Dopo

di LordPando
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I S. N. B. ***
Capitolo 2: *** Protestiamo! ***
Capitolo 3: *** ZAC! ***



Capitolo 1
*** I S. N. B. ***


 La grande sala dell’incontro era in penombra. Le alte pareti lucide e metalliche riflettevano la luce del lampadario che appeso al soffitto proiettava ombra sui volti dei sette uomini che chiacchieravano.

  —Allora, amici— disse uno. Non era molto alto -come i suoi scompagni, del resto- ed indossava un completo rosso un po’ rattoppato. Era indubbiamente ben cucito, ma altrettanto indubbiamente usato spesso. —Come vi trovate in questa nuova vita? Noi S.N.B. siamo in ribasso ultimamente!Ricordate di quando…

  —No. Non ricordiamo. Quei tempi sono oramai finiti, rassegnati. So che non puoi fare a meno di pensare a quando eravamo tutti insieme, ma con la crisi ed i colossi del petrolio a bucherellare il terreno…— Aveva parlato in questo modo brusco un uomo barbuto. Indossava un cappello che gli stava afflosciato su metà del burbero volto i cui lineamenti duri accentuavano l’espressione imbronciata. Aveva sbattuto i pugni sul tavolo come per farsi sentire, e non era inconsueto per lui alzare la voce. Borbottò qualcosa e poi riprese. —I tempi cambiano, e la gente con essi. Siamo durati per così tanto tempo, ma adesso…

  —Non brontolare, dài!— fece un altro. Indossava una giubba color giallo ocra abbottonata alla meglio. Il volto pallido, gli occhi socchiusi ed il naso grande e rosso come un peperone suggerivano che era malato.

  —Non ti azzardare a fare come al solito! Tutte le volte che ti commuovi, starnutisci e fai tremare le stanze. Con l’ultima spedizione siamo riusciti a malapena a racimolare abbastanza per un nuovo tavolo ed adesso lo stai per sporcare nuovamente!— A parlare era stato il secondo uomo, che stava brontolando fra se qualcosa che riguardava il costo di qualsiasi cosa al giorno d’oggi. —E comunque,— disse, diretto al primo uomo che aveva parlato —Non è colpa nostra se non siamo più richiesti. E ricordare il passato non servirà a nulla! È tardi per tornare indietro. Io, dico che questa sia l’ultima riunione!

  —Oh, non dire nulla! La vita è bella, domani ci sarà il sole (lo hanno detto anche quelli del meteo) e bisogna tentare di vivere!

  —Umpf! Quello è “si alza il vento, bisogna tentare di vivere”! Non sono pessimista come te,— fece, guardando storto il secondo uomo, che ancora scene stava imbronciato —ma da quando non riceviamo più attenzioni…

 Una lacrima gli rigò il volto rugoso, la sua voce si era fatta flebile e malinconica.

  —Come al solito sei troppo attaccato alle persone!— lo rimproverò un altro, incurante del suo volto quasi depresso.

 In quel momento una vocina flebile proveniente dall’angolo della camera parlò. Proveniva da un ometto dai lineamenti infantili ed il naso piccolo. Indossava una giubba decisamente troppo lunga per lui che gli copriva le mani e lo faceva sembrare molto più piccolo di quanto in realtà lui non fosse.

  —Ma anche lui è uno di noi.—cominciò.—Chi lo sa come potrebbe fare senza il nostro conforto. Io… ancora penso ci sia della speranza.

 —Dategli ascolto!— stillò il quarto uomo con fare allegro come al solito. La ciccia sulla pancia si mosse ad un suo salto. In piedi sulla sedia l’uomo improvvisò un balletto che venne stroncato da quasi tutti i suoi compagni.—Cantate e ballate amici miei, come facevamo nella nostra bella casetta! I tempi si faranno migliori e…

 —No. Oramai non possiamo.— disse il primo uomo che aveva parlato con una voce grave, quasi rassegnata. —Dubito che mi sarei mai aspettato di dirlo, ai bei tempi. Ma qualsiasi cosa possiamo dire, i bei tempi sono finiti. È la prima volta che sono d’accordo con lui,— disse stanco, indicando il secondo uomo che imbronciato lo guardò. —ma dobbiamo… EHI, TU!

 L’uomo era sbottato. Uno di loro era seduto accasciato e dall’inizio della riunione russava sonoramente. All’appello si rizzò, ma quando vide che non veniva detto nulla ricadde nel sonno (senza rendersi conto delle occhiatacce che riceveva), lasciando i suoi amici sbigottiti.

 —Dimmi come diavolo è possibile che ogni volta ti addormenti! Nessuna esclusa! Mi sento parecchio offeso!

 L’uomo si alzò e con aria calma e soporifera rispose:—Calmati…yawn…non bisogna mai… yawn… mollare. Io dico di resistere.

 —ALL’AVANZAMENTO DEI TEMPI? PER TE RESISTERE VUOL DIRE ANDARE IN LETARGO!

  —Ha ragione!— un mormorio di assenso percorse la sala.

  —Mi hanno sempre considerato il capo, ed io deciderò! Ci sciogliamo! I S.N.B Si salutano. Ora, basta!

   —E va bene, Dotto.— Annuì Mammolo.

   —Hai vinto.— Confermò Cucciolo.

   —Un po’ mi dispiace, ma ci salutiamo.— Sospirò Eolo, che poi starnutì.

  —Ebbene, addio, Sette Nani di Biancaneve!— disse Brontolo, spegnendo la luce. E per ultimo uscì dalla stanza.

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Capitolo 2
*** Protestiamo! ***


 —«…E così vissero per sempre, felici e contenti!»

 —Ah. E l’hanno conclusa così. Un po’ scialbo, direi… Accidenti alle foglie!

 —Io direi anche che i nostri interventi sono stati un po’ brevi.

 —Il tuo, non di certo!

 —E fra poco anche tu interverrai!

I rami della foresta graffiavano il volto dei due individui che camminavano. Le fronde ne nascondevano i tratti principali, ma si notava in entrambi un che di inconsueto. Per prima cosa, uno dei due invece di camminare come è di uso comune se ne stava gobbo su quattro zampe. Era decisamente peloso e parecchi tratti del suo aspetto fisico erano decisamente accentuati rispetto ad una comune persona: aveva la mascella ed il muso allungati e completamente ricoperti di peli, come il resto del corpo.

 Un altro fatto strano era che non si poteva notare su di lui alcun tipo di abbigliamento se non dei lunghi bermuda che gli arrivavano fino alle ginocchia. Era quasi un mistero come facesse a non graffiarsi i piedi con le appuntite pietre che ricoprivano il suolo o con i rami che sbattevano sulle lunghe gambe deformi, quasi in modo da sembrare zampe.

 Attiravano l’attenzione anche i suoi organi di senso: gli occhi grandi, gialli e posti a metà fra dove dovrebbero essere normalmente ed i lati della testa erano profondi e le pupille scure e maligne erano visibilissime.

 Le sue orecchie, invece, erano pelose, nere ed appuntite. Gli stavano poco sopra la nuca ed erano rizzate a captare qualsiasi rumore.

 La sua lingua, straordinariamente rossa e coronata da un assortimento di denti appuntiti ed affilati era semicoperta dalla bocca e salivava.

 L’altro uomo era più normale, ma al contempo strano: indossava un completo verde mimetico eccetto che per i pantaloni, aderenti e di un verde scintillante, ed il cappello: era fatto sul modello di quelli dei coloni come la sua folta ed arruffata barba, ed il pennacchio non mancava mai di impigliarsi con le spine degli alberi.

 Aveva gli occhi neri e profondi, era pupille dilatate e un po’ tristi. Un po’ di rughe gli coprivano il viso barbuto, la bocca nascosta da un cespuglio di peli.

 Nella mano sinistra (era mancino) teneva un fucile dall’aria vecchia e nessuno, nessuno avrebbe mai pensato che potesse essere un avvocato. Chiariamoci, gli avvocati sono gente asettica, in giacca e cravatta, non vestiti come se fossero dei cacciatori.

 Così, quello strano ed inconsueto avvocato camminava, mettendo i piedi uno davanti all’altro e scuotendo le spalle alla vista di rami e sterpi che si impigliavano nella sua tuta mimetica. Il pennacchio si infilava continuamente fra le spine, e l’uomo guardava con invidia il lupo. Perché sì, guardando meglio l’uomo che camminava a quattro zampe non era altri che un lupo che forse molti conoscono. E molti altri no.

 —Allora, avvocato, come pensa di risolvere il nostro problema? Sa, abbiamo scelto lei perché aveva la fame del migliore, e perché quando un’ingiustizia viene commessa si dice che ci sia lei ad aiutarci. Sa, non so se ricorda il “caso porcellini”. Io ero coinvolto direttamente, e lei ha fatto giustizia. E ne sono riconoscente…

 —Oh, non si preoccupi, con me a guidarvi avrete la vittoria assicurata! E per quanto riguarda il pagamento possiamo metterci d’accordo tranquillamente dopo la vittoria… Oh, guardi: gli altri “ragazzi”!

 Ed era così: un branco di un mezzo centinaio di lupi antropomorfi che se ne stava lì, chi a fischiettare e chi ad attendere ai margini del bosco. La luce del sole ne faceva risplendere i manti neri e li rendeva simili agli alberi che li circondavano. Erano diversi di dimensioni, postura, atteggiamento, abbigliamento ed aspetto, ma erano accomunati da un’espressione decisamente contrariata. Vicino a loro retto da una mezza dozzina di animali c’era un enorme striscione, che diceva:

 

NON SE LO MERITAVA!

a caratteri cubitali, con ai lati macchie di vernice.

 —Allora, avvocato, che cosa dobbiamo fare? Ci ha fatto preparare questo cartello, e noi abbiamo fatto. Ci ha fatto radunare, e noi abbiamo obbedito. E ora?— chiese un lupo alto e grosso, di quelli che portavano lo striscione.

 —Quello che io propongo, amici, è una protesta! Il vostro compagno, non sostituito da un’adeguata controfigura, è deceduto nel dramma teatrale “Cappuccetto Rosso”! E noi ci faremo sentire! Formeremo un corteo e passando accanto al teatro andremo fino a casa del primo cittadino! Perché voi, Sindacato dei Lupi Fiabeschi, non ve lo meritate!

 Ed a questo grido, ululanti ed allegri, tutti i lupi si misero in marcia, con lo striscione alzato e le zanne acuminate. Sono si disse l’avvocato il sindacato più agguerrito degli ultimi anni!
 

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Capitolo 3
*** ZAC! ***


 Il valzer risuonava ancora nelle sale, dopo che l’ultima festa di matrimonio era finita. I due novelli sposi se ne stavano nella loro camera a sorridersi e a dirsi melense frasi l’uno all’altra.

 La stanza era buia se non per la pallida luce lunare che filtrava attraverso le finestre illuminando il letto le cui candide coperte erano occupate da un uomo alto, con un bel viso sottile ma non scarno, i lineamenti duri ma rilassati, il sorriso dolce e felice mentre guardava la novizia principessa. Lei indossava ancora l’abito bianco ricoperto di merletti con il quale aveva ballato fino a quel momento. La larga gonna tenuta su dalla gabbietta di ferro (che si indossava all’epoca fra le nobili damigelle) sfiorava il pavimento, reso quasi luminoso dalla cera passata dagli schiavi del principe poco prima per rendere migliore possibile la prima notte di nozze. E finalmente il principe si decise ad aprire la bocca.

 —Mia principessa, Lei si è presentata a me con un nome a me nuovo, un nome che da molti non è considerato tale, ma nel mio caso è indice di una dolce visione. Ma me lo dica, mi dica del suo nome vero. Quello con cui mi si è presentata da alcuni è considerato un insulto. Come mai vi chiamate Cenerentola?

 La fanciulla guardò il novello sposo con occhi dolci e le sue labbra carnose si aprirono per parlare. Erano rosse e gentili, atteggiate in un mezzo sorriso gentile.

 —Maestà, sarò ben felice di rispondere a qualsiasi domanda voi vogliate pormi, e voi mi chiedete del mio nome. Purtroppo è legato a ricordi infelici, ma se è vostro desiderio ascoltare la mia storia, in qualità di moglie devota, ve la narrerò.

 «La prima cosa che ho da dirvi è che io nacqui orfana. Mia madre morì durante il parto e mio padre, un uomo buono e giusto, fece il coglione e si sposò una donna indegna di lui. E sai quella che cosa fa?»

 —Signora mia, ritengo questo linguaggio indegno di lei!

 —E fammi sfoga’! Ti dicevo, dopo due anni di matrimonio mio padre crepa, alcuni dicono per cause misteriose… io dico per del cianuro nel tè messo da quella dolce non dico cosa di mia madre! E quindi io rimango sola con la stronza e due sorellastre viziate. Quelle ogni giorno mi rompono le balle come se non ci fosse un mercoledì prossimo! E che fa la matrigna? Se ne frega altamente! E quindi gli unici miei amici sono gli animali per cui devo sgobbare ogni giorno! Amici un cavolo! Ed allora la storia comincia con me che trovo un altro topolino nella trappola. Quello è un cretino, si mette nei casini tipo un milione di volte, con il gatto e gli altri.

 «Poi un giorno tuo padre dice che ti vuoi sposare e manda l’avviso del ballo a tutti. La mia matrigna mi dice che posso andare! Ma è solo un suo piano per la mia umiliazione, ma i topini e la fata madrina trasformano la zucca in carrozza, i topini in cavalli ed il cane a cui tutte le mattine alle sette porto la sbobba che non so cosa ci sta dentro, forse piscio del gatto, diventa il cocchiere e mi porta a palazzo. È il tuo palazzo, e non ci trovo nessuno ad aspettarmi. VILLANI! Ma poi tu mi vedi ed a fanzum le sorellastre che si fanno belle, tu balli con me per tutta la sera, ma la magia finisce a mezzanotte, ed io sono fregata di brutto. Allora scappo, scappo ragazza laggiù pam-pam-pa-pa i topini diventano topini, la carrozza diventa zucca ed io scappo. Ma una scarpina rimane là. E, vedi, io ho sempre avuto i piedini piccoli, quindi senza mezzi termini ti dico che in un modo o nell’altro mi riesco a provare la scarpina, anche se a dire la verità, principi’, il metodo di tuo papà che ora se ne va in pensione faceva un poco schifo, mica sono l’unica con il piede piccolo! Ma io tengo l’altra scarpina, e quindi mi salvo! E ci sposiamo!»

 La principessa stava piangendo un po’ per lo sfogo, un po’ per la rabbia un po’ per la felicità e la veemenza dimostrata allo sposo.

 Adesso è quindi il momento di un piccolo appunto storico: a quei tempi magia e stregoneria erano fortemente temuti, a Londra c’erano state delle malattie pericolose anche per i topi e nel paese lontano lontano i medici non erano proprio questo che. E c’era la pena di morte, anche. E quindi ora che la novella principessina aveva contro di lei un paio di centinaia di accuse…

ZAC!

Le tagliarono la testa ed il principe diede una seconda festa per risposarsi. E per sempre felici e contenti.

 

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