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Etheram tornò a
tarda notte, nell'ora in cui anche gli spiriti tacciono. Si
infilò nella tenda di soppiatto, come un ladro, con
l'elementale dell'aria che faceva appena turbinare la sabbia sotto i
suoi sandali. Sfiorò il tappeto di giunchi, con il barracano
rosso e la tunica indaco che ondeggiava lievemente attorno al suo
corpo, eppure Nemeria la sentì comunque. Alzò la
testa dal cuscino e con i capelli scompigliati davanti agli occhi
spiò sua sorella mentre raggiungeva la stuoia. La chioma
quasi bianca le ricadeva immobile sulla schiena e sul piccolo seno,
nascondendo i talismani di cuoio. Invidiava la sua capacità
di piegare l'elementale al suo volere. Persino Fakhri, la loro maestra,
non riusciva a rimanere impassibile quando, durante le esercitazioni,
il vento diminuiva la sua forza e le nuvole abbandonavano il cielo a un
suo semplice cenno.
- Come mai sei ancora sveglia? - le chiese Etheram, riscuotendola dai
suoi pensieri, - Mamma non ti ha raccontato la storia della buonanotte?
Oppure hai fatto un brutto sogno? -
Nemeria arricciò le labbra e, prima di mettersi a sedere, si
guardò intorno. La tenda era silenziosa, sia sua madre
Hediye che suo fratello Rakhsaan dormivano profondamente, avvolti in
pesanti coperte di lana, vicino ai paraventi. Richiamò il
suo elementale e una piccola fiamma divampò sul palmo della
sua mano, spandendo un'incerta luce aranciata.
- Dove sei andata? Ti ho sentita uscire un'ora fa. -
- Ah, allora te ne eri accorta. -
Etheram sorrise e si sedette al suo fianco, vicino all'agati,
il palo centrale. Come sempre, aveva il suo blocco da disegno
sottobraccio, quello che si portava ovunque e che nascondeva
gelosamente, mostrando solo di tanto in tanto i suoi disegni. Nemeria
poteva contare sulla punta delle dita le volte che le aveva concesso di
vederli.
- Non hai risposto alla mia domanda. - insistette, appoggiando la testa
contro la sua spalla, - E non dire che sei andata solo a farti un giro,
non me la bevo. -
Etheram sbuffò e levò gli occhi al cielo,
fingendosi esasperata. Il vento caldo del deserto si infilò
nella fessura tra i due lembi di tenda, accarezzò il tappeto
di giunchi e le scompigliò i capelli, facendo mulinare le
ciocche bianche e castane attorno al suo viso. Nemeria ne
catturò una e se la avvolse attorno al dito, affascinata dal
lucore perlaceo che si spandeva sui tratti chiari per poi attenuarsi
poco sopra le orecchie, dove la chioma assumeva di nuovo il suo color
noce naturale.
- Ti piacciono?-
- Sì, sembrano come quelli delle donne di quel popolo...
come si chiamava? -
- I Rorwan? - suggerì Etheram, mordicchiandosi le labbra con
aria pensosa, - Sì, può essere. Domani potremmo
chiedere delucidazioni a Fahkri, ma mi pare di ricordare che fossero
proprio loro. -
Nemeria annuì distrattamente e acchiappò un'altra
ciocca della sorella. A differenza dell'altra, era completamente
candida, fino quasi alla radice, di un bianco così chiaro da
sembrare argento liquido alla luce della luna. Era un processo normale
all'età di Etheram, dopo tutti gli anni di addestramento
sarebbe stato strano il contrario, eppure una morsa dolorosa le serrava
le viscere ogni volta che notava una ciocca più scolorita
rispetto al giorno prima, gli occhi più vitrei, la pelle
più lattea. Tra un paio d'anni, sua sorella sarebbe
diventata una vera Jinian, capace di attingere al potere dei quattro
elementali che vivevano dentro di lei, e allora non sarebbe
più stata Etheram. Avrebbe conservato la memoria, il corpo,
ma avrebbe trasceso la sua mortalità per ottenere
“la più alta consapevolezza di sé e
dell'universo”, come diceva Fakhri ad ogni lezione.
Nemeria si avvicinò ancora di più,
accoccolandosi, senza però trovare la forza di guardarla in
viso. Quando coglieva dei cambiamenti nell'aspetto di sua sorella,
cominciava a sentire freddo.
Come se le avesse letto nel pensiero, Etheram la strinse a
sé e le rivolse un sorriso dolce e sbilenco, che ricordava
quello Hediye. Nemeria trovò il suo abbraccio rassicurante,
come se non avesse niente da temere finché fosse rimasta
avvolta nel calore di Etheram.
- Non mi dimenticherò di te. - le sussurrò questa
all'orecchio.
- È una promessa? -
- È una promessa. -
Nemeria strusciò il viso contro la sua spalla e, ancora per
qualche minuto, si godette il calore del corpo di sua sorella,
ricacciando le lacrime in gola.
- Non mi hai ancora detto che diamine sei andata a fare in giro. -
tornò poi alla carica e la fiammella sul palmo della sua
mano crepitò, ingrossandosi.
- Non fare chiasso o svegli tutti. E stai attenta, tra poco incendi
qualcosa se non ti dai una regolata. -
- Non c'è niente che possa andare a fuoco, qui. -
Etheram fece saettare lo sguardo per la tenda, osservando il telo che
le proteggeva dalle intemperie composto da pelli di capra e muflone, l'agati e
gli altri pali posti ai quattro angoli, in pregiato legno di noce
lucido.
A Nemeria bastò seguire il movimento dei suoi occhi per
rendersi conto della stupidata che aveva detto. Si concentrò
sulla fiamma e chiese all'elementale di calmarsi, ma questa ci mise
comunque qualche istante ad affievolirsi. Fakhri glielo diceva sempre
che era troppo emotiva e lei sapeva che aveva ragione, ma faticava a
tenere a bada i suoi sentimenti. Era il motivo per cui il fuoco reagiva
così velocemente e la terra ignorava i suoi comandi.
- Oh, così va meglio. Sei migliorata dall'ultima volta. - si
complimentò Etheram.
- Lo pensi davvero? - esclamò, staccandosi di scatto dalla
sua spalla per fissarla negli occhi, - Mi sono esercitata tantissimo,
anche solo per mitigare la fiamma di una candela, e anche Fakhri dice
che se continuo così potrei a breve padroneggiare
perfettamente il fuoco e... -
- Nemeria. -
- Io penso che abbia ragione. Magari quando compirò dodici
anni non avrò difficoltà a cominciare il Primo
sentiero, magari l'Alta Sacerdotessa mi dirà che
dovrò partire proprio dalla terra. -
- Nemeria. -
- Sì? -
Etheram le indicò la mano. La fiamma adesso aveva assunto la
dimensione di una palla e scoppiettava allegra, illuminando la tenda
quasi quanto il focolare appena acceso. La bambina cercò di
non farsi prendere dal panico, ma più cercava di placare il
battito del suo cuore, più la fiamma cresceva, divampando
come se qualcuno stesse aggiungendo nuova legna da ardere. Con un
sorriso divertito, sua sorella posizionò la propria mano
sopra la fiamma e cominciò a sottrarre ossigeno al fuoco,
fino a quando questi non tornò di dimensioni accettabili.
- Ecco, è sempre così... mi basta deconcentrarmi
un attimo e l'elementale fa quello che vuole. L'altra volta ho persino
carbonizzato la merenda di Ziba. - sbuffò sconsolata Nemeria.
Etheram non riuscì a trattenere una risatina.
- Guarda che è una cosa seria, non c'è niente di
divertente! -
Etheram tossì piano, cercando di ricomporsi: - Cosa
è successo? Perché ti sei arrabbiata con lei?-
Nemeria si mordicchiò l'interno delle guance, incerta su
come rispondere. Dopo un momento di riflessione, decise di raccontarle
la verità. Far finta di niente non avrebbe avuto senso e
mentire ancor meno: sua sorella aveva un intuito felino per le bugie,
l'avrebbe smascherata subito.
“Sua madre, prima di diventare una Jinian, doveva essere una
Sha'ir.”
- Ha detto che sono stupida, che non diventerò mai brava
come te. -
- Perché lei spicca per intelligenza, giusto? -
Fuori il vento soffiò con più
intensità, sferzò le dune desertiche con rabbia,
afferrando la sabbia e avviluppandola in piccoli vortici. Nemeria quasi
poteva vederli, al di là delle strisce colorate in rosso
ocra della tenda, la manifestazione del fastidio di sua sorella.
Durarono poco, tant'è che si domandò persino se
non se li fosse immaginati, perché quasi subito le raffiche
si tramutarono in una brezza delicata, una carezza tiepida sulla pelle.
- Ne hai parlato con Hediye? - le chiese dopo un po'.
Nemeria scosse la testa e si raggomitolò ancora di
più. Etheram non aveva mai chiamato Hediye
“mamma”, nemmeno quando era piccola. In effetti, la
donna non era la madre naturale di nessuna delle due, ma
una “Ikaelan”, un'umana
che aveva deciso di sua spontanea volontà di unirsi alla
loro tribù e prendersi cura dei bambini per ripagare l'Alta
Sacerdotessa di quel privilegio. Nonostante conoscesse la
verità, Nemeria voleva bene a Hediye e non aveva mai smesso
di considerarla sua madre, nemmeno quando le aveva rivelato che non
c'era alcun legame di sangue tra lei, Etheram e Rakhsaan. Era accaduto
due anni prima e ricordava di aver pianto per un'ora, finché
Hediye non l'aveva presa in braccio e l'aveva cullata, conducendola con
la sua voce in un sonno tranquillo e senza sogni.
Sua sorella sospirò e le scompigliò i capelli,
mettendole un braccio attorno alle spalle.
- Lascia perdere Ziba. Doveva dare aria alla bocca e tu ha fatto bene a
bruciarle la merenda. -
- Non lo so... - trasse un profondo respiro e rinserrò la
stretta sulle ginocchia, - È che gli altri sembrano saper
già fare tutto, manipolano gli elementali con una tale
facilità e io mi sento così stupida e incapace. -
- Non lo sei, Nemeria, non lo sei. Tu hai una grande
affinità con il fuoco, l'elemento più difficile
da manipolare perché il più irrequieto, il
più impulsivo, il più indomabile. Si nutre delle
emozioni forti e, come un incendio, divampa per un istante e poi si
spegne con un alito di vento. -
Etheram aprì il blocco da disegno su un paesaggio desertico,
nel quale figurava un sole a picco sulle dune salienti e un cielo
insanguinato sullo sfondo.
- Tuttavia, è anche l'energia che anima il mondo. Anzi,
è esso stesso l'anima del mondo. Ad esso gli uomini hanno
associato gli ideali di forza, coraggio e determinazione. È
un agente di cambiamento e attraverso le fiamme riusciamo ad arrivare
alla vera perfezione, quella che ci rende Jinian. Ti sei mai chiesta
perché il cammino del fuoco è l'ultimo che viene
intrapreso? È talmente difficile da manipolare che, se non
fosse moderato dagli altri elementi, la sua forza vivificatrice si
trasformerebbe in un impeto distruttivo inarrestabile. -
Nemeria sfiorò i delicati clivi disegnati a carboncino,
saggiando quasi con deferenza la consistenza ruvida della pergamena.
Fissò affascinata quel paesaggio e lo riconobbe come uno dei
tramonti del deserto del nord, dove il sole moriva prima e sorgeva
più tardi.
- L'acqua, invece, rinsalda ciò che il fuoco dilata,
è il grembo da cui ha origine la vita. -
Etheram girò la pagina, mostrandole lo schizzo di una
sorgente incassata nel pertugio tra due montagne ancora avvolte dalla
morsa del gelo, le cime incappucciate di neve brillante.
- Sotto forma di vapore, sale verso il cielo e nelle sue gocce
raccoglie i sussurri degli dei, per poi cadere di nuovo sulla terra,
fecondandola, amandola come una madre il proprio figlio. Ma la sua vera
forza risiede nel perpetuo mutamento e movimento. Per poterla dominare
bisogna cedere, cambiare forma, adattarsi senza piegarsi
all'elementale. Al suo opposto, nell'immobilità,
c'è la terra. -
Sotto gli occhi di Nemeria, nella pagina successiva apparve una steppa
che si estendeva a perdita d'occhio, un mare verde che sulla linea
frastagliata dell'orizzonte era costellato da possenti alberi, giganti
maestosi che sfidavano il cielo viola del crepuscolo, squarciato da
fulmini.
- Fertile e rigoglioso, l'elementale della terra è il grembo
che accoglie la vita, la nutre e ne osserva lo sviluppo, ma allo stesso
tempo è forte, solido, potente, oserei direi intransigente.
Sono riuscita a conquistarmi con difficoltà il suo rispetto,
perché la mia natura è più vicina
all'aria: mi sono sempre sentita leggera e impalpabile, legata a
quell'energia invisibile che penetra nelle profondità della
terra, fa bruciare il fuoco e mette in moto le correnti degli oceani. -
Etheram fece una pausa e accarezzò la fronte di Nemeria,
spostando le ciocche nere dietro le orecchie, l'espressione seria sulle
labbra serrate.
- Qualunque sia l'elementale a cui sei più affine, ricordati
sempre che per garantirti la stima degli altri tre dovrai faticare. Non
è un cammino semplice, non lo è stato per
nessuno, e chi dice il contrario mente. -
- Per te non è stato facile? -
- Affatto, è stata una lotta estenuante. Ma almeno i miei
sbagli e non sono stati visti da persone come Ziba. - Etheram sorrise e
le porse un sacchetto dalla scarsella, - Questo è per te. -
- Che cos'è? -
- Un piccolo pensiero per una bambina che sta crescendo. -
Nemeria lo prese e lo soppesò, tastandolo con le dita nel
tentativo di capire cosa fosse, con gli occhi chiusi e le sopracciglia
aggrottate. Dopo aver scartato una o due ipotesi, cedette alla
curiosità e lo aprì, lanciando un piccolo
gridolino di sorpresa quando la luce della luna rimbalzò su
una pietra azzurra dai riflessi violacei. Poi si rese conto che era una
collana.
- Etheram, è... è bellissima! Dove l'hai presa? -
- Segreto. Ti dirò solo che ho chiesto a un uccellino di
accompagnarmi in una certa oasi... -
- Hai davvero chiesto ad Arsalan di portarti con lui al mercato? Come
hai fatto a convincerlo? Dice di no a tutti ed è pure
antipatico. -
- Dopo l'ultima volta che gli ho fatto notare che la pietra che gli
avevano venduto era un sasso colorato, ha deciso di sua spontanea
volontà di portarmi con sé. -
Nemeria la squadrò, soppesando le sue parole per cercare di
capire se ci fosse un qualche significato nascosto, ma visto che sua
sorella non sembrava intenzionata a scucirsi oltre rinunciò,
tornando a rivolgere le sue attenzioni al regalo. Era un semplice
pendente, con la corda era nera e liscia al tatto, come il cristallo,
che era stato levigato fino a fargli assumere la forma di una goccia.
Esso sfavillava di una luce lattiginosa, che sembrava scaturire
dall'interno. A Nemeria ricordava una Lacrima della Madre, quelle che
si diceva avesse versato quando Heydar, il campione del suo amato
fratello, aveva ucciso Soraya, la sua prima figlia, condannando
così tutta la stirpe degli uomini.
- È una pietra di luna. Si dice che aiuti a lenire gli
affanni e il dolore, ma soprattutto serve a mitigare le emozioni. Ho
pensato che poteva essere un bel regalo per un'aspirante Jinian. -
- È bellissimo, davvero. Posso indossarla subito? -
- Certo, voglio vedere come ti sta. -
Nemeria si alzò di scatto e raccolse in una coda
raffazzonata i capelli corvini, trattenendo appena l'eccitazione.
Le Jinian non entravano mai in contatto con gli altri popoli, di solito
il compito di mercanteggiare lo lasciavano agli uomini della
tribù che si occupavano di scambiare stuoie, statuette di
legno, bisacce, cuscini e astucci per armi con beni di prima
necessità. I gioielli, ovviamente, non rientravano tra
questi e Nemeria li aveva per lo più sentiti descrivere dai
racconti delle Anziane, oppure li aveva visti portare da alcune
Ikaelan. Il fatto che Etheram fosse venuta in possesso di una collana
era straordinario.
Quando percepì la freddezza della pietra sulla pelle,
provò subito un profondo senso di pace. Di fronte alla sua
faccia meravigliata, sua sorella l'abbracciò, soffocando una
risata nei suoi capelli.
- Ti voglio bene, Nemeria. -
- Anche io te ne voglio, Etheram. Prometto di impegnarmi sempre di
più per diventare una Jinian brava come te. -
- Oh, così mi piaci. Adesso però andiamo a
dormire, domani sarà una giornata impegnativa per te. -
- Non puoi dormire vicino a me? Prometto che non mi muovo troppo. -
- Anche l'ultima volta avevi detto così e la mattina dopo mi
sono svegliata fuori dalle coperte. -
- Dai, faccio la brava. - piagnucolò, fissandola come un
cane bastonato.
Etheram esalò un sospiro esasperato e si passò
una mano sul viso, ma mentre spostava la stuoia Nemeria si avvide che
sorrideva. Sua sorella non riusciva mai a negarle nulla.
- Grazie ancora del regalo. Buonanotte. - sussurrò,
allungando la mano verso quella di Etheram.
- Sogni d'oro, fiammella. - le rispose, con la voce già
impastata dal sonno.
E un minuto più tardi precipitarono nel sonno, le dita
intrecciate e i corpi vicini.
Era quasi l'alba quando Nemeria aprì gli occhi. Aveva ancora
una mano stretta attorno alla pietra di luna, ma l'altra era vuota.
Etheram se ne stava in piedi accanto a lei, gli occhi chiusi,
l'espressione concentrata e i palmi illuminati da una luce dorata
appoggiati a terra.
- Etheram...? - la chiamò incerta. Non
ottenne risposta. Solo il movimento dell'elementale sotto la pelle
delle braccia tese le fece capire che non si era addormentata durante
la meditazione.
Con la mente ancora annebbiata dal sonno, Nemeria si guardò
intorno, per poi dirigere la sua attenzione prima verso l'entrata e poi
all'interno della tenda. Alle sue orecchie le arrivarono il leggero
russare di Hediye, il borbottio sommesso di Rakhsaan e il
sibilare leggero del vento. Suoni familiari, suoni di casa.
Etheram, però, sembrava sentire qualcos'altro. D'un tratto
impallidì e, quando riaprì gli occhi, Nemeria
vide la paura accenderle lo sguardo. -
Ci stanno attaccando. Sveglia Hediye e Rakhsaan, io
vado ad avvertire l'Alta Sacerdotessa. -
- Attaccando? Chi? - indagò sconvolta, svegliandosi del
tutto.
- Non lo so, ma non è importante ora. - disse in tono calmo,
senza lasciar trasparire alcun turbamento, e Nemeria si
quietò un poco.
Le Anziane raccontavano spesso come fosse il mondo fuori dalla
tribù, quanto potessero essere crudeli gli uomini, ma le
avevano sempre rassicurate: la magia dell'Alta Sacerdotessa e delle
altre Jinian, fin da quando Heydar aveva scatenato la collera della
Madre, aveva reso il loro popolo invisibile. Solo le poche donne che
possedevano il dono della vista erano in grado di scorgerli, e dopo
un'attenta selezione venivano accolte nella tribù. Quindi
com'era possibile che qualcuno le potesse attaccare? I mortali non
sapevano della loro esistenza, le Anziane e gli uomini che
mercanteggiavano avevano garantito che erano diventate solo una
leggenda.
Quando Etheram l'afferrò per le spalle, Nemeria
trasalì. Aveva la mascella contratta e gli occhi si erano
accesi di una calda luce dorata, così come le braccia e le
mani. -
Ascoltami, lo so che hai paura, ma andrà tutto bene.
Rilassati e sveglia Hediye e Rakhsaan. Se
è vero che qualcuno ci ha trovate, siamo tutte in grave
pericolo. Io non posso rimanere qui, devo unirmi alle altre per
combattere, perciò dovrai essere tu a prenderti cura di
loro. -
- Combattere? Ma io so a malapena utilizzare l'elementale del fuoco! -
Etheram fece per ribattere, ma l'elementale risalì in una
scia dorata intermittente il suo braccio e le sussurrò
qualcosa all'orecchio, qualcosa che l'allarmò. Il vento
trasportò le urla concitate di donne e uno scalpiccio
frenetico. La voce risoluta di Fakhri sovrastò tutte le
altre, assieme a quelle delle maestre, che esortavano tutti a radunarsi
attorno alla tenda dell'Alta Sacerdotessa.
- Ci stanno davvero attaccando? - A
quella domanda, le due sorelle si girarono in
simultanea. Hediye avanzava zoppicando verso di loro,
con in braccio il piccolo Rakhsaan ancora addormentato. Lo stringeva
forte al seno, le mani e le spalle tremanti come il sorriso che rivolse
a Nemeria.
- Sì, per questo dovete andare via. Seguite le indicazioni
delle maestre, andate dall'Alta Sacerdotessa. - spiegò
rapidamente Etheram, - Non allontanatevi dagli altri, per nessuna
ragione al mondo, chiaro? -
- Tu non verrai? - balbettò Nemeria.
- No, io mi unirò alle Jinian. -
Nemeria cercò le parole per rispondere, per convincerla a
non separarsi, ma i pensieri si accavallavano impedendole di
concentrarsi. Un terribile presentimento si fece strada nel suo cuore.
Non voleva che Etheram andasse, sentiva che, se fosse uscita dalla
tenda, non l'avrebbe più rivista. Eppure, per quanto si
sforzasse, la sua voce rimaneva incastrata in gola.
Etheram le diede un bacio sulla fronte e l'abbracciò,
affondando la mano nei capelli neri della sorellina. Nemeria comprese
subito che era un addio.
- Non piangere, andrà tutto bene. - le soffiò
all'orecchio, asciugandole le lacrime. -
Sì, andrà tutto bene, vedrai.
- reiterò Hediye, prendendole la mano, e
con delicatezza l'allontanò dalla sorella, - Abbi cura di
te, Etheram. - La
ragazza elargì un lieve cenno di assenso, si
voltò e schizzò fuori dalla tenda. Nemeria
guardò con gli occhi fuori dalle orbite il punto in cui fino
a un istante prima c'era Etheram, avvertendo il gelo penetrarle nelle
ossa. Poi Hediye la tirò e lei fu
costretta a seguirla, le gambe rigide come tronchi e il cuore pesante
come il piombo.
Non appena uscirono, il caos le avvolse. Uomini, donne e bambini
camminavano affiancati, stringendo al petto i pochi averi che potevano
portare con loro. Le maestre giravano tra la folla, facendo sentire la
loro presenza in modo da contenere il panico che, come un morbo
mortale, si diffondeva sui visi sudati dei fuggiaschi. Il sole, a
quell'ora della mattina, rendeva la sabbia rovente e l'aria
irrespirabile, ma senza nessuna Jinian a richiamare il potere degli
elementali non potevano fare altro che avanzare lentamente, con il
fiato che bruciava la gola e gli occhi pieni di paura, ammassati gli
uni agli altri per difendersi da un nemico invisibile e sempre
più vicino. Nemeria
girava il capo da una parte all'altra, nella speranza di scorgere
qualche viso conosciuto in mezzo alla bolgia, ma l'unica cosa a cui
riusciva a pensare erano le parole di Etheram.
- Predoni! Predoni a cavallo! -
- Sono più di trenta, come faremo a salvarci? -
- Sono neri come i Jin, ma sono uomini. -
- Come hanno fatto a trovarci? Non sanno usare la magia! -
- Mamma, dove stiamo andando...? - domandò Rakhsaan con voce
impastata, sbadigliando.
Il bambino osservò il panorama con aria persa, gli
scarmigliati riccioli biondi che gli circondano il viso come un'aureola
e le braccia cinte attorno al suo pupazzo di stoffa. Alla vista della
gente che correva gridando, le facce distorte dal terrore e l'incarnato
pallido come quello di uno spettro, Rakhsaan percepì la
paura montare come un'onda violenta.
- Mamma?! - chiamò spaventato, aggrappandosi al collo di
Hediye come se fosse l'unica ancora di salvezza. -
Andiamo dall'Alta Sacerdotessa, amore. Ci sono degli uomini cattivi che
vogliono farci del male, ma le nostre Jinian ci proteggeranno.
Andrà tutto bene, vedrai. - rispose la donna, ma Nemeria
colse la sua esitazione. Anche
Rakhsaan dovette notarla, però non osò chiedere,
rannicchiandosi contro il suo petto e nascondendo il viso nell'incavo
del collo della madre. Hediye gli
accarezzò la testa e gli scoccò un bacio sui
capelli. Cercò di mantenere un passo sostenuto, ma la
caviglia le doleva e la rallentava. Se l'era slogata due giorni prima,
mentre tornava a casa dopo essersi occupata della febbre di Keyvan.
Doveva essere una cosa da poco, un paio di giorni nella tenda a
riposare e si sarebbe rimessa in sesto. Ora, invece, Nemeria si
domandava se avrebbe visto sorgere un'altra alba.
Quando giunsero nella piazza centrale, videro l'Alta Sacerdotessa. La
lunga cappa smanicata aperta sul davanti ricadeva in uno strascico
lungo, con motivi geometrici rossi che si arrampicavano come foglie
d'edera sulla stola, lasciando scoperte le braccia fino alle spalle
tatuate. Nemeria si rasserenò un po', anche se nel profondo
sapeva che non era un buon segno che impugnasse il bastone degli
Spiriti.
Le Anziane costituivano un semicerchio attorno a lei. Alcune
indossavano i paramenti sacri, con la fusciacca rossa e il pugnale
cerimoniale nel fodero sulla vita, altre invece avevano l'armatura di
pelle e avevano già infuso gli elementali nelle scimitarre.
L'Alta Sacerdotessa attese finché tutti non si furono
radunati al suo cospetto. Il vento cominciò a soffiare, le
ingrossò la gonna e le scompigliò i capelli,
lasciando scoperti i tatuaggi luminosi sulle gambe e gli orecchini
sulle lunghe orecchie da Sha'ir, ultimo retaggio del suo passato
mortale. La sua voce alta e autoritaria mise la folla a tacere.
- Mio amato popolo, siamo stati attaccati, gli uomini ci hanno trovato.
Hanno oltrepassato la prima barriera e adesso si accingono a
distruggere la seconda. Tra pochi minuti saremo completamente esposti.
- li osservò ad uno ad uno, con i suoi occhi rossi senza
pupille, - Non so come sia accaduto, i mortali non possono usare la
magia senza venirne corrotti, ma non è questo il momento
delle risposte. Ho mandato le nostre Jinian al confine della prima
barriera, in modo che possano trattenerli il più possibile.
A breve, andranno anche alcune Anziane, ma prima apriremo un portale di
teletrasporto. - alzò il braccio che teneva il bastone degli
Spiriti e si concentrò.
Nemeria ebbe come la sensazione che stesse guardando proprio lei, ma si
ricredette subito. Perché mai avrebbe dovuto farlo? Lei era
solo una bambina.
- Vi chiedo di rimanere fermi. Quando il portale sarà
attivo, procedete ordinatamente all'interno. Vi ritroverete molto
lontani da qui, in un luogo dove potremo di nuovo nasconderci. -
Mentre diceva questo, le Anziane, quelle che portavano gli abiti
sacerdotali, avevano già cominciato a richiamare gli
elementali dell'aria e dell'acqua. L'energia fluiva dalle loro dita in
volute evanescenti, spirali perlacee che si annodavano intrecciandosi
attorno a uno specchio liquido, con la superficie increspata da
mulinelli.
- Io, le Anziane e le Jinian resteremo per combattere, e non
è certo che torneremo. - continuò l'Alta
Sacerdotessa, e la sua espressione imperturbabile si incrinò
in una smorfia amara, quasi rassegnata. Un
fremito di paura percorse la
tribù. Hediye rinserrò la presa
in tempo, prima che le ginocchia di Nemeria cedessero. Etheram era
lì fuori, alla prima barriera a combattere per loro e c'era
il rischio che non sopravvivesse. Sua sorella, la sua confidente, la
sua migliore amica poteva già essere morta. Senza che se ne
rendesse conto, le lacrime ruppero gli argini e Nemeria si
ritrovò a singhiozzare contro il fianco di Hediye.
Il canto delle Anziane aumentò di volume, le voci si unirono
e gli elementali vorticarono nell'aria per tuffarsi e riemergere dallo
specchio. Una scarica di fulmini scaturì da ognuno di loro,
fece tremare tutta la struttura e solidificò la cornice
fumosa.
L'Alta Sacerdotessa gettò una rapida occhiata al portale e
si rivolse nuovamente alla folla. Nemeria ebbe ancora l'impressione di
essere osservata, ma non vi badò, troppo preoccupata per la
sorte di Etheram.
“È un incubo, deve esserlo... per favore, Madre,
fa' in modo che si salvi.” Quando
cominciarono ad avanzare verso il portale, si fece trascinare quasi per
inerzia da Hediye.
- Sta' tranquilla. -
Nemeria trasalì e dopo un attimo di esitazione
sollevò il capo. L'Alta Sacerdotessa era davanti a lei, la
sovrastava mettendola in soggezione. Abbassò lo sguardo a
disagio, ma la donna glielo impedì, si
inginocchiò e le tirò su il mento, costringendola
a guardarla negli occhi.
Ora che la vedeva così da vicino, Nemeria si accorse che,
nascoste sotto le lunghe ciglia bianche, c'erano un paio di pupille
nere e che i tatuaggi bianchi sulle spalle e sulla pancia scoperta
baluginavano di tutte le sfumature del giallo, del rosso, del blu e del
grigio.
- Vedo lontano, oltre le nebbie. Vedo un mondo che
non mi è più caro, un eterno inverno dove il
sangue scorrerà imbrattando la virginea bellezza della
primavera. Il disonore prevarrà, la lealtà
verrà calpestata, il coraggio arderà nelle fiamme
degli incendi. Ogni uomo diverrà un traditore, ogni tradito
un omicida. Allora sarà l'Era della Falce e verrà
emesso il giudizio sul mondo. -
La sua voce era incolore, quasi glaciale, mentre parlava. A Nemeria
venne la pelle d'oca. Non riusciva a muoversi, incatenata ai suoi occhi
di brace che la fissavano senza vederla davvero.
- Figlia di Chandra, considera il lato nascosto
delle cose e chiediti cosa non conosci. Scruta al di là
delle ombre, diffida dalla luce, segui il sentiero che ti
trascinerà verso l'abisso e ti innalzerà al di
sopra degli altri figli di Chandra e Heydar. -
concluse, le posò un delicato bacio sulla fronte e
accarezzò la pietra di luna che pendeva dal collo di Nemeria.
All'improvviso, un sibilo fendette l'aria e una freccia si
piantò nel terreno, vicino al piede dell'Alta Sacerdotessa.
Un silenzio denso come melassa paralizzò la folla, che, come
un essere unico, si girò per individuare chi l'avesse
scagliata.
Quindici predoni avanzavano dal limitare delle tende, le daghe
insanguinate abbandonate lungo i fianchi e una semplice maschera bianca
a coprir loro il viso. Il materiale con cui era stata realizzata era
traslucido, come porcellana, e sulle guance era stata dipinta una
lacrima rossa. La loro armatura era più nera dei mantelli
drappeggiati sulle spalle. Camminavano contemplando il paesaggio, come
se fossero appena arrivati a una festa.
Nemeria li studiò, la mente vuota e gli occhi ormai
asciutti, senza più lacrime. Se erano arrivati
lì, significava solo una cosa: Etheram, assieme a tutte le
altre Jinian, era morta.
- Presto, presto, al portale! -
L'ordine dell'Alta Sacerdotessa si levò come un ruggito
disperato, rimettendo in moto l'ammasso di corpi che ostruiva la
piazza. Mentre gli uomini serravano i ranghi, lei e le Anziane armate
con le scimitarre caricarono i nemici, incuranti delle frecce che
piovevano dal cielo.
Nemeria osservò quella donna folle di dolore che combatteva
come una furia, incurante delle ferite e dei colpi che la raggiungevano
da ogni parte, sfondando gli incantesimi protettivi degli elementali
che, come spiriti impazziti, brillavano sotto la sua pelle liberando la
loro magia primordiale, nel tentativo di respingere i suoi avversari.
Mentre veniva trascinata via, Nemeria piangeva, piangeva per l'Alta
Sacerdotessa e per le donne che stavano dando la vita per salvare
quella del loro popolo.
Il panico esplose. A nulla valsero gli ordini delle maestre, le loro
esortazioni a procedere con ordine. Il terrore si era impossessato di
tutta la tribù, i cui membri si spintonavano per arrivare
per primi al portale, passando sui corpi dei più deboli,
calpestando i bambini che disgraziatamente si erano allontanati dalle
madri. Un altro coro di urla si propagò nella piazza quando
le frecce cominciarono a mietere le prime vittime. Hediye si
dimenò con furia, facendosi largo in mezzo a quella miriade
di corpi. Aveva preso anche Nemeria in braccio e, incurante del dolore
alla gamba, cercava di farsi strada verso il portale. Rakhsaan piangeva
disperato, stringendo convulsamente al petto il suo pupazzo.
- Ci siamo quasi, ci siamo quasi... -
Nemeria per un istante, accecata dalla luce blu dello specchio, ci
credette davvero. Poi uno di quegli uomini, sbucato da
chissà dove, pugnalò una delle Anziane e il
portale cominciò a collassare.
Una mano gelida le artigliò una gamba e la
strattonò così forte da farle perdere l'appiglio.
Nemeria cadde e rotolò di lato, con le braccia alte a
proteggersi il volto. Aspettò qualche secondo, sicura che di
lì a poco dei piedi l'avrebbero calpestata, ma non accadde
niente. Quando schiuse le palpebre vide con orrore Hediye a
terra e, alle sue spalle, un nemico.
- Scappa! Nemeria, scappa! - gridò la donna con tutto il
fiato che aveva nei polmoni. In
un lampo, la mano guantata del predone scattò, lasciando una
sottile linea rossa sulla gola di Hediye, uno squarcio che sembrava
quasi un sorriso. Il suo corpo si accasciò su un fianco e
mentre la folla sciamava via, lontana da loro, Nemeria lo vide fremere
in un agonizzante spasmo. Poi Hediye smise di
respirare. I suoi occhi, ancora aperti e lucidi di lacrime, si velarono
e una pozza di sangue si allargò sotto di lei. Nemeria
fissò la scena e l'uomo che adesso si stava avvicinando,
trafiggendola con uno sguardo tagliente e crudele, inumano.
Singhiozzò impietrita. Era consapevole che rimanere
lì fosse una pessima idea, avrebbe dovuto muoversi,
scappare; avrebbe dovuto ritrovare Rakhsaan, che si era
perduto nel marasma non appena Hediye era crollata; avrebbe dovuto
vendicare la morte di Hediye, lottare con le unghie e con i denti.
Sì, avrebbe dovuto farlo, ma l'istinto di conservazione e la
paura presero presto il sopravvento, spegnendo la ragione. I muscoli
delle gambe guizzarono, i talloni fecero leva sul terreno e il corpo si
sbilanciò in avanti, riassumendo una posizione eretta.
L'adrenalina le diede l'ultima spinta e, senza accorgersene,
iniziò a correre come non aveva mai fatto. Saltò
il cadavere di una donna che era stata trafitta a morte da una freccia,
si infilò nelle tende, zigzagando per seminare il suo
inseguitore. Poteva sentire il suo respiro spezzato sul collo, i suoi
occhi neri fissi sulla propria schiena che non la perdevano mai di
vista. Era lei che voleva.
“Madre, aiutami!”
La pietra di luna divenne incandescente contro la sua pelle e,
improvvisamente, ogni suono venne inghiottito dal silenzio. Nemeria
correva attraverso uno scenario di morte muto senza provare nulla, come
se la collana avesse risucchiato ogni emozione. A un tratto la sua
mente era lucida e i pensieri nitidi. La prossima mossa le si
prospettò con naturalezza sconvolgente davanti agli occhi,
assieme alla visione di una cittadella sconosciuta.
L'elementale dell'aria lasciò fluire il suo potere nelle
vene di Nemeria, soffiò in armonia col suo sangue e ne
accompagnò il corso, giù fino alle gambe e ai
piedi, spronandola ad aumentare la velocità.
- Portami a Kalaspirit. - ordinò la bambina e un istante
più tardi venne avvolta da un turbine di luce.
La prima cosa che Nemeria
percepì quando riprese conoscenza fu la consistenza friabile
della sabbia sotto le dita. La luce del sole, che brillava a picco dal
cielo terso, le bruciava gli occhi attraverso le palpebre. I raggi le
incendiavano la nuca, trasmettendole un calore insopportabile. Aveva un
forte mal di testa e lo stomaco dolorosamente contratto, ma sul corpo
non vedeva alcuna ferita, niente che le lasciasse intuire di essere
stata colpita. Era stata fortunata.
Si strofinò le braccia e si umettò le labbra
secche, percependo il fastidioso scricchiolio dei granuli di sabbia
sotto i denti. Lasciò vagare lo sguardo, ricercando in quel
paesaggio desertico un qualche punto di riferimento, una palma o una
duna familiare. Se davvero era riuscita a teletrasportarsi, prima
doveva verificare di essere nel posto giusto.
Quel pensiero fu come una stilettata al cuore. Era fuggita lasciandosi
alle spalle la sua tribù, la sua famiglia. Per un secondo,
il pensiero di morire lì, sotto il sole cocente, le parve
una prospettiva allettante, ma l'istinto di sopravvivenza non glielo
permise. Come in un sogno, strinse la pietra di luna che le pendeva al
collo e cominciò a camminare.
Sulla linea dell'orizzonte, al confine tra il cielo azzurro e le dune
giallastre, circondata da una patina di sabbia e calura si ergeva una
città, o forse era solo un miraggio. Ma Nemeria seppe
all'istante che era lì che doveva andare, il suo corpo
disidratato bramava il refrigerio dell'ombra e dell'acqua.
Così procedette finché le mura bianche presero
una consistenza fisica, reale come il chiacchiericcio delle persone e
la puzza nelle strade.
Si guardò intorno timorosa, ma nessuno sembrò
fare caso a lei. Solo le guardie, con un'armatura ramata e un semplice
mantello rosso senza alcun emblema, le lanciarono un'occhiata
distratta, per poi tornare a sorvegliare la fiumana di persone che
entrava e usciva a piedi o su carri. Nemeria si concesse di studiare
con involontaria insistenza quelli che trasportavano spezie e altri
generi alimentari, avvertendo un fastidioso brontolio allo stomaco. Non
appena il mercante si accorse di lei, le urlò di andarsene,
quasi fosse feccia a cui non valeva la pena di offrire neanche un sorso
d'acqua. Nemeria, però, non replicò,
allontanandosi rapidamente.
Gli stretti vicoli e le bancarelle polverose del mercato si susseguivano agli angoli del suo campo visivo, slavati come l'acquerello di un bambino. A ogni passo, la voce
che le consigliava di tornare indietro, di provare a chiamare aiuto si
affievoliva sempre di più. Quando si infilò in
una stradina sporca e desolata dietro a una taverna, era diventata solo
un sussurro, che i suoni della città e il bisogno di cibo e
acqua misero facilmente a tacere.
Si avvicinò alla porta sul retro della taverna, quella che
dava sulla cucina, a giudicare dal buon profumino che le
schiaffeggiò il naso. Sussultò quando un topo
grosso come un cucciolo di cane le corse sul piede per andare a
imbucarsi nella sua tana, nascosta dietro un tavolo rovesciato e
mangiato dai tarli. Nemeria scrollò le spalle e rivolse la
sua attenzione alla catasta di casse lasciate a marcire contro il muro.
Ne contò circa una decina, tutte più o meno della
stessa misura e della stesso pessimo legno, di quelli che Morad e
Arsalan avrebbero accantonato subito, definendoli “rametti
buoni solo a bruciare”. Scosse la testa e strinse i pugni
più forte che poté, finché il dolore
causato dalle unghie piantate nei palmi non scacciò via i
visi amati dei due mercanti. Cominciò ad ammonticchiare le
casse l'una sopra l'altra, curandosi di scegliere solo quelle
più integre. Quando ebbe costruito una piccola montagnetta,
si arrampicò fino alla finestrella.
Il profumo del riso al vapore e delle spezie le fece gorgogliare lo
stomaco e venire l'acquolina in bocca, sensazione che si
acuì allorché dei piatti dall'aspetto divino
passarono davanti a lei, sorretti dalle mani esperte di cuochi e
camerieri.
A differenza del fuori, la cucina all'interno era tutto
fuorché sporca. I cuochi, due besajaun e
una donna dal naso a patata e gli occhi a mandorla, si muovevano
freneticamente da una pentola all'altra, togliendo la carne marinata
dal fuoco, girando gli spiedini sulla brace, aggiungendo salse a
stufati di verdure e legumi. Erano così in sincronia che per
un momento Nemeria si dimenticò della fame e rimase a
osservarli, completamente incantata. Fu per quello che non si accorse
che qualcuno si era accorto della sua presenza.
La porta si aprì di schianto e uno dei cuochi
uscì con un'espressione truce stampata sul viso. Lo spavento
che prese fu sufficiente a farle perdere l'equilibrio e cadere dalla
sua scala di fortuna.
- Che cosa vuoi, accattona? - l'aggredì l'uomo, in mano
teneva un mestolo sporco di sugo, - Ho già detto a tutti i
tuoi amici che qui non ci dovete venire, chiaro? Non mi va che
frughiate nei miei rifiuti o che vi facciate vedere in
prossimità della mia taverna! -
Nemeria arretrò strisciando per un paio di metri, poi
tentò di rimettersi in piedi, ma la paura le paralizzava le
gambe.
- Hai capito o no che devi sparire?! -
- S-sì... -
- E allora alza il culo e vattene, prima che chiami le guardie! -
sbraitò il cuoco e alzò il braccio munito di
mestolo per colpirla.
Nemeria serrò gli occhi e si rannicchiò, portando
le braccia sopra la testa per proteggersi, ma l'unico suono che
udì fu il tonfo della porta. Poco dopo le giunsero alle
orecchie gli ordini furiosi del cuoco, che intimava agli altri di
tornare al lavoro.
Quando abbassò lo sguardo, ancora leggermente sconvolta,
notò un pezzo di formaggio che giaceva ai suoi piedi. Si
tirò a sedere e, dopo una breve titubanza, lo
agguantò. A quel punto scappò, inoltrandosi nel
vicolo, per poi svoltare in una stradina chiusa tra la locanda e un
altro edificio. Addossata al muro c'era altra immondizia, pane, frutta
e verdura così marci da sembrare carbonizzati. Le corde dove
erano stati stesi i panni ad asciugare costituivano una ragnatela sopra
la sua testa, sembravano quasi dividere il cielo calmo e silenzioso
dalla terra, una prigione soffocante di caldo e sporcizia. Un gruppo di
ratti stava banchettando con un pezzo di formaggio divorato dalla
muffa. Non appena percepirono la presenza di Nemeria, si girarono per
valutare se fosse una minaccia, poi tornarono a mangiare.
Con l'aria che le raschiava la gola a ogni respiro, la bambina si
accovacciò contro la parete e strinse la pietra di luna nel
palmo. Adesso era leggermente tiepida. Divorò il formaggio
in silenzio, e le parve la cosa più buona che avesse mai
mangiato. Una volta terminato il pasto, giocherellò con il
pendente, scrutandolo intensamente.
- Perché mi hai salvata? Perché non mi hai
lasciata morire lì, assieme a tutta la mia gente? Io... non
so cosa fare, non so nemmeno dominare l'elementale con cui sono
più affine... - mormorò con voce rotta dal
pianto, mentre le lacrime premevano per liberarsi dalla prigionia delle
ciglia.
Questo non è totalmente vero, mia cara.
Nemeria alzò la testa di scatto. Non fu in grado di
trattenere un'esclamazione a metà tra il sorpreso e lo
spaventato, quando posò gli occhi sull'ammasso di fuoco che
era apparso accanto a lei. Guardandolo meglio, si avvide che le lingue
rosseggianti avevano assunto la forma di una donna alta e snella.
Stai tranquilla, sono io. Sono l'elementale che vive dentro di te.
L'essere allungò la mano verso di lei. Le fiamme che
componevano il suo viso si annerirono, solidificandosi assieme al resto
del corpo in magma. Non appena le sue dita la sfiorarono, un calore
rassicurante, delicato come la carezza di una madre, la pervase da capo
a piedi.
- Com'è possibile che tu ti sia incarnata? -
Sulle labbra attraversate da vene incandescenti comparve un sorriso
divertito. Del fuoco di cui era fatta erano rimasti solo i capelli, che
crepitavano allegri sulle sue spalle. Non mi sono incarnata.
Io mi nutro di tutte le emozioni forti che
vivono dentro di te, esse sono energia per le mie fiamme. In queste ore
ne hai provate molte e l'energia che hanno sprigionato è
stata sufficiente per prendere una forma... diciamo, umana.
Ciò che vedi è solo l'immagine solida della mia
essenza.
I topi erano fuggiti non appena avevano percepito la presenza
dell'elementale, lasciando il pezzo di formaggio rosicchiato
incustodito. Ne avevano mangiato una buona metà, ma si erano
per lo più concentrati sulla parte ammuffita. Reprimendo la
nausea, Nemeria si allungò, prese quello che era rimasto e
cominciò a sbocconcellarlo. Se avesse potuto, l'avrebbe
inghiottito in un solo boccone, ma si impose di mantenere un certo
contegno davanti all'elementale. Ascolta, Nemeria. So che
quello che stai passando è
terribile, ma non devi arrenderti, per nessuna ragione al mondo.
- Perché non dovrei? Ho perso tutto. La mia tribù
è morta, la mia famiglia è morta. Non... non ho
motivo di andare avanti. - singhiozzò e diede un morso
più grande al formaggio, riempiendosene la bocca e
masticandolo con rabbia e disperazione insieme alle lacrime salate.
Le sopracciglia corrucciate e gli occhi umidi le conferivano un'aria
triste e tormentata, e così Nemeria si sentiva. Era sola, in
un posto che non conosceva, indifesa, troppo giovane e stracciona per
sperare di venire ascoltata da un adulto.
Il sole non era più allo zenit e le ombre dei panni ne
schermavano la luce, creando delle macchie d'ombra che rendevano il
caldo più sopportabile. Un refolo di vento le
asciugò la pelle sotto il barracano, donandole un po' di
sollievo.
L'elementale si piegò, intrecciò le dita sulle
ginocchia e volse lo sguardo verso l'alto, nel cielo nascosto oltre i
palazzi. Nemeria si domandò se, come l'Alta Sacerdotessa,
fosse in grado di vedere il futuro, se ciò che l'elementale
stava osservando tanto intensamente fosse davvero il cielo, e non
qualcosa che agli occhi dei mortali era precluso. Le Anziane
raccontavano che le prime Jinian, quelle che erano ancora capaci di
udire le parole della Madre, fossero capaci di scorgere lo svolgersi
del filo del destino attraverso il sangue e il fuoco, o addirittura
nelle interiora degli animali. Quelle storie l'avevano sempre fatta
rabbrividire, ma come molti altri aveva cercato di non darlo a vedere,
nascondendosi dietro una risata nervosa a una rapida scrollata di
spalle. Il dolore ti rende sorda
e cieca, ma non credi che sarebbe un atto
egoista abbandonarsi alla morte dopo il sacrificio di Hediye e quello
della vostra sacerdotessa?
Le prese sua mano tra le proprie e accarezzò il dorso, le
labbra increspate in un sorriso premuroso, dolce. Lei è morta
per te. Non era tua madre, ma si comportava come
se lo fosse. Anche Etheram ti amava. È andata alla prima
barriera con la consapevolezza che non ti avrebbe più
rivista. Non devi vanificare il suo sacrificio, non permettere che la
sofferenza prevalga senza aver prima lottato. La morte
trasforma ogni ricordo delle persone care in un vuoto, un'assenza che
riempie i pensieri e avvelena l'anima. Si può decidere di
lasciarsi consumare dal dolore, oppure si può trovare il
coraggio per continuare a vivere. A te la scelta, Nemeria.
Prima che potesse rispondere, l'elementale si sfaldò e
divenne cenere. Nemeria rimase a guardare in silenzio,
finché anche l'ultima scintilla non si spense.
Afferrò la pietra di luna, ma stringerla non la fece stare
meglio.
L'elementale aveva ragione, tutto quello che le aveva detto era giusto,
eppure non riusciva a non domandarsi perché la Madre avesse
deciso di risparmiarla. Se Etheram fosse stata ancora viva, avrebbe
sicuramente voluto che lei vivesse, ma il cuore e la mente di Nemeria
non riuscivano ad accettarlo. Etheram si sarebbe dovuta salvare, di
sicuro avrebbe saputo cosa fare, era una leader nata, forte, risoluta,
carismatica. Perfino Hediye si era dimostrata più
coraggiosa. Lei, con quel corpo fragile e la gamba azzoppata, si era
accollata Nemeria e Rakhsaan e li aveva portati fino al portale. Era
stata una delle cerusiche più abili del villaggio. Due donne
che avrebbero meritato una vita piena, ricca e felice, ma avevano
finito per sacrificare tutto per gli altri.
Nemeria non era come loro, importante o con un futuro brillante in
serbo per lei. Era solo una bambina, una delle tante, senza alcuna dote
particolare. Eppure era stata l'unica a scamparla. L'universo,
talvolta, sapeva essere ironico. Come se non bastasse, nella fuga era
riuscita a utilizzare miracolosamente il potere dell'elementale
dell'aria e, invece di tentare di contrastare i nemici e dare manforte
alle Jinian, si era teletrasportata via, come una codarda, lontano
dalle urla strazianti del suo popolo massacrato senza pietà.
Aveva abbandonato la sua famiglia, doveva essere punita. Forse avrebbe
dovuto permettere alla fame e alla sete di consumarla. Una morte lenta,
adatta ai pavidi come lei. Tuttavia l'istinto, lo stesso che la guidava
da quando era entrata in città, la rimise in piedi.
Non appena uscì dal vicolo, qualcosa scattò
dentro di lei: sapeva dove avrebbe trovato l'acqua, conosceva la
strada. Quella sensazione la scortò attraverso le vie,
conducendola su un sentiero che nemmeno lei riusciva a vedere, ma che
aveva la certezza fosse quello giusto. Nessuno sembrava far caso a lei
e Nemeria fece di tutto per non farsi notare, mantenendo il capo chino.
Quando possibile, aumentava il passo in modo da confondersi tra la
folla.
Si fermò a riposare in una stradina laterale, sotto un
balcone avvolto da boccioli bianchi e rossi. Poi si infilò
in un vicolo tagliando tra due palazzi e, infine, sbucò in
un largo, pieno di bancarelle, negozi e osterie. Doveva essere la via
principale, a giudicare dalla quantità di persone che vi
passeggiavano, ma a Nemeria poco importava. Si limitò a
seguire la marea, finché non giunse in una piazza dove una
grande scalinata, decorata con numerose terrazze e piccoli giardini
pensili, saliva fino a raggiungere la torre campanaria. Al centro della
piazza c'era un'enorme fontana di un marmo così bianco da
sembrare quasi evanescente sotto la luce abbacinante del sole. Una
statua di una sirena con i seni pudicamente coperti si ergeva su un
cocchio a forma di conchiglia, trainato da due cavalli alati. Ai lati,
sedute su due scogli e con i piedi immersi nella piscina, c'erano due
donne, entrambe vestite con un lungo peplo e una cornucopia, dalla
quale spuntavano tralicci d'uva matura.
Ogni volta che un passante passava lì vicino, gettava una
monetina nell'acqua. Nemeria si avvicinò a una delle piscine
laterali, quelle dove le cornucopie riversavano il loro flusso, e
cominciò a bere. Il sollievo sopraggiunse quasi subito e la
frescura portò via anche il sudore e la stanchezza che le
gravavano sulle palpebre.
- Se solo avessi una borraccia con me... - si disse, mentre si lavava
la faccia, - Però, adesso che so dove devo andare,
potrò tornare qui quando ne avrò bisogno. -
- Anche io parlo da sola, sai? -
Colei che aveva parlato era una Sha'ir. Aveva
la
testa per metà rasata e l'orecchio sinistro pieno di
pendagli, tutti collegati assieme da una catenina di bronzo ossidata,
che tintinnava al vento. Era poco più alta di lei, qualche
pollice appena, eppure negli occhi verdi Nemeria vi lesse una grande
maturità.
- Io non parlo da sola. - ribatté imbronciata.
- Non ti preoccupare, ti ripeto che lo faccio anch'io. In
realtà, capita un po' a tutti quelli che conosco, forse
dovrei smetterla di frequentare certe persone. - sbuffò una
risata e sorrise amichevole, - Sei nuova di qui? Non ti ho mai vista. -
Nemeria scandagliò la piazza per appurare che la Sha'ir non
fosse stata mandata a parlarle da qualche tizio losco appostato
nell'ombra. Sembrava non ci fosse nessuno di sospetto nelle vicinanze,
così si rilassò appena.
- Tu conosci tutti quelli che vivono a Kalaspirit? -
La Sha'ir fece spallucce: - Diciamo che so riconoscere uno che non
è di qui. Io sono Altea, gli amici mi chiamano Al. -
- E io come ti devo chiamare? -
- Dipende... comincia col dirmi qual è il tuo nome, poi
vediamo. -
Nemeria esitò. Avrebbe preferito mantenere
quell'informazione segreta, così come tutto ciò
che la riguardava, però dentro di sé sapeva di
non avere scelta. Se voleva sopravvivere a Kalaspirit, doveva fidarsi
di qualcuno.
“Quindi hai deciso di continuare a vivere dopo quello che hai
fatto? Codarda!” le sussurrò una vocina malevola
nella sua testa.
- Ehilà? Ci sei ancora? -
Altea le schioccò le dita davanti al viso per richiamarla.
Nemeria sbatté un paio di volte le palpebre e poi
scrollò le spalle per scacciare il gelido senso di disagio
che le serrava la gola.
- Mi... mi chiamo Nemeria. E sì, hai indovinato non... non
sono di qui. - rispose, sforzandosi di sorridere e di apparire calma.
- Dunque ci avevo preso. - ridacchiò soddisfatta Altea, -
Dalla faccia che hai mi sembri una che ha anche bisogno di aiuto. -
- Già. - si grattò nervosamente la nuca, - I miei
genitori mi hanno abbandonata un paio di giorni fa e... e non so come
fare. Non conosco la città, non so come dovrei muovermi o
dove trovare qualcosa da mangiare. -
Altea la squadrò dall'alto in basso e per un lungo minuto
non disse nulla. Nemeria sperava che la sua storia inventata sul
momento la convincesse, anche se la sua voce suonava fin troppo incerta
persino alle sue stesse orecchie.
- Hai problemi a condividere il letto con altre persone? - le
domandò Altea di punto in bianco.
- No, assolutamente. Spesso mio fratello si infilava nel mio letto
quando si scatenava un temporale e... -
Il ricordo del corpo tremante di Rakhsaan contro il proprio la colse
impreparata. Poteva ancora sentire il solletico dei riccioli del
bambino sul naso, la consistenza ruvida del suo pupazzo, il suo respiro
caldo che si mescolava al suo. Era ancora tutto vivido. Il cuore le
fece così male da spingerla a portarsi una mano al petto per
controllare che non ci fosse alcuna ferita.
Altea le rivolse un sorriso dolcissimo e le accarezzò la
testa, scompigliandole i capelli. Aveva il palmo calloso come quello di
un contadino.
- Allora seguimi, dobbiamo fare la spesa. -
La guidò in mezzo alla folla, passando rasente alle
bancarelle ai lati della strada. Molti mercanti, appena le videro,
intimarono loro di stare lontane dalla merce, ma Altea era molto
più veloce di quello che Nemeria si aspettasse.
Riuscì a rubare un paio di mele rosse, pere, cavoli e, prima
che il proprietario se ne accorgesse, sgraffignò anche dei
datteri, che infilò tranquillamente nelle tasche di Nemeria.
Tentò di portare via un vasetto di miele, ma non fu
abbastanza rapida e la proprietaria della bancarella, un donnone dalla
pancia pronunciata quasi quanto il suo seno, lanciò un
allarme che richiamò i soldati.
Si gettarono in una fuga rocambolesca, durante la quale Nemeria si
domandò a più riprese perché si fosse
fatta coinvolgere. I capelli si appiccicavano alla fronte sudata, il
cuore le galoppava impazzito nel petto e sembrava fermarsi ogni volta
che perdeva di vista la sua guida, ma Altea non era mai troppo lontana
e in qualche modo riusciva sempre a raggiungerla. Si fecero largo tra
la gente, sgusciarono sotto i carri e le portantine, zigzagarono tra i
vicoli, leste come lepri, finché alle loro spalle non
udirono solo il familiare chiacchiericcio del mercato.
Col fiato corto e le gambe che tremavano, si fermarono in una stradina
sdrucciolevole, bagnata dalle acque di scolo. Lì vicino
c'era una grata.
- Andremo nelle fogne...? - biascicò allibita Nemeria.
Altea si accostò alla grata e, dopo aver controllato che non
ci fosse nessun altro, si inginocchiò.
- Ci abbiamo vissuto per un po', ma poi Noriko ha scoperto l'esistenza
delle catacombe e ci siamo trasferiti lì. -
Nemeria rabbrividì. Arsalan le aveva parlato di quei posti e
aveva messo in guardia sia lei che Etheram: erano il regno di ladri,
ratti, fantasmi e scheletri. Se possibile, era meglio evitarli, anche
se lì sotto era più facile trovare qualcuno per
“affari di un certo tipo”.
- È una bella seccatura. - proseguì Altea, - Chi
le ha costruite ha fatto un ottimo lavoro, però è
davvero difficile ricordarsi dove conduce ogni galleria e dove sbuca
ogni grata. L'unica cosa che sappiamo è che si estendono
sotto tutta la città, ancora più in
profondità delle fogne, e che alcune sono stracolme di ossa
vecchie di secoli. Gli altri hanno paura a spingersi in alcune zone,
dicono che sono infestate dagli spiriti dei morti, ma io sono
più che sicura che a parte polvere non ci sia altro. -
sollevò la grata e le fece cenno di raggiungerla.
Nemeria si affacciò cauta e scorse una scala fatta di funi e
pioli di legno maltagliati che si perdeva nell'oscurità.
- Ti faccio strada io, non preoccuparti. -
- Non sono preoccupata. - mentì Nemeria, - Sbrighiamoci,
prima che arrivi qualcuno. -
- Sai che hai degli occhi bellissimi? - commentò ammirata
Altea, di punto in bianco, - Sembrano degli arcobaleni. -
Nemeria incassò la testa nelle spalle, imbarazzata, e non
seppe cosa rispondere. Altea ridacchiò e, dopo averle
scoccato un'occhiata significativa, cominciò a scendere.
Il silenzio immobile delle catacombe le accolse come un vecchio amico.
Non appena Nemeria risistemò la grata al suo posto, il suo
respiro e quello della compagna divenne l'unico suono udibile. Quando
Altea accese un fiammifero, l'oscurità parve animarsi. Un
ratto che stava banchettando con i resti di chissà che
animale corse via spaventato, mentre un ragno peloso e grosso quanto un
pugno si girò a guardarle con i suoi occhietti rossi dalla
ragnatela. Nemeria dovette mordersi le labbra per non urlare.
- Dai, andiamo! - la richiamò Altea, - Stammi vicino. Se ti
perdessi sarebbe un bel problema ritrovarti. -
Avanzarono affiancate, con la sola luce del fiammifero a illuminare i
loro passi. Talvolta, alcune lame di luce filtravano attraverso le
grate sul soffitto, ma per la maggior parte del tempo si affidarono a
quella fiammella incerta. Nemeria fu tentata più volte di
richiamare il potere dell'elementale del fuoco, ma la paura della
reazione di Altea la frenò. L'aveva appena conosciuta e non
sapeva niente di lei, non poteva fidarsi. Le Anziane le avevano
spiegato che tra i mortali erano pochi quelli che erano in grado di
utilizzare la magia e che, nei secoli passati, coloro che ci riuscivano
venivano cacciati e uccisi.
- Mi sembri pensierosa. Qualcosa ti turba? - chiese Altea, guardandola
in tralice.
- N-no. Ho solo paura del buio. -
Il che non era proprio una bugia.
La Sha'ir la scrutò per un momento, poi fece spallucce: -
Ecco, siamo arrivati. Adesso basta che giriamo a sinistra e poi saremo
al campo. -
- Al campo? -
- Sì, noi lo chiamiamo così. Anche
“casa” va bene, ma “campo” ha
qualcosa di emozionante, non trovi? -
- Ah, certo. -
Quando girarono l'angolo, Altea spinse una pietra che si trovava sulla
parete di un loculo. Con un leggero sibilo, questa si aprì
di lato, rivelando un'entrata di a malapena venti pollici. Al di
là, solo oscurità.
- Dobbiamo entrare lì dentro? - balbettò Nemeria.
Altea annuì e strisciò rapidamente all'interno.
Dopo una breve esitazione, l'altra la seguì, reprimendo il
senso di disgusto per il puzzo di ossa in decomposizione. Quando alla
fine scivolò fuori da quel cunicolo, la voce di Altea la
raggiunse, rimbalzando nel buio e sulle pareti trasudanti
umidità. Udì anche un basso mormorio, ma non
riuscì a distinguerne le parole.
- Vieni, sono qui! -
- Qui dove? -
Con un sospiro sconsolato, Nemeria si appoggiò alla parete e
procedette a tentoni, fino a quando la galleria girò e si
ritrovò in uno spazio più largo, popolato da
tende rattoppate sparse ovunque. Al centro crepitava un fuoco, attorno
al quale erano seduti cinque ragazzi che, non appena entrò
nel raggio di luce, si girarono a guardarla. Una era una bambina dai
capelli rossissimi e gli occhi a mandorla di un azzurro terso come il
cielo di una giornata estiva. Altea le sorrise, seduta su una sedia
assieme a un altro Sha'ir dal viso pulito e le spalle larghe da
contadino. Fu lui il primo a parlare.
- Lei chi sarebbe? -
- Era vicino alla Fontana dei Mari e mi è parsa in
difficoltà. Ho pensato che poteva essere una buona idea
portarla qui. - rispose Altea.
- E da quando tu pensi? E, soprattutto, da quando sei diventata il
capo? - la rimproverò il ragazzo, - Ti avevo già
detto che non puoi prendere nessuna decisione di tua iniziativa. Sono
io quello che comanda, non tu. -
La Sha'ir abbassò lo sguardo e la maggior parte dei ragazzi
si voltarono, facendo finta di niente. La tensione si poteva tagliare
con un coltello.
- Hai ragione, ma... -
- Non devi fare niente senza prima avermi consultato, Altea. -
sussurrò minaccioso e le afferrò un braccio,
piantandole le unghie nella pelle così forte da farle venire
le lacrime agli occhi, - Stai forse sfidando la mia
autorità? Devo ricordarti qual è il tuo posto? -
Nemeria strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche e fece un passo
verso di lui. La pietra di luna si surriscaldò e la rabbia
ribollì nelle vene.
La fiamma nel focolare divampò all'improvviso, illuminando
la stanza quasi a giorno, e un forte odore di bruciato si diffuse
nell'aria.
- Dariush, stai esagerando. -
La bambina con i capelli rossi si era alzata e fissava lo Sha'ir con
uno sguardo tagliente. Questi spinse via Altea e le si
avvicinò. Alle luce del fuoco, Nemeria notò che
gli tremavano le mani, chiuse in due pugni serrati fino a far emergere
tendini e vene sotto pelle.
- Ne vuoi anche tu, Noriko? - ringhiò.
- Provaci. - lo sfidò.
Rimasero in silenzio a fronteggiarsi, senza che nessun altro attorno a
loro osasse aprire bocca. Alla fine, Dariush rilasciò un
grugnito e le diede le spalle, scomparendo nella sua tenda. Solo allora
Altea e tutti i presenti sembrarono ricominciare a respirare.
Massaggiandosi il braccio, la ragazza si avvicinò a Nemeria.
- Scusalo, è solo un po' nervoso. - lo giustificò
con un sorriso tirato, - Beh? Dove vuoi dormire? -
Nemeria la fissò dall'alto in basso. Prima non ci aveva
fatto caso, ma adesso, alla luce del fuoco, vide alcuni lividi sbiaditi
su entrambi i polsi e poco sotto la mandibola.
- Mi va bene qualsiasi cosa. -
- La mia tenda è vuota. - si intromise Noriko, - Credo anche
ci sia una stuoia in più. -
Altea strabuzzò gli occhi, ma prima che potesse aprire bocca
lei si era già allontanata. Non appena tornò a
fissare la nuova arrivata, un sorriso entusiasta le si dipinse sul
volto.
- Ho qualcosa in faccia? - domandò Nemeria.
- No, è che sono sorpresa che Noriko ti abbia invitato a
stare da lei. Da quando si è unita al nostro gruppo, non ha
mai legato con nessuno. Tu sei la prima a cui rivolge spontaneamente la
parola. -
- Ah... è una buona cosa? -
- Buonissima. - cinguettò contenta, battendo le mani, - La
cena verrà servita tra qualche ora. Fino a quel momento,
cerca di ambientarti. Se hai domande, chiedi a Noriko. La sua tenda
è l'ultima sulla sinistra, rossa e bianca. Ah, dammi i
datteri che li sistemo nella dispensa. -
Nemeria si svuotò le tasche e poi, quasi a passo di marcia,
si avviò.
Noriko la attendeva all'interno, inginocchiata a sistemare la stuoia e
le sue poche cose, tra cui un pettine d'osso, abiti che avevano visto
tempi migliori e un fagotto avvolto in vari stracci. La veste a forma
di T, dalle linee dritte, stretta poco sotto la vita da una fusciacca
scolorita, aveva le maniche rovinate, come lo erano i pantaloni.
- Hai bisogno di una mano? - buttò lì Nemeria,
più per cortesia che altro.
Come previsto, la ragazza le rivolse un semplice cenno di diniego,
senza aggiungere altro. Nemeria si tormentò le mani, alla
ricerca di un argomento per portare avanti la conversazione, ma non le
veniva in mente nulla. In realtà, nemmeno lei aveva molta
voglia di parlare, tanto meno con una sconosciuta, però le
sembrava scortese non provarci nemmeno. Inoltre, era l'unico modo per
non pensare a Etheram, a Rakhsaan, a Hediye e al resto della sua
tribù.
- È da tanto che vivete qui? -
- Qualche mese, ormai. Il Ratto ha passato quasi un anno a esplorare le
gallerie e a tentare di mapparle, ma solo recentemente abbiamo trovato
il passaggio segreto che conduceva in questa sala. - rispose con voce
neutra.
- Il Ratto? -
- Il suo vero nome è Hirad, ma noi lo chiamiamo
così per la sua mania di infilarsi ovunque, proprio come un
topo. Fa parte del gruppo di quelli che sanno leggere, composto da lui
e altri due. -
Nemeria fece uno sforzo di memoria e riportò alla mente i
visi dei cinque ragazzi attorno al fuoco. Che fosse uno di loro?
- Chi altri ne è capace? -
- Oltre ad Hirad, c'è suo fratello Hami e io. -
A quella notizia, Nemeria strabuzzò gli occhi. Lei sapeva
leggere, scrivere e far di conto, nella sua tribù tutti
dovevano imparare, ma le Anziane le avevano sempre detto che tra i
mortali erano pochi coloro che potevano permettersi il lusso di
un'istruzione. Trovare tre ragazzi capaci di leggere le sembrava un
evento più unico che raro.
- Li conoscerai probabilmente stasera a cena, in ogni caso. - aggiunse
poi, - Anche loro non vedranno l'ora di parlarti, di solito si esaltano
sempre quando arriva qualcuno di nuovo. -
Nemeria assentì e rimase in silenzio, aspettando che Noriko
spostasse la lampada a mosaico sul palo orizzontale che sorreggeva la
tenda per prendere posto sulla sua stuoia. Era di paglia e iuta, niente
a che vedere con quelle che tessevano loro, ma era più che
comoda.
- Ti sei tinta i capelli? -
La domanda di Noriko la colse impreparata. Si prese una delle ciocche e
la portò davanti al viso, osservando le punte grigie, talune
quasi bianche.
- No, sono naturali. Cioè, li ho sempre avuti
così. - rispose, cercando di mantenere la voce ferma.
Noriko la scrutò con un'espressione indecifrabile. Nemeria
si innervosì sotto il peso del suo sguardo, che sembrava
penetrarle nell'anima.
- Anche i tuoi occhi sono strani. -
- Sei la seconda persona a farmelo notare oggi. -
- Immagino che la prima sia stata Altea. -
- Già. -
Noriko si distese sulla stuoia, intrecciando le dita dietro la nuca.
- Sei tutta strana, a cominciare dal nome. Si capisce che non sei di
qui. -
- Anche tu sei straniera, ce lo hai scritto in faccia. -
ribatté caustica Nemeria, - Gli occhi a mandorla e il naso
all'insù come i tuoi sono tipici delle popolazioni Tian
orientali. Mi verrebbe spontaneo chiederti che ci fai qui a Kalaspirit,
a mille miglia di distanza da casa tua. -
- Non sono affari tuoi. -
- Se non vuoi che ti si facciano domande su di te, evita di farne agli
altri. - la rimbeccò e si lasciò cadere sulla sua
stuoia, dandole le spalle.
Aveva i nervi a pezzi e continuare a sottolineare la sua
diversità non faceva altro che ricordarle ciò che
aveva perso. Si portò le gambe al petto e si
rannicchiò, come se bastasse quel gesto a fermare il dolore
e i sensi di colpa. Strinse nella mano la pietra di luna, emanava un
tepore rassicurante.
Fino a quando non le chiamarono per la cena, nessuna delle due
parlò. Nemeria si sedette ben lontana da Noriko per
mangiare. Non le piaceva il modo in cui la fissava e odiava i suoi
occhi, così simili a quelli di Etheram, che sembravano
capaci di leggerle dentro. E lei non voleva che qualcuno vedesse la
paura, la sofferenza, il dubbio che le stavano scavando un buco nel
cuore. A distoglierla dai pensieri cupi ci pensarono gli
altri ragazzi, che per quasi tutta la cena non fecero altro che porle
domande, alle quali Nemeria non sapeva rispondere se non con una bugia.
Conobbe Hami e Hirad, che le chiesero dove si trovasse la sua terra
d'origine, come fosse e come vivevano i suoi abitanti. Entrambi avevano
i capelli ricci neri e un paio di orecchie leggermente a punta, segno
della loro natura ibrida.
Le presentarono anche Afareen, Chalipa e Kimiya, i ragazzi che stavano
cucinando gli spiedini di ratto attorno al fuoco. Gli altri due erano
Mehrdad e Malakeh. All'inizio Nemeria aveva pensato fossero entrambi
maschi, ma Altea le rivelò che i due gemelli erano un
maschio e una femmina e che alla nascita erano uniti per la spalla.
Secondo il capo del loro villaggio erano stati maledetti dagli dei, per
questo i loro genitori li avevano abbandonati.
Dariush si tenne in disparte, lanciandole solo di tanto in tanto delle
occhiate che Nemeria ignorava. Lui era quello che le piaceva di meno.
Le faceva venire i brividi il modo in cui fissava Altea, come un
predatore.
Quando finirono di mangiare, ognuno si diresse verso la propria tenda,
compresa Nemeria, ma a differenza di Noriko non si
addormentò subito. Rimase a guardare il riflesso dorato del
fuoco sul telo rosso, la mente intrappolata laggiù, nel suo
villaggio. Aveva l'impressione di sentire ancora lo sguardo del predone
sulla schiena mentre la inseguiva senza sosta, non perdendola mai di
vista. Era lei che voleva, era lei il suo obiettivo.
Affondò il viso tra le mani e trasse un profondo respiro. Le
mancava l'aria.
Si mise in piedi, uscì dalla tenda e si sedette vicino al
fuoco. Contemplò assorta la fiamme che scoppiettavano sui
ceppi accesi e il fumo che saliva fino a svanire nei buchi sul
soffitto. La loro danza le trasmetteva un senso di quiete, era come se
assieme al legno bruciassero anche le sue lacrime, il suo dolore, tutto
quanto.
A un tratto, con la coda dell'occhio colse un movimento
nell'imboccatura del tunnel, quello che conduceva all'entrata segreta.
Lentamente si alzò e camminò cercando di non fare
rumore. Appena fu abbastanza vicina, vide Dariush e Altea, lei stesa a
terra che si teneva la guancia e lui che la guardava dall'alto, con una
luce fredda e minacciosa negli occhi. Dariush la tirò in
piedi senza troppi complimenti e le mormorò qualcosa
all'orecchio sorridendo, qualcosa che allarmò la Sha'ir. La
ragazza si dibatté con ben poca convinzione, ma non
tentò di liberarsi quando lui premette la bocca contro la
sua. Dariush la voltò con uno strattone, le
abbassò i pantaloni con gesti bruschi e la bloccò
al muro. Altea non protestò quando l'altro entrò
dentro di lei con forza.
Nemeria assisté senza sapere che fare, con lo stomaco
ingarbugliato e i pugni stretti lungo i fianchi. Poi scorse il viso di
Altea contrarsi in una smorfia di dolore, e in quel momento qualcosa
scattò dentro di lei. Il fuoco alle sue spalle si
ingrossò e le fiamme si levarono alte, furiose.
Stava per farsi avanti, ma una presa sul braccio la fermò.
- No. - sussurrò Noriko.
Nemeria si girò per fronteggiarla. Il sangue le pulsava
nelle tempie, era lava incandescente nelle vene.
- Non possiamo, non ancora. Lo so che ti fa rabbia, ma intervenire ora
sarebbe controproducente. - disse tirandola indietro, al riparo
nell'ombra.
- Perché? - ringhiò.
- Perché la terra soffoca il fuoco e l'aria e
perché Dariush è l'unico che può
aprirci una vita d'uscita se le guardie vengono a cercarci. -
Nemeria la fissò attonita. Mentre Noriko la trascinava nella
tenda, si sentì perduta, perché era stata
scoperta. I Dominatori, così i mortali chiamavano coloro che
erano in grado di usare la magia, avevano solo due destini: o erano
abbastanza potenti da divenire maghi, oppure venivano venduti ai
mercanti di schiavi per morire nelle arene. Se Noriko avesse rivelato
il suo segreto, la sua sorte sarebbe stata l'arena.
- Non ti preoccupare, non lo dirò a nessuno. - la
rassicurò Noriko, - Tu però devi stare attenta e
tenere sotto controllo le tue emozioni. Se Dariush scoprisse cosa sei,
tenterebbe di ucciderti o alla peggio ti consegnerebbe alla guardie. -
- E tu? Cosa mi garantisce che non glielo dirai? -
Un sorriso gelido si allargò sulle labbra di Noriko. Una
brezza proveniente da chissà dove si alzò,
accarezzando le spalle di Nemeria.
- Io odio quel verme, non farei niente che possa tornare a suo
vantaggio. Mai. - contrasse la mascella, abbassò lo sguardo
sulla sua mano e la chiuse a pugno, - Ora andiamo a dormire. -
Noriko si voltò dall'altra parte e si sistemò la
coperta fino al collo. Nemeria stette a fissarla per un po', poi si
distese sulla sua stuoia e si raggomitolò. Nel suo sonno
abitato da incubi le parve di sentire una mano intrecciarsi alla
propria, trasmettendole un calore nostalgico.
"Ogni
famiglia ha un segreto, e
il segreto è che non è come le altre famiglie."
Alan
Bennet
La mattina seguente, a
svegliarla fu un cicaleccio rumoroso, seguito da un rapido tramestio.
Con le palpebre pesanti e le immagini di morte impresse a fuoco nella
retina, Nemeria si mise a sedere. Noriko non era vicino a lei, ma ne
riconobbe la voce calma e pacata da fuori, mentre discuteva con Hami -
o forse era Hirad? - di quello che avrebbero dovuto fare quel giorno. Rimase
ad ascoltarli per un po', con lo sguardo perso nel vuoto e le lacrime
ancora impigliate nelle ciglia. Aveva sognato di essere catturata dal
predone e assistere all'uccisione di tutti i sopravvissuti della sua
tribù. Li avevano legati e poi l'uomo l'aveva costretta a
guardare mentre tagliavano loro la testa, sordi alle urla dei bambini e
alle suppliche delle loro madri, fino a quando non era arrivato il suo
turno. Con lei erano stati molto più crudeli. Avevano
stretto un nodo scorsoio attorno al collo e l'avevano impiccata alla
tenda dell'Alta Sacerdotessa, sopra i cadaveri fatti a pezzi, in modo
che fosse l'ultima cosa che vedesse. Avevano scelto una corda corta,
troppo corta, persino Nemeria si era resa conto che non sarebbe morta
subito e così era stato. Poteva ancora percepire con
chiarezza la canapa che premeva contro la giugulare e l'aria che le
raschiava la gola mentre si dibatteva per liberarsi, artigliando il
vuoto, la sensazione di mancamento che, come una iena, le strappava
ogni energia, fino a quando non aveva smesso di muoversi.
Si massaggiò il collo e trasse un profondo respiro per
calmarsi, ma il tremore che le scuoteva le mani non
l'abbandonò. Così si rannicchiò su se
stessa, stringendosi il più possibile le gambe al petto. Lo
faceva spesso quando aveva paura o quando succedeva qualcosa di brutto
e Etheram non era lì per consolarla.
Una volta sua sorella l'aveva sorpresa mentre piangeva sotto le coperte
nel cuore della notte. Fuori infuriava una tempesta di sabbia e il
vento stava scaricando la sua furia sulle tende del villaggio dal
primissimo pomeriggio. Era stato in quell'occasione che Etheram le
aveva detto di assumere quella posizione e di contrarre tutti i
muscoli, così da impedire al Jin cattivo, così
Etheram aveva denominato la paura, di farla tremare.
“Inspira, espira, inspira, espira.”
Affondò le unghie nelle gambe e strinse i denti. Si
dondolò per un po' continuando a ripetersi quelle parole,
fino a quando non sentì la gelida stretta allo stomaco
allentarsi e il pulsare del suo cuore diminuire. Solo allora
riuscì ad alzarsi. Si sentiva ancora scossa, e il sonno le
pesava sulle palpebre, ma l'idea di tornare a dormire la terrorizzava.
Non appena mise piede fuori dalla tenda, Hirad, o almeno credeva fosse
lui, le venne incontro, le mise tra le mani un panino duro come un
sasso e le fece cenno di avvicinarsi. Noriko sedeva assieme ad Hami
vicino all fuoco ormai spento.
- Ben svegliata. Noriko ieri sera non ha fatto in tempo a spiegarti
come funziona qui, ma scommetto che eri stanca. - le sorrise Hirad,
invitandola a prendere posto vicino a lui, - Altea mi ha detto che ti
ha trovata mentre gironzolavi per le strade e che avevi una faccia
davvero triste. Non che anche a cena tu non l'avessi, però
mi è sembrato che... -
- Arriva al punto. - lo richiamò Hami, prima di addentare
una nespola.
Aveva una voce bassa, quasi baritonale, che si contrapponeva a quella
squillante di Hirad. Questi gli rivolse un'occhiata truce, ma poi
tossicchiò e si ricompose, tornando a guardare Nemeria.
- Dicevo, ti puoi svegliare quando ti pare, a meno che il capo non ti
abbia affidato un compito. Però sarebbe meglio ti alzassi
assieme agli altri, perché Afareen quasi sempre va in
città a “fare la spesa”. Ah, sono sempre
lei e Chalipa a occuparsi di servire i pasti, quindi se hai fame ed
è l'ora di pranzo basta che tu vada da loro. -
- Ma come faccio a sapere che è il momento di mangiare? -
domandò timidamente Nemeria, - Siamo sottoterra e non vedo
nessun orologio qui intorno. -
- Ed è qui che ti sbagli! - Hirad le indicò
orgoglioso un vaso di pietra a forma di cono, - Vieni, ti faccio
vedere. È una mia invenzione, ne vado particolarmente fiero.
- -
Non l'hai inventato tu. Ne hai visto uno al mercato e poi l'hai
riprodotto come potevi. - lo corresse Hami, ma Hirad lo
ignorò.
Il ragazzo agguantò Nemeria sottobraccio e la
trascinò con sé. Contro ogni aspettativa, aveva
una presa salda che mal si sposava con le braccia mingherline e le dita
lunghe e affusolate.
- Vedi, all'interno ho inciso dodici tacche di deflusso ad altezze
differenti. Il punto più alto è per la prima ora,
quelli sotto, come immaginerai, indicano le altre. Da questa sfera
defluisce l'acqua. In base al suo livello riusciamo a capire che ore
sono. È strano, lo so, all'inizio non è semplice,
ma basta farci l'abitudine. - -
Non l'avevo mai visto. - commentò ammirata Nemeria, - Mi
sono sempre orientata con la meridiana, non credevo fosse possibile
leggere l'ora anche senza il sole. -
- Oh, sì che è possibile. È molto,
molto più semplice di quello che tu possa pensare. Se vuoi,
una di queste volte ti posso insegnare a... -
- Hirad, ti prego, niente cose complicate a quest'ora della mattina. -
lo rimproverò Hami, stiracchiandosi, - Lo so che ti piace
parlare di queste robe scientifiche, ma la nostra Nemeria vorrebbe solo
sapere quali sono le sue mansioni. -
Come se si fosse appena ricordato di una cosa importante, Hirad si
batté una mano sulla fronte.
- Sì, hai perfettamente ragione! Dunque, Dariush ti ha
affidata a me. Andremo a esplorare le catacombe, le mapperemo e
riporteremo le nostre scoperte sui miei libri. Sai, sono davvero ampie,
si estendono sotto tutta la città e forse anche fuori, e
sono quasi sicuro che se cercheremo bene troveremo anche un nuovo
rifugio. Ah, giusto, visto che verrai con me devi assolutamente vedere
cosa ho scoperto fino ad oggi, così anche tu... -
- Aspetta... significa che dovremo uscire da qui e infilarci in quei
tunnel? -
- Mi pare ovvio. Ma non preoccuparti, non ci perderemo.
Cioè, a volte mi è capitato di perdermi, ma
questo solo durante le mie prime uscite. Adesso conosco benissimo tutte
le gallerie esplorate, sono il re di questo posto! -
Hirad si sfregò le mani e si infilò nella tenda
blu alla sua destra, per poi tornare quasi subito con in mano varie
pergamene.
- Come puoi vedere, ho disegnato tutto, appuntando il nome di ogni
singolo cunicolo. Il Capo non pretende che anche tu li impari, non
ancora almeno, e... - Andò
avanti a parlare a raffica, ma Nemeria udiva appena la sua voce. In
quelle gallerie c'erano i fantasmi e, nel buio, potevano nascondersi
anche altri nemici che avrebbero potuto assalirla non appena si fosse
distratta. La sua mente le rimandò l'immagine del predone,
dei suoi occhi di ghiaccio che la cercavano, mentre lei correva
disperata nel tentativo di sfuggirgli. Quasi le parve di sentire le sue
mani serrarsi attorno alla gola. Si massaggiò il collo,
fingendo di tossire, la pelle pervasa dai brividi e il battito del
cuore accelerato.
- Bene, visto che non ci sono state obiezioni, io vado a prepararmi. -
concluse Hirad, visibilmente elettrizzato all'idea di uscire a
esplorare le catacombe, - Ricordati di farti dare qualcosa da mangiare
da Afareen, dille di abbondare già che ci sei, dato che non
sappiamo per che ora saremo di ritorno. -
Nemeria annuì vagamente e, mentre il ragazzo si allontanava,
si lasciò ricadere sulla prima sedia libera. Era instabile e
una delle gambe era più corta delle altre, ma aveva bisogno
di sedersi, pensare, riprendere fiato.
- Dovresti fare quello che Hirad ti ha detto. - le suggerì
Noriko in tono neutro.
Nemeria fece spallucce e appoggiò il mento sulle dita
intrecciate.
- Lo so, devo solo... rimettere a posto le idee. Mi ha detto
così tante cose e adesso ho una gran confusione in testa. -
- A me sembrava fossi concentrata su altro, in realtà. - la
bambina si allungò verso di lei e inclinò la
testa per catturare il suo sguardo, - Se non te la senti, puoi dirlo,
nessuno qui ti giudicherà. A parte Hirad, quasi nessuno ha
il coraggio di avventurarsi nelle catacombe. -
- Anche tu? -
Noriko sorrise debolmente. Spostò l'attenzione altrove,
l'espressione malinconica che aveva un momento prima era sparita,
celata dietro le sue iridi color ghiaccio. Gli occhi di Noriko avevano
qualcosa che spaventava e affascinava Nemeria, un connubio di paura e
calma che le provocava l'inspiegabile impulso di confessarsi e, allo
stesso tempo, allontanarsi.
- Quando mi sono unita al gruppo di Dariush, anche io sono stata
incaricata di seguire Hirad, ma preferisco stare all'aria aperta. -
Nemeria incassò la testa nelle spalle, poi si
girò a guardare verso l'entrata. L'immagine di Dariush che
stringeva i piccoli seni di Altea, della sua mano che le premeva contro
le scapole per tenerla ferma, le fece ribollire il sangue e rivoltare
lo stomaco.
- Dariush è davvero il vostro capo? - chiese in un ringhio,
strinse i pugni e inspirò profondamente, obbligandosi a
mantenere il controllo.
Noriko rimase qualche istante a fissarla con la stessa calma con cui si
contempla un paesaggio.
- Tutti lo reputano tale, quindi lui pensa di esserlo. - rispose,
allungando le gambe fin a sfiorare i ceppi anneriti.
- Nonostante faccia del male ad Altea? -
La bambina non rispose.
Nemeria scosse il capo schifata. La rabbia le graffiava lo sterno come
una bestia feroce e il sangue affluiva rovente alle mani. Sentiva il
potere del fuoco spingere per uscire, un bisogno urgente che si
confondeva con un altro, più doloroso e devastante, che
però cercava di ignorare.
- C'è un detto dalle mie parti che recita “Siediti
sulla sponda del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il
cadavere del tuo nemico”. - mormorò Noriko con
voce piatta, - È solo questione di tempo, Dariush
avrà quel che si merita. - “Mentre
aspetti il cadavere, però, il nemico ucciderà
ancora.”
Nemeria serrò le palpebre e si sforzò di
togliersi quelle immagini orrende dalla testa, che si affastellavano
mescolandosi ad altre relative al passato: Dariush sul corpo di Altea,
il sangue che sgorgava dalla gola di Hediye, lo sguardo tagliente dello
Sha'ir, le lame arrossate alla luce abbacinante del sole. Si
portò le mani alle tempie e si obbligò a
respirare, come se l'aria potesse abbassare la pressione che le
schiacciava la gola.
- Guardami. - le ordinò Noriko.
Nemeria obbedì e alzò la testa in un movimento
lento, quasi sofferto. Osservò il corpo sottile della
bambina, la sagoma snella che la giacca lasciava trasparire, le spalle
rilassate sotto la canapa e le dita aggrappate al proprio braccio per
trattenerla dal compiere azioni impulsive. La pietra di luna divenne
più tiepida e Nemeria avvertì il fuoco che le
bruciava dentro affievolirsi, come se qualcuno vi avesse gettato sopra
dell'acqua. Solo allora si rese conto di stare tremando, che non era
solo la rabbia a scuoterla.
- Devi rimanere sulla tua sponda del fiume e attendere. - le
ripeté pacata Noriko, lo sguardo sempre fisso su di lei, - E
se nel buio vedi qualcosa, ricordati dove sei e non avere paura. Non
serve, non qui. -
A quelle parole, Nemeria sussultò. Provò a
divincolarsi, ma era come paralizzata, incatenata a quello sguardo che,
solo adesso se ne rendeva conto, era fin troppo maturo per appartenere
a una fanciulla così giovane.
- Come fai a sapere...? -
- Sono una brava osservatrice. - rispose semplicemente, come se fosse
la cosa più ovvia.
Poi si alzò e le diede le spalle, allontanandosi. Nemeria
rimase a osservarla mentre camminava, il cervello pieno di domande e
una pressante angoscia che le premeva sul petto. Il dubbio di quante
cose Noriko potesse sapere le si insinuò tra le costole e le
stritolò i polmoni, strappandole via la poca aria che
contenevano. Se non fosse stata seduta, ne era certa, le ginocchia le
avrebbero ceduto.
Non si accorse della presenza di Hirad finché il ragazzo non
la scosse e non le mise in mano una mappa e uno zaino. Dalla sua
espressione soddisfatta, Nemeria capì che non vedeva l'ora
di uscire.
- Che faccia preoccupata, diamine! Te l'ho già detto prima,
non ci perderemo. - la rincuorò, sfoderando un sorriso
smagliante, mentre la trascinava verso l'uscita.
Nemeria lo lasciò fare senza opporre resistenza.
Scivolò fuori dal passaggio segreto con un po' di fatica e
si lasciò guidare da Hirad, che, tutto contento di avere
compagnia, continuava a parlare. Girarono
per le gallerie conosciute per buona parte della mattina, fermandosi
solo per bere o per mangiare. Come Nemeria aveva immaginato, le
catacombe erano cupe e spaventose anche alla luce del sole, un
labirinto di pietra nel quale si sarebbe facilmente persa senza una
guida. Di tanto in tanto, un ragno o un ratto sgattaiolava fuori da
qualche angolo buio, per poi sparire di nuovo, ma a differenza del
giorno precedente, Nemeria non vi badò.
Mentre Hirad cercava di spiegarle come orientarsi, la sua mente vagava
e si perdeva in pensieri sempre più tetri, abitati da occhi
e da mani pronte a ghermirla. Le sembrava di camminare in un sogno, uno
dei tanti che faceva quando viaggiavano attraverso il deserto, e per un
istante riuscì a convincersi che quello che stava vivendo
era tutta un'illusione, uno scherzo causato dal caldo. Poi
però il vento le portava alle orecchie la parlata stretta e
dura dei cittadini di Kalaspirit e la realtà tornava a
gravarle addosso come un macigno.
Alla fine della giornata, quando Hirad, ormai stanco e avvilito dalla
poca partecipazione della sua compagna, la ricondusse alla base,
Nemeria non cenò nemmeno. Si infilò nella tenda e
tirò su le coperte fin sopra la testa.
Nelle due settimane che seguirono, Nemeria dovette imparare molte cose.
Stare con i ragazzi del campo, far parte della
“famiglia”, non era facile come aveva pensato. E,
in generale, non lo era vivere a Kalaspirit. Il mito della
città benevola e ospitale era solo una maschera per i
viaggiatori meno esperti o quelli che non si soffermavano abbastanza
tempo per scoprirne il vero volto, freddo, ostile, talvolta anche
razzista. Gli occhi di Nemeria e Noriko, la carnagione chiara dei
gemelli e le orecchie lunghe di Altea e Dariush erano dettagli
più che sufficienti per causare una certa diffidenza, che
unita ai loro abiti sdruciti e alla puzza che si portavano dietro si
trasformava rapidamente in odio. Era per questo che per la maggior
parte del tempo si muovevano sottoterra, attraverso quel labirinto di
gallerie e tunnel che sembrava arrivare ovunque in città.
Nonostante sapesse quanto fosse necessario conoscerle, Nemeria aveva
difficoltà a ricordarseli. Quando usciva con Hirad e questi
le indicava i segni distintivi di ognuno, li dimenticava quasi subito
e, per quanto si sforzasse di trattenere quelle informazioni, il giorno
successivo qualsiasi conoscenza avesse acquisito sull'argomento era
svanita.
Altea e Hami la rimproveravano, mentre Mehrdad e Malakeh, quelle poche
volte che non erano fuori assieme alla Sha'ir, a Chalipa e Kimiya, si
lanciavano un'occhiata d'intesa, sussurrandosi qualcosa all'orecchio
che li faceva ridere. Più di una volta Nemeria ebbe la
tentazione di affrontarli e chieder loro cosa ci fosse di tanto
divertente, ma poi la pietra di luna diventava calda e la sua
irritazione scemava abbastanza da farle riporre l'ascia di guerra.
Noriko, invece, non le parlava più, sembrava aver perso
completamente interesse nei suoi confronti. Se da una parte questo la
tranquillizzava, dall'altra le dispiaceva, anche se non riusciva a
capirne il motivo. L'unico
con cui le piaceva passare il tempo era Hirad. Lui scherzava e
minimizzava la sua sbadataggine con una risata o il racconto di un
aneddoto su quando era finito in un nido di ragni o era inciampato nel
femore di qualche vecchio scheletro. Non sembrava più
scoraggiato dal suo silenzio, anzi, più Nemeria taceva
più lui sembrava impegnarsi, tirando fuori i racconti e le
curiosità più strane. Sapeva davvero molte cose,
sia sulle catacombe che sulla città stessa, e amava
parlarne, anche se difficilmente riusciva ad arrivare fino in fondo al
suo discorso senza divagare. Col passare dei giorni, Nemeria
cominciò ad apprezzare la sua compagnia e il suo continuo
sproloquiare. Qualche volta addirittura le venne voglia di conversare e
seguirlo nei suoi voli pindarici, sebbene lei fosse la prima a
perdersi. In un certo qual modo, tutte quelle nozioni riuscivano
parzialmente a occupare la sua mente, la tenevano ancorata alla
realtà e allo stesso tempo la distraevano dai suoi demoni
personali che, però, venivano a trovarla ogni volta che
chiudeva gli occhi.
Svegliarsi al mattino era sempre un sollievo: l'incubo era finito ed
era obbligata a pensare ad altro, anche se la rabbia, la paura e
l'angoscia erano i suoi inseparabili compagni. La seguivano ovunque
andasse, si annidavano in un angolo remoto della sua mente e sbucavano
fuori alla prima occasione. Le bastava incrociare lo sguardo tagliente
di Dariush, scorgere uno strano movimento nel buio o udire una voce
simile a quella di Etheram o Hediye perché questi
l'assalissero con i loro suoni, le loro immagini, le loro sensazioni.
In quei momenti, Nemeria si sentiva sopraffatta e il bisogno di parlare
con qualcuno di quello che ne era stato della sua gente e di quello che
accadeva ad Altea diventava quasi insopportabile.
Aveva provato a richiamare l'elementale, ma ogni volta che ci provava
la paura di essere scoperta le strisciava dentro le ossa e la frenava.
Gli unici momenti in cui le sembrava di tornare a respirare era quando
usciva con Hirad.
Fu durante una delle loro esplorazioni che lui le rivelò che
la loro base segreta probabilmente era stato il luogo di ritrovo di
alcuni sovversivi, che, quasi cinquant'anni prima, avevano attentato
alla vita del governatore della città. -
Non mi ricordo dove l'ho letto o l'ho sentito dire, però ho
ben impressa la faccia di mia madre quando mio padre glielo disse. Che
dire, è stato uno degli eventi più straordinari
avvenuti qui a Kalaspirit. - disse addentando una focaccina al miele, e
alzò gli occhi masticando con espressione assorta.
Lo faceva spesso quando estraeva dalla sua “biblioteca
mentale”, così lui amava definire la sua
straordinaria memoria, tutte le informazioni su un argomento. Nemeria
attese in religioso silenzio che riprendesse a parlare.
- Questi qui, insomma gli uomini che volevano attentare alla vita del
governatore, non si sapeva da dove fossero sbucati o perché
volessero farlo fuori. La maggior parte della gente pensava fossero dei
poveracci che, stanchi di vivere per strada, avevano pensato di unirsi
per fare il loro colpaccio. Sai, per soldi si è disposti a
tutto, anche se, a essere sincero, credo ben poco a questa versione. -
- Perché? -
- Per come sono andate le cose e per come si erano organizzati. -
snocciolò, pulendosi i calzoni dalle briciole di pane e
facendole cenno di seguirlo, - La nostra base, non so se ci hai fatto
caso, ha i muri estremamente lisci, come se fossero stati levigati.
Ora, non sono un genio dell'ingegneria, tanto meno mi intendo di
architettura, però sono più che certo che quella
stanza non sia stata scavata da mano umana. Sono più
propenso a pensare che sia stata opera della magia, precisamente di un
Dominatore della terra. -
- Non poteva essere già stata costruita? Magari da quelle
stesse persone che avevano costruito le catacombe. -
- È una possibilità, sì.
Però si sposa male con la mia teoria, quindi trascuriamola
per un momento. Insomma, quello che accadde fu che attaccarono il
governatore, penetrarono nelle sue stanze e arrivarono a tanto
così dal raggiungere il loro obiettivo. Per fortuna, una
guardia che era sopravvissuta alla loro carneficina riuscì
ad arrivare alle spalle del loro capo e ad ammazzarlo prima che lui
facesse fuori il governatore. Roba da pazzi, vero? -
- Se lo dici tu... -
Hirad le lanciò una lunga occhiata di traverso,
evidentemente deluso dalla sua reazione, ma poi liquidò la
cosa con un'alzata di spalle e riprese a raccontare.
- Alla fine, quando le altre guardie fecero irruzione nel palazzo, i
predoni si erano già volatilizzati. Capisci? Spariti nel
nulla, come se non fossero mai esistiti! A me sembra più che
ovvio che si siano avvalsi della magia per andarsene. -
- E allora perché nessuno ha provato a rintracciarli? Che
so, qualcuno che sapesse manipolare un elementale della terra o
dell'aria. -
Il ragazzo si grattò la nuca con foga, per poi staccarsi una
zecca con una smorfia. Quando la schiacciò con il
polpastrelli, il sangue quasi gli esplose in faccia.
- Questo non te lo so dire. Presumo abbiano lasciato perdere
perché ci sono ben pochi Dominatori qui a Kalaspirit e quei
pochi si fanno pagare fior di monete per i loro servigi. Ma ora che mi
ci fai pensare, dopo quell'episodio è successa un'altra
cosa: la città è diventata molto più
ostile nei confronti dei viaggiatori, soprattutto i non-umani. Non che
mi stupisca, tutti sospettano dei diversi quando accadono le tragedie. -
Quel giorno Hirad camminava più spedito del solito e Nemeria
doveva impegnarsi per non perderlo di vista, anche se questo
significava ignorare i ratti che le correvano sui piedi e i ragni che
le si potevano parare davanti alla faccia da un momento all'altro.
- Senti, non te l'ho mai chiesto, ma come fai a sapere tante cose? -
gli domandò col fiato corto quando riuscì
finalmente ad affiancarlo, - Sei una specie di enciclopedia su due
gambe, non puoi aver appreso tutte queste nozioni vivendo per strada.
Non capisco. E poi, con la tua intelligenza potresti aspirare a
qualcosa di più che esplorare catacombe. Come mai sei qui? -
Il viso di Hirad si adombrò e per un lungo momento Nemeria
credette che non le avrebbe risposto. -
I genitori miei e di Hami ci hanno abbandonato, come è
successo a te e agli altri. Sai loro... mamma e papà sono
due esseri umani, mercanti di una certa fama a Shalast. Io e mio
fratello, invece, siamo mezzi Sha'ir. Quando eravamo piccoli, le nostre
orecchie a punta erano un dettaglio insignificante, praticamente
nessuno le notava. Poi siamo cresciuti e i dettagli si sono assommati,
sottolineando la nostra diversità. Eravamo molto
più alti di quanto saremmo dovuti essere e rivaleggiavamo
per forza e agilità con anche coi ragazzi più
grandi. All'inizio mamma e papà cercarono di ignorare le
malelingue e concentrarsi sulla nostra educazione, affidandoci ai
maestri migliori della città. Poi, a una festa, un loro
parente ubriaco fradicio disse loro che eravamo lemnas e
che la strega che si era portata via i loro veri figli probabilmente li
aveva usati per evocare un Jin col quale accoppiarsi. Beh, non
usò proprio queste parole, ma il succo è questo.
Da allora i nostri genitori non hanno più voluto fare finta
di niente. La cosa buona è stata che quando ci hanno
abbandonati, ci hanno dato abbastanza monete da permetterci di
ambientarci e trovare un modo per sopravvivere. -
- Ma non è giusto! - sbottò indignata Nemeria, -
Che colpa ne avevate voi se vostra madre aveva tradito vostro padre?
È stata una crudeltà terribile, avete dovuto
pagare per l'errore di qualcun altr... ehi, perché stai
ridendo? -
- Niente, niente, è che sei tenera quando ti arrabbi. - le
arruffò giocosamente i capelli, con un'espressione
sinceramente divertita sul viso, - Dovresti anche parlare
più spesso. Fai domande molto più intelligenti
della maggior parte delle persone che ho incontrato. -
Imbarazzata, Nemeria si sottrasse al contatto della sua mano.
Assomigliava a quella di Noriko, ma era meno callosa e ruvida. Hirad la
lasciò andare, salvo impadronirsi di una ciocca all'ultimo
momento. Se la rigirò tra le dita, studiando le sfumature
grigiastre che la sporcizia non aveva ancora del tutto coperto.
- Penso di sapere cosa sei. - bisbigliò dopo un minuto
scarso.
Il cuore di Nemeria mancò un battito. Come aveva fatto
capirlo? Non aveva mai manifestato il suo potere, nemmeno una volta, e
ormai il suo popolo era ritenuto una leggenda. Come poteva sapere che
era una Jinian?
Arretrò così bruscamente che per poco Hirad non
cadde a terra. Le emozioni che la tenevano sveglia la notte la
investirono con la forza di un uragano, senza che nemmeno la pietra di
luna, subito divenuta rovente, riuscisse a placarlo.
- Tu non sai niente. - sibilò.
- Invece sì, so cosa sei. Ma tranquilla, non ho intenzione
di parlarne con nessuno. Non voglio che gli altri ti caccino, non
voglio che tu te ne vada. Ti puoi fidare di me. -
- Ah, sì? E come faccio a esserne certa? -
Improvvisamente, l'aria si fece torrida, quasi irrespirabile, e una
luce aranciata prese a danzare sulle pareti viscide
d'umidità. Con la fronte imperlata di sudore, il ragazzo
fissò lei e poi le fiamme che le lambivano le mani e le
braccia senza bruciarle. Nemeria ne percepiva appena il calore sulla
pelle.
- Perché so che fine fanno i Dominatori in questa
città, so che tipo di vita conducono e non ho nessuna
intenzione di lasciarti andare a morire nell'arena. -
deglutì, ma, nonostante la paura, la sua voce rimase
inaspettatamente calma, - I miei genitori hanno abbandonato me e mio
fratello perché eravamo diversi. Non intendo di comportarmi
come loro, non voglio che tu venga sbattuta a combattere per il resto
dei tuoi giorni soltanto perché sei una Dominatrice. Non
sarebbe giusto. -
Nemeria lo scrutò basita. La rabbia e la paura sfumarono
assieme alle fiamme e il silenzio calò su di loro.
Il ragazzo si terse il viso con l'acqua e sistemò la mappa
nello zaino sulla schiena, senza aggiungere altro.
- Come hai fatto a capirlo? -
- Ho un po' tirato a indovinare, in realtà. -
rivelò, guardandola dall'alto in basso, - Hai dei capelli
strani e gli occhi di un colore... indefinito. Avevo letto da qualche
parte che i Dominatori hanno queste caratteristiche e in base a
ciò ho dedotto che anche tu lo fossi. -
- Un po' debole come argomentazione... - rispose con un risolino
nervoso Nemeria, anche se in cuor suo si sentiva rinfrancata da quelle
parole.
- Lo so, ma già una volta ci avevo preso e ho sperato di
avere di nuovo fortuna. -
- Mi stai dicendo che c'è qualcun altro come me tra di noi? -
Un sorriso enigmatico apparve sulle labbra di Hirad.
- Immagino tu non abbia intenzione di dirmelo. -
- Immagini bene. -
- Ma perché? Tu hai appena scoperto il mio più
grande segreto, potresti almeno condividerne uno con me! -
Il ragazzo si umettò le labbra e inclinò il capo,
fissando una ragnatela sul soffitto.
- Potrei, ma non sarebbe divertente. Inoltre, questo potrebbe essere un
buon argomento di conversazione. Anche se non sembra, quando divago e
deliro mi piace che ci sia qualcuno con cui parlare. Se ti rivelassi
chi sono, c'è la possibilità che tu ti chiuda di
nuovo nel tuo silenzio e a me non va di tornare a discutere con il
nulla. -
Nemeria si imbronciò e gli scoccò un'occhiata
risentita, che suscitò l'ilarità del compagno.
- Ti ho mai detto che sono un seguace di quell'uomo famoso che diceva
di non poter insegnare niente a nessuno, ma solo provare a far
riflettere? -
- No, forse, non lo so. Dici molte cose, tu. -
- Bene, ora lo sai. E comunque, Nemeria, non penso che questo sia il
tuo più grande segreto. Sono le lacrime che ti brillano
negli occhi e il tuo completo silenzio il tuo più grande e
doloroso segreto. -
La ragazza ci mise un po' a capire cosa le stesse dicendo.
- Tu sai troppe cose... - commentò poi sottovoce.
- Sono solo un buon osservatore. - replicò Hirad,
profondendosi in un inchino teatrale.
Mentre Hirad le dava le spalle e la precedeva lungo la galleria,
Nemeria abbassò lo sguardo e si morse le labbra, ricordando
che anche Noriko aveva detto la stessa cosa. Mise da parte l'esitazione
e si sbrigò a raggiungerlo.
- Sveglia, dormigliona,
è ora di andare! -
Nemeria si girò dall'altra parte, tirandosi la coperta fin
sopra la testa. Non aveva assolutamente voglia di alzarsi, tanto meno
di intraprendere un dialogo con Altea.
La sera prima, con Hirad si erano spinti oltre i tunnel conosciuti e
avevano trovato il corpo di un uomo famoso – almeno a detta
del ragazzo – e il compagno aveva insistito non solo per
mappare l'intera zona, ma anche per riprodurre fedelmente ogni singolo
soggetto sulle pareti. Nemmeno dopo diverse ore Nemeria era riuscita a
dissuaderlo dal suo lavoro. Erano tornati che la cena era
già stata servita e tutti erano già andati a
dormire. Gli unici ancora svegli erano Noriko e Dariush che, non appena
li aveva visti rientrare, si era fatto fare il resoconto dettagliato di
tutto quello che avevano fatto. Inutile dire che Hirad aveva glissato
sul fatto che avesse riempito pagine e pagine di disegni di pesci,
uccelli e rami d'ulivo, limitandosi a mostrargli la mappa ampliata
delle catacombe.
- Altea, davvero, lasciami dormire... ieri siamo tornati tardi e oggi
pomeriggio dovremo tornare per definire e marchiare i tunnel. -
- No, oggi non andrai di nuovo in giro con Hirad. Sei qui da tre
settimane e finora lo hai sempre seguito nelle sue esplorazioni. I
dottori dicono che passare troppo tempo sottoterra faccia male, quindi
oggi verrai con me a prendere un po' d'aria fresca e a imparare a fare
la spesa. -
La prese per un braccio e la costrinse a mettersi seduta con ben poca
grazia. Nemeria si stropicciò gli occhi e si
coprì la bocca per nascondere uno sbadiglio. “Fare
la spesa” era il termine che i ragazzi usavano per indicare
quando uscivano a rubare. Sapeva che prima o poi sarebbe toccato anche
a lei, ma non credeva così presto. Non si sentiva pronta.
Fuori, sedute vicino al fuoco, le attendevano Afareen e Chalipa.
Entrambe si erano legate i capelli, rispettivamente in una coda e in
una treccia che partivano dalla sommità del capo, e sopra la
tunica entrambe avevano indossato un caftano di cotone che aveva visto
tempi migliori. Chalipa aveva in testa anche una tiara che,
originariamente, doveva essere stata laccata in oro, ma che ora
conservava solo i residui del suo originario splendore. Stavano
parlando a bassa voce, Chalipa teneva sotto controllo la pentola sul
fuoco, senza mai smettere di girare il mestolo, mentre Afareen sbatteva
qualcosa in una ciotola di terracotta sbreccata. Ai suoi piedi,
disposti in tre piccoli piattini, Nemeria riconobbe delle mandorle
scottate, granella di pistacchi e un po' di cannella.
“Il falò è acceso anche la
mattina?”
La logica le suggerì che non l'aveva mai notato
perché lei e Hirad erano puntualmente gli ultimi ad alzarsi.
Altea si avvicinò alle due ragazze e gettò
un'occhiata nella pentola, corrugando le sopracciglia confusa quando
Afareen la allontanò con uno scherzoso spintone.
- È vietato sbirciare prima che il piatto sia finito. - la
ammonì con un sorriso, versando il contenuto della ciotola
all'interno, - Stamattina, finalmente, possiamo mangiare qualcosa di
più gustoso del solito pane secco. -
- E cosa stareste preparando? Più che due cuoche, sembrate
due streghe con quel mestolo. -
- Gne, gne, gne. La solita simpaticona. - le fece il verso Chalipa.
- Ignorala, Chal. - commentò Afareen, incrociando le braccia
sul petto con aria tronfia, - Quando assaggerà il nostro
manicaretto, si azzittirà da sola e ci pregherà
per averne ancora. E sai noi cosa risponderemo? -
Si scambiarono uno sguardo d'intesa e scoppiarono a ridere, e con loro
anche Altea.
Nemeria, che aveva seguito distrattamente la discussione, si
lasciò cadere per terra a gambe incrociate e, sbadigliando,
si guardò intorno. Oltre a loro tre non sembrava esserci
nessun altro sveglio. Sicuramente i gemelli erano già usciti
per andare in ricognizione assieme a Dariush. Nell'ultima settimana
aveva sentito dire che le altre bande avevano dato non pochi problemi,
anche se Nemeria non capiva esattamente cosa avessero fatto. La stupiva
persino che ci fossero altri ragazzi organizzati come loro.
- Beh, dovremo aspettare un po'. -
Altea si sedette vicino a lei, interrompendo il flusso già
discontinuo dei suoi pensieri. La Sha'ir sembrava già
sveglia e lucida. Come facesse a essere così di buon umore
di primo mattino, per Nemeria era un mistero.
- Non pensare che questo piccolo contrattempo ti salvi, eh. Oggi vieni
in giro con me e diventerai un'ottima “cliente”. -
le scompigliò i capelli con la stessa espressione di un
bambino che ha appena combinato una marachella, - E poi hai davvero
bisogno di prendere un po' di sole e di respirare aria pulita. Sei
pallida come un cencio. Se non sapessi che sei andata in giro per le
gallerie con Ratto, direi che sono giorni che non dormi. -
Nemeria si spostò alcune ciocche ribelli dagli occhi.
Nell'ultima settimana la Madre le aveva donato un sonno senza sogni,
solo un caldo e confortevole buio dal quale faceva fatica a svegliarsi.
Era quasi un dolore fisico aprire gli occhi e abbandonare quel torpore
accogliente per ritornare alla realtà. Aveva anche smesso di
preoccuparsi di Hirad, di quello che aveva scoperto e della loro
scommessa. Quasi tutte le cose che prima la tenevano sveglia la notte
avevano perso interesse ai suoi occhi.
- Per caso rientri in quella categoria di persone che prima di una
certa ora non parlano con nessuno? - sbuffò scocciata Altea.
- Sono state delle giornate pesanti. - si giustificò con
un'alzata di spalle.
La Sha'ir sbuffò e scosse la testa. I pendagli che aveva
alle orecchie tintinnarono assieme alla catenina che li univa, un suono
delicato che a Nemeria ricordava il cinguettio di un fringuello.
- Piuttosto, come ti trovi con Noriko? -
Oh, voleva sapere come andava? Non la vedeva mai e, quando accadeva,
non si rivolgevano più di due o tre parole. Anche questa,
pensò, doveva essere una specie di benedizione della Madre.
Quegli occhi così tersi e freddi, che sembravano intimarle
di allontanarsi e allo stesso tempo la incitavano ad aprirsi, le
facevano paura.
- Non la incontro spesso. Abbiamo incarichi diversi e rincasiamo a
orari diversi. -
Aveva scelto la risposta più neutra che le era venuta in
mente, ma Altea la fissò con l'aria di chi si aspettava
altro. Nemeria spostò lo sguardo sulle fiamme, cercando di
dipanare la foschia soporifera che si era insinuata nei suoi pensieri.
In quel momento si sentiva come quel fuoco: debole, stanco, incerto.
Sarebbe bastata una folata di vento un po' più forte delle
altre per spegnerla.
- Non è che non mi stia simpatica. Solo, stando sempre
fuori, non abbiamo avuto tempo di conoscerci. Credo che sia una brava
persona, un po' chiusa, ma comunque a suo modo gentile. - si
sentì in dovere di aggiungere.
Altea annuì e spostò anche lei la sua attenzione
sulle fiamme.
Un intenso odore zuccherino di pistacchi e cannella aveva pervaso
l'aria. Nemeria inspirò profondamente e, come se non avesse
atteso altro, il suo stomaco gorgogliò, scatenando le risate
delle tre ragazze. Poi Chalipa, armata con due stracci di spesso
cotone, prese la pentola, la versò in una piccola teglia che
Afareen le aveva avvicinato e corse verso un altro vaso pieno d'acqua.
Non appena l'appoggiò sulla superficie, nuvolette di vapore
si alzarono spiraleggiando verso l'alto.
- Beh, direi che abbiamo finito. - commentò Chalipa.
- No, manca il tocco finale. -
Rapida come un gatto, Afareen schiaffò via la mano della sua
compagna prima che la immergesse nella crema. Spostò la
teglia sulla sedia dietro di lei e la spolverò con la
cannella e i pistacchi sbriciolati, aggiungendo infine le mandorle.
- Ecco qua, ora è davvero finita. - si girò a
guardarli e un sorrisetto divertito fece capolino sulle sue labbra
quando da una tasca del caftano tirò fuori quattro cucchiai,
- Su, assaggiate, l'ho fatto per mangiarlo, non per rimirarlo. Per
quello ci sarà tempo dopo. -
- Ma che cos'è? - domandò Nemeria.
- Esatto, cosa sarebbe? Sembra un budino, ma ci hai messo sopra un
sacco di roba. E questo... - Altea annusò concentrata, -
Questo è zafferano! Dove l'avete trovato?-
La ragazza annuì compiaciuta, prima di rivolgere la sua
attenzione a Nemeria.
- Si chiama Shaol-El-Zerdan, è un piatto che mia madre
cucinava spesso nei giorni di festa. In teoria avrei dovuto disegnare
un piccolo sole con la cannella e disporre le mandorle in modo da farne
i raggi, ma la mia famiglia non è mai stata molto religiosa.
Mia nonna diceva sempre che mettere Dio nella cucina rovina anche i
piatti migliori e io non posso che trovarmi d'accordo. -
spiegò con un sorriso, gustandosi il suo cucchiaio di dolce,
- Per quel che concerne la tua domanda, Altea, gli ingredienti me li
hanno procacciati i gemelli e Hami. La scorsa settimana è
arrivato un carico di spezie dalla Sherazadara e, mentre il mercante
trattava sul prezzo, loro ne hanno approfittato per prelevarne un po'.
In cucina ho anche del cumino, aneto, sommacco e mirto, anche se non so
esattamente come usarli... -
- Troverai un modo, ma, davvero, lasciatelo dire, hai superato te
stessa questa volta. Questo budino è f-a-n-t-a-s-t-i-c-o. Mi
rimangio in parte quello che ho detto. Non sei una strega, ma una maga
della cucina. - la elogiò Altea.
- Concordo pienamente. - si unì Chalipa, - Ma dobbiamo
lasciarne per forza un po' agli altri? Io me lo mangerei tutto anche
ora. -
- Guarda che non va bene. Diglielo, Nemeria! - la incitò
Altea, mentre si serviva con un altra cucchiaiata di dolce.
Nemeria alzò la testa, disorientata e con ancora la crema in
bocca, scatenando l'ilarità generale. Altea le diede un
buffetto sulla guancia, guadagnandosi un'occhiata a metà tra
il trasecolato e l'infastidito, che però la fece ridere
ancora più forte.
- Abbiamo mangiato abbastanza, stamattina. Se ci ingozziamo, non
riusciremo a camminare, figuriamoci correre. - restituì il
cucchiaio ad Afareen e fece a Nemeria cenno di seguirla, - Muoviti,
scoiattolo, il tempo è denaro. -
- Come mi hai chiamata? -
- Hai sentito benissimo, non farmelo ripetere. -
- Ma... ma che... perché? -
La Sha'ir ridacchiò e si massaggiò il mento con
finta aria meditabonda. L'espressione allegra che aveva sul viso le
illuminava gli occhi e le accendeva lo sguardo e Nemeria non
riuscì a non sorridere a sua volta.
- Non lo so, sinceramente, mi è venuto spontaneo. Insomma,
non sono un'intellettuale, mica mi faccio delle domande quando appioppo
soprannomi alla gente. -
- In realtà, di solito c'è un motivo... -
Non fece in tempo a terminare la frase, che la Sha'ir le
batté una pacca sulla schiena così forte da farle
quasi perdere l'equilibrio.
- Pensi troppo, scoiattolo, e pensare toglie tempo al lavoro. Sai come
dice il proverbio, no? -
- Chi ha tempo non aspetti tempo? -
- Esattamente! Ora mettiti i vestiti più comodi che hai e le
scarpe buone. Sia mai che durante la fuga ti si rompa un sandalo! -
Nemeria sospirò e obbedì, dirigendosi di nuovo
alla sua tenda. Quando spostò il lembo, si sedette sulla
stuoia e si cambiò, mettendosi un paio di calzoni tagliati
poco sotto il ginocchio e una tunica smanicata di un verde spento. Le
stava un po' larga, d'altronde era appartenuta a Noriko fino ad appena
una settimana prima, ma non poteva pretendere di meglio. Dariush aveva
deciso che della ventina d'abiti che i gemelli e Hami erano riusciti a
rubare, lui aveva diritto, in quanto capo, a tenerne dieci, al posto
dei due che spettavano a ogni membro della famiglia. Ovviamente, la
nuova arrivata si sarebbe dovuta accontentare degli scarti degli altri.
Dal momento che non si era fatta così tanti amici, l'unica
cosa che aveva guadagnato erano quegli indumenti da parte di Noriko.
Sospirò e il suo sguardo si spostò sulla stuoia
della sua compagna. La sua parte di tenda era perfettamente ordinata,
con il cuscino sprimacciato e i pochi averi che possedeva raccolti in
semplici scatolette di legno. La lanterna colorata giaceva vicino al
guanciale spenta, eppure i vetri che la ricoprivano emanavano un lieve
luccichio, come se in ognuno di essi fosse stata intrappolata una
piccola lucciola. Nemeria la prese e se la rigirò tra le
mani, osservando i motivi floreali che si intrecciavano su tutta la
superficie.
L'elementale del fuoco non si era più ripresentato e non
aveva risposto alla sua chiamata quando aveva provato a evocarlo.
Etheram le aveva detto che gli elementali erano esseri capricciosi e
l'aveva messa in guardia, facendole presente in più di
un'occasione che l'affinità non era un fattore sufficiente
per dominarli. Per quanto Nemeria sapesse che era vero, mai come in
quei giorni si era sentita così frustrata nel constatarlo.
Aveva persino tentato di attingere al potere dell'aria, ma, ovviamente,
a parte guadagnarsi un'occhiata stranita di Hirad e procurarsi un gran
mal di testa non era riuscita.
- Scoiattolo, sei ancora viva? - la testa di Altea fece capolino da
dietro la tenda, - Ah, stavi guardando la fanoos di Noriko? -
Nemeria si girò a guardarla interrogativa e la Sha'ir
sospirò con fare teatrale.
- Due settimane qui a Kalaspirit e non sai nemmeno cosa sono? Per tutti
gli dei, ma Hirad non ti ha spigato proprio nulla. -
- No, me ne ha spiegate di cose, è solo che... -
- Te ne ha spiegate troppe tutte assieme, lo so, lo so. -
completò, prendendo la lanterna tra le mani e tirandola su
per la catena ad altezza del naso, come per osservarla meglio, - In
ogni caso, queste vengono usate durante il periodo della Randama dagli
Svegliatori, così li chiamano. Vanno in giro poco prima
dell'alba con un piccolo tamburello per svegliare e ricordare di
mangiare. -
“C'è gente che si dimentica di mangiare?”
- Da quello che so, Noriko non crede in nessun dio, né tiene
particolarmente al suo aspetto o alle cose di valore, quindi non ho mai
capito perché ci tenga così tanto. - stava
dicendo Altea senza staccare gli occhi dalla lanterna, - Anzi, meglio
che la rimettiamo a posto prima che torni e ci riempia di botte per
aver spostato le sue cose. -
- Noriko non mi sembra così violenta. -
- Perché non l'hai mai vista arrabbiata. E fidati, persino
Dariush ha paura di lei quando accade. - si scrollò via la
polvere dai calzoni e si passò una mano tra i capelli,
scrollando la testa, - Adesso però dobbiamo muoverci,
altrimenti avremo troppa concorrenza al mercato. -
Con un sospiro sconsolato, Nemeria seguì Altea fuori dal
rifugio.
A scapito di quello che credeva, la Sha'ir si muoveva con grande
familiarità nelle gallerie, come se le conoscesse a memoria.
Solo Hirad aveva quella sicurezza, almeno questa era l'impressione che
aveva avuto andando in giro con lui. Forse avevano passato tanto tempo
insieme.
Si infilarono in un cunicolo che sbucava in un vicolo dietro la
bancarella di Kamran, il mercante di perle più fornito della
città. Quando uscirono, la luce le ferì gli occhi
e l'aria fresca le diede un capogiro, tant'è che si dovette
appoggiare al muro e schiacciarsi le mani sul viso per proteggersi dal
sole. Soltanto dopo un momento e dopo varie esitazioni, Nemeria si
decise ad abbassarle. Si trovavano in una stradina acciottolata,
fiancheggiata da un'alta fila di case di pietra bianca, ognuna con un
balcone abbracciato da una rete di dipladenie in fiore, che si
arrampicavano per tutta la facciata fino alle grondaie.
- Dove siamo? - domandò spaesata, senza smettere di
guardarsi intorno.
- Siamo nel Quartiere dell'Ambra. Qui potrai trovare gioielli, gemme e
oggetti preziosi da regalare al tuo amato marito oppure alla tua amante
trascurata. - recitò Altea, scimmiottando una voce maschile,
- Questo è il quartiere dei ricconi. Viene gente importante
a fare compere e di solito c'è sempre qualcosa di
interessante da rubare. -
- Ma a noi non servono cose del genere. -
Nemeria si acquattò vicino a lei, allungando il collo per
sbirciare oltre la sua spalla.
- Sì, invece. Spesso ci limitiamo a prendere solo cose di
prima necessità, ma a volte tentiamo anche noi un colpaccio.
Ti immagini che vita potremmo fare se riuscissimo a impadronirci di
quella spada o di quello scudo e rivenderlo? -
Nemeria seguì la direzione del suo dito e aguzzò
lo sguardo. Un uomo con dei mustacchi neri come la pece e un turbante
di uno stravagante verde smeraldo stava mostrando una sciabola con
l'elsa rastremata a un cliente, il quale, a parte annuire di tanto in
tanto, sembrava più interessato all'arma che alle
spiegazioni offerte dal mercante. Lo scudo era molto semplice, un disco
concavo bronzeo con i bordi decorati con delle scritte sbozzate
direttamente nel metallo. Era davvero di pregevole fattura, su questo
Nemeria concordava, solo non aveva la più pallida idea di
come Altea volesse rubarlo senza farsi scoprire.
- Niente panico, non sarai la mia compagna in quest'impresa. - la
rincuorò la Sha'ir con un sorriso a metà tra il
serio e il faceto, - Sei ancora troppo inesperta, e comunque quella
roba è molto pesante. Forse con l'aiuto di Dariush potremmo
riuscirci, ma non è un furto che si possa lasciare al caso,
bisogna pensare a un piano. Anche perché questo posto
è molto controllato, una mossa sbagliata e ci ritroveremmo
addosso sia le guardie che i Cani Rossi. -
- I chi? -
- I Cani Rossi. Ratto non ti ha detto nulla? -
Per l'ennesima volta, Nemeria dovette scuotere la testa. Altea
sospirò e si massaggiò la radice del naso,
borbottando qualcosa che la compagna non riuscì a capire.
- Vieni con me. Non puoi fare bene la spesa se non sai dove devi farla
e soprattutto da chi guardarti le spalle. -
Le afferrò il braccio e, dopo aver controllato a destra e a
sinistra, la trascinò dall'altra parte della strada, per poi
imboccare una via meno affollata, dove a parte qualche bancarella che
vendeva dolciumi e frutta secca c'erano solo taverne e alti palazzi
eleganti.
- Allora, cosa sai di Kalaspirit? -
- Poco. Prima di due settimane fa non c'ero mai stata e quello che so
è... quello che sanno tutti. - ammise Nemeria, spostando la
sua attenzione su un dromedario scortato da sei uomini armati.
Portava sul dorso una lettiga, drappeggiata con un baldacchino di lino
bianco e azzurro abbastanza leggero da ingrossarsi a ogni minimo refolo
d'aria, ma abbastanza scuro da celare la figura distesa all'interno.
- Facevi prima a dire che non sai nulla. Ciò che gli
stranieri sanno di Kalaspirit è quello che Kalaspirit vuole
che gli stranieri sappiano, e fidati, è tutto
fuorché la verità. - intrecciò le dita
dietro la nuca e calciò un sassolino lontano, alzando gli
occhi al cielo, - Allora, Kalaspirit è divisa in nove
distretti che prendono il nome di quartieri cittadini. Ognuno di essi
è famoso per il mercato e la tipologia di locali che ci puoi
trovare. Per esempio, nel Quartiere del Fuoco ci sono i bordelli
più puliti, mentre qui, nel Quartiere d'Ambra, a ogni angolo
c'è un orefice pronto a costruire collane, diademi e tiare
con le pietre più belle e rare. -
- Nel nostro quartiere cosa c'è? -
- In una parola? Povertà. Un tempo, almeno questo
è quello che racconta Hirad, nel Quartiere delle Ossa c'era
un grande traffico di cacciatori, uomini che si avventuravano oltre il
grande deserto per commerciare con gli Sha'ir della Valle di Sindhu. Si
dice che siano stati proprio loro a portare gli elefanti al nostro
sultano, come dono da parte del Rajeh dell'Impero di Skandaaleshan. -
Nemeria annuì, seguendola sotto l'ombra di un cornicione.
Ricordava quel viaggio, era stato uno dei più lunghi che
aveva fatto con la sua tribù. Era rimasta affascinata da
quelle terre, dove l'estate era lunga e ventosa e l'inverno mite, con
il sole che faceva spesso capolino da dietro l'usuale fitta nebbia. Era
stato durante uno di quei giorni uggiosi che lei, suo fratello Rakshaan
ed Etheram, mentre mangiavano il puari, sfogliatine gonfie e croccanti
spolverate con pepe e aglio, avevano visto due leopardi delle nevi. Si
aggiravano inquieti nella gabbia, mentre acrobati e mangiafuoco si
affrettavano a far transitare i carri all'interno dell'arena, dove
quella sera stessa avrebbero indetto il loro spettacolo. A Nemeria gli
occhi di quegli animali erano sembrati immensamente tristi, logorati da
una lunga prigionia.
- Mi stai ascoltando? -
La voce scocciata di Altea e lo schioccare delle sue dita davanti al
naso la strappò al flusso dei ricordi. Si
stropicciò gli occhi e ricacciò indietro le
lacrime con un profondo respiro.
- Oh, ho detto qualcosa che ti ha turbata? Scusami, non volevo,
davvero. -
- No... no, è solo... mi è solo entrata un po' di
sabbia negli occhi. - sbatté le palpebre un paio di volte e
tirò su col naso.
Altea la fissò in tralice, aprì la bocca e poi la
richiuse senza commentare. Dopo un momento le posò una mano
sulla testa e, con una delicatezza che Nemeria non pensava possedesse,
le scompigliò i capelli.
- Dovresti pettinarli meglio e averne più cura. - la
rimproverò bonariamente, sciogliendole un nodo con entrambe
le mani.
Nemeria fece spallucce, come se quel gesto bastasse a mettere fine alla
discussione, ma Altea non si diede per vinta. La fermò, la
costrinse a sedersi e con solo l'ausilio delle dita cominciò
a pettinarle i capelli, stando attenta a non farle male. Aveva un tocco
delicato, attento, lo stesso di sua madre Hediye.
- Ecco fatto, così va molto meglio. Prima sembrava davvero
che avessi avuto un incontro ravvicinato con un gatto incazzato. Sai,
non te l'ho mai detto, ma tu mi ricordi davvero tanto i miei fratelli
del Nord. Se avessi la carnagione un po' più chiara saresti
identica a loro. -
Le divise la chioma in due ciocche e gliele sistemò sulle
spalle, lisciandole un paio di volte per assicurarsi di aver eliminato
qualsiasi nodo.
- Non so di cosa tu stia parlando. -
- Credo tu li conosca col nome di Jarkut'id, i figli di Jarkut. -
- Forse li ho anche incontrati, però ora come ora non mi
ricordo. -
Altea la guardò sorpresa: - Addirittura incontrati? Devi
aver viaggiato molto. -
Nemeria annuì e si rimise rapidamente in piedi.
- Non hai voglia di parlarmi di cosa hai visto? - la esortò
Altea, non ricevendo risposta.
La Sha'ir si mordicchiò le labbra prima di affiancarla.
- Un giorno mi piacerebbe mi raccontassi qualcosa di te. So che
può essere doloroso, però credo che potrebbe
farti stare meglio. Non mi interessa cosa ti è successo, ma
non mi piace conversare con una persona di cui non so niente. Mi sembra
di essere in compagnia di un estraneo. -
- Nemmeno io so nulla di te, Altea. -
- Sei a conoscenza di una cosa molto importante però. -
abbassò lo sguardo e Nemeria capì a cosa si stava
riferendo.
Di riflesso, anche lei smise di guardarla, concentrandosi
sull'iscrizione dell'insegna di una locanda. Improvvisamente, capire
cosa ci fosse scritto lì sopra sembrava molto meno
impegnativo della piega che aveva preso quella conversazione.
- Perché glielo permetti? - domandò Nemeria,
raccogliendo il coraggio.
- Se non lo facessi, lui riverserebbe la sua rabbia su qualcun altro.
Non è giusto, ma è l'unico modo per tenere unita
la nostra famiglia. - esalò Altea con aria cupa.
Si massaggiò il collo e Nemeria vide le mezzelune arrossate
di un morso poco sotto l'orecchio.
- All'inizio non era così, prima era dolce, gentile,
amorevole. Si è preso cura di me quando sono giunta qui e mi
ha insegnato a sopravvivere, se non fosse per lui adesso sarei finita
in un bordello o nell'arena. Gli devo la vita, capisci? -
Nemeria non capiva e non voleva farlo, ma questo lo tenne per
sé. Non serviva, non lì, non in quel momento.
Così tacque e fece un lieve cenno del capo, sperando che il
bisogno di parlare non venisse sopraffatto dalla paura che leggeva
negli occhi dell'altra. Le posò una mano sulla spalla e
gliela strinse appena, per confortarla e farle sentire la sua presenza.
Altea stirò le labbra in un sorriso grato e
proseguì.
- Poi ha scoperto di essere... beh, speciale e non ha più
accettato i “no” come risposta. - una lacrima le
sfuggì dall'occhio e lei si affrettò ad
asciugarla, - Capisco di aver sbagliato spesso con lui. Dovrei essergli
riconoscente per quello che ha fatto per me e invece continuo a farlo
arrabbiare. Non mi sorprendo che perda così facilmente la
pazienza, come è successo ieri sera. Me lo sono meritato,
sono stata... insolente. -
- Cosa è successo ieri notte? -
Altea si perse a guardare nel vuoto, lo sguardo fisso davanti a
sé, gli occhi lucidi e le lacrime cristallizzate in un velo
umido su di essi.
- Altea? -
La ragazza fece un passo indietro e si passò una mano sul
viso, scuotendo la testa. Nemeria la sorresse e si fermò,
attendendo che riprendesse a respirare normalmente. La avvolse in un
timido abbraccio, che a malapena riusciva a placare il tremore che si
era impadronito del suo corpo. In quella situazione, rannicchiate
contro il muro di un palazzo, nell'indifferenza più totale
della gente che le guardava senza vederle, Nemeria non poté
fare altro che aspettare, con il viso di Altea sepolto tra i capelli e
la consapevolezza istintiva che non poteva fare niente per aiutarla.
Solo dopo diversi minuti sentì il respiro della Sha'ir
regolarizzarsi e i tremiti si placarono. Lasciò la presa e
le permise di rialzarsi, imitandola quando fu sicura che riuscisse a
reggersi sulle sue gambe. Con sorpresa, si rese conto che le guance di
Altea non erano umide, così come non lo era la sua casacca.
- Ti senti meglio? -
- Sì... sì, grazie. - inspirò ed
espirò un paio di volte, incamerando quanta più
aria potesse, mentre si detergeva il sudore dalla fronte col dorso
della mano.
Nemeria non era sicura stesse dicendo la verità, ma non ebbe
tempo di esporre i suoi dubbi, poiché una voce familiare la
costrinse a girarsi.
- Ragazze! -
- Hirad! Che ci fai qui? -
Lui le rivolse un ampio sorriso, di quelli che faceva sempre quando
aveva qualcosa in mente. Fece un ulteriore passo verso di loro, con la
mano davanti alla bocca come per nascondere il respiro affannoso. La
sua espressione allegra si adombrò quando
incontrò lo sguardo di Altea, ma fu solo un momento e
Nemeria credette di esserselo immaginato.
- Scusatemi se vi ho seguite, ma ho pensato che, viste le risorse
esigue che ci sono rimaste, forse avreste avuto bisogno di una mano.
Sai, a fare la spesa in più persone ci si mette di meno. -
disse dopo un attimo d'esitazione, tornando a guardare Nemeria.
- Da quando ti piace stare alla luce del sole? L'ultima volta che
Dariush ti ha ordinato di salire in superficie, Hami mi ha riferito che
hai combinato un gran pasticcio al mercato della carne. - intervenne
Altea con un ghigno.
Nemeria notò che adesso sembrava in grado di stare in piedi
da sola e non era più così pallida come prima. In
ogni caso, decise di restarle vicina nell'eventualità che si
sentisse di nuovo male.
Hirad si mordicchiò l'interno della guancia e si
tormentò le unghie, facendo saettare lo sguardo a destra e a
sinistra.
- Beh, questa è la zona di caccia dei Cani rossi e Dariush
ha detto che dobbiamo muoverci almeno in gruppi di tre. - disse tutto
d'un fiato, grattandosi il collo, - E lo so che non sono bravissimo in
queste cose, ma gli ordini sono ordini e vanno rispettati alla lettera,
così nessuno potrà farsi male. -
- Va bene, va bene, hai ragione. Però stavolta non fare
casini, per favore. È la prima esperienza di Nemeria,
cerchiamo di insegnarle le basi senza farci sbattere in cella. -
- Non sono così inetto! Ti vorrei ricordare che uno dei
migliori ladri dell'antichità è diventato davvero
bravo solo dopo anni di ruberie e giorni di prigionia. Ora che mi ci
fai pensare, però, lui aveva... -
- Ratto, sei venuto qui per darci una mano o per farci schiacciare un
sonnellino? -
- Ah, io, cioè, pensavo... -
Davanti al suo balbettio imbarazzato, Altea scoppiò a
ridere, una risata leggera che coinvolse anche il ragazzo. Nemeria si
limitò a un sorriso di circostanza per dissimulare la
confusione dettata da quel repentino cambio d'umore nella sua compagna,
la sua improvvisa allegria dopo i singulti che l'avevano messa in
ginocchio. Così attese che l'ilarità si placasse,
spostando alternativamente l'attenzione da Hirad ad Altea.
La prima a ricomporsi fu proprio la Sha'ir, che con un colpetto di
tosse richiamò anche il ragazzo.
- Direi che abbiamo perso abbastanza tempo. Allora, cosa dovevamo
recuperare? Ah, sì, pane, farina, focacce e se riusciamo
anche della frutta. Dimentico qualcosa? -
- No, direi che c'è tutto. Forse se riuscissimo ad andare
nel quartiere... -
- Ah, giusto! - Altea si batté una mano sulla fronte e gli
puntò il dito contro con una finta espressione truce, -
Scoiattolo è venuta in giro con te per tutto questo tempo e
tu non ti sei premurato nemmeno di spiegarle come funzionano le cose in
questa città?! -
Hirad la fissò inebetito, ma prima che potesse ribattere
Altea prese Nemeria sottobraccio e continuò la conversazione
che aveva interrotto all'arrivo del compagno. Parlò
velocemente, tanto che pareva un fiume in piena.
- Come ti stavo dicendo prima, a Kalaspirit esistono questi nove
quartieri. Abbiamo quello d'Ambra, quello delle Ossa, quello del Fuoco,
quello della Bestia, quello del Ghiaccio, quello della Pergamena,
quello della Pietra, quello del Legno e infine quello del Sole.
Quest'ultimo, come potrai immaginare, è quello dove risiede
l'alta nobiltà ed è anche uno dei più
protetti, anche se alcuni membri dei Falchi Neri sono riusciti a
portare a termine ben più di un furto nella zona. -
- I Falchi Neri sono un'altra banda. - le sussurrò Hirad, -
Ti consiglio di tenerti alla larga da loro, sono estremamente
pericolosi. -
- Altroché se lo sono. Parliamoci chiaro: in tutti i gruppi
di ladri c'è almeno un Dominatore. - si guardò
circospetta intorno e abbassò la voce, - Noi abbiamo
Dariush, i Cani contano tra le loro fila una ragazzina di nome Zahra,
mentre tra quegli avvoltoi che bazzicano nei dintorni del quartiere del
Fuoco ci sono ben due ragazzi capaci di manipolare rispettivamente
l'aria e la terra. I Falchi, invece, sono solo quattro, ma ognuno di
loro si dice sia un Dominatore. Per questo nessuno, e quando dico
nessuno intendo dire nessuno, entra mai nel loro quartiere per fare la
spesa. Però loro si divertono molto a venire a trovare noi. -
- Già. Se mai li dovessi vedere, vattene, scappa. Avere a
che fare con loro significa guai per tutta la famiglia. L'ultima volta,
quando un ragazzo appartenente alle Ombre non ha voluto dar loro il
bottino, Saiar gli ha letteralmente dato fuoco. Non accettano un
rifiuto, Nemeria. Se non sei in compagnia di Dariush o Noriko, corri
più in fretta che puoi. - disse Hirad.
Nemeria non sapeva più cosa pensare. Fakhri le aveva
ribadito che gli elementali non si piegano facilmente e che gli umani
facevano ancora più fatica a manipolarli, dal momento che
avevano perso la benedizione della Madre. Quindi com'era possibile che
dei ragazzi così giovani e non addestrati riuscissero a
comandarli e a usufruire dei loro poteri senza che questi si
ribellassero? E, soprattutto, com'era possibile che la loro magia non
li avesse ancora corrotti?
“Per lo stesso motivo per cui l'elementale della terra di
Dariush gli permette di fare del male ad Altea.”
La mano si chiuse istintivamente attorno al ciondolo, sulla superficie
fredda eppure rassicurante della pietra di luna.
- Anche Noriko è come Dariush? - si azzardò a
chiedere.
Avvertì gli occhi di Hirad puntarsi su di lei, ma lo
ignorò. Chissà perché, la notizia che
il ragazzo fosse un Dominatore non l'aveva sconvolta più di
tanto, ma sentiva che c'era dell'altro. Non sapeva spiegarsene il
motivo, era una sensazione istintiva come quando era arrivata alla
Fontana dei Mari senza conoscere la strada.
- No, però picchia come un demonio, tipico di chi viene
dall'Ukiyo-e! Lì persino le donne imparano a combattere,
quindi non mi sorprendo che Dariush insista sempre perché si
occupi con lui del turno di guardia. - le illustrò Altea, -
Come mai questa domanda? -
- Curiosità. -
- Questa è colpa tua, Hirad. -
- Mia? E che colpa ho io, ora?! -
- Hai reso il mio scoiattolo curioso. Adesso diventerà pure
intelligente come te. -
- Mica è una malattia, eh... -
- Lo dici solo perché tu ce l'hai da troppo tempo! -
Andarono avanti così a battibeccare, finché non
giunsero in prossimità del mercato nel Quartiere del Legno.
La maggior parte delle bancarelle vendevano frutta, verdura e vari
generi alimentari.
Altea, nascosta dietro l'angolo assieme a Hirad, le insegnò
come rubare. Sembrava semplice detto da lei e Nemeria si illuse che ci
sarebbe riuscita. Tuttavia, quando si avvicinò a uno dei
banchi, non riuscì nemmeno ad allungare la mano per far
cadere accidentalmente la mela. Ci riprovò varie volte,
cambiando spesso bersaglio, di modo che nessuno potesse sospettare di
lei e delle sue intenzioni, ma per quanto ci provasse, il suo corpo si
rifiutava di obbedire. L'unica volta che riuscì a fare come
Altea le aveva detto, quasi non venne scoperta e per la paura si
volatilizzò nella folla, prima che la donna chiamasse le
guardie. Quando venne raggiunta dalla Sha'ir e da Hirad, stava ancora
riprendendo fiato.
- Non è andata malissimo. - si azzardò a dire il
ragazzo.
- Sì, infatti. Lui ha fatto di peggio la sua prima volta.
Guarda che oggi è solo una prova, avrai altre occasioni per
esercitarti. - la consolò Altea.
- Non sono riuscita a prendere niente... direi che è stata
un disastro. -
- Ti ribadisco che è normale. Ascolta, anche per me
è stato complicato all'inizio. Sono certo che quando
torneremo andrà meglio. - la incoraggiò Hirad.
- No. Voglio fare un ultimo tentativo. -
- Nemeria... - sospirò il ragazzo.
- Beh, che male c'è? In fin dei conti, c'è ancora
tutto il lato destro del mercato. Perché tarparle le ali,
Hirad? Se vuole provare di nuovo, che provi. -
- Ma è già tardi, Dariush ha detto... -
- Lo so, ma un altro tentativo quanto tempo vuoi che ci prenda? - si
girò verso di lei e le fece l'occhiolino, - Vai, scoiattolo.
Noi ti seguiamo da dietro come al solito. Se ci sono problemi, sai dove
devi scappare, no? -
Nemeria annuì e, dopo aver preso un grosso respiro, si
infilò nella fiumana di gente, lasciando che essa la
conducesse dall'altro lato della strada. Mentre camminava con aria
disinteressata, come da suggerimento di Altea, studiava le varie
bancarelle alla ricerca di un mercante distratto o impegnato a trattare
sul prezzo. Ne intravide uno intento a sovraintendere lo spostamento di
alcune casse cariche di frutta, banane, cachi e noci di cocco. Un
ragazzo di forse la stessa età di Nemeria avrebbe dovuto
tenere d'occhio la merce, ma era impegnato a osservare con una certa
invidia i suoi coetanei che giocavano con una palla di stoffa sotto
l'ombra del palazzo di fronte.
Un brivido d'eccitazione le percorse la schiena. Nemeria si
obbligò a mantenere un'andatura costante e l'espressione
più neutra possibile, mentre si avvicinava. Il suo obiettivo
era quello di impossessarsi dell'arancia che sporgeva dalla cassetta.
Le sembrava quella più esterna e più in bilico.
Nessuno ci avrebbe fatto caso se fosse caduta. Però aveva
paura. I dubbi l'attanagliavano e non riusciva a non guardarsi
continuamente intorno. Ogni volta che incrociava lo sguardo di un
passante, si affrettava a distoglierlo, intrecciando le dita dietro la
schiena. L'arancia era lì e si faceva sempre più
vicina ad ogni passo.
“Forza, Nemeria, forza. Ce la puoi fare.”
Esitando, allungò la mano senza staccare troppo il braccio
dal petto, in un movimento casuale e, si augurava, poco sospetto. Le
sue dita non fecero in tempo a sfiorare la superficie porosa
dell'arancia che un alito di vento, nato dal nulla, gliela fece cadere
in mano con un tonfo attutito, come se qualcosa ne avesse rallentato la
caduta. Prima che lo stupore potesse fermarla, le gambe la condussero
via, rapide come mai lo erano state, con una brezza tiepida che
sembrava cavalcare al loro fianco e sospingerle.
Quando pensò d'essere abbastanza lontana, si
appoggiò sulle ginocchia per riprendere fiato. Fissava
l'arancia incredula, senza riuscire a capacitarsi di quello che era
successo. L'elementale dell'aria l'aveva aiutata! Era da quando aveva
attinto al suo potere per scappare da quei briganti che non si era
più manifestato e adesso...
- Grazie, grazie, grazie! - baciò il frutto, lo
innalzò verso il cielo e cominciò a saltellare
per la strada.
Si sentiva felice come non lo era da molto tempo. Persino il ciondolo,
che di solito captava e attenuava le sue emozioni, divenne a malapena
tiepido, come se anche lui avesse deciso di farle godere di quel
sentimento che non provava da troppo tempo. Quando la raggiunsero Altea
e Hirad, l'euforia era talmente tanta che Nemeria li
abbracciò entrambi.
- Sei stata grandiosa! - si complimentò Altea,
scompigliandole i capelli.
- E sei anche velocissima! Non credevo che dentro quel corpicino
gracile si nascondesse una maratoneta di questo calibro. -
scherzò Hirad e avrebbe anche aggiunto altro, se Altea non
gli avesse fatto segno di tacere e non si fosse frapposta tra loro e i
due ragazzi che stavano avanzando verso di loro.
- Ehi, tu, quell'arancia è nostra. -
Quello che aveva parlato era il più alto dei due, aveva la
pelle scura come l'ebano e i lobi di entrambe le orecchie tagliate.
Qualcosa in lui mise subito in allarme Nemeria, che però non
lasciò la presa sul frutto.
- Oh, la bimba deve essere sorda o stupida. - sbuffò con un
sorriso crudele e divertito stampato sulle labbra, - Aspetta, Shaya,
lei non l'ho mai vista. Non pensavo che quel coglione di Dariush
accogliesse nuovi membri nella sua combriccola da quattro soldi. -
- Si vede che pensa che ampliandola forse riuscirà a farci
paura. - gli rispose ridacchiando l'altro, superandolo.
Altea arretrò, così anche Hirad. Entrambi erano
tesi e i lineamenti induriti del viso erano testimoni fin troppo
evidenti della loro paura. Nemeria, invece, non riusciva a smettere di
studiarli. Li sentiva in qualche modo affini a lei e, allo stesso
tempo, percepiva un'aura di pericolo provenire da loro.
- Nemeria, dagliela. - la incitò Altea sottovoce.
- E anche in fretta, altrimenti ci pestano. - ribadì Hirad.
- Ti conviene dare retta ai tuoi amici, bambina. - Shaya
affiancò il compagno e incrociò le braccia sul
petto, - Non ci piace picchiare le donne, ma se saremo obbligati a
farlo non ci tireremo indietro. Dunque, fai la brava e obbedisci. -
Dopo un momento, Nemeria passò oltre Altea e si
inginocchiò, facendo rotolare l'arancia fino ai loro piedi.
La pietra di luna era divenuta rovente, quasi le bruciava la pelle, ma
quel dolore non era sufficiente a reprimere la rabbia che sentiva
irradiarsi in ogni fibra del suo essere. La stessa brezza che prima
l'aveva accompagnata nella corsa si tramutò in una folata di
vento che spazzò il vicolo, fece turbinare la sabbia e
sferzò i visi dei presenti come una frusta.
Shaya e il suo compagno alzarono appena la testa, con un sorriso che
non prometteva niente di buono. Fu allora che Nemeria si accorse che
parte della loro iride era parzialmente nera. Un brivido freddo le fece
accapponare la pelle.
Shaya si piegò e raccolse l'arancia, per poi tirarla un paio
di volte per aria con aria tronfia.
- Bene, vedo che sei una bambina intelligente. Per questa volta vi va
bene, ma se vi ribecchiamo a rubare al di fuori del vostro sudicio
quartiere... - lasciò la frase in sospeso, poi diede loro le
spalle e insieme sparirono nell'ombra, così com'erano
apparsi.
- Siamo stati fortunati, molto fortunati. Ora sbrighiamoci a tornare al
campo, oppure Dariush ci farà neri. - li incitò
Altea, sospingendoli con dei colpetti sulla schiena fuori dal vicolo.
Hirad non se lo fece ripetere due volte e scattò, mentre il
cervello di Nemeria ci mise qualche istante di più prima di
ricordarsi come camminare. Durante il tragitto verso casa, la sua mente
fu occupata soltanto dal pensiero di quello che aveva appena visto e
dalla paura causata dagli occhi scuri dei due ragazzi, crudeli e freddi
come quelli del brigante che aveva tentato di ucciderla. Come quelli di
un Jin.
"Chi non osa osservare il sole in volto non sarà mai una stella."
William Blake
Dariush era nervoso.
Camminava avanti e indietro attorno alle ceneri del focolare, le mani
intrecciate dietro la schiena e lo sguardo di una tigre in gabbia. Era
da quando Nemeria, Altea e Hirad erano tornati e gli avevano riferito
del loro spiacevole incontro che aveva quell'espressione a
metà tra l'arrabbiato e l'inquieto, così come gli
altri membri della famiglia. L'unica che sembrava non sentire la
tensione era Noriko, che osservava impassibile appoggiata al muro. Come
Dariush e i gemelli, aveva varie escoriazioni sulla pelle delle
braccia, lasciate esposte dalla tunica lisa in più punti, e
un livido sotto l'occhio sinistro le induriva i lineamenti del viso,
conferendole un'aria truce.
- Siete sicuri che non hanno intenzione di venire nel nostro quartiere?
A parte minacciarvi di farvela pagare, non hanno detto altro? -
domandò loro per l'ennesima volta Dariush.
Altea fece un cenno di diniego con la testa. Era ancora visibilmente
scossa, Nemeria se ne rese conto perché anche lei faticava a
controllare il tremore che le scuoteva le spalle. Hirad cercava di non
darlo a vedere, ma le pupille dilatate e i pugni serrati lo tradivano.
Lo Sha'ir trasse un respiro di sollievo e si passò una mano
tra i capelli scarmigliati, mettendo in mostra un taglio sopra la
tempia. Il sangue era raggrumato, segno che erano passate un paio d'ore
da quando se l'era procurata.
- Non va affatto bene. Possiamo respingere le altre bande, ma se i Cani
decidessero di attaccarci non potremmo fare altro che rifugiarci qui
sotto. Dobbiamo cominciare a mettere da parte le scorte e prepararci al
peggio. - dichiarò, per poi avvicinarsi ad Altea, - L'unica
cosa che mi domando è perché tu sia tornata qui a
mani vuote, nonostante ti avessi esplicitamente ordinato di fare la
spesa. Hai detto che quei figli di puttana non vi hanno inseguiti,
sareste potuti andare a prendere qualcosa in qualche taverna lungo la
strada del ritorno. -
- N-non ci ho pensato, Dariush. Hirad e Nemeria non sono molto bravi e
avevamo paura che i Falchi ci pedinassero. - balbettò la
ragazza, facendosi piccola piccola.
- Quante volte ti ho ripetuto che non sei tu la guida della famiglia? -
- Lo so, ma... -
- Quante volte? Rispondi. -
Altea si morse un labbro e abbassò lo sguardo. Tutti
tacevano, respirando il più piano possibile per paura che
Dariush si accorgesse di loro.
- Molte. - mormorò infine, mortificata.
- Bene, quindi perché ti ostini a disobbedire? Prima porti
una bambinetta inutile e ora decidi quando tornare alla tana? -
l'aggredì, le prese il mento tra le dita e strinse le guance
così forte da graffiarle la pelle, - Sto cominciando a
perdere la pazienza con te. Ti ho salvata dalla strada, ma
più il tempo passa più comincio a pensare che sia
stata una perdita di tempo. Forse avrei dovuto lasciarti morire, almeno
così mi sarei risparmiato tante delusioni. -
sibilò cattivo.
Nemeria contrasse la mascella e digrignò i denti, tanto da
farli scricchiolare. Le mani si serrarono a pugno, mentre la pietra
luna si surriscaldava, stemperando appena la rabbia che sentiva
crescerle dentro. Sapeva che non poteva intervenire, ne andava della
sua vita, eppure non riusciva a controllarsi né a placare
l'odio che provava nei confronti di quel verme. Si guardò
intorno, in cerca di supporto, ma nessuno sembrava intenzionato a
intervenire. Persino Hami aveva girato la testa da un'altra parte,
incapace come tutti di assistere all'ennesima umiliazione di Altea.
- Dariush, Altea non aveva scelta. - si intromise all'improvviso Hirad,
la voce che tremava quasi quanto lui, - I Falchi sono imprevedibili, il
rischio che decidessero di penetrare nel quartiere non era da escludere
e purtroppo sappiamo quanto siamo deboli rispetto a loro. Non mi sembra
giusto che tu la punisca per aver anteposto la sicurezza dei membri
della famiglia alle nostre scorte alimentari. -
Dariush mollò la presa e si girò di scatto verso
Hirad, nello stesso istante in cui lo fece anche Nemeria. Anche Noriko,
che fino a quel momento aveva fissato la scena senza scomporsi, parve
sorpresa.
- Quello che ho detto ad Altea vale anche per te, Ratto. -
“Hirad, stai zitto, maledizione!”
Nemeria lo trafisse con un'occhiata ammonitrice, ma il ragazzo la
ignorò. Deglutì un paio di volte e raccolse il
coraggio per continuare.
- Sto cercando di farti riflettere: stai punendo Altea per essersi
comportata secondo i tuoi insegnamenti e non mi sembra corretto. Dici
sempre che sono quello intelligente, quindi se vedo che qualcosa non
va... -
- Cosa stai insinuando? Pensi che le mie azioni siano stupide, forse?
Sto sbagliando? - ringhiò Dariush, abbassandosi in modo da
poterlo guardare dritto negli occhi, le labbra increspate in un ghigno
che lasciava scoperti i canini leggermente appuntiti.
- A-anche i capi migliori sbagliano, a volte. - ridacchiò
nervoso Hirad.
- Ritieni di essere nella posizione di potermi ammonire, per caso? -
- No, certo che no... volevo solo farti notare una cosa, ecco. - si
difese, alzando le mani.
La smorfia irritata di Dariush si tramutò in un sorriso che
non prometteva niente di buono, Nemeria se lo sentì nelle
viscere.
- Hai ragione, Hirad, ho sbagliato. In effetti, punire Altea sarebbe un
errore. - gli batté una pacca sulla sulla spalla e gli fece
cenno in direzione della sua tenda, - L'altro giorno sei andato in
esplorazione, no? Portami i disegni delle nuove gallerie, desidero che
mi illustri quali sono e dove portano. -
Hirad sbiancò, così come Nemeria.
- Non li ho ancora finiti... in realtà non li ho nemmeno
iniziati. Sono dei bozzetti sulla pergamena, non credo ci capiresti
qualcosa. - balbettò in preda al panico.
- Oh, ma davvero? Eppure di solito sei così rapido.
Comunque, ci terrei davvero a vederli. Portameli. -
- Sei ferito, forse è meglio che prima ti faccia medicare da
Kimiya per evitare l'infezione, non sarebbe un bene se ti ammalassi in
un momento del genere. - intervenne Altea, ma bastò
un'occhiata dello Sha'ir per ridurla al silenzio.
- Allora, Hirad? Sei forse troppo stanco per via della tua fuga
precipitosa? Non ti preoccupare, rimani pure seduto, Malakeh le
andrà a prendere. - aggiunse e il suo sorriso si
allargò.
Nemeria riconobbe in quell'espressione la stessa crudeltà
che aveva ravvisato sui volti dei due ragazzi appartenenti ai Falchi
Neri. La paura le imbrigliò lo stomaco e le parole in una
morsa spietata.
Malakeh si infilò nella tenda di Hirad e uscì con
un plico di pergamene impilate l'una sull'altra che svolazzavano a
terra ad ogni passo. Alcune riportavano disegni schematici di gallerie,
con qualche iscrizione vergata con una calligrafia illeggibile, e le
altre per la maggior parte ritraevano scorci di Kalaspirit, fiori,
ritratti dei membri della famiglia, vedute paesaggistiche di luoghi
fantastici situati chissà dove. Tra quelle che caddero,
Nemeria notò le riproduzioni dei viticci con grappoli d'uva
e racemi d'acanto presenti sulla tomba dell'uomo famoso che avevano
trovato insieme.
- Vedo che ti stai dedicando all'arte, Ratto. Sei bravo. Pensavo che
oltre a straparlare non avessi alcun talento. -
Dariush prese un paio di pergamene e le osservò con cipiglio
critico.
- Sai, Altea e Hami fanno fatica a rubare la carta di questa
qualità, è roba difficile da reperire. E tu come
la usi? Imbrattandola con scarabocchi che non hanno nessuna
utilità per la nostra famiglia? -
Hirad si fissò la punta dei piedi in silenzio. Con il collo
incassato nelle spalle e le dita piantate nelle braccia, sembrava
ancora più indifeso e spaurito di quanto già non
fosse.
- Ho chiuso gli occhi per troppo tempo davanti alla tua disobbedienza,
è ora che impari a stare al tuo posto. C'è troppa
anarchia in questo gruppo, vi farà bene un bel ripasso. -
A tutti mancò il respiro quando Dariush allineò i
fogli e li strappò, dapprima in due, poi in quattro e infine
in sei pezzi, per poi lasciarli cadere a terra e pestarli come degli
insetti fastidiosi. Con un cenno del capo, ordinò ai gemelli
di fare lo stesso. I due esitarono e per una frazione di secondo
Nemeria sperò che si sarebbero ribellati.
La prima ad afferrare la pergamena seguente fu Malakeh. Ritraeva un
cavallo che sonnecchiava vicino all'abbeveratoio di una taverna, con il
cielo screziato di rosso e le nuvole sfilacciate di un viola che
sfumava nel lillà verso i bordi pastello. La ragazza trasse
un profondo respiro. Quando la fece a pezzi, non ebbe il coraggio di
guardare Hirad, che la guardava con gli occhi lucidi, senza riuscire a
dire o a fare nulla. Era pietrificato, come se non riuscisse a
realizzare cosa stesse realmente accadendo. Soltanto quando Mehrdad
distrusse il profilo delicato di una giovane Sha'ir, cadde in ginocchio
e abbracciò i pezzi di pergamena singhiozzando, mentre altri
si aggiungevano al mucchio.
Quando non rimase più altro, Dariush gli artigliò
la spalla, costringendolo ad alzare la testa.
- Ricordati chi sei, lemna, e soprattutto qual è il tuo
posto qui dentro: i ratti sono fatti per rimanere sottoterra e
nascondersi nelle fogne, pregando di non venire schiacciati. Adesso
andrò a farmi medicare, e quando uscirò dalla
tenda di Kimiya voglio che sia tutto pulito, chiaro? -
Hirad mormorò un flebile “sì”
e, quando l'altro si alzò, lui stava già
raccogliendo i pezzi di carta.
Noriko si allontanò assieme ai compagni, compresi i gemelli,
che quasi corsero a rifugiarsi dentro la loro tenda in preda ai sensi
di colpa. Rimasero soltanto Nemeria e Altea. Per un po' nessuna delle
due si mosse, poi Altea si avvicinò e, con le mani ancora
tremanti, si accovacciò accanto a lui, raccogliendo uno dei
tanti pezzi che costituivano il tappetto eterogeneo di linee,
chiaro-scuri e prospettive ormai distrutte.
Hirad si bloccò un istante e Nemeria colse l'occasione per
raggiungerlo. La pietra di luna si era raffreddata, così
come la sua rabbia, e adesso l'unico desiderio che aveva era quello di
abbracciarlo, stringerlo forte come Etheram faceva con lei quando si
svegliava da un brutto sogno o perché fuori si era scatenato
un temporale. L'istinto, però, le suggerì di
limitarsi ad aiutarlo, poiché una tale manifestazione di
affetto non avrebbe fatto altro che peggiorare il suo umore: quando
Dariush aveva strappato il primo disegno, era stato come se lo avesse
pugnalato, e poi aveva continuato finché la sua anima
esangue non gli era scivolata di mano assieme all'ultima pergamena.
- Sei davvero bravo a disegnare. - mormorò Altea,
porgendogli un angolo di cielo stellato, - Io non sono intelligente o
esperta di arte, però, ecco, le tue opere sono meravigliose.
Dariush è stato crudele. -
- Nah, non sono granché. Mi diletto a ritrarre
ciò che vedo, ma non sono un vero artista. Mia madre aveva
molto più talento, riusciva a catturare la realtà
e a eternarla con pochi, semplici tratti. Io, invece, pasticcio sui
fogli a tempo perso. Dariush ha ragione, è uno spreco di
carta. -
- No, non è vero. Non so che persona fosse tua madre, ma per
quello che ho visto tu sei anche migliore, anzi, più
migliore del pittore che sta sulla Via degli Usignoli nel Quartiere
d'Ambra. Un giorno, ne sono certa, diventerai l'artista più
famoso della città! E quando ripenserai a quello che
è successo oggi, ti farai una risata e dirai “Ah!
Quel bastardo di Dariush è rimasto in strada a rubacchiare
gli avanzi, mentre io ora nuoto nell'oro, ho ventiquattro mogli e
faccio colazione con bekljva e kedayif ogni mattina”. -
- Più migliore... la mia istitutrice si starà
rivoltando nella tomba. - commentò inorridito.
- Te l'ho detto, non sono come te! E comunque il punto non era quello.
È che un giorno tu te ne andrai di qui, con Nemeria e
Noriko. Diventerete dei grandi, scriverete la storia e quando tutti e
tre vivrete nel vostro palazzo personale vi sarete già
scordati di questi giorni tristi. Non avrete nemmeno tempo di pensarci
con tutte le cose da potenti che avrete da fare. -
- Io non voglio ventiquattro mariti. La ricchezza sì, ma non
voglio avere a che fare con più di un uomo alla volta. - si
intromise Nemeria, facendosi più vicina.
Altea ruotò gli occhi esasperata: - Forse ho un po'
esagerato col numero, ma non era quello il nocciolo della questione! -
- Io ho capito. Solo che adesso non riesco a pensarci, anzi, non sono
in grado di pensare a nulla. - disse Hirad e strinse al petto un
frammento di disegno, per poi infilarlo nelle tasche dei pantaloni.
A nulla valsero i successivi tentativi delle due ragazze di consolarlo,
le loro parole si infrangevano contro un muro di silenzio e sofferenza.
Nemeria dovette reprimere l'istinto di alzarsi e andare a prendere a
pugni Dariush, quando lo vide uscire dalla sua tenda con le braccia
bendate. Questi dovette accorgersi d'essere osservato perché
si girò nella sua direzione. Per un istante che
durò un'eternità i due si fronteggiarono con lo
sguardo, gli occhi rossi, fiammeggianti di rabbia di Nemeria
intrecciati a quelli strafottenti e pieni di disprezzo dello Sha'ir. Il
fuoco delle torce si ingrossò, alzandosi fino quasi a
lambire le ombre sul soffitto. Le vene sulle sugli avambracci e sul
collo del ragazzo si tesero nervose, mentre le sue dita si riempirono
di squame, mettendo in mostra un'altra pelle più dura,
più resistente, quasi impenetrabile. Non seppero cosa li
fermò dal regolare i conti subito. Semplicemente, l'attimo
prima stavano per azzannarsi alla gola e quello dopo tornarono a far
finta di niente, ignorandosi reciprocamente.
Nessuno aveva osato intromettersi, così come nessuno aveva
accennato a prendere le difese di Hirad, troppo occupati a fingere di
badare agli affari propri. Nemeria era incredula.
“Che razza di famiglia è?”
La tensione aleggiò per ore nella tana, opprimente come una
cappa tossica.
L'ora di cena arrivò in fretta, ma senza l'allegria che
normalmente la caratterizzava. Afareen e Chalipa servirono riso con
pomodori, peperoni verdi e qualche pezzetto di carne di topo. Nemeria
lo mangiò a forza, costringendosi a inghiottire un boccone
alla volta masticandolo a lungo, fino a quando la sensazione di nausea
non si attenuava un po'. Di tanto in tanto gettava un'occhiata ad
Hirad, che, come lei, sembrava combattere contro la sua porzione. Aveva
gli occhi ancora rossi e per tutta la cena non li distolse mai dalle
fiamme che crepitavano nel focolare, incurante dell'atmosfera densa
come melassa.
Di fianco a lui si era seduta Altea, che cercò di ravvivare
la serata raccontando aneddoti divertenti, senza però
riuscire a coinvolgere nessuno. Nemeria, così come i
presenti, l'ascoltava distrattamente, annuendo e stirando le labbra in
un sorriso nei momenti più opportuni. La rabbia per quello
che era accaduto era ancora tanta e vedere Hirad in quello stato non
faceva altro che accentuarla, facendole ribollire il sangue, mentre la
pietra di luna manteneva un calore costante che controbilanciava quello
che sentiva pervaderle la mente e il corpo. Non poteva fare nulla che
potesse davvero aiutarlo; sfidare Dariush era una scelta azzardata,
avrebbe messo in pericolo non solo lei, ma l'intera famiglia, e questo
Nemeria non poteva permetterlo. Buttò giù un
altro boccone e addentò un pezzo di pane bianco
così duro da sembrare di pietra.
Lo Sha'ir non si era presentato per cena, ma aveva ordinato a Kimiya di
portargliela nella tenda. Nemeria sospettava che stesse cercando di
riprendere il controllo dell'elementale della terra e, seppure contro
voglia, anche lei sperava che ci riuscisse.
Un brivido freddo le corse lungo la schiena al ricordo dei due Falchi
Neri. Hediye, quando lei ed Etheram erano ancora piccole e le avevano
chiesto di raccontare una storia di paura, aveva narrato di quando
viveva ancora tra gli uomini. Proveniva da una città piccola
e poco distante dalla capitale, dove il sultano aveva fatto costruire
una delle tante arene in onore di suo padre. La sua famiglia ogni fine
settimana la trascinava sugli spalti a vedere gli spettacoli,
gladiatori che combattevano gli uni contro gli altri, oppure contro
prigionieri provenienti da terre al di là del mare e Jin. A
Nemeria erano rimaste impresse le parole di sua madre, quando le aveva
descritto l'avversario di quel Dominatore: crudele, inumano, deforme,
ma soprattutto troppo forte per qualsiasi mortale. Era risaputo nella
sua tribù che qualsiasi mortale che abusava della magia
inevitabilmente diventasse un Jin, era la maledizione che la Madre
stessa aveva scagliato sulla stirpe degli uomini quando Heydar aveva
ucciso Soraya. A detta di tutte le Anziane, la maggior parte dei Jin
erano esseri deformi, orribili, però ce ne erano alcuni, i
più pericolosi, che mantenevano un aspetto normale e si
mescolavano ai mortali, imbrogliando anche gli occhi più
esperti.
Dariush doveva essere ancora normale, ma Nemeria era sicura si trovasse
sulla sottile linea di confine tra Sha'ir e Jin. Sarebbe bastato un
niente per vederlo trasformarsi in un mostro. Per quanto lo odiasse,
pregò la Madre che gli desse la forza di riacquistare il
controllo, che avesse pietà di tutti loro.
Quasi le venne da vomitare quando mangiò l'ultimo pezzo di
pane. Dovette affondare i denti nelle labbra per reprimere il conato e
rimanere lucida, senza cedere di un passo alla paura che sopravanzava.
- Scoiattolo? Non hai più fame? -
La voce preoccupata di Altea la richiamò alla
realtà. Nemeria si rese conto di avere in mano il piatto
ancora pieno per metà e che loro due erano le uniche rimaste
attorno al fuoco. Chalipa e Afareen erano vicino al muro vicino alle
loro tende, intente a sciacquare le stoviglie in un catino senza
rivolgersi la parola.
- No, sono piena. Ne vuoi un po' tu? - le chiese, per poi accorgesi un
secondo dopo che anche la porzione di Altea era quasi completamente
intatta.
- Mi sa che siamo in due ad avere la pancia piena stasera. -
scherzò.
- Già. - mormorò la più piccola in
tono mesto.
- Nemeria... pensi che Hirad si riprenderà mai? -
domandò la Sha'ir tornando seria.
- Non lo so. Possiamo solo sperarlo. -
Le fiamme guizzarono sul viso di Altea, evidenziando tutti i segni
delle sevizie subite da Dariush, e le donò un'aria ancora
più triste e malinconica.
- Sai, non mi aspettavo che avrebbe reagito. Hirad è la
persona più tranquilla che conosca, non avrei mai creduto
che avrebbe avuto il coraggio di contraddire Dariush. Non puoi
immaginare quanto mi senta in colpa per quello che è
successo... è solo colpa mia... se fossi uscita di nuovo a
fare la spesa, adesso le cose sarebbero come prima. Ero io quella che
meritava la punizione, non lui. -
Nemeria la avvolse in un abbraccio e le permise di affondare il viso
nella sua spalla. La strinse come quel pomeriggio, la cullò
dolcemente permettendo al calore del suo corpo di passare in lei
tramite carezze incerte e un po' goffe, finché non smise di
piangere. Nonostante la sensazione di impotenza, quando Altea si
calmò il cuore di Nemeria si alleggerì, come se
vederla asciugarsi le lacrime e andare via a testa alta verso la sua
tenda e non quella di Dariush l'avesse sollevata da un grande peso.
“Forse non sono così inutile, forse posso salvare
qualcuno. Sì, proverò a cambiare le
cose.”
Con quel pensiero, si recò alla sua tenda. Vide una luce
multicolore provenire dall'interno e, quando entrò, si
accorse che Noriko era ancora sveglia. Lo stupore divenne ancora
più evidente non appena notò che ad emanare luce
era la fanoos che penzolava sopra le loro teste. La fiammella
all'interno spandeva la sua luce su tutto il mosaico, ricalcando ed
enfatizzando l'intreccio di fiori che, come una trama molto stretta,
avvolgeva tutta la superficie della lanterna.
- Non ne avevi mai vista una accesa? -
Noriko allungò la testa all'indietro, inarcandosi
leggermente sulla stuoia in modo da poterla guardare meglio. I capelli
rossi erano sparsi tutti attorno alla sua testa e nella luce tenue e
aranciata sembravano i raggi del sole morente. Il livido sotto l'occhio
destro era nascosto dalle ciocche ribelli.
Nemeria gattonò fino alla lanterna senza staccarle gli occhi
di dosso, incantata dalla danza della fiamma. Attraverso i tasselli del
mosaico, intravide una figura femminile e quasi le mancò il
fiato quando riconobbe l'elementale che le aveva fatto visita tempo
prima. Le sue mani si intrecciavano sinuose seguendo il corpo in
movenze eleganti, ampie e dolci, ipnotiche.
- No, non le avevo mai viste. - rispose incerta, sfiorando con
deferenza il fanoos.
- Ti piacciono? -
- Trovo la loro luce suggestiva. -
- Allora non hai mai visto lo spettacolo che offrono per le strade
durante il Randama. Vengono appese ovunque, illuminano le strade come
se fosse giorno. Nel Quartiere del Sole però sono sempre
accese, se vuoi posso portarti a vederle. -
Nemeria annuì distrattamente, prima di rendersi conto di
cosa avesse fatto. Distolse la sua attenzione dalla lanterna e la
posò su Noriko. Il suo viso non lasciava trasparire alcuna
emozione, così come la postura disinvolta del suo corpo. Per
lei, quello che era successo poco prima non contava nulla.
- Non voglio avere niente a che fare con te. - proferì dura
Nemeria.
- Difficile, visto che stiamo nella stessa tenda. -
- Allora farò finta che tu non ci sia. -
- Cosa avrei fatto per meritarmi la tua antipatia? -
- Lo sai. -
- Se lo sapessi, non te lo starei chiedendo. -
Nemeria incrociò le braccia sul petto e le scoccò
un'occhiata che esprimeva tutto il suo dissenso, ma Noriko non fece una
grinza, rimanendo in attesa di una spiegazione. Sentiva addosso il suo
sguardo, assieme a quello dell'elementale nella lanterna, che ballava
sullo stoppino della candela.
- Altea mi ha detto che nell'Ukiyo-e insegnano a combattere anche alle
donne. Si vede che sei forte, il fatto stesso che fai le ronde
significa che ti sai difendere. Quindi non capisco perché
non sei intervenuta quando Dariush ha strappato i disegni di Hirad. Tu
potevi fare qualcosa e invece sei rimasta a guardare. Non voglio avere
nessun tipo di rapporto con le persone che lasciano che i deboli
vengano schiacciati senza muovere un dito. -
Noriko sospirò e sedette. Si era cambiata la tunica e ne
aveva indossata una a maniche corte color verde palude. Le varie
contusioni e abrasioni erano in bella vista e Nemeria si rese conto
dall'alone rosso che le circondava che non erano state né
disinfettate né medicate.
- Hirad conosceva i rischi, eppure è intervenuto.
È stata una sua scelta. Se fosse rimasto in silenzio e
avesse lasciato che Dariush si sfogasse su Altea come suo solito,
avrebbe ancora i suoi disegni. Non è un bambino, ha quasi
quattordici anni, deve crescere e capire che il mondo non è
come nei suoi amati libri, che ogni azione comporta delle conseguenze. -
Nemeria la fissò sconvolta. Non poteva davvero pensare
quello che aveva appena detto, non ci voleva credere, ma la limpidezza
della sua voce non lasciava adito a dubbi.
- Inoltre, non sono in grado di sconfiggere Dariush. Lui è
un Dominatore, io sono solo una ragazza che ha imparato a combattere.
Anche volendomi opporre, l'avrebbe vinta lui. - ammise con calma, -
Nemmeno tu potresti fare granché. La terra soffoca e uccide
il fuoco a lungo andare e le tue capacità, da quello che ho
visto, sono minimali, nonché incontrollabili. -
- Questo non è vero! -
- La tua non consapevolezza dei tuoi limiti sarà solo una
grande fonte di guai. Ascolta il mio consiglio, lascia perdere e
permetti al tempo di compiere il suo corso. Prima o poi anche gli altri
non sopporteranno più l'atteggiamento tirannico di Dariush,
e allora potremo pensare di intervenire. Ma per adesso l'unica mossa
intelligente è non attirare l'attenzione. -
- Oh, sì, com'era? “Siediti sulla sponda del fiume
e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo
nemico”. Beh, sai che ti dico? - si alzò in piedi
di scatto e l'elementale nel fanoos riprese a danzare in modo ritmico,
quasi forsennato, - Io non sono come te, non riesco a rimanere
impassibile mentre quel... quel bruto si comporta come se fosse il
nostro re. Già una volta non sono riuscita a salvare
nessuno, non posso permettere che accada di nuovo. -
Una lacrima si impigliò nelle ciglia e poi le
scivolò lungo la guancia. Improvvisamente, i demoni le
saltarono addosso e le azzannarono il cuore, affondando i loro artigli
nella sua anima indifesa. Etheram, Hediye, Rakhsaan, tutti i membri
della tribù la scrutavano dalle ombre con le loro orbite
vuote, la giudicarono, la incolparono e Nemeria, per quanto stringesse
forte le palpebre, non riuscì a scacciarli.
Non sono reali. Sono solo frutto del tuo senso di colpa, Nemeria, sei
tu che le hai create, sei tu che le stai nutrendo.
La voce di sua sorella le sussurrava nella mente quelle parole, nel
tentativo di convincerla e aiutarla a recuperare il controllo, ma le
ombre si fecero più vicine, tanto da percepire il loro
respiro gelido sulla pelle sudata. Nemeria si fece forza e
serrò le dita attorno alla pietra luna per sentire la
presenza della sua famiglia. In lontananza, come in un sogno,
udì qualcuno chiamarla e poi avvertì una mano
posarsi sulla sua spalla. Quando si girò, si
trovò innanzi alla Sacerdotessa e al suo volto livido
sfregiato dal fuoco.
- No! - gridò terrorizzata, divincolandosi dal suo tocco.
Corse fuori dalla tenda, dalla tana e giù lungo il primo
corridoio che le capitò a tiro. Corse finché non
riuscì più a respirare e la fatica non vinse. Si
abbandonò contro il muro senza fiato. Gli spettri stavano
già per ghermirla, quando l'elementale del fuoco si
materializzò davanti a lei. Le fiamme dipingevano degli
abiti da danzatrice, così come l'aveva vista nel fanoos di
Noriko, ma sul suo viso non c'era più traccia di gentilezza.
Avanzò contro le ombre senza timore, al ritmo di una musica
silenziosa, facendo vibrare e sussultare velocemente fianchi e bacino,
i lembi della fascia annodata in vita che tagliavano l'aria in sferzate
violente. La sua voce rimbalzò sulle pareti, alta e
imperativa. Andate via.
Tra le sue mani apparve un cembalo. Quando lo colpì, il
suono si propagò ovunque e gli spettri tremarono,
indietreggiando. Via, ora!
A quell'ultimo ordine, sprofondarono nell'oscurità in un
silenzio tombale.
Nemeria rimase a guardare la scena a bocca aperta. Poco dopo si
riscosse e si alzò in piedi barcollando. Le girava la testa,
tanto che si dovette aggrappare alla parete per non crollare. Strinse i
denti e non distolse lo sguardo dalla creatura, sebbene si vergognasse
di come appariva: debole, impaurita e stanca. Tuttavia, un sorriso
orgoglioso si dipinse sulle labbra dell'elementale. Era circondata da
un alone nebuloso, segno che non era nella sua forma
“materiale” come durante il loro primo incontro.
Nemeria la vide azzerare la distanza che le separava e arrestarsi di
fronte a lei.
- Pensavo mi avessi abbandonata. - esalò commossa.
Io sono sempre qui. Non me ne andrò mai.
Il vento della notte soffiò più forte e
dissipò la sua figura, lasciando però intatto il
calore sprigionato dalla sua mano nel punto in cui l'elementale l'aveva
toccata. A Nemeria venne spontaneo sorridere. Prese un bel respiro e si
concentrò finché il suo cuore non si
calmò e l'aria fredda non le ebbe asciugato il sudore. Poi
studiò la grata, assicurandosi che fosse ben chiusa, e
uscì nel vicolo.
La strada era tutta illuminata e i fanoos, appesi alle funi sopra la
testa dei passanti, ondeggiavano pigramente a ogni refolo. Uomini e
donne, abbigliati con lunghi abiti ricamati in oro e sandali che si
intrecciavano fin sotto il ginocchio, camminavano osservando i giochi
di luce delle lanterne, fermandosi di tanto in tanto alle diverse
bancarelle per comprare qualche pannocchia alla griglia o dei semit,
panini dalla forma rotonda ripieni di formaggio, crema di olive o
dolce. I bambini, invece, sembravano più interessati ai
giocolieri, che all'angolo delle strade si esibivano in numeri
spettacolari con scimmie, cerchi di fuoco e spade. Le guardie cittadine
pattugliavano le strade, ma la maggior parte erano più
concentrate a guardare una donna che si dilettava in giochi di
prestigio.
Nemeria si riempì gli occhi, imprimendosi nella memoria ogni
dettaglio. Aveva ancora le mani sudate e il cuore non si era ancora
allineato sulla sua frequenza naturale, ma la paura aveva lasciato il
posto alla meraviglia. Anche il suo stomaco sembrava essersi svegliato
e per ogni bancarella che vedeva gorgogliava, più affamato
che mai.
- Ragazzina. -
La bambina si voltò, in cerca della voce che l'aveva
chiamata. Si avvicinò a un carretto vicino al quale era
stata allestita una griglia rovente unta d'olio, dove erano state
posate delle fette di pane e dello sgombro ad arrostire. Chiunque
fosse, si doveva trovare lì nei paraggi, ma Nemeria non vide
nessuno. Ad un tratto, con la coda dell'occhio scorse un movimento al
suo fianco. Con sua grande sorpresa, si ritrovò faccia a
faccia con il cuoco che aveva incontrato il primo giorno che era giunta
a Kalaspirit, quello che le aveva urlato dietro e poi le aveva dato un
pezzo di formaggio.
Sebbene lo superasse di almeno quattro pollici, Nemeria
indietreggiò intimorita con tutta l'intenzione di dileguarsi
nella folla. Prima che potesse scattare, il
besajaun le batté una mano sulla spalla, un colpo
così forte che quasi la mandò a terra.
- Scommetto che sei venuta qui a rubare qualcosa. Conosco voi
ladruncoli, vi infilate ovunque e quando meno ce lo aspettiamo, zac!,
ci soffiate la merce da sotto il naso. - aggirò la griglia,
prese uno dei filetti di sgombro e lo infilò nel pane, per
poi farcirlo con insalata, cipolla e pomodori, - Vuoi anche una
spruzzata di limone e qualche peperone? -
Nemeria fece saettare lo sguardo da lui al panino, stranita da
quell'inaspettata gentilezza. La sua parte razionale le
ricordò che non aveva nemmeno degli spiccioli con
sé, ma quando il suo stomaco gorgogliò di nuovo
si limitò ad annuire. Il cuoco
tirò fuori un barattolo pieno di vari sottaceti, da dove
prelevò non solo i peperoni, ma anche barbabietola, carote e
cetrioli. Prima di porgerglielo, aggiunse una spezia rossastra che
Nemeria non riconobbe.
- Mangia, sembri un insetto stecco. - le ordinò e lei non se
lo fece ripetere.
Azzannò il panino e lo divorò, gustandosi ogni
boccone. Non si era resa conto di essere così affamata.
- La ringrazio molto, signore. È stato davvero... -
Lui la bloccò con un gesto stizzito della mano e
poggiò un altro pezzo di sgombro sulla griglia. Aveva le
mani grandi e callose e le unghie erano corte, eppure non c'era traccia
di sporcizia. Persino il carretto, così piccolo e anonimo,
era pulitissimo, come gli utensili che penzolavano dai ganci. Soltanto
il grembiule aveva alcune macchie d'olio sparpagliate sulla pancia e
qualche schizzo di quello che le sembrava pomodoro.
- Non saprei come sdebitarmi. Non ho soldi con me. -
- Non voglio niente, basta che non tocchi nulla con le tue mani lerce.
Anzi, levati di mezzo che mi porti via la clientela. -
- Ne è sicuro? Insomma... -
- Ragazzina, non ho tempo per discutere, gli affari sono affari e
questo è il mio modo di arrotondare la paga. Sparisci, o il
vecchio Behrang ti prende a calci finché non ti metti a
correre. - afferrò le pinze, le stesse che aveva usato per
prendere il suo sgombro, e gliele puntò sotto il naso, -
Sono stato chiaro, insetto stecco? Pensi di poter fare
“puff” con le tue gambine, oppure hai bisogno che
ti aiuti? -
Come se avesse alle spalle una muta di cani da caccia, Nemeria si
defilò, confondendosi tra la folla. Lo scatto iniziale
finì quasi subito, d'altronde la sua intenzione era solo
quella di mettere una minima distanza tra lui e il carretto. Adesso non
le faceva più paura, non come prima, la sua gentilezza
l'aveva lasciata disarmata, sebbene alla fine l'avesse scacciata in
malo modo.
“Che tipo strano. Prima mi offre un panino e poi mi manda via
così. Hediye mi aveva detto che i besajaun sono volubili, ma
non credevo fino a questo punto. La prossima volta mi
inviterà nella sua osteria per poi buttarmi fuori a calci
nel sedere?”
Si trovava sulla stessa strada maestra che aveva percorso al suo arrivo
a Kalasprit. Le parve di riconoscere nel profilo di uno dei soldati che
sonnecchiava nella guardiola lo stesso che aveva incontrato quando
aveva fatto il suo ingresso in città. Non voleva tornare
alla tana, né avere a che fare con nessuno dei membri della
famiglia fino alla mattina seguente.
Inspirò l'aria fredda della sera e riprese a passeggiare.
Anche se non poteva comprare nulla, si fermò a guardare da
lontano le bancarelle, soprattutto quelle che vendevano animali. Rimase
impressionata in particolare da un venditore che metteva in mostra un
cavallo dall'aspetto a dir poco fiero. Era un baio dal pelo corto, la
criniera lunga e serica e gli occhi enormi e intelligenti che fissavano
i possibili compratori. Sembrava mansueto e brucava di tanto in tanto
il fieno che il venditore gli porgeva prima di tornare a elogiarlo.
Nemeria non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, tant'è
che solo in un secondo momento si accorse di una presenza alle sue
spalle.
- Noriko! Che ci fai qui? - esclamò sconvolta.
- Quindi eri andata davvero a farti un giro... - disse ansante, piegata
sulle ginocchia per la corsa sfrenata che doveva aver fatto dalla tana,
- Potevi dirmelo, sarei venuta con te. -
- Non capisco perché tu mi abbia seguita. -
- Non è una buona idea girare da soli per le strade, anche
in un quartiere così movimentato. -
- In qualsiasi caso, non avrei di certo scelto te per accompagnarmi. -
Noriko le piantò le unghie nel braccio e la costrinse a
indietreggiare. Per quanto Nemeria tentasse di liberarsi, la presa era
salda e quando la tirò fuori dalla folla con uno strattone
non riuscì a opporre la benché minima resistenza.
- Che cosa ti prende?! Mi fai male! -
Provò a divincolarsi, ma la ragazza l'avvolse in un
abbraccio soffocante. Le tenne il capo con una mano e il viso contro la
sua spalla, quasi volesse proteggerla.
- C'è qualcuno che ti sta pedinando. Non so chi sia, ma
è da quando sei arrivata qui che non ti perde di vista un
attimo. -
- Non prendermi in giro, non sono stupida. Me ne sarei accorta. -
La afferrò per i fianchi e spinse per allontanarla, ma
Noriko non si smosse, anzi rinserrò la presa e la strinse
fino a far aderire i loro corpi. Nemeria poteva sentire le ossa dei
loro bacini a contatto, la sua pancia scavata che si scontrava contro
quella tonica e muscolosa della sua compagna.
- Non sto scherzando. Lo so che mi detesti, ma non mi abbasserei mai a
raccontarti una storia del genere solo per convincerti a stare con me.
- si guardò intorno, la mandibola contratta e gli occhi che
scrutavano attenti la folla, - Alla tua destra, vicino al giocoliere e
al mangiafuoco. Fingi di star osservando lo spettacolo, non deve sapere
che ti sei accorta di lui. -
Non appena Noriko la lasciò, Nemeria, dopo averle scoccato
un'occhiata risentita, fece come le aveva detto. All'inizio non
notò niente di strano, i due artisti di strada si
prodigavano in numeri sempre più difficili e pericolosi,
attirando molti spettatori. In mezzo alla calca, però,
intercettò un movimento e la luce delle lanterne
rimbalzò su una superficie metallica.
Dalle labbra del mangiafuoco scaturì una potente fiammata e
ricevette uno scroscio di applausi e di gridolini di stupore.
Il fuoco tracciò alcuni dettagli della figura incappucciata:
un'armatura nera, una daga appesa al fianco e una maschera,
più bianca dell'avorio, con due fori per gli occhi e una
piccola lacrima rossa.
Nemeria divenne una statua di sale e le gambe cominciarono a tremarle
pericolosamente. Se non ci fosse stata Noriko a sorreggerla quando le
ginocchia le cedettero, sarebbe caduta a terra.
L'avevano trovata, alla fine.
- Calmati, non c'è alcun pericolo. Se non ti ha avvicinata
sinora è perché attendeva che fossi da sola. Ora
torniamo a casa. Passeremo per le vie affollate, così
sarà più semplice seminarlo. Non ti allontanare
da me, per nessuna ragione al mondo. -
Nemeria annuì, anche se il suo cervello aveva captato solo
parte del discorso. Non si oppose né quando Noriko la prese
per mano né quando la condusse attraverso la strada a passo
svelto. Era tutto diventato tetro e minaccioso, il mondo aveva perso i
suoi colori e ora qualsiasi ombra sembrava essere il nascondiglio di un
mostro, di uno spettro, di uno di quei sicari. Nemmeno la luce era
più in grado di difenderla.
Quando giunsero a un crocevia, Noriko aumentò l'andatura,
svoltò in una viuzza laterale, spostò veloce una
grata e la spinse dentro senza alcuna grazia. Prima ancora che Nemeria
mettesse i piedi sulla pietra, la rossa aveva già richiuso
il passaggio e iniziato a scendere le scale. Nel buio gli occhi di
Noriko brillavano come minuscoli soli, la sua presenza incombente e
confortante al tempo stesso.
- Tu sai chi ti stava seguendo. - commentò in tono neutro,
sbirciando in direzione di Nemeria.
Nemeria andò a sbattere contro il muro e si
lasciò scivolare a terra, gli occhi bassi e il cuore che le
galoppava nel petto alla stessa velocità con cui pulsava la
pietra di luna. I pensieri vorticavano impazziti e sconclusionati, non
riusciva a dare un senso logico a quello che voleva dire. Non voleva
analizzare quello che aveva visto, sarebbe crollata all'istante.
Noriko sospirò e le si parò davanti. Il suo
calore passava attraverso il lino logoro dei pantaloni e le accarezzava
la pelle delle ginocchia.
- Non permetterò che ti faccia del male. Non sono un
Dominatore, ma so combattere. Se quell'uomo, chiunque egli sia,
proverà anche solo ad avvicinarsi, lo manderò
via. - dichiarò solenne.
- Tu non puoi niente, lui ti ucciderà! Ti
ucciderà come ha fatto con Etheram, Rakhsaan, la Grande
Sacerdotessa e tutti gli altri. - pigolò, si premette le
mani sulle orecchie e artigliò il cuoio capelluto fino a
farsi male, - Lui mi troverà, non posso fuggire. Ovunque
vada, lui... loro scoveranno le mie tracce e prima o poi mi
prenderanno. -
- Chi sono? -
- Non lo so! Sono apparsi dal nulla e hanno trucidato tutti i membri
della mia tribù. La magia delle Anziane non funzionava,
nemmeno la Grande Sacerdotessa ha potuto fare nulla! -
Noriko si inginocchiò e la strinse a sé. Le
accarezzò la testa con movimenti lenti e delicati,
respirando piano. La sua vicinanza fece sentire Nemeria protetta, tanto
che persino i rumori delle gallerie, improvvisi e sempre spaventosi, si
erano trasformati in morbidi e innocui fruscii.
- Non so chi tu sia, né da dove tu provenga, ma te lo giuro,
farò tutto ciò che è in mio potere per
proteggerti. Tu però devi permettermi di farlo. Devi
cominciare a fidarti di me. - sussurrò Noriko.
- Perché? -
- Questo non è importante. - si allontanò in modo
da poterla guardare negli occhi e si appropriò di una ciocca
bianca, - Hai un aspetto molto singolare, domani vedremo di fare
qualcosa per renderti il più normale possibile. Ora torniamo
a casa. -
Nemeria la fissò un momento e per un secondo le parve di
vedere un riflesso liquido nello sguardo della sua compagna. Avrebbe
voluto chiederle cosa le era successo per renderla la persona che era,
ma si limitò a prenderle la mano e a farsi condurre
attraverso le gallerie. Per la prima volta da quando era entrata a far
parte della famiglia, Nemeria si accorse di non avere più
paura del buio.
"La
speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno
per la
realtà delle cose; il coraggio per cambiarle."
Sant’Agostino
La mattina seguente, Noriko
venne a svegliarla di buon'ora. Era già vestita di tutto
punto, con una semplice stola e un corto mantello allacciato sotto il
collo con una fibbia arrugginita. La tana era silenziosa, non si udiva
nemmeno il chiacchiericcio di Afareen e Chalipa.
- Muoviti a vestirti, lumaca. - l'apostrofò Noriko.
Con ancora gli occhi socchiusi e senza smettere di sbadigliare, Nemeria
rovistò tra i suoi vestiti ed estrasse il primo che le
capitò sotto mano. Si sentiva stanca, la notte precedente
non era riuscita a dormire. Il sonno era andato e venuto, contendendosi
il suo corpo con la paura di scorgere mostri acquattati nel buio,
figure grottesche che la inseguivano fino alle catacombe, armati di
daghe insanguinate. Nell'ultimo incubo, Nemeria aveva assistito di
nuovo al massacro di tutti i membri della famiglia. A nulla erano valse
le urla, le suppliche. I mostri si erano fermati solo quando intorno a
sé Nemeria aveva visto le ombre dei cadaveri dei suoi cari.
Poi era arrivato il suo turno e i nemici avevano cominciato ad
accanirsi su di lei. L'avevano colpita un paio di volte, prima che si
svegliasse di soprassalto con il sapore salato delle lacrime in bocca e
la pelle ricoperta di sudore freddo. Era scoppiata a piangere tra le
braccia di Noriko, accorsa al suo fianco richiamata dai lamenti e dai
gemiti di terrori, e la ragazza l'aveva tenuta stretta al suo petto
finché la stanchezza non l'aveva di nuovo sopraffatta. Quel
comportamento un po' le aveva ricordato Etheram quando la vedeva
giù di morale e Nemeria faceva di tutto per nasconderlo:
alla fine, puntualmente, le rivelava sempre tutto e allora sua sorella
l'avvolgeva in abbracci stritolanti che avevano il potere di scacciar
via i pensieri negativi.
Mentre si vestiva, non le sfuggirono le occhiate che di tanto in tanto
Noriko le lanciava. Poteva leggere una certa apprensione nei suoi
occhi, ma forse si sbagliava. Ad ogni modo, decise di dire qualcosa,
quel silenzio era snervante.
- Grazie per ieri sera. Non cambia l'opinione che ho di te, ma sei
stata gentile. Mi hai sorpresa. - ammise, indossando ai piedi un paio
di campagi neri bucati.
Noriko fece spallucce e spostò il lembo della tenda per
assicurarsi che fuori non ci fosse nessuno.
- Chi è Hediye? - chiese poi di punto in bianco.
Le mani di Nemeria si immobilizzarono a mezz'aria e la penula cadde ai
suoi piedi. Si inginocchiò di scatto, la raccolse e
tentò di infilarsela, ma le dita si erano improvvisamente
intorpidite e sembravano muoversi a rallentatore, come se le avesse
tenute troppo a lungo sotto la neve.
Un sospiro precedette dei passi. Noriko le arrivò alle
spalle, girò la mantellina nel verso corretto e
sistemò il cappuccio e la stoffa in modo che non ci fossero
grinze.
- Ti do una mano a pettinarti, sei lenta. -
Prese il suo pettine d'osso e cominciò a lavorare. Nemeria
si morse le labbra, in attesa di sentire i capelli tirarsi e poi
spezzarsi al primo nodo, ma non accadde, nemmeno quando i denti del
pettine si impigliarono in un grumo di fango solido come un sasso.
Noriko, dopo un paio di tentativi, semplicemente si allungò,
prese dell'acqua dall'otre vicino alla sua stuoia e si bagnò
entrambe le mani, per poi passarle sulla ciocca e massaggiarla
finché i palmi non divennero neri. Nemeria
osservò i movimenti con la coda dell'occhio, ipnotizzata
dalla loro delicatezza e cura.
- Non volevo spaventarti, prima. Hai urlato il nome di Hediye
più volte stanotte, per questo ho domandato. Doveva essere
una persona molto importante per te. -
Senza perdere la presa sui capelli, si chinò e prese un
cordoncino di cuoio intrecciato. Dopo un momento d'esitazione, Nemeria
annuì e basta, lasciando intendere che quella conversazione
sarebbe morta lì. Non voleva che Noriko sapesse, anche se
era stata gentile non si fidava ancora. I mortali erano cattivi, questo
le era stato insegnato, ma quell'affermazione, ripetuta dalle Anziane
della tribù, si sciolse pian piano sotto le mani esperte e
veloci di Noriko mentre le intrecciava i capelli.
La rossa non insisté e finì il suo lavoro un
minuto più tardi. Quindi si tirò su e la
guardò dall'alto.
- Ecco fatto. Forza, abbiamo già perso abbastanza tempo. -
- Dove andiamo? -
- Da un amico che mi deve un favore. Risparmia il fiato, ci
sarà da camminare. -
Noriko uscì dalla tenda con lo zaino sulla schiena, Nemeria
dietro di lei che incespicava tentando di mantenere il passo sostenuto
della compagna. Quest'ultima non sapeva come facesse a camminare a
quella velocità senza fare rumore, i suoi piedi sembravano
non appoggiarsi mai al terreno e ogni volta che si imbattevano in un
ostacolo lo aggiravano con grazia felina prima di andarci a sbattere.
C'era una leggiadria intrinseca in Noriko, qualcosa che a Nemeria
ricordava Etheram e tutte le Jinian che dominavano l'aria.
- Dove hai imparato a muoverti così? -
- Dal mio maestro. -
- Avevi un maestro? E lo ha insegnato solo a te oppure anche ad altri? -
- Ai bambini che vivevano nel tempio. -
- Quindi Hirad non scherzava quando diceva che nell'Ukyio-e insegnano a
combattere a tutti. -
- Attenta al topo. -
Quando Nemeria sentì le zampette del ratto correrle su per
il piede per poco non cacciò un urlo. Inspirò ed
espirò finché non si fu calmata, poi
scattò per raggiungere Noriko. L'unica fonte di luce era la
lanterna che si erano portate dietro, ma non riusciva a
tranquillizzarla. Anche quando girava per le gallerie con Hirad
sobbalzava ogni volta che si trovava faccia a faccia con un ragno o un
topo la sfiorava, però bastava che il ragazzo parlasse per
farla riprendere dallo spavento. Noriko invece era taciturna e
procedeva senza mai voltarsi indietro. Eppure, nonostante il silenzio
che regnava tra di loro, Nemeria non aveva paura.
- Perché te ne sei andata? - tornò alla carica,
curiosa di conoscere qualche dettaglio in più sul passato di
Noriko.
- Fai sempre così tante domande alle persone che ti stanno
antipatiche? -
- Non sei obbligata a rispondere. - borbottò imbronciandosi.
- Quanti anni hai detto di avere? -
- Undici... - Nemeria si interruppe, folgorata da un dubbio, - Che
giorno è oggi? -
- Il trentesimo di Achiel. -
- Allora ne ho dodici. -
- Quando li avresti compiuti? -
- Circa tre settimane fa, ma mi è passato di mente. -
Si rigirò la pietra di luna tra le dita e si
sentì assalire da una profonda tristezza. Se non fossero
stati attaccati, avrebbe iniziato l'addestramento per diventare una
Jinian, probabilmente intraprendendo come prima via quella dell'acqua o
dell'aria. Etheram sarebbe stata al suo fianco, l'avrebbe tenuta per
mano assieme a Hediye e Rakhsaan mentre attendeva che l'Alta
Sacerdotessa e le Anziane la chiamassero per la
“Sheranti”, il rituale con cui avrebbe cominciato
ufficialmente il suo percorso verso la perfezione di se stessa.
Posò la mano sulla pancia, all'altezza dell'ombelico,
percependo la levigatezza della pelle sotto il tessuto, una pelle che
sarebbe rimasta così per sempre, senza le cicatrici, i tagli
e le bruciature di una vera Jinian.
Noriko sospirò e le cinse le spalle con un braccio. Ancora
una volta, Nemeria rimase spiazzata da quel gesto, che mal si
conciliava con l'espressione imperscrutabile della sua compagna.
- Aumenta il passo o non arriveremo mai in tempo. -
“In tempo per che cosa?” avrebbe voluto chiedere
Nemeria, ma tenne la domanda per sé e lasciò che
il calore di Noriko le scaldasse anche il cuore, crogiolandosi in
quell'abbraccio che tanto la faceva sentire al sicuro.
Nelle ombre proiettate sui muri delle gallerie, talvolta le parve di
rivedere i volti dei membri della tribù che la studiavano,
lupi affamati pronti a ghermirla, ma le bastava stringere appena le
dita per avvertire la presenza di Noriko e relegare i fantasmi nelle
tenebre al di fuori del cerchio luminoso.
Dopo quasi un'ora, la ragazza si fermò davanti a una scala
all'incrocio tra due gallerie che Nemeria non ricordava di aver
esplorato. Alcuni pioli erano marci, altri spezzati, ma le corde che li
sostenevano sembravano nuove. Noriko le passò la lanterna e,
una volta in cima, spostò la grata. Perlustrò con
lo sguardo la strada, prima di compiere gli ultimi passi e uscire
all'aperto. Soltanto allora Nemeria seguì il suo esempio.
Era una mattina uggiosa e nuvole latrici di pioggia avevano preso in
ostaggio il cielo. A tratti, un timido sole faceva capolino, per poi
essere di nuovo strattonato nella sua prigione. Non era la classica
giornata estiva, ma per gli occhi di Nemeria, così abituati
al buio, quella luce era quasi accecante.
- Siamo nel Quartiere della Pietra. È il quartiere
artistico, diciamo. Pittori, scultori, architetti e miniaturisti vivono
qui fin dalla fondazione di Kalaspirit. Il nome è dovuto
alla preminenza di una di queste arti, indovina quale? -
Nemeria si guardò intorno. Se fosse capitata lì
per caso, non avrebbe creduto di essere nel Quartiere della Pietra. Non
c'era niente di spettacolare nella strada che stavano percorrendo,
anzi, era un luogo abbandonato a se stesso, una specie di ghetto dove a
ogni angolo poteva nascondersi un assassino o un borseggiatore in cerca
di una facile preda. Una leggera foschia aleggiava nell'aria, creando
un'atmosfera spettrale che il vento non riusciva a disperdere. I pochi
passanti che incrociarono puzzavano d'alcool o si trascinavano
balbettando frasi sconnesse con ancora una bottiglia di vino in mano,
mentre cani e gatti dal pelo arruffato li osservavano irrequieti,
raggomitolati a ridosso delle case fatiscenti oppure nei pressi delle
poche osterie già aperte.
Nemeria camminava a testa bassa, a braccetto con Noriko, domandandosi
come fosse possibile che quel Quartiere versasse in condizioni tanto
pietose. Dove vivevano loro non era strano vedere mendicanti o altri
bambini cenciosi che sorvegliavano i passanti nella speranza di poter
rubare qualcosa, a quello si era abituata, come al caos e all'allegro
cicaleccio a ogni ora del giorno. Lì, invece, tutto sembrava
morto, persino gli abitanti davano l'impressione di essere dei
derelitti in attesa della forca.
- Per di qua. - le indicò Noriko.
Si immisero in una stradina claustrofobica dove l'odore di urina ed
escrementi era così forte da rendere l'aria irrespirabile.
Nemeria dovette tapparsi il naso per non vomitare la cena della sera
precedente. In fondo, circondata da un nugolo di zanzare e mosche,
cigolava un'insegnata di legno smangiato che riportava: Arsalan,
tatuaggi e decorazione del corpo.
- Perché siamo qui? - domandò titubante Nemeria.
- Te l'ho già detto, dobbiamo cercare di rendere il tuo
aspetto più normale. -
L'ingresso si apriva su una rampa di scale in pietra nera, che
terminava davanti a un'altra porta. Un campanello dalla forma di un
tozzo uccello era appeso sopra di essa, un silenzioso guardiano dagli
occhi strabici e il becco più grosso della testa. Quando
Noriko lo suonò, emise un suono stridulo, simile al
gracchiare di una cornacchia, agitandosi tutto come se fosse vivo. Dopo
qualche istante, una donna sulla trentina, alta e magrissima, con i
capelli neri tagliati corti e le mani pesantemente inanellate, apparve
sulla soglia. Puzzava di sudore, vino e qualcos'altro che Nemeria non
capì.
- Ti sembra l'ora di presentarti, Noriko?! - berciò mentre
si stropicciava gli occhi gonfi di sonno, - Se sei venuta per chiedermi
soldi, caschi male. Non ho intenzione di darti nemmeno uno youan. -
Noriko non fece una piega, attese che la donna si stiracchiasse e
smettesse di sbadigliare prima di fare un passo verso di lei, tirandosi
dietro Nemeria.
- Sono qui perché mi devi ancora un favore, Asuka, e so che
tu e Arsalan siete persone di parola. -
- Ti abbiamo già abbondantemente ripagato per averci
avvertito del furto dei Dodici, che vuoi ancora? -
- Per quello sì, ma non per quel mercante che ha provato a
vendervi pigmenti di pessima qualità. -
Asuka si batté una mano in faccia con un gesto plateale, poi
esalò un profondo respiro e si rassegnò,
invitandole a entrare.
La stanza che le accolse era più grande di quanto Nemeria
avesse immaginato. Era un ambiente circolare, con il pavimento composto
da pannelli rettangolari di paglia intrecciata. Le lanterne, tutte
appoggiate su scaffali e panche di legno nero, erano costituite da un
telaio su cui era stato teso un foglio sottilissimo. Il cassettino alla
base, decorato con iscrizioni sbozzate direttamente nel rame,
attirò subito l'attenzione di Nemeria. Al centro della
stanza, un uomo alto e possente armeggiava con pennelli, aghi e alcune
boccette colorate.
- Ars, abbiamo visite. - lo chiamò Asuka.
- Che genere di visite? - chiese quello, rimanendo ancora di spalle.
Arsalan aveva una voce melodiosa, quasi femminea. I capelli lunghi
erano stretti sul collo da un semplice nastro viola e, quando si
voltò, Nemeria rimase sorpresa nel vedere quanto fossero
delicati i lineamenti del suo viso, abbellito da labbra a cuore e occhi
a mandorla, messi in risalto dalla pelle chiara come il latte.
- Oh, Noriko! Vedo che hai portato un'amica. Posso offrirvi qualcosa? -
Noriko annusò l'aria mentre si toglieva i sandali. Nemeria
rimase un attimo interdetta, ma poi si affrettò a seguire
l'esempio.
- Hai fatto il tè verde con la malva. -
Ars sorrise: - Sì, sai che è l'unico che riesce a
svegliare Asuka. -
- Vada per quello, allora. -
- Ci sono anche dei chinsako. -
Noriko si girò verso Nemeria. Sembrava così a suo
agio, rilassata, come non lo era mai stata.
- Vuoi assaggiarli? Sono molto buoni. -
- Basta che non ne mangi troppi, non sono semplici da trovare e Ars si
scoccia a cucinarli. - intervenne Asuka.
- Asuka, non ci si comporta così con gli ospiti. - la
riprese Ars.
La donna lo liquidò con un gesto vago della mano e
sparì al di là della porta davanti a loro, una
specie di cucinotto semibuio.
- Scusatela, appena sveglia è intrattabile... coraggio, non
restate in piedi. Il tatami forse non è comodissimo per chi
non è abituato, se preferite posso andare a prendere i
cuscini di sopra. -
- Non ti preoccupare, va bene così. - lo
rassicurò Noriko, posando a terra il ginocchio sinistro per
primo, seguito dal destro e poi si raddrizzò la schiena,
sovrapponendo le punta dei piedi.
Nemeria studiò quei movimenti, chiedendosi se anche lei
dovesse fare lo stesso. Le sembrava un modo insolito di sedersi,
avrebbe preferito abbandonarsi a gambe incrociate sul pavimento, ma
probabilmente non sarebbe stato educato. Così, cercando di
non perdere l'equilibrio, imitò quello che aveva fatto
l'amica, tirando poi le spalle in dentro e il petto in fuori per
sembrare il più marziale possibile.
Ars e Noriko la fissarono a lungo perplessi, tanto che Nemeria temette
di non essersi seduta nel modo corretto.
- Come ti chiami? - tossicchiò Ars, nascondendo il
divertimento dietro un colpo di tosse.
Nemeria spostò lo sguardo alla ricerca di quello della sua
compagna, nella speranza che le suggerisse come dovesse comportarsi, ma
Noriko, a parte un mezzo sorriso d'incoraggiamento, non si
scucì.
- Mi chiamo Nemeria, signore. - disse tutto d'un fiato.
- Niente formalità, non sono ancora così vecchio
da meritare tutta questa deferenza. Piuttosto, non essere
così rigida! Non sei di certo al cospetto del sultano o del
sovrano celeste. -
- Sì, infatti, impettita così sembri un piccione.
- commentò Asuka, riemergendo dal cucinotto con un piatto di
porcellana pieno di biscotti e quattro tazze fumanti.
Si sedette vicino ad Ars a gambe incrociate, porse a tutti una tazza e
attese che si servissero. Nemeria fu l'ultima: voleva assicurarsi di
non sbagliare, la brutta figura di prima l'aveva fatta vergognare
abbastanza. Inzuppò il biscotto nel tè solo
quando vide anche Noriko farlo.
- Hai un nome davvero particolare, Nemeria. Anche il tuo aspetto
è singolare. Se posso chiedere, i tuoi genitori venivano dal
Nord? - domandò Ars.
- No... non proprio. Non ho mai conosciuto i miei genitori, ad essere
sincera. -
Era una mezza verità. Sua madre era una delle Anziane o una
Jinian, mentre il padre... quello proprio non lo sapeva. Poteva essere
un “Ikaelan” o uno dei Jinean della
tribù. In qualunque caso, non l'avrebbe mai saputo, anche se
la sua gente fosse sopravvissuta: l'identità dei genitori
non veniva mai rivelata e i Jinean, le controparti maschili delle
Jinian, raggiunta una certa età, abbandonavano la
tribù portando con loro il segreto.
- L'unica cosa che so è che questo nome lo ha scelto mio
padre, ha insistito perché lo portassi. - aggiunse e si
concentrò sul tè fumante per sfuggire allo
sguardo carico di compassione dell'uomo.
Non voleva la pietà di nessuno, eppure era l'unico
sentimento che sembrava suscitare negli altri.
- È davvero bello, tuo padre aveva buon gusto. Ha un qualche
significato? -
- Ars, stai mettendo la nostra ospite in imbarazzo. - lo
rimbeccò Asuka con una gomitata, - Guardala, a momenti
diventa un uovo a forza di incassare la testa nelle spalle! -
- Scusami, non era mia intenzione. -
- Invece di scusarti, finisci di bere prima che si freddi,
sennò poi ti lamenti che non riesci a berlo e mi costringi a
rifarlo. E voi due sputate il rospo: perché siete qui?
Noriko non viene mai per una semplice visita di cortesia, sopratutto se
abbiamo un debito nei suoi confronti. -
La ragazza sorseggiò l'ultimo goccio di tè,
socchiudendo appena le palpebre come se volesse godersi quel sapore per
l'ultima volta.
- Desidero che rasiate la testa di Nemeria. - rivelò infine.
Asuka e Arsalan strabuzzarono gli occhi, e Nemeria per poco non si
strozzò. La fissò intensamente augurandosi che
stesse scherzando, ma non c'era ombra di divertimento nella sua
espressione.
- Posso sapere il motivo di una scelta così drastica? - si
azzardò a chiedere Arsalan.
- Nella tana qualcuno ha portato i pidocchi. Io sono sempre fuori e ho
i capelli sempre legati, Nemeria invece si occupa per lo più
di faccende interne. Credo sia la cosa migliore per tutti, almeno
finché non avremo risolto il problema. -
- La tua amica non mi sembra molto d'accordo. Immagino non fosse a
conoscenza dei tuoi piani. - le fece notare Asuka.
Noriko agguantò con indifferenza un altro chinsako dal
piatto. A Nemeria era passato l'appetito. Sbocconcellò il
suo biscotto e si inumidì le labbra secche con il
tè senza proferire parola, i pensieri che l'assordavano e
vorticavano impazziti.
- Nemeria? Tutto bene? Sei pallida come un cencio, piccola. - la
richiamò Ars preoccupato.
La bambina scosse la testa e posò la tazza in grembo.
Guardando il suo riflesso sul fondo, si accorse di avere gli occhi
lucidi. Non aveva mai avuto un attaccamento speciale ai suoi capelli,
Etheram ed Hediye dovevano litigare sempre con lei per pettinarglieli,
più volte aveva desiderato tagliarli, eppure adesso quella
decisione le pesava come un macigno sul cuore.
- È la decisione migliore. - Noriko le strinse la spalla e
la scosse appena per farle forza.
- E poi ricresceranno più sani e forti. - la
rincuorò Ars con un sorriso bonario, - Anche Asuka li ha
dovuti tagliare quando portai a casa i pidocchi e ora guardala: ha un
cespuglio indomabile. -
- So che doveva essere un complimento, ma non ti è uscito
molto bene. - lo rimbeccò caustica lei, tirandogli un'altra
gomitata tra le costole, prima di rivolgersi di nuovo a Nemeria, -
Fintanto che non sento dalla sua bocca che è d'accordo, io
non prendo nemmeno il rasoio. -
Nemeria afferrò una ciocca, una delle tante che era sfuggita
alla morsa del nastro, e l'attorcigliò attorno al dito,
accarezzandola con l'altra mano come Rakhsaan faceva col suo pupazzo di
pezza. Anche Etheram aveva sempre portato i capelli lunghi, li aveva
fatti crescere finché non erano arrivati a coprirle la
schiena, e man mano che aveva proseguito sul suo cammino per diventare
Jinian erano diventati una serica chioma perlacea, in mezzo alla quale
facevano capolino alcuni ciuffi castani. I suoi, invece, erano color
fuliggine con qualche striatura più chiara. Portò
la ciocca davanti al viso e inspirò il profumo di cannella,
coriandolo e nardo, ancora vivido nei suoi ricordi.
- Dove mi devo mettere? - sbuffò arresa.
Asuka si alzò in silenzio, si avviò nel
retrobottega e ricomparve con una scatola di legno bianco levigato tra
le mani.
- Ars, tu occupati dei pigmenti e pensa a un disegno da tatuare. -
- Mi farete un tatuaggio sulla testa? - indagò incredula
Nemeria.
- È ovvio! Avere una testa completamente calva per una
ragazza non è mai una cosa bella. Prima che tu me lo chieda,
sì, i capelli ricresceranno anche con i tatuaggi. Spostati,
Noriko, intralci l'artista se stai così appiccicata alla mia
cliente. -
Noriko aggrottò le sopracciglia irritata, ma andò
a sedersi contro il muro senza ribattere. Asuka si posizionò
alle spalle di Nemeria, il rasoio già in mano, e le
domandò se fosse pronta.
“No.”
- S-sì. - balbettò tesa.
- Bene, allora mettiti comoda, ci vorrà un po'. -
Dopo averle sciolto la treccia ed essersi assicurata che non ci fossero
nodi, Asuka cominciò a lavorare. Tagliò una
ciocca dietro l'altra, dapprima piano, come se si aspettasse da un
momento all'altro che Nemeria le dicesse di fermarsi, poi, quando il
tatami fu ricoperto da un tappeto di ciuffi neri, grigi e bianchi,
iniziò a raderle la testa, la lama che sfiorava il cuoio
capelluto a ogni passata. Era brava, precisa, scrupolosa, non doveva
essere la prima volta che faceva una cosa del genere.
Nemeria tenne gli occhi bassi, ignorando ostinatamente i ciuffi
tagliati che svolazzavano verso il basso. Sapeva che, se li avesse
guardati, sarebbe scoppiata a piangere ed era stanca di mostrarsi
debole, di consumarsi nel ricordo di ciò che aveva perso.
Strinse i pugni e cercò conforto nello sguardo di Noriko. Le
fece un lieve cenno del capo e Nemeria si sentì stranamente
rinvigorita. Ricacciò indietro le lacrime,
abbozzò un sorriso e trasse un profondo respiro. Per la
prima volta da quando era arrivata a Kalaspirit, le sembrò
di riuscirci davvero.
Ars le mostrò lo schizzo di un tatuaggio su un foglio
sottilissimo e lucido. Sul bozzetto di una testa aveva disegnato un
intrico di fiori, radici e germogli che si intrecciavano in un
labirinto di cerchi, semicerchi e linee spezzate, ricoprendo ogni
centimetro di pelle oltre alla base del collo. Meravigliata, Nemeria
prese il foglio tra le mani.
- Ti piace? -
- Non è troppo... vistoso? -
- No, anzi, è una cosa che si vede spesso in giro.
Nell'Ukyio-e non facciamo tatuaggi di questo genere, ma qui va di moda,
soprattutto da quando il sultano ha firmato il trattato commerciale con
il Rajeh dell'Impero di Skandaaleshan. Non li hai mai visti? Di solito
se li fanno fare sulle braccia o sulle dita. - rispose Ars.
Nemeria se li ricordava molto bene, li aveva notati sulle donne, e
addirittura una di loro si era unita alla tribù. Si chiamava
Kajal. Quando si era presentata dinanzi all'Alta Sacerdotessa, aveva
sfoggiato le braccia ricoperte con quei tatuaggi e i polsi ornati con
dei bracciali, collegati attraverso delle catene dorate a cinque anelli
diversi. Era così bella da sembrare l'incarnazione della
figlia della Madre, Soraka. Nemeria aveva provato invidia e per un
attimo aveva desiderato di essere lei.
- D'accordo. Farà male? -
Asuka pulì il rasoio dai capelli rimasti e lo ripose nella
scatola.
- Dovrai sopportare un po' di dolore, ma ti assicuro che
sarà stupendo alla fine. Modestie a parte, noi siamo i
migliori, Noriko lo sa. -
Nemeria spalancò gli occhi. Che anche lei si fosse fatta
tatuare qualcosa? Non l'aveva mai vista nuda, però non era
da escludere. Anche le Jinian guerriere ne avevano molti, quindi forse
anche per le ragazze come lei, addestrate al combattimento, era una
cosa normale.
La invitarono a sdraiarsi su un materasso pulito che Asuka aveva
portato giù dal piano si sopra. Con una mano, Ars le tenne
la pelle leggermente in tensione, il pennello intriso di colore tra le
dita, mentre con l'altra cominciò a puntellarle la testa. Il
dolore era intenso e l'ago penetrava con forza nella carne, ma dalle
labbra di Nemeria non uscì un solo gemito, sebbene le
lacrime premessero pericolosamente da dietro le ciglia. Fecero un paio
di pause, giusto per permetterle di riprendere fiato e bere un bicchier
d'acqua. Asuka le offrì degli altri biscotti e Ars le puliva
di tanto in tanto la testa dai rimasugli di colore o dal sangue.
Quando finalmente finì, era pomeriggio inoltrato. Nemeria si
sentiva ancora dolorante e quando tentò di alzarsi ebbe un
capogiro così forte che, se non fosse stato per i riflessi
felini di Noriko, sarebbe crollata. Accettò la tazza di
tè fumante che Ars le porse e lasciò che il gusto
fresco della menta e del gelsomino le distendesse i nervi. Soltanto
allora Asuka le si fece vicino e le mise davanti uno specchio.
Il tatuaggio le avvolgeva la testa come un velo da sposa. Le linee di fiori e
germogli si inerpicavano passando sopra le orecchie e scendendo fino
alle scapole, per poi diramarsi in una radice nodosa che sembrava
racchiudere le prime vertebre della spina dorsale. Sul davanti un fiore
di loto sbocciava in tutto il suo splendore. Nemeria lo
sfiorò con la punta delle dita e, senza che se ne rendesse
conto, un sorriso si aprì sulle sue labbra. Fece saettare lo
sguardo da Ars ad Asuka, cercando qualcosa da dire, ma aveva la gola
secca e le parole sembravano svanite nel nulla. Perciò, con
un po' di titubanza, li abbracciò commossa.
- Grazie. -
- Ha fatto tanto male? - Ars le diede una pacca sulla spalla,
leggermente rigido e imbarazzato.
- Solo un po'. -
- Per le prossime due settimane non devi stare con la testa al sole per
nessuna ragione al mondo. È importante che il tatuaggio
rimanga il più possibile pulito per evitare infezioni. So
che dove vivete voi non è un ambiente che si possa definire
lindo, ma per quanto puoi prova a non sporcarti. Coprilo con un
fazzoletto di stoffa e ogni sera metti un pomata a base di origano,
maggiorana e timo. -
Asuka l'allontanò con una leggera spinta e prese un
barattolino da uno scaffale, assieme a una bandana bianca.
- Dovrebbe bastare, ma qualora ne avessi bisogno basta che torni qui e
vedrò di procurartene un altro po'. -
Nemeria annuì e accettò i doni. Noriko le fu
subito accanto, si appropriò del barattolino e lo
sistemò nello zaino.
- E con questo abbiamo saldato il nostro debito. La prossima volta, se
vorrai qualcosa, dovrai pagare. - sancì decisa Asuka, - Ora
sparite. Dobbiamo mettere a posto il negozio prima che arrivi il nuovo
cliente e qui sembra che abbiamo appena tosato una pecora. -
Mentre la donna spazzava per terra, Ars le accompagnò alla
porta. Aveva la punta delle dita sporche d'inchiostro, ma il vestito,
che solo ora Nemeria notava essere composto da una specie di
gonna-pantalone e una giacca a maniche corte, era immacolato.
- Se avete bisogno, non fatevi problemi a tornare. Noriko, la nostra
porta è sempre aperta per te. -
- Lo so. -
Si salutarono con un inchino profondo che Nemeria si
affrettò a imitare. Poi, dopo aver rivolto loro un ultimo
sorriso, Ars chiuse la porta.
- Hai fame? - domandò Noriko.
Nemeria stava per dire di no, ma il suo stomaco la tradì,
emettendo un gorgoglio di protesta. Si massaggiò la pancia,
abbozzando un sorriso impacciato.
- Qui intorno le locande non sono dei buoni posti da frequentare. Se
corriamo, riusciremo ad arrivare alla tana per la merenda. -
- Dariush non si arrabbierà perché siamo uscite
di nascosto? -
- Lo zittiremo portandogli qualcosa. Non mi sembra una buona idea
rimanere fuori ancora a lungo, soprattutto con quell'uomo losco che ti
segue. Abbiamo tagliato i capelli, ma gli occhi rimangono comunque
riconoscibili e io non conosco nessun Dominatore che sarebbe disposto a
cambiarteli gratuitamente. -
- C-cambiarmeli? In che senso? - chiese allarmata la bambina, ma
l'altra le intimò di tacere.
Noriko si guardò intorno ispezionando la strada. A parte
qualche barbone e gli animali randagi nascosti dietro barili e casse
rotte, c'era un discreto via vai e alcuni negozi, prima chiusi, adesso
erano aperti ed esponevano la loro merce. Nemeria notò
persino qualche acquirente dall'aria facoltosa accompagnato da almeno
quattro guardie del corpo.
Imboccarono lo stesso vicolo dell'andata, ridiscesero sottoterra e
percorsero un tunnel semibuio, finché, arrivate a un bivio,
Noriko svoltò a destra invece che a sinistra. Quando
uscirono dalla grata si ritrovarono in un altro quartiere, che Nemeria
riconobbe come quello del Legno. Aveva sentito parlare di quelle
bancarelle, sormontate da tende multicolori che, in un arcobaleno di
stoffe rattoppate, si univano sopra le teste dei passanti creando
un'ombra piacevole. Altea veniva spesso a “fare la
spesa” lì, era il suo posto di caccia preferito.
Per un momento Nemeria credette che Noriko desiderasse rimpinguare le
loro scorte, ma cambiò subito idea quando la vide dirigersi
verso un'artista di strada, una donna con i capelli raccolti in un'alta
coda di cavallo e vestita con un abito arricchito di frange e ricami
dai colori vivaci. Se ne stava seduta in un angolino ombreggiato,
intenta a sistemare le corde del suo strumento, una specie di liuto dal
manico largo e la cordiera triangolare. Non appena Noriko e Nemeria le
arrivarono vicino, alzò il capo rivelando un viso pulito,
con gli occhi verdi e le labbra truccate ad arte per farle sembrare
più piccole.
- Buondì, Noriko. Lei chi è? -
- È della famiglia. -
- Deve essere una importante se l'hai portata con te. - sorrise
mostrando una fila di denti ingialliti, che però nulla
toglievano alla sua bellezza, - Cos'hai da scambiare questa volta? -
Noriko tirò fuori dallo zaino un tozzo di pane e un
sacchetto grosso come il suo pugno. La donna lo aprì e il
sorriso sulle sue labbra si allargò, poi lo nascose sotto la
gonna e addentò il pane affamata.
- Giusto stamane ho appreso che Harmad è di ritorno dalle
terre del Rajeh con un carico di spezie. Roba preziosa. - disse qualche
attimo più tardi.
Noriko si fece attenta: - Quando arriverà? -
- Fra tre, massimo quattro giorni. La stima dei suoi concorrenti
è approssimativa, tutti sperano che lo colga un malore o che
la sua carovana venga investita da una tempesta di sabbia. -
Nemeria si stava agitando. La strada era molto affollata e, sebbene
nessuno sembrasse badare a loro, il ricordo del predone che l'aveva
pedinata era ancora vivido nella sua mente. Fece qualche passo verso
Noriko e le strinse la mano, il cuore che aumentava i battiti in preda
all'ansia secondo dopo secondo.
- Hai per caso visto qualche tipo strano di recente? - la
interrogò Nemeria, prendendo il coraggio a due mani.
La donna aggrottò le sopracciglia e inclinò la
testa, sospirando con fare teatrale.
- Difficile a dirsi, a Kalaspirit c'è sempre una gran bolgia
e un sacco di persone strane. Cerchi qualcuno in particolare? -
- No, nessuno. È nuova di qui, è solo curiosa di
conoscere la città. - intervenne Noriko, serrando la presa
sulle dita di Nemeria.
- A me pareva che avesse qualcuno in mente, invece. Se vuoi
informazioni devi pagare, piccola. Quello che la tua amica mi ha
portato è sufficiente solo per ciò che lei mi ha
chiesto. Hai dei begli occhi, due stupendi e rari arcobaleni. Dimmi, da
dove vieni? -
- Scusaci, Pavona, ma dobbiamo andare. Dariush ci ucciderà
se non torniamo prima del coprifuoco. - si intromise nuovamente Noriko,
cominciando a sudare freddo, e strattonò la compagna per
allontanarla.
Tuttavia, Pavona fu più veloce. Con uno scatto felino,
artigliò Nemeria per il polso e la trasse a sé.
La fissò intensamente, poi un sorriso quasi malinconico si
dipinse sulle sue labbra.
- Pavona, lasciala andare. -
La donna ignorò Noriko e prese il volto di Nemeria tra le
mani. I palmi erano ruvidi e le dita indurite dai calli, ma il suo
tocco era gentile, quasi materno. C'era qualcosa di familiare, qualcosa
che impediva a Nemeria di spingerla via.
Ad un tratto, Nemeria avvertì il calore tiepido del suo
fiato vicino all'orecchio.
- Circo di Dakshesh, Quartiere della Bestia, chiedi di me. - le
sussurrò Pavona, prima che Noriko l'afferrasse per un polso
e la trascinasse via.
Nemeria si lasciò guidare, ma mentre si allontanavano di
corsa non poté impedirsi di pensare a Pavona e al suo
sguardo carico di nostalgia.
"Imporre la
propria volontà agli altri, è segno di forza.
Imporla a se stessi, è segno di forza superiore."
Lao-Tzu
Quando
tornarono alla tana, la prima cosa che Noriko fece fu andare a
informare Dariush del carico di spezie in arrivo. Nemeria non la
seguì, preferì tornare in tenda, adducendo come
scusa la spossatezza del tatuaggio e del viaggio attraverso i
quartieri, ma la verità era che sentiva un bisogno quasi
fisico di stare da sola. Così si raggomitolò
sulla sua stuoia, lo sguardo fisso sulla fanoos che pendeva sopra la
sua testa e gli occhi malinconici di Pavona impressi a fuoco nella
mente. Non sapeva cosa pensare, sinceramente: la sensazione di averla
già incontrata non l'aveva abbandonata per tutto il viaggio
di ritorno alla tana, ma più cercava di ricollegare il viso
della donna a quelli dei membri della tribù, più
si faceva strada in lei la certezza di non averla mai vista. Non era
mai stata un'attenta osservatrice, però di lei si sarebbe
ricordata, era troppo bella perché passasse inosservata
persino ai suoi occhi disattenti.
Sospirò, si girò a pancia sotto e, sbuffando,
appoggiò il mento sulle mani intrecciate, lasciando i piedi
a dondolare nell'aria, mentre la sua mente rimuginava su Noriko, sulla
sua storia e sul passato pieno di segreti. Non la conosceva, sapeva
solo le informazioni più semplici, eppure doveva farsi
violenza per non concederle piena fiducia: soprattutto dopo aver
conosciuto Asuka e Arsalan, si era resa conto di quanto Noriko per lei
fosse quasi al pari di un'estranea.
“Forse dovrei provare a parlarci più spesso. Per
quanto mi abbia fatto rabbia il suo comportamento con Hirad, con me
è stata gentile.” rifletté, rotolando
dubbiosa sul fianco, “Mi ha portato dai suoi amici, ha speso
il credito che aveva con loro per farmi fare un tatuaggio
e...”
- Cosa cavolo ti è successo ai capelli?! -
Nemeria non fece nemmeno in tempo ad alzarsi che Altea si era
già precipitata vicino al lei, gli occhi sgranati e la bocca
aperta in un'espressione a metà tra lo stupito e il deluso.
La prese per la spalla e la costrinse a sedersi per poi slegarle con
gesti incerti il nodo della bandana.
- Scoiattolo... ma... ma perché li hai tagliati? Erano
così belli, mi piaceva tanto pettinarli. -
- Noriko... Noriko mi ha detto che qualcuno aveva portato i pidocchi. -
- Se così fosse è un gran brutto problema. Ha
già parlato con Dariush? -
- S...sì, penso di sì. - balbettò e
poi aggiunse, - Ero io ad averli, in realtà, non volevo
dirlo a nessuno perché mi vergognavo e così ho
chiesto aiuto a Noriko. -
Altea aggrottò le sopracciglia: - Da quanto voi due siete
così in confidenza? -
“Perchè non riesco a dire una bugia senza darmi la
zappa sui piedi?”
- Non lo siamo, però ai gemelli non sto per niente simpatica
e ho pensato non fosse una buona idea rivolgermi a te o a Hirad dopo
quello che è successo ieri. - si giustificò e si
grattò nervosamente il collo, - A proposito lui... lui come
sta? -
La Sha'ir si spostò i capelli dietro l'orecchio e trasse un
profondo respiro, prima di prendere posto vicino a lei, spalla a
spalla, con la testa che sfiorava quasi quella di Nemeria.
- Sta che non parla. Stamattina mi sono avvicinata e lui non ha nemmeno
alzato lo sguardo dalle bozze delle nuove mappe. Ha persino lasciato la
sua porzione di zuppa, quella che Afareen fa con le lenticchie. - si
massaggiò la fronte e si stropicciò gli occhi
stanchi, sottolineati dalle profonde occhiaie, - Lo so che non possiamo
pretendere che si riprenda da un giorno con l'altro, ma vederlo
così mi fa piangere il cuore. Ho provato a parlare con
Dariush, a fargli notare che è stato crudele con lui, ma non
ha voluto sentire ragioni. L'unica cosa... buona è che
stanotte con me è stato molto gentile, quasi dolce per certi
versi. Mi è sembrato di ritrovare il ragazzo di cui mi sono
innamorata quando sono arrivata qui. -
Nemeria si morse le labbra per non rispondere e si scroccò
le dita, scuotendo appena la testa.
- So che a te non piace, ma ti assicuro che non è una
cattiva persona. Quello che facciamo... solo a volte è
doloroso, ma ti assicuro che è normale per una donna. - le
batté una pacca sulla spalla con un sorriso incerto, -
Quando diventerai una signorina e ti innamorerai di un uomo capirai
quello di cui sto parlando. Allora ti ricorderai di me, di questa
conversazione e dirai “Per tutti i karuş del sultano, Altea
aveva ragione!” -
Il tono platealmente tragico della Sha'ir fece ridere Nemeria che, dopo
aver arricciato le labbra provando a trattenersi, si
abbandonò al riso che contagiò anche la sua
compagna. L'allegria sottrasse aria alla rabbia e la soffocò
così com'era divampata, prima che diventasse un incendio.
- Piuttosto, c'era un motivo particolare per cui hai fatto irruzione
nella mia tenda? -
- Nella tua tenda... guarda come la scoiattolina rivendica il suo
territorio. - la punzecchiò, prima di farsi seria e tirare
fuori dalla tasca un foglio accartocciato, - Mentre stavamo aiutando
Hirad a mettere a posto, ho trovato questo. -
Curiosa, Nemeria lo distese sulla stuoia, lisciando gli angoli con il
pugno chiuso in modo da poterlo osservare meglio. Il disegno non era
completo, mancava un pezzo della parte superiore e una parte della
spalla, ma quella testa mezza rasata e l'orecchino con la catena era
impossibile non riconoscerli. Gli occhi di Altea la fissavano dalla
pergamena, catturati in un momento in cui erano leggermente
più aperti, come se la loro padrona avesse appena visto
qualcosa di così meraviglioso da volersene riempire e la
bocca atteggiata in un sorriso sorpreso, delineato con tratti leggeri e
delicati fino a uniformare le linee nel profilo delle labbra a cuore.
Era così bella e così realistica che Nemeria
pensò per un momento che Altea la stesse prendendo in giro e
si fosse fatta fare un ritratto da uno degli artisti sulla Via degli
Usignoli.
- Anche io stentavo a crederci. Sapevo che Hirad era bravo, le mappe
che fa sono sempre chiare e precise, ma non mi ero mai soffermata a
vedere gli altri disegni. Ne ho conservati altri e dovresti vedere
quanto è bravo. Non ho mai visto nessuno come lui, nemmeno
tra i miei clienti più facoltosi. -
- Clienti? Eri una mercante? -
Altea si rabbuiò e la luce nel suo sguardo si
smarrì in chissà che ricordi. Nemeria le strinse
il braccio e le prese la mano tra le sue, il senso di colpa che
già faceva breccia nel suo cuore.
- Ero merce, Scoiattolo, vendevo il mio corpo per sopravvivere. -
Nemeria aveva la gola secca, non riusciva nemmeno a deglutire.
- Vengo da una famiglia poverissima che viveva nelle campagne vicine
alla catena montuosa dell'Abint Değlar. Per quanto i nostri genitori
amassero me e i miei fratelli, non potevano sfamarci tutti,
così hanno venduto qualcuno di noi per permettere la
sopravvivenza degli altri. Io sono finita qui e l'uomo che mi aveva
comprata mi ha messa a lavorare nella sua casa di piacere. -
intrecciò le dita con le sue, le strinse forte e
tirò su col naso.
- Quanti... quanti anni avevi? -
- Meno di te, Scoiattolo, molti meno di te, ma l'età era
indifferente: i soldi potevano comprare tutto, soprattutto
ciò che la legge vieta. - le fece un buffetto sulla guancia
e distese le labbra nel suo sorriso più rassicurante, - Ma
non voglio parlare di me, nella mia vita non c'è niente di
cui valga la pena parlare. -
- Qualcuno ha sicuramente da ridire. -
- Forse... ma non sono venuta qui per me, ma per Hirad. Volevo proporti
di rubare delle pergamene e di consegnargliele al più presto
possibile. Voglio che torni a sorridere, a straparlare come suo solito
e... - raccolse il foglio e lo accarezzò con la punta delle
dita, quasi con deferenza, - Voglio solo che stia bene, Nemeria, non ce
la faccio a vederlo così per colpa mia e della mia
incapacità. -
“Tu non hai niente da rimproverarti, è tutta colpa
di Dariush!”avrebbe voluto gridare Nemeria, ma tenne quella
considerazione per sé, la recluse nel ripostiglio della sua
mente assieme a tutto l'odio e la rabbia che provava nei confronti del
loro capo prima che la sopraffacesse.
- Cosa... pensi di fare, quindi? -
- Pensavo di rubare delle pergamene e un paio di pastelli colorati. La
scorsa settimana ho notato una bottega nel Quartiere della Pergamena
che ne vendeva di molto belli. Non so se sono migliori rispetto a
quelli che ha ora, ma credo potrebbe fargli piacere riceverne di nuovi,
non pensi? -
- Mi sembra una buona idea, però non saprei come aiutarti.
Io non sono granché a fare la spesa, rischierei di mandare a
monte tutto. -
- Ah, di questo non ti devi crucciare, i miei piani sono sempre
infallibili. Vedrai, non correrai alcun rischio. -
- È sarcasmo quello che sento nella tua voce? -
- No, io? Sarcasmo? Non so nemmeno cosa sia!- rise e le
pizzicò il naso, - Allora, ci stai? -
- Non penso di avere scelta... -
- No, in effetti non ce l'hai, Scoiattolo. -
- Allora perché me lo hai chiesto? -
- Semplice cortesia. -
- Sono commossa da siffatta gentilezza, Altea la Sha'ir. -
La ragazza tirò una schicchera sulla guancia e poi
scrollò la testa con una plateale espressione altezzosa, da
vera nobildonna, facendo tintinnare le catene dell'orecchino e
spostandosi i capelli scompigliati in un gesto stizzito. Poi si
alzò stiracchiandosi e si approssimò all'uscita.
- Ah, non penso serva dirlo, ma vorrei non ne parlassi con nessuno,
nemmeno con Noriko. - aggiunse, - Non prenderla a male, sai che
comunque la stimo, ma è davvero strana ed è molto
vicina a Dariush. Non vorrei che gli riferisse quello che abbiamo
intenzione di fare. -
- Non avevo comunque intenzione di dirle nulla. -
Altea non rispose, rimase in silenzio a guardarla un momento, come se
stesse soppesando le sue parole.
- Va bene, mi fido di te, Scoiattolo. Ora andiamo a cena, prima che
Afareen e Chalipa comincino a berciare perché siamo in
ritardo. -
Nemeria la seguì fuori dalla tenda e si accomodò
attorno al fuoco, vicino a Hami e Kimiya che, non appena la videro, la
salutarono, il primo con un cenno del capo, la seconda con un sorriso
timido e appena abbozzato. Soltanto in un secondo momento parvero
accorgersi del suo cambio di capigliatura, ma nessuno dei due fece
commenti, sebbene a Nemeria non sfuggirono le occhiate confuse e
corrucciate che loro e gli altri membri della famiglia di tanto in
tanto le scoccavano. L'unico che non fece una grinza fu Hirad, che si
limitò ad alzare appena lo sguardo per poi spostare
nuovamente la sua attenzione su un sasso ai suoi piedi, le mani
intrecciate abbandonate nel vuoto e le spalle basse, come senza forze,
stanche con i gomiti che sembravano troppo deboli persino per sostenere
il peso delle braccia. Nemeria provò una grande pena per
lui, per il silenzio in cui si era trincerato e valutò,
scartandola subito, la possibilità di sederglisi vicino. In
qualche modo sapeva, sentiva, che così
facendo non avrebbe fatto altro che aggiungere mattoni al muro che si
era costruito, così si aggrappò al piano di
Altea, promettendosi che avrebbe fatto l'impossibile perchè
funzionasse.
La cena venne servita una ventina di minuti dopo. Come al solito,
Chalipa e Afareen chiacchieravano tra di loro, scambiandosi battute e
ricordandosi a vicenda quanto sale aggiungere, quanti pomodori
tagliare, le proporzioni di acqua necessarie. La pentola sobillava e il
fumo spandeva un profumo intenso di lenticchie mescolato a quello del
limone. Alla prima cucchiaiata Nemeria non fu l'unica a storcere le
labbra per il sapore troppo asprigno, che contrastava e soverchiava
quello vellutato dei pomodori. Persino Hami, che mangiava sempre tutto
senza fiatare, non riuscì a trattenersi dal lanciare una
battutina sagace nei confronti delle ragazze, guadagnandosi un'occhiata
truce e un mestolo puntato alla gola. Quella scena, così
buffa e comica, riuscì a strappare un sorriso persino a
Hirad che, per la prima volta in tutta la sera, smise di rimestare la
minestra per godersi quel divertente battibecco tra suo fratello, calmo
e con un sorrisetto malvagio sulle labbra, e Chalipa, battagliera e
armata di tutti gli utensili da cucina a mo' di gladiatrice. Nemeria
sospettava che lo avessero fatto apposta, che l'aver aggiunto quella
spruzzata di limone solo dopo aver servito Dariush non fosse stata una
semplice dimenticanza come aveva addotto Afareen, ma si avvide bene dal
dirlo: quando il loro capo aveva distrutto i disegni di Hirad non
avevano fatto nulla, quello, ne era certa, era il loro modo di scusarsi
e di fargli sapere che c'erano.
Mentre tutti erano occupati a vedere il duello all'ultimo sangue tra le
due ragazze e Hami, Nemeria cercò Noriko con lo sguardo.
Intercettò la sua testa rossa dietro ai gemelli; stava
finendo la sua minestra seduta per terra con le gambe intrecciate e la
schiena dritta, con gli occhi occupati a fissare il vuoto davanti a
sé, senza prestare la minima attenzione agli altri. Non
appena si accorse di essere osservata, girò la testa nella
sua direzione e puntò le sue iridi azzurre su di lei. Erano
spilli acuminati, frecce ghiacciate che la trafiggevano da parte a
parte e in Nemeria si rifece viva la percezione che quegli occhi
potessero vedere i suoi pensieri, i suoi ricordi, i suoi segreti
più intimi. Abbassò lo sguardo sulla sua ciotola
lentamente, nel gesto più fluido e naturale che i suoi
muscoli le permettevano, e portò alle labbra un paio di
cucchiaiate, nella speranza che la ragazza non interpretasse quella sua
ritirata come un'ammissione di colpevolezza.
“Non sa nulla, non essere paranoica. É un essere
umano e tu ti stai facendo troppi problemi.” tentò
di tranquillizzarsi, ma la sua voce si perdeva nel marasma di paure e
angosce che le ingombravano la testa.
Trasse un profondo respiro e buttò giù l'ultimo
pezzo di pomodoro. L'aria scivolò in gola, lungo la trachea
e le riempì i polmoni quel che bastava per alleggerire il
peso che le gravava sul petto. Non c'era niente che potesse fare, se
non aspettare, sondare il terreno, capire se sotto quelle polle d'acqua
non erano nascoste sirene pronte ad affogarla, eppure in quel tiro alla
fune tra il bisogno di fidarsi di qualcuno e la paura di farlo, Nemeria
sentiva di essere al limite, che l'incertezza che la dilaniava
dall'interno presto l'avrebbe spezzata.
“Non puoi cedere ora, hai troppo da perdere.” si
disse, ma nel profondo sapeva che l'unico motivo per cui continuava a
procrastinare il confronto con Noriko era uno solo: la paura che, se lo
avesse fatto, sarebbe morta, uccisa dalla sua nuova famiglia o gettata
nell'arena a combattere fino al suo ultimo respiro. E, sebbene sapesse
di meritarselo, continuava a fuggirle.
“Sei una codarda.” le sussurrò una voce
malevola.
- Lo so. -
- Bene, adesso che avete finito tutti di mangiare, dobbiamo parlare. -
Dariush uscì dalla tenda e a grandi falcate
arrivò vicino al fuoco. Le fiamme danzavano sul suo viso,
disegnando il profilo volitivo della mandibola e la linea dura delle
labbra sottili, che i giochi di luce e ombre accentuavano e sfumavano
al ritmo pulsante del focolare. Li scrutava a uno a uno, le
sopracciglia folte leggermente aggrottate e le braccia intrecciate sul
petto largo, in attesa che tutti gli rivolgessero la dovuta attenzione.
Non era imponente, agli occhi di Nemeria non lo era mai stato, ma le
occhiaie scure e la pelle tirata del viso lo rendevano quasi spettrale,
un mortale a un passo dal diventare un mostro.
- Noriko mi ha riferito che tra tre, quattro giorni Harmad
sarà di ritorno con un carico di spezie. Come tutti sapete,
spesso commercia nel Quartiere del Legno, ma considerando il viaggio
che ha fatto dubito che la sua merce sia per la gente comune.
É possibile che dovremmo andare a “fare la
spesa” in uno degli altri quartieri ed è possibile
che ci incontreremo con una delle altre bande. - soppesò il
suo sguardo su ognuno di loro, - Per quanto non mi piaccia invadere i
territori altrui, stavolta dobbiamo fare un'eccezione alla regola: se
è come penso io, rivendendo quelle spezie a chi di mestiere,
potremmo metterci a posto per un bel po'. Domani io, Noriko e i gemelli
andremo in perlustrazione, voglio sapere quanti sanno del ritorno di
Harmad. Sappiate che dovrete tenervi pronti, perché stavolta
dovremo organizzare un piano perfetto e tutti voi dovrete collaborare,
che vi piaccia o no. Altea? -
La Sha'ir alzò il capo.
- Domani tu, Kimiya e Nemeria andrete a rifornirvi di unguenti e
medicine nel Quartiere del Ghiaccio. Tenete occhi e orecchie bene
aperti, mi aspetto che se trapela qualche informazione su un possibile
acquirente, me lo riferiate, chiaro? -
- Sarà fatto. -
- Non mi aspettavo altro. - posò il suo sguardo da squalo su
Nemeria, - Tu, vedi di non essere quantomeno d'intralcio durante questa
missione. Ricordati che sei qui per mia gentile concessione. -
La ragazza si morse le labbra e si piantò le unghie nei
palmi, incassando in silenzio. Si impose la calma e lasciò
che le parole le scivolassero addosso, ma queste erano vino sulla sua
pelle in fiamme, la bruciavano alimentando la rabbia che ardeva nel suo
essere. La pietra luna non riuscì a contrastarle. Nemeria
scattò in piedi con le mani che formicolavano e il potere
elementale che si irradiava in ogni fibra del suo corpo, smanioso di
riversarsi all'esterno. Anche Noriko si alzò e agile come un
gatto le fu vicino, le serrò il braccio in una stretta
d'acciaio e le sussurrò qualcosa all'orecchio che
però Nemeria non udì. Esistevano solo lei e
Dariush, il suo sorrisetto borioso da vincitore che gli si allargava
sulla bocca.
- Qualcosa da ribattere, mocciosa? -
Aprì le braccia e alzò il mento, invitandola a
farsi avanti. Nemeria tentò di liberarsi dalla morsa di
Noriko, le diede uno strattone, ma la ragazza rimaneva ferma, poteva
vedere di scorcio i suoi occhi adombrati da una sincera preoccupazione,
ma non le importava: il desiderio di farlo a pezzi, di vedere il suo
corpo divorato dalle fiamme era più forte della paura di
scoprirsi. Poi, prima che potesse colpire Noriko con una gomitata, una
mano si posò sulla sua spalla. Era magrissima e le dita
lunghe, affusolate, leggermente sporche di colore; la sua mente le
collegò immediatamente all'unico membro della famiglia a cui
potevano appartenere.
- Ti sta provocando, non fare stupidaggini. -
C'era una calma piatta nella sua voce, non un tremore, un'esitazione.
Strinse la presa e si fece così vicino, così
tanto che Nemeria potè sentire il suo calore attraverso i
vestiti.
- Non devi perdere la calma, è questo che lui vuole. - le
sussurrò ancora, - Ho già perso abbastanza, non
voglio perdere anche te. -
- Ha ragione, dagli retta. Se ti scopre, è la fine. -
aggiunse Noriko un istante dopo.
Nemeria trasse un profondo respiro e socchiuse le palpebre. La rabbia
premeva contro lo sterno, raschiava le ossa lottando per uscire, ma
più si concentrava sulle mani dei suoi due compagni,
più essa si affievoliva, smorzandosi nel tepore della pietra
luna e nel calore del contatto delle loro mani. “Non sono
sola.”
Il cuore diminuì la sua folle corsa, rallentò
fino a tornare camminare, mentre la tensione abbandonava i nervi e i
muscoli. Quando riuscì a respirare normalmente,
cercò gli occhi di Dariush e quando li trovò non
riuscì a trattenere un mezzo sorriso: era deluso, deluso e
irritato dalla situazione.
“Ho vinto.”
- Bene, per oggi è tutto. Mehrdad, Malakeh, Noriko, domani
vi voglio svegli all'alba. Chalipa, Afareen, preparate la colazione in
anticipo e anche il pranzo. - grugnì, prima di girarsi e
infilarsi nella sua tenda.
Hami e gli altri membri della famiglia ripresero a parlare, anche se il
nervosismo appesantiva ancora l'atmosfera. Noriko tirò un
sospiro di sollievo e rivolse a Nemeria un'occhiataccia severa e piena
di sussiego, ma lei la percepì appena, tutta concentrata
sulla mano di Hirad ancora posata sulla sua spalla. Quando
l'allontanò, le sembrò che si portasse via una
parte di lei.
- Grazie. Grazie a entrambi, io... -
Hirad scosse la testa e le tirò una schicchera in mezzo alla
fronte.
- Fai solo più attenzione, va bene? Non... devi metterti nei
guai, soprattutto con Dariush. - la pelle gli si accapponò
quando pronunciò quel nome, - Ora torno ai miei studi e alle
mie mappe. Non ho ancora terminato di disegnare quelle che abbiamo
visitato insieme, tu pensa. -
- Sei diventato pigro da quando stai sempre chiuso in tenda. -
- Lo sono sempre stato, lo sai che preferisco studiare piuttosto che
uscire all'aria aperta. Non per altro il mio soprannome è
“Ratto”. -
- Allora lo sei più del solito! -
Il ragazzo abbozzò un sorriso e si rivolse a Noriko: -
Tienila sott'occhio tu, io... devo occuparmi delle carte. -
Diede loro le spalle, poi prima di entrare in tenda, si girò
un'ultima volta.
- Stai molto bene così, anche la bandana ti dona. -
Nemeria si sentì avvampare. Si massaggiò il collo
imbarazzata, cercando di comporre una frase di senso compiuto con le
poche parole che non erano corse a rifugiarsi chissà dove.
- Piacciono... piacciono molto anche a me. -
Avrebbe voluto aggiungere altro, un qualcosa di più
intelligente e meno scontato, quando la mano di Noriko le strinse forte
il polso, mettendo in fuga ogni suo buon proposito.
- é tardi, dobbiamo andare. Domani devi alzarti presto. - le
ricordò senza troppi preamboli con un tono monocorde, quasi
atono.
- Ah, sì... sì, è vero. Allora,
buonanotte Hirad. -
- Buonanotte a entrambe. - le salutò e prima che Noriko la
trascinasse via, le sembrò che il ragazzo le avesse sorriso
ancora una volta.
Non appena giunsero nella loro tenda, Nemeria avrebbe tanto voluto
lasciarsi cadere sulla sua stuoia e di addormentarsi con l'immagine di
Hirad che sorrideva, ma la sua compagna non le diede nemmeno il tempo
di distendersi. Prese il barattolino e le ordinò di sedersi
dandole le spalle, con una voce che non ammetteva repliche. Nemeria si
tolse la bandana e, sebbene controvoglia, obbedì. Il tessuto
era punteggiato da piccole macchioline d'inchiostro e sangue, ma
nonostante tutto era più che pulito per gli standard in cui
aveva imparato a convivere.
- Tra cinque, sei giorni non ci saranno più neanche quelle.
- Noriko le spalmava il balsamo con delicatezza, seguendo le linee del
tatuaggio con l'indice, - Domani ti sveglio prima di andare,
così te lo metto. -
Nemeria rimase in silenzio, in attesa di un “va
bene?” o di un “se sei d'accordo” che
però non arrivò. Non era una domanda, ma una
dichiarazione d'intenti, e anche se lei non avesse voluto,
capì che Noriko lo avrebbe comunque fatto.
- Cosa significa il tuo nome? -
Aveva pronunciato quella domanda senza la mediazione del cervello e,
soltanto quando la udì, si rese conto che non aveva
più la consistenza dei pensieri.
Il dito di Noriko si fermò a mezz'aria per una frazione di
secondo, prima di tornare ad applicare l'unguento sopra l'orecchio.
- Bambina esemplare. Perché ti interessa saperlo? -
- Una... mia parente diceva che non è il nome in
sé a essere importante, ma il suo significato
perché in esso è racchiusa la nostra essenza e
quella che i nostri genitori volevano infonderci. Diceva anche che
rivelare un'informazione così importante è segno
di... fiducia. - inspirò, espirò e
ispirò di nuovo, racimolando tutto il coraggio che aveva e
si posò una mano sul petto, - Nemeria, nella lingua
Školt, significa “indomabile”. Mio padre
credo venisse dalle terre del Seber, dall'estremo Nord. L'unica
eredità che ho di lui è quest'ipotesi e il nome
che ha scelto per me. -
Noriko tacque un momento, poi si pulì le mani sui pantaloni
e chiuse il barattolino. Era pensierosa, almeno questa era
l'impressione che Nemeria aveva, sebbene non avesse fatto una grinza
nonostante quello che le aveva rivelato.
- Fidarsi non è semplice, hai avuto coraggio. -
commentò e si stese sulla sua stuoia, - Non hai mai
conosciuto tuo padre, quindi. Tua madre, invece? -
Anche Nemeria fece lo stesso. La luce calda del focolare ondeggiava
sulla tenda, proiettando le ombre sul tessuto, ora trasformato in un
palcoscenico dove delle figure dai contorni sfumati si muovevano,
ballavano e sparivano in un battito di ciglia. La tranquillizzavano, in
un certo qual modo, non erano come le ombre che vedeva nascoste nel
buio, erano quello che lei voleva che fossero, assumevano la forma che
la sua mente imponeva: Rakshaan che giocava col suo pupazzo, Etheram
che correva nella foresta di bambù, le Anziane che ballavano
attorno al fuoco, Hirad che le sorrideva rientrando in tenda.
- Non lo so chi fosse, cioè... non so chi mi ha messa al
mondo, ma la persona di cui ti parlavo prima diceva sempre che
è l'amore con cui si crescono e non il sangue che
condividiamo a renderci figli di qualcuno. Io la mia mamma la
conoscevo, il suo nome era Hediye. Le volevo molto bene. -
- É morta? -
- Sì. -
Aveva la voce strozzata e il cuore le faceva male. La stanchezza le
rendeva le palpebre pesanti, ma non era abbastanza per seppellire il
dolore che premeva da sotto lo sterno. Ancora faceva male, nonostante
il tempo, le settimane, faceva ancora male.
Noriko si girò e le prese la mano, la strinse appena e
passò l'altro braccio sotto il collo in modo da cingerle le
spalle.
- Non voglio dormire, ho paura che se chiudo gli occhi loro mi verranno
a cercare. - ammise Nemeria in un bisbiglio.
Non sapeva nemmeno lei a chi si riferisse: le ombre, i predoni, i
mostri che popolavano i suoi incubi sembravano tutti darle la caccia,
incessantemente, sempre. Persino nei sogni, nelle terre dove i vivi e i
morti possono incontrarsi, non c'era via di fuga.
- Non permetterò a nessuno di farti del male. Nessuno,
Nemeria, ti potrà toccare. - il corpo di Noriko
aderì al suo, le sue gambe si intrecciarono con le sue, in
un incastro perfetto, - Ora dormi, domani sarà una lunga
giornata, sia per me che per te. -
- E se venissero a cercarmi? Se riuscissero... -
- Non accadrà, perché io glielo
impedirò. -
Nemeria avrebbe voluto chiedere come, ma il sonno la stava
già reclamando. Mentre si addormentava, cullandosi nel
sorriso di Hirad e nell'abbraccio di Noriko, la voce dell'Alta
Sacerdotessa risuonò nella sua mente. Era nitida, viva come
se la donna fosse stata lì vicino a lei, ma quando Nemeria
tentò di aprire gli occhi, le palpebre rimasero chiuse,
incollate. Vedo lontano, oltre le nebbie. Vedo un mondo che non mi
è più caro, un eterno inverno dove il sangue
scorrerà imbrattando la virginea bellezza della primavera.
Il disonore prevarrà, la lealtà verrà
calpestata, il coraggio arderà nelle fiamme degli incendi.
Ogni uomo diverrà un traditore, ogni tradito un omicida.
Allora sarà l'Era della Falce e verrà emesso il
giudizio sul mondo.
Una mano le sfiorò la guancia, era tiepida, morbida e le
dita erano lunghe. C'era una delicatezza infinita in quella carezza. Figlia di Chandra, considera il lato nascosto delle cose e
chiediti cosa non conosci. Scruta al di là delle ombre,
diffida dalla luce, segui il sentiero che ti trascinerà
verso l'abisso e ti innalzerà al di sopra degli altri figli
di Chandra e Heydar.
“Dove siete? Alta Sacerdotessa, siete viva? Mi state
chiamando?”
Provò a parlare, ma la bocca non si mosse e la sua speranza
rimase intrappolata nella sua mente, inespressa, mentre la mano
continuava ad accarezzarla, catturando le lacrime che sfuggivano dalle
ciglia ad una ad una. E Nemeria avrebbe voluto toccarle quelle mani,
rivedere quella donna che aveva dato la sua vita per la salvezza della
sua gente, ma per quanto lottasse, non riusciva a muovere un muscolo.
Soltanto quando la stanchezza vinse ogni sua resistenza,
riuscì a schiudere appena le palpebre e a scorgere una
chioma bianca svanire nella luce tenue del focolare.
"Per
raro che sia il vero amore, è meno raro della vera amicizia."
François
de La Rochefoucauld
Il risveglio la mattina
seguente non fu poi così traumatico. Nemeria sapeva di aver
sognato qualcosa di importante, qualcosa che avrebbe dovuto ricordare,
ma a parte una sensazione di vuoto e malinconia, per quanto si
sforzasse, non le veniva in mente nulla. Provò a chiedere a
Noriko se avesse per caso parlato nel sonno, ma lei disse che aveva
dormito beata per tutta la notte. Mentre le metteva la crema, Nemeria
si domandò se il motivo per cui non si sentiva riposata
fosse dovuto al non ricordarsi cosa aveva sognato.
- Stai attenta oggi, guardati sempre le spalle. Dubito che quell'uomo
ti venga a cercare alla luce del giorno, però non abbassare
mai la guardia, per nessuna ragione al mondo. - le
raccomandò Noriko.
Nemeria fece un cenno con la testa per farle capire che l'aveva
ascoltata, anche se i suoi pensieri vagavano altrove, persi ancora tra
le nebbie oniriche e la febbrile ricerca di un ricordo, che era certa
essere fondamentale.
Era così distratta che nemmeno si accorse quando Noriko
uscì, o di essersi riaddormentata, finché Altea
non fece irruzione nella tenda con la sua solita, fastidiosa allegria
mattiniera.
- Buongiorno, scoiattolo! Spero tu abbia riposato abbastanza,
perché oggi ci aspetta una luuunga giornata. -
esclamò e le si piantò davanti con le mani sui
fianchi e il sorriso di una bambina il giorno del suo compleanno, -
Ehilà, ci sei? Non puoi continuare ad avere sonno a
quest'ora! -
Nemeria sollevò piano la testa e si asciugò il
rivolo di bava che le inumidiva il mento e il collo, dandosi della
stupida più di una dozzina di volte. Si mise svelta a sedere
e rovistò tra i vestiti in cerca di qualcosa da mettersi.
Non possedeva molti indumenti – quattro tuniche, tre
pantaloni e un paio di pezzi di biancheria spaiata – e
cercava sempre di non mettere le stesse cose per più di due
giorni. Ormai si era abituata alla puzza, praticamente le sue narici
erano diventate insensibili, così come allo sporco,
però ci teneva a conservare, almeno in parte, le sue buone
abitudini. Hediye era sempre stata inamovibile sull'igiene e la pulizia
personale: Etheram aveva sempre obbedito, non le piaceva sentire la
sensazione di sudore addosso, mentre con Nemeria e Rakhsaan era stata
una battaglia. Suo fratello faceva i capricci e, col suo pupazzo
stretto al petto, sgattaiolava fuori dall'acqua non appena Hediye si
distraeva; Nemeria, invece, si trasformava in una bambina diligente e
disponibile, smaniosa di aiutare i membri della tribù nelle
loro mansioni quotidiane. Una volta era persino andata fino alla tenda
dell'Alta Sacerdotessa per chiederle se avesse bisogno di una mano per
il rituale degli Spiriti. Ridacchiò ripensando alla faccia
di quell'odiosa di Ziba e delle sue amiche, quando avevano appreso che
Nemeria aveva davvero avuto il coraggio di fare una cosa del genere.
Lei si era sentita molto orgogliosa del suo impavido gesto.
All'improvviso ebbe una folgorazione e le mani si bloccarono, la
cinghia del sandalo infilata per metà nella fibbia.
- Nemeria? Qualcosa non va? -
Nemeria impallidì, gli occhi sgranati e la gola secca. Nella
sua mente si delineò il viso dell'Alta Sacerdotessa, i suoi
occhi perlacei appena celati delle lunghe ciglia bianche, e i suoi
sensi riprodussero l'intonazione della sua voce intenta a pronunciare
parole e frasi che, quasi a farlo apposta, le sfuggivano non appena
tentava di afferrarle.
- Tutto bene, sono solo mezza addormentata. Sai che la mattina prima di
una certa ora non sono molto reattiva. - mormorò
riscuotendosi e abbozzò un sorriso tirato.
- Ah, eccome se lo so! In questo non somigli a uno scoiattolo, loro
già alle prime luci sono scattanti e vitali. Forza, siamo
già in ritardo! Sappi che non ho mai conosciuto nessuno
lento come te. E io di persone ne ho conosciute, eh! Altro che
scoiattolo, sei una lumaca! - la risata argentina di Altea
trillò nell'aria mentre si accomodava sulla stuoia e le
cingeva le spalle, - Dai, dimmi che hai. Si vede che sei turbata. Hai
fatto qualche sogno strano? -
Nemeria sbuffò e prese l'altro sandalo. Non poteva dire di
averla sognata, della notte prima non ricordava nulla, eppure sentiva
nel profondo del suo essere che lo spirito dell'Alta Sacerdotessa era
venuta a farle visita.
“Chissà cosa voleva dirmi... ah, se solo sapessi
dominare l'aria come mia sorella, forse potrei provare a
richiamarla.”
Non sapeva come si sarebbe dovuta sentire, se eccitata
perché forse era riuscita a entrare in contatto con uno
spirito o triste perché quella era l'ennesima conferma che
della sua gente non era sopravvissuto quasi nessuno. Sospirò
e si legò la bandana sulla testa con aria afflitta. Poi
prese lo zaino e vi mise dentro il barattolino di crema.
Altea lasciò cadere l'argomento, intuendo che Nemeria non
voleva parlarne, e la incitò a sbrigarsi. Cercò
di non far trasparire la preoccupazione cominciando riempirla di
chiacchiere, senza accorgersi che la bambina non la stava ascoltando.
- Sono certa che Kimiya ti sarà simpatica. È una
ragazza particolare e magari all'inizio farai un po' fatica a
comunicare con lei, ma tu sei intelligente, imparerai presto. Inoltre,
anche lei è una gran testona, somiglia molto a Hirad, e
visto che ti sei trovata così bene con lui non potrete non
andare d'accordo. -
Nemeria curvò le labbra in un sorriso al momento giusto, in
modo da mascherare la sua totale ignoranza dell'argomento di
conversazione. Quindi si caricò lo zaino sulle spalle e
uscì dalla tenda a passo di marcia, seguita dalla Sha'ir.
Lasciarsi alle spalle i dubbi era diventato prioritario, prima che la
tristezza e il dolore della perdita potessero riaffiorare in superficie.
Il focolare era spento e i tizzoni della sera precedente erano solo dei
sassi fuligginosi sfregiati dalle fiamme, con vene annerite ad
avvolgerli come una rete di capillari. Chalipa stava lavando le
stoviglie sporche, il secchio tra le gambe e lo strofinaccio appoggiato
sulla sedia al suo fianco. Non appena le vide, le salutò con
un sorriso stiracchiato, ancora sonnolento. Subito dopo, Afareen venne
loro incontro con due fagotti.
- Cosa ci hai preparato di buono? - domandò Altea curiosa.
- Per stavolta dovrete accontentarvi del sau bireği, non c'era
granché nella dispensa e tutto l'oçma che avevamo
l'ho usato per fare dei panini per Dariush e gli altri. Spero che i sau
abbiano un buon sapore, la pasta non era fresca e senza uova non
è saporita come dovrebbe essere. -
- Saranno squisiti, riesci sempre... -
- “Riusciamo”, plurale! L'aiuto anch'io! -
protestò Chalipa.
- Riuscite sempre a tirare fuori il meglio anche da pochi ingredienti.
- si corresse Altea, - Piuttosto, perché solo due fagotti?
Viene anche Kimiya, ve ne siete dimenticate? -
- Guardate che è proprio qui. Vi ha anche salutate. Siete
voi a non esservi accorte di lei. -
Nemeria seguì con lo sguardo la direzione indicata dal dito
di Afareen e nel suo campo visivo entrò una ragazza della
sua età, forse poco più grande, tutta
rannicchiata contro il tronco rovesciato, il viso coperto da un libro
più grande di lei. Come se si fosse accorta di essere
osservata, Kimiya abbassò il tomo, lo ripose nel suo zaino e
si alzò con un sorriso timido che metteva in mostra i denti
rotti e quelli mancanti. Quando fu abbastanza vicina, Nemeria
valutò che dovesse avere la stessa età di Altea,
forse un anno meno, anche se l'eccessiva magrezza e i vestiti larghi
nascondevano le forme che, invece, nella Sha'ir era più che
accentuate.
- Allora, facciamo le presentazioni. Kimiya, lei è Nemeria.
Nemeria, lei è Kimiya, la versione femminile di Hirad. Sa un
sacco di cose, soprattutto se ne intende di erbe e medicine.
È il nostro medico, diciamo. -
Mentre parlava, Altea gesticolava velocemente, descrivendo delle figure
con entrambe le mani, seguite da tutta una serie di espressioni del
viso che agli occhi di Nemeria sembravano alquanto buffe. Non riusciva
a spiegarsi nemmeno perché sottolineasse così le
parole, talvolta sillabandole, quasi stesse intrattenendo un bambino
piccolo. Fu solo quando Kimiya rispose nello stesso modo, muovendo le
labbra senza che però uscisse alcun suono, che
capì che quello era il loro modo di comunicare.
- Dice che non servono le presentazioni, che è impossibile
non ricordarsi di te, persino con i capelli rasati. - prima di
continuare, si scambiarono un'occhiata che accese lo sguardo di Altea,
- Ci tiene a farti sapere che anche così stai molto bene, ma
ti preferiva quando avevi ancora i capelli lunghi. -
La ragazza corrugò le sopracciglia e scosse la testa,
intrecciando le braccia ossute sul petto con un'espressione bellicosa
che causò la ridarella nella Sha'ir.
- Va bene, l'ultima parte l'ho aggiunta io, ma lo pensa anche lei, solo
che è troppo timida per dirtelo. E tu non guardarmi
così, Kimiya, è la verità! Comunque,
Nemeria, non preoccuparti: imparerai facilmente a parlare con lei,
basta che ci guardi e ti sarà tutto chiaro. -
- Se lo dici tu...-
- Fidati. Io sono stupida, ci ho messo un sacco di tempo a capire e...
ahia! - si ritrasse massaggiandosi il fianco e lanciò
un'occhiata torva a Kimiya, che la fissava con disappunto, - Non
serviva una gomitata per dirmi che non eri d'accordo. Accidenti, sei
tutta pelle e ossa, ma quando vuoi sai picchiare. -
La ragazza arricciò le labbra in un sorrisetto di chi la sa
lunga e indicò l'uscita con un cenno del capo.
- Sì, hai ragione, andiamo, siamo già in ritardo.
Scoiattolo, come si dice in questi casi? -
- Chi ha tempo non aspetti tempo? -
- No! Col tempo e con la paglia non si maturan le sorbe. Dai, dai, in
marcia, tutte e due! Il Quartiere del Ghiaccio si trova a nord-ovest
rispetto e noi e dobbiamo attraversare mezza città per
arrivarci. -
- Non useremo le catacombe? -
- Sì, ma dobbiamo prima fare una sosta in un certo posto. -
Le fece l'occhiolino e Nemeria, dopo un momento di disorientamento,
capì a cosa si riferisse: quella sera Hirad sarebbe tornato
a sorridere.
Si inoltrarono nei tunnel che si diramavano verso nord, un intrico di
gallerie che Nemeria aveva visto solo di passaggio quando ancora girava
con Hirad. Altea si muoveva con la solita naturalezza, e
sorprendentemente anche Kimiya era a suo agio, come se avesse battuto
quelle strade innumerevoli volte; sembrava quasi conoscerle a memoria,
tant'è che alcune volte fu lei stessa a indirizzarle verso
la galleria corretta, richiamando la loro attenzione con un semplice
gesto della mano o un colpo di tosse.
Ad accoglierle, quando misero fuori la testa dalla grata, fu un'aria
quieta e tersa, interrotta solo da un leggero e piacevole cicaleccio
che proveniva dalla strada. Altea esaminò circospetta i
dintorni, poi diede il via libera e si issarono all'aperto.
- Questo è il famoso Quartiere del Ghiaccio. Lo puoi
riconoscere grazie ai colori delle botteghe che, come puoi ben vedere,
sono di varie tonalità di blu. Se ti aspetti un vero e
proprio mercato come nel resto della città, qui non lo
troverai, però ci sono varie botteghe di erboristi,
alchimisti e anche medici molto importanti. Talvolta persino la moglie
del governatore manda le sue ancelle a rifornirsi qui, Jamal o meno. -
- Chi sarebbe questo Jamal? -
- È il medico personale del governatore, ovviamente. Viveva
qui prima che venisse chiamato a palazzo per esercitare la sua
professione nella cerchia ristretta della famiglia Evezyan. Ha avuto
davvero una grande fortuna e se l'è meritata: per studiare
ha quasi perso la vista, poveretto. -
- Ne parli come se lo conoscessi. -
La Sha'ir ammutolì e Kimiya le passò una mano
sulla spalla, lo sguardo perso e la bocca atteggiata in una smorfia di
disgusto e amarezza.
- Diciamo che quando... lavoravo nel Quartiere del Fuoco era uno dei
tanti a occuparsi di noi. Unguenti, pozioni, medicine di ogni tipo, la
sua bottega si occupava di rifornirci di tutto ciò che ci
serviva per non rimanere incinte o contrarre brutte malattie. -
Nemeria maledisse di nuovo la propria stupidità. Da quando
si era svegliata non ne combinava una giusta.
- Non ti intristire, è tutto a posto, la tua era una domanda
più che lecita. L'avrei fatta anch'io. - la
consolò Altea, le stropicciò le guance e gliele
tirò cercando di farla sorridere, - Togliti quel broncio,
non sei per niente carina quando hai l'espressione da cane bastonato.
Anche Kimiya lo pensa, guarda come si è indignata. Se
proprio ci tieni a scusarti, torna allegra e sorridi, chiaro? -
Nemeria guardò l'altra ragazza, che aveva abbandonato la
spalla di Altea per incrociare le braccia sul petto, simulando una posa
altezzosa e autoritaria che in pochi istanti sortì l'effetto
sperato: le labbra di Nemeria si piegarono in un sorriso divertito e
presto scoppiò in una sincera risata.
- Oh, così va meglio! Dunque, torniamo a noi. Ci servono un
po' di unguenti, giusto? Anche delle bende? - gesticolò in
direzione di Kimiya, - Dimmi che hai fatto tu l'elenco di cosa dobbiamo
prendere, ieri sera me ne sono completamente scordata. -
Kimiya scosse la testa e tamburellò l'indice sulla tempia.
- Insomma, dobbiamo affidarci alla tua memoria? Non per cattiveria, ma
tra me e te non so chi sia più smemorata... -
L'amica le scoccò un'occhiata risentita, sbattendo un piede
per terra. La Sha'ir aprì le braccia, dissimulando un
sorrisetto.
- Non ti offendere, sai che mi piace prenderti in giro. Hai la mia
età, ma ti comporti come Nemeria. -
- Ho dodici anni, solo due meno di te! - protestò Nemeria.
- Ciò non toglie che tu sia piccola e che Kimiya a volte sia
infantile. - dichiarò e, ridendo, si scansò prima
che la sua amica le piantasse un gomito tra le costole.
C'era una notevole complicità tra loro, una sofferenza
simile che si annidava negli occhi e le legava a doppio filo,
intaccando solo parzialmente la loro indole frizzante e spensierata.
Nemeria le invidiava. Le sarebbe piaciuto avere una persona con cui
condividere il dolore, le gioie e i pensieri, qualcuno le cui braccia
la sostenessero se si fosse lasciata cadere. Qualcuno come Etheram.
“Beh, ho Noriko. Anche se non è la stessa
cosa.”
- Dove andiamo? - si affrettò a chiedere per distrarsi.
- Ci guida Kimiya, conosce questo quartiere meglio di me. Se un giorno
avessi bisogno, rivolgiti a lei. - rispose Altea.
Si addentrarono nelle vie claustrofobiche del Quartiere in silenzio,
Kimiya davanti a tutti, poi Altea e infine Nemeria. Di tanto in tanto,
quando le sue compagne si fermavano per perlustrare la zona,
quest'ultima si soffermava a osservare questa o quell'altra insegna.
Non c'era granché da vedere. A differenza degli altri
quartieri che aveva visitato, non erano presenti statue o costruzioni
che attirassero l'occhio, però quelle case delle varie
tonalità del blu e i tetti spioventi addossate le une alle
altre avevano il loro fascino. Nemeria le trovava molto graziose,
sebbene schermassero con la loro altezza i raggi del sole, abbassando
la visibilità già scarsa. Più di una
volta, se non fosse stato per il tempestivo intervento di Altea,
Nemeria sarebbe rovinata vergognosamente a terra, ma la Sha'ir era
sempre sull'attenti, preparata a tutto, persino alla sua goffaggine.
Proprio perché era molto meno agile di loro, le due ragazze
non la coinvolsero troppo nei loro furti, chiedendole al massimo di
rimanere a fare il palo quando sgattaiolavano nelle botteghe. Quando le
vedeva entrare e rimaneva da sola in quelle strade quasi senza luce,
dove persino l'aria era satura dell'odore di erbe, zolfo e la Madre
solo sa cos'altro, Nemeria doveva racimolare tutto il coraggio e la
forza che aveva per non sobbalzare a ogni minimo rumore, a ogni ombra
che entrava nel suo campo visivo. Spesso dovette reprimere l'istinto di
fuggire o di chiamare aiuto, o semplicemente di seguire le sue compagne
all'interno della bottega e rifugiarsi tra le braccia di Altea. Si
sentiva una codarda a tremare per così poco, ma le pareva di
scorgere gli occhi del predone dappertutto, di sentirne il peso sulla
schiena anche quando si appoggiava a un muro. Lui era ovunque,
acquattato in ogni ombra, nei passi che riecheggiavano per la via, nel
luccichio di gioielli o forbici, così simile a quello della
sua lama. Durante quelle lunghe attese, il tempo sembrava non passare
mai. Tornava a fluire solo nel momento in cui Altea e Kimiya uscivano
con aria trionfante. Allora il pensiero ossessivo di essere in pericolo
smetteva di tormentarla e riusciva di nuovo a respirare.
Circa un'ora dopo pranzo, Kimiya le condusse in una piccola piazza
antistante il laboratorio di un alchimista. Al centro troneggiava una
fontana a forma di barca semisommersa, che brillava sotto il sole come
se fosse fatta di luce. L'acqua, che fuoriusciva da due sculture a
forma di sole e luna, compiva una parabola perfetta, per poi ricadere
nell'imbarcazione e tracimare dai bordi laterali e svasati nel bacino
sottostante. Intorno alla fontana, disposti a raggiera, ai piedi dei
bassi e tozzi palazzi, osterie e taverne di lusso offrivano riparo ai
viaggiatori sotto le loro tende e richiamavano l'attenzione declamando
i piatti del giorno e le loro presunte specialità. Una in
particolare dal nome bizzarro, “Il Naso del
Pescespada”, aveva quasi tutti i tavoli occupati da uomini e
donne vestiti elegantemente, coinvolti in animate e frizzanti
conversazioni. Nemeria guardò i camerieri affaccendarsi tra
i clienti come zelanti api operaie, affinché i loro
bicchieri non fossero mai vuoti e i loro piatti sempre pieni.
Mentre mangiava i sau bireği, dei panini ripieni con carne speziata e
verdura non fresca, Nemeria non riusciva a staccare gli occhi da tutto
quel ben di dio. Il profumo invitante, che le sollecitava in
continuazione le narici, non faceva altro che alimentare la sua fame e
togliere sapore a quello che stava mangiando. Alla fine, stomacata da
quei panini, che al suo palato sembravano a ogni morso più
insipidi, ripose il tutto nel suo fagotto e si volse verso la fontana,
nella speranza che i suoi giochi d'acqua bastassero a distoglierla da
quelle prelibatezze che non avrebbe mai assaggiato.
- Bella, vero? L'ha costruita un architetto del governatore quattro
anni fa. La cosa più sorprendente è che sia
riuscito a ricavare questa bellezza da un blocco di ghiaccio. -
commentò Altea.
Nemeria corrugò le sopracciglia e assottigliò lo
sguardo. No, non era fatta di marmo come aveva pensato all'inizio. Ora
che osservava meglio, era troppo traslucida e la vasca era leggermente
trasparente.
- Non te n'eri accorta? Ma scusa, ci sarà pure un motivo per
cui si chiama Quartiere del Ghiaccio, no? - la derise la Sha'ir.
- S-sì, ma credevo che fosse per altro... -
- Altro cosa? Kalaspirit è una città semplice, se
una cosa ha un certo nome è perché c'è
qualcosa che glielo ha procurato. Non siamo certo come la capitale,
piena di filosofi e oratori. Lì sì che non si
capisce il perché di certe cose! -
- Io credevo che i Dominatori venissero cacciati e buttati nell'arena,
che questo fosse il loro unico destino. -
- È un po' più complicato di così. Le
persone come noi, se sono nate con questa maledizione, quando vengono
catturate finiscono per essere vendute e poi mandate nell'arena a
combattere. C'è una possibilità di riscatto, ma
sono davvero pochissimi coloro che abbandonano quel mondo, e ancor meno
sono coloro che riescono ad allontanarsi prima di impazzire. Insomma,
lo sai cosa succede ai Dominatori dopo un po', no? Gli uomini e le
donne che sono riusciti a uscirne si contano sulla punta delle dita,
per questo sono una leggenda, tutti li conoscono. Alcuni sono entrati
nel settore edile. Conosci Tyrron Occhi di Lince? -
- Chi? -
- No, non ci credo! Davvero non sai chi è? È il
lanista più famoso di Kalaspirit, persino i muri hanno
sentito parlare di lui! -
Altea tacque, probabilmente nella speranza che Nemeria esordisse con un
“ma sì, certo”, che non
arrivò mai. Con un sospiro teatrale poggiò la
testa sulla spalla di Kimiya, bofonchiando tra sé e
sé un mezzo rimprovero a Hirad.
- Ha una villa nel Quartiere del Sole e molte altre sparse in ogni
città, anche alla capitale. È uno di quelli che
guadagna sulla vita degli schiavi: se sei un Dominatore e finisci nella
sua scuderia, non ne esci più, fidati. È anche
una delle ragioni per cui ci teniamo ben lontani dalle zone troppo
malfamate della città, dato che pullulano di agenti alle
dipendenze dei mercanti di schiavi. Per esempio, un Dominatore della
terra come Dariush sarebbe un'ottima merce di scambio. Se invece sei un
rampollo di una famiglia nobile, o se la tua famiglia ha abbastanza
soldi, è tutt'altra questione. Vero, Kimiya? -
La ragazza annuì risoluta e cominciò a
gesticolare, gli occhi fissi in quelli di Nemeria. Altea, vedendola un
attimo stranita, si affrettò a dar voce alle parole della
sua compagna.
- Dice che nel secondo caso, di solito vieni spedito al Consorzio, che
valuta le tue abilità e decide se sei abbastanza degno per
studiare l'arte della magia in una delle loro prestigiose scuole. Un
suo lontano cugino di sesto o settimo grado era riuscito a entrare,
anche se proveniva da una famiglia povera come la loro,
perché aveva trovato un mecenate che gli aveva pagato poi
gli studi. -
- Quindi c'è un modo per non diventare Jin? Per contrastare
l'avvelenamento del corpo e dell'anima causato dalla magia? -
- Ah, questo non lo sa. Trapelano davvero poche informazioni, ma dubito
davvero. Insomma, anche se fosse, sarebbe davvero crudele non rivelarlo
al mondo. Comunque, il Consorzio conta tra le sue schiere anche
Dominatori che hanno deciso di dedicare la loro vita all'arte, i quali
sono molto rispettati e godono della protezione del governatore. La
persona che ha disegnato questa fontana è probabile fosse
uno di questi. -
Nemeria, in attesa che le sue compagne finissero il loro pranzo,
rifletté su quello che le avevano detto. Non aveva mai
sentito parlare né del Consorzio né di Tyrron, ma
per qualche ragione provava un'avversione istintiva: per quanto odiasse
Dariush, non avrebbe mai desiderato che finisse tra le grinfie di un
uomo così crudele e spregiudicato. Il Consorzio le ispirava
un poco più di fiducia, ma i membri della sua
tribù, in particolare Arsalan, l'avevano sempre messa in
guardia dalla generosità dei mortali. Non facevano mai
niente per niente e quelli che si affannavano per aiutare gli altri
erano destinati a una vita di sofferenze e stenti.
“Gli uomini sono consumati dall'avidità e
l'avidità non ama altro all'infuori del denaro”
ripeteva spesso. Nemeria non aveva mai dubitato che avesse ragione.
Arsalan era stato un mercante di stoffe, aveva girato il mondo,
perciò chi poteva saperne più di lui?
Incassò la testa nelle spalle e si strinse le ginocchia al
petto. Un brivido le si insinuò nella spina dorsale,
accapponandole la pelle nonostante il caldo.
“Questo mondo è freddo.”
Quando anche Kimiya finì di mangiare, si diressero al primo
vicolo dove c'era una grata e si lasciarono scivolare dentro. Anche
quella, come molte altre, introduceva in un tunnel che Nemeria non
aveva mai visitato. La irritava essere così dipendente dalla
conoscenza altrui, che fosse Altea, Hirad o qualsiasi altro membro
della famiglia. Si ripromise che si sarebbe sforzata di imparare, in
modo da non avere più bisogno di loro. Se i predoni
l'avessero trovata, sarebbe dovuta scappare il più lontano
possibile per non mettere in pericolo coloro che amava, e per questo
era necessario apprendere quali fossero tutte le vie di fuga.
Forte di quella decisione, con grande sorpresa di Altea, la prese
sottobraccio e cominciò a farle domande, chiedendole dove
stessero andando, quali erano i punti di riferimento su cui basarsi per
capire quale fosse la direzione giusta e come orientarsi ai bivi. La
Sha'ir ascoltava e rispondeva prontamente, contenta che Nemeria
dimostrasse interesse. Talvolta interveniva persino Kimiya, aggiungendo
altre informazioni o correggendo la compagna, e grazie
all'intercessione di Altea, Nemeria imparò a dialogare con
lei. A tratti sembrava afferrare quello che diceva dal solo movimento
delle sue labbra. Era strano vederla muovere le mani per dare forma
alle parole, tanto che Nemeria ebbe spesso l'impressione di essere
dinanzi a una maga in procinto di lanciare un incantesimo. Nello
sguardo di Kimiya non c'era altro che il forte desiderio di farsi
capire e lo esprimeva non solo attraverso le dita, ma con tutto il
corpo, come le Anziane più giovani quando invocavano la
benevolenza della Madre nelle loro danze sfrenate.
“Imparerò anche la tua danza, Kimiya.”
Parlarono fino a quando Altea non indicò in lontananza una
grata. Il sole filtrava attraverso le fessure disegnando il profilo di
una scala, che, diversamente da quelle solite, non era costituita da
pioli di legno smangiati dall'umidità e dalle intemperie,
bensì da una rampa scavata direttamente nella pietra del
tunnel. Come le pareti della loro tana, gli scalini erano perfettamente
levigati, scolpiti da una mano esperta e, molto probabilmente, non
umana.
“Allora Hirad aveva ragione: gli uomini che tentarono di
assassinare il governatore erano davvero dei Dominatori.”
- Stiamo andando a fare quello che penso? -
- Esatto. - sghignazzò Altea.
Anche se non avesse saputo dove fossero, a Nemeria sarebbe bastata
un'occhiata per riconoscere il Quartiere della Pergamena, non tanto per
i libri e le pergamene che ingombravano gli scaffali delle botteghe e
delle bancarelle, quanto per l'intenso profumo di carta che permeava
l'aria, sopraffacendo persino quello di urina ed escrementi, che, come
un miasma velenifero, si alzava dalle strade in terra battuta dei
vicoli quando il sole aveva da poco abbandonato lo zenit.
Nessuno badava loro e le poche guardie che intravedevano dall'altro
lato della strada si limitavano a squadrarle con indifferenza, prima di
tornare al giro di ronda. Ad accompagnare la loro passeggiata c'era un
piacevole chiacchiericcio, che spesso si interrompeva per lasciare
spazio a un silenzio assordante, dove l'unico suono appena udibile era
quello prodotto da una pergamena srotolata o dal fruscio delle pagine.
Persino il vento, gradito in quelle ore così calde, pareva
soffiare in punta di piedi con refoli delicati che allietavano la pelle
e ne asciugavano il sudore, senza però disturbare i clienti
assorti nella lettura o occupati negli acquisti. Era come se ogni cosa,
in quel lembo di terra, si affannasse per non disturbare la bolla di
quiete che lo avvolgeva.
- Questo posto è strano... - bisbigliò Nemeria ad
Altea.
- Strano bello o strano brutto? -
- Solo... strano. Non mi viene nemmeno da parlare ad alta voce. -
- È normale. Qui c'è gente come Hirad,
intelligentissima e coltissima. Anche i mercanti più ottusi,
volenti o nolenti, diventano così stando sempre qui. - si
coprì la bocca per soffocare una risata, - Secondo me anche
tu ti ammaleresti di intelligenza se venissi più spesso. -
- Mi stai dando della stupida, per caso? -
- Esponevo solo un dato oggettivo. Hirad bighellonava per questo
quartiere quasi tutti i giorni e adesso guarda com'è
diventato! -
- Davvero? Ma mi hai detto che non usciva spesso... -
- Spesso non significa mai. Diciamo che nella maggior parte dei casi,
quando usciva a fare la spesa con me, ero io a procurargli il
necessario per scrivere e disegnare le mappe. A volte è
capitato che non solo fosse lui ad andare in prima linea, ma che
riuscisse addirittura a prendere qualche libro. -
Si guardò intorno e le indicò una bancarella,
dietro la quale sedeva un ometto basso con un turbante blu cobalto
sulla testa e un libro aperto sulle gambe.
- Penso li abbia presi da lui: è un mercante poco attento,
mi chiedo come faccia a campare con tutti i libri che Hirad gli ha
rubat... -
La gomitata di Kimiya troncò la frase. Prima che Altea
potesse prenderla a male parole, la ragazza le indicò un
vicolo alle spalle dell'uomo. All'inizio Nemeria non vide nulla, poi
pian piano, tra le ombre dei gatti e dei vari randagi che vagabondavano
in quel triangolo scuro, distinse delle figure umane. Erano tre, o
almeno così le parve. In un batter d'occhio, queste si
infilarono in una stradina laterale, sparendo alla vista.
- Li avete visti anche voi? - domandò incerta.
Altea deglutì e arretrò: - Se sono i Falchi,
siamo fottute. Ma erano troppo bassi. -
Kimiya gesticolò, gli occhioni grandi spalancati, allarmati
come quelli di un gatto accerchiato da un branco di lupi affamati.
- Dice che potrebbero essere i Cani, l'età è
quella. Ma che diamine ci fanno qui? Che interesse hanno in questo
quartiere? - scosse la testa e trasse un profondo respiro, - Sarebbe
meglio tornare a casa, prenderemo le pergamene un'altra volta. -
- No, non possiamo. Mi hai detto tu che volevi far tornare Hirad a
sorridere, non possiamo tirarci indietro proprio ora. -
ribatté decisa Nemeria.
- Siamo in tre e non siamo esattamente delle lottatrici. In
più, loro girano sempre con Zahra. Quella è una
Dominatrice e contro di lei, senza Dariush, verremmo fatte a pezzi. -
“Io posso difendervi!” avrebbe voluto urlare
Nemeria, ma si morse la lingua. Non poteva rivelare il suo segreto,
c'erano già troppe persone che lo sapevano ed era meglio non
rischiare.
- Proviamoci! Se non i pastelli, almeno le pergamene. -
- Nemeria... -
- Altea, per favore. Le prendo io se vuoi. - la pregò e le
strinse perché sentisse la sua determinazione, - Questa
è un'occasione d'oro, non possiamo lasciarcela sfuggire,
soprattutto quando Hirad ha bisogno di noi. -
La Sha'ir e Kimiya si scambiarono un'occhiata indecisa. Nemeria
notò l'incertezza e la tensione nelle loro posture, ma
sperò con tutta se stessa che la paura non cancellasse i
loro buoni propositi. Non avrebbe sopportato di incontrare di nuovo lo
sguardo vacuo di Hirad sapendo di aver avuto l'occasione per ridargli
la luce.
Alla fine Altea sospirò e si massaggiò
l'attaccatura del naso con le dita. Il cuore divenne un blocco di
ghiaccio nel petto di Nemeria.
- La bottega è in fondo alla strada. Prendiamo lo stretto
necessario e poi torniamo immediatamente alla tana, senza fare tappe
intermedie. Kimiya, tu verrai dentro con me e cercherai una scatola di
pastelli, mentre io mi occuperò delle pergamene. Nemeria, tu
farai il palo. Se vedi una ragazza con i capelli lisci e neri e gli
occhi da lupo, urla. Non fare niente di sconsiderato, ci siamo intese? -
- Sissignora! -
Camminarono a ridosso dei muri delle case e si infilarono in una strada
laterale ombreggiata, dove il passo di marcia divenne una rapida corsa
fino al retrobottega. La porta era di legno e, a giudicare dalla
maniglia arrugginita, dovevano essere mesi, se non anni, che non veniva
sottoposta a una manutenzione.
Altea si avvicinò, estrasse due aghi spessi dalle tasche
della tunica e cominciò ad armeggiare con la serratura.
Kimiya era acquattata vicino a lei, mentre Nemeria si era posizionata
all'angolo tra la strada dalla quale erano venute e quella che si
aggettava sulla via principale. Il cuore le galoppava nello sterno e il
respiro usciva spezzato dalle sue labbra, ma sapeva che era a causa
dell'adrenalina e del senso di responsabilità che le gravava
sulle spalle: stavolta non poteva permettersi errori, ne andava della
sicurezza delle sue compagne e della felicità di Hirad. Per
rivedere quel sorriso avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Il “clack”, seguito dallo scricchiolio della porta
che si apriva, la avvisarono che Altea e Kimiya erano dentro. Strinse
forte la pietra di luna e regolò la respirazione
finché non riuscì a decomprimere i polmoni e ad
allentare la stretta alla viscere. Tremò e
sobbalzò ad ogni rumore, la paura che serpeggiava nelle ossa
ricoprendo la pelle con un velo umido di sudore. Ciononostante,
piantò saldamente i piedi a terra e si impose di non fare un
passo, anche quando la sua mente le giocava brutti scherzi. Il terrore
che le suscitavano il predone e gli occhi accusatori della sua
tribù nella danza di ombre e luci provocata dal sole
scoloriva davanti alla prospettiva di Hirad di nuovo allegro e
sorridente. Si ripeté che doveva farcela ad ogni costo,
anche se l'ansia le rendeva le gambe pesanti.
Un guizzo alla sua sinistra le bloccò il fiato e il cuore
perse un battito. Fece aderire la schiena al muro e la tunica sudata le
si appiccicò addosso.
- Tranquilla, è solo un gatto. Non c'è niente di
spaventoso a parte randagi e ratti affamati. L'unico pericolo
è Zahra e la sua banda, ma loro non verranno, non hanno
motivo di seguirci né di attaccarci. - bisbigliò
tra sé e sé.
- Lo penso anch'io. -
Prima che potesse urlare, Kimiya le tappò la bocca con la
mano. Altea le sorrise trionfante, mostrandole un plico di pergamene
arrotolate e una scatola anonima di semplice legno nero.
- Sei stata bravissima, il miglior palo del mondo. Siamo una squadra,
ragazze! Il magico trio! - si complimentò con lei la Sha'ir
e Kimiya la liberò per darle un buffetto sul naso.
Nemeria sorrise timida. Tremava ancora, sia per la paura che per
l'euforia, e non riusciva a pensare in modo coerente, ma quando le
amiche l'abbracciarono stretta si rasserenò: per la prima
volta dopo tanto tempo era stata utile, si sentiva parte di un gruppo
e, soprattutto, aveva delle compagne su cui contare.
- Niente smancerie, su, non abbiamo tempo. Il coprifuoco è
tra meno di due ore, non possiamo tardare troppo, non con Dariush che
ci attende nella tana e i Cani in giro. Facciamo un'altra strada, se ci
hanno viste arrivare potrebbero intercettarci alla grata da cui siamo
uscite. Kimiya, guidaci. -
Kimiya si batté fiera una mano sul petto, poi
assestò una pacca sul fondoschiena di Nemeria per incitarla
a muoversi.
Svoltarono a destra, in un vicolo angusto tra due case, poi a sinistra
in una strada lastricata a metà e poi di nuovo a destra,
fino a quando la via non si allargò in un piccolo spiazzo
delimitato da una cornice di immondizia, dove un piccolo stormo di
corvi stava banchettando. Quando giunsero al traguardo, tuttavia,
avvertirono il sangue defluire dai loro visi e un brivido gelido
risalire lungo la spina dorsale.
Davanti alla grata c'erano due ragazzi e una ragazza, in piedi, a gambe
divaricate e braccia conserte, come se le stessero aspettando. La
ragazza aveva i capelli neri, lunghi e lisci, e gli occhi gialli come
quelli di un lupo.
Nemeria ravvisò in lei la descrizione fisica fattale dianzi
da Altea e capì immediatamente chi avevano di fronte, ben
prima che la Sha'ir pronunciasse con voce stentorea il suo nome.
- Zahra... -
"Il
significato della lotta, il significato vero, totale, al di
là dei vari significati ufficiali è una spinta di
riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni."
Italo
Calvino
Zahra fece un passo verso
di loro. I due ragazzi la seguirono a distanza con le braccia distese
lungo i fianchi e le labbra scoperte sui denti gialli, scheggiati,
simili a zanne.
- Bene bene... cosa ci fa qui la banda di Dariush? -
Altea indietreggiò, sospingendo Nemeria e Kimiya dietro di
sé.
- Non vogliamo guai, Zahra. -
- Davvero? Allora perché siete venuti nella nostra zona di
caccia? Devo forse interpretarlo come un atto di sfida? -
sogghignò e canini affilati biancheggiarono tra le labbra
sottili.
I ragazzi alle sue spalle scoppiarono a ridere, una risata sguaiata
come il latrato di un cane. Altea arretrò ulteriormente, il
braccio alto, frapposto tra le sue amiche e loro.
- Merogen... - mormorò implorante.
- Non esistono sorelle o fratelli in strada, merne. Gli Alatfal'yl
non condividono il sangue con nessuno. - replicò freddamente
Zahra.
Ancheggiò con una grazia selvatica, i capelli neri che le
accarezzavano le lunghe orecchie a punta e gli occhi gialli accesi da
una luce quasi ferale. La pelle era così scura da assorbire
la luce, la intrappolava nelle vene rosse delle braccia e nel viso
affilato.
- Oggi mi sento misericordiosa, però. Ditemi cosa sapete del
carico di spezie di Harmad e forse potrei decidere di lasciarvi andare
senza torcervi un capello. - offrì con un sorriso affabile,
falso.
Nemeria gelò sul posto: non sapevano niente, non si erano
premurate di raccogliere informazioni, cosa avrebbero potuto dirle?
- Non ne sappiamo nulla, davvero. Non eravamo nemmeno a conoscenza che
Harmad fosse partito. - mentì Altea.
- E tu pensi che io ti creda? Abbiamo visto la vostra cagna, Tian, nel
Quartiere del Legno, mentre parlava con Pavona. A proposito, oggi non
è con voi? Che disdetta, ho un dente rotto da restituirle. -
si tirò su l'angolo della bocca e il sole delineò
il buco di un molare mancante, - Quella troia è l'unica del
vostro insulso gruppetto che trovo interessante. È un vero
peccato che si ostini a rimanere con voi. -
- Già, è davvero uno spreco. Con una come lei
potremmo persino rivaleggiare con i Falchi. - aggiunse uno dei ragazzi,
quello col collo taurino e gli occhi porcini.
- Omeed, Zahra, ci state mettendo troppo. -
A parlare era stato il terzo membro, uno Sha'ir con la punta
dell'orecchio sinistro tagliato e una cicatrice che gli attraversava
tutto il viso, dalla mandibola fino alla fronte. Le scrutava col suo
unico occhio, calcolando cosa ne avrebbe fatto di loro con uno sguardo
freddo e cinico che si sposava a meraviglia col sorriso sghembo. Non
era Zahra il capo dei Cani. Era lui.
Zahra alzò gli occhi al cielo: - Posso sempre provare a
cavargli fuori le informazioni a suon di pugni. -
La pelle si spaccò seguendo le vene rosse, scoprendo uno
strato di pietra nera lucida, un aggregato di rocce scure unite a
formare un guanto che si espandeva, fagocitando e sostituendo la carne
viva. Nemeria non ci mise molto a capire cosa fosse.
“Una Dominatrice della Terra.”
Deglutì e osservò rapita gli occhi
dell'Alatfal'yl . I capillari premevano contro la cornea, rosseggiando
nell'iride gialla, una rete sottile che si allargava e si ritraeva come
se avesse vita propria. In un'altra circostanza avrebbe creduto che
Zahra stesse per perdere il senno, che fosse come Dariush, ma il suo
sguardo non era offuscato. Zahra era presente a se stessa e la
crudeltà che le leggeva in fondo agli occhi non era frutto
della follia. Era sua, le apparteneva.
- Zahra, stai buona, così metterai loro paura. Guarda come
già trema la ragazza, tra poco se la fa addosso. -
sghignazzò Omeed, affiancandola, - Bambine, siete proprio
sicure di non sapere nulla? Non vogliamo farvi del male, ma se
continuate a tenere la bocca chiusa... -
- Se ci attaccherete, arriveranno le guardie e vi cattureranno. - li
ammonì Altea, sforzandosi di mantenere la voce salda, ma
ogni muscolo del suo corpo era all'erta, pareva pregarla di rilasciare
le tensione e correre via, e di questo se n'erano accorti tutti, i
Cani, Kimiya e Nemeria.
Il loro Capo represse una risatina.
- Oh, sul serio? Immagino andrete a chiamarle voi. Sperate davvero di
poterci scappare, topoline? Magari infilando la strada principale,
oppure la traversa dell'altra della Via degli Alicanti.-
Nemeria sgranò gli occhi basita.
- Non fate quelle facce, non siamo degli sprovveduti. Il Quartiere
della Pergamena è la nostra seconda casa. -
spiegò e avanzò di nuovo, portandosi proprio alle
spalle di Zahra, - Non ci hanno mai presi, Sha'ir, e stavolta non
sarà diverso, perché noi conosciamo Kalasprit
meglio di chiunque altro. Siamo i suoi mastini e diamo la caccia a
chiunque osi invadere il nostro territorio di caccia. -
- Ti abbiamo detto che... -
- Ho sentito quello che avete detto e so che mentite. Voi ci credete
che non sanno nulla? -
- Sono topi, anzi ratti, sanno sempre tutto di tutti. -
sputò Zahra, scrocchiandosi il collo.
- Squit, squit, squit! - le sbeffeggiò Omeed.
Lo Sha'ir si umettò le labbra, l'espressione di un cobra che
guarda la sua preda agonizzare per il veleno.
- Cominciamo a essere un po' troppi in questa città e io
odio le infestazioni di topi. È l'ora di fare un po' di
pulizia. Rendiamola più divertente, che ne dite? Una di voi
tre è libera di tornare alla vostra base per avvisare i
vostri compagni che siete in pericolo, e come prezzo per il riscatto
vogliamo le informazioni sul carico di spezie di Harmad. -
- Tu... tu sei pazzo. - esalò Altea, pallida come uno
spettro.
- No, sono solo meno noioso della maggior parte delle persone comuni.
Muovetevi, non avete tutta la notte. -
Nemeria rimase a fissarli senza sapere cosa pensare. Tutto quello che
stava accadendo non aveva senso, non potevano stare dicendo sul serio.
Si aggrappò a quella sicurezza e vi rimase avvinghiata
finché non incontrò lo sguardo di Altea e
notò la sua rassegnazione. Kimiya tremava al suo fianco, la
stringeva così forte da strapparle il respiro.
- Non possiamo... -
- È un gioco a cui non possiamo sottrarci. - la interruppe
Altea.
Inspirò profondamente, poi fece dei rapidi cenni a Kimiya
per spiegarle la situazione. La testa di Nemeria girava, il suo
cervello aveva smesso di ragionare, vorticava su se stesso come se
fosse stata su una giostra. Più provava a usare la logica,
più tentava di liberarsi dalle spire della paura,
più queste la stringevano, la intrappolavano serrandole la
gola in un groppo gelido. Si accorse che Altea le stava parlando solo
quando le mise una mano sulla spalla. Kimiya era al suo fianco, le
stritolava il braccio, tremando, il sudore che le imperlava la fronte e
le inumidiva i vestiti.
- Io e Kimiya rimaniamo qui, tu corri più veloce che puoi
fino alla tana e avverti gli altri. Dariush saprà aiutarci,
ne sono sicura. -
Abbozzò un sorriso e tentò di accarezzarle la
guancia, ma Nemeria si ritrasse bruscamente, scuotendo la testa.
- No, non esiste, tu e Kimiya non rimarrete con loro. -
- Nemeria, ti prego... -
- Non sai cosa vi faranno! È una mossa stupida! -
- Venire qui è stato stupido e adesso ne paghiamo le
conseguenze. Non è la prima volta che metto nei guai i
membri della famiglia, è giusto che mi prenda le
responsabilità della mia avventatezza. - si morse l'interno
della guancia e le porse le pergamene e i pastelli colorati, - Queste
dalle a Hirad, è importante che le riceva perché
torni a essere quello di una volta. -
A Nemeria non piacque il tono di quella conversazione. Sapeva di addio,
le ricordava le ultime parole che aveva scambiato con Etheram. Eppure
non riuscì a fare altro che scuotere la testa, evitando lo
sguardo supplice di Altea e Kimiya. Dentro di sé sapeva di
poter fare la differenza, che era suo dovere, ma la paura la
paralizzava, era la regina incontrastata della sua mente, la padrona
del suo corpo.
“Sei una codarda.”
- Tic, tac, topoline, tic, tac. Il tempo scarseggia, avete ancora
qualche minuto. - ricordò con un ghigno il capo dei Cani.
Altea le mise in mano la loro refurtiva e le diede un bacio sulla
fronte, passando un braccio attorno alle spalle di Kimiya.
- Ce la caveremo, te lo prometto. - sussurrò incoraggiante,
occhi negli occhi, le labbra arcuate in un sorriso, - Non devi avere
paura, Scoiattolo. La famiglia non ci abbandonerà, Dariush
verrà a salvarci. -
Nemeria avrebbe tanto voluto crederle, tornare alla tana, chiamare i
rinforzi e salvarle, come nelle storie che le raccontava Hediye.
Sarebbe stato un finale perfetto: la giustizia avrebbe trionfato, i
cattivi sarebbero corsi a nascondersi nell'oscurità e loro,
tutti loro, avrebbero trovato una fata in fondo alla grotta che avrebbe
restituito ciò che avevano perso. Ma quella non era una
favola. Per loro non c'era nessun lieto fine, l'istinto glielo
suggeriva e da tempo aveva imparato ad ascoltarlo.
Omeed e Zahra si allontanarono dal muro e si avvicinarono fino a che le
loro ombre non si sovrapposero a quelle di Kimiya e Altea.
- Allora, qual è la vostra scelta? - le interrogò
l'Alatfal'yl.
La Sha'ir scambiò un'ultima occhiata con Kimiya,
intrecciò le dita con le sue e trasse un profondo respiro,
indicando poi se stessa e la ragazza muta. Nemeria avvertì
le lacrime incastrarsi tra le ciglia.
“Non è giusto. Perché ho sempre paura?
Perché non riesco a far nulla?”
Il capo si sfregò le mani e fischiò tre volte: i
primi due fischi furono lunghi, l'ultimo breve. Dalle strade laterali
uscirono altri sette ragazzi. Senza rinfoderare i pugnali, scivolarono
silenziosi come gatti verso il loro capo con passi felpati. Con la luce
del sole calante alle loro spalle, sembravano ammantati
dell'oscurità stessa. Nemeria li fissò
pietrificata mentre le sfilavano di fianco senza degnarla di uno
sguardo, totalmente incuranti della sua presenza.
“Ho fallito... non ho salvato nessuno nemmeno questa
volta.”
- Ispezionatele, assicuratevi che non abbiano armi. Se oppongono
resistenza, non esitate a usare le maniere forti. - ordinò
il capo.
Altea gesticolò in direzione di Kimiya e anche lei
allargò braccia e gambe, lasciando che una ragazza con i
capelli ricci e il naso schiacciato la perquisisse. Nessuna delle due
osò fiatare, nemmeno quando Omeed, con la scusa di voler
ricontrollare, si soffermò più del necessario
sulle sue forme spigolose e quasi inesistenti.
- Bene, direi che non corriamo alcun rischio. Su, forza, andiamo. Voi
due in mezzo, sia mai che vi venga qualche strana idea. -
Diedero le spalle a Nemeria e tra gli sghignazzi e le battutine
cominciarono ad allontanarsi. Man mano che la distanza tra lei e loro
aumentava, il vuoto che Nemeria aveva nel petto diventava sempre
più insostenibile, una marea che le invadeva i polmoni, si
appropriava del suo ossigeno, si infilava nelle crepe del suo animo e
le allargava. Non aveva nemmeno la forza di piangere, sentiva
semplicemente di stare andando in pezzi.
- Aspettate. -
Un pigolio scivolò dalle sue labbra, così flebile
da essere disperso dalla brezza della sera. Corse verso di loro, le
pergamene e i pastelli stretti al petto e il respiro che le raschiava
la gola.
- Fermi! -
La ragazza che aveva perquisito Altea si girò di scatto,
puntandole il coltellaccio alla gola. Aveva un bel viso, un ovale
perfettamente incorniciato dai riccioli ribelli.
- Lasciatele andare. Io... verrò io al loro posto. -
- Nemeria, no! -
Altea tentò di avvicinarsi, ma Zahra le artigliò
il braccio, trattenendola senza sforzo. Bastò una sua
occhiata per ridurla al silenzio. La voce della ragazza era fredda e
dura come il ferro quando parlò.
- Ha chiesto due ostaggi, non uno. A meno che tu non valga molto di
più dei nostri due ostaggi, tra cui annoveriamo la donna del
vostro capo, dubito che si possa effettuare uno scambio. -
Nemeria si affannò a trovare una soluzione. Cosa poteva
offrire? Puntò lo sguardo sui suoi piedi, domandandosi cosa
l'avesse spinta a compiere un gesto tanto stupido. Non esitare.
All'improvviso le parve di sentire il calore dell'elementale attorno al
corpo, il suo petto che aderiva alla schiena mentre l'abbracciava. Sii il fuoco, Nemeria.
Le sue parole accesero un incendio nel suo sterno e riesumarono la
brace che la paura aveva seppellito sotto il suo manto di cenere. E
mentre l'elementale le ripeteva quell'incoraggiamento all'orecchio,
Nemeria rialzò la testa.
- Valgo molto più di loro due. -
Era incerta, c'era una parte di lei che non era ancora convinta di
quello che stava facendo, ma non le permise di fermarla.
Aprì le dita e la refurtiva cadde a terra. Lasciò
che le fiamme fluissero libere nel suo sangue, le mani tese innanzi a
sé, ed esse si materializzarono in una fiammella sui palmi.
Calò il silenzio. Tutta l'attenzione dei presenti ora era su
di lei, i loro sguardi che saettavano a destra e a sinistra, per poi
tornare a posarsi su quel fuocherello che crepitava a meno di un
pollice dalla sua pelle senza aggredirla o bruciarla. Persino Zahra la
fissava attonita.
- Una Dominatrice del fuoco. - il capo sbucò da dietro Omeed
e le scoccò un'occhiata interessata, - Raro, davvero molto
raro. Solo i Falchi ne contano uno tra le loro fila. -
- Deve essere uno scherzo, l'unico Dominatore della loro banda
è Dariush. - sibilò l'Alatfal'yl.
La ragazza che le aveva puntato contro il coltellaccio la
squadrò da capo a piedi e prese a girarle attorno, annusando
l'aria. Nemeria la seguì con la coda dell'occhio, rigida
come un tronco.
- No, non mi sembra ci sia nessun trucco. Domina davvero il fuoco,
Abayomi, guardala bene. -
Il capo si avvicinò così tanto che Nemeria
poté percepire il suo alito umido sulla pelle. Sapeva di
pesce andato a male e aglio.
- Siamo davvero fortunati, Ana. Non ho nemmeno mai visto un Dominatore
con degli occhi così. - bisbigliò eccitato,
quindi scrutò dapprima i suoi sottoposti e poi si rivolse ad
Altea e Kimiya, - Quante cose che ci hanno nascosto queste topoline...
-
- Loro non sapevano nulla, gliel'ho tenuto segreto. -
ribatté in fretta Nemeria.
- E come mai? Dovrebbero averti spiegato quanto sia importante per
quelli come noi avere un Dominatore nella banda. -
La fiammella diminuì d'intensità, non sovrastava
nemmeno le sue dita. La pietra di luna si scaldò appena.
- Avevo... avevo paura che se lo avessero scoperto, mi avrebbero
mandata nell'arena. - confessò e guardò oltre le
spalle di Abayomi, scontrandosi con l'espressione ferita e delusa di
Altea.
Nemeria percepì una fitta acuta al petto, come una
pugnalata. Osservò l'amica scuotere debolmente la testa e fu
come se una voragine si aprisse sotto i suoi piedi per inghiottirla.
- Bah, non è importante. - fece un cenno del capo a Zahra, -
Lasciale andare e prendi lei. -
L'Alatfal'yl le spinse via e si fece largo verso di lei. Il potere
dell'elementale le aveva scorticato la pelle fin sotto la mandibola e
ora essa era costituita da un assembramento di pietre scure
lucidissime. Quando le afferrò il braccio, glielo strinse
così forte che la fiamma nelle sue mani si spense. La
temperatura della pietra di luna salì assieme alla sua
voglia di bruciarle la faccia.
- Un passo falso e Zahra ti spacca la testa, piccola dominatrice. - le
soffiò Abayomi all'orecchio, poi, rapido come una serpe,
sfoderò un coltello da sotto la tunica e afferrò
Kimiya, - Anzi, credo che prima si occuperà della tua amica
e poi di te. -
- Non era nei patti questo. - ringhiò Nemeria.
- Le clausole possono cambiare molto rapidamente. Bene, Altea, allora
sarai tu il nostro messaggero. I termini per riavere le vostre amiche
sono gli stessi e il tempo non è variato. Ti conviene
correre, la strada da qui al tuo Quartiere è lunga. -
Altea annuì, raccolse pergamene e pastelli e fece per
andarsene, ma esitò. Sebbene le desse le spalle e ci fossero
almeno tre persone in mezzo, Nemeria poté sentire il suo
sguardo trafiggerle la schiena, il peso della sua delusione che gettava
acqua sulla sua rabbia, sul suo coraggio. Quando trovò la
forza di girarsi, la Sha'ir era già sparita.
*
Camminarono a lungo, Nemeria non seppe capire con certezza per quanto.
Quando arrivarono alla base dei Cani il sole era tramontato da un
pezzo.
Si erano appropriati di un palazzo fatiscente alla periferia della
città, con la facciata ricoperta di crepe e rampicanti
bruciati dal sole che ne avevano fatto la loro dimora. La maggior parte
delle finestre erano rotte e le ante cigolavano al vento, sarebbe
bastato una folata un po' più forte per farle precipitare al
suolo. Della porta non era rimasto altro che una rientranza nella
parete con diverse assi di legno accatastate le une sulle altre.
A Nemeria venne spontaneo domandarsi come sarebbero entrati, quando
deviarono il percorso e si infilarono in una stradina secondaria
così stretta che dovettero procedere in fila indiana, con le
spalle che strusciavano contro la pietra del palazzo vicino. Passarono
attraverso un buco tra due assi e sbucarono in un giardino invaso dalla
sterpaglia, con un pozzo dimenticato in un angolo e una costruzione di
legno traballante dieci passi più in là.
Zahra la strattonò verso una porticina incassata e Nemeria
non oppose resistenza, sebbene sentisse le mani in fiamme.
L'interno era quasi più vuoto della loro tana. Era una sola
grande stanza, con un paio di scaffalature che fuoriuscivano
direttamente dai muri di pietra, alcune lampade ad olio sparse qua e
là anche sul pavimento e i materassi ammassati contro le
pareti. Nemeria ne contò una quindicina, tutti con ciuffi di
fieno e lana che spuntavano da diversi buchi. Vide una ragazza e un
qazam che stavano apparecchiando la tavola, un'asse di legno che si
reggeva su quattro gambe abborracciate, mentre uno Jarkut'id
li fissava dal fondo della stanza appoggiato al muro, alla
sinistra di una porta chiusa. Aveva i capelli bianchi raccolti in una
coda laterale e le orecchie si allungavano verso l'alto, con la punta
che sporgeva di mezzo pollice sopra la testa. Vedendo l'espressione
stupita di Nemeria, alzò un sopracciglio e la
seguì con lo sguardo finché sia lei che Kimiya
non furono davanti a lui.
- Chi sono? -
Aveva una voce bassa, baritonale, molto più adulta di quanto
Nemeria si aspettasse.
- Le nostre nuove ospiti. Abayomi vuole che le teniamo in cantina. Ti
dirò i dettagli più tardi, adesso andiamo di
sotto. - rispose Zahra.
Lo Jarkut'id annuì, sfilò il mazzo di chiavi che
portava alla cintola e aprì la porta. Una scala a malapena
illuminata si inoltrava nell'oscurità. C'era
umidità nell'aria e un folto pelame di muschio si era
insediato negli angoli del soffitto e tra uno scalino e l'altro. Un
ragno stava smembrando uno scarafaggio, uno dei tanti che zampettavano
in giro.
Nemeria trasse un profondo respiro e mentre scendevano cercò
di ignorarli e non prestare attenzione al rumore che facevano sotto la
suola dei suoi sandali quando li pestava. Kimiya sembrava ancora
più terrorizzata di lei, era così rigida che il
ragazzo che la scortava dovette più di una volta
costringerla con la forza a proseguire. Quando giunsero nella cantina,
uno spazio poco più piccolo del piano superiore con una
finestra sbarrata, si aggrappò al suo braccio per non farsi
incatenare al muro. Ci volle l'intervento dello Jarkut'id per tenerla
abbastanza ferma da stringerle il collare alla gola.
- Allora, vi spiego le regole. - Zahra si accucciò davanti a
entrambe, le braccia poggiate sulle ginocchia, - Non lamentatevi, non
urlate, non tentate di scappare. Nessuno potrà sentirvi e
noi riusciremmo a ritrovarvi ancor prima che riusciate ad abbandonare
il Quartiere. A breve vi sarà servita la cena e l'acqua.
Fatevela bastare fino a domani mattina, non abbiamo intenzione di
spenderne più del necessario per due prigioniere che forse
moriranno. E tu... - diresse il suo sguardo su Nemeria, - prova anche
solo uno dei tuoi scherzetti col fuoco e la tua amica sarà
la prima a pagarne le conseguenze. -
Nemeria tacque. Aveva i sudori freddi e i palmi delle mani umidicci, ma
si impose di non distogliere lo sguardo. Non voleva mostrarsi debole,
non poteva permetterselo, non in quel momento, in cui era in gioco sia
la sua vita che quella di Kimiya.
Zahra ghignò. La pelle si era richiusa, senza lasciare alcun
segno se non le vene rosse che brillavano appena nella
semioscurità.
- Rimarrò io a fare la guardia. - intervenne lo Jarkut'id.
- Eh? Perché? Pensi che non sarei capace di contenere le
fiamme di questa bimbetta qui? - Zahra si alzò e
abbracciò con lo sguardo la stanza, - Il'ya, questo
è il mio regno, c'è pietra e terra ovunque, non
avrebbe speranze contro di me. -
- Mi sembra che tu l'abbia presa in antipatia e l'ultima volta che
è successo qualcuno si è guadagnato una mandibola
rotta e l'osso del collo spezzato. Non so perché tu e il
capo l'abbiate portate qui, ma immagino che debbano rimanere vive.
Ognuno ha il suo ruolo. Io sorveglio i prigionieri, tu la vita di
Abayomi. -
Zahra schioccò la lingua, irritata: - Va bene, va bene. Sei
tu il padrone della cantina. -
Il'ya fece spallucce, senza raccogliere le provocazione.
- Faraz, vai a prendere l'acqua e porta la cena di sotto. Riferisci al
capo che ci sono io a tenere d'occhio le prigioniere. -
ordinò l'uomo.
Il ragazzo che aveva scortato Kimiya, rimasto in disparte fino a quel
momento, annuì e scattò subito su per le scale.
Zahra rimase ancora un momento a fissare Il'ya. Alla fine, arresa, fece
la curva larga per passargli abbastanza vicino. Nemeria la vide
sussurrargli qualcosa all'orecchio, un sorriso raccapricciante sulle
labbra che le fece accapponare la pelle. Non riuscì a non
abbandonarsi a un sospiro di sollievo quando udì il suono
della porta che si chiudeva ed ebbe l'impressione che anche Il'ya si
sentisse più tranquillo. Kimiya invece si era raggomitolata
contro la parete, le ginocchia strette al petto. Sussultava a ogni
ombra, a ogni insetto che le passava davanti. Aveva gli occhi
spalancati, come spiritati, e si ritrasse non appena Nemeria la
sfiorò, schiaffeggiandole via la mano.
- So che sei arrabbiata perché ti ho nascosto che ero una
Dominatrice, ma ti prego, non fare così... -
Nemeria tentò nuovamente di toccarla, ma la sua amica le
spinse via, si schiacciò contro la parete e la
inchiodò col suo sguardo accusatore. Anche se non poteva
parlare, i suoi occhi bastavano a dar voce a tutto il suo odio e
disprezzo.
- Non ti vede. -
Il'ya fece tre passi verso di loro, abbastanza perché la
luce obliqua della luna lo investisse. Aveva le sopracciglia
così lunghe da sembrare delle piccole code bianche, mentre
gli occhi erano cangianti, bastava che inclinasse la testa
perché prevalesse il rosso sul giallo o l'azzurro sul verde.
- Non è cieca. Ci vede benissimo. -
- Non intendevo nel senso letterale del termine. Quello che i suoi
occhi stanno guardando non è la stessa realtà che
stai guardando tu. -
Kimiya si dondolava avanti e indietro con la fronte appoggiata alle
ginocchia. Sembrava ancora più esile, ancora più
fragile, una bambina spaventata dai mostri nel buio. Se soltanto le
avesse permesso di abbracciarla, forse...
- Non avresti potuto fare granché. È questo
posto, questo buio a farle questo effetto. -
- Ne parli come se la conoscessi. -
- Ho superato i centodieci anni da un po', ho visto molte cose. -
“Per la Madre, più di un secolo di
vita!”
Nemeria gli scoccò un'occhiata incredula, senza parole. Le
donne della tribù, quelle che diventavano Jinian, erano
longeve – l'Alta Sacerdotessa si pensava avesse quasi un
millennio sulle spalle –, ma non pensava che esistessero
mortali che potessero arrivare oltre quattro o cinque decadi. Forse gli
Sha'ir, ma Altea sembrava tutto fuorché vecchia.
Il'ya abbozzò un sorriso e i suoi occhi senza iride virarono
verso un azzurro chiaro.
- Non tutti i miei fratelli sono come me. Sono ben pochi quelli che
hanno preservato questo dono. Piuttosto, per essere una semplice umana,
tu sei alquanto particolare. -
- Non sei il primo a dirmelo. -
Lo Jarkut'id girò la testa in direzione della porta e subito
tornò ad appoggiarsi alla parete. Un attimo più
tardi, uno spostamento d'aria seguito da passi cadenzati
annunciò l'arrivo di Faraz. Portava un'anfora d'argilla tra
le braccia e, impilati sul collo tozzo, un piatto con un pezzo di pane
nero, una fetta di formaggio e due borek striminziti.
- E la mia cena? - chiese Il'ya.
- Non l'ho portata, pensavo mangiassi su con noi. -
- E chi le sorveglierà? -
Faraz scosse la testa: - Non lo so, ma il capo ha detto che ti vuole su
per discutere. -
- Arrivo subito. -
Porse a Nemeria il piatto e le lasciò l'anfora vicino, gli
occhi cangianti fissi in quelli di lei. Indugiò un solo
istante prima di seguire il suo compagno al piano di sopra.
Nemeria prese il pane, lo spezzò in due e ne ripose
metà nel piatto. Si rese conto di avere fame quando
ingoiò il primo boccone e dovette imporsi di non azzannare
anche il resto, soprattutto il borek. A discapito di quel che aveva
pensato, era delizioso. Osservò Kimiya, la quale non
sembrava aver notato nulla.
- Non vuoi mangiare? - le parlò con tono gentile e le
avvicinò il piatto, stando bene attenta a mantenere una
certa distanza, - Ti farà bene dopo tutta la camminata che
abbiamo fatto. -
La ragazza non si smosse. Che fosse davvero come diceva quello strano
Sha'ir? Che avesse perso la capacità di vedere? Si
avvicinò ancora un po', si mise il piatto tra le gambe e le
mise una fetta di formaggio sul pane.
- È duro, lo so, però non dovresti digiunare. -
gliela allungò e negli occhi di Kimiya parve accendersi una
scintilla di vita, - Ho già fatto tutto io, vedi? Tu
però devi mangiare, sennò poi ti indebolisci. -
Kimiya esitò e Nemeria temette che sarebbe di nuovo
ripiombata in quello stato catatonico. Sospirò sollevata
quando dopo un po' l'amica afferrò la fetta di pane e la
addentò.
- Non è cattivo, no? Non è una porzione, ma
almeno è mangiabile. -
Kimiya annuì appena. Aveva perso lo sguardo accusatorio di
prima, e anche se non era totalmente presente a se stessa, quantomeno
sembrava ascoltarla.
- Mi dispiace non avervi detto nulla. Non è che non mi
fidassi, ma non sapevo come avreste reagito e ho avuto paura che non mi
avreste accettata. - le spiegò Nemeria con un fil di voce, -
So che sono stata stupida, ma spero che riuscirete a perdonarmi. -
La ragazza si pulì l'angolo della bocca col dorso della mano
e le rivolse un'occhiata in tralice, che Nemeria non seppe come
interpretare. Si sentiva sporca, colpevole, soprattutto
perché neppure in quell'occasione poteva dire la
verità. Mai avrebbe pensato che fosse così
logorante mantenere un segreto.
- Mi dispiace... davvero tanto... - ripeté senza
più la forza di sostenere quello sguardo.
La porta si spalancò e Il'ya e Faraz si precipitarono
giù dalle scale.
- Alzatevi, dovete venire con noi. - ordinò lo Jarkut'id.
- Dove andiamo? -
- Non fare domande, bambina. -
Faraz costrinse Kimiya in piedi senza troppe cerimonie. Come una
bambola di pezza, la ragazza obbedì, gli occhi di nuovo
fissi nel vuoto. Il'ya non fece alcun commento, si limitò a
mantenere il contatto visivo con Nemeria. Lei capì subito
che la stava mettendo in guardia. A fatica, aprì e chiuse le
dita un paio di volte e rimase immobile finché non le tolse
la catena. Si impose di non perdere la calma.
Tornò al piano di sopra, dove Abayomi, Ana, la ragazza che
le aveva puntato il coltello, Zahra e Omeed li attendevano. Uscirono
dalla porta sul retro, le prigioniere l'una a fianco all'altra,
sorvegliate da Il'ya e Faraz che procedevano dietro di loro.
Nessuno disse nulla per tutto il tragitto. A Nemeria tutte le strade di
Kalaspirit sembravano uguali, e senza l'aiuto della luce per lei era
impossibile orientarsi. Scorse in lontananza il profilo illuminato di
un anfiteatro, ma non ebbe il tempo di pensarci troppo.
Abayomi intimò a tutti di fermarsi. Due uomini sorvegliavano
l'entra di un edificio in tufo senza finestre, alto poco più
di cinque braccia. Non aveva niente di particolare e Nemeria ci sarebbe
girata al largo se ci fosse passata vicino a quell'ora della sera.
- Siete qui per un rinfrescarvi? - domandò uno degli
energumeni.
Abayomi sogghignò e gli mostrò una conchiglia
rossa con un'ancora incisa sul dorso.
- Sì, fa molto caldo. - rispose e l'uomo gli fece un cenno
con la testa.
Scesero una lunga gradinata illuminata da lampade a olio. Nemeria non
riusciva a vedere bene e quella parziale cecità
l'angustiava. Il'ya strinse appena la presa sul suo braccio, come per
confortarla, ma non fece altro che accentuare la sua inquietudine.
D'istinto, serrò la mano attorno alla pietra di luna e
gettò un'occhiata a Kimiya, notando la sua espressione
assente.
“Mantieni la calma. Resta calma.”
Alla fine delle scale, il gruppo si aprì a ventaglio e
quello che Nemeria vide la lasciò senza fiato. Alla luce di
decine e decine di torce, si espandeva nella penombra una grande
cisterna. Era divisa in tre navate con più di quaranta
pilastri a sostenere un soffitto a botte. Le vasche si innalzavano fino
al soffitto e anche oltre, con varie scale addossate alle pareti che
serpeggiavano nei piani superiori. Le chiuse e le funi che le
sorreggevano giacevano dimenticate all'interno, con i catenacci
divorati dalla ruggine abbandonati sui bordi. Doveva essere stato un
impianto imponente, un tempo.
Addossate in fondo, quasi indistinte alla luce delle torce, c'erano
delle baracche di legno con una tettoia pericolante, da cui uomini e
donne entravano e uscivano con vestiti diversi.
- Benvenuta nell'arena, piccola fiammella. Non è certo come
quella ufficiale, ma d'altronde nelle nostre condizioni ci si deve
accontentare. - ridacchiò Abayomi e con lui anche Zahra, -
Dunque, ti starai chiedendo perché ti abbiamo portata qui. -
Nemeria immaginava quale fosse il motivo.
- Come ben sai, i Dominatori sono l'attrazione principale delle arene.
Ora, noi abbiamo sempre scommesso sulla nostra amata Zahra e lei non ci
ha mai deluso, ma ormai il pubblico la conosce e quasi si annoia a
vederla combattere. - diede una pacca sulla spalla all'Alatfal'yl e poi
tornò su di lei, - Ma tu sei una novità. Nessuno
qui ha mai visto una Dominatrice del fuoco, tanto più della
tua età. Hai idea di quanti scommetteranno su di te non
appena vedranno le tue fiamme? -
- Non farò mai una cosa del genere. Non... non ho intenzione
di combattere per appesantire le tue tasche. - si divincolò
dalla presa di Il'ya e riuscì ad avvicinarsi quel tanto che
bastava per puntargli addosso un dito, - Dovrai obbligarmi con la
forza. -
- Immaginavo una risposta del genere. E sono sicuro che se la tua amica
fosse in pericolo non esiteresti a obbedire. -
Come se non avesse atteso altro, Omeed si avvicinò alle
spalle di Kimiya e l'accarezzò lascivamente da poco sopra il
ginocchio fino alla coscia, sollevando nella sua strada la tunica.
La pietra di luna divenne incandescente.
- Toglile le mani di dosso. - gracchiò Nemeria, furiosa.
- Lo farà solo se io glielo ordinerò e questo
accadrà a condizione che tu salga su quel palco. - Abayomi
schioccò la lingua e storse le labbra in un mezzo sorriso, -
Cosa pensi di fare? Lasci la tua amica alle cure di Omeed, oppure
obbedisci da brava? -
Nemeria aveva le mani roventi, i polmoni in fiamme, il sangue e la
pelle bollenti. Doveva bruciarlo, ridurlo in cenere. Scorse con la coda
dell'occhio Il'ya stringere i denti e sperò con tutta se
stessa che perdesse la presa. Forse fu il suo sguardo omicida ad
allertare Zahra, perché subito la Dominatrice si frappose
tra lei e il suo capo.
- Non la stuzzicate troppo, non sappiamo come potrebbe reagire. -
- Non ti preoccupare, finché avremo la sua compagna tra le
mani non farà nulla, vero? Perché lei
è una bambina intelligente, sa cosa deve e non deve fare in
certe situazioni. -
La ragazza fece spallucce e si appoggiò a uno dei pilastri.
Nemeria si morse le labbra e inspirò profondamente. Omeed
continuava ad accarezzare Kimiya, senza che questa facesse nulla per
opporsi alle sue attenzioni. Era una bambola svuotata, inerme.
- Io... - serrò i pugni, - Va bene, accetto. -
- Non era una scelta difficile. - Abayomi schioccò le dita e
subito Omeed si allontanò, - Allora, le regole sono queste:
non è importante se vinci o perdi, devi far divertire il
pubblico. Se vai a terra dopo il primo pugno, ti assicuro che la tua
amica sarà l'ultimo dei tuoi problemi. Ora io
andrò a parlare con gli organizzatori. Non fare nulla di
strano, altrimenti ci saranno conseguenze spiacevoli e noi siamo venuti
qui per goderci una serata in compagnia. -
Non appena si allontanò, Nemeria afferrò Kimiya e
l'abbracciò forte. L'altra non rispose in alcun modo
né ricambiò, ma saperla lì vicina le
diede la forza di calmarsi. Mai avrebbe pensato che, un giorno, sarebbe
stata lei a difendere qualcuno.
- Le vuoi molto bene. - commentò Il'ya.
Aveva mollato la presa e Nemeria si avvide che si stava massaggiando la
mano. Erano apparse diverse bolle sull'epidermide e il palmo era
terribilmente arrossato.
Nemeria non si degnò di rispondere. Non si poteva definire
affetto quello che provava, però non poteva sopportare di
vederla trattata così, come un semplice pezzo di carne.
- C'è la possibilità che i Dominatori che
combattono vengano catturati da Tyrron? -
- Ovvio che c'è, per questo l'arena ogni mese si sposta. -
intervenne Ana e si avvicinò.
Portava il pugnale in bella vista e si guardava circospetta intorno, le
dita sempre vicino all'elsa. L'attenzione di Zahra era rivolta altrove,
concentrata sull'incontro che si stava svolgendo, e solo di tanto in
tanto si ricordava che doveva sorvegliarla. Probabilmente non la
credeva così coraggiosa da scatenare il suo potere.
- Guardati bene da lei, non è una da sottovalutare. - Ana
abbassò la voce e si fermò al suo fianco, la
testa rivolta dall'altra parte, - Ha una crudeltà innata e
prova piacere nel far soffrire gli altri, soprattutto chi non sa
difendersi. Quando l'affronterai, stai attenta. -
Un brivido freddo le intorpidì i muscoli della faccia. Si
scostò appena da Kimiya, deglutendo nervosa.
- Contro Zahra? - esalò.
- Sì. Abayomi vuole far soldi stasera, per questo ti dico di
stare attenta. -
- Perché mi stai aiutando? Cosa ci guadagni? -
- Nulla, solo non ci piace l'andazzo che ha preso il capo nell'ultimo
periodo. Prima non eravamo così. - disse Il'ya e nella sua
voce Nemeria avvertì una nota malinconica.
- E allora perché non ve ne andate? Perché
rimanete con un capo che detestate? -
Era la stessa domanda che si poneva spesso, da quando era diventata
parte della Famiglia, e sebbene in fondo al cuore conoscesse
già la risposta, non riusciva ad accettarla. Ci doveva
essere un altro motivo, una ragione di fondo che non riusciva a
comprendere.
Ana arcuò le labbra in un sorriso amaro e Il'ya distolse lo
sguardo.
- La vita è fatta di compromessi. Prima lo impari, meglio
è. -
- Forza, forza, è il momento di farsi valere! -
abbaiò Abayomi, gli altri ragazzi qualche passo dietro di
lui, - Ho convinto l'organizzatore a farvi combattere adesso. Fate
spettacolo, non deludetemi. Zahra, vacci piano, l'incontro deve durare.
-
La Dominatrice sbuffò.
- Per quello che riguarda la nostra fiammella... sai come ti devi
comportare. - aggiunse il capo con un sorriso sghembo e minaccioso.
Nemeria non ribatté, non gli avrebbe dato la soddisfazione
di vederla tremare in preda al terrore. E non si sarebbe lasciata
sconfiggere facilmente, avrebbe combattuto fino alla fine, lo doveva ad
Altea, a Kimiya e a Noriko. Mentre seguiva Zahra dentro il quadrato
rosso, le tornò in mente ciò che Noriko le aveva
detto prima di uscire in ricognizione quella mattina, tutte le sue
raccomandazioni. Chissà come avrebbe reagito a saperle in
mano ai Cani.
I partecipanti dei vari gruppi e i diversi combattenti erano assiepati
attorno al palco. Bramavano violenza, desideravano il sangue. Alcuni di
loro avevano il naso e le labbra spaccate ancora gonfie, altri avevano
le nocche scorticate e i capillari degli occhi scoppiati, con la sclera
che aveva assunto una tinta scarlatta. Erano bestie, non uomini.
- Signore, conoscete le regole. Niente armi od oggetti appuntiti, si
vince se l'avversario non è più in grado di
combattere o se dichiara la resa. - espose l'arbitro, un ometto dagli
occhi glauchi e il mento appuntito, poi le squadrò entrambe
e dopo una pausa a effetto uscì dal campo. Cosa sei tu
Le soffio l'elementale all'orecchio.
Nemeria guardò Zahra, quindi ispezionò il
pubblico e infine si focalizzò brevemente su Kimiya,
avvertendo la furia montare dentro di sé. Non appena
incrociò di nuovo lo sguardo iniettato di sangue della sua
avversaria, tirò su i pugni e si mise in guardia.
- Io sono il fuoco. - sibilò tra i denti.
"Mai
confondere una singola sconfitta con una sconfitta definitiva."
Francis
Scott Fitzgerald.
Il pubblico rumoreggiava,
trepidava elettrizzato e feroce in attesa che il combattimento
cominciasse. Erano tutti assembrati ai margini del palco, spettatori e
combattenti, a uno o due passi dalle linee rosse. Persino l'arbitro si
teneva a debita distanza.
L'odore di sudore, sangue, vomito e umidità era
così intenso da farle girare la testa, le invadeva la gola e
le narici privandola dell'ossigeno necessario per essere lucida. Zahra
le girava attorno, fissandola con i suoi occhi di bragia,
più rossi delle linee di delimitazione, più scuri
del ferro ossidato. Nemeria la seguiva con la coda dell'occhio, i pugni
ben alzati a proteggere il viso e i gomiti vicini al corpo. Non era
brava a fare a botte, le poche volte che non era riuscita ad evitare il
conflitto ne era sempre uscita perdente. Non era una guerriera.
- Cosa preferite? - Zahra aprì le braccia e
incitò il pubblico, - Volete che la massacri a suon di pugni
come semplice Alatfal'yl o volete che sfoderi il mio potere? -
- Potere! -
- Vogliamo vedere i Dominatori! -
- Ho pagato per vedere i Dominatori, non due mocciose che si prendono a
schiaffi! -
- E sia. - sibilò Zahra suadente e si scrocchiò
il collo.
Com'era successo quel pomeriggio, la pelle si spaccò e venne
sostituita dallo strato di rocce nere, che, come creature piccole e
indipendenti, presero a moltiplicarsi, sdoppiandosi e ammassandosi
sulle mani fino a costituire dei guanti di pietra. D'istinto Nemeria
indietreggiò.
- Hai paura? - Zahra riprese ad ancheggiare attorno a lei, gli occhi
che brillavano nella semioscurità, - Non ti preoccupare,
fiammella, non ti ucciderò. È contro le regole. -
Un altro passo indietro. Alcuni tra il pubblico fischiavano, sputavano
insulti. Nemeria si sforzò di ignorarli e al tempo stesso
tentò di ricordare le lezioni di lotta di Fakhri, le sue
raccomandazioni, i suoi consigli.
Non vide arrivare il pugno. Si ritrovò a terra, la guancia
contro la pietra e il sapore del sangue, del suo sangue, in bocca.
- Cazzo, che colpo. -
- Zahra, vacci piano o la rompi davvero. -
- Macché, continua così! -
La prima voce scoppiò in una risata sguaiata, e le altre la
seguirono a ruota. Nemeria si puntellò sulle ginocchia, fece
forza sulle braccia per mettersi a carponi e strinse i denti. Le faceva
male tutta la faccia, ogni singolo centimetro di pelle era in fiamme.
- Sono sorpresa, pensavo non ti rialzassi più. -
Zahra l'afferrò per la spalla e la costrinse a inarcarsi. Il
respiro era spezzato e la vista sfocata. L'unica cosa nitida erano gli
occhi di Zahra e le sue labbra nere schiuse sui denti scheggiati.
- Di solito mando tutti al tappeto dopo il primo o il secondo colpo.
È divertente vedere questi qui eccitarsi alle prime gocce di
sangue. - commentò divertita.
Le unghie affondarono nel tessuto, lo bucarono e si aprirono la strada
nella carne viva. Nemeria urlò, si divincolò, ma
più si muoveva più la ferita si allargava, la
pelle si slargava come un vecchio vestito.
- Potrei arrivare fino all'osso e strappartelo. Una volta l'ho fatto e
il mio avversario ha smesso di venire agli incontri. Mi hanno riferito
che adesso si sveglia di notte gridando e con il materasso bagnato del
suo piscio. -
La sbatté a terra con violenza. Nemeria riuscì a
non crollare di faccia solo perché ebbe i riflessi di
mettere le mani avanti.
- Su, piccola fiammella, alzati. Sono tutti qui per te, per vedere il
tuo potere e la tua potenza. - la spronò per poi volgere
l'attenzione verso gli astanti, - Pubblico, fate sentire il vostro
incoraggiamento, su! Non vedete? La nostra Dominatrice è
timida, non vuole mostrarci di cosa è capace. Sono certa che
se le farete sentire il vostro calore, si impegnerà di
più. -
Qualcuno ridacchiò, ma poi un coro di incitazioni si
levò alto. Il terreno cominciò a tremare sotto il
battito sincrono dei loro piedi.
- Meno parole, più botte! -
- Non abbiamo pagato per sentire chiacchiere! -
- Piegala, rompila, spezzala! - risposero altri in coro,
Nemeria non sapeva se quell'incitamento era rivolto a lei o a Zahra.
Riuscì a mettersi in ginocchio, poggiò il piede
sinistro in avanti e fece perno sul destro per issarsi. Non si era
ancora rimessa in piedi che Zahra la colpì con una
ginocchiata alla bocca dello stomaco, tanto forte da sollevarla appena
da terra. Nemeria sputò la poca aria che aveva in corpo e si
accasciò di nuovo tenendosi la pancia. Uno spasmo e si
accartocciò su se stessa, vomitando la cena.
Urla, fischi e risate si alzarono dal pubblico.
- Mi sporchi il palco così, fiammella. - la
schernì l'avversaria.
Un calcio al fianco, e un altro e un altro ancora. Le prime costole
scricchiolarono e infine cedettero di schianto. Il dolore
accecò Nemeria, si diffuse come una scarica elettrica in
tutto il corpo e la inchiodò a terra.
- Peccato che non hai capelli, sarebbe stato comodo usarti come
straccio. -
Ridendo, Zahra le artigliò la nuca e la costrinse
giù, proprio sulla pozza di vomito. Se avesse avuto altro
nello stomaco, Nemeria lo avrebbe rigurgitato adesso.
Il pubblico ululava, batteva i piedi e le mani a ritmo, un marasma
cacofonico di voci che si fondevano in una sola.
- Piegala, rompila, spezzala! -
Zahra allentò la presa e per un istante Nemeria
pensò di avere una chance, di potercela fare. Non aveva
nemmeno appoggiato i palmi sul pavimento che la mano si
serrò di nuovo e la Dominatrice la sbatté la
faccia contro la pietra. Già al primo colpo, il naso si
ruppe e il sangue le si riversò in gola, caldo e denso come
olio bollente. Le viscere si contrassero con violenza, ma tutto quello
che poteva vomitare era già lì, sul suo viso e
sui suoi vestiti.
“Non ce la faccio...”
- Usa il tuo maledetto potere, forza! -
La obbligò supina e si sedette sopra il suo bacino. La
colpì sulle braccia, sul volto, sulla testa, accanendosi con
una furia bestiale. Nemeria sentiva ogni pugno vibrarle nelle ossa,
spaccandole i pensieri e strappandole le energie. Uno le ruppe lo
zigomo e un altro due denti, li mandò in pezzi con una tale
violenza che alcuni frammenti le si conficcarono nella lingua. La
cisterna era sparita, non c'era altro che dolore e una cortina di
nebbia rossa che oscurava ogni cosa.
- La bambina non è più in grado di difendersi,
basta! -
La voce dell'arbitro era lontana, era come se provenisse da sotto
l'acqua.
- Cazzo, fermatela, così l'ammazza! -
Un rapido rumore di passi, agitazione, caos. Un pugno le
arrivò all'orecchio e i suoni si unirono in un fastidioso
ronzio.
- Porca puttana, Zahra, ora basta! -
Qualcuno le pestò la mano, ma era solo una fastidiosa
pressione in confronto all'incendio che era il suo corpo. La sua
avversaria si dimenò sopra di lei, scalciò,
ringhiò. Nemeria vide la sua ombra protendersi per colpirla
di nuovo, ma altre due figure la trattennero e la trascinarono via.
“Sei debole, non potrai mai salvare nessuno.”
Quella considerazione squarciò per un istante il velo che le
avvolgeva gli occhi. Era più dolorosa di tutte i calci, di
tutti i pugni, di tutte le botte che aveva ricevuto. Si sarebbe
abbandonata al pianto se solo le fossero rimaste le lacrime. Nemmeno la
bile le era rimasta, solo il sapore acido del vomito mischiato al
sangue.
Delle mani l'afferrarono sotto le ascelle e sotto i piedi. Quando la
sollevarono da terra, senza quasi più la percezione di avere
un corpo, Nemeria perse conoscenza.
Camminava sul fondo del mare. Pesci viola, rossi, gialli,
argentei e di tutti i colori le passavano accanto. A volte la
sfioravano con le code o le pinne e fuggivano via, nuotando veloci, non
appena tentava di acchiapparli. La luce penetrava attraverso la
superficie in fasci brillanti che doravano la sabbia, rischiaravano le
grotte e tratteggiavano il profilo delicato dei clivi e dei suoi
abitanti, anemoni viola, dimore di piccoli pesci pagliaccio, e delle
alghe che ondeggiavano sospinte dalle correnti. Una barriera corallina si estendevano a perdita d'occhio ben
oltre il suo campo visivo. Nemeria riuscì a scorgerne solo
una minima parte. Lo spettacolo dii coralli simili a rami, ventagli di
pizzo, funghi, margherite e fiori da campo era sufficiente a lasciarla
a bocca aperta. Sorrise inginocchiandosi per osservarne uno da vicino. Quando
allungò la mano per sfiorarlo, un piccolo ippocampo si
protese da un anemone rosso e cominciò a girarle intorno.
Aveva gli occhi azzurri e la cresta dello stesso colore. Nemeria rise e
tentò di acchiapparlo. Non le sembrava strano essere lì, anzi, si sentiva
a casa. Non capiva come fosse possibile, eppure inconsciamente sapeva
che non c'era alcun pericolo. Per un attimo si chiese se la Madre
l'avesse accolta tra le sue braccia. Il cavalluccio marino si fermò davanti al suo naso
e colpì la punta con la coda. Nemeria allungò il
dito e questi si attorcigliò con la coda attorno
all'anulare, cominciando a tirarla. - Va bene, va bene, ti seguo! - La sabbia sotto i piedi era morbida, tiepida, le si infilava
tra le dita e le faceva il solletico, mentre la corrente le gonfiava la
tunica a ogni passo. Non capiva dove la stesse portando il suo nuovo
amico, ma non le importava. In un posto così magnifico non
poteva accaderle niente di male. - Vai piano, se tiri troppo cado. - Incespicò e quasi ruzzolò a terra, ma
il cavalluccio marino riuscì a sostenerla. Sembrava avesse
una grande fretta di portarla verso la barriera corallina, o almeno
questa era l'impressione di Nemeria. E che forza che aveva! Era
riuscita addirittura a non farla cadere. - Mi vuoi dire dove stiamo andando? Non ti piace stare qui?
Non fa nemmeno caldo. - Il cavalluccio si girò a guardarla per un istante,
poi ripartì più veloce di prima. Un gruppo di
meduse fluorescenti passarono al loro fianco e una di queste, un
esemplare rosa pastello con i tentacoli corti e tozzi, si
staccò dalle altre e si accodò. Il suo compagno
rallentò per permettere alla medusa di raggiungerlo e
riprese a tirare la bambina, stavolta con un po' meno forza. Dal canto suo, Nemeria era un po' intimorita dalla presenza
della medusa. A Rakhsaan piacevano molto, si divertiva a giocare con
loro e quelle sembravano gradire la sua compagnia, ma lei ed Etheram
non riuscivano nemmeno a fare il bagno se solo ne scorgevano il
profilo. Sua sorella aveva smesso di preoccuparsene quando aveva
acquisito il dominio dell'acqua, ma lei era rimasta la solita fifona .
Chissà, un giorno sarebbe riuscita a vincere la sua paura. All'improvviso venne pervasa da un'improvvisa tristezza e il
sorriso le morì sulle labbra: il suo fratellino non c'era
più, sua madre non c'era più, tutta la sua gente
non era altro che cenere. Il ricordo del giorno in cui li aveva persi
le cadde addosso come un macigno e Nemeria si sentì
sopraffatta, di nuovo in lacrime. L'acqua divenne torbida, nera e densa come catrame, la sabbia
divenne fango. Il cavalluccio marino rinserrò la presa sul
suo dito e tirò con maggiore forza, mentre la medusa
vorticava attorno a lei, i tentacoli che fendevano il vuoto contro
nemici che Nemeria non riusciva a vedere. Avrebbe voluto correre,
lasciarsi trasportare via dalla corrente che la sospingeva in avanti,
ma affondava fin oltre le caviglie e a ogni passo doveva combattere per
tirare fuori i piedi dal fango. - Cosa sta accadendo? Perché è
diventato tutto così! - urlò, ma dalle sue labbra
non uscirono altro che bolle. Una mano d'ombra si protese verso di lei, ma prima che la
raggiungesse la medusa la colpì con i suoi tentacoli. Un
grido di dolore si propagò nell'acqua e la figura
indietreggiò. Un anemone raggrinzito tentò di
afferrarle il polso. Nemeria si ritrasse e aumentò il passo,
per quanto potesse. Aveva freddo e il terrore le aveva ghermito le
viscere, le aveva prese in ostaggio come un gheppio un leprotto ferito. Intorno a lei c'erano solo ombre, tante, tantissime ombre che
l'attaccavano da ogni dove e la scrutavano con le loro orbite vuote,
urlandole i peggiori insulti. Altre, molto più piccole, la
pregavano di aiutarli a ritrovare la luce. Riconobbe la voce di ognuna
di loro: erano gli spettri del suo popolo. - Basta... - pigolò con voce rotta, le lacrime che
si fondevano con la fanghiglia che la circondava, - Non volevo
scappare, non so come ho fatto, non vi avrei mai abbandonati... -
aggiunse singhiozzando. In risposta uno spettro la colpì con un pugno sul
braccio e, se non fosse stato per il cavalluccio marino, Nemeria
sarebbe caduta a terra. La medusa subito scattò e
serrò i tentacoli attorno alla mano e al braccio
finché l'ombra non si dissolse in volute di fumo nero. Il
suo grido rieccheggiò finché la corrente non lo
disperse. - Lasciatemi in pace, andate via! - - Non possiamo andarcene. - risposero in coro gli spettri,
circondandola. Il cavalluccio continuò imperterrito a tirare.
Adesso Nemeria notò che puntava a una grotta di pietra scura
a una trentina di braccia da lei, dove l'acqua era ancora cristallina.
Aumentò il passo, si affidò alla forza del suo
compagno per avanzare, mentre la medusa respingeva gli spettri. I
tentacoli sanguinavano e faceva sempre più fatica a
muoversi, ma nonostante le diverse ferite attaccava con rabbia chiunque
provasse anche solo a sfiorarla. Quando attraversarono la schiera dinanzi a loro, la medusa
iniziò a girare sempre più in fretta attorno a
lei, creando un mulinello che le faceva da scudo. Gli spettri che
tentavano di penetrarlo diventavano fumo, che l'acqua disperdeva nella
corrente. - Devi rimanere qui, con noi. - - Ci hai lasciati morire. - - Non meriti di rivedere le luce. - Nemeria strinse i denti e incassò in silenzio.
Anche avesse potuto parlare, non l'avrebbero ascoltata. Avevano
ragione, sarebbe dovuta restare nell'oscurità con loro e
pagare per la sua codardia, ma la luce era invitante e non riusciva a
smettere di camminare. Con le lacrime agli occhi, quando finalmente si
lasciò alle spalle gli spettri, nemmeno si rese conto delle
braccia che la cinsero da dietro.
- Si è svegliata? -
- Penso di sì, ora vado a controllare. -
Due voci, una di uomo e una di donna.
- Abayomi vuole che tu lo tenga aggiornato sulle sue condizioni. -
- Lo sto facendo. -
- È evidente che si aspetta che tu lo faccia più
spesso. -
L'uomo sospirò. Nemeria girò appena la testa
nella direzione da cui provenivano le voci e schiuse le palpebre. Aveva
la vista appannata e ogni cosa nel suo campo visivo era sfumata,
ricoperta da una fitta coltre di nebbia.
Subito una delle figure si avvicinò.
- Non devi muoverti. Ho fatto del mio meglio per curare le tue ferite,
ma se non stai ferma non guariranno bene, soprattutto le ossa. -
L'uomo aveva una voce all'apparenza calma, ma Nemeria distinse una nota
di apprensione. Inoltre, le era familiare in qualche modo, sebbene non
riuscisse ad associarla a un nome o a un viso. L'unica cosa che aveva
colto con sufficiente chiarezza erano le orecchie che si estendevano
fin oltre la testa e delle sopracciglia altrettanto lunghe.
“Dove l'ho già visto?”
Corrugò la fronte e abbassò le palpebre. La testa
le pulsava e il cuore le martellava nel cervello e nelle orecchie come
un tamburo. Formulare un altro pensiero e approfondirlo era impossibile
con quel dolore che le premeva contro le tempie e dietro gli occhi.
- Sei diventato così abile da guarirle le ossa, Il'ya? -
La donna si era fatta più vicina, poteva percepirne la
presenza proprio accanto a lei.
- Me la cavo. Ora, te ne prego, rimani in silenzio o non riesco a
concentrarmi. - rispose Il'ya.
Un liquido fresco strisciò sui suoi vestiti, li
oltrepassò e scivolò nei pori della sua pelle.
Era una sensazione piacevole e i suoi muscoli rimasero rilassati,
mentre i rivoli scivolavano nelle vene e nelle arterie senza mescolarsi
al sangue. Quando si espansero fino al viso, il suo corpo venne pervaso
da un brivido freddo che le fece aprire gli occhi di scatto.
Il'ya era al suo fianco, con le gambe incrociate e le mani protese
sopra di lei che danzavano assieme all'acqua, sottilissimi fili
cristallini che avevano attecchito sul suo corpo.
- Anche tu... anche tu sei... -
- Sì. Non sarò forte come Zahra, ma ci so fare. -
Le elargì un leggero sorriso, senza smettere di muovere le
mani. Aveva la fronte imperlata di sudore e l'aria concentrata,
affaticata.
- Ora chiedo anche a te di rimanere in silenzio o rischio di non
riuscire a ricomporre le ossa come vorrei. -
- Kimiya... Kimiya dov'è? -
- Dall'altro lato della stanza. Il capo non le ha fatto nulla, come
promesso. Non hai offerto chissà che grande spettacolo, ma
il pubblico ha gradito la tua resistenza. - la informò
pacata Ana.
Nemeria alzò appena gli occhi, incrociando quelli neri della
ragazza, che la fissava con uno sguardo che non sapeva come decifrare.
Non pareva preoccupata, si limitava a guardarla e basta, con lo stesso
interesse con cui avrebbe guardato un animale ferito.
Il'ya le passò le mani sul viso. Nemeria tremò.
Percepì le ossa spezzate che si muovevano nella carne viva,
retrocedevano fino alla loro giusta posizione e si incastravano con gli
altri frammenti, ricomponendosi.
- Senti male? - domandò Il'ya.
- N...no. È solo fastidioso. -
Lo Jarkut'id chiuse il pugno e richiamò ancora
più acqua. C'era un flusso continuo tra le sue mani e
un'anfora ai piedi di Nemeria.
- Sei bravo. -
- Come ti dicevo ieri sera, ho più di un secolo sulle
spalle. -
Il'ya sciolse le spalle e congiunse cinque dita davanti al viso, per
poi aprire le braccia. L'acqua lo seguì, si distese come un
elastico e si rilassò come un nastro di seta, prima di
avvolgere il torace di Nemeria e fondersi con esso. Di nuovo l'acqua
spinse le ossa nella loro posizione e saldò quelle rotte.
Il'ya mantenne gli occhi chiusi per tutto il processo. Alla fine,
trasse un profondo respiro e, dopo aver riaccompagnato l'acqua
nell'anfora, si girò di lato così da distendere
le gambe.
- Posso alzarmi? -
- Ana, prendila da sotto le ascelle e aiutala. Niente movimenti bruschi
o tutto quello che ho fatto sarà stato vano. -
La ragazza si portò alle sue spalle e obbedì.
Aveva le mani piccole ma sorprendentemente forti. L'aiutò a
mettersi seduta e su indicazione di Il'ya le raddrizzò la
schiena. Nemeria si sentiva tutta intorpidita e avvertiva un irritante
formicolio agli arti, però il dolore era scomparso.
Aprì e chiuse i pugni un paio di volte, sbattendo le
palpebre finché la realtà non si
riappropriò delle sue forme definite.
Si trovava di nuovo nel seminterrato, quello dove avevano rinchiuso lei
e Kimiya la sera precedente. La luce filtrava attraverso la finestra
sbarrata, illuminando quel che bastava affinché Nemeria
potesse orientarsi. La sua compagna dormiva accoccolata su se stessa a
ridosso del muro opposto, con la catena che le girava intorno al corpo
e il collare di pelle usurato stretto alla gola.
- Il capo ha ordinato di legarla. - la anticipò Il'ya,
lavandosi le mani con l'acqua rimasta, - Vedendoti in quello stato, ha
cominciato a urlare e a dimenarsi. Ci sono volute un bel po' di ore
prima che si calmasse. -
Nemeria si issò sui gomiti e Ana l'accompagnò,
sorreggendola nell'eventualità che non ci riuscisse da sola.
- Ribadisco, fai piano. Ho fatto quel che potevo con quelle ossa, ma
devi comunque prestare attenzione. -
- Non le hai ricostruite? -
Lo Jarkut'id scosse la testa: - Le ho ricomposte e rinsaldate con del
ghiaccio abbastanza resistente, ma devi lasciare loro il tempo di
guarire. -
- Ghiaccio? Non si scioglierà? -
- Solo fino a quando le tue ossa non si saranno rinsaldate. -
Nemeria annuì e dopo una breve esitazione mosse i primi
passi. Un piede dietro l'altro, con Ana che la seguiva come un'ombra,
si accostò alla sua amica e le si sedette vicino. Aveva i
capelli scompigliati, pieni di nodi, e alcune unghie erano spezzate,
sporche di terriccio e sangue annerito. Aveva ritirato le ginocchia
sotto la tunica e da quella prospettiva Nemeria poteva vedere le
bruciature sulle piante dei piedi, tanti piccoli soli cicatrizzati dal
profilo frastagliato.
- Dariush ha fatto sapere qualcosa? -
- La sua donna è tornata dicendo che farete lo scambio
stasera. - rispose annoiata Ana.
Nemeria la guardò in cagnesco: - Non è la sua
donna. -
- Se la fotte e questo fa di lei la sua donna. - replicò
indifferente, si grattò la nuca e schiacciò uno
scarafaggio, - Non farei troppo la gradassa, fossi in te. Ieri ti
avevamo avvertita di stare attenta a Zahra e tu ti sei fatta massacrare
di botte come un'idiota. -
- Non è vero. -
- Se non fossimo intervenuti, avresti il cervello spappolato. - Ana si
acquattò alla sua altezza e la inchiodò con lo
sguardo, le iridi color antracite che si confondevano con le pupille, -
Perché non hai usato le fiamme? -
Nemeria aveva la gola secca. Non sapeva cosa risponderle. Anche lei si
domandava dove fosse finito il suo coraggio, la sua voglia di
combattere. Quando era salita sul palco e si era trovata circondata
dalla puzza di sangue e vomito con quegli uomini che urlavano in quel
modo, non era riuscita a reagire. Non era davvero preparata ad
affrontare Zahra. Non si aspettava fosse così feroce, agile,
spietata. Fino a quando non l'aveva colpita, non aveva davvero
realizzato che doveva combattere, e allora era stato troppo tardi.
Non ricevendo risposta, Ana fece spallucce e si avvicinò a
Il'ya.
- Io vado a riferire al capo che la bambina sta bene. -
- Porta anche qualcosa da mangiare per tutti e tre. -
La ragazza assentì e, senza aggiungere altro,
salì le scale. Kimiya si accartocciò ancora di
più su se stessa e Nemeria le strinse la mano.
- Mi dispiace per quello che è successo ieri. -
esordì Il'ya, avvicinandosi, - Zahra diventa una belva
quando entra lì dentro. Non avresti avuto alcuna
possibilità di vincere contro di lei in ogni caso. -
“Io domino il fuoco, avrei potuto contrastarla.”
- Stasera tornerete dai vostri compagni, comunque, non dovrebbero
esserci altri combattimenti di sorta. - la consolò e si
sistemò accanto a lei, - Mi è concesso farti
delle domande? -
Nemeria esitò. Il'ya non le sembrava cattivo, si era preso
cura di lei e aveva anche provato ad avvertirla. Farci quattro
chiacchiere poteva farle bene.
- Certo. -
- Qual è il tuo nome? -
- Nemeria. -
- Piacere, Nemeria. Io mi chiamo Il'ya. Anche se già lo sai.
- abbozzò un sorriso e si appoggiò con un
profondo sospiro alla parete.
Il sudore sulla fronte accentuava l'incarnato pallido, lo faceva
sembrare ancora più stanco di quello che già era.
- È un nome strano il tuo. Non sei di qui. -
considerò la bambina.
- Nemmeno tu, se è per questo. Una delle mie sorelle si
chiamava come te. Me la ricordi molto. - sorrise e si protese appena
verso di lei, - Anche se lei aveva i capelli bianchi come i miei. -
Nemeria si toccò istintivamente le sopracciglia e poi la
testa. Non aveva più la bandana, chissà quando
l'aveva persa, ma il tatuaggio non le sembrava infiammato. L'uomo
intercettò il suo gesto.
- Mi sono occupato anche di quello, è stata una delle prime
cose a cui ho pensato. -
- Sei stato gentile. -
- Il capo mi ha ordinato di curare le tue ferite, io mi sono premurato
di controllare ogni cosa. Hai deciso di tagliarli perché
avevi paura di prendere i pidocchi? -
- Sì. - rispose in fretta Nemeria.
- Capisco. -
Il'ya si passò una mano sul viso e si alzò
nell'esatto momento in cui Kimiya tirò su la testa. Aveva
gli occhi arrossati dal pianto e la guancia su cui aveva dormito era
sporca di terra, ma quando mise a fuoco la figura Nemeria
l'abbracciò così forte da toglierle il fiato.
- Co... così mi uccidi! - Nemeria finse di lottare per
liberarsi, ma poi la strinse a sua volta, affondando il viso nella sua
spalla ossuta, - È tutto a posto... sono qui. -
mormorò commossa.
Kimiya però non la lasciò. Non smetteva di
accarezzarla, di toccarle la testa, le spalle, le braccia, come se non
capisse come potesse essere lì, viva. Quando si
staccò, le posò una mano sulla guancia e
appoggiò la fronte contro la sua, tremando, con le lacrime
che le solcavano il viso.
- Sono qui. - ripeté Nemeria con più convinzione,
- Tra poco ci verranno a prendere e potremo tornare a casa. -
Kimiya annuì e tirò su col naso. Tentò
anche un mezzo sorriso, prima di rannicchiarsi contro Nemeria. Sembrava
non essersi accorta della presenza di Il'ya, o forse lo ignorava di
proposito.
Ana tornò qualche minuto più tardi con quattro
pezzi di focaccia alle olive e origano e un'anfora più
piccola. Con il suo solito tono di voce monocorde le avvisò
che quello sarebbe stato il loro pranzo e che l'acqua dovevano farsela
bastare fino a sera, ma Nemeria non vi badò. Aveva fame e si
sentiva euforica, finalmente non più sola.
Kimiya saltava a ogni insetto che le passeggiava vicino e la sua
coscienza ballava sempre sull'orlo del baratro, però
quantomeno era più presente del giorno prima e, soprattutto,
non era più arrabbiata. Nemeria non ce l'avrebbe fatta a
sopportare ancora quello sguardo accusatore, non ne aveva né
la forza né la volontà.
Mentre beveva l'acqua, riemerse un frammento di quello che aveva
sognato. Piano piano, come se lo avesse richiamato, davanti ai suoi
occhi si ridipinse il mare pieno di coralli, anemoni e luce. Le venne
quasi da sorridere quando le parve di sentire la coda del cavalluccio
marino stretta attorno al dito. Non sapeva esattamente come
classificare quello che aveva visto – parlare di sogno era
riduttivo, ma non le sembrava una visione di alcun genere –,
però non aveva addosso la stessa sensazione di qualche sera
prima, quando si era svegliata senza riuscire a ricordare quello che
aveva sognato.
“Che sia una Condivisione?”
Fakhri ed Etheram gliene avevano parlato. Quando aveva acquisito il
potere sull'acqua, sua sorella le aveva accennato che a volte,
specialmente se non si era esperti Dominatori, poteva capitare che i
sogni o i ricordi del malato e del guaritore si mescolassero, generando
delle visioni ancora più strane.
Nemeria si massaggiò le tempie e lanciò
un'occhiata di sottecchi a Il'ya. Lo Jarkut'id era seduto sugli scalini
e stava conversando a bassa voce con Ana, eppure era sicura che lui la
stesse fissando.
“Anche lui ha visto...?”
Scosse la testa e respinse quel dubbio in un angolo della sua
coscienza. Non era certa di quello che fosse accaduto da un certo punto
in poi, ricordava vagamente il buio e un'opprimente sensazione di
pericolo, ma poteva immaginare cosa potesse aver condiviso con lui.
Si rannicchiò contro Kimiya e la sua amica le mise un
braccio sulla spalla, arricciando le labbra in una smorfia buffa con la
lingua di fuori. Nemeria si sforzò di sorridere e dopo un
momento, quando cominciò a farle il solletico, quella che
all'inizio era solo un accenno, divenne una vera e propria risata. Non
era forte e nemmeno sguaiata, però bastò ad
alleggerire il peso che aveva sul cuore. Ana e Il'ya le osservarono
straniti, ma non commentarono.
Per tutto il resto del pomeriggio, prigioniere e carcerieri non si
rivolsero più la parola. Nemeria si sentiva ancora stanca e
passò la maggior parte del tempo a combattere contro il
sonno, dormendo a intervalli di mezz'ora o dieci minuti. Kimiya invece
rimase sveglia. Nel sottile spazio che separa il sonno e la veglia,
Nemeria avvertì la sua mano serrarsi spesso attorno alla
propria; talvolta riuscì a impartire al corpo l'ordine di
ricambiare.
Lo Jarkut'id rimase sempre lì con loro, mentre Ana si diede
il cambio con Faraz e un altro paio di membri della banda. Sul far
della sera Il'ya le svegliò, Ana di nuovo al suo fianco.
- Andiamo alla cisterna. - li informò quest'ultima, -
È lì che avverrà lo scambio. -
Nemeria rabbrividì e dovette imporsi di seguirli fino al
piano di sopra, dove, come il giorno precedente, li attendevano il
capo, Faraz e Zahra. Non appena la vide, la Dominatrice
ghignò e venne loro incontro.
- Allora? La nostra fiammella come si sente? Ieri hai dato spettacolo,
eri un ottimo straccio da piedi. -
Tentò di avvicinarsi ulteriormente, ma Nemeria
indietreggiò di scatto.
- Puzzi di paura. Devo dire che è un profumo che mi piace e
mi elettrizza. Era da tanto che non mi scontravo contro un Dominatore,
mi ero dimenticata come ci sente. -
- Zahra, basta. - la richiamò Abayomi, anche se a giudicare
dal suo sorrisetto doveva trovare la scena divertente, - Dobbiamo
andare all'arena per lo scambio e non è buona educazione
arrivare in ritardo per una trattativa. -
L'Alatfal'yl si umettò le labbra e tornò al suo
posto accanto ad Abayomi, che non perse tempo e fece loro cenno di
procedere.
Alla luce sfumata del tramonto, le strade che percorsero non erano
più così spaventose agli occhi di Nemeria.
Ciononostante, non riusciva a capire dove fossero. Era abbastanza
sicura di non essere mai stata in quel Quartiere. Immaginava potesse
essere quello della Bestia, l'unico che non aveva ancora visitato, ma
non ne poteva essere sicura. Tentò di chiederlo a Kimiya, ma
la ragazza sembrava ripiombata nello stato catatonico: non la guardava,
non rispondeva, camminava per inerzia. Nemmeno quando la scosse
tornò in sé. Nemeria era di nuovo sola.
All'entrata della cisterna stazionavano le stesse guardie della sera
prima. Una di esse, l'uomo che aveva chiesto la parola d'ordine, aveva
una brutta tumefazione sullo zigomo e il labbro inferiore spaccato.
Quando li vide arrivare, si limitò a fare un cenno d'assenso
ad Abayomi e li lasciò entrare.
- Non ci accadrà nulla. Siamo qui solo per fare lo scambio,
non dovrò combattere ancora. - sussurrò Nemeria,
più per rassicurare se stessa che Kimiya.
Non appena fecero il loro ingresso nell'arena, tutti gli occhi si
fissarono su di lei. Nemeria non riconobbe nessuno, ma tutti o quasi
sapevano, invece, chi era lei. Mentre si facevano largo tra la folla,
ebbe modo di udire i loro commenti di scherno, le loro battutine, le
risate che la seguivano alle spalle. Strinse i pugni fino a far
sbiancare le nocche, il viso in fiamme e le lacrime che le pizzicavano
da dietro le ciglia.
- Ignorali. - le soffiò all'orecchio Il'ya.
- A che ora è l'incontro? -
- Non lo so, Abayomi non ci ha detto nulla. Ha parlato da solo con la
Sha'ir. -
Nemeria annuì e si appiattì contro la colonna, la
pietra di luna chiusa tra le dita. Altea era tornata con la risposta, a
breve l'avrebbe rivista e non aveva ancora riflettuto su cosa dirle per
scusarsi. Sperava che non l'avesse detto a Dariush, ma soprattutto che
fosse disposta ad ascoltarla. Saperla arrabbiata la faceva stare male,
non avrebbe sopportato di perdere il suo affetto e la sua amicizia.
Certo, in ogni caso non sarebbe rimasta sola, ci sarebbero stati Noriko
e Hirad con lei, ma non sarebbe stata la stessa cosa senza Altea.
Sorrise e per un momento si concesse di crogiolarsi nel ricordo del
sorriso di Hirad, quello che le aveva rivolto prima di andare a dormire
due sere addietro. Sembrava passata una vita intera. Chissà
se gli aveva fatto piacere ricevere le pergamene, se con quei pastelli
nuovi sarebbe riuscito a tornare quello di sempre. La pietra di luna
divenne tiepida contro i suoi palmi e le trasmise un profondo senso di
pace.
- Fiammella. - Abayomi si fece strada fino da lei, - Visto che ieri hai
riscosso un notevole successo, e visto che abbiamo ancora un po' di
tempo prima della nostra trattativa, che ne dici di deliziarci con un
altro spettacolo? -
Zahra, che era alle sue spalle, si scrocchiò le dita e il
collo: - Sì, ho le mani ancora intorpidite, ho davvero
bisogno di sgranchirmi anche oggi. -
Tutti, compresa Ana, trattennero il respiro. Nemeria,
impallidì, il battito a un tratto frenetico, e
guardò Kimiya con terrore.
- Non farti pregare, dai... sono tutti qui per te. So di alcuni che
sono rimasti delusi dallo spettacolo di ieri, ma sono certo che in
quest'occasione rivelerai le tue capacità. Oppure preferisci
che sia la tua amica a combattere contro la nostra Zahra? -
Nemeria strabuzzò gli occhi. No, non potevano dire sul
serio, non avrebbero davvero mandato Kimiya lì in mezzo. Non
sapeva combattere, era totalmente inerme, indifesa, eppure c'era
qualcosa nella loro espressione che le fece accapponare la pelle.
Lasciò la mano della sua amica e l'abbracciò
forte, più forte che poteva, sperando che si riscuotesse,
che riacquistasse la voce, ma non accadde nulla.
- Ti proteggerò io. Te lo prometto. - le sussurrò
a fil di voce nell'orecchio.
- Che scena commovente... da vera tragedia! - Abayomi finse di tergersi
le lacrime e una decina di uomini scoppiarono a ridere, - Sei
un'attrice nata, fiammella. Ho scoperto la tua vera vocazione
portandoti qui, che poi non mi si dica che non ho occhio. Quello
sguardo conservalo fino alla fine dello scontro: il nostro pubblico
preferisce l'odio alle lacrime da femminuccia. -
Un coro di assenso si levò dagli astanti e si evolse in un
vociare sempre più concitato.
- Guardali, li hai conquistati. Sarebbe da maleducati farli aspettare.
-
Zahra fu la prima a scendere in campo e attese che la sua avversaria la
seguisse. Nemeria indugiò, si prese un paio di secondi per
racimolare il coraggio che le serviva per mettere in moto il corpo e
valicare la linea rossa. Mentre la folla si accalcava intorno a loro,
l'arbitro, lo stesso della sera precedente, diede il via.
- Non aspettavo altro. - sibilò eccitata Zahra.
La sua pelle si ritirò dalle braccia e da buona parte del
viso, lasciando in vista lo strato di roccia sottostante. Le labbra
divennero per metà un grumo di sassolini compatti, mentre i
capelli assunsero un'intensa sfumatura verdastra. Le fasce che le
avvolgevano le mani e i piedi si allargarono, tendendosi sulla sua
nuova corazza.
- Il'ya ha fatto un ottimo lavoro, tanto che quasi, e dico quasi, mi
dispiace doverti picchiare anche oggi. - scoppiò a ridere
alle sue stesse parole, - Vediamo se riesci a resistere un po' di
più. -
Portò i pugni al petto, si abbassò sulle
ginocchia e scattò verso di lei. Nemeria provò a
schivarla, ma il suo corpo provato era lento, non rispondeva come
avrebbe voluto. Il pugno la raggiunse alla bocca dello stomaco, la
piegò in due e le fece sputare tutta l'aria che aveva nei
polmoni. Non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi. Zahra le diede una
ginocchiata dritta in faccia. Il naso si spezzò e il labbro
si spaccò. Il dolore era così lancinante che le
gambe le cedettero di schianto.
- Alzati o ti faccio alzare io a calci. - ringhiò.
Con un rantolo, Nemeria rotolò di fianco e si mise supina
per riprendere fiato. Cercò Kimiya tra la folla. Era in
seconda fila, tra Ana e Omeed, e fissava il vuoto senza accorgersi di
niente.
- Ti do tre secondi per rimetterti in piedi. Uno... -
Nemeria si girò di nuovo, aprì le mani e si mise
a gattoni. Il sangue gocciolava sul pavimento del palco, il suono cupo
di un orologio fuori tempo.
- Due... -
Le urla divennero più forti, rimbalzavano sulle pareti e si
autoalimentavano come le fiamme di un incendio. Nemeria
sputò un grumo di saliva rossa e traballando si
riportò in posizione eretta. Uno scroscio di applausi e
fischi delusi fece tremare l'aria.
- Sai, quando verranno i tuoi amichetti, potrei prenderli tutti e
buttarli qui dentro, dal primo all'ultimo. Li spezzerò come
erba secca e comincerò proprio dalla tua amica imbambolata.
- sibilò cattiva Zahra.
- Quando Dariush arriverà, darà al tuo capo le
informazioni che vuole e ce ne andremo. - replicò Nemeria,
convinta.
Indietreggiò e prese a spostarsi di lato, dapprima a
sinistra, poi a destra, cercando di confonderla, gli occhi sempre
attenti alla linea di demarcazione del campo.
- È evidente che hai dimenticato chi comanda qui. -
Zahra le balzò addosso, la gamba già alzata per
colpirle l'avambraccio. Nemeria attese e si scostò
all'ultimo, più un saltello che una vera schivata. Il piede
fendette l'aria, colpendo il vuoto.
- Oh, la nostra topolina si è svegliata? -
Nemeria mirò al viso, alla parte non indurita dalla roccia.
Si aspettava che Zahra lo evitasse, ma lei l'afferrò per il
polso, un movimento così rapido che a malapena lo
registrò. Non capì cosa successe in seguito, come
riuscì a prenderla per le spalle e a sollevarla come se non
avesse peso. Sentì solo il dolore che la investì
quando impattò con violenza sul pavimento e l'omero
uscì fuori asse.
- Questa l'ho imparata dalla vostra cagna Tian, quella con i capelli
rossi. Spero che venga anche lei, stasera. -
Il pubblico inneggiava il suo nome, l'acclamava sempre più
infervorato. Nemeria non lo udiva, avvolta nel suo sudario di dolore,
incapace di fermare le lacrime. Erano salate, con un nauseante
retrogusto ferroso.
- Sarà delizioso rompere le ossa a tutti i tuoi amici. -
continuò Zahra, la sovrastò a carponi e le
leccò le guance, gli occhi socchiusi e un'espressione
estatica sulla bocca, - Fremo all'idea di farli a pezzi, di assaporare
il loro sangue. La carne di topo l'ho sempre trovata squisita... -
L'immagine di quello che sarebbe accaduto le si dipinse davanti agli
occhi con una nitidezza dolorosa: Noriko e Dariush a terra, in una
pozza di sangue, e poco distanti Altea e Hirad con i volti tumefatti,
che raschiavano il pavimento con le unghie rotte nel tentativo di
trascinarsi fuori dal campo.
Una rabbia forte, incontrollata, le montò dentro.
- Io sono il fuoco. - bisbigliò a denti stretti.
Nemeria l'afferrò per la nuca e le diede una testata
più forte che poteva. Zahra perse la presa e si
alzò barcollando.
La folla tacque un istante e poi esplose in grida di incoraggiamento.
- Sangue, sangue, sangue! -
Nemeria si alzò e la caricò, sbattendola sul
pavimento con tutto il suo peso. Zahra non ebbe il tempo di opporsi, il
sangue che usciva dal naso rotto imbrattandole le labbra e il mento. La
fissò stralunata, senza capacitarsi di come avesse fatto a
finire e terra, ma lo stupore durò poco. Parò il
primo pugno e le stritolò la mano fino a farle scricchiolare
le nocche, per poi scansarlo quel che bastava per colpirla ancora,
sotto lo sterno. Nemeria incassò. Le mancò il
respiro per un attimo. Quando si riprese, le artigliò la
faccia.
In quel momento, la voce dell'elementale le invase il cervello. Lascialo
fluire.
Il potere si concentrò nelle sue mani e le rese
incandescenti. Le urla di Zahra riecheggiarono in tutta la cisterna,
assieme a quelle d'esaltazione del pubblico, che ora tifava per lei e
batteva le mani e i piedi a terra a ritmo.
- Vai così! -
- Fiamme, vogliamo le fiamme! -
- Bruciala! - Sii il fuoco.
Zahra si dimenava sotto di lei, scalciava, raspava il pavimento con i
piedi, le dita serrate attorno ai polsi di Nemeria per cercare di
scollarsela di dosso. La pelle rocciosa era arrossata, cosparsa di
bolle che scoppiavano lasciando esposta la carne viva.
Assestò un pugno alla cieca, che sbalzò Nemeria
all'indietro. Quest'ultima vide l'avversaria rialzarsi, il viso
contratto in un'espressione folle, la pietra che andava a ricoprire le
ferite con un nuovo strato e rinforzava il resto del corpo. I vestiti,
i pochi che aveva indosso, si ruppero, incapaci di contenere l'armatura
di roccia sottostante.
- Ti ammazzo! - sbraitò fuori di sé.
Nemeria era pronta. La pietra di luna bruciava sul suo petto,
più caldo della sua stessa pelle, ma non le importava.
C'erano solo lei e Zahra, nulla contava più. Aprì
le braccia, invitandola a farsi avanti, mentre le fiamme che fino a
quel momento avevano serpeggiato nelle vene si materializzarono sui
suoi palmi.
Zahra lanciò un urlo carico di rabbia e le si
gettò contro correndo. I suoi passi pesanti fecero tremare
l'intera cisterna, crepando il palco come se fosse stato fatto di
vetro. Nemeria attese che fosse abbastanza vicina, il braccio sano
già proteso in avanti. Una fiammata, simile al soffio di un
drago, proruppe dal suo palmo in un rombo assordante e si infranse
contro Zahra, carbonizzò i vestiti e lambì la sua
figura, senza però attecchire. Gli astanti si ritrassero,
spaventati ed estasiati al tempo stesso, mentre i sassi arroventati
schizzavano in giro. Puoi fare meglio di
così, Nemeria.
La bambina aggrottò le sopracciglia confusa. Non era la voce
dell'elementale del fuoco, era più flautata, melodica.
Scosse il capo e si concentrò. Si abbassò e prese
la rincorsa, incanalando il suo potere. Lasciò che la rabbia
e il desiderio di rivalsa lo nutrissero.
Zahra le sferrò un pugno, ma lei lo schivò
schizzando di lato e sfruttò l'apertura nella sua guardia
per colpirla alla guancia. All'impatto, come un palloncino compresso,
le fiamme esplosero, avviluppandole la testa ed espandendosi fino alle
spalle. Alcuni sassi si fusero, scivolarono in lacrime di lava scavando
dei solchi profondi nell'armatura.
Di più, ci vuole di più.
Zahra gridò e si preparò al contrattacco. Nemeria
non fece in tempo a scostarsi. Si sentì ghermire tra le sue
braccia di pietra e stritolare in una morsa soffocante. Le vertebre
scricchiolarono e la spina dorsale si arcuò sotto la forte
pressione.
“Non... non voglio perdere...”
Con l'unico braccio libero che aveva, riprese a colpirla. Il fuoco
l'avvolse ma la roccia resisté. Più andava
avanti, più Zahra stringeva, le labbra arricciate in un
sorriso tracotante, vittorioso. Le ossa iniziarono a scricchiolare
pericolosamente, prossime alla rottura. Controllalo,
è tuo. Trattienilo e poi esplodi come una stella, Nemeria.
Sii il Sole.
Nemeria non sapeva cosa pensare. La vista le si stava offuscando e il
campo visivo si era riempito di puntini neri. Solo la rabbia e
l'istinto sopravvivevano.
Il corpo si mosse da solo. Premette le unghie rotte nella carne e la
piccola fiammella sul palmo cominciò a crescere, a crescere,
sempre di più. Piccole lingue di fuoco guizzarono dalle dita
schiuse. Il dolore divenne un'eco sorda, priva di importanza. Tutto il
mondo scolorì davanti a quella sensazione inebriante, un
fiume in piena che travolgeva e trascinava via ogni cosa. Quando
sentì di non riuscire più a controllarlo,
aprì la mano e colpì il braccio di Zahra.
L'energia si liberò con un'esplosione tale da sbriciolare
l'armatura di roccia. I pezzi schizzarono via, pietre roventi che si
conficcarono nei muri, sui pilastri, nella carne viva. Zahra emise un
urlo disperato e Nemeria colse l'occasione per artigliare ancora il
braccio indifeso dell'avversaria. L'odore di carne bruciata si diffuse
nell'ambiente e saturò l'aria afosa, già
irrespirabile.
Zahra la spinse via e arretrò, osservando interdetta
l'ustione profonda che le aveva lasciato. Digrignò i denti e
le puntò addosso uno sguardo assassino. Era stanca,
spossata, ogni suo respiro era un rantolo che le graffiava la gola.
Nemeria si guardò il palmo e la bruciatura che lo deturpava.
Era sola ormai, ora lo capiva. Etheram non c'era più,
né l'Alta Sacerdotessa, né sua madre o suo
fratello. Era rimasta in compagnia dei suoi fantasmi e quella era la
sua unica arma. Era brutta e bruciava, ma non aveva altro per
proteggersi da Zahra e dal mondo là fuori che desiderava
farla a pezzi.
Strinse il pugno e scattò, imitata dall'altra. Il destro di
Zahra impattò contro le sue costole, spezzò il
ghiaccio che le teneva congiunte e le mandò in frantumi. Il
dolore fu così forte da accecarla per un istante. Splendi, Nemeria,
splendi. Oggi sei la stella più luminosa, sei il Sole
stesso.
Nemeria appoggiò la mano sulla pancia di Zahra. Il potere
esondò, un torrente violento di rabbia e disperazione
esplose in un'onda d'urto che la sbalzò via, riempiendo
l'aria di fumo e schegge. Nemeria rotolò lontano, si
scorticò i gomiti e le ginocchia, per poi ricadere a faccia
in giù. La linea del campo era davanti ai suoi occhi a un
pollice di distanza. Intorno a lei solo silenzio.
L'arbitro si fece avanti, seguito da un Dominatore dell'aria che
creò una brezza sufficiente a spostare la cortina di fumo.
Nemeria si riempì i polmoni di quell'aria fresca: non
sentiva più i muscoli della bocca, la spalla pulsava, le
costole dolevano e il sangue raggrumato nelle narici le rendevano
difficile respirare, ma la carezza di quel refolo sulla pelle escoriata
le diede sollievo.
Un'ombra si allungò sopra di lei. Nemeria ridusse gli occhi
a fessure per mettere a fuoco.
- È viva. - confermò l'arbitro, rispondendo a una
domanda che lei non aveva sentito.
Poi si allontanò verso un punto al di fuori del suo campo
visivo e per un po' nessuno fiatò.
A Nemeria girava la testa, la vista era sempre più
offuscata. Quando qualcuno la issò da sotto le ascelle e la
costrinse in piedi non oppose alcuna resistenza.
- La vincitrice dello scontro è la Dominatrice del fuoco! -
Quella fu l'ultima cosa che udì, prima che la spossatezza la
precipitasse nell'oblio.
*
Il pubblico era ammutolito, solo un lieve chiacchiericcio animava la
cisterna. Tutti gli occhi erano puntati su Nemeria, che giaceva svenuta
con la testa appoggiata alla spalla dell'arbitro. Anche Noriko e gli
altri, che erano giunti poco prima della fine, erano diventati delle
statue di sale. Nessuno si aspettava che ce l'avrebbe fatta, tutti
avevano scommesso contro di lei e tutti avevano perso.
- Cosa?! Perché? Io sono in piedi, lei è a terra!
-
Zahra marciò minacciosa verso l'arbitro. Aveva
metà del viso bruciata e, oltre all'ustione sul braccio,
sanguinava copiosamente da diverse ferite.
Il Dominatore dell'aria si frappose tra lei e l'uomo: - Non un altro
passo. -
- Altrimenti? -
- La mia decisione è insindacabile: sei caduta fuori dal
palco, lei no. - sancì con sicurezza l'arbitro, - Se
continuerai a mettere in discussione il mio verdetto, sarò
costretto a espellere te e il tuo gruppetto dall'arena. -
Zahra aprì la bocca per ribattere, ma venne preceduta da
Abayomi, che la bloccò mettendole una mano sulla spalla.
- Non vi preoccupate, la mia compagna è solo amareggiata per
com'è andato a finire l'incontro. Dovete scusarla, a volte
non sa tenere a bada la lingua. - disse con un sorriso forzato e
lanciò a Zahra un'occhiata ammonitrice.
In seguito, Abayomi si focalizzò su Nemeria, ma prima che
potesse avanzare qualsiasi richiesta, Noriko si fece avanti e
oltrepassò Dariush e tutti gli altri membri della Famiglia.
Il capo dei Cani la squadrò e Zahra la fissò
truce. Noriko sapeva che la odiava da quando le aveva rotto i denti,
tuttavia era anche altrettanto certa che non avrebbe osato attaccarla
in quelle condizioni. Un po' sperava che lo facesse, ma l'Alatfal'yl
non era stupida, purtroppo.
- Abayomi, dobbiamo parlare di affari. - esordì in tono
piatto.
Non fece in tempo a rispondere che delle urla provenienti dalla cima
della gradinata misero tutti in allerta.
- I Kalb! i Kalb ci hanno trovati! -
- Scappate! -
Prima ancora che se ne rendessero conto, un gruppo di uomini vestiti di
neri e oro sciamarono all'interno della cisterna, le balestre e le
spade d'oricalco che rosseggiavano alla luce tenue delle torce. In un
secondo furono circondati.
Angolo Autrice:
Buongiorno
u.u rimembro che qualcuno (tipo tutti) aspettavano da un sacco questo
momento, la rivincita di Nemeria. Da questo momento in poi, la storia
entrerà davvero nel vivo e niente per la nostra eroina
sarà più come prima. Allora, in primis mi sembra
giusto avvertirvi che non pubblicherò più nulla
fino al 26 settembre, questo perché la seconda parte della
storia è un poco più complessa di quella che
avete letto sinora e voglio prendermi del tempo per scrivere i
capitoli, così da non dovervi far aspettare troppo. Quindi
metterò solo qualche spoiler sulla mia pagina Hime
-chan, dove a breve pubblicherò anche le schede
dei personaggi: essendo una storia che ne ha molti, credo sia d'uopo
farne alcune, almeno dei personaggi principali. Altra cosa, non meno
importante, il titolo della storia cambierà: non
sarà più "Summer Tale" che, invece,
diventerà il sottotitolo, bensì "Fighting Fire",
questo perché all'inizio, quando ho cominciato a scrivere
questa storia doveva essere un racconto relativamente breve incentrato
per lo più sulla stagione dell'estate, intesa come periodo
caldo, pieno di possibilità ecc... come sempre accade, il
tutto si è trasformato in una cosa molto grande e ampia XD
Quindi, da quando comincierò di nuovo a pubblicare, il
titolo cambierà e Summer Tale diventerà il
sottotitolo. In ultima istanza... vi ringrazio per il sostegno che mi
avete dato sino ad oggi: davvero, se non ci foste voi, lettori e
recensori, credo che sarei una scrittrice estremamente depressa XD
Quindi non posso che ringraziarvi e promettervi che, quando
tornerò, avrete un bel po' di bei capitoli da leggere. Se vi
interessa e/o avete nostalgia delle belle esperienze che faccio passare
ai personaggi, sulla mia pagina autore trovate un po' di storie
già concluse con cui intrattenervi. Se avete voglia di dirmi
cosa ne pensate anche lì, ne sarei felicissima u.u Dunque,
ora vi lascio e ci si rivede dopo l'estate ** Un bacione
Hime
"Spesso
è più sicuro essere in catene che liberi."
Franz Kafka
Dormire in un vero letto
dopo così tanto tempo era un'esperienza quasi mistica per
Nemeria. Quando aveva aperto gli occhi poi, aveva dovuto tirarsi un
pizzicotto sulla guancia per essere sicura di non stare sognando. Aveva
anche provato a toccare le lenzuola con entrambe le braccia, ma la
sinistra non si era mossa dal suo petto: era stata steccata e una
fasciatura molto stretta le impediva anche solo di spostarla. In
realtà, come si era resa conto un istante più
tardi, non era l'unica cosa che faceva fatica a muovere. Tutto il suo
corpo era un livido, pieno di tagli e bruciature.
Sbatté un paio di volte le palpebre e, come se non avessero
atteso altro, i ricordi del combattimento nell'arena si riassemblarono,
assieme alla consapevolezza di aver attinto, per la seconda volta, al
potere dell'aria. L'elementale aveva una bella voce, più
acuta rispetto a quella dell'elementale del fuoco, come di una giovane
fanciulla, non più bambina ma non ancora donna.
- Grazie. - sussurrò, sperando che la sentisse.
Trasse un altro profondo respiro, si puntellò su un gomito e
riprovò a tirarsi su. Tutti i muscoli gemettero e il dolore
la fece tremare così tanto che per poco le forze non le
vennero meno. Anche quando riuscì a mettersi seduta,
racimolò le energie per raddrizzarsi solo dopo un lungo,
sofferente minuto. Dopodiché si guardò intorno.
“Per la Madre!”
Era senza fiato. La stanza era grande, molto più grande di
qualsiasi altra avesse mai visto. Sul pavimento a mosaico si svolgeva
una battuta di caccia a cavallo che sembrava continuare sulle pareti e
poi su, fino al soffitto, dove i commensali banchettavano con le prede
catturate. Di fianco a lei, vicino alla testiera di bronzo, su una
cassapanca con inserti di madreperla e pasta vitrea, erano stati
appoggiati dei bracieri. Gli incensi che vi bruciavano spandevano un
delicato profumo di limone e mirra che le solleticava le narici.
Nemeria si allungò e lo inspirò a pieni polmoni,
come la prima volta che aveva presenziato ai rituali dell'Alta
Sacerdotessa. Il fumo la fece tossire e lacrimare gli occhi,
costringendola a ritrarsi.
Zoppicando, sfiorò con deferenza e timore il vaso rosso
poggiato sul tavolinetto vicino all'armadio. La luce biancheggiava sul
legno lucido, ne delineava le teste di cavallo sui tre piedi, correndo
lungo l'asse di sostegno fino al piano di marmo rosa.
“Ma dove sono finita?”
Osservò ancor più meravigliata il copriletto
damascato.
Sapeva che si sarebbe dovuta preoccupare, tuttavia non poté
che ammirare ciò che la circondava. Arsalan le aveva
raccontato spesso di quanto alcuni mortali fossero ricchi, molto
ricchi, ma solo in quel momento Nemeria prese coscienza di quanto
possedessero. Estasiata da tutta quella bellezza, si era persino
dimenticata di quanto fosse difficile stare in piedi.
Si appoggiò al materasso per riprendere fiato. Il dolore la
pungolava dall'interno e, quando meno se lo aspettava, affondava i suoi
denti velenosi nei muscoli.
“Forse dovrei tornare a letto.”
Ma il tarlo di scoprire a chi appartenesse quella casa era impossibile
da ignorare. Inoltre, chiunque fosse, l'aveva portata via dall'arena,
doveva quantomeno ringraziarlo.
Piegò la gamba per compiere un passo, ma si fermò
col piede a mezz'aria, il cuore improvvisamente pesante. Lo sguardo
vitreo di Kimiya le asciugò la bocca e soffocò
l'euforia sotto le acque del dubbio: dov'era finita? Era scappata o era
rimasta lì, nell'arena? Il solo pensiero che fosse ancora
tra le mani di Abayomi le raggelò il sangue.
Strinse forte i denti e gli occhi e si obbligò a camminare.
La porta non era altro che una semplice tenda di lino; le
scivolò sulle spalle e sul viso come una carezza, quasi la
volesse invitare a proseguire.
Nemeria fece un respiro profondo e, appoggiandosi al muro con l'unico
braccio sano, avanzò lungo il corridoio un passo dopo
l'altro. Si sforzò di aumentare l'andatura un paio di volte,
ma le sue gambe protestarono e la obbligarono a rallentare. O, quando i
crampi le annebbiavano la vista, la costrinsero addirittura a fermarsi.
Non seppe come fece ad arrivare alla fine senza scoppiare in lacrime.
Si affacciò su un altro corridoio, anch'esso dipinto di
rosso, e si trascinò finché non arrivò
in una nuova stanza, ancora più grande della sua. Sul tavolo
centrale, attorniato da cinque letti con le testiere istoriate
d'argento e avorio, era stata adagiata una ciotola di bronzo con fichi,
datteri, pesche e mele, mentre in un'altra, molto più
piccola e anonima, delle olive nere. Quando Nemeria si
avvicinò, scoprì che sotto il panno bianco c'era
anche un piatto con diverse pagnotte. A quella vista, il suo stomaco
emise un lungo e sonoro brontolio.
“Da quanto tempo sono qui?”
La domanda sorse spontanea e rimase in sospeso, assieme a tutte le
altre che le si affastellavano davanti agli occhi. Scosse veementemente
la testa e si dovette appoggiare al tavolo per non cadere. Prima che
ginocchia le cedessero, si diede la spinta per andarsi a sedere su uno
dei letti. Il materasso scricchiolò e la bambina
sprofondò, finendo quasi per cadere dall'altra parte. Quando
riuscì a rimettere i piedi a terra, si accorse di stare
girando scalza. La pelle sulla pianta era ruvida, screpolata lungo
tutto il tallone e dura al centro. Non si era mai resa conto di quanto
si fossero rovinati fino a quel momento. Nel tempo passato con la
Famiglia non aveva più fatto caso a tante cose.
“Non ci pensare, non ora.”
Lasciò le gambe a penzoloni per un momento, prima di saltare
di nuovo giù e avvicinarsi al tavolo. Prese una panetto con
semi di papavero, finocchio e sedano, li infilò nelle tasche
della tunica e poi prese due manciate di datteri.
“Sono sicura che anche lei avrà fame.”
Lo stomaco gorgogliò ancora. Nemeria analizzò i
frutti rimasti e prese la mela più rossa di tutte. Quando
l'addentò, il sapore dolce della polpa le esplose in bocca.
Era così tanto che non ne mangiava una che si era
dimenticava che gusto avesse.
- Sì, non potrà non piacerle. - mugolò
tra sé e sé, - Anzi, quasi quasi gliene porto
una. -
Tastò quelle rimaste come aveva visto fare ai fruttivendoli
del Quartiere del Legno e alla fine optò per una pesca. Non
era molto grande, ma la buccia era morbida e profumatissima.
Con le mani appiccicose e il succo ancora fresco sulle labbra
tornò a guardarsi intorno. A parte quegli strani letti
– ma se era una sala da pranzo, perché i
commensali avrebbero dovuto dormirci? – c'erano altri due
tavolini tondi di bronzo, tutti con le zampe lavorate a forma di testa
di leoni; infine notò diverse sedie, alcune con lo
schienale, altre senza, altre ancora ne avevano uno lungo e poco
più sotto della metà spuntavano i braccioli.
Nemeria si diresse verso la porticina socchiusa e sbirciò
all'interno. Rimase sorpresa e delusa nell'appurare che la cucina era
un ambiente piccolo rispetto alla sala, con diversi treppiedi sopra un
bancone sporco di carbone. Sotto il piano di laterizio si aprivano
delle arcate in cui erano state riposte fascine, paglia e qualche
ciocco di legno. Il cuoco non si vedeva da nessuna parte.
Compì un cauto passo all'interno.
- Kimiya? - chiamò a bassa voce, - Kimiya, sei qui? -
Sondò l'ambiente circospetta e attese un momento. Si
aspettava di veder sbucare la testa arruffata della sua amica da sotto
la tovaglia. Si batté una mano sulla fronte quando le
tornò in mente che anche se avesse urlato il suo nome,
Kimiya non avrebbe potuto sentirla.
Si avvicinò al tavolo e con un gemito dolorante
tirò su il lembo. A parte un po' di farina e qualche
briciola di pane, non c'era nessuno. Si morse le labbra e
uscì quanto più in fretta poté. Si
diresse verso la tenda in fondo alla stanza. Un venticello tiepido del
tardo pomeriggio le soffiò sul viso e le asciugò
il sudore sulle gambe e sul collo. La luce aranciata del sole sfumava
nelle gradazioni del giallo per poi incupirsi in un rosso purpureo, che
imbruniva nel viola del crepuscolo. Dalla sua prospettiva, Nemeria
riuscì a scorgere anche le prime stelle. Inspirò
a pieni polmoni l'aria fresca e avanzò fino alla vasca al
centro. Il vento increspava la superficie dell'acqua illuminata
dall'apertura sul tetto, sospingeva le foglioline contro le sponde come
barchette alla deriva. Le fauci spalancate dei lupi sui doccioni
parevano fissarla con i loro occhi inanimati, freddi, feroci,
così realistici da farla indietreggiare. Si fermò
solo quando andò a sbattere contro il pozzo alle sue spalle.
Sussultò e tese le orecchie. Silenzio, solo il sibilo del
vento e le ombre sempre più lunghe della sera.
Strinse la pietra di luna perché le infondesse un po' di
coraggio. Trattenne il fiato quando con la punta delle dita
sfiorò un collare di cuoio. Si trascinò fino al
bordo della vasca e si inginocchiò. Il suo riflesso le
rimandò una bambina spaventata, vestita con una tunica
bianca, stretta in vita da una cintura. Abiti nuovi, leggeri, puliti,
come quelli che indossava quando viveva nella tribù. Avrebbe
potuto pensare di essere libera, se non avesse avuto quel pezzo di
cuoio placcato con un metallo rossastro, simile al rame. Un pizzicore
le intorpidì le dita quando ve le passò sopra, lo
stesso che le trasmise la fibbia.
“Basterà scioglierlo.”
Non aveva mai usato il fuoco in quel modo, non era nemmeno sicura di
poter sprigionare il calore sufficiente senza bruciarsi. Chiuse gli
occhi e trasse un lieve respiro, prima di fissare la sua attenzione
sulle pareti. Una volta Etheram le aveva detto che anche l'ambiente era
importante per concentrarsi, e che il silenzio, a volte, poteva essere
più rumoroso di una stanza piena di gente.
- Ci sono due modi di guardare il mondo, Nemeria: puoi osservarlo da
lontano e coglierlo nella sua armoniosa interezza, oppure avvicinarti e
lasciarti catturare dalle minuzie più pregevoli. Non
c'è un metodo più giusto dell'altro, è
la situazione e il tuo stato d'animo a decretare se è meglio
rimirare un paesaggio mentre cavalchi o quando bivacchi. Lo stesso
discorso si può applicare al metodo con cui attingi potere
dagli elementali: puoi protendere la mano e rimanere distante,
così come puoi avvinarti e immergerti in loro. -
Nemeria puntò lo sguardo sui monti che affrescavano le
pareti. Le vette si innalzavano verso il cielo, sconfinando nelle
nuvole bianche, dipinte tamponando il pennello con tocchi rapidi. Un
branco di lupi correva nella foresta come un'unica entità,
si avventava sulla cerva in fuga con ferocia, la braccava tra gli olmi
e gli ontani imbiancati di neve finché il capobranco non la
atterrava. Era una scena cruenta che, come quella nella sua stanza,
continuava su tutte e quattro le pareti. Nemeria seguì i
predatori senza riuscire a rivolgere la sua attenzione altrove,
attratta dalla bellezza dei colori e dal realismo con cui erano stati
riprodotti. Socchiuse le palpebre e si concentrò sul naso,
biancheggiato attorno alle narici per rendere il sudore, poi sulle
orecchie abbassate, parallele alla testa, e sulle zampe che sfregiavano
lo strato spesso di neve.
La pietra di luna le trasmise un pallido calore.
Contemplò la cerva... no, il giovane cervo,
poiché il pittore aveva tratteggiato un accenno di corna, e
osservò il manto lucido e le zampe chiazzate di rosso.
Nemeria immaginò che fosse rimasto ferito o che fosse
l'unico sopravvissuto della sua famiglia. Come lei.
Strinse di più il ciondolo e abbassò le palpebre.
Poteva sentirlo, il soffio del vento, quello che sferzava il paesaggio
innevato. Le si infilava tra le dita e tra le bende, come un nastro di
seta appena lavato. Davanti ai suoi occhi divenne una raffica che
ingrossava la fiamma, danzava con essa lasciandosi lambire dalle lingue
ardenti. Allungò la mano verso il cerchio di luce, lo
oltrepassò mentre il vento spirava più forte e...
La visione svanì e tutto piombò
nell'oscurità.
La bambina attese un istante, quindi aprì gli occhi e si
guardò attorno senza capire dove avesse sbagliato. Aveva
fatto come sua sorella le aveva detto e gli elementali avevano
risposto. Allora perché poi se n'erano andati quando aveva
provato ad attingere al loro potere?
Venne colta da un senso di vertigine e dovette appoggiarsi alla parete
per non svenire. Fissò il pavimento finché la
griglia delle piastrelle non tornò a essere una sola, ferma.
Avrebbe parlato con Kimiya, forse lei poteva aiutarla. Sempre se
l'avesse trovata.
Si raddrizzò e, senza staccare la mano, percorse il
perimetro della stanza per vedere se ci fossero altri corridoi. Non
voleva tralasciare nulla se voleva avere la certezza di trovare la sua
amica. Sicuramente, appena si era svegliata, era corsa a nascondersi
nel posto più buio e lontano della casa.
Il portone si aprì che non aveva ancora finito il suo giro.
Nemeria si immobilizzò come un topo davanti al gatto quando
vide un uomo attorniato da una ventina di servi avanzare all'interno.
Era alto, svettava al di sopra di tutti gli altri di almeno una testa,
i capelli brizzolati rasati ai lati e tenuti fermi con un legaccio di
cuoio sulla spalla. L'aveva notata subito, Nemeria se n'era accorta
dallo sguardo attento e curioso che le aveva lanciato, ma non si era
avvicinato. Si era rivolto all'uomo alla sua sinistra e gli aveva fatto
un cenno con la testa, abbracciando con un gesto della mano i servi che
portavano ceste cariche di frutta, verdure, pane e cereali.
- Sì, mio signore. -
- Bene, muovetevi. -
Aveva una voce baritonale che risuonava chiara e forte
nell'immobilità del silenzio. Il servo piegò la
testa in un cenno di assenso e scattò, seguito dagli altri.
Passarono accanto a Nemeria scoccandole appena un'occhiata, prima di
svanire al di là della tenda. I loro passi animarono la casa
e si dispersero nelle camere e nei corridoi.
- Finalmente ti sei svegliata. - disse l'uomo rimasto, non appena le fu
vicino, - Noto anche che hai trovato da mangiare. Molto bene, significa
che stai riprendendo le forze. -
Non era stata una sua impressione, era davvero molto alto. Indossava
una tunica corta blu dalle maniche lunghe e dei calzoni morbidi
infilati in stivali di pelle di montone. Da sotto le sopracciglia
folte, sollevate in un cipiglio divertito, la fissavano delle iridi
argentee.
- Avrai molte domande da farmi. Seguimi, andiamo nel mio studio, ti
spiegherò tutto. -
Senza attendere risposta, sparì oltre la tenda. Nemeria
attese un momento, poi non vedendolo riapparire lo seguì.
All'interno la casa fremeva, di nuovo viva e popolata da uomini e donne
che correvano per il corridoio, portando vassoi, piatti, vivande.
L'aria trepidava del rumore di stoviglie, del profumo degli aromi
cosparsi sul pesce e sulla carne messa a cuocere. I domestici la
scansavano senza fermarsi, le sfrecciavano accanto o piroettavano con
grazia senza che dai piatti cadesse nemmeno una goccia di sugo, un
pezzetto di carota, uno spicchio di mela.
- Segui il corridoio e quando vedi la grande tenda rossa, aprila. Il
padrone ti aspetta lì. Non puoi sbagliare, è la
tenda più grande di tutte! - la informò un
giovane servo con un accenno di barba, vedendola persa in mezzo al
corridoio.
Nemeria annuì, sebbene non fosse proprio certa di aver
capito. Ripercorse la strada che aveva fatto precedentemente, stando
bene attenta a non urtare nessuno, anche se le sembrava che quegli
uomini fossero abituati ad avere gente tra i piedi.
- Ragazzino, di là. -
Senza troppe cerimonie, una ragazza le mise le mani sulle spalle e la
girò. I ricci le incorniciavano il viso paffuto, non ancora
adulto, e solleticavano le spalle e il collo sottile. Nemeria non ebbe
il tempo di puntualizzare di essere una femmina, figurarsi opporre
resistenza mentre la serva la trascinava lungo il corridoio, svoltava a
sinistra e la sospingeva verso la tenda che copriva l'interna parete.
Anzi, era essa stessa la parete.
- Ricordatelo la prossima volta, al padrone non piace aspettare. - la
redarguì con un sorriso bonario, - Ora va', non star qui a
fissarmi come un baccalà. -
- Non devo aspettare che mi chiami? -
- Lui cosa ti ha ordinato? -
Nemeria ripeté quello che le aveva detto.
- E allora fai così. Il padrone è sempre molto
chiaro: se ti dice che vuole che lo segui nel suo studio, significa che
lo devi seguire nel suo studio. Semplice, no? -
A lei non sembrava così, ma decise comunque di annuire per
non fare la figura della stupida. La ragazza le batté una
pacca sulla spalla, ignorando l'occhiata di rimprovero di una donna
più anziana che passava nel corridoio.
- Bahar, scansafatiche, non perdere tempo e vienimi a dare una mano con
la cottura del maiale. -
- Arrivo, arrivo! -
Nel suo tono c'era un che di esasperato che strappò un
sorriso a Nemeria.
- Me la cavo da sola, ora. - si sentì in dovere di dire.
La serva annuì. Si era già girata per andarsene
quando tornò a guardarla, stavolta con maggior interesse.
- Ma i tuoi occhi... -
- Bahar, che la peste ti colga se non ti muovi adesso! -
Quell'ultima esortazione bastò per smorzare qualsiasi
curiosità. La ragazza le lanciò un'ultima
occhiata curiosa prima di correre via come se avesse la morte alle
calcagna.
Nemeria la seguì con lo sguardo finché non
sparì dietro l'angolo, poi tornò a fissare la
tenda. Si sentiva come un agnello che stava per andare di sua spontanea
volontà nella tana del leone, ma non aveva scelta.
“Sorella, dammi la forza.”
Strinse nel pugno la pietra di luna e trasse un profondo respiro, prima
di scostare la tenda.
Venne accolta in un ambiente piccolo, intimo. Gli angoli delle pareti
erano foggiati a pilastri e sembravano sorreggere le statue dipinte.
Libri e tomi più o meno spessi e polverosi erano stati
ordinatamente impilati sugli scaffali delle diverse librerie che quasi
toccavano il soffitto. Diverse sedie attorniavano il grande e tornito
tavolo centrale, anch'esso gremito di pergamene, tavolette di cera,
calamai e stili di legno.
L'uomo alto, il padrone, era seduto dalla parte opposta e non sembrava
essersi accorto di lei. Nemeria attese in piedi finché le
gambe non ripresero a tremare e le imposero di sedersi su una delle
sedie. Non sapeva come comportarsi. Il padrone di casa continuava a
scrivere, incurante della sua presenza, inspirando di tanto in tanto
dalla lunga pipa bianca, che riponeva su un sostegno di legno a portata
di mano dopo ogni boccata.
Doveva chiamarlo oppure doveva attendere che fosse lui a darle il
permesso di parlare? Aveva fatto bene a sedersi oppure si doveva
aspettare un rimprovero per la sua poca resistenza?
“Mi fa male dappertutto.” si scusò, in
un dialogo immaginario. Le gambe soprattutto, non riusciva a stare
troppo a lungo in piedi.
Il suo stomaco protestò, un basso gorgoglio che la fece
trasalire. Si mise una mano sulla pancia e provò a non
pensare al profumo di carne che filtrava attraverso la tenda, alla
consistenza che doveva avere sotto i denti quando la si masticava. Un
altro borbottio risuonò nella sala.
- Se hai fame, mangia. È ora di cena e tu sei in via di
guarigione, è normale che il tuo corpo pretenda
più attenzioni del solito. - esordì a quel punto
l'uomo, mentre due nuvolette di fumo si librarono dalle sue labbra
nell'aria, sprigionando un profumo dolciastro di resina, - Cosa hai
lì? -
Nemeria svuotò le tasche. Alla vista della frutta, il suo
stomaco borbottò ancora, con più veemenza. L'uomo
abbozzò un mezzo sorriso, prese un dattero da un piattino di
terracotta, tolse il nocciolo prima di metterlo in bocca e
lanciò un'occhiata alla bambina, spingendo appena il piatto
nella sua direzione.
- Davvero buoni, domani devo dire a Farshad di comprarne altri. - ne
afferrò un altro e fece altrettanto, - Mangia, mangia,
abbiamo tempo prima che la cena venga servita. -
Nemeria non se lo fece ripetere due volte. Si impadronì di
tre datteri e li infilò tutti insieme in bocca. Poco ci
mancò che si strozzasse nella foga, ma era così
affamata che subito ne ingoiò un altro, assieme alla buccia
e al nocciolo.
- Come vi... -
- Puoi darmi del tu quando siamo da soli. -
Nemeria deglutì l'ultimo boccone e tossì per
darsi un contegno. Fissò con desiderio la mela, ma represse
l'istinto di azzannare anche quella, e nascose le dita dietro la piega
del ginocchio.
- Qual è il tuo nome? -
- Tyrron. - il sorriso si allargò e le labbra si
assottigliarono fino quasi a sparire, - A giudicare dalla tua faccia,
qualche voce su di me ti è giunta. -
Nemeria annuì e poi si affrettò a scuotere la
testa.
- No, non so granché. Solo il nome non mi è
nuovo. -
Lui annuì. Da vicino, la sua pupilla era poco più
che una fessura slargata, contornata da un alone giallo dorato.
“Tyrron Occhi di Lince.”
- Cosa ne sarà di me? -
- Diventerai una mia gladiatrice. -
Il cuore inciampò nel petto e le parole rimasero impigliate
tra i denti come pesci in una rete. Si rese conto di aver trattenuto il
respiro solo quando i contorni divennero sfocati.
- Morirò? -
Tyrron appoggiò il mento sulle mani intrecciate, inclinando
la testa a destra e a sinistra. La coda ondeggiava a ogni movimento,
frusciando sulla veste. Nemeria sostenne il suo sguardo come poteva,
respirando il più piano possibile: sperava che se avesse
mantenuto la concentrazione su quei movimenti, lui non si sarebbe
accorto di quanto avesse paura.
- Dipenderà dalle tue abilità. Di solito i
gladiatori non vengono uccisi, sarebbe un enorme spreco di denaro e
risorse. Se ricevono ferite mortali, i guaritori fanno l'impossibile
per salvarli. - si esibì in un ghigno stiracchiato, - Se
quello che mi chiedi è se voglio mandarti a morire, la
risposta è negativa, ma non vedo il futuro, non ti posso
dare alcuna garanzia che qualcuno non tenterà di ammazzarti.
-
Nemeria deglutì a vuoto. Aveva la gola secca e la lingua si
era improvvisamente atrofizzata.
- Ci... - strinse il ginocchio, - ci andrò subito? -
- No, ovviamente. Prima ti dovrai riprendere. -
- E dopo? -
- Dopo verrai sottoposta a una valutazione fisica e magica dai miei
allenatori. Saranno loro a decidere come indirizzarti, verso quale
stile di combattimento. -
- Sarò mai... libera? -
Nemeria pose quell'ultima domanda in un sussurro. Tirò su
col naso e si strofinò gli occhi, i denti piantati nelle
labbra e lo stomaco contratto. Aveva ancora molte, tante, troppe
questioni aperte, eppure in quel momento erano scolorite,
insignificanti.
- Anche in questo caso, dipende da te. Ho speso molti soldi per
comprarti. -
Srotolò una pergamena e gliela mise sotto il naso. Nemeria
lesse i termini del contratto senza capire davvero ciò che
c'era scritto. Parole come “vendita”,
“proprietà”e
“riscatto” erano incomprensibili.
- Sai leggere? -
Il cervello di Nemeria non sapeva più nemmeno elaborare un
pensiero logico. Annuì con poca convinzione e Tyrron dovette
interpretare quel suo tentennamento come una dimostrazione d'ignoranza.
- Mi sei costata duemiladuecentocinquanta shekel. - incrociò
il suo sguardo, - Sai quanti sono? -
“Troppo.”
- Sì, ora sì. -
- Quando riuscirai a ripagarmi, riavrai la tua libertà. -
avvolse un nastro attorno alla pergamena e la andò a
sistemare su uno degli scaffali, - Se hai finito, desidero farti io
alcune domande. -
Lo sguardo che aveva, simile alla lama di un pugnale, bastò
a inchiodarle la lingua al palato e a pietrificarla. Sentiva freddo, un
freddo che germogliava dalla paura dell'ignoto e della morte e dalla
certezza di non poter avere segreti con quell'uomo: avrebbe annusato la
bugia dopo le prime sillabe.
- Mi piacerebbe sapere il tuo nome, prima d'ogni cosa. - riprese posto
e si protese verso di lei, - Non mi piace condurre una conversazione
senza sapere a chi mi sto rivolgendo. -
- Nemeria. - esalò flebilmente.
- Bene, Nemeria. Come ti ho detto, sarai una mia gladiatrice. Lavorerai
per me. I miei allenatori provvederanno a renderti una guerriera capace
di far divertire il pubblico. Se sarai brava, riuscirai a racimolare
abbastanza shekel da pagarti la libertà. Nel frattempo,
verrai alloggiata in una stanza nel dormitorio della scuola.
Condividerai la camera con un'altra ragazza che ho acquistato assieme a
te. Lì sarà la tua vita, d'ora in avanti. Visto
quanto ho dovuto sborsare per averti, mi aspetto che tu non mi deluda,
se non altro se ci tieni a non essere più una schiava. -
Schiava. Quella parola la colpì come uno schiaffo e le
trafisse la pancia, attaccandola allo sedia. Meno di un animale, meno
di un oggetto, meno di nulla: aveva perso il diritto di definirsi un
essere umano. Una lacrima le sfuggì dalle ciglia prima che
Nemeria riuscisse ad asciugarla.
- Non piangere, non ne vale la pena. Lì fuori saresti morta
prima o poi, uccisa da un'infezione o da una mela andata a male. Qui
verrai nutrita, curata e avrai un tetto sopra la testa, e in cambio ti
verrà solo richiesto di far divertire il tuo pubblico, il
tuo cliente più pretenzioso e indulgente di tutti. Non so
cosa ti abbiano raccontato, ma ti posso assicurare che ben presto
comincerai a pensare d'essere stata fortunata a finire qui. - fece un
tiro dalla pipa e trattenne il fumo in bocca prima di soffiarlo fuori
in un filo sottile, - Ci sono poche regole, ma ce n'è una in
particolare che pretendo venga rispettata: non provare a fuggire. La
scuola è sorvegliata e anche volendo usare il tuo potere, il
collare non è l'unica cosa placcata in oricalco. Non ti sto
minacciando, Nemeria, ma ti prometto che se mai tenterai la fuga, le
ossa rotte e le bruciature ti sembreranno dei fastidi a confronto di
quello che patirai. -
L'occhiata che le scoccò la fece rabbrividire.
Più delle parole, erano quegli occhi taglienti a gelarle
l'anima.
- Hai capito, Nemeria? -
- S-sì, ho capito. -
- Ottimo. - l'uomo ripose la pipa sul sostegno e si portò
alla bocca l'ultimo dattero, - Per il resto, puoi fare quello che
più desideri. Più avanti potrai anche uscire
dalla scuola, ma fino a quando non sarò certo che non
dovrò mobilitare i Kalb per venirti a stanare, non posso
permettermi di rischiare. -
Nemeria annuì. La testa si era svuotata, la sentiva leggera,
piena d'aria, con le domande tutte compresse contro la scatola cranica.
Il collare, ora, le pesava come se fosse stato di piombo. Era la catena
che la vincolava a quell'uomo, a Tyrron; il nodo scorsoio da cui
penzolava la sua dignità.
- Se non hai altro da chiedermi, puoi tornare nelle tue stanze fino a
quando non sarà pronta la cena. Il guaritore afferma che per
il momento è meglio tenerti sotto controllo e io concordo
con lui. - concluse e le fece un lieve cenno della mano, - Ho delle
faccende burocratiche particolarmente noiose di cui mi devo occupare,
puoi andare. -
Nemeria non attendeva altro. Scese dalla sedia, chinò il
capo e si trascinò in camera sua. L'odore del cibo le
stuzzicava le narici, ma lo stomaco era chiuso in una morsa gelida,
così stretta da darle l'impressione che avrebbe potuto
vomitare da un momento all'altro. Deglutì il gusto acido
della bile assieme alla tristezza, alla frustrazione, al dolore. Tra le
lacrime si domandò perché non avesse chiesto che
fine avessero fatto tutti gli altri, e chi fosse l'altra ragazza che
aveva comprato.
“Perché ti preoccupi? Gli schiavi non hanno
amici.”
Soltanto quando ebbe raggiunto la sua camera e nascosto il viso nel
cuscino si concesse di piangere.
"Il
fuoco è sempre stato e, ragionevolmente, rimarrà
sempre, il più terribile degli elementi."
Harry
Houdini
La cena venne servita
giusto un'ora dopo. Nemeria aveva ancora gli occhi umidi quando Bahar
venne a chiamarla per andare a tavola. Inghiottì un gemito
mentre si alzava e passò accanto alla serva, che nonostante
l'occhiataccia che le aveva lanciato era rimasta sulla soglia ad
aspettarla. Nemeria la superò a capo basso e fu
così che si accorse dei sandali appoggiati al muro.
- Il padrone desidera che li indossi. - la informò
prontamente Bahar.
“E se non volessi?”
- Hai bisogno di una mano a infilarle? Ridotto come sei non deve essere
facile. -
-Faccio da sola. - borbottò stizzita.
La serva sgranò gli occhi per un istante quando finalmente
capì che Nemeria non era un ragazzo, ma non
commentò.
La bambina sbuffò e si sedette sul pavimento dandole le
spalle. Avevano una spessa e pesante suola in cuoio e i lacci erano
molti. Con il destro riuscì a destreggiarsi e a legarli
attorno alla caviglia e al centro del piede, mentre con il sinistro
fece un po' di fatica, il braccio stretto al petto le era d'intralcio.
Poi Bahar la prese sotto le ascelle e l'aiutò a rimettersi
in piedi.
- Andiamo, o il padrone se la prenderà con me. - la
incitò con un colpetto sulla spalla, - Sempre dritta, segui
il corridoio. -
Nemeria non voleva incontrare Tyrron, non voleva cenare assieme a lui,
ma non aveva scelta: le occhiate di prima erano state sufficienti a
farle capire che non avrebbe tollerato alcun capriccio. Tirò
su col naso e deglutì un paio di volte, le unghie piantate
nei palmi delle mani. Il calore che si irradiava dalla pietra di luna
le aveva pervaso il petto e le asserragliava i polmoni in una gabbia
infuocata.
Stando al quantitativo di portate che aveva visto, Nemeria rimase
stupita quando si accorse che la sala da pranzo era stata apparecchiata
solo per due persone. I letti erano stati spostati contro le pareti ed
era stato aggiunto un altro tavolo, dove erano stati deposti diversi
piatti, tutti ricchi di cibo. Nonostante i tentativi di Nemeria di non
volgere lo sguardo in quella direzione, era bastato il profumo della
carne speziata a risvegliare il suo appetito.
- Siediti vicino a me. - Tyrron le indicò il posto alla sua
sinistra, - È compito di Adel e Imar servire gli ospiti. -
Nemeria si concesse un breve momento d'esitazione. Le sembrava di avere
le ossa di piombo tanto le era difficile camminare. Quando
arrivò a capo tavola, prima che lo facesse lei, Bahar
scattò e le spostò la sedia per permetterle di
sedersi.
- Ti faccio assaggiare un po' di tutto. - riprese Tyrron, - Sei un
insetto stecco, se vuoi sopravvivere nell'arena devi mettere su un po'
di peso. In questo stato, persino un bambino ti stenderebbe. -
“Come se potessi scegliere.”
Due servi fecero il loro ingresso nella sala con altre due portate. In
quello più giovane Nemeria riconobbe il ragazzo che le aveva
dato le indicazioni per arrivare allo studio privato. Aveva le spalle
strette, la vita sottile e le orecchie leggermente appuntite appena
nascoste dai riccioli. Le lanciò uno sguardo gentile
accompagnato da un sorriso, prima che il suo compagno, un uomo col naso
a patata e il labbro sporgente, gli ordinasse con un cenno della testa
di sbrigarsi.
Nemeria si sforzava di restare calma. Il collare le sembrava
più stretto, sebbene non l'avesse più toccato
dopo l'episodio di qualche ora prima, e il calore liberato dalle
placche di metallo passava attraverso il cuoio e le arroventava la
pelle. Tyrron aveva detto che era oricalco. Il nome non le era nuovo.
Frugò nella memoria, ricercando l'informazione nelle
conversazioni avute con Etheram o Fakhri, ma non le venne in mente
nulla di più di ciò che aveva potuto scoprire da
sé: con quel metallo era stata realizzata la fibbia e le
placche e, in un modo che ancora non capiva, riusciva a interferire nel
suo richiamo degli elementali.
“Perché nessuno ci ha mai messo in
guardia?”
La risposta emerse limpida, ancor prima che avesse tempo di
arrabbiarsi: nessuno nella tribù, probabilmente, aveva mai
pensato che fosse necessario informarle perché non lo
sapevano. O forse, come i mortali pensavano che le Jinian fossero solo
una leggenda, neanche loro non avevano mai creduto all'esistenza di un
metallo con tali proprietà.
- La cena è servita. -
La voce di Tyrron la ridestò dai suoi cupi pensieri. Nemeria
osservò la ciotola, appartenente allo stesso servizio di
quelle in cui erano state conservate le olive, lo yogurt e diversi
pezzi di verdure con vicino una frittata di patate che ancora
sfrigolava. Deglutì e osservò di sfuggita come
Tyrron mangiava quest'ultima, quindi la spezzettò pure lei e
la immerse nella salsa. Il sapore dei cetrioli e delle carote le
accarezzò la lingua e le aprì lo stomaco. Non si
gettò sul piatto soltanto perché non voleva che
Tyrron vedesse quanta fame avesse, da quanto non assaporava una cena vera
in una vera casa.
- Hai gradito. - notò lui con un sorriso, mentre Imar
portava via i piatti.
Nemeria annuì piano e tornò a fissare il tavolo.
Solo allora le saltò all'occhio che, bicchieri e brocca di
terracotta a parte, non c'erano posate.
Subito dopo vennero serviti con del riso affiancato da uno spezzatino
con ceci speziati. A Nemeria venne l'acquolina in bocca. Lo
mangiò con le mani, come faceva Tyrron, aiutandosi con il
pane. Anche quando ebbe finito tutto, ripulì il piatto dagli
ultimi residui di sugo. Lo avrebbe fatto con la lingua se non ci fosse
stata altra gente.
Quando Adel tornò in cucina per riempire la caraffa con
l'acqua, Nemeria tirò il fiato. La fame si era placata e
adesso le domande affioravano in superficie, tutte ugualmente
importanti, tutte che ancora pretendevano una risposta. L'incendio che
avvertiva dentro di sé persisteva e crebbe finché
le fiamme non avvilupparono l'immagine della Famiglia, di Kimiya e i
suoi occhi vitrei. Quel ricordo fu una pioggia sulle fiamme.
- Cos'è successo nell'arena? - trovò la forza di
domandare in un sussurro.
Tyrron la fissò come se gli avesse chiesto una cosa ovvia,
poi però alzò le sopracciglia e si
appoggiò contro lo schienale. Imar gli mise davanti delle
alette di pollo con una salsa densa e rossa.
- Mi ero dimenticato che eri svenuta. Beh, non c'è molto da
raccontare. Quando sei stata dichiarata vincitrice, i Kalb hanno fatto
irruzione e hanno catturato quante più persone potevano,
così come avevamo deciso. -
- Quindi tu sapevi cosa stava accadendo? -
- Non solo io. Purtroppo c'è una grande concorrenza nel
settore, ognuno di noi lotta per accalappiarsi i gladiatori migliori.
In ogni caso, io ho fatto un attimo affare. Tu e la tua amica siete
degli ottimi elementi, anche se tu più di lei necessiti di
essere allenata. - addentò la pelle del pollo e la
strappò assieme alla carne, - Ha quasi steso due Kalb a
colpi di pugni quella ragazzetta lì. È stato un
acquisto imprevisto, ho sborsato più di quanto pensassi, ma
non potevo farmi scappare una Dominatrice dell'aria.-
La testa di Nemeria scattò verso l'alto e lo
scrutò con tanto d'occhi. Non stava parlando di Zahra, non
l'avrebbe mai difesa, né tanto meno di Kimiya, Il'ya o
Dariush.
Davanti alla sua espressione sorpresa, Tyrron piegò le
labbra in un mezzo sorriso.
- Stai parlando di Noriko? -
- Sì, proprio lei. Una vera furia. Quando ha liberato
l'elementale dell'aria si è scatenato un vero putiferio. Ci
sono voluti quattro Kalb per immobilizzarla e due sono usciti dalla
cisterna con un occhio nero e una mandibola slogata. - il sorriso si
allargò sulle sue labbra fino a trasformarsi in una sonora
risata, - Chi se lo aspettava! Due tra le Dominatrici più
rare, una più strana dell'altra. Tu con i tuoi occhi e lei
con quei capelli rossi, piacerete sicuramente al pubblico. -
Nemeria incassò il capo nelle spalle e si strinse un
ginocchio per tenere a bada l'agitazione e il panico. Già se
lo immaginava, una folla urlante stipata sugli spalti, inebriata dalla
violenza e dal lezzo di sangue. Era una scena molto nitida, i colori
così accesi da conferirle l'impressione di una visione. Si
morse l'interno della guancia e incontrò di nuovo lo sguardo
di Tyrron. Quello di lui non si era mai spostato da lei, ne aveva
sentito il freddo sul collo.
- E dopo? Cosa è successo dopo? -
- Nulla di che. I Kalb hanno catturato più persone possibili
e chi aveva comprato si è semplicemente limitato a prelevare
la merce. - sorseggiò un bicchiere di vino fruttato, - Cosa
vuoi sapere per l'esattezza? -
- I Kalb... cosa sono? E che ne è stato della... merce in
più? -
Tyrron la fissò come se avesse le fosse spuntata un'altra
testa. Nemeria si sforzò di non distogliere lo sguardo,
sebbene l'imbarazzo per la sua ignoranza le chiazzasse le guance di
rosso.
- Sono la guardia personale del governatore della città e si
occupano esclusivamente di andare a stanare quelli come te. - le
spiegò con calma e le lanciò un'occhiata
penetrante, - Per quanto riguarda gli altri, i non-Dominatori, non so
cosa sia successo. Se nessuno ha avanzato un'offerta prima della
sortita, è probabile che siano finiti al mercato degli
schiavi. -
- E se nessuno li compra? Cosa succede? -
Iman portò a tavola un vassoio con delle palline impilate in
una piramide. Erano state spolverate con la farina di cocco ed
emanavano un intenso profumo zuccherino e delicato d'acqua di rose.
Tyrron ne morse uno e la frolla si sbriciolò tutta in bocca.
- C'è sempre qualcuno che vorrà un uomo per fare
la spesa, pulire, cucinare, o per spedirlo di qua e di là a
fare le commissioni. - sospirò, si appoggiò allo
schienale e intrecciò le dita sulla pancia, - Nella maggior
parte dei casi, gli uomini di Kalaspirit delegano qualsiasi impegno ai
servi, se non è di primaria importanza. Per questo motivo il
commercio degli schiavi va a sempre a gonfie vele. -
Nemeria trattenne il respiro: - Ricordi se tra la folla c'era una
ragazza alta così, con i capelli lunghi, molto piccola e
magra... -
Tyrron parve rifletterci seriamente. Prese un altro dolcetto e sospinse
il vassoio verso di lei.
- No, non mi dice niente. C'era molta gente e una volta prelevate voi
me ne sono andato. -
Nemeria abbassò lo sguardo. Improvvisamente i dolcetti
avevano perso tutta la loro attrattiva.
- Vai a dormire, ti conviene. Hai bisogno di riposare, così
le ferite si rimargineranno presto. - prese il calice e lo
inclinò, facendo ondeggiare la superficie del vino, - Se hai
bisogno di qualcosa, Bahar sarà subito da te. -
La ragazza in questione si staccò dal muro e le si fece
vicino. Aveva le mani dietro la schiena e sorrideva tutta impettita, lo
sguardo fiero di chi ha ricevuto il compito più importante
della propria vita. Nemeria non comprendeva il suo entusiasmo e,
sinceramente, non gliene importava un fico secco in quel momento.
Perciò scivolò dalla sedia, fece un rapido
inchino e si avviò verso il corridoio.
- Nemeria. - la richiamò l'uomo, un attimo prima che
varcasse la porta.
La bambina si bloccò sul posto, ma rifiutò di
fronteggiarlo.
- Io ti sto tendendo la mano, e ti suggerisco di fare altrettanto.
Rimarrai qui per tutto il tempo che ti serve a riprenderti, ma se il
curatore mi riferirà che non ci stai davvero provando, a
guarire intendo, sarò io stesso a buttarti nell'arena,
chiaro? -
La sua voce era dura, inflessibile, e i suoi occhi le trapassavano la
nuca come spilli. Un brivido le corse lungo la spina dorsale e le
accapponò la pelle.
- Farò del mio meglio. -
- Era quello che volevo sentirti dire. Ora va'. -
Nonostante il dolore alle gambe, Nemeria quasi corse fino alla sua
stanza.
Tre settimane passarono in fretta. Ogni giorno il guaritore, un
Dominatore dell'acqua giovane, con gli occhi viola e il naso largo a
patata, le regalava un sorriso gentile e le domandava come si sentisse.
Si chiamava Kamyar e sembrava davvero interessato a sapere se stava
migliorando, se le faceva male quando usava il suo potere per
rinsaldare le ossa e per rimarginare le ferite. Fu da lui che apprese
di aver dormito quasi tre giorni prima di riprendere conoscenza, e che
durante quel periodo lui aveva ricongiunto le ossa fissandole con del
ghiaccio.
- Avevi il naso e il labbro spaccato. - le disse mentre si occupava del
dolore al braccio, - Anche le costole erano messe male. È
stato un miracolo che non abbiano trapassato i polmoni, altrimenti
saresti morta. -
Nemeria era rimasta in silenzio fino a quando la visita non era
terminata. Aveva trascorso il pomeriggio stesa sul letto a guardarsi il
palmo della mano, la cicatrice dura, liscia, lucente, di colore rosso
acceso. Le sarebbe rimasta per sempre, le aveva detto Kamyar, anche se
lui aveva fatto di tutto per guarirla, la pelle era troppo danneggiata
per ricostruirla. Nemeria si era limitata ad annuire e a far cadere il
discorso.
Non parlava spesso, non ne aveva voglia. Viveva alla giornata,
mantenendo per quanto possibile un basso profilo. Si alzava, mangiava,
si faceva un giro della casa e poi passeggiava in giardino o si
rintanava in biblioteca. Quest'ultima era stata una concessione di
Tyrron, che aveva interpretato il suo silenzio come un indizio di noia.
- Ci sono molti libri illustrati, puoi sfogliarne quanti ne vuoi, basta
che li rimetti a posto dopo. - le aveva detto e, subito dopo pranzo,
l'aveva condotta nella stanza antistante il suo studio.
Era parecchio grande, con gli scaffali carichi di libri. Non erano
impolverati, ma quando Nemeria ne aprì uno, un trattato
sulla geografia della Jogaila, le pagine crepitarono, staccandosi le
une dalle altre. Bahar restò con lei quando Tyrron se ne
andò, ma si appisolò su una sedia con la testa
appoggiata sul petto. Successe ogni pomeriggio che andarono
lì e, nonostante le chiedesse di svegliarla, Nemeria non lo
fece mai.
Nella solitudine della biblioteca, avvolta dal silenzio degli antichi
volumi, riusciva a ritrovare se stessa e la pace che la notte le
negava. Di giorno le bastava guardare il collare riflesso nello
specchio perché la rabbia le montasse dentro, per poi
infrangersi contro il senso di colpa e la vergogna per averla scampata
ancora una volta.
Nonostante fosse una schiava, Tyrron non la trattava male, anzi, se non
fosse stato per il collare, non si sarebbe sentita tale. Ma gli altri
dov'erano? L'impossibilità di uscire dalla villa per
raccogliere informazioni la tormentava e il dubbio le mangiava il
cervello come un tarlo, instillando in lei le fantasie peggiori.
Gli incubi non arrivavano tutte le sere, ma le facevano visita
abbastanza spesso da farle temere di addormentarsi. Al risveglio non
ricordava cosa avesse sognato; nei suoi occhi non era impressa alcuna
immagine, ma il dolore e la paura che insanguinavano le sue notti erano
impresse nella pelle, in ogni livido e cicatrice in rilievo. In quei
momenti, Nemeria avrebbe tanto voluto avere qualcuno al suo fianco. La
consistenza morbida del materasso le ricordava che non era
più nel deserto o nelle catacombe, che aveva perso un'altra
famiglia. Allora si stringeva tra le braccia e si raggomitolava sotto
le coperte come poteva.
Per quanto provasse a rievocare i bei ricordi, la paura strisciava
nelle sue memorie e le avvelenava, uccidendo qualsiasi gioia, oscurando
ogni luce. E, per quanto Nemeria facesse di tutto per non farle morire,
sopraggiungeva sempre quella vocina cattiva che le soffiava
all'orecchio “Non c'è più nulla che tu
possa fare”. Il buio diventava una gabbia soffocante e ogni
ombra, anche la più piccola, una minaccia pronta ad
attaccarla non appena avesse chiuso di nuovo gli occhi. Ben presto
Nemeria si rese conto di essere diventata davvero una schiava, sia
dentro che fuori, prigioniera di Tyrron e della paura. E sapeva, con
orribile certezza, che un giorno la luce del sole non l'avrebbe
più protetta.
Il ventiduesimo giorno, Bahar venne a chiamarla prima del solito.
Nemeria era già sveglia da un pezzo, non attendeva altro che
un motivo per alzarsi.
- Ti ho portato degli abiti puliti. Vestiti in fretta, il padrone ti
aspetta per fare colazione. -
Depose la kandys sul letto, era quello il nome della tunica lunga che
indossava spesso Tyrron, e le porse gli endromìs. Nemeria
prese i sandali e si sedette sul materasso, legando i lacci attorno al
polpaccio. Il braccio era quasi del tutto andato a posto, resisteva
solo un fastidioso pizzicore quando compiva dei movimenti bruschi.
Kamyar aveva insistito perché tenesse la fasciatura ancora
per un paio di giorni, anche se Nemeria non ne capiva il motivo: stava
bene, a suo modo.
- Vieni. -
Bahar le fece un lieve cenno del capo e le rivolse un sorriso
d'incoraggiamento. Era sempre allegra, troppo per i suoi gusti. La sua
esuberante gentilezza le ricordava continuamente la Nemeria che era
morta nell'arena.
- Qualcosa non va? -
Nemeria sbatté le palpebre e tornò in
sé. Le capitava spesso di incantarsi, erano quelli i momenti
in cui la paura si rannicchiava e la mente si assopiva.
- Va tutto bene. Ero solo persa nei miei pensieri. -
- L'avevo notato, sembravi un cane che fissa un osso. -
La bambina fece spallucce e si allacciò la cintura poco
sotto il seno. Non le stringeva più sulle costole, non come
le prime volte che l'aveva indossata. Lo specchio alla parete le
rimandò il riflesso delle ginocchia ossute e della pelle
tirata sui muscoli delle braccia e sugli zigomi del viso.
- Hai messo su peso, è una buona cosa. Adesso non sembri
più un insetto stecco, anche se sei ancora gracilina. -
commentò Bahar, - Non dartene pena: il padrone non ha mai
lasciato nessuno dei suoi gladiatori a digiuno, non dovrai
più patire la fame. -
“Kimiya era ancora più magra.”
A colazione venne servito yogurt e tè alla menta con alcuni
piccoli spicchi di mela essicata. Nemeria spalmò un po' di
formaggio di capra sul pane, il nan-e barbari, mescolato con qualche
goccia di miele. Non aveva molta fame, ma Tyrron la perdeva mai di
vista e lei non aveva la forza mentale per affrontare una discussione
con lui.
- Preparati, oggi ti porto alla scuola. - disse l'uom facendo un lungo
tiro dalla pipa e sputò il fumo dall'angolo della bocca.
Nemeria annuì e si pulì le labbra appiccicose.
- Appena finisci, vai in camera a raccogliere le tue cose. Se ti
dimenticherai qualcosa, Bahar o qualcun altro te la porterà,
ma cerca di prendere tutto. Nei prossimi giorni ho delle faccende da
sbrigare. -
- Va bene, non ho molto da portarmi. -
“Per non dire nulla.”
Tyrron inarcò un sopracciglio, come se avesse intuito i suoi
pensieri. Si umettò le labbra, trattenendo il fumo nella
guancia sinistra, e la squadrò attento. Aveva le pupille
leggermente dilatate e lucide e l'alone dorato che le circondava si era
assottigliato fin quasi a sparire in un sottile contorno. Nemeria non
sapeva cosa ci fosse nella pipa, ma intuiva dal rilassamento delle
spalle a cosa serviva. Abbassò lo sguardo, focalizzandosi
sulle foglioline di menta che galleggiavano nel tè.
- Vai, ti aspetto nell'atrio. -
Nemeria tornò in camera e prese la tunica che indossava
quando era giunta lì, le calige, la clamide e la fibula per
fissarlo. Erano stati regali di Tyrron, oggetti nuovi e senza storia.
“Potrai costruirne una tu.” si disse, ma non aveva
il coraggio di crederci davvero.
Sfiorò la pietra di luna e la infilò sotto la
tunica. Il contatto con la superficie fredda le procurò un
brivido. Etheram era lì, la sua famiglia era lì,
di tutto il suo mondo era l'unica cosa che sopravviveva. E Noriko...
non sapeva se era pronta a incontrarla: non era come i fantasmi che la
tormentavano ogni notte, era viva, reale, schiava. Come le avrebbe
spiegato che Kimiya non era più lì con lei? Che
non aveva idea di che fine avessero fatto gli altri?
“Madre, dammi la forza.”
Trasse un profondo respiro e uscì dalla stanza. Quando
arrivò all'atrio, Tyrron era già lì ad
attenderla con Morad, il canuto capo della servitù. Alto
quasi quanto il suo padrone, lo seguiva ovunque come un'ombra e sarebbe
potuto passare per un vecchio se non fosse stato per le braccia
muscolose e le mani come badili. Nemeria lo aveva visto portare un
quarto di bue sulle spalle senza alcuno sforzo.
Quando si fu avvicinata, Tyrron la studiò da capo a piedi.
Il barbaglio della luce sulla lama di oricalco che portava al fianco le
fece venire la pelle d'oca.
- Devo metterti le catene ai piedi o posso fidarmi che non scapperai? -
- Non avrei dove andare. -
Ed era la verità, fuori da lì non c'era niente
per lei: la libertà non era altro che una desolante promessa
di povertà e miseria.
Due servi aprirono le pesanti doppie porte e il vento le
accarezzò le caviglie mentre si avvicinavano. Fuori, la casa
aggettava su una strada lastricata che declinava dolcemente, per poi
immettersi in un vialone che Nemeria riconobbe subito. Le fanoos erano
spente a quell'ora, eppure con i loro mosaici colorati sembravano
ancora conservare una fiamma al loro interno. Mentre camminavano nella
strada affollata, Nemeria non faceva altro che guardarle, incurante
delle persone che le passavano di fianco urtandola e dei monelli che le
calpestavano i piedi. Riconobbe anche il venditore di cavalli di quella
notte: richiamava i clienti a gran voce, sperticandosi in lodi sugli
stalloni che, a sua detta, gli erano stati venduti da niente meno che
il Rajeh in persona.
Morad scosse la testa quando tentò di trascinarlo a vedere
gli esemplari più da vicino. Non che quell'ometto grassoccio
potesse davvero smuoverlo.
- Quel mercante ha la bocca larga. - borbottò seccato tra
sé e sé quando si allontanarono, - Quelli sono
stalloni tanto quanto io sono kalaspirese. -
Tyrron rise alla battuta.
- Un po' di tempo fa aveva messo in vendita un andalo niente male. -
- Anche quello doveva essere un regalo del Rajeh, no? -
- Poco ma sicuro. -
Mentre i due parlavano, Nemeria continuava a guardare in giro,
aumentando l'andatura ogni volta che rischiava di rimanere indietro.
Aveva la pressante sensazione di essere osservata, un disagio pungente
che le graffiava le spalle e le prudeva la nuca. Cercò tra
la folla, ma in mezzo a tutte quelle persone non riusciva a distinguere
le ombre.
“È una tua impressione.”
Strinse la pietra di luna attraverso la veste e puntò lo
sguardo in avanti, fingendo indifferenza. Dopodiché, alcuni
secondi più tardi, si voltò di colpo e con la
coda dell'occhio colse il lembo di un mantello sparire in un vicolo. Il
cuore le balzò in gola quando la luce del sole
rimbalzò sul bianco lucido del profilo di una maschera.
“No...”
La paura scavò un buco nelle sue viscere.
Affrettò il passo e affiancò Morad, le dita
sempre strette attorno al ciondolo. Se avesse deciso di attaccarli,
Morad era l'unico a poterla proteggere. Ma cosa avrebbe potuto un
semplice essere umano contro l'uomo che aveva assassinato l'Alta
Sacerdotessa?
- Sei pallida, non ti senti bene? -
Tyrron le mise una mano sulla spalla e la fermò. Un urlo di
rabbia e paura le andò di traverso.
- N-no... no, sto bene. -
- Sei bianca come un cencio. - la scrutò con i suoi occhi da
lince, stringendo appena la presa, - Se hai male da qualche parte, devi
dirmelo. Non capiterà nulla a Kamyar, mi aveva avvertito che
i dolori non sarebbero passati prima della fine del mese. -
Nemeria deglutì piano. Aveva le labbra secche, le gola
riarsa e i palmi sudati. Voleva scrollarsi di dosso quella mano,
strapparsi il collare e correre via, nelle catacombe, ma era
paralizzata. Il veleno della paura le aveva reso i muscoli di pietra.
- Ho... ho solo paura di rivedere Noriko. - inventò sul
momento, sforzandosi di mantenere lo sguardo su Tyrron. - Non vorrei
che fosse gelosa perché lei è stata subito
portata alla scuola, mentre io sono stata a casa vostra per tutta la
convalescenza. -
L'uomo non accennava a lasciarla. La pupilla si era dilatata e Nemeria
si trovò ipnotizzata a osservarle. Erano occhi magnetici,
quelli, vigili e penetranti, con lo stesso riflesso della luce sugli
steli d'erba nelle oasi.
- Ma lei non lo sa e... e potrebbe essere arrabbiata. - aggiunse
deglutendo.
Batteva il piede sinistro, incapace di controllarsi. Ai margini del suo
campo visivo, la folla si muoveva e le persone passavano loro a fianco
ignorandoli, come se non esistessero. Qualcuno, da una parte,
berciò che quella era una strada, che se volevano parlare,
potevano farlo altrove. Bastò un'occhiata di Tyrron che
nessuno osò più aprir bocca. Anche il pericolo
taceva, incombendo nascosto nelle ombre immobili delle case.
- È solo questo. - pigolò con voce tremante.
L'uomo la fissò ancora un momento e poi trasse un respiro
profondo.
- Se avrai problemi, non esitare a riferirmelo. Non ho intenzione di
lasciarti in panchina per altro tempo, ho speso troppo per nutrirti e
accudirti senza un introito. - incrociò le braccia sul petto
e le fece un gesto della testa, - Cammina, non voglio arrivare in
ritardo. -
Non se l'era bevuta, lo sapeva, eppure fu sufficiente che ritraesse la
mano perché il cuore di Nemeria si placasse un po'.
Annuì, raddrizzò le spalle e si
obbligò a tenere il loro passo. Non voleva rimanere
indietro, per nessuna ragione al mondo. Tutta quella gente gli era
d'intralcio, il predone non le sarebbe potuto saltare addosso neanche
volendo, ma bastava la certezza che la stesse seguendo per farla
tremare. Lui era lì, in attesa, come la sua seconda ombra.
“Calma, devi stare calma” si disse quando il cuore
rischiò di scoppiarle nel petto. Le faceva così
male che i dolori alle gambe quasi non li sentiva.
Quando si fermarono, quasi le cedettero le ginocchia e dovette
contrarre tutti i muscoli per mantenersi in piedi.
- Siamo arrivati. - la informò Tyrron.
A quelle parole, Nemeria si riscosse. La scuola dei gladiatori, la sua
nuova prigione, era davanti a lei, una promessa di salvezza in un mare
in tempesta. Oltrepassò l'ingresso in poche falcate,
precedendo Tyrron, e soltanto allora poté esalare un sospiro
di sollievo.
- Chiudi la bocca, altrimenti ti entrano le mosche e ti strozzi. -
scherzò Morad, ma il rumore del portone che si chiudeva alle
sue spalle fu l'unica cosa che Nemeria udì davvero.
L'edificio, costruito su due piani, era in laterizio e somigliava a una
caserma per la sua architettura austera e, a tratti, severa. Tutte le
finestre erano sbarrate e si affacciavano sul giardino circondato da un
quadriportico. Le colonne erano state stuccate e, fatta eccezione per
quelle centrali di ogni lato, erano dipinte alternativamente di rosso e
di giallo. Una coppia di uomini duellava con delle spade corte
nell'angolo sinistro, mentre altri due fronteggiavano un manichino di
legno con una lancia e un tridente. Le guardie erano vicine alle
pareti, sotto il quadriportico, le armi ben in vista.
- La tua amica è di là, seguimi. -
Tyrron le diede una pacca sulla schiena e Nemeria si
affrettò in un corridoio laterale, un portico arioso dove il
vento giocava a nascondino tra le colonne bianche per poi arrampicarsi
sui muri del campo d'allenamento, fino alla cupola fenestrata. Al
centro, seduta a gambe incrociate, c'era Noriko, le mani morbidamente
appoggiate sulle ginocchia e gli occhi chiusi. Non appena Nemeria mise
piede all'interno, sollevò le palpebre e appuntò
lo sguardo su di lei.
- Ci stavi aspettando? - esordì Tyrron facendosi avanti.
Morad lo seguiva a un passo.
- Sayuri aveva accennato alla possibilità che oggi sarebbe
arrivata una nuova gladiatrice. -
Noriko si alzò, ma rimase immobile senza staccare gli occhi
da Nemeria. Ai polsi aveva due bracciali borchiati in oricalco.
- A proposito, dov'è quella donna? - domandò
Tyrron.
- Non lo so, si è allontanata qualche minuto fa. -
L'uomo si massaggiò la radice del naso con un'espressione
che Nemeria poteva solo definire esasperata.
- Padrone, credo che per quel che riguarda la preparazione fisica basti
Reza. - suggerì Morad, - Io nel frattempo vado a cercare
Roshanai. -
Tyrron fece un cenno d'assenso col capo, la fronte appoggiata al pugno
chiuso.
- Seguimi. - sbuffò.
Nemeria si morse le labbra e abbassò il capo. Non riusciva a
guardarla: Noriko era lì per causa sua, aveva perso la
libertà per difenderla. Corse dietro Tyrron senza voltarsi
indietro.
- Reza! Vieni qui. -
Il combattimento si fermò e il gladiatore si
voltò. Era un poco più basso del suo avversario,
con i muscoli in rilievo sotto la pelle ebano. I capelli arruffati
coprivano la fronte alta e si appiccicavano al collo taurino, mentre
gli occhi neri erano sottolineati dalle sopracciglia sottili.
Scambiò un paio di battute col suo compagno d'allenamento e
poi si diresse verso Tyrron. A parte dei calzoni leggeri e delle
calighe, non indossava altro.
- Sì, signore? -
- Lei è il mio nuovo acquisto, una Dominatrice del fuoco.
Avrei bisogno del tuo parere per una valutazione fisica. - sospinse
Nemeria verso di lui, - Tu sei il Syad più anziano di tutti,
mi fido del tuo giudizio. -
Reza prese a girarle intorno, studiandola con aria critica. Nemeria
tenne gli occhi bassi finché lui non la costrinse ad alzare
il mento: le mani erano ruvide come travertino.
- Magra, molto. - le tastò le braccia, le spalle e le gambe,
- Ha le ossa sottili, si romperebbero facilmente con un colpo ben
assestato. I muscoli sono poco sviluppati, eccetto quelli dei polpacci
e delle cosce. Deve essere abituata a correre, oserei dire che potrebbe
combattere o senza armatura o al massimo con un'armatura di cuoio
leggera. - le prese le mani e le torse i polsi un paio di volte, prima
per fare le stessa con le ginocchia, - Mi sembra che le articolazioni
siano abbastanza elastiche per degli scatti fulminei e per disarmare
l'avversario con qualche trucchetto. Non ti so dire quanto
crescerà, è ancora molto giovane, ma suppongo che
anche raggiungendo l'altezza di otto spanne non metterebbe su
abbastanza muscoli per combattere contro gli animali a mani nude. -
- Non era mia intenzione gettarla in pasto ai leoni. È una
Dominatrice del fuoco, non una semplice ragazzetta. -
Reza annuì e indietreggiò. Dal corridoio alle sue
spalle fece il suo ingresso una Ver'ilef . Le
tipiche orecchie simili al guscio di un paguro erano adornate con
orecchini d'ossa che entravano e uscivano da una parte e dall'altra,
donandole un'aria truce che si rifletteva negli occhi rossi e nel
portamento minaccioso. Le pelle era squamata sulle nocche, sul collo,
sui gomiti e su buona parte della guancia sinistra, macchie rosee che
risaltavano ancora di più sull'incarnato altrimenti scuro.
Morad la seguiva a poca distanza, un paio di passi indietro.
- Sei stata molto gentile a presentarti, Roshanai. -
La voce di Tyrron trasudava sarcasmo. La donna chinò la
testa e il ciuffo le sfiorò la punta del naso.
- Perdonatemi, la mia nuova allieva è molto... ostica. -
Tyrron sollevò entrambe le sopracciglia, sorpreso.
- Mi è stata portata stamane da Tara, un'altra Dominatrice
del fuoco come la vostra. -
- Quest'anno il pubblico avrà da divertirsi, allora. -
sospirò e fece un cenno a Nemeria, - Reza l'ha
già valutata, credi di potermi dire qualcosa di
più a riguardo? -
- Farò del mio meglio. -
Non appena Tyrron toccò la fibbia, questa si aprì
senza alcuna resistenza. Nemeria si tastò il collo con tutte
e dieci le dita senza capire come fosse possibile. Aveva provato a
levarselo almeno una decina di volte durante quei venti giorni e non
c'era mai riuscita, mentre a lui era bastato sfiorarlo.
“Che razza di magia è mai questa?”
- Ragazzina, guardami. -
La Ver'ilef torreggiava su di lei, squadrandola dall'alto in basso con
un'espressione sdegnata dipinta in faccia. Le prese le mani e gliele
strinse, incatenando il suo sguardo a quello di Nemeria. Una fitta di
dolore si irradiò dal centro della fronte, le avvolse le
tempie e gli occhi e si impadronì di tutto il viso, una
maschera ardente che le premeva sulla faccia e le stirava la pelle.
Nemeria lasciò cadere i vestiti e provò ad
allontanarsi, a distogliere lo sguardo, ma la presa di Roshanai la
teneva immobilizzata sul posto e il collo non ne voleva sapere di
muoversi. Gemette impotente.
“Basta...”
- Non opporre resistenza. -
La maschera divenne una lama che penetrava nella fronte. Qualcosa che i
suoi occhi non vedevano stava facendo forza per entrare nella sua testa
e Nemeria non sapeva come fermarla, non capiva se Tyrron si aspettava
che lo facesse. Strinse le palpebre, contrasse la mascella sibilando
tra i denti serrati, ma la lama era appuntita e la sua carne era una
barriera debole. Quando sprofondò, il dolore esplose,
tingendo la realtà di rosso. Spingila via.
La voce dell'elementale del fuoco le riempì le orecchie.
“Non so... non so come si fa...”
La lama incontrò una resistenza, rimase incastrata per un
istante e la mano che la guidava dovette estrarla appena per affondarla
di nuovo, con più forza. Nemeria riversò la testa
all'indietro, si dimenò, scalciò, urlò
con tutte le sue forze. Spingila via con me.
L'elementale apparve alle sue spalle, una donna dai fianchi larghi e la
pelle rossa solcata da vene di lava. Le strinse le mani e gliele
distese davanti al viso. Il calore che emanava era intenso e
confortante come l'abbraccio di una madre. Fallo, Nemeria. Mandala via, spingila.
Prima che la lama la trapassasse, Nemeria tirò su uno scudo
di fuoco. Il metallo divenne incandescente, ma continuò a
tentare di affondare, senza tuttavia passare oltre.
Più forte.
La bambina si puntò sui piedi e spinse. Le sembrava di star
facendo a braccio di ferro con un ariete, ma decise di non arrendersi.
Un passo, lento, faticoso, seguito da un altro. La pressione sullo
scudo diminuì e la lama arretrò sempre di
più. Via!
La voce dell'elementale si fuse con i suoi pensieri liberandosi in un
grido carico di rabbia.
La lama venne spinta fuori e il velo rosso si squarciò.
Roshanai volò contro la colonna del quadriportico con una
tale violenza da farla incrinare. Rimase per una frazione di secondo
sospesa in aria, immobile, prima di scivolare a terra, disegnando una
tremula scia di sangue che sgocciolava dal punto d'impatto fino alla
sua testa.
Reza corse verso di lei, mentre Morad infilò il corridoio a
nord. Le guardie sotto il porticato circondarono Nemeria, le lance
alzate, pronte a infilzarla. Lei li fissò a sua volta con il
sangue che le colava dal naso e le bagnava le labbra. Se avessero
provato a toccarla, li avrebbe bruciati, tutti.
“Ma che sto pensando...?”
- Sì, sei davvero un acquisto interessante. -
Le parve di vedere Tyrron ghignare, al riparo dietro i soldati, prima
che uno di essi le saltasse addosso e la immobilizzasse a terra.
"Poiché
la disperazione era un eccesso che non gli apparteneva, si
chinò su quanto era rimasto della sua vita, e
riiniziò a prendersene cura, con l’incrollabile
tenacia di un giardiniere al lavoro, il mattino dopo il temporale."
Alessandro
Baricco
La trascinarono in una
cella buia a fredda e ce la gettarono dentro come un sacco di patate
avariate. Non era sporca né umida, ma la polvere aleggiava
nell'aria e le catene tintinnavano, minacciose, sopra la sua testa.
Nemeria si rannicchiò in un angolo, le gambe strette al
petto e gli occhi sbarrati. Col collare di nuovo addosso, tutte le
comunicazioni con l'elementale del fuoco erano state tagliate. Era di
nuovo sola. Trasse un profondo respiro e incassò la testa
nelle spalle, appoggiando il viso contro le ginocchia. Cos'era
successo? Era stata davvero lei a far volare Roshanai contro la colonna?
“Sì, sei stata tu.”
Chiuse gli occhi e ripercorse mentalmente gli eventi. Rpshanai aveva
tentato di entrare nella sua mente imponendole la propria
volontà. Era un altro modo di usare la Condivisione: Etheram
aveva fatto la stessa cosa quando le Anziane le avevano chiesto di
controllare se anche Rakhsaan era un Dominatore. La differenza era che
suo fratello era un neonato all'epoca, una vita appena venuta al mondo,
senza un'identità o dei ricordi. Con lui, le aveva poi detto
sua sorella, era stato come buttarsi in mare da una scogliera: l'acqua
si era aperta e l'aveva avvolta, quasi non stesse attendendo altro che
svelare i segreti delle sue profondità.
Un brivido le corse lunga la schiena quando la lama incandescente
riprese forma davanti ai suoi occhi. Non aveva mai subito una
Condivisione, almeno non consciamente, eppure, ne era certa, sapeva che
non doveva essere così. Tutto quel dolore, la sensazione di
venire violata nel profondo, non poteva davvero esser parte di un rito
così intimo e delicato. Se non fosse stato per l'intervento
dell'elementale, cosa ne sarebbe stato di lei?
“L'ho respinta, però.”
Sorrise e la tensione abbandonò appena il suo corpo. Se
stringeva la mano, le pareva ancora di sentire una corda attorno
all'avambraccio e le venature scabre del cuoio. Era strano pensare che
uno scudo fatto di pure fiamme potesse trasmetterle delle percezioni
tattili così realistiche.
“Non l'ho uccisa.”
Se lo ripeté per rinfrancarsi, anche se in cuor suo era
più una speranza che una sicurezza. Roshanai aveva battuto
forte la testa, il sangue che si era lasciata dietro ne era la prova,
eppure Nemeria voleva credere, aveva bisogno di credere, che fosse
sopravvissuta, che il desiderio di morte che l'aveva assalita quando
aveva troncato il legame con Roshanai appartenesse all'elementale. Non
poteva aver davvero voluto bruciarli. Rifiutava che quella
volontà di distruzione facesse parte di lei. Tuttavia, per
quanto negasse, quella voglia era ancora lì, appena sopita
sotto la cenere, e avrebbe divorato la Dominatrice e tutto
ciò che la attorniava e confinava con lei, anche la scuola
intera.
L'ansia le aveva smembrato il cuore e banchettava seduta tra le sue
costole. Di tanto in tanto udiva lo scalpiccio delle guardie
avvicinarsi e allontanarsi, ma non riuscì a trovare mai il
coraggio di alzarsi e chiedere notizie. Preferiva rimanere
nell'ignoranza, ma allo stesso tempo il suo istinto di
autoconservazione esigeva risposte, per poi rintanarsi in un angolo
quando si prospettava l'eventualità che Roshanai fosse morta
e che l'avesse uccisa lei. E, se ben ricordava le leggi dei mortali,
quel poco che Arsalan si era lasciato sfuggire, il prezzo dell'omicidio
era la vita dell'assassino.
Intrappolata nella cella della paura e dello sconforto, con solo il
sollievo offerto dalla pietra di luna, anche le lacrime non rimasero
altro che un velo umido dietro le palpebre.
“Madre... cosa sono diventata?”
La porta cigolò sui cardini non oliati e sulla soglia
apparve Reza, assieme ad altri tre soldati. Nella penombra, a Nemeria
sembravano tutti uguali, ognuno il gemello dell'altro.
- Alzati. -
Nemeria obbedì. I piedi le formicolavano e la gamba destra
si era addormentata, ma non aveva intenzione di testare la loro
pazienza.
Senza dire altro, Reza le fece cenno di seguirlo. Non appena ebbe
oltrepassato la soglia, i soldati si chiusero dietro di lei,
circondandola. Dritti e rigidi come pronti alla battaglia, le mani
erano strette sull'impugnatura delle shamshir. La lama curva rifulgeva
minacciosa e pareva che l'oricalco avesse assorbito il sangue e che
questo si fosse raggrumato sotto la sua superficie.
La scortarono attraverso lo stretto corridoio dell'andata in assoluto
silenzio. I pochi prigionieri nelle altre celle la guardarono appena,
come se fosse più insignificante di una formica. Nemeria
incrociò giusto gli occhi glauchi di una donna con una
vistosa cicatrice sul viso, prima di tornare a fissarsi la punta dei
piedi.
Salirono una rampa di scale e uscirono all'aperto. Nemeria riconobbe le
colonne colorate del quadriportico e l'odore intenso di sudore e
terriccio. Nessuno parve far caso a loro, tutto era come lo aveva
lasciato: il clangore del metallo, i respiri spezzati, il cozzare delle
armi quando incontravano la resistenza dell'armatura.
- Dove stiamo andando? - si azzardò a chiedere.
- Al campo di allenamento dell'aria. -
La voce incolore di Reza proveniva da davanti, oltre le teste dei
soldati. Nemeria desiderava qualche altra informazione, ma l'occhiata
grifagna dell'uomo alla sinistra le ricordò la pessima
situazione in cui si era cacciata.
Quando arrivarono, la colonna si aprì e i soldati si misero
in formazione attorno a una donna con gli occhi pesantemente truccati e
un besajaun con la barba liscia tutta inanellata. Tyrron era in mezzo a
loro, una smorfia indispettita sul volto. Non appena
incrociò il suo sguardo, un brivido la fece tremare fino ai
lombi.
- Tutto ciò è ridicolo, Mina. - disse Tyrron.
La donna schiuse le labbra in un sorriso affettato: i denti erano come
le ossa insanguinate di uno squarcio appena aperto.
- Se non erro, giusto un annetto fa hai preteso che la mia Arakne fosse
punita per aver distrutto un manichino d'allenamento. - rispose Mina,
fissandolo intensamente, - Non possiamo certo soprassedere in un caso
di tentato omicidio. -
Il besajaun annuì in silenzio e gli anelli alla barba
tintinnarono: - Non posso che concordare. -
- Non lo ha fatto apposta, Roshanai ha esagerato, lo sapete. -
replicò Tyrron.
Mina scosse la testa e tutti i suoi pendagli d'oro rifulsero,
catturando la luce obliqua del sole. Il peplo bianco le ricadeva
languido sulle forme abbondanti, fermato in vita da una cintura e sulla
spalla da una fibula con l'effigie di un falco ad ali spiegate. Tutta
quell'ostentazione la faceva sembrare ancora più grassa,
rifletté Nemeria.
Qualsiasi senso d'ilarità morì quando un servo
ingobbito si avvicinò portando una frusta.
- Adel è d'accordo con me, non credo che ci sia molto altro
da dire. - prese l'arma e la accarezzò con la punta delle
dita, - Dieci frustrate. Non una di più, non una di meno. -
decretò.
Un'ombra sfrecciò nello sguardo di Tyrron.
- È solo una bambina. -
- No, è una Dominatrice e ha quasi ammazzato una delle Syad.
- la voce del besajaun era dura, con una leggera nota nasale, - Siamo
già stati abbastanza magnanimi da toglierne più
della metà. Fosse uno dei miei, quaranta frustate sarebbero
state il minimo. -
Nemeria strinse i pugni per fermare il tremito incontrollato delle
spalle quando Mina srotolò la frusta e la
consegnò a Tyrron.
- Nessuna pietà, Tyrron. Solo perché è
una tua proprietà, non significa che debba ricevere un
ulteriore sconto. -
L'uomo serrò la presa sull'arma e fece un paio di passi in
avanti.
- Vieni, Nemeria. -
A quelle parole, Nemeria si sentì morire. Mina la
osservò compiaciuta mentre avanzava e il sorriso sulle sue
labbra si allargò quando Tyrron le ingiunse di togliersi la
kandys.
“Sono solo dieci, posso resistere.”
Tentò di rassicurarsi, ma non riusciva a smettere di
tremare. Cercò negli occhi del suo padrone la
pietà, ma si scontrò contro due iridi d'acciaio.
- Inginocchiati e dammi le spalle. -
Il pavimento lastricato di pietra bianca le strappò
crudelmente il calore dal corpo. Così nuda, con gli occhi di
tutti quegli estranei puntati addosso, la vergogna era ben lontana. Si
strinse il seno inesistente tra le braccia per proteggersi dai loro
sguardi. Aveva lo stomaco stretto in una morsa convulsa, dolorosa, e il
sudore le imperlava la pelle.
La frusta sibilò e si infranse sulla schiena in uno schiocco
sordo. Il dolore si accese e si irradiò in tutto il corpo,
assalì il cervello e le artigliò gli occhi.
Nemeria si rannicchiò ancora di più e
abbassò la testa, mentre le lacrime le rigavano le guance.
- Uno. -
Gelo, nella voce di Tyrron non c'era altro che gelo.
“Madre, per favore...”
Il colpo si abbatté sulla scapola destra e la fibbia di
cuoio scattò all'indietro con la pelle attaccata
all'estremità.
“Sorella, ti preg-”
Il terzo colpo le tolse il respiro e la buttò a terra
distesa. La schiena bruciava, era un incendio di dolore che si
propagava fino alla punta delle dita.
- Alzati. -
Nemeria appoggiò la fronte contro il lastricato e si
costrinse a carponi e poi di nuovo in ginocchio. Non aveva fatto in
tempo a raddrizzarsi che Tyrron l'aveva colpita per la quarta volta.
Tremava ancora di più, come accesa dalla febbre, e non
riusciva a controllare il battito dei denti. Quando si morse la lingua,
la frusta si abbatté di nuovo su di lei e l'incendio ridusse
in cenere qualsiasi altra sensazione.
Noriko era lì, osservava da dietro uno dei soldati.
Si era formato un capannello di curiosi, tutti che erano accorsi a
vedere la punizione della nuova arrivata. Nemeria strizzò le
palpebre e distolse lo sguardo quando scorse i pugni di Noriko serrarsi.
Cinque, sei, sette, otto. La mano di Tyrron si abbassava in fretta,
calava veloce sul collo, sulle costole e nel mezzo della spina dorsale.
Si portava via tutta la sua determinazione a non cedere.
Nemeria non si rese conto di star singhiozzando finché non
si accorse di avere la vista offuscata dalle lacrime. Persino i suoi
pensieri erano sbiaditi. Muovere le dita era impossibile, non erano
sue, erano un'appendice che era stata cucita alle sue mani da un
estraneo. Non seppe dove trovò la forza necessaria per non
rannicchiarsi a terra e pregare di venire uccisa, perché
faceva troppo male e lei non riusciva a sopportare tutta quella
sofferenza.
- Nove. - contò Tyrron.
Il sangue le imbrattò le mutande, penetrò
attraverso il tessuto e le si appiccicò addosso come una
seconda veste. Sul bianco delle pietre, le gocce rosse spiccavano come
rubini rotti.
- Dieci. -
Il suo corpo si tese un'ultima volta quando la frusta lo
colpì. Seguì un silenzio ovattato, dove l'unica
cosa che sussisteva era la sua schiena gonfia e la pelle infiammata che
pulsava più velocemente del battito del suo cuore. Il peso
degli sguardi si alleggerì fino a svanire e lo scalpiccio
dei passi che si allontanavano le sfiorò le orecchie.
- Soddisfatta, Mina? -
La risata argentina della donna infranse il silenzio.
- Quando si danneggia un bene pubblico è bene che il
colpevole paghi. Le ultime frustate non gliele hai date a dovere, ma
posso soprassedere, per questa volta. Vedi di tenere al guinzaglio la
tua schiava. Se dovesse ricapitare, non saremo così
misericordiosi. -
- Lo terrò a mente. -
Mina si allontanò con il besajaun senza aggiungere una
parola. Se soltanto fosse riuscita ad aprire gli occhi, Nemeria
l'avrebbe volentieri fulminata con un'occhiata. La odiava e quel
sentimento denso e vischioso ravvivava il dolore, lo acutizzava assieme
alla rabbia e all'umiliazione. Ma era solo un fuoco di paglia e non
bastava a donarle la forza per alzarsi.
- Me ne occupo io. - mormorò qualcuno alla sua sinistra.
Schiuse le palpebre. Aveva il ginocchio di Noriko a un palmo dal naso e
il mento della ragazza era alzato, gli occhi incantenati su qualcuno
che non era lei.
- Non posso lasciarla riposare. -
C'era forse apprensione nella voce di Tyrron? Era stato lui a coprirla
con la kandys?
- Posso occuparmene io. - ribadì Noriko, - La porto in
infermeria e poi la lascerò nelle mani di Sayuri. -
- La Syad dell'aria è l'unica scelta che abbiamo
finché Roshanai non si riprende. - sospirò.
Una spostamento d'aria avvertì Nemeria che si era rimesso in
piedi.
- La affido a te. -
Quando Tyrron si allontanò, Noriko l'afferrò
sotto l'ascella e la costrinse in piedi. La sorreggeva con la forza di
un solo braccio come se non pesasse nulla.
- Appoggiati. -
Anche volendo, Nemeria non avrebbe potuto fare altrimenti. Il respiro
incespicò in un rantolo dolorante quando tentò di
raddrizzarsi e la spina dorsale la incurvò in avanti,
nell'unica posizione in cui il suo corpo sembrava sopportare il dolore.
Si lasciò trascinare da Noriko, lasciò che fosse
lei a guidarla attraverso i corridoi, le scale e le stanze, in un lungo
ed estenuante supplizio. Perse più volte conoscenza e quando
riaprì gli occhi vide uno scorcio diverso, sfumato nei
contorni e tenue nei colori. Poi le fitte lancinanti divennero di nuovo
insopportabili e l'oblio la riaccolse prontamente.
- Stendila lì. - disse una donna a Noriko, non appena
entrarono in infermeria.
- Non c'è Serafim? -
L'altra esitò. L'incarnato scuro, quasi nero, era l'unica
cosa che Nemeria riuscì a distinguere.
- Ayhè, Mina... -
Noriko si irrigidì, strinse così forte la spalla
da strapparle un gemito acuto. Quando se ne rese conto, la sua mano si
appoggiò delicatamente poco sotto il seno, dove la frusta le
aveva disegnato un taglio meno profondo degli altri.
La spinsero a distendersi su una branda dal materasso duro e
bitorzoluto e il cuscino poco morbido. Noriko avvicinò uno
sgabello e si sedette, mentre la donna andava avanti e indietro
portando creme, unguenti e bende. Nemeria la spiò da dietro
le ciglia, sospesa in un limbo ovattato dove il dolore faceva da
cornice e da soggetto ad ogni suo pensiero.
- Tienila ferma. -
Non capì il perché di quella frase
finché non le versarono l'alcol sulla schiena.
Urlò forte, ancora di più di quando l'avevano
frustata, e scalciò come un animale impazzito. Noriko
dovette immobilizzarle la testa e le braccia. Le mutande erano intrise
di sangue, sudore e, Nemeria se ne rese conto quando l'odore le
pizzicò le narici, urina.
- Mi... mi dispiace... -
La presa sul collo si trasformò in una carezza. Le
fasciature rendevano il tocco di Noriko ruvido e goffo, ma il calore
che trasmettevano, così familiare, quasi nostalgico,
stemperò le lacrime e il bruciore.
- Dovresti andarle a prendere qualcosa di pulito. -
Noriko non rispose. La mano indugiò sul profilo delle
orecchie e poi si spostò pigramente sulla nuca, seguendo uno
dei tanti rami in boccio che scendeva lungo il collo. Le frustate
avevano calpestato i fiori e deturpato la radice. Il giardino che
Arsalan le aveva disegnato era stato profanato.
- Vado. - rispose Noriko.
Si alzò di scatto e uscì dall'infermeria. I suoi
passi erano così leggeri da non produrre alcun rumore, se
non il lieve strusciare della suola di cuoio sul pavimento di pietra.
Senza che nemmeno la toccasse, una bava di vento accostò la
porta.
“Come ho fatto a non accorgermene prima?”
Tornò dopo una decina di minuti, in mano recava una tunica
grigia stinta e una cintura di corda.
- Tyrron ha fatto portare le tue cose nella mia stanza. - la
precedette, riprendendo posto sullo sgabello.
La donna si sedette sul bordo del letto e le spalmò un
impacco a base di echinacea e aloe. Nemeria trattenne un mugolio tra i
denti.
- Ce la fai a metterti seduta? -
- Sì... -
Anche solo mettere le mani ai lati della faccia per issarsi fu
doloroso. La pelle lacerata tirava, sembrava aprirsi ancor di
più ogni volta che respirava troppo forte.
- Aiutala ad alzare le braccia. -
Noriko scattò senza che aggiungesse altro. La sostenne da
sotto i gomiti, mentre la donna le passava la garza attorno al petto.
- Nande, hai delle bacche tanu? -
- Non mi sembra il caso. Dovrebbe riposare. -
- Tyrron ha detto che l'allenamento deve cominciare oggi. -
Nande aprì e chiuse la bocca senza ribattere. Ora che i
colori avevano riassunto la loro tonalità naturale, Nemeria
si sbalordì di quanto fosse scura la sua pelle. Era nera
come quella di Reza e le ciglia erano rade, quasi assenti.
Frugò nella tasca della tunica e ne trasse un sacchetto
gonfio. Le bacche erano non più grosse di una biglia, nere e
lucide.
- Stasera ti sentirai a pezzi, ma ti daranno la forza di superare
questo pomeriggio. - le disse semplicemente.
Nemeria le annusò. Avevano un profumo zuccherino molto
invitante che le solleticava le narici e il palato. Le avrebbe ingoiate
subito se non fosse stato per l'espressione funerea di Nande.
- Se stanotte starai male, ti darò qualcosa. -
provò a rassicurarla.
Noriko taceva, in attesa. Forse, se le avesse chiesto spiegazioni,
avrebbe ricevuto risposta, ma Nemeria non era sicura di voler sapere
quale fosse l'effetto collaterale di quelle bacche. Aveva l'impressione
che così avrebbe perso il poco coraggio che era riuscita a
raggranellare, polvere frammista a brace spenta.
“Non ho altra scelta.”
Si mise entrambe le bacche in bocca e quasi senza masticarle le
ingoiò. Un'energia folle si espanse dentro di lei. Il velo
che le copriva gli occhi fu squarciato, spazzato via da un'improvvisa
euforia e voglia di alzarsi. Si rimise in piedi in un balzo. Le
prudevano le mani per quanto si sentiva eccitata, il dolore era ridotto
al semplice fastidio di una puntura.
- Seguimi. -
Scattò dietro Noriko come un cucciolo.
Trotterellò al suo fianco, di nuovo in forze, come se non
fosse accaduto nulla. Era stata investita da quell'inspiegabile
ebbrezza che aveva trasformato tutta la realtà –
muri, volte, tende, finestre – in un affresco nitido con i
colori più densi e corposi, i contorni più netti.
Anche se sapeva che non era normale, doveva ammettere che era da tempo
che non si sentiva così bene. Ogni volta che intercettava
uno sguardo di Noriko, non riusciva a trattenersi dal sorridere.
Tornarono nel giardino centrale, quello col quadriportico, e si
diressero verso il corridoio da cui era arrivata Roshanai. Vennero
accolte in un campo a pianta quadrangolare, con le pareti di pietra
rossa con un triangolo bianco dipinto sulla parete sul fondo.
Una donna meditava nel centro esatto, con i capelli neri legati in una
crocchia sulla nuca. Aprì gli occhi quando arrivarono a un
paio di passi da lei e si alzò, facendo frusciare la gonna a
pieghe. Alta e dritta come un giunco, una fascia le avvolgeva il seno
affusolandone la figura ancora di più.
- Noriko. -
La ragazza si profuse in un profondo inchino, le mani rigide lungo i
fianchi: - Sayuri-nüshi. -
- Lei sarebbe la nuova allieva? -
- Sì, laoshi. -
La donna appuntò lo sguardo su Nemeria. I capelli erano
solcati da strie bionde, raggi di sole che screziavano le sopracciglia
e le ciglia, lunghe e setose. Si inginocchiò e le
afferrò il viso, scrutandola negli occhi mentre le voltava
il viso a destra e a sinistra.
- Hai mangiato le bacche di tanu. -
- Non... -
Sayuri la fulminò con lo sguardo e Noriko lasciò
cadere l'obiezione a metà.
- Rispondi. -
Nemeria si riscosse: - Sì. -
La donna la scrutò in silenzio. Negli occhi neri
passò una nuvola di rammarico, prima che lasciasse la presa.
- La prossima volta non prendere nulla e vieni da me. - le disse e le
fece cenno si sedersi vicino a lei, - Cominciamo dalle basi. Rilassati
e fai dei respiri profondi: devi raccogliere i pensieri e spingerli
fuori, in modo che la tua mente sia vuota. -
Nemeria obbedì, aveva troppo paura di contrariarla per dirle
che ci aveva già provato un milione di volte senza riuscirci.
- Concentrati solo sulle mie parole, escludi il resto dei suoni. Se ti
viene difficile, immagina di avere un fiore di loto sulla pancia,
pronto ad aprire i petali a ogni tuo respiro. -
Il calore di Noriko si protese in una fluttuante carezza sulla sua
spalla. Saperla lì, vicino a lei, attutì i
battiti del suo cuore. Nemeria appoggiò le mani sulle
ginocchia e inspirò piano, rilassando le spalle.
- Ripeti nella tua mente: “Sat, Chit, Ananda.”-
- Sat, Chit, Ananda. - scandì a bassa voce, - Sat, Chit,
Ananda. -
Il mantra era lo stesso che ripeteva Etheram. Glielo aveva insegnato
Fakhri e aveva provato a fare lo stesso con lei, ottenendo come unico
risultato di farla addormentare.
“Esistenza, coscienza, beatitudine.”
Le aveva regalato un sorriso bellissimo quando le aveva chiesto cosa
significasse. All'epoca, Nemeria aveva otto anni ed Etheram ne aveva
appena compiuti tredici. Era cambiata molto da quando era stata
iniziata al Primo sentiero, quello dell'aria; era diventata
più malinconica, parlava poco e non perdeva occasione per
accompagnare Arsalan quando dovevano commerciare, il suo blocco da
disegno sempre sottobraccio e un carboncino infilato tra orecchio e
testa. Non aveva tempo per nessuno, a parte che per sua sorella, per
lei era sempre presente.
“Sat, Chit, Ananda.”
Si erano appena fermate in un'oasi sperduta in mezzo al nulla, un lago
cristallino circondato da cespugli che brillava come uno zaffiro
nell'aria densa che frizzava nei polmoni. In quella parte della Chin
settentrionale faceva molto freddo e nel deserto non era raro trovare
la brina o, come aveva potuto vedere Nemeria, la neve. La magia
dell'Alta Sacerdotessa le celava alla vista delle carovane che
percorrevano la Râh-e Abrisham e quella delle Anziane era
sufficiente ad allontanare i venti gelidi e umidi quando si accampavano.
Fuori una tempesta di sabbia aveva coperto la luna e sferzava le tende,
tenendola sveglia. Rakshaan dormiva nella culla, abbracciato al suo
pupazzo, vicino alla stuoia di Hediye. Etheram aveva chiuso il suo
blocco e lo aveva adagiato sotto il cuscino.
- Sat, Chit, Ananda. Cosa significano? - aveva insisto Nemeria.
- Ci sono tante risposte a questa domanda. Quale vuoi sentire? -
- Vorrei sapere quella giusta. -
- Pensi che ce ne sia una sola? -
Etheram le aveva fatto posto vicino a lei, come sempre accadeva quando
Nemeria si svegliava. Aveva ancora i capelli castani, con qualche punta
grigia stinta che sbucava in una chioma atrimenti liscia e uniforme.
- Non lo so... penso di sì. Fakhri dice che esiste una sola
verità e lei non sbaglia mai. -
Etheram le aveva passato un braccio sulle spalle e l'aveva stretta a
sé. Aveva un'espressione molto seria, Nemeria non l'aveva
mai vista così.
- L'esistenza è lo stato d'essere delle cose. Quando dico
“io sono”, sto affermando che io esisto, che sono
qui, ora, nel presente. Questa conoscenza mi è data dal
mondo che confina con me, da come reagisce e interagisce. La
beatitudine è... difficile da spiegare. È la
tranquillità interiore, accompagnata dalla conoscenza
più profonda della nostra anima e di quella del mondo. -
- Quella che si raggiunge alla fine dell'Ultimo sentiero, quando si
è in comunione anche con l'elementale più diverso
da noi?-
Etheram aveva annuito e il suo sguardo si era improvvisamente
rabbuiato. La tempesta fuori si era appena placata, come se la
tristezza di sua sorella ne avesse fiaccato la forza.
- Sai, Nemeria, a volte è meglio non sapere. - aveva
sussurrato e l'aveva abbracciata come Rakshaan il suo pupazzo, - La
beatitudine che nasce dalla conoscenza può generare molte
più domande delle risposte che elargisce. -
- Allora non significa che qualcosa non è andato storto? -
Etheram aveva sospirato, afflitta.
- Non credevo che sarebbe stato così. -
- Così come? -
- Doloroso... -
All'improvviso qualcuno pronunciò il suo nome e Nemeria
aprì gli occhi. Sayuri e Noriko la stavano fissando,
entrambe con un'espressione accigliata.
- Ti sei addormentata? - la interrogò la syad.
- No... -
Sbatté le palpebre per scacciare lo sciame di puntini
colorati che le punteggiava la vista. Il sentore
dell'umidità, il calore avvolgente di sua sorella, il basso
russare di Hediye le accarezzavano ancora le orecchie, chiari e vividi
come eventi accaduti il giorno prima.
- Un'allucinazione, allora. Sono uno degli effetti sgradevoli delle
bacche tanu. - spiegò Sayuri mentre si alzava, imitata da
Noriko e Nemeria, - In questo stato provare a continuare a meditare
sarebbe inutile. Sfruttiamo l'energia in eccesso per imparare qualche
tecnica. -
- Io sono una Dominatrice del Fuoco. - obiettò Nemeria.
Si rese conto un istante dopo di aver parlato a sproposito.
- Il tuo e il mio elemento sono simili: entrambi leggeri, entrambi
imprevedibili, il caldo e il freddo, opposti e complementari. - Sayuri
scandì le parole lentamente, ma con durezza, - Mettiti
vicino a Noriko e seguila nei movimenti. -
Nemeria non se lo fece ripetere due volte. Noriko si
inchinò, poi chiuse la sinistra sulla destra chiusa a pugno,
all'altezza del mento. Divaricò le gambe, portò
le braccia all'altezza dell'inguine e risalì sopra la testa,
le dita sempre intrecciate e i palmi verso l'alto.
Nemeria non staccò gli occhi da lei. L'amica eseguiva tutti
i movimenti a occhi chiusi, con una fluidità e una sicurezza
disarmanti. Cercò di ripetere tutto, più di una
volta, sentendosi però sempre impacciata. La pelle sulla
schiena pizzicava appena, un prurito che le faceva venire voglia di
buttarsi a terra e rotolarsi come un orso.
- Respira col naso, punte dei piedi dritte, spalle rilassate. - la
riprese Sayuri.
Nemeria annuì e si sforzò di applicare le
correzioni, di ignorare quella voglia di mandare tutto all'aria che le
scorreva nelle vene. Avrebbe voluto avere a portata di mano un
tirapugni, o qualsiasi cosa per sfogare l'energia che le ribolliva
dentro.
Noriko aprì le gambe e piegò le ginocchia come se
fosse in sella. L'indice e il medio, uniti, erano distesi mentre
disegnava la forma di un arco con le braccia, dapprima a destra e poi a
sinistra.
- Giù il baricentro, mantieni la posizione. -
Sayuri le diede un colpo sul piede sufficiente a farle capire che
doveva divaricare di più le gambe. I muscoli sulle cosce
tiravano così tanto da farla tremare. Quando poi le
raddrizzò le spalle, Nemeria era già quasi al
limite. Come se lo avesse capito, Noriko cambiò tecnica:
rimase in equilibrio sulla gamba sinistra, ruotando i polsi della
braccia aperte.
Andarono avanti così per tutto il pomeriggio. Sayuri le
guardava tenendosi a debita distanza, riprendendole quando sbagliavano
qualcosa, come quando Noriko non aveva ruotato abbastanza il torso. Per
il resto le controllava in silenzio, senza tradire alcuna emozione.
Quando finalmente fece loro segno di smettere, Nemeria si
piegò sulle ginocchia: il sudore le aveva attaccato i
vestiti addosso e i muscoli, tutti, sembravano non essere
più capaci di sostenerla.
- Domani mattina, solita ora. - annunciò Sayuri.
Noriko annuì, poi prese Nemeria sottobraccio e la
trascinò fuori dal campo. Passarono per il quadriportico,
salirono al primo piano attraverso una rampa di scale strette e ripide
fino a un corridoio di pietra con le pareti dipinte di bianco e
passarono diverse porte. Noriko ne aprì una, rivelando una
camera piccola e spoglia, con due letti di paglia addossati alle pareti
rivestiti da un lenzuolo che aveva visto tempi migliori, ma quantomeno
molto più integro di quello che Nemeria si immaginava.
Individuò subito le calige, la clamide e la fibula adagiati
ordinatamente su uno sgabello ai piedi del letto.
- Ce la fai? - le domandò Noriko.
Nemeria annuì, anche se quei pochi passi erano un abisso per
lei. In un moto d'orgoglio, si impose di non chiederle aiuto.
Zoppicò fino al materasso, strascicando i piedi. Era
umiliante essere di nuovo debole, senza più un grammo
d'energia se non quella residua delle bacche.
- Ti porto la cena. - disse la ragazza e si voltò per
uscire, ma Nemeria la fermò.
Aveva la vertigini, il cuore nello stomaco e il sudore delineava le
cicatrici sui palmi.
- Mi dispiace per... per averti trascinato qui. Tyrron mi ha raccontato
che hai fatto di tutto per salvarmi, quindi è colpa mia se
sei diventata una schiava. Mi dispiace davvero tanto. -
sussurrò con voce rotta.
Il fiume di parole si arrestò quando Noriko
l'abbracciò di slancio, senza alcun preavviso. La strinse
così forte da toglierle il fiato, la mano dietro la nuca e
l'altra che le circondava la vita.
- Noriko...? -
Il calore e il suo respiro colmarono il silenzio più di
qualsiasi parola.
- Ti avevo promesso che ti avrei protetta. Ed è
ciò che ho fatto. - soffiò Noriko, senza ritrarre
la mano che aveva appoggiato sulla guancia di Nemeria.
- Ma ora sei intrappolata qui... -
- Lì fuori prima o poi saremmo morte. Qui almeno abbiamo un
tetto sulla testa e del cibo ogni giorno. Quando c'è stata
la retata, i Kalb non erano gli unici che volevano catturarti. -
Nemeria deglutì.
- Lo hai visto anche tu, vero? -
- Non quella sera, ma oggi... mi ha seguita fino alla scuola. -
pigolò spaventata.
Noriko si sedette vicino a lei e si sciolse la treccia. I capelli rossi
ricaddero spettinati sulla spalla, così lunghi da sfiorare i
ciuffi di paglia.
- Qui sei al sicuro. La scuola è sorvegliata giorno e notte
sia dai syad che dalle guardie scelte. Se mai dovesse provare a
entrare, non ne uscirebbe vivo. -
Quelle parole ebbero la capacità di tranquillizzarla. Era
paradossale che la sua nuova casa, una prigione dove valeva meno di
nulla, fosse l'unico posto dove poteva dirsi realmente al sicuro.
- Gli altri? Sai che fine hanno fatto? -
Noriko scosse la testa: - No. Eravamo andati lì tutti per
recuperarti, poi al termine dell'incontro non abbiamo fatto in tempo ad
avvicinare Abayomi che sono entrati. Perché ti sei fatta
ridurre in quello stato da Zahra? Non potevi farcela, eppure hai
continuato. -
- Non volevo che facessero del male a Kimiya. - Nemeria si
sentì colpita nel profondo da quell'ultima affermazione, ma
inghiottì il groppo in gola e proseguì, - Non
sapevo quando sareste arrivati, né se Dariush vi avrebbe
permesso di venirmi a dare una mano. Volevo solo prendere tempo. -
- Potevi morire. -
Un brivido le fece accapponare la pelle: - Lo so, ma non avevo scelta. -
Noriko soppesò il suo sguardo su di lei e Nemeria si
sentì risucchiata da quegli occhi. Era come specchiarsi in
un pozzo profondo, così lontano dal sole da rimandare appena
il suo riflesso.
- Devi stare molto attenta adesso che siamo qui. Lì,
nell'arena, nessuno ci ha fatto caso, ma persone come Sayuri lo
noterebbero subito. -
- Che cosa? -
- Che sai dominare anche l'aria. - a quel punto abbassò la
voce, - Nel colpo che hai sferrato a Zahra non c'era solo il fuoco, non
sarebbe bastato a far esplodere la sua armatura di roccia. -
Nemeria si allontanò come scottata, ma Noriko la
tirò di nuovo a sé.
- Non lo dirò a nessuno, ma, te ne prego, controllati. Sei
sulla bocca di tutti dopo quello che hai fatto a Roshanai, se poi
scoprissero anche questo... - il labbro tremò e le spalle si
irrigidirono, - Non abbassare mai la guardia, neppure con Tyrron.
È stato gentile con te, ma è pur sempre un
mercante, non esisterebbe a venderti se gli proponessero il giusto
prezzo. -
Nemeria annuì. Non aveva mai visto Noriko così
spaventata, anzi, non aveva mai manifestato nessuna emozione in modo
così evidente da quando la conosceva.
- Tu... tu però promettimi che mi aiuterai a scoprire
cos'è successo agli altri. -
Impresse nella voce tutta la sua risolutezza. Kimiya, Chalipa, Afareen,
Hami, Altea... aveva bisogno di sapere dov'erano e se stavano bene.
Hirad, soprattutto Hirad. Era di lui che, più di tutti,
voleva avere notizie. Desiderava sapere se era tornato a blaterare e a
sorridere come un tempo. Altea gli avrebbe dovuto consegnare le
pergamene nuove e i carboncini colorati.
Altea, che la chiamava “Scoiattolo”, la sua prima
amica e la prima che aveva ferito con le sue bugie. L'ultimo sguardo
che le aveva rivolto quando era andata con i Cani le bruciava ancora
come una ferita infetta.
Noriko fece spallucce. Qualsiasi traccia di emozione era sparita dal
suo viso, seppellita sotto una perfetta maschera d'indifferenza.
- Conquistati il diritto di uscire fuori di qui e vedremo di reperire
le informazioni che vuoi. -
- Tu lo hai già? -
- No, ma a me non interessa tanto quanto interessa a te. -
Nemeria lo sapeva eccome, ma la schiettezza con cui lo ammise la
lasciò comunque sconcertata. Era difficile conciliare
l'immagine di qualche minuto prima con la solita imperturbabile Noriko.
- Affare fatto, allora? - domandò dopo un momento.
- Affare fatto. - si alzò e andò alla porta, -
Ora stenditi, ti porto la cena. Sarà una lunga notte per te.
-
Nemeria si abbandonò sul suo giaciglio non appena rimase da
sola. Il prurito si stava intensificando e si diffondeva come il calore
di una candela sotto le bende. Non si poteva dire che le facesse male,
non ancora almeno, eppure Nemeria non temeva quella trasformazione
inevitabile: era sopravvissuta al primo giorno, a una Condivisione
forzata e alle frustate, qualsiasi cosa sarebbe accaduta quella notte
era pronta ad affrontarla.
"Guardiamo
una cosa mille volte; forse dovremmo guardarla un milione di volte
prima di vederla per la prima volta."
Dylan
Thomas
La notte, Nemeria non
chiuse occhio. I tagli sulla schiena e il dolore che da essi scaturiva
la tormentarono, scacciando il sonno alla stregua di una iena affamata
con uno stormo di avvoltoi. Strinse la pietra di luna finché
il braccio non iniziò a formicolare, e mantenne la presa
anche dopo aver perso sensibilità nelle dita.
Pregò in silenzio che la Madre la conducesse nel regno dei
sogni, senza nemmeno la forza di singhiozzare, respirando
così piano che l'aria le sibilava appena tra i denti.
Tuttavia, pure nei momenti in cui la Dea si dimostrava misericordiosa,
il dolore la seguiva come un segugio implacabile, sempre sulle sue
tracce: ringhiava, le azzannava gli arti e la dilaniava, incurante
delle sue urla di aiuto, mai sazio, mentre attorno a lei, accompagnate
dalla risata irridente di Mina, danzavano le ombre di Etheram,
Rakshaan, Hedyie e di tutti i morti e i vivi che aveva deluso. C'era
anche il predone, nascosto tra i fantasmi, si muoveva silenzioso come
uno spettro, una sagoma nera contornata da un alone bianco su uno
sfondo rosso insanguinato. Quando il pugnale calava sulla sua gola,
Nemeria apriva gli occhi.
Noriko era lì, seduta al suo capezzale. Le passava una
pezzuola umida sulla fronte e poi sulla schiena, sembrava sempre sapere
dove tamponare. Talvolta, al suo fianco compariva Nande e nell'aria si
diffondeva un fresco profumo di salice e iperico.
Quando, al sorgere del sole, il gallo cantò, il dolore
l'aveva lasciata esanime sul materasso impregnato di sudore. Con le
zanne arrossate si era ritirato sotto pelle, un graffiare sordo che si
concentrava sulle scapole e sulla spina dorsale. Nel momento in cui si
alzò, le tremarono le labbra nel tentativo di trattenere un
gemito. Quando Nande tornò per cambiarle i bendaggi,
ricacciò indietro le lacrime e sopportò
stoicamente.
- Appoggiati a me. -
Noriko le offrì il braccio e Nemeria dovette fare un enorme
sforzo per scuotere la testa.
- Non mi sembri in condizioni di fare l'orgogliosa. -
- Non è questione di orgoglio. Ti sei occupata di me tutta
la notte, non... -
La ragazza inclinò la testa: - Non? -
- Voglio farcela da sola, almeno ad arrivare a colazione. -
Non aveva mentito, ma distolse comunque lo sguardo. Era stanca di
sentirsi vulnerabile, più di quanto non fosse disposta ad
ammettere.
Trasse un sospiro di sollievo quando Noriko ritirò il
braccio e le fece cenno di seguirla.
Il refettorio si trovava al piano terra ed era uno spazio circolare,
illuminato dalla luce opaca del sole. Le cucine erano state relegate in
fondo. A dividerle dall'ambiente chiassoso e dal vociare dei commensali
c'era solo una porticina di legno rinforzata in ferro. Le guardie,
almeno una decina, stavano dritte vicino alle pareti e tenevano
sott'occhio i gladiatori che si alzavano per andare a prendere la prima
o, addirittura, la seconda razione di pane e formaggio di capra.
Non appena entrarono, il cicaleccio diminuì fino a svanire.
Nemeria si ritrovò gli occhi di tutti addosso e rimase
paralizzata sul posto. Si guardò intorno con aria spaurita,
occhieggiandoli, in attesa che accadesse qualcosa che sciogliesse il
silenzio di ghiaccio che era piombato nel refettorio.
- Andiamo. -
Il tocco familiare e risoluto di Noriko le trasmise la determinazione
sufficiente per riprendere a camminare. L'amica irradiava un'aura di
sicurezza che traspariva a ogni suo passo e si espandeva come una bolla
attorno a lei, avvolgendo sia se stessa che Nemeria. Al fianco di
Noriko le veniva più semplice ignorare le occhiate degli
astanti, come se non pesassero più, ridotte al solletico di
una piuma sulla nuca.
- Tieni, questo è il tuo. -
Noriko le porse il vassoio con una ciotola con una pappa di farro, orzo
e fagioli, accompagnata da tre fette di pane imburrate. Il cucchiaio,
il bicchiere e il vasetto di miele erano di legno, così come
il resto. Nonostante l'aspetto non appetitoso, Nemeria ci si
fiondò non appena si sedettero. Vicino a loro gli sgabelli
erano vuoti.
- Dovresti mangiare più lentamente. Masticare bene ogni cosa
aiuta la digestione. -
- È che ho fame... -
- Lo so, ma sarebbe meglio che mi dessi retta. - la fissò in
tralice da sotto le ciglia rosse, - Questo è il nostro pasto
e dovremo farcelo bastare fino all'ora di pranzo. -
Nemeria si fermò prima di addentare la fetta di pane.
- Di solito, se vai in cucina a chiedere qualcosa da mangiare, non ti
fanno storie, di fagioli e verdure ne hanno in abbondanza. Sayuri ci
terrà lì finché non avremo finito
tutti gli esercizi. - assaggiò la minestra e solo dopo
averla assaporata ingoiò l'intera cucchiaiata, -
È capitato un paio di volte che non si fermasse, nemmeno
alla pausa pranzo. -
- E nessuno dice nulla? -
Noriko fece spallucce: - È la maestra, la syad dell'aria.
Può fare ciò che vuole, basta che siamo in grado
di far divertire il pubblico quando ce lo chiedono. -
Nemeria chiuse le dita a pugno e inspirò piano. Anche
Etheram, quando aveva dovuto intraprendere il Primo Sentiero, quello
che per lei era rappresentato dell'elemento dell'aria, si era
sottoposta a un'alimentazione molto rigida a base di verdura, frutta e,
quando possibile, cereali. Nemeria la ricordava mentre mangiava una
minuscola ciotola di patate e frumento, mentre lei, sua madre e suo
fratello si godevano dolci a base di liquirizia e zucchero.
- “Sii moderato con il cibo e non gravare il tuo corpo con
pesi inutili, dagli solo quello che richiede, ed esercitati nel digiuno
quando è indebolito.” - Noriko
sorseggiò il bicchiere d'acqua, - È questo il suo
motto. Non basterà la tua protesta a indurla a provare
pietà, anche perché non è l'unica a
pensarla così. -
- Chi altri la sostiene? -
“Chi è il pazzo?”
- La conoscerai. Si chiama Ahhotep, era un membro della banda dei
Falchi. -
Il boccone le andò di traverso. Per riprendersi, Nemeria
dovette trangugiare un intero bicchiere d'acqua.
- Qualcosa ti preoccupa? -
- Era... era... -
Non riusciva nemmeno a mettere insieme le parole, l'agitazione e la
paura le distanziavano prima che potessero comporsi in frasi. Gli
squassi della tosse le causarono una fitta di dolore così
acuta da farla tornare in sé.
- Quando li ho incontrati la prima volta erano al loro limite, avevano
gli occhi neri come quelli dei Jin. -
- Solo Shaya e Unal, infatti sono stati abbattuti. Non hai sentito la
notizia? Ha destato non poco scalpore. -
Nemeria scosse appena la testa.
- Sei disattenta. -
- Sono solo... - deglutì un altro boccone, - Dimmi cosa
è successo e basta. -
- I Kalb li hanno dovuti uccidere. Li avevano quasi catturati, quando i
due hanno perso il controllo e si sono trasformati in Jin. Come hai
detto tu, erano già al loro limite, la lotta per la fuga ha
solo rotto una diga già da tempo crepata. -
- Hanno fatto del male a qualcuno...? -
- Non ne hanno avuto il tempo, sono stati neutralizzati prima. So che
ci è voluta una squadra di rinforzo per contenerli e che
hanno ammazzato sei Kalb, ma i danni sono stati contenuti. -
sbocconcellò la sua fetta di pane e rivolse lo sguardo
altrove, - In ogni caso, ti allenerai con noi soltanto per qualche
giorno, poi sarai affidata a Roshanai. -
- Quindi io e te non ci vedremo che la sera, giusto? -
Noriko annuì e il cuore di Nemeria inciampò nel
petto. Non conosceva la syad del fuoco, ma se il suo temperamento era
come quello del suo elemento, l'attendevano tempi molto duri.
- Su, andiamo, siamo già quasi in ritardo. -
Uscirono a grandi falcate dal refettorio e si diressero verso il campo
del giorno prima. Sayuri era lì ad attenderle, vestita con
un pantalone di cotone nero molto ampio e una giacca a maniche lunghe
rossa. Davanti a lei, dritte come steli d'erba congelati, immobili
nella posizione del loto, c'erano due ragazze. Quella a sinistra non si
mosse e, a giudicare dall'altezza, doveva avere un paio d'anni
più di Noriko, mentre l'altra aveva l'età di
Nemeria. Quando furono vicine, si girò e le puntò
addosso due occhietti da furetto gialli come quelli di un gatto.
- Durga, non ti ho dato il permesso. - la riprese Sayuri e la bambina
si ricompose in un sussulto.
La syad attese che avesse riacquistato la posizione, prima di spostare
la sua attenzione sulle nuove arrivate. Noriko si inchinò e
Nemeria si affrettò a imitarla, anche se non con la stessa
compostezza.
- Sono stupita che tu riesca a reggerti in piedi dopo l'allenamento di
ieri. Non sei così debole come pensavo. - la
salutò e accennò un sorriso che riempì
Nemeria d'orgoglio.
La stanchezza e il dolore passarono immediatamente in secondo piano.
- Durga, Ahhotep. Riposo. -
A quel comando, la bambina balzò in piedi e si
sgranchì le gambe, mentre Ahhotep roteò le spalle
con calma, alzandosi con aria indifferente. Era alta, superava Noriko
di un paio di pollici, magra e sinuosa come un serpente, con la pelle
abbronzata tesa sulle clavicole sporgenti, sfiorate dai ciuffi sfuggiti
alla coda.
- Prima di riprendere l'allenamento, ora che ci siete tutte, le
spiegazioni mi sembrano d'obbligo. Sarò breve: tu e tu. -
indicò Nemeria e Durga con un gesto del mento, - Rimarrete
con me fino a quando la syad del fuoco non si sarà ripresa.
Ho notato che non avete una buona preparazione, né fisica
né spirituale. Al corpo si può rimediare, ma
perdere l'anima e la ragione significa diventare Jin e smettere di
essere umani. Gli dei ci hanno imposto di ospitare dentro di noi un
elementale. Il motivo ci è precluso, possiamo solo accettare
questa condizione, senza però abusarne.-
Il tono di tetra rassegnazione con cui pronunciò quelle
parole colpì Nemeria, così come le nuvole che si
addensarono nel suo sguardo. Mantenne le spalle dritte, i suoi occhi
prima in quelli di Noriko, ora in quelli di Durga, dignitosa e fiera,
un soldato solo contro la marea.
- I quattro elementi sono i costituenti dell'universo, da loro la vita
nasce e ad essi torna, in un ciclo eterno di cui noi non siamo altro
che granelli seppelliti nell'infinito divenire. Il fuoco è
lo stato ardente e il caldo, l'aria è quello gassoso e il
freddo, l'acqua è il liquido e l'umido, e infine la terra
è il solido e il secco. La vita nasce dalla loro armonia,
dal loro modo di interagire e dalle qualità che si combinano
per formare tutto ciò che è percepibile ai nostri
sensi. Le chiamiamo rhizai, le radici, e racchiudono e sostengono
l'essenza dell'universo stesso. -
Nemeria si affrettò ad annuire non appena Sayuri
posò lo sguardo su di lei. Non erano cose che non sapesse
già, ma anche ora, come quando era Fakhri a spiegarle, le
sembrarono inutili, teorie complesse per descrivere una
realtà molto più semplice.
- Il fuoco è l'unità, l'aria la
dualità, l'acqua la creazione e la terra la
materialità. I primi due sono attivi, sono gli agenti di
cambiamento spirituali, più sottili e più
perfetti dei loro fratelli passivi, che sono il trampolino per
innalzarli e il peso per trascinarli in basso. - continuò
Sayuri, - Amici e nemici, essi vivono per contrasti. Gli elementali che
risiedono dentro di voi sono così: la materialità
del vostro corpo li tiene inchiodati in una gabbia di carne e ogni
volta che li richiamate, che esigete un prestito della loro potenza,
una parte di questa distrugge la vostra anima. All'inizio non ve ne
accorgerete, vi sembrerà di essere sempre gli stessi, ma una
parte di voi andrà irrimediabilmente persa, annegata,
bruciata, soffocata o sepolta da quel potere che avete richiesto di
poter usare. -
Durga incassò la testa tra le spalle e si fece piccola
piccola. I capelli scompigliati e il viso tondo, schizzato di
lentiggini, le conferivano un'aria da cucciolo bastonato. Agli occhi di
Nemeria era un'anima affine, la sentiva vicina e le sarebbe piaciuto
rassicurarla, anche se per scacciare la paura avrebbe dovuto dirle una
bugia.
- Per questo è vitale che impariate a dosare le vostre
richieste. Siete nati Dominatori e morirete come Jin, ma, per quanto
possibile, dovrete ritardare l'inevitabile. Io e gli altri syad vi
insegneremo a far divertire il pubblico e a tenere sotto controllo la
vostra forza. - concluse e le invitò ad allinearsi davanti a
lei, scandendo bene le parole e disegnando delle mosse precise con
braccia e gambe, - Chi Len Hou Wan Yao. -
Nemeria si mise vicino a Noriko e copiò tutti i suoi
movimenti, come il giorno precedente. Erano tecniche finalizzate a
rafforzare i muscoli senza sforzarli troppo, eppure per lei erano
quanto di più difficile e doloroso avesse mai provato.
Sentire tutte le fibre tendersi contro la pelle tagliata, le loro
contrazioni quando allungava un braccio o si piegava per toccarsi la
punta dei piedi, era una pugnalata che risvegliava il tormento che
l'aveva tenuta sveglia per tutta la notte precedente. Quando Sayuri
diede loro il permesso di andare a mangiare, un'ora dopo che la pausa
pranzo era finita, l'unica cosa che Nemeria agognava davvero era un
letto.
- Se ti sdrai ora, non ti rialzerai più. - la
ammonì Noriko.
“Non volevo, infatti.”
Nemeria trasse un lieve respiro, incurante del formicolio di poco
dietro le costole.
- Tu sei come me! -
Durga le saltellò vicino e le si mise davanti. Il naso a
patata campeggiava nel viso e attirava l'attenzione quasi quanto i suoi
occhi giallo citrino.
- Sono... come te? -
- Anche io domino il fuoco! - rispose, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo, - Non l'avrei mai detto, sai? Non hai
la faccia da Dominatrice del fuoco. -
- E come sarebbe? -
La bambina gonfiò le guance e si morse il labbro inferiore,
quello più sottile.
- Dovresti essere più grintosa e meno triste. Ti ho guardato
durante l'allenamento, digrignavi i denti come un cane e avevi le
lacrime agli occhi. -
- Ho solo male per le frustate, tutto qui. -
Durga spalancò gli occhi e le si parò davanti, lo
sguardo acceso dall'entusiasmo.
- Allora sei tu quella che ha fatto volare Roshanai contro la colonna?
Davvero? E come hai fatto? -
“Bella domanda.”
- Ho fame, potete parlare al refettorio. -
Il tono gelido di Noriko freddò la bambina sul posto e pose
fine a qualsiasi tentativo di conversazione. Ahhotep le
scompigliò i capelli e poi le diede una pacca sulla spalla
per incitarla a muoversi.
- Ha ragione, prima mettiamo qualcosa sotto i denti, prima potremo
tornare ad allenarci. -
- Ma io non voglio! -
- Dai, dai, non fare i capricci. -
La bambina si imbronciò e tirò fuori il labbro
inferiore, affondando le mani nelle tasche della tunica di panno.
Assomigliava dolorosamente a Rakshaan, una somiglianza così
accurata da bruciarle più delle ferite sulla schiena.
- Non ti devi intristire. Sei o non sei una Dominatrice del fuoco? -
disse Nemeria, e sorridere le venne naturale quando Durga
incrociò il suo sguardo, - Se ti siedi vicino a me, potrai
farmi tutte le domande che vuoi. -
- Tutte tutte? -
- Tutte tutte. - ribadì e la bambina l'affiancò
zampettando alla sua destra tutta contenta.
Nel refettorio l'attendeva dietro il bancone l'uomo che aveva servito
la colazione quella mattina, in compagnia delle guardie. Non erano le
stesse, ma tutte, notò Nemeria, portavano una tiara e
un'armatura d'oricalco, con spallacci e schinieri senza alcuna
decorazione. Le scrutarono con chirurgica attenzione mentre prendevano
i vassoi di legno e non staccarono gli occhi finché non si
sedettero.
- Bevi, hai bisogno di idratarti. -
Noriko le porse un bicchiere di quella che, agli occhi di Nemeria, era
acqua sporca. Sulla superficie galleggiavano dei semi verdi e
qualcos'altro che non sapeva cosa potesse essere.
- Non è così male. Anche a me all'inizio non
piaceva, poi però mi sono accorta che dopo mi sentivo di
nuovo in forze. - si scoprì il braccio e contrasse il
bicipite, tutta seria, - Se lo bevi tutti i giorni, diventerai forzuta
tanto quanto me! -
- Sei davvero forte, sì. - rispose ed era davvero ammirata,
perché Noriko avevapiù muscoli di lei.
“Io somiglio a un insetto stecco.”
Fissò con preoccupazione il bicchiere ancora un momento, per
poi scolarselo tutto in un sorso solo.
- Com'è? -
- Cosa c'è dentro? -
- Cenere d'ossa, di corteccia e aceto. -
Nemeria arricciò il naso e assottigliò le labbra
in una smorfia schifata. Il sapore dell'aceto si trasformò
in quello del limone, era quasi dissetante. Se non fosse stato per
l'aspetto, avrebbe apprezzato molto di più.
“Anche se non avessi saputo gli ingredienti.”
- E voi bevete questo intruglio tutti i giorni? -
Durga annuì, risoluta: - Lo bevevo anche a casa di Tara, lei
dice che mi farà diventare fortissima. -
- Tara è la lanista a cui appartiene. - la
informò Noriko.
Nemeria annuì e decise di dedicarsi al suo pranzo, che
consisteva in pane nero ai semi di finocchio, due uova sode e pasta con
radicchio e carciofi. Anche se aveva fame, si obbligò a non
fiondarsi sul cibo, non tanto perché credesse a quello che
le aveva detto, ma Noriko era proprio davanti a lei e sapeva che la
teneva d'occhio.
“A Durga non dice niente però.”
Il suo sguardo fu attirato dalla compostezza con cui Ahhotep mangiava.
Teneva le spalle dritte, i gomiti bassi e masticava ogni singolo
boccone come se fosse l'ultimo, senza però la foga di un
affamato. Sembrava farlo a forza e, ogniqualvolta Durga la pungolava
dicendole che era davvero lenta, lei si limitava a un lieve sorriso,
una sorta di increspatura delle labbra elargita per metterla a tacere.
Quando si accorse d'essere osservata, Ahhotep appoggiò la
forchetta a lato del piatto e inclinò la testa nella sua
direzione, piantandole addosso uno sguardo che la raggelò.
Fastidio, disagio e rabbia, tanta, tanta rabbia: nel ventaglio di
emozioni esibite, il rosso scarlatto della collera risaltava tra tutte.
- C'è qualcosa che non va? -
- N-no... no. -
Le dita sottili di Ahhotep si erano allungate verso la forchetta e ora
la impugnavano come un'arma. Durga fece scattare la testa da una
all'altra, ignara di cosa stesse succedendo. Sebbene non riuscisse a
vederla con chiarezza, la tensione che emanava da Noriko le graffiava
comunque la guancia e il braccio.
- 'tep, non fare la cattiva... -
- Mi stavo solo chiedendo perché la nostra nuova amica -
calcò su quella parola con un'enfasi fastidiosa, - continua
a fissarmi senza dire nulla. Ho forse qualcosa fuori posto? -
- N-no, ecco... volevo sapere se finivi la pasta. Mi sembrava che non
ti andasse più, ma non sapevo come chiedertelo. -
improvvisò.
Era più che sazia, in realtà, ma non le era
venuto niente di meglio in mente.
Ahhotep la squadrò con un cipiglio diffidente. Nemeria
trattenne il respiro.
- Se proprio ci tieni, prendi. - le porse il piatto, per
metà intatto, - Per me era troppa. -
- Ti... ti ringrazio. -
Una risata isterica le premeva da dietro le labbra e ci volle ben
più di un boccone per dissiparla. Noriko, davanti a lei,
piluccò il pane in silenzio. A Nemeria non era sfuggito il
modo con cui aveva guardato Ahhotep, un'impassibilità
più affilata di un'ascia.
- Andiamo, prima che Sayuri si innervosisca. -
- Sì, vero, l'ho conosciuta soltanto oggi e mi sembra una
che si arrabbia tanto. - commentò Durga.
Nemeria abbandonò volentieri il piatto di pasta. Ahhotep fu
l'ultima ad accodarsi e si mantenne a distanza, dieci passi indietro
rispetto a loro. Nel suo sguardo non era rimasto altro che l'arida
desolazione del vuoto.
Non fecero in tempo a raggiungere il portico che i soldati le
circondarono. Durga andò a nascondersi dietro Ahhotep e si
portò il lembo della sua tunica al viso, come se avesse il
potere di farla sparire.
- Nemeria, vieni con me oggi. -
La formazione si aprì, permettendo alla scorta di Tyrron di
farsi avanti.
- Ma devo andare alla lezione di Sayuri. - obiettò
disorientata Nemeria.
L'uomo schioccò la lingua e accantonò la
questione con un gesto brusco della mano.
- Ti porto a vedere qualcosa di più istruttivo. Non ti
preoccupare, poi le riferirò che sono stato io a rapirti. -
Nemeria guardò le altre, in attesa di non sapeva nemmeno lei
cosa. Le dispiaceva e si sentiva anche un po' in colpa ad abbandonarle
tra le grinfie di Sayuri, che, poco ma sicuro, non avrebbe gradito il
loro ritardo. Ma in fondo non era colpa sua, no?
- Dai, muoviti, lo spettacolo comincia tra poco. - si rivolse ai
soldati, - Rimanete qui, siete troppo ingombranti. Morad, con me. -
- Sissignore. -
- E tu, corri a farti cambiare la fasciatura, sia mai che ti venga
un'infezione e ti devo tenere a letto altre tre settimane. -
Nemeria esitò. Il solo pensiero di uscire di nuovo fuori e
di essere seguita dal predone la strappava il respiro, ma non aveva
scelta.
- Cosa stai aspettando? -
Gli occhi di Tyrron le agguantarono il cuore. Nemeria
deglutì, paralizzata da quello sguardo indagatore.
- Nulla, avevo solo male alle gambe. - blaterò e
schizzò in infermeria.
Quando riferì a Nande che era stato Tyrron a spedirla
lì, la donna si mise subito al lavoro. Agì con
destrezza, prendendo gli impacchi e i vasetti senza neanche guardare e
il suo tocco gentile le procurò un dolore sopportabile, che
non le faceva contrarre la mandibola e stringere le palpebre.
- Stasera torna da me, va bene? A qualsiasi ora, è
essenziale tenere quei tagli puliti. -
Nemeria annuì e si precipitò giù dalle
scale. Quando tornò nel cortile, Tyrron stava masticando una
striscia di carne essiccata. L'occhiata che le lanciò, fu
più che sufficiente a mettere a tacere qualsiasi latente
sentimento di ribellione.
- Ma... ma quindi usciamo dalla scuola? -
- Andiamo all'arena. - le rispose Morad.
- Ah. E perché? -
- Te l'ho già detto, dobbiamo vedere lo spettacolo. - le
guardie aprirono immediatamente le porte a un cenno di Tyrron, - E i
gladiatori non aspettano certo noi. -
Proseguirono per un po' sulla stessa strada del giorno prima e poi
deviarono su una via ampia, dove le case non erano altro che blocchi di
pietra bianca ammassati gli uni sugli altri senza criterio. Nemeria si
teneva ben vicina a Morad e alla sua spada di oricalco. Stava
diventando paranoica, se ne rendeva conto, però il pressante
pensiero di essere seguita, che il predone la stesse pedinando
nascondendosi tra la folla, la faceva tremare.
“Non ti ha attaccato la volta scorsa, non lo farà
nemmeno ora.”
In lontananza, come un colosso in mezzo alle formiche, si stagliava
l'arena. Quattro piani di travertino per centocinquanta piedi
d'altezza, con le chiavi d'arco ornate con i busti di
divinità, era una struttura così maestosa da
lasciare Nemeria a bocca aperta. La luce rimbalzava sui clipei bronzei
e sgattaiolava all'interno attraverso le finestre ovali, contornate da
una cornice di mosaico smaltato che cesellava le mensole sporgenti,
nelle quali erano alloggiati dei pali di legno.
- Sai cosa rappresentano? -
La bambina ci mise un momento a capire che la domanda era rivolta a
lei.
- È la prima volta che li vedo così da vicino. -
- Se non ti avessi comprato qui, direi che tu a Kalaspirit non ci hai
mai vissuto. - Tyrron indicò la statua più alta,
quella che pareva sorvegliare la strada, - Da sinistra a destra a
partire da quella: Heydar, Siddhi, Mahendra, Vajra, Priti, Jyeshta,
Harshana, Chitra, Vriddhi.-
“Arsalan mi aveva detto che i mortali erano
complicati.”
Era una cosa che non aveva mai capito. Con così tanti dei,
come facevano a decidere a chi rivolgere le loro preghiere?
Saltarono la fila, lasciandosi alle spalle una folla strepitante e
stipata, e le guardie li lasciarono passare senza obiezioni. Presero
posto sui gradoni del secondo settore, proprio nel bel mezzo. Sopra le
loro teste, a schermarli dal sole, erano stati distesi dei veli in
canapa che coprivano tutta la platea e una parte dell'arena stessa. Da
dove si erano seduti, si potevano vedere i seggi di legno della prima
fila e la balaustra del podio, dove erano stati iscritti diversi nomi.
Alcuni seggi erano già stati occupati da uomini vestiti con
abiti eleganti e donne ingioiellate e agghindate con pesanti tuniche
rosse, rosa e blu. A dividerli dal resto del pubblico c'era un basso
muro di mattoni rossi.
- Quelle davanti sono le famiglie nobili della città, hanno
i posti già assegnati e un cuscino per il loro regale culo.
Possono godersi le loro divertenti conversazioni anche alcuni membri
del Consorzio, che stanno lì per sventare i possibili colpi
di testa dei gladiatori più ribelli. Visto che il podio e la
balaustra, nonché i muri dell'arena stessa, sono fatti in
oricalco, si godono lo spettacolo dalle prime file pur non avendo
sangue nobile. - le sussurrò Tyrron all'orecchio, scatenando
la risatina di Morad, - Sul palco alla tua destra ci dovrebbe essere il
sultano, viene qui abbastanza spesso, anche se non si ferma mai molto.
Adesso siede il governatore con la famiglia e il suo consigliere.
È un amante delle corse dei cavalli, ma non disdegna gli
spettacoli gladiatori. Ha avuto solo un preferito, un ragazzino che si
è trasformato in Jin circa sette settimane fa. -
Nemeria non riusciva a vederlo bene da dov'era, erano troppo in alto,
però era impossibile ignorare le vesti sgargianti che, anche
da così lontano, attiravano l'attenzione.
Quando le trombe squillarono, quello che Nemeria presunse essere il
banditore si sporse dagli spalti più bassi e aprì
le braccia. La folla si zittì.
- Che entrino i gladiatori! Signori, sedetevi e godetevi lo spettacolo!
-
Le grate si alzarono e i due sfidanti fecero il loro ingresso. Si
portarono al centro dell'arena, accompagnati da uno scroscio di
applausi e acclamazioni. Uno sfoggiava un alto cimiero e una coda di
piume di falco che garrivano al vento, mentre l'altro non aveva
protezioni sulla testa e, oltre a un gonnellino, indossava soltanto
degli alti schinieri che lasciavano liberi i piedi e dei bracciali
spessi, abbacinanti sotto la luce del sole, che lo coprivano fin poco
sotto il gomito. Si batterono il pugno sul petto e si inginocchiarono
sotto il palco del governatore. Quand'egli assentì,
balzarono in piedi, i pugni già alzati e pronti a colpire.
- Non hanno armi? -
- Non servono. Si fanno chiamare il Leone e il Grifone. Ti lascio
immaginare chi sia il Grifone. -
La pelle del gladiatore si ritirò e il petto e le braccia
scoperte si rivestirono di pietre rosse, tanti piccoli sassolini
compattati assieme alla sabbia dell'arena a formare un'armatura in
continuità con il corpetto di cuoio nero. Il Leone
caricò l'avversario e, al momento dell'impatto, il pugno si
rivestì di rocce acuminate e sporgenti che esplosero in
mille schegge.
- Sono due Dominatori! - esclamò sorpresa Nemeria.
Tyrron sogghignò: - Molto perspicace. -
Il Grifone riguadagnò la distanza di sicurezza,
richiamò la sabbia sulla mano aperta e la modellò
a forma di lancia. L'arma sibilò nell'aria come se avesse
avuto lo stesso peso del suo corrispettivo di metallo, si
abbatté sullo scudo del Leone e si sgretolò, e i
suoi granelli divennero parte dello stesso, lo allargarono fino a
formarne uno più largo, rettangolare e ricurvo.
- Fate sul serio! -
- Forza, Grifone, forza! -
Sulla curva ovest venne srotolato uno striscione con su cucito un
grifone arancione, sullo sfondo due lance incrociate. I tifosi, quelli
più in alto, battevano i piedi e le mani, mentre sulle curve
est fiorivano le insegne di un leone blu.
- Leone. - intonavano a ritmo, - Leone, leone, leone! -
L'eccitazione divampò come un incendio in una sterpaglia,
riscaldò gli animi di tutti, mentre lo scontro serrato si
perpetrava sotto i loro occhi. Quando il Leone spaccò
l'armatura del suo avversario con una scudata e lo fece volare contro
il muro, un boato fece tremare Nemeria fin nelle ossa e
fomentò un'eccitazione che non credeva di avere.
Scattò in piedi e la sua voce si unì al coro di
urla selvagge che l'attorniavano, si elevò assieme alle
altre e le causò un senso di vertigine inebriante. Il dolore
alla schiena era sempre lì, onnipresente, eppure svaniva nel
clamore e nell'euforia di quel momento. I suonatori sugli spalti
più alti e distanziati dalla folla soffiarono più
forte nelle tube e nei corni, mentre la melodia degli organi ad acqua
divenne più cadenzata e vivace.
Il Grifone si rialzò e sollevò fieramente il
mento, non ancora sconfitto. Levò le braccia al cielo,
grugnì e sbatté un piede a terra. La sabbia si si
staccò dal terreno e tagliò l'aria sotto forma di
proiettili affilati. I primi si bloccarono nello scudo, gli altri
sfondarono la barriera e colpirono il Leone con così tanta
forza da farlo vacillare. Lo scudo cadde a terra e si dissolse in un
nugolo di granelli. Il sangue gli gocciolò sui piedi dalla
spalla, dal petto, dal braccio e da un taglio sul collo.
- Grifone, Grifone, Grifone! -
- Combatti, Leone, combatti! -
- Schiaccialo! -
La folla era in visibilio e i tifosi dell'uno e dell'altro gladiatore
si contendevano il primato di urla d'esortazione. La donna vicino a
Nemeria si sbracciava anche più di lei, con i pendagli che
trillavano quando saltava. Ignorò il marito e talvolta le
lanciò dei gran sorrisi. Sebbene non avesse la
più pallida idea di chi fosse, Nemeria si sentì
in dovere di ricambiare.
Il Grifone assaltò il Leone, lo placcò e gli
girò il braccio dietro la schiena, immobilizzandolo a terra
con legacci di sabbia. Era gigantesco, con quel cimiero e il bracciale
di lamiera, sembrava proprio il rapace mitologico di cui portava il
nome. E il Leone, il suo temibile avversario, pareva un cucciolo
intrappolato sotto le sue grinfie.
Crock.
Lo schiocco dell'osso rotto venne sovrastato dal clamore, ma un brivido
si diffuse su tutte le braccia e nella pancia di Nemeria. L'urlo che ne
seguì si spense in un rantolo sofferente e
risvegliò il dolore in dormiveglia, costringendola a
sedersi. Nonostante tutto, però, i suoi occhi rimasero fermi
su quei corpi in lotta nel bel mezzo dell'arena. E l'eccitazione che
animava gli astanti, e che per osmosi l'attraversava e pervadeva, si
accrebbe come una marea.
Il governatore si sporse dalla balaustra e a un suo cenno il Grifone
mollò la presa. Tuttavia, le corde di sabbia non
desistettero e i granelli si innalzarono dal terreno e salirono verso
l'alto in un turbinio caotico, salvo poi ricadere incrostandosi sulle
ferite aperte del Leone.
- Morirà? -
Tyrron storpiò le labbra in un sorriso saputo: - Osserva. -
Il Grifone camminò attorno al suo avversario, tenendolo
sotto tiro con una lancia. Le linee di sabbia, vere e proprie strie
nelle quali i granelli barbagliavano come pagliuzze d'oro, lo seguivano
come i veli di una sposa. Mentre il governatore assisteva dall'alto,
lui abbracciava l'arena con lo sguardo, incoraggiando la folla a
magnificarlo. I suoi tifosi avevano il pollice rivolto verso il basso;
gli altri, quelli che sostenevano il Leone, lo tenevano in su.
Nemeria allontanò la mano per osservarla e poi
dardeggiò un'occhiata interrogativa a Tyrron, che aveva
incrociato le braccia sul petto.
- Chiamano la grazia o la morte per lo sconfitto. - le
spiegò.
- Ma avevi detto che... -
L'uomo le mise l'indice sulle labbra per zittirla.
- Pane e giochi, è questa la formula per mantenere il favore
del popolo, e quindi il trono. Fai assaporare alla gente la sensazione
di avere il potere, e agli occhi degli ammalati, dei poveri e dei
moribondi sarai un Dio. - distolse lo sguardo da lei e lo rivolse
altrove, - Perché una recita sia efficace, il primo attore
deve credere davvero di essere il personaggio che sta interpretando. -
Nemeria seguì i suoi occhi. Si soffermò sulla
figura del governatore, che, fino a quel momento, si era limitato a
godersi la scena dal suo palco. Quando protese il braccio oltre la
balaustra, tutti parvero trattenere il respiro. Gli schiamazzi
cessarono e un silenzio carico di aspettativa si adagiò
sugli spalti. Solo lo sfrigolare lieve della sabbia allentava la
tensione altrimenti tangibile.
Il pollice parallelo al braccio si alzò verso l'alto.
Tutti gli spettatori si alzarono e si abbandonarono a uno scroscio di
applausi entusiasti. Nemeria nemmeno udì i detrattori della
decisione del governatore, né le battute che Tyrron e Morad
scambiarono. La sua attenzione era sul Grifone, che aiutò il
suo avversario a rimettersi in piedi, attento alle sue ferite. Stavano
parlando, poteva vedere le loro labbra muoversi, e mentre venivano
scortati fuori dalle guardie subentrate dalle altre due entrate
laterali, restò rapita da quella confidenza inaspettata.
Quindi l'amicizia tra lei e Noriko poteva esistere in quel mondo?
Oppure anche quella non era altro che una facciata da offrire in pasto
al pubblico?
Rimasero lì fino alla fine degli incontri, anche se nessuno
di quelli che seguirono la conquistò davvero. L'adrenalina
le accelerava il cuore ogni volta che gli sfidanti facevano il loro
ingresso, eppure dopo la forte emozione del combattimento tra il
Grifone e il Leone tutto scoloriva, era acqua a confronto con l'alcol
puro.
Quando abbandonarono l'arena, il sole stava già declinando.
Tyrron e Morad non avevano smesso un momento di discutere
sull'andamento degli incontri, escludendo completamente Nemeria dal
discorso.
“Devono essere proprio sicuri che non
scapperò.”
Si toccò il collare e represse una smorfia. Si sentiva
spossata, immensamente e profondamente stanca, ma il pulsare delle
ferite era un'avvisaglia anche fin troppo chiara che anche quella notte
non avrebbe dormito. Forse poteva chiedere a Tyrron di esonerarla dagli
allenamenti. Si rimangiò subito il pensiero e lo mise da
parte, stipandolo nell'angolino più lontano della sua mente,
da dove non poteva più tentarla.
I chioschetti d'intorno all'arena erano stati assaltati da spettatori
affamati, che con pochi ètlaon potevano soddisfare il loro
appetito. I bambini dell'età di Nemeria, invece, si
affannavano attorno ai baracchini per comprare una statuetta di
terracotta del loro gladiatore preferito. C'era un'allegria frizzante
che scoppiettava nell'aria fresca nella sera.
Stavano percorrendo la strada che li avrebbe riportati alla via
principale, quando lo vide. All'inizio sussultò e si
strofinò le palpebre pensando fosse un brutto scherzo della
stanchezza, poi l'ombra tra la spazzatura si mosse e un musetto felino
fece capolino da sotto un nido di stracci lerci.
Nemeria si fermò di colpo e si avvicinò
finché l'animale non le soffiò contro, minaccioso
come solo un cucciolo tenta di essere. Aveva il pelo grigio chiaro, due
strisce scure proprio sotto gli occhi verdi e una macchia nera che gli
circondava il muso. Teneva la zampa sinistra sollevata, scossa da
piccoli e quasi impercettibili tremiti.
Nemeria allungò la mano e il gatto si ritrasse, snudando i
denti.
- Così non riuscirai mai ad avvicinarlo. -
Tyrron si era inginocchiato al suo fianco e ora studiava l'animale con
attenzione. Senza perderlo di vista, tirò fuori dalla tasca
delle strisce di carne essiccata.
- Dagliene una, vedrai che uscirà fuori da solo. -
Nemeria titubò un momento prima di accettare. Divise la
carne in due parti e, tenendo il braccio teso davanti a sé,
compì qualche altro passo. Il gatto tirò indietro
la testa, poi però l'odore della carne gli fece cambiare
idea. Diffidente, leccò le dita di Nemeria, gliele
solleticò con la lingua ruvida come se non avesse capito la
differenza tra quelle e la carne, e infine addentò la
striscia di carne. No, non era un gatto, aveva le orecchie troppo
lunghe.
“Non mi è mai capitato di vedere dei peli neri
così...”
- È uno shyahgosh, meglio conosciuto
come “caracal”. Nell'Impero Skandaaleshan viene
ammaestrato per la caccia all'antilope e in alcune dahyu per quella
agli uccelli. Deve essere scappato a qualche mercante, è
troppo piccolo per sopravvivere nel deserto da solo. - disse Morad.
Nemeria si girò a guardarlo e l'uomo ridacchiò.
- Prima di incontrare Tyrron, ero un cacciatore. Qualcosa del mio
vecchio mestiere me lo ricordo. -
Il caracal le addentò il dito, ma senza forza, quasi volesse
richiamare la sua attenzione. Nemeria gli allungò l'altro
pezzetto di carne e lo guardò mentre lo mangiava. Era
davvero un cucciolo, una pallina di pelo ispido e sporco.
- Non... - si morse la lingua e cercò le parole migliori, -
non si possono tenere animali nella scuola? -
Tyrron aggrottò le sopracciglia e Morad smorzò
una risata con un colpo di tosse.
- Mi stai chiedendo il permesso di tenerlo? -
- È piccolo e tutto solo... non mi va di lasciarlo qui. -
L'uomo parve prendere in considerazione la sua richiesta, almeno questo
era quello che Nemeria sperava significasse il suo silenzio.
- Morad, quanto diventa grosso? -
- Circa venti pollici per un peso massimo di quaranticinque libbre. -
Le pupille di Nemeria si spalancarono. Possibile che un cucciolo
così minuto potesse diventare così grande? Le era
difficile anche solo immaginare che potesse essere un predatore.
- Facciamo così. Lo puoi tenere, a patto che sia tu a
occuparti di tutto. Io non ne voglio sapere nulla, chiaro? Se proprio
vuoi dei consigli, chiedi a Morad.-
- S-sì... sì. -
- Bene. - si rialzò, si spazzolò lo sporco dai
pantaloni, per poi consegnarle altre tre strisce di carne, - Muoviti,
si sta facendo tardi e ho una cena importante stasera. -
Nemeria annuì e con un gesto fulmineo che le
procurò una fitta sotto le costole afferrò il
caracal come avrebbe fatto con un gatto. L'animale si dimenò
tra le sue braccia, graffiandole la tunica per liberarsi.
Colpì anche la pietra di luna, quando improvvisamente si
calmò, limitandosi a lanciare un miagolio basso per
pretendere un altro pezzo di carne. Morad inarcò un
sopracciglio, più sorpreso di lei.
- Dovrai dargli un nome se vuoi cominciare ad addestrarlo. -
Nemeria appuntò lo sguardo in quello del caracal.
“Orecchie lunghe e pelose, musetto dolce e ha quasi
più pelo lui degli aculei di un istrice.”
Sorrise e gli grattò la testolina.
- Batuffolo. -
Stavolta fu Tyrron a scoppiare a ridere, quasi si piegò
sulle ginocchia. Morad la fissò a metà tra il
sorpreso e il divertito.
- E quando crescerà? -
- Sarà sempre Batuffolo. -
A quel punto scoppiò a ridere anche lei. Per la prima volta
da quando aveva lasciato la sua tribù percepì una
scintilla di leggerezza depositarsi sul suo cuore.
"Un’oscura
tristezza è in fondo a tutte le felicità umane,
come alla foce di tutti i fiumi è l’acqua amara.
"
Gabriele
D'Annunzio
Quando rientrarono alla
Scuola, Tyrron la congedò e Nemeria si defilò in
camera sua. Noriko era già lì ad attenderla, i
capelli rossi sciolti e ancora umidi sulle spalle nude.
- Cosa sarebbe quella palla di pelo? -
Nemeria la fulminò con lo sguardo: - Si chiama Batuffolo ed
è un caracal. L'ho trovato che cercava da mangiare tra i
rifiuti per strada e Tyrron mi ha dato il permesso di portarlo qui. -
Lo depose sul letto e si inginocchiò alla sua altezza per
guardarlo negli occhi. Mentre lo trasportava lì, aveva
temuto più di una volta che volesse svincolarsi dal suo
abbraccio e scappare, ma il cucciolo invece si era rannicchiato contro
il suo petto ed era rimasto tranquillo per tutto il tempo. La pietra di
luna, si era accorta con stupore Nemeria, esercitava il suo effetto
calmante anche su di lui.
Allungò la mano e gli grattò la testolina, per
poi passare sotto il collo. Batuffolo socchiuse gli occhi,
inclinò la testa e si lasciò cadere di lato, il
collo ben teso esposto alle sue dita.
- Ha una zampa ferita. - osservò Noriko, - Dovresti portarlo
da Nande. -
- Lei potrebbe curarlo? -
- No, però potrebbe conoscere qualcuno in grado di farlo.
Portaglielo stasera, vedrai che saprà aiutarti. -
Nemeria annuì distrattamente. Gli occhi socchiusi di
Batuffolo convogliavano tutta la sua attenzione e le fusa rumorose le
facevano tremare tutta la mano, trasmettendole un piacevole calore.
- Nemeria? -
- Sì? -
- Ti ho fatto una domanda. -
- Scusami, ero... ero distratta. -
Noriko sospirò: - Perché lo hai chiamato
così? -
Nemeria si soffermò a rifletterci, ma continuò a
coccolare il cucciolo, che in quel momento si stava divertendo a
mordicchiarle la mano.
- Me lo ha chiesto anche Morad. -
- E cosa gli hai risposto? -
- Non lo so, sinceramente, mi è venuto spontaneo. - sorrise,
ripetendo le parole di Altea quando le aveva domandato la stessa cosa,
- So che i nomi sono importanti. Una... persona mi ha detto che tutti
ne hanno uno, anche gli animali. Non so se quello che ho scelto
è giusto. Non c'è una vera ragione dietro, ecco.
-
- Capisco. -
Noriko si sedette sul suo materasso e si allacciò i sandali,
un paio di calighe nuove quasi quanto quelle di Nemeria.
- Vuoi una mano a pettinarti i capelli? -
- No, grazie, faccio da sola.-
- Sicura? -
Trascorse un momento d'esitazione.
- Tu ci metti troppo. E poi prima di cena devi andare a farti cambiare
la fasciatura da Nande. -
- Non è vero! - sbottò quasi risentita Nemeria, -
Anzi, posso essere anche più veloce di te se voglio. -
Noriko abbozzò un sorriso. Aveva un ciuffo che le ricadeva
proprio sul naso e la chioma sfibrata in tante ciocche scomposte che
spiccavano come alghe rosse sulle fasce di contenimento del seno.
- Il pettine è lì dentro. - si arrese.
Le indicò una scatola con un coperchio di legno decorato con
motivi geometrici, lucido e rotondo. Nemeria diede un ultimo buffetto
alle orecchie di Batuffolo e, dopo aver preso il pettine, si sedette
vicino a Noriko. A un suo cenno, questa le diede le spalle. A discapito
di quello che credeva, i denti filavano tra i capelli senza alcun
intoppo. Le ciocche, sebbene umide, erano morbide al tatto, seriche, e
a ogni passata si separavano tra le sue dita come i fili ricavati dai
bachi da seta.
- Sono... davvero belli. - si complimentò Nemeria con
sincerità, senza smettere di pettinarli, - Fino ad ora non
me n'ero mai accorta. -
- Sono scomodi così lunghi, devo sempre portarli legati. -
- Vuoi tagliarli? -
Noriko non rispose subito. Inclinò leggermente la testa
all'indietro, in modo che Nemeria potesse sciogliere senza farle male
un nodo proprio alla base della nuca.
- Mi basta farmi una treccia, non mi va granché di
tagliarli. -
- Meglio, anche perché a me piacciono molto. -
Lo aveva detto di getto, senza pensare che, forse, a Noriko non
interessasse granché della sua opinione.
- Saremmo rimaste amiche anche se avessi deciso il contrario. - si
affrettò ad aggiungere, imbarazzata, - Però,
secondo me, stai meglio così. -
Noriko la guardò di sbieco, girando appena la testa.
- Siamo amiche, quindi? -
- S-sì... -
Noriko inchiodò lo sguardo su di lei. Nemeria trattenne il
fiato quando le loro linee visive si sovrapposero: il modo in cui la
guardava, con una freddezza quasi chirurgica, l'aveva sempre fatta
sentire nuda, come se fosse in grado di carpire tutti i suoi segreti.
Era quasi la stessa sensazione che le trasmetteva Tyrron, ma almeno di
Noriko si poteva fidare.
Come un fulmine a ciel sereno, Nemeria si rese conto che sotto la
superficie dell'acqua racchiusa in quelle iridi non c'erano sirene, ma
pesci e fiori di lago.
- Vuoi farmi la treccia? -
Quella proposta venne accompagnata da un sorriso e Nemeria non si
accorse nemmeno di star facendo lo stesso. Si appropriò del
cordone di cuoio e lo tenne tra le labbra, mentre armeggiava con le tre
grandi ciocche in cui aveva diviso la chioma. Si sentiva
inspiegabilmente felice, serena. Era come se tutte le emozioni di
quella giornata avessero attenuato il dolore, la solitudine, il senso
di colpa e il logorante senso di inadeguatezza, simili a spilli contro
un muro di pietra.
- Finito! - saltellò giù dal letto e le si
parò davanti, - Sì, ho fatto proprio un buon
lavoro. -
- Non sei stata proprio veloce, sai? -
Nemeria sbuffò: - Ci vuole tempo per fare le cose per bene.
-
- Sei comunque lenta. - Noriko si spostò la treccia sul
davanti e andò ad aprire la porta, - Portiamo prima la palla
di pelo da Nande e poi andiamo a cena? -
Batuffolo recalcitrò un po' prima di farsi prendere. Si era
acciambellato sul cuscino e dormicchiava tranquillo, con la coda
avvolta attorno al corpo. Quando Nemeria tentò di afferrarlo
la prima volta, spiccò un goffo balzo, atterrando alle
spalle della ragazza, sul fondo del letto, ma bastò
appoggiare la zampa ferita sul materasso per emettere un miagolio
sofferente.
- Non dovresti essere assonnato, tu? - lo prese in braccio e lo strinse
piano al petto, - Dai, Batuffolo, stai buono, adesso ti porto a farti
medicare. -
- Non ti capisce. - borbottò Noriko, roteando gli occhi.
- Sì, invece. -
Gli fece stringere tra le zampe la pietra di luna e Batuffolo, dopo un
breve momento durante il quale rimase imbambolato a fissarla,
cominciò a giocarci colpendola con l'arto sano.
- Mi devo ricredere. -
- Su cosa? -
- Sulle pietre, o almeno sulla tua. - Noriko fece un cenno col mento al
ciondolo, - Pensavo che fossero i ricordi che evocava a
tranquillizzarti, ma da ciò che vedo, anche la palla di pelo
ne subisce l'effetto. Ha davvero qualcosa di... -
- Magico? -
- … particolare, solo particolare. - le tenne la porta
aperta per permetterle di passare, - Avanti, muoviti. -
- Puoi aspettarmi in refettorio, ci so arrivare. -
- E all'infermeria? -
- Ci sono tornata oggi da sola. -
Stavolta fu il turno di Noriko ad essere stupita, sebbene non sembrasse
ancora convinta.
- Se proprio temi che mi perda, accompagnami. -
- Va bene. -
L'infermeria, rispetto alla loro stanza, si trovava al secondo piano e
le scale per arrivarci erano vicine a quelle che si collegavano col
piano terra. Nande era occupata a medicare una ragazza con i lunghi
capelli neri e il collo sottile e delicato. Aveva una tumefazione
violacea sulla scapola, una macchia scura come un'isola di sterpaglia
bruciata sulla pelle abbronzata.
Non appena si avvicinarono, la ragazza le lanciò un'occhiata
in tralice che scaraventò il cuore di Nemeria in fondo allo
stomaco.
- Ti medico dopo cena, ora devo finire qui. - disse mentre prendeva del
filo e lo faceva passare nella cruna di un ago arcuato e sottile, - Mi
ci vorrà un po'. -
- Posso aspettare, è solo un taglietto. Fai pure la mia...
amica. -
Zahra scese zoppicando dal lettino e trafisse Nemeria con i suoi occhi
gialli, ferali come quelli di un predatore.
“Un cobra.”
- Puoi anche stare seduta, posso farla accomodare su un altro letto. -
disse Nande a Zahra.
- Ma era da molto che non la vedevo e ci tenevo ad abbracciarla. -
Zahra compì qualche passo verso di loro e Noriko si
parò davanti a Nemeria. Batuffolo artigliò
l'aria, mostrò i denti e soffiò minaccioso.
- Non c'è bisogno di agitarsi. - sorrise beffarda e
alzò le mani in alto, - Quanto siamo suscettibili! E dire
che la volevo soltanto salutare. -
- Siediti, Zahra. -
La voce di Nande era autoritaria, non ammetteva repliche, eppure
Nemeria era certa che non avrebbe obbedito. Ebbe i brividi quando
l'Alatfal'yl si ristese sul letto. Oltre al livido sulla spalla, un
taglio profondo rosseggiava all'altezza del ginocchio, con i bordi
slabbrati e incrostati di sangue raggrumato.
- Togliti la tunica e spo... - Nande corrugò la fronte, -
È un caracal quello che vedo? -
Nemeria si umettò le labbra e deglutì un paio di
volte. Si impose di raddrizzare le spalle e la schiena, anche se la
pelle tirò sulle ferite ancora aperte.
- Mi stavo chiedendo se... se conoscessi qualcuno che può
curarlo. -
Nemeria tenne saldamente gli occhi in quelli di Nande, sperando che il
cuore tornasse al suo posto, anche se la presenza di Zahra incombeva su
di lei come un gheppio.
- So che tu ti occupi di noi, però magari hai dei contatti
fuori di qui che potrebbero... aiutarlo. -
- Ho un amico che si intende di animali. - rispose la donna dopo un
momento, - Potrei provare a chiedere, però tieni conto che
non potrebbe venire qui a controllarlo. Solo il personale autorizzato
può accedere alla scuola. -
Come se avesse capito, Batuffolo perse qualsiasi vena combattiva e si
fece piccolo piccolo tra le braccia di Nemeria, che, istintivamente,
sprofondò il viso nel pelo del collo. Era un cucciolo, la
pelliccia sporca nascondeva un corpicino gracile e debole. Sarebbe
bastato un niente per spezzare quella vita e Nemeria non poteva
perderlo. Il suo cuore era già un cimitero, aggiungere
un'altra fossa era inconcepibile.
Nande annuì, come se fosse riuscita a leggerle dentro.
- Posso controllarlo io, se vuoi. Per ora. Molte erbe che uso per
preparare gli impacchi vanno bene sia per uomini che per animali; se
però non saranno sufficienti, dovrai essere tu a chiedere a
Tyrron di far venire qui una persona esterna. -
- Sì, va bene. - accettò in fretta Nemeria.
Batuffolo sussultò e le affondò le unghiette
nella tunica, salvo ritrarle subito, quasi avesse intuito che
così facendo le avrebbe procurato dolore.
- Bene. Adesso ti medico, poi mi lasci il cucciolo. - sancì
Nande e, prima che Nemeria potesse ribattere, le fece cenno di
stendersi su un altro letto, - Più parli, più
tempo rimane qui con me. -
- E a cena, a differenza del pranzo, il cuoco non è
così flessibile. - aggiunse Noriko.
In risposta, Batuffolo si protese verso il pavimento, scalciando con le
zampine posteriori per scendere. Nemeria lo appoggiò a terra
con quanta più delicatezza poté e
obbedì.
- Devo dire che sei migliorata molto in soli due giorni. -
osservò Nande ammirata, percorrendo il profilo delle
frustate, - Ci metteranno quantomeno due settimane a guarire del tutto,
però adesso hanno un aspetto più sano. Ti fanno
ancora molto male? -
- Sì, basta poco perché senta dolore. Stanotte
è stato un incubo. -
- Posso immaginare. -
Le spalmò la stessa crema del pomeriggio, con un'aggiunta di
zenzero che le fece storcere il naso.
- Non c'è un Dominatore dell'acqua qui? -
- Sì, c'è, ma interviene solo in sporadici casi e
quando i padroni glielo ordinano. Le tue ferite non sono abbastanza
gravi per richiedere l'intervento di Serafim. - le fece cenno di
mettersi seduta, mentre lei cercava le garze, - Mina e gli altri
lanisti non lo permetterebbero, dopo quello che hai combinato. Ti
auguro di non doverlo mai incontrare, comunque. Se vieni mandata da
lui, significa che sei più di là che di qua. -
Nemeria rabbrividì e il gelo rovente dell'odio le
assalì le tempie. Quel sorrisetto compiaciuto... un giorno
Mina avrebbe pagato. Sospinse quel pensiero lontano e rivolse la sua
attenzione alle parole di Nande. Aveva sperato potesse essere Il'ya,
doveva ancora ringraziarlo per quello che aveva fatto prima e dopo lo
scontro con Zahra.
“Ma forse lei sa dov'è?”
Alzò la testa e guardò la Dominatrice. Se ne
stava stesa a pancia in su a guardare il soffitto, il braccio destro
pigramente appoggiato sugli occhi e i capelli sparpagliati sul basso
cuscino di paglia. Se soltanto ci fosse stata la possibilità
di parlarle senza rischiare un pugno in faccia, o peggio, Nemeria
glielo avrebbe chiesto volentieri.
Lo schiaffetto sulla spalla da parte di Nande la riportò
alla realtà. Aveva già ripreso l'ago arcuato in
mano.
- Allora ci vediamo tra un po'? -
- Non vado da nessuna parte. - tese il filo per assicurarsi che fosse
della lunghezza adatta e Zahra distese la gamba, - Ora andate, non
voglio distrazioni mentre lavoro. -
Nemeria indugiò. Batuffolo si era acciambellato di nuovo,
con il muso rivolto verso Nande e una palpebra a mezz'asta sull'occhio
aperto. Le venne da sorridere a vedere i suoi tentativi di rimanere
sveglio e vigile.
- Nemeria, ho fame. - la richiamò Noriko.
- Ah? Sì, andiamo, sì. -
Noriko la precedette. Nemeria si fermò sulla soglia e
lanciò uno sguardo alle sue spalle. Zahra la stava fissando.
Stringeva le labbra e i pugni in una smorfia di dolore a stento
trattenuta, mentre Nande operava sulla sua ferita.
“Non è invulnerabile.”
Quel pensiero le elargì la forza di girarsi e uscire. La
paura le faceva ancora tremare le ginocchia e il cuore era rimasto
impigliato chissà dove in fondo allo stomaco, eppure vederla
in quello stato, così umana e inerme, le aveva fatto capire
che non era stato solo un colpo di fortuna a farla vincere: Zahra
poteva essere sconfitta.
Scesero nel refettorio e presero posto vicino a Durga e Ahhotep. La
bambina, non appena le vide arrivare, tolse i piedi dallo sgabello che
aveva nascosto sotto il tavolo e lo porse a Nemeria, battendo la mano
per farla sedere.
- Un ragazzo lo voleva prendere, ma io gliel'ho impedito. -
raccontò, gonfiando il petto piena d'orgoglio, - L'ho difeso
con le unghie e con i denti, Tep è testimone. -
- Ma che gentile, grazie! -
- Sappi che ci sei mancata oggi all'allenamento con Sayuri. -
- A te, forse. - la corresse Ahhotep.
- Non fare l'antipatica, Tep. - la rimproverò Durga e le
puntò il cucchiaio contro, - Anche tu eri curiosa di sapere
dove fosse andata con Tyrron. -
- Non abbiamo fatto niente di che, davvero... -
- Ma noi siamo curiose. -
Ahhotep levò gli occhi al cielo e riprese a mangiare il suo
riso al curry senza ribattere.
- Allora? Non ti far pregare!- cinguettò Durga.
- Siamo andati all'arena a vedere lo scontro tra il Leone e il Grifone.
-
Durga strabuzzò gli occhi e rimase a bocca aperta. I suoi
occhi brillavano per l'eccitazione.
- E com'è stato? -
- Bello, molto bello. - fece una pausa a effetto per godersi il viso
della bambina, - Sono davvero fortissimi. Il Leone, poi, anche se ha
perso, è stato magnifico. Il Grifone si è
comportato in modo molto leale e corretto, lo ha addirittura aiutato ad
alzarsi! -
- Che brutto, però. Io non so se riuscirei a colpire un
amico. -
Nemeria si prese un attimo prima di rispondere.
- L'importante è non causare ferite troppo gravi. -
- Quindi il Leone non si è arrabbiato? -
- A me non sembrava. -
Ahhotep scoppiò a ridere.
- Credete davvero che quei due siano amici? Non capisci che
è solo una finzione? Non può esistere amicizia
tra di noi, siamo schiavi destinati a diventare mostri. E chi credi ci
ammazzerà, eh? - si protese verso Nemeria, la pupilla nera
quasi iridescente nell'iride scura, - Potresti essere tu a dover
togliere la vita a uno di noi, o noi a dover fare la stessa cosa. La
morte di un Jin sarà eccitante per quelli là
fuori, ma la finzione di un'amicizia in condannati come noi, di un
amore, di un qualsiasi sentimento umano rende solo il tutto un teatrino
tragico ai loro occhi. Se credi che la gentilezza che hai visto oggi
sia vera, forse sei più stupida di quanto pensavo. -
Nemeria rimase senza parole, disarmata. La paura sorse dentro di lei,
minando la sua sicurezza e togliendo terreno al suo entusiasmo. Trasse
un lungo respiro tremante.
- Quindi smettila di illuderti, smettila di prenderci in giro tutti.
Tu, forse, ne uscirai viva perché sei la preferita di
Tyrron, ma noi creperemo qu... -
Si interruppe prima di concludere la frase. Nemeria seguì la
direzione del suo sguardo e trovò il viso arrossato di
Durga, le ciglia bagnate che fremevano sotto la pressione delle
lacrime. Non fece in tempo a dire o fare nulla che la bambina corse
via, fuori dal refettorio.
- Era proprio necessario essere così duri? -
sibilò Noriko, quindi si riempì il bicchiere con
l'acqua sporca del pranzo e la sorseggiò con calma, come se
non fosse successo nulla.
Ahhotep strinse il pugno e tornò al suo posto.
- Era necessario. Meglio che capisca subito come va il mondo prima che
si faccia male sul serio. -
- È solo una bambina. - protestò Nemeria.
Entrambe si girarono a guardarla. Lei spostò il suo vassoio
da un lato e puntò gli occhi in quelli di Ahhotep.
- Non lo è, ha smesso di esserlo quando è stata
portata qui. - replicò l'altra.
- Ah, davvero? Non mi sembra. È una bambina e tu... tu l'hai
dovuta far piangere per ferire me. Perché lo hai fatto? Non
potevi attendere che fossimo solo noi due? - domandò,
improvvisamente furiosa.
- È per il suo bene. -
Nemeria non riuscì a trattenersi. Il suono che fece poteva
ricordare una risata, se non fosse stata così carica di
rabbia e amarezza.
- Per il suo bene? Tu volevi solo ferire me e per sbaglio, nel tuo
maldestro tentativo di farmi del male, hai colpito la tua... come la
devo chiamare? Perché da quello che mi è parso di
capire, è un'amicizia a senso unico. -
- Tu non sai niente. - ringhiò Ahhotep.
- Non mi interessa. Ti conosco da appena un giorno e, per quello che mi
riguarda, potresti anche crepare domani, non me ne importerebbe nulla.
-
Nemeria sapeva che doveva fermarsi, ma qualcosa la spingeva a
continuare. La rabbia le infiammava la mente, il viso in lacrime di
Durga aizzava le fiamme, le ravvivava. Il collare era incandescente e
la pietra di luna un cuore di magma.
- Vuoi comportarti così? Fai come ti pare, ma Durga
è mia amica ora, e se osi farla piangere una seconda volta,
del tuo corpo non rimarrà altro che cenere. - la
minacciò e l'afferrò per il colletto della
tunica, obbligandola a piegare il collo all'indietro per poterla
guardare ancora negli occhi, - E non credere che non ne sia capace,
Ahhotep. Il tuo potere dell'aria potrà anche nutrire le mie
fiamme, ma sappi che basta una scintilla per far divampare un incendio.
-
La volontà di distruzione fluiva dai polpastrelli e le
arrossava la vista. L'attenzione degli astanti era puntata su di loro e
gli occhi di Ahhotep erano spalancati come quelli di un cerbiatto
dinanzi al lupo. Le guardie si staccarono dalle pareti e si
predisposero attorno al tavolo, le armi già sfoderate.
- Calmati, asir. - le ingiunse un soldato alle
sue spalle, - Lasciala. -
Nemeria non si voltò nemmeno. Se lo avesse desiderato,
avrebbe potuto bruciarla, lasciarle un marchio indelebile della sua
potenza e sarebbe stato giusto, una punizione equa per averla sfidata.
L'avrebbe temuta per sempre e mai avrebbe più osato alzare
lo sguardo di su dei. Nessuno può mettersi contro Agni.
- Non lo ripeterò una seconda volta, asir.
- la spada della guardia luccicò al limitare del suo campo
visivo, - Obbedisci. -
Nemeria chiuse gli occhi e piano, molto piano, mollò la
presa. La tunica di Ahhotep era annerita dove le sue mani l'avevano
afferrata, l'odore di stoffa bruciata così forte da
appestare l'aria.
- Ora siediti e torna a mangiare. - ordinò la guardia.
- Non ho più fame. - borbottò Nemeria.
Prese il suo vassoio, con ancora la razione di riso intonsa, e
fronteggiò l'uomo. La superava di almeno una testa, le
spalle larghe, le braccia e le gambe coperte dall'armatura d'oricalco.
Gli occhi piccoli e porcini la scrutavano dall'ombra allungata della
tiara.
Nemeria lo oltrepassò a testa alta. La brace della sua
rabbia era ancora lì, sfrigolava nel suo petto sprizzando
scintille che accendevano un altro fuoco, più forte e
dirompente, che le scaldava il petto e annullava tutto il resto.
Persino Noriko sbiadiva in quel rosso accecante.
Il venticello serale la accolse come un vecchio amico, spirando sulle
braccia inumidite dal sudore come un balsamo fresco ed emolliente. Il
campo d'allenamento circoscritto dal quadriportico era deserto e, a
parte le sentinelle, non c'era nessuno in giro.
“Sei ancora qui?” Sono sempre qui.
La voce dell'elementale era calma e risuonava fin nelle ossa.
“Grazie per avermi aiutata.” Non ho fatto nulla. Quelle parole erano tue.
Nemeria inspirò a fondo e si portò una mano al
petto. Si rigirò la pietra di luna tra le dita e la strinse
nel pugno, incurante del calore che emanava. Tu sei forte, Cuore di fuoco, devi solo imparare a crederci.
“Come mi hai chiamata?”
Una risata trillò forte nella sua mente e poi si
affievolì, perdendo d'intensità. Col tuo nome nel buio.
Nemeria serrò le palpebre. Sentiva che l'elementale la stava
abbandonando, ma aveva bisogno che rimanesse, che condividesse la sua
forza. Non voleva più essere debole e, anche se temeva il
desiderio di distruzione insito nelle fiamme, la rabbia era una bella
sensazione, un'emorragia di potenza a cui non voleva rinunciare. Non me ne vado, Cuore di fuoco, né ora
né mai. Ti basterà togliere il collare
perché io ti dia tutto ciò che desideri.
Capì che se n'era andata quando l'odore di pelle bruciata
sotto il collare la sopraffece. Si dovette appoggiare alla parete per
quanto le tremavano le ginocchia.
“Durga... devo cercare Durga.”
Aspettò che la vista si stabilizzasse prima di compiere
alcuni passi. Non doveva essere andata lontano, o quantomeno lo
sperava. Ispezionò il portico e il campo d'allenamento
dell'aria, senza alcun risultato. Quindi decise di andare in
avanscoperta negli altri tre corridoi, che presumeva portassero a
quelli degli altri tre elementi.
Andò verso nord e percorse il corridoio contornato ai lati
da colonne. L'acqua sgorgava dai capitelli e scorreva lungo di esse,
per poi incanalarsi nelle venature scavate nella pietra.
L'umidità saturava l'ambiente, era così intensa
da darle dei capogiri. Nemeria proseguì fino al campo vero e
proprio, uno spazio avvolto dal buio, dove lo scrosciare dell'acqua era
un rombo nel silenzio.
- Durga! -
Nessuna risposta.
Attese un po' prima di andarsene e infilare il corridoio che conduceva
al campo del fuoco. Qualcuno aveva disposto dei treppiedi e la luce
ambrata della brace spandeva un alone aranciato sulle colonne tozze e
rosse, simili a tronchi levigati. Nemeria lo percorse tutto,
finché non arrivò al campo dove si allenava con
Sayuri. Non c'erano posti dove nascondersi, ombre che potessero celare
alcuna presenza se non quella degli incubi.
Eccola di nuovo, la paura, la sua vecchia amica. Un brivido le
arricciò i peli sulle braccia.
“Non c'è nessuno qui” si disse, ma non
aveva il coraggio di compiere un solo passo in più: il vuoto
del buio, esteso in quel campo così grande, le gelava le
ossa. Tornò indietro quasi correndo. Solo dopo aver ripreso
fiato, imboccò quello che si trovava di fianco al campo
dell'acqua, un corridoio con le pareti dipinte di verde e un
acciottolato sregolato come pavimento, che si apriva in una stanza
esagonale. Piante rampicanti invadevano le pareti e penetravano
all'interno della ragnatela di crepe, simili a vene incise nella
roccia, come in cerca di una via di fuga. Si chiamavano Gemme del
Firmamento ed erano le uniche forme di vita che potessero sopravvivere
nel deserto. Nemeria scorse le curve delle loro radici nodose che
penetravano nella sabbia. Era un luogo che offriva spazio alle danze
delle ombre sulle rocce e sulle foglie delle Gemme che ciondolavano
dalla cupola.
- Durga? -
Si girò di scatto, in tempo per vedere Noriko entrare tutta
di corsa. Si fermò di colpo, non appena si accorse che lei
era lì, a pochi piedi di distanza. La treccia si era in
parte disfatta e i ciuffi le ricadevano scomposti ai lati delle guance
e sulle spalle.
- Perché? - chiese cauta e Nemeria intuì subito a
cosa si riferiva.
- Perché l'ha ferita. - rispose, trattenendosi
dall'aggiungere “Non è ovvio?”.
- Mi avevi promesso che non avresti attirato l'attenzione su di te. -
Nemeria non abbassò lo sguardo. Inspirò piano e
accorciò la distanza che le separava di qualche passo.
- Non potevo rimanere con le mani in mano. Hai visto com'è
scappata via? Che bisogno c'era di essere così brutale, di
sbatterle in faccia i fatti in quel modo? -
- Il rapporto tra Durga e Ahhotep non ti riguarda, Nemeria. Durga
sarà anche una bambina, ma Ahhotep ha quindici anni: che se
la veda lei. -
- Durga è mia amica. -
- La conosci da ieri. -
Nemeria incassò, presa in contropiede. Ma come poteva
rimanere impassibile davanti a ciò che era successo?
- Io... voglio solo che non pianga. So che qui dentro ci sono delle
regole diverse da quelle che ci sono là fuori, ma sono
scoppiata quando Ahhotep ha detto quelle cose. Non è giusto
che lei sia qui, non è giusto che debba combattere contro i
suoi amici e trasformarsi in un Jin. È troppo piccola! -
L'amarezza le arrivò addosso come una biga fuori controllo.
Le braci ardenti della rabbia, rimaste sopite fino a quel momento, si
estinsero, sommerse dall'inevitabilità di un futuro certo.
- Non voglio che Durga soffra, che tu stia male, che Ahhotep si
trasformi. - biascicò e si coprì il viso con le
mani, le lacrime che sgorgavano senza freni, calde e pesanti, -
Perché le persone attorno a me non possono essere felici?
Perché devo perdere tutto e rimanere da sola? -
Noriko l'avvolse in un abbraccio e le accarezzò la testa
mentre lei piangeva. C'era qualcosa di rassicurante in quei gesti
impacciati che leniva il dolore che aveva dentro.
- Non ti lascio, Nemeria. -
- Ma se rimarrai qui, se userai il tuo potere... -
- Sia che fossimo ancora lì fuori o lontane, in un paese
dove nessuno ci conosce, non cambierebbe nulla. È il nostro
destino ed è stato segnato quando siamo nate. - la strinse
per le spalle e appoggiò la guancia sulla sua testa, - Ma
non ti lascerò, te lo prometto. -
Noriko non mentiva, Nemeria questo lo sapeva. E i suoi occhi erano
tersi come le sue parole, chiari, il riflesso della luce che penetra e
illumina al di sotto della superficie di un lago.
- Perché fai tutto questo per me? -
Lo scorrere del tempo era scandito dai granelli di sabbia che le
turbinavano attorno alle caviglie.
- Forse perché mi sarebbe piaciuto che qualcuno ci fosse
stato per me quando ne avevo bisogno. Proteggendo te, proteggo anche
una parte di me. - esalò Noriko.
Mancava un pezzo, in quella frase, un'aggiunta importante che le
avrebbe permesso di comprendere davvero a cosa si stesse riferendo.
Tuttavia, avvertiva pure che, se avesse osato chiedere, Noriko si
sarebbe ritirata in se stessa. Così ricambiò
l'abbraccio, più forte di quanto potesse sopportare il
distendersi della pelle sulle ferite, ma ne accettò il
dolore e serrò i denti così tanto da farli
scricchiolare. Tirò su col naso e si strofinò via
il muco col dorso della mano.
- Anche io ci sarò sempre per te, Noriko. Te lo prometto. -
- Ti ringrazio. - le sorrise, unendo le loro fronti, quindi si
staccò, - Ora andiamo in infermeria a recuperare la palla di
pelo. -
- E... e Durga? -
- Sarà già tornata in camera, non c'è
abbastanza luce qui. -
- Ne sei sicura? -
- No, ma oggi ha rivelato ad Ahhotep che ha paura del buio e a
quest'ora le torce sono accese solo nel cuore della scuola e nei
corridoi interni. -
Nemeria non era convinta, ma anche se avesse voluto, a parte gli altri
campi, non aveva idea di dove andarla a cercare.
Noriko dovette scorgere l'indecisione sul suo viso, perché
aggiunse: - Domani mattina avrai tutto il tempo per darle delle
spiegazioni. -
Quello bastò a mettere a tacere la sua coscienza, almeno in
quel momento.
Si avviarono in infermeria. Le torce illuminavano il loro passaggio e
ne deformavano le ombre, allungandole fino a piegarle in modo
asimmetrico sulle pareti. Le guardie le seguirono annoiate con lo
sguardo, talune addirittura sbadigliarono al loro passaggio. Nemeria
riconobbe i volti di alcuni di loro, i medesimi che aveva scorto prima
di seguire Tyrron all'arena.
Nande le attendeva seduta dietro il suo tavolo, le gambe accavallate e
un libro di botanica adagiato sulle ginocchia. Quando le vide entrare,
infilò tra le pagine un pezzo di carta adornato con una
piuma verde e blu e venne loro incontro.
- Allora? Hai potuto fare qualcosa? - domandò Nemeria,
apprensiva.
- Non c'era granché. A parte la zampa ferita, non ha
né zecche né pulci e i denti sembrano sani. Non
ho le conoscenze per fare dei controlli più approfonditi, ma
sembra stare bene. L'ho dovuto sedare, però. Quando ti sei
allontanata, è diventato intrattabile. - le
mostrò le braccia, piene di morsi e graffi, - Essendo un
cucciolo, non mi ha fatto molto male. Devi prenderti cura anche della
sua educazione, se non vuoi che un giorno cavi un occhio alla persona
sbagliata. -
- Ora dov'è? -
Nande gli indicò la sedia di fianco alla sua, dove Batuffolo
riposava, il muso sprofondato nelle zampe anteriori. Nemeria si
avvicinò in punta di piedi e si inginocchiò al
suo fianco. Non osò accarezzarlo per paura di svegliarlo,
figuriamoci prenderlo in braccio e portarlo in camera.
- Non ti preoccupare, con quello che gli ho dato lo rivedrai muoversi
domani mattina. - sorrise Nande.
All'improvviso Nemeria udì un tonfo. Si girò di
scatto e vide Noriko in ginocchio, piegata su stessa, con le braccia
strette attorno al ventre. Il viso era una maschera di dolore.
- Noriko? Noriko, che succede? -
La domanda rimase insoluta. Nande si precipitò vicino a lei,
la prese sotto braccio e la condusse su un lettino. Dei rigoli di
sangue scorrevano tra le cosce di Noriko.
- Prendi il cucciolo e va' in camera tua. -
Nemeria intuì che non era il caso di ribattere.
Afferrò Batuffolo con meno grazia di quella che avrebbe
voluto e corse fuori.
"Non
camminare dietro a me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti,
potrei non seguirti. Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico."
Albert
Camus.
C'è un momento
nella notte che è dominio del silenzio, così buio
che le ore paiono incastrarsi negli orologi o nel cielo spruzzato di
stelle opache. Si colloca in quel lasso di tempo durante il quale la
luna declina verso l'orizzonte e il sole si desta dal suo sonno, e si
protrae finché il firmamento non schiarisce nell'albeggio.
Molti lo chiamano il Tempo del Ritorno: ubriachi e derelitti annaspano
verso casa a braccetto con i dolori anestetizzati dal vino e dalle
droghe, mentre ricordi e timori, con uno strascico intessuto di
“se” e “ma”, fanno visita agli
insonni e ai nottambuli.
Nel silenzio di quel Tempo, Nemeria attendeva in un sottile
dormiveglia. Batuffolo era steso vicino a lei e, a volte allungava la
zampa sana verso il suo piede, la sfiorava e poi si girava dalla parte
opposta, come se la sua presenza lì accanto lo facesse
sentire meno solo. Oppure voleva trasmetterle la sicurezza che le
mancava.
- Sono qui. - biascicava Nemeria e gli accarezzava la testolina.
Aveva la bocca impastata e le palpebre pesanti, ma il sonno si
divertiva a giocare a nascondino, mentre il dolore era fin troppo
logorante, grattava da sotto le bende e le pizzicava la pelle della
spalla, là dove il peso del corpo si scaricava. Eppure,
nonostante le ferite, era il cuore a gravarle nel petto: rigido e
freddo, trafitto dall'angoscia, pesava quasi fosse ricoperto da uno
strato di neve e ghiaccio. Percepiva l'assenza di Noriko in modo
tangibile nella mancanza di un altro respiro nella stanza e del
frusciare della paglia quando si alzava per controllare come stesse.
Era strano e spaventoso ritrovarsi di nuovo sola. Quando sarebbe
tornata Noriko? Stando attenta a come si muoveva, Nemeria si
girò dall'altra parte, dando la schiena alla parete, e
aprì gli occhi. Il letto dell'amica era ancora vuoto, con il
cuscino sprimacciato e le lenzuola che sapevano di fresco.
Trasse un profondo respiro e allungò la mano fino alla testa
di Batuffolo. Quando aveva visto il sangue, aveva subito compreso
cos'era successo, ma non aveva trovato le parole per chiedere a Nande
di rimanere. Forse la reputava troppo piccola per capire cosa succedeva
al corpo di una donna quando sbocciava, senza sapere che Nemeria era
più che preparata: Hediye gliene aveva parlato, le Anziane
glielo avevano spiegato ed Etheram era stata la prima. I crampi
l'avevano tormentata per tre giorni, prima che gli impacchi di sua
madre sortissero effetto. Nemeria le era rimasta accanto e aveva
provveduto, nel suo piccolo, affinché non le mancasse nulla
e non si sentisse mai sola in un un momento così importante.
Quando Etheram aveva intrapreso il Primo Sentiero, i suoi cicli di luna
erano diminuiti con il suo distaccarsi dalla mortalità, fino
a ridursi a piccole e scolorite macchie di sangue sulla biancheria. Per
le mortali non era così, loro fiorivano e appassivano ogni
mese, come Hediye e molte altre, che pativano per oltre sette giorni e
guardavano con invidia coloro che proseguivano le loro vite come se
nulla fosse. Nemeria si chiese se Noriko stesse bene e si promise di
starle accanto come aveva fatto con Etheram.
Uno sbadiglio smorzò la tensione nel suo corpo e le
intorpidì le dita. Avrebbe voluto essere lì,
così come Noriko le era stata vicina per tutto quel tempo.
Invece era stata cacciata fuori, come un ospite indesiderato, quando
l'amica avrebbe avuto più bisogno di lei. Ora poteva solo
aspettare e nell'attesa combattere contro il sonno.
“Forse tornerà domani mattina... E se
così non sarà, l'andrò a
trovare.”
Il sonno l'avvolse e l'inquietudine allentò la presa delle
sue spire attorno al cuore. Negli istanti che seguirono, nell'ora
più buia della notte, la Madre la accolse tra le sue
braccia, salvo poi lasciarla cadere nel fossato degli incubi.
Furono i colpi alla porta a svegliarla, accompagnati dalla voce acuta
di Durga. Batuffolo si stava ancora rotolando nelle lenzuola quando
Nemeria riuscì a trovare la forza di tirarsi su dal letto e
percorrere la breve distanza che la separava dalla porta.
- Buongiorno! -
Nemeria si stropicciò gli occhi e ci mise un momento a
capire che doveva abbassare lo sguardo. Durga era lì
impalata davanti a lei, con i capelli raccolti in una coda laterale
alta e vestita con un chitone sfrangiato senza maniche e una cintura di
corda.
- Buongiorno... - Nemeria masticò le ultime sillabe.
Durga sbirciò dietro di lei, ondeggiando da un piede
all'altro: - Dov'è Noriko? -
- Credo sia ancora in infermeria. -
- Sta male? - domandò allarmata.
- No, cioè sì... non proprio. Ti spiego mentre mi
lavo. -
- Sì, ne hai proprio bisogno. -
Nemeria non provò nemmeno a ribattere all'insinuazione.
L'ultima volta che aveva visto l'acqua era stato due giorni prima, alla
casa di Tyrron. Non doveva avere un bell'aspetto, tanto meno un buon
profumo.
- Ti accompagno io. - aggiunse Durga.
Le fece strada lungo il corridoio. Le guardie si erano date il cambio
e, come sempre, controllavano il loro passaggio e quello delle poche
altre persone che circolavano, tutti per lo più ragazzi e
ragazze di massimo quindici anni. Il bagno si trovava al piano terra,
vicino all'uscita, dietro una porta piuttosto anonima ornata con due
colonne scanalate di marmo bianco. Passarono oltre gli spogliatoi,
arraffando soltanto un telo dagli scaffali di legno e muratura, e a un
cenno di Durga Nemeria aprì la porta che le indicava. Non
appena lo fece, dalle labbra le uscì un gridolino
sbigottito.
- Lo so, sono giganteschi. - Durga la prese per mano e la
portò a bordo della piscina, - Allora, questa è
piena d'acqua fredda, ottima per svegliarsi di prima mattina. Di
là c'è l'harara, una stanza caldissima e piena di
vapore. -
- E a cosa serve? -
- A sudare! Fa bene alla salute. -
Nemeria mostrò tutta la sua perplessità alzando
entrambe le sopracciglia. A cosa le serviva sudare se era venuta
lì proprio per lavarsi da tutta la sporcizia che aveva
addosso?
“I mortali sono strani.”
- Comunque, forse dovresti coprirti di più. -
- Coprirmi? Ma mi devo lavare! -
L'obiezione mise in crisi Durga, che cominciò a
mordicchiarsi le pellicine del pollice nella più totale
indecisione.
- E se viene qualcuno e ti vede nuda? -
- Perché tu non hai mai visto tua madre o tuo padre senza
vestiti? -
- S-sì, ma... è diverso! -
Nemeria si grattò dietro l'orecchio, sempre più
confusa. Non capiva il motivo di tutte quelle lamentele, aveva sempre
fatto il bagno assieme a tutti gli altri membri della tribù
e non era mai accaduto nulla, se non qualche schizzo.
- E cosa dovrei mettermi, allora? -
Come se non avesse atteso altro, Durga schizzò negli
spogliatoi e tornò con un pezzo di stoffa simile a un paio
di mutande e una fascia scura.
- Mettitele, ti tengo io il pestemal. - disse, poi afferrò
il telo e lo sollevò fin sopra la testa, in modo da coprire
Nemeria, - In teoria dovresti tornare di là e cambiarti, ma
così facciamo prima. -
- Quindi è obbligatorio? -
- No, però così i maschi non ti vedono e non ti
prendono in giro. - si interruppe e riprese a parlare con voce dimessa,
- I miei fratelli lo facevano spesso, ma non erano cattivi come gli
altri. -
- Gli altri? Di chi stai parlando? -
- Degli altri ragazzi che stavano con noi. Loro erano grandi e mi
deridevano perché non ero un maschio come loro. -
Nemeria spostò il telo e l'abbracciò, tirandola
su e facendola roteare come sua sorella faceva con lei.
- Non possiamo fare baccano qui dentro! - la rimproverò
Durga, ma rideva mentre lo diceva, le gambe divaricate e le braccia
aperte come se volesse spiccare il volo.
Risero insieme e Nemeria non si fermò finché non
iniziò a girarle la testa. A momenti non cadde nella piscina
quando la mise giù. Le facevano male la braccia e la schiena
– Durga non era leggera come Rakshaan –
però vederla così, di nuovo allegra, le
riempì il cuore.
- Se diventi triste, ti faccio volare ancora, sappilo. - la
minacciò con un sorriso mentre si lasciava scivolare nella
piscina.
Un brivido di piacere le rizzò i peli sulle braccia. L'acqua
era a temperatura ambiente, fresca quanto bastava per spazzare via gli
ultimi strascichi del sonno e degli incubi.
- Ti prendo il rhassaul. - si offrì Durga.
Prima che Nemeria potesse chiedere cosa fosse, la bambina era
già partita. Sospirò, spostò le bende
lontano e si abbandonò con la schiena contro il bordo.
L'acqua frizzava sulle ferite, o almeno così le pareva,
causandole un solletico piacevole laddove i tagli erano più
profondi. Prese l'acqua e se la rovesciò sulla testa, sui
pochi capelli che aveva, una massa di peli corti e neri simili agli
aculei di un riccio. Li sentiva sotto i palmi mentre strofinava e
rimase stupita di quanto le fossero ricresciuti in meno di un mese.
Passi brevi e concitati le comunicarono che Durga era tornata. Si
fermò alle sue spalle e Nemeria la vide inginocchiarsi a
bordo piscina.
- Allora, te la devi passare ovunque e strigliarti per bene. - le porse
un vasetto con dentro dell'argilla che spandeva un delicato profumo di
menta, - Se vuoi, sulla schiena te lo passo io! -
- No... no, meglio di no. -
- Ma come, non sarai certo puli... - si interruppe di colpo quando
Nemeria si allontanò di mezzo braccio dal bordo, - Scusami,
me ne ero dimenticata. -
- Non ti preoccupare. -
Nemeria si sedette di fianco a Durga, con solo i piedi a mollo, e si
cosparse le braccia e le gambe con l'argilla.
- Hai fatto pace con Ahhotep? -
- Sì, sì, abbiamo fatto pace. Lei non
è cattiva, sai? Diciamo che si sente molto sola e triste da
quando è qui. -
“Se si comporta così, non avrà mai
altri amici.”
- Ahhotep è arrivata qui prima di me, però ci
conoscevamo già da un po'. Io sono arrivata a Kalaspirit con
tanti altri, ma il fratello del mercante che ci aveva comprato era
stupido. Una sera era così ubriaco che si è
lasciato fregare le chiavi come un allocco! - ridacchiò, -
Tutti quelli che erano sul mio carro sono scappati. Però io
a Kalaspirit non conoscevo nessuno, ero da sola e sapevo che non potevo
usare il mio dominio, sennò mi avrebbero catturata subito.
Ho incontrato Ahhotep mentre cercavo qualcosa da mangiare nella
spazzatura di un ristorante. È stata lei a farmi entrare nei
Falchi. -
Nemeria annuì e restò in silenzio. Le sembrava di
ascoltare la propria storia, ogni sua parola le evocava i membri della
Famiglia, il tempo passato assieme a imparare, ridere, cucinare. La
nostalgia di quei giorni e del come erano finiti era una ferita ancora
aperta.
- Ahhotep mi ha accolta, si è presa cura di me e mi ha
difesa dai Falchi più antipatici. - continuò
Durga, - Pure gli altri, a loro modo, le volevano bene, anche se erano
arrivati al limite. Io non so cosa sia successo dopo che gli uomini di
Tara mi hanno catturata e Tep non mi ha mai raccontato come
andò, ma io so che ci sta male per aver perso Shaya e tutti
gli altri. -
- Ah, quindi tu non sei giunta qui con lei? -
- No, sono stata catturata una decina di giorni prima. Tara non mi ha
fatto venire subito qui perché stavo male e temeva che,
allenandomi, sarei peggiorata. -
Nemeria annuì e poi scivolò di nuovo in acqua.
L'argilla si sciolse e si sparse sulla superficie, allargandosi come
una macchia di fango.
- Allora Zahra non si è sognata tutto: la nostra Fiammella
è davvero qui. -
Nemeria si girò di scatto. Abayomi avanzava tranquillo verso
di loro, con solo il pestemal avvolto sui fianchi. Gocce di sudore gli
punteggiavano il viso e le braccia, districandosi sulla grossa ustione
che copriva metà del petto e del braccio destro.
- Cosa vuoi? -
- Quanto siamo astiose... e dire che sei qui solo grazie a me, il tuo
mentore. -
- Per poco non mi facevi ammazzare. -
Il ragazzo schioccò la lingua e si sistemò la
benda sull'occhio, un semplice fascia nera che, unita alla cicatrice
sul viso, gli dava un'aria truce, da pirata.
- Ma non è successo e ora sei qui. Se non ti avessi spinta a
combattere, ora saresti solo una schiava in mano a chissà
chi, com'è successo alle tua amica. -
- Tu... tu sai cos'è successo a Kimiya? - indagò
con urgenza Nemeria, sporgendosi verso di lui.
Il sorriso sul viso di Abayomi divenne una fessura scoperta sui denti.
- Potrei saperlo, sì. -
Nemeria uscì dall'acqua in un balzo e marciò fino
ad essere faccia a faccia con lui.
- Dimmelo. -
- Cosa mi offri in cambio? -
- Non ti spacco la faccia. -
La rabbia era lì, ancora viva e bruciante. Parlava con lei e
per lei, sobillava l'elementale pretendendo la sua forza. L'acqua
evaporò dalla pelle come l'umidità al sole.
- Sono appena uscito dall'harara, ho sudato abbastanza. -
sogghignò il ragazzo e fece un passo indietro senza
scomporsi, - Se mi tocchi, mia bella Fiammella, non credere che me ne
starò zitto. Tyrron è stato gentile l'ultima
volta, ma se osi anche solo sfiorarmi al di fuori dell'arena, sappi che
le dieci frustate del primo giorno saranno niente a confronto. Mina
è una sadica, ma Adel, il mio padrone, è un uomo
giusto e come tale farebbe applicare la legge alla lettera. - si mise
una mano sulla bocca e si piegò come per rivelarle un
segreto, - Si dice che, dopo quaranta frustate, anche gli uomini
più grossi svengano. Ma magari tu sei così
speciale da poterne sopportare cento... -
Il cuore le saltò in gola e il sangue defluì dal
viso. Prima che il desiderio di colpirlo avesse la meglio, Nemeria
arretrò ripristinando una distanza di sicurezza.
- Vedo che sei ragionevole. Allora, io adesso ho bisogno di lavarmi da
tutto questo sudore, poi, quando mi verrà in mente cosa
vorrò in cambio dell'informazione sulla sorte della tua
amica stupida, ne riparleremo. -
Abayomi si tolse il pestemal e si deterse il sudore dalla fronte, prima
di buttarsi in acqua. Nemeria lo seguì mentre nuotava
sull'altra sponda.
“Mi chiedo quanto può resistere un uomo nell'acqua
rovente?”
Aprì e chiuse la mano. Era meno calda della pietra di luna e
dell'oricalco, ma avrebbe potuto provare a immergerla.
- Nemeria...? -
Durga era al suo fianco e la guardava stralunata, il pestamal e le
bende strette al petto. La sua rabbia si protrasse anche verso di lei e
per un momento il desiderio di distruggerla, di osservare il suo corpo
bruciare, divenne così pressante da toglierle il fiato.
Sarebbe bastato un suo tocco, uno sfioramento casuale,
perché sbocciassero le fiamme.
“No!”
- Stai male? -
- Andiamo fuori, mi sento soffocare. - borbottò Nemeria,
dando le spalle alla piscina.
Agguantò Durga per il polso e la trascinò negli
spogliatoi, dove si sedette su una delle panche e intrecciò
le dita sulle ginocchia. Tremava e il sudore inquinò le
poche gocce d'acqua che ancora le imperlavano le braccia e la schiena.
Con gli occhi chiusi e la sua stessa voce che scandiva i secondi, il
tempo parve dilatarsi ed evaporare.
- Chi era quello? -
Nemeria inspirò e raccolse i pochi pensieri scampati alle
fiamme.
- Era il capo della banda dei Cani. - riuscì a dire.
- Lo odi? -
- Non lo so. -
Schiuse le palpebre. Il profilo delle gambe di Durga era sfocato e il
colore della sua pelle un acquerello troppo diluito.
- Non so chi sia Kimiya, però magari posso provare a
chiedere ad Ahhotep se ne sa qualcosa. - si offrì con un
sorriso.
- Pensi che accetterà? -
- Certo, altrimenti le metterò il broncio finché
non mi dice di sì. -
- Grazie, io... -
- Se Kimiya è tua amica, è anche mia amica. -
Sorrise e i suoi occhi inchiodarono il cuore di Nemeria al muro, la
fecero vergognare per aver anche solo accarezzato l'idea di ucciderla.
- Finisci di vestirti e andiamo a trovare Noriko, prima che si faccia
tardi. -
Nemeria si asciugò rapidamente, lasciò il
pestemal nella cesta sotto gli scaffali e si affrettò dietro
Durga. La Scuola si stava svegliando e i corridoi erano affollati anche
da bambini parecchio più giovani di lei. Alcuni avevano
ancora gli occhi semichiusi e, nonostante fossero vestiti, si
affidavano alla guida dei loro compagni ben più svegli, come
Durga, che erano lucidi pure a quell'ora.
Davanti all'infermeria non c'era nessuno e la porta era socchiusa,
sembrava invitarle a entrare. Nemeria bussò piano e attese
accanto a Durga, che litigava con un ciuffo di capelli che non ne
voleva sapere di stare al suo posto. Quando Nande si
affacciò, fecero entrambe un passo indietro.
- Perché la tua amica ha le bende in mano? -
Il suo sguardo di disapprovazione, unito al tono di biasimo, fece
rizzare i capelli a Nemeria.
- Sono andata a farmi il bagno e ho pensato di toglierle per non farle
bagnare. -
- Chi è il curatore delle due? -
- Tu... -
- La prossima volta non pensare, vieni da me a chiedere. - Nande si
passò una mano sul viso e si massaggiò la radice
del naso, - Scusami, è stata una notte molto lunga. Vieni,
scommetto che vuoi sapere come sta la tua amica. -
Nemeria entrò per prima. L'infermeria era molto silenziosa,
ma più popolata del giorno prima: quattro ragazzi dormivano
con le lenzuola rimboccate sul petto, tutti con un una pezzuola sulla
fronte, il sudore appiccicato alla faccia come una maschera d'olio.
- Che cos'hanno? -
- Non lo so, Reza me li ha portati che erano già
febbricitanti. - sospirò Nande e indicò il letto
sotto la finestra, il più lontano di tutti, - Ho sistemato
Noriko lì, avverti la Syad che oggi non sarà
presente agli allenamenti. -
- Sta tanto male? - si allarmò Durga.
- Non proprio, ma almeno per i prossimi... dieci giorni
dovrà stare a letto. -
- Così tanti? -
- Sì, è meglio così. - le
sistemò il ciuffo nella coda e la sospinse in avanti, - Le
ho dato una tisana di asperula e arancio, non dovrebbe svegliarsi, ma
voi non fate baccano. -
Entrambe annuirono e Nemeria si trattenne dal correre al capezzale di
Noriko. Dormiva tranquilla, con le braccia stese lungo in fianchi,
composta come quando andavano ad allenarsi. Le prese la mano e le
posò un bacio sul dorso, tra le nocche dell'anulare e del
medio.
“Sono qui, Noriko.”
Sperò che l'amica la sentisse in qualche modo.
- Mi mancherà agli allenamenti. - le soffiò Durga
all'orecchio, la mano piegata vicino alla bocca per schermare la voce,
- Lei è bravissima, Tara me ne ha parlato molto. -
- Lo so, Noriko è... davvero fantastica. -
Le rimboccò le coperte, stando bene attenta a non fare
movimenti troppo bruschi, prima di sedersi sullo sgabello che le stava
indicando Nande e spogliarsi. Quando ebbe cambiato le bende, la donna
le mise alla porta senza troppe cerimonie.
- Niente sforzi eccessivi, ricordatelo. Cerca di evitare le visite
finché non ho capito cos'hanno gli altri quattro. - le
raccomandò e poi tornò dentro.
Nemeria rimase a fissare la porta finché Durga non le
passò la mano davanti agli occhi.
- Andiamo a fare colazione. -
- Giusto... sì. - le venne in mente che aveva anche un
altro, peloso problema, - Danno mai carne da mangiare? -
- La mattina di sicuro no, ma comunque non ne distribuiscono mai molta.
Dicono che fa venire la gotta. -
- Cos'è? -
- Non lo so, ma il nome è brutto. Anch'io ho voglia di
mangiare qualcosa di più sostanzioso dei soliti legumi. -
- Non è per me, in realtà. È per un...
gatto. -
Durga strabuzzò gli occhi: - Davvero? -
- Sì, l'ho trovato ieri e Tyrron mi ha detto che potevo
tenerlo, a patto che me ne occupassi io. -
- Mmm... potresti dargli del pesce, Tara mi ha detto che lo cucinano
spesso. -
- E per stamattina? -
- Se lo danno, potresti portargli un po' di latte. -
- Altrimenti? -
- Altrimenti andiamo dalla cuoca e proviamo a chiederglielo. -
- E se dice di no, dirò che Tyrron vuole che me lo dia. -
- Non si dicono le bugie! -
- Lo farò se si rifiuterà. - replicò
Nemeria risoluta, anche se dentro di sé sentiva che quel
piano era molto, molto stupido.
Lo sguardo di Durga era eloquente su cosa pensasse.
- E se ti scoprono? -
“Sono spacciata.”
- Non penso che Tyrron si arrabbierà. -
Era solo una mezza verità, in fin dei conti: effettivamente,
Nemeria non aveva la più pallida idea di come il suo padrone
avrebbe potuto prenderla.
Arrivarono al refettorio che la maggior parte dei tavoli erano
già stati occupati. Saltellando, Durga andò a
prendere i loro vassoi. Quella mattina erano stati serviti del pane di
segale appena sfornato, noci, mandorle in guscio mescolate nei cereali
e una ciotola di latte. In un piatto a parte c'era un melograno rosso e
succoso.
- Ah, ecco Tep! - Durga la salutò e trotterellò
tutta contenta vicino a lei, - Noriko stamattina non viene, lo dobbiamo
dire a Sayuri. -
- Come mai? -
- Non si sente molto bene e Nande ha detto che deve rimanere a letto. -
La ragazza annuì e tornò a mangiare senza
aggiungere altro. Ignorò Nemeria come se non fosse nemmeno
lì.
“Forse è meglio così.”
Nemeria non capiva da dove fossero uscite quelle parole. Non
provenivano dall'elementale, non aveva udito la sua voce mentre le
pronunciava, però la sua presenza era innegabile. Le Anziane
avevano sempre menzionato l'istintività del fuoco, la sua
forza travolgente e quasi incontrollabile. Che fosse un influsso della
sua stessa essenza? Qualcosa di imprescindibile, che non poteva
controllare?
“Non dire stupidate. Tutte le Jinian possono imparare a
domare il fuoco. ”
Le sue sorelle avevano appreso come dominare gli elementi sotto la
guida delle Anziane; avevano percorso i Quattro Sentieri e ne avevano
appreso i segreti fino ad arrivare alla completa padronanza di ciascuna
forza. E lei? Come poteva arrivare a capire e a controllare tutto
ciò da sola? Lo sconforto la pervase.
“Non abbatterti, datti una priorità. Occupati
prima di Batuffolo, poi il resto.”
Finì di mangiare col sottofondo delle chiacchiere di Durga,
che continuava a parlare senza sosta, mentre Ahhotep si limitava a
mugugni e lievi cenni di assenso. Se Nemeria non avesse saputo del
legame che le univa, avrebbe detto con sicurezza che Ahhotep non la
stava ascoltando.
- Torno un attimo in camera. - disse mentre si alzava.
Durga annuì e le fece l'occhiolino e Ahhotep la
osservò di sbieco.
- Dove stai andando con quella ciotola? -
A porgerle la domanda non era stato il cuoco, bensì la
guardia che presidiava l'ingresso del refettorio, un uomo allampanato
che, più che indossare l'armatura, pareva navigarci
all'interno.
Nemeria si stampò in faccia il sorriso più calmo
e sincero del suo arsenale.
- Il mio padrone ha detto che devo bere molto latte per crescere forte.
-
- E cosa ti impedisce di berlo qui nel refettorio con gli altri? -
- Ma è troppo da bere tutto in una volta. -
- E allora lascialo. -
- Ma il mio padrone mi ha dato il permesso di farlo. -
A quell'ultima frase, la guardia ammutolì. Un altro uomo con
la mascella volitiva e i baffi incerati ricurvi si protese verso di lei
e la soppesò con lo sguardo.
- A chi appartieni, asira? -
- Tyrron, signore. -
- Questo posto non appartiene ad aghà Tyrron, non
può decidere di cambiare le regole a suo piacimento.
Ciò che aghà Koosha ha deciso, vale per tutti. -
“Pensa, Nemeria, pensa.”
- Ma ha già parlato con lui. - mormorò e
abbassò gli occhi sulla ciotola di latte per mascherare la
paura che le era montata dentro, - Se però non è
proprio possibile, lo metto a posto e parlate voi con Tyrron. -
Si era già girata quando la guardia la richiamò.
- Spero per te che non sia una bugia, altrimenti passerai dei gran
brutti guai. -
Nemeria stava sudando freddo. Sì, era decisamente un piano
molto stupido, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
- Ora fila, va'. -
Non se lo fece ripetere due volte. Non corse soltanto perché
avrebbe rischiato di far cadere tutto il latte. Quando
arrivò in camera, Batuffolo ronfava tranquillo sul cuscino.
Le aveva mordicchiato la federa e strappato le lenzuola in alcuni
punti, ma a parte quello non aveva fatto altri danni. Non appena
Nemeria si richiuse la porta alle spalle, il cucciolo
sollevò la testa e si stiracchiò cautamente,
allungando la zampa ferita per ridestare le giunture intorpidite.
- Sei una belva. - lo rimproverò e avrebbe dovuto essere
più dura, ma cedette quando Batuffolo cominciò a
strusciarsi sulla sua coscia, - Sei un ruffiano. -
Il caracal miagolò e si lasciò cadere a pancia in
su, in un chiaro atteggiamento da coccole, e quando Nemeria si arrese
al suo fascino felino assaltò la sua mano con morsetti e
zampate giocose, muovendo la coda a scatti quasi come un cane.
- Devo trovarti qualcosa per farti le unghie o mi distruggi la stanza.
- gli elargì dei grattini sulla testa e poi sotto il mento,
- E magari una ciotola per l'acqua. -
Con disappunto di Batuffolo, Nemeria si alzò e, dopo aver
posato la ciotola di latte sul pavimento, cominciò a frugare
nella stanza alla ricerca di un nuovo recipiente. Di fianco al letto di
Noriko trovò un vaso da notte impolverato e sbrecciato.
- Questo può andare. -
Batuffolo stava lappando il latte, quindi Nemeria uscì e
corse a perdifiato al piano terra. Non vedeva pozzi, ma da qualche
parte dovevano pur attingere l'acqua, no? Non aveva tempo per cercarlo
però, non con Sayuri così fissata sulla
puntualità. Un'idea le balenò in mente.
Oltrepassò il refettorio e il campo d'allenamento dell'aria
e si diresse verso il porticato che aveva visto la sera prima. Alla
luce del sole era ancora più bello, con i tralicci d'uva
dipinti che si arrampicavano su tutte le colonne. Non c'era ancora
nessuno. Riempì il vaso con il cuore in gola e, non appena
fu pieno, corse di nuovo su per le scale. Batuffolo la accolse con un
miagolio e zampettò fino a lei alla ricerca di coccole,
incurante del fatto che la sua padrona non avesse fiato nemmeno per
stare in piedi.
- Appena... appena torno, mi occuperò di te. Adesso devo
andare o Sayuri si arrabbierà. -
Posò il vaso da notte sul pavimento ai piedi del letto e
schizzò fuori a rotta di collo, verso il campo d'allenamento
del fuoco. Durga e Ahhotep erano già lì, sedute
nella posizione del loto, con Sayuri che le teneva sott'occhio.
- Per un soffio. Un minuto ancora e avrei cominciato a conteggiare il
ritardo. - la Syad sorrise, le braccia intrecciate sul petto, - Mettiti
vicino a Durga, forza. -
Nemeria obbedì. Chiuse gli occhi e tentò di
concentrarsi sul battito del suo cuore e sul ritmo del suo respiro.
“Ma perché ci alleniamo qui se lei è la
Syad dell'aria?”
La domanda si fece strada in lei come una pulce e senza alcun
preavviso. Era strano pensare che, benché Sayuri non fosse
una Dominatrice del fuoco, avesse deciso di farle allenare in quel
campo. Non che stessero facendo chissà che.
- Tutte in piedi. - ordinò Sayuri e le studiò con
i piedi divaricati ben piantati a terra, - Oggi partiamo con
l'allenamento fisico vero e proprio. Cominciate con venti giri di
corsa. Mantenete un'andatura costante e non vi fermate
finché non ve lo dirò io. Se deciderete di fare
di testa vostra, aggiungerò un ulteriore giro, chiaro? -
- Chiaro. - rispose Ahhotep per tutte.
- Bene, mettetevi in riga lì. - indicò un punto
alla sua sinistra, - Al mio tre, partite. -
Si allenarono tutta la mattina e il pomeriggio, fino a tarda sera.
Sayuri non diede loro tregua. Permetteva loro di fare una pausa di
massimo un minuto tra un esercizio e l'altro, per poi obbligarle con
uno sguardo autoritario a tornare subito al lavoro. E se all'inizio non
era un esercizio così pesante, dopo la prima seria di
addominali Nemeria avvertì le forze mancarle. Stare distesa
sulla schiena le faceva vedere le stelle e dopo l'ennesima serie di
piegamenti non si sentiva più le braccia. Alla fine della
lezione, quando il sole era già calato da un pezzo, le parve
di essersi trasformata in un ammasso di dolori e fitte.
- Domani alla stessa ora, puntuali. - dichiarò la Syad e le
congedò con un cenno del capo.
Ahhotep camminava senza quasi piegare le gambe. Durga si stringeva le
braccia con gli occhi lucidi. Nemeria ebbe l'impulso di abbracciarla,
ma una fitta alle spalle le ricordò quanto fossero misere
anche le sue condizioni.
- Io vado a lavarmi. Dovresti farlo anche tu. - le disse a bassa voce.
Durga concordò e, per quanto le gambe glielo permettessero,
aumentò il passo per star dietro ad Ahhotep. Dall'occhiata
che le elargì, Nemeria capì che anche lei ne
aveva bisogno.
I bagni erano deserti a quell'ora. Senza esitare, le due Dominatrici
del fuoco si buttarono in acqua, mentre la loro compagna
avanzò fino al bordo, per poi scendere gli scalini della
piscina. Non era magra come Kimiya, ma possedeva una una grazia simile
a quella di una ballerina, con le ossa del bacino sporgenti e il seno
piatto, aderente alle costole.
A cena venne servito un trancio di pesce spada accompagnato da cus cus,
lavash, il pane non lievitato, e hummus di fave. Nemeria
mangiò tutto fuorché il pesce, che nascose nel
tovagliolo di stoffa. Ahhotep si accorse di quando infilò il
bottino nella tasca, ma non disse nulla.
- Allora ci vediamo domani? -
- Certo! - rispose Durga, con la bocca piana.
La salutò e si defilò in camera. Batuffolo, non
appena mise piede dentro, trotterellò fino a lei, miagolando
con gli occhi ben aperti.
- Ecco, ecco. Tieni. - sorrise Nemeria e posò a terra il
tovagliolo.
La stanza era stranamente in ordine. Le lenzuola erano state cambiate
assieme alla federa. Doveva essere stato così anche gli
altri giorni, ma lei non ci aveva mai fatto caso, troppo presa da altri
pensieri.
“Quindi c'è qualcuno che si occupa delle pulizie.
Chiunque sia, ha visto Batuffolo.”
L'angoscia l'atterrì.
- In che razza di guaio mi sono cacciata... - si mise le mani sulla
faccia, - Madre, perché non rifletto mai prima di fare le
cose? -
Qualcosa si increspò quando si sedette sul letto.
“Un biglietto?”
Era un pezzo di pergamena grande poco più del palmo della
sua mano, accuratamente ripiegato in quattro. In un sihamnstico
stentato c'era scritto: Non avere paura, il tuo segreto è al
sicuro con me.
Nemeria rimase a fissare il foglio per un lungo minuto, senza sapere
che pensare. In realtà, non ebbe nemmeno il tempo per
rifletterci, perché qualcuno bussò alla porta.
Immediatamente prese Batuffolo e lo spinse sotto il letto, sperando con
tutta se stessa che non uscisse allo scoperto.
Bahar si guardava intorno con un'aria trasognata e sussultò
quando Nemeria le schioccò le dita davanti al naso.
- Che ci fai qui? -
- Ti porto un messaggio da Tyrron. - sbadigliò e si
stropicciò gli occhi, - Scusami, ma sono in piedi dalle
cinque di stamattina. Dicevo... il padrone mi ha detto di farti
presente che uno di questi giorni dovrai andare di nuovo con lui
all'arena. -
- Quando? -
- Non è stato specifico, ha molto lavoro da fare. Ha
aggiunto che può venire anche Noriko, se vuole. -
Nemeria scosse la testa: - Non sta molto bene. Nande ha detto che deve
stare a riposo. -
- Ah, che cos'ha? -
- È diventata una donna. -
Il viso di Bahar si adombrò e le sue spalle si irrigidirono.
Lo sguardo di pietà che le rivolse le fece venire la pelle
d'oca.
- Riferirò anche questo, allora. Stammi bene. -
Nemeria la seguì con gli occhi finché la sua
testa non sparì oltre le scale. Prima il biglietto, ora
questo: avrebbe mai avuto un po' di pace?
- Madre, abbi pietà di me... -
Nei nove giorni che seguirono, Sayuri si impegnò per
distruggerle. Cominciavano ad allenarsi la mattina presto, subito dopo
colazione, e andavano avanti fino ben oltre l'ora di pranzo o di cena.
La Syad era inflessibile, ma non infieriva mai troppo su di loro,
nemmeno quando doveva riprenderle più d'una volta per
correggere la posizione delle braccia o l'angolatura delle gambe. Era
una scalata verso la perfezione e l'apprendimento del wushu era solo il
primo gradino.
La mattina era Durga a venirla a tirare giù dal letto con la
scusa che lei non sentiva il canto del gallo. E in effetti era vero, ma
d'altronde Nemeria riusciva a prendere sonno solo poco prima che
albeggiasse e la stanchezza le tappava le orecchie. Aveva le gambe
così rigide e le braccia così doloranti che, a
volte, le sembrava di dormire su un letto di chiodi. Nonostante il
dolore, però, la mattina si alzava, si andava a lavare e poi
incespicava in infermeria. Dopo i primi giorni, non aveva visto
più i ragazzi ed era rimasta come ospite fisso solo Noriko.
Quando Nemeria andava a farle visita, dormiva serena. Soltanto una
volta, intorno al terzo giorno, Nande le impedì di
avvicinarsi.
- Stanotte ha avuto la febbre, è meglio se per oggi ti
limiti a farti cambiare le bende. -
Nemeria avrebbe voluto protestare, ma poi, notando il colorito pallido
delle sue labbra, si era rimangiata qualsiasi obiezione: la malattia
non era qualcosa contro cui potesse combattere e, per quanto
desiderasse starle accanto, non poteva permettersi di stare male, non
ora che aveva Batuffolo di cui prendersi cura.
Il cucciolo sembrava trovarsi a suo agio in camera di Nemeria. Dormiva
tanto e non era raro che si svegliasse solo quando lei tornava per
portargli il cibo. Spesso accadeva che non riuscisse a risalire,
lasciando Batuffolo a digiuno. O almeno così credeva,
finché quasi non scivolò su un osso di pollo
mentre rientrava. All'inizio, ogni volta che saliva in camera si
aspettava di trovarsi Tyrron e Koosha, il padrone della scuola, pronti
a punirla. Poi si rese conto che, chiunque fosse a prendersi cura del
caracal, intendeva davvero mantenere il segreto: l'acqua non mancava
mai, così come una ciotola di latte o un pezzetto di carne.
Le fece anche trovare una specie di tiragraffi fatto da un tronco di
legno avvolto da pesanti e spesse corde, che ben presto divenne il
nuovo passatempo di Batuffolo.
Al decimo giorno, Noriko tornò a dormire nella loro stanza.
Era pallida, un po' più magra e si stancava in fretta.
Tuttavia, nonostante la fatica che faceva a piegarsi, non appena
rimasero sole si lasciò abbracciare. Non aveva ancora
recuperato tutte le forze, ma non era importante: erano di nuovo
insieme e questa era l'unica cosa che contava.
La mattina seguente, un bussare insistente alla porta
svegliò Nemeria. Al posto di alzarsi, decise di infilare la
testa sotto il cuscino. Batuffolo, che ancora si rifiutava di dormire
nella sua cuccia di stracci, si acciambellò al suo fianco.
- Tu e quella palla di pelo siete uguali. - la riprese Noriko.
Un mugugno e un miagolio stizziti furono la risposta che ottenne.
- Vado ad aprire io, non scomodarti. - aggiunse la ragazza in un
borbottio scocciato.
Nemeria si stiracchiò e sbadigliò. La fatica del
giorno prima le aveva reso i muscoli di pietra.
- Come ti senti? -
La voce di Bahar la destò completamente. Scese
giù dal letto e allungò il collo oltre la spalla
di Noriko.
- Sto bene. Mi ero stufata di stare in infermeria. - rispose Noriko, -
Come mai sei qui? -
- Tyrron voleva essere sicuro che ti fossi ripresa. Dice che sei giorni
fa eri un cadavere, sarà contento di sapere che sei quasi
come nuova. - indugiò un istante e si schiarì la
gola, - Non penso che Nemeria te lo abbia detto, ma vi ha anche
invitate ad andare all'arena. Oggi. -
- Sono obbligata a venire? -
- No, se non vuoi. -
- Allora credo andrò ad allenarmi. - dichiarò e
guardò Nemeria, - A te forse farebbe bene una pausa. Non sei
abituata ad esercitarti tutti i giorni. -
“Non sono abituata a Sayuri e basta.”
- Non penso di poter declinare l'invito. -
Bahar ridacchiò: - Credi bene. Ti aspetto assieme a Morad di
sotto. Facciamo colazione per strada. -
Nemeria annuì e, non appena la ragazza se ne
andò, si tose la “tunica da letto”, un
altro dono che le aveva permesso si smettere di usare quella buona che
aveva da prima che Tyrron la catturasse. Si preparò quanto
più in fretta poté, per poi farsi accompagnare da
Noriko in infermeria. Intercettò diverse occhiate di Nande
rivolte alla sua compagna, ma non aveva la forza mentale per
preoccuparsene.
“È una guaritrice, è
normale.”
- Bene, direi che sta andando tutto liscio. - annunciò
osservando i segni delle frustate, - Rimarranno le cicatrici, questo
poco ma sicuro, però non ci sono segni di infezione. Non
serve che ti dica che non devi fare sforzi eccessivi, vero? -
- Oggi non farò nulla, vado con Tyrron all'arena. -
- Ottimo, serve un po' di svago, soprattutto per una bambina in
crescita come te. - fece per aggiungere altro, ma Noriko si
inserì nel discorso.
- Dovresti sbrigarti. Tyrron non ha molta pazienza. -
Nemeria la fissò corrucciata.
- A me non sembra di averci messo così tanto. -
obiettò.
- In realtà sì. Tra il bagno e la palla di pelo,
hai perso molto tempo. -
- Allora vado. Tu non vieni? -
- No, lei deve ancora farsi visitare da me. - disse Nande.
- Sì, non ti preoccupare. Tu vai, mi occupo io di tutto. -
la rassicurò Noriko con un pallido sorriso.
Nemeria era restia. Le sembrava che ci fosse qualcosa che le sfuggiva,
che i giochi di sguardi tra Nande e Noriko non fossero casuali, ma non
aveva davvero tempo per rifletterci. Era già fortunata che
Tyrron non avesse ancora scoperto quello che aveva detto alle guardie,
non avrebbe tirato ulteriormente la corda.
- A stasera. -
- Divertiti. -
Nemeria esitò un istante sulla soglia, infine
uscì senza voltarsi indietro.
"Se
sei ancora attaccato ad un vecchio sogno di ieri, e continui a mettere
dei fiori sulla sua tomba ad ogni momento, non puoi piantare i semi per
un nuovo sogno che possa crescere oggi."
Joyce
Chapman.
Bahar e Morad l'aspettavano
già con un piede fuori dalla porta, entrambi smaniosi di
uscire. Nemeria era passata in camera a salutare Batuffolo e poi si era
fiondata giù dalle scale quanto più in fretta
possibile. Con la clamide sulle spalle e il cappuccio calcato in testa,
si sentiva un po' come la bambina di quella fiaba che andava a trovare
la nonna con un cestello pieno di cibo.
“Io però non mi sarei fatta mangiare dal
lupo.”
- Non ci hai messo così tanto. - sorrise Bahar.
- Ho fame, ecco perché. -
Morad scoppiò a ridere così forte da far
sussultare Nemeria.
- Beata gioventù! - le diede una pacca sulla spalla e le
fece cenno di seguirlo, - Tyrron mi ha raccomandato di farti mangiare,
ma non credo che dovrò controllarti più di tanto
sotto questo aspetto. Dai, andiamo, ti porto in un bel posto. -
Le strade di Kalaspirit erano congestionate a quell'ora. Alla luce
pallida del sole, le persone sembravano fantasmi imbacuccati o anime
alla deriva nell'opalescente foschia della mattina. Una donna con un
bambino attendeva il suo turno per prendere l'acqua da un pozzo, mentre
gli apprendisti delle varie botteghe dondolavano sotto il peso di
grossi sacchi ingombranti.
- Vieni, è lì. -
Morad si diresse a passo spedito verso un negozio con la tenda bianca
non ancora distesa. Non aveva chissà che bell'aspetto, non
c'erano scritte che lo identificassero, solo qualche cartello con i
prezzi sbiaditi. Nemeria era più che certa che se fosse
stata lì da sola, sarebbe passata oltre senza fermarsi.
Li accolse una ragazza giovane, con i capelli crespi che sbucavano da
sotto il fazzoletto che aveva in testa a mo' di criniera. Aveva le mani
grandi e i muscoli guizzavano sotto la pelle lucida.
- Morad, buongiorno. -
- Buongiorno a te, Branka. Tua madre come sta? Si è ripresa
da quella brutta tosse? -
- Sta meglio, sì. Già stamattina voleva tornare
al lavoro, ho dovuto supplicarla di rimanere a letto almeno un altro
giorno. - disse Branka e si pulì le mani sul vestito,
stampandosi il profilo farinoso delle mani sulle cosce, - Se vuoi, oggi
ho fatto anche la lenja pita. -
L'uomo ci rifletté un attimo e poi scosse la testa: - Non
dovrei, anche perché sono venuto per prendere la colazione a
questo scricciolino qui. -
Branka corrugò le sopracciglia: - Per essere tuo figlio, non
ti somiglia granché. -
“Sono una ragazza!” urlò nella propria
mente Nemeria e glielo avrebbe anche sbattuto in faccia se la grassa
risata di Morad non l'avesse sorpresa.
- Non lo è, infatti, è una delle gladiatrici del
mio padrone. -
La donna si allungò oltre il bancone, studiandola perplessa
da capo a piedi.
- Con quei capelli e le gambe e le braccia così magre,
sembra un ragazzino. - commentò alla fine.
- Lo dice anche il mio padrone, ma tanto finché non
combatterà nell'arena a nessuno importerà di
sapere se è una donna o un uomo. - Morad prese i soldi dalla
scarsella e poggiò un paio di monete di bronzo sul bancone,
- Allora, dammi un po' di gibanica e della pita al formaggio e spinaci.
-
- Potresti farle assaggiare la lenja pita. - buttò
lì Bahar.
- Non sarebbe l'ideale per la sua alimentazione. -
- È una bambina ancora, saprà come utilizzare
queste energie. - Branka prese un panetto di pasta sfoglia con in mezzo
della marmellata e lo mise in mano a Nemeria, - Metti su un po' di sana
carne, piccola, così quando sarai libera potrai trovarti un
marito e sistemarti per tutta la vita. -
Nemeria annuì poco convinta, ma accettò comunque
l'offerta. Il profumo delle amarene le faceva venire l'acquolina in
bocca e lo zucchero le si attaccava alle dita e le impiastricciava i
polpastrelli. Morad sospirò con un mezzo sorriso, mentre la
osservava mangiare il dolce. C'era così tanta marmellata che
era più la composta che le sporcava le labbra che quella che
le finiva davvero in bocca.
- Tieni pure il resto, ci vediamo domani. - disse poi Morad rivolto
alla ragazza.
- Domani faccio i Buzda badem, te lo ricordi? -
- Spero tu abbia anche il raki, allora. -
Branka scosse la testa: - Sempre il solito. Vedrò se mia
madre ne ha ancora, sennò dovrai accontentarti di andarlo a
comprare. -
- E speriamo di no, il sapore delle mandorle non è lo stesso
se non posso godermi quelle fatte in casa. -
- Andiamo, altrimenti ci perdiamo i primi spettacoli. - lo
esortò Bahar.
Morad sistemò tutto quello che aveva comprato nel tascapane
con uno sbuffo.
- Ah, voi donne... mai viste creature selvatiche più noiose.
-
Branka levò gli occhi al cielo, ma non commentò.
Bahar attese che fosse lui il primo a uscire e lo seguì, con
Nemeria a due passi. Cercava di rimanere seria, ma le veniva difficile
ignorare il sorriso che le arricciava le labbra.
- Secondo me, facciamo in tempo a fare colazione con calma. -
rifletté ad alta voce Morad, - Tanto la fila non la
facciamo. -
- Il padrone non è con noi, però. -
replicò Bahar.
- Tyrron non c'è? - indagò Nemeria.
Entrambi si girarono a guardarla, come se si fossero ricordati solo ora
della sua presenza. Nemeria smise di leccarsi le dita quasi subito,
affrettandosi a pulirsi la mani sulla tunica.
- Mi... mi avevi detto che l'invito veniva da lui. - aggiunse titubante.
- È vero, solo che l'affare di stamattina non sa se
riuscirà a concluderlo in tempo per venire. -
Morad prese la pita con formaggio e spinaci e gliela mise in mano.
Aveva l'aspetto di una fetta di torta di pasta frolla, ma era
morbidissima e sprigionava un profumo di pane caldo appena sfornato.
- Quindi saremo da soli, almeno per questa volta. - aggiunse Bahar.
- Ed è per questo che costei continua a fare pressioni per
muoverci. -
Nemeria seguì il battibecco con finto interesse, mentre con
gli occhi sorvegliava la zona circostante. Com'era accaduto la prima
volta che era uscita dalla Scuola, non aveva avuto l'impressione di
essere pedinata. Sebbene sapesse, in un modo istintivo e irrazionale,
che non si era liberata del suo inseguitore, che era lì,
appostato chissà dove, si sforzava di rimanere lucida. Era
una lotta contro la paura che le attanagliava la gola e le soggiogava
il cuore, asserragliandolo dietro le sue sbarre di ghiaccio.
Batté il piede destro al ritmo della cavalcata del suo
respiro convulso.
- Nemeria? -
La bambina puntò lo sguardo su Bahar, che la fissava col
capo inclinato e l'aria di chi attende una risposta da tempo.
- Stai ancora dormendo? - chiese Morad.
- Sì... sì, sono ancora assonnata. -
mentì e, per essere convincente, si stropicciò
gli occhi, - Non mi piace alzarmi presto. -
- È questione di abitudine. Devi solo prendere il ritmo e
poi riuscirai anche ad alzarti prima del canto del gallo. -
- Per te è stato così? -
- Mio padre mi buttava giù dal letto prima che il sole
sorgesse, non penso di essermi mai svegliato dopo l'alba nemmeno quando
lui è morto. -
Nemeria piluccò il pezzo di pita rimasta, masticando i
bocconi lentamente nella vana speranza che la crosta dorata svanisse da
sé.
- La devi finire tutta, è inutile che la guardi come se
fosse un ragno. - le sorrise Morad, - Tyrron è stato
inamovibile su questo. -
- Non mangio così tanto, di solito... -
- I dolci non ve li danno a Scuola, no? - intervenne Bahar.
Nemeria scosse la testa.
- Perché in teoria non dovreste proprio toccarli. Siete
degli atleti, certi cibi non dovreste nemmeno sognarli. -
sottolineò serio Morad, - Dai, cominciamo ad avviarci: Bahar
smania per vedere il circo. -
Nemeria si infilò tra loro due e ignorò
l'occhiata stranita della ragazza. Da lì poteva controllare
la strada e aveva una copertura da ambedue i fianchi. Bahar poteva
offrirle la sua ombra per nascondersi, così come Morad, che
inoltre portava al fianco la sua spada d'oricalco. Era una sicurezza
traballante e inferma quella che tentava di aprire la serratura della
paura, con le mani tremanti di un vecchio e la debolezza di un malato.
“Non ti ha attaccato la volta scorsa, non lo farà
ora.”
Strinse la pietra di luna e trasse un lieve respiro. Il calore era
tenue, la fiamma di un fiammifero tra le dita contro il temporale che
le atterriva l'anima.
- Non dovevamo vedere lo spettacolo dei gladiatori? - spinse fuori le
ultime parole con meno sforzo di quanto immaginasse.
- C'è un circo itinerante in città. Almeno tre
volte a settimana si esibisce prima dei combattimenti. -
sbuffò contrariato Morad, - Vai tu a capire cosa ci trova il
popolo a vedere uomini che saltellano come grilli e bestie ammaestrate
da dei buffoni. -
- A te non piace? -
- Non ci trovo un senso. Vedere tutti quegli animali in gabbia, con
collarini e fiocchetti solo per far divertire il pubblico a colpi di
frusta... - lasciò la frase in sospeso, ma la sua
espressione parlava da sé, - Quando ero un cacciatore,
uccidevo solo gli animali che mi servivano per sopravvivere. Ridurre un
orso o un elefante a un pagliaccio da circo solo per strappare una
risata a qualche donnetta, è quanto di più
irrispettoso e squallido ci possa essere. -
Nemeria concordava. La sua mente le ripropose di nuovo i due leopardi
delle nevi che si aggiravano nervosi per la gabbia, i loro occhi
svuotati di tutto, riflesso di mesi o, addirittura, anni di un
selvaggio e prostrato desiderio di libertà.
- Come sta Batuffolo? -
Il repentino cambio di argomento le tolse per un momento la terra da
sotto i piedi.
- Bene, sta... sta bene. -
- Adesso che è cucciolo dovresti educarlo, fargli capire
cosa può e cosa non può fare, altrimenti quando
sarà adulto non ti porterà altro che rogne. Non
è poi tanto diverso dall'addestrare un gatto,
però devi cominciare presto. -
Nemeria assentì, anche se non aveva la più
pallida idea di come fare. Per ora si era limitata a raccogliere gli
escrementi e a buttarli nella latrina. Quando era agli allenamenti con
Sayuri e tornava in camera, la trovava sempre pulita, con la sabbia
nella cassetta che fungeva da lettiera cambiata e nessun cattivo odore.
Si rendeva conto però che non poteva continuare
così.
- Se hai bisogno di una mano, ti posso aiutare. Ma prima Tyrron
dovrebbe parlare con aghà Koosha per avere il suo permesso.
Purtroppo è molto impegnato al momento, non penso si sia
dimenticato, ma dovrebbero discuterne al più presto. -
- Aghà Koosha sarebbe il capo? -
- Non lo definirei esattamente un capo. Si occupa della gestione della
Scuola e tenere a bada le diatribe tra i lanisti. Il regolamento lo
hanno redatto insieme, lui e Tyrron, e sebbene sia abbastanza
flessibile, aghà Koosha diventa molto intransigente quando
non lo si consulta per un cambiamento. -
- Tyrron potrebbe finire nei guai? -
Stavolta fu il turno di Bahar di rivolgerle un sorriso sbilenco: - No,
quello no. Il padrone se lo è lavorato bene. Feste, regali,
inviti a cene importanti... non gli ha fatto mancare nulla. Nei suoi
confronti, è stato più che generoso e anche
aghà Koosha ha sempre ricambiato. Solo non può
mettere troppo in mostra... l'amicizia che li lega. Non davanti agli
altri lanisti, quantomeno. -
- Quindi anche se sono amici, non possono mostrarlo in giro? - chiese
Nemeria.
- Se lo facesse, rischierebbe di perdere il posto e questo andrebbe a
discapito di entrambi. -
Nemeria comprese. Corruzione, la chiamavano la Anziane: quel desiderio
dei mortali d'inficiare la perfezione e la bellezza dell'ordine.
Così come non erano stati in grado di accettare che il dono
della magia elementale fosse patrimonio delle sole Jinian, allo stesso
modo, nella loro società, non erano capaci di rispettare le
loro stesse regole.
“Se però questo è l'unico
modo...”
Si morse la lingua, vergognandosi di se stessa.
- Perciò non ti crucciare, in qualche modo risolveremo. -
concluse Morad.
- Adesso pensa solo a goderti lo spettacolo. Anzi, gli spettacoli. -
chiocciò tutta contenta Bahar e Nemeria si
ritrovò ad assentire.
C'era più calca del solito davanti all'entrata dell'arena e,
rispetto alle volte precedenti, alla bambina saltò subito
all'occhio che c'erano anche molte più ragazze. Quelle della
sua età, nell'attesa, si divertivano a giocare tra di loro
con una palla di stoffa che era più in balia del vento che
dei loro calci, mentre quelle più grandi facevano capannello
tra di loro, conversando a bassa voce.
Bastò che vedessero Morad e le guardie li lasciarono passare
senza indugio. Si sedettero ai posti della volta precedente. Bahar si
sarebbe dovuta accomodare al posto che aveva occupato Tyrron, ma Morad
le fece cenno di mettersi dov'era lui.
- Ci vorrà un po'. Oggi c'è il pienone. -
commentò, passando lo sguardo sugli spalti.
Nemeria inghiottì l'ultimo pezzo di pita e quasi lo
sputò per quanto forte Morad le batté la mano
sulla schiena quando le andò di traverso.
- Se volevi ammazzarti, hai scelto il modo peggiore. -
- Non... non l'ho fatto apposta! -
- Tieni, bevi un po' d'acqua. - Bahar le porse la borraccia
già aperta.
- Fai piano, non ho intenzione di salvarti se provi a strozzarti di
nuovo. - la rimproverò Morad e Nemeria capì dal
suo sguardo che non era il caso di mettere alla prova la sua pazienza.
- Perché oggi ci sono così tante ragazze? -
Bahar si grattò la tempia, pensierosa: - Di solito, alle
donne non è consentito venire ad assistere agli spettacoli
dei gladiatori. Anche se secondo Heydar siamo tutti uguali,
è credenza del popolo che noi povere e leggiadre fanciulle
non siano in grado di assistere a tale violenza. -
A Nemeria faceva uno strano effetto sentir pronunciare il nome del
campione del dio del Sole con quella deferenza, come se fosse egli
stesso una divinità. Le era ancora più alieno
pensare che i mortali potessero venerare l'assassino che aveva
decretato la loro maledizione. Si tolse un pezzetto di pasta sfoglia
dai denti con l'unghia e incrociò le gambe.
- Per le figlie dei nobili è diverso, almeno sotto questo
punto di vista. - continuò Bahar, - Sarà che
questa compagnia circense ha riscosso un grande successo, ma oggi tutti
pare abbiano chiuso entrambi gli occhi. -
- Tu l'hai già vista? -
- No, ne ho solo sentito parlare. Sono davvero contenta che il padrone
mi abbia scelta per accompagnarti. - avvolse il ginocchio tra le dita
intrecciate e si mise la mano sulla fronte, - Dicono che i numeri dei
giocolieri siano mozzafiato, sembrano dei Dominatori per quanto sono
bravi. -
- E non lo sono? -
Morad scosse la testa: - Se così fosse, ora starebbero alla
Scuola ad allenarsi oppure tra i membri del Consorzio. Sai cosa
è? -
- Più o meno. È un gruppo che si occupa di far
studiare la magia alle persone più degne. -
- Allora sai qualcosa del mondo che ti circonda. -
Nemeria si imbronciò.
Al centro dell'arena stavano terminando gli ultimi preparativi. Il
palco rialzato troneggiava al centro, colorato con le tinte
più accese del rosso, del giallo e del verde. Sui
camminamenti, alcuni uomini stavano controllando che i grossi pali di
legno fossero ben fissati e che l'inclinazione fosse circa la stessa
per tutti. Dalla punta pendevano delle corde bianche, lunghe minimo
quattro braccia.
- Ma tra quanto cominciano? - si lamentò Bahar.
- Bah, prima cominciano, meglio... -
Lo stupore si diffuse tra gli spalti quando sei uomini mascherati si
lanciarono in piroette e salti sui camminamenti. Avevano dei vestiti
così sgargianti e vaporosi che, anche in mezzo al pubblico,
era impossibile non vederli. Erano sbucati dal nulla, accompagnati da
una musica allegra che scandiva le loro acrobazie a colpi di tamburo,
sistri e cembali. Bahar batteva le mani a ritmo, gli occhi spalancati
come la bocca, allo stesso modo Nemeria.
- Le maschere sono bellissime. - le mormorò senza fiato.
Come se l'avesse sentita, l'acrobata corse verso di lei e, quando stava
per travolgerla, si fermò e compì una capriola
all'indietro. Le piume del suo costume rotearono attorno al suo corpo
come una coda infuocata. Quando ricadde a terra, gli occhi verdi
nascosti dietro la maschera da uccello non indugiarono un istante su di
lei, prima che l'acrobata corresse via, scavalcasse il muro e si
infilasse tra i nobili e membri del Consorzio disorientati e stupiti.
Tra di loro correvano gli altri cinque, rubando cappelli, tirando fuori
monete o fiori o carte dagli stessi per poi scappare via, alla ricerca
della prossima vittima.
- Ho avuto paura che mi arrivasse addosso, a un certo punto. -
ridacchiò Bahar.
- Anche io. - ammise Nemeria, senza smettere di applaudire.
Le facevano male le mani, eppure non riusciva a fermarsi e i suoi occhi
rincorrevano gli acrobati nei loro numeri. Non si risparmiavano con
niente e nessuno, neppure le occhiatacce riservategli da coloro che non
apprezzavano i loro scherzi riuscivano a fermarli.
Un mormorio sorpreso fece tremolare l'aria quando i sei si buttarono al
di là del parapetto e atterrarono con una
fluidità felina. Corsero intorno al perimetro dell'arena, le
mani alzate verso il cielo e i nastri colorati, in tinta con le piume,
parevano avere vita propria durante le spaccate in aria.
- Nemeria, guarda! -
Bahar puntò il dito verso il palco con un sorriso estatico.
Un giocoliere con il viso pesantemente truccato e i capelli tirati
all'indietro, apparso in un turbine di lenzuola semi trasparenti, a
ritmo di musica stava facendo roteare due clave infuocate. Al suo
fianco una donna mulinava una catena in fiamme, muovendosi a passo di
danza, con i nastri azzurri che, come comete impazzite, serpeggiavano
attorno a lei in una coreografia frenetica. Alla melodia si era
aggiunto il suono grave e squillante delle tube, che scandivano il
ritmo degli acrobati assieme ai battiti del pubblico. Quando lo
spettacolo terminò, gli applausi scrosciarono da tutta
l'arena, compresa dalla tribuna del governatore.
- Sono bravissimi! - commentò entusiasta Nemeria.
- Macché, sono ben più che bravissimi. -
commentò Bahar, - Per tutti gli dei, guarda
lassù! -
Nemeria alzò lo sguardo e seguì la traiettoria
del suo dito fino a trovare il volto della donna che stava calando dal
cielo. Indossava degli abiti vaporosi, con diversi strati di veli che
si gonfiavano, catturando e trattenendo il vento che, improvvisamente,
spazzava la sabbia e sollevava la polvere. Una corona di piume blu le
adornava la testa e continuava con quelle che costituivano le immense
ali cobalto che catturavano la luce e la rifrangevano. Il trucco
attorno agli occhi era pesante, li allungava rendendoli simili a quelli
di un gatto, così come quello che le disegnava degli
arabeschi dorati attorno alla bocca e al collo, eppure Nemeria la
riconobbe subito: Pavona.
La musica cambiò, si abbassò fino a diventare un
accompagnamento di sottofondo, una melodia intessuta dalle note
delicate delle cetre e delle siringhe. Pavona fluttuava in aria
sostenuta dal nulla, pareva una divinità scesa in terra,
l'incarnazione stessa della Madre. Non appena cominciò a
cantare, il brusio che animava gli spalti ammutolì,
trasformato dapprima in un mormorio di stupore e poi in grida strozzate
quando i sei acrobati, quelli che erano corsi tra la folla, si
librarono in aria. Sulla voce di Pavona, danzavano verso o lontani da
lei, tuffandosi come delfini, con i drappi colorati che li avvolgevano
a ogni avvitamento o capriola, sirene e tritoni al comando della loro
bellissima e inarrivabile regina. Il vento era la guida e il sostegno
delle loro acrobazie; il vuoto il palcoscenico intangibile, vera sede
dello spettacolo.
- Non avevi detto che non c'erano Dominatori? -
Bahar scosse la testa e ci mise un po' a rispondere: - No, i membri del
Consorzio l'avrebbero riconosciuta. -
Non proseguì, ma Nemeria capì lo stesso quello
che avrebbe voluto dire.
- Ci sarà qualche trucco dietro. Funi, contrappesi, ganci,
ci sono mille modi per fare quell'effetto. - la rimbeccò
Morad, le braccia incrociate sul petto e lo stesso sguardo scettico.
- E quale sarebbe? -
- Non lo so, non mi sono mai interessato. Ma se esistono corde che
permettono quelle acrobazie, non vedo perché non potrebbero
esisterne alcune trasparenti. L'alchimia ha fatto passi da gigante
negli ultimi anni: molte cose che quando io avevo la vostra
età erano impossibili ora sono la normalità. Se
ci tenete tanto a saperlo, potreste andare a chiederglielo dopo lo
spettacolo. -
Nemeria si girò di scatto e lo scrutò con tanto
d'occhi, incredula quasi quanto Bahar.
- È inutile che mi guardi così. Tyrron vuole che
impari l'arte dello spettacolo. Per quanto io disapprovi il circo, il
loro mestiere lo sanno fare. -
Indicò la folla in delirio attorno a loro. Erano rimasti
tutti conquistati, rapiti dalla voce di Pavona e dai numeri degli
acrobati che orbitavano attorno a lei.
- Le guardie sanno chi sono. Se desideri parlare con la cantante o con
qualcuno di quei saltimbanchi, ben venga: almeno da questa esperienza
ci ricaverai qualcosa di utile. -
Nemeria annuì e tornò a guardare Pavona.
Circondata dagli acrobati, si godeva gli applausi del pubblico,
profondendosi in inchini e saluti. Quando si volse verso i loro spalti,
Nemeria percepì il suo sguardo su di sé: per
tutto quel tempo, da quando si erano incontrate, l'aveva aspettata.
Anche se Morad non le avesse dato il permesso di andarle a parlare,
avrebbe trovato un modo per andare da lei. Glielo doveva, ma
soprattutto aveva bisogno di dare un senso alla sensazione di
familiarità e malinconia che era legata a doppio filo con
Pavona.
Lo spettacolo proseguì fino a poco prima di
mezzodì. Sul palco si esibirono acrobati, contorsionisti,
equilibristi, in un susseguirsi di numeri mirabolanti da mozzare il
fiato. Bahar e tutti gli spettatori rimasero incantati dai loro giochi
di prestigio al limite dell'impossibile. Nemeria era ipnotizzata dai
funamboli e il cuore le balzava in gola ogniqualvolta si fermavano in
bilico sulla corda, con l'asta colorata che oscillava pericolosamente a
destra e a sinistra. Che fosse una recita ben architettata o una reale
difficoltà a mantenere l'equilibrio, il brivido che le
risaliva lungo la spina dorsale e le congelava il respiro era reale.
All'intervallo, quando l'arena si svuotò, Nemeria avrebbe
voluto correre subito a parlare con Pavona, ma Morad insistette
perché prima mettesse qualcosa sotto i denti.
- A quest'ora fa davvero molto caldo e tu sei un cumulo di ossicine che
cammina per strada. Se Tyrron sapesse che sei svenuta, mi scuoierebbe
vivo. - le disse, stroncando sul nascere qualsiasi sua obiezione.
Fuori c'erano diversi carretti che si contendevano i clienti, offrendo
i migliori dürüm. Il profumo della carne di tacchino
sulla griglia aveva pervaso l'aria e richiamava soprattutto i
più giovani, che sciamavano verso quello o quell'altro
venditore.
- Bahar, prendine tre da chi vuoi, noi ti aspettiamo lì. -
Morad indicò l'ombra di una casa, una striscia scura quasi a
ridosso della parete, - E fai in fretta, la pausa non dura a lungo. -
- Farò il possibile... -
- Più parli più la coda si allunga. Su, muoviti. -
Le mise in mano tre siglos e fece cenno a Nemeria di seguirlo. Col sole
a picco sopra la testa e la sola protezione della tettoia, il sudore le
inumidì presto la schiena e le ascelle.
- Piaciuto? -
- Sì, è stato... - aprì le braccia e
sorrise elettrizzata, - non so nemmeno come descriverlo. Non avevo mai
visto niente del genere in vita mia. -
- Tyrron ne sarà contento. Aveva insisto molto
affinché tu andassi, ma ha preferito aspettare che ti
ambientassi. Hai capito perché ti ho portata qui? -
Nemeria ci pensò un po' su. Cercò Bahar con lo
sguardo, ma c'era troppa calca e le venne difficile anche solo
individuarla.
- Anche io dovrò far divertire? -
- Esatto. Non è solo la vittoria a essere importante,
imprimitelo bene in testa. A pochi interessano le tecniche di lotta.
Per il popolo, tu stai solo agitando la spada. Magari lo starai facendo
con più grazia degli altri, ma a nessuno
interesserà quanto il tuo fendente sia pulito o il tuo
affondo rapido. - abbracciò con un cenno del capo tutta la
folla davanti a loro, - Se vuoi guadagnarti la libertà, devi
farti amare da loro. E quello che il popolo vuole è
divertirsi. Questo circo ha avuto successo perché
è spettacolare, grandioso e imprevedibile. Tu domini un
elemento raro e hai un aspetto ancora più strano: hai tutte
le carte in regola per farti amare. -
- Il loro amore comprerà la mia libertà. -
- Sì. Se speri di lasciarti l'arena alle spalle, un giorno,
il loro appoggio e il sostegno dei tuoi prestigiosi ammiratori
sarà il tuo lasciapassare per andartene. -
Bahar tornò con tre dürüm pieni fin quasi
a scoppiare. Nemeria lo addentò e tutto il formaggio
all'interno del rotolo le sgocciolò sui piedi, assieme ad
alcuni pezzi di verdura e tacchino. Non che le importasse
granché; l'unico suo dispiacere era che non poteva chinarsi
e rimettere il tutto dentro.
- Seguitemi. -
Morad si pulì le mani su un fazzoletto di stoffa e si
avviò a grandi passi verso l'arena. In un primo momento,
Nemeria credette che stessero per rientrare, poi però lo
vide girare a destra e sparire dietro il muro. Lei e Bahar dovettero
correre per recuperare terreno. Due guardie grosse e nerborute
sorvegliavano un'entrata anonima, una semplice porta di metallo
incassata nel muro altrimenti liscio.
- Non potete passare. Questo è un accesso riservato. -
Morad tirò fuori una catenella con l'effige di una lince con
le fauci spalancate. La testa era di ferro e gli occhi avevano un
riflesso bronzeo, come le rifiniture delle orecchie e della bocca.
La guardia aprì la bocca per dire qualcosa, ma il suo
compagno di intromise prima che potesse parlare.
- Scusatelo, ha appena preso servizio. Prego, entrate pure. -
Si spostarono all'unisono e l'uomo che aveva appena parlato
aprì la porta, per poi tornare al suo posto. Morad rimise a
posto la catenella e, come se nulla fosse accaduto, entrò.
“Per la Madre, quanto è conosciuto
Tyrron?”
- Il padrone ha una grande fama. Tutti i lanisti in realtà
sono molto conosciuti, ma Tyrron è il migliore. -
spiegò Bahar e le diede un buffetto sulla guancia, con le
labbra atteggiate in una smorfia da saputella che strappò un
risolino a Nemeria, - Affretta il passo, prima che Morad ci urli dietro
di muoverci. Quell'uomo sembra sempre si sia alzato con la luna storta.
-
Si inoltrarono in un corridoio che discendeva nella
semioscurità, appena rischiarata dalla luce opaca delle
lanterne. La pietra aveva preservato il fresco, intrappolandolo tra
quelle quattro mura come un tesoro prezioso. Morad le attendeva alla
fine di una ripida rampa di scale. Al suo fianco c'era un qazam con i
capelli verdi, gonfi e crespi. Era alto come un besajaun, ma aveva la
testa più grande, quasi sproporzionata rispetto al resto del
corpo. I baffi erano un esubero di peli neri in continuità
con quelli che uscivano a ciuffetti dal naso e copriva del tutto la
bocca.
- Lui è Dakshesh, il proprietario. Gli ho già
chiesto se puoi parlare con gli artisti della sua compagnia e mi ha
detto che puoi fare tutte le domande che vuoi. -
- Poi starà ai miei ragazzi vedere se rispondere o no. Vuoi
parlare con qualcuno in particolare, ragazzino? -
“Sono una ragazza! Ma è possibile che nessuno lo
capisca?”
Nemeria trasse un profondo e lento respiro per calmarsi.
- Vorrei parlare con Pavona. -
Dakshesh diede una gomitata scherzosa a Morad e i baffi tremolarono
sotto l'impeto della risata.
- Pavona! Vieni, c'è una tua ammiratrice qui! - la
chiamò.
Pavona emerse da una delle cabine degli spogliatoi quasi subito.
Nonostante si fosse tolta buona parte del trucco, rimaneva il nero del
kohl a sottolineare il profilo allungato degli occhi. Quando la vide,
un sorriso tremolò sulle sue labbra.
- Non possiamo trattenerci molto, lo spettacolo... -
cominciò Morad.
- Il tempo di bere qualcosa insieme c'è sempre. -
- Non posso lasciare la ragazz... -
- Andarsene da qui? E come potrebbe? Le guardie la fermerebbero
all'ingresso. - Dakshesh strinse il polso di Morad con l'aria seriosa
di chi la sa lunga, - Prendiamoci qualcosa. Non mi piace parlare di
affari senza un generoso bicchiere di vino. -
- Non vi dovete preoccupare. Qualora tentasse di scappare,
urlerò così forte da richiamare anche le guardie
del sultano in persona. - scherzò Pavona.
L'uomo indugiò e poi si strofinò il naso.
- Sappi che conosco tutte le entrate di questo posto. Se provi a
scappare, io ti troverò. - le disse e i suoi occhi
fiammeggiarono come rubini colpiti dal sole.
Come diceva Fakhri, esistevano due tipi di uomo: quelli che parlano per
dare aria alla bocca e quelli che prendono alla lettera quello che
dicono. Morad non poteva che rientrare in quest'ultima categoria.
- Io devo finirmi di togliere il trucco. Le è permesso
seguirmi nello spogliatoio? - domandò Pavona.
Morad annuì e poi si rivolse a Dakshesh.
- Sediamoci pure su quella panca lì. Bahar, seguimi. -
La ragazza scattò subito e lo affiancò, rimanendo
in piedi vicino alla panca. I due acrobati che erano rimasti a fissare
la scena si avviarono nelle cabine degli spogliatoi, di nuovo
concentrarti sulle loro incombenze.
- Vieni con me. - la invitò Pavona.
Aprì la porta e rimase sulla soglia finché
Nemeria non si decise a entrare. All'interno, la cabina era meno
piccola di quanto si aspettasse. Gli abiti dello spettacolo erano
appesi a un gancio al muro, mentre le ali erano state adagiate contro
la parete sul fondo. Pavona si sedette sulla panca e le porse uno
specchio con la cornice di legno intagliata in tralicci d'uva.
- Tienimelo dritto, per favore. -
Nemeria annuì e lo sollevò fino all'altezza del
suo viso. Rimase ipnotizzata da quanto fosse bella anche senza trucco,
anzi, era addirittura più affascinante: il rossetto rimasto
sulle labbra le rendeva più grandi e carnose di quanto
già non fossero e i capelli scompigliati, di un rosso
brunito, le conferivano un'aria selvaggia, fiera. Se la
libertà fosse stata una donna, avrebbe avuto il suo viso.
- Allora, cosa volevi chiedermi? -
Pavona tagliò il filo dei suoi pensieri. Aveva distolto lo
sguardo dallo specchio e ora stava guardando lei, con lo strofinaccio
umido e sporco appoggiato in grembo.
- Io... - iniziò e le parole naufragarono.
Aveva la sensazione di conoscerla, ma come poteva spiegarglielo senza
sembrare ridicola? Magari nemmeno si ricordava di cosa le aveva detto
quando si erano incontrate nel Quartiere del Legno... Certo che me lo ricordo,
sciocchina.
Nemeria si impietrì e sgranò gli occhi. Quelli di
Pavona avevano assunto una sfumatura perlacea che aveva screziato la
pupilla di pagliuzze argentee.
- Tu... come fai? - Perché sono
come te. Anch'io, un tempo, ero una Jinian.
- Ti vedo stupita, pensavo lo avessi capito. - commentò poi
Pavona ad alta voce. Attenta a quello che
dici. Qui anche i muri hanno le orecchie, ma non
rimanere mai zitta. Non voglio che ti capiti nulla di male.
- No, no, io... non ci avevo pensato. - si risolse a dire Nemeria.
- Allora significa che sono anche più brava di quanto mi
aspettassi. -
Sciacquò lo straccio nel secchio ai suoi piedi e lo
strofinò sul collo con attenzione.
- Quanto ti sei esercitata prima di arrivare a questo livello? - Prima di abbandonare la
tribù, avevo cominciato il Terzo
sentiero, quello dell'aria per me. Quando me ne sono andata, ero
già capace di comunicare telepaticamente, anche se su brevi
distanze.
- Ho imparato molto durante i miei viaggi. Ho osservato soprattutto
come lo facevano gli altri e poi ho cercato di rubare i loro trucchi. -
aggiunse.
- Parli degli altri artisti? -
Pavona le fece l'occhiolino: - Ovviamente. Per migliorarti, non
c'è niente di meglio se non imparare da chi ha
più segreti di te, ti pare? -
Nemeria non intuì subito a cosa si riferisse. Aveva la testa
sovraffollata di pensieri, provare a comporne uno e farlo emergere in
quel marasma era un'impresa ardua. Poi la risposta le
rimbombò in mente come un fulmine a ciel sereno.
“Stai parlando degli altri Dominatori.”
- Purtroppo la vita lontana da casa è dura, bisogna imparare
a sopravvivere con quel che si può. - le confermò
con cenno del capo Pavona.
- È stato difficile? -
- Ci si mette solo più tempo. Senza la guida di un maestro,
è tutto più difficile. - prese un pettine e se lo
passò tra le ciocche, pettinandole all'indietro, - Sono
stupita che anche tu abbia abbandonato la tua casa per fare un mestiere
del genere. Io ho maturato questa decisione molto presto, ma ho dovuto
attendere di compiere sedici anni prima di potermene andare. -
Nemeria si morse le labbra e abbassò lo sguardo. Le lacrime,
prepotenti, spingevano da dietro le ciglia.
- Non è stata una mia scelta. La mia famiglia... la mia
famiglia non c'è più. -
Non le servì guardare Pavona per immaginare la sua
espressione. Il silenzio, sia fisico che mentale, che aleggiava tra di
loro, era più assordante di qualsiasi grido.
- Cosa è successo? -
La mano di Pavona si era soffermata a un pollice dalla sua spalla. Un
tacito permesso per farle vedere, sentire, capire. Era troppo doloroso
anche per lei da credere.
- Sono morti, tutti morti. - esalò e intrecciò le
dita con le sue.
Far entrare Pavona nella sua mente fu come aprire la finestra e lasciar
entrare un gattino randagio. Camminava in punta di piedi, circospetta,
attenta a non fare troppo rumore. Nemeria era la terra e Pavona le
radici di un arbusto giovane che si facevano largo tra i suoi pensieri
più intimi, sfiorandoli e avvolgendoli come se fossero una
vena acquifera nelle profondità del deserto.
Perché quello era la sua mente: una terra desolata, sterile
e arida, dove i ricordi erano rimasti seppelliti sotto le dune di
sabbia.
Quando si ritirò, lo fece in religioso silenzio, nello
stesso modo in cui era venuta. Le lacrime erano cristallizzate nei suoi
occhi, così lucidi da sembrare delle gemme di vetro. Aveva
sentito le sue stesse emozioni, le aveva assorbite e rivissute come se
le appartenessero. Nemeria non aveva il coraggio di toccarla per paura
che crollasse davanti a lei.
- Mi dispiace... - soffiò Pavona e indugiò con
una carezza sulla sua guancia.
Nemeria si aggrappò al suo sguardo. Si era ripromessa di non
piangere più, di sopportare, eppure avrebbe tanto desiderato
abbracciarla. Una Jinian come lei, l'ultima; l'unica che poteva davvero
capirla.
- Quanto rimarrete in città? -
Sapere la risposta a quella domanda era una necessità
opprimente, dilaniante.
Pavona si ritrasse e si asciugò la lacrima che le era
sfuggita. Sembrava invecchiata all'improvviso e la cupezza del suo
sguardo contrastava con le vesti sgargianti che indossava.
- Non lo so con esattezza. Forse Dakshesh me lo ha detto, ma adesso non
mi viene in mente. Ma no, la partenza non è imminente. -
Si tolse gli orecchini e saggiò la delicatezza delle piume
blu che li adornavano, sovrappensiero, come in ascolto. Nemeria si
chiese cosa stessero vedendo davvero i suoi occhi.
- Nem, dai, andiamo! - senza chiedere alcun permesso, Bahar
infilò la testa nella cabina, - Morad ha finito e a breve
cominceranno gli spettacoli del pomeriggio. -
- Sì, è meglio che vai, sennò ti perdi
l'inizio. Io devo finire ancora di togliermi tutto questo trucco, non
posso mostrarmi alla gente con questa faccia. - scherzò
Pavona.
Nemeria annuì. Posò lo specchio vicino alla sua
mano e, controvoglia, seguì la ragazza fuori. Il pensiero di
come si erano salutate, della sua nuova scoperta, le portò
via qualsiasi entusiasmo. Osservò lo svolgersi dei
combattimenti con attenzione, senza che però l'esaltazione
del pubblico la contagiasse come la volta precedente. Non essere
più l'unica non era una consolazione che reggesse il
confronto con ciò che aveva perso.
Gli spettacoli finirono poco prima del tramonto, con il trionfo di un
gladiatore con il petto pieno di tatuaggi e le braccia muscolose
solcate da graffi più o meno profondi. Il suo avversario, un
uomo con una coda di cavallo ormai sfatta e una spada a lama ricurva al
suo fianco, gli strinse la mano. Nemeria non aveva seguito lo scontro,
ma per quel poco che la sua mente aveva colt, non era stato
particolarmente esaltante. Tutta la cavea però applaudiva e
inneggiava alla morte o supplicava per la vita, come se le loro grida
avessero davvero un peso sulla decisione finale.
“Pane e giochi.”
Adesso cominciava a capire cosa avesse voluto dire Tyrron. Era
difficile da accettare, ancor più complicato da applicare,
ma la realtà era ben più semplice di quello che
si era figurata. La squallida e dura realtà al di fuori
della tribù si basava sulla legge del più forte,
in un gioco dove tutti interpretavano un ruolo ben preciso per
conservare quel poco che si erano guadagnati.
“Imparerò a recitare anche io. Devo.”
Lasciarono l'arena assieme alle altre centinaia di spettatori.
Nonostante l'angoscia serpeggiasse tra le sue viscere, Nemeria non
scorse alcuna ombra sospetta a seguirli, ma con il cuore pesante che le
gravava nel petto non riusciva a prestare la dovuta attenzione a
ciò che la circondava: se il predone avesse deciso di
attaccarla in quel momento, non era sicura che sarebbe stata in grado
di difendersi.
Giunsero alla Scuola sani e salvi. Ad accoglierli fu il profumo del
riso e dei funghi appena cotti. Nemeria si sarebbe volentieri diretta
in camera, ma Morad sapeva che era ora di cena e che lei era dall'ora
di pranzo che non toccava nulla.
- Riferirò al padrone che ti sei comportata in modo
esemplare. Ne sarà contento, anche se era più che
sicuro che non avresti fatto sciocchezze. - le promise Bahar.
Morad taceva. Nemeria si sentiva sotto esame, eppure non le interessava
granché di quello che avrebbe pensato o riportato a Tyrron.
Voleva soltanto mangiare e tornare in camera a dormire.
- Allora... alla prossima volta. - si sforzò di sorridere.
- Alla prossima volta! - la salutò Bahar.
Nemeria fece un cenno a Morad e si voltò per dirigersi al
refettorio. In quel momento, una Ver'ilef con le orecchie adornate con
orecchini d'ossa uscì. Camminava al fianco di Reza e si
scambiavano battute sagaci, che portavano il riso a entrambi.
Bastò che girasse la testa nella sua direzione
perché i loro sguardi si incontrassero.
“Roshanai.”
Un brivido freddo la pervase e le ferite sulla schiena pulsarono, come
appena inferte. Gli occhi della donna sfolgorarono come tizzoni ardenti
e la bocca si aprì su un sorriso ferale. Anche se non la
poteva udire, a Nemeria bastò il movimento delle labbra per
capire cosa le stesse dicendo.
- Domani sei mia. -
Nemeria deglutì. Le gambe tremavano e aveva il cuore a
mille. Le scale erano lì, a portata, con uno scatto poteva
raggiungerle e rintanarsi nella sua stanza. Ma si rifiutò di
dare ascolto all'impulso. L'aveva già sconfitta una volta,
perciò qualsiasi cosa avesse in serbo per lei, per quanto le
facesse paura, poteva sopportarla.
- Ti aspetto. - scandì con voce salda, in modo che tutti lo
sentissero.
Reza si girò e Roshanai la fulminò con lo
sguardo. Rallentò il passo e Nemeria pensò che
l'avrebbe attaccata, ma la Syad del fuoco proseguì oltre.
Nemeria prese fiato e si guardò le mani. Erano calde,
più del normale. La forza dell'elementale, anche se debole,
era presente.
- Mi sa che ti sei fatta una nuova nemica. - notò Morad con
una punta di divertimento.
- Allora la affronterò. - dichiarò decisa.
Angolo Autrice:
Eccomi qui XD Allora, sono felicissima di avvertirvi che siamo arrivati
circa alla fine della storia, mancheranno sì e no 5/6
capitoli. Ringrazio in anticipo chi mi ha seguita in questo lungo
viaggio, anche in silenzio: lettori, sappiate che siete un bene
prezioso. é per voi che pubblico online ed è per
voi che ho sempre cercato di migliorarmi. Questo angolo autore a cosa
serve? Dunque, visto che ho bisogno di una vacanza anche io, vi avviso
che gli aggiornamenti sono sospesi fino al 20 di gennaio. Questo
perché ho bisogno di tempo per scrivere la storia - gli
ultimi capitoli sono stra importanti- e anche per riposarmi. Dunque, ci
rivediamo a gennaio con il capitolo 18. Se avete qualcosa da chiedere,
chiarimenti, notizie o anche solo qualche curiosità non
esitate a scrivermi o qui (attraverso una recensione che fanno sempre
piacere) o per messaggio privato. In queste vacanze mi
metterò sotto anche pe rrispondere alle recensioni:
purtroppo la mia vita universitaria è complicata e pretende
sempre la mia presenza <.< ma sappiate che le leggo
sempre e mi fanno veramente tanto, tanto piacere. Insomma, preparatevi
a essere sommersi di messaggi in casella XD Un bacione e a presto!
"E’
una vita superficiale quella di una persona non ha almeno un paio di
cicatrici."
Garrison
Keillor.
Dopo aver cenato ed essere
passata dall'infermeria, Nemeria si precipitò subito in
camera sua. La minaccia di Roshanai le riecheggiava nelle orecchie e
l'adrenalina le gonfiava il cuore per l'emozione d'averle risposto.
Nella sua mente turbinavano tutti gli eventi della giornata: Pavona, lo
spettacolo, il sapere di non essere più la sola. Aveva
bisogno di tempo per raccapezzarsi e mettere in ordine le idee.
Batuffolo la accolse con un miagolio allegro e trotterellò
fino a lei. Incurante del fatto che Nemeria fosse ansante sulla porta,
cominciò a strusciarsi sulle sue gambe facendo le fusa, la
coda che sbatteva ripetutamente contro il polpaccio come a voler
richiamare la sua attenzione.
- La tua palla di pelo è più esagitata di te. -
commentò Noriko.
Se ne stava sdraiata con le gambe incrociate sul cuscino, il braccio
sinistro piegato dietro la testa e un libro con la copertina appena
consunta sui bordi che le copriva il viso. Nemeria rimase imbambolata a
fissarla sulla soglia per ancora qualche istante, prima di prendere
Batuffolo in braccio ed entrare. Dopo tutti i giorni passati da sola in
quella stanza, le sembrava strano che Noriko fosse davvero
lì.
- C'è qualcosa che non va? -
Noriko abbassò il libro e incrociò il suo
sguardo. Aveva gli occhi limpidi e lo sguardo sereno, anche se
sopravviveva un accenno scuro di occhiaie che, quasi più
dell'incarnato pallido, le smungeva il viso e le infossava le guance.
Se già vederla così debilitata, o comunque non
nel pieno delle forze, era strano, lo era ancora di più
sapere che dall'indomani, quando sarebbe tornata in camera, non sarebbe
più stata sola.
- Niente, è che... devo riabituarmi. -
Si sedette sul letto, con Batuffolo che giocava con le sue dita. Ci
aveva preso gusto a mordicchiargliele, soprattutto l'indice. Nemeria
glielo infilò in bocca a tradimento e il cucciolo, in
risposta, le diede una zampata sul polso, come per redarguirla.
- A cosa ti devi riabituare? -
- Al riaverti qui. -
Con una smorfia di dolore, Noriko si mise a sedere. Inclinò
il torso di vari gradi e spostò le gambe finché
non si piegò su se stessa, con i gomiti appoggiati sulle
ginocchia e il pugno stretto attorno all'anulare e al medio.
- Senti ancora tanto male? -
La ragazza scosse la testa, ma le labbra serrate e i muscoli rigidi
tradivano più della sua espressione sofferente. Nemeria
allora si alzò, con tutta l'intenzione di sedersi di fianco
a lei. Batuffolo era appena sceso dalle sue gambe quando Noriko
riaprì gli occhi.
- Torna a sederti. -
- Ma tu non stai bene, non voglio che ti sforzi. -
- Erano quasi dieci giorni che non mi allenavo e Sayuri non si
è risparmiata. -
- Motivo in più per non farti affaticare. -
Piano, molto piano, Noriko raddrizzò la schiena. I capelli
strisciarono sulle spalle e si riversarono come una cascata rossa sul
petto, coprendo anche parte del braccio destro.
- Te lo chiedo per favore. - insisté.
Nemeria rimase in piedi, avvinta da quello sguardo. L'azzurro si era
schiarito e il freddo lo aveva reso una lastra di ghiaccio traslucida,
ma non abbastanza spessa da nascondere l'ombra che guizzava al di
sotto. Era sottile, quasi spariva nel contorno scuro della pupilla, il
riflesso di un sentimento che era quasi impossibile potesse appartenere
a Noriko.
- Va bene. - cedette Nemeria e si rimise sul letto.
Noriko trasse un leggero sospiro e si rilassò.
- Lo so che ti preoccupi per me. È gentile da parte tua, ma
non ho bisogno di tutte queste attenzioni, ora sto molto meglio. Nande
sa fare molto bene il suo lavoro. - le spiegò con
più calma, come se avesse a che fare con una madre
apprensiva.
Nemeria sospirò e, anche se con una punta d'irritazione,
decise di lasciar perdere. Batuffolo, invece, strusciò la
testa contro la gamba di Noriko e poi balzò sul letto,
accucciandosi con il muso che premeva contro il suo fianco. Quando la
ragazza allungò la mano per spostarlo, tentò di
morderla, soffiando infastidito.
- Batuffolo! - lo riprese Nemeria.
Il caracal fissò la sua padrona e poi rivolse le sue
attenzioni a Noriko che, imperturbabile, lo scrutò di
rimando. Sebbene si fosse impegnato per sembrare minaccioso, si rese
ben presto conto di essere ancora troppo piccolo per far paura a
chicchessia. Offeso per non essere stato preso sul serio, ma
determinato a farsi valere, Batuffolo si rannicchiò
ostinatamente contro Noriko, scoccandole occhiate truci da dietro la
zampa.
- Vuole starti vicino. -
Nemeria pronunciò quella frase carica di significato senza
staccare gli occhi da Noriko. Come se bastasse mantenere il contatto
visivo perché quelle parole potessero penetrare la scorza di
ghiaccio e scendere nelle acque profonde del suo animo.
- Al riavermi qui, dici. -
Nemeria ci mise un momento a riallacciarsi al discorso precedente.
- Al riaverti qui, sì. - ripeté.
- Non ero lontana, non ci vuole molto ad arrivare all'infermeria di
Nande.-
- Lo so, sono venuta spesso anche a trovarti. - rettificò e
si morse l'interno della guancia, - È solo che tu e lei
siete state strane, oggi. Vi scambiavate delle occhiate di nascosto,
quando pensavate che non vi vedessi, e ho temuto che mi nascondessi
qualcosa. -
Noriko alzò entrambe le sopracciglia.
- Sono stata una sua paziente a lungo e in questi ultimi giorni alcuni
ragazzi lì in infermeria sono stati male. Anche se mi sono
quasi del tutto ripresa, lei continua a tenermi sott'occhio. -
Nemeria annuì. Aveva senso, eppure si sentiva comunque
inquieta. Era la stessa sensazione di quando Rakhsaan si rannicchiava
contro la sua schiena senza dirle nulla o Etheram si allontanava per
ore senza avvertirla e al suo ritorno adduceva una scusa per sviare le
sue domande. Anche se diceva di stare bene, Nemeria sapeva, con una
conoscenza viscerale, spogliata del senso critico della ragione, che
c'era qualcosa che non andava. Ora come allora, però, sapeva
che insistere non l'avrebbe portata a nulla. Doveva solo osservare e
stare attenta ai dettagli.
- Gli altri ragazzi cosa avevano? -
- Febbre e vomito. Nande ha detto che se non guariscono nei prossimi
tre o quattro giorni, sarà lei a chiamare personalmente
Serafim. -
- I loro lanisti non l'hanno ancora fatto? -
- Evidentemente no. Ma loro sono umani, valgono molto meno di noi. -
- Non possono davvero pensare una cosa simile. La vita... tutte le vite
hanno un valore. -
- Noi siamo oggetti, “asiri”
nella loro lingua. Ormai dovresti averlo capito. -
La bocca di Nemeria era arida. Si passò la lingua sui denti
e poi si umettò le labbra, senza sapere che dire.
- È una questione di affari. Niente di più,
niente di meno. Il loro padrone è quasi in bancarotta e se
non troverà il denaro per pagare le cure dei suoi
gladiatori, la faccenda passerà nelle mani di Koosha. -
- E cosa succederà? -
- Non lo so. Non sono qui da abbastanza tempo per dirti come vengono
risolte questo genere di situazioni. Non ti crucciare, comunque. Non
è un nostro problema. -
- Ma sono i nostri compagni! -
Noriko sospirò e con attenzione tornò a stendersi
sul letto. Batuffolo ebbe tutto il tempo di spostarsi e di tornare a
squadrarla in modo truce dalla sua cuccetta.
- Vuoi dormire vicino a me stanotte? Il letto è piccolo, ma
tu non occupi tanto spazio. -
Nemeria si concesse un momento d'incredulità per
quell'invito inaspettato.
- So che non sei una bambina, ma visto che ti sono mancata ho pensato
di proportelo. Sentiti libera di rifiutare, non mi
offenderò. - precisò Noriko con il viso
già di nuovo nascosto dal libro.
- A te non dà fastidio? Intendo... visto che non stai ancora
bene, forse non è una buona idea. -
- Devo solo stare attenta a non fare movimenti troppo bruschi. -
- Quindi hai avuto davvero solo i dolori del tuo ciclo di luna. -
Noriko piegò l'angolo della pagina poco prima di girarla.
- Sì, era solo quello. -
- Non mi sembra tanto normale. Anche mia sorella è stata
male la prima volta, ma... -
- Nemeria. - Noriko abbassò il libro sotto il mento e si
massaggiò la radice del naso, - Sto bene, ora. Preoccuparsi
per ciò che è passato non ha senso. -
- E come faccio? Non è un graffio che si rimargina e
sparisce. È una cosa che capita tutti i mesi e se
già la prima volta sei stata così male, non oso
immaginare come sarà poi! -
Si rese conto di aver alzato la voce solo quando vide Batuffolo
sobbalzare e nascondere la testa sotto le zampe.
- Perché non vuoi che mi preoccupi per te? Cos'è,
ti vergogni che una bambina indifesa come me possa fare qualcosa al di
là del piagnucolare e prendere botte? - continuò
infervorata, le mani strette a pugno lungo i fianchi, - Sarai
più forte di me, sarai anche una Dominatrice, ma rimani un
essere umano. Non puoi proteggermi sempre e poi pretendere che io non
faccia altrettanto. Non so menare le mani come te, però sono
tua amica. Non puoi chiedermi di... di lasciar perdere così,
come se non fosse importante. -
Strinse la pietra di luna e trasse un profondo respiro. La sentiva
calda contro il palmo, ma non bruciava così tanto da non
poterla tenere in mano. Il sussurro dell'elementale, la sua promessa di
lealtà, erano braci accese sepolte sotto uno strato sottile
di cenere: un soffio e l'incendio sarebbe divampato senza controllo.
Come con Ahhotep e Durga, l'unica cosa che la sosteneva dal cadere nel
baratro era il regalo di Etheram.
Noriko socchiuse gli occhi prima di riaprirli e spostare lo sguardo sul
soffitto. La sua immobilità, quell'apparente calma che lei
vestiva come un guanto, contrastava con il vulcano che scuoteva l'anima
di Nemeria.
- Uova di almanhira. Sono simili ai vermi
mangiacarne, ma più neri e piccoli. - disse con un mezzo
sorriso, - Li conosci? -
Sì che li conosceva. Erano il tormento dei pastori nomadi
del deserto. La notte intorno al fuoco aveva sentito spesso Arsalan
lamentarsi di quanti danni facessero al bestiame. Rendevano le vacche
sterili e non c'era erba o rimedio che potesse annullarne gli effetti.
Le sovvenne di quando si erano fermati vicino a un'oasi e lui era
tornato inveendo contro la stupidità di quel pastore errante
che non si era premurato di disinfettare con cura il taglio di quella
cavalla.
Fu come un fulmine a ciel sereno. I giorni passati in infermeria, la
febbre, la difficoltà nei movimenti. Era stato sotto i suoi
occhi per tutto il tempo e Nemeria non se n'era resa conto.
- Noriko, io... io non lo sapevo. - provò a pensare a
qualcosa d'intelligente da dire, ma ogni parola, in quel momento, le
sembrava stupida, - Davvero, mi dispiace. -
- Meglio così. La scuola è un luogo protetto, ma
per quanti controlli ci possano essere, ci sono stati degli stupri in
passato. Se mai dovesse accaderci, almeno non dovremo preoccuparci di
una possibile gravidanza. -
Nemeria in quel momento realizzò che un giorno sarebbe
toccato anche a lei. Che quel sogno infantile di avere una famiglia
numerosa come lo era stata la sua non era altro che quello, un sogno
destinato a rimanere tale. Improvvisamente, nemmeno il letto sembrava
in grado di sostenere il peso della sua anima.
Noriko allungò il braccio al di fuori della sponda,
facendole cenno con la mano di avvicinarsi.
- Vieni qui. -
Nemeria si stese al suo fianco con il viso appoggiato poco sopra il suo
petto.
- Ti dispiace se leggo un po'? -
- No, fa' pure. -
La luce della candela era una sicurezza. Il fuoco teneva le tenebre
lontane, rischiarava le notti più buie e scaldava quando
fuori dalla tenda soffiava il vento del deserto.
Nemeria abbracciò Noriko e la strinse piano a sé.
Delle due famiglie che aveva avuto, era l'unica che era sopravvissuta,
la sola che gli eventi non le avevano portato via. La loro assenza
pesava più delle mezze verità e delle bugie che
aveva detto a se stessa e a loro per sopravvivere.
"Forse è questa la mia punizione per non aver dato fiducia."
Si morse un labbro e guardò le pagine del libro che Noriko
stava leggendo. Gli ideogrammi le scorrevano davanti agli occhi senza
che lei li recepisse davvero. Ne riconobbe alcuni, ma non riusciva a
ricordarne il significato.
Socchiuse gli occhi, si aggrappò con una gamba a quella
della sua compagna e appoggiò la guancia vicino al suo
orecchio. I suoi capelli profumavano di sapone ed erba in modo
così forte da irritarle le narici. Era diverso dall'odore di
creta e frutta che invece permeava la chioma di Etheram.
La sua vita, da quando aveva abbandonato la sua tribù, era
stata un continuo susseguirsi di perdite di persone, di speranze e di
sogni. E ripensare a sua sorella, al seppur piccolo nucleo familiare
che costituivano assieme a Hediye e Rakhsaan, era ancor più
doloroso alla luce di ciò che, prima o poi, le sarebbe
accaduto. Ma nell'ottica di quello che era diventata, era giusto
così: il giorno in cui si era svegliata con quel collare
stretto alla gola, la sua esistenza come essere umano era terminata.
"Gli oggetti non si creano una famiglia."
Un singulto le scosse il petto e Nemeria strinse forte le palpebre per
non lasciar andare le lacrime.
- Buonanotte, Noriko. - esalò.
La presa attorno alla sua spalla si rinsaldò per un attimo,
accompagnandola in un sonno agitato.
Quella notte, Nemeria sognò di star camminando sulle spiagge
di Chera con tutta la sua tribù.
Hediye era al suo fianco con in braccio il piccolo Rakhsaan, che
dormiva con la testa riccioluta appoggiata sulla sua spalla.
Il vento spirava dal mare e cavalcava le onde che si infrangevano sulla
battigia. Un lento, costante e roboante sciabordio pervadeva il
silenzio vespertino.
Sua sorella camminava davanti a lei con in mano il suo fidato blocco da
disegno. Di tanto in tanto si fermava, abbozzava una forma e poi
recuperava terreno con uno scatto che faceva schizzare l'acqua da tutte
le parti. Il bianco tra i suoi capelli non era ancora così
vistoso come poi lo sarebbe stato da lì a pochi anni, ma
conservavano il loro color noce naturale. Scompigliati nel vento,
sembravano i rami di un giovane albero.
L'Alta Sacerdotessa apriva la strada, assieme a un gruppo di Anziane.
Le seguivano le Jinelle, Jinian a vari gradi di Consapevolezza, come
diceva Fakhri. Alcune avevano appena un accenno di capelli bianchi,
altre invece avevano già la pelle di porcellana, candida
quasi quanto la neve che ammantava l'altopiano dello Xīzàng.
Gli elementali del fuoco spandevano la loro luce dall'interno delle
braccia, della schiena e delle gambe delle Jinelle che ne
padroneggiavano la forza, visibili all'occhio come lingue evanescenti
attenuate dalla barriera della pelle.
- Mamma, tra quanto arriviamo al santuario? - chiese a Hediye.
La donna le sorrise e le tirò indietro la fascia colorata
sui capelli. Arsalan l'aveva barattata per la borraccia che aveva
cucito con le sue stesse mani in una delle piccole oasi in cui si erano
fermate all'inizio del loro viaggio. Era di un tessuto rosso, cucito
con alcune strisce gialle e arancioni.
- Credo arriveremo domani mattina, o forse in tarda serata. Non ci sono
mai stata, ma penso che la meta sia vicina. -
Nemeria annuì. Nel suo subconscio sapeva già che
a breve si sarebbero fermati per dare la possibilità agli
animali di riposarsi, ma decise di far finta di nulla: se quello non
era altro che un ricordo trasfigurato in un sogno, non voleva che
finisse.
Camminarono ancora, finché la luce della luna e delle stelle
non divenne la loro unica guida. Il vento freddo deviava lontano da
loro, le circumnavigava come un'isola e continuava il suo avanzare
verso le palme dietro le dune di sabbia, lì dove la terra
secca si compattava in quella fertile di una grande prateria.
Il barrito di un elefante smosse l'aria immobile e Nemeria
tremò quando ne scorse il profilo in lontananza. Con le
maestose zanne d'avorio ingioiellate dal lucore chiaro delle stelle,
gli elefanti erano i re guerrieri di quella terra, tolleranti con
chiunque venisse in pace ma pronti a combattere contro chiunque osasse
invaderli. Scomparve prima che gli occhi di Nemeria potessero catturare
qualche dettaglio in più della sua forma scura.
Si fermarono a riposare su una scogliera a strapiombo sul mare. Le onde
si abbattevano con un ruggito rabbioso in una foga selvaggia e quasi
feroce. Era un rumore assordante e Nemeria aveva paura di allontanarsi.
Non le piaceva la sensazione di umidità che le entrava nelle
ossa, né il sapore di salsedine che le bruciava gli occhi e
il naso. A differenza di Etheram, che sembrava capace di adattarsi a
ogni clima, lei preferiva il caldo torrido del deserto e la
friabilità della sabbia sotto i piedi.
- Sei la mia fifona. - la stuzzicava bonariamente.
Rakhsaan era seduto tra le gambe di Etheram e stava mangiando una
frittella di mela. Etheram ne prese una dal sacchetto che aveva in mano
e, dopo aver dato una rapida occhiata, porse a Nemeria quella con
più zucchero.
- Tra poco arriveremo al santuario. Sono sicura che ti
piacerà. -
- Tu l'hai già visto? -
- Molto tempo fa. No, non chiedermi com'è, non me lo
ricordo. Ero anche più piccola di te quando lo visitai per
la prima volta. -
Nemeria le sorrise, così come aveva fatto al tempo. Rakhsaan
allungò le mani e lei lo prese in braccio. Il bambino
alzò la testa in alto e aprì la bocca, mettendo
fuori la lingua. La settimana precedente, correndo tra i cammelli, era
inciampato e si era scheggiato i denti davanti. Dopo un breve pianto,
si era specchiato nel fiume che scorreva accanto al loro accampamento e
da quel momento non faceva altro che sfoggiarli, come se fosse una
cicatrice di guerra.
- Domani fai il bagno con me, Eria? -
- Devo proprio? -
Rakhsaan annuì veementemente.
- Va bene. Basta che non ci stiamo a lungo. -
Etheram scosse la testa. Sfilò il carboncino dall'orecchio e
se lo passò tra le dita, osservandolo con aria meditabonda,
prima di prendere di nuovo il blocco da disegno dalla borsa. Aveva lo
sguardo puntato sull'orizzonte, sulle nubi violacee adagiate sul mare
come zucchero filato, mentre la mano vagava sul foglio con sicurezza.
Il carboncino le ondeggiava tra le dita e la punta nera produceva un
leggero grattare a contatto con la superficie rugosa della pergamena.
- Cosa stai disegnando? -
Nemeria si protese per sbirciare, ma Etheram chiuse il blocco prima che
potesse vedere alcunché. Nei giorni seguenti le avrebbe
mostrato il bozzetto di quel paesaggio, lo specchio del male offuscato
da quelle nuvole sfilacciate, ma in pubblico le diceva sempre...
- Ah! Non spiare. Vedere il lavoro incompleto porta sfortuna. -
Per la Madre, quanto le mancavano quegli sguardi complici. Quelle loro
recite improvvisate che si divertivano a interpretare davanti agli
altri. E anche se erano rare le volte in cui le mostrava il disegno
finito, a Nemeria piaceva stare al gioco.
- Voi due, non litigate. - le riprese Hediye.
Anche Rakhsaan scuoteva il capo, sbracciandosi tutto come se avesse
dovuto appianare le ostilità. Etheram le scoccò
una finta occhiata risentita e Nemeria si imbronciò. Non
passò che un attimo prima che entrambe scoppiassero a
ridere.
- Te lo farò vedere dopo. -
Sua sorella si mise la mano sul cuore con fare teatrale, prima di
infilare il blocco nella borsa sfrangiata. Nemeria se la ricordava: era
stato un regalo di Hediye. Sopra gli inserti d'osso e sulla falda aveva
cucito una bussola rossa, contornata da un cerchio di foglie verdi.
Anche se non lo aveva dato a vedere, a Etheram era dispiaciuto buttarla
quando la fibbia aveva ceduto.
Hediye sospirò e afferrò Rakhsaan prima che
sgambettasse via: per lui il mare era un richiamo forte e ancora
impossibile da ignorare.
- Siete due pesti. - le apostrofò.
- Siamo sorelle, è normale. - ribatté convinta
Nemeria, - Se non litigassimo mai, non saremmo vere sorelle. -
- Sì, è vero. - convenne Etheram.
Un sorriso divertito prese vita sul viso di Hediye. Portava i capelli
legati in una crocchia sulla nuca, con i vari ciuffi che le scivolavano
continuamente sul viso e diventavano prede delle mani di Rakhsaan.
Spezzò l'ultima frittella a metà e gli
portò il suo pezzo alla bocca. Bastò quello
perché il bambino lasciasse perdere i suoi capelli, ormai
sporchi di succo di mela e zucchero.
Ripartirono dopo un paio d'ore, lei, sua sorella e tutte le Jinian del
gruppo a parte due Anziane, che rimasero lì con gli uomini e
le Ikaelan troppo stanche per proseguire. Anche Nemeria sentiva il peso
della giornata di cammino gravarle sulle spalle, ma anche se avesse
protestato, sapeva che sarebbe bastato un solo sguardo dell'Alta
Sacerdotessa per metterla a tacere.
Arrivarono a un promontorio, un artiglio di pietre nere e aguzze che
fendeva le acque. Alcune piante, per lo più rampicanti
pelosi con foglie piccole e spesse, ne avevano colonizzato la
sommità, mentre le sponde ripide erano diventate il
territorio dei cirripedi.
L'Alta Sacerdotessa levò verso il cielo il bastone degli
Spiriti. I tatuaggi vennero percorsi da una scarica di blu intenso che
si sprigionò dagli occhi in un'aura azzurra. Gli spruzzi
delle onde si fermarono a mezz'aria, il tempo del battito d'ali di una
farfalla, e poi si ritirarono, aprendosi in un sentiero che percorreva
il fianco del promontorio fino alla punta dell'artiglio.
Nemeria sgranò gli occhi. Al suo fianco, Etheram si concesse
una bassa risata.
- Chiudi la bocca o si riempirà di sale. - la
canzonò con tono bonario.
L'Alta Sacerdotessa si voltò verso di loro e le
scrutò tutte con i suoi occhi bianchi e senza luce, prima di
avviarsi.
L'acqua costituiva delle mura di un intenso blu cobalto che pareva
grondare su uno specchio di vetro trasparente. Incredula, Nemeria le
sfiorò con le punta delle dita. Sebbene fosse un sogno,
quella sensazione le parve vera, concreta. Ma forse, pensò,
era tutto frutto della sua percezione distorta da quella continua
immedesimazione e alienazione dalla se stessa in quella dimensione.
- Non rimanere indietro. Il bello deve ancora venire. -
Etheram la prese per mano e la tirò appena per esortarla a
muoversi. E Nemeria la seguì, così come aveva
davvero fatto.
Nonostante la sua esitazione, era tutto nei tempi. Battute, eventi e
gesti erano tutti costretti dall'ineluttabilità del passato.
Il sentiero deviava appena e si connetteva con una mezzaluna sabbiosa.
L'Alta Sacerdotessa descrisse un semi arco davanti alla parete di
roccia e le pietre ruotarono su loro stesse in una sincronia perfetta e
fluida, rivelando un pertugio nascosto. Quindi si incamminò
all'interno, seguita dapprima dalle Anziane e poi, solo quando della
sua figura non rimase altro che il bagliore latteo dei tatuaggi, la
prima delle Jinelle, una ragazza con i capelli corti e quasi bianchi
legati in trecce aderenti alla testa. Il suo nome era Asa,
ricordò Nemeria, ed entro due anni sarebbe diventata una
delle Anziane più giovani.
La grotta era umida e odorava di salsedine e alghe. La sabbia non era
calda e friabile come quella del deserto, ma compatta e fredda come la
terra dopo un temporale. Tuttavia, l'inquietudine era svanita,
spodestata da una sensazione di appartenenza e pace interiore che
Nemeria non riusciva a spiegarsi. O meglio, la se stessa fatta di sogno
non ne trovava la ragion d'essere, perché invece Nemeria
sapeva a cos'era dovuta. Nonostante tutto, quando la vide, la sorpresa
fu reale come la prima volta.
La pietra era alta poco più di due braccia, di un nero
assoluto, come la tetra oscurità che ammantava gli angoli
più remoti della stanza, irraggiungibili dalla luce del
bastone degli Spiriti.
L'Alta Sacerdotessa e le Anziane si erano già inginocchiate.
Non si voltarono quando Asa e tutte le altre si fecero il segno dei cakra
prima di fare altrettanto. Nemeria imitò i gesti da dietro.
Una C con la falce a destra tra coccige e pube: Muladhara.
Palmo aperto sotto l'ombelico: Svadhisthana.
Una C con la falce a sinistra poco sopra: Manipura.
Mano di taglio sul cuore: Anahata.
Mignolo dritto, pollice opposto e le altre dita piegate: Vishuddha.
Pollici sulla fronte e le altre dita con le falangi congiunte: Ajna.
Mano a coppa verso l'alto: Sahasrara.
Pugno chiuso davanti agli occhi: Samagrata.
Dai tempi in cui le Jinian vivevano tra i mortali, quello era l'ultimo
luogo di culto dello Spirito del Fuoco sopravvissuto alla devastazione.
Ironico, pensarono entrambe le Nemeria, che si trovasse affacciato sul
mare.
Perchè è chiamato anche "colui che si veste del
mare".
La risposta di Etheram si era infilata tra i suoi pensieri come un
sussurro, come se anche quella conversazione mentale fosse un affronto.
Ma Nemeria voleva sapere, riesumare dalla cenere della memoria i
tasselli di quel discorso che erano andati perduti nello scorrere
impietoso degli anni.
"Gli elementali hanno davvero dei nomi?"
Sua sorella socchiuse le palpebre e spostò lo sguardo a
destra e a sinistra per assicurarsi che nessuno le stesse guardando.
Tutto ha un nome. Esiste quello che ci viene attribuito dagli altri e
che varia da luogo a luogo, da lingua a lingua. E poi c'è
quello più importante, il Nome nel Buio, l'unica parola che
descrive l'essenza profonda e veritiera di ogni cosa.
"Tu conosci il tuo?"
Sì, è stata la prima cosa che ho appreso, assieme
a quello del mio elementale. Quando ti saranno rivelati, comincerai il
tuo Primo sentiero.
"E quello dello Spirito del Fuoco? Lo conosciamo?"
L'Alta Sacerdotessa si alzò e l'aria intorno a lei divenne
immobile. La luce si fossilizzò in un alone opaco che
ingrigiva nel nero agli angoli della stanza. Tutte le donne rimasero
pietrificate ai loro posti.
Nemeria avrebbe dovuto sentirsi spaventata, e una parte di lei, quella
che dormiva nella scuola accanto a Noriko, lo era. Ma ce n'era un'altra
che intuiva non esserci niente di cui preoccuparsi.
L'Alta Sacerdotessa posò una mano sulla pietra e il suo
sguardo la colse subito, anche se era tra le ultime file. Quando
parlò, i tatuaggi e gli occhi si accesero di una luce rossa,
viva.
- Io sono colei che nasce delle acque. Sono Davagni, il
fuoco che brucia il legno; Vadavagni, la fiamma che illumina l'ingegno;
Jatharagni, l'incendio che divampa e distrugge. Ma il mio vero nome,
Cuore di Fuoco, figlia di Chandra, è Agni. -
Nemeria si svegliò che il sole era appena sorto. Scorse
l'ombra di Noriko che si vestiva piegata sul letto. La
osservò con la mente ancora intorpidita dal sogno. Si
passò una mano sul viso, si massaggiò le palpebre
e poi, in uno sprazzo di vitalità, si mise a sedere.
"Agni... come il mio elementale."
Non sapeva che pensare. Poteva essere una coincidenza che avessero lo
stesso nome. E Chandra? Chi era?
"L'ha menzionata anche l'Alta Sacerdotessa, prima di morire."
- Strano che non ti abbia dovuta svegliare io. - commentò
Noriko.
Nemeria si passò le dita tra i capelli. L'unica cosa buona
dell'averli ancora così corti consisteva nel fatto che non
doveva preoccuparsi di pettinarli.
"Non ci sto capendo più nulla."
Si impose di mantenere la calma. Spostò la matassa di
pensieri sconclusionati in un angolo della mente e focalizzò
la sua attenzione sull'intavolare un abbozzo di conversazione. Mai come
prima d'allora le sembrò difficile trovare le parole giuste
per le domande di circostanza mattutine.
- Hai dormito bene? -
- Sì. Stanotte non ti sei mossa molto. -
- Tu, invece? Come ti senti? -
- Ho fame. Quando ero in infermeria ho mangiato sempre la solita zuppa
d'avena. -
Noriko strinse la cintura poco sopra la vita, in modo da fermare il
chitone. Prese quello che aveva usato per dormire e lo piegò
sul letto, prima di infilarlo nell'armadio. Invece di chinarsi, si
inginocchiò all'altezza del cassetto.
- Non che la nostra dieta sia molto variegata. - puntualizzò
Nemeria con una smorfia.
- Vero, ma almeno cambia da giorno a giorno. -
Batuffolo si girò a pancia all'aria e si sgranchì
le zampe nel sonno, per poi rotolare di fianco. Nemeria si
apprestò vicino alla sua cuccia e lo grattò tra
le orecchie e sotto la mandibola, affondando appena le dita nel pelo.
- Noriko, ascolta... che tu sappia, a parte noi, chi altri ha accesso
alle nostre stanze? -
- A parte i servi e Koosha, nessuno può accedere alle
camere. Nemmeno i lanisti. Perché ti interessa? -
- Curiosità. -
- Pensi che sia uno di loro a occuparsi di Batuffolo? -
Nemeria si dedicò a fargli i grattini sulla pancia. Il
caracal si dimenò nel sonno e poi le afferrò la
mano con entrambe le zampe, mentre faceva le fusa contento. Il
biglietto era ancora lì, nascosto sotto il materasso,
poiché si era completamente dimenticata di buttarlo. Non che
la preoccupasse molto: se era sempre la stessa persona a occuparsi
della sua stanza, e anche se lo avesse trovato non ci sarebbero state
ripercussioni.
"Potrei provare a scrivergli anch'io un biglietto, magari per sapere il
suo nome..."
- Nemeria? -
- Ah? -
Noriko sospirò e ripeté: - Volevo solo sapere se
pensi che sia uno dei servi a occuparsene. -
- Se mi dici che solo loro possono, non può essere
altrimenti. Anzi, considerando che ancora non è successo
nulla, credo che potrebbe essere la stessa persona. Tyrron non ha avuto
il tempo materiale di parlare con Koosha, mi ha detto Morad. -
- Non sarebbe strano: ogni servo si occupa di un'ala della scuola.
Comunque, anche si venisse a sapere, dubito che verresti punita. Il
massimo che può accadere è che Tyrron debba
sborsare dei soldi per aver infranto le regole. -
- E Batuffolo? -
- Non so, dipende da come Koosha decide di gestire il tutto. -
Quello non fece sentire meglio Nemeria. Indugiò in una
carezza sotto il mento e poi seguì Noriko fuori fino al
refettorio. Al solito tavolo le attendevano sia Durga che Ahhotep,
entrambe già intente a consumare la colazione a base di
fichi secchi, pane, miele e la sagina, una zuppa d'orzo con lenticchie
bagnata con vino acetato. A Nemeria non piaceva granché, ma
sapeva che se avesse deciso di non mangiare, non sarebbe arrivata
nemmeno a metà della mattinata.
- Tara mi ha detto che stamattina tornerò ad allenarmi con
Roshanai. - Durga sorrise, per poi imbronciarsi subito, - Sono
contenta, ma vorrei tanto rimanere con voi. -
- Saranno semplicemente nell'altro campo. - le rispose annoiata
Ahhotep.
- Sì, lo so, ma non saremo tutte insieme. Mi mancherete
molto... -
Noriko non disse nulla e così toccò a Nemeria
rimediare.
- Ci vedremo tutte le mattine, a pranzo e a cena. Non ti devi
preoccupare di niente, davvero. -
- Se Roshanai è tornata in forze, anche tu dovrai andare. -
Ahhotep prese una lenticchia e, dopo averla ripulita da ogni residuo di
zuppa, la portò alla bocca, - Quindi io e Noriko ci
alleneremo con Sayuri, mentre tu e Durga starete assieme,
così come doveva essere fin dall'inizio. -
I pensieri di Nemeria subirono un forte contraccolpo. Non sapeva
perché, ma in fondo in fondo lo sguardo della Syad del fuoco
la sera precedente era stato molto esplicativo. Era stata lei a non
aver preso sul serio quel "domani".
- Oh... - sospirò Durga.
- Non è detto, Ahhotep. Ci sono stati casi in cui Sayuri ha
allenato anche Dominatori di altri elementi. - intervenne Noriko.
La ragazza fece spallucce e inzuppò la mollica di pane nel
latte. Nemeria notò lo sforzo che ci metteva a mangiare, era
palese quasi quanto il sussulto che le contrasse le dita e le braccia.
"Mi teme."
A quella considerazione si accompagnò una piacevole e
pungente soddisfazione.
- Non ho paura. - dichiarò, e mentre lo diceva si rese conto
che era davvero così.
- Così parla una Dominatrice del fuoco! - Durga
batté un pugno così forte sul tavolo da far
tremare tutto.
Nemeria le sorrise di rimando e poi cercò gli occhi di
Noriko, ma lei non sembrava essere molto interessata alla
conversazione. Rimase dritta sulla sedia, anche se era chiaro dalla
rigidezza della sua postura quanto le costasse comportarsi come al
solito.
- Vuoi che ti accompagni in infermeria? -
La ragazza scosse la testa e si pulì la bocca.
- Vado appena finiamo di fare colazione. -
- Sarebbe meglio andassi ora. Sai com'è Sayuri. -
azzardò Ahhotep.
- Lo so, ma... - trasse un profondo respiro e strinse forte il
cucchiaio, - Finisco di mangiare, prima. Farò un allenamento
diverso dal tuo, ma non per questo meno faticoso. Ho bisogno di energie
se non voglio crollare prima di pranzo. -
Nemeria strinse il pugno e represse l'impulso di prenderla di forza e
trascinarla da Nande. Io sono l'incendio che divampa e distrugge, Jatharagni.
Le parole dell'elementale le rimbombarono nelle orecchie, autoritarie e
potenti come la voce che le aveva pronunciate.
- Fiammella, eccoti qui. Ti stavamo cercando. -
Abayomi si avvicinò al loro tavolo, seguito da Zahra.
Nemeria rimase seduta finché non si ritrovò
faccia a faccia con lui e il suo ghigno da iena.
- Se hai finito di fare colazione, vorresti venire un attimo a parlare
con noi? -
- Puoi farlo qui. - intervenne brusca Noriko.
Stringeva il cucchiaio come un'arma, così forte da far
sbiancare le nocche.
Il sorrisetto di Abayomi si allargò.
- Devi sapere, cara Noriko, che io e Nemeria siamo diventati amici in
tua assenza. E da cari amici quali siamo avremmo delle cose di cui
parlare. -
- Non ha tempo da perdere. A differenza dei vostri allenatori, i nostri
Syad non sono così permissivi. -
- Cos'è, hai perso la lingua, marmocchia? Ti fai mettere le
parole in bocca da una sporca tian del cazzo? - ringhiò
Zahra.
- Questa sporca tian del cazzo... -
Nemeria le cinse il braccio con una mano per metterla a tacere.
- Ho finito di mangiare. Possiamo pure andare a parlare qui fuori. -
Zahra snudò un sorriso da predatrice che le fece accapponare
la pelle: si era fatta segare alcuni denti in modo da renderli affilati
come quelli di uno squalo. La rabbia però era lì,
a sostenerla, un fiume che premeva contro una diga crepata. Il collare
e la pietra di luna cominciarono a surriscaldarsi.
Prese il vassoio quasi stritolandolo e si alzò. Noriko
l'afferrò per un polso.
- Vengo con te. -
- No, tu devi andare in infermeria. -
- Allora ti accompagniamo io e Ahhotep. - si propose subito Durga.
- No, non mi serve aiuto, posso farcela da sola. -
- Non devi dimostrare niente a nessuno. - insistette Noriko.
Nemeria la fissò e capì: per Noriko, era una
bambina debole e incapace di difendersi. E lei, fino a quel momento,
non aveva fatto altro che rafforzare quella sua convinzione.
Strattonò il braccio finché non la
liberò dalla sua presa, furiosa e amareggiata al tempo
stesso.
- Tu ora finisci di fare colazione e poi vai da Nande a farti medicare.
Non serve che ti preoccupi per me: se provano a farmi del male, non
esiterò a riferirlo a Tyrron. -
Non seppe nemmeno lei come fece a mantenere la calma. Si sentiva in
fiamme, come se fosse preda della febbre, eppure il riflesso nel
bicchiere d'acqua non mostrava alcun segno di rossore sulle sue guance.
- Durga, tu vai. Io ti raggiungerò quando ho finito. -
- È questione di un paio di minuti. Poi potrai correre
libera e felice dalla tua amata Syad che, sono certo, non vede l'ora di
rivederti. -
Nemeria ignorò la frecciatina di Abayomi. Senza aggiungere
altro, posò il vassoio e uscì con loro.
Si fermarono al limitare del campo centrale, dove già due
coppie di gladiatori si stavano allenando a colpi di spade e scudo.
Zahra si posizionò alle spalle dell'ex capo dei Cani, mentre
questi si appoggiò alla colonna.
- Dunque, in questi giorni ho riflettuto a lungo sulla nostra
conversazione avuta nei bagni e credo di aver deciso cosa voglio in
cambio delle informazioni che desideri. - fece una pausa a effetto e si
mordicchiò l'interno della guancia come se stesse ancora
riflettendo sul da farsi, - Quel ciondolo che hai al collo mi piace
molto. Dammelo e prometto di dirti tutto quello che vuoi sui tuoi cari
amichetti. -
La mano di Nemeria cercò il calore rassicurante della pietra
di luna. Il suo regalo più caro, l'ultimo ricordo della sua
tribù.
- E chi mi assicura che quello che mi dirai sarà la
verità? -
- Nessuno. Però pensaci: se rifiuti a priori, rimarrai
sempre col dubbio di aver perso la tua occasione. -
- Se è tutta una presa in giro, io... -
- Tu cosa? - ringhiò Zahra e le mise le mani ai lati della
testa, in modo da tagliarle ogni possibile via di fuga, - Vai da Tyrron
e gli racconti tutto? Non ti aiuterà perché sei
solo una schiava. Finché non ti rompi del tutto, sarai
sempre una pedina rara e speciale da buttare in arena. E noi non siamo
così stupidi da picchiarti al di fuori di un combattimento
ufficiale, anche se mi manca lo schiocco delle tue ossa sotto le
nocche. -
Nemeria si morse la lingua a sangue, decisa a trattenersi, ma le parole
le scivolarono dalle labbra senza che il suo cervello registrasse il
movimento della bocca.
- A me pare che quella che è finita al tappeto fossi tu. -
sibilò e inarcò entrambe le sopracciglia,
inclinando la testa di lato, - E nell'aria c'era un gran puzzo di carne
bruciata. -
Il passaggio d'espressione da balda tracotanza a rabbia incontrollata
di Zahra le strapparono un sorriso.
- Calmiamo gli animi, signore. Non è il luogo né
il momento adatto per scaldarsi così tanto, soprattutto con
così tanti occhi indiscreti puntati addosso. -
Abayomi mise una mano sulla spalla della sua compagna. Zahra mantenne
gli occhi puntati su Nemeria ancora un momento, prima di staccare
entrambe le braccia dal muro e compiere qualche passo indietro. Le
guardie che sorvegliavano il refettorio e il porticato li stavano
fissando.
- Facciamo così: hai tempo tre giorni per pensarci. Tanto ci
vedremo tutte le mattine, quindi quando hai preso la tua decisione
basta che giri la testolina e io sarò lì vicino a
te. - ghignò il ragazzo e aprì le braccia con
fare teatrale, - Sai qual è la parte divertente delle
scommesse, Fiammella? Sai quel che perdi, ma non sai quel che vinci. Ma
se non si rischia un po' nella vita, non si può ottenere
nulla, giusto? -
Si allontanò in una risata grassa e Zahra si
affrettò a seguirlo spedita, salvo poi girarsi per lanciarle
un'ultima occhiata truce. Nemeria ne sostenne il peso e rimase immobile
finché non girarono sull'altro lato del porticato.
Le fiamme nel suo cuore divennero braci ardenti sotto la polvere della
frustrazione.
"Il
gioco è una cosa seria. Anzi, tremendamente seria."
Jean
Paul
Prima che la frustrazione
prendesse il sopravvento, Nemeria marciò fino al campo del
fuoco. Durga era già lì che l'aspettava. Non
appena la vide, le corse incontro, ma si fermò poco prima di
investirla.
- Stai bene? Ti hanno fatto del male? -
- No, sto bene. - rispose, allungò le braccia in avanti e le
girò per confermare la sua affermazione, - Roshanai
dov'è? -
- Non lo so, non è ancora arrivata. -
- Non è puntuale come Sayuri. -
Durga scosse la testa. Si era legata i capelli in una coda laterale,
che però non riusciva a contenere tutta quella matassa
selvaggia, simile a una criniera.
- Non mi piacciono quei due, soprattutto Zahra. Ha una faccia cattiva. -
"Se potessi, gliel'avrei già bruciata."
Nemeria incrociò le braccia sul petto e conficcò
le unghie nella pelle. Si sentiva tremare per la rabbia e la pietra di
luna, così come le placche del collare, era un cuore di lava
che pulsava al ritmo del suo cuore di carne. Tutto l'oricalco
dell'Impero non sarebbe bastato ad arginare quella brama di distruzione
che raschiava le ossa della cassa toracica. Era meglio quello dell'ago
di ghiaccio che le premeva dalla nuca, doloroso come le conseguenze che
avrebbe dovuto fronteggiare, qualsiasi decisione avesse preso.
Si girò verso Durga. La sua vita valeva meno di un granello
di sabbia e le sue fiamme non potevano ferirla. L'avrebbe ridotta a un
niente ancor prima che se ne rendesse conto: niente lacrime, niente
urla, niente sofferenza, non sarebbe rimasto altro che un labile
ricordo che il tempo avrebbe smorzato e corroso.
Lasciò andare le braccia lungo i fianchi, si
fissò le mani e chiuse appena le dita della destra. La
cicatrice che le solcava il palmo era un imperfetto e frastagliato
solco bianco. Era solo il segno più visibile che
quell'esistenza al di fuori della tribù le aveva marchiato
addosso.
- Nemeria? Nemeria, devi stare calma. - Durga deglutì e
compì un passo indietro.
- Lo sono. -
Le fiamme asciugarono la paura e si espansero, avviluppando lo stomaco
e i polmoni. Tutti dovevano pagare, dal primo all'ultimo,
perché nessun mortale era innocente.
Artigliò la spalla dell'amica prima che potesse allontanarsi
e la trasse a sé. Durga cacciò un urlo e le
graffiò la mano in preda al panico, gli occhi spalancati
colmi di terrore.
- Nemeria, lasciami! Mi fai male! -
Le sue parole agonizzarono in muro di fuoco. Nemeria
l'afferrò anche per l'altra spalla. Le pelle sotto i suoi
palmi si era arrossata e si stava sollevando in bolle contro le dita.
Il sangue, caldo come olio di cottura, sgocciolava dai tagli sulle mani
e, all'impatto col suolo o della carne viva, sfrigolava disperdendosi
in una sottile lingua di fumo. Durga si morse le labbra e
l'agguantò a sua volta. I suoi occhi giallo citrino
brillarono e divennero due monete d'oro liquido.
- Lasciami. Te lo dico per l'ultima volta. - l'ammonì Durga.
Nemeria non la sentiva, non davvero. Il bruciore all'altezza del petto
e del collo era reale, e l'odore della propria carne bruciata era
disgustoso, ma non era abbastanza per fermarla.
- Un fiammifero non può bruciare più d'un
incendio. - proferì in tono neutro.
Era la sua voce e allo stesso tempo era estranea. Troppo calma, troppo
ferma perché potesse appartenere davvero a lei. Tuttavia,
quella verità era assoluta e incontrovertibile: nessun
elementale era più potente di Agni.
Durga le artigliò le braccia e fece forza per levarsele di
dosso, ma Nemeria resistette e mantenne la presa. I suoi gemiti
doloranti le si infilavano nelle orecchie, senza però
scalfire le sue intenzioni. Lo doveva a se stessa, alla sofferenza che
i mortali le avevano inflitto: avrebbe distrutto quell'esistenza di
dolore prima che le facesse altro male.
"È davvero questo ciò che voglio?"
Quel pensiero arse in fretta, ma una parte di lei riuscì ad
afferrarne i petali di cenere. Tolse la mano dalla spalla di Durga, in
uno spasmo strinse la pietra di luna e tirò, non sapeva
nemmeno lei se per calmarsi o per toglierselo.
Il dolore l'accecò. Nemeria perse la presa e
indietreggiò tenendosi la mano libera sul naso, mentre il
sangue che le colava tra le dita. Il suo ansimare si sovrapponeva a
quello di Durga, che la osservava impaurita con gli occhi gialli velati
di lacrime.
"Cos'ho fatto?"
La realtà la colpì come uno schiaffo. Le spalle
di Durga erano piene di bolle, alcune così piene da dar
l'impressione di essere lì lì per scoppiare.
Altre si erano lacerate e un rigolo di liquido trasparente scorreva
lungo le braccia.
- Sei... sei di nuovo tu? - domandò cautamente la bambina.
Nemeria annuì. Sputò a terra e si
passò il dorso della mano sotto il naso per pulirsi dal
sangue che le aveva sporcato il mento e la bocca.
- Mi dispiace, io... io non so cosa mi sia preso. -
Si accucciò e appoggiò la testa sulle ginocchia.
Era troppo: troppa rabbia, troppa delusione, troppa amarezza, troppo
dolore. Le emozioni di cui straripava la sua anima le causavano una
vertigine così forte da farle mancare la terra sotto i piedi.
- Stavi per perdere il controllo. Ora però devi rialzarti.
Se Roshanai ti vede così, si insospettirà e... -
Durga deglutì e la sua risolutezza vacillò, - Ti
aiuto. -
Nemeria avrebbe voluto fare qualcosa, ma aveva la testa troppo pesante,
oltre a un nodo doloroso alla bocca dello stomaco.
- Dammi la mano. - la esortò l'amica.
Protese la mano alla cieca e la mosse nel buio finché non
trovò quella di Durga. Il tremore che percorreva il suo
braccio disteso era come la corsa di una mandria di cavalli che si
ripercuoteva anche a miglia di distanza nel terreno. Nemeria la strinse
quel che le serviva perché fosse un appiglio sicuro. Anche
così, quando fu in piedi non le parve vero che le sue gambe
intorpidite riuscissero a sorreggere un corpo così pesante.
- È la prima volta che ti accade di arrivare al limite? -
Nemeria annuì. Non sapeva nemmeno di che limite stesse
parlando, ma era evidente che c'era un punto di rottura dentro di
sé che non conosceva.
- Capita a tutti prima o poi, me lo ha detto 'Tep. Prendi un bel
respiro, chiudi gli occhi e pensa ad altro. È come quando
Sayuri ci ha fatte meditare. Ecco, ripeti il mantra con me: "Sat, Chit,
Ananda." -
- Sat, Chit, Ananda. -
- Così, continua. Sat, Chit, Ananda. -
- Sat, Chit, Ananda. Sat, Chit, Ananda. -
Nemeria tenne gli occhi ben chiusi e ripeté il mantra.
Avrebbe voluto che il sole si oscurasse, che facesse meno caldo.
Persino con le palpebre chiuse poteva sentire lo scoppiettare di un
fuoco. Era lontano, incuneato nelle profondità della sua
mente, un suono fievole che rimbalzava su un muro di granito, eppure
era reale come la mano di Durga e il prurito fastidioso dei tagli sulle
mani.
- Non è cosa buona che i cani di diversi padroni
socializzino. -
Quando Nemeria aprì gli occhi, Durga era balzata lontano e
Roshanai aveva già attraversato metà del campo.
Una lunga spada ricurva le pendeva dal fianco fino quasi a toccarle il
polpaccio. La kandys che indossava lasciava scoperte le macchie rosee
che le punteggiavano le gambe e le dita dei piedi. Se non avesse avuto
quel cipiglio aggressivo e quell'andatura da soldato, Nemeria l'avrebbe
definita bella, a suo modo.
- Salterò le presentazioni, sapete già chi sono
io e io so chi siete voi. - enunciò decisa, - Non ci
sarà addestramento spirituale, con me. Alla vostra
età dovreste già aver capito qual è il
vostro limite, anche perché sono certa che lo avete sfiorato
più volte. Mi aspetto che vi sappiate controllare. Se
così non sarà, non mi farò scrupoli a
fare rapporto ad aghà Koosha. Non
pensate di essere speciali o insostituibili: per quanto raro sia il
nostro elemento, per una buona somma un mercante di schiavi potrebbe
trovare un altro Dominatore anche migliore di voi. -
Nemeria annuì, anche se quel discorso le raggelò
il sangue. Sapere di essere arrivata a tanto così dal
perdere il controllo... per la Madre, quanto aveva rischiato.
- Seguitemi. -
Tornarono al campo circondato dal quadriportico. La colonna dove
Nemeria aveva scaraventato Roshanai era stata ridipinta e la scia di
sangue era svanita nel giallo uniforme. Reza li attendeva al centro del
campo. Stavolta, oltre ai calzoni e alle calighe, indossava una tunica
sbracciata, leggermente aperta sul petto. Scoccò un'occhiata
intensa alla Ver'ilef e poi si mise di schiena alla colonna rossa, alle
loro spalle. Sentire il peso del suo sguardo sulla nuca
procurò a Nemeria un disagio tale da farle venire la nausea.
- Reza e io vi insegneremo a combattere con un'arma. Durga, tu sai
già qual è la tua... - disse Roshanai, mentre
squadrava la bambina con una smorfia scontenta, - Hai dieci minuti per
andare in infermeria e tornare qui. Bada di non perdere tempo o ti
verrò a cercare. -
Durga scattò subito. Bruciò la distanza tra il
centro del campo e il colonnato in qualche secondo, prima di imboccare
le scale. Nemeria la seguì con gli occhi finché
non scomparve dietro l'angolo e il senso di colpa le trafisse il petto.
Erano delle bruciature superficiali che non avrebbero lasciato alcun
segno, ma era stata lei a procurargliele.
"Anch'io avrei bisogno di andare in infermeria."
Quel pensiero estemporaneo deviò la sua attenzione sul
sangue che le sporcava la bocca e il mento. Anche il dolore alle
spalle, rimasto in sordina fino a quel momento, divenne pungente. La
constatazione seguente fu ancora più logica: Roshanai non le
avrebbe dato il permesso di andare da Nande. La minaccia della sera
prima e il ghigno crudele erano stati chiari indizi.
- Muoviti, mocciosa, non abbiamo tempo da perdere. -
- Roshanai, dovresti fare rapporto a Tara: è proibito
danneggiare un gladiatore al di fuori dell'arena. -
Reza passò accanto a Nemeria e la studiò
dall'alto dei suoi sei piedi d'altezza. Lei legò le dita
dietro la schiena, raddrizzò quanto poté le
spalle e tirò indietro quel poco di pancia che aveva. Voleva
mostrarsi coraggiosa, ma il solo ricordo della frusta le fece mancare
l'aria.
- Lascia stare. Anche se sarebbe la cosa giusta da fare. - Roshanai si
gustò la finta espressione granitica di Nemeria, - Che serva
da monito ad entrambe: potete giocare a fare le amiche quanto vi pare,
ma nell'arena sarete avversarie. Un'esitazione può mandarti
al tappeto e, te lo assicuro, la sconfitta è un marchio
difficile da rimuovere. -
Nemeria deglutì e fece segno di aver capito. L'aria le si
riversò nei polmoni quando Roshanai le ordinò di
seguirla con un cenno del capo. Benché le fosse grata per
quella decisione, il sapore amaro della vergogna le aveva rattrappito
la lingua e asciugato la bocca.
L'armeria si trovava tra il campo d'allenamento del fuoco e della
terra. Era una stanza più profonda che larga, con il
soffitto a capriate di legno lucido e nessuna finestra. La luce che
entrava dalla porta non arrivava nemmeno a illuminarne il fondo. Le
rastrelliere erano state disposte lungo le pareti e ospitavano diverse
armi, tutte ordinatamente disposte per tipo e materiale. Nemeria ne
riconobbe alcune, ma si rese ben presto conto che la maggior parte le
risultavano estranee.
Reza marciò fino a una rastrelliera e Roshanai lo raggiunse
a rapidi passi, insieme a Nemeria.
- Questa è una qama. - le
illustrò, indicando una daga dalla lama lunga e dritta, -
Forse la conosci col nome di ghameh.
Può essere lunga come questa o corta, simile a un pugnale.
Per i combattimenti in arena si usa questa. Dubito però tu
abbia la forza e la coordinazione per usare anche uno scudo. -
- Guardala, Reza: si allena tutti i giorni ed è ancora un
insetto stecco. - rispose Roshanai al suo posto, - Trovale qualcosa di
meno impegnativo. -
L'uomo annuì e tornò a studiare le diverse armi.
Erano tutte di metallo, almeno da quello che Nemeria poteva vedere, ma
non le parve che nessuna fosse affilata. Probabilmente,
rifletté, era una misura precauzionale perché
nessuno morisse durante gli allenamenti. Dal canto suo, aveva troppi
pensieri per la testa per curarsi davvero di quale sarebbe stata la
scelta di Reza.
"In qualsiasi caso, si andrà a sommare alle cose che
dovrò imparare a fare, volente o nolente."
- Questa potrebbe andare bene. - Reza sfilò una shamshir
senza decorazione e la mise sotto gli occhi di Roshanai, - Niente
controtaglio, molto ricurva, guardia a crociera scudata, né
troppo pesante, né troppo leggera. Rispetto a una spada
normale è meno versatile, ma è ottima per colpire
rapidamente senza rischiare di impigliare la lama. -
Roshanai la prese in mano e la soppesò, prima di porgerla a
Nemeria. Lei la impugnò e rimase sbalordita nel constatare
che riusciva a tenerla senza doversi sforzare troppo.
- Trenta pollici non sono nemmeno tanti. Dovrebbe riuscire a
maneggiarla in breve. -
Un ansimare alle loro spalle li avvertì che Durga era
tornata. Aveva le spalle e la parte alta delle braccia fasciate
già lucide di sudore.
- Quasi puntuale, complimenti. - sogghignò la Syad.
Durga rimase piegata sulle ginocchia giusto il tempo di riprendere
fiato. Poi, con quanta più dignità
poté, si trascinò fino a pochi passi dalla
rastrelliera.
A vederla sorridere come se nulla fosse successo Nemeria
provò un misto tra sollievo e rabbia.
- Dalle il kilij. - ordinò Roshanai.
L'arma di Durga somigliava alla sua shamshir, ma era meno curva, priva
di pomolo e, cosa che sorprese molto Nemeria, più lunga,
nonostante lei e la sua compagna fossero alte uguali.
- Andiamo, abbiamo già perso abbastanza tempo. -
Tornarono al campo al centro, circondato dal quadriportico.
- Durga, tu ti allenerai con Reza. - comandò, poi si rivolse
a Nemeria, - Tu, invece, sei mia. -
Roshanai le intimò con un ampio gesto del braccio di
mettersi di fronte a lei e Nemeria obbedì. Fece appena in
tempo ad agganciare gli anelli del fodero alla cintura che la Syad era
già in posizione. Non era molto più alta di
Sayuri, forse qualche spanna di più, ma metteva meno
soggezione. La Ver'ilef era la personificazione del fuoco: aggressiva,
istintiva e i suoi occhi la mangiavano allo stesso modo con cui
l'avrebbero bruciata le sue fiamme. Era proprio perché era
palesemente pericolosa che, agli occhi di Nemeria, incuteva meno paura
di Sayuri.
- Evita la presa a due mani con la shamshir. Non stai impugnando una
spada con la lama dritta. -
Compì un paio di mezzi giri attorno a lei, prima di
sguainare la spada. La lama era massiccia e incurvata in modo uniforme.
L'impugnatura sembrava troppo piccola rispetto alla mano della sua
proprietaria, eppure Roshanai non sembrava avere alcun problema a
impugnarla.
- Talwar. Somiglia molto alla tua shamshir, come puoi notare. Alcuni
pensano che siamo stati proprio noi a introdurla nell'impero
Skandaaleshan quando li abbiamo invasi. -
Un raggio di luce rimbalzò sul lato convesso della lama e si
assottigliò in una linea brillante sul filo tagliente.
Nemeria guardò la punta smussata della propria arma con ben
più di un briciolo di apprensione. Lasciò la
presa con la mano sinistra e la abbandonò lungo il fianco,
prima che Roshanai riprendesse a parlare.
- Ottimo. Adesso rinfoderala e sfoderala il più in fretta
possibile. -
Nemeria obbedì. Agganciò la lama parallela alla
gamba, così come immaginava avrebbe fatto un soldato, e poi
tentò di sguainarla di nuovo. Tirò una, due, tre
volte prima di riuscire nel tentativo, e quando riportò lo
sguardo su Roshanai il suo naso si trovò a mezzo pollice
dalla talwar.
- Prima regola, bambina: nell'arena, il tempo conta. - la
colpì col piatto della lama sulla bruciatura sulla spalla, -
Mentre tu lottavi contro la tua stessa spada, io ho avuto il tempo di
avvicinarmi e di colpirti senza che tu te ne accorgessi. E questo
perché hai agganciato il fodero alla gamba del lato forte.
Questo significa estrarre l'arma con la mano debole. -
La talwar si abbatté con forza sulla spalla sinistra e
Nemeria a malapena riuscì a trattenere un urlo.
-Per trovare presa e angolo sei stata costretta a piegarti in avanti
come una pescatrice e questo ti ha lasciato scoperto. Almeno le reti le
hai riportate piene? No. - si umettò le labbra screpolate e
smorzò una risata in un sibilo, - Anche un idiota alle prime
armi sarebbe stato in grado di colpirti. Tieni a mente che i
combattimenti all'ultimo sangue sono rari, ma ci sarà sempre
un committente abbastanza facoltoso da organizzarli. -
Poggiò la lama contro la sua guancia e spinse
finché Nemeria non percepì il dolore dell'acciaio
che le bucava la pelle. Non si mosse, mantenne lo sguardo fisso in
quello di Roshanai, mentre il sangue scorreva in una lacrima rossa
lungo il collo.
- Ma facciamo finta che tu sia sempre molto fortunata e che non ti
ritroverai mai a dover lottare per la tua vita. In quei pochi secondi,
il pubblico ti ha già marchiato come un'inetta e cominciato
a tifare per il tuo avversario. E questo è anche peggio
della morte. -
Schioccò la lingua e ripristinò la distanza.
Reza e Durga duellavano vicino a loro, le spade che baluginavano
intercettando la luce del sole e diffrangendola in abbaglianti lame
sottili. I movimenti lenti e macchinosi della bambina si interrompevano
contro quelli fluidi e naturali del suo maestro. Si scambiarono qualche
parola senza fermarsi, in quella che sembrava una danza di
accoppiamento tra uno scorpione e un serpente.
Una palla di fuoco della grandezza di un pugno le passò
accanto al viso ed esplose in un getto di sabbia al limitare del campo
d'allenamento. Nemeria tornò a fronteggiare la Syad.
- Regola numero due: non ti distrarre mai. O la prossima volta
vedrò di mirare un po' meglio. - ringhiò Roshanai
e caricò di nuovo.
Nemeria alzò la shamshir subito, in un riflesso
incondizionato che la spinse anche a indietreggiare.
- Ricordati la prima regola. -
La Syad fermò il movimento a metà, con un gioco
di polso ruotò la talwar e il colpo calò dal
lato, veloce, troppo perché Nemeria potesse fare qualcosa.
La punta le morse il collo e le aprì un taglio vicino alla
giugulare.
- Togli quella mano dall'impugnatura. -
Non se n'era nemmeno resa conto, così come non si era
accorta del cambio di traiettoria, e ancor prima della sua vicinanza.
Si asciugò il sangue che colava lungo la guancia. Il suo
sguardo si spostò sulla lingua di fumo che serpeggiava dal
punto d'impatto della palla di fuoco.
- Come hai fatto? -
- Ah, allora sai parlare. - la sbeffeggiò Roshanai e riprese
a girarle attorno, avanti e indietro, avanti e indietro, - Il collare
limita il tuo potere, non lo blocca del tutto. Il nostro elemento
è il più spettacolare: tutti lo temono e ne sono
affascinati. Persino quando ne conosciamo la pericolosità,
è difficile resistere alla tentazione. -
Un suo dito scorse sulla lama e si lasciò dietro una scia di
fiamme che la avvilupparono. L'acciaio divenne di un rosso
incandescente, come se il calore ne avesse risvegliato il cuore e
ridato forza all'anima. Nemeria ammirò l'altalenante
sfrigolare delle scintille, incantata dal loro avvolgersi sinuoso,
così perfetto da far sbiadire tutto il resto.
- Tu... tu non hai alcun collare. - farfugliò.
Il sorriso sul volto di Roshanai divenne una linea infossata nel volto,
una falce di luna appena scoperta sui denti ingialliti.
- Solo perché tu non riesci a vederlo. -
Spostò la talwar nell'altra mano e tornò
all'attacco. Nemeria lo parò come poté, si
spostò di lato e tentò un tondo. La lama
tagliò il vuoto. A Roshanai bastarono tre passi per
togliersi dalla sua portata e attaccare il fianco scoperto. La punta
squarciò la stoffa, abbatté la resistenza della
pelle e penetrò nella carne. Nemeria si morse le labbra,
incespicò e quasi perse l'equilibrio quando si
pestò un piede. Il sangue scorreva attraverso la tunica
lacerata in un rigolo vischioso che si infiltrava nella stoffa e
l'appesantiva.
- Terza e ultima regola: il tuo avversario non può
ucciderti, ma non esiterà a umiliarti davanti al pubblico
per farlo divertire. -
La donna macinò la distanza con uno scatto, le
afferrò il polso, la costrinse ad abbassare la shamshir e le
diede una testata sul naso. Un velo rosso le coprì la vista
e Nemeria crollò a terra, lottando per respirare, mentre il
sapore del sangue, del suo sangue, le appestava la bocca. Le lacrime,
rimaste cristallizzate dietro le ciglia, le bagnarono la ferita sulla
guancia e scorsero lungo il collo, mescolandosi alla saliva, alla
polvere e alla sabbia che, come sale, bruciava sulle bruciature aperte.
Roshanai la sovrastava ghignando, pareva godere nel vederla a terra,
sconfitta, umiliata: era quello il suo modo di vendicarsi.
"Stronza."
Nemeria strinse la shamshir e colpì alla cieca, con tutta la
forza e la rabbia che aveva in corpo. Rotolò di lato e fece
perno sull'arma per rimettersi in piedi. Il dolore la intrappolava in
una rete di fil di ferro, così stretta da far tremolare i
contorni all'angolo della sua visuale. Sputò un grumo di
sangue e saliva e inspirò dalla bocca per snebbiare la
mente. Si rese conto di star digrignando i denti solo quando
iniziò a dolerle la mandibola.
- Se la rabbia è l'unica cosa che ti rende combattiva,
usala. Attaccami come se dovessi uccidermi e continua finché
non mi manderai al tappeto. -
Appoggiò la lama di piatto sul braccio sinistro e
l'attaccò di nuovo. Le fiamme seguirono il fendente e si
piegarono come steli d'erba sotto un forte vento. Nemeria
parò e menò un colpo diagonale, dal viso al
fianco. L'acciaio della sua shamshir si scontrò con quello
della talwar, scivolò su di esso sulla linea di fuoco in una
fontana di scintille.
- Mantieni il controllo. -
Roshanai si disingaggiò, le passò di lato e le
sferrò un calcio dietro il ginocchio. La gamba cedette e
Nemeria si ritrovò a terra, con le mani aperte sulla sabbia
e la testa bassa, il sangue che sgocciolava tra le braccia. Si rese
conto di essere distesa solo quando si ritrovò con la faccia
schiacciata e la mano di Roshanai che le premeva sul collo. La Syad non
aveva nemmeno il fiato corto.
- Queste sono le semplici regole che devi rispettare per vincere uno
scontro. Tienile sempre a mente, perché saranno le uniche
che conosceranno anche i tuoi avversari. - strinse la presa e
sibilò, - Mi hai capita, mocciosa? -
Nemeria sentiva le mani bruciare. Il fuoco di Agni era lì e
premeva attraverso i palmi in cerca di una via d'uscita. Solo la pietra
di luna sembrava più calda dell'eruzione di potenza che
aveva trasformato il suo sangue in magma.
"No..."
Chiuse gli occhi e strinse i pugni in un rantolo gracchiante.
- Rispondi! -
Il peso sul collo aumentò fino a mozzarle il respiro.
Nemeria scalciò in agonia, stringendo l'impugnatura della
shamshir come se fosse il suo unico appiglio alla realtà.
- Sì! -
- Bene. - la Syad si alzò in piedi e si allontanò
di una decina di passi, - Ora alzati. Abbiamo appena cominciato. -
Nemeria si mise a carponi e soltanto dopo che il respiro si fu
regolarizzato riuscì a raddrizzarsi. Intorno a loro la vita
della scuola continuava come se nulla fosse. Alcuni ragazzi entravano e
uscivano correndo dai campi. Nessuno era interessato a quello che stava
accadendo. Passavano oltre, come se né lei né
Durga esistessero. Nell'indifferenza più totale, Nemeria
appuntò lo sguardo su Roshanai e sputò un altro
grumo di sangue. Il naso pulsava e la sabbia sulle ferite bruciava
più del sale.
- Hai intenzione di fare sul serio oppure hai bisogno di una
spintarella? - la provocò la Syad.
La tentazione di colpirla con una fiammata era così suadente
da contrastare il calore della pietra di luna e delle placche di
oricalco. Nemeria strinse forte il ciondolo, se ne impresse la forma
nel palmo finché non le sembrò di non star
più andando a fuoco.
"Trattieniti, trattieniti, trattieniti."
Divenne il suo mantra. Se lo ripeté per tutta la mattina e
per tutto il pomeriggio, fino a sera. Piuttosto incassava un colpo in
più, ma si obbligò a mantenere il controllo. Per
ogni volta che finiva a terra, per ogni ferita, riprendeva tra le mani
la pietra di luna e pronunciava nella mente quella parola. Avrebbe
desiderato scagliarsi su Roshanai e scatenarle addosso tutta la sua
rabbia, ma quel gesto l'avrebbe lasciata in balia della fame
distruttiva di Agni.
"Devo sopportare. Devo mantenere il controllo."
Roshanai se la prese comoda. Le impedì di mangiare e le
concesse solo qualche pausa per andare al refettorio a prendere una
brocca di quell'acqua sporca che Nemeria tanto odiava. Ben presto
divenne calda e imbevibile. Sia lei che Durga avevano solo quella e se
la dovevano far bastare.
Reza provò a buttar lì la proposta di una pausa
più lunga, ma la Syad la declinò sempre. La terza
volta, l'uomo smise di chiedere.
Ben presto anche la rabbia divenne pasto della fatica. Nemeria
ascoltava i consigli di Roshanai, ma non aveva il tempo di elaborarli
che la sua attenzione deviava sul corpo e sull'urgenza di parare quei
colpi troppo veloci perché potesse davvero sperare di
farcela. Le poche volte che riuscì a respingere i suoi
assalti non ebbe nemmeno la soddisfazione di vedere il sudore o una
smorfia di stanchezza sul suo viso.
Alla fine della giornata, quando terminarono l'allenamento, Nemeria non
riusciva a reggersi in piedi. La tunica le si era appiccicata al corpo
e sembrava essersi fusa in prossimità delle ferite,
diventando quasi un'estensione slabbrata della sua pelle.
Roshanai la fissava con un sorriso soddisfatto, da gatta che ha appena
finito divorare la cena. Reza attendeva con le mani intrecciate dietro
la nuca, appoggiato alla colonna bianca sul lato sinistro del
quadriportico.
- Domani, puntuale al campo del fuoco. - ordinò.
- Sì. - sibilò Nemeria.
- Io ora vado a cena. Tu occupati di pulire l'arma e di rimetterla a
posto. - rinfoderò la talwar con un gesto fluido del
braccio, - E prima di andare in camera, passa da Nande a farti
medicare. -
Non appena Roshanai e Reza se ne furono andati, Durga le fu subito
accanto. Profumava di menta, caldo e zuppa d'orzo.
- Ti ha davvero conciata male. -
- Poteva... - Nemeria si interruppe per riprendere fiato, - Poteva
andare peggio. -
- Mh, credo che questo sia il peggio del peggio del peggiorissimo. -
commentò e le tese la mano per aiutarla ad alzarsi, - Ce la
fai ad andare a lavarti? Io vado ad avvisare Noriko di prendere un
vassoio anche per te. -
Nemeria annuì, avvertendo i crampi della fame.
Masticò i granelli di sabbia tra i denti e si
focalizzò sul loro scroccare. Si sentiva in bilico su una
corona di fiamme, sospesa in quella condizione pericolante, tra la
rabbia e la calma.
- Vuoi che ti accompagni? -
- No, ce la faccio. E, se ci tieni a saperlo, ho anche una gran fame. -
- Non vuoi nemmeno che ti accompagni fino alle scale? -
Nemeria scosse la testa e si avviò senza aggiungere altro.
Non aveva la forza né fisica né mentale per
sopportare la genuina preoccupazione di Durga. Sentiva di meritarsela
ancor meno dopo quello che aveva tentato di farle quella mattina.
Per sua fortuna i bagni erano deserti. Non che ne fosse realmente
sorpresa, visto che l'ora di cena era passata da un pezzo. Si
lavò in fretta nella vasca fredda, senza curarsi di coprire
il seno e la sua intimità.
"Non c'è niente da vedere."
Quando fu pulita, si diresse verso l'harara. Dalla prima volta che
gliene aveva parlato, Durga non aveva fatto altro che dirle quanto le
avrebbe fatto bene. Dopo la giornata che aveva avuto, Nemeria avrebbe
fatto di tutto pur di sentirsi un po' meglio.
Non appena aprì la porta, la nube di vapore che la
investì le tolse il fiato per quanto era umida.
Inspirò la poca aria fresca che l'attorniava ed
entrò. Cominciò a sudare subito, ancor prima di
stendersi sulla panca che protrudeva dal muro. Era una strana
sensazione, fastidiosa e piacevole allo stesso tempo: il calore
scioglieva i nervi ed estrapolava dalla pelle il profumo di menta che
pareva innalzarsi assieme assieme al vapore fino al soffitto cesellato
in un mosaico di stelle e costellazioni.
"Devo chiedere a Noriko come fa... o parlarne con Sayuri."
Si portò la mano alla radice del naso, ma una pulsazione
dolorosa le ricordò che non era il caso. Lasciò
ricadere il braccio nella fontanella, immerse le dita nell'acqua fredda
e lo ripiegò sulla fronte. Le sarebbe piaciuto essere
così leggera come la fragranza degli incensi accesi, avere
un'anima volatile che potesse staccarsi dal corpo e fluttuare in alto,
lontano dalla scuola, dalla sete di distruzione, da Abayomi e Zahra, e
poi salire oltre le nuvole, nel cielo, dominio della Madre, tra le
costellazioni e i venti. Allora si sarebbe dispersa in polvere di
stelle e sarebbe ricaduta a terra come pioggia per tornare a far parte
del Tutto, un'anima tra le anime, respiro e linfa del mondo.
"Troppi pensieri profondi... sudare mi fa male."
Uscì dall'harara con un misto di dispiacere e sollievo,
tornò nell'altra piscina a sciacquarsi, asciugò
col pestemal e si avviò in infermeria.
Non appena la vide entrare, Nande la squadrò da capo a piedi
e sospirò.
- Siediti lì e non muoverti. -
Prese garze, stecche e disinfettante e si sistemò sullo
sgabello proprio davanti a lei. Nemeria notò che i letti
sotto la finestra erano vuoti.
"Chissà se alla fine sono guariti."
- Verrà il giorno in cui la smetterai di farti pestare. -
Nande esaminò il naso, tastando con cautela la zona gonfia,
e controllò le narici. Per quanto toccasse con delicatezza,
Nemeria dovette impegnarsi per non schiaffeggiarle via la mano.
- È una frattura lieve, non serve che te lo riallinei
manualmente. - aprì un vasetto e le spalmò una
crema al profumo di malva, - I primi giorni farà male. Cerca
di tenere la testa sollevata la notte quando dormi. Non te lo toccare,
se senti troppo dolore vieni qui. -
Quando le ebbe finito di medicare anche le altre ferite, prese un
sacchetto che Nemeria ricordava molto bene.
- Te ne do cinque. - le mise le bacche tanu in grembo, appuntando lo
sguardo su di lei, - Se fossi una ragazza normale, ti direi di evitare
gli allenamenti per le prossime due settimane. L'unica cosa che posso
fare è darti queste, con la raccomandazione di non abusarne.
Hai visto che effetto fanno. Fattele bastare per il tempo che ti
servirà per guarire, perché non ho intenzione di
dartene altre. -
Nemeria annuì. Si allungò e divise le bacche tra
la tasca sinistra e la destra.
- Noto con piacere che anche i segni delle frustate sono quasi
completamente guariti. - osservò Nande, - Le pelle su quelli
più profondi è ancora sottile. Direi che fra
altri cinque giorni dovrebbe andare tutto a posto. Non hai nemmeno
più bisogno delle bende. -
Nemeria scese dallo sgabello e si infilò la tunica, stando
bene attenta a non fare dei movimenti bruschi.
- Domani, se riesci, vieni per l'ora di pranzo. Se la tua Syad ti dice
che non puoi, presentati prima di cena. Devo prenderti le misure. -
- Misure per cosa? -
- Per vedere se hai messo su peso. Non puoi combattere se sei un
fuscellino, anche e sopratutto perché al pubblico non
piaceresti. Come in ogni spettacolo, anche l'aspetto degli attori
conta. -
- E come farai a sapere se sono migliorata? -
- Tyrron si è premurato di farmi avere le misure iniziali di
tutti i suoi gladiatori. È la prassi. -
Si alzò e rimise a posto garze e barattolini nei pensili
dietro il tavolo. Il libro di botanica che stava leggendo una delle
prime volte che l'aveva incontrata era ancora lì, aperto a
poco più della metà.
Mentre si rivestiva, Nemeria si rese conto di non ricordare di essere
mai stata misurata durante il periodo in cui era stata a casa di
Tyrron. Forse mentre curava le sue ferite, Kamyar si era occupato anche
di quello.
"Devo chiedere a Noriko se ne sa qualcosa."
- Ricordati di tenere la testa sollevata e di regolarti con le bacche.
- le rammentò Nande.
- Lo farò. -
Nemeria uscì dall'infermeria e si diresse al piano
inferiore. Forse sarebbe stato più intelligente tornare
prima in camera e cambiarsi la tunica macchiata di sangue e stracciata
in più punti, ma aveva troppa fame e si sentiva troppo
stanca per tornare indietro. Quando si presentò, nel
refettorio solo un altro paio di tavoli erano occupati, tra cui quello
a cui sedevano Durga e Noriko. Il posto di Ahhotep era vuoto.
- Ho fatto quello che potevo per tenere la zuppa calda. - disse Durga.
- Non ti preoccupare. Grazie. - le sorrise mesta Nemeria.
Dedicò tutte le sue attenzioni al pappone –
perché quello era – ormai freddo. Non aveva voglia
di parlare con nessuno o di stare in compagnia, ma non poteva nemmeno
prendere tutto e andarsene in camera. Forse avrebbe potuto evitare
Durga, ma Noriko dormiva nella sua stessa stanza.
Come se avessero intuito il suo stato d'animo, le due ragazze non
tentarono alcun approccio. Nemeria gliene fu grata, perché,
anche volendo, con quel costante dolore al naso non avrebbe messo
insieme più di tre o quattro parole.
Alla fine della cena, Durga mise a posto il vassoio per lei e Noriko
l'affiancò mentre si avviavano fuori. In un certo qual modo,
sembrava quasi la stesse scortando fuori: con le spalle dritte e il
portamento marziale, agli occhi di Nemeria appariva come un soldato
così dedito alla sua missione da ignorare tutto il resto.
Persino i segni della stanchezza erano contenuti sul suo viso, ma
delinearono le pieghe agli angoli della bocca quando Noriko la storse
in una smorfia sofferente.
- Ci vediamo domani, allora. - la salutò Durga.
- Sì, puntuale. -
La bambina scoccò un rapido sorriso anche a Noriko, prima di
precipitarsi su per le scale.
- Hai voglia di fare una passeggiata? -
La proposta colse Nemeria impreparata: - Non c'è un
coprifuoco? -
- La sola raccomandazione è quella di andare a dormire
presto, altrimenti si rischia di perdere gli allenamenti o fare schifo.
-
Nell'aria fresca della sera, gli ansiti degli studenti che ancora si
allenavano parevano più uno scherzo della stanchezza che un
dato reale. Eppure, se Nemeria prestava orecchio, poteva udirli: il
sibilare di una lama, lo spostamento d'aria di un pugno, il battito
ritmico dei piedi intervallato da quello della corda. Vieni al campo del fuoco.
Sussultò. Quella voce... era Pavona.
- Vorrei continuare ad allenarmi. - sbottò senza pensarci
troppo.
Noriko inarcò un sopracciglio, comunicando tutto il proprio
scetticismo.
- In questo stato può essere solo deleterio per te. -
- Se non faccio qualcosa per migliorare, Roshanai mi farà a
pezzi. -
- Anche se lo volesse, Tyrron glielo impedirebbe. -
Nemeria scosse la testa. Le sembrava di avere una pallina al posto del
cervello, che rotolava nel cranio a ogni minima oscillazione.
- Ci metterò poco, te lo prometto. -
- Te l'ho già detto stamattina, Nemeria. Non devi dimostrare
niente. Nessuno ti ha insegnato a combattere, è
già tanto che tu riesca a reggere questi ritmi. -
- Appunto perché sono più indietro degli altri
devo cominciare a fare sul serio per imparare. - si passò
una mano sulla bocca e sfiorò con l'anulare la punta del
naso, - Sono stufa di essere la più debole, quella che deve
essere sempre protetta. Da quando sono arrivata a Kalaspirit, mi sono
nascosta sempre dietro di te, Altea, Hirad e ora Durga. Io... io non
voglio più essere così. Non voglio più
vivere nascosta nell'ombra di qualcun altro. -
- Nemeria, non puoi pretendere di diventare brava dall'oggi al domani.
Ti posso insegnare io qualcosa, se proprio ci tieni, ma prima devi
riprenderti. -
- Se tu puoi sopportare l'allenamento con Sayuri con un taglio sulla
pancia, io posso fermarmi un'ora a esercitarmi con la shamshir. -
- Sei stupidamente cocciuta. -
- Tu più di me. - la rimbeccò.
Noriko trasse un profondo respiro, si girò e
scrollò le spalle. Quando non si voltò, Nemeria
seppe di aver vinto.
- Non fare tardi. -
- Ricevuto! -
Imboccò le scale e si precipitò al campo del
fuoco. La luce calda dei treppiedi spennellava l'ambiente con un alone
dorato sufficiente a illuminarne il perimetro e a schiarire in un
grigio sfumato il nero del buio.
- Pavona? -
"Sono qui."
Ci fu un frullio d'ali, poi un corvo planò ai suoi piedi.
Inclinò la testa in alto e fissò Nemeria dritta
negli occhi. Aveva uno sguardo intelligente, troppo per un animale.
- Sei tu? -
"Sorpresa?"
Il gracchiare che seguì poteva essere interpretato come una
risata.
"Purtroppo non ho
trovato di meglio per venire qui. Non ci sono molti animali in questa
città."
Nemeria si stropicciò gli occhi e si accucciò.
Sua sorella le aveva accennato qualcosa del genere, ma le sembrava
impossibile che dentro quel corvo ci fosse Pavona.
"Si chiama Proiezione. Gli animali hanno una mente semplice e non hanno
le capacità di opporre una reale resistenza. Con gli umani
è più difficile, molto più difficile.
Anche se avessi potuto, non conosco nessuno che potesse entrare qui
dentro senza farsi notare."
- Quindi tu ora stai parlando con me attraverso il corvo, giusto? -
"Sì. La mia
mente ha occupato il suo corpo e posso muoverlo come se mi appartenesse."
Nemeria si sentiva un po' stupida a parlare con un animale ed era certa
che se qualcuno l'avesse vista l'avrebbe presa per pazza. Per quanto
potesse risultare strano, però, Pavona era lì,
davanti a lei.
"Ho riflettuto a lungo
su quello che ci siamo dette e ho deciso di aiutarti. Io ho ripudiato
la mia eredità, ma amavo ogni singolo membro della nostra
tribù. Non avrei mai augurato a nessuno di loro un fato
tanto terribile."
Gli occhi divennero lucidi, ma Nemeria non avrebbe saputo dire se fosse
una sua impressione, un gioco di luci o un vero velo di lacrime.
"Non posso fare molto.
Il mio addestramento mi ha portata a padroneggiare appieno solo la
terra. Ma qualcosa so e credo che tu debba impararla prima di perdere
il controllo."
Nemeria si sentì punta sul vivo. Che lei sapesse
ciò che aveva fatto a Durga e Roshanai? La vergogna le
imporporò le guance e le arrossò le orecchie.
- Anche noi rischiamo di trasformarci in Jin? - sussurrò e
si strinse le ginocchia con entrambe le braccia.
"È
più complicato di così. Se mi permetterai di
aiutarti, ti dirò tutto ciò che so. Non sentirti
in obbligo di dirmi di sì. Posso capire che tu voglia
lasciarti alle spalle ciò che è accaduto. Se
vuoi, sparirò e non verrò più a
tormentarti."
- No. - proferì in un impeto disperato, - No, io ho bisogno
di sapere. Quello che mi sta accadendo... non riesco a controllarlo e
ho paura di fare del male a qualcuno. Qualsiasi aiuto tu possa darmi,
lo accetterò. -
Il corvo la scrutò con i suoi occhi pieni di consapevolezza
umana. Fino all'ultimo, Nemeria temette che si tirasse indietro, che
sarebbe stata lei ad andarsene e ad abbandonarla in balia di quel
potere che non sapeva come domare. Invece Pavona zampettò in
mezzo al campo e sbatté le ali un paio di volte, come se
dovesse ancora prendere dimestichezza con il nuovo corpo.
"Allora cominciamo."
Il mondo, in quel momento, divenne più luminoso per Nemeria,
e non solo perché le fiamme nei treppiedi cominciarono a
scoppiettare con più ardore.
Angolo Autrice:
Sì,
sono viva, no, non sono scomparsa. Scusate per questi aggiornamenti
lentissimi, ma la sessione (e gli esami) mi stanno letteralmente
fagocitando la vita. Allora, ci tenevo a fare un ringraziamento per
quello che riguarda questo capitolo: se è uscito
così realistico lo devo aDany
the writer, un amico scrittore che ha avuto la pazienza di
mettersi lì e controllare che quello che avevo scritto
avesse un senso. Se avete tempo/voglia... insomma, se siete in cerca di
una persona che, oltre alla sottoscritta, possa allietare le vostre
giornate con storie piene di angst, dolore e violenza... non dovete
fare altro che andare a visitare il suo profilo. Davvero, merita e non
lo dico perché mi ha aiutata, ma semplicemente
perché è bravo, sa cosa scrive e dove vuole
andare a parare. Dany, se sei in ascolto, batti un colpo u.u
A tutti voi che avete letto fino a qui, un enorme, gigantesco grazie.
Il prossimo capitolo spero arriverà presto. La mia beta ha
una vita che la richiama, quindi... abbiate pazienza <.<
Hime
"Tutti,
presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a
percorrere una certa strada."
James
Hilmann
"Cosa sai dei cakra?"
Nemeria era corsa a prendere la shamshir e si stava esercitando nei
movimenti. Pensava d'essere più indolenzita, ma
sorprendentemente riusciva quasi a essere precisa. Descrisse un
semicerchio davanti a sé e si spostò di tre
rapidi passi di lato.
- So che sono dei vortici di energia che assorbono l'energia universale
e rilasciano invece il potere degli elementali. - " Più o meno.
Sono molto importanti anche perché
mantengono la nostra anima unita al corpo. "
Pavona si era appollaiata su un treppiedi, le cui braci si erano quasi
del tutto spente. Sembrava in tutto e per tutto un normale corvo che si
godeva il sollievo tiepido del fuoco morente. "Per lo più i
cakra, almeno quelli delle Jinian, rilasciano
più energia di quella che assorbono. All'inizio, prima di
intraprendere il Primo sentiero, non sussiste una grande differenza tra
quelli umani e i nostri. Più si acquista una maggiore
consapevolezza, più il bisogno di assorbire l'energia
diminuisce. Ma questo immagino lo sapessi già."
Nemeria annuì e bloccò il colpo a
metà, allungò la gamba indietro e con una
rotazione del polso portò un tondo all'altezza dello sguardo. "Cos'altro sai?"
- Esistono otto cakra, ognuno corrispondente alle otto facce della
Madre. - "Sì. A
seconda dei testi e delle religioni, ce ne possono
essere di più o di meno. Come molte altre nozioni troppo
vecchie per essere ricordate, anche queste sono state distorte dai
mortali. Alla nascita, ogni essere vivente presenta un cakra soltanto.
Se ti viene più semplice, immaginali come dei piccoli cuori:
tutti potrebbero battere, ma all'inizio soltanto uno, quello che
è più affine al nostro essere, permette lo
scorrere del sangue."
- È la stessa metafora che hanno usato mia sorella e Fakhri
per spiegarlo. -
"Perché
è la figura che meglio li rappresenta.
Esistono tre arterie principali che irrorano il nostro corpo con il
prāna. Nell'Ukiyo-e lo chiamano Ki e qui, talvolta, lo chiamano pneuma,
ma qualsiasi nome gli si dia, è semplicemente il soffio
vitale che infonde vigore. Anche l'energia degli elementali scorre
attraverso queste arterie. Alla nascita, solo uno dei cakra non
è del tutto bloccato e il potere di quello a noi
più affine si dirama da lì. Alla fine del Primo
Sentiero, il passaggio diventa libero. È per questo che le
Jinian riescono ad attingere alla forza dei propri elementali senza che
questa, a lungo andare, le corrompa."
- Quindi i mortali diventano Jin perché non riescono a...
sbloccare i propri cakra? -
" Sì. Devi
immaginare gli elementali come dei serpenti
raccolti su se stessi, pronti a scattare all'improvviso. I Dominatori
li forzano per aprire il o i loro cakra e questo provoca un
avvelenamento della loro anima morso dopo morso. Le Jinian, invece,
attraverso le pratiche di ogni Sentiero, riescono a risvegliarli e a
dominarli."
- E a me, allora, cosa sta succedendo? Perché... - si morse
le labbra e si fermò a metà di un fendente, -
Perché rischio sempre di perdere il controllo? A volte
è come se non fossi nemmeno io, come se ci fosse qualcun
altro nei miei pensieri. - "Gli elementali, tutti,
si cibano delle nostre emozioni. Più
queste sono forti, più loro le assorbono e le amplificano di
rimando quando rilasciano il loro potere. Per quanto il tuo cakra sia
più aperto di quella di una normale mortale, ogni volta che
i sentimenti ti sopraffanno il tuo elementale smania e lotta per
liberarsi. Più reprimi la rabbia, il dolore, la frustrazione
e l'angoscia, più diventerà difficile
controllarsi. Gli elementali non sono altro che foglie, gocce, refoli e
scintille che si sono staccati dagli Spiriti quando la
realtà sensibile è stata generata. Quelli dei
mortali sono per lo più energia, ma nei nostri permane un
residuo della primigenia coscienza che li rende senzienti. Spesso
è solo un barlume, una perla custodita nella parte
più intima della nostra anima che si risveglia prima,
durante o alla fine di un Sentiero per rivelarci il nostro Nome nel
Buio. Altre volte la corolla di luce si espande, tocca la nostra
coscienza e palesa i nostri sentimenti, amplificando un sussurro in un
urlo."
Pavona si mise a fissare il soffitto e una mezzaluna acquosa si
rifletté sulla curva della pupilla.
- Mi stai dicendo che volevo davvero fare del male a Durga e ad
Ahhotep? -
Nemeria colpì il suo nemico immaginario con un montante,
scattò in un rapido passo in avanti e fermò la
shamshir dopo un fendente, la punta indirizzata verso l'alto. Rimase
così una frazione d'istante e poi cadde a sedere con le
braccia abbandonate sulle ginocchia alzate e il sudore che le imperlava
il collo e la fronte. Il corvo spiccò il volo e si
appollaiò sulla sua spalla. I lunghi artigli non bucarono il
tessuto, ma Pavona li strinse quel che bastava a farle capire che
doveva fermarsi. "Tu sei affine al fuoco,
Nemeria, e il fuoco è anche questo.
Un incendio che distrugge tutto, senza fare distinzioni tra chi
meriterebbe pietà e chi, invece, deve pagare il fio delle
proprie colpe. Scoppia all'improvviso, alla minima scintilla, e le sue
fiamme lambiscono case, persone, campi, cielo e terra. Se
però non c'è un terreno adatto, come una
sterpaglia arida o una foresta d'alberi secchi, le fiamme non possono
attecchire, capisci?"
Nemeria fece un lieve cenno del capo.
- Quel desiderio di distruggere è mio. - constatò
con un fil di voce. "È di tutti.
Ogni essere vivente lo possiede ed
è una delle possibili reazioni al dolore. Lo si rifugge
dormendo, dimenticando, consegnando la propria mente alla follia o
lasciandosi dilaniare da esso. Poi ci sono persone che lo combattono
opponendo la rabbia, l'odio, il disprezzo o l'indifferenza, senza
rendersi conto che, così facendo, il dolore
rimarrà per sempre radicato in loro. Magari nascosto e
invisibile allo sguardo, ma ci sarà finché non ne
poteranno i rami e strapperanno le radici."
Pavona appoggiò la testa contro la sua guancia e raccolse
una lacrima con il becco. "Non serve piangere.
Disperandoti non fai altro che alimentare la tua
stessa sofferenza. Non posso spiegarti come proseguire sul tuo
Sentiero, ma posso rimanerti accanto nel tuo cammino fino alla Prima
Verità."
- E qual è? -
Girò la testa in modo da incontrare lo sguardo del corvo.
Non sapeva cosa sperare; non era sicura di nulla se non di quanto le
colonne del suo mondo fossero fragili, pilastri di sabbia conservati e
cementati solo dall'acqua. "Devi scoprirla da te.
È il primo passo per liberarsi dal
dolore e per raggiungere una maggiore consapevolezza."
Nemeria allungò la mano senza guardare e Pavona le porse il
becco liscio. Le piume della testa erano morbide, incastrate le une con
le altre in un unico manto nero e setoso.
- Mia sorella una volta mi disse che a volte è meglio non
sapere, che l'effimera beatitudine che nasce dalla conoscenza non sazia
il nostro perpetuo bisogno di risposte. - "Tua sorella com'era?"
- Era la migliore di tutte. Era brava, bella, carismatica, capace
quanto e più di Asa. Una volta ho sentito Fakhri affermare
che quando avesse portato a termine l'ultimo Sentiero sarebbe stata lei
l'erede dell'Alta Sacerdotessa. - strinse l'impugnatura della shamshir
per ricacciare indietro le lacrime e, quando una le sfuggì
dalle ciglia, se la pulì con un gesto stizzito, - A volte mi
manca così tanto che mi sento soffocare. - "Anche a me è
mancata molto mia madre quando me ne sono
andata dalla tribù. Sapere che adesso non ci potremo
incontrare mai più ha cambiato le mie prospettive."
Non aggiunse altro e svolazzò di nuovo sul treppiedi di
prima, dove la brace ora languiva in un alone sempre più
tenue. Nemeria avrebbe voluto sapere qualcosa di più sul
motivo che l'aveva spinta a lasciare la sua famiglia, ma decise di
attendere che fosse Pavona a parlare: adesso era il suo turno di
rispettare il suo dolore. Lo doveva a quella donna che aveva scelto di
raccogliere il suo sapere per donarglielo in cambio di nulla. "Riesci a generare una
fiamma?"
- Sì, penso di sì. Non ho mai provato a farlo da
quando sono arrivata qui. - "Le placche di quel
collare non sono in oricalco puro, altrimenti
nessun Dominatore potrebbe attingere al potere del proprio elementale."
"In effetti..."
Prese un profondo respiro, aprì la mano e la
portò ad altezza degli occhi. "Sai già il
suo nome?"
- Sì. - "Non devi rivelarlo a
nessuno. È un'informazione troppo
importante perché la possa sapere qualcun altro al di fuori
di te."
- L'Alta Sacerdotessa diceva spesso che i nomi hanno potere. - "Sì, ma non
puoi immaginare quanto potrebbe essere
pericoloso se giungesse alle orecchie di un Dominatore dell'aria o
dell'acqua. La Proiezione, così come la Condivisione, se
utilizzata contro una mente debole può togliere il controllo
del corpo, soggiogare i pensieri e vincolare la volontà
dell'individuo senza che lui se ne renda conto. Conoscere il nome
dell'elementale significherebbe che anche la tua ultima
possibilità di riprendere il comando di te stesso
è svanita."
Nemeria deglutì. Provò a immaginare il dominio di
Agni sotto il comando di un'altra persona e si sentì
raggelare. "Vedo che hai capito
cosa intendo. Non escludo che esista qualcuno che
sia in grado di farlo, ma devi essere prudente. Nel migliore dei casi,
smetti di esistere come persona, nel peggiore anche chi ti sta attorno
potrebbe essere in pericolo. Dipende tutto dalla bravura del
Dominatore."
- Quindi dovrò tenerlo per me. - "Sì. Nessuno,
tra i mortali, merita così tanta
fiducia. Ora concentrati. Richiama il potere del tuo elementale e
dirigilo nella mano, come hai sempre fatto."
Nemeria chiuse gli occhi e inspirò profondamente per
scacciare i pensieri e trovare la concentrazione. Consapevolezza del
respiro, la chiamava Etheram, ed era stata una delle primissime lezioni
che aveva appreso da lei: non doveva imitare nessuno, né
forzare il suo flusso respiratorio a essere leggero, profondo o
silenzioso. "Il soffio agisce sul
cuore ed è il tuo unico veicolo per
controllare ciò che di natura non lo è. Immergi
lo spirito nel basso ventre, decongestiona il torace e tutti i tuoi
organi."
Nemeria inspirò col naso, chiuse la bocca e trattenne il
respiro. Subito dopo compresse l'aria col diaframma e la sospinse verso
il basso per poi schiudere le labbra, espirando molto lentamente. "Non mettere a tacere
l'impulso di vagare, non ti opporre. Osserva i
suoni, riconoscili e ponili innanzi alla tua attenzione. La mia voce,
il sibilo delle spade, gli ansiti spezzati degli altri gladiatori. Lo
vedi? Dinanzi alla tua consapevolezza non appare minuscolo e
insignificante?"
Nemeria non poté non annuire. Il ventre si espandeva e si
contraeva e lei ne poteva sentire le pareti allargarsi e rientrare. Era
una sensazione fisica totalizzante che aveva il potere di dividerla dal
resto del mondo. Il collare si era appena surriscaldato ed era come un
calarsi nelle profondità di una grotta legati a una corda
che si incastrava tra i massi, ma bastava che Nemeria la tirasse un
paio di volte per riprendere a scendere.
Il contorno di Abayomi e di Zahra, le parole taglienti di Roshanai e
l'onnipresente senso di colpa si rimpicciolirono sopra di lei fino a
svanire nel nero e nel lucore sempre più intenso che si
propagava del fondo della sua discesa. Un focolare allegro e
crepitante, racchiuso in un cerchio di pietre rosse, contrastava l'aria
satura di umidità e, tra le sue fiamme, Nemeria la scorse.
La gonna si generava da esse e si apriva come i petali di un fiore a
ogni giravolta. Il velo che stringeva tra le mani volteggiava attorno
al suo corpo, appariva e spariva a ogni scoppiettio, sorgendo dalle
numerose scintille che, come schegge di sole, zampillavano attorno a
lei in una cascata luminosa. Cuore di fuoco.
- Sono qui, Agni. -
La donna sorrise e si tolse il velo che le copriva il volto. Occhi
rossi, labbra sottili, mascella affilata e capelli neri sciolti sulle
spalle nude. Nemeria era senza fiato: anche se più adulto,
più bello e curato, quello era il suo viso.
- Tu sei... me? -
Agni scosse la testa. I pendagli tra i capelli tintinnarono assieme a
quelli della fascia sul seno, un coro allegro e acuto che
anticipò la ripresa della danza.
- Prestami il tuo potere. - Prendilo. É tuo, è sempre stato tuo.
Nemeria avanzò fino al cerchio di pietre, allungò
la mano verso le fiamme e queste la avvolsero, aderendo alla pelle come
un velo di seta. Nell'aria pesante, l'umidità si
stratificò in una patina di sudore, che evaporava
lasciandosi dietro il sentore sottile di bagnato. Qual è il mio nome, Nemeria?
Nemeria esitò. Registrò il rumore delle schegge
di legno che scoppiavano, il calore che le investiva la pelle, il
torpore rassicurante racchiuso nelle delicate parole di Agni. Se avesse
scelto di seguirne la danza tra le lingue di fuoco, sarebbe diventata
un tutt'uno con lei, parte ed essenza dello Spirito. Strinse la mano a
pugno, sospinse il respiro nel diaframma e in seguito lo udì
sibilare nella fessura tra le labbra: la seduzione della fiamma era una
tentazione irresistibile.
- Vadavagni. Sei il lume della ragione. -
Agni cominciò a girare su stessa più in fretta,
battendo i piedi con maggiore forza, mentre i lembi della cintura
svolazzavano sui suoi fianchi, aperte come le ali di un ibis rosso. Le
fiamme ne seguivano l'andamento, sfrangiandosi attorno alle sue braccia
e sfumando in un pulviscolo sfavillante. Le fiamme turbinarono fino ad
avvolgerla completamente in un unico, immenso fuoco, così
luminoso da accecarla. Sii il sole più splendente di tutti.
Quando Nemeria riaprì gli occhi, non capì subito
dove si trovasse. Pian piano, con una lentezza pigra e indolente, la
percezione della realtà che l'attorniava si
riappropriò dei suoi sensi. I suoni ripresero il loro posto,
si incastrarono con gli odori e inanellarono le forme,
finché la Scuola non si completò. Davanti a lei,
una fiammella poco più grande del suo pugno sfrigolava sul
palmo della sua mano. "Sei stata brava."
Pavona era volata vicino a lei e studiava la fiamma con quello che
Nemeria avrebbe potuto definire uno sguardo compiaciuto.
- Non mi era mai capitato di dover fare così tanta fatica
per una cosa così piccola. - "Prima non avevi un
collare di oricalco alla gola. Questa è
la base. Sono trucchetti che, prima o poi, ti avrebbero insegnato anche
qui. Ma l'importante, in questa situazione, è il come ti
vengono insegnate le cose."
- Dovrò discendere ogni volta per attingere al mio potere? - "No, ti
insegnerò pian piano a richiamarlo volontariamente.
Non so se hai notato, ma è stato faticoso entrare in
comunione con il tuo elementale. Ormai penso tu l'abbia capito: i
sentimenti sono una caduta libera, mentre la via della ragione
è una lenta scalata. Loro, i tuoi maestri, ti diranno di
lasciarti guidare dal tuo sentire del momento e te lo ripeteranno
finché non ti sembrerà l'unica strada possibile.
Ma, Nemeria, ricordati che è solo quella più
semplice e pericolosa e che, alla fine, conduce a un finale scontato
nella sua tragicità."
Si sgranchì le zampe e spostò la testa a destra e
a sinistra un paio di volte, prima di appuntare nuovamente gli occhi su
di lei. "Rimarrei qui tutta la
notte a parlare, ma domani ti aspetta una dura
giornata e dubito che chiunque ti abbia regalato quei lividi si
fermerà davanti a un viso stanco."
Bastò l'accenno di una smorfia infastidita perché
il dolore tornasse a pungerla. Si trattenne dal massaggiarsi il naso.
- Tornerai anche domani sera? - "Farò il
possibile, ma non posso prometterti nulla."
Nemeria annuì. Spense la fiamma chiudendo la mano a pugno e
rimpugnò la shamshir. La pulì sui vestiti e
intercettò un rivolo di sudore prima che si infilasse sotto
le bende del collo.
- Non so davvero come ringraziarti. Quello che hai fatto per me
stasera, significa molto per me. Se imparerò a controllarmi,
sarà solo grazie a te. - "Se vuoi sdebitarti,
sopravvivi e non perderti mai d'animo, almeno non
qui. Non sopporterei di vederti portata via dal Consorzio o soppressa
come un animale. Anche se non ci conosciamo, condividiamo un retaggio e
una discendenza comuni. Per me questo tanto basta per considerarti
sangue del mio sangue."
Pavona spiegò le ali e si librò in aria
affinché Nemeria potesse specchiarsi nei suoi occhi, un
riflesso distorto sotto un sottile velo di lacrime. Poi volò
via, attraverso il corridoio di colonne rosse e oltre l'aura aranciata
dei bracieri e delle torce. Udì qualcuno imprecare, il tonfo
di una lancia a terra, un borbottio sorpreso di una donna. I suoni
risvegliati da quell'inaspettata visione tacquero in fretta
così com'erano sorti.
- Lo prometto. - sussurrò Nemeria e si mise la mano sul
cuore.
Nelle settimane che seguirono, il tempo parve sbriciolarsi. Dopo le
misure del giorno seguente, Nemeria tornò quasi tutti i
giorni da Nande, per lo più per farsi cambiare le bende e
controllare la guarigione del naso. Poi seguiva la colazione e
l'allenamento con Roshanai al campo del fuoco e talvolta con Reza, ma
man mano che i giorni passavano la sua presenza venne sempre meno,
finché non rimase solo la Ver'ilef.
A differenza di Sayuri, la Syad del fuoco non era così
puntuale come Nemeria aveva pensato: rimproverava lei e Durga se
arrivavano un paio di minuti dopo rispetto all'orario d'inizio, ma non
era raro che lei ritardasse anche di un'ora. Nonostante il fastidio di
rimanere sotto il sole ad aspettare, Roshanai era capace. Si presentava
ogni volta con un'arma diversa, costringendole così a
cambiare strategia, passi e combinazione di colpi. Gli assalti che
funzionavano con una surik potevano risultare inefficaci contro un
rencong.
Nemeria e Durga impararono sulla loro pelle quanto fosse importante
studiare l'avversario prima di compiere qualsiasi azione. Andavano
avanti a oltranza fino a pranzo e poi, con ancora il sapore della
minestra d'avena sul palato, correvano di nuovo da lei e continuavano
l'addestramento fino a sera, a un orario che poteva collocarsi tra
un'ora prima o due dopo cena.
Nemeria tornava in camera da Noriko e Batuffolo esausta, aspettava che
si addormentassero e andava al campo del fuoco, dove l'attendeva
Pavona. Era tornata spesso sotto le fattezze di un corvo o di un topo
grigio, non più grande di un pugno. L'addestramento con lei
era pesante, molto più di quello con Roshanai, ma la sua
vicinanza aveva il potere di alleggerire la fatica e dissiparla in una
tensione che le imponeva di impegnarsi ancora di più. Gli
esercizi dove doveva dare una forma alla fiamma erano i più
difficili, soprattutto quando la obbligava a mantenere la
concentrazione e, contemporaneamente, a fare dei calcoli o a recitare
una filastrocca. Spesso Pavona le chiedeva di cantare delle canzoni
tipiche della tribù e, anche dopo la fine
dell'addestramento, se Nemeria non l'aveva conclusa, la esortava a
terminare. Lei si limitava ad ascoltare e il suo sguardo vagava
lontano, al di là delle mura e oltre il presente.
Se la compagnia di Pavona era ricercata e attesa, gli incontri con
Roshanai risvegliavano una commistione di sentimenti che Nemeria
faticava a tenere a bada. Non aveva idea di cosa provasse Durga, ma nel
suo cuore non c'era altro che odio, un odio misto a rabbia che doveva
sforzarsi di reprimere. Se non fosse stato per la pietra di luna e per
gli avvertimenti di Pavona, si sarebbe lasciata travolgere e
inghiottire fino a consumarsi.
- Stai solo facendo il suo gioco. - l'aveva redarguita Noriko una sera,
ma Nemeria non l'aveva ascoltata.
All'interno della sua corazza, non c'era spazio per altro se non per la
risolutezza di non farsi schiacciare da una donna del genere e, in
confronto alla rabbia che le ribolliva nelle vene, l'odio di cui si era
rivestita era una cella con le pareti di ghiaccio, così
spesse da intirizzirle l'anima. Non importava quanto faticoso fosse
l'allenamento o quanto Roshanai la spingesse al suo limite:
l'umiliazione della sconfitta e o il peso dell'inadeguatezza la
spingevano a rialzarsi sempre, anche quando era la sola forza di
volontà a tenerla in piedi. Le bacche tanu erano una
tentazione, una promessa di forza più suadente di Agni. Le
riponeva sotto il materasso, nell'angolo più lontano e
polveroso per non cedervi, perché avrebbe dovuto ripagare
l'energia ricevuta con altre e più pesanti notti insonni.
I giorni divennero sabbia e i granelli scivolarono nella clessidra del
tempo nella quale, inevitabilmente, si depositarono anche la maggior
parte dei suoi pensieri. Nemeria li disseppelliva di tanto in tanto, in
quegli istanti di libertà mentale che si inframmezzavano tra
i vari allenamenti, ma questi non avevano l'occasione di riprendere la
loro reale dimensione prima che la crudele realtà li
relegasse di nuovo sul fondo della clessidra. Solo nel "Tempo del
Ritorno" tornavano a farle visita e Nemeria, volente o nolente, era
obbligata a fronteggiarli.
C'erano volte in cui la stanchezza accorreva in suo soccorso e altre,
più numerose, in cui nemmeno la luce del sole bastava a
scacciare i demoni che la tormentavano. Eppure, per quanto lei volesse
trovare una risposta, doveva piegarsi alle esigenze della scuola, di
Roshanai, di Pavona e di tutti quelli che avevano qualcosa da
insegnarle: tutto della sua quotidianità era stato ridotto
all'osso, dalle preoccupazioni ai pensieri, alle conversazioni. Persino
le persone che le orbitavano attorno, quelle davvero importanti, non
erano altro che figure evanescenti, tremolanti nell'arsura delle ore
più calde e sfocate al calar del sole.
Era il lento rimarginarsi delle ferite assieme alle visite a Nande a
scandire il passare del tempo, più dell'alternarsi del
giorno e della notte. Nemeria ci andava spesso, soprattutto per
cambiare i bendaggi e disinfettare i nuovi tagli che Roshanai le
procurava, e di settimana in settimana la donna le prendeva le misure
dalle spalle, delle braccia e delle gambe, annotando anche le
fluttuazioni di peso. Nemeria immaginava che fosse un ordine che Tyrron
le aveva dato per monitorare i suoi progressi, ma ben presto
capì che era molto di più.
Una sera, venne a bussare alla loro porta un ragazzo alto un pollice
più di Nemeria, con i capelli come setole di una scopa
vecchia e le guance screpolate più delle mani. Indossava un
chitone che lasciava scoperte le braccia e un paio di calzoni deformati
all'altezza delle ginocchia.
- Tu e Sayuri andare da Nande. - scandì in un sihamnstico
incerto.
- Ora? - mugolò Nemeria.
- Sì, ora. - inclinò la testa per sbirciare, ma
Noriko gli bloccò la visuale.
Batuffolo aveva deciso che doveva imparare a saltare e il suo
trampolino di lancio era il letto di Nemeria. Anche se era mezza
addormentata, i diversi fruscii alle sue spalle lasciavano
già presagire la fine grama delle lenzuola.
- Sì, veniamo subito. - lo congedò e, prima che
il ragazzo potesse aprir bocca, si chiuse la porta alle spalle.
- Perché devi venire anche tu da Nande? Non stai bene? -
- Forse vuole solo controllare di nuovo il taglio. - sospirò
e prese gli abiti puliti dall'armadio.
Tyrron aveva comprato cinque capi a testa, tutti chitoni e kandys di
ottima fattura. Noriko aveva ricevuto anche un umanori e uno jinbei,
che però usava solo per dormire. Mentre si vestivano,
Nemeria occhieggiò spesso nella sua direzione, ma la sua
amica le dava sempre la schiena. Non le era parso fosse peggiorata, ma
rammentava ancora l'ostinazione con cui le aveva taciuto
dell'intervento.
"In ogni caso, non sarei stata abbastanza presente per accorgermene."
- Andiamo. -
Come sempre il tono di Noriko aveva l'inflessibilità
dell'ordine e Nemeria attese che la raggiungesse.
Ad accoglierle non fu il solito corridoio vuoto, ma una lunga coda di
ragazzi e ragazze, i più a loro sconosciuti, ma che a
giudicare da com'erano vestiti dovevano essere studenti. Alcuni
sedevano per terra, con la testa del loro compagno appoggiata sulla
spalla; altri si erano riuniti in piccoli gruppi per chiacchierare. Le
guardie sorvegliavano le scale e la fila dal perimetro delle pareti e
dal fondo del corridoio, controllando chi entrava e chi usciva
dall'infermeria.
- Cos'è tutta questa gente? -
Noriko scosse la testa e si accodò dietro un ragazzo con i
capelli ricci e un orecchino d'osso che gli uncinava il lobo da parte a
parte.
Nemeria indugiò un istante di troppo a cercare Durga e
Ahhotep e una delle guardie le intimò di mettersi subito in
fila. Era stupita di vedere così tante persone: certo, la
scuola era grande, ma non le era mai capitato di contare quanti
studenti ospitasse. Le sembrò strano che, mescolati a
bambini dell'età sua e di Durga, ci fossero ragazzi
adolescenti.
- Uno così non mi sarebbe sfuggito. - commentò,
scrutando un ragazzo di sette piedi abbondanti.
- Cosa ti incuriosisce tanto? - la interrogò Noriko.
- Quel ragazzo. Non ricordo di averlo mai visto. Che sia uno nuovo? -
- È più probabile che appartenga all'altra ala
della scuola. -
- Altra ala? -
- Sì. Loro hanno raggiunto la maggiore età. Per
legge, non possono stare con noi. -
Nemeria annuì. Forse Arsalan lo aveva menzionato e lei non
aveva prestato attenzione.
- E hanno chiamato sia noi sia quelli più grandi? -
- Non tutti, altrimenti vedresti anche degli adulti. - Noriko si
appoggiò con una spalla alla parete, - Ti conviene sederti,
dovremo aspettare un po'. -
- Credi che Durga e Ahhotep siano già dentro? -
- Non lo so, c'era una lunga coda già quando siamo arrivate.
-
Nemeria si sedette vicino al muro, con una gamba inclinata a toccare
quella di Noriko. Se il corridoio non avesse pullulato di guardie,
sarebbe andata a cercare le sue compagne, quantomeno per chiedere che
cosa stava succedendo. Sospirò e socchiuse gli occhi,
seguendo attraverso la fessura tra le palpebre l'avanti indietro di una
guardia finché la stanchezza non ebbe la meglio.
Noriko la svegliò a intervalli regolari, quando la fila
avanzava. Non si poteva dire che fosse un sonno ristoratore, ma il suo
corpo aveva bisogno di riposo e ignorava qualsiasi tentativo della sua
mente di rimetterlo in piedi. Soltanto quando Noriko la tirò
su e la costrinse a camminare per più di dieci passi,
capì che era arrivato il loro turno.
L'infermeria era pulita come al solito, ma stavolta, oltre a Nande,
c'era Kamyar. Il sorriso che gli si dipinse sul viso arrivò
a illuminargli anche gli occhi.
- Svestitevi. Ormai credo conosciate entrambe la procedura. -
Noriko si svolse subito la cintura, mentre Nemeria rimase un attimo
imbambolata a fissare il Dominatore dell'acqua, in attesa che uscisse.
Invece lui rimase lì, in piedi di fianco a Nande.
- Ti imbarazza? -
Nemeria si morse le labbra e annuì.
- È solo per accelerare i tempi. E poi, mentre mi prendevo
cura di te da aghà Tyrron, sono più le volte che
ti ho vista senza vestiti che con. - le disse Kamyar brandendo il metro
in una mano e le rivolse un sorriso incoraggiante, - Su, prima ti
sbrighi, prima potrai andartene. -
Noriko era già nuda, con solo le mutande a coprirle le parti
intime. Non si era legata i capelli e questi le ricadevano scomposti in
ciocche rosse sulle spalle come fili di seta.
Mentre si toglieva il chitone, con le ombre che danzavano alla luce
della lanterna, Nemeria indugiò più d'una volta
sulla grazia del suo corpo, che, anche se immobile, sembrava permeare
ogni fibra del suo essere. Non c'era muscolo che non fosse cresciuto in
maniera armoniosa, definendo solo ciò che prima era meno
proporzionato. Soltanto il taglio sul basso ventre, una specie di
sorriso a labbra strette, e l'abbronzatura non uniforme ne deturpavano
la bellezza.
Quando piegò il chitone sul letto, Nemeria trasse un
profondo respiro. Il peso della sua nudità, la
consapevolezza di essere completamente esposta allo sguardo di Kamyar,
le aveva messo addosso un profondo senso di disagio, ma ben presto,
prima ancora che la mente lo recepisse, la tensione aveva
già abbandonato il suo corpo. Non c'era malizia
né nel tocco né nello sguardo del Dominatore
dell'acqua. Come Nande nelle settimane precedenti, la tastò
con attenzione medica, senza soffermarsi più di quanto il
suo dovere gli imponesse, con una delicatezza che Nemeria non
riconobbe, finché il ricordo tattile non scacciò
definitivamente l'inquietudine.
- Centotré libbre. - annunciò e segnò
quel risultato sul libro aperto sulla scrivania.
- È buono? -
- Quando sei arrivata ne pesavi a malapena ottantasette. È
un ottimo risultato, considerando che sei qui solo da due mesi. -
Nemeria strabuzzò gli occhi, abbassò lo sguardo
sulle ginocchia e piegò una gamba appena un po'
perché il muscolo emergesse da sotto la pelle. Un brivido
d'eccitazione si diffuse lungo la spina dorsale e le pervase i lombi.
- Ora potete rivestirvi. Andate nel cortile centrale e aspettate
lì. - le informò Nande.
Lo sguardo stanco di Nande fu più esplicativo delle sue sue
parole.
Nemeria si infilò il chitone, si legò velocemente
la corda attorno alla vita e infilò l'uscita, mentre Noriko
che le teneva aperta la porta.
- Stammi vicina. - le soffiò all'orecchio, prima di
affiancarla.
Nel cortile centrale si erano radunati almeno una trentina tra ragazzi
e ragazze d'ogni età. A Nemeria parve di riconoscere alcuni
visi, ma non si soffermò più di tanto. Abayomi e
Zahra parlavano a bassa voce in disparte. La Dominatrice della terra,
ora che ci faceva caso, era diventata molto più muscolosa di
quando si erano scontrate alla cisterna. I capelli, legati in trecce
attaccate al cuoio capelluto, le scendevano ben oltre le spalle e, se
non fosse stato per l'anello che glieli fermava in una coda sulla nuca,
le avrebbero coperto tutta la schiena. La sua ombra soverchiava e
inghiottiva quella di Abayomi.
Con la coda dell'occhio, Nemeria scorse Durga sbracciarsi da una delle
ultime file. Ahhotep aveva le braccia conserte e un'espressione
annoiata. Quando le raggiunsero, si discostò di un passo.
- Voi sapete cosa sta accadendo? - la interrogò Noriko.
- Ve lo stavo per chiedere io. Hanno detto a tutti di aspettare, ma
aspettare cosa? Chi? E poi avete visto? Ci sono tantissimissime
guardie. - rispose Durga.
- Gli altri? -
- Nessuno lo sa. Ho provato a... -
Lo squillo di un corno richiamò la loro attenzione. Dalle
scale vicino all'entrata principale scesero un gruppo di persone,
capeggiate da un uomo che Nemeria non aveva mai visto. Indossava un
turbante di un rosso vistoso che gli copriva la parte sinistra del
volto, lasciando in vista solo l'occhio destro, una polla d'acqua
incavata nell'orbita. La tunica lunga gli sfiorava i piedi a ogni passo
e le maniche ampie esibivano dei grossi bracciali d'oro, troppo larghi
per i polsi stretti del loro portatore. Mina lo seguiva a poca
distanza, con uno strascico che accarezzava gli scalini e una tiara
d'argento che non riusciva a domare i riccioli ribelli. Nemeria la vide
parlare con Adel, che però sembrava ben poco interessato a
una conversazione di qualsiasi tipo. Considerando l'espressione
concentrata del besajaun, doveva avere ben altro per la testa.
Delle dieci persone che costituivano il gruppo che si aprì a
ventaglio sotto il porticato, Nemeria riconobbe anche Morad e Tyrron.
Il suo lanista era la mosca bianca: niente oro, niente ostentazione.
Indossava con eleganza un semplice paio di calzoni e una candida tunica
di cotone con un traliccio d'uva cucito sul collo. Nonostante la
semplicità dell'abbigliamento, la sua altezza e il suo
portamento fiero catturavano lo sguardo.
Le guardie si erano disposte sul perimetro del cortile e quattro, due
per lato, avevano affiancato l'uomo anziano.
- Promessi gladiatori, vi abbiamo addestrato nell'arte dello spettacolo
e oggi dovrete dimostrare che il tempo passato qui non è
stato vano. A breve vi misurerete in un torneo tra di voi. Non ci
saranno premi o punizioni, se non quelle che i vostri padroni potranno
decidere di farvi scontare, ma avrete l'onere di mostrarci se siete
davvero gli sposi e le spose che l'arena attende. -
Nemeria lo vide prendere un profondo respiro e il sorriso che gli si
dipinse sulle labbra spianò le rughe agli angoli della bocca.
- Stasera avrà luogo il vostro battesimo del fuoco. Il
torneo è un onore che solo i migliori tra di voi, quelli che
davvero hanno la stoffa per diventare gladiatori, potranno affrontare.
Davanti agli occhi degli Spiriti e di Ahurmazd Heydar, sarà
vostro compito mostrarci che ve lo meritate, che non esiste vento,
bufera, freddo o dolore che vi distolga dal vostro obiettivo. Non
tornerete a dormire nelle vostre stanze, né potrete
mangiare. Se riuscirete a rimanere svegli senza crollare fino a domani
mattina, verrete ammessi al torneo. Se, invece, crollerete, significa
che la vostra volontà deve ancora essere temprata. Quel che
sarà di voi, lo rimetto alle mani dei vostri padroni. -
Roshanai marciò al passo con Reza e, mentre le guardie si
facevano indietro, lei, Sayuri e altri, tra uomini e donne, che non
erano facce note a Nemeria, ne prendevano il posto. Tutti erano armati
e tanto bastava per mettere da parte la sua curiosità.
- Sappiate che, anche se io non sarò qui a sorvegliarvi,
sarete tenuti sempre sott'occhio. Se cadrete, lo sapremo. Se proverete
a fuggire, la pagherete. - proferì grave e li
fissò col suo unico occhio, - Vi dovrete guadagnare tutto
ciò che non è una prima necessità. Non
importa la vostra età, non importa il vostro passato, non
importa il vostro volere. Se non riporterete alcuna vittoria, vi
sarà concesso soltanto il minimo indispensabile per la
sopravvivenza. Questa regola varrà finché io,
Koosha Kodjea, sarò il direttore di questa scuola. -
Nemeria capì cosa intendesse quando vide il ragazzo che era
venuto a chiamarle correre a rotta di collo giù dalle scale,
con Batuffolo tra le braccia che dormiva tranquillo. Il cuore le
precipitò sotto terra quando lo consegnò a Morad
e il caracal aprì gli occhi di scatto. Si dibatté
agitato, gli artigli che affondavano nella tunica con sempre
più determinazione e gli occhi che imploravano aiuto.
Nemeria venne investita da un panico viscerale. Fu quando Morad lo
colpì sul collo che quel sentimento l'abbandonò
all'improvviso, si ritirò come un'onda dal bagnasciuga.
Koosha rivolse gli occhi al cielo e poi incrociò lo sguardo
di Tyrron. Si fronteggiarono per un istante più lungo di
un'occhiata, quindi il direttore della scuola tornò a
interessarsi dei gladiatori. Nemeria aveva il batticuore e voleva
correre a riprendere Batuffolo, ma piantò i piedi a terra e
rimase lì, a pugni stretti, le unghie dolorosamente
conficcate nei palmi e lo stomaco contratto per la fame. Un frullio di
ali catturò la sua attenzione: scorse Pavona appollaiata
sulla grondaia, la luce lunare ne spruzzava le piume di bianco.
Noriko raddrizzò le spalle, piegò la gamba
nell'interno coscia e unì le mani davanti al naso, mentre
Durga si limitò a sedersi per terra a meno di un braccio da
Ahhotep, che aveva assunto la posizione del loto. Erano tutte
lì ed erano pronte.
Rivolse un'ultima occhiata a Pavona e poi a Batuffolo, che dormiva
placido tra le braccia di Morad. Se lo rivoleva, il primo passo era
guadagnarsi l'accesso al torneo.
"È ora di fare sul serio."
Si impresse quelle parole nella mente e baciò la pietra di
luna. Poi, si sedette vicino a Noriko e appuntò la sua
attenzione sulle torce, sulla luce che emanavano. Come la farfalla in
un tulipano, Agni ondeggiava il bacino sulla musica silenziosa della
notte.
- La prova comincia adesso. - annunciò Koosha, - Che la luce
di Ahurmazd Heydar sia con voi, gladiatori. -
"Le
decisioni sono soltanto l’inizio di qualcosa. Quando si
prende una decisione, in realtà si comincia a scivolare in
una forte corrente che ti porta verso un luogo mai neppure sognato al
momento di decidere.
"
Paulo
Coelho
Il cielo imbrunì
presto e le nuvole illividirono, colmandosi dell'aria umida della sera.
Il vento le sospingeva in avanti, le gonfiava e vi passava attraverso,
per poi calare in una parabola discendente tra le strade di Kalaspirit
e nel cortile della scuola. Era un vento caldo e secco, che spolverava
la terra di granelli di sabbia rossa e scrocchiante. Anche a occhi
chiusi, Nemeria percepiva la loro carezza ruvida sulla guancia e tra le
ciglia. Si stropicciò le palpebre, stronfiò per
togliersi i granuli rimasti appiccicati alle labbra e alle narici e
abbracciò il paesaggio con lo sguardo.
Erano già passate due ore dall'inizio della prova e alcuni
si erano addormentati, per lo più ragazzi della sua
età o poco più grandi, probabilmente sfiniti
dagli allenamenti del pomeriggio. Erano stati svegliati dai maestri che
li sorvegliavano ed esortati a tornare nelle loro stanze senza
possibilità di replica. Non che avessero qualcosa da
obiettare: avevano fallito la prova e questa consapevolezza si
accompagnava a un'espressione diversa per ognuno. Nell'indifferenza,
Nemeria poteva cogliere la vena della paura; nella stanchezza, l'ombra
del dubbio; nell'incertezza, la ruga della rassegnazione.
Non li seguì mentre si allontanavano, né si
soffermò più di tanto sui loro mormorii
preoccupati o sui singhiozzi decapitati tra i denti. Per quanto
provasse dispiacere per loro, non doveva perdere di vista il suo
obiettivo. Così lasciò che il vento acchiappasse
gli strascichi delle loro conversazioni e li disseminasse lontano da
lei, prima che piantassero radici nella sua testa.
Al suo fianco, Noriko piegò una gamba, distese le braccia e
chiuse pollici e indici ad anello. Era stato il suo unico movimento in
quelle due lunghe ore. A piedi nudi nella sabbia, si manteneva in
perfetto equilibrio, come se non avesse fatto altro in tutta la sua
vita. Anche l'immobilità di Ahhotep era ammirabile, seppur
diversa. Se lei era uno stelo d'erba bloccato nel ghiaccio, una vita
cristallizzata nell'inverno, Noriko era una quercia che sfidava il
vento.
Durga pareva riposare all'ombra dei suoi rami. Aveva disegnato una
griglia e vi aveva disposto dei sassolini che aveva trovato frugando
sotto la sabbia. Per distinguerli, aveva disegnato una mezzaluna bianca
con l'unghia, ripassandola due o tre volte perché fosse
visibile. Quella era forse la quinta partita che cominciava, Nemeria
non le aveva contate tutte. Però aveva notato che quel gioco
catalizzava completamente la sua attenzione. Avrebbe volentieri
partecipato anche lei, se solo avesse potuto chiederle di spiegarle le
regole.
Udì un lieve russare alle sue spalle, il respiro lento e
profondo del sonno. Una donna con il collo adornato da collane colorate
e le labbra dipinte di blu avanzò verso una ragazza che era
crollata rannicchiata di lato. Al suo fianco, chiuso come una
chiocciola, dormiva il suo compagno, uno sha'ir con i capelli macchiati
d'oro e il collo chiazzato di lentiggini.
- Alzatevi, asiri. -
Entrambi i ragazzi si svegliarono. Si fissarono intontiti per un
momento prima di prendere coscienza di cosa fosse successo.
- Ci dispiace. - mormorò lo sha'ir.
La donna tacque. Solo il lieve ondeggiamento del labbro tra i denti
lasciava intuire che stava valutando cosa dire. La luce della torcia
illuminava solo metà del viso, lasciando l'altra in ombra,
come se la linea bianca che lo divideva in due metà perfette
fosse la linea di confine per una terra di nessuno.
- Andate da Nande a farvi controllare. Se vi ammalaste di nuovo,
sarebbe un problema per Tara. -
Lo Sha'ir annuì. Tese la mano alla ragazza,
l'aiutò ad alzarsi e poi quasi la trascinò fuori
dal cortile. La sua magrezza smunta appariva ancor più
spettrale nella semioscurità.
"Come ti senti?"
"Stanca. E questa sabbia è tutto fuorché comoda."
Pavona rise nella sua testa. Il suono aveva un che di leggero e
rassicurante.
"Mi dispiace che stasera sei venuta inutilmente."
"Prima o poi sarebbe
successo. Non è l'unica scuola di
gladiatori che fa una cosa del genere."
"Quante ce ne sono?"
"Nell'Impero Siham?
Tante. Quella di Kalaspirit è una delle
più conosciute, ma di certo non è la
più grande."
Durga sbadigliò rumorosamente e si fece scrocchiare le dita,
prima di muovere un'altra pedina in avanti. Nemeria le
lanciò una lunga occhiata e attese le altre mosse per
assicurarsi che non si addormentasse.
"Non penso sia giusto che tu parli con me."
"Preferisci che me ne
vada?"
Nemeria si prese il suo tempo per rispondere. Fissare Agni che danzava
tra le fiamme la rilassava, ma senza uno stimolo sarebbe crollata prima
dell'alba. La fame, anche se l'aiutava a rimanere sveglia, presto
sarebbe rimasta schiacciata dallo sfinimento della giornata.
"Non penso che le tue
amiche ti biasimerebbero, se è questo
che ti preoccupa."
"Come fai a saperlo?"
"Tu diresti loro
qualcosa?"
"No, ma..."
"Ma?"
"È che mi sembra di barare. Non è giusto nei loro
confronti."
"Allora parliamo
finché non senti di potercela fare da sola,
va bene?"
Era difficile dire di no. Se sull'altro piatto della bilancia non ci
fosse stato Batuffolo, forse avrebbe rifiutato: lui contava
più del suo orgoglio e delle aspettative di Tyrron.
"Anche se, dopo tutto quello che ha fatto per me, non voglio deluderlo."
"A chi ti riferisci?"
Il sussulto di Nemeria scatenò l'ilarità di
Pavona.
"A Tyrron, il mio lanista. A suo modo mi ha aiutata ed è
stato..." cercò la parola giusta tra poteva associare. "
È stato gentile, ecco."
"Allora
cerchiamo di non deludere le sue aspettative."
La scuola divenne inconsistente, sprofondò in un bianco
accecante e i contorni si distorsero, delineando una piana che si
estendeva a perdita d'occhio. L'erba era affilata, dritta e ispida come
il pelo di un gatto. Davanti a Nemeria, come perse in lontananza,
nuvole bianche e paffute nascondevano allo sguardo la cima delle
montagne.
- Le Montagne Celesti. Le avevi mai viste? -
Pavona era apparsa al suo fianco. Indossava una tunica lunga fino al
polpaccio, con maniche larghe e colletto alto foderato di pelliccia. I
calzoni, di un marrone scuro che aveva trattenuto il profumo di
quercia, erano rimboccati all'interno degli stivali di pelle a punta
rialzata. Un vento freddo frusciava tra gli steli e le scompigliava la
coda che fuoriusciva dal copricapo rosso. Senza trucco non sembrava
nemmeno lei.
- Ne avevo solo sentito parlare. - rispose Nemeria.
Non era agitata: quella era una Condivisione, tanto reale da sembrare
vera. Ma inconsciamente, con una consapevolezza che niente aveva da
spartire con la ragione, avvertiva che non era niente di più
che un ricordo molto vivido.
- Come puoi farlo se sai padroneggiare solo la terra? -
- La terra è un elemento pesante, come l'acqua. Conoscerne a
fondo uno equivale a carpire qualche segreto dell'altro. - le
lanciò un'occhiata in tralice e aggiunse, - Tu sai di cosa
sto parlando. -
Nemeria stava per ribattere, quando si ricordò che lei aveva
visto tutto durante la Condivisione del loro primo incontro.
- Imparerai, a piccoli passi. -
- Vorrei possedere la tua sicurezza. -
- I maestri devono avere fiducia quando i loro allievi non ne hanno
abbastanza. -
Pavona sorrise e Nemeria si sentì rinfrancata.
Rimasero sedute sui massi su cui erano apparse, a fissare il recinto
dei montoni, dei cavalli e dei buoi sorvegliati da quattro cani dal
pelo lungo e maculato. Un altro, un mastino col muso schiacciato e la
lingua di fuori, si aggirava tra le yurte, più per
elemosinare del cibo che per far loro la guardia. Quando giunse vicino,
annusò le gambe di Pavona, si accucciò al suo
fianco e la fissò finché non le
strappò una carezza.
- Zambaga. Me la ricordo ancora. Amava rincorrere i cavalli, anche
quando era chiaro che non aveva possibilità di vincere. -
mormorò la donna, grattandole il collo e dietro le orecchie,
- Vieni, è ora di pranzo. -
Fece cenno a Nemeria di seguirla verso la yurta più vicina.
Negli ultimi anni, Nemeria le aveva viste usare poco, forse
perché la sua tribù non si era spesso spinta
oltre i confini dell'impero, ma ricordava lo scheletro di doghe e la
quantità di calore che il panno di feltro era capace di
trattenere. Tuttavia, il luogo di nascita di Pavona era un luogo
freddo, ben lontano dal deserto e dalle sue piccole oasi. E di quel
giorno non le rimanevano altro che sfumati ricordi tattili, legati
più a suoni e sapori appartenenti a una memoria sopita e
impolverata dagli anni.
La porta di legno della yurta si aprì senza un cigolio.
Pavona dovette piegare la testa per entrare, mentre Nemeria
scivolò dentro senza nessuna difficoltà. Anche
lei indossava i suoi stessi abiti, con un copricapo simile ma a falda
larga.
Ad accoglierle fu un'aria di festa e due
Jichéngrèn poco più alti
di cinque
piedi e mezzo. L'uomo vestiva come Pavona, la donna invece indossava un
cappello con delle lunghe nappe verdi, abbinate alle strisce blu che si
avviluppavano attorno alle orecchie, così lunghe e sottili
da sembrare le ali di un pipistrello. Le escrescenze ossee che
disegnavano le sopracciglia e contornavano gli zigomi sporgenti erano
state dipinte di rosso, in modo da mettere in risalto gli occhi a
mandorla.
Nemeria si inchinò in segno di saluto, seguendo l'esempio di
Pavona, e poi vennero accompagnate alla tavola, un tappeto di lana
attorno a cui erano seduti sia altri Jichéngrèn
che i membri della tribù. Nemeria riconobbe Hediye, Fakhri,
Arsalan e molti altri. Tutti erano più giovani,
più sorridenti; parevano amici raccolti alla stessa tavola
durante una ricorrenza, parlavano tra di loro con
un'intimità che Nemeria aveva visto riservata solo
all'interno della tribù.
- Sedici anni fa era diverso. -
Pavona si sedette tra due bambine Jichéngrèn che
stavano divorando delle frittelle. Le lanciarono una lunga occhiata
incuriosita, poi una di loro, la più piccola a giudicare
dalle escrescenze ossee meno accentuate, le porse una ciotola con brodo
e gnocchi fritti.
Nemeria prese posto dietro Pavona e rimase imbambolata a guardare i
partecipanti al banchetto. Sua madre era bellissima da giovane. Non era
sicura di quanti anni avesse, ma portava i capelli tagliati corti e una
lunga collana di finti denti di leone e perle colorate. Aveva le guance
rosse, sia per il riso che per l'arakà, il liquore a base di
latte prodotto dagli Jichéngrèn. Fakhri e Arsalan
sedevano vicini e si stavano dividendo le fette di pane per spalmare il
formaggio di capra. Lei corrispondeva alla maestra dei suoi ricordi,
quella che portava le orecchie tempestate di orecchini di tutte le
grandezze e forme e i capelli perennemente raccolti in una crocchia al
di sotto della nuca, con solo qualche filo di un grigio così
tenue da confondersi col bianco della chioma. Mangiava con la solita
calma, masticando ogni singolo boccone come se fosse il primo e unico.
Pure Arsalan era come lo ricordava: burbero, austero, con delle
occhiaie che, col tempo, si erano approfondite fino a diventare una
vera e propria rete incisa nella pelle.
Era strano per Nemeria vederli così, com'erano stati anni
prima. Sembravano persone diverse, più felici,
più libere, più umane. Persino le Jinian Anziane
si concedevano qualche sorriso e, anche se quello che provavano non era
altro che l'ombra di un sentimento, il corpo rilassato esternava la
loro serenità interiore.
- Cosa ci è successo? - mormorò meravigliata.
- Sedici anni fa, l'Alta Sacerdotessa scelse il suo Unico e rimase
incinta. -
Non servì che Pavona gliela indicasse, Nemeria la riconobbe
subito. Sedeva sorseggiando una tazza di tè accanto allo
Jichéngrèn che era venuto ad accoglierle. La luce
cerulea dei tatuaggi filtrava attraverso la stoffa e bastava un
movimento poco più ampio del braccio perché la
manica li scoprisse un po'. Nemeria, però, non riusciva a
staccare gli occhi dal ventre gonfio che l'Alta Sacerdotessa non
smetteva di accarezzare.
- Era un uomo del Nord conosciuto durante un pellegrinaggio al
santuario dell'acqua, in Jogalia. Per la Madre, quanto amava quella
bambina! Quando nacque, me lo ricordo, eravamo ancora qui e io
assistetti al parto. Dovevi vedere come la stringeva, l'amore nel suo
sguardo mentre le dava il suo latte. -
- E cosa è cambiato da allora? -
- Le Anziane, dopo un anno dalla nascita, dovettero obbligarla ad
affidare la bambina all'Ikaelan scelta. È stato orrendo
vederla crollare. -
Nemeria non riusciva nemmeno a immaginarsi una scena del genere. Per
lei, l'Alta Sacerdotessa era sempre stata una donna forte, eterea,
invincibile.
- Non so se fu quello o l'inizio del conflitto con l'impero
Skandaaleshan a indurla a credere che allontanarci ancora di
più dai mortali fosse la scelta migliore. -
- Quindi loro... - indicò gli astanti, - Loro sapevano chi
eravamo? -
- Probabilmente sì, ma l'Alta Sacerdotessa tolse loro la
memoria prima di ripartire. Forse c'è ancora qualcuno tra i
mortali che si ricorda di aver mangiato alla nostra stessa tavola, ma
ormai siamo materiale da leggende. - fissò i fondi d'erbe e
trasse un profondo respiro, - È il motivo per cui ho
abbandonato la tribù. Volevo vedere, volevo conoscere, non
potevo più accontentarmi di osservare il mondo da lontano. -
- Mi dispiace che tu te ne sia andata. -
Pavona tese la mano verso una Jichéngrèn che le
stava offrendo del tè.
- È stata una mia decisione, sapevo che quello era un addio.
Se potessi tornare indietro non rimarrei, ma direi ad Afsar e alle mie
sorelle quanto le amavo una volta di più. -
Nemeria si ricordava di Afsar. Era una donna sulla quarantina, con le
labbra prominenti, le sopracciglia disegnate e i capelli rasati
screziati di grigio. Si prendeva cura di Ziba e dei suoi due fratelli
nonostante gli acciacchi della vecchiaia e l'anca dolorante.
- Questi ricordi sono tutto ciò che mi rimane della nostra
tribù, ma per quanto li tenga stretti pian piano svaniscono.
Ho deciso di condividerli con te perché vorrei che anche tu
li conservassi. Magari molti di loro non li hai mai incontrati,
però è importante che tu sappia com'eravamo. -
- Lo capisco. -
Giunse le mani in grembo e posò lo sguardo su Hediye. Quanto
le sarebbe piaciuto andare da lei e stringerla forte, dirle che le
voleva bene, che era stata la madre migliore del mondo. Invece l'unica
cosa che poteva fare era osservare com'era in un ricordo. Si strinse la
stoffa all'altezza del cuore. Era così vicina, eppure
già troppo lontana nel tempo.
- Hediye era una brava persona. Tutte le Anziane concordarono
nell'affidare a lei la figlia dell'Alta Sacerdotessa. -
Nemeria rimase interdetta. Aprì le mani e contò a
bassa voce sulle dita. Per ogni anno che sottraeva, l'intuizione che
aveva avuto si delineava con sempre maggiore chiarezza nella sua mente.
Come le tessere di un mosaico, i dettagli andarono al loro posto,
delineando il quadro generale. Impallidì.
- Qualcosa non va? - domandò Pavona.
- Ti ricordi il nome della bambina? -
- Etheram. - girò appena la testa e la fissò in
tralice, - Significa qualcosa per te? -
Le labbra a cuore, il naso all'insù, le ciglia lunghe e
folte e le orecchie leggermente a punta. Visti sotto un'altra luce,
quegli elementi acquisivano un altro significato. Allungò
l'indice e sfiorò il bozzo della pietra di luna nascosta
sotto i vestiti.
- Mi chiedo solo perché non me ne sia mai accorta. -
- Quando una persona è una costante nella nostra vita, la
vediamo meno chiaramente di quanto pensiamo. -
- Sì, ma... -
Si interruppe prima di proseguire la frase. Aveva davvero importanza, a
quel punto, sapere chi era figlio di chi? Etheram non ne aveva idea e
nemmeno Nemeria sarebbe mai dovuta venirne a conoscenza.
- Nemeria? -
Scosse la testa e trasse un lungo respiro: - L'unica cosa che mi
dispiace è non averlo potuto scoprire con lei. -
- Ti riferisci alla persona che ti ha regalato la pietra di luna? -
Nemeria tirò fuori il ciondolo e se lo rigirò tra
le mani. I riflessi violacei si coloravano ancora di più
ogni volta che captavano la luce.
Pavona chiuse la pietra tra le ultime due falangi e abbozzò
un mezzo sorriso.
- Non poteva sceglierne una migliore per te. La pietra sacra della
Madre è al contempo simbolo del coraggio, della speranza,
della purezza e della fede. -
Nemeria deglutì e percepì gli occhi riempirsi di
lacrime. Pavona la prese sottobraccio e l'aiuto a mettersi in piedi.
Fuori il vento aveva ammassato le nuvole in uno strato compatto che la
luce faceva fatica a oltrepassare. Il freddo si insinuava sotto i
vestiti e le intirizziva le dita delle mani e dei piedi. Per quanto
sapesse che non poteva ammalarsi, Nemeria affondò il viso
nel colletto di pelliccia.
Rimasero a contemplare il paesaggio per un po'. Per la gente che si
spostava in quel nulla colmo di vita, la libertà correva nel
vento e passava tra i fili d'erba, piegandoli con la gentilezza di un
soffio primaverile. Era veloce, alta, leggiadra; cavallo, aquila e
servalo assieme. E le Montagne Celesti parevano l'unica barriera
esistente, una frastagliata corona di roccia e ghiaccio opaco che si
perdeva nel bianco abbacinante.
Pavona sfiorò ancora una volta la pietra di luna. Le sue
dita rimasero sospese un istante prima di discostarsene.
- Un giorno le vedrai anche tu. -
Pavona le strinse forte le mano. Cielo e terra divennero un tutt'uno e
il bianco sommerse ogni cosa.
Nemeria sbatté le palpebre un paio di volte. Si sentiva
tutta intorpidita e non c'era muscolo che non le dolesse. La notte
stava schiarendo nell'aurora e il profilo rosato del sole si allargava
in un'aureola oltre il tetto della Scuola.
Pavona non era più lì. Il corvo che usava per
parlare con lei era rimasto, ma i suoi occhi avevano perso quello
scintillio di consapevolezza umana.
"Quindi la prova è finita."
Le guardie si erano date il cambio, mentre i Syad erano gli stessi.
Sayuri se ne stava dritta a guardare l'alba. Roshanai se ne stava
appoggiata alla colonna con le dita legate dietro la nuca e lo sguardo
rivolto sui ragazzi rimasti. Nemeria ne contò una trentina,
tra cui Durga, Ahhotep e Noriko. Con suo disappunto, vide che neppure
Abayomi e Zahra mancavano all'appello. Si erano accaparrati un angolo
lontano che era stato precedentemente occupato da altri concorrenti, ma
dove alla fine erano rimasti solo loro due. Poco più in
là, steso terra con la gamba piegata sul ginocchio, c'era il
ragazzo alto, quello che aveva visto quando erano in coda. Il braccio
destro gli sosteneva la testa mentre l'altro a volte afferrava un pugno
di sabbia, per poi lasciarla fluire tra le dita aperte. I capelli erano
chiari e sottili e le orecchie simili alle ali di una farfalla, con
l'elice che si assottigliava sempre più, allungandosi verso
l'alto.
"Un Eoin'id? Che ci fa qui?"
Un crampo allo stomaco tagliò di netto il filo dei suoi
pensieri. Nemeria si strinse la pancia e si dondolò avanti e
indietro finché il dolore non diminuì. Aveva fame
e i rumori provenienti dalle cucine non aiutavano affatto. Durante la
Condivisione, nonostante si fosse ritrovata davanti a una tavola ricca
di prelibatezze, non aveva sentito il bisogno di mangiare. Ora invece,
salivava al solo profumo del pane.
Pure Durga sembrava soffrire tanto quanto lei: si era raggomitolata con
le bracci avvolte attorno alle ginocchia e si dondolava, gli occhi che
si chiudevano e si riaprivano a intervalli di pochi istanti.
"Almeno stanotte non ha fatto freddo. Ma se anche fosse caduta la neve,
avremmo dovuto fare comunque questa maledetta prova."
Attesero un'altra ora, durante la quale altri tre caddero addormentati.
Nemeria seguì con lo sguardo la loro ritirata e poi
tornò a giocare con la sabbia, a compattarla in modo da
darle una forma quanto più definita possibile. Non era
importante che fosse bella o complessa, semplicemente era essenziale
tenere occupati il corpo e la mente.
Il suono lungo e prolungato di un corno ruppe il silenzio nel campo.
- In piedi. - intimò una delle guardie, mentre gli altri
soldati si avvicinavano compatti.
Noriko le passò un braccio sotto le ascelle e
l'aiutò a rimettersi in piedi. Se soltanto non si fosse
sentita le gambe così irrigidite, Nemeria l'avrebbe
respinta, ma le veniva difficile anche solo mantenerle dritte sotto il
suo peso. Ahhotep fece lo stesso con Durga, con la differenza che
dovette praticamente sollevarla di peso.
Koosha e i lanisti arrivarono una decina di minuti dopo. Stavolta,
però, entrarono dal portone della Scuola, tutti vestiti con
la stessa medesima eleganza del giorno precedente, a parte Tyrron, che
invece aveva optato per un chitone di lino sbracciato, annodato sulle
spalle. Ai piedi portava dei sandali alti di cuoio rosso, alti fino
allo stinco e impreziositi con schegge d'avorio. Oltre a Morad, si
accompagnava a una qazam che Nemeria non aveva notato il giorno prima.
Gli arrivava a malapena alla vita, ma aveva un bel sorriso, che il
rossore sulle guance non faceva altro che rendere ancora più
dolce.
Koosha si fece avanti e abbracciò con lo sguardo il campo.
Passò un lungo istante in cui nessuno fiatò.
Durga rimase appoggiata ad Ahhotep, ma tenne il mento alzato,
orgogliosa come una leonessa, mentre la sua compagna la sosteneva per
il fianco, i capelli appiccicati alla fronte appena sudata. Noriko,
così come Zahra e Abayomi, ricambiò le occhiate
del preside come se fossero indirizzate soltanto a loro.
- Per voi che siete rimasti: bravi. Avete superato la prima prova,
quella che vi darà l'accesso al torneo. Mi congratulo con
ognuno di voi e spero che questo non sia che l'inizio della vostra
scalata verso il successo. - fece una pausa e affetto, - Il torneo
comincerà tra quattro giorni. In questo tempo, le lezioni
sono sospese. Siete liberi di utilizzare i campi quando e come volete
per allenarvi o, se siete già sicuri della vittoria, potrete
rimanere nelle vostre camere a riposare. Quel che importa è
che, alla fine, siate gli unici a rimanere in piedi. -
Tyrron guardò Nemeria con palese orgoglio. E anche se il
sangue faticava a fluire nelle gambe, Nemeria tirò indietro
le spalle e intrecciò le dita dietro la schiena. Non era
tutto merito suo, ma non le interessava: poteva sopportare uno smacco
alla sua autostima per riavere indietro Batuffolo.
"Etheram sarebbe fiera di me."
Due ragazze con i capelli legati in svariate trecce e le guance paffute
camminarono fino al limitare del campo, mentre i soldati ingiungevano
ai concorrenti vicini di indietreggiare. Srotolarono due pergamene e
cominciarono a chiamare i gladiatori che si erano sottoposti alla
prova, suddivisi secondo i nomi dei lanisti. Se nessuno rispondeva,
spuntavano quello del concorrente con un carboncino, alzando solo di
tanto in tanto la testa per controllare chi avesse alzato la mano.
Finalmente, Nemeria poté associare il nome di Tana alla
qazam che affiancava Tyrron, e scoprì anche che l'Eoin'id si
chiamava Senan e apparteneva a un certo Siamak, un uomo con il naso
aquilino e gli zigomi bassi e poco pronunciati che si era mantenuto in
disparte. Lo sguardo compiaciuto, a metà tra un ghigno e una
smorfia, che rivolse al gladiatore non le piacque affatto.
Quando Koosha diede loro il permesso di andare a far colazione e si
ritirò ai piani superiori, Tyrron fece cenno a Nemeria e
Noriko di avvicinarsi.
- Stasera siete ospiti a casa mia. Morad verrà a prendervi
poco prima di cena. Vedete di farvi trovare pronte prima del suo
arrivo. - disse e poi, mentre gli altri lanisti parlavano con i propri
gladiatori, imboccò le stesse scale di Koosha.
- Vieni, andiamo a fare colazione. Ne hai bisogno. - la
esortò Noriko.
- Sì... -
Nemeria si stropicciò gli occhi e si concesse un sospiro di
sollievo. Noriko le passò una mano sulle spalle e la strinse
a sé.
- Adesso non preoccuparti di nulla. Mangia e riposati. Dopo, quando ti
sentirai meglio, valuteremo cosa fare. -
Quel dopo non venne mai, perché non appena tornarono in
camera Nemeria crollò addormentata sul letto.
La sera, puntuale, venne Morad a prenderle. Nemeria avrebbe volentieri
dormito di più, ma non le era parso che Tyrron avesse
incluso nella sua proposta la possibilità di declinare
l'invito.
Faceva più freddo rispetto alla sera precedente, il calore
intrappolato nelle pietre della strada era già evaporato
nell'aria vespertina. La luce filtrava dalle finestre e il vento
ingrossava le tende.
Al loro arrivo, i due uomini a guardia del portone della casa di Tyrron
si spostarono per lasciarli passare. Una volta dentro, Imar e Adel
corsero loro incontro e li condussero nella grande sala da pranzo,
già abilmente apparecchiata per tre. I letti, anche in
quest'occasione, erano stati spostati contro le pareti, così
da lasciare spazio al lungo tavolo, dove capeggiavano diverse portate.
Tyrron le attendeva seduto a capotavola, un'anfora piena di vino a
portata di mano. Non appena entrarono, fece loro segno di raggiungerlo
e si alzò.
- Venite. Avrete sicuramente fame. -
Il sonno si era fatto da parte nel momento in cui il profumo della
carne le aveva stuzzicato le narici, però Nemeria si
sforzò di mostrarsi il più dignitosa possibile.
Attese che Noriko prendesse posto di fianco a Tyrron e si sedette
vicino a lei, cercando di non gettare troppe occhiate in direzione
della cucina.
- Sono sorpreso che entrambe siate riuscite a passare la prova. Su
Noriko non avevo dubbi, ma mi stupisce che anche tu ce l'abbia fatta,
Nemeria. -
- Mi sono impegnata molto. Non è stato facile. -
"L'ho fatto soprattutto perché rivoglio Batuffolo."
- Il tuo caracal sta bene. - le disse, come se le avesse letto nel
pensiero, - Se ne sta occupando Morad. Koosha non ne ha voluto sapere
di fartelo tenere senza che te lo meritassi. Il meglio che ho potuto
fare è stato quello di lasciarlo in mani fidate. Se
riuscirai a impressionarlo, in ogni caso, non credo farà
storie, considerando che uno dei gladiatori di Siamak ha un pitone
bianco come animale domestico. -
- Siamak è il lanista più anziano di tutti. - la
informò Noriko e Tyrron annuì.
- I suoi gladiatori sono quelli che hanno vinto più tornei
negli anni. Ha un occhio invidiabile per gli affari, glielo concedo. -
Adel portò due giare dipinte con dei motivi geometrici,
triangoli rossi e verdi che si arrotolavano alla base e sui manici.
Quando le posò sul tavolo, un profumo di datteri e frutta si
diffuse nell'aria e si accompagnò a quello di piccione e
capretto appena sfornati. Venne servito, infine, un antipasto su un
tagliere di pistacchi, noci, nocciole, uova, capperi e olive.
A parte la carne, erano tutte cose che Nemeria aveva sempre mangiato,
ma che Jaffar, il cuoco di casa, cucinava molto meglio rispetto a
quello della Scuola. Si mise nel piatto una tartina con pasticcio di
cacio e aglio e una con gremolato d'olive, in attesa che Imar finisse
di servire il padrone di casa.
Tyrron levò il calice ed entrambe le sue ospiti fecero lo
stesso.
- Alla vostra prima vittoria. -
Brindarono e il vino scese in gola in un'amarognola carezza liquida che
fece tossire Nemeria.
- Troppo forte per te? - le domandò divertito Tyrron.
- No, sì... più o meno. - Nemeria storse le
labbra in una mezza smorfia e se le pulì col dorso della
mano.
- Ho fatto portare anche la birra e l'acqua, ma certe occasioni
meritano d'essere festeggiate con tutti gli onori del caso. -
Finì il suo bicchiere e se lo riempì di nuovo
subito dopo. Il colore scuriva nel viola fino a diventare quasi nero
sul fondo e la luce delle diverse lanterne si scomponeva in tremule
onde luminose man mano che versava altro vino. Poi Tyrron riprese la
parola.
- Quella di stanotte è stata la vostra prima prova, ma la
vera sfida sarà il torneo. Sono passati ben trentadue
gladiatori, molti più di quelli che ci aspettavamo, ma
abbastanza per indire qualcosa di più grande e spettacolare
rispetto agli altri anni. - si portò alle labbra un pezzo di
capretto e lo masticò con calma, - Sarò onesto:
non mi aspetto che vinciate. Gareggiano ragazzi e ragazze anche
più grandi di voi, alcuni ben più addestrati. -
Nemeria ripensò a Senan e provò a immaginarsi
come sarebbe stato avere lui come avversario. Ingoiò il
risultato dello scontro in un boccone di sugo e capretto.
- Quello che però pretendo è che stupiate. Il
torneo non si svolgerà nell'arena ufficiale, ma comunque
sarà pubblico e dovrete fare di tutto per attirare
l'attenzione su di voi. Gli sponsor vi osservano dalla platea e questa
può essere la vostra occasione per conquistarne uno. -
Nemeria sillabò la parola “sponsor” con
evidente confusione e attese che uno degli altri due commensali le
spiegasse il significato, ma venne ignorata.
- Dobbiamo tenere qualche nome a mente? - chiese Noriko.
- Potrei dirvene qualcuno, ma non avendoli mai visti sarebbe inutile.
Combattete come se tutti i membri del pubblico, uomini e donne, lo
fossero. O fingete che siano nascosti tra di loro, non ha importanza.
Ciò che conta è che loro sono la chiave di volta
che vi permetterà di ripagare il vostro debito. Un
gladiatore con un buono sponsor può permettersi armature e
armi migliori, riceve soldi, vestiti e inviti. Conquistatevi il favore
di uno di loro e le vostre possibilità di lasciarvi alle
spalle la vita nell'arena aumenteranno. -
Noriko annuì distrattamente e ruppe una noce tra i due
palmi. Tyrron la studiò tra un boccone e l'altro.
Nemeria ebbe un brivido quando allontanò il piatto e
intrecciò le dita sotto il naso.
- Non pensi ne valga la pena? -
- Se questo è ciò che vuoi, farò il
necessario e anche di più per farmi notare. - rispose la
ragazza.
Tyrron sospirò e scosse la testa. Nemeria ebbe l'impressione
che quella non fosse la prima volta che lui e Noriko avevano una
conversazione simile.
In quel momento Adel portò tre fette di torta di pere.
L'odore del cumino e del pepe era forte, ma sulla lingua si amalgamava
con la consistenza morbida del miele e il pizzicore acidulo del vino.
- Il torneo si svolgerà tra quattro giorni, come vi hanno
detto stamattina. Le modalità su come avverranno gli
accoppiamenti verranno comunicate il giorno del torneo stesso. Fino ad
allora, vedete di occupare il tempo che avete a disposizione come
meglio credete. Ora, - si alzò e le guardò
entrambe, - c'è qualche richiesta speciale? -
- Io vorrei vedere Batuffolo. - pregò timidamente Nemeria.
- Mi chiedevo quando ti saresti fatta avanti. Vieni. -
Tyrron le rivolse un sorriso sghembo e Nemeria si affrettò a
seguirlo quando la condusse attraverso i corridoi, fino a una serie di
stanze chiuse da una semplice porta di legno vicino alle cucine.
Soltanto una era socchiusa e dall'interno proveniva la luce soffusa di
una candela. Nemeria l'aprì con delicatezza. Non appena
Batuffolo caracollò verso di lei, gli corse incontro e lo
strinse tra le braccia.
Morad sedeva sul letto con le mani abbandonate tra le gambe.
- È il cucciolo più indisciplinato con cui abbia
avuto a che fare. - borbottò, ma Nemeria non lo
ascoltò.
Affondò il viso nel pelo morbido del collo del felino e
lasciò che lui le leccasse la guancia con la lingua ruvida.
Lo avrebbe stretto per sempre se Morad non glielo avesse preso dalle
braccia.
- Vedi di impegnarti se vuoi riaverlo, fiammella. -
l'apostrofò Tyrron.
Quell'epiteto la fece irrigidire, ma la sua ironia bonaria non aveva
niente a che vedere con il sarcasmo di Abayomi.
"Non posso più rimandare."
- Morad, riporta le nostre gladiatrici alla Scuola. E fa' in fretta, ho
dei compiti da affidarti. -
Quando tornarono nelle loro stanze, Nemeria si buttò sul
letto senza cambiarsi, con ancora il calore di Batuffolo impresso nei
vestiti.
La mattina seguente, Durga venne a svegliarle che il sole non aveva
ancora riscaldato la terra. Nemeria infilò la testa sotto il
cuscino e sperò con tutta se stessa che anche Noriko
l'avrebbe ignorata. Invece la sua amica si alzò in un balzo
e andò ad aprire.
- Io e 'Tep pensavamo di andare ad allenarci. Venite anche voi due,
vero? -
- Penso di sì. -
- Allora vi aspettiamo al campo dell'acqua. -
- Va bene. -
Noriko chiuse la porta e si voltò verso Nemeria.
- Hai intenzione di far finta di dormire ancora a lungo? -
- Mi sarebbe piaciuto rimanere a letto, in realtà. -
Rimase stesa ancora un poco, ma prima di cambiare idea si
tirò su in un unico scatto. Premette forte le dita sugli
occhi e sbadigliò, mentre seguiva distrattamente i movimenti
di Noriko.
- Perché al campo dell'acqua? -
- Ad Ahhotep non piace avere estranei intorno durante gli allenamenti. -
- Non mi è mai sembrato ci fossero altri dominatori
dell'aria. -
- Non i primi tempi che eravamo qui. Poi ne sono arrivati altri. -
- Non ci ho fatto caso. -
- Tu sei sempre distratta. -
Nemeria arricciò il naso con disappunto, ma
incassò senza replicare. Si accostò all'armadio,
si tolse la tunica e la strinse al petto. I peli di Batuffolo rimasti
impigliati nel tessuto le solleticarono le narici e le inumidirono gli
occhi. Nemeria la ripiegò con precisione e lentezza, come
se, così facendo, fosse stata in grado di intrappolare
l'ombra della sua presenza fino a sera.
- Dobbiamo scendere subito? -
- Prima andiamo, prima cominciamo gli allenamenti. - Noriko
inclinò la testa e ruotò gli occhi verso di lei,
- Qualcosa non va? -
Nemeria si allacciò le endromis. Anche se era andata a
dormire più presto del solito, non si sentiva riposata.
Aveva bisogno di svuotare la testa e trovare una soluzione.
- Nulla, volevo solo sapere se avevo un po' di tempo per andare a farmi
un bagno. -
- Mi sono accorta che hai avuto un sonno agitato, ieri notte. -
Nemeria non si stupì più di tanto. Non ricordava
bene cosa avesse sognato, ma le erano rimaste impresse le voci, da
scenario a scenario. Hirad, Altea, Kimiya, Dariush, e poi Etheram,
Rakhsaan, Hediye, e dopo ancora Zahra, Abayomi, Ana, Il'ya. Se chiudeva
gli occhi, poteva quasi udirli mentre la chiamavano.
- Nemeria. -
Noriko si era seduta al suo fianco e le aveva avvolto la mano tra le
sue.
- Cosa c'è che non va? In queste settimane sei stata
sfuggente. Speravo di poter parlare con te dopo gli allenamenti, ma hai
sempre schivato tutte le mie domande con la scusa della stanchezza per
sgusciare via di nascosto a tarda notte. Abayomi ti ha fatto qualcosa?
Ha scoperto il tuo segreto e ti sta ricattando? -
Nemeria si sentì una stupida ad aver preso in considerazione
anche solo la possibilità che non se ne accorgesse. Noriko
era un'osservatrice attenta.
Trasse un profondo respiro e sgranchì le spalle e il collo.
- No, lui non sa nulla di me. -
- E allora cosa occupa così tanto la tua mente? -
Nemeria sottrasse la mano dalla presa di Noriko.
- Non te lo posso dire. -
- Semmai non vuoi dirmelo. -
- Anche. - fu costretta ad ammettere Nemeria, - Ma perché
è davvero complicato da spiegare. -
L'espressione di Noriko non cambiò. Dopo un momento troppo
lungo annuì, con quella gravità che caratterizza
un soldato insoddisfatto ma obbediente.
- Ci sono molti segreti tra di noi. -
Nemeria abbassò lo sguardo sul pavimento: - Mi dispiace,
Noriko. Non è che non mi fidi di te, è che... -
- No, non scusarti. - si lisciò le pieghe della tunica e si
alzò, - Abayomi si allena con Zahra al campo della terra,
anche se a volte spariscono nell'altra ala della scuola.-
Prima che Nemeria potesse riprendersi dallo stupore, uscì a
grandi falcate e si richiuse la porta alle spalle.
"E adesso?"
La domanda aleggiò nell'aria per un po' e rimase insoluta.
Quando il silenzio le rese difficile pensare, decise di uscire pure
lei. Non aveva una meta precisa e, anche se sapeva che camminando non
avrebbe trovato la soluzione ai suoi problemi, si rese conto che se
fosse andata ad allenarsi non avrebbe concluso nulla. La sua mente
vagava da un pensiero all'altro, in balia dell'indecisione, della
spossatezza e dei sentimenti repressi nelle settimane precedenti.
C'erano così tante questioni irrisolte, che non faceva a
tempo a focalizzarsi su una che un'altra appariva, richiamando
prepotentemente la sua attenzione. Aveva la nausea, come se si trovasse
in balia di una tempesta in mezzo al mare.
Scese le scale, oltrepassò i bagni e percorse un corridoio
parallelo al campo d'allenamento centrale. Le guardie le scoccarono
appena uno sguardo, prima di tornare a parlare tra di loro. Erano di
meno rispetto a quelle che stazionavano sugli altri piani e, quando
sbirciò nella fessura tra l'uscio e la porta lasciata
socchiusa, Nemeria capì il perché.
Vide una camerata con una trentina di letti, divisi solo da alcuni
bassi e sparuti comodini. La luce proveniva per lo più dalle
lanterne che penzolavano dal soffitto, delle bocce di vetro opaco
simili a bolle di ghiaccio sporco che faticavano a scacciare le ombre
più vicine. L'unico accesso sul mondo esterno era una
finestra incassata nel muro che aggettava sulla strada, così
piccola da dare l'impressione di osservare un quadro in miniatura.
Nemeria compì un paio di passi all'interno e
tastò con mano il letto più vicino. Il materasso
era duro e bitorzoluto, molto più scomodo di quelli dove
dormivano lei e Noriko, e il cuscino era sottile e svuotato, con le
piume che fuoriuscivano in ispidi ciuffetti dai buchi nella federa.
"La stanza della servitù, immagino."
Si sedette sul bordo, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Il
fresco le snebbiò la mente e placò un po' la sua
inquietudine.
Aprì la mano e attinse al potere di Agni. Ormai le veniva
naturale come respirare. Tuttavia, la semplicità con cui la
fiammella si accese la sorprese. Il collare restava sempre un
impedimento, un blocco seppur minimo a una discesa altrimenti semplice,
ma non era più un peso. Era una corda, una stupida corda che
la tratteneva con uno strattone quando provava ad attingere troppo in
fretta o pretendeva troppo potere.
Mosse le dita e plasmò la fiamma nelle sembianze di un
coniglio in corsa, poi di un cerbiatto e, infine, di un piccolo caracal
che si rotolava sul palmo.
Volontà. Bastava averne abbastanza per imprimere la forma al
fuoco. La sfida era mantenerla, perché il fuoco era un
elemento instabile che cambiava come e più in fretta di un
pensiero, come le aveva spiegato Pavona.
La fiamma si assottigliò in una sinuosa lingua luminosa, si
allungò e compose le braccia di una donna che danzava
battendo un req contro il polso. I sonagli trillavano a ogni colpo,
scandendo il ritmo dei fianchi e delle giravolte. Agni ballava con
un'eleganza che avrebbe incantato chiunque, come quelle gitane con le
gonne ampie cucite di mille colori che allestivano i loro spettacoli
agli angoli delle strade. Nemeria era sorda alla sua musica e anche
alla sua voce. Se avesse voluto sentirla, avrebbe dovuto scendere e,
forse, nemmeno in quel caso ci sarebbe riuscita. D'altronde, sebbene
Agni fosse sempre dentro di lei, era comunque una semplice fiamma:
instabile, precaria, caduca. Se non era lei stessa a protendersi, ad
accendersi al richiamo di Nemeria, persino la costrizione del collare
poteva bloccarne il flusso.
- Dominatrice. -
Nemeria chiuse le mano e si voltò di scatto. Il ragazzo che
era venuto nella sua camera la sera della prova la fissava da dietro un
letto con gli occhi azzurri animati da una luce curiosa.
- Come ti chiami? -
- Ozgur. -
- Il letto è tuo? -
Lui annuì, ma quando Nemeria fece per alzarsi scosse la
testa.
- Stare. Nessuno dire nulla. -
- Ah, va bene. Puoi sederti accanto a me, se vuoi. -
Ozgur si morse l'interno della guancia. Teneva sottobraccio una palla
di vestiti che nella semioscurità polverosa sembravano tutti
grigi.
- Lavorare o capo arrabbiare. -
Nemeria annuì. Il viso tondo e i capelli scompigliati le
ricordavano suo fratello Rakhsaan. I colori che appartenevano a Ozgur
erano più scuri, retaggio di un sangue legato al deserto,
alle oasi e al vento caldo, ma nelle fossette sotto gli occhi e
nell'andamento scarmigliato dei riccioli Nemeria rivedeva la stessa
implacabile voglia di fare di suo fratello.
- Tu padrona di caracal? -
- Sì, sono io. Come fai a saperlo? -
- Quella con... - strizzò le palpebre e si passò
le dita tra i capelli, - capelli rossi. Lei dura e fredda. Cucciolo
dolce, troppo per lei. -
Quella descrizione sintetica di Noriko le strappò un sorriso.
- Sei stato tu a prenderti cura di Batuffolo? -
- Batuffolo. - sillabò piano Ozgur, - Caracal? -
- Sì, l'ho chiamato così. -
- Bel nome, piacere molto. E sì, dare io da mangiare a lui. -
- Anche tu devi piacergli molto. Di solito non si fa mai avvicinare
dagli estranei. -
Ozgur sorrise con una punta d'orgoglio e si tirò al petto i
vestiti. La sua allegria contrastava con l'angoscia di Nemeria come
l'olio che galleggia senza mescolarsi all'acqua.
- Dispiace che non più qui. - mormorò imbronciato.
- Se sarò brava durante il torneo me lo ridaranno, non
preoccuparti. -
- Allora semplice: tu molto brava, quindi tu vincere. -
Nemeria corrugò le sopracciglia e gli lanciò
un'occhiata interrogativa.
- Io guardata, a volte. Tu rialzare sempre, anche quando elfa buttare a
terra. Tu forte. - si complimentò Ozgur, - Sicuro che tu
farcela a riavere Tufolo. -
- Anche Noriko è forte. -
- Tu di più. E se dire Tufolo, io credere. -
Nemeria lo fissò con tanto d'occhi e Ozgur
indietreggiò, per la prima volta spaventato.
- Cosa significa che Batuffolo ti ha parlato? -
- Io andare a lavorare. -
Nemeria tentò di afferrarlo, ma una ventata improvvisa la
spinse a indietreggiare così in fretta da farle perdere
l'equilibrio e cadere.
"Un Dominatore dell'aria qui?!"
Lo stupore la inchiodò a terra e l'eco dei passi di Ozgur si
perse in lontananza.
Nemeria rimase lì finché non percepì
la pelle a contatto col pavimento farsi fredda. Con le gambe che
formicolavano, si tirò su e uscì lesta dalla
stanza della servitù.
Il resto della giornata passò con una
tranquillità quasi disturbante. Nemeria andò in
giro per la Scuola per tutta la mattina, muovendosi su e giù
da una scala all'altra. La scoperta di un Dominatore tra la
servitù la lasciava ancora incredula. Come aveva fatto a
infiltrarsi lì dentro senza farsi scoprire? Era stato un
gladiatore e poi, per qualche motivo, era stato scartato e relegato a
lavorare lì, oppure si fingeva umano per avere un tetto
sulla testa e un piatto caldo? Era un segreto che sapeva solo lei o
anche qualcun altro ne era al corrente? E se era coinvolta una terza
persona, perché non lo aveva rivelato a nessuno?
Provò a trovare una risposta, ma le poche informazioni che
aveva sulla Scuola e sul suo funzionamento non erano sufficienti
nemmeno per azzardare un'ipotesi.
Girando, scoprì che al terzo piano c'era una biblioteca. Il
perché in una Scuola di gladiatori ci fosse una struttura
del genere la sfiorò e svanì non appena vi mise
piede all'interno. Non era bella come quella di Tyrron, ma il profumo
del papiro, della pelle e della polvere le conferivano sempre un'aura
magica, anche se smorzata dall'aspetto austero. Le colonne e la lunga
foresta d'archi che le sormontavano erano bianche, e non facevano altro
che esaltare quel senso di riserbo e intimità che le stuoie
di canne avevano immediatamente evocato. Se soltanto non ci fossero
state le guardie a tenerla sotto osservazione, Nemeria si sarebbe
potuta sentire a casa.
Passò in rassegna diversi tomi, li sfiorò con la
punta delle dita e si azzardò a sfogliarne alcuni. La
maggior parte dei racconti delle Jinian erano tramandati di madre in
figlia oralmente, canti, ballate e storie recitare in rime ritmate,
pertanto erano state poche le volte in cui Nemeria aveva potuto
stringere tra le dita un vero e proprio libro. Si mise a sfogliare
distrattamente un trattato sulla geografia dell'impero e
pensò a sua sorella. Etheram avrebbe passato giorni in un
posto come quello.
Ogni volta che la sua mente navigava verso di lei, Nemeria portava la
mano al ciondolo. Stringerlo le dava forza e le trasmetteva sicurezza.
Se lo avesse ceduto, come avrebbe fatto ad andare avanti? Alla fine, si
ritrovava sempre al solito bivio: la sua famiglia d'origine, oppure
quella di Kalaspirit, la sgangherata banda dei Ratti. E più
ci rifletteva, più le sembrava che la sua mente si
avvolgesse su se stessa, preda e predatrice dei suoi stessi pensieri.
A pranzo, mangiò con calma ma senza appetito, poi
seguì Noriko, Durga e Ahhotep al campo dell'acqua per
allenarsi. Come aveva predetto la sua compagna, a parte loro non c'era
nessuno. I boccioli delle Gemme del Firmamento erano chiusi e,
più che piante, parevano serpenti con più teste
alla disperata ricerca di un via di fuga.
Pur con l'aria così stranamente pesante, riuscirono comunque
ad allenarsi, lei e Durga con le armi, mentre Noriko e Ahhotep a colpi
di pugni e calci. Si esercitarono con una tecnica dietro l'altra,
fendente, tondo, affondo, duellando dapprima da sole contro i loro
nemici immaginari, poi in coppia per correggersi e avere l'illusione di
uno scontro serio.
Durga era davvero brava, anche se era più goffa. Preferiva
attaccare piuttosto che difendersi, sequenziando una serie di colpi
veloci e forti ma poco precisi. Dove Nemeria schivava rotolando sulla
sabbia, lei parava; dove la lama di Durga avrebbe tagliato un braccio,
la sua l'avrebbe soltanto trapassato.
Dopo la cena, andarono tutte a lavarsi e Nemeria capì quanto
fosse cambiata quando si ritrovò a specchiarsi nella
piscina. Il suo corpo si era tonificato, le sue braccia e le sue gambe
rassodate. La pelle non si tirava più sul torace e sulle
costole, ma solo sulle ossa del bacino. Aveva ancora una
fisicità da bambina, ma aveva raggiunto una
maturità nella perdita delle morbidezze dell'infanzia e
l'acquisizione di una spigolosità dura, adulta.
La sera Pavona non venne e Nemeria gliene fu grata, anche se avrebbe
voluto confidarsi con lei. Avrebbe potuto provare ad aprirsi con
Noriko, ma temeva la sua reazione. Se avesse marciato nella sua stanza
e avesse preso a pugni Abayomi... no, non era quello a preoccuparla. Il
problema era che, in fondo, sapeva già cosa le avrebbe
risposto. L'avrebbe fatta semplice, molto più di quello che
in realtà era. Le avrebbe detto di tenere la pietra di luna
perché era un caro ricordo, che le informazioni di Abayomi,
sempre che di informazioni veritiere si trattasse, non valevano lo
scambio. Così i giorni seguenti passarono nell'indecisione,
in un limbo grigio sospeso tra il desiderio di avere delle risposte e
la dolorosa certezza di quanto fosse difficile per lei pensare di
separarsi dal suo ciondolo.
- Sei poco concentrata, oggi. -
Nemeria ingollò un lungo sorso di quell'acqua sporca che
tanto odiava. Absaiyah, le aveva detto che si
chiamava Noriko, un nome molto fantasioso che significava "acqua nera."
- Sono solo tesa per domani. -
- Non dovresti. Sei migliorata molto, sai? -
Durga prese il piccolo otre dalle sue mani e bevve anche lei. Si era
raccolta i capelli in uno chignon sulla nuca e aveva fissato i ciuffi
meno collaborativi con dei piccoli fermagli.
- Difficile non migliorare allenandosi ogni giorno. -
- Non è così scontato, sennò saremmo
tutti esperti gladiatori nel giro di poco. -
- Vero. -
Nemeria distese le gambe e contemplò il campo del fuoco. A
quell'ora, complice il caldo del pomeriggio, erano stati ben pochi
quelli che avevano deciso di allenarsi. Persino Noriko, che di solito
era quella che andava avanti a oltranza, si era ritirata prima del
solito. Da quando avevano avuto quella discussione, non si erano
rivolte che poche, sterili parole di cortesia.
- Nemeria, senti... davvero è tutto solo a causa di domani? -
- Tutto cosa? -
Durga fissò il dito sull'impugnatura del kilij e con l'altra
mano le diede una spinta, facendola girare. Le bruciature sulle spalle
erano guarite in fretta e senza lasciare segni. Tuttavia, Nemeria, ogni
volta che le occhieggiava, aveva sempre una fitta al petto, una specie
di sussulto nel cuore che la obbligava a inspirare più aria
del normale.
- Il tuo modo di comportarti. Non lo so, è... strano. La
notte riesci a dormire? -
"No."
- Sì, ma non bene come vorrei. -
- Secondo me c'è qualcosa che ti preoccupa. -
- Ti sbagli. -
La bambina fece girare la spada di nuovo, stavolta in senso antiorario.
- Secondo me, no. -
- Secondo te, appunto. - Nemeria si alzò spazientita, -
Forza, è il momento di andare in camera a cambiarci. -
Durga si mise in piedi, l'afferrò per il polso e la
tirò, una semplice trazione per farle capire di girarsi, e
tanto bastò per fermarla.
- Prova a parlarmene. So che sono piccola, ma siamo amiche e io voglio
provare a darti una mano. Domani dovrai fare del tuo meglio,
così potrai riavere Batuffolo, ma così... - si
bloccò e strinse una porzione del labbro inferiore tra i
denti, - Non voglio che tu perda. -
Rimasero lì per un po', Durga protesa verso di lei e Nemeria
combattuta tra l'impulso di andarsene e il bisogno di parlare. Nella
sua mente insonne i pensieri svolazzavano in tondo come uno stormo di
farfalle impazzite, si disperdevano e sbattevano contro le pareti
appiccicose della scatola cranica con le ali aperte, esangui e sfinite
da quel continuo vagare senza meta.
- Tu sei mia amica. Anche se 'Tep dice che non possiamo esserlo, per me
lo sei. E... e io non posso sopportare di vedere una mia amica triste.
Se non puoi dirmi cos'hai, allora spiegami come posso farti stare
meglio e io farò l'impossibile. - continuò Durga,
poi tirò su col naso e si stropicciò gli occhi, -
Io non voglio che tu sia arrabbiata con me perché non ti ho
difesa quando Roshanai ti ha rotto il naso. Ma non potevo fare niente
senza raccontarle quello che era successo e allora ho preferito stare
zitta. Mi dispiace, scusa! -
Scoppiò in singhiozzi e si sciolse in un pianto di scuse
sconclusionate. Nemeria lasciò cadere la shamshir e
l'abbracciò. Le allacciò le braccia dietro le
spalle e, quando le ginocchia di Durga cedettero, lei la sostenne. E
mentre le lacrime le bagnavano la tunica, si rese conto di quanto
l'affetto di Durga contasse. L'allegria contagiosa di Altea, la
timidezza di Kimiya, la complicità di Chalipa e Afareen,
l'abnegazione di Noriko, il sorriso di Hirad: il suo cuore era sempre
stato colmo di loro e lei era sempre rimasta sorda al suo grido.
- Ti voglio bene, Durga. -
- Non sei arrabbiata con me...? -
La bambina si scostò quel che bastava per poterla guardare.
Con il naso e le guance rosse pareva ancora più piccola e
fragile.
- No, non lo sono mai stata. Semmai tu dovresti esserlo, dopo quello
che ti ho fatto. -
- Avevi passato il limite. Tu non mi faresti mai del male,
perché io e te siamo amiche. - le prese le mani e se le
portò al viso, aperte contro le sue, - E anche se ci
affronteremo, sia che io vinca sia che perda, lo sarai per sempre. -
Il sorriso si aprì sulle labbra di Nemeria. Raccolse
entrambe le armi e le porse il kilij.
- Vieni a lavarti con me? - trillò Durga di nuovo allegra.
- Tu precedimi. Io ho una faccenda da sbrigare. -
Marciò fino all'armeria, ripose la shamshir nella
rastrelliera e corse a rotta di collo fino al refettorio.
Abayomi e Zahra erano seduti al tavolo più vicino alle
cucine, lei intenta a finire la sua razione di pasta e ceci, lui con le
dita intrecciate davanti alla bocca. Si era rasato i capelli e ora il
suo viso pieno di cicatrici era esposto agli sguardi di tutti.
Come se avesse percepito la sua presenza, mentre Nemeria avanzava verso
di loro appuntò il suo unico occhio su di lei. Il ghigno sul
suo volto si allargò sempre di più e
sbocciò in un sorriso di denti scheggiati quando Nemeria gli
mise davanti la pietra di luna. Se si fossero scontrati durante il
torneo, glieli avrebbe fatt i saltare a uno ad uno, quei denti. A lui e
a Zahra.
- Dunque, mia cara Fiammella, hai deciso di tentare la sorte? -
- Non ho voglia di scherzare, Abayomi. -
Zahra fece per ribattere, ma un'occhiata di ammonimento di Abayomi
bastò per metterla a tacere.
- Alla sorte, invece, piace molto scherzare. -
Sogghignò e tirò fuori una moneta di bronzo
ossidata e bucata nel centro dalla tasca dei calzoni.
- Testa. - la girò dalla parte su cui era inciso un grifone
e poi le mostrò quella con il viso di una donna di profilo,
- O croce?-
Nemeria piantò le unghie nel tavolo con rabbia. Senza
più la pietra di luna al collo, era come un cane legato a un
catena troppo lunga.
- Testa. - soffiò.
La moneta compì tre giri in aria prima che Abayomi la
schiacciasse sul dorso della mano. Si prese un momento per sbirciare
tra le fessure delle dita il risultato e allungò il braccio
sotto il suo naso.
- La fortuna ti ha sorriso, Fiammella. -
La cicatrice si stropicciò quando sorrise,
sprofondò nel viso e tirò la pelle e le labbra
con sé. La palpebra che copriva il nulla seguì il
movimento dei muscoli e Nemeria ebbe l'impressione che, al di sotto, ci
fosse qualcosa di vivo pronto a uscire fuori.
- Vieni con me. Ti racconterò tutto quello che vuoi sapere. -
Senza attenderla, Zahra e Abayomi lasciarono il refettorio. Nemeria si
morse la lingua e tenne a freno la rabbia. Poi riprese il ciondolo e
avvolse la cordicella attorno alla mano e al polso. La pietra di luna
pulsò come un piccolo cuore contro il suo palmo,
più calda che mai.
"Si
dice che la verità trionfa sempre, ma questa non
è una verità."
Anton
Čechov
La stanza di Abayomi e
Zahra era come Nemeria se la sarebbe aspettata: una copia di quella sua
e di Noriko, solo che i letti erano stati avvicinati e l'armadio, al
posto di essere vicino alla testiera, era stato spostato sul fondo, ad
angolo con la cassettiera. Se non fosse stato per quel cambio di
disposizione e per il disordine – la tunica abbandonata sulla
sedia, i sandali spaiati, il mantello accartocciato ai piedi del letto
– sarebbe stata uguale identica in tutto e per tutto alla
loro.
- Perdona la confusione, ma sai, non aspettavamo ospiti. - si
scusò Abayomi.
Si slacciò le endromìs e con un calcio le
gettò sotto il letto, mentre Zahra si limitò a
buttarsi sul materasso. Le assi emisero un cigolio sofferente, ma in
qualche modo riuscirono ad ammortizzare il contraccolpo del suo peso.
- Siediti, abbiamo molto di cui discutere. - la invitò
Abayomi, indicandole la sedia sempre con quel suo sorriso impertinente,
- Ah, per favore, non bruciare nulla. Sai, a quella tunica ci tengo
particolarmente e mi dispiacerebbe davvero molto dovermela far
ricomprare. -
Nemeria strinse forte il pugno dove teneva la pietra di luna, trasse un
profondo respiro e si sedette con controllata lentezza. Non
spostò la tunica e, a parte il naso arricciato di Zahra,
Abayomi non parve infastidirsi.
- Quindi alla fine ti sei decisa. Lei diceva che non avresti accettato,
io invece ero sicuro che ti saresti fatta viva. - calcò la
voce su quella parola, sibilando la "s" tra i denti.
Si appoggiò con la schiena alla testiera,
accavallò le gambe e intrecciò le dita dietro la
nuca. La luce si incanalava nelle grinze della pelle ustionata del
braccio, ruscellando fino a svanire oltre l'orlo della tunica. Era una
cicatrice rossa, lucente e gonfia come quella che deturpava la mano di
Nemeria, ma a differenza della sua, quella di Abayomi somigliava
più a lana rovinata dal tempo, una seconda pelle striata di
giallo dove i morsi del fuoco erano più profondi.
Se non fosse stato così crudele, avrebbe potuto provare
pietà per lui.
- Eccolo. Lo vedi anche tu, Zahra? Quello sguardo colmo d'odio...
quanto mi piace. - la indicò con un cenno del mento, - Ci
avevo visto giusto nella nostra piccola arena privata. Con quegli occhi
così particolari e quella rabbia farai faville anche qui.
Però cerca di darti un minimo di contegno: lo spettacolo non
è bello se dura troppo poco. -
- Non sono affari tuoi cosa faccio o non faccio. -
- Oh, sì che lo sono. Rimango pur sempre il tuo primo
mentore. Se solo non ci avessero catturato subito, sai quanti soldi
avremmo riscosso? Tutti lì a scommettere contro di te e poi,
sorpresa delle sorprese, sei riuscita a mandare Zahra quasi al tappeto.
Era da tanto che non mi divertivo così. - si volse verso la
sua compagna e sfiorò la sua spalla con una carezza leggera,
prima di tornare a guardare Nemeria, - Ormai quel che è
stato è stato, come diceva un saggio, e ora eccoci tutti
qui, una bella rimpatriata tra vecchi amici. Mi berrei volentieri un
birra. Anche tu la vuoi, Zahra? -
La ragazza annuì. Da quando erano entrati nella stanza, non
le aveva staccato gli occhi di dosso. Spesso Nemeria l'aveva vista
scrocchiare le dita o contrarre la mascella, le narici appena dilatate:
voleva spaccarle la faccia tanto quando lo voleva lei.
- Ma veniamo al dunque. Dammi quel ciondolo e ti dirò tutto
quello che so sui tuoi amici topolini. -
- Come faccio a sapere che non ti rifiuterai di parlare dopo che te
l'avrò dato? -
Abayomi storse le labbra in una smorfia offesa. Era un bravo attore,
glielo doveva riconoscere.
- Fiammella, mi offendi così. Un uomo come me non
può che piegarsi al volere della fortuna se questa ha
sancito la tua vittoria. - tirò fuori la moneta e la
lanciò in aria, per poi riprenderla tra due dita, - Il
nostro accordo era chiaro: se avessi vinto, ti avrei rivelato quello
che sapevo; se avessi perso mi sarei potuto, come dire... dimenticare
alcuni dettagli importanti. Purtroppo la stanchezza mi rende difficile
ricordare tutto, ultimamente. -
La presa si serrò ancora di più attorno alla
pietra di luna. Il suo effetto calmante contrastava appena il tumulto
nel petto di Nemeria, era come se non riuscisse a contenere e
immagazzinare tutta quella rabbia. Già il tenerla in mano,
però, le dava la forza di preservare il controllo e
mantenere a fuoco tutti i consigli di Pavona. L'ultimo regalo di sua
sorella, l'unico oggetto sopravvissuto assieme a lei all'eccidio della
sua tribù... Abayomi non era degno nemmeno di sfiorarlo.
- Devo interpretare questo tuo silenzio come un ripensamento, mia cara?
- la stuzzicò.
- No. -
Afferrò il ciondolo per il laccio e lo issò fino
ad averlo davanti agli occhi. Era un regalo di augurio per il suo
apprendistato come Jinian. Era stato qualche mese prima. Una vita fa,
un'eternità.
Abayomi ridacchiò e si protese verso di lei, scoprendo le
labbra sulla fila di denti rovinati.
- Onora il nostro contratto. -
Allungò il braccio e le fece cenno con il dito di dargli il
dovuto. Nemeria indugiò ancora e poi vi appese il ciondolo.
Prima che si allontanasse, gli artigliò il polso e lo
strattonò verso di sé. Il tepore della sua pelle
svaniva in cenere nel calore della sua stretta.
- Me la riprenderò. - ringhiò, i polpastrelli
premuti contro la vena. - Sappi che me la riprenderò. -
Zahra era già scattata quando Abayomi la rimise al suo posto
con uno sguardo. Quando tornò a guardare Nemeria, aveva la
pupilla dilatata e gli angoli della bocca tremolavano in un ghigno
estatico.
- Non vedo l'ora di giocare di nuovo con te, Fiammella. Sapere che ci
incontreremo di nuovo... non immagini quanto mi ecciti. -
Si umettò le labbra e le stampò un rapido bacio
sul dorso della mano. Nemeria mollò subito la presa e si
pulì sulla tunica, scatenando l'ilarità di
Abayomi. Passò un minuto abbondante prima che riuscisse a
recuperare il controllo. Si asciugò le lacrime e
scrollò le spalle, lisciandosi la tunica sul petto. La
rapidità con cui tornò serio, con le labbra
appena stirate in un accenno di sorriso, aveva un che inquietante.
- Dunque... vuoi che parli io oppure hai delle domande specifiche da
pormi? -
- Voglio sapere tutto di ognuno di loro. Dove sono, se stanno bene, se
c'è un modo per raggiungerli. -
Abayomi si mise il ciondolo al collo e si stravaccò contro
Zahra. Lei lo abbracciò da dietro, allacciandogli le dita
attorno al bacino.
- La ragazza che avevamo preso in ostaggio è stata venduta a
Mina. Adesso fa parte della sua servitù e si occupa delle
faccende di casa. L'ultima volta che sono andato a casa sua, stava
giusto pulendo il pavimento. -
Nemeria si sentiva la gola disidratata e le labbra secche.
Deglutì a vuoto e irrigidì i pugni fino a perdere
la sensibilità nelle dita. Mina e Kimiya. No, non poteva
essere.
- Non ti preoccupare. Finché farà esattamente
quello che Mina le dice non le accadrà nulla. La villa di
Mina è nel Quartiere del Ghiaccio. Adel e Mina sono molto
amici. Sia io che Zahra abbiamo avuto modo di vederla spesso, ma...
diciamo che Mina e Tyrron non vanno molto d'accordo. Se e quando
riuscirai a conquistarti una maggiore libertà, forse potrai
incontrarla.- si fermò, si passò il labbro tra i
denti e soffiò una risata gracchiante, - Sempre che sia
ancora lì, si intende. -
- Cosa intendi? -
- Proprio quello che ho detto. Mina gestisce anche la maggior parte dei
bordelli del Quartiere del Fuoco. Si dice, anche se non ho avuto modo
di appurarlo, che si occupi di soddisfare qualsiasi bisogno per il
giusto prezzo. Per certi lavori la bocca non serva mica per parlare. -
Lo sguardo obliquo che le lanciò, a metà tra il
divertito e l'eccitato, le fece venire i brividi.
- Mi fai schifo. -
- È questo il lato divertente di questa situazione. Tu mi
odi, ma non puoi fare a meno di me. - arrotolò il laccio e
la pietra di luna attorno al dito e continuò, - La puttana
di Dariush e il moccioso intelligente sono riusciti a scappare, invece.
Quando i kalb sono tornati, si sono dileguati nella folla prima che
potessero bloccare le uscite. Non ricordo di averli visti durante la
vendita, no, Zahra? -
- No, non c'erano. -
- Sarai contenta di sapere che probabilmente sono tornati a strisciare
nelle vostre amate catacombe. -
Anche se avrebbe voluto rimanere impassibile, Nemeria non
poté non tirare un sospiro di sollievo. Chiuse gli occhi e
spinse con forza la rabbia contro la parete della sua anima.
- Non chiamarli così. - sibilò.
- Il ratto e la puttana? Perdonami, forse le mie parolacce ti turbano? -
Si stava prendendo gioco di lei; la pungolava e poi si ritraeva,
saltellando lontano come un amdir, un folletto crudele del deserto. La
provocazione del topo nascosto sotto una foglia di stramonio.
- Vai avanti. -
A quel ringhio, Abayomi allungò le gambe e si
sistemò meglio tra quelle di Zahra.
- I due gemelli so solo che sono stati divisi. Il maschio è
stato comprato da Siamak, mentre lei è finita tra le mani di
un Alatfal'yl con un nome insignificante... Arshia, mi pare di
ricordare. Invece, a essere comprate in coppia sono state le due
ragazze, quelle basse che stavano sempre assieme. Come si chiamavano? -
- Afareen e Chalipa. -
Abayomi schioccò le dita con un ghigno vittorioso.
- Ecco, loro sono andate con una donna con le sopracciglia tinte di
rosso e il collo appesantito da almeno dieci collane d'oro. Se non le
hanno spedite a fare le puttane, probabilmente adesso faranno parte
della servitù di qualche nobile. -
- E di Hami? Di Hami si sa nulla? -
- Il fratello del Ratto è stato comprato da un uomo tutto
muscoli, forse un qualche fabbro, considerando le mani unte e sporche
di nero. Non ti so dire chi sia: le armi sono troppo difficili da
rivendere, anche per un genio come me. -
Nemeria rimase in silenzio a macinare tutte le informazioni. Tutti, a
modo loro, stavano bene e si erano salvati. Sopravviveva un solo nome
da spuntare alla lista. Per quanto lo odiasse, era giusto che chiedesse
anche di lui.
- E Dariush, invece? -
- Non credevo ti interessasse sapere qualcosa di lui. -
- Era comunque un membro della famiglia. -
- Questo tuo attaccamento è commovente, Fiammella.
Nonostante tutto quello che ha fatto alla sua donna, a te interessa
sapere se è vivo o se è morto. Sono davvero
colpito. -
- Parla. - ringhiò Nemeria di rimando.
- Ammetto sia anche divertente stuzzicarti, ma per oggi è
meglio non tirare troppo la corda. - gracchiò e si
sistemò in modo da intrecciare le gambe con quelle di Zahra,
- Lui è stato comprato da Mina ed è diventato uno
dei suoi gladiatori preferiti. Domani, se vi affronterete,
sarà una gran bella sfida. -
Il tono crudelmente divertito della sua voce non le piacque affatto.
- Vive nell'altra ala della scuola? -
- Ovviamente. Ho sentito voci interessanti su di lui, roba da farti
tremare fin nelle ossa. -
- Cosa? -
- Cose da paura, come ti ho detto. - alzò la pietra di luna
all'altezza occhi di Zahra, - Che ne dici? Questo vale abbastanza per
rivelarle ciò che abbiamo sentito? Ah, e non dire di no solo
perché ti sta antipatica, capito? -
La Dominatrice non rispose subito. Si prese il suo tempo per
squadrarla, per sezionarla con quegli occhi così colmi di
risentimento che Nemeria poté sentirne il peso tangibile
sulla pelle. Fu allora che le balzò all'occhio la leggera
bruciatura che le deturpava la guancia. Si mimetizzava molto bene nel
colorito scuro, ma più la guardava più coglieva i
segni di diverse cicatrici. Quelli più espansi si
localizzavano sul viso e sulle braccia ed erano ustioni. Lievi,
lievissime ustioni che lei le aveva inflitto durante lo scontro alla
cisterna.
- Non lo so. Sei tu l'esperto di queste cose. - proferì dopo
un po'.
- Dai, pensaci. Sei una Dominatrice della terra, te ne intendi di gemme
e pietruzze. -
Zahra la prese in mano e la osservò in controluce con solo
un occhio aperto. Solo il tenue lucore giallastro che barbagliava sul
fondo della pupilla lasciava intendere a Nemeria che la stava
analizzando.
- È una pietra di luna pura, senza altre contaminazioni. -
la lasciò cadere sul palmo aperto del suo compagno.
- Allora posso scucirmi un po'. - decretò Abayomi.
Non aveva smesso di fissarla nemmeno per un istante. Per quanto la
rabbia le facesse ribollire il sangue, Nemeria non poteva non sentirsi
intimorita. Non sapeva se a raggelarla fosse il suo viso deturpato
dalle fiamme o la follia in quegli occhi senza ciglia che trasfigurava
ogni suo sorriso in un ghigno.
- Dicono che è uno di quei gladiatori che arriva sempre al
suo limite, ma che in qualche modo riesce a tornare indietro. Quando
gli manca tanto così dal diventare un mostro, ecco che
rinsavisce. Mina lo adora proprio per questo. Lo dice spesso quando
andiamo a cena da lei e lo guarda con degli occhi, oserei dire, da
innamorata. - simulò un sonoro sospiro d'amore e
sghignazzò, divertito da se stesso, - Io ci spero sempre che
scoppi mentre siamo lì, ma sa mantenere bene il controllo. -
- Non l'ho visto durante la prova. - obiettò Nemeria.
- Che importanza ha? Mina ha già preventivato che,
probabilmente, non arriverà vivo alla fine del torneo.
È andato troppo in là per poter tornare indietro.
- si massaggiò il mento, corrucciò le
sopracciglia e accarezzò la coscia di Zahra, meditabondo, -
Ammiro la sua stupidità per certi versi. Ha creduto di poter
fare soldi combattendo nell'arena e ha continuato a farlo
finché persino lui ha capito di essere a un passo dal
trasformarsi in Jin. -
- Dariush? Nell'arena? -
- Dalla tua faccia devo dedurre che non ne sapevi nulla. -
batté le mani e le strofinò le une contro le
altre, - Ebbene sì, il vostro amatissimo capo ha sempre
combattuto, da prima di conoscere quella Sha'ir. Poi si è
trovato tra le mani quel piccolo bocconcino di Altea e l'ha presa con
sé. Andava in giro a dire che non le avrebbe mai
più fatto del male, né a lei né alla
sua amica. Ah, chissà cosa penserebbe il suo vecchio se
stesso se solo scoprisse che oltre a scoparsela, la picchiava pure. Ma
d'altronde cosa ci si poteva aspettare da un contadinotto come lui? Non
poteva salvarsi da solo, figuriamoci aiutare due puttane. -
Nemeria non ci vide più. Si alzò così
tanto in fretta da far cadere la sedia e balzò sul letto. Le
sue mani ghermirono il vuoto a un pollice dal collo di Abayomi, i polsi
bloccati dalla stretta di Zahra. Benché la sua pelle fosse
caldissima, le pietre che rivestivano le braccia della Dominatrice
costituivano una corazza troppo spessa perché potesse
ferirla.
- A-ah, stavolta ci hai provato, ma ti è andata male. La
cagna Tian non ti ha insegnato che la stessa tattica non può
funzionare due volte? -
Le mise un piede sul petto e Zahra lasciò la presa nel
momento in cui Abayomi la calciò via, con una forza che
Nemeria non immaginava avesse. Cadde dal letto e sbatté la
testa contro il pavimento. Rotolò su un fianco e si
portò le mani alla testa per proteggersi. La stanza girava e
i contorni pulsavano, dilatandosi e riempiendosi a ogni battito di
ciglia.
- La tattica non è il tuo forte. -
Abayomi si inginocchiò al suo fianco. L'ombra di Zahra
incombeva su di lei dall'altra parte, le mani strette a pugno piegate e
già pronte a colpire.
- Ma non è questo il luogo per il nostro confronto. Ammetto
di preferire l'intimità della nostra piccola arena, ma qui
ci si diverte molto di più. - le prese il mento e le strinse
le guance, costringendola a una smorfia ridicola, mentre descriveva il
contorno dell'orbita col pollice, - Questi occhi mi fanno impazzire.
Gira voce che nelle tue vene scorra sangue di Jarkut'id,
però io sono certo che ci sia qualcosa di più
dietro. Il modo in cui hai usato il fuoco durante lo scontro contro
Zahra, quell'esplosione di fiamme... ho visto solo una persona nella
mia vita usare il potere in quel modo ed è la stessa che mi
ha ridotto così. -
Nell'anima si aprì una crepa e Nemeria si sentì
tremare fin nelle viscere. La sua mente si svuotò, i
pensieri smisero di respirare e le orecchie fischiarono come in apnea.
Tutto rimase immobile e sospeso finché il calore non ridusse
la paura in una nube di vapore.
- Allora? Ci ho preso? -
- No, e sai perché? - Nemeria ricambiò il suo
ghigno con il suo miglior sorriso, - Se fosse stato per me, tu a
quest'ora saresti stato solo un mucchio di cenere. -
Il ghigno sulle labbra di Abayomi divenne incerto, si
accorciò e si allungò un paio di volte prima di
esplodere in una risata sguaiata. Poi la costrinse in piedi e la
attirò a sé, così vicina che i loro
nasi quasi si potevano toccare.
- Spero di poter combattere con te domani. - sibilò euforico.
- Non ho paura di te. Né di te, né di Zahra. -
- Oh, lo so. Ma anche la bambina più cattiva con la giusta
dose di educazione capisce qual è il suo posto. -
La lasciò andare e aprì le braccia, girando su se
stesso, come per raccogliere i consensi di un pubblico invisibile. Si
appoggiò a Zahra e le soffiò qualcosa
all'orecchio che strappò anche a lei una risata.
- Brindiamo a domani e ai nostri scontri. Che la fortuna sia sempre con
noi! - si bloccò, riversò la testa all'indietro e
si passò una mano lungo il collo, - Ora, se non hai altri
affari da proporre, direi che te ne puoi andare. Qualcuno potrebbe
interpretare male la tua permanenza qui. La tua amica... non vorrei mai
fraintendesse i nostri rapporti. -
A Nemeria saltò in mente una parola. Arsalan la ripeteva
spesso quando gli affari andavano male e l'aveva sentita sussurrare da
sua madre, salvo poi rimangiarsela e correggersi subito. Il calore
diminuì e questa prese forma nella sua naturale nitidezza.
- Fottiti. - scandì e alzò il dito medio, prima
di aprire la porta e uscire a grandi passi.
Quando tornò in camera, Noriko era stesa sul letto a leggere
il suo libro. Quando Nemeria rientrò, abbassò il
tomo – "L'arte della calligrafia", lo stesso dell'altra volta
– e dopo un lieve cenno di saluto lo ritirò su.
- Alla fine gliel'hai data. - esordì neutra.
Nemeria prese il chitone dall'armadio, si cambiò e si
buttò sul letto. Si sentiva accaldata, quasi febbricitante,
e l'eccitazione si mescolava alle braci non ancora spente della rabbia.
- Non avresti dovuto farlo. Adesso sarà ancora
più difficile controllarti. -
- È stato necessario e mia sorella... mia sorella avrebbe
fatto la stessa cosa. -
Noriko sospirò, si bagnò il pollice con la lingua
e girò pagina.
- Almeno hai ottenuto ciò che volevi? -
- Sì. Sapere che fine hanno fatto gli altri membri della
nostra famiglia. Non riuscivo a dormire la notte pensando che poteva
esser successo loro qualcosa. -
- Ti eri molto affezionata a loro. -
- Sì. - socchiuse le palpebre e abbandonò il
dorso della mano sulla fronte, - So che per te non era lo stesso, ma
per me era importante. -
- Ti senti meglio, ora? -
Già, come si sentiva? Era successo così tanto e
così in fretta che non aveva avuto tempo di indagare su cosa
provasse. Passò le dita sul collare, sulle placche
d'oricalco calde. Non si era resa conto fino a quel momento di quanto
la pietra di luna attenuasse le sue emozioni. Ora, l'unica cosa
rimasta, era quella striscia di cuoio rinforzato.
- Credo di sì. Però è difficile
capire. -
Noriko annuì come se già avesse intuito la
risposta e appoggiò il libro contro la coscia piegata.
- Pensi di potermi dare delle spiegazioni? -
Nemeria aveva preso la sua decisione. La ponderò ancora nel
breve lasso di tempo che ci mise per mettersi a sedere, ma si rese
conto che l'unica cosa che desiderava era eliminare il disagio che
c'era tra di loro.
- Ti ricordi quando sono andata all'arena a vedere il circo? -
- Sì. -
- Lì ho incontrato una mia vecchia parente. Si chiama Pavona
ed è una Dominatrice della terra molto brava. È
stata lei a venire a trovarmi tutte queste sere per spiegarmi come
controllarmi. -
- E come avrebbe fatto a entrare qui? Sai che solo i Syad e i lanisti
sono ammessi. -
Lo scetticismo nella sua voce la infastidì, ma Nemeria si
sforzò di non darlo a vedere. Distese le gambe, le
tirò su e le allungò di nuovo, incapace di stare
ferma.
- Che tu ci creda o meno, lei è capace sia di dominare la
terra che l'aria. L'aria non benissimo, eh, però riesce a
prendere il possesso del corpo di un corvo e a comunicare
telepaticamente con me. -
Noriko poggiò il libro sul comodino con una lentezza
controllata, si sedette e si protese verso di lei.
- Significa che è come te, dunque. -
- Sì. -
- Deve essere una cosa di famiglia. -
Nemeria assentì con un mesto sorriso: non poteva immaginare
quanto fosse vera quell'ultima affermazione.
Noriko non sembrava sorpresa. Non sembrava nulla, in effetti.
"Forse si è abituata alle stranezze."
- C'è altro che vuoi dirmi? -
- Sì, ma è complicato da spiegare e non so se mi
crederesti. -
- Mettimi alla prova. -
Nemeria si mordicchiò le labbra e volse lo sguardo in alto.
Se i pensieri fossero stati bolle, ora starebbero fluttuando a qualche
pollice dal soffitto.
- Mi piacerebbe parlartene dopo il torneo. È davvero
complicato. Cioè, non lo è, ma io non so come
spiegarlo senza farlo sembrare assurdo. -
Noriko abbozzò un sorriso, il primo da quando la prova era
terminata.
- Cosa ti ha fatto cambiare idea? -
- L'hai detto anche tu. - si tirò su a sedere e chiuse le
proprie gambe attorno a quelle della sua compagna, - Le altre sono
importanti, lo siete tutte per me. Però tu mi sei sempre
stata vicino. Mi hai sostenuta, mi hai supportata e sopportata, anche
quando non facevo altro che piangermi addosso. -
Era così semplice parlare, come non lo era mai stato. A
Nemeria bastava chinarsi per raccogliere i pensieri e porgerli a
Noriko. Erano sempre stati lì, come fiori sbocciati e mai
seccati.
- Quindi grazie. Grazie per esserci stata fin dall'inizio. -
Fece passare le braccia sotto le ascelle e la acchiappò in
un abbraccio soffocante, nascondendo il viso tra la spalla e il collo.
Il sorriso le si formò spontaneo sulle sue labbra quando
Noriko sussultò e si irrigidì.
- Ti voglio bene. Sei la mia migliore amica. - le sussurrò e
la strinse ancora di più.
- Nemeria... -
I polpastrelli sfiorarono le spalle, le mani si aprirono impacciate, si
appoggiarono sulla schiena e sospinsero Nemeria contro il suo petto.
Con solo il chitone addosso, il suo calore, il calore di Noriko,
filtrava attraverso la stoffa, la avvolgeva e le accarezzava il cuore.
- Ti prometto che dopo il torneo ti racconterò tutto. -
- Va bene, aspetterò. L'ho fatto finora, qualche giorno in
più non mi ucciderà. -
Scoppiarono entrambe a ridere. Noriko poi le prese il viso tra le mani
e appoggiò la fronte contro la sua, fissandola da dietro le
ciglia, le palpebre socchiuse. Nemeria non l'aveva mai sentita
così vicina, così presente. Era come se la
barriera che le aveva sempre tenute divise fosse improvvisamente
crollata.
- Promettimi che starai attenta durante il torneo. Ci saranno anche i
membri del Consorzio e se scoprissero quanto sei speciale, ti
porterebbero via in un luogo da cui non puoi fuggire. - si morse le
labbra e inspirò l'aria del suo respiro, - Da cui io non
posso salvarti. -
Nemeria le prese le mani e le raccolse tra le sue. Racchiuse in quel
modo, le sue erano la corolla e quelle di Noriko gli stami di un fiore
nel chiarore dell'albeggio. E l'irritazione che le faceva formicolare
le dita non era abbastanza per deturpare quell'incastro perfetto.
- Se lo prometto, la smetterai di preoccuparti per me? -
- Non lo so... non puoi chiedere a uno scorpione di non pungere. -
Roteò gli occhi al cielo e scosse la testa.
Relegò sotto quel calore il sospetto che Abayomi avesse
intuito qualcosa di lei
- Non mi farò scoprire. L'ho promesso anche a Pavona che
sarei sopravvissuta. -
Noriko assentì. Lentamente, ritirò le mani e si
distese sul letto, braccio sotto la nuca.
- A proposito, hai riportato le bacche tanu a Nande? -
- No, perché? -
Nemeria ebbe come una folgorazione. Saltò giù e
guardò sotto il letto: il sacchetto era sparito.
- Avevi intenzione di usarle? -
- No, ma Nande mi aveva detto di ridargliele se non le avessi usate. -
Noriko sospirò e la prese sottobraccio: - Adesso non ci
pensare. Domani abbiamo il torneo, che è la cosa
più importante per riavere la palla di pelo. Se poi Nande ti
farà domande, le dirai che le hai date a me. -
- Ma non è vero. -
- Preferisci dirle che le hai perse? -
Nemeria sospirò e si infilò sotto le coperte.
Forse non era niente di che, ma sapere che qualcuno si era appropriato
di quelle bacche la faceva sentire inquieta. Chiuse forte gli occhi e
scosse la testa. Batuffolo. Doveva pensare solo a Batuffolo.
- Buonanotte. - le augurò Noriko.
Nemeria strinse il lenzuolo a pugno contro il petto.
- Sogni d'oro. -
Prima di scivolare nell'incoscienza, la sua mente le rimandò
il ricordo tattile del caracal appoggiato contro il suo fianco. E per
un momento fu come se non glielo avessero mai portato via.
La mattina, con grande sorpresa di Nemeria, non fu Noriko a svegliarla.
Un bussare insistente anticipò le mosse della sua compagna e
indirizzarono i suoi passi verso la porta.
- Adunata prima del torneo. Fare colazione e poi andare al campo prova.
- tartagliò Ozgur.
La velocità con cui aveva biascicato le parole tradiva
l'agitazione nella sua voce.
- Abbiamo tempo di fare colazione? -
- Sì. Tutti fare colazione, ma fretta. Poi tutti
lì, come aghà Koosha ordinare. -
- Ho capito. -
Nemeria tentò di alzarsi, ma Noriko chiuse la porta prima
che riuscisse a raddrizzare le ginocchia.
- Ti ho messo la kandys meno stropicciata sul mio letto. -
Il "sì" venne inghiottito da uno sbadiglio. Nemeria si
stropicciò gli occhi finché i pallini multicolori
non svanirono e le parve di avere di nuovo la testa attaccata al collo.
Rimase immobile, con le braccia distese sopra la testa e il lino teso
sui gomiti. Era stano on sentire più il tonfo sordo della
pietra di luna tra le clavicole. Si liberò dalla tunica, la
buttò a terra e colta dal panico fece saettare lo sguardo
per la stanza. Poi il ricordo della sera precedente le si
profilò davanti agli occhi.
- A che pensi? -
Non le servì girarsi per sapere che Noriko si era seduta sul
letto e si stava pettinando i capelli, con la testa inclinata nella sua
direzione.
- A niente. - rispose.
- Nemmeno alla palla di pelo? -
Nemeria scrollò le spalle e strinse il nodo della cintura
sulla vita. Percepiva il suo corpo, le fibre di ogni singolo muscolo,
il battito calmo del proprio cuore, il calore pulsante del potere di
Agni.
- Penso solo che non ho paura. -
Quando lo disse, si rese conto che era vero: anche senza la pietra di
luna, era in grado di camminare da sola. E anche se faceva male sapere
di poterne fare a meno, non si pentiva di essersene separata. L'assenza
della sua confortante presenza non era altro che un'ombra che oscurava
appena l'orgoglio che le colmava il petto.
- Non credo di essermi mai sentita così. -
- Così come? -
- Fiera di me stessa. - si chinò e si allacciò le
calige, - Almeno, non mi sono mai sentita così tanto fiera
di me. Anche se la rivoglio, non ho rimorsi per quello che ho fatto. -
Le venne spontaneo ripensare a sua sorella e sorrise quando le parve di
sentire la sua mano posarsi sulla spalla.
- Se vincerò, dedicherò la vittoria a entrambe le
mie famiglie. - sancì e più quell'idea metteva
radici nella sua mente più il calore nel petto aumentava, -
Sì, se riuscirò ad arrivare alla fine, voglio che
sappiano quanto siano stati importanti per me. E quando
potrò uscire dalla Scuola, brucerò gli incensi
nel deserto e poi andrò a cercare Altea, Hirad, Kimiya e
tutti gli altri per ringraziarli. -
Noriko sorrise, si alzò e le batté una pacca
sulla spalla.
- Andiamo. -
Scesero le scale e andarono a fare colazione, che quella mattina
consisteva in una zuppa d'avena a base di latte e frutta a pezzi.
Ahhotep la mangiò lentamente, fiocco per fiocco, mentre
Durga era già a metà quando presero posto. Con
sollievo e fastidio assieme, Noriko constatò che il tavolo
in fondo al refettorio, quello dove di solito sedevano Abayomi e Zahra,
era vuoto.
- Non so il perché di questa variazione, ma lo apprezzo
davvero molto. - commentò con le labbra cerchiate d'un alone
bianco.
- Anche io. È davvero buona. - concordò Nemeria.
Nonostante avesse lo stomaco sottosopra per l'agitazione, il sapore
dolce della pesca la metteva di buon umore, anzi le sembrava che avesse
un gusto più zuccherino del solito.
- Forse è perché oggi comincia il torneo e questo
è un incentivo per dare il meglio. - suggerì
Durga.
- O forse non avevano voglia di buttare la frutta e hanno deciso di
darla a noi. -
- 'Tep! -
- Era solo un'ipotesi. -
Durga le scoccò un'occhiata risentita e tornò a
raspare il fondo della scodella. Ahhotep ingoiò un altro
paio di cucchiaiate e poi le porse la propria razione.
- Ma non ne hai nemmeno mangiata metà... - il broncio si
asciugò in un'espressione preoccupata, - Non ti senti bene?
Non ti piace? -
La ragazza fece spallucce e si pulì le labbra tamponandole
col tovagliolo.
- La tensione mi ha chiuso lo stomaco. -
- Ma sei sicura? Tu mangi sempre così poco... -
- Tranquilla, sto bene. - le accarezzò la spalla e gliela
strinse per rassicurarla, - Ora muoviti a mangiare. Non voglio essere
l'ultima ad arrivare. -
Durga non se lo fece ripetere e, dopo le prime cucchiaiate, Ahhotep
parve rilassarsi. Diresse lo sguardo oltre le spalle di Noriko,
deviando la sua attenzione sulla sua compagna solo di tanto in tanto,
come se al tavolo ci fossero solo loro due.
Nemeria inspirò profondamente e, ignorando il prurito alle
mani, continuò a mangiare finché non rimasero
altro che i grumi lattiginosi sul fondo della scodella. Senza la pietra
di luna, sopportare quell'atteggiamento di evidente noncuranza metteva
a dura prova la sua pazienza.
Al campo centrale, oltre ai Syad e alle guardie, erano presenti i
diversi lanisti e Koosha. Attesero l'arrivo degli ultimi partecipanti.
Poi le due bambine della volta precedente avanzarono di un paio di
passi e fecero l'appello. Soltanto quando ebbero spuntato anche
l'ultimo nome, due servi portarono davanti a Koosha un carrello con un
vaso con una testa di toro appoggiato sopra, di un bronzo
così lucido da sembrare oro ossidato.
- Miei gladiatori, oggi è il vostro giorno. Ancora mi
sorprendo di vedere così tante facce qui, dinanzi a me,
sotto il sole di Ahurmazd Heydar. Ma d'altronde i vostri padroni mi
avevano accennato che quest'anno c'erano molti diamanti grezzi tra di
voi. - sorrise e l'occhio parve sprofondare ancor di più
nella pelle grinzosa, - La prima parte del torneo si
svolgerà a porte chiuse e solo gli ultimi scontri saranno
ospitati nell'arena principale, dove chiunque potrà vedervi:
uomini, donne, bambini, ricchi e poveri. -
Un mormorio di sorpresa si diffuse tra i partecipanti. Noriko non si
scompose, mentre Nemeria sentì il sudore inumidirle i palmi
delle mani. Quando occhieggiò in direzione di Tyrron e vide
il suo mezzo sorriso soddisfatto, l'emozione le accelerò
ancor di più i battiti, così tanto che le parve
che il rimbombo che sentiva nelle orecchie fosse causato soprattutto
dall'impatto tra il cuore e lo sterno.
- Non è la prima volta che viene presa una decisione simile,
ma era da veramente molti anni che non vedevo così tanti
candidati. - Koosha incrociò le braccia dietro la schiena e
si abbandonò a una risata che risuonò come un
gorgoglio raschiante, - Ed è proprio per questo che ho
deciso che stavolta sarà la sorte a decidere le prime
coppie. Adhara estrarrà i nomi dei primi sedici scontri e
Khalida li segnerà sul tabellone alle mie spalle.
Dopodiché, non perderemo tempo e apriremo le danze. -
Koosha indietreggiò fino a trovarsi a solo qualche passo dai
lanisti, che, senza che lui dicesse nulla, si aprirono per fargli
spazio. Adhara, la ragazza più bassa, si avvicinò
alla testa di toro ed estrasse i primi due nomi.
- Noriko e Sadegh. -
Nemeria si guardò attorno alla ricerca dell'avversario della
sua amica. Captò un movimento dietro un gruppetto compatto,
un fremito d'agitazione che elettrizzò l'aria e si
scaricò subito. Mentre Khalida segnava i nomi sul tabellone,
Adhara stava già estraendo altre due tavolette d'argilla.
- Ahhotep e Lamya. -
La ragazza nominata sussultò, ma poi tirò su il
mento. Le labbra le tremavano e teneva entrambi i pugni stretti al
petto. Era più alta della norma, con le ginocchia
impolverate e la macchia che le oscurava metà del viso,
più che una bruciatura, sembrava fango e cenere incrostati.
Quando si volse verso Nemeria, la studiò per un po', poi si
spostò di lato e si mise a confabulare con una Sha'ir
dell'età di Noriko.
Chiamarono tanti altri nomi, tutti di ragazzi che non conosceva o i cui
volti aveva scorto soltanto. Durga finì in coppia contro un
bambino, che sarebbe stato la copia sputata di Ozgur se non avesse
avuto i capelli biondi e le braccia segnate da cicatrici simmetriche.
Quasi inciampò quando uno Sha'ir gli diede una spinta per
passare. Ancor prima che Adhara ne pronunciasse il nome, Nemeria
l'aveva già riconosciuto.
- Dariush e Nemeria. -
Gelo. Noriko si mise al suo fianco e Durga le si piazzò
davanti, il braccio aperto come per esortarla a stare indietro. Non era
cambiato affatto: si era irrobustito e sfoggiava una barba curata che
cresceva a zolle sul mento e attorno alle labbra.
- Così anche tu sei qui. - sibilò Dariush,
assottigliò lo sguardo, sputò a terra e
schiacciò la macchia di saliva col piede, - Una Dominatrice
del fuoco. Continui a essere una spiacevole sorpresa sotto ogni punto
di vista. -
- Ciao, Dariush. Chi non muore si rivede. -
Lo Sha'ir contrasse la mandibola e avanzò di un altro passo.
Nemeria si sentì infiammare da quello sguardo. Il calore
all'altezza del petto crebbe, bruciò parte dell'ossigeno che
aveva nei polmoni e si riversò nelle mani strette a pugno.
Il fuoco di Agni si innalzò in una vampata di scintille
sfrigolanti.
- Nemeria, calma. -
Durga alzò la guardia e Dariush si bloccò prima
di avvicinarsi ancora. Aprì e chiuse le dita un paio di
volte e le giunture scrocchiarono una a una.
- Abbiamo un conto in sospeso noi due. -
- I disegni di Hirad e tutte le volte che hai fatto del male ad Altea
sono più di uno. -
Nemeria spostò Durga e azzerò la distanza tra
loro due.
- Voi due. -
Sayuri avanzò a grandi falcate e si frappose tra di loro,
una mano sulla spalla di Nemeria e una su quella di Dariush. Roshanai,
Reza e un nutrito gruppo di guardie l'avevano seguita, ma l'unica che
si era fatta avanti era lei.
- Le regole della Scuola valgono ancora. Mantenete il controllo. -
- Noto che gli animi si sono già scaldati. -
I ragazzi si spostarono e Koosha si fece avanti fino a loro. Si
strofinò le mani, spostando lo sguardo da Dariush a Nemeria.
- Perché mai gettare acqua sul fuoco? Facciamo combattere
prima loro. -
Zittì Adhara con un gesto della mano prima che potesse
parlare e poi si rivolse a una delle guardie.
- Scortate i contendenti all'arena. Syad, voi occupatevi degli altri
ragazzi: non deve mancare nessuno, chiaro? -
Sayuri chinò il capo. Nemeria sperò in un'azione
sconsiderata di Dariush quando tolse a entrambi la mano dalla spalla,
ma lui si limitò a continuare a scrutarla mentre si
allontanava, le palpebre assottigliate unici spiragli sulla sua rabbia.
- Reza, valle a prendere l'arma. -
Il Syad annuì e marciò fino all'armeria, tornando
qualche minuto dopo con la shamshir. Non appena Nemeria se l'ebbe
legata alla vita, le guardie si misero in formazione attorno a lei e a
Dariush. A un cenno del loro capo, cominciarono ad avanzare. Li
scortarono su per le scale fino al terzo piano, oltrepassarono la
biblioteca e arrivarono davanti a un corridoio sorvegliato da altri due
soldati. Non appena li videro, si spostarono per permettere loro di
passare. Il tempo che ci misero per scendere le altre rampe di scale
parve dilatarsi all'infinito, in un'attesa che non fece altro che
logorarle i nervi. Quando riemersero all'aperto, lo scoppiettare del
fuoco nelle orecchie si affievolì, smorzato dalla sorpresa.
L'altra ala della scuola, almeno il cortile, era costeggiato da un
lungo porticato di colonne bianche. Non c'era nessun campo centrale,
manichini o gladiatori intenti ad allenarsi; solo un prato simile a una
sterpaglia, dove le uniche punte di colore erano rappresentate da
sparuti e solitari ciuffi verde stinto. L'arena sul fondo dominava
tutto l'ambiente come un re in panciolle sul proprio trono. Era una
riproduzione identica ma meno sfarzosa di quella che Nemeria aveva
visto nel Quartiere della Bestia, con le statue degli dei che
sembravano protendersi verso il cielo.
- Scortate lo sfidante all'altro ingresso. Tu, prendi il comando. -
ordinò il capo.
Quando la scorta di Dariush si fu ricompattata attorno a lui, le
guardie che erano rimaste con Nemeria passarono oltre l'arco
d'ingresso. Percorsero un breve corridoio che alla fine si apriva in
una stanza spoglia. L'umidità aveva scolorito gli affreschi
alle pareti, ma gli alberi da frutto e la ghirlanda di Gemme del
Firmamento in stucco che ne adornavano gli angoli erano così
minuziosi da sembrare veri. Sulla sinistra c'era un cancello con
affisso un cartello di creta, con su scritto "pubblico", mentre sulla
destra ve n'era un altro sul cui stipite era stato inciso "gladiatori".
La guardia lo aprì e Nemeria marciò lungo un
corridoio, anch'esso spoglio se non per gli scudi d'oricalco sbalzato
su cui capeggiava il profilo di uomini, donne o bestie. Sotto ognuno,
c'era una targhetta con il nome del precedente proprietario. Nonostante
l'aria fresca, l'ambiente era opprimente e Nemeria si sentiva quasi
soffocare. Tirò il collare e lo mosse a destra e a sinistra
come se lo volesse allentare, ma più ci provava,
più aveva la sensazione che il cuoio si stesse stringendo.
Soltanto quando la guardia aprì il cancello che la separava
dall'arena vera e propria, i polmoni tornarono a incamerare ossigeno e
le fiamme si rinfocolarono.
Non si accorse di essere rimasta sola finché non
udì, in un suono attutito e distante, i passi dei soldati
allontanarsi. Rimase piegata sulle ginocchia a respirare. Con la coda
dell'occhio riusciva a captare dei movimenti sugli spalti, scorci di
tuniche e teste che si spostavano e si sedevano dove i Syad e le
guardie indicavano. Avrebbe voluto cercare le sue amiche, ma sentiva la
testa ancora troppo pesante e la sua linea visiva era limitata a
quell'ellisse sabbiosa, punteggiata da grossi massi di pietra nera
sparsi come ciliegie su una torta.
Fu il suono prolungato del corno a suggerirle di raddrizzarsi: Dariush
era al centro del campo e Nemeria decise di raggiungerlo.
Koosha e i lanisti sedevano in quello che, se fosse stata l'arena
ufficiale, sarebbe stato il palco riservato al governatore e alla sua
famiglia. Tyrron aveva preso posto di fianco al direttore, con le gambe
larghe e il bacino scivolato in avanti, il gomito appoggiato sul
bracciolo e la mano sulla bocca. Da quella distanza, Nemeria non
avrebbe saputo dire se fosse preoccupato o semplicemente concentrato.
Koosha si alzò e avanzò con passo malfermo fino
alla balaustra.
- Che lo scontro abbia inizio! - dichiarò.
Dariush scrollò le spalle e agitò le mani. La
pelle si disfece e si staccò in un turbinio di cenere,
mettendo in mostra l'armatura di roccia rossa, una lastra uniforme
picchiettata di bianco e ruggine. Nemeria fece appena in tempo a
sguainare la shamshir.
Dariush la caricò a testa bassa. Nemeria schivò
il primo pugno, balzò indietro al secondo e
guadagnò una posizione di sicurezza dopo il terzo.
Le vedeva. Non era in grado di deviarle o di contrattaccare senza
rischiare che le rompesse qualche osso, ma riusciva a vedere le
traiettorie dei suoi colpi.
- Cos'è, hai paura? - Dariush aprì le braccia e
la provocò, - Da quando quella stupida ti ha portato nella
mia tana, niente è andato nel verso giusto. Se tu non ci
fossi stata, adesso saremmo ancora liberi! -
Scattò verso di lei. Nemeria si abbassò sulle
ginocchia, roteò su se stessa e sferrò un colpo
veloce e stretto, aumentando la potenza del colpo con una brusca
rotazione del torso. Dariush vacillò, un ginocchio quasi
cedette e l'altra gamba si piegò sotto il suo peso. Si
voltò, menando un colpo alla cieca che parve fendere l'aria
come un martello da guerra. Nemeria si spinse via e
indietreggiò finché non fu fuori dalla sua
portata. Il taglio obliquo che gli aveva aperto la tunica e la pelle le
causò un brivido d'eccitazione nei lombi.
- Ti avrei dovuto ammazzare prima. -
Digrignò i denti e l'attaccò di nuovo. Destro,
sinistro, destro, destro, sinistro. Un susseguirsi di pugni che le
toglievano il fiato a ogni schivata. Dariush era potente, ma i suoi
colpi erano meno veloci sia di quelli di Durga sia di quelli di
Roshanai. A ogni colpo mancato, l'espressione sul suo volto diventava
sempre più feroce, più cattiva.
- È tutta colpa tua. È solo e soltanto colpa tua!
- ringhiò Dariush.
Una roccia le volò addosso. Nemeria si buttò a
terra, fece una capriola e si rimise in piedi. Non fece in tempo a
raddrizzarsi che Dariush gliene scaraventò un'altra contro
con così tanta forza da conficcarla nel muro.
- Altea si è allontanata da me per colpa tua! Hirad si
è ribellato per colpa tua!- le puntò il dito
addosso, gli occhi neri come pasta vitrea, - Tu sei stata la causa
della nostra rovina. Avrei dovuto lasciarti a morire in quella
squallida arena come ti meritavi! -
Nemeria fece una piroetta prima che la roccia la colpisse. Dagli
spalti, il basso rumoreggiare si era tramutato in un tifo scandito dal
battere di piedi e mani, voci amalgamate in un coro discordante e
sincopato.
- Io non ho fatto niente! - si difese, - Tu hai allontanato Altea da
te, tu hai fatto soffrire Hirad, tu ti sei fatto odiare
perché non avevi il controllo di te stesso! -
La roccia che stava per sollevare ricadde a terra in un tonfo e Dariush
parve calmarsi. Si fermò a fissarsi le mani, con gli occhi
che ondeggiavano dall'una all'altra come se non le riconoscesse.
- Io... io ho tutto sotto controllo. -
Nemeria scosse la testa, ma lui si prese il viso tra le mani e si
graffiò le guance. La pietra stridette contro altra pietra,
mentre la pelle cadeva in un pulviscolo grigio. Il pubblico
sussultò e l'aria divenne più pesante del piombo.
- Dariush, no. Devi fermarti. Devi... -
- Non dirmi che cosa devo fare, puttana! -
L'urlo si tramutò in un gemito sofferente. Dariush cadde in
ginocchio, afferrò le ciocche di capelli e le
strappò con frenesia, mentre il suo corpo si ingrossava,
spaccando la stoffa e il cuoio. Qualcuno gridò quando il
collare saltò via.
- Nemeria, vattene! Allontanati! -
Non sapeva chi avesse parlato, ma non si soffermò troppo a
pensarci. Diede le spalle a Dariush e cominciò a correre
verso il cancello da cui era venuta. La sabbia la rallentava,
intralciava i suoi passi imponendole un'andatura meno spedita di quella
che avrebbe voluto avere. Non era che a metà del campo
quando cadde. Provò a rimettersi in piedi, ma era come
essere finita nelle sabbie mobili e più si dimenava,
più il terreno si allargava sotto il suo corpo, un'onda di
granelli compatta come una frana.
- Mia... ora sei mia. -
L'essere che avanzava verso di lei non poteva essere Dariush, ma per
quanto Nemeria negasse non c'era altra soluzione. Lo osservò
terrorizzata mentre avanzava pesantemente: un Jin grosso tre volte un
uomo adulto, il viso schiacciato, levigato come una roccia di fiume, e
il braccio sinistro appesantito da squame di roccia che fuoriuscivano
dalla spalla come una catena montuosa. Una luce di un verde malato si
spandeva poco sotto quello che prima doveva essere l'ombelico.
Nemeria tentò di alzare le braccia, ma una corda di granelli
compatti le intrappolò sotto la sabbia. Quando
l'afferrò alla gola, l'ombra di Dariush oscurò il
sole. Gli occhi erano feritoie nere, senza null'altro se non i puntini
colorati che sfarfallavano nella vista di Nemeria.
"Non voglio morire!"
Aveva la pelle incandescente e il potere strabordava dalle mani, ma
lì sotto non c'era abbastanza aria perché le
fiamme divampassero. Lo scoppio delle scintille era uno schiocco
fievole nelle sue orecchie.
- Perisci, piccolo fuoco. -
La presa attorno al suo collo divenne un nodo scorsoio che le
strappò il fiato. Nemeria infilò le dita sotto le
corde, puntellò i gomiti a terra e tirò con
quanta più forza poté, con le lacrime che le
bruciavano gli occhi e la bocca spalancata in un grido muto.
Una lancia trafisse Dariush al fianco. Il ruggito di rabbia si
affievolì in un rantolio. La lama di una shamshir gli
tagliò il retro del ginocchio e lui cadde a terra. Le corde
si dissolsero in una frastagliata linea di granelli d'oro. Nemeria
tossì e si massaggiò la gola, annaspando in cerca
d'aria. Oltre la tempesta di macchie davanti allo sguardo, la punta di
una lancia sbucò dal petto di Dariush, schizzandole i piedi
di sangue bianco e appiccicoso come resina.
- Prendetela e portatela via. -
L'ombra di Sayuri precedette la sua figura. Si avvicinò con
una mano protesa in avanti e un vento che le gonfiava la tunica, lo
stesso che aveva formato il muro contro cui si schiantavano i pugni di
Dariush. Mina era al suo fianco e si teneva il lembo del mantello
frangiato avvolto sul polso.
- Aghà Mina, non credo di poter fare nulla per lui, ormai. -
Un soldato prese Nemeria sotto le ascelle e l'aiutò a
rimettersi in piedi. Aveva un accenno di barba attorno alle labbra e le
ciglia lunghe e femminili. Il sorriso d'incoraggiamento che le rivolse
non bastò a calmare i battiti impazziti del cuore.
- Ah, se lo avessi saputo prima che si sarebbe trasformato
così presto, avrei risparmiato un bel po' di shekel. - Mina
studiò il Jin e storse le labbra in una smorfia, -
È una disgustosa perdita di tempo. Toglietemelo dalla vista.
-
Sayuri assentì. Un'altra guardia, sopraggiunta
chissà quando, andò alle spalle del Jin e
sguainò una daga corta. Nemeria cercò di guardare
altrove, ma il suo sguardo rimase incollato alla forma di Dariush in
ginocchio.
- Sopprimetelo. -
Una lacrima le si impigliò tra le ciglia. Quando il soldato
lo sgozzò, Nemeria gridò.
"Chi
ama soffre, chi soffre lotta, chi lotta vince. Ama molto, soffri poco,
lotta tanto, vinci sempre."
Oriana
Fallaci
Il corpo Dariush venne
portato via subito. Lo pungolarono con ferri roventi per accertarsi che
fosse morto, poi lo caricarono su un carro e uscirono dallo stesso
ingresso da cui, nemmeno un'ora prima, era entrato.
Nemeria lo seguì con lo sguardo dalle gradinate con la mente
svuotata da ogni pensiero. Quelle mani gigantesche e quella testa
innaturalmente piccola e squadrata non poteva essere appartenuta a un
uomo. Non c'era più alcuna somiglianza tra il ragazzo e
quella specie di mostro, eppure Nemeria, mentre il carro sfilava, vide
Dariush, lo sha'ir, disteso sulla paglia. Se non gli avessero
incrociato le braccia sul petto, avrebbe potuto credere che stesse
dormendo, che il sangue che affossava la sabbia fosse latte. Avrebbe
potuto credere che era stato soltanto un incubo.
- Come ti senti? - le chiese Durga.
Nemeria sospirò e si passò una mano sulla fronte.
Anche se sentiva l'impulso di piangere, i suoi occhi erano asciutti,
aridi come la cortina di sabbia che le era finita nei polmoni e
bruciava più dei segni sul collo.
- Non credevo che avrebbe perso il controllo. Speravo... - si
interruppe, deglutì e si coprì la bocca con una
mano, - Non meritava di fare quella fine. -
Durga concordò e tornò a guardare oltre la
balaustra. Le linee lasciate dal carro svanirono rapidamente, disfatte
dalle impronte dell'altra coppia di gladiatori, la prima che avrebbe
dovuto gareggiare.
- Sayuri lo dice sempre: questa è la fine che attende quelli
come noi. Per Dariush è arrivata prima del tempo, ma
è il destino dei Dominatori. -
Nemeria aveva la gola secca. Durga aveva già provveduto a
far portare l'absaiyah da uno degli schiavi che giravano per le
gradinate, ma non avvertì il bisogno di bere
finché l'odore di aceto non le solleticò le
narici.
- Mi dispiace per quello che è successo. Deve essere stato
orribile per te. -
Nemeria fissò in silenzio i due nuovi combattenti. Lo
scambio di colpi si susseguiva frenetico, con Noriko che bloccava e
respingeva ogni assalto del suo avversario. La grazia con cui muoveva
il tessen, il ventaglio da guerra, sottolineava
ancora di più la goffaggine di Sadegh e della sua lancia.
Non ricevendo risposta, Durga continuò a cianciare, come se
così avesse potuto indurla ad aprirsi. Nemeria
però non aveva voglia di parlare. La sensazione di
smarrimento, dolorosa più d'una ferita purulenta, era
l'unica cosa che provava. Lasciò che le parole dell'amica si
affastellassero l'una dietro l'altra, che si sedimentassero riempiendo
i vuoti della sua mente con immagini incolori e concetti privi di
senso. Dopo un po' quel brusio tacque e nelle orecchie di Nemeria non
rimase altro che lo scoppiettare lontano del fuoco.
- Tu. -
Nemeria si girò e incontrò gli occhi di Ahhotep.
Tra loro c'era una distanza di un mezzo braccio, abbastanza per dare
un'idea di confidenza. Durga si era spostata chissà dove.
- Che cosa vuoi? -
- Parlare. -
- Non ne ho voglia. - ringhiò.
Un brivido accapponò la pelle di Ahhotep e Nemeria
pensò che se ne sarebbe andata. Invece la ragazza rimase
lì, con i pugni chiusi e le spalle rigide.
- Adesso capisci perché non voglio che tu faccia amicizia
con Durga? Lei si è davvero affezionata a te e ne
soffrirebbe molto se tu ti trasformassi in Jin. L'hai visto anche tu
quanto è brutta la soppressione. -
- Anche tu lo sai, eppure non mi sembra che ti sia allontanata. -
- Perché lei ha bisogno di me. -
"Perché pensi che di me non abbia bisogno?!"
Si prese la testa tra le mani e appoggiò la fronte sulle
ginocchia, schiena alla gradinata. Il contatto della sua pelle calda
contro la pietra fredda la raggelò.
- Anche se mi odi, mi dispiace per quello che ti è successo.
So cosa significa perdere qualcuno in questo modo. - aggiunse Ahhotep.
Nemeria tornò a osservare lo scontro. Sadegh era riuscito a
farsi largo nella difesa di Noriko, anche se l'impressione era
più che fosse lei a permettergli di metterla in
difficoltà.
- Da come ti sei sempre comportata, sembrava fossi tu a odiare me. -
sospirò dopo un po'.
- È vero. Le persone ingenue come te le trovo
insopportabili. -
- Però mi temi. - dichiarò, poi
ridacchiò, - Non capisco nemmeno perché stiamo
parlando. -
Ahhotep scrollò una spalla. Si era spostata un paio di
pollici in là, alla giusta distanza per mantenere una
parvenza di familiarità e per concederle al contempo di
allontanarsi al primo segno di pericolo.
- Me lo ha chiesto Durga. -
- Ed è stata lei a chiederti di dirmi di starle lontana? -
- Sai già qual è la risposta. -
Nemeria strozzò una parolaccia tra i denti e si
alzò bruscamente. Si sentiva le gambe anchilosate e i nervi
fin troppo recettivi. Ahhotep schizzò più in
là come un gatto in presenza di un cane randagio.
- Non... non si può uscire dall'arena. -
l'avvertì, ma Nemeria la ignorò.
Prese il bicchiere con l'absayah rimasta, scese giù dalle
gradinate e imboccò le scale di accesso al pubblico. Era un
corridoio più ampio, dove erano state dipinte scene di
combattimento tra gladiatori e tra gladiatori e bestie. A
metà, una porta si apriva verso l'interno. Nemeria la
imboccò subito.
La accolse una stanza semicircolare, con due file di sedili di pietra
lungo entrambe le pareti e un sottile canale dove scorreva l'acqua.
L'aria che filtrava attraverso i fori tra muro e soffitto si
raffreddava a contatto con quella che aleggiava all'interno, ma
né quella, né la lavanda, né l'acqua
profumata che zampillava dalle fontane era sufficiente a scacciare la
puzza di escrementi.
Nemeria vomitò la colazione. Bevve ancora e il suo stomaco
rigurgitò quell'acqua sporca in una brodaglia acida e
rivoltante. Se avesse potuto, avrebbe sputato anche il cuore e tutti
gli organi che le galleggiavano in corpo. Invece riuscì
appena ad appoggiare la testa al muro, con un filo di saliva che le
penzolava come una tela di ragno spezzata dalle labbra. Attese
finché i crampi allo stomaco non cessarono e poi si
lasciò cadere su uno di quei sedili, abbracciando le
ginocchia al petto. Singhiozzò così forte che le
parve che il respiro le dilaniasse la gola, stringendo le palpebre per
trattenere lacrime che non aveva.
Rimase rannicchiata lì per così tanto che alla
fine non si sentì più le gambe e le braccia.
Quando la porta si aprì e Senan entrò, non ci
fece caso. Da dietro le ciglia vedeva solo una figura indefinita.
Riacquistò un minimo di contorno quando prese la spugna
dalla cesta affissa sulla parete in fondo e la immerse nella vasca
davanti a Nemeria.
Senan puntò lo sguardo su di lei. Le pitture da guerra,
tracciate con grande precisione su guance, fronte e bocca, erano di un
blu granuloso, leggermente più scuro della kandys sbracciata
che indossava.
Nemeria si ritirò ancora di più. Non era
lì, lei. Il suo corpo si era rintanato nelle latrine, ma la
sua mente era rimasta inchiodata... dove? Nell'arena o all'accampamento
della sua tribù? Era il sangue di Dariush o quello di sua
madre a macchiare la sabbia? Strinse ancora di più le
braccia attorno alle gambe, come se così facendo avesse
potuto contenere il tumulto che le scavava nelle viscere.
Senan sospirò. Rilavò le mani e la spugna che
aveva usato per sciacquarsi nelle parti intime e la lanciò
nella cesta di fianco a quella da cui l'aveva presa.
- Se non torni, qualcuno potrebbe farsi delle domande. -
"Perché nessuno mi vuole lasciare in pace?"
Lo avrebbe respinto se solo ne avesse avuto la forza. Invece, quando
Senan le si inginocchiò davanti e sciolse le dita
intrecciate, le sue mani cedettero all'istante.
- Come ti chiami? - le domandò con un sorriso.
Aveva la voce rauca. Gli occhi erano di un ardesia chiaro, con una
ragnatela bianca e azzurra che raccoglieva una pupilla grande come un
bottone e una piccola come una capocchia di spillo.
- Nemeria.-
- Bene, Nemeria. Ascolta, non dovresti stare qui. Le tue amiche ti
stanno cercando da un pezzo e sono davvero preoccupate per te. Non
è giusto trattarle così, non credi? -
Nemeria si ritrovò ad annuire. Si lasciò aiutare
a rimettersi in piedi. I muscoli delle gambe protestarono quando si
distesero. Prese il sapone ancora bagnato dalla conchiglia sul bordo
della vasca di pietra e cominciò a strofinare le mani con
forza, per togliere ogni goccia di sangue. Ci dovevano essere, anche se
non riusciva a vederle.
- Basta, adesso sono pulite. -
Senan le bloccò i polsi e li tirò fuori
dall'acqua. Le dita erano arrossate e le vene sotto pelle
così visibili da sembrare tracciate con l'inchiostro.
- Era un tuo amico quello che ha perso il controllo? -
Nemeria negò, annuì e poi negò di
nuovo. Dariush era l'aguzzino di Altea e, nel periodo passato con la
Famiglia, Nemeria aveva spesso sperato che sparisse.
- Non meritava quella fine. Anche se era crudele, non meritava di
essere soppresso come un animale. -
- Lo so, ma è necessario. Se le guardie non fossero
intervenute, tu saresti morta e anche noi saremmo stati in pericolo. Se
avesse perso il controllo fuori da qui, sarebbe stato anche peggio. -
- Sì, ma... ma è difficile da accettare. -
Il sorriso di Senan era sincero, ma non gli illuminò gli
occhi: - Devi imparare a sopportarlo, altrimenti non ce la farai a
sopravvivere. -
Le asciugò le mani con il lembo della sua kandys. Le sue,
callose e ruvide, ricordavano a Nemeria quelle del vecchio Arsalan, la
stessa vissuta gentilezza che animava i suoi movimenti quando lavorava
il cuoio o si prendeva cura di una giumenta ferita. Forse era quella
somiglianza tattile a renderla vulnerabile e a ispirarle più
fiducia di quanta avrebbe dovuto riservargliene.
- Sei una bambina, non dovresti neanche fare questa vita. Ma visto che
non puoi scappare, devi imparare a sopportare, altrimenti perderai il
senno prima del tempo. -
Senan le diede le spalle e si passò l'acqua sul collo.
Nemeria intravide le lettere finali di diverse parole che sbucavano da
sotto la stoffa della kandys e tra i capelli lasciati sciolti,
schiarite da diverse e profonde cicatrici.
- Tu sei uno dei gladiatori di Siamak, vero? -
- Sì. E adesso se non torno, mi verrà a cercare. -
Le indicò la porta con un cenno del capo. Quando la
aprì, l'aria fresca le punse il naso e nelle orecchie
rimbombarono le urla d'incoraggiamento del pubblico.
- Eccola! -
Durga la investì e la avvolse in un abbraccio stritolante
che quasi la scaraventò a terra. Noriko la raggiunse subito
dopo, assieme ad Ahhotep.
- Dov'eri finita? Ti abbiamo cercato per un sacco di tempo! -
- Durga... Durga così mi uccidi. - rantolò.
La bambina la lasciò andare e le piantò addosso
un broncio condito da un'espressione offesa.
- Ti sei persa il mio scontro, cattiva. - borbottò in tono
lamentoso.
- Mi dispiace, è che non mi sentivo bene. -
- Sì, in effetti hai una brutta cera. - confermò
Noriko, - Torna a sederti e bevi qualcosa. Stare nelle latrine non ti
farà stare meglio. -
La prese sottobraccio e Durga fece lo stesso con Ahhotep. Nonostante la
polvere su mani e ginocchia e il brutto livido all'angolo della bocca,
era ancora piena di energie e non smise di saltellarle intorno e
sciorinarle dettagli su come fosse andato il suo scontro. Quando
tornarono sulle gradinate, Nemeria aveva un gran mal di testa.
- Durga, credo che Nemeria abbia bisogno di riposare, ora. -
- Ma non ho ancora finito di raccontarle tutto! -
Ahhotep mitigò la voce in un tono più
accondiscendente: - Lo so, ma dovresti darle un momento per
riprendersi. -
- Uhm... va bene. -
- Piuttosto, accompagnami a prendere qualcosa da mangiare. -
indicò un carretto dall'altro lato, - Voi due volete
qualcosa? -
- Fai tu. - rispose Noriko.
Quando Ahhotep e Durga si allontanarono, Nemeria tirò un
sospiro di sollievo. L'aria di mezzogiorno era torrida e gli schiavi si
erano già premurati di dispiegare il complesso sistema di
corde e veli per ombreggiava tutta la cavea.
- Ricordati che ancor prima di essere gladiatori, siamo attori. - le
disse Noriko.
Nemeria si umettò le labbra e si passò una mano
sul collo. Il sudore le inumidiva la nuca e la piegatura delle
ginocchia, incollandole la kandys alla scapole.
- Senan è stato gentile, però. -
- Tutti lo sono, specialmente quando vogliono qualcosa. -
- E cosa potrebbe volere Senan da me? -
Noriko sospirò. Seguì lo scambio di colpi tra i
due nuovi sfidanti, un ragazzo imberbe e un altro più basso
ma più muscoloso, che maneggiava un tridente. I tre rebbi si
conficcarono con così tanta forza nel terreno da mandare
l'avversario a gambe all'aria.
- Uno scontro contro un gladiatore che non combatte al meglio delle sue
possibilità annoia il pubblico. Nella nostra ottica,
è meglio perdere contro un avversario che ci mette in
difficoltà, piuttosto che vincere contro una persona che a
malapena si difende. -
Nemeria cercò Senan con gli occhi, ma era difficile
individuarlo in mezzo a tutta quella gente.
- A me è sembrato sincero. -
- Te l'ho detto: siamo attori e lui è un Eoin'id che deve
aver superato da un bel po' il secolo di vita. Ha avuto tutto il tempo
per imparare a fingersi una brava persona. -
- Lui quindi era già un gladiatore? -
Noriko si terse il sudore con una mano.
- Potrebbe essere. Sicuramente non è un novellino come noi,
penso te ne sia accorta anche tu. -
Nemeria non poté che concordare. Le pitture sul viso, le
cicatrici e le mani callose erano tutti indizi di un passato ben
preciso.
"Aveva qualcos'altro tatuato sulla schiena..."
Il piatto che apparve tra lei e Noriko richiamò bruscamente
la sua attenzione.
- Allora, ho preso un po' di tutto. Questo è col pollo,
questi con tacchino e questi ultimi qui nell'angolo sono con lo
struzzo. Visto che non sapevo se avevate fame come me, mi sono fatta
mettere anche un po' di lenticchie, fagioli e una manciata di fave per
pulirvi la bocca. - Durga consegnò il piatto a Noriko e si
sedette di fianco a Nemeria, - Ho preso anche la salsa allo yogurt e
aglio, la toum, la tasia e l'hummus. L'hummus so che ti piace, ma le
altre due puoi assaggiarle da me, se vuoi. -
Ahhotep arricciò il naso, l'espressione così
disgustata che persino Noriko non riuscì a rimanere
impassibile.
- A lei non piace l'aglio. - spiegò Durga, intingendo uno
spiedino nella salsa allo yogurt, - Io invece lo adoro! Rende tutto
più buono, come il sale. -
- Non penso ci sia qualcosa che non ti piaccia, a parte i sassi. - la
rimbeccò Ahhotep.
Nemeria scoppiò a ridere e Noriko dovette intervenire
dandole diverse pacche sulla schiena per non farla strozzare.
- E tu sei la solita schizzinosa. -
- Mai negato d'esserlo. -
Durga fissò dapprima lo spiedino, poi Ahhotep e poi Nemeria
che cercava di recuperare un minimo di contegno. Tutta impettita,
tirò su una grossa quantità di hummus con lo
spiedino.
- Non c'è gusto a litigare con te. - borbottò.
- Più parli, più il cibo si fredda. -
- Va bene, va bene. - sbuffò e il ciuffetto di capelli si
alzò e le ricadde proprio sul naso.
Nemeria prese uno spiedino e lo masticò con gusto. La carne
era un po' bruciacchiata, ma era così tenera che quasi si
scioglieva in bocca. Una gomitata la fece voltare e si
ritrovò faccia a faccia con Durga, i denti affondati nello
spiedino, gli occhi spalancati e il naso sporco d'una goccia di hummus.
Rimase un momento perplessa, ma prima che potesse capire davvero cosa
stava accadendo, la sua compagna si infilò entrambi gli
spiedi nelle narici e si girò verso Ahhotep.
- Mai negato d'essere schizzinosa. - le fece il verso, allungando la
"a" finale per alitarle addosso.
- Per Ahurmazd Heydar, cosa c'era in quella salsa... -
- Shono Ahhotep, la gladiatrice schizzinosa. -
In risposta, Ahhotep si tappò il naso e le mise una mano in
faccia, mentre Durga rideva. E la sua risata strappò un
sorriso a Noriko e contagiò Nemeria. Il dolore, un grumo
pulsante di sangue e senso di colpa, si sgretolò e si
sciolse in lacrime.
- Piangi perché Durga è stupida? - le
domandò Noriko.
- Non shono shtupida! - ribatté e stavolta arcuò
la lingua nel tentativo di toccarsi il naso, - Ahhhh, scappa! Il mio
naso scappa! -
Nemeria rise più forte. Non sapeva nemmeno lei se era per
Dariush o per quelle stupide facce buffe. E, sinceramente, non gliene
importava molto.
- Se... se continui così il mio cuore esploderà. -
- Se esplode perché sei felice, va bene. - le prese le
guance e gliele tirò su in un sorriso, - La mia mamma diceva
che il riso può guarire anche le malattie più
brutte. Quindi quando sei triste, devi ridere più forte che
puoi, così il dolore andrà via e tu tornerai a
stare bene. -
- È vero, lo dicevano anche al tempio. - disse Noriko.
Nemeria tossicchiò un paio di volte e tornò a
mangiare. Anche se non aveva molta fame, vedere Durga mangiare con
quella voracità le mise appetito e alla fine si prese anche
qualche spiedino destinato a Noriko. Le poche volte che
intercettò le occhiate preoccupate di Ahhotep, decise di
ignorarle: la sua allegria era già in bilico, sarebbe
bastato troppo poco per farla precipitare nel crepaccio che le aveva
spaccato il cuore.
La giornata da quel momento proseguì lenta, scandita
soltanto dagli scontri che si avvicendavano sotto i loro sguardi.
Senan fu uno degli ultimi a scendere in campo e non diede
chissà che spettacolo, anche se Nemeria rimase colpita
quando lo vide entrare nell'arena a petto nudo, mostrando un reticolo
in rilievo di cicatrici e scritte nere, tatuate in una calligrafia
elegante. A differenza di lei e Noriko, indossava delle cavigliere
placcate in oricalco. Si misurò con un altro gladiatore, un
uomo con il petto villoso e il collo taurino piantato in mezzo alle
spalle come un chiodo nel legno. Non ci fu praticamente sfida: Senan
era agile, schivava ogni colpo della sua shamshir con grazia felina,
roteando in semi cerchi come se stesse ballando su una musica lenta che
si velocizzava a ogni suo cambiamento di passi. Non appena il suo
avversario cominciò ad accusare i primi segni di stanchezza,
passò al contrattacco e, dopo nemmeno due scambi, lo
disarmò e lo costrinse a terra. Non attese nemmeno che
l'arbitro ne dichiarasse la sconfitta e subito imboccò
l'uscita.
Al calar del sole, le guardie radunarono tutti i vincitori nel centro
dell'arena. Adhara li chiamò uno ad uno e appuntò
i loro nomi: dai trentadue che c'erano quella mattina, erano rimasti
soltanto in sedici.
- Domani fatevi trovare all'arena come stamattina. - ordinò
Koosha.
Tyrron le scoccò un sorriso più che compiaciuto.
Nemeria ricambiò, più per dovere che per reale
partecipazione. Gli avrebbe voluto chiedere come stesse Batuffolo, ma
lui andò via scortato da un manipolo di soldati, assieme a
tutti gli altri lanisti.
Ad attenderli al refettorio c'era la solita cena deludente a base di
legumi, verdura e uova, niente a che vedere con gli spiedini che
avevano consumato per pranzo, ma tanto bastava per mettere a tacere la
fame.
Durga era ancora piena di energia e non smetteva di parlare, e mentre
parlava gesticolava, con gli occhietti gialli che brillavano
d'eccitazione ogni volta che raccontava i dettagli degli scontri.
Nemeria non si capacitava da dove avesse tirato fuori tutta quella
loquacità, quando lei desiderava soltanto buttarsi sul
letto. Nel momento in cui Noriko propose di andare a dormire, colse la
palla al balzo e, dopo essersi lavate, la seguì fino in
camera.
- Vado a chiedere a Nande se ha qualche erba per conciliarti il sonno. -
- Ma non mi serve... -
- Ti serve, invece. La morte di Dariush ti ha sconvolta e rischi di non
chiudere occhio stanotte. -
Nemeria annuì e rimase lì finché
Noriko non tornò con un infuso di semi di papavero.
Quella notte si sedette vicino al focolare di Agni. Il suo calore tenne
lontani i mostri, gli spettri e il profondo, tagliente senso di colpa.
La giornata seguente si trascinò con fatica fino a sera,
quando Nemeria andò al tempio. Fino a quel pomeriggio non ne
immaginava nemmeno l'esistenza. Lo aveva sentito nominare da un servo
mentre rientrava dal suo scontro e per risalire alla sua collocazione
le era stato sufficiente chiedere. Noriko l'aveva sentita, ma non aveva
fatto domande quando, dopo essersi cambiata, Nemeria era uscita di
nuovo.
Il tempio era un luogo angusto, una stanza quadrangolare dove la luce
delle stelle e delle candele sfiorava le immagini della lotta di Heydar
e degli Spiriti contro la Madre in rilievo sulle pareti. Le ombre le
facevano sembrare vive, carne intrappolata nella pietra in cerca di una
vita di fuga.
Nemeria prese un incenso e si inginocchiò davanti
all'altare, sotto lo sguardo vigile di quel dio crudele, circondato dai
suoi fedeli sudditi armati con lance e spade d'oro. Compose i segni dei
cakra.
Si sentiva la testa e il cuore pesanti e quella pesantezza sembrava
aver incancrenito ogni appendice del suo corpo. Quando si era scontrata
nell'arena, il suo avversario era rimasto indefinito, anche dopo che
l'arbitro ne aveva annunciato la sconfitta. Erano gli strascichi della
malattia, la convalescenza del dolore.
Chiuse gli occhi e raddrizzò le schiena. Pregò
per Altea e Hirad, che avessero una buona vita; per Kimiya, che
trovasse la forza di opporsi alla crudeltà di Mina; per
Chalipa e Afareen, che riuscissero a trovare la loro strada nel mondo
esterno. Pregò per i gemelli e per Hami, che la vita gli
fosse dolce.
Strinse la mano a pugno sul petto, dove un tempo penzolava la pietra di
luna, e trasse un profondo respiro. Non c'era un'anima da vegliare o un
corpo da vestire e lavare. Non sopravviveva niente, se non il ricordo
di quegli ultimi istanti passati assieme nell'arena.
- Madre, nel tuo tramonto soggiace la pace dell'alba.
Tutte le cose sono effimere e la vita è vita solo se si
può spegnere.
Anche se la mia anima tramonterà, io non ho paura
perché in ognuno cammina la morte
e colui che sempre scompare, sempre si incamminerà verso il
cielo.
Madre, nell'ora più buia guida a te chi non ha
più stelle. -
Rimase inginocchiata fino a quando l'incenso non bruciò del
tutto e il formicolio alle gambe non divenne insopportabile.
Indugiò sulla soglia del tempio, lo sguardo fisso sul viso
impassibile di Heydar. Quasi per spregio, ripeté i segni
degli otto cakra e poi uscì a passo di marcia.
La mattina successiva vennero svegliati prima del solito. Stavolta,
però, al posto di Ozgur, a tirarle giù dal letto
fu Bahar.
- Su, su, in piedi. Oggi ci sarà la sfilata in
città. -
- Di cosa stai parlando? -
- Ieri non vi hanno detto nulla? - si grattò la nuca e poi
si rivolse a Noriko, - Davvero non ne sapete niente? -
- Aghà Koosha ci ha solo ordinato di andare all'arena. -
- Ah, fanno i misteriosi. - ridacchiò e allungò
le braccia, scrocchiando le dita, - Allora nemmeno io vi dico nulla.
Ora muovetevi. Prima arriviamo, meglio è. -
Noriko annuì, prese a braccetto Nemeria e la
scortò in bagno. Nonostante fosse tornata presto, il sonno
non aveva scacciato la pesantezza. Si lavò e si
cambiò quanto più in fretta poté, ma
pur con tutti gli sforzi Bahar le rivolse una smorfia carica di
sussiego.
Marciarono fino all'arena, dove li attendevano gli altri otto
gladiatori. C'erano meno guardie del solito, o almeno questa era
l'impressione di Nemeria. Li contarono come il giorno prima e poi,
contro ogni pronostico, i lanisti richiamarono i propri gladiatori.
Diedero loro delle cappe e li scortarono fuori dall'arena.
- Ma... ma che sta succedendo? - mormorò Nemeria.
- Non lo so, sembra che stiamo per uscire da qui. - rispose Noriko,
avvolgendosi nel mantello.
- Non vi preoccupate, non sta per accadere niente di brutto. -
ridacchiò Bahar, - Per stasera sarete splendide. -
Giunti davanti al portone, Tyrron si voltò verso di loro.
Quella mattina si era fatto una treccia e il chitone bianco con
rifiniture d'oro gli conferiva un'aria autorevole, da uomo di potere.
- Appena usciremo, ci saranno già molte persone. Le guardie
li terranno lontani, ma voi dovete cercare di farvi vedere il meno
possibile, quindi testa bassa e procedete spedite, senza mai fermarvi. -
I soldati che costituivano la sua scorta personale si misero in
formazione attorno a tutti loro, con Noriko e Nemeria dietro a Tyrron,
Bahar e Morad. Quando le porte si aprirono, furono accolti da una folla
di curiosi. C'erano donne, uomini, ragazzi e ragazze d'ogni
età, persino bambini che avevano sì e no
l'età di Rakhsaan. Da sotto il cappuccio Nemeria non
riusciva a vedere bene, ma l'euforia e l'entusiasmo che trapelava a
ogni loro esclamazione le metteva addosso la voglia di strapparsi il
mantello di dosso e correre in mezzo a loro.
- Tyrron! Tyrron! Tyrron! -
Il suo lanista alzò un braccio e salutò la folla
che gli rispose con uno scroscio di applausi e inneggiando con voce
ancora più alta il suo nome. L'eccitazione sfrigolava
nell'aria, era nettare per le orecchie e vino sulle fiamme di Agni.
Camminarono per un paio di minuti prima di arrivare davanti a un carro
coperto da un telo di iuta.
- Su, entrate. Siamo già abbastanza in ritardo sulla tabella
di marcia. - le incitò irritato Tyrron.
Bahar saltò su prima di loro. Morad fu l'ultimo, assieme ad
altre quattro guardie. Lo schiocco di frusta preannunciò il
nitrito dei cavalli e la messa in moto del carro. Seduta tra due uomini
armati fino ai denti, Nemeria era combattuta tra l'eccitazione per la
novità e il timore per ciò che l'aspettava.
- Niente facce tristi, mica siete delle condannate a morte! Andate a
farvi belle per la parata di stasera. -
- Pensavo che oggi avremmo combattuto. -
- No, domani tornerete a menar le mani, ma oggi trascorrerete la
giornata alle terme più lussuose di Kalaspirit. Verrete
pettinate, truccate, depilate e vi verranno forniti dei vestiti per
l'occasione, cuciti proprio su misura per voi. - si batté le
mani sulle cosce e il suo sorriso si allargò, - Uscirete da
lì che non vi riconoscerete più. -
Rimasero sul carro per molto tempo. Quando scesero, si trovarono
davanti a un ingresso monumentale, con sei colonne di marmo
bianchissimo che si stagliavano alte a sostenere un'architrave ornata
con fregi bronzei.
- Benvenute alle terme di Revati! - chiocciò Bahar.
- Anche... anche gli altri lanisti le hanno? - balbettò
impressionata Nemeria.
Per la Madre, nemmeno nelle sue fantasie si sarebbe mai potuta
immaginare un posto del genere.
- Oh sì, ma davanti alle mie sbiadiscono. E lo dico senza
modestia. - rispose Tyrron, - Non stare lì impalata,
sbrigati. -
All'ingresso vennero loro incontro uno stuolo di giovani, tutti vestiti
con una tunica bianca stretta in vita da una cintura di cuoio
lucidissima e i capelli raccolti in una coda alta.
- Nemeria e Noriko, andate con loro. Morad e Bahar, sorvegliate l'altra
uscita. - ordinò Tyrron e poi si rivolse alle due
gladiatrici, - Non penso serva, ma niente colpi di testa nelle mie
terme. I soldati rimarranno fuori durante i trattamenti,
però sono autorizzati a intervenire al primo segnale di
pericolo. Spero vivamente che non sia necessario. -
Noriko rispose con un'alzata di spalle, mentre Nemeria
assentì. A quel gesto, Tyrron sorrise e rilassò
le spalle.
Salirono una rampa di scale sulla destra. Al primo piano c'era una sala
rotonda, con diversi uomini che si allenavano sollevando pesi, nella
corsa o in vari esercizi di corpo libero, mentre altri riprendevano
fiato tra una chiacchiera e l'altra.
Il nutrito gruppo di ragazze che era stato assegnato a Noriko la
condusse in un altro corridoio, più piccolo rispetto a
quello da cui erano venute.
Nemeria venne dapprima portata in una stanza con una vasca dove
poté lavarsi e, in seguito, all'interno di una stanzetta
piacevolmente riscaldata, con un lettino al centro.
- Prego, cambiati e poi rilassati. Ci pensiamo noi a te. -
Il sorriso della ragazza la metteva un po' a disagio, ma alla fine
Nemeria obbedì. Quando si distese, con solo il pestemal
addosso, tutte le altre ragazze si affollarono attorno a lei.
- Ebbene sì, ragazzo, hai bisogno di una bella ripulita. -
- Non è un ragazzo, è una ragazza, Lada. -
Quella che aveva parlato, una Ver'ilef con il naso aquilino e la
fossetta sul mento, si portò una mano alla bocca in un
risolino nervoso.
- Perdonami, è che sei davvero... -
- Mascolina? -
- Sì... sì, mascolina. - ridacchiò e,
mentre un'altra ragazza passava dell'olio, tirò su con una
spatola della crema gialla che profumava di miele e gliela
spalmò sulle gambe, - Sei bella comunque, ma ammetto che a
primo impatto non avevo capito che eri femmina. -
Nemeria nascose un sospiro sconsolato.
"Non vedo l'ora che mi crescano i capell..."
Cacciò un urlo e afferrò la sponda del lettino
con entrambe le mani. Stava già per ritrarre la gamba,
quando si sentì afferrare per le caviglie.
- Ferma, altrimenti appiccichi la crema ovunque. - l'ammonì
Lada.
- Cosa... cosa mi state facendo? - pigolò e
sussultò di nuovo quando percepì il profilo
freddo di una lama sulla pelle.
- Ti togliamo tutta la pelliccia che hai addosso, bambina. -
- Ma... ma perché? A che serv- ah! -
- Devi essere bella stasera e domani. Sarai anche una gladiatrice, ma
se vuoi avere degli sponsor devi avere un aspetto più che
accettabile. - le mostrò la striscia di crema gialla,
punteggiata da peli nerissimi, - So che la prima volta fa male, ma
vedrai che ti abituerai presto. -
Nemeria aveva le lacrime agli occhi per il dolore, ma riuscì
comunque a fare un lieve cenno di assenso prima che riprendessero.
Cercò di contenersi, anche se a ogni strappo le veniva da
piangere. Più di una volta ritrasse la gamba e
sferrò un calcio a vuoto. Se Lada e l'altra ragazza non
avessero avuto i riflessi pronti, probabilmente le avrebbe centrate in
pieno.
Non si limitarono a toglierle i peli dalle gambe. Nelle successive
cinque ore le strapparono quelli sulle dita dei piedi, sulle braccia e
sotto le ascelle, finché non furono soddisfatte. Alla fine,
quando la girarono supina e si dedicarono e regolarle le sopracciglia e
i pochi arditi peli che sbucavano dal naso, non sentiva quasi
più niente.
- Sei stata bravissima. - le sorrise indulgente Lada.
- Sì, davvero. Io la prima volta ho urlato per tutto il
tempo. - aggiunse l'altra ragazza, quella che l'aveva invitata a
stendersi.
Non che per Nemeria facesse tanta differenza: se avesse potuto, avrebbe
volentieri evitato di essere "bravissima" e "coraggiosa".
Lada aprì l'armadio e le porse un paio di mutande e una
fascia di stoffa, uguali identici a quelli che aveva indossato per il
bagno. Prima ancora che le dicesse qualcosa, Nemeria si era
già messa in piedi e se li stava mettendo addosso. Non si
rese conto di aver trattenuto il fiato finché non la
portarono nella stanza attigua, quella con la vasca. Come prima, la
cosparsero con un unguento grumoso che aveva un profumo delicato di
cannella, resina e mandorle. La massaggiarono a lungo prima di
permetterle di scivolare in acqua e, mentre Nemeria si risciacquava,
loro le strofinarono la schiena e le spalle con una spugna ruvida. Con
sua grande sorpresa, le applicarono anche una crema sul viso, che,
nonostante avesse un profumo nauseante, quando poté lavarla
le lasciò la pelle morbida e profumata.
Stava già imbrunendo quando finalmente la lasciarono andare.
O meglio, la scortarono in una stanza dove non c'erano né
lettini né vasche né nessuno di quegli strani
attrezzi per la cura del corpo.
- Aspettate qui. Aghà Ehsan arriverà a breve. -
Attesero che le guardie prendessero posizione e richiusero la porta.
Noriko alzò lo sguardo e la fissò. Il rossore
sulle sopracciglia e sul labbro le gonfiava il viso, facendolo apparire
più tozzo di quanto in realtà fosse.
- Traumatico? -
Nemeria annuì e si lasciò cadere sulla panca di
legno, gambe e braccia aperte, testa reclinata all'indietro. Non capiva
come la gente potesse spendere dei soldi per andare lì: si
sentiva esausta e dolorante come al termine di un allenamento con
Roshanai.
- Chi è Ehsan? - chiese dopo un po'.
- Spero non un altro amante della pulizia del viso. -
Nemeria ridacchiò e Noriko abbozzò un mezzo
sorriso. Le avevano tagliato i capelli, eliminando le punte rovinate e
accorciando quelle troppo lunghe o fuori posto. Vista così,
sembrava più grande e matura.
La porta si aprì ed entrò un uomo giovane con una
kandys blu, con un ricamo di tralicci d'uva sullo scollo e sulle
maniche svasate d'oro, come d'oro erano gli orecchini a forma di
serpente che gli pendevano dai lobi. Batté le mani e i servi
che lo seguivano si spostarono ai lati, con le braccia appesantite da
una cascata di stoffe colorate.
- Quindi siete voi le promesse gladiatrici. Tyrron mi ha parlato molto
di voi. - le scrutò con i suoi occhi azzurri, l'angolo della
bocca alzato in un mezzo sorriso, - Siete una più
particolare dell'altra, non c'è che dire, non ha esagerato. -
Nessuna delle due osò parlare. Noriko non sembrava
interessata, ma lei non riusciva a staccare lo sguardo da quel tripudio
di colori. Parevano delle stoffe, tuttavia più le guardava
più le pareva di riconoscere il profilo di una manica o la
piegatura di un colletto.
- … e tu, invece? -
Noriko le diede una gomitata, che Nemeria incassò con un
grugnito. Le stava per rispondere a tono quando notò che
nella stanza c'era silenzio e che l'uomo stava guardando proprio lei.
- Dicevate a me, aghà? -
- Sì, dicevo proprio a te. Volevo sapere qual era il tuo
nome, se mi è concesso chiederlo, bayenni. -
Il tono con cui pronunciò "signorina" era a metà
tra il serio e il faceto, e le strappò un sorriso.
- Nemeria, aghà. -
- Nemeria... scelta particolare. Nella lingua Školt
significa “indomabile”, mi pare di ricordare. - si
avvicinò di un paio di passi e inclinò la testa,
fissandola in volto, - Zanminant vser'ez. -
- Non... capisco. -
L'uomo scoppiò a ridere e poi fece un cenno alle sue spalle.
Come a un segnale convenuto, fluirono nella stanza almeno un'altra
decina di servi, tutti con in mano vasetti, pennelli, matite e tanto
altro. Mentre i due che avevano portato gli abiti li disponevano sui
nuovi manichini, l'uomo tornò a guardarla.
- Ti ho solo detto che sei molto interessante, bambina. Spero davvero
che voi due riusciate a farvi notare. Sarebbe un peccato che due
creature così fuori dal comune finissero nel dimenticatoio
prima del tempo. - srotolò un metro dalla cintura e si
lisciò la barba sulle guance, - Lasciate fare tutto a noi,
ora. Stasera anche le stelle dovranno inchinarsi a voi, quanto
è vero che Ehsan è il miglior sarto di
Kalaspirit. -
La sera giunse in fretta. Come ogni giorno, la luce del sole era
retrocessa lentamente, per poi cedere il passo al buio luminoso,
mantello della luna e delle stelle. Le terme avevano chiuso prima e, in
quel momento, a parte lei, Noriko, Tyrron e i soldati che le avevano
scortate fino a lì non c'era nessuno. Sotto la luce
lattiginosa che invadeva l'atrio, le rifiniture delle loro armature
splendevano come se al loro interno scorresse dell'acqua.
Nemeria trasse un profondo respiro, aprì e strinse i pugni
molleggiando le ginocchia. Per quanto il velo che le copriva la bocca
fosse leggero, l'aria sembrava sfuggirle.
- Signore. - un soldato scese la rampa di scale a grandi passi, - Tutti
hanno acceso i fuochi. -
- Ottimo. -
Tyrron si girò verso Nemeria e Noriko. Per l'occasione,
sopra i calzoni bianchi, portava una tunica nera con ampie maniche,
chiusa in vita da una fusciacca frangiata rossa. I fili di seta che
cucivano lo stemma della lince fiammeggiavano sulla spalla.
- Andiamo. -
L'aria fresca e frizzante della sera le investì in un soffio
di vento che ingrossò le vesti e asciugò il
sudore. Quando anche il cancello venne aperto per la gioia della folla,
Nemeria dovette trattenere l'eccitazione. Le persone sgomitavano per
vederle meglio, si mettevano sulla punta dei piedi tirando in alto i
figli piccoli o facevano leva sulle ringhiere di ferro che delimitavano
la strada per scorgere al di là del muro di guardie. E le
loro acclamazioni e il loro indicarle con gli occhi spalancati non
faceva altro che accrescere in Nemeria la voglia di soddisfare le loro
aspettative. Tutto quello che era successo negli ultimi due giorni
impallidiva sempre più a ogni sorriso o sguardo sognante che
riceveva.
La strada si allargò in una via più grande e,
contemporaneamente al loro arrivo, sulla sinistra giunse il gruppo di
Tana. Ahhotep vestiva con un abito leggero di un grigio che sfumava
sull'ampia gonna, che lasciava scoperte le gambe. Perle azzurre erano
state cucite sul petto, seguendo la forma delle ali di una farfalla che
sembravano abbracciare i piccoli seni e il collo. Nemeria ci mise un
po' a capire che ai piedi portava dei semplici calcei bianchi e che i
crisantemi che si inerpicavano fin sotto lo spacco erano dipinti.
L'eterea grazia di Ahhotep si stemperava nell'allergia di Durga.
Non appena intercettò lo sguardo di Nemeria, la bambina la
salutò con un sorriso raggiante. Prima che Tana potesse
dirle qualcosa, in uno slancio corse in avanti, aprì le
braccia e salutò il pubblico passando rasente alle guardie,
battendo il cinque agli arditi che non si ritraevano. La cintura che le
sosteneva i pantaloni sulla vita si aprì come la coda di un
pavone, garrendo al vento accompagnata dal trillo impazzito dei sonagli
sulla fascia, sulle braccia e sui ricci, pettinati in morbide onde.
Una delle guardie stava per scattare per andarla a riprendere, ma Tana
gli fece cenno di no con la testa e tornò a guardala con un
sorriso indulgente. Con quel peplo azzurro e le maniche
semitrasparenti, sembrava una dea dell'aria, così effimera
che sarebbe bastato una raffica più forte per farla volare
via.
Attraversarono tutti i Quartieri della città, passando
attraverso le piazze e le vie più conosciute. Per Nemeria
era strano rivedere quelle strade che per mesi erano state la sua casa,
ma senza l'angoscia di tornare alla tana senza aver recuperato
abbastanza cibo. Al loro gruppo si unirono gli altri lanisti con i loro
gladiatori, i loro vestiti sgargianti e le loro armature luccicanti.
Nemeria avrebbe voluto osservarli meglio, ma un'occhiata di Noriko la
dissuase.
Giunsero in una piazza rettangolare del Quartiere del Sole. Il vento
gonfiava le tende dei negozi e faceva oscillare le fanoos che
illuminavano l'ambiente, decine e decine di lanterne colorate sospese
come bolle di sapone sopra le teste del pubblico. Su un palco addossato
sotto un palazzo di tre piani, c'era un'orchestra, che al loro arrivo
attaccò con una canzone dal ritmo scandito da cembali e
tamburi. La folla accompagnò la musica battendo le mani o,
quando anche gli altri strumenti si unirono alla melodia, ballando sul
posto.
Quando terminarono di suonare, Koosha salì sul palco e
tutti, persino i bambini, ammutolirono.
- Signori, benvenuti! Non mi dilungherò in chiacchiere.
Quelli che vedete sono i nostri migliori gladiatori, gli otto
selezionati che domani gareggeranno nell'arena. -
Aveva una voce stentorea che pareva arrivare direttamente dallo stomaco
ed esplodergli in bocca.
- Ciò a cui assisterete stasera è solo una
piccola parte di quello che sono capaci di fare. Divertitevi e,
soprattutto, ricordatevi di loro domani: la loro vittoria dipende anche
da voi, non dimenticatelo mai. -
Mentre scendeva dal palco il pubblico applaudì, ma
l'attenzione di tutti era già fissata sul ragazzo al centro
della piazza. Nemeria aveva l'impressione di averlo già
visto, anche se non riusciva a ricordare dove o in che occasione.
- Abayomi di Adel, gladiatore. -
Il ragazzo marciò in mezzo alla piazza fino alla
rastrelliera d'armi, fece un inchino fin troppo cerimonioso e poi
afferrò due katane.
"Ma che sta facendo?"
Nemeria guardò Noriko in cerca di una spiegazione, ma anche
la sua amica sembrava sorpresa tanto quanto lei.
- Che cosa sta succedendo? - le soffiò Durga all'orecchio, -
E perché siamo qui? -
- Non lo so. -
- Non avete sentito Koosha? Dobbiamo esibirci davanti al pubblico. -
rispose pacata Ahhotep, - Vogliono mettere alla prova la nostra
capacità d'improvvisazione. -
Nemeria deglutì.
Abayomi sguainò le spade che aveva poggiato a terra in un
ruggito, indietreggiò spostandosi di lato e le
incrociò davanti al petto. Attese immobile con le gambe
divaricate finché il suono delle tube e del liuto non si
affievolì sotto il ritmo incalzante dei tamburi. Allora
scattò in avanti, parando il colpo di un nemico immaginario
con una spada, mentre l'altra tagliò l'aria in diagonale.
Balzò indietro, girò su se stesso e
rieseguì le tecniche, così in fretta che a
malapena Nemeria riuscì a vederle prima che lui rotolasse
fino alla rastrelliera e sfilasse una lancia. Ritornò in
guardia un paio di secondi più tardi, di nuovo immobile
sulle note calme della canzone. La mulinò piano, a destra e
a sinistra, avanzando di qualche passo con quel suo sorriso da sberle
stampato in faccia che Nemeria tanto odiava. Abayomi puntò
lo sguardo su di lei e per un momento la sua coreografia parve
fermarsi. Il rullare dei tamburi divenne un battito unico e
sincronizzato che cresceva d'intensità. Il clangore
metallico dei piatti sancì il colpo al volto, la finta al
petto, spazzata sulle gambe e affondo nel piede. Nemeria strinse i
pugni, reprimendo le fiamme sotto la pelle dei palmi: nella sua mente,
era lei l'avversario che stava facendo a pezzi.
- Ti sta provocando, non cascarci. - l'avvertì Noriko.
- E dovrei rimanere impassibile davanti a una cosa del genere? -
- Sì, anche se non è nella tua natura. Se vuoi
batterlo devi capire cosa sa e cosa non sa fare. E non sottovalutarlo:
è l'unico umano in mezzo a Dominatori, eppure viene trattato
con rispetto. A te le conclusioni. -
Seppur avesse ragione, per Nemeria era difficile concentrarsi.
Più l'esibizione proseguiva, più la voglia di
afferrare la shamshir e affrontarlo cresceva. Doveva ammettere
però che era bravo, molto più bravo di quanto si
sarebbe aspettata. Impugnava diverse armi come se fossero state
un'estensione del sue braccio e le maneggiava con una tale naturalezza
da far sembrare tutto semplice, immediato. Nemeria non si
stupì più di tanto quando terminò
l'esibizione e ricevette uno scroscio di applausi.
Un corno suonò e piombò di nuovo il silenzio.
- Zahra di Adel, dominatrice della terra. -
Zahra diede il cinque ad Abayomi e si diresse anche lei al centro della
piazza. Guardò le armi nella rastrelliera con una smorfia di
sufficienza prima di rivolgersi al pubblico. Come Abayomi, il trucco le
allungava gli occhi e i diversi tatuaggi tribali a motivi geometrici
che le avevano dipinto sulle braccia e sulle guance barbagliavano di
una luce verde intensa. La tunica si ingrossò quando la
pelle di Zahra si spaccò, esponendo lo strato di rocce
compatto al di sotto. Richiamò i sassolini e la polvere e li
compattò in una spessa lastra di pietra. Il pugno che
sferrò la ruppe. I pezzi non fecero in tempo a cadere che,
come attratti da una forza magnetica, scattarono contro di lei. Zahra
li afferrò e li sgretolò fino a ridurli in sabbia.
Nemeria contemplò rapita i suoi movimenti. Sul finale, la
dominatrice diede un pugno a terra. La calce che manteneva insieme
l'acciottolato si ruppe e i sassi che ricaddero vennero fracassati da
una rapida serie di calci. Al primo, cauto applauso ne seguirono altri
e, mentre Zahra tornava vicino ad Abayomi, la piazza parve tremare
sotto le urla entusiaste del pubblico.
Le esibizioni successive furono accolte allo stesso modo. Noriko
eseguì una serie di tecniche di lotta a mani nude e con il
tessen. A volte il vento cominciava a soffiare all'improvviso e i veli
che le coprivano i capelli e la bocca si libravano in aria, lasciando
scorgere ai più vicini un angolo del viso o una ciocca dei
capelli sciolti. Quando compì una capriola in aria e rimase
sospesa a tre piedi da terra, con le piume bianche che fuoriuscivano
dai fiancali dell'armatura di cuoio colorata, poteva essere scambiata
per un'assassina venuta dal deserto a cui fossero improvvisamente
spuntate le ali.
Ahhotep, invece, si guadagnò più di un'occhiata
meravigliata da parte del pubblico con la sua grazia. Snobbò
le armi e gli altri strumenti che erano stati lasciati a disposizione e
ballò sulle note di una canzone romantica, dove a farla da
padrona erano il suono dolce della cetra, delle lire e dei sistri. La
gonna catturava il vento a ogni giravolta e le scompigliava i capelli
in una ruota perfetta, mentre la sua voce si accordava alle note e lei
saliva i gradini di un'ampia scala immaginaria. Nemeria
l'ammirò con meraviglia. Era come se la piazza fosse il suo
palco e lei gli appartenesse.
- ...via di qua. -
Su quelle ultime parole, Ahhotep si lasciò cadere nel vuoto.
Il vento la trattenne a qualche spanna da terra e la
depositò sulla nuvola bianca che si era formata tipo
materasso.
L'unico dominatore di Mina, una ragazza di nome Uriah, con i capelli a
caschetto e la gonna fatta di sole piume nere, e Senan fecero due
esibizioni piuttosto brevi: lui perché era chiaramente
svogliato, lei perché era talmente agitata che le fu
difficile richiamare il suo elemento come avrebbe voluto. Il pubblico
parve contrariato, soprattutto quando pensò che lo
spettacolo di Senan si fosse limitato a qualche tondo e fendente, ma
quando questi buttò a terra l'acqua di entrambi i barili e
la trasformò in una lastra di ghiaccio ammutolì
all'improvviso. Poi il dominatore si gettò sulla pista,
innalzandosi in avvitamenti, piroette e salti che esaltarono tutti.
Anche Uriah fece una cosa simile, con la sola differenza che non
riusciva a muovere la frusta e a pattinare con la stessa grazia
dell'Eoin'id.
Quando giunse il suo turno, Nemeria non aveva la più pallida
idea di che fare. Durga aveva usato la maggior parte degli strumenti a
sua disposizione e l'olio, creando uno spettacolo in cui lei era una
mangiatrice di fuoco, e poi aveva dato prova di essere brava anche nel
maneggiare il suo amato kilij. A Nemeria sarebbe piaciuto fare qualcosa
di originale, ma quando il ragazzo chiamò il suo nome,
qualsiasi idea avesse si dissipò in una nuvola di fumo.
Avanzò al centro della piazza e per prima cosa prese la sua
shamshir dalla rastrelliera. Era ancora leggermente umida, ma le
bastò stringerla perché il calore delle sue mani
la asciugasse. Il pubblico attendeva trepidante la sua esibizione.
Anche se aveva desiderato avere tutti quegli occhi puntati addosso, in
quel momento Nemeria avrebbe voluto essere altrove. Non devi agitarti.
La voce di Pavona le risuonò nelle orecchie come se fosse
alle sue spalle. Controlla il respiro e
poni un freno al battito del cuore, come ti ho
insegnato.
"Non so cosa potrei fare per farmi amare. Le altre esibizioni sono
state fenomenali e io... io non so davvero come potrei distinguermi." Il brutto di essere gli
ultimi a esibirsi. Quando mi capitava una cosa
del genere, semplicemente facevo quello che mi veniva meglio o quello
che, sul momento, avevo voglia di fare. L'improvvisazione è
soprattutto questo, ricordatelo bene.
Il pubblico rumoreggiava, infastidito dall'attesa. Qualcuno
sbuffò, altri si voltarono a parlare con la persona che
avevano di fianco. La tensione estatica creata da Durga e dai suoi
compagni si stava sfilacciando come una vecchia calza.
"E se non funziona?" Non lo sai
finché non provi.
Nemeria intercettò lo sguardo del corvo appollaiato sulla
tettoia del palazzo vicino. Il cuore le batteva veloce nel petto, le
sembrava di non avere abbastanza aria nei polmoni, ma lo scoppiettio
del fuoco di Agni era forte, così forte che se chiudeva gli
occhi e allungava la mano nel buio era certa che ne avrebbe potuto
percepire il calore sui polpastrelli.
Strinse la shamshir e disegnò nell'aria un fendente che
sprigionò una sventagliata di scintille. Poi parò
un tondo da dietro e rispose con un affondo. Quando distese il braccio,
le fiamme avvilupparono la lama e attecchirono sulle poche gocce d'olio
rimaste. Si alzarono alte, in una rapida combustione, e si torsero su
se stesse, prendendo la forma di uno stormo di colombe che si librarono
attorno a lei. Le note delicate dell'orchestra tentennarono,
rallentarono ancora e poi cedettero il passo all'incalzante suono dei
sistri, dei cembali e dei flauti. Nemeria non si fermò. Sul
nuovo ritmo, si gettò in un duello immaginario contro Zahra
e Abayomi. A ogni colpo andato a segno, li cercava con lo sguardo
perché voleva che sapessero che li avrebbe sconfitti. Si
piegò sulle gambe e si aprì un varco nella difesa
della dominatrice in un tondo che sprigionò un'altra
sventagliata di lingue di fuoco. Allungò la gamba indietro
e, impugnando la shamshir a due mani, menò un colpo
diagonale, dal basso verso l'alto.
- Io vi batterò! - urlò ad Abayomi e poi
aprì le braccia.
Il potere fluì come un fiume in piena ed eruppe dalla sua
mano in una fiammata che illuminò a giorno la piazza. Una
donna gridò e si tirò indietro, un ragazzo rimase
a bocca aperta, mentre altri, molti altri, presero a battere le mani in
alto. E quel battito divenne un lungo ed entusiasta applauso quando il
fuoco prese la forma di un cavallo che trottava attorno alla piazza,
con la criniera che si dissolveva al vento in petali fiammeggianti.
- Io vi batterò. - esalò stremata e
abbassò la shamshir.
Sulle ultime note, il cavallo svanì e Nemeria si
inchinò. Il sangue bollente le accaldava le guance e le
rendeva difficile respirare. Ma più il pubblico applaudiva,
più l'incendio che aveva dentro divampava incontrollato.
Tutte le preoccupazioni erano delle macchie indistinte sullo sfondo del
cielo stellato.
"Vincerò, perché non ho altra scelta."
"A
rigor di termini, non esiste affatto qualcosa come la ritorsione o la
vendetta. La vendetta è un’azione che si vorrebbe
compiere quando e proprio perché si è impotenti:
non appena questo sentimento di impotenza scompare, svanisce anche il
desiderio di vendicarsi."
George
Orwell
Quando bussarono, la
mattina seguente, Nemeria era già sveglia da un pezzo.
- Oh, buongiorno. Notte brava? - le domandò Tyrron.
Non appena chiusero la porta, ancor prima che Bahar o Morad si
avvicinassero al suo letto, Noriko si mise seduta e uscì
dalle lenzuola.
- No, la tensione mi ha tenuta sveglia. - rispose Nemeria sbadigliando.
Non era affatto la verità. Non tutta, almeno. Gli diede le
spalle, tirò fuori la tunica più pulita che aveva
e si stropicciò gli occhi per scacciare il profilo del corpo
morto di Dariush dalla mente. Quando tornò a sedersi con i
vestiti in grembo, Tyrron le scoccò una lunga occhiata che
la costrinse ad abbassare lo sguardo. Anche se le sue pupille erano
come trasparenti quando la guardava, non voleva che vedesse il suo
cuore asserragliato in un groviglio di rovi e spine.
- Anche se aveste bevuto, per me non sarebbe un problema.
Finché siete in grado di combattere, potete anche finirvi un
barile intero di birra. -
- Basta che sia buona. - aggiunse Morad.
- Giusta osservazione. -
Bahar sorrise, anche se il tremolio agli angoli della bocca era un
segno più che evidente che si stesse trattenendo.
- Stamane farete la vostra prima apparizione nell'arena.
Indipendentemente dall'esito dello scontro, è importante che
facciate bella figura. Non pensate che solo perché
è il primo giorno potete prendervela comoda. Ieri sera avete
dato spettacolo e avete attirato ben più di uno sguardo.
Oggi è fondamentale che quegli occhi rimangano puntati su di
voi. I più grandi gladiatori hanno cominciato a costruire la
loro carriera fin dal loro esordio, coltivando ogni singolo ammiratore.
Se qualcuno vi dice di considerare solo quelli che hanno i soldi,
ignoratelo perché non sa di che cosa parla. Gli sponsor sono
quelli che vi sovvenzioneranno, ma è il popolo, il basso,
stupido e volubile popolo ad apprezzarvi. Perdete l'uno e sarete
poveri. Perdete l'altro e siete morti. -
Nemeria annuì. Quel discorso aveva un che di definitivo che
le diede i brividi.
- Non è detto che combatterete entrambe oggi,
così come non è detto che combatterete domani,
dipende tutto da come Koosha ha deciso di accoppiarvi. Ma quale che sia
stata la sua scelta, ricordatevi ciò che vi ho detto. Ora
preparatevi e andate a fare colazione. Io vi attendo assieme agli altri
nel cortile centrale. -
Non appena uscirono, Nemeria si vestì e poi corse fino ai
bagni per lavarsi. Noriko la seguì senza fiatare, silenziosa
più del solito.
Per colazione offrirono loro pane e formaggio, accompagnato da miele e
olive e una brocca d’acqua per ogni tavolo.
Quando le vide scendere, Durga quasi saltò sulla sedia. Era
ancora piena di energie, vitale come e più di tutte le altre
mattine.
- Buongiorno! - le salutò.
- Buongiorno. -
Nemeria si sedette al suo fianco, mentre Noriko prese posto di fronte a
lei. Era strano vederla allegra, o quantomeno così allegra,
anche se ormai si era ormai abituata alla sua faccia sempre sorridente.
Quel suo chiacchiericcio era un sottofondo piacevole.
- Beata te che non senti la tensione di oggi. -
- Oh, io la sento eccome! Ma l’eccitazione è
molta, molta di più. - ridacchiò e
afferrò un fico dal piatto di Ahhotep, - Finora è
andato tutto bene. Tana è stata contentissima sia della mia
esibizione sia di quella di ‘Tep. Non vedo perché
dovrei essere preoccupata. -
- Tuttavia hai gli occhi rossi. Dormi bene la notte? -
Le teste di Durga e Ahhotep scattarono quasi in simultanea in direzione
di Noriko.
- La sera, a essere sincera, mi sento sempre molto stanca. Poi mi
sembra di svegliarmi spesso. ‘Tep però mi ha
assicurato che dormo come un ghiro. -
Guardò la sua amica in cerca di conferme e Ahhotep
annuì, convinta.
- Me lo sono chiesto perché hai questi occhi da quando
è cominciato il torneo e mi è venuto spontaneo
farmi qualche domanda. - Noriko prese un’oliva e la
snocciolò in pochi gesti, - Comunque, se quel rossore
dovesse persistere, sarebbe il caso che ne parlassi con Nande. -
Ahhotep si morse l’interno della guancia con così
tanta forza che persino Nemeria lo notò.
- Grazie della tua premura e dei tuoi consigli, ma sono certa che non
sarà necessario. -
Noriko soppesò lo sguardo su di lei per un minuto buono.
- Lo spero per lei. - concluse.
Durga aveva gonfiato le guance, ma Ahhotep le fece cenno di lasciar
perdere con un gesto svogliato della mano. C'era una nuova calma sul
suo viso, una distensione dei lineamenti che persino a Nemeria parve
finta. E, dall'occhiata che le rivolse Noriko, non doveva essere
l'unica ad averlo notato.
Terminata la colazione, si diressero nel cortile centrale, dove li
attendevano i soldati e i lanisti. Koosha, con grande sorpresa di
tutti, non c'era.
Venne formato un gruppo compatto, con Nemeria e Noriko davanti, e a
seguire tutti gli altri. Nessuno, neppure Mina, che aveva le labbra
arricciate in una smorfia contrita, osò dire nulla. A
giudicare dall'espressione tronfia di Tyrron, di qualsiasi cosa
avessero discusso, lui aveva vinto.
Quando le porte si aprirono, Nemeria rimase stupita nel vedere quante
persone ci fossero già in piedi a quell'ora. La folla
assiepata dietro i cordoni di guardie e le ringhiere non era
paragonabile a quella che le aveva accolte la sera prima, ma quegli
occhi adoranti, seppur meno numerosi, le facevano venire i brividi.
Anche senza l'abito di Ehsan, molti la riconobbero. Addirittura una
bambina strattonò la veste di sua madre finché
questa non appuntò lo sguardo sull'oggetto del suo
interesse. Il misto di curiosità e ammirazione che le si
dipinse sul viso quando capì chi era, il modo quasi timoroso
con cui scandì il suo nome, provocò a Nemeria un
piacevole formicolio lungo la spina dorsale.
Entrarono dalla stessa porta che, tempo prima, Nemeria aveva
oltrepassato per andare a incontrare Pavona. La volta precedente non ci
aveva fatto molto caso, ma all'inizio e alla fine del corridoio, dopo
la rampa di scala, c'erano due cancelli di un ferro così
scuro da confondersi nella semioscurità.
Gli spogliatoi erano già affollati. Quando la scorta fece il
proprio ingresso, i servi dei diversi lanisti accorsero a mettersi in
fila, rigidi e impettiti come dei soldatini di legno. Oltre alla lince
rossa, sui loro petti spiccavano lo stemma di un serpente, di un toro,
di un gheppio e, infine, di uno scorpione.
- Siamek, Adel, Tara e Mina. - le soffiò Noriko all'orecchio.
Nemeria capì subito a cosa si riferiva. Istintivamente,
cercò il viso di Kimiya tra le ragazze che si erano radunate
attorno alla lanista, senza riconoscerlo. Non si era ancora decisa se
sentirsi sollevata o meno quando la voce di Koosha irruppe nei suoi
pensieri. Era comparso dal nulla e gli abiti ampi lo facevano
somigliare a uno spettro.
- Gladiatori, preparatevi. Tra poche ore, l'arena si
riempirà e voi farete il vostro debutto ufficiale. Le
persone che vi hanno accolto stamani e ieri sera vi sembreranno poche a
confronto di quelle che vedrete oggi. Ci sarà anche il
governatore e la sua famiglia. - fece una pausa e affetto e una luce
minacciosa si accese in fondo al suo unico occhio, - Non sono solito
minacciare gli allievi della mia scuola, ma sappiate che non
tollererò insubordinazioni. Quindi se avevate intenzione di
scappare, spero che abbiate il buon senso di desistere o di essere
certi di riuscirci perché, in caso contrario,
sarò io stesso a frustarvi. -
Nemeria sussultò e Noriko le strinse il braccio. Il fremito
che percorse gli astanti increspò il silenzio altrimenti
perfetto, denso e vischioso come melassa.
- Ora rendetevi presentabili. Fuori annuncerò le coppie. -
Koosha allacciò le dita dietro la schiena e, seguito dai
soldati che l'avevano scortato, si diresse verso il fondo della stanza,
dove la luce delle lanterne non arrivava. Il tonfo di una porta che si
chiudeva riecheggiò nel silenzio.
- Le vostre divise sono lì dentro. Bahar e Merneith vi
aiuteranno a metterle. - le esortò a Tyrron con un cenno del
capo.
La donna di fianco a Bahar posò lo sguardo su di lei. La
pelle incartapecorita del viso, sottile e scura come pergamena
bruciata, si contorse per far spazio a un sorriso ingiallito. Nemeria
scambiò una rapida occhiata con Noriko prima di seguirla
nella cabina. Era vuota, a parte per due manichini, uno rivestito con
un'armatura di strisce di cuoio squamato e l'altro con una semplice
casacca marrone, in tinta con delle brache nere.
- Non serve che mi aiuti, signora. Posso vestirmi da sola. -
Merneith si girò appena. I ciuffi bianchi sfuggiti alla
crocchia sulla nuca risaltavano sul velo blu e le davano un'aria
trasandata che la facevano sembrare più vecchia.
- Signora... - si umettò le labbra, come assaporando quella
parola, - Era da tanto tempo che nessuno si rivolgeva a me
così. -
Nemeria si grattò la testa.
- Non abbassare gli occhi, non hai fatto nulla di male, ma io sono una
serva fedele: quello che aghà Tyrron ordina, io faccio. -
prese la casacca dal manichino e le si avvicinò, - Tira su
le braccia. -
Il tono materno con cui le si era rivolta indusse Nemeria a non
ribattere. Si lasciò vestire come quando era una bambina
troppo piccola e scoordinata per farlo da sé. Quando le
chiuse l'ultimo bottone, Merneith si voltò verso l'altro
manichino. Sganciò gli spallacci e poi tirò su
l'armatura di cuoio sopra la testa. Le braccia tremavano appena sotto
la pelle nuovamente distesa, con solo un vago accenno visibile delle
rughe che la solcavano.
- Girati. -
Nemeria obbedì. Merneith le fece passare le braccia
attraverso le maniche e poi le agganciò le cinghie sulla
schiena. Le sue dita adunche, simili a zampe di gallina, si muovevano
con sicurezza, dal basso verso l'alto, chiudendo le fibbie una dopo
l'altra. Nonostante l'iniziale fastidio, Nemeria dovette ammettere che
non era poi così brutto, soprattutto perché si
rese ben presto conto, quando Merneith le assicurò gli
spallacci e le cosciere, che da sola ci avrebbe messo molto
più tempo.
- Merneith, hai finito? - le chiese Tyrron.
- Sì, aghà. -
Sistemò la fibbia del collare sul retro del collo e poi fece
cenno a Nemeria di andare verso la porta. Nemeria attese che la aprisse
e si facesse da parte prima di uscire a sua volta. L'armatura le
gravava sulle spalle, ma non quanto si sarebbe aspettata.
Trovò comunque ingiusto che Noriko indossasse una leggera
tunica bianca con calzoni al ginocchio. La cosa più pesante
che aveva addosso erano, forse, i gambali di cuoio.
- Come te la senti? - indagò Tyrron.
Nemeria roteò le spalle e allungò le braccia un
paio di volte.
- Mi muovo bene. -
Tyrron sfoderò un sorriso a trentadue denti.
Compì un giro attorno a lei, fermandosi a rimirarla da
più angolazioni.
- Avevo qualche dubbio sulle misure che Nande mi aveva fornito, ma sono
contento di averle dato ascolto. - guardò in direzione del
gruppo compatto di gladiatori che si era radunato in mezzo alla stanza,
- Fate tutto quello che vi dicono le guardie e tenete bene a mente
quello che vi ho detto stamattina. Se non dovrete combattere,
raggiungetemi sugli spalti. -
Si allontanò e uscì assieme ai suoi servitori.
Quando anche Siamak se ne fu andato, i soldati presero posizione e il
capo ordinò a tutti di seguirlo.
Oltrepassarono l'ultima cabina, imboccarono la porta sull'angolo e
salirono una breve rampa di scale che li immise nell'armeria. Molte
armi erano nelle rastrelliere, ma alcune, come tridenti, lance, scudi e
reti erano state appese alle pareti. Il tessen di Noriko era stato
appoggiato su un sostegno di legno vicino a due yari incrociate. Con la
sua shamshir in mano, Nemeria si soffermò a guardare le
yari, affascinata dalla lama e dal lungo codolo rastremato.
- Sarebbe bello poter imparare a usare anche quella. -
Noriko sollevò entrambe le sopracciglia: - Non hai i giusti
anni di danza e pratica rituale alle spalle. Saresti un disastro. -
- Che intendi? -
- Che se hai dodici anni, te ne servono altrettanti per imparare a
usarla. Lascia perdere. -
- Voi due, muovetevi. - le esortò un soldato.
Si affrettarono verso il gruppo. Abayomi la fissava in tralice
umettenadosi le labbra. Quando si accorse di avere l'attenzione di
Nemeria, curvò l'angolo della bocca in un ghigno sardonico e
si avviò al primo cenno del capo delle guardie.
Zahra si limitò a scrocchiarsi le dita. La pelle sotto lo
zigomo si crepò e in fondo all'iride si accese una luce
ferale. Se Noriko non l'avesse trattenuta, Nemeria l'avrebbe attaccata
al muro in quel momento.
- Non perdere di vista l'obiettivo: se ti fai squalificare, non riavrai
più la palla di pelo. - le sussurrò.
Il musetto di Batuffolo, il ricordo tattile della sua morbidissima
pelliccia sotto il palmo, le fece rallentare il passo e rilassare le
spalle.
Le guardie si chiusero dietro di loro e il capo indicò loro
una porta che si apriva su uno stretto corridoio in pietra. La luce,
sul fondo, disegnava l'ombra di quattro sbarre.
- Quando si alzerà, entrate nell'arena. -
annunciò con lo stesso tono infastidito con cui un padrone
si rivolge a un cane poco obbediente, - Ve lo dirò soltanto
una volta: tenete le mani lontane dalle armi. Se dovessi intervenire e
lo spettacolo dovesse subire un ritardo, al ritorno a scuola
sarò più che felice di frustarvi personalmente. -
Il gelo nei suoi occhi e la contrazione della mascella bastarono a far
passare il messaggio. Persino Abayomi perse il suo sorrisetto sfrontato
e chinò il capo.
- Ora disponetevi in due file e attendete. A breve entrerete in scena. -
Durga e Ahhotep si scambiarono un'occhiata d'intesa e si misero dietro
Nemeria e Noriko. Dopo un momento d'esitazione, anche gli altri si
accodarono e loro due si ritrovarono a essere le prime. Senan fu
l'unico che rimase combattuto, ma quando anche Uriah
sgattaiolò in fondo alla fila, decise di seguirla. Oltre a
Nemeria e Zahra, Senan era l'unico a indossare un'armatura. La sua
corazza di cuoio riproduceva i muscoli del petto e del torace.
- Sei agitata? - le domandò Noriko sottovoce.
Nemeria deglutì. La pietra delle pareti smorzava il
rumoreggiare del pubblico e lo faceva sembrare una cosa lontana,
distante come in un sogno. L'eccitazione che le faceva rizzare i peli
sulle braccia, però, era reale ed era nutrimento per le
fiamme di Agni. Le parve anche di vederla mentre danzava nella luce
polverosa tra il profilo delle sbarre.
- Non come mi aspettavo. -
Noriko annuì. Nemeria sapeva che aveva colto cosa intendeva
dire.
- Ricordati quello che mi hai promesso. - le disse e poi non aggiunse
altro, perché uno squillo di tromba proruppe nell'aria e la
voce roboante di un uomo ammutolì gli spalti.
- Signori, ecco a voi i gladiatori! -
Nemeria scattò prima di tutti e si buttò fuori,
sguainando la shamshir verso l'alto. L'aria venne percorsa da un
fremito e poi gli applausi esplosero in tutta la cavea. Quelli sulle
gradinate più lontane alzarono le mani al cielo, come per
farsi vedere da lei, mentre il suo nome rimbalzava di bocca in bocca
sempre più forte. E anche quando al coro si aggiunsero i
nomi degli altri gladiatori, alle sue orecchie arrivavano solo le voci
di coloro che acclamavano lei. Nemmeno la luce bruciante del sole sulle
braccia poteva asciugare il suo entusiasmo.
- Nemeria! Nemeria! Nemeria! Nemeria! -
Mai come allora il suono del suo nome aveva avuto un suono
così dolce.
- Signori e signore, il direttore della Scuola di gladiatori
è felice di presentarvi i suoi migliori allievi. -
Il banditore, lo stesso uomo dal doppio mento che Nemeria aveva visto
la prima volta all'arena, si inchinò e Koosha si
appoggiò agli spalti. La spilla piumata che aveva appuntato
sul turbante inglobava la luce e la effondeva in riverberi rossastri.
- Benvenuti nell'Arena. - aprì le braccia e si
inebriò degli applausi del pubblico, - Ieri avete avuto un
assaggio della capacità di questi nuovi gladiatori. Spero
che vi ricordiate ancora del viso dei vostri beniamini,
perché oggi avranno bisogno di tutto il vostro sostegno. -
indicò l'urna che un ragazzo, in piedi accanto a lui, teneva
tra le mani, - Ora estrarrò i nomi dei candidati che si
scontreranno questa mattina e questa sera. Nel mezzo, ovviamente, non
vi lasceremo di certo ad annoiarvi: vedrete scontrarsi i nostri
migliori gladiatori contro bestie che nemmeno nelle vostre migliori
fantasie pensavate potessero esistere, giunte qui dall'altra parte
dell'impero solo e soltanto per voi, grazie al finanziamento
dell'illustre Orang. - dichiarò, volgendosi verso l'uomo
seduto al suo fianco.
Nemeria ridusse gli occhi a due fessure per schermarsi dalla luce e
metterne a fuoco il viso. Gli ricordava Mina: era grasso come e
più di lei, con la pelle del mento che formava un
rigonfiamento rugoso, simile al gozzo di un tacchino, appoggiato al
petto, come se fosse troppo pesante da sollevare persino per lui. Anche
quando il pubblico applaudì, si limitò ad alzare
la mano e a salutare a destra e a sinistra. Nonostante le ampie vesti,
in controluce Nemeria riuscì a scorgere il grasso cadente
delle braccia.
- Ringrazio a nome di entrambi il governatore, per averci permesso di
mettere in scena tutto ciò. Che la luce e la gloria di
Ahurmazd Heydar illumini sempre voi e la vostra famiglia! -
Koosha si mise una mano sul petto e chinò il capo. Dalla
balconata, il governatore accennò un sorriso cordiale e poi
si appoggiò nuovamente contro lo schienale dello scranno. La
cosa che più colpì Nemeria fu la lunga barba
riccioluta e il capello che aveva in testa, simile a un filone di pane
intessuto di gemme preziose.
- Non ho intenzione di tergiversare oltre. Scommetto che anche voi
fremete dalla voglia di sapere chi si esibirà. - il servo
gli porse l'urna e Koosha pescò le prime due piccole
tavolette d'ardesia, - Noriko e Ahhotep. -
A Nemeria non occorse voltarsi per vedere l'espressione impassibile
della sua amica, ormai la conosceva abbastanza. Rimase però
sorpresa nel notare la stessa calma anche sul viso di Ahhotep. Non
pensava sarebbe scappata a gambe levate, ma non si aspettava nemmeno
quella fermezza, non da una ragazza che, solo la sera prima, aveva
cantato una canzone d'amore.
- Abayomi e Urah. -
Al nome di Abayomi, tutta l'ala sinistra esplose in uno scroscio di
applausi e urla di incoraggiamento. Il diretto interessato
mandò baci e poi si inchinò fino a toccare la
sabbia col ginocchio.
- Bene, vedo che avete già un vostro beniamino. - Koosha
abbracciò l'arena con lo sguardo e ripose le tavolette
d'ardesia nelle mani del servo, prima di estrarre le altre due coppie,
- Questi sono i nomi di chi gareggerà domani, invece.
Nemeria contro Zahra e Durga contro Senan. -
Un brivido le serpeggiò nei lombi. Quando Nemeria si
voltò, Zahra la stava già fissando. Lei
scrocchiò il collo e le dita della mano, a una a una,
chiudendole in un pugno davanti al viso.
Mentre tutti, tranne la prima coppia nominata, si ritiravano, le si
accostò e le mise una mano sulla spalla.
- Mi auguro che il vostro sia un ottimo medico perché domani
ti farò a pezzi. - le sibilò Zahra all'orecchio e
fece scattare i denti a un pollice dal lobo, - E poi mi
riprenderò la rivincita anche sulla puttana Tian. -
Nemeria l'afferrò per la tunica e la tirò a
sé. Scorse uno dei soldati che si avvicinava al limitare del
suo campo visivo, ma non mollò la presa. La trasse a
sé, fronte a fronte, lo spazio di un respiro a dividerle.
- Io spero che tu abbia un buon posto dove piangere, perché
domani ti farò versare tutte le tue lacrime. -
Le labbra di Zahra si schiusero su un sorriso ingiallito da lupo.
- Voi due, allontanatevi. - ingiunse un soldato, la shamshir
già sfoderata per metà.
- Calma, calma, io e la mia amica Nemeria ci stavamo solo scambiando un
piccolo segreto. - l'Alatfal'yl indietreggiò con le mani
alzate, - Stavamo solo parlando, no? -
- Sì. - finse di asciugarsi i palmi roventi sulle cosce e
fece un paio di passi indietro.
Il soldato non sembrò molto convinto, ma alla fine
sbuffò e indicò un punto alle sue spalle. Zahra
trattenne lo sguardo su Nemeria ancora per un momento, prima di
intrecciare le dita dietro la nuca e andarsene.
Nemeria attese che si fosse allontanata. poi rientrò, rimise
a posto la shamshir e andò nello spogliatoio. A parte
l'Alatfal'yl che si era infilata nel camerino più lontano,
era rimasto anche Senan. Non appena la vide, la salutò con
un cenno del capo. Il modo in cui la guardò fece pensare a
Nemeria che l'avesse aspettata, ma quando uscì dalla cabina
e Zahra imboccò l'uscita, lui la seguì senza
proferire parola.
Quando raggiunse gli spalti, si sedette tra Tyrron e Morad. Il
combattimento era cominciato da un po', non sapeva bene quanto, ma
l'entusiasmo e la tensione erano scesi. Era un declino quasi
impercettibile all'orecchio, in quella bolgia di urla che incitavano
alla lotta, ma Nemeria lo percepì a pelle. Le fiamme di Agni
si smorzarono.
- Ci hai messo molto a cambiarti. - commentò di sfuggita
Tyrron.
L'uomo stava osservando l'arena con il mento sostenuto dalle dita
intrecciate, sbattendo appena le palpebre quando le contendenti si
spostavano troppo da un lato o dall'altro.
- Merneith è stata lenta. - mentì Nemeria.
Lui le lanciò un'occhiata indecifrabile, quindi
tornò a interessarsi allo scontro. L'eloquenza del suo
silenzio esprimeva meglio di qualsiasi parola ciò che
pensava, ma non smuoveva nulla: nelle fiamme che sfrigolavano dentro
Nemeria bruciava solo il desiderio di vendetta.
- Come sta andando? -
- Va come pensavo e come non dovrebbe andare. - rispose Tyrron con un
sospiro.
Lo scontro sembrava essere arrivato a un punto morto. Ahhotep aveva il
fiatone e le braccia le tremavano come se tenere in posizione difensiva
la katana le costasse uno sforzo immenso. Noriko aveva appena un velo
di sudore sulla fronte e il ventaglio aperto all'altezza dell'occhio.
Quando la sua avversaria tentò un fendente, lo chiuse di
scatto, lo deviò, tirò indietro la gamba e
girò su se stessa. Anche Ahhotep eseguì una
piroetta, alzando una fiore di sabbia attorno alle gambe. La katana
descrisse un ampio semicerchio sulla sua testa e tagliò
l'aria. La pagina si aprì e la punta della lama stridette.
Un affondo recise il filo che legava i loro sguardi, rapido e
inaspettato. Noriko indietreggiò, saltò con
grazia sulla guardia della katana e le piombò al fianco, il
ventaglio aperto già puntato alla gola.
Ahhotep rimase ferma. Una corona traslucida le solcava la fronte e il
sudore le colava in rigoli in mezzo e negli occhi. Digrignò
i denti, arretrò fino a ripristinare una distanza di
sicurezza e cominciò a girarle attorno. Nemeria non sapeva
se a farla arrabbiare di più fosse la poca considerazione di
Noriko o la frustrazione per non essere riuscita a colpirla nemmeno una
volta.
- Non riesci a fare meglio di così? - la provocò
Noriko con espressione annoiata.
Le sue parole si infransero contro un muro di silenzio. Ahhotep non
attese oltre: girò su se stessa e disegnò una
mezzaluna perfetta, da destra a sinistra, all'altezza del collo. Noriko
si abbassò, saltò prima che un secondo tondo la
raggiungesse e ripiombò al suo fianco. Un mezzo giro e la
colpì alla nuca; un altro, dalla parte inversa, e le tolse
il fiato in un affondo al basso ventre. Ahhotep non ebbe il tempo di
chiudere la bocca che un calcio sulla schiena la sbatté a
terra, con il viso nella sabbia.
A turbare l'euforia degli applausi furono qualche risata, borbottii e
un coro di fischi.
Ahhotep strinse i pugni e, con i granelli che stillavano tra le dita,
si rimise in piedi. Si tolse lo sporco dal viso e piantò lo
sguardo di fuoco su Noriko.
Nemeria ebbe un brivido e un vento caldo soffiò dal nulla,
alzando un velo di sabbia attorno a loro. Non seppe cosa fece tremolare
le fiamme di Agni, ma vide la sua amica sbalzata all'indietro come se
fosse stata colpita da una bastonata. Noriko lasciò cadere
il tessen e si portò la mano alla fronte: un rivolo di
sangue le usciva dal naso. Ahhotep la caricò di nuovo.
Noriko schivò il fendente, le sferrò un colpo al
collo senza forza e poi si prese la testa tra le mani, le labbra
schiuse in una smorfia di sofferenza. Il vento deviò i
fendenti successivi, mentre lei zigzagava confusa come un'ubriaca.
Nella sua danza scoordinata, la katana oltrepassò la sua
difesa e le aprì un taglio sulla guancia.
- Noriko, riprenditi! - gridò Nemeria a pieni polmoni.
Noriko sbatté le palpebre e sfiatò il sangue dal
naso. La sabbia si aprì sotto l'impatto del suo pestone, si
sollevò e ricadde in un pulviscolo dorato. Ahhotep
mollò la presa sulla spada e allungò le mani
davanti al viso. La folata si infranse contro uno scudo invisibile, ma
le sue gambe ebbero un cedimento.
- Noriko, Noriko, Noriko! -
L'ovazione crebbe d'intensità, mentre Noriko macinava la
distanza tra di loro con falcate decise. Diede un pugno all'aria e
Ahhotep condusse bruscamente le mani sulla pancia, emettendo un rantolo
gorgogliante. Noriko sferrò un altro un pugno e la testa di
Ahhotep scattò indietro, per poi ciondolare contro il petto
come quella di una bambola rotta. Nemeria ebbe la certezza che lo scudo
era caduto quando una raffica fece volare Ahhotep contro il muro.
Ahhotep ricadde al suolo, rotolò di fianco e poi si
abbandonò supina.
Come se non avesse atteso altro, l'eccitazione serpeggiò tra
il pubblico. Dapprima arrivarono gli applausi, poi le urla e infine ci
furono anche alcuni che si alzarono in piedi e applaudendo e saltando
sulle gradinate, come per farsi vedere dalla vincitrice.
La voce del banditore venne soverchiata dal coro di un gruppo compatto
di uomini e donne alle spalle di Nemeria. A sentire le loro voci, non
resistette più e anche lei si unì alle ovazioni.
Se soltanto avesse potuto, avrebbe scavalcato la balaustra e sarebbe
andata ad abbracciarla.
- Ti è piaciuto. - commentò rassegnato Tyrron.
- È stato un bello spettacolo. - rispose Nemeria,
leggermente più calma.
- Non abbastanza. -
Noriko, nel frattempo, si era avvicinata ad Ahhotep e la stava aiutando
ad alzarsi. Un gesto molto marziale, che però
destò un grande scalpore.
- Apri bene orecchie e occhi. - le sussurrò Tyrron.
Nemeria fece correre lo sguardo tra gli spalti. Scorse il viso
corrucciato di un uomo nelle prime file. Parlava gesticolando con il
suo vicino e, da quanto apriva la bocca, immaginò che stesse
quasi urlando, ma era troppo lontana per riuscire a sentire cosa stesse
dicendo. Come per magia però, ne spuntarono altri, facce
contrariate nascoste dietro mani accostate alle orecchie. Ed erano
molte di più di quelle che Nemeria si aspettasse.
- Adesso capisci qual è il problema? -
Tyrron sospirò e appoggiò una guancia sul pugno
chiuso, nel ritratto dell'amarezza.
- Quindi che si fa? - chiese intimidita.
- Noi nulla. L'unica che può fare qualcosa è
Noriko. Sei interessata ad assistere anche al prossimo scontro o
preferisci tornare alla Scuola con Morad? -
Nemeria scrollò le spalle e osservò la seconda
fila. L'uomo di prima aveva accavallato le gambe ed era tornato a
conversare col suo amico con solo una traccia di lieve rossore a
imporporargli le guance. Nemeria notò un guizzo di colore al
suo fianco e studiò la ragazza che sedeva a due posti di
distanza. Aveva gli occhi dipinti con il kajal, ma non doveva avere
più di tredici anni. La linea rossa che le colorava la
scriminatura centrale dei capelli dava l'impressione che si fosse
rovesciata qualcosa in testa. Il tintinnio dei bracciali quando le fece
un timido cenno di saluto richiamò l'attenzione dell'uomo al
suo fianco, che le circondò le spalle e la costrinse a
girarsi di nuovo.
- Andiamo? -
Noriko le batté una mano sulla spalla con una forza che le
fece capire che non era la prima volta che provava a richiamare la sua
attenzione.
- Sicure di non voler rimanere? - le interrogò Tyrron.
Nemeria annuì. Lanciò un altro sguardo in
direzione della ragazza prima di seguire Morad e la sua compagna
giù dalle scale. Alcuni spettatori, mentre scendevano, le
scrutarono, ma furono ben pochi a interessarsi a loro. I più
le degnarono appena di un sorriso, per poi spostare l'attenzione sui
due nuovi contendenti. Ancor prima che il banditore annunciasse
l'inizio dello scontro, focolai d'acclamazione avevano già
riscaldato l'aria.
- A-ba-yo-mi! A-ba-yo-mi! - scandivano sempre più forte.
E lui si beava di tutta la loro euforia, Nemeria poteva vedere
chiaramente anche senza girarsi la sua faccia piena di boria mentre
avanzava fino al centro dell'arena.
- Andiamo. -
Noriko la prese per il polso e la trascinò via, prima che
l'irritazione di Nemeria traboccasse in qualcosa di più di
un grugnito.
Durante la strada dall'arena alla Scuola furono scortate da un
drappello di guardie, che si premurarono di allontanare i pochi che
tentarono di avvicinarle, per lo più bambini cenciosi e
uomini vestiti di stracci.
"È perché sono tutti dentro."
Le pesava, però, quel silenzio. Essere lontana dal clamore
del pubblico la faceva sentire di nuovo un insetto, invisibile agli
occhi di tutti se non a quelli di colui che l'avrebbe calpestata.
Persino con Noriko accanto veniva appena notata.
A Scuola non sembrava esserci nessuno al di fuori delle guardie, e
anche quelle sembravano meno del solito.
- Io vado a farmi un bagno. - le annunciò Noriko, - Tu che
fai? -
- Penso che mi allenerò un po', poi andrò in
biblioteca. -
- Allora ti verrò a cercare. Se ci metto troppo, aspettami
in refettorio. -
Non appena la sua amica imboccò le scale, Nemeria rimase nel
campo d'allenamento centrale a fissare l'alternarsi di colore sulle
colonne. Il sole bagnava la sabbia e le riscaldava le spalle attraverso
il tessuto. Aveva un che di rassicurante e allo stesso tempo spaventoso
essere lì da sole, senza null'altro oltre il peso della
propria compagnia.
Si appropinquò alla porta dell'armeria. Sul volto di uno dei
due soldati si aprì una specie di sorriso, più un
corrugamento delle labbra che altro.
- Tu sei quella che ieri sera ha creato il cavallo di fuoco. -
- Sì, sono io. -
- È stato lo spettacolo più bello di tutti.
Farò il tifo per te, domani. -
Nemeria dentro di sé gongolò e parte del suo
compiacimento dovette trasparire perché l'uomo
ridacchiò.
- L'armeria è accessibile, ma Koosha ha ordinato di prendere
solo le armi di legno. Le altre, a meno che tu non sia con un Syad, te
le devi scordare. -
- Ti conviene scordartele e basta. A parte Sayuri non è
rimasto nessuno. - disse l'altro soldato
All'udire quel nome, Nemeria perse tutto il suo interesse per il
possibile allenamento.
- Dov'è? -
- L'ho vista andare lì un paio d'ore fa. Sali, la troverai
da qualche parte. - biascicò, si grattò l'intorno
di un grosso neo sul naso e le indicò l'entrata dopo il
campo del fuoco.
Nemeria ringraziò e corse su per le scale. Quando
arrivò in prossimità dalle biblioteca,
rallentò fino a fermarsi sotto il sopracciglio alzato della
guardia che la presidiava. Riprese fiato, raddrizzò le
spalle ed avanzò oltre la porta.
Sayuri stava leggendo da una pelle di cammello, seduta su una stuoia di
canne collocata proprio sotto una delle grandi finestre. La luce le
dorava la pelle e i capelli biondi, legati in una treccia adagiata sul
petto.
- Anche tu in cerca di silenzio? -
Nemeria annuì. Non era davvero in cerca di nulla, ma le
sembrava stupido lasciar cadere la domanda nel vuoto. La Syad
sollevò la pelle di cammello e riprese a leggere.
"La somiglianza non è solo nell'aspetto, allora."
Nemeria si accomodò sulla stuoia accanto e
sbirciò cosa stesse leggendo. Riconobbe nei caratteri
cuneiformi alcune parole che conosceva, ma non abbastanza da poterne
carpire il senso.
- Sì, era necessario. - disse Sayuri, come se sapesse cosa
Nemeria volesse chiederle.
- Come hai... come avete fatto a fermarlo? -
- Ho la piena padronanza del mio elemento. - Sayuri spostò
la treccia sull'altra spalla e si mise dietro l'orecchio il ciuffo che
era sfuggito, - C'erano molti ricordi di te in lui. -
Nemeria piegò le gambe e ci si appoggiò con
entrambe le braccia. Il fuoco di Agni scoppiettava in sottofondo.
- Non eravamo amici, ma abbiamo vissuto per un certo periodo sotto lo
stesso tetto. -
Non era esattamente corretto, ma l'importante era farsi capire. Usare
parole diverse avrebbe implicato aggiungere spiegazioni e scoprirsi
più di quanto desiderava.
Sayuri fece un segno d'assenso col capo. Ripiegò la pelle e
si alzò per prendere un libro, un tomo non più
alto di un dito, con il titolo sulla costa in rilievo. Nemeria attese
che tornasse a sedersi e trovasse la pagina giusta.
- Ha detto qualcosa prima di morire? -
- I Jin non parlano e non pensano. Quando la mente umana cessa di
esistere, permangono appena i ricordi, che esondano come un fiume in
piena. -
Si soffermò sul disegno di un cielo stellato. Un cavallo ne
solcava le nuvole, con in groppa un uomo che stringeva in mano un ramo
di palma.
- Ho visto una bambina, spesso. Aveva i capelli biondi e un orecchino
di catenelle. Il suo fiume mi ha portato soprattutto immagini di lei. -
- Si chiama Altea. -
Sayuri annuì solenne, come se quello fosse stato il nome
più importante del mondo.
- Non ho provato a districare i suoi pensieri. Mi sarei dovuta
addentrare in lui e mi sarei perduta. - scorse le pagine fino alla fine
del tomo, lasciando che queste frusciassero contro il palmo aperto
della sua mano, - "Perdonami" ha detto spesso. Era l'unica parola
chiara che ho potuto distinguere. -
Nemeria raddrizzò la schiena contro la parete. Sayuri le
rivolse un'occhiata in tralice, poi sollevò lo sguardo sul
soffitto.
- Prima o poi tocca a tutti noi, ma questa ineluttabilità
non rende la nostra esistenza meno degna d'essere vissuta. - si
alzò e si pulì la polvere sulle ginocchia, -
Domani sarà il tuo momento. Allena il corpo per tenere
occupata la mente. Non c'è tempo per versare lacrime. -
Detto ciò, Sayuri uscì dalla biblioteca. Nemeria
attese che si fosse allontanata prima di imboccare la porta a sua volta
e dirigersi verso l'armeria.
Poco prima di cena, tutti i ragazzi tornarono alla Scuola, ognuno
portando con sé il proprio bagaglio di esperienze per quel
giorno. Alcuni avevano avuto il permesso di andare all'arena ad
assistere allo spettacolo dalle gradinate più alte, quelle
riservate agli allievi della Scuola, e tutti, chi più e chi
meno, erano rimasti meravigliati sia dagli scontri sia dai giochi che
li avevano accompagnati. Fu da uno di questi che Nemeria apprese che
Abayomi aveva diretto lo scontro con "grande maestria", che aveva
"tenuto testa a Uriah come se non avesse fatto altro nella vita" e che
"il suo era stato lo scontro migliore". Il loro tono adorante la
indispettì, ma quando provò a parlarne con
Noriko, lei liquidò il tutto con una scrollata di spalle e
un semplice "non mi interessa", che ebbe l'effetto di farle salire il
sangue al cervello. Ciononostante, tenne per sé sia la
risposta al vetriolo che le sue obiezioni: con quale arroganza avrebbe
potuto rimproverarla dopo il suo non-scontro con Dariush? Anche se si
era ripromessa di dare tutta se stessa, non era sicura di poter fare di
meglio.
- A me sei piaciuta molto. - si complimentò e riprese a
mangiare, anche se il mezzo sorriso di Noriko non le sfuggì.
La più eccitata era Durga. La sua loquacità
riempiva i loro silenzi, colmandoli di chiacchiere e aneddoti. Per
quanto Nemeria provasse a starle dietro, era impossibile trovare una
logica tra le sue considerazioni tecniche sugli scontri e i versi
onomatopeici di stupore che condivano il resoconto delle esibizioni
della compagnia di Pavona.
- Lei, poi! Era bellissima e aveva una voce fantastica. Mi è
dispiaciuto che tu e Noriko ve ne siate andate, perché non
avevo mai sentito qualcuno cantare così. - si era messa una
mano sulla bocca e si era girata verso Ahhotep, - Però tu
sei più brava, giuro! -
- Sì, sei davvero intonata. - aveva dovuto ammettere Nemeria.
- Perché tu non l'hai mai sentita quando canta da sola. Solo
che conosce solo canzoni tristi... -
- Allora ne imparerò una allegra, va bene? -
Durga lanciò un "sì" così acuto che
Nemeria pensò l'avessero udita anche i tavoli più
distanti.
- Spero di avere almeno un po' della tua stessa energia, domani. - le
disse, quando si fu calmata.
- Sono certa che ne avrai anche più di me. Spacca la faccia
a quella cattivona di Zahra, mi raccomando. -
Sbadigliò e si stropicciò gli occhi arrossati.
Come se i muscoli avessero perso tono tutti insieme, si
accasciò con la testa contro la spalla della sua amica.
- Ho shonno, 'Tep... possiamo andare in camera? -
Ahhotep si infilò l'ultimo boccone di farro in bocca e
l'aiutò ad alzarsi, tenendola sottobraccio. Noriko le
scoccò un'occhiata così severa da costringerla ad
abbassare lo sguardo.
- Noi andiamo, allora. Buonanotte a tutte. -
- 'notte. - le fece eco Durga.
Non appena sparirono oltre la porta, Noriko bevve un lungo sorso
d'acqua dal bicchiere.
- Sono state loro a rubare le bacche tanu. - disse a Nemeria.
Nemeria spostò ai bordi del piatto i pochi chicchi di farro
rimasti. Gli effetti erano sotto i suoi occhi, eppure stentava ancora a
crederci.
- Perché avrebbero dovuto farlo? E nessuno si è
accorto di nulla. -
- Immagino che Tara abbia preso accordi con Koosha perché
chiudesse anche l'occhio buono. Sul perché lo abbiano fatto
ci sono infiniti motivi, anche se credo che vincere sia il
più probabile. Hai visto anche tu quanta energia danno. -
Si alzò e Nemeria la seguì fuori. Tirava un
venticello tiepido che alzava la sabbia e la spolverava in giro.
- Cosa dovrei fare? Andare da loro e affrontarle? -
- Stasera è meglio se vai a dormire. Batuffolo ha o non ha
la precedenza su tutto? -
La domanda di Noriko aveva il tono dell'affermazione e Nemeria non
rispose, anche se rabbrividiva al solo pensiero di come Durga avrebbe
passato anche quella notte.
Il giorno successivo fu come il precedente, con la sola differenza che
Bahar le ronzava attorno con più insistenza del solito.
Nemeria tentò di non farci caso e di rimanere concentrata,
anche se era una sfida non da poco, considerando quanto poco aveva
dormito.
Quando uscirono dalla Scuola, c'erano già un bel po' di
persone che premevano da dietro la linea di guardie per vederli. Senan
marciava davanti a tutti, seguito da Durga, mentre Zahra chiudeva la
processione. Alcuni rimasero delusi nel vedere che tra di loro non
c'era Abayomi e se ne andarono o, comunque, il loro profilo
passò e svanì senza destare nulla, se non una
lenta e annoiata rotazione della testa. Forse era solo una sua
impressione, ma rispetto al giorno prima le pareva ci fosse molta meno
gente. Anche così, però, il coro delle voci che
faceva vibrare l'aria le si ripercuoteva nelle viscere, scorrendo nelle
vene come un vino dolce ad alta gradazione. E più loro la
chiamavano, più Nemeria sentiva la determinazione crescere.
Mentre Merneith l'aiutava a vestirsi, grattò più
volte il collare. Se soltanto se lo fosse potuto togliere, le sarebbe
bastato il tempo di un solo scontro per guadagnarsi l'amore del
pubblico.
- Hai bisogno d'altro? -
- No, puoi andare. -
La serva si inchinò, uscì dal camerino e
imboccò l'uscita. Nemeria non dovette attendere molto per
vedere un'altra porta aprirsi. Da essa emerese una donna anziana come
Merneith e, subito dietro, Zahra. Non appena la vide, l'Alatfal'yl
schioccò la lingua contro i denti e ancheggiò
lontano, con la lunga tunica che svolazzava a ogni passo come la coda
di un leone.
- Pronta a essere presa a pugni? - la provocò senza neanche
girarsi.
- Parli, ma sei tu quella disarmata. - la rimbeccò Nemeria.
- A me non servono quei gingilli di ferro. - scrocchiò i
polsi e si baciò le nocche dei pugni, - Loro fanno
decisamente più male. -
Nemeria portò la mano alla shamshir e ne fece scivolare un
po' la lama fuori dall'elsa.
Zahra sbuffò una risata: - Mi stai minacciando, bimbetta? -
- Non mi serve. - Nemeria rinfoderò la lama e le
elargì il suo miglior sorriso, - Ti ho già
battuta alla cisterna. Sarà un piacere farlo un'altra volta
davanti a tutti. -
Uno squillo di tromba le interruppe.
- Signore e signori, le nostre nuove sfidanti! - annunciò il
banditore con voce tonante.
Le urla d'acclamazione accolsero la loro entrata. Zahra si
batté una mano sul petto e, quando alzò la mano
aperta sopra la testa, due colonne di sabbia si innalzarono turbinando
ai suoi fianchi.
- Zahra! Zahra! Zahra! -
Uno striscione passò di mano in mano fino a quando non si
distese del tutto. Il simbolo di Adel, un toro nero con gli occhi
bianchi, fissò minaccioso l'arena.
- Nemeria! Nemeria! Nemeria! - gridarono di rimando altri spettatori e,
come se non avessero atteso altro, tirarono in alto, sopra la linea
dello sguardo, delle piccole bandierine, sventolandole come se la
stessero salutando.
Un altro prolungato squillo di tromba ridusse l'arena al silenzio.
Koosha sedeva vicino a Orang, con il braccio abbandonato mollemente
sulla balaustra, un calice di bronzo in bilico tra indice e medio.
Neppure quando un ragazzo gli versò da bere distolse lo
sguardo da lei. Era stato lui a portarle via Batuffolo e Nemeria lo
odiava.
"Ti farò vedere di cosa sono capace."
Sguainò la shamshir e si mise davanti a Zahra, dieci piedi
di distanza a dividerle. La pelle dell'Alatfal'yl si spaccò
agli angoli delle labbra lungo cuciture invisibili. Le guance si
incavarono, perdendo tono fino a diventare un sottile strato di papiro
contro i denti. Quando la dominatrice aprì la bocca, si
ruppe, liberando i denti serrati in un ghigno da lupo.
- Sto venendo a prenderti... - cantilenò minacciosa.
I sassolini si staccarono dalla sabbia, si ruppero e si ricompattarono
l'uno sull'altro, formando uno spesso guanto di pietra su entrambe le
braccia.
Il terzo squillo di tromba anticipò la voce del banditore.
- Gladiatori, cominciate! -
All'applauso del pubblico, Zahra prese la rincorsa e, a
metà, fece uno scatto più lungo. La montagnetta
di sabbia che si formò sotto il suo piede la
slanciò in avanti come se fosse stato un trampolino. Nemeria
schivò il gancio destro spostandosi di lato e
impugnò la spada a due mani. Zahra frenò, si
voltò e l'assalì di nuovo. Azzerò la
distanza, deviò il fendente della shamshir di lato e le
diede un pugno al basso ventre. Il cuoio resistette, ma il contraccolpo
le vibrò fin nelle viscere. Nemeria se lo sentì
nello stomaco, come se l'armatura non ci fosse.
"Agni!"
Il potere scivolò nelle vene e si riversò sulla
shamshir. Le fiamme proruppero sulla lama in un ringhio minaccioso.
Nemeria arretrò, riprese slancio, roteò su se
stessa e sferrò un colpo con la torsione di tutto il corpo.
Dal braccio di Zahra si allungarono tre spuntoni. Il primo
tagliò le lingue di fuoco, il secondo le trapassò
lo spallaccio e l'altro le aprì un buco sul fianco. Le
acclamazioni esplosero in un boato assordante. Nemeria
indietreggiò e, a ogni passo, dal terreno si innalzarono
lame di sabbia lunghe come stalagmiti.
- Zahra, vai! -
Incoraggiata dal tifo, Zahra si concentrò. La pelle si
ritirò assieme alla palpebra, lasciando esposto una corona
di sassolini attorno a un occhio di un nero lucidissimo. Si muoveva in
scatti repentini, come se fosse ormai un'entità indipendente
conficcata sul fondo della cavità oculare. Mentre Zahra
avanzava, Nemeria arretrava senza staccarle lo sguardo di dosso,
intercettando ogni occhiata che le rivolgeva quell'occhio senza padrone.
- Mi sono presa il primo sangue. Uno a zero per me. - sibilò
e si passò la lingua verde sulle labbra sottili,
più un grumo di granelli che altro, - Anche il prossimo
punto sarà mio. -
Fece leva su un altro trampolino di sabbia e le balzò
addosso. Il pugno le sfrecciò a mezzo pollice dalla guancia.
Nemeria ristabilì le distanze, ma non fece in tempo ad
assumere la posizione. Zahra l'aggredì, costringendola a
compiere un affrettato passo indietro. Nemeria mise un piede in fallo e
per poco non perse l'equilibrio. Piegò le ginocchia per
ritrovare il baricentro e con una rapida torsione dei fianchi
scansò il pugno, arretrò e rispose con un breve
colpo. Gli spuntoni bucarono la tunica e la obbligarono a bloccare
l'attacco e saltare indietro.
- Le mie previsioni non erano errate. Due a zero per me. -
ridacchiò Zahra.
Nemeria seguì la traiettoria del suo sguardo e si
portò una mano al collo. Quando la ritirò, le
punte delle dita erano macchiate di rosso. Era sangue, il suo sangue,
lo stesso che stillava dalla ferita al fianco. Cuore di fuoco, togliti il collare.
Non poteva. Anche se avesse voluto, non poteva.
Uno spuntone sbucò dalla terra sotto di lei. Nemeria non
ebbe modo di reagire che ne emerse subito un altro, stavolta alla sua
sinistra. Se non avesse recuperato l'equilibrio, ci sarebbe caduta
proprio sopra. Zahra la fissava con quel suo sorriso irriverente.
Stalagmiti di roccia che protrudevano dalla schiena.
"Queste fiamme non possono nulla."
Serrò la presa sulla shamshir. Il sangue ormai le scorreva
lungo la gamba e sotto l'armatura. Anche se avrebbe dovuto fare male,
non sentiva nulla, nemmeno la grida del pubblico.
- Questo scontro sarebbe già finito, se non fosse
così divertente vederti saltellare da una parte all'altra.
Sembri una cavalletta. -
Zahra rise e, con lei, anche qualcun altro nella platea. Chiuse le dita
come se stesse stringendo una pallina in mano e la aprì di
scatto quando alzò il braccio sopra la testa. La sabbia si
innalzò e i vari granelli si infilarono nelle piccole
fenditure della roccia, riparandole.
Nemeria contò dieci passi tra di loro. Impugnando la
shamshir con una sola mano, convogliò il potere sul palmo di
quella libera. La prima palla di fuoco attraversò l'aria
come una freccia. Zahra la schivò, issò un muro
di fortuna per difendersi da quella successiva e macerò il
resto della distanza. Nemeria sussultò e si mise sulla
difensiva. La dominatrice la incalzò con una serie di colpi
concatenati, montanti e dritti che si trasformavano in finte e affondi.
Nemeria non poteva fare altro che indietreggiare. Schivò un
gancio, abbassandosi sulle ginocchia. I sassolini rotolarono lungo il
braccio di Zahra e si stratificarono sul pugno chiuso, che la
colpì sotto il mento. La lingua rimbalzò contro
il palato e i denti sbatterono così forte che a Nemeria
parve si fossero conficcati nelle gengive. Andò a sbattere
contro un muro che non ricordava ci fosse. Sputò il sangue
sull'armatura e, a fatica, con l'ombra di Zahra negli occhi, si rimise
in piedi. Zahra ghignava come se la vittoria fosse già sua. Il fuoco brucia la terra.
- Ho sempre detto ad Abayomi che non eri un granché. - Zahra
sospirò con lo stesso fare teatrale del suo capo e
batté due volte le mani.
Il muro alle spalle di Nemeria crollò in un mucchietto di
sabbia.
- Non prendertela. In fin dei conti, il pubblico si sta divertendo. -
- Parli un po' troppo per essere così sicura di vincere. -
- Mi prendo il mio tempo per godermi la gloria che mi è
dovuta. - si spolverò il collo dai frammenti di roccia e
ghignò, - No capisco perché la tua cagna Tian si
ostini a tenerti con sé: la tua debolezza è
ripugnante. -
Nemeria sputò un grumo di saliva venato di sangue. Descrisse
un arco con la shamshir e si rimise in posizione, prima di cominciare a
girarle attorno. Si mosse con cautela, alternando lo sguardo tra la
dominatrice e il terreno.
- Immagino che questo te lo abbia insegnato lei. - ringhiò a
denti stretti, - Non ti servirà. -
Nemeria accelerò e cambiò mano dove teneva la
shamshir. La sinistra era più debole della destra, ma questo
lo sapevano solo lei e Roshanai.
Zahra caricò. Pugno corto, diretto, gancio opposto.
Issò una parete di sabbia dietro di lei per metterla con le
spalle al muro, ma Nemeria scivolò via, allungando la gamba
di lato e levandosi dalla traiettoria dei suoi pugni. Fammi uscire.
Nemeria contrasse la mascella e tenne la shamshir solo con una mano. Il
potere di Agni pulsava da sotto la cicatrice e la pelle arrossata era
la membrana del suo cuore pulsante. Si ritrasse, schivando un pugno al
volto. Simulò un colpo da destra, ma all'ultimo le
afferrò la spalla e strinse. Le dita arroventate lacerarono
la stoffa, sciolsero la pietra, sprofondando fino a toccare la pelle
nuda. Zahra le diede uno spintone che la mandò a terra e con
uno scatto fulmineo si distanziò da lei. Era la prima volta
in tutto il combattimento che si allontanava. Quando si
tastò la spalla e sollevò le dita imbrattate di
pelle bruciata, Nemeria vide una luce tremolante in fondo al suo
sguardo, la stessa che aveva gelato le sue fiamme per tanto tempo.
- Sei morta. - ringhiò.
L'occhio nero si rivoltò nel cranio. Quando si
riallineò sulla stessa linea visiva di quello normale, pure
la sclera era diventata nera, con i capillari in rilievo diramati come
radici giovani fin dentro la pupilla. Nemeria passò le dita
sulla lama. Le fiamme si affievolirono in un basso strato crepitante.
Si impose la calma e il potere si ridimensionò nell'alveo di
un torrente. Scorse dalle dita all'impugnatura e poi all'elsa in un
flusso veloce ma controllato, ruscellando al di sotto della superficie.
Le contaminazioni d'oricalco ne rallentavano la propagazione, ma non
erano che piccoli scogli.
L'armatura di roccia di Zahra si spaccò sulla fronte e la
crepa si allungò fino allo zigomo sinistro. Zahra
urlò e si gettò alla carica. A ogni suo passo,
nella terra si ripercuoteva un fremito, come il preludio di un
terremoto. Nemeria attese. Al momento opportuno, saltò al di
là del muro di sabbia che si stava alzando dietro di lei,
scattò di lato, poi in avanti. Cambiò mano
all'ultimo e con la shamshir descrisse un tondo da sinistra. Zahra
sollevò il braccio per parare. La shamshir
tintinnò contro uno spuntone, così Nemeria
ritrasse la spada e affondò nella roccia con l'altra mano,
ora avvolta dal fuoco. Le fiamme lambirono la tunica di Zahra e si
fecero largo nell'armatura. La dominatrice si abbandonò ad
un grido di dolore. Quando tentò di sferrarle l'ennesimo
pugno, Nemeria balzò indietro a zigzag. Quindi
piegò il ginocchio e distese la gamba, dandosi di nuovo
slancio. La ingaggiò con un fendente e
contrattaccò a ogni suo tentativo di tenerla vicina
protendendo la mano infuocata. E, ogni volta che Zahra si allontanava,
tornava a pressarla. La costrinse alle regole del suo gioco,
così come prima lei era stata alle sue. E più
andava avanti, più la lama della shamshir diventava calda,
abbastanza per arrivare non solo a scalfire, ma anche ad affondare
nella roccia stessa. Il potere fluiva dentro alla lama, la riempiva
dall'interno rendendola letale.
Nemeria passò la spada dalla sinistra alla destra e
attaccò. Colpì in diagonale dal basso verso
l'alto, si ritrasse, finse un montante e caricò con tutta la
forza dello slancio del braccio. Zahra indietreggiò e
intercettò l'affondo della sua mano. Snudò un
sorriso ferale, un crepaccio aperto su una bocca di denti aguzzi.
- Ti ho presa. -
Nemeria trattenne il fiato e gli occhi si sgranarono. Un attimo
più tardi, il dolore eruppe come un tornando. Il suo urlo
soverchiò la risata di Zahra e morì in un gemito
soffocato quando la colpì allo stomaco, scaraventandola
contro la parete dell'arena. Quando ricadde a terra, Nemeria non
riusciva a vedere o sentire nulla. L'unica percezione rimasta era la
consistenza granulosa della sabbia rovente contro la guancia e
l'impugnatura della shamshir, più calda della luce del sole
che le feriva la mano. Alzati e combatti.
I pensieri dell'elementale si sovrapponevano ai suoi, intrecciandosi
sulla linea di confine della sua coscienza. Nemeria fece perno sul
gomito, si mise a carponi e rimase così, con il respiro che
baciava la sabbia a ogni suo ansito. Devi vincere, Cuore di fuoco.
Più voci, lontane mille miglia, chiamavano il suo nome. Sul
fondo degli occhi chiusi, Agni ballava a piedi nudi nel cerchio di
pietre e i sistri che impugnava tra le mani scandivano flebili
intonazioni.
Nemeria strinse la shamshir e si rimise in piedi. Si guardò
il braccio e lo vide già solcato da un motivo di rivoli
rossi, tra cui biancheggiavano le schegge delle ossa rotte. Il dolore
serpeggiava silenzioso tra i lembi slabbrati della carne esposta,
stillando a terra in gocce pesanti. L'odore ferroso del sangue era
così intenso da farle girare la testa. Nella cortina di fumo
che pervadeva il suo sguardo, l'unico soggetto a fuoco era Zahra. Vai.
Corse verso di lei, schivò la barriera di spuntoni che la
dominatrice interpose tra di loro e le fu subito addosso.
Menò un fendente che le aprì in due il guanto di
roccia e la lama arroventata azzannò la carne. I colpi
successivi andarono a vuoto, ma non si arrese. Disegnò una
diagonale dalla spalla al fianco. La lama penetrò l'armatura
come se non ci fosse stata. Zahra sibilò furiosa e si
voltò, sferrando un pugno alla cieca. Nemeria si
scansò e, quando vide che si era scoperta, colpì
ancora. La shamshir sciolse la roccia, morse la pelle e la
strappò, portandosela via in un arco di sangue e sassi semi
fusi. Nemeria scattò lontano per evitare gli spuntoni e
contemplò, stralunata, i tagli anneriti sotto la corazza
spaccata. Fumavano, come se al di sotto ci fosse una sorgente d'acqua
sotterranea.
- Ti ammazzo! -
Il suo urlo non le fece paura. Si lanciò su di lei prima che
Zahra potesse fare altrettanto. Fece una finta e la dominatrice si
lasciò ingannare. Il montante affondò, ma Nemeria
era già alle sue spalle. Fletté le gambe e la
colpì dietro il ginocchio. La punta arroventata della lama
lacerò muscoli e tendini. Zahra cadde sotto il suo stesso
peso e Nemeria le trafisse la spalla da parte a parte. Senza concederle
tregua, colpì la tempia con il pomello della spada,
lì dove il viso non era protetto dalla pietra. La
dominatrice crollò distesa nella sabbia. Il solo segno che
fosse ancora viva era rappresentato dalla sabbia che il suo respiro
spostava.
Nemeria rimase a osservarla dall'alto, lo sguardo fisso nell'occhio
indipendente, che continuava a schizzare a destra e a sinistra. Uccidila.
Si riempì i polmoni di tutta l'aria che potevano contenere e
strinse la shamshir.
- Non... puoi... uccidermi. - Zahra rantolò e
inclinò la testa per guardarla meglio, - Non puoi... il
pubblico chiede la grazia per me. -
Nemeria trattenne a stento un ghigno nel percepire la paura nella sua
voce. Si sentiva inebriata dal timore che la irrigidiva. Uccidila.
Le guardie entrarono nell'arena e la circondarono, scudo e lance
alzate. Nemeria le ignorò. Zahra chiuse gli occhi e
affondò il viso, ormai totalmente scoperto, nella sabbia.
Nemeria piantò la shamshir a terra a un pollice dal suo
naso. La lama, dove il sangue era colato, presentava delle strie nere e
grumose.
- Non ti mettere mai più sulla mia strada. - le
sibilò, in modo che fosse l'unica a udirla.
La bolla che la circondava scoppiò e Nemeria venne investita
dagli applausi del pubblico. Tutti si erano alzati, anche chi prima
aveva fatto il tifo per Zahra. Tutta la loro eccitazione la sommerse e
si rovesciò su di lei come un'onda anomala.
- Nemeria! Nemeria! Nemeria! -
- Brava! -
- Sei la migliore! -
Mentre le guardie la scortavano fuori dall'arena, quelle parole le
colmarono il petto. E anche se tremava – per il dolore, per
la fatica, per lo shock – in quel momento Nemeria si
sentì invincibile.
Angolo Autrice:
Niente, spawno
solo per dirvi che questo è il penultimo capitolo e che
spero di far uscire il prossimo, ovvero l'ultimo, prima della prima
metà di giugno. Non vi assicuro nulla, but sappiate che
mentre sto scrivendo, mi tremano le mani. Sono così
emozionata che nemmeno potete immaginarlo. E nulla, scusate se vi ho
rotto le scatole, ma... avevo bisogno di comunicare a qualcuno che
anche questa storia sta per finire XD
Hime
"Il
ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo
di come siano state veramente."
Marcel
Proust
I curatori sopraggiunsero
poco dopo. Due erano uomini anziani, con la
barba crespa come la coda di un cane randagio e un ciondolo di un leone
di profilo che pendeva sulla tunica blu chiaro. Kaymar pareva quasi
sostenere il più vecchio mentre camminava.
Nemeria li attendeva stesa su una branda di una piccola anticamera. Le
guardie l'avevano scortata lì e poi avevano lasciato tre di
loro a sorvegliarla. Non che ce ne fosse davvero bisogno, ma non
potevano sapere quanto il dolore avesse già spolpato
qualsiasi sua volontà di fuga.
"Li ho impressionati troppo."
Una fitta più forte delle altre stroncò la risata
e la tramutò in un gemito rantolante. Kaymar ritrasse la
mano, imitato dagli altri due curatori.
- Non ti ho ancora toccata e già ti lamenti? -
- Fa male... -
- Lo so. Cercheremo di fare piano. - la rassicurò con un
sorriso.
Nemeria non aveva il coraggio di guardarlo, le faceva accapponare la
pelle pensare che quell'appendice di sangue e carne esposta le
appartenesse.
I tre parlottarono tra di loro, in un rapido scambio di battute che lei
non riuscì a seguire. Quello che Kaymar aveva accompagnato
uscì dalla stanza e tornò seguito da Sayuri e,
sorprendetemente, da Tyrron. O forse era sempre stato lì?
Non ne era sicura e la paura la teneva inchiodata in quella posizione
scomoda, a respirare più piano che poteva per non
risvegliare il dolore.
- Riesci ad aprire gli occhi? -
Nemeria schiuse le palpebre. Le mani di Kaymar erano ai lati del suo
viso ed erano bagnate. Il refrigerio dell'acqua, o di qualsiasi cosa
fosse, a contatto con le sue guance calde attenuò appena il
fuoco che la stava divorando da dentro.
- Il tuo braccio è messo molto male. Adesso lo puliamo e poi
operiamo. Vedrai che andrà tutto bene. -
C'era una certa apprensione nella sua voce, che la turbava al di sotto
della soglia della coscienza. Nemeria non sapeva spiegarselo, ma il
senso di disagio che l'ultima affermazione le aveva messo addosso la
faceva tremare fin nel midollo.
Pian piano, Kaymar allontanò le mani dal suo viso e
arretrò per lasciare spazio a Sayuri e al terzo uomo, che,
ora che Nemeria lo osservava bene, non era poi così vecchio
come aveva pensato. Era stata la barba a ingannarla.
- Al mio tre. - la avvisò, - Uno, due... -
L'ultimo numero non giunse mai. Nemeria sentì soltanto il
microscopico movimento dei frammenti d'osso nelle ferite slabbrate.
Nella cornice sanguigna del suo sguardo, quei dentelli arrossati erano
le zanne del dolore che la stava sbranando dall'interno. Le
mancò il fiato e il suo corpo si svuotò,
comprimendosi fino a perdere la sua reale consistenza.
"Madre, aiuto..."
Le palpebre erano incollate, il sudore filtrava attraverso le ciglia e
le bruciava gli occhi. Nemeria provò a muovere le dita e a
sollevare il braccio, ma qualcuno, una delle tante presenze che le
ronzavano attorno, la bloccò. Le parole rimasero in apnea
nelle sue orecchie e poi sgocciolarono a terra, di nuovo confuse nel
tramestio di sottofondo.
- Bevi. -
Una lieve pressione sulle guance, due mani che le sollevavano la testa.
Nemeria schiuse le labbra e bevve. Somigliava ad acqua, ma aveva una
consistenza più densa e un pungente retrogusto amaro. I
muscoli si tesero e rilassarono in una sincronia perfetta e dolorosa.
Quando le allungarono le gambe e le braccia, Nemeria aveva di nuovo
perso la percezione del suo corpo e di ciò che la
circondava. Sopravviveva solo l'olfatto, attaccato dall'olezzo rancido
e penetrante di vino.
- Sono qui, Nemeria. - sussurrò Sayuri, per poi premere i
pollici sulle sue tempie e le altre dita sulla fronte, - Portami dove
vuoi tu. -
- Non... non posso muovermi. -
- Sì che puoi. -
Il vento scacciò l'odore di alcol e sudore. Sul braccio
stavano spennellando una mistura viscosa e densa che profumava di miele
e latte. Ogni volta che sfioravano i frammenti d'osso, il suo corpo si
tendeva in uno spasmo.
- Sat, Chit, Ananda. - scandì Sayuri, - Ascolta le mie
parole: Sat, Chit, Ananda. -
Tante mani scorrevano su di lei, alcune reali, altre immaginarie.
Attraverso le palpebre, ombre evanescenti sfrecciavano sullo specchio
offuscato della pupilla.
- Sat, Chit, Ananda. -
La pressione sulle tempie aumentò, così come il
vento che le ingrossava la veste. Trasportava con sé una
fragranza di erba e terra bagnata.
- Sat, Chit, Ananda. -
Lo scrosciare dell'acqua la trascinò via.
- ...ria! Nemeria! - Nemeria si
voltò. Taleyta la stava guardando dalla riva, con
i panni appena lavati arrotolati tra le braccia. Li posò su
un masso e, saltando di scoglio in scoglio, le arrivò
abbastanza vicino per poterle acchiappare il polso. - Stai più
vicina o il Dunărea ti inghiottirà. - Nemeria
sbatté le palpebre e tornò a guardare il
fiume. Era di un intenso blu – blu cobalto, l'avrebbe
corretta Etheram – ed era largo parecchie braccia. Il profilo
lontano della riva opposta era una semplice linea frastagliata d'alberi
che si inerpicavano lungo il fianco della collina. Le chiome non ancora
fitte erano un indizio di una primavera pellegrina sulla strada del
ritorno. Nemeria
indietreggiò fino a ridurre il livello dell'acqua
ben al di sotto delle ginocchia. Abbassò lo sguardo sulla
tunica e, senza dire una parola, riprese a strofinare la macchia. - Non riuscirai mai a
farla andare via solo con l'acqua. - Taleyta si
guardò intorno e si mise i pugni sui fianchi, - Dove hai
messo il tuo sapone? - Non se lo ricordava. Tra
il momento in cui era uscita dalla tenda e
quello in cui Taleyta l'aveva ripresa c'era solo un enorme buco nero.
Eppure doveva averlo avuto, perché le sue mani profumavano
d'anice e alloro. - Forse l'hai appoggiato
da qualche parte e ti è caduto. Non
importa, puoi usare il mio. - prese un grossolano cubetto non
più grande del palmo della sua mano e glielo porse, -
Finisci, dai, che mio fratello ******** ti sta aspettando. - Annuì e
subito tornò a strofinare. Aveva il
sentore che quella stupida macchia non sarebbe andata via nemmeno con
tutto l'olio di gomito del mondo, ma non poteva ripresentarsi da sua
madre senza averci nemmeno provato. Tanto meno quel giorno, che per
colpa del suo ciclo di luna riusciva a malapena a stare in piedi. Un lungo fischio
risuonò nell'aria. Nemeria venne investita
da una sventagliata di spruzzi. Già battagliera, Taleyta si
girò e rispose tirando addosso a suo fratello una piccola
onda. - ******* , ha
funzionato una volta, non credere di potermi sorprendere
ancora! - La figura bassa, fatta
di pura luce bianca, si acquattò e
prese a rincorrere sulla superficie dell'acqua Taleyta. - Sei terribile! - Balzò sulla
superficie anche lei e corse lontano, con
******* che la inseguiva bersagliandola con rapidi e mirati spruzzi, ai
quali lei contrattaccava prontamente. L'acqua si increspava appena,
come se in realtà fosse solo un lieve strato buttato su un
pavimento blu da lavare. - Taleyta, Taleyta! -
esultò Nemeria. ******** la
guardò malissimo e Taleyta ne
approfittò per fargli sbucare una fontanella tra le gambe a
tradimento. Nemeria scoppiò a ridere e riprese a fare il
tifo per la sua amica ancora più forte. - **********. - - Hai perso la mia
fedeltà quando mi hai bagnata fino al
midollo la volta scorsa! - gli rispose di rimando. Taleyta
dirottò un'onda, la ingrossò e gliela
mandò contro. ********* non fece in tempo a pensare a una
contromossa che si ritrovò lungo disteso sull'acqua. Al suo
fianco, sua sorella lo fissava vittoriosa dall'alto in basso. - Sei ancora troppo
piccolo per pensare di battermi. - - ***********. - - Un anno sono tanti
giorni di esperienza in più.
Sarò sempre irraggiungibile per te. - Gli porse la mano e lo
aiutò a rimettersi in piedi. Dopo un
breve istante d'esitazione, lui accettò il suo aiuto e, mano
nella mano, tornarono a riva. Le trecce di Taleyta si erano del tutto
disfatte e le si erano appiccicate un po' ovunque sulla fronte e sulle
guance. Quando lasciò la mano a suo fratello, la prima cosa
che fece fu strizzarsele e rilegarsele in una piccola crocchia simile a
un nido. - Io torno in tenda.
Posso lasciarvi un attimo da soli? - - Sissignora! - rispose
Nemeria. ********
sbuffò, bofonchiando qualcosa su quanto sua sorella
fosse noiosa. Taleyta gli scoccò un'occhiata di rimprovero e
raccolse i panni. - Mi raccomando, torno
tra poco. - Non appena Taleyta
sparì oltre i primi alberi, Nemeria si
sedette su un masso e focalizzò di nuovo l'attenzione sulla
la tunica. - *********** ? - - Sì. Mamma
non sta molto bene e mi ha chiesto di pensare al
bucato. - - ********** . - - Devo provarci ancora
un po', poi andiamo a giocare a palla. - si
volse e gli indicò la palla che aveva lasciato di fianco al
cumulo di abiti lavati, - E come vedi, stavolta non me la sono
dimenticata. - **********
volteggiò su se stesso e l'acqua lo
seguì, avvolgendolo in due ampie spire liquide. Un'anguilla,
finita per sbaglio all'interno assieme ad altri piccoli pesci azzurri,
si dibatté finché lui non si accorse della sua
presenza. - ********** ? - - Se decidi di lasciarla
andare, dimmelo. Io quella cosa non voglio
nemmeno che mi sfiori. - - **********. - - Fa schifo lo stesso. - Lui scoppiò a
ridere. - **********. - Nemeria raccolse tutto e
corse a gambe levate sulla riva. La striscia
d'acqua si allungò e poi "sputò" l'anguilla, che
serpeggiò via, sparendo tra i flutti. - ***********?- Nemeria
sbuffò e lo fissò nel modo più
truce che le venne, ma ********** non sembrava avere intenzione di
desistere. Dedicò alla tunica un'altra occhiata prima di
piegarla e riporla sopra tutti gli altri panni, in una montagnetta
pericolante. - Però non
posso stare tutto il pomeriggio. - - ***********. - - Tu prometti che non
proverai a bagnarmi, se vincerò? - Fu il turno di
********** di sbuffare. - **********. - - Sei davvero simpatico.
- Gli passò la
palla e fece qualche passo indietro. Si sarebbe
dovuta rimettere le scarpe, ma non aveva voglia di perdere altro tempo.
E poi, a parte qualche sassolino, la terra era morbida. - Stavolta non farla
finire sugli alberi, per favore. - ********
ridacchiò. Afferrò la palla con due mani
e la lanciò più in alto che poté.
Nemeria ne seguì per un breve tratto la parabola, prima di
scattare per provare a riprenderla.
Si svegliò distesa su un letto morbido. Dovette sbattere
più di una volta le palpebre per snebbiare la vista e capire
di trovarsi in infermeria.
Nande sedeva dietro la scrivania, le gambe accavallate e il solito
libro di botanica sotto gli occhi, con ancora la piuma blu e verde
infilata nel mezzo. Pure Ozgur era lì. La polvere turbinava
sul suo palmo aperto, seguendo il lento movimento circolare del dito.
Sembrava un vasaio intento a modellare il collo di un’anfora.
Ozgur si accorse dello sguardo di Nemeria per caso, una mezza occhiata
accidentale, alla quale seguì un'altra venata dalla
consapevolezza di essere stato scoperto. Disperse la polvere e si
portò l'indice davanti alle labbra per intimarle il silenzio.
- Morak'uyr, si è svegliata. -
Nande chiuse il libro e Nemeria assunse un'espressione intontita per
farle credere di essere appena riemersa dal mondo dei sogni.
- Vai a chiamare aghà Tyrron. - gli ordinò la
donna.
Ozgur infilò veloce la porta e lei prese uno sgabello per
sedersi vicino a Nemeria. Si era tirata indietro i capelli con una
fascia colorata che esaltava l'incarnato scuro.
- Questa volta hai giocato davvero molto con la sorte. -
- Stavo per morire...? -
- No, ma stavi per perdere il braccio. -
Nemeria seguì la traiettoria del suo sguardo. Le avevano
disteso il braccio con il palmo rivolto verso l'alto. Dalle bende si
intravedeva un alone viola che colorava la pelle, schiarendo in un
giallo malato sulla spalla.
- Però hai vinto. È ciò che conta di
più per te, giusto? -
Aveva vinto. Quelle parole le procurarono un brivido. Aveva sconfitto
Zahra da sola e il pubblico l'aveva acclamata. Anche senza chiudere gli
occhi, le voci esultanti le riempirono di nuovo le orecchie.
La porta si aprì e Tyrron marciò fino al suo
capezzale. Nande gli lasciò lo sgabello e, a un suo gesto,
tornò a sedersi dietro il tavolo. A Nemeria parve che avesse
riaperto il libro a una pagina diversa, ma da lì non poteva
esserne certa.
- Come ti senti? -
- Come se fossi finita sotto le ruote di un carro. -
- Metafora calzante, considerando quanto fosse grossa la tua
avversaria. - scherzò, si protese verso di lei e
appuntò la sua attenzione sul braccio.
Nemeria lo fissò un po' stralunata.
- Ha esagerato. In uno scontro normale, non sono ammesse ferite
così invalidanti. Non si è limitata a metterti
fuori uso il braccio, ha fatto a pezzi l'osso. Se non fosse stato per
l'intervento di Serafim, Sayuri e Kaymar, non sono sicuro che saresti
sopravvissuta. -
- Quindi adesso sarà frustata? -
- Chiederò il massimo della pena. Mina mi
sosterrà. -
Nemeria rimase in silenzio. Non le dava alcuna soddisfazione che Zahra
venisse frustata.
- È proprio necessario? -
- Che venga punita? Sì. Adel ha preteso che tu fossi
frustata anche quando non era colpa tua. Zahra conosceva le regole. Non
dovresti mostrare pietà per chi non ne ha avuta per te. -
- Non è questione di pietà. - ci pensò
e chiuse un momento gli occhi per riunire le parole in frasi, - Solo
che non ce l'ho con lei. Avevamo un conto in sospeso e lo abbiamo
saldato nell'arena. -
Tyrron parve sovrappensiero. La scrutò intensamente, le dita
intrecciate proprio sotto il naso.
- Capisco. - concluse, come a chiudere una lunga discussione, - Non
posso lasciar correre, ma non chiederò il massimo. -
- Davvero? -
- Quello che dico, lo faccio, ormai dovresti saperlo. E poi hai vinto,
posso acconsentire a questa tua richiesta. A tal proposito, Koosha
è rimasto davvero impressionato. Dopo quello di Abayomi, il
tuo incontro è stato il più entusiasmante. Hai
attirato l'attenzione di molti. -
- Questo significa che potrò riavere Batuffolo? -
- Si sarà sicuramente ammorbidito, ma non mi sbilancio.
Stasera, quando verrà a cena, glielo chiederò.
Dovresti cominciare a pensare a chi affidarne le cure quando sarai ad
allenarti. Adesso se ne sta occupando Morad, ma se ti sarà
dato il permesso di tenerlo non avrai il tempo di occupartene tu.
Inoltre, cosa ancor più importante, tutte le spese legate al
suo mantenimento saranno a carico mio, almeno finché non
avrai uno sponsor. Questo significa che il tuo debito
aumenterà. -
- Io rivoglio Batuffolo... mi basta che me lo ridiate. -
- Ci vorrà molto più tempo per riavere la tua
libertà. - cercò di farla ragionare.
- Non mi importa. -
Si era impegnata molto in quel torneo, e uno dei motivi era stato
Batuffolo. Si asciugò gli occhi umidi e afferrò
il polso di Tyrron.
- Per favore, se Koosha dirà di sì, restituiscimi
Batuffolo. -
- Allora spera che il vino lo renda bendisposto. -
Le diede una pacca sulla mano e Nemeria lasciò la presa.
- Ho già detto a Noriko di lasciarti riposare, ma lo ripeto
anche a te: cerca di riprenderti in fretta. So che avrai voglia di
riposare, ma domani ci saranno le semifinali e tu devi dare il meglio
di te. Ti sei fatta amare troppo per mollare ora. -
Prima di alzarsi, Tyrron si sistemò le maniche e la treccia
dietro la testa. Forse era solo una sua impressione, ma a Nemeria
pareva provato. Persino l'eleganza sobria dei suoi vestiti risentiva
della sua stanchezza.
- Tyrron, c'eri anche tu nell'infermeria all'arena? -
- Non eri quindi del tutto incosciente. -
ridacchiò sulla porta, - Sì, ero lì.
Non appena l'incontro è finito, sono venuto da te con Kaymar
e Serafim. -
- Grazie. - si umettò le labbra secche, - Non credo che
tutti i lanisti lo avrebbero fatto. -
- Io non sono tutti i lanisti, Nemeria. Il mio nome è Tyrron
Occhi di Lince, ricordatelo bene. -
Detto ciò, aprì la porta e uscì.
- Hai sete? - le domandò Nande, distogliendola dai suoi
pensieri.
Aveva lo sguardo ancora immerso tra le pagine e la postura disinvolta.
- Sì, un po'. -
- Ozgur, portale dell'acqua. -
Come se non avesse atteso altro, il bambino rientrò nella
stanza e versò il contenuto della caraffa sulla scrivania in
un bicchiere, mentre Nande l'aiutava a mettersi seduta.
- Il braccio ti fa male? -
- No. Ma in compenso mi sento la testa pesante. -
- È normale. Con quello che ti hanno dato, mi stupisco che
tu ti sia svegliata così presto. -
Mentre beveva, Nemeria guardò verso la finestra. La luce del
sole aveva la sfumatura calda del tramonto e le solleticava la punta
dei piedi attraverso il lenzuolo.
- Che fine hanno fatto i ragazzi che erano qui in infermeria tempo fa?
Quelli malati e senza lanista, intendo. -
- Uno di loro è morto, gli altri sono stati spartiti tra
Mina e Siamak. Come mai ti interessa? -
Nemeria fece spallucce e porse il bicchiere a Nande.
- Non lo so. Penso mi sia tornato in mente perché mi avete
messo nello stesso letto dove era steso uno di loro. -
- Pensa piuttosto a riprenderti o alla tua vittoria di oggi. Come ti ha
detto aghà Tyrron, domani, volente o nolente, dovrai
combattere. -
Se non avesse avuto tutta quella sonnolenza addosso, probabilmente
sarebbe corsa per tutta la Scuola a vantarsi. Si portò una
mano sul cuore e sorrise percependo il potere di Agni zampillare sotto
le dita. Sebbene non ne potesse udire la voce, sapeva che anche lei
condivideva la sua euforia.
- Dai, ora dormi. Ti sveglio io per l'ora di cena. -
Nande le sprimacciò il cuscino e l'aiutò di nuovo
a stendersi. Il sonno arrivò quasi subito ad appesantirle le
palpebre. Nemeria non oppose nessuna resistenza.
Piombò in un limbo di oscurità confortevole,
simile a un'ampia stanza buia, dove l'unica cosa che riusciva a
percepire era il calore. A volte la porta sul fondo si schiudeva e una
figura di luce si affacciava oltre la soglia, ma Nemeria non faceva in
tempo a guardarla che quella spariva. Quando quel qualcuno finalmente
entrò, non c'era più alcuna aura luminosa, ma
solo una figura che si portava dietro un lungo strascico e un bastone
piumato nella mano destra. Si inginocchiò sopra di lei e le
prese la testa tra le mani.
- Vedo lontano, oltre le nebbie. Vedo un mondo che non mi è
più caro, un eterno inverno dove il sangue
scorrerà imbrattando la virginea bellezza della primavera.
Il disonore prevarrà, la lealtà verrà
calpestata, il coraggio arderà nelle fiamme degli incendi.
Ogni uomo diverrà un traditore, ogni tradito un omicida.
Allora sarà l'Era della Falce e verrà emesso il
giudizio sul mondo. -
La voce dell'Alta Sacerdotessa era tenue e priva di inflessione. Il suo
tocco però era accorto, come quello di una madre. Le
passò le dita tra le ciocche aggrovigliate, fermandosi a
districarne i nodi o a lisciare quelle più disobbedienti.
- Figlia mia, considera il lato nascosto delle cose e chiediti cosa non
conosci. Scruta al di là delle ombre, diffida dalla luce,
segui il sentiero che ti trascinerà verso l'abisso e ti
innalzerà al di sopra degli altri miei figli. -
Non era un sogno, non era nemmeno una visione. Non era niente che
Nemeria avesse mai sperimentato, eppure era reale.
Ad un tratto, riconobbe l'agati e le pelli di muflone cucite assieme
sopra la sua testa. Si alzò di scatto e vide l'Alta
Sacerdotessa sulla soglia della tenda. Indossava la lunga cappa
smanicata bianca a motivi geometrici, la stessa del giorno dell'attacco
dei predoni. Erano diverse le ferite che le deturpavano la pelle, ma ce
n'era una profonda sotto il costato che ancora sanguinava. Sanguinava
troppo.
- Alta Sacerdotessa, tu sei... -
- Sì. -
Nemeria rimase pietrificata. Faceva male, ma non così tanto
come si sarebbe aspettata, forse perché, in fondo, lo aveva
sempre saputo. Si morse le labbra e tornò a guardarla. La
testa di gatto assisa sul bastone degli Spiriti pareva scrutarla
attraverso le sue orbite vuote.
- Cos'è questo posto? -
I tatuaggi biancheggiarono di una luce perlacea e l'Alta Sacerdotessa
puntò gli occhi sulla figura di luce che si divertiva a
tirare la palla in alto. Come si accorse di essere osservata, corse a
nascondersi dietro una tenda.
- È la strada per la Verità. -
- Ma che significa? Che cosa intendi? -
Un vento soffiò lieve ed estinse le fiamme. Nemeria non fece
in tempo ad alzarsi che l'Alta Sacerdotessa uscì. La tenda
si richiuse dietro di lei e i contorni svanirono nel buio.
- Lo sapevi che questo
fiume ha un sacco di nomi? - - ***********. - - O anche il "fiume dei
re". Solo l'Atil lo supera in lunghezza. - ******
ridacchiò e si stravaccò per terra.
Nemeria lo seguì, anche se con più attenzione. - *******************. - - Non lo so. Stavo
giocando a nascondino con mia sorella, sono
inciampata e ho sentito un dolore fortissimo. - alzò il
braccio fasciato quanto più poté, - Mamma dice
che un osso per guarire ci mette anche più di un mese. Io
spero che si spicci... sono giorni che non chiudo occhio. - -
***********************************?- - Mamma lo ha
già chiesto, ma nessuna delle Anziane ha
ceduto. Dicono che bisogna imparare a vivere come se non avessimo
nessun elementale ad aiutarci. - - *****************. -
sbuffò e incrociò le mani
dietro la nuca, - ************. - Nemeria si
ritrovò ad annuire: se non potevano usare il
potere elementale per accelerare la guarigione, che senso aveva fare
tutta quella fatica per imparare a controllarli? -
*****************************************. - - Lo so che ti sta
antipatico, ma ***** non è
così insopportabile. - non lo credeva davvero, ma era
divertente far finta di non essere dalla sua parte, - Tu lo detesti
solo perché riesce a volare più in alto e
più in fretta di te. - ****** tirò
fuori il labbro e aggrottò le
sopracciglia, come se avesse appena detto un'eresia. Nemeria
gonfiò le guance per provare a trattenersi, ma la sua
espressione così sinceramente sorpresa la fece piegare in
due dalle risate. -
********************************************. - - Ma se non fai altro
che lamentarti dei complimenti che riceve da
Fakhri! - ********** la
fulminò e le diede un pizzicotto sul braccio.
Non forte, ma Nemeria si ritrasse lo stesso, prima che la assalisse per
farle il solletico. -
***********************************************. - - Anche
perché, se tu lo facessi, mi metterei a urlare. - - *********************!
- A questo non aveva
pensato. Lui dovette intuire di averla colta in
fallo perché la punzecchiò sul fianco. -
***********************************************************. - -Sì, Etheram
quando si arrabbia fa davvero paura. -
concordò Nemeria. Appoggiò la
testa contro la sua spalla e si coprì
la bocca per reprimere uno sbadiglio. Anche se era stata tutto il
giorno nella tenda a sonnecchiare, si sentiva stanca.
Chissà, forse era la noia a renderle gli occhi
così pesanti. -
*****************************************************************************.
- le lanciò una lunga occhiata, tale che Nemeria aveva
già capito cosa voleva chiederle prima ancora che glielo
dicesse. - *****************? - - A me piacerebbe molto,
però non so se mamma mi
lascerà venire. - -
***************************************************************************.
- Nemeria si
mordicchiò l’interno della guancia. Era
anche molto tardi, sicuramente a quell’ora sarebbe dovuta
essere a letto già da un pezzo. Hediye aveva un sonno
leggero e le aveva detto di svegliarla per qualsiasi cosa.
Però ******* ci teneva molto e anche lei era curiosa di
vedere cosa aveva in mente Fakhri per aver deciso di organizzare una
lezione a quell’ora della notte. - Vado a chiedere, ma
non ti assicuro nulla. - Lui si mise seduto e
aprì una breccia nella sfera
d’aria che aveva creato attorno a loro per proteggerli dal
venticello della notte. Lì, nel Dawalh settentrionale, la
primavera non era ancora arrivata. - Mamma? - Nemeria accese la fiamma
sulla mano e, stando attenta a dove metteva i
piedi, avanzò nella semioscurità. Le braci del
focolare spandevano un alone dorato che disegnava le spalle di Hediye.
Il suo respiro regolare, a volte interrotto da un sibilo simile a un
fischio, arricchiva il silenzio della notte. - Mamma. -
ripeté- Nemeria la scosse con
delicatezza e allontanò il braccio
quando la donna si girò. - Nemeria? Che ci fai
ancora sveglia? Stai male? - - No, no, sto bene. - si
rese conto di quanto fosse stupido quello che
stava facendo in quell’esatto momento, ma era troppo tardi
per tirarsi indietro, - So che sarei dovuta essere già a
letto, ma è venuto a trovarmi ******* e mi ha chiesto se
volevo andare con lui ad assistere alla lezione di maestra Fakhri. - - Una lezione? A
quest’ora? - - Sì, anche a
me è sembrato strano, ma magari non
vuole che gli altri si arrabbino sapendo che è uno dei suoi
allievi preferiti. - Hediye si
puntellò sui gomiti e si passò una mano
sul viso. - Dove si terrebbe
questa lezione? - Nemeria rimase stranita
dalla domanda. Si era preparata a una sfuriata,
non di certo a un possibile “sì”.
Scavalcò il corpo di Etheram avvolto nelle coperte e si
affacciò fuori dalla tenda. Il vento freddo le
procurò un brivido dietro la nuca. - Mamma vuole sapere
dove. - gli chiese. -
********************************************************************.
- - Hai sentito? - Hediye si era fatta
più vicina, quel che bastava
perché non dovesse ripetere nulla. - Mi dispiace, ********,
ma Nemeria deve riposare. - - Ma ci sarà
anche Fakhri! - protestò Nemeria, -
Non mi farò male, starò attenta. Anzi, ti
prometto che non farò nulla, guarderò e basta. - - Sono sicura che
maestra Fakhri capirà. - Hediye sorrise e
scompigliò i capelli di ******* . Il bambino
abbassò lo sguardo, dispiaciuto. - La prossima volta
verrò, te lo prometto. -
tentò di confortarlo Nemeria, - E poi non sarà
l’ultima volta. Tu sei troppo bravo. - Quel complimento gli
strappò un sorriso. Si strinse nel
mantello e fece un passo indietro. -
***********************. - - Va bene, ti aspetto. A
te va bene, mamma? - - Basta che non venga
più così tardi. La
signorina qui deve starsene ferma. - Entrambi i bambini
scoppiarono a ridere. ****** poi si strinse nel
mantello e saltellando si allontanò nel buio.
La mattina seguente, non venne nessuno a svegliarla. Quando Nemeria
aprì gli occhi, l’infermeria era ancora avvolta
nel silenzio. Si mise a sedere e sorseggiò un bicchier
d’acqua, lo sguardo fisso nel vuoto. Non si rese conto di
averlo finito finché non ebbe di nuovo la gola secca. Rimase
a guardare il gioco di luci sul pavimento, mentre pian piano rimetteva
insieme le immagini dei… come doveva chiamarli? Sogni?
Visioni? Qualsiasi cosa fossero, erano nitidi come dei ricordi. Come se
lei quelle situazioni le avesse già vissute.
“C’è qualcosa che manca,
però.”
Strizzò le palpebre e cercò di ricostruire il
viso del suo compagno di giochi preferito, il fratellino di Taleyta.
Nulla, il vuoto. Si rese conto con un brivido di orrore che anche da
sveglia non riusciva a ricordare il suo nome. Era come se non fosse mai
esistito, e più tentava di ricordare, più la
sensazione di smarrimento aumentava. Alla fine, si afflosciò
sul letto, la stanza che girava sopra e sotto di lei come una nave in
burrasca.
“La strada per la Verità...”
Studiò la propria mano in controluce e la lasciò
ricadere sulle lenzuola. Realizzare che l'Alta Sacerdotessa era morta
pose fine a quel fastidioso vorticare. Si aggrappò a quella
certezza e si sforzò di riprendere a respirare. Non sentiva
l'impulso di piangere o gli occhi lucidi. Avrebbe voluto farlo, ma non
ci riusciva. Si rese conto, invece, che i polmoni incanalavano meglio
l'aria, come quando si guarisce da una lunga malattia.
- Madre, nell'ora più buia, guida a te chi non ha
più stelle. - mormorò.
Il silenzio della mattina rimase l'unico spettatore del suo cordoglio.
Nel fascio obliquo della luce del sole, Agni danzava sulle note allegre
di un flauto.
Circa due ore dopo, Merneith venne a comunicarle che le coppie delle
semifinali erano già state decise e che lei avrebbe
gareggiato la mattina seguente. Nemeria immaginava che ci fosse lo
zampino di Tyrron e che il suo scopo fosse quello di lasciarla
riposare, ma non aveva nessuna intenzione di rimanere tutto il giorno
in infermeria.
- Voglio andare a vedere Noriko combattere. -
- Il padrone aveva immaginato che avresti fatto una richiesta del
genere. -
Merneith si fece avanti e depose un cambio d'abiti – una
semplice tunica bianca smanicata e il suo amato paio di endromis
– sullo sgabello. Mentre l'aiutava a vestirsi, Nande
entrò e diede loro il buongiorno. Nemeria notò la
sua espressione contrita, come se disapprovasse. Non poteva rimanere
lì, però. Doveva essere lucida per trovare un
senso alle parole dell'Alta Sacerdotessa e a quei ricordi che aveva
dimenticato di avere. Se fosse rimasta, sapeva che non ce l'avrebbe
fatta. Per quanto Ozgur avesse spalancato le finestre, l'infermeria
odorava di malattia.
Più d'ogni altra cosa, voleva essere la prima a
congratularsi con Noriko quando avrebbe vinto contro Abayomi: per
nessuna ragione al mondo si sarebbe voluta perdere quello scontro.
- Morad ci aspetta qui fuori assieme al padrone. - la
informò Merneith e le porse il braccio con un sorriso
più che cordiale, - Appoggiati pure a me, non devi compiere
sforzi inutili. -
Nemeria accettò volentieri il suo aiuto. Anche se non
l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, era abbastanza sicura che sarebbe
caduta se non ci fosse stata lei a sostenerla mentre scendevano le
scale.
Mentre camminavano per i corridoi, diversi occhi si posarono su di lei.
Non erano solo quelli degli allievi, ma anche quelli dei servi, dei
soldati, di molte persone con le quali non aveva mai scambiato una
parola. Tutti le sorridevano meravigliati, richiamando l'attenzione del
compagno con una gomitata o con uno schiocco di dita.
- Comincia ad abituarti: tra poco avrai bisogno di una scorta anche qui
dentro. -
L'affermazione di Merneith aveva una nota scherzosa, ma Nemeria non
faticava a immaginarsi così famosa. Il calore nel petto si
espanse e il sorriso sulle labbra si allargò ancora di
più.
Sulla strada, fecero una deviazione verso il panificio di Branka,
quello dove lei, Morad e Bahar si erano fermati la seconda volta che
andata in arena. Oltre alla ragazza, c'era un'anziana signora con le
braccia e il collo tatuati con ramoscelli, cerchi e croci di colori
sbiaditi. Aveva un marcato accento straniero e la parlata sihamnstica
saltava, sostituita da spezzoni di frasi in una lingua che Nemeria non
capiva. Era Branka a recuperare il filo della conversazione, traducendo
per loro quello che sua madre aveva detto. Tyrron pagò una
pita di formaggio e spinaci a tutti e, mentre mangiavano, si avviarono
all'arena. Nemeria terminò l'ultimo boccone della sua
colazione quando si sedette sugli spalti, tra Tyrron e Merneith.
- Speriamo che abbia capito. - sospirò Tyrron, accavallando
le gambe, - E se così non fosse, penso che avrò
bisogno di un buon bicchiere di vino quando tornerò a casa.
O magari tre. -
Uno squillo di tromba annunciò l'entrata in scena dei
gladiatori. Noriko aveva il tessen infilato nella cintura alla vita e
avanzava tranquilla, con quel suo passo leggero che sollevava appena la
sabbia. Abayomi aveva tutto fuorché un atteggiamento
marziale: non appena uscì, incrociò in alto le
due spade corte e si profuse in diversi inchini, scoccando baci qua e
là alla platea. Nemeria non sapeva se trovava più
odiosa la sua sfrontatezza o il fatto che fosse davvero arrivato fino a
lì.
- Dunque, alla fine è giunto il momento. -
ghignò, mulinò le spade e schioccò la
lingua contro il palato, - Che dire, speravo di scontrarmi con la dolce
fiammella, ma questa volta la fortuna ha giocato a mio sfavore. -
Noriko aprì il ventaglio. Le acclamazioni cessarono, ridotte
a un brusio così basso che Nemeria poté udire
chiaramente lo schiocco metallico del tessen.
- So che non vedi l'ora che la tromba suoni per saltarmi addosso. Anche
se sei una donna silenziosa, riesco a leggere l'odio che provi negli
occhi. Sotto certi aspetti, somigli molto alla tua amica, solo che tu
fai finta di ignorarmi. Se sapessi combattere come si deve, sarebbe
stato uno scontro quasi alla pari. -
Sembrava stesse leggendo un copione. Qualcuno, nelle file
più indietro rise e domandò a chi si stesse
riferendo Abayomi. Tyrron le lanciò un'occhiata in tralice,
che Nemeria finse di non notare. Cosa stavano aspettando a dare inizio
allo scontro?
- Quindi, ieri notte, ho pensato a un modo per movimentare il nostro
incontro. - tirò fuori da sotto l'armatura il ciondolo con
la pietra di luna e lo alzò in alto, in modo che anche il
pubblico potesse vederlo, - Facciamo una scommessa: se riuscirai a
battermi, io ti ridarò questa bellissima collana, tanto
preziosa per la nostra fiammella. Se invece perderai... -
ghignò e si rivolse al pubblico, - Se perdesse, voi cosa
vorreste che la costringessi a fare? -
- Che divenga la tua schiava, Abayomi! - gridò un uomo dalle
ultime file.
- Se vinci, devi farla rotolare nel fango come la cagna che
è! -
- Falla spogliare! Vogliamo vedere se le tiannesi hanno le tette! -
Piovvero altre richieste, una più umiliante dell'altra.
Nemeria strinse così forte i denti da farli scricchiolare.
Abayomi non rideva, ma non si difece dell'espressione strafottente.
- Signori, le vostre proposte sono tutte molto interessanti.
È un vero peccato che per ogni scommessa si debba scegliere
un solo e unico pegno. - si sistemò la pietra di luna sotto
l'armatura ed esclamò, - Noriko, se perderà,
dovrà inginocchiarsi e implorare pietà! -
Il pubblico esplose in un'ovazione assordante. Nemeria
scrollò la testa per scacciare la patina rossa che le aveva
coperto la vista.
- Accetti i termini della nostra scommessa, bambolina? Oppure
è troppo umiliante per te? -
Noriko fissò Abayomi da dietro il ventaglio, calma come lo
era quando era entrata. Quando non rispose, la tromba suonò.
Chiuse il ventaglio e vibrò un affondo diretto al centro
della fronte. Abayomi deviò il colpo e costrinse Noriko a
indietreggiare per evitare che una delle sue spade le aprisse uno
squarcio sotto l'ascella. Riguadagnò la distanza di
sicurezza e si mosse intorno a lui, dapprima a sinistra, poi a destra,
senza alzare quasi un un granello di sabbia.
- Cos'è, hai paura? - la provocò.
Abayomi si era riposizionato, una spada inclinata sopra la testa,
l'altra rivolta in avanti, le punte di entrambe allineate sui lati di
un triangolo immaginario.
- Vai, Noriko! - Nemeria si alzò in piedi e mise la mano sul
lato della bocca, - Sei la migliore! -
Noriko non guardò nella sua direzione. Intorno a lei si
alzò un mulinello d'aria che le ingrossò la
tunica e le scompigliò i capelli. Sferrò tre
pugni in rapida successione. Un proiettile a forma di freccia
colpì Abayomi alla spalla, un altro al fianco e un ultimo,
un dardo sottile come un ago, si abbatté sul petto,
sbalzandolo a terra.
- Rialzati, Abayomi! -
- Non puoi perdere! -
Abayomi si massaggiò il petto, si diede slancio con le gambe
e si rimise in piedi. Si pulì la striscia di saliva
all'angolo della bocca e prese la rincorsa. Noriko abbassò
il baricentro e allungò una gamba all'indietro. Descrisse
una mezzaluna col braccio, aprì e chiuse il ventaglio, per
poi portarlo in un affondo sulla linea dello sguardo. Di nuovo l'aria
si piegò al suo comando e saettò contro Abayomi.
La corsa, da dritta, divenne una linea spezzata di movimenti a zigzag.
Per ogni colpo schivato, si innalzava un'esplosione di sabbia, come se
la terra fosse stata colpita da una violenta frustata. Abayomi
però continuava, incurante di tutto, appena più
lento di quando era scattato.
Una sferzata alla coscia lo mandò a terra, ma
rotolò di fianco e si rimise in piedi, mentre la sabbia
schizzava in alto a ogni pestone di Noriko. Più avanzava
verso di lei, più i colpi si facevano forti e precisi. Uno
lo prese dritto sul viso e lo mandò con le gambe all'aria,
dritto disteso sulla schiena. Non ci fu stasi, perché
Abayomi balzò di nuovo in piedi e schivò un dardo
d'aria dall'alto. Deviò verso sinistra, si portò
quasi sotto la balconata e riprese a correre. Si buttò a
terra e rotolò mentre sopra la sua testa passavano le frecce
d'aria; fece perno sulla gamba e in uno scatto riguadagnò
distanza.
Noriko aprì il ventaglio e falciò l'aria davanti
a sé, un tondo da destra a sinistra che innalzò
un forte vento. Abayomi aumentò l'andatura,
eseguì una breve piroetta e lanciò la spada. La
lama sibilò attraverso l'aria e tagliò la frusta
di vento. Noriko riuscì appena a scansarsi per evitare di
essere trafitta. Si asciugò il sangue che stillava dal
taglio sotto lo zigomo, arretrò d'un balzo, sfuggendo a un
fendente ravvicinato, sferrò un pugno e si
abbassò sulle ginocchia. L'aria colpì dal basso
Abayomi, lo sollevò di tre piedi da terra e poi lo
schiacciò.
Molti si alzarono in piedi per applaudire. Tyrron, invece, rimase con
le braccia incrociate sul petto, con lo sguardo fisso sulla scena.
- Visto? Ce l'ha fatta! - esclamò Nemeria, - Non sei felice?
-
- Sarai anche una brava gladiatrice, ma ti manca il giusto spirito di
osservazione. L'incontro non è mai cominciato. -
- Che intendi? -
Un "oh" sbalordito la costrinse a voltarsi: Abayomi si era alzato e si
stava togliendo la polvere di dosso con gesti annoiati, come se non
fosse accaduto nulla.
- Cos'è che hai detto prima? Ah, sì, che "volevi
porre fine a questa pagliacciata". Che peccato che tu la definisca
così, mi sono impegnato tanto per diventare il migliore. Ma
è un bene che tu mi abbia scoperto: adesso posso fare sul
serio. -
Abayomi la caricò. Schivò la sventagliata,
riprese la spada e le balzò addosso. La incalzò
in una serie di colpi fulminei, pressandola in modo da costringerla ad
indietreggiare. Noriko arretrò, senza riuscire a passare al
contrattacco. Non faceva nemmeno in tempo a deviare la prima lama che
doveva già alzare una difesa contro l'altra.
Saltò e Abayomi la seguì. Le calciò la
sabbia negli occhi, fece una finta e menò un fendente a
distanza ravvicinata. Ruotò quando Noriko
piroettò indietro. Non appena lei si fermò, lui
affondò, distendendo tutto il gomito e il braccio. Noriko si
accucciò, spostando il peso da sinistra a destra, e
scattò via, rapida come un gatto.
- Quello non è leale! -
- No, non lo era. - confermò Tyrron.
Nemeria non sapeva come interpretare quella sua
tranquillità. Non capiva nemmeno come riuscisse a restare
calmo.
- Perché non interrompono lo scontro? Quel colpo poteva
ammazzarla! -
- Perché piace. Finché nessuno dei due si ferisce
sul serio, Abayomi può fare quello che vuole. -
- Quando la ucciderà, sarà troppo tardi per
intervenire. -
Tyrron non rispose e Nemeria dovette inghiottire il suo bolo d'insulti
prima di tornare a guardare lo scontro.
Noriko non faceva altro che deviare e schivare. Anche quando riusciva a
oltrepassare la difesa di Abayomi, i suoi colpi avevano meno forza e si
trovava costretta a cambiare bersaglio, dal collo alla spalla, dal naso
alla guancia. Un'esitazione di una frazione di secondo che a lui
bastava per cambiare combinazione. Attaccava così in fretta
che per Noriko era impossibile reagire.
"Ce la devi fare, forza!"
Noriko arretrò e caricò un pugno al fianco.
Abayomi ruotò di qualche pollice, inclinò la
schiena e le diede una spallata abbastanza forte da incrinare il suo
equilibrio. Sfruttò la sua perdita di concentrazione per
attaccarla. Una lama addentò la tunica all'altezza del
braccio e l'altra, in un fendente diagonale, la ferì alla
spalla opposta. Noriko si distanziò con un repentino salto
all'indietro e rimase a fissarlo immobile. La sua espressione
impassibile la faceva sembrare una statua in attesa. Abayomi le corse
incontro e descrisse due ampi tondi all'altezza del collo. Noriko non
si mosse.
- Togliti! - urlò Nemeria e anche qualcun altro nel pubblico.
Le spade si chiusero sotto la mandibola come una forbice. Il filo delle
due lame premette contro la pelle. Abayomi ghignò e la pelle
bruciata si tese sulle ossa sporgenti del suo teschio.
- Che sfortuna, anche questa volta mi hai scoperto. Sei proprio una
guastafeste. - gettò entrambe le armi a terra e
alzò le mani, - Mi arrendo. -
Noriko lo afferrò per le spalle e lo tirò a
sé. Raffiche di vento sollevarono la sabbia in sferzate
violente.
- Oh, la bambolina si è arrabbiata? Allora hai dei
sentimenti, lì dentro. Se avessi tirato fuori questa grinta
prima, forse non mi sarei stancato di giocare con te. -
Nemeria non riuscì a sentire la risposta di Noriko, ma la
sua espressione furiosa parlava per lei. Abayomi, però,
scoppiò in una grassa risata. Le grate vennero sollevate e
le guardie li accerchiarono.
- Lascialo andare. - le intimò il capitano.
- Dagli retta. Insomma, la nostra cara fiammella ha già
perso un amico. Sarebbe tragico se perdesse anche te, non trovi? -
Abayomi gettò la testa all'indietro per incrociare lo
sguardo di Nemeria col suo unico occhio. Sapeva che era lì,
lo aveva sempre saputo, e quando la trovò, si
passò la lingua sulle labbra secche.
- Asira, lascialo andare. Non ho intenzione di ripeterlo una seconda
volta. -
I soldati sguainarono le spade e si fecero più vicini.
Noriko lo sollevò ancora più in alto senza che
lui opponesse resistenza. Quando lo scaraventò a terra e gli
strappò la pietra di luna dal collo, Abayomi rimase
interdetto e poi scoppiò a ridere. Non aggiunse altro,
nemmeno quando i soldati li scortarono fuori dall’arena.
- Non è andata così male. - commentò
Morad.
- Di sicuro è andata meglio della volta scorsa. - Tyrron si
volse verso Nemeria, - Non ho voglia di rimanere qui a vedere le altre
esibizioni. Andiamo a recuperare Noriko e vi riporto indietro. -
Bahar e Noriko erano fuori dagli spogliatoi ad aspettarli. Una volta
tornati alla Scuola, dopo un inchino si separarono.
- Ho bisogno di un bagno, e anche tu. - disse Noriko.
Nemeria non poté che annuire. Forse sarebbe stato saggio
parlare prima con Nande per far controllare il braccio, ma aveva
bisogno di lavarsi di dosso il sudore e la sensazione di sporcizia che
lo sguardo di Abayomi le aveva trasmesso. Passarono in camera giusto
per prendere un cambio e si diressero alle vasche. Noriko si immerse
del tutto, mentre Nemeria dovette accontentarsi di avere
l’acqua solo fino alle ginocchia.
- Questo è tuo. -
Noriko poggiò la spugna con cui le stava lavando la schiena
e le legò il ciondolo attorno al collo. Le fiamme di Agni si
affievolirono fino a diventare un crepitare di braci.
- Non avresti dovuto rischiare tanto per me. -
- Invece sì. So quanto significa per te. Non fare del mio
meglio sarebbe stato un’offesa nei tuoi confronti. -
Nemeria sfiorò con la punta delle dita la superficie liscia
della pietra di luna. Eccola lì, era di nuovo tutto come
doveva essere.
- Grazie… sono in debito con te. -
- No, non lo sei. -
Come a voler chiudere la conversazione, Noriko scivolò di
nuovo nella piscina e si abbandonò con la testa contro le
sue gambe. I capelli rossi galleggiavano sul pelo dell’acqua,
aperti come i petali di un gigantesco anemone.
- Cosa intendevi con “porre fine a questa
pagliacciata”? -
- Che mi ero stufata di essere presa in giro. Vedevo che non riuscivo a
colpirlo, ma lui continuava a fingere di incassare. -
- A fingere di incassare? -
- Sì, finché non ha deciso che aveva voglia di
applicarsi. -
Nemeria non riusciva a crederci. Lo aveva visto coi suoi occhi cadere e
aveva gioito per ogni colpo andato a segno, così come i
pochi sostenitori di Noriko. Aveva davvero creduto che stesse andando
tutto bene, finché non aveva guardato Tyrron.
- Era tutta una recita… -
Noriko annuì e volse lo sguardo verso il soffitto.
- E come facevi a sapere che non ti avrebbe uccisa? -
- È troppo astuto per fare una cosa del genere.
Ciononostante, non ne ho avuto la certezza finché non ha
cambiato bersaglio. - si abbracciò, passando le mani sulla
spalla e sul braccio dove, prima che i curatori intervenissero, ci
sarebbero dovute essere le due ferite, - Allora ho capito che stava di
nuovo recitando. -
Nemeria si mordicchiò le labbra, poi passò a
tormentarsi le dita.
- Al tuo posto, non so se avrei avuto così tanto coraggio. -
ammise.
- Ho solo valutato la situazione. Se non fossi stata sicura che si
sarebbe fermato, non lo avrei fatto. - Da dietro le ciglia schiuse, le
sue iridi avevano assunto la stessa sfumatura del cielo dopo un
terribile temporale, un azzurro intenso. Nemeria si piegò
sopra di lei e catturò un ciglio.
- Sopra o sotto? -
- Cosa? -
- Devi capire se il ciglio sarà sul dito di sopra o sul dito
di sotto. Se indovini, il desiderio che esprimerai si
avvererà.
-
Noriko rimase in silenzio, come se stesse soppesando la sua proposta.
- Sotto. -
Nemeria aprì le dita e le mise il pollice davanti al naso.
- Esprimi un desiderio. Non devi dirlo ad alta voce, però. -
- Perché? -
- Perché sennò non si realizza, ovvio. -
- Va bene, come vuoi. -
Tacque per un po’, galleggiando a braccia e gambe aperte. Si
chiuse il naso e immerse la testa un paio di volte, finché i
capelli non le scivolarono tutti all’indietro, in una chioma
compatta e in ordine.
- Andiamo. -
- Hai espresso il desiderio o hai solo fatto finta? -
- Hai detto tu di non dirlo ad alta voce. - si issò sul
bordo e poi l’aiuto ad alzarsi, - È ora di pranzo.
Sarai affamata. -
- No, non molto. E non guardarmi così! -
- Così come? -
- Come se stessi dicendo una cosa stupida. -
Noriko abbozzò un mezzo sorriso e le elargì una
carezza sulla testa, prima di darle le spalle per vestirsi.
All’ora di pranzo, venne servita la solita porzione di
legumi, uova e carciofi, accompagnata da una fetta di pane nero.
Nemeria si sedette a tavola e, ancor prima di realizzare che cosa ci
fosse nel piatto, le si aprì un buco nello stomaco che la
indusse a prendere le posate e a divorare tutto sotto lo sguardo
divertito di Noriko.
- Non dire niente. - la minacciò con la forchetta e la sua
amica tornò a mangiare, facendo finta di niente.
Né Durga né Ahhotep si fecero vedere. Nemeria
gettò di tanto in tanto un’occhiata
all’entrata e scandagliò i visi dei pochi
gladiatori che erano in refettorio con loro. Insistette per rimanere
ancora lì ad aspettare anche quando entrambe avevano finito
il pasto. Quando l’ultimo allievo rimise a posto il vassoio e
uscì, capì che non le avrebbe viste quel giorno.
- Forse dovremmo andare controllare se Durga sta bene. - disse, mentre
si avviavano in infermeria.
- Durga sarà la tua avversaria, domani. Se vedessi che si
sente male, durante lo scontro non daresti il meglio di te. -
- Ma Durga è una mia amica. Non posso starmene qui con le
mani in mano. -
- Anche se andassi da lei, non potresti fare nulla. -
sospirò e la costrinse a fermarsi sulla soglia
dell’infermeria, - Lo so che le vuoi bene, ma non devi
perdere di vista l’obiettivo. Come ti ha detto Tyrron, non
puoi più permetterti ripensamenti. -
Nemeria aggrottò le sopracciglia. Prese tra indice e medio
la pietra di luna e la fece rotolare tra le due dita.
- Se dovessimo finire noi due in finale? -
Noriko non rispose subito. Ritirò la mano dalla sua spalla e
se la passò sul collo, mentre faceva scrocchiare i muscoli
delle spalle.
- Riavere la palla di pelo è la tua priorità.
Tutto il resto viene dopo. -
- Anche se il mio avversario fossi tu? -
- Sì. -
Aprì la porta e le fece cenno di entrare. Era il suo modo di
chiudere la conversazione e Nemeria capì che non era il caso
di insistere: quella indecisa era sempre stata lei, non Noriko.
Dopo la visita di Nande, il resto del tempo fino a sera trascorse quasi
senza che lei se ne accorgesse, tra gli esercizi per richiamare
l’elementale e gli allenamenti di Noriko. Ora che aveva di
nuovo la pietra di luna, attingere al potere di Agni le veniva
più difficile, anche se non di molto. La corda, quando
discendeva, si impigliava con maggiore facilità tra le
rocce, ma le bastava uno strattone, un impeto di volontà, e
riusciva a incanalare le fiamme sul palmo.
La sera cenarono da sole. Quando finirono e si avviarono in stanza,
Nemeria si fermò sulle scale: una delle ultime porte era la
stanza di Durga e Ahhotep. La distanza di pochi passi sembrava un
abisso.
- Nemeria, è tardi. Andiamo. - la esortò Noriko.
Nemeria indugiò, un piede a metà tra lo scalino e
il corridoio di pietra. Noriko si allontanò, lasciandola a
fare i conti con la sua scelta. Anche se stemperata,
l’amarezza era più straziante di un coltello tra
le costole. E mentre saliva le scale, Nemeria si sentì la
peggiore amica del mondo.
- ****! ***************!
– Nemeria smise di
intrecciare la corona di fiori e alzò lo
sguardo. *****, Dendera e Chione le vennero incontro e si sedettero
vicino a lei. - Vorrei finire qui. Mia
mamma non sta molto bene e ci tenevo a
portarle un regalo. - - Però quando
finisci, se non vieni a giocare con noi mi
arrabbio. - Dendera finse di
imbronciarsi. Sua sorella Chione le aveva appena
tagliato i capelli a caschetto, forse nella speranza di domarli.
Secondo Nemeria stava meglio prima, ma sapeva che la sua amica non
avrebbe accettato nulla all’infuori dei complimenti. - Sbrigati a finire. Ce
ne manca uno per giocare a palla avvelenata e
tu ora stai meglio. Stai meglio, giusto? - - Sì. Mamma
ha detto solo che devo stare attenta e cercare
di non sudare. - - Allora forse sarebbe
meglio se tornassi in tenda, no? - Nemeria le
riservò l’occhiata più truce
del suo repertorio. Da quando Chione era diventata amica di Ziba, non
riusciva a sopportarla. Voleva sempre estrometterla da tutto e si
divertiva a prenderla in giro alle sue spalle, quando pensava che lei
non potesse sentire. Come facessero Dendera e ***** a non risponderle
male era un mistero. - Sto bene. -
ripeté, scandendo le parole, e si rivolse di
nuovo a Dendera, - Tra poco ho finito. Intreccio gli ultimi fiori e
sono da voi. - Chione storse il naso,
ma non disse nulla. Aiutò sua sorella
ad alzarsi e tornarono nello spiazzo di terra che era stato adibito a
campo da gioco per comunicare la decisione agli altri. Ziba
sbuffò e Chione le si accostò
all’orecchio, sussurrandole qualcosa che la fece ridere. “La
detesto.” Nemeria agitò
le mani e attese che il calore regredisse: non
voleva dare fuoco né alla corona di fiori né al
prato, anche se la tentazione di mettere la mano rovente sulla faccia
di Ziba era tanta. Prese un bel respiro profondo, come le aveva
suggerito Etheram, e riprese il lavoro. La rilassava, in un certo
senso. Non le piaceva attendere o stare ferma, ma quando
l’anno precedente si era rotta il braccio era stata costretta
in tenda così a lungo che alla fine si era dovuta trovare
qualcosa da fare. E occuparsi delle piante di sua mamma si era rivelato
divertente, soprattutto quando Hediye le aveva insegnato a intrecciare
i fiori in bracciali e corone. -
*****************************. - Nemeria si interruppe e
aggrottò le sopracciglia. ******* si
stagliava contro il sole e proiettava la sua ombra su di lei. In
controluce, sembrava ancora più sottile di quello che
già era. - Fa nulla. È
lei la stupida se si comporta così.
- Pensava che ******* se
ne sarebbe andato, invece rimase lì a
farle ombra. Quando rialzò lo sguardo, vide che la stava
ancora fissando. Anche se in quella figura indefinita di luce non
riusciva a vedere il suo volto, sapeva che era lei il fulcro della sua
attenzione. - **************? - - Stasera? Non lo so.
Non credo, in realtà. Mamma non sta
molto bene e volevo stare un po’ con lei. - Lui annuì. Si
accucciò davanti a lei, spostando
il peso da una gamba all’altra un paio di volte, prima di
decidersi a sedersi. Colse una margherita con i petali stropicciati
macchiati di fango e gliela porse. - Non mi serve, grazie.
Ne ho già raccolte un po’,
vedi? - con un cenno del mento gli indicò il mazzetto che
teneva a portata di mano, - Anzi, ne ho prese anche troppe. - - *********************.
- Nemeria non si rese
conto che stava sorridendo quando prese il fiore. - Davvero è
per me? - - *****. - - Sei gentilissimo,
grazie. - Portò la
margherita sotto il naso e ne inspirò il
profumo. ****** si spostò più vicino a lei e
intrecciò le dita sopra le ginocchia. La tensione che gli
irrigidiva le spalle le fece capire che aveva altro da dirle e, anche
se Nemeria scalpitava e si sentiva le orecchie in fiamme, si morse la
lingua e aspettò che fosse lui a parlare per primo. - ********************? - - Ma le stelle sono
infinite, perderemmo il conto subito! - - ******* - si
mordicchiò le labbra e inclinò la
testa di lato, - ***************************. - Stavolta fu Nemeria a
distogliere lo sguardo. Strinse al petto la
margherita e se la infilò tra i capelli, sopra l'orecchio.
Non riusciva a smettere di sorridere. - Sono sicura che mamma
mi dirà di sì. E anche se
non mi desse il permesso, verrò. Dove ci troviamo? - -
*************************? - - È quella
vicina ad Asa, giusto? - Lui annuì e
scavò due piccoli ventagli nella
terra con la punta dei piedi. Si stringeva le ginocchia come se fossero
la sua unica ancora di salvezza. -
******************************************************.
- Nemeria sciolse le prime
tre dita e le incastrò con le sue.
Viste così, dalla sua angolazione, sembravano gli anelli di
una catena. Una in via di forgiatura, per quanto le sentiva
calde.****** alzò il capo e le scoccò un sorriso
lieve, impacciato. Liberò anche l’altra mano e la
lasciò scorrere sugli steli degli altri fiori che, subito,
si allungarono, intrecciandosi da soli in una ghirlanda. -
************************************. - Nemeria
ridacchiò. Impilò le due corone e si
alzò, tirandolo su con lei. - Stiamo in squadra
insieme? - -
***************************. - Nemeria gli diede un
buffetto sulla guancia. Erano morbide e tonde,
come le sue, con una leggera peluria simile a quella sulle bucce di
pesca. - Certo che mi va. -
mentre camminava si voltò, lo prese per
l’altra mano e lo strattonò per fargli capire di
muoversi, - Corri, o Ziba comincerà senza di noi. -
"Le
favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i
bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i
draghi possono essere sconfitti."
GK
Chesterton.
- Nemeria? - la
chiamò Noriko, - È ora di alzarsi. -
Nemeria aprì gli occhi cisposi e si lasciò
aiutare a mettersi seduta. Per impedire che i pensieri le saltassero
addosso, corse a vestirsi con le prime cose che trovò
nell’armadio.
- Sei agitata? - le chiese Noriko.
- No, non molto. - mentì.
- Stanotte hai parlato più del solito. -
- Cosa ho detto? - indagò con voce rotta, - Dimmi
che ho detto un nome, ti prego… -
- Nemeria, che succede? Hai fatto un brutto sogno? Ti è
tornata in mente la tua famiglia? -
Nemeria scosse con veemenza la testa e si morse le labbra fino a farsi
male.
- Il nome… non riesco a ricordare il suo nome o il suo viso.
- si conficcò le unghie nei palmi e inghiottì il
bolo amaro che le ostruiva in gola, - Più ci provo,
più mi sembra di dimenticare e io non voglio! -
- Dimenticare? Non capisco... -
- Lui era importante per me e ora è come se non fosse mai
esistito! - singhiozzò.
- Ma chi? Di chi stai parlando? -
Si bloccò. Di chi stava parlando? Perché si stava
disperando così per un sogno?
“È molto più di questo.”
- Nemeria, calmati. Inspira ed espira. Fai come abbiamo sempre fatto
quando meditavamo con Sayuri. -
Si stropicciò gli occhi e si concentrò
sull’aria che entrava e usciva dal naso. I suoi,
più che respiri, erano spasmi: i polmoni non si dilatavano
abbastanza, erano come congelati, pieni di brina e pietre aguzze. Era
così doloroso che non riusciva nemmeno a parlare.
Un rapido bussare le incastrò l’ossigeno tra
sterno e diaframma.
- Ragazze, siete sveglie? -
Era la voce di Merneith. Con lei c’erano sicuramente anche
Bahar, Morad e Tyrron. E lei era mezza nuda, con la kandys nuova
stretta al petto e gli occhi arrossati.
- Sì, un attimo, finiamo di vestirci. - rispose Noriko.
La spinse per farla sedere sul letto, recuperò le calige e
le chiuse i primi lacci sui piedi.
- Stai calma. Qualsiasi cosa tu abbia sognato, adesso non è
importante. Tieni a mente il tuo obiettivo, va bene? -
La fissò e Nemeria capì che si aspettava una
risposta.
- Sì… -
- Bene. Ora sbrigati, dobbiamo uscire tra poco. -
Si vestirono in fretta e furia. Al secondo paio di colpi, Noriko
strinse la coda sulla nuca, prese Nemeria sottobraccio e
aprì la porta.
- Credevamo vi foste riaddormentate! - esordì Bahar per poi
aggrottare le sopracciglia, - C’è qualcosa che non
va? -
- È solo agitata, tutto qui. - spiegò Noriko, -
Abbiamo tempo per andare in infermeria a far controllare il braccio? -
- Sì, è uno degli ordini del padrone. Noi due vi
aspettiamo nel cortile centrale. Forza, siamo già in ritardo
sulla tabella di marcia. -
- Agli ordini. -
Noriko la trascinò nei bagni e si prese cura di lei. Non
pretese che Nemeria facesse nulla né la
rimproverò, limitandosi a dirle cosa fare e, quando vedeva
che si imbambolava, a farla al suo posto.
- Tieni a mente l’obiettivo. - le ripeteva.
Era difficile rimanere in sé quando i pensieri nella sua
testa volteggiavano come uno stormo di uccelli impazziti. Nemeria li
poteva sentire mentre raschiavano dall’interno per uscire.
Premevano da dentro i timpani e da dentro l’incavo delle
orbite. Dovette sbattere spesso le palpebre, perché sapeva
che, se non l’avesse fatto, le sarebbero esplosi gli occhi.
- Scusami, non riesco… -
- Ti direi che questo giorno non è importante, ma lo
è. - mormorò Noriko, - Devi impressionare Koosha
per riavere la tua palla di pelo, ricordi? -
- È che ho bisogno di capire che cosa significano questi
sogni! Perché mi fanno stare così male? -
- Dopo, Nemeria, non adesso. Dopo questo scontro potrai pensare a tutto
quello che vuoi. Se non farai del tuo meglio, te ne pentirai. -
Lo sapeva, così come sapeva che sarebbe stato difficile
arginare il flusso incontrollato di pensieri nella sua testa.
- Ci devi provare. Per poche ore devi fare in modo che il pubblico ti
ami. - le disse decisa, poi le diede un bacio sulla fronte e
catturò una lacrima sulle dita, - Queste donale solo a chi
le merita davvero. -
Nemeria si passò una mano là dove il calore delle
sue labbra persisteva e, annuendo, abbozzò un sorriso. Non
era molto, ma parve abbastanza per Noriko, che la precedette
nell’infermeria.
Nande diede una controllata al taglio, lo disinfettò e la
liquidò subito con uno sbrigativo cenno del capo. Anche se
la sua fretta la stupì, bastò il profilo pallido
di Zahra a darle tutte le risposte: stesa sul letto vicino al tavolo,
con il viso lucido di sudore, sembrava un gigante addormentato.
Arrivarono in arena che le entrate erano già intasate e la
folla sgomitava per accaparrarsi i posti migliori. Chi la scorse
arrivare lanciò una specie di urlo belluino, richiamando
l’attenzione su di lei. Se non fosse stato per il manipolo di
guardie al soldo di Tyrron e per l’intervento preventivo
delle altre dell'arena, Nemeria non era sicura che sarebbe
sopravvissuta a tutte quelle mani che si allungavano per toccarla. Ma,
anche se era destabilizzante, l’eccitazione le
accapponò la pelle.
- Vado negli spogliatoi con lei. - li informò Noriko.
- Sarebbe meglio che mi seguissi nella cavea, invece. Nemeria ha
bisogno di starsene da sola. - Tyrron si voltò e le fece
segno con la mano di seguirla, - Muoviti, non ho intenzione di
ripetermi. -
Noriko sospirò arresa. Attese che gli altri si
allontanassero un po' e, senza guardarla, augurò a Nemeria
buona fortuna. Poi raggiunse Morad, Tyrron e Bahar improvvisando una
piccola corsetta.
- Andiamo, dai. - la incitò Merneith, sospingendo Nemeria
negli spogliatoi per aiutarla a indossare l'armatura.
Dopodiché se ne andò, lasciando Nemeria da sola,
seduta nella cabina con la shamshir appoggiata sulle gambe. Lo
scoppiettare del fuoco e le lontane acclamazioni del pubblico le
tenevano compagnia. Erano come la polvere che aleggiava
nell’aria e le solleticava le narici.
Quando udì un’altra porta aprirsi, si decise ad
affacciarsi. Una qazam le passò accanto, veloce sulle sue
gambe corte, e Durga si trascinò verso le grate. Nemeria non
poteva dire se l’avesse ignorata di proposito o meno. Anche
se il pensiero l’aveva sfiorata, il fastidio
sbiadì prima di mettere radici.
- Durga…-
La sua amica non si voltò. Come se non avesse riconosciuto
il suo nome, rimase concentrata a fissare un punto al di là
delle sbarre. C’era qualcosa di strano in lei,
un’immobilità che non le apparteneva e che la
ingobbiva, quasi avesse un peso reale a gravarle sulle spalle.
- Non ti senti bene? -
Protese una mano, ma non riuscì nemmeno a sfiorarla. Durga
si allontanò con un balzo e si girò di scatto per
fulminarla con lo sguardo. Nemeria abbassò piano il braccio.
Quella che aveva davanti non era la sua amica, non poteva essere lei.
- Cosa ti è successo? -
La tromba squillò e la grata venne sollevata. Durga
entrò a passo sostenuto nell’arena, tra le urla e
acclamazioni degli spettatori.
Sotto la luce del sole, Nemeria poté vedere lo stato in cui
era ridotta. Gli effetti collaterali delle bacche tanu erano evidenti
nella pelle incavata delle guance, negli occhi iniettati di sangue,
nella pelle pallida tirata su braccia e gambe, nei movimenti bruschi da
spettro affamato.
- Durga, tu non stai bene. Non puoi combattere. - le
sussurrò in tono urgente.
Si sentiva stupida, ma non poteva far finta di nulla. Le si
avvicinò e alzò le mani innanzi a sé,
i palmi rivolti verso l'esterno per farle capire di non avere cattive
intenzioni.
- Noi siamo amiche. Non è una messinscena, siamo…
noi ci vogliamo bene, Durga. Non voglio vincere a tavolino, ma tu non
puoi rimanere qui. Sono certa che Nande saprà prendersi cura
di te. -
Durga taceva. Gli occhi erano opachi, sprofondati nell’orbita
violacea.
- Ti prego, ascoltami. Per favore… -
Il suono della tromba mise fine alla loro conversazione.
Durga sguainò il kilij e la caricò. Nemeria si
tolse dalla traiettoria del suo fendente, richiamò le fiamme
e parò un tondo con la shamshir. Durga attaccò di
nuovo, più decisa, più letale. A ogni parata, il
colpo si ripercuoteva nella spada e nelle ossa.
Il fuoco di Agni ardeva fievole nel petto, appena sufficiente per
alimentare quella piccola manifestazione del suo potere sulla lama.
Sembrava niente in confronto a quello di Durga, che, come un incendio,
zampillava in scintille e lingue rosse attorno a lei. E più
Nemeria la guardava, la sua determinazione di incrinava.
- Durga, basta, smettila! -
Respinse un montante con fatica, scivolò via di tre passi e
la lama tagliò lo spazio dove prima c’era lei.
Durga fu rapida ad erigere le difese. Strinse di più
l’impugnatura e corse verso di lei. Nemeria
attaccò con poca convinzione e le fiamme si abbassarono
ancora di più. La shamshir urtò contro il kilij.
Fu uno schianto così violento da farle tremare polso,
braccio e spalla. Durga saltò indietro, si diede spinta sui
talloni e brandì l’impugnatura a due mani,
preparandosi a sferrare un colpo tremendo. Nemeria strinse i denti fino
a farli scricchiolare e contrasse i muscoli, pronta a respingere
l'attacco. Tuttavia, la stoccata non arrivò mai.
Durga cadde di faccia sul terreno sabbioso dell'arena, come una bambola
a cui erano stati tagliati di fili. Con il kilij ben saldo tra le dita,
lottò per riuscire a sollevare il busto, ma le braccia
cedettero sotto il suo peso.
Nemeria si riscosse dallo sgomento che l'aveva paralizzata e,
rinfoderando la shamshir, le corse incontro preoccupata.
- Ti aiuto io. -
- No! Non mi devi toccare! - gridò Durga, la sua voce
riecheggiò nel silenzio attonito.
Appoggiandosi al kilij, Durga si rimise in piedi. Erano scoppiati altri
capillari e i suoi occhi si erano fatti più annebbiati, come
quelli di un malato.
- Sfodera la spada e attaccami! -
- No. -
- Attaccami! -
- Non lo farò. -
Un brusio sorpreso si diffuse per tutta la cavea.
Frustrata, Durga cacciò un urlo battagliero e la
caricò a testa bassa come un toro. Nemeria parò
il primo colpo con facilità, schivò il secondo e
al terzo oltrepassò la sua difesa. La lama della shamshir
cozzò con quella della kilij. Il polso di Durga cedette, la
spada cadde nella sabbia. La bambina fece la stessa fine un attimo
più tardi. All'udire il tonfo del suo corpo, al vederla
riversa a terra inerte, Nemeria percepì il proprio cuore
venire strangolato da decine di metri di filo spinato.
Gli spettatori più vicini si sporsero oltre la balaustra per
osservare meglio. Tutti trattennero il fiato, il tempo parve dilatarsi
all’infinito. Anche il banditore tacque a lungo,
così tanto che Nemeria temette che non avrebbe
più parlato.
- Signori e signore, la vincitrice è Nemeria! -
annunciò infine.
Gli applausi abbondarono, scrosciando da tutta l’arena.
Durga, però, non si mosse. Nemeria buttò la
shamshir, si inginocchiò accanto a lei e le issò
il busto. Il suo respiro era più sottile di un alito di
vento.
- Qualcuno mi aiuti! - implorò allarmata, - Aiuto!
Aiutatemi! -
Le grate si sollevarono. Nel cerchio di guardie attorno a loro
subentrarono quattro uomini, vestiti con tuniche corte da schiavo.
Avevano una barella.
- Allontanati. - le intimò il capo delle guardie.
Nemeria non poté far altro che obbedire. Mentre portavano
via Durga, il pubblico non aveva ancora smesso di applaudirla.
Ahhotep la fissava con gli occhi sgranati, colmi di rimorso e paura.
- Come hai potuto? - l'accusò Nemeria.
Le labbra e le mani le tremavano, come se fosse indecisa se urlarle
contro o sferrarle un pugno.
- Tu… tu che dicevi di volere solo il suo bene, le hai
permesso di ridursi così? -
La pietra di luna e il collare non erano abbastanza per contenere la
sua rabbia. Con uno scatto le cinse il collo e strinse, per poi
sollevare Ahhotep fino a lasciarla ciondolare a qualche centimetro da
terra. La guardò dibattersi e, quando le parve troppo rossa,
mollò la presa.
Ahhotep barcollò all'indietro, il respiro affannato e gli
occhi pieni di lacrime.
- Ho fatto quello che era necessario. -
- Il necessario?! - sputò, strinse i pugni ai lati del viso
e poi li abbassò, - Ma ti rendi conto di cosa le hai fatto?
Ti rendi conto che… -
- Sì, me ne rendo conto! Va bene?! -
Ahhotep spinse via Nemeria, si girò e si asciugò
le guance umide con stizza.
- Durga aveva paura di combattere. Non voleva nemmeno partecipare a
questo maledetto torneo, ma non poteva certo tirarsi indietro. -
spiegò affranta, - Così ho pensato che, grazie a
quelle bacche, avrebbe trovato il coraggio e la forza di dimostrare
quanto valeva. Una al giorno, pensavo, cosa vuoi che sia? Anche se la
sera era a pezzi e stava male, sarebbe stato solo per poco tempo e poi
tutto sarebbe tornato come prima. -
Si appoggiò spalla alla parete e dalle labbra le
uscì una risata isterica. Nemeria si morse
l’interno della guancia e ricacciò indietro la
bile che le era salita in gola.
- Anche tu le avevi prese. Ho creduto che sarebbe stata meglio,
davvero, anche quando la notte si dimenava in preda ai dolori. -
conficcò le unghie nella carne delle braccia e scosse il
capo, - Stamattina, ho visto che ne prendeva due insieme. Sono stata
stupida a pensare che sarebbero state la soluzione. -
singhiozzò.
- E adesso? Cosa le succederà? -
- Non lo so... - pianse.
- Come puoi non saperlo? Appartenete alla stessa lanista! -
Nemeria la costrinse a fronteggiarla e la bloccò con le
spalle al muro. Ahhotep sussultò spaventata.
- Tara non mi ha detto nulla. Prima che mi facesse riaccompagnare qui,
ho solo visto Koosha che entrava. -
- Koosha? -
Ahhotep annuì.
- L’hanno…? -
- Sì, l’ha scoperta. -
La bocca le si inaridì. Tutta la stanchezza della sera
precedente le franò addosso in un attimo, mozzandole il
fiato. Nemeria si sentiva svuotata. Staccò le mani dal muro
e le fece ricadere lungo i fianchi.
- Andrai a trovarla nei prossimi giorni? -
- Se Tara me lo permetterà. -
Nemeria sospirò e le diede le spalle, abbandonando Ahhotep
nel corridoio.
Le ore successive scivolarono via come pioggia sulle grondaie. La notte
nessun sogno venne a farle visita e durante il giorno Noriko la
evitò. Era il suo modo di ribadirle di non perdere di vista
il suo obiettivo.
Pavona andò a trovarla in un momento di quiete, mentre
Nemeria era sola con i suoi pensieri.
Sei stata molto brava, soprattutto oggi. Spero che non ci saranno
ripercussioni troppo sgradevoli per la tua amica.
- Lo spero anch'io. -
Ti vedo… stanca.
- Lo sono. È stata una giornata difficile. -
C’era un’atmosfera raccolta al campo del fuoco, con
tutti i bracieri disposti lungo il perimetro in una lunga e sfumata
corona di luce.
- Pavona, ti ricordi quando abbiamo parlato della Prima
Verità? -
Certo.
- Sto facendo degli strani sogni. Cioè, sembrano sogni, ma
sento che non lo sono. - giocherellò con la pietra di luna e
sospirò, - È come se fossero ricordi.
Però, se provo a ripensarci quando sono sveglia, non riesco
a vedere un particolare bambino. Non vedo il suo viso né odo
la sua voce. È come... come se non fosse mai esistito, ma so
di averlo conosciuto. -
Pavona si appollaiò sul suo ginocchio. Nei suoi occhi di
corvo Nemeria scorse il riflesso di una mezzaluna tremolante, come se
splendesse sotto uno specchio d'acqua.
Mi dispiace, Nemeria, non posso dirti niente. Ogni Jinian deve scoprire
la verità da sola.
- Ma come posso farlo? E se fossi impazzita? -
Lo sai che non è così.
- Tanto tempo fa, mia sorella mi ha detto che è meglio non
sapere, che la conoscenza genera più domande delle risposte
che elargisce. -
Tu vorresti non sapere?
- Ho paura di quello che potrei scoprire. - espirò esausta e
si alzò, - Devo andare. Domani c’è la
finale e devo essere nel pieno delle forze. -
Capisco. Ero solo venuta a vedere come stavi, ma mi sembri piuttosto
calma.
- Voglio arrivare in fondo a questa storia, scoprire che cosa
c’è in fondo al buio, capisci? -
Se un corvo avesse potuto sorridere, Pavona lo avrebbe fatto.
Quando la scoprirai, sarò con te, lo prometto.
La Notte dei Desideri cadeva ogni anno il 10 Samue, secondo
il calendario dei mortali. Per loro era la notte in cui Heydar, il loro
dio, permetteva agli Spiriti suoi alleati di danzare nel cielo in
libertà. Krittika, l’essenza primordiale del fuoco, era
quello più felice. Correva tra gli astri in forma di volpe e
si lasciava dietro una scia di scintille, mentre in forma di
coccodrillo batteva ozioso la coda, facendo cadere a terra le stelle. Per le Jinian, quella notte era lutto e speranza, primavera e
inverno. Celebravano la morte di Soraya in una lunga processione, per
poi restare a rimirare le stelle, che altro non erano se non le lacrime
della Madre, addolorata per la perdita della sua figlia più
cara. Anche se era un momento di cordoglio che le aveva sempre
messo tanta tristezza addosso, a Nemeria piaceva. Era come se la Dea si
vestisse con i suoi abiti più belli e sfilasse sopra le loro
teste, incurante di tutti i cristalli che si staccavano dalla gonna.
Mentre seguiva l’Alta Sacerdotessa e le Anziane, le pareva
che fossero le invitate al suo matrimonio. Nella sua testa, la Madre
aveva il viso del capo della loro tribù: bella e triste, con
occhi bianchi sempre velati di lacrime. Nemeria se ne stava coi piedi a penzoloni sopra una piccola
altura. Nella piana sotto di lei si estendeva la foresta, e sulla
cresta degli alberi più lontani la luna rimaneva nascosta.
Tonda e luminosa, era come un sole bianco sulla linea
dell’alba. - Nemeria, sei pronta? - la chiamò Hediye. - Guarda! Ho fatto un regalo a Etheram. - Sua madre si accucciò e lei le mostrò
tutta orgogliosa il barattolo con dentro due lucciole. - Oh, che belle! - - Un po’ mi dispiace darle a mia sorella, ma lei ci
teneva molto a vederle da vicino. - Hediye le accarezzò la testa e la treccia che le
aveva fatto giusto qualche minuto prima. Le aveva messo anche delle
piccole margherite tra una ciocca e l’altra. Nemeria si
sentiva un po’ come una principessa. -Vuoi portarle in processione? - - Sì! Così potranno vedere la magia
dell’Alta Sacerdotessa! - Era la parte della processione che preferiva di
più. Bastava un mezzo gesto del bastone degli Spiriti e
tutta la pianura fioriva in una seconda primavera. Cordoglio e
rinascita: le lacrime che fecondavano la terra, il dolore da cui
germogliava una nuova speranza. - Però lì dentro non sono felici. Vedi?
Non brillano nemmeno tanto. - le fece notare la donna. Nemeria si imbronciò. Diede un colpetto al
barattolo e appiccicò il naso al vetro, ma per quanto
cercasse di svegliarle, le lucciole restarono sul fondo. - Magari hanno solo sonno… - - Non possono avere sonno, sciocchina. La notte è
il loro giorno. - - Quindi devo proprio liberarle? - - Non sei obbligata, ma le renderesti felici. Facciamo
così: se le liberi, puoi tenermi la mano per tutta la
cerimonia. - - Ma Etheram non si arrabbierà? - - Sono sicura che capirà. - Rakhsaan scoppiò a piangere. Hediye corse nella
tenda e, quando tornò, aveva il bambino tra le braccia. Lei
gli aveva dato il suo amato pupazzo e ora lo cullava, ondeggiando sul
posto. - Ha fame? - chiese Nemeria. - Credo che voglia solo un po’ di attenzione. Sai,
deve ancora capire che sono la sua mamma. - Nemeria, in realtà, non capiva perché
Hediye dovesse essere la mamma di quel bambino, ma a lei poco
importava: aveva sempre desiderato un fratellino. - Allora, pensi di liberarle? - A malincuore, Nemeria annuì. Balzò in
piedi e diede le spalle alla foresta. - Vado vicino a dove le ho catturate e le lascio
lì, così potranno trovare facilmente la via di
casa. - - Non devi uscire dall’accampamento, ricordatelo.
Anche se ci sono le barriere, al buio rischi comunque di farti male. - - Non preoccuparti, vado e torno. - Stringendo il barattolo tra le mani, corse a perdifiato tra
le tende. Si fermò raramente a riprendere fiato e si nascose
un paio di volte per paura di essere vista da sua sorella o da qualche
sua amica. Lì le voci circolavano in fretta e Nemeria non
voleva che le rovinassero la sorpresa: aveva già in mente
che cos’altro regalarle invece delle lucciole. Aggirò l’ultima tenda e nella linea del
suo sguardo entrarono gli alberi della foresta. Compì un
paio di passi, arrivò fino al confine della luce delle torce
e rimase a guardare l’alone sfumato che pian piano svaniva
nel buio. Sarebbe dovuta andare un bel po’ più in
là per ritrovare il piccolo prato dove aveva catturato le
lucciole.
“Però ho promesso alla mamma che non
sarei andata…” Forse avrebbe potuto liberarle lì, ma come poteva
essere sicura che non si sarebbero perse? La loro luce non poteva certo
guidarle, era troppo tenue. L’Alta Sacerdotessa le passò accanto,
assieme a tutto il corteo delle Anziane. Nel mezzo, Nemeria scorse una
figura piccola e luminosa.
“*****?” Rimase impalata a guardarle avanzare nel buio. I tatuaggi
dell’Alta Sacerdotessa e il bastone degli Spiriti erano le
uniche fonti di luce. Le sembrava strano che non le avessero detto
nulla, superandola senza degnarla di uno sguardo. La
disorientò.
“Potrei seguirle.” Compì un passo nella falce soffusa e si protese in
avanti, finché la sua ombra non si fuse con il nero della
notte.
“Mamma non si arrabbierà se
saprà che sono andata con loro. E poi
c’è *****, quindi glielo potrà
confermare.” - Nemeria. - Etheram l’afferrò per le
spalle e la tirò indietro, - No. Non osare. - La voce di sua sorella era strana. Tremava, come se stesse
per piangere. - Che hai? - - Non devi andare. - ripeté con urgenza. Etheram l'abbracciò e poggiò la guancia
contro la sua spalla: era umida e le lacrime filtravano attraverso la
stoffa. - Non devi andare. - sussurrò. Accanto all’Alta Sacerdotessa apparve
un’altra donna. Vestiva con una lunga gonna rossa e una
fascia ricca di campanellini che sfioravano la punta dei piedi nudi. La
fissava con i suoi occhi rossi al limitare del sentiero erboso, come se
la stesse aspettando. - Etheram… devo andare. - Non sapeva come spiegarlo, ma sua sorella lo intuì
lo stesso. La sua presa si fece più salda. - No, no, ti prego... - Etheram mise le mani sulle sue e sollevò il
barattolo. Le lucciole volteggiavano impazzite, la loro luce
sfarfallava a intermittenza. - Non voglio che tu sia libera. - sibilò. - Cosa... perché?! Perché non vuoi
lasciarmi andare? - singhiozzò Nemeria. Si dimenò più che poté, ma
più si agitava, più la stretta di Etheram
diventava forte. Quando cominciò a mancarle l’aria,
l’Alta Sacerdotessa e il suo corteo si persero nella nebbia.
Solo la donna con gli occhi rossi rimase definita, la sua mano protesa
verso di lei. - Perché la verità ti
renderà infelice. - bisbigliò Etheram con le
guance rigate di lacrime, - E io preferisco vederti morta piuttosto che
infelice. -
Nemeria si destò di soprassalto, annaspando in cerca d'aria.
La voce lontana di Noriko le disse che andava tutto bene e due braccia
familiari la avvolsero in un bozzolo caldo. Si premette le mani sul
cuore per smorzare il dolore, ma esso filtrava tra le dita come sangue.
- Era solo un brutto sogno. - la rassicurò Noriko,
baciandole dolcemente le labbra tremanti, e la trascinò
distesa sul letto, - Ci sono io qui con te. -
Andò avanti a ripeterglielo fin quasi all'alba, quando
Nemeria cedette di nuovo alla stanchezza.
Più tardi non seppe nemmeno lei dove trovò la
forza di alzarsi. Congedò con un gesto stizzito Merneith,
salutò Bahar e lasciò che il timone ai gesti
automatici che il suo corpo aveva imparato, mentre la mente vagava
senza meta da un ricordo all’altro.
I suoi capelli non erano ricresciuti abbastanza per meritare ancora il
trattamento di un pettine, ma prese comunque in prestito quello di
Noriko. Lo passò tra i ciuffi da istrice, usando la mano per
ravvivarli.
I pensieri rimasero intrappolati tra i denti e caddero sul pavimento
umido. Nemeria li calpestò, si buttò
l’acqua sulla faccia e inspirò fino a farsi dolere
i polmoni. Poi espulse l'ossigeno e, con esso, il miasma oscuro che
l'avvelenava.
“Non era mia sorella. Lei non mi avrebbe mai detto una cosa
del genere.”
Se non un sogno, allora cos'era? Un ricordo in cui era subentrata Agni?
Una visione che seguiva la scia di qualcosa che non riusciva a
rammentare? Non aveva senso.
Strinse la pietra di luna e ne fissò il lucore sul palmo
della mano. Era fredda.
“Non posso fermarmi ora. È troppo tardi per
tornare indietro.”
Rinfilò la collana sotto la tunica e tornò in
camera. Noriko non c’era già più. Anche
se avrebbe dovuto immaginare che l’avrebbe tenuta a distanza
fino all’inizio dello scontro, le suscitò una
sensazione strana non trovarla lì ad aspettarla. Si
vestì in fretta e si precipitò giù
dalle scale.
La scorta si chiuse non appena al gruppo si aggiunse anche lei. Noriko
camminava di fianco a Bahar. Nemeria, invece, aveva preso Merneith
sottobraccio. Anche se la serva era vecchia e raggrinzita,
l’impressione era che fosse lei a sostenerla, e non il
contrario.
- Fa' del tuo meglio, oggi. - le disse Merneith con un sorriso sdentato.
Nemeria seguì con gli occhi la sua figura traballante mentre
usciva, poi andò a prendere la shamshir. Strofinò
la lama contro i calzoni e se la rigirò più volte
tra le mani. Nonostante il calore, il metallo non si era deformato.
- Sono le contaminazioni di oricalco. -
Noriko era appoggiata a ridosso delle sbarre. Le gambe distese in
avanti delineavano un triangolo perfetto tra l’ombra e la
parete.
Nemeria si avvicinò all’imboccatura del corridoio
e le augurò buona fortuna.
- La fortuna non esiste. -
- È solo un modo di dire. -
Il suono della tromba interruppe il loro momento. Dall'arena, giunsero
alle loro orecchie le grida entusiaste del pubblico.
- Allora buona fortuna anche a te. -
Noriko entrò a passo di danza e un sorriso abbozzato sulle
labbra. Salutò la folla, girando la testa da una parte
all’altra, come se inseguisse il rimbalzo del suo nome tra
gli spalti.
Nemeria guardò in direzione di Koosha, gli fece un cenno del
capo e si fermò al centro. Tyrron, Morad e le due serve
sedevano agli stessi posti. Non sapeva dove fossero gli altri lanisti,
non era nemmeno sicura che fossero venuti. Non le importava del
governatore che si godeva lo spettacolo dall’alto, assieme
alla sua famiglia, l’importante era che Koosha la vedesse.
- Signori e signore, preparatevi alla finale! -
l’acclamazione del banditore venne accolta da uno scroscio di
applausi, - Due gladiatrici appartenenti allo stesso lanista, due
gioielli preziosi realizzati dalle mani dello stesso orefice. Chi di
loro si aggiudicherà la vittoria: la nostra focosa
dominatrice Nemeria oppure Noriko, l’algida regina dei venti?
Sarà il fuoco a consumare l’aria, o
l’aria a soffocare le fiamme? - aprì le braccia
dando il segnale alle trombe, che costituivano solo una parte
dell’orchestra nelle ultime file, - Che la resa dei conti
cominci! -
Nemeria attaccò subito. Compì uno scatto veloce
per darsi slancio, quanto bastava perché Noriko sfilasse il
tessen dalla cintura e parasse il suo fendente. Lo aprì e la
pagina, come l’ala di un grande uccello, spinse la lama di
lato. Contrattaccò con un affondo dell’indice e
del medio, una diagonale diretta alla gola che costrinse Nemeria a
scartare in fretta. Il mancato colpo non fece perdere il ritmo a
Noriko. Si mosse contro di lei con una finta e abbassò il
tessen in una parata fulminea dietro la schiena. Si sottrasse al suo
tondo, le si portò di fianco e concatenò in
rapida successione un pugno al viso, un calcio allo stinco e un altro
al fianco.
Nemeria arretrò bruscamente e dovette spostare la sua
attenzione dalla sua avversaria per mantenere l'equilibrio. Una folata
di vento la spinse una decina di metri indietro. La sabbia le
andò negli occhi. Strinse la shamshir a due mani e
menò un fendente alla cieca. Durante il movimento, la lama
prese fuoco.
Noriko schivò e le assestò un pugno alla spalla.
Il colpo si schiantò contro l’armatura e la
propulsione dell’aria la scaraventò contro il muro
dell’arena.
Il pubblico le osservava rapito. L’orchestra aveva attaccato
con una musica ritmata, ma non era abbastanza per coinvolgere la gente:
nessuno gridava, incitava, pestava i piedi. Erano bastati pochi colpi
per annullare l’entusiasmo.
“Non va bene.”
Nemeria riaprì un occhio, poi l’altro. Noriko si
stagliava davanti a lei, con la mano che brandiva il tessen di taglio
sul petto.
- Alzati. - le ordinò.
Un fremito si diffuse nell’aria. Il brusio aumentò
e il silenzio si incrinò fino a rompersi un in
“oh” che stroncò le note dei flauti.
Noriko si girò con un movimento fluido e piantò i
piedi a terra, dandole la schiena.
- Stai dietro di me. -
Nemeria non la ascoltò. Si tirò in piedi e
sbirciò oltre la sua spalla. Sbarrò le palpebre
in preda allo shock, mentre un grido terrorizzato le moriva in gola.
Il predone era lì, la maschera bianca a coprirgli il volto e
il cappuccio a gettargli un’ombra sugli occhi. Ma a Nemeria
non serviva vederli, perché quello sguardo senza luce le si
era impresso a fuoco nella memoria.
La pietra di luna divenne un cristallo di ghiaccio.
- Sta' lontano. - gli intimò Noriko.
Si mise in posizione e allargò le gambe, pronta a scattare.
Il predone però continuò ad avanzare con la
tranquillità di chi sa di aver già la vittoria in
tasca. L’aria gli vorticava attorno, sollevando i granelli di
sabbia.
Nemeria la vide prepararsi a tirare una sventagliata. Il vento si
materializzò in un cerchio opaco che sfrecciò
raso terra, creando un’onda di sabbia. Il predone, invece di
arretrare, attaccò. Lo dissipò con un fendente e
proseguì la sua corsa verso di loro. Noriko lo
incontrò a metà e lo respinse.
Nemeria rimase immobile, attaccata al muro, il cuore sprofondato
nell’acido dello stomaco. Cuore di fuoco.
“Agni...” Cuore di fuoco, devi reagire.
Noriko parò un tondo, avanzò di tre passi,
deviò un affondo e fece una finta. Il predone non ci
cascò. Scartò di lato, le si accostò
dal suo punto cieco e le assestò un colpo alla tempia col
pomo della spada. Le girò di nuovo attorno e menò
un fendente dalla spalla al fianco che la mandò a carponi.
Tra i brandelli della tunica si intravedeva il marrone del cuoio.
- Noriko! -
Nemeria compì un passo verso di loro, uno solo.
Spostò lo sguardo sugli spalti. Il pubblico strepitava.
Udiva le risate sguaiate, le urla d’incitamento delle ultime
file e il crescendo dell’orchestra. Li sentiva, ma non li
vedeva. Nell’arena c’erano gli spettri della sua
tribù che la osservavano. Sua madre morta con un sorriso
macchiato di sangue, la figura deforme di suo fratello, calpestato
dalla folla, sua sorella trafitta da decine di frecce assieme alle
altre Jinian. I loro fantasmi occupavano le gradinate in attesa che il
predone ottenesse il suo sacrificio, come aveva fatto con loro. Cuore di fuoco, non puoi arrenderti così.
“Cosa posso fare? Nemmeno l’Alta Sacerdotessa
è riuscita a fermarli!”
Si sentì avvolgere da braccia invisibili. Tu puoi tutto.
Noriko raccolse il ventaglio, si rimise in piedi e aggredì
il predone alle spalle. Lui si voltò, tagliò la
palla d’aria che gli aveva lanciato contro e, con un gioco di
polso, la disarmò. La ragazza non fece in tempo ad
allontanarsi che un pugno la spedì di nuovo a terra.
- Quanto sei fastidiosa. - ringhiò.
Le diede un calcio per liberarsi, ma Noriko mantenne la presa sul
piede. Il predone sollevò la spada per trafiggerla e lei
rotolò via. Ansimando, si asciugò il sudore che
le imperlava la fronte e strinse il ventaglio da guerra in pugno. Vieni con me, Cuore di fuoco. Danza con me e avrai tutto il
potere di cui hai bisogno.
Agni era le fiamme. Non c’erano gonne, campanelli, bracciali.
Solo fuoco ad immagine di donna.
“Non posso, sono legata.” Non sei legata, se non vuoi esserlo.Niente
può imprigionare il fuoco.
Nemeria si portò le mani al petto, strinse la pietra di luna
e strappò il ciondolo. La pietra le cadde sul piede e
scivolò nella sabbia, rovente come non mai.
“Mi darai tutto il potere di cui ho bisogno?”
Avanzò fino al limitare del cerchio di pietre che circondava
Agni. I nodi dell’imbragatura si erano allentati, la corda si
era fatta più lunga e molle, eppure a un passo dalle fiamme
si tese all’improvviso. Non ti devo dare nulla. È tuo da sempre, basta che
pronunci il mio nome. Il mio vero nome.
Il predone tentò più volte di ucciderla, ma
Noriko lo pressava per tenerlo lontano da Nemeria. Zoppicava e una
brutta ferita le deturpava la gamba. Schivò troppo
lentamente un affondo e la lama del predone le tagliò la
guancia e il lobo dell’orecchio. Noriko inciampò.
Il sangue si riversò dal taglio su tutto il collo e la gola,
ma lei non emise nemmeno un gemito. Finse un colpo al volto col
ventaglio e poi caricò un calcio stretto, dritto al petto,
abbastanza forte per guadagnare distanza, troppo debole per fargli
davvero male.
L’aria era rarefatta attorno a Nemeria. Più
respirava, più le sembrava di soffocare. Afferrò
il collare con entrambe le mani, lo stritolò e
tirò. L’oricalco rovente era doloroso a contatto
diretto con la pelle, la percepì gonfiarsi e riempirsi di
bolle sempre più grosse. Quando la fibbia
cominciò a cedere, il potere di Agni ribollì
sulle ferite aperte. Il sangue divenne fuoco, il suo cuore un tamburo
da guerra che rullava con la forza di mille tuoni. Di’ il mio nome, Cuore di fuoco.
Nemeria si strappò le corde di dosso e si guardò
le mani macchiate di sangue non suo. Intorno a lei, sulle pareti della
grotta, si affollavano gli spettri dei morti.
“Tu sei Jatharagni, il
fuoco che tutto distrugge.”
L’elementale sorrise. Il collare si staccò con uno
schiocco metallico e anche l’ultima corda cadde al suolo.
Quando Nemeria entrò nel cerchio di pietre, le fiamme si
chiusero sulla sua mente e sul suo corpo. Una colonna di fuoco si
innalzò fino al cielo e si esaurì in
un’esplosione di scintille.
Noriko giaceva intontita qualche passo dietro il predone. La coda si
era sciolta e il sangue si era rappreso là dove il calore
l’aveva toccata. Anche se sembrava morta, Nemeria sapeva che
era viva. Lo sentiva, così come sentiva le centinaia di
fiammelle che crepitavano sulle gradinate, quelle che davano vita a
tutte le persone lì raccolte.
- Cosa sei? - domandò il predone in un sussurro sconvolto e,
brandendo la spada, arretrò.
Nemeria non avrebbe saputo dargli una risposta. Era lei, ed era Agni,
erano un unico elemento. La sua anima stava bruciando nel cerchio di
pietre, ma non era doloroso. Nemmeno la pelle nera o la criniera di
fuoco le facevano male.
Avanzò oltre il pavimento di vetro, lasciandosi dietro una
scia di impronte opache. Sprigionava così tanto calore che
la sabbia si trasformava appena la sfiorava.
- Non avvicinarti! - il predone afferrò Noriko e le
puntò la lama alla gola, - La ammazzo! Giuro che la ammazzo!
-
Nemeria ghignò serafica. Azzerò la distanza tra
di loro in un balzo e gli afferrò il braccio.
- Spegniti. -
Il fuoco lo avvolse senza sfiorare Noriko. Il predone urlò,
lottò per liberarsi dalla sua presa, ma Nemeria lo trattenne
con facilità. Lo guardò bruciare il silenzio, gli
occhi rossi, dello stesso calore del ferro rovente, che si riflettevano
nei suoi, nascosti dietro la maschera. Presto la pelle sotto la sua si
carbonizzò e i muscoli si sciolsero assieme alle ossa. Oltre
alla spada, non rimase altro che un cumulo di cenere maleodorante.
- Nemeria. -
Noriko si reggeva a stento in piedi e si premeva la mano sulla gamba
ferita. Le fece un cenno del capo. Erano state accerchiate dalle
guardie. Stavolta avevano le armi sguainate e gli scudi alzati. Alle
loro spalle c’erano sia Sayuri che Roshanai. Avrebbe voluto
dir loro che era ancora in sé, ma qualcosa la chiamava da
dentro di lei. “Adesso sono pronta.”
Inspirò piano e chiuse gli occhi, lasciandosi cadere.
Correva con il barattolo stretto al petto, al fianco di una
volpe di fuoco. Seguì il lucore dei tatuaggi e
zigzagò tra gli alberi finché non giunse nella
radura dove aveva catturato le lucciole. L’Alta Sacerdotessa e le Anziane erano raccolte in
circolo attorno a un gruppo di bambini. Guardandoli, Nemeria riconobbe
anche Radames, Sasha e Guar. I suoi amici erano lì, tutti,
ma non era possibile: a parte Kia, sarebbero dovuti essere
più grandi. Il capo tribù tacque e alzò lo sguardo
su di lei. La vide, ma non disse nulla. Anche le altre Anziane si
sarebbero dovute accorgere di lei. Le poche che guardarono nella sua
direzione non dissero nulla. Si limitarono a tenere fermi i bambini, le
mani posate sulle spalle come spesso facevano durante le esercitazioni
con i meno dotati. Ma nei loro confronti non avevano mai avuto un
atteggiamento così materno, perché erano tra i
maschi migliori. L’Alta Sacerdotessa tirò fuori un
pugnale, imitata dalle Anziane. Dalla terra sbucarono delle radici, che
si chiusero sui piedi e sulle braccia dei bambini. In un attimo li
sgozzarono, come succedeva da generazioni. Nemeria rivide la medesima scena prendere forma in tempi
remoti, percependo il cambiamento dei paesaggi, di Anziane, di bambini
morti e trasformati in polvere luminosa da un tocco dell’Alta
Sacerdotessa. Cambiò anche lei e cedette lo scettro degli
Spiriti a quelle che avevano guidato la tribù nelle
generazioni precedenti. Quando finalmente il tempo si fermò, Nemeria era
tornata agli esordi della civiltà, in una città
maestosa, dove le Jinian passeggiavano fianco a fianco con gli uomini. La volpe la invitò a seguire una coppia che
camminava a braccetto. Erano due giovani, lei con i capelli nerissimi
sciolti sulle spalle, lui con le spalle larghe e la mascella volitiva.
Erano entrambi umani, mortali e innamorati. Passarono tra le fontane di
un guardino rigoglioso, con i gelsomini in piena fioritura, e si
sedettero su una panchina di pietra a contemplare le anatre che si
contendevano un pezzo di pane. La ragazza, che aveva tra le mani la
metà di una pagnotta, lanciò della mollica e
scoppiò a ridere quando un pavone corse lì in
mezzo per accaparrarselo. Dietro un albero, Nemeria intravide una donna che li spiava.
C’era molto bianco in lei, doveva aver già
affrontato le difficoltà di più di un sentiero,
eppure nel suo sguardo risplendevano ancora i sentimenti. Mangiava il
giovane con gli occhi, stringeva i pugni quando lui accarezzava la mano
della ragazza. Lo voleva, ma non poteva perché il suo cuore
apparteneva a quella mortale. Fece sbocciare un fiore ai suoi piedi,
una rosa rossa senza spine, e si avvicinò fino alla panchina
perché la vedesse. Lui, però, raccolse il fiore e
le rivolse uno sguardo infastidito, prima di girarsi e infilarlo tra i
capelli della ragazza. - Così l’amor che tutta la infiamma,
infiammò il mondo. - recitò la volpe. La ragazza giaceva nuda nel letto, il volto pallido esangue e
le vene degli occhi scoppiate. Nella bocca del suo amato, riverso a
terra, erano sbocciati anemoni e fiori di campo. La Jinian li fissava
impassibile, con il bastone degli Spiriti ancora in pugno. Al teschio
di gatto erano rimasti attaccati pezzi d’osso e materia
cerebrale. Non lo pulì nemmeno. Si affacciò al
balcone e lo innalzò al cielo. I mortali erano sotto la casa, con forche e torce. Molti
chiedevano la sua testa, la testa della regicida. La Jinian
osservò le sue sorelle impalate agli angoli della folla,
uccise per il volere del Re Sole, Heydar. E lei le aveva lasciate
morire perché si erano comportate da traditrici,
perché avevano preferito l’equilibrio e asservirsi
ai desideri dei mortali. Non era degna di essere la loro guida, ma
poteva ancora riscattarsi. Nemeria ebbe un brivido quando il pensiero di cosa volesse
fare prese forma nella sua mente. - Non puoi cambiarlo, Cuore di fuoco. Questo è
ciò che fu. Lascia che il passato si dispieghi davanti a te.
- Li maledisse. Non erano degni di convivere con le Jinian, e
queste non potevano mischiarsi con la loro genia. Nemeria vide la folla trasformarsi in Jin e devastare tutta
Kàdingirra. Non rimasero altro che macerie fumanti. La notizia si diffuse di città in città. “Le figlie della Madre non vogliono
salvarci.” “Loro possono curare le malattie e permettono al
bestiame di morire. Non sono dee, sono mostri.” “Aiutateci! I maghi hanno perso il
controllo!” L’ombra della guerra si allungò dietro
le Jinian in fuga. Si fermarono in una pianura e l’Alta
Sacerdotessa osservò i figli maschi nati
dall’unione tra le sue sorelle i mortali. Se fossero
cresciuti e fossero diventati forti, le avrebbero schiacciate,
così come i mortali facevano con le loro donne, e come Jin
avrebbero dilaniato la tribù dall’interno. Anche
loro dovevano morire. - Sorelle, portatemi i più bravi tra i vostri
allievi. - Si recarono in una grotta isolata. - Da questo momento così è e
così per sempre sarà. - sancì e prese
il primo bambino. - Non possiamo. - - Noi possiamo tutto. - Una volta ucciso il primo, con gli altri fu semplice. Il
rumore della carne lacerata non la disturbava più. Guardò le altre e alzò il bastone degli
Spiriti, roteandolo sulla testa. Come richiamate da un turbine,
centinaia di gocce luminose apparvero nel teschio del gatto. Sembravano
uova di pesce. L’Alta Sacerdotessa ne prese una e la
scoppiò tra le dita. - Se nessuno si ricorderà di loro, nessuno
potrà soffrire. - Li distrusse tutti e le altre rimasero lì, mute,
con le mani sporche di sangue. Erano inorridite, ma lei,
l’Alta sacerdotessa, sapeva che erano dalla sua parte
perché anche loro avevano perso qualcuno. - Sopravvivranno solo i meno dotati e quando ci avranno dato
una prole li manderemo via. Se resteranno, cercheranno di sopraffarci
perché donne, e perché le uniche capaci di usare
la magia. - Nei suoi occhi c’era follia, ma nessuno la vide. Il
dolore feriva troppo e la paura era troppo pesante. - Così voglio, così sia. -
Una settimana dopo lo scontro nell'arena col predone, Nemeria venne
convocata a casa di Tyrron. Respirare aria fresca e pulita dopo aver
passato giorni rinchiusa in cella e sotto stretta sorveglianza, le
causò un piacevole brivido. Sayuri era venuta spesso a
trovarla per assicurarsi che il suo “essere tornata
indietro”, così lo definiva lei, fosse uno stato
permanente, che la sua anima non fosse davvero bruciata.
- Hai rischiato grosso, ma ne sei uscita più forte. - le
aveva detto e le aveva messo in mano la pietra di luna, -
L’ho trovato nella sabbia. -
Nemeria aveva accolto quella specie di complimento con un sorriso e
l’aveva ringraziata.
Erano state giornate lunghe e quella stanzetta minuscola, avvolta da un
silenzio così intenso da essere innaturale,
l’aveva obbligata a rimanere presente a se stessa, anche
quando avrebbe voluto voltare le spalle ai pensieri. Le sarebbe
piaciuto credere che quello che aveva scoperto fosse una bugia: Agni
l’aveva condotta alla Verità, e la
Verità era che nemmeno tra le Jinian esisteva la perfezione.
Tyrron la attendeva nel suo studio. Non appena entrò,
mandò via i servi e rimase solo Ehsan, che prese un altro
chicco d’uva dal vassoio.
- Siediti e serviti pure. Avrai ancora molta fame. -
Nemeria si accomodò sull’unica sedia disponibile
e, senza esitare, si appropriò di tutto il grappolo. Non le
importava che fosse maleducato: dopo una settimana di zuppe
d’avena, il suo stomaco pretendeva qualcosa di solido.
- Sono contento che tu non abbia perso l’appetito. -
commentò Tyrron, squadrandola dall’alto in basso,
- Non ti trovo nemmeno più di tanto deperita. Le mie minacce
devono aver sortito il loro effetto. -
- Le tue minacce son sempre molto convincenti. -
Ehsan aveva appoggiato il gomito sul bracciolo e la guardava con un
sorriso enigmatico, da gatto. Così truccato, poi, con gli
occhi allungati dalla matita e la palpebra sfumata nei toni del nero e
del grigio, sembravano proprio gli occhi di un felino.
Accavallò le gambe e intrecciò le dita sul ventre.
- Come sempre, vengo dritto al punto. - esordì Tyrron, -
Ufficialmente, hai perso, mentre ufficiosamente sei tu la vincitrice.
Non hai idea di quante proposte mi sono arrivate nel giro di poche ore,
subito dopo la fine dello scontro. Sia per te che per Noriko.
Ovviamente, puoi avere più di uno sponsor, basta che nessuno
intralci gli affari dell’altro. Non ti starò ad
annoiare con tutti i loro nomi, ma sappi che uno di loro è
proprio l’uomo che siede al tuo fianco. -
Nemeria guardò Ehsan con tanto d’occhi.
- Non sono un uomo che ama maneggiare il vile denaro, ma sono rimasto
affascinato dalle tue fiamme. - le sollevò il mento e la
guardò da diverse angolazioni, - E poi amo le bellezze
esotiche. -
- Non sei obbligata a decidere oggi. Nei prossimi giorni
indirò un banchetto, così potrai conoscerli e
scegliere. Il migliore se l’è preso il dominatore
dell’acqua di Siamak, ma voi due avete ricevuto delle
proposte davvero interessanti. Oserei dire alquanto inaspettate. -
- Ci sarà anche Noriko? -
- Certo che sì. -
Nemeria annuì e appoggiò i semi sul bordo del
vassoio.
- Batuffolo? -
- Immaginavo che me lo avresti chiesto. Koosha ha acconsentito a
fartelo tenere. Morad e due suoi fidati hanno già apportato
le modifiche alla vostra stanza per renderla vivibile anche per il tuo
caracal. -
Ehsan si abbandonò a una mezza risata, controllata ma
sincera.
- Guardala: l’hai resa una bambina felice. -
- Batuffolo è già a Scuola, quindi? -
- Sì, è in camera che ti aspetta da stamattina. -
- Durga, invece? -
- Intendi la bambina che usava le bacche tanu? Brutta storia. Tara
dovrà dare un gran bel risarcimento alla Scuola, e
finché la sua gladiatrice non sarà di nuovo
pulita non sarà riammessa. Non ho la più pallida
idea di dove sia. -
- D'accordo. Ora posso andare? -
Tyrron guardò Ehsan: - Se tu non hai niente in
contrario… -
- Avremo altre occasioni per conoscerci meglio. Al banchetto ci
sarò anch'io. Ti rapirò e ti terrò
prigioniera finché non ti convincerò a prendermi
come sponsor. -
- Fai sempre così con le donne, Ehsan? - lo
interrogò divertito Tyrron.
- Solo con quelle che sono davvero interessanti. -
Nemeria si alzò e, dopo un rapido inchino, infilò
la porta tutta rossa in viso, orecchie comprese.
Quando giunse alla Scuola, corse subito in camera. Come se
l’avesse percepita avvicinarsi, Batuffolo le corse incontro e
le balzò addosso, attaccandosi con gli artigli alla casacca.
- Non hai idea di quanto tu mi sia mancato! - esclamò
contenta, si sedette sul materasso e gli scoccò un bacio
sulla testa, - Ha combinato qualche guaio? -
- Non più del solito. -
Noriko chiuse il libro che stava leggendo e si mise seduta. Il suo
letto era stato spostato un po’ più indietro per
fare posto a una lettiera e a tutta una serie di giocattoli che erano
già stati provati, compresa la tiragraffi. Si
appoggiò alla testiera, si sedette sul cuscino e
allungò la mano verso quella di Nemeria.
- Com’è il nuovo collare? -
- Più bello del precedente, ma molto più
contenitivo. - rispose e sfiorò le placche
d’oricalco impreziosite con minuziosi motivi floreali, -
Sayuri dice che è meglio così, dopo quello che
è successo. -
- Sì, ci hai spaventati. Ho avuto paura di averti persa per
sempre. -
- Non sarebbe potuto accadere. Almeno, non come pensi tu. - Nemeria
presse posto vicino a lei, - Abbiamo una discussione in sospeso,
ricordi? Adesso sono pronta. -
Le raccontò tutto, dalle esercitazioni con Fakhri
all’adozione da parte di Hediye, dall’Alta
Sacerdotessa all’attacco dei briganti, senza glissare su
nessun particolare. Mentre parlava, le sembrò che quella
vita appartenesse a qualcun altro, che fosse più materiale
da leggenda che la sua storia.
Quando terminò, Noriko la abbracciò. Il groppo
che Nemeria aveva in gola si sciolse in lacrime. Pianse
finché non le ebbe esaurite tutte, e solo allora
riuscì a trovare il coraggio di guardarla.
- Dormiamo assieme stanotte, ti va? - le propose Noriko.
- Non ce l'hai con me perché non te ne ho mai parlato? -
- No, e se non avessi visto quello che hai fatto in arena, non penso
che ti avrei creduta. - le diede un buffetto sulla guancia e le
regalò uno dei suoi sorrisi sinceri, - Adesso basta
piangere. -
Nemeria tirò su col naso e si asciugò le lacrime.
Un topolino dal pelo grigio e dagli occhi stranamente umani
squittì da dietro l’armadio. Batuffolo lo aveva
già fiutato e si stava preparando a balzare sulla sua preda,
quando Nemeria lo prese al volo e lo consegnò a Noriko.
- Devo, ehm, parlare con una persona. -
- Se ti stai riferendo alla mente di una persona dentro il corpo di un
topo, fa’ pure. Basta che non ti fai vedere in giro quando lo
fai. Anzi, vado a sgranchirmi le gambe. -
Nemeria le fece la linguaccia e attese che si fosse allontanata prima
di portare il topolino vicino al viso. Come ti senti?
- Non lo so. Sapere la verità mi ha fatta stare meglio, ma
ha un suo peso. - È la ragione per cui me ne sono andata. Una volta
appresa la Verità non si può più
dimenticare. Sapere che tutti i bambini potevano essere
uccisi… era un peso che non potevo
sopportare. Penserai che sono una codarda.
- No, non lo penso affatto. E poi, dopo essermi nascosta per mesi
dietro l’ombra di Noriko, non posso proprio giudicarti. - Sono venuta a salutarti, comunque. Domani partiamo per
Gandhera.
- Non hai paura? Il predone è morto, ma potrebbero essercene
altri. - Starò più attenta, ma non ho intenzione
di fermarmi. C’è ancora molto da vedere
là fuori, tante città che non ho mai visitato e
persone che non ho mai conosciuto. Se devo morire, almeno lo
farò da donna libera.
- Vorrei tanto che tu rimanessi qui. - Lo so, ma il mio posto non è qui. E poi
non sarai sola.
- Non c’è alcuna possibilità di
incontrarci di nuovo? - Quando torneremo, se sarai ancora qui, ti prometto che
verrò a trovarti. Sempre che tu abbia tempo per una vecchia
amica.
Nemeria ridacchiò: - Prometto di ritagliarmi uno spazio
piccolo piccolo solo per te. -
Prese il topolino e accostò la porta.
- Riesci a ritrovare la strada da sola? - Questo topo conosce la Scuola fin nelle sue fondamenta. Non
mi posso proprio perdere.
Scese dalle sue mani e uscì in corridoio. A
quell’ora del pomeriggio erano tutti in refettorio a mangiare. Nemeria, sappi che sei molto coraggiosa. Ti voglio bene.
Nemeria strinse la pietra di luna. Ormai lo faceva più per
abitudine che per vero bisogno. Anche se era fredda in quel momento, il
calore che si irradiava dal suo petto, il fuoco di Agni, non
l’abbandonava mai. Sebbene avesse perso il torneo, aveva
vinto contro la paura. Era quello il suo trofeo. Anche io te ne voglio, Pavona.
Il topolino corse rasente al muro, ma si fermò poco prima di
svoltare l’angolo. Nemeria accennò un saluto con
la mano, poi Pavona si infilò in un buco e sparì.
Angolo Autrice:
Ebbene, questa è la fine. O meglio, la fine del primo libro.
Chi mi conosce sa che non scrivo mai delle storie autoconclusive. Ci
provo, davvero, ma non mi riesco mai. Quindi, cosa è
"Fighting Fire"? é il primo di quattro libro. Il prossimo
avrà come titolo "Whispering Wind" e, se tutto va bene, per
ottobre dovrei cominciare a metterlo online. Come avete visto, si sono
svelate molte cose, ma alcune non hanno trovato una risposta.
Tranquilli, non me ne sono dimenticata XD Ok, che ho una pessima
memoria, ma non fino a questo punto. Dunque, ora passiamo ai
ringraziamenti perché per scrivere questa storia ho avuto
bisogno di sostegno da davvero moltissime persone.
A Dany , detto anche
lo spammatore: Grazie per tutti
i consigli storici. Tutti dovrebbero avere una persona così
affidabile e disponibile al proprio fianco.
A Maddy , che si è
presa l'onore
di sorbirsi i miei deliri
notturni, compresi di ricerche assurde. Sei davvero preziosa.
A mia sorella, che mi ha sopportata e supportata anche in questa
avventura, facendomi sempre sapere cosa pensava di quello che scrivevo.
Grazie, per non avermi mai lasciata.
Al mio ragazzo, che è la mia musa ispiratrice.
A Giulia
, la mia beta, che si è sempre prodigata
perché le mie parole avessero una forma più che
accettabile. Grazie per avermi seguita anche in questa avventura.
A tutti i lettori, silenziosi e non, grazie, perché senza il
vostro supporto non saprei se avrei trovato la voglia di arrivare fino
in fondo. Spero che la storia vi sia piaciuta e che vi abbia
appassionati così come ha appassionato me che la scrivevo.
Sappiate che è anche grazie a voi che, a settembre, mentre
sarò al lavoro sul seguito, mi impegnerò anche
per fare in modo che venga pubblicata.
Ci si vede il 10 ottobre. Un bacio.
Hime.