Le cronache di Aveiron: Vittime e complici

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quiete invernale ***
Capitolo 2: *** Il gentil tempo ***
Capitolo 3: *** Spaccati di vita ***
Capitolo 4: *** Ricordi mai scomparsi ***
Capitolo 5: *** L'oscurità e la luce ***
Capitolo 6: *** Uniti ora e per sempre ***
Capitolo 7: *** La spada e la freccia ***
Capitolo 8: *** Il ritorno delle ombre ***
Capitolo 9: *** Errare è umano ***
Capitolo 10: *** Eroi ***
Capitolo 11: *** A occhi e orecchie aperti ***
Capitolo 12: *** Allarme Ladri ***
Capitolo 13: *** Passi in avanti ***
Capitolo 14: *** Allenare corpo e mente ***
Capitolo 15: *** Aria di guerra ***
Capitolo 16: *** Donare il proprio cuore ***
Capitolo 17: *** Novità e pericoli ***
Capitolo 18: *** Piccoli segnali ***
Capitolo 19: *** In balia del falso ***
Capitolo 20: *** Libertà e vendetta ***
Capitolo 21: *** Le pagine di Terra ***
Capitolo 22: *** La goccia vince la roccia ***
Capitolo 23: *** Aperta come un libro ***
Capitolo 24: *** Inferno in primavera ***
Capitolo 25: *** In nome della salvezza ***
Capitolo 26: *** La tela del vivere ***
Capitolo 27: *** A occhi e orecchie aperti ***
Capitolo 28: *** Amare ancora ***
Capitolo 29: *** Non tutto è perduto ***
Capitolo 30: *** Al di là della selva ***
Capitolo 31: *** Partire e tornare ***
Capitolo 32: *** Sforzi ripagati ***
Capitolo 33: *** Giovani e forti ***
Capitolo 34: *** Colpire nel segno ***
Capitolo 35: *** Navigare in acque mosse ***
Capitolo 36: *** Alla luce del sole ***
Capitolo 37: *** Di nuovo in guerra ***
Capitolo 38: *** Nuove stelle ***
Capitolo 39: *** Superstiti in campo ***
Capitolo 40: *** Tregua insperata ***
Capitolo 41: *** Stoicismo da guerrieri ***
Capitolo 42: *** Ancora in piedi ***
Capitolo 43: *** Maestri dell'inganno ***
Capitolo 44: *** Nervi fragili ma saldi ***
Capitolo 45: *** Perdere per vincere ***



Capitolo 1
*** Quiete invernale ***


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Le cronache di Aveiron: Vittime e complici

Capitolo I

Quiete invernale
Dieci anni sono ormai passati, e l’inverno è tornato. Fa freddo, e per poco fuori non nevica. Siamo ancora ad Ascantha, e con il tempo che scorre, sono felice. Finalmente, i famigerati Ladri, piaga della mia bella e umile Aveiron sembrano averci dato tregua, e respirando a pieni polmoni, mi guardo intorno. Il giardino di casa ha perso la sua erba e i suoi fiori, e perfino il grande albero sotto cui le mie figlie giocavano da bambine nelle giornate di sole, ha perso ogni foglia. Ora come ora, è completamente spoglio, e i rami che oscillano lenti, sembrano chiedere pietà al freddo che li ha resi ciò che sono. A quella vista, non proferisco parola, e spostando lo sguardo, li vedo. Trace e Terra hanno ormai sedici anni, e nel bosco che ormai conoscono meglio di loro stessi, il laghetto è ghiacciato. Mano nella mano, pattinano come professionisti, e avvicinandosi, Terra lo bacia. Da ormai qualche anno, sono diventati una coppia, e semplicemente guardandoli, sento il cuore riempirsi di gioia. “Lo amo, mamma.” Mi aveva detto, nel fatidico giorno in cui si era resa conto di provare per lui un sentimento che andava ben oltre l’amicizia. “Allora diglielo.” Le avevamo consigliato io e Stefan, parlandole in tono serio e calmo al tempo stesso. Annuendo, lei aveva accettato, e in quel freddo pomeriggio di fine autunno, gli aveva parlato, scoprendo con gran gioia di essere ricambiata. Un bacio aveva poi unito le loro labbra, e dopo un silenzio a dir poco assordante, una frase lo aveva riempito, risuonando nel vento. “Ti amo.” Si erano detti alla giovane età di quattordici anni, pronunciando parole semplici ma al contempo piene di significato. Due lemmi che avevano pronunciato l’uno di fronte all’altra, e che da allora, continuavano a ripetersi. Si amavano davvero, e per qualche ragione, credevano di essere stati uniti dal destino. Un pensiero a mio avviso nobile, che conferiva a Terra una saggezza mai vista prima, forse acquisita da tutto ciò che ha passato da bambina. “L’ambiente l’ha formata.” Mi aveva detto una volta Lady Fatima, in tono serio e quasi lapidario. Come ben so, dieci anni sono ormai scomparsi e volati via come rondini, ma guardandola, non posso fare a meno di pensare che da saggia Leader abbia ragione, e che data la nostra situazione mai parole furono più veritiere. In questo momento, il vento sta soffiando, e con lo sguardo fisso in avanti, mi concentro su mia figlia. Sempre più innamorata del suo Trace, danza sul ghiaccio come una vera ballerina, mentre lui le tiene la mano, volendo unicamente evitare che cada. Di tanto in tanto, ridono come bambini, e nei verdi occhi di mia figlia, non vedo che gioia e felicità. Il tempo passa, e finchè posso, voglio poter sorridere e godermi la tanto attesa, agognata e bramata quiete invernale.

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Capitolo 2
*** Il gentil tempo ***


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Capitolo II

Il gentil tempo

E così, inizia un nuovo giorno. L’inverno ha da poco bussato alla nostra porta, e in modo quasi arrogante, ha preso possesso dell’intera città. È strano ammetterlo, ma in ben dieci anni, moltissime cose sono cambiate. I Ladri sembrano averci dato tregua, Rose e Terra sono cresciute, Chance è ormai avanti con l’età, e cosa più importante, ben due miracoli hanno avuto luogo. Il primo riguarda la mia amica Samira e il suo tanto amato Soren, in quanto il loro piccolo Isaac ce l’ha fatta. Sì,ce l’ha fatta. Ha vinto la sua personale e ardua battaglia contro la morte, e benché questo abbia anche un risvolto negativo, la cosa non li tocca. Quel che per loro conta è aver riavuto indietro il loro unico figlio, che ora, all’età di dieci anni, è il ritratto della salute, sempre che si escluda il suo attuale problema. Sfortuna vuole infatti, che nonostante la completa ripresa, Isaac abbia ereditato i problemi cardiaci di sua madre. Scoprendolo, Samira ne è rimasta colpita, ma volendo rimanere ottimista come me nonostante ogni avversità, si mostra felice, pensando esclusivamente a qualcosa di completamente diverso. Isaac è malato, certo, ma vivo, e in un momento del genere, caratterizzato dalla quiete che tanto aspettavamo, questa è l’unica cosa a contare davvero. Per quanto riguarda il secondo miracolo, io stessa ne sono l’orgogliosa protagonista. Non credevo che sarebbe davvero potuto accadere, eppure è stato così. Poco dopo la fortunata tregua concessaci dai Ladri, Stefan ed io ci siamo amati, e seppur inaspettatamente, sono rimasta incinta. Nonostante l’andar del tempo, ricordo ancora cosa successe in quel fatidico giorno. Ero stanca, nervosa e sul punto di spezzarmi come un fragile ramoscello, e una volta sdraiatami nel letto, avevo provato a dormire, ma senza successo. In completo e perfetto silenzio, nascondevo la realtà non dicendo una parola, ma voltandosi, Stefan mi guardò negli occhi, e di lì a poco, un abbraccio ci avvicinò l’uno all’altra. Questo fu seguito da un bacio, e poi da mille altri. Il loro dolce sapore mi fece letteralmente capitolare, così come ogni azione compiuta da lui. Mi finì di baci e carezze, e lasciandolo fare, lottavo contro me stessa per contenere un piacere che in quel momento non desideravo che liberare. A bocca chiusa, mi morsi con forza le labbra, ma fu inutile. Un gemito d’amore mi sfuggì assieme a molti altri, che appena dopo il primo, non mi curai né preoccupai di nascondere. Sicuro di sé e di come mi sentissi a riguardo, Stefan non accennò a fermarsi, e una volta raggiunto il vero apice del piacere, mi accasciai al suo fianco, sfinita da una notte d’amore che desiderai non avesse mai fine. Nove mesi dopo, con il termine di una gravidanza accettata con un sorriso sia da me che dai miei genitori, diventai ancora mamma, avendo la fortuna di accogliere nella famiglia che avevo creato al fianco di Stefan anche il nostro terzo figlio. Aaron. Per certi versi, un anagramma del nome di mio padre Ronan, e un grande orgoglio per Stefan, entusiasta all’idea di diventarlo per la terza volta. Ad essere sincera, speravo che accadesse ancora, perché come ammetto soltanto adesso, a distanza di anni, la vista di Samira mentre dava alla luce Isaac, e la felicità di Soren mentre lo teneva in braccio e stringeva la mano della moglie, aveva fatto nascere in me un nuovo desiderio di maternità, finalmente esaudito con l’arrivo in famiglia di Aaron. Il figlio maschio che Stefan tanto aspettava, in modo da avere qualcuno a cui insegnare l’arte del combattimento e della lotta, abilità che non aveva fatto mancare neanche alle nostre figlie. Sempre felice e ottimista, ammiro la mia immagine riflessa in uno specchio, e sorridendo, so bene di essere fortunata, poiché tutto questo è potuto accadere soltanto ad opera di un fato benevolo e allo scorrere del crudele ma gentil tempo.

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Capitolo 3
*** Spaccati di vita ***


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Capitolo III

Spaccati di vita

Il pomeriggio ci aveva colto tutti di sorpresa, e con l’inverno appena iniziato, il freddo continuava a esistere. Della neve neanche la candida ombra, ma nonostante questo, un’aria così gelida da impedire al caldo sangue di scorrerti nelle vene. Volendo unicamente evitare di congelare, mi sono da poco seduta accanto al caminetto acceso, e con un libro in mano, leggo ascoltando il crepitio delle fiamme. La storia che leggo parla di Aveiron e delle bellezze che può riservare a degli eventuali visitatori, ma alzando gli occhi, mi rendo conto di quanto questo libro sia vecchio e ormai datato. Mia madre me l’aveva passato quando avevo quindici anni, così che leggendolo imparassi ad apprezzare la città e il regno per ciò che erano, ed io l’avevo fatto imparando ad amarli entrambi, ma ora, per la nera sfortuna di tutti, le cose sono cambiate. Le orribili bestie che chiamiamo Ladri ora dormono, e ne siamo felici, ma dal mio canto, sono certa che torneranno. Nessuno sa quando, ma torneranno. Ad ogni modo, voglio godermi ogni attimo di tranquillità che ora la vita mi concede, e rimettendo quel libro al suo posto in un ligneo scaffale, sposto lo sguardo su mio figlio Aaron. A soli dieci anni, gioca con alcune macchinine regalategli dallo zio, e Chance, non più giovane ma sempre arzillo, lo guarda attento. Muto come un pesce, segue ogni suo movimento con gli occhi e la testa, e volendo giocare, il bambino gli mostra la sua palla. Seppur consumata, rappresenta ancora il passatempo preferito del cane, che ogni tanto la tira fuori dalla cesta dei suoi giochi per mordicchiarla tenendola ben ferma fra le zampe. “Andiamo Chance? Andiamo a giocare?” lo incita mio figlio, ingenuo e desideroso di trascorrere del tempo con il suo migliore amico. A quelle parole, gli occhi del cane si illuminarono, e agitando la coda, questo si sedette davanti alla porta chiusa, uggiolando per l’impazienza. “Va bene, allora andiamo.” Continuò Aaron, battendo l’animale in una corsa fino al giardino. Una volta arrivato, mio figlio aspettò con pazienza il cane, che muovendosi lentamente per via dell’età, lo raggiunse camminando e non correndo come era solito fare. Ferma sulla soglia di casa, li controllavo entrambi, così da poter intervenire qualora fosse successo qualcosa. I minuti passarono veloci, e improvvisamente, vidi Terra avvicinarsi e salutare il fratellino. Felice di vederlo, lei l’abbracciò, notando una vena di tristezza nell’espressione che aveva dipinta in volto. “Chance non vuole la sua palla.” Si lamentò, fissando lo sguardo sul terreno ora privo d’erba. “Hai provato a lanciargliela? Gli chiese la sorella, attendendo in silenzio una sua risposta. “Sì, ma non vuole.” Rispose il bambino, in tono mesto. “Sicuro? Guarda qui.” Continuò Terra, prendendo quel giocattolo in mano e mostrandolo al cane, che in quell’istante, parve rianimarsi. Di lì a poco, Terra gli lanciò la palla, e correndo, Chance la riportò subito indietro. “Hai visto? Basta saper lanciare.” Disse lei all’indirizzo del fratello, che felice come mai prima, sorrideva. “Terra, grazie. Sei grande!” le disse infatti, abbracciandola ancora. “Anche tu sei grande, sappilo, campione.” Fu la risposta della sorella, che sciogliendo quell’abbraccio, si avvicinò a me. Guardandola, non feci che sorriderle, e rientrando in casa, dovetti ammettere di essere come sempre davvero orgogliosa di lei. Sin dal giorno della nascita di Rose, aveva imparato a ricoprire perfettamente il ruolo di sorella maggiore, e ora che la sorella era cresciuta, riversava le sue conoscenze sul fratellino. Fra di loro c’era una differenza di ben sei anni, ma a me non importava. Quel che contava era che si volessero bene, così da permettermi di assistere, nei momenti di calma, a quelli che definivo spaccati di vita.

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Capitolo 4
*** Ricordi mai scomparsi ***


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Capitolo IV

Ricordi mai scomparsi

È di nuovo mattina, e sorprendendoci tutti, la neve è caduta. Bianca e immacolata, pare brillare se colpita dal sole, e riposando sui rami più piccoli del grande albero nel giardino di casa, minaccia di spezzarli. Inspirando a fondo, mi godo la vista dalla finestra del salotto, e accompagnando Rose fuori, la guardo giocare e divertirsi facendo a palle di neve con i due fratelli. In completo silenzio, non facevo che guardarli, e notandolo, Stefan mi prese per mano, riuscendo solo allora a spezzare la sorta di trance in cui mi ero permessa di cadere. Scuotendo la testa, finsi indifferenza realmente non provata, e guardandolo, sorrisi. Un sorriso tanto luminoso quanto mellifluo, che almeno in quel momento, sembrò abbastanza convincente da indurlo a non fare domande. “Ti piace, non è vero?” mi chiese, riferendosi alla fredda neve che intanto continuava a cadere formando un magnifico e candido tappeto. “Sì e no.” Risposi, onesta ed enigmatica al tempo stesso. Non proferendo parola, Stefan mi guardò senza capire. “È bella, ed è vero, ma è anche fredda, come tanti periodi della nostra vita. Sai bene a cosa mi riferisco, giusto?” continuai, completando quel discorso con una domanda. Mantenendo il silenzio, Stefan non fece che annuire, e prendendomi la mano, mi attirò a sé, allontanandomi in tal modo dalla finestra. Evitando di oppormi, mi lasciai abbracciare, e non appena i ragazzi tornarono in casa, li salutai. Alla mia vista, Rose e Aaron sorrisero, ma Terra no. Preoccupata, la interrogai con lo sguardo, sperando di riuscire a capire cosa la turbasse, non cavando però un ragno dal buco. Poco dopo, Terra si chiuse nella sua stanza, non uscendone per ore intere. Sempre più preoccupata per lei, bussavo periodicamente alla sua porta. “Terra, amore, sono io. Posso entrare?” le chiedevo, sperando ardentemente che me lo lasciasse fare. In qualità di madre, facevo quanto fosse in mio potere per tentare di aiutarla, ma pur provandoci, ricevevo sempre la stessa risposta. “Vattene via, non voglio vedere nessuno.” Sei lemmi che pronunciava piangendo, e che ogni volta sembravano riuscire a mandare il mio cuore di madre in pezzi. “Che succede?” mi chiese poi Stefan,dopo avermi vista per l’ennesima volta attraversare con fare sconsolato il corridoio. “Si tratta di Terra. Piange da ore, e non so cos’abbia.” Risposi, in tono mesto. “Dì, hai provato a parlarle?” fu la sua seconda domanda, tanto ovvia quanto retorica. “Sì, ma non vuole, è questo il punto!” replicai, nervosa e scocciata. “Su, ora calmati. Lo farò io, d’accordo?” disse semplicemente, facendo uso di una calma che definirei mostruosa. “Buona fortuna.” Sussurrai, al solo scopo di non essere sentita. Era davvero strano, eppure era così. Mia figlia ed io avevamo uno splendido rapporto, ma ora, di punto in bianco, non voleva parlarmi. Qualcosa la turbava, ed era chiaro come il sole, ma non avendo altre armi a disposizione, avevo lasciato che fosse Stefan a parlarle, conservando nel mio cuore la speranza che riuscisse ad aiutarla. Silenziosa come uno scaltro topo o un saggio gufo, rimasi in ascolto, avendo la fortuna e il piacere di sentire la porta della sua stanza aprirsi. Origliare era sbagliato, e lo sapevo bene, ma era mia figlia, e sentivo di avere il diritto di sapere cosa l’aveva resa così triste e apatica. “Allora, principessa, si può sapere cos’hai?” le chiese suo padre, sorridendole e sedendosi sul letto accanto a lei. “Niente, papà.” Rispose lei, scivolando poi nel silenzio e voltandosi per dargli le spalle. “Terra, dai, dimmelo. Non piangeresti se non ci fosse un motivo, no?” continuò lui, incalzandola dolcemente e tentando di indurla a confessare. “Si tratta di Trace, azzardò poi, andando a toccare quello che come donna prima e madre dopo sapevo essere un nervo scoperto. “No, fra me e lui va tutto bene, è che… biascicò, fermandosi nel bel mezzo di quella frase e lasciando che le morisse lentamente in gola. “Che…” le fece eco il padre, riuscendo solo allora a farla sorridere. Il suo fu un sorriso veloce, che difatti si spense presto, come un’ormai consunta candela. “Ho paura, va bene?” ammise, alterandosi di colpo e tornando a guardare il padre con occhi dolenti e al contempo accesi d’ira. Muto come un pesce, Stefan si limitò a guardarla, e in quel momento, Terra parve esplodere come una bomba. “Hai sentito bene, tua figlia ha paura.” Replicò all’indirizzo del padre, che, confuso, non diceva una parola. Per qualche strana ragione, la reazione del padre non fece che adirarla, e alterandosi nuovamente, quasi non urlò. “Ho visto come la gente soffre là fuori, e lo sai. Sorrido e fingo per Rose e Aaron, ma la realtà è questa. Siamo fratelli, e se a loro accadesse qualcosa… non lo sopporterei, ecco.” Questo fu il suo discorso, che giungendo alle orecchie mie e di suo padre come una confessione, mi toccò il cuore. Terra. La nostra dolce bambina, la nostra principessa, che ora si dava davvero da fare per essere una vera guerriera. Voleva davvero bene ai fratelli, e sapevo che avrebbe fatto qualunque cosa pur di vederli felici. Da parte sua tutto ciò non era che nobile, e dovendo ammetterlo, attraversai nuovamente il corridoio al solo scopo di avvicinarmi a lei. Soffrendo in silenzio, aveva ricominciato a piangere, e guardando negli occhi il padre, mosse qualche passo in avanti. Non appena fu abbastanza vicina, si lasciò abbracciare, e ben presto l’accolsi anch’io. Pianse poi fra le nostre braccia. “Mamma, papà, mi dispiace… davvero, mi dispiace.” Mormorava, mentre la stringevamo a noi e le lacrime continuavano a correrle sul viso. “Terra?” la chiamai, sorridendo leggermente. “Sì?” rispose, staccandosi da noi e tirando su col naso. “Non piangere. Noi ti vogliamo bene, e in più sei coraggiosa.” Le dissi, sorridendo ancora al solo scopo di confortarla e porgendole un fazzoletto, così che potesse ricomporsi. “No, non è vero. Lo dici solo per dire.” Replicò, ancora triste e sconsolata. “Lo dico perché lo so, tesoro. Adesso vieni, dai.” Risposi, con voce calma e neutra. Sempre titubante e incerta, camminò verso di me con andatura lenta, ma nonostante questo, afferrò la mia mano quasi fosse stata un’ancora di salvezza. La invitai quindi a sedersi nel salotto di casa, preparandole una tazza di caldo latte. Bevanda che amava, e che oltre a conciliarle il sonno, le serviva anche a scaricare la tensione e distendere i nervi. Dì lì a poco, Stefan accese il caminetto, e alcune ore dopo, Terra finì per addormentarsi sul divano di casa. Non volendo svegliarla, mi alzai lentamente, e andando alla ricerca di una coperta, gliela posai dolcemente addosso. Avvicinandomi, le deposi un bacio in fronte, sussurrandole una frase che aveva già sentito, e che nonostante l’andar del tempo, nessuna di noi due aveva dimenticato. “Buonanotte, mia piccola guerriera.” Con un sorriso, non le dissi che questo, e una volta arrivata nella mia stanza, mi sedetti alla mia scrivania, riaprendo il mio diario. Vi scrissi quindi di questo velato atto di eroismo, dovendo riconoscere che mia figlia mi somigliava davvero molto, ricordandomi infatti una versione più giovane di me. In fin dei conti, anch’io ero come lei. Dolce e forte al tempo stesso, e per quanto fragile, sempre pronta a spendermi per gli altri e fare del bene. Amavo Terra, e ad essere sincera, ero felice che avesse ereditato proprio queste qualità. Mi addormentai con un sorriso sulle labbra, crogiolandomi fra orgoglio e ricordi mai scomparsi.    

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Capitolo 5
*** L'oscurità e la luce ***


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Capitolo V

L’oscurità e la luce

Ero sdraiata nel mio letto, e dormivo beata, ma improvvisamente, fui svegliata da un ricordo. Ancora una volta, avevo visto in sogno quegli schifosi Ladri, e mentre il tempo scorreva, e l’argentea luna stazionava in cielo, brillando come mai prima, mi sentivo incredibilmente nervosa. Tornare a sognare e dormire mi era impossibile, e rigirandomi numerose volte, non ci riuscii. Quella notte passò lenta, e nel tentativo di ritrovare la calma, mi sedetti sul letto, facendo comunque attenzione a non svegliare Stefan. Per pura fortuna, riuscii nel mio intento, e poco dopo, posai gli occhi sulla luna. In quel preciso istante, una nuvola attraversò lentamente il cielo fino a coprirla, e semplicemente guardandola, provai il fortissimo bisogno di piangere. Mantenendo il silenzio, lo sfogai, ma ben presto, i miei singhiozzi, per quanto leggeri, allertarono Stefan. “Rain? Tesoro, cosa c’è?” mi chiese, liberandosi dalla morbida trappola rappresentata dalle coperte solo per sedersi accanto a me. “Sono i miei sogni. Continuo a vederli.” Risposi, singhiozzando e facendo del mio meglio per esprimermi in modo comprensibile e riuscire a respirare. A quelle parole, Stefan parve sbiancare. Sapeva bene che dati i nostri trascorsi insieme ero incline all’avere degli incubi, ragion per cui si avvicinò, e cingendomi un braccio attorno alle spalle, iniziò a parlarmi. Guardandomi fisso negli occhi, utilizzò un tono serio e calmo, lo stesso che adoperava ogni qualvolta voleva infondermi coraggio. “Ti ho fatto una promessa, ricordi?” fu la sua domanda, a seguito della quale scivolò nel silenzio. Non osando romperlo, attese con pazienza la mia risposta, che diedi con il fiato corto e gli occhi lucidi. “Mi proteggerai per sempre.” Soffiai al suo indirizzo, lasciandomi poi stringere in un delicato abbraccio. “Esatto, amore mio. Per sempre. E sai un’altra cosa?” aggiunse in un sussurro, ponendomi poi una seconda domanda. Colta alla sprovvista, scossi leggermente la testa, e a quel punto, lui rispose per me. “Voliamo insieme, o non voliamo affatto.” Disse, ricordandomi solo in quel momento del piccolo ma bellissimo ciondolo che entrambi possedevamo. Posandomi una mano sul petto, lo cercò con le dita, e una volta trovatolo, me lo mostrò, lasciando che la luce della luna lo illuminasse. In completo e perfetto silenzio, mi abbandonai fra le sue braccia, e chiudendo gli occhi, inspirai a fondo. Solo allora, un’improvvisa ma gradita sensazione di calore mi invase il corpo, e prendendo la mano di Stefan, lasciai che lui me la baciasse con dolcezza. Non saprei spiegare perché, ma quell’intera notte mi apparve perfetta. Ero inconsciamente ripiombata nel dolore, nella tensione e nella paura provate in passato, ma solo grazie alla tenacia e all’amore di Stefan, ero felice. Felice di averlo accanto, di sentirmi amata, e soprattutto, di essere ancora viva. Sì, viva, ovvero pronta a rimboccarmi le maniche ed estrarre la mia daga, lottando con tutte le mie forze contro l’oscurità, così da poter vedere, dopo una lotta estenuante, la luce del giorno. Un’alba nuova, fonte per tutti noi di grande speranza.

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Capitolo 6
*** Uniti ora e per sempre ***


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Capitolo VI

Uniti ora e per sempre

Sempre sveglia e allerta, avevo tenuto alta la guardia, e anche se lentamente, assistito al trascorrere di ben due settimane. Preoccupata, Terra mi rivolgeva sempre la stessa domanda. “Va tutto bene?” chiedeva, attendendo una risposta e sperando che fosse positiva. Per sua fortuna, era proprio così, e sorridendo, mi abbracciava sempre. Aveva solo sedici anni, era mia figlia, e l’amavo. Avendola messa al mondo e cresciuta, sapevo bene di conoscerla perfino meglio di me stessa, ed ero certa che non esistessero parole belle o ricercate abbastanza per esprimere quanto davvero le volessi bene. Trovare tali parole mi risultava difficile, ma nonostante questo, aggettivi come matura, saggia e giudiziosa comparivano subito nella mia mente. Al solo pensiero, non facevo che sorridere, e con il tempo che scorreva, mi sentivo sempre piena di gioia e orgoglio nei suoi riguardi. A volte mi veniva difficile perfino crederlo, ma sembrava decisamente più seria di molti ragazzi e ragazze della sua età. Dolce, bella e sognatrice, aveva trovato il vero amore in Trace, quel bel bambino ormai diventato ragazzo, che in un normale giorno di scuola l’aveva avvicinata,e che parlando e giocando con lei in tenera età, era riuscito a conquistarla. Soltanto vedendoli insieme, mi convincevo che si amavano davvero, e che lei era profondamente innamorata di lui. Parlandomi, mi diceva spesso che perfino stargli lontano per lungo tempo finiva per essere doloroso. Lei stessa non sa per quale motivo, ma si è davvero innamorata. “Le cose migliori capitano per caso, o quando meno le aspetti.” Le dico sempre, sorridendole e ricordando le parole di mia madre, che sono per me preziosi insegnamenti. Con lo sguardo fisso oltre il vetro della finestra, non vedo che il giardino di casa, e mentre alcuni fiori sfidano la fredda neve prossima a sciogliersi sotto il sole, immagino i volti di tutti i miei amici, compagni di vita e avventura, e anche membri di una grande ma unita e allargata famiglia. Ora come ora, sono calma e tranquilla, e concentrandomi sui miei cari amici, lascio che il mio pensiero vada a loro. So bene che di fianco alle loro dolci metà sono felici almeno tanto quanto me, ben sapendo che ognuno di loro è capace di azioni di puro eroismo, che unite alla nostra incrollabile volontà, ci hanno tenuti uniti fino ad ora. Loro non lo sanno, ma prego ogni sera, sperando ardentemente che ciò che chiamiamo adesso si trasformi in per sempre.

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Capitolo 7
*** La spada e la freccia ***


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Capitolo VII

La spada e la freccia

La neve ci aveva dato tregua, e aveva smesso di cadere, non sostituendo più quella già presente sul prato di casa e sulla città intera, e non permettendo ad una sempre nuova e candida coltre di coprire ogni cosa. In breve, il sole era tornato a splendere, sciogliendola in modo naturale e rude al tempo stesso. Ora come ora, sono impegnata a scrivere nel mio diario. Ricordo ancora il giorno in cui lo confezionai con le mie stesse mani. Mi avvalsi solo di un ago, di un filo e della pila di fogli che lo componeva, e cucendoli insieme, l’avevo creato. La copertina era rigida, e aveva il mio nome scritto sopra. Rain, ovvero pioggia, che per pura fortuna, non vedevo da un pezzo. Al suo posto c’era il sole, e ne ero felice. Nonostante l’inverno fosse solo ai suoi primordi, aveva ricominciato a fare caldo, e Chance, da bravo cane qual era, anche se ormai piuttosto attempato, obbediva sempre, e nonostante l’età, non disdegnava mai una passeggiata o una giornata di gioco con i ragazzi. Di recente, e forse data la grande empatia che la sua razza di labrador retriever gli concede, ha sviluppato un grande attaccamento ad Isaac, figlio di Soren e Samira, imparando a cogliere i segni della sua malattia. Quando vanno a spasso insieme, per esempio, non si azzarda mai a correre, in quanto sa che anche tale sforzo potrebbe essere letale al bambino. Inoltre, e nonostante tutto, i suoi genitori sono davvero orgogliosi di lui, visto il suo gran desiderio di imparare a difendersi e tirar di spada proprio come il padre. Prendendo il figlio sotto la sua ala, Soren si sta occupando di allenarlo a dovere, e durante gli allenamenti, tenuti assieme a Rose e Terra nel giardino di casa nostra, Chance rimane fermo e seduto in disparte, così da non disturbare, ma non gli stacca mai gli occhi di dosso, sempre pronto ad avvisarci qualsiasi cosa accada. Al contrario di sua sorella Terra, che come me e suo padre ha scelto sia la daga che la spada come armi per una nuova ed eventuale battaglia contro i Ladri, Rose si è dimostrata di tutt’altro avviso. Né io né Stefan sappiamo davvero il perché, ma ha scelto l’arco. Per qualche arcana ragione, riesce a maneggiarlo perfettamente, pur non avendo mai visto nessun altro adoperarlo. È strano a dirsi, ma è così. Fianco a fianco, lei e Isaac si allenano insieme, e anche lei fa molta attenzione a quanto accade attorno ad entrambi, mostrandosi enormemente preoccupata per lui quando inizia ad ansimare e tenere una mano sul petto. Da brava coraggiosa, gli presta sempre il suo aiuto qualora lui glielo chieda, e lui ricambia ogni volta il favore. Sono poco più che adolescenti, ma nonostante questo, il mio animo romantico è già al lavoro, intento a immaginarli insieme come qualcosa di diverso rispetto a due semplici amici. Osservandoli, ho potuto notare come si guardano a vicenda, e più ci penso, più me ne convinco. Non ho creduto a Stefan sul conto di Trace e Terra, ma ora che ha avuto ragione, voglio dare retta ad un mio istinto personale. Ben presto, anche loro entreranno a far parte della nostra squadra di eroi senza macchia né paura, e benché sia Soren che Samira siano preoccupati per il loro unico figlio, affetto peraltro da una seria malattia cardiaca, faccio del mio meglio per rassicurarli. Per quanto strano possa sembrare, io sono fiduciosa. Sono diversi certo, ma ugualmente coraggiosi, in quanto si difenderanno reciprocamente e al meglio delle loro possibilità, scegliendo fra il pesante metallo di una lucente spada e il leggero, flessuoso legno di un’appuntita ma pericolosa e metaforicamente velenosa freccia.

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Capitolo 8
*** Il ritorno delle ombre ***


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Capitolo VIII

Il ritorno delle ombre

La tenue luce dell’argentea luna mi aveva fatto compagnia per tutta la notte, ma nonostante questo, ne avevo trascorso una molto agitata. Stefan aveva fatto del suo meglio per aiutarmi, e pur apprezzandolo, non ero riuscita a dormire. Continuavo ad avere incubi ricorrenti, in cui non vedevo altro che i volti incappucciati di quegli schifosi Ladri. Inaspettatamente, fra questi ne spiccava uno. Maddox. Per opera di un fato benevolo, non lo vedevo da anni, ma nonostante questo, lo ricordavo perfettamente il dolore che mi aveva costretta a subire. Avevo conosciuto Stefan da poco, ed ero stata accolta per la prima volta nella dimora di Lady Fatima. Incredibilmente, mi aveva scoperta, e quasi forzata a donarmi a lui. Grazie al tempestivo intervento di Stefan e del dottor Patrick, ero riuscita a salvarmi e trovare l’amore in lui, ma a dispetto dello scorrere del tempo, mi capitava ancora di sentire il suo fiato sul mio collo e di vedere il gelido azzurro dei suoi occhi incatenato all’ambra dei miei. Ogni volta che accadeva, mi svegliavo sudata e in preda al terrore, con il cuore letteralmente a mille. Erano incubi frutto della mia povera mente, ed era vero, ma nonostante questo, il ricordo di ognuno di essi era così vivo e nitido nella mia mente da risultare quasi reale. Voleva avermi, ma non gliel’avevo permesso. L’avevo perso poi di vista solo per poco tempo, e durante un viaggio di fortuna, Stefan ed io eravamo arrivati in quello che lui definiva il suo covo. Ferita, spaventata e incatenata. Completamente incapace di muovermi, e costretta a subire il suo volere. Da lui non ricevetti che un bacio, uno schifoso bacio scaturito dai sentimenti che diceva di provare per me. Sentimenti che non approvavo, ma che stando alla mia parte più razionale, nascevano da una sua stessa incomprensione interiore. Grazie alla dialettica, lo avevo convinto a ragionare e lasciarci andare, e una volta a casa, avevo finalmente potuto riabbracciare la mia piccola. Ricordi che albergheranno per sempre nella mia mente non scomparendo mai, e che anche adesso minano la mia stabilità emotiva, minacciando di far scoppiare la bolla di calma in cui viviamo. Allora Terra non era che una bambina, ma dopo essere svenuta, mi ero svegliata in mano sua. Per quanto ne sapevo, Ascantha era conosciuta dai viandanti stanchi e bisognosi di un pasto caldo come un vero e proprio paradiso, ma nonostante tale e rassicurante consapevolezza, ormai non riuscivo più a stare tranquilla. Stefan e i componenti del mio intero gruppo lo sapevano forse anche meglio di me, e insieme, riuscivamo tutti a percepire la presenza di quegli sporchi individui, nascosti in qualche sconosciuto luogo freddo e oscuro quanto le loro anime. Avevamo tutti paura, ma sentivamo di dover essere forti. Al nostro arrivo ad Ascantha, Stefan ed io eravamo felicissimi, ma dati tutti questi segni, così inequivocabili e per certi versi indelebili dalle nostre povere e travagliate menti, non c’era per noi modo di essere sicuri di nulla, eccezione fatta per una sola cosa. Grazie ai consigli e alla vecchia lettera di Lady Bianca, avevamo imparato a restare uniti in ogni circostanza, e sedare ogni conflitto prima che accendesse i nostri animi come una scintilla capace di dar vita ad un devastante incendio. In fin dei conti, avevamo l’inalienabile e sacrosanto diritto alla felicità e alla sicurezza, anche se insieme a questo, avevamo un dovere. Un dovere di grande se non vitale importanza, ovvero quello di imparare a difenderci. Questa la sola ragione per cui stavamo insegnando ai ragazzi a maneggiare armi di diverso calibro. Stavano imparando, e in qualità di loro genitori ne eravamo felici, ma ad essere sinceri, nulla oltre a questa così assurda guerra aveva mai avuto il potere di renderci rispettivamente così pronti e così spaventati, così forti e così deboli, e infine, così sicuri e così tremendamente insicuri. Opposti che si scontravano gli uni con gli altri, facendo vacillare ogni nostra certezza. Come tutti sapevamo, avremmo dovuto prepararci e affrontare la nuda e cruda realtà, tenendo alta la guarda in attesa di quello che ormai identificavamo come ritorno delle ombre.

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Capitolo 9
*** Errare è umano ***


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Capitolo IX

Errare è umano

Un altro giorno. Soleggiato e tranquillo, iniziava lentamente, e per la prima volta dopo tanto tempo, Chance era lì per svegliarci entrambi. Notandolo poco prima di me, Stefan gli carezzò frettolosamente la testa, e alzandosi dal letto, si sistemò i capelli. Ancora stanco nonostante la lunga dormita, sbadigliò leggermente, e appena un attimo dopo, Chance ci colse entrambi di sorpresa. Io ero seduta sul letto, ormai libera dalla prigionia delle coperte, e lui mugolava. Guardava alternativamente me e Stefan, e sembrava agitato. Posando il mio sguardo su di lui, mi chiesi cosa gli stesse accadendo, e alzandomi in piedi, lo scoprii determinato a farsi seguire. A tale scopo, seguiva ogni nostro movimento nella stanza, e non appena arrivai alla porta, ricominciò a uggiolare. Preoccupata, lo guardai di nuovo, notando nei suoi occhi il vero terrore. Ricordavo benissimo quello sguardo, mascherato dal coraggio nel giorno di quella sanguinosa battaglia. In quel nefasto giorno, il suo unico scopo era trovarmi e proteggere le bambine, e ce l’aveva fatta, ma ora sembrava provare le stesse emozioni. Provando istintivamente pena per lui, mi abbassai al suo livello, e in quel preciso istante, mi afferrò la manica del vestito. Di lì a poco, iniziò a ringhiare e tirare, portandomi di peso in giardino. Una volta fatto, mi lasciò andare, e posando gli occhi su Rose, corse subito verso di lei. Con ogni passo, uggiolava spaventato, e appena raggiunta mia figlia, si sedette, guardandola. Incuriosita, li raggiunsi a mia volta, notando solo allora gli occhi di Rose pieni di lacrime. “Ho sbagliato, ho solo sbagliato, non volevo, è stato un errore!” diceva piangendo e guardandosi intorno alla semplice ricerca di conforto. “Rose, amore, calma. Che è successo?” le chiesi, avvicinandomi e guardandola negli occhi. “Isaac… Isaac è ferito, ed è tutta colpa mia!” rispose, non riuscendo a smettere di piangere e abbassando lo sguardo in segno di vergogna. “Cosa? Dov’è adesso?” mi informai, attendendo in silenzio una sua qualsiasi risposta. “Vieni con me.” Fu la sua risposta, che mi diede prendendomi per mano e portandomi subito dal suo amico. Lo trovai appoggiato alla quercia del giardino, teso, dolorante e affaticato. Non riusciva a tenersi in piedi, e tutto per colpa di una ferita alla gamba. Confusa, lo guardai, ma prima che potessi fare domande, mia figlia intervenne. “Sono stata io, io e le mie stupide frecce.” Disse, singhiozzando e guardando l’amico con occhi lucidi. “Ci stavamo allenando, volevo colpire l’albero, ma ho sbagliato, e… e poi…” continuò, tremando e provando a giustificarsi. Soffrendo in silenzio, non feci che guardarla, e abbracciandola, l’accarezzai come fosse stata una cucciola. “Tranquilla, tesoro, so che non volevi. È stato un errore, l’hai detto tu stessa.” Risposi, tentando in ogni modo di rassicurarla. Pur ascoltandomi, non riusciva davvero a calmarsi, e in quell’istante, Chance si avvicinò ad Isaac, leccandogli la ferita. La freccia incriminata giaceva in terra, e la neve era macchiata di sangue. Non molto, per fortuna, ma pur sempre sangue. Allarmata, tornai in casa, e raggiunto il bagno, incrociai Samira. Sapeva bene che suo figlio si era ferito, e dall’espressione dipinta sul suo volto, capii che era preoccupata almeno tanto quanto me. Parlandole, la rassicurai, e mostrandole delle bende, sorrisi. “L’aiuto io.” Le dissi, tornando fuori e inginocchiandomi al fianco di Isaac. Preoccupatissima, Samira mi seguì, e non appena gli medicai la ferita, anche Soren uscì di casa, e prendendo Isaac in braccio, lo adagiò sul divano. Ferma e inerme di fronte a quella scena, Rose piangeva in silenzio, credendo fermamente che io fossi arrabbiata con lei. Aveva dodici anni, e non importava quante volte le dicessi di non essere in collera, lei non ci credeva. Si incolpava per ciò che era successo, e guardando Isaac negli occhi, singhiozzava le sue scuse. “Mi dispiace.” Ripeteva, sperando nel suo perdono. “Rose, no. Non scusarti. Sto bene, non vedi?” le rispose lui, mettendosi a sedere sul divano e provando poi ad alzarsi. Una volta in piedi, tentò di muovere qualche incerto passo in avanti, e perdendo l’equilibrio, cadde fra le sue braccia. In quel momento, i loro sguardi si incrociarono, e sorridendosi reciprocamente, pronunciarono, parlando all’unisono come gemelli, una singola frase. “Ti voglio bene.” Si dissero, stringendosi in un delicato abbraccio soltanto un attimo dopo. Noi adulti eravamo tutti lì, e guardando Samira, la sorpresi ad asciugarsi una lacrima. Notandola, mi avvicinai lentamente, e cingendole un braccio intorno alle spalle, le regalai un sorriso. Subito dopo, guardai fuori dalla finestra, e notando l’avvicinarsi del tetro imbrunire, non dissi nulla. Sedendomi accanto ad Isaac, mi assicurai che stesse bene, e con l’arrivo della sera, aggiornai il mio diario appena prima di dormire. Vi scrissi molto, includendo anche quanto era successo oggi. Un nuovo spaccato di vita, che aveva ricordato ad ognuno di noi, ma soprattutto a mia figlia Rose, che nonostante le buone intenzioni e la buona volontà, tutti possono sbagliare. Poco prima di andare a letto, passai dalla sua stanza. Entrandovi, vidi che dormiva, e avvicinandomi, sussurrai il suo nome. Non so davvero come, ma riuscì a sentirmi, e mugolando qualcosa in risposta, mi guardò stropicciandosi gli occhi. “Sì?” chiese, ancora girata di spalle e con il viso affondato nel cuscino. Muovendo qualche passo in avanti, raggiunsi il suo letto, e sedendomi, presi a parlarle. “Sei stata coraggiosa sai?” le feci notare, cercando la sua mano sotto le coperte e stringendola forte. “Non è vero. Ho fatto male ad Isaac, e lo sapete tutti.” Rispose in tono secco, voltandosi e dandomi ancora le spalle. “Rose…” la chiamai, sperando che il suo ora ferito orgoglio di ragazzina non fosse d’ostacolo alla nostra comunicazione. Mantenendo il silenzio, lei non si voltò, e sospirando, mi trovai costretta a deporre le armi. Rimettendomi in piedi, lasciai la sua stanza, e una volta tornata in corridoio, mi imbattei in Stefan. “Non vuole saperne.” Dissi soltanto, con voce bassa e mesta. “Dai, non preoccuparti, le passerà.” Mi rispose, rassicurandomi e accompagnandomi nella nostra stanza. Provando a dargli ragione, mi infilai sotto le coperte, e continuando a pensare alla mia povera Rose e ai suoi delicati sentimenti di ragazza ora feriti, trascorsi gran parte della notte sveglia a pensare e parlarne con Stefan, che, calmo come sempre, non fece una piega. Intanto, le ore notturne passavano, ed io non riuscivo a crederci. Sembrava passato solo un giorno dalla sua nascita, e soltanto guardandola, mi accorgevo che non era così. Da fragile e indifeso seme qual era, aveva continuato a crescere e cambiare, diventando un vero e proprio fiore. Una rosa, come suo padre aveva detto guardandola negli occhi per la prima volta. Come ben ricordavo, era stato proprio lui a scegliere il suo nome, nome che ora capivo le calzasse a pennello. Proprio come sua sorella Terra, lei somigliava fisicamente a me, ma avendo ereditato il carattere di entrambi, ad un primo impatto appariva incline al dolore e alla paura, ma come oggi avevo avuto modo di notare, aveva in sé anche la vena d’orgoglio e giustizia del padre. Una vena ancora non matura, che ora come ora, le impediva di comprendere una lezione molto importante, composta da tre semplici parole, che io avevo imparato e sperimentato sulla mia stessa e candida pelle. Errare è umano.

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Capitolo 10
*** Eroi ***


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Capitolo XI

Eroi

Quattro giorni. Ben novantasei ore che erano ormai tristemente trascorse, non mostrando un briciolo di pietà né per me né per il mio gruppo. Tesa e nervosa, non riesco a dormire. La ragione? Incubi. Diametralmente opposti ai sogni, mi impediscono di scivolare nella più profonda e placida incoscienza, e nei momenti in cui ci riesco, mi sveglio sempre con il cuore in gola e la fronte madida di sudore. Ovvio è che in tale frangente l’amore e la presenza al mio fianco di Stefan siano le uniche cose in grado di aiutarmi, ma benché tutto questo accada da moltissimo tempo, ed io ne sia ormai completamente consapevole, non riesco ad accettarlo. “Perché? Perché così tanto giovane e innocente sangue deve essere versato? Perché non possiamo tornare a vivere in pace e armonia come tanti assieme a me desiderano?” Semplice, sono tutte fantasie. Fantasie di una sognatrice del mio calibro, che anche di fronte a una realtà come questa vuole tener vive le proprie speranze ed essere ottimista come sempre, perfino quando terrore, paura e indecisione sembrano in procinto di spingerci in un oscuro baratro privo di fondo. Abbiamo tutti paura, e non manchiamo di mostrarlo per farci poi coraggio a vicenda, ma in questi ultimi giorni, in cui data l’attuale situazione pace e tranquillità non sono state che merce rara, solo una persona mi preoccupa. Rachel. La paura è negli occhi di ognuno di noi, ma non tutti riusciamo a nasconderla. La prima di questa lista è proprio lei, che ormai da giorni trema come una foglia non appena il suo sguardo incrocia quello di Lady Fatima. Fino a poco tempo fa, non ne sapevo il perché, ma solo recentemente, lei ha scelto di raccogliere le sue forze e il suo coraggio, decidendo quindi di dirmi la verità. “Devo farlo. Devo prendere coraggio e farlo.” Mi ha spiegato, con voce tremante e rotta dall’emozione dopo essersi assicurata di essere lontano dagli ora indiscreti occhi dell’amata. Silenziosa, non ho davvero saputo cosa dire, ma guardandola, l’ho incoraggiata a riprendere la parola. “Sono adulta, ed è sciocco comportarsi da bambina, ma… ho paura. Ho paura di dirglielo, e ho paura di come reagirà quando le confesserò tutto. Ha poi continuato, guardandomi dritto negli occhi e trascinando quelle ultime parole con la voce che pareva sul punto di spezzarsi. Mantenendo il silenzio, ho preferito non dire nulla, ma notando i suoi occhi riempirsi di lacrime, non ho potuto resistere, e avvicinandomi, le ho posato una mano sulla spalla. “Lei ti ama, Rachel. Andrà tutto bene, vedrai.” Questa la frase che ha abbandonato le mie labbra in quel momento. Semplice, sentita e ripetuta migliaia di volte, ma comunque abbastanza da riuscire a confortarla. “Grazie Rain, grazie. Sei davvero un’amica.” Mi ha risposto, avvicinandosi per abbracciarmi con gli occhi ancora velati di lacrime. “Una tua amica.” Ho replicato, sorridendo e stringendola a me. In quel preciso istante, l’abbraccio si fece più intenso, e lasciandola fare, rimasi al suo fianco. Ci staccammo solo poco tempo dopo, e ringraziandomi ancora, lei mi diede le spalle. Ancora una volta, la vidi andarsene e tornare a casa, e dopo aver aggiornato il mio diario e rivolto come sempre mute preghiere alle stelle e all’infinito cielo notturno, compresi che Lady Bianca aveva ragione, e che eravamo tutti dei valorosi eroi. Era difficile da credere, ma era davvero così. In fin dei conti, e stando sia ai miei ricordi che a quanto nel tempo avevo riportato nel mio diario, tutti avevamo una valida ragione per possedere quest’epiteto. Stefan mi proteggeva sempre preoccupandosi per le condizioni della nostra famiglia e della nostra vita insieme, Terra mi aveva letteralmente salvato la vita da bambina, Soren si comportava sempre da vero cavaliere con Samira, lei era stata pronta a sacrificarsi per suo figlio, e sia Lady Fatima che Lady Bianca facevano da tempo immemore del loro meglio per tenerci al sicuro. Poi c’erano Basil, il dottor Patrick e la dottoressa Janet, che per ragioni diverse erano importanti nella nostra vita, e ultimo, ma non per importanza, Chance. Il nostro tanto amato golden retriever, entrato in casa nostra nei suoi tempi di cucciolo quando pareva vicinissimo alla morte, e che dopo ben dieci anni, era ancora con noi. Ero lì seduta e pensosa a scrivere lentamente, e con questi lieti ricordi nella testa sorridevo. Mi ci erano voluti anni, ma finalmente l’avevo capito. In tutto quel tempo, avevamo sempre avuto coraggio, meritando quindi di essere chiamati eroi.

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Capitolo 11
*** A occhi e orecchie aperti ***


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Capitolo X

A occhi e orecchie aperti

“Non può andare avanti così, vanno fermati.” Continuava a ripetere Lady Fatima, impegnata in un confuso, nervoso e continuo andirivieni. Silenziosa ma preoccupata, Rachel non osava interferire, ma nonostante questo la guardava intensamente, con gli occhi che tradivano profondo dolore. A quanto sembrava, era tesa come una corda di violino, e in quel momento, chiunque, anche un completo estraneo, avrebbe potuto accorgersene. Evitando di staccare lo sguardo da lei, lottava contro sé stessa, e contro l’ardente desiderio di avvicinarsi alla sua amata. Avrebbe davvero voluto farlo, ma conoscendola perfino meglio del palmo delle sue stesse mani, era certa che in un momento di quel calibro, il lato più freddo e distaccato del suo carattere avrebbe preso il sopravvento, impedendo ad entrambe di vivere i momenti che davvero sognavano. Data la forza dei sentimenti che provava per lei, subire le sue ire era ovviamente l’ultimo dei suoi desideri, ragion per cui, taceva e fissava. Anche se da poco, lei e la Leader avevano scelto di venire ad Ascantha alla ricerca di un pò di tranquillità, e per pura fortuna, parevano anche esserci riuscite, ma pur essendo riuscite a realizzare tale desiderio, l’amara e dolce Lady Fatima non riusciva a trovare del tempo per stare da sola con la sua Rachel. A volte, la povera ragazza faticava ad accettarlo, ma la sua amata era pur sempre una Leader, e benché il suo vero posto fosse ad Aveiron, e Lady Bianca ricoprisse il suo stesso ruolo in questa bella e pacifica città ora minacciata dai Ladri, orribili e selvaggi uomini interessati solo alla violenza e alla ricchezza, e per nostra sfortuna lungi dall’arrendersi, per qualche strana ragione accadeva sempre qualcosa. La scintilla scattava, ma dati i doveri della sua Signora, Rachel si trovava sempre costretta a separarsi da lei. Pensandoci, mi intristivo,e di conseguenza, non potevo evitare di soffrire per entrambe. Più di una volta le avevo viste essere sul punto di abbracciarsi o baciarsi e poi improvvisamente cambiare idea all’ultimo secondo, con grande dolore e disappunto della dolce Rachel, che pur provando a mostrare irreale indifferenza, falliva in tale e misero intento. In fondo l’amava davvero, e non poteva né voleva nasconderlo. “Non posso  più sopportarlo. Odio vederla così.” Mi disse, in un pomeriggio uggioso e carico di pioggia. “Rachel, avanti, è il suo lavoro.” Provai a spiegarle, guardandola negli occhi e sperando che capisse. “Non è vero. Lady Bianca è qui per questo.” Replicò, alterandosi di colpo e fissandomi con rabbia. “Dico davvero, capiscila, sta solo cercando di proteggerti.” Continuai, provando a far leva sui suoi sentimenti e facendo così un secondo tentativo. In quel momento, Rachel scivolò nel silenzio, e poco dopo aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Solo una sorta di lamento, che ebbe fine nel momento in cui mossi un singolo passo in avanti. “Rain, io… io la amo, capisci? Aveiron è pericolosa, non voglio vederla morire!” Gridò infatti, perdendo nuovamente il controllo delle sue emozioni. Sorpresa, non mossi un muscolo, ma provando istintivamente pena per lei, tentai di consolarla. “No, non dirlo nemmeno. Lei morirebbe per te, ed è vero, ma non accadrà.” Le dissi in tono serio e solenne, continuando a fissare i suoi occhi color ametista. Alle mie parole, Rachel ammutolì non sapendo cosa rispondere, e mentre alcune piccole lacrime erano indice di tristezza e dolore, lei trovò la forza di parlarmi. “Cosa… come lo sai?” biascicò, confusa e stranita. “Me l’ha detto lei stessa.” Risposi soltanto, regalandole un debole sorriso prima di lasciarla andare. Ringraziandomi di aver ascoltata e aiutata a sfogarsi, Rachel sorrise a sua volta, e uscendo da casa mia, s’incamminò verso la propria. Per quanto ne sapevo, lei e Lady Fatima ne dividevano una, e non appena uscì dal mio campo visivo, chiusi gli occhi per un attimo. Sapevo bene di aver agito in favore di un’amica, e per questo compiuto un’ennesima buona azione, ma avevo davvero bisogno di attimi di qualità e tempo per me stessa. Chiudere gli occhi mi aiutò a svuotare la mente dalla negatività da cui era recentemente stata invasa, e non appena li riaprii, sentii il silenzio rompersi come fragile vetro. Confusa, mi guardai intorno, e abbassando lo sguardo, lo vidi. Chance. Non era più giovane come un tempo, certo, ma era pur sempre il nostro cane. Avvicinandosi, andò alla ricerca di affetto piantandomi le zampe addosso, e rimanendo calma, non feci che assecondarlo e carezzargli la testa. Mugolando leggermente, si calmò all’istante, e soltanto guardandolo, mi sentii travolgere e bagnare da quello che chiamavo fiume dei ricordi. Sembrava passato appena un giorno dai suoi tempi di cucciolo, eppure sapevo che non era così. Aveva ormai ben dieci anni, e parte del suo biondo pelo stava ormai diventando bianco. Nient’altro che un segno della sua vecchiaia, resa visibile anche dai suoi movimenti, ora più lenti e privi dell’energia che li caratterizzava. Sedendosi di fronte a me per qualche secondo, mi vide sospirare, e rimettendosi in piedi, compì un’azione tale da lasciarmi interdetta. Camminando lentamente, sparì dalla mia vista, tornando indietro solo poco dopo con in bocca il mio diario. “Scrivi qualcosa, ti sentirai meglio.” Sembrava voler dire, agitando la coda e abbaiando felice. A quella semplice vista, sorrisi. Mi aveva vista farlo molte volte da cucciolo, e a quanto sembrava, ricordava perfettamente quanto mi fosse d’aiuto. “Grazie, Chance.” Dissi, prendendo in mano il mio diario e carezzandogli ancora la testa. Per tutta risposta, lui mi leccò la mano, e andando a sedermi alla mia scrivania, mi presi del tempo per me stessa, intrecciando in una di quelle bianche pagine parole che esprimevano la paura e la tensione che provavo. In completo silenzio, ne approfittai anche per rileggere quanto avevo scritto tempo prima, sorridendo nel ricordare la gioia dei vari eventi. Non sapevo come, ma Chance sembrava aver davvero trovato una seppur temporanea cura contro la mia ansia. Forse era sciocco, o forse perfino ovvio da dire e pensare, ma credevo che la preparazione più importante fosse quella psicologica. Come tutti sapevamo, la minaccia dei Ladri aveva raggiunto anche Ascantha, e avere dei nervi saldi per affrontarli si rivelava essere uno dei requisiti principali. Non eravamo ancora pronti a combattere, ma ci stavamo preparando a dovere. Andando alla ricerca di conforto, rilessi anche le lettere scrittemi da Alisia e Lady Bianca. Entrambe ci spronavano a restare uniti ed essere forti, e nonostante il grave, gravissimo pericolo a noi dinanzi, i miei amici ed io facevamo del nostro meglio. Come sempre, il tempo scorreva, ma forti e stoici, sentivamo nuove speranze nascere nei nostri cuori, e anche grazie a queste, non volevamo arrenderci. Era ancora pieno inverno, ma il freddo e la paura non ci avrebbero fermato. La neve cadeva, il vento spirava, ma noi speravamo ardentemente di farcela, nonostante la pesantezza dell’aria appena fuori dalle nostre finestre. In altre parole, la situazione rischiava nuovamente di precipitare, e mentre innumerevoli attimi scivolavano con estrema lentezza dalle nostre vite, ognuno di noi non respirava che aria di guai. Nessun attuale evento pareva giocare a nostro favore, ma ciò non importava, poiché come ora capivo rileggendo quelle così importanti lettere, avremmo tutti dovuto mantenere la concentrazione senza lasciare che nulla ci distraesse, rimanendo inoltre a occhi e orecchie aperti.

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Capitolo 12
*** Allarme Ladri ***


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Capitolo XII

Allarme Ladri

Lenta come la neve che in questo freddo ma magnifico inverno continuava a cadere, un’altra settimana era passata, fra allenamenti e orgoglio, e di buon mattino, io ero già sveglia. Ancora una volta, avevo dormito poco e male. Sospirando, maledissi i Ladri e la loro intera stirpe, e tentando di dare ai miei logori nervi un attimo di tregua, sorseggiavo del buon caffè. Non ne ero dipendente, certo, ma proprio come l’atto di scrivere, mi aiutava a calmarmi. Ad ogni modo, tutto sembrava andar bene, e improvvisamente, qualcuno bussò alla porta. Chance dormiva beato, ma a quel suono così brusco scattò in piedi, sedendosi poi davanti alla porta stessa e mugolando. La sua zampa andò poi a toccarne il legno graffiandola leggermente, ma non ci badai. Voleva davvero che l’aprissi, e lo faceva ogni qualvolta riconoscesse chi stava bussando. Al contrario di lui, non potevo saperlo, così decisi di realizzare il suo desiderio. “Va bene, ora spostati.” Gli chiesi, mentre con un gesto della mano gli feci segno di allontanarsi. Scivolando nel silenzio, smise di lamentarsi, e voltandosi, mi diede retta. Avvicinandomi alla porta, ne afferrai la maniglia, e una volta aperta, non riuscii a credere ai miei occhi, ed ero così sorpresa che quasi mi strozzai con il caffè. “Drake?” cosa ci fai qui? Non potei fare a meno di chiedere non appena lo vidi, guardandolo e tentando di sopprimere alcuni colpi di tosse che fuggirono comunque dalla mia gola. Avevo gli occhi sgranati per la sorpresa, continuavo a guardarlo e non avevo parole. Appariva stanco, era sudato, e come se questo non bastasse dei graffi gli rovinavano la pelle di mani, braccia e gambe. Al suo viso sembrava essere toccata la stessa sorte, ma ancora decisamente scioccata e incredula, non ebbi modo di chiedergli cosa gli fosse accaduto. Qualcuno gli aveva fatto del male, ed era intuibile, ma chi? Domanda che posi a me stessa ma che giudicai retorica, divenendo bianca come un lenzuolo dopo aver risolto quell’ affatto complicato enigma. Loro, i Ladri, ecco chi doveva essere stato. In fondo, chi altro avrebbe potuto ridurlo in quello stato, lasciandogli perfino un violaceo livido in volto, che doleva così tanto da impedirgli di respirare? Nessuno, chiaro. Mi hanno mandato le Leader, e sono venuto appena ho potuto. Dì, i ragazzi sono svegli? Avanti, dobbiamo andare!”Un vero fiume di domande che fluì veloce dalle sue labbra, mentre la preoccupazione diventava padrona del suo animo. Veloce e precisa, annuii, e sparendo per un attimo dalla sua vista, andai subito nella stanza delle mie figlie. “Rose, Terra, veloci, vostro zio è qui. Dov’è Aaron?” dissi loro, completando quella frase con quella domanda, alla quale nessuna di loro rispose. In quel momento, entrambe uscirono dalla stanza, raggiungendo Drake nel salotto. Solo allora, decisi di seguirle, e venni colta alla sprovvista da Stefan. Confuso, non fece che guardarmi, e pur faticando a respirare a causa dello stress, dissi la verità. “Drake è qui.” Tre semplici parole, che bastarono a fargli capire tutto. Come ben sapevo, Lady Fatima e Lady Bianca avevano avuto la felice idea di portare l’allenamento dei ragazzi ad un livello superiore, e ne ero contenta, ma una parte di me non riusciva a togliersi di dosso tutte le preoccupazioni. Respirando a fondo, provai a calmarmi, e sorrisi non appena vidi Aaron di fianco a lui. “Lo zio ci porta al bosco.” Gli dissi soltanto, indorandogli leggermente la pillola e nascondendo solo per ora il vero motivo della nostra assenza. Sorridendo, il bambino annuì felice, e prendendo la mano del padre, si lasciò guidare tranquillamente. Immancabile compagno d’avventura, anche Chance si unì a noi, e  una volta fuori, vidi la carrozza di Lady Fatima. A quella sola vista, mi sentii sicura. Difatti, per quanto violenti e feroci quegli schifosi individui potessero essere, ero certa che assieme a Lady Bianca, lei ci avrebbe difeso tutti. La presenza di Chance non era poi da trascurare, così come quella del destriero della Leader, che tempo prima aveva impedito ad un velenoso serpente di mordere Rose,che allora aveva solo due anni di vita. Personalmente, mi fidavo solo dei comuni animali domestici, ma dopo aver visto quel cavallo schiacciare e uccidere quel serpente salvando mia figlia, avevo cambiato idea a riguardo, trovandomi costretta a ricredermi. Prima di allora, ero testarda, ma ora capito. Anche gli animali più grandi e all’apparenza indomabili potevano essere d’aiuto, bastava loro un’occasione. Per qualche arcana ragione, quel pensiero unito a quel ricordo mi fece sorridere, e notandomi, Stefan mi toccò una spalla. Voltandomi a guardarlo, non feci che sorridergli, e spostando leggermente lo sguardo, lo lasciai cadere su Rachel. Sedeva accanto a Rose e Terra, e guardava esclusivamente in basso, fregandosi quasi ossessivamente le mani. Non osando fiatare, non le dissi nulla, ma potei comunque capire quanto fosse nervosa. Non erano passati che giorni, e ricordavo ancora la sorta di confessione che mi aveva fatto. “Devo prendere coraggio e farlo.” Mi aveva detto, con la voce spezzata e corrotta da un dolore che ora cercava in ogni modo di nascondere. Sinceramente, non sapevo a cosa si riferisse, ma conoscendola, potevo certamente intuirlo. Lei e Lady Fatima si erano già confessate l’una all’altra, ed era logico pensare che ora Rachel volesse portare avanti la loro relazione. Come sapevo, non ero nessuno per giudicare, e non facendolo, mi sentivo felice per lei. In fondo era innamorata, e quel desiderio era più che normale. Ad ogni modo, era nervosa all’idea di dire alla sua Signora la verità, e nonostante gli sforzi che faceva per non pensarci, non ci riusciva. Quel pensiero era ormai diventato per lei un  fastidioso chiodo fisso, e sembrava che non ci fosse modo di scacciarlo. Le mostrai allora un sorriso d’incoraggiamento, e lei sorrise a sua volta. A quanto sembrava, ero riuscita a infonderle parte del coraggio che le mancava, e riuscii a capirlo guardando le sue mani. Così come il resto del suo corpo, avevano smesso di tremare, e ne ero felice. Scuotendo leggermente la testa, tentai di concentrarmi sul panorama, e improvvisamente, qualcuno mi strinse una mano. Evitando di muovermi, credetti che fosse Stefan, ma un attimo d’insistenza mi convinse a guardarmi intorno. In quell’istante, notai che si trattava di Aaron, che tentava di attirare la mia attenzione. “Che è successo allo zio?” mi chiese, accorgendosi del livido e delle ferite. “Si è semplicemente fatto male, tesoro.” Risposi, ponendo la questione in termini semplici. Aveva dieci anni, stava crescendo, e benché fossi sicura che la vicina adolescenza l’avrebbe presto reso più maturo, volevo preservare la sua innocenza ancora per qualche tempo. Certo, le sorelle ci erano già abituate, ma lui no, e speravo davvero che tutto accadesse lentamente e con le giuste tempistiche. Rimanendo in silenzio, Aaron non fece domande, e tornando a guardare Chance e giocare silenziosamente con lui, lasciò che la sua mente vagasse libera. Arrivati al bosco, scendemmo tutti dalla carrozza, e vicino ad un grande albero, nel bel mezzo dell’erba, non vidi che bersagli e fantocci. Era fatta. Proprio come noi adulti, i ragazzi si saranno allenati alla lotta in mezzo alla natura, e ben presto, saremmo stati pronti ad affrontare l’allarme Ladri.

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Capitolo 13
*** Passi in avanti ***


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Capitolo XIII

Passi in avanti

La velocità con cui gli eventi si susseguivano era molto diminuita, tanto da far sembrare che il tempo stesso si fosse davvero fermato. Ora come ora, ho gli occhi fissi sul mio diario, e la data scritta all’inizio della pagina mi lascia capire che sono passati appena sette giorni. Già, sette giorni. Un’intera settimana che è ormai scomparsa con estrema lentezza dalle nostre vite, e che ci ha dato modo di riflettere e mettere insieme le idee prima di un brutale attacco da parte dei Ladri. Stando al parere di Lady Fatima, prendere qualsiasi iniziativa sarebbe rischioso, e trovandoci tutti d’accordo con lei, abbiamo deciso di continuare ad aspettare, attaccando solo per difenderci non appena ci capiteranno a tiro. La decisione appare unanime, ma qualcuno sembra essere di tutt’altro avviso. È Drake, che unitosi a noi solo recentemente, dopo aver passato gran parte del suo tempo in solitudine come un feroce ma al contempo mansueto lupo, non manca di spiegarci le sue ragioni. “Stare qui fermi è da deboli, dobbiamo agire.” Continua a ripetere, nervoso e stanco di restare con le mani in mano. “Ti rendi conto di cosa ti hanno fatto?” Sbottai con rabbia, dopo non riuscendo a credere a quello che per l’ennesima volta mi era toccato sentire. Ero attonita. Quegli sporchi criminali lo avevano ridotto a un autentico straccio, ma a lui non sembrava importare. Le sue ferite erano ancora fresche, ed io ero preoccupata, ma le mie parole non lo sfioravano neppure. Guardandolo, sentii una giusta e motivata rabbia crescermi dentro. Non volevo far scenate di fronte ai ragazzi al solo scopo di non inasprire gli animi e spaventare Aaron, a mio dire ancora troppo piccolo per tutto questo. Sapevo bene che le sue sorelle avevano conosciuto dolore e miseria in un’età perfino più tenera della sua, ma almeno per ora, volevo evitargli la paura derivante dallo stare faccia a faccia con i Ladri. Ancora preoccupato per lo zio, mi faceva sempre la stessa domanda, volendo unicamente conoscere la verità. “Faremmo meglio a dirglielo.” Mi ha fatto notare oggi Stefan, in uno dei rari momenti di calma e solitudine che riuscivamo ad avere insieme. “Hai ragione.” Ho risposto, guardandolo negli occhi con una mesta espressione dipinta in viso. Una parte di me non voleva crederlo, ma il nostro piccolo Aaron stava davvero crescendo, ed era ormai arrivato il momento di vuotare il sacco. Avvicinandosi, il bambino continuava a porre quella semplice domanda, e il padre, con gli occhi fissi su di lui, gli posò una mano sulla spalla. Il tempo stava passando anche per lui, e in cuor mio sentivo che sarebbe sempre stato il mio bambino. Un bambino che si avvicinava sempre di più alla maturità, e di cui ero davvero orgogliosa. “Aaron, ascolta. Lo zio non si è fatto male. Lo hanno picchiato.” Esordii, prendendo la parola e decidendo di confessare tutto. “Cosa? E chi è stato?” fu la sua veloce e ovvia domanda, alla quale, silenziosa, non risposi. “Si fanno chiamare Ladri, figliolo.” Gli disse suo padre, in tono serio e calmo al tempo stesso. Confuso e curioso, Aaron ascoltava in silenzio, ma improvvisamente, una seconda domanda abbandonò le sue labbra. “Sono persone cattive?” chiese, facendo uso dell’ingenuità che lo caratterizzava. “Molto cattive.” Dissi soltanto, scivolando poi nel silenzio anche se solo per poco. “Fanno male agli innocenti, sai?” azzardò Stefan, continuando a parlargli e aggiungendo un nuovo pezzo al complicato puzzle della realtà. Non proferendo parola, Aaron sgranò gli occhi, incredulo. “Anche a te e alla mamma?” non potè fare a meno di chiedere a suo padre, spaventato come un topo che fugge da un gatto. “Sì, ma adesso non accadrà più.” Continuò lui, guardandolo dritto negli occhi e sorridendo leggermente. “Ci difenderemo?” azzardò poi il piccolo, incerto e dubbioso. “Ci difenderemo.” Gli feci eco io, avvicinandomi al solo scopo di stringerlo in un delicato abbraccio. Lasciandomi fare, mio figlio sorrise, e mentre il pomeriggio sfumava in imbrunire, e  poi nera notte, non provavo che orgoglio. Finalmente, Aaron non era più all’oscuro di nulla, e quelli che lentamente facevamo, contandoli con diligenza, erano preziosi passi in avanti.

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Capitolo 14
*** Allenare corpo e mente ***


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Capitolo XIV

Allenare corpo e mente

Dopo un intero giorno passato a riflettere, mi ero trovata costretta a dar ragione a Drake. Star fermi senza far nulla era davvero da deboli, e nonostante ciò che entrambe le Leader continuavano a ripeterci, ovvero mantenere la calma e il sangue freddo, attendendo l’occasione giusta per muoverci, anch’io cominciavo ad averne abbastanza. Sapevo che in qualità di nostre superiori avevano ragione, ma per come la pensavo, non agire equivaleva ad essere codardi, e la cosa non mi andava di certo a genio. Il sole era spuntato da poco, e a circa le nove del mattino, il tempo scorreva. Veloce, inarrestabile e privo di qualunque pietà, non fa che passarci davanti agli occhi, e non facendo altro che guardar fuori dalla finestra e aggiornare il mio diario sugli eventi più recenti, pianifico. Il prossimo passo, il nuovo viaggio ad Ascantha, il prossimo attacco. In altre parole, qualsiasi cosa. Sorprendentemente, entrambe le Leader credono in me, in special modo Lady Fatima, che mi conosce da molto più tempo rispetto a Lady Bianca. Non ho nulla contro di lei, anzi, il contrario, difatti mi fido ciecamente di tutte e due. Ad essere sincera, ricordo ancora il primo giorno in cui le ho incontrate. Una di loro voleva perfino mettermi a morte dopo avermi giudicato una debole e stupida ragazzina, ma per fortuna aveva poi cambiato idea, permettendomi di vivere con Stefan la storia d’amore in cui ci impegnavamo da tempo, e che tutt’oggi esiste. Non c’era poi da dimenticare quanto e cosa avesse fatto per Rose e Terra, arrivando perfino a prendere la più giovane delle mie figlie sotto la sua protettiva ala in un momento che per noi era di estrema difficoltà. Lasciarla a lei era stato difficile, ma ripensandoci non posso fare che ringraziarla, poiché è grazie a lei che la mia piccola Rose è ancora viva. Completamente differente dalla prima, l’altra ha scelto di aiutarmi sin da subito, offrendo a mia figlia Terra il diritto di andare a scuola e provare a vivere come una bambina normale. Per pura fortuna, c’era riuscita, e soltanto guardandola, mi sentivo incredibilmente orgogliosa di lei. In fin dei conti, era mia figlia, e proprio come suo fratello minore Aaron, nel profondo del mio cuore, nonostante l’età, nel suo caso quasi adulta, sarebbe sempre stata la mia bambina. La mia principessa, la mia guerriera, e in altre parole, la mia piccola grande Terra. Ormai non è più così piccola, chiaro, ma nonostante questo io sono felice. Felice di vederla crescere e maturare sempre più ogni giorno, di lottare con le unghie e i denti per quelli che sono i suoi sogni, e soprattutto, di averla messa al mondo. Nonostante lo scorrere del tempo, ricordo ancora il giorno in cui rimasi incinta di lei. Il dolore, l’indecisione, la gran paura, tutto. Ma poi, in un giorno di pioggia, lei aveva fatto il suo ingresso nel mondo, e dopo averla tenuta in braccio per la prima volta, io me ne ero innamorata. Ad ogni modo, quei preziosi momenti sono ormai trascorsi, e pur sapendo che non torneranno mai più indietro, non sono preoccupata. Stefan lo sa bene, e secondo il mio pensiero, la mente umana si rivela sempre essere la miglior macchina fotografica esistente al mondo. È strano a dirsi, ma è come se tutti quegli eventi siano ormai stati permanentemente registrati nella mia memoria, e rimarranno lì per sempre, proprio come i fotogrammi che compongono ad uno ad uno le varie scene di un film. Ad ogni modo, scuoto leggermente la testa, e liberando la mente da tali pensieri, stringo la mano di Stefan. “Andiamo.” Gli dico soltanto, in tono serio e solenne. Limitandosi ad annuire, non proferisce parola, ma sono sicura che abbia capito. Di lì a poco, i nostri sguardi si posano sulla porta di casa ora chiusa, e con le nostre dita ancora intrecciate, ci scambiamo un bacio veloce. Abbiamo fiducia l’uno nell’altra, e una volta raggiunto l’ormai conosciuto bosco di Ascantha, saremo finalmente pronti a far ciò che è più importante, ovvero, dopo tutto questo tempo passato ad architettare il piano perfetto, allenare alla prossima battaglia sia il corpo che la mente.

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Capitolo 15
*** Aria di guerra ***


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Capitolo XV

Aria di guerra

Il vento aveva da poco smesso di fischiare e ululare minaccioso, e il freddo inverno era ormai in dirittura d’arrivo. Anche la bianca neve si stava sciogliendo, e con il tempo che si muoveva veloce, viaggiavamo. La carrozza di Lady Fatima ci ospitava di nuovo, e Drake teneva come sempre le redini del cavallo. Attorno a noi c’era solo il silenzio. Il sole scaldava la pelle di tutti noi, e mentre il viaggio continuava, nessuno proferiva parola. Dati i nostri trascorsi insieme come una grande famiglia, ormai non servivano più. Ci intendiamo ormai alla perfezione, e in completo silenzio, non faccio che stringere la mano di Stefan. Sorridendo, mi guarda negli occhi, e amandolo, mi fido ciecamente di lui. Intelligente e curioso come una scimmietta, Aaron si guarda intorno, con l’unico desiderio di scoprire i misteri di tutto ciò che lo circonda. Ora come ora, siamo letteralmente immersi nella natura. Il viaggio non è ancora finito, ma spostando lo sguardo, scopro che siamo sempre più vicini. Tacendo, sorrido debolmente. Poi, di punto in bianco, eccoci. Abbiamo ormai raggiunto la nostra destinazione, e scendendo dalla carrozza, solleviamo le armi. Vicino ad alcuni alberi, nel bel mezzo dell’erba, le due Leader hanno piazzato bersagli e fantocci. Notandoli, Rose si avvicina, e poco dopo, imbraccia il suo arco. Estremamente concentrata, chiude un solo occhio per prendere bene la mira, e in un solo attimo, scocca una freccia. Una volta libera, questa vola in linea retta, per poi raggiungere il bersaglio. Soddisfatta, Rose guarda in quella stessa direzione, scoprendo che la sua freccia aveva colpito il centro, e sorridendo, rimise a posto la faretra. Sorpreso, il fratello le si avvicina, toccandole leggermente un braccio. “Guarda qui.” La prega, prendendo in mano la sua piccola spada, e prendendo una veloce rincorsa, si esibisce in una sorta di grido di battaglia, per poi piantare quella lucente arma dritta nel petto di uno de fantocci. Ormai rovinato da un grosso buco, gronda della sabbia con cui è stato riempito, e proprio come le Leader, sorrido. Felice del nuovo traguardo raggiunto dal fratellino, anche Rose fa lo stesso, e non appena i due sono di nuovo vicini, lui inizia a saltellarle intorno come un passerotto. “Hai visto? Hai visto? Ce l’ho fatta!” le dice, con gli occhi che brillano per l’emozione. “Ottimo lavoro.” Le risponde lei, sorridendo e abbracciandolo forte. “Anche tu.” Non manca di farle notare, colpendole il braccio in maniera affatto offensiva. Lasciandosi sfuggire una piccola risata, Rose gli scompiglia la zazzera castana, e poco tempo dopo, Terra si avvicina a sua volta. Estraendo la spada del fratello da quel fantoccio, gliela riporta con calma. “Adesso facciamolo insieme, d’accordo?” propone, sorridendo e sperando che il fratellino accetti. “D’accordo.” Le fa eco lui, regalandole a sua volta un sorriso. Così, l’uno di fianco all’altra, si scagliarono su quell’ormai vecchio e rovinato fantoccio, mettendo a segno altri due colpi e non rendendomi che incredibilmente orgogliosa. Alla loro vista nelle vesti di combattenti, sorrido felice, e accanto a me, Stefan mi imita e stringe la mano. Ben sapendo che li stiamo osservando, i ragazzi fanno del loro meglio, ma poco dopo, Aaron sembra prenderci fin troppo gusto, colpendo quel fantoccio nel petto e sul corpo infinite volte. “Muori, muori sporco Ladro, muori!” grida, mentre i suoi colpi si abbattono su quell’ora malconcio pupazzo senza alcuna pietà. Guardandolo, rido di gusto, ma in quel momento, Stefan interviene. “Su, adesso calmati, piccolo terremoto.” Dice, afferrandolo dolcemente per le spalle e sollevandolo di qualche metro da terra. Non contento, il bambino si divincola, ma nulla pare distrarre il padre. “Ho detto basta, Aaron.” Continua, con sguardo severo. “Perché l’hai fatto? Stava imparando!” replicai, non appena si riavvicinò a me. “Ha fatto bene.” Rispose Lady Fatima, dando ragione e manforte a mio marito. “Vogliamo che si difenda, non che ferisca.” Continuò poi Lady Bianca, calma e seria al tempo stesso. “Avete ragione.” Risposi allora, sconfitta dalla logica. Scivolando nel silenzio, guardai velocemente in alto, notando solo in quel momento la scomparsa dal cielo del sole. L’imbrunire stava arrivando, e con esso la sera. Improvvisamente, un freddo vento ricominciò a soffiare, e colta dal freddo, avvisai subito Stefan. “Credo sia ora di andare.” Azzardai, guardandomi nervosamente indietro. Com’era ovvio, Aaron tentò di resistere, ma per pura fortuna, Rose, Rachel e Terra riuscirono a dissuaderlo. Voleva continuare a combattere i cattivi, e malgrado fosse ormai ora di tornare a casa e ripararci dai rigori dell’inverno che stava per finire, ero certa che avrebbe continuato a farlo. Non lo avevo detto a nessuno, ma dentro di me sentivo che la profezia di Lady Fatima si sarebbe avverata di nuovo, e che il freddo che ora sentivamo si sarebbe presto trasformato da semplice aria fredda ad aria di tensione e guerra.

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Capitolo 16
*** Donare il proprio cuore ***


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Capitolo XVI

Donare il proprio cuore

Un ennesimo incubo mi aveva ancora una volta tenuta sveglia,e continuando a rigirarmi nel letto, biascicavo parole senza senso. In altri termini, non riuscivo davvero a stare tranquilla. Conoscendomi, sapevo che era ormai normale pensare di essermi ora abituata alla tensione, tensione che non sembrava mai allentarsi, e che quando lo faceva, tornava ad esistere solo poco dopo, più forte e pressante di prima. Come ricordavo, avevo visto nel sonno l’immagine di Maddox, losco e orribile individuo che stavolta aveva anche cercato di parlarmi. Essendomi svegliata di soprassalto, non avevo sentito nulla, ma ad ogni modo, ero spaventatissima. Dati i miei cupi e oscuri trascorsi, la sola comparsa del suo volto nella mia mente bastava ad agitarmi non poco, facendo nascere nel mio cuore sentimenti come l’ansia, unita poi ad una grande paura. Il viso diafano, gli occhi azzurri come freddi cristalli, e un sorriso malizioso capace di incutere terrore. Questo era Maddox. In altri termini, un vero Ladro, e ad essere sincera, ero fermamente convinta che nessun altro epiteto gli sarebbe mai calzato meglio. Per quanto ne sapevo, era una persona cattiva fino al midollo, che era riuscita, assieme ai suoi simili, a far del male a migliaia di persone innocenti, inclusi me e il mio gruppo. Una grande e allargata famiglia, come mi piaceva chiamarla, che era stata costruita con il tempo, e unita dal forte legame di amicizia e al senso di rispetto reciproco che esisteva fra di noi. Ora come ora, mi sto occupando di istruire al meglio i ragazzi, lavorando, oltre che come loro madre, anche come loro educatrice. Il mio obiettivo è insegnar loro a crescere e difendersi dalle insidie e dai pericoli del mondo, mentre questo continua a ruotare mostrandosi a volte incredibilmente crudele. Spietato come sempre, il tempo scorre senza sosta, e benché io non voglia che impedirlo, so bene che non ci riuscirò mai. Il dorato sole e l’argentea luna continuano quindi a prendere a turno il loro posto nell’immenso e infinito cielo, dando sempre vita ad un ciclo ripetuto. Un innocuo gioco astrale, senza il quale, i giorni che compongono le nostre vite non esisterebbero. Così, un incalcolabile numero di momenti si sussegue, e mentre la mia giornata trascorre, la paura mi invade. Non c’è alcun bisogno di dirlo, poiché Stefan mi capisce al volo. Differentemente dal solito, non si offre di parlarne, ma al contrario, non fa che abbracciarmi e tenermi stretta a sé. In un altro momento, il suo amore sarebbe una perfetta medicina contro qualsiasi mio malanno, ma non ora. Lo lascio fare, ma sono troppo tesa. Per tale ragione, non riesco a godermi quel fantastico momento, e guardandomi nervosamente intorno, fisso lo sguardo sulla porta. È chiusa, ma incredibilmente, sento il bisogno di stare da sola. Difatti, spero davvero che nessuno bussi e la apra, ma dopo poco tempo passato a riversare il mio dolore e la mia immensa frustrazione sulle pagine del mio diario, faccio una scelta. Non sono più una bambina, ed è vero, ma sono convinta che in questo caso, ci sia solo una cosa da fare. Parlare con i miei genitori. Aveiron è in ginocchio oltre che a pezzi, certo, ma loro sono ne sono pur sempre i regnanti, ragion per cui, sento che sapranno cosa dirmi e consigliarmi. Avvisando Stefan, ho la precisa intenzione di uscire da sola, ma lui non mi abbandona. “Vengo con te.” Mi dice, afferrandomi il polso e impedendomi di muovermi. Fissandomi, Chance non muove foglia, ma sembra avere avuto la stessa idea. Lasciandoli fare, mi lascio scortare da loro fino a casa dei miei genitori, e durante il cammino, ci imbattiamo in Drake. Contrariamente a quanto pensavamo, non è solo, ed è infatti accompagnato da una donna che credo di conoscere. Io e lei ci guardiamo per un attimo, e una sorta di luce nei suoi occhi le basta come ultimo indizio. “Rain!” mi chiama, avvicinandosi al solo scopo di abbracciarmi. “Vi conoscete? Azzarda allora Drake, incredulo. Colta alla sprovvista, mantengo il silenzio, e poco dopo, lei si presenta. “Rain, sono Tanya, non mi riconosci?” chiede, riuscendo con quelle parole a far nascere nella mia mente mille ricordi. Soltanto allora, la riconobbi perfettamente, e abbracciandola a mia volta, guardai Drake. Ancora confuso, non seppe cosa dire, e facendo le sue veci, la mia amica riprese la parola. “Posso spiegare, esordì, con la mano sul petto in segno di onestà. Ancora in silenzio, mi limitai ad annuire, e soltanto guardandola, la lasciai parlare. Vedete, quando Trace e Terra erano bambini, mio marito morì dopo aver cercato di lottare contro i Ladri, e rimasi single per molto tempo, fino a che Drake non…” raccontò, fermandosi a metà di quella così lunga frase e lasciando che questa le morisse in gola, come era capitato a me moltissime volte. “Noi ci amiamo.” Tagliò corto lui, prendendo la parola e facendo le veci della fidanzata. “Cosa? Ma è meraviglioso!” gridai con gioia, facendo loro mille auguri e complimenti. Avvicinandosi al fratello, Stefan lo abbracciò sentitamente, e dopo un veloce saluto, noi riprendemmo a camminare. Insieme, arrivammo a casa dei miei genitori in pochissimo tempo, e non appena la porta mi fu aperta, venni accolta con calore. Sorprendentemente, fu Alisia ad aprire, salutandomi con gran gioia e quasi soffocandomi in un abbraccio. Sorridendo, lasciai che mi stringesse a sé, notando che data la sua gran forza, la circolazione del sangue nel mio intero corpo sembrava essersi fermata. Di lì a poco, rividi i miei genitori, e spostando lo sguardo su mia madre, la vidi sorridere. Appariva calma e felice di vedermi, e non appena si avvicinò, misi le carte in tavola. In fondo ci eravamo già salutate, e in quel preciso istante, non volevo certamente dimenticare il mio scopo. “Ci serve il vostro aiuto.” Esordii, guardando sia lei che mio padre negli occhi e stringendo in quell’attimo la mano di Stefan. “Temiamo che i Ladri possano tornare, e ci servono dei consigli.” Continuai, terminando quella frase con onestà. “Fate ciò che potete per restare uniti.” Disse mio padre, fidandosi ciecamente di me e posandomi una mano sulla spalla. “Non dimenticare che non sarai mai sola, perché noi saremo sempre con te.” Continuò poi Alisia, avvicinandosi a sua volta e parlando in tono serio. Guardandola, scelsi di fidarmi, e solo allora, sorrisi. “Rain?” mi chiamò mia madre, facendomi velocemente girare sui tacchi. “Sii forte, mia piccola goccia di pioggia.” Disse semplicemente, ricordandomi ancora una volta il dolce e al contempo sciocco nomignolo che lei e mio padre mi avevano affibbiato da bambina. Semplice e anche bello, mi aveva fatta abituare al mio vero nome e alla mia identità, e che per tale ragione, amavo come ben poche cose. Poco dopo, mi decisi ad accettare i consigli dei miei genitori e voltarmi per andarmene, ma all’improvviso, qualcosa mi distrasse. Un pianto. Quel tipo di pianto che solo le mamme riconoscono, e che data la tonalità, doveva forzatamente appartenere ad un neonato. Allarmata, mi voltai, e solo allora rividi Alisia. Non era sola, e un ragazzo biondo dagli occhi castani era proprio accanto a lei. Standole vicino, accarezzava il paffuto e tondo visetto di un neonato, che vagiva a quel tocco. Non riuscivo a crederci. A quanto sembrava, l’amore continuava a sbocciare ad Ascantha nonostante l’ennesima battaglia ormai imminente, e cosa ancor più inaspettata e migliore, perfino Drake, profondamente provato dal divorzio dei suoi stessi genitori, era riuscito a trovarlo. Sorridendo, mi mostrai felice, perché due delle persone più importanti della mia vita erano finalmente riuscite a donare il proprio cuore.

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Capitolo 17
*** Novità e pericoli ***


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Capitolo XVII

Novità e pericoli

Ero ancora lì, ferma e immobile, completamente incapace di credere a quanto avessi proprio davanti agli occhi. I miei genitori mi guardavano come se fossi ammattita, e come se quella fosse la cosa più normale al mondo, e in effetti lo era, ma io non riuscivo a crederci. Non la vedevo da una decade, e tutto mi giungeva irreale, eppure non era così. Difatti, tutto corrispondeva alla realtà. Alisia si era innamorata, e aveva perfino avuto un bambino. Da quanto avevo avuto occasione di vedere fino a quel momento, il piccolo sembrava essere nato da poco, e a prova di ciò, non riuscivo a stabilirne il sesso neppure guardandolo. Aggrappandomi saldamente a un briciolo di buon senso, ipotizzai che prima o poi l’avrei scoperto, ma non ora né oggi. Ad ogni modo, e Ancora attonita, provai a muovere la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Me ne stavo lì con la lingua impastata, e così anche Stefan, colto come me alla sprovvista. Non sapendo cosa dire né fare, mi guardai confusamente intorno, incrociando per un attimo gli occhi del fidanzato della mia sorellastra. Azzurri come quelli di Maddox e Lady Bianca, ma di una tonalità più scura e calda di quella che loro vantavano. Stranamente, mi ricordavano il profondo oceano che ormai non vedevo da un pezzo, e anche il tranquillo laghetto nel vicino bosco, da poco ritornato ad ospitare la vita di qualche sporadico e piccolo pesce dopo il freddo e duro inverno. Non volendo continuare a fissarlo e risultare quindi scortese, distolsi velocemente lo sguardo, ma prima che potessi farlo, lui si accorse di me, e solo allora, sorrise. “Ashton.” Si presentò, giulivo e amichevole. “Rain.” Replicai, sorridendo a mia volta e afferrando la mano che mi aveva offerto in amicizia. “La sorella della mia amata! Un piacere!” rispose allora, con un lampo di felicità nelle iridi chiare come il cielo. “Sorellastra.” Corressi gentilmente, mostrando un nuovo sorriso di circostanza e sperando di non aver urtato la sua sensibilità. “Scusa. Alisia me l’ha detto, ma devo averlo…” continuò, chiedendo perdono e sperando segretamente che glielo concedessi. In silenzio, guardai Alisia stessa, che incontrando il mio sguardo, rimase muta, limitandosi ad annuire. “Non fa niente.” Mi diede poi modo di capire, sussurrando e muovendo leggermente una mano. Silenziosa almeno tanto quanto lei, non feci che annuire, e tornando a concentrarmi su Ashton, lasciai cadere l’argomento. “Dimenticato? Non preoccuparti, succede.” Minimizzai, giustificandolo su muto consiglio della fidanzata. Lei stessa, si avviò verso il suo lui, e interrompendo la nostra quasi imbarazzante conversazione, gli posò un bacio sulle labbra. Dolce, casto e leggero, mi fece sorridere, e in quel momento, il mio cuore ebbe un sussulto. Ero felice, e a quanto sembrava, si stava di nuovo riempiendo di gioia. Inutile era dire che fossi anche orgogliosa della mia amata sorellastra, in quanto, nonostante il dolore, la tristezza, la fame, la miseria e il grigiore che pendevano su tutta Aveiron e dintorni, era riuscita a restare sé stessa e innamorarsi, ma inspiegabilmente, la felicità che provavo si scontrava rumorosamente con i miei dubbi. Come avevo spesso sentito dire, la prima impressione conta, e per qualche arcana ragione, non riuscivo a dipingere un quadro completo della personalità di Ashton. Dolce, certo, ma a mio dire, anche enigmatica. Forse stavo esagerando, e forse la voce della mia coscienza faceva lo stesso, ma qualcosa nel suo sguardo e nel colore dei suoi occhi mi portava a pensare che il suo arrivo nella vita di Alisia e di tutti noi fosse sinonimo di novità e pericoli. In cuor mio speravo di sbagliarmi, ma solo per il bene di colei che nonostante il diverso sangue sarebbe sempre stata mia sorella.  

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Capitolo 18
*** Piccoli segnali ***


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Capitolo XVIII

Piccoli segnali

Lesta e veloce, un’ora se n’era andata, ed ero ancora a casa dei miei genitori. Alisia viveva con loro da ormai molto tempo, e ora si era aggiunto anche Ashton, padre del bambino che i due, insieme, avevano avuto. Parlandomi, mia sorella non faceva che descrivermi le nottate passate insonni per badare al piccolo,  in molti casi completamente da sola. “Com’è possibile?” chiesi, confusa e stranita dalle sue parole. Per qualche strana ragione, la mia domanda giunse alle sue orecchie come retorica, e in un istante, i suoi verdi occhi si accesero d’ira. “Da quando il mondo è crollato, lui va in giro per Ascantha ogni giorno, cercando quello che ci serve per sopravvivere, ecco perché!” mi rispose infatti, inviperita. Colta alla sprovvista, non seppi cosa dire, e nello stesso attimo in cui il silenzio calò nella stanza, questo si ruppe come vetro. Spaventato o forse svegliato da quelle urla, il piccolo si era svegliato, e piangendo, aveva allarmato e attirato l’attenzione di Alisia. “Ecco, l’hai fatto piangere, sei contenta?” chiese, alzandosi dal divano di casa con i nervi a fior di pelle. A quella così retorica domanda, non risposi, e in silenzio, guardai Stefan. Basito, non proferiva parola. Lo amavo, e conoscevo ormai perfino meglio di me stessa, ragion per cui ero sicura che in quel preciso momento si sentisse come un povero pesce fuor d’acqua. D’altronde, conosceva Alisia tanto quanto me, ed era evidente che non si aspettasse una reazione del genere da parte sua. Volendo perdonarla, imputai la colpa di tutto allo stress derivante dall’essere da poco diventata madre, e rimanendo lì ferma, aspettai. Poco dopo, la mia pazienza fu premiata, e lei tornò indietro, con il piccolo stretto fra le braccia e avvolto da una copertina azzurra, in perfetto accordo con il suo essere maschio. A quanto sembrava, anche la sua mamma si era finalmente calmata, e ad essere sincera, ne ero più che felice. Avendo avuto Rose, Terra e Aaron in precedenza, sapevo benissimo cosa si provasse in quei momenti, e vederla così calma e serafica dopo quel piccolo incidente emotivo mi era di conforto. Conoscendola, ero certa che fosse felice di essere diventata madre, ma qualcosa nei suoi occhi tradiva un’emozione che lei si rifiutava di lasciar trasparire. Dolore. Sì, dolore. Una bestia capace di entrarti in corpo e succhiarne via il buonumore e la voglia di vivere, che in tutto quel tempo, non avevo fatto altro che vedere, assieme alla paura, negli occhi di tutte quelle povere e sfortunate genti che Lady Bianca si sforzava di aiutare.  Avvicinandomi, sfiorai la candida pelle di quel neonato, e solo allora, sentii qualcosa. Era Alisia, e stava canticchiando una canzoncina al solo scopo di calmarlo. Per sua fortuna, tale espediente parve funzionare, e di lì a poco, il bimbo si addormentò, cadendo preda del sonno fra le braccia della madre. “Dormi, angelo mio.” Sussurrò al suo indirizzo, accarezzandogli poi il visetto tondo e paffuto. “Angelo?” le feci eco, confusa. “Non ha ancora un nome, e voglio che sia tu a sceglierlo, Rain.” Mi disse, sempre concentrata sul neonato e attenta a non stringerlo troppo né fargli del male. Sorpresa, la guardai, ma pur non dicendo una parola, lei parve insistere. L’aveva detto in tono abbastanza serio, ma nonostante tutto, non me la sentivo di decidere per una creatura che non mi apparteneva. Il bambino in questione era mio nipote, certo, ma in qualche modo sentivo davvero di non farcela. “Alisia, io… vedi, il bambino è tuo, e…” biascicai, tentando di giustificare la mia esitazione con una patetica scusa che non riuscii neppure ad inventare. “Ti ho chiesto io di farlo, ora scegli e torna da me quando sarai pronta. Inoltre, questo bimbo è tuo nipote, e fidati, sarà orgoglioso di conoscere sua zia.” Mi disse, seria come mai prima. “D’accordo.” Mi trovai quindi costretta a rispondere, piegandomi al suo volere e alla sua decisione. Scambiandomi con Stefan una veloce occhiata, non trovai le parole adatte a dire nulla, e abbracciando entrambi i miei genitori, e poi lei, mi congedai da loro, notando appena fuori dalla porta la carrozza di Lady Fatima. Era venuta a riprenderci, e ci stava aspettando. Non volendo farla attendere oltre, guadagnai la porta d’ingresso, e una volta fuori, mi sedetti comodamente. Il viaggio ebbe inizio solo poco tempo dopo, e mentre gli zoccoli di quell’ormai conosciuto destriero davano vita ad un ritmo sostenuto e regolare, io mi perdevo nei miei pensieri, che ora andavano tutti ad Alisia e al mio nuovo nipotino, ma anche ad Ashton e ad ognuno dei suoi piccoli, subdoli e negativi segnali.

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Capitolo 19
*** In balia del falso ***


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Capitolo XIX

In balia del falso

Era lentamente trascorsa un’altra settimana, e nonostante questo, nulla cambiava. Il sole giocava nel cielo, la pioggia cadeva ma poi si asciugava, e la luna ci faceva visita ogni notte, ma la situazione rimaneva tristemente uguale, ed io on ero che un fascio di nervi. Ora come ora, vivo ad Ascantha, ma avendo vissuto ad Aveiron per lunghi anni, non riesco a mettermela alle spalle. Prima che il regno crollasse in ginocchio e in rovina, tutto pareva andar bene, e benché ogni sera, con le mani giunte e gli occhi verso il cielo, pregassi senza sosta sperando che tutto tornasse normale, le mie aspettative finivano sempre deluse. Come sempre, cercavo di tener duro ed essere ottimista, ma dopo quanto era accaduto, e tutte le novità di cui ero venuta a conoscenza, mostrarmi calma e forte stava diventando sempre più difficile. Combattevo contro le mie stesse emozioni da ormai una vita, e per fortuna, Stefan e i miei amici mi erano sempre accanto. Fra tutti loro, lui era l’unico a sapere di Alisia e del bambino, e mentre il tempo passava, il pensiero andava a lei e al piccolo, che avevo appena conosciuto e che già amavo. In fin dei conti, era il mio primo nipote, e anche se lo avevo visto per la prima volta in circostanze a dir poco singolari, ne ero felice. Mia sorella non ne aveva idea, ma ero sicura che in qualche modo, quel dolce fagottino ci avrebbe avvicinate. Erano passati anni, ma ancora ricordavo il doloroso giorno in cui mi aveva letteralmente cacciata dalla sua vita. Era strano, ma pensandoci, ero arrivata a pensare che la sua decisione avesse un significato particolare. Come solo io e Stefan sapevamo, infatti, mi aveva fatto una richiesta, ovvero scegliere il nome del mio stesso nipotino. Non ne sapevo ancora il perché, e ingannavo le lunghe ore cercando di capirlo, fino a qualche giorno fa, quando mia madre e mio padre bussarono alla mia porta. “Rain, vieni. Alisia ha bisogno di te, ed è urgente.” Mi dissero, seri e visibilmente preoccupati. “Subito.” Lasciai intendere, annuendo energicamente e guadagnando la porta di casa. Di lì a poco, arrivai a casa loro, e trovai la mia povera sorella seduta sul pavimento della sua stanza. Aveva il viso rosso per via del pianto, gli occhi gonfi per la stessa ragione e le labbra rovinate da morsi di dolore e frustrazione. Non proferendo parola, si limitava a singhiozzare, e i miei genitori mi guardavano, sconvolti. “Abbiamo provato di tutto, ma non sappiamo cosa fare. Disse mia madre, rompendo il silenzio creatosi fra di noi e spostando lo sguardo su Alisia, ancora preda del suo stesso dolore. “Vado a parlarle.” Risposi, facendomi coraggio e muovendo qualche passo in avanti. Annuendo, i miei genitori mi lasciarono fare, e chiudendo la porta, mi lasciarono da sola con lei. “Alisia?” la chiamai, preoccupata. Ancora muta come un pesce, lei mi guardò, e solo allora, prese un respiro. “Sì?” azzardò, uscendo finalmente dal mutismo in cui era scivolata. “Ti va di parlare?” proposi, sperando che non si rifiutasse e mi desse una risposta positiva. “Certo, in fondo sei l’unica con cui posso farlo.” Disse, parlando in tono mesto e spostando lo sguardo dal mio viso a quello del piccolo, accoccolato e addormentato in braccio a lei. Ascoltando ogni parola, non interferii, e semplicemente guardandola, le diedi il permesso di continuare. “Avevi ragione. Era sciocco credere il contrario, ma avevi ragione.” Ammise, vergognandosi della sua ingenuità e forse perfino di sé stessa. “Non… non ti seguo. Che significa?” Non potei evitare di chiedere, troppo confusa dalle sue parole. “Ho visto il modo in cui guardavi Ashton, e me ne rendo conto solo ora, ma non fa per me. Avete tutti avuto dubbi su di lui sin dall’inizio, ma non ho voluto ascoltare, e ora eccomi qui a disperarmi per le mie scelte. Non mi rispetta, mi tratta da schiava e mi picchia ogni giorno, ma io…” fece una pausa, prendendosi del tempo per respirare. “Io ho paura di lasciarlo.” Confessò poi, cogliendomi alla sprovvista. “Come?” replicai, incredula. “Mi hai sentito bene, ho paura. Sono rimasta con lui dopo che mi ha messa incinta per il bene del bambino, ma… ho sbagliato, e adesso non so cosa fare. Mi sento in trappola, capisci? Se resto continuerà a farlo, e se solo provo ad andarmene, temo che mi ucciderà.” Concluse, sentendo gli occhi bruciare per il pianto e non riuscendo a fermare la fuga di alcune lacrime, che nella loro folle corsa, le bagnarono il viso. “Non riesco a crederci, sai? Quando l’ho conosciuto sembrava così dolce, e invece… invece è soltanto un mostro!” gridò poi, dopo attimi di silenzio passati a tentare di regolarizzare il suo stesso respiro. Inviperita, si guardava attorno, e in quell’istante, il bambino si svegliò. Piangendo, pareva tremare di paura, e allargando le braccia, mi offrii di aiutarla. “Dallo a me.” Sussurrai gentilmente, sorridendo al solo scopo di confortarla. Guardandomi negli occhi, Alisia obbedì, e ben presto, il bimbo fu tra le mie braccia. In silenzio, lo strinsi a me, e cullandolo, ebbi un’illuminazione. “Va tutto bene, Lienard, avanti.” Sussurrai al suo indirizzo, continuando a cullarlo con dolcezza. “Hai scelto Lienard? Mi piace. È un bel nome.” Disse allora mia sorella, sorridendo felice. I suoi occhi erano ancora bagnati e pieni di lacrime, ma almeno ora si era calmata. “Ma aspetta, perché proprio questo?” chiese poi, confusa e stranita dalla mia così originale scelta. “Mi ispira forza e fiducia, ecco perché.” Risposi, con la calma di un monaco durante i suoi rituali e le sue preghiere. “Adesso vieni, alzati da terra.” La esortai, adagiando il piccolo nella sua culla e tendendole una mano amica. “No, voglio stare qui da sola.” Rispose, sorridendo debolmente. Confusa, non feci che guardarla andando alla ricerca di spiegazioni, che arrivarono appena un istante dopo, non appena lei completò la frase. “Da sola con il mio Lienard.” Disse, riuscendo a farmi sorridere e rendendomi felice. In quel momento, mi voltai per raggiungere la porta della stanza e realizzare il suo desiderio, ma prima che potessi muovermi, lei mi parlò ancora. “Grazie.” Una sola parola che racchiudeva in sé tutta la stima che mi aveva donato, e tutta la fiducia che sapevo avesse riposto in me. “Non lo dimenticherò mai, sorellina.” Disse poi, concludendo quella frase con una nota di dolcezza e amore fraterno, che in quel momento, mi fece scendere una lacrima. Pur continuando a darle le spalle, sorrisi leggermente, e lei lo notò. Da allora in poi, le parole non ci servirono, e allontanandomi, richiusi la porta. “Ora sta meglio.” Dissi ai miei genitori, che per tutto quel tempo erano rimasti proprio lì in ascolto. “Cos’aveva?” chiese mio padre, preoccupato. Guardandolo, mi feci seria, e solo allora, decisi di non mentire e raccontargli la pura verità. “Stava male, ed è guarita, ma per tutto questo tempo è stata sola e in balia del falso.”

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Capitolo 20
*** Libertà e vendetta ***


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Capitolo XX

Libertà e vendetta

Per la prima volta, dopo tanto tempo, tutto sembrava andar bene. Io non ero più ansiosa, il gruppo appariva più unito che mai, gli allenamenti dei ragazzi proseguivano spediti, e cosa più importante, riuscivo a sentirmi di nuovo felice. Ormai abituata a considerare la quiete merce alquanto rara, avevo quasi dimenticato cosa fosse e significa, ma adesso, finalmente, rieccola. Proprio all’interno del mio animo, quella bellissima sensazione di calma e pace interiore, che dati i miei trascorsi e la miriade di avvenimenti negativi che avevano colpito me e il mio intero gruppo senza pietà, pareva aver smesso di visitarlo. Sono ora seduta a rileggere quanto scritto nel mio diario, e nel farlo sorrido. Sono felice di poter riprendere a respirare, e in questo giorno così soleggiato, ho fiducia. Con un sorriso stampato sul volto, continuo a leggere, e fra una riga e l’altra, vengo travolta dal fiume in piena dei miei stessi ricordi. Per pura fortuna, tutto va bene, e improvvisamente, un suono mi distrae riportandomi alla realtà. Incuriosita, guardo fuori dalla finestra, scoprendo che non c’è da preoccuparsi. È per così dire colpa di Rose. Operosa e ligia al dovere, si sta allenando a centrare finti bersagli nel giardino di casa, che per la mia gioia ha costruito praticamente da sola, usando legno, vernice e feltro. Anche se lentamente, il tempo scorre, e lei diventa sempre più brava. Forse è il mio essere madre a parlare, rendendomi quindi di parte, ma nonostante questo sono orgogliosa di lei, e credo fermamente che un giorno diventerà un’esperta nel campo del tiro con l’arco. Da quanto vedo, è già sulla buona strada, e mentre io sono seduta a leggere e ricordare, sono felice di vedere che non è sola, e che sia i suoi fratelli che suo padre sono con lei. Perfino Chance le fa compagnia, e incontrando gli sguardi di tutti, saluto con la mano. Proprio allora, Stefan fa un singolo gesto, e annuendo, comprendo alla perfezione il suo muto linguaggio. “Scendi.” Mi da modo di capire, rimanendo calmo e tranquillo. Voltandomi per un attimo, lascio il mio diario sulla scrivania, e poco dopo, sono al loro fianco nel giardino di casa. Con una buona dose di pazienza e un pizzico d’aiuto da parte di suo padre, Stefan ha letteralmente ricostruito i manichini usati da Aaron e Isaac, per ora ancora illesi e pieni di sabbia. A quanto sembra, nessuno li ha ancora toccati, e guardandomi intorno, scopro che qualcuno ne ha realizzato ben tre a misura di Chance. Più resistenti e adatti alla forza e ai morsi canini, chiaro, ma pur sempre una bella idea. “L’abbiamo fatto io e Rosie.” Afferma lo stesso Isaac, tronfio e soddisfatto. “Rosie? Gli faccio eco, prendendolo bonariamente in giro. “Sì, Rosie. Mi ha aiutato lei. È forte!” risponde, calmo e composto. Sorridendogli, riesco a renderlo felice, e poco dopo, lo vedo allontanarsi. Mia figlia lo ha appena chiamato a sé, e ha in spalla la sua faretra. Spinta da una genuina curiosità, mi fermo a guardarli, notando con piacere che i due parlano fra loro, e che lei sta tentando di insegnarli a usare arco e frecce. “Vuoi provare?” propone, con il sorriso sulle labbra. “Perché no?” risponde lui, lasciandosi poi sfuggire una risata. Di lì a poco, l’arco passa in mano ad Isaac, e pur concentrandosi sul bersaglio e chiudendo un occhio per prendere bene la mira, sbaglia e non riesce a centrarlo. In piedi di fianco a lui, Rose non può fare che ridere, e lui la imita, apparendo però leggermente sconsolato. “Dai, guardami.” Gli dice, invitandolo a fare attenzione ai suoi movimenti. Calcolati e leggeri, sono degni di un vero arciere, e nel momento in cui la freccia colpisce il centro del bersaglio, lui rimane basito. “Però!” commenta, con occhi sgranati per la sorpresa. “Hai visto? È facile! Lo rassicura lei, scostandosi qualche capello dal viso. “Tu dici? Dubita, non avendo fiducia nelle sue capacità. “Certo, fa come ho fatto io.” Gli consiglia, sorridendo ancora. “Non ce la faccio, pesa.” Si lamenta, ancora troppo sfiduciato per provare. In quel momento, lei si immobilizza, e mettendosi proprio dietro di lui, decide di aiutarlo. “La mano non deve tremare. Adesso tendi e…” un secondo consiglio che fornisce con serietà mostruosa, e che sembra davvero funzionare. Da quel che vedo, Isaac è più calmo, e ripete a bassa voce la lezione che ha appena imparato. “Non tremare.” Sussurra a sé stesso, concentrato come mai prima. “Lascia!” continua Rose, non appena si accorge che il momento è propizio. Quasi fosse un automa, Isaac obbedisce, e non appena riapre gli occhi, scopre l’impensabile. Preferisce la spada, certo, ma ce l’ha fatta. Ce l’ha davvero fatta. La freccia ha colpito il bersaglio, e lui ne è davvero felice. I suoi occhi brillano come stelle, e anche la sua giovane insegnante è orgogliosa di lui. “Volere è potere, Isaac. Ricordalo.” Il terzo di tanti consigli, che raggiunge le sue orecchie e si insinua nel cervello, rimanendo lì per tutta l’eternità. “Lo farò, grazie Rose.” Risponde, con un’espressione neutra e un leggero sorriso sul volto. Di lì a poco, lei si volta per tornare ai suoi personali allenamenti, ma lui la ferma afferrandole il polso. “Sei fantastica. Le sussurra, per poi lasciarla andare. “Tu un guerriero.” Rispose lei, dopo alcuni attimi passati a guardarlo negli occhi. Due iridi marroni e più scure delle sue, alle quali, per qualche strana ragione, lei non riesce a resistere. Entrambi sono poco più che bambini, ma li conosco meglio di me stessa, ragion per cui credi sia giusto pensare che un giorno le cose fra loro cambieranno. Forse non oggi, forse non domani, ma presto. So bene di non essere stata l’unica a notarlo, e infatti Stefan è d’accordo con me, e insieme, in qualità di cavaliere e principessa, come lui stesso mi chiama ormai da anni,  continuiamo a batterci per un futuro migliore sia per noi che per i nostri figli, sperando in un avvenire sereno dettato da aneliti e desideri di fresca libertà, nonostante ogni nostro nemico, fuori dalle domestiche mura che ci proteggono, non faccia altro che gridare vendetta.

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Capitolo 21
*** Le pagine di Terra ***


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Capitolo XXI

Le pagine di Terra

Non so davvero quanto tempo sia passato, ma so che gli allenamenti stanno continuando. I ragazzi si impegnano sempre al massimo, e con ogni sessione, intravedo sempre i risultati. Agendo da loro educatrice, li controllo sempre per evitare che si facciano male o accada qualcosa, e facendolo, noto un particolare. Tutti lavorano e affinano le loro rispettive tecniche, ma non Terra. Guardandomi intorno, la cerco con gli occhi, trovandola seduta sotto la grande quercia del giardino di casa, con le gambe incrociate, un quaderno e una penna. Sembra concentrata, e la fa scivolare con attenzione, avendo cura di non sporcarsi le mani con l’inchiostro. “Perché non sei con gli altri?” le chiedo, avvicinandomi e attendendo in silenzio una sua risposta. “Non mi sento bene.” Dice semplicemente, scappando dai miei sguardi e scivolando in un calcolato mutismo. “Cos’hai?” questa la mia seconda e ovvia domanda, seguita poi da una risposta che arriva lenta e quasi inudibile. “Niente.” Una singola parola, uno stratagemma che anch’io usavo da ragazza al solo scopo di evitare di esternare i miei problemi. “Non mentire, Terra, sai come la penso.” La esorto, sperando che mi ascolti e smetta di nascondersi. “Ho detto che non ho niente.” Continua, alzando lo sguardo fino ad incontrare il mio e richiudendo in fretta quel piccolo quaderno. Nella foga del momento, questo quasi le cade, ma con uno sforzo riesce a tenerlo in mano, non potendo però evitare che qualcosa scivoli appena fuori. Allarmata alla vista di quel foglietto, fa del suo meglio per raccoglierlo prima che me ne accorga, ma fallisce. Difatti, sono più veloce di lei, e ben presto, quel pezzetto di carta è in mano mia. “Che cos’è questo?” le chiedo, sentendo una leggera rabbia prendere lentamente possesso di me. “Ridammelo.” Risponde a muso duro, andando contro il mio volere di madre e il modo in cui l’ho educata.  Quasi ignorandola, faccio per dispiegare quell’ormai famoso foglietto, ma lei me lo impedisce, e quasi me lo strappa di mano. “Non ti riguarda.” Sibila, mentre il suo viso è una maschera di collera. Con le mani in alto, mi allontano lentamente, e non appena sono certa di non far più parte del suo campo visivo, fingo che la cosa non m’importi, continuando però a guardarla. Scrive incessantemente, e ogni tanto da uno sguardo a quel pezzo di carta, per poi riporlo al sicuro nel suo quaderno. Lo nasconde e conserva gelosamente, e nonostante sappia di non dover intromettermi troppo nella vita di mia figlia, resto comunque sua madre, e ho tutto il diritto di preoccuparmi. In fin dei conti, non è la prima volta che la vedo così, e con i dubbi che si insinuando nella mia mente come il vento fra le fronde degli alberi, penso. “Che può esserle successo? Perché non si sfoga? E soprattutto, farò bene ad agire?” non lo so ancora, e sembra che per ora sia destinata a restare all’oscuro di tutto. So che è sbagliato, ma considerando che non ha alcuna voglia di aprirsi e parlarmi, dovrò ancora una volta infrangere una tacita regola, e dare, a sua insaputa, uno sguardo alle pagine di mia figlia Terra.

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Capitolo 22
*** La goccia vince la roccia ***


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Capitolo XXII

La goccia vince la roccia

È passato soltanto qualche giorno, e non riesco ancora a togliermi dalla testa il comportamento di Terra. Sono sua madre, e per quanto ne so, non si è mai davvero rivolta a me così.”Lasciami sola.” Non ti riguarda.” Non voglio parlarne. Queste le frasi che mi ha rivolto e non fa che rivolgermi, e che sin dal momento in cui l’ha fatto mi fanno preoccupare enormemente. È la mia primogenita, le voglio davvero bene, e devo ammettere che mi piange il cuore a vederla così. Sola, triste e troppo spaventata per parlarne, sfoga i suoi tormenti con la scrittura, proprio come me. Ormai è quasi adulta, ma ricordo ancora il giorno in cui Lady Bianca l’accompagnò a scuola per la prima volta. “Voglio scrivere come la mamma, e disegnare anche meglio. Aveva detto sorridendo, felice ed eccitata. Ad ogni modo, e nonostante lo facesse da bambina, ormai non disegnava più, e aveva smesso di farlo per vari motivi, ma da quanto ho avuto il piacere di vedere, mi sta ora imitando, dedicando gran parte del suo tempo nello sfogare la tensione e i sentimenti più nascosti, al solo scopo di liberarsi di tutta la negatività che sente dentro. Mossa molto razionale, che a dirla tutta, spero porti ai risultati sperati. Ora come ora, un uccello vola libero nel vasto cielo di Ascantha, e ammirando il suo volo, ne odo il cinguettio. Spostando poi lo sguardo, faccio una scoperta. Quel maestoso volatile è una femmina, ed è appena arrivata al suo nido. Affamati, i suoi piccoli pigolano, e lei è lì per nutrirli. Come mi sono ripetuta più volte, Terra sta crescendo, ed è fuori da ogni dubbio, ma più lei cresce, più vengo scossa da un misto di orgoglio e paura. Da un lato sono felice che si stia lentamente avvicinando all’età adulta, ma dall’altro sono costantemente in ansia. So bene di non poter controllare ogni sua mossa, ed esserle d’intralcio nella vita è l’ultimo dei miei desideri, ragion per cui ho preso una decisione. Quel piccolo diario appartiene a lei, ed io non lo leggerò. In fin dei conti, significherebbe violare la sua privacy e incrinare il nostro legame, e ad essere sincera non lo voglio. Per quanto noi tutti ne sappiamo, il gruppo è già stato tediato abbastanza, e con il passare del tempo, inizio davvero a pensare che in qualche modo i Ladri non aspettino che questo. Un nostro cedimento, un nostro punto di rottura. Sono fermamente convinti che ci sarà, e non posso certo negarlo, ma so che quel giorno non sarà oggi. Uniti come una vera squadra, abbiamo combattuto e dato così tanto che ora, dopo tutti i nostri sforzi, non ci sogneremmo mai di lasciar perdere, gettando la spugna e affidando i nostri progressi alle velenose ortiche. Stando al modo in cui la penso, arrendersi dopo tanto lavoro sarebbe una mossa da veri codardi, e noi non lo siamo. Con il tempo che continua a scorrere, mi trovo di fronte ad una sorta di bivio, ma so perfettamente che strada scegliere. Quella dell’attesa. Terra non mi ha ancora rivelato nulla riguardo ai suoi tormenti, e i Ladri ci tengono sulle spine con la muta promessa di attaccarci alle spalle e coglierci di sorpresa, ma noi risponderemo a tono, e nonostante il suo attuale silenzio, sono certa che mia figlia parlerà. Forse non oggi, forse non domani, ma presto. Mi toccherà aspettare, ma sarà la cosa giusta, perché come recita un vecchio adagio sempre attuale, la goccia vince la roccia. L’orgoglio per il mio intero gruppo e per il nostro forte legame mi riempie il cuore, e spesso, guardando la mia immagine riflessa in uno degli specchi di casa, mi capita di vedere la mia intera vita passarmi davanti agli occhi assieme a mille ricordi. Ricordi di una vita felice, che nonostante il volere dei loschi Ladri, non è ancora arrivata alla fine.

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Capitolo 23
*** Aperta come un libro ***


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Capitolo XXIII

Aperta come un libro

In un veloce andirivieni scandito da battiti d’ali, cinguettii e svolazzi di piume color cenere, la mamma uccello che ho scorto da pochi giorni nel cielo per puro caso continua a far ritorno, avendo nidificato fra i rami della quercia nel nostro giardino. Il sole bacia giornalmente i suoi pulcini, e lei è costretta a quei continui viaggi per un solo motivo. Appena ieri, infatti, ho lasciato rientrare Chance in casa dopo averlo sentito abbaiare fuori dalla porta, e solo allora, me ne sono resa conto. Uno dei pochi gatti che ancora si vedevano in giro, teneva qualcosa in bocca, e avvicinandomi, ho scoperto la verità. Era il corpo senza vita di un povero uccello, o per meglio dire, il padre di quei poveri e ora in parte orfani uccellini. Da calmo cane qual era, Chance non lo aveva scacciato, ma al contrario, il gatto aveva deciso di girare sui tacchi da solo, lasciando quell’uccello ormai morto lì in mezzo all’erba. Per quanto inutile e sciocco potesse sembrare, scavai una piccola buca con l’aiuto di Chance stesso, e dopo aver raccolto da terra il corpo di quel povero animale, ve l’ho depositato, giungendo poi per poco le mani e sperando che potesse volare per l’ultima volta nello stesso cielo dove una volta viveva. Strano e forse esagerato, lo so, ma a mio dire anche umano, in quanto ogni vita su questo pianeta, da quella dei più evoluti umani a quella dei piccolissimi vermi, va protetta e rispettata, ma non certo distrutta. Ad ogni modo, il tempo ora passa, e quel semplice ricordo mi ha riportato alla mente mia sorella Alisia e mio nipote Lienard. Conosco bene la loro situazione, e proprio per questo, non c’è un giorno in cui io non pensi a loro, ma soprattutto a lei. Simile a me per quanto concerne l’età, è da lungo tempo vittima degli abusi e delle angherie del fidanzato, ma nonostante il profondo dolore fisico ed emotivo che lui continua ad infliggerle, lei non si decide a lasciarlo. Non è testarda, ma solo spaventata. Stando a ciò che mi ha raccontato, è rimasta al suo fianco unicamente per il bene del bambino, realizzando solo dopo di aver commesso un terribile errore. Per ora il piccolo sta bene, ma la stessa e benevola sorte non è toccata a lei. Non la vedo da qualche tempo, e sono sicura che pur facendo uso di una finta faccia d’angelo, quell’autentico mostro stia continuando a farle del male. L’ultima volta in cui le ho parlato, Alisia non è scesa nei dettagli, ma ha comunque detto che Ashton la picchia e tratta da schiava, arrivando a ferirla anche emotivamente. Al contrario di lei, ho la fortuna di avere un uomo come Stefan accanto, e non oso davvero immaginare cosa Ashton arrivi a farle ogni volta che sono da soli. Anche se da poco, ha dato alla luce mio nipote Lienard, e nonostante io non voglia pensarci, qualcosa nel modo in cui lei si comporta con lui, e il piccolo soprannome che gli ha dato, ovvero angelo, mi portano a pensare che lei sia stata ingannata e usata, per poi mettere al mondo un bambino amato da una sola persona nella loro coppia, ovvero lei. In altre parole, lui la odia e gode nel vederla soffrire, ma lei è ormai alle strette. Non sa come fare, ma sa di voler fuggire. Per pura sfortuna, un solo tentativo equivarrebbe a morte certa, ragion per cui si rassegna, e non ci prova nemmeno. “Potrebbe far del male al bambino, e non voglio che accada, ma neanche che vi coinvolga. State lontani, vi prego.”Mi rammenta spesso, mettendo anche me con le spalle al muro. “Vorrei aiutarla, ma ho le mani legate,e più passa il tempo, meno sostenibile si fa la situazione. La piaga della violenza domestica è lacerante, ma con gran gioia nel cuore, vedo che sta facendo di tutto per resistere e rimanere lucida. “Tutto per Lienard.” Mi ha detto una volta, poco prima che la lasciassi da sola nella sua stanza a casa dei miei genitori. Ad ogni modo, ora è controllata assiduamente da Ashton, tanto da non poter più uscire di casa se non accompagnata proprio da lui, che con quegli occhi di ghiaccio, le impedisce qualunque movimento o decisione. Sta male, malissimo, e ovviamente anche io, ma ho deciso. Basta. Basta dolore, basta sofferenza, basta catene. È incredibile, ma più ci penso e più grande è la rabbia che provo. Quello schifoso verme ha finto di amarla, e l’ha perfino messa incinta, ma per cosa? Per poi ripudiare il bambino che lei ha avuto, e che lui aveva anche finto di desiderare. Ora come ora, le mani mi prudono al solo pensiero, e con i nervi a fior di pelle, non penso ad altro se non a lei, a Lienard e Terra. Tutti con i loro problemi, e una che si rifiuta ancora di parlarne. Non mi azzardo a leggere nulla di ciò che scrive, ma proprio come la zia, lei è per me aperta come un libro.

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Capitolo 24
*** Inferno in primavera ***


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Capitolo XXIV

Inferno in primavera

È ancora mattina, e il sole è restio nel mostrare il suo volto. Ha smesso di piovere soltanto da poco, e Terra ha smesso di piangere. È seduta con me nel salotto di casa, impegnata a scrivere e intrecciar parole, e silenzioso, Chance la guarda. Dieci anni si fanno sentire, ma dentro è sempre il solito cucciolo pasticcione di sempre. Gli occhi grandi e scuri, il colore del suo pelo che ormai sta svanendo, la capacità di parlarti solo con i gesti e lo sguardo. Questo è Chance, che ora non stacca gli occhi da colei che gli ha salvato la vita. “No.” Continua a dirgli lei, spingendolo via ogni volta che si avvicina, ma lui, testardo come e più d’un mulo, non demorde. Solo allora, prende l’iniziativa, e afferrandole una manica del vestito, la costringe a smettere di scrivere. “Chance, no!” grida lei, indispettita, tentando in tutti i modi di divincolarsi dalla presa del cane, ora più forte che mai. Ringhiando leggermente, non obbedisce, e non appena il suo diario finisce sul pavimento, lui molla la presa, soddisfatto. Notando la chiara espressione di vergogna dipinta nel volto di mia figlia, non mi muovo, ed è proprio lei a farlo, raccogliendo il suo diario e porgendomelo con garbo e risentimento al tempo stesso. “È tutto scritto, ma non volevo che lo scoprissi così.” Mi disse, poco prima che le nostre mani si sfiorassero ed io lo afferrassi. Guardandola per un attimo, rimasi in silenzio, e con il suo muto permesso, iniziai a leggere. Stranamente, la pagina su cui avevo posato gli occhi non vantava la sua scrittura, e in altre parole, conteneva una lettera. “Terra, sono io, e mi dispiace. So cosa stai passando, e vorrei davvero fare qualcosa, esserci per te, ma non posso. I Ladri potrebbero arrivare da un momento all’altro, e dovrei fare del mio meglio per proteggerti, ma al momento l’unica cosa che posso fare è dirti che ti amo, e consigliarti, con queste ultime parole, di restare sempre vicina alla tua famiglia e ai tuoi cari. Io e mia madre ci stiamo nascondendo, Loro non sanno dove siamo, e se ci scoprissero per noi sarebbe finita. Non preoccuparti, io starò bene. Fa solo quello che ti ho chiesto, e ne usciremo insieme, va bene? Questo non è un addio, ma un arrivederci. Resta al sicuro, e perdonami, se puoi, Trace.” Queste le toccanti parole che lessi, e alle quali, una volta fatto, stentai davvero a credere. “Com’era possibile? Che stava succedendo? Come avevamo fatto a non accorgerci di nulla? E soprattutto, perché Terra non me l’aveva detto prima?” domande che mi risuonavano continuamente in testa, e che necessitavano di una risposta. In quel momento, il tempo parve davvero fermarsi, e tutto mi giungeva irreale. Ancora una volta, la profezia di Lady Fatima si rivelava corretta, e tutti avevamo paura. Un gesto del genere era alquanto lodevole da parte di Trace, ed io lo intesi come un chiaro monito a muoverci ed agire. Istintivamente, richiusi il diario di Terra, e  prendendola per mano, andai subito alla ricerca di Stefan. Dovevamo muoverci, e non c’era tempo. “Andiamo, ti spiegherò per strada.” Gli dissi non appena lo trovai, inducendolo a seguirmi. “Rain, ma che cosa… non capisco, fermati!” mi pregò, sforzandosi e faticando a stare al passo con la mia cadenzata e veloce andatura. “Ti spiegherò per strada.” Ripetei, a muso duro e con il tono di chi non è certo in vena di scherzi. In quel momento, Stefan divenne bianco come un lenzuolo, e in lontananza, sentii il latrato di Chance. Da sempre nostro fido compagno, non voleva essere lasciato indietro neanche ora, e nella corsa, mi voltai a  guardarlo per sorridergli. Arrancava anche lui, ma avevo fiducia. Per quanto ne so, i cani sono animali fedeli, e la sua presenza ci sarebbe stata di grande aiuto e conforto, specialmente ora e dopo quella lettera, che in qualche modo, assieme alla sempre veritiera profezia di Lady Fatima, preannunciava un vero e proprio inferno in primavera.
 

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Capitolo 25
*** In nome della salvezza ***


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Capitolo XXV

In nome della salvezza

Eravamo tutti lì, con gli zaini in spalla e le armi ben nascoste, intenti a correre. Correre ad avvisare i nostri amici e scappare via in gruppo, così da poterci difendere reciprocamente in caso di pericolo. Non sappiamo ancora dove stiamo andando, ma da quanto vedo, Chance ci fa da guida. L’unico suono che si sente è quello dei nostri respiri affannosi dovuti alla corsa, unito a quello dei nostri passi decisi e veloci come il vento. Nessuno sa che ci siamo rimessi in marcia, e nonostante ora possiamo facilmente essere scambiati per viandanti, non lo siamo. Ora come ora, siamo solo gente in fuga da un pericolo nascosto e fin troppo conosciuto. Ci muoviamo veloci, e fra un passo e l’altro, alcune voci ci distraggono. “Fermi!” urlano quasi all’unisono, inducendoci a voltarci e facendoci quasi gelare il sangue nelle vene. Allarmata, obbedisco subito, e malgrado Stefan e Soren abbiano già estratto le spade, sono felice di scoprire che si tratta di Rachel e di entrambe le Leader. “Pensavate di fuggire senza di noi?” ci chiese Lady Fatima, attendendo poi in silenzio una risposta proveniente da chiunque di noi. “N- No, Signora, sono certa che non volevano…” biascicò proprio Rachel, tentando di fare le nostre veci e difenderci. “Non avrebbero dovuto. Di questi tempi anche Ascantha è pericolosa, ed io non voglio perdere più nessuno.” Rispose lei, con la voce che verso la fine di quella frase parve spezzarsi come una corda eccessivamente tesa. A quelle parole, Rachel sussultò, ma avvicinandosi all’amata, le fece coraggio. “Non ditelo nemmeno. Avete me, e mi avrete per sempre.” Le disse, guardandola negli occhi e parlando in tono serio e solenne. Mantenendo il silenzio, Lady Fatima si limitò a sorridere, e per qualche secondo non accadde più nulla, fino a quando nella mia mente non si palesò un ricordo. Alisia. Era ancora fra le grinfie di Ashton, e dovevo liberarla, ma come? Colta dal panico, mi guardai intorno, e in quell’istante vidi Chance. Seduto composto, attendeva con apparente calma, ma il ritmico movimento della sua coda tradiva altro. Solo allora, un secondo ricordo, a seguito del quale aprii il mio zaino, e ne estrassi una sciarpa. Era primavera, e sarebbe servita a poco o nulla, ma il punto non era questo. Ricordavo ancora il duro inverno passato con mia sorella. In quel periodo avevo davvero rischiato di morire, ma prima della sua rivelazione, lei faceva di tutto per me, dall’andare a caccia di cibo al tenermi calda durante la notte. La sciarpa apparteneva a lei, e speravo che annusandola, Chance potesse trovarla. Avvicinandomi, lasciai che l’annusasse, poi gli diedi l’ordine. “Cerca.” Gli dissi semplicemente, vedendolo poi assumere la posizione di punta. Non era la prima volta che lo vedevo farlo, e a quella vista, sorrisi. “Sto arrivando, Alisia, resisti.” Sussurrai, parlando con me stessa e sentendo una nuova speranza nascere nel profondo del mio cuore. Come sapevo, non eravamo legate dal sangue,ma l’affetto che ci univa contava tanto quanto quel rosso liquido, e mentre Chance si concentrava alternativamente sull’aria e sul terreno, noi lo seguivamo. Era fatta. Sapevamo di essere sulla pista giusta, e l’unica cosa da fare era non perdere di vista Chance. “Cerca.” Gli ripetevo, così da indurlo a concentrarsi al meglio e a ignorare qualsiasi distrazione. I minuti passarono in fretta, e dopo un tempo che nessuno di noi riuscì a definire, la trovammo. Quasi strategicamente nascosta da tutto e tutti, la casa dove Ashton e Alisia vivevano non poteva essere considerata tale, avendo le pareti e il pavimento rovinati da chissà cosa. Stando a un desiderio dello stesso Ashton, si erano da poco trasferiti, lasciando la dimora dei miei genitori. A quella vista, sgranai gli occhi, e spingendo con tutte le mie forze, riuscii ad aprire la porta d’ingresso, e una volta entrata, feci segno agli altri di seguirmi in silenzio. Sorprendentemente, questo regnava nella casa, ed essendo ormai abituata a vivere nella più palpabile tensione, temetti che fosse un brutto segno. Camminando, andai alla muta ricerca della sua stanza, e poco dopo, sentii i vagiti di un neonato. “Lienard.” Pensai, voltandomi nella direzione di quel suono e aprendo la porta che mi ritrovai davanti. Una volta entrata, la vidi. Mia sorella era seduta sul pavimento, con il piccolo in braccio e le lacrime agli occhi. Era ferita, e faticava a respirare. “Ragazzi… aiuto, prima che… torni.” Ci pregò, riconoscendoci uno per uno. “Rain, Lienard.” Mi disse, facendo uno sforzo per lasciarmi il bambino. Annuendo, presi il piccolo fra le braccia, mentre Stefan e Soren l’aiutavano a rialzarsi. Una volta in piedi, Alisia prese a tossire, e per pura fortuna, si fermò a quello. Grazie al cielo, le sue ferite non erano gravi, e se il respiro era veloce, era solo colpa della paura e dello stress, o almeno così pensavo. Avvicinandomi, le offrii il braccio così che potesse appoggiarsi e camminare, e poco dopo, lei cadde di nuovo in terra. Fu allora che li vidi. Lividi violacei e così scuri da far paura, che ad un occhio attento quanto il mio appariva freschi. In altri termini, e proprio come quelle che aveva sul viso e sul petto, ferite appena inferte. “Mostro.” Sibilai, tendendo ancora una mano a mia sorella e aiutandola per al seconda volta a rialzarsi. “Aiutatemi.” Continuava a ripetere, tremando violentemente, quasi come se il suo corpo venisse attraversato da scosse elettriche. “Tranquilla, siamo qui, e andrà tutto bene, vedrai.” Provai a rassicurarla, tenendola stretta a me e sperando segretamente di aver ragione. Di lì a poco, ci ritrovammo di nuovo fuori, e alla vista di Alisia in quello stato così pietoso, Lady Bianca ebbe un idea. “Seguitemi, il campo che sto costruendo è qui vicino.” Disse, dando a tutti noi un’ennesima speranza e un seppur metaforico appiglio a cui aggrapparci. Annuendo, la seguimmo tutti senza parlare, e fra un passo e l’altro, io continuavo a parlare con mia sorella. Le sue condizioni sembravano peggiorare di minuto in minuto, e trascinandosi nel tentativo di mantenere l’equilibrio e camminare, trascinava anche le parole. “Grazie tante, sorellina.” Mi disse poi, con la voce e il corpo ancora tremanti. Non proferendo parola, rimasi in silenzio, ma al solo scopo di non lasciarla scontenta, le sorrisi. Il viaggio continuò spedito e senza incidenti per delle ore, e con lo scendere della sera, e l’arrivo del freddo, guardai il cielo. Già buio e quasi tinto di nero, era punteggiato di sfavillanti stelle, e immancabilmente, la luna brillava nella notte come il sole durante il giorno, e spostando lo sguardo per un singolo attimo, ebbi la fortuna di vedere una bellissima stella cadente. Come la notte stessa, portatrici di fortuna e consigli, e secondo alcune credenze, anche capaci di esaudire i desideri. “Per favore, fa che tutto torni normale. Non subito, ma un giorno. Fa che accada, ti prego.” Dissi in un sussurro, ammirando ciò che brillava appena sopra la mia testa e che per fortuna non veniva oscurato dalle nubi o da qualsiasi altra cosa. Allo scoccare della mezzanotte, eravamo tutti stanchissimi, ma proprio quando credevamo di esserci sbagliati, e di aver visto ogni nostra speranza scemare, eccolo. Quello che Lady Bianca chiamava campo di recupero, e che io invece avevo appena scoperto essere la nostra salvezza, poiché ora viaggiavamo senza una precisa meta, ma comunque in nome di quest’ultima.
 

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Capitolo 26
*** La tela del vivere ***


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Capitolo XXVI

La tela del vivere

Il mattino era tornato, e nonostante un detto conosciuto e popolare, non sembrava avere l’oro in bocca. Difatti, pioveva, e le nubi più nere sembravano non volerci concedere alcuna tregua. Sola e pensosa, mi aggiravo per il campo messo in piedi da Lady Bianca, e con ogni passo, scoprivo qualcosa di nuovo. Incredibilmente, c’era di tutto, ed era organizzato perfettamente. C’erano tende e sacchi a pelo praticamente ovunque, ma anche cibo e beni di prima necessità. Camminando, mi abbandonai ad un sospiro, e alzando gli occhi da terra, incontrai Stefan. “Sai come sta?” chiesi, riferendomi ovviamente alla povera Alisia. “È stabile, come il bambino.” Rispose, regalandomi poi un debole sorriso. “Quel verme. Non posso non pensarci. Sai, spero davvero che…” non ebbi il tempo di finire quella frase, perché Stefan mi fermò. “Rain, non dirlo. Non qui e non ora.” Mi ammonì, convincendomi a mordermi la lingua e far silenzio. obbedendo, non dissi più nulla, ma capii comunque dove volesse andare a parare. In un certo senso, aveva anche ragione. Ero arrabbiata, certo, ma nonostante fossero le mie stesse emozioni a parlare, non avrei mai dovuto augurare la morte a nessuno. Non importava quanto la persona in questione fosse o fosse stata cattiva. Farlo era a dir poco meschino, e pensandoci, non riuscii a credere di essermi abbassata ad un tale livello. Inspirando a fondo, tentai di darmi un freno, e una volta tornata alla calma, iniziai a camminare al fianco di Stefan. A prima vista non sembrava vero, eppure il campo era grandissimo. Guardandomi intorno, ingannavo il tempo, ma mentre il mio cammino continuava, mi resi conto di una cosa. A quanto sembrava, non eravamo soli, e infatti molte donne si aggiravano guardinghe, sole e spaventate. Incredibilmente, vidi anche dei bambini, e improvvisamente, sentii il desiderio di piangere. Lottando contro me stessa, tentai di ricacciare indietro le lacrime, e solo allora, Stefan mi strinse a sé. “Dai, vieni, torniamo da Alisia.” Propose, cingendomi un braccio attorno alle spalle e invitandomi a seguirlo. Muta come un pesce, non feci che obbedire, e una volta arrivata, rividi le due Leader. Lady Fatima restava al fianco di Rachel, e Lady Bianca teneva in braccio mio nipote Lienard. Con fare calmo e tranquillo, entrò in una delle tende, e seguendola, scoprii che non era l’unico neonato in circolazione. Difatti, ne vidi ben cinque, tutti addormentati e avvolti da calde copertine che lasciavano intuire il sesso di ciascuno. Tre maschi e due femmine, tra cui il piccolo Lienard. Fortunatamente senza un graffio, dormiva beato e ignaro di tutto. Non proferendo parola, restavo in silenzio, e vedendomi versare qualche lacrima, Lady Bianca intervenne. “Non preoccuparti, stanno tutti bene.” Mi disse, avvicinandosi e posandomi una mano sulla spalla. “No, non è per loro, è…” biascicai, sentendo anche questa frasi morirmi in gola come tante altre. “Anche tua sorella.” Continuò, riuscendo quasi a leggermi nel pensiero. Rinfrancata da quelle parole, sorrisi, e poco dopo, vidi Terra avvicinarsi. “Mamma, stai… stai bene?” mi chiese, preoccupata. “Sì.” mi limitai a rispondere, con mille pensieri per la testa e nessuna voglia di parlare. “Mi dispiace. Se non avessi letto il mio diario non saremmo dovuti fuggire tanto in fretta, e ora non saremmo qui.” Continuò poi, imputandosi la colpa di quanto era accaduto e vergognandosene enormemente. “No, hai fatto bene. La verità è venuta a galla, e almeno ora tu non soffri.” Le dissi, rassicurandola e stringendola in un delicato abbraccio. “Dì, Trace non ti ha scritto nient’altro?” chiesi poi,  attendendo con pazienza una sua risposta. “No, ma abbiamo parlato e ha menzionato un posto sicuro ad Ascantha, anche se non credo che sia qui.” Rispose, fissando poi lo sguardo sul terreno in segno di resa e tristezza. Soffrendo per lei, la chiamai per nome, e abbracciandola, desiderai davvero di poter fare qualcosa per lei, così da riportare un sorriso sul suo volto. Come sapevo, l’ambiente l’aveva formata, ma quest’assurda guerra la stava segnando, e sapere che il suo fidanzato fosse in qualche modo stato coinvolto e costretto a scappare per rifugiarsi altrove era stato davvero un brutto colpo per lei. Essendo innamorata di suo padre, sapevo benissimo cosa provasse, e per tale ragione, tentavo di fornirle tutto il mio sostegno, pur sapendo che la mia presenza e le mie parole non avrebbero certo fatto comparire Trace al suo fianco. Vedendola ritirarsi lontano da noi al solo scopo di stare da sola, provavo enorme pena, e con il passare del tempo, capivo quanto tutti noi eravamo fortunati, e quanto fosse difficile di questi tempi usare colori brillanti e vivaci sull’ora cupa tela del nostro vivere.




Salve a tutti! Come penso avrete capito, questo è il quarto capitolo che pubblico oggi. Quattro di fila! Ve l'aspettavate? Ad essere sincera, non credevo di riuscire a scriverli, ma invece ce l'ho fatta, e se li sto pubblicando oggi, c'è una ragione. Domani parto, e non sarò di ritorno, nè di fronte al computer per circa quattro giorni, quindi mi sono messa d'impegno per evitare di tenervi sulle spine. Un grazie a chi mi legge e segue, ma anche a chi lo fa in silenzio. Ci rivedremo nel prosieguo di questo racconto, ma intanto ancora grazie,


Emmastory :)

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Capitolo 27
*** A occhi e orecchie aperti ***


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Capitolo XXVII

A occhi e orecchie aperti

Ancora una volta, la luna restituiva il trono al sole, e un nuovo giorno iniziava. Eravamo ancora al campo di Lady Bianca, e per pura fortuna, Alisia era stabile. Ben sapendolo, ne ero felice, e lo ero ancora di più nello scoprire che anche Lienard non aveva un graffio. Un vero e proprio miracolo, in quanto ero completamente sicura che quel mostro avrebbe potuto benissimo spostare tutta la sua attenzione sul figlio che tanto odiava. Un povero bambino nato da un amore non classificabile come tale, ma che nonostante questo aveva fatto il suo ingresso in un mondo come quello odierno, dove dolore, fame, miseria, dolore e sfortuna regnavano sovrani. Il tempo scorreva, e completamente all’oscuro di tutto, il piccolo dormiva. Mantenendo il silenzio, lo guardavo, e avvicinandomi, gli sfiorai una guancia. Respirava calmo e tranquillo, e pur non potendo vederlo e averne la certezza, immaginavo che sognasse lande colorate, dove il male non esiste, e tutto è positivo. Nient’altro che il pensiero di una zia che vuole bene al nipote, e che com’è ovvio spera nel meglio per lui. Ora come ora, sono ferma in piedi in una delle tende del campo, e voltandomi ne esco, imbattendomi di nuovo in Stefan. “Vieni, devi vedere una cosa.” Mi dice, prendendomi delicatamente per mano e conducendomi nella tenda adiacente. È grande e accogliente, e lì alloggia mia sorella Alisia, che ancora riposa tentando di riprendersi dal dolore e dalle ferite che quello schifoso verme del suo fidanzato le ha inflitto. Pur non volendo, continuavo a pensarci, e le mani tornavano puntualmente a prudermi per la rabbia. Mi giungeva incredibile, eppure era così. Ashton. Un odioso doppiogiochista bugiardo, che aveva mentito a me e ad Alisia sin dall’inizio. Lo avevo capito subito dal modo di fare troppo infido e dalla sfumatura color ghiaccio che aveva negli occhi, ma inizialmente avevo taciuto, non volendo rovinare la festa alla mia tanto amata sorella, che considererò sempre tale nonostante la mancanza di sangue uguale nelle nostre vene. A quanto sembrava, il dolore le aveva di nuovo fatto perdere i sensi, e notandolo provai ad avvicinarmi, per poi scoprire che non era sola. Difatti, qualcuno era con lei, e quel qualcuno mi colpì. Moro e con gli occhi verdi. Per quanto ne sapevo, il verde era il colore della speranza, e per qualche strana ragione, qualcosa, un sesto senso o una voce nella mia testa mi parlavano, continuando a tentare di convincermi di aver già visto e conosciuto quella persona. Incalzata da Stefan con una dolce spinta, mi avvicinai, e colto alla sprovvista l’uomo si voltò. Solo allora, me ne resi conto. “Ilmion?” lo chiamai, incerta e dubbiosa, ma anche sconvolta. “Ma cosa… Come fai a…” azzardai poi, biascicando queste frasi e assistendo alla loro morte nella mia gola. “Io so tutto di lei, Rain.” Mi rispose, secco, lapidario e al contempo solenne. A quelle parole, mi bloccai. “Com’era possibile?” “Ci aveva seguiti?” “Ci spiava? Da quanto tempo?” domande che in quei momenti di silenzio mi vorticavano in mente, e che trovarono una risposta solo dopo un’affatto lunga ma paziente attesa. “È la tua sorellastra, e in qualche modo siete legate, ma ricordo il giorno in cui ti ho conosciuta, quando la menzionasti per puro caso nel sonno, e…” iniziò a raccontare, fermandosi solo per deglutire e riprendere fiato, poiché le emozioni lo stavano divorando. “Andai alla ricerca di una sua foto, ma non ne trovai, e così mi basai su una descrizione, per poi immaginarla, e pur non avendola mai vista, sapevo di aver perso la testa per lei. Io la amo, la amo davvero, ed è per questo che voglio aiutarla.” Disse poi, più serio e convinto che mai. “Ti ascolto, ma cos’hai in mente?” gli chiesi, fornendogli comunque il mio appoggio. Avevo conosciuto Ilmion anni prima, e sapevo che la sua aria da duro era soltanto una farsa messa in atto ogni volta che doveva obbedire a Lady Fatima, e che in realtà era buono, dolce e docile come un agnellino. Forse un pò guardingo e lento a imparare come fidarsi delle persone, ma pur sempre buono. “Aspetterò che si riprenda, e poi la porterò via con me.” Continuò, cogliendomi leggermente alla sprovvista ma stuzzicando il mio interesse. “Ad Aveiron?” azzardai timorosa, paventando il peggio. “No, lì no di certo.” Dichiarò, riuscendo con quelle semplici parole a risollevare il mio spirito. “Sempre qui ad Ascantha, ma poco al di là del bosco ci sono delle vecchie case. Non ci vive nessuno da anni, e sono sicuro che…” provò a continuare, non avendo comunque modo di completare quella frase. Non ci riuscì, e in un certo senso, fu colpa mia. Capendo al volo dove volesse arrivare, lo fermai con un gesto della mano, poi gliela mostrai per stringergliela. “Va bene, mi fido.” Gli dissi soltanto, rimanendo calma e sorridendo debolmente. “Perciò affare fatto?” chiese lui, andando alla ricerca di una conferma. “Affare fatto.” Ripetei, facendogli eco e terminando quel discorso con una stretta di mano. Leggera ma decisa, ci aveva appena dato modo di suggellare un patto e firmare un contratto orale. In quel momento, fui felice, e guardando per un attimo mia sorella, sorrisi. “Sei salva adesso, e lui non ti toccherà più.” Sussurrai, facendomi più vicina per accertarmi che fosse ancora fra noi. Per fortuna era viva, ed emettendo una sorta di rantolo, confermò tale tesi. Con un secondo tentativo, mi chiamò per nome, e prendendola per mano, le mostrai un secondo sorriso. Lei stava bene, e tutto pareva andare per il meglio, ma il nuovo viaggio alla volta del bosco che ormai conoscevamo implicava soltanto una cosa. In ogni momento, restare a occhi e orecchie aperti.

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Capitolo 28
*** Amare ancora ***


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Capitolo XXVIII

Amare ancora

Dopo un’ennesima e intera settimana, avevo cominciato a perdere le speranze, e così pure Ilmion, che innamorato perso, rimaneva sempre fermo in quello stesso punto, ovvero al capezzale della donna amata, e tutti, a mani giunte come anni prima con Terra, pregavamo. In silenzio, certo, ma pregavamo. Rivolgevamo al cielo muti pensieri, ed io per prima. Il sangue non ci legava, ed era vero, ma non mi importava. Come ben sapevo, io e lei saremmo rimaste sorelle per sempre, e con i tempi che correvano, il nostro legame non faceva che intensificarsi. Ci volevamo bene, e dati i nostri trascorsi, eravamo certe che nulla ci avrebbe mai divise, specialmente dopo la nascita del piccolo Lienard, per noi rispettivamente nipote e figlio. Ad ogni modo, i minuti sembravano ore, e le ore anni, ma finalmente, dopo un tempo che nessuno di noi riuscì a definire, Alisia aprì gli occhi, e mugolando qualche insensata parola, parve svegliarsi. “Buongiorno, bella addormentata.” Le disse Ilmion, non appena i loro sguardi si incatenarono. “Chi… Chi sei? Io non… non mi ricordo di te.” Gli chiese lei, da poco sveglia dal suo sonno e ancora confusa riguardo a quanto le fosse successo. “Mi chiamo Ilmion, Alisia cara.” Rispose lui, guardandola con fare amorevole e regalandole un sorriso. “Come sai il mio nome?” indagò lei, più confusa di prima. “Tutti i tuoi amici lo conoscono, non lo sai?” chiarì lui, con lo stesso e identico tono sempre addolcito dai sentimenti che provava. “Ma aspetta, tu… tu mi hai salvata!” proruppe poi la stessa Alisia, dopo alcuni secondi passati a riflettere. “Proprio così.” Questa fu l’ultima risposta di Ilmion, che sempre sorridendo a colei che amava, le sfiorò con dolcezza la mano, per poi lasciarla riposare. Di lì a poco, mia sorella finì per addormentarsi ancora, ma almeno stavolta, io ero più calma. Per pura fortuna ora era fuori pericolo, e stando a quanto avevo avuto occasione di vedere, Ilmion l’amava davvero. A quel solo pensiero, non facevo che sorridere, e guardandolo rimanere vicino alla tenda dove lei risiedeva, senza però entrare, sentivo il cuore riempirsi di gioia e speranza. Lei stava bene, lui ne era innamorato, ed ora restava una sola cosa da fare. Anche se con il tempo, Ilmion avrebbe dovuto raccogliere il coraggio necessario per dire a lei quello che aveva detto a me, e confessarle tutto prima di un passo molto importante, ovvero quello che li avrebbe portati entrambi al culmine della felicità, e che avrebbe permesso loro di amare ancora e per la prima volta. Ad essere sincera, non ero sicura di come Alisia avrebbe davvero reagito alla vista o alla corte di Ilmion non appena le medicine avrebbero smesso di confonderla e impedirle di ragionare lucidamente, ma nonostante questo, ero fiduciosa. Per quanto ne sapevo, il destino di Ascantha appariva segnato, ma lo stesso non valeva per me e per il mio gruppo. Insieme, eravamo convinti di essere una vera e grande famiglia, che si sarebbe vicendevolmente sostenuta fino alla fine del tempo. In silenzio, guardavo le stelle e pensavo, non provando che gioia per la mia amata sorella Alisia, che con l’arrivo e l’entrata in scena del caro e dolce Ilmion, era stata letteralmente benedetta, e dall’alto del cielo aveva ottenuto, pur essendone ancora all’oscuro, una nuova e dorata occasione di strappare ognuna delle oscure pagine del libro della sua vita, e una volta fatto ricominciare da una bianca e completamente nuova, così da poter vivere e amare ancora una volta.


 

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Capitolo 29
*** Non tutto è perduto ***


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Capitolo XXIX

Non tutto è perduto

La sera svaniva, e il mattino ci salutava, assolato e cordiale come sempre. La gentile aria mi lambiva appena i polmoni, e respirando, non potevo fare a meno di sorridere. Alisia stava bene, era riuscita a riprendersi, e ora aveva anche ricominciato a parlare. Al suo arrivo al campo Lady Bianca credeva che lei non avrebbe potuto farcela, poiché le sue ferite erano troppo profonde e gravi, ma lei, andando contro ogni previsione, aveva aperto gli occhi giusto in tempo, riuscendo a salvarsi nonostante tutto quello che il suo fidanzato, maestro della finzione e della menzogna, le aveva fatto. Ovvio era che non lo amasse più, e che avesse finalmente imparato a usare la sua forza per spezzare la metaforica catena che la legava a lui. Ora come ora, mia sorella è libera, e benché riesca a muoversi e camminare senza problemi, Ilmion la segue come un cucciolo o un’ombra, non volendo assolutamente perderla di vista. Anche se silenziosa e poco loquace nei suoi confronti, parla ancora con me e Stefan, e ad essere sincera, sono orgogliosa di lei. Dopo tutto il tempo passato al fianco di un individuo velenoso e tossico come Ashton, è riuscita a capire che il loro rapporto non poteva esistere né funzionare, e che tutte le promesse di quel bugiardo non erano che un fuoco di paglia. Lui l’abbracciava e baciava, le diceva spesso “Ti amo” ma nonostante questo avevo capito sin dal primo giorno che niente di tutto ciò era reale. Contrariamente a me, la diretta interessata aveva impiegato più tempo a scoprire la verità, ma alla fine c’era riuscita, e quella era l’unica cosa a contare. Ora che eravamo al campo, Alisia poteva stare lontana da lui, e stando ad una conversazione avuta con lei, avevo scoperto, inaspettatamente, che anche lei provava qualcosa per Ilmion. Per quanto ne sapevo, il vero e proprio incubo vissuto al fianco di quel mostro le aveva fatto perdere fiducia negli uomini, ma ora era diverso. Ogni volta che parlava di lui, i suoi occhi si illuminavano di gioia, e anche se solo per pochi secondi, sembrava perdere orientamento e concentrazione. Il viso poi le diventava rosso, e non riuscendo a pensare ad altro, sorrideva. In altre parole, era felice, ed io lo ero per lei. Rimanendo in disparte, la guardavo da lontano, carpendo dai suoi comportamenti segnali ben precisi. Era davvero innamorata persa, e pur avendo conosciuto Ilmion da poco, non mancava di dimostrarlo. Non avevano ancora avuto il loro primo bacio, ma la scintilla fra loro scattava sempre. Guardandola, la vedevo sorridere e arrossire finchè il viso non le andava in fiamme, e orgogliosa della forza interiore di mia sorella, reputavo Ilmion colpevole di un solo capo d’accusa, ovvero quello di far aumentare i battiti del cuore di una ragazza pura e innocente come lei, che ora era preda dei suoi stessi sentimenti. Veloce e inarrestabile, il tempo continuava a scorrere, e con l’arrivo dell’imbrunire, Ilmion mi raggiunse. “Hai visto tua sorella?” mi chiese, incerto e dubbioso. “No, perché?” risposi, confusa da una domanda del genere. “Vedi, devo... devo dirle e darle una cosa.” Rispose, esitando per un attimo ma rivelandomi comunque la verità. In quel momento, aprì la mano, mostrandomi una catenina. Semplice e sobria, ma comunque molto carina. Due singole lettere ne erano i pendenti. Una “a” e una “i”. A quella vista, sorrisi, e guardandolo quel galantuomo negli occhi, gli chiesi di seguirmi. Avevo mentito, e sapevo benissimo dove Alisia si trovasse, ma volevo in qualche modo sondare il terreno, e cercare di capire se e quando Ilmion avesse avuto il coraggio di confessarsi a colei che amava. Solo ora scoprivo che voleva provarci, così mi offrii di accompagnarlo alla sua tenda. Entrandovi, la trovammo seduta in terra con un dormiente Lienard in braccio, ancora intenta a canticchiare una dolce ninnananna. “Alisia?” la chiamò lui, incredibilmente teso e tremante come una foglia. “Sì, Ilmion?” rispose lei, chiamandolo per nome e facendo inconsapevolmente perdere un battito al suo cuore. “Puoi… puoi venire con me?” azzardò lui, sempre più timido e impacciato. “Come? Certo!” fu la sua risposta, accompagnata da una risatina che sfuggì lesta dalle sue labbra. Alzandosi in piedi, fece quanto le era stato chiesto, e allontanandomi, lasciai quei due piccioncini da soli, non prima di aver rivolto solo ad uno di loro un sorriso di incoraggiamento. “Puoi farcela.” Volli fargli capire, sperando di infondergli con quel gesto il coraggio che gli mancava. Ad ogni modo, rimasi nelle vicinanze, avendo così modo di vedere cosa accadeva. Mano nella mano, camminavano tranquilli, fino a raggiungere quello che Ilmion giudicò come punto perfetto. La cima di una dolce collinetta poco distante, da cui ammirare la bellezza della luna e del cielo stellato. Il silenzio regnava sovrano, e il freddo vento accarezzava le foglie degli alberi, spostando di tanto in tanto i capelli di Alisia. “Qui è tutto bellissimo, non trovi?” disse lei, guardando Ilmion negli occhi e ponendogli poi quella semplice domanda. “Non quanto te.” Rispose lui, ben sapendo di essere completamente sincero sia con lei che con sé stesso. “ Che cosa? Dici sul serio?” non potè fare a meno di chiedere lei, colta alla sprovvista da quel complimento tanto romantico e genuino. “Certamente, ma la realtà è un’altra.” fu la sua risposta, capace anche in questo caso di farla sciogliere come candida neve al sole. “Ovvero?” azzardò ancora mia sorella, con la voce che le tremava per l’emozione ed il freddo messi insieme. “Vedi, Alisia, io… io ti ho portata qui per dirti una cosa.” Esordì, scivolando poi nel silenzio al solo scopo di respirare e ritrovare la calma persa e sostituita con ansia e agitazione. Nervoso come mai prima, il povero Ilmion sudava freddo, ma lei era curiosa e piena di aspettative, e con il cuore che batteva veloce e forte quanto il suo, aspettava. Ormai pronto a confessare tutto, deglutì sonoramente, e prendendole le mani, pronunciò una frase che colpì nel segno, e che la sua amata non avrebbe mai dimenticato. “Alisia, io so bene quello che hai passato, e sento di sapere tutto di te. Il dolore è alle tue spalle, stanne certa. Io non ti farei mai soffrire, sai perché? Perché io ti amo, amore mio.” Queste le parole che pronunciò, e alle quali Alisia stessa non seppe resistere. Travolta infatti da un fiume di emozioni, iniziò a piangere di gioia, e appena un attimo dopo, le loro labbra si unirono. Quando si staccarono, lui le mostrò la sorpresa che aveva preparato, e per tutta risposta, lei mostrò di aver già un altro gioiello al collo. Basito, Ilmion non fece che guardarla, ma la sua prossima mossa lo stupì. Ormai certa di essere libera dalle grinfie di quel mostro, Alisia prese in mano quel ninnolo, sfilandosi la catenina per poi gettarla via e lasciare che quella nuova e più gradita prendesse il suo posto. Un secondo bacio li avvicinò, e sotto la luce della luna, entrambi sorrisero con la bocca e con il cuore. Fu così, che in quella notte stellata, lei ed Ilmion si professarono eterno amore, dando prova che anche nel peggiore degli scenari, rappresentato dalla minaccia dei Ladri e da tutto ciò che stava accadendo ad Aveiron e dintorni, non tutto era perduto.

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Capitolo 30
*** Al di là della selva ***


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Capitolo XXX

Al di là della selva

La pallida luna era ferma e immobile nel cielo. Dormivo, ma di tanto in tanto mi svegliavo, com’ero ormai abituata a fare a causa delle mie ansie, che seppur in gran parte sedate, prima o poi tornavano sempre. Per pura fortuna, stanotte era diverso. Avevo sentito un rumore, e guardandomi intorno, avevo scoperto che era stato Chance a produrlo, sbattendo ritmicamente la coda contro il freddo terreno. Chiudendo di nuovo gli occhi, tentai di tornare a dormire, ma senza successo. Seppur a malincuore, svegliai Stefan chiamandolo per nome, e ridestandosi dal torpore in cui era caduto, mi posò una mano sulla schiena. Mantenendo il silenzio, non disse una parola, ma prese comunque ad accarezzarmi i capelli. Un modo come un altro per lasciarmi capire che mi amava e che mi avrebbe protetta, e una manifestazione d’amore alla quale non mi sottrassi. Nascondendo un sorriso nel sacco a pelo in cui riposavo, mi voltai a guardarlo, e solo allora i nostri occhi si incontrarono. Felice di vedermi, sorrise a sua volta, e le nostre labbra si unirono. Il silenzio cadde su di noi come un velo di umida nebbia, e nella quiete notturna, udii un suono. Per qualche strana ragione, una risata conosciuta, che anche Chance parve avvertire. Scattando in piedi come una molla, mi si avvicinò per invitarmi a controllare, e pur non alzandomi, realizzai il suo desiderio. Guardando per un attimo fuori, riconobbi l’ombra e la figura di Alisia, così come quella di Ilmion, che la guardava e sorrideva, per poi scegliere di stringerla a sé e baciarla infinite volte. Il loro rapporto era cominciato da poco, ragion per cui si fermarono a quello, ma sentendomi felice per loro, sorrisi in silenzio. “Sei libera adesso, sorellina mia.” Sussurrai, parlando con me stessa e provando smisurato orgoglio per lei. Intanto, i battiti del suo cuore aumentavano sempre di più, ma lo stesso non accadeva al volume della sua voce, tenuto basso per evitare di svegliare qualcuno. Ad ogni modo, Ilmion era deciso. Amava Alisia con tutto sé stesso, e desiderava davvero averla accanto per sempre. Averle regalato quella deliziosa catenina era solo il primo passo, e pur non volendo intromettermi troppo nella sua relazione con mia sorella, ero certa che le avrebbe dato tutto l’amore che si meritava, e che come ben sapevo, quel mostro di Ashton aveva solo finto di donarle. Per pura fortuna, non stavano più insieme, e lui pareva essersi volatilizzato con nostra grande sorpresa, ma ora che aveva Ilmion al suo fianco, era profondamente cambiata. Osservandola, la vedevo più calma e rilassata, e soprattutto felice di poter esprimere i suoi sentimenti. Concentrando ogni mia energia su tale consapevolezza, mi addormentai scivolando di nuovo nella profonda incoscienza, e sapendo che un giorno, in un futuro non troppo lontano, Ilmion avrebbe mantenuto la sua promessa, e portato Alisia lontano da ogni pericolo. Sempre nei limiti di Ascantha, ma al di là della selva.

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Capitolo 31
*** Partire e tornare ***


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Capitolo XXXI

Partire e tornare

Mattina. Il risultato del sole che usciva dal suo nascondiglio dietro i monti visibili come in foto dalla finestra della mia casa, che non visitavo e dove non mettevo piede da circa un mese. Ben trenta giorni passati nell’accogliente campo di recupero, ma di cui cominciavo ad avere abbastanza. Lady Bianca aveva soltanto cercato di aiutarci, certo, e aveva anche fatto un ottimo lavoro, ma ad essere sincera, cominciavo a stancarmi di essere fissata da tutte le altre genti presenti come se fossi una sorta di abominio. In fin dei conti, quella gente mi conosceva per il mio passato, ed era a conoscenza del mio nome, ma non della mia storia. Quei poveri disgraziati sapevano che ero nata dall’amore di mia madre e mio padre, re e regina di Aveiron, ma giudicavano quel così puro e vero amore come il peggiore dei peccati, in quanto la vera e legittima erede al trono non era che la madre di mia sorella Alisia, venuta a mancare poco dopo la sua nascita. Non tentavo di negarlo, e le cose stavano davvero così, ma essere costantemente giudicata iniziava davvero a darmi sui nervi. “Noi ce ne andiamo.” Disse Terra, dopo aver chiesto con gentilezza e rispetto udienza a Lady Bianca, che era per così dire la direttrice del campo stesso. “Perché? Non state bene qui? C’è qualcosa che posso fare per voi? Basta dirlo, mi metterò al lavoro.” Rispose lei, confusa e stranita dalle parole di mia figlia, che dopo aver parlato, restava in silenzio. “Non fraintendeteci, qui è tutto perfetto, abbiamo solo nostalgia di casa.” Chiarii io, sempre con fare rispettoso e gentile. “Capisco.” Disse poi Lady Bianca, abbassando per un attimo lo sguardo prima di tornare a guardarci tutti negli occhi. “Potrete andarvene quando vorrete.” Aggiunse poi, in tono solenne, sicura di averci offerto tutto l’aiuto possibile. “Grazie, e a presto, Lady Bianca.” Questo il cortese saluto che a turno le rivolgemmo tutti, e che funse da formula di commiato fino a quando non sparimmo, assieme a Rachel e Lady Fatima dalla sua vista. Poco prima di andare, salutai anche Drake e Tanya, che contrariamente a noi, avevano deciso di restare ancora per un pò. Anche se con un velo di tristezza nel cuore, salutammo anche loro, e di lì a poco, il nostro viaggio di ritorno a casa ebbe inizio. Come di consueto, nella carrozza di Lady Fatima, trainata dal suo fedele e bianco cavallo, sempre pronto a galoppare spedito fino alla meta. Questa volta, però, ci fu qualcosa di diverso. Rispettando l’ordine della padrona e di Ilmion, che sostituiva Drake nel ruolo di cocchiere, il cavallo si lasciò andare ad un trotto sciolto e privo di esitazioni, andatura che ci riportò indietro nel giro di qualche ora. Mentre il selciato scivolava via, guardavo alternativamente il cielo e ciò che stava dritto di fronte a me, ovvero Rachel. Teneva saldamente la mano di Lady Fatima, e questa gliel’accarezzava. Non le rivolgeva la parola, ma stando a quanto avevo avuto modo di capire dal dottor Patrick, quel gesto poteva avere molti significati, e uno di questi poteva essere riassunto da una frase. “Ho bisogno di te.” Proprio queste le parole che in una sera d’inverno Rachel aveva rivolto alla sua amata, e che questa le aveva rigirato. “No, sono io ad aver bisogno di te.” Le aveva risposto, mentre insieme guardavano le stelle e lottavano contro sé stesse per non cedere alla tentazione di baciarsi. Tentazione alla quale la Leader non seppe resistere, e dalla quale si lasciò vincere stringendo a sé Rachel prima di prendere possesso delle sue labbra, calde e morbide proprio come le ricordava. Ad ogni modo, arrivammo a casa, e poco prima di mettere di nuovo piede in quella che era la mia umile dimora, mi resi conto che ad Alisia non era permesso di scendere, poiché Ilmion pareva aver deciso di onorare la promessa fattale con un semplice contratto orale. Sarebbero finalmente andati a vivere insieme in una casa rispettabile, lontani almeno per ora dal pericolo e dagli infausti ricordi impressi dal tempo nelle loro menti. Nel salutarla soffocai un pianto e asciugai una lacrima, e aggiornando il mio diario, vi scrissi anche di come, soltanto grazie alla bontà e all’amore di un uomo del calibro di Ilmion, fosse riuscita a riconquistare la sua personale libertà di essere. Eravamo tutti felici per lei, e le nostre realtà erano due. Per lei questa consisteva nell’allontanarsi e partire, mentre per noi si concretizzava nel tornare.

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Capitolo 32
*** Sforzi ripagati ***


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Capitolo XXXII

Sforzi ripagati

Alla fine era successo. Ce l’avevano fatta. Ilmion e Alisia erano saliti sulla carrozza di Lady Fatima, e si erano lasciati accompagnare al di là del bosco di Ascantha, dove lui era certo che sarebbero riusciti a trovare una casa immersa nella pace e nella tranquillità. Per pura fortuna fu proprio così, e la casa che trovarono fu più che abbastanza per un coppia come la loro. Piccola ma accogliente, e tutta costruita in legno, per questo somigliante ad un cottage di campagna. Forse un pò rustica, ma pur sempre accogliente. Il bosco si apriva a pochi passi dalla porta di casa, tanto che uscendone, avrebbero potuto benissimo prendersi per mano e scegliere di fare un giro nell’incontaminata natura, che da tempo ormai immemore, era una delle passioni di mia sorella. Lo aveva già detto ad Ilmion, ma amava camminare fra alberi e sentieri tanto quanto amasse lui, non desiderando a volte nulla di diverso. Non era mai riuscita davvero a spiegarlo, ma era proprio così. Ogni cosa, dal suono dei suoi passi sul selciato a quello dell’acqua che scorreva lenta nel laghetto poco distante, le infondeva una quasi istantanea e duratura sensazione di calma, e dati i suoi trascorsi, non poteva davvero chiedere di meglio. Ovvio era che la compagnia di Ilmion fosse positiva, e il fatto che si amassero giocava davvero a loro favore, e anche con i tempi che correvano, loro avevano fiducia. Era passata una sola settimana, e si erano trasferiti nella loro casa da poco, ma prima che se ne andasse tenendogli stretta la mano, vidi una luce nei suoi occhi. Una luce conosciuta poiché già vista, e che poteva avere soltanto un significato. Felicità. Un sentimento che a lungo aveva cercato, e che pareva aver trovato solo dopo l’ingresso di Ilmion nella sua vita. Il suo piccolo Lienard era sicura fonte di gioia, e lei lo sapeva bene, ma era anche certa di quanto questa fosse veloce a sfuggire dalle mani di chiunque, ragion per cui si sforzava di essere felice e ottimista almeno tanto quanto me, godendosi ogni attimo che aveva con quelle che per lei erano le persone più importanti. Così, i giorni fuggivano, e Lienard cresceva. Ormai aveva quasi un anno, e benché ancora non parlasse, e non potesse dirmelo chiaramente, io gli ripetevo sempre che gli volevo bene. Quando era nato e aveva fatto il suo ingresso nel mondo, Rose e Terra gli avevano passato Ned e Bunny, i loro rispettivi pupazzi, anche se lui sembrava preferire ancora il suo sonaglio. Per come la pensavo, l’attuale stato di Aveiron ed Ascantha sembrava sempre mostrare il lato peggiore delle persone, ma ad essere sincera, ero felice di non essermi lasciata trascinare dalla sete di potere e di ricchezza come i Ladri e alcuni dei pochi sopravvissuti. Stando alle parole di Lady Fatima, io e i componenti del mio gruppo eravamo speciali, mentre Rachel ci giudicava resilienti. Lusingata da commenti del genere, non facevo che ringraziare e arrossire, e ogni sera, come ero ormai abituata a fare, riempivo pagine e pagine del mio diario. Secondo alcuni, tenere un diario di questi tempi non ha alcun senso, poiché ruba tempo prezioso all’elaborazione di strategie per continuare a vivere e sopravvivere, ma non sono d’accordo. Non desiderando a volte che la solitudine, credo che scrivere e pesare le parole al solo fine di ritrovare la calma e la fiducia in me stessa che perdo costantemente mi sia di gran conforto. Nessuno oltre a me hai mai letto il mio diario, eccezione fatta per Terra quando era solo una bambina, e aveva avuto modo di capire, pur posando gli occhi su una solo frase impressa in una pagina, che io e Stefan eravamo una cosa sola. “Significa che ami papà?” mi aveva chiesto, poco prima di sollevare le rosee manine e chiedere un secondo abbraccio. “Più di quanto tu creda, bimba mia.” Le avevo risposto, poco prima di realizzare il suo desiderio e metterla al letto. Soltanto a causa di questo ricordo, mi venne da piangere, e non trattenni le lacrime, ben sapendo che in quest’orribile situazione, dove il caos dominava indisturbato e senza che nessuno oltre a noi facesse nulla per fermare una tale pazzia, gli sforzi nostri e di chi si impegnava erano sempre ripagati.

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Capitolo 33
*** Giovani e forti ***


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Capitolo XXXIII

Giovani e forti

Anche se da poco, eravamo finalmente tornati a casa, un luogo per noi paragonabile a un nido, in quanto ci forniva calore e protezione. Ora come ora, sto rileggendo il mio diario, e fra una riga e l’altra, smisi di farlo, poiché distratta da un suono appena fuori dalla mia finestra. Proprio nel giardino di casa, Rose e Isaac si stavano di nuovo allenando in vista della prossima battaglia, e con loro c’era anche Chance, intento a scagliarsi contro alcuni manichini realizzati per lui proprio dai ragazzi. Dieci anni di vita canina equivalgono a settanta di quella umana, ma nonostante questo, nulla sembra fermarlo. Ricordo ancora quanto Terra insistette perché Stefan ed io lo salvassimo dalla strada quando era soltanto un cucciolo emaciato e prossimo alla morte, e guardandolo, non faccio che sorridere. In fin dei conti, è molto legato ai miei figli, e ne sono davvero felice. In qualità di madre, quella vista è per me motivo di orgoglio, e mettendo via la mia passione per la scrittura, scendo a far compagnia ai ragazzi. Una volta raggiunto il giardino, trovai Rose e Isaac intenti a centrare diversi bersagli costruiti da lei, scambiandosi complimenti, pacche sulle spalle e consigli. Rimanendo ferma a guardarli, non mi avvicinavo, salvo poi scegliere di andar a far compagnia a Samira, madre orgogliosa almeno tanto quanto me, che teneva lo sguardo fisso sul figlio. “Pensi che ce la faranno?” mi chiese, apparendo immensamente preoccupata. “Samira, sta tranquilla, sono ragazzi, ma sanno ciò che fanno.” La rassicurai, regalandole poi un debole sorriso. “Mi fido di te, sai?” rispose, sorridendo a sua volta e riuscendo solo allora a calmarsi. Di lì a poco, accadde qualcosa. Subito dopo aver scoccato la sua ultima freccia, Isaac si avvicinò a Rose, e guardandola intensamente negli occhi, scelse di baciarla su una guancia. “Se sto imparando è solo merito tuo. Grazie davvero, Rose.” Le disse, allontanandosi subito dopo e notando con la coda dell’occhio la reazione della sua amica. Come sapevo, erano entrambi poco più che bambini, ma lei aveva finito per arrossire, e questo poteva significare due cose. Era imbarazzata, o semplicemente innamorata. Personalmente, propendevo per la seconda opzione, e soltanto incrociando lo sguardo di Samira, potevo capire che era del mio stesso parere. Ancora piccoli, certo, ma sicuri di poter contare l’uno sull’altra. Intanto, silenzioso come i topi a cui a volte dava la caccia per gioco, Chance assisteva alla scena, e avvicinandosi, parve voler incitare Rose a fare la sua mossa. “Dai, diglielo.” Sembrava dire, guardandola e colpendole un fianco con il muso. “Cosa? Sai che non posso!” gli rispose lei, sussurrando e comprendendo alla perfezione quel muto linguaggio e divenendo ancora una volta rossa in viso. Poteva apparire strano, ma in questo frangente, mia figlia Rose mi ricordava i tempi ormai andati, in cui avevo conosciuto Stefan e avevo finito per innamorarmi di lui, ma esitavo nel dirgli la verità. Pensandoci, compresi che a lei stava accadendo la stessa cosa, e pur non intervenendo, diedi un buffetto a Chance. “Non ti sfugge proprio nulla, vero?” gli dissi, non appena tornammo entrambi in casa con il calare della sera. Per tutta risposta, lui mugolò leggermente, e di lì a poco, spostai lo sguardo. Stanca a causa degli sforzi derivanti dall’allenamento, Rose mi seguì senza parlare, e dopo la cena, andò subito a letto. Così, rimasi da sola con il cane, seduta sul divano di casa a leggere mentre lui muoveva un pò l’aria sbattendo la coda. Dopo circa una decina di minuti, decisi di andare a dormire, e quasi leggendomi nel pensiero, Chance mi seguì fino alla camera da letto. Vi entrai lentamente, e notando che Stefan era ancora sveglio, mi avvicinai per baciarlo. Paziente come sempre, mi lasciò fare, e poco dopo, ruppe il silenzio. “Sei felice, come mai?” curioso riguardo alla mia forse eccessiva ed evidente letizia. Decisamente troppo presa da lui, non risposi, e riprendendo a baciarlo, gli diedi modo di capire che le parole non sarebbero servite a nulla. In una vita come la nostra, le azioni contavano molto di più, e ad essere sincera, mi era mancato. In quel momento, lo desideravo ardentemente, e non volevo che farmi stringere e abbracciare come ogni volta. intuendolo, Stefan esaudì il mio desiderio, e non appena fui calma e soddisfatta, decisi di essere onesta. “I ragazzi stanno crescendo.” Dissi, guardandolo con gli occhi di chi ama. “Domani sarà un giorno speciale, ricordi?” risposi, terminando quel discorso con una domanda. Mantenendo il silenzio, non feci che annuire, e un ennesimo bacio unì le nostre labbra. Di lì a poco, ci addormentammo l’uno fra le braccia dell’altra, con Chance accucciato placidamente sul tappeto ai nostri piedi. Nel mio sonno, ripensai a quanto era accaduto fra Rose e Isaac, lasciando alla mia mente la libertà di replicarla infinite volte. Come sempre, ero orgogliosa. Entrambi raggiungevano traguardi sempre nuovi, e sapendolo, sentivo il mio animo riempirsi di gioia. Chi li conosceva sapeva che erano ancora poco più che adolescenti, e per certi versi ero d’accordo. Come ripetevo ai miei amici e a me stessa, ero orgogliosa dei loro gesti e della loro seppur lenta crescita morale, che li rendeva di giorno in giorno più umani, giovani e forti.

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Capitolo 34
*** Colpire nel segno ***


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Capitolo XXXIV

Colpire nel segno

“Domani sarà un giorno speciale.” Mi ha detto proprio ieri Stefan, alludendo alla giornata di oggi e al suo significato. Per chi non ci conosce completamente ordinaria, ma non per noi. Come sappiamo, oggi è il compleanno di Rose. La nostra tanto amata secondogenita, che oggi compie tredici anni. Un anno di vita in più a questo mondo, e un nuovo tassello da aggiungere al puzzle della sua crescita. Sta lentamente diventando una donna, e oggi è felice. Difatti, oggi non è solo il suo compleanno, ma anche quello di Isaac. Suo grande e forse migliore amico, a cui lei è fortemente legata. Per quanto ne so si vogliono davvero bene, ma stando a quanto è successo ieri, continuo a pensare che la loro non sia soltanto semplice amicizia. Forse è presto per dirlo, ma i segnali ci sono tutti, e ogni più piccolo indizio corrisponde. Il loro pare essere amore vero e proprio, e mentre l’orgoglio mi riempie il cuore e l’anima, sono ferma e in piedi nel salotto di casa, a guardare mia figlia che scarta i suoi regali. Sono da parte di ognuno di noi, e in tutto sono quattro. Un libro, un bracciale e una collana splendidamente coordinati, e in ultimo, uno che lei stessa aveva trovato proprio sotto il suo letto questa mattina. A differenza degli altri, non è accompagnato da un biglietto, e lei esita ad aprirlo, finchè qualcuno non apre bocca e le da una mano. “Aprilo, è da parte mia.” Con sua grande sorpresa, è proprio Isaac a parlare, e prendendole la mano, l’aiuta a sciogliere il fiocco. Divorata dalle sue stesse emozioni, Rose trema e non sa cosa dire né fare, ma tenta comunque di mostrarsi calma, fino a coprirsi la bocca con una mano in modo da nascondere lo stupore. È un semplice disegno in un piccolo portafoto, ma nonostante tutto di fine e rara bellezza. Avendolo letteralmente visto nascere, conosco Isaac da molto più tempo di lei, ma ad essere sincera, non avrei mai detto che fosse stato così bravo a disegnare e trasformare ciò che toccava in vera arte. “Isaac, è…” la voce le tremava ancora, così come il resto del suo corpo. Rimanevo in silenzio, ma non la biasimavo. Quel disegno era un vero capolavoro, e raffigurava Rose con la sua faretra in spalla, e alcune frecce che spuntavano. Ogni particolare era al suo posto, inclusi i finissimi dettagli del viso, come alcune piccole lentiggini e la sfumatura d’ambra che aveva negli occhi, ereditata da me che ero sua madre. Ad ogni modo, non era finita. Proprio nell’angolo del foglio, infatti, c’era una sorta di piccola dedica, che lei lesse mentalmente, ma con le lacrime agli occhi. “A Rose, colei che con le sue frecce ha centrato un bersaglio davvero importante, ovvero il mio cuore.” Questo quel così toccante messaggio, che testimoniava la realtà dei sentimenti di Isaac per lei. “Dici… Dici sul serio?” balbettò lei, emozionata e incredula. “Sì, Rose, sul serio. Vuoi essere la mia fidanzata?” rispose lui, ponendole poi quella domanda tanto semplice quanto seria. “S-Sì.” ammise lei, con alcune lacrime che le scivolavano sul viso. Solo allora, Isaac le si fece più vicino, e asciugandole gli occhi con il pollice, le afferrò il mento con due dita, per poi dare inizio ad un evento eccezionale. Un bacio. Il loro primo vero bacio, che aveva unito le loro labbra e i loro cuori. Erano giovani, e avevano all’incirca la stessa età, ma poco importava. Si amavano, e questa era la realtà. Felici, rimasero vicini e stretti in un fortissimo abbraccio, che data la sua forza, unita alla sua purezza e alla gioia dei due nuovi innamorati, portò sia me che Samira alle lacrime. In fin dei conti, eravamo le loro rispettive madri, e non riuscivamo a credere ai nostri occhi. Dopo un indefinibile lasso di tempo trascorso a fingere e ignorare i propri e reciproci sentimenti, Rose e Isaac si erano finalmente detti la verità, riuscendo di fatto a colpire nel segno.
 

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Capitolo 35
*** Navigare in acque mosse ***


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Capitolo XXXV

Navigare in acque mosse

La fortuna sembrava essere tornata ad assisterci, e da circa una settimana, tutto pareva andar bene. Rose e Isaac avevano da poco festeggiato i loro rispettivi compleanni, e cosa ancor migliore, avevano dichiarato il loro amore l’uno all’altra, formando una coppia che definirei di rigido ma scintillante acciaio. Inutile è dire che sia felice per entrambi, ma nonostante questo, c’è ancora qualcosa, o meglio, qualcuno che mi preoccupa. Siamo tornati a casa dal campo di Lady Bianca ormai da tempo, e sin da allora, Terra mi appare sempre stanca e giù di tono. Ho provato a parlarci, e lei mi ha dato più volte la stessa e identica risposta. “Trace.” Il nome del suo fidanzato, che non vede dal giorno in cui ha ricevuto quella sua toccante lettera, dove diceva che lui e la madre si stavano nascondendo da qualche parte qui ad Ascantha, unicamente per sfuggire alla violenza dei Ladri. Ricordo che quando arrivammo al campo, lei ne era ben felice, poiché convinta di poter ritrovare il suo ragazzo, ma purtroppo così non è stato, e ancora una volta, mia figlia è piombata in un vortice di tristezza. Provando pena per lei, soffro in silenzio, e in qualità di madre prima e moglie poi, so benissimo cosa sta provando. Non controllo la sua vita né le sue emozioni, chiaro, ma la capisco, e vorrei davvero fare qualcosa per lei. Ora come ora, non ho idea di come agire, ed è leggendo il mio diario che tento di riordinare il caos che ho in testa. Pagine su pagine piene di neri caratteri, che formano parole, frasi e pensieri, e che una volta rilette, riportano alla mia mente migliaia di ricordi, fra cui ne spicca uno, ora più che mai importante. L’avevo quasi dimenticato, eppure avevo dedicato alcune pagine all’amore che Drake era riuscito ad accogliere nel suo cuore, trovandolo in Tanya, la madre di Trace. In quel momento, ebbi un vero e proprio lampo di genio. L’alone di mistero che li avvolgeva era fitto, ma la risposta stava proprio nel diario da cui non mi separavo mai. In fondo, era semplice. Non avrei dovuto far altro che trovare Drake e chiedergli della sua amata, così che forse sarei riuscita a trovarla. Detto fatto. Uscendo subito dalla mia stanza, non dissi nulla a Terra, ma andai comunque in cerca di Stefan. “Sai dov’è Drake? Devo parlargli.” Dissi soltanto, sperando ardentemente che potesse aiutarmi. “Certo, andiamo.” Mi rispose, facendosi più vicino e affiancandomi nel violare l’uscio di casa. Di lì a poco, il nostro viaggio ebbe inizio, e poco dopo, eccola. La casa dei suoi genitori, dove lui aveva scelto di vivere. Una volta arrivati, ci fermammo entrambi, ma mentre io decisi di fare un passo indietro, Stefan bussò educatamente, aspettando che la porta venisse aperta. Ad accoglierci fu sua madre Janet, che pur salutandoci, chiese subito il perché della nostra visita. “Siamo venuti per Drake.” Spiegai, in tono calmo ma serio al tempo stesso. “Sono qui.” Rispose lui, muovendo alcuni passi in avanti e guardandoci entrambi negli occhi. “Dobbiamo parlare.” Continuò Stefan, sempre calmo e tranquillo ma serio almeno tanto quanto me. “D’accordo.” Fu invece la risposta di Drake, che incredibilmente, non percepì il nostro volere come un attacco alla sua persona, dimostrando di voler cooperare. “Vogliamo solo sapere di Tanya. Dove si trova?” chiesi, scivolando poi nel silenzio in attesa di una sua risposta. “Ve lo direi, ma ho promesso il contrario, e non posso farlo.” Ci disse, cogliendoci entrambi alla sprovvista. “Cosa? Ma perché?” non potei evitare di chiedere, incredula. “La Leader dice che Loro attaccheranno, e Tanya ha preferito nascondersi per evitare il peggio. Suo figlio è con lei, ma non posso dirvi dove. Se lo facessi li scoprirebbero, e per entrambi sarebbe la fine!” replicò Drake, ora sinceramente preoccupato per il figliastro e colei che amava. A quelle parole, rimasi di stucco. Sembrava incredibile, eppure li amava davvero, tanto da non rivelare a nessuno dove si erano nascosti, e tutto questo solo per evitar loro la morte certa. “Diccelo, di noi puoi fidarti.” Lo rassicurò Stefan, che in qualità di fratello maggiore, sapeva bene come prenderlo e convincerlo a parlare. In quel momento, Drake ammutolì, e abbassando il capo in segno di vergogna, si decise a parlare, facendolo tuttavia in tono decisamente mesto. “Sono andati oltre il bosco. Ora quello è l’unico luogo sicuro di Ascantha.” Ammise, conscio di aver rotto la promessa fatta alla donna che amava e sapeva di amare. “Credi di poterci portare da loro?” gli chiese Stefan, sempre facendo uso di quel tono inequivocabilmente serio. “Sì, ma prima che cali la notte. Attaccano sempre con il favore del buio.” Questa la frase che pronunciò, e che fece suonare come una sorta di avvertimento. Limitandoci ad annuire, Stefan ed io restammo in silenzio, e una volta fuori di casa, eccoci pronti ad un secondo viaggio, stavolta oltre la verde e rigogliosa selva. Camminavamo vicini, e i nostri passi erano lenti ma decisi. L’imbrunire ci appariva tetro, e ad essere sincera, avevo davvero paura. In fin dei conti, Drake aveva ragione sui Ladri, e temevo per la nostra incolumità. Intorno a noi non c’era che il silenzio, disturbato e rotto solo dal suono del vento che intanto aveva preso a fischiare. Poi, qualcosa parve muoversi proprio dietro di me, e voltandomi, scoprii che era un semplice sasso spostato proprio dal vento. Rinfrancata dalla totale assenza di pericoli, continuai a camminare, e poco dopo, sentii un latrato fin troppo conosciuto. Incuriosito, Drake si fermò per indagare, e fu allora che anch’io lo vidi. Chance. Il nostro tanto amato cane, che sembrava non essere affatto solo. Terra era con lui, e aveva il fiato corto per lo sforzo unito alla corsa che l’aveva portata fino a noi. “Mamma! Papà!” ci chiamò, attirando conseguentemente la nostra attenzione. “Terra! Che ci fai qui? Sai che può essere pericoloso!” la sgridò lo zio, notandola a sua volta, e scorgendo in quei suoi verdi occhi la stanchezza ormai palese. “Non m’importa. Perfino Chance ha capito tutto, ed io non abbandonerò il mio ragazzo in questa situazione. Rispose lei a muso duro, non curandosi dei pericoli a cui avrebbe potuto andare incontro. “Terra, ascolta, noi ti capiamo, ma…” biascicò il padre al suo indirizzo, non riuscendo però a terminare quella frase. “Niente ma. Sappiamo entrambi che faresti lo stesso per la mamma.” Un’altra risposta netta e concisa, contenente una verità ormai conosciuta da tutti. Alle sue parole, Stefan mi guardò con aria sconfitta, e muovendo un singolo passo in avanti, mi arresi alla sua innata testardaggine. “Va bene, ci hai convinti.” Dissi soltanto, facendole poi cenno di seguirci. Non facendoselo ripetere due volte, Terra iniziò a camminare al nostro fianco, e così anche Chance, che neppure morto avrebbe osato lasciare il fianco della padrona. Così, il nostro cammino riprese, e con l’ingresso in scena della luna, arrivammo a destinazione. Quel che restava da fare ora era trovare il loro orma   i famoso nascondiglio, ma per Drake fu estremamente facile. Ricordava benissimo dove il figliastro e l’amata si erano nascosti, e bussando alla porta di una casa apparentemente disabitata, fu felice di vederli ancora sani e salvi. Alla nostra vista, Tanya ci strinse tutti a sé indistintamente, non riuscendo però a credere ai propri occhi. Difatti, era così contenta da piangere, e la stessa cosa accade non appena Terra incrociò lo sguardo del suo Trace. L’abbraccio che seguì quell’istante fu fortissimo, e il bacio che unì le loro labbra casto e dolce allo stesso tempo. “Grazie al cielo sei qui.” Gli disse lei, continuando a baciarlo e non volendo assolutamente lasciarlo andare. “Credevo di averti persa.” Le rispose lui, mostrandosi del suo stesso avviso. “Non mi perderai mai.” Fu l’ultima risposta di mia figlia, indice di tutto l’amore che provava per lui. Senza neanche darle il tempo di respirare, Trace la baciò ancora, e quella sera, fummo tutti invitati a restare. Dopo una veloce cena, mi addormentai spossata e piena di paura, poiché come Drake ci aveva dato modo di capire, non facevamo che navigare in acque mosse.

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Capitolo 36
*** Alla luce del sole ***


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Capitolo XXXVI
 

 
Alla luce del sole
 

 
Stavo tranquillamente dormendo, ma colta da un’improvvisa sensazione di freddo, mi svegliai. Silenziosa, mi guardai intorno facendo saettare lo sguardo in ogni direzione, ma non vidi niente. Il nulla più totale. Soltanto il buio mi faceva compagnia, assieme alla luce di una piccola lampada sullo scrittoio, dove trovavano il loro posto il mio diario e alcuni fogli. Tutto nella norma, a quanto vedevo. Tirando un sospiro di sollievo, mi sporsi leggermente, e pur non scendendo dal letto, scorsi la figura di Chance. Seduto tranquillo come ogni notte, si stava grattando, o nel silenzio, non sentii altro che il metallico suono della sua medaglietta. Penzolava dal suo collare, e stando a quando ricordavo, recava inciso il suo nome. Come sapevamo, significava occasione, e più il tempo passava, più mi rendevo conto che quello era il nome perfetto per lui. Quando lo trovammo non era che un cucciolo spaventato, e aveva solo bisogno di una seconda occasione per vivere. Data l’insistenza di Terra, gliel’avevamo concessa, e da circa dieci anni viveva con noi. Essendo molto legato ad ogni membro della famiglia, ma specialmente ai ragazzi, faceva sempre del suo meglio per aiutarli e proteggerli, fornendo in alcuni casi anche muti ma preziosi consigli. Drizzandomi a sedere, sussurrai il suo nome, e obbedendo a quella sorta di richiamo, mi si fece vicino. Non appena lo fu abbastanza da essere toccato, lasciai affondare le mie dita nel suo biondo pelo, notando solo un attimo più tardi la sua reazione. A occhi chiusi, agitava la coda, e sembrava aver letteralmente perso il controllo di una zampa. Lo faceva sempre quando qualcuno lo coccolava, e sorridendo a quella scena, gli sussurrai qualcosa. “Ti voglio bene, bello.” Dissi soltanto, facendolo a bassa voce così da non essere sentita. Per tutta risposta, Chance mi piantò le zampe addosso, e leccandomi il viso e le mani, rischiò di farmi perdere l’equilibrio. Colta alla sprovvista, risi, ma riuscendo velocemente a ricompormi, gli indicai il suo giaciglio. “Va a dormire, ci vediamo domani.” Gli consigliai,  facendo un gesto con la mano e tornando a rintanarmi sotto le coperte. Di lì a poco, mi addormentai di nuovo, ma prima di scivolare definitivamente fra le braccia di Morfeo, avvertii una sensazione contraria a quella provata in precedenza. Difatti, stavolta non sentii che calore contro la mia pelle, e soltanto abbassando lo sguardo, notai la mano del mio Stefan vicina alla mia. Evidentemente doveva avermi sentito ed essersi svegliato, per poi provare ad infondermi il coraggio che mi mancava. Non lo ammettevo, ma avevo paura, e come ogni volta, lui dimostrava di essere la mia roccia, l’appiglio al quale potevo aggrapparmi nei momenti di difficoltà. Felice, nascosi un sorriso sotto alla coperta, e voltandomi, tornai a dormire. Mi svegliai solo poche ore dopo, con il sole in cielo e un leggerissimo alito di vento appena fuori dalla finestra socchiusa. Alzandomi dal letto, mi avvicinai, e aprendola, lasciai che la luce inondasse la stanza. Notandomi, Stefan si strofinò gli occhi e augurò il buongiorno, e quasi volendo imitarlo, Chance fece lo stesso, lasciando la sua cuccia e stiracchiandosi lentamente. A quella scena, sorrisi,e non appena Stefan fu in piedi, gli feci segno di avvicinarsi. Non proferendo parola, esaudì il mio desiderio, e stringendomi in un delicato abbraccio, ruppe il silenzio creatosi fra di noi. “Il mattino ha l’oro in bocca, Rain.” Mi disse, stringendomi a sé con forza ancora maggiore e ammirando il paesaggio visibile dalla nostra finestra. “Vorrei che avessi ragione.”  Risposi in tono mesto, abbassando poi lo sguardo in segno di tristezza. Notando lo stato in cui versavo, Stefan tentò di confortarmi, ma io mi divincolai dalla sua presa. Non riuscivo a capire perché, ma faticavo a credergli. Dormendo, avevo avuto un ennesimo incubo, consistente in una replica mentale della battaglia che mi aveva quasi portato via Terra. Stefan era rimasto al mio fianco per tutta la notte, e malgrado ne fossi convinta, non era servito a nulla. Il mio essere sensibile finiva spesso per rivelarsi un arma a doppio taglio. Ancora una volta, mi ero lasciata prendere la mano dall’ansia, ritrovando, nei meandri della mia stessa mente un ricordo mai sopito. Quei mostri preferivano agire con il favore del buio, ma stando a quanto era accaduto in passato, erano perfettamente in grado di attaccare anche alla luce del sole. Speravo ardentemente che non accadesse, ma dati i trascorsi miei e del mio intero gruppo, avevo imparato a non fidarmi troppo di speranze e fantasie.

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Capitolo 37
*** Di nuovo in guerra ***


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Capitolo XXXVII

Di nuovo in guerra

Stefan ed io ci eravamo svegliati da poco, ed era mattina presto, periodo della giornata secondo lui pieno di novità positive. Per pura e nera sfortuna, l’astro re del cielo smise di farci compagnia poco dopo la colazione, che consumai ma non riuscii ad assaporare completamente. L’ansia collegata alla notte appena trascorsa e all’incubo da poco rivissuto mi dilaniava l’anima, tanto da causarmi tremori e dolori in tutto il corpo. Ovvio era che Stefan detestasse vedermi in quel modo, ma non potevo davvero farci nulla. Conservavo ancora entrambi i ciondoli che mi aveva regalato, e non li toglievo mai, e sapevo benissimo che mi avrebbe protetta per sempre, ma nonostante tutto, a volte mi sembrava davvero di tornare bambina e aver paura di qualsiasi cosa, Ladri compresi. Facevo del mio meglio per mostrarmi forte e sicura così da istruire i ragazzi a fare lo stesso, ma con il tempo che continuava a muoversi veloce, non avendo pietà per niente e nessuno, temevo. Temevo per la mia incolumità e per quella dei miei figli, così come per ogni componente del mio gruppo. Ora come ora, mangiare mi è davvero difficile, in quanto ogni boccone di cibo ha perso di sapore. Con lo stomaco in subbuglio, guardo costantemente fuori dalla finestra, e Chance, preoccupato per me almeno tanto quanto Stefan, uggiola piantandomi le zampe sulle gambe. “Sta calma.” Sembra dire, spronandomi a mantenere la lucidità in un tale caos. Accarezzandolo, apprezzo il suo sforzo, ma mentre tento di nutrirmi e mangiare qualcosa, la paura sale e il cibo scende. Una volta finito, faccio per alzarmi dalla sedia, ma Chance mi ferma. “Non farlo. È pericoloso.” Cerca di avvertirmi, e pur comprendendo la sua preoccupazione, lo ignoro. I ragazzi sono come sempre fuori che si allenano, e volendo controllarli, esco subito di casa. Mentre cammino, le gambe mi tremano, e non appena arrivo fuori, li vedo. I miei figli sono intenti ad allenarsi, e a quanto vedo, Rose non osa allontanarsi da Isaac. Oltre ad esserne innamorata, è a conoscenza del suo problema cardiaco, perciò è sempre lì per aiutarlo, come una vera infermiera. I minuti scorrono, e tutto attorno a noi è calmo. Come ben sappiamo, la calma è per noi merce rara, ma ormai è stata spezzata così tante volte che non sappiamo più come comportarci. Tutto questo ci rende ansiosi, e come se non bastasse, qualcos’altro sta accadendo proprio davanti ai miei occhi. Il sole picchia forte, eppure ho freddo. Tentando in ogni modo di dissimulare, fingo di star bene, ma dentro di me sento che la profezia della Leader si sta di nuovo avverando. “Ragazzi, dobbiamo rientrare.” Li avviso, guardandoli tutti negli occhi e faticando a mantenere la calma. “Ma abbiamo appena cominciato!” si lamenta Aaron, trovandosi in completo disaccordo. “Ho detto di rientrare.” Ribatto a muso duro, più seria e severa del solito. Alle mie parole, i ragazzi non rispondono, e incredibilmente, anche Terra sembra provare le mie stesse sensazioni. “La mamma ha ragione, andiamo.” Balbetta a causa del freddo, mentre cerca di conservare il calore corporeo stringendosi nella giacca che porta. Preoccupati per la sorella, i fratelli la seguono, e una volta in casa, assistiamo inermi a quanto sta accadendo. Il vento soffia e ulula minaccioso, facendosi strada fra le crepe e le fessure della nostra casa, ormai vecchia, austera e rovinata dal tempo. Abbiamo tutti paura, e ci stringiamo gli uni agli altri. A occhi chiusi, non facciamo che attendere, e improvvisamente, qualcuno bussa con forza alla nostra porta. Quel suono ci giunge minaccioso, e si ripete costantemente, perciò i casi sono due. Qualcuno odia quella porta, o è deciso a vederla aperta. Spaventati, non osiamo muoverci, e Chance abbaia furioso nel tentativo di difenderci, ma contro ogni previsione, oltre le grida di guerra e paura che si levano appena fuori dalle nostre mura domestiche, una voce amica. “Rain, Stefan! Sono io, Lady Fatima!” Grida la Leader, sperando ardentemente di essere sentita. A quelle parole, scatto in piedi, e mentre Chance si fa da parte, il mio amato sguaina la spada. Di lì a poco, ci precipitiamo tutti fuori, e la battaglia ha inizio. Arriviamo in fretta alla piazza principale, focolaio della lotta stessa. Guardandomi intorno, scopro che Soren e Samira sono già al lavoro, e nella calca scorgo anche i volti di Ilmion e Alisia. Insieme, lottano con gran valore, e mentre i minuti scorrono lenti sembrando lunghe ore, anch’io faccio del mio meglio. Mi muovo più veloce che posso, e con gran precisione, sferro colpi che vanno sempre a segno. Stefan mi resta accanto, e la sua spada ferisce come o più della mia daga, ma improvvisamente, perdo di vista i ragazzi. Il panico si impossessa di me, ma grazie al cielo stanno bene. Combattono con tutte le loro forze proprio come noi, e la lotta pare andare avanti incessantemente. I civili feriti urlano per il dolore e la paura, e tentando di scappare cadono per poi venire calpestati. Tutto questo non è che un vero è proprio calvario, e al tempo stesso una triste verità. Ci costa ammetterlo, nonostante il nostro sia un desiderio di vita e pace, attorno a noi c’è solo la morte, e siamo di nuovo in battaglia.
 

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Capitolo 38
*** Nuove stelle ***


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Capitolo XXXVIII

Nuove stelle

Sembravano passate ore, eppure era stata una questione di minuti. La battaglia continuava, e malgrado la stanchezza iniziasse a farsi sentire, resistevamo. Dal mio canto, respiravo affannosamente, e dato il dolore alle gambe, acuito anche da alcune ferite infertemi da quei mostri, i miei movimenti erano rallentati, non potendo più essere paragonati a scatti felini. Nonostante questo, Stefan e i membri del mio gruppo si fidavano di me, e nei rari momenti in cui potevamo muoverci senza essere costretti a difenderci e uccidere qualcuno senza alcun contatto visivo, che in ogni caso durava tanto quanto una pugnalata o un fendente, mi sorridevano e incoraggiavano. Come sempre, Chance era con noi, e abbaiando furioso, faceva di tutto per tenere i nemici lontano da noi, non esitando a mordere quando necessario. Incredibilmente, e nonostante l’età avanzata, aveva ancora unghie e denti aguzzi, e muovendosi con agilità mai vista prima, si dimostrava perfino in grado di togliere le armi di mano ai Ladri stessi. Quegli schifosi vermi non si curavano di nulla e nessuno, e portare avanti quella così assurda mattanza era uno dei loro più grandi desideri, secondo solo a quello di ricchezza e potenza. Mentre il tempo scorre e il sangue cola sporcando le strade di Ascantha, il dolore prende possesso di me, e mettendo disgraziatamente un piede in fallo, inciampo in una maledetta pietra, e perdendo l’equilibrio, cado. Vorrei rialzarmi, ma non ce la faccio. Il dolore è troppo forte, e una volta a terra, non vedo altro che polvere e dolore. Sperando di non attirare l’attenzione, chiudo gli occhi e mi fingo morta, ma qualcuno non intende lasciarmelo fare. È Chance, che uggiolando si accuccia accanto a me, e tirando con i denti una manica del mio vestito, mi sprona. È determinato, e notando le mie ferite, non lascia il mio fianco. Sono troppo stanca, non riesco più a muovermi, e lentamente, ogni immagine perde nitidezza. “Chance, no, va e salva gli altri… ti prego.” Biascico a bassa voce, essendo così esausta da non riuscire neppure a parlare. Mugolando, il mio fedele amico esita, ma io gli sorrido, e solo allora si convince. Si allontana con titubanza, ma esegue comunque il mio ordine. Sempre più stanca, mi sento prossima a svenire, ma prima di chiudere gli occhi, vedo i miei ragazzi. Ce la stanno davvero mettendo tutta, e ne sono davvero orgogliosa, ma ora non posso dirglielo. Ogni cosa appare distorta e avvolta dalla nebbia, e la testa mi duole moltissimo. Le voci che sento mi giungono ovattate, e una sola chiama il mio nome. “Rain.” “Rain.” Rain.” Ripetuto letteralmente all’infinito, e replicato dalla mia stessa mente. Vorrei rispondere, ma non posso, e poco prima di cadere nella più profonda incoscienza, prego per chi ora sta lottando al mio posto, ovvero i miei figli, nuove stelle in un cielo coperto da grigie e pesanti nuvole.
 

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Capitolo 39
*** Superstiti in campo ***


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Capitolo XXXIX

 
Superstiti in campo

 
Ero lì stesa sul selciato sporco di sangue, o di ciò che sembrava rimanerne data la furia della battaglia. Sentivo ogni cosa, ma con grande difficoltà, e malgrado ogni tentativo, non riuscivo a svegliarmi e riprendermi. Qualcuno chiamava il mio nome, e ne ero certa, ma malgrado tutto, non potevo rispondere. Uno di quei mostri mi aveva sfiancata, e proprio per questo ero caduta battendo la testa. Uccidevano, ed era vero, ma in realtà la loro strategia era proprio questa. Iniziare una battaglia priva di alcun senso per poi portare chiunque tentasse di affrontarli allo stremo delle forze, per poi vederli cadere e finirli con un colpo di spada, daga, o qualunque altra arma bianca. Così, le lancette del tempo continuavano a muoversi, ma data la mia attuale condizione, e il mio stato di semicoscienza, mi sembrava di vivere ogni attimo da una prospettiva diversa, quasi dal di fuori. Era come se fossi appena entrata in una bolla impenetrabile, e che questa assorbisse tutto. Voci, colpi, grida, dolore, tutto. Ad ogni modo, decisi che ne avevo avuto abbastanza, e sforzandomi per aprire gli occhi, riuscii finalmente a vedere tre figure. Con la testa che girava, non ero sicura di nulla, ma volli fidarmi, e sperare che fossero visi amici. Rimanendo ferma, chiesi aiuto con un filo di voce, e subito dopo, venni sollevata da terra. Di lì a poco, persi ancora i sensi, ma appena un attimo prima, sentii uno di quegli individui parlarmi e dire qualcosa. “Ti porteremo in salvo, sta tranquilla.” Disse quella voce, infondendomi oltre a coraggio e sicurezza anche una buona dose di speranza. Sapevo bene di essere ancora viva e per questo fortunata, ma a detta dei miei tre salvatori respiravo malissimo. Nei miei momenti di coscienza, alternati tristemente al buio più totale, pregavo di farcela e uscire viva da questo scempio, e quando finalmente il mio viaggio verso l’ignoto ebbe fine, ne approfittai per dormire. Poteva sembrare strano, ma in quel momento volevo soltanto riposare e cercare di dimenticare tutto, ben sapendo che ogni evento di quel così lungo, cruento e sanguinoso giorno era lungi dall’irreale. In altre parole, non stavo sognando, e avevo paura. Paura di perdermi, andarmene e morire, venendo poi chiamata a far parte di una dimensione diversa da quella terrena. Non potevo morire, non ora. Avevo messo decisamente troppo impegno nel mio vivere per abbandonare tutto e tutti in questo modo. Ad essere sincera, non sapevo se ce l’avrei fatta, se mi sarei mai ripresa o se sarei mai potuta tornare a combattere e tentare di liberare i due regni da una così grande minaccia, ma ero certa che non avrei mollato, e che dopo ogni sforzo sarei diventata, assieme ai membri del mio gruppo e della mia famiglia, un’eroina, una soldatessa e uno dei pochi superstiti ancora in campo.

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Capitolo 40
*** Tregua insperata ***


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Capitolo XL

Tregua insperata

Passarono le ore, e aprendo finalmente gli occhi, mi scoprii in un luogo conosciuto. Una stanza dalle pareti bianche, e un letto dalle lenzuola dello stesso colore. Confusa, mi guardai intorno, e poco dopo realizzai di essere arrivata in ospedale. Non sapevo ancora chi mi ci avesse portato, ma c’ero, e mi sentivo al sicuro, nonché molto meglio. Alzando lo sguardo, notai che la porta della stanza dove riposavo era chiusa, ma proprio in quel momento, vidi la maniglia abbassarsi. Appena un attimo più tardi, qualcuno fece la sua comparsa sulla scena, e nell’istante in cui i nostri occhi si incrociarono, lo chiamai per nome. “Stefan! Grazie al cielo sei qui!” Dissi, guardando il mio amato negli occhi e ringraziando il cielo che fosse ancora vivo. “Non potevo certo lasciarti da sola lì fuori.” Rispose, stringendomi in un delicato abbraccio e mostrando un debole sorriso. “Sei un eroe.” Sussurrai al suo indirizzo, stringendolo a me e sfiorandogli le labbra con le mie. “Ogni promessa è debito, e lo sai.” Queste furono le sue ultime parole, che pronunciò appena prima di baciarmi. Innamorata di lui come il primo giorno, lo lasciai fare e approfondii quel bacio, ma non appena ci staccammo, gli afferrai un polso. “Aspetta.” Lo pregai, desiderando solo di stare con lui ancora per qualche minuto. “Non posso, c’è qualcun altro che vuole vederti.” Mi disse, con voce calma e fare tranquillo. “Cosa? E chi?” non potei fare a meno di chiedere, confusa e stranita dalle sue parole. Per tutta risposta, Stefan si allontanò da me, e riaprendo la porta della stanza, lasciò entrare gli altri due ospiti. Inizialmente, non riuscii a riconoscerli, ma bastò un attimo, e un ricordo si fece spazio nella mia mente. Un uomo e una donna, entrambi attempati e dai capelli grigi. Mi concessi del tempo per pensare, e con il minimo sforzo, collegai i vari indizi. Solo allora, tutto mi fu chiaro. Caleb e Carla. Marito e moglie, ci avevano aiutato e offerto ospitalità durante uno dei nostri viaggi nell’ormai spoglia Aveiron, e stando ai miei ancora  nitidi ricordi, avevano assistito alla nascita di Rose. Sorridendogli, li salutai, e non appena furono abbastanza vicini, li abbracciai. “Grazie, grazie di tutto, davvero.” Dissi, non volendo che mostrar loro quanto fossi grata per tutto ciò che avevano fatto per me. “Non ringraziare noi, è stato tutto merito suo.” Mi rispose il signor Caleb, indicando il mio Stefan con il solo uso dello sguardo. Ancora attonita, lo guardai a mia volta, e in quel preciso istante, lui mi regalò un sorriso. Di lì a poco, i nostri due amici ci lasciarono da soli, e non appena fummo sicuri di esserlo, ci baciammo ancora. “Mi hai salvata.” Soffiai, guardandolo negli occhi e scivolando poi nel silenzio. “L’ho fatto per proteggerti, e poi, voliamo insieme…” disse, lasciando intenzionalmente in sospeso quella frase. “O non voliamo affatto.” Risposi, completandola e stringendogli una mano. Fu quindi questione di un attimo, e con il silenzio sovrano della stanza, ci abbracciammo per l’ennesima volta, innamorati e felici. Rilassata e calma come mai prima, mi addormentai cullata dal battito del suo cuore, e in un completo stato di pace e ordine mentale, sentii quella frase innumerevoli volte. Pensandoci, ricordai che era stato proprio Stefan a dedicarmela, quando nel giorno del nostro definitivo viaggio verso la bella e pacifica Ascantha, mi diede in regalo una catenina dalla quale pendeva una finta ala d’angelo. Nel mio sonno, imparai una preziosa lezione, che presto identificai come verità. Contrariamente a molte altre donne, vittime di violenza, sfortuna, e miseria, ero fortunata, e avere un uomo del calibro di mio marito al mio fianco poteva apparire come una benedizione. Ad essere sincera, ero di quest’avviso, e da quanto avevo modo di vedere, molte erano le persone orgoglioso e al contempo gelose di me. Come ben sapevo, Stefan non avrebbe mai guardato o mostrato interesse per un’altra donna, e dato il mio animo romantico ne ero felice. In altre parole, averlo accanto mi riempiva di gioia, facendomi quindi sentire al sicuro, e nonostante i tempi che correvano, sapevo di poter contare su di lui in ogni occasione, specialmente ora, in un atteso periodo di tregua insperata. Almeno per ora, la guerra sembrava essersi arrestata, e onestamente, nessuno di noi avrebbe potuto chiedere di meglio.

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Capitolo 41
*** Stoicismo da guerrieri ***


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Capitolo XLI

Stoicismo da guerrieri

Altri sette giorni erano per noi scomparsi, e tenendoci pronti e in forma, eravamo riusciti a tornare alla normalità. Così, le nostre vite avevano ripreso a scorrere calme e lente come corsi d’acqua, e gli allenamenti dei ragazzi andavano a gonfie vele. Il tempo non faceva che sfuggirci, ed io, sempre vicina ai miei figli in ogni frangente, li osservavo allenarsi. Ognuno con in mano la propria arma, ma tutti vicini. Terra con Trace, Rose con Isaac, e Aaron da solo. Guardandolo, provavo una leggera sensazione di sconforto, ma questa non tardava mai ad unirsi all’orgoglio, in quanto lo vedevo sempre pronto a sforzarsi e migliorare. A quanto vedevo, ce la metteva sempre tutta, e malgrado a volte cadesse procurandosi lievi ferite su braccia e gambe, la cosa non mi toccava. Aveva undici anni, ed era vero, ma ai miei occhi appariva come un ometto. Sempre più grande, e sempre più maturo, non mancava mai di mostrare il suo senso d’onore e responsabilità. Pur restando in disparte e vicino a suo padre, lo osservavo per assicurarmi che non si facesse male, e con il sole alto nel cielo, avevo fiducia. Anche se da poco, avevamo di nuovo raggiunto il verde e rigoglioso bosco, che ormai consideravamo nostra oasi di pace e tranquillità, ritrovando, fra l’erba, gli alberi e le foglie, il luogo perfetto per l’allenamento dei ragazzi. Camminando, mi sentii stanca, e decidendo di sedermi all’ombra di un albero, la notai. Una ragazzina che pareva avere ad occhio e croce la stessa età di Aaron. Basandomi sulla sua altezza, ipotizzai che fosse di qualche anno più grande, ma nonostante tutto, tacqui la mia scoperta. “Ma l’hai vista? Chi è?” mi chiese Stefan, sorpreso della sua presenza almeno tanto quanto me. In silenzio, mi strinsi nelle spalle, non avendone la più pallida idea. Notandomi, la ragazzina si avvicinò timidamente, e solo allora, provai a parlarle. “Come ti chiami?” le chiesi, nell’amichevole tentativo di rompere il ghiaccio. Silenziosa, non rispondeva. Al contrario, esitava, e guardandola, mi concentrai sui suoi capelli. Neri, ma incredibilmente corti, così corti da farla somigliare a un ragazzo. In quel momento, un ricordo. Anche se anni prima, anche io avevo tagliato i capelli. Non corti come i suoi, certo, ma l’avevo fatto, e per una sola ragione. Proteggermi. Da allora sono passati anni, ma ricordo ancora la paura provata nel girono del mio arrivo alla Casa della Leader, dove Stefan mi aveva portata per evitare che congelassi nella neve. Inizialmente, mi ero perfino rifiutata di farlo, ma alla fine Stefan e il dottor Patrick mi avevano convinta. Per qualche strana ragione, quelle sue caratteristiche mi facevano sorgere un dubbio. Era giovane, certo, ma se fosse stata una guerriera come noi? Non avevo alcun modo di essene sicura, ma considerando il suo aspetto come una serie di indizi, attesi. Dopo un tempo interminabile e che non riuscii a definire, la ragazzina si decise. “Mi chiamo Ava.” Disse, presentandosi educatamente. “Piacere nostro.” Rispondemmo in coro io e Stefan, felici di aver fatto la sua conoscenza. Di lì a poco, Aaron fece un gesto con la mano, e sorridendo, la chiamò per nome. “Ava! Dai, vieni, così ci alleniamo!” gridò, sperando che la sua amica fosse in grado di sentirlo. Rispondendo a quella sorta di richiamo, la ragazza si voltò, e correndo, raggiunse mio figlio. Sempre a debita distanza, li osservai entrambi scagliarsi per gioco contro i manichini appesi agli alberi, avendo poi il piacere e la fortuna di sentirli ridere. Insieme, si muovevano con assoluta sincronia, tendendosi agguati e fingendo di ferirsi dando inizio a false lotte e combattimenti. Non volendo disturbarli, non mi avvicinai, ma continuando a guardarli, non feci che sorridere all’idea di vederli crescere così velocemente. “L’ambiente l’ha formata.” Mi aveva detto un giorno Lady Fatima. Per quanto ne sapevo, allora si riferiva a Terra, ma ora capivo che la stessa e identica frase, se accuratamente modificata, poteva essere applicata anche ad Aaron e alla sua nuova amica. Ad essere sincera, speravo che avessero ancora tempo di ridere, vivere e giocare godendosi le gioie della loro età, malgrado l’attuale situazione li spingesse sempre a mostrare quello che definivo stoicismo da guerrieri.

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Capitolo 42
*** Ancora in piedi ***


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Capitolo XLII

Ancora in piedi

Sparendo come umida nebbia trasportata dal vento, altre tre settimane se n’erano ormai andate. Per pura fortuna, gli allenamenti continuavano a dare i risultati sperati, e mentre le lancette del tempo continuavano a muoversi, leste e inarrestabili, il sole splendeva. Eravamo ormai in tarda mattinata, e dato lo spirare di un freddo vento proprio fuori dalle mura di casa, caddi preda della mia ormai conosciuta ansia. Essendo ormai tornati a casa dalla selva, eravamo al sicuro, e lo sapevo bene, ma non riuscivo comunque a stare tranquilla. Sempre onorando la promessa fattami nel giorno del nostro fidanzamento, Stefan fa di tutto per rassicurarmi ed evitare che perda il controllo, e con i tempi che corrono, mi sento davvero fortunata e felice. So di averlo ormai detto circa un milione di volte, ma non m’importa. In fin dei conti, è la pura verità, e restando seduta in poltrona vicino al caminetto ora spento, non faccio che scrivere e rileggere il mio diario. Ora come ora, ho solo bisogno di ritrovare la calma persa,e considerandolo mio personale angolo di serenità, alla pari con il bellissimo bosco di Ascantha, sapevo bene che dare rapidi sguardi alle pagine dedicate ai momenti più belli della mia intera vita, funzionava spesso da panacea contro ogni mio male. Ora come ora, il tempo passa, e ci stiamo tutti preparando al meglio per una prossima lotta, inclusi Soren e Samira, inizialmente restii a scendere di nuovo in campo. “Abbiamo bisogno di voi.” Gli abbiamo ricordato, sorridendo riponendo in entrambi tutta la nostra fiducia. Rinfrancati dalle nostre parole, i nostri amici hanno accettato di farsi ancora avanti, ricordandosi del loro tanto amato figlio Isaac. Come ben sapevamo, era perfettamente in grado di difendersi da solo, ma dati i suoi problemi cardiaci, tendeva ad aver bisogno d’aiuto. Proprio per questo, Rose e Chance si preoccupano sempre per lui. Da allora è passata parecchia acqua sotto i ponti, ma nonostante questo, ricordo ancora quanto la stessa Rose si fosse preoccupata nel vederlo ferito da una delle sue frecce. Sconvolta, non faceva che imputarsi la colpa di tutto, ma volendo rassicurarla, lui minimizzava. Soltanto una delle piccole cose che mi avevano fatto comprendere la forza dei suoi sentimenti per lei, sentimenti che avevano avuto modo di sbocciare nel giorno dei loro rispettivi compleanni, e che sin da allora, li avevano uniti. Ora come ora, sono completamente sola, e pur sapendo che quegli schifosi Ladri non possono sentirmi, ho un messaggio per loro. Non lo sanno, ma  ogni tentativo di indebolirci e farci cadere in ginocchio come il regno che hanno ormai invaso non ci tocca, agendo ogni volta da spinta e trampolino di lancio verso il nostro unico obiettivo, ovvero eliminarli. Insieme, ci impegneremo fino a crollare, e quando il vero giorno della resa dei conti arriverà, saremo pronti, preparati e ancora in piedi.

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Capitolo 43
*** Maestri dell'inganno ***


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Capitolo XLIII

Maestri dell’inganno

Ancora impegnata a pensare ed elaborare schemi per riuscire a sopravvivere a questo scempio, non dormo da ore, e come sempre, mi occupo dell’allenamento dei ragazzi. In fin dei conti, sono stata io ad insegnare a Terra come usare la sua daga. Il talento di Rose nel tiro con l’arco si è palesato in maniera quasi naturale, ma ciò non significa che a volte lei non abbia bisogno di me. “Tutti abbiamo bisogno d’aiuto una volta o l’altra.” diceva e dice sempre mia madre, ripetendo questa frase in più d’un’occasione. Rimanendo sempre vicini, i miei amici ed io ci sosteniamo a vicenda, continuando a tenere unita la grande e allargata famiglia in cui viviamo. A questo proposito, non vedo Alisia da parecchi giorni, e non avendo sue notizie, posso solo sperare che stia bene. Per pura fortuna, la sua casa è distante dai luoghi della battaglia, e avere Ilmion accanto non è che positivo. Ne abbiamo parlato una volta sola, ma nonostante abbia trovato la felicità in lui, non riesce ancora a fidarsi completamente, né a godere dei preziosi momenti che passano insieme. Per qualche strana ragione, ha ancora in testa mille pensieri legati ad Ashton. Avendo buttato via la collanina ricevuta in regalo, ha dato prova di non esserne più innamorata, ma in qualità di sua sorellastra e prima confidente, sono convinta che ci sia qualcosa sotto. Non so ancora cosa, ma sono pronta a scoprirlo. Ora come ora, vorrei davvero parlarle, ma non posso. Da quando siamo tornate entrambe dal campo, lei non ha fatto altro che cercare di difendersi e star lontana dai pericoli proprio come me, ma ad essere sincera, la sua lontananza inizia a farmi davvero male. Non saremo mai davvero sorelle, ma le voglio bene, e saperla triste o amareggiata mi spezzerebbe il cuore in migliaia di minuscoli pezzi. Fingendo indifferenza in realtà non provata, finge di star bene, ma io non le credo. La conosco bene e quasi meglio di me stessa, ragion per cui ho una sola certezza. Si rifiuta di dirlo apertamente nascondendosi dietro ad una falsa maschera, ma a quanto sembra, quel mostro ha fatto ritorno nella sua vita. A detta di Stefan e dei miei amici sto esagerando, e nonostante io sia preoccupata per lei, comprendo di trovarmi di fronte ad un metaforico bivio. Che fare? Dar retta al mio gruppo o fidarmi del mio istinto? Non so decidere, e con una miriade di dubbi che mi ronzano in testa come un intero sciame d’insetti, faccio del mio meglio per mantenere la calma. Sono combattuta, ho davvero i nervi logori, e come se questo non fosse abbastanza, qualcosa di nuovo ha scosso la mia povera amica Samira. Recentemente, suo fratello Basil ha chiesto di unirsi a noi, e stringendolo in un abbraccio, abbiamo accettato, ma questo non è il punto. Appena arrivato, appariva letteralmente svuotato di ogni energia, e aveva una faccia decisamente scura. Piccoli indizi, certo, ma che una volta messi insieme, avrebbero potuto portarci alla risoluzione di questo mistero. Concedendomi del tempo per pensare, collegai ogni tessera di questo vitreo mosaico, per poi riuscire a capire ogni cosa. Proprio come sospettavo, anche lui era davvero turbato da qualcosa, e sentendo di non poter più nascondere tutto alla sua stessa sorella, era venuta a cercarla per parlarle, prendendo poi due piccioni con una fava. Difatti, aveva trovato tutti noi, e finalmente, aveva deciso di aprirsi. Respirando a fondo, si preparò a dovere, e subito dopo averlo fatto, pronunciò una sola parola. “Maddox.” Un nome che avevo già sentito, e che per me aveva un solo significato. Male. Proprio così, male. Era ormai passato moltissimo tempo, ma nonostante tutto ricordavo ancora benissimo l’inferno che aveva fatto passare a me e Stefan. A causa della pazzia ero quasi morta, ma per fortuna ero riuscita a salvarmi, e sin da quel giorno, non avevo fatto altro che sperare di non rivederlo. Fino ad ora le mie speranze non erano state tradite, ma a quanto sembrava, le mie buone stelle sembravano essersi spente. Così, con una vera e propria guerra che minacciava l’intera popolazione, e il dolore sembrava essersi impadronito dell’animo di ognuno di noi, c’era solo una cosa da fare. Stringere i denti e resistere, nonostante la presenza fra la povera gente di odiosi mostri come Ashton e Maddox, diversi ma uguali al tempo stesso, in quanto perfetti maestri dell’inganno.

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Capitolo 44
*** Nervi fragili ma saldi ***


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Capitolo XLIV

Nervi fragili ma saldi

Un’ora, ovvero sessanta interi minuti. L’esatto lasso di tempo trascorso dal mio ultimo tentativo di dormire, fallito miseramente proprio come gli altri. Nel bel mezzo di una giornata colma di tensione dati i nostri trascorsi, qualcuno ha bussato alla nostra porta. Inizialmente, mi rifiutai di aprire, ma notando l’insistenza dei colpi, alla fine ho ceduto. Proprio davanti a noi, due visi amici. Basil, Ilmion e Alisia. Membri del nostro gruppo e della nostra grande famiglia, che a quanto sembrava, avevano bisogno del nostro aiuto. Scansandomi, li lasciai subito entrare in casa, e cogliendomi alla sprovvista, Alisia cercò di abbracciarmi. “Grazie.” Soffiò poi al mio indirizzo, scivolando nel silenzio appena un attimo dopo. “Ragazzi, ma… che è successo?” non potei fare a meno di chiedere, confusa e stranita dalla loro presenza. “Avevamo paura, Rain, ecco tutto.” Confessò mia sorella, ad occhi bassi in segno di vergogna. Soffrendo a quella sola vista, feci per avvicinarmi, e cingendole un braccio attorno alle spalle, la rassicurai. Il suo viso era una maschera di tristezza e dolore, così grande che perfino Ilmion le si fece vicino, facendo quando fosse in suo potere per aiutarla. Come ben sapevo, l’amava, e vederla soffrire aveva un effetto devastante su di lui. Stando a quanto mi aveva raccontato, si era innamorato di lei per ciò che era, ma in special modo per il carattere e la bellezza dei suoi verdissimi occhi. Sconvolto almeno tanto quanto lei, le teneva saldamente la mano, e tremando, lei singhiozzava, non sapendo cosa dire.“Su, racconta, starai meglio.” La rassicurò Stefan, dando per l’ennesima volta prova d aver imparato molto dal mestiere del padre, medico stimato dalle genti dei due regni e anche eccellente psicologo. “Siamo… Siamo corsi qui non appena abbiamo potuto. “Vedete, ci è sembrato di vederli nel buio di ieri sera, e… e…” provò a spiegare Alisia, con la voce che tremava e le parole che faticavano ad uscire. Di lì a poco, lei iniziò a piangere, e fra un singhiozzo e l’altro, Ilmion le rimase vicino, sempre pronto a consolarla. “Vi capiamo, può bastare.” Risposi, facendo le veci degli altri e dandole modo di calmarsi. Tremava ancora, ma almeno i singhiozzi erano cessati. In breve, la notte scese, e con i nostri ospiti addormentati sul divano di casa, Stefan ed io andammo a letto a nostra volta. Com’ero ormai abituata a fare, aggiornai il mio diario andando alla ricerca di conforto, e poco prima di dormire, giunsi ad una conclusione. I problemi non mancavano, ma in una situazione di questo calibro, c’è solo una cosa da fare. Avevamo i nervi fragili, ed era vero, ma la chiave di tutto era concentrarci e provare, nonostante tutto, a mantenerli saldi.
 

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Capitolo 45
*** Perdere per vincere ***


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Capitolo XLV

Perdere per vincere

Era stata una questione di minuti, e mi ero svegliata. Il buio mi avvolgeva non permettendomi di vedere nulla, ma servendomi di una piccola torcia che avevo donato a Terra quando era terrorizzata da ciò che a suo dire poteva nascondersi nell’oscurità, riuscivo comunque a muovermi. Per una volta, la colpa di tutto non era da imputarsi alla mia ansia. Difatti, e per qualche a me ignota ragione, continuavo a sentire lo stesso identico suono, ripetuto infinite volte come in un’eco. Qualcuno piangeva, e raggiungendo il salotto di casa, scoprii la verità. Era Alisia. Probabilmente era ancora scossa da quanto accaduto nel pomeriggio, ma volendo esserne sicura, mi avvicinai. Fatti pochi passi, la chiamai per nome, e guardandomi negli occhi, lei non disse nulla. Il suo intero corpo appariva rigido, ed era scosso da tremiti sempre più evidenti. “Alisia, posso sapere cosa..” azzardai, non avendo comunque tempo né modo di completare quella frase. Difatti, il suono dei suoi singhiozzi mi colse impreparata, e soltanto guardandola, provai dolore. Il sangue non ci univa, ma era pur sempre mia sorella, e dentro di me sentivo di dover almeno provare ad aiutarla. “Pensavo di poterlo nascondere, infatti nessuno lo sa, ma vedi, io sono… sono…” piagnucolò, con sguardo triste e occhi dolenti. Ad ogni modo, quella frase non ebbe mai fine, e le sue parole vennero sostituite da un gesto. Scivolando nel silenzio, si posò una mano sul ventre, e fu allora che capii. “No, non ci credo. Sei incinta? Ma come…” biascicai in risposta, scoprendomi poi incapace di credere a quanto avessi appena sentito. “Non lo so, Rain. Non ne ho idea, va bene? Lo sono e basta, e se qualcuno dovesse scoprirlo, non so cosa farei.” Fu la sua risposta, che mi lasciò letteralmente senza parole. “Ci sarò io per te.” Le dissi allora, stringendola in un delicato abbraccio e accompagnandola di nuovo al suo giaciglio. Aiutandola a sdraiarsi, le rivolsi un sorriso, e una volta fatto, adagiai sul suo corpo una morbida coperta. Subito dopo, tornai a dormire. Mi svegliai solo alle prime luci dell’alba, scoprendo, nonostante la bella stagione, un vento terribilmente freddo appena fuori dalla nostra finestra. Preoccupata, avvisai i ragazzi, che capendo immediatamente dove volessi arrivare, non fiatarono. Non si sarebbero allenati, ma poco importava. L’unica cosa a contare era il benessere della mia famiglia, che disgraziatamente, andò in pezzi. Per l’ennesima volta, ci ritrovammo fuori al freddo e nel bel mezzo di una nuova battaglia, che ci colse impreparati, proprio come un fulmine a ciel sereno. Con le armi in mano, provammo tutti a fare del nostro meglio, me compresa. Come c’era d’aspettarsi, il sangue colò, e molte persone morirono lottando o tentando di fuggire, e come se questo non fosse abbastanza, nella furia della battaglia qualcosa accadde. Nonostante il marasma e l’incredibile cacofonia di grida e urla disperate, il silenzio cadde, e anche se per un solo attimo, perfino il mondo parve smettere di muoversi. Correndo, andai alla ricerca dei vari membri del mio gruppo, trovandoli tutti, eccetto uno. Samira. Colta dal panico, mi guardai intorno, e fu allora che la vidi. Stesa sul selciato come me tempo prima, e completamente incapace di muoversi. Avvicinandomi, provai ad aiutarla, ma afferrandomi un polso, qualcuno mi fermò. “ Era Stefan, che tenendomi stretto un polso, tentò di impedirmi qualunque movimento. Divincolandomi dalla sua presa, mossi un singolo passo in avanti, sentendo poi il sangue gelarmisi nelle  vene. Non volevo crederci, eppure era così. Samira aveva di nuovo ceduto. Sconvolta, guardai Soren, notando che alcune lacrime gli scivolavano sul viso. Era lì chino sul corpo dell’amata moglie, che intanto respirava  a malapena. “Samira, no, ti prego non lasciarmi. Le diceva, facendo di tutto per spronarla e aiutarla a riprendersi. Tentativi tristemente vani, che lasciavano presagire il peggio. Ormai sconfitto, Soren lasciò andare la mano della sua incosciente Samira, e solo allora, lei parve rianimarsi. Aprendo lentamente gli occhi, lo chiamò a sè con voce flebile, esprimendo poi un unico desiderio. “Portatemi via.” Due semplici lemmi quasi sussurrati, che ascoltammo in religioso silenzio. Affranto, Soren le rivolse uno sguardo colmo di dolore, e nell’esatto momento in cui un suono di zoccoli ci raggiunse, una nuova speranza apparve nei nostri cuori. In lontananza, non vidi che una carrozza, poi un fiume di gente che si scostò per lasciarla passare. Lady Fatima. Accompagnata da Drake e dalla dottoressa Janet, scese subito dalla carrozza, tentando di aiutarci. “È ancora viva, ma dobbiamo fare presto.” Dichiarò in tono solenne, indicando un punto a noi lontano, che avrebbe per noi avuto il significato di salvezza. Annuendo, decidemmo di salire con lei in carrozza, mentre Soren prese il posto di Drake come cocchiere. Fu un viaggio lungo e pieno di insidie, ma finalmente, arrivammo in ospedale. Quello di Samira fu un ricovero d’urgenza, durante il quale, lei finì per cadere in coma. Seduti in sala d’attesa, attendemmo nuovi sviluppi per ore intere, e quando finalmente ci fu permesso di vederla, Soren ed Isaac furono i primi ad entrare. Le lacrime bagnavano i loro occhi, e un dolore di incalcolabili proporzioni riempiva i loro cuori. In piedi di fianco a me, Rose non faceva che fregarsi le mani, e con i nervi a fior di pelle, ruppe il suo silenzio. “Ora basta. Vado anch’io.” Disse, apparendo ai nostri occhi seria come mai prima. Istintivamente, tentai di fermarla e risparmiarle la sofferenza, ma Stefan me lo impedì. “Lasciala andare, ne ha ogni diritto.” Sibilò guardandomi e riuscendo a zittirmi. Colpita, cessai di oppormi, ma appena un attimo più tardi, ruppi la muta promessa che gli avevo fatto. Camminando, seguii Rose, fin dentro la stanza, e fu allora che vidi Samira. Sdraiata in quell’arido letto d’ospedale, pareva dormire, ma sapevo che non poteva essere vero. L’avevo vista, e avevo notato nei suoi occhi appena aperti il dolore, misto al desiderio di essere salvata. Desiderio che nessuno le aveva negato, e grazie al quale, ora lei era qui. In ospedale. L’unico posto in cui avrebbero potuto aiutarla, e dove le preghiere non mancavano mai. Non eravamo in chiesa, certo, ma eravamo convinti che pregare servisse davvero a qualcosa. In fin dei conti, Terra si era salvata così, e fare un secondo tentativo non costava nulla. I dottori dicevano che era entrata in coma, ma soltanto guardandola, capii che non era così. Il debole segnale sul cardiografo appurò che fosse ancora viva, e nel momento in cui il suo cuore battè debolmente, conferendole la forza di trasformare i suoi rantoli in parole, lei sussurrò qualcosa. “Rose, Isaac, venite qui.” Pregò, spostando lo sguardo su di loro con uno sforzo immane. Obbedendo a quella sorta di ordine, i ragazzi si avvicinarono, e scostandosi lentamente, lei fece spazio a entrambi. Anche se lentamente, loro si sdraiarono con lei, e respirando a fatica, lei non disse una parola. Con un ultimo sforzo, prese delicatamente la mano del figlio, posandola poi sul suo petto. “Vi voglio bene.” Soffiò poi all’indirizzo di entrambi, scivolando subito dopo nel silenzio. Di fronte a quel così struggente spettacolo, non feci che piangere in silenzio. Le lacrime mi solcavano il viso, e lottando per ricacciarle indietro, fallii. Soren era con me, e piangeva a sua volta, non avendo occhi che per la sua ora morente amata. Era sicuro che presto avrebbe dovuto dirle addio, e benché non volesse, si mostrò pronto. Intanto, io continuavo a tenere lo sguardo fisso sull’esanime corpo di Samira, che ormai non faceva che rantolare nella speranza di restare attaccata alla vita. Per sua sfortuna, le sue ultime energie l’abbandonarono, e nel momento in cui sul cardiografo non apparve che una linea piatta, Rose e Isaac scoppiarono a piangere. Andando alla disperata ricerca di confronto, si abbracciarono, annegando poi la loro tristezza in un bacio reso amaro dai loro cupi sentimenti. Avvicinandomi, li abbracciai entrambi, e dopo aver salutato Samira per l’ultima volta, Soren fece lo stesso. Poco dopo, il dottor Patrick tornò nella stanza, e coprì il suo corpo con un telo bianco. Eravamo tutti tristi, ma quella era la realtà. Samira aveva vissuto, amato e combattuto con tutte le sue forze, ma ora se n’era andata, lasciandoci per sempre. Stretti gli uni agli altri, tentammo di farci forza, ma invano. Il dolore era troppo grande, e occupava completamente i nostri cuori, non dandoci modo di pensare ad altro. Una volta lasciato l’ospedale, aggiunsi al mio diario una vera e propria pagina commemorativa, consegnandone una copia anche a Soren. L’amava davvero, e se la meritava. Accettando quel dono con grande gioia, lui mi strinse a sé, e anche se con l’arrivo della notte non riuscii davvero a dormire, ebbi comunque tempo di riflettere, comprendendo, dopo una così tragica  morte, che bisognava perdere per vincere.



Salve a tutti ancora una volta, miei cari lettori! Sono tornata anche oggi, a pubblicare ben tre capitoli, con il numero quarantacinque che segna il finale di questa parte della saga. Tragico, non trovate? Da onesta autrice sì, ma che dire? Tutti sanno che il destino è sempre già scritto... Ad ogni modo, non disperate, la settima parte dovrebbe essere online fra circa una decina di giorni. Intanto grazie di aver seguito le avventure di Rain fino a qui, a tutti indistintamente, ma in special modo a chi mi recensice, come ad esempio "la luna nera" "JustBigin45" e "alessandroago94" Ci rivedremo nel seguito, perciò a presto,
 
Emmastory ;)
 
 

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