi accarezzò i capelli. I suoi occhi erano lucidi, e con l'altra mano intrecciò le sue dita con le mie. 

'Je promets que je le ferai. Ti prometto che ci proverò, lionne.' sussurrò, e mi baciò. 

Io sentii il dolore alle costole e alla testa affievolirsi, in quel momento, mentre ormai la luna iniziava timida ad illuminare il cielo, e le strade di Parigi si svuotavano. Mentre rispondevo al bacio, feci scivolare il mio pollice delicatamente sulla sua mandibola, tracciandone il profilo coperto da un leggero accenno di barba.
Non volevo staccarmi da quelle labbra, ma trovai la forza per farlo, e appoggiai la mia fronte alla sua, tenendo gli occhi chiusi.

Nel silenzio di quella camera, rotto solo da qualche voce che proveniva dalla finestra, mi sentii di nuovo al sicuro.

'Com'è andata con Napoleone?' ruppi il silenzio, e aprii gli occhi.

Arno si staccò da me, anche se non tolse la sua mano dalla mia.
'Stamattina sono andato alla Confraternita mentre dormivi, e ho parlato con il Mentore Maillard. È ancora dubbioso, ma sembrava ben disposto verso la proposta di Napoleone, a cui intanto ho riferito questo. Poi lui mi ha detto che approfitterà dei moti che stanno avvenendo in città per rifiutare l'appello al confine con gli Inglesi. Sa che questo porterà probabilmente dei danni, ma ha intenzione di approfondire i rapporti di interesse con i membri neutrali della Convenzione, contro gli estremisti rivoluzionari e filomonarchici. In poche parole, non si schiera, e ha chiesto a noi di fare lo stesso. Temporeggiare, senza prendere iniziative violente. Almeno per il momento.'

Io riflettei. In effetti Napoleone non aveva tutti i torti. In città ormai c'erano cosí tanti gruppi tra i rivoluzionari, e il Terrore Bianco dell'ultimo periodo ne aveva praticato una repressione già abbastanza sanguinaria. Era difficile schierarsi in quell'inferno, con un governo rivoluzionario debole e instabile, la paura e la fame per le strade, il popolo che non sapeva da che parte stare, con chi schierarsi. I filomonarchici dall'altro lato non erano da meno, ed ero sicura che sarebbero insorti di lì a poco anche loro. In più, ed era quello che interessava a noi, la feccia Templare approfittava di questa situazione per imporre il controllo anche nel caos.

'Vedremo come si evolverà la situazione in città. O meglio, vedrete... dato che io da qui posso fare ben poco.'

'Hei, sono sicuro che in poco tempo ti rimetterai. In due settimane non può succedere chissà cosa... credo. Intanto comunque, starai qui al sicuro, dove nessuno ti verrà a cercare almeno per ora.'

'Lo spero. Arno, in ogni caso grazie per farmi stare qui. A proposito di gente che mi cerca invece, Lagarde...?'

'È morto. Per mano mia.' disse lui semplicemente.

Io mi presi le tempie fra le dita. 'Quel lurido bastardo. Se solo avessi potuto averlo io, tra le mani...'

'Eleanor.' Arno mi baciò la mano. 'Sei stata coraggiosa. Quel verme non aveva altro modo che farti prendere a botte dai suoi sottoposti per cercare di recuperare quelle lettere... eppure tu hai resistito. Sono orgoglioso di te.'

Io sorrisi, e appoggiai la mia testa nell'incavo fra la sua spalla e il collo, inalando il suo profumo. 'Merci, Maestro.' gli sussurrai all'orecchio, e lui mi diede un bacio sulla guancia.

'Ora voglio che riposi, pero'.' disse. 

'Si, credo di averne bisogno anche io.' mormorai, staccandomi controvoglia da lui.

'Bonne nuit, lionne.' mi prese il viso in una mano e mi stampò un bacio sulle labbra.

'Buonanotte, Arno.' gli sorrisi. Lui mi fece l'occhiolino e si diresse verso la porta per uscire.

'Ah, un'ultima cosa.' dissi.

'Oui?' chiese lui, aprendola.

'Quelle benedette lettere... credo sia ora di portarle nell'archivio della Confraternita.'

Arno sorrise. 'Comme vous désirez, Mademoiselle... credo anche io sia meglio così. A domani.' e uscì.

'A domani.' risposi, per poi coricarmi, e addormentarmi in tempo record con un sorriso sulle labbra che andava da un orecchio all'altro. 

Alla fine, era andato tutto bene. E la cosa più importante era questa: almeno ora avevo la sicurezza che io ed Arno avremmo provato ad affrontare tutto, e stavolta intendevo davvero tutto, insieme.

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Capitolo 11
*** 11. Nouvelles aubes. ***


*Arno's POV*

Ormai Eleanor era quasi del tutto guarita, anche se non era ancora in grado di partecipare alle missioni.
Io mi stavo dirigendo alla Confraternita per parlare con Maillard, quando qualcuno mi fermò per strada.

'Monsieur! Monsieur Dorian, aspettate!' mi girai e vidi un uomo che correva verso di me con una lettera in mano.

'Che cos'è?' chiesi all'uomo di circa trentacinque anni vestito in uniforme che me la porse.

'Da parte del Generale Bonaparte.' disse. 'Si raccomanda che agiate al più presto.' 

'Agire al più presto? Aspettate, ma voi siete dell'esercito?' gli chiesi.

'Guardia della Convenzione, ma rispondo anche agli ordini del Generale, da non molto. È molto acclamato fra i nostri ranghi ultimamente.' disse.

'Ma certo, capisco.' Napoleone si stava dando da fare con la Convenzione, quindi, se guadagnava fama anche fra le guardie. Non avrei indagato di più solo perchè almeno ora non avrebbero dato più preoccupazioni a noi Assassini, a quanto pareva.

'Vi ringrazio. Buona Giornata.' congedai la Guardia, che mi rispose con un saluto militare, per poi correre via a passo spedito.

Aprii la lettera.

'Arno, grazie a un importante membro della Convenzione mio amico, Paul Barras, sono venuto a sapere che i realisti stanno cercando di rimediare armi provenienti da altre parti della Francia per causare ancora scompiglio in città. Ho bisogno che voi Assassini scopriate dove e come se le procurano. Mi raccomando, ripongo in te la mia fiducia come al solito.

Napoleone'

Me lo aspettavo. Anche Eleanor ne era convinta e me lo aveva riferito che secondo lei i filomonarchici stavano tramando qualcosa. Continuai il mio percorso alla Confraternita, trovando il Consiglio riunito al tavolo.

'Ah, Arno.' il Mentore Maillard scostò lo sguardo da delle carte e allo stesso modo fecero gli altri Consiglieri.

'Mentore Maillard. Maestri Roussel e Mercier. Ho delle novità.'

'Ne abbiamo anche noi.' rispose il Mentore. 
'I realisti stanno creando scompiglio per le strade, alimentando l'agitazione e la paura fra il popolo. Le notizie che arrivano dal resto della Nazione non aiutano di certo: le rivolte in Vandea e gli Inglesi che premono ai confini stanno gettando sconforto ovunque. Siamo in una situazione critica, se è possibile più di prima.'

'Ne sono consapevole, Mentore. Napoleone, oltretutto, mi ha riferito che i realisti stanno cercando di fare scorta di armi per chissà quale piano.'

I Consiglieri si guardarono l'un l'altro, e il Mentore si lasciò cadere sulla sedia con una mano a massaggiarsi le tempie.

'Il tuo amico Napoleone è un'alleanza sicuramente ben voluta, e di cui avevamo necessariamente bisogno dopo tutto quello che è successo negli ultimi anni.' disse il Maestro Mercier.

'Avete ragione Louis, ci è di grande beneficio per la nostra lotta a favore del Paese. Ma ha intenzione di fornire anche aiuto pratico?' chiese Roussel, volgendo il suo sguardo su di me.

'La lettera mi è stata consegnata da una guardia della Convenzione Nazionale. Probabilmente Napoleone sta avendo un'influenza positiva ai piani alti.' constatai.

'Questo mi rincuora.' il Mentore si alzò in piedi. 'A noi sono giunte notizie simili, riguardo ai realisti. Sono supportati da Poulain e un paio dei suoi alla Convenzione, gli ultimi resti Templari da quando Lagarde è stato eliminato.'

'Ma certo.' dissi io. Poulain continuava a puntare sulle strade, a quanto pare non riusciva a trovare supporti in alto. 'Non avendo alleati alla Convenzione apparte qualche ratto al quale avrà promesso chissà che favori, punta sul popolo.'

'Esattamente. Se fosse per noi lo uccideremo subito, ma è meglio aspettare, anche secondo Napoleone. Quello che penso io è che farli fuori ora porterebbe solo un beneficio momentaneo, mentre aspettare che succeda quello che vogliono far succedere loro, anche se non sappiamo bene cosa sia, e agire insieme all'esercito per eliminarli definitivamente da alleati, sia un'operazione che porterà nettamente più successo. Questo ovviamente senza stare qui con le mani in mano, ma tenendo sotto controllo qualsiasi cosa stiano architettando.' spiegò il Mentore.

'Sono d'accordo.' dissi. 'In questi anni il nostro agire troppo in fretta ha portato a conseguenze disastrose per la Confraternita.' Ripensai a Bellec, a Mirabeau, e ad Elise. E a come avrei potuto evitare le loro morti, di nuovo. Ma finalmente, forse, era questo il momento giusto per me di fare ammenda. E non avrei sprecato questa occasione. L'alleanza con Napoleone era preziosa per gli Assassini: un Tenente, anzi Generale ormai, che stava guadagnando sempre più favori al Governo, seppur rivoluzionario, era un ottimo appoggio per la Confraternita. 

'Bene. Ora dobbiamo cominciare ad indagare. Qui abbiamo delle informazioni: puoi occupartene tu, insieme ai tuoi Adepti.' Roussel mi passò un taccuino rilegato che conteneva delle informazioni utili alle nostre prossime missioni.

'Ottimo.' dissi. 'Quando avrò concluso, ne sarete immediatamente al corrente.'

'Buona fortuna, Arno.' il Mentore mi congedò. Io feci un mezzo inchino al solito, e mi diressi al Cafè Theatre.

*Eleanor's POV*

'Fate piano, vi prego Dottor Thibault.' dissi stringendo i denti, mentre il Dottore che si era preso cura di me nelle ultime due settimane mi stava togliendo la fasciatura al busto.

'Oh andiamo, signorina Kenway, ormai siete guarita quasi del tutto. Non dovreste più sentire male.' rispose lui, mentre staccava la fasciatura dalla mia pelle rivelando quell'odioso livido che però ormai era quasi del tutto sparito. 

'Provate a muovervi.' si allontanò di due passi e io provai a piegarmi di lato. Sentivo un leggero fastidio, nulla di estremamente doloroso.

'Credo abbiate ragione, dottore, non sento quasi più nulla!' esclamai felice, e il dottore sorrise, appoggiando gli occhialetti sul tavolo. Tirò fuori dalla valigetta un tutore che avrei dovuto assicurare alla spalla.

'Questo vi sarà utile nel caso subiate degli urti. Attutirà i colpi, evitando che si rompano di nuovo le costole.' mi aiutò a infilarlo, era composto da una fascia di cuoio e pelle leggermente imbottita sul fianco che passava in mezzo al petto e si legava alla spalla con una cintura.

'Grazie, dottore.' dissi.

'Di nulla, mia cara, ma adesso non pensate di fare bravate. Evitate movimenti troppo bruschi. Non voglio tornare qui fra meno di una settimana, intesi?' chiuse la valigetta e io, dopo essermi infilata la camicia, lo accompagnai all'uscita.

'Intesi. Arrivederci, Dottor Thibault!' lo salutai e lui fece un mezzo inchino, per poi scendere le scale.

Io rimisi a posto la stanza e scesi nella sala del Cafè, dove Heléne stava mettendo in ordine i tavoli. Avevo parlato ad Arno del fatto che avrei potuto dare una mano ad Heléne in sala e anche se lui all'inizio non era molto convinto, poi si era reso conto che per me fosse un'ottima condizione almeno per pagarmi l'alloggio e rimanere in un ambiente protetto dove avrei potuto mantenere una copertura, in modo che nessuno con cattive intenzioni avrebbe potuto trovarmi facilmente.

'Bonjour, ma belle fleur!' mi salutò lei. 

'Heléne, buongiorno!' risposi io e la abbracciai. Lei probabilmente sentì il tutore sotto la camicia.

'Cos'hai qui? Che ha detto il dottore?'

'Che sono guarita e mi ha dato questo tutore da indossare quando andrò in missione, in modo da evitare gli scontri bruschi.'

'Ah, capisco. Beh, ha fatto bene. Ora pero' dammi una mano, ci sono delle bottiglie da rimettere in ordine al banco e non lo faranno da sole, mia cara!' 

Io sbuffai. 'Vado subito, capo.' 

Mentre mettevo a posto le bottiglie, pensai a Winston, e a mio padre. Mi mancavano, e speravo stessero bene. Winston tra l'altro si trovava ancora a Londra, forse, quindi era vicino a me, anche se probabilmente era molto impegnato con il Consiglio Internazionale e non avrebbe avuto il tempo di venire a Parigi. Con tutto quello che stava succedendo in città poi, non era il momento ideale per farsi una vacanza qui, e anche se questo mi rendeva triste perché non lo avrei rivisto ancora per chissà quanto, la nostra corrispondenza era aumentata e potevo raccontargli tutto quello che mi succedeva. Quando aveva saputo del mio incidente si era seriamente preoccupato, rimproverandomi al solito la mia impulsività e imprudenza, ma era contento ne fossi uscita viva, e mi aveva promesso che non l'avrebbe detto a mio padre. Io l'avevo sentitamente ringraziato per questo.

'Mademoiselle, potrei avere un bicchiere di Bordeaux, s'il vous plaît?' una voce fin troppo familiare mi destò dai miei pensieri, facendomi sorridere.

'Monsieur, non vi sembra un po' troppo presto per cominciare con il vino?' dissi girandomi con una mano sul fianco, e trovai un Arno sorridente appoggiato al banco.

Si guardò intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno in sala. 'Con il vino forse si, ma con qualcos'altro...' disse a bassa voce e mi afferrò un braccio, avvicinandomi a lui e rubandomi un bacio sulle labbra in un secondo.
'... il n'est jamais trop tôt.'*

'Dovresti sapere che le effusioni sul lavoro sono vietate, dato che sei il proprietario.' dissi, staccandomi da lui e incrociando le braccia.

'Dato che sono il proprietario direi che posso fare quello che voglio. E poi tu non lavori qui, sei solamente sotto la mia speciale protezione.' ribattè con un sorrisetto soddisfatto, e fece il giro del bancone per venirmi a prendere.

'Aha, fermo lì. Devo ricordarti che sono ancora convalescente?' dissi ridendo mentre cercavo di scappargli, ma purtroppo la sua velocità non mi lasciò scampo.

'Fuori allenamento, eh? Non prendermi in giro, so benissimo che sei completamente guarita.' rispose lui, bloccandomi tra il suo corpo e il bancone con le braccia. 

'Ah si? E come mai sai sempre tutto tu?' mormorai, alzando un sopracciglio mentre cercavo di non farmi tentare dalla sua vicinanza.

Arno rise, e avvicinò il volto al mio orecchio.
'Dovresti conoscermi ormai, lionne. Eppure continui a sottovalutarmi... que la malchance.'** sussurrò, causandomi un brivido che percorse tutta la mia schiena. Mi arresi, facendomi aiutare a sedere sul bancone di legno dalle sue mani che mi afferrarono sotto le cosce.

'Vai al diavolo, Arno Victor Dorian.' risposi vinta dai suoi occhi, e lui ancora più soddisfatto di prima mi morse il labbro inferiore, per poi baciarmi di nuovo. Stavolta risposi al bacio avvicinandolo a me per i fianchi, mentre inalavo il suo profumo. Acqua di Colonia e dopobarba.

'Ah beh, questa scena mi mancava!' esclamò Heléne dal fondo della sala.

Io spinsi via Arno che si staccò da me tossendo, e saltai giù dal bancone.

Mi rimisi a posto i capelli e la camicia.
'Ehm... scusa Heléne, ma ho subito un'aggressione.' dissi indicando Arno con lo sguardo, mentre lo spintonavo giù dal banco.

'A me non sembrava ti dispiacesse.' disse lui stuzzicandomi.

'Sparisci.' gli risposi, non riuscendo a risultare autoritaria quanto avrei voluto, e probabilmente con le guance ancora rosse per colpa del bacio.

'Agli ordini. Ma quando hai finito qui, ti aspetto di sopra, nel mio studio.' mi fece l'occhiolino e si diresse dall'altra parte della sala fra i tavoli.

'Va bene, ma non farti strane idee, Capo.' enfatizzai l'ultima parola, e Arno salì le scale ridacchiando, sotto lo sguardo divertito di Heléne.

'Strane idee? Moi? Quand jamais...'*** sentii mormorare dal fondo della sala.

Poi lei riconcentrò la sua attenzione su di me. 

Abbassai lo sguardo trattenendo invano una risata, mentre rimettevo a posto la bottiglia che avevo abbandonato poco prima.

'Bene bene mia cara, vedo che le cose tra di voi vanno a gonfie vele, eh?' 

'Così pare.' sorrisi, e lanciai un'ultima occhiata ad Arno che stava entrando nello studio sopra le scale.

'Sai Heléne, quando quella volta prima del ballo mi hai detto che sarei stata una benedizione per lui non ne ero del tutto convinta. Ma le mie speranze di allora forse si sono avverate...' le confessai.

'Togli quel forse. Non vedevo Arno così felice da... beh, non credo di averlo mai visto così felice, in realtà.' disse lei.

Io sorrisi, pensando che nemmeno io ero mai stata così felice fino a quel momento. La presenza di Arno al mio fianco da quando ero arrivata a Parigi aveva dato uno scopo alla mia vita, finalmente. Sia per il fatto che la Confraternita mi aveva dato un motivo per cui alzarmi la mattina, sia perchè sentivo di dover aiutare la gente della città di Parigi, di fare qualcosa di buono per quella Nazione, che nonostante non fosse la mia, sentivo così vicina ai miei ideali di libertà.
Si, stavo iniziando a vivere sul serio, a fare qualcosa di utile per me e per gli altri, e questo stava accadendo soprattutto grazie a lui.

'Grazie Heléne. Ora è meglio che salga, dato che è richiesta la mia presenza di sopra.' 

Heléne annuì e mi sorrise. 'Vai, Eleanor. Ci vediamo dopo.'

Salii le scale e entrai in ufficio, dove Arno era seduto e stava sfogliando un libro. Appena mi vide alzò lo sguardo dalle pagine e mi sorrise.

'Allora, cosa c'è di così importante che devi dirmi?' chiesi, sedendomi sulla scrivania.

Arno, dopo aver riposto il libro sul tavolo, tirò fuori dalla tasca una lettera e me la passò.

Era di Napoleone, constatai dal sigillo. La lessi.

'Armi? I realisti di Poulain?' chiesi, confusa.

'A quanto pare non si arrendono. E anzi, progettano qualcosa di losco e da quello che sembra, plateale.' riflettè Arno, tenendosi il mento con una mano.

'Devo assolutamente tornare in missione. Voglio, devo scoprire cosa stanno tramando questi bastardi.' dissi risoluta puntandomi in avanti. Non poteva evitare che io andassi in missione, ora. 
Ero finalmente tornata in grado di combattere e mi mancava la strada, mi mancava la mia lama.

'Eleanor... lo sai che se fosse per me staresti qui dentro tutto il giorno, data la situazione delle strade di Parigi. Ma non posso tenerti in gabbia, non posso impedirti di agire, non posso non lasciarti essere quello che sei nata per essere: un'Assassina. Quindi si, mi dovrai aiutare nelle prossime missioni. E credo proprio saranno cruciali.'

Io gli sorrisi e gli diedi un bacio sulla guancia. 
'L'hai detto anche tu che sono fuori allenamento.' scherzai. Arno ridacchiò.

Sul tavolo, prese in mano un taccuino con dentro dei fogli piegati. Io ne tirai fuori uno, e lo aprii.

'È una lista dei ghigliottinati del luglio 1794, sotto Robespierre. Ce n'è uno in particolare, un certo Barone Deschamps, cerchiato in rosso. Chi diavolo era?' chiesi.

Arno mi passò un altro foglio. 
'Orfanotrofio della Chiesa di San Rocco. Mmhh. Gestito dalla Pia Baronessa, Madame Deschamps, dall'Agosto del 1794.' era la moglie del Barone?

'Il marito ha finanziato l'orfanotrofio finché non è morto. La Gestione è passata alla moglie un mese dopo...' disse Arno.

'E quindi?' chiesi io, confusa.

'E quindi, ultimamente quel posto si sta riempiendo di bambini per ovvie motivazioni. Il fatto é che non è un luogo grande e sufficientemente attrezzato. E gli Assassini hanno ricevuto delle testimonianze a proposito di bambini che sono spariti da quel posto, da poco tempo a questa parte.' 

Io scossi la testa. 'Ora ha senso... più o meno. Di certo ha sicuramente qualcosa a che fare con i realisti, dato che era in quel taccuino.'

'Esatto. Ho bisogno di sapere cosa sta accadendo in quel posto: ti dirigerai lì con Camille domani. 
Io, nel frattempo, dovrò quantificare la mole di metalli da fusione che stanno arrivando al porto ultimamente, nei cataloghi d'importazione merci, e vedere dove vanno a finire. Le guardie della Convenzione nell'ultimo periodo stanno sequestrando armi a chiunque, per paura che scoppino altri moti. Questo vuol dire che le tengono nascoste, e qualcuno fa finta di non vedere nulla. Cerca di scoprire il più possibile a riguardo, ci vedremo alla Confraternita una volta concluse entrambe le missioni.' 

Io annuii. 'Sono pronta a tornare all'azione. Lo sono davvero.'

'Mi fa piacere, lionne. Dai, alleniamoci un po' con lo stocco ora, così magari riprendi la mano.' disse e si alzò dalla poltrona.
Io lo seguii nel cortile, dove ricominciai ad allenarmi al consueto con la spada. Sarei riuscita a portare a termine la missione del giorno dopo, ne ero sicura. 
Ero ancora più determinata, e sicuramente più pronta di prima.


*non è mai troppo presto.
**che sfortuna.
*** Quando mai...



*Angolo dell'autrice*
Bonjour, miei cari. Allora, eccoci qui con un nuovo capitolo. Eleanor si è ripresa ed è pronta ad affrontare un nuovo nemico a quanto pare... Ma stavolta, non dovrà di certo sottovalutarlo. Spero abbiate apprezzato anche i momenti fra lei e Arno: sembra che i due personaggi, dopo il chiarimento, abbiano trovato una nuova intesa. Chissà se Arno è veramente disposto a fare un passo avanti... e chissà se nei prossimi capitoli salteranno fuori novità importanti anche sul passato di Eleanor. Lo scoprirete presto, promesso! Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate.
Un bacio,
Izzy

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Capitolo 12
*** 12. La Verità. (1) ***


La sera del giorno successivo mi diressi nel quartiere della Chiesa di San Rocco.

'Eleanor, tesoro! Come stai?' Camille mi abbracciò appena mi vide, sul tetto dell'orfanotrofio.

'Molto meglio Camille, grazie. E tu?' 

'Non c'è male. A parte gli ultimi scontri che stanno accadendo in città che dobbiamo sempre tenere sotto controllo...' disse lei.

'Si, Etienne me ne ha parlato. Se la città non era già un inferno per colpa del caldo, ora mancano solo i realisti a peggiorare il tutto più di quanto facessero già prima.'

'Beh, noi siamo qui per questo, no? Evitare che prendano il comando. La popolazione ormai vive nella paura da anni. Tu sei pronta a tornare all'azione?'

'Lo sono, Camille. Sai, prima potevo solo immaginare la situazione, ma ora che sono qui da qualche mese mi sto rendendo conto della realtà della Rivoluzione. Spinge la gente al terrore e fa perdere spesso la speranza che all'inizio ne aveva mosso il desiderio di libertà.' riflettei.

Camille annuì. 'È la verità. Ma noi non dobbiamo farci scoraggiare da quello che sta accadendo. Eleanor, noi siamo la speranza di questa gente. Anche se non ci conoscono, sanno che c'è qualcuno dalla loro parte, e quel qualcuno siamo noi, sono i portavoce del popolo, quelli che hanno il coraggio di farsi valere in mezzo a questo casino.'

Le sue parole mi confortarono, rendendomi preparata a quello che ci aspettava.

'Hai ragione, Camille. E io sono felice di far parte di quelle persone insieme a te, insieme agli Assassini.'

Lei fece un cenno con la testa per ringraziarmi, e mi sorrise. 

'Andiamo, ora. Anche noi dobbiamo continuare a farci valere per la libertà e diritti di questa gente.'

Scendemmo in strada ed entrammo nel cortile dell'orfanotrofio. Sembrava tutto chiuso, ma ormai non mi sorprendevo più. La gente ormai era rintanata in casa in quasi tutta la città.

Mi feci avanti sui gradini e
bussai alla porta.

Nessuna risposta.

Bussai di nuovo. 
'C'è qualcuno? Devo parlare con la Baronessa Deschamps.' provai ad attirare di più l'attenzione.

Ancora nessuna risposta.
'Forse dobbiamo usare le maniere forti.' disse Camille.

Fece per sfondare la porta quando lo spioncino si aprì e degli occhi ci fissarono.

'Chi siete?' chiese la voce della ragazza dietro la porta, che continuava a fissarci. Appena vide le armi ai nostri fianchi chiuse lo spioncino.

'Andate via! Ci sono altri posti in cui rubare, e di certo un'orfanotrofio non è uno di quelli!' gridò.

Io guardai Camille, che era decisamente confusa.

'Mademoiselle, non siamo delle ladre. Abbiamo solo bisogno di parlare con qualcuno che lavora in questo posto.' dissi io.

'Cosa mi dice che posso fidarmi di voi?' chiese di nuovo.

'Fidatevi, Mademoiselle, abbiamo solo buone intenzioni. Dobbiamo farvi delle domande sulla Baronessa Deschamps.'

Aprì di nuovo lo spioncino fissandoci, e finalmente ci fece entrare nel palazzo, illuminato all'interno solo da qualche lanterna e dalla debole luce che entrava dai balconi socchiusi.

'Allora, Mademoiselle...' iniziò Camille.

'Potete chiamarmi Julie.'

'Julie, dove possiamo trovare la Baronessa? Non è qui, vero?' chiesi.

Fummo interrotte da un bambino che entrò nella stanza, e corse ad abbracciarla.

'Julie, quando torna Bernard? Mi manca tanto...' le chiese.

Julie sorrise, ma poi ci guardò preoccupata. 'Torna presto, tesoro. Domani mattina giocherete di nuovo insieme, vedrai.' gli disse. Il bambino annuì sorridendo e corse fuori dalla stanza di nuovo.

'Qui mancano dei bambini. Dove sono?' chiese Camille, decisamente più diretta di me.

'E va bene. Tanto ormai sembrate sapere già tutto. Ma vi prego, promettetemi che non direte in giro quello che sto per confessarvi.' disse lei, seriamente angosciata.

'Hai la nostra parola. E la nostra protezione.' le garantii.

'La Baronessa passa ogni giorno alla stessa ora per prelevare un gruppo di bambini da portare in un palazzo qui vicino, a... costruire armi.' stava iniziando a tremare.

'Costruire armi? Per chi?'

'Per i realisti. C'è un accordo dietro, in realtà. In cambio, il Governo non verrà mai a sapere che lei è ancora viva, altrimenti sarebbe ghigliottinata e l'Orfanotrofio rimarrebbe senza fondi. Lo so che è una condizione terribile, ma come possiamo fare per farlo sopravvivere?' disse in lacrime.

Io mi girai verso Camille, che era sconvolta.

'Julie, mi dispiace che per sopravvivere e far sopravvivere i bambini tu debba sottoporti a una persona del genere. Ma noi siamo qui per questo. La elimineremo, e ti faremo aiutare. Faremo aiutare l'orfanotrofio. D'accordo?' cercai di rassicurarla.

Lei annuì. 'Sembrate delle persone affidabili. Siete delle spie del Governo?' 

Io e Camille ridacchiammo. 
'Più o meno. Ora stai con i bambini. Vedrai, torneremo vittoriose, e con una soluzione. Nè tu nè i bambini dell'orfanotrofio sarete più costretti ad affrontare tutto questo, te lo promettiamo.'

Julie ci disse dove avremmo potuto trovare i bambini e la Baronessa. 

Un gruppo di sette bambini era stato portato infatti, quella sera, in un palazzo non distante vicino alla chiesa di Saint-Denis. La Baronessa, mentre quelle povere creature si occupavano di creare armi - bombe, per la precisione - era in Chiesa a pregare. E il mio primo obbiettivo sarebbe stato quello, se non avessi pensato che forse sarebbe stato meglio portare prima via i bambini da quel posto. 
Così io e Camille ci dirigemmo al palazzo, dove dopo aver eliminato qualche scagnozzo, riuscimmo ad entrare.

Non era un palazzo, ma una specie di capannone. Un deposito per armi. C'erano scatoloni ovunque, impilati l'uno sull'altro. 

'C'è anche un piano superiore. Vedi quella porta?' mi chiese Camille sottovoce.

Io annuii. 'C'è una campana d'allarme. Dobbiamo essere il più silenziose possibile.' così io e Camille salimmo le scale in silenzio tombale, e al piano di sopra trovammo un bruto realista intento a sonnecchiare su una sedia davanti a una porta.

Io trattenni una risata alla vista del libro che aveva appoggiato sulle gambe. Una satira politica. Scossi la testa, e lo infilzai nel collo con la lama celata, per poi trascinarlo dietro le scale.

Camille cercò di ascoltare i rumori nella stanza e bussò alla porta.

'Jean-Pierre, non abbiamo ancora finito qui, maledizione!' disse un'altra voce maschile. A quel punto Camille sfondò la porta e si fiondò sull'uomo, dandogli una ginocchiata sul basso ventre e sgozzandolo con il pugnale.

'Tutto bene?' le chiesi. Lei annuì.

Poi ci girammo entrambe.

Un gruppo di bambini - cinque maschi e due femmine - con le facce sporche di fuliggine, vestiti con abiti stracciati e sporchi allo stesso modo, ci stava fissando con facce incuriosite e sorprese.
Rimasi seriamente sconvolta a vedere quelle povere creature innocenti, vestite di stracci, sporche e con le mani immerse nella polvere da sparo e i pezzi di metallo. Probabilmente avevano tutti perso i genitori nelle terribili repressioni che erano avvenute in città negli ultimi anni e ora si trovavano ad affrontare la vita completamente da soli, in un Mondo dove per loro non c'era spazio se non negli ultimi angoli della scala sociale.

'Bonjour, petites. Siamo venute a portarvi via da qui, per questo abbiamo messo questo signore a dormire in un modo un po' brusco.' dissi dolcemente, cercando di apparire il più affidabile possibile. 

Un bambino appoggiò il martelletto che teneva in mano sul piccolo piano di legno accanto al quale lavorava e fece due passi verso di me.

'Vous êtes un ange?' chiese, sgranando i suoi due grandi occhi verdi.

Io ridacchiai. 
'Je suis ta amie.' gli risposi, tendendogli la mano.

Lui la prese. 'Piacere di conoscervi, Mademoiselle. Io sono Andrè. Qual è il vostro nome?'

'Eleanor. Il piacere è mio, Andrè.'

'Eleanor? Che strano nome. Non siete francese?'

'No, vengo da un posto lontano. Dall'America.' gli dissi. 
Lui e gli altri bambini fecero un 'ooh' meravigliato.

'Ne ho sentito parlare! Il mio papà mi raccontava delle storie sulla Rivoluzione Americana. Sembrava così avventuroso e pieno di eroi e soldati coraggiosi, dai suoi racconti. Qui invece non c'è nulla di avventuroso. Solo tanta miseria e fame. Il mio papà ora non c'è più.' disse l'ultima frase come se stesse parlando normalmente, senza cambiare tono di voce.

'Mi dispiace tanto, Andrè. Se c'è una cosa che può confortarti, di certo tu e i tuoi amici non vedrete più questo posto, te lo assicuro.' gli dissi, e tutti i bambini esultarono felici avvicinandosi a me.

'Posso abbracciarti, Eleanor?' mi chiese.

'Ma certo, tesoro.' e lo lasciai avvinghiarmi quelle braccine magre che si ritrovava al collo. Cercai di trattenere le lacrime, ma inevitabilmente me ne scesero alcune sulle guance.

'Bene bambini, ora dovete fare i bravi e fare il gioco del silenzio mentre Camille vi riaccompagna all'orf... a casa, va bene?' dissi, cercando di mandare giù il magone.

'Siii! Evviva! Grazie Eleanor!' disse una delle due bambine.

Camille aveva osservato la scena con un sorriso e prese in custodia il gruppetto, facendoli prendere per mano tra di loro.

'Te la cavi con i bambini, eh? Ti aspetto lì, comunque. Mi raccomando, Eleanor.' Io mi asciugai le guance e annuii, sorridendole. 

'Devo far saltare questo posto in aria.' dissi. 'Avanti, tutti fuori di qui.'

Quando fui sicura che Camille avesse portato i bambini sufficientemente lontano, scesi al piano di sotto. Con l'aiuto della polvere da sparo tracciai una striscia che partiva dall'interno, dove erano riposti degli scatoloni pieni di bombe, fino all'esterno del deposito, assicurandomi di passare attorno a tutti gli scatoloni in modo da non lasciare nulla di recuperabile in futuro. 
Accesi un fiammifero, e dopo aver preso un respiro profondo, diedi fuoco alla polvere, per poi correre via il più velocemente possibile verso un palazzo abbastanza alto e abbastanza lontano. 

Fortunatamente il quartiere era deserto a quell'ora, e i palazzi circostanti erano completamente vuoti. Nel momento in cui raggiunsi il tetto del palazzo, un'esplosione illuminò di fuoco e riempì di fumo le strade del quartiere, producendo un rumore assordante. Le fiamme ruppero i balconi e i vetri del palazzo polverizzandoli. 
Rimasi qualche secondo a guardare le fiamme e il fumo che rendevano plumbeo il cielo ancora lievemente illuminato dal sole del tramonto. Rimasi quasi ipnotizzata da quello spettacolo di distruzione davanti ai miei occhi: c'era sempre stato qualcosa nel potere distruttivo del fuoco che mi aveva attratto.

Ridestata, mi rimisi il cappuccio e saltai fra i palazzi, dirigendomi alla Chiesa.

Dal tetto di un palazzo di fronte alla Chiesa vidi che c'erano due scagnozzi, probabilmente le uniche due guardie del corpo della Baronessa, davanti alla porta. Riuscii ad atterrarli entrambi con un doppio assassinio da circa dieci metri di altezza, il primo che tentavo di fare fuori dall'addestramento, e che mi riuscì anche piuttosto silenzioso.

Mollai i due corpi ed entrai nel fresco ambiente della Chiesa, trovando solo una figura vestita di blu scurissimo, con un velo a coprirne la testa.

Sospirai e camminai lungo la navata del luogo praticamente spoglio di qualsiasi ornamento, con le panche spostate e le impalcature alle pareti. 
Non ero credente, naturalmente. Il mio unico Culto, se così si poteva chiamare, era il Credo della Confraternita. I Templari invece avevano sempre intrattenuto rapporti con la Chiesa Cattolica, faceva parte del loro Ordine. Era uno strumento potentissimo che avevano sempre usato per assoggettare le masse. 

'Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento. Sarei potuta scappare dopo aver sentito l'esplosione, ma evidentemente mi avresti raggiunta comunque.' disse la voce femminile della figura, subendo l'eco a causa delle pareti. 

'Baronessa Deschamps.' proferii io a bassa voce, avvicinandomi. Lei si alzò dalla panca e si mosse verso di me, permettendomi di scrutarne i lineamenti illuminati dalla flebile luce dei ceri e delle lanterne.

Fece due passi nella mia direzione scostandosi il velo dal viso, e rivelò un volto di una donna di mezza età, dai lineamenti eleganti, austeri, con qualche segno del tempo. Gli occhi, castani, contrastavano con il colore chiaro dei capelli raccolti. Mi fece una strana impressione.

Mi osservò dalla testa ai piedi cercando qualcosa nella mia figura, e poi si fermò. Io studiavo ogni suo movimento da sotto il cappuccio.

'Un'Assassina. Dovevo immaginarmelo, nonostante io abbia preso tutte le precauzioni possibili.' commentò scocciata, con un gesto della mano.

'Evidentemente, mia cara Baronessa, le vostre preghiere non vi hanno aiutato. E nemmeno le vostre conoscenze.' risposi in tono di sfida.

'Non che io riponessi molta speranza nelle persone con le quali ho stipulato accordi.' 

'E allora perché l'avete fatto? Perché sacrificare degli innocenti per il vostro egoismo?' sbottai.

'Perchè era l'unico modo. L'unica mia possibilità di rifarmi una vita, scappare da questa città infestata dai selvaggi che ne hanno preso il controllo. Dai selvaggi che hanno ucciso mio marito.' finí l'ultima frase in un sibilo, nascondendomi il suo volto.

'Che cosa poco nobile. Sfruttare dei bambini per avere in salvo una vita che poi avreste vissuto costantemente fuggendo. Ma a quanto pare, la dignità non vi interessa.' mi avvicinai a lei, pronta a tirare fuori la lama.

'Nobiltà. Dignità. Stai usando parole di un certo peso, nonostante tu sia molto giovane. Non sei francese, da quello che vedo. Beh credimi, non hai idea di cosa voglia dire vivere in una realtà come questa. È come stare in una giungla, senza regole, senza civiltà. L'ordine non esiste più. L'aristocrazia non esiste più. Le classi sociali non esistono più...' mormorò, dandomi le spalle.

'Esattamente. Questo si chiama progresso. E voi, Baronessa, e tutti quelli come voi, non fate che bloccare la strada verso di esso, verso la libertà, verso la Nazione. E credetemi, so benissimo di cosa parlo. Ho visto con i miei occhi le persone combattere per la libertà in queste strade. E mi dispiace per voi, ma vinceranno loro. Perché è semplicemente giusto che sia così.'

Lei rise di gusto, e si girò di scatto. Aveva tirato fuori uno stiletto, che puntò verso di me.

'Dici di sapere di cosa parli e fai parte di un gruppo di Assassini, un gruppo di selvaggi, selvaggi come quelli che popolano queste strade. Non siete diversi da loro. Siete tutti uguali. Voi, i repubblicani, e la plebe. La feccia della società. Vi mascherate dietro a un culto e a degli stupidi ideali di libera scelta che vi fanno sentire migliori, quando siete solo degli animali indottrinati. I Templari vi stermineranno. Tutti quanti.' disse con un sorriso maligno sul volto, mentre mi girava intorno senza abbassare la guardia. 

Io avevo la lama celata puntata verso di lei, e la mano destra sulla spada, pronta ad essere sguainata.

'Siete voi quelli tutti uguali. Volete solo approfittare della gente per soggiogarla e imporvi con la schiavitù. Contate solo su un esercito di fanatici. E per questo non riuscirete mai nei vostri scopi, qualsiasi cosa stiate architettando.' dissi, e in un lampo attaccai per prima. 

Riuscii a ferire profondamente la donna con la spada all'altezza dello sterno, lacerandole il vestito che iniziò a inzupparsi di sangue.

Non era riuscita a respingere il mio attacco, ma mi aveva ferito anche lei con lo stiletto all'altezza della scapola, sulla schiena. Fortunatamente, non sembrava nulla di grave.

Arrancò per qualche passo e si accasciò sul pavimento, facendo cadere la piccola arma a terra.

Io mi tolsi il cappuccio e mi avvicinai a lei, senza abbassare la lama.

Alzò la testa e mi osservò il viso per qualche secondo, per poi sorridere in modo inquietante. 

'Non ci posso credere.' disse, scuotendo la testa.
'Allora Poulain aveva ragione. Sei proprio tu...' mormorò, stringendo i denti, mentre si premeva la ferita. 

Io corrugai la fronte. Di che cosa stava parlando?

'Non fare quella faccia, Amelìe. Sai, hai proprio gli occhi di tua madre...' 

'Cosa? Come avete detto? Chi è Amelìe?' scossi la testa, puntandole la spada sotto il mento. Lei stava tremando, il sangue gocciolava copiosamente a terra per la ferita. Sorrise di nuovo.

'Tua madre...ti ha sempre chiamata così...' disse di nuovo.
Io mollai la spada e la presi al volo prima che cadesse a terra, cercando di scuoterla.

'Ma di che cosa state parlando? Cosa sapete voi di mia madre? E poi io non mi chiamo Amélie!' gridai, in preda al nervosismo.

Lei ormai era quasi completamente sbiancata e stava tremando. 

'Senti.... nonostante tutto, meriti di sapere la verità... in fondo, tu non hai colpa di nulla...È... è mia cugina...a Palazzo Poulain... la tiene lì, quella tr...traditrice... imprigionata...' riuscì a dire prima di spirare definitivamente e morire fra le mie braccia. 

'No!' urlai. 'Dimmi di più! Perché mi conosci? Mia madre...Chi è, perché è prigioniera di Poulain?' continuavo a scuoterla e a gridare, ma ormai non dava più nessun segno di vita. Mi alzai barcollando, sconvolta dalle parole che avevo appena sentito.

Quella donna aveva pronunciato il mio nome, o meglio, non il mio, ma quello che mi aveva dato mia madre.

Quella donna aveva detto di essere la cugina di mia madre. 

Quella donna aveva detto che era rinchiusa nel palazzo di Poulain...

Scossi la testa, e dopo aver lanciato un'ultima occhiata al cadavere della Baronessa mi precipitai fuori, correndo verso l'orfanotrofio.


*Angolo dell'autrice*

Saaalve, carissimi! Beh, questo è stato decisamente un capitolo movimentato. In realtà, come avrete notato dal titolo, è suddiviso in due parti, perché piuttosto lungo. Allora, che dire... cominciano a saltare fuori cose interessanti sul passato di Eleanor, finalmente. Un po' ambigua la figura di questa Baronessa... credete che abbia detto la verità sulla madre di Eleanor? Ma soprattutto, la nostra protagonista avrà l'ardore e allo stesso tempo il sangue freddo per riflettere e indagare a fondo sulla questione nei prossimi capitoli?

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Capitolo 13
*** 13. La Verità. (2) ***


'Eleanor, tutto bene? L'hai eliminata?' mi chiese Camille poggiandomi una mano sulla spalla, appena mi vide arrivare all'orfanotrofio.

Io annuii distratta, riprendendo fiato a causa della corsa.

'Sei sicura?' mi chiese di nuovo, probabilmente notando la mia assenza.

'Si Camille, davvero. Dov'è Julie?'

'Dentro, con i bambini. Stanno tutti bene. Aspetta, ma... sei ferita?' disse guardandomi dietro la spalla. 

'Tranquilla, non è nulla.' risposi. Ero talmente fuori dal Mondo in quel momento che non mi ero nemmeno accorta del sangue che aveva macchiato il mio cappotto, nè del dolore che mi stava provocando la lacerazione, nonostante fosse sopportabile.

Sentii qualcuno correre nel corridoio, e vidi l'esile figura di un bambino avvicinarsi a me per poi abbracciarmi. Andrè.

'Hei, come stai piccolo?' gli chiesi, arruffandogli i capelli.

'Benissimo! Julie ci ha preparato la cena. Vieni!' e mi prese per mano portandomi verso una stanza che doveva essere la sala da pranzo, con un grande tavolo di legno al centro e tutti i bambini seduti attorno.

'Eleanor. Camille. Non so come ringraziarvi, davvero...' Julie si pulì le mani con il grembiule e abbracciò sia me che Camille.

'Non devi farlo. Abbiamo solo fatto quello che dovevamo, liberandovi dalla Baronessa. Ora i bambini potranno vivere, se non liberi, almeno un po' più serenamente.' 

Lei annuì. 'So che è brutto da dire, ma tutti i fondi dell'orfanotrofio erano quelli che arrivavano da lei e quel poco che riusciva a guadagnare portando i bambini a costruire le armi. Ora non so davvero come faremo... a malapena riusciamo a fargli mangiare una zuppa una volta al giorno.'

'Di questo non devi preoccuparti, Julie. Gli Assassini hanno molti legami anche ai piani alti, oltre che in tutta la città. Vi aiuteremo a rimanere in piedi, ve lo prometto. Questi bambini si meritano di vivere in un Mondo migliore di questo.' le presi la mano e la strinsi, e lei sorrise, asciugandosi gli occhi lucidi.

'Te ne vai, Eleanor?' mi chiese Andrè, che era rimasto vicino a me.

Io mi abbassai alla sua altezza. 
'Purtroppo si, piccolino. Ma ti prometto che tornerò a trovarti, e ti porterò anche un regalo. Pero' nel frattempo dovrai fare il bravo, ok?'

Lui mi regalò un grande sorriso e annuì entusiasta. 

'Certamente! Ci vediamo presto!' mi abbracciò di nuovo e poi corse via veloce come il vento.

'Andrè, la cena! Torna indietro!' Julie lo rincorse fuori dalla stanza, causandomi una risata. Doveva essere una piccola peste.

Tornai con Camille alla Confraternita, dove trovai il Consiglio riunito probabilmente in attesa di Arno ed Etienne, che arrivarono dopo due minuti.

'Abbiamo i registri.' disse Etienne, passando i fogli ripiegati al Mentore Maillard.

'E grazie ad essi abbiamo scoperto dove nascondevano il resto delle armi. Un deposito vicino alla Corte dei Miracoli, che abbiamo provveduto a incendiare. Non abbiamo idea di come abbiano fatto a nasconderne una cosí grande quantità, dato che le guardie le stanno sequestrando in tutta la città da settimane per paura di altri moti violenti. Qualsiasi cosa avessero in mente di fare, comunque, dovrà aspettare ancora un bel po'.' disse Arno. Lo guardai, per assicurarmi che stesse bene. Sembrava di si, a parte qualche graffio, e la camicia lacerata all'altezza della clavicola.

'Benissimo. E voi cosa avete scoperto, Eleanor e Camille?' chiese il Maestro Roussel.

'Gli estremisti usavano i bambini dell'orfanotrofio della Chiesa di San Rocco per produrre bombe, che poi depositavano in un vicino palazzo adibito a deposito. Mentre Camille ha portato i bambini in salvo, mi sono occupata di far saltare il deposito in aria, ed eliminare la donna che li costringeva a lavorare per gli estremisti, un'alleata di Poulain che tutti credevano morta. La Baronessa Deschamps.' dissi.

'Quella donna... dopo quello a cui si era abbassata, meritava di essere tolta di mezzo il prima possibile. Avete fatto un buon lavoro, Assassini. Per ora, non abbiamo altro da fare se non aspettare. Ci vedremo nei prossimi giorni.' disse Maillard, e ci congedò. 

Camille uscí dal Covo insieme ad Etienne. Io aspettai che Arno avesse finito di parlare con il Maestro Roussel.

'Congratulazioni, lionne. Sei passata di grado.' mi disse Arno, mentre uscivamo dal Covo.

Io sorrisi.
'Fantastico. Quindi ora sono un soldato?' 

'Esattamente. Questo è per te.' mi passò un anello con un sigillo, il simbolo degli Assassini, e me lo infilò all'anulare destro. 
Io lo ammirai riflettere la flebile luce delle lanterne. 

'È bellissimo. Grazie.' 

'Stai bene, Eleanor? Sei ferita?' mi chiese, guardandomi in volto. 
'Sei un po' pallida.'

'Si, la Baronessa mi ha colpito sotto la scapola con uno stiletto. Nulla di grave.' dissi semplicemente.

Arno notò la macchia di sangue sul mio cappotto.

'A me non sembra. Cristo, Eleanor, hai perso del sangue, e non poco. Andiamo al Cafè, Heléne dovrebbe avere un ago e del filo per ricucire la ferita.' 

Arrivammo pochi minuti dopo, e salimmo nella mia stanza al Cafè.
Mi sedetti sul letto dopo essermi tolta il cappotto, e solo in quel momento notai la grandezza della macchia di sangue.

'Devi togliere la camicia, Eleanor.' mi disse Arno.
Prese la sedia e si mise davanti al letto, tirando fuori una garza che bagnò con dell'alcol. 

Io mi irrigidii per un secondo, ma poi mi misi di spalle a gambe incrociate sul letto, e tolsi lentamente la camicia, cercando di non far allargare la ferita.

Non mi resi nemmeno conto che ero rimasta senza nulla addosso se non i pantaloni, e fui scossa da un brivido, senza sapere se fosse provocato dall'aria fresca della sera o dall'imbarazzo che si concentrò sulle mie guance.

Arno non stava dicendo nulla.

Spostai i capelli a lato del mio volto,  e spiai la sua espressione. 
I suoi occhi stavano percorrendo la lunghezza della mia schiena, la spalla, le scapole, le costole, le vertebre, quasi ipnotizzati. Sussultai leggermente quando sentii le sue dita sfiorarmi il fianco destro, mentre passava la garza imbevuta attorno e sulla mia ferita.
Emisi un sibilo, quando avvertii il bruciore dell'alcol a contatto con la carne viva.

'Non è profonda come credevo, fortunatamente. Basteranno cinque o sei punti.' disse.

'Questo mi rincuora.' dissi io. 

Iniziò a cucire la ferita e a inserire i punti, sempre con estrema delicatezza, una sua caratteristica che a quanto pare era innata, e che adoravo. Sorrisi, pensando che fosse naturalmente delicato ed elegante anche mentre spaccava le ossa agli estremisti e alle guardie.

'Ho finito.' disse.

'Che precisione chirurgica, non ho sentito praticamente nulla.' commentai.

'Questo perchè ho delle mani d'oro.' disse lui con una punta di sarcasmo, ovviamente voluto. Io lo fulminai con lo sguardo di lato, anche se non potei non trattenere un sorriso.

Mi infilai di nuovo la camicia e mi girai verso di lui.

'Credo di avere bisogno anche io di qualche punto qui sotto.' disse, indicando il punto dove la sua camicia era lacerata, sotto la clavicola.

Senza che gli dicessi nulla, si tolse la camicia, e rimase a petto nudo.
Io non seppi come reagire, e cercai il più possibile di evitare che il mio sguardo cadesse in basso, ma i miei sforzi risultarono piuttosto inutili. 

Ripensai ai libri di storia dell'arte classica che mi aveva fatto studiare Winston, alle sculture greco-romane che avevo ammirato, e che sembravano essersi materializzate in quel momento davanti ai miei occhi. Era davvero... perfetto. 
Quello che fino a quel momento avevo solamente potuto immaginare ora era davanti ai miei occhi. Le spalle larghe, il petto ampio e gli addominali allenati da anni di addestramento coperti da qualche cicatrice qui e lì, il che non faceva nulla se non contribuire a rendere quel corpo ancora più realistico. 

Le mie mani si alzarono quasi spontaneamente, spinte dal mio inconscio che voleva solamente farmi sfiorare quello che avevo davanti agli occhi.

'Eleanor, io sono qui in alto.' disse Arno a bassa voce, risvegliandomi dallo stato di estasi in cui ero caduta.

'Si, scusami, io non... ora faccio tutto.' dissi, ripetendo l'operazione con la garza e l'alcol che aveva fatto lui su di me. Non ebbi bisogno di chiedergli come fare perché sapevo già la procedura, che avevo ripetuto spesso a casa, quando mio padre tornava dai suoi scontri. 

Connor scherzava ogni tanto, definendo se stesso come una vecchia casacca che si rompeva sempre e me come la sarta che prontamente lo rimetteva in sesto, facendomi ridere ogni volta nonostante fosse sempre stato un uomo abbastanza freddo anche nei miei confronti.

'Ti sei distratta?' chiese Arno con un sorrisetto malizioso, ormai si era accorto dell'effetto che mi stava facendo.

'Si, beh, hai... un po' di cicatrici.' dissi io, cercando di nascondere la verità.

'Ormai ho perso il conto. Pero' mi ricordo come mi sono procurato la maggior parte di esse.'

'Davvero?' gli chiesi, prendendo l'ago e il filo, e iniziai a cucire.

'Beh, questa sulle costole ad esempio, me la sono fatta ad una rissa in locanda un paio di anni fa. Un energumeno aveva barato a uno scontro a mani nude e mi ha quasi perforato un polmone con un coltello.' disse ridacchiando.

'Oh mio Dio! E a te fa ridere?' 

'Si, perché ci stavamo prendendo a mazzate per una botte di Sauvignon.' 

'Ah, cosa non si fa per un po' di vino rosso.' commentai. 

'Questa invece me l'ha fatta Victor, un fabbro che aveva vinto l'orologio di mio padre a una scommessa. Non potevo lasciare che lo tenesse, cosí mi sono preso un'arpionata sul fianco. Oltre a riavere indietro l'orologio, ovviamente.' Disse, ed entrambi scoppiammo a ridere.

Finii di cucire la ferita di Arno e rimisi via quello che avevo utilizzato, tornando alla posizione di prima. Nel frattempo mi resi conto che avevo avuto il suo viso a dieci centimetri dal mio per non so quanto tempo.

'È così che funziona?' gli chiesi, guardandolo non so con quale audacia dritto nei suoi occhi castano-verdastri.

'Cosa?'

'Tra di noi. La sera torneremo sempre a casa a ricucirci le ferite reciprocamente?' 

Rimase in silenzio per qualche secondo.

'Al costo di essere sicuro di averti ancora per molto tempo vicino a me, accetterei anche di avere più cuciture della divisa da Generale di Napoleone.' disse, causandomi una risata che poi si trasformò in un sorriso sincero.

'Questa era carina.' ammisi io, e Arno sorrise in risposta, per poi prendermi in mano il viso e avvicinarlo al suo, appoggiando le sue labbra sulle mie.

'Non sei mai troppo generosa con i complimenti...' sussurrò tra un bacio e l'altro. 

Io lo allontanai da me appoggiando una mano sul suo petto.
'Questo perché bisogna meritarseli.'

Arno non ci pensò due volte prima di afferrarmi il braccio e farmi spostare dal letto alle sue gambe, costringendomi a mettermi a cavalcioni su di lui, per poi afferrarmi il fianco destro con una mano e la base del collo con l'altra, e attirarmi di nuovo a sè.

Quella volta pero' ero sicura che avrei agito anche senza l'aiuto felino delle sue mani.
Le mie infatti si aggrapparono spontaneamente al suo collo per poi far scendere le dita sulla pelle liscia del suo busto, contribuendo a convincermi ancora di più della mia volontà.

Percorsi le linee sinuose del profilo del suo corpo con le mie dita, mentre il bacio iniziò a farsi sempre più profondo e intenso sia da parte sua che da parte mia.

Mi prese delicatamente i lembi della camicia tirandoli verso l'alto, e io lo lasciai fare, perché erano mesi che aspettavo quel momento, nonostante non avessi nessun tipo di esperienza a riguardo. 
Ma non mi importava, volevo solamente averlo fra la mie braccia.

Riuscii a superare la vergogna di rimanere nuda e vulnerabile davanti ai suoi occhi, che rimasero qualche secondo fermi sulla mia figura. 

Arno mi spostò i capelli dalle spalle e mi baciò il collo, la clavicola e poi la spalla, mentre con una mano mi accarezzava la schiena, e con l'altra mi afferrava la coscia. 
 
'Vous êtes merveilleux.' sussurrò al mio orecchio, causando involontariamente una reazione nel mio basso ventre, oltre a un sorriso che cercai di smorzare mordendomi il labbro.

Si alzò dalla sedia tirandomi su con lui, senza accusare il minimo sforzo.

Dalla finestra entrò un soffio di vento fresco e serale che mosse i miei capelli e quelli che uscivano dal codino di Arno, mentre mi posava delicatamente sul letto posizionandosi fra le mie ginocchia.

Io deglutii e lo guardai in viso, alzando la testa. Mi sorrise mentre tracciava il profilo delle mie labbra con il pollice, e mi baciò di nuovo a fior di labbra per poi staccarsi definitivamente tenendomi per il mento.

'Devi riposare, hai perso troppo sangue e io ho bisogno di averti in forze per certe cose. Buonanotte, ma cherìe.' mi disse, riprendendo la sua camicia. 

Uscí dalla porta con un sorrisetto e dopo avermi fatto un occhiolino, la richiuse, lasciandomi a bocca aperta e insoddisfatta. Avrei voluto corrergli dietro e prenderlo a schiaffi fino a non sapevo dove, ma mi trattenni perché ero ancora mezza nuda.  

'Ho bisogno di averti in forze per certe cose.' Seriamente? Risi fra me e me, tenendomi la fronte con una mano.

Picchiai la mano sul letto lasciando che un verso di frustrazione uscisse dalle mie labbra, per poi rendermi conto che ero davvero troppo stanca per innervosirmi, così mi tolsi i pantaloni e mi infilai sotto il lenzuolo senza nemmeno mettermi la camicia da notte.

Ero ingenua, ma non così tanto da non capire che Arno mi aveva lasciato lì come uno stoccafisso certamente non solo perché credeva che io fossi stanca. 
Certo, non mettevo in dubbio il fatto che fosse un gentiluomo, ma sapevo che c'era ancora qualcos'altro che lo bloccava. Evidentemente o stava cercando di superarlo, ed ero contenta ci fosse quasi riuscito, oppure era solo diventato molto bravo a nasconderlo.
Io, comunque, avevo solamente bisogno di dormire il più a lungo possibile dopo la giornata che avevo appena passato, e infatti chiusi gli occhi solamente dopo qualche minuto.

15 Luglio 1795.

In quei giorni non avevo fatto altro che pensare a quello che mi aveva detto la Baronessa Deschamps prima di morire.
Avevo veramente tenuto in considerazione qualsiasi dettaglio di quella conversazione. 

Amelìe. 'Era così che ti aveva sempre chiamato.'

Si, ma chi? Io mia madre non l'avevo mai conosciuta. Mio padre non me ne aveva quasi mai parlato, e a malapena Winston mi aveva detto qualcosa su di lei. Avevo un flebile ricordo di qualche conversazione su di lei sentita per sbaglio, ma al tempo ero troppo piccola per avervi prestato attenzione. E guardacaso, ora che mi trovavo a Parigi soprattutto per il loro volere, venivo a scoprire della sua esistenza su questa Terra, come prigioniera della testa dei Templari fra l'altro?
Dovevo credere che il mio viaggio e il mio addestramento in Francia fossero casuali, o forse mio padre e Winston avevano voluto mandarmi qui in prima persona a scoprire la verità che mi avevano tenuto nascosta per anni?
Non sapevo veramente cosa pensare. 

*Flashback*

Frontiera di Lexington, 1782.

'Papà! Papà! Guarda che cos'ho trovat...' strillò la piccola Eleanor, correndo su per le scale della casa nella Frontiera in cui abitava da qualche mese, e probabilmente dalla quale sarebbe partita entro poco tempo.

Stava per compiere otto anni, e in quella fresca giornata di fine settembre Winston le aveva permesso di andare a caccia di conigli insieme a Lizzie nel territorio immediatamente circostante la Tenuta.

La bambina era orgogliosa del piccolo animale appena catturato e non vedeva l'ora di mostrarlo al padre.

Appena arrivò al piano superiore, pero', si accorse che dallo studio di suo padre si poteva udire una conversazione. 
Si avvicinò di soppiatto alla porta socchiusa, cercando di non far cigolare il pavimento di legno con gli stivaletti, e cercò di spiare cosa stava succedendo.

'Mi è arrivata un'altra lettera, Connor. Vuole vederla. Ha detto che è anche disposta a salpare su una nave il prima possibile per Boston.' stava dicendo Winston.

Vidi la figura di mio padre, vestito in abiti normali. 
Sbattè un pugno sul tavolo.

'Cristo, Winston. Cosa diavolo devo fare, secondo te? Quella donna mi ha tradito. Si è rivelata una spia, e quando l'ho scoperto, ha avuto il coraggio di mollare mia figlia in fasce davanti alla porta di casa mia.'

'Lo so, Connor. So che ti senti tradito e pugnalato alle spalle, e sappi che nemmeno io sono d'accordo sul fatto di farle vedere la bambina. Almeno, non adesso. Eleanor dovrà sapere... ma non ora. Saprà, quando sarà grande e le avremo spiegato di che Mondo fa parte.' disse Winston.

'Grazie, amico mio. Quella lettera... falla finire nel caminetto insieme a tutte le altre.' rispose Connor, e si alzò dalla sedia. 

La bambina si nascose nella stanza a fianco e vi uscì con il coniglio in mano, alzandolo trionfante verso suo padre.

Visti così da vicino, nessuno avrebbe detto che fossero padre e figlia: i lineamenti duri e marcati dell'uomo contrastavano con quelli dolci e delicati della bambina, che dal padre aveva ereditato solamente le labbra carnose e la carnagione olivastra, comunque più chiara della sua. Sarebbe passata, al massimo, come sua nipote. Ed era così che Connor la presentava a chi, troppo curioso, gli faceva domande: la figlia di una sorella persa durante la distruzione del suo villaggio. 

'Cosa hai preso, Eleanor?' Connor si abbassò sulle ginocchia all'altezza della bambina.

'Un coniglio, padre! Guardate, sono riuscita a intrappolargli la zampa con la cordicella.' disse la piccola, orgogliosa dei progressi che aveva fatto grazie agli insegnamenti che suo padre aveva incaricato Winston di trasmetterle.

'Hai fatto un buon lavoro. Ma la prossima volta devi impegnarti di più, e portarne almeno tre. Intesi?'

Eleanor dapprima mise il broncio, ma poi, confidando in sè stessa e determinata a rendere suo padre orgoglioso, annuí entusiasta.

'Va bene, padre.'

Connor le sorrise bonariamente e le diede un buffetto sulla guancia.

'Domani devo partire per Boston, Eleanor: sai già come devi comportarti. Winston mi riferirà se farai la brava o meno.' 

'Ma come, di già?' si lamentò la bambina, rattristata di dover vedere suo padre partire per l'ennesima volta.

'Eleanor, lo sai che ho degli impegni che non mi permettono di rimanere a casa quanto vorrei. Ma so che tu sei una brava bambina e che ti comporterai bene in mia assenza. Tornerò prima che tu te ne accorga.' disse Connor, e dopo averle arruffato i capelli scese le scale e uscì dalla porta.

Eleanor sapeva che non era vero, e che come era già successo tante volte prima, si sarebbe quasi dimenticata il volto di suo padre, oltre a perdere il legame che cercava di rinsaldare ogni volta.

Ma ora non doveva pensarci, perchè doveva portare quel coniglio a Lizzie. Non vedeva l'ora di mangiarlo arrostito la sera stessa.

*Fine del Flashback*

Scossi la testa. In realtà, non sapevo nemmeno se le parole che aveva blaterato la Deschamps prima di morire fossero credibili o meno.
Magari l'aveva fatto apposta giusto per vendicarsi e farmi uscire fuori di testa.
O magari era uno stupido giochino di Poulain per attirarmi in una trappola. Questa seconda opzione mi convinse decisamente più della prima, e un quesito affiorò nella mia mente.
Ero disposta a rischiare, per saperne di più?

Ci riflettei qualche minuto, camminando su e giù per la stanza.

Volevo sapere la verità. 
Avevo aspettato anni per conoscerla.
Ed ora, ero pronta per scoprirla.

Mi infilai la casacca, scesi le scale e andai nell'armeria sotterranea.
Presi la spada e lo stiletto, le due pistole che infilai ai lati dei fianchi, e assicurai la lama celata al polso sinistro.

Mi guardai allo specchio ovale, e mi vidi diversa. Decisamente diversa.

Solo un mese prima ero una ragazza ingenua, impulsiva, che credeva di poter fare qualsiasi cosa nonostante non si rendesse conto della pericolosità del Mondo del quale era entrata a far parte.

Poi, ero inciampata. Avevo ricevuto due schiaffi: uno morale, quello che mi aveva dato Arno, facendomi rendere conto che i sentimenti erano una cosa molto più complessa di quello che credevo.
E quello fisico, il mio fallimento alla mia prima missione, la trappola di Lagarde. I giorni spesi a letto per colpa delle mie costole rotte, nei quali avevo riflettuto moltissimo su me stessa, sul periodo che stavo vivendo, sulla mia crescita.
E mi ero resa conto che a Parigi ero venuta a contatto con il Mondo reale. Ero entrata a far parte di un conflitto che durava da millenni, al fianco degli Assassini. 
E no, non avevo più tempo per essere una ragazza semplice. Non avevo più tempo per essere impulsiva e irresponsabile.
Ora, avrei dovuto riflettere a lungo sulle decisioni che da quel momento in poi avrei preso, perché c'erano in gioco delle vite.
C'era in gioco la libertà di una Nazione.
Io stessa facevo parte di tutto questo.
Ma nello stesso momento, non potevo esitare. Dovevo essere risoluta. Volevo sapere la verità: e per questo era necessario che io mi dirigessi a Palazzo Poulain. Era rischioso, ma io ero pronta. Più pronta di un mese fa...
Ed ero determinata a scoprire chi fossi veramente.

Mi alzai il cappuccio e, saltando fra i tetti, mi diressi a Palazzo Poulain.
Feci un giro di perlustrazione: all'esterno, non c'erano guardie. Il che mi parve piuttosto strano.

Mi calai dal tetto all'interno, entrando dalla finestra del terzo piano. Non avevo idea in che ala del palazzo si trovasse... mia madre. 
Ma per essere sicura, iniziai a perlustrare il piano da cima a fondo. 
Cercai di fare meno rumore possibile, ed entrai in una delle stanze. Una biblioteca. 

Iniziai a guardare da tutte le parti, in mezzo ai divanetti e alle dormeuses, scostando sedie e tavolini, e poi passai ai libri sugli scaffali. 
Ne scostai e rimisi a posto quanti più potevo, il più in fretta possibile.

Quando arrivai all'ultimo scaffale avevo quasi perso la speranza: poi scostai una delle colonne sui cui era poggiato il busto di un Apollo, facendola girare su se stessa. 

Con mia grande sorpresa, si aprì un meccanismo che fece smuovere lo scaffale di libri davanti a me, rivelando un breve corridoio con una porta alla fine.

Feci qualche passo e arrivai alla porta, che era chiusa da una serratura. Mi guardai in giro in cerca di qualsiasi cosa che potesse nascondere una chiave, ma non trovai nulla, anche per colpa della flebile luce che c'era. 
Cercai allora di scassinare la serratura con due grimaldelli, che Arno mi aveva suggerito di portare sempre con me nel caso ne avessi avuto bisogno in situazioni simili.

Riuscii a far schioccare il chiavistello, e la porta finalmente si aprì davanti di me.

Non riuscii a capire bene quello che avevo davanti. 

Una grata d'oro, chiusa a chiave, e all'interno, una stanza. Ma non era una cella. La stanza era uguale a tutte quelle del palazzo: pareti bianche con intarsi dorati, un letto di una piazza e mezza pieno di cuscini. Una sola finestra illuminava quella "gabbia d'oro", posta in alto, vicino al soffitto, anch'essa chiusa da una grata.
C'erano anche una toletta e una piccola scrivania, un armadio, e uno scaffale con qualche libro.

Ma quello che mi stupì maggiormente lo notai per ultimo.

Sotto la finestra, un'esile figura inginocchiata mi stava dando le spalle. Vestita di bianco, aveva una retina bianca fra i capelli, biondissimi. 

'Padre Nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo Regno, e sia fatta la tua volontà.' la sentii mormorare.

Poi, si fermò. Per qualche secondo, rimase immobile. 
La vidi disgiungere le mani, e appoggiare il Rosario che teneva nella destra sulla scrivania vicina.

'Di solito la cena la portate alle nove, che è successo per farvi venire un'ora prima?' disse.

Poi si girò alzandosi, e mi vide. 
Il suo volto sbiancò, e il libretto di preghiere che teneva in mano cadde a terra.

Anche io, dovevo essere sincera, mi sentii mancare, guardandola in viso. Non fui in grado di mentire a me stessa: nonostante la carnagione d'alabastro, e i capelli biondi, i suoi occhi, la forma del naso e del viso... erano esattamente uguali alle mie.
Ecco da chi avevo preso i miei occhi grigio-azzurri. Non da mio nonno, ma da mia madre...
Era lei.

'Chi... chi siete? Siete un'Assassina?' chiese, dopo aver riacquistato la lucidità. Fece qualche passo verso di me.

Io mi tolsi il cappuccio, rivelando il mio volto.
Lasciai che lo scrutasse con attenzione.

'Il n'est pas possible.' sussurrò.
Si avvicinò alla grata, aggrappandosi ad essa con le mani.
'Mon Dieu..'

'Sono vostra figlia, Madame.' riuscii a dire, cacciando indietro qualsiasi emozione in gola, e cercando di rimanere il più impassibile che potevo.

'Non può essere... Amèlie?' disse lei, sfiorandomi il
volto. Stava tremando.

'Il mio nome è Eleanor. O almeno, è il nome che mi ha dato mio padre.' 

Lei, continuando a tremare, sorrise coprendosi il viso con le mani.
Poi ritornò lucida.

'Nella lettera che gli avevo lasciato, c'era scritto che avevo scelto questo nome per te. Ma evidentemente, era troppo adirato con me al momento. Ma...Connor....' disse lei, distogliendo lo sguardo.
'Come sta?'

'L'ultima volta che l'ho visto, stava bene. Io sono a Parigi da tre mesi.' dissi.

Nel frattempo lei continuava a fissarmi, ipnotizzata.

'Sei diventata così grande... e così bella... quanto avrei voluto vederti crescere.' disse, sorridendo, con gli occhi lucidi.

'E perchè non l'avete fatto, madre?' le chiesi. 
'Perché mi avete abbandonata?'

Lei si asciugò gli occhi, e si allontanò da me.
'Immagino che tuo padre ti avrà raccontato chissà quali cose negative su di me.'

'Non l'ha fatto. A stento vi ha nominata, in tutti questi anni. Lui, e Winston, il mio tutore.' 

Mia madre sorrise. 'Si, fortunatamente durante questi anni io e Winston abbiamo mantenuto una corrispondenza. È stato l'unico tramite il quale potevo ricevere notizie su di te...sono felice ti sia rimasto accanto.' confessò.

'Cosa? Conoscete Winston? Mio padre gli ha sempre negato di farmi vedere a voi, e lui mi aveva detto che dopo la vostra partenza da Boston non vi aveva più sentita...' dissi scandalizzata.

'Ci sono molte cose di cui sei all'oscuro, Amel... Eleanor.' disse.

'No, chiamatemi come vi pare. Tanto ormai ho perso qualsiasi sicurezza.' sbottai.

'Non fare così, bambina mia. Gesù, mi sembra così strano chiamarti così... ma vedi, il motivo per cui tutto questo ti è stato tenuto nascosto in questi anni... è stato per proteggerti. E tuo padre è il primo ad esserne consapevole, insieme a Winston.'

Io scossi la testa. 
'Tutto questo è assurdo. Mi hanno tenuto nascosta la verità per anni. E mi hanno mandata qui apposta... altro che addestramento! Lo sapevo!' dissi, con le mani fra i capelli.

'Non agitarti, bambina. Non hai tempo per farlo... Sei...anzi, siamo in una situazione critica.' disse lei.

'Beh, mi pare chiaro! Ora, di grazia, volete spiegarmi perché siete rinchiusa in casa del mio nemico, dell'uomo che vuole uccidermi?' chiesi.

'Certamente. D'altronde, sei qui per questo e hai il diritto di sapere, finalmente. Partirò dall'inizio.' sospirò.

'Poulain è... mio zio. Il fratello di mia madre, per la precisione. Si, esatto, sono nata in una famiglia di Templari. Se mi trovavo a Boston... era perché non volevo prendere parte a tutto questo. Io non ne volevo sapere di far parte di questo conflitto, non volevo essere una Templare, volevo solamente vivere una vita normale. La mia famiglia voleva costringermi a diventare un membro importante dell'Ordine, soprattutto mio zio, ma io li odiavo profondamente. Odiavo cosa facevano, odiavo far parte di una classe di nobili che lo erano solo di nome, che si interessavano solamente al denaro, al lusso e al potere. E volevo mettermi contro di loro, volevo ribellarmi. Così scappai... sulla nave per l'America conobbi Winston, un membro del Consiglio Internazione degli Assassini. Lui fu il primo di loro che conobbi. Avevo qualche anno più di te. Mi propose di collaborare con gli Assassini del ramo Statunitense, in cambio di informazioni private sull'Ordine dei Templari. Io gli dissi che non ero sicura ed ero scappata perchè non volevo far parte di tutto questo, che avevo paura mi scoprissero, e che non sapevo nemmeno come l'avrebbe presa la mia famiglia quando sarebbe venuta a conoscenza del fatto che me ne fossi andata. Mi diede tempo, ma poi, mi fece conoscere tuo padre... e tutto cambiò. Io e Connor ci innamorammo, e nonostante lui avesse spesso altro per la testa e fosse in giro per il Paese, gli dissi che l'avrei aspettato. Qualche tempo dopo portò a termine la sua missione negli Stati Uniti, e finalmente riuscimmo a vivere la nostra relazione, mentre io continuavo a collaborare con Winston per quanto potevo, con la promessa che gli Assassini avrebbero lasciato stare la mia famiglia. Ma Connor non sapeva... non sapeva che ero una Templare, nonostante avessi tradito l'Ordine per aiutare gli Assassini. E quando lo scoprì, mi abbandonò, senza più farsi sentire. Io ero disperata, caddi in depressione, pregai Winston che gli spiegasse, ma lui non voleva saperne... diceva che non gli importava, che gli avevo mentito fin dall'inizio. Nel frattempo, scoprii di aspettare te... riuscii a nascondere la gravidanza, aiutata da Winston. Ma poi, la mia famiglia venne a sapere dov'ero, poco prima che partorissi. Feci giusto in tempo a tenerti fra le mie braccia per qualche ora e poi consegnarti in quelle di Winston, prima che gli scagnozzi di mio padre e mia madre mi portassero via a forza, e mi facessero tornare in Francia. La mia famiglia sapeva tutto. Sapeva che avevo passato informazioni agli Assassini. E quando tornai, seppero anche che avevo avuto te. Mio zio Antoine, che ora è alla testa dell'Ordine, voleva uccidermi per il tradimento, e poi mandare in America i suoi scagnozzi a uccidere te, ma i miei genitori glielo vietarono e lo cacciarono di casa. Pochi anni dopo pero', entrambi morirono, e passai sotto la sua custodia... mi fece rinchiudere in questa stanza. Ed è qui che vivo miseramente da più di dieci anni. Ora, tu sei diventata un'Assassina... e lui è a capo del sedicente nuovo Ordine Templare.'

Io non sapevo veramente cosa dire.
Mio padre, Winston... mi avevano tenuto nascosto tutto questo per così tanto tempo.
Avevo sempre pensato che lei mi avesse abbandonata davanti alla porta di casa e fosse scappata via senza un valido motivo. 

'Madre, io... conoscevo solamente una versione della storia distorta... mi... mi dispiace..' mormorai, mentre un fiume di lacrime iniziò a scendermi sulle guance. 

Lei, per quello che riuscì, tentò di abbracciarmi attraverso la grata.

'Bambina mia, è a me che dispiace così tanto... se avessi potuto, ti avrei protetta anche io da tutto questo... ho desiderato così tanto vederti per tutti questi anni, e ora che sei qui vorrei ritornassi in America, perché ora sei entrata a far parte di un conflitto dal quale uscirai o viva e vittoriosa, o morta. Ma ora riesco solamente a pensare al mio cuore che sta scoppiando di gioia mentre ti tengo fra le mie braccia...' disse anche lei in lacrime, stringendomi forte.

'Mio padre... e Winston... quando tutto questo sarà finito, parlerò seriamente con entrambi.' dissi, asciugandomi le lacrime.

'Amèlie, ascolta... tesoro, loro non hanno colpe. Devi capirli entrambi: tutto quello che hanno e non hanno detto o fatto in questi anni, è stato per proteggerti. Questo devi sempre ricordarlo.' disse, guardandomi negli occhi.

Io sospirai, e annuii, ancora scossa dai tremiti di quell'emozione così forte.

'Ma ora... come faremo? Devo tirarvi fuori di qui...' dissi, cercando di capire se potessi scassinare la serratura.

'No, bambina, no.' disse lei, prendendomi le mani.

'È troppo pericoloso, adesso. Se mio zio venisse a sapere che sei stata qui... sarebbe la fine. Devi aspettare ancora qualche tempo, e sventare la piaga Templare in città. Io non so molto purtroppo, so solo che mio zio sta architettando qualcosa di losco insieme agli estremisti. Devi scoprirlo... e prima di liberare me, devi eliminare lui. Non mi succederà molto nel frattempo, finchè rimarrò chiusa qui. Anche perché la chiave di questa cella se la porta sempre dietro suo figlio, mio cugino Humbert, che lavora per lui al di fuori della politica. Lo usa come braccio destro per trattare con i fanatici. Ed è anche il mio carceriere...'

'Merda!' esclamai.

'Amèlie, pour favour, non questi termini davanti a me.' disse.

'Scusate, Madre. È che siamo ancora in alto mare, riguardo allo scoprire i piani di Poulain... sappiamo che stava raccogliendo armi. E abbiamo distrutto i depositi dove le teneva. Ma voi potreste aiutarci... riuscirete almeno a scrivermi, se sarete in grado di scoprire qualcosa?' le chiesi.

'La mia situazione è ad altissimo rischio, ma da quando Poulain mi ha chiuso in questa cella, di me non sospetta più nulla. Ho una serva qui, che può darmi una mano a consegnarti una lettera in caso venissi al corrente di qualcosa. Ma ora, bambina mia, vai. È pericolosissimo che tu sia qui. Ci rivedremo presto... quando tutto questo sarà finito.' mi prese il viso tra le mani, e mi sorrise. Io la strinsi forte in un abbraccio e la salutai.

'Non preoccupatevi, madre: sarete presto fuori di qui.' le promisi, e uscii dalla stanza segreta assicurandomi di aver richiuso bene la porta e l'entrata segreta.

Ero talmente felice e speranzosa a causa di quell'incontro, che mi sentii come nuova. Ora avevo anche un motivo personale per cui combattere, ed ero sicura che sarei riuscita ad onorarlo.

*Angolo dell'autrice*

Salve, miei cari! Allora, spero siate felici per tutto quello che è successo in questo capitolo, che è molto importante in quanto chiarisce un bel po' di cose sulla nostra Eleanor... o Amélie, a questo punto. 
Tralasciando la simpatia di Arno nella prima parte (si lo so, l'ho odiato anche io mentre me lo immaginavo uscire dalla stanza della nostra protagonista lasciandola lì come una scema hahaha) spero siate rimasti soddisfatti dal resto, soprattutto dall'incontro di Eleanor con sua madre! Spero abbia chiarito un po' di cose insieme al Flashback sulla sua infanzia, che come avrete notato è stato scritto in terza persona. Per scostarmi dalla narrazione principale, e quindi nei Flashback futuri, scriverò sempre così.
Come al solito vi ringrazio e vi invito a scrivermi le vostre opinioni!
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Un bacio,
Izzy

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Capitolo 14
*** 14. Ivre d'amour. ***


24 Luglio 1795.

*Arno's POV*

Mi svegliai abbastanza presto quella mattina, quella maledetta mattina. Era passato esattamente un anno da quando Élise era morta, proprio in quel giorno. Rilessi i suoi diari l'ennesima volta quella notte, in cerca di una qualche risposta mentre ancora le lacrime mi riaffioravano agli occhi, puntuali come ogni volta in cui facevo passare quelle carte fra le mie mani e sotto i miei occhi, a ricordarmi il mio passato ancora e ancora. In un vortice di memorie e ricordi che erano da sempre stati il mio rifugio nei momenti di sconforto.
Rividi gli ultimi anni passati insieme ad Èlise a cercare di lavorare insieme per lo stesso obbiettivo, che ora, a un occhio più distante, sembrava solo un'illusione mascherata dai nostri interessi personali che erano sempre stati troppo diversi. Lei, infiammata dalla vendetta per suo padre, pronta a rischiare qualsiasi cosa pur di ottenere quel momento di soddisfazione personale.

E poi io, giovane, ingenuo, che ero venuto a sapere di essere il figlio di un Assassino a 21 anni, in prigione dopo essere stato accusato dell'omicidio del mio patrigno e che ero stato catapultato in un nuovo Mondo nel quale la mia unica missione era quella di rimediare agli errori degli altri che avevo sempre sentito come miei. La mia ricerca per la redenzione... Il peso del Mondo sulle mie spalle. 

Èlise era stata addestrata e indottrinata fin da piccola per essere pronta a diventare Gran Maestro dell'Ordine Templare. Sapeva che era quello il suo destino.
Io invece mi ritrovavo adulto in un conflitto ben più grande di me, dentro il quale ero finito un po' per colpa del caso un po' per senso del dovere nei confronti mio padre, Charles. Non avevo idea che lui fosse un Assassino fino a quando non conobbi Bellec, che mi convinse a entrare nella Confraternita per onorare la sua memoria, e prendere parte in prima persona a quel conflitto. Un conflitto, quello tra Assassini e Templari, verso il quale nutrivo un occhio critico dall'esterno che mi aveva sempre portato a pensarla in modo particolare e a maturare negli anni una mia filosofia del Credo tutt'altro che radicale.

Raccolsi delle rose rosse dal giardino, come facevo ogni settimana, e le portai al Cimetière Des Innocents dove si trovava la tomba di Élise, accanto a quella di François e Julie De La Serre.

Mi abbassai davanti alla lapide e sostituii i nuovi fiori a quelli vecchi.
Poi fissai la lapide, cercando, sperando che succedesse non sapevo cosa.

'È passato un anno, Élise. Eppure sento la tua mancanza come la sentivo il giorno in cui ti ho perduta. Cosa dovrei fare, ora?' mi fermai con gli occhi lucidi, sperando mi parlasse, ovunque fosse. 

'Ho passato un anno che credevo di non superare nemmeno per metà. Ho passato mesi a ubriacarmi, piangere, senza fare nulla di buono. Poi, come avevi previsto tu, sono diventato Maestro Assassino. Dopo che io e te abbiamo eliminato Germain insieme. Involontariamente, mi hai aiutato a uscire da quella situazione. 
Ma Élise, ho conosciuto una persona ultimamente... si chiama Eleanor, e mi sta veramente aiutando a uscirne, anche più della Confraternita. Solo che non so se sarò capace a lasciarmi andare completamente. Eleanor é un'Assassina. Corre i miei stessi rischi tutti i giorni, e se la perdessi come ho perso te, non so cosa farei. Cosa devo fare, Élise? Rispondimi, ti prego.' 

Rimasi lì per alcuni secondi, avrei venduto l'anima per avere una sua risposta, in quel momento. Nonostante dovessi sembrare un pazzo per il solo fatto di stare parlando con una lapide.

'Buonasera, Monsieur. Io non mi chiamo Èlise, ma ho sentito tutto.' una voce alle mie spalle mi fece girare di scatto.

Un uomo di circa quarantacinque anni si trovava in piedi dietro di me.
Nonostante la povertà che aveva colpito la popolazione lui era vestito elegantemente, in una divisa scura, portava un tricorno e dei libri sotto il braccio destro. Doveva essere un membro della Convenzione, come minimo.

'Pardonnèz-moi per la mia curiosità. Piacere di conoscervi, sono il Segretario Pierre-Ambroise François Choderlos de Laclos, ma probabilmente avrete sentito il mio nome in altre occasioni.' fece un mezzo inchino.

Io mi alzai e gli strinsi la mano.

'Arno Dorian. Posso chiedervi come mai mi stavate ascoltando, Monsieur de Laclos?' lo scrutai, e in effetti mi resi conto di aver già sentito quel nome.

'Beh, nonostante io sia un Segretario alla Convenzione il mio vero mestiere è quello dello scrittore. Non so se avete sentito parlare del mio romanzo, Les liaisons dangereuses.' disse, mentre iniziammo a camminare verso l'uscita del cimitero.

'Mi pare di si, in effetti. Avevate suscitato piuttosto scalpore dopo averlo pubblicato, non è così?' chiesi. Io dovevo avere circa quattordici anni all'epoca, e mi ricordavo che le ragazze un po' più grandi di me si passavano segretamente quel libro ai balli di corte, e diventavano paonazze sfogliandone le pagine.
De Laclos ridacchiò.

'Già, è stato un periodo molto felice della mia vita. Comunque, signor Dorian, quello che mi ha incuriosito di voi è il modo con cui parlavate a quella tomba. Era la vostra fidanzata, quell'Élise?'

'Si. È morta un anno fa.' risposi.

'Capisco, e mi dispiace. Ma, vedete... nonostante il mio romanzo parli di personaggi libertini e dell'amore carnale, in realtà dopo aver passato quasi un anno agli arresti domiciliari sotto il Terrore di Robespierre ho cambiato la mia visione e sono diventato un romantico, probabilmente anche grazie alla Rivoluzione. E sentendovi parlare davanti a quella lapide, sono rimasto positivamente impressionato. Avete nominato una certa Eleanor, esatto?'

'Si, è... una ragazza che ho conosciuto di recente. E che mi ha riportato quella serenità che ho cercato per anni, da quando sono venuto a far parte di tutto questo. Ma vedete, Segretario, io e lei facciamo un mestiere pericoloso... e ho paura di perderla, come ho perso Èlise.'

'Questo è comprensibile. Ma, mon frère, siete giovane. E un bel giovane. Non precludetevi la felicità da solo, perchè potete ottenerla nel modo più semplice possibile: aprendo il vostro cuore. So che probabilmente ve lo sarete già sentito dire, ma Élise fa parte del passato, e per quanto fosse idilliaco, o per quanto l'aveste amata, purtroppo non tornerà. Questa ragazza invece, Eleanor... fa parte del presente... e del futuro. Ed è lì che aspetta solo voi. Da quello che mi avete detto capisco che vi siete affezionato a lei: non lasciate che la paura di quello che di spiacevole possa accadere, impedisca alla serenità di far finalmente parte della vostra vita. Lasciatevi andare, rischiate. Amate di nuovo: la Francia è quasi libera, e voi libererete anche il vostro cuore...Sono sicuro che Élise vorrebbe vi rifaceste una vita. Vorrebbe vedervi felice.' disse.

Io non sapevo cosa rispondere. Non riuscivo a trovare una risposta a mia difesa che fosse sufficientemente adatta a controbattere a quello di cui mi aveva appena fatto rendere conto Monsieur de Laclos, o meglio, era una cosa che sapevo già, ma che mi spaventava. E dentro di me, in quel momento... ebbi la conferma, per un secondo, che quello che aveva detto era la verità. 
Percepii qualcosa di nuovo e bellissimo che non avevo mai provato prima accendersi nel mio petto.

Avevo sofferto già abbastanza. 
Rischiavo già abbastanza la mia vita tutti i giorni, in quelle strade. 
E no... non volevo morire da solo.
Un po' di felicità me la meritavo.

'Merci, Monsieur De Laclos. Davvero!' esclamai e gli strinsi la mano, per poi correre veloce come il vento verso il Cafè Theatre.

'Ah, cette jeunesse! Bonne Chance, Arno!' lo sentii esclamare, prima che io spiccassi un balzo verso la parete di un palazzo. 

Entrai nella stanza di Eleanor dalla finestra, e vidi che stava ancora dormendo. Lanciai il mio cappotto sulla scrivania, e mi avvicinai al letto.

La osservai per qualche secondo: era riversa su un fianco, la camicia da notte le era scesa da una spalla, i capelli sparpagliati sul cuscino. Era davvero bellissima, con le labbra socchiuse e le guance leggermente arrossate, il sole che stava per colpire il suo volto appoggiato sul cotone bianco delle lenzuola.

Mi sedetti sul letto, e le scostai un ciuffo dal viso. 
Non riuscii nemmeno a sfiorarla che, in un secondo, aveva afferrato il pugnale che teneva sul comodino e me lo stava puntando alla gola, dopo avermi fatto stendere sotto di lei e avermi bloccato in mezzo alle sue gambe.

'Bonjour anche a te, lionne.' dissi sarcastico stringendo i denti, sotto il suo sguardo soddisfatto.

'Non puoi dire che io non abbia i riflessi pronti.' disse lei, sistemandosi i capelli dopo aver riposto il pugnale.

Io mi tirai su sui gomiti, in modo da poterla ammirare meglio.

'Sono pronti, certo, anche troppo. Non dovresti sfoggiarli con me pero', sai? Io sono innocuo.' scherzai.

'Così innocuo da importunarmi nel sonno, la mattina del mio giorno libero? Chiunque osi sfidarmi in questo modo è tutto fuorché innocuo. È minaccioso. E io odio le minacce.' incrociò le braccia.

'La realtà è che c'è un motivo, per cui sono qui...' la presi dietro la nuca e la avvicinai a me, rubandole un bacio.

*Eleanor's POV*

'Ah si, e quale sarebbe?' gli chiesi, sorridendo fra un bacio e l'altro.

Arno mi colse di sorpresa e cambiò le posizioni, facendomi ritrovare sotto di lui. Lo guardai per qualche secondo e lui mi baciò di nuovo, mentre le sue mani vagavano liberamente sopra la mia camicia da notte, finchè la sua mano destra non si insinuò all'interno di essa risalendo la mia coscia, il fianco, la pancia, e mi afferrò un seno, per poi ripetere il percorso e fermarsi in mezzo alle mie gambe, dove toccò il mio punto più sensibile, facendomi sussultare.

'Arno...' mormorai, in un tono di voce che poteva essere interpretato come una supplica sia a farlo fermare, che a farlo continuare. 

Vidi il suo sguardo farsi più intenso e soddisfatto mentre la mia espressione e i miei respiri cominciavano a cambiare, a seconda di quello che mi stava facendo.

'... Era questo il motivo...' sussurrai, causandogli una risata.

'Esatto.' disse lui, e continuò quello che stava facendo, mentre io mi sentivo pervadere da una sensazione che cresceva sempre di più in mezzo ai miei fianchi.

Arno, mentre continuava il lavoro che stava facendo con la mano, mi baciò ancora, quasi assorbendo il mio piacere.

'Cristo...' mormorai, scossa da un'ondata di brividi che mi fece scuotere dentro e fuori.

'Sei pronta... come lo sono io. Finalmente.' sussurrò, e si tolse la camicia. Rividi quello che avevo visto una settimana prima circa, davanti a me. E ne fui particolarmente felice. Un corpo perfetto, che invitò le mie mani a tracciare quante più linee possibili su quel torso che sembrava scolpito nel marmo. Sfiorai le linee delle sue cicatrici, mentre lui si sbottonava i pantaloni.

'Arno... io non ho... non ho mai...' mormorai, non riuscendo a guardarlo negli occhi.

Lui si abbassò di nuovo su di me, accarezzandomi la guancia con un dito.

'Lo so, mon ange. E io sono stato con una sola donna. Non ti preoccupare. Solo... lasciati andare, e fidati di me.' disse, e mi sorrise.

Io lo fissai negli occhi, che quella mattina erano più verdi del solito, e annuii.

Sentii le mie pareti crollare mentre Arno entrò in me, lentamente, la sua testa accanto alla mia, le sue labbra premute sulla mia tempia, mentre io mi mordevo il labbro e mi aggrappavo alla sua schiena e alle sue spalle, quasi ritirandomi per il dolore iniziale. Le mie unghie affondarono nella sua carne, causandogli un lieve gemito di dolore.

'Eleanor...' sussurrò, e poi iniziò a muoversi lentamente, su di me, facendomi abituare alla sua presenza.

Sentii una lacrima scendermi sulla guancia.

'Guardami negli occhi, Arno, ti prego.' lo supplicai, e lui lo fece, appoggiando la sua fronte sulla mia e stringendo le dita delle sue mani nelle mie ai lati del mio viso, sul cuscino.

Lentamente, il dolore iniziò a svanire, lasciando posto ai brividi di piacere di prima, che si fecero sempre più intensi, ad ogni spinta.
Sembrava che nel silenzio di quella camera non ci fosse più nulla. Solo io, Arno, e i nostri respiri, che si fecero sempre più affannosi.

La mia fronte e la sua, imperlate di sudore, tremanti, non si staccarono fino al raggiungimento del culmine, prima del mio, e poi del suo, dentro di me.

Rimanemmo così per qualche minuto, petto contro petto, Arno ancora sopra di me, a riprendere fiato.

Poi si scostò, e mi accarezzò i capelli.

Io ero ancora scossa, e molto stanca. Sentii qualcosa fra le gambe, e dopo aver controllato vidi del sangue sulla mia mano. 

'Hai sanguinato un po'. Non preoccuparti, è del tutto normale.' mi rassicurò lui, baciandomi la fronte.

'Arno, è stato... meglio di quanto mi aspettassi.' dissi, e lui rise.

'Per la tua prima volta, te la sei cavata egregiamente.' 

Io arrossii, e mi girai di lato verso di lui, scrutandolo.

'Arno... che cos'è successo per farti correre da me, questa mattina, e finalmente... voglio dire... fare questo?' chiesi, davvero curiosa.

Lui sorrise, e alzò lo sguardo verso la finestra.

'Sono stato illuminato. E non dalla luce del sole... da quella della ragione. E del cuore.' rispose.

'Non credo tu abbia ricevuto questa "illuminazione" da solo, mio caro...' dissi, appoggiando la mia testa sulla sua spalla.

'Beh, diciamo che ho ricevuto dei graditi suggerimenti. Da uno sconosciuto, tra l'altro...' ridacchiò.

'Non sono sicura di voler onoscere il suo nome, ma buono a sapersi...' dissi io. 'Gli sconosciuti possono migliorare veramente le nostre giornate, eh?' 

Lui annuì con un sorriso, e mi stampò un bacio sulle labbra.

Poi presi un bel respiro, e finalmente decisi di condividere con lui quello che mi era successo.

'Arno, in questi giorni sono successe delle cose che mi riguardano...' 

Lui si girò verso di me, incuriosito.

'Ovvero?' chiese.

'Ho scoperto delle cose... su mia madre. Me le ha confessate la Baronessa Deschamps prima di morire, e...' iniziai a raccontargli tutto quello che avevo scoperto, dell'incontro con mia madre, del fatto che fosse la nipote di Poulain.

'Sei stata al suo palazzo senza dirmelo? E perlopiù, sei entrata in una stanza segreta? Eleanor... è inutile che ti dica che avresti potuto finire male, molto male! Se ti avessero presa... '

'Arno, ho controllato ovunque prima di entrare. E poi non potevo aspettare... è mia madre.'

'Si, hai ragione... Ma devi stare attenta comunque. Se ti avessero beccata, non voglio immaginare cosa ti sarebbe successo. Per non parlare del fatto che non me ne avevi messo al corrente... In fin dei conti pero', sono felice che tu ti sia ricongiunta con tua madre: ora hai anche un motivo personale per cui batterti.' disse.

Io sorrisi. 'É quello che ho pensato anche io. E mia madre ha detto che se verrà a scoprire qualcosa, troverà un modo per farcelo sapere... anche se quello che interessa a me è riuscire a prendere quella stramaledetta chiave, per riuscire a liberarla.'

'Questo è un problema... se riuscissimo ad avvicinare lui o anche suo figlio, sarebbe solo per ucciderli. Sappiamo entrambi quanto è stato difficile provarci, l'ultima volta. E lui sa che tu sei qui. Eleanor, devi fare attenzione: hai fatto bene a non farti notare e a rimettere tutto a posto quando hai incontrato tua madre... ma non hai pensato che forse Poulain sapeva che tu saresti andata lì? Non ti ha insospettito il fatto che non ci fossero guardie?' mi chiese.

Io riflettei. 'Può darsi, ma anche la Baronessa è imparentata con mia madre. Forse ha avuto un momento di pietà verso di lei e verso di me in punto di morte, confessandomi che si trovava prigioniera nel suo palazzo. E forse Poulain questo non lo sapeva.'

'Non ne sarei così sicuro, dopo aver sentito quello che mi hai raccontato sulle vicende della famiglia di Poulain... che è anche la tua, alla fine. Ed è una famiglia decisamente particolare.' commentò.

'Già... assurdo. I miei peggiori nemici hanno un legame di sangue con me. Eppure, non sento nulla nei loro confronti, se non il desiderio di fargliela pagare per aver tenuto mia madre rinchiusa per anni... e anche ovviamente per il fatto che facciano parte dell'Ordine dei Templari.' dissi.

'Mi fa piacere che tu sia così risoluta. Sei cambiata dalla prima volta che ti ho incontrata. Questi mesi ti hanno fatta crescere veramente moltissimo...'

Io sorrisi. 'Grazie, Arno... devo confessare pero' che ho paura di quello che ci aspetta... di quello che succederà con Poulain, con la Nazione...'

'Qualsiasi cosa accadrà, hai me, hai Etienne e Camille, e abbiamo anche l'alleanza con Napoleone, che ormai ha il totale favore del corpo di Guardia della Convenzione ed è pronto ad appoggiare noi qualsiasi cosa succeda in città, con Poulain e i realisti. Dobbiamo solo aspettare di scoprire qualcos'altro sui loro piani, e poi saremo pronti a rispondere. Insieme.'

'Ne parlerai con Napoleone? Di quello che ti ho detto?' gli chiesi.

Arno mi guardò, e mi accarezzò la guancia.

'Solamente se tu vorrai. Ma in ogni caso mi sembra superfluo coinvolgerlo, lui ha già altre cose di cui occuparsi, e poi ricordati che ti ho detto: è nostro alleato, ma dobbiamo fare attenzione con lui. Se gli diamo troppe cose in mano sarebbe capace di sconvolgere anche i nostri piani: il potere che ha già in mano gli basta e gli avanza.'

Io annuii. 
'Sono d'accordo con te. In ogni caso grazie, per tenere in considerazione la mia approvazione.'

'Mi sembra il minimo, Eleanor.' disse lui, e mi stampò un bacio sulle labbra.

28 Agosto 1795.

*Arno's POV*

Quel mese passò abbastanza in fretta, alla Confraternita non arrivarono molte novità ma noi Assassini cercavamo, per quanto possibile, di limitare le insurrezioni nelle strade di Parigi, sia da parte degli estremisti rivoluzionari che di quelli realisti.

Eleanor non aveva ricevuto lettere importanti da sua madre. Le aveva scritto una volta sola, dicendole che purtroppo non le arrivavano notizie di particolare rilevanza dalla sua cameriera, se non per gli orari di uscita e rientro di Poulain al Palazzo: la mattina presto, e la sera tardi. Non riceveva ospiti in casa da qualche settimana, e questo significava che molto probabilmente aveva cambiato alleati, e li stava incontrando fuori casa per minimizzare i sospetti. Avremmo dovuto seguirlo, ma a tempo debito.

Per la Francia e per Parigi quelli erano dei giorni decisivi, la Convenzione stava approvando la Costituzione del nuovo anno. Avrebbe sostituito finalmente, per una volta, quella vecchia di Robespierre.

Quello che temevamo tutti era che questa nuova Costituzione sicuramente sarebbe stata a sfavore dei filomonarchici realisti, e questo significava ancora disordini in città. Significava nuove alleanze e nuovi nemici, soprattutto per Poulain.

'Allora, cosa succede?' entrai a casa di Napoleone senza farmi vedere all'esterno.

Chiusi la porta e lo vidi stravaccato sulla sua scrivania, con varie bottiglie di liquori a terra, fra cui una mezza vuota vicino alla sua mano destra.

Lui era pallido, con due occhiaie terribili, la camicia sbottonata, un'espressione sconvolta in viso.

'Credo che il mio aspetto sia abbastanza eloquente, Arno.' mi disse in un tono di voce che nascondeva una punta di disperazione.

Io andai vicino a lui e gli misi una mano sulla spalla.

'Cristo amico, hai davvero un aspetto orribile. Che è successo?' 

'Ho rifiutato l'incarico al confine. Credevo che non avrebbe causato chissà quale scompiglio... invece ho deluso tutti quelli che apparentemente credevano in me. Capisci, Arno? Non sapevo nemmeno di essere così acclamato e di avere un'aspettativa così grande sulle mie spalle.'

'Napoleone, avevi detto che avevi la situazione sotto controllo...'

'Lo so, lo so! Per Dio, non infierire. È sotto controllo... almeno qui in città.' disse lui, sorseggiando un po' di liquore dalla bottiglia.

'Certo, lo vedo.' commentai sarcastico.
'Dammi quel veleno. Contribuisce solamente a farti sentire peggiore, fidati di me.' gli tolsi la bottiglia dalla mano, e ne assaggiai un sorso.

'Poutain! È terribile. Chi ti ha dato questa merda? Ho bevuto del liquore migliore persino al Marais!' esclamai disgustato, sputando quello che avevo appena ingerito.

'Quell'incompetente del mio governante, l'unico uomo che mi è rimasto attorno, non sa leggere le etichette e si fa imbrogliare dai negozianti. Ma tanto non mi interessa, tutto quello che mando giù ha lo stesso sapore.' si lasciò cadere sulla poltrona dietro di lui.

'È la prima volta che ti vedo in queste condizioni e la cosa non mi entusiasma affatto.' sbottai, seriamente preoccupato.

'Arno.. mi hanno tolto i ranghi. Hanno perso qualsiasi fiducia nei miei confronti. Il corpo di Guardia Nazionale conta su di me... che figura posso farci, se esco di casa in queste condizioni?' 

'Ti aiuterò io, Napoleone. Ma tu devi promettermi che la smetterai di ingerire alcol. Non è il modo giusto di affrontare le cose: credimi, io lo so bene.'

Lui annuì, e si prese la testa fra le mani, tirando un lungo sospiro.

'Non faccio altro che scrivere pensieri sulla morte e la condizione misera dell'essere umano. Mio fratello è partito per la Corsica con sua moglie e la sorella di lei, che mi sto seriamente pentendo di non aver sposato. Ho perso quasi tutte le mie relazioni con i membri della Convenzione. Mi resti solo tu, Arno... tu e Paul Barras.' 

'Quel Paul di cui mi avevi parlato... Il Presidente della Convenzione?'

'Si, lui. Non so quanto ne sappia di quello che mi è successo... ma forse è l'unico che nutre ancora qualche speranza nei miei confronti. Ho bisogno che tu vada a parlargli per conto mio, quando verranno fuori i risultati dei plebisciti per la nuova Costituzione.' 

Io annuii e gli diedi una pacca sulla spalla.
'Lo farò. Ma tu devi rimetterti in piedi, intesi? Comincia a fare qualcosa di utile invece di piangerti addosso.'

Lui annuì, e mi strinse il braccio.
'Grazie, Arno. Questo gesto non sarà dimenticato.' 

'Per un amico e un alleato, questo e altro. Ci sentiremo fra qualche giorno, quando salteranno fuori i risultati dei plebisciti e avrò parlato con Barras.' gli dissi, e dopo avergli stretto la mano mi avviai all'uscita.

*Angolo dell'autrice*

Li sentite? Li sentite anche voi i cori angelici? Si esatto, immagino che questo capitolo fosse atteso con trepidazione. Finalmente Arno si è lasciato andare con la nostra protagonista... grazie all'intervento di un perfetto sconosciuto! Gli ci voleva uno scrittore per fargli rendere conto che fosse ora di darsi una mossa, a quanto pare... Hehehe. Comunque, apparte l'inevitabilmente tanto attesa scena, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ultima scena compresa, con il nostro povero Napoleone in preda ai fiumi dell'alcol e al pessimismo causati da una delusione professionale che sta facendo molta fatica a sopportare. Riuscirà Arno a dargli una mano, in mezzo al gran fermento che causeranno i plebisciti per il decreto dei due terzi? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, che purtroppo arrivera un po' tardi per degli impegni scolastici, ma tranquilli, arriverà. Come al solito, vi invito a scrivermi che ne pensate, e vi mando un bacio e un abbraccio per il supporto che state dando alla storia. <3
Izzy

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Capitolo 15
*** 15. Coccarde tricolori e fazzoletti rossi. ***


*Eleanor's POV*

6 Settembre 1795.

Io e Arno eravamo usciti insieme quel giorno, per andare a sentire i risultati dei plebisciti.

'Ecco a voi, Mademoiselle. Vive la France!' esclamò un repubblicano, dopo avermi attaccato una coccarda con i colori della bandiera francese al petto.

'Merci, Monsieur. Allora, sono usciti i risultati?' gli chiesi.

'Oui, ha vinto il si. La Convenzione Nazionale verrà sciolta, e due terzi dei membri dei Consigli saranno formati dai suoi ex membri. Il potere esecutivo ora è in mano al Direttorio. Venite con noi, andiamo a festeggiare alle Tuileries!' 

Io mi girai verso Arno, che mi stava guardando con due occhi che dicevano tutto.

'Ci piacerebbe, Monsieur, ma abbiamo da fare... buona giornata!' lo salutai con un sorriso, che lui ricambiò con un mezzo inchino.

'Come ci aspettavamo.' disse Arno.

'E ora?' chiesi io.

'E ora, Poulain attirerà i filomonarchici dalla sua parte definitivamente, e Dio solo sa cosa avranno in mente di fare.' rispose lui.

'Quell'uomo è un opportunista... Credi che stia meditando qualcosa?' gli chiesi.

'Certo che si! Ora, non so se è fra coloro i quali sono stati scelti per far parte del nuovo Consiglio dei Cinquecento o no: ma se è fra quelli fatti fuori probabilmente farà qualcosa per vendicarsi. E può di certo contare sui filomonarchici, che sono stati esclusi dal nuovo Governo!'

'Dobbiamo scoprire se è fra i nuovi membri, ora. Dobbiamo andarci sul serio alle Tuileries, il prima possibile!' esclamai.

Così io e Arno ci dirigemmo al Palazzo delle Tuileries, dove riuscimmo ad infiltrarci grazie all'enorme confusione che si era riversata sulle strade. Le Guardie della Convenzione ora erano le Guardie del Direttorio, e grazie alle conoscenze che Napoleone aveva al Governo, ora potevamo farci aiutare.

'Dobbiamo trovare Barras.' mi disse Arno, mentre ci dirigevamo all'interno del Palazzo, nel quale atrio erano riversati tutti i membri dell'ormai ex Convenzione e dei Consigli (tranne i filomonarchici, ovviamente, che erano stati esclusi), fra cui Barras, il Presidente, che stava discutendo sul fondo della sala con gli altri membri del neonato "Direttorio".

'Sei sicuro valga la pena chiedere direttamente a Barras?' chiesi ad Arno.

'Mi ha chiesto Napoleone di parlare con lui... ma forse per sapere di Poulain è meglio rivolgerci a qualcun altro...' riflettè.

'Esatto, intendevo questo. C'è qualcun altro che conosci, qui dentro? Dimmi di si, perché stanno iniziando a notarci.' dissi tirandolo per una manica in un angolo, in modo da non farci vedere troppo.

'Oddio, non credo proprio. Ma aspetta... si, in effetti c'è qualcuno che conosco!' esclamò lui, sorridendo soddisfatto.

Io feci un'espressione confusa, e Arno mi disse di aspettarlo lì, mentre andava a chiamare questo "qualcuno".

Cinque minuti dopo tornò da me seguito da un uomo sulla quarantina.

'Ah, così siete voi Mademoiselle...Eleanor. Arno, hai fatto proprio bene a seguire i miei consigli, devo dire.' disse l'uomo, dopo avermi scrutato per bene, e avermi baciato la mano. Era molto cortese.

'Lieta di conoscervi, Monsieur...' 

'Pierre-Ambroise François Choderlos De Laclos. Ma chiamatemi semplicemente Segretario De Laclos, mia cara.' mi sorrise cordialmente.

'Come desiderate, Segretario. Io sono Eleanor Kenway.' risposi.

'Sai, Arno mi ha parlato molto di te...' cominciò.

Io guardai Arno corrugando le sopracciglia, ma poi capii.

'Arno, non sarà mica lui quello sconosciuto di cui mi parlasti qualche tempo fa?' dissi con un mezzo sorriso.

'È proprio lui.' ridacchiò Arno. 'E beh, ci tenevo a fartelo conoscere.'

'Ah! Beh, allora vi ringrazio per averlo fatto rinsavire, Monsieur...' dissi sarcastica, suscitando l'ilarità del segretario e l'imbarazzo di Arno.

'Beh, ho avuto un'occasione e non l'ho sprecata. Mi sarebbe dispiaciuto non vedere insieme una bella coppia come voi.' commentò dando a entrambi una pacca sulla spalla, mettendo in imbarazzo anche me.

'Ehm, tornando al motivo per cui siamo qui...' Arno alzò un dito. 'Segretario, avremmo bisogno di alcune informazioni.' 

De Laclos annuì. 'Sarò lieto di aiutarvi. Ma se sono informazioni particolari, è meglio spostarsi in luogo più silenzioso e appartato. Venite con me.'

Entrammo in un piccolo studio alla fine del corridoio.

'Allora, come posso aiutarvi?' chiese De Laclos sedendosi alla scrivania.

'Ecco, noi... volevamo sapere se Antoine Poulain è nella lista dei membri dell'Ex Convenzione Nazionale che sono stati integrati nei nuovi Consigli.' chiesi io.

'Mhh.. Antoine Poulain, ho già sentito questo nome... ma certo! Faceva parte dell'ala destra all'inizio della sua carriera, con i filomonarchici. Successivamente è stato eletto insieme a Lagarde, fingendosi moderato: questo pero' non ha contribuito a salvarlo dall'espulsione oggi. Lagarde è morto un paio di mesi fa, se non sbaglio, alla Corte dei Miracoli. Gli Assassini. Poulain l'aveva scampata, ma insieme avevano condotto sempre attività sospette nei bassifondi di Parigi, alleandosi segretamente con i gruppi violenti di estremisti sia rivoluzionari che monarchici, a seconda di come tirava l'aria. Oggi finalmente sono stati tutti espulsi dalla Convenzione, quindi credo proprio che sia stato eliminato anche lui, con i plebisciti...' disse De Laclos.

Io e Arno ci guardammo preoccupati, anche se ce lo aspettavamo entrambi.

'Grazie, Segretario. Ora dobbiamo andare, ma ci siete stato di grande aiuto.' disse Arno.

'E di cosa, miei cari? Spero di vedervi presto! Buona fortuna per le vostre missioni.' disse, roteando il polso: sulle sue dita brillò un anello simile al mio, con il simbolo degli Assassini. Io e Arno ci scambiammo uno sguardo soddisfatto: era un nostro alleato.

'Vado a parlare con Barras di Napoleone, aspettami sul tetto.' mi disse Arno, mentre uscivamo dal corridoio.

Io annuii, e salii le scale del palazzo, per poi arrampicarmi sul tetto e riflettere su quello che ci aspettava d'ora in poi.

Poulain era fuori dal governo, insieme a tutti quelli che probabilmente aveva attirato dalla sua parte nella destra della Convenzione. Questo significava tutto e nulla: era una notizia positiva per il fatto che i Templari erano definitivamente espulsi dal Governo, e quindi non potevano più contare su appoggi dall'alto.
Ma questo significava anche che, ora che Poulain era fuori dai giochi, poteva contare su qualsiasi realista espulso dalla Convenzione per vendicarsi. 
Quindi dovevamo tenere gli occhi ancora più aperti di prima.

'Hei, ho parlato con Barras.' la voce di Arno mi destò dai miei pensieri.

'Che ha detto?' 

'Fortunatamente, crede ancora in Napoleone. Dice che non esiste un generale come lui in tutta Parigi e che si ricorda ancora come ha bombardato delle navi a Tolone due anni fa. Insomma, ha fatto intendere che lo sostiene ancora, e che se si presenterà l'occasione, non esiterà a chiamarlo all'azione. E ci ha rassicurato a proposito dell'appoggio del Corpo della Guardia Nazionale.'

Io sospirai, sollevata.
'Bene, per fortuna. È importante avere un sostegno così in alto per noi, ora che Poulain e i Templari sono ufficialmente fuori dal governo... Dio, mi sembra persino impossibile sia successo.' ridacchiai.

'Lo sembra, si. Ma sappiamo entrambi che significa questo. Sicuramente Poulain preparerà una reazione per le strade. A quel bastardo piace fare casino.' commentò lui.

'Allora dobbiamo sorvegliarle ancora meglio d'ora in poi, giorno e notte, in cerca di movimenti o incontri sospetti. Inizieremo subito, domani. Io perlustrerò la zona a nord della città, insieme ad Etienne.' 

'Ti adoro quando prendi l'iniziativa.' disse Arno con un sorrisetto.

Io alzai un sopracciglio.
'Credevo mi adorassi sempre...' 

'Nah, sarebbe scontato. Sai anche farti odiare a volte.' 

'Beh, ho imparato da te.' dissi incrociando le braccia con aria di sfida.

'Cosa staresti insinuando?' chiese minaccioso, avvicinandosi.

Io lo presi per il colletto e feci per baciarlo, ma mi fermai un millimetro prima di sfiorargli le labbra.

'Se arrivi prima di me al Cafè, forse lo scoprirai.' sussurrai e saltai giù dal palazzo, seguita un nanosecondo dopo da Arno.

'Lo sai benissimo che sono imbattibile in quanto a velocità!' urlò superandomi.

'Certo che si, era una trappola infatti!' dissi ridendo, mentre cercavo di raggiungerlo. 

Come avevo previsto, tagliò il traguardo di fronte al palazzo prima di me ed entrò, sparendo all'interno.

'Arno?' lo chiamai salendo le scale, ma arrivata al piano superiore sentii afferrarmi per il braccio destro.

'Razza di cretino, mi hai fatto prendere un colpo!' dissi mettendomi una mano sul petto, e cercai di riprendermi dallo spavento.

'Cosa diavolo sta succedendo?' sentii la voce di Heléne dal piano di sotto.

Io e Arno ci guardammo preoccupati e scoppiammo a ridere. 

'Niente Heléne, tranquilla!' gridai io.

'Assolutamente niente!' - ripetè Arno - 'Bugiarda.' sussurrò poi al mio orecchio.

'Ok, ho capito, torno a casa! Tanto so già come va a finire qui...' disse Heléne dal piano di sotto, facendo scoppiare a ridere di nuovo tutti e due.

Quando sentì la porta del Cafè chiudersi, Arno mi trascinò all'interno della mia camera, chiudendo la porta dietro di lui.

'Calcolatrice che non sei altro.' disse prendendomi per i fianchi e bloccandomi fra il suo corpo e il muro della mia stanza.

'Chi? Io? Non mi apprezzavi forse per la mia innocenza?' risposi in tono malizioso, mentre Arno mi bloccava le mani dietro la schiena.

Lui rise non togliendo i suoi occhi da me.
'Fidati, in questo momento con quell'espressione sembri tutto tranne che innocente. Non che la cosa mi dispiaccia, eh...' 

Io sorrisi e gli morsi il labbro, e in risposta lui mi baciò, allentando la presa sui miei polsi. Mi offrì così l'occasione di togliere prima la sua giacca, e poi la mia.

Lo feci cadere seduto sul letto, per poi sfilarmi lentamente il gilet e la camicia.

Il suo sguardo era concentrato su di me, e subito dopo le sue mani afferrarono i miei fianchi avvicinandomi a lui.

Io ne approfittai per sfilargli il fazzoletto dal collo e togliergli la camicia. 

Mi fiondai sulle sue labbra tenendogli fermi i polsi e alzandoli sulla sua testa, per poi legarli saldamente alla testiera in ferro battuto del letto con il fazzoletto rosso che gli avevo appena sfilato dal collo.

'Cosa diavolo stai facendo?' mi chiese lui, staccandosi dalle mie labbra, contemporaneamente eccitato e preoccupato.

Io sorrisi maliziosa e gli diedi un bacio all'angolo della bocca.

'Shh. Lasciami fare.' sussurrai.

'Al diavolo, Eleanor. Slegami, o giuro che...' rise Arno, cercando di liberarsi. 

'Cosa, sentiamo? Mon chère, devi fare il bravo... Altrimenti non ci possiamo divertire.' dissi sarcastica, dopo essermi alzata su di lui e aver incrociato le braccia.

'Io non mi sto divertendo! E poi, non ero io quello che ti dava ordini, una volta?' chiese guardandomi dal basso. Alcuni ciuffi di capelli gli si erano posati sugli occhi.

Io glieli scostai ai lati del viso.

'Hai detto bene: una volta. Ma ora se non vi dispiace comando io, Monsieur Dorian.' iniziai a sbottonargli i pantaloni, e poi sfilai i miei.

Iniziai a baciarlo dal collo, alle clavicole, al petto, agli addominali, fino a quando non arrivai proprio lì dove si era concentrata tutta la sua eccitazione.

'Beh, potrei abituarmi a farmi legare, se il premio è questo...' sussurrò emettendo più aria che voce, mentre io avevo preso il controllo della situazione, e lo stavo soddisfacendo con la bocca. 

Mi fermai prima di concludere di proposito, e sentii un verso di lamentela da parte di Arno.

Ridacchiai, e una volta finito mi passai il pollice sulle labbra.
'Sapevo che avresti apprezzato.' 

'Sono troppo indulgente nei tuoi confronti...' mormorò ad occhi chiusi, riprendendo fiato.

Io sorrisi.
'Forse... ma tranquillo, io non lo sarò nei tuoi ora.' dissi, e dopo essere salita sopra di lui presi di nuovo il controllo, accogliendolo dentro di me per poi iniziare a muovere i miei fianchi sopra i suoi.

'Fammi almeno riprendere fiato.' si lamentò di nuovo, ed io ridacchai in risposta, continuando a muovermi sopra di lui.

Mi abbassai sul suo viso, fissandolo negli occhi.
'...No.' sussurrai, e iniziai a muovermi più velocemente, causandogli un gemito.

'Mi rifiuto di concludere senza averti toccato.' disse stringendo i denti, e prima che riuscissi a raggiungere il culmine, fu in grado di liberarsi e scostarmi da lui. 
Dalle mie labbra uscí una risata.

Prese il fazzoletto che avevo usato io prima e, dopo avermi girata con il viso sul cuscino e la schiena verso di lui, mi prese i polsi e li legò nello stesso punto in cui lo erano stati i suoi.

Io non riuscivo a trattenermi dal ridere.
'Arno Dorian che prende il controllo della situazione... incredibile.' sbottai sarcastica alzandomi sui gomiti, ma ricevetti una sculacciata come risposta.

'Continua pure a sottovalutarmi.' sussurrò lui al mio orecchio ed entrò di nuovo dentro di me, causando la spontanea reazione dei miei fianchi che si alzarono verso i suoi. 

'Je suis désolé.' gemetti, mentre Arno aumentava il ritmo e finiva quello che avevo inziato io poco prima facendomi arrivare al culmine, che soffocai nella morbida stoffa del cuscino.

Poco dopo anche lui lo raggiunse dentro di me, ansimando al mio orecchio, e mi baciò la guancia.

Si scostò, lasciandosi cadere accanto a me sul letto, e poi mi liberò i polsi.

'Non ti sottovaluterò più, promesso.' mormorai guardandolo in viso, e lui sorrise soddisfatto. 'Non a letto, almeno.' 

Arno scosse la testa ridendo e mi avvicinò a lui, afferrandomi per i fianchi con il braccio.

'Arrogante fino alla fine.' disse, e mi baciò la fronte. 

Alzai il viso e scrutai il suo volto, la linea della mandibola, la pelle leggermente bagnata dal sudore, i capelli arruffati... e poi la linea del collo, il pomo d'adamo, le clavicole, dove feci passare il mio indice.
La cicatrice che gli avevo cucito non molto tempo prima si era quasi completamente rimarginata.

'Che c'è?' mi chiese Arno, notando probabilmente il mio sguardo fisso.

'Nulla, stavo solo riflettendo.' mormorai.

'Su cosa, mon ange?'

'Su tutto, Arno.' sbuffai. 'Su di noi, su cosa ci aspetta, sul mio futuro, su mia madre... sono capitate cosí tante cose... e mi sembra di trovarmi in mezzo a una confusione incredibile.' dissi.

Le dita di Arno mi accarezzarono la schiena dall'alto al basso e al contrario, e di nuovo le sue labbra mi lasciarono il loro stampo sulla tempia.

'Mi sembra di risentire me stesso, qualche anno fa. Avevo la tua età, 21 anni. Mi trovavo in prigione, accusato di un omicidio che non avevo commesso, inconsapevole di tutto quello che mi era successo attorno da quando ero nato, di quello che ero io stesso. Fu quello l'inizio della mia vera crescita, pero'. L'inizio di tutto il mio percorso, della mia carriera nella Confraternita, il momento dal quale partì la ricerca di me stesso. Credevo di non essere pronto ad affrontare tutto, prima di iniziare.. e invece eccomi qui.'

'Fra le mie braccia...' sorrisi guardandolo negli occhi.

'Esatto. Non credo sia una coincidenza. Tutto nella nostra vita ha un senso, Eleanor. Il nostro unico compito è seguire noi stessi, riuscire a conciliare il nostro istinto e la nostra morale. Non ci sono errori, ci sono occasioni. Sta a noi coglierle o meno.'

'Come siete saggio, Monsieur Dorian.' commentai sarcastica, ma avevo veramente apprezzato le sue parole.

'Mi piacerebbe esserlo... ma ne ho solo passate abbastanza per sapere certe cose, alla fine.' disse guardando verso la finestra.

'È importante per me averti qui, Arno. Davvero, non so cosa farei senza il tuo supporto costante.' 

Lui mi guardò, e sorrise.

'Non sai quanto questo mi renda felice, ma cherìe.'
Io gli stampai un bacio sulle labbra, e poi appoggiai la mia testa nell'incavo del suo collo.

Dieci secondi dopo mi ero addormentata fra le sue braccia, in quel caldo pomeriggio di fine estate.

10 Settembre 1795.

'Di là non c'è nulla di sospetto, Eleanor.' disse Etienne, tornando dal giro di perlustrazione.

'Shhh!' gli dissi io, appena vidi dei movimenti sospetti davanti al Conservatorio.

Etienne si avvicinò a me, spiando la scena che avevamo davanti.

'Quello in divisa chi è?' mi chiese.

Osservai la scena: un uomo vestito elegantemente stava parlando con degli uomini armati, davanti al Conservatorio. Sembravano proprio dei realisti.

'Cristo... quello deve essere uno degli scagnozzi di Poulain alla Convenzione.' ipotizzai.

'E quelli sono realisti... Eleanor, dobbiamo avvicinarci!' disse Etienne.

Scendemmo in strada e, appostati alla fine di un vicolo, origliammo l'incontro.

'Sapete che mio padre non scherza, Monsieur Lefevbre. Avrete la vostra ricompensa se e solo se la reazione avrà successo.' 

'Intanto, ci organizzeremo. Voi fate in modo che ostacoli di qualsiasi tipo non vengano a interferire con i nostri scopi.' 

'Così sarà, se seguirete le nostre direttive. Ora devo tornare a fare rapporto a mio padre... Che il Padre della Comprensione vi guidi.'

'Che il Padre della Comprensione vi guidi, Monsieur Poulain.' 

Io sussultai, girandomi verso Etienne.

'È suo figlio! Dobbiamo affrontarlo ORA.' gli dissi.

'Hei hei hei, aspetta un attimo, testa calda. Perché dovremmo attaccarlo ora? Non è meglio prima pedinarlo e scoprire dove è diretto?' disse lui, trattenendomi per una manica.

Io sbuffai.
'Si, forse è meglio. Avanti, seguiamolo.'

Riuscimmo a pedinare Humbert Poulain fino al palazzo di suo padre.

'Sta entrando. Merda.' dissi io, notando alcuni uomini armati all'interno del giardino.

'Altri realisti?' chiese Etienne.
'Guarda dall'altro lato, si sta aprendo una porta.'

Cinque o sei realisti uscirono uno dopo l'altro dalla porta che dava sulla strada, al lato destro del palazzo. Confabularono qualcosa, e poi si avviarono in direzioni diverse.

Un secondo dopo uscì anche Poulain dall'ingresso principale e prese una lettera dalle mani di suo figlio, che stava entrando in casa.
Era la prima volta che riuscivo a vederlo, anche se da lontano. E rimasi decisamente sorpresa. Nonostante avesse più o meno la stessa età di Lagarde, appariva molto diverso. Un uomo che aveva passato la cinquantina, alto e ben piazzato, vestito in un abito grigio scuro. Un codino di capelli grigi usciva dal tricorno nero, sotto al quale traspariva leggermente il volto. Non riuscii a distinguere bene i lineamenti, vidi solo che portava la barba, grigia come i capelli. 

Suo figlio gli assomigliava, una sua versione più giovane, eppure appariva diverso da suo padre. Mentre Antoine Poulain non era armato, Humbert oltre al doppiopetto nero in velluto che fasciava la sua alta e muscolosa figura, alla cintura portava due spade e due pistole. Due guanti neri fasciavano le mani. Un uomo d'azione. 
Non portava alcun copricapo, il che mi permise di scrutare i suoi lineamenti. I capelli scuri, lunghi sopra le spalle, e un leggero accenno di barba, incorniciavano un volto dai lineamenti che alla mia distanza apparivano duri e maschili. Dalla mia distanza, non riuscii a notare altro. Ma fui scossa dal fatto che avesse un certo fascino.

Ed eccoli quindi, entrambi lì, davanti ai miei occhi. 
Il Braccio e la Mente.

'Cosa darei per sentire quello che si stanno dicendo.' dissi a denti stretti.

'Perchè se ne sta andando, ora?' chiese Etienne, dopo aver notato Antoine Poulain che saliva in carrozza e si allontanava.

Humbert rimase qualche secondo a guardare suo padre, e dopo aver congedato gli uomini armati, entrò nel palazzo.

'Non mi sembra il caso di attaccare ora, siceramente.' disse Etienne.

'Da quando sei così prudente?' gli chiesi.
Io avrei voluto farlo. E il prima possibile... ma non potevo coinvolgerlo. Era una questione personale.

'Vorresti farti beccare così platealmente, Elenoire? Io credo proprio che quei realisti nel giardino siano diventati le sue guardie del corpo, ovviamente in seguito a qualche accordo o concessione speciale da parte dei loro capi. E di certo non si sposteranno di lì prima di stanotte, fidati.' Mi rispose lui. La sua saggezza mi sorprese, e non poco.

Sbuffai. 
'Hai ragione. Decideremo domani cosa fare.' mentii. 

Etienne annuì e mi salutò.
'D'accordo. Farò io il rapporto giornaliero alla Confraternita. Dirò che l'abbiamo trovato. A domani, Elenoire.'

'A domani, Etienne.' lo abbracciai, nonostante sapessi che sicuramente, qualsiasi cosa avessi in mente di fare in quel momento, lo avrei fatto anche da sola. 
Ma avevo bisogno del supporto, seppur inconsapevole, di un amico. Di un supporto morale, almeno.

Rimasi qualche secondo a riflettere, appostata sul bordo del tetto del palazzo.
Non era prudente passare all'azione in quel momento, dato che c'erano quattro uomini provvisti di spada e baionette nel giardino dei Poulain.
Avrei aspettato la notte, quindi... ma prima di agire dovevo andare ad informare Arno delle mie intenzioni.

*Angolo dell'autrice*

Buonsalve, carissimi.
Eccomi tornata con un nuovo capitolo dopo giorni di stress scolastico! Hahahah sono felice di aver avuto finalmente il tempo di aggiornare.
Allora, considerazioni, idee sullo sviluppo della storia... (Apparte il fatto che so che non guarderete più il fazzoletto rosso di Arno con gli stessi occhi) ma tornando alle cose serie... a quanto pare il nostro misterioso Antoine Poulain è fuori dai giochi politici, anche se non è più così misterioso.
Chissà dove si starà dirigendo?
Lo scopriremo più avanti. 
Invece Eleanor da quello che sembra vuole regolare subito i conti con il figlio di Antoine Humbert, per riuscire a liberare sua madre. Certo che a prima vista Poulain Junior non sembra di certo un nemico qualsiasi, anzi... l'impulsività di Eleanor a questo punto la farà fallire di nuovo, secondo voi? E soprattutto, che ne penserà Arno delle sue intenzioni? Lo scopriremo insieme nel prossimo capitolo!
Vi mando un bacio e vi invito sempre a scrivermi che ne pensate, ci terrei moltissimo <3 

Un bacio!
Izzy

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Capitolo 16
*** 16. L'Inizio della fine. (1) ***


*Arno's POV*

Mentre scartabellavo in mezzo ai documenti del mio studio al Cafè a fine giornata, si aprì la porta.

Alzai gli occhi e vidi una Eleanor dall'espressione seria avvicinarsi a me, dopo aver chiuso la porta.

'Gradirei che bussassi prima di entrare.' dissi, adagiandomi sullo schienale della sedia.

'Hai ragione, non ci ho nemmeno pensato. Devo parlarti di una cosa importante.' disse appoggiandosi con una mano alla scrivania.

Io aggrottai le sopracciglia.
'Ovvero?'

'L'ho visto, Arno. Ho visto Humbert Poulain. È al suo Palazzo. Suo padre si è allontanato in carrozza.... e questo vuol dire che è da solo, in questo momento.' disse guardandomi fisso negli occhi, con le dita puntate sul legno della scrivania.

'E quindi cosa vorresti fare, Eleanor?' chiesi, anche se mi aspettavo già la risposta.

'Devo prenderlo. Devo ucciderlo.' disse a denti stretti.

Io sospirai pesantemente, distogliendo lo sguardo.

'Non so cosa dire.' confessai.

'Come? Non devi dire niente. Accompagnami e basta. Eliminiamolo.' disse sorridendo, e allargò le braccia, come se quella che aveva appena suggerito fosse la cosa più ovvia del Mondo.

'Non è così semplice, Eleanor.' dissi alzandomi dalla sedia.

'Oh si invece che lo è. È semplicissimo. Quell'uomo ha tenuto prigioniera mia madre per più di dieci anni ed è il figlio del probabile futuro Gran Maestro dell'Ordine Templare. Se questo non basta per farlo fuori immediatamente... beh, la situazione è preoccupante.' alzò il tono di voce facendo il giro della scrivania.

'Lo so che deve essere eliminato. Solamente non ora, Eleanor. Non abbiamo un piano. Non abbiamo una pista. Non abbiamo le indicazioni della Confraternita.' 

'Perdonami, Maestro, ma dal momento che quell'uomo ha in pugno mia madre ed è un Templare, non ho bisogno della Confraternita che mi dica quello che devo fare. È abbastanza logico. Per caso non confidi nelle mie abilità?' disse in tono di sfida, incrociando le braccia.

'Cristo, Eleanor, ora stai diventando egoista. Non ho detto questo, anche se il tuo addestramento non è del tutto completo e Humbert Poulain è un nemico tutto fuorché semplice da affrontare. Sto solamente dicendo che siamo in una situazione delicata, che io ho un ruolo che vorrei mantenere all'interno della Confraternita, e che tutto questo mi sembra poco logico e prudente da parte tua! Mi meraviglia che tu non lo capisca, sul serio!' dissi mentre la guardavo negli occhi, stringendo un pugno sul tavolo.

Lei scosse la testa, meravigliata dalle mie parole.
'Arno, è di mia madre che stiamo parlando! Una persona che credevo praticamente morta, e che è imprigionata da anni nella sua stessa casa da degli uomini che probabilmente aspettano solo il momento giusto per farla fuori. Devo agire! Non posso essere prudente. Ho aspettato anche troppo, e tu più di me dovresti capirlo!'

'Non si tratta solo di te, Eleanor, Cristo! Tutti noi siamo in questa situazione, noi Assassini, il Direttorio, Napoleone! Non sappiamo praticamente nulla dei loro piani. Stiamo indagando da un mese dopo aver fatto saltare i loro piani per vedere cos'hanno in mente di fare. Agire in questo modo mi sembra stupido e rischioso, nonostante ti coinvolga personalmente. Mi dispiace, non posso darti la mia approvazione. Non questa volta, Eleanor.' 

'Perché... Perché non puoi semplicemente venire insieme a me e basta?' chiese stringendo i pugni lungo i fianchi, mentre mi dava le spalle.

'Perché non voglio che tu ti faccia del male. Perché sto cercando di proteggerti, Eleanor, maledizione. Io... Io ti amo...Ti prego, dammi ascolto... non potrei sopportare il fatto di non vederti tornare da me.' dissi tutto d'un fiato, non rendendomi conto di non aver fatto in tempo a frenare la lingua.

Lei, dopo aver sentito queste ultime parole si girò verso di me. In viso aveva un'espressione indecifrabile.

'Se quello che hai detto è vero, ti prego Arno, ti scongiuro. Vieni con me. Combattiamoli insieme.' disse prendendomi per il colletto della camicia.
I suoi occhi, illuminati dalla luce della prima luna e delle candele, angosciati e fissi nei miei, erano in attesa di una risposta che non potevo darle.

La presi per le spalle, quasi a volerla trattenere.
'È proprio per questo che non posso farlo.' sussurrai.

'Non posso trattenerti a forza. Ma ti prego, Eleanor. Non farlo.' le presi il viso fra le mani, cercando di farla ragionare. 

'Non farlo.'

Lei si scostò da me e sospirò, profondamente sconcertata. Deglutì probabilmente ricacciando indietro il fiume di lacrime che stava per bagnarle il volto, e si infilò il cappuccio.

'Credevo fossi diverso. Speravo fossi cambiato... che mi considerassi al pari di te stesso. Credevo di essere un motivo per cui valesse la pena rischiare per te, Arno. Ma non importa. Sono sempre stata abituata a cercare tutte le risposte di cui avevo bisogno da sola. E questa volta... sarà la stessa identica cosa.' disse con la voce spezzata, e uscì sbattendo la porta.

'Eleanor!' la richiamai cercando di seguirla, ma mi fermai prima di raggiungere l'uscita della stanza.

Non potevo credere che fosse così imprudente, che fosse ancora così impulsiva dopo tutto quello che avevo cercato di insegnarle. Volevo solamente proteggerla, evitare che le succedesse qualcosa di brutto. Ma quella ragazza aveva un fuoco dentro che nemmeno io ero capace di tenere sotto controllo. 
E che stava iniziando a bruciare anche me.

La stavo lasciando andare. Come quel giorno di due mesi fa, dopo il ballo... a causa delle mie paure. E avevo paura sarebbe finita allo stesso modo, questa volta. Se non peggio.

'Merda!' urlai e diedi un pugno alla parete più vicina a me. 
Una parte di me in quel momento avrebbe voluto seguirla, qualsiasi cosa avesse in mente di fare, stare al suo fianco e supportarla. Ma quello era un Arno che non faceva più parte di me. Un Arno che aveva causato la sua stessa rovina e aveva perso tutte le persone a cui teneva.

Cercai di far prevalere la mia parte più fredda e razionale, che mi diceva di lasciar perdere, di rimanere fermo, di non seguirla e di sperare solamente non le succedesse nulla.
Tornai a sedermi alla scrivania, con la testa fra le mani.

E pensai, riflettei ancora, per poi arrivare alla conclusione che ormai non valeva più la pena vivere fra delle mura che mi ero costruito attorno da solo. Che forse il vecchio Arno non doveva essere del tutto seppellito dentro i miei numerosi ricordi. 

Forse non avevo perso il fuoco che mi aveva guidato nella mia ricerca per la Redenzione negli anni precedenti, quel fuoco che sentivo così simile a quello affamato di Libertà e Giustizia che guidava Eleanor. 
Forse potevo ancora contare sulla parte migliore di me stesso, che da quando avevo iniziato la mia carriera di Assassino, era rimasta oscurata dall'ossessività della mia ricerca. 

Cosí decisi.
Decisi di alzarmi e raggiungere Eleanor. 
Decisi di dimenticare il mio ruolo e quello che mi legava alla mia carriera perché in quel momento, per me lei era la cosa che contava di più.

*Eleanor's POV*

In quel momento sentii solamente rabbia, frustrazione, adrenalina che scorrevano in tutte le parti del mio corpo e del mio cervello.
In quel momento pensai che non c'era più nulla che contava se non, finalmente, il mio riscatto... Il riscatto di mia madre. 
Finalmente mi sentivo viva, sentivo che c'era un vero motivo per cui stavo combattendo al di fuori della Confraternita. Ed era solamente quello che contava, ora, nel mio cuore e nella mia mente. Era quello che mi stava veramente, per la prima volta, facendo sentire viva.
La mia Giustizia Privata.

Arrestai la mia corsa per un secondo e scossi la testa, quasi a volermi fare forza e coraggio da sola.
Asciugai le lacrime che bagnavano le mie guance e inspirai profondamente, cercando di calmare il battito iper accelerato del mio cuore, che di certo non era in quelle condizioni per colpa della corsa, ma per tutte le emozioni che se prima ero riuscita a tenere dentro, ora stavano prepotentemente prendendo il sopravvento su di me.

Alzai la mano destra, e osservai l'anello con il simbolo degli Assassini al mio anulare, illuminato dalla luce lunare.

Non avevo bisogno dell'appoggio di nessuno. Nè di quello della Confraternita, nè di quello di Arno. In effetti, mi resi conto che avevo anche sbagliato a parlargliene. Per com'era fatto lui... mi aspettavo rifiutasse. 
Non potevo fargliene una colpa.

Ma io... non potevo lasciar perdere. Ero diversa da lui. Non avevo passato le stesse cose che aveva passato lui, arrivavo da un'altra situazione, cercavo altre risposte. E dovevo trovarle. Quelle risposte... che forse Arno aveva già trovato, ma che a me servivano ora più che mai. Ne avevo bisogno ora, per ME.

E per questo dovevo, in qualche modo, risolvere la situazione di mia madre prima che fosse troppo tardi.
E questa situazione, riguardava solo me. Non la Confraternita. Non Arno. Non Napoleone, o qualsiasi altro alleato. Solamente me.

Ripresi la corsa il più veloce possibile fra i tetti blu di una Parigi rinfrescata dalla notte di fine estate.
La città era illuminata solamente da qualche candela e lanterna all'interno dei palazzi e delle case e dalla luce della luna piena che mi fermai, pero', ad ammirare meglio.

Forse avrei voluto ottenere le risposte che cercavo in tutt'altro modo. Sarei voluta nascere in una famiglia "normale" e non essere coinvolta in quel conflitto. Ma ormai era qualcosa di cui facevo parte e dal quale non potevo uscire, se non vincente o morta, come mi aveva detto mia madre.

Poi ripensai a com'ero quando avevo appena messo piede qui a Parigi... ingenua, insicura, spaventata. Ma allo stesso tempo entusiasta di iniziare quel nuovo capitolo della mia vita, di iniziare a vivere sul serio lontano da casa.
E al sogno che feci la prima notte in cui dormii alla locanda... quel sogno che poi si era ripetuto alla mia Iniziazione.
Il lupo nero con gli occhi iniettati di sangue che mi girava intorno, mio padre che mi chiamava.
Ma questa volta non sarei scappata cercando di raggiungerlo. E questa volta, non avrei nemmeno attaccato il lupo.
L'avrei osservato... e in quegli occhi affamati e iniettati di sangue, avrei visto il mio stesso riflesso. Mi sarei rivista com'ero in quel momento.
Quel lupo... stavo diventando io stessa. E forse non dovevo temerlo... dovevo accoglierlo dentro di me.

Arrivai al Palazzo dei Poulain. Dopo aver fatto un veloce giro di perlustrazione, mi assicurai che non ci fossero più realisti o guardie a protezione dell'edificio. 
Solamente due di loro si trovavano ancora davanti all'entrata principale, addormentati sulle colonne. 

In trenta secondi, dopo aver spiccato un balzo silenzioso, li soffocai entrambi nel sonno e li nascosi dietro ai cespugli del cortile.

Entrai in casa da una finestra socchiusa del primo piano, dopo aver preso un lungo sospiro. La mia mano tremante era stretta sull'elsa della spada.

Buio. Buio pesto.
Il palazzo era silenziosissimo.
Presi una lanterna che trovai accesa nel corridoio laterale, e iniziai a muovermi silenziosamente osservando e ascoltando attentamente tutto quello che mi circondava.

Arrivai, un passo dopo l'altro, nel salotto centrale, l'unica stanza del piano dal quale proveniva della luce. Entrai, e notai che il lampadario era acceso, ma la stanza vuota. Poi sentii qualcosa.

Mi girai lentamente, tenendo la lanterna all'altezza dell volto, ancora abituata al buio del resto del palazzo. La appoggiai poi su una scrivania alla mia destra.

'Finalmente, Eleanor...' una voce maschile, profonda e suadente ruppe il silenzio e la tensione dei miei nervi, che si arrestò per un secondo. 
L'uomo si materializzò davanti a me, rivelando la sua figura dal buio del corridoio dall'altro lato della stanza.
'...o dovrei dire Amèlie?'

'Humbert Poulain.' dissi, riconoscendolo immediatamente.
Era ancora vestito come poche ore prima.
Sicuramente mi stava aspettando, e ne ebbi un'ulteriore conferma dal fatto che in viso aveva un ghigno soddisfatto.

Sotto la luce del lampadario e grazie alla sua vicinanza, potei osservarlo meglio. Notai immediatamente i suoi due profondi occhi neri, incorniciati dalle sopracciglia folte e scure. Una di queste era alzata in segno di sfida verso di me, e spezzata da una cicatrice obliqua.

'Piacere di conoscerti... nipotina.' disse, e fece un mezzo inchino.
Poi alzò la testa per osservarmi meglio.

'Tua madre aveva ragione: sei davvero, davvero carina. Ma per favore, non c'è bisogno di stare così all'erta: non voglio attaccarti.' continuò, mantenendo un tono di voce facilmente fraintendibile.

Io scossi la testa, e strinsi di più la mano attorno all'elsa della mia spada.
'Prima cosa: non osate chiamarmi nipotina. Seconda cosa: non mi fiderei di voi nemmeno se foste l'ultimo uomo rimasto sulla Terra, Humbert. E a proposito di mia madre... sapete perché sono qui?' gli chiesi.

Lui ridacchiò, e si appoggiò ad un'altra scrivania posta a specchio rispetto alla mia.
'Vedo che hai ereditato la tempra di tua madre, mia cara. In ogni caso, certo che so perché ti trovi qui. Mi sottovaluti, per caso?' spostò il suo sguardo, senza togliersi quel sorrisetto dal volto.

'È un errore che sto imparando a non commettere più.' dissi abbassando gli occhi.
'E così... mi stavate aspettando.' 

Alzai la testa, cercando di trovare un qualsiasi segno di debolezza nella sua espressione.

'Certamente, mia cara. Da qualche giorno ormai... mi stavo preoccupando non vedendoti arrivare, a dire la verità.' 

Io scossi la testa. 
'Voi e vostro padre allora vi siete accorti che sono stata qui, eh?' ipotizzai incrociando le braccia.

'Ti sorprende? Non è stata una mossa intelligente da parte tua.' rispose lui.

Io sorrisi. 
'Come non è intelligente da parte vostra fingere benevolenza nei miei confronti, dopo aver provato ad uccidermi tramite l'ex collega di vostro padre.'

Humbert scosse la testa.
'Assolutamente no. Devo essere sincero: mio padre era allo scuro che le lettere di Haytham Kenway fossero in mano tua. Era una cosa che interessava di più a Lagarde, quella. Non ho mai capito perchè, in realtà... quelle lettere non valgono nulla. Sono soltanto pensieri buttati all'aria da un uomo che ha agito in modo molto diverso rispetto ad essi. Ma... pace all'anima di Lagarde, in ogni caso.'

'Quindi io dovrei credere che sino alla notizia della sua morte voi non avevate idea che io mi trovassi qui?' 

'A dire la verità, no. Lagarde non aveva detto a mio padre che stava dando la caccia a te, anche se sapeva chi fossi. Il suo errore è stato volerti eliminare senza avvertirci, ma questo non è quello che ci interessa ora.' disse, e alzò il viso.

'Sei diventata un'Assassina: cosa che sia io che mio padre avevamo previsto. Ma non credevamo saresti arrivata qui, da noi. In Francia!' rise.
'È assurdo... incredibilmente fantastico.' commentò allargando le braccia.

'Arrivate al punto, Humbert. Io non ho tempo da perdere, se non l'avete capito.' dissi, sempre più pronta a cacciare fuori la lama argentea della mia spada.

'Ebbene... dato che sei qui, hai una possibilità. Puoi tornare indietro sui tuoi passi, Eleanor. Hai talento... in campo. Carroll, Lagarde e mia cugina, la Baronessa Deschamps... non erano obbiettivi facili. Eppure tu e i tuoi alleati li avete eliminati. Per questo puoi tornare indietro e unirti a me. A noi. All'unico vero Ordine, quello dei Templari. Potrei fare un'eccezione per quanto riguarda tua madre, in tal caso. Se userai le tue abilità per uno scopo concreto... a favore del ritorno della Monarchia.' disse dopo essere tornato serio, guardandomi fissa negli occhi.

Io non potevo credere a quello che avevo sentito e iniziai a ridere, distogliendo lo sguardo. Non avevo potuto di certo fare a meno di notare dalla sua ultima frase che fin dall'inizio, come aveva detto il Segretario De Laclos, i Poulain volevano il ritorno della monarchia in Francia. Erano semplicemente dei realisti bravi a fare la parte. Ma non ribadii il concetto a parole, perché avrei indagato successivamente a proposito.

'Come osate chiedermi una cosa del genere, Humbert? Io sono un'Assassina. Per nulla al Mondo passerei dalla vostra parte, da quella dell'Ordine. I vostri principi non coincidono con i miei. Ciò che fate e volete fare in questa città è la cosa più sbagliata che potrei mai concepire. Come potrei anche solo pensare di unirmi a delle persone che si impongono sulla gente con la tirannia e l'inganno, e che si oppongono al futuro e alla libertà del popolo?' chiesi allibita.

Lui sbattè un pugno sul tavolo iniziando a innervosirsi visibilmente, e poi si staccò da esso, dandomi le spalle.

'Sai, Eleanor, credevo fossi più sveglia. Sono stato io a convincere mio padre a non mandare un manipolo di uomini a farti fuori il prima possibile dopo aver saputo dell'omicidio di mia cugina e del fatto che tu e i tuoi Assassini avete fatto saltare in aria i nostri depositi, perché credevo che il tuo potenziale potesse essere sfruttato, che potessi unirti alla tua vera famiglia. Ma a quanto pare il Credo degli Assassini ormai fa parte di te. Sei una di loro.' disse disgustato, cambiando totalmente tono di voce. Poi si girò verso di me, rivelandomi uno sguardo profondamente malevolo e un'espressione corrucciata. 
Era quella la sua vera natura.

Io strinsi i pugni.
'Mi spiace, Humbert. Ma si. Il Credo è ciò che ormai guida la mia vita e le mie azioni. Voi per me siete solo il nemico. Non siete la mia famiglia, e non lo sarete mai. È stato Wins... mio padre a crescermi. Voi e vostro padre siete solamente coloro che hanno tenuto prigioniera mia madre negandomi la sua presenza quando più ne avrei avuto bisogno. E ora, pagherete. Pagherete per quello che avete fatto a lei e per tutto ciò che avete in mente di fare a questa città e a questa Nazione. E che io sia dannata se non riuscirò a fermarvi.' dissi, scossa da una rabbia che scoppiò nel mio corpo e attraversò ogni fibra della mia pelle, facendomi sguainare la spada. 

'E ora, combattete.' ringhiai, corrugando le sopracciglia.

'Come desideri. Ebbene... preparati a morire, nipote.' sibilò lui.

Humbert sguainò la spada che teneva al fianco destro e si fiondò su di me, vibrando un colpo fortissimo che riuscii a parare a fatica. 
Il duello iniziò a ritmo incalzante, con me che sfortunatamente, a causa della sua forza bruta, ero costretta a giocare più in difesa e in velocità che in attacco.

'Credevo fossi più forte, Eleanor. Probabilmente ti ho sopravvalutata!' ringhiò l'uomo dopo aver ribaltato un tavolino con il piede e avermi quasi preso il fianco con la lama della sua spada ricurva.

Fortunatamente la mia velocità mi stava permettendo di schivare i suoi colpi, infatti dopo aver studiato i suoi punti deboli riuscii a distrarlo facendolo inciampare su uno sgabello, e a ferirlo al braccio sinistro.

'Probabilmente invece mi avete sottovalutata.' commentai sarcastica, causando a Humbert un grugnito di frustrazione.

Preso dalla rabbia si lanciò di nuovo  verso di me all'attacco, tirando fuori la pistola che io riuscii prontamente a fargli cadere per terra togliendogliela con un calcio sferrato sulla sua mano.

'Siete troppo impulsivo, Humbert.' commentai di nuovo, preda della mia stessa arroganza e adrenalina.

'Taci, stupida ragazzina!' urlò lui per la frustrazione, e si lanciò per riprendere l'arma, permettendomi di attaccarlo nuovamente con la spada e questa volta lacerandogli profondamente tutta la mano sinistra.

'Ahhh!' urlò disperato, e dopo avermi lanciato uno sguardo assassino ed essersi stretto al petto la mano sanguinante riuscì a disarmarmi con la sua spada, ancora stretta nella mano dominante. Poi, dopo averla mollata al suolo, mi buttò a terra con uno spintone che mi fece sbattere la testa contro il muro, e perdere i sensi per un paio di secondi.

E quei due secondi furono il tempo necessario per l'uomo, che traballante e in preda ai versi di dolore mi strattonò in piedi per il bavero della giacca e mi prese per il collo iniziando a stringere attorno ad esso con le dita.

'È un peccato, sai? Mi saresti piaciuta. Saresti stata una valida alleata... invece assomigli a quella sgualdrina traditrice di tua madre. Ti meriti di stare sepolta in mezzo a quella feccia di Assassini.' disse a denti stretti. I suoi occhi, accecati dall'ira e dalla violenza, erano mortali in quel momento tanto quanto le sue dita che premevano sempre di più sulla mia giugulare.

Io cercavo di tenerlo il più lontano possibile con le braccia, di allontanarlo con pugni e calci, ma quell'uomo sembrava fatto di ferro.

'N... no...' sibilai, mentre mi sentivo mancare sempre di più il respiro.
'Devo liberarla! Lasciami!' urlai disperata con l'ultimo rivolo d'aria che mi rimaneva.

'È troppo tardi. Troppo. Tardi. Marie, vai!' esclamò a voce più alta voltandosi frettolosamente verso il corridoio, dal quale sentii dei passi veloci dirigersi al piano di sopra.

'No!' gridai ancora, presa dall'ultima scossa d'adrenalina.
Sfruttai il suo momento di distrazione non seppi con quale forza, ma era tutta quella che mi rimaneva. Così alzai il braccio sinistro e all'ultimo momento infilai la mia lama celata nel suo collo.

Humbert rimase scioccato e mollò la presa, permettendomi di ricadere in ginocchio sul pavimento e riprendere tutta l'aria che mi era mancata in quelle decine di secondi.

Alzai la testa dopo aver inspirato come non avevo mai fatto in tutta la mia vita, e vidi l'uomo ancora in piedi, attraversato da una scia di sangue che gocciolava lungo il suo collo, macchiandogli prima la giacca e in seguito il pavimento.

Stava fissando la sua mano sinistra, completamente ricoperta di sangue.

'No... non posso morire per mano di una ragazzina...' mormorò.
Poi alzò gli occhi nella mia direzione, e cadde in ginocchio esalando il suo ultimo respiro un secondo dopo, quando il suo corpo esanime crollò a terra in un tonfo.

Mi avvicinai ad esso trascinandomi sul pavimento e tossendo. Cercai di riprendere le forze e guardai il cadavere di Humbert, riverso sul fianco davanti a me.

'Requiescat in pace, maledetto bastardo.' dissi, e gli chiusi gli occhi.

Dopo essere tornata lucida, mi ricordai dei passi che avevo sentito poco prima di ucciderlo dirigersi al piano di sopra e mi precipitai di corsa sopra le scale, lanterna alla mano.
Corsi il più veloce possibile nella biblioteca, dove appena entrata mi andò il cuore in gola.
L'entrata segreta fra gli scaffali era spalancata.

Feci uno scatto velocissimo verso di essa, e vidi l'ultima cosa che avrei voluto vedere.
La mia vista si annebbiò per un secondo, e l'ambiente che mi circondava si fece ovattato.

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Capitolo 17
*** 17. L'Inizio della fine. (2) ***


In piedi nella stanza di mia madre c'era una donna, probabilmente la sua cameriera, tremante e con una mano a mezz'aria che teneva uno spillone argenteo decorato da una croce. Un'arma usata dai Templari, per avvelenare le vittime.

La lanterna che tenevo nella mano destra cadde rovinosamente a terra, rompendosi in mille pezzi ai miei piedi.

La donna, con l'espressione sconvolta, stava fissando a terra.
Ed era a terra che si trovava il corpo di mia madre, stesa con una mano premuta sul collo dove probabilmente aveva appena ricevuto la ferita.

'NO! Cosa hai fatto?' gridai, riprendendo conoscenza, e mi fiondai verso le due figure di corsa.

Estrassi la mia spada dal fodero avvicinandomi a lei, scossa da un'ira devastante.

La donna iniziò a piangere.
'Mi dispiace... mi dispiace, me l'ha ordinato Monsieur di uccidere Jeanine... Io non... ti prego, non ucci...' riuscì a dire prima che io la infilzassi con la spada nel ventre stringendo i denti in preda alla frustrazione.
La donna mi fissò negli occhi, e cadde a terra esanime, con un rivolo di sangue che le uscì dalla bocca.

Estrassi la spada immediatamente dal suo corpo e la feci cadere a terra, per poi abbassarmi sul corpo di mia madre.

'Madre... madre vi prego, vi prego, non morite. Vi scongiuro...' iniziai a dire con la voce rotta dal pianto, prendendo mia madre fra le mie braccia.

Entrambe eravamo sotto l'unica luce naturale disponibile, quella della luna piena che proveniva dalla finestra sopra di noi.
Il suo volto, di un bianco cadaverico, si spostò nella mia direzione illuminato dalla luce bluastra.

'Bambina mia... mi dispiace così tanto...' mormorò con la voce tremante, cercando di alzare un braccio verso il mio viso.

'No, madre, no. Voi non morirete, vi porterò da un medico. Vivrete, sarete libera, potremo passare tutto il tempo che abbiamo perso insieme, finalmente. L'ho ucciso, madre, Humbert è morto. Siate forte, vi scongiuro, resistete...' dissi tremando, cercando più che altro di convincere me stessa, e presi la sua mano esile e fredda fra le mie, portandola al mio viso.

'È troppo tardi, tesoro mio. Ti prego... non fartene una colpa. Doveva andare così... sarei morta comunque. Ascoltami... prendi le lettere che ti ho scritto in questi anni... ti daranno conforto, ne sono sicura. Sono stata così felice di vederti, anche se per poco tempo...'

'NO! Madre, non lasciatemi... vi prego, sono qui per voi, devo liberarvi... Vi prego, madre... dovete vivere... vivere per me...' riuscii a malapena a parlare, perché la mia gola si bloccò, e le mie parole si esaurirono, lasciando il posto alle lacrime.

'Stai in pace, bambina mia. Sei diventata una meravigliosa guerriera. Continua a combattere per la libertà e la giustizia...Un giorno ci rivedremo, ne sono sicura.' riuscì a mormorare prima di essere sopraffatta dal veleno, che la fece sussultare nelle mie braccia, strappandole via l'ultimo respiro.

Io scossi la testa ripetutamente, cercando di scuoterla, di farla rianimare.
'Madre... madre, vi prego, non lasciatemi. Madre... MADRE! No... NO!' urlai in preda al furore, riversando tutta la mia disperazione e le mie lacrime inginocchiata sul suo corpo, mentre tenevo ancora la sua mano fra le mie.

Non poteva essere andata così. Non poteva essere morta fra le mie braccia, non poteva avermi lasciato, non poteva andarsene così. 
Tutto quello che avevo voluto dal momento in cui l'avevo vista per la prima volta era stato liberarla, parlare con lei, provare a ricostruire un rapporto... e ora, mia madre giaceva a terra, morta, davanti a me.

Il dolore che stava attraversando il mio corpo in quel momento era un qualcosa di inumano. Il mio cuore stava per scoppiare, le lacrime non riuscivano a fermare il loro corso sulle mie guance, e non riuscivo nemmeno a parlare. Dalla mia bocca uscivano solamente delle urla di frustrazione e disperazione, dirette a un vuoto assoluto, al vuoto assoluto che sentivo in quel momento dentro di me.
Non sentivo più nulla, non sentivo il mio corpo. In quel momento, sentivo solo il dolore, la disperazione più profonda e oscura, farsi strada dentro di me. Non mi accorsi nemmeno del tempo che era passato quando, dopo aver consumato tutte le mie lacrime e le mie urla, alzai la testa sul corpo di mia madre.

Le chiusi gli occhi, sfiorando il profilo del suo volto grazioso, e fui vinta da un'altro attacco di pianto, e da un singhiozzo così forte che mi fece quasi mancare il respiro.

*Arno's POV*

Arrivai a Palazzo Poulain correndo il più veloce possibile, preparandomi, anche se era l'ultima cosa che avrei voluto e che mi rifiutavo di immaginare, al peggio.

Nel cortile due realisti giacevano senza vita fra i cespugli.

La porta dell'ingresso era socchiusa. Con la mano sull'elsa della spada esplorai la superficie del pian terreno, ma non trovai nulla. 

'Eleanor?' chiamai a bassa voce, ma nulla.
A quel punto mi spaventai e salii le scale sino al primo piano. 
Il soggiorno era illuminato.
Entrai, e trovai un disastro davanti ai miei occhi. Sedie, tavolini e vasi rotti a terra.
E un corpo riverso sul fianco.

Feci il giro per cercare di capire chi fosse, ma tanto lo immaginavo già.
Quello era Humbert Poulain... e giaceva sul pavimento senza vita, in una pozza di sangue. 

'Merde.' sussurrai, analizzando il cadavere. La sua mano sinistra era profondamente lacerata e insanguinata, e dalla tasca del doppiopetto pendeva una lettera sigillata con una croce templare sulla cera rossa. La estrassi, e la infilai nella tasca interna della mia casacca.

A quel punto mi preoccupai seriamente. 
Eleanor...cosa diavolo aveva fatto? Aveva ucciso il figlio di Poulain, il braccio del nuovo Ordine, senza l'appoggio della Confraternita. 
Da sola. 

Quello era l'inizio della guerra. Ormai non poteva più essere posticipato.

Uscii dal soggiorno dirigendomi ai piani superiori, dai quali sentii dei rumori.
Arrivai al terzo piano, ed entrai in una biblioteca, fra gli scaffali della quale c'era un'entrata segreta aperta.

Dei flebili respiri provenivano da quel posto, al quale mi avvicinai... e la vidi. Riversa sul corpo di una donna bionda, e un altro corpo giaceva dietro di lei. 
La donna alle sue spalle, con una ferita da spada nel ventre, teneva in mano uno spillone che avevo già visto troppe volte.

'No... merda, no.' sussurrai.
Quella donna bionda a terra,
anch'essa senza vita davanti a lei invece... era sua madre.

'Eleanor, Cristo...' dissi avvicinandomi. Era piegata sul corpo della donna, con un'espressione sconvolta, le guance rigate dalle lacrime, e tremava. Appena si accorse della mia presenza alzò il viso verso di me, guardandomi con gli occhi svuotati.

'Vieni via da qui, Eleanor. Cosa diavolo è successo?' le chiesi e la strattonai per il braccio, accogliendola fra le mie.
La strinsi forte, sperando di riuscire a calmarla.

Ma lei continuava a tremare, e scoppiò di nuovo in lacrime sulla mia spalla. Era sconvolta, e il suo petto, adagiato sul mio, era scosso dal dolore e dai singhiozzi. 
Mi sarei aspettato di essere perlomeno spinto via, ma lei non alzò nemmeno le mani verso di me. Era come tenere fra le braccia un simulacro inanimato.

'Mi dispiace, Eleanor. Mi dispiace così tanto...' dissi, e le baciai il capo. Non sapevo cos'altro provare a dirle per confortarla... E non potevo sopportare di vederla in quello stato.

La tenni ancora fra le mie braccia sperando si calmasse, volevo solamente assorbire tutto il suo dolore.
Qualche minuto dopo si scostò lievemente da me, asciugandosi le lacrime, e si voltò a guardare il corpo di sua madre. Non disse nulla, la fissò ancora per qualche secondo, e poi rivolse lo sguardo alla finestra dalla quale si vedeva benissimo la luna piena.

'L'ho persa. Persa per sempre.' disse lentamente, con un tono di voce diverso dal suo solito.

'Non l'hai persa, Eleanor. Tua madre sarà sempre al tuo fianco. La sentirai. Sentirai la sua presenza in battaglia, in qualsiasi momento. Ricordarla, ti conforterà nei momenti difficili.' le dissi.

Lei scosse la testa.
'No, Arno. Ricordarla mi farà sprofondare nella disperazione più assoluta, perché penserò che non avrei potuto fare nulla per salvarla... e c'è solo un modo per far si che questa disperazione si allevi. Devo vendicare la sua morte, il prima possibile.' mormorò decisa, ancora rivolta alla finestra.

Io scossi la testa, e la attirai a me per il braccio. Le presi il volto fra le mani, fissandola negli occhi ghiacciati, che nonostante incontrarono i miei, sembravano sbarrati.

'Eleanor... non dire queste cose. Humbert l'avrebbe uccisa in ogni caso, sia che tu fossi venuta qui, sia che tu fossi rimasta a casa, sia che tu non avessi mai messo piede in Francia. Tu non farai nulla del genere, Eleanor. Ascoltami. Non devi ragionare in questo modo... Parlare così ti porterà a una ricerca disperata, ad una sete di vendetta che pur di essere soddisfatta ti annebbierà la mente, e ti porterà alla morte. Ti prego, non lasciare che la vendetta ti sopraffaccia. È una strada che porta alla rovina... e io non posso perderti. Non perderò anche te in questo modo.' dissi agitato, stringendola fra le mie braccia. Non ebbi nessuna risposta.

Le sue mani mi allontanarono dal suo corpo spingendomi via, e fece un passo indietro.
'Humbert fa quello che gli ordina suo padre. Quando verrà il momento, il mio obbiettivo sarà lui. Lasciami andare, Arno.' disse abbassando lo sguardo.

'Cosa? No. Non ci penso nemmeno, Elean...' 

'Lasciami andare, ho detto.' ripetè fulminandomi con i suoi occhi, e tirando fuori la lama celata. Era fuori di sè, e nonostante apparisse calma, il dolore la aveva inevitabilmente accecata.

Io cercai di avvicinarmi a lei, allungando la mia mano verso la sua.
'Eleanor, non dire sciocchezze. Non posso farlo. E tu non puoi fare qualsiasi cosa tu abbia in mente di fare. Sono responsabile nei confronti della Confraternita e devo proteggerti, devo impedire che...'

'Io non ho bisogno di essere protetta!' urlò, facendomi sussultare, e ritrasse la lama.

'Non sono una ragazzina. Non sono più una stupida ragazzina. Il destino è mio, Arno. La scelta è mia.' ripetè, distogliendo lo sguardo a denti stretti, con una mano nervosamente posta fra i capelli.

Io sussultai, a quelle ultime due frasi... perchè erano le stesse che mi aveva scritto Èlise nelle sue lettere. E rimasi paralizzato. 

Prese delle carte dal cassetto dello scrittoio, e le infilò nella tasca della casacca. Come ultima cosa, afferrò un rosario e un libretto di preghiere dal comodino, e li mise in mano a sua madre. 
Si inginocchiò di nuovo sul suo corpo, e le baciò la fronte.

'Sarete vendicata, madre. Ve lo prometto sulla mia testa.' sussurrò.

Poi si rialzò e mi passò accanto senza nemmeno guardarmi, con una lacrima che le passava la guancia.

'Eleanor...' dissi girandomi verso di lei, che stava per saltare fuori dalla finestra.

Si girò un'ultima volta verso di me, guardandomi negli occhi.

'Non venirmi a cercare, Arno.' disse, e saltò giù.

Io rimasi fermo, quasi ci fosse una catena a tenermi i piedi incollati al pavimento del palazzo. 
Non c'era più nulla che potevo fare per fermarla. Qualsiasi cosa avessi provato a fare in quel momento per farle cambiare idea non sarebbe servita a nulla. Potevo solamente sperare che il dolore che la stava accecando non la portasse a fare sciocchezze quella notte. 

Scossi la testa, e presi in mano la lettera di Poulain che avevo infilato nella tasca interna della giacca.

La aprii.

'Monsieur Poulain,
eccovi riportate le buone notizie da Londra che speravamo di potervi fornire al più presto. 
Siete al corrente che nonostante tutte le difficoltà che abbiamo avuto in questi mesi l'Ordine Inglese rimane sempre al vostro fianco per il raggiungimento della Pace e di un Mondo migliore. Abbiamo mandato i nostri delegati in Italia, a recuperare il Manufatto, nonostante ci fossero ben poche informazioni a proposito. Ebbene, Monsieur Poulain... ci siamo riusciti. Lo abbiamo recuperato. E vi verrà consegnato al più presto, nella maniera più riservata e discreta possibile, domani al crepuscolo. Sarete già a conoscenza del luogo, a quel punto. 
La vostra espulsione dalla Convenzione è stata un duro colpo, ma noi Templari non demordiamo. Ricordate che tutto questo è temporaneo; il re legittimo, Luigi XVIII, arriverà presto al suo trono e riporterà la Francia ai suoi antichi fasti. E noi saremo lì a testimoniare, e mettere da parte questa orrenda e temporanea ideologia rivoluzionaria.
Ma voi nel frattempo, continuate ad utilizzarla a vostro favore. Confido che abbiate già radunato i nostri alleati per il Glorioso Giorno. 
Vi siamo vicini.
Che il Padre della Comprensione vi guidi.
S.'

Non potevo credere a quello che avevo appena letto. 
Un Manufatto che arrivava dall'Italia? In mano ai Templari? L'Ordine Inglese che supportava il ritorno della Monarchia in Francia?
Non era possibile. 

Quella lettera era la prova che qualsiasi cosa stessero tentando di fare i Poulain, non era un gioco. E che il coinvolgimento dei Templari inglesi - prima i Carroll con Lagarde, ora questo "S." con Poulain - non era una cosa temporanea, ma una faccenda seria che riguardava tutta la Nazione. E che doveva essere fermata il prima possibile... prima di questo "Glorioso Giorno" di cui si parlava. 

Forse Eleanor non aveva completamente sbagliato a venire qui, stanotte. 
Ma la lettera che tenevo in mano in quel momento... era una prova fondamentale. E doveva immediatamente essere consegnata alla Confraternita. 

'Di sopra! C'è qualcuno!' sentii dal piano di sotto. Dei passi si stavano avvicinando sulle scale.

Infilai velocissimamente la lettera di Poulain nella tasca interna della casacca e saltai silenziosamente fuori dalla finestra dalla quale era uscita Eleanor prima.
Dopo essermi allontanato dal palazzo, mi diressi immediatamente a casa del Mentore Maillard.

*Angolo dell'autrice*

'Giorno gente! Eccoci qui con la fine del nuovo capitolo, che è un bel colpaccio per tutte le cose che sono accadute, vero? Purtroppo Eleanor non ha fatto in tempo a salvare sua madre, o meglio, almeno ci ha provato dato che la sua fine era segnata...
Arno avrebbe dovuto darle il suo supporto o secondo voi ha fatto bene a lasciarla andare e rimanere fedele alla Confraternita?
Fatto sta che Eleanor è piuttosto sconvolta, chissà cosa combinerà.
E quella lettera, soprattutto... un Frutto dell'Eden? In mano a Poulain? Questo rende le cose difficili, anche se è rimasto l'ultimo nemico...
Chissà come andrà a finire.
Lo scopriremo insieme nel prossimo capitolo! Non so quando riaggiornerò perché sono un po' stressata causa Maturità, ma non preoccupatevi, non sarà troppo tardi <3
Un bacio,
Izzy

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Capitolo 18
*** 18. Errori e ricordi. ***


*Eleanor's POV*

Non mi resi nemmeno conto di essere arrivata alla Corte dei Miracoli correndo, scossa ancora dalla rabbia e dalle lacrime.

Avrei voluto sfogare tutto il dolore che mi stava facendo ribollire il sangue verso qualche rivoluzionario, in quel momento.

Ma mi ritrovai da sola, in mezzo a una strada quasi deserta in quel quartiere di poveri e mendicanti.

Con ancora gli occhi gonfi e offuscati dal pianto entrai in un locale dal quale si udiva un vociare, e dal quale proveniva una luce.
Era una locanda, frequentata da quella che era probabilmente la gente peggiore della città.
Ma non mi importava per nulla.

Mi feci spazio ancora incappucciata fra i tavoli e le persone in piedi, e mi sedetti al banco.

Tirai giù il cappuccio e mi presi la testa fra le mani.
Si, avevo decisamente bisogno di alcol.

Dopo essermi scolata una bottiglia intera di vino rosso cominciai a sentirmi più leggera, a sentire il dolore fisico e psicologico farsi più lievi... ma erano ancora lì. E volevo farli sparire completamente, almeno per stanotte.

'Hei, hei tu... dammene ancora.' biascicai al cameriere, che mi guardò divertito.

'Non ho mai visto una signorina reggere così bene l'alcol! Questa bottiglia la offre il Marchese lì infondo.' disse e indicò con un sorriso il fondo della sala.

Mi girai seguendo il suo dito e vidi probabilmente una delle ultime persone che avrei voluto vedere in quel momento salutarmi con un ghigno soddisfatto. 

'De Sade, lurido basta...' mormorai tentando di scendere dallo sgabello, ma inciampai brutalmente a causa del vino e finii tra le sue braccia.

'Cosa? Ma eravate lì in fondo un secondo fa.' dissi cercando di staccarmi da lui.

'Mia cara, credo che le vostre facoltà cognitive siano leggermente alterate al momento.' disse guardandomi divertito, mentre mi adagiava su una sedia di fronte a lui.

Cercai di impormi minacciandolo con la bottiglia piena che tenevo in mano.

'Voi... devo ricordarvi che fine mi stavate facendo fare quando ho tentato di aiutarvi? Dovrei spaccarvi questa bottiglia in testa, ma non lo farò solo perché me l'avete offerta.' 
Non uscì esattamente minaccioso quanto avrei voluto.

'Oh, Eleanor, come siamo aggressive.... Se avessi saputo che lì sotto Lagarde e i suoi scagnozzi vi avevano teso una trappola non vi avrei di certo fatto andare nelle fognature!' disse recitando bene la parte dell'innocente.

Io scossi la testa.
'Siete credibile quanto quello che scrivete, De Sade.' sbottai, e bevvi ancora dalla bottiglia. 

Gli causai una sonora risata.
'Questo significa che conoscete i miei scritti?' alzò un sopracciglio indagando nel mio sguardo.

Io diventai paonazza, e distolsi gli occhi.
'Ehm, io... cioè... assolutamente no!' scossi la testa cercando di risultare credibile, ma mi resi conto che in quel momento mi era un po' difficile.

Il Marchese rise ancora di gusto, battendo le mani.
'Quando siete ubriaca siete più simpatica, lo sapete?' ghignò avvicinandosi a me e sfiorandomi il mento con il pollice.

'Potreste diventare la mia nuova Musa...' disse fissandomi con due occhi che probabilmente mi avrebbero mangiata in quell'istante.

'Io non credo proprio.' una voce familiare mi giunse all'orecchio.

Alzai lo sguardo allontanandomi da De Sade, e cercai di riconoscere la figura che mi si era parata davanti.
Avevo la vista leggermente annebbiata, quindi non riuscii a distinguere bene chi fosse.

Dopo che si tolse il cappuccio, fu abbastanza evidente.

'Ciao, Etienne.' dissi fingendo un sorriso, come se non fosse evidente il fatto che ero decisamente brilla.

De Sade roteò gli occhi.
'È arrivato il principe azzurro, non é così?'

Etienne non lo ascoltò nemmeno e mi prese per il braccio, strattonandomi. 

'Piano, piano! Mi stavi facendo cadere!' risi aggrappandomi al suo collo. Facevo davvero fatica a reggermi in piedi, e mi girava la testa. 
Ma mi sentivo tranquilla e leggera.

'Cristo, Eleanor, ma sei ubriaca fradicia! Cosa diavolo è successo?' sbottò lui tentando di reggermi sotto le braccia.

'Ve ne siete accorto, mh?' commentò il Marchese, sorseggiando dal suo calice.

'Voi farete meglio a stare zitto se non volete quel calice piantato sulle gengive.' disse Etienne a denti stretti.

'E tu, ti ho fatto una domanda. Vuoi dirmi cos'è successo?'

Io risi. 'Ehm, è un po' lunga da raccontare.'

Etienne sbuffò e scosse la testa.
'Non puoi tornare al Cafè in queste condizioni. Vieni, andiamo a casa mia.' mi prese in braccio causandomi una risata.

'Non ci sarei tornata comunque, al Cafè.' dissi imbronciata, pensando ad Arno.

'Ma ora portatemi in salvo, mio cavaliere!' decantai allargando il braccio destro, mentre con l'altro mi tenevo al collo di Etienne.

'Arrivederci, mia cara! Forse un giorno la smetteremo di essere interrotti così brutalmente...' disse il Marchese salutandomi.

Io risi.
'Arrivederci, Marchese! E grazie ancora per la bottiglia. Tra l'altro, dov'è finita?' chiesi mentre Etienne usciva dal locale.

'È rimasta lì, Eleanor. E sappi che domani mattina mi racconterai tutto quello che è successo per filo e per segno. Intesi?' disse lui seriamente.

La sua espressione mi fece ridacchiare.
'Va bene, va bene! Come sei autoritario.' 
Improvvisamente fui presa da un sonno incredibile, così mi appoggiai alla sua spalla.

'Mi dispiace, Etienne. Avrei dovuto ascoltarti.' sussurrai tornando per un attimo sobria, prima di addormentarmi fra le sue braccia.

'Cosa? Ah, non importa. Ne parleremo domattina.' fu l'ultima cosa che sentii.

Mi svegliai non so dopo quanto, sentendomi atterrare su una superficie morbida e fresca che mi fece riacquistare i sensi.

'Etienne?' chiamai con ancora gli occhi mezzi chiusi, allargando un braccio. 

Incontrai quella che speravo fosse la sua mano, e la avvicinai a me.

'Devi dormire, Eleanor.' disse lui, sedendosi al mio fianco.

'Non posso dormire. Io devo...' mi alzai seduta, ma un giramento di testa dovuto all'alcol mi fece ripiombare sul cuscino.

'Oddio.' dissi, sentendomi mancare.

'Che hai?' mi chiese Etienne prendendomi per il mento e scrutandomi il volto.

Io ammirai il suo viso dai lineamenti dolci, che conservavano ancora la freschezza di un ragazzo ventenne.
I suoi occhi, di un verde azzurro chiaro, riflettevano la flebile luce della candela sul comodino ed erano velati dai ciuffi dorati dei suoi capelli.
Non l'avevo mai guardato con attenzione fino a quel momento, ma era davvero un bel ragazzo. 
E nonostante lui lo sapesse benissimo, io me ne stavo rendendo conto soltanto ora da ubriaca.

'Te l'ho mai detto che sei davvero bellissimo?' gli dissi cercando di avvicinare la mia mano al suo viso, ma fui interrotta dalla sua risata.

'No, ma in ogni caso lo so, mia cara. Io invece te l'ho mai detto che dovresti essere ubriaca più spesso?' disse ridacchiando e mi prese la mano fra le sue, facendomi rinsavire.

'A quanto pare non sei l'unico che lo pensa.'
Sbuffai, e tentai nuovamente di mettermi in posizione eretta, ma stavolta fui presa da un conato di vomito.

'Io... credo di aver bisogno di...' mormorai cercando di non vomitare addosso ad Etienne.

'Ferma lì, vado a prendere un secchio. Non vomitarmi sul letto!' disse e si fiondò nell'altra stanza, tornando con un secchio di legno nel quale riuscii a rimettere quel poco che avevo mangiato e tutto l'alcol che avevo bevuto poco prima.

Etienne mi passò un bicchiere d'acqua che bevvi fino all'ultimo sorso, cercando di recuperare i liquidi che avevo perso.

La testa mi faceva meno male, e nonostante avessi perso anche le ultime forze che mi rimanevano, 
sentii la mia mente tornare più lucida.

'Mi dispiace tanto, Etienne...' mormorai.

'Avanti, ora devi riposare sul serio. Almeno domani mattina starai meglio.' disse, e si alzò. 

Mi lasciai cadere sul cuscino, e dopo essermi asciugata il sudore dalla fronte, caddi in un sonno profondo.

*Flashback*

Frontiera di John's Town, 1789.

'Che avevamo detto sulla lezione di Filosofia, Eleanor?' disse Winston incrociando le braccia. 
Lo sguardo dell'uomo si posò sulla ragazza che aveva cresciuto in quegli anni e che ormai era diventata quasi una donna.

Eleanor sbuffò e gli prese la mano, implorandolo.
'Eddai, Winston! La faremo oggi pomeriggio la lezione, hai visto che bella giornata c'è fuori? Non possiamo rimanere chiusi in casa.' disse imbronciata.

Winston roteò gli occhi e si mise a posto gli occhiali, rassegnandosi alle volontà della quindicenne.

'E va bene! Tanto tuo padre sarà contento, dato che pensa che tu abbia bisogno di stare di più ad allenarti all'aperto che chiusa in casa a studiare. Pero' i cavalli li prendi tu stavolta.' disse, e la ragazza gli gettò le braccia al collo.

'Certamente! Evviva! Stavolta ti batterò brutalmente al galoppo fino al lago, sappilo.' rise e dopo essersi infilata gli stivali si precipitò giù dalle scale in un fruscio causato dalla stoffa bianca del suo vestito primaverile.

'Non ne dubito, Eleanor, anzi per te sarà facile, dato che la mia schiena mi sta impedendo di muovermi oggi. Probabilmente sto diventando vecchio sul serio.' commentò Winston, grattandosi la barba che stava diventando sempre più grigia.

Posò i suoi libri sul tavolo e si precipitò giù dalle scale, per raggiungere la ragazza che lo aspettava sorridente davanti alla tenuta in compagnia di due cavalli già sellati e imbrigliati.

'Avanti, signor Bradford! Non vorrete far aspettare la vostra dama?' 

Winston scosse la testa divertito e salì sul suo cavallo, per poi imboccare insieme ad Eleanor, al suo fianco, il sentiero che portava al lago.

'Avevi ragione, mia cara. Abbiamo fatto bene a fare un giro a cavallo, oggi è proprio una bella giornata. Platone può tranquillamente aspettare oggi pomeriggio.' disse Winston.

Eleanor rise. 
'Wow, l'hai detto sul serio? Hai ammesso che ho ragione, questa devo segnarmela.' 

'Lo sai che quando ti comporti bene te lo faccio sempre notare. E poi per un giorno possiamo anche cambiare le nostre abitudini.' 

Solitamente Eleanor studiava con Winston la mattina, e il pomeriggio si allenava. Ma oggi era riuscita a convincerlo a cambiare i turni della giornata... questo perché sapeva, in cuor suo, che quel pomeriggio avrebbe piovuto. 

Ogni mattina infatti, al sorgere del sole, la ragazza scrutava il cielo ed ascoltava i rumori della natura che la circondava dal tetto della Tenuta, come le aveva insegnato a fare suo padre. E riusciva spesso, da questi, a indagare su come sarebbe mutato il tempo nell'arco del giorno. 

'Winston... tu e mio padre prima che partisse stamattina presto, stavate parlando di me. Vero?' chiese la ragazza, indagando nell'espressione del suo tutore.

Winston scosse la testa.
'Quante volte ti ho detto che non devi origliare i discorsi che non ti riguardano, signorina?' la riprese.

'Oh, andiamo Winston! Non stavo origliando, eravate nell'atrio all'ingresso e io ero appena uscita dalla stanza per fare colazione! Stavate parlando di una mia ipotetica partenza, non è così?' chiese la ragazza, lievemente scocciata per tutte le volte in cui aveva dovuto sentirsi esclusa dai discorsi di Winston e suo padre.

Winston le rivolse uno sguardo contrariato, quasi pensando al fatto che l'avrebbe persa, che ormai era cresciuta e avrebbe scoperto la verità prima o poi. E lui non poteva fare nulla per impedirlo, se non continuare a posticipare il momento in cui sarebbe successo.

'... Si, Eleanor. Ci stiamo pensando. Ma non farti strane idee, non è nulla che succederà presto. Non sei ancora preparata fisicamente e mentalmente.' rispose l'uomo, aggiustandosi il tricorno sul capo.

Eleanor abbassò lo sguardo sul suo cavallo, che a fianco di quello di Winston continuava ad avanzare sul sentiero sterrato che portava al lago.

'Posso almeno sapere dove avreste intenzione di mandarmi, quando il mio addestramento qui sarà completo?' chiese ancora.

'Sicuramente in Europa. Londra, Parigi, Vienna... non lo sappiamo ancora. Ci sono molte cose da valutare, Eleanor. Sai che dopo aver compiuto la tua educazione e le basi del tuo addestramento insieme a me dovrai concluderlo altrove all'interno di una Confraternita, tuo padre te ne ha già parlato.' Winston sapeva, e avrebbe voluto che sapesse anche Eleanor. Avrebbe voluto dirle la verità, finalmente. Era da quando l'aveva tenuta in braccio da appena nata che l'aveva considerata come sua figlia, ed era orgoglioso di come fosse riuscito ad educarla. Anche Jeanine, sua madre, sarebbe stata orgogliosa di lei se l'avesse vista in quel momento. 

'Lo so, Winston. È che... mi preoccupa. Non sono mai uscita dal Continente Americano. Non so se sarò capace di cavarmela, da sola in una grande città per la prima volta... quando dovrò partire.' 

'Non devi preoccuparti. Non dovremmo nemmeno parlarne, dato che manca ancora molto alla tua partenza e io non ho nessuna intenzione di salutarti ora. Non credo la avrò nemmeno fra due, cinque o quanti anni ci vorranno finché partirai. So solo che dovrà succedere prima o poi, ovviamente spero il più tardi possibile. Ma ora non pensiamoci, dobbiamo arrivare al lago. Non ho fatto preparare a Lizzie questi manicaretti per nulla, e poi so che il tuo amico ti aspetta lì vicino.' la stuzzicò.

'Winston!' esclamò la ragazza arrossendo. Jack, un ragazzo che aveva conosciuto da qualche mese e che si era trasferito nella frontiera con la sua famiglia, era colui al quale si riferiva il suo tutore. 
Era ragazzo simpatico insieme al quale ultimamente passeggiava attorno al lago.
Non aveva mai pensato a lui in un modo diverso da un semplice amico, eppure parlarne con Winston la metteva in imbarazzo. 

'Sei diventata più rossa di un papavero, Eleanor! Ho detto qualcosa di sbagliato, per caso?' continuò a provocarla. Winston sapeva che le sue ultime frequenti passeggiate erano dirette al lago, e che probabilmente aveva fatto amicizia con quel ragazzo. Non era geloso o contrariato - beh, forse un po' - ma era felice quando la ragazza riusciva a trovare compagnia nei luoghi in cui si trasferiva abitualmente. Da quando era cresciuta le lasciava più tempo libero, perché era giusto così.

Eleanor comunque fece finta di nulla. 

'Farai meglio a spronare il tuo cavallo Winston, prima che ti batta al galoppo fino al lago!' disse la ragazza e spronò il suo cavallo al galoppo, assaporando ogni respiro di vento fresco nella frontiera. 

'Ehi, signorina! Così non vale, ti stai approfittando di un uomo anziano! Beh non così anziano, ma comunque...' rispose Winston seguendola con il suo destriero, ma la ragazza ormai non riusciva a sentirlo. 

Aveva dimenticato la conversazione appena avuta con lui come quasi tutte quelle che riguardavano argomenti simili, ed ora il suo unico pensiero era quello della libertà che poteva sentire sulla sua pelle mentre si dirigeva al galoppo verso il lago. 

*Fine del flashback*

*Angolo dell'autrice*

Eccoci qui con un nuovo capitolo! Scusate il ritardo ma gli impegni scolastici sono quelli che sono :(
Allora, che dire... la povera Eleanor stava per cacciarsi di nuovo in un guaio con De Sade, ma fortunatamente è arrivato 'il principe azzurro' Etienne a salvarla hahahaha credete riuscirà a riprendersi dopo tutto quello che le è successo?
Ah, poi finalmente conosciamo un po' di più il caro Winston grazie ad un altro flashback. Che ve ne pare di lui? Pensate che a un certo punto salterà fuori anche nella storia vera e propria?
Fatemi sapere che ne pensate!
Un bacio,

Izzy

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Capitolo 19
*** 19. La bile nera. ***


La mattina seguente mi svegliai quando il sole era già alto, infatti la luce colpì il mio viso dalla finestra.
Nonappena aprii gli occhi, la realtà mi ripiombò nella testa. 
Rividi il volto senza vita di mia madre, Humbert Poulain cadere a terra esanime, lo sguardo distrutto e preoccupato di Arno su di me nel momento in cui l'avevo lasciato a Palazzo.

E in quel momento, il cuore iniziò a battermi in petto come mai aveva fatto prima, seguito da un fiume di lacrime che mi ostruirono la vista e iniziarono a scendere incessantemente sulle mie guance. Mi coprii il volto, e strinsi forte la mia testa fra le dita. Volevo solamente che quei ricordi dolorosi se ne andassero, ritornare indietro e cancellare tutto quello che era successo. Chiedere a mio padre e a Winston perché mi avessero mandata qui senza avvertirmi di nulla. Ma ormai era troppo tardi per fare qualsiasi cosa.

Mentre mi trovavo ancora in quelle condizioni la porta della stanza si aprì ed entrò Etienne.
Appena si accorse che stavo piangendo si sedette sul letto e mi strinse in un abbraccio fortissimo, in modo che potessi sfogarmi sulla sua spalla. Ne avevo davvero bisogno.

'Andrà tutto bene, Eleanor, qualsiasi cosa sia successo... rimetteremo tutto a posto, te lo prometto.' disse, riuscendo a calmarmi per un attimo.

'Etienne, ieri notte... non ti ho dato ascolto. Sono andata a parlare con Arno del fatto che avessimo scoperto dove si trovava Humbert Poulain, e nonostante mi avesse pregato di non andare a Palazzo da sola, l'ho fatto. L'ho fatto, e... nonostante sia riuscita ad eliminarlo, lui ha ucciso mia madre. Ha detto che l'avrebbe fatto in ogni caso. L'ho vista morire davanti ai miei occhi, Etienne. Io.. non avrei dovuto farlo, avrei dovuto ascoltare Arno, avrei dovuto...' cercai di finire la frase ma ricaddi di nuovo vittima della mia disperazione e del pianto.

'Eleanor... io non avevo idea che fosse successo tutto questo... mi dispiace davvero tantissimo. Sul serio.' mi prese per le spalle e mi asciugò le lacrime. 

'Cosa succederà ora, Etienne? Mi sento persa, ho perduto mia madre per sempre, non ho più motivo di rimanere qui se non la mia vendetta su Poulain. Devo estirparlo da questa Terra, è tutto quello che ho in mente.' dissi stringendo i pugni.

Al momento quel sentimento di vendetta era l'unica cosa che mi faceva sentire viva.

'Non essere avventata. Hai imparato a tue spese cosa vuol dire agire senza prima pensare. Ora, mi dispiace riportarti con i piedi per terra, ma... hai agito senza avvertire la Confraternita. Non so a che conseguenze porterà questo per te, Eleanor. Ma cercherò di aiutarti il più possibile, d'accordo? Andrò a parlare con Arno, e insieme troveremo un modo. Tu ora pero' non devi uscire di qui, per nessun motivo. Ora che il figlio di Poulain è morto dovrai aspettarti di tutto da parte sua. Vorrà ucciderti il più presto possibile.' 

Io scossi la testa.
'Etienne, qualsiasi cosa succeda... mi prenderò la responsabilità delle mie azioni. Se Maillard e il Consiglio decideranno di buttarmi fuori, agirò da sola e mi dileguerò per sempre. Altrimenti troveremo insieme un piano d'azione per eliminare definitivamente Poulain. Ma è una cosa che dovrò fare necessariamente.' dissi con gli occhi fissi al pavimento.

Etienne sospirò e si infilò la casacca, per poi rivolgermi un'occhiata decisamente preoccupata. 

'Ora devo andare. Mi raccomando, Eleanor, rimani qui. Tornerò il prima possibile. Guardami negli occhi, per favore.' mi disse, inginocchiandosi di fronte a me dopo avermi preso le mani.

'Non fare sciocchezze, per l'amor del cielo.' disse serissimo. 
Io annuii.
In ogni caso, presa com'ero, non avrei potuto combinare nulla di buono in quel momento.

20 Settembre 1795.

In quei giorni avevo passato l'Inferno. Non riuscivo a mangiare, il mio stomaco era continuamente chiuso e i miei nervi erano costantemente tesi, a fior di pelle. Mi trovavo in una situazione terribile che non avevo mai affrontato, e mi chiedevo come Etienne riuscisse a tenermi a bada con così tanta gentilezza. 
Cercava di farmi mangiare quando poteva, ma quel poco che riuscivo a mandare giù non riuscivo a digerirlo, o lo rimettevo. 
La notte, non riuscivo a dormire. Un'ondata di ricordi e sensi di colpa mi colpiva ogni volta che provavo a chiudere gli occhi e coricarmi a letto, facendomi finire sempre allo stesso modo. A piangere, piangere a dirotto fino a che non ero talmente distrutta da crollare nel sonno.

Il dottor Thibault era stato qui due giorni fa, e dopo avermi visitata superficialmente a causa delle mie proteste mi aveva confessato di essere seriamente preoccupato per la mia salute. Diceva che quello che avevo passato mi aveva causato un trauma, e che mi trovavo in una fase psicologica depressiva. 
Come se non lo sapessi. 

Scossi la testa, continuando a pettinare i miei lunghi capelli castano scuro. L'unica parte di me che era rimasta intatta.

Non avevo idea di quanto peso avessi perso in quei giorni, per colpa della mia tensione nervosa e del fatto che non riuscissi a mangiare. Tra le altre cose, facevo anche fatica a vedermi allo specchio in quelle condizioni, perché solo guardandomi si notava che mi stavo trovando in quella situazione. Sembravo un fantasma anche fisicamente... ma comunque il mio aspetto esteriore non era nulla, paragonato a come mi sentivo dentro.

Etienne aveva cercato di parlarmi, persino Heléne era venuta a trovarmi spesso in quei giorni per rimettermi in sesto ed aiutarmi a lavarmi e a non lasciarmi andare, come probabilmente sarebbe successo se fossi rimasta da sola. 

Ma nonostante la loro presenza fosse di grande aiuto per me in quel momento, non riuscivo a parlare con nessuno. Per gran parte della giornata rimanevo ferma a fissare il soffitto, chiedendomi quando sarebbe finita quell'agonia. A sognare - ed era una cosa che mai avrei pensato di fare quattro mesi fa, appena arrivata qui - di tornare in America, in mezzo alle frontiere, come quando avevo quattordici anni ed ero libera di scorrazzare in sella al mio cavallo per le praterie. Quando non conoscevo nulla di tutto questo, quando nonostante mi sentissi rinchiusa in un Mondo troppo piccolo e silenzioso, non soffrivo come stavo soffrendo ora.

Come se non bastasse, in mezzo all'inferno che pativo in quella stanza nel resto di Parigi regnava di nuovo il terrore e il caos. 
Il popolo aveva paura dei realisti, che fomentati dalla protesta e aizzati da Poulain, seminavano terrore e sangue nel nome del legittimo sovrano Luigi XVIII in ogni angolo della città.

E come se già tutto questo non fosse abbastanza, stando a quello che mi aveva raccontato Etienne, c'era stato un funerale per Humbert e per mia madre nello stesso giorno.

Ora riposavano entrambi al Cimetière des Innocents, nella tomba di famiglia dei Poulain. Anche quel fatto contribuì a peggiorare la mia situazione... non potevo accettare che mia madre riposasse accanto al suo carnefice. Peccato che non potessi farci nulla.

'Eleanor, Hèlene è qui. Vuoi che la faccia entrare?' mi chiese Etienne, bussando alla porta.

'Va bene.' dissi, e misi giù la spazzola.

La porta si aprì lentamente. Non mi girai nemmeno a guardare Heléne, ma notai la sua espressione preoccupata dal riflesso dello specchio.

'Eleanor...' disse, e si avvicinò a me posandomi le mani sulle spalle.

'Ciao, Heléne.' dissi fingendo un mezzo sorriso.

Lei sospirò e prese la spazzola, poi continuò il lavoro che avevo lasciato a metà con estrema dolcezza, pettinando i miei capelli ciocca per ciocca.

'Dimmi che hai mangiato qualcosa stamattina, ti prego.' 

'...Un po' di pane e un bicchiere di latte.' dissi, guardandomi le mani. Erano molto secche e disidratate.

Nonappena Heléne ne notò le condizioni, tirò fuori dal suo mitico cestino una boccetta e le cosparse di un unguento dal profumo dolce e gradevole.

'Olio di mandorle. È miracoloso, prova ad usarlo anche sui capelli.' mi fece l'occhiolino e appoggiò la boccetta davanti allo specchio sulla toletta.

'Sei venuta a chiedermi di tornare di nuovo, Heléne?' dissi girandomi verso di lei sulla sedia.

La bionda si sedette sul mio letto scuotendo la testa.
'Lo sai che la tua mancanza si sente, al Cafè. La sentiamo tutti, Eleanor. Io, Madame Gouze anche se ti vedeva solo ogni tanto... e Arno...' 

Chiusi gli occhi quando sentii il suo nome. Ecco un'altra ragione per cui stavo così. Arno... l'avevo pensato molto, in questi giorni.

Avevo pensato a come l'avevo lasciato al palazzo, a cosa ne sarebbe stato di me e di lui dopo quello che era successo. Mi chiedevo come stesse, se avesse perso la fiducia in me, alle parole che mi aveva detto... mi aveva detto di amarmi. 
Io non... ero sicura, di quello che provavo per lui. Avevo ancora paura di essere respinta, avevo paura che non mi amasse veramente e l'avesse detto solamente per convincermi a non andare al Palazzo di Poulain quel giorno. C'era ancora qualcosa che lo bloccava, c'era ancora qualcosa che mi rendeva così difficile riuscire ad arrivare dritta al suo cuore, al vero Arno. 
Ero rimasta profondamente delusa dal fatto che avesse usato la scusa del 'dovermi proteggere' e della Confraternita. Certo, aveva le sue responsabilità pero', e non potevo fargliene una colpa. Ma anche io avevo le mie.

La verità era che non sapevo definire il mio rapporto con lui. Non ero sicura fosse amore, nonostante sembrasse tale. Si, era vero che era stato il primo e unico con cui ero stata a letto, ma quello contava parzialmente... Nonostante non potessi negare che fra me e lui c'era qualcosa, un filo che non riuscivo a spezzare. E questo non potevo negarlo perché mi mancava. Mi mancava in modo assurdo, ma non potevo esternarlo. 
Avevo avuto bisogno di stare da sola in quel periodo, per riflettere. Solo che su noi due non ero ancora giunta ad una conclusione.

'... Ti ha detto qualcosa? Almeno lui ha novità sulla Confraternita?' le chiesi, cercando di apparire il meno vulnerabile possibile sulla questione.

Heléne annui.
'Sono venuta qui per questo. Maillard e il Consiglio vogliono parlarti.'

Io lasciai andare la schiena sulla sedia, e tirai un lungo sospiro. Quindi era giunto il momento. 

'Hanno deciso, finalmente.' dissi.

Etienne in quei giorni non mi aveva detto nulla riguardo a cosa avesse stabilito il Consiglio sulla mia situazione.
Diceva fossero costantemente riuniti, perché non erano tutti d'accordo. Non sapeva chi volesse esiliarmi e chi no. 
Gli Assassini erano impegnati a combattere i realisti in giro per la città mentre il Consiglio discuteva su di me. La situazione appariva assurda, ma era così.

'A quanto pare si. Devi andare lì domani sera, e ti sarà comunicato l'esito della loro decisione.'

Mi girai a guardare i miei vestiti da Assassina sulla cassapanca ai piedi del letto. In quei giorni avevo praticamente fatto finta di non vederli, per non pensare anche a quello. 
Se avessi iniziato a chiedermi anche come sarebbe andata a finire per me alla Confraternita, probabilmente i miei nervi non avrebbero retto.

'... Ci sarà anche Arno?' chiesi ad Heléne, ridestata dai miei pensieri.

'Si, Eleanor. Sarà presente. Sai, lui ha cercato di fare il possibile, con il Consiglio. La decisione finale sarà presa stanotte, dal Mentore. Ma Arno sarà li insieme a te domani sera.' mi prese la mano, e la strinse. La guardai negli occhi. Non ero sicura di riuscire a reggere nemmeno il suo sguardo, figurarsi quello di Arno il giorno dopo alla Confraternita.

'Ti ringrazio tantissimo, Heléne. Non so come avrei fatto senza di te in questi giorni, davvero.' le dissi.

Ci alzammo entrambe, e ci stringemmo in un abbraccio. Ne avevo bisogno, in quel momento.

'Ti aspetto al Cafè in ogni caso, Eleanor. Passerò a trovarti domani sera. Buona fortuna, tesoro.' mi diede un bacio sulla guancia, e mi salutò.

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Capitolo 20
*** 20. Il verdetto. ***



*Arno's POV*

Erano quasi due settimane che non vedevo Eleanor. 
Credevo di averle passate in uno stato mentale dal quale ero convinto di non riuscire a riprendermi fino a quando non l'avrei rivista.
Ero consapevole avesse bisogno di passare del tempo da sola per elaborare il lutto - anche se Etienne ed Heléne mi informavano del suo stato costantemente - ma non ero sicuro le stesse facendo del bene, da quanto mi dicevano.

Il fatto era che avrei voluto andare da lei, avrei voluto prenderla di forza e riportarla da me perché avevo bisogno di lei. La mancanza della sua presenza si era fatta sentire prepotentemente in quei giorni. Si, stavo ammettendo che mi mancava da morire. 
E non sopportavo il fatto di saperla sofferente e lontana da me.

Ma cosa potevo fare? Lei mi aveva detto di non cercarla più. Mi aveva detto di lasciarla andare, che voleva la sua vendetta. Sapevo quanto questo poteva essere pericoloso, e avevo cercato di avvertirla. Avrei voluto fermarla, ma se l'avessi fatto, se mi fossi avvicinato a lei in quel modo, probabilmente l'avrei persa. 
La amavo? Non lo sapevo. Gliel'avevo detto prima che andasse a Palazzo Poulain e tentasse di salvare sua madre, ma non sapevo se mi fosse uscito di getto o fosse la verità.
Avevo paura di perderla? Si. Troppa. E per questo speravo in una decisione positiva nei suoi confronti da parte del Consiglio, per la quale mi ero impegnato tanto in questi giorni insieme ad Etienne.
Sapevo che aveva infranto le regole della Confraternita, ma... potevo contare probabilmente sull'appoggio del Mentore Maillard, che mi sembrava ben disposto nei suoi confronti. Probabilmente c'era qualcosa sotto, ma tanto l'avremmo scoperto tra poco.

'Dorian, vieni su.' la porta del Consiglio di aprì e Roussel fermò il mio passo nervoso davanti ad essa.
Avevano deciso.

L'atrio non era gremito come al solito - gli Assassini erano impegnati per le vie della città, che in quei giorni erano diventate un inferno per via dei realisti - ma quasi tutti erano al corrente di quello che stava succedendo e coloro i quali dovevano fare il rapporto serale alla Confraternita erano lì presenti.

Sospirai, e mi avviai all'interno della sala.
Maillard era seduto alla scrivania, accanto a lui i Maestri Mercier e Roussel.

'Arno, abbiamo deciso. Aspetteremo l'arrivo di Eleanor.' disse Maillard. Io annuii, e mi misi in piedi dietro alla mia sedia accanto a Roussel.

Non potevo chiedere nulla perché si trattava di una mia allieva, ma stavo sperando e pregando con tutto me stesso perché Maillard non avesse cambiato idea sulla sua scelta.

Qualche minuto dopo la porta si aprì e rividi Eleanor. 
Si avvicinò a passo fermo verso di noi, e si tolse il cappuccio.

Nonappena la vidi pensai che fosse cambiata. Appariva più magra e sciupata, ma la sua espressione denotava una sicurezza che non avevo mai visto in lei. 
Gli occhi erano fissi su Maillard, non mi degnò nemmeno di uno sguardo.

'Volevate parlarmi, Mentore.' disse.

'Esatto, Eleanor. A proposito di quello che è successo alcuni giorni fa. Hai agito e ucciso Humbert Poulain senza avvertire la Confraternita, per questioni personali.'

'Ne sono consapevole, Mentore. Humbert Poulain teneva in ostaggio mia madre da anni. Dovevo liberarla, ma lui l'ha uccisa. Io l'ho eliminato, è vero, ma non l'ho fatto unicamente per motivi personali.'

'Al Consiglio dispiace per tua madre, Eleanor. Ma questo non toglie il fatto che tu abbia agito contro i dettami del Credo e soprattuto per motivi personali, senza prima consultarti con noi.'

'Questo è vero. Ma Poulain era figlio di suo padre. Il suo braccio destro, un Templare. La sua uccisione è un bene per la Confraternita.' rispose convinta.

Roussel sbattè una mano sul tavolo.
'Ti è stato insegnato, Eleanor, ad agire secondo i dettami della Confraternita. E si che tu dovresti conoscerle queste cose, dato che sei figlia di uno dei migliori Assassini dei giorni nostri. Invece hai agito per vendetta.'

'Volevo liberare mia madre, nessuna vendetta. Nel momento in cui Humbert Poulain mi ha attaccato, l'ho affrontato e l'ho ucciso nonostante il rischio. Tutte le cose che noi Assassini avevamo provato a fare nei giorni precedenti non avevano portato a nulla. Abbiamo passato due mesi a indagare sui piani di Poulain e i realisti, senza scoprire cosa avessero in mente. Quello che sta succedendo ora per le strade sarebbe successo in ogni caso, io l'ho solamente anticipato.' 

Maillard sospirò.
'È la verità. Ed è per questo che non possiamo esiliarti dalla Confraternita. Abbiamo bisogno di te.' disse.

Io tirai un lungo sospiro. Le mie argomentazioni dei giorni precedenti a quanto pare erano servite.

Eleanor nonostante la risposta di Maillard, rimase impassibile. Probabilmente l'ultima frase l'aveva insospettita.

'Avete bisogno di me?' chiese confusa, incrociando le braccia.

'Il Maestro Dorian ha trovato una lettera nella tasca di Poulain dopo la sua morte. In questa lettera viene accennato ad un Manufatto recuperato in Italia dai Templari Inglesi ultimamente, a favore di un 'Glorioso Giorno' che a quanto pare riguarda Poulain e i realisti. Ebbene, abbiamo contattato il Consiglio Internazionale di Londra, che ci ha mandato delle precise direttive. Queste direttive ti riguardano, Eleanor.'

Lei aggrottò le sopracciglia. Non sapevo cosa le stesse passando per la testa, ma aspettai che Maillard finisse il suo discorso.

'Continuate, Mentore.' disse Eleanor.

'Poulain vuole ucciderti, questo è sicuro. Sta facendo setacciare qualsiasi zona della città dai suoi scagnozzi e dai realisti per trovarti, all'oscuro dei suoi alleati Templari Inglesi che sono alleati con lui solamente perché favoriscono il ritorno della Monarchia. Devi prepararti ad affrontarlo, e recuperare il Manufatto che è in suo possesso. Se riuscirai ad ottenerlo e ad eliminare Poulain, farai parte del Consiglio Internazionale degli Assassini come spia. Ci hanno chiesto espressamente loro di reintegrarti, Eleanor.' concluse Maillard. 

Eleanor tirò un lungo sospiro. 
'Se è questa l'occasione per eliminare definitivamente qualsiasi traccia dell'Ordine Templare in Francia e vendicare la morte di mia madre, così sia.' disse.

'Benissimo. Dichiarate completo il suo addestramento, Maestro Dorian?' mi chiamò.

'Eleanor è pronta.' dissi, guardandola. In quel momento lei ricambiò finalmente il mio sguardo, e annuì in segno di gratitudine.

'Ottimo. In questi giorni dovrai prepararti mentalmente e fisicamente ad affrontare Poulain, che ha intenzione di supportare una marcia di protesta realista fra 15 giorni. Non conosciamo la portata dell'evento e non siamo sicuri sia il 'Glorioso Giorno' del quale si menziona nella lettera, ma in ogni caso noi colpiremo in quell'occasione. Abbiamo il supporto di Napoleone e della Guardia Nazionale, ma Poulain sarà nelle tue mani.' 

Gli occhi di Eleanor a quelle parole cambiarono la sua espressione. Soprattutto l'ultima frase. 

'Vi ringrazio, Mentore.' fece un mezzo inchino e si diresse fiori dalla sala del Consiglio.

Io la seguii giù dalle scale e nell'atrio, dove gli altri Assassini ci stavano fissando entrambi.
Aspettai che arrivasse al corridoio d'entrata, dove non c'era nessuno.

'Eleanor, fermati.' le dissi.

Lei arrestò il passo e si girò verso di me con un'espressione indecifrabile.

'... Come stai?' le chiesi. Lei distolse lo sguardo.

'Come sto, Arno... non lo so nemmeno io. Fino a cinque minuti fa ero pronta a qualsiasi risposta da parte del Consiglio. Credevo mi volessero esiliare.' disse con un mezzo sorriso.

'Ho fatto il possibile per evitare che accadesse.' dissi semplicemente. Lei alzò il suo sguardo su di me.

'Sei stato tu, vero? Ad arrangiare le cose con il Consiglio Internazionale. Hai scritto a Winston per conto mio?' mi chiese. 
Io sorrisi, guardando in basso. Mi aveva beccato.

'Perdonami se l'ho fatto, Eleanor. Ho fatto fatica a starti distante in questi giorni... speravo di poterti aiutare in qualche altro modo.' feci un passo verso di lei.

Mi accorsi, data la vicinanza, che aveva gli occhi lucidi. Scosse la testa e mi diede le spalle, per poi asciugarsi le lacrime.

'Non avresti dovuto farlo.' disse, cambiando tono di voce. 
Io rimasi confuso. Che le succedeva?

'Credevo ti avrebbe fatto piacere...' mormorai. 

Lei si girò di lato e mi guardò di sbieco. 
'Non avevo bisogno del tuo aiuto, Arno. Mi sarei dovuta prendere le mie responsabilità da sola.' 

Io scossi la testa, scandalizzato. Non la capivo.

'Cosa diavolo ti sta succedendo, Eleanor? Come mai sei diventata così fredda?' sbottai, esasperato.

Lei mimò una risata, ma tornò serissima un secondo dopo.

'Sono cresciuta, Arno. La Rivoluzione ha cambiato anche me, come ha fatto con tutti. Te per primo.' disse a bassa voce, fissandomi negli occhi.

Io sospirai, e cercai di avvicinarmi a lei.
'Eleanor, ti prego. Torna da me. Torna al Cafè... concludiamo le cose insieme. Rimetteremo tutto a posto.' la implorai.

Lei fece un passo indietro.

'Mi dispiace, Arno. Non ci riesco.' disse con una lacrima che le scendeva sulla guancia, e uscì dal Covo a passo spedito sotto ai miei occhi, lasciandomi da solo insieme a mille domande.

*Angolo dell'autrice*
Buongiorno ragazzi! Eccoci qui con un nuovo capitolo... ah, fortunatamente la nostra Eleanor si è salvata ed è stata reintegrata nella Confraternita! Pero' deve prepararsi a qualcosa di molto molto importante: deve eliminare Poulain. E finalmente, può farlo con il placet della Confraternita! Nonostante questo pero' è ancora turbata a causa di Arno... cosa dite, credete riusciranno a riavvicinarsi prima del grande evento?
Fatemi sapere che ne pensate <3
Un bacio enorme,
Izzy

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Capitolo 21
*** 21. Il preludio. ***


*Eleanor's POV*

Ripresi fiato nonappena uscii dal Covo, assaporando l'aria di inizio autunno sul viso.

Non ero riuscita a reggere lo sguardo di Arno nè le sue parole e non sapevo perché. Nonostante avessi ricevuto una notizia positiva dalla Confraternita, vederlo lì in piedi davanti a me mi aveva lasciata profondamente scossa. Mi aveva riportato a quella notte maledetta...

Più che rivedere lui, però, ero rimasta scioccata dal fatto che avesse scritto a Winston per impedire il mio esilio dalla Confraternita. Perché l'aveva fatto? Gli avevo detto di non cercarmi, di lasciarmi da sola. Credevo mi odiasse, che fosse deluso, che non volesse più vedermi. Invece era lì in piedi alla riunione del Consiglio a darmi man forte, aveva addirittura scritto a Winston in modo che mi aiutasse con l'appoggio del Consiglio Internazionale di Londra.
Una spia. Sarei diventata una spia del Consiglio, se tutto fosse andato bene. Il problema era che non sapevo nemmeno cosa volesse dire.

Potevo solo supporre questo implicasse che se fossi riuscita a sconfiggere Poulain ed estirpare una volta per tutte la piaga Templare dalla Francia, sarei partita. Avrei lasciato Parigi, e tutto quello che avevo vissuto negli ultimi mesi in questa città. Avrei dimenticato tutto quello di negativo che mi era successo. Ma il fatto era che prima di uccidere Poulain e vendicare mia madre, non sarei andata da nessuna parte. La mia coscienza me lo impediva. E il mio cuore anche.

Scossi la testa, distratta da una voce.

'Allora?' chiese Etienne, che mi aveva aspettata fuori per tutto il tempo.

Io feci un lieve sorriso, dopo aver alzato gli occhi su di lui.

'Si! Si, cavolo! Per fortuna! Ah, sono così felice che i miei sforzi siano serviti!' disse contento, e mi strinse in un abbraccio.

'Etienne, ti devo ringraziare. È solo merito tuo se non sono stata cacciata dalla Confraternita. Tuo, e... di Arno.' dissi sulla sua spalla.

'Gli hai parlato?' si staccò da me.

Io sospirai.
'Mi ha parlato lui, ma... non sono riuscita a reggere il confronto. Sta succedendo tutto così in fretta. Ed io sono piena di dubbi, Etienne. Non so come agire...' sentii le lacrime affiorarmi di nuovo agli occhi.

'Non fare così, Eleanor. Sono sicuro che riuscirete a riconciliarvi. Anche perché è necessario, se dovrai continuare e portare a termine la tua missione. Ma vieni con me, andiamo a casa ora. Hai bisogno di riposare.' mi disse cingendomi la spalla con il braccio, mentre ci avviavamo a casa sua.

'Maillard ha detto che molto probabilmente diventerò una spia del Consiglio Internazionale. Capisci, Etienne? Non so nemmeno cosa voglia dire. E poi, come se non fossi già abbastanza sotto pressione per colpa della faccenda di Poulain...' sbottai.

Mentre camminavamo lungo le vie più nascoste e meno esposte al pericolo della città, la testa cominciò a girarmi.
Mi stavo sentendo poco bene, così mi appoggiai alla parete di un palazzo.

'Tutto bene, Eleanor? Che succede? Sei pallida...' mi chiese Etienne, prendendomi il viso tra le mani.

'Io non... mi gira la testa, Etienne..' dissi, prima che il suo viso si annebbiasse davanti ai miei occhi.

Poi, non sentii più nulla.

Non mi resi conto del tempo che passò, ma mi svegliai stesa a letto a casa di Etienne.

Aprii lentamente gli occhi, al mio fianco c'era qualcuno.

'Dottor Thibault..' mormorai, nonappena lo vidi armeggiare con la valigetta sul tavolino alla mia destra.

'Oh, ben svegliata mia cara! Che avete combinato stavolta, eh?' mi chiese, alzandomi la camicia.

Praticò delle leggere pressioni al mio ventre.

'Non lo so, dottore. Credo di essere svenuta per strada poco fa.'

'Avete mangiato?' mi chiese.

'Si, stamattina... ma ho vomitato prima di uscire di casa. Credo di avere dei problemi di digestione ultimamente, nonostante abbia ripreso a mangiare.' mi strofinai gli occhi, ancora assonnati.

'Mmh... siamo sicuri che non abbiate continuato a non mangiare da quando vi ho vista l'ultima volta?' mi chiese, ricoprendomi di nuovo con la camicia.

'No, dottore! Sto meglio dall'ultima volta che mi avete visitata. Ho riniziato a mangiare davvero e i miei nervi sono meno tesi da qualche giorno. Nonostante questo, pero', il mal di testa e le nausee perdurano.' confessai.

Il dottore sembrò ridestarsi dall'espressione dubbiosa che aveva avuto fino a quel momento.

'Nausee, avete detto?'

Io annuii. Le avevo da un po' in realtà, anche da prima del "trauma", come l'aveva chiamato lui.

Il dottore continuò a visitarmi, poi sospirò e richiuse la valigetta.
Io non capivo il suo silenzio nè la sua espressione rassegnata, come se avesse pensato solo in quel momento a una soluzione ovvia.

'Beh, dottore? Cos'è quella faccia?' gli chiesi mettendomi a sedere sul letto.

'Quando ti ho visitato la settimana scorsa mi avevi detto di aver avuto un ritardo. Ho pensato fosse dovuto al digiuno e alla tensione nervosa per quello che avevi passato, Eleanor, ma... i sintomi che manifesti suggeriscono tutt'altro. Mia cara, tu aspetti un bambino.' disse.

'Io che-cosa?' chiesi con un filo di voce.

'Sei incinta, Eleanor.' ripetè guardandomi in viso, e mi prese le mani.

'Io non... non è possibile...' dissi infilandomi una mano tra i capelli, come se potessi convincermi che non fosse vero.

Invece lo era. Lo era eccome.
Heléne mi aveva avvertito, e dato una tintura di alluminio e zinco che diceva aiutasse ad evitare questo genere di cose, ma... evidentemente, non aveva funzionato. 

Rimasi con gli occhi fissi al muro dopo aver ringraziato e salutato il dottore. Poi sedetti di nuovo sul letto, perché non riuscivo a stare in piedi. 
Cosa avrei fatto? A chi l'avrei detto? 

Mi lanciai all'indietro sul letto, sospirando profondamente. Nonostante tutto quello che era successo, tutte le cose terribili che avevo passato in quel periodo.. ora aspettavo un bambino. Non potevo crederci.

Mi alzai e mi guardai allo specchio attaccato al muro. Alzai la camicia e mi passai una mano sulla pancia, ancora incredula. Doveva essere così da più o meno un mese. 

Ma come avrei fatto, con quello che mi aspettava? Non ne avevo la più pallida idea. In quel momento... sentii solo il bisogno di parlarne con qualcuno.

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Capitolo 22
*** 22. Il ritorno di Eleanor. ***


Heléne fortunatamente arrivò da me la mattina seguente, dopo che io avevo passato la notte a riflettere su quello che avrei fatto nei giorni seguenti.
Stavo seriamente prendendo in considerazione che cosa fare dopo quello che avevo appena scoperto, ma non ero ancora arrivata ad una risposta.

'Heléne..' mormorai, abbracciandola.

'Hei, tesoro! Allora, è andata bene mi pare di vedere!' esclamò, rispondendo calorosamente al mio abbraccio.

Mi staccai, e la guardai negli occhi.
'Che succede? Non è andata come speravamo, forse?' mi chiese lei, scrutando la mia espressione.

'Credo sia meglio che tu ti sieda, Heléne.' sospirai.

Lei non disse una parola e si mise sul letto.

'Alla Confraternita è andato tutto bene. Solo che poi mi sono sentita male e sono svenuta, tornando a casa con Etienne. Mi sono svegliata con il dottor Thibault accanto che mi visitava. E beh... mi ha fatto qualche domanda, e alla fine mi ha detto che... sono incinta. Aspetto un bambino, Heléne.' 

Lei si mise una mano davanti alla bocca e mi guardò con gli occhi spalancati.

'I metodi che ti avevo suggerito non hanno funzionato, vero?' chiese retorica.

'... Mi sa di no.' sbottai esasperata, tirando un sospiro.

'Come faremo adesso? Lo diremo ad Arno, agli altri..?' chiese lei.

'No!' esclamai, mettendomi in ginocchio davanti a lei.

'Arno non deve saperlo, non finché tutto questo sarà finito. Devo completare quello che ho inizato, Heléne, devo riuscire ad uccidere Poulain e vendicare mia madre. Ma per fare questo ho bisogno anche di lui al mio fianco... Cristo, come farò? Dopo avermi visto andare via per l'ennesima volta oggi, Arno mi vorrà ancora al suo fianco?' chiesi a  me stessa, con la testa rivolta al pavimento.

'Devi tornare al Cafè, Eleanor. Devi tornare da Arno. Mi basta guardarti per vedere che hai bisogno di lui, come lui ha bisogno di te. In questi giorni non parlava d'altro se non di te, ha cercato di aiutarti in tutti i modi perché sperava tornassi da lui. Eleanor, sei preziosa per Arno. E so cosa provi per lui... smettila di farti del male da sola. Senti, ora non riguarda più solamente te... ma anche la creatura che porti in grembo. Fallo per lui o lei, almeno.' disse, e mi prese le mani fra le sue infondendomi coraggio.

Io scossi la testa, chiudendo gli occhi. Presi un bel respiro... E capii che forse era finalmente arrivato il momento.

Li riaprii qualche secondo dopo ritrovandomela davanti, che aspettava una mia risposta.

Alla fine, mi arresi alla realtà e al mio cuore.
'Hai ragione, Heléne. Torniamo a casa.' 

*Arno's POV*

Scossi la testa e mi alzai dalla scrivania, sospirando pesantemente.
Dovevo togliermi l'immagine di Eleanor dalla testa, ma non ci riuscivo. Mi era parsa così diversa e non solo fisicamente, ma soprattutto nel suo sguardo. La sua reazione e le sue parole mi avevano spaventato, lei sembrava davvero inquieta e quasi disturbata alla mia presenza... ero stato veramente così terribile nei suoi confronti? L'avevo davvero delusa così tanto? O semplicemente non si era ancora resa conto che tutto quello che avevo fatto finora era stato solo ed unicamente per il suo bene, per la sua salvezza? 

Eppure, il dolore sembrava averla consumata così tanto... che in quel momento non potevo fare altro, se non pensare di andarla a prendere e stringerla di nuovo fra le mie braccia, dimostrarle quello che provavo per lei, farle vedere che volevo e avevo bisogno di stare al suo fianco.

Mi alzai dalla sedia e scesi le scale. Avevo bisogno di fare una passeggiata quella sera, per schiarirmi le idee. 
Non mi accorsi immediatamente pero', di quello che qualche secondo dopo si presentò davanti ai miei occhi.

Il sole, che stava tramontando alle spalle dell'entrata del Cafè, offuscò per qualche secondo la figura dinnanzi a me.
Ma poi quella figura fece qualche passo avanti, permettendomi di riconoscerla.

Eleanor.
Era lei.
Non indossava gli abiti da Assassina con i quali l'avevo sempre vista, ma un vestito leggero, bianco, con un corsetto che faceva risaltare la sua figura. Le braccia, coperte da maniche svolazzanti di cotone bianco, erano incrociate davanti al busto.

La guardai in viso: nonostante fosse ancora un po' sciupata, aveva uno sguardo così diverso rispetto a quando l'avevo vista l'ultima volta, stamattina.
Uno sguardo che non riuscii a decifrare completamente, ma che fu avvolto da una strana luce appena incontrò il mio.
Il resto del suo volto era inespressivo, solo gli occhi la tradivano. Quegli occhi... mi erano mancati così tanto in quelle settimane.

Non dissi nulla. Aspettai che lei si avvicinasse a me, passo dopo passo, senza togliere il suo sguardo dal mio.

Alzò lievemente il capo quando si trovò a pochi centimetri dal mio viso.
I suoi occhi continuarono ad indagare il mio volto, la mia espressione, in cerca di una reazione.

'Mi dispiace così tanto, Arno.' mormorò dopo qualche secondo e mi prese la mano destra fra le sue, abbassando lo sguardo.

Alzò di nuovo il volto verso il mio dopo qualche istante con una lacrima che le rigava la guancia, ancora in attesa di una mia reazione.

Io, davanti a tutta quella bellezza, davanti all'unico viso che in quei mesi mi aveva donato una ragione valida per continuare a fare quello che stavo facendo, non potei fare altro che arrendermi.

Alzai la mano e le asciugai la lacrima, facendola leggermente sussultare al mio tocco.
Poi sospirai, avvicinandola a me per il fianco in modo da far aderire le nostre fronti l'una all'altra.

'Ti rendi minimamente conto di quanto tu mi sia mancata in questi giorni, lionne?' sussurrai, fissandola negli occhi.

Lei sospirò e finalmente, dopo avermi preso il volto fra le mani, mi sorrise. E quello fu il sorriso più bello e sincero che avessi mai visto.

Non riuscii a resistere e la strinsi a me per poi baciarla a lungo, mentre le sue lacrime bagnavano anche il mio viso.
Dio, se mi era mancata.

Mi sembrò che in quel momento, in quell'attimo, tutto quello che ci stava succedendo attorno, tutto quello che ci circondava facesse parte di un altro Mondo, rallentato, ovattato, lontano da noi.

Stringere di nuovo Eleanor fra le mie braccia era la cosa di cui avevo avuto bisogno da ancora prima che la conoscessi.
Colei che ora avevo dinnanzi a me era l'inizio della mia nuova vita.

'Mi sei mancato anche tu. Da morire.' sussurrò una volta staccatasi da me, e appoggiò le mani sul mio petto.

Io sorrisi, profondamente risollevato da quell'affermazione. Allora anche lei aveva provato lo stesso in quei giorni...

'Hai una luce nuova negli occhi, Eleanor. Dopo stamattina, vederti tornare da me sarebbe stata l'ultima cosa che avrei immaginato... cos'è successo per farti tornare al mio fianco ora?' le chiesi, accarezzandole una guancia con le nocche delle dita.

Eleanor sembrò ridestarsi per un secondo, quasi si fosse ricordata di qualcosa in quel momento, ma poi mi guardò di nuovo e scosse la testa sorridendo.

'Solamente... mi sono resa conto di quanto avessi bisogno di stare al tuo fianco, Arno. Prima che me ne andassi di qui quella notte, due settimane fa... io...'

'No, ormai è passato, Eleanor. Non voglio costringerti a ricordare cose che ti hanno fatto soffrire per tutto questo tempo... ascoltami.' le presi il viso fra le mani.

Lei annuì, decisa, speravo, ad ascoltarmi.

'Hai sentito quello che ha detto Maillard. Dobbiamo pensare solamente a quello che ci aspetta, ora. Non esiste più quello che è successo. Il passato è passato. Il passato è quello che ci ha portato fino a qui, Eleanor, quello che ti ha fatta crescere e diventare la meravigliosa Assassina che sei ora. Abbiamo un obbiettivo, ora. E tu sei abbastanza fortunata per il fatto che questo obbiettivo coincida anche con il tuo riscatto personale... dobbiamo pensare solamente a questo, adesso. Perché in questa breve e definitiva avventura, lionne, io sarò al tuo fianco. E stavolta non ti lascerò andare da nessuna parte senza di me. Combatteremo alla pari, fianco a fianco. Io e te insieme.' 

Eleanor sembrò quasi rigenerata dalle mie parole. Sentivo di averla aiutata, con quel breve discorso d'incoraggiamento, a credere nuovamente in sè stessa. E anche a credere nuovamente in me... in noi.

E ne ebbi la conferma dal fatto che le lacrime sul suo viso ormai si erano asciugate, ed avevano lasciato il posto a un'espressione decisa e soddisfatta. 
Quella era la Eleanor che conoscevo. 

Dopo avermi stretto le mani, portandole all'altezza del suo grembo, tirò un lungo sospiro.

'Sono stata una cretina, Arno. Ho sbagliato più di una volta. Ma ora sono pronta. Pronta a sconfiggere Poulain una volta per tutte. Pronta a sradicare qualsiasi rimasuglio dell'Ordine da questa Nazione una volta per tutte. Finalmente pronta a vendicare mia madre... e tutto questo al tuo fianco. Arno... quello che stavo cercando di dirti riguardo a quella notte, era una risposta a quello che mi avevi detto tu, appena prima che me ne andassi. Ricordi?' 

Sapevo a cosa si riferiva. E forse era arrivato il momento che aspettavo... finalmente.

Annuii.

'Quello che ti ho detto non era solo una scusa per farti restare, Eleanor. Quello che ti ho detto è vero... lo giuro. Dal profondo del mio cuore, per la prima volta dopo tanto tempo, credo di essere disposto ad amare di nuovo.'

'Lo so, Arno. E beh... io... provo lo stesso. Ti amo anche io. In questi giorni ho passato un inferno che non accennava a darmi un attimo di respiro. Poi, mi sono resa conto che tu eri l'unica soluzione a tutto. Odio ammettere la necessità di avere qualcuno al mio fianco. Ma è vero, ho bisogno di te... soprattutto ora.' mi confessò, finalmente.

Io d'istinto la afferrai e la baciai di nuovo, a lungo, prendendole il viso fra le mani.

'Lo sai che per te ci sarò sempre. E soprattutto adesso... Io sono qui, lionne.'

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Capitolo 23
*** 23. Il Glorioso 13 Vendemmiaio. (1) ***


*Eleanor's POV*

5 Ottobre 1795.
13 Vendemmiaio.

'Eleanor... Eleanor, svegliati!' Heléne mi scosse risvegliandomi da un sonno profondo.

'Heléne, sono le cinque di mattina. Cosa diavolo sta succedendo?' mugugnai con la testa ancora appoggiata al cuscino e gli occhi chiusi.

'La marcia, Eleanor. È iniziata. Arno mi ha mandata a chiamarti, è arrivato un messaggio...' 

A quelle parole scattai in piedi e mi precipitai giù dalle scale in camicia da notte, camminando il più veloce possibile all'entrata del Cafè dove Arno stava confabulando con qualcuno. Era ancora buio fuori.

'Signore, non siamo sicuri del numero di realisti coinvolti, ma sappiamo per certo siano molti di più di quelli che credevamo.' 

'Cosa significa? La marcia doveva essere oggi pomeriggio, non ora. Napoleone dov'è?'

'Ha saputo solo un'ora fa, signore. È stato chiamato in servizio alle Tuileries, vicino alla Chiesa di San Rocco. I realisti si stanno dirigendo lì.' disse quello che riconobbi come un membro della Guardia Nazionale. 

'Arno, cosa diavolo sta succedendo?' gli chiesi.

Lui si girò verso di me con un'espressione preoccupata, poi congedò il soldato.

'Dite a Napoleone che tra massimo mezz'ora saremo lì.' Il soldato annuì e corse via.

'Eleanor, purtroppo ci hanno preso in anticipo. Dobbiamo prepararci e andare da Napoleone ora, in piazza. La marcia è diventata violenta per le strade, i realisti sono armati e stanno abbattendo le Guardie che trovano sul loro cammino. Dicono siano tantissimi...' 

'Merda. Merda, merda, merda!' esclamai, correndo di nuovo in camera mia per vestirmi.

'Eleanor, per l'amor del cielo, stai attenta.' mi disse Helène assicurandomi la cintura al ventre, sopra il quale fece passare una mano.

'Andrà tutto bene Helène. Ne sono sicura.' dissi prendendo la sua mano fra le mie, e in cambio ricevetti un sorriso speranzoso.

Quando fui pronta e armata, scesi le scale e trovai Arno che mi aspettava nel suo studio.

Stava fissando fuori dalla finestra con una mano sotto al mento.
Appena mi vide, sospirò.

'Vieni qui.' mi disse.

Feci qualche passo nella sua direzione, e gli presi una mano.

'E così è arrivato il momento.' mormorai.

Arno annuì.
'A quanto pare si. Eleanor... sai quanto abbiamo lavorato in questi giorni per rimetterti in forma. Sono sicuro che riusciremo a uscire da questa situazione in un modo o nell'altro, fatto sta che è arrivato il momento... Io... so che ce la possiamo fare, insieme.'

Io feci un mezzo sorriso.
'Abbiamo degli ordini speciali, non è così?' 

'Napoleone. È stato nominato comandante della Piazza. Noi dovremo agire secondo i suoi piani, come ha detto Maillard. Gli altri Assassini saranno lì, anche Etienne e Camille.' 

Stavo iniziando ad agitarmi.
'Andiamo?' gli chiesi.

'Aspetta, ho qualcosa per te.' disse, e aprì una scatola di legno sul tavolo.

Si girò di nuovo verso di me e mi pose qualcosa fra le mani.
Non potevo crederci.

'... La lama Fantasma? Arno, non dovevi...' dissi emozionata, ammirandone la foggia.

'Dovevo. Te la meriti... e poi così saremo finalmente alla pari, no?' mi fece un occhiolino, io scossi la testa divertita e gli stampai un bacio sulle labbra.

'Grazie. Davvero.' dissi con un sorriso, e la assicurai al braccio sinistro. Era già carica e letale.

Venti minuti dopo eravamo quasi arrivati alle Tuileries, dove Napoleone ci aspettava in un tendone.

'Arno, finalmente!' esclamò appena ci vide, tirando un lungo sospiro di sollievo. 
'Eleanor, è un piacere e un sollievo vedere anche te.'

Prese entrambi da parte, scostandosi dal gruppo dei suoi colleghi che stavano probabilmente studiando un piano efficace per fermare la marcia.

'Spero siate al corrente di quello che sta accadendo a qualche centinaio di metri da qui.' disse a denti stretti, fissandoci.

'Sappiamo poco niente, Napoleone. Abbiamo ricevuto la notizia dal messaggero che ci hai inviato e basta.' dissi io, a bassa voce.

Napoleone si strofinò gli occhi e tirò un lungo sospiro.

'... Ottimo. Non so a chi appellarmi per pregare che tutto questo vada a buon fine... Comunque lì fuori ci sono quasi un migliaio di realisti che stanno marciando verso il Palazzo delle Tuileries, proprio qui davanti, armati. Barras mi ha nominato comandante di Piazza stamattina alle tre, mentre ero seduto sulla mia scrivania a meditare il suicidio. Vi rendete conto? Ho per le mani l'occasione della mia vita, praticamente. E mi è saltata fuori dal nulla. Adesso... Ho qualche dubbio che riusciremo a sopraffarli, dato che abbiamo a disposizione nemmeno duecento guardie.' 

'Cosa? Solamente duecento? Porca puttana, Napoleone, come credi che riusciremo a farcela?' sbottò Arno, esasperato.

'Silenzio, per l'amor del cielo! Quelli che vedi al tavolo sono fra i migliori strateghi militari di tutta la Francia. Con il loro aiuto, e con quello della vostra Confraternita, forse abbiamo una speranza. Pero' dovete starmi a sentire, dannazione!' rispose Napoleone strattonando una manica della divisa di Arno.

'Sentiamo cos'hai in mente, caro il mio novello Temistocle.' lo stuzzicò Arno.

Io ridacchiai e gli diedi una sberla sul braccio.
'Ti sembra questo il momento di fare battute?'

Napoleone, nonostante fosse un anno più giovane di Arno, in quel momento appariva molto più maturo di lui. Non che la cosa mi sorprendesse, ma in quel momento vedendolo così concentrato, la mia fiducia in lui aumentò esponenzialmente. E questo contribuì a rincuorarmi.

'Vi presento il generale Alexandre Dumas.' disse Napoleone improvvisamente, invitandoci a fare la conoscenza di un uomo abbastanza alto, dalla pelle scura, con delle basette e dei baffi che lo rendevano immediatamente riconoscibile nella sua opulenta divisa.

'Ah, Napoleone, lascia stare i convenevoli. Io e Arno ci conosciamo già.' rispose Alexandre, e strinse la mano ad Arno.

'Mi fa piacere rivederti, Alexandre.' rispose Arno, dandogli una pacca sulla spalla.

'Oh bene, è un'ottima notizia. Allora lascia che ti introduca la bella Eleanor Kenway, Alexandre.' disse Napoleone, poggiandomi una mano sulla schiena.

Io feci un mezzo inchino e strinsi la mano all'uomo, che rimase alquanto sorpreso nel vedere una ragazza armata.

'Uhm, lieto di conoscervi, Mademoiselle.'

'Il piacere è mio, Monsieur Dumas. La vostra fama di comandante in Vandea vi precede.' risposi cordiale.

'Ah, questa notizia fa sempre piacere. Ma le parole servono a poco nella situazione in cui ci troviamo, vero Napoleone?' 

'Purtroppo sì, generale Dumas. Per questo vorrei che illustrassi ai nostri compagni le manovre a cui avevamo pensato.' 

'Certamente. Arno, Eleanor... come sapete i realisti si stanno avvicinando. Abbiamo fatto circondare il quartiere: alcuni membri del Corpo di Guardia Nazionale stanno cercando di fermarli sulla strada, ma abbiamo pensato di circondarli prima davanti alla Chiesa e annientarli successivamente. Abbiamo bisogno di metterli con le spalle al muro, altrimenti la nostra inferiorità numerica non ci permetterà di sopraffarli.'

'Permettetemi di intervenire, generale. La zona non è stata messa in sicurezza. Alla Chiesa di San Rocco c'è un Orfanotrofio, e per le strade saranno presenti dei civili. Dovrebbero essere portati al sicuro, almeno la maggior parte di loro.' dissi io, pensando ai bambini dell'Orfanotrofio di Julie. 

'Hai ragione, Eleanor.' Arno mi diede man forte.

'Ma certo. Questo pero' significa che tu e Arno dovrete dividervi. Ho bisogno di lui al mio fianco.' disse Napoleone, prendendo una lettera dalle mani di una Guardia.

'Che cosa intendi, Napoleone?' chiese Arno, avanzando di un passo verso di lui.

'Intendo...' fece una pausa, scorrendo velocemente le righe. Poi sorrise soddisfatto. 

'Intendo che ho bisogno di un braccio destro dato che sono arrivati altri cento uomini e i dieci cannoni che avevo richiesto! A quanto pare Barras si è accorto che non sono in grado di compiere miracoli e vuole che abbia successo sul serio. Finalmente!' esclamò entusiasta, ricevendo un boato di incoraggiamento da tutti i presenti.

'Questa notizia è un sollievo. Ma dimmi cosa devo fare, Napoleone.' intervenne Arno, ritornato serio.

'Stare al mio fianco in battaglia. Ai cannoni. Che ne dici?' 

'Non ho mai partecipato ad attività di questo tipo, ma va bene. Eleanor, che ne pensi?'

'Per me va benissimo, Arno. Ci vedremo fra poco. Gli altri Assassini...?' chiesi sperando di ottenere man forte nella mia missione.

'Sono già in campo. Potrai chiamare chi vuoi per mettere il più possibile la zona in sicurezza, mia cara.' Mi disse Alexandre.

'Eleanor...' mi chiamò Arno. 

'Mh?'

Mi prese una mano, stringendola nella sua.
'Fra un'ora, esattamente qui.' 

Io annuii, sicura di me.

'Fai il tuo dovere al fianco di Napoleone.' gli stampai un bacio sulle labbra.

'E tu fai il tuo lì fuori, lionne.'

Uscii fuori dal tendone, e mi resi conto che la situazione stava diventando seria. Le Guardie stavano correndo dappertutto.

'Hei, hei! Che succede?' chiesi a una di loro.

'Sono entrati nel quartiere, Mademoiselle. Dobbiamo fermare la loro avanzata il prima possibile!' mi disse e corse via insieme ai suoi compagni, moschetto alla mano.

Io ero come paralizzata, cercavo in giro qualcuno da poter reclutare per mettere la zona in sicurezza ma non vidi nessuno. Poi, in mezzo alle persone che scappavano spaventate e alle guardie scorsi Camille ed Etienne.

'Oddio, ragazzi, grazie al cielo!' dissi e li abbracciai entrambi.

'Qui sta succedendo un casino, devo andare insieme ad Arno a schierarmi in prima linea. Ragazze, state attente!' Ci disse Etienne e corse via anche lui.

'Sei tu che devi stare attento,  per l'amor del cielo. Guardatevi le spalle l'un l'altro!' gli urlai, ma era già sparito dietro l'angolo.

'Camille, ho bisogno che tu venga insieme a me a mettere in salvo i civili in mezzo alle strade. Nessuno pensa a questa gente qui, non possiamo lasciare che la violenza coinvolga anche gli innocenti.'

'Ma certo, Eleanor! Ti stavo cercando proprio per questo adesso. Io e te la pensiamo sempre allo stesso modo nelle missioni!' mi sorrise, e ci scambiammo uno sguardo d'intesa. Camille era sempre stata una compagna d'armi ideale durante le nostre missioni, eravamo sempre sulla stessa lunghezza d'onda quando lavoravamo insieme.

Io e lei percorremmo il quartiere dall'esterno in cerca di qualcuno che ci potesse aiutare, fino a quando all'improvviso trovammo un gruppo di repubblicani armati alla buona a confabulare.

'Hei! Hei voi!' li chiamai a gran voce.

'Cosa state facendo qui?' chiese Camille.

Uno di loro guardò prima gli altri e poi si fece avanti.

'Noi vorremmo dare una mano, mademoiselle, ma non siamo autorizzati.'

Io e Camille ci scambiammo un'occhiata d'intesa.
'Vi autorizzo io.' dissi.

'Voi? E chi sareste?' chiese divertito uno di loro, causando una serie di sorrisetti agli altri.

'Potete chiamarmi Amèlie. Lavoro al fianco di Napoleone Bonaparte, che è appena stato nominato Comandante di Piazza per fermare l'insurrezione realista. Al momento non ho tempo da perdere e ho bisogno di mettere in sicurezza la zona secondo i comandi del Generale Alexandre Dumas. Quindi se volete aiutarmi, siete i benvenuti. Altrimenti se avete intenzione di essere d'intralcio alla nostra missione, vi consiglio di spostarvi o sarò costretta a farlo io.' dissi, appoggiando la mano destra all'elsa della spada rivelandone lo scintillante manico argenteo.

Il gruppo di uomini davanti a me rimase in silenzio e con lo sguardo confuso. Poi il portavoce si decise a rispondere.

'Va bene, vi aiuteremo. Cercheremo di mettere in salvo più civili possibili in zona. Però non vicino all'area dello scontro, a quella ci pensate voi dato che siete armate meglio di noi.'

'Affare fatto.' disse Camille. 'Muoviamoci!'

Quindi io e lei tornammo indietro e dopo essere salite su un edificio abbastanza alto controllammo la situazione di fronte alla Chiesa.

'Porca puttana.' sibilai, vedendo il corpo di Guardia schierato ordinatamente davanti alla facciata della Chiesa.
Dietro ad essa un'orda di almeno cinque o sei centinaia di realisti si stava avvicinando.

Io e Camille scendemmo dalla parte dietro la Chiesa, evitando lo scontro meglio che potevamo anche se ormai era tardi.

Urla, lame che cozzavano, tonfi spaventosi, polvere e fumo nell'aria non facevano che rendere la nostra missione ancora più difficile.

Dal fondo del viale due realisti ci presero di mira, attaccandoci con le spade sguainate.

Noi riuscimmo a difenderci e a farli fuori, ma ne stavano arrivando altri.

'Vai all'Orfanotrofio, Eleanor! Mi occupo io di loro. Ci vediamo dopo!' mi disse Camille.

'Sei sicura?' le chiesi, appoggiandole una mano sulla spalla.

Lei annuì. 'Vai! Controlla se ci sono tutti i bambini.'

Io feci un mezzo sorriso, dubbiosa, alla vista dei tre uomini che si stavano avvicinando, di lasciarla lì da sola.

Ma in quell'inferno ogni secondo che sprecavo poteva significare delle vite perse. E questo non potevo permetterlo, così corsi, con la vista annebbiata dalla polvere, verso l'Orfanotrofio.

'Julie! Julie!' urlai, bussando alla porta. Era socchiusa, così tentai di aprirla ma dall'interno qualcuno fu più veloce.

'Eleanor! Pour l'amour du Christ, grazie al cielo sei qui!' mi abbracciò con le lacrime agli occhi.

'Che c'è? Che succede, state tutti bene? I bambini ci sono tutti?' le chiesi prendendola per le spalle.

'Andrè, Eleanor... non riesco a trovarlo.' mormorò, facendomi andare il cuore in gola.

In quel momento capii di dover veramente fare qualcosa.
'Resta qui a controllare i bambini! Te lo riporterò, Julie. Lo giuro sulla mia testa.' Le dissi, stringendole le spalle. Ricevetti un cenno di assenso e uno sguardo pieno di fiducia.

Corsi all'esterno dell'orfanotrofio alla velocità della luce, scoprendo purtroppo una confusione aumentata esponenzialmente. Non riuscivo a vedere ad oltre tre metri da me per la polvere, nelle mie orecchie risuonava assordante il cozzare delle lame, le urla, non riuscivo più a distinguere nulla. 

'Andrè! Andrè, dove sei?' urlavo correndo da tutte le parti, cercando tra i banchi rivoltati in mezzo alla strada, e si, anche in mezzo ai cadaveri attorno al quartiere.

A un certo punto mi sentii mancare il fiato e dovetti fermarmi per appoggiarmi a un muro, in preda a una crisi di pianto che stavo cercando in tutti i modi di evitare.

'Merda. Merda, merda!' urlai, tirando un pugno alla parete del palazzo, in preda alla disperazione e con gli occhi lucidi.

'Eleanor... sei tu?' una flebile voce mi chiamò dal vicolo in cui mi ero infilata.

Io mi asciugai immediatamente le lacrime e alzai lo sguardo, notando qualcuno sporgersi da un tombino. Nonappena mi avvicinai il coperchio si mosse e saltò fuori Andrè, che mi saltò addosso. Io sospirai e lo strinsi in un abbraccio.

'Mi hai fatto dannare per tutto il quatiere, piccolo. Cosa ci facevi qui?'

'Beh, ecco, io stavo giocando e ho sentito degli spari all'improvviso, così mi sono nascosto e...' Stava tremando e aveva paura. 

'Non importa adesso, Andrè. Ora ascoltami, stringiti forte a me e nascondi il viso sulla mia spalla ok?' lo presi in braccio.

Lui annuì. 'Va bene, Eleanor.'

Cercai di tornare verso l'orfanotrofio per i vicoli meno pericolosi, ma per raggiungere l'entrata dovevo per forza passare per la piazza. E questo significava attraversare il campo di battaglia.

Scossi la testa stringendo Andrè forte al petto, assicurandomi che il suo sguardo non fosse puntato verso l'inferno davanti ai miei occhi e preparandomi a correre il più veloce possibile per evitare qualsiasi scontro.

Così partii e corsi il più veloce possibile verso l'orfanotrofio. Eravamo quasi arrivati all'entrata quando un colpo di cannone assordante alle mie spalle rimbombò nell'aria, colpendo un gruppo di realisti alla mia destra.

Io mi lanciai a terra di fianco proteggendo Andrè meglio che potevo per evitare che qualsiasi cosa ci colpisse. Sentivo un fischio fortissimo nelle orecchie e la mia vista si annebbiò per qualche secondo, rendendomi vulnerabile. 

Scossi la testa, preoccupandomi subito del bambino.

'Andrè, come stai? Tutto bene?'

Lui annuì lievemente stringendosi più forte a me.
Mi rialzai e riuscii ad arrivare alla porta dell'orfanotrofio, dove una Julie in lacrime me lo prese dalle braccia continuando a ringraziarmi e abbracciarmi.

'Proteggilo, Julie. Proteggili tutti. Io proteggerò voi.' dissi, e corsi via.

'Grazie Eleanor, davvero.' disse lei salutandomi.

Io le sorrisi e corsi via alla ricerca di Camille, che avevo lasciato da sola in balìa dei realisti non molto tempo prima.

'Camille? Camille?' continuavo a gridare correndo ovunque. Le mie gambe erano davvero distrutte per quanto avevo corso cercandola per tutta la piazza.

Non riuscivo a trovarla sul campo, nè fra i vicoli vicini. Così fui costretta a pensare al peggio e cominciai a guardare a terra...

'No... No, no no, no!' urlai, quando la vidi in un angolo completamente coperta di sangue.

Mi lanciai a terra e la presi fra le mie braccia, spostandole i capelli dal viso.

'Camille.. Camille rispondimi, ti prego... Camille!' sibilai. Non riuscivo a credere a quello che avevo davanti ai miei occhi.
Io tremavo e cercavo di rianimarla in qualsiasi modo, ma ormai la ferita sul suo fianco era troppo profonda per essere bendata. Aveva perso troppo sangue.

I miei occhi si riempirono di lacrime, non riuscivo a dire nulla.
Le spostai i capelli dal viso, bianco per la perdita di tantissimo sangue.

'Non lasciarmi anche tu, ti prego, ti prego...' mormorai cullandola fra le mie braccia, come se potessi riportarla in vita.

Non riuscivo a credere a quell'orrore. Non riuscivo a sopportare tutta questa disperazione, tutto quest'odio, tutte queste morti. 

Mi sentivo completamente inutile in quella situazione, così rimasi al fianco di Camille fino a che non sentii qualcuno chiamarmi.

'Eleanor... Eleanor!'

Sentii qualcuno afferrarmi per le spalle e alzarmi in piedi.
Era Arno, che continuava a parlarmi, prendendomi il viso tra le mani.
Era come se le mie orecchie fossero tappate, non capivo nulla... riuscivo solo a vedere il suo viso graffiato e il suo sguardo preoccupato che incontrava il mio.

'Mi stai ascoltando, Eleanor?' riuscii a sentire, mentre venivo scossa.

Io scossi debolmente la testa.
'Camille, lei è morta... Arno non ho potuto fare nulla, ho dovuto salvare Andrè e lasciarla da sola, mi dispiace, mi dispiace...' mormorai, e lui mi abbracciò fortissimo.

'Lo so, Eleanor, lo so. Ora devi vendicare la sua morte, e non solo la sua... ho bisogno che tu sia reattiva.' 

Io non capivo.
'Cosa?'

'Eleanor, è arrivata una soffiata a Napoleone. Poulain...'

Quel nome bastò perché il mio corpo e la mia mente si ridestassero.

'Dove? Dov'è?' chiesi immediatamente.

'Al Tempio. Sa che tu sei qui. Ha i suoi uomini con sè, Eleanor, io non voglio che tu...'

'Vieni con me.' dissi, prendendogli le mani.

Il suo sguardo si illuminò.
'Cosa... sei sicura?' 

'Ho bisogno di te al mio fianco. Voglio mettere fine a questa storia insieme a te, Arno.'

Lui sorrise annuendo, e mi stampò un bacio sulle labbra stringendomi il viso fra le mani.

'Andiamo.'

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Capitolo 24
*** 24. Il Glorioso 13 Vendemmiaio. (2) ***


*Arno's POV*

Eleanor mi seguì fino al quartiere del Tempio, davanti al quale ci fermammo.

Il posto era circondato da realisti. E dovevo ammettere che trovarmi in quella situazione, in quel luogo... mi portò esattamente all'anno prima.

Scossi la testa, prima di ricadere in ricordi che mi avrebbero solo distratto.

'C'è un punto debole.' disse Eleanor.

'Dove?'

'Sulla destra. Vicino al castello, le mura sono meno circondate. Passiamo per di là.' 

La seguii fra i palazzi fino a che non riuscimmo ad intrufolarci all'interno dell'antico quartiere del Tempio. Non eravamo sicuri dell'esatta posizione di Poulain, ma il castello era definitivamente il luogo più adatto per un nascondiglio.

'Fermati.' mi disse Eleanor, facendomi un cenno con la mano. Eravamo nascosti sotto il porticato, l'entrata del castello si trovava solo a qualche decina di metri.
Ma sentimmo delle voci.

'Realisti. Solo un paio, davanti all'entrata. Ci penso io.'

Eleanor sgattaiolò via e trenta secondi dopo sentii i due uomini cadere a terra sgozzati.

La aiutai a nascondere i corpi ed entrammo nel castello.

'Dobbiamo salire.' le suggerii. 'Sicuramente si trova in alto.'

Io ed Eleanor arrivammo piano piano alle sale degli ultimi piani del castello, che era quasi vuoto. 

'Io... credo mi stia aspettando.' Disse Eleanor, con la voce leggermente incrinata.

Io le presi la mano fra le mie.

'Sei pronta. Ci sono io con te. Puoi fargliela pagare per tutto quello di orribile che ha causato a noi, ai nostri cari e a Parigi. Ah, e Eleanor... voglio che tu usi questa, per affrontarlo.'

Scostai la giacca dal mio fianco e dall'elsa dove abitualmente si trovava la mia solita spada tirai fuori la Spada dell'Eden, che avevo deciso di portare quel giorno per lei.

'Questa è... Arno, non può essere la...'

'Si, Eleanor. È la Spada dell'Eden. Per tutti questi mesi l'ho lasciata nascosta nei sotterranei del Cafè, ma ora è arrivato il momento di usarla. È un'arma che non ha di certo il potere che aveva secoli fa, ma rimane ancora letale. Più di qualsiasi altra spada.'

Appena Eleanor prese l'arma fra le mani, uno strano bagliore percorse gli strani simboli che percorrevano l'intera lama.

Eleanor sussultò per un secondo, e mi guardò.

'Che è successo?' le chiesi.

'Non ne ho idea. Per un secondo, mi è parso di sentire qualcosa. Credo derivi dalla Spada...' mormorò lei, dubbiosa.

'È un frutto dell'Eden. Hanno dei poteri che ancora oggi non siamo stati in grado di comprendere. Tu... usala per affrontare Poulain come useresti la tua spada e basta.'

Lei annuì.
'Anche perché non sappiamo cosa potrebbe avere lui fra le mani...' disse.

'È il motivo principale per cui l'ho portata qui oggi. Non abbiamo idea di quale frutto dell'Eden recuperato dall'Italia stessero parlando gli inglesi in quella lettera... quindi è meglio presentarsi preparati.'

Salimmo l'ultima rampa di scale, ritrovandoci davanti ad una sala molto ampia, quella che probabilmente doveva essere un'antica sala del trono.

Non un rumore, non un'ombra sospetta si mosse quando Eleanor entrò per prima.

La lasciai avanzare lentamente, passo dopo passo, fino a quando si udì una voce dal fondo della sala dove effettivamente era posto un trono di legno, con lo schienale molto alto girato inusualmente verso di noi.

'Erano anni che aspettavo di incontrarti.' disse una voce maschile molto profonda e un po' roca.

Io, per sicurezza, rimasi nascosto dietro le colonne davanti all'entrata senza farmi vedere.

Eleanor si fermò su due piedi a circa metà salone.

'Antoine Poulain.' disse. 'Finalmente.'

Si udì una leggera risata dal fondo della sala, e l'uomo si alzò dal trono appoggiandosi con le mani al parapetto della finestra.

'Sembra che i vostri amici della Guardia Nazionale stiano facendo fatica, a San Rocco.'

Notai qualcosa di strano. Poulain indossava qualcosa sulle spalle... un mantello dorato, che emetteva una strana e fioca luce. 

'Non ne sarei così sicura, Antoine. Dopo questi mesi non mi pare che tutti i tuoi piani siano andati a buon fine.' disse Eleanor, un po' troppo spavalda. Stava scherzando col fuoco e non ero sicuro quello fosse il momento più adatto.

Poulain, che le dava ancora le spalle, si irrigidì a quell'affermazione. Un secondo dopo, notai qualcosa di strano. Quello che aveva alle spalle non era un mantello dorato qualsiasi. Su quel mantello c'erano dei simboli... gli stessi simboli presenti sulla Spada dell'Eden.

Quella che aveva alle spalle era... la Sindone. La Sindone dell'Eden. Ecco qual era il Manufatto del quale stavano parlando gli inglesi nella lettera!

Poulain si girò lentamente verso Eleanor, mostrandosi finalmente in volto.

Assomigliava moltissimo a suo figlio. Nonostante l'età, che doveva essere prossima alla sessantina, era alto e ben piazzato. Al contrario del figlio, però, non sembrava abituato al combattimento corpo a corpo. E questo veniva decisamente a nostro vantaggio.

'È vero. Tu... e i tuoi Assassini, me li avete rovinati quasi tutti. Ma oggi, non sarà così.' disse, avvicinandosi di un altro passo a lei, che indietreggiò.

Si osservavano molto attentamente entrambi. E stavano dosando le parole. Nell'aria la tensione era altissima.

'Cosa te lo fa credere? Vi abbiamo annientati. Voi e le vostre alleanze. Non riuscirete mai a far rinascere l'Ordine dei Templari... ho sacrificato anche troppo per permettere che succeda. E tu sai benissimo di cosa parlo!' esclamò Eleanor, stringendo la mano sull'elsa della Spada dell'Eden.

'Tua madre... non era la persona che credevi.' Poulain alzò il tono della voce.

'So che mio figlio, prima che tu LO UCCIDESSI, ti ha proposto di allearti con noi... hai fatto un errore enorme a non accettare la sua offerta. Perché io non te la riproporrò, Eleanor. Ora è troppo tardi per qualsiasi cosa. Devo eliminarti a qualunque costo.' 

Velocissimo, mise la mano alla pistola che portava al fianco e sparò un colpo ad Eleanor, che fortunatamente riuscì a schivarlo lanciandosi dietro una statua di pietra.

Nonappena fu in piedi di nuovo, si scagliò con la spada dell'Eden addosso a lui, che aveva tirato fuori la sua e schivava tutti i suoi colpi. Evidentemente lo avevo sottovalutato, perché con la spada sembrava cavarsela.

Eleanor appariva esasperata e stanca di combattere, probabilmente a causa anche della fatica che aveva fatto in campo poco prima. Iniziai a preoccuparmi quando Poulain riuscì a parare un suo colpo e a sferrarle un pugno fortissimo in pieno ventre, che le fece mancare il respiro. 

Eleanor non sembrava recuperare.

'No..' sussurrò esasperata, passandosi una mano sul ventre.
Una lacrima le scese dal viso, mentre cercava di rimettersi in piedi fallendo miseramente.

Poulain fece una risatina, puntandole la spada al collo.

'E io che pensavo di trovarmi davanti chissà che avversaria. Sei quasi riuscita a rovinare i miei intenti in questi mesi... ma ho una cattiva notizia per te. Ora è tutto finito.' Le sussurrò all'orecchio, avvicinandosi a lei.

Eleanor nonostante la sua situazione colse l'occasione e, tirata fuori la lama celata, con un movimento velocissimo gliela piantò nello stomaco con tutta la forza che aveva.

Poulain perse la spada e cadde in ginocchio, premendosi la ferita con la mano.

Quello che successe poi, fu incredibile.

La Sindone sembrò prendere vita e si illuminò per qualche secondo, facendo sussultare Antoine che tolse la mano dalla ferita: sotto lo sguardo stupito di tutti, si scoprì che era svanita.

Il momento di incredulità finì grazie alla risata roca di Poulain, che tornò in piedi prendendo la spada.

'Ma che cosa...' disse Eleanor incredula, alzandosi e allontanandosi da lui.

'Sei sorpresa, Eleanor?... Arrenditi. Non riuscirai mai a sconfiggermi!' urlò lui e fece per colpirla a morte con la spada.

Ma Eleanor, incredibilmente, strinse i denti e afferrò la spada dell'Eden, pronta a rispondere al colpo.

La lama sembrò risvegliarsi in un modo quasi spaventoso.
La spada attrasse a sè un fascio di luce quando io, finalmente, decisi che era il momento per me di entrare in azione.

'ARNO!' chiamò lei guardando verso la mia direzione, quasi avesse avuto la mia stessa idea.

Così uscii dalla colonna.

Uscii correndo il più veloce possibile.
In un secondo che sembrò dividersi in un'infinità di frammenti temporali, riuscii a piombare addosso a Poulain e con la lama celata tagliai la catenella che teneva la Sindone attaccata al suo collo.

Poi non vidi più nulla. Solamente un fascio di luce accecante alle mie spalle...

Pochi attimi dopo, riaprii gli occhi.

Fra le mie mani stringevo la stoffa della Sindone. 
Un'immagine apparve nella mia mente: la sala del Tempio, un anno prima circa.

'Èlise! No!' 

Rividi il suo volto. Senza vita, fra le mie mani.

No. Non potevo ricaderci.

Scossi la testa e mi alzai subito, girandomi.

Ma non riuscii a credere a quello che mi si parò davanti agli occhi.

Davanti al muro di pietra, il corpo senza vita di Poulain.

Di fronte ad esso, Eleanor... in ginocchio, che lo fissava incredula.
L'elsa della Spada dell'Eden lasciò le sue dita, provocando un leggero tonfo metallico che riecheggiò nella sala.

'Che cosa diavolo è successo...' mormorò con la voce tremante.

Io corsi e mi inginocchiai davanti a lei, abbracciandola fortissimo.

'Per fortuna, per fortuna stai bene. Eleanor, stai bene?' le chiesi agitato, prendendo il suo viso fra le mie mani.

Lei annuì, e scoppiò a piangere.

'È finita? È finita davvero?' chiese.

'Si, si lionne. È finita davvero.' la strinsi di nuovo a me, accarezzandole leggermente il capo.

Non sembrava reale nemmeno a me.
Ma era davvero finita.

*Angolo dell'autrice*

Mamma mia, ragazzi, ormai ci siamo! Siamo giunti quasi alla fine della storia, manca ancora qualcosa da chiarire ma scoprirete tutto nel prossimo capitolo, che sarà l'epilogo. Allora, che dire? È stata davvero un'avventura fantastica per me scrivere e immaginare questo racconto, per poi pubblicarlo qui. Eleanor alla fine ce l'ha fatta, ha sconfitto il nemico più grande... anche grazie all'aiuto di Arno, e si, della Spada dell'Eden. Devo confessare che raccontare quest'ultima sfida è stato davvero emozionante per me. Che dire, i saluti li farò nel prossimo ed ultimo (mi sembra incredibile dirlo) capitolo!
Ringrazio tantissimo voi per avermi letta e scritto le vostre opinioni (che da un po' non leggo più e mi piacerebbe moltissimo tornare a farlo!) questa storia è stata molto importante per me, che non scrivevo da un po' e riuscire a concluderla è davvero un traguardo.
Grazie ancora!

Izzy
 

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Capitolo 25
*** 25. Epilogo. ***


Epilogo.

*Eleanor's POV*

Nell'ala del Covo regnava il silenzio più assoluto.

Tutti noi Assassini fissavamo la pira davanti ai nostri occhi iniziare a bruciare lentamente, le fiamme avvolgere il corpo senza vita di Camille, nella sua divisa da cerimonia. Fra le sue mani, appoggiate delicatamente sotto lo sterno, teneva il sigillo della Confraternita e un giglio bianco avvolto dalla bandiera Francese.

Sembrava così in pace e serena, pallida, con i bruni capelli a incorniciarle il viso grazioso.
Non riuscii a piangere, in quel momento.

Avevo vissuto troppe emozioni tutte insieme. Il giorno precedente avevo messo fine a tutto. Avevo ucciso Poulain. Avevo perso così tanto per riuscirci... e l'ultima perdita era proprio lì, davanti ai miei occhi.
Ma ce l'avevo fatta.

Una fitta fortissima al ventre mi colpì in quel momento, facendomi sussultare.
Persi l'equilibrio, e dovetti appoggiarmi a una colonna sentendomi mancare il respiro.

'Eleanor, tutto bene?' mi chiese Etienne, che era al mio fianco.

Io deglutii, cercando di non pensare all'inevitabile.
Fortunatamente Arno non si era accorto di nulla, trovandosi dall'altro lato della pira insieme al Consiglio.

'Si, si. Sto bene. Devo salire soltanto al Cafè, torno tra poco.' mormorai, iniziando a camminare il più veloce possibile verso il passaggio che dal Covo portava al Cafè Theatre.

Arrivai in camera mia stringendo i denti e con una goccia di sudore che mi percorreva la tempia.

Mi appoggiai allo stipite della porta con una mano, e con l'altra mi tastai l'interno della coscia.

C'era del sangue. 
Davvero molto sangue.

Il cuore smise di battermi per qualche attimo.
Provai ad urlare, ma non riuscii ad emettere un filo di voce.

Solamente un sibilo uscì dalle mie labbra, mentre mi accasciavo in ginocchio a terra.

'Eleanor, tutto be...' sentii la voce di Heléne dietro di me.

Poi, il nulla.

*Flashback*

Boston, Marzo 1795.

'Non fare quella faccia, Winston. Sapevi che prima o poi questo momento sarebbe arrivato.' disse Eleanor al suo tutore dandogli una leggera pacca sulla spalla.

Winston appariva inquieto nonostante avesse avvertito e preparato Eleanor al viaggio che la aspettava nelle settimane precedenti.

E così, quella mattina, il momento era finalmente arrivato.

La sua Eleanor, quella che considerava ormai come una figlia e che di fatto aveva cresciuto, stava per lasciare casa, l'America. Stava per partire verso un Mondo nuovo e lontano, e Winston non era del tutto sicuro sarebbe stata preparata ad affrontare tutto quello che la aspettava.

'Lo so, è che... speravo ci fosse più tempo. Nonostante tutto, per me sei ancora una bambina Eleanor, sappilo.' disse lui.

La ragazza sbuffò, consapevole però dell'affetto che Winston provava per lei e viceversa, e sorrise subito abbracciandolo stretto.

'Winston... lo sai che per me sei come un secondo padre. Ti voglio tantissimo bene, e... anche a me dispiace andarmene.' rispose.

Winston sorrise, orgoglioso di come aveva cresciuto quella ragazza.

'Lo sai, Eleanor... anche tuo padre è fiero di te. Nonostante non sia qui oggi.'

Lei alzò le sopracciglia e guardò la gente che aveva intorno, come se potesse trovare quel volto familiare tra la folla di persone che partivano insieme a lei, quelle che le stavano salutando, e quelle che lavoravano normalmente al porto.

Ma suo padre, come al solito, non era potuto esserci.

Non che lei gliene facesse una colpa, certo. Sapeva benissimo qual era il suo lavoro e che posizione ricopriva.
Ma le dispiaceva che nonostante questo, avessero comunque avuto troppo poco tempo.
Era suo padre, eppure non lo conosceva bene come avrebbe voluto. 

Scosse la testa, e alla chiamata della sua nave afferrò la valigia che si era portata, si infilò il cappello e dopo aver scambiato un sorriso e uno sguardo d'intesa con Winston, partì sotto i suoi occhi.

Ignara di quello che l'avrebbe aspettata...

*Frontiera di Concord, la sera stessa.*

'Eppure so che abbiamo sbagliato, Connor.' sbuffò Winston, appoggiando il suo bicchiere di rum al tavolo di legno.

'Ti prego, non ricominciare. Ne abbiamo già parlato troppe volte e lo abbiamo deciso insieme che sarebbe stato meglio così.' rispose il nativo un po' alterato, continuando a fissare il paesaggio dalla finestra.

'Non lo so. Voglio dire, so che parlare di sua madre non ti ha mai entusiasmato, ma almeno farle sapere che qualsiasi cosa succeda a Parigi e la riguardi non deve intromettersi.' 

'Ma perché dovrebbe riguardarla? L'ho mandata lì per addestrarsi. Non voglio che faccia parte delle attività della Confraternita al di fuori del suo addestramento. È scritto anche nella lettera che le ho lasciato e spero che il Maestro Dorian abbia il buon senso di leggerla a fondo.'

Winston sbuffò pesantemente e appoggiò la mano alla sua tempia.

'Connor, mi dispiace ripetertelo, ma gli addestramenti in Europa sono molto diversi da quello che hai affrontato tu. In una città come Parigi gli Adepti devono affrontare certe prove per completare l'addestramento...'

'Beh allora spero vivamente che queste prove non coinvolgano la famiglia di sua madre. Non potrei perdonarmi il fatto che mia figlia soffra per colpa sua come ho sofferto io. Ormai da qui non possiamo farci più nulla, comunque. Fine della storia.' 

Connor si era innervosito, per non aver pensato prima a un'ipotesi del genere. Ma ora era troppo tardi e sua figlia era già partita verso una realtà che in ogni caso l'avrebbe messa alla prova... lui ovviamente sperava non in quel modo. Ma come aveva appena detto, anche se fosse successo ormai non poteva farci più nulla. 

Uscì dalla stanza e chiuse la porta, senza nemmeno salutare Winston.

Anche lui, forse più di Connor, in quel momento era stato assalito dal senso di colpa.
Avrebbe voluto raccontare ad Eleanor tutto su sua madre, perché aveva il diritto di sapere.
Avrebbe voluto prepararla nel caso fosse rimasta coinvolta, in Francia, in faccende che la riguardassero.

Ma Connor non aveva voluto. Nonostante ormai sua figlia fosse ventenne.
Egoismo, pensò Winston.

Sapeva che molto probabilmente lei ne avrebbe avuto a che fare.

Sperava che non ne rimanesse coinvolta emotivamente, che in quel frangente assomigliasse a suo padre.
Ma sapeva che Eleanor, caratterialmente almeno, era molto diversa da lui.

E in quel momento, non potè far altro che sperare non soffrisse.
Non era sicuro sarebbe stato abbastanza forte da sapere che la sua Eleanor stava affrontando tutto questo lontana da lui.

Finì il suo bicchiere di rum, e andò a coricarsi a letto.

*8 Ottobre 1795*

*Eleanor's POV*

Rimasi a fissare il soffitto.
In quel momento mi chiesi perché non stavo provando nulla.
Da quando mi ero svegliata dopo aver perso i sensi, non riuscivo a prestare attenzione a nulla.

Il Dottor Thibault mi aveva detto che dovevo riposare almeno per oggi. Che gli dispiaceva.

Heléne era entrata e con l'espressione avvilita mi aveva parlato e detto, anche lei, che le dispiaceva tantissimo.

Perché io non provavo nulla in quel momento? Perché a me non dispiaceva?

Mi passai una mano sul grembo da sotto il lenzuolo, ed ebbi una strana sensazione.
Mi sentii vuota. Fu come se il mio cervello si fosse connesso al resto del mio corpo.

Eppure mi sarei dovuta sentire libera. Non avevo più missioni da compiere sul campo. Di lì a poco avrei dovuto lasciare la Francia, se gli accordi fossero stati rispettati.

Ma no. Doveva succedermi anche questo, pensai.

E fu in quel momento che una lacrima mi scese sulla guancia, seguita da tante altre.

Piansi tantissimo. E in silenzio, per non seppi quanto tempo.
Da sola.

Poi, sentii bussare alla porta.

'Eleanor, c'è una persona che vuole vederti. Arriva da lontano.' disse Heléne dall'altro lato della porta.

Mi andò il cuore in gola.
Non poteva essere...
Mi asciugai immediatamente il viso, e fissai la porta aprirsi lentamente con insistenza.

Poi, vidi un volto che non mi sarei mai immaginata di incrociare per mesi.

E fu come se, in quel momento, tutto quello che avevo provato sino all'attimo prima si spegnesse, facendo nascere dentro di me una felicità che non provavo da tempo.

'Winston...' mormorai, coprendo il mio sorriso a 36 denti con la mano destra.

'Bambina mia.' disse lui, e mi strinse nell'abbraccio più forte e migliore del Mondo.

*Arno's POV*

Non avevo idea che la morte di Camille avrebbe fatto soffrire Eleanor così tanto. O meglio, sapevo che non era solo quella ma tutto quello che era capitato in quei giorni ad averla provata moltissimo sia fisicamente che mentalmente.
Mi dispiaceva solo di non poter essere stato presente perché avevo avuto moltissimo da fare con il Consiglio in quei giorni.

Sapevo che Eleanor ne aveva passate decisamente troppe nell'ultimo periodo, e tutto quello che desideravo era vederla finalmente serena e felice. 

Nonostante questo però, ero consapevole del fatto che ci rimaneva poco tempo. Di lì a pochi giorni lei sarebbe partita per diventare una spia del Consiglio Internazionale. Non sarebbe rimasta con me, qui, in Francia.

Sospirai.

Sapevo che dovevo lasciarla andare. Era la cosa migliore da fare per entrambi: Parigi dalla morte di Poulain era forse più sicura, ma lo sapevamo solamente noi.

La Rivoluzione era tutt'altro che finita.
Con il successo di Napoleone di tre giorni fa tutto era incerto.
Avevamo avuto poco tempo per parlare, io e lui, da quando avevamo trionfato sul campo e ucciso almeno seicento realisti, facendo scappare a gambe levate i restanti.
Una vittoria schiacciante che aveva portato Napoleone sulla vetta della popolarità sociale e politica.

Forse, pensai, avrei potuto scambiare due parole con lui al Trionfo che si sarebbe celebrato proprio alle Tuileries quel pomeriggio, e al quale sia io che Eleanor eravamo stati invitati.

Normalmente la Confraternita avrebbe agito nell'ombra, ma Maillard aveva concesso a me e a lei di marciare a insieme a Napoleone in mezzo alla folla e goderci quel momento di gloria.

In quel momento stavo tornando al Cafè a prenderla proprio per dirigerci lì.

Appena arrivai all'entrata vidi Eleanor che parlava e sorrideva insieme a un'uomo che aveva passato la mezza età.

Nonappena si accorse della mia presenza sembrò come se si fosse ricordata di qualcosa e il suo sguardo si incupì, ma l'uomo le sussurrò qualcosa nell'orecchio e lei sorrise lievemente, annuendo.

'Eleanor, sei pronta? Dobbiamo andare. Stai bene?' le chiesi, accarezzandole la spalla.

Lei annuì e sorrise, guardandomi negli occhi.

'Si. Arno, questo è Winston.' rispose lei, presentandomelo.

Io rimasi un po' sorpreso, ma poi sorrisi cordialmente e gli strinsi la mano.

'Sono felice di conoscervi finalmente, Maestro Dorian. Avete fatto un ottimo lavoro con Eleanor, stando a quello che mi ha raccontato.'

'È stata un'allieva fantastica, nonostante tutte le difficoltà che abbiamo affrontato insieme, e che lei ha affrontato da sola. Mancherà sicuramente molto a tutti i confratelli.' dissi io.

Eleanor mi rivolse un sorriso sincero. Aveva gli occhi lucidi.

Sospirò, probabilmente cercando di trattenere le lacrime. 

'Andiamo?' chiese.

'Andiamo.' risposi io, porgendole il braccio.

*Eleanor's POV*

La via per arrivare al Palazzo delle Tuileries era gremita di persone che urlavano, cantavano e applaudivano al nostro passaggio.

Non ero sicura di stare sentendo tutto l'entusiasmo che animava le persone in quel momento, ma non avevo mai visto Parigi così festosa da quando ero arrivata.

Davanti a noi, in fila, Napoleone e i suoi generali sfilavano a cavallo salutando e sorridendo al popolo, acclamati e stimati da tutti.

Io e Arno, in fila dietro di loro su due cavalli distinti eravamo fianco a fianco.

Lo osservai per qualche secondo, e vidi che si stava godendo il momento.
Per un secondo, pensai, forse avrebbe dovuto accettare quella proposta di Napoleone. Sarebbe stato perfetto per la carriera militare.

Subito dopo a questo pensiero, però, ne arrivò un altro, molto più cupo, che cercai di rigettare scuotendo la testa. 

Per distrarmi, mi girai a guardare la folla, in mezzo alla quale notai qualcuno di familiare.

'Amélie! Amélie! Amélie!' sentii gridare un gruppo di uomini.
Guardai meglio i loro volti, e li riconobbi: erano i repubblicani che, tre giorni prima, avevano aiutato me e Camille sul campo. 

Li salutai con un cenno e uno di loro si fece strada verso di me, riuscendo a raggiungermi.

'Siete stati fantastici sul campo, Mademoiselle. Tutta Parigi è in debito con voi dopo quello che siete riusciti a fare tre giorni fa. Ve ne saremo per sempre grati!' mi disse e mi porse una rosa bianca, sparendo poi tra la folla mentre la nostra sfilata continuava.

Io sorrisi, mentre mi giravo il fiore tra le mani.

Forse ero riuscita veramente a fare qualcosa per Parigi durante la mia permanenza qui. E ne ero davvero felice.

'Eleanor.' mi chiamò Arno, facendomi tornare alla realtà.

'Mh?' 

'Hai un'aria pensierosa. Che succede?'

'Niente. Stavo solo ripercorrendo tutto quello che è successo da quando sono arrivata qui...'

'Ne abbiamo passate delle belle, eh?'

'Ne abbiamo passate tante. Ne ho passate tante.' abbassai lo sguardo, di nuovo sulla rosa che avevo fra le dita.

'Eleanor, tu hai... raccontato tutto, a Winston?' mi chiese, un po' imbarazzato.

Io gli sorrisi.
'Gli ho raccontato quasi tutto. Gli ho fatto tante domande... mi ha dato delle risposte che mi aspettavo. Credevo di sbraitargli addosso, di sfogarmi su di lui anche per colpa di mio padre, di chiedergli perché mi avessero tenuto all'oscuro di così tanto.'

'E?'

'E alla fine, quando l'ho visto davanti a me non ci sono riuscita. Disperarmi, sfogarmi o arrabbiarmi... ancora. A cosa sarebbe servito? Non sarei mai riuscita a portare rancore a Winston. Non sarei riuscita a portare rancore a quello che è stato come un padre per me... anche perché, Arno, guardaci intorno. Guarda dove siamo oggi... nonostante tutto quello che abbiamo passato abbiamo avuto successo. Abbiamo sradicato l'Ordine dei Templari. Il popolo ci acclama, Napoleone è in ascesa. Siamo protagonisti della storia, oggi.' riflettei. E mi stupii di quello che avevo appena detto.

Arno mi guardava sorridendo, con uno sguardo estasiato.

'Che donna ho avuto al mio fianco, in questi mesi.' disse.

Io feci un sorriso sincero.
'Per me è stato un onore essere al tuo fianco.'

Lui mi prese la mano, facendo avvicinare i nostri destrieri, e la baciò.

'Gli eroi della Rivoluzione! Gli eroi della Rivoluzione! Il Generale Vendemmiaio! Il Generale Vendemmiaio!' gridava la folla.

Io chiusi gli occhi, mentre una nuvola scopriva il sole, del quale sentii il calore sul mio viso.

Fino a quel momento avevo solo desiderato andarmene da Parigi.
Eppure, in quell'istante, nonostante tutto pensai che mi sarebbe mancata.

*12 Ottobre 1795*

'Ti aspetto dentro. Non metterci troppo.' disse Winston prendendo l'ultimo bagaglio. Lanciò un'occhiata cordiale ad Arno e salì sulla nave che fra poco ci avrebbe portato in Inghilterra.

Io sospirai e mi sistemai il cappello, mentre indietreggiavo sul pontile di Calais.

Arno aveva un'espressione indecifrabile in viso. Continuava a fissarmi, mentre mi avvicinavo a lui.

'E così questo giorno è arrivato, eh?' disse lui, prendendomi le mani.

Io non riuscivo ad alzare il viso.

'Guardami.' 

'No, ti prego...' mormorai, sentendo le lacrime scendermi sul volto.

'Guardami, Eleanor.' mi alzò il mento con un dito, costringendomi a incrociare il suo sguardo.

'Io non voglio lasciarti.' sussurrai, mentre lui mi asciugava le lacrime con il pollice.

Appoggiò la fronte sulla mia, e chiuse gli occhi.

'Nemmeno io. Nemmeno io voglio lasciarti andare.' mi rispose.

Restammo così per qualche secondo, mentre la brezza marina mi asciugava le lacrime dal viso.

'Cosa farai ora, Arno? Dopo che me ne sarò andata?' gli chiesi, staccandomi da lui.

Lui sospirò e poi mi sorrise.

'Napoleone sta organizzando una campagna militare in Italia, per l'inizio del prossimo anno. Vuole partire a Marzo. Mi ha chiesto di unirmi a lui, come suo braccio destro.' mi confessò.

Io mi misi una mano davanti alla bocca.

'Oh mio Dio! È fantastico!' esclamai e lo abbracciai.
'Congratulazioni. Ci andrai, vero?'

'Credo proprio di sì.' mi rispose. Sembrava davvero entusiasta. E io sapevo che quella sarebbe stata la sua strada ideale.

La campana della nave suonò, e un araldo chiamò gli ultimi passeggeri a salire a bordo.

Io sospirai, guardandolo negli occhi per l'ultima volta. Quegli occhi castano-verdi che mi avevano catturata dal primo momento in cui li avevo visti. 

'Se questo è un addio, Eleanor, sappi che io ti ho ama...' riuscì a dire lui tutto d'un fiato, prima che io, ad occhi chiusi, gli tappassi le labbra con un dito.

'Ti prego, Arno. Non dire quella parola. Io... so che questo non sarà un addio. So per certo che un giorno ci rivedremo. Ma non riuscirei a lasciarti dopo averti sentito dire quelle parole... nonostante per me sia lo stesso.'

Lui sospirò pesantemente, e mi accarezzò il volto.

Mi diede un bacio sulla fronte e indietreggiò di un passo, permettendomi di guardare il suo viso un'ultima volta, per fissarlo nella mia mente.

Quando lo ebbi fatto, mi girai. 
Mi girai e iniziai a camminare il più velocemente possibile verso il ponte, perché avevo paura di mettermi a piangere di nuovo.

Ma una mano che afferrò il mio braccio non mi permise di arrivarci, perché mi ritrovai a un millimetro dal viso di Arno e un secondo dopo le mie labbra furono sulle sue per un ultimo, sentito bacio.

'... Era un bacio d'arrivederci.' sussurrò lui, quando ci staccammo.

'... Allora, arrivederci, Arno.' dissi io.

'Arrivederci, Eleanor.'

Gli sorrisi e finalmente riuscii a salire sulla nave.

Mi diressi subito in cabina, dove mi aspettava Winston.

'D'ora in poi cambierà tutto, Eleanor. Lo sai vero?' mi disse, sedendosi al piccolo scrittoio che avevamo in dotazione.

Io guardai fuori dall'oblò, il mare che avevano attorno. Il mare che mi separava dal prossimo, nuovo capitolo della mia vita.

'Lo so, Winston. Lo so.'

*Angolo dell'autrice*

Ed eccoci qui, finalmente, alla fine della storia. Che emozione, ragazzi! Come avevo già detto nel capitolo precedente questa storia è stata molto significativa per me. Innanzitutto perché credo sia la prima che sono riuscita a concludere... hahahahaah. Poi per tanti altri motivi. Mi sono affezionata tanto ad Eleanor perché è un personaggio che ha tanto di me, e tanto di ciò che vorrei essere. E sono quasi convinta di essere un po' cresciuta insieme a lei in questa storia. Non solo, ma credo anche che la storia sia cresciuta in meglio, capitolo per capitolo. Spero la pensiate come me e spero di essere riuscita a narrarvi e trasmettervi qualcosa di bello. 

Vi ringrazio tantissimo e vi saluto... e spero di leggere qualche recensione, cosa ne pensate di questo epilogo, della storia, di qualsiasi cosa. Grazie ancora di avermi fatto compagnia in quest'avventura!

Izzy







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