Alba

di Signorina Anarchia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: A beautiful mind ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Trial ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: You walk like a thief ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Like an Engström ***



Capitolo 1
*** Prologo: A beautiful mind ***


“Treno per Trosa in arrivo sul binario 2” annunciò la voce metallica in direzione di una piccola folla di pendolari. Albert si scosse dal suo perenne stato di torpore, e si alzò dalla panchina di ferro senza togliere il naso dal progetto che stava perfezionando. Salì sul treno e si sedette sul primo posto libero per continuare a lavorare.

Non gli pesava affatto tornare così tardi dall’università. Nel tardo pomeriggio era molto più tranquilla, e riusciva a lavorare senza essere disturbato dal vociare degli studenti. Lui non era mai stato così chiassoso da studente, e provava una certa devozione per l’università che era stata la sua casa per quasi otto anni. Non si sarebbe mai sognato di schiamazzare in casa sua.

La sua mente prodigiosa correva più velocemente del treno su cui stava viaggiando. Ben poche persone sarebbero riuscite a seguire un progetto di tale complessità mentre facevano riflessionì di carattere sociale. Non si accorse neanche di come volavano i minuti che lo separavano da casa.

Percorse la strada verso il suo quartiere quasi in trance, con una pila di fogli sottobraccio e la borsa di pelle appesa sull'altra spalla. Ovunque vedeva passeggiare persone, persone che tornavano dal lavoro, da scuola, dal parco giochi, da casa degli amici; persone che camminavano a braccetto, che si aiutavano con le buste della spesa; persone che passeggiavano con il cane; persone che parlottavano o chiacchieravano più apertamente; persone che si salutavano e che si stringevano nei cappotti, perchè il sole stava calando e iniziava a far freddo, ed era ora di tornare a casa davanti al camino.

Si sentiva così solo. Così solo. Aprì la porta di casa, e il consueto odore di saldatura e metalli pesanti gli invase le narici. A cosa era servito, pensò. Buttare la sua vita in stupidi progetti, quando non era stato nemmeno in grado di costruirsi una relazione. Chi lo avrebbe consolato nei momenti di tristezza? La sua fiamma ossidrica? Le sue pinze? Che idiota. Aveva sprecato la sua esistenza alla ricerca del successo accademico, per poi trovare una casa fredda e vuota ad accoglierlo.

Lanciò uno sguardo al tavolo da lavoro, osservando il pistone meccanico che sibilava, muovendosi su e giù. Era un vecchio rimasuglio del progetto affidatogli dall’università. Gli era stato chiesto di simulare un cuore umano per una dimostrazione scientifica, e lui come al solito si era lasciato prendere la mano. Aveva lavorato fino a notte fonda, pensando distrattamente che tanto non c’era nessuno ad aspettarlo a letto. Amava il suo lavoro, e soprattutto amava svolgerlo al meglio, ma questo aveva generato in breve tempo un circolo vizioso da cui non riusciva più liberarsi. Quella sera, però, aveva la testa troppo impegnata sul suo progetto per preoccuparsi di questo. E così aveva dato via a una riproduzione perfetta del cuore umano. Dal punto di vista meccanico, naturalmente. Non aveva tempo per rifinire anche la parte estetica. In ogni caso, il suo progetto era piaciuto talmente tanto che gli era stato chiesto di collaborare con l’industria sanitaria per brevettare un prototipo di cuore artificiale.

Ora lo guardava, e pensava a quanto fosse stato idiota costruire ciò che avrebbe potuto benissimo trovare in natura. Anche se…lui era palesemente non in grado di stabilire relazioni, non si era mai nemmeno sentito parte del genere umano, per quanto quest’ultimo lo affascinasse. Era come osservare dal basso uno stormo di meravigliosi uccelli che migravano a sud. Tutti uguali, tutti per la stessa strada. Ma soprattutto, tutti cinguettanti e felici. Lui era il corvo nero e solitario, che rimaneva indietro a costruirsi un nido in cui abitare da solo.

Quel cuore artificiale pulsante, in quel momento, era per lui la cosa più vicina a un contatto umano. Lo guardava andare su e giù, quasi come se fosse vero. Poi spostò lo sguardo sui pezzi di ferro ancora da saldare, sulle siringhe piene di silicone, e sulle gocce di vetroresina già levigate. E improvvisamente gli venne un’idea.


NdA: Salve a tutti. Mi scuso innanzitutto per la brevità del capitolo, ma dato che si tratta di un simil-prologo, ho pensato che non fosse necessario dilungarmi troppo. Prometto che i prossimi capitoli saranno più lunghi. Questa storia è nata quasi due anni fa durante una noiosa mattinata di scuola, a partire da una sfida su Ask.fm. È senza dubbio un progetto molto lungo ed ambizioso (sarà lunga almeno 30 capitoli), ma spero di riuscire a portarlo avanti. Cercherò di aggiornare con regolarità, ma fra esami universitari e impegni vari, purtroppo, non posso promettere niente. Mi piacerebbe comunque sapere cosa ne pensate. Scrivo da quando ho imparato a farlo, ma non ho mai avuto il coraggio di pubblicare delle storie vere e proprie; quindi accetto qualsiasi tipo di consiglio che mi aiuti a migliorarmi. Ringrazio chiunque si sia fermato a leggere la mia storia, spero che l'dea vi sia piaciuta e di rivedervi al prossimo capitolo!

P.S. Vi lascio QUI una foto di Trosa, la città in cui è ambientata la storia, Non so voi, ma io la trovo meravigliosa.

____Luna____

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Trial ***


CAPITOLO 1

 

Trial

 

Si guardò le mani sporche di polvere di ferro, ansimante. Aveva lavorato tutta la notte, e davanti agli occhi cominciava a vedere macchie colorate al posto degli strumenti da lavoro. Si gettò a peso morto su una sedia, a riposare, perchè ormai il prodotto del suo sforzo cominciava a sembrargli solo una figura indistinta. Gettò una rapida occhiata all'orologio da parete alle sue spalle, ma il suo cervello non registrò l'orario. Dovette guardare una seconda volta per scoprire che erano le 5.42 del mattino, e che il sole stava penetrando attraverso le tapparelle che durante i mesi di luce teneva sempre abbassate. Osservò trasognato un raggio che attraversava l'intera sala, per poi posarsi sul naso ancora grezzo della sua creatura. Senza neanche accorgersene, sprofondò in un sonno agitato.

 

Decine e decine di mani invisibili gli strisciavano sulla nuca, gli frugavano nelle tasche, nel maglione, gli toglievano gli occhiali, lo tiravano verso il buio. E lui era come cieco, in tutto questo. Non vedeva e non udiva alcuna presenza umana, a parte pochi deboli sussurri dal tono concitato e accusatorio. Improvvisamente udì un rumore vicino al suo orecchio, quasi attaccato al timpano. Il suono era simile a quello di un martelletto per udienze che batteva energicamente sul banco di un tribunale, sempre più forte, sempre più chiaro, sempre più vicino...

 

Albert si svegliò di soprassalto, per scoprire che stavano bussando alla porta. Diavolo...

Dette una rapida occhiata all'orologio e schizzò verso l'ingresso. Non fece in tempo ad aprire, che un fiume di parole lo investì.

- Cazzo, Al! Stavo per tornare con la mia cassetta degli attrezzi...io e Walden ci siamo detti che dovevi essere morto per non esserti presentato all'università, ma poi io ho pensato che magari avevi qualche bella squinzia per le mani...

Il resto delle parole del suo collega furono inghiottite dal ronzio che gli tappava le orecchie. Søren era un buon elemento con cui lavorare; mente pragmatica, braccia forti, a volte riusciva addirittura a strappargli un sorriso. E, cosa più importante, nonostante la sua invadenza, per Albert era la cosa più vicina ad un amico che avesse mai avuto

- ...e quindi gli ho detto “ehi, professor W., io non mi infilo nei fatti privati dei miei colleghi”, ma lui ha insistito...e quindi, eccomi qua. Merda, amico, hai una faccia orribile. Tutto ok?

Altro tratto distintivo di Søren: era tremendamente sboccato. E fastidioso. Albert sapeva bene che si stava seriamente preoccupando del suo stato di salute, ma lo trovò irritante. Soprattutto perchè...

Gli venne automatico sbarrare gli occhi. Cercò di trattenersi per non dare nell'occhio, ma il pensiero di quel che aveva fatto la notte scorsa...

 

E se il suo collega avesse cercato di entrare in casa? E se avesse visto la cosa – non riusciva nemmeno a pensarla con un nome proprio, quasi per paura che Søren potesse leggerglielo in mente – che giaceva distesa sul tavolo, come una macabra marionetta troppo grande? Poteva denunciarlo alle autorità e fargli perdere il lavoro, nel migliore dei casi. Così si sarebbe ritrovato più solo di prima, senza nemmeno la sua unica ragione di vita a dargli conforto e sostegno economico. Naturalmente questa era la prospettiva più rosea. In seguito al caso Engström, chiunque avesse solo pensato di costruire qualsiasi forma di vita non umana, rischiava la reclusione e la distruzione di ogni sua creazione.

 

Il giudizio dell'opinione pubblica per quella vicenda aleggiava ancora nell'aria. Spesso, sul giornale e nei notiziari, si faceva ancora riferimento a Engström e alle controversie che il suo caso aveva portato alla luce. Non si poteva parlare di computer ultrapotenti, aspirapolvere deambulanti, o addirittura di auto col pilota automatico senza citare Engström e la sua “idea malata di tecnologia”. Sembrava che in Svezia ci fosse il tacito accordo di non percorrere troppo la via del progresso; giusto per non suscitare malcontento, o per non turbare la collettività ancora scossa. Ma naturalmente, mentre tutti quegli stupidi apparecchi elettronici che facilitavano la vita di tutti i giorni non avevano niente a che vedere con un cervello vero e proprio, dotato di pensieri e sentimenti, quello che stava facendo Albert era profondamente illegale e fuori da ogni etica. Che differenza c'era, alla fine, fra ciò che aveva fatto quel pazzo di Engström e quel che stava facendo lui? Praticamente nessuna.

 

Tutti questi pensieri lo colpirono all'improvviso, mescolandosi fra loro per la velocità con cui prendevano forma, uno dietro l'altro. Durante la notte, mentre lavorava, non si era

soffermato neanche per un momento su ciò che stava per fare. Era come privo di cervello, o meglio, di tutta quella parte che non conteneva complicate nozioni ingegneristiche. Quelle non aveva nemmeno bisogno di recuperarle: erano davanti ai suoi occhi, poteva quasi afferrarle e usarle a suo piacimento.

Né era riuscito a pensare una volta seduto sulla sedia. Era sprofondato nell'oblio, con i sogni inquietanti a tormentarlo, e nient'altro a fargli compagnia. Poi Søren aveva bussato alla porta, ed eccolo qua, a interrogarsi sul rischio e sull'eticità di ciò che stava per fare.

 

I suoi pensieri, a volerli scrivere, avrebbero occupato chissà quanto spazio. Invece, tra questi e la domanda del suo collega, non era intercorsa più di una decina di secondi.

- Sicuro di star bene? Hai una cera...

- Sto bene – rispose frettolosamente Albert – ho solo...dormito poco. Influenza intestinale. Dev'essere stato qualcosa che ho mangiato in mensa – inventò.

- Loro e il loro fottuto salmone affumicato. Gliel'ho detto, alla cuoca, di non servirlo quando è grigio. Un giorno qualcuno ci lascerà le penne, e noi finiremo sul giornale come l'università con i fondi più bassi di Svezia. Ehi, guarda il lato positivo, magari ci aumenteranno lo stipendio se scoppia un bello scandalo...

Albert sorrise debolmente. Forse abbindolare Søren sarebbe stato meno difficile del previsto. Tuttavia, qualcosa nelle chiacchiere del collega attirò la sua attenzione.

- Insomma, adesso stai bene, no? Walden ha urgente bisogno di te. Ha detto di portarti all'università anche a costo di imbavagliarti. Deve discutere con te di una cosa urgente.
- Vale a dire? - cercò di mantenere un'espressione neutra mentre nel cervello gli risuonavano mille campanelli dall'allarme. Søren assunse un'espressione seria.

- È per quel cuore umano che hai costruito il mese scorso.

 

 

 

 

N.d.A.: Ciao a tutti! Chi non muore si rivede! Sto cercando con tutte le mie forze di continuare questa storia, ma il tempo è poco e gli esami universitari incombono, quindi mi dispiace se aggiorno in maniera discontinua. Comunque non vi preoccupate, non lascerò morire questo progetto! Mi scuso anche per errori e refusi vari; al momento non ho nessuno a betarmi la storia.

Dunque, voglio ringraziare chi ha letto lo scorso capitolo e ha lasciato una recensione. Grazie in anticipo anche a chi leggerà questo e a chi recensirà. Ne ho davvero bisogno per continuare a scrivere e a migliorarmi :)

So che in questo capitolo c'è poca azione e molte paranoie, ma ho pensato che la scelta di Albert non potesse essere compiuta senza qualche crisi di coscienza. Inoltre, qui facciamo conoscenza con Søren, che sarà un personaggio molto importante nel corso della storia. Nel prossimo capitolo scopriremo anche qualcosa in più su questo misterioso caso Engström, che Albert cita più volte paragonandolo al suo. È evidente che le leggi così rigide di quel periodo sono anche frutto di atti compiuti da qualcun altro, che devono aver dato una bella scossa all'opinione pubblica per quanto riguarda l'intelligenza artificiale. In ogni caso, staremo a vedere. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e spero di poter aggiornare al più presto! Baci,

____Lun@____

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: You walk like a thief ***


CAPITOLO 2

 

 

You walk like a thief

 

 

Il viaggio in macchina sembrò durare un'eternità. Albert aveva cercato di ottenere più informazioni da Søren, ma il suo collega continuava ad asserire di non poter rivelare informazioni riservate.

Intanto, Albert tremava. E se qualcuno avesse saputo dell'androide? Ma come? Era convinto di aver oscurato tutti i vetri della casa, e di certo non aveva lasciato trapelare nulla riguardo le sue intenzioni. Del resto, a chi avrebbe dovuto dirlo? Gli unici rapporti che intratteneva con gli esseri umani erano di tipo lavorativo.

Gli capitava spesso di pensare così intensamente da non rendersi conto di quel che succedeva intorno. Ad esempio, proprio in quell'istante, Søren stava blaterando qualcosa riguardo al professor Walden mentre armeggiava con l'autoradio. Temendo che gli fosse sfuggita qualche informazione fondamentale, Albert tese le orecchie.

“Ci pensi, amico? Lui ha voluto proprio te! Ha detto di aver visionato il tuo ultimo prototipo e di averlo trovato eccellente, quasi come uno vero! Un po' ingombrante e poco estetico, certo, ma meccanicamente perfetto...”

Ancora quel dannatissimo cuore umano. Non appena la Mustang di Søren entrò nel parcheggio dell'università, una forte nausea lo colse. Non voleva parlare con Walden. Non voleva stare ad ascoltare le stronzate di Søren, che solo i soldi di papino avevano strappato da un lavoro in cantiere. Voleva solo tornare a casa e distruggere tutto. Buttare quell'orribile carcassa di metallo che stava generando tante paranoie in lui, e vivere il resto della sua vita da solo. Proprio così: solo, come era predestinato.

Era così assorto che non si accorse nemmeno che Søren stava parcheggiando. Scese dall'auto con il cuore in gola, e si diresse insieme a lui nell'aula 6. Søren lo scrutava: forse l'andatura lenta ed esitante di Albert aveva cominciato a insospettirlo.

“Oh, grazie al cielo!” tuonò il professor Walden non appena vide la coppia di ingegneri varcare la soglia. “Mi sono preoccupato quando non ti ho visto in facoltà, Albert. Ti incrocio sempre nei laboratori o in aula studio. Non sei mai mancato un giorno”.

“Sono...stato poco bene” dichiarò Albert, cercando di assumere il tono più sofferto possibile. Niente da fare, non sarebbe mai stato un buon attore.

Inaspettatamente, però, il professore rispose: “Lo vedo. Non hai affatto una bella cera. Sembri stremato. Mi dispiace per averti disturbato nel tuo giorno di riposo, ma ho delle novità che potrebbero cambiare il corso della tua carriera università, e perchè no, anche tante altre vite.”

Ecco, pensò Albert, ora mi dirà che ha scoperto dell'androide e che sarà costretto ad espellermi. E a consegnarmi alle autorità competenti, che mi faranno fare la fine di Engström.

“Vorrei che tu ci aiutassi a produrne un prototipo anatomicamente corretto e funzionante da poter usare per i trapianti. Gli organi scarseggiano, e con un'invenzione come la tua potremmo salvare molte persone da morte certa. Naturalmente ci serve un cuore fabbricato con materiali che possano essere impiantati nell'organismo senza causare infezioni o essere respinti. È chiaro che ti procureremo tutti gli strumenti e le materie prime di cui hai bisogno. L'università è pronta ad investire somme piuttosto alte, dato che ne guadagnerebbe in visibilità, e non solo. Pensa soltanto agli accordi con le case produttrici di protesi chirurgiche. E poi, la tua carriera universitaria...non solo entrerai a far parte del nostro albo degli studenti eccelsi, ma non avrai problemi a inserirti nel mondo del lavoro. Tutte le riviste scientifiche parleranno di Albert Ivarsson, il filantropo che ha dato una svolta al mondo della medicina.”

Albert avrebbe dovuto sentirsi sollevato, ma per qualche motivo la sua nausea era aumentata. Non solo perchè il professor Walden lo stava mettendo di fronte a troppe informazione dopo una notte passata a infrangere le leggi dello stato, ma perchè aveva paura. Avrebbe voluto essere fermato, avrebbe voluto che qualcuno gli dicesse “fermo, Al, distruggi quell'androide e nessuno scoprirà niente”. Invece il suo professore lo stava mettendo di fronte ad un'allettantissima proposta, grazie alla quale avrebbe avuto soldi, materiali e stumenti a profusione per cadere in tentazione e ultimare facilmente il suo progetto malsano. Forse, se avesse confessato in quel momento, se la sarebbe cavata con una multa e l'affidamento del progetto a qualcun altro. Ma a chi voleva darla a bere? Lui voleva con tutto se stesso il successo accademico. Voleva apparire sulle riviste, essere citato nelle classifiche degli uomini più intelligenti del mondo, vincere il Nobel...ma più di ogni altra cosa, non voleva morire da solo. Era profondamente ingiusto che un idiota come Søren potesse avere una ragazza, o due, o diecimila, mentre lui non riusciva neanche a farsi un amico. Certo, forse Søren non avrebbe mai avuto il successo accademico, ma almeno poteva dire di aver vissuto appieno senza il bisogno di costruirsi un umanoide. Detto così sembrava patetico, ma Albert non la pensava allo stesso modo. Alla fine, aveva le capacità, gli strumenti e il bisogno di costruire quell'androide. Era inabile alla comunicazione con altri esseri umani, e gli sembrava di aver trovato una buona soluzione. Era una sua scelta. Allora perchè lo stato non lasciava i suoi cittadini liberi di decidere con chi intrattenere rapporti? Se interagire con persone, oppure con una dannata macchina?

È ovvio, si rispose. Per via del caso Engström.

In quel momento, Albert prese una decisione. Era consapevole di non essere in grado di decidere da solo: voleva disperatamente compagnia, ma allo stesso tempo non voleva trascorrere il resto dei suoi giorni in galera, più solo di prima. Quindi avrebbe lasciato decidere al caso: bastava una sola, singola domanda al professor Walden. Se egli avesse risposto affermativamente, Albert avrebbe abbandonato per sempre ogni idea assurda sulla costruzione di umanoidi. Si sarebbe rivolto a un bravo psicologo, e avrebbe provato a interagire con persone reali. Ma se invece il professore avesse risposto negativamente, lo avrebbe un segno del destino. Albert non credeva in Dio, ma come tutti, in quel momento sentiva di aver bisogno di aiuto con una scelta importantissima. Quindi prese coraggio, e si rivolse a Walden che aspettava trepidante la sua risposta

“Lavorerò da solo, professore?”

Walden si volse verso le grandi finestre dell'aula, con le braccia incrociate dietro la schiena.

“Temo che nessuno sia al tuo livello di preparazione, figliolo. Ma abbiamo Søren qui che passerà abitualmente in laboratorio a rifornirti di materiali e a controllare che tutto proceda per il meglio. Naturalmente, se le cose dovessero risultare complicate, possiamo sempre accordarci con un'altra università per fornirti un valido aiutante...”

”Laboratorio?” lo interruppe Albert “Lavorerò nel laboratorio dell'università?”.

Il professor Walden scoppiò in una grassa risata: “E dove vorresti lavorare, Ivarsson? A casa tua?”. Ma nel giro di qualche secondo tornò serio: “Scherzi a parte, ragazzo. È chiaro che il tuo lavoro per conto dell'università dovrà essere costantemente monitorato. Il rettore ha espresso le sue perplessità in merito; sai com'è...ci tiene ad evitare un altro caso Engström. Naturalmente nessuno vuole insinuare che arriveresti a creare forme di intelligenza artificiale proibite dal governo, ma controllare e tenere conto dei tuo progressi aiuterà l'università a sentirsi più tranquilla con l'intero progetto. Sempre se accetti, ovviamente”.

Alla nomina del caso Engström, Albert aveva assunto un colorito verdastro, e Walden doveva averlo notato. Tentò di darsi un contegno.

“Ma certo” disse infine “Accetto”.

 

Søren lo riaccompagnò a casa in macchina. “Faresti meglio a riposarti, adesso” gli disse “È da oggi che ti vedo più strano del solito”. Albert ignorò la battuta e lo salutò con un cenno del capo, scendendo dall'auto. Aprì la porta di casa, cercando di ignorare la fitta che lo coglieva ogni volta che non c'era nessuno ad attenderlo. Si sedette alla scrivania, con la testa fra le mani. Si sentiva vuoto. Alla fine prese coraggio, e accese il computer portatile che c'era sul tavolo. Doveva assolutamente impedirsi di fare ciò che si era prefissato. Doveva sapere cos'era accaduto in passato a quelli come lui.

Avviò il browser, e in preda all'angoscia, digitò le parole “caso Engström”.

 

 

N.d.A.: Ciao a tutti! Chiedo scusa per il ritardo nel pubblicare il capitolo. Ho avuto diversi impegni, e proprio quando ho avuto un po' di tempo per scrivere, mi si è presentata la possibilità di partecipare a un concorso letterario, e quindi ho deciso di dare la precedenza a quello. Con un po' di fortuna i prossimi aggiornamenti saranno molto più regolari. Incrociamo le dita :)

Lo so, avevo promesso che in questo capitolo avremmo fatto conoscenza con il caso Engström, ma non volevo che il capitolo superasse troppo gli altri due in lunghezza, quindi ho deciso di tagliarlo. Mi rendo conto che non c'è stata molta azione; è stato un capitolo principalmente riflessivo, ma vi renderete conto che un tipo come Albert non può prendere questa decisione a cuor leggero.

Il titolo di una canzone viene da una canzone di Likke Li, “Possibility”. Potere ascoltarla qui.

Mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensate nelle recensioni. Mi scuso se questa fanfic procede a rilento, e capisco che questo possa portare molti lettori ad abbandonarla, ma prometto che non sarà sempre così.

Nei prossimi giorni probabilmente pubblicherò il racconto con il quale ho partecipato al concorso letterario. Se qualcuno di voi mi legge volentieri, mi farebbe piacere che ci deste un'occhiata per farmi sapere cosa ne pensate. Grazie per la lettura, ci vediamo al prossimo capitolo! :)

 

____Lun@____

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Like an Engström ***


CAPITOLO 3 – LIKE AN ENGSTRÖM


Mentre aspettava che la pagina caricasse, Albert si premette con forza le dita sulle palpebre chiuse. Non voleva vedere quello che c'era scritto.
Prevedibilmente, migliaia di risultati spuntarono sulla pagina del motore di ricerca. Facendosi forza, Albert cliccò sul link che sembrava più affidabile, quello di un'enciclopedia online.
La foto di Engström in manette nell'auto della polizia capeggiava a lato della pagina. Questo potrei essere io, pensò.
Controvoglia, iniziò a leggere a leggere l'articolo a bassa voce.

Il caso Engström è la vicenda giudiziaria e di cronaca che ha interessato la Svezia durante gli anni 2072 e seguenti. A partire da tale data, si ritiene che l'operaio siderurgico Isaac Engström abbia costruito oltre 230 androidi con sembianze infantili e adolescenziali da immettere sul mercato nero a beneficio di pedofili e pervertiti di ogni genere. Durante i processi, egli ha dichiarato di averli costruiti con materiali di vario genere sottratti sul posto di lavoro. In seguito alla perquisizione della sua abitazione, la polizia ha accertato che lo stesso Engström possedeva un'androide femmina dall'età umana non superiore ai nove anni, oltre a svariate foto di bambini, tuttavia non classificabili come materiale pedopornografico. La vicenda ebbe un forte impatto mediatico per la scabrosità che la caratterizzava, ma ciò che fece più scalpore fu il quantitavo di uomini e donne pronti a difendere Engström a spada tratta durante i processi, lasciando intendere a tutta la nazione quanto fosse ampia la rete di copertura tra i pedofili svedesi (o forse le capacità corruttive dello stesso Engström?). La magistratura reagì con una nuova ondata di arresti, la più grande degli ultimi 60 anni, questa volta ai danni dei difensori di Engström. Vennero condannate più di 400 persone, principalmente coppie.
Nel 2076 si conclusero anche i processi a carico di Engström, che fu condannato all'ergastolo. Le accuse a suo carico oggi sono molteplici, fra cui: pedofilia, sfruttamento della prostituzione minorile, istigazione a pratiche pedopornografiche, attività commerciale a scopo di lucro, diffusione di materiale pedopornografico, costruzione e diffusione di materiali pericolosi, furto aggravato, associazione a delinquere, corruzione, occultamento di prove, resistenza a pubblico ufficiale.
Engström è tutt'ora recluso nel carcere di Bastøy.
Affinchè una vicenda di tale portata e gravità non si ripetesse, in seguito al caso Engström il governo vietò la costruzione qualsiasi tipo di robot, androide, umanoide, intelligenza artificiale o giocattolo che potesse anche vagamente ricordare o imitare le sembianze umane.

Seguivano alcune foto degli androidi rinvenuti e una lunga intervista alle autorità che avevano seguito il caso.
Albert si accasciò sulla sedia, mentalmente sfinito. Guardò la foto di Engström. Sembrava un uomo normalissimo, perfino affascinante, alto, con il volto pallido, il naso aquilino e i capelli scuri lunghi fino alle spalle. Di sicuro, non assomigliava affatto alla bestia che avevano dipinto. Si prese la testa fra le mani. C'era qualcosa in quella storia che continuava a sfuggirgli. Quel criminale dove aveva trovato tutta quella gente disposta a mentire per lui? Li aveva pagati? Eppure Engström era un semplice operaio siderurgico, difficilmente avrebbe potuto permettersi di corrompere 400 persone. A malapena ci sarebbe riuscito se fosse stato miliardario.
Ma questo cosa importa?, si disse, io non riuscirei a corrompere neanche mezza persona, se capitasse a me. Non ho nemmeno un amico che testimonierebbe a mio favore. Se mi scoprissero, finirei dritto in galera senza neanche un processo. Del resto, era proprio la sua solitudine la causa di tutto. E sarebbe stata la solitudine a condannarlo.
Ed Engström? Lui perchè l'aveva fatto? Era veramente un pedofilo assetato di soldi? Albert stentava a crederci. Aveva imparato a non giudicare un libro dalla copertina, quindi il volto addolorato della foto lo convinceva poco, ma nella vicenda rilevava numerose incongruenze. Non avrebbe saputo neanche elencarle tutte, ma gli sembrava di star ascoltando una sinfonia composta in gran parte da note stonate, che però, per qualche assurdo motivo, riuscivano a legare fra loro in un insieme disarmonico.
Un trillo del computer lo fece sobbalzare. Aveva ricevuto due nuove mail.

Da: kristoffer.walden@unistockholms.se

A: albert.ivarsson@unistockholms.se

Oggetto: progetto H.E.A.R.T.

Gentile Albert Ivarsson,
le porgo le mie più sentite congratulazioni per aver accettato di lavorare a questo progetto così ambizioso. Non c'è bisogno che le ricordi quanta risonanza avrà il suo impegno in campo scientifico e umanitario.
Per garantirne la massima riservatezza, faremo rifermento ad esso come “progetto H.E.A.R.T.”, affidando i dettagli solo ai nostri collaboratori più fidati.
Ho fatto in modo di riservarle il laboratorio di ingegneria al secondo piano già a partire da domani. Troverà tutti i materiali e gli strumenti necessari, ma non si faccia scrupolo a contattarmi se ha bisogno di qualsiasi altra cosa. Abbiamo stimato che per ultimare il progetto saranno necessari almeno 6 mesi di lavoro. Naturalmente, potrebbero volercene di più o di meno. La esorto a lavorare nella massima tranquillità e a curare tutto nei minimi dettagli. Non possiamo permetterci errori o imprecisioni, ed è per questo che l'intero dipartimento si affida a lei, che è la persona che meno rischia di commetterne.
Un ultimo, ma rilevante dettaglio: un'ispettore governativo verrà a farle visita con cadenza bimestrale per valutare che tutto si svolga nei confini della legalità. Naturalmente è solo una formalità di cui lei non dovrà preoccuparsi.
Le auguro buona giornata e buon lavoro a nome di tutto il dipartimento, nella speranza che uno studente come lei diventi un esempio per i futuri colleghi. La strada è lunga, ma impegnandosi come ha sempre fatto durante questi anni, l'arrivo alla meta sarà presto più vicino che mai. Buona fortuna,

Professor Kristoffer Walden


Fantastico. Adesso ci mancava anche l'ispettore governativo, pensò Albert, più nervoso che mai.
Nella seconda mail, il dipartimento di Ingegneria dell'Università di Stoccolma si congratulava con lui per aver preso parte a un progetto che avrebbe conferito lustro accademico all'università, e lo invitava l'indomani a tenere un piccolo intervento al rinfresco per inaugurarne l'inizio.
Wow. Un'altra situazione sociale. Si stravaccò nuovamente sulla sedia, passandosi le mani nei capelli. Erano color ghiaccio, quasi tendenti al grigio, e tutti giuravano di non aver mai visto un colore simile sulla testa di un essere umano. Magari non sono umano. Perchè devo fare l'umano per forza? Magari sono un robot come la carcassa sul tavolo dello studio. Sobbalzò. C'era un androide in costruzione sul tavolo del suo studio, e lui sembrava quasi averne dimenticato l'esitenza, preso com'era dalla paura che lo scoprissero. Con misurata lentezza, quasi temesse di essere seguito, Albert si alzò e si diresse verso il corpo abbozzato che aveva creato la notte prima. Non era ancora neanche vagamente simile a un corpo vero e proprio, sembrava più una specie di telaio, uno scheletro di metallo a cui mancavano dei pezzi. Al centro di quello che non era ancora un petto, batteva il cuore meccanico, con il pistone che andava su e giù. Avrebbe dovuto miniaturizzarlo ulteriormente per farlo entrare in un organismo di dimensioni normali, e grazie al progetto H.E.A.R.T. avrebbe avuto i mezzi necessari. Quel mezzo corpo steso sul tavoro, ancora spento, ancora senza vita, sembrava magnetico come gli ingranaggi che lo componevano. Non riusciva a distogliere lo sguardo senza immaginare come sarebbe diventato. Aveva voglia di abbracciarlo, di stringere al petto quella sua creazione ancora grezza, e poi di conservarne in testa il ricordo per poterlo un giorno raccontare a lei. L'androide. Come sarebbe stata, una volta terminata? Avrebbe saputo parlare? Pensare? Capire i sentimenti? Lo vuoi scoprire, Albert? Allora smettila di fare il codardo. È nelle tue mani.
Si avvicinò a quella che avrebbe dovuto essere la testa, e vi si inginocchiò vicino. “Tu non lo sai ancora” le sussurrò, con la voce spezzata “Ma io ti amo già. Così come sei, ancora incompleta e piena di ferraglia. Tu non lo sai, quanto ti ho desiderata. E non mi importa, sfiderò la legge, nasconderò tutte le prove, mentirò fino all'ultimo per te. Perchè tu possa essere viva. Voglio smettere di essere un codardo”.
Lei non poteva sentirlo, ovvio. Ma lui sì.

N.d.A.: Capitolo impegnativo, eh? Scusate se ho poco tempo per note d'autore, ma sono giorni frenetici. Sono comunque contenta di essere riuscita a pubblicare. Consiglio a tutti voi di andare a leggere la particolarissima storia del carcere di Bastoy, quello in cui è (ipoteticamente) rinchiuso Engstrom. Mi piacerebbe che mi faceste sapere anche cosa ne pensate del capitolo. Alla prossima!

____Lun@____

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