Diario di una scrittrice senza penna.

di JustAStoryteller
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Entry 0 ***
Capitolo 2: *** Entry 1 ***



Capitolo 1
*** Entry 0 ***


Mamma,

non riesco più a scrivere. Questo mi spaventa. Sono sempre stata brava a scrivere, ad inventare storie. È sempre stato il mio punto di forza, quello che mi distingueva da tutti gli altri. E ora sono qui, ferma davanti ad una pagina elettronica vuota, che mi fissa, che mi fa l’occhiolino. Si fa beffa di me. Per questo devo cambiare aria.

Sto partendo. Vado a Londra da Jhon. Qualcosa da fare la troverò. Starò bene, te lo prometto. Ho bisogno di farlo, devo provare a ritrovare me stessa.

Spero riuscirai a capirmi,

Veronica.

P.S.: ti chiamo quando arrivo. Ti voglio bene.

 
Le ho lasciato solo un biglietto sul tavolo della cucina e sono uscita quando lei non c’era. Non volevo che provasse a fermarmi. Non credo l’abbia trovato perché non ho ancora ricevuto nessuna chiamata isterica. O forse è perché sono su un aereo. Si, così ha più senso.

È vero quello che le ho detto: non riesco più a scrivere, ad inventare mondi tutti nuovi, tutti miei. Proverò a scrivere di me per un po’. Magari sono abbastanza noiosa da farmi ritrovare la fantasia che ho perduto. Lo spero.

Come si fa? Oddio, non so proprio come fare. E va bene, partiamo dall’inizio.

Mi chiamo Veronica, ho 25 anni e sono di Roma.

Capelli castani, mossi, lunghi. Occhi castani, leggermente a mandorla. Viso allungato. Del naso non ne parliamo.

Liceo: scientifico.

Laurea: lingue.

Lavoro: scrittrice (più o meno). Ho pubblicato il mio primo libro quando avevo 21 anni ed il secondo a 23. Ora sono bloccata.

Single, non per scelta, non convinta, non disperata. Solo single.

(Per vostra informazione, un signore seduto vicino a me sta leggendo tutto quello che sto scrivendo. Ha un’espressione un po’ preoccupata, non so perché. Più che per vostra informazione, è per sua informazione. La prego signore seduto accanto a me, la smetta!)

Colore preferito: rosso.

Fiore preferito: peonia bianca.

Segno zodiacale: capricorno.

Nessun hobby particolare.

Nessun sogno particolare.

Nessun segno particolare.

Sto fuggendo, sto andando a Londra perché è l’unico posto in cui c’è qualcuno che conosco: Jhon.

Ho conosciuto Jhon durante una magica serata a Trastevere. Prego notare che l’espressione “magica serata” è assolutamente sarcastica: il nostro incontro è consistito nel ritrovarmi improvvisamente con il vomito di una checca inglese sulle scarpe. A quanto pare però era solo indigestione, così, nel pieno della sua ritrovata lucidità post liberazione, si è offerto di riparare al danno comprandomi un altro paio di scarpe. Una cosa tira l’altra e adesso siamo migliori amici.

Jhon ha un ragazzo, Martin, il ragazzo più bello che io abbia mai visto. Anche Jhon è bello, ma di una bellezza gentile, di quelle che si fanno notare solo quando presti attenzione ai particolari, solo quando ti ci fermi a parlare. Martin invece è quello che in gergo viene definito un figo da paura: alto, massiccio, viso a diamante, barba della lunghezza giusta, occhi azzurri, ciglia lunghissime, capelli castani. Ed è gay. Ovvio!

Jhon è il manager di un’azienda abbastanza importante, Martin è un editore. Il mio editore. Li ho fatti conoscere io perché i fatti miei proprio non me li so fare.

Vivono insieme da qualche anno in un appartamento a Soho. Si vogliono sposare. Non a breve, ma è nei loro piani. Per ora si accontentano di convivere e hanno deciso di lasciare che una povera straniera si stabilizzi nella camera degli ospiti. Sono i miei fantagenitori. Gay!

Potrebbe la vita essere migliore di così!?

(L’aereo sta per atterrare e il mio vicino non la smette di fissarmi preoccupato. È arrivato il momento di chiudere.)
 

(Ah, e per favore LA SMETTA DI FISSARE!)

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Capitolo 2
*** Entry 1 ***


Ai miei personaggi.
Spero che questa storia vi porti dove volete andare.
 
 



 
A quanto pare ha riempito Jhon di chiamate, l’ha pregato di non farmi nemmeno entrare in casa. Mia mamma, che non parla una parola di inglese. E Jhon, che in italiano sa dire solo buongiorno e un caffè, grazie.

Quando sono atterrata ho preso un lunghissimo respiro e l’ho chiamata.

“Sei impazzita!?”

“Mamma, dai. Te l’ho detto…”

“No, non me l’hai detto. Mi hai lasciato un bigliettino. Un bigliettino! Ora prendi subito l’aereo e torni qui.”

“Mamma non posso.”

“Non mi interessa! Torna qui immediatamente!”

"Mamma…”

“Smettila di dire mamma, non mi impietosisci.”

“Mamma, ho bisogno di stare qui per un po’. Devo provare a schiarirmi un po’ le idee. Ti prego, prova a capirmi. E poi non è che me ne vado in mezzo ad una strada, mi ospitano Jhon e Martin. Starò bene.”

“E fammi sentire, quanto tempo penseresti di rimanere?”

“Boh, ma’, non lo so. Due, tre mesi almeno.”

“DUE, TRE MESI? ALMENO? Ma sei completamente impazzita!? Non esiste proprio!”

“Dai, mamma! Martin mi aiuterà a scrivere e Jhon ha detto che mi può far assumere in un ristorante di un suo amico. Mi farà bene staccare un po’ da tutto.”

“Scusa, ma da quanto tempo stai progettando questa cosa?”

“Un paio di settimane.”

“Tu sei completamente pazza. Si, ma io come faccio senza di te?”

“E dai ma’! Non hai bisogno di me, e lo sai bene. E poi non è che me ne vado per sempre! Fra qualche mese sto di nuovo da te.”

“Uffa, e va bene. Ma io te lo dico, se ti succede qualcosa ti ammazzo!”

“E dai ma’, che mi deve succedere?”

“E che ne so io, una cosa qualsiasi.”

“Ma’ devo ora devo chiudere che devo prendere la metro. Ti voglio bene. Sei la mamma migliore del mondo!”

“Si, vabbè. Ti voglio bene anche io. E STAI ATTENTA!”

“Si, ma’! Ciao ma’!”

Alla fine mi è andata bene, tutto sommato.



 
***

 

Arrivata a Piccadilly, non sono andata subito a casa. Mi sono seduta per un po’ vicino alla fontana di Leicester Square ad osservare i passanti. Ho provato a distinguere i turisti dai londinesi. Non so se ci sono riuscita.

Pian piano ho iniziato a smettere di contare le persone e ho iniziato a contare i miei pensieri. È una cosa impossibile, si sa: come pensi di pensare un pensiero, ecco che l’hai perso, non c’è più. È come quando pensi Oh! Non sto pensando a niente! e ti accorgi che hai perso quel momento di vuoto pensando di non pensare. È un pensiero che mi ha sempre affascinata.

Mentre ero persa nelle mie trattazioni filosofiche (perdonatemi), il mio sguardo si è fissato sul volto di un ragazzo. Aveva gli occhi gentili e le labbra sorridenti; aveva la pelle olivastra e i capelli neri. Occhi e labbra e pelle e capelli stranamente familiari. In un flash mi è tornato in mente il mio primo viaggio a Londra, quando un barista dagli occhi gentili mi diede il suo numero. Uscimmo una volta dopo quella sera e poi io dovetti tornare di corsa a Roma. Non avevo mai più pensato a lui.

Vedere lì, in mezzo ad una folla di sconosciuti, un viso familiare è stato un piccolo shock che mi ha riportata alla realtà. Mi sono alzata, ho raccolto le mie cose e mi sono avviata velocemente verso casa di Jhon. Non so perché l’ho fatto, so solo che quando ho realizzato di conoscere quel ragazzo ho sentito l’urgenza di correre via, di fare in modo che non mi vedesse. Non ha funzionato.

“Scusa!?”

“Si?” Ho risposto girandomi dopo essermi maledetta per non essere corsa via più velocemente.

“Ti conosco? Hai un viso molto familiare.”

“Ehm, non saprei…”

“Veronica?” mi ha interrotto lui. “Sei tu vero!? Dio, è una vita che non ti vedo!”

A questo punto avrei potuto adottare due tattiche: il lampo di genio fingendo di essermi ricordata di lui solo ora che me lo faceva notare, oppure avrei potuto continuare a fare la vaga e far finta di non averlo mai visto in vita mia. Indovinate quale ho scelto?

“Scusa, io non credo di ricordarmi di te.”

“Come? Sono Sam! Ci siamo incontrati qualche anno fa. Nel bar in cui lavoravo.” A questo punto la sicurezza nei sui bellissimi occhi scuri aveva iniziato a vacillare e le sue frasi avevano iniziato a sembrare più domande che affermazioni. “Siamo anche usciti. Siamo andati a bere qualcosa e a fare una passeggiata al Millennium Bridge.”

Ah! Troppi dettagli. Si ricorda troppi dettagli.

“Mi dispiace, io non credo di conoscerti, davvero. Mi dispiace tanto.”

“Ah, okay allora. Scusami tu per averti disturbata. Buona giornata.”

“Figurati. Buona giornata anche a te.”

Lui mi ha sorriso un po’ deluso e si è girato per tornare dai suoi amici. E io non ce l’ho proprio fatta a stare zitta (stupida me).

“Ehi!”

Lui si è girato verso di me con un guizzo stupito negli occhi.

“Per quel che vale, penso sarebbe fortunata ad averti.” gli ho detto dandomi mentalmente uno schiaffo sulla fronte.

“Grazie.” Mi ha risposto sorridendomi e andando via con le mani infilate nelle tasche dei jeans.

Sono rimasta ferma a fissarlo mentre si allontanava tra la folla. L’ho guardato raggiungere i suoi amici e ricevere pacche sulla schiena e sorrisi di scherno. Ho desiderato di poter tornare indietro nel tempo e dirgli che mi ricordavo di lui. Ma non si può. Quindi mi sono riscossa scrollando la testa e sono andata a casa.



 
***


 
Quando sono arrivata mi ha accolto una zaffata di profumatore per ambienti alla vaniglia e mi è atterrato addosso un Jhon urlante.

“FINALMENTE! MI SEI MANCATA TANTISSIMO! NON VEDEVO L’ORA DI RIVEDERTI! LOSAICHEADOROL’ODOREDEITUOICAPELLIVERO?”

Martin me l’ha scollato ridendo e mi ha abbracciata sollevandomi da terra.

“Ciao, scricciolo. Ci sei mancata tanto. Com’è andato il volo?”

“Ciao, GGG. Se mi stringi un po’ più forte non respiro più.”

“Dai vieni, ho una sorpresa per te!” ha detto Jhon tirandomi per il braccio.

Mi ha trascinata nella camera degli ospiti dove mi aspettava uno striscione con scritto Benvenuta a casa! Non mentirò, ragazzi miei, un po’ mi è venuto da piangere.

“Grazie ragazzi!” gli ho detto abbracciandoli stretti. “Vi voglio un mondo di bene.”

“Si, dai. Adesso sistemati e vestiti carina.” Ha risposto Martin schiarendosi la voce. “Stasera andiamo a cena fuori. Dobbiamo festeggiare!”

“Va bene.”

Mentre uscivano ho preso Jhon per il braccio e l’ho tirato verso di me.

“Ehi, ti posso parlare un attimo?”

“Si tesoro, dimmi tutto.”

“Senti, ti ricordi di Sam?”

“Sam…?”

“Ma sì, dai. Quel barista con cui sono uscita la prima volta che sono venuta qui…”

“Ah sì, me lo ricordo! Era carino. Che c’entra Sam?”

“L’ho rivisto tipo un quarto d’ora fa. Mi ero fermata a Leicester Square e lui mi ha riconosciuto.”

“E…?”

“E ho fatto finta di non sapere chi fosse.”

“E perché, scusa!?”

“Non lo so!” gli ho risposto buttandomi sul letto e coprendomi la faccia con le mani. “Sono andata nel panico!”

“Dai, tesoro, adesso non ci pensare. Se è destino lo rincontrerai. E stavolta se non gli dici che lo conosci ti ammazzo!”

“Che paura!”

“Zitta, stronzetta. Fatti bella perché io non vado in giro con un cesso come te!” mi ha gridato uscendo dalla stanza.

“Grazie, mamma!” gli ho urlato dietro tirandogli un cuscino.

Il resto della serata è trascorso tranquillo. Siamo andati a cena in uno di quei ristoranti per ricchi dove però puoi anche non prenderti troppo sul serio. Abbiamo parlato, riso, bevuto vino e parlato ancora un po’. Mi sono sentita felice. Anche se un tarlo ha continuato a tartassarmi per tutto il tempo.

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