Fighting Fire

di Himenoshirotsuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spezzare la luce ***
Capitolo 2: *** Il Potere del Fuoco ***
Capitolo 3: *** Famiglia ***
Capitolo 4: *** Piegarsi e non Spezzarsi ***
Capitolo 5: *** Il coraggio di non aver paura ***
Capitolo 6: *** Il Coraggio di Cambiare ***
Capitolo 7: *** Forza d'Animo ***
Capitolo 8: *** Amicizia ***
Capitolo 9: *** Il coraggio di combattere ***
Capitolo 10: *** Vincere e Perdere ***
Capitolo 11: *** Schiava ***
Capitolo 12: *** Scuola ***
Capitolo 13: *** Punizione ***
Capitolo 14: *** La prima volta ***
Capitolo 15: *** La giornata più lunga ***
Capitolo 16: *** Insieme ***
Capitolo 17: *** Un frammento di ciò che fu ***
Capitolo 18: *** Il Nome nel Buio ***
Capitolo 19: *** Fare sul serio ***
Capitolo 20: *** La strada verso Agni ***
Capitolo 21: *** Il battesimo del fuoco ***
Capitolo 22: *** L'inizio del torneo ***
Capitolo 23: *** Sfida contro se stessi ***
Capitolo 24: *** Rivincita ***
Capitolo 25: *** Memorie di luce ***
Capitolo 26: *** Lucciole ***



Capitolo 1
*** Spezzare la luce ***


Fuoco 2

1

Spezzare la Luce

Etheram tornò a tarda notte, nell'ora in cui anche gli spiriti tacciono. Si infilò nella tenda di soppiatto, come un ladro, con l'elementale dell'aria che faceva appena turbinare la sabbia sotto i suoi sandali. Sfiorò il tappeto di giunchi, con il barracano rosso e la tunica indaco che ondeggiava lievemente attorno al suo corpo, eppure Nemeria la sentì comunque. Alzò la testa dal cuscino e con i capelli scompigliati davanti agli occhi spiò sua sorella mentre raggiungeva la stuoia. La chioma quasi bianca le ricadeva immobile sulla schiena e sul piccolo seno, nascondendo i talismani di cuoio. Invidiava la sua capacità di piegare l'elementale al suo volere. Persino Fakhri, la loro maestra, non riusciva a rimanere impassibile quando, durante le esercitazioni, il vento diminuiva la sua forza e le nuvole abbandonavano il cielo a un suo semplice cenno.
- Come mai sei ancora sveglia? - le chiese Etheram, riscuotendola dai suoi pensieri, - Mamma non ti ha raccontato la storia della buonanotte? Oppure hai fatto un brutto sogno? -
Nemeria arricciò le labbra e, prima di mettersi a sedere, si guardò intorno. La tenda era silenziosa, sia sua madre Hediye che suo fratello Rakhsaan dormivano profondamente, avvolti in pesanti coperte di lana, vicino ai paraventi. Richiamò il suo elementale e una piccola fiamma divampò sul palmo della sua mano, spandendo un'incerta luce aranciata.
- Dove sei andata? Ti ho sentita uscire un'ora fa. -
- Ah, allora te ne eri accorta. -
Etheram sorrise e si sedette al suo fianco, vicino all'agati, il palo centrale. Come sempre, aveva il suo blocco da disegno sottobraccio, quello che si portava ovunque e che nascondeva gelosamente, mostrando solo di tanto in tanto i suoi disegni. Nemeria poteva contare sulla punta delle dita le volte che le aveva concesso di vederli.
- Non hai risposto alla mia domanda. - insistette, appoggiando la testa contro la sua spalla, - E non dire che sei andata solo a farti un giro, non me la bevo. -
Etheram sbuffò e levò gli occhi al cielo, fingendosi esasperata. Il vento caldo del deserto si infilò nella fessura tra i due lembi di tenda, accarezzò il tappeto di giunchi e le scompigliò i capelli, facendo mulinare le ciocche bianche e castane attorno al suo viso. Nemeria ne catturò una e se la avvolse attorno al dito, affascinata dal lucore perlaceo che si spandeva sui tratti chiari per poi attenuarsi poco sopra le orecchie, dove la chioma assumeva di nuovo il suo color noce naturale.
- Ti piacciono?-
- Sì, sembrano come quelli delle donne di quel popolo... come si chiamava? -
- I Rorwan? - suggerì Etheram, mordicchiandosi le labbra con aria pensosa, - Sì, può essere. Domani potremmo chiedere delucidazioni a Fahkri, ma mi pare di ricordare che fossero proprio loro. -
Nemeria annuì distrattamente e acchiappò un'altra ciocca della sorella. A differenza dell'altra, era completamente candida, fino quasi alla radice, di un bianco così chiaro da sembrare argento liquido alla luce della luna. Era un processo normale all'età di Etheram, dopo tutti gli anni di addestramento sarebbe stato strano il contrario, eppure una morsa dolorosa le serrava le viscere ogni volta che notava una ciocca più scolorita rispetto al giorno prima, gli occhi più vitrei, la pelle più lattea. Tra un paio d'anni, sua sorella sarebbe diventata una vera Jinian, capace di attingere al potere dei quattro elementali che vivevano dentro di lei, e allora non sarebbe più stata Etheram. Avrebbe conservato la memoria, il corpo, ma avrebbe trasceso la sua mortalità per ottenere “la più alta consapevolezza di sé e dell'universo”, come diceva Fakhri ad ogni lezione.
Nemeria si avvicinò ancora di più, accoccolandosi, senza però trovare la forza di guardarla in viso. Quando coglieva dei cambiamenti nell'aspetto di sua sorella, cominciava a sentire freddo.
Come se le avesse letto nel pensiero, Etheram la strinse a sé e le rivolse un sorriso dolce e sbilenco, che ricordava quello Hediye. Nemeria trovò il suo abbraccio rassicurante, come se non avesse niente da temere finché fosse rimasta avvolta nel calore di Etheram.
- Non mi dimenticherò di te. - le sussurrò questa all'orecchio.
- È una promessa? -
- È una promessa. -
Nemeria strusciò il viso contro la sua spalla e, ancora per qualche minuto, si godette il calore del corpo di sua sorella, ricacciando le lacrime in gola.
- Non mi hai ancora detto che diamine sei andata a fare in giro. - tornò poi alla carica e la fiammella sul palmo della sua mano crepitò, ingrossandosi.
- Non fare chiasso o svegli tutti. E stai attenta, tra poco incendi qualcosa se non ti dai una regolata. -
- Non c'è niente che possa andare a fuoco, qui. -
Etheram fece saettare lo sguardo per la tenda, osservando il telo che le proteggeva dalle intemperie composto da pelli di capra e muflone, l'agati e gli altri pali posti ai quattro angoli, in pregiato legno di noce lucido.
A Nemeria bastò seguire il movimento dei suoi occhi per rendersi conto della stupidata che aveva detto. Si concentrò sulla fiamma e chiese all'elementale di calmarsi, ma questa ci mise comunque qualche istante ad affievolirsi. Fakhri glielo diceva sempre che era troppo emotiva e lei sapeva che aveva ragione, ma faticava a tenere a bada i suoi sentimenti. Era il motivo per cui il fuoco reagiva così velocemente e la terra ignorava i suoi comandi.
- Oh, così va meglio. Sei migliorata dall'ultima volta. - si complimentò Etheram.
- Lo pensi davvero? - esclamò, staccandosi di scatto dalla sua spalla per fissarla negli occhi, - Mi sono esercitata tantissimo, anche solo per mitigare la fiamma di una candela, e anche Fakhri dice che se continuo così potrei a breve padroneggiare perfettamente il fuoco e... -
- Nemeria. -
- Io penso che abbia ragione. Magari quando compirò dodici anni non avrò difficoltà a cominciare il Primo sentiero, magari l'Alta Sacerdotessa mi dirà che dovrò partire proprio dalla terra. -
- Nemeria. -
- Sì? -
Etheram le indicò la mano. La fiamma adesso aveva assunto la dimensione di una palla e scoppiettava allegra, illuminando la tenda quasi quanto il focolare appena acceso. La bambina cercò di non farsi prendere dal panico, ma più cercava di placare il battito del suo cuore, più la fiamma cresceva, divampando come se qualcuno stesse aggiungendo nuova legna da ardere. Con un sorriso divertito, sua sorella posizionò la propria mano sopra la fiamma e cominciò a sottrarre ossigeno al fuoco, fino a quando questi non tornò di dimensioni accettabili.
- Ecco, è sempre così... mi basta deconcentrarmi un attimo e l'elementale fa quello che vuole. L'altra volta ho persino carbonizzato la merenda di Ziba. - sbuffò sconsolata Nemeria.
Etheram non riuscì a trattenere una risatina.
- Guarda che è una cosa seria, non c'è niente di divertente! -
Etheram tossì piano, cercando di ricomporsi: - Cosa è successo? Perché ti sei arrabbiata con lei?-
Nemeria si mordicchiò l'interno delle guance, incerta su come rispondere. Dopo un momento di riflessione, decise di raccontarle la verità. Far finta di niente non avrebbe avuto senso e mentire ancor meno: sua sorella aveva un intuito felino per le bugie, l'avrebbe smascherata subito.
“Sua madre, prima di diventare una Jinian, doveva essere una Sha'ir.”
- Ha detto che sono stupida, che non diventerò mai brava come te. -
- Perché lei spicca per intelligenza, giusto? -
Fuori il vento soffiò con più intensità, sferzò le dune desertiche con rabbia, afferrando la sabbia e avviluppandola in piccoli vortici. Nemeria quasi poteva vederli, al di là delle strisce colorate in rosso ocra della tenda, la manifestazione del fastidio di sua sorella. Durarono poco, tant'è che si domandò persino se non se li fosse immaginati, perché quasi subito le raffiche si tramutarono in una brezza delicata, una carezza tiepida sulla pelle.
- Ne hai parlato con Hediye? - le chiese dopo un po'.
Nemeria scosse la testa e si raggomitolò ancora di più. Etheram non aveva mai chiamato Hediye “mamma”, nemmeno quando era piccola. In effetti, la donna non era la madre naturale di nessuna delle due, ma una “Ikaelan”un'umana che aveva deciso di sua spontanea volontà di unirsi alla loro tribù e prendersi cura dei bambini per ripagare l'Alta Sacerdotessa di quel privilegio. Nonostante conoscesse la verità, Nemeria voleva bene a Hediye e non aveva mai smesso di considerarla sua madre, nemmeno quando le aveva rivelato che non c'era alcun legame di sangue tra lei, Etheram e Rakhsaan. Era accaduto due anni prima e ricordava di aver pianto per un'ora, finché Hediye non l'aveva presa in braccio e l'aveva cullata, conducendola con la sua voce in un sonno tranquillo e senza sogni.
Sua sorella sospirò e le scompigliò i capelli, mettendole un braccio attorno alle spalle.
- Lascia perdere Ziba. Doveva dare aria alla bocca e tu ha fatto bene a bruciarle la merenda. -
- Non lo so... - trasse un profondo respiro e rinserrò la stretta sulle ginocchia, - È che gli altri sembrano saper già fare tutto, manipolano gli elementali con una tale facilità e io mi sento così stupida e incapace. -
- Non lo sei, Nemeria, non lo sei. Tu hai una grande affinità con il fuoco, l'elemento più difficile da manipolare perché il più irrequieto, il più impulsivo, il più indomabile. Si nutre delle emozioni forti e, come un incendio, divampa per un istante e poi si spegne con un alito di vento. -
Etheram aprì il blocco da disegno su un paesaggio desertico, nel quale figurava un sole a picco sulle dune salienti e un cielo insanguinato sullo sfondo.
- Tuttavia, è anche l'energia che anima il mondo. Anzi, è esso stesso l'anima del mondo. Ad esso gli uomini hanno associato gli ideali di forza, coraggio e determinazione. È un agente di cambiamento e attraverso le fiamme riusciamo ad arrivare alla vera perfezione, quella che ci rende Jinian. Ti sei mai chiesta perché il cammino del fuoco è l'ultimo che viene intrapreso? È talmente difficile da manipolare che, se non fosse moderato dagli altri elementi, la sua forza vivificatrice si trasformerebbe in un impeto distruttivo inarrestabile. -
Nemeria sfiorò i delicati clivi disegnati a carboncino, saggiando quasi con deferenza la consistenza ruvida della pergamena. Fissò affascinata quel paesaggio e lo riconobbe come uno dei tramonti del deserto del nord, dove il sole moriva prima e sorgeva più tardi.
- L'acqua, invece, rinsalda ciò che il fuoco dilata, è il grembo da cui ha origine la vita. -
Etheram girò la pagina, mostrandole lo schizzo di una sorgente incassata nel pertugio tra due montagne ancora avvolte dalla morsa del gelo, le cime incappucciate di neve brillante.
- Sotto forma di vapore, sale verso il cielo e nelle sue gocce raccoglie i sussurri degli dei, per poi cadere di nuovo sulla terra, fecondandola, amandola come una madre il proprio figlio. Ma la sua vera forza risiede nel perpetuo mutamento e movimento. Per poterla dominare bisogna cedere, cambiare forma, adattarsi senza piegarsi all'elementale. Al suo opposto, nell'immobilità, c'è la terra. -
Sotto gli occhi di Nemeria, nella pagina successiva apparve una steppa che si estendeva a perdita d'occhio, un mare verde che sulla linea frastagliata dell'orizzonte era costellato da possenti alberi, giganti maestosi che sfidavano il cielo viola del crepuscolo, squarciato da fulmini.
- Fertile e rigoglioso, l'elementale della terra è il grembo che accoglie la vita, la nutre e ne osserva lo sviluppo, ma allo stesso tempo è forte, solido, potente, oserei direi intransigente. Sono riuscita a conquistarmi con difficoltà il suo rispetto, perché la mia natura è più vicina all'aria: mi sono sempre sentita leggera e impalpabile, legata a quell'energia invisibile che penetra nelle profondità della terra, fa bruciare il fuoco e mette in moto le correnti degli oceani. -
Etheram fece una pausa e accarezzò la fronte di Nemeria, spostando le ciocche nere dietro le orecchie, l'espressione seria sulle labbra serrate.
- Qualunque sia l'elementale a cui sei più affine, ricordati sempre che per garantirti la stima degli altri tre dovrai faticare. Non è un cammino semplice, non lo è stato per nessuno, e chi dice il contrario mente. -
- Per te non è stato facile? -
- Affatto, è stata una lotta estenuante. Ma almeno i miei sbagli e non sono stati visti da persone come Ziba. - Etheram sorrise e le porse un sacchetto dalla scarsella, - Questo è per te. -
- Che cos'è? -
- Un piccolo pensiero per una bambina che sta crescendo. -
Nemeria lo prese e lo soppesò, tastandolo con le dita nel tentativo di capire cosa fosse, con gli occhi chiusi e le sopracciglia aggrottate. Dopo aver scartato una o due ipotesi, cedette alla curiosità e lo aprì, lanciando un piccolo gridolino di sorpresa quando la luce della luna rimbalzò su una pietra azzurra dai riflessi violacei. Poi si rese conto che era una collana.
- Etheram, è... è bellissima! Dove l'hai presa? -
- Segreto. Ti dirò solo che ho chiesto a un uccellino di accompagnarmi in una certa oasi... -
- Hai davvero chiesto ad Arsalan di portarti con lui al mercato? Come hai fatto a convincerlo? Dice di no a tutti ed è pure antipatico. -
- Dopo l'ultima volta che gli ho fatto notare che la pietra che gli avevano venduto era un sasso colorato, ha deciso di sua spontanea volontà di portarmi con sé. -
Nemeria la squadrò, soppesando le sue parole per cercare di capire se ci fosse un qualche significato nascosto, ma visto che sua sorella non sembrava intenzionata a scucirsi oltre rinunciò, tornando a rivolgere le sue attenzioni al regalo. Era un semplice pendente, con la corda era nera e liscia al tatto, come il cristallo, che era stato levigato fino a fargli assumere la forma di una goccia. Esso sfavillava di una luce lattiginosa, che sembrava scaturire dall'interno. A Nemeria ricordava una Lacrima della Madre, quelle che si diceva avesse versato quando Heydar, il campione del suo amato fratello, aveva ucciso Soraya, la sua prima figlia, condannando così tutta la stirpe degli uomini.
- È una pietra di luna. Si dice che aiuti a lenire gli affanni e il dolore, ma soprattutto serve a mitigare le emozioni. Ho pensato che poteva essere un bel regalo per un'aspirante Jinian. -
- È bellissimo, davvero. Posso indossarla subito? -
- Certo, voglio vedere come ti sta. -
Nemeria si alzò di scatto e raccolse in una coda raffazzonata i capelli corvini, trattenendo appena l'eccitazione.
Le Jinian non entravano mai in contatto con gli altri popoli, di solito il compito di mercanteggiare lo lasciavano agli uomini della tribù che si occupavano di scambiare stuoie, statuette di legno, bisacce, cuscini e astucci per armi con beni di prima necessità. I gioielli, ovviamente, non rientravano tra questi e Nemeria li aveva per lo più sentiti descrivere dai racconti delle Anziane, oppure li aveva visti portare da alcune Ikaelan. Il fatto che Etheram fosse venuta in possesso di una collana era straordinario.
Quando percepì la freddezza della pietra sulla pelle, provò subito un profondo senso di pace. Di fronte alla sua faccia meravigliata, sua sorella l'abbracciò, soffocando una risata nei suoi capelli.
- Ti voglio bene, Nemeria. -
- Anche io te ne voglio, Etheram. Prometto di impegnarmi sempre di più per diventare una Jinian brava come te. -
- Oh, così mi piaci. Adesso però andiamo a dormire, domani sarà una giornata impegnativa per te. -
- Non puoi dormire vicino a me? Prometto che non mi muovo troppo. -
- Anche l'ultima volta avevi detto così e la mattina dopo mi sono svegliata fuori dalle coperte. -
- Dai, faccio la brava. - piagnucolò, fissandola come un cane bastonato.
Etheram esalò un sospiro esasperato e si passò una mano sul viso, ma mentre spostava la stuoia Nemeria si avvide che sorrideva. Sua sorella non riusciva mai a negarle nulla.
- Grazie ancora del regalo. Buonanotte. - sussurrò, allungando la mano verso quella di Etheram.
- Sogni d'oro, fiammella. - le rispose, con la voce già impastata dal sonno.
E un minuto più tardi precipitarono nel sonno, le dita intrecciate e i corpi vicini.
 
Era quasi l'alba quando Nemeria aprì gli occhi. Aveva ancora una mano stretta attorno alla pietra di luna, ma l'altra era vuota. Etheram se ne stava in piedi accanto a lei, gli occhi chiusi, l'espressione concentrata e i palmi illuminati da una luce dorata appoggiati a terra.
- Etheram...? - la chiamò incerta.
Non ottenne risposta. Solo il movimento dell'elementale sotto la pelle delle braccia tese le fece capire che non si era addormentata durante la meditazione.
Con la mente ancora annebbiata dal sonno, Nemeria si guardò intorno, per poi dirigere la sua attenzione prima verso l'entrata e poi all'interno della tenda. Alle sue orecchie le arrivarono il leggero russare di Hediye, il borbottio sommesso di Rakhsaan e il sibilare leggero del vento. Suoni familiari, suoni di casa.
Etheram, però, sembrava sentire qualcos'altro. D'un tratto impallidì e, quando riaprì gli occhi, Nemeria vide la paura accenderle lo sguardo.
- Ci stanno attaccando. Sveglia Hediye e Rakhsaan, io vado ad avvertire l'Alta Sacerdotessa. -
- Attaccando? Chi? - indagò sconvolta, svegliandosi del tutto.
- Non lo so, ma non è importante ora. - disse in tono calmo, senza lasciar trasparire alcun turbamento, e Nemeria si quietò un poco.
Le Anziane raccontavano spesso come fosse il mondo fuori dalla tribù, quanto potessero essere crudeli gli uomini, ma le avevano sempre rassicurate: la magia dell'Alta Sacerdotessa e delle altre Jinian, fin da quando Heydar aveva scatenato la collera della Madre, aveva reso il loro popolo invisibile. Solo le poche donne che possedevano il dono della vista erano in grado di scorgerli, e dopo un'attenta selezione venivano accolte nella tribù. Quindi com'era possibile che qualcuno le potesse attaccare? I mortali non sapevano della loro esistenza, le Anziane e gli uomini che mercanteggiavano avevano garantito che erano diventate solo una leggenda.
Quando Etheram l'afferrò per le spalle, Nemeria trasalì. Aveva la mascella contratta e gli occhi si erano accesi di una calda luce dorata, così come le braccia e le mani.
- Ascoltami, lo so che hai paura, ma andrà tutto bene. Rilassati e sveglia Hediye e Rakhsaan. Se è vero che qualcuno ci ha trovate, siamo tutte in grave pericolo. Io non posso rimanere qui, devo unirmi alle altre per combattere, perciò dovrai essere tu a prenderti cura di loro. -
- Combattere? Ma io so a malapena utilizzare l'elementale del fuoco! -
Etheram fece per ribattere, ma l'elementale risalì in una scia dorata intermittente il suo braccio e le sussurrò qualcosa all'orecchio, qualcosa che l'allarmò. Il vento trasportò le urla concitate di donne e uno scalpiccio frenetico. La voce risoluta di Fakhri sovrastò tutte le altre, assieme a quelle delle maestre, che esortavano tutti a radunarsi attorno alla tenda dell'Alta Sacerdotessa.
- Ci stanno davvero attaccando? -
A quella domanda, le due sorelle si girarono in simultanea. Hediye avanzava zoppicando verso di loro, con in braccio il piccolo Rakhsaan ancora addormentato. Lo stringeva forte al seno, le mani e le spalle tremanti come il sorriso che rivolse a Nemeria.
- Sì, per questo dovete andare via. Seguite le indicazioni delle maestre, andate dall'Alta Sacerdotessa. - spiegò rapidamente Etheram, - Non allontanatevi dagli altri, per nessuna ragione al mondo, chiaro? -
- Tu non verrai? - balbettò Nemeria.
- No, io mi unirò alle Jinian. -
Nemeria cercò le parole per rispondere, per convincerla a non separarsi, ma i pensieri si accavallavano impedendole di concentrarsi. Un terribile presentimento si fece strada nel suo cuore. Non voleva che Etheram andasse, sentiva che, se fosse uscita dalla tenda, non l'avrebbe più rivista. Eppure, per quanto si sforzasse, la sua voce rimaneva incastrata in gola.
Etheram le diede un bacio sulla fronte e l'abbracciò, affondando la mano nei capelli neri della sorellina. Nemeria comprese subito che era un addio.
- Non piangere, andrà tutto bene. - le soffiò all'orecchio, asciugandole le lacrime.
- Sì, andrà tutto bene, vedrai. - reiterò Hediye, prendendole la mano, e con delicatezza l'allontanò dalla sorella, - Abbi cura di te, Etheram. -
La ragazza elargì un lieve cenno di assenso, si voltò e schizzò fuori dalla tenda. Nemeria guardò con gli occhi fuori dalle orbite il punto in cui fino a un istante prima c'era Etheram, avvertendo il gelo penetrarle nelle ossa. Poi Hediye la tirò e lei fu costretta a seguirla, le gambe rigide come tronchi e il cuore pesante come il piombo.
Non appena uscirono, il caos le avvolse. Uomini, donne e bambini camminavano affiancati, stringendo al petto i pochi averi che potevano portare con loro. Le maestre giravano tra la folla, facendo sentire la loro presenza in modo da contenere il panico che, come un morbo mortale, si diffondeva sui visi sudati dei fuggiaschi. Il sole, a quell'ora della mattina, rendeva la sabbia rovente e l'aria irrespirabile, ma senza nessuna Jinian a richiamare il potere degli elementali non potevano fare altro che avanzare lentamente, con il fiato che bruciava la gola e gli occhi pieni di paura, ammassati gli uni agli altri per difendersi da un nemico invisibile e sempre più vicino.
Nemeria girava il capo da una parte all'altra, nella speranza di scorgere qualche viso conosciuto in mezzo alla bolgia, ma l'unica cosa a cui riusciva a pensare erano le parole di Etheram.
- Predoni! Predoni a cavallo! -
- Sono più di trenta, come faremo a salvarci? -
- Sono neri come i Jin, ma sono uomini. -
- Come hanno fatto a trovarci? Non sanno usare la magia! -
- Mamma, dove stiamo andando...? - domandò Rakhsaan con voce impastata, sbadigliando.
Il bambino osservò il panorama con aria persa, gli scarmigliati riccioli biondi che gli circondano il viso come un'aureola e le braccia cinte attorno al suo pupazzo di stoffa. Alla vista della gente che correva gridando, le facce distorte dal terrore e l'incarnato pallido come quello di uno spettro, Rakhsaan percepì la paura montare come un'onda violenta.
- Mamma?! - chiamò spaventato, aggrappandosi al collo di Hediye come se fosse l'unica ancora di salvezza.
- Andiamo dall'Alta Sacerdotessa, amore. Ci sono degli uomini cattivi che vogliono farci del male, ma le nostre Jinian ci proteggeranno. Andrà tutto bene, vedrai. - rispose la donna, ma Nemeria colse la sua esitazione.
Anche Rakhsaan dovette notarla, però non osò chiedere, rannicchiandosi contro il suo petto e nascondendo il viso nell'incavo del collo della madre. Hediye gli accarezzò la testa e gli scoccò un bacio sui capelli. Cercò di mantenere un passo sostenuto, ma la caviglia le doleva e la rallentava. Se l'era slogata due giorni prima, mentre tornava a casa dopo essersi occupata della febbre di Keyvan. Doveva essere una cosa da poco, un paio di giorni nella tenda a riposare e si sarebbe rimessa in sesto. Ora, invece, Nemeria si domandava se avrebbe visto sorgere un'altra alba.
Quando giunsero nella piazza centrale, videro l'Alta Sacerdotessa. La lunga cappa smanicata aperta sul davanti ricadeva in uno strascico lungo, con motivi geometrici rossi che si arrampicavano come foglie d'edera sulla stola, lasciando scoperte le braccia fino alle spalle tatuate. Nemeria si rasserenò un po', anche se nel profondo sapeva che non era un buon segno che impugnasse il bastone degli Spiriti.
Le Anziane costituivano un semicerchio attorno a lei. Alcune indossavano i paramenti sacri, con la fusciacca rossa e il pugnale cerimoniale nel fodero sulla vita, altre invece avevano l'armatura di pelle e avevano già infuso gli elementali nelle scimitarre.
L'Alta Sacerdotessa attese finché tutti non si furono radunati al suo cospetto. Il vento cominciò a soffiare, le ingrossò la gonna e le scompigliò i capelli, lasciando scoperti i tatuaggi luminosi sulle gambe e gli orecchini sulle lunghe orecchie da Sha'ir, ultimo retaggio del suo passato mortale. La sua voce alta e autoritaria mise la folla a tacere.
- Mio amato popolo, siamo stati attaccati, gli uomini ci hanno trovato. Hanno oltrepassato la prima barriera e adesso si accingono a distruggere la seconda. Tra pochi minuti saremo completamente esposti. - li osservò ad uno ad uno, con i suoi occhi rossi senza pupille, - Non so come sia accaduto, i mortali non possono usare la magia senza venirne corrotti, ma non è questo il momento delle risposte. Ho mandato le nostre Jinian al confine della prima barriera, in modo che possano trattenerli il più possibile. A breve, andranno anche alcune Anziane, ma prima apriremo un portale di teletrasporto. - alzò il braccio che teneva il bastone degli Spiriti e si concentrò.
Nemeria ebbe come la sensazione che stesse guardando proprio lei, ma si ricredette subito. Perché mai avrebbe dovuto farlo? Lei era solo una bambina.
- Vi chiedo di rimanere fermi. Quando il portale sarà attivo, procedete ordinatamente all'interno. Vi ritroverete molto lontani da qui, in un luogo dove potremo di nuovo nasconderci. -
Mentre diceva questo, le Anziane, quelle che portavano gli abiti sacerdotali, avevano già cominciato a richiamare gli elementali dell'aria e dell'acqua. L'energia fluiva dalle loro dita in volute evanescenti, spirali perlacee che si annodavano intrecciandosi attorno a uno specchio liquido, con la superficie increspata da mulinelli.
- Io, le Anziane e le Jinian resteremo per combattere, e non è certo che torneremo. - continuò l'Alta Sacerdotessa, e la sua espressione imperturbabile si incrinò in una smorfia amara, quasi rassegnata.
Un fremito di paura percorse la tribù. Hediye rinserrò la presa in tempo, prima che le ginocchia di Nemeria cedessero. Etheram era lì fuori, alla prima barriera a combattere per loro e c'era il rischio che non sopravvivesse. Sua sorella, la sua confidente, la sua migliore amica poteva già essere morta. Senza che se ne rendesse conto, le lacrime ruppero gli argini e Nemeria si ritrovò a singhiozzare contro il fianco di Hediye.
Il canto delle Anziane aumentò di volume, le voci si unirono e gli elementali vorticarono nell'aria per tuffarsi e riemergere dallo specchio. Una scarica di fulmini scaturì da ognuno di loro, fece tremare tutta la struttura e solidificò la cornice fumosa.
L'Alta Sacerdotessa gettò una rapida occhiata al portale e si rivolse nuovamente alla folla. Nemeria ebbe ancora l'impressione di essere osservata, ma non vi badò, troppo preoccupata per la sorte di Etheram.
“È un incubo, deve esserlo... per favore, Madre, fa' in modo che si salvi.”
Quando cominciarono ad avanzare verso il portale, si fece trascinare quasi per inerzia da Hediye.
- Sta' tranquilla. -
Nemeria trasalì e dopo un attimo di esitazione sollevò il capo. L'Alta Sacerdotessa era davanti a lei, la sovrastava mettendola in soggezione. Abbassò lo sguardo a disagio, ma la donna glielo impedì, si inginocchiò e le tirò su il mento, costringendola a guardarla negli occhi.
Ora che la vedeva così da vicino, Nemeria si accorse che, nascoste sotto le lunghe ciglia bianche, c'erano un paio di pupille nere e che i tatuaggi bianchi sulle spalle e sulla pancia scoperta baluginavano di tutte le sfumature del giallo, del rosso, del blu e del grigio.
Vedo lontano, oltre le nebbie. Vedo un mondo che non mi è più caro, un eterno inverno dove il sangue scorrerà imbrattando la virginea bellezza della primavera. Il disonore prevarrà, la lealtà verrà calpestata, il coraggio arderà nelle fiamme degli incendi. Ogni uomo diverrà un traditore, ogni tradito un omicida. Allora sarà l'Era della Falce e verrà emesso il giudizio sul mondo. -
La sua voce era incolore, quasi glaciale, mentre parlava. A Nemeria venne la pelle d'oca. Non riusciva a muoversi, incatenata ai suoi occhi di brace che la fissavano senza vederla davvero.
Figlia di Chandra, considera il lato nascosto delle cose e chiediti cosa non conosci. Scruta al di là delle ombre, diffida dalla luce, segui il sentiero che ti trascinerà verso l'abisso e ti innalzerà al di sopra degli altri figli di Chandra e Heydar. - concluse, le posò un delicato bacio sulla fronte e accarezzò la pietra di luna che pendeva dal collo di Nemeria.
All'improvviso, un sibilo fendette l'aria e una freccia si piantò nel terreno, vicino al piede dell'Alta Sacerdotessa. Un silenzio denso come melassa paralizzò la folla, che, come un essere unico, si girò per individuare chi l'avesse scagliata.
Quindici predoni avanzavano dal limitare delle tende, le daghe insanguinate abbandonate lungo i fianchi e una semplice maschera bianca a coprir loro il viso. Il materiale con cui era stata realizzata era traslucido, come porcellana, e sulle guance era stata dipinta una lacrima rossa. La loro armatura era più nera dei mantelli drappeggiati sulle spalle. Camminavano contemplando il paesaggio, come se fossero appena arrivati a una festa.
Nemeria li studiò, la mente vuota e gli occhi ormai asciutti, senza più lacrime. Se erano arrivati lì, significava solo una cosa: Etheram, assieme a tutte le altre Jinian, era morta.
- Presto, presto, al portale! -
L'ordine dell'Alta Sacerdotessa si levò come un ruggito disperato, rimettendo in moto l'ammasso di corpi che ostruiva la piazza. Mentre gli uomini serravano i ranghi, lei e le Anziane armate con le scimitarre caricarono i nemici, incuranti delle frecce che piovevano dal cielo.
Nemeria osservò quella donna folle di dolore che combatteva come una furia, incurante delle ferite e dei colpi che la raggiungevano da ogni parte, sfondando gli incantesimi protettivi degli elementali che, come spiriti impazziti, brillavano sotto la sua pelle liberando la loro magia primordiale, nel tentativo di respingere i suoi avversari.
Mentre veniva trascinata via, Nemeria piangeva, piangeva per l'Alta Sacerdotessa e per le donne che stavano dando la vita per salvare quella del loro popolo.
Il panico esplose. A nulla valsero gli ordini delle maestre, le loro esortazioni a procedere con ordine. Il terrore si era impossessato di tutta la tribù, i cui membri si spintonavano per arrivare per primi al portale, passando sui corpi dei più deboli, calpestando i bambini che disgraziatamente si erano allontanati dalle madri. Un altro coro di urla si propagò nella piazza quando le frecce cominciarono a mietere le prime vittime.
Hediye si dimenò con furia, facendosi largo in mezzo a quella miriade di corpi. Aveva preso anche Nemeria in braccio e, incurante del dolore alla gamba, cercava di farsi strada verso il portale. Rakhsaan piangeva disperato, stringendo convulsamente al petto il suo pupazzo.
- Ci siamo quasi, ci siamo quasi... -
Nemeria per un istante, accecata dalla luce blu dello specchio, ci credette davvero. Poi uno di quegli uomini, sbucato da chissà dove, pugnalò una delle Anziane e il portale cominciò a collassare.
Una mano gelida le artigliò una gamba e la strattonò così forte da farle perdere l'appiglio. Nemeria cadde e rotolò di lato, con le braccia alte a proteggersi il volto. Aspettò qualche secondo, sicura che di lì a poco dei piedi l'avrebbero calpestata, ma non accadde niente. Quando schiuse le palpebre vide con orrore Hediye a terra e, alle sue spalle, un nemico.
- Scappa! Nemeria, scappa! - gridò la donna con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
In un lampo, la mano guantata del predone scattò, lasciando una sottile linea rossa sulla gola di Hediye, uno squarcio che sembrava quasi un sorriso. Il suo corpo si accasciò su un fianco e mentre la folla sciamava via, lontana da loro, Nemeria lo vide fremere in un agonizzante spasmo. Poi Hediye smise di respirare. I suoi occhi, ancora aperti e lucidi di lacrime, si velarono e una pozza di sangue si allargò sotto di lei.
Nemeria fissò la scena e l'uomo che adesso si stava avvicinando, trafiggendola con uno sguardo tagliente e crudele, inumano. Singhiozzò impietrita. Era consapevole che rimanere lì fosse una pessima idea, avrebbe dovuto muoversi, scappare; avrebbe dovuto ritrovare Rakhsaan, che si era perduto nel marasma non appena Hediye era crollata; avrebbe dovuto vendicare la morte di Hediye, lottare con le unghie e con i denti. Sì, avrebbe dovuto farlo, ma l'istinto di conservazione e la paura presero presto il sopravvento, spegnendo la ragione. I muscoli delle gambe guizzarono, i talloni fecero leva sul terreno e il corpo si sbilanciò in avanti, riassumendo una posizione eretta. L'adrenalina le diede l'ultima spinta e, senza accorgersene, iniziò a correre come non aveva mai fatto. Saltò il cadavere di una donna che era stata trafitta a morte da una freccia, si infilò nelle tende, zigzagando per seminare il suo inseguitore. Poteva sentire il suo respiro spezzato sul collo, i suoi occhi neri fissi sulla propria schiena che non la perdevano mai di vista. Era lei che voleva.
“Madre, aiutami!”
La pietra di luna divenne incandescente contro la sua pelle e, improvvisamente, ogni suono venne inghiottito dal silenzio. Nemeria correva attraverso uno scenario di morte muto senza provare nulla, come se la collana avesse risucchiato ogni emozione. A un tratto la sua mente era lucida e i pensieri nitidi. La prossima mossa le si prospettò con naturalezza sconvolgente davanti agli occhi, assieme alla visione di una cittadella sconosciuta.
L'elementale dell'aria lasciò fluire il suo potere nelle vene di Nemeria, soffiò in armonia col suo sangue e ne accompagnò il corso, giù fino alle gambe e ai piedi, spronandola ad aumentare la velocità.
- Portami a Kalaspirit. - ordinò la bambina e un istante più tardi venne avvolta da un turbine di luce.

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Capitolo 2
*** Il Potere del Fuoco ***


Fuoco 2

2

Il Potere del Fuoco

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La prima cosa che Nemeria percepì quando riprese conoscenza fu la consistenza friabile della sabbia sotto le dita. La luce del sole, che brillava a picco dal cielo terso, le bruciava gli occhi attraverso le palpebre. I raggi le incendiavano la nuca, trasmettendole un calore insopportabile. Aveva un forte mal di testa e lo stomaco dolorosamente contratto, ma sul corpo non vedeva alcuna ferita, niente che le lasciasse intuire di essere stata colpita. Era stata fortunata.
Si strofinò le braccia e si umettò le labbra secche, percependo il fastidioso scricchiolio dei granuli di sabbia sotto i denti. Lasciò vagare lo sguardo, ricercando in quel paesaggio desertico un qualche punto di riferimento, una palma o una duna familiare. Se davvero era riuscita a teletrasportarsi, prima doveva verificare di essere nel posto giusto.
Quel pensiero fu come una stilettata al cuore. Era fuggita lasciandosi alle spalle la sua tribù, la sua famiglia. Per un secondo, il pensiero di morire lì, sotto il sole cocente, le parve una prospettiva allettante, ma l'istinto di sopravvivenza non glielo permise. Come in un sogno, strinse la pietra di luna che le pendeva al collo e cominciò a camminare.
Sulla linea dell'orizzonte, al confine tra il cielo azzurro e le dune giallastre, circondata da una patina di sabbia e calura si ergeva una città, o forse era solo un miraggio. Ma Nemeria seppe all'istante che era lì che doveva andare, il suo corpo disidratato bramava il refrigerio dell'ombra e dell'acqua. Così procedette finché le mura bianche presero una consistenza fisica, reale come il chiacchiericcio delle persone e la puzza nelle strade.
Si guardò intorno timorosa, ma nessuno sembrò fare caso a lei. Solo le guardie, con un'armatura ramata e un semplice mantello rosso senza alcun emblema, le lanciarono un'occhiata distratta, per poi tornare a sorvegliare la fiumana di persone che entrava e usciva a piedi o su carri. Nemeria si concesse di studiare con involontaria insistenza quelli che trasportavano spezie e altri generi alimentari, avvertendo un fastidioso brontolio allo stomaco. Non appena il mercante si accorse di lei, le urlò di andarsene, quasi fosse feccia a cui non valeva la pena di offrire neanche un sorso d'acqua. Nemeria, però, non replicò, allontanandosi rapidamente.
Gli stretti vicoli e le bancarelle polverose del mercato si susseguivano agli angoli del suo campo visivo, slavati come l'acquerello di un bambino. A ogni passo, la voce che le consigliava di tornare indietro, di provare a chiamare aiuto si affievoliva sempre di più. Quando si infilò in una stradina sporca e desolata dietro a una taverna, era diventata solo un sussurro, che i suoni della città e il bisogno di cibo e acqua misero facilmente a tacere.
Si avvicinò alla porta sul retro della taverna, quella che dava sulla cucina, a giudicare dal buon profumino che le schiaffeggiò il naso. Sussultò quando un topo grosso come un cucciolo di cane le corse sul piede per andare a imbucarsi nella sua tana, nascosta dietro un tavolo rovesciato e mangiato dai tarli. Nemeria scrollò le spalle e rivolse la sua attenzione alla catasta di casse lasciate a marcire contro il muro. Ne contò circa una decina, tutte più o meno della stessa misura e della stesso pessimo legno, di quelli che Morad e Arsalan avrebbero accantonato subito, definendoli “rametti buoni solo a bruciare”. Scosse la testa e strinse i pugni più forte che poté, finché il dolore causato dalle unghie piantate nei palmi non scacciò via i visi amati dei due mercanti. Cominciò ad ammonticchiare le casse l'una sopra l'altra, curandosi di scegliere solo quelle più integre. Quando ebbe costruito una piccola montagnetta, si arrampicò fino alla finestrella.
Il profumo del riso al vapore e delle spezie le fece gorgogliare lo stomaco e venire l'acquolina in bocca, sensazione che si acuì allorché dei piatti dall'aspetto divino passarono davanti a lei, sorretti dalle mani esperte di cuochi e camerieri.
A differenza del fuori, la cucina all'interno era tutto fuorché sporca. I cuochi, due besajaun e una donna dal naso a patata e gli occhi a mandorla, si muovevano freneticamente da una pentola all'altra, togliendo la carne marinata dal fuoco, girando gli spiedini sulla brace, aggiungendo salse a stufati di verdure e legumi. Erano così in sincronia che per un momento Nemeria si dimenticò della fame e rimase a osservarli, completamente incantata. Fu per quello che non si accorse che qualcuno si era accorto della sua presenza.
La porta si aprì di schianto e uno dei cuochi uscì con un'espressione truce stampata sul viso. Lo spavento che prese fu sufficiente a farle perdere l'equilibrio e cadere dalla sua scala di fortuna.
- Che cosa vuoi, accattona? - l'aggredì l'uomo, in mano teneva un mestolo sporco di sugo, - Ho già detto a tutti i tuoi amici che qui non ci dovete venire, chiaro? Non mi va che frughiate nei miei rifiuti o che vi facciate vedere in prossimità della mia taverna! -
Nemeria arretrò strisciando per un paio di metri, poi tentò di rimettersi in piedi, ma la paura le paralizzava le gambe.
- Hai capito o no che devi sparire?! -
- S-sì... -
- E allora alza il culo e vattene, prima che chiami le guardie! - sbraitò il cuoco e alzò il braccio munito di mestolo per colpirla.
Nemeria serrò gli occhi e si rannicchiò, portando le braccia sopra la testa per proteggersi, ma l'unico suono che udì fu il tonfo della porta. Poco dopo le giunsero alle orecchie gli ordini furiosi del cuoco, che intimava agli altri di tornare al lavoro.
Quando abbassò lo sguardo, ancora leggermente sconvolta, notò un pezzo di formaggio che giaceva ai suoi piedi. Si tirò a sedere e, dopo una breve titubanza, lo agguantò. A quel punto scappò, inoltrandosi nel vicolo, per poi svoltare in una stradina chiusa tra la locanda e un altro edificio. Addossata al muro c'era altra immondizia, pane, frutta e verdura così marci da sembrare carbonizzati. Le corde dove erano stati stesi i panni ad asciugare costituivano una ragnatela sopra la sua testa, sembravano quasi dividere il cielo calmo e silenzioso dalla terra, una prigione soffocante di caldo e sporcizia. Un gruppo di ratti stava banchettando con un pezzo di formaggio divorato dalla muffa. Non appena percepirono la presenza di Nemeria, si girarono per valutare se fosse una minaccia, poi tornarono a mangiare.
Con l'aria che le raschiava la gola a ogni respiro, la bambina si accovacciò contro la parete e strinse la pietra di luna nel palmo. Adesso era leggermente tiepida. Divorò il formaggio in silenzio, e le parve la cosa più buona che avesse mai mangiato. Una volta terminato il pasto, giocherellò con il pendente, scrutandolo intensamente.
- Perché mi hai salvata? Perché non mi hai lasciata morire lì, assieme a tutta la mia gente? Io... non so cosa fare, non so nemmeno dominare l'elementale con cui sono più affine... - mormorò con voce rotta dal pianto, mentre le lacrime premevano per liberarsi dalla prigionia delle ciglia.
Questo non è totalmente vero, mia cara.
Nemeria alzò la testa di scatto. Non fu in grado di trattenere un'esclamazione a metà tra il sorpreso e lo spaventato, quando posò gli occhi sull'ammasso di fuoco che era apparso accanto a lei. Guardandolo meglio, si avvide che le lingue rosseggianti avevano assunto la forma di una donna alta e snella.
Stai tranquilla, sono io. Sono l'elementale che vive dentro di te.
L'essere allungò la mano verso di lei. Le fiamme che componevano il suo viso si annerirono, solidificandosi assieme al resto del corpo in magma. Non appena le sue dita la sfiorarono, un calore rassicurante, delicato come la carezza di una madre, la pervase da capo a piedi.
- Com'è possibile che tu ti sia incarnata? -
Sulle labbra attraversate da vene incandescenti comparve un sorriso divertito. Del fuoco di cui era fatta erano rimasti solo i capelli, che crepitavano allegri sulle sue spalle.
Non mi sono incarnata. Io mi nutro di tutte le emozioni forti che vivono dentro di te, esse sono energia per le mie fiamme. In queste ore ne hai provate molte e l'energia che hanno sprigionato è stata sufficiente per prendere una forma... diciamo, umana. Ciò che vedi è solo l'immagine solida della mia essenza.
I topi erano fuggiti non appena avevano percepito la presenza dell'elementale, lasciando il pezzo di formaggio rosicchiato incustodito. Ne avevano mangiato una buona metà, ma si erano per lo più concentrati sulla parte ammuffita. Reprimendo la nausea, Nemeria si allungò, prese quello che era rimasto e cominciò a sbocconcellarlo. Se avesse potuto, l'avrebbe inghiottito in un solo boccone, ma si impose di mantenere un certo contegno davanti all'elementale.
Ascolta, Nemeria. So che quello che stai passando è terribile, ma non devi arrenderti, per nessuna ragione al mondo.
- Perché non dovrei? Ho perso tutto. La mia tribù è morta, la mia famiglia è morta. Non... non ho motivo di andare avanti. - singhiozzò e diede un morso più grande al formaggio, riempiendosene la bocca e masticandolo con rabbia e disperazione insieme alle lacrime salate.
Le sopracciglia corrucciate e gli occhi umidi le conferivano un'aria triste e tormentata, e così Nemeria si sentiva. Era sola, in un posto che non conosceva, indifesa, troppo giovane e stracciona per sperare di venire ascoltata da un adulto.
Il sole non era più allo zenit e le ombre dei panni ne schermavano la luce, creando delle macchie d'ombra che rendevano il caldo più sopportabile. Un refolo di vento le asciugò la pelle sotto il barracano, donandole un po' di sollievo.
L'elementale si piegò, intrecciò le dita sulle ginocchia e volse lo sguardo verso l'alto, nel cielo nascosto oltre i palazzi. Nemeria si domandò se, come l'Alta Sacerdotessa, fosse in grado di vedere il futuro, se ciò che l'elementale stava osservando tanto intensamente fosse davvero il cielo, e non qualcosa che agli occhi dei mortali era precluso. Le Anziane raccontavano che le prime Jinian, quelle che erano ancora capaci di udire le parole della Madre, fossero capaci di scorgere lo svolgersi del filo del destino attraverso il sangue e il fuoco, o addirittura nelle interiora degli animali. Quelle storie l'avevano sempre fatta rabbrividire, ma come molti altri aveva cercato di non darlo a vedere, nascondendosi dietro una risata nervosa a una rapida scrollata di spalle.
Il dolore ti rende sorda e cieca, ma non credi che sarebbe un atto egoista abbandonarsi alla morte dopo il sacrificio di Hediye e quello della vostra sacerdotessa? 
Le prese sua mano tra le proprie e accarezzò il dorso, le labbra increspate in un sorriso premuroso, dolce. 
Lei è morta per te. Non era tua madre, ma si comportava come se lo fosse. Anche Etheram ti amava. È andata alla prima barriera con la consapevolezza che non ti avrebbe più rivista. Non devi vanificare il suo sacrificio, non permettere che la sofferenza prevalga senza aver prima lottato. La morte trasforma ogni ricordo delle persone care in un vuoto, un'assenza che riempie i pensieri e avvelena l'anima. Si può decidere di lasciarsi consumare dal dolore, oppure si può trovare il coraggio per continuare a vivere. A te la scelta, Nemeria.
Prima che potesse rispondere, l'elementale si sfaldò e divenne cenere. Nemeria rimase a guardare in silenzio, finché anche l'ultima scintilla non si spense. Afferrò la pietra di luna, ma stringerla non la fece stare meglio.
L'elementale aveva ragione, tutto quello che le aveva detto era giusto, eppure non riusciva a non domandarsi perché la Madre avesse deciso di risparmiarla. Se Etheram fosse stata ancora viva, avrebbe sicuramente voluto che lei vivesse, ma il cuore e la mente di Nemeria non riuscivano ad accettarlo. Etheram si sarebbe dovuta salvare, di sicuro avrebbe saputo cosa fare, era una leader nata, forte, risoluta, carismatica. Perfino Hediye si era dimostrata più coraggiosa. Lei, con quel corpo fragile e la gamba azzoppata, si era accollata Nemeria e Rakhsaan e li aveva portati fino al portale. Era stata una delle cerusiche più abili del villaggio. Due donne che avrebbero meritato una vita piena, ricca e felice, ma avevano finito per sacrificare tutto per gli altri.
Nemeria non era come loro, importante o con un futuro brillante in serbo per lei. Era solo una bambina, una delle tante, senza alcuna dote particolare. Eppure era stata l'unica a scamparla. L'universo, talvolta, sapeva essere ironico. Come se non bastasse, nella fuga era riuscita a utilizzare miracolosamente il potere dell'elementale dell'aria e, invece di tentare di contrastare i nemici e dare manforte alle Jinian, si era teletrasportata via, come una codarda, lontano dalle urla strazianti del suo popolo massacrato senza pietà.
Aveva abbandonato la sua famiglia, doveva essere punita. Forse avrebbe dovuto permettere alla fame e alla sete di consumarla. Una morte lenta, adatta ai pavidi come lei. Tuttavia l'istinto, lo stesso che la guidava da quando era entrata in città, la rimise in piedi.
Non appena uscì dal vicolo, qualcosa scattò dentro di lei: sapeva dove avrebbe trovato l'acqua, conosceva la strada. Quella sensazione la scortò attraverso le vie, conducendola su un sentiero che nemmeno lei riusciva a vedere, ma che aveva la certezza fosse quello giusto. Nessuno sembrava far caso a lei e Nemeria fece di tutto per non farsi notare, mantenendo il capo chino. Quando possibile, aumentava il passo in modo da confondersi tra la folla.
Si fermò a riposare in una stradina laterale, sotto un balcone avvolto da boccioli bianchi e rossi. Poi si infilò in un vicolo tagliando tra due palazzi e, infine, sbucò in un largo, pieno di bancarelle, negozi e osterie. Doveva essere la via principale, a giudicare dalla quantità di persone che vi passeggiavano, ma a Nemeria poco importava. Si limitò a seguire la marea, finché non giunse in una piazza dove una grande scalinata, decorata con numerose terrazze e piccoli giardini pensili, saliva fino a raggiungere la torre campanaria. Al centro della piazza c'era un'enorme fontana di un marmo così bianco da sembrare quasi evanescente sotto la luce abbacinante del sole. Una statua di una sirena con i seni pudicamente coperti si ergeva su un cocchio a forma di conchiglia, trainato da due cavalli alati. Ai lati, sedute su due scogli e con i piedi immersi nella piscina, c'erano due donne, entrambe vestite con un lungo peplo e una cornucopia, dalla quale spuntavano tralicci d'uva matura.
Ogni volta che un passante passava lì vicino, gettava una monetina nell'acqua. Nemeria si avvicinò a una delle piscine laterali, quelle dove le cornucopie riversavano il loro flusso, e cominciò a bere. Il sollievo sopraggiunse quasi subito e la frescura portò via anche il sudore e la stanchezza che le gravavano sulle palpebre.
- Se solo avessi una borraccia con me... - si disse, mentre si lavava la faccia, - Però, adesso che so dove devo andare, potrò tornare qui quando ne avrò bisogno. -
- Anche io parlo da sola, sai? -
Colei che aveva parlato era una Sha'ir. Aveva la testa per metà rasata e l'orecchio sinistro pieno di pendagli, tutti collegati assieme da una catenina di bronzo ossidata, che tintinnava al vento. Era poco più alta di lei, qualche pollice appena, eppure negli occhi verdi Nemeria vi lesse una grande maturità.
- Io non parlo da sola. - ribatté imbronciata.
- Non ti preoccupare, ti ripeto che lo faccio anch'io. In realtà, capita un po' a tutti quelli che conosco, forse dovrei smetterla di frequentare certe persone. - sbuffò una risata e sorrise amichevole, - Sei nuova di qui? Non ti ho mai vista. -
Nemeria scandagliò la piazza per appurare che la Sha'ir non fosse stata mandata a parlarle da qualche tizio losco appostato nell'ombra. Sembrava non ci fosse nessuno di sospetto nelle vicinanze, così si rilassò appena.
- Tu conosci tutti quelli che vivono a Kalaspirit? -
La Sha'ir fece spallucce: - Diciamo che so riconoscere uno che non è di qui. Io sono Altea, gli amici mi chiamano Al. -
- E io come ti devo chiamare? -
- Dipende... comincia col dirmi qual è il tuo nome, poi vediamo. -
Nemeria esitò. Avrebbe preferito mantenere quell'informazione segreta, così come tutto ciò che la riguardava, però dentro di sé sapeva di non avere scelta. Se voleva sopravvivere a Kalaspirit, doveva fidarsi di qualcuno.
“Quindi hai deciso di continuare a vivere dopo quello che hai fatto? Codarda!” le sussurrò una vocina malevola nella sua testa.
- Ehilà? Ci sei ancora? -
Altea le schioccò le dita davanti al viso per richiamarla. Nemeria sbatté un paio di volte le palpebre e poi scrollò le spalle per scacciare il gelido senso di disagio che le serrava la gola.
- Mi... mi chiamo Nemeria. E sì, hai indovinato non... non sono di qui. - rispose, sforzandosi di sorridere e di apparire calma.
- Dunque ci avevo preso. - ridacchiò soddisfatta Altea, - Dalla faccia che hai mi sembri una che ha anche bisogno di aiuto. -
- Già. - si grattò nervosamente la nuca, - I miei genitori mi hanno abbandonata un paio di giorni fa e... e non so come fare. Non conosco la città, non so come dovrei muovermi o dove trovare qualcosa da mangiare. -
Altea la squadrò dall'alto in basso e per un lungo minuto non disse nulla. Nemeria sperava che la sua storia inventata sul momento la convincesse, anche se la sua voce suonava fin troppo incerta persino alle sue stesse orecchie.
- Hai problemi a condividere il letto con altre persone? - le domandò Altea di punto in bianco.
- No, assolutamente. Spesso mio fratello si infilava nel mio letto quando si scatenava un temporale e... -
Il ricordo del corpo tremante di Rakhsaan contro il proprio la colse impreparata. Poteva ancora sentire il solletico dei riccioli del bambino sul naso, la consistenza ruvida del suo pupazzo, il suo respiro caldo che si mescolava al suo. Era ancora tutto vivido. Il cuore le fece così male da spingerla a portarsi una mano al petto per controllare che non ci fosse alcuna ferita.
Altea le rivolse un sorriso dolcissimo e le accarezzò la testa, scompigliandole i capelli. Aveva il palmo calloso come quello di un contadino.
- Allora seguimi, dobbiamo fare la spesa. -
La guidò in mezzo alla folla, passando rasente alle bancarelle ai lati della strada. Molti mercanti, appena le videro, intimarono loro di stare lontane dalla merce, ma Altea era molto più veloce di quello che Nemeria si aspettasse. Riuscì a rubare un paio di mele rosse, pere, cavoli e, prima che il proprietario se ne accorgesse, sgraffignò anche dei datteri, che infilò tranquillamente nelle tasche di Nemeria. Tentò di portare via un vasetto di miele, ma non fu abbastanza rapida e la proprietaria della bancarella, un donnone dalla pancia pronunciata quasi quanto il suo seno, lanciò un allarme che richiamò i soldati.
Si gettarono in una fuga rocambolesca, durante la quale Nemeria si domandò a più riprese perché si fosse fatta coinvolgere. I capelli si appiccicavano alla fronte sudata, il cuore le galoppava impazzito nel petto e sembrava fermarsi ogni volta che perdeva di vista la sua guida, ma Altea non era mai troppo lontana e in qualche modo riusciva sempre a raggiungerla. Si fecero largo tra la gente, sgusciarono sotto i carri e le portantine, zigzagarono tra i vicoli, leste come lepri, finché alle loro spalle non udirono solo il familiare chiacchiericcio del mercato.
Col fiato corto e le gambe che tremavano, si fermarono in una stradina sdrucciolevole, bagnata dalle acque di scolo. Lì vicino c'era una grata.
- Andremo nelle fogne...? - biascicò allibita Nemeria.
Altea si accostò alla grata e, dopo aver controllato che non ci fosse nessun altro, si inginocchiò.
- Ci abbiamo vissuto per un po', ma poi Noriko ha scoperto l'esistenza delle catacombe e ci siamo trasferiti lì. -
Nemeria rabbrividì. Arsalan le aveva parlato di quei posti e aveva messo in guardia sia lei che Etheram: erano il regno di ladri, ratti, fantasmi e scheletri. Se possibile, era meglio evitarli, anche se lì sotto era più facile trovare qualcuno per “affari di un certo tipo”.
- È una bella seccatura. - proseguì Altea, - Chi le ha costruite ha fatto un ottimo lavoro, però è davvero difficile ricordarsi dove conduce ogni galleria e dove sbuca ogni grata. L'unica cosa che sappiamo è che si estendono sotto tutta la città, ancora più in profondità delle fogne, e che alcune sono stracolme di ossa vecchie di secoli. Gli altri hanno paura a spingersi in alcune zone, dicono che sono infestate dagli spiriti dei morti, ma io sono più che sicura che a parte polvere non ci sia altro. - sollevò la grata e le fece cenno di raggiungerla.
Nemeria si affacciò cauta e scorse una scala fatta di funi e pioli di legno maltagliati che si perdeva nell'oscurità.
- Ti faccio strada io, non preoccuparti. -
- Non sono preoccupata. - mentì Nemeria, - Sbrighiamoci, prima che arrivi qualcuno. -
- Sai che hai degli occhi bellissimi? - commentò ammirata Altea, di punto in bianco, - Sembrano degli arcobaleni. -
Nemeria incassò la testa nelle spalle, imbarazzata, e non seppe cosa rispondere. Altea ridacchiò e, dopo averle scoccato un'occhiata significativa, cominciò a scendere.
Il silenzio immobile delle catacombe le accolse come un vecchio amico. Non appena Nemeria risistemò la grata al suo posto, il suo respiro e quello della compagna divenne l'unico suono udibile. Quando Altea accese un fiammifero, l'oscurità parve animarsi. Un ratto che stava banchettando con i resti di chissà che animale corse via spaventato, mentre un ragno peloso e grosso quanto un pugno si girò a guardarle con i suoi occhietti rossi dalla ragnatela. Nemeria dovette mordersi le labbra per non urlare.
- Dai, andiamo! - la richiamò Altea, - Stammi vicino. Se ti perdessi sarebbe un bel problema ritrovarti. -
Avanzarono affiancate, con la sola luce del fiammifero a illuminare i loro passi. Talvolta, alcune lame di luce filtravano attraverso le grate sul soffitto, ma per la maggior parte del tempo si affidarono a quella fiammella incerta. Nemeria fu tentata più volte di richiamare il potere dell'elementale del fuoco, ma la paura della reazione di Altea la frenò. L'aveva appena conosciuta e non sapeva niente di lei, non poteva fidarsi. Le Anziane le avevano spiegato che tra i mortali erano pochi quelli che erano in grado di utilizzare la magia e che, nei secoli passati, coloro che ci riuscivano venivano cacciati e uccisi.
- Mi sembri pensierosa. Qualcosa ti turba? - chiese Altea, guardandola in tralice.
- N-no. Ho solo paura del buio. -
Il che non era proprio una bugia.
La Sha'ir la scrutò per un momento, poi fece spallucce: - Ecco, siamo arrivati. Adesso basta che giriamo a sinistra e poi saremo al campo. -
- Al campo? -
- Sì, noi lo chiamiamo così. Anche “casa” va bene, ma “campo” ha qualcosa di emozionante, non trovi? -
- Ah, certo. -
Quando girarono l'angolo, Altea spinse una pietra che si trovava sulla parete di un loculo. Con un leggero sibilo, questa si aprì di lato, rivelando un'entrata di a malapena venti pollici. Al di là, solo oscurità.
- Dobbiamo entrare lì dentro? - balbettò Nemeria.
Altea annuì e strisciò rapidamente all'interno. Dopo una breve esitazione, l'altra la seguì, reprimendo il senso di disgusto per il puzzo di ossa in decomposizione. Quando alla fine scivolò fuori da quel cunicolo, la voce di Altea la raggiunse, rimbalzando nel buio e sulle pareti trasudanti umidità. Udì anche un basso mormorio, ma non riuscì a distinguerne le parole.
- Vieni, sono qui! -
- Qui dove? -
Con un sospiro sconsolato, Nemeria si appoggiò alla parete e procedette a tentoni, fino a quando la galleria girò e si ritrovò in uno spazio più largo, popolato da tende rattoppate sparse ovunque. Al centro crepitava un fuoco, attorno al quale erano seduti cinque ragazzi che, non appena entrò nel raggio di luce, si girarono a guardarla. Una era una bambina dai capelli rossissimi e gli occhi a mandorla di un azzurro terso come il cielo di una giornata estiva. Altea le sorrise, seduta su una sedia assieme a un altro Sha'ir dal viso pulito e le spalle larghe da contadino. Fu lui il primo a parlare.
- Lei chi sarebbe? -
- Era vicino alla Fontana dei Mari e mi è parsa in difficoltà. Ho pensato che poteva essere una buona idea portarla qui. - rispose Altea.
- E da quando tu pensi? E, soprattutto, da quando sei diventata il capo? - la rimproverò il ragazzo, - Ti avevo già detto che non puoi prendere nessuna decisione di tua iniziativa. Sono io quello che comanda, non tu. -
La Sha'ir abbassò lo sguardo e la maggior parte dei ragazzi si voltarono, facendo finta di niente. La tensione si poteva tagliare con un coltello.
- Hai ragione, ma... -
- Non devi fare niente senza prima avermi consultato, Altea. - sussurrò minaccioso e le afferrò un braccio, piantandole le unghie nella pelle così forte da farle venire le lacrime agli occhi, - Stai forse sfidando la mia autorità? Devo ricordarti qual è il tuo posto? -
Nemeria strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche e fece un passo verso di lui. La pietra di luna si surriscaldò e la rabbia ribollì nelle vene.
La fiamma nel focolare divampò all'improvviso, illuminando la stanza quasi a giorno, e un forte odore di bruciato si diffuse nell'aria.
- Dariush, stai esagerando. -
La bambina con i capelli rossi si era alzata e fissava lo Sha'ir con uno sguardo tagliente. Questi spinse via Altea e le si avvicinò. Alle luce del fuoco, Nemeria notò che gli tremavano le mani, chiuse in due pugni serrati fino a far emergere tendini e vene sotto pelle.
- Ne vuoi anche tu, Noriko? - ringhiò.
- Provaci. - lo sfidò.
Rimasero in silenzio a fronteggiarsi, senza che nessun altro attorno a loro osasse aprire bocca. Alla fine, Dariush rilasciò un grugnito e le diede le spalle, scomparendo nella sua tenda. Solo allora Altea e tutti i presenti sembrarono ricominciare a respirare. Massaggiandosi il braccio, la ragazza si avvicinò a Nemeria.
- Scusalo, è solo un po' nervoso. - lo giustificò con un sorriso tirato, - Beh? Dove vuoi dormire? -
Nemeria la fissò dall'alto in basso. Prima non ci aveva fatto caso, ma adesso, alla luce del fuoco, vide alcuni lividi sbiaditi su entrambi i polsi e poco sotto la mandibola.
- Mi va bene qualsiasi cosa. -
- La mia tenda è vuota. - si intromise Noriko, - Credo anche ci sia una stuoia in più. -
Altea strabuzzò gli occhi, ma prima che potesse aprire bocca lei si era già allontanata. Non appena tornò a fissare la nuova arrivata, un sorriso entusiasta le si dipinse sul volto.
- Ho qualcosa in faccia? - domandò Nemeria.
- No, è che sono sorpresa che Noriko ti abbia invitato a stare da lei. Da quando si è unita al nostro gruppo, non ha mai legato con nessuno. Tu sei la prima a cui rivolge spontaneamente la parola. -
- Ah... è una buona cosa? -
- Buonissima. - cinguettò contenta, battendo le mani, - La cena verrà servita tra qualche ora. Fino a quel momento, cerca di ambientarti. Se hai domande, chiedi a Noriko. La sua tenda è l'ultima sulla sinistra, rossa e bianca. Ah, dammi i datteri che li sistemo nella dispensa. -
Nemeria si svuotò le tasche e poi, quasi a passo di marcia, si avviò.
Noriko la attendeva all'interno, inginocchiata a sistemare la stuoia e le sue poche cose, tra cui un pettine d'osso, abiti che avevano visto tempi migliori e un fagotto avvolto in vari stracci. La veste a forma di T, dalle linee dritte, stretta poco sotto la vita da una fusciacca scolorita, aveva le maniche rovinate, come lo erano i pantaloni.
- Hai bisogno di una mano? - buttò lì Nemeria, più per cortesia che altro.
Come previsto, la ragazza le rivolse un semplice cenno di diniego, senza aggiungere altro. Nemeria si tormentò le mani, alla ricerca di un argomento per portare avanti la conversazione, ma non le veniva in mente nulla. In realtà, nemmeno lei aveva molta voglia di parlare, tanto meno con una sconosciuta, però le sembrava scortese non provarci nemmeno. Inoltre, era l'unico modo per non pensare a Etheram, a Rakhsaan, a Hediye e al resto della sua tribù.
- È da tanto che vivete qui? -
- Qualche mese, ormai. Il Ratto ha passato quasi un anno a esplorare le gallerie e a tentare di mapparle, ma solo recentemente abbiamo trovato il passaggio segreto che conduceva in questa sala. - rispose con voce neutra.
- Il Ratto? -
- Il suo vero nome è Hirad, ma noi lo chiamiamo così per la sua mania di infilarsi ovunque, proprio come un topo. Fa parte del gruppo di quelli che sanno leggere, composto da lui e altri due. -
Nemeria fece uno sforzo di memoria e riportò alla mente i visi dei cinque ragazzi attorno al fuoco. Che fosse uno di loro?
- Chi altri ne è capace? -
- Oltre ad Hirad, c'è suo fratello Hami e io. -
A quella notizia, Nemeria strabuzzò gli occhi. Lei sapeva leggere, scrivere e far di conto, nella sua tribù tutti dovevano imparare, ma le Anziane le avevano sempre detto che tra i mortali erano pochi coloro che potevano permettersi il lusso di un'istruzione. Trovare tre ragazzi capaci di leggere le sembrava un evento più unico che raro.
- Li conoscerai probabilmente stasera a cena, in ogni caso. - aggiunse poi, - Anche loro non vedranno l'ora di parlarti, di solito si esaltano sempre quando arriva qualcuno di nuovo. -
Nemeria assentì e rimase in silenzio, aspettando che Noriko spostasse la lampada a mosaico sul palo orizzontale che sorreggeva la tenda per prendere posto sulla sua stuoia. Era di paglia e iuta, niente a che vedere con quelle che tessevano loro, ma era più che comoda.
- Ti sei tinta i capelli? -
La domanda di Noriko la colse impreparata. Si prese una delle ciocche e la portò davanti al viso, osservando le punte grigie, talune quasi bianche.
- No, sono naturali. Cioè, li ho sempre avuti così. - rispose, cercando di mantenere la voce ferma.
Noriko la scrutò con un'espressione indecifrabile. Nemeria si innervosì sotto il peso del suo sguardo, che sembrava penetrarle nell'anima.
- Anche i tuoi occhi sono strani. -
- Sei la seconda persona a farmelo notare oggi. -
- Immagino che la prima sia stata Altea. -
- Già. -
Noriko si distese sulla stuoia, intrecciando le dita dietro la nuca.
- Sei tutta strana, a cominciare dal nome. Si capisce che non sei di qui. -
- Anche tu sei straniera, ce lo hai scritto in faccia. - ribatté caustica Nemeria, - Gli occhi a mandorla e il naso all'insù come i tuoi sono tipici delle popolazioni Tian orientali. Mi verrebbe spontaneo chiederti che ci fai qui a Kalaspirit, a mille miglia di distanza da casa tua. -
- Non sono affari tuoi. -
- Se non vuoi che ti si facciano domande su di te, evita di farne agli altri. - la rimbeccò e si lasciò cadere sulla sua stuoia, dandole le spalle.
Aveva i nervi a pezzi e continuare a sottolineare la sua diversità non faceva altro che ricordarle ciò che aveva perso. Si portò le gambe al petto e si rannicchiò, come se bastasse quel gesto a fermare il dolore e i sensi di colpa. Strinse nella mano la pietra di luna, emanava un tepore rassicurante.
Fino a quando non le chiamarono per la cena, nessuna delle due parlò. Nemeria si sedette ben lontana da Noriko per mangiare. Non le piaceva il modo in cui la fissava e odiava i suoi occhi, così simili a quelli di Etheram, che sembravano capaci di leggerle dentro. E lei non voleva che qualcuno vedesse la paura, la sofferenza, il dubbio che le stavano scavando un buco nel cuore. A distoglierla  dai pensieri cupi ci pensarono gli altri ragazzi, che per quasi tutta la cena non fecero altro che porle domande, alle quali Nemeria non sapeva rispondere se non con una bugia.
Conobbe Hami e Hirad, che le chiesero dove si trovasse la sua terra d'origine, come fosse e come vivevano i suoi abitanti. Entrambi avevano i capelli ricci neri e un paio di orecchie leggermente a punta, segno della loro natura ibrida.
Le presentarono anche Afareen, Chalipa e Kimiya, i ragazzi che stavano cucinando gli spiedini di ratto attorno al fuoco. Gli altri due erano Mehrdad e Malakeh. All'inizio Nemeria aveva pensato fossero entrambi maschi, ma Altea le rivelò che i due gemelli erano un maschio e una femmina e che alla nascita erano uniti per la spalla. Secondo il capo del loro villaggio erano stati maledetti dagli dei, per questo i loro genitori li avevano abbandonati.
Dariush si tenne in disparte, lanciandole solo di tanto in tanto delle occhiate che Nemeria ignorava. Lui era quello che le piaceva di meno. Le faceva venire i brividi il modo in cui fissava Altea, come un predatore.
Quando finirono di mangiare, ognuno si diresse verso la propria tenda, compresa Nemeria, ma a differenza di Noriko non si addormentò subito. Rimase a guardare il riflesso dorato del fuoco sul telo rosso, la mente intrappolata laggiù, nel suo villaggio. Aveva l'impressione di sentire ancora lo sguardo del predone sulla schiena mentre la inseguiva senza sosta, non perdendola mai di vista. Era lei che voleva, era lei il suo obiettivo.
Affondò il viso tra le mani e trasse un profondo respiro. Le mancava l'aria.
Si mise in piedi, uscì dalla tenda e si sedette vicino al fuoco. Contemplò assorta la fiamme che scoppiettavano sui ceppi accesi e il fumo che saliva fino a svanire nei buchi sul soffitto. La loro danza le trasmetteva un senso di quiete, era come se assieme al legno bruciassero anche le sue lacrime, il suo dolore, tutto quanto.
A un tratto, con la coda dell'occhio colse un movimento nell'imboccatura del tunnel, quello che conduceva all'entrata segreta. Lentamente si alzò e camminò cercando di non fare rumore. Appena fu abbastanza vicina, vide Dariush e Altea, lei stesa a terra che si teneva la guancia e lui che la guardava dall'alto, con una luce fredda e minacciosa negli occhi. Dariush la tirò in piedi senza troppi complimenti e le mormorò qualcosa all'orecchio sorridendo, qualcosa che allarmò la Sha'ir. La ragazza si dibatté con ben poca convinzione, ma non tentò di liberarsi quando lui premette la bocca contro la sua. Dariush la voltò con uno strattone, le abbassò i pantaloni con gesti bruschi e la bloccò al muro. Altea non protestò quando l'altro entrò dentro di lei con forza.
Nemeria assisté senza sapere che fare, con lo stomaco ingarbugliato e i pugni stretti lungo i fianchi. Poi scorse il viso di Altea contrarsi in una smorfia di dolore, e in quel momento qualcosa scattò dentro di lei. Il fuoco alle sue spalle si ingrossò e le fiamme si levarono alte, furiose.
Stava per farsi avanti, ma una presa sul braccio la fermò.
- No. - sussurrò Noriko.
Nemeria si girò per fronteggiarla. Il sangue le pulsava nelle tempie, era lava incandescente nelle vene.
- Non possiamo, non ancora. Lo so che ti fa rabbia, ma intervenire ora sarebbe controproducente. - disse tirandola indietro, al riparo nell'ombra.
- Perché? - ringhiò.
- Perché la terra soffoca il fuoco e l'aria e perché Dariush è l'unico che può aprirci una vita d'uscita se le guardie vengono a cercarci. -
Nemeria la fissò attonita. Mentre Noriko la trascinava nella tenda, si sentì perduta, perché era stata scoperta. I Dominatori, così i mortali chiamavano coloro che erano in grado di usare la magia, avevano solo due destini: o erano abbastanza potenti da divenire maghi, oppure venivano venduti ai mercanti di schiavi per morire nelle arene. Se Noriko avesse rivelato il suo segreto, la sua sorte sarebbe stata l'arena.
- Non ti preoccupare, non lo dirò a nessuno. - la rassicurò Noriko, - Tu però devi stare attenta e tenere sotto controllo le tue emozioni. Se Dariush scoprisse cosa sei, tenterebbe di ucciderti o alla peggio ti consegnerebbe alla guardie. -
- E tu? Cosa mi garantisce che non glielo dirai? -
Un sorriso gelido si allargò sulle labbra di Noriko. Una brezza proveniente da chissà dove si alzò, accarezzando le spalle di Nemeria.
- Io odio quel verme, non farei niente che possa tornare a suo vantaggio. Mai. - contrasse la mascella, abbassò lo sguardo sulla sua mano e la chiuse a pugno, - Ora andiamo a dormire. -
Noriko si voltò dall'altra parte e si sistemò la coperta fino al collo. Nemeria stette a fissarla per un po', poi si distese sulla sua stuoia e si raggomitolò. Nel suo sonno abitato da incubi le parve di sentire una mano intrecciarsi alla propria, trasmettendole un calore nostalgico.

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Capitolo 3
*** Famiglia ***


Fuoco 2

3

Famiglia

"Ogni famiglia ha un segreto, e il segreto è che non è come le altre famiglie."
Alan Bennet

La mattina seguente, a svegliarla fu un cicaleccio rumoroso, seguito da un rapido tramestio. Con le palpebre pesanti e le immagini di morte impresse a fuoco nella retina, Nemeria si mise a sedere. Noriko non era vicino a lei, ma ne riconobbe la voce calma e pacata da fuori, mentre discuteva con Hami - o forse era Hirad? - di quello che avrebbero dovuto fare quel giorno.
Rimase ad ascoltarli per un po', con lo sguardo perso nel vuoto e le lacrime ancora impigliate nelle ciglia. Aveva sognato di essere catturata dal predone e assistere all'uccisione di tutti i sopravvissuti della sua tribù. Li avevano legati e poi l'uomo l'aveva costretta a guardare mentre tagliavano loro la testa, sordi alle urla dei bambini e alle suppliche delle loro madri, fino a quando non era arrivato il suo turno. Con lei erano stati molto più crudeli. Avevano stretto un nodo scorsoio attorno al collo e l'avevano impiccata alla tenda dell'Alta Sacerdotessa, sopra i cadaveri fatti a pezzi, in modo che fosse l'ultima cosa che vedesse. Avevano scelto una corda corta, troppo corta, persino Nemeria si era resa conto che non sarebbe morta subito e così era stato. Poteva ancora percepire con chiarezza la canapa che premeva contro la giugulare e l'aria che le raschiava la gola mentre si dibatteva per liberarsi, artigliando il vuoto, la sensazione di mancamento che, come una iena, le strappava ogni energia, fino a quando non aveva smesso di muoversi.
Si massaggiò il collo e trasse un profondo respiro per calmarsi, ma il tremore che le scuoteva le mani non l'abbandonò. Così si rannicchiò su se stessa, stringendosi il più possibile le gambe al petto. Lo faceva spesso quando aveva paura o quando succedeva qualcosa di brutto e Etheram non era lì per consolarla.
Una volta sua sorella l'aveva sorpresa mentre piangeva sotto le coperte nel cuore della notte. Fuori infuriava una tempesta di sabbia e il vento stava scaricando la sua furia sulle tende del villaggio dal primissimo pomeriggio. Era stato in quell'occasione che Etheram le aveva detto di assumere quella posizione e di contrarre tutti i muscoli, così da impedire al Jin cattivo, così Etheram aveva denominato la paura, di farla tremare.
“Inspira, espira, inspira, espira.”
Affondò le unghie nelle gambe e strinse i denti. Si dondolò per un po' continuando a ripetersi quelle parole, fino a quando non sentì la gelida stretta allo stomaco allentarsi e il pulsare del suo cuore diminuire. Solo allora riuscì ad alzarsi. Si sentiva ancora scossa, e il sonno le pesava sulle palpebre, ma l'idea di tornare a dormire la terrorizzava.
Non appena mise piede fuori dalla tenda, Hirad, o almeno credeva fosse lui, le venne incontro, le mise tra le mani un panino duro come un sasso e le fece cenno di avvicinarsi. Noriko sedeva assieme ad Hami vicino all fuoco ormai spento.
- Ben svegliata. Noriko ieri sera non ha fatto in tempo a spiegarti come funziona qui, ma scommetto che eri stanca. - le sorrise Hirad, invitandola a prendere posto vicino a lui, - Altea mi ha detto che ti ha trovata mentre gironzolavi per le strade e che avevi una faccia davvero triste. Non che anche a cena tu non l'avessi, però mi è sembrato che... -
- Arriva al punto. - lo richiamò Hami, prima di addentare una nespola.
Aveva una voce bassa, quasi baritonale, che si contrapponeva a quella squillante di Hirad. Questi gli rivolse un'occhiata truce, ma poi tossicchiò e si ricompose, tornando a guardare Nemeria.
- Dicevo, ti puoi svegliare quando ti pare, a meno che il capo non ti abbia affidato un compito. Però sarebbe meglio ti alzassi assieme agli altri, perché Afareen quasi sempre va in città a “fare la spesa”. Ah, sono sempre lei e Chalipa a occuparsi di servire i pasti, quindi se hai fame ed è l'ora di pranzo basta che tu vada da loro. -
- Ma come faccio a sapere che è il momento di mangiare? - domandò timidamente Nemeria, - Siamo sottoterra e non vedo nessun orologio qui intorno. -
- Ed è qui che ti sbagli! - Hirad le indicò orgoglioso un vaso di pietra a forma di cono, - Vieni, ti faccio vedere. È una mia invenzione, ne vado particolarmente fiero. -
- Non l'hai inventato tu. Ne hai visto uno al mercato e poi l'hai riprodotto come potevi. - lo corresse Hami, ma Hirad lo ignorò.
Il ragazzo agguantò Nemeria sottobraccio e la trascinò con sé. Contro ogni aspettativa, aveva una presa salda che mal si sposava con le braccia mingherline e le dita lunghe e affusolate.
- Vedi, all'interno ho inciso dodici tacche di deflusso ad altezze differenti. Il punto più alto è per la prima ora, quelli sotto, come immaginerai, indicano le altre. Da questa sfera defluisce l'acqua. In base al suo livello riusciamo a capire che ore sono. È strano, lo so, all'inizio non è semplice, ma basta farci l'abitudine. -
- Non l'avevo mai visto. - commentò ammirata Nemeria, - Mi sono sempre orientata con la meridiana, non credevo fosse possibile leggere l'ora anche senza il sole. -
- Oh, sì che è possibile. È molto, molto più semplice di quello che tu possa pensare. Se vuoi, una di queste volte ti posso insegnare a... -
- Hirad, ti prego, niente cose complicate a quest'ora della mattina. - lo rimproverò Hami, stiracchiandosi, - Lo so che ti piace parlare di queste robe scientifiche, ma la nostra Nemeria vorrebbe solo sapere quali sono le sue mansioni. -
Come se si fosse appena ricordato di una cosa importante, Hirad si batté una mano sulla fronte.
- Sì, hai perfettamente ragione! Dunque, Dariush ti ha affidata a me. Andremo a esplorare le catacombe, le mapperemo e riporteremo le nostre scoperte sui miei libri. Sai, sono davvero ampie, si estendono sotto tutta la città e forse anche fuori, e sono quasi sicuro che se cercheremo bene troveremo anche un nuovo rifugio. Ah, giusto, visto che verrai con me devi assolutamente vedere cosa ho scoperto fino ad oggi, così anche tu... -
- Aspetta... significa che dovremo uscire da qui e infilarci in quei tunnel? -
- Mi pare ovvio. Ma non preoccuparti, non ci perderemo. Cioè, a volte mi è capitato di perdermi, ma questo solo durante le mie prime uscite. Adesso conosco benissimo tutte le gallerie esplorate, sono il re di questo posto! -
Hirad si sfregò le mani e si infilò nella tenda blu alla sua destra, per poi tornare quasi subito con in mano varie pergamene.
- Come puoi vedere, ho disegnato tutto, appuntando il nome di ogni singolo cunicolo. Il Capo non pretende che anche tu li impari, non ancora almeno, e... -
Andò avanti a parlare a raffica, ma Nemeria udiva appena la sua voce. In quelle gallerie c'erano i fantasmi e, nel buio, potevano nascondersi anche altri nemici che avrebbero potuto assalirla non appena si fosse distratta. La sua mente le rimandò l'immagine del predone, dei suoi occhi di ghiaccio che la cercavano, mentre lei correva disperata nel tentativo di sfuggirgli. Quasi le parve di sentire le sue mani serrarsi attorno alla gola. Si massaggiò il collo, fingendo di tossire, la pelle pervasa dai brividi e il battito del cuore accelerato.
- Bene, visto che non ci sono state obiezioni, io vado a prepararmi. - concluse Hirad, visibilmente elettrizzato all'idea di uscire a esplorare le catacombe, - Ricordati di farti dare qualcosa da mangiare da Afareen, dille di abbondare già che ci sei, dato che non sappiamo per che ora saremo di ritorno. -
Nemeria annuì vagamente e, mentre il ragazzo si allontanava, si lasciò ricadere sulla prima sedia libera. Era instabile e una delle gambe era più corta delle altre, ma aveva bisogno di sedersi, pensare, riprendere fiato.
- Dovresti fare quello che Hirad ti ha detto. - le suggerì Noriko in tono neutro.
Nemeria fece spallucce e appoggiò il mento sulle dita intrecciate.
- Lo so, devo solo... rimettere a posto le idee. Mi ha detto così tante cose e adesso ho una gran confusione in testa. -
- A me sembrava fossi concentrata su altro, in realtà. - la bambina si allungò verso di lei e inclinò la testa per catturare il suo sguardo, - Se non te la senti, puoi dirlo, nessuno qui ti giudicherà. A parte Hirad, quasi nessuno ha il coraggio di avventurarsi nelle catacombe. -
- Anche tu? -
Noriko sorrise debolmente. Spostò l'attenzione altrove, l'espressione malinconica che aveva un momento prima era sparita, celata dietro le sue iridi color ghiaccio. Gli occhi di Noriko avevano qualcosa che spaventava e affascinava Nemeria, un connubio di paura e calma che le provocava l'inspiegabile impulso di confessarsi e, allo stesso tempo, allontanarsi.
- Quando mi sono unita al gruppo di Dariush, anche io sono stata incaricata di seguire Hirad, ma preferisco stare all'aria aperta. -
Nemeria incassò la testa nelle spalle, poi si girò a guardare verso l'entrata. L'immagine di Dariush che stringeva i piccoli seni di Altea, della sua mano che le premeva contro le scapole per tenerla ferma, le fece ribollire il sangue e rivoltare lo stomaco.
- Dariush è davvero il vostro capo? - chiese in un ringhio, strinse i pugni e inspirò profondamente, obbligandosi a mantenere il controllo.
Noriko rimase qualche istante a fissarla con la stessa calma con cui si contempla un paesaggio. 
- Tutti lo reputano tale, quindi lui pensa di esserlo. - rispose, allungando le gambe fin a sfiorare i ceppi anneriti.
- Nonostante faccia del male ad Altea? -
La bambina non rispose.
Nemeria scosse il capo schifata. La rabbia le graffiava lo sterno come una bestia feroce e il sangue affluiva rovente alle mani. Sentiva il potere del fuoco spingere per uscire, un bisogno urgente che si confondeva con un altro, più doloroso e devastante, che però cercava di ignorare.
- C'è un detto dalle mie parti che recita “Siediti sulla sponda del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”. - mormorò Noriko con voce piatta, - È solo questione di tempo, Dariush avrà quel che si merita. -
“Mentre aspetti il cadavere, però, il nemico ucciderà ancora.”
Nemeria serrò le palpebre e si sforzò di togliersi quelle immagini orrende dalla testa, che si affastellavano mescolandosi ad altre relative al passato: Dariush sul corpo di Altea, il sangue che sgorgava dalla gola di Hediye, lo sguardo tagliente dello Sha'ir, le lame arrossate alla luce abbacinante del sole. Si portò le mani alle tempie e si obbligò a respirare, come se l'aria potesse abbassare la pressione che le schiacciava la gola.
- Guardami. - le ordinò Noriko.
Nemeria obbedì e alzò la testa in un movimento lento, quasi sofferto. Osservò il corpo sottile della bambina, la sagoma snella che la giacca lasciava trasparire, le spalle rilassate sotto la canapa e le dita aggrappate al proprio braccio per trattenerla dal compiere azioni impulsive. La pietra di luna divenne più tiepida e Nemeria avvertì il fuoco che le bruciava dentro affievolirsi, come se qualcuno vi avesse gettato sopra dell'acqua. Solo allora si rese conto di stare tremando, che non era solo la rabbia a scuoterla.
- Devi rimanere sulla tua sponda del fiume e attendere. - le ripeté pacata Noriko, lo sguardo sempre fisso su di lei, - E se nel buio vedi qualcosa, ricordati dove sei e non avere paura. Non serve, non qui. -
A quelle parole, Nemeria sussultò. Provò a divincolarsi, ma era come paralizzata, incatenata a quello sguardo che, solo adesso se ne rendeva conto, era fin troppo maturo per appartenere a una fanciulla così giovane.
- Come fai a sapere...? -
- Sono una brava osservatrice. - rispose semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia.
Poi si alzò e le diede le spalle, allontanandosi. Nemeria rimase a osservarla mentre camminava, il cervello pieno di domande e una pressante angoscia che le premeva sul petto. Il dubbio di quante cose Noriko potesse sapere le si insinuò tra le costole e le stritolò i polmoni, strappandole via la poca aria che contenevano. Se non fosse stata seduta, ne era certa, le ginocchia le avrebbero ceduto.
Non si accorse della presenza di Hirad finché il ragazzo non la scosse e non le mise in mano una mappa e uno zaino. Dalla sua espressione soddisfatta, Nemeria capì che non vedeva l'ora di uscire.
- Che faccia preoccupata, diamine! Te l'ho già detto prima, non ci perderemo. - la rincuorò, sfoderando un sorriso smagliante, mentre la trascinava verso l'uscita.
Nemeria lo lasciò fare senza opporre resistenza. Scivolò fuori dal passaggio segreto con un po' di fatica e si lasciò guidare da Hirad, che, tutto contento di avere compagnia, continuava a parlare.
Girarono per le gallerie conosciute per buona parte della mattina, fermandosi solo per bere o per mangiare. Come Nemeria aveva immaginato, le catacombe erano cupe e spaventose anche alla luce del sole, un labirinto di pietra nel quale si sarebbe facilmente persa senza una guida. Di tanto in tanto, un ragno o un ratto sgattaiolava fuori da qualche angolo buio, per poi sparire di nuovo, ma a differenza del giorno precedente, Nemeria non vi badò.
Mentre Hirad cercava di spiegarle come orientarsi, la sua mente vagava e si perdeva in pensieri sempre più tetri, abitati da occhi e da mani pronte a ghermirla. Le sembrava di camminare in un sogno, uno dei tanti che faceva quando viaggiavano attraverso il deserto, e per un istante riuscì a convincersi che quello che stava vivendo era tutta un'illusione, uno scherzo causato dal caldo. Poi però il vento le portava alle orecchie la parlata stretta e dura dei cittadini di Kalaspirit e la realtà tornava a gravarle addosso come un macigno.
Alla fine della giornata, quando Hirad, ormai stanco e avvilito dalla poca partecipazione della sua compagna, la ricondusse alla base, Nemeria non cenò nemmeno. Si infilò nella tenda e tirò su le coperte fin sopra la testa.
 
Nelle due settimane che seguirono, Nemeria dovette imparare molte cose. Stare con i ragazzi del campo, far parte della “famiglia”, non era facile come aveva pensato. E, in generale, non lo era vivere a Kalaspirit. Il mito della città benevola e ospitale era solo una maschera per i viaggiatori meno esperti o quelli che non si soffermavano abbastanza tempo per scoprirne il vero volto, freddo, ostile, talvolta anche razzista. Gli occhi di Nemeria e Noriko, la carnagione chiara dei gemelli e le orecchie lunghe di Altea e Dariush erano dettagli più che sufficienti per causare una certa diffidenza, che unita ai loro abiti sdruciti e alla puzza che si portavano dietro si trasformava rapidamente in odio. Era per questo che per la maggior parte del tempo si muovevano sottoterra, attraverso quel labirinto di gallerie e tunnel che sembrava arrivare ovunque in città.
Nonostante sapesse quanto fosse necessario conoscerle, Nemeria aveva difficoltà a ricordarseli. Quando usciva con Hirad e questi le indicava i segni distintivi di ognuno, li dimenticava quasi subito e, per quanto si sforzasse di trattenere quelle informazioni, il giorno successivo qualsiasi conoscenza avesse acquisito sull'argomento era svanita.
Altea e Hami la rimproveravano, mentre Mehrdad e Malakeh, quelle poche volte che non erano fuori assieme alla Sha'ir, a Chalipa e Kimiya, si lanciavano un'occhiata d'intesa, sussurrandosi qualcosa all'orecchio che li faceva ridere. Più di una volta Nemeria ebbe la tentazione di affrontarli e chieder loro cosa ci fosse di tanto divertente, ma poi la pietra di luna diventava calda e la sua irritazione scemava abbastanza da farle riporre l'ascia di guerra.
Noriko, invece, non le parlava più, sembrava aver perso completamente interesse nei suoi confronti. Se da una parte questo la tranquillizzava, dall'altra le dispiaceva, anche se non riusciva a capirne il motivo.
L'unico con cui le piaceva passare il tempo era Hirad. Lui scherzava e minimizzava la sua sbadataggine con una risata o il racconto di un aneddoto su quando era finito in un nido di ragni o era inciampato nel femore di qualche vecchio scheletro. Non sembrava più scoraggiato dal suo silenzio, anzi, più Nemeria taceva più lui sembrava impegnarsi, tirando fuori i racconti e le curiosità più strane. Sapeva davvero molte cose, sia sulle catacombe che sulla città stessa, e amava parlarne, anche se difficilmente riusciva ad arrivare fino in fondo al suo discorso senza divagare. Col passare dei giorni, Nemeria cominciò ad apprezzare la sua compagnia e il suo continuo sproloquiare. Qualche volta addirittura le venne voglia di conversare e seguirlo nei suoi voli pindarici, sebbene lei fosse la prima a perdersi. In un certo qual modo, tutte quelle nozioni riuscivano parzialmente a occupare la sua mente, la tenevano ancorata alla realtà e allo stesso tempo la distraevano dai suoi demoni personali che, però, venivano a trovarla ogni volta che chiudeva gli occhi.
Svegliarsi al mattino era sempre un sollievo: l'incubo era finito ed era obbligata a pensare ad altro, anche se la rabbia, la paura e l'angoscia erano i suoi inseparabili compagni. La seguivano ovunque andasse, si annidavano in un angolo remoto della sua mente e sbucavano fuori alla prima occasione. Le bastava incrociare lo sguardo tagliente di Dariush, scorgere uno strano movimento nel buio o udire una voce simile a quella di Etheram o Hediye perché questi l'assalissero con i loro suoni, le loro immagini, le loro sensazioni. In quei momenti, Nemeria si sentiva sopraffatta e il bisogno di parlare con qualcuno di quello che ne era stato della sua gente e di quello che accadeva ad Altea diventava quasi insopportabile.
Aveva provato a richiamare l'elementale, ma ogni volta che ci provava la paura di essere scoperta le strisciava dentro le ossa e la frenava. Gli unici momenti in cui le sembrava di tornare a respirare era quando usciva con Hirad.
Fu durante una delle loro esplorazioni che lui le rivelò che la loro base segreta probabilmente era stato il luogo di ritrovo di alcuni sovversivi, che, quasi cinquant'anni prima, avevano attentato alla vita del governatore della città.
- Non mi ricordo dove l'ho letto o l'ho sentito dire, però ho ben impressa la faccia di mia madre quando mio padre glielo disse. Che dire, è stato uno degli eventi più straordinari avvenuti qui a Kalaspirit. - disse addentando una focaccina al miele, e alzò gli occhi masticando con espressione assorta.
Lo faceva spesso quando estraeva dalla sua “biblioteca mentale”, così lui amava definire la sua straordinaria memoria, tutte le informazioni su un argomento. Nemeria attese in religioso silenzio che riprendesse a parlare.
- Questi qui, insomma gli uomini che volevano attentare alla vita del governatore, non si sapeva da dove fossero sbucati o perché volessero farlo fuori. La maggior parte della gente pensava fossero dei poveracci che, stanchi di vivere per strada, avevano pensato di unirsi per fare il loro colpaccio. Sai, per soldi si è disposti a tutto, anche se, a essere sincero, credo ben poco a questa versione. -
- Perché? -
- Per come sono andate le cose e per come si erano organizzati. - snocciolò, pulendosi i calzoni dalle briciole di pane e facendole cenno di seguirlo, - La nostra base, non so se ci hai fatto caso, ha i muri estremamente lisci, come se fossero stati levigati. Ora, non sono un genio dell'ingegneria, tanto meno mi intendo di architettura, però sono più che certo che quella stanza non sia stata scavata da mano umana. Sono più propenso a pensare che sia stata opera della magia, precisamente di un Dominatore della terra. -
- Non poteva essere già stata costruita? Magari da quelle stesse persone che avevano costruito le catacombe. -
- È una possibilità, sì. Però si sposa male con la mia teoria, quindi trascuriamola per un momento. Insomma, quello che accadde fu che attaccarono il governatore, penetrarono nelle sue stanze e arrivarono a tanto così dal raggiungere il loro obiettivo. Per fortuna, una guardia che era sopravvissuta alla loro carneficina riuscì ad arrivare alle spalle del loro capo e ad ammazzarlo prima che lui facesse fuori il governatore. Roba da pazzi, vero? -
- Se lo dici tu... -
Hirad le lanciò una lunga occhiata di traverso, evidentemente deluso dalla sua reazione, ma poi liquidò la cosa con un'alzata di spalle e riprese a raccontare.
- Alla fine, quando le altre guardie fecero irruzione nel palazzo, i predoni si erano già volatilizzati. Capisci? Spariti nel nulla, come se non fossero mai esistiti! A me sembra più che ovvio che si siano avvalsi della magia per andarsene. -
- E allora perché nessuno ha provato a rintracciarli? Che so, qualcuno che sapesse manipolare un elementale della terra o dell'aria. -
Il ragazzo si grattò la nuca con foga, per poi staccarsi una zecca con una smorfia. Quando la schiacciò con il polpastrelli, il sangue quasi gli esplose in faccia.
- Questo non te lo so dire. Presumo abbiano lasciato perdere perché ci sono ben pochi Dominatori qui a Kalaspirit e quei pochi si fanno pagare fior di monete per i loro servigi. Ma ora che mi ci fai pensare, dopo quell'episodio è successa un'altra cosa: la città è diventata molto più ostile nei confronti dei viaggiatori, soprattutto i non-umani. Non che mi stupisca, tutti sospettano dei diversi quando accadono le tragedie. -
Quel giorno Hirad camminava più spedito del solito e Nemeria doveva impegnarsi per non perderlo di vista, anche se questo significava ignorare i ratti che le correvano sui piedi e i ragni che le si potevano parare davanti alla faccia da un momento all'altro.
- Senti, non te l'ho mai chiesto, ma come fai a sapere tante cose? - gli domandò col fiato corto quando riuscì finalmente ad affiancarlo, - Sei una specie di enciclopedia su due gambe, non puoi aver appreso tutte queste nozioni vivendo per strada. Non capisco. E poi, con la tua intelligenza potresti aspirare a qualcosa di più che esplorare catacombe. Come mai sei qui? -
Il viso di Hirad si adombrò e per un lungo momento Nemeria credette che non le avrebbe risposto.
- I genitori miei e di Hami ci hanno abbandonato, come è successo a te e agli altri. Sai loro... mamma e papà sono due esseri umani, mercanti di una certa fama a Shalast. Io e mio fratello, invece, siamo mezzi Sha'ir. Quando eravamo piccoli, le nostre orecchie a punta erano un dettaglio insignificante, praticamente nessuno le notava. Poi siamo cresciuti e i dettagli si sono assommati, sottolineando la nostra diversità. Eravamo molto più alti di quanto saremmo dovuti essere e rivaleggiavamo per forza e agilità con anche coi ragazzi più grandi. All'inizio mamma e papà cercarono di ignorare le malelingue e concentrarsi sulla nostra educazione, affidandoci ai maestri migliori della città. Poi, a una festa, un loro parente ubriaco fradicio disse loro che eravamo lemnas e che la strega che si era portata via i loro veri figli probabilmente li aveva usati per evocare un Jin col quale accoppiarsi. Beh, non usò proprio queste parole, ma il succo è questo. Da allora i nostri genitori non hanno più voluto fare finta di niente. La cosa buona è stata che quando ci hanno abbandonati, ci hanno dato abbastanza monete da permetterci di ambientarci e trovare un modo per sopravvivere. -
- Ma non è giusto! - sbottò indignata Nemeria, - Che colpa ne avevate voi se vostra madre aveva tradito vostro padre? È stata una crudeltà terribile, avete dovuto pagare per l'errore di qualcun altr... ehi, perché stai ridendo? -
- Niente, niente, è che sei tenera quando ti arrabbi. - le arruffò giocosamente i capelli, con un'espressione sinceramente divertita sul viso, - Dovresti anche parlare più spesso. Fai domande molto più intelligenti della maggior parte delle persone che ho incontrato. -
Imbarazzata, Nemeria si sottrasse al contatto della sua mano. Assomigliava a quella di Noriko, ma era meno callosa e ruvida. Hirad la lasciò andare, salvo impadronirsi di una ciocca all'ultimo momento. Se la rigirò tra le dita, studiando le sfumature grigiastre che la sporcizia non aveva ancora del tutto coperto.
- Penso di sapere cosa sei. - bisbigliò dopo un minuto scarso.
Il cuore di Nemeria mancò un battito. Come aveva fatto capirlo? Non aveva mai manifestato il suo potere, nemmeno una volta, e ormai il suo popolo era ritenuto una leggenda. Come poteva sapere che era una Jinian?
Arretrò così bruscamente che per poco Hirad non cadde a terra. Le emozioni che la tenevano sveglia la notte la investirono con la forza di un uragano, senza che nemmeno la pietra di luna, subito divenuta rovente, riuscisse a placarlo.
- Tu non sai niente. - sibilò.
- Invece sì, so cosa sei. Ma tranquilla, non ho intenzione di parlarne con nessuno. Non voglio che gli altri ti caccino, non voglio che tu te ne vada. Ti puoi fidare di me. -
- Ah, sì? E come faccio a esserne certa? -
Improvvisamente, l'aria si fece torrida, quasi irrespirabile, e una luce aranciata prese a danzare sulle pareti viscide d'umidità. Con la fronte imperlata di sudore, il ragazzo fissò lei e poi le fiamme che le lambivano le mani e le braccia senza bruciarle. Nemeria ne percepiva appena il calore sulla pelle.
- Perché so che fine fanno i Dominatori in questa città, so che tipo di vita conducono e non ho nessuna intenzione di lasciarti andare a morire nell'arena. - deglutì, ma, nonostante la paura, la sua voce rimase inaspettatamente calma, - I miei genitori hanno abbandonato me e mio fratello perché eravamo diversi. Non intendo di comportarmi come loro, non voglio che tu venga sbattuta a combattere per il resto dei tuoi giorni soltanto perché sei una Dominatrice. Non sarebbe giusto. -
Nemeria lo scrutò basita. La rabbia e la paura sfumarono assieme alle fiamme e il silenzio calò su di loro.
Il ragazzo si terse il viso con l'acqua e sistemò la mappa nello zaino sulla schiena, senza aggiungere altro.
- Come hai fatto a capirlo? -
- Ho un po' tirato a indovinare, in realtà. - rivelò, guardandola dall'alto in basso, - Hai dei capelli strani e gli occhi di un colore... indefinito. Avevo letto da qualche parte che i Dominatori hanno queste caratteristiche e in base a ciò ho dedotto che anche tu lo fossi. -
- Un po' debole come argomentazione... - rispose con un risolino nervoso Nemeria, anche se in cuor suo si sentiva rinfrancata da quelle parole.
- Lo so, ma già una volta ci avevo preso e ho sperato di avere di nuovo fortuna. -
- Mi stai dicendo che c'è qualcun altro come me tra di noi? -
Un sorriso enigmatico apparve sulle labbra di Hirad.
- Immagino tu non abbia intenzione di dirmelo. -
- Immagini bene. -
- Ma perché? Tu hai appena scoperto il mio più grande segreto, potresti almeno condividerne uno con me! -
Il ragazzo si umettò le labbra e inclinò il capo, fissando una ragnatela sul soffitto.
- Potrei, ma non sarebbe divertente. Inoltre, questo potrebbe essere un buon argomento di conversazione. Anche se non sembra, quando divago e deliro mi piace che ci sia qualcuno con cui parlare. Se ti rivelassi chi sono, c'è la possibilità che tu ti chiuda di nuovo nel tuo silenzio e a me non va di tornare a discutere con il nulla. -
Nemeria si imbronciò e gli scoccò un'occhiata risentita, che suscitò l'ilarità del compagno.
- Ti ho mai detto che sono un seguace di quell'uomo famoso che diceva di non poter insegnare niente a nessuno, ma solo provare a far riflettere? -
- No, forse, non lo so. Dici molte cose, tu. -
- Bene, ora lo sai. E comunque, Nemeria, non penso che questo sia il tuo più grande segreto. Sono le lacrime che ti brillano negli occhi e il tuo completo silenzio il tuo più grande e doloroso segreto. -
La ragazza ci mise un po' a capire cosa le stesse dicendo.
- Tu sai troppe cose... - commentò poi sottovoce.
- Sono solo un buon osservatore. - replicò Hirad, profondendosi in un inchino teatrale.
Mentre Hirad le dava le spalle e la precedeva lungo la galleria, Nemeria abbassò lo sguardo e si morse le labbra, ricordando che anche Noriko aveva detto la stessa cosa. Mise da parte l'esitazione e si sbrigò a raggiungerlo.

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Capitolo 4
*** Piegarsi e non Spezzarsi ***


Fuoco 2

4

Piegarsi e non spezzarsi

- Sveglia, dormigliona, è ora di andare! -
Nemeria si girò dall'altra parte, tirandosi la coperta fin sopra la testa. Non aveva assolutamente voglia di alzarsi, tanto meno di intraprendere un dialogo con Altea.
La sera prima, con Hirad si erano spinti oltre i tunnel conosciuti e avevano trovato il corpo di un uomo famoso – almeno a detta del ragazzo – e il compagno aveva insistito non solo per mappare l'intera zona, ma anche per riprodurre fedelmente ogni singolo soggetto sulle pareti. Nemmeno dopo diverse ore Nemeria era riuscita a dissuaderlo dal suo lavoro. Erano tornati che la cena era già stata servita e tutti erano già andati a dormire. Gli unici ancora svegli erano Noriko e Dariush che, non appena li aveva visti rientrare, si era fatto fare il resoconto dettagliato di tutto quello che avevano fatto. Inutile dire che Hirad aveva glissato sul fatto che avesse riempito pagine e pagine di disegni di pesci, uccelli e rami d'ulivo, limitandosi a mostrargli la mappa ampliata delle catacombe.
- Altea, davvero, lasciami dormire... ieri siamo tornati tardi e oggi pomeriggio dovremo tornare per definire e marchiare i tunnel. -
- No, oggi non andrai di nuovo in giro con Hirad. Sei qui da tre settimane e finora lo hai sempre seguito nelle sue esplorazioni. I dottori dicono che passare troppo tempo sottoterra faccia male, quindi oggi verrai con me a prendere un po' d'aria fresca e a imparare a fare la spesa. -
La prese per un braccio e la costrinse a mettersi seduta con ben poca grazia. Nemeria si stropicciò gli occhi e si coprì la bocca per nascondere uno sbadiglio. “Fare la spesa” era il termine che i ragazzi usavano per indicare quando uscivano a rubare. Sapeva che prima o poi sarebbe toccato anche a lei, ma non credeva così presto. Non si sentiva pronta.
Fuori, sedute vicino al fuoco, le attendevano Afareen e Chalipa. Entrambe si erano legate i capelli, rispettivamente in una coda e in una treccia che partivano dalla sommità del capo, e sopra la tunica entrambe avevano indossato un caftano di cotone che aveva visto tempi migliori. Chalipa aveva in testa anche una tiara che, originariamente, doveva essere stata laccata in oro, ma che ora conservava solo i residui del suo originario splendore. Stavano parlando a bassa voce, Chalipa teneva sotto controllo la pentola sul fuoco, senza mai smettere di girare il mestolo, mentre Afareen sbatteva qualcosa in una ciotola di terracotta sbreccata. Ai suoi piedi, disposti in tre piccoli piattini, Nemeria riconobbe delle mandorle scottate, granella di pistacchi e un po' di cannella.
“Il falò è acceso anche la mattina?”
La logica le suggerì che non l'aveva mai notato perché lei e Hirad erano puntualmente gli ultimi ad alzarsi.
Altea si avvicinò alle due ragazze e gettò un'occhiata nella pentola, corrugando le sopracciglia confusa quando Afareen la allontanò con uno scherzoso spintone.
- È vietato sbirciare prima che il piatto sia finito. - la ammonì con un sorriso, versando il contenuto della ciotola all'interno, - Stamattina, finalmente, possiamo mangiare qualcosa di più gustoso del solito pane secco. -
- E cosa stareste preparando? Più che due cuoche, sembrate due streghe con quel mestolo. -
- Gne, gne, gne. La solita simpaticona. - le fece il verso Chalipa.
- Ignorala, Chal. - commentò Afareen, incrociando le braccia sul petto con aria tronfia, - Quando assaggerà il nostro manicaretto, si azzittirà da sola e ci pregherà per averne ancora. E sai noi cosa risponderemo? -
Si scambiarono uno sguardo d'intesa e scoppiarono a ridere, e con loro anche Altea.
Nemeria, che aveva seguito distrattamente la discussione, si lasciò cadere per terra a gambe incrociate e, sbadigliando, si guardò intorno. Oltre a loro tre non sembrava esserci nessun altro sveglio. Sicuramente i gemelli erano già usciti per andare in ricognizione assieme a Dariush. Nell'ultima settimana aveva sentito dire che le altre bande avevano dato non pochi problemi, anche se Nemeria non capiva esattamente cosa avessero fatto. La stupiva persino che ci fossero altri ragazzi organizzati come loro.
- Beh, dovremo aspettare un po'. -
Altea si sedette vicino a lei, interrompendo il flusso già discontinuo dei suoi pensieri. La Sha'ir sembrava già sveglia e lucida. Come facesse a essere così di buon umore di primo mattino, per Nemeria era un mistero.
- Non pensare che questo piccolo contrattempo ti salvi, eh. Oggi vieni in giro con me e diventerai un'ottima “cliente”. - le scompigliò i capelli con la stessa espressione di un bambino che ha appena combinato una marachella, - E poi hai davvero bisogno di prendere un po' di sole e di respirare aria pulita. Sei pallida come un cencio. Se non sapessi che sei andata in giro per le gallerie con Ratto, direi che sono giorni che non dormi. -
Nemeria si spostò alcune ciocche ribelli dagli occhi. Nell'ultima settimana la Madre le aveva donato un sonno senza sogni, solo un caldo e confortevole buio dal quale faceva fatica a svegliarsi. Era quasi un dolore fisico aprire gli occhi e abbandonare quel torpore accogliente per ritornare alla realtà. Aveva anche smesso di preoccuparsi di Hirad, di quello che aveva scoperto e della loro scommessa. Quasi tutte le cose che prima la tenevano sveglia la notte avevano perso interesse ai suoi occhi.
- Per caso rientri in quella categoria di persone che prima di una certa ora non parlano con nessuno? - sbuffò scocciata Altea.
- Sono state delle giornate pesanti. - si giustificò con un'alzata di spalle.
La Sha'ir sbuffò e scosse la testa. I pendagli che aveva alle orecchie tintinnarono assieme alla catenina che li univa, un suono delicato che a Nemeria ricordava il cinguettio di un fringuello.
- Piuttosto, come ti trovi con Noriko? -
Oh, voleva sapere come andava? Non la vedeva mai e, quando accadeva, non si rivolgevano più di due o tre parole. Anche questa, pensò, doveva essere una specie di benedizione della Madre. Quegli occhi così tersi e freddi, che sembravano intimarle di allontanarsi e allo stesso tempo la incitavano ad aprirsi, le facevano paura.
- Non la incontro spesso. Abbiamo incarichi diversi e rincasiamo a orari diversi. -
Aveva scelto la risposta più neutra che le era venuta in mente, ma Altea la fissò con l'aria di chi si aspettava altro. Nemeria spostò lo sguardo sulle fiamme, cercando di dipanare la foschia soporifera che si era insinuata nei suoi pensieri. In quel momento si sentiva come quel fuoco: debole, stanco, incerto. Sarebbe bastata una folata di vento un po' più forte delle altre per spegnerla.
- Non è che non mi stia simpatica. Solo, stando sempre fuori, non abbiamo avuto tempo di conoscerci. Credo che sia una brava persona, un po' chiusa, ma comunque a suo modo gentile. - si sentì in dovere di aggiungere.
Altea annuì e spostò anche lei la sua attenzione sulle fiamme.
Un intenso odore zuccherino di pistacchi e cannella aveva pervaso l'aria. Nemeria inspirò profondamente e, come se non avesse atteso altro, il suo stomaco gorgogliò, scatenando le risate delle tre ragazze. Poi Chalipa, armata con due stracci di spesso cotone, prese la pentola, la versò in una piccola teglia che Afareen le aveva avvicinato e corse verso un altro vaso pieno d'acqua. Non appena l'appoggiò sulla superficie, nuvolette di vapore si alzarono spiraleggiando verso l'alto.
- Beh, direi che abbiamo finito. - commentò Chalipa.
- No, manca il tocco finale. -
Rapida come un gatto, Afareen schiaffò via la mano della sua compagna prima che la immergesse nella crema. Spostò la teglia sulla sedia dietro di lei e la spolverò con la cannella e i pistacchi sbriciolati, aggiungendo infine le mandorle.
- Ecco qua, ora è davvero finita. - si girò a guardarli e un sorrisetto divertito fece capolino sulle sue labbra quando da una tasca del caftano tirò fuori quattro cucchiai, - Su, assaggiate, l'ho fatto per mangiarlo, non per rimirarlo. Per quello ci sarà tempo dopo. -
- Ma che cos'è? - domandò Nemeria.
- Esatto, cosa sarebbe? Sembra un budino, ma ci hai messo sopra un sacco di roba. E questo... - Altea annusò concentrata, - Questo è zafferano! Dove l'avete trovato?-
La ragazza annuì compiaciuta, prima di rivolgere la sua attenzione a Nemeria.
- Si chiama Shaol-El-Zerdan, è un piatto che mia madre cucinava spesso nei giorni di festa. In teoria avrei dovuto disegnare un piccolo sole con la cannella e disporre le mandorle in modo da farne i raggi, ma la mia famiglia non è mai stata molto religiosa. Mia nonna diceva sempre che mettere Dio nella cucina rovina anche i piatti migliori e io non posso che trovarmi d'accordo. - spiegò con un sorriso, gustandosi il suo cucchiaio di dolce, - Per quel che concerne la tua domanda, Altea, gli ingredienti me li hanno procacciati i gemelli e Hami. La scorsa settimana è arrivato un carico di spezie dalla Sherazadara e, mentre il mercante trattava sul prezzo, loro ne hanno approfittato per prelevarne un po'. In cucina ho anche del cumino, aneto, sommacco e mirto, anche se non so esattamente come usarli... -
- Troverai un modo, ma, davvero, lasciatelo dire, hai superato te stessa questa volta. Questo budino è f-a-n-t-a-s-t-i-c-o. Mi rimangio in parte quello che ho detto. Non sei una strega, ma una maga della cucina. - la elogiò Altea.
- Concordo pienamente. - si unì Chalipa, - Ma dobbiamo lasciarne per forza un po' agli altri? Io me lo mangerei tutto anche ora. -
- Guarda che non va bene. Diglielo, Nemeria! - la incitò Altea, mentre si serviva con un altra cucchiaiata di dolce.
Nemeria alzò la testa, disorientata e con ancora la crema in bocca, scatenando l'ilarità generale. Altea le diede un buffetto sulla guancia, guadagnandosi un'occhiata a metà tra il trasecolato e l'infastidito, che però la fece ridere ancora più forte.
- Abbiamo mangiato abbastanza, stamattina. Se ci ingozziamo, non riusciremo a camminare, figuriamoci correre. - restituì il cucchiaio ad Afareen e fece a Nemeria cenno di seguirla, - Muoviti, scoiattolo, il tempo è denaro. -
- Come mi hai chiamata? -
- Hai sentito benissimo, non farmelo ripetere. -
- Ma... ma che... perché? -
La Sha'ir ridacchiò e si massaggiò il mento con finta aria meditabonda. L'espressione allegra che aveva sul viso le illuminava gli occhi e le accendeva lo sguardo e Nemeria non riuscì a non sorridere a sua volta.
- Non lo so, sinceramente, mi è venuto spontaneo. Insomma, non sono un'intellettuale, mica mi faccio delle domande quando appioppo soprannomi alla gente. -
- In realtà, di solito c'è un motivo... -
Non fece in tempo a terminare la frase, che la Sha'ir le batté una pacca sulla schiena così forte da farle quasi perdere l'equilibrio.
- Pensi troppo, scoiattolo, e pensare toglie tempo al lavoro. Sai come dice il proverbio, no? -
- Chi ha tempo non aspetti tempo? -
- Esattamente! Ora mettiti i vestiti più comodi che hai e le scarpe buone. Sia mai che durante la fuga ti si rompa un sandalo! -
Nemeria sospirò e obbedì, dirigendosi di nuovo alla sua tenda. Quando spostò il lembo, si sedette sulla stuoia e si cambiò, mettendosi un paio di calzoni tagliati poco sotto il ginocchio e una tunica smanicata di un verde spento. Le stava un po' larga, d'altronde era appartenuta a Noriko fino ad appena una settimana prima, ma non poteva pretendere di meglio. Dariush aveva deciso che della ventina d'abiti che i gemelli e Hami erano riusciti a rubare, lui aveva diritto, in quanto capo, a tenerne dieci, al posto dei due che spettavano a ogni membro della famiglia. Ovviamente, la nuova arrivata si sarebbe dovuta accontentare degli scarti degli altri. Dal momento che non si era fatta così tanti amici, l'unica cosa che aveva guadagnato erano quegli indumenti da parte di Noriko.
Sospirò e il suo sguardo si spostò sulla stuoia della sua compagna. La sua parte di tenda era perfettamente ordinata, con il cuscino sprimacciato e i pochi averi che possedeva raccolti in semplici scatolette di legno. La lanterna colorata giaceva vicino al guanciale spenta, eppure i vetri che la ricoprivano emanavano un lieve luccichio, come se in ognuno di essi fosse stata intrappolata una piccola lucciola. Nemeria la prese e se la rigirò tra le mani, osservando i motivi floreali che si intrecciavano su tutta la superficie.
L'elementale del fuoco non si era più ripresentato e non aveva risposto alla sua chiamata quando aveva provato a evocarlo. Etheram le aveva detto che gli elementali erano esseri capricciosi e l'aveva messa in guardia, facendole presente in più di un'occasione che l'affinità non era un fattore sufficiente per dominarli. Per quanto Nemeria sapesse che era vero, mai come in quei giorni si era sentita così frustrata nel constatarlo. Aveva persino tentato di attingere al potere dell'aria, ma, ovviamente, a parte guadagnarsi un'occhiata stranita di Hirad e procurarsi un gran mal di testa non era riuscita.
- Scoiattolo, sei ancora viva? - la testa di Altea fece capolino da dietro la tenda, - Ah, stavi guardando la fanoos di Noriko? -
Nemeria si girò a guardarla interrogativa e la Sha'ir sospirò con fare teatrale.
- Due settimane qui a Kalaspirit e non sai nemmeno cosa sono? Per tutti gli dei, ma Hirad non ti ha spigato proprio nulla. -
- No, me ne ha spiegate di cose, è solo che... -
- Te ne ha spiegate troppe tutte assieme, lo so, lo so. - completò, prendendo la lanterna tra le mani e tirandola su per la catena ad altezza del naso, come per osservarla meglio, - In ogni caso, queste vengono usate durante il periodo della Randama dagli Svegliatori, così li chiamano. Vanno in giro poco prima dell'alba con un piccolo tamburello per svegliare e ricordare di mangiare. -
“C'è gente che si dimentica di mangiare?”
- Da quello che so, Noriko non crede in nessun dio, né tiene particolarmente al suo aspetto o alle cose di valore, quindi non ho mai capito perché ci tenga così tanto. - stava dicendo Altea senza staccare gli occhi dalla lanterna, - Anzi, meglio che la rimettiamo a posto prima che torni e ci riempia di botte per aver spostato le sue cose. -
- Noriko non mi sembra così violenta. -
- Perché non l'hai mai vista arrabbiata. E fidati, persino Dariush ha paura di lei quando accade. - si scrollò via la polvere dai calzoni e si passò una mano tra i capelli, scrollando la testa, - Adesso però dobbiamo muoverci, altrimenti avremo troppa concorrenza al mercato. -
Con un sospiro sconsolato, Nemeria seguì Altea fuori dal rifugio.
A scapito di quello che credeva, la Sha'ir si muoveva con grande familiarità nelle gallerie, come se le conoscesse a memoria. Solo Hirad aveva quella sicurezza, almeno questa era l'impressione che aveva avuto andando in giro con lui. Forse avevano passato tanto tempo insieme.
Si infilarono in un cunicolo che sbucava in un vicolo dietro la bancarella di Kamran, il mercante di perle più fornito della città. Quando uscirono, la luce le ferì gli occhi e l'aria fresca le diede un capogiro, tant'è che si dovette appoggiare al muro e schiacciarsi le mani sul viso per proteggersi dal sole. Soltanto dopo un momento e dopo varie esitazioni, Nemeria si decise ad abbassarle. Si trovavano in una stradina acciottolata, fiancheggiata da un'alta fila di case di pietra bianca, ognuna con un balcone abbracciato da una rete di dipladenie in fiore, che si arrampicavano per tutta la facciata fino alle grondaie.
- Dove siamo? - domandò spaesata, senza smettere di guardarsi intorno.
- Siamo nel Quartiere dell'Ambra. Qui potrai trovare gioielli, gemme e oggetti preziosi da regalare al tuo amato marito oppure alla tua amante trascurata. - recitò Altea, scimmiottando una voce maschile, - Questo è il quartiere dei ricconi. Viene gente importante a fare compere e di solito c'è sempre qualcosa di interessante da rubare. -
- Ma a noi non servono cose del genere. -
Nemeria si acquattò vicino a lei, allungando il collo per sbirciare oltre la sua spalla.
- Sì, invece. Spesso ci limitiamo a prendere solo cose di prima necessità, ma a volte tentiamo anche noi un colpaccio. Ti immagini che vita potremmo fare se riuscissimo a impadronirci di quella spada o di quello scudo e rivenderlo? -
Nemeria seguì la direzione del suo dito e aguzzò lo sguardo. Un uomo con dei mustacchi neri come la pece e un turbante di uno stravagante verde smeraldo stava mostrando una sciabola con l'elsa rastremata a un cliente, il quale, a parte annuire di tanto in tanto, sembrava più interessato all'arma che alle spiegazioni offerte dal mercante. Lo scudo era molto semplice, un disco concavo bronzeo con i bordi decorati con delle scritte sbozzate direttamente nel metallo. Era davvero di pregevole fattura, su questo Nemeria concordava, solo non aveva la più pallida idea di come Altea volesse rubarlo senza farsi scoprire.
- Niente panico, non sarai la mia compagna in quest'impresa. - la rincuorò la Sha'ir con un sorriso a metà tra il serio e il faceto, - Sei ancora troppo inesperta, e comunque quella roba è molto pesante. Forse con l'aiuto di Dariush potremmo riuscirci, ma non è un furto che si possa lasciare al caso, bisogna pensare a un piano. Anche perché questo posto è molto controllato, una mossa sbagliata e ci ritroveremmo addosso sia le guardie che i Cani Rossi. -
- I chi? -
- I Cani Rossi. Ratto non ti ha detto nulla? -
Per l'ennesima volta, Nemeria dovette scuotere la testa. Altea sospirò e si massaggiò la radice del naso, borbottando qualcosa che la compagna non riuscì a capire.
- Vieni con me. Non puoi fare bene la spesa se non sai dove devi farla e soprattutto da chi guardarti le spalle. -
Le afferrò il braccio e, dopo aver controllato a destra e a sinistra, la trascinò dall'altra parte della strada, per poi imboccare una via meno affollata, dove a parte qualche bancarella che vendeva dolciumi e frutta secca c'erano solo taverne e alti palazzi eleganti.
- Allora, cosa sai di Kalaspirit? -
- Poco. Prima di due settimane fa non c'ero mai stata e quello che so è... quello che sanno tutti. - ammise Nemeria, spostando la sua attenzione su un dromedario scortato da sei uomini armati.
Portava sul dorso una lettiga, drappeggiata con un baldacchino di lino bianco e azzurro abbastanza leggero da ingrossarsi a ogni minimo refolo d'aria, ma abbastanza scuro da celare la figura distesa all'interno.
- Facevi prima a dire che non sai nulla. Ciò che gli stranieri sanno di Kalaspirit è quello che Kalaspirit vuole che gli stranieri sappiano, e fidati, è tutto fuorché la verità. - intrecciò le dita dietro la nuca e calciò un sassolino lontano, alzando gli occhi al cielo, - Allora, Kalaspirit è divisa in nove distretti che prendono il nome di quartieri cittadini. Ognuno di essi è famoso per il mercato e la tipologia di locali che ci puoi trovare. Per esempio, nel Quartiere del Fuoco ci sono i bordelli più puliti, mentre qui, nel Quartiere d'Ambra, a ogni angolo c'è un orefice pronto a costruire collane, diademi e tiare con le pietre più belle e rare. -
- Nel nostro quartiere cosa c'è? -
- In una parola? Povertà. Un tempo, almeno questo è quello che racconta Hirad, nel Quartiere delle Ossa c'era un grande traffico di cacciatori, uomini che si avventuravano oltre il grande deserto per commerciare con gli Sha'ir della Valle di Sindhu. Si dice che siano stati proprio loro a portare gli elefanti al nostro sultano, come dono da parte del Rajeh dell'Impero di Skandaaleshan. -
Nemeria annuì, seguendola sotto l'ombra di un cornicione. Ricordava quel viaggio, era stato uno dei più lunghi che aveva fatto con la sua tribù. Era rimasta affascinata da quelle terre, dove l'estate era lunga e ventosa e l'inverno mite, con il sole che faceva spesso capolino da dietro l'usuale fitta nebbia. Era stato durante uno di quei giorni uggiosi che lei, suo fratello Rakshaan ed Etheram, mentre mangiavano il puari, sfogliatine gonfie e croccanti spolverate con pepe e aglio, avevano visto due leopardi delle nevi. Si aggiravano inquieti nella gabbia, mentre acrobati e mangiafuoco si affrettavano a far transitare i carri all'interno dell'arena, dove quella sera stessa avrebbero indetto il loro spettacolo. A Nemeria gli occhi di quegli animali erano sembrati immensamente tristi, logorati da una lunga prigionia.
- Mi stai ascoltando? -
La voce scocciata di Altea e lo schioccare delle sue dita davanti al naso la strappò al flusso dei ricordi. Si stropicciò gli occhi e ricacciò indietro le lacrime con un profondo respiro.
- Oh, ho detto qualcosa che ti ha turbata? Scusami, non volevo, davvero. -
- No... no, è solo... mi è solo entrata un po' di sabbia negli occhi. - sbatté le palpebre un paio di volte e tirò su col naso.
Altea la fissò in tralice, aprì la bocca e poi la richiuse senza commentare. Dopo un momento le posò una mano sulla testa e, con una delicatezza che Nemeria non pensava possedesse, le scompigliò i capelli.
- Dovresti pettinarli meglio e averne più cura. - la rimproverò bonariamente, sciogliendole un nodo con entrambe le mani.
Nemeria fece spallucce, come se quel gesto bastasse a mettere fine alla discussione, ma Altea non si diede per vinta. La fermò, la costrinse a sedersi e con solo l'ausilio delle dita cominciò a pettinarle i capelli, stando attenta a non farle male. Aveva un tocco delicato, attento, lo stesso di sua madre Hediye.
- Ecco fatto, così va molto meglio. Prima sembrava davvero che avessi avuto un incontro ravvicinato con un gatto incazzato. Sai, non te l'ho mai detto, ma tu mi ricordi davvero tanto i miei fratelli del Nord. Se avessi la carnagione un po' più chiara saresti identica a loro. -
Le divise la chioma in due ciocche e gliele sistemò sulle spalle, lisciandole un paio di volte per assicurarsi di aver eliminato qualsiasi nodo.
- Non so di cosa tu stia parlando. -
- Credo tu li conosca col nome di Jarkut'id, i figli di Jarkut. -
- Forse li ho anche incontrati, però ora come ora non mi ricordo. -
Altea la guardò sorpresa: - Addirittura incontrati? Devi aver viaggiato molto. -
Nemeria annuì e si rimise rapidamente in piedi.
- Non hai voglia di parlarmi di cosa hai visto? - la esortò Altea, non ricevendo risposta.
La Sha'ir si mordicchiò le labbra prima di affiancarla.
- Un giorno mi piacerebbe mi raccontassi qualcosa di te. So che può essere doloroso, però credo che potrebbe farti stare meglio. Non mi interessa cosa ti è successo, ma non mi piace conversare con una persona di cui non so niente. Mi sembra di essere in compagnia di un estraneo. -
- Nemmeno io so nulla di te, Altea. -
- Sei a conoscenza di una cosa molto importante però. - abbassò lo sguardo e Nemeria capì a cosa si stava riferendo.
Di riflesso, anche lei smise di guardarla, concentrandosi sull'iscrizione dell'insegna di una locanda. Improvvisamente, capire cosa ci fosse scritto lì sopra sembrava molto meno impegnativo della piega che aveva preso quella conversazione.
- Perché glielo permetti? - domandò Nemeria, raccogliendo il coraggio.
- Se non lo facessi, lui riverserebbe la sua rabbia su qualcun altro. Non è giusto, ma è l'unico modo per tenere unita la nostra famiglia. - esalò Altea con aria cupa.
Si massaggiò il collo e Nemeria vide le mezzelune arrossate di un morso poco sotto l'orecchio.
- All'inizio non era così, prima era dolce, gentile, amorevole. Si è preso cura di me quando sono giunta qui e mi ha insegnato a sopravvivere, se non fosse per lui adesso sarei finita in un bordello o nell'arena. Gli devo la vita, capisci? -
Nemeria non capiva e non voleva farlo, ma questo lo tenne per sé. Non serviva, non lì, non in quel momento. Così tacque e fece un lieve cenno del capo, sperando che il bisogno di parlare non venisse sopraffatto dalla paura che leggeva negli occhi dell'altra. Le posò una mano sulla spalla e gliela strinse appena, per confortarla e farle sentire la sua presenza.
Altea stirò le labbra in un sorriso grato e proseguì.
- Poi ha scoperto di essere... beh, speciale e non ha più accettato i “no” come risposta. - una lacrima le sfuggì dall'occhio e lei si affrettò ad asciugarla, - Capisco di aver sbagliato spesso con lui. Dovrei essergli riconoscente per quello che ha fatto per me e invece continuo a farlo arrabbiare. Non mi sorprendo che perda così facilmente la pazienza, come è successo ieri sera. Me lo sono meritato, sono stata... insolente. -
- Cosa è successo ieri notte? -
Altea si perse a guardare nel vuoto, lo sguardo fisso davanti a sé, gli occhi lucidi e le lacrime cristallizzate in un velo umido su di essi.
- Altea? -
La ragazza fece un passo indietro e si passò una mano sul viso, scuotendo la testa. Nemeria la sorresse e si fermò, attendendo che riprendesse a respirare normalmente. La avvolse in un timido abbraccio, che a malapena riusciva a placare il tremore che si era impadronito del suo corpo. In quella situazione, rannicchiate contro il muro di un palazzo, nell'indifferenza più totale della gente che le guardava senza vederle, Nemeria non poté fare altro che aspettare, con il viso di Altea sepolto tra i capelli e la consapevolezza istintiva che non poteva fare niente per aiutarla.
Solo dopo diversi minuti sentì il respiro della Sha'ir regolarizzarsi e i tremiti si placarono. Lasciò la presa e le permise di rialzarsi, imitandola quando fu sicura che riuscisse a reggersi sulle sue gambe. Con sorpresa, si rese conto che le guance di Altea non erano umide, così come non lo era la sua casacca.
- Ti senti meglio? -
- Sì... sì, grazie. - inspirò ed espirò un paio di volte, incamerando quanta più aria potesse, mentre si detergeva il sudore dalla fronte col dorso della mano.
Nemeria non era sicura stesse dicendo la verità, ma non ebbe tempo di esporre i suoi dubbi, poiché una voce familiare la costrinse a girarsi.
- Ragazze! -
- Hirad! Che ci fai qui? -
Lui le rivolse un ampio sorriso, di quelli che faceva sempre quando aveva qualcosa in mente. Fece un ulteriore passo verso di loro, con la mano davanti alla bocca come per nascondere il respiro affannoso. La sua espressione allegra si adombrò quando incontrò lo sguardo di Altea, ma fu solo un momento e Nemeria credette di esserselo immaginato.
- Scusatemi se vi ho seguite, ma ho pensato che, viste le risorse esigue che ci sono rimaste, forse avreste avuto bisogno di una mano. Sai, a fare la spesa in più persone ci si mette di meno. - disse dopo un attimo d'esitazione, tornando a guardare Nemeria.
- Da quando ti piace stare alla luce del sole? L'ultima volta che Dariush ti ha ordinato di salire in superficie, Hami mi ha riferito che hai combinato un gran pasticcio al mercato della carne. - intervenne Altea con un ghigno.
Nemeria notò che adesso sembrava in grado di stare in piedi da sola e non era più così pallida come prima. In ogni caso, decise di restarle vicina nell'eventualità che si sentisse di nuovo male.
Hirad si mordicchiò l'interno della guancia e si tormentò le unghie, facendo saettare lo sguardo a destra e a sinistra.
- Beh, questa è la zona di caccia dei Cani rossi e Dariush ha detto che dobbiamo muoverci almeno in gruppi di tre. - disse tutto d'un fiato, grattandosi il collo, - E lo so che non sono bravissimo in queste cose, ma gli ordini sono ordini e vanno rispettati alla lettera, così nessuno potrà farsi male. -
- Va bene, va bene, hai ragione. Però stavolta non fare casini, per favore. È la prima esperienza di Nemeria, cerchiamo di insegnarle le basi senza farci sbattere in cella. -
- Non sono così inetto! Ti vorrei ricordare che uno dei migliori ladri dell'antichità è diventato davvero bravo solo dopo anni di ruberie e giorni di prigionia. Ora che mi ci fai pensare, però, lui aveva... -
- Ratto, sei venuto qui per darci una mano o per farci schiacciare un sonnellino? -
- Ah, io, cioè, pensavo... -
Davanti al suo balbettio imbarazzato, Altea scoppiò a ridere, una risata leggera che coinvolse anche il ragazzo. Nemeria si limitò a un sorriso di circostanza per dissimulare la confusione dettata da quel repentino cambio d'umore nella sua compagna, la sua improvvisa allegria dopo i singulti che l'avevano messa in ginocchio. Così attese che l'ilarità si placasse, spostando alternativamente l'attenzione da Hirad ad Altea.
La prima a ricomporsi fu proprio la Sha'ir, che con un colpetto di tosse richiamò anche il ragazzo.
- Direi che abbiamo perso abbastanza tempo. Allora, cosa dovevamo recuperare? Ah, sì, pane, farina, focacce e se riusciamo anche della frutta. Dimentico qualcosa? -
- No, direi che c'è tutto. Forse se riuscissimo ad andare nel quartiere... -
- Ah, giusto! - Altea si batté una mano sulla fronte e gli puntò il dito contro con una finta espressione truce, - Scoiattolo è venuta in giro con te per tutto questo tempo e tu non ti sei premurato nemmeno di spiegarle come funzionano le cose in questa città?! -
Hirad la fissò inebetito, ma prima che potesse ribattere Altea prese Nemeria sottobraccio e continuò la conversazione che aveva interrotto all'arrivo del compagno. Parlò velocemente, tanto che pareva un fiume in piena.
- Come ti stavo dicendo prima, a Kalaspirit esistono questi nove quartieri. Abbiamo quello d'Ambra, quello delle Ossa, quello del Fuoco, quello della Bestia, quello del Ghiaccio, quello della Pergamena, quello della Pietra, quello del Legno e infine quello del Sole. Quest'ultimo, come potrai immaginare, è quello dove risiede l'alta nobiltà ed è anche uno dei più protetti, anche se alcuni membri dei Falchi Neri sono riusciti a portare a termine ben più di un furto nella zona. -
- I Falchi Neri sono un'altra banda. - le sussurrò Hirad, - Ti consiglio di tenerti alla larga da loro, sono estremamente pericolosi. -
- Altroché se lo sono. Parliamoci chiaro: in tutti i gruppi di ladri c'è almeno un Dominatore. - si guardò circospetta intorno e abbassò la voce, - Noi abbiamo Dariush, i Cani contano tra le loro fila una ragazzina di nome Zahra, mentre tra quegli avvoltoi che bazzicano nei dintorni del quartiere del Fuoco ci sono ben due ragazzi capaci di manipolare rispettivamente l'aria e la terra. I Falchi, invece, sono solo quattro, ma ognuno di loro si dice sia un Dominatore. Per questo nessuno, e quando dico nessuno intendo dire nessuno, entra mai nel loro quartiere per fare la spesa. Però loro si divertono molto a venire a trovare noi. -
- Già. Se mai li dovessi vedere, vattene, scappa. Avere a che fare con loro significa guai per tutta la famiglia. L'ultima volta, quando un ragazzo appartenente alle Ombre non ha voluto dar loro il bottino, Saiar gli ha letteralmente dato fuoco. Non accettano un rifiuto, Nemeria. Se non sei in compagnia di Dariush o Noriko, corri più in fretta che puoi. - disse Hirad.
Nemeria non sapeva più cosa pensare. Fakhri le aveva ribadito che gli elementali non si piegano facilmente e che gli umani facevano ancora più fatica a manipolarli, dal momento che avevano perso la benedizione della Madre. Quindi com'era possibile che dei ragazzi così giovani e non addestrati riuscissero a comandarli e a usufruire dei loro poteri senza che questi si ribellassero? E, soprattutto, com'era possibile che la loro magia non li avesse ancora corrotti?
“Per lo stesso motivo per cui l'elementale della terra di Dariush gli permette di fare del male ad Altea.”
La mano si chiuse istintivamente attorno al ciondolo, sulla superficie fredda eppure rassicurante della pietra di luna.
- Anche Noriko è come Dariush? - si azzardò a chiedere.
Avvertì gli occhi di Hirad puntarsi su di lei, ma lo ignorò. Chissà perché, la notizia che il ragazzo fosse un Dominatore non l'aveva sconvolta più di tanto, ma sentiva che c'era dell'altro. Non sapeva spiegarsene il motivo, era una sensazione istintiva come quando era arrivata alla Fontana dei Mari senza conoscere la strada.
- No, però picchia come un demonio, tipico di chi viene dall'Ukiyo-e! Lì persino le donne imparano a combattere, quindi non mi sorprendo che Dariush insista sempre perché si occupi con lui del turno di guardia. - le illustrò Altea, - Come mai questa domanda? -
- Curiosità. -
- Questa è colpa tua, Hirad. -
- Mia? E che colpa ho io, ora?! -
- Hai reso il mio scoiattolo curioso. Adesso diventerà pure intelligente come te. -
- Mica è una malattia, eh... -
- Lo dici solo perché tu ce l'hai da troppo tempo! -
Andarono avanti così a battibeccare, finché non giunsero in prossimità del mercato nel Quartiere del Legno. La maggior parte delle bancarelle vendevano frutta, verdura e vari generi alimentari.
Altea, nascosta dietro l'angolo assieme a Hirad, le insegnò come rubare. Sembrava semplice detto da lei e Nemeria si illuse che ci sarebbe riuscita. Tuttavia, quando si avvicinò a uno dei banchi, non riuscì nemmeno ad allungare la mano per far cadere accidentalmente la mela. Ci riprovò varie volte, cambiando spesso bersaglio, di modo che nessuno potesse sospettare di lei e delle sue intenzioni, ma per quanto ci provasse, il suo corpo si rifiutava di obbedire. L'unica volta che riuscì a fare come Altea le aveva detto, quasi non venne scoperta e per la paura si volatilizzò nella folla, prima che la donna chiamasse le guardie. Quando venne raggiunta dalla Sha'ir e da Hirad, stava ancora riprendendo fiato.
- Non è andata malissimo. - si azzardò a dire il ragazzo.
- Sì, infatti. Lui ha fatto di peggio la sua prima volta. Guarda che oggi è solo una prova, avrai altre occasioni per esercitarti. - la consolò Altea.
- Non sono riuscita a prendere niente... direi che è stata un disastro. -
- Ti ribadisco che è normale. Ascolta, anche per me è stato complicato all'inizio. Sono certo che quando torneremo andrà meglio. - la incoraggiò Hirad.
- No. Voglio fare un ultimo tentativo. -
- Nemeria... - sospirò il ragazzo.
- Beh, che male c'è? In fin dei conti, c'è ancora tutto il lato destro del mercato. Perché tarparle le ali, Hirad? Se vuole provare di nuovo, che provi. -
- Ma è già tardi, Dariush ha detto... -
- Lo so, ma un altro tentativo quanto tempo vuoi che ci prenda? - si girò verso di lei e le fece l'occhiolino, - Vai, scoiattolo. Noi ti seguiamo da dietro come al solito. Se ci sono problemi, sai dove devi scappare, no? -
Nemeria annuì e, dopo aver preso un grosso respiro, si infilò nella fiumana di gente, lasciando che essa la conducesse dall'altro lato della strada. Mentre camminava con aria disinteressata, come da suggerimento di Altea, studiava le varie bancarelle alla ricerca di un mercante distratto o impegnato a trattare sul prezzo. Ne intravide uno intento a sovraintendere lo spostamento di alcune casse cariche di frutta, banane, cachi e noci di cocco. Un ragazzo di forse la stessa età di Nemeria avrebbe dovuto tenere d'occhio la merce, ma era impegnato a osservare con una certa invidia i suoi coetanei che giocavano con una palla di stoffa sotto l'ombra del palazzo di fronte.
Un brivido d'eccitazione le percorse la schiena. Nemeria si obbligò a mantenere un'andatura costante e l'espressione più neutra possibile, mentre si avvicinava. Il suo obiettivo era quello di impossessarsi dell'arancia che sporgeva dalla cassetta. Le sembrava quella più esterna e più in bilico. Nessuno ci avrebbe fatto caso se fosse caduta. Però aveva paura. I dubbi l'attanagliavano e non riusciva a non guardarsi continuamente intorno. Ogni volta che incrociava lo sguardo di un passante, si affrettava a distoglierlo, intrecciando le dita dietro la schiena. L'arancia era lì e si faceva sempre più vicina ad ogni passo.
“Forza, Nemeria, forza. Ce la puoi fare.”
Esitando, allungò la mano senza staccare troppo il braccio dal petto, in un movimento casuale e, si augurava, poco sospetto. Le sue dita non fecero in tempo a sfiorare la superficie porosa dell'arancia che un alito di vento, nato dal nulla, gliela fece cadere in mano con un tonfo attutito, come se qualcosa ne avesse rallentato la caduta. Prima che lo stupore potesse fermarla, le gambe la condussero via, rapide come mai lo erano state, con una brezza tiepida che sembrava cavalcare al loro fianco e sospingerle.
Quando pensò d'essere abbastanza lontana, si appoggiò sulle ginocchia per riprendere fiato. Fissava l'arancia incredula, senza riuscire a capacitarsi di quello che era successo. L'elementale dell'aria l'aveva aiutata! Era da quando aveva attinto al suo potere per scappare da quei briganti che non si era più manifestato e adesso...
- Grazie, grazie, grazie! - baciò il frutto, lo innalzò verso il cielo e cominciò a saltellare per la strada.
Si sentiva felice come non lo era da molto tempo. Persino il ciondolo, che di solito captava e attenuava le sue emozioni, divenne a malapena tiepido, come se anche lui avesse deciso di farle godere di quel sentimento che non provava da troppo tempo. Quando la raggiunsero Altea e Hirad, l'euforia era talmente tanta che Nemeria li abbracciò entrambi.
- Sei stata grandiosa! - si complimentò Altea, scompigliandole i capelli.
- E sei anche velocissima! Non credevo che dentro quel corpicino gracile si nascondesse una maratoneta di questo calibro. - scherzò Hirad e avrebbe anche aggiunto altro, se Altea non gli avesse fatto segno di tacere e non si fosse frapposta tra loro e i due ragazzi che stavano avanzando verso di loro.
- Ehi, tu, quell'arancia è nostra. -
Quello che aveva parlato era il più alto dei due, aveva la pelle scura come l'ebano e i lobi di entrambe le orecchie tagliate. Qualcosa in lui mise subito in allarme Nemeria, che però non lasciò la presa sul frutto.
- Oh, la bimba deve essere sorda o stupida. - sbuffò con un sorriso crudele e divertito stampato sulle labbra, - Aspetta, Shaya, lei non l'ho mai vista. Non pensavo che quel coglione di Dariush accogliesse nuovi membri nella sua combriccola da quattro soldi. -
- Si vede che pensa che ampliandola forse riuscirà a farci paura. - gli rispose ridacchiando l'altro, superandolo.
Altea arretrò, così anche Hirad. Entrambi erano tesi e i lineamenti induriti del viso erano testimoni fin troppo evidenti della loro paura. Nemeria, invece, non riusciva a smettere di studiarli. Li sentiva in qualche modo affini a lei e, allo stesso tempo, percepiva un'aura di pericolo provenire da loro.
- Nemeria, dagliela. - la incitò Altea sottovoce.
- E anche in fretta, altrimenti ci pestano. - ribadì Hirad.
- Ti conviene dare retta ai tuoi amici, bambina. - Shaya affiancò il compagno e incrociò le braccia sul petto, - Non ci piace picchiare le donne, ma se saremo obbligati a farlo non ci tireremo indietro. Dunque, fai la brava e obbedisci. -
Dopo un momento, Nemeria passò oltre Altea e si inginocchiò, facendo rotolare l'arancia fino ai loro piedi. La pietra di luna era divenuta rovente, quasi le bruciava la pelle, ma quel dolore non era sufficiente a reprimere la rabbia che sentiva irradiarsi in ogni fibra del suo essere. La stessa brezza che prima l'aveva accompagnata nella corsa si tramutò in una folata di vento che spazzò il vicolo, fece turbinare la sabbia e sferzò i visi dei presenti come una frusta.
Shaya e il suo compagno alzarono appena la testa, con un sorriso che non prometteva niente di buono. Fu allora che Nemeria si accorse che parte della loro iride era parzialmente nera. Un brivido freddo le fece accapponare la pelle.
Shaya si piegò e raccolse l'arancia, per poi tirarla un paio di volte per aria con aria tronfia.
- Bene, vedo che sei una bambina intelligente. Per questa volta vi va bene, ma se vi ribecchiamo a rubare al di fuori del vostro sudicio quartiere... - lasciò la frase in sospeso, poi diede loro le spalle e insieme sparirono nell'ombra, così com'erano apparsi.
- Siamo stati fortunati, molto fortunati. Ora sbrighiamoci a tornare al campo, oppure Dariush ci farà neri. - li incitò Altea, sospingendoli con dei colpetti sulla schiena fuori dal vicolo.
Hirad non se lo fece ripetere due volte e scattò, mentre il cervello di Nemeria ci mise qualche istante di più prima di ricordarsi come camminare. Durante il tragitto verso casa, la sua mente fu occupata soltanto dal pensiero di quello che aveva appena visto e dalla paura causata dagli occhi scuri dei due ragazzi, crudeli e freddi come quelli del brigante che aveva tentato di ucciderla. Come quelli di un Jin.

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Capitolo 5
*** Il coraggio di non aver paura ***


Fuoco 2

5

Il coraggio di non aver paura

"Chi non osa osservare il sole in volto non sarà mai una stella."
William Blake

Dariush era nervoso. Camminava avanti e indietro attorno alle ceneri del focolare, le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo di una tigre in gabbia. Era da quando Nemeria, Altea e Hirad erano tornati e gli avevano riferito del loro spiacevole incontro che aveva quell'espressione a metà tra l'arrabbiato e l'inquieto, così come gli altri membri della famiglia. L'unica che sembrava non sentire la tensione era Noriko, che osservava impassibile appoggiata al muro. Come Dariush e i gemelli, aveva varie escoriazioni sulla pelle delle braccia, lasciate esposte dalla tunica lisa in più punti, e un livido sotto l'occhio sinistro le induriva i lineamenti del viso, conferendole un'aria truce.
- Siete sicuri che non hanno intenzione di venire nel nostro quartiere? A parte minacciarvi di farvela pagare, non hanno detto altro? - domandò loro per l'ennesima volta Dariush.
Altea fece un cenno di diniego con la testa. Era ancora visibilmente scossa, Nemeria se ne rese conto perché anche lei faticava a controllare il tremore che le scuoteva le spalle. Hirad cercava di non darlo a vedere, ma le pupille dilatate e i pugni serrati lo tradivano.
Lo Sha'ir trasse un respiro di sollievo e si passò una mano tra i capelli scarmigliati, mettendo in mostra un taglio sopra la tempia. Il sangue era raggrumato, segno che erano passate un paio d'ore da quando se l'era procurata.
- Non va affatto bene. Possiamo respingere le altre bande, ma se i Cani decidessero di attaccarci non potremmo fare altro che rifugiarci qui sotto. Dobbiamo cominciare a mettere da parte le scorte e prepararci al peggio. - dichiarò, per poi avvicinarsi ad Altea, - L'unica cosa che mi domando è perché tu sia tornata qui a mani vuote, nonostante ti avessi esplicitamente ordinato di fare la spesa. Hai detto che quei figli di puttana non vi hanno inseguiti, sareste potuti andare a prendere qualcosa in qualche taverna lungo la strada del ritorno. -
- N-non ci ho pensato, Dariush. Hirad e Nemeria non sono molto bravi e avevamo paura che i Falchi ci pedinassero. - balbettò la ragazza, facendosi piccola piccola.
- Quante volte ti ho ripetuto che non sei tu la guida della famiglia? -
- Lo so, ma... -
- Quante volte? Rispondi. -
Altea si morse un labbro e abbassò lo sguardo. Tutti tacevano, respirando il più piano possibile per paura che Dariush si accorgesse di loro.
- Molte. - mormorò infine, mortificata.
- Bene, quindi perché ti ostini a disobbedire? Prima porti una bambinetta inutile e ora decidi quando tornare alla tana? - l'aggredì, le prese il mento tra le dita e strinse le guance così forte da graffiarle la pelle, - Sto cominciando a perdere la pazienza con te. Ti ho salvata dalla strada, ma più il tempo passa più comincio a pensare che sia stata una perdita di tempo. Forse avrei dovuto lasciarti morire, almeno così mi sarei risparmiato tante delusioni. - sibilò cattivo.
Nemeria contrasse la mascella e digrignò i denti, tanto da farli scricchiolare. Le mani si serrarono a pugno, mentre la pietra luna si surriscaldava, stemperando appena la rabbia che sentiva crescerle dentro. Sapeva che non poteva intervenire, ne andava della sua vita, eppure non riusciva a controllarsi né a placare l'odio che provava nei confronti di quel verme. Si guardò intorno, in cerca di supporto, ma nessuno sembrava intenzionato a intervenire. Persino Hami aveva girato la testa da un'altra parte, incapace come tutti di assistere all'ennesima umiliazione di Altea.
- Dariush, Altea non aveva scelta. - si intromise all'improvviso Hirad, la voce che tremava quasi quanto lui, - I Falchi sono imprevedibili, il rischio che decidessero di penetrare nel quartiere non era da escludere e purtroppo sappiamo quanto siamo deboli rispetto a loro. Non mi sembra giusto che tu la punisca per aver anteposto la sicurezza dei membri della famiglia alle nostre scorte alimentari. -
Dariush mollò la presa e si girò di scatto verso Hirad, nello stesso istante in cui lo fece anche Nemeria. Anche Noriko, che fino a quel momento aveva fissato la scena senza scomporsi, parve sorpresa.
- Quello che ho detto ad Altea vale anche per te, Ratto. -
“Hirad, stai zitto, maledizione!”
Nemeria lo trafisse con un'occhiata ammonitrice, ma il ragazzo la ignorò. Deglutì un paio di volte e raccolse il coraggio per continuare.
- Sto cercando di farti riflettere: stai punendo Altea per essersi comportata secondo i tuoi insegnamenti e non mi sembra corretto. Dici sempre che sono quello intelligente, quindi se vedo che qualcosa non va... -
- Cosa stai insinuando? Pensi che le mie azioni siano stupide, forse? Sto sbagliando? - ringhiò Dariush, abbassandosi in modo da poterlo guardare dritto negli occhi, le labbra increspate in un ghigno che lasciava scoperti i canini leggermente appuntiti.
- A-anche i capi migliori sbagliano, a volte. - ridacchiò nervoso Hirad.
- Ritieni di essere nella posizione di potermi ammonire, per caso? -
- No, certo che no... volevo solo farti notare una cosa, ecco. - si difese, alzando le mani.
La smorfia irritata di Dariush si tramutò in un sorriso che non prometteva niente di buono, Nemeria se lo sentì nelle viscere.
- Hai ragione, Hirad, ho sbagliato. In effetti, punire Altea sarebbe un errore. - gli batté una pacca sulla sulla spalla e gli fece cenno in direzione della sua tenda, - L'altro giorno sei andato in esplorazione, no? Portami i disegni delle nuove gallerie, desidero che mi illustri quali sono e dove portano. -
Hirad sbiancò, così come Nemeria.
- Non li ho ancora finiti... in realtà non li ho nemmeno iniziati. Sono dei bozzetti sulla pergamena, non credo ci capiresti qualcosa. - balbettò in preda al panico.
- Oh, ma davvero? Eppure di solito sei così rapido. Comunque, ci terrei davvero a vederli. Portameli. -
- Sei ferito, forse è meglio che prima ti faccia medicare da Kimiya per evitare l'infezione, non sarebbe un bene se ti ammalassi in un momento del genere. - intervenne Altea, ma bastò un'occhiata dello Sha'ir per ridurla al silenzio.
- Allora, Hirad? Sei forse troppo stanco per via della tua fuga precipitosa? Non ti preoccupare, rimani pure seduto, Malakeh le andrà a prendere. - aggiunse e il suo sorriso si allargò.
Nemeria riconobbe in quell'espressione la stessa crudeltà che aveva ravvisato sui volti dei due ragazzi appartenenti ai Falchi Neri. La paura le imbrigliò lo stomaco e le parole in una morsa spietata.
Malakeh si infilò nella tenda di Hirad e uscì con un plico di pergamene impilate l'una sull'altra che svolazzavano a terra ad ogni passo. Alcune riportavano disegni schematici di gallerie, con qualche iscrizione vergata con una calligrafia illeggibile, e le altre per la maggior parte ritraevano scorci di Kalaspirit, fiori, ritratti dei membri della famiglia, vedute paesaggistiche di luoghi fantastici situati chissà dove. Tra quelle che caddero, Nemeria notò le riproduzioni dei viticci con grappoli d'uva e racemi d'acanto presenti sulla tomba dell'uomo famoso che avevano trovato insieme.
- Vedo che ti stai dedicando all'arte, Ratto. Sei bravo. Pensavo che oltre a straparlare non avessi alcun talento. -
Dariush prese un paio di pergamene e le osservò con cipiglio critico.
- Sai, Altea e Hami fanno fatica a rubare la carta di questa qualità, è roba difficile da reperire. E tu come la usi? Imbrattandola con scarabocchi che non hanno nessuna utilità per la nostra famiglia? -
Hirad si fissò la punta dei piedi in silenzio. Con il collo incassato nelle spalle e le dita piantate nelle braccia, sembrava ancora più indifeso e spaurito di quanto già non fosse.
- Ho chiuso gli occhi per troppo tempo davanti alla tua disobbedienza, è ora che impari a stare al tuo posto. C'è troppa anarchia in questo gruppo, vi farà bene un bel ripasso. -
A tutti mancò il respiro quando Dariush allineò i fogli e li strappò, dapprima in due, poi in quattro e infine in sei pezzi, per poi lasciarli cadere a terra e pestarli come degli insetti fastidiosi. Con un cenno del capo, ordinò ai gemelli di fare lo stesso. I due esitarono e per una frazione di secondo Nemeria sperò che si sarebbero ribellati.
La prima ad afferrare la pergamena seguente fu Malakeh. Ritraeva un cavallo che sonnecchiava vicino all'abbeveratoio di una taverna, con il cielo screziato di rosso e le nuvole sfilacciate di un viola che sfumava nel lillà verso i bordi pastello. La ragazza trasse un profondo respiro. Quando la fece a pezzi, non ebbe il coraggio di guardare Hirad, che la guardava con gli occhi lucidi, senza riuscire a dire o a fare nulla. Era pietrificato, come se non riuscisse a realizzare cosa stesse realmente accadendo. Soltanto quando Mehrdad distrusse il profilo delicato di una giovane Sha'ir, cadde in ginocchio e abbracciò i pezzi di pergamena singhiozzando, mentre altri si aggiungevano al mucchio.
Quando non rimase più altro, Dariush gli artigliò la spalla, costringendolo ad alzare la testa.
- Ricordati chi sei, lemna, e soprattutto qual è il tuo posto qui dentro: i ratti sono fatti per rimanere sottoterra e nascondersi nelle fogne, pregando di non venire schiacciati. Adesso andrò a farmi medicare, e quando uscirò dalla tenda di Kimiya voglio che sia tutto pulito, chiaro? -
Hirad mormorò un flebile “sì” e, quando l'altro si alzò, lui stava già raccogliendo i pezzi di carta.
Noriko si allontanò assieme ai compagni, compresi i gemelli, che quasi corsero a rifugiarsi dentro la loro tenda in preda ai sensi di colpa. Rimasero soltanto Nemeria e Altea. Per un po' nessuna delle due si mosse, poi Altea si avvicinò e, con le mani ancora tremanti, si accovacciò accanto a lui, raccogliendo uno dei tanti pezzi che costituivano il tappetto eterogeneo di linee, chiaro-scuri e prospettive ormai distrutte.
Hirad si bloccò un istante e Nemeria colse l'occasione per raggiungerlo. La pietra di luna si era raffreddata, così come la sua rabbia, e adesso l'unico desiderio che aveva era quello di abbracciarlo, stringerlo forte come Etheram faceva con lei quando si svegliava da un brutto sogno o perché fuori si era scatenato un temporale. L'istinto, però, le suggerì di limitarsi ad aiutarlo, poiché una tale manifestazione di affetto non avrebbe fatto altro che peggiorare il suo umore: quando Dariush aveva strappato il primo disegno, era stato come se lo avesse pugnalato, e poi aveva continuato finché la sua anima esangue non gli era scivolata di mano assieme all'ultima pergamena.
- Sei davvero bravo a disegnare. - mormorò Altea, porgendogli un angolo di cielo stellato, - Io non sono intelligente o esperta di arte, però, ecco, le tue opere sono meravigliose. Dariush è stato crudele. -
- Nah, non sono granché. Mi diletto a ritrarre ciò che vedo, ma non sono un vero artista. Mia madre aveva molto più talento, riusciva a catturare la realtà e a eternarla con pochi, semplici tratti. Io, invece, pasticcio sui fogli a tempo perso. Dariush ha ragione, è uno spreco di carta. -
- No, non è vero. Non so che persona fosse tua madre, ma per quello che ho visto tu sei anche migliore, anzi, più migliore del pittore che sta sulla Via degli Usignoli nel Quartiere d'Ambra. Un giorno, ne sono certa, diventerai l'artista più famoso della città! E quando ripenserai a quello che è successo oggi, ti farai una risata e dirai “Ah! Quel bastardo di Dariush è rimasto in strada a rubacchiare gli avanzi, mentre io ora nuoto nell'oro, ho ventiquattro mogli e faccio colazione con bekljva e kedayif ogni mattina”. -
- Più migliore... la mia istitutrice si starà rivoltando nella tomba. - commentò inorridito.
- Te l'ho detto, non sono come te! E comunque il punto non era quello. È che un giorno tu te ne andrai di qui, con Nemeria e Noriko. Diventerete dei grandi, scriverete la storia e quando tutti e tre vivrete nel vostro palazzo personale vi sarete già scordati di questi giorni tristi. Non avrete nemmeno tempo di pensarci con tutte le cose da potenti che avrete da fare. -
- Io non voglio ventiquattro mariti. La ricchezza sì, ma non voglio avere a che fare con più di un uomo alla volta. - si intromise Nemeria, facendosi più vicina.
Altea ruotò gli occhi esasperata: - Forse ho un po' esagerato col numero, ma non era quello il nocciolo della questione! -
- Io ho capito. Solo che adesso non riesco a pensarci, anzi, non sono in grado di pensare a nulla. - disse Hirad e strinse al petto un frammento di disegno, per poi infilarlo nelle tasche dei pantaloni.
A nulla valsero i successivi tentativi delle due ragazze di consolarlo, le loro parole si infrangevano contro un muro di silenzio e sofferenza.
Nemeria dovette reprimere l'istinto di alzarsi e andare a prendere a pugni Dariush, quando lo vide uscire dalla sua tenda con le braccia bendate. Questi dovette accorgersi d'essere osservato perché si girò nella sua direzione. Per un istante che durò un'eternità i due si fronteggiarono con lo sguardo, gli occhi rossi, fiammeggianti di rabbia di Nemeria intrecciati a quelli strafottenti e pieni di disprezzo dello Sha'ir. Il fuoco delle torce si ingrossò, alzandosi fino quasi a lambire le ombre sul soffitto. Le vene sulle sugli avambracci e sul collo del ragazzo si tesero nervose, mentre le sue dita si riempirono di squame, mettendo in mostra un'altra pelle più dura, più resistente, quasi impenetrabile. Non seppero cosa li fermò dal regolare i conti subito. Semplicemente, l'attimo prima stavano per azzannarsi alla gola e quello dopo tornarono a far finta di niente, ignorandosi reciprocamente.
Nessuno aveva osato intromettersi, così come nessuno aveva accennato a prendere le difese di Hirad, troppo occupati a fingere di badare agli affari propri. Nemeria era incredula.
“Che razza di famiglia è?”
La tensione aleggiò per ore nella tana, opprimente come una cappa tossica.
L'ora di cena arrivò in fretta, ma senza l'allegria che normalmente la caratterizzava. Afareen e Chalipa servirono riso con pomodori, peperoni verdi e qualche pezzetto di carne di topo. Nemeria lo mangiò a forza, costringendosi a inghiottire un boccone alla volta masticandolo a lungo, fino a quando la sensazione di nausea non si attenuava un po'. Di tanto in tanto gettava un'occhiata ad Hirad, che, come lei, sembrava combattere contro la sua porzione. Aveva gli occhi ancora rossi e per tutta la cena non li distolse mai dalle fiamme che crepitavano nel focolare, incurante dell'atmosfera densa come melassa.
Di fianco a lui si era seduta Altea, che cercò di ravvivare la serata raccontando aneddoti divertenti, senza però riuscire a coinvolgere nessuno. Nemeria, così come i presenti, l'ascoltava distrattamente, annuendo e stirando le labbra in un sorriso nei momenti più opportuni. La rabbia per quello che era accaduto era ancora tanta e vedere Hirad in quello stato non faceva altro che accentuarla, facendole ribollire il sangue, mentre la pietra di luna manteneva un calore costante che controbilanciava quello che sentiva pervaderle la mente e il corpo. Non poteva fare nulla che potesse davvero aiutarlo; sfidare Dariush era una scelta azzardata, avrebbe messo in pericolo non solo lei, ma l'intera famiglia, e questo Nemeria non poteva permetterlo. Buttò giù un altro boccone e addentò un pezzo di pane bianco così duro da sembrare di pietra.
Lo Sha'ir non si era presentato per cena, ma aveva ordinato a Kimiya di portargliela nella tenda. Nemeria sospettava che stesse cercando di riprendere il controllo dell'elementale della terra e, seppure contro voglia, anche lei sperava che ci riuscisse.
Un brivido freddo le corse lungo la schiena al ricordo dei due Falchi Neri. Hediye, quando lei ed Etheram erano ancora piccole e le avevano chiesto di raccontare una storia di paura, aveva narrato di quando viveva ancora tra gli uomini. Proveniva da una città piccola e poco distante dalla capitale, dove il sultano aveva fatto costruire una delle tante arene in onore di suo padre. La sua famiglia ogni fine settimana la trascinava sugli spalti a vedere gli spettacoli, gladiatori che combattevano gli uni contro gli altri, oppure contro prigionieri provenienti da terre al di là del mare e Jin. A Nemeria erano rimaste impresse le parole di sua madre, quando le aveva descritto l'avversario di quel Dominatore: crudele, inumano, deforme, ma soprattutto troppo forte per qualsiasi mortale. Era risaputo nella sua tribù che qualsiasi mortale che abusava della magia inevitabilmente diventasse un Jin, era la maledizione che la Madre stessa aveva scagliato sulla stirpe degli uomini quando Heydar aveva ucciso Soraya. A detta di tutte le Anziane, la maggior parte dei Jin erano esseri deformi, orribili, però ce ne erano alcuni, i più pericolosi, che mantenevano un aspetto normale e si mescolavano ai mortali, imbrogliando anche gli occhi più esperti.
Dariush doveva essere ancora normale, ma Nemeria era sicura si trovasse sulla sottile linea di confine tra Sha'ir e Jin. Sarebbe bastato un niente per vederlo trasformarsi in un mostro. Per quanto lo odiasse, pregò la Madre che gli desse la forza di riacquistare il controllo, che avesse pietà di tutti loro.
Quasi le venne da vomitare quando mangiò l'ultimo pezzo di pane. Dovette affondare i denti nelle labbra per reprimere il conato e rimanere lucida, senza cedere di un passo alla paura che sopravanzava.
- Scoiattolo? Non hai più fame? -
La voce preoccupata di Altea la richiamò alla realtà. Nemeria si rese conto di avere in mano il piatto ancora pieno per metà e che loro due erano le uniche rimaste attorno al fuoco. Chalipa e Afareen erano vicino al muro vicino alle loro tende, intente a sciacquare le stoviglie in un catino senza rivolgersi la parola.
- No, sono piena. Ne vuoi un po' tu? - le chiese, per poi accorgesi un secondo dopo che anche la porzione di Altea era quasi completamente intatta.
- Mi sa che siamo in due ad avere la pancia piena stasera. - scherzò.
- Già. - mormorò la più piccola in tono mesto.
- Nemeria... pensi che Hirad si riprenderà mai? - domandò la Sha'ir tornando seria.
- Non lo so. Possiamo solo sperarlo. -
Le fiamme guizzarono sul viso di Altea, evidenziando tutti i segni delle sevizie subite da Dariush, e le donò un'aria ancora più triste e malinconica.
- Sai, non mi aspettavo che avrebbe reagito. Hirad è la persona più tranquilla che conosca, non avrei mai creduto che avrebbe avuto il coraggio di contraddire Dariush. Non puoi immaginare quanto mi senta in colpa per quello che è successo... è solo colpa mia... se fossi uscita di nuovo a fare la spesa, adesso le cose sarebbero come prima. Ero io quella che meritava la punizione, non lui. -
Nemeria la avvolse in un abbraccio e le permise di affondare il viso nella sua spalla. La strinse come quel pomeriggio, la cullò dolcemente permettendo al calore del suo corpo di passare in lei tramite carezze incerte e un po' goffe, finché non smise di piangere. Nonostante la sensazione di impotenza, quando Altea si calmò il cuore di Nemeria si alleggerì, come se vederla asciugarsi le lacrime e andare via a testa alta verso la sua tenda e non quella di Dariush l'avesse sollevata da un grande peso.
“Forse non sono così inutile, forse posso salvare qualcuno. Sì, proverò a cambiare le cose.”
Con quel pensiero, si recò alla sua tenda. Vide una luce multicolore provenire dall'interno e, quando entrò, si accorse che Noriko era ancora sveglia. Lo stupore divenne ancora più evidente non appena notò che ad emanare luce era la fanoos che penzolava sopra le loro teste. La fiammella all'interno spandeva la sua luce su tutto il mosaico, ricalcando ed enfatizzando l'intreccio di fiori che, come una trama molto stretta, avvolgeva tutta la superficie della lanterna.
- Non ne avevi mai vista una accesa? -
Noriko allungò la testa all'indietro, inarcandosi leggermente sulla stuoia in modo da poterla guardare meglio. I capelli rossi erano sparsi tutti attorno alla sua testa e nella luce tenue e aranciata sembravano i raggi del sole morente. Il livido sotto l'occhio destro era nascosto dalle ciocche ribelli.
Nemeria gattonò fino alla lanterna senza staccarle gli occhi di dosso, incantata dalla danza della fiamma. Attraverso i tasselli del mosaico, intravide una figura femminile e quasi le mancò il fiato quando riconobbe l'elementale che le aveva fatto visita tempo prima. Le sue mani si intrecciavano sinuose seguendo il corpo in movenze eleganti, ampie e dolci, ipnotiche.
- No, non le avevo mai viste. - rispose incerta, sfiorando con deferenza il fanoos.
- Ti piacciono? -
- Trovo la loro luce suggestiva. -
- Allora non hai mai visto lo spettacolo che offrono per le strade durante il Randama. Vengono appese ovunque, illuminano le strade come se fosse giorno. Nel Quartiere del Sole però sono sempre accese, se vuoi posso portarti a vederle. -
Nemeria annuì distrattamente, prima di rendersi conto di cosa avesse fatto. Distolse la sua attenzione dalla lanterna e la posò su Noriko. Il suo viso non lasciava trasparire alcuna emozione, così come la postura disinvolta del suo corpo. Per lei, quello che era successo poco prima non contava nulla.
- Non voglio avere niente a che fare con te. - proferì dura Nemeria.
- Difficile, visto che stiamo nella stessa tenda. -
- Allora farò finta che tu non ci sia. -
- Cosa avrei fatto per meritarmi la tua antipatia? -
- Lo sai. -
- Se lo sapessi, non te lo starei chiedendo. -
Nemeria incrociò le braccia sul petto e le scoccò un'occhiata che esprimeva tutto il suo dissenso, ma Noriko non fece una grinza, rimanendo in attesa di una spiegazione. Sentiva addosso il suo sguardo, assieme a quello dell'elementale nella lanterna, che ballava sullo stoppino della candela.
- Altea mi ha detto che nell'Ukiyo-e insegnano a combattere anche alle donne. Si vede che sei forte, il fatto stesso che fai le ronde significa che ti sai difendere. Quindi non capisco perché non sei intervenuta quando Dariush ha strappato i disegni di Hirad. Tu potevi fare qualcosa e invece sei rimasta a guardare. Non voglio avere nessun tipo di rapporto con le persone che lasciano che i deboli vengano schiacciati senza muovere un dito. -
Noriko sospirò e sedette. Si era cambiata la tunica e ne aveva indossata una a maniche corte color verde palude. Le varie contusioni e abrasioni erano in bella vista e Nemeria si rese conto dall'alone rosso che le circondava che non erano state né disinfettate né medicate.
- Hirad conosceva i rischi, eppure è intervenuto. È stata una sua scelta. Se fosse rimasto in silenzio e avesse lasciato che Dariush si sfogasse su Altea come suo solito, avrebbe ancora i suoi disegni. Non è un bambino, ha quasi quattordici anni, deve crescere e capire che il mondo non è come nei suoi amati libri, che ogni azione comporta delle conseguenze. -
Nemeria la fissò sconvolta. Non poteva davvero pensare quello che aveva appena detto, non ci voleva credere, ma la limpidezza della sua voce non lasciava adito a dubbi.
- Inoltre, non sono in grado di sconfiggere Dariush. Lui è un Dominatore, io sono solo una ragazza che ha imparato a combattere. Anche volendomi opporre, l'avrebbe vinta lui. - ammise con calma, - Nemmeno tu potresti fare granché. La terra soffoca e uccide il fuoco a lungo andare e le tue capacità, da quello che ho visto, sono minimali, nonché incontrollabili. -
- Questo non è vero! -
- La tua non consapevolezza dei tuoi limiti sarà solo una grande fonte di guai. Ascolta il mio consiglio, lascia perdere e permetti al tempo di compiere il suo corso. Prima o poi anche gli altri non sopporteranno più l'atteggiamento tirannico di Dariush, e allora potremo pensare di intervenire. Ma per adesso l'unica mossa intelligente è non attirare l'attenzione. -
- Oh, sì, com'era? “Siediti sulla sponda del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”. Beh, sai che ti dico? - si alzò in piedi di scatto e l'elementale nel fanoos riprese a danzare in modo ritmico, quasi forsennato, - Io non sono come te, non riesco a rimanere impassibile mentre quel... quel bruto si comporta come se fosse il nostro re. Già una volta non sono riuscita a salvare nessuno, non posso permettere che accada di nuovo. -
Una lacrima si impigliò nelle ciglia e poi le scivolò lungo la guancia. Improvvisamente, i demoni le saltarono addosso e le azzannarono il cuore, affondando i loro artigli nella sua anima indifesa. Etheram, Hediye, Rakhsaan, tutti i membri della tribù la scrutavano dalle ombre con le loro orbite vuote, la giudicarono, la incolparono e Nemeria, per quanto stringesse forte le palpebre, non riuscì a scacciarli.
Non sono reali. Sono solo frutto del tuo senso di colpa, Nemeria, sei tu che le hai create, sei tu che le stai nutrendo.
La voce di sua sorella le sussurrava nella mente quelle parole, nel tentativo di convincerla e aiutarla a recuperare il controllo, ma le ombre si fecero più vicine, tanto da percepire il loro respiro gelido sulla pelle sudata. Nemeria si fece forza e serrò le dita attorno alla pietra luna per sentire la presenza della sua famiglia. In lontananza, come in un sogno, udì qualcuno chiamarla e poi avvertì una mano posarsi sulla sua spalla. Quando si girò, si trovò innanzi alla Sacerdotessa e al suo volto livido sfregiato dal fuoco.
- No! - gridò terrorizzata, divincolandosi dal suo tocco.
Corse fuori dalla tenda, dalla tana e giù lungo il primo corridoio che le capitò a tiro. Corse finché non riuscì più a respirare e la fatica non vinse. Si abbandonò contro il muro senza fiato. Gli spettri stavano già per ghermirla, quando l'elementale del fuoco si materializzò davanti a lei. Le fiamme dipingevano degli abiti da danzatrice, così come l'aveva vista nel fanoos di Noriko, ma sul suo viso non c'era più traccia di gentilezza. Avanzò contro le ombre senza timore, al ritmo di una musica silenziosa, facendo vibrare e sussultare velocemente fianchi e bacino, i lembi della fascia annodata in vita che tagliavano l'aria in sferzate violente. La sua voce rimbalzò sulle pareti, alta e imperativa.
Andate via.
Tra le sue mani apparve un cembalo. Quando lo colpì, il suono si propagò ovunque e gli spettri tremarono, indietreggiando.
Via, ora!
A quell'ultimo ordine, sprofondarono nell'oscurità in un silenzio tombale.
Nemeria rimase a guardare la scena a bocca aperta. Poco dopo si riscosse e si alzò in piedi barcollando. Le girava la testa, tanto che si dovette aggrappare alla parete per non crollare. Strinse i denti e non distolse lo sguardo dalla creatura, sebbene si vergognasse di come appariva: debole, impaurita e stanca. Tuttavia, un sorriso orgoglioso si dipinse sulle labbra dell'elementale. Era circondata da un alone nebuloso, segno che non era nella sua forma “materiale” come durante il loro primo incontro. Nemeria la vide azzerare la distanza che le separava e arrestarsi di fronte a lei.
- Pensavo mi avessi abbandonata. - esalò commossa.
Io sono sempre qui. Non me ne andrò mai.
Il vento della notte soffiò più forte e dissipò la sua figura, lasciando però intatto il calore sprigionato dalla sua mano nel punto in cui l'elementale l'aveva toccata. A Nemeria venne spontaneo sorridere. Prese un bel respiro e si concentrò finché il suo cuore non si calmò e l'aria fredda non le ebbe asciugato il sudore. Poi studiò la grata, assicurandosi che fosse ben chiusa, e uscì nel vicolo.
La strada era tutta illuminata e i fanoos, appesi alle funi sopra la testa dei passanti, ondeggiavano pigramente a ogni refolo. Uomini e donne, abbigliati con lunghi abiti ricamati in oro e sandali che si intrecciavano fin sotto il ginocchio, camminavano osservando i giochi di luce delle lanterne, fermandosi di tanto in tanto alle diverse bancarelle per comprare qualche pannocchia alla griglia o dei semit, panini dalla forma rotonda ripieni di formaggio, crema di olive o dolce. I bambini, invece, sembravano più interessati ai giocolieri, che all'angolo delle strade si esibivano in numeri spettacolari con scimmie, cerchi di fuoco e spade. Le guardie cittadine pattugliavano le strade, ma la maggior parte erano più concentrate a guardare una donna che si dilettava in giochi di prestigio.
Nemeria si riempì gli occhi, imprimendosi nella memoria ogni dettaglio. Aveva ancora le mani sudate e il cuore non si era ancora allineato sulla sua frequenza naturale, ma la paura aveva lasciato il posto alla meraviglia. Anche il suo stomaco sembrava essersi svegliato e per ogni bancarella che vedeva gorgogliava, più affamato che mai.
- Ragazzina. -
La bambina si voltò, in cerca della voce che l'aveva chiamata. Si avvicinò a un carretto vicino al quale era stata allestita una griglia rovente unta d'olio, dove erano state posate delle fette di pane e dello sgombro ad arrostire. Chiunque fosse, si doveva trovare lì nei paraggi, ma Nemeria non vide nessuno. Ad un tratto, con la coda dell'occhio scorse un movimento al suo fianco. Con sua grande sorpresa, si ritrovò faccia a faccia con il cuoco che aveva incontrato il primo giorno che era giunta a Kalaspirit, quello che le aveva urlato dietro e poi le aveva dato un pezzo di formaggio.
Sebbene lo superasse di almeno quattro pollici, Nemeria indietreggiò intimorita con tutta l'intenzione di dileguarsi nella folla. Prima che potesse scattare, il  besajaun  le batté una mano sulla spalla, un colpo così forte che quasi la mandò a terra.
- Scommetto che sei venuta qui a rubare qualcosa. Conosco voi ladruncoli, vi infilate ovunque e quando meno ce lo aspettiamo, zac!, ci soffiate la merce da sotto il naso. - aggirò la griglia, prese uno dei filetti di sgombro e lo infilò nel pane, per poi farcirlo con insalata, cipolla e pomodori, - Vuoi anche una spruzzata di limone e qualche peperone? -
Nemeria fece saettare lo sguardo da lui al panino, stranita da quell'inaspettata gentilezza. La sua parte razionale le ricordò che non aveva nemmeno degli spiccioli con sé, ma quando il suo stomaco gorgogliò di nuovo si limitò ad annuire. Il  cuoco  tirò fuori un barattolo pieno di vari sottaceti, da dove prelevò non solo i peperoni, ma anche barbabietola, carote e cetrioli. Prima di porgerglielo, aggiunse una spezia rossastra che Nemeria non riconobbe.
- Mangia, sembri un insetto stecco. - le ordinò e lei non se lo fece ripetere.
Azzannò il panino e lo divorò, gustandosi ogni boccone. Non si era resa conto di essere così affamata.
- La ringrazio molto, signore. È stato davvero... -
Lui la bloccò con un gesto stizzito della mano e poggiò un altro pezzo di sgombro sulla griglia. Aveva le mani grandi e callose e le unghie erano corte, eppure non c'era traccia di sporcizia. Persino il carretto, così piccolo e anonimo, era pulitissimo, come gli utensili che penzolavano dai ganci. Soltanto il grembiule aveva alcune macchie d'olio sparpagliate sulla pancia e qualche schizzo di quello che le sembrava pomodoro.
- Non saprei come sdebitarmi. Non ho soldi con me. -
- Non voglio niente, basta che non tocchi nulla con le tue mani lerce. Anzi, levati di mezzo che mi porti via la clientela. -
- Ne è sicuro? Insomma... -
- Ragazzina, non ho tempo per discutere, gli affari sono affari e questo è il mio modo di arrotondare la paga. Sparisci, o il vecchio Behrang ti prende a calci finché non ti metti a correre. - afferrò le pinze, le stesse che aveva usato per prendere il suo sgombro, e gliele puntò sotto il naso, - Sono stato chiaro, insetto stecco? Pensi di poter fare “puff” con le tue gambine, oppure hai bisogno che ti aiuti? -
Come se avesse alle spalle una muta di cani da caccia, Nemeria si defilò, confondendosi tra la folla. Lo scatto iniziale finì quasi subito, d'altronde la sua intenzione era solo quella di mettere una minima distanza tra lui e il carretto. Adesso non le faceva più paura, non come prima, la sua gentilezza l'aveva lasciata disarmata, sebbene alla fine l'avesse scacciata in malo modo.
“Che tipo strano. Prima mi offre un panino e poi mi manda via così. Hediye mi aveva detto che i besajaun sono volubili, ma non credevo fino a questo punto. La prossima volta mi inviterà nella sua osteria per poi buttarmi fuori a calci nel sedere?”
Si trovava sulla stessa strada maestra che aveva percorso al suo arrivo a Kalasprit. Le parve di riconoscere nel profilo di uno dei soldati che sonnecchiava nella guardiola lo stesso che aveva incontrato quando aveva fatto il suo ingresso in città. Non voleva tornare alla tana, né avere a che fare con nessuno dei membri della famiglia fino alla mattina seguente.
Inspirò l'aria fredda della sera e riprese a passeggiare. Anche se non poteva comprare nulla, si fermò a guardare da lontano le bancarelle, soprattutto quelle che vendevano animali. Rimase impressionata in particolare da un venditore che metteva in mostra un cavallo dall'aspetto a dir poco fiero. Era un baio dal pelo corto, la criniera lunga e serica e gli occhi enormi e intelligenti che fissavano i possibili compratori. Sembrava mansueto e brucava di tanto in tanto il fieno che il venditore gli porgeva prima di tornare a elogiarlo. Nemeria non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, tant'è che solo in un secondo momento si accorse di una presenza alle sue spalle.
- Noriko! Che ci fai qui? - esclamò sconvolta.
- Quindi eri andata davvero a farti un giro... - disse ansante, piegata sulle ginocchia per la corsa sfrenata che doveva aver fatto dalla tana, - Potevi dirmelo, sarei venuta con te. -
- Non capisco perché tu mi abbia seguita. -
- Non è una buona idea girare da soli per le strade, anche in un quartiere così movimentato. -
- In qualsiasi caso, non avrei di certo scelto te per accompagnarmi. -
Noriko le piantò le unghie nel braccio e la costrinse a indietreggiare. Per quanto Nemeria tentasse di liberarsi, la presa era salda e quando la tirò fuori dalla folla con uno strattone non riuscì a opporre la benché minima resistenza.
- Che cosa ti prende?! Mi fai male! -
Provò a divincolarsi, ma la ragazza l'avvolse in un abbraccio soffocante. Le tenne il capo con una mano e il viso contro la sua spalla, quasi volesse proteggerla.
- C'è qualcuno che ti sta pedinando. Non so chi sia, ma è da quando sei arrivata qui che non ti perde di vista un attimo. -
- Non prendermi in giro, non sono stupida. Me ne sarei accorta. -
La afferrò per i fianchi e spinse per allontanarla, ma Noriko non si smosse, anzi rinserrò la presa e la strinse fino a far aderire i loro corpi. Nemeria poteva sentire le ossa dei loro bacini a contatto, la sua pancia scavata che si scontrava contro quella tonica e muscolosa della sua compagna.
- Non sto scherzando. Lo so che mi detesti, ma non mi abbasserei mai a raccontarti una storia del genere solo per convincerti a stare con me. - si guardò intorno, la mandibola contratta e gli occhi che scrutavano attenti la folla, - Alla tua destra, vicino al giocoliere e al mangiafuoco. Fingi di star osservando lo spettacolo, non deve sapere che ti sei accorta di lui. -
Non appena Noriko la lasciò, Nemeria, dopo averle scoccato un'occhiata risentita, fece come le aveva detto. All'inizio non notò niente di strano, i due artisti di strada si prodigavano in numeri sempre più difficili e pericolosi, attirando molti spettatori. In mezzo alla calca, però, intercettò un movimento e la luce delle lanterne rimbalzò su una superficie metallica.
Dalle labbra del mangiafuoco scaturì una potente fiammata e ricevette uno scroscio di applausi e di gridolini di stupore.
Il fuoco tracciò alcuni dettagli della figura incappucciata: un'armatura nera, una daga appesa al fianco e una maschera, più bianca dell'avorio, con due fori per gli occhi e una piccola lacrima rossa.
Nemeria divenne una statua di sale e le gambe cominciarono a tremarle pericolosamente. Se non ci fosse stata Noriko a sorreggerla quando le ginocchia le cedettero, sarebbe caduta a terra.
L'avevano trovata, alla fine.
- Calmati, non c'è alcun pericolo. Se non ti ha avvicinata sinora è perché attendeva che fossi da sola. Ora torniamo a casa. Passeremo per le vie affollate, così sarà più semplice seminarlo. Non ti allontanare da me, per nessuna ragione al mondo. -
Nemeria annuì, anche se il suo cervello aveva captato solo parte del discorso. Non si oppose né quando Noriko la prese per mano né quando la condusse attraverso la strada a passo svelto. Era tutto diventato tetro e minaccioso, il mondo aveva perso i suoi colori e ora qualsiasi ombra sembrava essere il nascondiglio di un mostro, di uno spettro, di uno di quei sicari. Nemmeno la luce era più in grado di difenderla.
Quando giunsero a un crocevia, Noriko aumentò l'andatura, svoltò in una viuzza laterale, spostò veloce una grata e la spinse dentro senza alcuna grazia. Prima ancora che Nemeria mettesse i piedi sulla pietra, la rossa aveva già richiuso il passaggio e iniziato a scendere le scale. Nel buio gli occhi di Noriko brillavano come minuscoli soli, la sua presenza incombente e confortante al tempo stesso.
- Tu sai chi ti stava seguendo. - commentò in tono neutro, sbirciando in direzione di Nemeria.
Nemeria andò a sbattere contro il muro e si lasciò scivolare a terra, gli occhi bassi e il cuore che le galoppava nel petto alla stessa velocità con cui pulsava la pietra di luna. I pensieri vorticavano impazziti e sconclusionati, non riusciva a dare un senso logico a quello che voleva dire. Non voleva analizzare quello che aveva visto, sarebbe crollata all'istante.
Noriko sospirò e le si parò davanti. Il suo calore passava attraverso il lino logoro dei pantaloni e le accarezzava la pelle delle ginocchia.
- Non permetterò che ti faccia del male. Non sono un Dominatore, ma so combattere. Se quell'uomo, chiunque egli sia, proverà anche solo ad avvicinarsi, lo manderò via. - dichiarò solenne.
- Tu non puoi niente, lui ti ucciderà! Ti ucciderà come ha fatto con Etheram, Rakhsaan, la Grande Sacerdotessa e tutti gli altri. - pigolò, si premette le mani sulle orecchie e artigliò il cuoio capelluto fino a farsi male, - Lui mi troverà, non posso fuggire. Ovunque vada, lui... loro scoveranno le mie tracce e prima o poi mi prenderanno. -
- Chi sono? -
- Non lo so! Sono apparsi dal nulla e hanno trucidato tutti i membri della mia tribù. La magia delle Anziane non funzionava, nemmeno la Grande Sacerdotessa ha potuto fare nulla! -
Noriko si inginocchiò e la strinse a sé. Le accarezzò la testa con movimenti lenti e delicati, respirando piano. La sua vicinanza fece sentire Nemeria protetta, tanto che persino i rumori delle gallerie, improvvisi e sempre spaventosi, si erano trasformati in morbidi e innocui fruscii.
- Non so chi tu sia, né da dove tu provenga, ma te lo giuro, farò tutto ciò che è in mio potere per proteggerti. Tu però devi permettermi di farlo. Devi cominciare a fidarti di me. - sussurrò Noriko.
- Perché? -
- Questo non è importante. - si allontanò in modo da poterla guardare negli occhi e si appropriò di una ciocca bianca, - Hai un aspetto molto singolare, domani vedremo di fare qualcosa per renderti il più normale possibile. Ora torniamo a casa. -
Nemeria la fissò un momento e per un secondo le parve di vedere un riflesso liquido nello sguardo della sua compagna. Avrebbe voluto chiederle cosa le era successo per renderla la persona che era, ma si limitò a prenderle la mano e a farsi condurre attraverso le gallerie. Per la prima volta da quando era entrata a far parte della famiglia, Nemeria si accorse di non avere più paura del buio.

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Capitolo 6
*** Il Coraggio di Cambiare ***


Fuoco 2

6

Il Coraggio di Cambiare

"La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle."
Sant’Agostino

La mattina seguente, Noriko venne a svegliarla di buon'ora. Era già vestita di tutto punto, con una semplice stola e un corto mantello allacciato sotto il collo con una fibbia arrugginita. La tana era silenziosa, non si udiva nemmeno il chiacchiericcio di Afareen e Chalipa.
- Muoviti a vestirti, lumaca. - l'apostrofò Noriko.
Con ancora gli occhi socchiusi e senza smettere di sbadigliare, Nemeria rovistò tra i suoi vestiti ed estrasse il primo che le capitò sotto mano. Si sentiva stanca, la notte precedente non era riuscita a dormire. Il sonno era andato e venuto, contendendosi il suo corpo con la paura di scorgere mostri acquattati nel buio, figure grottesche che la inseguivano fino alle catacombe, armati di daghe insanguinate. Nell'ultimo incubo, Nemeria aveva assistito di nuovo al massacro di tutti i membri della famiglia. A nulla erano valse le urla, le suppliche. I mostri si erano fermati solo quando intorno a sé Nemeria aveva visto le ombre dei cadaveri dei suoi cari. Poi era arrivato il suo turno e i nemici avevano cominciato ad accanirsi su di lei. L'avevano colpita un paio di volte, prima che si svegliasse di soprassalto con il sapore salato delle lacrime in bocca e la pelle ricoperta di sudore freddo. Era scoppiata a piangere tra le braccia di Noriko, accorsa al suo fianco richiamata dai lamenti e dai gemiti di terrori, e la ragazza l'aveva tenuta stretta al suo petto finché la stanchezza non l'aveva di nuovo sopraffatta. Quel comportamento un po' le aveva ricordato Etheram quando la vedeva giù di morale e Nemeria faceva di tutto per nasconderlo: alla fine, puntualmente, le rivelava sempre tutto e allora sua sorella l'avvolgeva in abbracci stritolanti che avevano il potere di scacciar via i pensieri negativi.
Mentre si vestiva, non le sfuggirono le occhiate che di tanto in tanto Noriko le lanciava. Poteva leggere una certa apprensione nei suoi occhi, ma forse si sbagliava. Ad ogni modo, decise di dire qualcosa, quel silenzio era snervante.
- Grazie per ieri sera. Non cambia l'opinione che ho di te, ma sei stata gentile. Mi hai sorpresa. - ammise, indossando ai piedi un paio di campagi neri bucati.
Noriko fece spallucce e spostò il lembo della tenda per assicurarsi che fuori non ci fosse nessuno.
- Chi è Hediye? - chiese poi di punto in bianco.
Le mani di Nemeria si immobilizzarono a mezz'aria e la penula cadde ai suoi piedi. Si inginocchiò di scatto, la raccolse e tentò di infilarsela, ma le dita si erano improvvisamente intorpidite e sembravano muoversi a rallentatore, come se le avesse tenute troppo a lungo sotto la neve.
Un sospiro precedette dei passi. Noriko le arrivò alle spalle, girò la mantellina nel verso corretto e sistemò il cappuccio e la stoffa in modo che non ci fossero grinze.
- Ti do una mano a pettinarti, sei lenta. -
Prese il suo pettine d'osso e cominciò a lavorare. Nemeria si morse le labbra, in attesa di sentire i capelli tirarsi e poi spezzarsi al primo nodo, ma non accadde, nemmeno quando i denti del pettine si impigliarono in un grumo di fango solido come un sasso. Noriko, dopo un paio di tentativi, semplicemente si allungò, prese dell'acqua dall'otre vicino alla sua stuoia e si bagnò entrambe le mani, per poi passarle sulla ciocca e massaggiarla finché i palmi non divennero neri. Nemeria osservò i movimenti con la coda dell'occhio, ipnotizzata dalla loro delicatezza e cura.
- Non volevo spaventarti, prima. Hai urlato il nome di Hediye più volte stanotte, per questo ho domandato. Doveva essere una persona molto importante per te. -
Senza perdere la presa sui capelli, si chinò e prese un cordoncino di cuoio intrecciato. Dopo un momento d'esitazione, Nemeria annuì e basta, lasciando intendere che quella conversazione sarebbe morta lì. Non voleva che Noriko sapesse, anche se era stata gentile non si fidava ancora. I mortali erano cattivi, questo le era stato insegnato, ma quell'affermazione, ripetuta dalle Anziane della tribù, si sciolse pian piano sotto le mani esperte e veloci di Noriko mentre le intrecciava i capelli.
La rossa non insisté e finì il suo lavoro un minuto più tardi. Quindi si tirò su e la guardò dall'alto.
- Ecco fatto. Forza, abbiamo già perso abbastanza tempo. -
- Dove andiamo? -
- Da un amico che mi deve un favore. Risparmia il fiato, ci sarà da camminare. -
Noriko uscì dalla tenda con lo zaino sulla schiena, Nemeria dietro di lei che incespicava tentando di mantenere il passo sostenuto della compagna. Quest'ultima non sapeva come facesse a camminare a quella velocità senza fare rumore, i suoi piedi sembravano non appoggiarsi mai al terreno e ogni volta che si imbattevano in un ostacolo lo aggiravano con grazia felina prima di andarci a sbattere. C'era una leggiadria intrinseca in Noriko, qualcosa che a Nemeria ricordava Etheram e tutte le Jinian che dominavano l'aria.
- Dove hai imparato a muoverti così? -
- Dal mio maestro. -
- Avevi un maestro? E lo ha insegnato solo a te oppure anche ad altri? -
- Ai bambini che vivevano nel tempio. -
- Quindi Hirad non scherzava quando diceva che nell'Ukyio-e insegnano a combattere a tutti. -
- Attenta al topo. -
Quando Nemeria sentì le zampette del ratto correrle su per il piede per poco non cacciò un urlo. Inspirò ed espirò finché non si fu calmata, poi scattò per raggiungere Noriko. L'unica fonte di luce era la lanterna che si erano portate dietro, ma non riusciva a tranquillizzarla. Anche quando girava per le gallerie con Hirad sobbalzava ogni volta che si trovava faccia a faccia con un ragno o un topo la sfiorava, però bastava che il ragazzo parlasse per farla riprendere dallo spavento. Noriko invece era taciturna e procedeva senza mai voltarsi indietro. Eppure, nonostante il silenzio che regnava tra di loro, Nemeria non aveva paura.
- Perché te ne sei andata? - tornò alla carica, curiosa di conoscere qualche dettaglio in più sul passato di Noriko.
- Fai sempre così tante domande alle persone che ti stanno antipatiche? -
- Non sei obbligata a rispondere. - borbottò imbronciandosi.
- Quanti anni hai detto di avere? -
- Undici... - Nemeria si interruppe, folgorata da un dubbio, - Che giorno è oggi? -
- Il trentesimo di Achiel. -
- Allora ne ho dodici. -
- Quando li avresti compiuti? -
- Circa tre settimane fa, ma mi è passato di mente. -
Si rigirò la pietra di luna tra le dita e si sentì assalire da una profonda tristezza. Se non fossero stati attaccati, avrebbe iniziato l'addestramento per diventare una Jinian, probabilmente intraprendendo come prima via quella dell'acqua o dell'aria. Etheram sarebbe stata al suo fianco, l'avrebbe tenuta per mano assieme a Hediye e Rakhsaan mentre attendeva che l'Alta Sacerdotessa e le Anziane la chiamassero per la “Sheranti”, il rituale con cui avrebbe cominciato ufficialmente il suo percorso verso la perfezione di se stessa.
Posò la mano sulla pancia, all'altezza dell'ombelico, percependo la levigatezza della pelle sotto il tessuto, una pelle che sarebbe rimasta così per sempre, senza le cicatrici, i tagli e le bruciature di una vera Jinian.
Noriko sospirò e le cinse le spalle con un braccio. Ancora una volta, Nemeria rimase spiazzata da quel gesto, che mal si conciliava con l'espressione imperscrutabile della sua compagna.
- Aumenta il passo o non arriveremo mai in tempo. -
“In tempo per che cosa?” avrebbe voluto chiedere Nemeria, ma tenne la domanda per sé e lasciò che il calore di Noriko le scaldasse anche il cuore, crogiolandosi in quell'abbraccio che tanto la faceva sentire al sicuro.
Nelle ombre proiettate sui muri delle gallerie, talvolta le parve di rivedere i volti dei membri della tribù che la studiavano, lupi affamati pronti a ghermirla, ma le bastava stringere appena le dita per avvertire la presenza di Noriko e relegare i fantasmi nelle tenebre al di fuori del cerchio luminoso.
Dopo quasi un'ora, la ragazza si fermò davanti a una scala all'incrocio tra due gallerie che Nemeria non ricordava di aver esplorato. Alcuni pioli erano marci, altri spezzati, ma le corde che li sostenevano sembravano nuove. Noriko le passò la lanterna e, una volta in cima, spostò la grata. Perlustrò con lo sguardo la strada, prima di compiere gli ultimi passi e uscire all'aperto. Soltanto allora Nemeria seguì il suo esempio.
Era una mattina uggiosa e nuvole latrici di pioggia avevano preso in ostaggio il cielo. A tratti, un timido sole faceva capolino, per poi essere di nuovo strattonato nella sua prigione. Non era la classica giornata estiva, ma per gli occhi di Nemeria, così abituati al buio, quella luce era quasi accecante.
- Siamo nel Quartiere della Pietra. È il quartiere artistico, diciamo. Pittori, scultori, architetti e miniaturisti vivono qui fin dalla fondazione di Kalaspirit. Il nome è dovuto alla preminenza di una di queste arti, indovina quale? -
Nemeria si guardò intorno. Se fosse capitata lì per caso, non avrebbe creduto di essere nel Quartiere della Pietra. Non c'era niente di spettacolare nella strada che stavano percorrendo, anzi, era un luogo abbandonato a se stesso, una specie di ghetto dove a ogni angolo poteva nascondersi un assassino o un borseggiatore in cerca di una facile preda. Una leggera foschia aleggiava nell'aria, creando un'atmosfera spettrale che il vento non riusciva a disperdere. I pochi passanti che incrociarono puzzavano d'alcool o si trascinavano balbettando frasi sconnesse con ancora una bottiglia di vino in mano, mentre cani e gatti dal pelo arruffato li osservavano irrequieti, raggomitolati a ridosso delle case fatiscenti oppure nei pressi delle poche osterie già aperte.
Nemeria camminava a testa bassa, a braccetto con Noriko, domandandosi come fosse possibile che quel Quartiere versasse in condizioni tanto pietose. Dove vivevano loro non era strano vedere mendicanti o altri bambini cenciosi che sorvegliavano i passanti nella speranza di poter rubare qualcosa, a quello si era abituata, come al caos e all'allegro cicaleccio a ogni ora del giorno. Lì, invece, tutto sembrava morto, persino gli abitanti davano l'impressione di essere dei derelitti in attesa della forca.
- Per di qua. - le indicò Noriko.
Si immisero in una stradina claustrofobica dove l'odore di urina ed escrementi era così forte da rendere l'aria irrespirabile. Nemeria dovette tapparsi il naso per non vomitare la cena della sera precedente. In fondo, circondata da un nugolo di zanzare e mosche, cigolava un'insegnata di legno smangiato che riportava: Arsalan, tatuaggi e decorazione del corpo.
- Perché siamo qui? - domandò titubante Nemeria.
- Te l'ho già detto, dobbiamo cercare di rendere il tuo aspetto più normale. -
L'ingresso si apriva su una rampa di scale in pietra nera, che terminava davanti a un'altra porta. Un campanello dalla forma di un tozzo uccello era appeso sopra di essa, un silenzioso guardiano dagli occhi strabici e il becco più grosso della testa. Quando Noriko lo suonò, emise un suono stridulo, simile al gracchiare di una cornacchia, agitandosi tutto come se fosse vivo. Dopo qualche istante, una donna sulla trentina, alta e magrissima, con i capelli neri tagliati corti e le mani pesantemente inanellate, apparve sulla soglia. Puzzava di sudore, vino e qualcos'altro che Nemeria non capì.
- Ti sembra l'ora di presentarti, Noriko?! - berciò mentre si stropicciava gli occhi gonfi di sonno, - Se sei venuta per chiedermi soldi, caschi male. Non ho intenzione di darti nemmeno uno youan. -
Noriko non fece una piega, attese che la donna si stiracchiasse e smettesse di sbadigliare prima di fare un passo verso di lei, tirandosi dietro Nemeria.
- Sono qui perché mi devi ancora un favore, Asuka, e so che tu e Arsalan siete persone di parola. -
- Ti abbiamo già abbondantemente ripagato per averci avvertito del furto dei Dodici, che vuoi ancora? -
- Per quello sì, ma non per quel mercante che ha provato a vendervi pigmenti di pessima qualità. -
Asuka si batté una mano in faccia con un gesto plateale, poi esalò un profondo respiro e si rassegnò, invitandole a entrare.
La stanza che le accolse era più grande di quanto Nemeria avesse immaginato. Era un ambiente circolare, con il pavimento composto da pannelli rettangolari di paglia intrecciata. Le lanterne, tutte appoggiate su scaffali e panche di legno nero, erano costituite da un telaio su cui era stato teso un foglio sottilissimo. Il cassettino alla base, decorato con iscrizioni sbozzate direttamente nel rame, attirò subito l'attenzione di Nemeria. Al centro della stanza, un uomo alto e possente armeggiava con pennelli, aghi e alcune boccette colorate.
- Ars, abbiamo visite. - lo chiamò Asuka.
- Che genere di visite? - chiese quello, rimanendo ancora di spalle.
Arsalan aveva una voce melodiosa, quasi femminea. I capelli lunghi erano stretti sul collo da un semplice nastro viola e, quando si voltò, Nemeria rimase sorpresa nel vedere quanto fossero delicati i lineamenti del suo viso, abbellito da labbra a cuore e occhi a mandorla, messi in risalto dalla pelle chiara come il latte.
- Oh, Noriko! Vedo che hai portato un'amica. Posso offrirvi qualcosa? -
Noriko annusò l'aria mentre si toglieva i sandali. Nemeria rimase un attimo interdetta, ma poi si affrettò a seguire l'esempio.
- Hai fatto il tè verde con la malva. -
Ars sorrise: - Sì, sai che è l'unico che riesce a svegliare Asuka. -
- Vada per quello, allora. -
- Ci sono anche dei chinsako. -
Noriko si girò verso Nemeria. Sembrava così a suo agio, rilassata, come non lo era mai stata.
- Vuoi assaggiarli? Sono molto buoni. -
- Basta che non ne mangi troppi, non sono semplici da trovare e Ars si scoccia a cucinarli. - intervenne Asuka.
- Asuka, non ci si comporta così con gli ospiti. - la riprese Ars.
La donna lo liquidò con un gesto vago della mano e sparì al di là della porta davanti a loro, una specie di cucinotto semibuio.
- Scusatela, appena sveglia è intrattabile... coraggio, non restate in piedi. Il tatami forse non è comodissimo per chi non è abituato, se preferite posso andare a prendere i cuscini di sopra. -
- Non ti preoccupare, va bene così. - lo rassicurò Noriko, posando a terra il ginocchio sinistro per primo, seguito dal destro e poi si raddrizzò la schiena, sovrapponendo le punta dei piedi.
Nemeria studiò quei movimenti, chiedendosi se anche lei dovesse fare lo stesso. Le sembrava un modo insolito di sedersi, avrebbe preferito abbandonarsi a gambe incrociate sul pavimento, ma probabilmente non sarebbe stato educato. Così, cercando di non perdere l'equilibrio, imitò quello che aveva fatto l'amica, tirando poi le spalle in dentro e il petto in fuori per sembrare il più marziale possibile.
Ars e Noriko la fissarono a lungo perplessi, tanto che Nemeria temette di non essersi seduta nel modo corretto.
- Come ti chiami? - tossicchiò Ars, nascondendo il divertimento dietro un colpo di tosse.
Nemeria spostò lo sguardo alla ricerca di quello della sua compagna, nella speranza che le suggerisse come dovesse comportarsi, ma Noriko, a parte un mezzo sorriso d'incoraggiamento, non si scucì.
- Mi chiamo Nemeria, signore. - disse tutto d'un fiato.
- Niente formalità, non sono ancora così vecchio da meritare tutta questa deferenza. Piuttosto, non essere così rigida! Non sei di certo al cospetto del sultano o del sovrano celeste. -
- Sì, infatti, impettita così sembri un piccione. - commentò Asuka, riemergendo dal cucinotto con un piatto di porcellana pieno di biscotti e quattro tazze fumanti.
Si sedette vicino ad Ars a gambe incrociate, porse a tutti una tazza e attese che si servissero. Nemeria fu l'ultima: voleva assicurarsi di non sbagliare, la brutta figura di prima l'aveva fatta vergognare abbastanza. Inzuppò il biscotto nel tè solo quando vide anche Noriko farlo.
- Hai un nome davvero particolare, Nemeria. Anche il tuo aspetto è singolare. Se posso chiedere, i tuoi genitori venivano dal Nord? - domandò Ars.
- No... non proprio. Non ho mai conosciuto i miei genitori, ad essere sincera. -
Era una mezza verità. Sua madre era una delle Anziane o una Jinian, mentre il padre... quello proprio non lo sapeva. Poteva essere un “Ikaelan” o uno dei Jinean della tribù. In qualunque caso, non l'avrebbe mai saputo, anche se la sua gente fosse sopravvissuta: l'identità dei genitori non veniva mai rivelata e i Jinean, le controparti maschili delle Jinian, raggiunta una certa età, abbandonavano la tribù portando con loro il segreto.
- L'unica cosa che so è che questo nome lo ha scelto mio padre, ha insistito perché lo portassi. - aggiunse e si concentrò sul tè fumante per sfuggire allo sguardo carico di compassione dell'uomo.
Non voleva la pietà di nessuno, eppure era l'unico sentimento che sembrava suscitare negli altri.
- È davvero bello, tuo padre aveva buon gusto. Ha un qualche significato? -
- Ars, stai mettendo la nostra ospite in imbarazzo. - lo rimbeccò Asuka con una gomitata, - Guardala, a momenti diventa un uovo a forza di incassare la testa nelle spalle! -
- Scusami, non era mia intenzione. -
- Invece di scusarti, finisci di bere prima che si freddi, sennò poi ti lamenti che non riesci a berlo e mi costringi a rifarlo. E voi due sputate il rospo: perché siete qui? Noriko non viene mai per una semplice visita di cortesia, sopratutto se abbiamo un debito nei suoi confronti. -
La ragazza sorseggiò l'ultimo goccio di tè, socchiudendo appena le palpebre come se volesse godersi quel sapore per l'ultima volta.
- Desidero che rasiate la testa di Nemeria. - rivelò infine.
Asuka e Arsalan strabuzzarono gli occhi, e Nemeria per poco non si strozzò. La fissò intensamente augurandosi che stesse scherzando, ma non c'era ombra di divertimento nella sua espressione.
- Posso sapere il motivo di una scelta così drastica? - si azzardò a chiedere Arsalan.
- Nella tana qualcuno ha portato i pidocchi. Io sono sempre fuori e ho i capelli sempre legati, Nemeria invece si occupa per lo più di faccende interne. Credo sia la cosa migliore per tutti, almeno finché non avremo risolto il problema. -
- La tua amica non mi sembra molto d'accordo. Immagino non fosse a conoscenza dei tuoi piani. - le fece notare Asuka.
Noriko agguantò con indifferenza un altro chinsako dal piatto. A Nemeria era passato l'appetito. Sbocconcellò il suo biscotto e si inumidì le labbra secche con il tè senza proferire parola, i pensieri che l'assordavano e vorticavano impazziti.
- Nemeria? Tutto bene? Sei pallida come un cencio, piccola. - la richiamò Ars preoccupato.
La bambina scosse la testa e posò la tazza in grembo. Guardando il suo riflesso sul fondo, si accorse di avere gli occhi lucidi. Non aveva mai avuto un attaccamento speciale ai suoi capelli, Etheram ed Hediye dovevano litigare sempre con lei per pettinarglieli, più volte aveva desiderato tagliarli, eppure adesso quella decisione le pesava come un macigno sul cuore.
- È la decisione migliore. - Noriko le strinse la spalla e la scosse appena per farle forza.
- E poi ricresceranno più sani e forti. - la rincuorò Ars con un sorriso bonario, - Anche Asuka li ha dovuti tagliare quando portai a casa i pidocchi e ora guardala: ha un cespuglio indomabile. -
- So che doveva essere un complimento, ma non ti è uscito molto bene. - lo rimbeccò caustica lei, tirandogli un'altra gomitata tra le costole, prima di rivolgersi di nuovo a Nemeria, - Fintanto che non sento dalla sua bocca che è d'accordo, io non prendo nemmeno il rasoio. -
Nemeria afferrò una ciocca, una delle tante che era sfuggita alla morsa del nastro, e l'attorcigliò attorno al dito, accarezzandola con l'altra mano come Rakhsaan faceva col suo pupazzo di pezza. Anche Etheram aveva sempre portato i capelli lunghi, li aveva fatti crescere finché non erano arrivati a coprirle la schiena, e man mano che aveva proseguito sul suo cammino per diventare Jinian erano diventati una serica chioma perlacea, in mezzo alla quale facevano capolino alcuni ciuffi castani. I suoi, invece, erano color fuliggine con qualche striatura più chiara. Portò la ciocca davanti al viso e inspirò il profumo di cannella, coriandolo e nardo, ancora vivido nei suoi ricordi.
- Dove mi devo mettere? - sbuffò arresa.
Asuka si alzò in silenzio, si avviò nel retrobottega e ricomparve con una scatola di legno bianco levigato tra le mani.
- Ars, tu occupati dei pigmenti e pensa a un disegno da tatuare. -
- Mi farete un tatuaggio sulla testa? - indagò incredula Nemeria.
- È ovvio! Avere una testa completamente calva per una ragazza non è mai una cosa bella. Prima che tu me lo chieda, sì, i capelli ricresceranno anche con i tatuaggi. Spostati, Noriko, intralci l'artista se stai così appiccicata alla mia cliente. -
Noriko aggrottò le sopracciglia irritata, ma andò a sedersi contro il muro senza ribattere. Asuka si posizionò alle spalle di Nemeria, il rasoio già in mano, e le domandò se fosse pronta.
“No.”
- S-sì. - balbettò tesa.
- Bene, allora mettiti comoda, ci vorrà un po'. -
Dopo averle sciolto la treccia ed essersi assicurata che non ci fossero nodi, Asuka cominciò a lavorare. Tagliò una ciocca dietro l'altra, dapprima piano, come se si aspettasse da un momento all'altro che Nemeria le dicesse di fermarsi, poi, quando il tatami fu ricoperto da un tappeto di ciuffi neri, grigi e bianchi, iniziò a raderle la testa, la lama che sfiorava il cuoio capelluto a ogni passata. Era brava, precisa, scrupolosa, non doveva essere la prima volta che faceva una cosa del genere.
Nemeria tenne gli occhi bassi, ignorando ostinatamente i ciuffi tagliati che svolazzavano verso il basso. Sapeva che, se li avesse guardati, sarebbe scoppiata a piangere ed era stanca di mostrarsi debole, di consumarsi nel ricordo di ciò che aveva perso. Strinse i pugni e cercò conforto nello sguardo di Noriko. Le fece un lieve cenno del capo e Nemeria si sentì stranamente rinvigorita. Ricacciò indietro le lacrime, abbozzò un sorriso e trasse un profondo respiro. Per la prima volta da quando era arrivata a Kalaspirit, le sembrò di riuscirci davvero.
Ars le mostrò lo schizzo di un tatuaggio su un foglio sottilissimo e lucido. Sul bozzetto di una testa aveva disegnato un intrico di fiori, radici e germogli che si intrecciavano in un labirinto di cerchi, semicerchi e linee spezzate, ricoprendo ogni centimetro di pelle oltre alla base del collo. Meravigliata, Nemeria prese il foglio tra le mani.
- Ti piace? -
- Non è troppo... vistoso? -
- No, anzi, è una cosa che si vede spesso in giro. Nell'Ukyio-e non facciamo tatuaggi di questo genere, ma qui va di moda, soprattutto da quando il sultano ha firmato il trattato commerciale con il Rajeh dell'Impero di Skandaaleshan. Non li hai mai visti? Di solito se li fanno fare sulle braccia o sulle dita. - rispose Ars.
Nemeria se li ricordava molto bene, li aveva notati sulle donne, e addirittura una di loro si era unita alla tribù. Si chiamava Kajal. Quando si era presentata dinanzi all'Alta Sacerdotessa, aveva sfoggiato le braccia ricoperte con quei tatuaggi e i polsi ornati con dei bracciali, collegati attraverso delle catene dorate a cinque anelli diversi. Era così bella da sembrare l'incarnazione della figlia della Madre, Soraka. Nemeria aveva provato invidia e per un attimo aveva desiderato di essere lei.
- D'accordo. Farà male? -
Asuka pulì il rasoio dai capelli rimasti e lo ripose nella scatola.
- Dovrai sopportare un po' di dolore, ma ti assicuro che sarà stupendo alla fine. Modestie a parte, noi siamo i migliori, Noriko lo sa. -
Nemeria spalancò gli occhi. Che anche lei si fosse fatta tatuare qualcosa? Non l'aveva mai vista nuda, però non era da escludere. Anche le Jinian guerriere ne avevano molti, quindi forse anche per le ragazze come lei, addestrate al combattimento, era una cosa normale.
La invitarono a sdraiarsi su un materasso pulito che Asuka aveva portato giù dal piano si sopra. Con una mano, Ars le tenne la pelle leggermente in tensione, il pennello intriso di colore tra le dita, mentre con l'altra cominciò a puntellarle la testa. Il dolore era intenso e l'ago penetrava con forza nella carne, ma dalle labbra di Nemeria non uscì un solo gemito, sebbene le lacrime premessero pericolosamente da dietro le ciglia. Fecero un paio di pause, giusto per permetterle di riprendere fiato e bere un bicchier d'acqua. Asuka le offrì degli altri biscotti e Ars le puliva di tanto in tanto la testa dai rimasugli di colore o dal sangue.
Quando finalmente finì, era pomeriggio inoltrato. Nemeria si sentiva ancora dolorante e quando tentò di alzarsi ebbe un capogiro così forte che, se non fosse stato per i riflessi felini di Noriko, sarebbe crollata. Accettò la tazza di tè fumante che Ars le porse e lasciò che il gusto fresco della menta e del gelsomino le distendesse i nervi. Soltanto allora Asuka le si fece vicino e le mise davanti uno specchio.
Il tatuaggio le avvolgeva la testa come un velo da sposa. Le linee di fiori e germogli si inerpicavano passando sopra le orecchie e scendendo fino alle scapole, per poi diramarsi in una radice nodosa che sembrava racchiudere le prime vertebre della spina dorsale. Sul davanti un fiore di loto sbocciava in tutto il suo splendore. Nemeria lo sfiorò con la punta delle dita e, senza che se ne rendesse conto, un sorriso si aprì sulle sue labbra. Fece saettare lo sguardo da Ars ad Asuka, cercando qualcosa da dire, ma aveva la gola secca e le parole sembravano svanite nel nulla. Perciò, con un po' di titubanza, li abbracciò commossa.
- Grazie. -
- Ha fatto tanto male? - Ars le diede una pacca sulla spalla, leggermente rigido e imbarazzato.
- Solo un po'. -
- Per le prossime due settimane non devi stare con la testa al sole per nessuna ragione al mondo. È importante che il tatuaggio rimanga il più possibile pulito per evitare infezioni. So che dove vivete voi non è un ambiente che si possa definire lindo, ma per quanto puoi prova a non sporcarti. Coprilo con un fazzoletto di stoffa e ogni sera metti un pomata a base di origano, maggiorana e timo. -
Asuka l'allontanò con una leggera spinta e prese un barattolino da uno scaffale, assieme a una bandana bianca.
- Dovrebbe bastare, ma qualora ne avessi bisogno basta che torni qui e vedrò di procurartene un altro po'. -
Nemeria annuì e accettò i doni. Noriko le fu subito accanto, si appropriò del barattolino e lo sistemò nello zaino.
- E con questo abbiamo saldato il nostro debito. La prossima volta, se vorrai qualcosa, dovrai pagare. - sancì decisa Asuka, - Ora sparite. Dobbiamo mettere a posto il negozio prima che arrivi il nuovo cliente e qui sembra che abbiamo appena tosato una pecora. -
Mentre la donna spazzava per terra, Ars le accompagnò alla porta. Aveva la punta delle dita sporche d'inchiostro, ma il vestito, che solo ora Nemeria notava essere composto da una specie di gonna-pantalone e una giacca a maniche corte, era immacolato.
- Se avete bisogno, non fatevi problemi a tornare. Noriko, la nostra porta è sempre aperta per te. -
- Lo so. -
Si salutarono con un inchino profondo che Nemeria si affrettò a imitare. Poi, dopo aver rivolto loro un ultimo sorriso, Ars chiuse la porta.
- Hai fame? - domandò Noriko.
Nemeria stava per dire di no, ma il suo stomaco la tradì, emettendo un gorgoglio di protesta. Si massaggiò la pancia, abbozzando un sorriso impacciato.
- Qui intorno le locande non sono dei buoni posti da frequentare. Se corriamo, riusciremo ad arrivare alla tana per la merenda. -
- Dariush non si arrabbierà perché siamo uscite di nascosto? -
- Lo zittiremo portandogli qualcosa. Non mi sembra una buona idea rimanere fuori ancora a lungo, soprattutto con quell'uomo losco che ti segue. Abbiamo tagliato i capelli, ma gli occhi rimangono comunque riconoscibili e io non conosco nessun Dominatore che sarebbe disposto a cambiarteli gratuitamente. -
- C-cambiarmeli? In che senso? - chiese allarmata la bambina, ma l'altra le intimò di tacere.
Noriko si guardò intorno ispezionando la strada. A parte qualche barbone e gli animali randagi nascosti dietro barili e casse rotte, c'era un discreto via vai e alcuni negozi, prima chiusi, adesso erano aperti ed esponevano la loro merce. Nemeria notò persino qualche acquirente dall'aria facoltosa accompagnato da almeno quattro guardie del corpo.
Imboccarono lo stesso vicolo dell'andata, ridiscesero sottoterra e percorsero un tunnel semibuio, finché, arrivate a un bivio, Noriko svoltò a destra invece che a sinistra. Quando uscirono dalla grata si ritrovarono in un altro quartiere, che Nemeria riconobbe come quello del Legno. Aveva sentito parlare di quelle bancarelle, sormontate da tende multicolori che, in un arcobaleno di stoffe rattoppate, si univano sopra le teste dei passanti creando un'ombra piacevole. Altea veniva spesso a “fare la spesa” lì, era il suo posto di caccia preferito.
Per un momento Nemeria credette che Noriko desiderasse rimpinguare le loro scorte, ma cambiò subito idea quando la vide dirigersi verso un'artista di strada, una donna con i capelli raccolti in un'alta coda di cavallo e vestita con un abito arricchito di frange e ricami dai colori vivaci. Se ne stava seduta in un angolino ombreggiato, intenta a sistemare le corde del suo strumento, una specie di liuto dal manico largo e la cordiera triangolare. Non appena Noriko e Nemeria le arrivarono vicino, alzò il capo rivelando un viso pulito, con gli occhi verdi e le labbra truccate ad arte per farle sembrare più piccole.
- Buondì, Noriko. Lei chi è? -
- È della famiglia. -
- Deve essere una importante se l'hai portata con te. - sorrise mostrando una fila di denti ingialliti, che però nulla toglievano alla sua bellezza, - Cos'hai da scambiare questa volta? -
Noriko tirò fuori dallo zaino un tozzo di pane e un sacchetto grosso come il suo pugno. La donna lo aprì e il sorriso sulle sue labbra si allargò, poi lo nascose sotto la gonna e addentò il pane affamata.
- Giusto stamane ho appreso che Harmad è di ritorno dalle terre del Rajeh con un carico di spezie. Roba preziosa. - disse qualche attimo più tardi.
Noriko si fece attenta: - Quando arriverà? -
- Fra tre, massimo quattro giorni. La stima dei suoi concorrenti è approssimativa, tutti sperano che lo colga un malore o che la sua carovana venga investita da una tempesta di sabbia. -
Nemeria si stava agitando. La strada era molto affollata e, sebbene nessuno sembrasse badare a loro, il ricordo del predone che l'aveva pedinata era ancora vivido nella sua mente. Fece qualche passo verso Noriko e le strinse la mano, il cuore che aumentava i battiti in preda all'ansia secondo dopo secondo.
- Hai per caso visto qualche tipo strano di recente? - la interrogò Nemeria, prendendo il coraggio a due mani.
La donna aggrottò le sopracciglia e inclinò la testa, sospirando con fare teatrale.
- Difficile a dirsi, a Kalaspirit c'è sempre una gran bolgia e un sacco di persone strane. Cerchi qualcuno in particolare? -
- No, nessuno. È nuova di qui, è solo curiosa di conoscere la città. - intervenne Noriko, serrando la presa sulle dita di Nemeria.
- A me pareva che avesse qualcuno in mente, invece. Se vuoi informazioni devi pagare, piccola. Quello che la tua amica mi ha portato è sufficiente solo per ciò che lei mi ha chiesto. Hai dei begli occhi, due stupendi e rari arcobaleni. Dimmi, da dove vieni? -
- Scusaci, Pavona, ma dobbiamo andare. Dariush ci ucciderà se non torniamo prima del coprifuoco. - si intromise nuovamente Noriko, cominciando a sudare freddo, e strattonò la compagna per allontanarla.
Tuttavia, Pavona fu più veloce. Con uno scatto felino, artigliò Nemeria per il polso e la trasse a sé. La fissò intensamente, poi un sorriso quasi malinconico si dipinse sulle sue labbra.
- Pavona, lasciala andare. -
La donna ignorò Noriko e prese il volto di Nemeria tra le mani. I palmi erano ruvidi e le dita indurite dai calli, ma il suo tocco era gentile, quasi materno. C'era qualcosa di familiare, qualcosa che impediva a Nemeria di spingerla via.
Ad un tratto, Nemeria avvertì il calore tiepido del suo fiato vicino all'orecchio.
- Circo di Dakshesh, Quartiere della Bestia, chiedi di me. - le sussurrò Pavona, prima che Noriko l'afferrasse per un polso e la trascinasse via.
Nemeria si lasciò guidare, ma mentre si allontanavano di corsa non poté impedirsi di pensare a Pavona e al suo sguardo carico di nostalgia.

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Capitolo 7
*** Forza d'Animo ***


Fuoco 2

7

Forza d'Animo

"Imporre la propria volontà agli altri, è segno di forza. Imporla a se stessi, è segno di forza superiore."
Lao-Tzu

Quando tornarono alla tana, la prima cosa che Noriko fece fu andare a informare Dariush del carico di spezie in arrivo. Nemeria non la seguì, preferì tornare in tenda, adducendo come scusa la spossatezza del tatuaggio e del viaggio attraverso i quartieri, ma la verità era che sentiva un bisogno quasi fisico di stare da sola. Così si raggomitolò sulla sua stuoia, lo sguardo fisso sulla fanoos che pendeva sopra la sua testa e gli occhi malinconici di Pavona impressi a fuoco nella mente. Non sapeva cosa pensare, sinceramente: la sensazione di averla già incontrata non l'aveva abbandonata per tutto il viaggio di ritorno alla tana, ma più cercava di ricollegare il viso della donna a quelli dei membri della tribù, più si faceva strada in lei la certezza di non averla mai vista. Non era mai stata un'attenta osservatrice, però di lei si sarebbe ricordata, era troppo bella perché passasse inosservata persino ai suoi occhi disattenti.
Sospirò, si girò a pancia sotto e, sbuffando, appoggiò il mento sulle mani intrecciate, lasciando i piedi a dondolare nell'aria, mentre la sua mente rimuginava su Noriko, sulla sua storia e sul passato pieno di segreti. Non la conosceva, sapeva solo le informazioni più semplici, eppure doveva farsi violenza per non concederle piena fiducia: soprattutto dopo aver conosciuto Asuka e Arsalan, si era resa conto di quanto Noriko per lei fosse quasi al pari di un'estranea.
“Forse dovrei provare a parlarci più spesso. Per quanto mi abbia fatto rabbia il suo comportamento con Hirad, con me è stata gentile.” rifletté, rotolando dubbiosa sul fianco, “Mi ha portato dai suoi amici, ha speso il credito che aveva con loro per farmi fare un tatuaggio e...”
- Cosa cavolo ti è successo ai capelli?! -
Nemeria non fece nemmeno in tempo ad alzarsi che Altea si era già precipitata vicino al lei, gli occhi sgranati e la bocca aperta in un'espressione a metà tra lo stupito e il deluso. La prese per la spalla e la costrinse a sedersi per poi slegarle con gesti incerti il nodo della bandana.
- Scoiattolo... ma... ma perché li hai tagliati? Erano così belli, mi piaceva tanto pettinarli. -
- Noriko... Noriko mi ha detto che qualcuno aveva portato i pidocchi. -
- Se così fosse è un gran brutto problema. Ha già parlato con Dariush? -
- S...sì, penso di sì. - balbettò e poi aggiunse, - Ero io ad averli, in realtà, non volevo dirlo a nessuno perché mi vergognavo e così ho chiesto aiuto a Noriko. -
Altea aggrottò le sopracciglia: - Da quanto voi due siete così in confidenza? -
“Perchè non riesco a dire una bugia senza darmi la zappa sui piedi?”
- Non lo siamo, però ai gemelli non sto per niente simpatica e ho pensato non fosse una buona idea rivolgermi a te o a Hirad dopo quello che è successo ieri. - si giustificò e si grattò nervosamente il collo, - A proposito lui... lui come sta? -
La Sha'ir si spostò i capelli dietro l'orecchio e trasse un profondo respiro, prima di prendere posto vicino a lei, spalla a spalla, con la testa che sfiorava quasi quella di Nemeria.
- Sta che non parla. Stamattina mi sono avvicinata e lui non ha nemmeno alzato lo sguardo dalle bozze delle nuove mappe. Ha persino lasciato la sua porzione di zuppa, quella che Afareen fa con le lenticchie. - si massaggiò la fronte e si stropicciò gli occhi stanchi, sottolineati dalle profonde occhiaie, - Lo so che non possiamo pretendere che si riprenda da un giorno con l'altro, ma vederlo così mi fa piangere il cuore. Ho provato a parlare con Dariush, a fargli notare che è stato crudele con lui, ma non ha voluto sentire ragioni. L'unica cosa... buona è che stanotte con me è stato molto gentile, quasi dolce per certi versi. Mi è sembrato di ritrovare il ragazzo di cui mi sono innamorata quando sono arrivata qui. -
Nemeria si morse le labbra per non rispondere e si scroccò le dita, scuotendo appena la testa.
- So che a te non piace, ma ti assicuro che non è una cattiva persona. Quello che facciamo... solo a volte è doloroso, ma ti assicuro che è normale per una donna. - le batté una pacca sulla spalla con un sorriso incerto, - Quando diventerai una signorina e ti innamorerai di un uomo capirai quello di cui sto parlando. Allora ti ricorderai di me, di questa conversazione e dirai “Per tutti i karuş del sultano, Altea aveva ragione!” -
Il tono platealmente tragico della Sha'ir fece ridere Nemeria che, dopo aver arricciato le labbra provando a trattenersi, si abbandonò al riso che contagiò anche la sua compagna. L'allegria sottrasse aria alla rabbia e la soffocò così com'era divampata, prima che diventasse un incendio.
- Piuttosto, c'era un motivo particolare per cui hai fatto irruzione nella mia tenda? -
- Nella tua tenda... guarda come la scoiattolina rivendica il suo territorio. - la punzecchiò, prima di farsi seria e tirare fuori dalla tasca un foglio accartocciato, - Mentre stavamo aiutando Hirad a mettere a posto, ho trovato questo. -
Curiosa, Nemeria lo distese sulla stuoia, lisciando gli angoli con il pugno chiuso in modo da poterlo osservare meglio. Il disegno non era completo, mancava un pezzo della parte superiore e una parte della spalla, ma quella testa mezza rasata e l'orecchino con la catena era impossibile non riconoscerli. Gli occhi di Altea la fissavano dalla pergamena, catturati in un momento in cui erano leggermente più aperti, come se la loro padrona avesse appena visto qualcosa di così meraviglioso da volersene riempire e la bocca atteggiata in un sorriso sorpreso, delineato con tratti leggeri e delicati fino a uniformare le linee nel profilo delle labbra a cuore. Era così bella e così realistica che Nemeria pensò per un momento che Altea la stesse prendendo in giro e si fosse fatta fare un ritratto da uno degli artisti sulla Via degli Usignoli.
- Anche io stentavo a crederci. Sapevo che Hirad era bravo, le mappe che fa sono sempre chiare e precise, ma non mi ero mai soffermata a vedere gli altri disegni. Ne ho conservati altri e dovresti vedere quanto è bravo. Non ho mai visto nessuno come lui, nemmeno tra i miei clienti più facoltosi. -
- Clienti? Eri una mercante? -
Altea si rabbuiò e la luce nel suo sguardo si smarrì in chissà che ricordi. Nemeria le strinse il braccio e le prese la mano tra le sue, il senso di colpa che già faceva breccia nel suo cuore.
- Ero merce, Scoiattolo, vendevo il mio corpo per sopravvivere. -
Nemeria aveva la gola secca, non riusciva nemmeno a deglutire.
- Vengo da una famiglia poverissima che viveva nelle campagne vicine alla catena montuosa dell'Abint Değlar. Per quanto i nostri genitori amassero me e i miei fratelli, non potevano sfamarci tutti, così hanno venduto qualcuno di noi per permettere la sopravvivenza degli altri. Io sono finita qui e l'uomo che mi aveva comprata mi ha messa a lavorare nella sua casa di piacere. - intrecciò le dita con le sue, le strinse forte e tirò su col naso.
- Quanti... quanti anni avevi? -
- Meno di te, Scoiattolo, molti meno di te, ma l'età era indifferente: i soldi potevano comprare tutto, soprattutto ciò che la legge vieta. - le fece un buffetto sulla guancia e distese le labbra nel suo sorriso più rassicurante, - Ma non voglio parlare di me, nella mia vita non c'è niente di cui valga la pena parlare. -
- Qualcuno ha sicuramente da ridire. -
- Forse... ma non sono venuta qui per me, ma per Hirad. Volevo proporti di rubare delle pergamene e di consegnargliele al più presto possibile. Voglio che torni a sorridere, a straparlare come suo solito e... - raccolse il foglio e lo accarezzò con la punta delle dita, quasi con deferenza, - Voglio solo che stia bene, Nemeria, non ce la faccio a vederlo così per colpa mia e della mia incapacità. -
“Tu non hai niente da rimproverarti, è tutta colpa di Dariush!”avrebbe voluto gridare Nemeria, ma tenne quella considerazione per sé, la recluse nel ripostiglio della sua mente assieme a tutto l'odio e la rabbia che provava nei confronti del loro capo prima che la sopraffacesse.
- Cosa... pensi di fare, quindi? -
- Pensavo di rubare delle pergamene e un paio di pastelli colorati. La scorsa settimana ho notato una bottega nel Quartiere della Pergamena che ne vendeva di molto belli. Non so se sono migliori rispetto a quelli che ha ora, ma credo potrebbe fargli piacere riceverne di nuovi, non pensi? -
- Mi sembra una buona idea, però non saprei come aiutarti. Io non sono granché a fare la spesa, rischierei di mandare a monte tutto. -
- Ah, di questo non ti devi crucciare, i miei piani sono sempre infallibili. Vedrai, non correrai alcun rischio. -
- È sarcasmo quello che sento nella tua voce? -
- No, io? Sarcasmo? Non so nemmeno cosa sia!- rise e le pizzicò il naso, - Allora, ci stai? -
- Non penso di avere scelta... -
- No, in effetti non ce l'hai, Scoiattolo. -
- Allora perché me lo hai chiesto? -
- Semplice cortesia. -
- Sono commossa da siffatta gentilezza, Altea la Sha'ir. -
La ragazza tirò una schicchera sulla guancia e poi scrollò la testa con una plateale espressione altezzosa, da vera nobildonna, facendo tintinnare le catene dell'orecchino e spostandosi i capelli scompigliati in un gesto stizzito. Poi si alzò stiracchiandosi e si approssimò all'uscita.
- Ah, non penso serva dirlo, ma vorrei non ne parlassi con nessuno, nemmeno con Noriko. - aggiunse, - Non prenderla a male, sai che comunque la stimo, ma è davvero strana ed è molto vicina a Dariush. Non vorrei che gli riferisse quello che abbiamo intenzione di fare. -
- Non avevo comunque intenzione di dirle nulla. -
Altea non rispose, rimase in silenzio a guardarla un momento, come se stesse soppesando le sue parole.
- Va bene, mi fido di te, Scoiattolo. Ora andiamo a cena, prima che Afareen e Chalipa comincino a berciare perché siamo in ritardo. -
Nemeria la seguì fuori dalla tenda e si accomodò attorno al fuoco, vicino a Hami e Kimiya che, non appena la videro, la salutarono, il primo con un cenno del capo, la seconda con un sorriso timido e appena abbozzato. Soltanto in un secondo momento parvero accorgersi del suo cambio di capigliatura, ma nessuno dei due fece commenti, sebbene a Nemeria non sfuggirono le occhiate confuse e corrucciate che loro e gli altri membri della famiglia di tanto in tanto le scoccavano. L'unico che non fece una grinza fu Hirad, che si limitò ad alzare appena lo sguardo per poi spostare nuovamente la sua attenzione su un sasso ai suoi piedi, le mani intrecciate abbandonate nel vuoto e le spalle basse, come senza forze, stanche con i gomiti che sembravano troppo deboli persino per sostenere il peso delle braccia. Nemeria provò una grande pena per lui, per il silenzio in cui si era trincerato e valutò, scartandola subito, la possibilità di sederglisi vicino. In qualche modo sapeva, sentiva, che così facendo non avrebbe fatto altro che aggiungere mattoni al muro che si era costruito, così si aggrappò al piano di Altea, promettendosi che avrebbe fatto l'impossibile perchè funzionasse.
La cena venne servita una ventina di minuti dopo. Come al solito, Chalipa e Afareen chiacchieravano tra di loro, scambiandosi battute e ricordandosi a vicenda quanto sale aggiungere, quanti pomodori tagliare, le proporzioni di acqua necessarie. La pentola sobillava e il fumo spandeva un profumo intenso di lenticchie mescolato a quello del limone. Alla prima cucchiaiata Nemeria non fu l'unica a storcere le labbra per il sapore troppo asprigno, che contrastava e soverchiava quello vellutato dei pomodori. Persino Hami, che mangiava sempre tutto senza fiatare, non riuscì a trattenersi dal lanciare una battutina sagace nei confronti delle ragazze, guadagnandosi un'occhiata truce e un mestolo puntato alla gola. Quella scena, così buffa e comica, riuscì a strappare un sorriso persino a Hirad che, per la prima volta in tutta la sera, smise di rimestare la minestra per godersi quel divertente battibecco tra suo fratello, calmo e con un sorrisetto malvagio sulle labbra, e Chalipa, battagliera e armata di tutti gli utensili da cucina a mo' di gladiatrice. Nemeria sospettava che lo avessero fatto apposta, che l'aver aggiunto quella spruzzata di limone solo dopo aver servito Dariush non fosse stata una semplice dimenticanza come aveva addotto Afareen, ma si avvide bene dal dirlo: quando il loro capo aveva distrutto i disegni di Hirad non avevano fatto nulla, quello, ne era certa, era il loro modo di scusarsi e di fargli sapere che c'erano.
Mentre tutti erano occupati a vedere il duello all'ultimo sangue tra le due ragazze e Hami, Nemeria cercò Noriko con lo sguardo. Intercettò la sua testa rossa dietro ai gemelli; stava finendo la sua minestra seduta per terra con le gambe intrecciate e la schiena dritta, con gli occhi occupati a fissare il vuoto davanti a sé, senza prestare la minima attenzione agli altri. Non appena si accorse di essere osservata, girò la testa nella sua direzione e puntò le sue iridi azzurre su di lei. Erano spilli acuminati, frecce ghiacciate che la trafiggevano da parte a parte e in Nemeria si rifece viva la percezione che quegli occhi potessero vedere i suoi pensieri, i suoi ricordi, i suoi segreti più intimi. Abbassò lo sguardo sulla sua ciotola lentamente, nel gesto più fluido e naturale che i suoi muscoli le permettevano, e portò alle labbra un paio di cucchiaiate, nella speranza che la ragazza non interpretasse quella sua ritirata come un'ammissione di colpevolezza.
“Non sa nulla, non essere paranoica. É un essere umano e tu ti stai facendo troppi problemi.” tentò di tranquillizzarsi, ma la sua voce si perdeva nel marasma di paure e angosce che le ingombravano la testa.
Trasse un profondo respiro e buttò giù l'ultimo pezzo di pomodoro. L'aria scivolò in gola, lungo la trachea e le riempì i polmoni quel che bastava per alleggerire il peso che le gravava sul petto. Non c'era niente che potesse fare, se non aspettare, sondare il terreno, capire se sotto quelle polle d'acqua non erano nascoste sirene pronte ad affogarla, eppure in quel tiro alla fune tra il bisogno di fidarsi di qualcuno e la paura di farlo, Nemeria sentiva di essere al limite, che l'incertezza che la dilaniava dall'interno presto l'avrebbe spezzata.
“Non puoi cedere ora, hai troppo da perdere.” si disse, ma nel profondo sapeva che l'unico motivo per cui continuava a procrastinare il confronto con Noriko era uno solo: la paura che, se lo avesse fatto, sarebbe morta, uccisa dalla sua nuova famiglia o gettata nell'arena a combattere fino al suo ultimo respiro. E, sebbene sapesse di meritarselo, continuava a fuggirle.
“Sei una codarda.” le sussurrò una voce malevola.
- Lo so. -
- Bene, adesso che avete finito tutti di mangiare, dobbiamo parlare. -
Dariush uscì dalla tenda e a grandi falcate arrivò vicino al fuoco. Le fiamme danzavano sul suo viso, disegnando il profilo volitivo della mandibola e la linea dura delle labbra sottili, che i giochi di luce e ombre accentuavano e sfumavano al ritmo pulsante del focolare. Li scrutava a uno a uno, le sopracciglia folte leggermente aggrottate e le braccia intrecciate sul petto largo, in attesa che tutti gli rivolgessero la dovuta attenzione. Non era imponente, agli occhi di Nemeria non lo era mai stato, ma le occhiaie scure e la pelle tirata del viso lo rendevano quasi spettrale, un mortale a un passo dal diventare un mostro.
- Noriko mi ha riferito che tra tre, quattro giorni Harmad sarà di ritorno con un carico di spezie. Come tutti sapete, spesso commercia nel Quartiere del Legno, ma considerando il viaggio che ha fatto dubito che la sua merce sia per la gente comune. É possibile che dovremmo andare a “fare la spesa” in uno degli altri quartieri ed è possibile che ci incontreremo con una delle altre bande. - soppesò il suo sguardo su ognuno di loro, - Per quanto non mi piaccia invadere i territori altrui, stavolta dobbiamo fare un'eccezione alla regola: se è come penso io, rivendendo quelle spezie a chi di mestiere, potremmo metterci a posto per un bel po'. Domani io, Noriko e i gemelli andremo in perlustrazione, voglio sapere quanti sanno del ritorno di Harmad. Sappiate che dovrete tenervi pronti, perché stavolta dovremo organizzare un piano perfetto e tutti voi dovrete collaborare, che vi piaccia o no. Altea? -
La Sha'ir alzò il capo.
- Domani tu, Kimiya e Nemeria andrete a rifornirvi di unguenti e medicine nel Quartiere del Ghiaccio. Tenete occhi e orecchie bene aperti, mi aspetto che se trapela qualche informazione su un possibile acquirente, me lo riferiate, chiaro? -
- Sarà fatto. -
- Non mi aspettavo altro. - posò il suo sguardo da squalo su Nemeria, - Tu, vedi di non essere quantomeno d'intralcio durante questa missione. Ricordati che sei qui per mia gentile concessione. -
La ragazza si morse le labbra e si piantò le unghie nei palmi, incassando in silenzio. Si impose la calma e lasciò che le parole le scivolassero addosso, ma queste erano vino sulla sua pelle in fiamme, la bruciavano alimentando la rabbia che ardeva nel suo essere. La pietra luna non riuscì a contrastarle. Nemeria scattò in piedi con le mani che formicolavano e il potere elementale che si irradiava in ogni fibra del suo corpo, smanioso di riversarsi all'esterno. Anche Noriko si alzò e agile come un gatto le fu vicino, le serrò il braccio in una stretta d'acciaio e le sussurrò qualcosa all'orecchio che però Nemeria non udì. Esistevano solo lei e Dariush, il suo sorrisetto borioso da vincitore che gli si allargava sulla bocca.
- Qualcosa da ribattere, mocciosa? -
Aprì le braccia e alzò il mento, invitandola a farsi avanti. Nemeria tentò di liberarsi dalla morsa di Noriko, le diede uno strattone, ma la ragazza rimaneva ferma, poteva vedere di scorcio i suoi occhi adombrati da una sincera preoccupazione, ma non le importava: il desiderio di farlo a pezzi, di vedere il suo corpo divorato dalle fiamme era più forte della paura di scoprirsi. Poi, prima che potesse colpire Noriko con una gomitata, una mano si posò sulla sua spalla. Era magrissima e le dita lunghe, affusolate, leggermente sporche di colore; la sua mente le collegò immediatamente all'unico membro della famiglia a cui potevano appartenere.
- Ti sta provocando, non fare stupidaggini. -
C'era una calma piatta nella sua voce, non un tremore, un'esitazione. Strinse la presa e si fece così vicino, così tanto che Nemeria potè sentire il suo calore attraverso i vestiti.
- Non devi perdere la calma, è questo che lui vuole. - le sussurrò ancora, - Ho già perso abbastanza, non voglio perdere anche te. -
- Ha ragione, dagli retta. Se ti scopre, è la fine. - aggiunse Noriko un istante dopo.
Nemeria trasse un profondo respiro e socchiuse le palpebre. La rabbia premeva contro lo sterno, raschiava le ossa lottando per uscire, ma più si concentrava sulle mani dei suoi due compagni, più essa si affievoliva, smorzandosi nel tepore della pietra luna e nel calore del contatto delle loro mani. “Non sono sola.”
Il cuore diminuì la sua folle corsa, rallentò fino a tornare camminare, mentre la tensione abbandonava i nervi e i muscoli. Quando riuscì a respirare normalmente, cercò gli occhi di Dariush e quando li trovò non riuscì a trattenere un mezzo sorriso: era deluso, deluso e irritato dalla situazione.
“Ho vinto.”
- Bene, per oggi è tutto. Mehrdad, Malakeh, Noriko, domani vi voglio svegli all'alba. Chalipa, Afareen, preparate la colazione in anticipo e anche il pranzo. - grugnì, prima di girarsi e infilarsi nella sua tenda.
Hami e gli altri membri della famiglia ripresero a parlare, anche se il nervosismo appesantiva ancora l'atmosfera. Noriko tirò un sospiro di sollievo e rivolse a Nemeria un'occhiataccia severa e piena di sussiego, ma lei la percepì appena, tutta concentrata sulla mano di Hirad ancora posata sulla sua spalla. Quando l'allontanò, le sembrò che si portasse via una parte di lei.
- Grazie. Grazie a entrambi, io... -
Hirad scosse la testa e le tirò una schicchera in mezzo alla fronte.
- Fai solo più attenzione, va bene? Non... devi metterti nei guai, soprattutto con Dariush. - la pelle gli si accapponò quando pronunciò quel nome, - Ora torno ai miei studi e alle mie mappe. Non ho ancora terminato di disegnare quelle che abbiamo visitato insieme, tu pensa. -
- Sei diventato pigro da quando stai sempre chiuso in tenda. -
- Lo sono sempre stato, lo sai che preferisco studiare piuttosto che uscire all'aria aperta. Non per altro il mio soprannome è “Ratto”. -
- Allora lo sei più del solito! -
Il ragazzo abbozzò un sorriso e si rivolse a Noriko: - Tienila sott'occhio tu, io... devo occuparmi delle carte. -
Diede loro le spalle, poi prima di entrare in tenda, si girò un'ultima volta.
- Stai molto bene così, anche la bandana ti dona. -
Nemeria si sentì avvampare. Si massaggiò il collo imbarazzata, cercando di comporre una frase di senso compiuto con le poche parole che non erano corse a rifugiarsi chissà dove.
- Piacciono... piacciono molto anche a me. -
Avrebbe voluto aggiungere altro, un qualcosa di più intelligente e meno scontato, quando la mano di Noriko le strinse forte il polso, mettendo in fuga ogni suo buon proposito.
- é tardi, dobbiamo andare. Domani devi alzarti presto. - le ricordò senza troppi preamboli con un tono monocorde, quasi atono.
- Ah, sì... sì, è vero. Allora, buonanotte Hirad. -
- Buonanotte a entrambe. - le salutò e prima che Noriko la trascinasse via, le sembrò che il ragazzo le avesse sorriso ancora una volta.
Non appena giunsero nella loro tenda, Nemeria avrebbe tanto voluto lasciarsi cadere sulla sua stuoia e di addormentarsi con l'immagine di Hirad che sorrideva, ma la sua compagna non le diede nemmeno il tempo di distendersi. Prese il barattolino e le ordinò di sedersi dandole le spalle, con una voce che non ammetteva repliche. Nemeria si tolse la bandana e, sebbene controvoglia, obbedì. Il tessuto era punteggiato da piccole macchioline d'inchiostro e sangue, ma nonostante tutto era più che pulito per gli standard in cui aveva imparato a convivere.
- Tra cinque, sei giorni non ci saranno più neanche quelle. - Noriko le spalmava il balsamo con delicatezza, seguendo le linee del tatuaggio con l'indice, - Domani ti sveglio prima di andare, così te lo metto. -
Nemeria rimase in silenzio, in attesa di un “va bene?” o di un “se sei d'accordo” che però non arrivò. Non era una domanda, ma una dichiarazione d'intenti, e anche se lei non avesse voluto, capì che Noriko lo avrebbe comunque fatto.
- Cosa significa il tuo nome? -
Aveva pronunciato quella domanda senza la mediazione del cervello e, soltanto quando la udì, si rese conto che non aveva più la consistenza dei pensieri.
Il dito di Noriko si fermò a mezz'aria per una frazione di secondo, prima di tornare ad applicare l'unguento sopra l'orecchio.
- Bambina esemplare. Perché ti interessa saperlo? -
- Una... mia parente diceva che non è il nome in sé a essere importante, ma il suo significato perché in esso è racchiusa la nostra essenza e quella che i nostri genitori volevano infonderci. Diceva anche che rivelare un'informazione così importante è segno di... fiducia. - inspirò, espirò e ispirò di nuovo, racimolando tutto il coraggio che aveva e si posò una mano sul petto, - Nemeria, nella lingua Školt, significa “indomabile”. Mio padre credo venisse dalle terre del Seber, dall'estremo Nord. L'unica eredità che ho di lui è quest'ipotesi e il nome che ha scelto per me. -
Noriko tacque un momento, poi si pulì le mani sui pantaloni e chiuse il barattolino. Era pensierosa, almeno questa era l'impressione che Nemeria aveva, sebbene non avesse fatto una grinza nonostante quello che le aveva rivelato.
- Fidarsi non è semplice, hai avuto coraggio. - commentò e si stese sulla sua stuoia, - Non hai mai conosciuto tuo padre, quindi. Tua madre, invece? -
Anche Nemeria fece lo stesso. La luce calda del focolare ondeggiava sulla tenda, proiettando le ombre sul tessuto, ora trasformato in un palcoscenico dove delle figure dai contorni sfumati si muovevano, ballavano e sparivano in un battito di ciglia. La tranquillizzavano, in un certo qual modo, non erano come le ombre che vedeva nascoste nel buio, erano quello che lei voleva che fossero, assumevano la forma che la sua mente imponeva: Rakshaan che giocava col suo pupazzo, Etheram che correva nella foresta di bambù, le Anziane che ballavano attorno al fuoco, Hirad che le sorrideva rientrando in tenda.
- Non lo so chi fosse, cioè... non so chi mi ha messa al mondo, ma la persona di cui ti parlavo prima diceva sempre che è l'amore con cui si crescono e non il sangue che condividiamo a renderci figli di qualcuno. Io la mia mamma la conoscevo, il suo nome era Hediye. Le volevo molto bene. -
- É morta? -
- Sì. -
Aveva la voce strozzata e il cuore le faceva male. La stanchezza le rendeva le palpebre pesanti, ma non era abbastanza per seppellire il dolore che premeva da sotto lo sterno. Ancora faceva male, nonostante il tempo, le settimane, faceva ancora male.
Noriko si girò e le prese la mano, la strinse appena e passò l'altro braccio sotto il collo in modo da cingerle le spalle.
- Non voglio dormire, ho paura che se chiudo gli occhi loro mi verranno a cercare. - ammise Nemeria in un bisbiglio.
Non sapeva nemmeno lei a chi si riferisse: le ombre, i predoni, i mostri che popolavano i suoi incubi sembravano tutti darle la caccia, incessantemente, sempre. Persino nei sogni, nelle terre dove i vivi e i morti possono incontrarsi, non c'era via di fuga.
- Non permetterò a nessuno di farti del male. Nessuno, Nemeria, ti potrà toccare. - il corpo di Noriko aderì al suo, le sue gambe si intrecciarono con le sue, in un incastro perfetto, - Ora dormi, domani sarà una lunga giornata, sia per me che per te. -
- E se venissero a cercarmi? Se riuscissero... -
- Non accadrà, perché io glielo impedirò. -
Nemeria avrebbe voluto chiedere come, ma il sonno la stava già reclamando. Mentre si addormentava, cullandosi nel sorriso di Hirad e nell'abbraccio di Noriko, la voce dell'Alta Sacerdotessa risuonò nella sua mente. Era nitida, viva come se la donna fosse stata lì vicino a lei, ma quando Nemeria tentò di aprire gli occhi, le palpebre rimasero chiuse, incollate.
Vedo lontano, oltre le nebbie. Vedo un mondo che non mi è più caro, un eterno inverno dove il sangue scorrerà imbrattando la virginea bellezza della primavera. Il disonore prevarrà, la lealtà verrà calpestata, il coraggio arderà nelle fiamme degli incendi. Ogni uomo diverrà un traditore, ogni tradito un omicida. Allora sarà l'Era della Falce e verrà emesso il giudizio sul mondo.
Una mano le sfiorò la guancia, era tiepida, morbida e le dita erano lunghe. C'era una delicatezza infinita in quella carezza.
Figlia di Chandra, considera il lato nascosto delle cose e chiediti cosa non conosci. Scruta al di là delle ombre, diffida dalla luce, segui il sentiero che ti trascinerà verso l'abisso e ti innalzerà al di sopra degli altri figli di Chandra e Heydar.
“Dove siete? Alta Sacerdotessa, siete viva? Mi state chiamando?”
Provò a parlare, ma la bocca non si mosse e la sua speranza rimase intrappolata nella sua mente, inespressa, mentre la mano continuava ad accarezzarla, catturando le lacrime che sfuggivano dalle ciglia ad una ad una. E Nemeria avrebbe voluto toccarle quelle mani, rivedere quella donna che aveva dato la sua vita per la salvezza della sua gente, ma per quanto lottasse, non riusciva a muovere un muscolo. Soltanto quando la stanchezza vinse ogni sua resistenza, riuscì a schiudere appena le palpebre e a scorgere una chioma bianca svanire nella luce tenue del focolare.

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Capitolo 8
*** Amicizia ***


Fuoco 2

8

Amicizia

"Per raro che sia il vero amore, è meno raro della vera amicizia."
François de La Rochefoucauld

Il risveglio la mattina seguente non fu poi così traumatico. Nemeria sapeva di aver sognato qualcosa di importante, qualcosa che avrebbe dovuto ricordare, ma a parte una sensazione di vuoto e malinconia, per quanto si sforzasse, non le veniva in mente nulla. Provò a chiedere a Noriko se avesse per caso parlato nel sonno, ma lei disse che aveva dormito beata per tutta la notte. Mentre le metteva la crema, Nemeria si domandò se il motivo per cui non si sentiva riposata fosse dovuto al non ricordarsi cosa aveva sognato.
- Stai attenta oggi, guardati sempre le spalle. Dubito che quell'uomo ti venga a cercare alla luce del giorno, però non abbassare mai la guardia, per nessuna ragione al mondo. - le raccomandò Noriko.
Nemeria fece un cenno con la testa per farle capire che l'aveva ascoltata, anche se i suoi pensieri vagavano altrove, persi ancora tra le nebbie oniriche e la febbrile ricerca di un ricordo, che era certa essere fondamentale.
Era così distratta che nemmeno si accorse quando Noriko uscì, o di essersi riaddormentata, finché Altea non fece irruzione nella tenda con la sua solita, fastidiosa allegria mattiniera.
- Buongiorno, scoiattolo! Spero tu abbia riposato abbastanza, perché oggi ci aspetta una luuunga giornata. - esclamò e le si piantò davanti con le mani sui fianchi e il sorriso di una bambina il giorno del suo compleanno, - Ehilà, ci sei? Non puoi continuare ad avere sonno a quest'ora! -
Nemeria sollevò piano la testa e si asciugò il rivolo di bava che le inumidiva il mento e il collo, dandosi della stupida più di una dozzina di volte. Si mise svelta a sedere e rovistò tra i vestiti in cerca di qualcosa da mettersi. Non possedeva molti indumenti – quattro tuniche, tre pantaloni e un paio di pezzi di biancheria spaiata – e cercava sempre di non mettere le stesse cose per più di due giorni. Ormai si era abituata alla puzza, praticamente le sue narici erano diventate insensibili, così come allo sporco, però ci teneva a conservare, almeno in parte, le sue buone abitudini. Hediye era sempre stata inamovibile sull'igiene e la pulizia personale: Etheram aveva sempre obbedito, non le piaceva sentire la sensazione di sudore addosso, mentre con Nemeria e Rakhsaan era stata una battaglia. Suo fratello faceva i capricci e, col suo pupazzo stretto al petto, sgattaiolava fuori dall'acqua non appena Hediye si distraeva; Nemeria, invece, si trasformava in una bambina diligente e disponibile, smaniosa di aiutare i membri della tribù nelle loro mansioni quotidiane. Una volta era persino andata fino alla tenda dell'Alta Sacerdotessa per chiederle se avesse bisogno di una mano per il rituale degli Spiriti. Ridacchiò ripensando alla faccia di quell'odiosa di Ziba e delle sue amiche, quando avevano appreso che Nemeria aveva davvero avuto il coraggio di fare una cosa del genere. Lei si era sentita molto orgogliosa del suo impavido gesto.
All'improvviso ebbe una folgorazione e le mani si bloccarono, la cinghia del sandalo infilata per metà nella fibbia.
- Nemeria? Qualcosa non va? -
Nemeria impallidì, gli occhi sgranati e la gola secca. Nella sua mente si delineò il viso dell'Alta Sacerdotessa, i suoi occhi perlacei appena celati delle lunghe ciglia bianche, e i suoi sensi riprodussero l'intonazione della sua voce intenta a pronunciare parole e frasi che, quasi a farlo apposta, le sfuggivano non appena tentava di afferrarle.
- Tutto bene, sono solo mezza addormentata. Sai che la mattina prima di una certa ora non sono molto reattiva. - mormorò riscuotendosi e abbozzò un sorriso tirato.
- Ah, eccome se lo so! In questo non somigli a uno scoiattolo, loro già alle prime luci sono scattanti e vitali. Forza, siamo già in ritardo! Sappi che non ho mai conosciuto nessuno lento come te. E io di persone ne ho conosciute, eh! Altro che scoiattolo, sei una lumaca! - la risata argentina di Altea trillò nell'aria mentre si accomodava sulla stuoia e le cingeva le spalle, - Dai, dimmi che hai. Si vede che sei turbata. Hai fatto qualche sogno strano? -
Nemeria sbuffò e prese l'altro sandalo. Non poteva dire di averla sognata, della notte prima non ricordava nulla, eppure sentiva nel profondo del suo essere che lo spirito dell'Alta Sacerdotessa era venuta a farle visita.
“Chissà cosa voleva dirmi... ah, se solo sapessi dominare l'aria come mia sorella, forse potrei provare a richiamarla.”
Non sapeva come si sarebbe dovuta sentire, se eccitata perché forse era riuscita a entrare in contatto con uno spirito o triste perché quella era l'ennesima conferma che della sua gente non era sopravvissuto quasi nessuno. Sospirò e si legò la bandana sulla testa con aria afflitta. Poi prese lo zaino e vi mise dentro il barattolino di crema.
Altea lasciò cadere l'argomento, intuendo che Nemeria non voleva parlarne, e la incitò a sbrigarsi. Cercò di non far trasparire la preoccupazione cominciando riempirla di chiacchiere, senza accorgersi che la bambina non la stava ascoltando.
- Sono certa che Kimiya ti sarà simpatica. È una ragazza particolare e magari all'inizio farai un po' fatica a comunicare con lei, ma tu sei intelligente, imparerai presto. Inoltre, anche lei è una gran testona, somiglia molto a Hirad, e visto che ti sei trovata così bene con lui non potrete non andare d'accordo. -
Nemeria curvò le labbra in un sorriso al momento giusto, in modo da mascherare la sua totale ignoranza dell'argomento di conversazione. Quindi si caricò lo zaino sulle spalle e uscì dalla tenda a passo di marcia, seguita dalla Sha'ir. Lasciarsi alle spalle i dubbi era diventato prioritario, prima che la tristezza e il dolore della perdita potessero riaffiorare in superficie.
Il focolare era spento e i tizzoni della sera precedente erano solo dei sassi fuligginosi sfregiati dalle fiamme, con vene annerite ad avvolgerli come una rete di capillari. Chalipa stava lavando le stoviglie sporche, il secchio tra le gambe e lo strofinaccio appoggiato sulla sedia al suo fianco. Non appena le vide, le salutò con un sorriso stiracchiato, ancora sonnolento. Subito dopo, Afareen venne loro incontro con due fagotti.
- Cosa ci hai preparato di buono? - domandò Altea curiosa.
- Per stavolta dovrete accontentarvi del sau bireği, non c'era granché nella dispensa e tutto l'oçma che avevamo l'ho usato per fare dei panini per Dariush e gli altri. Spero che i sau abbiano un buon sapore, la pasta non era fresca e senza uova non è saporita come dovrebbe essere. -
- Saranno squisiti, riesci sempre... -
- “Riusciamo”, plurale! L'aiuto anch'io! - protestò Chalipa.
- Riuscite sempre a tirare fuori il meglio anche da pochi ingredienti. - si corresse Altea, - Piuttosto, perché solo due fagotti? Viene anche Kimiya, ve ne siete dimenticate? -
- Guardate che è proprio qui. Vi ha anche salutate. Siete voi a non esservi accorte di lei. -
Nemeria seguì con lo sguardo la direzione indicata dal dito di Afareen e nel suo campo visivo entrò una ragazza della sua età, forse poco più grande, tutta rannicchiata contro il tronco rovesciato, il viso coperto da un libro più grande di lei. Come se si fosse accorta di essere osservata, Kimiya abbassò il tomo, lo ripose nel suo zaino e si alzò con un sorriso timido che metteva in mostra i denti rotti e quelli mancanti. Quando fu abbastanza vicina, Nemeria valutò che dovesse avere la stessa età di Altea, forse un anno meno, anche se l'eccessiva magrezza e i vestiti larghi nascondevano le forme che, invece, nella Sha'ir era più che accentuate.
- Allora, facciamo le presentazioni. Kimiya, lei è Nemeria. Nemeria, lei è Kimiya, la versione femminile di Hirad. Sa un sacco di cose, soprattutto se ne intende di erbe e medicine. È il nostro medico, diciamo. -
Mentre parlava, Altea gesticolava velocemente, descrivendo delle figure con entrambe le mani, seguite da tutta una serie di espressioni del viso che agli occhi di Nemeria sembravano alquanto buffe. Non riusciva a spiegarsi nemmeno perché sottolineasse così le parole, talvolta sillabandole, quasi stesse intrattenendo un bambino piccolo. Fu solo quando Kimiya rispose nello stesso modo, muovendo le labbra senza che però uscisse alcun suono, che capì che quello era il loro modo di comunicare.
- Dice che non servono le presentazioni, che è impossibile non ricordarsi di te, persino con i capelli rasati. - prima di continuare, si scambiarono un'occhiata che accese lo sguardo di Altea, - Ci tiene a farti sapere che anche così stai molto bene, ma ti preferiva quando avevi ancora i capelli lunghi. -
La ragazza corrugò le sopracciglia e scosse la testa, intrecciando le braccia ossute sul petto con un'espressione bellicosa che causò la ridarella nella Sha'ir.
- Va bene, l'ultima parte l'ho aggiunta io, ma lo pensa anche lei, solo che è troppo timida per dirtelo. E tu non guardarmi così, Kimiya, è la verità! Comunque, Nemeria, non preoccuparti: imparerai facilmente a parlare con lei, basta che ci guardi e ti sarà tutto chiaro. -
- Se lo dici tu...-
- Fidati. Io sono stupida, ci ho messo un sacco di tempo a capire e... ahia! - si ritrasse massaggiandosi il fianco e lanciò un'occhiata torva a Kimiya, che la fissava con disappunto, - Non serviva una gomitata per dirmi che non eri d'accordo. Accidenti, sei tutta pelle e ossa, ma quando vuoi sai picchiare. -
La ragazza arricciò le labbra in un sorrisetto di chi la sa lunga e indicò l'uscita con un cenno del capo.
- Sì, hai ragione, andiamo, siamo già in ritardo. Scoiattolo, come si dice in questi casi? -
- Chi ha tempo non aspetti tempo? -
- No! Col tempo e con la paglia non si maturan le sorbe. Dai, dai, in marcia, tutte e due! Il Quartiere del Ghiaccio si trova a nord-ovest rispetto e noi e dobbiamo attraversare mezza città per arrivarci. -
- Non useremo le catacombe? -
- Sì, ma dobbiamo prima fare una sosta in un certo posto. -
Le fece l'occhiolino e Nemeria, dopo un momento di disorientamento, capì a cosa si riferisse: quella sera Hirad sarebbe tornato a sorridere.
Si inoltrarono nei tunnel che si diramavano verso nord, un intrico di gallerie che Nemeria aveva visto solo di passaggio quando ancora girava con Hirad. Altea si muoveva con la solita naturalezza, e sorprendentemente anche Kimiya era a suo agio, come se avesse battuto quelle strade innumerevoli volte; sembrava quasi conoscerle a memoria, tant'è che alcune volte fu lei stessa a indirizzarle verso la galleria corretta, richiamando la loro attenzione con un semplice gesto della mano o un colpo di tosse.
Ad accoglierle, quando misero fuori la testa dalla grata, fu un'aria quieta e tersa, interrotta solo da un leggero e piacevole cicaleccio che proveniva dalla strada. Altea esaminò circospetta i dintorni, poi diede il via libera e si issarono all'aperto.
- Questo è il famoso Quartiere del Ghiaccio. Lo puoi riconoscere grazie ai colori delle botteghe che, come puoi ben vedere, sono di varie tonalità di blu. Se ti aspetti un vero e proprio mercato come nel resto della città, qui non lo troverai, però ci sono varie botteghe di erboristi, alchimisti e anche medici molto importanti. Talvolta persino la moglie del governatore manda le sue ancelle a rifornirsi qui, Jamal o meno. -
- Chi sarebbe questo Jamal? -
- È il medico personale del governatore, ovviamente. Viveva qui prima che venisse chiamato a palazzo per esercitare la sua professione nella cerchia ristretta della famiglia Evezyan. Ha avuto davvero una grande fortuna e se l'è meritata: per studiare ha quasi perso la vista, poveretto. -
- Ne parli come se lo conoscessi. -
La Sha'ir ammutolì e Kimiya le passò una mano sulla spalla, lo sguardo perso e la bocca atteggiata in una smorfia di disgusto e amarezza.
- Diciamo che quando... lavoravo nel Quartiere del Fuoco era uno dei tanti a occuparsi di noi. Unguenti, pozioni, medicine di ogni tipo, la sua bottega si occupava di rifornirci di tutto ciò che ci serviva per non rimanere incinte o contrarre brutte malattie. -
Nemeria maledisse di nuovo la propria stupidità. Da quando si era svegliata non ne combinava una giusta.
- Non ti intristire, è tutto a posto, la tua era una domanda più che lecita. L'avrei fatta anch'io. - la consolò Altea, le stropicciò le guance e gliele tirò cercando di farla sorridere, - Togliti quel broncio, non sei per niente carina quando hai l'espressione da cane bastonato. Anche Kimiya lo pensa, guarda come si è indignata. Se proprio ci tieni a scusarti, torna allegra e sorridi, chiaro? -
Nemeria guardò l'altra ragazza, che aveva abbandonato la spalla di Altea per incrociare le braccia sul petto, simulando una posa altezzosa e autoritaria che in pochi istanti sortì l'effetto sperato: le labbra di Nemeria si piegarono in un sorriso divertito e presto scoppiò in una sincera risata.
- Oh, così va meglio! Dunque, torniamo a noi. Ci servono un po' di unguenti, giusto? Anche delle bende? - gesticolò in direzione di Kimiya, - Dimmi che hai fatto tu l'elenco di cosa dobbiamo prendere, ieri sera me ne sono completamente scordata. -
Kimiya scosse la testa e tamburellò l'indice sulla tempia.
- Insomma, dobbiamo affidarci alla tua memoria? Non per cattiveria, ma tra me e te non so chi sia più smemorata... -
L'amica le scoccò un'occhiata risentita, sbattendo un piede per terra. La Sha'ir aprì le braccia, dissimulando un sorrisetto.
- Non ti offendere, sai che mi piace prenderti in giro. Hai la mia età, ma ti comporti come Nemeria. -
- Ho dodici anni, solo due meno di te! - protestò Nemeria.
- Ciò non toglie che tu sia piccola e che Kimiya a volte sia infantile. - dichiarò e, ridendo, si scansò prima che la sua amica le piantasse un gomito tra le costole.
C'era una notevole complicità tra loro, una sofferenza simile che si annidava negli occhi e le legava a doppio filo, intaccando solo parzialmente la loro indole frizzante e spensierata. Nemeria le invidiava. Le sarebbe piaciuto avere una persona con cui condividere il dolore, le gioie e i pensieri, qualcuno le cui braccia la sostenessero se si fosse lasciata cadere. Qualcuno come Etheram.
“Beh, ho Noriko. Anche se non è la stessa cosa.”
- Dove andiamo? - si affrettò a chiedere per distrarsi.
- Ci guida Kimiya, conosce questo quartiere meglio di me. Se un giorno avessi bisogno, rivolgiti a lei. - rispose Altea.
Si addentrarono nelle vie claustrofobiche del Quartiere in silenzio, Kimiya davanti a tutti, poi Altea e infine Nemeria. Di tanto in tanto, quando le sue compagne si fermavano per perlustrare la zona, quest'ultima si soffermava a osservare questa o quell'altra insegna. Non c'era granché da vedere. A differenza degli altri quartieri che aveva visitato, non erano presenti statue o costruzioni che attirassero l'occhio, però quelle case delle varie tonalità del blu e i tetti spioventi addossate le une alle altre avevano il loro fascino. Nemeria le trovava molto graziose, sebbene schermassero con la loro altezza i raggi del sole, abbassando la visibilità già scarsa. Più di una volta, se non fosse stato per il tempestivo intervento di Altea, Nemeria sarebbe rovinata vergognosamente a terra, ma la Sha'ir era sempre sull'attenti, preparata a tutto, persino alla sua goffaggine.
Proprio perché era molto meno agile di loro, le due ragazze non la coinvolsero troppo nei loro furti, chiedendole al massimo di rimanere a fare il palo quando sgattaiolavano nelle botteghe. Quando le vedeva entrare e rimaneva da sola in quelle strade quasi senza luce, dove persino l'aria era satura dell'odore di erbe, zolfo e la Madre solo sa cos'altro, Nemeria doveva racimolare tutto il coraggio e la forza che aveva per non sobbalzare a ogni minimo rumore, a ogni ombra che entrava nel suo campo visivo. Spesso dovette reprimere l'istinto di fuggire o di chiamare aiuto, o semplicemente di seguire le sue compagne all'interno della bottega e rifugiarsi tra le braccia di Altea. Si sentiva una codarda a tremare per così poco, ma le pareva di scorgere gli occhi del predone dappertutto, di sentirne il peso sulla schiena anche quando si appoggiava a un muro. Lui era ovunque, acquattato in ogni ombra, nei passi che riecheggiavano per la via, nel luccichio di gioielli o forbici, così simile a quello della sua lama. Durante quelle lunghe attese, il tempo sembrava non passare mai. Tornava a fluire solo nel momento in cui Altea e Kimiya uscivano con aria trionfante. Allora il pensiero ossessivo di essere in pericolo smetteva di tormentarla e riusciva di nuovo a respirare.
Circa un'ora dopo pranzo, Kimiya le condusse in una piccola piazza antistante il laboratorio di un alchimista. Al centro troneggiava una fontana a forma di barca semisommersa, che brillava sotto il sole come se fosse fatta di luce. L'acqua, che fuoriusciva da due sculture a forma di sole e luna, compiva una parabola perfetta, per poi ricadere nell'imbarcazione e tracimare dai bordi laterali e svasati nel bacino sottostante. Intorno alla fontana, disposti a raggiera, ai piedi dei bassi e tozzi palazzi, osterie e taverne di lusso offrivano riparo ai viaggiatori sotto le loro tende e richiamavano l'attenzione declamando i piatti del giorno e le loro presunte specialità. Una in particolare dal nome bizzarro, “Il Naso del Pescespada”, aveva quasi tutti i tavoli occupati da uomini e donne vestiti elegantemente, coinvolti in animate e frizzanti conversazioni. Nemeria guardò i camerieri affaccendarsi tra i clienti come zelanti api operaie, affinché i loro bicchieri non fossero mai vuoti e i loro piatti sempre pieni.
Mentre mangiava i sau bireği, dei panini ripieni con carne speziata e verdura non fresca, Nemeria non riusciva a staccare gli occhi da tutto quel ben di dio. Il profumo invitante, che le sollecitava in continuazione le narici, non faceva altro che alimentare la sua fame e togliere sapore a quello che stava mangiando. Alla fine, stomacata da quei panini, che al suo palato sembravano a ogni morso più insipidi, ripose il tutto nel suo fagotto e si volse verso la fontana, nella speranza che i suoi giochi d'acqua bastassero a distoglierla da quelle prelibatezze che non avrebbe mai assaggiato.
- Bella, vero? L'ha costruita un architetto del governatore quattro anni fa. La cosa più sorprendente è che sia riuscito a ricavare questa bellezza da un blocco di ghiaccio. - commentò Altea.
Nemeria corrugò le sopracciglia e assottigliò lo sguardo. No, non era fatta di marmo come aveva pensato all'inizio. Ora che osservava meglio, era troppo traslucida e la vasca era leggermente trasparente.
- Non te n'eri accorta? Ma scusa, ci sarà pure un motivo per cui si chiama Quartiere del Ghiaccio, no? - la derise la Sha'ir.
- S-sì, ma credevo che fosse per altro... -
- Altro cosa? Kalaspirit è una città semplice, se una cosa ha un certo nome è perché c'è qualcosa che glielo ha procurato. Non siamo certo come la capitale, piena di filosofi e oratori. Lì sì che non si capisce il perché di certe cose! -
- Io credevo che i Dominatori venissero cacciati e buttati nell'arena, che questo fosse il loro unico destino. -
- È un po' più complicato di così. Le persone come noi, se sono nate con questa maledizione, quando vengono catturate finiscono per essere vendute e poi mandate nell'arena a combattere. C'è una possibilità di riscatto, ma sono davvero pochissimi coloro che abbandonano quel mondo, e ancor meno sono coloro che riescono ad allontanarsi prima di impazzire. Insomma, lo sai cosa succede ai Dominatori dopo un po', no? Gli uomini e le donne che sono riusciti a uscirne si contano sulla punta delle dita, per questo sono una leggenda, tutti li conoscono. Alcuni sono entrati nel settore edile. Conosci Tyrron Occhi di Lince? -
- Chi? -
- No, non ci credo! Davvero non sai chi è? È il lanista più famoso di Kalaspirit, persino i muri hanno sentito parlare di lui! -
Altea tacque, probabilmente nella speranza che Nemeria esordisse con un “ma sì, certo”, che non arrivò mai. Con un sospiro teatrale poggiò la testa sulla spalla di Kimiya, bofonchiando tra sé e sé un mezzo rimprovero a Hirad.
- Ha una villa nel Quartiere del Sole e molte altre sparse in ogni città, anche alla capitale. È uno di quelli che guadagna sulla vita degli schiavi: se sei un Dominatore e finisci nella sua scuderia, non ne esci più, fidati. È anche una delle ragioni per cui ci teniamo ben lontani dalle zone troppo malfamate della città, dato che pullulano di agenti alle dipendenze dei mercanti di schiavi. Per esempio, un Dominatore della terra come Dariush sarebbe un'ottima merce di scambio. Se invece sei un rampollo di una famiglia nobile, o se la tua famiglia ha abbastanza soldi, è tutt'altra questione. Vero, Kimiya? -
La ragazza annuì risoluta e cominciò a gesticolare, gli occhi fissi in quelli di Nemeria. Altea, vedendola un attimo stranita, si affrettò a dar voce alle parole della sua compagna.
- Dice che nel secondo caso, di solito vieni spedito al Consorzio, che valuta le tue abilità e decide se sei abbastanza degno per studiare l'arte della magia in una delle loro prestigiose scuole. Un suo lontano cugino di sesto o settimo grado era riuscito a entrare, anche se proveniva da una famiglia povera come la loro, perché aveva trovato un mecenate che gli aveva pagato poi gli studi. -
- Quindi c'è un modo per non diventare Jin? Per contrastare l'avvelenamento del corpo e dell'anima causato dalla magia? -
- Ah, questo non lo sa. Trapelano davvero poche informazioni, ma dubito davvero. Insomma, anche se fosse, sarebbe davvero crudele non rivelarlo al mondo. Comunque, il Consorzio conta tra le sue schiere anche Dominatori che hanno deciso di dedicare la loro vita all'arte, i quali sono molto rispettati e godono della protezione del governatore. La persona che ha disegnato questa fontana è probabile fosse uno di questi. -
Nemeria, in attesa che le sue compagne finissero il loro pranzo, rifletté su quello che le avevano detto. Non aveva mai sentito parlare né del Consorzio né di Tyrron, ma per qualche ragione provava un'avversione istintiva: per quanto odiasse Dariush, non avrebbe mai desiderato che finisse tra le grinfie di un uomo così crudele e spregiudicato. Il Consorzio le ispirava un poco più di fiducia, ma i membri della sua tribù, in particolare Arsalan, l'avevano sempre messa in guardia dalla generosità dei mortali. Non facevano mai niente per niente e quelli che si affannavano per aiutare gli altri erano destinati a una vita di sofferenze e stenti.
“Gli uomini sono consumati dall'avidità e l'avidità non ama altro all'infuori del denaro” ripeteva spesso. Nemeria non aveva mai dubitato che avesse ragione. Arsalan era stato un mercante di stoffe, aveva girato il mondo, perciò chi poteva saperne più di lui?
Incassò la testa nelle spalle e si strinse le ginocchia al petto. Un brivido le si insinuò nella spina dorsale, accapponandole la pelle nonostante il caldo.
“Questo mondo è freddo.”
Quando anche Kimiya finì di mangiare, si diressero al primo vicolo dove c'era una grata e si lasciarono scivolare dentro. Anche quella, come molte altre, introduceva in un tunnel che Nemeria non aveva mai visitato. La irritava essere così dipendente dalla conoscenza altrui, che fosse Altea, Hirad o qualsiasi altro membro della famiglia. Si ripromise che si sarebbe sforzata di imparare, in modo da non avere più bisogno di loro. Se i predoni l'avessero trovata, sarebbe dovuta scappare il più lontano possibile per non mettere in pericolo coloro che amava, e per questo era necessario apprendere quali fossero tutte le vie di fuga.
Forte di quella decisione, con grande sorpresa di Altea, la prese sottobraccio e cominciò a farle domande, chiedendole dove stessero andando, quali erano i punti di riferimento su cui basarsi per capire quale fosse la direzione giusta e come orientarsi ai bivi. La Sha'ir ascoltava e rispondeva prontamente, contenta che Nemeria dimostrasse interesse. Talvolta interveniva persino Kimiya, aggiungendo altre informazioni o correggendo la compagna, e grazie all'intercessione di Altea, Nemeria imparò a dialogare con lei. A tratti sembrava afferrare quello che diceva dal solo movimento delle sue labbra. Era strano vederla muovere le mani per dare forma alle parole, tanto che Nemeria ebbe spesso l'impressione di essere dinanzi a una maga in procinto di lanciare un incantesimo. Nello sguardo di Kimiya non c'era altro che il forte desiderio di farsi capire e lo esprimeva non solo attraverso le dita, ma con tutto il corpo, come le Anziane più giovani quando invocavano la benevolenza della Madre nelle loro danze sfrenate.
“Imparerò anche la tua danza, Kimiya.”
Parlarono fino a quando Altea non indicò in lontananza una grata. Il sole filtrava attraverso le fessure disegnando il profilo di una scala, che, diversamente da quelle solite, non era costituita da pioli di legno smangiati dall'umidità e dalle intemperie, bensì da una rampa scavata direttamente nella pietra del tunnel. Come le pareti della loro tana, gli scalini erano perfettamente levigati, scolpiti da una mano esperta e, molto probabilmente, non umana.
“Allora Hirad aveva ragione: gli uomini che tentarono di assassinare il governatore erano davvero dei Dominatori.”
- Stiamo andando a fare quello che penso? -
- Esatto. - sghignazzò Altea.
Anche se non avesse saputo dove fossero, a Nemeria sarebbe bastata un'occhiata per riconoscere il Quartiere della Pergamena, non tanto per i libri e le pergamene che ingombravano gli scaffali delle botteghe e delle bancarelle, quanto per l'intenso profumo di carta che permeava l'aria, sopraffacendo persino quello di urina ed escrementi, che, come un miasma velenifero, si alzava dalle strade in terra battuta dei vicoli quando il sole aveva da poco abbandonato lo zenit.
Nessuno badava loro e le poche guardie che intravedevano dall'altro lato della strada si limitavano a squadrarle con indifferenza, prima di tornare al giro di ronda. Ad accompagnare la loro passeggiata c'era un piacevole chiacchiericcio, che spesso si interrompeva per lasciare spazio a un silenzio assordante, dove l'unico suono appena udibile era quello prodotto da una pergamena srotolata o dal fruscio delle pagine. Persino il vento, gradito in quelle ore così calde, pareva soffiare in punta di piedi con refoli delicati che allietavano la pelle e ne asciugavano il sudore, senza però disturbare i clienti assorti nella lettura o occupati negli acquisti. Era come se ogni cosa, in quel lembo di terra, si affannasse per non disturbare la bolla di quiete che lo avvolgeva.
- Questo posto è strano... - bisbigliò Nemeria ad Altea.
- Strano bello o strano brutto? -
- Solo... strano. Non mi viene nemmeno da parlare ad alta voce. -
- È normale. Qui c'è gente come Hirad, intelligentissima e coltissima. Anche i mercanti più ottusi, volenti o nolenti, diventano così stando sempre qui. - si coprì la bocca per soffocare una risata, - Secondo me anche tu ti ammaleresti di intelligenza se venissi più spesso. -
- Mi stai dando della stupida, per caso? -
- Esponevo solo un dato oggettivo. Hirad bighellonava per questo quartiere quasi tutti i giorni e adesso guarda com'è diventato! -
- Davvero? Ma mi hai detto che non usciva spesso... -
- Spesso non significa mai. Diciamo che nella maggior parte dei casi, quando usciva a fare la spesa con me, ero io a procurargli il necessario per scrivere e disegnare le mappe. A volte è capitato che non solo fosse lui ad andare in prima linea, ma che riuscisse addirittura a prendere qualche libro. -
Si guardò intorno e le indicò una bancarella, dietro la quale sedeva un ometto basso con un turbante blu cobalto sulla testa e un libro aperto sulle gambe.
- Penso li abbia presi da lui: è un mercante poco attento, mi chiedo come faccia a campare con tutti i libri che Hirad gli ha rubat... -
La gomitata di Kimiya troncò la frase. Prima che Altea potesse prenderla a male parole, la ragazza le indicò un vicolo alle spalle dell'uomo. All'inizio Nemeria non vide nulla, poi pian piano, tra le ombre dei gatti e dei vari randagi che vagabondavano in quel triangolo scuro, distinse delle figure umane. Erano tre, o almeno così le parve. In un batter d'occhio, queste si infilarono in una stradina laterale, sparendo alla vista.
- Li avete visti anche voi? - domandò incerta.
Altea deglutì e arretrò: - Se sono i Falchi, siamo fottute. Ma erano troppo bassi. -
Kimiya gesticolò, gli occhioni grandi spalancati, allarmati come quelli di un gatto accerchiato da un branco di lupi affamati.
- Dice che potrebbero essere i Cani, l'età è quella. Ma che diamine ci fanno qui? Che interesse hanno in questo quartiere? - scosse la testa e trasse un profondo respiro, - Sarebbe meglio tornare a casa, prenderemo le pergamene un'altra volta. -
- No, non possiamo. Mi hai detto tu che volevi far tornare Hirad a sorridere, non possiamo tirarci indietro proprio ora. - ribatté decisa Nemeria.
- Siamo in tre e non siamo esattamente delle lottatrici. In più, loro girano sempre con Zahra. Quella è una Dominatrice e contro di lei, senza Dariush, verremmo fatte a pezzi. -
“Io posso difendervi!” avrebbe voluto urlare Nemeria, ma si morse la lingua. Non poteva rivelare il suo segreto, c'erano già troppe persone che lo sapevano ed era meglio non rischiare.
- Proviamoci! Se non i pastelli, almeno le pergamene. -
- Nemeria... -
- Altea, per favore. Le prendo io se vuoi. - la pregò e le strinse perché sentisse la sua determinazione, - Questa è un'occasione d'oro, non possiamo lasciarcela sfuggire, soprattutto quando Hirad ha bisogno di noi. -
La Sha'ir e Kimiya si scambiarono un'occhiata indecisa. Nemeria notò l'incertezza e la tensione nelle loro posture, ma sperò con tutta se stessa che la paura non cancellasse i loro buoni propositi. Non avrebbe sopportato di incontrare di nuovo lo sguardo vacuo di Hirad sapendo di aver avuto l'occasione per ridargli la luce.
Alla fine Altea sospirò e si massaggiò l'attaccatura del naso con le dita. Il cuore divenne un blocco di ghiaccio nel petto di Nemeria.
- La bottega è in fondo alla strada. Prendiamo lo stretto necessario e poi torniamo immediatamente alla tana, senza fare tappe intermedie. Kimiya, tu verrai dentro con me e cercherai una scatola di pastelli, mentre io mi occuperò delle pergamene. Nemeria, tu farai il palo. Se vedi una ragazza con i capelli lisci e neri e gli occhi da lupo, urla. Non fare niente di sconsiderato, ci siamo intese? -
- Sissignora! -
Camminarono a ridosso dei muri delle case e si infilarono in una strada laterale ombreggiata, dove il passo di marcia divenne una rapida corsa fino al retrobottega. La porta era di legno e, a giudicare dalla maniglia arrugginita, dovevano essere mesi, se non anni, che non veniva sottoposta a una manutenzione.
Altea si avvicinò, estrasse due aghi spessi dalle tasche della tunica e cominciò ad armeggiare con la serratura. Kimiya era acquattata vicino a lei, mentre Nemeria si era posizionata all'angolo tra la strada dalla quale erano venute e quella che si aggettava sulla via principale. Il cuore le galoppava nello sterno e il respiro usciva spezzato dalle sue labbra, ma sapeva che era a causa dell'adrenalina e del senso di responsabilità che le gravava sulle spalle: stavolta non poteva permettersi errori, ne andava della sicurezza delle sue compagne e della felicità di Hirad. Per rivedere quel sorriso avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Il “clack”, seguito dallo scricchiolio della porta che si apriva, la avvisarono che Altea e Kimiya erano dentro. Strinse forte la pietra di luna e regolò la respirazione finché non riuscì a decomprimere i polmoni e ad allentare la stretta alla viscere. Tremò e sobbalzò ad ogni rumore, la paura che serpeggiava nelle ossa ricoprendo la pelle con un velo umido di sudore. Ciononostante, piantò saldamente i piedi a terra e si impose di non fare un passo, anche quando la sua mente le giocava brutti scherzi. Il terrore che le suscitavano il predone e gli occhi accusatori della sua tribù nella danza di ombre e luci provocata dal sole scoloriva davanti alla prospettiva di Hirad di nuovo allegro e sorridente. Si ripeté che doveva farcela ad ogni costo, anche se l'ansia le rendeva le gambe pesanti.
Un guizzo alla sua sinistra le bloccò il fiato e il cuore perse un battito. Fece aderire la schiena al muro e la tunica sudata le si appiccicò addosso.
- Tranquilla, è solo un gatto. Non c'è niente di spaventoso a parte randagi e ratti affamati. L'unico pericolo è Zahra e la sua banda, ma loro non verranno, non hanno motivo di seguirci né di attaccarci. - bisbigliò tra sé e sé.
- Lo penso anch'io. -
Prima che potesse urlare, Kimiya le tappò la bocca con la mano. Altea le sorrise trionfante, mostrandole un plico di pergamene arrotolate e una scatola anonima di semplice legno nero.
- Sei stata bravissima, il miglior palo del mondo. Siamo una squadra, ragazze! Il magico trio! - si complimentò con lei la Sha'ir e Kimiya la liberò per darle un buffetto sul naso.
Nemeria sorrise timida. Tremava ancora, sia per la paura che per l'euforia, e non riusciva a pensare in modo coerente, ma quando le amiche l'abbracciarono stretta si rasserenò: per la prima volta dopo tanto tempo era stata utile, si sentiva parte di un gruppo e, soprattutto, aveva delle compagne su cui contare.
- Niente smancerie, su, non abbiamo tempo. Il coprifuoco è tra meno di due ore, non possiamo tardare troppo, non con Dariush che ci attende nella tana e i Cani in giro. Facciamo un'altra strada, se ci hanno viste arrivare potrebbero intercettarci alla grata da cui siamo uscite. Kimiya, guidaci. -
Kimiya si batté fiera una mano sul petto, poi assestò una pacca sul fondoschiena di Nemeria per incitarla a muoversi.
Svoltarono a destra, in un vicolo angusto tra due case, poi a sinistra in una strada lastricata a metà e poi di nuovo a destra, fino a quando la via non si allargò in un piccolo spiazzo delimitato da una cornice di immondizia, dove un piccolo stormo di corvi stava banchettando. Quando giunsero al traguardo, tuttavia, avvertirono il sangue defluire dai loro visi e un brivido gelido risalire lungo la spina dorsale.
Davanti alla grata c'erano due ragazzi e una ragazza, in piedi, a gambe divaricate e braccia conserte, come se le stessero aspettando. La ragazza aveva i capelli neri, lunghi e lisci, e gli occhi gialli come quelli di un lupo.
Nemeria ravvisò in lei la descrizione fisica fattale dianzi da Altea e capì immediatamente chi avevano di fronte, ben prima che la Sha'ir pronunciasse con voce stentorea il suo nome.
- Zahra... -

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Capitolo 9
*** Il coraggio di combattere ***


Fuoco 2

9

Il Coraggio di combattere

"Il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali è una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni."
Italo Calvino

Zahra fece un passo verso di loro. I due ragazzi la seguirono a distanza con le braccia distese lungo i fianchi e le labbra scoperte sui denti gialli, scheggiati, simili a zanne.
- Bene bene... cosa ci fa qui la banda di Dariush? -
Altea indietreggiò, sospingendo Nemeria e Kimiya dietro di sé.
- Non vogliamo guai, Zahra. -
- Davvero? Allora perché siete venuti nella nostra zona di caccia? Devo forse interpretarlo come un atto di sfida? - sogghignò e canini affilati biancheggiarono tra le labbra sottili.
I ragazzi alle sue spalle scoppiarono a ridere, una risata sguaiata come il latrato di un cane. Altea arretrò ulteriormente, il braccio alto, frapposto tra le sue amiche e loro.
- Merogen... - mormorò implorante.
- Non esistono sorelle o fratelli in strada, merne. Gli Alatfal'yl non condividono il sangue con nessuno. - replicò freddamente Zahra.
Ancheggiò con una grazia selvatica, i capelli neri che le accarezzavano le lunghe orecchie a punta e gli occhi gialli accesi da una luce quasi ferale. La pelle era così scura da assorbire la luce, la intrappolava nelle vene rosse delle braccia e nel viso affilato.
- Oggi mi sento misericordiosa, però. Ditemi cosa sapete del carico di spezie di Harmad e forse potrei decidere di lasciarvi andare senza torcervi un capello. - offrì con un sorriso affabile, falso.
Nemeria gelò sul posto: non sapevano niente, non si erano premurate di raccogliere informazioni, cosa avrebbero potuto dirle?
- Non ne sappiamo nulla, davvero. Non eravamo nemmeno a conoscenza che Harmad fosse partito. - mentì Altea.
- E tu pensi che io ti creda? Abbiamo visto la vostra cagna, Tian, nel Quartiere del Legno, mentre parlava con Pavona. A proposito, oggi non è con voi? Che disdetta, ho un dente rotto da restituirle. - si tirò su l'angolo della bocca e il sole delineò il buco di un molare mancante, - Quella troia è l'unica del vostro insulso gruppetto che trovo interessante. È un vero peccato che si ostini a rimanere con voi. -
- Già, è davvero uno spreco. Con una come lei potremmo persino rivaleggiare con i Falchi. - aggiunse uno dei ragazzi, quello col collo taurino e gli occhi porcini.
- Omeed, Zahra, ci state mettendo troppo. -
A parlare era stato il terzo membro, uno Sha'ir con la punta dell'orecchio sinistro tagliato e una cicatrice che gli attraversava tutto il viso, dalla mandibola fino alla fronte. Le scrutava col suo unico occhio, calcolando cosa ne avrebbe fatto di loro con uno sguardo freddo e cinico che si sposava a meraviglia col sorriso sghembo. Non era Zahra il capo dei Cani. Era lui.
Zahra alzò gli occhi al cielo: - Posso sempre provare a cavargli fuori le informazioni a suon di pugni. -
La pelle si spaccò seguendo le vene rosse, scoprendo uno strato di pietra nera lucida, un aggregato di rocce scure unite a formare un guanto che si espandeva, fagocitando e sostituendo la carne viva. Nemeria non ci mise molto a capire cosa fosse.
“Una Dominatrice della Terra.”
Deglutì e osservò rapita gli occhi dell'Alatfal'yl . I capillari premevano contro la cornea, rosseggiando nell'iride gialla, una rete sottile che si allargava e si ritraeva come se avesse vita propria. In un'altra circostanza avrebbe creduto che Zahra stesse per perdere il senno, che fosse come Dariush, ma il suo sguardo non era offuscato. Zahra era presente a se stessa e la crudeltà che le leggeva in fondo agli occhi non era frutto della follia. Era sua, le apparteneva.
- Zahra, stai buona, così metterai loro paura. Guarda come già trema la ragazza, tra poco se la fa addosso. - sghignazzò Omeed, affiancandola, - Bambine, siete proprio sicure di non sapere nulla? Non vogliamo farvi del male, ma se continuate a tenere la bocca chiusa... -
- Se ci attaccherete, arriveranno le guardie e vi cattureranno. - li ammonì Altea, sforzandosi di mantenere la voce salda, ma ogni muscolo del suo corpo era all'erta, pareva pregarla di rilasciare le tensione e correre via, e di questo se n'erano accorti tutti, i Cani, Kimiya e Nemeria.
Il loro Capo represse una risatina.
- Oh, sul serio? Immagino andrete a chiamarle voi. Sperate davvero di poterci scappare, topoline? Magari infilando la strada principale, oppure la traversa dell'altra della Via degli Alicanti.-
Nemeria sgranò gli occhi basita.
- Non fate quelle facce, non siamo degli sprovveduti. Il Quartiere della Pergamena è la nostra seconda casa. - spiegò e avanzò di nuovo, portandosi proprio alle spalle di Zahra, - Non ci hanno mai presi, Sha'ir, e stavolta non sarà diverso, perché noi conosciamo Kalasprit meglio di chiunque altro. Siamo i suoi mastini e diamo la caccia a chiunque osi invadere il nostro territorio di caccia. -
- Ti abbiamo detto che... -
- Ho sentito quello che avete detto e so che mentite. Voi ci credete che non sanno nulla? -
- Sono topi, anzi ratti, sanno sempre tutto di tutti. - sputò Zahra, scrocchiandosi il collo.
- Squit, squit, squit! - le sbeffeggiò Omeed.
Lo Sha'ir si umettò le labbra, l'espressione di un cobra che guarda la sua preda agonizzare per il veleno.
- Cominciamo a essere un po' troppi in questa città e io odio le infestazioni di topi. È l'ora di fare un po' di pulizia. Rendiamola più divertente, che ne dite? Una di voi tre è libera di tornare alla vostra base per avvisare i vostri compagni che siete in pericolo, e come prezzo per il riscatto vogliamo le informazioni sul carico di spezie di Harmad. -
- Tu... tu sei pazzo. - esalò Altea, pallida come uno spettro.
- No, sono solo meno noioso della maggior parte delle persone comuni. Muovetevi, non avete tutta la notte. -
Nemeria rimase a fissarli senza sapere cosa pensare. Tutto quello che stava accadendo non aveva senso, non potevano stare dicendo sul serio. Si aggrappò a quella sicurezza e vi rimase avvinghiata finché non incontrò lo sguardo di Altea e notò la sua rassegnazione. Kimiya tremava al suo fianco, la stringeva così forte da strapparle il respiro.
- Non possiamo... -
- È un gioco a cui non possiamo sottrarci. - la interruppe Altea.
Inspirò profondamente, poi fece dei rapidi cenni a Kimiya per spiegarle la situazione. La testa di Nemeria girava, il suo cervello aveva smesso di ragionare, vorticava su se stesso come se fosse stata su una giostra. Più provava a usare la logica, più tentava di liberarsi dalle spire della paura, più queste la stringevano, la intrappolavano serrandole la gola in un groppo gelido. Si accorse che Altea le stava parlando solo quando le mise una mano sulla spalla. Kimiya era al suo fianco, le stritolava il braccio, tremando, il sudore che le imperlava la fronte e le inumidiva i vestiti.
- Io e Kimiya rimaniamo qui, tu corri più veloce che puoi fino alla tana e avverti gli altri. Dariush saprà aiutarci, ne sono sicura. -
Abbozzò un sorriso e tentò di accarezzarle la guancia, ma Nemeria si ritrasse bruscamente, scuotendo la testa.
- No, non esiste, tu e Kimiya non rimarrete con loro. -
- Nemeria, ti prego... -
- Non sai cosa vi faranno! È una mossa stupida! -
- Venire qui è stato stupido e adesso ne paghiamo le conseguenze. Non è la prima volta che metto nei guai i membri della famiglia, è giusto che mi prenda le responsabilità della mia avventatezza. - si morse l'interno della guancia e le porse le pergamene e i pastelli colorati, - Queste dalle a Hirad, è importante che le riceva perché torni a essere quello di una volta. -
A Nemeria non piacque il tono di quella conversazione. Sapeva di addio, le ricordava le ultime parole che aveva scambiato con Etheram. Eppure non riuscì a fare altro che scuotere la testa, evitando lo sguardo supplice di Altea e Kimiya. Dentro di sé sapeva di poter fare la differenza, che era suo dovere, ma la paura la paralizzava, era la regina incontrastata della sua mente, la padrona del suo corpo.
“Sei una codarda.”
- Tic, tac, topoline, tic, tac. Il tempo scarseggia, avete ancora qualche minuto. - ricordò con un ghigno il capo dei Cani.
Altea le mise in mano la loro refurtiva e le diede un bacio sulla fronte, passando un braccio attorno alle spalle di Kimiya.
- Ce la caveremo, te lo prometto. - sussurrò incoraggiante, occhi negli occhi, le labbra arcuate in un sorriso, - Non devi avere paura, Scoiattolo. La famiglia non ci abbandonerà, Dariush verrà a salvarci. -
Nemeria avrebbe tanto voluto crederle, tornare alla tana, chiamare i rinforzi e salvarle, come nelle storie che le raccontava Hediye. Sarebbe stato un finale perfetto: la giustizia avrebbe trionfato, i cattivi sarebbero corsi a nascondersi nell'oscurità e loro, tutti loro, avrebbero trovato una fata in fondo alla grotta che avrebbe restituito ciò che avevano perso. Ma quella non era una favola. Per loro non c'era nessun lieto fine, l'istinto glielo suggeriva e da tempo aveva imparato ad ascoltarlo.
Omeed e Zahra si allontanarono dal muro e si avvicinarono fino a che le loro ombre non si sovrapposero a quelle di Kimiya e Altea.
- Allora, qual è la vostra scelta? - le interrogò l'Alatfal'yl.
La Sha'ir scambiò un'ultima occhiata con Kimiya, intrecciò le dita con le sue e trasse un profondo respiro, indicando poi se stessa e la ragazza muta. Nemeria avvertì le lacrime incastrarsi tra le ciglia.
“Non è giusto. Perché ho sempre paura? Perché non riesco a far nulla?”
Il capo si sfregò le mani e fischiò tre volte: i primi due fischi furono lunghi, l'ultimo breve. Dalle strade laterali uscirono altri sette ragazzi. Senza rinfoderare i pugnali, scivolarono silenziosi come gatti verso il loro capo con passi felpati. Con la luce del sole calante alle loro spalle, sembravano ammantati dell'oscurità stessa. Nemeria li fissò pietrificata mentre le sfilavano di fianco senza degnarla di uno sguardo, totalmente incuranti della sua presenza.
“Ho fallito... non ho salvato nessuno nemmeno questa volta.”
- Ispezionatele, assicuratevi che non abbiano armi. Se oppongono resistenza, non esitate a usare le maniere forti. - ordinò il capo.
Altea gesticolò in direzione di Kimiya e anche lei allargò braccia e gambe, lasciando che una ragazza con i capelli ricci e il naso schiacciato la perquisisse. Nessuna delle due osò fiatare, nemmeno quando Omeed, con la scusa di voler ricontrollare, si soffermò più del necessario sulle sue forme spigolose e quasi inesistenti.
- Bene, direi che non corriamo alcun rischio. Su, forza, andiamo. Voi due in mezzo, sia mai che vi venga qualche strana idea. -
Diedero le spalle a Nemeria e tra gli sghignazzi e le battutine cominciarono ad allontanarsi. Man mano che la distanza tra lei e loro aumentava, il vuoto che Nemeria aveva nel petto diventava sempre più insostenibile, una marea che le invadeva i polmoni, si appropriava del suo ossigeno, si infilava nelle crepe del suo animo e le allargava. Non aveva nemmeno la forza di piangere, sentiva semplicemente di stare andando in pezzi.
- Aspettate. -
Un pigolio scivolò dalle sue labbra, così flebile da essere disperso dalla brezza della sera. Corse verso di loro, le pergamene e i pastelli stretti al petto e il respiro che le raschiava la gola.
- Fermi! -
La ragazza che aveva perquisito Altea si girò di scatto, puntandole il coltellaccio alla gola. Aveva un bel viso, un ovale perfettamente incorniciato dai riccioli ribelli.
- Lasciatele andare. Io... verrò io al loro posto. -
- Nemeria, no! -
Altea tentò di avvicinarsi, ma Zahra le artigliò il braccio, trattenendola senza sforzo. Bastò una sua occhiata per ridurla al silenzio. La voce della ragazza era fredda e dura come il ferro quando parlò.
- Ha chiesto due ostaggi, non uno. A meno che tu non valga molto di più dei nostri due ostaggi, tra cui annoveriamo la donna del vostro capo, dubito che si possa effettuare uno scambio. -
Nemeria si affannò a trovare una soluzione. Cosa poteva offrire? Puntò lo sguardo sui suoi piedi, domandandosi cosa l'avesse spinta a compiere un gesto tanto stupido.
Non esitare.
All'improvviso le parve di sentire il calore dell'elementale attorno al corpo, il suo petto che aderiva alla schiena mentre l'abbracciava.
Sii il fuoco, Nemeria.
Le sue parole accesero un incendio nel suo sterno e riesumarono la brace che la paura aveva seppellito sotto il suo manto di cenere. E mentre l'elementale le ripeteva quell'incoraggiamento all'orecchio, Nemeria rialzò la testa.
- Valgo molto più di loro due. -
Era incerta, c'era una parte di lei che non era ancora convinta di quello che stava facendo, ma non le permise di fermarla. Aprì le dita e la refurtiva cadde a terra. Lasciò che le fiamme fluissero libere nel suo sangue, le mani tese innanzi a sé, ed esse si materializzarono in una fiammella sui palmi.
Calò il silenzio. Tutta l'attenzione dei presenti ora era su di lei, i loro sguardi che saettavano a destra e a sinistra, per poi tornare a posarsi su quel fuocherello che crepitava a meno di un pollice dalla sua pelle senza aggredirla o bruciarla. Persino Zahra la fissava attonita.
- Una Dominatrice del fuoco. - il capo sbucò da dietro Omeed e le scoccò un'occhiata interessata, - Raro, davvero molto raro. Solo i Falchi ne contano uno tra le loro fila. -
- Deve essere uno scherzo, l'unico Dominatore della loro banda è Dariush. - sibilò l'Alatfal'yl.
La ragazza che le aveva puntato contro il coltellaccio la squadrò da capo a piedi e prese a girarle attorno, annusando l'aria. Nemeria la seguì con la coda dell'occhio, rigida come un tronco.
- No, non mi sembra ci sia nessun trucco. Domina davvero il fuoco, Abayomi, guardala bene. -
Il capo si avvicinò così tanto che Nemeria poté percepire il suo alito umido sulla pelle. Sapeva di pesce andato a male e aglio.
- Siamo davvero fortunati, Ana. Non ho nemmeno mai visto un Dominatore con degli occhi così. - bisbigliò eccitato, quindi scrutò dapprima i suoi sottoposti e poi si rivolse ad Altea e Kimiya, - Quante cose che ci hanno nascosto queste topoline... -
- Loro non sapevano nulla, gliel'ho tenuto segreto. - ribatté in fretta Nemeria.
- E come mai? Dovrebbero averti spiegato quanto sia importante per quelli come noi avere un Dominatore nella banda. -
La fiammella diminuì d'intensità, non sovrastava nemmeno le sue dita. La pietra di luna si scaldò appena.
- Avevo... avevo paura che se lo avessero scoperto, mi avrebbero mandata nell'arena. - confessò e guardò oltre le spalle di Abayomi, scontrandosi con l'espressione ferita e delusa di Altea.
Nemeria percepì una fitta acuta al petto, come una pugnalata. Osservò l'amica scuotere debolmente la testa e fu come se una voragine si aprisse sotto i suoi piedi per inghiottirla.
- Bah, non è importante. - fece un cenno del capo a Zahra, - Lasciale andare e prendi lei. -
L'Alatfal'yl le spinse via e si fece largo verso di lei. Il potere dell'elementale le aveva scorticato la pelle fin sotto la mandibola e ora essa era costituita da un assembramento di pietre scure lucidissime. Quando le afferrò il braccio, glielo strinse così forte che la fiamma nelle sue mani si spense. La temperatura della pietra di luna salì assieme alla sua voglia di bruciarle la faccia.
- Un passo falso e Zahra ti spacca la testa, piccola dominatrice. - le soffiò Abayomi all'orecchio, poi, rapido come una serpe, sfoderò un coltello da sotto la tunica e afferrò Kimiya, - Anzi, credo che prima si occuperà della tua amica e poi di te. -
- Non era nei patti questo. - ringhiò Nemeria.
- Le clausole possono cambiare molto rapidamente. Bene, Altea, allora sarai tu il nostro messaggero. I termini per riavere le vostre amiche sono gli stessi e il tempo non è variato. Ti conviene correre, la strada da qui al tuo Quartiere è lunga. -
Altea annuì, raccolse pergamene e pastelli e fece per andarsene, ma esitò. Sebbene le desse le spalle e ci fossero almeno tre persone in mezzo, Nemeria poté sentire il suo sguardo trafiggerle la schiena, il peso della sua delusione che gettava acqua sulla sua rabbia, sul suo coraggio. Quando trovò la forza di girarsi, la Sha'ir era già sparita.
 

*

 
Camminarono a lungo, Nemeria non seppe capire con certezza per quanto. Quando arrivarono alla base dei Cani il sole era tramontato da un pezzo.
Si erano appropriati di un palazzo fatiscente alla periferia della città, con la facciata ricoperta di crepe e rampicanti bruciati dal sole che ne avevano fatto la loro dimora. La maggior parte delle finestre erano rotte e le ante cigolavano al vento, sarebbe bastato una folata un po' più forte per farle precipitare al suolo. Della porta non era rimasto altro che una rientranza nella parete con diverse assi di legno accatastate le une sulle altre.
A Nemeria venne spontaneo domandarsi come sarebbero entrati, quando deviarono il percorso e si infilarono in una stradina secondaria così stretta che dovettero procedere in fila indiana, con le spalle che strusciavano contro la pietra del palazzo vicino. Passarono attraverso un buco tra due assi e sbucarono in un giardino invaso dalla sterpaglia, con un pozzo dimenticato in un angolo e una costruzione di legno traballante dieci passi più in là.
Zahra la strattonò verso una porticina incassata e Nemeria non oppose resistenza, sebbene sentisse le mani in fiamme.
L'interno era quasi più vuoto della loro tana. Era una sola grande stanza, con un paio di scaffalature che fuoriuscivano direttamente dai muri di pietra, alcune lampade ad olio sparse qua e là anche sul pavimento e i materassi ammassati contro le pareti. Nemeria ne contò una quindicina, tutti con ciuffi di fieno e lana che spuntavano da diversi buchi. Vide una ragazza e un qazam che stavano apparecchiando la tavola, un'asse di legno che si reggeva su quattro gambe abborracciate, mentre uno Jarkut'id li fissava dal fondo della stanza appoggiato al muro, alla sinistra di una porta chiusa. Aveva i capelli bianchi raccolti in una coda laterale e le orecchie si allungavano verso l'alto, con la punta che sporgeva di mezzo pollice sopra la testa. Vedendo l'espressione stupita di Nemeria, alzò un sopracciglio e la seguì con lo sguardo finché sia lei che Kimiya non furono davanti a lui.
- Chi sono? -
Aveva una voce bassa, baritonale, molto più adulta di quanto Nemeria si aspettasse.
- Le nostre nuove ospiti. Abayomi vuole che le teniamo in cantina. Ti dirò i dettagli più tardi, adesso andiamo di sotto. - rispose Zahra.
Lo Jarkut'id annuì, sfilò il mazzo di chiavi che portava alla cintola e aprì la porta. Una scala a malapena illuminata si inoltrava nell'oscurità. C'era umidità nell'aria e un folto pelame di muschio si era insediato negli angoli del soffitto e tra uno scalino e l'altro. Un ragno stava smembrando uno scarafaggio, uno dei tanti che zampettavano in giro.
Nemeria trasse un profondo respiro e mentre scendevano cercò di ignorarli e non prestare attenzione al rumore che facevano sotto la suola dei suoi sandali quando li pestava. Kimiya sembrava ancora più terrorizzata di lei, era così rigida che il ragazzo che la scortava dovette più di una volta costringerla con la forza a proseguire. Quando giunsero nella cantina, uno spazio poco più piccolo del piano superiore con una finestra sbarrata, si aggrappò al suo braccio per non farsi incatenare al muro. Ci volle l'intervento dello Jarkut'id per tenerla abbastanza ferma da stringerle il collare alla gola.
- Allora, vi spiego le regole. - Zahra si accucciò davanti a entrambe, le braccia poggiate sulle ginocchia, - Non lamentatevi, non urlate, non tentate di scappare. Nessuno potrà sentirvi e noi riusciremmo a ritrovarvi ancor prima che riusciate ad abbandonare il Quartiere. A breve vi sarà servita la cena e l'acqua. Fatevela bastare fino a domani mattina, non abbiamo intenzione di spenderne più del necessario per due prigioniere che forse moriranno. E tu... - diresse il suo sguardo su Nemeria, - prova anche solo uno dei tuoi scherzetti col fuoco e la tua amica sarà la prima a pagarne le conseguenze. -
Nemeria tacque. Aveva i sudori freddi e i palmi delle mani umidicci, ma si impose di non distogliere lo sguardo. Non voleva mostrarsi debole, non poteva permetterselo, non in quel momento, in cui era in gioco sia la sua vita che quella di Kimiya.
Zahra ghignò. La pelle si era richiusa, senza lasciare alcun segno se non le vene rosse che brillavano appena nella semioscurità.
- Rimarrò io a fare la guardia. - intervenne lo Jarkut'id.
- Eh? Perché? Pensi che non sarei capace di contenere le fiamme di questa bimbetta qui? - Zahra si alzò e abbracciò con lo sguardo la stanza, - Il'ya, questo è il mio regno, c'è pietra e terra ovunque, non avrebbe speranze contro di me. -
- Mi sembra che tu l'abbia presa in antipatia e l'ultima volta che è successo qualcuno si è guadagnato una mandibola rotta e l'osso del collo spezzato. Non so perché tu e il capo l'abbiate portate qui, ma immagino che debbano rimanere vive. Ognuno ha il suo ruolo. Io sorveglio i prigionieri, tu la vita di Abayomi. -
Zahra schioccò la lingua, irritata: - Va bene, va bene. Sei tu il padrone della cantina. -
Il'ya fece spallucce, senza raccogliere le provocazione.
- Faraz, vai a prendere l'acqua e porta la cena di sotto. Riferisci al capo che ci sono io a tenere d'occhio le prigioniere. - ordinò l'uomo.
Il ragazzo che aveva scortato Kimiya, rimasto in disparte fino a quel momento, annuì e scattò subito su per le scale. Zahra rimase ancora un momento a fissare Il'ya. Alla fine, arresa, fece la curva larga per passargli abbastanza vicino. Nemeria la vide sussurrargli qualcosa all'orecchio, un sorriso raccapricciante sulle labbra che le fece accapponare la pelle. Non riuscì a non abbandonarsi a un sospiro di sollievo quando udì il suono della porta che si chiudeva ed ebbe l'impressione che anche Il'ya si sentisse più tranquillo. Kimiya invece si era raggomitolata contro la parete, le ginocchia strette al petto. Sussultava a ogni ombra, a ogni insetto che le passava davanti. Aveva gli occhi spalancati, come spiritati, e si ritrasse non appena Nemeria la sfiorò, schiaffeggiandole via la mano.
- So che sei arrabbiata perché ti ho nascosto che ero una Dominatrice, ma ti prego, non fare così... -
Nemeria tentò nuovamente di toccarla, ma la sua amica le spinse via, si schiacciò contro la parete e la inchiodò col suo sguardo accusatore. Anche se non poteva parlare, i suoi occhi bastavano a dar voce a tutto il suo odio e disprezzo.
- Non ti vede. -
Il'ya fece tre passi verso di loro, abbastanza perché la luce obliqua della luna lo investisse. Aveva le sopracciglia così lunghe da sembrare delle piccole code bianche, mentre gli occhi erano cangianti, bastava che inclinasse la testa perché prevalesse il rosso sul giallo o l'azzurro sul verde.
- Non è cieca. Ci vede benissimo. -
- Non intendevo nel senso letterale del termine. Quello che i suoi occhi stanno guardando non è la stessa realtà che stai guardando tu. -
Kimiya si dondolava avanti e indietro con la fronte appoggiata alle ginocchia. Sembrava ancora più esile, ancora più fragile, una bambina spaventata dai mostri nel buio. Se soltanto le avesse permesso di abbracciarla, forse...
- Non avresti potuto fare granché. È questo posto, questo buio a farle questo effetto. -
- Ne parli come se la conoscessi. -
- Ho superato i centodieci anni da un po', ho visto molte cose. -
“Per la Madre, più di un secolo di vita!”
Nemeria gli scoccò un'occhiata incredula, senza parole. Le donne della tribù, quelle che diventavano Jinian, erano longeve – l'Alta Sacerdotessa si pensava avesse quasi un millennio sulle spalle –, ma non pensava che esistessero mortali che potessero arrivare oltre quattro o cinque decadi. Forse gli Sha'ir, ma Altea sembrava tutto fuorché vecchia.
Il'ya abbozzò un sorriso e i suoi occhi senza iride virarono verso un azzurro chiaro.
- Non tutti i miei fratelli sono come me. Sono ben pochi quelli che hanno preservato questo dono. Piuttosto, per essere una semplice umana, tu sei alquanto particolare. -
- Non sei il primo a dirmelo. -
Lo Jarkut'id girò la testa in direzione della porta e subito tornò ad appoggiarsi alla parete. Un attimo più tardi, uno spostamento d'aria seguito da passi cadenzati annunciò l'arrivo di Faraz. Portava un'anfora d'argilla tra le braccia e, impilati sul collo tozzo, un piatto con un pezzo di pane nero, una fetta di formaggio e due borek striminziti.
- E la mia cena? - chiese Il'ya.
- Non l'ho portata, pensavo mangiassi su con noi. -
- E chi le sorveglierà? -
Faraz scosse la testa: - Non lo so, ma il capo ha detto che ti vuole su per discutere. -
- Arrivo subito. -
Porse a Nemeria il piatto e le lasciò l'anfora vicino, gli occhi cangianti fissi in quelli di lei. Indugiò un solo istante prima di seguire il suo compagno al piano di sopra.
Nemeria prese il pane, lo spezzò in due e ne ripose metà nel piatto. Si rese conto di avere fame quando ingoiò il primo boccone e dovette imporsi di non azzannare anche il resto, soprattutto il borek. A discapito di quel che aveva pensato, era delizioso. Osservò Kimiya, la quale non sembrava aver notato nulla.
- Non vuoi mangiare? - le parlò con tono gentile e le avvicinò il piatto, stando bene attenta a mantenere una certa distanza, - Ti farà bene dopo tutta la camminata che abbiamo fatto. -
La ragazza non si smosse. Che fosse davvero come diceva quello strano Sha'ir? Che avesse perso la capacità di vedere? Si avvicinò ancora un po', si mise il piatto tra le gambe e le mise una fetta di formaggio sul pane.
- È duro, lo so, però non dovresti digiunare. - gliela allungò e negli occhi di Kimiya parve accendersi una scintilla di vita, - Ho già fatto tutto io, vedi? Tu però devi mangiare, sennò poi ti indebolisci. -
Kimiya esitò e Nemeria temette che sarebbe di nuovo ripiombata in quello stato catatonico. Sospirò sollevata quando dopo un po' l'amica afferrò la fetta di pane e la addentò.
- Non è cattivo, no? Non è una porzione, ma almeno è mangiabile. -
Kimiya annuì appena. Aveva perso lo sguardo accusatorio di prima, e anche se non era totalmente presente a se stessa, quantomeno sembrava ascoltarla.
- Mi dispiace non avervi detto nulla. Non è che non mi fidassi, ma non sapevo come avreste reagito e ho avuto paura che non mi avreste accettata. - le spiegò Nemeria con un fil di voce, - So che sono stata stupida, ma spero che riuscirete a perdonarmi. -
La ragazza si pulì l'angolo della bocca col dorso della mano e le rivolse un'occhiata in tralice, che Nemeria non seppe come interpretare. Si sentiva sporca, colpevole, soprattutto perché neppure in quell'occasione poteva dire la verità. Mai avrebbe pensato che fosse così logorante mantenere un segreto.
- Mi dispiace... davvero tanto... - ripeté senza più la forza di sostenere quello sguardo.
La porta si spalancò e Il'ya e Faraz si precipitarono giù dalle scale.
- Alzatevi, dovete venire con noi. - ordinò lo Jarkut'id.
- Dove andiamo? -
- Non fare domande, bambina. -
Faraz costrinse Kimiya in piedi senza troppe cerimonie. Come una bambola di pezza, la ragazza obbedì, gli occhi di nuovo fissi nel vuoto. Il'ya non fece alcun commento, si limitò a mantenere il contatto visivo con Nemeria. Lei capì subito che la stava mettendo in guardia. A fatica, aprì e chiuse le dita un paio di volte e rimase immobile finché non le tolse la catena. Si impose di non perdere la calma.
Tornò al piano di sopra, dove Abayomi, Ana, la ragazza che le aveva puntato il coltello, Zahra e Omeed li attendevano. Uscirono dalla porta sul retro, le prigioniere l'una a fianco all'altra, sorvegliate da Il'ya e Faraz che procedevano dietro di loro.
Nessuno disse nulla per tutto il tragitto. A Nemeria tutte le strade di Kalaspirit sembravano uguali, e senza l'aiuto della luce per lei era impossibile orientarsi. Scorse in lontananza il profilo illuminato di un anfiteatro, ma non ebbe il tempo di pensarci troppo.
Abayomi intimò a tutti di fermarsi. Due uomini sorvegliavano l'entra di un edificio in tufo senza finestre, alto poco più di cinque braccia. Non aveva niente di particolare e Nemeria ci sarebbe girata al largo se ci fosse passata vicino a quell'ora della sera.
- Siete qui per un rinfrescarvi? - domandò uno degli energumeni.
Abayomi sogghignò e gli mostrò una conchiglia rossa con un'ancora incisa sul dorso.
- Sì, fa molto caldo. - rispose e l'uomo gli fece un cenno con la testa.
Scesero una lunga gradinata illuminata da lampade a olio. Nemeria non riusciva a vedere bene e quella parziale cecità l'angustiava. Il'ya strinse appena la presa sul suo braccio, come per confortarla, ma non fece altro che accentuare la sua inquietudine. D'istinto, serrò la mano attorno alla pietra di luna e gettò un'occhiata a Kimiya, notando la sua espressione assente.
“Mantieni la calma. Resta calma.”
Alla fine delle scale, il gruppo si aprì a ventaglio e quello che Nemeria vide la lasciò senza fiato. Alla luce di decine e decine di torce, si espandeva nella penombra una grande cisterna. Era divisa in tre navate con più di quaranta pilastri a sostenere un soffitto a botte. Le vasche si innalzavano fino al soffitto e anche oltre, con varie scale addossate alle pareti che serpeggiavano nei piani superiori. Le chiuse e le funi che le sorreggevano giacevano dimenticate all'interno, con i catenacci divorati dalla ruggine abbandonati sui bordi. Doveva essere stato un impianto imponente, un tempo.
Addossate in fondo, quasi indistinte alla luce delle torce, c'erano delle baracche di legno con una tettoia pericolante, da cui uomini e donne entravano e uscivano con vestiti diversi.
- Benvenuta nell'arena, piccola fiammella. Non è certo come quella ufficiale, ma d'altronde nelle nostre condizioni ci si deve accontentare. - ridacchiò Abayomi e con lui anche Zahra, - Dunque, ti starai chiedendo perché ti abbiamo portata qui. -
Nemeria immaginava quale fosse il motivo.
- Come ben sai, i Dominatori sono l'attrazione principale delle arene. Ora, noi abbiamo sempre scommesso sulla nostra amata Zahra e lei non ci ha mai deluso, ma ormai il pubblico la conosce e quasi si annoia a vederla combattere. - diede una pacca sulla spalla all'Alatfal'yl e poi tornò su di lei, - Ma tu sei una novità. Nessuno qui ha mai visto una Dominatrice del fuoco, tanto più della tua età. Hai idea di quanti scommetteranno su di te non appena vedranno le tue fiamme? -
- Non farò mai una cosa del genere. Non... non ho intenzione di combattere per appesantire le tue tasche. - si divincolò dalla presa di Il'ya e riuscì ad avvicinarsi quel tanto che bastava per puntargli addosso un dito, - Dovrai obbligarmi con la forza. -
- Immaginavo una risposta del genere. E sono sicuro che se la tua amica fosse in pericolo non esiteresti a obbedire. -
Come se non avesse atteso altro, Omeed si avvicinò alle spalle di Kimiya e l'accarezzò lascivamente da poco sopra il ginocchio fino alla coscia, sollevando nella sua strada la tunica.
La pietra di luna divenne incandescente.
- Toglile le mani di dosso. - gracchiò Nemeria, furiosa.
- Lo farà solo se io glielo ordinerò e questo accadrà a condizione che tu salga su quel palco. - Abayomi schioccò la lingua e storse le labbra in un mezzo sorriso, - Cosa pensi di fare? Lasci la tua amica alle cure di Omeed, oppure obbedisci da brava? -
Nemeria aveva le mani roventi, i polmoni in fiamme, il sangue e la pelle bollenti. Doveva bruciarlo, ridurlo in cenere. Scorse con la coda dell'occhio Il'ya stringere i denti e sperò con tutta se stessa che perdesse la presa. Forse fu il suo sguardo omicida ad allertare Zahra, perché subito la Dominatrice si frappose tra lei e il suo capo.
- Non la stuzzicate troppo, non sappiamo come potrebbe reagire. -
- Non ti preoccupare, finché avremo la sua compagna tra le mani non farà nulla, vero? Perché lei è una bambina intelligente, sa cosa deve e non deve fare in certe situazioni. -
La ragazza fece spallucce e si appoggiò a uno dei pilastri. Nemeria si morse le labbra e inspirò profondamente. Omeed continuava ad accarezzare Kimiya, senza che questa facesse nulla per opporsi alle sue attenzioni. Era una bambola svuotata, inerme.
- Io... - serrò i pugni, - Va bene, accetto. -
- Non era una scelta difficile. - Abayomi schioccò le dita e subito Omeed si allontanò, - Allora, le regole sono queste: non è importante se vinci o perdi, devi far divertire il pubblico. Se vai a terra dopo il primo pugno, ti assicuro che la tua amica sarà l'ultimo dei tuoi problemi. Ora io andrò a parlare con gli organizzatori. Non fare nulla di strano, altrimenti ci saranno conseguenze spiacevoli e noi siamo venuti qui per goderci una serata in compagnia. -
Non appena si allontanò, Nemeria afferrò Kimiya e l'abbracciò forte. L'altra non rispose in alcun modo né ricambiò, ma saperla lì vicina le diede la forza di calmarsi. Mai avrebbe pensato che, un giorno, sarebbe stata lei a difendere qualcuno.
- Le vuoi molto bene. - commentò Il'ya.
Aveva mollato la presa e Nemeria si avvide che si stava massaggiando la mano. Erano apparse diverse bolle sull'epidermide e il palmo era terribilmente arrossato.
Nemeria non si degnò di rispondere. Non si poteva definire affetto quello che provava, però non poteva sopportare di vederla trattata così, come un semplice pezzo di carne.
- C'è la possibilità che i Dominatori che combattono vengano catturati da Tyrron? -
- Ovvio che c'è, per questo l'arena ogni mese si sposta. - intervenne Ana e si avvicinò.
Portava il pugnale in bella vista e si guardava circospetta intorno, le dita sempre vicino all'elsa. L'attenzione di Zahra era rivolta altrove, concentrata sull'incontro che si stava svolgendo, e solo di tanto in tanto si ricordava che doveva sorvegliarla. Probabilmente non la credeva così coraggiosa da scatenare il suo potere.
- Guardati bene da lei, non è una da sottovalutare. - Ana abbassò la voce e si fermò al suo fianco, la testa rivolta dall'altra parte, - Ha una crudeltà innata e prova piacere nel far soffrire gli altri, soprattutto chi non sa difendersi. Quando l'affronterai, stai attenta. -
Un brivido freddo le intorpidì i muscoli della faccia. Si scostò appena da Kimiya, deglutendo nervosa.
- Contro Zahra? - esalò.
- Sì. Abayomi vuole far soldi stasera, per questo ti dico di stare attenta. -
- Perché mi stai aiutando? Cosa ci guadagni? -
- Nulla, solo non ci piace l'andazzo che ha preso il capo nell'ultimo periodo. Prima non eravamo così. - disse Il'ya e nella sua voce Nemeria avvertì una nota malinconica.
- E allora perché non ve ne andate? Perché rimanete con un capo che detestate? -
Era la stessa domanda che si poneva spesso, da quando era diventata parte della Famiglia, e sebbene in fondo al cuore conoscesse già la risposta, non riusciva ad accettarla. Ci doveva essere un altro motivo, una ragione di fondo che non riusciva a comprendere.
Ana arcuò le labbra in un sorriso amaro e Il'ya distolse lo sguardo.
- La vita è fatta di compromessi. Prima lo impari, meglio è. -
- Forza, forza, è il momento di farsi valere! - abbaiò Abayomi, gli altri ragazzi qualche passo dietro di lui, - Ho convinto l'organizzatore a farvi combattere adesso. Fate spettacolo, non deludetemi. Zahra, vacci piano, l'incontro deve durare. -
La Dominatrice sbuffò.
- Per quello che riguarda la nostra fiammella... sai come ti devi comportare. - aggiunse il capo con un sorriso sghembo e minaccioso.
Nemeria non ribatté, non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla tremare in preda al terrore. E non si sarebbe lasciata sconfiggere facilmente, avrebbe combattuto fino alla fine, lo doveva ad Altea, a Kimiya e a Noriko. Mentre seguiva Zahra dentro il quadrato rosso, le tornò in mente ciò che Noriko le aveva detto prima di uscire in ricognizione quella mattina, tutte le sue raccomandazioni. Chissà come avrebbe reagito a saperle in mano ai Cani.
I partecipanti dei vari gruppi e i diversi combattenti erano assiepati attorno al palco. Bramavano violenza, desideravano il sangue. Alcuni di loro avevano il naso e le labbra spaccate ancora gonfie, altri avevano le nocche scorticate e i capillari degli occhi scoppiati, con la sclera che aveva assunto una tinta scarlatta. Erano bestie, non uomini.
- Signore, conoscete le regole. Niente armi od oggetti appuntiti, si vince se l'avversario non è più in grado di combattere o se dichiara la resa. - espose l'arbitro, un ometto dagli occhi glauchi e il mento appuntito, poi le squadrò entrambe e dopo una pausa a effetto uscì dal campo.
Cosa sei tu Le soffio l'elementale all'orecchio.
Nemeria guardò Zahra, quindi ispezionò il pubblico e infine si focalizzò brevemente su Kimiya, avvertendo la furia montare dentro di sé. Non appena incrociò di nuovo lo sguardo iniettato di sangue della sua avversaria, tirò su i pugni e si mise in guardia.
- Io sono il fuoco. - sibilò tra i denti.

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Capitolo 10
*** Vincere e Perdere ***


Fuoco 2

10

Vincere e Perdere

"Mai confondere una singola sconfitta con una sconfitta definitiva."
Francis Scott Fitzgerald.

Il pubblico rumoreggiava, trepidava elettrizzato e feroce in attesa che il combattimento cominciasse. Erano tutti assembrati ai margini del palco, spettatori e combattenti, a uno o due passi dalle linee rosse. Persino l'arbitro si teneva a debita distanza.
L'odore di sudore, sangue, vomito e umidità era così intenso da farle girare la testa, le invadeva la gola e le narici privandola dell'ossigeno necessario per essere lucida. Zahra le girava attorno, fissandola con i suoi occhi di bragia, più rossi delle linee di delimitazione, più scuri del ferro ossidato. Nemeria la seguiva con la coda dell'occhio, i pugni ben alzati a proteggere il viso e i gomiti vicini al corpo. Non era brava a fare a botte, le poche volte che non era riuscita ad evitare il conflitto ne era sempre uscita perdente. Non era una guerriera.
- Cosa preferite? - Zahra aprì le braccia e incitò il pubblico, - Volete che la massacri a suon di pugni come semplice Alatfal'yl o volete che sfoderi il mio potere? -
- Potere! -
- Vogliamo vedere i Dominatori! -
- Ho pagato per vedere i Dominatori, non due mocciose che si prendono a schiaffi! -
- E sia. - sibilò Zahra suadente e si scrocchiò il collo.
Com'era successo quel pomeriggio, la pelle si spaccò e venne sostituita dallo strato di rocce nere, che, come creature piccole e indipendenti, presero a moltiplicarsi, sdoppiandosi e ammassandosi sulle mani fino a costituire dei guanti di pietra. D'istinto Nemeria indietreggiò.
- Hai paura? - Zahra riprese ad ancheggiare attorno a lei, gli occhi che brillavano nella semioscurità, - Non ti preoccupare, fiammella, non ti ucciderò. È contro le regole. -
Un altro passo indietro. Alcuni tra il pubblico fischiavano, sputavano insulti. Nemeria si sforzò di ignorarli e al tempo stesso tentò di ricordare le lezioni di lotta di Fakhri, le sue raccomandazioni, i suoi consigli.
Non vide arrivare il pugno. Si ritrovò a terra, la guancia contro la pietra e il sapore del sangue, del suo sangue, in bocca.
- Cazzo, che colpo. -
- Zahra, vacci piano o la rompi davvero. -
- Macché, continua così! -
La prima voce scoppiò in una risata sguaiata, e le altre la seguirono a ruota. Nemeria si puntellò sulle ginocchia, fece forza sulle braccia per mettersi a carponi e strinse i denti. Le faceva male tutta la faccia, ogni singolo centimetro di pelle era in fiamme.
- Sono sorpresa, pensavo non ti rialzassi più. -
Zahra l'afferrò per la spalla e la costrinse a inarcarsi. Il respiro era spezzato e la vista sfocata. L'unica cosa nitida erano gli occhi di Zahra e le sue labbra nere schiuse sui denti scheggiati.
- Di solito mando tutti al tappeto dopo il primo o il secondo colpo. È divertente vedere questi qui eccitarsi alle prime gocce di sangue. - commentò divertita.
Le unghie affondarono nel tessuto, lo bucarono e si aprirono la strada nella carne viva. Nemeria urlò, si divincolò, ma più si muoveva più la ferita si allargava, la pelle si slargava come un vecchio vestito.
- Potrei arrivare fino all'osso e strappartelo. Una volta l'ho fatto e il mio avversario ha smesso di venire agli incontri. Mi hanno riferito che adesso si sveglia di notte gridando e con il materasso bagnato del suo piscio. -
La sbatté a terra con violenza. Nemeria riuscì a non crollare di faccia solo perché ebbe i riflessi di mettere le mani avanti.
- Su, piccola fiammella, alzati. Sono tutti qui per te, per vedere il tuo potere e la tua potenza. - la spronò per poi volgere l'attenzione verso gli astanti, - Pubblico, fate sentire il vostro incoraggiamento, su! Non vedete? La nostra Dominatrice è timida, non vuole mostrarci di cosa è capace. Sono certa che se le farete sentire il vostro calore, si impegnerà di più. -
Qualcuno ridacchiò, ma poi un coro di incitazioni si levò alto. Il terreno cominciò a tremare sotto il battito sincrono dei loro piedi.
- Meno parole, più botte! -
- Non abbiamo pagato per sentire chiacchiere! -
- Piegala, rompila, spezzala! - risposero altri in coro,
Nemeria non sapeva se quell'incitamento era rivolto a lei o a Zahra. Riuscì a mettersi in ginocchio, poggiò il piede sinistro in avanti e fece perno sul destro per issarsi. Non si era ancora rimessa in piedi che Zahra la colpì con una ginocchiata alla bocca dello stomaco, tanto forte da sollevarla appena da terra. Nemeria sputò la poca aria che aveva in corpo e si accasciò di nuovo tenendosi la pancia. Uno spasmo e si accartocciò su se stessa, vomitando la cena.
Urla, fischi e risate si alzarono dal pubblico.
- Mi sporchi il palco così, fiammella. - la schernì l'avversaria.
Un calcio al fianco, e un altro e un altro ancora. Le prime costole scricchiolarono e infine cedettero di schianto. Il dolore accecò Nemeria, si diffuse come una scarica elettrica in tutto il corpo e la inchiodò a terra.
- Peccato che non hai capelli, sarebbe stato comodo usarti come straccio. -
Ridendo, Zahra le artigliò la nuca e la costrinse giù, proprio sulla pozza di vomito. Se avesse avuto altro nello stomaco, Nemeria lo avrebbe rigurgitato adesso.
Il pubblico ululava, batteva i piedi e le mani a ritmo, un marasma cacofonico di voci che si fondevano in una sola.
- Piegala, rompila, spezzala! -
Zahra allentò la presa e per un istante Nemeria pensò di avere una chance, di potercela fare. Non aveva nemmeno appoggiato i palmi sul pavimento che la mano si serrò di nuovo e la Dominatrice la sbatté la faccia contro la pietra. Già al primo colpo, il naso si ruppe e il sangue le si riversò in gola, caldo e denso come olio bollente. Le viscere si contrassero con violenza, ma tutto quello che poteva vomitare era già lì, sul suo viso e sui suoi vestiti.
“Non ce la faccio...”
- Usa il tuo maledetto potere, forza! -
La obbligò supina e si sedette sopra il suo bacino. La colpì sulle braccia, sul volto, sulla testa, accanendosi con una furia bestiale. Nemeria sentiva ogni pugno vibrarle nelle ossa, spaccandole i pensieri e strappandole le energie. Uno le ruppe lo zigomo e un altro due denti, li mandò in pezzi con una tale violenza che alcuni frammenti le si conficcarono nella lingua. La cisterna era sparita, non c'era altro che dolore e una cortina di nebbia rossa che oscurava ogni cosa.
- La bambina non è più in grado di difendersi, basta! -
La voce dell'arbitro era lontana, era come se provenisse da sotto l'acqua.
- Cazzo, fermatela, così l'ammazza! -
Un rapido rumore di passi, agitazione, caos. Un pugno le arrivò all'orecchio e i suoni si unirono in un fastidioso ronzio.
- Porca puttana, Zahra, ora basta! -
Qualcuno le pestò la mano, ma era solo una fastidiosa pressione in confronto all'incendio che era il suo corpo. La sua avversaria si dimenò sopra di lei, scalciò, ringhiò. Nemeria vide la sua ombra protendersi per colpirla di nuovo, ma altre due figure la trattennero e la trascinarono via.
“Sei debole, non potrai mai salvare nessuno.”
Quella considerazione squarciò per un istante il velo che le avvolgeva gli occhi. Era più dolorosa di tutte i calci, di tutti i pugni, di tutte le botte che aveva ricevuto. Si sarebbe abbandonata al pianto se solo le fossero rimaste le lacrime. Nemmeno la bile le era rimasta, solo il sapore acido del vomito mischiato al sangue.
Delle mani l'afferrarono sotto le ascelle e sotto i piedi. Quando la sollevarono da terra, senza quasi più la percezione di avere un corpo, Nemeria perse conoscenza.
 
Camminava sul fondo del mare. Pesci viola, rossi, gialli, argentei e di tutti i colori le passavano accanto. A volte la sfioravano con le code o le pinne e fuggivano via, nuotando veloci, non appena tentava di acchiapparli. La luce penetrava attraverso la superficie in fasci brillanti che doravano la sabbia, rischiaravano le grotte e tratteggiavano il profilo delicato dei clivi e dei suoi abitanti, anemoni viola, dimore di piccoli pesci pagliaccio, e delle alghe che ondeggiavano sospinte dalle correnti.
Una barriera corallina si estendevano a perdita d'occhio ben oltre il suo campo visivo. Nemeria riuscì a scorgerne solo una minima parte. Lo spettacolo dii coralli simili a rami, ventagli di pizzo, funghi, margherite e fiori da campo era sufficiente a lasciarla a bocca aperta.
Sorrise inginocchiandosi per osservarne uno da vicino. Quando allungò la mano per sfiorarlo, un piccolo ippocampo si protese da un anemone rosso e cominciò a girarle intorno. Aveva gli occhi azzurri e la cresta dello stesso colore. Nemeria rise e tentò di acchiapparlo.
Non le sembrava strano essere lì, anzi, si sentiva a casa. Non capiva come fosse possibile, eppure inconsciamente sapeva che non c'era alcun pericolo. Per un attimo si chiese se la Madre l'avesse accolta tra le sue braccia.
Il cavalluccio marino si fermò davanti al suo naso e colpì la punta con la coda. Nemeria allungò il dito e questi si attorcigliò con la coda attorno all'anulare, cominciando a tirarla.
- Va bene, va bene, ti seguo! -
La sabbia sotto i piedi era morbida, tiepida, le si infilava tra le dita e le faceva il solletico, mentre la corrente le gonfiava la tunica a ogni passo. Non capiva dove la stesse portando il suo nuovo amico, ma non le importava. In un posto così magnifico non poteva accaderle niente di male.
- Vai piano, se tiri troppo cado. -
Incespicò e quasi ruzzolò a terra, ma il cavalluccio marino riuscì a sostenerla. Sembrava avesse una grande fretta di portarla verso la barriera corallina, o almeno questa era l'impressione di Nemeria. E che forza che aveva! Era riuscita addirittura a non farla cadere.
- Mi vuoi dire dove stiamo andando? Non ti piace stare qui? Non fa nemmeno caldo. -
Il cavalluccio si girò a guardarla per un istante, poi ripartì più veloce di prima. Un gruppo di meduse fluorescenti passarono al loro fianco e una di queste, un esemplare rosa pastello con i tentacoli corti e tozzi, si staccò dalle altre e si accodò. Il suo compagno rallentò per permettere alla medusa di raggiungerlo e riprese a tirare la bambina, stavolta con un po' meno forza.
Dal canto suo, Nemeria era un po' intimorita dalla presenza della medusa. A Rakhsaan piacevano molto, si divertiva a giocare con loro e quelle sembravano gradire la sua compagnia, ma lei ed Etheram non riuscivano nemmeno a fare il bagno se solo ne scorgevano il profilo. Sua sorella aveva smesso di preoccuparsene quando aveva acquisito il dominio dell'acqua, ma lei era rimasta la solita fifona . Chissà, un giorno sarebbe riuscita a vincere la sua paura.
All'improvviso venne pervasa da un'improvvisa tristezza e il sorriso le morì sulle labbra: il suo fratellino non c'era più, sua madre non c'era più, tutta la sua gente non era altro che cenere. Il ricordo del giorno in cui li aveva persi le cadde addosso come un macigno e Nemeria si sentì sopraffatta, di nuovo in lacrime.
L'acqua divenne torbida, nera e densa come catrame, la sabbia divenne fango. Il cavalluccio marino rinserrò la presa sul suo dito e tirò con maggiore forza, mentre la medusa vorticava attorno a lei, i tentacoli che fendevano il vuoto contro nemici che Nemeria non riusciva a vedere. Avrebbe voluto correre, lasciarsi trasportare via dalla corrente che la sospingeva in avanti, ma affondava fin oltre le caviglie e a ogni passo doveva combattere per tirare fuori i piedi dal fango.
- Cosa sta accadendo? Perché è diventato tutto così! - urlò, ma dalle sue labbra non uscirono altro che bolle.
Una mano d'ombra si protese verso di lei, ma prima che la raggiungesse la medusa la colpì con i suoi tentacoli. Un grido di dolore si propagò nell'acqua e la figura indietreggiò. Un anemone raggrinzito tentò di afferrarle il polso. Nemeria si ritrasse e aumentò il passo, per quanto potesse. Aveva freddo e il terrore le aveva ghermito le viscere, le aveva prese in ostaggio come un gheppio un leprotto ferito.
Intorno a lei c'erano solo ombre, tante, tantissime ombre che l'attaccavano da ogni dove e la scrutavano con le loro orbite vuote, urlandole i peggiori insulti. Altre, molto più piccole, la pregavano di aiutarli a ritrovare la luce. Riconobbe la voce di ognuna di loro: erano gli spettri del suo popolo.
- Basta... - pigolò con voce rotta, le lacrime che si fondevano con la fanghiglia che la circondava, - Non volevo scappare, non so come ho fatto, non vi avrei mai abbandonati... - aggiunse singhiozzando.
In risposta uno spettro la colpì con un pugno sul braccio e, se non fosse stato per il cavalluccio marino, Nemeria sarebbe caduta a terra. La medusa subito scattò e serrò i tentacoli attorno alla mano e al braccio finché l'ombra non si dissolse in volute di fumo nero. Il suo grido rieccheggiò finché la corrente non lo disperse.
- Lasciatemi in pace, andate via! -
- Non possiamo andarcene. - risposero in coro gli spettri, circondandola.
Il cavalluccio continuò imperterrito a tirare. Adesso Nemeria notò che puntava a una grotta di pietra scura a una trentina di braccia da lei, dove l'acqua era ancora cristallina. Aumentò il passo, si affidò alla forza del suo compagno per avanzare, mentre la medusa respingeva gli spettri. I tentacoli sanguinavano e faceva sempre più fatica a muoversi, ma nonostante le diverse ferite attaccava con rabbia chiunque provasse anche solo a sfiorarla.
Quando attraversarono la schiera dinanzi a loro, la medusa iniziò a girare sempre più in fretta attorno a lei, creando un mulinello che le faceva da scudo. Gli spettri che tentavano di penetrarlo diventavano fumo, che l'acqua disperdeva nella corrente.
- Devi rimanere qui, con noi. -
- Ci hai lasciati morire. -
- Non meriti di rivedere le luce. -
Nemeria strinse i denti e incassò in silenzio. Anche avesse potuto parlare, non l'avrebbero ascoltata. Avevano ragione, sarebbe dovuta restare nell'oscurità con loro e pagare per la sua codardia, ma la luce era invitante e non riusciva a smettere di camminare.
Con le lacrime agli occhi, quando finalmente si lasciò alle spalle gli spettri, nemmeno si rese conto delle braccia che la cinsero da dietro.
 
- Si è svegliata? -
- Penso di sì, ora vado a controllare. -
Due voci, una di uomo e una di donna.
- Abayomi vuole che tu lo tenga aggiornato sulle sue condizioni. -
- Lo sto facendo. -
- È evidente che si aspetta che tu lo faccia più spesso. -
L'uomo sospirò. Nemeria girò appena la testa nella direzione da cui provenivano le voci e schiuse le palpebre. Aveva la vista appannata e ogni cosa nel suo campo visivo era sfumata, ricoperta da una fitta coltre di nebbia.
Subito una delle figure si avvicinò.
- Non devi muoverti. Ho fatto del mio meglio per curare le tue ferite, ma se non stai ferma non guariranno bene, soprattutto le ossa. -
L'uomo aveva una voce all'apparenza calma, ma Nemeria distinse una nota di apprensione. Inoltre, le era familiare in qualche modo, sebbene non riuscisse ad associarla a un nome o a un viso. L'unica cosa che aveva colto con sufficiente chiarezza erano le orecchie che si estendevano fin oltre la testa e delle sopracciglia altrettanto lunghe.
“Dove l'ho già visto?”
Corrugò la fronte e abbassò le palpebre. La testa le pulsava e il cuore le martellava nel cervello e nelle orecchie come un tamburo. Formulare un altro pensiero e approfondirlo era impossibile con quel dolore che le premeva contro le tempie e dietro gli occhi.
- Sei diventato così abile da guarirle le ossa, Il'ya? -
La donna si era fatta più vicina, poteva percepirne la presenza proprio accanto a lei.
- Me la cavo. Ora, te ne prego, rimani in silenzio o non riesco a concentrarmi. - rispose Il'ya.
Un liquido fresco strisciò sui suoi vestiti, li oltrepassò e scivolò nei pori della sua pelle. Era una sensazione piacevole e i suoi muscoli rimasero rilassati, mentre i rivoli scivolavano nelle vene e nelle arterie senza mescolarsi al sangue. Quando si espansero fino al viso, il suo corpo venne pervaso da un brivido freddo che le fece aprire gli occhi di scatto.
Il'ya era al suo fianco, con le gambe incrociate e le mani protese sopra di lei che danzavano assieme all'acqua, sottilissimi fili cristallini che avevano attecchito sul suo corpo.
- Anche tu... anche tu sei... -
- Sì. Non sarò forte come Zahra, ma ci so fare. -
Le elargì un leggero sorriso, senza smettere di muovere le mani. Aveva la fronte imperlata di sudore e l'aria concentrata, affaticata.
- Ora chiedo anche a te di rimanere in silenzio o rischio di non riuscire a ricomporre le ossa come vorrei. -
- Kimiya... Kimiya dov'è? -
- Dall'altro lato della stanza. Il capo non le ha fatto nulla, come promesso. Non hai offerto chissà che grande spettacolo, ma il pubblico ha gradito la tua resistenza. - la informò pacata Ana.
Nemeria alzò appena gli occhi, incrociando quelli neri della ragazza, che la fissava con uno sguardo che non sapeva come decifrare. Non pareva preoccupata, si limitava a guardarla e basta, con lo stesso interesse con cui avrebbe guardato un animale ferito.
Il'ya le passò le mani sul viso. Nemeria tremò. Percepì le ossa spezzate che si muovevano nella carne viva, retrocedevano fino alla loro giusta posizione e si incastravano con gli altri frammenti, ricomponendosi.
- Senti male? - domandò Il'ya.
- N...no. È solo fastidioso. -
Lo Jarkut'id chiuse il pugno e richiamò ancora più acqua. C'era un flusso continuo tra le sue mani e un'anfora ai piedi di Nemeria.
- Sei bravo. -
- Come ti dicevo ieri sera, ho più di un secolo sulle spalle. -
Il'ya sciolse le spalle e congiunse cinque dita davanti al viso, per poi aprire le braccia. L'acqua lo seguì, si distese come un elastico e si rilassò come un nastro di seta, prima di avvolgere il torace di Nemeria e fondersi con esso. Di nuovo l'acqua spinse le ossa nella loro posizione e saldò quelle rotte. Il'ya mantenne gli occhi chiusi per tutto il processo. Alla fine, trasse un profondo respiro e, dopo aver riaccompagnato l'acqua nell'anfora, si girò di lato così da distendere le gambe.
- Posso alzarmi? -
- Ana, prendila da sotto le ascelle e aiutala. Niente movimenti bruschi o tutto quello che ho fatto sarà stato vano. -
La ragazza si portò alle sue spalle e obbedì. Aveva le mani piccole ma sorprendentemente forti. L'aiutò a mettersi seduta e su indicazione di Il'ya le raddrizzò la schiena. Nemeria si sentiva tutta intorpidita e avvertiva un irritante formicolio agli arti, però il dolore era scomparso. Aprì e chiuse i pugni un paio di volte, sbattendo le palpebre finché la realtà non si riappropriò delle sue forme definite.
Si trovava di nuovo nel seminterrato, quello dove avevano rinchiuso lei e Kimiya la sera precedente. La luce filtrava attraverso la finestra sbarrata, illuminando quel che bastava affinché Nemeria potesse orientarsi. La sua compagna dormiva accoccolata su se stessa a ridosso del muro opposto, con la catena che le girava intorno al corpo e il collare di pelle usurato stretto alla gola.
- Il capo ha ordinato di legarla. - la anticipò Il'ya, lavandosi le mani con l'acqua rimasta, - Vedendoti in quello stato, ha cominciato a urlare e a dimenarsi. Ci sono volute un bel po' di ore prima che si calmasse. -
Nemeria si issò sui gomiti e Ana l'accompagnò, sorreggendola nell'eventualità che non ci riuscisse da sola.
- Ribadisco, fai piano. Ho fatto quel che potevo con quelle ossa, ma devi comunque prestare attenzione. -
- Non le hai ricostruite? -
Lo Jarkut'id scosse la testa: - Le ho ricomposte e rinsaldate con del ghiaccio abbastanza resistente, ma devi lasciare loro il tempo di guarire. -
- Ghiaccio? Non si scioglierà? -
- Solo fino a quando le tue ossa non si saranno rinsaldate. -
Nemeria annuì e dopo una breve esitazione mosse i primi passi. Un piede dietro l'altro, con Ana che la seguiva come un'ombra, si accostò alla sua amica e le si sedette vicino. Aveva i capelli scompigliati, pieni di nodi, e alcune unghie erano spezzate, sporche di terriccio e sangue annerito. Aveva ritirato le ginocchia sotto la tunica e da quella prospettiva Nemeria poteva vedere le bruciature sulle piante dei piedi, tanti piccoli soli cicatrizzati dal profilo frastagliato.
- Dariush ha fatto sapere qualcosa? -
- La sua donna è tornata dicendo che farete lo scambio stasera. - rispose annoiata Ana.
Nemeria la guardò in cagnesco: - Non è la sua donna. -
- Se la fotte e questo fa di lei la sua donna. - replicò indifferente, si grattò la nuca e schiacciò uno scarafaggio, - Non farei troppo la gradassa, fossi in te. Ieri ti avevamo avvertita di stare attenta a Zahra e tu ti sei fatta massacrare di botte come un'idiota. -
- Non è vero. -
- Se non fossimo intervenuti, avresti il cervello spappolato. - Ana si acquattò alla sua altezza e la inchiodò con lo sguardo, le iridi color antracite che si confondevano con le pupille, - Perché non hai usato le fiamme? -
Nemeria aveva la gola secca. Non sapeva cosa risponderle. Anche lei si domandava dove fosse finito il suo coraggio, la sua voglia di combattere. Quando era salita sul palco e si era trovata circondata dalla puzza di sangue e vomito con quegli uomini che urlavano in quel modo, non era riuscita a reagire. Non era davvero preparata ad affrontare Zahra. Non si aspettava fosse così feroce, agile, spietata. Fino a quando non l'aveva colpita, non aveva davvero realizzato che doveva combattere, e allora era stato troppo tardi.
Non ricevendo risposta, Ana fece spallucce e si avvicinò a Il'ya.
- Io vado a riferire al capo che la bambina sta bene. -
- Porta anche qualcosa da mangiare per tutti e tre. -
La ragazza assentì e, senza aggiungere altro, salì le scale. Kimiya si accartocciò ancora di più su se stessa e Nemeria le strinse la mano.
- Mi dispiace per quello che è successo ieri. - esordì Il'ya, avvicinandosi, - Zahra diventa una belva quando entra lì dentro. Non avresti avuto alcuna possibilità di vincere contro di lei in ogni caso. -
“Io domino il fuoco, avrei potuto contrastarla.”
- Stasera tornerete dai vostri compagni, comunque, non dovrebbero esserci altri combattimenti di sorta. - la consolò e si sistemò accanto a lei, - Mi è concesso farti delle domande? -
Nemeria esitò. Il'ya non le sembrava cattivo, si era preso cura di lei e aveva anche provato ad avvertirla. Farci quattro chiacchiere poteva farle bene.
- Certo. -
- Qual è il tuo nome? -
- Nemeria. -
- Piacere, Nemeria. Io mi chiamo Il'ya. Anche se già lo sai. - abbozzò un sorriso e si appoggiò con un profondo sospiro alla parete.
Il sudore sulla fronte accentuava l'incarnato pallido, lo faceva sembrare ancora più stanco di quello che già era.
- È un nome strano il tuo. Non sei di qui. - considerò la bambina.
- Nemmeno tu, se è per questo. Una delle mie sorelle si chiamava come te. Me la ricordi molto. - sorrise e si protese appena verso di lei, - Anche se lei aveva i capelli bianchi come i miei. -
Nemeria si toccò istintivamente le sopracciglia e poi la testa. Non aveva più la bandana, chissà quando l'aveva persa, ma il tatuaggio non le sembrava infiammato. L'uomo intercettò il suo gesto.
- Mi sono occupato anche di quello, è stata una delle prime cose a cui ho pensato. -
- Sei stato gentile. -
- Il capo mi ha ordinato di curare le tue ferite, io mi sono premurato di controllare ogni cosa. Hai deciso di tagliarli perché avevi paura di prendere i pidocchi? -
- Sì. - rispose in fretta Nemeria.
- Capisco. -
Il'ya si passò una mano sul viso e si alzò nell'esatto momento in cui Kimiya tirò su la testa. Aveva gli occhi arrossati dal pianto e la guancia su cui aveva dormito era sporca di terra, ma quando mise a fuoco la figura Nemeria l'abbracciò così forte da toglierle il fiato.
- Co... così mi uccidi! - Nemeria finse di lottare per liberarsi, ma poi la strinse a sua volta, affondando il viso nella sua spalla ossuta, - È tutto a posto... sono qui. - mormorò commossa.
Kimiya però non la lasciò. Non smetteva di accarezzarla, di toccarle la testa, le spalle, le braccia, come se non capisse come potesse essere lì, viva. Quando si staccò, le posò una mano sulla guancia e appoggiò la fronte contro la sua, tremando, con le lacrime che le solcavano il viso.
- Sono qui. - ripeté Nemeria con più convinzione, - Tra poco ci verranno a prendere e potremo tornare a casa. -
Kimiya annuì e tirò su col naso. Tentò anche un mezzo sorriso, prima di rannicchiarsi contro Nemeria. Sembrava non essersi accorta della presenza di Il'ya, o forse lo ignorava di proposito.
Ana tornò qualche minuto più tardi con quattro pezzi di focaccia alle olive e origano e un'anfora più piccola. Con il suo solito tono di voce monocorde le avvisò che quello sarebbe stato il loro pranzo e che l'acqua dovevano farsela bastare fino a sera, ma Nemeria non vi badò. Aveva fame e si sentiva euforica, finalmente non più sola.
Kimiya saltava a ogni insetto che le passeggiava vicino e la sua coscienza ballava sempre sull'orlo del baratro, però quantomeno era più presente del giorno prima e, soprattutto, non era più arrabbiata. Nemeria non ce l'avrebbe fatta a sopportare ancora quello sguardo accusatore, non ne aveva né la forza né la volontà.
Mentre beveva l'acqua, riemerse un frammento di quello che aveva sognato. Piano piano, come se lo avesse richiamato, davanti ai suoi occhi si ridipinse il mare pieno di coralli, anemoni e luce. Le venne quasi da sorridere quando le parve di sentire la coda del cavalluccio marino stretta attorno al dito. Non sapeva esattamente come classificare quello che aveva visto – parlare di sogno era riduttivo, ma non le sembrava una visione di alcun genere –, però non aveva addosso la stessa sensazione di qualche sera prima, quando si era svegliata senza riuscire a ricordare quello che aveva sognato.
“Che sia una Condivisione?”
Fakhri ed Etheram gliene avevano parlato. Quando aveva acquisito il potere sull'acqua, sua sorella le aveva accennato che a volte, specialmente se non si era esperti Dominatori, poteva capitare che i sogni o i ricordi del malato e del guaritore si mescolassero, generando delle visioni ancora più strane.
Nemeria si massaggiò le tempie e lanciò un'occhiata di sottecchi a Il'ya. Lo Jarkut'id era seduto sugli scalini e stava conversando a bassa voce con Ana, eppure era sicura che lui la stesse fissando.
“Anche lui ha visto...?”
Scosse la testa e respinse quel dubbio in un angolo della sua coscienza. Non era certa di quello che fosse accaduto da un certo punto in poi, ricordava vagamente il buio e un'opprimente sensazione di pericolo, ma poteva immaginare cosa potesse aver condiviso con lui.
Si rannicchiò contro Kimiya e la sua amica le mise un braccio sulla spalla, arricciando le labbra in una smorfia buffa con la lingua di fuori. Nemeria si sforzò di sorridere e dopo un momento, quando cominciò a farle il solletico, quella che all'inizio era solo un accenno, divenne una vera e propria risata. Non era forte e nemmeno sguaiata, però bastò ad alleggerire il peso che aveva sul cuore. Ana e Il'ya le osservarono straniti, ma non commentarono.
Per tutto il resto del pomeriggio, prigioniere e carcerieri non si rivolsero più la parola. Nemeria si sentiva ancora stanca e passò la maggior parte del tempo a combattere contro il sonno, dormendo a intervalli di mezz'ora o dieci minuti. Kimiya invece rimase sveglia. Nel sottile spazio che separa il sonno e la veglia, Nemeria avvertì la sua mano serrarsi spesso attorno alla propria; talvolta riuscì a impartire al corpo l'ordine di ricambiare.
Lo Jarkut'id rimase sempre lì con loro, mentre Ana si diede il cambio con Faraz e un altro paio di membri della banda. Sul far della sera Il'ya le svegliò, Ana di nuovo al suo fianco.
- Andiamo alla cisterna. - li informò quest'ultima, - È lì che avverrà lo scambio. -
Nemeria rabbrividì e dovette imporsi di seguirli fino al piano di sopra, dove, come il giorno precedente, li attendevano il capo, Faraz e Zahra. Non appena la vide, la Dominatrice ghignò e venne loro incontro.
- Allora? La nostra fiammella come si sente? Ieri hai dato spettacolo, eri un ottimo straccio da piedi. -
Tentò di avvicinarsi ulteriormente, ma Nemeria indietreggiò di scatto.
- Puzzi di paura. Devo dire che è un profumo che mi piace e mi elettrizza. Era da tanto che non mi scontravo contro un Dominatore, mi ero dimenticata come ci sente. -
- Zahra, basta. - la richiamò Abayomi, anche se a giudicare dal suo sorrisetto doveva trovare la scena divertente, - Dobbiamo andare all'arena per lo scambio e non è buona educazione arrivare in ritardo per una trattativa. -
L'Alatfal'yl si umettò le labbra e tornò al suo posto accanto ad Abayomi, che non perse tempo e fece loro cenno di procedere.
Alla luce sfumata del tramonto, le strade che percorsero non erano più così spaventose agli occhi di Nemeria. Ciononostante, non riusciva a capire dove fossero. Era abbastanza sicura di non essere mai stata in quel Quartiere. Immaginava potesse essere quello della Bestia, l'unico che non aveva ancora visitato, ma non ne poteva essere sicura. Tentò di chiederlo a Kimiya, ma la ragazza sembrava ripiombata nello stato catatonico: non la guardava, non rispondeva, camminava per inerzia. Nemmeno quando la scosse tornò in sé. Nemeria era di nuovo sola.
All'entrata della cisterna stazionavano le stesse guardie della sera prima. Una di esse, l'uomo che aveva chiesto la parola d'ordine, aveva una brutta tumefazione sullo zigomo e il labbro inferiore spaccato. Quando li vide arrivare, si limitò a fare un cenno d'assenso ad Abayomi e li lasciò entrare.
- Non ci accadrà nulla. Siamo qui solo per fare lo scambio, non dovrò combattere ancora. - sussurrò Nemeria, più per rassicurare se stessa che Kimiya.
Non appena fecero il loro ingresso nell'arena, tutti gli occhi si fissarono su di lei. Nemeria non riconobbe nessuno, ma tutti o quasi sapevano, invece, chi era lei. Mentre si facevano largo tra la folla, ebbe modo di udire i loro commenti di scherno, le loro battutine, le risate che la seguivano alle spalle. Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, il viso in fiamme e le lacrime che le pizzicavano da dietro le ciglia.
- Ignorali. - le soffiò all'orecchio Il'ya.
- A che ora è l'incontro? -
- Non lo so, Abayomi non ci ha detto nulla. Ha parlato da solo con la Sha'ir. -
Nemeria annuì e si appiattì contro la colonna, la pietra di luna chiusa tra le dita. Altea era tornata con la risposta, a breve l'avrebbe rivista e non aveva ancora riflettuto su cosa dirle per scusarsi. Sperava che non l'avesse detto a Dariush, ma soprattutto che fosse disposta ad ascoltarla. Saperla arrabbiata la faceva stare male, non avrebbe sopportato di perdere il suo affetto e la sua amicizia. Certo, in ogni caso non sarebbe rimasta sola, ci sarebbero stati Noriko e Hirad con lei, ma non sarebbe stata la stessa cosa senza Altea. Sorrise e per un momento si concesse di crogiolarsi nel ricordo del sorriso di Hirad, quello che le aveva rivolto prima di andare a dormire due sere addietro. Sembrava passata una vita intera. Chissà se gli aveva fatto piacere ricevere le pergamene, se con quei pastelli nuovi sarebbe riuscito a tornare quello di sempre. La pietra di luna divenne tiepida contro i suoi palmi e le trasmise un profondo senso di pace.
- Fiammella. - Abayomi si fece strada fino da lei, - Visto che ieri hai riscosso un notevole successo, e visto che abbiamo ancora un po' di tempo prima della nostra trattativa, che ne dici di deliziarci con un altro spettacolo? -
Zahra, che era alle sue spalle, si scrocchiò le dita e il collo: - Sì, ho le mani ancora intorpidite, ho davvero bisogno di sgranchirmi anche oggi. -
Tutti, compresa Ana, trattennero il respiro. Nemeria, impallidì, il battito a un tratto frenetico, e guardò Kimiya con terrore.
- Non farti pregare, dai... sono tutti qui per te. So di alcuni che sono rimasti delusi dallo spettacolo di ieri, ma sono certo che in quest'occasione rivelerai le tue capacità. Oppure preferisci che sia la tua amica a combattere contro la nostra Zahra? -
Nemeria strabuzzò gli occhi. No, non potevano dire sul serio, non avrebbero davvero mandato Kimiya lì in mezzo. Non sapeva combattere, era totalmente inerme, indifesa, eppure c'era qualcosa nella loro espressione che le fece accapponare la pelle. Lasciò la mano della sua amica e l'abbracciò forte, più forte che poteva, sperando che si riscuotesse, che riacquistasse la voce, ma non accadde nulla.
- Ti proteggerò io. Te lo prometto. - le sussurrò a fil di voce nell'orecchio.
- Che scena commovente... da vera tragedia! - Abayomi finse di tergersi le lacrime e una decina di uomini scoppiarono a ridere, - Sei un'attrice nata, fiammella. Ho scoperto la tua vera vocazione portandoti qui, che poi non mi si dica che non ho occhio. Quello sguardo conservalo fino alla fine dello scontro: il nostro pubblico preferisce l'odio alle lacrime da femminuccia. -
Un coro di assenso si levò dagli astanti e si evolse in un vociare sempre più concitato.
- Guardali, li hai conquistati. Sarebbe da maleducati farli aspettare. -
Zahra fu la prima a scendere in campo e attese che la sua avversaria la seguisse. Nemeria indugiò, si prese un paio di secondi per racimolare il coraggio che le serviva per mettere in moto il corpo e valicare la linea rossa. Mentre la folla si accalcava intorno a loro, l'arbitro, lo stesso della sera precedente, diede il via.
- Non aspettavo altro. - sibilò eccitata Zahra.
La sua pelle si ritirò dalle braccia e da buona parte del viso, lasciando in vista lo strato di roccia sottostante. Le labbra divennero per metà un grumo di sassolini compatti, mentre i capelli assunsero un'intensa sfumatura verdastra. Le fasce che le avvolgevano le mani e i piedi si allargarono, tendendosi sulla sua nuova corazza.
- Il'ya ha fatto un ottimo lavoro, tanto che quasi, e dico quasi, mi dispiace doverti picchiare anche oggi. - scoppiò a ridere alle sue stesse parole, - Vediamo se riesci a resistere un po' di più. -
Portò i pugni al petto, si abbassò sulle ginocchia e scattò verso di lei. Nemeria provò a schivarla, ma il suo corpo provato era lento, non rispondeva come avrebbe voluto. Il pugno la raggiunse alla bocca dello stomaco, la piegò in due e le fece sputare tutta l'aria che aveva nei polmoni. Non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi. Zahra le diede una ginocchiata dritta in faccia. Il naso si spezzò e il labbro si spaccò. Il dolore era così lancinante che le gambe le cedettero di schianto.
- Alzati o ti faccio alzare io a calci. - ringhiò.
Con un rantolo, Nemeria rotolò di fianco e si mise supina per riprendere fiato. Cercò Kimiya tra la folla. Era in seconda fila, tra Ana e Omeed, e fissava il vuoto senza accorgersi di niente.
- Ti do tre secondi per rimetterti in piedi. Uno... -
Nemeria si girò di nuovo, aprì le mani e si mise a gattoni. Il sangue gocciolava sul pavimento del palco, il suono cupo di un orologio fuori tempo.
- Due... -
Le urla divennero più forti, rimbalzavano sulle pareti e si autoalimentavano come le fiamme di un incendio. Nemeria sputò un grumo di saliva rossa e traballando si riportò in posizione eretta. Uno scroscio di applausi e fischi delusi fece tremare l'aria.
- Sai, quando verranno i tuoi amichetti, potrei prenderli tutti e buttarli qui dentro, dal primo all'ultimo. Li spezzerò come erba secca e comincerò proprio dalla tua amica imbambolata. - sibilò cattiva Zahra.
- Quando Dariush arriverà, darà al tuo capo le informazioni che vuole e ce ne andremo. - replicò Nemeria, convinta.
Indietreggiò e prese a spostarsi di lato, dapprima a sinistra, poi a destra, cercando di confonderla, gli occhi sempre attenti alla linea di demarcazione del campo.
- È evidente che hai dimenticato chi comanda qui. -
Zahra le balzò addosso, la gamba già alzata per colpirle l'avambraccio. Nemeria attese e si scostò all'ultimo, più un saltello che una vera schivata. Il piede fendette l'aria, colpendo il vuoto.
- Oh, la nostra topolina si è svegliata? -
Nemeria mirò al viso, alla parte non indurita dalla roccia. Si aspettava che Zahra lo evitasse, ma lei l'afferrò per il polso, un movimento così rapido che a malapena lo registrò. Non capì cosa successe in seguito, come riuscì a prenderla per le spalle e a sollevarla come se non avesse peso. Sentì solo il dolore che la investì quando impattò con violenza sul pavimento e l'omero uscì fuori asse.
- Questa l'ho imparata dalla vostra cagna Tian, quella con i capelli rossi. Spero che venga anche lei, stasera. -
Il pubblico inneggiava il suo nome, l'acclamava sempre più infervorato. Nemeria non lo udiva, avvolta nel suo sudario di dolore, incapace di fermare le lacrime. Erano salate, con un nauseante retrogusto ferroso.
- Sarà delizioso rompere le ossa a tutti i tuoi amici. - continuò Zahra, la sovrastò a carponi e le leccò le guance, gli occhi socchiusi e un'espressione estatica sulla bocca, - Fremo all'idea di farli a pezzi, di assaporare il loro sangue. La carne di topo l'ho sempre trovata squisita... -
L'immagine di quello che sarebbe accaduto le si dipinse davanti agli occhi con una nitidezza dolorosa: Noriko e Dariush a terra, in una pozza di sangue, e poco distanti Altea e Hirad con i volti tumefatti, che raschiavano il pavimento con le unghie rotte nel tentativo di trascinarsi fuori dal campo.
Una rabbia forte, incontrollata, le montò dentro.
- Io sono il fuoco. - bisbigliò a denti stretti.
Nemeria l'afferrò per la nuca e le diede una testata più forte che poteva. Zahra perse la presa e si alzò barcollando.
La folla tacque un istante e poi esplose in grida di incoraggiamento.
- Sangue, sangue, sangue! -
Nemeria si alzò e la caricò, sbattendola sul pavimento con tutto il suo peso. Zahra non ebbe il tempo di opporsi, il sangue che usciva dal naso rotto imbrattandole le labbra e il mento. La fissò stralunata, senza capacitarsi di come avesse fatto a finire e terra, ma lo stupore durò poco. Parò il primo pugno e le stritolò la mano fino a farle scricchiolare le nocche, per poi scansarlo quel che bastava per colpirla ancora, sotto lo sterno. Nemeria incassò. Le mancò il respiro per un attimo. Quando si riprese, le artigliò la faccia.
In quel momento, la voce dell'elementale le invase il cervello.
Lascialo fluire.
Il potere si concentrò nelle sue mani e le rese incandescenti. Le urla di Zahra riecheggiarono in tutta la cisterna, assieme a quelle d'esaltazione del pubblico, che ora tifava per lei e batteva le mani e i piedi a terra a ritmo.
- Vai così! -
- Fiamme, vogliamo le fiamme! -
- Bruciala! -
Sii il fuoco.
Zahra si dimenava sotto di lei, scalciava, raspava il pavimento con i piedi, le dita serrate attorno ai polsi di Nemeria per cercare di scollarsela di dosso. La pelle rocciosa era arrossata, cosparsa di bolle che scoppiavano lasciando esposta la carne viva. Assestò un pugno alla cieca, che sbalzò Nemeria all'indietro. Quest'ultima vide l'avversaria rialzarsi, il viso contratto in un'espressione folle, la pietra che andava a ricoprire le ferite con un nuovo strato e rinforzava il resto del corpo. I vestiti, i pochi che aveva indosso, si ruppero, incapaci di contenere l'armatura di roccia sottostante.
- Ti ammazzo! - sbraitò fuori di sé.
Nemeria era pronta. La pietra di luna bruciava sul suo petto, più caldo della sua stessa pelle, ma non le importava. C'erano solo lei e Zahra, nulla contava più. Aprì le braccia, invitandola a farsi avanti, mentre le fiamme che fino a quel momento avevano serpeggiato nelle vene si materializzarono sui suoi palmi.
Zahra lanciò un urlo carico di rabbia e le si gettò contro correndo. I suoi passi pesanti fecero tremare l'intera cisterna, crepando il palco come se fosse stato fatto di vetro. Nemeria attese che fosse abbastanza vicina, il braccio sano già proteso in avanti. Una fiammata, simile al soffio di un drago, proruppe dal suo palmo in un rombo assordante e si infranse contro Zahra, carbonizzò i vestiti e lambì la sua figura, senza però attecchire. Gli astanti si ritrassero, spaventati ed estasiati al tempo stesso, mentre i sassi arroventati schizzavano in giro.
Puoi fare meglio di così, Nemeria.
La bambina aggrottò le sopracciglia confusa. Non era la voce dell'elementale del fuoco, era più flautata, melodica. Scosse il capo e si concentrò. Si abbassò e prese la rincorsa, incanalando il suo potere. Lasciò che la rabbia e il desiderio di rivalsa lo nutrissero.
Zahra le sferrò un pugno, ma lei lo schivò schizzando di lato e sfruttò l'apertura nella sua guardia per colpirla alla guancia. All'impatto, come un palloncino compresso, le fiamme esplosero, avviluppandole la testa ed espandendosi fino alle spalle. Alcuni sassi si fusero, scivolarono in lacrime di lava scavando dei solchi profondi nell'armatura.
Di più, ci vuole di più.
Zahra gridò e si preparò al contrattacco. Nemeria non fece in tempo a scostarsi. Si sentì ghermire tra le sue braccia di pietra e stritolare in una morsa soffocante. Le vertebre scricchiolarono e la spina dorsale si arcuò sotto la forte pressione.
“Non... non voglio perdere...”
Con l'unico braccio libero che aveva, riprese a colpirla. Il fuoco l'avvolse ma la roccia resisté. Più andava avanti, più Zahra stringeva, le labbra arricciate in un sorriso tracotante, vittorioso. Le ossa iniziarono a scricchiolare pericolosamente, prossime alla rottura.
Controllalo, è tuo. Trattienilo e poi esplodi come una stella, Nemeria. Sii il Sole.
Nemeria non sapeva cosa pensare. La vista le si stava offuscando e il campo visivo si era riempito di puntini neri. Solo la rabbia e l'istinto sopravvivevano.
Il corpo si mosse da solo. Premette le unghie rotte nella carne e la piccola fiammella sul palmo cominciò a crescere, a crescere, sempre di più. Piccole lingue di fuoco guizzarono dalle dita schiuse. Il dolore divenne un'eco sorda, priva di importanza. Tutto il mondo scolorì davanti a quella sensazione inebriante, un fiume in piena che travolgeva e trascinava via ogni cosa. Quando sentì di non riuscire più a controllarlo, aprì la mano e colpì il braccio di Zahra. L'energia si liberò con un'esplosione tale da sbriciolare l'armatura di roccia. I pezzi schizzarono via, pietre roventi che si conficcarono nei muri, sui pilastri, nella carne viva. Zahra emise un urlo disperato e Nemeria colse l'occasione per artigliare ancora il braccio indifeso dell'avversaria. L'odore di carne bruciata si diffuse nell'ambiente e saturò l'aria afosa, già irrespirabile.
Zahra la spinse via e arretrò, osservando interdetta l'ustione profonda che le aveva lasciato. Digrignò i denti e le puntò addosso uno sguardo assassino. Era stanca, spossata, ogni suo respiro era un rantolo che le graffiava la gola.
Nemeria si guardò il palmo e la bruciatura che lo deturpava. Era sola ormai, ora lo capiva. Etheram non c'era più, né l'Alta Sacerdotessa, né sua madre o suo fratello. Era rimasta in compagnia dei suoi fantasmi e quella era la sua unica arma. Era brutta e bruciava, ma non aveva altro per proteggersi da Zahra e dal mondo là fuori che desiderava farla a pezzi.
Strinse il pugno e scattò, imitata dall'altra. Il destro di Zahra impattò contro le sue costole, spezzò il ghiaccio che le teneva congiunte e le mandò in frantumi. Il dolore fu così forte da accecarla per un istante.
Splendi, Nemeria, splendi. Oggi sei la stella più luminosa, sei il Sole stesso.
Nemeria appoggiò la mano sulla pancia di Zahra. Il potere esondò, un torrente violento di rabbia e disperazione esplose in un'onda d'urto che la sbalzò via, riempiendo l'aria di fumo e schegge. Nemeria rotolò lontano, si scorticò i gomiti e le ginocchia, per poi ricadere a faccia in giù. La linea del campo era davanti ai suoi occhi a un pollice di distanza. Intorno a lei solo silenzio.
L'arbitro si fece avanti, seguito da un Dominatore dell'aria che creò una brezza sufficiente a spostare la cortina di fumo. Nemeria si riempì i polmoni di quell'aria fresca: non sentiva più i muscoli della bocca, la spalla pulsava, le costole dolevano e il sangue raggrumato nelle narici le rendevano difficile respirare, ma la carezza di quel refolo sulla pelle escoriata le diede sollievo.
Un'ombra si allungò sopra di lei. Nemeria ridusse gli occhi a fessure per mettere a fuoco.
- È viva. - confermò l'arbitro, rispondendo a una domanda che lei non aveva sentito.
Poi si allontanò verso un punto al di fuori del suo campo visivo e per un po' nessuno fiatò.
A Nemeria girava la testa, la vista era sempre più offuscata. Quando qualcuno la issò da sotto le ascelle e la costrinse in piedi non oppose alcuna resistenza.
- La vincitrice dello scontro è la Dominatrice del fuoco! -
Quella fu l'ultima cosa che udì, prima che la spossatezza la precipitasse nell'oblio.
 

*

 
Il pubblico era ammutolito, solo un lieve chiacchiericcio animava la cisterna. Tutti gli occhi erano puntati su Nemeria, che giaceva svenuta con la testa appoggiata alla spalla dell'arbitro. Anche Noriko e gli altri, che erano giunti poco prima della fine, erano diventati delle statue di sale. Nessuno si aspettava che ce l'avrebbe fatta, tutti avevano scommesso contro di lei e tutti avevano perso.
- Cosa?! Perché? Io sono in piedi, lei è a terra! -
Zahra marciò minacciosa verso l'arbitro. Aveva metà del viso bruciata e, oltre all'ustione sul braccio, sanguinava copiosamente da diverse ferite.
Il Dominatore dell'aria si frappose tra lei e l'uomo: - Non un altro passo. -
- Altrimenti? -
- La mia decisione è insindacabile: sei caduta fuori dal palco, lei no. - sancì con sicurezza l'arbitro, - Se continuerai a mettere in discussione il mio verdetto, sarò costretto a espellere te e il tuo gruppetto dall'arena. -
Zahra aprì la bocca per ribattere, ma venne preceduta da Abayomi, che la bloccò mettendole una mano sulla spalla.
- Non vi preoccupate, la mia compagna è solo amareggiata per com'è andato a finire l'incontro. Dovete scusarla, a volte non sa tenere a bada la lingua. - disse con un sorriso forzato e lanciò a Zahra un'occhiata ammonitrice.
In seguito, Abayomi si focalizzò su Nemeria, ma prima che potesse avanzare qualsiasi richiesta, Noriko si fece avanti e oltrepassò Dariush e tutti gli altri membri della Famiglia. Il capo dei Cani la squadrò e Zahra la fissò truce. Noriko sapeva che la odiava da quando le aveva rotto i denti, tuttavia era anche altrettanto certa che non avrebbe osato attaccarla in quelle condizioni. Un po' sperava che lo facesse, ma l'Alatfal'yl non era stupida, purtroppo.
- Abayomi, dobbiamo parlare di affari. - esordì in tono piatto.
Non fece in tempo a rispondere che delle urla provenienti dalla cima della gradinata misero tutti in allerta.
- I Kalb! i Kalb ci hanno trovati! -
- Scappate! -
Prima ancora che se ne rendessero conto, un gruppo di uomini vestiti di neri e oro sciamarono all'interno della cisterna, le balestre e le spade d'oricalco che rosseggiavano alla luce tenue delle torce. In un secondo furono circondati.

Angolo Autrice:

 Buongiorno u.u rimembro che qualcuno (tipo tutti) aspettavano da un sacco questo momento, la rivincita di Nemeria. Da questo momento in poi, la storia entrerà davvero nel vivo e niente per la nostra eroina sarà più come prima. Allora, in primis mi sembra giusto avvertirvi che non pubblicherò più nulla fino al 26 settembre, questo perché la seconda parte della storia è un poco più complessa di quella che avete letto sinora e voglio prendermi del tempo per scrivere i capitoli, così da non dovervi far aspettare troppo. Quindi metterò solo qualche spoiler sulla mia pagina Hime -chan, dove a breve pubblicherò anche le schede dei personaggi: essendo una storia che ne ha molti, credo sia d'uopo farne alcune, almeno dei personaggi principali. Altra cosa, non meno importante, il titolo della storia cambierà: non sarà più "Summer Tale" che, invece, diventerà il sottotitolo, bensì "Fighting Fire", questo perché all'inizio, quando ho cominciato a scrivere questa storia doveva essere un racconto relativamente breve incentrato per lo più sulla stagione dell'estate, intesa come periodo caldo, pieno di possibilità ecc... come sempre accade, il tutto si è trasformato in una cosa molto grande e ampia XD Quindi, da quando comincierò di nuovo a pubblicare, il titolo cambierà e Summer Tale diventerà il sottotitolo. In ultima istanza... vi ringrazio per il sostegno che mi avete dato sino ad oggi: davvero, se non ci foste voi, lettori e recensori, credo che sarei una scrittrice estremamente depressa XD Quindi non posso che ringraziarvi e promettervi che, quando tornerò, avrete un bel po' di bei capitoli da leggere. Se vi interessa e/o avete nostalgia delle belle esperienze che faccio passare ai personaggi, sulla mia pagina autore trovate un po' di storie già concluse con cui intrattenervi. Se avete voglia di dirmi cosa ne pensate anche lì, ne sarei felicissima u.u Dunque, ora vi lascio e ci si rivede dopo l'estate ** Un bacione
Hime

 

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Capitolo 11
*** Schiava ***


Fuoco 2

11

Schiava

"Spesso è più sicuro essere in catene che liberi."
Franz Kafka

Dormire in un vero letto dopo così tanto tempo era un'esperienza quasi mistica per Nemeria. Quando aveva aperto gli occhi poi, aveva dovuto tirarsi un pizzicotto sulla guancia per essere sicura di non stare sognando. Aveva anche provato a toccare le lenzuola con entrambe le braccia, ma la sinistra non si era mossa dal suo petto: era stata steccata e una fasciatura molto stretta le impediva anche solo di spostarla. In realtà, come si era resa conto un istante più tardi, non era l'unica cosa che faceva fatica a muovere. Tutto il suo corpo era un livido, pieno di tagli e bruciature.
Sbatté un paio di volte le palpebre e, come se non avessero atteso altro, i ricordi del combattimento nell'arena si riassemblarono, assieme alla consapevolezza di aver attinto, per la seconda volta, al potere dell'aria. L'elementale aveva una bella voce, più acuta rispetto a quella dell'elementale del fuoco, come di una giovane fanciulla, non più bambina ma non ancora donna.
- Grazie. - sussurrò, sperando che la sentisse.
Trasse un altro profondo respiro, si puntellò su un gomito e riprovò a tirarsi su. Tutti i muscoli gemettero e il dolore la fece tremare così tanto che per poco le forze non le vennero meno. Anche quando riuscì a mettersi seduta, racimolò le energie per raddrizzarsi solo dopo un lungo, sofferente minuto. Dopodiché si guardò intorno.
“Per la Madre!”
Era senza fiato. La stanza era grande, molto più grande di qualsiasi altra avesse mai visto. Sul pavimento a mosaico si svolgeva una battuta di caccia a cavallo che sembrava continuare sulle pareti e poi su, fino al soffitto, dove i commensali banchettavano con le prede catturate. Di fianco a lei, vicino alla testiera di bronzo, su una cassapanca con inserti di madreperla e pasta vitrea, erano stati appoggiati dei bracieri. Gli incensi che vi bruciavano spandevano un delicato profumo di limone e mirra che le solleticava le narici. Nemeria si allungò e lo inspirò a pieni polmoni, come la prima volta che aveva presenziato ai rituali dell'Alta Sacerdotessa. Il fumo la fece tossire e lacrimare gli occhi, costringendola a ritrarsi.
Zoppicando, sfiorò con deferenza e timore il vaso rosso poggiato sul tavolinetto vicino all'armadio. La luce biancheggiava sul legno lucido, ne delineava le teste di cavallo sui tre piedi, correndo lungo l'asse di sostegno fino al piano di marmo rosa.
“Ma dove sono finita?”
Osservò ancor più meravigliata il copriletto damascato.
Sapeva che si sarebbe dovuta preoccupare, tuttavia non poté che ammirare ciò che la circondava. Arsalan le aveva raccontato spesso di quanto alcuni mortali fossero ricchi, molto ricchi, ma solo in quel momento Nemeria prese coscienza di quanto possedessero. Estasiata da tutta quella bellezza, si era persino dimenticata di quanto fosse difficile stare in piedi.
Si appoggiò al materasso per riprendere fiato. Il dolore la pungolava dall'interno e, quando meno se lo aspettava, affondava i suoi denti velenosi nei muscoli.
“Forse dovrei tornare a letto.”
Ma il tarlo di scoprire a chi appartenesse quella casa era impossibile da ignorare. Inoltre, chiunque fosse, l'aveva portata via dall'arena, doveva quantomeno ringraziarlo.
Piegò la gamba per compiere un passo, ma si fermò col piede a mezz'aria, il cuore improvvisamente pesante. Lo sguardo vitreo di Kimiya le asciugò la bocca e soffocò l'euforia sotto le acque del dubbio: dov'era finita? Era scappata o era rimasta lì, nell'arena? Il solo pensiero che fosse ancora tra le mani di Abayomi le raggelò il sangue.
Strinse forte i denti e gli occhi e si obbligò a camminare. La porta non era altro che una semplice tenda di lino; le scivolò sulle spalle e sul viso come una carezza, quasi la volesse invitare a proseguire.
Nemeria fece un respiro profondo e, appoggiandosi al muro con l'unico braccio sano, avanzò lungo il corridoio un passo dopo l'altro. Si sforzò di aumentare l'andatura un paio di volte, ma le sue gambe protestarono e la obbligarono a rallentare. O, quando i crampi le annebbiavano la vista, la costrinsero addirittura a fermarsi. Non seppe come fece ad arrivare alla fine senza scoppiare in lacrime. Si affacciò su un altro corridoio, anch'esso dipinto di rosso, e si trascinò finché non arrivò in una nuova stanza, ancora più grande della sua. Sul tavolo centrale, attorniato da cinque letti con le testiere istoriate d'argento e avorio, era stata adagiata una ciotola di bronzo con fichi, datteri, pesche e mele, mentre in un'altra, molto più piccola e anonima, delle olive nere. Quando Nemeria si avvicinò, scoprì che sotto il panno bianco c'era anche un piatto con diverse pagnotte. A quella vista, il suo stomaco emise un lungo e sonoro brontolio.
“Da quanto tempo sono qui?”
La domanda sorse spontanea e rimase in sospeso, assieme a tutte le altre che le si affastellavano davanti agli occhi. Scosse veementemente la testa e si dovette appoggiare al tavolo per non cadere. Prima che ginocchia le cedessero, si diede la spinta per andarsi a sedere su uno dei letti. Il materasso scricchiolò e la bambina sprofondò, finendo quasi per cadere dall'altra parte. Quando riuscì a rimettere i piedi a terra, si accorse di stare girando scalza. La pelle sulla pianta era ruvida, screpolata lungo tutto il tallone e dura al centro. Non si era mai resa conto di quanto si fossero rovinati fino a quel momento. Nel tempo passato con la Famiglia non aveva più fatto caso a tante cose.
“Non ci pensare, non ora.”
Lasciò le gambe a penzoloni per un momento, prima di saltare di nuovo giù e avvicinarsi al tavolo. Prese una panetto con semi di papavero, finocchio e sedano, li infilò nelle tasche della tunica e poi prese due manciate di datteri.
“Sono sicura che anche lei avrà fame.”
Lo stomaco gorgogliò ancora. Nemeria analizzò i frutti rimasti e prese la mela più rossa di tutte. Quando l'addentò, il sapore dolce della polpa le esplose in bocca. Era così tanto che non ne mangiava una che si era dimenticava che gusto avesse.
- Sì, non potrà non piacerle. - mugolò tra sé e sé, - Anzi, quasi quasi gliene porto una. -
Tastò quelle rimaste come aveva visto fare ai fruttivendoli del Quartiere del Legno e alla fine optò per una pesca. Non era molto grande, ma la buccia era morbida e profumatissima.
Con le mani appiccicose e il succo ancora fresco sulle labbra tornò a guardarsi intorno. A parte quegli strani letti – ma se era una sala da pranzo, perché i commensali avrebbero dovuto dormirci? – c'erano altri due tavolini tondi di bronzo, tutti con le zampe lavorate a forma di testa di leoni; infine notò diverse sedie, alcune con lo schienale, altre senza, altre ancora ne avevano uno lungo e poco più sotto della metà spuntavano i braccioli.
Nemeria si diresse verso la porticina socchiusa e sbirciò all'interno. Rimase sorpresa e delusa nell'appurare che la cucina era un ambiente piccolo rispetto alla sala, con diversi treppiedi sopra un bancone sporco di carbone. Sotto il piano di laterizio si aprivano delle arcate in cui erano state riposte fascine, paglia e qualche ciocco di legno. Il cuoco non si vedeva da nessuna parte. Compì un cauto passo all'interno.
- Kimiya? - chiamò a bassa voce, - Kimiya, sei qui? -
Sondò l'ambiente circospetta e attese un momento. Si aspettava di veder sbucare la testa arruffata della sua amica da sotto la tovaglia. Si batté una mano sulla fronte quando le tornò in mente che anche se avesse urlato il suo nome, Kimiya non avrebbe potuto sentirla.
Si avvicinò al tavolo e con un gemito dolorante tirò su il lembo. A parte un po' di farina e qualche briciola di pane, non c'era nessuno. Si morse le labbra e uscì quanto più in fretta poté. Si diresse verso la tenda in fondo alla stanza. Un venticello tiepido del tardo pomeriggio le soffiò sul viso e le asciugò il sudore sulle gambe e sul collo. La luce aranciata del sole sfumava nelle gradazioni del giallo per poi incupirsi in un rosso purpureo, che imbruniva nel viola del crepuscolo. Dalla sua prospettiva, Nemeria riuscì a scorgere anche le prime stelle. Inspirò a pieni polmoni l'aria fresca e avanzò fino alla vasca al centro. Il vento increspava la superficie dell'acqua illuminata dall'apertura sul tetto, sospingeva le foglioline contro le sponde come barchette alla deriva. Le fauci spalancate dei lupi sui doccioni parevano fissarla con i loro occhi inanimati, freddi, feroci, così realistici da farla indietreggiare. Si fermò solo quando andò a sbattere contro il pozzo alle sue spalle. Sussultò e tese le orecchie. Silenzio, solo il sibilo del vento e le ombre sempre più lunghe della sera.
Strinse la pietra di luna perché le infondesse un po' di coraggio. Trattenne il fiato quando con la punta delle dita sfiorò un collare di cuoio. Si trascinò fino al bordo della vasca e si inginocchiò. Il suo riflesso le rimandò una bambina spaventata, vestita con una tunica bianca, stretta in vita da una cintura. Abiti nuovi, leggeri, puliti, come quelli che indossava quando viveva nella tribù. Avrebbe potuto pensare di essere libera, se non avesse avuto quel pezzo di cuoio placcato con un metallo rossastro, simile al rame. Un pizzicore le intorpidì le dita quando ve le passò sopra, lo stesso che le trasmise la fibbia.
“Basterà scioglierlo.”
Non aveva mai usato il fuoco in quel modo, non era nemmeno sicura di poter sprigionare il calore sufficiente senza bruciarsi. Chiuse gli occhi e trasse un lieve respiro, prima di fissare la sua attenzione sulle pareti. Una volta Etheram le aveva detto che anche l'ambiente era importante per concentrarsi, e che il silenzio, a volte, poteva essere più rumoroso di una stanza piena di gente.
- Ci sono due modi di guardare il mondo, Nemeria: puoi osservarlo da lontano e coglierlo nella sua armoniosa interezza, oppure avvicinarti e lasciarti catturare dalle minuzie più pregevoli. Non c'è un metodo più giusto dell'altro, è la situazione e il tuo stato d'animo a decretare se è meglio rimirare un paesaggio mentre cavalchi o quando bivacchi. Lo stesso discorso si può applicare al metodo con cui attingi potere dagli elementali: puoi protendere la mano e rimanere distante, così come puoi avvinarti e immergerti in loro. -
Nemeria puntò lo sguardo sui monti che affrescavano le pareti. Le vette si innalzavano verso il cielo, sconfinando nelle nuvole bianche, dipinte tamponando il pennello con tocchi rapidi. Un branco di lupi correva nella foresta come un'unica entità, si avventava sulla cerva in fuga con ferocia, la braccava tra gli olmi e gli ontani imbiancati di neve finché il capobranco non la atterrava. Era una scena cruenta che, come quella nella sua stanza, continuava su tutte e quattro le pareti. Nemeria seguì i predatori senza riuscire a rivolgere la sua attenzione altrove, attratta dalla bellezza dei colori e dal realismo con cui erano stati riprodotti. Socchiuse le palpebre e si concentrò sul naso, biancheggiato attorno alle narici per rendere il sudore, poi sulle orecchie abbassate, parallele alla testa, e sulle zampe che sfregiavano lo strato spesso di neve.
La pietra di luna le trasmise un pallido calore.
Contemplò la cerva... no, il giovane cervo, poiché il pittore aveva tratteggiato un accenno di corna, e osservò il manto lucido e le zampe chiazzate di rosso. Nemeria immaginò che fosse rimasto ferito o che fosse l'unico sopravvissuto della sua famiglia. Come lei.
Strinse di più il ciondolo e abbassò le palpebre. Poteva sentirlo, il soffio del vento, quello che sferzava il paesaggio innevato. Le si infilava tra le dita e tra le bende, come un nastro di seta appena lavato. Davanti ai suoi occhi divenne una raffica che ingrossava la fiamma, danzava con essa lasciandosi lambire dalle lingue ardenti. Allungò la mano verso il cerchio di luce, lo oltrepassò mentre il vento spirava più forte e...
La visione svanì e tutto piombò nell'oscurità.
La bambina attese un istante, quindi aprì gli occhi e si guardò attorno senza capire dove avesse sbagliato. Aveva fatto come sua sorella le aveva detto e gli elementali avevano risposto. Allora perché poi se n'erano andati quando aveva provato ad attingere al loro potere?
Venne colta da un senso di vertigine e dovette appoggiarsi alla parete per non svenire. Fissò il pavimento finché la griglia delle piastrelle non tornò a essere una sola, ferma.
Avrebbe parlato con Kimiya, forse lei poteva aiutarla. Sempre se l'avesse trovata.
Si raddrizzò e, senza staccare la mano, percorse il perimetro della stanza per vedere se ci fossero altri corridoi. Non voleva tralasciare nulla se voleva avere la certezza di trovare la sua amica. Sicuramente, appena si era svegliata, era corsa a nascondersi nel posto più buio e lontano della casa.
Il portone si aprì che non aveva ancora finito il suo giro. Nemeria si immobilizzò come un topo davanti al gatto quando vide un uomo attorniato da una ventina di servi avanzare all'interno. Era alto, svettava al di sopra di tutti gli altri di almeno una testa, i capelli brizzolati rasati ai lati e tenuti fermi con un legaccio di cuoio sulla spalla. L'aveva notata subito, Nemeria se n'era accorta dallo sguardo attento e curioso che le aveva lanciato, ma non si era avvicinato. Si era rivolto all'uomo alla sua sinistra e gli aveva fatto un cenno con la testa, abbracciando con un gesto della mano i servi che portavano ceste cariche di frutta, verdure, pane e cereali.
- Sì, mio signore. -
- Bene, muovetevi. -
Aveva una voce baritonale che risuonava chiara e forte nell'immobilità del silenzio. Il servo piegò la testa in un cenno di assenso e scattò, seguito dagli altri. Passarono accanto a Nemeria scoccandole appena un'occhiata, prima di svanire al di là della tenda. I loro passi animarono la casa e si dispersero nelle camere e nei corridoi.
- Finalmente ti sei svegliata. - disse l'uomo rimasto, non appena le fu vicino, - Noto anche che hai trovato da mangiare. Molto bene, significa che stai riprendendo le forze. -
Non era stata una sua impressione, era davvero molto alto. Indossava una tunica corta blu dalle maniche lunghe e dei calzoni morbidi infilati in stivali di pelle di montone. Da sotto le sopracciglia folte, sollevate in un cipiglio divertito, la fissavano delle iridi argentee.
- Avrai molte domande da farmi. Seguimi, andiamo nel mio studio, ti spiegherò tutto. -
Senza attendere risposta, sparì oltre la tenda. Nemeria attese un momento, poi non vedendolo riapparire lo seguì.
All'interno la casa fremeva, di nuovo viva e popolata da uomini e donne che correvano per il corridoio, portando vassoi, piatti, vivande. L'aria trepidava del rumore di stoviglie, del profumo degli aromi cosparsi sul pesce e sulla carne messa a cuocere. I domestici la scansavano senza fermarsi, le sfrecciavano accanto o piroettavano con grazia senza che dai piatti cadesse nemmeno una goccia di sugo, un pezzetto di carota, uno spicchio di mela.
- Segui il corridoio e quando vedi la grande tenda rossa, aprila. Il padrone ti aspetta lì. Non puoi sbagliare, è la tenda più grande di tutte! - la informò un giovane servo con un accenno di barba, vedendola persa in mezzo al corridoio.
Nemeria annuì, sebbene non fosse proprio certa di aver capito. Ripercorse la strada che aveva fatto precedentemente, stando bene attenta a non urtare nessuno, anche se le sembrava che quegli uomini fossero abituati ad avere gente tra i piedi.
- Ragazzino, di là. -
Senza troppe cerimonie, una ragazza le mise le mani sulle spalle e la girò. I ricci le incorniciavano il viso paffuto, non ancora adulto, e solleticavano le spalle e il collo sottile. Nemeria non ebbe il tempo di puntualizzare di essere una femmina, figurarsi opporre resistenza mentre la serva la trascinava lungo il corridoio, svoltava a sinistra e la sospingeva verso la tenda che copriva l'interna parete. Anzi, era essa stessa la parete.
- Ricordatelo la prossima volta, al padrone non piace aspettare. - la redarguì con un sorriso bonario, - Ora va', non star qui a fissarmi come un baccalà. -
- Non devo aspettare che mi chiami? -
- Lui cosa ti ha ordinato? -
Nemeria ripeté quello che le aveva detto.
- E allora fai così. Il padrone è sempre molto chiaro: se ti dice che vuole che lo segui nel suo studio, significa che lo devi seguire nel suo studio. Semplice, no? -
A lei non sembrava così, ma decise comunque di annuire per non fare la figura della stupida. La ragazza le batté una pacca sulla spalla, ignorando l'occhiata di rimprovero di una donna più anziana che passava nel corridoio.
- Bahar, scansafatiche, non perdere tempo e vienimi a dare una mano con la cottura del maiale. -
- Arrivo, arrivo! -
Nel suo tono c'era un che di esasperato che strappò un sorriso a Nemeria.
- Me la cavo da sola, ora. - si sentì in dovere di dire.
La serva annuì. Si era già girata per andarsene quando tornò a guardarla, stavolta con maggior interesse.
- Ma i tuoi occhi... -
- Bahar, che la peste ti colga se non ti muovi adesso! -
Quell'ultima esortazione bastò per smorzare qualsiasi curiosità. La ragazza le lanciò un'ultima occhiata curiosa prima di correre via come se avesse la morte alle calcagna.
Nemeria la seguì con lo sguardo finché non sparì dietro l'angolo, poi tornò a fissare la tenda. Si sentiva come un agnello che stava per andare di sua spontanea volontà nella tana del leone, ma non aveva scelta.
“Sorella, dammi la forza.”
Strinse nel pugno la pietra di luna e trasse un profondo respiro, prima di scostare la tenda.
Venne accolta in un ambiente piccolo, intimo. Gli angoli delle pareti erano foggiati a pilastri e sembravano sorreggere le statue dipinte. Libri e tomi più o meno spessi e polverosi erano stati ordinatamente impilati sugli scaffali delle diverse librerie che quasi toccavano il soffitto. Diverse sedie attorniavano il grande e tornito tavolo centrale, anch'esso gremito di pergamene, tavolette di cera, calamai e stili di legno.
L'uomo alto, il padrone, era seduto dalla parte opposta e non sembrava essersi accorto di lei. Nemeria attese in piedi finché le gambe non ripresero a tremare e le imposero di sedersi su una delle sedie. Non sapeva come comportarsi. Il padrone di casa continuava a scrivere, incurante della sua presenza, inspirando di tanto in tanto dalla lunga pipa bianca, che riponeva su un sostegno di legno a portata di mano dopo ogni boccata.
Doveva chiamarlo oppure doveva attendere che fosse lui a darle il permesso di parlare? Aveva fatto bene a sedersi oppure si doveva aspettare un rimprovero per la sua poca resistenza?
“Mi fa male dappertutto.” si scusò, in un dialogo immaginario. Le gambe soprattutto, non riusciva a stare troppo a lungo in piedi.
Il suo stomaco protestò, un basso gorgoglio che la fece trasalire. Si mise una mano sulla pancia e provò a non pensare al profumo di carne che filtrava attraverso la tenda, alla consistenza che doveva avere sotto i denti quando la si masticava. Un altro borbottio risuonò nella sala.
- Se hai fame, mangia. È ora di cena e tu sei in via di guarigione, è normale che il tuo corpo pretenda più attenzioni del solito. - esordì a quel punto l'uomo, mentre due nuvolette di fumo si librarono dalle sue labbra nell'aria, sprigionando un profumo dolciastro di resina, - Cosa hai lì? -
Nemeria svuotò le tasche. Alla vista della frutta, il suo stomaco borbottò ancora, con più veemenza. L'uomo abbozzò un mezzo sorriso, prese un dattero da un piattino di terracotta, tolse il nocciolo prima di metterlo in bocca e lanciò un'occhiata alla bambina, spingendo appena il piatto nella sua direzione.
- Davvero buoni, domani devo dire a Farshad di comprarne altri. - ne afferrò un altro e fece altrettanto, - Mangia, mangia, abbiamo tempo prima che la cena venga servita. -
Nemeria non se lo fece ripetere due volte. Si impadronì di tre datteri e li infilò tutti insieme in bocca. Poco ci mancò che si strozzasse nella foga, ma era così affamata che subito ne ingoiò un altro, assieme alla buccia e al nocciolo.
- Come vi... -
- Puoi darmi del tu quando siamo da soli. -
Nemeria deglutì l'ultimo boccone e tossì per darsi un contegno. Fissò con desiderio la mela, ma represse l'istinto di azzannare anche quella, e nascose le dita dietro la piega del ginocchio.
- Qual è il tuo nome? -
- Tyrron. - il sorriso si allargò e le labbra si assottigliarono fino quasi a sparire, - A giudicare dalla tua faccia, qualche voce su di me ti è giunta. -
Nemeria annuì e poi si affrettò a scuotere la testa.
- No, non so granché. Solo il nome non mi è nuovo. -
Lui annuì. Da vicino, la sua pupilla era poco più che una fessura slargata, contornata da un alone giallo dorato.
“Tyrron Occhi di Lince.”
- Cosa ne sarà di me? -
- Diventerai una mia gladiatrice. -
Il cuore inciampò nel petto e le parole rimasero impigliate tra i denti come pesci in una rete. Si rese conto di aver trattenuto il respiro solo quando i contorni divennero sfocati.
- Morirò? -
Tyrron appoggiò il mento sulle mani intrecciate, inclinando la testa a destra e a sinistra. La coda ondeggiava a ogni movimento, frusciando sulla veste. Nemeria sostenne il suo sguardo come poteva, respirando il più piano possibile: sperava che se avesse mantenuto la concentrazione su quei movimenti, lui non si sarebbe accorto di quanto avesse paura.
- Dipenderà dalle tue abilità. Di solito i gladiatori non vengono uccisi, sarebbe un enorme spreco di denaro e risorse. Se ricevono ferite mortali, i guaritori fanno l'impossibile per salvarli. - si esibì in un ghigno stiracchiato, - Se quello che mi chiedi è se voglio mandarti a morire, la risposta è negativa, ma non vedo il futuro, non ti posso dare alcuna garanzia che qualcuno non tenterà di ammazzarti. -
Nemeria deglutì a vuoto. Aveva la gola secca e la lingua si era improvvisamente atrofizzata.
- Ci... - strinse il ginocchio, - ci andrò subito? -
- No, ovviamente. Prima ti dovrai riprendere. -
- E dopo? -
- Dopo verrai sottoposta a una valutazione fisica e magica dai miei allenatori. Saranno loro a decidere come indirizzarti, verso quale stile di combattimento. -
- Sarò mai... libera? -
Nemeria pose quell'ultima domanda in un sussurro. Tirò su col naso e si strofinò gli occhi, i denti piantati nelle labbra e lo stomaco contratto. Aveva ancora molte, tante, troppe questioni aperte, eppure in quel momento erano scolorite, insignificanti.
- Anche in questo caso, dipende da te. Ho speso molti soldi per comprarti. -
Srotolò una pergamena e gliela mise sotto il naso. Nemeria lesse i termini del contratto senza capire davvero ciò che c'era scritto. Parole come “vendita”, “proprietà”e “riscatto” erano incomprensibili.
- Sai leggere? -
Il cervello di Nemeria non sapeva più nemmeno elaborare un pensiero logico. Annuì con poca convinzione e Tyrron dovette interpretare quel suo tentennamento come una dimostrazione d'ignoranza.
- Mi sei costata duemiladuecentocinquanta shekel. - incrociò il suo sguardo, - Sai quanti sono? -
“Troppo.”
- Sì, ora sì. -
- Quando riuscirai a ripagarmi, riavrai la tua libertà. - avvolse un nastro attorno alla pergamena e la andò a sistemare su uno degli scaffali, - Se hai finito, desidero farti io alcune domande. -
Lo sguardo che aveva, simile alla lama di un pugnale, bastò a inchiodarle la lingua al palato e a pietrificarla. Sentiva freddo, un freddo che germogliava dalla paura dell'ignoto e della morte e dalla certezza di non poter avere segreti con quell'uomo: avrebbe annusato la bugia dopo le prime sillabe.
- Mi piacerebbe sapere il tuo nome, prima d'ogni cosa. - riprese posto e si protese verso di lei, - Non mi piace condurre una conversazione senza sapere a chi mi sto rivolgendo. -
- Nemeria. - esalò flebilmente.
- Bene, Nemeria. Come ti ho detto, sarai una mia gladiatrice. Lavorerai per me. I miei allenatori provvederanno a renderti una guerriera capace di far divertire il pubblico. Se sarai brava, riuscirai a racimolare abbastanza shekel da pagarti la libertà. Nel frattempo, verrai alloggiata in una stanza nel dormitorio della scuola. Condividerai la camera con un'altra ragazza che ho acquistato assieme a te. Lì sarà la tua vita, d'ora in avanti. Visto quanto ho dovuto sborsare per averti, mi aspetto che tu non mi deluda, se non altro se ci tieni a non essere più una schiava. -
Schiava. Quella parola la colpì come uno schiaffo e le trafisse la pancia, attaccandola allo sedia. Meno di un animale, meno di un oggetto, meno di nulla: aveva perso il diritto di definirsi un essere umano. Una lacrima le sfuggì dalle ciglia prima che Nemeria riuscisse ad asciugarla.
- Non piangere, non ne vale la pena. Lì fuori saresti morta prima o poi, uccisa da un'infezione o da una mela andata a male. Qui verrai nutrita, curata e avrai un tetto sopra la testa, e in cambio ti verrà solo richiesto di far divertire il tuo pubblico, il tuo cliente più pretenzioso e indulgente di tutti. Non so cosa ti abbiano raccontato, ma ti posso assicurare che ben presto comincerai a pensare d'essere stata fortunata a finire qui. - fece un tiro dalla pipa e trattenne il fumo in bocca prima di soffiarlo fuori in un filo sottile, - Ci sono poche regole, ma ce n'è una in particolare che pretendo venga rispettata: non provare a fuggire. La scuola è sorvegliata e anche volendo usare il tuo potere, il collare non è l'unica cosa placcata in oricalco. Non ti sto minacciando, Nemeria, ma ti prometto che se mai tenterai la fuga, le ossa rotte e le bruciature ti sembreranno dei fastidi a confronto di quello che patirai. -
L'occhiata che le scoccò la fece rabbrividire. Più delle parole, erano quegli occhi taglienti a gelarle l'anima.
- Hai capito, Nemeria? -
- S-sì, ho capito. -
- Ottimo. - l'uomo ripose la pipa sul sostegno e si portò alla bocca l'ultimo dattero, - Per il resto, puoi fare quello che più desideri. Più avanti potrai anche uscire dalla scuola, ma fino a quando non sarò certo che non dovrò mobilitare i Kalb per venirti a stanare, non posso permettermi di rischiare. -
Nemeria annuì. La testa si era svuotata, la sentiva leggera, piena d'aria, con le domande tutte compresse contro la scatola cranica. Il collare, ora, le pesava come se fosse stato di piombo. Era la catena che la vincolava a quell'uomo, a Tyrron; il nodo scorsoio da cui penzolava la sua dignità.
- Se non hai altro da chiedermi, puoi tornare nelle tue stanze fino a quando non sarà pronta la cena. Il guaritore afferma che per il momento è meglio tenerti sotto controllo e io concordo con lui. - concluse e le fece un lieve cenno della mano, - Ho delle faccende burocratiche particolarmente noiose di cui mi devo occupare, puoi andare. -
Nemeria non attendeva altro. Scese dalla sedia, chinò il capo e si trascinò in camera sua. L'odore del cibo le stuzzicava le narici, ma lo stomaco era chiuso in una morsa gelida, così stretta da darle l'impressione che avrebbe potuto vomitare da un momento all'altro. Deglutì il gusto acido della bile assieme alla tristezza, alla frustrazione, al dolore. Tra le lacrime si domandò perché non avesse chiesto che fine avessero fatto tutti gli altri, e chi fosse l'altra ragazza che aveva comprato.
“Perché ti preoccupi? Gli schiavi non hanno amici.”
Soltanto quando ebbe raggiunto la sua camera e nascosto il viso nel cuscino si concesse di piangere.

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Capitolo 12
*** Scuola ***


Fuoco 2

12

Scuola

"Il fuoco è sempre stato e, ragionevolmente, rimarrà sempre, il più terribile degli elementi."
Harry Houdini

La cena venne servita giusto un'ora dopo. Nemeria aveva ancora gli occhi umidi quando Bahar venne a chiamarla per andare a tavola. Inghiottì un gemito mentre si alzava e passò accanto alla serva, che nonostante l'occhiataccia che le aveva lanciato era rimasta sulla soglia ad aspettarla. Nemeria la superò a capo basso e fu così che si accorse dei sandali appoggiati al muro.
- Il padrone desidera che li indossi. - la informò prontamente Bahar.
“E se non volessi?”
- Hai bisogno di una mano a infilarle? Ridotto come sei non deve essere facile. -
-Faccio da sola. - borbottò stizzita.
La serva sgranò gli occhi per un istante quando finalmente capì che Nemeria non era un ragazzo, ma non commentò.
La bambina sbuffò e si sedette sul pavimento dandole le spalle. Avevano una spessa e pesante suola in cuoio e i lacci erano molti. Con il destro riuscì a destreggiarsi e a legarli attorno alla caviglia e al centro del piede, mentre con il sinistro fece un po' di fatica, il braccio stretto al petto le era d'intralcio. Poi Bahar la prese sotto le ascelle e l'aiutò a rimettersi in piedi.
- Andiamo, o il padrone se la prenderà con me. - la incitò con un colpetto sulla spalla, - Sempre dritta, segui il corridoio. -
Nemeria non voleva incontrare Tyrron, non voleva cenare assieme a lui, ma non aveva scelta: le occhiate di prima erano state sufficienti a farle capire che non avrebbe tollerato alcun capriccio. Tirò su col naso e deglutì un paio di volte, le unghie piantate nei palmi delle mani. Il calore che si irradiava dalla pietra di luna le aveva pervaso il petto e le asserragliava i polmoni in una gabbia infuocata.
Stando al quantitativo di portate che aveva visto, Nemeria rimase stupita quando si accorse che la sala da pranzo era stata apparecchiata solo per due persone. I letti erano stati spostati contro le pareti ed era stato aggiunto un altro tavolo, dove erano stati deposti diversi piatti, tutti ricchi di cibo. Nonostante i tentativi di Nemeria di non volgere lo sguardo in quella direzione, era bastato il profumo della carne speziata a risvegliare il suo appetito.
- Siediti vicino a me. - Tyrron le indicò il posto alla sua sinistra, - È compito di Adel e Imar servire gli ospiti. -
Nemeria si concesse un breve momento d'esitazione. Le sembrava di avere le ossa di piombo tanto le era difficile camminare. Quando arrivò a capo tavola, prima che lo facesse lei, Bahar scattò e le spostò la sedia per permetterle di sedersi.
- Ti faccio assaggiare un po' di tutto. - riprese Tyrron, - Sei un insetto stecco, se vuoi sopravvivere nell'arena devi mettere su un po' di peso. In questo stato, persino un bambino ti stenderebbe. -
“Come se potessi scegliere.”
Due servi fecero il loro ingresso nella sala con altre due portate. In quello più giovane Nemeria riconobbe il ragazzo che le aveva dato le indicazioni per arrivare allo studio privato. Aveva le spalle strette, la vita sottile e le orecchie leggermente appuntite appena nascoste dai riccioli. Le lanciò uno sguardo gentile accompagnato da un sorriso, prima che il suo compagno, un uomo col naso a patata e il labbro sporgente, gli ordinasse con un cenno della testa di sbrigarsi.
Nemeria si sforzava di restare calma. Il collare le sembrava più stretto, sebbene non l'avesse più toccato dopo l'episodio di qualche ora prima, e il calore liberato dalle placche di metallo passava attraverso il cuoio e le arroventava la pelle. Tyrron aveva detto che era oricalco. Il nome non le era nuovo. Frugò nella memoria, ricercando l'informazione nelle conversazioni avute con Etheram o Fakhri, ma non le venne in mente nulla di più di ciò che aveva potuto scoprire da sé: con quel metallo era stata realizzata la fibbia e le placche e, in un modo che ancora non capiva, riusciva a interferire nel suo richiamo degli elementali.
“Perché nessuno ci ha mai messo in guardia?”
La risposta emerse limpida, ancor prima che avesse tempo di arrabbiarsi: nessuno nella tribù, probabilmente, aveva mai pensato che fosse necessario informarle perché non lo sapevano. O forse, come i mortali pensavano che le Jinian fossero solo una leggenda, neanche loro non avevano mai creduto all'esistenza di un metallo con tali proprietà.
- La cena è servita. -
La voce di Tyrron la ridestò dai suoi cupi pensieri. Nemeria osservò la ciotola, appartenente allo stesso servizio di quelle in cui erano state conservate le olive, lo yogurt e diversi pezzi di verdure con vicino una frittata di patate che ancora sfrigolava. Deglutì e osservò di sfuggita come Tyrron mangiava quest'ultima, quindi la spezzettò pure lei e la immerse nella salsa. Il sapore dei cetrioli e delle carote le accarezzò la lingua e le aprì lo stomaco. Non si gettò sul piatto soltanto perché non voleva che Tyrron vedesse quanta fame avesse, da quanto non assaporava una cena vera in una vera casa.
- Hai gradito. - notò lui con un sorriso, mentre Imar portava via i piatti.
Nemeria annuì piano e tornò a fissare il tavolo. Solo allora le saltò all'occhio che, bicchieri e brocca di terracotta a parte, non c'erano posate.
Subito dopo vennero serviti con del riso affiancato da uno spezzatino con ceci speziati. A Nemeria venne l'acquolina in bocca. Lo mangiò con le mani, come faceva Tyrron, aiutandosi con il pane. Anche quando ebbe finito tutto, ripulì il piatto dagli ultimi residui di sugo. Lo avrebbe fatto con la lingua se non ci fosse stata altra gente.
Quando Adel tornò in cucina per riempire la caraffa con l'acqua, Nemeria tirò il fiato. La fame si era placata e adesso le domande affioravano in superficie, tutte ugualmente importanti, tutte che ancora pretendevano una risposta. L'incendio che avvertiva dentro di sé persisteva e crebbe finché le fiamme non avvilupparono l'immagine della Famiglia, di Kimiya e i suoi occhi vitrei. Quel ricordo fu una pioggia sulle fiamme.
- Cos'è successo nell'arena? - trovò la forza di domandare in un sussurro.
Tyrron la fissò come se gli avesse chiesto una cosa ovvia, poi però alzò le sopracciglia e si appoggiò contro lo schienale. Imar gli mise davanti delle alette di pollo con una salsa densa e rossa.
- Mi ero dimenticato che eri svenuta. Beh, non c'è molto da raccontare. Quando sei stata dichiarata vincitrice, i Kalb hanno fatto irruzione e hanno catturato quante più persone potevano, così come avevamo deciso. -
- Quindi tu sapevi cosa stava accadendo? -
- Non solo io. Purtroppo c'è una grande concorrenza nel settore, ognuno di noi lotta per accalappiarsi i gladiatori migliori. In ogni caso, io ho fatto un attimo affare. Tu e la tua amica siete degli ottimi elementi, anche se tu più di lei necessiti di essere allenata. - addentò la pelle del pollo e la strappò assieme alla carne, - Ha quasi steso due Kalb a colpi di pugni quella ragazzetta lì. È stato un acquisto imprevisto, ho sborsato più di quanto pensassi, ma non potevo farmi scappare una Dominatrice dell'aria.-
La testa di Nemeria scattò verso l'alto e lo scrutò con tanto d'occhi. Non stava parlando di Zahra, non l'avrebbe mai difesa, né tanto meno di Kimiya, Il'ya o Dariush.
Davanti alla sua espressione sorpresa, Tyrron piegò le labbra in un mezzo sorriso.
- Stai parlando di Noriko? -
- Sì, proprio lei. Una vera furia. Quando ha liberato l'elementale dell'aria si è scatenato un vero putiferio. Ci sono voluti quattro Kalb per immobilizzarla e due sono usciti dalla cisterna con un occhio nero e una mandibola slogata. - il sorriso si allargò sulle sue labbra fino a trasformarsi in una sonora risata, - Chi se lo aspettava! Due tra le Dominatrici più rare, una più strana dell'altra. Tu con i tuoi occhi e lei con quei capelli rossi, piacerete sicuramente al pubblico. -
Nemeria incassò il capo nelle spalle e si strinse un ginocchio per tenere a bada l'agitazione e il panico. Già se lo immaginava, una folla urlante stipata sugli spalti, inebriata dalla violenza e dal lezzo di sangue. Era una scena molto nitida, i colori così accesi da conferirle l'impressione di una visione. Si morse l'interno della guancia e incontrò di nuovo lo sguardo di Tyrron. Quello di lui non si era mai spostato da lei, ne aveva sentito il freddo sul collo.
- E dopo? Cosa è successo dopo? -
- Nulla di che. I Kalb hanno catturato più persone possibili e chi aveva comprato si è semplicemente limitato a prelevare la merce. - sorseggiò un bicchiere di vino fruttato, - Cosa vuoi sapere per l'esattezza? -
- I Kalb... cosa sono? E che ne è stato della... merce in più? -
Tyrron la fissò come se avesse le fosse spuntata un'altra testa. Nemeria si sforzò di non distogliere lo sguardo, sebbene l'imbarazzo per la sua ignoranza le chiazzasse le guance di rosso.
- Sono la guardia personale del governatore della città e si occupano esclusivamente di andare a stanare quelli come te. - le spiegò con calma e le lanciò un'occhiata penetrante, - Per quanto riguarda gli altri, i non-Dominatori, non so cosa sia successo. Se nessuno ha avanzato un'offerta prima della sortita, è probabile che siano finiti al mercato degli schiavi. -
- E se nessuno li compra? Cosa succede? -
Iman portò a tavola un vassoio con delle palline impilate in una piramide. Erano state spolverate con la farina di cocco ed emanavano un intenso profumo zuccherino e delicato d'acqua di rose. Tyrron ne morse uno e la frolla si sbriciolò tutta in bocca.
- C'è sempre qualcuno che vorrà un uomo per fare la spesa, pulire, cucinare, o per spedirlo di qua e di là a fare le commissioni. - sospirò, si appoggiò allo schienale e intrecciò le dita sulla pancia, - Nella maggior parte dei casi, gli uomini di Kalaspirit delegano qualsiasi impegno ai servi, se non è di primaria importanza. Per questo motivo il commercio degli schiavi va a sempre a gonfie vele. -
Nemeria trattenne il respiro: - Ricordi se tra la folla c'era una ragazza alta così, con i capelli lunghi, molto piccola e magra... -
Tyrron parve rifletterci seriamente. Prese un altro dolcetto e sospinse il vassoio verso di lei.
- No, non mi dice niente. C'era molta gente e una volta prelevate voi me ne sono andato. -
Nemeria abbassò lo sguardo. Improvvisamente i dolcetti avevano perso tutta la loro attrattiva.
- Vai a dormire, ti conviene. Hai bisogno di riposare, così le ferite si rimargineranno presto. - prese il calice e lo inclinò, facendo ondeggiare la superficie del vino, - Se hai bisogno di qualcosa, Bahar sarà subito da te. -
La ragazza in questione si staccò dal muro e le si fece vicino. Aveva le mani dietro la schiena e sorrideva tutta impettita, lo sguardo fiero di chi ha ricevuto il compito più importante della propria vita. Nemeria non comprendeva il suo entusiasmo e, sinceramente, non gliene importava un fico secco in quel momento. Perciò scivolò dalla sedia, fece un rapido inchino e si avviò verso il corridoio.
- Nemeria. - la richiamò l'uomo, un attimo prima che varcasse la porta.
La bambina si bloccò sul posto, ma rifiutò di fronteggiarlo.
- Io ti sto tendendo la mano, e ti suggerisco di fare altrettanto. Rimarrai qui per tutto il tempo che ti serve a riprenderti, ma se il curatore mi riferirà che non ci stai davvero provando, a guarire intendo, sarò io stesso a buttarti nell'arena, chiaro? -
La sua voce era dura, inflessibile, e i suoi occhi le trapassavano la nuca come spilli. Un brivido le corse lungo la spina dorsale e le accapponò la pelle.
- Farò del mio meglio. -
- Era quello che volevo sentirti dire. Ora va'. -
Nonostante il dolore alle gambe, Nemeria quasi corse fino alla sua stanza.
 
Tre settimane passarono in fretta. Ogni giorno il guaritore, un Dominatore dell'acqua giovane, con gli occhi viola e il naso largo a patata, le regalava un sorriso gentile e le domandava come si sentisse. Si chiamava Kamyar e sembrava davvero interessato a sapere se stava migliorando, se le faceva male quando usava il suo potere per rinsaldare le ossa e per rimarginare le ferite. Fu da lui che apprese di aver dormito quasi tre giorni prima di riprendere conoscenza, e che durante quel periodo lui aveva ricongiunto le ossa fissandole con del ghiaccio.
- Avevi il naso e il labbro spaccato. - le disse mentre si occupava del dolore al braccio, - Anche le costole erano messe male. È stato un miracolo che non abbiano trapassato i polmoni, altrimenti saresti morta. -
Nemeria era rimasta in silenzio fino a quando la visita non era terminata. Aveva trascorso il pomeriggio stesa sul letto a guardarsi il palmo della mano, la cicatrice dura, liscia, lucente, di colore rosso acceso. Le sarebbe rimasta per sempre, le aveva detto Kamyar, anche se lui aveva fatto di tutto per guarirla, la pelle era troppo danneggiata per ricostruirla. Nemeria si era limitata ad annuire e a far cadere il discorso.
Non parlava spesso, non ne aveva voglia. Viveva alla giornata, mantenendo per quanto possibile un basso profilo. Si alzava, mangiava, si faceva un giro della casa e poi passeggiava in giardino o si rintanava in biblioteca. Quest'ultima era stata una concessione di Tyrron, che aveva interpretato il suo silenzio come un indizio di noia.
- Ci sono molti libri illustrati, puoi sfogliarne quanti ne vuoi, basta che li rimetti a posto dopo. - le aveva detto e, subito dopo pranzo, l'aveva condotta nella stanza antistante il suo studio.
Era parecchio grande, con gli scaffali carichi di libri. Non erano impolverati, ma quando Nemeria ne aprì uno, un trattato sulla geografia della Jogaila, le pagine crepitarono, staccandosi le une dalle altre. Bahar restò con lei quando Tyrron se ne andò, ma si appisolò su una sedia con la testa appoggiata sul petto. Successe ogni pomeriggio che andarono lì e, nonostante le chiedesse di svegliarla, Nemeria non lo fece mai.
Nella solitudine della biblioteca, avvolta dal silenzio degli antichi volumi, riusciva a ritrovare se stessa e la pace che la notte le negava. Di giorno le bastava guardare il collare riflesso nello specchio perché la rabbia le montasse dentro, per poi infrangersi contro il senso di colpa e la vergogna per averla scampata ancora una volta.
Nonostante fosse una schiava, Tyrron non la trattava male, anzi, se non fosse stato per il collare, non si sarebbe sentita tale. Ma gli altri dov'erano? L'impossibilità di uscire dalla villa per raccogliere informazioni la tormentava e il dubbio le mangiava il cervello come un tarlo, instillando in lei le fantasie peggiori.
Gli incubi non arrivavano tutte le sere, ma le facevano visita abbastanza spesso da farle temere di addormentarsi. Al risveglio non ricordava cosa avesse sognato; nei suoi occhi non era impressa alcuna immagine, ma il dolore e la paura che insanguinavano le sue notti erano impresse nella pelle, in ogni livido e cicatrice in rilievo. In quei momenti, Nemeria avrebbe tanto voluto avere qualcuno al suo fianco. La consistenza morbida del materasso le ricordava che non era più nel deserto o nelle catacombe, che aveva perso un'altra famiglia. Allora si stringeva tra le braccia e si raggomitolava sotto le coperte come poteva.
Per quanto provasse a rievocare i bei ricordi, la paura strisciava nelle sue memorie e le avvelenava, uccidendo qualsiasi gioia, oscurando ogni luce. E, per quanto Nemeria facesse di tutto per non farle morire, sopraggiungeva sempre quella vocina cattiva che le soffiava all'orecchio “Non c'è più nulla che tu possa fare”. Il buio diventava una gabbia soffocante e ogni ombra, anche la più piccola, una minaccia pronta ad attaccarla non appena avesse chiuso di nuovo gli occhi. Ben presto Nemeria si rese conto di essere diventata davvero una schiava, sia dentro che fuori, prigioniera di Tyrron e della paura. E sapeva, con orribile certezza, che un giorno la luce del sole non l'avrebbe più protetta.
 
Il ventiduesimo giorno, Bahar venne a chiamarla prima del solito. Nemeria era già sveglia da un pezzo, non attendeva altro che un motivo per alzarsi.
- Ti ho portato degli abiti puliti. Vestiti in fretta, il padrone ti aspetta per fare colazione. -
Depose la kandys sul letto, era quello il nome della tunica lunga che indossava spesso Tyrron, e le porse gli endromìs. Nemeria prese i sandali e si sedette sul materasso, legando i lacci attorno al polpaccio. Il braccio era quasi del tutto andato a posto, resisteva solo un fastidioso pizzicore quando compiva dei movimenti bruschi. Kamyar aveva insistito perché tenesse la fasciatura ancora per un paio di giorni, anche se Nemeria non ne capiva il motivo: stava bene, a suo modo.
- Vieni. -
Bahar le fece un lieve cenno del capo e le rivolse un sorriso d'incoraggiamento. Era sempre allegra, troppo per i suoi gusti. La sua esuberante gentilezza le ricordava continuamente la Nemeria che era morta nell'arena.
- Qualcosa non va? -
Nemeria sbatté le palpebre e tornò in sé. Le capitava spesso di incantarsi, erano quelli i momenti in cui la paura si rannicchiava e la mente si assopiva.
- Va tutto bene. Ero solo persa nei miei pensieri. -
- L'avevo notato, sembravi un cane che fissa un osso. -
La bambina fece spallucce e si allacciò la cintura poco sotto il seno. Non le stringeva più sulle costole, non come le prime volte che l'aveva indossata. Lo specchio alla parete le rimandò il riflesso delle ginocchia ossute e della pelle tirata sui muscoli delle braccia e sugli zigomi del viso.
- Hai messo su peso, è una buona cosa. Adesso non sembri più un insetto stecco, anche se sei ancora gracilina. - commentò Bahar, - Non dartene pena: il padrone non ha mai lasciato nessuno dei suoi gladiatori a digiuno, non dovrai più patire la fame. -
“Kimiya era ancora più magra.”
A colazione venne servito yogurt e tè alla menta con alcuni piccoli spicchi di mela essicata. Nemeria spalmò un po' di formaggio di capra sul pane, il nan-e barbari, mescolato con qualche goccia di miele. Non aveva molta fame, ma Tyrron la perdeva mai di vista e lei non aveva la forza mentale per affrontare una discussione con lui.
- Preparati, oggi ti porto alla scuola. - disse l'uom facendo un lungo tiro dalla pipa e sputò il fumo dall'angolo della bocca.
Nemeria annuì e si pulì le labbra appiccicose.
- Appena finisci, vai in camera a raccogliere le tue cose. Se ti dimenticherai qualcosa, Bahar o qualcun altro te la porterà, ma cerca di prendere tutto. Nei prossimi giorni ho delle faccende da sbrigare. -
- Va bene, non ho molto da portarmi. -
“Per non dire nulla.”
Tyrron inarcò un sopracciglio, come se avesse intuito i suoi pensieri. Si umettò le labbra, trattenendo il fumo nella guancia sinistra, e la squadrò attento. Aveva le pupille leggermente dilatate e lucide e l'alone dorato che le circondava si era assottigliato fin quasi a sparire in un sottile contorno. Nemeria non sapeva cosa ci fosse nella pipa, ma intuiva dal rilassamento delle spalle a cosa serviva. Abbassò lo sguardo, focalizzandosi sulle foglioline di menta che galleggiavano nel tè.
- Vai, ti aspetto nell'atrio. -
Nemeria tornò in camera e prese la tunica che indossava quando era giunta lì, le calige, la clamide e la fibula per fissarlo. Erano stati regali di Tyrron, oggetti nuovi e senza storia.
“Potrai costruirne una tu.” si disse, ma non aveva il coraggio di crederci davvero.
Sfiorò la pietra di luna e la infilò sotto la tunica. Il contatto con la superficie fredda le procurò un brivido. Etheram era lì, la sua famiglia era lì, di tutto il suo mondo era l'unica cosa che sopravviveva. E Noriko... non sapeva se era pronta a incontrarla: non era come i fantasmi che la tormentavano ogni notte, era viva, reale, schiava. Come le avrebbe spiegato che Kimiya non era più lì con lei? Che non aveva idea di che fine avessero fatto gli altri?
“Madre, dammi la forza.”
Trasse un profondo respiro e uscì dalla stanza. Quando arrivò all'atrio, Tyrron era già lì ad attenderla con Morad, il canuto capo della servitù. Alto quasi quanto il suo padrone, lo seguiva ovunque come un'ombra e sarebbe potuto passare per un vecchio se non fosse stato per le braccia muscolose e le mani come badili. Nemeria lo aveva visto portare un quarto di bue sulle spalle senza alcuno sforzo.
Quando si fu avvicinata, Tyrron la studiò da capo a piedi. Il barbaglio della luce sulla lama di oricalco che portava al fianco le fece venire la pelle d'oca.
- Devo metterti le catene ai piedi o posso fidarmi che non scapperai? -
- Non avrei dove andare. -
Ed era la verità, fuori da lì non c'era niente per lei: la libertà non era altro che una desolante promessa di povertà e miseria.
Due servi aprirono le pesanti doppie porte e il vento le accarezzò le caviglie mentre si avvicinavano. Fuori, la casa aggettava su una strada lastricata che declinava dolcemente, per poi immettersi in un vialone che Nemeria riconobbe subito. Le fanoos erano spente a quell'ora, eppure con i loro mosaici colorati sembravano ancora conservare una fiamma al loro interno. Mentre camminavano nella strada affollata, Nemeria non faceva altro che guardarle, incurante delle persone che le passavano di fianco urtandola e dei monelli che le calpestavano i piedi. Riconobbe anche il venditore di cavalli di quella notte: richiamava i clienti a gran voce, sperticandosi in lodi sugli stalloni che, a sua detta, gli erano stati venduti da niente meno che il Rajeh in persona.
Morad scosse la testa quando tentò di trascinarlo a vedere gli esemplari più da vicino. Non che quell'ometto grassoccio potesse davvero smuoverlo.
- Quel mercante ha la bocca larga. - borbottò seccato tra sé e sé quando si allontanarono, - Quelli sono stalloni tanto quanto io sono kalaspirese. -
Tyrron rise alla battuta.
- Un po' di tempo fa aveva messo in vendita un andalo niente male. -
- Anche quello doveva essere un regalo del Rajeh, no? -
- Poco ma sicuro. -
Mentre i due parlavano, Nemeria continuava a guardare in giro, aumentando l'andatura ogni volta che rischiava di rimanere indietro. Aveva la pressante sensazione di essere osservata, un disagio pungente che le graffiava le spalle e le prudeva la nuca. Cercò tra la folla, ma in mezzo a tutte quelle persone non riusciva a distinguere le ombre.
“È una tua impressione.”
Strinse la pietra di luna attraverso la veste e puntò lo sguardo in avanti, fingendo indifferenza. Dopodiché, alcuni secondi più tardi, si voltò di colpo e con la coda dell'occhio colse il lembo di un mantello sparire in un vicolo. Il cuore le balzò in gola quando la luce del sole rimbalzò sul bianco lucido del profilo di una maschera.
“No...”
La paura scavò un buco nelle sue viscere. Affrettò il passo e affiancò Morad, le dita sempre strette attorno al ciondolo. Se avesse deciso di attaccarli, Morad era l'unico a poterla proteggere. Ma cosa avrebbe potuto un semplice essere umano contro l'uomo che aveva assassinato l'Alta Sacerdotessa?
- Sei pallida, non ti senti bene? -
Tyrron le mise una mano sulla spalla e la fermò. Un urlo di rabbia e paura le andò di traverso.
- N-no... no, sto bene. -
- Sei bianca come un cencio. - la scrutò con i suoi occhi da lince, stringendo appena la presa, - Se hai male da qualche parte, devi dirmelo. Non capiterà nulla a Kamyar, mi aveva avvertito che i dolori non sarebbero passati prima della fine del mese. -
Nemeria deglutì piano. Aveva le labbra secche, le gola riarsa e i palmi sudati. Voleva scrollarsi di dosso quella mano, strapparsi il collare e correre via, nelle catacombe, ma era paralizzata. Il veleno della paura le aveva reso i muscoli di pietra.
- Ho... ho solo paura di rivedere Noriko. - inventò sul momento, sforzandosi di mantenere lo sguardo su Tyrron. - Non vorrei che fosse gelosa perché lei è stata subito portata alla scuola, mentre io sono stata a casa vostra per tutta la convalescenza. -
L'uomo non accennava a lasciarla. La pupilla si era dilatata e Nemeria si trovò ipnotizzata a osservarle. Erano occhi magnetici, quelli, vigili e penetranti, con lo stesso riflesso della luce sugli steli d'erba nelle oasi.
- Ma lei non lo sa e... e potrebbe essere arrabbiata. - aggiunse deglutendo.
Batteva il piede sinistro, incapace di controllarsi. Ai margini del suo campo visivo, la folla si muoveva e le persone passavano loro a fianco ignorandoli, come se non esistessero. Qualcuno, da una parte, berciò che quella era una strada, che se volevano parlare, potevano farlo altrove. Bastò un'occhiata di Tyrron che nessuno osò più aprir bocca. Anche il pericolo taceva, incombendo nascosto nelle ombre immobili delle case.
- È solo questo. - pigolò con voce tremante.
L'uomo la fissò ancora un momento e poi trasse un respiro profondo.
- Se avrai problemi, non esitare a riferirmelo. Non ho intenzione di lasciarti in panchina per altro tempo, ho speso troppo per nutrirti e accudirti senza un introito. - incrociò le braccia sul petto e le fece un gesto della testa, - Cammina, non voglio arrivare in ritardo. -
Non se l'era bevuta, lo sapeva, eppure fu sufficiente che ritraesse la mano perché il cuore di Nemeria si placasse un po'. Annuì, raddrizzò le spalle e si obbligò a tenere il loro passo. Non voleva rimanere indietro, per nessuna ragione al mondo. Tutta quella gente gli era d'intralcio, il predone non le sarebbe potuto saltare addosso neanche volendo, ma bastava la certezza che la stesse seguendo per farla tremare. Lui era lì, in attesa, come la sua seconda ombra.
“Calma, devi stare calma” si disse quando il cuore rischiò di scoppiarle nel petto. Le faceva così male che i dolori alle gambe quasi non li sentiva.
Quando si fermarono, quasi le cedettero le ginocchia e dovette contrarre tutti i muscoli per mantenersi in piedi.
- Siamo arrivati. - la informò Tyrron.
A quelle parole, Nemeria si riscosse. La scuola dei gladiatori, la sua nuova prigione, era davanti a lei, una promessa di salvezza in un mare in tempesta. Oltrepassò l'ingresso in poche falcate, precedendo Tyrron, e soltanto allora poté esalare un sospiro di sollievo.
- Chiudi la bocca, altrimenti ti entrano le mosche e ti strozzi. - scherzò Morad, ma il rumore del portone che si chiudeva alle sue spalle fu l'unica cosa che Nemeria udì davvero.
L'edificio, costruito su due piani, era in laterizio e somigliava a una caserma per la sua architettura austera e, a tratti, severa. Tutte le finestre erano sbarrate e si affacciavano sul giardino circondato da un quadriportico. Le colonne erano state stuccate e, fatta eccezione per quelle centrali di ogni lato, erano dipinte alternativamente di rosso e di giallo. Una coppia di uomini duellava con delle spade corte nell'angolo sinistro, mentre altri due fronteggiavano un manichino di legno con una lancia e un tridente. Le guardie erano vicine alle pareti, sotto il quadriportico, le armi ben in vista.
- La tua amica è di là, seguimi. -
Tyrron le diede una pacca sulla schiena e Nemeria si affrettò in un corridoio laterale, un portico arioso dove il vento giocava a nascondino tra le colonne bianche per poi arrampicarsi sui muri del campo d'allenamento, fino alla cupola fenestrata. Al centro, seduta a gambe incrociate, c'era Noriko, le mani morbidamente appoggiate sulle ginocchia e gli occhi chiusi. Non appena Nemeria mise piede all'interno, sollevò le palpebre e appuntò lo sguardo su di lei.
- Ci stavi aspettando? - esordì Tyrron facendosi avanti.
Morad lo seguiva a un passo.
- Sayuri aveva accennato alla possibilità che oggi sarebbe arrivata una nuova gladiatrice. -
Noriko si alzò, ma rimase immobile senza staccare gli occhi da Nemeria. Ai polsi aveva due bracciali borchiati in oricalco.
- A proposito, dov'è quella donna? - domandò Tyrron.
- Non lo so, si è allontanata qualche minuto fa. -
L'uomo si massaggiò la radice del naso con un'espressione che Nemeria poteva solo definire esasperata.
- Padrone, credo che per quel che riguarda la preparazione fisica basti Reza. - suggerì Morad, - Io nel frattempo vado a cercare Roshanai. -
Tyrron fece un cenno d'assenso col capo, la fronte appoggiata al pugno chiuso.
- Seguimi. - sbuffò.
Nemeria si morse le labbra e abbassò il capo. Non riusciva a guardarla: Noriko era lì per causa sua, aveva perso la libertà per difenderla. Corse dietro Tyrron senza voltarsi indietro.
- Reza! Vieni qui. -
Il combattimento si fermò e il gladiatore si voltò. Era un poco più basso del suo avversario, con i muscoli in rilievo sotto la pelle ebano. I capelli arruffati coprivano la fronte alta e si appiccicavano al collo taurino, mentre gli occhi neri erano sottolineati dalle sopracciglia sottili. Scambiò un paio di battute col suo compagno d'allenamento e poi si diresse verso Tyrron. A parte dei calzoni leggeri e delle calighe, non indossava altro.
- Sì, signore? -
- Lei è il mio nuovo acquisto, una Dominatrice del fuoco. Avrei bisogno del tuo parere per una valutazione fisica. - sospinse Nemeria verso di lui, - Tu sei il Syad più anziano di tutti, mi fido del tuo giudizio. -
Reza prese a girarle intorno, studiandola con aria critica. Nemeria tenne gli occhi bassi finché lui non la costrinse ad alzare il mento: le mani erano ruvide come travertino.
- Magra, molto. - le tastò le braccia, le spalle e le gambe, - Ha le ossa sottili, si romperebbero facilmente con un colpo ben assestato. I muscoli sono poco sviluppati, eccetto quelli dei polpacci e delle cosce. Deve essere abituata a correre, oserei dire che potrebbe combattere o senza armatura o al massimo con un'armatura di cuoio leggera. - le prese le mani e le torse i polsi un paio di volte, prima per fare le stessa con le ginocchia, - Mi sembra che le articolazioni siano abbastanza elastiche per degli scatti fulminei e per disarmare l'avversario con qualche trucchetto. Non ti so dire quanto crescerà, è ancora molto giovane, ma suppongo che anche raggiungendo l'altezza di otto spanne non metterebbe su abbastanza muscoli per combattere contro gli animali a mani nude. -
- Non era mia intenzione gettarla in pasto ai leoni. È una Dominatrice del fuoco, non una semplice ragazzetta. -
Reza annuì e indietreggiò. Dal corridoio alle sue spalle fece il suo ingresso una Ver'ilef . Le tipiche orecchie simili al guscio di un paguro erano adornate con orecchini d'ossa che entravano e uscivano da una parte e dall'altra, donandole un'aria truce che si rifletteva negli occhi rossi e nel portamento minaccioso. Le pelle era squamata sulle nocche, sul collo, sui gomiti e su buona parte della guancia sinistra, macchie rosee che risaltavano ancora di più sull'incarnato altrimenti scuro. Morad la seguiva a poca distanza, un paio di passi indietro.
- Sei stata molto gentile a presentarti, Roshanai. -
La voce di Tyrron trasudava sarcasmo. La donna chinò la testa e il ciuffo le sfiorò la punta del naso.
- Perdonatemi, la mia nuova allieva è molto... ostica. -
Tyrron sollevò entrambe le sopracciglia, sorpreso.
- Mi è stata portata stamane da Tara, un'altra Dominatrice del fuoco come la vostra. -
- Quest'anno il pubblico avrà da divertirsi, allora. - sospirò e fece un cenno a Nemeria, - Reza l'ha già valutata, credi di potermi dire qualcosa di più a riguardo? -
- Farò del mio meglio. -
Non appena Tyrron toccò la fibbia, questa si aprì senza alcuna resistenza. Nemeria si tastò il collo con tutte e dieci le dita senza capire come fosse possibile. Aveva provato a levarselo almeno una decina di volte durante quei venti giorni e non c'era mai riuscita, mentre a lui era bastato sfiorarlo.
“Che razza di magia è mai questa?”
- Ragazzina, guardami. -
La Ver'ilef torreggiava su di lei, squadrandola dall'alto in basso con un'espressione sdegnata dipinta in faccia. Le prese le mani e gliele strinse, incatenando il suo sguardo a quello di Nemeria. Una fitta di dolore si irradiò dal centro della fronte, le avvolse le tempie e gli occhi e si impadronì di tutto il viso, una maschera ardente che le premeva sulla faccia e le stirava la pelle. Nemeria lasciò cadere i vestiti e provò ad allontanarsi, a distogliere lo sguardo, ma la presa di Roshanai la teneva immobilizzata sul posto e il collo non ne voleva sapere di muoversi. Gemette impotente.
“Basta...”
- Non opporre resistenza. -
La maschera divenne una lama che penetrava nella fronte. Qualcosa che i suoi occhi non vedevano stava facendo forza per entrare nella sua testa e Nemeria non sapeva come fermarla, non capiva se Tyrron si aspettava che lo facesse. Strinse le palpebre, contrasse la mascella sibilando tra i denti serrati, ma la lama era appuntita e la sua carne era una barriera debole. Quando sprofondò, il dolore esplose, tingendo la realtà di rosso.
Spingila via.
La voce dell'elementale del fuoco le riempì le orecchie.
“Non so... non so come si fa...”
La lama incontrò una resistenza, rimase incastrata per un istante e la mano che la guidava dovette estrarla appena per affondarla di nuovo, con più forza. Nemeria riversò la testa all'indietro, si dimenò, scalciò, urlò con tutte le sue forze.
Spingila via con me.
L'elementale apparve alle sue spalle, una donna dai fianchi larghi e la pelle rossa solcata da vene di lava. Le strinse le mani e gliele distese davanti al viso. Il calore che emanava era intenso e confortante come l'abbraccio di una madre.
Fallo, Nemeria. Mandala via, spingila.
Prima che la lama la trapassasse, Nemeria tirò su uno scudo di fuoco. Il metallo divenne incandescente, ma continuò a tentare di affondare, senza tuttavia passare oltre.
Più forte.
La bambina si puntò sui piedi e spinse. Le sembrava di star facendo a braccio di ferro con un ariete, ma decise di non arrendersi. Un passo, lento, faticoso, seguito da un altro. La pressione sullo scudo diminuì e la lama arretrò sempre di più.
Via!
La voce dell'elementale si fuse con i suoi pensieri liberandosi in un grido carico di rabbia.
La lama venne spinta fuori e il velo rosso si squarciò. Roshanai volò contro la colonna del quadriportico con una tale violenza da farla incrinare. Rimase per una frazione di secondo sospesa in aria, immobile, prima di scivolare a terra, disegnando una tremula scia di sangue che sgocciolava dal punto d'impatto fino alla sua testa.
Reza corse verso di lei, mentre Morad infilò il corridoio a nord. Le guardie sotto il porticato circondarono Nemeria, le lance alzate, pronte a infilzarla. Lei li fissò a sua volta con il sangue che le colava dal naso e le bagnava le labbra. Se avessero provato a toccarla, li avrebbe bruciati, tutti.
“Ma che sto pensando...?”
- Sì, sei davvero un acquisto interessante. -
Le parve di vedere Tyrron ghignare, al riparo dietro i soldati, prima che uno di essi le saltasse addosso e la immobilizzasse a terra.
 

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Capitolo 13
*** Punizione ***


Fuoco 2

13

Punizione

"Poiché la disperazione era un eccesso che non gli apparteneva, si chinò su quanto era rimasto della sua vita, e riiniziò a prendersene cura, con l’incrollabile tenacia di un giardiniere al lavoro, il mattino dopo il temporale."
Alessandro Baricco

La trascinarono in una cella buia a fredda e ce la gettarono dentro come un sacco di patate avariate. Non era sporca né umida, ma la polvere aleggiava nell'aria e le catene tintinnavano, minacciose, sopra la sua testa.
Nemeria si rannicchiò in un angolo, le gambe strette al petto e gli occhi sbarrati. Col collare di nuovo addosso, tutte le comunicazioni con l'elementale del fuoco erano state tagliate. Era di nuovo sola. Trasse un profondo respiro e incassò la testa nelle spalle, appoggiando il viso contro le ginocchia. Cos'era successo? Era stata davvero lei a far volare Roshanai contro la colonna?
“Sì, sei stata tu.”
Chiuse gli occhi e ripercorse mentalmente gli eventi. Rpshanai aveva tentato di entrare nella sua mente imponendole la propria volontà. Era un altro modo di usare la Condivisione: Etheram aveva fatto la stessa cosa quando le Anziane le avevano chiesto di controllare se anche Rakhsaan era un Dominatore. La differenza era che suo fratello era un neonato all'epoca, una vita appena venuta al mondo, senza un'identità o dei ricordi. Con lui, le aveva poi detto sua sorella, era stato come buttarsi in mare da una scogliera: l'acqua si era aperta e l'aveva avvolta, quasi non stesse attendendo altro che svelare i segreti delle sue profondità.
Un brivido le corse lunga la schiena quando la lama incandescente riprese forma davanti ai suoi occhi. Non aveva mai subito una Condivisione, almeno non consciamente, eppure, ne era certa, sapeva che non doveva essere così. Tutto quel dolore, la sensazione di venire violata nel profondo, non poteva davvero esser parte di un rito così intimo e delicato. Se non fosse stato per l'intervento dell'elementale, cosa ne sarebbe stato di lei?
“L'ho respinta, però.”
Sorrise e la tensione abbandonò appena il suo corpo. Se stringeva la mano, le pareva ancora di sentire una corda attorno all'avambraccio e le venature scabre del cuoio. Era strano pensare che uno scudo fatto di pure fiamme potesse trasmetterle delle percezioni tattili così realistiche.
“Non l'ho uccisa.”
Se lo ripeté per rinfrancarsi, anche se in cuor suo era più una speranza che una sicurezza. Roshanai aveva battuto forte la testa, il sangue che si era lasciata dietro ne era la prova, eppure Nemeria voleva credere, aveva bisogno di credere, che fosse sopravvissuta, che il desiderio di morte che l'aveva assalita quando aveva troncato il legame con Roshanai appartenesse all'elementale. Non poteva aver davvero voluto bruciarli. Rifiutava che quella volontà di distruzione facesse parte di lei. Tuttavia, per quanto negasse, quella voglia era ancora lì, appena sopita sotto la cenere, e avrebbe divorato la Dominatrice e tutto ciò che la attorniava e confinava con lei, anche la scuola intera.
L'ansia le aveva smembrato il cuore e banchettava seduta tra le sue costole. Di tanto in tanto udiva lo scalpiccio delle guardie avvicinarsi e allontanarsi, ma non riuscì a trovare mai il coraggio di alzarsi e chiedere notizie. Preferiva rimanere nell'ignoranza, ma allo stesso tempo il suo istinto di autoconservazione esigeva risposte, per poi rintanarsi in un angolo quando si prospettava l'eventualità che Roshanai fosse morta e che l'avesse uccisa lei. E, se ben ricordava le leggi dei mortali, quel poco che Arsalan si era lasciato sfuggire, il prezzo dell'omicidio era la vita dell'assassino.
Intrappolata nella cella della paura e dello sconforto, con solo il sollievo offerto dalla pietra di luna, anche le lacrime non rimasero altro che un velo umido dietro le palpebre.
“Madre... cosa sono diventata?”
La porta cigolò sui cardini non oliati e sulla soglia apparve Reza, assieme ad altri tre soldati. Nella penombra, a Nemeria sembravano tutti uguali, ognuno il gemello dell'altro.
- Alzati. -
Nemeria obbedì. I piedi le formicolavano e la gamba destra si era addormentata, ma non aveva intenzione di testare la loro pazienza.
Senza dire altro, Reza le fece cenno di seguirlo. Non appena ebbe oltrepassato la soglia, i soldati si chiusero dietro di lei, circondandola. Dritti e rigidi come pronti alla battaglia, le mani erano strette sull'impugnatura delle shamshir. La lama curva rifulgeva minacciosa e pareva che l'oricalco avesse assorbito il sangue e che questo si fosse raggrumato sotto la sua superficie.
La scortarono attraverso lo stretto corridoio dell'andata in assoluto silenzio. I pochi prigionieri nelle altre celle la guardarono appena, come se fosse più insignificante di una formica. Nemeria incrociò giusto gli occhi glauchi di una donna con una vistosa cicatrice sul viso, prima di tornare a fissarsi la punta dei piedi.
Salirono una rampa di scale e uscirono all'aperto. Nemeria riconobbe le colonne colorate del quadriportico e l'odore intenso di sudore e terriccio. Nessuno parve far caso a loro, tutto era come lo aveva lasciato: il clangore del metallo, i respiri spezzati, il cozzare delle armi quando incontravano la resistenza dell'armatura.
- Dove stiamo andando? - si azzardò a chiedere.
- Al campo di allenamento dell'aria. -
La voce incolore di Reza proveniva da davanti, oltre le teste dei soldati. Nemeria desiderava qualche altra informazione, ma l'occhiata grifagna dell'uomo alla sinistra le ricordò la pessima situazione in cui si era cacciata.
Quando arrivarono, la colonna si aprì e i soldati si misero in formazione attorno a una donna con gli occhi pesantemente truccati e un besajaun con la barba liscia tutta inanellata. Tyrron era in mezzo a loro, una smorfia indispettita sul volto. Non appena incrociò il suo sguardo, un brivido la fece tremare fino ai lombi.
- Tutto ciò è ridicolo, Mina. - disse Tyrron.
La donna schiuse le labbra in un sorriso affettato: i denti erano come le ossa insanguinate di uno squarcio appena aperto.
- Se non erro, giusto un annetto fa hai preteso che la mia Arakne fosse punita per aver distrutto un manichino d'allenamento. - rispose Mina, fissandolo intensamente, - Non possiamo certo soprassedere in un caso di tentato omicidio. -
Il besajaun annuì in silenzio e gli anelli alla barba tintinnarono: - Non posso che concordare. -
- Non lo ha fatto apposta, Roshanai ha esagerato, lo sapete. - replicò Tyrron.
Mina scosse la testa e tutti i suoi pendagli d'oro rifulsero, catturando la luce obliqua del sole. Il peplo bianco le ricadeva languido sulle forme abbondanti, fermato in vita da una cintura e sulla spalla da una fibula con l'effigie di un falco ad ali spiegate. Tutta quell'ostentazione la faceva sembrare ancora più grassa, rifletté Nemeria.
Qualsiasi senso d'ilarità morì quando un servo ingobbito si avvicinò portando una frusta.
- Adel è d'accordo con me, non credo che ci sia molto altro da dire. - prese l'arma e la accarezzò con la punta delle dita, - Dieci frustrate. Non una di più, non una di meno. - decretò.
Un'ombra sfrecciò nello sguardo di Tyrron.
- È solo una bambina. -
- No, è una Dominatrice e ha quasi ammazzato una delle Syad. - la voce del besajaun era dura, con una leggera nota nasale, - Siamo già stati abbastanza magnanimi da toglierne più della metà. Fosse uno dei miei, quaranta frustate sarebbero state il minimo. -
Nemeria strinse i pugni per fermare il tremito incontrollato delle spalle quando Mina srotolò la frusta e la consegnò a Tyrron.
- Nessuna pietà, Tyrron. Solo perché è una tua proprietà, non significa che debba ricevere un ulteriore sconto. -
L'uomo serrò la presa sull'arma e fece un paio di passi in avanti.
- Vieni, Nemeria. -
A quelle parole, Nemeria si sentì morire. Mina la osservò compiaciuta mentre avanzava e il sorriso sulle sue labbra si allargò quando Tyrron le ingiunse di togliersi la kandys.
“Sono solo dieci, posso resistere.”
Tentò di rassicurarsi, ma non riusciva a smettere di tremare. Cercò negli occhi del suo padrone la pietà, ma si scontrò contro due iridi d'acciaio.
- Inginocchiati e dammi le spalle. -
Il pavimento lastricato di pietra bianca le strappò crudelmente il calore dal corpo. Così nuda, con gli occhi di tutti quegli estranei puntati addosso, la vergogna era ben lontana. Si strinse il seno inesistente tra le braccia per proteggersi dai loro sguardi. Aveva lo stomaco stretto in una morsa convulsa, dolorosa, e il sudore le imperlava la pelle.
La frusta sibilò e si infranse sulla schiena in uno schiocco sordo. Il dolore si accese e si irradiò in tutto il corpo, assalì il cervello e le artigliò gli occhi. Nemeria si rannicchiò ancora di più e abbassò la testa, mentre le lacrime le rigavano le guance.
- Uno. -
Gelo, nella voce di Tyrron non c'era altro che gelo.
“Madre, per favore...”
Il colpo si abbatté sulla scapola destra e la fibbia di cuoio scattò all'indietro con la pelle attaccata all'estremità.
“Sorella, ti preg-”
Il terzo colpo le tolse il respiro e la buttò a terra distesa. La schiena bruciava, era un incendio di dolore che si propagava fino alla punta delle dita.
- Alzati. -
Nemeria appoggiò la fronte contro il lastricato e si costrinse a carponi e poi di nuovo in ginocchio. Non aveva fatto in tempo a raddrizzarsi che Tyrron l'aveva colpita per la quarta volta. Tremava ancora di più, come accesa dalla febbre, e non riusciva a controllare il battito dei denti. Quando si morse la lingua, la frusta si abbatté di nuovo su di lei e l'incendio ridusse in cenere qualsiasi altra sensazione.
Noriko era lì, osservava da dietro uno dei soldati.
Si era formato un capannello di curiosi, tutti che erano accorsi a vedere la punizione della nuova arrivata. Nemeria strizzò le palpebre e distolse lo sguardo quando scorse i pugni di Noriko serrarsi.
Cinque, sei, sette, otto. La mano di Tyrron si abbassava in fretta, calava veloce sul collo, sulle costole e nel mezzo della spina dorsale. Si portava via tutta la sua determinazione a non cedere.
Nemeria non si rese conto di star singhiozzando finché non si accorse di avere la vista offuscata dalle lacrime. Persino i suoi pensieri erano sbiaditi. Muovere le dita era impossibile, non erano sue, erano un'appendice che era stata cucita alle sue mani da un estraneo. Non seppe dove trovò la forza necessaria per non rannicchiarsi a terra e pregare di venire uccisa, perché faceva troppo male e lei non riusciva a sopportare tutta quella sofferenza.
- Nove. - contò Tyrron.
Il sangue le imbrattò le mutande, penetrò attraverso il tessuto e le si appiccicò addosso come una seconda veste. Sul bianco delle pietre, le gocce rosse spiccavano come rubini rotti.
- Dieci. -
Il suo corpo si tese un'ultima volta quando la frusta lo colpì. Seguì un silenzio ovattato, dove l'unica cosa che sussisteva era la sua schiena gonfia e la pelle infiammata che pulsava più velocemente del battito del suo cuore. Il peso degli sguardi si alleggerì fino a svanire e lo scalpiccio dei passi che si allontanavano le sfiorò le orecchie.
- Soddisfatta, Mina? -
La risata argentina della donna infranse il silenzio.
- Quando si danneggia un bene pubblico è bene che il colpevole paghi. Le ultime frustate non gliele hai date a dovere, ma posso soprassedere, per questa volta. Vedi di tenere al guinzaglio la tua schiava. Se dovesse ricapitare, non saremo così misericordiosi. -
- Lo terrò a mente. -
Mina si allontanò con il besajaun senza aggiungere una parola. Se soltanto fosse riuscita ad aprire gli occhi, Nemeria l'avrebbe volentieri fulminata con un'occhiata. La odiava e quel sentimento denso e vischioso ravvivava il dolore, lo acutizzava assieme alla rabbia e all'umiliazione. Ma era solo un fuoco di paglia e non bastava a donarle la forza per alzarsi.
- Me ne occupo io. - mormorò qualcuno alla sua sinistra.
Schiuse le palpebre. Aveva il ginocchio di Noriko a un palmo dal naso e il mento della ragazza era alzato, gli occhi incantenati su qualcuno che non era lei.
- Non posso lasciarla riposare. -
C'era forse apprensione nella voce di Tyrron? Era stato lui a coprirla con la kandys?
- Posso occuparmene io. - ribadì Noriko, - La porto in infermeria e poi la lascerò nelle mani di Sayuri. -
- La Syad dell'aria è l'unica scelta che abbiamo finché Roshanai non si riprende. - sospirò.
Una spostamento d'aria avvertì Nemeria che si era rimesso in piedi.
- La affido a te. -
Quando Tyrron si allontanò, Noriko l'afferrò sotto l'ascella e la costrinse in piedi. La sorreggeva con la forza di un solo braccio come se non pesasse nulla.
- Appoggiati. -
Anche volendo, Nemeria non avrebbe potuto fare altrimenti. Il respiro incespicò in un rantolo dolorante quando tentò di raddrizzarsi e la spina dorsale la incurvò in avanti, nell'unica posizione in cui il suo corpo sembrava sopportare il dolore. Si lasciò trascinare da Noriko, lasciò che fosse lei a guidarla attraverso i corridoi, le scale e le stanze, in un lungo ed estenuante supplizio. Perse più volte conoscenza e quando riaprì gli occhi vide uno scorcio diverso, sfumato nei contorni e tenue nei colori. Poi le fitte lancinanti divennero di nuovo insopportabili e l'oblio la riaccolse prontamente.
- Stendila lì. - disse una donna a Noriko, non appena entrarono in infermeria.
- Non c'è Serafim? -
L'altra esitò. L'incarnato scuro, quasi nero, era l'unica cosa che Nemeria riuscì a distinguere.
- Ayhè, Mina... -
Noriko si irrigidì, strinse così forte la spalla da strapparle un gemito acuto. Quando se ne rese conto, la sua mano si appoggiò delicatamente poco sotto il seno, dove la frusta le aveva disegnato un taglio meno profondo degli altri.
La spinsero a distendersi su una branda dal materasso duro e bitorzoluto e il cuscino poco morbido. Noriko avvicinò uno sgabello e si sedette, mentre la donna andava avanti e indietro portando creme, unguenti e bende. Nemeria la spiò da dietro le ciglia, sospesa in un limbo ovattato dove il dolore faceva da cornice e da soggetto ad ogni suo pensiero.
- Tienila ferma. -
Non capì il perché di quella frase finché non le versarono l'alcol sulla schiena. Urlò forte, ancora di più di quando l'avevano frustata, e scalciò come un animale impazzito. Noriko dovette immobilizzarle la testa e le braccia. Le mutande erano intrise di sangue, sudore e, Nemeria se ne rese conto quando l'odore le pizzicò le narici, urina.
- Mi... mi dispiace... -
La presa sul collo si trasformò in una carezza. Le fasciature rendevano il tocco di Noriko ruvido e goffo, ma il calore che trasmettevano, così familiare, quasi nostalgico, stemperò le lacrime e il bruciore.
- Dovresti andarle a prendere qualcosa di pulito. -
Noriko non rispose. La mano indugiò sul profilo delle orecchie e poi si spostò pigramente sulla nuca, seguendo uno dei tanti rami in boccio che scendeva lungo il collo. Le frustate avevano calpestato i fiori e deturpato la radice. Il giardino che Arsalan le aveva disegnato era stato profanato.
- Vado. - rispose Noriko.
Si alzò di scatto e uscì dall'infermeria. I suoi passi erano così leggeri da non produrre alcun rumore, se non il lieve strusciare della suola di cuoio sul pavimento di pietra. Senza che nemmeno la toccasse, una bava di vento accostò la porta.
“Come ho fatto a non accorgermene prima?”
Tornò dopo una decina di minuti, in mano recava una tunica grigia stinta e una cintura di corda.
- Tyrron ha fatto portare le tue cose nella mia stanza. - la precedette, riprendendo posto sullo sgabello.
La donna si sedette sul bordo del letto e le spalmò un impacco a base di echinacea e aloe. Nemeria trattenne un mugolio tra i denti.
- Ce la fai a metterti seduta? -
- Sì... -
Anche solo mettere le mani ai lati della faccia per issarsi fu doloroso. La pelle lacerata tirava, sembrava aprirsi ancor di più ogni volta che respirava troppo forte.
- Aiutala ad alzare le braccia. -
Noriko scattò senza che aggiungesse altro. La sostenne da sotto i gomiti, mentre la donna le passava la garza attorno al petto.
- Nande, hai delle bacche tanu? -
- Non mi sembra il caso. Dovrebbe riposare. -
- Tyrron ha detto che l'allenamento deve cominciare oggi. -
Nande aprì e chiuse la bocca senza ribattere. Ora che i colori avevano riassunto la loro tonalità naturale, Nemeria si sbalordì di quanto fosse scura la sua pelle. Era nera come quella di Reza e le ciglia erano rade, quasi assenti. Frugò nella tasca della tunica e ne trasse un sacchetto gonfio. Le bacche erano non più grosse di una biglia, nere e lucide.
- Stasera ti sentirai a pezzi, ma ti daranno la forza di superare questo pomeriggio. - le disse semplicemente.
Nemeria le annusò. Avevano un profumo zuccherino molto invitante che le solleticava le narici e il palato. Le avrebbe ingoiate subito se non fosse stato per l'espressione funerea di Nande.
- Se stanotte starai male, ti darò qualcosa. - provò a rassicurarla.
Noriko taceva, in attesa. Forse, se le avesse chiesto spiegazioni, avrebbe ricevuto risposta, ma Nemeria non era sicura di voler sapere quale fosse l'effetto collaterale di quelle bacche. Aveva l'impressione che così avrebbe perso il poco coraggio che era riuscita a raggranellare, polvere frammista a brace spenta.
“Non ho altra scelta.”
Si mise entrambe le bacche in bocca e quasi senza masticarle le ingoiò. Un'energia folle si espanse dentro di lei. Il velo che le copriva gli occhi fu squarciato, spazzato via da un'improvvisa euforia e voglia di alzarsi. Si rimise in piedi in un balzo. Le prudevano le mani per quanto si sentiva eccitata, il dolore era ridotto al semplice fastidio di una puntura.
- Seguimi. -
Scattò dietro Noriko come un cucciolo. Trotterellò al suo fianco, di nuovo in forze, come se non fosse accaduto nulla. Era stata investita da quell'inspiegabile ebbrezza che aveva trasformato tutta la realtà – muri, volte, tende, finestre – in un affresco nitido con i colori più densi e corposi, i contorni più netti. Anche se sapeva che non era normale, doveva ammettere che era da tempo che non si sentiva così bene. Ogni volta che intercettava uno sguardo di Noriko, non riusciva a trattenersi dal sorridere.
Tornarono nel giardino centrale, quello col quadriportico, e si diressero verso il corridoio da cui era arrivata Roshanai. Vennero accolte in un campo a pianta quadrangolare, con le pareti di pietra rossa con un triangolo bianco dipinto sulla parete sul fondo.
Una donna meditava nel centro esatto, con i capelli neri legati in una crocchia sulla nuca. Aprì gli occhi quando arrivarono a un paio di passi da lei e si alzò, facendo frusciare la gonna a pieghe. Alta e dritta come un giunco, una fascia le avvolgeva il seno affusolandone la figura ancora di più.
- Noriko. -
La ragazza si profuse in un profondo inchino, le mani rigide lungo i fianchi: - Sayuri-nüshi. -
- Lei sarebbe la nuova allieva? -
- Sì, laoshi. -
La donna appuntò lo sguardo su Nemeria. I capelli erano solcati da strie bionde, raggi di sole che screziavano le sopracciglia e le ciglia, lunghe e setose. Si inginocchiò e le afferrò il viso, scrutandola negli occhi mentre le voltava il viso a destra e a sinistra.
- Hai mangiato le bacche di tanu. -
- Non... -
Sayuri la fulminò con lo sguardo e Noriko lasciò cadere l'obiezione a metà.
- Rispondi. -
Nemeria si riscosse: - Sì. -
La donna la scrutò in silenzio. Negli occhi neri passò una nuvola di rammarico, prima che lasciasse la presa.
- La prossima volta non prendere nulla e vieni da me. - le disse e le fece cenno si sedersi vicino a lei, - Cominciamo dalle basi. Rilassati e fai dei respiri profondi: devi raccogliere i pensieri e spingerli fuori, in modo che la tua mente sia vuota. -
Nemeria obbedì, aveva troppo paura di contrariarla per dirle che ci aveva già provato un milione di volte senza riuscirci.
- Concentrati solo sulle mie parole, escludi il resto dei suoni. Se ti viene difficile, immagina di avere un fiore di loto sulla pancia, pronto ad aprire i petali a ogni tuo respiro. -
Il calore di Noriko si protese in una fluttuante carezza sulla sua spalla. Saperla lì, vicino a lei, attutì i battiti del suo cuore. Nemeria appoggiò le mani sulle ginocchia e inspirò piano, rilassando le spalle.
- Ripeti nella tua mente: “Sat, Chit, Ananda.”-
- Sat, Chit, Ananda. - scandì a bassa voce, - Sat, Chit, Ananda. -
Il mantra era lo stesso che ripeteva Etheram. Glielo aveva insegnato Fakhri e aveva provato a fare lo stesso con lei, ottenendo come unico risultato di farla addormentare.
“Esistenza, coscienza, beatitudine.”
Le aveva regalato un sorriso bellissimo quando le aveva chiesto cosa significasse. All'epoca, Nemeria aveva otto anni ed Etheram ne aveva appena compiuti tredici. Era cambiata molto da quando era stata iniziata al Primo sentiero, quello dell'aria; era diventata più malinconica, parlava poco e non perdeva occasione per accompagnare Arsalan quando dovevano commerciare, il suo blocco da disegno sempre sottobraccio e un carboncino infilato tra orecchio e testa. Non aveva tempo per nessuno, a parte che per sua sorella, per lei era sempre presente.
“Sat, Chit, Ananda.”
Si erano appena fermate in un'oasi sperduta in mezzo al nulla, un lago cristallino circondato da cespugli che brillava come uno zaffiro nell'aria densa che frizzava nei polmoni. In quella parte della Chin settentrionale faceva molto freddo e nel deserto non era raro trovare la brina o, come aveva potuto vedere Nemeria, la neve. La magia dell'Alta Sacerdotessa le celava alla vista delle carovane che percorrevano la Râh-e Abrisham e quella delle Anziane era sufficiente ad allontanare i venti gelidi e umidi quando si accampavano.
Fuori una tempesta di sabbia aveva coperto la luna e sferzava le tende, tenendola sveglia. Rakshaan dormiva nella culla, abbracciato al suo pupazzo, vicino alla stuoia di Hediye. Etheram aveva chiuso il suo blocco e lo aveva adagiato sotto il cuscino.
- Sat, Chit, Ananda. Cosa significano? - aveva insisto Nemeria.
- Ci sono tante risposte a questa domanda. Quale vuoi sentire? -
- Vorrei sapere quella giusta. -
- Pensi che ce ne sia una sola? -
Etheram le aveva fatto posto vicino a lei, come sempre accadeva quando Nemeria si svegliava. Aveva ancora i capelli castani, con qualche punta grigia stinta che sbucava in una chioma atrimenti liscia e uniforme.
- Non lo so... penso di sì. Fakhri dice che esiste una sola verità e lei non sbaglia mai. -
Etheram le aveva passato un braccio sulle spalle e l'aveva stretta a sé. Aveva un'espressione molto seria, Nemeria non l'aveva mai vista così.
- L'esistenza è lo stato d'essere delle cose. Quando dico “io sono”, sto affermando che io esisto, che sono qui, ora, nel presente. Questa conoscenza mi è data dal mondo che confina con me, da come reagisce e interagisce. La beatitudine è... difficile da spiegare. È la tranquillità interiore, accompagnata dalla conoscenza più profonda della nostra anima e di quella del mondo. -
- Quella che si raggiunge alla fine dell'Ultimo sentiero, quando si è in comunione anche con l'elementale più diverso da noi?-
Etheram aveva annuito e il suo sguardo si era improvvisamente rabbuiato. La tempesta fuori si era appena placata, come se la tristezza di sua sorella ne avesse fiaccato la forza.
- Sai, Nemeria, a volte è meglio non sapere. - aveva sussurrato e l'aveva abbracciata come Rakshaan il suo pupazzo, - La beatitudine che nasce dalla conoscenza può generare molte più domande delle risposte che elargisce. -
- Allora non significa che qualcosa non è andato storto? -
Etheram aveva sospirato, afflitta.
- Non credevo che sarebbe stato così. -
- Così come? -
- Doloroso... -
All'improvviso qualcuno pronunciò il suo nome e Nemeria aprì gli occhi. Sayuri e Noriko la stavano fissando, entrambe con un'espressione accigliata.
- Ti sei addormentata? - la interrogò la syad.
- No... -
Sbatté le palpebre per scacciare lo sciame di puntini colorati che le punteggiava la vista. Il sentore dell'umidità, il calore avvolgente di sua sorella, il basso russare di Hediye le accarezzavano ancora le orecchie, chiari e vividi come eventi accaduti il giorno prima.
- Un'allucinazione, allora. Sono uno degli effetti sgradevoli delle bacche tanu. - spiegò Sayuri mentre si alzava, imitata da Noriko e Nemeria, - In questo stato provare a continuare a meditare sarebbe inutile. Sfruttiamo l'energia in eccesso per imparare qualche tecnica. -
- Io sono una Dominatrice del Fuoco. - obiettò Nemeria.
Si rese conto un istante dopo di aver parlato a sproposito.
- Il tuo e il mio elemento sono simili: entrambi leggeri, entrambi imprevedibili, il caldo e il freddo, opposti e complementari. - Sayuri scandì le parole lentamente, ma con durezza, - Mettiti vicino a Noriko e seguila nei movimenti. -
Nemeria non se lo fece ripetere due volte. Noriko si inchinò, poi chiuse la sinistra sulla destra chiusa a pugno, all'altezza del mento. Divaricò le gambe, portò le braccia all'altezza dell'inguine e risalì sopra la testa, le dita sempre intrecciate e i palmi verso l'alto.
Nemeria non staccò gli occhi da lei. L'amica eseguiva tutti i movimenti a occhi chiusi, con una fluidità e una sicurezza disarmanti. Cercò di ripetere tutto, più di una volta, sentendosi però sempre impacciata. La pelle sulla schiena pizzicava appena, un prurito che le faceva venire voglia di buttarsi a terra e rotolarsi come un orso.
- Respira col naso, punte dei piedi dritte, spalle rilassate. - la riprese Sayuri.
Nemeria annuì e si sforzò di applicare le correzioni, di ignorare quella voglia di mandare tutto all'aria che le scorreva nelle vene. Avrebbe voluto avere a portata di mano un tirapugni, o qualsiasi cosa per sfogare l'energia che le ribolliva dentro.
Noriko aprì le gambe e piegò le ginocchia come se fosse in sella. L'indice e il medio, uniti, erano distesi mentre disegnava la forma di un arco con le braccia, dapprima a destra e poi a sinistra.
- Giù il baricentro, mantieni la posizione. -
Sayuri le diede un colpo sul piede sufficiente a farle capire che doveva divaricare di più le gambe. I muscoli sulle cosce tiravano così tanto da farla tremare. Quando poi le raddrizzò le spalle, Nemeria era già quasi al limite. Come se lo avesse capito, Noriko cambiò tecnica: rimase in equilibrio sulla gamba sinistra, ruotando i polsi della braccia aperte.
Andarono avanti così per tutto il pomeriggio. Sayuri le guardava tenendosi a debita distanza, riprendendole quando sbagliavano qualcosa, come quando Noriko non aveva ruotato abbastanza il torso. Per il resto le controllava in silenzio, senza tradire alcuna emozione. Quando finalmente fece loro segno di smettere, Nemeria si piegò sulle ginocchia: il sudore le aveva attaccato i vestiti addosso e i muscoli, tutti, sembravano non essere più capaci di sostenerla.
- Domani mattina, solita ora. - annunciò Sayuri.
Noriko annuì, poi prese Nemeria sottobraccio e la trascinò fuori dal campo. Passarono per il quadriportico, salirono al primo piano attraverso una rampa di scale strette e ripide fino a un corridoio di pietra con le pareti dipinte di bianco e passarono diverse porte. Noriko ne aprì una, rivelando una camera piccola e spoglia, con due letti di paglia addossati alle pareti rivestiti da un lenzuolo che aveva visto tempi migliori, ma quantomeno molto più integro di quello che Nemeria si immaginava. Individuò subito le calige, la clamide e la fibula adagiati ordinatamente su uno sgabello ai piedi del letto.
- Ce la fai? - le domandò Noriko.
Nemeria annuì, anche se quei pochi passi erano un abisso per lei. In un moto d'orgoglio, si impose di non chiederle aiuto. Zoppicò fino al materasso, strascicando i piedi. Era umiliante essere di nuovo debole, senza più un grammo d'energia se non quella residua delle bacche.
- Ti porto la cena. - disse la ragazza e si voltò per uscire, ma Nemeria la fermò.
Aveva la vertigini, il cuore nello stomaco e il sudore delineava le cicatrici sui palmi.
- Mi dispiace per... per averti trascinato qui. Tyrron mi ha raccontato che hai fatto di tutto per salvarmi, quindi è colpa mia se sei diventata una schiava. Mi dispiace davvero tanto. - sussurrò con voce rotta.
Il fiume di parole si arrestò quando Noriko l'abbracciò di slancio, senza alcun preavviso. La strinse così forte da toglierle il fiato, la mano dietro la nuca e l'altra che le circondava la vita.
- Noriko...? -
Il calore e il suo respiro colmarono il silenzio più di qualsiasi parola.
- Ti avevo promesso che ti avrei protetta. Ed è ciò che ho fatto. - soffiò Noriko, senza ritrarre la mano che aveva appoggiato sulla guancia di Nemeria.
- Ma ora sei intrappolata qui... -
- Lì fuori prima o poi saremmo morte. Qui almeno abbiamo un tetto sulla testa e del cibo ogni giorno. Quando c'è stata la retata, i Kalb non erano gli unici che volevano catturarti. -
Nemeria deglutì.
- Lo hai visto anche tu, vero? -
- Non quella sera, ma oggi... mi ha seguita fino alla scuola. - pigolò spaventata.
Noriko si sedette vicino a lei e si sciolse la treccia. I capelli rossi ricaddero spettinati sulla spalla, così lunghi da sfiorare i ciuffi di paglia.
- Qui sei al sicuro. La scuola è sorvegliata giorno e notte sia dai syad che dalle guardie scelte. Se mai dovesse provare a entrare, non ne uscirebbe vivo. -
Quelle parole ebbero la capacità di tranquillizzarla. Era paradossale che la sua nuova casa, una prigione dove valeva meno di nulla, fosse l'unico posto dove poteva dirsi realmente al sicuro.
- Gli altri? Sai che fine hanno fatto? -
Noriko scosse la testa: - No. Eravamo andati lì tutti per recuperarti, poi al termine dell'incontro non abbiamo fatto in tempo ad avvicinare Abayomi che sono entrati. Perché ti sei fatta ridurre in quello stato da Zahra? Non potevi farcela, eppure hai continuato. -
- Non volevo che facessero del male a Kimiya. - Nemeria si sentì colpita nel profondo da quell'ultima affermazione, ma inghiottì il groppo in gola e proseguì, - Non sapevo quando sareste arrivati, né se Dariush vi avrebbe permesso di venirmi a dare una mano. Volevo solo prendere tempo. -
- Potevi morire. -
Un brivido le fece accapponare la pelle: - Lo so, ma non avevo scelta. -
Noriko soppesò il suo sguardo su di lei e Nemeria si sentì risucchiata da quegli occhi. Era come specchiarsi in un pozzo profondo, così lontano dal sole da rimandare appena il suo riflesso.
- Devi stare molto attenta adesso che siamo qui. Lì, nell'arena, nessuno ci ha fatto caso, ma persone come Sayuri lo noterebbero subito. -
- Che cosa? -
- Che sai dominare anche l'aria. - a quel punto abbassò la voce, - Nel colpo che hai sferrato a Zahra non c'era solo il fuoco, non sarebbe bastato a far esplodere la sua armatura di roccia. -
Nemeria si allontanò come scottata, ma Noriko la tirò di nuovo a sé.
- Non lo dirò a nessuno, ma, te ne prego, controllati. Sei sulla bocca di tutti dopo quello che hai fatto a Roshanai, se poi scoprissero anche questo... - il labbro tremò e le spalle si irrigidirono, - Non abbassare mai la guardia, neppure con Tyrron. È stato gentile con te, ma è pur sempre un mercante, non esisterebbe a venderti se gli proponessero il giusto prezzo. -
Nemeria annuì. Non aveva mai visto Noriko così spaventata, anzi, non aveva mai manifestato nessuna emozione in modo così evidente da quando la conosceva.
- Tu... tu però promettimi che mi aiuterai a scoprire cos'è successo agli altri. -
Impresse nella voce tutta la sua risolutezza. Kimiya, Chalipa, Afareen, Hami, Altea... aveva bisogno di sapere dov'erano e se stavano bene. Hirad, soprattutto Hirad. Era di lui che, più di tutti, voleva avere notizie. Desiderava sapere se era tornato a blaterare e a sorridere come un tempo. Altea gli avrebbe dovuto consegnare le pergamene nuove e i carboncini colorati.
Altea, che la chiamava “Scoiattolo”, la sua prima amica e la prima che aveva ferito con le sue bugie. L'ultimo sguardo che le aveva rivolto quando era andata con i Cani le bruciava ancora come una ferita infetta.
Noriko fece spallucce. Qualsiasi traccia di emozione era sparita dal suo viso, seppellita sotto una perfetta maschera d'indifferenza.
- Conquistati il diritto di uscire fuori di qui e vedremo di reperire le informazioni che vuoi. -
- Tu lo hai già? -
- No, ma a me non interessa tanto quanto interessa a te. -
Nemeria lo sapeva eccome, ma la schiettezza con cui lo ammise la lasciò comunque sconcertata. Era difficile conciliare l'immagine di qualche minuto prima con la solita imperturbabile Noriko.
- Affare fatto, allora? - domandò dopo un momento.
- Affare fatto. - si alzò e andò alla porta, - Ora stenditi, ti porto la cena. Sarà una lunga notte per te. -
Nemeria si abbandonò sul suo giaciglio non appena rimase da sola. Il prurito si stava intensificando e si diffondeva come il calore di una candela sotto le bende. Non si poteva dire che le facesse male, non ancora almeno, eppure Nemeria non temeva quella trasformazione inevitabile: era sopravvissuta al primo giorno, a una Condivisione forzata e alle frustate, qualsiasi cosa sarebbe accaduta quella notte era pronta ad affrontarla.

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Capitolo 14
*** La prima volta ***


Fuoco 2

14

La prima volta

"Guardiamo una cosa mille volte; forse dovremmo guardarla un milione di volte prima di vederla per la prima volta."
Dylan Thomas

La notte, Nemeria non chiuse occhio. I tagli sulla schiena e il dolore che da essi scaturiva la tormentarono, scacciando il sonno alla stregua di una iena affamata con uno stormo di avvoltoi. Strinse la pietra di luna finché il braccio non iniziò a formicolare, e mantenne la presa anche dopo aver perso sensibilità nelle dita. Pregò in silenzio che la Madre la conducesse nel regno dei sogni, senza nemmeno la forza di singhiozzare, respirando così piano che l'aria le sibilava appena tra i denti. Tuttavia, pure nei momenti in cui la Dea si dimostrava misericordiosa, il dolore la seguiva come un segugio implacabile, sempre sulle sue tracce: ringhiava, le azzannava gli arti e la dilaniava, incurante delle sue urla di aiuto, mai sazio, mentre attorno a lei, accompagnate dalla risata irridente di Mina, danzavano le ombre di Etheram, Rakshaan, Hedyie e di tutti i morti e i vivi che aveva deluso. C'era anche il predone, nascosto tra i fantasmi, si muoveva silenzioso come uno spettro, una sagoma nera contornata da un alone bianco su uno sfondo rosso insanguinato. Quando il pugnale calava sulla sua gola, Nemeria apriva gli occhi.
Noriko era lì, seduta al suo capezzale. Le passava una pezzuola umida sulla fronte e poi sulla schiena, sembrava sempre sapere dove tamponare. Talvolta, al suo fianco compariva Nande e nell'aria si diffondeva un fresco profumo di salice e iperico.
Quando, al sorgere del sole, il gallo cantò, il dolore l'aveva lasciata esanime sul materasso impregnato di sudore. Con le zanne arrossate si era ritirato sotto pelle, un graffiare sordo che si concentrava sulle scapole e sulla spina dorsale. Nel momento in cui si alzò, le tremarono le labbra nel tentativo di trattenere un gemito. Quando Nande tornò per cambiarle i bendaggi, ricacciò indietro le lacrime e sopportò stoicamente.
- Appoggiati a me. -
Noriko le offrì il braccio e Nemeria dovette fare un enorme sforzo per scuotere la testa.
- Non mi sembri in condizioni di fare l'orgogliosa. -
- Non è questione di orgoglio. Ti sei occupata di me tutta la notte, non... -
La ragazza inclinò la testa: - Non? -
- Voglio farcela da sola, almeno ad arrivare a colazione. -
Non aveva mentito, ma distolse comunque lo sguardo. Era stanca di sentirsi vulnerabile, più di quanto non fosse disposta ad ammettere.
Trasse un sospiro di sollievo quando Noriko ritirò il braccio e le fece cenno di seguirla.
Il refettorio si trovava al piano terra ed era uno spazio circolare, illuminato dalla luce opaca del sole. Le cucine erano state relegate in fondo. A dividerle dall'ambiente chiassoso e dal vociare dei commensali c'era solo una porticina di legno rinforzata in ferro. Le guardie, almeno una decina, stavano dritte vicino alle pareti e tenevano sott'occhio i gladiatori che si alzavano per andare a prendere la prima o, addirittura, la seconda razione di pane e formaggio di capra.
Non appena entrarono, il cicaleccio diminuì fino a svanire. Nemeria si ritrovò gli occhi di tutti addosso e rimase paralizzata sul posto. Si guardò intorno con aria spaurita, occhieggiandoli, in attesa che accadesse qualcosa che sciogliesse il silenzio di ghiaccio che era piombato nel refettorio.
- Andiamo. -
Il tocco familiare e risoluto di Noriko le trasmise la determinazione sufficiente per riprendere a camminare. L'amica irradiava un'aura di sicurezza che traspariva a ogni suo passo e si espandeva come una bolla attorno a lei, avvolgendo sia se stessa che Nemeria. Al fianco di Noriko le veniva più semplice ignorare le occhiate degli astanti, come se non pesassero più, ridotte al solletico di una piuma sulla nuca.
- Tieni, questo è il tuo. -
Noriko le porse il vassoio con una ciotola con una pappa di farro, orzo e fagioli, accompagnata da tre fette di pane imburrate. Il cucchiaio, il bicchiere e il vasetto di miele erano di legno, così come il resto. Nonostante l'aspetto non appetitoso, Nemeria ci si fiondò non appena si sedettero. Vicino a loro gli sgabelli erano vuoti.
- Dovresti mangiare più lentamente. Masticare bene ogni cosa aiuta la digestione. -
- È che ho fame... -
- Lo so, ma sarebbe meglio che mi dessi retta. - la fissò in tralice da sotto le ciglia rosse, - Questo è il nostro pasto e dovremo farcelo bastare fino all'ora di pranzo. -
Nemeria si fermò prima di addentare la fetta di pane.
- Di solito, se vai in cucina a chiedere qualcosa da mangiare, non ti fanno storie, di fagioli e verdure ne hanno in abbondanza. Sayuri ci terrà lì finché non avremo finito tutti gli esercizi. - assaggiò la minestra e solo dopo averla assaporata ingoiò l'intera cucchiaiata, - È capitato un paio di volte che non si fermasse, nemmeno alla pausa pranzo. -
- E nessuno dice nulla? -
Noriko fece spallucce: - È la maestra, la syad dell'aria. Può fare ciò che vuole, basta che siamo in grado di far divertire il pubblico quando ce lo chiedono. -
Nemeria chiuse le dita a pugno e inspirò piano. Anche Etheram, quando aveva dovuto intraprendere il Primo Sentiero, quello che per lei era rappresentato dell'elemento dell'aria, si era sottoposta a un'alimentazione molto rigida a base di verdura, frutta e, quando possibile, cereali. Nemeria la ricordava mentre mangiava una minuscola ciotola di patate e frumento, mentre lei, sua madre e suo fratello si godevano dolci a base di liquirizia e zucchero.
- “Sii moderato con il cibo e non gravare il tuo corpo con pesi inutili, dagli solo quello che richiede, ed esercitati nel digiuno quando è indebolito.” - Noriko sorseggiò il bicchiere d'acqua, - È questo il suo motto. Non basterà la tua protesta a indurla a provare pietà, anche perché non è l'unica a pensarla così. -
- Chi altri la sostiene? -
“Chi è il pazzo?”
- La conoscerai. Si chiama Ahhotep, era un membro della banda dei Falchi. -
Il boccone le andò di traverso. Per riprendersi, Nemeria dovette trangugiare un intero bicchiere d'acqua.
- Qualcosa ti preoccupa? -
- Era... era... -
Non riusciva nemmeno a mettere insieme le parole, l'agitazione e la paura le distanziavano prima che potessero comporsi in frasi. Gli squassi della tosse le causarono una fitta di dolore così acuta da farla tornare in sé.
- Quando li ho incontrati la prima volta erano al loro limite, avevano gli occhi neri come quelli dei Jin. -
- Solo Shaya e Unal, infatti sono stati abbattuti. Non hai sentito la notizia? Ha destato non poco scalpore. -
Nemeria scosse appena la testa.
- Sei disattenta. -
- Sono solo... - deglutì un altro boccone, - Dimmi cosa è successo e basta. -
- I Kalb li hanno dovuti uccidere. Li avevano quasi catturati, quando i due hanno perso il controllo e si sono trasformati in Jin. Come hai detto tu, erano già al loro limite, la lotta per la fuga ha solo rotto una diga già da tempo crepata. -
- Hanno fatto del male a qualcuno...? -
- Non ne hanno avuto il tempo, sono stati neutralizzati prima. So che ci è voluta una squadra di rinforzo per contenerli e che hanno ammazzato sei Kalb, ma i danni sono stati contenuti. - sbocconcellò la sua fetta di pane e rivolse lo sguardo altrove, - In ogni caso, ti allenerai con noi soltanto per qualche giorno, poi sarai affidata a Roshanai. -
- Quindi io e te non ci vedremo che la sera, giusto? -
Noriko annuì e il cuore di Nemeria inciampò nel petto. Non conosceva la syad del fuoco, ma se il suo temperamento era come quello del suo elemento, l'attendevano tempi molto duri.
- Su, andiamo, siamo già quasi in ritardo. -
Uscirono a grandi falcate dal refettorio e si diressero verso il campo del giorno prima. Sayuri era lì ad attenderle, vestita con un pantalone di cotone nero molto ampio e una giacca a maniche lunghe rossa. Davanti a lei, dritte come steli d'erba congelati, immobili nella posizione del loto, c'erano due ragazze. Quella a sinistra non si mosse e, a giudicare dall'altezza, doveva avere un paio d'anni più di Noriko, mentre l'altra aveva l'età di Nemeria. Quando furono vicine, si girò e le puntò addosso due occhietti da furetto gialli come quelli di un gatto.
- Durga, non ti ho dato il permesso. - la riprese Sayuri e la bambina si ricompose in un sussulto.
La syad attese che avesse riacquistato la posizione, prima di spostare la sua attenzione sulle nuove arrivate. Noriko si inchinò e Nemeria si affrettò a imitarla, anche se non con la stessa compostezza.
- Sono stupita che tu riesca a reggerti in piedi dopo l'allenamento di ieri. Non sei così debole come pensavo. - la salutò e accennò un sorriso che riempì Nemeria d'orgoglio.
La stanchezza e il dolore passarono immediatamente in secondo piano.
- Durga, Ahhotep. Riposo. -
A quel comando, la bambina balzò in piedi e si sgranchì le gambe, mentre Ahhotep roteò le spalle con calma, alzandosi con aria indifferente. Era alta, superava Noriko di un paio di pollici, magra e sinuosa come un serpente, con la pelle abbronzata tesa sulle clavicole sporgenti, sfiorate dai ciuffi sfuggiti alla coda.
- Prima di riprendere l'allenamento, ora che ci siete tutte, le spiegazioni mi sembrano d'obbligo. Sarò breve: tu e tu. - indicò Nemeria e Durga con un gesto del mento, - Rimarrete con me fino a quando la syad del fuoco non si sarà ripresa. Ho notato che non avete una buona preparazione, né fisica né spirituale. Al corpo si può rimediare, ma perdere l'anima e la ragione significa diventare Jin e smettere di essere umani. Gli dei ci hanno imposto di ospitare dentro di noi un elementale. Il motivo ci è precluso, possiamo solo accettare questa condizione, senza però abusarne.-
Il tono di tetra rassegnazione con cui pronunciò quelle parole colpì Nemeria, così come le nuvole che si addensarono nel suo sguardo. Mantenne le spalle dritte, i suoi occhi prima in quelli di Noriko, ora in quelli di Durga, dignitosa e fiera, un soldato solo contro la marea.
- I quattro elementi sono i costituenti dell'universo, da loro la vita nasce e ad essi torna, in un ciclo eterno di cui noi non siamo altro che granelli seppelliti nell'infinito divenire. Il fuoco è lo stato ardente e il caldo, l'aria è quello gassoso e il freddo, l'acqua è il liquido e l'umido, e infine la terra è il solido e il secco. La vita nasce dalla loro armonia, dal loro modo di interagire e dalle qualità che si combinano per formare tutto ciò che è percepibile ai nostri sensi. Le chiamiamo rhizai, le radici, e racchiudono e sostengono l'essenza dell'universo stesso. -
Nemeria si affrettò ad annuire non appena Sayuri posò lo sguardo su di lei. Non erano cose che non sapesse già, ma anche ora, come quando era Fakhri a spiegarle, le sembrarono inutili, teorie complesse per descrivere una realtà molto più semplice.
- Il fuoco è l'unità, l'aria la dualità, l'acqua la creazione e la terra la materialità. I primi due sono attivi, sono gli agenti di cambiamento spirituali, più sottili e più perfetti dei loro fratelli passivi, che sono il trampolino per innalzarli e il peso per trascinarli in basso. - continuò Sayuri, - Amici e nemici, essi vivono per contrasti. Gli elementali che risiedono dentro di voi sono così: la materialità del vostro corpo li tiene inchiodati in una gabbia di carne e ogni volta che li richiamate, che esigete un prestito della loro potenza, una parte di questa distrugge la vostra anima. All'inizio non ve ne accorgerete, vi sembrerà di essere sempre gli stessi, ma una parte di voi andrà irrimediabilmente persa, annegata, bruciata, soffocata o sepolta da quel potere che avete richiesto di poter usare. -
Durga incassò la testa tra le spalle e si fece piccola piccola. I capelli scompigliati e il viso tondo, schizzato di lentiggini, le conferivano un'aria da cucciolo bastonato. Agli occhi di Nemeria era un'anima affine, la sentiva vicina e le sarebbe piaciuto rassicurarla, anche se per scacciare la paura avrebbe dovuto dirle una bugia.
- Per questo è vitale che impariate a dosare le vostre richieste. Siete nati Dominatori e morirete come Jin, ma, per quanto possibile, dovrete ritardare l'inevitabile. Io e gli altri syad vi insegneremo a far divertire il pubblico e a tenere sotto controllo la vostra forza. - concluse e le invitò ad allinearsi davanti a lei, scandendo bene le parole e disegnando delle mosse precise con braccia e gambe, - Chi Len Hou Wan Yao. -
Nemeria si mise vicino a Noriko e copiò tutti i suoi movimenti, come il giorno precedente. Erano tecniche finalizzate a rafforzare i muscoli senza sforzarli troppo, eppure per lei erano quanto di più difficile e doloroso avesse mai provato. Sentire tutte le fibre tendersi contro la pelle tagliata, le loro contrazioni quando allungava un braccio o si piegava per toccarsi la punta dei piedi, era una pugnalata che risvegliava il tormento che l'aveva tenuta sveglia per tutta la notte precedente. Quando Sayuri diede loro il permesso di andare a mangiare, un'ora dopo che la pausa pranzo era finita, l'unica cosa che Nemeria agognava davvero era un letto.
- Se ti sdrai ora, non ti rialzerai più. - la ammonì Noriko.
“Non volevo, infatti.”
Nemeria trasse un lieve respiro, incurante del formicolio di poco dietro le costole.
- Tu sei come me! -
Durga le saltellò vicino e le si mise davanti. Il naso a patata campeggiava nel viso e attirava l'attenzione quasi quanto i suoi occhi giallo citrino.
- Sono... come te? -
- Anche io domino il fuoco! - rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, - Non l'avrei mai detto, sai? Non hai la faccia da Dominatrice del fuoco. -
- E come sarebbe? -
La bambina gonfiò le guance e si morse il labbro inferiore, quello più sottile.
- Dovresti essere più grintosa e meno triste. Ti ho guardato durante l'allenamento, digrignavi i denti come un cane e avevi le lacrime agli occhi. -
- Ho solo male per le frustate, tutto qui. -
Durga spalancò gli occhi e le si parò davanti, lo sguardo acceso dall'entusiasmo.
- Allora sei tu quella che ha fatto volare Roshanai contro la colonna? Davvero? E come hai fatto? -
“Bella domanda.”
- Ho fame, potete parlare al refettorio. -
Il tono gelido di Noriko freddò la bambina sul posto e pose fine a qualsiasi tentativo di conversazione. Ahhotep le scompigliò i capelli e poi le diede una pacca sulla spalla per incitarla a muoversi.
- Ha ragione, prima mettiamo qualcosa sotto i denti, prima potremo tornare ad allenarci. -
- Ma io non voglio! -
- Dai, dai, non fare i capricci. -
La bambina si imbronciò e tirò fuori il labbro inferiore, affondando le mani nelle tasche della tunica di panno. Assomigliava dolorosamente a Rakshaan, una somiglianza così accurata da bruciarle più delle ferite sulla schiena.
- Non ti devi intristire. Sei o non sei una Dominatrice del fuoco? - disse Nemeria, e sorridere le venne naturale quando Durga incrociò il suo sguardo, - Se ti siedi vicino a me, potrai farmi tutte le domande che vuoi. -
- Tutte tutte? -
- Tutte tutte. - ribadì e la bambina l'affiancò zampettando alla sua destra tutta contenta.
Nel refettorio l'attendeva dietro il bancone l'uomo che aveva servito la colazione quella mattina, in compagnia delle guardie. Non erano le stesse, ma tutte, notò Nemeria, portavano una tiara e un'armatura d'oricalco, con spallacci e schinieri senza alcuna decorazione. Le scrutarono con chirurgica attenzione mentre prendevano i vassoi di legno e non staccarono gli occhi finché non si sedettero.
- Bevi, hai bisogno di idratarti. -
Noriko le porse un bicchiere di quella che, agli occhi di Nemeria, era acqua sporca. Sulla superficie galleggiavano dei semi verdi e qualcos'altro che non sapeva cosa potesse essere.
- Non è così male. Anche a me all'inizio non piaceva, poi però mi sono accorta che dopo mi sentivo di nuovo in forze. - si scoprì il braccio e contrasse il bicipite, tutta seria, - Se lo bevi tutti i giorni, diventerai forzuta tanto quanto me! -
- Sei davvero forte, sì. - rispose ed era davvero ammirata, perché Noriko avevapiù muscoli di lei.
“Io somiglio a un insetto stecco.”
Fissò con preoccupazione il bicchiere ancora un momento, per poi scolarselo tutto in un sorso solo.
- Com'è? -
- Cosa c'è dentro? -
- Cenere d'ossa, di corteccia e aceto. -
Nemeria arricciò il naso e assottigliò le labbra in una smorfia schifata. Il sapore dell'aceto si trasformò in quello del limone, era quasi dissetante. Se non fosse stato per l'aspetto, avrebbe apprezzato molto di più.
“Anche se non avessi saputo gli ingredienti.”
- E voi bevete questo intruglio tutti i giorni? -
Durga annuì, risoluta: - Lo bevevo anche a casa di Tara, lei dice che mi farà diventare fortissima. -
- Tara è la lanista a cui appartiene. - la informò Noriko.
Nemeria annuì e decise di dedicarsi al suo pranzo, che consisteva in pane nero ai semi di finocchio, due uova sode e pasta con radicchio e carciofi. Anche se aveva fame, si obbligò a non fiondarsi sul cibo, non tanto perché credesse a quello che le aveva detto, ma Noriko era proprio davanti a lei e sapeva che la teneva d'occhio.
“A Durga non dice niente però.”
Il suo sguardo fu attirato dalla compostezza con cui Ahhotep mangiava. Teneva le spalle dritte, i gomiti bassi e masticava ogni singolo boccone come se fosse l'ultimo, senza però la foga di un affamato. Sembrava farlo a forza e, ogniqualvolta Durga la pungolava dicendole che era davvero lenta, lei si limitava a un lieve sorriso, una sorta di increspatura delle labbra elargita per metterla a tacere. Quando si accorse d'essere osservata, Ahhotep appoggiò la forchetta a lato del piatto e inclinò la testa nella sua direzione, piantandole addosso uno sguardo che la raggelò. Fastidio, disagio e rabbia, tanta, tanta rabbia: nel ventaglio di emozioni esibite, il rosso scarlatto della collera risaltava tra tutte.
- C'è qualcosa che non va? -
- N-no... no. -
Le dita sottili di Ahhotep si erano allungate verso la forchetta e ora la impugnavano come un'arma. Durga fece scattare la testa da una all'altra, ignara di cosa stesse succedendo. Sebbene non riuscisse a vederla con chiarezza, la tensione che emanava da Noriko le graffiava comunque la guancia e il braccio.
- 'tep, non fare la cattiva... -
- Mi stavo solo chiedendo perché la nostra nuova amica - calcò su quella parola con un'enfasi fastidiosa, - continua a fissarmi senza dire nulla. Ho forse qualcosa fuori posto? -
- N-no, ecco... volevo sapere se finivi la pasta. Mi sembrava che non ti andasse più, ma non sapevo come chiedertelo. - improvvisò.
Era più che sazia, in realtà, ma non le era venuto niente di meglio in mente.
Ahhotep la squadrò con un cipiglio diffidente. Nemeria trattenne il respiro.
- Se proprio ci tieni, prendi. - le porse il piatto, per metà intatto, - Per me era troppa. -
- Ti... ti ringrazio. -
Una risata isterica le premeva da dietro le labbra e ci volle ben più di un boccone per dissiparla. Noriko, davanti a lei, piluccò il pane in silenzio. A Nemeria non era sfuggito il modo con cui aveva guardato Ahhotep, un'impassibilità più affilata di un'ascia.
- Andiamo, prima che Sayuri si innervosisca. -
- Sì, vero, l'ho conosciuta soltanto oggi e mi sembra una che si arrabbia tanto. - commentò Durga.
Nemeria abbandonò volentieri il piatto di pasta. Ahhotep fu l'ultima ad accodarsi e si mantenne a distanza, dieci passi indietro rispetto a loro. Nel suo sguardo non era rimasto altro che l'arida desolazione del vuoto.
Non fecero in tempo a raggiungere il portico che i soldati le circondarono. Durga andò a nascondersi dietro Ahhotep e si portò il lembo della sua tunica al viso, come se avesse il potere di farla sparire.
- Nemeria, vieni con me oggi. -
La formazione si aprì, permettendo alla scorta di Tyrron di farsi avanti.
- Ma devo andare alla lezione di Sayuri. - obiettò disorientata Nemeria.
L'uomo schioccò la lingua e accantonò la questione con un gesto brusco della mano.
- Ti porto a vedere qualcosa di più istruttivo. Non ti preoccupare, poi le riferirò che sono stato io a rapirti. -
Nemeria guardò le altre, in attesa di non sapeva nemmeno lei cosa. Le dispiaceva e si sentiva anche un po' in colpa ad abbandonarle tra le grinfie di Sayuri, che, poco ma sicuro, non avrebbe gradito il loro ritardo. Ma in fondo non era colpa sua, no?
- Dai, muoviti, lo spettacolo comincia tra poco. - si rivolse ai soldati, - Rimanete qui, siete troppo ingombranti. Morad, con me. -
- Sissignore. -
- E tu, corri a farti cambiare la fasciatura, sia mai che ti venga un'infezione e ti devo tenere a letto altre tre settimane. -
Nemeria esitò. Il solo pensiero di uscire di nuovo fuori e di essere seguita dal predone la strappava il respiro, ma non aveva scelta.
- Cosa stai aspettando? -
Gli occhi di Tyrron le agguantarono il cuore. Nemeria deglutì, paralizzata da quello sguardo indagatore.
- Nulla, avevo solo male alle gambe. - blaterò e schizzò in infermeria.
Quando riferì a Nande che era stato Tyrron a spedirla lì, la donna si mise subito al lavoro. Agì con destrezza, prendendo gli impacchi e i vasetti senza neanche guardare e il suo tocco gentile le procurò un dolore sopportabile, che non le faceva contrarre la mandibola e stringere le palpebre.
- Stasera torna da me, va bene? A qualsiasi ora, è essenziale tenere quei tagli puliti. -
Nemeria annuì e si precipitò giù dalle scale. Quando tornò nel cortile, Tyrron stava masticando una striscia di carne essiccata. L'occhiata che le lanciò, fu più che sufficiente a mettere a tacere qualsiasi latente sentimento di ribellione.
- Ma... ma quindi usciamo dalla scuola? -
- Andiamo all'arena. - le rispose Morad.
- Ah. E perché? -
- Te l'ho già detto, dobbiamo vedere lo spettacolo. - le guardie aprirono immediatamente le porte a un cenno di Tyrron, - E i gladiatori non aspettano certo noi. -
Proseguirono per un po' sulla stessa strada del giorno prima e poi deviarono su una via ampia, dove le case non erano altro che blocchi di pietra bianca ammassati gli uni sugli altri senza criterio. Nemeria si teneva ben vicina a Morad e alla sua spada di oricalco. Stava diventando paranoica, se ne rendeva conto, però il pressante pensiero di essere seguita, che il predone la stesse pedinando nascondendosi tra la folla, la faceva tremare.
“Non ti ha attaccato la volta scorsa, non lo farà nemmeno ora.”
In lontananza, come un colosso in mezzo alle formiche, si stagliava l'arena. Quattro piani di travertino per centocinquanta piedi d'altezza, con le chiavi d'arco ornate con i busti di divinità, era una struttura così maestosa da lasciare Nemeria a bocca aperta. La luce rimbalzava sui clipei bronzei e sgattaiolava all'interno attraverso le finestre ovali, contornate da una cornice di mosaico smaltato che cesellava le mensole sporgenti, nelle quali erano alloggiati dei pali di legno.
- Sai cosa rappresentano? -
La bambina ci mise un momento a capire che la domanda era rivolta a lei.
- È la prima volta che li vedo così da vicino. -
- Se non ti avessi comprato qui, direi che tu a Kalaspirit non ci hai mai vissuto. - Tyrron indicò la statua più alta, quella che pareva sorvegliare la strada, - Da sinistra a destra a partire da quella: Heydar, Siddhi, Mahendra, Vajra, Priti, Jyeshta, Harshana, Chitra, Vriddhi.-
“Arsalan mi aveva detto che i mortali erano complicati.”
Era una cosa che non aveva mai capito. Con così tanti dei, come facevano a decidere a chi rivolgere le loro preghiere?
Saltarono la fila, lasciandosi alle spalle una folla strepitante e stipata, e le guardie li lasciarono passare senza obiezioni. Presero posto sui gradoni del secondo settore, proprio nel bel mezzo. Sopra le loro teste, a schermarli dal sole, erano stati distesi dei veli in canapa che coprivano tutta la platea e una parte dell'arena stessa. Da dove si erano seduti, si potevano vedere i seggi di legno della prima fila e la balaustra del podio, dove erano stati iscritti diversi nomi. Alcuni seggi erano già stati occupati da uomini vestiti con abiti eleganti e donne ingioiellate e agghindate con pesanti tuniche rosse, rosa e blu. A dividerli dal resto del pubblico c'era un basso muro di mattoni rossi.
- Quelle davanti sono le famiglie nobili della città, hanno i posti già assegnati e un cuscino per il loro regale culo. Possono godersi le loro divertenti conversazioni anche alcuni membri del Consorzio, che stanno lì per sventare i possibili colpi di testa dei gladiatori più ribelli. Visto che il podio e la balaustra, nonché i muri dell'arena stessa, sono fatti in oricalco, si godono lo spettacolo dalle prime file pur non avendo sangue nobile. - le sussurrò Tyrron all'orecchio, scatenando la risatina di Morad, - Sul palco alla tua destra ci dovrebbe essere il sultano, viene qui abbastanza spesso, anche se non si ferma mai molto. Adesso siede il governatore con la famiglia e il suo consigliere. È un amante delle corse dei cavalli, ma non disdegna gli spettacoli gladiatori. Ha avuto solo un preferito, un ragazzino che si è trasformato in Jin circa sette settimane fa. -
Nemeria non riusciva a vederlo bene da dov'era, erano troppo in alto, però era impossibile ignorare le vesti sgargianti che, anche da così lontano, attiravano l'attenzione.
Quando le trombe squillarono, quello che Nemeria presunse essere il banditore si sporse dagli spalti più bassi e aprì le braccia. La folla si zittì.
- Che entrino i gladiatori! Signori, sedetevi e godetevi lo spettacolo! -
Le grate si alzarono e i due sfidanti fecero il loro ingresso. Si portarono al centro dell'arena, accompagnati da uno scroscio di applausi e acclamazioni. Uno sfoggiava un alto cimiero e una coda di piume di falco che garrivano al vento, mentre l'altro non aveva protezioni sulla testa e, oltre a un gonnellino, indossava soltanto degli alti schinieri che lasciavano liberi i piedi e dei bracciali spessi, abbacinanti sotto la luce del sole, che lo coprivano fin poco sotto il gomito. Si batterono il pugno sul petto e si inginocchiarono sotto il palco del governatore. Quand'egli assentì, balzarono in piedi, i pugni già alzati e pronti a colpire.
- Non hanno armi? -
- Non servono. Si fanno chiamare il Leone e il Grifone. Ti lascio immaginare chi sia il Grifone. -
La pelle del gladiatore si ritirò e il petto e le braccia scoperte si rivestirono di pietre rosse, tanti piccoli sassolini compattati assieme alla sabbia dell'arena a formare un'armatura in continuità con il corpetto di cuoio nero. Il Leone caricò l'avversario e, al momento dell'impatto, il pugno si rivestì di rocce acuminate e sporgenti che esplosero in mille schegge.
- Sono due Dominatori! - esclamò sorpresa Nemeria.
Tyrron sogghignò: - Molto perspicace. -
Il Grifone riguadagnò la distanza di sicurezza, richiamò la sabbia sulla mano aperta e la modellò a forma di lancia. L'arma sibilò nell'aria come se avesse avuto lo stesso peso del suo corrispettivo di metallo, si abbatté sullo scudo del Leone e si sgretolò, e i suoi granelli divennero parte dello stesso, lo allargarono fino a formarne uno più largo, rettangolare e ricurvo.
- Fate sul serio! -
- Forza, Grifone, forza! -
Sulla curva ovest venne srotolato uno striscione con su cucito un grifone arancione, sullo sfondo due lance incrociate. I tifosi, quelli più in alto, battevano i piedi e le mani, mentre sulle curve est fiorivano le insegne di un leone blu.
- Leone. - intonavano a ritmo, - Leone, leone, leone! -
L'eccitazione divampò come un incendio in una sterpaglia, riscaldò gli animi di tutti, mentre lo scontro serrato si perpetrava sotto i loro occhi. Quando il Leone spaccò l'armatura del suo avversario con una scudata e lo fece volare contro il muro, un boato fece tremare Nemeria fin nelle ossa e fomentò un'eccitazione che non credeva di avere. Scattò in piedi e la sua voce si unì al coro di urla selvagge che l'attorniavano, si elevò assieme alle altre e le causò un senso di vertigine inebriante. Il dolore alla schiena era sempre lì, onnipresente, eppure svaniva nel clamore e nell'euforia di quel momento. I suonatori sugli spalti più alti e distanziati dalla folla soffiarono più forte nelle tube e nei corni, mentre la melodia degli organi ad acqua divenne più cadenzata e vivace.
Il Grifone si rialzò e sollevò fieramente il mento, non ancora sconfitto. Levò le braccia al cielo, grugnì e sbatté un piede a terra. La sabbia si si staccò dal terreno e tagliò l'aria sotto forma di proiettili affilati. I primi si bloccarono nello scudo, gli altri sfondarono la barriera e colpirono il Leone con così tanta forza da farlo vacillare. Lo scudo cadde a terra e si dissolse in un nugolo di granelli. Il sangue gli gocciolò sui piedi dalla spalla, dal petto, dal braccio e da un taglio sul collo.
- Grifone, Grifone, Grifone! -
- Combatti, Leone, combatti! -
- Schiaccialo! -
La folla era in visibilio e i tifosi dell'uno e dell'altro gladiatore si contendevano il primato di urla d'esortazione. La donna vicino a Nemeria si sbracciava anche più di lei, con i pendagli che trillavano quando saltava. Ignorò il marito e talvolta le lanciò dei gran sorrisi. Sebbene non avesse la più pallida idea di chi fosse, Nemeria si sentì in dovere di ricambiare.
Il Grifone assaltò il Leone, lo placcò e gli girò il braccio dietro la schiena, immobilizzandolo a terra con legacci di sabbia. Era gigantesco, con quel cimiero e il bracciale di lamiera, sembrava proprio il rapace mitologico di cui portava il nome. E il Leone, il suo temibile avversario, pareva un cucciolo intrappolato sotto le sue grinfie.
Crock.
Lo schiocco dell'osso rotto venne sovrastato dal clamore, ma un brivido si diffuse su tutte le braccia e nella pancia di Nemeria. L'urlo che ne seguì si spense in un rantolo sofferente e risvegliò il dolore in dormiveglia, costringendola a sedersi. Nonostante tutto, però, i suoi occhi rimasero fermi su quei corpi in lotta nel bel mezzo dell'arena. E l'eccitazione che animava gli astanti, e che per osmosi l'attraversava e pervadeva, si accrebbe come una marea.
Il governatore si sporse dalla balaustra e a un suo cenno il Grifone mollò la presa. Tuttavia, le corde di sabbia non desistettero e i granelli si innalzarono dal terreno e salirono verso l'alto in un turbinio caotico, salvo poi ricadere incrostandosi sulle ferite aperte del Leone.
- Morirà? -
Tyrron storpiò le labbra in un sorriso saputo: - Osserva. -
Il Grifone camminò attorno al suo avversario, tenendolo sotto tiro con una lancia. Le linee di sabbia, vere e proprie strie nelle quali i granelli barbagliavano come pagliuzze d'oro, lo seguivano come i veli di una sposa. Mentre il governatore assisteva dall'alto, lui abbracciava l'arena con lo sguardo, incoraggiando la folla a magnificarlo. I suoi tifosi avevano il pollice rivolto verso il basso; gli altri, quelli che sostenevano il Leone, lo tenevano in su.
Nemeria allontanò la mano per osservarla e poi dardeggiò un'occhiata interrogativa a Tyrron, che aveva incrociato le braccia sul petto.
- Chiamano la grazia o la morte per lo sconfitto. - le spiegò.
- Ma avevi detto che... -
L'uomo le mise l'indice sulle labbra per zittirla.
- Pane e giochi, è questa la formula per mantenere il favore del popolo, e quindi il trono. Fai assaporare alla gente la sensazione di avere il potere, e agli occhi degli ammalati, dei poveri e dei moribondi sarai un Dio. - distolse lo sguardo da lei e lo rivolse altrove, - Perché una recita sia efficace, il primo attore deve credere davvero di essere il personaggio che sta interpretando. -
Nemeria seguì i suoi occhi. Si soffermò sulla figura del governatore, che, fino a quel momento, si era limitato a godersi la scena dal suo palco. Quando protese il braccio oltre la balaustra, tutti parvero trattenere il respiro. Gli schiamazzi cessarono e un silenzio carico di aspettativa si adagiò sugli spalti. Solo lo sfrigolare lieve della sabbia allentava la tensione altrimenti tangibile.
Il pollice parallelo al braccio si alzò verso l'alto.
Tutti gli spettatori si alzarono e si abbandonarono a uno scroscio di applausi entusiasti. Nemeria nemmeno udì i detrattori della decisione del governatore, né le battute che Tyrron e Morad scambiarono. La sua attenzione era sul Grifone, che aiutò il suo avversario a rimettersi in piedi, attento alle sue ferite. Stavano parlando, poteva vedere le loro labbra muoversi, e mentre venivano scortati fuori dalle guardie subentrate dalle altre due entrate laterali, restò rapita da quella confidenza inaspettata. Quindi l'amicizia tra lei e Noriko poteva esistere in quel mondo? Oppure anche quella non era altro che una facciata da offrire in pasto al pubblico?
Rimasero lì fino alla fine degli incontri, anche se nessuno di quelli che seguirono la conquistò davvero. L'adrenalina le accelerava il cuore ogni volta che gli sfidanti facevano il loro ingresso, eppure dopo la forte emozione del combattimento tra il Grifone e il Leone tutto scoloriva, era acqua a confronto con l'alcol puro.
Quando abbandonarono l'arena, il sole stava già declinando. Tyrron e Morad non avevano smesso un momento di discutere sull'andamento degli incontri, escludendo completamente Nemeria dal discorso.
“Devono essere proprio sicuri che non scapperò.”
Si toccò il collare e represse una smorfia. Si sentiva spossata, immensamente e profondamente stanca, ma il pulsare delle ferite era un'avvisaglia anche fin troppo chiara che anche quella notte non avrebbe dormito. Forse poteva chiedere a Tyrron di esonerarla dagli allenamenti. Si rimangiò subito il pensiero e lo mise da parte, stipandolo nell'angolino più lontano della sua mente, da dove non poteva più tentarla.
I chioschetti d'intorno all'arena erano stati assaltati da spettatori affamati, che con pochi ètlaon potevano soddisfare il loro appetito. I bambini dell'età di Nemeria, invece, si affannavano attorno ai baracchini per comprare una statuetta di terracotta del loro gladiatore preferito. C'era un'allegria frizzante che scoppiettava nell'aria fresca nella sera.
Stavano percorrendo la strada che li avrebbe riportati alla via principale, quando lo vide. All'inizio sussultò e si strofinò le palpebre pensando fosse un brutto scherzo della stanchezza, poi l'ombra tra la spazzatura si mosse e un musetto felino fece capolino da sotto un nido di stracci lerci.
Nemeria si fermò di colpo e si avvicinò finché l'animale non le soffiò contro, minaccioso come solo un cucciolo tenta di essere. Aveva il pelo grigio chiaro, due strisce scure proprio sotto gli occhi verdi e una macchia nera che gli circondava il muso. Teneva la zampa sinistra sollevata, scossa da piccoli e quasi impercettibili tremiti.
Nemeria allungò la mano e il gatto si ritrasse, snudando i denti.
- Così non riuscirai mai ad avvicinarlo. -
Tyrron si era inginocchiato al suo fianco e ora studiava l'animale con attenzione. Senza perderlo di vista, tirò fuori dalla tasca delle strisce di carne essiccata.
- Dagliene una, vedrai che uscirà fuori da solo. -
Nemeria titubò un momento prima di accettare. Divise la carne in due parti e, tenendo il braccio teso davanti a sé, compì qualche altro passo. Il gatto tirò indietro la testa, poi però l'odore della carne gli fece cambiare idea. Diffidente, leccò le dita di Nemeria, gliele solleticò con la lingua ruvida come se non avesse capito la differenza tra quelle e la carne, e infine addentò la striscia di carne. No, non era un gatto, aveva le orecchie troppo lunghe.
“Non mi è mai capitato di vedere dei peli neri così...”
- È uno shyahgosh, meglio conosciuto come “caracal”. Nell'Impero Skandaaleshan viene ammaestrato per la caccia all'antilope e in alcune dahyu per quella agli uccelli. Deve essere scappato a qualche mercante, è troppo piccolo per sopravvivere nel deserto da solo. - disse Morad.
Nemeria si girò a guardarlo e l'uomo ridacchiò.
- Prima di incontrare Tyrron, ero un cacciatore. Qualcosa del mio vecchio mestiere me lo ricordo. -
Il caracal le addentò il dito, ma senza forza, quasi volesse richiamare la sua attenzione. Nemeria gli allungò l'altro pezzetto di carne e lo guardò mentre lo mangiava. Era davvero un cucciolo, una pallina di pelo ispido e sporco.
- Non... - si morse la lingua e cercò le parole migliori, - non si possono tenere animali nella scuola? -
Tyrron aggrottò le sopracciglia e Morad smorzò una risata con un colpo di tosse.
- Mi stai chiedendo il permesso di tenerlo? -
- È piccolo e tutto solo... non mi va di lasciarlo qui. -
L'uomo parve prendere in considerazione la sua richiesta, almeno questo era quello che Nemeria sperava significasse il suo silenzio.
- Morad, quanto diventa grosso? -
- Circa venti pollici per un peso massimo di quaranticinque libbre. -
Le pupille di Nemeria si spalancarono. Possibile che un cucciolo così minuto potesse diventare così grande? Le era difficile anche solo immaginare che potesse essere un predatore.
- Facciamo così. Lo puoi tenere, a patto che sia tu a occuparti di tutto. Io non ne voglio sapere nulla, chiaro? Se proprio vuoi dei consigli, chiedi a Morad.-
- S-sì... sì. -
- Bene. - si rialzò, si spazzolò lo sporco dai pantaloni, per poi consegnarle altre tre strisce di carne, - Muoviti, si sta facendo tardi e ho una cena importante stasera. -
Nemeria annuì e con un gesto fulmineo che le procurò una fitta sotto le costole afferrò il caracal come avrebbe fatto con un gatto. L'animale si dimenò tra le sue braccia, graffiandole la tunica per liberarsi. Colpì anche la pietra di luna, quando improvvisamente si calmò, limitandosi a lanciare un miagolio basso per pretendere un altro pezzo di carne. Morad inarcò un sopracciglio, più sorpreso di lei.
- Dovrai dargli un nome se vuoi cominciare ad addestrarlo. -
Nemeria appuntò lo sguardo in quello del caracal.
“Orecchie lunghe e pelose, musetto dolce e ha quasi più pelo lui degli aculei di un istrice.”
Sorrise e gli grattò la testolina.
- Batuffolo. -
Stavolta fu Tyrron a scoppiare a ridere, quasi si piegò sulle ginocchia. Morad la fissò a metà tra il sorpreso e il divertito.
- E quando crescerà? -
- Sarà sempre Batuffolo. -
A quel punto scoppiò a ridere anche lei. Per la prima volta da quando aveva lasciato la sua tribù percepì una scintilla di leggerezza depositarsi sul suo cuore.

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Capitolo 15
*** La giornata più lunga ***


Fuoco 2

15

La giornata più lunga

"Un’oscura tristezza è in fondo a tutte le felicità umane, come alla foce di tutti i fiumi è l’acqua amara. "
Gabriele D'Annunzio

Quando rientrarono alla Scuola, Tyrron la congedò e Nemeria si defilò in camera sua. Noriko era già lì ad attenderla, i capelli rossi sciolti e ancora umidi sulle spalle nude.
- Cosa sarebbe quella palla di pelo? -
Nemeria la fulminò con lo sguardo: - Si chiama Batuffolo ed è un caracal. L'ho trovato che cercava da mangiare tra i rifiuti per strada e Tyrron mi ha dato il permesso di portarlo qui. -
Lo depose sul letto e si inginocchiò alla sua altezza per guardarlo negli occhi. Mentre lo trasportava lì, aveva temuto più di una volta che volesse svincolarsi dal suo abbraccio e scappare, ma il cucciolo invece si era rannicchiato contro il suo petto ed era rimasto tranquillo per tutto il tempo. La pietra di luna, si era accorta con stupore Nemeria, esercitava il suo effetto calmante anche su di lui.
Allungò la mano e gli grattò la testolina, per poi passare sotto il collo. Batuffolo socchiuse gli occhi, inclinò la testa e si lasciò cadere di lato, il collo ben teso esposto alle sue dita.
- Ha una zampa ferita. - osservò Noriko, - Dovresti portarlo da Nande. -
- Lei potrebbe curarlo? -
- No, però potrebbe conoscere qualcuno in grado di farlo. Portaglielo stasera, vedrai che saprà aiutarti. -
Nemeria annuì distrattamente. Gli occhi socchiusi di Batuffolo convogliavano tutta la sua attenzione e le fusa rumorose le facevano tremare tutta la mano, trasmettendole un piacevole calore.
- Nemeria? -
- Sì? -
- Ti ho fatto una domanda. -
- Scusami, ero... ero distratta. -
Noriko sospirò: - Perché lo hai chiamato così? -
Nemeria si soffermò a rifletterci, ma continuò a coccolare il cucciolo, che in quel momento si stava divertendo a mordicchiarle la mano.
- Me lo ha chiesto anche Morad. -
- E cosa gli hai risposto? -
- Non lo so, sinceramente, mi è venuto spontaneo. - sorrise, ripetendo le parole di Altea quando le aveva domandato la stessa cosa, - So che i nomi sono importanti. Una... persona mi ha detto che tutti ne hanno uno, anche gli animali. Non so se quello che ho scelto è giusto. Non c'è una vera ragione dietro, ecco. -
- Capisco. -
Noriko si sedette sul suo materasso e si allacciò i sandali, un paio di calighe nuove quasi quanto quelle di Nemeria.
- Vuoi una mano a pettinarti i capelli? -
- No, grazie, faccio da sola.-
- Sicura? -
Trascorse un momento d'esitazione.
- Tu ci metti troppo. E poi prima di cena devi andare a farti cambiare la fasciatura da Nande. -
- Non è vero! - sbottò quasi risentita Nemeria, - Anzi, posso essere anche più veloce di te se voglio. -
Noriko abbozzò un sorriso. Aveva un ciuffo che le ricadeva proprio sul naso e la chioma sfibrata in tante ciocche scomposte che spiccavano come alghe rosse sulle fasce di contenimento del seno.
- Il pettine è lì dentro. - si arrese.
Le indicò una scatola con un coperchio di legno decorato con motivi geometrici, lucido e rotondo. Nemeria diede un ultimo buffetto alle orecchie di Batuffolo e, dopo aver preso il pettine, si sedette vicino a Noriko. A un suo cenno, questa le diede le spalle. A discapito di quello che credeva, i denti filavano tra i capelli senza alcun intoppo. Le ciocche, sebbene umide, erano morbide al tatto, seriche, e a ogni passata si separavano tra le sue dita come i fili ricavati dai bachi da seta.
- Sono... davvero belli. - si complimentò Nemeria con sincerità, senza smettere di pettinarli, - Fino ad ora non me n'ero mai accorta. -
- Sono scomodi così lunghi, devo sempre portarli legati. -
- Vuoi tagliarli? -
Noriko non rispose subito. Inclinò leggermente la testa all'indietro, in modo che Nemeria potesse sciogliere senza farle male un nodo proprio alla base della nuca.
- Mi basta farmi una treccia, non mi va granché di tagliarli. -
- Meglio, anche perché a me piacciono molto. -
Lo aveva detto di getto, senza pensare che, forse, a Noriko non interessasse granché della sua opinione.
- Saremmo rimaste amiche anche se avessi deciso il contrario. - si affrettò ad aggiungere, imbarazzata, - Però, secondo me, stai meglio così. -
Noriko la guardò di sbieco, girando appena la testa.
- Siamo amiche, quindi? -
- S-sì... -
Noriko inchiodò lo sguardo su di lei. Nemeria trattenne il fiato quando le loro linee visive si sovrapposero: il modo in cui la guardava, con una freddezza quasi chirurgica, l'aveva sempre fatta sentire nuda, come se fosse in grado di carpire tutti i suoi segreti. Era quasi la stessa sensazione che le trasmetteva Tyrron, ma almeno di Noriko si poteva fidare.
Come un fulmine a ciel sereno, Nemeria si rese conto che sotto la superficie dell'acqua racchiusa in quelle iridi non c'erano sirene, ma pesci e fiori di lago.
- Vuoi farmi la treccia? -
Quella proposta venne accompagnata da un sorriso e Nemeria non si accorse nemmeno di star facendo lo stesso. Si appropriò del cordone di cuoio e lo tenne tra le labbra, mentre armeggiava con le tre grandi ciocche in cui aveva diviso la chioma. Si sentiva inspiegabilmente felice, serena. Era come se tutte le emozioni di quella giornata avessero attenuato il dolore, la solitudine, il senso di colpa e il logorante senso di inadeguatezza, simili a spilli contro un muro di pietra.
- Finito! - saltellò giù dal letto e le si parò davanti, - Sì, ho fatto proprio un buon lavoro. -
- Non sei stata proprio veloce, sai? -
Nemeria sbuffò: - Ci vuole tempo per fare le cose per bene. -
- Sei comunque lenta. - Noriko si spostò la treccia sul davanti e andò ad aprire la porta, - Portiamo prima la palla di pelo da Nande e poi andiamo a cena? -
Batuffolo recalcitrò un po' prima di farsi prendere. Si era acciambellato sul cuscino e dormicchiava tranquillo, con la coda avvolta attorno al corpo. Quando Nemeria tentò di afferrarlo la prima volta, spiccò un goffo balzo, atterrando alle spalle della ragazza, sul fondo del letto, ma bastò appoggiare la zampa ferita sul materasso per emettere un miagolio sofferente.
- Non dovresti essere assonnato, tu? - lo prese in braccio e lo strinse piano al petto, - Dai, Batuffolo, stai buono, adesso ti porto a farti medicare. -
- Non ti capisce. - borbottò Noriko, roteando gli occhi.
- Sì, invece. -
Gli fece stringere tra le zampe la pietra di luna e Batuffolo, dopo un breve momento durante il quale rimase imbambolato a fissarla, cominciò a giocarci colpendola con l'arto sano.
- Mi devo ricredere. -
- Su cosa? -
- Sulle pietre, o almeno sulla tua. - Noriko fece un cenno col mento al ciondolo, - Pensavo che fossero i ricordi che evocava a tranquillizzarti, ma da ciò che vedo, anche la palla di pelo ne subisce l'effetto. Ha davvero qualcosa di... -
- Magico? -
- … particolare, solo particolare. - le tenne la porta aperta per permetterle di passare, - Avanti, muoviti. -
- Puoi aspettarmi in refettorio, ci so arrivare. -
- E all'infermeria? -
- Ci sono tornata oggi da sola. -
Stavolta fu il turno di Noriko ad essere stupita, sebbene non sembrasse ancora convinta.
- Se proprio temi che mi perda, accompagnami. -
- Va bene. -
L'infermeria, rispetto alla loro stanza, si trovava al secondo piano e le scale per arrivarci erano vicine a quelle che si collegavano col piano terra. Nande era occupata a medicare una ragazza con i lunghi capelli neri e il collo sottile e delicato. Aveva una tumefazione violacea sulla scapola, una macchia scura come un'isola di sterpaglia bruciata sulla pelle abbronzata.
Non appena si avvicinarono, la ragazza le lanciò un'occhiata in tralice che scaraventò il cuore di Nemeria in fondo allo stomaco.
- Ti medico dopo cena, ora devo finire qui. - disse mentre prendeva del filo e lo faceva passare nella cruna di un ago arcuato e sottile, - Mi ci vorrà un po'. -
- Posso aspettare, è solo un taglietto. Fai pure la mia... amica. -
Zahra scese zoppicando dal lettino e trafisse Nemeria con i suoi occhi gialli, ferali come quelli di un predatore.
“Un cobra.”
- Puoi anche stare seduta, posso farla accomodare su un altro letto. - disse Nande a Zahra.
- Ma era da molto che non la vedevo e ci tenevo ad abbracciarla. -
Zahra compì qualche passo verso di loro e Noriko si parò davanti a Nemeria. Batuffolo artigliò l'aria, mostrò i denti e soffiò minaccioso.
- Non c'è bisogno di agitarsi. - sorrise beffarda e alzò le mani in alto, - Quanto siamo suscettibili! E dire che la volevo soltanto salutare. -
- Siediti, Zahra. -
La voce di Nande era autoritaria, non ammetteva repliche, eppure Nemeria era certa che non avrebbe obbedito. Ebbe i brividi quando l'Alatfal'yl si ristese sul letto. Oltre al livido sulla spalla, un taglio profondo rosseggiava all'altezza del ginocchio, con i bordi slabbrati e incrostati di sangue raggrumato.
- Togliti la tunica e spo... - Nande corrugò la fronte, - È un caracal quello che vedo? -
Nemeria si umettò le labbra e deglutì un paio di volte. Si impose di raddrizzare le spalle e la schiena, anche se la pelle tirò sulle ferite ancora aperte.
- Mi stavo chiedendo se... se conoscessi qualcuno che può curarlo. -
Nemeria tenne saldamente gli occhi in quelli di Nande, sperando che il cuore tornasse al suo posto, anche se la presenza di Zahra incombeva su di lei come un gheppio.
- So che tu ti occupi di noi, però magari hai dei contatti fuori di qui che potrebbero... aiutarlo. -
- Ho un amico che si intende di animali. - rispose la donna dopo un momento, - Potrei provare a chiedere, però tieni conto che non potrebbe venire qui a controllarlo. Solo il personale autorizzato può accedere alla scuola. -
Come se avesse capito, Batuffolo perse qualsiasi vena combattiva e si fece piccolo piccolo tra le braccia di Nemeria, che, istintivamente, sprofondò il viso nel pelo del collo. Era un cucciolo, la pelliccia sporca nascondeva un corpicino gracile e debole. Sarebbe bastato un niente per spezzare quella vita e Nemeria non poteva perderlo. Il suo cuore era già un cimitero, aggiungere un'altra fossa era inconcepibile.
Nande annuì, come se fosse riuscita a leggerle dentro.
- Posso controllarlo io, se vuoi. Per ora. Molte erbe che uso per preparare gli impacchi vanno bene sia per uomini che per animali; se però non saranno sufficienti, dovrai essere tu a chiedere a Tyrron di far venire qui una persona esterna. -
- Sì, va bene. - accettò in fretta Nemeria.
Batuffolo sussultò e le affondò le unghiette nella tunica, salvo ritrarle subito, quasi avesse intuito che così facendo le avrebbe procurato dolore.
- Bene. Adesso ti medico, poi mi lasci il cucciolo. - sancì Nande e, prima che Nemeria potesse ribattere, le fece cenno di stendersi su un altro letto, - Più parli, più tempo rimane qui con me. -
- E a cena, a differenza del pranzo, il cuoco non è così flessibile. - aggiunse Noriko.
In risposta, Batuffolo si protese verso il pavimento, scalciando con le zampine posteriori per scendere. Nemeria lo appoggiò a terra con quanta più delicatezza poté e obbedì.
- Devo dire che sei migliorata molto in soli due giorni. - osservò Nande ammirata, percorrendo il profilo delle frustate, - Ci metteranno quantomeno due settimane a guarire del tutto, però adesso hanno un aspetto più sano. Ti fanno ancora molto male? -
- Sì, basta poco perché senta dolore. Stanotte è stato un incubo. -
- Posso immaginare. -
Le spalmò la stessa crema del pomeriggio, con un'aggiunta di zenzero che le fece storcere il naso.
- Non c'è un Dominatore dell'acqua qui? -
- Sì, c'è, ma interviene solo in sporadici casi e quando i padroni glielo ordinano. Le tue ferite non sono abbastanza gravi per richiedere l'intervento di Serafim. - le fece cenno di mettersi seduta, mentre lei cercava le garze, - Mina e gli altri lanisti non lo permetterebbero, dopo quello che hai combinato. Ti auguro di non doverlo mai incontrare, comunque. Se vieni mandata da lui, significa che sei più di là che di qua. -
Nemeria rabbrividì e il gelo rovente dell'odio le assalì le tempie. Quel sorrisetto compiaciuto... un giorno Mina avrebbe pagato. Sospinse quel pensiero lontano e rivolse la sua attenzione alle parole di Nande. Aveva sperato potesse essere Il'ya, doveva ancora ringraziarlo per quello che aveva fatto prima e dopo lo scontro con Zahra.
“Ma forse lei sa dov'è?”
Alzò la testa e guardò la Dominatrice. Se ne stava stesa a pancia in su a guardare il soffitto, il braccio destro pigramente appoggiato sugli occhi e i capelli sparpagliati sul basso cuscino di paglia. Se soltanto ci fosse stata la possibilità di parlarle senza rischiare un pugno in faccia, o peggio, Nemeria glielo avrebbe chiesto volentieri.
Lo schiaffetto sulla spalla da parte di Nande la riportò alla realtà. Aveva già ripreso l'ago arcuato in mano.
- Allora ci vediamo tra un po'? -
- Non vado da nessuna parte. - tese il filo per assicurarsi che fosse della lunghezza adatta e Zahra distese la gamba, - Ora andate, non voglio distrazioni mentre lavoro. -
Nemeria indugiò. Batuffolo si era acciambellato di nuovo, con il muso rivolto verso Nande e una palpebra a mezz'asta sull'occhio aperto. Le venne da sorridere a vedere i suoi tentativi di rimanere sveglio e vigile.
- Nemeria, ho fame. - la richiamò Noriko.
- Ah? Sì, andiamo, sì. -
Noriko la precedette. Nemeria si fermò sulla soglia e lanciò uno sguardo alle sue spalle. Zahra la stava fissando. Stringeva le labbra e i pugni in una smorfia di dolore a stento trattenuta, mentre Nande operava sulla sua ferita.
“Non è invulnerabile.”
Quel pensiero le elargì la forza di girarsi e uscire. La paura le faceva ancora tremare le ginocchia e il cuore era rimasto impigliato chissà dove in fondo allo stomaco, eppure vederla in quello stato, così umana e inerme, le aveva fatto capire che non era stato solo un colpo di fortuna a farla vincere: Zahra poteva essere sconfitta.
Scesero nel refettorio e presero posto vicino a Durga e Ahhotep. La bambina, non appena le vide arrivare, tolse i piedi dallo sgabello che aveva nascosto sotto il tavolo e lo porse a Nemeria, battendo la mano per farla sedere.
- Un ragazzo lo voleva prendere, ma io gliel'ho impedito. - raccontò, gonfiando il petto piena d'orgoglio, - L'ho difeso con le unghie e con i denti, Tep è testimone. -
- Ma che gentile, grazie! -
- Sappi che ci sei mancata oggi all'allenamento con Sayuri. -
- A te, forse. - la corresse Ahhotep.
- Non fare l'antipatica, Tep. - la rimproverò Durga e le puntò il cucchiaio contro, - Anche tu eri curiosa di sapere dove fosse andata con Tyrron. -
- Non abbiamo fatto niente di che, davvero... -
- Ma noi siamo curiose. -
Ahhotep levò gli occhi al cielo e riprese a mangiare il suo riso al curry senza ribattere.
- Allora? Non ti far pregare!- cinguettò Durga.
- Siamo andati all'arena a vedere lo scontro tra il Leone e il Grifone. -
Durga strabuzzò gli occhi e rimase a bocca aperta. I suoi occhi brillavano per l'eccitazione.
- E com'è stato? -
- Bello, molto bello. - fece una pausa a effetto per godersi il viso della bambina, - Sono davvero fortissimi. Il Leone, poi, anche se ha perso, è stato magnifico. Il Grifone si è comportato in modo molto leale e corretto, lo ha addirittura aiutato ad alzarsi! -
- Che brutto, però. Io non so se riuscirei a colpire un amico. -
Nemeria si prese un attimo prima di rispondere.
- L'importante è non causare ferite troppo gravi. -
- Quindi il Leone non si è arrabbiato? -
- A me non sembrava. -
Ahhotep scoppiò a ridere.
- Credete davvero che quei due siano amici? Non capisci che è solo una finzione? Non può esistere amicizia tra di noi, siamo schiavi destinati a diventare mostri. E chi credi ci ammazzerà, eh? - si protese verso Nemeria, la pupilla nera quasi iridescente nell'iride scura, - Potresti essere tu a dover togliere la vita a uno di noi, o noi a dover fare la stessa cosa. La morte di un Jin sarà eccitante per quelli là fuori, ma la finzione di un'amicizia in condannati come noi, di un amore, di un qualsiasi sentimento umano rende solo il tutto un teatrino tragico ai loro occhi. Se credi che la gentilezza che hai visto oggi sia vera, forse sei più stupida di quanto pensavo. -
Nemeria rimase senza parole, disarmata. La paura sorse dentro di lei, minando la sua sicurezza e togliendo terreno al suo entusiasmo. Trasse un lungo respiro tremante.
- Quindi smettila di illuderti, smettila di prenderci in giro tutti. Tu, forse, ne uscirai viva perché sei la preferita di Tyrron, ma noi creperemo qu... -
Si interruppe prima di concludere la frase. Nemeria seguì la direzione del suo sguardo e trovò il viso arrossato di Durga, le ciglia bagnate che fremevano sotto la pressione delle lacrime. Non fece in tempo a dire o fare nulla che la bambina corse via, fuori dal refettorio.
- Era proprio necessario essere così duri? - sibilò Noriko, quindi si riempì il bicchiere con l'acqua sporca del pranzo e la sorseggiò con calma, come se non fosse successo nulla.
Ahhotep strinse il pugno e tornò al suo posto.
- Era necessario. Meglio che capisca subito come va il mondo prima che si faccia male sul serio. -
- È solo una bambina. - protestò Nemeria.
Entrambe si girarono a guardarla. Lei spostò il suo vassoio da un lato e puntò gli occhi in quelli di Ahhotep.
- Non lo è, ha smesso di esserlo quando è stata portata qui. - replicò l'altra.
- Ah, davvero? Non mi sembra. È una bambina e tu... tu l'hai dovuta far piangere per ferire me. Perché lo hai fatto? Non potevi attendere che fossimo solo noi due? - domandò, improvvisamente furiosa.
- È per il suo bene. -
Nemeria non riuscì a trattenersi. Il suono che fece poteva ricordare una risata, se non fosse stata così carica di rabbia e amarezza.
- Per il suo bene? Tu volevi solo ferire me e per sbaglio, nel tuo maldestro tentativo di farmi del male, hai colpito la tua... come la devo chiamare? Perché da quello che mi è parso di capire, è un'amicizia a senso unico. -
- Tu non sai niente. - ringhiò Ahhotep.
- Non mi interessa. Ti conosco da appena un giorno e, per quello che mi riguarda, potresti anche crepare domani, non me ne importerebbe nulla. -
Nemeria sapeva che doveva fermarsi, ma qualcosa la spingeva a continuare. La rabbia le infiammava la mente, il viso in lacrime di Durga aizzava le fiamme, le ravvivava. Il collare era incandescente e la pietra di luna un cuore di magma.
- Vuoi comportarti così? Fai come ti pare, ma Durga è mia amica ora, e se osi farla piangere una seconda volta, del tuo corpo non rimarrà altro che cenere. - la minacciò e l'afferrò per il colletto della tunica, obbligandola a piegare il collo all'indietro per poterla guardare ancora negli occhi, - E non credere che non ne sia capace, Ahhotep. Il tuo potere dell'aria potrà anche nutrire le mie fiamme, ma sappi che basta una scintilla per far divampare un incendio. -
La volontà di distruzione fluiva dai polpastrelli e le arrossava la vista. L'attenzione degli astanti era puntata su di loro e gli occhi di Ahhotep erano spalancati come quelli di un cerbiatto dinanzi al lupo. Le guardie si staccarono dalle pareti e si predisposero attorno al tavolo, le armi già sfoderate.
- Calmati, asir. - le ingiunse un soldato alle sue spalle, - Lasciala. -
Nemeria non si voltò nemmeno. Se lo avesse desiderato, avrebbe potuto bruciarla, lasciarle un marchio indelebile della sua potenza e sarebbe stato giusto, una punizione equa per averla sfidata. L'avrebbe temuta per sempre e mai avrebbe più osato alzare lo sguardo di su dei.
Nessuno può mettersi contro Agni.
- Non lo ripeterò una seconda volta, asir. - la spada della guardia luccicò al limitare del suo campo visivo, - Obbedisci. -
Nemeria chiuse gli occhi e piano, molto piano, mollò la presa. La tunica di Ahhotep era annerita dove le sue mani l'avevano afferrata, l'odore di stoffa bruciata così forte da appestare l'aria.
- Ora siediti e torna a mangiare. - ordinò la guardia.
- Non ho più fame. - borbottò Nemeria.
Prese il suo vassoio, con ancora la razione di riso intonsa, e fronteggiò l'uomo. La superava di almeno una testa, le spalle larghe, le braccia e le gambe coperte dall'armatura d'oricalco. Gli occhi piccoli e porcini la scrutavano dall'ombra allungata della tiara.
Nemeria lo oltrepassò a testa alta. La brace della sua rabbia era ancora lì, sfrigolava nel suo petto sprizzando scintille che accendevano un altro fuoco, più forte e dirompente, che le scaldava il petto e annullava tutto il resto. Persino Noriko sbiadiva in quel rosso accecante.
Il venticello serale la accolse come un vecchio amico, spirando sulle braccia inumidite dal sudore come un balsamo fresco ed emolliente. Il campo d'allenamento circoscritto dal quadriportico era deserto e, a parte le sentinelle, non c'era nessuno in giro.
“Sei ancora qui?”
Sono sempre qui.
La voce dell'elementale era calma e risuonava fin nelle ossa.
“Grazie per avermi aiutata.”
Non ho fatto nulla. Quelle parole erano tue.
Nemeria inspirò a fondo e si portò una mano al petto. Si rigirò la pietra di luna tra le dita e la strinse nel pugno, incurante del calore che emanava.
Tu sei forte, Cuore di fuoco, devi solo imparare a crederci.
“Come mi hai chiamata?”
Una risata trillò forte nella sua mente e poi si affievolì, perdendo d'intensità.
Col tuo nome nel buio.
Nemeria serrò le palpebre. Sentiva che l'elementale la stava abbandonando, ma aveva bisogno che rimanesse, che condividesse la sua forza. Non voleva più essere debole e, anche se temeva il desiderio di distruzione insito nelle fiamme, la rabbia era una bella sensazione, un'emorragia di potenza a cui non voleva rinunciare.
Non me ne vado, Cuore di fuoco, né ora né mai. Ti basterà togliere il collare perché io ti dia tutto ciò che desideri.
Capì che se n'era andata quando l'odore di pelle bruciata sotto il collare la sopraffece. Si dovette appoggiare alla parete per quanto le tremavano le ginocchia.
“Durga... devo cercare Durga.”
Aspettò che la vista si stabilizzasse prima di compiere alcuni passi. Non doveva essere andata lontano, o quantomeno lo sperava. Ispezionò il portico e il campo d'allenamento dell'aria, senza alcun risultato. Quindi decise di andare in avanscoperta negli altri tre corridoi, che presumeva portassero a quelli degli altri tre elementi.
Andò verso nord e percorse il corridoio contornato ai lati da colonne. L'acqua sgorgava dai capitelli e scorreva lungo di esse, per poi incanalarsi nelle venature scavate nella pietra. L'umidità saturava l'ambiente, era così intensa da darle dei capogiri. Nemeria proseguì fino al campo vero e proprio, uno spazio avvolto dal buio, dove lo scrosciare dell'acqua era un rombo nel silenzio.
- Durga! -
Nessuna risposta.
Attese un po' prima di andarsene e infilare il corridoio che conduceva al campo del fuoco. Qualcuno aveva disposto dei treppiedi e la luce ambrata della brace spandeva un alone aranciato sulle colonne tozze e rosse, simili a tronchi levigati. Nemeria lo percorse tutto, finché non arrivò al campo dove si allenava con Sayuri. Non c'erano posti dove nascondersi, ombre che potessero celare alcuna presenza se non quella degli incubi.
Eccola di nuovo, la paura, la sua vecchia amica. Un brivido le arricciò i peli sulle braccia.
“Non c'è nessuno qui” si disse, ma non aveva il coraggio di compiere un solo passo in più: il vuoto del buio, esteso in quel campo così grande, le gelava le ossa. Tornò indietro quasi correndo. Solo dopo aver ripreso fiato, imboccò quello che si trovava di fianco al campo dell'acqua, un corridoio con le pareti dipinte di verde e un acciottolato sregolato come pavimento, che si apriva in una stanza esagonale. Piante rampicanti invadevano le pareti e penetravano all'interno della ragnatela di crepe, simili a vene incise nella roccia, come in cerca di una via di fuga. Si chiamavano Gemme del Firmamento ed erano le uniche forme di vita che potessero sopravvivere nel deserto. Nemeria scorse le curve delle loro radici nodose che penetravano nella sabbia. Era un luogo che offriva spazio alle danze delle ombre sulle rocce e sulle foglie delle Gemme che ciondolavano dalla cupola.
- Durga? -
Si girò di scatto, in tempo per vedere Noriko entrare tutta di corsa. Si fermò di colpo, non appena si accorse che lei era lì, a pochi piedi di distanza. La treccia si era in parte disfatta e i ciuffi le ricadevano scomposti ai lati delle guance e sulle spalle.
- Perché? - chiese cauta e Nemeria intuì subito a cosa si riferiva.
- Perché l'ha ferita. - rispose, trattenendosi dall'aggiungere “Non è ovvio?”.
- Mi avevi promesso che non avresti attirato l'attenzione su di te. -
Nemeria non abbassò lo sguardo. Inspirò piano e accorciò la distanza che le separava di qualche passo.
- Non potevo rimanere con le mani in mano. Hai visto com'è scappata via? Che bisogno c'era di essere così brutale, di sbatterle in faccia i fatti in quel modo? -
- Il rapporto tra Durga e Ahhotep non ti riguarda, Nemeria. Durga sarà anche una bambina, ma Ahhotep ha quindici anni: che se la veda lei. -
- Durga è mia amica. -
- La conosci da ieri. -
Nemeria incassò, presa in contropiede. Ma come poteva rimanere impassibile davanti a ciò che era successo?
- Io... voglio solo che non pianga. So che qui dentro ci sono delle regole diverse da quelle che ci sono là fuori, ma sono scoppiata quando Ahhotep ha detto quelle cose. Non è giusto che lei sia qui, non è giusto che debba combattere contro i suoi amici e trasformarsi in un Jin. È troppo piccola! -
L'amarezza le arrivò addosso come una biga fuori controllo. Le braci ardenti della rabbia, rimaste sopite fino a quel momento, si estinsero, sommerse dall'inevitabilità di un futuro certo.
- Non voglio che Durga soffra, che tu stia male, che Ahhotep si trasformi. - biascicò e si coprì il viso con le mani, le lacrime che sgorgavano senza freni, calde e pesanti, - Perché le persone attorno a me non possono essere felici? Perché devo perdere tutto e rimanere da sola? -
Noriko l'avvolse in un abbraccio e le accarezzò la testa mentre lei piangeva. C'era qualcosa di rassicurante in quei gesti impacciati che leniva il dolore che aveva dentro.
- Non ti lascio, Nemeria. -
- Ma se rimarrai qui, se userai il tuo potere... -
- Sia che fossimo ancora lì fuori o lontane, in un paese dove nessuno ci conosce, non cambierebbe nulla. È il nostro destino ed è stato segnato quando siamo nate. - la strinse per le spalle e appoggiò la guancia sulla sua testa, - Ma non ti lascerò, te lo prometto. -
Noriko non mentiva, Nemeria questo lo sapeva. E i suoi occhi erano tersi come le sue parole, chiari, il riflesso della luce che penetra e illumina al di sotto della superficie di un lago.
- Perché fai tutto questo per me? -
Lo scorrere del tempo era scandito dai granelli di sabbia che le turbinavano attorno alle caviglie.
- Forse perché mi sarebbe piaciuto che qualcuno ci fosse stato per me quando ne avevo bisogno. Proteggendo te, proteggo anche una parte di me. - esalò Noriko.
Mancava un pezzo, in quella frase, un'aggiunta importante che le avrebbe permesso di comprendere davvero a cosa si stesse riferendo. Tuttavia, avvertiva pure che, se avesse osato chiedere, Noriko si sarebbe ritirata in se stessa. Così ricambiò l'abbraccio, più forte di quanto potesse sopportare il distendersi della pelle sulle ferite, ma ne accettò il dolore e serrò i denti così tanto da farli scricchiolare. Tirò su col naso e si strofinò via il muco col dorso della mano.
- Anche io ci sarò sempre per te, Noriko. Te lo prometto. -
- Ti ringrazio. - le sorrise, unendo le loro fronti, quindi si staccò, - Ora andiamo in infermeria a recuperare la palla di pelo. -
- E... e Durga? -
- Sarà già tornata in camera, non c'è abbastanza luce qui. -
- Ne sei sicura? -
- No, ma oggi ha rivelato ad Ahhotep che ha paura del buio e a quest'ora le torce sono accese solo nel cuore della scuola e nei corridoi interni. -
Nemeria non era convinta, ma anche se avesse voluto, a parte gli altri campi, non aveva idea di dove andarla a cercare.
Noriko dovette scorgere l'indecisione sul suo viso, perché aggiunse: - Domani mattina avrai tutto il tempo per darle delle spiegazioni. -
Quello bastò a mettere a tacere la sua coscienza, almeno in quel momento.
Si avviarono in infermeria. Le torce illuminavano il loro passaggio e ne deformavano le ombre, allungandole fino a piegarle in modo asimmetrico sulle pareti. Le guardie le seguirono annoiate con lo sguardo, talune addirittura sbadigliarono al loro passaggio. Nemeria riconobbe i volti di alcuni di loro, i medesimi che aveva scorto prima di seguire Tyrron all'arena.
Nande le attendeva seduta dietro il suo tavolo, le gambe accavallate e un libro di botanica adagiato sulle ginocchia. Quando le vide entrare, infilò tra le pagine un pezzo di carta adornato con una piuma verde e blu e venne loro incontro.
- Allora? Hai potuto fare qualcosa? - domandò Nemeria, apprensiva.
- Non c'era granché. A parte la zampa ferita, non ha né zecche né pulci e i denti sembrano sani. Non ho le conoscenze per fare dei controlli più approfonditi, ma sembra stare bene. L'ho dovuto sedare, però. Quando ti sei allontanata, è diventato intrattabile. - le mostrò le braccia, piene di morsi e graffi, - Essendo un cucciolo, non mi ha fatto molto male. Devi prenderti cura anche della sua educazione, se non vuoi che un giorno cavi un occhio alla persona sbagliata. -
- Ora dov'è? -
Nande gli indicò la sedia di fianco alla sua, dove Batuffolo riposava, il muso sprofondato nelle zampe anteriori. Nemeria si avvicinò in punta di piedi e si inginocchiò al suo fianco. Non osò accarezzarlo per paura di svegliarlo, figuriamoci prenderlo in braccio e portarlo in camera.
- Non ti preoccupare, con quello che gli ho dato lo rivedrai muoversi domani mattina. - sorrise Nande.
All'improvviso Nemeria udì un tonfo. Si girò di scatto e vide Noriko in ginocchio, piegata su stessa, con le braccia strette attorno al ventre. Il viso era una maschera di dolore.
- Noriko? Noriko, che succede? -
La domanda rimase insoluta. Nande si precipitò vicino a lei, la prese sotto braccio e la condusse su un lettino. Dei rigoli di sangue scorrevano tra le cosce di Noriko.
- Prendi il cucciolo e va' in camera tua. -
Nemeria intuì che non era il caso di ribattere. Afferrò Batuffolo con meno grazia di quella che avrebbe voluto e corse fuori.

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Capitolo 16
*** Insieme ***


Fuoco 2

16

Insieme

"Non camminare dietro a me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico."
Albert Camus.

C'è un momento nella notte che è dominio del silenzio, così buio che le ore paiono incastrarsi negli orologi o nel cielo spruzzato di stelle opache. Si colloca in quel lasso di tempo durante il quale la luna declina verso l'orizzonte e il sole si desta dal suo sonno, e si protrae finché il firmamento non schiarisce nell'albeggio. Molti lo chiamano il Tempo del Ritorno: ubriachi e derelitti annaspano verso casa a braccetto con i dolori anestetizzati dal vino e dalle droghe, mentre ricordi e timori, con uno strascico intessuto di “se” e “ma”, fanno visita agli insonni e ai nottambuli.
Nel silenzio di quel Tempo, Nemeria attendeva in un sottile dormiveglia. Batuffolo era steso vicino a lei e, a volte allungava la zampa sana verso il suo piede, la sfiorava e poi si girava dalla parte opposta, come se la sua presenza lì accanto lo facesse sentire meno solo. Oppure voleva trasmetterle la sicurezza che le mancava.
- Sono qui. - biascicava Nemeria e gli accarezzava la testolina.
Aveva la bocca impastata e le palpebre pesanti, ma il sonno si divertiva a giocare a nascondino, mentre il dolore era fin troppo logorante, grattava da sotto le bende e le pizzicava la pelle della spalla, là dove il peso del corpo si scaricava. Eppure, nonostante le ferite, era il cuore a gravarle nel petto: rigido e freddo, trafitto dall'angoscia, pesava quasi fosse ricoperto da uno strato di neve e ghiaccio. Percepiva l'assenza di Noriko in modo tangibile nella mancanza di un altro respiro nella stanza e del frusciare della paglia quando si alzava per controllare come stesse. Era strano e spaventoso ritrovarsi di nuovo sola. Quando sarebbe tornata Noriko? Stando attenta a come si muoveva, Nemeria si girò dall'altra parte, dando la schiena alla parete, e aprì gli occhi. Il letto dell'amica era ancora vuoto, con il cuscino sprimacciato e le lenzuola che sapevano di fresco.
Trasse un profondo respiro e allungò la mano fino alla testa di Batuffolo. Quando aveva visto il sangue, aveva subito compreso cos'era successo, ma non aveva trovato le parole per chiedere a Nande di rimanere. Forse la reputava troppo piccola per capire cosa succedeva al corpo di una donna quando sbocciava, senza sapere che Nemeria era più che preparata: Hediye gliene aveva parlato, le Anziane glielo avevano spiegato ed Etheram era stata la prima. I crampi l'avevano tormentata per tre giorni, prima che gli impacchi di sua madre sortissero effetto. Nemeria le era rimasta accanto e aveva provveduto, nel suo piccolo, affinché non le mancasse nulla e non si sentisse mai sola in un un momento così importante. Quando Etheram aveva intrapreso il Primo Sentiero, i suoi cicli di luna erano diminuiti con il suo distaccarsi dalla mortalità, fino a ridursi a piccole e scolorite macchie di sangue sulla biancheria. Per le mortali non era così, loro fiorivano e appassivano ogni mese, come Hediye e molte altre, che pativano per oltre sette giorni e guardavano con invidia coloro che proseguivano le loro vite come se nulla fosse. Nemeria si chiese se Noriko stesse bene e si promise di starle accanto come aveva fatto con Etheram.
Uno sbadiglio smorzò la tensione nel suo corpo e le intorpidì le dita. Avrebbe voluto essere lì, così come Noriko le era stata vicina per tutto quel tempo. Invece era stata cacciata fuori, come un ospite indesiderato, quando l'amica avrebbe avuto più bisogno di lei. Ora poteva solo aspettare e nell'attesa combattere contro il sonno.
“Forse tornerà domani mattina... E se così non sarà, l'andrò a trovare.”
Il sonno l'avvolse e l'inquietudine allentò la presa delle sue spire attorno al cuore. Negli istanti che seguirono, nell'ora più buia della notte, la Madre la accolse tra le sue braccia, salvo poi lasciarla cadere nel fossato degli incubi.
 
Furono i colpi alla porta a svegliarla, accompagnati dalla voce acuta di Durga. Batuffolo si stava ancora rotolando nelle lenzuola quando Nemeria riuscì a trovare la forza di tirarsi su dal letto e percorrere la breve distanza che la separava dalla porta.
- Buongiorno! -
Nemeria si stropicciò gli occhi e ci mise un momento a capire che doveva abbassare lo sguardo. Durga era lì impalata davanti a lei, con i capelli raccolti in una coda laterale alta e vestita con un chitone sfrangiato senza maniche e una cintura di corda.
- Buongiorno... - Nemeria masticò le ultime sillabe.
Durga sbirciò dietro di lei, ondeggiando da un piede all'altro: - Dov'è Noriko? -
- Credo sia ancora in infermeria. -
- Sta male? - domandò allarmata.
- No, cioè sì... non proprio. Ti spiego mentre mi lavo. -
- Sì, ne hai proprio bisogno. -
Nemeria non provò nemmeno a ribattere all'insinuazione. L'ultima volta che aveva visto l'acqua era stato due giorni prima, alla casa di Tyrron. Non doveva avere un bell'aspetto, tanto meno un buon profumo.
- Ti accompagno io. - aggiunse Durga.
Le fece strada lungo il corridoio. Le guardie si erano date il cambio e, come sempre, controllavano il loro passaggio e quello delle poche altre persone che circolavano, tutti per lo più ragazzi e ragazze di massimo quindici anni. Il bagno si trovava al piano terra, vicino all'uscita, dietro una porta piuttosto anonima ornata con due colonne scanalate di marmo bianco. Passarono oltre gli spogliatoi, arraffando soltanto un telo dagli scaffali di legno e muratura, e a un cenno di Durga Nemeria aprì la porta che le indicava. Non appena lo fece, dalle labbra le uscì un gridolino sbigottito.
- Lo so, sono giganteschi. - Durga la prese per mano e la portò a bordo della piscina, - Allora, questa è piena d'acqua fredda, ottima per svegliarsi di prima mattina. Di là c'è l'harara, una stanza caldissima e piena di vapore. -
- E a cosa serve? -
- A sudare! Fa bene alla salute. -
Nemeria mostrò tutta la sua perplessità alzando entrambe le sopracciglia. A cosa le serviva sudare se era venuta lì proprio per lavarsi da tutta la sporcizia che aveva addosso?
“I mortali sono strani.”
- Comunque, forse dovresti coprirti di più. -
- Coprirmi? Ma mi devo lavare! -
L'obiezione mise in crisi Durga, che cominciò a mordicchiarsi le pellicine del pollice nella più totale indecisione.
- E se viene qualcuno e ti vede nuda? -
- Perché tu non hai mai visto tua madre o tuo padre senza vestiti? -
- S-sì, ma... è diverso! -
Nemeria si grattò dietro l'orecchio, sempre più confusa. Non capiva il motivo di tutte quelle lamentele, aveva sempre fatto il bagno assieme a tutti gli altri membri della tribù e non era mai accaduto nulla, se non qualche schizzo.
- E cosa dovrei mettermi, allora? -
Come se non avesse atteso altro, Durga schizzò negli spogliatoi e tornò con un pezzo di stoffa simile a un paio di mutande e una fascia scura.
- Mettitele, ti tengo io il pestemal. - disse, poi afferrò il telo e lo sollevò fin sopra la testa, in modo da coprire Nemeria, - In teoria dovresti tornare di là e cambiarti, ma così facciamo prima. -
- Quindi è obbligatorio? -
- No, però così i maschi non ti vedono e non ti prendono in giro. - si interruppe e riprese a parlare con voce dimessa, - I miei fratelli lo facevano spesso, ma non erano cattivi come gli altri. -
- Gli altri? Di chi stai parlando? -
- Degli altri ragazzi che stavano con noi. Loro erano grandi e mi deridevano perché non ero un maschio come loro. -
Nemeria spostò il telo e l'abbracciò, tirandola su e facendola roteare come sua sorella faceva con lei.
- Non possiamo fare baccano qui dentro! - la rimproverò Durga, ma rideva mentre lo diceva, le gambe divaricate e le braccia aperte come se volesse spiccare il volo.
Risero insieme e Nemeria non si fermò finché non iniziò a girarle la testa. A momenti non cadde nella piscina quando la mise giù. Le facevano male la braccia e la schiena – Durga non era leggera come Rakshaan – però vederla così, di nuovo allegra, le riempì il cuore.
- Se diventi triste, ti faccio volare ancora, sappilo. - la minacciò con un sorriso mentre si lasciava scivolare nella piscina.
Un brivido di piacere le rizzò i peli sulle braccia. L'acqua era a temperatura ambiente, fresca quanto bastava per spazzare via gli ultimi strascichi del sonno e degli incubi.
- Ti prendo il rhassaul. - si offrì Durga.
Prima che Nemeria potesse chiedere cosa fosse, la bambina era già partita. Sospirò, spostò le bende lontano e si abbandonò con la schiena contro il bordo. L'acqua frizzava sulle ferite, o almeno così le pareva, causandole un solletico piacevole laddove i tagli erano più profondi. Prese l'acqua e se la rovesciò sulla testa, sui pochi capelli che aveva, una massa di peli corti e neri simili agli aculei di un riccio. Li sentiva sotto i palmi mentre strofinava e rimase stupita di quanto le fossero ricresciuti in meno di un mese.
Passi brevi e concitati le comunicarono che Durga era tornata. Si fermò alle sue spalle e Nemeria la vide inginocchiarsi a bordo piscina.
- Allora, te la devi passare ovunque e strigliarti per bene. - le porse un vasetto con dentro dell'argilla che spandeva un delicato profumo di menta, - Se vuoi, sulla schiena te lo passo io! -
- No... no, meglio di no. -
- Ma come, non sarai certo puli... - si interruppe di colpo quando Nemeria si allontanò di mezzo braccio dal bordo, - Scusami, me ne ero dimenticata. -
- Non ti preoccupare. -
Nemeria si sedette di fianco a Durga, con solo i piedi a mollo, e si cosparse le braccia e le gambe con l'argilla.
- Hai fatto pace con Ahhotep? -
- Sì, sì, abbiamo fatto pace. Lei non è cattiva, sai? Diciamo che si sente molto sola e triste da quando è qui. -
“Se si comporta così, non avrà mai altri amici.”
- Ahhotep è arrivata qui prima di me, però ci conoscevamo già da un po'. Io sono arrivata a Kalaspirit con tanti altri, ma il fratello del mercante che ci aveva comprato era stupido. Una sera era così ubriaco che si è lasciato fregare le chiavi come un allocco! - ridacchiò, - Tutti quelli che erano sul mio carro sono scappati. Però io a Kalaspirit non conoscevo nessuno, ero da sola e sapevo che non potevo usare il mio dominio, sennò mi avrebbero catturata subito. Ho incontrato Ahhotep mentre cercavo qualcosa da mangiare nella spazzatura di un ristorante. È stata lei a farmi entrare nei Falchi. -
Nemeria annuì e restò in silenzio. Le sembrava di ascoltare la propria storia, ogni sua parola le evocava i membri della Famiglia, il tempo passato assieme a imparare, ridere, cucinare. La nostalgia di quei giorni e del come erano finiti era una ferita ancora aperta.
- Ahhotep mi ha accolta, si è presa cura di me e mi ha difesa dai Falchi più antipatici. - continuò Durga, - Pure gli altri, a loro modo, le volevano bene, anche se erano arrivati al limite. Io non so cosa sia successo dopo che gli uomini di Tara mi hanno catturata e Tep non mi ha mai raccontato come andò, ma io so che ci sta male per aver perso Shaya e tutti gli altri. -
- Ah, quindi tu non sei giunta qui con lei? -
- No, sono stata catturata una decina di giorni prima. Tara non mi ha fatto venire subito qui perché stavo male e temeva che, allenandomi, sarei peggiorata. -
Nemeria annuì e poi scivolò di nuovo in acqua. L'argilla si sciolse e si sparse sulla superficie, allargandosi come una macchia di fango.
- Allora Zahra non si è sognata tutto: la nostra Fiammella è davvero qui. -
Nemeria si girò di scatto. Abayomi avanzava tranquillo verso di loro, con solo il pestemal avvolto sui fianchi. Gocce di sudore gli punteggiavano il viso e le braccia, districandosi sulla grossa ustione che copriva metà del petto e del braccio destro.
- Cosa vuoi? -
- Quanto siamo astiose... e dire che sei qui solo grazie a me, il tuo mentore. -
- Per poco non mi facevi ammazzare. -
Il ragazzo schioccò la lingua e si sistemò la benda sull'occhio, un semplice fascia nera che, unita alla cicatrice sul viso, gli dava un'aria truce, da pirata.
- Ma non è successo e ora sei qui. Se non ti avessi spinta a combattere, ora saresti solo una schiava in mano a chissà chi, com'è successo alle tua amica. -
- Tu... tu sai cos'è successo a Kimiya? - indagò con urgenza Nemeria, sporgendosi verso di lui.
Il sorriso sul viso di Abayomi divenne una fessura scoperta sui denti.
- Potrei saperlo, sì. -
Nemeria uscì dall'acqua in un balzo e marciò fino ad essere faccia a faccia con lui.
- Dimmelo. -
- Cosa mi offri in cambio? -
- Non ti spacco la faccia. -
La rabbia era lì, ancora viva e bruciante. Parlava con lei e per lei, sobillava l'elementale pretendendo la sua forza. L'acqua evaporò dalla pelle come l'umidità al sole.
- Sono appena uscito dall'harara, ho sudato abbastanza. - sogghignò il ragazzo e fece un passo indietro senza scomporsi, - Se mi tocchi, mia bella Fiammella, non credere che me ne starò zitto. Tyrron è stato gentile l'ultima volta, ma se osi anche solo sfiorarmi al di fuori dell'arena, sappi che le dieci frustate del primo giorno saranno niente a confronto. Mina è una sadica, ma Adel, il mio padrone, è un uomo giusto e come tale farebbe applicare la legge alla lettera. - si mise una mano sulla bocca e si piegò come per rivelarle un segreto, - Si dice che, dopo quaranta frustate, anche gli uomini più grossi svengano. Ma magari tu sei così speciale da poterne sopportare cento... -
Il cuore le saltò in gola e il sangue defluì dal viso. Prima che il desiderio di colpirlo avesse la meglio, Nemeria arretrò ripristinando una distanza di sicurezza.
- Vedo che sei ragionevole. Allora, io adesso ho bisogno di lavarmi da tutto questo sudore, poi, quando mi verrà in mente cosa vorrò in cambio dell'informazione sulla sorte della tua amica stupida, ne riparleremo. -
Abayomi si tolse il pestemal e si deterse il sudore dalla fronte, prima di buttarsi in acqua. Nemeria lo seguì mentre nuotava sull'altra sponda.
“Mi chiedo quanto può resistere un uomo nell'acqua rovente?”
Aprì e chiuse la mano. Era meno calda della pietra di luna e dell'oricalco, ma avrebbe potuto provare a immergerla.
- Nemeria...? -
Durga era al suo fianco e la guardava stralunata, il pestamal e le bende strette al petto. La sua rabbia si protrasse anche verso di lei e per un momento il desiderio di distruggerla, di osservare il suo corpo bruciare, divenne così pressante da toglierle il fiato. Sarebbe bastato un suo tocco, uno sfioramento casuale, perché sbocciassero le fiamme.
“No!”
- Stai male? -
- Andiamo fuori, mi sento soffocare. - borbottò Nemeria, dando le spalle alla piscina.
Agguantò Durga per il polso e la trascinò negli spogliatoi, dove si sedette su una delle panche e intrecciò le dita sulle ginocchia. Tremava e il sudore inquinò le poche gocce d'acqua che ancora le imperlavano le braccia e la schiena. Con gli occhi chiusi e la sua stessa voce che scandiva i secondi, il tempo parve dilatarsi ed evaporare.
- Chi era quello? -
Nemeria inspirò e raccolse i pochi pensieri scampati alle fiamme.
- Era il capo della banda dei Cani. - riuscì a dire.
- Lo odi? -
- Non lo so. -
Schiuse le palpebre. Il profilo delle gambe di Durga era sfocato e il colore della sua pelle un acquerello troppo diluito.
- Non so chi sia Kimiya, però magari posso provare a chiedere ad Ahhotep se ne sa qualcosa. - si offrì con un sorriso.
- Pensi che accetterà? -
- Certo, altrimenti le metterò il broncio finché non mi dice di sì. -
- Grazie, io... -
- Se Kimiya è tua amica, è anche mia amica. -
Sorrise e i suoi occhi inchiodarono il cuore di Nemeria al muro, la fecero vergognare per aver anche solo accarezzato l'idea di ucciderla.
- Finisci di vestirti e andiamo a trovare Noriko, prima che si faccia tardi. -
Nemeria si asciugò rapidamente, lasciò il pestemal nella cesta sotto gli scaffali e si affrettò dietro Durga. La Scuola si stava svegliando e i corridoi erano affollati anche da bambini parecchio più giovani di lei. Alcuni avevano ancora gli occhi semichiusi e, nonostante fossero vestiti, si affidavano alla guida dei loro compagni ben più svegli, come Durga, che erano lucidi pure a quell'ora.
Davanti all'infermeria non c'era nessuno e la porta era socchiusa, sembrava invitarle a entrare. Nemeria bussò piano e attese accanto a Durga, che litigava con un ciuffo di capelli che non ne voleva sapere di stare al suo posto. Quando Nande si affacciò, fecero entrambe un passo indietro.
- Perché la tua amica ha le bende in mano? -
Il suo sguardo di disapprovazione, unito al tono di biasimo, fece rizzare i capelli a Nemeria.
- Sono andata a farmi il bagno e ho pensato di toglierle per non farle bagnare. -
- Chi è il curatore delle due? -
- Tu... -
- La prossima volta non pensare, vieni da me a chiedere. - Nande si passò una mano sul viso e si massaggiò la radice del naso, - Scusami, è stata una notte molto lunga. Vieni, scommetto che vuoi sapere come sta la tua amica. -
Nemeria entrò per prima. L'infermeria era molto silenziosa, ma più popolata del giorno prima: quattro ragazzi dormivano con le lenzuola rimboccate sul petto, tutti con un una pezzuola sulla fronte, il sudore appiccicato alla faccia come una maschera d'olio.
- Che cos'hanno? -
- Non lo so, Reza me li ha portati che erano già febbricitanti. - sospirò Nande e indicò il letto sotto la finestra, il più lontano di tutti, - Ho sistemato Noriko lì, avverti la Syad che oggi non sarà presente agli allenamenti. -
- Sta tanto male? - si allarmò Durga.
- Non proprio, ma almeno per i prossimi... dieci giorni dovrà stare a letto. -
- Così tanti? -
- Sì, è meglio così. - le sistemò il ciuffo nella coda e la sospinse in avanti, - Le ho dato una tisana di asperula e arancio, non dovrebbe svegliarsi, ma voi non fate baccano. -
Entrambe annuirono e Nemeria si trattenne dal correre al capezzale di Noriko. Dormiva tranquilla, con le braccia stese lungo in fianchi, composta come quando andavano ad allenarsi. Le prese la mano e le posò un bacio sul dorso, tra le nocche dell'anulare e del medio.
“Sono qui, Noriko.”
Sperò che l'amica la sentisse in qualche modo.
- Mi mancherà agli allenamenti. - le soffiò Durga all'orecchio, la mano piegata vicino alla bocca per schermare la voce, - Lei è bravissima, Tara me ne ha parlato molto. -
- Lo so, Noriko è... davvero fantastica. -
Le rimboccò le coperte, stando bene attenta a non fare movimenti troppo bruschi, prima di sedersi sullo sgabello che le stava indicando Nande e spogliarsi. Quando ebbe cambiato le bende, la donna le mise alla porta senza troppe cerimonie.
- Niente sforzi eccessivi, ricordatelo. Cerca di evitare le visite finché non ho capito cos'hanno gli altri quattro. - le raccomandò e poi tornò dentro.
Nemeria rimase a fissare la porta finché Durga non le passò la mano davanti agli occhi.
- Andiamo a fare colazione. -
- Giusto... sì. - le venne in mente che aveva anche un altro, peloso problema, - Danno mai carne da mangiare? -
- La mattina di sicuro no, ma comunque non ne distribuiscono mai molta. Dicono che fa venire la gotta. -
- Cos'è? -
- Non lo so, ma il nome è brutto. Anch'io ho voglia di mangiare qualcosa di più sostanzioso dei soliti legumi. -
- Non è per me, in realtà. È per un... gatto. -
Durga strabuzzò gli occhi: - Davvero? -
- Sì, l'ho trovato ieri e Tyrron mi ha detto che potevo tenerlo, a patto che me ne occupassi io. -
- Mmm... potresti dargli del pesce, Tara mi ha detto che lo cucinano spesso. -
- E per stamattina? -
- Se lo danno, potresti portargli un po' di latte. -
- Altrimenti? -
- Altrimenti andiamo dalla cuoca e proviamo a chiederglielo. -
- E se dice di no, dirò che Tyrron vuole che me lo dia. -
- Non si dicono le bugie! -
- Lo farò se si rifiuterà. - replicò Nemeria risoluta, anche se dentro di sé sentiva che quel piano era molto, molto stupido.
Lo sguardo di Durga era eloquente su cosa pensasse.
- E se ti scoprono? -
“Sono spacciata.”
- Non penso che Tyrron si arrabbierà. -
Era solo una mezza verità, in fin dei conti: effettivamente, Nemeria non aveva la più pallida idea di come il suo padrone avrebbe potuto prenderla.
Arrivarono al refettorio che la maggior parte dei tavoli erano già stati occupati. Saltellando, Durga andò a prendere i loro vassoi. Quella mattina erano stati serviti del pane di segale appena sfornato, noci, mandorle in guscio mescolate nei cereali e una ciotola di latte. In un piatto a parte c'era un melograno rosso e succoso.
- Ah, ecco Tep! - Durga la salutò e trotterellò tutta contenta vicino a lei, - Noriko stamattina non viene, lo dobbiamo dire a Sayuri. -
- Come mai? -
- Non si sente molto bene e Nande ha detto che deve rimanere a letto. -
La ragazza annuì e tornò a mangiare senza aggiungere altro. Ignorò Nemeria come se non fosse nemmeno lì.
“Forse è meglio così.”
Nemeria non capiva da dove fossero uscite quelle parole. Non provenivano dall'elementale, non aveva udito la sua voce mentre le pronunciava, però la sua presenza era innegabile. Le Anziane avevano sempre menzionato l'istintività del fuoco, la sua forza travolgente e quasi incontrollabile. Che fosse un influsso della sua stessa essenza? Qualcosa di imprescindibile, che non poteva controllare?
“Non dire stupidate. Tutte le Jinian possono imparare a domare il fuoco. ”
Le sue sorelle avevano appreso come dominare gli elementi sotto la guida delle Anziane; avevano percorso i Quattro Sentieri e ne avevano appreso i segreti fino ad arrivare alla completa padronanza di ciascuna forza. E lei? Come poteva arrivare a capire e a controllare tutto ciò da sola? Lo sconforto la pervase.
“Non abbatterti, datti una priorità. Occupati prima di Batuffolo, poi il resto.”
Finì di mangiare col sottofondo delle chiacchiere di Durga, che continuava a parlare senza sosta, mentre Ahhotep si limitava a mugugni e lievi cenni di assenso. Se Nemeria non avesse saputo del legame che le univa, avrebbe detto con sicurezza che Ahhotep non la stava ascoltando.
- Torno un attimo in camera. - disse mentre si alzava.
Durga annuì e le fece l'occhiolino e Ahhotep la osservò di sbieco.
- Dove stai andando con quella ciotola? -
A porgerle la domanda non era stato il cuoco, bensì la guardia che presidiava l'ingresso del refettorio, un uomo allampanato che, più che indossare l'armatura, pareva navigarci all'interno.
Nemeria si stampò in faccia il sorriso più calmo e sincero del suo arsenale.
- Il mio padrone ha detto che devo bere molto latte per crescere forte. -
- E cosa ti impedisce di berlo qui nel refettorio con gli altri? -
- Ma è troppo da bere tutto in una volta. -
- E allora lascialo. -
- Ma il mio padrone mi ha dato il permesso di farlo. -
A quell'ultima frase, la guardia ammutolì. Un altro uomo con la mascella volitiva e i baffi incerati ricurvi si protese verso di lei e la soppesò con lo sguardo.
- A chi appartieni, asira? -
- Tyrron, signore. -
- Questo posto non appartiene ad aghà Tyrron, non può decidere di cambiare le regole a suo piacimento. Ciò che aghà Koosha ha deciso, vale per tutti. -
“Pensa, Nemeria, pensa.”
- Ma ha già parlato con lui. - mormorò e abbassò gli occhi sulla ciotola di latte per mascherare la paura che le era montata dentro, - Se però non è proprio possibile, lo metto a posto e parlate voi con Tyrron. -
Si era già girata quando la guardia la richiamò.
- Spero per te che non sia una bugia, altrimenti passerai dei gran brutti guai. -
Nemeria stava sudando freddo. Sì, era decisamente un piano molto stupido, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
- Ora fila, va'. -
Non se lo fece ripetere due volte. Non corse soltanto perché avrebbe rischiato di far cadere tutto il latte. Quando arrivò in camera, Batuffolo ronfava tranquillo sul cuscino. Le aveva mordicchiato la federa e strappato le lenzuola in alcuni punti, ma a parte quello non aveva fatto altri danni. Non appena Nemeria si richiuse la porta alle spalle, il cucciolo sollevò la testa e si stiracchiò cautamente, allungando la zampa ferita per ridestare le giunture intorpidite.
- Sei una belva. - lo rimproverò e avrebbe dovuto essere più dura, ma cedette quando Batuffolo cominciò a strusciarsi sulla sua coscia, - Sei un ruffiano. -
Il caracal miagolò e si lasciò cadere a pancia in su, in un chiaro atteggiamento da coccole, e quando Nemeria si arrese al suo fascino felino assaltò la sua mano con morsetti e zampate giocose, muovendo la coda a scatti quasi come un cane.
- Devo trovarti qualcosa per farti le unghie o mi distruggi la stanza. - gli elargì dei grattini sulla testa e poi sotto il mento, - E magari una ciotola per l'acqua. -
Con disappunto di Batuffolo, Nemeria si alzò e, dopo aver posato la ciotola di latte sul pavimento, cominciò a frugare nella stanza alla ricerca di un nuovo recipiente. Di fianco al letto di Noriko trovò un vaso da notte impolverato e sbrecciato.
- Questo può andare. -
Batuffolo stava lappando il latte, quindi Nemeria uscì e corse a perdifiato al piano terra. Non vedeva pozzi, ma da qualche parte dovevano pur attingere l'acqua, no? Non aveva tempo per cercarlo però, non con Sayuri così fissata sulla puntualità. Un'idea le balenò in mente. Oltrepassò il refettorio e il campo d'allenamento dell'aria e si diresse verso il porticato che aveva visto la sera prima. Alla luce del sole era ancora più bello, con i tralicci d'uva dipinti che si arrampicavano su tutte le colonne. Non c'era ancora nessuno. Riempì il vaso con il cuore in gola e, non appena fu pieno, corse di nuovo su per le scale. Batuffolo la accolse con un miagolio e zampettò fino a lei alla ricerca di coccole, incurante del fatto che la sua padrona non avesse fiato nemmeno per stare in piedi.
- Appena... appena torno, mi occuperò di te. Adesso devo andare o Sayuri si arrabbierà. -
Posò il vaso da notte sul pavimento ai piedi del letto e schizzò fuori a rotta di collo, verso il campo d'allenamento del fuoco. Durga e Ahhotep erano già lì, sedute nella posizione del loto, con Sayuri che le teneva sott'occhio.
- Per un soffio. Un minuto ancora e avrei cominciato a conteggiare il ritardo. - la Syad sorrise, le braccia intrecciate sul petto, - Mettiti vicino a Durga, forza. -
Nemeria obbedì. Chiuse gli occhi e tentò di concentrarsi sul battito del suo cuore e sul ritmo del suo respiro.
“Ma perché ci alleniamo qui se lei è la Syad dell'aria?”
La domanda si fece strada in lei come una pulce e senza alcun preavviso. Era strano pensare che, benché Sayuri non fosse una Dominatrice del fuoco, avesse deciso di farle allenare in quel campo. Non che stessero facendo chissà che.
- Tutte in piedi. - ordinò Sayuri e le studiò con i piedi divaricati ben piantati a terra, - Oggi partiamo con l'allenamento fisico vero e proprio. Cominciate con venti giri di corsa. Mantenete un'andatura costante e non vi fermate finché non ve lo dirò io. Se deciderete di fare di testa vostra, aggiungerò un ulteriore giro, chiaro? -
- Chiaro. - rispose Ahhotep per tutte.
- Bene, mettetevi in riga lì. - indicò un punto alla sua sinistra, - Al mio tre, partite. -
Si allenarono tutta la mattina e il pomeriggio, fino a tarda sera. Sayuri non diede loro tregua. Permetteva loro di fare una pausa di massimo un minuto tra un esercizio e l'altro, per poi obbligarle con uno sguardo autoritario a tornare subito al lavoro. E se all'inizio non era un esercizio così pesante, dopo la prima seria di addominali Nemeria avvertì le forze mancarle. Stare distesa sulla schiena le faceva vedere le stelle e dopo l'ennesima serie di piegamenti non si sentiva più le braccia. Alla fine della lezione, quando il sole era già calato da un pezzo, le parve di essersi trasformata in un ammasso di dolori e fitte.
- Domani alla stessa ora, puntuali. - dichiarò la Syad e le congedò con un cenno del capo.
Ahhotep camminava senza quasi piegare le gambe. Durga si stringeva le braccia con gli occhi lucidi. Nemeria ebbe l'impulso di abbracciarla, ma una fitta alle spalle le ricordò quanto fossero misere anche le sue condizioni.
- Io vado a lavarmi. Dovresti farlo anche tu. - le disse a bassa voce.
Durga concordò e, per quanto le gambe glielo permettessero, aumentò il passo per star dietro ad Ahhotep. Dall'occhiata che le elargì, Nemeria capì che anche lei ne aveva bisogno.
I bagni erano deserti a quell'ora. Senza esitare, le due Dominatrici del fuoco si buttarono in acqua, mentre la loro compagna avanzò fino al bordo, per poi scendere gli scalini della piscina. Non era magra come Kimiya, ma possedeva una una grazia simile a quella di una ballerina, con le ossa del bacino sporgenti e il seno piatto, aderente alle costole.
A cena venne servito un trancio di pesce spada accompagnato da cus cus, lavash, il pane non lievitato, e hummus di fave. Nemeria mangiò tutto fuorché il pesce, che nascose nel tovagliolo di stoffa. Ahhotep si accorse di quando infilò il bottino nella tasca, ma non disse nulla.
- Allora ci vediamo domani? -
- Certo! - rispose Durga, con la bocca piana.
La salutò e si defilò in camera. Batuffolo, non appena mise piede dentro, trotterellò fino a lei, miagolando con gli occhi ben aperti.
- Ecco, ecco. Tieni. - sorrise Nemeria e posò a terra il tovagliolo.
La stanza era stranamente in ordine. Le lenzuola erano state cambiate assieme alla federa. Doveva essere stato così anche gli altri giorni, ma lei non ci aveva mai fatto caso, troppo presa da altri pensieri.
“Quindi c'è qualcuno che si occupa delle pulizie. Chiunque sia, ha visto Batuffolo.”
L'angoscia l'atterrì.
- In che razza di guaio mi sono cacciata... - si mise le mani sulla faccia, - Madre, perché non rifletto mai prima di fare le cose? -
Qualcosa si increspò quando si sedette sul letto.
“Un biglietto?”
Era un pezzo di pergamena grande poco più del palmo della sua mano, accuratamente ripiegato in quattro. In un sihamnstico stentato c'era scritto: Non avere paura, il tuo segreto è al sicuro con me.
Nemeria rimase a fissare il foglio per un lungo minuto, senza sapere che pensare. In realtà, non ebbe nemmeno il tempo per rifletterci, perché qualcuno bussò alla porta. Immediatamente prese Batuffolo e lo spinse sotto il letto, sperando con tutta se stessa che non uscisse allo scoperto.
Bahar si guardava intorno con un'aria trasognata e sussultò quando Nemeria le schioccò le dita davanti al naso.
- Che ci fai qui? -
- Ti porto un messaggio da Tyrron. - sbadigliò e si stropicciò gli occhi, - Scusami, ma sono in piedi dalle cinque di stamattina. Dicevo... il padrone mi ha detto di farti presente che uno di questi giorni dovrai andare di nuovo con lui all'arena. -
- Quando? -
- Non è stato specifico, ha molto lavoro da fare. Ha aggiunto che può venire anche Noriko, se vuole. -
Nemeria scosse la testa: - Non sta molto bene. Nande ha detto che deve stare a riposo. -
- Ah, che cos'ha? -
- È diventata una donna. -
Il viso di Bahar si adombrò e le sue spalle si irrigidirono. Lo sguardo di pietà che le rivolse le fece venire la pelle d'oca.
- Riferirò anche questo, allora. Stammi bene. -
Nemeria la seguì con gli occhi finché la sua testa non sparì oltre le scale. Prima il biglietto, ora questo: avrebbe mai avuto un po' di pace?
- Madre, abbi pietà di me... -
Nei nove giorni che seguirono, Sayuri si impegnò per distruggerle. Cominciavano ad allenarsi la mattina presto, subito dopo colazione, e andavano avanti fino ben oltre l'ora di pranzo o di cena. La Syad era inflessibile, ma non infieriva mai troppo su di loro, nemmeno quando doveva riprenderle più d'una volta per correggere la posizione delle braccia o l'angolatura delle gambe. Era una scalata verso la perfezione e l'apprendimento del wushu era solo il primo gradino.
La mattina era Durga a venirla a tirare giù dal letto con la scusa che lei non sentiva il canto del gallo. E in effetti era vero, ma d'altronde Nemeria riusciva a prendere sonno solo poco prima che albeggiasse e la stanchezza le tappava le orecchie. Aveva le gambe così rigide e le braccia così doloranti che, a volte, le sembrava di dormire su un letto di chiodi. Nonostante il dolore, però, la mattina si alzava, si andava a lavare e poi incespicava in infermeria. Dopo i primi giorni, non aveva visto più i ragazzi ed era rimasta come ospite fisso solo Noriko. Quando Nemeria andava a farle visita, dormiva serena. Soltanto una volta, intorno al terzo giorno, Nande le impedì di avvicinarsi.
- Stanotte ha avuto la febbre, è meglio se per oggi ti limiti a farti cambiare le bende. -
Nemeria avrebbe voluto protestare, ma poi, notando il colorito pallido delle sue labbra, si era rimangiata qualsiasi obiezione: la malattia non era qualcosa contro cui potesse combattere e, per quanto desiderasse starle accanto, non poteva permettersi di stare male, non ora che aveva Batuffolo di cui prendersi cura.
Il cucciolo sembrava trovarsi a suo agio in camera di Nemeria. Dormiva tanto e non era raro che si svegliasse solo quando lei tornava per portargli il cibo. Spesso accadeva che non riuscisse a risalire, lasciando Batuffolo a digiuno. O almeno così credeva, finché quasi non scivolò su un osso di pollo mentre rientrava. All'inizio, ogni volta che saliva in camera si aspettava di trovarsi Tyrron e Koosha, il padrone della scuola, pronti a punirla. Poi si rese conto che, chiunque fosse a prendersi cura del caracal, intendeva davvero mantenere il segreto: l'acqua non mancava mai, così come una ciotola di latte o un pezzetto di carne. Le fece anche trovare una specie di tiragraffi fatto da un tronco di legno avvolto da pesanti e spesse corde, che ben presto divenne il nuovo passatempo di Batuffolo.
Al decimo giorno, Noriko tornò a dormire nella loro stanza. Era pallida, un po' più magra e si stancava in fretta. Tuttavia, nonostante la fatica che faceva a piegarsi, non appena rimasero sole si lasciò abbracciare. Non aveva ancora recuperato tutte le forze, ma non era importante: erano di nuovo insieme e questa era l'unica cosa che contava.
La mattina seguente, un bussare insistente alla porta svegliò Nemeria. Al posto di alzarsi, decise di infilare la testa sotto il cuscino. Batuffolo, che ancora si rifiutava di dormire nella sua cuccia di stracci, si acciambellò al suo fianco.
- Tu e quella palla di pelo siete uguali. - la riprese Noriko.
Un mugugno e un miagolio stizziti furono la risposta che ottenne.
- Vado ad aprire io, non scomodarti. - aggiunse la ragazza in un borbottio scocciato.
Nemeria si stiracchiò e sbadigliò. La fatica del giorno prima le aveva reso i muscoli di pietra.
- Come ti senti? -
La voce di Bahar la destò completamente. Scese giù dal letto e allungò il collo oltre la spalla di Noriko.
- Sto bene. Mi ero stufata di stare in infermeria. - rispose Noriko, - Come mai sei qui? -
- Tyrron voleva essere sicuro che ti fossi ripresa. Dice che sei giorni fa eri un cadavere, sarà contento di sapere che sei quasi come nuova. - indugiò un istante e si schiarì la gola, - Non penso che Nemeria te lo abbia detto, ma vi ha anche invitate ad andare all'arena. Oggi. -
- Sono obbligata a venire? -
- No, se non vuoi. -
- Allora credo andrò ad allenarmi. - dichiarò e guardò Nemeria, - A te forse farebbe bene una pausa. Non sei abituata ad esercitarti tutti i giorni. -
“Non sono abituata a Sayuri e basta.”
- Non penso di poter declinare l'invito. -
Bahar ridacchiò: - Credi bene. Ti aspetto assieme a Morad di sotto. Facciamo colazione per strada. -
Nemeria annuì e, non appena la ragazza se ne andò, si tose la “tunica da letto”, un altro dono che le aveva permesso si smettere di usare quella buona che aveva da prima che Tyrron la catturasse. Si preparò quanto più in fretta poté, per poi farsi accompagnare da Noriko in infermeria. Intercettò diverse occhiate di Nande rivolte alla sua compagna, ma non aveva la forza mentale per preoccuparsene.
“È una guaritrice, è normale.”
- Bene, direi che sta andando tutto liscio. - annunciò osservando i segni delle frustate, - Rimarranno le cicatrici, questo poco ma sicuro, però non ci sono segni di infezione. Non serve che ti dica che non devi fare sforzi eccessivi, vero? -
- Oggi non farò nulla, vado con Tyrron all'arena. -
- Ottimo, serve un po' di svago, soprattutto per una bambina in crescita come te. - fece per aggiungere altro, ma Noriko si inserì nel discorso.
- Dovresti sbrigarti. Tyrron non ha molta pazienza. -
Nemeria la fissò corrucciata.
- A me non sembra di averci messo così tanto. - obiettò.
- In realtà sì. Tra il bagno e la palla di pelo, hai perso molto tempo. -
- Allora vado. Tu non vieni? -
- No, lei deve ancora farsi visitare da me. - disse Nande.
- Sì, non ti preoccupare. Tu vai, mi occupo io di tutto. - la rassicurò Noriko con un pallido sorriso.
Nemeria era restia. Le sembrava che ci fosse qualcosa che le sfuggiva, che i giochi di sguardi tra Nande e Noriko non fossero casuali, ma non aveva davvero tempo per rifletterci. Era già fortunata che Tyrron non avesse ancora scoperto quello che aveva detto alle guardie, non avrebbe tirato ulteriormente la corda.
- A stasera. -
- Divertiti. -
Nemeria esitò un istante sulla soglia, infine uscì senza voltarsi indietro.

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Capitolo 17
*** Un frammento di ciò che fu ***


Fuoco 2

17

Un frammento di ciò che fu

"Se sei ancora attaccato ad un vecchio sogno di ieri, e continui a mettere dei fiori sulla sua tomba ad ogni momento, non puoi piantare i semi per un nuovo sogno che possa crescere oggi."
Joyce Chapman.

Bahar e Morad l'aspettavano già con un piede fuori dalla porta, entrambi smaniosi di uscire. Nemeria era passata in camera a salutare Batuffolo e poi si era fiondata giù dalle scale quanto più in fretta possibile. Con la clamide sulle spalle e il cappuccio calcato in testa, si sentiva un po' come la bambina di quella fiaba che andava a trovare la nonna con un cestello pieno di cibo.
“Io però non mi sarei fatta mangiare dal lupo.”
- Non ci hai messo così tanto. - sorrise Bahar.
- Ho fame, ecco perché. -
Morad scoppiò a ridere così forte da far sussultare Nemeria.
- Beata gioventù! - le diede una pacca sulla spalla e le fece cenno di seguirlo, - Tyrron mi ha raccomandato di farti mangiare, ma non credo che dovrò controllarti più di tanto sotto questo aspetto. Dai, andiamo, ti porto in un bel posto. -
Le strade di Kalaspirit erano congestionate a quell'ora. Alla luce pallida del sole, le persone sembravano fantasmi imbacuccati o anime alla deriva nell'opalescente foschia della mattina. Una donna con un bambino attendeva il suo turno per prendere l'acqua da un pozzo, mentre gli apprendisti delle varie botteghe dondolavano sotto il peso di grossi sacchi ingombranti.
- Vieni, è lì. -
Morad si diresse a passo spedito verso un negozio con la tenda bianca non ancora distesa. Non aveva chissà che bell'aspetto, non c'erano scritte che lo identificassero, solo qualche cartello con i prezzi sbiaditi. Nemeria era più che certa che se fosse stata lì da sola, sarebbe passata oltre senza fermarsi.
Li accolse una ragazza giovane, con i capelli crespi che sbucavano da sotto il fazzoletto che aveva in testa a mo' di criniera. Aveva le mani grandi e i muscoli guizzavano sotto la pelle lucida.
- Morad, buongiorno. -
- Buongiorno a te, Branka. Tua madre come sta? Si è ripresa da quella brutta tosse? -
- Sta meglio, sì. Già stamattina voleva tornare al lavoro, ho dovuto supplicarla di rimanere a letto almeno un altro giorno. - disse Branka e si pulì le mani sul vestito, stampandosi il profilo farinoso delle mani sulle cosce, - Se vuoi, oggi ho fatto anche la lenja pita. -
L'uomo ci rifletté un attimo e poi scosse la testa: - Non dovrei, anche perché sono venuto per prendere la colazione a questo scricciolino qui. -
Branka corrugò le sopracciglia: - Per essere tuo figlio, non ti somiglia granché. -
“Sono una ragazza!” urlò nella propria mente Nemeria e glielo avrebbe anche sbattuto in faccia se la grassa risata di Morad non l'avesse sorpresa.
- Non lo è, infatti, è una delle gladiatrici del mio padrone. -
La donna si allungò oltre il bancone, studiandola perplessa da capo a piedi.
- Con quei capelli e le gambe e le braccia così magre, sembra un ragazzino. - commentò alla fine.
- Lo dice anche il mio padrone, ma tanto finché non combatterà nell'arena a nessuno importerà di sapere se è una donna o un uomo. - Morad prese i soldi dalla scarsella e poggiò un paio di monete di bronzo sul bancone, - Allora, dammi un po' di gibanica e della pita al formaggio e spinaci. -
- Potresti farle assaggiare la lenja pita. - buttò lì Bahar.
- Non sarebbe l'ideale per la sua alimentazione. -
- È una bambina ancora, saprà come utilizzare queste energie. - Branka prese un panetto di pasta sfoglia con in mezzo della marmellata e lo mise in mano a Nemeria, - Metti su un po' di sana carne, piccola, così quando sarai libera potrai trovarti un marito e sistemarti per tutta la vita. -
Nemeria annuì poco convinta, ma accettò comunque l'offerta. Il profumo delle amarene le faceva venire l'acquolina in bocca e lo zucchero le si attaccava alle dita e le impiastricciava i polpastrelli. Morad sospirò con un mezzo sorriso, mentre la osservava mangiare il dolce. C'era così tanta marmellata che era più la composta che le sporcava le labbra che quella che le finiva davvero in bocca.
- Tieni pure il resto, ci vediamo domani. - disse poi Morad rivolto alla ragazza.
- Domani faccio i Buzda badem, te lo ricordi? -
- Spero tu abbia anche il raki, allora. -
Branka scosse la testa: - Sempre il solito. Vedrò se mia madre ne ha ancora, sennò dovrai accontentarti di andarlo a comprare. -
- E speriamo di no, il sapore delle mandorle non è lo stesso se non posso godermi quelle fatte in casa. -
- Andiamo, altrimenti ci perdiamo i primi spettacoli. - lo esortò Bahar.
Morad sistemò tutto quello che aveva comprato nel tascapane con uno sbuffo.
- Ah, voi donne... mai viste creature selvatiche più noiose. -
Branka levò gli occhi al cielo, ma non commentò. Bahar attese che fosse lui il primo a uscire e lo seguì, con Nemeria a due passi. Cercava di rimanere seria, ma le veniva difficile ignorare il sorriso che le arricciava le labbra.
- Secondo me, facciamo in tempo a fare colazione con calma. - rifletté ad alta voce Morad, - Tanto la fila non la facciamo. -
- Il padrone non è con noi, però. - replicò Bahar.
- Tyrron non c'è? - indagò Nemeria.
Entrambi si girarono a guardarla, come se si fossero ricordati solo ora della sua presenza. Nemeria smise di leccarsi le dita quasi subito, affrettandosi a pulirsi la mani sulla tunica.
- Mi... mi avevi detto che l'invito veniva da lui. - aggiunse titubante.
- È vero, solo che l'affare di stamattina non sa se riuscirà a concluderlo in tempo per venire. -
Morad prese la pita con formaggio e spinaci e gliela mise in mano. Aveva l'aspetto di una fetta di torta di pasta frolla, ma era morbidissima e sprigionava un profumo di pane caldo appena sfornato.
- Quindi saremo da soli, almeno per questa volta. - aggiunse Bahar.
- Ed è per questo che costei continua a fare pressioni per muoverci. -
Nemeria seguì il battibecco con finto interesse, mentre con gli occhi sorvegliava la zona circostante. Com'era accaduto la prima volta che era uscita dalla Scuola, non aveva avuto l'impressione di essere pedinata. Sebbene sapesse, in un modo istintivo e irrazionale, che non si era liberata del suo inseguitore, che era lì, appostato chissà dove, si sforzava di rimanere lucida. Era una lotta contro la paura che le attanagliava la gola e le soggiogava il cuore, asserragliandolo dietro le sue sbarre di ghiaccio. Batté il piede destro al ritmo della cavalcata del suo respiro convulso.
- Nemeria? -
La bambina puntò lo sguardo su Bahar, che la fissava col capo inclinato e l'aria di chi attende una risposta da tempo.
- Stai ancora dormendo? - chiese Morad.
- Sì... sì, sono ancora assonnata. - mentì e, per essere convincente, si stropicciò gli occhi, - Non mi piace alzarmi presto. -
- È questione di abitudine. Devi solo prendere il ritmo e poi riuscirai anche ad alzarti prima del canto del gallo. -
- Per te è stato così? -
- Mio padre mi buttava giù dal letto prima che il sole sorgesse, non penso di essermi mai svegliato dopo l'alba nemmeno quando lui è morto. -
Nemeria piluccò il pezzo di pita rimasta, masticando i bocconi lentamente nella vana speranza che la crosta dorata svanisse da sé.
- La devi finire tutta, è inutile che la guardi come se fosse un ragno. - le sorrise Morad, - Tyrron è stato inamovibile su questo. -
- Non mangio così tanto, di solito... -
- I dolci non ve li danno a Scuola, no? - intervenne Bahar.
Nemeria scosse la testa.
- Perché in teoria non dovreste proprio toccarli. Siete degli atleti, certi cibi non dovreste nemmeno sognarli. - sottolineò serio Morad, - Dai, cominciamo ad avviarci: Bahar smania per vedere il circo. -
Nemeria si infilò tra loro due e ignorò l'occhiata stranita della ragazza. Da lì poteva controllare la strada e aveva una copertura da ambedue i fianchi. Bahar poteva offrirle la sua ombra per nascondersi, così come Morad, che inoltre portava al fianco la sua spada d'oricalco. Era una sicurezza traballante e inferma quella che tentava di aprire la serratura della paura, con le mani tremanti di un vecchio e la debolezza di un malato.
“Non ti ha attaccato la volta scorsa, non lo farà ora.”
Strinse la pietra di luna e trasse un lieve respiro. Il calore era tenue, la fiamma di un fiammifero tra le dita contro il temporale che le atterriva l'anima.
- Non dovevamo vedere lo spettacolo dei gladiatori? - spinse fuori le ultime parole con meno sforzo di quanto immaginasse.
- C'è un circo itinerante in città. Almeno tre volte a settimana si esibisce prima dei combattimenti. - sbuffò contrariato Morad, - Vai tu a capire cosa ci trova il popolo a vedere uomini che saltellano come grilli e bestie ammaestrate da dei buffoni. -
- A te non piace? -
- Non ci trovo un senso. Vedere tutti quegli animali in gabbia, con collarini e fiocchetti solo per far divertire il pubblico a colpi di frusta... - lasciò la frase in sospeso, ma la sua espressione parlava da sé, - Quando ero un cacciatore, uccidevo solo gli animali che mi servivano per sopravvivere. Ridurre un orso o un elefante a un pagliaccio da circo solo per strappare una risata a qualche donnetta, è quanto di più irrispettoso e squallido ci possa essere. -
Nemeria concordava. La sua mente le ripropose di nuovo i due leopardi delle nevi che si aggiravano nervosi per la gabbia, i loro occhi svuotati di tutto, riflesso di mesi o, addirittura, anni di un selvaggio e prostrato desiderio di libertà.
- Come sta Batuffolo? -
Il repentino cambio di argomento le tolse per un momento la terra da sotto i piedi.
- Bene, sta... sta bene. -
- Adesso che è cucciolo dovresti educarlo, fargli capire cosa può e cosa non può fare, altrimenti quando sarà adulto non ti porterà altro che rogne. Non è poi tanto diverso dall'addestrare un gatto, però devi cominciare presto. -
Nemeria assentì, anche se non aveva la più pallida idea di come fare. Per ora si era limitata a raccogliere gli escrementi e a buttarli nella latrina. Quando era agli allenamenti con Sayuri e tornava in camera, la trovava sempre pulita, con la sabbia nella cassetta che fungeva da lettiera cambiata e nessun cattivo odore. Si rendeva conto però che non poteva continuare così.
- Se hai bisogno di una mano, ti posso aiutare. Ma prima Tyrron dovrebbe parlare con aghà Koosha per avere il suo permesso. Purtroppo è molto impegnato al momento, non penso si sia dimenticato, ma dovrebbero discuterne al più presto. -
- Aghà Koosha sarebbe il capo? -
- Non lo definirei esattamente un capo. Si occupa della gestione della Scuola e tenere a bada le diatribe tra i lanisti. Il regolamento lo hanno redatto insieme, lui e Tyrron, e sebbene sia abbastanza flessibile, aghà Koosha diventa molto intransigente quando non lo si consulta per un cambiamento. -
- Tyrron potrebbe finire nei guai? -
Stavolta fu il turno di Bahar di rivolgerle un sorriso sbilenco: - No, quello no. Il padrone se lo è lavorato bene. Feste, regali, inviti a cene importanti... non gli ha fatto mancare nulla. Nei suoi confronti, è stato più che generoso e anche aghà Koosha ha sempre ricambiato. Solo non può mettere troppo in mostra... l'amicizia che li lega. Non davanti agli altri lanisti, quantomeno. -
- Quindi anche se sono amici, non possono mostrarlo in giro? - chiese Nemeria.
- Se lo facesse, rischierebbe di perdere il posto e questo andrebbe a discapito di entrambi. -
Nemeria comprese. Corruzione, la chiamavano la Anziane: quel desiderio dei mortali d'inficiare la perfezione e la bellezza dell'ordine. Così come non erano stati in grado di accettare che il dono della magia elementale fosse patrimonio delle sole Jinian, allo stesso modo, nella loro società, non erano capaci di rispettare le loro stesse regole.
“Se però questo è l'unico modo...”
Si morse la lingua, vergognandosi di se stessa.
- Perciò non ti crucciare, in qualche modo risolveremo. - concluse Morad.
- Adesso pensa solo a goderti lo spettacolo. Anzi, gli spettacoli. - chiocciò tutta contenta Bahar e Nemeria si ritrovò ad assentire.
C'era più calca del solito davanti all'entrata dell'arena e, rispetto alle volte precedenti, alla bambina saltò subito all'occhio che c'erano anche molte più ragazze. Quelle della sua età, nell'attesa, si divertivano a giocare tra di loro con una palla di stoffa che era più in balia del vento che dei loro calci, mentre quelle più grandi facevano capannello tra di loro, conversando a bassa voce.
Bastò che vedessero Morad e le guardie li lasciarono passare senza indugio. Si sedettero ai posti della volta precedente. Bahar si sarebbe dovuta accomodare al posto che aveva occupato Tyrron, ma Morad le fece cenno di mettersi dov'era lui.
- Ci vorrà un po'. Oggi c'è il pienone. - commentò, passando lo sguardo sugli spalti.
Nemeria inghiottì l'ultimo pezzo di pita e quasi lo sputò per quanto forte Morad le batté la mano sulla schiena quando le andò di traverso.
- Se volevi ammazzarti, hai scelto il modo peggiore. -
- Non... non l'ho fatto apposta! -
- Tieni, bevi un po' d'acqua. - Bahar le porse la borraccia già aperta.
- Fai piano, non ho intenzione di salvarti se provi a strozzarti di nuovo. - la rimproverò Morad e Nemeria capì dal suo sguardo che non era il caso di mettere alla prova la sua pazienza.
- Perché oggi ci sono così tante ragazze? -
Bahar si grattò la tempia, pensierosa: - Di solito, alle donne non è consentito venire ad assistere agli spettacoli dei gladiatori. Anche se secondo Heydar siamo tutti uguali, è credenza del popolo che noi povere e leggiadre fanciulle non siano in grado di assistere a tale violenza. -
A Nemeria faceva uno strano effetto sentir pronunciare il nome del campione del dio del Sole con quella deferenza, come se fosse egli stesso una divinità. Le era ancora più alieno pensare che i mortali potessero venerare l'assassino che aveva decretato la loro maledizione. Si tolse un pezzetto di pasta sfoglia dai denti con l'unghia e incrociò le gambe.
- Per le figlie dei nobili è diverso, almeno sotto questo punto di vista. - continuò Bahar, - Sarà che questa compagnia circense ha riscosso un grande successo, ma oggi tutti pare abbiano chiuso entrambi gli occhi. -
- Tu l'hai già vista? -
- No, ne ho solo sentito parlare. Sono davvero contenta che il padrone mi abbia scelta per accompagnarti. - avvolse il ginocchio tra le dita intrecciate e si mise la mano sulla fronte, - Dicono che i numeri dei giocolieri siano mozzafiato, sembrano dei Dominatori per quanto sono bravi. -
- E non lo sono? -
Morad scosse la testa: - Se così fosse, ora starebbero alla Scuola ad allenarsi oppure tra i membri del Consorzio. Sai cosa è? -
- Più o meno. È un gruppo che si occupa di far studiare la magia alle persone più degne. -
- Allora sai qualcosa del mondo che ti circonda. -
Nemeria si imbronciò.
Al centro dell'arena stavano terminando gli ultimi preparativi. Il palco rialzato troneggiava al centro, colorato con le tinte più accese del rosso, del giallo e del verde. Sui camminamenti, alcuni uomini stavano controllando che i grossi pali di legno fossero ben fissati e che l'inclinazione fosse circa la stessa per tutti. Dalla punta pendevano delle corde bianche, lunghe minimo quattro braccia.
- Ma tra quanto cominciano? - si lamentò Bahar.
- Bah, prima cominciano, meglio... -
Lo stupore si diffuse tra gli spalti quando sei uomini mascherati si lanciarono in piroette e salti sui camminamenti. Avevano dei vestiti così sgargianti e vaporosi che, anche in mezzo al pubblico, era impossibile non vederli. Erano sbucati dal nulla, accompagnati da una musica allegra che scandiva le loro acrobazie a colpi di tamburo, sistri e cembali. Bahar batteva le mani a ritmo, gli occhi spalancati come la bocca, allo stesso modo Nemeria.
- Le maschere sono bellissime. - le mormorò senza fiato.
Come se l'avesse sentita, l'acrobata corse verso di lei e, quando stava per travolgerla, si fermò e compì una capriola all'indietro. Le piume del suo costume rotearono attorno al suo corpo come una coda infuocata. Quando ricadde a terra, gli occhi verdi nascosti dietro la maschera da uccello non indugiarono un istante su di lei, prima che l'acrobata corresse via, scavalcasse il muro e si infilasse tra i nobili e membri del Consorzio disorientati e stupiti. Tra di loro correvano gli altri cinque, rubando cappelli, tirando fuori monete o fiori o carte dagli stessi per poi scappare via, alla ricerca della prossima vittima.
- Ho avuto paura che mi arrivasse addosso, a un certo punto. - ridacchiò Bahar.
- Anche io. - ammise Nemeria, senza smettere di applaudire.
Le facevano male le mani, eppure non riusciva a fermarsi e i suoi occhi rincorrevano gli acrobati nei loro numeri. Non si risparmiavano con niente e nessuno, neppure le occhiatacce riservategli da coloro che non apprezzavano i loro scherzi riuscivano a fermarli.
Un mormorio sorpreso fece tremolare l'aria quando i sei si buttarono al di là del parapetto e atterrarono con una fluidità felina. Corsero intorno al perimetro dell'arena, le mani alzate verso il cielo e i nastri colorati, in tinta con le piume, parevano avere vita propria durante le spaccate in aria.
- Nemeria, guarda! -
Bahar puntò il dito verso il palco con un sorriso estatico. Un giocoliere con il viso pesantemente truccato e i capelli tirati all'indietro, apparso in un turbine di lenzuola semi trasparenti, a ritmo di musica stava facendo roteare due clave infuocate. Al suo fianco una donna mulinava una catena in fiamme, muovendosi a passo di danza, con i nastri azzurri che, come comete impazzite, serpeggiavano attorno a lei in una coreografia frenetica. Alla melodia si era aggiunto il suono grave e squillante delle tube, che scandivano il ritmo degli acrobati assieme ai battiti del pubblico. Quando lo spettacolo terminò, gli applausi scrosciarono da tutta l'arena, compresa dalla tribuna del governatore.
- Sono bravissimi! - commentò entusiasta Nemeria.
- Macché, sono ben più che bravissimi. - commentò Bahar, - Per tutti gli dei, guarda lassù! -
Nemeria alzò lo sguardo e seguì la traiettoria del suo dito fino a trovare il volto della donna che stava calando dal cielo. Indossava degli abiti vaporosi, con diversi strati di veli che si gonfiavano, catturando e trattenendo il vento che, improvvisamente, spazzava la sabbia e sollevava la polvere. Una corona di piume blu le adornava la testa e continuava con quelle che costituivano le immense ali cobalto che catturavano la luce e la rifrangevano. Il trucco attorno agli occhi era pesante, li allungava rendendoli simili a quelli di un gatto, così come quello che le disegnava degli arabeschi dorati attorno alla bocca e al collo, eppure Nemeria la riconobbe subito: Pavona.
La musica cambiò, si abbassò fino a diventare un accompagnamento di sottofondo, una melodia intessuta dalle note delicate delle cetre e delle siringhe. Pavona fluttuava in aria sostenuta dal nulla, pareva una divinità scesa in terra, l'incarnazione stessa della Madre. Non appena cominciò a cantare, il brusio che animava gli spalti ammutolì, trasformato dapprima in un mormorio di stupore e poi in grida strozzate quando i sei acrobati, quelli che erano corsi tra la folla, si librarono in aria. Sulla voce di Pavona, danzavano verso o lontani da lei, tuffandosi come delfini, con i drappi colorati che li avvolgevano a ogni avvitamento o capriola, sirene e tritoni al comando della loro bellissima e inarrivabile regina. Il vento era la guida e il sostegno delle loro acrobazie; il vuoto il palcoscenico intangibile, vera sede dello spettacolo.
- Non avevi detto che non c'erano Dominatori? -
Bahar scosse la testa e ci mise un po' a rispondere: - No, i membri del Consorzio l'avrebbero riconosciuta. -
Non proseguì, ma Nemeria capì lo stesso quello che avrebbe voluto dire.
- Ci sarà qualche trucco dietro. Funi, contrappesi, ganci, ci sono mille modi per fare quell'effetto. - la rimbeccò Morad, le braccia incrociate sul petto e lo stesso sguardo scettico.
- E quale sarebbe? -
- Non lo so, non mi sono mai interessato. Ma se esistono corde che permettono quelle acrobazie, non vedo perché non potrebbero esisterne alcune trasparenti. L'alchimia ha fatto passi da gigante negli ultimi anni: molte cose che quando io avevo la vostra età erano impossibili ora sono la normalità. Se ci tenete tanto a saperlo, potreste andare a chiederglielo dopo lo spettacolo. -
Nemeria si girò di scatto e lo scrutò con tanto d'occhi, incredula quasi quanto Bahar.
- È inutile che mi guardi così. Tyrron vuole che impari l'arte dello spettacolo. Per quanto io disapprovi il circo, il loro mestiere lo sanno fare. -
Indicò la folla in delirio attorno a loro. Erano rimasti tutti conquistati, rapiti dalla voce di Pavona e dai numeri degli acrobati che orbitavano attorno a lei.
- Le guardie sanno chi sono. Se desideri parlare con la cantante o con qualcuno di quei saltimbanchi, ben venga: almeno da questa esperienza ci ricaverai qualcosa di utile. -
Nemeria annuì e tornò a guardare Pavona. Circondata dagli acrobati, si godeva gli applausi del pubblico, profondendosi in inchini e saluti. Quando si volse verso i loro spalti, Nemeria percepì il suo sguardo su di sé: per tutto quel tempo, da quando si erano incontrate, l'aveva aspettata. Anche se Morad non le avesse dato il permesso di andarle a parlare, avrebbe trovato un modo per andare da lei. Glielo doveva, ma soprattutto aveva bisogno di dare un senso alla sensazione di familiarità e malinconia che era legata a doppio filo con Pavona.
Lo spettacolo proseguì fino a poco prima di mezzodì. Sul palco si esibirono acrobati, contorsionisti, equilibristi, in un susseguirsi di numeri mirabolanti da mozzare il fiato. Bahar e tutti gli spettatori rimasero incantati dai loro giochi di prestigio al limite dell'impossibile. Nemeria era ipnotizzata dai funamboli e il cuore le balzava in gola ogniqualvolta si fermavano in bilico sulla corda, con l'asta colorata che oscillava pericolosamente a destra e a sinistra. Che fosse una recita ben architettata o una reale difficoltà a mantenere l'equilibrio, il brivido che le risaliva lungo la spina dorsale e le congelava il respiro era reale.
All'intervallo, quando l'arena si svuotò, Nemeria avrebbe voluto correre subito a parlare con Pavona, ma Morad insistette perché prima mettesse qualcosa sotto i denti.
- A quest'ora fa davvero molto caldo e tu sei un cumulo di ossicine che cammina per strada. Se Tyrron sapesse che sei svenuta, mi scuoierebbe vivo. - le disse, stroncando sul nascere qualsiasi sua obiezione.
Fuori c'erano diversi carretti che si contendevano i clienti, offrendo i migliori dürüm. Il profumo della carne di tacchino sulla griglia aveva pervaso l'aria e richiamava soprattutto i più giovani, che sciamavano verso quello o quell'altro venditore.
- Bahar, prendine tre da chi vuoi, noi ti aspettiamo lì. - Morad indicò l'ombra di una casa, una striscia scura quasi a ridosso della parete, - E fai in fretta, la pausa non dura a lungo. -
- Farò il possibile... -
- Più parli più la coda si allunga. Su, muoviti. -
Le mise in mano tre siglos e fece cenno a Nemeria di seguirlo. Col sole a picco sopra la testa e la sola protezione della tettoia, il sudore le inumidì presto la schiena e le ascelle.
- Piaciuto? -
- Sì, è stato... - aprì le braccia e sorrise elettrizzata, - non so nemmeno come descriverlo. Non avevo mai visto niente del genere in vita mia. -
- Tyrron ne sarà contento. Aveva insisto molto affinché tu andassi, ma ha preferito aspettare che ti ambientassi. Hai capito perché ti ho portata qui? -
Nemeria ci pensò un po' su. Cercò Bahar con lo sguardo, ma c'era troppa calca e le venne difficile anche solo individuarla.
- Anche io dovrò far divertire? -
- Esatto. Non è solo la vittoria a essere importante, imprimitelo bene in testa. A pochi interessano le tecniche di lotta. Per il popolo, tu stai solo agitando la spada. Magari lo starai facendo con più grazia degli altri, ma a nessuno interesserà quanto il tuo fendente sia pulito o il tuo affondo rapido. - abbracciò con un cenno del capo tutta la folla davanti a loro, - Se vuoi guadagnarti la libertà, devi farti amare da loro. E quello che il popolo vuole è divertirsi. Questo circo ha avuto successo perché è spettacolare, grandioso e imprevedibile. Tu domini un elemento raro e hai un aspetto ancora più strano: hai tutte le carte in regola per farti amare. -
- Il loro amore comprerà la mia libertà. -
- Sì. Se speri di lasciarti l'arena alle spalle, un giorno, il loro appoggio e il sostegno dei tuoi prestigiosi ammiratori sarà il tuo lasciapassare per andartene. -
Bahar tornò con tre dürüm pieni fin quasi a scoppiare. Nemeria lo addentò e tutto il formaggio all'interno del rotolo le sgocciolò sui piedi, assieme ad alcuni pezzi di verdura e tacchino. Non che le importasse granché; l'unico suo dispiacere era che non poteva chinarsi e rimettere il tutto dentro.
- Seguitemi. -
Morad si pulì le mani su un fazzoletto di stoffa e si avviò a grandi passi verso l'arena. In un primo momento, Nemeria credette che stessero per rientrare, poi però lo vide girare a destra e sparire dietro il muro. Lei e Bahar dovettero correre per recuperare terreno. Due guardie grosse e nerborute sorvegliavano un'entrata anonima, una semplice porta di metallo incassata nel muro altrimenti liscio.
- Non potete passare. Questo è un accesso riservato. -
Morad tirò fuori una catenella con l'effige di una lince con le fauci spalancate. La testa era di ferro e gli occhi avevano un riflesso bronzeo, come le rifiniture delle orecchie e della bocca.
La guardia aprì la bocca per dire qualcosa, ma il suo compagno di intromise prima che potesse parlare.
- Scusatelo, ha appena preso servizio. Prego, entrate pure. -
Si spostarono all'unisono e l'uomo che aveva appena parlato aprì la porta, per poi tornare al suo posto. Morad rimise a posto la catenella e, come se nulla fosse accaduto, entrò.
“Per la Madre, quanto è conosciuto Tyrron?”
- Il padrone ha una grande fama. Tutti i lanisti in realtà sono molto conosciuti, ma Tyrron è il migliore. - spiegò Bahar e le diede un buffetto sulla guancia, con le labbra atteggiate in una smorfia da saputella che strappò un risolino a Nemeria, - Affretta il passo, prima che Morad ci urli dietro di muoverci. Quell'uomo sembra sempre si sia alzato con la luna storta. -
Si inoltrarono in un corridoio che discendeva nella semioscurità, appena rischiarata dalla luce opaca delle lanterne. La pietra aveva preservato il fresco, intrappolandolo tra quelle quattro mura come un tesoro prezioso. Morad le attendeva alla fine di una ripida rampa di scale. Al suo fianco c'era un qazam con i capelli verdi, gonfi e crespi. Era alto come un besajaun, ma aveva la testa più grande, quasi sproporzionata rispetto al resto del corpo. I baffi erano un esubero di peli neri in continuità con quelli che uscivano a ciuffetti dal naso e copriva del tutto la bocca.
- Lui è Dakshesh, il proprietario. Gli ho già chiesto se puoi parlare con gli artisti della sua compagnia e mi ha detto che puoi fare tutte le domande che vuoi. -
- Poi starà ai miei ragazzi vedere se rispondere o no. Vuoi parlare con qualcuno in particolare, ragazzino? -
“Sono una ragazza! Ma è possibile che nessuno lo capisca?”
Nemeria trasse un profondo e lento respiro per calmarsi.
- Vorrei parlare con Pavona. -
Dakshesh diede una gomitata scherzosa a Morad e i baffi tremolarono sotto l'impeto della risata.
- Pavona! Vieni, c'è una tua ammiratrice qui! - la chiamò.
Pavona emerse da una delle cabine degli spogliatoi quasi subito. Nonostante si fosse tolta buona parte del trucco, rimaneva il nero del kohl a sottolineare il profilo allungato degli occhi. Quando la vide, un sorriso tremolò sulle sue labbra.
- Non possiamo trattenerci molto, lo spettacolo... - cominciò Morad.
- Il tempo di bere qualcosa insieme c'è sempre. -
- Non posso lasciare la ragazz... -
- Andarsene da qui? E come potrebbe? Le guardie la fermerebbero all'ingresso. - Dakshesh strinse il polso di Morad con l'aria seriosa di chi la sa lunga, - Prendiamoci qualcosa. Non mi piace parlare di affari senza un generoso bicchiere di vino. -
- Non vi dovete preoccupare. Qualora tentasse di scappare, urlerò così forte da richiamare anche le guardie del sultano in persona. - scherzò Pavona.
L'uomo indugiò e poi si strofinò il naso.
- Sappi che conosco tutte le entrate di questo posto. Se provi a scappare, io ti troverò. - le disse e i suoi occhi fiammeggiarono come rubini colpiti dal sole.
Come diceva Fakhri, esistevano due tipi di uomo: quelli che parlano per dare aria alla bocca e quelli che prendono alla lettera quello che dicono. Morad non poteva che rientrare in quest'ultima categoria.
- Io devo finirmi di togliere il trucco. Le è permesso seguirmi nello spogliatoio? - domandò Pavona.
Morad annuì e poi si rivolse a Dakshesh.
- Sediamoci pure su quella panca lì. Bahar, seguimi. -
La ragazza scattò subito e lo affiancò, rimanendo in piedi vicino alla panca. I due acrobati che erano rimasti a fissare la scena si avviarono nelle cabine degli spogliatoi, di nuovo concentrarti sulle loro incombenze.
- Vieni con me. - la invitò Pavona.
Aprì la porta e rimase sulla soglia finché Nemeria non si decise a entrare. All'interno, la cabina era meno piccola di quanto si aspettasse. Gli abiti dello spettacolo erano appesi a un gancio al muro, mentre le ali erano state adagiate contro la parete sul fondo. Pavona si sedette sulla panca e le porse uno specchio con la cornice di legno intagliata in tralicci d'uva.
- Tienimelo dritto, per favore. -
Nemeria annuì e lo sollevò fino all'altezza del suo viso. Rimase ipnotizzata da quanto fosse bella anche senza trucco, anzi, era addirittura più affascinante: il rossetto rimasto sulle labbra le rendeva più grandi e carnose di quanto già non fossero e i capelli scompigliati, di un rosso brunito, le conferivano un'aria selvaggia, fiera. Se la libertà fosse stata una donna, avrebbe avuto il suo viso.
- Allora, cosa volevi chiedermi? -
Pavona tagliò il filo dei suoi pensieri. Aveva distolto lo sguardo dallo specchio e ora stava guardando lei, con lo strofinaccio umido e sporco appoggiato in grembo.
- Io... - iniziò e le parole naufragarono.
Aveva la sensazione di conoscerla, ma come poteva spiegarglielo senza sembrare ridicola? Magari nemmeno si ricordava di cosa le aveva detto quando si erano incontrate nel Quartiere del Legno...
Certo che me lo ricordo, sciocchina.
Nemeria si impietrì e sgranò gli occhi. Quelli di Pavona avevano assunto una sfumatura perlacea che aveva screziato la pupilla di pagliuzze argentee.
- Tu... come fai? -
Perché sono come te. Anch'io, un tempo, ero una Jinian.
- Ti vedo stupita, pensavo lo avessi capito. - commentò poi Pavona ad alta voce.
Attenta a quello che dici. Qui anche i muri hanno le orecchie, ma non rimanere mai zitta. Non voglio che ti capiti nulla di male.
- No, no, io... non ci avevo pensato. - si risolse a dire Nemeria.
- Allora significa che sono anche più brava di quanto mi aspettassi. -
Sciacquò lo straccio nel secchio ai suoi piedi e lo strofinò sul collo con attenzione.
- Quanto ti sei esercitata prima di arrivare a questo livello? -
Prima di abbandonare la tribù, avevo cominciato il Terzo sentiero, quello dell'aria per me. Quando me ne sono andata, ero già capace di comunicare telepaticamente, anche se su brevi distanze.
- Ho imparato molto durante i miei viaggi. Ho osservato soprattutto come lo facevano gli altri e poi ho cercato di rubare i loro trucchi. - aggiunse.
- Parli degli altri artisti? -
Pavona le fece l'occhiolino: - Ovviamente. Per migliorarti, non c'è niente di meglio se non imparare da chi ha più segreti di te, ti pare? -
Nemeria non intuì subito a cosa si riferisse. Aveva la testa sovraffollata di pensieri, provare a comporne uno e farlo emergere in quel marasma era un'impresa ardua. Poi la risposta le rimbombò in mente come un fulmine a ciel sereno.
“Stai parlando degli altri Dominatori.”
- Purtroppo la vita lontana da casa è dura, bisogna imparare a sopravvivere con quel che si può. - le confermò con cenno del capo Pavona.
- È stato difficile? -
- Ci si mette solo più tempo. Senza la guida di un maestro, è tutto più difficile. - prese un pettine e se lo passò tra le ciocche, pettinandole all'indietro, - Sono stupita che anche tu abbia abbandonato la tua casa per fare un mestiere del genere. Io ho maturato questa decisione molto presto, ma ho dovuto attendere di compiere sedici anni prima di potermene andare. -
Nemeria si morse le labbra e abbassò lo sguardo. Le lacrime, prepotenti, spingevano da dietro le ciglia.
- Non è stata una mia scelta. La mia famiglia... la mia famiglia non c'è più. -
Non le servì guardare Pavona per immaginare la sua espressione. Il silenzio, sia fisico che mentale, che aleggiava tra di loro, era più assordante di qualsiasi grido.
- Cosa è successo? -
La mano di Pavona si era soffermata a un pollice dalla sua spalla. Un tacito permesso per farle vedere, sentire, capire. Era troppo doloroso anche per lei da credere.
- Sono morti, tutti morti. - esalò e intrecciò le dita con le sue.
Far entrare Pavona nella sua mente fu come aprire la finestra e lasciar entrare un gattino randagio. Camminava in punta di piedi, circospetta, attenta a non fare troppo rumore. Nemeria era la terra e Pavona le radici di un arbusto giovane che si facevano largo tra i suoi pensieri più intimi, sfiorandoli e avvolgendoli come se fossero una vena acquifera nelle profondità del deserto. Perché quello era la sua mente: una terra desolata, sterile e arida, dove i ricordi erano rimasti seppelliti sotto le dune di sabbia.
Quando si ritirò, lo fece in religioso silenzio, nello stesso modo in cui era venuta. Le lacrime erano cristallizzate nei suoi occhi, così lucidi da sembrare delle gemme di vetro. Aveva sentito le sue stesse emozioni, le aveva assorbite e rivissute come se le appartenessero. Nemeria non aveva il coraggio di toccarla per paura che crollasse davanti a lei.
- Mi dispiace... - soffiò Pavona e indugiò con una carezza sulla sua guancia.
Nemeria si aggrappò al suo sguardo. Si era ripromessa di non piangere più, di sopportare, eppure avrebbe tanto desiderato abbracciarla. Una Jinian come lei, l'ultima; l'unica che poteva davvero capirla.
- Quanto rimarrete in città? -
Sapere la risposta a quella domanda era una necessità opprimente, dilaniante.
Pavona si ritrasse e si asciugò la lacrima che le era sfuggita. Sembrava invecchiata all'improvviso e la cupezza del suo sguardo contrastava con le vesti sgargianti che indossava.
- Non lo so con esattezza. Forse Dakshesh me lo ha detto, ma adesso non mi viene in mente. Ma no, la partenza non è imminente. -
Si tolse gli orecchini e saggiò la delicatezza delle piume blu che li adornavano, sovrappensiero, come in ascolto. Nemeria si chiese cosa stessero vedendo davvero i suoi occhi.
- Nem, dai, andiamo! - senza chiedere alcun permesso, Bahar infilò la testa nella cabina, - Morad ha finito e a breve cominceranno gli spettacoli del pomeriggio. -
- Sì, è meglio che vai, sennò ti perdi l'inizio. Io devo finire ancora di togliermi tutto questo trucco, non posso mostrarmi alla gente con questa faccia. - scherzò Pavona.
Nemeria annuì. Posò lo specchio vicino alla sua mano e, controvoglia, seguì la ragazza fuori. Il pensiero di come si erano salutate, della sua nuova scoperta, le portò via qualsiasi entusiasmo. Osservò lo svolgersi dei combattimenti con attenzione, senza che però l'esaltazione del pubblico la contagiasse come la volta precedente. Non essere più l'unica non era una consolazione che reggesse il confronto con ciò che aveva perso.
Gli spettacoli finirono poco prima del tramonto, con il trionfo di un gladiatore con il petto pieno di tatuaggi e le braccia muscolose solcate da graffi più o meno profondi. Il suo avversario, un uomo con una coda di cavallo ormai sfatta e una spada a lama ricurva al suo fianco, gli strinse la mano. Nemeria non aveva seguito lo scontro, ma per quel poco che la sua mente aveva colt, non era stato particolarmente esaltante. Tutta la cavea però applaudiva e inneggiava alla morte o supplicava per la vita, come se le loro grida avessero davvero un peso sulla decisione finale.
“Pane e giochi.”
Adesso cominciava a capire cosa avesse voluto dire Tyrron. Era difficile da accettare, ancor più complicato da applicare, ma la realtà era ben più semplice di quello che si era figurata. La squallida e dura realtà al di fuori della tribù si basava sulla legge del più forte, in un gioco dove tutti interpretavano un ruolo ben preciso per conservare quel poco che si erano guadagnati.
“Imparerò a recitare anche io. Devo.”
Lasciarono l'arena assieme alle altre centinaia di spettatori. Nonostante l'angoscia serpeggiasse tra le sue viscere, Nemeria non scorse alcuna ombra sospetta a seguirli, ma con il cuore pesante che le gravava nel petto non riusciva a prestare la dovuta attenzione a ciò che la circondava: se il predone avesse deciso di attaccarla in quel momento, non era sicura che sarebbe stata in grado di difendersi.
Giunsero alla Scuola sani e salvi. Ad accoglierli fu il profumo del riso e dei funghi appena cotti. Nemeria si sarebbe volentieri diretta in camera, ma Morad sapeva che era ora di cena e che lei era dall'ora di pranzo che non toccava nulla.
- Riferirò al padrone che ti sei comportata in modo esemplare. Ne sarà contento, anche se era più che sicuro che non avresti fatto sciocchezze. - le promise Bahar.
Morad taceva. Nemeria si sentiva sotto esame, eppure non le interessava granché di quello che avrebbe pensato o riportato a Tyrron. Voleva soltanto mangiare e tornare in camera a dormire.
- Allora... alla prossima volta. - si sforzò di sorridere.
- Alla prossima volta! - la salutò Bahar.
Nemeria fece un cenno a Morad e si voltò per dirigersi al refettorio. In quel momento, una Ver'ilef con le orecchie adornate con orecchini d'ossa uscì. Camminava al fianco di Reza e si scambiavano battute sagaci, che portavano il riso a entrambi. Bastò che girasse la testa nella sua direzione perché i loro sguardi si incontrassero.
“Roshanai.”
Un brivido freddo la pervase e le ferite sulla schiena pulsarono, come appena inferte. Gli occhi della donna sfolgorarono come tizzoni ardenti e la bocca si aprì su un sorriso ferale. Anche se non la poteva udire, a Nemeria bastò il movimento delle labbra per capire cosa le stesse dicendo.
- Domani sei mia. -
Nemeria deglutì. Le gambe tremavano e aveva il cuore a mille. Le scale erano lì, a portata, con uno scatto poteva raggiungerle e rintanarsi nella sua stanza. Ma si rifiutò di dare ascolto all'impulso. L'aveva già sconfitta una volta, perciò qualsiasi cosa avesse in serbo per lei, per quanto le facesse paura, poteva sopportarla.
- Ti aspetto. - scandì con voce salda, in modo che tutti lo sentissero.
Reza si girò e Roshanai la fulminò con lo sguardo. Rallentò il passo e Nemeria pensò che l'avrebbe attaccata, ma la Syad del fuoco proseguì oltre. Nemeria prese fiato e si guardò le mani. Erano calde, più del normale. La forza dell'elementale, anche se debole, era presente.
- Mi sa che ti sei fatta una nuova nemica. - notò Morad con una punta di divertimento.
- Allora la affronterò. - dichiarò decisa.
 

Angolo Autrice:

  Eccomi qui XD Allora, sono felicissima di avvertirvi che siamo arrivati circa alla fine della storia, mancheranno sì e no 5/6 capitoli. Ringrazio in anticipo chi mi ha seguita in questo lungo viaggio, anche in silenzio: lettori, sappiate che siete un bene prezioso. é per voi che pubblico online ed è per voi che ho sempre cercato di migliorarmi. Questo angolo autore a cosa serve? Dunque, visto che ho bisogno di una vacanza anche io, vi avviso che gli aggiornamenti sono sospesi fino al 20 di gennaio. Questo perché ho bisogno di tempo per scrivere la storia - gli ultimi capitoli sono stra importanti- e anche per riposarmi. Dunque, ci rivediamo a gennaio con il capitolo 18. Se avete qualcosa da chiedere, chiarimenti, notizie o anche solo qualche curiosità non esitate a scrivermi o qui (attraverso una recensione che fanno sempre piacere) o per messaggio privato. In queste vacanze mi metterò sotto anche pe rrispondere alle recensioni: purtroppo la mia vita universitaria è complicata e pretende sempre la mia presenza <.< ma sappiate che le leggo sempre e mi fanno veramente tanto, tanto piacere. Insomma, preparatevi a essere sommersi di messaggi in casella XD Un bacione e a presto!

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Capitolo 18
*** Il Nome nel Buio ***


Fuoco 2

18

Il Nome nel Buio

"E’ una vita superficiale quella di una persona non ha almeno un paio di cicatrici."
Garrison Keillor.

Dopo aver cenato ed essere passata dall'infermeria, Nemeria si precipitò subito in camera sua. La minaccia di Roshanai le riecheggiava nelle orecchie e l'adrenalina le gonfiava il cuore per l'emozione d'averle risposto. Nella sua mente turbinavano tutti gli eventi della giornata: Pavona, lo spettacolo, il sapere di non essere più la sola. Aveva bisogno di tempo per raccapezzarsi e mettere in ordine le idee.
Batuffolo la accolse con un miagolio allegro e trotterellò fino a lei. Incurante del fatto che Nemeria fosse ansante sulla porta, cominciò a strusciarsi sulle sue gambe facendo le fusa, la coda che sbatteva ripetutamente contro il polpaccio come a voler richiamare la sua attenzione.
- La tua palla di pelo è più esagitata di te. - commentò Noriko.
Se ne stava sdraiata con le gambe incrociate sul cuscino, il braccio sinistro piegato dietro la testa e un libro con la copertina appena consunta sui bordi che le copriva il viso. Nemeria rimase imbambolata a fissarla sulla soglia per ancora qualche istante, prima di prendere Batuffolo in braccio ed entrare. Dopo tutti i giorni passati da sola in quella stanza, le sembrava strano che Noriko fosse davvero lì.
- C'è qualcosa che non va? -
Noriko abbassò il libro e incrociò il suo sguardo. Aveva gli occhi limpidi e lo sguardo sereno, anche se sopravviveva un accenno scuro di occhiaie che, quasi più dell'incarnato pallido, le smungeva il viso e le infossava le guance. Se già vederla così debilitata, o comunque non nel pieno delle forze, era strano, lo era ancora di più sapere che dall'indomani, quando sarebbe tornata in camera, non sarebbe più stata sola.
- Niente, è che... devo riabituarmi. -
Si sedette sul letto, con Batuffolo che giocava con le sue dita. Ci aveva preso gusto a mordicchiargliele, soprattutto l'indice. Nemeria glielo infilò in bocca a tradimento e il cucciolo, in risposta, le diede una zampata sul polso, come per redarguirla.
- A cosa ti devi riabituare? -
- Al riaverti qui. -
Con una smorfia di dolore, Noriko si mise a sedere. Inclinò il torso di vari gradi e spostò le gambe finché non si piegò su se stessa, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il pugno stretto attorno all'anulare e al medio.
- Senti ancora tanto male? -
La ragazza scosse la testa, ma le labbra serrate e i muscoli rigidi tradivano più della sua espressione sofferente. Nemeria allora si alzò, con tutta l'intenzione di sedersi di fianco a lei. Batuffolo era appena sceso dalle sue gambe quando Noriko riaprì gli occhi.
- Torna a sederti. -
- Ma tu non stai bene, non voglio che ti sforzi. -
- Erano quasi dieci giorni che non mi allenavo e Sayuri non si è risparmiata. -
- Motivo in più per non farti affaticare. -
Piano, molto piano, Noriko raddrizzò la schiena. I capelli strisciarono sulle spalle e si riversarono come una cascata rossa sul petto, coprendo anche parte del braccio destro.
- Te lo chiedo per favore. - insisté.
Nemeria rimase in piedi, avvinta da quello sguardo. L'azzurro si era schiarito e il freddo lo aveva reso una lastra di ghiaccio traslucida, ma non abbastanza spessa da nascondere l'ombra che guizzava al di sotto. Era sottile, quasi spariva nel contorno scuro della pupilla, il riflesso di un sentimento che era quasi impossibile potesse appartenere a Noriko.
- Va bene. - cedette Nemeria e si rimise sul letto.
Noriko trasse un leggero sospiro e si rilassò.
- Lo so che ti preoccupi per me. È gentile da parte tua, ma non ho bisogno di tutte queste attenzioni, ora sto molto meglio. Nande sa fare molto bene il suo lavoro. - le spiegò con più calma, come se avesse a che fare con una madre apprensiva.
Nemeria sospirò e, anche se con una punta d'irritazione, decise di lasciar perdere. Batuffolo, invece, strusciò la testa contro la gamba di Noriko e poi balzò sul letto, accucciandosi con il muso che premeva contro il suo fianco. Quando la ragazza allungò la mano per spostarlo, tentò di morderla, soffiando infastidito.
- Batuffolo! - lo riprese Nemeria.
Il caracal fissò la sua padrona e poi rivolse le sue attenzioni a Noriko che, imperturbabile, lo scrutò di rimando. Sebbene si fosse impegnato per sembrare minaccioso, si rese ben presto conto di essere ancora troppo piccolo per far paura a chicchessia. Offeso per non essere stato preso sul serio, ma determinato a farsi valere, Batuffolo si rannicchiò ostinatamente contro Noriko, scoccandole occhiate truci da dietro la zampa.
- Vuole starti vicino. -
Nemeria pronunciò quella frase carica di significato senza staccare gli occhi da Noriko. Come se bastasse mantenere il contatto visivo perché quelle parole potessero penetrare la scorza di ghiaccio e scendere nelle acque profonde del suo animo.
- Al riavermi qui, dici. -
Nemeria ci mise un momento a riallacciarsi al discorso precedente.
- Al riaverti qui, sì. - ripeté.
- Non ero lontana, non ci vuole molto ad arrivare all'infermeria di Nande.-
- Lo so, sono venuta spesso anche a trovarti. - rettificò e si morse l'interno della guancia, - È solo che tu e lei siete state strane, oggi. Vi scambiavate delle occhiate di nascosto, quando pensavate che non vi vedessi, e ho temuto che mi nascondessi qualcosa. -
Noriko alzò entrambe le sopracciglia.
- Sono stata una sua paziente a lungo e in questi ultimi giorni alcuni ragazzi lì in infermeria sono stati male. Anche se mi sono quasi del tutto ripresa, lei continua a tenermi sott'occhio. -
Nemeria annuì. Aveva senso, eppure si sentiva comunque inquieta. Era la stessa sensazione di quando Rakhsaan si rannicchiava contro la sua schiena senza dirle nulla o Etheram si allontanava per ore senza avvertirla e al suo ritorno adduceva una scusa per sviare le sue domande. Anche se diceva di stare bene, Nemeria sapeva, con una conoscenza viscerale, spogliata del senso critico della ragione, che c'era qualcosa che non andava. Ora come allora, però, sapeva che insistere non l'avrebbe portata a nulla. Doveva solo osservare e stare attenta ai dettagli.
- Gli altri ragazzi cosa avevano? -
- Febbre e vomito. Nande ha detto che se non guariscono nei prossimi tre o quattro giorni, sarà lei a chiamare personalmente Serafim. -
- I loro lanisti non l'hanno ancora fatto? -
- Evidentemente no. Ma loro sono umani, valgono molto meno di noi. -
- Non possono davvero pensare una cosa simile. La vita... tutte le vite hanno un valore. -
- Noi siamo oggetti, “asiri” nella loro lingua. Ormai dovresti averlo capito. -
La bocca di Nemeria era arida. Si passò la lingua sui denti e poi si umettò le labbra, senza sapere che dire.
- È una questione di affari. Niente di più, niente di meno. Il loro padrone è quasi in bancarotta e se non troverà il denaro per pagare le cure dei suoi gladiatori, la faccenda passerà nelle mani di Koosha. -
- E cosa succederà? -
- Non lo so. Non sono qui da abbastanza tempo per dirti come vengono risolte questo genere di situazioni. Non ti crucciare, comunque. Non è un nostro problema. -
- Ma sono i nostri compagni! -
Noriko sospirò e con attenzione tornò a stendersi sul letto. Batuffolo ebbe tutto il tempo di spostarsi e di tornare a squadrarla in modo truce dalla sua cuccetta.
- Vuoi dormire vicino a me stanotte? Il letto è piccolo, ma tu non occupi tanto spazio. -
Nemeria si concesse un momento d'incredulità per quell'invito inaspettato.
- So che non sei una bambina, ma visto che ti sono mancata ho pensato di proportelo. Sentiti libera di rifiutare, non mi offenderò. - precisò Noriko con il viso già di nuovo nascosto dal libro.
- A te non dà fastidio? Intendo... visto che non stai ancora bene, forse non è una buona idea. -
- Devo solo stare attenta a non fare movimenti troppo bruschi. -
- Quindi hai avuto davvero solo i dolori del tuo ciclo di luna. -
Noriko piegò l'angolo della pagina poco prima di girarla.
- Sì, era solo quello. -
- Non mi sembra tanto normale. Anche mia sorella è stata male la prima volta, ma... -
- Nemeria. - Noriko abbassò il libro sotto il mento e si massaggiò la radice del naso, - Sto bene, ora. Preoccuparsi per ciò che è passato non ha senso. -
- E come faccio? Non è un graffio che si rimargina e sparisce. È una cosa che capita tutti i mesi e se già la prima volta sei stata così male, non oso immaginare come sarà poi! -
Si rese conto di aver alzato la voce solo quando vide Batuffolo sobbalzare e nascondere la testa sotto le zampe.
- Perché non vuoi che mi preoccupi per te? Cos'è, ti vergogni che una bambina indifesa come me possa fare qualcosa al di là del piagnucolare e prendere botte? - continuò infervorata, le mani strette a pugno lungo i fianchi, - Sarai più forte di me, sarai anche una Dominatrice, ma rimani un essere umano. Non puoi proteggermi sempre e poi pretendere che io non faccia altrettanto. Non so menare le mani come te, però sono tua amica. Non puoi chiedermi di... di lasciar perdere così, come se non fosse importante. -
Strinse la pietra di luna e trasse un profondo respiro. La sentiva calda contro il palmo, ma non bruciava così tanto da non poterla tenere in mano. Il sussurro dell'elementale, la sua promessa di lealtà, erano braci accese sepolte sotto uno strato sottile di cenere: un soffio e l'incendio sarebbe divampato senza controllo. Come con Ahhotep e Durga, l'unica cosa che la sosteneva dal cadere nel baratro era il regalo di Etheram.
Noriko socchiuse gli occhi prima di riaprirli e spostare lo sguardo sul soffitto. La sua immobilità, quell'apparente calma che lei vestiva come un guanto, contrastava con il vulcano che scuoteva l'anima di Nemeria.
- Uova di almanhira. Sono simili ai vermi mangiacarne, ma più neri e piccoli. - disse con un mezzo sorriso, - Li conosci? -
Sì che li conosceva. Erano il tormento dei pastori nomadi del deserto. La notte intorno al fuoco aveva sentito spesso Arsalan lamentarsi di quanti danni facessero al bestiame. Rendevano le vacche sterili e non c'era erba o rimedio che potesse annullarne gli effetti. Le sovvenne di quando si erano fermati vicino a un'oasi e lui era tornato inveendo contro la stupidità di quel pastore errante che non si era premurato di disinfettare con cura il taglio di quella cavalla.
Fu come un fulmine a ciel sereno. I giorni passati in infermeria, la febbre, la difficoltà nei movimenti. Era stato sotto i suoi occhi per tutto il tempo e Nemeria non se n'era resa conto.
- Noriko, io... io non lo sapevo. - provò a pensare a qualcosa d'intelligente da dire, ma ogni parola, in quel momento, le sembrava stupida, - Davvero, mi dispiace. -
- Meglio così. La scuola è un luogo protetto, ma per quanti controlli ci possano essere, ci sono stati degli stupri in passato. Se mai dovesse accaderci, almeno non dovremo preoccuparci di una possibile gravidanza. -
Nemeria in quel momento realizzò che un giorno sarebbe toccato anche a lei. Che quel sogno infantile di avere una famiglia numerosa come lo era stata la sua non era altro che quello, un sogno destinato a rimanere tale. Improvvisamente, nemmeno il letto sembrava in grado di sostenere il peso della sua anima.
Noriko allungò il braccio al di fuori della sponda, facendole cenno con la mano di avvicinarsi.
- Vieni qui. -
Nemeria si stese al suo fianco con il viso appoggiato poco sopra il suo petto.
- Ti dispiace se leggo un po'? -
- No, fa' pure. -
La luce della candela era una sicurezza. Il fuoco teneva le tenebre lontane, rischiarava le notti più buie e scaldava quando fuori dalla tenda soffiava il vento del deserto.
Nemeria abbracciò Noriko e la strinse piano a sé. Delle due famiglie che aveva avuto, era l'unica che era sopravvissuta, la sola che gli eventi non le avevano portato via. La loro assenza pesava più delle mezze verità e delle bugie che aveva detto a se stessa e a loro per sopravvivere.
"Forse è questa la mia punizione per non aver dato fiducia."
Si morse un labbro e guardò le pagine del libro che Noriko stava leggendo. Gli ideogrammi le scorrevano davanti agli occhi senza che lei li recepisse davvero. Ne riconobbe alcuni, ma non riusciva a ricordarne il significato.
Socchiuse gli occhi, si aggrappò con una gamba a quella della sua compagna e appoggiò la guancia vicino al suo orecchio. I suoi capelli profumavano di sapone ed erba in modo così forte da irritarle le narici. Era diverso dall'odore di creta e frutta che invece permeava la chioma di Etheram.
La sua vita, da quando aveva abbandonato la sua tribù, era stata un continuo susseguirsi di perdite di persone, di speranze e di sogni. E ripensare a sua sorella, al seppur piccolo nucleo familiare che costituivano assieme a Hediye e Rakhsaan, era ancor più doloroso alla luce di ciò che, prima o poi, le sarebbe accaduto. Ma nell'ottica di quello che era diventata, era giusto così: il giorno in cui si era svegliata con quel collare stretto alla gola, la sua esistenza come essere umano era terminata.
"Gli oggetti non si creano una famiglia."
Un singulto le scosse il petto e Nemeria strinse forte le palpebre per non lasciar andare le lacrime.
- Buonanotte, Noriko. - esalò.
La presa attorno alla sua spalla si rinsaldò per un attimo, accompagnandola in un sonno agitato.
 
Quella notte, Nemeria sognò di star camminando sulle spiagge di Chera con tutta la sua tribù.
Hediye era al suo fianco con in braccio il piccolo Rakhsaan, che dormiva con la testa riccioluta appoggiata sulla sua spalla.
Il vento spirava dal mare e cavalcava le onde che si infrangevano sulla battigia. Un lento, costante e roboante sciabordio pervadeva il silenzio vespertino.
Sua sorella camminava davanti a lei con in mano il suo fidato blocco da disegno. Di tanto in tanto si fermava, abbozzava una forma e poi recuperava terreno con uno scatto che faceva schizzare l'acqua da tutte le parti. Il bianco tra i suoi capelli non era ancora così vistoso come poi lo sarebbe stato da lì a pochi anni, ma conservavano il loro color noce naturale. Scompigliati nel vento, sembravano i rami di un giovane albero.
L'Alta Sacerdotessa apriva la strada, assieme a un gruppo di Anziane. Le seguivano le Jinelle, Jinian a vari gradi di Consapevolezza, come diceva Fakhri. Alcune avevano appena un accenno di capelli bianchi, altre invece avevano già la pelle di porcellana, candida quasi quanto la neve che ammantava l'altopiano dello Xīzàng. Gli elementali del fuoco spandevano la loro luce dall'interno delle braccia, della schiena e delle gambe delle Jinelle che ne padroneggiavano la forza, visibili all'occhio come lingue evanescenti attenuate dalla barriera della pelle.
- Mamma, tra quanto arriviamo al santuario? - chiese a Hediye.
La donna le sorrise e le tirò indietro la fascia colorata sui capelli. Arsalan l'aveva barattata per la borraccia che aveva cucito con le sue stesse mani in una delle piccole oasi in cui si erano fermate all'inizio del loro viaggio. Era di un tessuto rosso, cucito con alcune strisce gialle e arancioni.
- Credo arriveremo domani mattina, o forse in tarda serata. Non ci sono mai stata, ma penso che la meta sia vicina. -
Nemeria annuì. Nel suo subconscio sapeva già che a breve si sarebbero fermati per dare la possibilità agli animali di riposarsi, ma decise di far finta di nulla: se quello non era altro che un ricordo trasfigurato in un sogno, non voleva che finisse.
Camminarono ancora, finché la luce della luna e delle stelle non divenne la loro unica guida. Il vento freddo deviava lontano da loro, le circumnavigava come un'isola e continuava il suo avanzare verso le palme dietro le dune di sabbia, lì dove la terra secca si compattava in quella fertile di una grande prateria.
Il barrito di un elefante smosse l'aria immobile e Nemeria tremò quando ne scorse il profilo in lontananza. Con le maestose zanne d'avorio ingioiellate dal lucore chiaro delle stelle, gli elefanti erano i re guerrieri di quella terra, tolleranti con chiunque venisse in pace ma pronti a combattere contro chiunque osasse invaderli. Scomparve prima che gli occhi di Nemeria potessero catturare qualche dettaglio in più della sua forma scura.
Si fermarono a riposare su una scogliera a strapiombo sul mare. Le onde si abbattevano con un ruggito rabbioso in una foga selvaggia e quasi feroce. Era un rumore assordante e Nemeria aveva paura di allontanarsi. Non le piaceva la sensazione di umidità che le entrava nelle ossa, né il sapore di salsedine che le bruciava gli occhi e il naso. A differenza di Etheram, che sembrava capace di adattarsi a ogni clima, lei preferiva il caldo torrido del deserto e la friabilità della sabbia sotto i piedi.
- Sei la mia fifona. - la stuzzicava bonariamente.
Rakhsaan era seduto tra le gambe di Etheram e stava mangiando una frittella di mela. Etheram ne prese una dal sacchetto che aveva in mano e, dopo aver dato una rapida occhiata, porse a Nemeria quella con più zucchero.
- Tra poco arriveremo al santuario. Sono sicura che ti piacerà. -
- Tu l'hai già visto? -
- Molto tempo fa. No, non chiedermi com'è, non me lo ricordo. Ero anche più piccola di te quando lo visitai per la prima volta. -
Nemeria le sorrise, così come aveva fatto al tempo. Rakhsaan allungò le mani e lei lo prese in braccio. Il bambino alzò la testa in alto e aprì la bocca, mettendo fuori la lingua. La settimana precedente, correndo tra i cammelli, era inciampato e si era scheggiato i denti davanti. Dopo un breve pianto, si era specchiato nel fiume che scorreva accanto al loro accampamento e da quel momento non faceva altro che sfoggiarli, come se fosse una cicatrice di guerra.
- Domani fai il bagno con me, Eria? -
- Devo proprio? -
Rakhsaan annuì veementemente.
- Va bene. Basta che non ci stiamo a lungo. -
Etheram scosse la testa. Sfilò il carboncino dall'orecchio e se lo passò tra le dita, osservandolo con aria meditabonda, prima di prendere di nuovo il blocco da disegno dalla borsa. Aveva lo sguardo puntato sull'orizzonte, sulle nubi violacee adagiate sul mare come zucchero filato, mentre la mano vagava sul foglio con sicurezza. Il carboncino le ondeggiava tra le dita e la punta nera produceva un leggero grattare a contatto con la superficie rugosa della pergamena.
- Cosa stai disegnando? -
Nemeria si protese per sbirciare, ma Etheram chiuse il blocco prima che potesse vedere alcunché. Nei giorni seguenti le avrebbe mostrato il bozzetto di quel paesaggio, lo specchio del male offuscato da quelle nuvole sfilacciate, ma in pubblico le diceva sempre...
- Ah! Non spiare. Vedere il lavoro incompleto porta sfortuna. -
Per la Madre, quanto le mancavano quegli sguardi complici. Quelle loro recite improvvisate che si divertivano a interpretare davanti agli altri. E anche se erano rare le volte in cui le mostrava il disegno finito, a Nemeria piaceva stare al gioco.
- Voi due, non litigate. - le riprese Hediye.
Anche Rakhsaan scuoteva il capo, sbracciandosi tutto come se avesse dovuto appianare le ostilità. Etheram le scoccò una finta occhiata risentita e Nemeria si imbronciò. Non passò che un attimo prima che entrambe scoppiassero a ridere.
- Te lo farò vedere dopo. -
Sua sorella si mise la mano sul cuore con fare teatrale, prima di infilare il blocco nella borsa sfrangiata. Nemeria se la ricordava: era stato un regalo di Hediye. Sopra gli inserti d'osso e sulla falda aveva cucito una bussola rossa, contornata da un cerchio di foglie verdi. Anche se non lo aveva dato a vedere, a Etheram era dispiaciuto buttarla quando la fibbia aveva ceduto.
Hediye sospirò e afferrò Rakhsaan prima che sgambettasse via: per lui il mare era un richiamo forte e ancora impossibile da ignorare.
- Siete due pesti. - le apostrofò.
- Siamo sorelle, è normale. - ribatté convinta Nemeria, - Se non litigassimo mai, non saremmo vere sorelle. -
- Sì, è vero. - convenne Etheram.
Un sorriso divertito prese vita sul viso di Hediye. Portava i capelli legati in una crocchia sulla nuca, con i vari ciuffi che le scivolavano continuamente sul viso e diventavano prede delle mani di Rakhsaan. Spezzò l'ultima frittella a metà e gli portò il suo pezzo alla bocca. Bastò quello perché il bambino lasciasse perdere i suoi capelli, ormai sporchi di succo di mela e zucchero.
Ripartirono dopo un paio d'ore, lei, sua sorella e tutte le Jinian del gruppo a parte due Anziane, che rimasero lì con gli uomini e le Ikaelan troppo stanche per proseguire. Anche Nemeria sentiva il peso della giornata di cammino gravarle sulle spalle, ma anche se avesse protestato, sapeva che sarebbe bastato un solo sguardo dell'Alta Sacerdotessa per metterla a tacere.
Arrivarono a un promontorio, un artiglio di pietre nere e aguzze che fendeva le acque. Alcune piante, per lo più rampicanti pelosi con foglie piccole e spesse, ne avevano colonizzato la sommità, mentre le sponde ripide erano diventate il territorio dei cirripedi.
L'Alta Sacerdotessa levò verso il cielo il bastone degli Spiriti. I tatuaggi vennero percorsi da una scarica di blu intenso che si sprigionò dagli occhi in un'aura azzurra. Gli spruzzi delle onde si fermarono a mezz'aria, il tempo del battito d'ali di una farfalla, e poi si ritirarono, aprendosi in un sentiero che percorreva il fianco del promontorio fino alla punta dell'artiglio.
Nemeria sgranò gli occhi. Al suo fianco, Etheram si concesse una bassa risata.
- Chiudi la bocca o si riempirà di sale. - la canzonò con tono bonario.
L'Alta Sacerdotessa si voltò verso di loro e le scrutò tutte con i suoi occhi bianchi e senza luce, prima di avviarsi.
L'acqua costituiva delle mura di un intenso blu cobalto che pareva grondare su uno specchio di vetro trasparente. Incredula, Nemeria le sfiorò con le punta delle dita. Sebbene fosse un sogno, quella sensazione le parve vera, concreta. Ma forse, pensò, era tutto frutto della sua percezione distorta da quella continua immedesimazione e alienazione dalla se stessa in quella dimensione.
- Non rimanere indietro. Il bello deve ancora venire. -
Etheram la prese per mano e la tirò appena per esortarla a muoversi. E Nemeria la seguì, così come aveva davvero fatto.
Nonostante la sua esitazione, era tutto nei tempi. Battute, eventi e gesti erano tutti costretti dall'ineluttabilità del passato.
Il sentiero deviava appena e si connetteva con una mezzaluna sabbiosa. L'Alta Sacerdotessa descrisse un semi arco davanti alla parete di roccia e le pietre ruotarono su loro stesse in una sincronia perfetta e fluida, rivelando un pertugio nascosto. Quindi si incamminò all'interno, seguita dapprima dalle Anziane e poi, solo quando della sua figura non rimase altro che il bagliore latteo dei tatuaggi, la prima delle Jinelle, una ragazza con i capelli corti e quasi bianchi legati in trecce aderenti alla testa. Il suo nome era Asa, ricordò Nemeria, ed entro due anni sarebbe diventata una delle Anziane più giovani.
La grotta era umida e odorava di salsedine e alghe. La sabbia non era calda e friabile come quella del deserto, ma compatta e fredda come la terra dopo un temporale. Tuttavia, l'inquietudine era svanita, spodestata da una sensazione di appartenenza e pace interiore che Nemeria non riusciva a spiegarsi. O meglio, la se stessa fatta di sogno non ne trovava la ragion d'essere, perché invece Nemeria sapeva a cos'era dovuta. Nonostante tutto, quando la vide, la sorpresa fu reale come la prima volta.
La pietra era alta poco più di due braccia, di un nero assoluto, come la tetra oscurità che ammantava gli angoli più remoti della stanza, irraggiungibili dalla luce del bastone degli Spiriti.
L'Alta Sacerdotessa e le Anziane si erano già inginocchiate. Non si voltarono quando Asa e tutte le altre si fecero il segno dei cakra prima di fare altrettanto. Nemeria imitò i gesti da dietro.
Una C con la falce a destra tra coccige e pube: Muladhara.
Palmo aperto sotto l'ombelico: Svadhisthana.
Una C con la falce a sinistra poco sopra: Manipura.
Mano di taglio sul cuore: Anahata.
Mignolo dritto, pollice opposto e le altre dita piegate: Vishuddha.
Pollici sulla fronte e le altre dita con le falangi congiunte: Ajna.
Mano a coppa verso l'alto: Sahasrara.
Pugno chiuso davanti agli occhi: Samagrata.
Dai tempi in cui le Jinian vivevano tra i mortali, quello era l'ultimo luogo di culto dello Spirito del Fuoco sopravvissuto alla devastazione. Ironico, pensarono entrambe le Nemeria, che si trovasse affacciato sul mare.
Perchè è chiamato anche "colui che si veste del mare".
La risposta di Etheram si era infilata tra i suoi pensieri come un sussurro, come se anche quella conversazione mentale fosse un affronto. Ma Nemeria voleva sapere, riesumare dalla cenere della memoria i tasselli di quel discorso che erano andati perduti nello scorrere impietoso degli anni.
"Gli elementali hanno davvero dei nomi?"
Sua sorella socchiuse le palpebre e spostò lo sguardo a destra e a sinistra per assicurarsi che nessuno le stesse guardando.
Tutto ha un nome. Esiste quello che ci viene attribuito dagli altri e che varia da luogo a luogo, da lingua a lingua. E poi c'è quello più importante, il Nome nel Buio, l'unica parola che descrive l'essenza profonda e veritiera di ogni cosa.
"Tu conosci il tuo?"
Sì, è stata la prima cosa che ho appreso, assieme a quello del mio elementale. Quando ti saranno rivelati, comincerai il tuo Primo sentiero.
"E quello dello Spirito del Fuoco? Lo conosciamo?"
L'Alta Sacerdotessa si alzò e l'aria intorno a lei divenne immobile. La luce si fossilizzò in un alone opaco che ingrigiva nel nero agli angoli della stanza. Tutte le donne rimasero pietrificate ai loro posti.
Nemeria avrebbe dovuto sentirsi spaventata, e una parte di lei, quella che dormiva nella scuola accanto a Noriko, lo era. Ma ce n'era un'altra che intuiva non esserci niente di cui preoccuparsi.
L'Alta Sacerdotessa posò una mano sulla pietra e il suo sguardo la colse subito, anche se era tra le ultime file. Quando parlò, i tatuaggi e gli occhi si accesero di una luce rossa, viva.
- Io sono colei che nasce delle acque. Sono Davagni, il fuoco che brucia il legno; Vadavagni, la fiamma che illumina l'ingegno; Jatharagni, l'incendio che divampa e distrugge. Ma il mio vero nome, Cuore di Fuoco, figlia di Chandra, è Agni. -
 
Nemeria si svegliò che il sole era appena sorto. Scorse l'ombra di Noriko che si vestiva piegata sul letto. La osservò con la mente ancora intorpidita dal sogno. Si passò una mano sul viso, si massaggiò le palpebre e poi, in uno sprazzo di vitalità, si mise a sedere.
"Agni... come il mio elementale."
Non sapeva che pensare. Poteva essere una coincidenza che avessero lo stesso nome. E Chandra? Chi era?
"L'ha menzionata anche l'Alta Sacerdotessa, prima di morire."
- Strano che non ti abbia dovuta svegliare io. - commentò Noriko.
Nemeria si passò le dita tra i capelli. L'unica cosa buona dell'averli ancora così corti consisteva nel fatto che non doveva preoccuparsi di pettinarli.
"Non ci sto capendo più nulla."
Si impose di mantenere la calma. Spostò la matassa di pensieri sconclusionati in un angolo della mente e focalizzò la sua attenzione sull'intavolare un abbozzo di conversazione. Mai come prima d'allora le sembrò difficile trovare le parole giuste per le domande di circostanza mattutine.
- Hai dormito bene? -
- Sì. Stanotte non ti sei mossa molto. -
- Tu, invece? Come ti senti? -
- Ho fame. Quando ero in infermeria ho mangiato sempre la solita zuppa d'avena. -
Noriko strinse la cintura poco sopra la vita, in modo da fermare il chitone. Prese quello che aveva usato per dormire e lo piegò sul letto, prima di infilarlo nell'armadio. Invece di chinarsi, si inginocchiò all'altezza del cassetto.
- Non che la nostra dieta sia molto variegata. - puntualizzò Nemeria con una smorfia.
- Vero, ma almeno cambia da giorno a giorno. -
Batuffolo si girò a pancia all'aria e si sgranchì le zampe nel sonno, per poi rotolare di fianco. Nemeria si apprestò vicino alla sua cuccia e lo grattò tra le orecchie e sotto la mandibola, affondando appena le dita nel pelo.
- Noriko, ascolta... che tu sappia, a parte noi, chi altri ha accesso alle nostre stanze? -
- A parte i servi e Koosha, nessuno può accedere alle camere. Nemmeno i lanisti. Perché ti interessa? -
- Curiosità. -
- Pensi che sia uno di loro a occuparsi di Batuffolo? -
Nemeria si dedicò a fargli i grattini sulla pancia. Il caracal si dimenò nel sonno e poi le afferrò la mano con entrambe le zampe, mentre faceva le fusa contento. Il biglietto era ancora lì, nascosto sotto il materasso, poiché si era completamente dimenticata di buttarlo. Non che la preoccupasse molto: se era sempre la stessa persona a occuparsi della sua stanza, e anche se lo avesse trovato non ci sarebbero state ripercussioni.
"Potrei provare a scrivergli anch'io un biglietto, magari per sapere il suo nome..."
- Nemeria? -
- Ah? -
Noriko sospirò e ripeté: - Volevo solo sapere se pensi che sia uno dei servi a occuparsene. -
- Se mi dici che solo loro possono, non può essere altrimenti. Anzi, considerando che ancora non è successo nulla, credo che potrebbe essere la stessa persona. Tyrron non ha avuto il tempo materiale di parlare con Koosha, mi ha detto Morad. -
- Non sarebbe strano: ogni servo si occupa di un'ala della scuola. Comunque, anche si venisse a sapere, dubito che verresti punita. Il massimo che può accadere è che Tyrron debba sborsare dei soldi per aver infranto le regole. -
- E Batuffolo? -
- Non so, dipende da come Koosha decide di gestire il tutto. -
Quello non fece sentire meglio Nemeria. Indugiò in una carezza sotto il mento e poi seguì Noriko fuori fino al refettorio. Al solito tavolo le attendevano sia Durga che Ahhotep, entrambe già intente a consumare la colazione a base di fichi secchi, pane, miele e la sagina, una zuppa d'orzo con lenticchie bagnata con vino acetato. A Nemeria non piaceva granché, ma sapeva che se avesse deciso di non mangiare, non sarebbe arrivata nemmeno a metà della mattinata.
- Tara mi ha detto che stamattina tornerò ad allenarmi con Roshanai. - Durga sorrise, per poi imbronciarsi subito, - Sono contenta, ma vorrei tanto rimanere con voi. -
- Saranno semplicemente nell'altro campo. - le rispose annoiata Ahhotep.
- Sì, lo so, ma non saremo tutte insieme. Mi mancherete molto... -
Noriko non disse nulla e così toccò a Nemeria rimediare.
- Ci vedremo tutte le mattine, a pranzo e a cena. Non ti devi preoccupare di niente, davvero. -
- Se Roshanai è tornata in forze, anche tu dovrai andare. - Ahhotep prese una lenticchia e, dopo averla ripulita da ogni residuo di zuppa, la portò alla bocca, - Quindi io e Noriko ci alleneremo con Sayuri, mentre tu e Durga starete assieme, così come doveva essere fin dall'inizio. -
I pensieri di Nemeria subirono un forte contraccolpo. Non sapeva perché, ma in fondo in fondo lo sguardo della Syad del fuoco la sera precedente era stato molto esplicativo. Era stata lei a non aver preso sul serio quel "domani".
- Oh... - sospirò Durga.
- Non è detto, Ahhotep. Ci sono stati casi in cui Sayuri ha allenato anche Dominatori di altri elementi. - intervenne Noriko.
La ragazza fece spallucce e inzuppò la mollica di pane nel latte. Nemeria notò lo sforzo che ci metteva a mangiare, era palese quasi quanto il sussulto che le contrasse le dita e le braccia.
"Mi teme."
A quella considerazione si accompagnò una piacevole e pungente soddisfazione.
- Non ho paura. - dichiarò, e mentre lo diceva si rese conto che era davvero così.
- Così parla una Dominatrice del fuoco! - Durga batté un pugno così forte sul tavolo da far tremare tutto.
Nemeria le sorrise di rimando e poi cercò gli occhi di Noriko, ma lei non sembrava essere molto interessata alla conversazione. Rimase dritta sulla sedia, anche se era chiaro dalla rigidezza della sua postura quanto le costasse comportarsi come al solito.
- Vuoi che ti accompagni in infermeria? -
La ragazza scosse la testa e si pulì la bocca.
- Vado appena finiamo di fare colazione. -
- Sarebbe meglio andassi ora. Sai com'è Sayuri. - azzardò Ahhotep.
- Lo so, ma... - trasse un profondo respiro e strinse forte il cucchiaio, - Finisco di mangiare, prima. Farò un allenamento diverso dal tuo, ma non per questo meno faticoso. Ho bisogno di energie se non voglio crollare prima di pranzo. -
Nemeria strinse il pugno e represse l'impulso di prenderla di forza e trascinarla da Nande.
Io sono l'incendio che divampa e distrugge, Jatharagni.
Le parole dell'elementale le rimbombarono nelle orecchie, autoritarie e potenti come la voce che le aveva pronunciate.
- Fiammella, eccoti qui. Ti stavamo cercando. -
Abayomi si avvicinò al loro tavolo, seguito da Zahra. Nemeria rimase seduta finché non si ritrovò faccia a faccia con lui e il suo ghigno da iena.
- Se hai finito di fare colazione, vorresti venire un attimo a parlare con noi? -
- Puoi farlo qui. - intervenne brusca Noriko.
Stringeva il cucchiaio come un'arma, così forte da far sbiancare le nocche.
Il sorrisetto di Abayomi si allargò.
- Devi sapere, cara Noriko, che io e Nemeria siamo diventati amici in tua assenza. E da cari amici quali siamo avremmo delle cose di cui parlare. -
- Non ha tempo da perdere. A differenza dei vostri allenatori, i nostri Syad non sono così permissivi. -
- Cos'è, hai perso la lingua, marmocchia? Ti fai mettere le parole in bocca da una sporca tian del cazzo? - ringhiò Zahra.
- Questa sporca tian del cazzo... -
Nemeria le cinse il braccio con una mano per metterla a tacere.
- Ho finito di mangiare. Possiamo pure andare a parlare qui fuori. -
Zahra snudò un sorriso da predatrice che le fece accapponare la pelle: si era fatta segare alcuni denti in modo da renderli affilati come quelli di uno squalo. La rabbia però era lì, a sostenerla, un fiume che premeva contro una diga crepata. Il collare e la pietra di luna cominciarono a surriscaldarsi.
Prese il vassoio quasi stritolandolo e si alzò. Noriko l'afferrò per un polso.
- Vengo con te. -
- No, tu devi andare in infermeria. -
- Allora ti accompagniamo io e Ahhotep. - si propose subito Durga.
- No, non mi serve aiuto, posso farcela da sola. -
- Non devi dimostrare niente a nessuno. - insistette Noriko.
Nemeria la fissò e capì: per Noriko, era una bambina debole e incapace di difendersi. E lei, fino a quel momento, non aveva fatto altro che rafforzare quella sua convinzione. Strattonò il braccio finché non la liberò dalla sua presa, furiosa e amareggiata al tempo stesso.
- Tu ora finisci di fare colazione e poi vai da Nande a farti medicare. Non serve che ti preoccupi per me: se provano a farmi del male, non esiterò a riferirlo a Tyrron. -
Non seppe nemmeno lei come fece a mantenere la calma. Si sentiva in fiamme, come se fosse preda della febbre, eppure il riflesso nel bicchiere d'acqua non mostrava alcun segno di rossore sulle sue guance.
- Durga, tu vai. Io ti raggiungerò quando ho finito. -
- È questione di un paio di minuti. Poi potrai correre libera e felice dalla tua amata Syad che, sono certo, non vede l'ora di rivederti. -
Nemeria ignorò la frecciatina di Abayomi. Senza aggiungere altro, posò il vassoio e uscì con loro.
Si fermarono al limitare del campo centrale, dove già due coppie di gladiatori si stavano allenando a colpi di spade e scudo. Zahra si posizionò alle spalle dell'ex capo dei Cani, mentre questi si appoggiò alla colonna.
- Dunque, in questi giorni ho riflettuto a lungo sulla nostra conversazione avuta nei bagni e credo di aver deciso cosa voglio in cambio delle informazioni che desideri. - fece una pausa a effetto e si mordicchiò l'interno della guancia come se stesse ancora riflettendo sul da farsi, - Quel ciondolo che hai al collo mi piace molto. Dammelo e prometto di dirti tutto quello che vuoi sui tuoi cari amichetti. -
La mano di Nemeria cercò il calore rassicurante della pietra di luna. Il suo regalo più caro, l'ultimo ricordo della sua tribù.
- E chi mi assicura che quello che mi dirai sarà la verità? -
- Nessuno. Però pensaci: se rifiuti a priori, rimarrai sempre col dubbio di aver perso la tua occasione. -
- Se è tutta una presa in giro, io... -
- Tu cosa? - ringhiò Zahra e le mise le mani ai lati della testa, in modo da tagliarle ogni possibile via di fuga, - Vai da Tyrron e gli racconti tutto? Non ti aiuterà perché sei solo una schiava. Finché non ti rompi del tutto, sarai sempre una pedina rara e speciale da buttare in arena. E noi non siamo così stupidi da picchiarti al di fuori di un combattimento ufficiale, anche se mi manca lo schiocco delle tue ossa sotto le nocche. -
Nemeria si morse la lingua a sangue, decisa a trattenersi, ma le parole le scivolarono dalle labbra senza che il suo cervello registrasse il movimento della bocca.
- A me pare che quella che è finita al tappeto fossi tu. - sibilò e inarcò entrambe le sopracciglia, inclinando la testa di lato, - E nell'aria c'era un gran puzzo di carne bruciata. -
Il passaggio d'espressione da balda tracotanza a rabbia incontrollata di Zahra le strapparono un sorriso.
- Calmiamo gli animi, signore. Non è il luogo né il momento adatto per scaldarsi così tanto, soprattutto con così tanti occhi indiscreti puntati addosso. -
Abayomi mise una mano sulla spalla della sua compagna. Zahra mantenne gli occhi puntati su Nemeria ancora un momento, prima di staccare entrambe le braccia dal muro e compiere qualche passo indietro. Le guardie che sorvegliavano il refettorio e il porticato li stavano fissando.
- Facciamo così: hai tempo tre giorni per pensarci. Tanto ci vedremo tutte le mattine, quindi quando hai preso la tua decisione basta che giri la testolina e io sarò lì vicino a te. - ghignò il ragazzo e aprì le braccia con fare teatrale, - Sai qual è la parte divertente delle scommesse, Fiammella? Sai quel che perdi, ma non sai quel che vinci. Ma se non si rischia un po' nella vita, non si può ottenere nulla, giusto? -
Si allontanò in una risata grassa e Zahra si affrettò a seguirlo spedita, salvo poi girarsi per lanciarle un'ultima occhiata truce. Nemeria ne sostenne il peso e rimase immobile finché non girarono sull'altro lato del porticato.
Le fiamme nel suo cuore divennero braci ardenti sotto la polvere della frustrazione.

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Capitolo 19
*** Fare sul serio ***


Fuoco 2

19

Fare sul serio

"Il gioco è una cosa seria. Anzi, tremendamente seria."
Jean Paul

Prima che la frustrazione prendesse il sopravvento, Nemeria marciò fino al campo del fuoco. Durga era già lì che l'aspettava. Non appena la vide, le corse incontro, ma si fermò poco prima di investirla.
- Stai bene? Ti hanno fatto del male? -
- No, sto bene. - rispose, allungò le braccia in avanti e le girò per confermare la sua affermazione, - Roshanai dov'è? -
- Non lo so, non è ancora arrivata. -
- Non è puntuale come Sayuri. -
Durga scosse la testa. Si era legata i capelli in una coda laterale, che però non riusciva a contenere tutta quella matassa selvaggia, simile a una criniera.
- Non mi piacciono quei due, soprattutto Zahra. Ha una faccia cattiva. -
"Se potessi, gliel'avrei già bruciata."
Nemeria incrociò le braccia sul petto e conficcò le unghie nella pelle. Si sentiva tremare per la rabbia e la pietra di luna, così come le placche del collare, era un cuore di lava che pulsava al ritmo del suo cuore di carne. Tutto l'oricalco dell'Impero non sarebbe bastato ad arginare quella brama di distruzione che raschiava le ossa della cassa toracica. Era meglio quello dell'ago di ghiaccio che le premeva dalla nuca, doloroso come le conseguenze che avrebbe dovuto fronteggiare, qualsiasi decisione avesse preso.
Si girò verso Durga. La sua vita valeva meno di un granello di sabbia e le sue fiamme non potevano ferirla. L'avrebbe ridotta a un niente ancor prima che se ne rendesse conto: niente lacrime, niente urla, niente sofferenza, non sarebbe rimasto altro che un labile ricordo che il tempo avrebbe smorzato e corroso.
Lasciò andare le braccia lungo i fianchi, si fissò le mani e chiuse appena le dita della destra. La cicatrice che le solcava il palmo era un imperfetto e frastagliato solco bianco. Era solo il segno più visibile che quell'esistenza al di fuori della tribù le aveva marchiato addosso.
- Nemeria? Nemeria, devi stare calma. - Durga deglutì e compì un passo indietro.
- Lo sono. -
Le fiamme asciugarono la paura e si espansero, avviluppando lo stomaco e i polmoni. Tutti dovevano pagare, dal primo all'ultimo, perché nessun mortale era innocente.
Artigliò la spalla dell'amica prima che potesse allontanarsi e la trasse a sé. Durga cacciò un urlo e le graffiò la mano in preda al panico, gli occhi spalancati colmi di terrore.
- Nemeria, lasciami! Mi fai male! -
Le sue parole agonizzarono in muro di fuoco. Nemeria l'afferrò anche per l'altra spalla. Le pelle sotto i suoi palmi si era arrossata e si stava sollevando in bolle contro le dita. Il sangue, caldo come olio di cottura, sgocciolava dai tagli sulle mani e, all'impatto col suolo o della carne viva, sfrigolava disperdendosi in una sottile lingua di fumo. Durga si morse le labbra e l'agguantò a sua volta. I suoi occhi giallo citrino brillarono e divennero due monete d'oro liquido.
- Lasciami. Te lo dico per l'ultima volta. - l'ammonì Durga.
Nemeria non la sentiva, non davvero. Il bruciore all'altezza del petto e del collo era reale, e l'odore della propria carne bruciata era disgustoso, ma non era abbastanza per fermarla.
- Un fiammifero non può bruciare più d'un incendio. - proferì in tono neutro.
Era la sua voce e allo stesso tempo era estranea. Troppo calma, troppo ferma perché potesse appartenere davvero a lei. Tuttavia, quella verità era assoluta e incontrovertibile: nessun elementale era più potente di Agni.
Durga le artigliò le braccia e fece forza per levarsele di dosso, ma Nemeria resistette e mantenne la presa. I suoi gemiti doloranti le si infilavano nelle orecchie, senza però scalfire le sue intenzioni. Lo doveva a se stessa, alla sofferenza che i mortali le avevano inflitto: avrebbe distrutto quell'esistenza di dolore prima che le facesse altro male.
"È davvero questo ciò che voglio?"
Quel pensiero arse in fretta, ma una parte di lei riuscì ad afferrarne i petali di cenere. Tolse la mano dalla spalla di Durga, in uno spasmo strinse la pietra di luna e tirò, non sapeva nemmeno lei se per calmarsi o per toglierselo.
Il dolore l'accecò. Nemeria perse la presa e indietreggiò tenendosi la mano libera sul naso, mentre il sangue che le colava tra le dita. Il suo ansimare si sovrapponeva a quello di Durga, che la osservava impaurita con gli occhi gialli velati di lacrime.
"Cos'ho fatto?"
La realtà la colpì come uno schiaffo. Le spalle di Durga erano piene di bolle, alcune così piene da dar l'impressione di essere lì lì per scoppiare. Altre si erano lacerate e un rigolo di liquido trasparente scorreva lungo le braccia.
- Sei... sei di nuovo tu? - domandò cautamente la bambina.
Nemeria annuì. Sputò a terra e si passò il dorso della mano sotto il naso per pulirsi dal sangue che le aveva sporcato il mento e la bocca.
- Mi dispiace, io... io non so cosa mi sia preso. -
Si accucciò e appoggiò la testa sulle ginocchia. Era troppo: troppa rabbia, troppa delusione, troppa amarezza, troppo dolore. Le emozioni di cui straripava la sua anima le causavano una vertigine così forte da farle mancare la terra sotto i piedi.
- Stavi per perdere il controllo. Ora però devi rialzarti. Se Roshanai ti vede così, si insospettirà e... - Durga deglutì e la sua risolutezza vacillò, - Ti aiuto. -
Nemeria avrebbe voluto fare qualcosa, ma aveva la testa troppo pesante, oltre a un nodo doloroso alla bocca dello stomaco.
- Dammi la mano. - la esortò l'amica.
Protese la mano alla cieca e la mosse nel buio finché non trovò quella di Durga. Il tremore che percorreva il suo braccio disteso era come la corsa di una mandria di cavalli che si ripercuoteva anche a miglia di distanza nel terreno. Nemeria la strinse quel che le serviva perché fosse un appiglio sicuro. Anche così, quando fu in piedi non le parve vero che le sue gambe intorpidite riuscissero a sorreggere un corpo così pesante.
- È la prima volta che ti accade di arrivare al limite? -
Nemeria annuì. Non sapeva nemmeno di che limite stesse parlando, ma era evidente che c'era un punto di rottura dentro di sé che non conosceva.
- Capita a tutti prima o poi, me lo ha detto 'Tep. Prendi un bel respiro, chiudi gli occhi e pensa ad altro. È come quando Sayuri ci ha fatte meditare. Ecco, ripeti il mantra con me: "Sat, Chit, Ananda." -
- Sat, Chit, Ananda. -
- Così, continua. Sat, Chit, Ananda. -
- Sat, Chit, Ananda. Sat, Chit, Ananda. -
Nemeria tenne gli occhi ben chiusi e ripeté il mantra. Avrebbe voluto che il sole si oscurasse, che facesse meno caldo. Persino con le palpebre chiuse poteva sentire lo scoppiettare di un fuoco. Era lontano, incuneato nelle profondità della sua mente, un suono fievole che rimbalzava su un muro di granito, eppure era reale come la mano di Durga e il prurito fastidioso dei tagli sulle mani.
- Non è cosa buona che i cani di diversi padroni socializzino. -
Quando Nemeria aprì gli occhi, Durga era balzata lontano e Roshanai aveva già attraversato metà del campo. Una lunga spada ricurva le pendeva dal fianco fino quasi a toccarle il polpaccio. La kandys che indossava lasciava scoperte le macchie rosee che le punteggiavano le gambe e le dita dei piedi. Se non avesse avuto quel cipiglio aggressivo e quell'andatura da soldato, Nemeria l'avrebbe definita bella, a suo modo.
- Salterò le presentazioni, sapete già chi sono io e io so chi siete voi. - enunciò decisa, - Non ci sarà addestramento spirituale, con me. Alla vostra età dovreste già aver capito qual è il vostro limite, anche perché sono certa che lo avete sfiorato più volte. Mi aspetto che vi sappiate controllare. Se così non sarà, non mi farò scrupoli a fare rapporto ad aghà Koosha. Non pensate di essere speciali o insostituibili: per quanto raro sia il nostro elemento, per una buona somma un mercante di schiavi potrebbe trovare un altro Dominatore anche migliore di voi. -
Nemeria annuì, anche se quel discorso le raggelò il sangue. Sapere di essere arrivata a tanto così dal perdere il controllo... per la Madre, quanto aveva rischiato.
- Seguitemi. -
Tornarono al campo circondato dal quadriportico. La colonna dove Nemeria aveva scaraventato Roshanai era stata ridipinta e la scia di sangue era svanita nel giallo uniforme. Reza li attendeva al centro del campo. Stavolta, oltre ai calzoni e alle calighe, indossava una tunica sbracciata, leggermente aperta sul petto. Scoccò un'occhiata intensa alla Ver'ilef e poi si mise di schiena alla colonna rossa, alle loro spalle. Sentire il peso del suo sguardo sulla nuca procurò a Nemeria un disagio tale da farle venire la nausea.
- Reza e io vi insegneremo a combattere con un'arma. Durga, tu sai già qual è la tua... - disse Roshanai, mentre squadrava la bambina con una smorfia scontenta, - Hai dieci minuti per andare in infermeria e tornare qui. Bada di non perdere tempo o ti verrò a cercare. -
Durga scattò subito. Bruciò la distanza tra il centro del campo e il colonnato in qualche secondo, prima di imboccare le scale. Nemeria la seguì con gli occhi finché non scomparve dietro l'angolo e il senso di colpa le trafisse il petto. Erano delle bruciature superficiali che non avrebbero lasciato alcun segno, ma era stata lei a procurargliele.
"Anch'io avrei bisogno di andare in infermeria."
Quel pensiero estemporaneo deviò la sua attenzione sul sangue che le sporcava la bocca e il mento. Anche il dolore alle spalle, rimasto in sordina fino a quel momento, divenne pungente. La constatazione seguente fu ancora più logica: Roshanai non le avrebbe dato il permesso di andare da Nande. La minaccia della sera prima e il ghigno crudele erano stati chiari indizi.
- Muoviti, mocciosa, non abbiamo tempo da perdere. -
- Roshanai, dovresti fare rapporto a Tara: è proibito danneggiare un gladiatore al di fuori dell'arena. -
Reza passò accanto a Nemeria e la studiò dall'alto dei suoi sei piedi d'altezza. Lei legò le dita dietro la schiena, raddrizzò quanto poté le spalle e tirò indietro quel poco di pancia che aveva. Voleva mostrarsi coraggiosa, ma il solo ricordo della frusta le fece mancare l'aria.
- Lascia stare. Anche se sarebbe la cosa giusta da fare. - Roshanai si gustò la finta espressione granitica di Nemeria, - Che serva da monito ad entrambe: potete giocare a fare le amiche quanto vi pare, ma nell'arena sarete avversarie. Un'esitazione può mandarti al tappeto e, te lo assicuro, la sconfitta è un marchio difficile da rimuovere. -
Nemeria deglutì e fece segno di aver capito. L'aria le si riversò nei polmoni quando Roshanai le ordinò di seguirla con un cenno del capo. Benché le fosse grata per quella decisione, il sapore amaro della vergogna le aveva rattrappito la lingua e asciugato la bocca.
L'armeria si trovava tra il campo d'allenamento del fuoco e della terra. Era una stanza più profonda che larga, con il soffitto a capriate di legno lucido e nessuna finestra. La luce che entrava dalla porta non arrivava nemmeno a illuminarne il fondo. Le rastrelliere erano state disposte lungo le pareti e ospitavano diverse armi, tutte ordinatamente disposte per tipo e materiale. Nemeria ne riconobbe alcune, ma si rese ben presto conto che la maggior parte le risultavano estranee.
Reza marciò fino a una rastrelliera e Roshanai lo raggiunse a rapidi passi, insieme a Nemeria.
- Questa è una qama. - le illustrò, indicando una daga dalla lama lunga e dritta, - Forse la conosci col nome di ghameh. Può essere lunga come questa o corta, simile a un pugnale. Per i combattimenti in arena si usa questa. Dubito però tu abbia la forza e la coordinazione per usare anche uno scudo. -
- Guardala, Reza: si allena tutti i giorni ed è ancora un insetto stecco. - rispose Roshanai al suo posto, - Trovale qualcosa di meno impegnativo. -
L'uomo annuì e tornò a studiare le diverse armi. Erano tutte di metallo, almeno da quello che Nemeria poteva vedere, ma non le parve che nessuna fosse affilata. Probabilmente, rifletté, era una misura precauzionale perché nessuno morisse durante gli allenamenti. Dal canto suo, aveva troppi pensieri per la testa per curarsi davvero di quale sarebbe stata la scelta di Reza.
"In qualsiasi caso, si andrà a sommare alle cose che dovrò imparare a fare, volente o nolente."
- Questa potrebbe andare bene. - Reza sfilò una shamshir senza decorazione e la mise sotto gli occhi di Roshanai, - Niente controtaglio, molto ricurva, guardia a crociera scudata, né troppo pesante, né troppo leggera. Rispetto a una spada normale è meno versatile, ma è ottima per colpire rapidamente senza rischiare di impigliare la lama. -
Roshanai la prese in mano e la soppesò, prima di porgerla a Nemeria. Lei la impugnò e rimase sbalordita nel constatare che riusciva a tenerla senza doversi sforzare troppo.
- Trenta pollici non sono nemmeno tanti. Dovrebbe riuscire a maneggiarla in breve. -
Un ansimare alle loro spalle li avvertì che Durga era tornata. Aveva le spalle e la parte alta delle braccia fasciate già lucide di sudore.
- Quasi puntuale, complimenti. - sogghignò la Syad.
Durga rimase piegata sulle ginocchia giusto il tempo di riprendere fiato. Poi, con quanta più dignità poté, si trascinò fino a pochi passi dalla rastrelliera.
A vederla sorridere come se nulla fosse successo Nemeria provò un misto tra sollievo e rabbia.
- Dalle il kilij. - ordinò Roshanai.
L'arma di Durga somigliava alla sua shamshir, ma era meno curva, priva di pomolo e, cosa che sorprese molto Nemeria, più lunga, nonostante lei e la sua compagna fossero alte uguali.
- Andiamo, abbiamo già perso abbastanza tempo. -
Tornarono al campo al centro, circondato dal quadriportico.
- Durga, tu ti allenerai con Reza. - comandò, poi si rivolse a Nemeria, - Tu, invece, sei mia. -
Roshanai le intimò con un ampio gesto del braccio di mettersi di fronte a lei e Nemeria obbedì. Fece appena in tempo ad agganciare gli anelli del fodero alla cintura che la Syad era già in posizione. Non era molto più alta di Sayuri, forse qualche spanna di più, ma metteva meno soggezione. La Ver'ilef era la personificazione del fuoco: aggressiva, istintiva e i suoi occhi la mangiavano allo stesso modo con cui l'avrebbero bruciata le sue fiamme. Era proprio perché era palesemente pericolosa che, agli occhi di Nemeria, incuteva meno paura di Sayuri.
- Evita la presa a due mani con la shamshir. Non stai impugnando una spada con la lama dritta. -
Compì un paio di mezzi giri attorno a lei, prima di sguainare la spada. La lama era massiccia e incurvata in modo uniforme. L'impugnatura sembrava troppo piccola rispetto alla mano della sua proprietaria, eppure Roshanai non sembrava avere alcun problema a impugnarla.
- Talwar. Somiglia molto alla tua shamshir, come puoi notare. Alcuni pensano che siamo stati proprio noi a introdurla nell'impero Skandaaleshan quando li abbiamo invasi. -
Un raggio di luce rimbalzò sul lato convesso della lama e si assottigliò in una linea brillante sul filo tagliente. Nemeria guardò la punta smussata della propria arma con ben più di un briciolo di apprensione. Lasciò la presa con la mano sinistra e la abbandonò lungo il fianco, prima che Roshanai riprendesse a parlare.
- Ottimo. Adesso rinfoderala e sfoderala il più in fretta possibile. -
Nemeria obbedì. Agganciò la lama parallela alla gamba, così come immaginava avrebbe fatto un soldato, e poi tentò di sguainarla di nuovo. Tirò una, due, tre volte prima di riuscire nel tentativo, e quando riportò lo sguardo su Roshanai il suo naso si trovò a mezzo pollice dalla talwar.
- Prima regola, bambina: nell'arena, il tempo conta. - la colpì col piatto della lama sulla bruciatura sulla spalla, - Mentre tu lottavi contro la tua stessa spada, io ho avuto il tempo di avvicinarmi e di colpirti senza che tu te ne accorgessi. E questo perché hai agganciato il fodero alla gamba del lato forte. Questo significa estrarre l'arma con la mano debole. -
La talwar si abbatté con forza sulla spalla sinistra e Nemeria a malapena riuscì a trattenere un urlo.
-Per trovare presa e angolo sei stata costretta a piegarti in avanti come una pescatrice e questo ti ha lasciato scoperto. Almeno le reti le hai riportate piene? No. - si umettò le labbra screpolate e smorzò una risata in un sibilo, - Anche un idiota alle prime armi sarebbe stato in grado di colpirti. Tieni a mente che i combattimenti all'ultimo sangue sono rari, ma ci sarà sempre un committente abbastanza facoltoso da organizzarli. -
Poggiò la lama contro la sua guancia e spinse finché Nemeria non percepì il dolore dell'acciaio che le bucava la pelle. Non si mosse, mantenne lo sguardo fisso in quello di Roshanai, mentre il sangue scorreva in una lacrima rossa lungo il collo.
- Ma facciamo finta che tu sia sempre molto fortunata e che non ti ritroverai mai a dover lottare per la tua vita. In quei pochi secondi, il pubblico ti ha già marchiato come un'inetta e cominciato a tifare per il tuo avversario. E questo è anche peggio della morte. -
Schioccò la lingua e ripristinò la distanza.
Reza e Durga duellavano vicino a loro, le spade che baluginavano intercettando la luce del sole e diffrangendola in abbaglianti lame sottili. I movimenti lenti e macchinosi della bambina si interrompevano contro quelli fluidi e naturali del suo maestro. Si scambiarono qualche parola senza fermarsi, in quella che sembrava una danza di accoppiamento tra uno scorpione e un serpente.
Una palla di fuoco della grandezza di un pugno le passò accanto al viso ed esplose in un getto di sabbia al limitare del campo d'allenamento. Nemeria tornò a fronteggiare la Syad.
- Regola numero due: non ti distrarre mai. O la prossima volta vedrò di mirare un po' meglio. - ringhiò Roshanai e caricò di nuovo.
Nemeria alzò la shamshir subito, in un riflesso incondizionato che la spinse anche a indietreggiare.
- Ricordati la prima regola. -
La Syad fermò il movimento a metà, con un gioco di polso ruotò la talwar e il colpo calò dal lato, veloce, troppo perché Nemeria potesse fare qualcosa. La punta le morse il collo e le aprì un taglio vicino alla giugulare.
- Togli quella mano dall'impugnatura. -
Non se n'era nemmeno resa conto, così come non si era accorta del cambio di traiettoria, e ancor prima della sua vicinanza. Si asciugò il sangue che colava lungo la guancia. Il suo sguardo si spostò sulla lingua di fumo che serpeggiava dal punto d'impatto della palla di fuoco.
- Come hai fatto? -
- Ah, allora sai parlare. - la sbeffeggiò Roshanai e riprese a girarle attorno, avanti e indietro, avanti e indietro, - Il collare limita il tuo potere, non lo blocca del tutto. Il nostro elemento è il più spettacolare: tutti lo temono e ne sono affascinati. Persino quando ne conosciamo la pericolosità, è difficile resistere alla tentazione. -
Un suo dito scorse sulla lama e si lasciò dietro una scia di fiamme che la avvilupparono. L'acciaio divenne di un rosso incandescente, come se il calore ne avesse risvegliato il cuore e ridato forza all'anima. Nemeria ammirò l'altalenante sfrigolare delle scintille, incantata dal loro avvolgersi sinuoso, così perfetto da far sbiadire tutto il resto.
- Tu... tu non hai alcun collare. - farfugliò.
Il sorriso sul volto di Roshanai divenne una linea infossata nel volto, una falce di luna appena scoperta sui denti ingialliti.
- Solo perché tu non riesci a vederlo. -
Spostò la talwar nell'altra mano e tornò all'attacco. Nemeria lo parò come poté, si spostò di lato e tentò un tondo. La lama tagliò il vuoto. A Roshanai bastarono tre passi per togliersi dalla sua portata e attaccare il fianco scoperto. La punta squarciò la stoffa, abbatté la resistenza della pelle e penetrò nella carne. Nemeria si morse le labbra, incespicò e quasi perse l'equilibrio quando si pestò un piede. Il sangue scorreva attraverso la tunica lacerata in un rigolo vischioso che si infiltrava nella stoffa e l'appesantiva.
- Terza e ultima regola: il tuo avversario non può ucciderti, ma non esiterà a umiliarti davanti al pubblico per farlo divertire. -
La donna macinò la distanza con uno scatto, le afferrò il polso, la costrinse ad abbassare la shamshir e le diede una testata sul naso. Un velo rosso le coprì la vista e Nemeria crollò a terra, lottando per respirare, mentre il sapore del sangue, del suo sangue, le appestava la bocca. Le lacrime, rimaste cristallizzate dietro le ciglia, le bagnarono la ferita sulla guancia e scorsero lungo il collo, mescolandosi alla saliva, alla polvere e alla sabbia che, come sale, bruciava sulle bruciature aperte.
Roshanai la sovrastava ghignando, pareva godere nel vederla a terra, sconfitta, umiliata: era quello il suo modo di vendicarsi.
"Stronza."
Nemeria strinse la shamshir e colpì alla cieca, con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo. Rotolò di lato e fece perno sull'arma per rimettersi in piedi. Il dolore la intrappolava in una rete di fil di ferro, così stretta da far tremolare i contorni all'angolo della sua visuale. Sputò un grumo di sangue e saliva e inspirò dalla bocca per snebbiare la mente. Si rese conto di star digrignando i denti solo quando iniziò a dolerle la mandibola.
- Se la rabbia è l'unica cosa che ti rende combattiva, usala. Attaccami come se dovessi uccidermi e continua finché non mi manderai al tappeto. -
Appoggiò la lama di piatto sul braccio sinistro e l'attaccò di nuovo. Le fiamme seguirono il fendente e si piegarono come steli d'erba sotto un forte vento. Nemeria parò e menò un colpo diagonale, dal viso al fianco. L'acciaio della sua shamshir si scontrò con quello della talwar, scivolò su di esso sulla linea di fuoco in una fontana di scintille.
- Mantieni il controllo. -
Roshanai si disingaggiò, le passò di lato e le sferrò un calcio dietro il ginocchio. La gamba cedette e Nemeria si ritrovò a terra, con le mani aperte sulla sabbia e la testa bassa, il sangue che sgocciolava tra le braccia. Si rese conto di essere distesa solo quando si ritrovò con la faccia schiacciata e la mano di Roshanai che le premeva sul collo. La Syad non aveva nemmeno il fiato corto.
- Queste sono le semplici regole che devi rispettare per vincere uno scontro. Tienile sempre a mente, perché saranno le uniche che conosceranno anche i tuoi avversari. - strinse la presa e sibilò, - Mi hai capita, mocciosa? -
Nemeria sentiva le mani bruciare. Il fuoco di Agni era lì e premeva attraverso i palmi in cerca di una via d'uscita. Solo la pietra di luna sembrava più calda dell'eruzione di potenza che aveva trasformato il suo sangue in magma.
"No..."
Chiuse gli occhi e strinse i pugni in un rantolo gracchiante.
- Rispondi! -
Il peso sul collo aumentò fino a mozzarle il respiro. Nemeria scalciò in agonia, stringendo l'impugnatura della shamshir come se fosse il suo unico appiglio alla realtà.
- Sì! -
- Bene. - la Syad si alzò in piedi e si allontanò di una decina di passi, - Ora alzati. Abbiamo appena cominciato. -
Nemeria si mise a carponi e soltanto dopo che il respiro si fu regolarizzato riuscì a raddrizzarsi. Intorno a loro la vita della scuola continuava come se nulla fosse. Alcuni ragazzi entravano e uscivano correndo dai campi. Nessuno era interessato a quello che stava accadendo. Passavano oltre, come se né lei né Durga esistessero. Nell'indifferenza più totale, Nemeria appuntò lo sguardo su Roshanai e sputò un altro grumo di sangue. Il naso pulsava e la sabbia sulle ferite bruciava più del sale.
- Hai intenzione di fare sul serio oppure hai bisogno di una spintarella? - la provocò la Syad.
La tentazione di colpirla con una fiammata era così suadente da contrastare il calore della pietra di luna e delle placche di oricalco. Nemeria strinse forte il ciondolo, se ne impresse la forma nel palmo finché non le sembrò di non star più andando a fuoco.
"Trattieniti, trattieniti, trattieniti."
Divenne il suo mantra. Se lo ripeté per tutta la mattina e per tutto il pomeriggio, fino a sera. Piuttosto incassava un colpo in più, ma si obbligò a mantenere il controllo. Per ogni volta che finiva a terra, per ogni ferita, riprendeva tra le mani la pietra di luna e pronunciava nella mente quella parola. Avrebbe desiderato scagliarsi su Roshanai e scatenarle addosso tutta la sua rabbia, ma quel gesto l'avrebbe lasciata in balia della fame distruttiva di Agni.
"Devo sopportare. Devo mantenere il controllo."
Roshanai se la prese comoda. Le impedì di mangiare e le concesse solo qualche pausa per andare al refettorio a prendere una brocca di quell'acqua sporca che Nemeria tanto odiava. Ben presto divenne calda e imbevibile. Sia lei che Durga avevano solo quella e se la dovevano far bastare.
Reza provò a buttar lì la proposta di una pausa più lunga, ma la Syad la declinò sempre. La terza volta, l'uomo smise di chiedere.
Ben presto anche la rabbia divenne pasto della fatica. Nemeria ascoltava i consigli di Roshanai, ma non aveva il tempo di elaborarli che la sua attenzione deviava sul corpo e sull'urgenza di parare quei colpi troppo veloci perché potesse davvero sperare di farcela. Le poche volte che riuscì a respingere i suoi assalti non ebbe nemmeno la soddisfazione di vedere il sudore o una smorfia di stanchezza sul suo viso.
Alla fine della giornata, quando terminarono l'allenamento, Nemeria non riusciva a reggersi in piedi. La tunica le si era appiccicata al corpo e sembrava essersi fusa in prossimità delle ferite, diventando quasi un'estensione slabbrata della sua pelle.
Roshanai la fissava con un sorriso soddisfatto, da gatta che ha appena finito divorare la cena. Reza attendeva con le mani intrecciate dietro la nuca, appoggiato alla colonna bianca sul lato sinistro del quadriportico.
- Domani, puntuale al campo del fuoco. - ordinò.
- Sì. - sibilò Nemeria.
- Io ora vado a cena. Tu occupati di pulire l'arma e di rimetterla a posto. - rinfoderò la talwar con un gesto fluido del braccio, - E prima di andare in camera, passa da Nande a farti medicare. -
Non appena Roshanai e Reza se ne furono andati, Durga le fu subito accanto. Profumava di menta, caldo e zuppa d'orzo.
- Ti ha davvero conciata male. -
- Poteva... - Nemeria si interruppe per riprendere fiato, - Poteva andare peggio. -
- Mh, credo che questo sia il peggio del peggio del peggiorissimo. - commentò e le tese la mano per aiutarla ad alzarsi, - Ce la fai ad andare a lavarti? Io vado ad avvisare Noriko di prendere un vassoio anche per te. -
Nemeria annuì, avvertendo i crampi della fame. Masticò i granelli di sabbia tra i denti e si focalizzò sul loro scroccare. Si sentiva in bilico su una corona di fiamme, sospesa in quella condizione pericolante, tra la rabbia e la calma.
- Vuoi che ti accompagni? -
- No, ce la faccio. E, se ci tieni a saperlo, ho anche una gran fame. -
- Non vuoi nemmeno che ti accompagni fino alle scale? -
Nemeria scosse la testa e si avviò senza aggiungere altro. Non aveva la forza né fisica né mentale per sopportare la genuina preoccupazione di Durga. Sentiva di meritarsela ancor meno dopo quello che aveva tentato di farle quella mattina.
Per sua fortuna i bagni erano deserti. Non che ne fosse realmente sorpresa, visto che l'ora di cena era passata da un pezzo. Si lavò in fretta nella vasca fredda, senza curarsi di coprire il seno e la sua intimità.
"Non c'è niente da vedere."
Quando fu pulita, si diresse verso l'harara. Dalla prima volta che gliene aveva parlato, Durga non aveva fatto altro che dirle quanto le avrebbe fatto bene. Dopo la giornata che aveva avuto, Nemeria avrebbe fatto di tutto pur di sentirsi un po' meglio.
Non appena aprì la porta, la nube di vapore che la investì le tolse il fiato per quanto era umida. Inspirò la poca aria fresca che l'attorniava ed entrò. Cominciò a sudare subito, ancor prima di stendersi sulla panca che protrudeva dal muro. Era una strana sensazione, fastidiosa e piacevole allo stesso tempo: il calore scioglieva i nervi ed estrapolava dalla pelle il profumo di menta che pareva innalzarsi assieme assieme al vapore fino al soffitto cesellato in un mosaico di stelle e costellazioni.
"Devo chiedere a Noriko come fa... o parlarne con Sayuri."
Si portò la mano alla radice del naso, ma una pulsazione dolorosa le ricordò che non era il caso. Lasciò ricadere il braccio nella fontanella, immerse le dita nell'acqua fredda e lo ripiegò sulla fronte. Le sarebbe piaciuto essere così leggera come la fragranza degli incensi accesi, avere un'anima volatile che potesse staccarsi dal corpo e fluttuare in alto, lontano dalla scuola, dalla sete di distruzione, da Abayomi e Zahra, e poi salire oltre le nuvole, nel cielo, dominio della Madre, tra le costellazioni e i venti. Allora si sarebbe dispersa in polvere di stelle e sarebbe ricaduta a terra come pioggia per tornare a far parte del Tutto, un'anima tra le anime, respiro e linfa del mondo.
"Troppi pensieri profondi... sudare mi fa male."
Uscì dall'harara con un misto di dispiacere e sollievo, tornò nell'altra piscina a sciacquarsi, asciugò col pestemal e si avviò in infermeria.
Non appena la vide entrare, Nande la squadrò da capo a piedi e sospirò.
- Siediti lì e non muoverti. -
Prese garze, stecche e disinfettante e si sistemò sullo sgabello proprio davanti a lei. Nemeria notò che i letti sotto la finestra erano vuoti.
"Chissà se alla fine sono guariti."
- Verrà il giorno in cui la smetterai di farti pestare. -
Nande esaminò il naso, tastando con cautela la zona gonfia, e controllò le narici. Per quanto toccasse con delicatezza, Nemeria dovette impegnarsi per non schiaffeggiarle via la mano.
- È una frattura lieve, non serve che te lo riallinei manualmente. - aprì un vasetto e le spalmò una crema al profumo di malva, - I primi giorni farà male. Cerca di tenere la testa sollevata la notte quando dormi. Non te lo toccare, se senti troppo dolore vieni qui. -
Quando le ebbe finito di medicare anche le altre ferite, prese un sacchetto che Nemeria ricordava molto bene.
- Te ne do cinque. - le mise le bacche tanu in grembo, appuntando lo sguardo su di lei, - Se fossi una ragazza normale, ti direi di evitare gli allenamenti per le prossime due settimane. L'unica cosa che posso fare è darti queste, con la raccomandazione di non abusarne. Hai visto che effetto fanno. Fattele bastare per il tempo che ti servirà per guarire, perché non ho intenzione di dartene altre. -
Nemeria annuì. Si allungò e divise le bacche tra la tasca sinistra e la destra.
- Noto con piacere che anche i segni delle frustate sono quasi completamente guariti. - osservò Nande, - Le pelle su quelli più profondi è ancora sottile. Direi che fra altri cinque giorni dovrebbe andare tutto a posto. Non hai nemmeno più bisogno delle bende. -
Nemeria scese dallo sgabello e si infilò la tunica, stando bene attenta a non fare dei movimenti bruschi.
- Domani, se riesci, vieni per l'ora di pranzo. Se la tua Syad ti dice che non puoi, presentati prima di cena. Devo prenderti le misure. -
- Misure per cosa? -
- Per vedere se hai messo su peso. Non puoi combattere se sei un fuscellino, anche e sopratutto perché al pubblico non piaceresti. Come in ogni spettacolo, anche l'aspetto degli attori conta. -
- E come farai a sapere se sono migliorata? -
- Tyrron si è premurato di farmi avere le misure iniziali di tutti i suoi gladiatori. È la prassi. -
Si alzò e rimise a posto garze e barattolini nei pensili dietro il tavolo. Il libro di botanica che stava leggendo una delle prime volte che l'aveva incontrata era ancora lì, aperto a poco più della metà.
Mentre si rivestiva, Nemeria si rese conto di non ricordare di essere mai stata misurata durante il periodo in cui era stata a casa di Tyrron. Forse mentre curava le sue ferite, Kamyar si era occupato anche di quello.
"Devo chiedere a Noriko se ne sa qualcosa."
- Ricordati di tenere la testa sollevata e di regolarti con le bacche. - le rammentò Nande.
- Lo farò. -
Nemeria uscì dall'infermeria e si diresse al piano inferiore. Forse sarebbe stato più intelligente tornare prima in camera e cambiarsi la tunica macchiata di sangue e stracciata in più punti, ma aveva troppa fame e si sentiva troppo stanca per tornare indietro. Quando si presentò, nel refettorio solo un altro paio di tavoli erano occupati, tra cui quello a cui sedevano Durga e Noriko. Il posto di Ahhotep era vuoto.
- Ho fatto quello che potevo per tenere la zuppa calda. - disse Durga.
- Non ti preoccupare. Grazie. - le sorrise mesta Nemeria.
Dedicò tutte le sue attenzioni al pappone – perché quello era – ormai freddo. Non aveva voglia di parlare con nessuno o di stare in compagnia, ma non poteva nemmeno prendere tutto e andarsene in camera. Forse avrebbe potuto evitare Durga, ma Noriko dormiva nella sua stessa stanza.
Come se avessero intuito il suo stato d'animo, le due ragazze non tentarono alcun approccio. Nemeria gliene fu grata, perché, anche volendo, con quel costante dolore al naso non avrebbe messo insieme più di tre o quattro parole.
Alla fine della cena, Durga mise a posto il vassoio per lei e Noriko l'affiancò mentre si avviavano fuori. In un certo qual modo, sembrava quasi la stesse scortando fuori: con le spalle dritte e il portamento marziale, agli occhi di Nemeria appariva come un soldato così dedito alla sua missione da ignorare tutto il resto. Persino i segni della stanchezza erano contenuti sul suo viso, ma delinearono le pieghe agli angoli della bocca quando Noriko la storse in una smorfia sofferente.
- Ci vediamo domani, allora. - la salutò Durga.
- Sì, puntuale. -
La bambina scoccò un rapido sorriso anche a Noriko, prima di precipitarsi su per le scale.
- Hai voglia di fare una passeggiata? -
La proposta colse Nemeria impreparata: - Non c'è un coprifuoco? -
- La sola raccomandazione è quella di andare a dormire presto, altrimenti si rischia di perdere gli allenamenti o fare schifo. -
Nell'aria fresca della sera, gli ansiti degli studenti che ancora si allenavano parevano più uno scherzo della stanchezza che un dato reale. Eppure, se Nemeria prestava orecchio, poteva udirli: il sibilare di una lama, lo spostamento d'aria di un pugno, il battito ritmico dei piedi intervallato da quello della corda.
Vieni al campo del fuoco.
Sussultò. Quella voce... era Pavona.
- Vorrei continuare ad allenarmi. - sbottò senza pensarci troppo.
Noriko inarcò un sopracciglio, comunicando tutto il proprio scetticismo.
- In questo stato può essere solo deleterio per te. -
- Se non faccio qualcosa per migliorare, Roshanai mi farà a pezzi. -
- Anche se lo volesse, Tyrron glielo impedirebbe. -
Nemeria scosse la testa. Le sembrava di avere una pallina al posto del cervello, che rotolava nel cranio a ogni minima oscillazione.
- Ci metterò poco, te lo prometto. -
- Te l'ho già detto stamattina, Nemeria. Non devi dimostrare niente. Nessuno ti ha insegnato a combattere, è già tanto che tu riesca a reggere questi ritmi. -
- Appunto perché sono più indietro degli altri devo cominciare a fare sul serio per imparare. - si passò una mano sulla bocca e sfiorò con l'anulare la punta del naso, - Sono stufa di essere la più debole, quella che deve essere sempre protetta. Da quando sono arrivata a Kalaspirit, mi sono nascosta sempre dietro di te, Altea, Hirad e ora Durga. Io... io non voglio più essere così. Non voglio più vivere nascosta nell'ombra di qualcun altro. -
- Nemeria, non puoi pretendere di diventare brava dall'oggi al domani. Ti posso insegnare io qualcosa, se proprio ci tieni, ma prima devi riprenderti. -
- Se tu puoi sopportare l'allenamento con Sayuri con un taglio sulla pancia, io posso fermarmi un'ora a esercitarmi con la shamshir. -
- Sei stupidamente cocciuta. -
- Tu più di me. - la rimbeccò.
Noriko trasse un profondo respiro, si girò e scrollò le spalle. Quando non si voltò, Nemeria seppe di aver vinto.
- Non fare tardi. -
- Ricevuto! -
Imboccò le scale e si precipitò al campo del fuoco. La luce calda dei treppiedi spennellava l'ambiente con un alone dorato sufficiente a illuminarne il perimetro e a schiarire in un grigio sfumato il nero del buio.
- Pavona? -
"Sono qui."
Ci fu un frullio d'ali, poi un corvo planò ai suoi piedi. Inclinò la testa in alto e fissò Nemeria dritta negli occhi. Aveva uno sguardo intelligente, troppo per un animale.
- Sei tu? -
"Sorpresa?"
Il gracchiare che seguì poteva essere interpretato come una risata.
"Purtroppo non ho trovato di meglio per venire qui. Non ci sono molti animali in questa città."
Nemeria si stropicciò gli occhi e si accucciò. Sua sorella le aveva accennato qualcosa del genere, ma le sembrava impossibile che dentro quel corvo ci fosse Pavona.
"Si chiama Proiezione. Gli animali hanno una mente semplice e non hanno le capacità di opporre una reale resistenza. Con gli umani è più difficile, molto più difficile. Anche se avessi potuto, non conosco nessuno che potesse entrare qui dentro senza farsi notare."
- Quindi tu ora stai parlando con me attraverso il corvo, giusto? -
"Sì. La mia mente ha occupato il suo corpo e posso muoverlo come se mi appartenesse."
Nemeria si sentiva un po' stupida a parlare con un animale ed era certa che se qualcuno l'avesse vista l'avrebbe presa per pazza. Per quanto potesse risultare strano, però, Pavona era lì, davanti a lei.
"Ho riflettuto a lungo su quello che ci siamo dette e ho deciso di aiutarti. Io ho ripudiato la mia eredità, ma amavo ogni singolo membro della nostra tribù. Non avrei mai augurato a nessuno di loro un fato tanto terribile."
Gli occhi divennero lucidi, ma Nemeria non avrebbe saputo dire se fosse una sua impressione, un gioco di luci o un vero velo di lacrime.
"Non posso fare molto. Il mio addestramento mi ha portata a padroneggiare appieno solo la terra. Ma qualcosa so e credo che tu debba impararla prima di perdere il controllo."
Nemeria si sentì punta sul vivo. Che lei sapesse ciò che aveva fatto a Durga e Roshanai? La vergogna le imporporò le guance e le arrossò le orecchie.
- Anche noi rischiamo di trasformarci in Jin? - sussurrò e si strinse le ginocchia con entrambe le braccia.
"È più complicato di così. Se mi permetterai di aiutarti, ti dirò tutto ciò che so. Non sentirti in obbligo di dirmi di sì. Posso capire che tu voglia lasciarti alle spalle ciò che è accaduto. Se vuoi, sparirò e non verrò più a tormentarti."
- No. - proferì in un impeto disperato, - No, io ho bisogno di sapere. Quello che mi sta accadendo... non riesco a controllarlo e ho paura di fare del male a qualcuno. Qualsiasi aiuto tu possa darmi, lo accetterò. -
Il corvo la scrutò con i suoi occhi pieni di consapevolezza umana. Fino all'ultimo, Nemeria temette che si tirasse indietro, che sarebbe stata lei ad andarsene e ad abbandonarla in balia di quel potere che non sapeva come domare. Invece Pavona zampettò in mezzo al campo e sbatté le ali un paio di volte, come se dovesse ancora prendere dimestichezza con il nuovo corpo.
"Allora cominciamo."
Il mondo, in quel momento, divenne più luminoso per Nemeria, e non solo perché le fiamme nei treppiedi cominciarono a scoppiettare con più ardore.

Angolo Autrice:

 Sì, sono viva, no, non sono scomparsa. Scusate per questi aggiornamenti lentissimi, ma la sessione (e gli esami) mi stanno letteralmente fagocitando la vita. Allora, ci tenevo a fare un ringraziamento per quello che riguarda questo capitolo: se è uscito così realistico lo devo a Dany the writer, un amico scrittore che ha avuto la pazienza di mettersi lì e controllare che quello che avevo scritto avesse un senso. Se avete tempo/voglia... insomma, se siete in cerca di una persona che, oltre alla sottoscritta, possa allietare le vostre giornate con storie piene di angst, dolore e violenza... non dovete fare altro che andare a visitare il suo profilo. Davvero, merita e non lo dico perché mi ha aiutata, ma semplicemente perché è bravo, sa cosa scrive e dove vuole andare a parare. Dany, se sei in ascolto, batti un colpo u.u A tutti voi che avete letto fino a qui, un enorme, gigantesco grazie. Il prossimo capitolo spero arriverà presto. La mia beta ha una vita che la richiama, quindi... abbiate pazienza <.<
Hime

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Capitolo 20
*** La strada verso Agni ***


Fuoco 2

20

La Strada verso Agni

"Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada."
James Hilmann

"Cosa sai dei cakra?"
Nemeria era corsa a prendere la shamshir e si stava esercitando nei movimenti. Pensava d'essere più indolenzita, ma sorprendentemente riusciva quasi a essere precisa. Descrisse un semicerchio davanti a sé e si spostò di tre rapidi passi di lato.
- So che sono dei vortici di energia che assorbono l'energia universale e rilasciano invece il potere degli elementali. -
" Più o meno. Sono molto importanti anche perché mantengono la nostra anima unita al corpo. "
Pavona si era appollaiata su un treppiedi, le cui braci si erano quasi del tutto spente. Sembrava in tutto e per tutto un normale corvo che si godeva il sollievo tiepido del fuoco morente.
"Per lo più i cakra, almeno quelli delle Jinian, rilasciano più energia di quella che assorbono. All'inizio, prima di intraprendere il Primo sentiero, non sussiste una grande differenza tra quelli umani e i nostri. Più si acquista una maggiore consapevolezza, più il bisogno di assorbire l'energia diminuisce. Ma questo immagino lo sapessi già."
Nemeria annuì e bloccò il colpo a metà, allungò la gamba indietro e con una rotazione del polso portò un tondo all'altezza dello sguardo.
"Cos'altro sai?"
- Esistono otto cakra, ognuno corrispondente alle otto facce della Madre. -
"Sì. A seconda dei testi e delle religioni, ce ne possono essere di più o di meno. Come molte altre nozioni troppo vecchie per essere ricordate, anche queste sono state distorte dai mortali. Alla nascita, ogni essere vivente presenta un cakra soltanto. Se ti viene più semplice, immaginali come dei piccoli cuori: tutti potrebbero battere, ma all'inizio soltanto uno, quello che è più affine al nostro essere, permette lo scorrere del sangue."
- È la stessa metafora che hanno usato mia sorella e Fakhri per spiegarlo. -
"Perché è la figura che meglio li rappresenta. Esistono tre arterie principali che irrorano il nostro corpo con il prāna. Nell'Ukiyo-e lo chiamano Ki e qui, talvolta, lo chiamano pneuma, ma qualsiasi nome gli si dia, è semplicemente il soffio vitale che infonde vigore. Anche l'energia degli elementali scorre attraverso queste arterie. Alla nascita, solo uno dei cakra non è del tutto bloccato e il potere di quello a noi più affine si dirama da lì. Alla fine del Primo Sentiero, il passaggio diventa libero. È per questo che le Jinian riescono ad attingere alla forza dei propri elementali senza che questa, a lungo andare, le corrompa."
- Quindi i mortali diventano Jin perché non riescono a... sbloccare i propri cakra? -
" Sì. Devi immaginare gli elementali come dei serpenti raccolti su se stessi, pronti a scattare all'improvviso. I Dominatori li forzano per aprire il o i loro cakra e questo provoca un avvelenamento della loro anima morso dopo morso. Le Jinian, invece, attraverso le pratiche di ogni Sentiero, riescono a risvegliarli e a dominarli."
- E a me, allora, cosa sta succedendo? Perché... - si morse le labbra e si fermò a metà di un fendente, - Perché rischio sempre di perdere il controllo? A volte è come se non fossi nemmeno io, come se ci fosse qualcun altro nei miei pensieri. -
"Gli elementali, tutti, si cibano delle nostre emozioni. Più queste sono forti, più loro le assorbono e le amplificano di rimando quando rilasciano il loro potere. Per quanto il tuo cakra sia più aperto di quella di una normale mortale, ogni volta che i sentimenti ti sopraffanno il tuo elementale smania e lotta per liberarsi. Più reprimi la rabbia, il dolore, la frustrazione e l'angoscia, più diventerà difficile controllarsi. Gli elementali non sono altro che foglie, gocce, refoli e scintille che si sono staccati dagli Spiriti quando la realtà sensibile è stata generata. Quelli dei mortali sono per lo più energia, ma nei nostri permane un residuo della primigenia coscienza che li rende senzienti. Spesso è solo un barlume, una perla custodita nella parte più intima della nostra anima che si risveglia prima, durante o alla fine di un Sentiero per rivelarci il nostro Nome nel Buio. Altre volte la corolla di luce si espande, tocca la nostra coscienza e palesa i nostri sentimenti, amplificando un sussurro in un urlo."
Pavona si mise a fissare il soffitto e una mezzaluna acquosa si rifletté sulla curva della pupilla.
- Mi stai dicendo che volevo davvero fare del male a Durga e ad Ahhotep? -
Nemeria colpì il suo nemico immaginario con un montante, scattò in un rapido passo in avanti e fermò la shamshir dopo un fendente, la punta indirizzata verso l'alto. Rimase così una frazione d'istante e poi cadde a sedere con le braccia abbandonate sulle ginocchia alzate e il sudore che le imperlava il collo e la fronte. Il corvo spiccò il volo e si appollaiò sulla sua spalla. I lunghi artigli non bucarono il tessuto, ma Pavona li strinse quel che bastava a farle capire che doveva fermarsi.
"Tu sei affine al fuoco, Nemeria, e il fuoco è anche questo. Un incendio che distrugge tutto, senza fare distinzioni tra chi meriterebbe pietà e chi, invece, deve pagare il fio delle proprie colpe. Scoppia all'improvviso, alla minima scintilla, e le sue fiamme lambiscono case, persone, campi, cielo e terra. Se però non c'è un terreno adatto, come una sterpaglia arida o una foresta d'alberi secchi, le fiamme non possono attecchire, capisci?"
Nemeria fece un lieve cenno del capo.
- Quel desiderio di distruggere è mio. - constatò con un fil di voce.
"È di tutti. Ogni essere vivente lo possiede ed è una delle possibili reazioni al dolore. Lo si rifugge dormendo, dimenticando, consegnando la propria mente alla follia o lasciandosi dilaniare da esso. Poi ci sono persone che lo combattono opponendo la rabbia, l'odio, il disprezzo o l'indifferenza, senza rendersi conto che, così facendo, il dolore rimarrà per sempre radicato in loro. Magari nascosto e invisibile allo sguardo, ma ci sarà finché non ne poteranno i rami e strapperanno le radici."
Pavona appoggiò la testa contro la sua guancia e raccolse una lacrima con il becco.
"Non serve piangere. Disperandoti non fai altro che alimentare la tua stessa sofferenza. Non posso spiegarti come proseguire sul tuo Sentiero, ma posso rimanerti accanto nel tuo cammino fino alla Prima Verità."
- E qual è? -
Girò la testa in modo da incontrare lo sguardo del corvo. Non sapeva cosa sperare; non era sicura di nulla se non di quanto le colonne del suo mondo fossero fragili, pilastri di sabbia conservati e cementati solo dall'acqua.
"Devi scoprirla da te. È il primo passo per liberarsi dal dolore e per raggiungere una maggiore consapevolezza."
Nemeria allungò la mano senza guardare e Pavona le porse il becco liscio. Le piume della testa erano morbide, incastrate le une con le altre in un unico manto nero e setoso.
- Mia sorella una volta mi disse che a volte è meglio non sapere, che l'effimera beatitudine che nasce dalla conoscenza non sazia il nostro perpetuo bisogno di risposte. -
"Tua sorella com'era?"
- Era la migliore di tutte. Era brava, bella, carismatica, capace quanto e più di Asa. Una volta ho sentito Fakhri affermare che quando avesse portato a termine l'ultimo Sentiero sarebbe stata lei l'erede dell'Alta Sacerdotessa. - strinse l'impugnatura della shamshir per ricacciare indietro le lacrime e, quando una le sfuggì dalle ciglia, se la pulì con un gesto stizzito, - A volte mi manca così tanto che mi sento soffocare. -
"Anche a me è mancata molto mia madre quando me ne sono andata dalla tribù. Sapere che adesso non ci potremo incontrare mai più ha cambiato le mie prospettive."
Non aggiunse altro e svolazzò di nuovo sul treppiedi di prima, dove la brace ora languiva in un alone sempre più tenue. Nemeria avrebbe voluto sapere qualcosa di più sul motivo che l'aveva spinta a lasciare la sua famiglia, ma decise di attendere che fosse Pavona a parlare: adesso era il suo turno di rispettare il suo dolore. Lo doveva a quella donna che aveva scelto di raccogliere il suo sapere per donarglielo in cambio di nulla.
"Riesci a generare una fiamma?"
- Sì, penso di sì. Non ho mai provato a farlo da quando sono arrivata qui. -
"Le placche di quel collare non sono in oricalco puro, altrimenti nessun Dominatore potrebbe attingere al potere del proprio elementale."
"In effetti..."
Prese un profondo respiro, aprì la mano e la portò ad altezza degli occhi.
"Sai già il suo nome?"
- Sì. -
"Non devi rivelarlo a nessuno. È un'informazione troppo importante perché la possa sapere qualcun altro al di fuori di te."
- L'Alta Sacerdotessa diceva spesso che i nomi hanno potere. -
"Sì, ma non puoi immaginare quanto potrebbe essere pericoloso se giungesse alle orecchie di un Dominatore dell'aria o dell'acqua. La Proiezione, così come la Condivisione, se utilizzata contro una mente debole può togliere il controllo del corpo, soggiogare i pensieri e vincolare la volontà dell'individuo senza che lui se ne renda conto. Conoscere il nome dell'elementale significherebbe che anche la tua ultima possibilità di riprendere il comando di te stesso è svanita."
Nemeria deglutì. Provò a immaginare il dominio di Agni sotto il comando di un'altra persona e si sentì raggelare.
"Vedo che hai capito cosa intendo. Non escludo che esista qualcuno che sia in grado di farlo, ma devi essere prudente. Nel migliore dei casi, smetti di esistere come persona, nel peggiore anche chi ti sta attorno potrebbe essere in pericolo. Dipende tutto dalla bravura del Dominatore."
- Quindi dovrò tenerlo per me. -
"Sì. Nessuno, tra i mortali, merita così tanta fiducia. Ora concentrati. Richiama il potere del tuo elementale e dirigilo nella mano, come hai sempre fatto."
Nemeria chiuse gli occhi e inspirò profondamente per scacciare i pensieri e trovare la concentrazione. Consapevolezza del respiro, la chiamava Etheram, ed era stata una delle primissime lezioni che aveva appreso da lei: non doveva imitare nessuno, né forzare il suo flusso respiratorio a essere leggero, profondo o silenzioso.
"Il soffio agisce sul cuore ed è il tuo unico veicolo per controllare ciò che di natura non lo è. Immergi lo spirito nel basso ventre, decongestiona il torace e tutti i tuoi organi."
Nemeria inspirò col naso, chiuse la bocca e trattenne il respiro. Subito dopo compresse l'aria col diaframma e la sospinse verso il basso per poi schiudere le labbra, espirando molto lentamente.
"Non mettere a tacere l'impulso di vagare, non ti opporre. Osserva i suoni, riconoscili e ponili innanzi alla tua attenzione. La mia voce, il sibilo delle spade, gli ansiti spezzati degli altri gladiatori. Lo vedi? Dinanzi alla tua consapevolezza non appare minuscolo e insignificante?"
Nemeria non poté non annuire. Il ventre si espandeva e si contraeva e lei ne poteva sentire le pareti allargarsi e rientrare. Era una sensazione fisica totalizzante che aveva il potere di dividerla dal resto del mondo. Il collare si era appena surriscaldato ed era come un calarsi nelle profondità di una grotta legati a una corda che si incastrava tra i massi, ma bastava che Nemeria la tirasse un paio di volte per riprendere a scendere.
Il contorno di Abayomi e di Zahra, le parole taglienti di Roshanai e l'onnipresente senso di colpa si rimpicciolirono sopra di lei fino a svanire nel nero e nel lucore sempre più intenso che si propagava del fondo della sua discesa. Un focolare allegro e crepitante, racchiuso in un cerchio di pietre rosse, contrastava l'aria satura di umidità e, tra le sue fiamme, Nemeria la scorse. La gonna si generava da esse e si apriva come i petali di un fiore a ogni giravolta. Il velo che stringeva tra le mani volteggiava attorno al suo corpo, appariva e spariva a ogni scoppiettio, sorgendo dalle numerose scintille che, come schegge di sole, zampillavano attorno a lei in una cascata luminosa.
Cuore di fuoco.
- Sono qui, Agni. -
La donna sorrise e si tolse il velo che le copriva il volto. Occhi rossi, labbra sottili, mascella affilata e capelli neri sciolti sulle spalle nude. Nemeria era senza fiato: anche se più adulto, più bello e curato, quello era il suo viso.
- Tu sei... me? -
Agni scosse la testa. I pendagli tra i capelli tintinnarono assieme a quelli della fascia sul seno, un coro allegro e acuto che anticipò la ripresa della danza.
- Prestami il tuo potere. -
Prendilo. É tuo, è sempre stato tuo.
Nemeria avanzò fino al cerchio di pietre, allungò la mano verso le fiamme e queste la avvolsero, aderendo alla pelle come un velo di seta. Nell'aria pesante, l'umidità si stratificò in una patina di sudore, che evaporava lasciandosi dietro il sentore sottile di bagnato.
Qual è il mio nome, Nemeria?
Nemeria esitò. Registrò il rumore delle schegge di legno che scoppiavano, il calore che le investiva la pelle, il torpore rassicurante racchiuso nelle delicate parole di Agni. Se avesse scelto di seguirne la danza tra le lingue di fuoco, sarebbe diventata un tutt'uno con lei, parte ed essenza dello Spirito. Strinse la mano a pugno, sospinse il respiro nel diaframma e in seguito lo udì sibilare nella fessura tra le labbra: la seduzione della fiamma era una tentazione irresistibile.
- Vadavagni. Sei il lume della ragione. -
Agni cominciò a girare su stessa più in fretta, battendo i piedi con maggiore forza, mentre i lembi della cintura svolazzavano sui suoi fianchi, aperte come le ali di un ibis rosso. Le fiamme ne seguivano l'andamento, sfrangiandosi attorno alle sue braccia e sfumando in un pulviscolo sfavillante. Le fiamme turbinarono fino ad avvolgerla completamente in un unico, immenso fuoco, così luminoso da accecarla.
Sii il sole più splendente di tutti.
Quando Nemeria riaprì gli occhi, non capì subito dove si trovasse. Pian piano, con una lentezza pigra e indolente, la percezione della realtà che l'attorniava si riappropriò dei suoi sensi. I suoni ripresero il loro posto, si incastrarono con gli odori e inanellarono le forme, finché la Scuola non si completò. Davanti a lei, una fiammella poco più grande del suo pugno sfrigolava sul palmo della sua mano.
"Sei stata brava."
Pavona era volata vicino a lei e studiava la fiamma con quello che Nemeria avrebbe potuto definire uno sguardo compiaciuto.
- Non mi era mai capitato di dover fare così tanta fatica per una cosa così piccola. -
"Prima non avevi un collare di oricalco alla gola. Questa è la base. Sono trucchetti che, prima o poi, ti avrebbero insegnato anche qui. Ma l'importante, in questa situazione, è il come ti vengono insegnate le cose."
- Dovrò discendere ogni volta per attingere al mio potere? -
"No, ti insegnerò pian piano a richiamarlo volontariamente. Non so se hai notato, ma è stato faticoso entrare in comunione con il tuo elementale. Ormai penso tu l'abbia capito: i sentimenti sono una caduta libera, mentre la via della ragione è una lenta scalata. Loro, i tuoi maestri, ti diranno di lasciarti guidare dal tuo sentire del momento e te lo ripeteranno finché non ti sembrerà l'unica strada possibile. Ma, Nemeria, ricordati che è solo quella più semplice e pericolosa e che, alla fine, conduce a un finale scontato nella sua tragicità."
Si sgranchì le zampe e spostò la testa a destra e a sinistra un paio di volte, prima di appuntare nuovamente gli occhi su di lei.
"Rimarrei qui tutta la notte a parlare, ma domani ti aspetta una dura giornata e dubito che chiunque ti abbia regalato quei lividi si fermerà davanti a un viso stanco."
Bastò l'accenno di una smorfia infastidita perché il dolore tornasse a pungerla. Si trattenne dal massaggiarsi il naso.
- Tornerai anche domani sera? -
"Farò il possibile, ma non posso prometterti nulla."
Nemeria annuì. Spense la fiamma chiudendo la mano a pugno e rimpugnò la shamshir. La pulì sui vestiti e intercettò un rivolo di sudore prima che si infilasse sotto le bende del collo.
- Non so davvero come ringraziarti. Quello che hai fatto per me stasera, significa molto per me. Se imparerò a controllarmi, sarà solo grazie a te. -
"Se vuoi sdebitarti, sopravvivi e non perderti mai d'animo, almeno non qui. Non sopporterei di vederti portata via dal Consorzio o soppressa come un animale. Anche se non ci conosciamo, condividiamo un retaggio e una discendenza comuni. Per me questo tanto basta per considerarti sangue del mio sangue."
Pavona spiegò le ali e si librò in aria affinché Nemeria potesse specchiarsi nei suoi occhi, un riflesso distorto sotto un sottile velo di lacrime. Poi volò via, attraverso il corridoio di colonne rosse e oltre l'aura aranciata dei bracieri e delle torce. Udì qualcuno imprecare, il tonfo di una lancia a terra, un borbottio sorpreso di una donna. I suoni risvegliati da quell'inaspettata visione tacquero in fretta così com'erano sorti.
- Lo prometto. - sussurrò Nemeria e si mise la mano sul cuore.
 
Nelle settimane che seguirono, il tempo parve sbriciolarsi. Dopo le misure del giorno seguente, Nemeria tornò quasi tutti i giorni da Nande, per lo più per farsi cambiare le bende e controllare la guarigione del naso. Poi seguiva la colazione e l'allenamento con Roshanai al campo del fuoco e talvolta con Reza, ma man mano che i giorni passavano la sua presenza venne sempre meno, finché non rimase solo la Ver'ilef.
A differenza di Sayuri, la Syad del fuoco non era così puntuale come Nemeria aveva pensato: rimproverava lei e Durga se arrivavano un paio di minuti dopo rispetto all'orario d'inizio, ma non era raro che lei ritardasse anche di un'ora. Nonostante il fastidio di rimanere sotto il sole ad aspettare, Roshanai era capace. Si presentava ogni volta con un'arma diversa, costringendole così a cambiare strategia, passi e combinazione di colpi. Gli assalti che funzionavano con una surik potevano risultare inefficaci contro un rencong.
Nemeria e Durga impararono sulla loro pelle quanto fosse importante studiare l'avversario prima di compiere qualsiasi azione. Andavano avanti a oltranza fino a pranzo e poi, con ancora il sapore della minestra d'avena sul palato, correvano di nuovo da lei e continuavano l'addestramento fino a sera, a un orario che poteva collocarsi tra un'ora prima o due dopo cena.
Nemeria tornava in camera da Noriko e Batuffolo esausta, aspettava che si addormentassero e andava al campo del fuoco, dove l'attendeva Pavona. Era tornata spesso sotto le fattezze di un corvo o di un topo grigio, non più grande di un pugno. L'addestramento con lei era pesante, molto più di quello con Roshanai, ma la sua vicinanza aveva il potere di alleggerire la fatica e dissiparla in una tensione che le imponeva di impegnarsi ancora di più. Gli esercizi dove doveva dare una forma alla fiamma erano i più difficili, soprattutto quando la obbligava a mantenere la concentrazione e, contemporaneamente, a fare dei calcoli o a recitare una filastrocca. Spesso Pavona le chiedeva di cantare delle canzoni tipiche della tribù e, anche dopo la fine dell'addestramento, se Nemeria non l'aveva conclusa, la esortava a terminare. Lei si limitava ad ascoltare e il suo sguardo vagava lontano, al di là delle mura e oltre il presente.
Se la compagnia di Pavona era ricercata e attesa, gli incontri con Roshanai risvegliavano una commistione di sentimenti che Nemeria faticava a tenere a bada. Non aveva idea di cosa provasse Durga, ma nel suo cuore non c'era altro che odio, un odio misto a rabbia che doveva sforzarsi di reprimere. Se non fosse stato per la pietra di luna e per gli avvertimenti di Pavona, si sarebbe lasciata travolgere e inghiottire fino a consumarsi.
- Stai solo facendo il suo gioco. - l'aveva redarguita Noriko una sera, ma Nemeria non l'aveva ascoltata.
All'interno della sua corazza, non c'era spazio per altro se non per la risolutezza di non farsi schiacciare da una donna del genere e, in confronto alla rabbia che le ribolliva nelle vene, l'odio di cui si era rivestita era una cella con le pareti di ghiaccio, così spesse da intirizzirle l'anima. Non importava quanto faticoso fosse l'allenamento o quanto Roshanai la spingesse al suo limite: l'umiliazione della sconfitta e o il peso dell'inadeguatezza la spingevano a rialzarsi sempre, anche quando era la sola forza di volontà a tenerla in piedi. Le bacche tanu erano una tentazione, una promessa di forza più suadente di Agni. Le riponeva sotto il materasso, nell'angolo più lontano e polveroso per non cedervi, perché avrebbe dovuto ripagare l'energia ricevuta con altre e più pesanti notti insonni.
I giorni divennero sabbia e i granelli scivolarono nella clessidra del tempo nella quale, inevitabilmente, si depositarono anche la maggior parte dei suoi pensieri. Nemeria li disseppelliva di tanto in tanto, in quegli istanti di libertà mentale che si inframmezzavano tra i vari allenamenti, ma questi non avevano l'occasione di riprendere la loro reale dimensione prima che la crudele realtà li relegasse di nuovo sul fondo della clessidra. Solo nel "Tempo del Ritorno" tornavano a farle visita e Nemeria, volente o nolente, era obbligata a fronteggiarli.
C'erano volte in cui la stanchezza accorreva in suo soccorso e altre, più numerose, in cui nemmeno la luce del sole bastava a scacciare i demoni che la tormentavano. Eppure, per quanto lei volesse trovare una risposta, doveva piegarsi alle esigenze della scuola, di Roshanai, di Pavona e di tutti quelli che avevano qualcosa da insegnarle: tutto della sua quotidianità era stato ridotto all'osso, dalle preoccupazioni ai pensieri, alle conversazioni. Persino le persone che le orbitavano attorno, quelle davvero importanti, non erano altro che figure evanescenti, tremolanti nell'arsura delle ore più calde e sfocate al calar del sole.
Era il lento rimarginarsi delle ferite assieme alle visite a Nande a scandire il passare del tempo, più dell'alternarsi del giorno e della notte. Nemeria ci andava spesso, soprattutto per cambiare i bendaggi e disinfettare i nuovi tagli che Roshanai le procurava, e di settimana in settimana la donna le prendeva le misure dalle spalle, delle braccia e delle gambe, annotando anche le fluttuazioni di peso. Nemeria immaginava che fosse un ordine che Tyrron le aveva dato per monitorare i suoi progressi, ma ben presto capì che era molto di più.
Una sera, venne a bussare alla loro porta un ragazzo alto un pollice più di Nemeria, con i capelli come setole di una scopa vecchia e le guance screpolate più delle mani. Indossava un chitone che lasciava scoperte le braccia e un paio di calzoni deformati all'altezza delle ginocchia.
- Tu e Sayuri andare da Nande. - scandì in un sihamnstico incerto.
- Ora? - mugolò Nemeria.
- Sì, ora. - inclinò la testa per sbirciare, ma Noriko gli bloccò la visuale.
Batuffolo aveva deciso che doveva imparare a saltare e il suo trampolino di lancio era il letto di Nemeria. Anche se era mezza addormentata, i diversi fruscii alle sue spalle lasciavano già presagire la fine grama delle lenzuola.
- Sì, veniamo subito. - lo congedò e, prima che il ragazzo potesse aprir bocca, si chiuse la porta alle spalle.
- Perché devi venire anche tu da Nande? Non stai bene? -
- Forse vuole solo controllare di nuovo il taglio. - sospirò e prese gli abiti puliti dall'armadio.
Tyrron aveva comprato cinque capi a testa, tutti chitoni e kandys di ottima fattura. Noriko aveva ricevuto anche un umanori e uno jinbei, che però usava solo per dormire. Mentre si vestivano, Nemeria occhieggiò spesso nella sua direzione, ma la sua amica le dava sempre la schiena. Non le era parso fosse peggiorata, ma rammentava ancora l'ostinazione con cui le aveva taciuto dell'intervento.
"In ogni caso, non sarei stata abbastanza presente per accorgermene."
- Andiamo. -
Come sempre il tono di Noriko aveva l'inflessibilità dell'ordine e Nemeria attese che la raggiungesse.
Ad accoglierle non fu il solito corridoio vuoto, ma una lunga coda di ragazzi e ragazze, i più a loro sconosciuti, ma che a giudicare da com'erano vestiti dovevano essere studenti. Alcuni sedevano per terra, con la testa del loro compagno appoggiata sulla spalla; altri si erano riuniti in piccoli gruppi per chiacchierare. Le guardie sorvegliavano le scale e la fila dal perimetro delle pareti e dal fondo del corridoio, controllando chi entrava e chi usciva dall'infermeria.
- Cos'è tutta questa gente? -
Noriko scosse la testa e si accodò dietro un ragazzo con i capelli ricci e un orecchino d'osso che gli uncinava il lobo da parte a parte.
Nemeria indugiò un istante di troppo a cercare Durga e Ahhotep e una delle guardie le intimò di mettersi subito in fila. Era stupita di vedere così tante persone: certo, la scuola era grande, ma non le era mai capitato di contare quanti studenti ospitasse. Le sembrò strano che, mescolati a bambini dell'età sua e di Durga, ci fossero ragazzi adolescenti.
- Uno così non mi sarebbe sfuggito. - commentò, scrutando un ragazzo di sette piedi abbondanti.
- Cosa ti incuriosisce tanto? - la interrogò Noriko.
- Quel ragazzo. Non ricordo di averlo mai visto. Che sia uno nuovo? -
- È più probabile che appartenga all'altra ala della scuola. -
- Altra ala? -
- Sì. Loro hanno raggiunto la maggiore età. Per legge, non possono stare con noi. -
Nemeria annuì. Forse Arsalan lo aveva menzionato e lei non aveva prestato attenzione.
- E hanno chiamato sia noi sia quelli più grandi? -
- Non tutti, altrimenti vedresti anche degli adulti. - Noriko si appoggiò con una spalla alla parete, - Ti conviene sederti, dovremo aspettare un po'. -
- Credi che Durga e Ahhotep siano già dentro? -
- Non lo so, c'era una lunga coda già quando siamo arrivate. -
Nemeria si sedette vicino al muro, con una gamba inclinata a toccare quella di Noriko. Se il corridoio non avesse pullulato di guardie, sarebbe andata a cercare le sue compagne, quantomeno per chiedere che cosa stava succedendo. Sospirò e socchiuse gli occhi, seguendo attraverso la fessura tra le palpebre l'avanti indietro di una guardia finché la stanchezza non ebbe la meglio.
Noriko la svegliò a intervalli regolari, quando la fila avanzava. Non si poteva dire che fosse un sonno ristoratore, ma il suo corpo aveva bisogno di riposo e ignorava qualsiasi tentativo della sua mente di rimetterlo in piedi. Soltanto quando Noriko la tirò su e la costrinse a camminare per più di dieci passi, capì che era arrivato il loro turno.
L'infermeria era pulita come al solito, ma stavolta, oltre a Nande, c'era Kamyar. Il sorriso che gli si dipinse sul viso arrivò a illuminargli anche gli occhi.
- Svestitevi. Ormai credo conosciate entrambe la procedura. -
Noriko si svolse subito la cintura, mentre Nemeria rimase un attimo imbambolata a fissare il Dominatore dell'acqua, in attesa che uscisse. Invece lui rimase lì, in piedi di fianco a Nande.
- Ti imbarazza? -
Nemeria si morse le labbra e annuì.
- È solo per accelerare i tempi. E poi, mentre mi prendevo cura di te da aghà Tyrron, sono più le volte che ti ho vista senza vestiti che con. - le disse Kamyar brandendo il metro in una mano e le rivolse un sorriso incoraggiante, - Su, prima ti sbrighi, prima potrai andartene. -
Noriko era già nuda, con solo le mutande a coprirle le parti intime. Non si era legata i capelli e questi le ricadevano scomposti in ciocche rosse sulle spalle come fili di seta.
Mentre si toglieva il chitone, con le ombre che danzavano alla luce della lanterna, Nemeria indugiò più d'una volta sulla grazia del suo corpo, che, anche se immobile, sembrava permeare ogni fibra del suo essere. Non c'era muscolo che non fosse cresciuto in maniera armoniosa, definendo solo ciò che prima era meno proporzionato. Soltanto il taglio sul basso ventre, una specie di sorriso a labbra strette, e l'abbronzatura non uniforme ne deturpavano la bellezza.
Quando piegò il chitone sul letto, Nemeria trasse un profondo respiro. Il peso della sua nudità, la consapevolezza di essere completamente esposta allo sguardo di Kamyar, le aveva messo addosso un profondo senso di disagio, ma ben presto, prima ancora che la mente lo recepisse, la tensione aveva già abbandonato il suo corpo. Non c'era malizia né nel tocco né nello sguardo del Dominatore dell'acqua. Come Nande nelle settimane precedenti, la tastò con attenzione medica, senza soffermarsi più di quanto il suo dovere gli imponesse, con una delicatezza che Nemeria non riconobbe, finché il ricordo tattile non scacciò definitivamente l'inquietudine.
- Centotré libbre. - annunciò e segnò quel risultato sul libro aperto sulla scrivania.
- È buono? -
- Quando sei arrivata ne pesavi a malapena ottantasette. È un ottimo risultato, considerando che sei qui solo da due mesi. -
Nemeria strabuzzò gli occhi, abbassò lo sguardo sulle ginocchia e piegò una gamba appena un po' perché il muscolo emergesse da sotto la pelle. Un brivido d'eccitazione si diffuse lungo la spina dorsale e le pervase i lombi.
- Ora potete rivestirvi. Andate nel cortile centrale e aspettate lì. - le informò Nande.
Lo sguardo stanco di Nande fu più esplicativo delle sue sue parole.
Nemeria si infilò il chitone, si legò velocemente la corda attorno alla vita e infilò l'uscita, mentre Noriko che le teneva aperta la porta.
- Stammi vicina. - le soffiò all'orecchio, prima di affiancarla.
Nel cortile centrale si erano radunati almeno una trentina tra ragazzi e ragazze d'ogni età. A Nemeria parve di riconoscere alcuni visi, ma non si soffermò più di tanto. Abayomi e Zahra parlavano a bassa voce in disparte. La Dominatrice della terra, ora che ci faceva caso, era diventata molto più muscolosa di quando si erano scontrate alla cisterna. I capelli, legati in trecce attaccate al cuoio capelluto, le scendevano ben oltre le spalle e, se non fosse stato per l'anello che glieli fermava in una coda sulla nuca, le avrebbero coperto tutta la schiena. La sua ombra soverchiava e inghiottiva quella di Abayomi.
Con la coda dell'occhio, Nemeria scorse Durga sbracciarsi da una delle ultime file. Ahhotep aveva le braccia conserte e un'espressione annoiata. Quando le raggiunsero, si discostò di un passo.
- Voi sapete cosa sta accadendo? - la interrogò Noriko.
- Ve lo stavo per chiedere io. Hanno detto a tutti di aspettare, ma aspettare cosa? Chi? E poi avete visto? Ci sono tantissimissime guardie. - rispose Durga.
- Gli altri? -
- Nessuno lo sa. Ho provato a... -
Lo squillo di un corno richiamò la loro attenzione. Dalle scale vicino all'entrata principale scesero un gruppo di persone, capeggiate da un uomo che Nemeria non aveva mai visto. Indossava un turbante di un rosso vistoso che gli copriva la parte sinistra del volto, lasciando in vista solo l'occhio destro, una polla d'acqua incavata nell'orbita. La tunica lunga gli sfiorava i piedi a ogni passo e le maniche ampie esibivano dei grossi bracciali d'oro, troppo larghi per i polsi stretti del loro portatore. Mina lo seguiva a poca distanza, con uno strascico che accarezzava gli scalini e una tiara d'argento che non riusciva a domare i riccioli ribelli. Nemeria la vide parlare con Adel, che però sembrava ben poco interessato a una conversazione di qualsiasi tipo. Considerando l'espressione concentrata del besajaun, doveva avere ben altro per la testa.
Delle dieci persone che costituivano il gruppo che si aprì a ventaglio sotto il porticato, Nemeria riconobbe anche Morad e Tyrron. Il suo lanista era la mosca bianca: niente oro, niente ostentazione. Indossava con eleganza un semplice paio di calzoni e una candida tunica di cotone con un traliccio d'uva cucito sul collo. Nonostante la semplicità dell'abbigliamento, la sua altezza e il suo portamento fiero catturavano lo sguardo.
Le guardie si erano disposte sul perimetro del cortile e quattro, due per lato, avevano affiancato l'uomo anziano.
- Promessi gladiatori, vi abbiamo addestrato nell'arte dello spettacolo e oggi dovrete dimostrare che il tempo passato qui non è stato vano. A breve vi misurerete in un torneo tra di voi. Non ci saranno premi o punizioni, se non quelle che i vostri padroni potranno decidere di farvi scontare, ma avrete l'onere di mostrarci se siete davvero gli sposi e le spose che l'arena attende. -
Nemeria lo vide prendere un profondo respiro e il sorriso che gli si dipinse sulle labbra spianò le rughe agli angoli della bocca.
- Stasera avrà luogo il vostro battesimo del fuoco. Il torneo è un onore che solo i migliori tra di voi, quelli che davvero hanno la stoffa per diventare gladiatori, potranno affrontare. Davanti agli occhi degli Spiriti e di Ahurmazd Heydar, sarà vostro compito mostrarci che ve lo meritate, che non esiste vento, bufera, freddo o dolore che vi distolga dal vostro obiettivo. Non tornerete a dormire nelle vostre stanze, né potrete mangiare. Se riuscirete a rimanere svegli senza crollare fino a domani mattina, verrete ammessi al torneo. Se, invece, crollerete, significa che la vostra volontà deve ancora essere temprata. Quel che sarà di voi, lo rimetto alle mani dei vostri padroni. -
Roshanai marciò al passo con Reza e, mentre le guardie si facevano indietro, lei, Sayuri e altri, tra uomini e donne, che non erano facce note a Nemeria, ne prendevano il posto. Tutti erano armati e tanto bastava per mettere da parte la sua curiosità.
- Sappiate che, anche se io non sarò qui a sorvegliarvi, sarete tenuti sempre sott'occhio. Se cadrete, lo sapremo. Se proverete a fuggire, la pagherete. - proferì grave e li fissò col suo unico occhio, - Vi dovrete guadagnare tutto ciò che non è una prima necessità. Non importa la vostra età, non importa il vostro passato, non importa il vostro volere. Se non riporterete alcuna vittoria, vi sarà concesso soltanto il minimo indispensabile per la sopravvivenza. Questa regola varrà finché io, Koosha Kodjea, sarò il direttore di questa scuola. -
Nemeria capì cosa intendesse quando vide il ragazzo che era venuto a chiamarle correre a rotta di collo giù dalle scale, con Batuffolo tra le braccia che dormiva tranquillo. Il cuore le precipitò sotto terra quando lo consegnò a Morad e il caracal aprì gli occhi di scatto. Si dibatté agitato, gli artigli che affondavano nella tunica con sempre più determinazione e gli occhi che imploravano aiuto. Nemeria venne investita da un panico viscerale. Fu quando Morad lo colpì sul collo che quel sentimento l'abbandonò all'improvviso, si ritirò come un'onda dal bagnasciuga.
Koosha rivolse gli occhi al cielo e poi incrociò lo sguardo di Tyrron. Si fronteggiarono per un istante più lungo di un'occhiata, quindi il direttore della scuola tornò a interessarsi dei gladiatori. Nemeria aveva il batticuore e voleva correre a riprendere Batuffolo, ma piantò i piedi a terra e rimase lì, a pugni stretti, le unghie dolorosamente conficcate nei palmi e lo stomaco contratto per la fame. Un frullio di ali catturò la sua attenzione: scorse Pavona appollaiata sulla grondaia, la luce lunare ne spruzzava le piume di bianco.
Noriko raddrizzò le spalle, piegò la gamba nell'interno coscia e unì le mani davanti al naso, mentre Durga si limitò a sedersi per terra a meno di un braccio da Ahhotep, che aveva assunto la posizione del loto. Erano tutte lì ed erano pronte.
Rivolse un'ultima occhiata a Pavona e poi a Batuffolo, che dormiva placido tra le braccia di Morad. Se lo rivoleva, il primo passo era guadagnarsi l'accesso al torneo.
"È ora di fare sul serio."
Si impresse quelle parole nella mente e baciò la pietra di luna. Poi, si sedette vicino a Noriko e appuntò la sua attenzione sulle torce, sulla luce che emanavano. Come la farfalla in un tulipano, Agni ondeggiava il bacino sulla musica silenziosa della notte.
- La prova comincia adesso. - annunciò Koosha, - Che la luce di Ahurmazd Heydar sia con voi, gladiatori. -

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Capitolo 21
*** Il battesimo del fuoco ***


Fuoco 2

21

Il battesimo del fuoco

"Le decisioni sono soltanto l’inizio di qualcosa. Quando si prende una decisione, in realtà si comincia a scivolare in una forte corrente che ti porta verso un luogo mai neppure sognato al momento di decidere. "
Paulo Coelho

Il cielo imbrunì presto e le nuvole illividirono, colmandosi dell'aria umida della sera. Il vento le sospingeva in avanti, le gonfiava e vi passava attraverso, per poi calare in una parabola discendente tra le strade di Kalaspirit e nel cortile della scuola. Era un vento caldo e secco, che spolverava la terra di granelli di sabbia rossa e scrocchiante. Anche a occhi chiusi, Nemeria percepiva la loro carezza ruvida sulla guancia e tra le ciglia. Si stropicciò le palpebre, stronfiò per togliersi i granuli rimasti appiccicati alle labbra e alle narici e abbracciò il paesaggio con lo sguardo.
Erano già passate due ore dall'inizio della prova e alcuni si erano addormentati, per lo più ragazzi della sua età o poco più grandi, probabilmente sfiniti dagli allenamenti del pomeriggio. Erano stati svegliati dai maestri che li sorvegliavano ed esortati a tornare nelle loro stanze senza possibilità di replica. Non che avessero qualcosa da obiettare: avevano fallito la prova e questa consapevolezza si accompagnava a un'espressione diversa per ognuno. Nell'indifferenza, Nemeria poteva cogliere la vena della paura; nella stanchezza, l'ombra del dubbio; nell'incertezza, la ruga della rassegnazione.
Non li seguì mentre si allontanavano, né si soffermò più di tanto sui loro mormorii preoccupati o sui singhiozzi decapitati tra i denti. Per quanto provasse dispiacere per loro, non doveva perdere di vista il suo obiettivo. Così lasciò che il vento acchiappasse gli strascichi delle loro conversazioni e li disseminasse lontano da lei, prima che piantassero radici nella sua testa.
Al suo fianco, Noriko piegò una gamba, distese le braccia e chiuse pollici e indici ad anello. Era stato il suo unico movimento in quelle due lunghe ore. A piedi nudi nella sabbia, si manteneva in perfetto equilibrio, come se non avesse fatto altro in tutta la sua vita. Anche l'immobilità di Ahhotep era ammirabile, seppur diversa. Se lei era uno stelo d'erba bloccato nel ghiaccio, una vita cristallizzata nell'inverno, Noriko era una quercia che sfidava il vento.
Durga pareva riposare all'ombra dei suoi rami. Aveva disegnato una griglia e vi aveva disposto dei sassolini che aveva trovato frugando sotto la sabbia. Per distinguerli, aveva disegnato una mezzaluna bianca con l'unghia, ripassandola due o tre volte perché fosse visibile. Quella era forse la quinta partita che cominciava, Nemeria non le aveva contate tutte. Però aveva notato che quel gioco catalizzava completamente la sua attenzione. Avrebbe volentieri partecipato anche lei, se solo avesse potuto chiederle di spiegarle le regole.
Udì un lieve russare alle sue spalle, il respiro lento e profondo del sonno. Una donna con il collo adornato da collane colorate e le labbra dipinte di blu avanzò verso una ragazza che era crollata rannicchiata di lato. Al suo fianco, chiuso come una chiocciola, dormiva il suo compagno, uno sha'ir con i capelli macchiati d'oro e il collo chiazzato di lentiggini.
- Alzatevi, asiri. -
Entrambi i ragazzi si svegliarono. Si fissarono intontiti per un momento prima di prendere coscienza di cosa fosse successo.
- Ci dispiace. - mormorò lo sha'ir.
La donna tacque. Solo il lieve ondeggiamento del labbro tra i denti lasciava intuire che stava valutando cosa dire. La luce della torcia illuminava solo metà del viso, lasciando l'altra in ombra, come se la linea bianca che lo divideva in due metà perfette fosse la linea di confine per una terra di nessuno.
- Andate da Nande a farvi controllare. Se vi ammalaste di nuovo, sarebbe un problema per Tara. -
Lo Sha'ir annuì. Tese la mano alla ragazza, l'aiutò ad alzarsi e poi quasi la trascinò fuori dal cortile. La sua magrezza smunta appariva ancor più spettrale nella semioscurità.
"Come ti senti?"
"Stanca. E questa sabbia è tutto fuorché comoda."
Pavona rise nella sua testa. Il suono aveva un che di leggero e rassicurante.
"Mi dispiace che stasera sei venuta inutilmente."
"Prima o poi sarebbe successo. Non è l'unica scuola di gladiatori che fa una cosa del genere."
"Quante ce ne sono?"
"Nell'Impero Siham? Tante. Quella di Kalaspirit è una delle più conosciute, ma di certo non è la più grande."
Durga sbadigliò rumorosamente e si fece scrocchiare le dita, prima di muovere un'altra pedina in avanti. Nemeria le lanciò una lunga occhiata e attese le altre mosse per assicurarsi che non si addormentasse.
"Non penso sia giusto che tu parli con me."
"Preferisci che me ne vada?"
Nemeria si prese il suo tempo per rispondere. Fissare Agni che danzava tra le fiamme la rilassava, ma senza uno stimolo sarebbe crollata prima dell'alba. La fame, anche se l'aiutava a rimanere sveglia, presto sarebbe rimasta schiacciata dallo sfinimento della giornata.
"Non penso che le tue amiche ti biasimerebbero, se è questo che ti preoccupa."
"Come fai a saperlo?"
"Tu diresti loro qualcosa?"
"No, ma..."
"Ma?"
"È che mi sembra di barare. Non è giusto nei loro confronti."
"Allora parliamo finché non senti di potercela fare da sola, va bene?"
Era difficile dire di no. Se sull'altro piatto della bilancia non ci fosse stato Batuffolo, forse avrebbe rifiutato: lui contava più del suo orgoglio e delle aspettative di Tyrron.
"Anche se, dopo tutto quello che ha fatto per me, non voglio deluderlo."
"A chi ti riferisci?"
Il sussulto di Nemeria scatenò l'ilarità di Pavona.
"A Tyrron, il mio lanista. A suo modo mi ha aiutata ed è stato..." cercò la parola giusta tra poteva associare. " È stato gentile, ecco."
 "Allora cerchiamo di non deludere le sue aspettative."
La scuola divenne inconsistente, sprofondò in un bianco accecante e i contorni si distorsero, delineando una piana che si estendeva a perdita d'occhio. L'erba era affilata, dritta e ispida come il pelo di un gatto. Davanti a Nemeria, come perse in lontananza, nuvole bianche e paffute nascondevano allo sguardo la cima delle montagne.
- Le Montagne Celesti. Le avevi mai viste? -
Pavona era apparsa al suo fianco. Indossava una tunica lunga fino al polpaccio, con maniche larghe e colletto alto foderato di pelliccia. I calzoni, di un marrone scuro che aveva trattenuto il profumo di quercia, erano rimboccati all'interno degli stivali di pelle a punta rialzata. Un vento freddo frusciava tra gli steli e le scompigliava la coda che fuoriusciva dal copricapo rosso. Senza trucco non sembrava nemmeno lei.
- Ne avevo solo sentito parlare. - rispose Nemeria.
Non era agitata: quella era una Condivisione, tanto reale da sembrare vera. Ma inconsciamente, con una consapevolezza che niente aveva da spartire con la ragione, avvertiva che non era niente di più che un ricordo molto vivido.
- Come puoi farlo se sai padroneggiare solo la terra? -
- La terra è un elemento pesante, come l'acqua. Conoscerne a fondo uno equivale a carpire qualche segreto dell'altro. - le lanciò un'occhiata in tralice e aggiunse, - Tu sai di cosa sto parlando. -
Nemeria stava per ribattere, quando si ricordò che lei aveva visto tutto durante la Condivisione del loro primo incontro.
- Imparerai, a piccoli passi. -
- Vorrei possedere la tua sicurezza. -
- I maestri devono avere fiducia quando i loro allievi non ne hanno abbastanza. -
Pavona sorrise e Nemeria si sentì rinfrancata.
Rimasero sedute sui massi su cui erano apparse, a fissare il recinto dei montoni, dei cavalli e dei buoi sorvegliati da quattro cani dal pelo lungo e maculato. Un altro, un mastino col muso schiacciato e la lingua di fuori, si aggirava tra le yurte, più per elemosinare del cibo che per far loro la guardia. Quando giunse vicino, annusò le gambe di Pavona, si accucciò al suo fianco e la fissò finché non le strappò una carezza.
- Zambaga. Me la ricordo ancora. Amava rincorrere i cavalli, anche quando era chiaro che non aveva possibilità di vincere. - mormorò la donna, grattandole il collo e dietro le orecchie, - Vieni, è ora di pranzo. -
Fece cenno a Nemeria di seguirla verso la yurta più vicina.
Negli ultimi anni, Nemeria le aveva viste usare poco, forse perché la sua tribù non si era spesso spinta oltre i confini dell'impero, ma ricordava lo scheletro di doghe e la quantità di calore che il panno di feltro era capace di trattenere. Tuttavia, il luogo di nascita di Pavona era un luogo freddo, ben lontano dal deserto e dalle sue piccole oasi. E di quel giorno non le rimanevano altro che sfumati ricordi tattili, legati più a suoni e sapori appartenenti a una memoria sopita e impolverata dagli anni.
La porta di legno della yurta si aprì senza un cigolio. Pavona dovette piegare la testa per entrare, mentre Nemeria scivolò dentro senza nessuna difficoltà. Anche lei indossava i suoi stessi abiti, con un copricapo simile ma a falda larga.
Ad accoglierle fu un'aria di festa e due Jichéngrèn poco più alti di cinque piedi e mezzo. L'uomo vestiva come Pavona, la donna invece indossava un cappello con delle lunghe nappe verdi, abbinate alle strisce blu che si avviluppavano attorno alle orecchie, così lunghe e sottili da sembrare le ali di un pipistrello. Le escrescenze ossee che disegnavano le sopracciglia e contornavano gli zigomi sporgenti erano state dipinte di rosso, in modo da mettere in risalto gli occhi a mandorla.
Nemeria si inchinò in segno di saluto, seguendo l'esempio di Pavona, e poi vennero accompagnate alla tavola, un tappeto di lana attorno a cui erano seduti sia altri Jichéngrèn che i membri della tribù. Nemeria riconobbe Hediye, Fakhri, Arsalan e molti altri. Tutti erano più giovani, più sorridenti; parevano amici raccolti alla stessa tavola durante una ricorrenza, parlavano tra di loro con un'intimità che Nemeria aveva visto riservata solo all'interno della tribù.
- Sedici anni fa era diverso. -
Pavona si sedette tra due bambine Jichéngrèn che stavano divorando delle frittelle. Le lanciarono una lunga occhiata incuriosita, poi una di loro, la più piccola a giudicare dalle escrescenze ossee meno accentuate, le porse una ciotola con brodo e gnocchi fritti.
Nemeria prese posto dietro Pavona e rimase imbambolata a guardare i partecipanti al banchetto. Sua madre era bellissima da giovane. Non era sicura di quanti anni avesse, ma portava i capelli tagliati corti e una lunga collana di finti denti di leone e perle colorate. Aveva le guance rosse, sia per il riso che per l'arakà, il liquore a base di latte prodotto dagli Jichéngrèn. Fakhri e Arsalan sedevano vicini e si stavano dividendo le fette di pane per spalmare il formaggio di capra. Lei corrispondeva alla maestra dei suoi ricordi, quella che portava le orecchie tempestate di orecchini di tutte le grandezze e forme e i capelli perennemente raccolti in una crocchia al di sotto della nuca, con solo qualche filo di un grigio così tenue da confondersi col bianco della chioma. Mangiava con la solita calma, masticando ogni singolo boccone come se fosse il primo e unico. Pure Arsalan era come lo ricordava: burbero, austero, con delle occhiaie che, col tempo, si erano approfondite fino a diventare una vera e propria rete incisa nella pelle.
Era strano per Nemeria vederli così, com'erano stati anni prima. Sembravano persone diverse, più felici, più libere, più umane. Persino le Jinian Anziane si concedevano qualche sorriso e, anche se quello che provavano non era altro che l'ombra di un sentimento, il corpo rilassato esternava la loro serenità interiore.
- Cosa ci è successo? - mormorò meravigliata.
- Sedici anni fa, l'Alta Sacerdotessa scelse il suo Unico e rimase incinta. -
Non servì che Pavona gliela indicasse, Nemeria la riconobbe subito. Sedeva sorseggiando una tazza di tè accanto allo Jichéngrèn che era venuto ad accoglierle. La luce cerulea dei tatuaggi filtrava attraverso la stoffa e bastava un movimento poco più ampio del braccio perché la manica li scoprisse un po'. Nemeria, però, non riusciva a staccare gli occhi dal ventre gonfio che l'Alta Sacerdotessa non smetteva di accarezzare.
- Era un uomo del Nord conosciuto durante un pellegrinaggio al santuario dell'acqua, in Jogalia. Per la Madre, quanto amava quella bambina! Quando nacque, me lo ricordo, eravamo ancora qui e io assistetti al parto. Dovevi vedere come la stringeva, l'amore nel suo sguardo mentre le dava il suo latte. -
- E cosa è cambiato da allora? -
- Le Anziane, dopo un anno dalla nascita, dovettero obbligarla ad affidare la bambina all'Ikaelan scelta. È stato orrendo vederla crollare. -
Nemeria non riusciva nemmeno a immaginarsi una scena del genere. Per lei, l'Alta Sacerdotessa era sempre stata una donna forte, eterea, invincibile.
- Non so se fu quello o l'inizio del conflitto con l'impero Skandaaleshan a indurla a credere che allontanarci ancora di più dai mortali fosse la scelta migliore. -
- Quindi loro... - indicò gli astanti, - Loro sapevano chi eravamo? -
- Probabilmente sì, ma l'Alta Sacerdotessa tolse loro la memoria prima di ripartire. Forse c'è ancora qualcuno tra i mortali che si ricorda di aver mangiato alla nostra stessa tavola, ma ormai siamo materiale da leggende. - fissò i fondi d'erbe e trasse un profondo respiro, - È il motivo per cui ho abbandonato la tribù. Volevo vedere, volevo conoscere, non potevo più accontentarmi di osservare il mondo da lontano. -
- Mi dispiace che tu te ne sia andata. -
Pavona tese la mano verso una Jichéngrèn che le stava offrendo del tè.
- È stata una mia decisione, sapevo che quello era un addio. Se potessi tornare indietro non rimarrei, ma direi ad Afsar e alle mie sorelle quanto le amavo una volta di più. -
Nemeria si ricordava di Afsar. Era una donna sulla quarantina, con le labbra prominenti, le sopracciglia disegnate e i capelli rasati screziati di grigio. Si prendeva cura di Ziba e dei suoi due fratelli nonostante gli acciacchi della vecchiaia e l'anca dolorante.
- Questi ricordi sono tutto ciò che mi rimane della nostra tribù, ma per quanto li tenga stretti pian piano svaniscono. Ho deciso di condividerli con te perché vorrei che anche tu li conservassi. Magari molti di loro non li hai mai incontrati, però è importante che tu sappia com'eravamo. -
- Lo capisco. -
Giunse le mani in grembo e posò lo sguardo su Hediye. Quanto le sarebbe piaciuto andare da lei e stringerla forte, dirle che le voleva bene, che era stata la madre migliore del mondo. Invece l'unica cosa che poteva fare era osservare com'era in un ricordo. Si strinse la stoffa all'altezza del cuore. Era così vicina, eppure già troppo lontana nel tempo.
- Hediye era una brava persona. Tutte le Anziane concordarono nell'affidare a lei la figlia dell'Alta Sacerdotessa. -
Nemeria rimase interdetta. Aprì le mani e contò a bassa voce sulle dita. Per ogni anno che sottraeva, l'intuizione che aveva avuto si delineava con sempre maggiore chiarezza nella sua mente. Come le tessere di un mosaico, i dettagli andarono al loro posto, delineando il quadro generale. Impallidì.
- Qualcosa non va? - domandò Pavona.
- Ti ricordi il nome della bambina? -
- Etheram. - girò appena la testa e la fissò in tralice, - Significa qualcosa per te? -
Le labbra a cuore, il naso all'insù, le ciglia lunghe e folte e le orecchie leggermente a punta. Visti sotto un'altra luce, quegli elementi acquisivano un altro significato. Allungò l'indice e sfiorò il bozzo della pietra di luna nascosta sotto i vestiti.
- Mi chiedo solo perché non me ne sia mai accorta. -
- Quando una persona è una costante nella nostra vita, la vediamo meno chiaramente di quanto pensiamo. -
- Sì, ma... -
Si interruppe prima di proseguire la frase. Aveva davvero importanza, a quel punto, sapere chi era figlio di chi? Etheram non ne aveva idea e nemmeno Nemeria sarebbe mai dovuta venirne a conoscenza.
- Nemeria? -
Scosse la testa e trasse un lungo respiro: - L'unica cosa che mi dispiace è non averlo potuto scoprire con lei. -
- Ti riferisci alla persona che ti ha regalato la pietra di luna? -
Nemeria tirò fuori il ciondolo e se lo rigirò tra le mani. I riflessi violacei si coloravano ancora di più ogni volta che captavano la luce.
Pavona chiuse la pietra tra le ultime due falangi e abbozzò un mezzo sorriso.
- Non poteva sceglierne una migliore per te. La pietra sacra della Madre è al contempo simbolo del coraggio, della speranza, della purezza e della fede. -
Nemeria deglutì e percepì gli occhi riempirsi di lacrime. Pavona la prese sottobraccio e l'aiuto a mettersi in piedi.
Fuori il vento aveva ammassato le nuvole in uno strato compatto che la luce faceva fatica a oltrepassare. Il freddo si insinuava sotto i vestiti e le intirizziva le dita delle mani e dei piedi. Per quanto sapesse che non poteva ammalarsi, Nemeria affondò il viso nel colletto di pelliccia.
Rimasero a contemplare il paesaggio per un po'. Per la gente che si spostava in quel nulla colmo di vita, la libertà correva nel vento e passava tra i fili d'erba, piegandoli con la gentilezza di un soffio primaverile. Era veloce, alta, leggiadra; cavallo, aquila e servalo assieme. E le Montagne Celesti parevano l'unica barriera esistente, una frastagliata corona di roccia e ghiaccio opaco che si perdeva nel bianco abbacinante.
Pavona sfiorò ancora una volta la pietra di luna. Le sue dita rimasero sospese un istante prima di discostarsene.
- Un giorno le vedrai anche tu. -
Pavona le strinse forte le mano. Cielo e terra divennero un tutt'uno e il bianco sommerse ogni cosa.
 
Nemeria sbatté le palpebre un paio di volte. Si sentiva tutta intorpidita e non c'era muscolo che non le dolesse. La notte stava schiarendo nell'aurora e il profilo rosato del sole si allargava in un'aureola oltre il tetto della Scuola.
Pavona non era più lì. Il corvo che usava per parlare con lei era rimasto, ma i suoi occhi avevano perso quello scintillio di consapevolezza umana.
"Quindi la prova è finita."
Le guardie si erano date il cambio, mentre i Syad erano gli stessi. Sayuri se ne stava dritta a guardare l'alba. Roshanai se ne stava appoggiata alla colonna con le dita legate dietro la nuca e lo sguardo rivolto sui ragazzi rimasti. Nemeria ne contò una trentina, tra cui Durga, Ahhotep e Noriko. Con suo disappunto, vide che neppure Abayomi e Zahra mancavano all'appello. Si erano accaparrati un angolo lontano che era stato precedentemente occupato da altri concorrenti, ma dove alla fine erano rimasti solo loro due. Poco più in là, steso terra con la gamba piegata sul ginocchio, c'era il ragazzo alto, quello che aveva visto quando erano in coda. Il braccio destro gli sosteneva la testa mentre l'altro a volte afferrava un pugno di sabbia, per poi lasciarla fluire tra le dita aperte. I capelli erano chiari e sottili e le orecchie simili alle ali di una farfalla, con l'elice che si assottigliava sempre più, allungandosi verso l'alto.
"Un Eoin'id? Che ci fa qui?"
Un crampo allo stomaco tagliò di netto il filo dei suoi pensieri. Nemeria si strinse la pancia e si dondolò avanti e indietro finché il dolore non diminuì. Aveva fame e i rumori provenienti dalle cucine non aiutavano affatto. Durante la Condivisione, nonostante si fosse ritrovata davanti a una tavola ricca di prelibatezze, non aveva sentito il bisogno di mangiare. Ora invece, salivava al solo profumo del pane.
Pure Durga sembrava soffrire tanto quanto lei: si era raggomitolata con le bracci avvolte attorno alle ginocchia e si dondolava, gli occhi che si chiudevano e si riaprivano a intervalli di pochi istanti.
"Almeno stanotte non ha fatto freddo. Ma se anche fosse caduta la neve, avremmo dovuto fare comunque questa maledetta prova."
Attesero un'altra ora, durante la quale altri tre caddero addormentati. Nemeria seguì con lo sguardo la loro ritirata e poi tornò a giocare con la sabbia, a compattarla in modo da darle una forma quanto più definita possibile. Non era importante che fosse bella o complessa, semplicemente era essenziale tenere occupati il corpo e la mente.
Il suono lungo e prolungato di un corno ruppe il silenzio nel campo.
- In piedi. - intimò una delle guardie, mentre gli altri soldati si avvicinavano compatti.
Noriko le passò un braccio sotto le ascelle e l'aiutò a rimettersi in piedi. Se soltanto non si fosse sentita le gambe così irrigidite, Nemeria l'avrebbe respinta, ma le veniva difficile anche solo mantenerle dritte sotto il suo peso. Ahhotep fece lo stesso con Durga, con la differenza che dovette praticamente sollevarla di peso.
Koosha e i lanisti arrivarono una decina di minuti dopo. Stavolta, però, entrarono dal portone della Scuola, tutti vestiti con la stessa medesima eleganza del giorno precedente, a parte Tyrron, che invece aveva optato per un chitone di lino sbracciato, annodato sulle spalle. Ai piedi portava dei sandali alti di cuoio rosso, alti fino allo stinco e impreziositi con schegge d'avorio. Oltre a Morad, si accompagnava a una qazam che Nemeria non aveva notato il giorno prima. Gli arrivava a malapena alla vita, ma aveva un bel sorriso, che il rossore sulle guance non faceva altro che rendere ancora più dolce.
Koosha si fece avanti e abbracciò con lo sguardo il campo. Passò un lungo istante in cui nessuno fiatò.
Durga rimase appoggiata ad Ahhotep, ma tenne il mento alzato, orgogliosa come una leonessa, mentre la sua compagna la sosteneva per il fianco, i capelli appiccicati alla fronte appena sudata. Noriko, così come Zahra e Abayomi, ricambiò le occhiate del preside come se fossero indirizzate soltanto a loro.
- Per voi che siete rimasti: bravi. Avete superato la prima prova, quella che vi darà l'accesso al torneo. Mi congratulo con ognuno di voi e spero che questo non sia che l'inizio della vostra scalata verso il successo. - fece una pausa e affetto, - Il torneo comincerà tra quattro giorni. In questo tempo, le lezioni sono sospese. Siete liberi di utilizzare i campi quando e come volete per allenarvi o, se siete già sicuri della vittoria, potrete rimanere nelle vostre camere a riposare. Quel che importa è che, alla fine, siate gli unici a rimanere in piedi. -
Tyrron guardò Nemeria con palese orgoglio. E anche se il sangue faticava a fluire nelle gambe, Nemeria tirò indietro le spalle e intrecciò le dita dietro la schiena. Non era tutto merito suo, ma non le interessava: poteva sopportare uno smacco alla sua autostima per riavere indietro Batuffolo.
"Etheram sarebbe fiera di me."
Due ragazze con i capelli legati in svariate trecce e le guance paffute camminarono fino al limitare del campo, mentre i soldati ingiungevano ai concorrenti vicini di indietreggiare. Srotolarono due pergamene e cominciarono a chiamare i gladiatori che si erano sottoposti alla prova, suddivisi secondo i nomi dei lanisti. Se nessuno rispondeva, spuntavano quello del concorrente con un carboncino, alzando solo di tanto in tanto la testa per controllare chi avesse alzato la mano. Finalmente, Nemeria poté associare il nome di Tana alla qazam che affiancava Tyrron, e scoprì anche che l'Eoin'id si chiamava Senan e apparteneva a un certo Siamak, un uomo con il naso aquilino e gli zigomi bassi e poco pronunciati che si era mantenuto in disparte. Lo sguardo compiaciuto, a metà tra un ghigno e una smorfia, che rivolse al gladiatore non le piacque affatto.
Quando Koosha diede loro il permesso di andare a far colazione e si ritirò ai piani superiori, Tyrron fece cenno a Nemeria e Noriko di avvicinarsi.
- Stasera siete ospiti a casa mia. Morad verrà a prendervi poco prima di cena. Vedete di farvi trovare pronte prima del suo arrivo. - disse e poi, mentre gli altri lanisti parlavano con i propri gladiatori, imboccò le stesse scale di Koosha.
- Vieni, andiamo a fare colazione. Ne hai bisogno. - la esortò Noriko.
- Sì... -
Nemeria si stropicciò gli occhi e si concesse un sospiro di sollievo. Noriko le passò una mano sulle spalle e la strinse a sé.
- Adesso non preoccuparti di nulla. Mangia e riposati. Dopo, quando ti sentirai meglio, valuteremo cosa fare. -
Quel dopo non venne mai, perché non appena tornarono in camera Nemeria crollò addormentata sul letto.
La sera, puntuale, venne Morad a prenderle. Nemeria avrebbe volentieri dormito di più, ma non le era parso che Tyrron avesse incluso nella sua proposta la possibilità di declinare l'invito.
Faceva più freddo rispetto alla sera precedente, il calore intrappolato nelle pietre della strada era già evaporato nell'aria vespertina. La luce filtrava dalle finestre e il vento ingrossava le tende.
Al loro arrivo, i due uomini a guardia del portone della casa di Tyrron si spostarono per lasciarli passare. Una volta dentro, Imar e Adel corsero loro incontro e li condussero nella grande sala da pranzo, già abilmente apparecchiata per tre. I letti, anche in quest'occasione, erano stati spostati contro le pareti, così da lasciare spazio al lungo tavolo, dove capeggiavano diverse portate.
Tyrron le attendeva seduto a capotavola, un'anfora piena di vino a portata di mano. Non appena entrarono, fece loro segno di raggiungerlo e si alzò.
- Venite. Avrete sicuramente fame. -
Il sonno si era fatto da parte nel momento in cui il profumo della carne le aveva stuzzicato le narici, però Nemeria si sforzò di mostrarsi il più dignitosa possibile. Attese che Noriko prendesse posto di fianco a Tyrron e si sedette vicino a lei, cercando di non gettare troppe occhiate in direzione della cucina.
- Sono sorpreso che entrambe siate riuscite a passare la prova. Su Noriko non avevo dubbi, ma mi stupisce che anche tu ce l'abbia fatta, Nemeria. -
- Mi sono impegnata molto. Non è stato facile. -
"L'ho fatto soprattutto perché rivoglio Batuffolo."
- Il tuo caracal sta bene. - le disse, come se le avesse letto nel pensiero, - Se ne sta occupando Morad. Koosha non ne ha voluto sapere di fartelo tenere senza che te lo meritassi. Il meglio che ho potuto fare è stato quello di lasciarlo in mani fidate. Se riuscirai a impressionarlo, in ogni caso, non credo farà storie, considerando che uno dei gladiatori di Siamak ha un pitone bianco come animale domestico. -
- Siamak è il lanista più anziano di tutti. - la informò Noriko e Tyrron annuì.
- I suoi gladiatori sono quelli che hanno vinto più tornei negli anni. Ha un occhio invidiabile per gli affari, glielo concedo. -
Adel portò due giare dipinte con dei motivi geometrici, triangoli rossi e verdi che si arrotolavano alla base e sui manici. Quando le posò sul tavolo, un profumo di datteri e frutta si diffuse nell'aria e si accompagnò a quello di piccione e capretto appena sfornati. Venne servito, infine, un antipasto su un tagliere di pistacchi, noci, nocciole, uova, capperi e olive.
A parte la carne, erano tutte cose che Nemeria aveva sempre mangiato, ma che Jaffar, il cuoco di casa, cucinava molto meglio rispetto a quello della Scuola. Si mise nel piatto una tartina con pasticcio di cacio e aglio e una con gremolato d'olive, in attesa che Imar finisse di servire il padrone di casa.
Tyrron levò il calice ed entrambe le sue ospiti fecero lo stesso.
- Alla vostra prima vittoria. -
Brindarono e il vino scese in gola in un'amarognola carezza liquida che fece tossire Nemeria.
- Troppo forte per te? - le domandò divertito Tyrron.
- No, sì... più o meno. - Nemeria storse le labbra in una mezza smorfia e se le pulì col dorso della mano.
- Ho fatto portare anche la birra e l'acqua, ma certe occasioni meritano d'essere festeggiate con tutti gli onori del caso. -
Finì il suo bicchiere e se lo riempì di nuovo subito dopo. Il colore scuriva nel viola fino a diventare quasi nero sul fondo e la luce delle diverse lanterne si scomponeva in tremule onde luminose man mano che versava altro vino. Poi Tyrron riprese la parola.
- Quella di stanotte è stata la vostra prima prova, ma la vera sfida sarà il torneo. Sono passati ben trentadue gladiatori, molti più di quelli che ci aspettavamo, ma abbastanza per indire qualcosa di più grande e spettacolare rispetto agli altri anni. - si portò alle labbra un pezzo di capretto e lo masticò con calma, - Sarò onesto: non mi aspetto che vinciate. Gareggiano ragazzi e ragazze anche più grandi di voi, alcuni ben più addestrati. -
Nemeria ripensò a Senan e provò a immaginarsi come sarebbe stato avere lui come avversario. Ingoiò il risultato dello scontro in un boccone di sugo e capretto.
- Quello che però pretendo è che stupiate. Il torneo non si svolgerà nell'arena ufficiale, ma comunque sarà pubblico e dovrete fare di tutto per attirare l'attenzione su di voi. Gli sponsor vi osservano dalla platea e questa può essere la vostra occasione per conquistarne uno. -
Nemeria sillabò la parola “sponsor” con evidente confusione e attese che uno degli altri due commensali le spiegasse il significato, ma venne ignorata.
- Dobbiamo tenere qualche nome a mente? - chiese Noriko.
- Potrei dirvene qualcuno, ma non avendoli mai visti sarebbe inutile. Combattete come se tutti i membri del pubblico, uomini e donne, lo fossero. O fingete che siano nascosti tra di loro, non ha importanza. Ciò che conta è che loro sono la chiave di volta che vi permetterà di ripagare il vostro debito. Un gladiatore con un buono sponsor può permettersi armature e armi migliori, riceve soldi, vestiti e inviti. Conquistatevi il favore di uno di loro e le vostre possibilità di lasciarvi alle spalle la vita nell'arena aumenteranno. -
Noriko annuì distrattamente e ruppe una noce tra i due palmi. Tyrron la studiò tra un boccone e l'altro.
Nemeria ebbe un brivido quando allontanò il piatto e intrecciò le dita sotto il naso.
- Non pensi ne valga la pena? -
- Se questo è ciò che vuoi, farò il necessario e anche di più per farmi notare. - rispose la ragazza.
Tyrron sospirò e scosse la testa. Nemeria ebbe l'impressione che quella non fosse la prima volta che lui e Noriko avevano una conversazione simile.
In quel momento Adel portò tre fette di torta di pere. L'odore del cumino e del pepe era forte, ma sulla lingua si amalgamava con la consistenza morbida del miele e il pizzicore acidulo del vino.
- Il torneo si svolgerà tra quattro giorni, come vi hanno detto stamattina. Le modalità su come avverranno gli accoppiamenti verranno comunicate il giorno del torneo stesso. Fino ad allora, vedete di occupare il tempo che avete a disposizione come meglio credete. Ora, - si alzò e le guardò entrambe, - c'è qualche richiesta speciale? -
- Io vorrei vedere Batuffolo. - pregò timidamente Nemeria.
- Mi chiedevo quando ti saresti fatta avanti. Vieni. -
Tyrron le rivolse un sorriso sghembo e Nemeria si affrettò a seguirlo quando la condusse attraverso i corridoi, fino a una serie di stanze chiuse da una semplice porta di legno vicino alle cucine. Soltanto una era socchiusa e dall'interno proveniva la luce soffusa di una candela. Nemeria l'aprì con delicatezza. Non appena Batuffolo caracollò verso di lei, gli corse incontro e lo strinse tra le braccia.
Morad sedeva sul letto con le mani abbandonate tra le gambe.
- È il cucciolo più indisciplinato con cui abbia avuto a che fare. - borbottò, ma Nemeria non lo ascoltò.
Affondò il viso nel pelo morbido del collo del felino e lasciò che lui le leccasse la guancia con la lingua ruvida. Lo avrebbe stretto per sempre se Morad non glielo avesse preso dalle braccia.
- Vedi di impegnarti se vuoi riaverlo, fiammella. - l'apostrofò Tyrron.
Quell'epiteto la fece irrigidire, ma la sua ironia bonaria non aveva niente a che vedere con il sarcasmo di Abayomi.
"Non posso più rimandare."
- Morad, riporta le nostre gladiatrici alla Scuola. E fa' in fretta, ho dei compiti da affidarti. -
Quando tornarono nelle loro stanze, Nemeria si buttò sul letto senza cambiarsi, con ancora il calore di Batuffolo impresso nei vestiti.
La mattina seguente, Durga venne a svegliarle che il sole non aveva ancora riscaldato la terra. Nemeria infilò la testa sotto il cuscino e sperò con tutta se stessa che anche Noriko l'avrebbe ignorata. Invece la sua amica si alzò in un balzo e andò ad aprire.
- Io e 'Tep pensavamo di andare ad allenarci. Venite anche voi due, vero? -
- Penso di sì. -
- Allora vi aspettiamo al campo dell'acqua. -
- Va bene. -
Noriko chiuse la porta e si voltò verso Nemeria.
- Hai intenzione di far finta di dormire ancora a lungo? -
- Mi sarebbe piaciuto rimanere a letto, in realtà. -
Rimase stesa ancora un poco, ma prima di cambiare idea si tirò su in un unico scatto. Premette forte le dita sugli occhi e sbadigliò, mentre seguiva distrattamente i movimenti di Noriko.
- Perché al campo dell'acqua? -
- Ad Ahhotep non piace avere estranei intorno durante gli allenamenti. -
- Non mi è mai sembrato ci fossero altri dominatori dell'aria. -
- Non i primi tempi che eravamo qui. Poi ne sono arrivati altri. -
- Non ci ho fatto caso. -
- Tu sei sempre distratta. -
Nemeria arricciò il naso con disappunto, ma incassò senza replicare. Si accostò all'armadio, si tolse la tunica e la strinse al petto. I peli di Batuffolo rimasti impigliati nel tessuto le solleticarono le narici e le inumidirono gli occhi. Nemeria la ripiegò con precisione e lentezza, come se, così facendo, fosse stata in grado di intrappolare l'ombra della sua presenza fino a sera.
- Dobbiamo scendere subito? -
- Prima andiamo, prima cominciamo gli allenamenti. - Noriko inclinò la testa e ruotò gli occhi verso di lei, - Qualcosa non va? -
Nemeria si allacciò le endromis. Anche se era andata a dormire più presto del solito, non si sentiva riposata. Aveva bisogno di svuotare la testa e trovare una soluzione.
- Nulla, volevo solo sapere se avevo un po' di tempo per andare a farmi un bagno. -
- Mi sono accorta che hai avuto un sonno agitato, ieri notte. -
Nemeria non si stupì più di tanto. Non ricordava bene cosa avesse sognato, ma le erano rimaste impresse le voci, da scenario a scenario. Hirad, Altea, Kimiya, Dariush, e poi Etheram, Rakhsaan, Hediye, e dopo ancora Zahra, Abayomi, Ana, Il'ya. Se chiudeva gli occhi, poteva quasi udirli mentre la chiamavano.
- Nemeria. -
Noriko si era seduta al suo fianco e le aveva avvolto la mano tra le sue.
- Cosa c'è che non va? In queste settimane sei stata sfuggente. Speravo di poter parlare con te dopo gli allenamenti, ma hai sempre schivato tutte le mie domande con la scusa della stanchezza per sgusciare via di nascosto a tarda notte. Abayomi ti ha fatto qualcosa? Ha scoperto il tuo segreto e ti sta ricattando? -
Nemeria si sentì una stupida ad aver preso in considerazione anche solo la possibilità che non se ne accorgesse. Noriko era un'osservatrice attenta.
Trasse un profondo respiro e sgranchì le spalle e il collo.
- No, lui non sa nulla di me. -
- E allora cosa occupa così tanto la tua mente? -
Nemeria sottrasse la mano dalla presa di Noriko.
- Non te lo posso dire. -
- Semmai non vuoi dirmelo. -
- Anche. - fu costretta ad ammettere Nemeria, - Ma perché è davvero complicato da spiegare. -
L'espressione di Noriko non cambiò. Dopo un momento troppo lungo annuì, con quella gravità che caratterizza un soldato insoddisfatto ma obbediente.
- Ci sono molti segreti tra di noi. -
Nemeria abbassò lo sguardo sul pavimento: - Mi dispiace, Noriko. Non è che non mi fidi di te, è che... -
- No, non scusarti. - si lisciò le pieghe della tunica e si alzò, - Abayomi si allena con Zahra al campo della terra, anche se a volte spariscono nell'altra ala della scuola.-
Prima che Nemeria potesse riprendersi dallo stupore, uscì a grandi falcate e si richiuse la porta alle spalle.
"E adesso?"
La domanda aleggiò nell'aria per un po' e rimase insoluta. Quando il silenzio le rese difficile pensare, decise di uscire pure lei. Non aveva una meta precisa e, anche se sapeva che camminando non avrebbe trovato la soluzione ai suoi problemi, si rese conto che se fosse andata ad allenarsi non avrebbe concluso nulla. La sua mente vagava da un pensiero all'altro, in balia dell'indecisione, della spossatezza e dei sentimenti repressi nelle settimane precedenti. C'erano così tante questioni irrisolte, che non faceva a tempo a focalizzarsi su una che un'altra appariva, richiamando prepotentemente la sua attenzione. Aveva la nausea, come se si trovasse in balia di una tempesta in mezzo al mare.
Scese le scale, oltrepassò i bagni e percorse un corridoio parallelo al campo d'allenamento centrale. Le guardie le scoccarono appena uno sguardo, prima di tornare a parlare tra di loro. Erano di meno rispetto a quelle che stazionavano sugli altri piani e, quando sbirciò nella fessura tra l'uscio e la porta lasciata socchiusa, Nemeria capì il perché.
Vide una camerata con una trentina di letti, divisi solo da alcuni bassi e sparuti comodini. La luce proveniva per lo più dalle lanterne che penzolavano dal soffitto, delle bocce di vetro opaco simili a bolle di ghiaccio sporco che faticavano a scacciare le ombre più vicine. L'unico accesso sul mondo esterno era una finestra incassata nel muro che aggettava sulla strada, così piccola da dare l'impressione di osservare un quadro in miniatura.
Nemeria compì un paio di passi all'interno e tastò con mano il letto più vicino. Il materasso era duro e bitorzoluto, molto più scomodo di quelli dove dormivano lei e Noriko, e il cuscino era sottile e svuotato, con le piume che fuoriuscivano in ispidi ciuffetti dai buchi nella federa.
"La stanza della servitù, immagino."
Si sedette sul bordo, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Il fresco le snebbiò la mente e placò un po' la sua inquietudine.
Aprì la mano e attinse al potere di Agni. Ormai le veniva naturale come respirare. Tuttavia, la semplicità con cui la fiammella si accese la sorprese. Il collare restava sempre un impedimento, un blocco seppur minimo a una discesa altrimenti semplice, ma non era più un peso. Era una corda, una stupida corda che la tratteneva con uno strattone quando provava ad attingere troppo in fretta o pretendeva troppo potere.
Mosse le dita e plasmò la fiamma nelle sembianze di un coniglio in corsa, poi di un cerbiatto e, infine, di un piccolo caracal che si rotolava sul palmo.
Volontà. Bastava averne abbastanza per imprimere la forma al fuoco. La sfida era mantenerla, perché il fuoco era un elemento instabile che cambiava come e più in fretta di un pensiero, come le aveva spiegato Pavona.
La fiamma si assottigliò in una sinuosa lingua luminosa, si allungò e compose le braccia di una donna che danzava battendo un req contro il polso. I sonagli trillavano a ogni colpo, scandendo il ritmo dei fianchi e delle giravolte. Agni ballava con un'eleganza che avrebbe incantato chiunque, come quelle gitane con le gonne ampie cucite di mille colori che allestivano i loro spettacoli agli angoli delle strade. Nemeria era sorda alla sua musica e anche alla sua voce. Se avesse voluto sentirla, avrebbe dovuto scendere e, forse, nemmeno in quel caso ci sarebbe riuscita. D'altronde, sebbene Agni fosse sempre dentro di lei, era comunque una semplice fiamma: instabile, precaria, caduca. Se non era lei stessa a protendersi, ad accendersi al richiamo di Nemeria, persino la costrizione del collare poteva bloccarne il flusso.
- Dominatrice. -
Nemeria chiuse le mano e si voltò di scatto. Il ragazzo che era venuto nella sua camera la sera della prova la fissava da dietro un letto con gli occhi azzurri animati da una luce curiosa.
- Come ti chiami? -
- Ozgur. -
- Il letto è tuo? -
Lui annuì, ma quando Nemeria fece per alzarsi scosse la testa.
- Stare. Nessuno dire nulla. -
- Ah, va bene. Puoi sederti accanto a me, se vuoi. -
Ozgur si morse l'interno della guancia. Teneva sottobraccio una palla di vestiti che nella semioscurità polverosa sembravano tutti grigi.
- Lavorare o capo arrabbiare. -
Nemeria annuì. Il viso tondo e i capelli scompigliati le ricordavano suo fratello Rakhsaan. I colori che appartenevano a Ozgur erano più scuri, retaggio di un sangue legato al deserto, alle oasi e al vento caldo, ma nelle fossette sotto gli occhi e nell'andamento scarmigliato dei riccioli Nemeria rivedeva la stessa implacabile voglia di fare di suo fratello.
- Tu padrona di caracal? -
- Sì, sono io. Come fai a saperlo? -
- Quella con... - strizzò le palpebre e si passò le dita tra i capelli, - capelli rossi. Lei dura e fredda. Cucciolo dolce, troppo per lei. -
Quella descrizione sintetica di Noriko le strappò un sorriso.
- Sei stato tu a prenderti cura di Batuffolo? -
- Batuffolo. - sillabò piano Ozgur, - Caracal? -
- Sì, l'ho chiamato così. -
- Bel nome, piacere molto. E sì, dare io da mangiare a lui. -
- Anche tu devi piacergli molto. Di solito non si fa mai avvicinare dagli estranei. -
Ozgur sorrise con una punta d'orgoglio e si tirò al petto i vestiti. La sua allegria contrastava con l'angoscia di Nemeria come l'olio che galleggia senza mescolarsi all'acqua.
- Dispiace che non più qui. - mormorò imbronciato.
- Se sarò brava durante il torneo me lo ridaranno, non preoccuparti. -
- Allora semplice: tu molto brava, quindi tu vincere. -
Nemeria corrugò le sopracciglia e gli lanciò un'occhiata interrogativa.
- Io guardata, a volte. Tu rialzare sempre, anche quando elfa buttare a terra. Tu forte. - si complimentò Ozgur, - Sicuro che tu farcela a riavere Tufolo. -
- Anche Noriko è forte. -
- Tu di più. E se dire Tufolo, io credere. -
Nemeria lo fissò con tanto d'occhi e Ozgur indietreggiò, per la prima volta spaventato.
- Cosa significa che Batuffolo ti ha parlato? -
- Io andare a lavorare. -
Nemeria tentò di afferrarlo, ma una ventata improvvisa la spinse a indietreggiare così in fretta da farle perdere l'equilibrio e cadere.
"Un Dominatore dell'aria qui?!"
Lo stupore la inchiodò a terra e l'eco dei passi di Ozgur si perse in lontananza.
Nemeria rimase lì finché non percepì la pelle a contatto col pavimento farsi fredda. Con le gambe che formicolavano, si tirò su e uscì lesta dalla stanza della servitù.
 
Il resto della giornata passò con una tranquillità quasi disturbante. Nemeria andò in giro per la Scuola per tutta la mattina, muovendosi su e giù da una scala all'altra. La scoperta di un Dominatore tra la servitù la lasciava ancora incredula. Come aveva fatto a infiltrarsi lì dentro senza farsi scoprire? Era stato un gladiatore e poi, per qualche motivo, era stato scartato e relegato a lavorare lì, oppure si fingeva umano per avere un tetto sulla testa e un piatto caldo? Era un segreto che sapeva solo lei o anche qualcun altro ne era al corrente? E se era coinvolta una terza persona, perché non lo aveva rivelato a nessuno? Provò a trovare una risposta, ma le poche informazioni che aveva sulla Scuola e sul suo funzionamento non erano sufficienti nemmeno per azzardare un'ipotesi.
Girando, scoprì che al terzo piano c'era una biblioteca. Il perché in una Scuola di gladiatori ci fosse una struttura del genere la sfiorò e svanì non appena vi mise piede all'interno. Non era bella come quella di Tyrron, ma il profumo del papiro, della pelle e della polvere le conferivano sempre un'aura magica, anche se smorzata dall'aspetto austero. Le colonne e la lunga foresta d'archi che le sormontavano erano bianche, e non facevano altro che esaltare quel senso di riserbo e intimità che le stuoie di canne avevano immediatamente evocato. Se soltanto non ci fossero state le guardie a tenerla sotto osservazione, Nemeria si sarebbe potuta sentire a casa.
Passò in rassegna diversi tomi, li sfiorò con la punta delle dita e si azzardò a sfogliarne alcuni. La maggior parte dei racconti delle Jinian erano tramandati di madre in figlia oralmente, canti, ballate e storie recitare in rime ritmate, pertanto erano state poche le volte in cui Nemeria aveva potuto stringere tra le dita un vero e proprio libro. Si mise a sfogliare distrattamente un trattato sulla geografia dell'impero e pensò a sua sorella. Etheram avrebbe passato giorni in un posto come quello.
Ogni volta che la sua mente navigava verso di lei, Nemeria portava la mano al ciondolo. Stringerlo le dava forza e le trasmetteva sicurezza. Se lo avesse ceduto, come avrebbe fatto ad andare avanti? Alla fine, si ritrovava sempre al solito bivio: la sua famiglia d'origine, oppure quella di Kalaspirit, la sgangherata banda dei Ratti. E più ci rifletteva, più le sembrava che la sua mente si avvolgesse su se stessa, preda e predatrice dei suoi stessi pensieri.
A pranzo, mangiò con calma ma senza appetito, poi seguì Noriko, Durga e Ahhotep al campo dell'acqua per allenarsi. Come aveva predetto la sua compagna, a parte loro non c'era nessuno. I boccioli delle Gemme del Firmamento erano chiusi e, più che piante, parevano serpenti con più teste alla disperata ricerca di un via di fuga.
Pur con l'aria così stranamente pesante, riuscirono comunque ad allenarsi, lei e Durga con le armi, mentre Noriko e Ahhotep a colpi di pugni e calci. Si esercitarono con una tecnica dietro l'altra, fendente, tondo, affondo, duellando dapprima da sole contro i loro nemici immaginari, poi in coppia per correggersi e avere l'illusione di uno scontro serio.
Durga era davvero brava, anche se era più goffa. Preferiva attaccare piuttosto che difendersi, sequenziando una serie di colpi veloci e forti ma poco precisi. Dove Nemeria schivava rotolando sulla sabbia, lei parava; dove la lama di Durga avrebbe tagliato un braccio, la sua l'avrebbe soltanto trapassato.
Dopo la cena, andarono tutte a lavarsi e Nemeria capì quanto fosse cambiata quando si ritrovò a specchiarsi nella piscina. Il suo corpo si era tonificato, le sue braccia e le sue gambe rassodate. La pelle non si tirava più sul torace e sulle costole, ma solo sulle ossa del bacino. Aveva ancora una fisicità da bambina, ma aveva raggiunto una maturità nella perdita delle morbidezze dell'infanzia e l'acquisizione di una spigolosità dura, adulta.
La sera Pavona non venne e Nemeria gliene fu grata, anche se avrebbe voluto confidarsi con lei. Avrebbe potuto provare ad aprirsi con Noriko, ma temeva la sua reazione. Se avesse marciato nella sua stanza e avesse preso a pugni Abayomi... no, non era quello a preoccuparla. Il problema era che, in fondo, sapeva già cosa le avrebbe risposto. L'avrebbe fatta semplice, molto più di quello che in realtà era. Le avrebbe detto di tenere la pietra di luna perché era un caro ricordo, che le informazioni di Abayomi, sempre che di informazioni veritiere si trattasse, non valevano lo scambio. Così i giorni seguenti passarono nell'indecisione, in un limbo grigio sospeso tra il desiderio di avere delle risposte e la dolorosa certezza di quanto fosse difficile per lei pensare di separarsi dal suo ciondolo.
- Sei poco concentrata, oggi. -
Nemeria ingollò un lungo sorso di quell'acqua sporca che tanto odiava. Absaiyah, le aveva detto che si chiamava Noriko, un nome molto fantasioso che significava "acqua nera."
- Sono solo tesa per domani. -
- Non dovresti. Sei migliorata molto, sai? -
Durga prese il piccolo otre dalle sue mani e bevve anche lei. Si era raccolta i capelli in uno chignon sulla nuca e aveva fissato i ciuffi meno collaborativi con dei piccoli fermagli.
- Difficile non migliorare allenandosi ogni giorno. -
- Non è così scontato, sennò saremmo tutti esperti gladiatori nel giro di poco. -
- Vero. -
Nemeria distese le gambe e contemplò il campo del fuoco. A quell'ora, complice il caldo del pomeriggio, erano stati ben pochi quelli che avevano deciso di allenarsi. Persino Noriko, che di solito era quella che andava avanti a oltranza, si era ritirata prima del solito. Da quando avevano avuto quella discussione, non si erano rivolte che poche, sterili parole di cortesia.
- Nemeria, senti... davvero è tutto solo a causa di domani? -
- Tutto cosa? -
Durga fissò il dito sull'impugnatura del kilij e con l'altra mano le diede una spinta, facendola girare. Le bruciature sulle spalle erano guarite in fretta e senza lasciare segni. Tuttavia, Nemeria, ogni volta che le occhieggiava, aveva sempre una fitta al petto, una specie di sussulto nel cuore che la obbligava a inspirare più aria del normale.
- Il tuo modo di comportarti. Non lo so, è... strano. La notte riesci a dormire? -
"No."
- Sì, ma non bene come vorrei. -
- Secondo me c'è qualcosa che ti preoccupa. -
- Ti sbagli. -
La bambina fece girare la spada di nuovo, stavolta in senso antiorario.
- Secondo me, no. -
- Secondo te, appunto. - Nemeria si alzò spazientita, - Forza, è il momento di andare in camera a cambiarci. -
Durga si mise in piedi, l'afferrò per il polso e la tirò, una semplice trazione per farle capire di girarsi, e tanto bastò per fermarla.
- Prova a parlarmene. So che sono piccola, ma siamo amiche e io voglio provare a darti una mano. Domani dovrai fare del tuo meglio, così potrai riavere Batuffolo, ma così... - si bloccò e strinse una porzione del labbro inferiore tra i denti, - Non voglio che tu perda. -
Rimasero lì per un po', Durga protesa verso di lei e Nemeria combattuta tra l'impulso di andarsene e il bisogno di parlare. Nella sua mente insonne i pensieri svolazzavano in tondo come uno stormo di farfalle impazzite, si disperdevano e sbattevano contro le pareti appiccicose della scatola cranica con le ali aperte, esangui e sfinite da quel continuo vagare senza meta.
- Tu sei mia amica. Anche se 'Tep dice che non possiamo esserlo, per me lo sei. E... e io non posso sopportare di vedere una mia amica triste. Se non puoi dirmi cos'hai, allora spiegami come posso farti stare meglio e io farò l'impossibile. - continuò Durga, poi tirò su col naso e si stropicciò gli occhi, - Io non voglio che tu sia arrabbiata con me perché non ti ho difesa quando Roshanai ti ha rotto il naso. Ma non potevo fare niente senza raccontarle quello che era successo e allora ho preferito stare zitta. Mi dispiace, scusa! -
Scoppiò in singhiozzi e si sciolse in un pianto di scuse sconclusionate. Nemeria lasciò cadere la shamshir e l'abbracciò. Le allacciò le braccia dietro le spalle e, quando le ginocchia di Durga cedettero, lei la sostenne. E mentre le lacrime le bagnavano la tunica, si rese conto di quanto l'affetto di Durga contasse. L'allegria contagiosa di Altea, la timidezza di Kimiya, la complicità di Chalipa e Afareen, l'abnegazione di Noriko, il sorriso di Hirad: il suo cuore era sempre stato colmo di loro e lei era sempre rimasta sorda al suo grido.
- Ti voglio bene, Durga. -
- Non sei arrabbiata con me...? -
La bambina si scostò quel che bastava per poterla guardare. Con il naso e le guance rosse pareva ancora più piccola e fragile.
- No, non lo sono mai stata. Semmai tu dovresti esserlo, dopo quello che ti ho fatto. -
- Avevi passato il limite. Tu non mi faresti mai del male, perché io e te siamo amiche. - le prese le mani e se le portò al viso, aperte contro le sue, - E anche se ci affronteremo, sia che io vinca sia che perda, lo sarai per sempre. -
Il sorriso si aprì sulle labbra di Nemeria. Raccolse entrambe le armi e le porse il kilij.
- Vieni a lavarti con me? - trillò Durga di nuovo allegra.
- Tu precedimi. Io ho una faccenda da sbrigare. -
Marciò fino all'armeria, ripose la shamshir nella rastrelliera e corse a rotta di collo fino al refettorio.
Abayomi e Zahra erano seduti al tavolo più vicino alle cucine, lei intenta a finire la sua razione di pasta e ceci, lui con le dita intrecciate davanti alla bocca. Si era rasato i capelli e ora il suo viso pieno di cicatrici era esposto agli sguardi di tutti.
Come se avesse percepito la sua presenza, mentre Nemeria avanzava verso di loro appuntò il suo unico occhio su di lei. Il ghigno sul suo volto si allargò sempre di più e sbocciò in un sorriso di denti scheggiati quando Nemeria gli mise davanti la pietra di luna. Se si fossero scontrati durante il torneo, glieli avrebbe fatt i saltare a uno ad uno, quei denti. A lui e a Zahra.
- Dunque, mia cara Fiammella, hai deciso di tentare la sorte? -
- Non ho voglia di scherzare, Abayomi. -
Zahra fece per ribattere, ma un'occhiata di ammonimento di Abayomi bastò per metterla a tacere.
- Alla sorte, invece, piace molto scherzare. -
Sogghignò e tirò fuori una moneta di bronzo ossidata e bucata nel centro dalla tasca dei calzoni.
- Testa. - la girò dalla parte su cui era inciso un grifone e poi le mostrò quella con il viso di una donna di profilo, - O croce?-
Nemeria piantò le unghie nel tavolo con rabbia. Senza più la pietra di luna al collo, era come un cane legato a un catena troppo lunga.
- Testa. - soffiò.
La moneta compì tre giri in aria prima che Abayomi la schiacciasse sul dorso della mano. Si prese un momento per sbirciare tra le fessure delle dita il risultato e allungò il braccio sotto il suo naso.
- La fortuna ti ha sorriso, Fiammella. -
La cicatrice si stropicciò quando sorrise, sprofondò nel viso e tirò la pelle e le labbra con sé. La palpebra che copriva il nulla seguì il movimento dei muscoli e Nemeria ebbe l'impressione che, al di sotto, ci fosse qualcosa di vivo pronto a uscire fuori.
- Vieni con me. Ti racconterò tutto quello che vuoi sapere. -
Senza attenderla, Zahra e Abayomi lasciarono il refettorio. Nemeria si morse la lingua e tenne a freno la rabbia. Poi riprese il ciondolo e avvolse la cordicella attorno alla mano e al polso. La pietra di luna pulsò come un piccolo cuore contro il suo palmo, più calda che mai.

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Capitolo 22
*** L'inizio del torneo ***


Fuoco 2

22

L'inizio del Torneo

"Si dice che la verità trionfa sempre, ma questa non è una verità."
Anton Čechov

La stanza di Abayomi e Zahra era come Nemeria se la sarebbe aspettata: una copia di quella sua e di Noriko, solo che i letti erano stati avvicinati e l'armadio, al posto di essere vicino alla testiera, era stato spostato sul fondo, ad angolo con la cassettiera. Se non fosse stato per quel cambio di disposizione e per il disordine – la tunica abbandonata sulla sedia, i sandali spaiati, il mantello accartocciato ai piedi del letto – sarebbe stata uguale identica in tutto e per tutto alla loro.
- Perdona la confusione, ma sai, non aspettavamo ospiti. - si scusò Abayomi.
Si slacciò le endromìs e con un calcio le gettò sotto il letto, mentre Zahra si limitò a buttarsi sul materasso. Le assi emisero un cigolio sofferente, ma in qualche modo riuscirono ad ammortizzare il contraccolpo del suo peso.
- Siediti, abbiamo molto di cui discutere. - la invitò Abayomi, indicandole la sedia sempre con quel suo sorriso impertinente, - Ah, per favore, non bruciare nulla. Sai, a quella tunica ci tengo particolarmente e mi dispiacerebbe davvero molto dovermela far ricomprare. -
Nemeria strinse forte il pugno dove teneva la pietra di luna, trasse un profondo respiro e si sedette con controllata lentezza. Non spostò la tunica e, a parte il naso arricciato di Zahra, Abayomi non parve infastidirsi.
- Quindi alla fine ti sei decisa. Lei diceva che non avresti accettato, io invece ero sicuro che ti saresti fatta viva. - calcò la voce su quella parola, sibilando la "s" tra i denti.
Si appoggiò con la schiena alla testiera, accavallò le gambe e intrecciò le dita dietro la nuca. La luce si incanalava nelle grinze della pelle ustionata del braccio, ruscellando fino a svanire oltre l'orlo della tunica. Era una cicatrice rossa, lucente e gonfia come quella che deturpava la mano di Nemeria, ma a differenza della sua, quella di Abayomi somigliava più a lana rovinata dal tempo, una seconda pelle striata di giallo dove i morsi del fuoco erano più profondi.
Se non fosse stato così crudele, avrebbe potuto provare pietà per lui.
- Eccolo. Lo vedi anche tu, Zahra? Quello sguardo colmo d'odio... quanto mi piace. - la indicò con un cenno del mento, - Ci avevo visto giusto nella nostra piccola arena privata. Con quegli occhi così particolari e quella rabbia farai faville anche qui. Però cerca di darti un minimo di contegno: lo spettacolo non è bello se dura troppo poco. -
- Non sono affari tuoi cosa faccio o non faccio. -
- Oh, sì che lo sono. Rimango pur sempre il tuo primo mentore. Se solo non ci avessero catturato subito, sai quanti soldi avremmo riscosso? Tutti lì a scommettere contro di te e poi, sorpresa delle sorprese, sei riuscita a mandare Zahra quasi al tappeto. Era da tanto che non mi divertivo così. - si volse verso la sua compagna e sfiorò la sua spalla con una carezza leggera, prima di tornare a guardare Nemeria, - Ormai quel che è stato è stato, come diceva un saggio, e ora eccoci tutti qui, una bella rimpatriata tra vecchi amici. Mi berrei volentieri un birra. Anche tu la vuoi, Zahra? -
La ragazza annuì. Da quando erano entrati nella stanza, non le aveva staccato gli occhi di dosso. Spesso Nemeria l'aveva vista scrocchiare le dita o contrarre la mascella, le narici appena dilatate: voleva spaccarle la faccia tanto quando lo voleva lei.
- Ma veniamo al dunque. Dammi quel ciondolo e ti dirò tutto quello che so sui tuoi amici topolini. -
- Come faccio a sapere che non ti rifiuterai di parlare dopo che te l'avrò dato? -
Abayomi storse le labbra in una smorfia offesa. Era un bravo attore, glielo doveva riconoscere.
- Fiammella, mi offendi così. Un uomo come me non può che piegarsi al volere della fortuna se questa ha sancito la tua vittoria. - tirò fuori la moneta e la lanciò in aria, per poi riprenderla tra due dita, - Il nostro accordo era chiaro: se avessi vinto, ti avrei rivelato quello che sapevo; se avessi perso mi sarei potuto, come dire... dimenticare alcuni dettagli importanti. Purtroppo la stanchezza mi rende difficile ricordare tutto, ultimamente. -
La presa si serrò ancora di più attorno alla pietra di luna. Il suo effetto calmante contrastava appena il tumulto nel petto di Nemeria, era come se non riuscisse a contenere e immagazzinare tutta quella rabbia. Già il tenerla in mano, però, le dava la forza di preservare il controllo e mantenere a fuoco tutti i consigli di Pavona. L'ultimo regalo di sua sorella, l'unico oggetto sopravvissuto assieme a lei all'eccidio della sua tribù... Abayomi non era degno nemmeno di sfiorarlo.
- Devo interpretare questo tuo silenzio come un ripensamento, mia cara? - la stuzzicò.
- No. -
Afferrò il ciondolo per il laccio e lo issò fino ad averlo davanti agli occhi. Era un regalo di augurio per il suo apprendistato come Jinian. Era stato qualche mese prima. Una vita fa, un'eternità.
Abayomi ridacchiò e si protese verso di lei, scoprendo le labbra sulla fila di denti rovinati.
- Onora il nostro contratto. -
Allungò il braccio e le fece cenno con il dito di dargli il dovuto. Nemeria indugiò ancora e poi vi appese il ciondolo. Prima che si allontanasse, gli artigliò il polso e lo strattonò verso di sé. Il tepore della sua pelle svaniva in cenere nel calore della sua stretta.
- Me la riprenderò. - ringhiò, i polpastrelli premuti contro la vena. - Sappi che me la riprenderò. -
Zahra era già scattata quando Abayomi la rimise al suo posto con uno sguardo. Quando tornò a guardare Nemeria, aveva la pupilla dilatata e gli angoli della bocca tremolavano in un ghigno estatico.
- Non vedo l'ora di giocare di nuovo con te, Fiammella. Sapere che ci incontreremo di nuovo... non immagini quanto mi ecciti. -
Si umettò le labbra e le stampò un rapido bacio sul dorso della mano. Nemeria mollò subito la presa e si pulì sulla tunica, scatenando l'ilarità di Abayomi. Passò un minuto abbondante prima che riuscisse a recuperare il controllo. Si asciugò le lacrime e scrollò le spalle, lisciandosi la tunica sul petto. La rapidità con cui tornò serio, con le labbra appena stirate in un accenno di sorriso, aveva un che inquietante.
- Dunque... vuoi che parli io oppure hai delle domande specifiche da pormi? -
- Voglio sapere tutto di ognuno di loro. Dove sono, se stanno bene, se c'è un modo per raggiungerli. -
Abayomi si mise il ciondolo al collo e si stravaccò contro Zahra. Lei lo abbracciò da dietro, allacciandogli le dita attorno al bacino.
- La ragazza che avevamo preso in ostaggio è stata venduta a Mina. Adesso fa parte della sua servitù e si occupa delle faccende di casa. L'ultima volta che sono andato a casa sua, stava giusto pulendo il pavimento. -
Nemeria si sentiva la gola disidratata e le labbra secche. Deglutì a vuoto e irrigidì i pugni fino a perdere la sensibilità nelle dita. Mina e Kimiya. No, non poteva essere.
- Non ti preoccupare. Finché farà esattamente quello che Mina le dice non le accadrà nulla. La villa di Mina è nel Quartiere del Ghiaccio. Adel e Mina sono molto amici. Sia io che Zahra abbiamo avuto modo di vederla spesso, ma... diciamo che Mina e Tyrron non vanno molto d'accordo. Se e quando riuscirai a conquistarti una maggiore libertà, forse potrai incontrarla.- si fermò, si passò il labbro tra i denti e soffiò una risata gracchiante, - Sempre che sia ancora lì, si intende. -
- Cosa intendi? -
- Proprio quello che ho detto. Mina gestisce anche la maggior parte dei bordelli del Quartiere del Fuoco. Si dice, anche se non ho avuto modo di appurarlo, che si occupi di soddisfare qualsiasi bisogno per il giusto prezzo. Per certi lavori la bocca non serva mica per parlare. -
Lo sguardo obliquo che le lanciò, a metà tra il divertito e l'eccitato, le fece venire i brividi.
- Mi fai schifo. -
- È questo il lato divertente di questa situazione. Tu mi odi, ma non puoi fare a meno di me. - arrotolò il laccio e la pietra di luna attorno al dito e continuò, - La puttana di Dariush e il moccioso intelligente sono riusciti a scappare, invece. Quando i kalb sono tornati, si sono dileguati nella folla prima che potessero bloccare le uscite. Non ricordo di averli visti durante la vendita, no, Zahra? -
- No, non c'erano. -
- Sarai contenta di sapere che probabilmente sono tornati a strisciare nelle vostre amate catacombe. -
Anche se avrebbe voluto rimanere impassibile, Nemeria non poté non tirare un sospiro di sollievo. Chiuse gli occhi e spinse con forza la rabbia contro la parete della sua anima.
- Non chiamarli così. - sibilò.
- Il ratto e la puttana? Perdonami, forse le mie parolacce ti turbano? -
Si stava prendendo gioco di lei; la pungolava e poi si ritraeva, saltellando lontano come un amdir, un folletto crudele del deserto. La provocazione del topo nascosto sotto una foglia di stramonio.
- Vai avanti. -
A quel ringhio, Abayomi allungò le gambe e si sistemò meglio tra quelle di Zahra.
- I due gemelli so solo che sono stati divisi. Il maschio è stato comprato da Siamak, mentre lei è finita tra le mani di un Alatfal'yl con un nome insignificante... Arshia, mi pare di ricordare. Invece, a essere comprate in coppia sono state le due ragazze, quelle basse che stavano sempre assieme. Come si chiamavano? -
- Afareen e Chalipa. -
Abayomi schioccò le dita con un ghigno vittorioso.
- Ecco, loro sono andate con una donna con le sopracciglia tinte di rosso e il collo appesantito da almeno dieci collane d'oro. Se non le hanno spedite a fare le puttane, probabilmente adesso faranno parte della servitù di qualche nobile. -
- E di Hami? Di Hami si sa nulla? -
- Il fratello del Ratto è stato comprato da un uomo tutto muscoli, forse un qualche fabbro, considerando le mani unte e sporche di nero. Non ti so dire chi sia: le armi sono troppo difficili da rivendere, anche per un genio come me. -
Nemeria rimase in silenzio a macinare tutte le informazioni. Tutti, a modo loro, stavano bene e si erano salvati. Sopravviveva un solo nome da spuntare alla lista. Per quanto lo odiasse, era giusto che chiedesse anche di lui.
- E Dariush, invece? -
- Non credevo ti interessasse sapere qualcosa di lui. -
- Era comunque un membro della famiglia. -
- Questo tuo attaccamento è commovente, Fiammella. Nonostante tutto quello che ha fatto alla sua donna, a te interessa sapere se è vivo o se è morto. Sono davvero colpito. -
- Parla. - ringhiò Nemeria di rimando.
- Ammetto sia anche divertente stuzzicarti, ma per oggi è meglio non tirare troppo la corda. - gracchiò e si sistemò in modo da intrecciare le gambe con quelle di Zahra, - Lui è stato comprato da Mina ed è diventato uno dei suoi gladiatori preferiti. Domani, se vi affronterete, sarà una gran bella sfida. -
Il tono crudelmente divertito della sua voce non le piacque affatto.
- Vive nell'altra ala della scuola? -
- Ovviamente. Ho sentito voci interessanti su di lui, roba da farti tremare fin nelle ossa. -
- Cosa? -
- Cose da paura, come ti ho detto. - alzò la pietra di luna all'altezza occhi di Zahra, - Che ne dici? Questo vale abbastanza per rivelarle ciò che abbiamo sentito? Ah, e non dire di no solo perché ti sta antipatica, capito? -
La Dominatrice non rispose subito. Si prese il suo tempo per squadrarla, per sezionarla con quegli occhi così colmi di risentimento che Nemeria poté sentirne il peso tangibile sulla pelle. Fu allora che le balzò all'occhio la leggera bruciatura che le deturpava la guancia. Si mimetizzava molto bene nel colorito scuro, ma più la guardava più coglieva i segni di diverse cicatrici. Quelli più espansi si localizzavano sul viso e sulle braccia ed erano ustioni. Lievi, lievissime ustioni che lei le aveva inflitto durante lo scontro alla cisterna.
- Non lo so. Sei tu l'esperto di queste cose. - proferì dopo un po'.
- Dai, pensaci. Sei una Dominatrice della terra, te ne intendi di gemme e pietruzze. -
Zahra la prese in mano e la osservò in controluce con solo un occhio aperto. Solo il tenue lucore giallastro che barbagliava sul fondo della pupilla lasciava intendere a Nemeria che la stava analizzando.
- È una pietra di luna pura, senza altre contaminazioni. - la lasciò cadere sul palmo aperto del suo compagno.
- Allora posso scucirmi un po'. - decretò Abayomi.
Non aveva smesso di fissarla nemmeno per un istante. Per quanto la rabbia le facesse ribollire il sangue, Nemeria non poteva non sentirsi intimorita. Non sapeva se a raggelarla fosse il suo viso deturpato dalle fiamme o la follia in quegli occhi senza ciglia che trasfigurava ogni suo sorriso in un ghigno.
- Dicono che è uno di quei gladiatori che arriva sempre al suo limite, ma che in qualche modo riesce a tornare indietro. Quando gli manca tanto così dal diventare un mostro, ecco che rinsavisce. Mina lo adora proprio per questo. Lo dice spesso quando andiamo a cena da lei e lo guarda con degli occhi, oserei dire, da innamorata. - simulò un sonoro sospiro d'amore e sghignazzò, divertito da se stesso, - Io ci spero sempre che scoppi mentre siamo lì, ma sa mantenere bene il controllo. -
- Non l'ho visto durante la prova. - obiettò Nemeria.
- Che importanza ha? Mina ha già preventivato che, probabilmente, non arriverà vivo alla fine del torneo. È andato troppo in là per poter tornare indietro. - si massaggiò il mento, corrucciò le sopracciglia e accarezzò la coscia di Zahra, meditabondo, - Ammiro la sua stupidità per certi versi. Ha creduto di poter fare soldi combattendo nell'arena e ha continuato a farlo finché persino lui ha capito di essere a un passo dal trasformarsi in Jin. -
- Dariush? Nell'arena? -
- Dalla tua faccia devo dedurre che non ne sapevi nulla. - batté le mani e le strofinò le une contro le altre, - Ebbene sì, il vostro amatissimo capo ha sempre combattuto, da prima di conoscere quella Sha'ir. Poi si è trovato tra le mani quel piccolo bocconcino di Altea e l'ha presa con sé. Andava in giro a dire che non le avrebbe mai più fatto del male, né a lei né alla sua amica. Ah, chissà cosa penserebbe il suo vecchio se stesso se solo scoprisse che oltre a scoparsela, la picchiava pure. Ma d'altronde cosa ci si poteva aspettare da un contadinotto come lui? Non poteva salvarsi da solo, figuriamoci aiutare due puttane. -
Nemeria non ci vide più. Si alzò così tanto in fretta da far cadere la sedia e balzò sul letto. Le sue mani ghermirono il vuoto a un pollice dal collo di Abayomi, i polsi bloccati dalla stretta di Zahra. Benché la sua pelle fosse caldissima, le pietre che rivestivano le braccia della Dominatrice costituivano una corazza troppo spessa perché potesse ferirla.
- A-ah, stavolta ci hai provato, ma ti è andata male. La cagna Tian non ti ha insegnato che la stessa tattica non può funzionare due volte? -
Le mise un piede sul petto e Zahra lasciò la presa nel momento in cui Abayomi la calciò via, con una forza che Nemeria non immaginava avesse. Cadde dal letto e sbatté la testa contro il pavimento. Rotolò su un fianco e si portò le mani alla testa per proteggersi. La stanza girava e i contorni pulsavano, dilatandosi e riempiendosi a ogni battito di ciglia.
- La tattica non è il tuo forte. -
Abayomi si inginocchiò al suo fianco. L'ombra di Zahra incombeva su di lei dall'altra parte, le mani strette a pugno piegate e già pronte a colpire.
- Ma non è questo il luogo per il nostro confronto. Ammetto di preferire l'intimità della nostra piccola arena, ma qui ci si diverte molto di più. - le prese il mento e le strinse le guance, costringendola a una smorfia ridicola, mentre descriveva il contorno dell'orbita col pollice, - Questi occhi mi fanno impazzire. Gira voce che nelle tue vene scorra sangue di Jarkut'id, però io sono certo che ci sia qualcosa di più dietro. Il modo in cui hai usato il fuoco durante lo scontro contro Zahra, quell'esplosione di fiamme... ho visto solo una persona nella mia vita usare il potere in quel modo ed è la stessa che mi ha ridotto così. -
Nell'anima si aprì una crepa e Nemeria si sentì tremare fin nelle viscere. La sua mente si svuotò, i pensieri smisero di respirare e le orecchie fischiarono come in apnea. Tutto rimase immobile e sospeso finché il calore non ridusse la paura in una nube di vapore.
- Allora? Ci ho preso? -
- No, e sai perché? - Nemeria ricambiò il suo ghigno con il suo miglior sorriso, - Se fosse stato per me, tu a quest'ora saresti stato solo un mucchio di cenere. -
Il ghigno sulle labbra di Abayomi divenne incerto, si accorciò e si allungò un paio di volte prima di esplodere in una risata sguaiata. Poi la costrinse in piedi e la attirò a sé, così vicina che i loro nasi quasi si potevano toccare.
- Spero di poter combattere con te domani. - sibilò euforico.
- Non ho paura di te. Né di te, né di Zahra. -
- Oh, lo so. Ma anche la bambina più cattiva con la giusta dose di educazione capisce qual è il suo posto. -
La lasciò andare e aprì le braccia, girando su se stesso, come per raccogliere i consensi di un pubblico invisibile. Si appoggiò a Zahra e le soffiò qualcosa all'orecchio che strappò anche a lei una risata.
- Brindiamo a domani e ai nostri scontri. Che la fortuna sia sempre con noi! - si bloccò, riversò la testa all'indietro e si passò una mano lungo il collo, - Ora, se non hai altri affari da proporre, direi che te ne puoi andare. Qualcuno potrebbe interpretare male la tua permanenza qui. La tua amica... non vorrei mai fraintendesse i nostri rapporti. -
A Nemeria saltò in mente una parola. Arsalan la ripeteva spesso quando gli affari andavano male e l'aveva sentita sussurrare da sua madre, salvo poi rimangiarsela e correggersi subito. Il calore diminuì e questa prese forma nella sua naturale nitidezza.
- Fottiti. - scandì e alzò il dito medio, prima di aprire la porta e uscire a grandi passi.
 
Quando tornò in camera, Noriko era stesa sul letto a leggere il suo libro. Quando Nemeria rientrò, abbassò il tomo – "L'arte della calligrafia", lo stesso dell'altra volta – e dopo un lieve cenno di saluto lo ritirò su.
- Alla fine gliel'hai data. - esordì neutra.
Nemeria prese il chitone dall'armadio, si cambiò e si buttò sul letto. Si sentiva accaldata, quasi febbricitante, e l'eccitazione si mescolava alle braci non ancora spente della rabbia.
- Non avresti dovuto farlo. Adesso sarà ancora più difficile controllarti. -
- È stato necessario e mia sorella... mia sorella avrebbe fatto la stessa cosa. -
Noriko sospirò, si bagnò il pollice con la lingua e girò pagina.
- Almeno hai ottenuto ciò che volevi? -
- Sì. Sapere che fine hanno fatto gli altri membri della nostra famiglia. Non riuscivo a dormire la notte pensando che poteva esser successo loro qualcosa. -
- Ti eri molto affezionata a loro. -
- Sì. - socchiuse le palpebre e abbandonò il dorso della mano sulla fronte, - So che per te non era lo stesso, ma per me era importante. -
- Ti senti meglio, ora? -
Già, come si sentiva? Era successo così tanto e così in fretta che non aveva avuto tempo di indagare su cosa provasse. Passò le dita sul collare, sulle placche d'oricalco calde. Non si era resa conto fino a quel momento di quanto la pietra di luna attenuasse le sue emozioni. Ora, l'unica cosa rimasta, era quella striscia di cuoio rinforzato.
- Credo di sì. Però è difficile capire. -
Noriko annuì come se già avesse intuito la risposta e appoggiò il libro contro la coscia piegata.
- Pensi di potermi dare delle spiegazioni? -
Nemeria aveva preso la sua decisione. La ponderò ancora nel breve lasso di tempo che ci mise per mettersi a sedere, ma si rese conto che l'unica cosa che desiderava era eliminare il disagio che c'era tra di loro.
- Ti ricordi quando sono andata all'arena a vedere il circo? -
- Sì. -
- Lì ho incontrato una mia vecchia parente. Si chiama Pavona ed è una Dominatrice della terra molto brava. È stata lei a venire a trovarmi tutte queste sere per spiegarmi come controllarmi. -
- E come avrebbe fatto a entrare qui? Sai che solo i Syad e i lanisti sono ammessi. -
Lo scetticismo nella sua voce la infastidì, ma Nemeria si sforzò di non darlo a vedere. Distese le gambe, le tirò su e le allungò di nuovo, incapace di stare ferma.
- Che tu ci creda o meno, lei è capace sia di dominare la terra che l'aria. L'aria non benissimo, eh, però riesce a prendere il possesso del corpo di un corvo e a comunicare telepaticamente con me. -
Noriko poggiò il libro sul comodino con una lentezza controllata, si sedette e si protese verso di lei.
- Significa che è come te, dunque. -
- Sì. -
- Deve essere una cosa di famiglia. -
Nemeria assentì con un mesto sorriso: non poteva immaginare quanto fosse vera quell'ultima affermazione.
Noriko non sembrava sorpresa. Non sembrava nulla, in effetti.
"Forse si è abituata alle stranezze."
- C'è altro che vuoi dirmi? -
- Sì, ma è complicato da spiegare e non so se mi crederesti. -
- Mettimi alla prova. -
Nemeria si mordicchiò le labbra e volse lo sguardo in alto. Se i pensieri fossero stati bolle, ora starebbero fluttuando a qualche pollice dal soffitto.
- Mi piacerebbe parlartene dopo il torneo. È davvero complicato. Cioè, non lo è, ma io non so come spiegarlo senza farlo sembrare assurdo. -
Noriko abbozzò un sorriso, il primo da quando la prova era terminata.
- Cosa ti ha fatto cambiare idea? -
- L'hai detto anche tu. - si tirò su a sedere e chiuse le proprie gambe attorno a quelle della sua compagna, - Le altre sono importanti, lo siete tutte per me. Però tu mi sei sempre stata vicino. Mi hai sostenuta, mi hai supportata e sopportata, anche quando non facevo altro che piangermi addosso. -
Era così semplice parlare, come non lo era mai stato. A Nemeria bastava chinarsi per raccogliere i pensieri e porgerli a Noriko. Erano sempre stati lì, come fiori sbocciati e mai seccati.
- Quindi grazie. Grazie per esserci stata fin dall'inizio. -
Fece passare le braccia sotto le ascelle e la acchiappò in un abbraccio soffocante, nascondendo il viso tra la spalla e il collo. Il sorriso le si formò spontaneo sulle sue labbra quando Noriko sussultò e si irrigidì.
- Ti voglio bene. Sei la mia migliore amica. - le sussurrò e la strinse ancora di più.
- Nemeria... -
I polpastrelli sfiorarono le spalle, le mani si aprirono impacciate, si appoggiarono sulla schiena e sospinsero Nemeria contro il suo petto. Con solo il chitone addosso, il suo calore, il calore di Noriko, filtrava attraverso la stoffa, la avvolgeva e le accarezzava il cuore.
- Ti prometto che dopo il torneo ti racconterò tutto. -
- Va bene, aspetterò. L'ho fatto finora, qualche giorno in più non mi ucciderà. -
Scoppiarono entrambe a ridere. Noriko poi le prese il viso tra le mani e appoggiò la fronte contro la sua, fissandola da dietro le ciglia, le palpebre socchiuse. Nemeria non l'aveva mai sentita così vicina, così presente. Era come se la barriera che le aveva sempre tenute divise fosse improvvisamente crollata.
- Promettimi che starai attenta durante il torneo. Ci saranno anche i membri del Consorzio e se scoprissero quanto sei speciale, ti porterebbero via in un luogo da cui non puoi fuggire. - si morse le labbra e inspirò l'aria del suo respiro, - Da cui io non posso salvarti. -
Nemeria le prese le mani e le raccolse tra le sue. Racchiuse in quel modo, le sue erano la corolla e quelle di Noriko gli stami di un fiore nel chiarore dell'albeggio. E l'irritazione che le faceva formicolare le dita non era abbastanza per deturpare quell'incastro perfetto.
- Se lo prometto, la smetterai di preoccuparti per me? -
- Non lo so... non puoi chiedere a uno scorpione di non pungere. -
Roteò gli occhi al cielo e scosse la testa. Relegò sotto quel calore il sospetto che Abayomi avesse intuito qualcosa di lei
- Non mi farò scoprire. L'ho promesso anche a Pavona che sarei sopravvissuta. -
Noriko assentì. Lentamente, ritirò le mani e si distese sul letto, braccio sotto la nuca.
- A proposito, hai riportato le bacche tanu a Nande? -
- No, perché? -
Nemeria ebbe come una folgorazione. Saltò giù e guardò sotto il letto: il sacchetto era sparito.
- Avevi intenzione di usarle? -
- No, ma Nande mi aveva detto di ridargliele se non le avessi usate. -
Noriko sospirò e la prese sottobraccio: - Adesso non ci pensare. Domani abbiamo il torneo, che è la cosa più importante per riavere la palla di pelo. Se poi Nande ti farà domande, le dirai che le hai date a me. -
- Ma non è vero. -
- Preferisci dirle che le hai perse? -
Nemeria sospirò e si infilò sotto le coperte. Forse non era niente di che, ma sapere che qualcuno si era appropriato di quelle bacche la faceva sentire inquieta. Chiuse forte gli occhi e scosse la testa. Batuffolo. Doveva pensare solo a Batuffolo.
- Buonanotte. - le augurò Noriko.
Nemeria strinse il lenzuolo a pugno contro il petto.
- Sogni d'oro. -
Prima di scivolare nell'incoscienza, la sua mente le rimandò il ricordo tattile del caracal appoggiato contro il suo fianco. E per un momento fu come se non glielo avessero mai portato via.
La mattina, con grande sorpresa di Nemeria, non fu Noriko a svegliarla. Un bussare insistente anticipò le mosse della sua compagna e indirizzarono i suoi passi verso la porta.
- Adunata prima del torneo. Fare colazione e poi andare al campo prova. - tartagliò Ozgur.
La velocità con cui aveva biascicato le parole tradiva l'agitazione nella sua voce.
- Abbiamo tempo di fare colazione? -
- Sì. Tutti fare colazione, ma fretta. Poi tutti lì, come aghà Koosha ordinare. -
- Ho capito. -
Nemeria tentò di alzarsi, ma Noriko chiuse la porta prima che riuscisse a raddrizzare le ginocchia.
- Ti ho messo la kandys meno stropicciata sul mio letto. -
Il "sì" venne inghiottito da uno sbadiglio. Nemeria si stropicciò gli occhi finché i pallini multicolori non svanirono e le parve di avere di nuovo la testa attaccata al collo. Rimase immobile, con le braccia distese sopra la testa e il lino teso sui gomiti. Era stano on sentire più il tonfo sordo della pietra di luna tra le clavicole. Si liberò dalla tunica, la buttò a terra e colta dal panico fece saettare lo sguardo per la stanza. Poi il ricordo della sera precedente le si profilò davanti agli occhi.
- A che pensi? -
Non le servì girarsi per sapere che Noriko si era seduta sul letto e si stava pettinando i capelli, con la testa inclinata nella sua direzione.
- A niente. - rispose.
- Nemmeno alla palla di pelo? -
Nemeria scrollò le spalle e strinse il nodo della cintura sulla vita. Percepiva il suo corpo, le fibre di ogni singolo muscolo, il battito calmo del proprio cuore, il calore pulsante del potere di Agni.
- Penso solo che non ho paura. -
Quando lo disse, si rese conto che era vero: anche senza la pietra di luna, era in grado di camminare da sola. E anche se faceva male sapere di poterne fare a meno, non si pentiva di essersene separata. L'assenza della sua confortante presenza non era altro che un'ombra che oscurava appena l'orgoglio che le colmava il petto.
- Non credo di essermi mai sentita così. -
- Così come? -
- Fiera di me stessa. - si chinò e si allacciò le calige, - Almeno, non mi sono mai sentita così tanto fiera di me. Anche se la rivoglio, non ho rimorsi per quello che ho fatto. -
Le venne spontaneo ripensare a sua sorella e sorrise quando le parve di sentire la sua mano posarsi sulla spalla.
- Se vincerò, dedicherò la vittoria a entrambe le mie famiglie. - sancì e più quell'idea metteva radici nella sua mente più il calore nel petto aumentava, - Sì, se riuscirò ad arrivare alla fine, voglio che sappiano quanto siano stati importanti per me. E quando potrò uscire dalla Scuola, brucerò gli incensi nel deserto e poi andrò a cercare Altea, Hirad, Kimiya e tutti gli altri per ringraziarli. -
Noriko sorrise, si alzò e le batté una pacca sulla spalla.
- Andiamo. -
Scesero le scale e andarono a fare colazione, che quella mattina consisteva in una zuppa d'avena a base di latte e frutta a pezzi. Ahhotep la mangiò lentamente, fiocco per fiocco, mentre Durga era già a metà quando presero posto. Con sollievo e fastidio assieme, Noriko constatò che il tavolo in fondo al refettorio, quello dove di solito sedevano Abayomi e Zahra, era vuoto.
- Non so il perché di questa variazione, ma lo apprezzo davvero molto. - commentò con le labbra cerchiate d'un alone bianco.
- Anche io. È davvero buona. - concordò Nemeria.
Nonostante avesse lo stomaco sottosopra per l'agitazione, il sapore dolce della pesca la metteva di buon umore, anzi le sembrava che avesse un gusto più zuccherino del solito.
- Forse è perché oggi comincia il torneo e questo è un incentivo per dare il meglio. - suggerì Durga.
- O forse non avevano voglia di buttare la frutta e hanno deciso di darla a noi. -
- 'Tep! -
- Era solo un'ipotesi. -
Durga le scoccò un'occhiata risentita e tornò a raspare il fondo della scodella. Ahhotep ingoiò un altro paio di cucchiaiate e poi le porse la propria razione.
- Ma non ne hai nemmeno mangiata metà... - il broncio si asciugò in un'espressione preoccupata, - Non ti senti bene? Non ti piace? -
La ragazza fece spallucce e si pulì le labbra tamponandole col tovagliolo.
- La tensione mi ha chiuso lo stomaco. -
- Ma sei sicura? Tu mangi sempre così poco... -
- Tranquilla, sto bene. - le accarezzò la spalla e gliela strinse per rassicurarla, - Ora muoviti a mangiare. Non voglio essere l'ultima ad arrivare. -
Durga non se lo fece ripetere e, dopo le prime cucchiaiate, Ahhotep parve rilassarsi. Diresse lo sguardo oltre le spalle di Noriko, deviando la sua attenzione sulla sua compagna solo di tanto in tanto, come se al tavolo ci fossero solo loro due.
Nemeria inspirò profondamente e, ignorando il prurito alle mani, continuò a mangiare finché non rimasero altro che i grumi lattiginosi sul fondo della scodella. Senza la pietra di luna, sopportare quell'atteggiamento di evidente noncuranza metteva a dura prova la sua pazienza.
Al campo centrale, oltre ai Syad e alle guardie, erano presenti i diversi lanisti e Koosha. Attesero l'arrivo degli ultimi partecipanti. Poi le due bambine della volta precedente avanzarono di un paio di passi e fecero l'appello. Soltanto quando ebbero spuntato anche l'ultimo nome, due servi portarono davanti a Koosha un carrello con un vaso con una testa di toro appoggiato sopra, di un bronzo così lucido da sembrare oro ossidato.
- Miei gladiatori, oggi è il vostro giorno. Ancora mi sorprendo di vedere così tante facce qui, dinanzi a me, sotto il sole di Ahurmazd Heydar. Ma d'altronde i vostri padroni mi avevano accennato che quest'anno c'erano molti diamanti grezzi tra di voi. - sorrise e l'occhio parve sprofondare ancor di più nella pelle grinzosa, - La prima parte del torneo si svolgerà a porte chiuse e solo gli ultimi scontri saranno ospitati nell'arena principale, dove chiunque potrà vedervi: uomini, donne, bambini, ricchi e poveri. -
Un mormorio di sorpresa si diffuse tra i partecipanti. Noriko non si scompose, mentre Nemeria sentì il sudore inumidirle i palmi delle mani. Quando occhieggiò in direzione di Tyrron e vide il suo mezzo sorriso soddisfatto, l'emozione le accelerò ancor di più i battiti, così tanto che le parve che il rimbombo che sentiva nelle orecchie fosse causato soprattutto dall'impatto tra il cuore e lo sterno.
- Non è la prima volta che viene presa una decisione simile, ma era da veramente molti anni che non vedevo così tanti candidati. - Koosha incrociò le braccia dietro la schiena e si abbandonò a una risata che risuonò come un gorgoglio raschiante, - Ed è proprio per questo che ho deciso che stavolta sarà la sorte a decidere le prime coppie. Adhara estrarrà i nomi dei primi sedici scontri e Khalida li segnerà sul tabellone alle mie spalle. Dopodiché, non perderemo tempo e apriremo le danze. -
Koosha indietreggiò fino a trovarsi a solo qualche passo dai lanisti, che, senza che lui dicesse nulla, si aprirono per fargli spazio. Adhara, la ragazza più bassa, si avvicinò alla testa di toro ed estrasse i primi due nomi.
- Noriko e Sadegh. -
Nemeria si guardò attorno alla ricerca dell'avversario della sua amica. Captò un movimento dietro un gruppetto compatto, un fremito d'agitazione che elettrizzò l'aria e si scaricò subito. Mentre Khalida segnava i nomi sul tabellone, Adhara stava già estraendo altre due tavolette d'argilla.
- Ahhotep e Lamya. -
La ragazza nominata sussultò, ma poi tirò su il mento. Le labbra le tremavano e teneva entrambi i pugni stretti al petto. Era più alta della norma, con le ginocchia impolverate e la macchia che le oscurava metà del viso, più che una bruciatura, sembrava fango e cenere incrostati. Quando si volse verso Nemeria, la studiò per un po', poi si spostò di lato e si mise a confabulare con una Sha'ir dell'età di Noriko.
Chiamarono tanti altri nomi, tutti di ragazzi che non conosceva o i cui volti aveva scorto soltanto. Durga finì in coppia contro un bambino, che sarebbe stato la copia sputata di Ozgur se non avesse avuto i capelli biondi e le braccia segnate da cicatrici simmetriche. Quasi inciampò quando uno Sha'ir gli diede una spinta per passare. Ancor prima che Adhara ne pronunciasse il nome, Nemeria l'aveva già riconosciuto.
- Dariush e Nemeria. -
Gelo. Noriko si mise al suo fianco e Durga le si piazzò davanti, il braccio aperto come per esortarla a stare indietro. Non era cambiato affatto: si era irrobustito e sfoggiava una barba curata che cresceva a zolle sul mento e attorno alle labbra.
- Così anche tu sei qui. - sibilò Dariush, assottigliò lo sguardo, sputò a terra e schiacciò la macchia di saliva col piede, - Una Dominatrice del fuoco. Continui a essere una spiacevole sorpresa sotto ogni punto di vista. -
- Ciao, Dariush. Chi non muore si rivede. -
Lo Sha'ir contrasse la mandibola e avanzò di un altro passo. Nemeria si sentì infiammare da quello sguardo. Il calore all'altezza del petto crebbe, bruciò parte dell'ossigeno che aveva nei polmoni e si riversò nelle mani strette a pugno. Il fuoco di Agni si innalzò in una vampata di scintille sfrigolanti.
- Nemeria, calma. -
Durga alzò la guardia e Dariush si bloccò prima di avvicinarsi ancora. Aprì e chiuse le dita un paio di volte e le giunture scrocchiarono una a una.
- Abbiamo un conto in sospeso noi due. -
- I disegni di Hirad e tutte le volte che hai fatto del male ad Altea sono più di uno. -
Nemeria spostò Durga e azzerò la distanza tra loro due.
- Voi due. -
Sayuri avanzò a grandi falcate e si frappose tra di loro, una mano sulla spalla di Nemeria e una su quella di Dariush. Roshanai, Reza e un nutrito gruppo di guardie l'avevano seguita, ma l'unica che si era fatta avanti era lei.
- Le regole della Scuola valgono ancora. Mantenete il controllo. -
- Noto che gli animi si sono già scaldati. -
I ragazzi si spostarono e Koosha si fece avanti fino a loro. Si strofinò le mani, spostando lo sguardo da Dariush a Nemeria.
- Perché mai gettare acqua sul fuoco? Facciamo combattere prima loro. -
Zittì Adhara con un gesto della mano prima che potesse parlare e poi si rivolse a una delle guardie.
- Scortate i contendenti all'arena. Syad, voi occupatevi degli altri ragazzi: non deve mancare nessuno, chiaro? -
Sayuri chinò il capo. Nemeria sperò in un'azione sconsiderata di Dariush quando tolse a entrambi la mano dalla spalla, ma lui si limitò a continuare a scrutarla mentre si allontanava, le palpebre assottigliate unici spiragli sulla sua rabbia.
- Reza, valle a prendere l'arma. -
Il Syad annuì e marciò fino all'armeria, tornando qualche minuto dopo con la shamshir. Non appena Nemeria se l'ebbe legata alla vita, le guardie si misero in formazione attorno a lei e a Dariush. A un cenno del loro capo, cominciarono ad avanzare. Li scortarono su per le scale fino al terzo piano, oltrepassarono la biblioteca e arrivarono davanti a un corridoio sorvegliato da altri due soldati. Non appena li videro, si spostarono per permettere loro di passare. Il tempo che ci misero per scendere le altre rampe di scale parve dilatarsi all'infinito, in un'attesa che non fece altro che logorarle i nervi. Quando riemersero all'aperto, lo scoppiettare del fuoco nelle orecchie si affievolì, smorzato dalla sorpresa.
L'altra ala della scuola, almeno il cortile, era costeggiato da un lungo porticato di colonne bianche. Non c'era nessun campo centrale, manichini o gladiatori intenti ad allenarsi; solo un prato simile a una sterpaglia, dove le uniche punte di colore erano rappresentate da sparuti e solitari ciuffi verde stinto. L'arena sul fondo dominava tutto l'ambiente come un re in panciolle sul proprio trono. Era una riproduzione identica ma meno sfarzosa di quella che Nemeria aveva visto nel Quartiere della Bestia, con le statue degli dei che sembravano protendersi verso il cielo.
- Scortate lo sfidante all'altro ingresso. Tu, prendi il comando. - ordinò il capo.
Quando la scorta di Dariush si fu ricompattata attorno a lui, le guardie che erano rimaste con Nemeria passarono oltre l'arco d'ingresso. Percorsero un breve corridoio che alla fine si apriva in una stanza spoglia. L'umidità aveva scolorito gli affreschi alle pareti, ma gli alberi da frutto e la ghirlanda di Gemme del Firmamento in stucco che ne adornavano gli angoli erano così minuziosi da sembrare veri. Sulla sinistra c'era un cancello con affisso un cartello di creta, con su scritto "pubblico", mentre sulla destra ve n'era un altro sul cui stipite era stato inciso "gladiatori". La guardia lo aprì e Nemeria marciò lungo un corridoio, anch'esso spoglio se non per gli scudi d'oricalco sbalzato su cui capeggiava il profilo di uomini, donne o bestie. Sotto ognuno, c'era una targhetta con il nome del precedente proprietario. Nonostante l'aria fresca, l'ambiente era opprimente e Nemeria si sentiva quasi soffocare. Tirò il collare e lo mosse a destra e a sinistra come se lo volesse allentare, ma più ci provava, più aveva la sensazione che il cuoio si stesse stringendo. Soltanto quando la guardia aprì il cancello che la separava dall'arena vera e propria, i polmoni tornarono a incamerare ossigeno e le fiamme si rinfocolarono.
Non si accorse di essere rimasta sola finché non udì, in un suono attutito e distante, i passi dei soldati allontanarsi. Rimase piegata sulle ginocchia a respirare. Con la coda dell'occhio riusciva a captare dei movimenti sugli spalti, scorci di tuniche e teste che si spostavano e si sedevano dove i Syad e le guardie indicavano. Avrebbe voluto cercare le sue amiche, ma sentiva la testa ancora troppo pesante e la sua linea visiva era limitata a quell'ellisse sabbiosa, punteggiata da grossi massi di pietra nera sparsi come ciliegie su una torta.
Fu il suono prolungato del corno a suggerirle di raddrizzarsi: Dariush era al centro del campo e Nemeria decise di raggiungerlo.
Koosha e i lanisti sedevano in quello che, se fosse stata l'arena ufficiale, sarebbe stato il palco riservato al governatore e alla sua famiglia. Tyrron aveva preso posto di fianco al direttore, con le gambe larghe e il bacino scivolato in avanti, il gomito appoggiato sul bracciolo e la mano sulla bocca. Da quella distanza, Nemeria non avrebbe saputo dire se fosse preoccupato o semplicemente concentrato.
Koosha si alzò e avanzò con passo malfermo fino alla balaustra.
- Che lo scontro abbia inizio! - dichiarò.
Dariush scrollò le spalle e agitò le mani. La pelle si disfece e si staccò in un turbinio di cenere, mettendo in mostra l'armatura di roccia rossa, una lastra uniforme picchiettata di bianco e ruggine. Nemeria fece appena in tempo a sguainare la shamshir.
Dariush la caricò a testa bassa. Nemeria schivò il primo pugno, balzò indietro al secondo e guadagnò una posizione di sicurezza dopo il terzo.
Le vedeva. Non era in grado di deviarle o di contrattaccare senza rischiare che le rompesse qualche osso, ma riusciva a vedere le traiettorie dei suoi colpi.
- Cos'è, hai paura? - Dariush aprì le braccia e la provocò, - Da quando quella stupida ti ha portato nella mia tana, niente è andato nel verso giusto. Se tu non ci fossi stata, adesso saremmo ancora liberi! -
Scattò verso di lei. Nemeria si abbassò sulle ginocchia, roteò su se stessa e sferrò un colpo veloce e stretto, aumentando la potenza del colpo con una brusca rotazione del torso. Dariush vacillò, un ginocchio quasi cedette e l'altra gamba si piegò sotto il suo peso. Si voltò, menando un colpo alla cieca che parve fendere l'aria come un martello da guerra. Nemeria si spinse via e indietreggiò finché non fu fuori dalla sua portata. Il taglio obliquo che gli aveva aperto la tunica e la pelle le causò un brivido d'eccitazione nei lombi.
- Ti avrei dovuto ammazzare prima. -
Digrignò i denti e l'attaccò di nuovo. Destro, sinistro, destro, destro, sinistro. Un susseguirsi di pugni che le toglievano il fiato a ogni schivata. Dariush era potente, ma i suoi colpi erano meno veloci sia di quelli di Durga sia di quelli di Roshanai. A ogni colpo mancato, l'espressione sul suo volto diventava sempre più feroce, più cattiva.
- È tutta colpa tua. È solo e soltanto colpa tua! - ringhiò Dariush.
Una roccia le volò addosso. Nemeria si buttò a terra, fece una capriola e si rimise in piedi. Non fece in tempo a raddrizzarsi che Dariush gliene scaraventò un'altra contro con così tanta forza da conficcarla nel muro.
- Altea si è allontanata da me per colpa tua! Hirad si è ribellato per colpa tua!- le puntò il dito addosso, gli occhi neri come pasta vitrea, - Tu sei stata la causa della nostra rovina. Avrei dovuto lasciarti a morire in quella squallida arena come ti meritavi! -
Nemeria fece una piroetta prima che la roccia la colpisse. Dagli spalti, il basso rumoreggiare si era tramutato in un tifo scandito dal battere di piedi e mani, voci amalgamate in un coro discordante e sincopato.
- Io non ho fatto niente! - si difese, - Tu hai allontanato Altea da te, tu hai fatto soffrire Hirad, tu ti sei fatto odiare perché non avevi il controllo di te stesso! -
La roccia che stava per sollevare ricadde a terra in un tonfo e Dariush parve calmarsi. Si fermò a fissarsi le mani, con gli occhi che ondeggiavano dall'una all'altra come se non le riconoscesse.
- Io... io ho tutto sotto controllo. -
Nemeria scosse la testa, ma lui si prese il viso tra le mani e si graffiò le guance. La pietra stridette contro altra pietra, mentre la pelle cadeva in un pulviscolo grigio. Il pubblico sussultò e l'aria divenne più pesante del piombo.
- Dariush, no. Devi fermarti. Devi... -
- Non dirmi che cosa devo fare, puttana! -
L'urlo si tramutò in un gemito sofferente. Dariush cadde in ginocchio, afferrò le ciocche di capelli e le strappò con frenesia, mentre il suo corpo si ingrossava, spaccando la stoffa e il cuoio. Qualcuno gridò quando il collare saltò via.
- Nemeria, vattene! Allontanati! -
Non sapeva chi avesse parlato, ma non si soffermò troppo a pensarci. Diede le spalle a Dariush e cominciò a correre verso il cancello da cui era venuta. La sabbia la rallentava, intralciava i suoi passi imponendole un'andatura meno spedita di quella che avrebbe voluto avere. Non era che a metà del campo quando cadde. Provò a rimettersi in piedi, ma era come essere finita nelle sabbie mobili e più si dimenava, più il terreno si allargava sotto il suo corpo, un'onda di granelli compatta come una frana.
- Mia... ora sei mia. -
L'essere che avanzava verso di lei non poteva essere Dariush, ma per quanto Nemeria negasse non c'era altra soluzione. Lo osservò terrorizzata mentre avanzava pesantemente: un Jin grosso tre volte un uomo adulto, il viso schiacciato, levigato come una roccia di fiume, e il braccio sinistro appesantito da squame di roccia che fuoriuscivano dalla spalla come una catena montuosa. Una luce di un verde malato si spandeva poco sotto quello che prima doveva essere l'ombelico.
Nemeria tentò di alzare le braccia, ma una corda di granelli compatti le intrappolò sotto la sabbia. Quando l'afferrò alla gola, l'ombra di Dariush oscurò il sole. Gli occhi erano feritoie nere, senza null'altro se non i puntini colorati che sfarfallavano nella vista di Nemeria.
"Non voglio morire!"
Aveva la pelle incandescente e il potere strabordava dalle mani, ma lì sotto non c'era abbastanza aria perché le fiamme divampassero. Lo scoppio delle scintille era uno schiocco fievole nelle sue orecchie.
- Perisci, piccolo fuoco. -
La presa attorno al suo collo divenne un nodo scorsoio che le strappò il fiato. Nemeria infilò le dita sotto le corde, puntellò i gomiti a terra e tirò con quanta più forza poté, con le lacrime che le bruciavano gli occhi e la bocca spalancata in un grido muto.
Una lancia trafisse Dariush al fianco. Il ruggito di rabbia si affievolì in un rantolio. La lama di una shamshir gli tagliò il retro del ginocchio e lui cadde a terra. Le corde si dissolsero in una frastagliata linea di granelli d'oro. Nemeria tossì e si massaggiò la gola, annaspando in cerca d'aria. Oltre la tempesta di macchie davanti allo sguardo, la punta di una lancia sbucò dal petto di Dariush, schizzandole i piedi di sangue bianco e appiccicoso come resina.
- Prendetela e portatela via. -
L'ombra di Sayuri precedette la sua figura. Si avvicinò con una mano protesa in avanti e un vento che le gonfiava la tunica, lo stesso che aveva formato il muro contro cui si schiantavano i pugni di Dariush. Mina era al suo fianco e si teneva il lembo del mantello frangiato avvolto sul polso.
- Aghà Mina, non credo di poter fare nulla per lui, ormai. -
Un soldato prese Nemeria sotto le ascelle e l'aiutò a rimettersi in piedi. Aveva un accenno di barba attorno alle labbra e le ciglia lunghe e femminili. Il sorriso d'incoraggiamento che le rivolse non bastò a calmare i battiti impazziti del cuore.
- Ah, se lo avessi saputo prima che si sarebbe trasformato così presto, avrei risparmiato un bel po' di shekel. - Mina studiò il Jin e storse le labbra in una smorfia, - È una disgustosa perdita di tempo. Toglietemelo dalla vista. -
Sayuri assentì. Un'altra guardia, sopraggiunta chissà quando, andò alle spalle del Jin e sguainò una daga corta. Nemeria cercò di guardare altrove, ma il suo sguardo rimase incollato alla forma di Dariush in ginocchio.
- Sopprimetelo. -
Una lacrima le si impigliò tra le ciglia. Quando il soldato lo sgozzò, Nemeria gridò.

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Capitolo 23
*** Sfida contro se stessi ***


Fuoco 2

23

Sfida contro se stessi

"Chi ama soffre, chi soffre lotta, chi lotta vince. Ama molto, soffri poco, lotta tanto, vinci sempre."
Oriana Fallaci

Il corpo Dariush venne portato via subito. Lo pungolarono con ferri roventi per accertarsi che fosse morto, poi lo caricarono su un carro e uscirono dallo stesso ingresso da cui, nemmeno un'ora prima, era entrato.
Nemeria lo seguì con lo sguardo dalle gradinate con la mente svuotata da ogni pensiero. Quelle mani gigantesche e quella testa innaturalmente piccola e squadrata non poteva essere appartenuta a un uomo. Non c'era più alcuna somiglianza tra il ragazzo e quella specie di mostro, eppure Nemeria, mentre il carro sfilava, vide Dariush, lo sha'ir, disteso sulla paglia. Se non gli avessero incrociato le braccia sul petto, avrebbe potuto credere che stesse dormendo, che il sangue che affossava la sabbia fosse latte. Avrebbe potuto credere che era stato soltanto un incubo.
- Come ti senti? - le chiese Durga.
Nemeria sospirò e si passò una mano sulla fronte. Anche se sentiva l'impulso di piangere, i suoi occhi erano asciutti, aridi come la cortina di sabbia che le era finita nei polmoni e bruciava più dei segni sul collo.
- Non credevo che avrebbe perso il controllo. Speravo... - si interruppe, deglutì e si coprì la bocca con una mano, - Non meritava di fare quella fine. -
Durga concordò e tornò a guardare oltre la balaustra. Le linee lasciate dal carro svanirono rapidamente, disfatte dalle impronte dell'altra coppia di gladiatori, la prima che avrebbe dovuto gareggiare.
- Sayuri lo dice sempre: questa è la fine che attende quelli come noi. Per Dariush è arrivata prima del tempo, ma è il destino dei Dominatori. -
Nemeria aveva la gola secca. Durga aveva già provveduto a far portare l'absaiyah da uno degli schiavi che giravano per le gradinate, ma non avvertì il bisogno di bere finché l'odore di aceto non le solleticò le narici.
- Mi dispiace per quello che è successo. Deve essere stato orribile per te. -
Nemeria fissò in silenzio i due nuovi combattenti. Lo scambio di colpi si susseguiva frenetico, con Noriko che bloccava e respingeva ogni assalto del suo avversario. La grazia con cui muoveva il tessen, il ventaglio da guerra, sottolineava ancora di più la goffaggine di Sadegh e della sua lancia.
Non ricevendo risposta, Durga continuò a cianciare, come se così avesse potuto indurla ad aprirsi. Nemeria però non aveva voglia di parlare. La sensazione di smarrimento, dolorosa più d'una ferita purulenta, era l'unica cosa che provava. Lasciò che le parole dell'amica si affastellassero l'una dietro l'altra, che si sedimentassero riempiendo i vuoti della sua mente con immagini incolori e concetti privi di senso. Dopo un po' quel brusio tacque e nelle orecchie di Nemeria non rimase altro che lo scoppiettare lontano del fuoco.
- Tu. -
Nemeria si girò e incontrò gli occhi di Ahhotep. Tra loro c'era una distanza di un mezzo braccio, abbastanza per dare un'idea di confidenza. Durga si era spostata chissà dove.
- Che cosa vuoi? -
- Parlare. -
- Non ne ho voglia. - ringhiò.
Un brivido accapponò la pelle di Ahhotep e Nemeria pensò che se ne sarebbe andata. Invece la ragazza rimase lì, con i pugni chiusi e le spalle rigide.
- Adesso capisci perché non voglio che tu faccia amicizia con Durga? Lei si è davvero affezionata a te e ne soffrirebbe molto se tu ti trasformassi in Jin. L'hai visto anche tu quanto è brutta la soppressione. -
- Anche tu lo sai, eppure non mi sembra che ti sia allontanata. -
- Perché lei ha bisogno di me. -
"Perché pensi che di me non abbia bisogno?!"
Si prese la testa tra le mani e appoggiò la fronte sulle ginocchia, schiena alla gradinata. Il contatto della sua pelle calda contro la pietra fredda la raggelò.
- Anche se mi odi, mi dispiace per quello che ti è successo. So cosa significa perdere qualcuno in questo modo. - aggiunse Ahhotep.
Nemeria tornò a osservare lo scontro. Sadegh era riuscito a farsi largo nella difesa di Noriko, anche se l'impressione era più che fosse lei a permettergli di metterla in difficoltà.
- Da come ti sei sempre comportata, sembrava fossi tu a odiare me. - sospirò dopo un po'.
- È vero. Le persone ingenue come te le trovo insopportabili. -
- Però mi temi. - dichiarò, poi ridacchiò, - Non capisco nemmeno perché stiamo parlando. -
Ahhotep scrollò una spalla. Si era spostata un paio di pollici in là, alla giusta distanza per mantenere una parvenza di familiarità e per concederle al contempo di allontanarsi al primo segno di pericolo.
- Me lo ha chiesto Durga. -
- Ed è stata lei a chiederti di dirmi di starle lontana? -
- Sai già qual è la risposta. -
Nemeria strozzò una parolaccia tra i denti e si alzò bruscamente. Si sentiva le gambe anchilosate e i nervi fin troppo recettivi. Ahhotep schizzò più in là come un gatto in presenza di un cane randagio.
- Non... non si può uscire dall'arena. - l'avvertì, ma Nemeria la ignorò.
Prese il bicchiere con l'absayah rimasta, scese giù dalle gradinate e imboccò le scale di accesso al pubblico. Era un corridoio più ampio, dove erano state dipinte scene di combattimento tra gladiatori e tra gladiatori e bestie. A metà, una porta si apriva verso l'interno. Nemeria la imboccò subito.
La accolse una stanza semicircolare, con due file di sedili di pietra lungo entrambe le pareti e un sottile canale dove scorreva l'acqua. L'aria che filtrava attraverso i fori tra muro e soffitto si raffreddava a contatto con quella che aleggiava all'interno, ma né quella, né la lavanda, né l'acqua profumata che zampillava dalle fontane era sufficiente a scacciare la puzza di escrementi.
Nemeria vomitò la colazione. Bevve ancora e il suo stomaco rigurgitò quell'acqua sporca in una brodaglia acida e rivoltante. Se avesse potuto, avrebbe sputato anche il cuore e tutti gli organi che le galleggiavano in corpo. Invece riuscì appena ad appoggiare la testa al muro, con un filo di saliva che le penzolava come una tela di ragno spezzata dalle labbra. Attese finché i crampi allo stomaco non cessarono e poi si lasciò cadere su uno di quei sedili, abbracciando le ginocchia al petto. Singhiozzò così forte che le parve che il respiro le dilaniasse la gola, stringendo le palpebre per trattenere lacrime che non aveva.
Rimase rannicchiata lì per così tanto che alla fine non si sentì più le gambe e le braccia. Quando la porta si aprì e Senan entrò, non ci fece caso. Da dietro le ciglia vedeva solo una figura indefinita. Riacquistò un minimo di contorno quando prese la spugna dalla cesta affissa sulla parete in fondo e la immerse nella vasca davanti a Nemeria.
Senan puntò lo sguardo su di lei. Le pitture da guerra, tracciate con grande precisione su guance, fronte e bocca, erano di un blu granuloso, leggermente più scuro della kandys sbracciata che indossava.
Nemeria si ritirò ancora di più. Non era lì, lei. Il suo corpo si era rintanato nelle latrine, ma la sua mente era rimasta inchiodata... dove? Nell'arena o all'accampamento della sua tribù? Era il sangue di Dariush o quello di sua madre a macchiare la sabbia? Strinse ancora di più le braccia attorno alle gambe, come se così facendo avesse potuto contenere il tumulto che le scavava nelle viscere.
Senan sospirò. Rilavò le mani e la spugna che aveva usato per sciacquarsi nelle parti intime e la lanciò nella cesta di fianco a quella da cui l'aveva presa.
- Se non torni, qualcuno potrebbe farsi delle domande. -
"Perché nessuno mi vuole lasciare in pace?"
Lo avrebbe respinto se solo ne avesse avuto la forza. Invece, quando Senan le si inginocchiò davanti e sciolse le dita intrecciate, le sue mani cedettero all'istante.
- Come ti chiami? - le domandò con un sorriso.
Aveva la voce rauca. Gli occhi erano di un ardesia chiaro, con una ragnatela bianca e azzurra che raccoglieva una pupilla grande come un bottone e una piccola come una capocchia di spillo.
- Nemeria.-
- Bene, Nemeria. Ascolta, non dovresti stare qui. Le tue amiche ti stanno cercando da un pezzo e sono davvero preoccupate per te. Non è giusto trattarle così, non credi? -
Nemeria si ritrovò ad annuire. Si lasciò aiutare a rimettersi in piedi. I muscoli delle gambe protestarono quando si distesero. Prese il sapone ancora bagnato dalla conchiglia sul bordo della vasca di pietra e cominciò a strofinare le mani con forza, per togliere ogni goccia di sangue. Ci dovevano essere, anche se non riusciva a vederle.
- Basta, adesso sono pulite. -
Senan le bloccò i polsi e li tirò fuori dall'acqua. Le dita erano arrossate e le vene sotto pelle così visibili da sembrare tracciate con l'inchiostro.
- Era un tuo amico quello che ha perso il controllo? -
Nemeria negò, annuì e poi negò di nuovo. Dariush era l'aguzzino di Altea e, nel periodo passato con la Famiglia, Nemeria aveva spesso sperato che sparisse.
- Non meritava quella fine. Anche se era crudele, non meritava di essere soppresso come un animale. -
- Lo so, ma è necessario. Se le guardie non fossero intervenute, tu saresti morta e anche noi saremmo stati in pericolo. Se avesse perso il controllo fuori da qui, sarebbe stato anche peggio. -
- Sì, ma... ma è difficile da accettare. -
Il sorriso di Senan era sincero, ma non gli illuminò gli occhi: - Devi imparare a sopportarlo, altrimenti non ce la farai a sopravvivere. -
Le asciugò le mani con il lembo della sua kandys. Le sue, callose e ruvide, ricordavano a Nemeria quelle del vecchio Arsalan, la stessa vissuta gentilezza che animava i suoi movimenti quando lavorava il cuoio o si prendeva cura di una giumenta ferita. Forse era quella somiglianza tattile a renderla vulnerabile e a ispirarle più fiducia di quanta avrebbe dovuto riservargliene.
- Sei una bambina, non dovresti neanche fare questa vita. Ma visto che non puoi scappare, devi imparare a sopportare, altrimenti perderai il senno prima del tempo. -
Senan le diede le spalle e si passò l'acqua sul collo. Nemeria intravide le lettere finali di diverse parole che sbucavano da sotto la stoffa della kandys e tra i capelli lasciati sciolti, schiarite da diverse e profonde cicatrici.
- Tu sei uno dei gladiatori di Siamak, vero? -
- Sì. E adesso se non torno, mi verrà a cercare. -
Le indicò la porta con un cenno del capo. Quando la aprì, l'aria fresca le punse il naso e nelle orecchie rimbombarono le urla d'incoraggiamento del pubblico.
- Eccola! -
Durga la investì e la avvolse in un abbraccio stritolante che quasi la scaraventò a terra. Noriko la raggiunse subito dopo, assieme ad Ahhotep.
- Dov'eri finita? Ti abbiamo cercato per un sacco di tempo! -
- Durga... Durga così mi uccidi. - rantolò.
La bambina la lasciò andare e le piantò addosso un broncio condito da un'espressione offesa.
- Ti sei persa il mio scontro, cattiva. - borbottò in tono lamentoso.
- Mi dispiace, è che non mi sentivo bene. -
- Sì, in effetti hai una brutta cera. - confermò Noriko, - Torna a sederti e bevi qualcosa. Stare nelle latrine non ti farà stare meglio. -
La prese sottobraccio e Durga fece lo stesso con Ahhotep. Nonostante la polvere su mani e ginocchia e il brutto livido all'angolo della bocca, era ancora piena di energie e non smise di saltellarle intorno e sciorinarle dettagli su come fosse andato il suo scontro. Quando tornarono sulle gradinate, Nemeria aveva un gran mal di testa.
- Durga, credo che Nemeria abbia bisogno di riposare, ora. -
- Ma non ho ancora finito di raccontarle tutto! -
Ahhotep mitigò la voce in un tono più accondiscendente: - Lo so, ma dovresti darle un momento per riprendersi. -
- Uhm... va bene. -
- Piuttosto, accompagnami a prendere qualcosa da mangiare. - indicò un carretto dall'altro lato, - Voi due volete qualcosa? -
- Fai tu. - rispose Noriko.
Quando Ahhotep e Durga si allontanarono, Nemeria tirò un sospiro di sollievo. L'aria di mezzogiorno era torrida e gli schiavi si erano già premurati di dispiegare il complesso sistema di corde e veli per ombreggiava tutta la cavea.
- Ricordati che ancor prima di essere gladiatori, siamo attori. - le disse Noriko.
Nemeria si umettò le labbra e si passò una mano sul collo. Il sudore le inumidiva la nuca e la piegatura delle ginocchia, incollandole la kandys alla scapole.
- Senan è stato gentile, però. -
- Tutti lo sono, specialmente quando vogliono qualcosa. -
- E cosa potrebbe volere Senan da me? -
Noriko sospirò. Seguì lo scambio di colpi tra i due nuovi sfidanti, un ragazzo imberbe e un altro più basso ma più muscoloso, che maneggiava un tridente. I tre rebbi si conficcarono con così tanta forza nel terreno da mandare l'avversario a gambe all'aria.
- Uno scontro contro un gladiatore che non combatte al meglio delle sue possibilità annoia il pubblico. Nella nostra ottica, è meglio perdere contro un avversario che ci mette in difficoltà, piuttosto che vincere contro una persona che a malapena si difende. -
Nemeria cercò Senan con gli occhi, ma era difficile individuarlo in mezzo a tutta quella gente.
- A me è sembrato sincero. -
- Te l'ho detto: siamo attori e lui è un Eoin'id che deve aver superato da un bel po' il secolo di vita. Ha avuto tutto il tempo per imparare a fingersi una brava persona. -
- Lui quindi era già un gladiatore? -
Noriko si terse il sudore con una mano.
- Potrebbe essere. Sicuramente non è un novellino come noi, penso te ne sia accorta anche tu. -
Nemeria non poté che concordare. Le pitture sul viso, le cicatrici e le mani callose erano tutti indizi di un passato ben preciso.
"Aveva qualcos'altro tatuato sulla schiena..."
Il piatto che apparve tra lei e Noriko richiamò bruscamente la sua attenzione.
- Allora, ho preso un po' di tutto. Questo è col pollo, questi con tacchino e questi ultimi qui nell'angolo sono con lo struzzo. Visto che non sapevo se avevate fame come me, mi sono fatta mettere anche un po' di lenticchie, fagioli e una manciata di fave per pulirvi la bocca. - Durga consegnò il piatto a Noriko e si sedette di fianco a Nemeria, - Ho preso anche la salsa allo yogurt e aglio, la toum, la tasia e l'hummus. L'hummus so che ti piace, ma le altre due puoi assaggiarle da me, se vuoi. -
Ahhotep arricciò il naso, l'espressione così disgustata che persino Noriko non riuscì a rimanere impassibile.
- A lei non piace l'aglio. - spiegò Durga, intingendo uno spiedino nella salsa allo yogurt, - Io invece lo adoro! Rende tutto più buono, come il sale. -
- Non penso ci sia qualcosa che non ti piaccia, a parte i sassi. - la rimbeccò Ahhotep.
Nemeria scoppiò a ridere e Noriko dovette intervenire dandole diverse pacche sulla schiena per non farla strozzare.
- E tu sei la solita schizzinosa. -
- Mai negato d'esserlo. -
Durga fissò dapprima lo spiedino, poi Ahhotep e poi Nemeria che cercava di recuperare un minimo di contegno. Tutta impettita, tirò su una grossa quantità di hummus con lo spiedino.
- Non c'è gusto a litigare con te. - borbottò.
- Più parli, più il cibo si fredda. -
- Va bene, va bene. - sbuffò e il ciuffetto di capelli si alzò e le ricadde proprio sul naso.
Nemeria prese uno spiedino e lo masticò con gusto. La carne era un po' bruciacchiata, ma era così tenera che quasi si scioglieva in bocca. Una gomitata la fece voltare e si ritrovò faccia a faccia con Durga, i denti affondati nello spiedino, gli occhi spalancati e il naso sporco d'una goccia di hummus. Rimase un momento perplessa, ma prima che potesse capire davvero cosa stava accadendo, la sua compagna si infilò entrambi gli spiedi nelle narici e si girò verso Ahhotep.
- Mai negato d'essere schizzinosa. - le fece il verso, allungando la "a" finale per alitarle addosso.
- Per Ahurmazd Heydar, cosa c'era in quella salsa... -
- Shono Ahhotep, la gladiatrice schizzinosa. -
In risposta, Ahhotep si tappò il naso e le mise una mano in faccia, mentre Durga rideva. E la sua risata strappò un sorriso a Noriko e contagiò Nemeria. Il dolore, un grumo pulsante di sangue e senso di colpa, si sgretolò e si sciolse in lacrime.
- Piangi perché Durga è stupida? - le domandò Noriko.
- Non shono shtupida! - ribatté e stavolta arcuò la lingua nel tentativo di toccarsi il naso, - Ahhhh, scappa! Il mio naso scappa! -
Nemeria rise più forte. Non sapeva nemmeno lei se era per Dariush o per quelle stupide facce buffe. E, sinceramente, non gliene importava molto.
- Se... se continui così il mio cuore esploderà. -
- Se esplode perché sei felice, va bene. - le prese le guance e gliele tirò su in un sorriso, - La mia mamma diceva che il riso può guarire anche le malattie più brutte. Quindi quando sei triste, devi ridere più forte che puoi, così il dolore andrà via e tu tornerai a stare bene. -
- È vero, lo dicevano anche al tempio. - disse Noriko.
Nemeria tossicchiò un paio di volte e tornò a mangiare. Anche se non aveva molta fame, vedere Durga mangiare con quella voracità le mise appetito e alla fine si prese anche qualche spiedino destinato a Noriko. Le poche volte che intercettò le occhiate preoccupate di Ahhotep, decise di ignorarle: la sua allegria era già in bilico, sarebbe bastato troppo poco per farla precipitare nel crepaccio che le aveva spaccato il cuore.
La giornata da quel momento proseguì lenta, scandita soltanto dagli scontri che si avvicendavano sotto i loro sguardi.
Senan fu uno degli ultimi a scendere in campo e non diede chissà che spettacolo, anche se Nemeria rimase colpita quando lo vide entrare nell'arena a petto nudo, mostrando un reticolo in rilievo di cicatrici e scritte nere, tatuate in una calligrafia elegante. A differenza di lei e Noriko, indossava delle cavigliere placcate in oricalco. Si misurò con un altro gladiatore, un uomo con il petto villoso e il collo taurino piantato in mezzo alle spalle come un chiodo nel legno. Non ci fu praticamente sfida: Senan era agile, schivava ogni colpo della sua shamshir con grazia felina, roteando in semi cerchi come se stesse ballando su una musica lenta che si velocizzava a ogni suo cambiamento di passi. Non appena il suo avversario cominciò ad accusare i primi segni di stanchezza, passò al contrattacco e, dopo nemmeno due scambi, lo disarmò e lo costrinse a terra. Non attese nemmeno che l'arbitro ne dichiarasse la sconfitta e subito imboccò l'uscita.
Al calar del sole, le guardie radunarono tutti i vincitori nel centro dell'arena. Adhara li chiamò uno ad uno e appuntò i loro nomi: dai trentadue che c'erano quella mattina, erano rimasti soltanto in sedici.
- Domani fatevi trovare all'arena come stamattina. - ordinò Koosha.
Tyrron le scoccò un sorriso più che compiaciuto. Nemeria ricambiò, più per dovere che per reale partecipazione. Gli avrebbe voluto chiedere come stesse Batuffolo, ma lui andò via scortato da un manipolo di soldati, assieme a tutti gli altri lanisti.
Ad attenderli al refettorio c'era la solita cena deludente a base di legumi, verdura e uova, niente a che vedere con gli spiedini che avevano consumato per pranzo, ma tanto bastava per mettere a tacere la fame.
Durga era ancora piena di energia e non smetteva di parlare, e mentre parlava gesticolava, con gli occhietti gialli che brillavano d'eccitazione ogni volta che raccontava i dettagli degli scontri. Nemeria non si capacitava da dove avesse tirato fuori tutta quella loquacità, quando lei desiderava soltanto buttarsi sul letto. Nel momento in cui Noriko propose di andare a dormire, colse la palla al balzo e, dopo essersi lavate, la seguì fino in camera.
- Vado a chiedere a Nande se ha qualche erba per conciliarti il sonno. -
- Ma non mi serve... -
- Ti serve, invece. La morte di Dariush ti ha sconvolta e rischi di non chiudere occhio stanotte. -
Nemeria annuì e rimase lì finché Noriko non tornò con un infuso di semi di papavero.
Quella notte si sedette vicino al focolare di Agni. Il suo calore tenne lontani i mostri, gli spettri e il profondo, tagliente senso di colpa.
La giornata seguente si trascinò con fatica fino a sera, quando Nemeria andò al tempio. Fino a quel pomeriggio non ne immaginava nemmeno l'esistenza. Lo aveva sentito nominare da un servo mentre rientrava dal suo scontro e per risalire alla sua collocazione le era stato sufficiente chiedere. Noriko l'aveva sentita, ma non aveva fatto domande quando, dopo essersi cambiata, Nemeria era uscita di nuovo.
Il tempio era un luogo angusto, una stanza quadrangolare dove la luce delle stelle e delle candele sfiorava le immagini della lotta di Heydar e degli Spiriti contro la Madre in rilievo sulle pareti. Le ombre le facevano sembrare vive, carne intrappolata nella pietra in cerca di una vita di fuga.
Nemeria prese un incenso e si inginocchiò davanti all'altare, sotto lo sguardo vigile di quel dio crudele, circondato dai suoi fedeli sudditi armati con lance e spade d'oro. Compose i segni dei cakra.
Si sentiva la testa e il cuore pesanti e quella pesantezza sembrava aver incancrenito ogni appendice del suo corpo. Quando si era scontrata nell'arena, il suo avversario era rimasto indefinito, anche dopo che l'arbitro ne aveva annunciato la sconfitta. Erano gli strascichi della malattia, la convalescenza del dolore.
Chiuse gli occhi e raddrizzò le schiena. Pregò per Altea e Hirad, che avessero una buona vita; per Kimiya, che trovasse la forza di opporsi alla crudeltà di Mina; per Chalipa e Afareen, che riuscissero a trovare la loro strada nel mondo esterno. Pregò per i gemelli e per Hami, che la vita gli fosse dolce.
Strinse la mano a pugno sul petto, dove un tempo penzolava la pietra di luna, e trasse un profondo respiro. Non c'era un'anima da vegliare o un corpo da vestire e lavare. Non sopravviveva niente, se non il ricordo di quegli ultimi istanti passati assieme nell'arena.
- Madre, nel tuo tramonto soggiace la pace dell'alba.
Tutte le cose sono effimere e la vita è vita solo se si può spegnere.
Anche se la mia anima tramonterà, io non ho paura
perché in ognuno cammina la morte
e colui che sempre scompare, sempre si incamminerà verso il cielo.
Madre, nell'ora più buia guida a te chi non ha più stelle. -
Rimase inginocchiata fino a quando l'incenso non bruciò del tutto e il formicolio alle gambe non divenne insopportabile. Indugiò sulla soglia del tempio, lo sguardo fisso sul viso impassibile di Heydar. Quasi per spregio, ripeté i segni degli otto cakra e poi uscì a passo di marcia.
 
La mattina successiva vennero svegliati prima del solito. Stavolta, però, al posto di Ozgur, a tirarle giù dal letto fu Bahar.
- Su, su, in piedi. Oggi ci sarà la sfilata in città. -
- Di cosa stai parlando? -
- Ieri non vi hanno detto nulla? - si grattò la nuca e poi si rivolse a Noriko, - Davvero non ne sapete niente? -
- Aghà Koosha ci ha solo ordinato di andare all'arena. -
- Ah, fanno i misteriosi. - ridacchiò e allungò le braccia, scrocchiando le dita, - Allora nemmeno io vi dico nulla. Ora muovetevi. Prima arriviamo, meglio è. -
Noriko annuì, prese a braccetto Nemeria e la scortò in bagno. Nonostante fosse tornata presto, il sonno non aveva scacciato la pesantezza. Si lavò e si cambiò quanto più in fretta poté, ma pur con tutti gli sforzi Bahar le rivolse una smorfia carica di sussiego.
Marciarono fino all'arena, dove li attendevano gli altri otto gladiatori. C'erano meno guardie del solito, o almeno questa era l'impressione di Nemeria. Li contarono come il giorno prima e poi, contro ogni pronostico, i lanisti richiamarono i propri gladiatori. Diedero loro delle cappe e li scortarono fuori dall'arena.
- Ma... ma che sta succedendo? - mormorò Nemeria.
- Non lo so, sembra che stiamo per uscire da qui. - rispose Noriko, avvolgendosi nel mantello.
- Non vi preoccupate, non sta per accadere niente di brutto. - ridacchiò Bahar, - Per stasera sarete splendide. -
Giunti davanti al portone, Tyrron si voltò verso di loro. Quella mattina si era fatto una treccia e il chitone bianco con rifiniture d'oro gli conferiva un'aria autorevole, da uomo di potere.
- Appena usciremo, ci saranno già molte persone. Le guardie li terranno lontani, ma voi dovete cercare di farvi vedere il meno possibile, quindi testa bassa e procedete spedite, senza mai fermarvi. -
I soldati che costituivano la sua scorta personale si misero in formazione attorno a tutti loro, con Noriko e Nemeria dietro a Tyrron, Bahar e Morad. Quando le porte si aprirono, furono accolti da una folla di curiosi. C'erano donne, uomini, ragazzi e ragazze d'ogni età, persino bambini che avevano sì e no l'età di Rakhsaan. Da sotto il cappuccio Nemeria non riusciva a vedere bene, ma l'euforia e l'entusiasmo che trapelava a ogni loro esclamazione le metteva addosso la voglia di strapparsi il mantello di dosso e correre in mezzo a loro.
- Tyrron! Tyrron! Tyrron! -
Il suo lanista alzò un braccio e salutò la folla che gli rispose con uno scroscio di applausi e inneggiando con voce ancora più alta il suo nome. L'eccitazione sfrigolava nell'aria, era nettare per le orecchie e vino sulle fiamme di Agni.
Camminarono per un paio di minuti prima di arrivare davanti a un carro coperto da un telo di iuta.
- Su, entrate. Siamo già abbastanza in ritardo sulla tabella di marcia. - le incitò irritato Tyrron.
Bahar saltò su prima di loro. Morad fu l'ultimo, assieme ad altre quattro guardie. Lo schiocco di frusta preannunciò il nitrito dei cavalli e la messa in moto del carro. Seduta tra due uomini armati fino ai denti, Nemeria era combattuta tra l'eccitazione per la novità e il timore per ciò che l'aspettava.
- Niente facce tristi, mica siete delle condannate a morte! Andate a farvi belle per la parata di stasera. -
- Pensavo che oggi avremmo combattuto. -
- No, domani tornerete a menar le mani, ma oggi trascorrerete la giornata alle terme più lussuose di Kalaspirit. Verrete pettinate, truccate, depilate e vi verranno forniti dei vestiti per l'occasione, cuciti proprio su misura per voi. - si batté le mani sulle cosce e il suo sorriso si allargò, - Uscirete da lì che non vi riconoscerete più. -
Rimasero sul carro per molto tempo. Quando scesero, si trovarono davanti a un ingresso monumentale, con sei colonne di marmo bianchissimo che si stagliavano alte a sostenere un'architrave ornata con fregi bronzei.
- Benvenute alle terme di Revati! - chiocciò Bahar.
- Anche... anche gli altri lanisti le hanno? - balbettò impressionata Nemeria.
Per la Madre, nemmeno nelle sue fantasie si sarebbe mai potuta immaginare un posto del genere.
- Oh sì, ma davanti alle mie sbiadiscono. E lo dico senza modestia. - rispose Tyrron, - Non stare lì impalata, sbrigati. -
All'ingresso vennero loro incontro uno stuolo di giovani, tutti vestiti con una tunica bianca stretta in vita da una cintura di cuoio lucidissima e i capelli raccolti in una coda alta.
- Nemeria e Noriko, andate con loro. Morad e Bahar, sorvegliate l'altra uscita. - ordinò Tyrron e poi si rivolse alle due gladiatrici, - Non penso serva, ma niente colpi di testa nelle mie terme. I soldati rimarranno fuori durante i trattamenti, però sono autorizzati a intervenire al primo segnale di pericolo. Spero vivamente che non sia necessario. -
Noriko rispose con un'alzata di spalle, mentre Nemeria assentì. A quel gesto, Tyrron sorrise e rilassò le spalle.
Salirono una rampa di scale sulla destra. Al primo piano c'era una sala rotonda, con diversi uomini che si allenavano sollevando pesi, nella corsa o in vari esercizi di corpo libero, mentre altri riprendevano fiato tra una chiacchiera e l'altra.
Il nutrito gruppo di ragazze che era stato assegnato a Noriko la condusse in un altro corridoio, più piccolo rispetto a quello da cui erano venute.
Nemeria venne dapprima portata in una stanza con una vasca dove poté lavarsi e, in seguito, all'interno di una stanzetta piacevolmente riscaldata, con un lettino al centro.
- Prego, cambiati e poi rilassati. Ci pensiamo noi a te. -
Il sorriso della ragazza la metteva un po' a disagio, ma alla fine Nemeria obbedì. Quando si distese, con solo il pestemal addosso, tutte le altre ragazze si affollarono attorno a lei.
- Ebbene sì, ragazzo, hai bisogno di una bella ripulita. -
- Non è un ragazzo, è una ragazza, Lada. -
Quella che aveva parlato, una Ver'ilef con il naso aquilino e la fossetta sul mento, si portò una mano alla bocca in un risolino nervoso.
- Perdonami, è che sei davvero... -
- Mascolina? -
- Sì... sì, mascolina. - ridacchiò e, mentre un'altra ragazza passava dell'olio, tirò su con una spatola della crema gialla che profumava di miele e gliela spalmò sulle gambe, - Sei bella comunque, ma ammetto che a primo impatto non avevo capito che eri femmina. -
Nemeria nascose un sospiro sconsolato.
"Non vedo l'ora che mi crescano i capell..."
Cacciò un urlo e afferrò la sponda del lettino con entrambe le mani. Stava già per ritrarre la gamba, quando si sentì afferrare per le caviglie.
- Ferma, altrimenti appiccichi la crema ovunque. - l'ammonì Lada.
- Cosa... cosa mi state facendo? - pigolò e sussultò di nuovo quando percepì il profilo freddo di una lama sulla pelle.
- Ti togliamo tutta la pelliccia che hai addosso, bambina. -
- Ma... ma perché? A che serv- ah! -
- Devi essere bella stasera e domani. Sarai anche una gladiatrice, ma se vuoi avere degli sponsor devi avere un aspetto più che accettabile. - le mostrò la striscia di crema gialla, punteggiata da peli nerissimi, - So che la prima volta fa male, ma vedrai che ti abituerai presto. -
Nemeria aveva le lacrime agli occhi per il dolore, ma riuscì comunque a fare un lieve cenno di assenso prima che riprendessero. Cercò di contenersi, anche se a ogni strappo le veniva da piangere. Più di una volta ritrasse la gamba e sferrò un calcio a vuoto. Se Lada e l'altra ragazza non avessero avuto i riflessi pronti, probabilmente le avrebbe centrate in pieno.
Non si limitarono a toglierle i peli dalle gambe. Nelle successive cinque ore le strapparono quelli sulle dita dei piedi, sulle braccia e sotto le ascelle, finché non furono soddisfatte. Alla fine, quando la girarono supina e si dedicarono e regolarle le sopracciglia e i pochi arditi peli che sbucavano dal naso, non sentiva quasi più niente.
- Sei stata bravissima. - le sorrise indulgente Lada.
- Sì, davvero. Io la prima volta ho urlato per tutto il tempo. - aggiunse l'altra ragazza, quella che l'aveva invitata a stendersi.
Non che per Nemeria facesse tanta differenza: se avesse potuto, avrebbe volentieri evitato di essere "bravissima" e "coraggiosa".
Lada aprì l'armadio e le porse un paio di mutande e una fascia di stoffa, uguali identici a quelli che aveva indossato per il bagno. Prima ancora che le dicesse qualcosa, Nemeria si era già messa in piedi e se li stava mettendo addosso. Non si rese conto di aver trattenuto il fiato finché non la portarono nella stanza attigua, quella con la vasca. Come prima, la cosparsero con un unguento grumoso che aveva un profumo delicato di cannella, resina e mandorle. La massaggiarono a lungo prima di permetterle di scivolare in acqua e, mentre Nemeria si risciacquava, loro le strofinarono la schiena e le spalle con una spugna ruvida. Con sua grande sorpresa, le applicarono anche una crema sul viso, che, nonostante avesse un profumo nauseante, quando poté lavarla le lasciò la pelle morbida e profumata.
Stava già imbrunendo quando finalmente la lasciarono andare. O meglio, la scortarono in una stanza dove non c'erano né lettini né vasche né nessuno di quegli strani attrezzi per la cura del corpo.
- Aspettate qui. Aghà Ehsan arriverà a breve. -
Attesero che le guardie prendessero posizione e richiusero la porta. Noriko alzò lo sguardo e la fissò. Il rossore sulle sopracciglia e sul labbro le gonfiava il viso, facendolo apparire più tozzo di quanto in realtà fosse.
- Traumatico? -
Nemeria annuì e si lasciò cadere sulla panca di legno, gambe e braccia aperte, testa reclinata all'indietro. Non capiva come la gente potesse spendere dei soldi per andare lì: si sentiva esausta e dolorante come al termine di un allenamento con Roshanai.
- Chi è Ehsan? - chiese dopo un po'.
- Spero non un altro amante della pulizia del viso. -
Nemeria ridacchiò e Noriko abbozzò un mezzo sorriso. Le avevano tagliato i capelli, eliminando le punte rovinate e accorciando quelle troppo lunghe o fuori posto. Vista così, sembrava più grande e matura.
La porta si aprì ed entrò un uomo giovane con una kandys blu, con un ricamo di tralicci d'uva sullo scollo e sulle maniche svasate d'oro, come d'oro erano gli orecchini a forma di serpente che gli pendevano dai lobi. Batté le mani e i servi che lo seguivano si spostarono ai lati, con le braccia appesantite da una cascata di stoffe colorate.
- Quindi siete voi le promesse gladiatrici. Tyrron mi ha parlato molto di voi. - le scrutò con i suoi occhi azzurri, l'angolo della bocca alzato in un mezzo sorriso, - Siete una più particolare dell'altra, non c'è che dire, non ha esagerato. -
Nessuna delle due osò parlare. Noriko non sembrava interessata, ma lei non riusciva a staccare lo sguardo da quel tripudio di colori. Parevano delle stoffe, tuttavia più le guardava più le pareva di riconoscere il profilo di una manica o la piegatura di un colletto.
- … e tu, invece? -
Noriko le diede una gomitata, che Nemeria incassò con un grugnito. Le stava per rispondere a tono quando notò che nella stanza c'era silenzio e che l'uomo stava guardando proprio lei.
- Dicevate a me, aghà? -
- Sì, dicevo proprio a te. Volevo sapere qual era il tuo nome, se mi è concesso chiederlo, bayenni. -
Il tono con cui pronunciò "signorina" era a metà tra il serio e il faceto, e le strappò un sorriso.
- Nemeria, aghà. -
- Nemeria... scelta particolare. Nella lingua Školt significa “indomabile”, mi pare di ricordare. - si avvicinò di un paio di passi e inclinò la testa, fissandola in volto, - Zanminant vser'ez. -
- Non... capisco. -
L'uomo scoppiò a ridere e poi fece un cenno alle sue spalle. Come a un segnale convenuto, fluirono nella stanza almeno un'altra decina di servi, tutti con in mano vasetti, pennelli, matite e tanto altro. Mentre i due che avevano portato gli abiti li disponevano sui nuovi manichini, l'uomo tornò a guardarla.
- Ti ho solo detto che sei molto interessante, bambina. Spero davvero che voi due riusciate a farvi notare. Sarebbe un peccato che due creature così fuori dal comune finissero nel dimenticatoio prima del tempo. - srotolò un metro dalla cintura e si lisciò la barba sulle guance, - Lasciate fare tutto a noi, ora. Stasera anche le stelle dovranno inchinarsi a voi, quanto è vero che Ehsan è il miglior sarto di Kalaspirit. -
 
La sera giunse in fretta. Come ogni giorno, la luce del sole era retrocessa lentamente, per poi cedere il passo al buio luminoso, mantello della luna e delle stelle. Le terme avevano chiuso prima e, in quel momento, a parte lei, Noriko, Tyrron e i soldati che le avevano scortate fino a lì non c'era nessuno. Sotto la luce lattiginosa che invadeva l'atrio, le rifiniture delle loro armature splendevano come se al loro interno scorresse dell'acqua.
Nemeria trasse un profondo respiro, aprì e strinse i pugni molleggiando le ginocchia. Per quanto il velo che le copriva la bocca fosse leggero, l'aria sembrava sfuggirle.
- Signore. - un soldato scese la rampa di scale a grandi passi, - Tutti hanno acceso i fuochi. -
- Ottimo. -
Tyrron si girò verso Nemeria e Noriko. Per l'occasione, sopra i calzoni bianchi, portava una tunica nera con ampie maniche, chiusa in vita da una fusciacca frangiata rossa. I fili di seta che cucivano lo stemma della lince fiammeggiavano sulla spalla.
- Andiamo. -
L'aria fresca e frizzante della sera le investì in un soffio di vento che ingrossò le vesti e asciugò il sudore. Quando anche il cancello venne aperto per la gioia della folla, Nemeria dovette trattenere l'eccitazione. Le persone sgomitavano per vederle meglio, si mettevano sulla punta dei piedi tirando in alto i figli piccoli o facevano leva sulle ringhiere di ferro che delimitavano la strada per scorgere al di là del muro di guardie. E le loro acclamazioni e il loro indicarle con gli occhi spalancati non faceva altro che accrescere in Nemeria la voglia di soddisfare le loro aspettative. Tutto quello che era successo negli ultimi due giorni impallidiva sempre più a ogni sorriso o sguardo sognante che riceveva.
La strada si allargò in una via più grande e, contemporaneamente al loro arrivo, sulla sinistra giunse il gruppo di Tana. Ahhotep vestiva con un abito leggero di un grigio che sfumava sull'ampia gonna, che lasciava scoperte le gambe. Perle azzurre erano state cucite sul petto, seguendo la forma delle ali di una farfalla che sembravano abbracciare i piccoli seni e il collo. Nemeria ci mise un po' a capire che ai piedi portava dei semplici calcei bianchi e che i crisantemi che si inerpicavano fin sotto lo spacco erano dipinti. L'eterea grazia di Ahhotep si stemperava nell'allergia di Durga.
Non appena intercettò lo sguardo di Nemeria, la bambina la salutò con un sorriso raggiante. Prima che Tana potesse dirle qualcosa, in uno slancio corse in avanti, aprì le braccia e salutò il pubblico passando rasente alle guardie, battendo il cinque agli arditi che non si ritraevano. La cintura che le sosteneva i pantaloni sulla vita si aprì come la coda di un pavone, garrendo al vento accompagnata dal trillo impazzito dei sonagli sulla fascia, sulle braccia e sui ricci, pettinati in morbide onde.
Una delle guardie stava per scattare per andarla a riprendere, ma Tana gli fece cenno di no con la testa e tornò a guardala con un sorriso indulgente. Con quel peplo azzurro e le maniche semitrasparenti, sembrava una dea dell'aria, così effimera che sarebbe bastato una raffica più forte per farla volare via.
Attraversarono tutti i Quartieri della città, passando attraverso le piazze e le vie più conosciute. Per Nemeria era strano rivedere quelle strade che per mesi erano state la sua casa, ma senza l'angoscia di tornare alla tana senza aver recuperato abbastanza cibo. Al loro gruppo si unirono gli altri lanisti con i loro gladiatori, i loro vestiti sgargianti e le loro armature luccicanti. Nemeria avrebbe voluto osservarli meglio, ma un'occhiata di Noriko la dissuase.
Giunsero in una piazza rettangolare del Quartiere del Sole. Il vento gonfiava le tende dei negozi e faceva oscillare le fanoos che illuminavano l'ambiente, decine e decine di lanterne colorate sospese come bolle di sapone sopra le teste del pubblico. Su un palco addossato sotto un palazzo di tre piani, c'era un'orchestra, che al loro arrivo attaccò con una canzone dal ritmo scandito da cembali e tamburi. La folla accompagnò la musica battendo le mani o, quando anche gli altri strumenti si unirono alla melodia, ballando sul posto.
Quando terminarono di suonare, Koosha salì sul palco e tutti, persino i bambini, ammutolirono.
- Signori, benvenuti! Non mi dilungherò in chiacchiere. Quelli che vedete sono i nostri migliori gladiatori, gli otto selezionati che domani gareggeranno nell'arena. -
Aveva una voce stentorea che pareva arrivare direttamente dallo stomaco ed esplodergli in bocca.
- Ciò a cui assisterete stasera è solo una piccola parte di quello che sono capaci di fare. Divertitevi e, soprattutto, ricordatevi di loro domani: la loro vittoria dipende anche da voi, non dimenticatelo mai. -
Mentre scendeva dal palco il pubblico applaudì, ma l'attenzione di tutti era già fissata sul ragazzo al centro della piazza. Nemeria aveva l'impressione di averlo già visto, anche se non riusciva a ricordare dove o in che occasione.
- Abayomi di Adel, gladiatore. -
Il ragazzo marciò in mezzo alla piazza fino alla rastrelliera d'armi, fece un inchino fin troppo cerimonioso e poi afferrò due katane.
"Ma che sta facendo?"
Nemeria guardò Noriko in cerca di una spiegazione, ma anche la sua amica sembrava sorpresa tanto quanto lei.
- Che cosa sta succedendo? - le soffiò Durga all'orecchio, - E perché siamo qui? -
- Non lo so. -
- Non avete sentito Koosha? Dobbiamo esibirci davanti al pubblico. - rispose pacata Ahhotep, - Vogliono mettere alla prova la nostra capacità d'improvvisazione. -
Nemeria deglutì.
Abayomi sguainò le spade che aveva poggiato a terra in un ruggito, indietreggiò spostandosi di lato e le incrociò davanti al petto. Attese immobile con le gambe divaricate finché il suono delle tube e del liuto non si affievolì sotto il ritmo incalzante dei tamburi. Allora scattò in avanti, parando il colpo di un nemico immaginario con una spada, mentre l'altra tagliò l'aria in diagonale. Balzò indietro, girò su se stesso e rieseguì le tecniche, così in fretta che a malapena Nemeria riuscì a vederle prima che lui rotolasse fino alla rastrelliera e sfilasse una lancia. Ritornò in guardia un paio di secondi più tardi, di nuovo immobile sulle note calme della canzone. La mulinò piano, a destra e a sinistra, avanzando di qualche passo con quel suo sorriso da sberle stampato in faccia che Nemeria tanto odiava. Abayomi puntò lo sguardo su di lei e per un momento la sua coreografia parve fermarsi. Il rullare dei tamburi divenne un battito unico e sincronizzato che cresceva d'intensità. Il clangore metallico dei piatti sancì il colpo al volto, la finta al petto, spazzata sulle gambe e affondo nel piede. Nemeria strinse i pugni, reprimendo le fiamme sotto la pelle dei palmi: nella sua mente, era lei l'avversario che stava facendo a pezzi.
- Ti sta provocando, non cascarci. - l'avvertì Noriko.
- E dovrei rimanere impassibile davanti a una cosa del genere? -
- Sì, anche se non è nella tua natura. Se vuoi batterlo devi capire cosa sa e cosa non sa fare. E non sottovalutarlo: è l'unico umano in mezzo a Dominatori, eppure viene trattato con rispetto. A te le conclusioni. -
Seppur avesse ragione, per Nemeria era difficile concentrarsi. Più l'esibizione proseguiva, più la voglia di afferrare la shamshir e affrontarlo cresceva. Doveva ammettere però che era bravo, molto più bravo di quanto si sarebbe aspettata. Impugnava diverse armi come se fossero state un'estensione del sue braccio e le maneggiava con una tale naturalezza da far sembrare tutto semplice, immediato. Nemeria non si stupì più di tanto quando terminò l'esibizione e ricevette uno scroscio di applausi.
Un corno suonò e piombò di nuovo il silenzio.
- Zahra di Adel, dominatrice della terra. -
Zahra diede il cinque ad Abayomi e si diresse anche lei al centro della piazza. Guardò le armi nella rastrelliera con una smorfia di sufficienza prima di rivolgersi al pubblico. Come Abayomi, il trucco le allungava gli occhi e i diversi tatuaggi tribali a motivi geometrici che le avevano dipinto sulle braccia e sulle guance barbagliavano di una luce verde intensa. La tunica si ingrossò quando la pelle di Zahra si spaccò, esponendo lo strato di rocce compatto al di sotto. Richiamò i sassolini e la polvere e li compattò in una spessa lastra di pietra. Il pugno che sferrò la ruppe. I pezzi non fecero in tempo a cadere che, come attratti da una forza magnetica, scattarono contro di lei. Zahra li afferrò e li sgretolò fino a ridurli in sabbia.
Nemeria contemplò rapita i suoi movimenti. Sul finale, la dominatrice diede un pugno a terra. La calce che manteneva insieme l'acciottolato si ruppe e i sassi che ricaddero vennero fracassati da una rapida serie di calci. Al primo, cauto applauso ne seguirono altri e, mentre Zahra tornava vicino ad Abayomi, la piazza parve tremare sotto le urla entusiaste del pubblico.
Le esibizioni successive furono accolte allo stesso modo. Noriko eseguì una serie di tecniche di lotta a mani nude e con il tessen. A volte il vento cominciava a soffiare all'improvviso e i veli che le coprivano i capelli e la bocca si libravano in aria, lasciando scorgere ai più vicini un angolo del viso o una ciocca dei capelli sciolti. Quando compì una capriola in aria e rimase sospesa a tre piedi da terra, con le piume bianche che fuoriuscivano dai fiancali dell'armatura di cuoio colorata, poteva essere scambiata per un'assassina venuta dal deserto a cui fossero improvvisamente spuntate le ali.
Ahhotep, invece, si guadagnò più di un'occhiata meravigliata da parte del pubblico con la sua grazia. Snobbò le armi e gli altri strumenti che erano stati lasciati a disposizione e ballò sulle note di una canzone romantica, dove a farla da padrona erano il suono dolce della cetra, delle lire e dei sistri. La gonna catturava il vento a ogni giravolta e le scompigliava i capelli in una ruota perfetta, mentre la sua voce si accordava alle note e lei saliva i gradini di un'ampia scala immaginaria. Nemeria l'ammirò con meraviglia. Era come se la piazza fosse il suo palco e lei gli appartenesse.
- ...via di qua. -
Su quelle ultime parole, Ahhotep si lasciò cadere nel vuoto. Il vento la trattenne a qualche spanna da terra e la depositò sulla nuvola bianca che si era formata tipo materasso.
L'unico dominatore di Mina, una ragazza di nome Uriah, con i capelli a caschetto e la gonna fatta di sole piume nere, e Senan fecero due esibizioni piuttosto brevi: lui perché era chiaramente svogliato, lei perché era talmente agitata che le fu difficile richiamare il suo elemento come avrebbe voluto. Il pubblico parve contrariato, soprattutto quando pensò che lo spettacolo di Senan si fosse limitato a qualche tondo e fendente, ma quando questi buttò a terra l'acqua di entrambi i barili e la trasformò in una lastra di ghiaccio ammutolì all'improvviso. Poi il dominatore si gettò sulla pista, innalzandosi in avvitamenti, piroette e salti che esaltarono tutti. Anche Uriah fece una cosa simile, con la sola differenza che non riusciva a muovere la frusta e a pattinare con la stessa grazia dell'Eoin'id.
Quando giunse il suo turno, Nemeria non aveva la più pallida idea di che fare. Durga aveva usato la maggior parte degli strumenti a sua disposizione e l'olio, creando uno spettacolo in cui lei era una mangiatrice di fuoco, e poi aveva dato prova di essere brava anche nel maneggiare il suo amato kilij. A Nemeria sarebbe piaciuto fare qualcosa di originale, ma quando il ragazzo chiamò il suo nome, qualsiasi idea avesse si dissipò in una nuvola di fumo.
Avanzò al centro della piazza e per prima cosa prese la sua shamshir dalla rastrelliera. Era ancora leggermente umida, ma le bastò stringerla perché il calore delle sue mani la asciugasse. Il pubblico attendeva trepidante la sua esibizione. Anche se aveva desiderato avere tutti quegli occhi puntati addosso, in quel momento Nemeria avrebbe voluto essere altrove.
Non devi agitarti.
La voce di Pavona le risuonò nelle orecchie come se fosse alle sue spalle.
Controlla il respiro e poni un freno al battito del cuore, come ti ho insegnato.
"Non so cosa potrei fare per farmi amare. Le altre esibizioni sono state fenomenali e io... io non so davvero come potrei distinguermi."
Il brutto di essere gli ultimi a esibirsi. Quando mi capitava una cosa del genere, semplicemente facevo quello che mi veniva meglio o quello che, sul momento, avevo voglia di fare. L'improvvisazione è soprattutto questo, ricordatelo bene.
Il pubblico rumoreggiava, infastidito dall'attesa. Qualcuno sbuffò, altri si voltarono a parlare con la persona che avevano di fianco. La tensione estatica creata da Durga e dai suoi compagni si stava sfilacciando come una vecchia calza.
"E se non funziona?"
Non lo sai finché non provi.
Nemeria intercettò lo sguardo del corvo appollaiato sulla tettoia del palazzo vicino. Il cuore le batteva veloce nel petto, le sembrava di non avere abbastanza aria nei polmoni, ma lo scoppiettio del fuoco di Agni era forte, così forte che se chiudeva gli occhi e allungava la mano nel buio era certa che ne avrebbe potuto percepire il calore sui polpastrelli.
Strinse la shamshir e disegnò nell'aria un fendente che sprigionò una sventagliata di scintille. Poi parò un tondo da dietro e rispose con un affondo. Quando distese il braccio, le fiamme avvilupparono la lama e attecchirono sulle poche gocce d'olio rimaste. Si alzarono alte, in una rapida combustione, e si torsero su se stesse, prendendo la forma di uno stormo di colombe che si librarono attorno a lei. Le note delicate dell'orchestra tentennarono, rallentarono ancora e poi cedettero il passo all'incalzante suono dei sistri, dei cembali e dei flauti. Nemeria non si fermò. Sul nuovo ritmo, si gettò in un duello immaginario contro Zahra e Abayomi. A ogni colpo andato a segno, li cercava con lo sguardo perché voleva che sapessero che li avrebbe sconfitti. Si piegò sulle gambe e si aprì un varco nella difesa della dominatrice in un tondo che sprigionò un'altra sventagliata di lingue di fuoco. Allungò la gamba indietro e, impugnando la shamshir a due mani, menò un colpo diagonale, dal basso verso l'alto.
- Io vi batterò! - urlò ad Abayomi e poi aprì le braccia.
Il potere fluì come un fiume in piena ed eruppe dalla sua mano in una fiammata che illuminò a giorno la piazza. Una donna gridò e si tirò indietro, un ragazzo rimase a bocca aperta, mentre altri, molti altri, presero a battere le mani in alto. E quel battito divenne un lungo ed entusiasta applauso quando il fuoco prese la forma di un cavallo che trottava attorno alla piazza, con la criniera che si dissolveva al vento in petali fiammeggianti.
- Io vi batterò. - esalò stremata e abbassò la shamshir.
Sulle ultime note, il cavallo svanì e Nemeria si inchinò. Il sangue bollente le accaldava le guance e le rendeva difficile respirare. Ma più il pubblico applaudiva, più l'incendio che aveva dentro divampava incontrollato. Tutte le preoccupazioni erano delle macchie indistinte sullo sfondo del cielo stellato.
"Vincerò, perché non ho altra scelta."

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Capitolo 24
*** Rivincita ***


Fuoco 2

24

Rivincita

"A rigor di termini, non esiste affatto qualcosa come la ritorsione o la vendetta. La vendetta è un’azione che si vorrebbe compiere quando e proprio perché si è impotenti: non appena questo sentimento di impotenza scompare, svanisce anche il desiderio di vendicarsi."
George Orwell

Quando bussarono, la mattina seguente, Nemeria era già sveglia da un pezzo.
- Oh, buongiorno. Notte brava? - le domandò Tyrron.
Non appena chiusero la porta, ancor prima che Bahar o Morad si avvicinassero al suo letto, Noriko si mise seduta e uscì dalle lenzuola.
- No, la tensione mi ha tenuta sveglia. - rispose Nemeria sbadigliando.
Non era affatto la verità. Non tutta, almeno. Gli diede le spalle, tirò fuori la tunica più pulita che aveva e si stropicciò gli occhi per scacciare il profilo del corpo morto di Dariush dalla mente. Quando tornò a sedersi con i vestiti in grembo, Tyrron le scoccò una lunga occhiata che la costrinse ad abbassare lo sguardo. Anche se le sue pupille erano come trasparenti quando la guardava, non voleva che vedesse il suo cuore asserragliato in un groviglio di rovi e spine.
- Anche se aveste bevuto, per me non sarebbe un problema. Finché siete in grado di combattere, potete anche finirvi un barile intero di birra. -
- Basta che sia buona. - aggiunse Morad.
- Giusta osservazione. -
Bahar sorrise, anche se il tremolio agli angoli della bocca era un segno più che evidente che si stesse trattenendo.
- Stamane farete la vostra prima apparizione nell'arena. Indipendentemente dall'esito dello scontro, è importante che facciate bella figura. Non pensate che solo perché è il primo giorno potete prendervela comoda. Ieri sera avete dato spettacolo e avete attirato ben più di uno sguardo. Oggi è fondamentale che quegli occhi rimangano puntati su di voi. I più grandi gladiatori hanno cominciato a costruire la loro carriera fin dal loro esordio, coltivando ogni singolo ammiratore. Se qualcuno vi dice di considerare solo quelli che hanno i soldi, ignoratelo perché non sa di che cosa parla. Gli sponsor sono quelli che vi sovvenzioneranno, ma è il popolo, il basso, stupido e volubile popolo ad apprezzarvi. Perdete l'uno e sarete poveri. Perdete l'altro e siete morti. -
Nemeria annuì. Quel discorso aveva un che di definitivo che le diede i brividi.
- Non è detto che combatterete entrambe oggi, così come non è detto che combatterete domani, dipende tutto da come Koosha ha deciso di accoppiarvi. Ma quale che sia stata la sua scelta, ricordatevi ciò che vi ho detto. Ora preparatevi e andate a fare colazione. Io vi attendo assieme agli altri nel cortile centrale. -
Non appena uscirono, Nemeria si vestì e poi corse fino ai bagni per lavarsi. Noriko la seguì senza fiatare, silenziosa più del solito.
Per colazione offrirono loro pane e formaggio, accompagnato da miele e olive e una brocca d’acqua per ogni tavolo.
Quando le vide scendere, Durga quasi saltò sulla sedia. Era ancora piena di energie, vitale come e più di tutte le altre mattine.
- Buongiorno! - le salutò.
- Buongiorno. -
Nemeria si sedette al suo fianco, mentre Noriko prese posto di fronte a lei. Era strano vederla allegra, o quantomeno così allegra, anche se ormai si era ormai abituata alla sua faccia sempre sorridente. Quel suo chiacchiericcio era un sottofondo piacevole.
- Beata te che non senti la tensione di oggi. -
- Oh, io la sento eccome! Ma l’eccitazione è molta, molta di più. - ridacchiò e afferrò un fico dal piatto di Ahhotep, - Finora è andato tutto bene. Tana è stata contentissima sia della mia esibizione sia di quella di ‘Tep. Non vedo perché dovrei essere preoccupata. -
- Tuttavia hai gli occhi rossi. Dormi bene la notte? -
Le teste di Durga e Ahhotep scattarono quasi in simultanea in direzione di Noriko.
- La sera, a essere sincera, mi sento sempre molto stanca. Poi mi sembra di svegliarmi spesso. ‘Tep però mi ha assicurato che dormo come un ghiro. -
Guardò la sua amica in cerca di conferme e Ahhotep annuì, convinta.
- Me lo sono chiesto perché hai questi occhi da quando è cominciato il torneo e mi è venuto spontaneo farmi qualche domanda. - Noriko prese un’oliva e la snocciolò in pochi gesti, - Comunque, se quel rossore dovesse persistere, sarebbe il caso che ne parlassi con Nande. -
Ahhotep si morse l’interno della guancia con così tanta forza che persino Nemeria lo notò.
- Grazie della tua premura e dei tuoi consigli, ma sono certa che non sarà necessario. -
Noriko soppesò lo sguardo su di lei per un minuto buono.
- Lo spero per lei. - concluse.
Durga aveva gonfiato le guance, ma Ahhotep le fece cenno di lasciar perdere con un gesto svogliato della mano. C'era una nuova calma sul suo viso, una distensione dei lineamenti che persino a Nemeria parve finta. E, dall'occhiata che le rivolse Noriko, non doveva essere l'unica ad averlo notato.
Terminata la colazione, si diressero nel cortile centrale, dove li attendevano i soldati e i lanisti. Koosha, con grande sorpresa di tutti, non c'era.
Venne formato un gruppo compatto, con Nemeria e Noriko davanti, e a seguire tutti gli altri. Nessuno, neppure Mina, che aveva le labbra arricciate in una smorfia contrita, osò dire nulla. A giudicare dall'espressione tronfia di Tyrron, di qualsiasi cosa avessero discusso, lui aveva vinto.
Quando le porte si aprirono, Nemeria rimase stupita nel vedere quante persone ci fossero già in piedi a quell'ora. La folla assiepata dietro i cordoni di guardie e le ringhiere non era paragonabile a quella che le aveva accolte la sera prima, ma quegli occhi adoranti, seppur meno numerosi, le facevano venire i brividi.
Anche senza l'abito di Ehsan, molti la riconobbero. Addirittura una bambina strattonò la veste di sua madre finché questa non appuntò lo sguardo sull'oggetto del suo interesse. Il misto di curiosità e ammirazione che le si dipinse sul viso quando capì chi era, il modo quasi timoroso con cui scandì il suo nome, provocò a Nemeria un piacevole formicolio lungo la spina dorsale.
Entrarono dalla stessa porta che, tempo prima, Nemeria aveva oltrepassato per andare a incontrare Pavona. La volta precedente non ci aveva fatto molto caso, ma all'inizio e alla fine del corridoio, dopo la rampa di scala, c'erano due cancelli di un ferro così scuro da confondersi nella semioscurità.
Gli spogliatoi erano già affollati. Quando la scorta fece il proprio ingresso, i servi dei diversi lanisti accorsero a mettersi in fila, rigidi e impettiti come dei soldatini di legno. Oltre alla lince rossa, sui loro petti spiccavano lo stemma di un serpente, di un toro, di un gheppio e, infine, di uno scorpione.
- Siamek, Adel, Tara e Mina. - le soffiò Noriko all'orecchio.
Nemeria capì subito a cosa si riferiva. Istintivamente, cercò il viso di Kimiya tra le ragazze che si erano radunate attorno alla lanista, senza riconoscerlo. Non si era ancora decisa se sentirsi sollevata o meno quando la voce di Koosha irruppe nei suoi pensieri. Era comparso dal nulla e gli abiti ampi lo facevano somigliare a uno spettro.
- Gladiatori, preparatevi. Tra poche ore, l'arena si riempirà e voi farete il vostro debutto ufficiale. Le persone che vi hanno accolto stamani e ieri sera vi sembreranno poche a confronto di quelle che vedrete oggi. Ci sarà anche il governatore e la sua famiglia. - fece una pausa e affetto e una luce minacciosa si accese in fondo al suo unico occhio, - Non sono solito minacciare gli allievi della mia scuola, ma sappiate che non tollererò insubordinazioni. Quindi se avevate intenzione di scappare, spero che abbiate il buon senso di desistere o di essere certi di riuscirci perché, in caso contrario, sarò io stesso a frustarvi. -
Nemeria sussultò e Noriko le strinse il braccio. Il fremito che percorse gli astanti increspò il silenzio altrimenti perfetto, denso e vischioso come melassa.
- Ora rendetevi presentabili. Fuori annuncerò le coppie. -
Koosha allacciò le dita dietro la schiena e, seguito dai soldati che l'avevano scortato, si diresse verso il fondo della stanza, dove la luce delle lanterne non arrivava. Il tonfo di una porta che si chiudeva riecheggiò nel silenzio.
- Le vostre divise sono lì dentro. Bahar e Merneith vi aiuteranno a metterle. - le esortò a Tyrron con un cenno del capo.
La donna di fianco a Bahar posò lo sguardo su di lei. La pelle incartapecorita del viso, sottile e scura come pergamena bruciata, si contorse per far spazio a un sorriso ingiallito. Nemeria scambiò una rapida occhiata con Noriko prima di seguirla nella cabina. Era vuota, a parte per due manichini, uno rivestito con un'armatura di strisce di cuoio squamato e l'altro con una semplice casacca marrone, in tinta con delle brache nere.
- Non serve che mi aiuti, signora. Posso vestirmi da sola. -
Merneith si girò appena. I ciuffi bianchi sfuggiti alla crocchia sulla nuca risaltavano sul velo blu e le davano un'aria trasandata che la facevano sembrare più vecchia.
- Signora... - si umettò le labbra, come assaporando quella parola, - Era da tanto tempo che nessuno si rivolgeva a me così. -
Nemeria si grattò la testa.
- Non abbassare gli occhi, non hai fatto nulla di male, ma io sono una serva fedele: quello che aghà Tyrron ordina, io faccio. - prese la casacca dal manichino e le si avvicinò, - Tira su le braccia. -
Il tono materno con cui le si era rivolta indusse Nemeria a non ribattere. Si lasciò vestire come quando era una bambina troppo piccola e scoordinata per farlo da sé. Quando le chiuse l'ultimo bottone, Merneith si voltò verso l'altro manichino. Sganciò gli spallacci e poi tirò su l'armatura di cuoio sopra la testa. Le braccia tremavano appena sotto la pelle nuovamente distesa, con solo un vago accenno visibile delle rughe che la solcavano.
- Girati. -
Nemeria obbedì. Merneith le fece passare le braccia attraverso le maniche e poi le agganciò le cinghie sulla schiena. Le sue dita adunche, simili a zampe di gallina, si muovevano con sicurezza, dal basso verso l'alto, chiudendo le fibbie una dopo l'altra. Nonostante l'iniziale fastidio, Nemeria dovette ammettere che non era poi così brutto, soprattutto perché si rese ben presto conto, quando Merneith le assicurò gli spallacci e le cosciere, che da sola ci avrebbe messo molto più tempo.
- Merneith, hai finito? - le chiese Tyrron.
- Sì, aghà. -
Sistemò la fibbia del collare sul retro del collo e poi fece cenno a Nemeria di andare verso la porta. Nemeria attese che la aprisse e si facesse da parte prima di uscire a sua volta. L'armatura le gravava sulle spalle, ma non quanto si sarebbe aspettata. Trovò comunque ingiusto che Noriko indossasse una leggera tunica bianca con calzoni al ginocchio. La cosa più pesante che aveva addosso erano, forse, i gambali di cuoio.
- Come te la senti? - indagò Tyrron.
Nemeria roteò le spalle e allungò le braccia un paio di volte.
- Mi muovo bene. -
Tyrron sfoderò un sorriso a trentadue denti. Compì un giro attorno a lei, fermandosi a rimirarla da più angolazioni.
- Avevo qualche dubbio sulle misure che Nande mi aveva fornito, ma sono contento di averle dato ascolto. - guardò in direzione del gruppo compatto di gladiatori che si era radunato in mezzo alla stanza, - Fate tutto quello che vi dicono le guardie e tenete bene a mente quello che vi ho detto stamattina. Se non dovrete combattere, raggiungetemi sugli spalti. -
Si allontanò e uscì assieme ai suoi servitori. Quando anche Siamak se ne fu andato, i soldati presero posizione e il capo ordinò a tutti di seguirlo.
Oltrepassarono l'ultima cabina, imboccarono la porta sull'angolo e salirono una breve rampa di scale che li immise nell'armeria. Molte armi erano nelle rastrelliere, ma alcune, come tridenti, lance, scudi e reti erano state appese alle pareti. Il tessen di Noriko era stato appoggiato su un sostegno di legno vicino a due yari incrociate. Con la sua shamshir in mano, Nemeria si soffermò a guardare le yari, affascinata dalla lama e dal lungo codolo rastremato.
- Sarebbe bello poter imparare a usare anche quella. -
Noriko sollevò entrambe le sopracciglia: - Non hai i giusti anni di danza e pratica rituale alle spalle. Saresti un disastro. -
- Che intendi? -
- Che se hai dodici anni, te ne servono altrettanti per imparare a usarla. Lascia perdere. -
- Voi due, muovetevi. - le esortò un soldato.
Si affrettarono verso il gruppo. Abayomi la fissava in tralice umettenadosi le labbra. Quando si accorse di avere l'attenzione di Nemeria, curvò l'angolo della bocca in un ghigno sardonico e si avviò al primo cenno del capo delle guardie.
Zahra si limitò a scrocchiarsi le dita. La pelle sotto lo zigomo si crepò e in fondo all'iride si accese una luce ferale. Se Noriko non l'avesse trattenuta, Nemeria l'avrebbe attaccata al muro in quel momento.
- Non perdere di vista l'obiettivo: se ti fai squalificare, non riavrai più la palla di pelo. - le sussurrò.
Il musetto di Batuffolo, il ricordo tattile della sua morbidissima pelliccia sotto il palmo, le fece rallentare il passo e rilassare le spalle.
Le guardie si chiusero dietro di loro e il capo indicò loro una porta che si apriva su uno stretto corridoio in pietra. La luce, sul fondo, disegnava l'ombra di quattro sbarre.
- Quando si alzerà, entrate nell'arena. - annunciò con lo stesso tono infastidito con cui un padrone si rivolge a un cane poco obbediente, - Ve lo dirò soltanto una volta: tenete le mani lontane dalle armi. Se dovessi intervenire e lo spettacolo dovesse subire un ritardo, al ritorno a scuola sarò più che felice di frustarvi personalmente. -
Il gelo nei suoi occhi e la contrazione della mascella bastarono a far passare il messaggio. Persino Abayomi perse il suo sorrisetto sfrontato e chinò il capo.
- Ora disponetevi in due file e attendete. A breve entrerete in scena. -
Durga e Ahhotep si scambiarono un'occhiata d'intesa e si misero dietro Nemeria e Noriko. Dopo un momento d'esitazione, anche gli altri si accodarono e loro due si ritrovarono a essere le prime. Senan fu l'unico che rimase combattuto, ma quando anche Uriah sgattaiolò in fondo alla fila, decise di seguirla. Oltre a Nemeria e Zahra, Senan era l'unico a indossare un'armatura. La sua corazza di cuoio riproduceva i muscoli del petto e del torace.
- Sei agitata? - le domandò Noriko sottovoce.
Nemeria deglutì. La pietra delle pareti smorzava il rumoreggiare del pubblico e lo faceva sembrare una cosa lontana, distante come in un sogno. L'eccitazione che le faceva rizzare i peli sulle braccia, però, era reale ed era nutrimento per le fiamme di Agni. Le parve anche di vederla mentre danzava nella luce polverosa tra il profilo delle sbarre.
- Non come mi aspettavo. -
Noriko annuì. Nemeria sapeva che aveva colto cosa intendeva dire.
- Ricordati quello che mi hai promesso. - le disse e poi non aggiunse altro, perché uno squillo di tromba proruppe nell'aria e la voce roboante di un uomo ammutolì gli spalti.
- Signori, ecco a voi i gladiatori! -
Nemeria scattò prima di tutti e si buttò fuori, sguainando la shamshir verso l'alto. L'aria venne percorsa da un fremito e poi gli applausi esplosero in tutta la cavea. Quelli sulle gradinate più lontane alzarono le mani al cielo, come per farsi vedere da lei, mentre il suo nome rimbalzava di bocca in bocca sempre più forte. E anche quando al coro si aggiunsero i nomi degli altri gladiatori, alle sue orecchie arrivavano solo le voci di coloro che acclamavano lei. Nemmeno la luce bruciante del sole sulle braccia poteva asciugare il suo entusiasmo.
- Nemeria! Nemeria! Nemeria! Nemeria! -
Mai come allora il suono del suo nome aveva avuto un suono così dolce.
- Signori e signore, il direttore della Scuola di gladiatori è felice di presentarvi i suoi migliori allievi. -
Il banditore, lo stesso uomo dal doppio mento che Nemeria aveva visto la prima volta all'arena, si inchinò e Koosha si appoggiò agli spalti. La spilla piumata che aveva appuntato sul turbante inglobava la luce e la effondeva in riverberi rossastri.
- Benvenuti nell'Arena. - aprì le braccia e si inebriò degli applausi del pubblico, - Ieri avete avuto un assaggio della capacità di questi nuovi gladiatori. Spero che vi ricordiate ancora del viso dei vostri beniamini, perché oggi avranno bisogno di tutto il vostro sostegno. - indicò l'urna che un ragazzo, in piedi accanto a lui, teneva tra le mani, - Ora estrarrò i nomi dei candidati che si scontreranno questa mattina e questa sera. Nel mezzo, ovviamente, non vi lasceremo di certo ad annoiarvi: vedrete scontrarsi i nostri migliori gladiatori contro bestie che nemmeno nelle vostre migliori fantasie pensavate potessero esistere, giunte qui dall'altra parte dell'impero solo e soltanto per voi, grazie al finanziamento dell'illustre Orang. - dichiarò, volgendosi verso l'uomo seduto al suo fianco.
Nemeria ridusse gli occhi a due fessure per schermarsi dalla luce e metterne a fuoco il viso. Gli ricordava Mina: era grasso come e più di lei, con la pelle del mento che formava un rigonfiamento rugoso, simile al gozzo di un tacchino, appoggiato al petto, come se fosse troppo pesante da sollevare persino per lui. Anche quando il pubblico applaudì, si limitò ad alzare la mano e a salutare a destra e a sinistra. Nonostante le ampie vesti, in controluce Nemeria riuscì a scorgere il grasso cadente delle braccia.
- Ringrazio a nome di entrambi il governatore, per averci permesso di mettere in scena tutto ciò. Che la luce e la gloria di Ahurmazd Heydar illumini sempre voi e la vostra famiglia! -
Koosha si mise una mano sul petto e chinò il capo. Dalla balconata, il governatore accennò un sorriso cordiale e poi si appoggiò nuovamente contro lo schienale dello scranno. La cosa che più colpì Nemeria fu la lunga barba riccioluta e il capello che aveva in testa, simile a un filone di pane intessuto di gemme preziose.
- Non ho intenzione di tergiversare oltre. Scommetto che anche voi fremete dalla voglia di sapere chi si esibirà. - il servo gli porse l'urna e Koosha pescò le prime due piccole tavolette d'ardesia, - Noriko e Ahhotep. -
A Nemeria non occorse voltarsi per vedere l'espressione impassibile della sua amica, ormai la conosceva abbastanza. Rimase però sorpresa nel notare la stessa calma anche sul viso di Ahhotep. Non pensava sarebbe scappata a gambe levate, ma non si aspettava nemmeno quella fermezza, non da una ragazza che, solo la sera prima, aveva cantato una canzone d'amore.
- Abayomi e Urah. -
Al nome di Abayomi, tutta l'ala sinistra esplose in uno scroscio di applausi e urla di incoraggiamento. Il diretto interessato mandò baci e poi si inchinò fino a toccare la sabbia col ginocchio.
- Bene, vedo che avete già un vostro beniamino. - Koosha abbracciò l'arena con lo sguardo e ripose le tavolette d'ardesia nelle mani del servo, prima di estrarre le altre due coppie, - Questi sono i nomi di chi gareggerà domani, invece. Nemeria contro Zahra e Durga contro Senan. -
Un brivido le serpeggiò nei lombi. Quando Nemeria si voltò, Zahra la stava già fissando. Lei scrocchiò il collo e le dita della mano, a una a una, chiudendole in un pugno davanti al viso.
Mentre tutti, tranne la prima coppia nominata, si ritiravano, le si accostò e le mise una mano sulla spalla.
- Mi auguro che il vostro sia un ottimo medico perché domani ti farò a pezzi. - le sibilò Zahra all'orecchio e fece scattare i denti a un pollice dal lobo, - E poi mi riprenderò la rivincita anche sulla puttana Tian. -
Nemeria l'afferrò per la tunica e la tirò a sé. Scorse uno dei soldati che si avvicinava al limitare del suo campo visivo, ma non mollò la presa. La trasse a sé, fronte a fronte, lo spazio di un respiro a dividerle.
- Io spero che tu abbia un buon posto dove piangere, perché domani ti farò versare tutte le tue lacrime. -
Le labbra di Zahra si schiusero su un sorriso ingiallito da lupo.
- Voi due, allontanatevi. - ingiunse un soldato, la shamshir già sfoderata per metà.
- Calma, calma, io e la mia amica Nemeria ci stavamo solo scambiando un piccolo segreto. - l'Alatfal'yl indietreggiò con le mani alzate, - Stavamo solo parlando, no? -
- Sì. - finse di asciugarsi i palmi roventi sulle cosce e fece un paio di passi indietro.
Il soldato non sembrò molto convinto, ma alla fine sbuffò e indicò un punto alle sue spalle. Zahra trattenne lo sguardo su Nemeria ancora per un momento, prima di intrecciare le dita dietro la nuca e andarsene.
Nemeria attese che si fosse allontanata. poi rientrò, rimise a posto la shamshir e andò nello spogliatoio. A parte l'Alatfal'yl che si era infilata nel camerino più lontano, era rimasto anche Senan. Non appena la vide, la salutò con un cenno del capo. Il modo in cui la guardò fece pensare a Nemeria che l'avesse aspettata, ma quando uscì dalla cabina e Zahra imboccò l'uscita, lui la seguì senza proferire parola.
Quando raggiunse gli spalti, si sedette tra Tyrron e Morad. Il combattimento era cominciato da un po', non sapeva bene quanto, ma l'entusiasmo e la tensione erano scesi. Era un declino quasi impercettibile all'orecchio, in quella bolgia di urla che incitavano alla lotta, ma Nemeria lo percepì a pelle. Le fiamme di Agni si smorzarono.
- Ci hai messo molto a cambiarti. - commentò di sfuggita Tyrron.
L'uomo stava osservando l'arena con il mento sostenuto dalle dita intrecciate, sbattendo appena le palpebre quando le contendenti si spostavano troppo da un lato o dall'altro.
- Merneith è stata lenta. - mentì Nemeria.
Lui le lanciò un'occhiata indecifrabile, quindi tornò a interessarsi allo scontro. L'eloquenza del suo silenzio esprimeva meglio di qualsiasi parola ciò che pensava, ma non smuoveva nulla: nelle fiamme che sfrigolavano dentro Nemeria bruciava solo il desiderio di vendetta.
- Come sta andando? -
- Va come pensavo e come non dovrebbe andare. - rispose Tyrron con un sospiro.
Lo scontro sembrava essere arrivato a un punto morto. Ahhotep aveva il fiatone e le braccia le tremavano come se tenere in posizione difensiva la katana le costasse uno sforzo immenso. Noriko aveva appena un velo di sudore sulla fronte e il ventaglio aperto all'altezza dell'occhio. Quando la sua avversaria tentò un fendente, lo chiuse di scatto, lo deviò, tirò indietro la gamba e girò su se stessa. Anche Ahhotep eseguì una piroetta, alzando una fiore di sabbia attorno alle gambe. La katana descrisse un ampio semicerchio sulla sua testa e tagliò l'aria. La pagina si aprì e la punta della lama stridette. Un affondo recise il filo che legava i loro sguardi, rapido e inaspettato. Noriko indietreggiò, saltò con grazia sulla guardia della katana e le piombò al fianco, il ventaglio aperto già puntato alla gola.
Ahhotep rimase ferma. Una corona traslucida le solcava la fronte e il sudore le colava in rigoli in mezzo e negli occhi. Digrignò i denti, arretrò fino a ripristinare una distanza di sicurezza e cominciò a girarle attorno. Nemeria non sapeva se a farla arrabbiare di più fosse la poca considerazione di Noriko o la frustrazione per non essere riuscita a colpirla nemmeno una volta.
- Non riesci a fare meglio di così? - la provocò Noriko con espressione annoiata.
Le sue parole si infransero contro un muro di silenzio. Ahhotep non attese oltre: girò su se stessa e disegnò una mezzaluna perfetta, da destra a sinistra, all'altezza del collo. Noriko si abbassò, saltò prima che un secondo tondo la raggiungesse e ripiombò al suo fianco. Un mezzo giro e la colpì alla nuca; un altro, dalla parte inversa, e le tolse il fiato in un affondo al basso ventre. Ahhotep non ebbe il tempo di chiudere la bocca che un calcio sulla schiena la sbatté a terra, con il viso nella sabbia.
A turbare l'euforia degli applausi furono qualche risata, borbottii e un coro di fischi.
Ahhotep strinse i pugni e, con i granelli che stillavano tra le dita, si rimise in piedi. Si tolse lo sporco dal viso e piantò lo sguardo di fuoco su Noriko.
Nemeria ebbe un brivido e un vento caldo soffiò dal nulla, alzando un velo di sabbia attorno a loro. Non seppe cosa fece tremolare le fiamme di Agni, ma vide la sua amica sbalzata all'indietro come se fosse stata colpita da una bastonata. Noriko lasciò cadere il tessen e si portò la mano alla fronte: un rivolo di sangue le usciva dal naso. Ahhotep la caricò di nuovo. Noriko schivò il fendente, le sferrò un colpo al collo senza forza e poi si prese la testa tra le mani, le labbra schiuse in una smorfia di sofferenza. Il vento deviò i fendenti successivi, mentre lei zigzagava confusa come un'ubriaca. Nella sua danza scoordinata, la katana oltrepassò la sua difesa e le aprì un taglio sulla guancia.
- Noriko, riprenditi! - gridò Nemeria a pieni polmoni.
Noriko sbatté le palpebre e sfiatò il sangue dal naso. La sabbia si aprì sotto l'impatto del suo pestone, si sollevò e ricadde in un pulviscolo dorato. Ahhotep mollò la presa sulla spada e allungò le mani davanti al viso. La folata si infranse contro uno scudo invisibile, ma le sue gambe ebbero un cedimento.
- Noriko, Noriko, Noriko! -
L'ovazione crebbe d'intensità, mentre Noriko macinava la distanza tra di loro con falcate decise. Diede un pugno all'aria e Ahhotep condusse bruscamente le mani sulla pancia, emettendo un rantolo gorgogliante. Noriko sferrò un altro un pugno e la testa di Ahhotep scattò indietro, per poi ciondolare contro il petto come quella di una bambola rotta. Nemeria ebbe la certezza che lo scudo era caduto quando una raffica fece volare Ahhotep contro il muro. Ahhotep ricadde al suolo, rotolò di fianco e poi si abbandonò supina.
Come se non avesse atteso altro, l'eccitazione serpeggiò tra il pubblico. Dapprima arrivarono gli applausi, poi le urla e infine ci furono anche alcuni che si alzarono in piedi e applaudendo e saltando sulle gradinate, come per farsi vedere dalla vincitrice.
La voce del banditore venne soverchiata dal coro di un gruppo compatto di uomini e donne alle spalle di Nemeria. A sentire le loro voci, non resistette più e anche lei si unì alle ovazioni. Se soltanto avesse potuto, avrebbe scavalcato la balaustra e sarebbe andata ad abbracciarla.
- Ti è piaciuto. - commentò rassegnato Tyrron.
- È stato un bello spettacolo. - rispose Nemeria, leggermente più calma.
- Non abbastanza. -
Noriko, nel frattempo, si era avvicinata ad Ahhotep e la stava aiutando ad alzarsi. Un gesto molto marziale, che però destò un grande scalpore.
- Apri bene orecchie e occhi. - le sussurrò Tyrron.
Nemeria fece correre lo sguardo tra gli spalti. Scorse il viso corrucciato di un uomo nelle prime file. Parlava gesticolando con il suo vicino e, da quanto apriva la bocca, immaginò che stesse quasi urlando, ma era troppo lontana per riuscire a sentire cosa stesse dicendo. Come per magia però, ne spuntarono altri, facce contrariate nascoste dietro mani accostate alle orecchie. Ed erano molte di più di quelle che Nemeria si aspettasse.
- Adesso capisci qual è il problema? -
Tyrron sospirò e appoggiò una guancia sul pugno chiuso, nel ritratto dell'amarezza.
- Quindi che si fa? - chiese intimidita.
- Noi nulla. L'unica che può fare qualcosa è Noriko. Sei interessata ad assistere anche al prossimo scontro o preferisci tornare alla Scuola con Morad? -
Nemeria scrollò le spalle e osservò la seconda fila. L'uomo di prima aveva accavallato le gambe ed era tornato a conversare col suo amico con solo una traccia di lieve rossore a imporporargli le guance. Nemeria notò un guizzo di colore al suo fianco e studiò la ragazza che sedeva a due posti di distanza. Aveva gli occhi dipinti con il kajal, ma non doveva avere più di tredici anni. La linea rossa che le colorava la scriminatura centrale dei capelli dava l'impressione che si fosse rovesciata qualcosa in testa. Il tintinnio dei bracciali quando le fece un timido cenno di saluto richiamò l'attenzione dell'uomo al suo fianco, che le circondò le spalle e la costrinse a girarsi di nuovo.
- Andiamo? -
Noriko le batté una mano sulla spalla con una forza che le fece capire che non era la prima volta che provava a richiamare la sua attenzione.
- Sicure di non voler rimanere? - le interrogò Tyrron.
Nemeria annuì. Lanciò un altro sguardo in direzione della ragazza prima di seguire Morad e la sua compagna giù dalle scale. Alcuni spettatori, mentre scendevano, le scrutarono, ma furono ben pochi a interessarsi a loro. I più le degnarono appena di un sorriso, per poi spostare l'attenzione sui due nuovi contendenti. Ancor prima che il banditore annunciasse l'inizio dello scontro, focolai d'acclamazione avevano già riscaldato l'aria.
- A-ba-yo-mi! A-ba-yo-mi! - scandivano sempre più forte.
E lui si beava di tutta la loro euforia, Nemeria poteva vedere chiaramente anche senza girarsi la sua faccia piena di boria mentre avanzava fino al centro dell'arena.
- Andiamo. -
Noriko la prese per il polso e la trascinò via, prima che l'irritazione di Nemeria traboccasse in qualcosa di più di un grugnito.
Durante la strada dall'arena alla Scuola furono scortate da un drappello di guardie, che si premurarono di allontanare i pochi che tentarono di avvicinarle, per lo più bambini cenciosi e uomini vestiti di stracci.
"È perché sono tutti dentro."
Le pesava, però, quel silenzio. Essere lontana dal clamore del pubblico la faceva sentire di nuovo un insetto, invisibile agli occhi di tutti se non a quelli di colui che l'avrebbe calpestata. Persino con Noriko accanto veniva appena notata.
A Scuola non sembrava esserci nessuno al di fuori delle guardie, e anche quelle sembravano meno del solito.
- Io vado a farmi un bagno. - le annunciò Noriko, - Tu che fai? -
- Penso che mi allenerò un po', poi andrò in biblioteca. -
- Allora ti verrò a cercare. Se ci metto troppo, aspettami in refettorio. -
Non appena la sua amica imboccò le scale, Nemeria rimase nel campo d'allenamento centrale a fissare l'alternarsi di colore sulle colonne. Il sole bagnava la sabbia e le riscaldava le spalle attraverso il tessuto. Aveva un che di rassicurante e allo stesso tempo spaventoso essere lì da sole, senza null'altro oltre il peso della propria compagnia.
Si appropinquò alla porta dell'armeria. Sul volto di uno dei due soldati si aprì una specie di sorriso, più un corrugamento delle labbra che altro.
- Tu sei quella che ieri sera ha creato il cavallo di fuoco. -
- Sì, sono io. -
- È stato lo spettacolo più bello di tutti. Farò il tifo per te, domani. -
Nemeria dentro di sé gongolò e parte del suo compiacimento dovette trasparire perché l'uomo ridacchiò.
- L'armeria è accessibile, ma Koosha ha ordinato di prendere solo le armi di legno. Le altre, a meno che tu non sia con un Syad, te le devi scordare. -
- Ti conviene scordartele e basta. A parte Sayuri non è rimasto nessuno. - disse l'altro soldato
All'udire quel nome, Nemeria perse tutto il suo interesse per il possibile allenamento.
- Dov'è? -
- L'ho vista andare lì un paio d'ore fa. Sali, la troverai da qualche parte. - biascicò, si grattò l'intorno di un grosso neo sul naso e le indicò l'entrata dopo il campo del fuoco.
Nemeria ringraziò e corse su per le scale. Quando arrivò in prossimità dalle biblioteca, rallentò fino a fermarsi sotto il sopracciglio alzato della guardia che la presidiava. Riprese fiato, raddrizzò le spalle ed avanzò oltre la porta.
Sayuri stava leggendo da una pelle di cammello, seduta su una stuoia di canne collocata proprio sotto una delle grandi finestre. La luce le dorava la pelle e i capelli biondi, legati in una treccia adagiata sul petto.
- Anche tu in cerca di silenzio? -
Nemeria annuì. Non era davvero in cerca di nulla, ma le sembrava stupido lasciar cadere la domanda nel vuoto. La Syad sollevò la pelle di cammello e riprese a leggere.
"La somiglianza non è solo nell'aspetto, allora."
Nemeria si accomodò sulla stuoia accanto e sbirciò cosa stesse leggendo. Riconobbe nei caratteri cuneiformi alcune parole che conosceva, ma non abbastanza da poterne carpire il senso.
- Sì, era necessario. - disse Sayuri, come se sapesse cosa Nemeria volesse chiederle.
- Come hai... come avete fatto a fermarlo? -
- Ho la piena padronanza del mio elemento. - Sayuri spostò la treccia sull'altra spalla e si mise dietro l'orecchio il ciuffo che era sfuggito, - C'erano molti ricordi di te in lui. -
Nemeria piegò le gambe e ci si appoggiò con entrambe le braccia. Il fuoco di Agni scoppiettava in sottofondo.
- Non eravamo amici, ma abbiamo vissuto per un certo periodo sotto lo stesso tetto. -
Non era esattamente corretto, ma l'importante era farsi capire. Usare parole diverse avrebbe implicato aggiungere spiegazioni e scoprirsi più di quanto desiderava.
Sayuri fece un segno d'assenso col capo. Ripiegò la pelle e si alzò per prendere un libro, un tomo non più alto di un dito, con il titolo sulla costa in rilievo. Nemeria attese che tornasse a sedersi e trovasse la pagina giusta.
- Ha detto qualcosa prima di morire? -
- I Jin non parlano e non pensano. Quando la mente umana cessa di esistere, permangono appena i ricordi, che esondano come un fiume in piena. -
Si soffermò sul disegno di un cielo stellato. Un cavallo ne solcava le nuvole, con in groppa un uomo che stringeva in mano un ramo di palma.
- Ho visto una bambina, spesso. Aveva i capelli biondi e un orecchino di catenelle. Il suo fiume mi ha portato soprattutto immagini di lei. -
- Si chiama Altea. -
Sayuri annuì solenne, come se quello fosse stato il nome più importante del mondo.
- Non ho provato a districare i suoi pensieri. Mi sarei dovuta addentrare in lui e mi sarei perduta. - scorse le pagine fino alla fine del tomo, lasciando che queste frusciassero contro il palmo aperto della sua mano, - "Perdonami" ha detto spesso. Era l'unica parola chiara che ho potuto distinguere. -
Nemeria raddrizzò la schiena contro la parete. Sayuri le rivolse un'occhiata in tralice, poi sollevò lo sguardo sul soffitto.
- Prima o poi tocca a tutti noi, ma questa ineluttabilità non rende la nostra esistenza meno degna d'essere vissuta. - si alzò e si pulì la polvere sulle ginocchia, - Domani sarà il tuo momento. Allena il corpo per tenere occupata la mente. Non c'è tempo per versare lacrime. -
Detto ciò, Sayuri uscì dalla biblioteca. Nemeria attese che si fosse allontanata prima di imboccare la porta a sua volta e dirigersi verso l'armeria.
 
Poco prima di cena, tutti i ragazzi tornarono alla Scuola, ognuno portando con sé il proprio bagaglio di esperienze per quel giorno. Alcuni avevano avuto il permesso di andare all'arena ad assistere allo spettacolo dalle gradinate più alte, quelle riservate agli allievi della Scuola, e tutti, chi più e chi meno, erano rimasti meravigliati sia dagli scontri sia dai giochi che li avevano accompagnati. Fu da uno di questi che Nemeria apprese che Abayomi aveva diretto lo scontro con "grande maestria", che aveva "tenuto testa a Uriah come se non avesse fatto altro nella vita" e che "il suo era stato lo scontro migliore". Il loro tono adorante la indispettì, ma quando provò a parlarne con Noriko, lei liquidò il tutto con una scrollata di spalle e un semplice "non mi interessa", che ebbe l'effetto di farle salire il sangue al cervello. Ciononostante, tenne per sé sia la risposta al vetriolo che le sue obiezioni: con quale arroganza avrebbe potuto rimproverarla dopo il suo non-scontro con Dariush? Anche se si era ripromessa di dare tutta se stessa, non era sicura di poter fare di meglio.
- A me sei piaciuta molto. - si complimentò e riprese a mangiare, anche se il mezzo sorriso di Noriko non le sfuggì.
La più eccitata era Durga. La sua loquacità riempiva i loro silenzi, colmandoli di chiacchiere e aneddoti. Per quanto Nemeria provasse a starle dietro, era impossibile trovare una logica tra le sue considerazioni tecniche sugli scontri e i versi onomatopeici di stupore che condivano il resoconto delle esibizioni della compagnia di Pavona.
- Lei, poi! Era bellissima e aveva una voce fantastica. Mi è dispiaciuto che tu e Noriko ve ne siate andate, perché non avevo mai sentito qualcuno cantare così. - si era messa una mano sulla bocca e si era girata verso Ahhotep, - Però tu sei più brava, giuro! -
- Sì, sei davvero intonata. - aveva dovuto ammettere Nemeria.
- Perché tu non l'hai mai sentita quando canta da sola. Solo che conosce solo canzoni tristi... -
- Allora ne imparerò una allegra, va bene? -
Durga lanciò un "sì" così acuto che Nemeria pensò l'avessero udita anche i tavoli più distanti.
- Spero di avere almeno un po' della tua stessa energia, domani. - le disse, quando si fu calmata.
- Sono certa che ne avrai anche più di me. Spacca la faccia a quella cattivona di Zahra, mi raccomando. -
Sbadigliò e si stropicciò gli occhi arrossati. Come se i muscoli avessero perso tono tutti insieme, si accasciò con la testa contro la spalla della sua amica.
- Ho shonno, 'Tep... possiamo andare in camera? -
Ahhotep si infilò l'ultimo boccone di farro in bocca e l'aiutò ad alzarsi, tenendola sottobraccio. Noriko le scoccò un'occhiata così severa da costringerla ad abbassare lo sguardo.
- Noi andiamo, allora. Buonanotte a tutte. -
- 'notte. - le fece eco Durga.
Non appena sparirono oltre la porta, Noriko bevve un lungo sorso d'acqua dal bicchiere.
- Sono state loro a rubare le bacche tanu. - disse a Nemeria.
Nemeria spostò ai bordi del piatto i pochi chicchi di farro rimasti. Gli effetti erano sotto i suoi occhi, eppure stentava ancora a crederci.
- Perché avrebbero dovuto farlo? E nessuno si è accorto di nulla. -
- Immagino che Tara abbia preso accordi con Koosha perché chiudesse anche l'occhio buono. Sul perché lo abbiano fatto ci sono infiniti motivi, anche se credo che vincere sia il più probabile. Hai visto anche tu quanta energia danno. -
Si alzò e Nemeria la seguì fuori. Tirava un venticello tiepido che alzava la sabbia e la spolverava in giro.
- Cosa dovrei fare? Andare da loro e affrontarle? -
- Stasera è meglio se vai a dormire. Batuffolo ha o non ha la precedenza su tutto? -
La domanda di Noriko aveva il tono dell'affermazione e Nemeria non rispose, anche se rabbrividiva al solo pensiero di come Durga avrebbe passato anche quella notte.
 
Il giorno successivo fu come il precedente, con la sola differenza che Bahar le ronzava attorno con più insistenza del solito. Nemeria tentò di non farci caso e di rimanere concentrata, anche se era una sfida non da poco, considerando quanto poco aveva dormito.
Quando uscirono dalla Scuola, c'erano già un bel po' di persone che premevano da dietro la linea di guardie per vederli. Senan marciava davanti a tutti, seguito da Durga, mentre Zahra chiudeva la processione. Alcuni rimasero delusi nel vedere che tra di loro non c'era Abayomi e se ne andarono o, comunque, il loro profilo passò e svanì senza destare nulla, se non una lenta e annoiata rotazione della testa. Forse era solo una sua impressione, ma rispetto al giorno prima le pareva ci fosse molta meno gente. Anche così, però, il coro delle voci che faceva vibrare l'aria le si ripercuoteva nelle viscere, scorrendo nelle vene come un vino dolce ad alta gradazione. E più loro la chiamavano, più Nemeria sentiva la determinazione crescere.
Mentre Merneith l'aiutava a vestirsi, grattò più volte il collare. Se soltanto se lo fosse potuto togliere, le sarebbe bastato il tempo di un solo scontro per guadagnarsi l'amore del pubblico.
- Hai bisogno d'altro? -
- No, puoi andare. -
La serva si inchinò, uscì dal camerino e imboccò l'uscita. Nemeria non dovette attendere molto per vedere un'altra porta aprirsi. Da essa emerese una donna anziana come Merneith e, subito dietro, Zahra. Non appena la vide, l'Alatfal'yl schioccò la lingua contro i denti e ancheggiò lontano, con la lunga tunica che svolazzava a ogni passo come la coda di un leone.
- Pronta a essere presa a pugni? - la provocò senza neanche girarsi.
- Parli, ma sei tu quella disarmata. - la rimbeccò Nemeria.
- A me non servono quei gingilli di ferro. - scrocchiò i polsi e si baciò le nocche dei pugni, - Loro fanno decisamente più male. -
Nemeria portò la mano alla shamshir e ne fece scivolare un po' la lama fuori dall'elsa.
Zahra sbuffò una risata: - Mi stai minacciando, bimbetta? -
- Non mi serve. - Nemeria rinfoderò la lama e le elargì il suo miglior sorriso, - Ti ho già battuta alla cisterna. Sarà un piacere farlo un'altra volta davanti a tutti. -
Uno squillo di tromba le interruppe.
- Signore e signori, le nostre nuove sfidanti! - annunciò il banditore con voce tonante.
Le urla d'acclamazione accolsero la loro entrata. Zahra si batté una mano sul petto e, quando alzò la mano aperta sopra la testa, due colonne di sabbia si innalzarono turbinando ai suoi fianchi.
- Zahra! Zahra! Zahra! -
Uno striscione passò di mano in mano fino a quando non si distese del tutto. Il simbolo di Adel, un toro nero con gli occhi bianchi, fissò minaccioso l'arena.
- Nemeria! Nemeria! Nemeria! - gridarono di rimando altri spettatori e, come se non avessero atteso altro, tirarono in alto, sopra la linea dello sguardo, delle piccole bandierine, sventolandole come se la stessero salutando.
Un altro prolungato squillo di tromba ridusse l'arena al silenzio. Koosha sedeva vicino a Orang, con il braccio abbandonato mollemente sulla balaustra, un calice di bronzo in bilico tra indice e medio. Neppure quando un ragazzo gli versò da bere distolse lo sguardo da lei. Era stato lui a portarle via Batuffolo e Nemeria lo odiava.
"Ti farò vedere di cosa sono capace."
Sguainò la shamshir e si mise davanti a Zahra, dieci piedi di distanza a dividerle. La pelle dell'Alatfal'yl si spaccò agli angoli delle labbra lungo cuciture invisibili. Le guance si incavarono, perdendo tono fino a diventare un sottile strato di papiro contro i denti. Quando la dominatrice aprì la bocca, si ruppe, liberando i denti serrati in un ghigno da lupo.
- Sto venendo a prenderti... - cantilenò minacciosa.
I sassolini si staccarono dalla sabbia, si ruppero e si ricompattarono l'uno sull'altro, formando uno spesso guanto di pietra su entrambe le braccia.
Il terzo squillo di tromba anticipò la voce del banditore.
- Gladiatori, cominciate! -
All'applauso del pubblico, Zahra prese la rincorsa e, a metà, fece uno scatto più lungo. La montagnetta di sabbia che si formò sotto il suo piede la slanciò in avanti come se fosse stato un trampolino. Nemeria schivò il gancio destro spostandosi di lato e impugnò la spada a due mani. Zahra frenò, si voltò e l'assalì di nuovo. Azzerò la distanza, deviò il fendente della shamshir di lato e le diede un pugno al basso ventre. Il cuoio resistette, ma il contraccolpo le vibrò fin nelle viscere. Nemeria se lo sentì nello stomaco, come se l'armatura non ci fosse.
"Agni!"
Il potere scivolò nelle vene e si riversò sulla shamshir. Le fiamme proruppero sulla lama in un ringhio minaccioso. Nemeria arretrò, riprese slancio, roteò su se stessa e sferrò un colpo con la torsione di tutto il corpo. Dal braccio di Zahra si allungarono tre spuntoni. Il primo tagliò le lingue di fuoco, il secondo le trapassò lo spallaccio e l'altro le aprì un buco sul fianco. Le acclamazioni esplosero in un boato assordante. Nemeria indietreggiò e, a ogni passo, dal terreno si innalzarono lame di sabbia lunghe come stalagmiti.
- Zahra, vai! -
Incoraggiata dal tifo, Zahra si concentrò. La pelle si ritirò assieme alla palpebra, lasciando esposto una corona di sassolini attorno a un occhio di un nero lucidissimo. Si muoveva in scatti repentini, come se fosse ormai un'entità indipendente conficcata sul fondo della cavità oculare. Mentre Zahra avanzava, Nemeria arretrava senza staccarle lo sguardo di dosso, intercettando ogni occhiata che le rivolgeva quell'occhio senza padrone.
- Mi sono presa il primo sangue. Uno a zero per me. - sibilò e si passò la lingua verde sulle labbra sottili, più un grumo di granelli che altro, - Anche il prossimo punto sarà mio. -
Fece leva su un altro trampolino di sabbia e le balzò addosso. Il pugno le sfrecciò a mezzo pollice dalla guancia. Nemeria ristabilì le distanze, ma non fece in tempo ad assumere la posizione. Zahra l'aggredì, costringendola a compiere un affrettato passo indietro. Nemeria mise un piede in fallo e per poco non perse l'equilibrio. Piegò le ginocchia per ritrovare il baricentro e con una rapida torsione dei fianchi scansò il pugno, arretrò e rispose con un breve colpo. Gli spuntoni bucarono la tunica e la obbligarono a bloccare l'attacco e saltare indietro.
- Le mie previsioni non erano errate. Due a zero per me. - ridacchiò Zahra.
Nemeria seguì la traiettoria del suo sguardo e si portò una mano al collo. Quando la ritirò, le punte delle dita erano macchiate di rosso. Era sangue, il suo sangue, lo stesso che stillava dalla ferita al fianco.
Cuore di fuoco, togliti il collare.
Non poteva. Anche se avesse voluto, non poteva.
Uno spuntone sbucò dalla terra sotto di lei. Nemeria non ebbe modo di reagire che ne emerse subito un altro, stavolta alla sua sinistra. Se non avesse recuperato l'equilibrio, ci sarebbe caduta proprio sopra. Zahra la fissava con quel suo sorriso irriverente. Stalagmiti di roccia che protrudevano dalla schiena.
"Queste fiamme non possono nulla."
Serrò la presa sulla shamshir. Il sangue ormai le scorreva lungo la gamba e sotto l'armatura. Anche se avrebbe dovuto fare male, non sentiva nulla, nemmeno la grida del pubblico.
- Questo scontro sarebbe già finito, se non fosse così divertente vederti saltellare da una parte all'altra. Sembri una cavalletta. -
Zahra rise e, con lei, anche qualcun altro nella platea. Chiuse le dita come se stesse stringendo una pallina in mano e la aprì di scatto quando alzò il braccio sopra la testa. La sabbia si innalzò e i vari granelli si infilarono nelle piccole fenditure della roccia, riparandole.
Nemeria contò dieci passi tra di loro. Impugnando la shamshir con una sola mano, convogliò il potere sul palmo di quella libera. La prima palla di fuoco attraversò l'aria come una freccia. Zahra la schivò, issò un muro di fortuna per difendersi da quella successiva e macerò il resto della distanza. Nemeria sussultò e si mise sulla difensiva. La dominatrice la incalzò con una serie di colpi concatenati, montanti e dritti che si trasformavano in finte e affondi. Nemeria non poteva fare altro che indietreggiare. Schivò un gancio, abbassandosi sulle ginocchia. I sassolini rotolarono lungo il braccio di Zahra e si stratificarono sul pugno chiuso, che la colpì sotto il mento. La lingua rimbalzò contro il palato e i denti sbatterono così forte che a Nemeria parve si fossero conficcati nelle gengive. Andò a sbattere contro un muro che non ricordava ci fosse. Sputò il sangue sull'armatura e, a fatica, con l'ombra di Zahra negli occhi, si rimise in piedi. Zahra ghignava come se la vittoria fosse già sua.
Il fuoco brucia la terra.
- Ho sempre detto ad Abayomi che non eri un granché. - Zahra sospirò con lo stesso fare teatrale del suo capo e batté due volte le mani.
Il muro alle spalle di Nemeria crollò in un mucchietto di sabbia.
- Non prendertela. In fin dei conti, il pubblico si sta divertendo. -
- Parli un po' troppo per essere così sicura di vincere. -
- Mi prendo il mio tempo per godermi la gloria che mi è dovuta. - si spolverò il collo dai frammenti di roccia e ghignò, - No capisco perché la tua cagna Tian si ostini a tenerti con sé: la tua debolezza è ripugnante. -
Nemeria sputò un grumo di saliva venato di sangue. Descrisse un arco con la shamshir e si rimise in posizione, prima di cominciare a girarle attorno. Si mosse con cautela, alternando lo sguardo tra la dominatrice e il terreno.
- Immagino che questo te lo abbia insegnato lei. - ringhiò a denti stretti, - Non ti servirà. -
Nemeria accelerò e cambiò mano dove teneva la shamshir. La sinistra era più debole della destra, ma questo lo sapevano solo lei e Roshanai.
Zahra caricò. Pugno corto, diretto, gancio opposto. Issò una parete di sabbia dietro di lei per metterla con le spalle al muro, ma Nemeria scivolò via, allungando la gamba di lato e levandosi dalla traiettoria dei suoi pugni.
Fammi uscire.
Nemeria contrasse la mascella e tenne la shamshir solo con una mano. Il potere di Agni pulsava da sotto la cicatrice e la pelle arrossata era la membrana del suo cuore pulsante. Si ritrasse, schivando un pugno al volto. Simulò un colpo da destra, ma all'ultimo le afferrò la spalla e strinse. Le dita arroventate lacerarono la stoffa, sciolsero la pietra, sprofondando fino a toccare la pelle nuda. Zahra le diede uno spintone che la mandò a terra e con uno scatto fulmineo si distanziò da lei. Era la prima volta in tutto il combattimento che si allontanava. Quando si tastò la spalla e sollevò le dita imbrattate di pelle bruciata, Nemeria vide una luce tremolante in fondo al suo sguardo, la stessa che aveva gelato le sue fiamme per tanto tempo.
- Sei morta. - ringhiò.
L'occhio nero si rivoltò nel cranio. Quando si riallineò sulla stessa linea visiva di quello normale, pure la sclera era diventata nera, con i capillari in rilievo diramati come radici giovani fin dentro la pupilla. Nemeria passò le dita sulla lama. Le fiamme si affievolirono in un basso strato crepitante.
Si impose la calma e il potere si ridimensionò nell'alveo di un torrente. Scorse dalle dita all'impugnatura e poi all'elsa in un flusso veloce ma controllato, ruscellando al di sotto della superficie. Le contaminazioni d'oricalco ne rallentavano la propagazione, ma non erano che piccoli scogli.
L'armatura di roccia di Zahra si spaccò sulla fronte e la crepa si allungò fino allo zigomo sinistro. Zahra urlò e si gettò alla carica. A ogni suo passo, nella terra si ripercuoteva un fremito, come il preludio di un terremoto. Nemeria attese. Al momento opportuno, saltò al di là del muro di sabbia che si stava alzando dietro di lei, scattò di lato, poi in avanti. Cambiò mano all'ultimo e con la shamshir descrisse un tondo da sinistra. Zahra sollevò il braccio per parare. La shamshir tintinnò contro uno spuntone, così Nemeria ritrasse la spada e affondò nella roccia con l'altra mano, ora avvolta dal fuoco. Le fiamme lambirono la tunica di Zahra e si fecero largo nell'armatura. La dominatrice si abbandonò ad un grido di dolore. Quando tentò di sferrarle l'ennesimo pugno, Nemeria balzò indietro a zigzag. Quindi piegò il ginocchio e distese la gamba, dandosi di nuovo slancio. La ingaggiò con un fendente e contrattaccò a ogni suo tentativo di tenerla vicina protendendo la mano infuocata. E, ogni volta che Zahra si allontanava, tornava a pressarla. La costrinse alle regole del suo gioco, così come prima lei era stata alle sue. E più andava avanti, più la lama della shamshir diventava calda, abbastanza per arrivare non solo a scalfire, ma anche ad affondare nella roccia stessa. Il potere fluiva dentro alla lama, la riempiva dall'interno rendendola letale.
Nemeria passò la spada dalla sinistra alla destra e attaccò. Colpì in diagonale dal basso verso l'alto, si ritrasse, finse un montante e caricò con tutta la forza dello slancio del braccio. Zahra indietreggiò e intercettò l'affondo della sua mano. Snudò un sorriso ferale, un crepaccio aperto su una bocca di denti aguzzi.
- Ti ho presa. -
Nemeria trattenne il fiato e gli occhi si sgranarono. Un attimo più tardi, il dolore eruppe come un tornando. Il suo urlo soverchiò la risata di Zahra e morì in un gemito soffocato quando la colpì allo stomaco, scaraventandola contro la parete dell'arena. Quando ricadde a terra, Nemeria non riusciva a vedere o sentire nulla. L'unica percezione rimasta era la consistenza granulosa della sabbia rovente contro la guancia e l'impugnatura della shamshir, più calda della luce del sole che le feriva la mano.
Alzati e combatti.
I pensieri dell'elementale si sovrapponevano ai suoi, intrecciandosi sulla linea di confine della sua coscienza. Nemeria fece perno sul gomito, si mise a carponi e rimase così, con il respiro che baciava la sabbia a ogni suo ansito.
Devi vincere, Cuore di fuoco.
Più voci, lontane mille miglia, chiamavano il suo nome. Sul fondo degli occhi chiusi, Agni ballava a piedi nudi nel cerchio di pietre e i sistri che impugnava tra le mani scandivano flebili intonazioni.
Nemeria strinse la shamshir e si rimise in piedi. Si guardò il braccio e lo vide già solcato da un motivo di rivoli rossi, tra cui biancheggiavano le schegge delle ossa rotte. Il dolore serpeggiava silenzioso tra i lembi slabbrati della carne esposta, stillando a terra in gocce pesanti. L'odore ferroso del sangue era così intenso da farle girare la testa. Nella cortina di fumo che pervadeva il suo sguardo, l'unico soggetto a fuoco era Zahra.
Vai.
Corse verso di lei, schivò la barriera di spuntoni che la dominatrice interpose tra di loro e le fu subito addosso. Menò un fendente che le aprì in due il guanto di roccia e la lama arroventata azzannò la carne. I colpi successivi andarono a vuoto, ma non si arrese. Disegnò una diagonale dalla spalla al fianco. La lama penetrò l'armatura come se non ci fosse stata. Zahra sibilò furiosa e si voltò, sferrando un pugno alla cieca. Nemeria si scansò e, quando vide che si era scoperta, colpì ancora. La shamshir sciolse la roccia, morse la pelle e la strappò, portandosela via in un arco di sangue e sassi semi fusi. Nemeria scattò lontano per evitare gli spuntoni e contemplò, stralunata, i tagli anneriti sotto la corazza spaccata. Fumavano, come se al di sotto ci fosse una sorgente d'acqua sotterranea.
- Ti ammazzo! -
Il suo urlo non le fece paura. Si lanciò su di lei prima che Zahra potesse fare altrettanto. Fece una finta e la dominatrice si lasciò ingannare. Il montante affondò, ma Nemeria era già alle sue spalle. Fletté le gambe e la colpì dietro il ginocchio. La punta arroventata della lama lacerò muscoli e tendini. Zahra cadde sotto il suo stesso peso e Nemeria le trafisse la spalla da parte a parte. Senza concederle tregua, colpì la tempia con il pomello della spada, lì dove il viso non era protetto dalla pietra. La dominatrice crollò distesa nella sabbia. Il solo segno che fosse ancora viva era rappresentato dalla sabbia che il suo respiro spostava.
Nemeria rimase a osservarla dall'alto, lo sguardo fisso nell'occhio indipendente, che continuava a schizzare a destra e a sinistra.
Uccidila.
Si riempì i polmoni di tutta l'aria che potevano contenere e strinse la shamshir.
- Non... puoi... uccidermi. - Zahra rantolò e inclinò la testa per guardarla meglio, - Non puoi... il pubblico chiede la grazia per me. -
Nemeria trattenne a stento un ghigno nel percepire la paura nella sua voce. Si sentiva inebriata dal timore che la irrigidiva.
Uccidila.
Le guardie entrarono nell'arena e la circondarono, scudo e lance alzate. Nemeria le ignorò. Zahra chiuse gli occhi e affondò il viso, ormai totalmente scoperto, nella sabbia.
Nemeria piantò la shamshir a terra a un pollice dal suo naso. La lama, dove il sangue era colato, presentava delle strie nere e grumose.
- Non ti mettere mai più sulla mia strada. - le sibilò, in modo che fosse l'unica a udirla.
La bolla che la circondava scoppiò e Nemeria venne investita dagli applausi del pubblico. Tutti si erano alzati, anche chi prima aveva fatto il tifo per Zahra. Tutta la loro eccitazione la sommerse e si rovesciò su di lei come un'onda anomala.
- Nemeria! Nemeria! Nemeria! -
- Brava! -
- Sei la migliore! -
Mentre le guardie la scortavano fuori dall'arena, quelle parole le colmarono il petto. E anche se tremava – per il dolore, per la fatica, per lo shock – in quel momento Nemeria si sentì invincibile.

Angolo Autrice:

Niente, spawno solo per dirvi che questo è il penultimo capitolo e che spero di far uscire il prossimo, ovvero l'ultimo, prima della prima metà di giugno. Non vi assicuro nulla, but sappiate che mentre sto scrivendo, mi tremano le mani. Sono così emozionata che nemmeno potete immaginarlo. E nulla, scusate se vi ho rotto le scatole, ma... avevo bisogno di comunicare a qualcuno che anche questa storia sta per finire XD
Hime

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Capitolo 25
*** Memorie di luce ***


Fuoco 2

25

Memorie di luce

"Il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente."
Marcel Proust

I curatori sopraggiunsero poco dopo. Due erano uomini anziani, con la barba crespa come la coda di un cane randagio e un ciondolo di un leone di profilo che pendeva sulla tunica blu chiaro. Kaymar pareva quasi sostenere il più vecchio mentre camminava.
Nemeria li attendeva stesa su una branda di una piccola anticamera. Le guardie l'avevano scortata lì e poi avevano lasciato tre di loro a sorvegliarla. Non che ce ne fosse davvero bisogno, ma non potevano sapere quanto il dolore avesse già spolpato qualsiasi sua volontà di fuga.
"Li ho impressionati troppo."
Una fitta più forte delle altre stroncò la risata e la tramutò in un gemito rantolante. Kaymar ritrasse la mano, imitato dagli altri due curatori.
- Non ti ho ancora toccata e già ti lamenti? -
- Fa male... -
- Lo so. Cercheremo di fare piano. - la rassicurò con un sorriso.
Nemeria non aveva il coraggio di guardarlo, le faceva accapponare la pelle pensare che quell'appendice di sangue e carne esposta le appartenesse.
I tre parlottarono tra di loro, in un rapido scambio di battute che lei non riuscì a seguire. Quello che Kaymar aveva accompagnato uscì dalla stanza e tornò seguito da Sayuri e, sorprendetemente, da Tyrron. O forse era sempre stato lì? Non ne era sicura e la paura la teneva inchiodata in quella posizione scomoda, a respirare più piano che poteva per non risvegliare il dolore.
- Riesci ad aprire gli occhi? -
Nemeria schiuse le palpebre. Le mani di Kaymar erano ai lati del suo viso ed erano bagnate. Il refrigerio dell'acqua, o di qualsiasi cosa fosse, a contatto con le sue guance calde attenuò appena il fuoco che la stava divorando da dentro.
- Il tuo braccio è messo molto male. Adesso lo puliamo e poi operiamo. Vedrai che andrà tutto bene. -
C'era una certa apprensione nella sua voce, che la turbava al di sotto della soglia della coscienza. Nemeria non sapeva spiegarselo, ma il senso di disagio che l'ultima affermazione le aveva messo addosso la faceva tremare fin nel midollo.
Pian piano, Kaymar allontanò le mani dal suo viso e arretrò per lasciare spazio a Sayuri e al terzo uomo, che, ora che Nemeria lo osservava bene, non era poi così vecchio come aveva pensato. Era stata la barba a ingannarla.
- Al mio tre. - la avvisò, - Uno, due... -
L'ultimo numero non giunse mai. Nemeria sentì soltanto il microscopico movimento dei frammenti d'osso nelle ferite slabbrate. Nella cornice sanguigna del suo sguardo, quei dentelli arrossati erano le zanne del dolore che la stava sbranando dall'interno. Le mancò il fiato e il suo corpo si svuotò, comprimendosi fino a perdere la sua reale consistenza.
"Madre, aiuto..."
Le palpebre erano incollate, il sudore filtrava attraverso le ciglia e le bruciava gli occhi. Nemeria provò a muovere le dita e a sollevare il braccio, ma qualcuno, una delle tante presenze che le ronzavano attorno, la bloccò. Le parole rimasero in apnea nelle sue orecchie e poi sgocciolarono a terra, di nuovo confuse nel tramestio di sottofondo.
- Bevi. -
Una lieve pressione sulle guance, due mani che le sollevavano la testa. Nemeria schiuse le labbra e bevve. Somigliava ad acqua, ma aveva una consistenza più densa e un pungente retrogusto amaro. I muscoli si tesero e rilassarono in una sincronia perfetta e dolorosa. Quando le allungarono le gambe e le braccia, Nemeria aveva di nuovo perso la percezione del suo corpo e di ciò che la circondava. Sopravviveva solo l'olfatto, attaccato dall'olezzo rancido e penetrante di vino.
- Sono qui, Nemeria. - sussurrò Sayuri, per poi premere i pollici sulle sue tempie e le altre dita sulla fronte, - Portami dove vuoi tu. -
- Non... non posso muovermi. -
- Sì che puoi. -
Il vento scacciò l'odore di alcol e sudore. Sul braccio stavano spennellando una mistura viscosa e densa che profumava di miele e latte. Ogni volta che sfioravano i frammenti d'osso, il suo corpo si tendeva in uno spasmo.
- Sat, Chit, Ananda. - scandì Sayuri, - Ascolta le mie parole: Sat, Chit, Ananda. -
Tante mani scorrevano su di lei, alcune reali, altre immaginarie. Attraverso le palpebre, ombre evanescenti sfrecciavano sullo specchio offuscato della pupilla.
- Sat, Chit, Ananda. -
La pressione sulle tempie aumentò, così come il vento che le ingrossava la veste. Trasportava con sé una fragranza di erba e terra bagnata.
- Sat, Chit, Ananda. -
Lo scrosciare dell'acqua la trascinò via.
 
- ...ria! Nemeria! -
Nemeria si voltò. Taleyta la stava guardando dalla riva, con i panni appena lavati arrotolati tra le braccia. Li posò su un masso e, saltando di scoglio in scoglio, le arrivò abbastanza vicino per poterle acchiappare il polso.
- Stai più vicina o il Dunărea ti inghiottirà. -
Nemeria sbatté le palpebre e tornò a guardare il fiume. Era di un intenso blu – blu cobalto, l'avrebbe corretta Etheram – ed era largo parecchie braccia. Il profilo lontano della riva opposta era una semplice linea frastagliata d'alberi che si inerpicavano lungo il fianco della collina. Le chiome non ancora fitte erano un indizio di una primavera pellegrina sulla strada del ritorno.
Nemeria indietreggiò fino a ridurre il livello dell'acqua ben al di sotto delle ginocchia. Abbassò lo sguardo sulla tunica e, senza dire una parola, riprese a strofinare la macchia.
- Non riuscirai mai a farla andare via solo con l'acqua. - Taleyta si guardò intorno e si mise i pugni sui fianchi, - Dove hai messo il tuo sapone? -
Non se lo ricordava. Tra il momento in cui era uscita dalla tenda e quello in cui Taleyta l'aveva ripresa c'era solo un enorme buco nero. Eppure doveva averlo avuto, perché le sue mani profumavano d'anice e alloro.
- Forse l'hai appoggiato da qualche parte e ti è caduto. Non importa, puoi usare il mio. - prese un grossolano cubetto non più grande del palmo della sua mano e glielo porse, - Finisci, dai, che mio fratello ********  ti sta aspettando. -
Annuì e subito tornò a strofinare. Aveva il sentore che quella stupida macchia non sarebbe andata via nemmeno con tutto l'olio di gomito del mondo, ma non poteva ripresentarsi da sua madre senza averci nemmeno provato. Tanto meno quel giorno, che per colpa del suo ciclo di luna riusciva a malapena a stare in piedi.
Un lungo fischio risuonò nell'aria. Nemeria venne investita da una sventagliata di spruzzi. Già battagliera, Taleyta si girò e rispose tirando addosso a suo fratello una piccola onda.
- ******* , ha funzionato una volta, non credere di potermi sorprendere ancora! -
La figura bassa, fatta di pura luce bianca, si acquattò e prese a rincorrere sulla superficie dell'acqua Taleyta.
- Sei terribile! -
Balzò sulla superficie anche lei e corse lontano, con ******* che la inseguiva bersagliandola con rapidi e mirati spruzzi, ai quali lei contrattaccava prontamente. L'acqua si increspava appena, come se in realtà fosse solo un lieve strato buttato su un pavimento blu da lavare.
- Taleyta, Taleyta! - esultò Nemeria.
******** la guardò malissimo e Taleyta ne approfittò per fargli sbucare una fontanella tra le gambe a tradimento. Nemeria scoppiò a ridere e riprese a fare il tifo per la sua amica ancora più forte.
- **********. -
- Hai perso la mia fedeltà quando mi hai bagnata fino al midollo la volta scorsa! - gli rispose di rimando.
Taleyta dirottò un'onda, la ingrossò e gliela mandò contro. ********* non fece in tempo a pensare a una contromossa che si ritrovò lungo disteso sull'acqua. Al suo fianco, sua sorella lo fissava vittoriosa dall'alto in basso.
- Sei ancora troppo piccolo per pensare di battermi. -
- ***********. -
- Un anno sono tanti giorni di esperienza in più. Sarò sempre irraggiungibile per te. -
Gli porse la mano e lo aiutò a rimettersi in piedi. Dopo un breve istante d'esitazione, lui accettò il suo aiuto e, mano nella mano, tornarono a riva. Le trecce di Taleyta si erano del tutto disfatte e le si erano appiccicate un po' ovunque sulla fronte e sulle guance. Quando lasciò la mano a suo fratello, la prima cosa che fece fu strizzarsele e rilegarsele in una piccola crocchia simile a un nido.
- Io torno in tenda. Posso lasciarvi un attimo da soli? -
- Sissignora! - rispose Nemeria.
******** sbuffò, bofonchiando qualcosa su quanto sua sorella fosse noiosa. Taleyta gli scoccò un'occhiata di rimprovero e raccolse i panni.
- Mi raccomando, torno tra poco. -
Non appena Taleyta sparì oltre i primi alberi, Nemeria si sedette su un masso e focalizzò di nuovo l'attenzione sulla la tunica.
- *********** ? -
- Sì. Mamma non sta molto bene e mi ha chiesto di pensare al bucato. -
- ********** . -
- Devo provarci ancora un po', poi andiamo a giocare a palla. - si volse e gli indicò la palla che aveva lasciato di fianco al cumulo di abiti lavati, - E come vedi, stavolta non me la sono dimenticata. -
********** volteggiò su se stesso e l'acqua lo seguì, avvolgendolo in due ampie spire liquide. Un'anguilla, finita per sbaglio all'interno assieme ad altri piccoli pesci azzurri, si dibatté finché lui non si accorse della sua presenza.
- ********** ? -
- Se decidi di lasciarla andare, dimmelo. Io quella cosa non voglio nemmeno che mi sfiori. -
- **********. -
- Fa schifo lo stesso. -
Lui scoppiò a ridere.
- **********. -
Nemeria raccolse tutto e corse a gambe levate sulla riva. La striscia d'acqua si allungò e poi "sputò" l'anguilla, che serpeggiò via, sparendo tra i flutti.
- ***********?-
Nemeria sbuffò e lo fissò nel modo più truce che le venne, ma ********** non sembrava avere intenzione di desistere. Dedicò alla tunica un'altra occhiata prima di piegarla e riporla sopra tutti gli altri panni, in una montagnetta pericolante.
- Però non posso stare tutto il pomeriggio. -
- ***********. -
- Tu prometti che non proverai a bagnarmi, se vincerò? -
Fu il turno di ********** di sbuffare.
- **********. -
- Sei davvero simpatico. -
Gli passò la palla e fece qualche passo indietro. Si sarebbe dovuta rimettere le scarpe, ma non aveva voglia di perdere altro tempo. E poi, a parte qualche sassolino, la terra era morbida.
- Stavolta non farla finire sugli alberi, per favore. -
******** ridacchiò. Afferrò la palla con due mani e la lanciò più in alto che poté. Nemeria ne seguì per un breve tratto la parabola, prima di scattare per provare a riprenderla.
 
Si svegliò distesa su un letto morbido. Dovette sbattere più di una volta le palpebre per snebbiare la vista e capire di trovarsi in infermeria.
Nande sedeva dietro la scrivania, le gambe accavallate e il solito libro di botanica sotto gli occhi, con ancora la piuma blu e verde infilata nel mezzo. Pure Ozgur era lì. La polvere turbinava sul suo palmo aperto, seguendo il lento movimento circolare del dito. Sembrava un vasaio intento a modellare il collo di un’anfora. Ozgur si accorse dello sguardo di Nemeria per caso, una mezza occhiata accidentale, alla quale seguì un'altra venata dalla consapevolezza di essere stato scoperto. Disperse la polvere e si portò l'indice davanti alle labbra per intimarle il silenzio.
- Morak'uyr, si è svegliata. -
Nande chiuse il libro e Nemeria assunse un'espressione intontita per farle credere di essere appena riemersa dal mondo dei sogni.
- Vai a chiamare aghà Tyrron. - gli ordinò la donna.
Ozgur infilò veloce la porta e lei prese uno sgabello per sedersi vicino a Nemeria. Si era tirata indietro i capelli con una fascia colorata che esaltava l'incarnato scuro.
- Questa volta hai giocato davvero molto con la sorte. -
- Stavo per morire...? -
- No, ma stavi per perdere il braccio. -
Nemeria seguì la traiettoria del suo sguardo. Le avevano disteso il braccio con il palmo rivolto verso l'alto. Dalle bende si intravedeva un alone viola che colorava la pelle, schiarendo in un giallo malato sulla spalla.
- Però hai vinto. È ciò che conta di più per te, giusto? -
Aveva vinto. Quelle parole le procurarono un brivido. Aveva sconfitto Zahra da sola e il pubblico l'aveva acclamata. Anche senza chiudere gli occhi, le voci esultanti le riempirono di nuovo le orecchie.
La porta si aprì e Tyrron marciò fino al suo capezzale. Nande gli lasciò lo sgabello e, a un suo gesto, tornò a sedersi dietro il tavolo. A Nemeria parve che avesse riaperto il libro a una pagina diversa, ma da lì non poteva esserne certa.
- Come ti senti? -
- Come se fossi finita sotto le ruote di un carro. -
- Metafora calzante, considerando quanto fosse grossa la tua avversaria. - scherzò, si protese verso di lei e appuntò la sua attenzione sul braccio.
Nemeria lo fissò un po' stralunata.  
- Ha esagerato. In uno scontro normale, non sono ammesse ferite così invalidanti. Non si è limitata a metterti fuori uso il braccio, ha fatto a pezzi l'osso. Se non fosse stato per l'intervento di Serafim, Sayuri e Kaymar, non sono sicuro che saresti sopravvissuta. -
- Quindi adesso sarà frustata? -
- Chiederò il massimo della pena. Mina mi sosterrà. -
Nemeria rimase in silenzio. Non le dava alcuna soddisfazione che Zahra venisse frustata.
- È proprio necessario? -
- Che venga punita? Sì. Adel ha preteso che tu fossi frustata anche quando non era colpa tua. Zahra conosceva le regole. Non dovresti mostrare pietà per chi non ne ha avuta per te. -
- Non è questione di pietà. - ci pensò e chiuse un momento gli occhi per riunire le parole in frasi, - Solo che non ce l'ho con lei. Avevamo un conto in sospeso e lo abbiamo saldato nell'arena. -
Tyrron parve sovrappensiero. La scrutò intensamente, le dita intrecciate proprio sotto il naso.
- Capisco. - concluse, come a chiudere una lunga discussione, - Non posso lasciar correre, ma non chiederò il massimo. -
- Davvero? -
- Quello che dico, lo faccio, ormai dovresti saperlo. E poi hai vinto, posso acconsentire a questa tua richiesta. A tal proposito, Koosha è rimasto davvero impressionato. Dopo quello di Abayomi, il tuo incontro è stato il più entusiasmante. Hai attirato l'attenzione di molti. -
- Questo significa che potrò riavere Batuffolo? -
- Si sarà sicuramente ammorbidito, ma non mi sbilancio. Stasera, quando verrà a cena, glielo chiederò. Dovresti cominciare a pensare a chi affidarne le cure quando sarai ad allenarti. Adesso se ne sta occupando Morad, ma se ti sarà dato il permesso di tenerlo non avrai il tempo di occupartene tu. Inoltre, cosa ancor più importante, tutte le spese legate al suo mantenimento saranno a carico mio, almeno finché non avrai uno sponsor. Questo significa che il tuo debito aumenterà. -
- Io rivoglio Batuffolo... mi basta che me lo ridiate. -
- Ci vorrà molto più tempo per riavere la tua libertà. - cercò di farla ragionare.
- Non mi importa. -
Si era impegnata molto in quel torneo, e uno dei motivi era stato Batuffolo. Si asciugò gli occhi umidi e afferrò il polso di Tyrron.
- Per favore, se Koosha dirà di sì, restituiscimi Batuffolo. -
- Allora spera che il vino lo renda bendisposto. -
Le diede una pacca sulla mano e Nemeria lasciò la presa.
- Ho già detto a Noriko di lasciarti riposare, ma lo ripeto anche a te: cerca di riprenderti in fretta. So che avrai voglia di riposare, ma domani ci saranno le semifinali e tu devi dare il meglio di te. Ti sei fatta amare troppo per mollare ora. -
Prima di alzarsi, Tyrron si sistemò le maniche e la treccia dietro la testa. Forse era solo una sua impressione, ma a Nemeria pareva provato. Persino l'eleganza sobria dei suoi vestiti risentiva della sua stanchezza.
- Tyrron, c'eri anche tu nell'infermeria all'arena? -
- Non eri quindi del tutto incosciente. -  ridacchiò sulla porta, - Sì, ero lì. Non appena l'incontro è finito, sono venuto da te con Kaymar e Serafim. -
- Grazie. - si umettò le labbra secche, - Non credo che tutti i lanisti lo avrebbero fatto. -
- Io non sono tutti i lanisti, Nemeria. Il mio nome è Tyrron Occhi di Lince, ricordatelo bene. -
Detto ciò, aprì la porta e uscì.
- Hai sete? - le domandò Nande, distogliendola dai suoi pensieri.
Aveva lo sguardo ancora immerso tra le pagine e la postura disinvolta.
- Sì, un po'. -
- Ozgur, portale dell'acqua. -
Come se non avesse atteso altro, il bambino rientrò nella stanza e versò il contenuto della caraffa sulla scrivania in un bicchiere, mentre Nande l'aiutava a mettersi seduta.
- Il braccio ti fa male? -
- No. Ma in compenso mi sento la testa pesante. -
- È normale. Con quello che ti hanno dato, mi stupisco che tu ti sia svegliata così presto. -
Mentre beveva, Nemeria guardò verso la finestra. La luce del sole aveva la sfumatura calda del tramonto e le solleticava la punta dei piedi attraverso il lenzuolo.
- Che fine hanno fatto i ragazzi che erano qui in infermeria tempo fa? Quelli malati e senza lanista, intendo. -
- Uno di loro è morto, gli altri sono stati spartiti tra Mina e Siamak. Come mai ti interessa? -
Nemeria fece spallucce e porse il bicchiere a Nande.
- Non lo so. Penso mi sia tornato in mente perché mi avete messo nello stesso letto dove era steso uno di loro. -
- Pensa piuttosto a riprenderti o alla tua vittoria di oggi. Come ti ha detto aghà Tyrron, domani, volente o nolente, dovrai combattere. -
Se non avesse avuto tutta quella sonnolenza addosso, probabilmente sarebbe corsa per tutta la Scuola a vantarsi. Si portò una mano sul cuore e sorrise percependo il potere di Agni zampillare sotto le dita. Sebbene non ne potesse udire la voce, sapeva che anche lei condivideva la sua euforia.
- Dai, ora dormi. Ti sveglio io per l'ora di cena. -
Nande le sprimacciò il cuscino e l'aiutò di nuovo a stendersi. Il sonno arrivò quasi subito ad appesantirle le palpebre. Nemeria non oppose nessuna resistenza.
Piombò in un limbo di oscurità confortevole, simile a un'ampia stanza buia, dove l'unica cosa che riusciva a percepire era il calore. A volte la porta sul fondo si schiudeva e una figura di luce si affacciava oltre la soglia, ma Nemeria non faceva in tempo a guardarla che quella spariva. Quando quel qualcuno finalmente entrò, non c'era più alcuna aura luminosa, ma solo una figura che si portava dietro un lungo strascico e un bastone piumato nella mano destra. Si inginocchiò sopra di lei e le prese la testa tra le mani.
- Vedo lontano, oltre le nebbie. Vedo un mondo che non mi è più caro, un eterno inverno dove il sangue scorrerà imbrattando la virginea bellezza della primavera. Il disonore prevarrà, la lealtà verrà calpestata, il coraggio arderà nelle fiamme degli incendi. Ogni uomo diverrà un traditore, ogni tradito un omicida. Allora sarà l'Era della Falce e verrà emesso il giudizio sul mondo. -
La voce dell'Alta Sacerdotessa era tenue e priva di inflessione. Il suo tocco però era accorto, come quello di una madre. Le passò le dita tra le ciocche aggrovigliate, fermandosi a districarne i nodi o a lisciare quelle più disobbedienti.
- Figlia mia, considera il lato nascosto delle cose e chiediti cosa non conosci. Scruta al di là delle ombre, diffida dalla luce, segui il sentiero che ti trascinerà verso l'abisso e ti innalzerà al di sopra degli altri miei figli. -
Non era un sogno, non era nemmeno una visione. Non era niente che Nemeria avesse mai sperimentato, eppure era reale.
Ad un tratto, riconobbe l'agati e le pelli di muflone cucite assieme sopra la sua testa. Si alzò di scatto e vide l'Alta Sacerdotessa sulla soglia della tenda. Indossava la lunga cappa smanicata bianca a motivi geometrici, la stessa del giorno dell'attacco dei predoni. Erano diverse le ferite che le deturpavano la pelle, ma ce n'era una profonda sotto il costato che ancora sanguinava. Sanguinava troppo.
- Alta Sacerdotessa, tu sei... -
- Sì. -
Nemeria rimase pietrificata. Faceva male, ma non così tanto come si sarebbe aspettata, forse perché, in fondo, lo aveva sempre saputo. Si morse le labbra e tornò a guardarla. La testa di gatto assisa sul bastone degli Spiriti pareva scrutarla attraverso le sue orbite vuote.
- Cos'è questo posto? -
I tatuaggi biancheggiarono di una luce perlacea e l'Alta Sacerdotessa puntò gli occhi sulla figura di luce che si divertiva a tirare la palla in alto. Come si accorse di essere osservata, corse a nascondersi dietro una tenda.
- È la strada per la Verità. -
- Ma che significa? Che cosa intendi? -
Un vento soffiò lieve ed estinse le fiamme. Nemeria non fece in tempo ad alzarsi che l'Alta Sacerdotessa uscì. La tenda si richiuse dietro di lei e i contorni svanirono nel buio.
 
- Lo sapevi che questo fiume ha un sacco di nomi? -
- ***********. -
- O anche il "fiume dei re". Solo l'Atil lo supera in lunghezza. -
****** ridacchiò e si stravaccò per terra. Nemeria lo seguì, anche se con più attenzione.
- *******************. -
- Non lo so. Stavo giocando a nascondino con mia sorella, sono inciampata e ho sentito un dolore fortissimo. - alzò il braccio fasciato quanto più poté, - Mamma dice che un osso per guarire ci mette anche più di un mese. Io spero che si spicci... sono giorni che non chiudo occhio. -
- ***********************************?-  
- Mamma lo ha già chiesto, ma nessuna delle Anziane ha ceduto. Dicono che bisogna imparare a vivere come se non avessimo nessun elementale ad aiutarci. -
- *****************. - sbuffò e incrociò le mani dietro la nuca, - ************. -
Nemeria si ritrovò ad annuire: se non potevano usare il potere elementale per accelerare la guarigione, che senso aveva fare tutta quella fatica per imparare a controllarli?
- *****************************************. -
- Lo so che ti sta antipatico, ma ***** non è così insopportabile. - non lo credeva davvero, ma era divertente far finta di non essere dalla sua parte, - Tu lo detesti solo perché riesce a volare più in alto e più in fretta di te. -
****** tirò fuori il labbro e aggrottò le sopracciglia, come se avesse appena detto un'eresia. Nemeria gonfiò le guance per provare a trattenersi, ma la sua espressione così sinceramente sorpresa la fece piegare in due dalle risate.
- ********************************************. -
- Ma se non fai altro che lamentarti dei complimenti che riceve da Fakhri! -
********** la fulminò e le diede un pizzicotto sul braccio. Non forte, ma Nemeria si ritrasse lo stesso, prima che la assalisse per farle il solletico.
- ***********************************************. -
- Anche perché, se tu lo facessi, mi metterei a urlare. -
- *********************! -
A questo non aveva pensato. Lui dovette intuire di averla colta in fallo perché la punzecchiò sul fianco.
- ***********************************************************. -
-Sì, Etheram quando si arrabbia fa davvero paura. - concordò Nemeria.
Appoggiò la testa contro la sua spalla e si coprì la bocca per reprimere uno sbadiglio. Anche se era stata tutto il giorno nella tenda a sonnecchiare, si sentiva stanca. Chissà, forse era la noia a renderle gli occhi così pesanti.
- *****************************************************************************. - le lanciò una lunga occhiata, tale che Nemeria aveva già capito cosa voleva chiederle prima ancora che glielo dicesse. - *****************? -
- A me piacerebbe molto, però non so se mamma mi lascerà venire. -
- ***************************************************************************. -
Nemeria si mordicchiò l’interno della guancia. Era anche molto tardi, sicuramente a quell’ora sarebbe dovuta essere a letto già da un pezzo. Hediye aveva un sonno leggero e le aveva detto di svegliarla per qualsiasi cosa. Però ******* ci teneva molto e anche lei era curiosa di vedere cosa aveva in mente Fakhri per aver deciso di organizzare una lezione a quell’ora della notte.
- Vado a chiedere, ma non ti assicuro nulla. -
Lui si mise seduto e aprì una breccia nella sfera d’aria che aveva creato attorno a loro per proteggerli dal venticello della notte. Lì, nel Dawalh settentrionale, la primavera non era ancora arrivata.
- Mamma? -
Nemeria accese la fiamma sulla mano e, stando attenta a dove metteva i piedi, avanzò nella semioscurità. Le braci del focolare spandevano un alone dorato che disegnava le spalle di Hediye. Il suo respiro regolare, a volte interrotto da un sibilo simile a un fischio, arricchiva il silenzio della notte.
- Mamma. - ripeté-
Nemeria la scosse con delicatezza e allontanò il braccio quando la donna si girò.
- Nemeria? Che ci fai ancora sveglia? Stai male? -
- No, no, sto bene. - si rese conto di quanto fosse stupido quello che stava facendo in quell’esatto momento, ma era troppo tardi per tirarsi indietro, - So che sarei dovuta essere già a letto, ma è venuto a trovarmi ******* e mi ha chiesto se volevo andare con lui ad assistere alla lezione di maestra Fakhri. -
- Una lezione? A quest’ora? -
- Sì, anche a me è sembrato strano, ma magari non vuole che gli altri si arrabbino sapendo che è uno dei suoi allievi preferiti. -
Hediye si puntellò sui gomiti e si passò una mano sul viso.
- Dove si terrebbe questa lezione? -
Nemeria rimase stranita dalla domanda. Si era preparata a una sfuriata, non di certo a un possibile “sì”. Scavalcò il corpo di Etheram avvolto nelle coperte e si affacciò fuori dalla tenda. Il vento freddo le procurò un brivido dietro la nuca.
- Mamma vuole sapere dove. - gli chiese.
- ********************************************************************. -
- Hai sentito? -
Hediye si era fatta più vicina, quel che bastava perché non dovesse ripetere nulla.
- Mi dispiace, ********, ma Nemeria deve riposare. -
- Ma ci sarà anche Fakhri! - protestò Nemeria, - Non mi farò male, starò attenta. Anzi, ti prometto che non farò nulla, guarderò e basta. -
- Sono sicura che maestra Fakhri capirà. - Hediye sorrise e scompigliò i capelli di ******* .
Il bambino abbassò lo sguardo, dispiaciuto.
- La prossima volta verrò, te lo prometto. - tentò di confortarlo Nemeria, - E poi non sarà l’ultima volta. Tu sei troppo bravo. -
Quel complimento gli strappò un sorriso. Si strinse nel mantello e fece un passo indietro.
- ***********************. -
- Va bene, ti aspetto. A te va bene, mamma? -
- Basta che non venga più così tardi. La signorina qui deve starsene ferma. -
Entrambi i bambini scoppiarono a ridere. ****** poi si strinse nel mantello e saltellando si allontanò nel buio.
 
La mattina seguente, non venne nessuno a svegliarla. Quando Nemeria aprì gli occhi, l’infermeria era ancora avvolta nel silenzio. Si mise a sedere e sorseggiò un bicchier d’acqua, lo sguardo fisso nel vuoto. Non si rese conto di averlo finito finché non ebbe di nuovo la gola secca. Rimase a guardare il gioco di luci sul pavimento, mentre pian piano rimetteva insieme le immagini dei… come doveva chiamarli? Sogni? Visioni? Qualsiasi cosa fossero, erano nitidi come dei ricordi. Come se lei quelle situazioni le avesse già vissute.
“C’è qualcosa che manca, però.”
Strizzò le palpebre e cercò di ricostruire il viso del suo compagno di giochi preferito, il fratellino di Taleyta. Nulla, il vuoto. Si rese conto con un brivido di orrore che anche da sveglia non riusciva a ricordare il suo nome. Era come se non fosse mai esistito, e più tentava di ricordare, più la sensazione di smarrimento aumentava. Alla fine, si afflosciò sul letto, la stanza che girava sopra e sotto di lei come una nave in burrasca.
“La strada per la Verità...”
Studiò la propria mano in controluce e la lasciò ricadere sulle lenzuola. Realizzare che l'Alta Sacerdotessa era morta pose fine a quel fastidioso vorticare. Si aggrappò a quella certezza e si sforzò di riprendere a respirare. Non sentiva l'impulso di piangere o gli occhi lucidi. Avrebbe voluto farlo, ma non ci riusciva. Si rese conto, invece, che i polmoni incanalavano meglio l'aria, come quando si guarisce da una lunga malattia.
- Madre, nell'ora più buia, guida a te chi non ha più stelle. - mormorò.
Il silenzio della mattina rimase l'unico spettatore del suo cordoglio. Nel fascio obliquo della luce del sole, Agni danzava sulle note allegre di un flauto.
Circa due ore dopo, Merneith venne a comunicarle che le coppie delle semifinali erano già state decise e che lei avrebbe gareggiato la mattina seguente. Nemeria immaginava che ci fosse lo zampino di Tyrron e che il suo scopo fosse quello di lasciarla riposare, ma non aveva nessuna intenzione di rimanere tutto il giorno in infermeria.
- Voglio andare a vedere Noriko combattere. -
- Il padrone aveva immaginato che avresti fatto una richiesta del genere. -
Merneith si fece avanti e depose un cambio d'abiti – una semplice tunica bianca smanicata e il suo amato paio di endromis – sullo sgabello. Mentre l'aiutava a vestirsi, Nande entrò e diede loro il buongiorno. Nemeria notò la sua espressione contrita, come se disapprovasse. Non poteva rimanere lì, però. Doveva essere lucida per trovare un senso alle parole dell'Alta Sacerdotessa e a quei ricordi che aveva dimenticato di avere. Se fosse rimasta, sapeva che non ce l'avrebbe fatta. Per quanto Ozgur avesse spalancato le finestre, l'infermeria odorava di malattia.
Più d'ogni altra cosa, voleva essere la prima a congratularsi con Noriko quando avrebbe vinto contro Abayomi: per nessuna ragione al mondo si sarebbe voluta perdere quello scontro.
- Morad ci aspetta qui fuori assieme al padrone. - la informò Merneith e le porse il braccio con un sorriso più che cordiale, - Appoggiati pure a me, non devi compiere sforzi inutili. -
Nemeria accettò volentieri il suo aiuto. Anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, era abbastanza sicura che sarebbe caduta se non ci fosse stata lei a sostenerla mentre scendevano le scale.
Mentre camminavano per i corridoi, diversi occhi si posarono su di lei. Non erano solo quelli degli allievi, ma anche quelli dei servi, dei soldati, di molte persone con le quali non aveva mai scambiato una parola. Tutti le sorridevano meravigliati, richiamando l'attenzione del compagno con una gomitata o con uno schiocco di dita.
- Comincia ad abituarti: tra poco avrai bisogno di una scorta anche qui dentro. -
L'affermazione di Merneith aveva una nota scherzosa, ma Nemeria non faticava a immaginarsi così famosa. Il calore nel petto si espanse e il sorriso sulle labbra si allargò ancora di più.
Sulla strada, fecero una deviazione verso il panificio di Branka, quello dove lei, Morad e Bahar si erano fermati la seconda volta che andata in arena. Oltre alla ragazza, c'era un'anziana signora con le braccia e il collo tatuati con ramoscelli, cerchi e croci di colori sbiaditi. Aveva un marcato accento straniero e la parlata sihamnstica saltava, sostituita da spezzoni di frasi in una lingua che Nemeria non capiva. Era Branka a recuperare il filo della conversazione, traducendo per loro quello che sua madre aveva detto. Tyrron pagò una pita di formaggio e spinaci a tutti e, mentre mangiavano, si avviarono all'arena. Nemeria terminò l'ultimo boccone della sua colazione quando si sedette sugli spalti, tra Tyrron e Merneith.
- Speriamo che abbia capito. - sospirò Tyrron, accavallando le gambe, - E se così non fosse, penso che avrò bisogno di un buon bicchiere di vino quando tornerò a casa. O magari tre. -
Uno squillo di tromba annunciò l'entrata in scena dei gladiatori. Noriko aveva il tessen infilato nella cintura alla vita e avanzava tranquilla, con quel suo passo leggero che sollevava appena la sabbia. Abayomi aveva tutto fuorché un atteggiamento marziale: non appena uscì, incrociò in alto le due spade corte e si profuse in diversi inchini, scoccando baci qua e là alla platea. Nemeria non sapeva se trovava più odiosa la sua sfrontatezza o il fatto che fosse davvero arrivato fino a lì.
- Dunque, alla fine è giunto il momento. - ghignò, mulinò le spade e schioccò la lingua contro il palato, - Che dire, speravo di scontrarmi con la dolce fiammella, ma questa volta la fortuna ha giocato a mio sfavore. -
Noriko aprì il ventaglio. Le acclamazioni cessarono, ridotte a un brusio così basso che Nemeria poté udire chiaramente lo schiocco metallico del tessen.
- So che non vedi l'ora che la tromba suoni per saltarmi addosso. Anche se sei una donna silenziosa, riesco a leggere l'odio che provi negli occhi. Sotto certi aspetti, somigli molto alla tua amica, solo che tu fai finta di ignorarmi. Se sapessi combattere come si deve, sarebbe stato uno scontro quasi alla pari. -
Sembrava stesse leggendo un copione. Qualcuno, nelle file più indietro rise e domandò a chi si stesse riferendo Abayomi. Tyrron le lanciò un'occhiata in tralice, che Nemeria finse di non notare. Cosa stavano aspettando a dare inizio allo scontro?
- Quindi, ieri notte, ho pensato a un modo per movimentare il nostro incontro. - tirò fuori da sotto l'armatura il ciondolo con la pietra di luna e lo alzò in alto, in modo che anche il pubblico potesse vederlo, - Facciamo una scommessa: se riuscirai a battermi, io ti ridarò questa bellissima collana, tanto preziosa per la nostra fiammella. Se invece perderai... - ghignò e si rivolse al pubblico, - Se perdesse, voi cosa vorreste che la costringessi a fare? -
- Che divenga la tua schiava, Abayomi! - gridò un uomo dalle ultime file.
- Se vinci, devi farla rotolare nel fango come la cagna che è! -
- Falla spogliare! Vogliamo vedere se le tiannesi hanno le tette! -
Piovvero altre richieste, una più umiliante dell'altra. Nemeria strinse così forte i denti da farli scricchiolare. Abayomi non rideva, ma non si difece dell'espressione strafottente.
- Signori, le vostre proposte sono tutte molto interessanti. È un vero peccato che per ogni scommessa si debba scegliere un solo e unico pegno. - si sistemò la pietra di luna sotto l'armatura ed esclamò, - Noriko, se perderà, dovrà inginocchiarsi e implorare pietà! -
Il pubblico esplose in un'ovazione assordante. Nemeria scrollò la testa per scacciare la patina rossa che le aveva coperto la vista.
- Accetti i termini della nostra scommessa, bambolina? Oppure è troppo umiliante per te? -
Noriko fissò Abayomi da dietro il ventaglio, calma come lo era quando era entrata. Quando non rispose, la tromba suonò.
Chiuse il ventaglio e vibrò un affondo diretto al centro della fronte. Abayomi deviò il colpo e costrinse Noriko a indietreggiare per evitare che una delle sue spade le aprisse uno squarcio sotto l'ascella. Riguadagnò la distanza di sicurezza e si mosse intorno a lui, dapprima a sinistra, poi a destra, senza alzare quasi un un granello di sabbia.
- Cos'è, hai paura? - la provocò.
Abayomi si era riposizionato, una spada inclinata sopra la testa, l'altra rivolta in avanti, le punte di entrambe allineate sui lati di un triangolo immaginario.
- Vai, Noriko! - Nemeria si alzò in piedi e mise la mano sul lato della bocca, - Sei la migliore! -
Noriko non guardò nella sua direzione. Intorno a lei si alzò un mulinello d'aria che le ingrossò la tunica e le scompigliò i capelli. Sferrò tre pugni in rapida successione. Un proiettile a forma di freccia colpì Abayomi alla spalla, un altro al fianco e un ultimo, un dardo sottile come un ago, si abbatté sul petto, sbalzandolo a terra.
- Rialzati, Abayomi! -
- Non puoi perdere! -
Abayomi si massaggiò il petto, si diede slancio con le gambe e si rimise in piedi. Si pulì la striscia di saliva all'angolo della bocca e prese la rincorsa. Noriko abbassò il baricentro e allungò una gamba all'indietro. Descrisse una mezzaluna col braccio, aprì e chiuse il ventaglio, per poi portarlo in un affondo sulla linea dello sguardo. Di nuovo l'aria si piegò al suo comando e saettò contro Abayomi. La corsa, da dritta, divenne una linea spezzata di movimenti a zigzag. Per ogni colpo schivato, si innalzava un'esplosione di sabbia, come se la terra fosse stata colpita da una violenta frustata. Abayomi però continuava, incurante di tutto, appena più lento di quando era scattato.
Una sferzata alla coscia lo mandò a terra, ma rotolò di fianco e si rimise in piedi, mentre la sabbia schizzava in alto a ogni pestone di Noriko. Più avanzava verso di lei, più i colpi si facevano forti e precisi. Uno lo prese dritto sul viso e lo mandò con le gambe all'aria, dritto disteso sulla schiena. Non ci fu stasi, perché Abayomi balzò di nuovo in piedi e schivò un dardo d'aria dall'alto. Deviò verso sinistra, si portò quasi sotto la balconata e riprese a correre. Si buttò a terra e rotolò mentre sopra la sua testa passavano le frecce d'aria; fece perno sulla gamba e in uno scatto riguadagnò distanza.
Noriko aprì il ventaglio e falciò l'aria davanti a sé, un tondo da destra a sinistra che innalzò un forte vento. Abayomi aumentò l'andatura, eseguì una breve piroetta e lanciò la spada. La lama sibilò attraverso l'aria e tagliò la frusta di vento. Noriko riuscì appena a scansarsi per evitare di essere trafitta. Si asciugò il sangue che stillava dal taglio sotto lo zigomo, arretrò d'un balzo, sfuggendo a un fendente ravvicinato, sferrò un pugno e si abbassò sulle ginocchia. L'aria colpì dal basso Abayomi, lo sollevò di tre piedi da terra e poi lo schiacciò.
Molti si alzarono in piedi per applaudire. Tyrron, invece, rimase con le braccia incrociate sul petto, con lo sguardo fisso sulla scena.
- Visto? Ce l'ha fatta! - esclamò Nemeria, - Non sei felice? -
- Sarai anche una brava gladiatrice, ma ti manca il giusto spirito di osservazione. L'incontro non è mai cominciato. -
- Che intendi? -
Un "oh" sbalordito la costrinse a voltarsi: Abayomi si era alzato e si stava togliendo la polvere di dosso con gesti annoiati, come se non fosse accaduto nulla.
- Cos'è che hai detto prima? Ah, sì, che "volevi porre fine a questa pagliacciata". Che peccato che tu la definisca così, mi sono impegnato tanto per diventare il migliore. Ma è un bene che tu mi abbia scoperto: adesso posso fare sul serio. -
Abayomi la caricò. Schivò la sventagliata, riprese la spada e le balzò addosso. La incalzò in una serie di colpi fulminei, pressandola in modo da costringerla ad indietreggiare. Noriko arretrò, senza riuscire a passare al contrattacco. Non faceva nemmeno in tempo a deviare la prima lama che doveva già alzare una difesa contro l'altra. Saltò e Abayomi la seguì. Le calciò la sabbia negli occhi, fece una finta e menò un fendente a distanza ravvicinata. Ruotò quando Noriko piroettò indietro. Non appena lei si fermò, lui affondò, distendendo tutto il gomito e il braccio. Noriko si accucciò, spostando il peso da sinistra a destra, e scattò via, rapida come un gatto.
- Quello non è leale! -
- No, non lo era. - confermò Tyrron.
Nemeria non sapeva come interpretare quella sua tranquillità. Non capiva nemmeno come riuscisse a restare calmo.
- Perché non interrompono lo scontro? Quel colpo poteva ammazzarla! -
- Perché piace. Finché nessuno dei due si ferisce sul serio, Abayomi può fare quello che vuole. -
- Quando la ucciderà, sarà troppo tardi per intervenire. -
Tyrron non rispose e Nemeria dovette inghiottire il suo bolo d'insulti prima di tornare a guardare lo scontro.
Noriko non faceva altro che deviare e schivare. Anche quando riusciva a oltrepassare la difesa di Abayomi, i suoi colpi avevano meno forza e si trovava costretta a cambiare bersaglio, dal collo alla spalla, dal naso alla guancia. Un'esitazione di una frazione di secondo che a lui bastava per cambiare combinazione. Attaccava così in fretta che per Noriko era impossibile reagire.
"Ce la devi fare, forza!"
Noriko arretrò e caricò un pugno al fianco. Abayomi ruotò di qualche pollice, inclinò la schiena e le diede una spallata abbastanza forte da incrinare il suo equilibrio. Sfruttò la sua perdita di concentrazione per attaccarla. Una lama addentò la tunica all'altezza del braccio e l'altra, in un fendente diagonale, la ferì alla spalla opposta. Noriko si distanziò con un repentino salto all'indietro e rimase a fissarlo immobile. La sua espressione impassibile la faceva sembrare una statua in attesa. Abayomi le corse incontro e descrisse due ampi tondi all'altezza del collo. Noriko non si mosse.
- Togliti! - urlò Nemeria e anche qualcun altro nel pubblico.
Le spade si chiusero sotto la mandibola come una forbice. Il filo delle due lame premette contro la pelle. Abayomi ghignò e la pelle bruciata si tese sulle ossa sporgenti del suo teschio.
- Che sfortuna, anche questa volta mi hai scoperto. Sei proprio una guastafeste. - gettò entrambe le armi a terra e alzò le mani, - Mi arrendo. -
Noriko lo afferrò per le spalle e lo tirò a sé. Raffiche di vento sollevarono la sabbia in sferzate violente.
- Oh, la bambolina si è arrabbiata? Allora hai dei sentimenti, lì dentro. Se avessi tirato fuori questa grinta prima, forse non mi sarei stancato di giocare con te. -
Nemeria non riuscì a sentire la risposta di Noriko, ma la sua espressione furiosa parlava per lei. Abayomi, però, scoppiò in una grassa risata. Le grate vennero sollevate e le guardie li accerchiarono.
- Lascialo andare. - le intimò il capitano.
- Dagli retta. Insomma, la nostra cara fiammella ha già perso un amico. Sarebbe tragico se perdesse anche te, non trovi? -
Abayomi gettò la testa all'indietro per incrociare lo sguardo di Nemeria col suo unico occhio. Sapeva che era lì, lo aveva sempre saputo, e quando la trovò, si passò la lingua sulle labbra secche.
- Asira, lascialo andare. Non ho intenzione di ripeterlo una seconda volta. -
I soldati sguainarono le spade e si fecero più vicini. Noriko lo sollevò ancora più in alto senza che lui opponesse resistenza. Quando lo scaraventò a terra e gli strappò la pietra di luna dal collo, Abayomi rimase interdetto e poi scoppiò a ridere. Non aggiunse altro, nemmeno quando i soldati li scortarono fuori dall’arena.
- Non è andata così male. - commentò Morad.
- Di sicuro è andata meglio della volta scorsa. - Tyrron si volse verso Nemeria, - Non ho voglia di rimanere qui a vedere le altre esibizioni. Andiamo a recuperare Noriko e vi riporto indietro. -
Bahar e Noriko erano fuori dagli spogliatoi ad aspettarli. Una volta tornati alla Scuola, dopo un inchino si separarono.
- Ho bisogno di un bagno, e anche tu. - disse Noriko.
Nemeria non poté che annuire. Forse sarebbe stato saggio parlare prima con Nande per far controllare il braccio, ma aveva bisogno di lavarsi di dosso il sudore e la sensazione di sporcizia che lo sguardo di Abayomi le aveva trasmesso. Passarono in camera giusto per prendere un cambio e si diressero alle vasche. Noriko si immerse del tutto, mentre Nemeria dovette accontentarsi di avere l’acqua solo fino alle ginocchia.
- Questo è tuo. -
Noriko poggiò la spugna con cui le stava lavando la schiena e le legò il ciondolo attorno al collo. Le fiamme di Agni si affievolirono fino a diventare un crepitare di braci.
- Non avresti dovuto rischiare tanto per me. -
- Invece sì. So quanto significa per te. Non fare del mio meglio sarebbe stato un’offesa nei tuoi confronti. -
Nemeria sfiorò con la punta delle dita la superficie liscia della pietra di luna. Eccola lì, era di nuovo tutto come doveva essere.
- Grazie… sono in debito con te. -
- No, non lo sei. -
Come a voler chiudere la conversazione, Noriko scivolò di nuovo nella piscina e si abbandonò con la testa contro le sue gambe. I capelli rossi galleggiavano sul pelo dell’acqua, aperti come i petali di un gigantesco anemone.
- Cosa intendevi con “porre fine a questa pagliacciata”? -
- Che mi ero stufata di essere presa in giro. Vedevo che non riuscivo a colpirlo, ma lui continuava a fingere di incassare. -
- A fingere di incassare? -
- Sì, finché non ha deciso che aveva voglia di applicarsi. -
Nemeria non riusciva a crederci. Lo aveva visto coi suoi occhi cadere e aveva gioito per ogni colpo andato a segno, così come i pochi sostenitori di Noriko. Aveva davvero creduto che stesse andando tutto bene, finché non aveva guardato Tyrron.
- Era tutta una recita… -
Noriko annuì e volse lo sguardo verso il soffitto.
- E come facevi a sapere che non ti avrebbe uccisa? -
- È troppo astuto per fare una cosa del genere. Ciononostante, non ne ho avuto la certezza finché non ha cambiato bersaglio. - si abbracciò, passando le mani sulla spalla e sul braccio dove, prima che i curatori intervenissero, ci sarebbero dovute essere le due ferite, - Allora ho capito che stava di nuovo recitando. -
Nemeria si mordicchiò le labbra, poi passò a tormentarsi le dita.
- Al tuo posto, non so se avrei avuto così tanto coraggio. - ammise.
- Ho solo valutato la situazione. Se non fossi stata sicura che si sarebbe fermato, non lo avrei fatto. - Da dietro le ciglia schiuse, le sue iridi avevano assunto la stessa sfumatura del cielo dopo un terribile temporale, un azzurro intenso. Nemeria si piegò sopra di lei e catturò un ciglio.
- Sopra o sotto? -
- Cosa? -
- Devi capire se il ciglio sarà sul dito di sopra o sul dito di sotto. Se indovini, il desiderio che esprimerai si avvererà. -                                                  
Noriko rimase in silenzio, come se stesse soppesando la sua proposta.
- Sotto. -
Nemeria aprì le dita e le mise il pollice davanti al naso.
- Esprimi un desiderio. Non devi dirlo ad alta voce, però. -
- Perché? -
- Perché sennò non si realizza, ovvio. -
- Va bene, come vuoi. -
Tacque per un po’, galleggiando a braccia e gambe aperte. Si chiuse il naso e immerse la testa un paio di volte, finché i capelli non le scivolarono tutti all’indietro, in una chioma compatta e in ordine.
- Andiamo. -
- Hai espresso il desiderio o hai solo fatto finta? -
- Hai detto tu di non dirlo ad alta voce. - si issò sul bordo e poi l’aiuto ad alzarsi, - È ora di pranzo. Sarai affamata. -
- No, non molto. E non guardarmi così! -
- Così come? -
- Come se stessi dicendo una cosa stupida. -
Noriko abbozzò un mezzo sorriso e le elargì una carezza sulla testa, prima di darle le spalle per vestirsi.
All’ora di pranzo, venne servita la solita porzione di legumi, uova e carciofi, accompagnata da una fetta di pane nero. Nemeria si sedette a tavola e, ancor prima di realizzare che cosa ci fosse nel piatto, le si aprì un buco nello stomaco che la indusse a prendere le posate e a divorare tutto sotto lo sguardo divertito di Noriko.
- Non dire niente. - la minacciò con la forchetta e la sua amica tornò a mangiare, facendo finta di niente.
Né Durga né Ahhotep si fecero vedere. Nemeria gettò di tanto in tanto un’occhiata all’entrata e scandagliò i visi dei pochi gladiatori che erano in refettorio con loro. Insistette per rimanere ancora lì ad aspettare anche quando entrambe avevano finito il pasto. Quando l’ultimo allievo rimise a posto il vassoio e uscì, capì che non le avrebbe viste quel giorno.
- Forse dovremmo andare controllare se Durga sta bene. - disse, mentre si avviavano in infermeria.
- Durga sarà la tua avversaria, domani. Se vedessi che si sente male, durante lo scontro non daresti il meglio di te. -
- Ma Durga è una mia amica. Non posso starmene qui con le mani in mano. -
- Anche se andassi da lei, non potresti fare nulla. - sospirò e la costrinse a fermarsi sulla soglia dell’infermeria, - Lo so che le vuoi bene, ma non devi perdere di vista l’obiettivo. Come ti ha detto Tyrron, non puoi più permetterti ripensamenti. -
Nemeria aggrottò le sopracciglia. Prese tra indice e medio la pietra di luna e la fece rotolare tra le due dita.
- Se dovessimo finire noi due in finale? -
Noriko non rispose subito. Ritirò la mano dalla sua spalla e se la passò sul collo, mentre faceva scrocchiare i muscoli delle spalle.
- Riavere la palla di pelo è la tua priorità. Tutto il resto viene dopo. -
- Anche se il mio avversario fossi tu? -
- Sì. -
Aprì la porta e le fece cenno di entrare. Era il suo modo di chiudere la conversazione e Nemeria capì che non era il caso di insistere: quella indecisa era sempre stata lei, non Noriko.
Dopo la visita di Nande, il resto del tempo fino a sera trascorse quasi senza che lei se ne accorgesse, tra gli esercizi per richiamare l’elementale e gli allenamenti di Noriko. Ora che aveva di nuovo la pietra di luna, attingere al potere di Agni le veniva più difficile, anche se non di molto. La corda, quando discendeva, si impigliava con maggiore facilità tra le rocce, ma le bastava uno strattone, un impeto di volontà, e riusciva a incanalare le fiamme sul palmo.
La sera cenarono da sole. Quando finirono e si avviarono in stanza, Nemeria si fermò sulle scale: una delle ultime porte era la stanza di Durga e Ahhotep. La distanza di pochi passi sembrava un abisso.
- Nemeria, è tardi. Andiamo. - la esortò Noriko.
Nemeria indugiò, un piede a metà tra lo scalino e il corridoio di pietra. Noriko si allontanò, lasciandola a fare i conti con la sua scelta. Anche se stemperata, l’amarezza era più straziante di un coltello tra le costole. E mentre saliva le scale, Nemeria si sentì la peggiore amica del mondo.
 
- ****! ***************! –
Nemeria smise di intrecciare la corona di fiori e alzò lo sguardo. *****, Dendera e Chione le vennero incontro e si sedettero vicino a lei.
- Vorrei finire qui. Mia mamma non sta molto bene e ci tenevo a portarle un regalo. -
- Però quando finisci, se non vieni a giocare con noi mi arrabbio. -
Dendera finse di imbronciarsi. Sua sorella Chione le aveva appena tagliato i capelli a caschetto, forse nella speranza di domarli. Secondo Nemeria stava meglio prima, ma sapeva che la sua amica non avrebbe accettato nulla all’infuori dei complimenti.
- Sbrigati a finire. Ce ne manca uno per giocare a palla avvelenata e tu ora stai meglio. Stai meglio, giusto? -
- Sì. Mamma ha detto solo che devo stare attenta e cercare di non sudare. -
- Allora forse sarebbe meglio se tornassi in tenda, no? -
Nemeria le riservò l’occhiata più truce del suo repertorio. Da quando Chione era diventata amica di Ziba, non riusciva a sopportarla. Voleva sempre estrometterla da tutto e si divertiva a prenderla in giro alle sue spalle, quando pensava che lei non potesse sentire. Come facessero Dendera e ***** a non risponderle male era un mistero.
- Sto bene. - ripeté, scandendo le parole, e si rivolse di nuovo a Dendera, - Tra poco ho finito. Intreccio gli ultimi fiori e sono da voi. -
Chione storse il naso, ma non disse nulla. Aiutò sua sorella ad alzarsi e tornarono nello spiazzo di terra che era stato adibito a campo da gioco per comunicare la decisione agli altri. Ziba sbuffò e Chione le si accostò all’orecchio, sussurrandole qualcosa che la fece ridere.
“La detesto.”
Nemeria agitò le mani e attese che il calore regredisse: non voleva dare fuoco né alla corona di fiori né al prato, anche se la tentazione di mettere la mano rovente sulla faccia di Ziba era tanta. Prese un bel respiro profondo, come le aveva suggerito Etheram, e riprese il lavoro. La rilassava, in un certo senso. Non le piaceva attendere o stare ferma, ma quando l’anno precedente si era rotta il braccio era stata costretta in tenda così a lungo che alla fine si era dovuta trovare qualcosa da fare. E occuparsi delle piante di sua mamma si era rivelato divertente, soprattutto quando Hediye le aveva insegnato a intrecciare i fiori in bracciali e corone.
- *****************************. -
Nemeria si interruppe e aggrottò le sopracciglia. ******* si stagliava contro il sole e proiettava la sua ombra su di lei. In controluce, sembrava ancora più sottile di quello che già era.
- Fa nulla. È lei la stupida se si comporta così. -
Pensava che ******* se ne sarebbe andato, invece rimase lì a farle ombra. Quando rialzò lo sguardo, vide che la stava ancora fissando. Anche se in quella figura indefinita di luce non riusciva a vedere il suo volto, sapeva che era lei il fulcro della sua attenzione.
- **************? -
- Stasera? Non lo so. Non credo, in realtà. Mamma non sta molto bene e volevo stare un po’ con lei. -
Lui annuì. Si accucciò davanti a lei, spostando il peso da una gamba all’altra un paio di volte, prima di decidersi a sedersi. Colse una margherita con i petali stropicciati macchiati di fango e gliela porse.
- Non mi serve, grazie. Ne ho già raccolte un po’, vedi? - con un cenno del mento gli indicò il mazzetto che teneva a portata di mano, - Anzi, ne ho prese anche troppe. -
- *********************. -
Nemeria non si rese conto che stava sorridendo quando prese il fiore.
- Davvero è per me? -
- *****. -
- Sei gentilissimo, grazie. -
Portò la margherita sotto il naso e ne inspirò il profumo. ****** si spostò più vicino a lei e intrecciò le dita sopra le ginocchia. La tensione che gli irrigidiva le spalle le fece capire che aveva altro da dirle e, anche se Nemeria scalpitava e si sentiva le orecchie in fiamme, si morse la lingua e aspettò che fosse lui a parlare per primo.
- ********************? -
- Ma le stelle sono infinite, perderemmo il conto subito! -
- ******* - si mordicchiò le labbra e inclinò la testa di lato, - ***************************. -
Stavolta fu Nemeria a distogliere lo sguardo. Strinse al petto la margherita e se la infilò tra i capelli, sopra l'orecchio. Non riusciva a smettere di sorridere.
- Sono sicura che mamma mi dirà di sì. E anche se non mi desse il permesso, verrò. Dove ci troviamo? -
- *************************? -
- È quella vicina ad Asa, giusto? -
Lui annuì e scavò due piccoli ventagli nella terra con la punta dei piedi. Si stringeva le ginocchia come se fossero la sua unica ancora di salvezza.
- ******************************************************. -
Nemeria sciolse le prime tre dita e le incastrò con le sue. Viste così, dalla sua angolazione, sembravano gli anelli di una catena. Una in via di forgiatura, per quanto le sentiva calde.****** alzò il capo e le scoccò un sorriso lieve, impacciato. Liberò anche l’altra mano e la lasciò scorrere sugli steli degli altri fiori che, subito, si allungarono, intrecciandosi da soli in una ghirlanda.
- ************************************. -
Nemeria ridacchiò. Impilò le due corone e si alzò, tirandolo su con lei.
- Stiamo in squadra insieme? -
- ***************************.  -
Nemeria gli diede un buffetto sulla guancia. Erano morbide e tonde, come le sue, con una leggera peluria simile a quella sulle bucce di pesca.
- Certo che mi va. - mentre camminava si voltò, lo prese per l’altra mano e lo strattonò per fargli capire di muoversi, - Corri, o Ziba comincerà senza di noi. -

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Capitolo 26
*** Lucciole ***


Fuoco 2

26

Lucciole

"Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti."
GK Chesterton.

- Nemeria? - la chiamò Noriko, - È ora di alzarsi. -
Nemeria aprì gli occhi cisposi e si lasciò aiutare a mettersi seduta. Per impedire che i pensieri le saltassero addosso, corse a vestirsi con le prime cose che trovò nell’armadio.
- Sei agitata? - le chiese Noriko.
- No, non molto. - mentì.
- Stanotte hai parlato più del solito. -
- Cosa ho detto? - indagò con voce rotta, - Dimmi che ho detto un nome, ti prego… -
- Nemeria, che succede? Hai fatto un brutto sogno? Ti è tornata in mente la tua famiglia? -
Nemeria scosse con veemenza la testa e si morse le labbra fino a farsi male.
- Il nome… non riesco a ricordare il suo nome o il suo viso. - si conficcò le unghie nei palmi e inghiottì il bolo amaro che le ostruiva in gola, - Più ci provo, più mi sembra di dimenticare e io non voglio! -
- Dimenticare? Non capisco... -
- Lui era importante per me e ora è come se non fosse mai esistito! - singhiozzò.
- Ma chi? Di chi stai parlando? -
Si bloccò. Di chi stava parlando? Perché si stava disperando così per un sogno?
“È molto più di questo.”
- Nemeria, calmati. Inspira ed espira. Fai come abbiamo sempre fatto quando meditavamo con Sayuri. -
Si stropicciò gli occhi e si concentrò sull’aria che entrava e usciva dal naso. I suoi, più che respiri, erano spasmi: i polmoni non si dilatavano abbastanza, erano come congelati, pieni di brina e pietre aguzze. Era così doloroso che non riusciva nemmeno a parlare.
Un rapido bussare le incastrò l’ossigeno tra sterno e diaframma.
- Ragazze, siete sveglie? -
Era la voce di Merneith. Con lei c’erano sicuramente anche Bahar, Morad e Tyrron. E lei era mezza nuda, con la kandys nuova stretta al petto e gli occhi arrossati.
- Sì, un attimo, finiamo di vestirci. - rispose Noriko.
La spinse per farla sedere sul letto, recuperò le calige e le chiuse i primi lacci sui piedi.
- Stai calma. Qualsiasi cosa tu abbia sognato, adesso non è importante. Tieni a mente il tuo obiettivo, va bene? -
La fissò e Nemeria capì che si aspettava una risposta.
- Sì… -
- Bene. Ora sbrigati, dobbiamo uscire tra poco. -
Si vestirono in fretta e furia. Al secondo paio di colpi, Noriko strinse la coda sulla nuca, prese Nemeria sottobraccio e aprì la porta.
- Credevamo vi foste riaddormentate! - esordì Bahar per poi aggrottare le sopracciglia, - C’è qualcosa che non va? -
- È solo agitata, tutto qui. - spiegò Noriko, - Abbiamo tempo per andare in infermeria a far controllare il braccio? -
- Sì, è uno degli ordini del padrone. Noi due vi aspettiamo nel cortile centrale. Forza, siamo già in ritardo sulla tabella di marcia. -
 - Agli ordini. -
Noriko la trascinò nei bagni e si prese cura di lei. Non pretese che Nemeria facesse nulla né la rimproverò, limitandosi a dirle cosa fare e, quando vedeva che si imbambolava, a farla al suo posto.
- Tieni a mente l’obiettivo. - le ripeteva.
Era difficile rimanere in sé quando i pensieri nella sua testa volteggiavano come uno stormo di uccelli impazziti. Nemeria li poteva sentire mentre raschiavano dall’interno per uscire. Premevano da dentro i timpani e da dentro l’incavo delle orbite. Dovette sbattere spesso le palpebre, perché sapeva che, se non l’avesse fatto, le sarebbero esplosi gli occhi.
- Scusami, non riesco… -
- Ti direi che questo giorno non è importante, ma lo è. - mormorò Noriko, - Devi impressionare Koosha per riavere la tua palla di pelo, ricordi? -
- È che ho bisogno di capire che cosa significano questi sogni! Perché mi fanno stare così male? -
- Dopo, Nemeria, non adesso. Dopo questo scontro potrai pensare a tutto quello che vuoi. Se non farai del tuo meglio, te ne pentirai. -
Lo sapeva, così come sapeva che sarebbe stato difficile arginare il flusso incontrollato di pensieri nella sua testa.
- Ci devi provare. Per poche ore devi fare in modo che il pubblico ti ami. - le disse decisa, poi le diede un bacio sulla fronte e catturò una lacrima sulle dita, - Queste donale solo a chi le merita davvero. -
Nemeria si passò una mano là dove il calore delle sue labbra persisteva e, annuendo, abbozzò un sorriso. Non era molto, ma parve abbastanza per Noriko, che la precedette nell’infermeria.
Nande diede una controllata al taglio, lo disinfettò e la liquidò subito con uno sbrigativo cenno del capo. Anche se la sua fretta la stupì, bastò il profilo pallido di Zahra a darle tutte le risposte: stesa sul letto vicino al tavolo, con il viso lucido di sudore, sembrava un gigante addormentato.
Arrivarono in arena che le entrate erano già intasate e la folla sgomitava per accaparrarsi i posti migliori. Chi la scorse arrivare lanciò una specie di urlo belluino, richiamando l’attenzione su di lei. Se non fosse stato per il manipolo di guardie al soldo di Tyrron e per l’intervento preventivo delle altre dell'arena, Nemeria non era sicura che sarebbe sopravvissuta a tutte quelle mani che si allungavano per toccarla. Ma, anche se era destabilizzante, l’eccitazione le accapponò la pelle.
- Vado negli spogliatoi con lei. - li informò Noriko.
- Sarebbe meglio che mi seguissi nella cavea, invece. Nemeria ha bisogno di starsene da sola. - Tyrron si voltò e le fece segno con la mano di seguirla, - Muoviti, non ho intenzione di ripetermi. -
Noriko sospirò arresa. Attese che gli altri si allontanassero un po' e, senza guardarla, augurò a Nemeria buona fortuna. Poi raggiunse Morad, Tyrron e Bahar improvvisando una piccola corsetta.
- Andiamo, dai. - la incitò Merneith, sospingendo Nemeria negli spogliatoi per aiutarla a indossare l'armatura.
Dopodiché se ne andò, lasciando Nemeria da sola, seduta nella cabina con la shamshir appoggiata sulle gambe. Lo scoppiettare del fuoco e le lontane acclamazioni del pubblico le tenevano compagnia. Erano come la polvere che aleggiava nell’aria e le solleticava le narici.
Quando udì un’altra porta aprirsi, si decise ad affacciarsi. Una qazam le passò accanto, veloce sulle sue gambe corte, e Durga si trascinò verso le grate. Nemeria non poteva dire se l’avesse ignorata di proposito o meno. Anche se il pensiero l’aveva sfiorata, il fastidio sbiadì prima di mettere radici.
- Durga…-
La sua amica non si voltò. Come se non avesse riconosciuto il suo nome, rimase concentrata a fissare un punto al di là delle sbarre. C’era qualcosa di strano in lei, un’immobilità che non le apparteneva e che la ingobbiva, quasi avesse un peso reale a gravarle sulle spalle.
- Non ti senti bene? -
Protese una mano, ma non riuscì nemmeno a sfiorarla. Durga si allontanò con un balzo e si girò di scatto per fulminarla con lo sguardo. Nemeria abbassò piano il braccio. Quella che aveva davanti non era la sua amica, non poteva essere lei.
- Cosa ti è successo? -
La tromba squillò e la grata venne sollevata. Durga entrò a passo sostenuto nell’arena, tra le urla e acclamazioni degli spettatori.
Sotto la luce del sole, Nemeria poté vedere lo stato in cui era ridotta. Gli effetti collaterali delle bacche tanu erano evidenti nella pelle incavata delle guance, negli occhi iniettati di sangue, nella pelle pallida tirata su braccia e gambe, nei movimenti bruschi da spettro affamato.
- Durga, tu non stai bene. Non puoi combattere. - le sussurrò in tono urgente.
Si sentiva stupida, ma non poteva far finta di nulla. Le si avvicinò e alzò le mani innanzi a sé, i palmi rivolti verso l'esterno per farle capire di non avere cattive intenzioni.
- Noi siamo amiche. Non è una messinscena, siamo… noi ci vogliamo bene, Durga. Non voglio vincere a tavolino, ma tu non puoi rimanere qui. Sono certa che Nande saprà prendersi cura di te. -
Durga taceva. Gli occhi erano opachi, sprofondati nell’orbita violacea.
- Ti prego, ascoltami. Per favore… -
Il suono della tromba mise fine alla loro conversazione.
Durga sguainò il kilij e la caricò. Nemeria si tolse dalla traiettoria del suo fendente, richiamò le fiamme e parò un tondo con la shamshir. Durga attaccò di nuovo, più decisa, più letale. A ogni parata, il colpo si ripercuoteva nella spada e nelle ossa.
Il fuoco di Agni ardeva fievole nel petto, appena sufficiente per alimentare quella piccola manifestazione del suo potere sulla lama. Sembrava niente in confronto a quello di Durga, che, come un incendio, zampillava in scintille e lingue rosse attorno a lei. E più Nemeria la guardava, la sua determinazione di incrinava.
- Durga, basta, smettila! -
Respinse un montante con fatica, scivolò via di tre passi e la lama tagliò lo spazio dove prima c’era lei. Durga fu rapida ad erigere le difese. Strinse di più l’impugnatura e corse verso di lei. Nemeria attaccò con poca convinzione e le fiamme si abbassarono ancora di più. La shamshir urtò contro il kilij. Fu uno schianto così violento da farle tremare polso, braccio e spalla. Durga saltò indietro, si diede spinta sui talloni e brandì l’impugnatura a due mani, preparandosi a sferrare un colpo tremendo. Nemeria strinse i denti fino a farli scricchiolare e contrasse i muscoli, pronta a respingere l'attacco. Tuttavia, la stoccata non arrivò mai.
Durga cadde di faccia sul terreno sabbioso dell'arena, come una bambola a cui erano stati tagliati di fili. Con il kilij ben saldo tra le dita, lottò per riuscire a sollevare il busto, ma le braccia cedettero sotto il suo peso.
Nemeria si riscosse dallo sgomento che l'aveva paralizzata e, rinfoderando la shamshir, le corse incontro preoccupata.
- Ti aiuto io. -
- No! Non mi devi toccare! - gridò Durga, la sua voce riecheggiò nel silenzio attonito.
Appoggiandosi al kilij, Durga si rimise in piedi. Erano scoppiati altri capillari e i suoi occhi si erano fatti più annebbiati, come quelli di un malato.
- Sfodera la spada e attaccami! -
- No. -
- Attaccami! -
- Non lo farò. -
Un brusio sorpreso si diffuse per tutta la cavea.
Frustrata, Durga cacciò un urlo battagliero e la caricò a testa bassa come un toro. Nemeria parò il primo colpo con facilità, schivò il secondo e al terzo oltrepassò la sua difesa. La lama della shamshir cozzò con quella della kilij. Il polso di Durga cedette, la spada cadde nella sabbia. La bambina fece la stessa fine un attimo più tardi. All'udire il tonfo del suo corpo, al vederla riversa a terra inerte, Nemeria percepì il proprio cuore venire strangolato da decine di metri di filo spinato.
Gli spettatori più vicini si sporsero oltre la balaustra per osservare meglio. Tutti trattennero il fiato, il tempo parve dilatarsi all’infinito. Anche il banditore tacque a lungo, così tanto che Nemeria temette che non avrebbe più parlato.
- Signori e signore, la vincitrice è Nemeria! - annunciò infine.
Gli applausi abbondarono, scrosciando da tutta l’arena. Durga, però, non si mosse. Nemeria buttò la shamshir, si inginocchiò accanto a lei e le issò il busto. Il suo respiro era più sottile di un alito di vento.
- Qualcuno mi aiuti! - implorò allarmata, - Aiuto! Aiutatemi! -
Le grate si sollevarono. Nel cerchio di guardie attorno a loro subentrarono quattro uomini, vestiti con tuniche corte da schiavo. Avevano una barella.
- Allontanati. - le intimò il capo delle guardie.
Nemeria non poté far altro che obbedire. Mentre portavano via Durga, il pubblico non aveva ancora smesso di applaudirla.
 
Ahhotep la fissava con gli occhi sgranati, colmi di rimorso e paura.
- Come hai potuto? - l'accusò Nemeria.
Le labbra e le mani le tremavano, come se fosse indecisa se urlarle contro o sferrarle un pugno.
- Tu… tu che dicevi di volere solo il suo bene, le hai permesso di ridursi così? -
La pietra di luna e il collare non erano abbastanza per contenere la sua rabbia. Con uno scatto le cinse il collo e strinse, per poi sollevare Ahhotep fino a lasciarla ciondolare a qualche centimetro da terra. La guardò dibattersi e, quando le parve troppo rossa, mollò la presa.
Ahhotep barcollò all'indietro, il respiro affannato e gli occhi pieni di lacrime.
- Ho fatto quello che era necessario. -
- Il necessario?! - sputò, strinse i pugni ai lati del viso e poi li abbassò, - Ma ti rendi conto di cosa le hai fatto? Ti rendi conto che… -
- Sì, me ne rendo conto! Va bene?! -
Ahhotep spinse via Nemeria, si girò e si asciugò le guance umide con stizza.
- Durga aveva paura di combattere. Non voleva nemmeno partecipare a questo maledetto torneo, ma non poteva certo tirarsi indietro. - spiegò affranta, - Così ho pensato che, grazie a quelle bacche, avrebbe trovato il coraggio e la forza di dimostrare quanto valeva. Una al giorno, pensavo, cosa vuoi che sia? Anche se la sera era a pezzi e stava male, sarebbe stato solo per poco tempo e poi tutto sarebbe tornato come prima. -
Si appoggiò spalla alla parete e dalle labbra le uscì una risata isterica. Nemeria si morse l’interno della guancia e ricacciò indietro la bile che le era salita in gola.
- Anche tu le avevi prese. Ho creduto che sarebbe stata meglio, davvero, anche quando la notte si dimenava in preda ai dolori. - conficcò le unghie nella carne delle braccia e scosse il capo, - Stamattina, ho visto che ne prendeva due insieme. Sono stata stupida a pensare che sarebbero state la soluzione. - singhiozzò.
- E adesso? Cosa le succederà? -
- Non lo so... - pianse.
- Come puoi non saperlo? Appartenete alla stessa lanista! -
Nemeria la costrinse a fronteggiarla e la bloccò con le spalle al muro. Ahhotep sussultò spaventata.
- Tara non mi ha detto nulla. Prima che mi facesse riaccompagnare qui, ho solo visto Koosha che entrava. -
- Koosha? -
Ahhotep annuì.
- L’hanno…? -
- Sì, l’ha scoperta. -
La bocca le si inaridì. Tutta la stanchezza della sera precedente le franò addosso in un attimo, mozzandole il fiato. Nemeria si sentiva svuotata. Staccò le mani dal muro e le fece ricadere lungo i fianchi.
- Andrai a trovarla nei prossimi giorni? -
- Se Tara me lo permetterà. -
Nemeria sospirò e le diede le spalle, abbandonando Ahhotep nel corridoio.
Le ore successive scivolarono via come pioggia sulle grondaie. La notte nessun sogno venne a farle visita e durante il giorno Noriko la evitò. Era il suo modo di ribadirle di non perdere di vista il suo obiettivo.
Pavona andò a trovarla in un momento di quiete, mentre Nemeria era sola con i suoi pensieri.
Sei stata molto brava, soprattutto oggi. Spero che non ci saranno ripercussioni troppo sgradevoli per la tua amica.
- Lo spero anch'io. -
Ti vedo… stanca.
- Lo sono. È stata una giornata difficile. -
C’era un’atmosfera raccolta al campo del fuoco, con tutti i bracieri disposti lungo il perimetro in una lunga e sfumata corona di luce.
- Pavona, ti ricordi quando abbiamo parlato della Prima Verità? -
Certo.
- Sto facendo degli strani sogni. Cioè, sembrano sogni, ma sento che non lo sono. - giocherellò con la pietra di luna e sospirò, - È come se fossero ricordi. Però, se provo a ripensarci quando sono sveglia, non riesco a vedere un particolare bambino. Non vedo il suo viso né odo la sua voce. È come... come se non fosse mai esistito, ma so di averlo conosciuto. -
Pavona si appollaiò sul suo ginocchio. Nei suoi occhi di corvo Nemeria scorse il riflesso di una mezzaluna tremolante, come se splendesse sotto uno specchio d'acqua.
Mi dispiace, Nemeria, non posso dirti niente. Ogni Jinian deve scoprire la verità da sola.
- Ma come posso farlo? E se fossi impazzita? -
Lo sai che non è così.
- Tanto tempo fa, mia sorella mi ha detto che è meglio non sapere, che la conoscenza genera più domande delle risposte che elargisce. -
Tu vorresti non sapere?
- Ho paura di quello che potrei scoprire. - espirò esausta e si alzò, - Devo andare. Domani c’è la finale e devo essere nel pieno delle forze. -
Capisco. Ero solo venuta a vedere come stavi, ma mi sembri piuttosto calma.
- Voglio arrivare in fondo a questa storia, scoprire che cosa c’è in fondo al buio, capisci? -
Se un corvo avesse potuto sorridere, Pavona lo avrebbe fatto.
Quando la scoprirai, sarò con te, lo prometto.
 
La Notte dei Desideri cadeva ogni anno il 10 Samue, secondo il calendario dei mortali. Per loro era la notte in cui Heydar, il loro dio, permetteva agli Spiriti suoi alleati di danzare nel cielo in libertà.
Krittika, l’essenza primordiale del fuoco, era quello più felice. Correva tra gli astri in forma di volpe e si lasciava dietro una scia di scintille, mentre in forma di coccodrillo batteva ozioso la coda, facendo cadere a terra le stelle.
Per le Jinian, quella notte era lutto e speranza, primavera e inverno. Celebravano la morte di Soraya in una lunga processione, per poi restare a rimirare le stelle, che altro non erano se non le lacrime della Madre, addolorata per la perdita della sua figlia più cara.
Anche se era un momento di cordoglio che le aveva sempre messo tanta tristezza addosso, a Nemeria piaceva. Era come se la Dea si vestisse con i suoi abiti più belli e sfilasse sopra le loro teste, incurante di tutti i cristalli che si staccavano dalla gonna. Mentre seguiva l’Alta Sacerdotessa e le Anziane, le pareva che fossero le invitate al suo matrimonio. Nella sua testa, la Madre aveva il viso del capo della loro tribù: bella e triste, con occhi bianchi sempre velati di lacrime.
Nemeria se ne stava coi piedi a penzoloni sopra una piccola altura. Nella piana sotto di lei si estendeva la foresta, e sulla cresta degli alberi più lontani la luna rimaneva nascosta. Tonda e luminosa, era come un sole bianco sulla linea dell’alba.
- Nemeria, sei pronta? - la chiamò Hediye.
- Guarda! Ho fatto un regalo a Etheram.  -
Sua madre si accucciò e lei le mostrò tutta orgogliosa il barattolo con dentro due lucciole.
- Oh, che belle! -
- Un po’ mi dispiace darle a mia sorella, ma lei ci teneva molto a vederle da vicino. -
Hediye le accarezzò la testa e la treccia che le aveva fatto giusto qualche minuto prima. Le aveva messo anche delle piccole margherite tra una ciocca e l’altra. Nemeria si sentiva un po’ come una principessa.
-Vuoi portarle in processione? -
- Sì! Così potranno vedere la magia dell’Alta Sacerdotessa! -
Era la parte della processione che preferiva di più. Bastava un mezzo gesto del bastone degli Spiriti e tutta la pianura fioriva in una seconda primavera. Cordoglio e rinascita: le lacrime che fecondavano la terra, il dolore da cui germogliava una nuova speranza.
- Però lì dentro non sono felici. Vedi? Non brillano nemmeno tanto. - le fece notare la donna.
Nemeria si imbronciò. Diede un colpetto al barattolo e appiccicò il naso al vetro, ma per quanto cercasse di svegliarle, le lucciole restarono sul fondo.
- Magari hanno solo sonno… -
- Non possono avere sonno, sciocchina. La notte è il loro giorno. -
- Quindi devo proprio liberarle? -
- Non sei obbligata, ma le renderesti felici. Facciamo così: se le liberi, puoi tenermi la mano per tutta la cerimonia. -
- Ma Etheram non si arrabbierà? -
- Sono sicura che capirà. -
Rakhsaan scoppiò a piangere. Hediye corse nella tenda e, quando tornò, aveva il bambino tra le braccia. Lei gli aveva dato il suo amato pupazzo e ora lo cullava, ondeggiando sul posto.
- Ha fame? - chiese Nemeria.
- Credo che voglia solo un po’ di attenzione. Sai, deve ancora capire che sono la sua mamma. -
Nemeria, in realtà, non capiva perché Hediye dovesse essere la mamma di quel bambino, ma a lei poco importava: aveva sempre desiderato un fratellino.
- Allora, pensi di liberarle? -
A malincuore, Nemeria annuì. Balzò in piedi e diede le spalle alla foresta.
- Vado vicino a dove le ho catturate e le lascio lì, così potranno trovare facilmente la via di casa. -
- Non devi uscire dall’accampamento, ricordatelo. Anche se ci sono le barriere, al buio rischi comunque di farti male. -
- Non preoccuparti, vado e torno. -
Stringendo il barattolo tra le mani, corse a perdifiato tra le tende. Si fermò raramente a riprendere fiato e si nascose un paio di volte per paura di essere vista da sua sorella o da qualche sua amica. Lì le voci circolavano in fretta e Nemeria non voleva che le rovinassero la sorpresa: aveva già in mente che cos’altro regalarle invece delle lucciole.
Aggirò l’ultima tenda e nella linea del suo sguardo entrarono gli alberi della foresta. Compì un paio di passi, arrivò fino al confine della luce delle torce e rimase a guardare l’alone sfumato che pian piano svaniva nel buio. Sarebbe dovuta andare un bel po’ più in là per ritrovare il piccolo prato dove aveva catturato le lucciole.
Però ho promesso alla mamma che non sarei andata…”
Forse avrebbe potuto liberarle lì, ma come poteva essere sicura che non si sarebbero perse? La loro luce non poteva certo guidarle, era troppo tenue.
L’Alta Sacerdotessa le passò accanto, assieme a tutto il corteo delle Anziane. Nel mezzo, Nemeria scorse una figura piccola e luminosa.
“*****?”
Rimase impalata a guardarle avanzare nel buio. I tatuaggi dell’Alta Sacerdotessa e il bastone degli Spiriti erano le uniche fonti di luce. Le sembrava strano che non le avessero detto nulla, superandola senza degnarla di uno sguardo. La disorientò.
Potrei seguirle.”
Compì un passo nella falce soffusa e si protese in avanti, finché la sua ombra non si fuse con il nero della notte.
Mamma non si arrabbierà se saprà che sono andata con loro. E poi c’è *****, quindi glielo potrà confermare.”
- Nemeria. - Etheram l’afferrò per le spalle e la tirò indietro, - No. Non osare. -
La voce di sua sorella era strana. Tremava, come se stesse per piangere.
- Che hai? -
- Non devi andare. - ripeté con urgenza.
Etheram l'abbracciò e poggiò la guancia contro la sua spalla: era umida e le lacrime filtravano attraverso la stoffa.
- Non devi andare. - sussurrò.
Accanto all’Alta Sacerdotessa apparve un’altra donna. Vestiva con una lunga gonna rossa e una fascia ricca di campanellini che sfioravano la punta dei piedi nudi. La fissava con i suoi occhi rossi al limitare del sentiero erboso, come se la stesse aspettando.
- Etheram… devo andare.  -
Non sapeva come spiegarlo, ma sua sorella lo intuì lo stesso. La sua presa si fece più salda.
- No, no, ti prego... -
Etheram mise le mani sulle sue e sollevò il barattolo. Le lucciole volteggiavano impazzite, la loro luce sfarfallava a intermittenza.
- Non voglio che tu sia libera. - sibilò.
- Cosa... perché?! Perché non vuoi lasciarmi andare? - singhiozzò Nemeria.
Si dimenò più che poté, ma più si agitava, più la stretta di Etheram diventava forte.
Quando cominciò a mancarle l’aria, l’Alta Sacerdotessa e il suo corteo si persero nella nebbia. Solo la donna con gli occhi rossi rimase definita, la sua mano protesa verso di lei.
- Perché la verità ti renderà infelice. - bisbigliò Etheram con le guance rigate di lacrime, - E io preferisco vederti morta piuttosto che infelice. -
 
Nemeria si destò di soprassalto, annaspando in cerca d'aria. La voce lontana di Noriko le disse che andava tutto bene e due braccia familiari la avvolsero in un bozzolo caldo. Si premette le mani sul cuore per smorzare il dolore, ma esso filtrava tra le dita come sangue.
- Era solo un brutto sogno. - la rassicurò Noriko, baciandole dolcemente le labbra tremanti, e la trascinò distesa sul letto, - Ci sono io qui con te. -
Andò avanti a ripeterglielo fin quasi all'alba, quando Nemeria cedette di nuovo alla stanchezza.
Più tardi non seppe nemmeno lei dove trovò la forza di alzarsi. Congedò con un gesto stizzito Merneith, salutò Bahar e lasciò che il timone ai gesti automatici che il suo corpo aveva imparato, mentre la mente vagava senza meta da un ricordo all’altro.
I suoi capelli non erano ricresciuti abbastanza per meritare ancora il trattamento di un pettine, ma prese comunque in prestito quello di Noriko. Lo passò tra i ciuffi da istrice, usando la mano per ravvivarli.
I pensieri rimasero intrappolati tra i denti e caddero sul pavimento umido. Nemeria li calpestò, si buttò l’acqua sulla faccia e inspirò fino a farsi dolere i polmoni. Poi espulse l'ossigeno e, con esso, il miasma oscuro che l'avvelenava.
“Non era mia sorella. Lei non mi avrebbe mai detto una cosa del genere.”
Se non un sogno, allora cos'era? Un ricordo in cui era subentrata Agni? Una visione che seguiva la scia di qualcosa che non riusciva a rammentare? Non aveva senso.
Strinse la pietra di luna e ne fissò il lucore sul palmo della mano. Era fredda.
“Non posso fermarmi ora. È troppo tardi per tornare indietro.”
Rinfilò la collana sotto la tunica e tornò in camera. Noriko non c’era già più. Anche se avrebbe dovuto immaginare che l’avrebbe tenuta a distanza fino all’inizio dello scontro, le suscitò una sensazione strana non trovarla lì ad aspettarla. Si vestì in fretta e si precipitò giù dalle scale.
La scorta si chiuse non appena al gruppo si aggiunse anche lei. Noriko camminava di fianco a Bahar. Nemeria, invece, aveva preso Merneith sottobraccio. Anche se la serva era vecchia e raggrinzita, l’impressione era che fosse lei a sostenerla, e non il contrario.
- Fa' del tuo meglio, oggi. - le disse Merneith con un sorriso sdentato.
Nemeria seguì con gli occhi la sua figura traballante mentre usciva, poi andò a prendere la shamshir. Strofinò la lama contro i calzoni e se la rigirò più volte tra le mani. Nonostante il calore, il metallo non si era deformato.
- Sono le contaminazioni di oricalco. -
Noriko era appoggiata a ridosso delle sbarre. Le gambe distese in avanti delineavano un triangolo perfetto tra l’ombra e la parete.
Nemeria si avvicinò all’imboccatura del corridoio e le augurò buona fortuna.
- La fortuna non esiste. -
- È solo un modo di dire. -
Il suono della tromba interruppe il loro momento. Dall'arena, giunsero alle loro orecchie le grida entusiaste del pubblico.
- Allora buona fortuna anche a te. -
Noriko entrò a passo di danza e un sorriso abbozzato sulle labbra. Salutò la folla, girando la testa da una parte all’altra, come se inseguisse il rimbalzo del suo nome tra gli spalti.
Nemeria guardò in direzione di Koosha, gli fece un cenno del capo e si fermò al centro. Tyrron, Morad e le due serve sedevano agli stessi posti. Non sapeva dove fossero gli altri lanisti, non era nemmeno sicura che fossero venuti. Non le importava del governatore che si godeva lo spettacolo dall’alto, assieme alla sua famiglia, l’importante era che Koosha la vedesse.
- Signori e signore, preparatevi alla finale! - l’acclamazione del banditore venne accolta da uno scroscio di applausi, - Due gladiatrici appartenenti allo stesso lanista, due gioielli preziosi realizzati dalle mani dello stesso orefice. Chi di loro si aggiudicherà la vittoria: la nostra focosa dominatrice Nemeria oppure Noriko, l’algida regina dei venti? Sarà il fuoco a consumare l’aria, o l’aria a soffocare le fiamme? - aprì le braccia dando il segnale alle trombe, che costituivano solo una parte dell’orchestra nelle ultime file, - Che la resa dei conti cominci! -
Nemeria attaccò subito. Compì uno scatto veloce per darsi slancio, quanto bastava perché Noriko sfilasse il tessen dalla cintura e parasse il suo fendente. Lo aprì e la pagina, come l’ala di un grande uccello, spinse la lama di lato. Contrattaccò con un affondo dell’indice e del medio, una diagonale diretta alla gola che costrinse Nemeria a scartare in fretta. Il mancato colpo non fece perdere il ritmo a Noriko. Si mosse contro di lei con una finta e abbassò il tessen in una parata fulminea dietro la schiena. Si sottrasse al suo tondo, le si portò di fianco e concatenò in rapida successione un pugno al viso, un calcio allo stinco e un altro al fianco.
Nemeria arretrò bruscamente e dovette spostare la sua attenzione dalla sua avversaria per mantenere l'equilibrio. Una folata di vento la spinse una decina di metri indietro. La sabbia le andò negli occhi. Strinse la shamshir a due mani e menò un fendente alla cieca. Durante il movimento, la lama prese fuoco.
Noriko schivò e le assestò un pugno alla spalla. Il colpo si schiantò contro l’armatura e la propulsione dell’aria la scaraventò contro il muro dell’arena.
Il pubblico le osservava rapito. L’orchestra aveva attaccato con una musica ritmata, ma non era abbastanza per coinvolgere la gente: nessuno gridava, incitava, pestava i piedi. Erano bastati pochi colpi per annullare l’entusiasmo.
“Non va bene.”
Nemeria riaprì un occhio, poi l’altro. Noriko si stagliava davanti a lei, con la mano che brandiva il tessen di taglio sul petto.
- Alzati. - le ordinò.
Un fremito si diffuse nell’aria. Il brusio aumentò e il silenzio si incrinò fino a rompersi un in “oh” che stroncò le note dei flauti. Noriko si girò con un movimento fluido e piantò i piedi a terra, dandole la schiena.
- Stai dietro di me. -
Nemeria non la ascoltò. Si tirò in piedi e sbirciò oltre la sua spalla. Sbarrò le palpebre in preda allo shock, mentre un grido terrorizzato le moriva in gola.
Il predone era lì, la maschera bianca a coprirgli il volto e il cappuccio a gettargli un’ombra sugli occhi. Ma a Nemeria non serviva vederli, perché quello sguardo senza luce le si era impresso a fuoco nella memoria.
La pietra di luna divenne un cristallo di ghiaccio.
- Sta' lontano. - gli intimò Noriko.
Si mise in posizione e allargò le gambe, pronta a scattare. Il predone però continuò ad avanzare con la tranquillità di chi sa di aver già la vittoria in tasca. L’aria gli vorticava attorno, sollevando i granelli di sabbia.
Nemeria la vide prepararsi a tirare una sventagliata. Il vento si materializzò in un cerchio opaco che sfrecciò raso terra, creando un’onda di sabbia. Il predone, invece di arretrare, attaccò. Lo dissipò con un fendente e proseguì la sua corsa verso di loro. Noriko lo incontrò a metà e lo respinse.
Nemeria rimase immobile, attaccata al muro, il cuore sprofondato nell’acido dello stomaco.
Cuore di fuoco.
“Agni...”
Cuore di fuoco, devi reagire.
Noriko parò un tondo, avanzò di tre passi, deviò un affondo e fece una finta. Il predone non ci cascò. Scartò di lato, le si accostò dal suo punto cieco e le assestò un colpo alla tempia col pomo della spada. Le girò di nuovo attorno e menò un fendente dalla spalla al fianco che la mandò a carponi. Tra i brandelli della tunica si intravedeva il marrone del cuoio.
- Noriko! -
Nemeria compì un passo verso di loro, uno solo. Spostò lo sguardo sugli spalti. Il pubblico strepitava. Udiva le risate sguaiate, le urla d’incitamento delle ultime file e il crescendo dell’orchestra. Li sentiva, ma non li vedeva. Nell’arena c’erano gli spettri della sua tribù che la osservavano. Sua madre morta con un sorriso macchiato di sangue, la figura deforme di suo fratello, calpestato dalla folla, sua sorella trafitta da decine di frecce assieme alle altre Jinian. I loro fantasmi occupavano le gradinate in attesa che il predone ottenesse il suo sacrificio, come aveva fatto con loro.
Cuore di fuoco, non puoi arrenderti così.
“Cosa posso fare? Nemmeno l’Alta Sacerdotessa è riuscita a fermarli!”
Si sentì avvolgere da braccia invisibili.
Tu puoi tutto.
Noriko raccolse il ventaglio, si rimise in piedi e aggredì il predone alle spalle. Lui si voltò, tagliò la palla d’aria che gli aveva lanciato contro e, con un gioco di polso, la disarmò. La ragazza non fece in tempo ad allontanarsi che un pugno la spedì di nuovo a terra.
- Quanto sei fastidiosa. - ringhiò.
Le diede un calcio per liberarsi, ma Noriko mantenne la presa sul piede. Il predone sollevò la spada per trafiggerla e lei rotolò via. Ansimando, si asciugò il sudore che le imperlava la fronte e strinse il ventaglio da guerra in pugno.
Vieni con me, Cuore di fuoco. Danza con me e avrai tutto il potere di cui hai bisogno.
Agni era le fiamme. Non c’erano gonne, campanelli, bracciali. Solo fuoco ad immagine di donna.
“Non posso, sono legata.”
Non sei legata, se non vuoi esserlo. Niente può imprigionare il fuoco.
Nemeria si portò le mani al petto, strinse la pietra di luna e strappò il ciondolo. La pietra le cadde sul piede e scivolò nella sabbia, rovente come non mai.
“Mi darai tutto il potere di cui ho bisogno?”
Avanzò fino al limitare del cerchio di pietre che circondava Agni. I nodi dell’imbragatura si erano allentati, la corda si era fatta più lunga e molle, eppure a un passo dalle fiamme si tese all’improvviso.
Non ti devo dare nulla. È tuo da sempre, basta che pronunci il mio nome. Il mio vero nome.
Il predone tentò più volte di ucciderla, ma Noriko lo pressava per tenerlo lontano da Nemeria. Zoppicava e una brutta ferita le deturpava la gamba. Schivò troppo lentamente un affondo e la lama del predone le tagliò la guancia e il lobo dell’orecchio. Noriko inciampò. Il sangue si riversò dal taglio su tutto il collo e la gola, ma lei non emise nemmeno un gemito. Finse un colpo al volto col ventaglio e poi caricò un calcio stretto, dritto al petto, abbastanza forte per guadagnare distanza, troppo debole per fargli davvero male.
L’aria era rarefatta attorno a Nemeria. Più respirava, più le sembrava di soffocare. Afferrò il collare con entrambe le mani, lo stritolò e tirò. L’oricalco rovente era doloroso a contatto diretto con la pelle, la percepì gonfiarsi e riempirsi di bolle sempre più grosse. Quando la fibbia cominciò a cedere, il potere di Agni ribollì sulle ferite aperte. Il sangue divenne fuoco, il suo cuore un tamburo da guerra che rullava con la forza di mille tuoni.
Di’ il mio nome, Cuore di fuoco.
Nemeria si strappò le corde di dosso e si guardò le mani macchiate di sangue non suo. Intorno a lei, sulle pareti della grotta, si affollavano gli spettri dei morti.
“Tu sei Jatharagniil fuoco che tutto distrugge.
L’elementale sorrise. Il collare si staccò con uno schiocco metallico e anche l’ultima corda cadde al suolo. Quando Nemeria entrò nel cerchio di pietre, le fiamme si chiusero sulla sua mente e sul suo corpo. Una colonna di fuoco si innalzò fino al cielo e si esaurì in un’esplosione di scintille.
Noriko giaceva intontita qualche passo dietro il predone. La coda si era sciolta e il sangue si era rappreso là dove il calore l’aveva toccata. Anche se sembrava morta, Nemeria sapeva che era viva. Lo sentiva, così come sentiva le centinaia di fiammelle che crepitavano sulle gradinate, quelle che davano vita a tutte le persone lì raccolte.
- Cosa sei? - domandò il predone in un sussurro sconvolto e, brandendo la spada, arretrò.
Nemeria non avrebbe saputo dargli una risposta. Era lei, ed era Agni, erano un unico elemento. La sua anima stava bruciando nel cerchio di pietre, ma non era doloroso. Nemmeno la pelle nera o la criniera di fuoco le facevano male.
Avanzò oltre il pavimento di vetro, lasciandosi dietro una scia di impronte opache. Sprigionava così tanto calore che la sabbia si trasformava appena la sfiorava.
- Non avvicinarti! - il predone afferrò Noriko e le puntò la lama alla gola, - La ammazzo! Giuro che la ammazzo! -
Nemeria ghignò serafica. Azzerò la distanza tra di loro in un balzo e gli afferrò il braccio.
- Spegniti. -
Il fuoco lo avvolse senza sfiorare Noriko. Il predone urlò, lottò per liberarsi dalla sua presa, ma Nemeria lo trattenne con facilità. Lo guardò bruciare il silenzio, gli occhi rossi, dello stesso calore del ferro rovente, che si riflettevano nei suoi, nascosti dietro la maschera. Presto la pelle sotto la sua si carbonizzò e i muscoli si sciolsero assieme alle ossa. Oltre alla spada, non rimase altro che un cumulo di cenere maleodorante.
- Nemeria. -
Noriko si reggeva a stento in piedi e si premeva la mano sulla gamba ferita. Le fece un cenno del capo. Erano state accerchiate dalle guardie. Stavolta avevano le armi sguainate e gli scudi alzati. Alle loro spalle c’erano sia Sayuri che Roshanai. Avrebbe voluto dir loro che era ancora in sé, ma qualcosa la chiamava da dentro di lei.
Adesso sono pronta.”
Inspirò piano e chiuse gli occhi, lasciandosi cadere.
 
Correva con il barattolo stretto al petto, al fianco di una volpe di fuoco. Seguì il lucore dei tatuaggi e zigzagò tra gli alberi finché non giunse nella radura dove aveva catturato le lucciole.
L’Alta Sacerdotessa e le Anziane erano raccolte in circolo attorno a un gruppo di bambini. Guardandoli, Nemeria riconobbe anche Radames, Sasha e Guar. I suoi amici erano lì, tutti, ma non era possibile: a parte Kia, sarebbero dovuti essere più grandi.
Il capo tribù tacque e alzò lo sguardo su di lei. La vide, ma non disse nulla. Anche le altre Anziane si sarebbero dovute accorgere di lei. Le poche che guardarono nella sua direzione non dissero nulla. Si limitarono a tenere fermi i bambini, le mani posate sulle spalle come spesso facevano durante le esercitazioni con i meno dotati. Ma nei loro confronti non avevano mai avuto un atteggiamento così materno, perché erano tra i maschi migliori.
L’Alta Sacerdotessa tirò fuori un pugnale, imitata dalle Anziane. Dalla terra sbucarono delle radici, che si chiusero sui piedi e sulle braccia dei bambini. In un attimo li sgozzarono, come succedeva da generazioni.
Nemeria rivide la medesima scena prendere forma in tempi remoti, percependo il cambiamento dei paesaggi, di Anziane, di bambini morti e trasformati in polvere luminosa da un tocco dell’Alta Sacerdotessa. Cambiò anche lei e cedette lo scettro degli Spiriti a quelle che avevano guidato la tribù nelle generazioni precedenti.
Quando finalmente il tempo si fermò, Nemeria era tornata agli esordi della civiltà, in una città maestosa, dove le Jinian passeggiavano fianco a fianco con gli uomini.
La volpe la invitò a seguire una coppia che camminava a braccetto. Erano due giovani, lei con i capelli nerissimi sciolti sulle spalle, lui con le spalle larghe e la mascella volitiva. Erano entrambi umani, mortali e innamorati. Passarono tra le fontane di un guardino rigoglioso, con i gelsomini in piena fioritura, e si sedettero su una panchina di pietra a contemplare le anatre che si contendevano un pezzo di pane. La ragazza, che aveva tra le mani la metà di una pagnotta, lanciò della mollica e scoppiò a ridere quando un pavone corse lì in mezzo per accaparrarselo.
Dietro un albero, Nemeria intravide una donna che li spiava. C’era molto bianco in lei, doveva aver già affrontato le difficoltà di più di un sentiero, eppure nel suo sguardo risplendevano ancora i sentimenti. Mangiava il giovane con gli occhi, stringeva i pugni quando lui accarezzava la mano della ragazza. Lo voleva, ma non poteva perché il suo cuore apparteneva a quella mortale. Fece sbocciare un fiore ai suoi piedi, una rosa rossa senza spine, e si avvicinò fino alla panchina perché la vedesse. Lui, però, raccolse il fiore e le rivolse uno sguardo infastidito, prima di girarsi e infilarlo tra i capelli della ragazza.
- Così l’amor che tutta la infiamma, infiammò il mondo. - recitò la volpe.
La ragazza giaceva nuda nel letto, il volto pallido esangue e le vene degli occhi scoppiate. Nella bocca del suo amato, riverso a terra, erano sbocciati anemoni e fiori di campo. La Jinian li fissava impassibile, con il bastone degli Spiriti ancora in pugno. Al teschio di gatto erano rimasti attaccati pezzi d’osso e materia cerebrale. Non lo pulì nemmeno. Si affacciò al balcone e lo innalzò al cielo.
I mortali erano sotto la casa, con forche e torce. Molti chiedevano la sua testa, la testa della regicida. La Jinian osservò le sue sorelle impalate agli angoli della folla, uccise per il volere del Re Sole, Heydar. E lei le aveva lasciate morire perché si erano comportate da traditrici, perché avevano preferito l’equilibrio e asservirsi ai desideri dei mortali. Non era degna di essere la loro guida, ma poteva ancora riscattarsi.
Nemeria ebbe un brivido quando il pensiero di cosa volesse fare prese forma nella sua mente.
- Non puoi cambiarlo, Cuore di fuoco. Questo è ciò che fu. Lascia che il passato si dispieghi davanti a te. -
Li maledisse. Non erano degni di convivere con le Jinian, e queste non potevano mischiarsi con la loro genia.
Nemeria vide la folla trasformarsi in Jin e devastare tutta Kàdingirra. Non rimasero altro che macerie fumanti.
La notizia si diffuse di città in città.
“Le figlie della Madre non vogliono salvarci.”
“Loro possono curare le malattie e permettono al bestiame di morire. Non sono dee, sono mostri.”
“Aiutateci! I maghi hanno perso il controllo!”
L’ombra della guerra si allungò dietro le Jinian in fuga. Si fermarono in una pianura e l’Alta Sacerdotessa osservò i figli maschi nati dall’unione tra le sue sorelle i mortali. Se fossero cresciuti e fossero diventati forti, le avrebbero schiacciate, così come i mortali facevano con le loro donne, e come Jin avrebbero dilaniato la tribù dall’interno. Anche loro dovevano morire.
- Sorelle, portatemi i più bravi tra i vostri allievi. -
Si recarono in una grotta isolata.
- Da questo momento così è e così per sempre sarà. - sancì e prese il primo bambino.
- Non possiamo. -
- Noi possiamo tutto. -
Una volta ucciso il primo, con gli altri fu semplice. Il rumore della carne lacerata non la disturbava più.
Guardò le altre e alzò il bastone degli Spiriti, roteandolo sulla testa. Come richiamate da un turbine, centinaia di gocce luminose apparvero nel teschio del gatto. Sembravano uova di pesce. L’Alta Sacerdotessa ne prese una e la scoppiò tra le dita.
- Se nessuno si ricorderà di loro, nessuno potrà soffrire. -
Li distrusse tutti e le altre rimasero lì, mute, con le mani sporche di sangue. Erano inorridite, ma lei, l’Alta sacerdotessa, sapeva che erano dalla sua parte perché anche loro avevano perso qualcuno.
- Sopravvivranno solo i meno dotati e quando ci avranno dato una prole li manderemo via. Se resteranno, cercheranno di sopraffarci perché donne, e perché le uniche capaci di usare la magia. -
Nei suoi occhi c’era follia, ma nessuno la vide. Il dolore feriva troppo e la paura era troppo pesante.
- Così voglio, così sia. -
 
Una settimana dopo lo scontro nell'arena col predone, Nemeria venne convocata a casa di Tyrron. Respirare aria fresca e pulita dopo aver passato giorni rinchiusa in cella e sotto stretta sorveglianza, le causò un piacevole brivido. Sayuri era venuta spesso a trovarla per assicurarsi che il suo “essere tornata indietro”, così lo definiva lei, fosse uno stato permanente, che la sua anima non fosse davvero bruciata.
- Hai rischiato grosso, ma ne sei uscita più forte. - le aveva detto e le aveva messo in mano la pietra di luna, - L’ho trovato nella sabbia. -
Nemeria aveva accolto quella specie di complimento con un sorriso e l’aveva ringraziata.
Erano state giornate lunghe e quella stanzetta minuscola, avvolta da un silenzio così intenso da essere innaturale, l’aveva obbligata a rimanere presente a se stessa, anche quando avrebbe voluto voltare le spalle ai pensieri. Le sarebbe piaciuto credere che quello che aveva scoperto fosse una bugia: Agni l’aveva condotta alla Verità, e la Verità era che nemmeno tra le Jinian esisteva la perfezione.
Tyrron la attendeva nel suo studio. Non appena entrò, mandò via i servi e rimase solo Ehsan, che prese un altro chicco d’uva dal vassoio.
- Siediti e serviti pure. Avrai ancora molta fame. -
Nemeria si accomodò sull’unica sedia disponibile e, senza esitare, si appropriò di tutto il grappolo. Non le importava che fosse maleducato: dopo una settimana di zuppe d’avena, il suo stomaco pretendeva qualcosa di solido.
- Sono contento che tu non abbia perso l’appetito. - commentò Tyrron, squadrandola dall’alto in basso, - Non ti trovo nemmeno più di tanto deperita. Le mie minacce devono aver sortito il loro effetto. -
- Le tue minacce son sempre molto convincenti. -
Ehsan aveva appoggiato il gomito sul bracciolo e la guardava con un sorriso enigmatico, da gatto. Così truccato, poi, con gli occhi allungati dalla matita e la palpebra sfumata nei toni del nero e del grigio, sembravano proprio gli occhi di un felino. Accavallò le gambe e intrecciò le dita sul ventre.
- Come sempre, vengo dritto al punto. - esordì Tyrron, - Ufficialmente, hai perso, mentre ufficiosamente sei tu la vincitrice. Non hai idea di quante proposte mi sono arrivate nel giro di poche ore, subito dopo la fine dello scontro. Sia per te che per Noriko. Ovviamente, puoi avere più di uno sponsor, basta che nessuno intralci gli affari dell’altro. Non ti starò ad annoiare con tutti i loro nomi, ma sappi che uno di loro è proprio l’uomo che siede al tuo fianco. -
Nemeria guardò Ehsan con tanto d’occhi.
- Non sono un uomo che ama maneggiare il vile denaro, ma sono rimasto affascinato dalle tue fiamme. - le sollevò il mento e la guardò da diverse angolazioni, - E poi amo le bellezze esotiche. -
- Non sei obbligata a decidere oggi. Nei prossimi giorni indirò un banchetto, così potrai conoscerli e scegliere. Il migliore se l’è preso il dominatore dell’acqua di Siamak, ma voi due avete ricevuto delle proposte davvero interessanti. Oserei dire alquanto inaspettate. -
- Ci sarà anche Noriko? -
- Certo che sì. -
Nemeria annuì e appoggiò i semi sul bordo del vassoio.
- Batuffolo? -
- Immaginavo che me lo avresti chiesto. Koosha ha acconsentito a fartelo tenere. Morad e due suoi fidati hanno già apportato le modifiche alla vostra stanza per renderla vivibile anche per il tuo caracal. -
Ehsan si abbandonò a una mezza risata, controllata ma sincera.
- Guardala: l’hai resa una bambina felice. -
- Batuffolo è già a Scuola, quindi? -
- Sì, è in camera che ti aspetta da stamattina. -
- Durga, invece? -
- Intendi la bambina che usava le bacche tanu? Brutta storia. Tara dovrà dare un gran bel risarcimento alla Scuola, e finché la sua gladiatrice non sarà di nuovo pulita non sarà riammessa. Non ho la più pallida idea di dove sia. -
- D'accordo. Ora posso andare? -
Tyrron guardò Ehsan: - Se tu non hai niente in contrario… -
- Avremo altre occasioni per conoscerci meglio. Al banchetto ci sarò anch'io. Ti rapirò e ti terrò prigioniera finché non ti convincerò a prendermi come sponsor. -
- Fai sempre così con le donne, Ehsan? - lo interrogò divertito Tyrron.
- Solo con quelle che sono davvero interessanti. -
Nemeria si alzò e, dopo un rapido inchino, infilò la porta tutta rossa in viso, orecchie comprese.
Quando giunse alla Scuola, corse subito in camera. Come se l’avesse percepita avvicinarsi, Batuffolo le corse incontro e le balzò addosso, attaccandosi con gli artigli alla casacca.
- Non hai idea di quanto tu mi sia mancato! - esclamò contenta, si sedette sul materasso e gli scoccò un bacio sulla testa, - Ha combinato qualche guaio? -
- Non più del solito. -
Noriko chiuse il libro che stava leggendo e si mise seduta. Il suo letto era stato spostato un po’ più indietro per fare posto a una lettiera e a tutta una serie di giocattoli che erano già stati provati, compresa la tiragraffi. Si appoggiò alla testiera, si sedette sul cuscino e allungò la mano verso quella di Nemeria.
- Com’è il nuovo collare? -
- Più bello del precedente, ma molto più contenitivo. - rispose e sfiorò le placche d’oricalco impreziosite con minuziosi motivi floreali, - Sayuri dice che è meglio così, dopo quello che è successo. -
- Sì, ci hai spaventati. Ho avuto paura di averti persa per sempre. -
- Non sarebbe potuto accadere. Almeno, non come pensi tu. - Nemeria presse posto vicino a lei, - Abbiamo una discussione in sospeso, ricordi? Adesso sono pronta. -
Le raccontò tutto, dalle esercitazioni con Fakhri all’adozione da parte di Hediye, dall’Alta Sacerdotessa all’attacco dei briganti, senza glissare su nessun particolare. Mentre parlava, le sembrò che quella vita appartenesse a qualcun altro, che fosse più materiale da leggenda che la sua storia.
Quando terminò, Noriko la abbracciò. Il groppo che Nemeria aveva in gola si sciolse in lacrime. Pianse finché non le ebbe esaurite tutte, e solo allora riuscì a trovare il coraggio di guardarla.
- Dormiamo assieme stanotte, ti va? - le propose Noriko.
- Non ce l'hai con me perché non te ne ho mai parlato? -
- No, e se non avessi visto quello che hai fatto in arena, non penso che ti avrei creduta. - le diede un buffetto sulla guancia e le regalò uno dei suoi sorrisi sinceri, - Adesso basta piangere. -
Nemeria tirò su col naso e si asciugò le lacrime. Un topolino dal pelo grigio e dagli occhi stranamente umani squittì da dietro l’armadio. Batuffolo lo aveva già fiutato e si stava preparando a balzare sulla sua preda, quando Nemeria lo prese al volo e lo consegnò a Noriko.
- Devo, ehm, parlare con una persona. -
- Se ti stai riferendo alla mente di una persona dentro il corpo di un topo, fa’ pure. Basta che non ti fai vedere in giro quando lo fai. Anzi, vado a sgranchirmi le gambe. -
Nemeria le fece la linguaccia e attese che si fosse allontanata prima di portare il topolino vicino al viso.
Come ti senti?
- Non lo so. Sapere la verità mi ha fatta stare meglio, ma ha un suo peso. -
È la ragione per cui me ne sono andata. Una volta appresa la Verità non si può più dimenticare. Sapere che tutti i bambini potevano essere uccisi… era un peso che non potevo sopportare. Penserai che sono una codarda.
- No, non lo penso affatto. E poi, dopo essermi nascosta per mesi dietro l’ombra di Noriko, non posso proprio giudicarti. -
Sono venuta a salutarti, comunque. Domani partiamo per Gandhera.
- Non hai paura? Il predone è morto, ma potrebbero essercene altri. -
Starò più attenta, ma non ho intenzione di fermarmi. C’è ancora molto da vedere là fuori, tante città che non ho mai visitato e persone che non ho mai conosciuto. Se devo morire, almeno lo farò da donna libera.
- Vorrei tanto che tu rimanessi qui. -
Lo so, ma il mio posto non è qui. E poi non sarai sola.
- Non c’è alcuna possibilità di incontrarci di nuovo? -
Quando torneremo, se sarai ancora qui, ti prometto che verrò a trovarti. Sempre che tu abbia tempo per una vecchia amica.
Nemeria ridacchiò: - Prometto di ritagliarmi uno spazio piccolo piccolo solo per te. -
Prese il topolino e accostò la porta.
- Riesci a ritrovare la strada da sola? -
Questo topo conosce la Scuola fin nelle sue fondamenta. Non mi posso proprio perdere.
Scese dalle sue mani e uscì in corridoio. A quell’ora del pomeriggio erano tutti in refettorio a mangiare.
Nemeria, sappi che sei molto coraggiosa. Ti voglio bene.
Nemeria strinse la pietra di luna. Ormai lo faceva più per abitudine che per vero bisogno. Anche se era fredda in quel momento, il calore che si irradiava dal suo petto, il fuoco di Agni, non l’abbandonava mai. Sebbene avesse perso il torneo, aveva vinto contro la paura. Era quello il suo trofeo.
Anche io te ne voglio, Pavona.
Il topolino corse rasente al muro, ma si fermò poco prima di svoltare l’angolo. Nemeria accennò un saluto con la mano, poi Pavona si infilò in un buco e sparì.

Angolo Autrice:

  Ebbene, questa è la fine. O meglio, la fine del primo libro. Chi mi conosce sa che non scrivo mai delle storie autoconclusive. Ci provo, davvero, ma non mi riesco mai. Quindi, cosa è "Fighting Fire"? é il primo di quattro libro. Il prossimo avrà come titolo "Whispering Wind" e, se tutto va bene, per ottobre dovrei cominciare a metterlo online. Come avete visto, si sono svelate molte cose, ma alcune non hanno trovato una risposta. Tranquilli, non me ne sono dimenticata XD Ok, che ho una pessima memoria, ma non fino a questo punto. Dunque, ora passiamo ai ringraziamenti perché per scrivere questa storia ho avuto bisogno di sostegno da davvero moltissime persone.
A Dany , detto anche lo spammatore: Grazie per tutti i consigli storici. Tutti dovrebbero avere una persona così affidabile e disponibile al proprio fianco.
A Maddy , che si è presa l'onore di sorbirsi i miei deliri notturni, compresi di ricerche assurde. Sei davvero preziosa.
A mia sorella, che mi ha sopportata e supportata anche in questa avventura, facendomi sempre sapere cosa pensava di quello che scrivevo. Grazie, per non avermi mai lasciata.
Al mio ragazzo, che è la mia musa ispiratrice.
A Giulia , la mia beta, che si è sempre prodigata perché le mie parole avessero una forma più che accettabile. Grazie per avermi seguita anche in questa avventura. A tutti i lettori, silenziosi e non, grazie, perché senza il vostro supporto non saprei se avrei trovato la voglia di arrivare fino in fondo. Spero che la storia vi sia piaciuta e che vi abbia appassionati così come ha appassionato me che la scrivevo. Sappiate che è anche grazie a voi che, a settembre, mentre sarò al lavoro sul seguito, mi impegnerò anche per fare in modo che venga pubblicata.
Ci si vede il 10 ottobre. Un bacio.
Hime.

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