Lorem Ipsum

di pierjc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Osservare il mondo ***
Capitolo 2: *** L'individuo, prima parte ***
Capitolo 3: *** Quella forza misteriosa ***
Capitolo 4: *** L'individuo, seconda parte ***
Capitolo 5: *** Ma dove sei? ***
Capitolo 6: *** L'individuo, terza parte ***
Capitolo 7: *** Il peggiore dei nemici ***
Capitolo 8: *** Tra le stelle ***
Capitolo 9: *** L'individuo, quarta parte ***
Capitolo 10: *** Una favola vecchia ***
Capitolo 11: *** Fantasia, solo fantasia ***
Capitolo 12: *** Il sole e la luna, il bianco e il nero, l'inizio e la fine ***
Capitolo 13: *** Disillusione ***
Capitolo 14: *** L'individuo, quinta parte ***



Capitolo 1
*** Osservare il mondo ***



Scrivere una storia non è mai facile. Bisogna pensare ai personaggi, alle vicende, a quello che può e non può piacere al pubblico.
A quello che può accadere. A come sviluppare un determinato evento.
Ma poi, nella vita di ognuno di noi, c’è quel momento in cui qualcosa, un avvenimento, semplicemente, ti accade.
E, nel mio caso specifico, una storia è venuta a me per farsi raccontare. Ha bussato e ho deciso di aprire la porta.
Quindi quella che sto per scrivere non è frutto di fantasia, ma è semplicemente la vita.
Quella che affrontiamo ogni giorno.
Mi ha colto quasi all’improvviso, pretendendo di essere posta su carta e regalata al mondo, per sempre.

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Capitolo 2
*** L'individuo, prima parte ***


Un individuo cammina, per strada. È presto, per la maggior parte delle persone. Ma non per lui, non per la sua, di vita.
Il cielo mescola ancora svariati colori tra di loro a formare una sfumatura che, solo a guardarla, ti fa capire quanto è magnifico il mondo, quando vuole.
Ma poi, quell’individuo, si ricorda di non vederci più bene come una volta e si rende conto di essere semplicemente di fronte ad un grande cartellone pubblicitario. Accidenti, gli occhiali.
Li indossa e riprende il suo cammino. L’afa della giornata non è minimamente percepibile in quel momento. Anzi, sembra fare quasi freddo. L’anticamera di una solita giornata afosa.
Indossare la maglia posta sulle spalle sembra essere più che un’ottima idea.
Il silenzio.
Ogni tanto interrotto da qualche uccello intento ad intonare il buongiorno al suo, di mondo. O qualche vettura intenta a riportare il proprio passeggero a casa.
Impensabile, incredibile.
È difficile catalogare i giovani d’oggi. Soprattutto per lui che è intento a fare una semplice passeggiata di prima mattina. Chissà in quale pub saranno stati a dimenticarsi la gioventù, sempre con quei maledetti cellulari in mano. Schiavi di una prigione invisibile ma tangibile, di una gabbia dalla quale potrebbero fuggire in qualsiasi momento, ma in cui si sentono parte di un universo immortale. Eccolo il rumore delle catene. Quei cosiddetti tap. Chissà se un giorno, quando saranno vicino alla fine dei loro giorni, si renderanno conto di quanto sarebbe stato bello vivere. O se, semplicemente, posteranno un altro inutile commento che andrà a perdersi nell’acquazzone di qualche social network. Una goccia. Una delle tante. È davvero un bene che il mondo moderno abbia così tanta tecnologia? 
Prosegue per la strada e assapora l’odore piacevole del caffè, quell’uomo. Dunque, qualcun altro, oltre a lui, è sveglio.
Nel bar dell’angolo non c’è nessuno.
Entra.
Saluta.
Nessuna risposta.
Si toglie gli occhiali, li pulisce meticolosamente con un fazzoletto e li indossa di nuovo. Getta un nuovo sguardo nel bar e finalmente individua la provenienza di quella flagranza.
Buondì accenna la barista.
Buondì risponde l’individuo.
Era come se quella donna stesse assaporando l’essenza stessa di ciò che faceva. O forse era solo sonno.
Sonno? chiede l’individuo, per esserne certo.
Molto risponde la donna, facendo svanire ogni ombra di dubbio.
E come mai? Fate questo lavoro da molto tempo, dovreste essere abituata commenta l’individuo.
L’abitudine spesso si accorge di avere altro da fare e ti abbandona proprio nel momento del bisogno.
L’individuo fa qualche passo e si siede di fronte alla donna, scostando una sedia, al suo stesso tavolino e cercando di capire. La sua età era avanzata ma cionondimeno la sua mente era, così si sperava, molto lucida.
Come fa l’abitudine ad abbandonare qualcuno? domanda l’individuo che ormai era entrato in confidenza con la donna.
Lei cosa fa a quest’ora? Va in giro? Ecco. Poniamo un esempio. Se per un sol giorno dovesse presentarsi l’occasione per lei di dormire di più. Anche solo un paio d’ore, il giorno dopo avrebbe problemi a svegliarsi a quest’ora di nuovo?. L’individuo cerca di pensarci un po’, si appoggia allo schienale e pensa ad una risposta da dare.
Beh, no. Credo che sarei in grado di svegliarmi come tutti gli altri giorni precedenti a quello in cui ho potuto dormire di più.
La donna alza la mano sinistra, indica l’individuo col palmo aperto all’insù e fa un cenno di approvazione.
Ecco. Nella normalità dovrebbe accadere questo. La sua abitudine non l’abbandona. Resta con lei. La mia, invece, mi ha lasciato senza nemmeno avvertirmi.
L’individuo sembrava aver colto il punto. La sua abitudine l’ha abbandonata.
La donna abbassa la testa e torna a pensare al suo caffè.
Già.
L’uomo si alza, saluta cordialmente quella donna e riprende il suo cammino.
Non aveva voluto accettare nulla, né un caffè né un bicchiere di succo. Dovrà essere di ritorno a casa nel minor tempo possibile, prima che quel piacevole fresco torrido lasci il posto ad uno spietato caldo senza scrupoli.

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Capitolo 3
*** Quella forza misteriosa ***


L’amore vero esiste? Voglio dire, quello eterno, quello impassibile, capace di resistere a qualunque colpo la vita sia in grado di sferrargli. Quello che, seppur in mezzo a mille difficoltà, continua a far brillare la propria luce in mezzo al buio come una piccola lucciola a bearsi della propria bellezza.
Tutti noi siamo stati innamorati, perlomeno una volta nella vita. E non ti credo se giureresti il contrario. Quella personcina, quella alle scuole elementari. La ricordi? Ecco, quello era già amore. Piccolo amore. Forse perfino stupido amore. Ma era, pur sempre, amore.
Ma sono pronto a scommettere che solo pochi, davvero, abbiano provato sentimenti autentici.
Innamorarsi dell’aspetto di una persona è stupido. Certo, ha una piccola percentuale per me, e credo anche per te e per chiunque altro, ma ciò che mi colpisce davvero è il suo modo di essere. Sei d’accordo? Una persona non è una farfalla, a cui basta la propria esistenza per ritenersi compiuta. No. L’amore va oltre, è qualcos’altro. È un’unione di pensieri. È capire che non puoi vivere senza l’altra. Il tuo petto sembra esplodere, bruciato dall’interno da fiamme incontenibili, capaci di essere domate solo dalla sua presenza. Basta averla lì davanti. Immobile. Ferma a guardarti. E tutto si blocca. Cambia prospettiva. Quelle fiamme si trasformano e ti fanno capire che lei è tutto ciò di cui hai bisogno.
Il carattere, dicevo. Quello è fondamentale. Invece di innamorarti dei suoi occhi, innamorati di quello che celano. Invece di innamorarti dei suoi capelli, innamorati del modo in cui se li accarezza. Il modo in cui ride, il modo in cui è meravigliosamente sicura nella sua insicurezza. Innamorati di questo. E scopri che il suo esser pigra, il suo esser imbranata, ti piacciono esattamente allo stesso modo in cui sei innamorato della sua solarità, della sua dolcezza.
Lei che è in grado di capovolgerti la giornata. Lei che ti sostiene nei tuoi folli progetti. Lei che, in fondo, non è altro che quella dolce metà che tanto speravi potesse esistere.
 
Quando trovi una persona, quella che ti fa stare bene, non lasciarla per nulla al mondo. Il rimpianto ti strazierebbe. Il ricordo ti brucerebbe dentro. Il cuore non potrebbe più battere. E tu non vivresti più.
 
Sai, ti sto aspettando da così tanto tempo che, quando arriverai, ti farò presente tutto questo ritardo.

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Capitolo 4
*** L'individuo, seconda parte ***


Il mondo, visto dagli occhi di una persona che ha sonno, è ben diverso. Non si coglie ogni sfumatura. Anzi, non si coglie neanche l’evidenza.
 
Ma certo! esclama l’individuo, che ormai aveva superato il giro di boa della sua passeggiata mattutina.
Ha perso l’abitudine. L’abitudine del suo matrimonio. L’abitudine è suo marito.
Se avesse riflettuto prima, probabilmente avrebbe potuto discuterne con quella donna, aiutarla in qualche modo. A quell’individuo era capitato di perdere l’abitudine. Ma non gli era stato possibile recuperarla. Se n’era andata a causa di una terribile malattia. Così come altre migliaia di persone nel mondo perdono la loro di abitudine.

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Capitolo 5
*** Ma dove sei? ***


Il momento. Quello che stai aspettando da tanto tempo. Arriverà. E sarà stupendo.
 
Il condimento in cucina è come l’amore nella vita: indispensabile.
 
Un’attesa. Un po’ come trovarsi alla fermata di un pullman. Sai che non passerà all’orario previsto. Una rogna. Una riga legnosa alle tue spalle. Strada bagnata dinnanzi a te. Sai che ormai è tardi. Ma passerà. È solo questione di tempo e fortuna. Prima o poi passerà.
Anche se la pioggia è sempre più forte.
Devi resistere.
Anche se il cielo è sempre più scuro.
Devi resistere.
Che sia una donna o sia un sogno, vale lo stesso principio. A loro piace essere corteggiati. Quando poi, finalmente, capiscono che ci tieni davvero. Quando finalmente il pullman passerà. Non t’importerà dell’orario. Né tantomeno del ritardo. Penserai solo a quel momento.
 
Ogni uomo è legato ad una stella. Ogni stella è legata ad una donna. Ogni donna, quindi, è profondamente legata ad un uomo. Ma dove sei tu, stella mia?
 
Ti penso. Sempre. Soprattutto adesso che non ci sei. Soprattutto adesso che non hai un volto, non hai voce, non hai un nome. Ma ti sento. Sempre di più.
Non so per quanto tempo ancora dovrò aspettarti. Ma va bene così. D’altronde avremo tutta la vita da passare insieme. E, francamente, non vedo l’ora di condividere ogni singolo momento con te. Non vedo l’ora di litigare per poi fare la pace. Non vedo l’ora di sussurrarti ‘Ti amo’ e fare l’amore. Quindi sbrigati ad arrivare.

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Capitolo 6
*** L'individuo, terza parte ***


L’individuo era giunto alla piazza principale, salutando un giovane adulto intento ad aspettare un pullman che, probabilmente, come l’onda giusta per un surfista, si sarebbe fatto aspettare ancora per molto.
Si avvicina ad un uomo e lo saluta, così come tutti gli altri giorni.
Buondì risponde.
A guardarlo bene nota lo sguardo fisso nel vuoto.
Pensieroso? chiede l’individuo, sedendosi esattamente accanto a lui.
Cercava il sincronismo del suo sguardo verso un punto indecifrato da qualche parte verso l’orizzonte.
Assaporo solo il tempo.
Risposta perfetta.
Assapori il tempo stando fermo a fissare l’orizzonte? cercava di capire l’individuo. Assaporo il tempo sentendolo sulla mia pelle, sulla mia anima, sui miei pensieri. È incredibile come, a quell’ora della mattina, le persone fossero tutte molto criptiche.
E come è? Il tempo, dico prosegue l’individuo, intento a riportare alla realtà quell’uomo.
Inesorabile.
Tra mille aggettivi, quello, forse, poteva essere più che adatto.
Il tempo non conosce ragioni. Va avanti. E se cerchi, per qualche motivo, di fermarlo, quello ti punisce scorrendo ancora più veloce.
Queste parole avevano riportato, stranamente, l’individuo indietro di parecchi anni.

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Capitolo 7
*** Il peggiore dei nemici ***


Provo una nostalgia per il passato che mi spezza il fiato, più di una lancia. Sentirsi come un fiocco di neve destinato a sciogliersi.
Il segreto per non pensarci? Dovrei chiedere a quell’individuo. O quell’uomo affianco al quale è seduto. Sembrano saperla lunga.
Il tempo che passa, in modo inevitabile. Tutto cambia. Tutto. Muta. Nulla resta uguale. Niente. Tranne i ricordi. Beh, quelli finché ci sono.
Ogni maledetto ticchettio della lancetta è un’ulteriore pugnalata al petto. Inesorabile. Mi manca davvero il respiro. Mi sembra di vedere un mondo, lì fuori, che si diverte a farci sembrare insignificanti. Fragili.
Nessuno può sconfiggere il tempo. Nessuno. E quando ce ne rendiamo conto capiamo che avremmo potuto gustarci al meglio le cose che avevamo. Perché è vero: non apprezzi quello che hai finché non lo perdi. Se un giorno inventassero la macchina del tempo, sarei disposto a vivere di stenti pur di averne una e poterla usare. Poter tornare indietro, anche solo da spettatore. Sentire le lacrime sul mio volto. Sentire il cuore battere proprio come quando mi tornano in mente ricordi passati. Mi aiuterebbe molto ad apprezzare anche il presente.
Secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni, lustri, decenni. Sembrano infiniti e lontani. E invece sono limitati e passati.
Perché allora sprecare un bene così prezioso con chi non lo merita? Lascia perdere le cose superflue e vivi quelle importanti davvero. In fondo la vita è una sola. Ricordatelo.

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Capitolo 8
*** Tra le stelle ***


Ti sogno. Spesso. Troppo spesso. Anzi, sempre. E questo, a dir la verità, non mi dispiace affatto. È bello poter stare con te, anche se solo nei sogni. Eppure stiamo così bene insieme. Ridiamo, scherziamo, parliamo. Ma la realtà è ben diversa. E non m’importa. Ci si rivede stanotte. Stesso posto. Stessa ora.
 
Stesi. Qui, in spiaggia. Tramonto. Il cielo mischia la sua tavolozza. Sembra aver rovesciato tutti i colori. E il sole è lì. A metà, sull’orizzonte. Come se volesse dare a quei due un’ultima occhiata, prima di andare via. Come se non avesse mai visto una coppia di innamorati sentirsi dentro. L’uno nell’altra. Una cosa stupenda. Brezza.
Leggera.
Onde.
Limpide e costanti.
Gabbiani.
Voci in lontananza.
Tutto funge da contorno perfetto a quel momento. Mano nella mano. Spirito nello spirito. Amore nell’amore. Sincronismo di sentimenti. Baci come monete. Preziosi e luccicanti. Occhi. Grandi, come il sole. Come la luna pronta a reclamare il suo posto nel cielo. Tutto ciò che quei due avrebbero voluto era che quel momento potesse protrarsi per l’eternità.
Controluce. Due profili. Sagome nere contrapposte al sole. Come un artista con la sua opera, vederla diventare un tutt’uno. Un’unica immagine. Un quadro. Due corti isolati dal mondo. Semmai mi chiedessero cos’è l’amore non avrei remora di rispondere così: l’amore erano quei due. Nonostante la morte. Nonostante la sofferenza. L’amore. Quello vero. Quello capace di smuovere le montagne. Erano quei due.
 
Per te.
Tu sei la persona per la quale rinuncerei a tutto.
Sei la persona con la quale varrebbe la pena di litigare su tutto, solo per quel magico momento in cui nulla ha più senso. E guardandoci negli occhi capire che esistiamo l’uno per l’altra.
Sei la persona con la quale mi sentirei più libero che mai.
Sei la persona che voglio amare.
Ma dove sei?

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Capitolo 9
*** L'individuo, quarta parte ***


Adesso è giunto il momento di andare dice l’uomo, spezzando il flusso di pensieri dell’individuo.
Continuerai ad assaporare il tempo? gli domanda.
Finché potrò, cercherò di assaporare ogni attimo.
Così, si alza e se ne va. L’individuo resta fermo ancora un po’ e si rende conto di essere, come al solito, in ritardo sulla sua tabella di marcia. Il sole comincia a farsi sentire e lui non può permettersi di farsi trovare impreparato.

Prosegue per il suo cammino, l’individuo. Il paese comincia a riempirsi di vita. Cani portati a spasso dai propri padroni, atleti intenti a mantenere la forma. È un po’ come vedere un cortile in autunno riempirsi di foglie.
L’autunno.
Manca ancora del tempo all’autunno. S’era aspettato così tanto per l’estate che, adesso che era arrivata, nessuno sembrava essersene accorto. Ma lui sì. Per quell’individuo faceva una notevole differenza passeggiare d’estate o passeggiare d’autunno.
Superò la piazza e intraprese quei lunghi chilometri che l’avrebbero cullato lentamente verso casa.
Un rumore quasi impercettibile proveniva dalla sua destra. Si era girato e aveva visto una signora intenta a mantenere il portone aperto e a farci entrare le sue buste della spesa. Doveva essere davvero tardi se una signora qualunque aveva già completato tutte le sue faccende.
Mi permette di aiutarla? domanda con galanteria l’individuo.
Le sarei molto grata risponde l’anziana donna.
L’individuo raccoglie le tre buste della spesa e prova ad alzarsi.
Non ci riesce.
Si alza, fa un leggero sorriso alla signora e ci riprova.
Medesimo risultato.
Quel tempio che era il suo corpo si era trasformato in un fatiscente avamposto senza scale.
Magari può anche aiutarmi semplicemente a tenere aperto il portone suggerisce l’anziana donna.
In quel momento l’individuo si trovava dinnanzi a due scelte. Salvaguardare la già diroccata schiena e cedere al disonore, oppure agire da vero eroe e guadagnarsi la gloria eterna.
 
L’orgoglio fotte le persone.
 
Zoppica, l’individuo. Zoppica verso casa. La sua gamba sinistra aveva sempre fatto un po’ i capricci, come una bambina in cerca di un gelato. Ma ultimamente quella fanciulla sembrava essersi placata. Per cui gli era sembrato più che giusto risvegliarla con quelle dannate buste della spesa.
Maledetta la mia galanteria mormorava zoppicando. Zoppicando verso casa.
Maledetta la mia galanteria.
Il problema di fondo in quella vicenda era stata la memoria. I ricordi. Quell’anziana donna gli aveva riportato in mente la sua, di anziana donna. Quell’anziana donna che, ormai, da parecchi anni non c’era più. Aveva imparato a convivere con il dolore. Con la solitudine. Dopotutto è facile imparare a vivere senza una persona con la quale hai vissuto praticamente tutta la tua vita. Era come se fosse diventato cieco, o sordo, o muto. O tutte e tre le cose insieme. Amava molto la sua anziana donna. E l’amava ancor di più adesso che aveva imparato a vivere senza.

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Capitolo 10
*** Una favola vecchia ***


«Sei innamorato?».
«Moltissimo».
«E lei lo sa?».
«No».
«Il 99% delle storie d’amore è così».
 
Come una conchiglia nasconde il rumore del mare, così lui nascondeva le proprie emozioni. Solo chi sapeva ascoltarlo davvero poteva capire cosa provava.
 
Non ti nascondo che quest’inverno ho avuto una delusione d’amore. Niente di che, ma ci sono stato molto male. Il cuore mi era stato stracciato, come un vecchio vestito, e buttato via. Avevo giurato a me stesso di non dover e non voler più soffrire così.
E di certo non avrei mai detto che solo pochi mesi dopo mi sarei ritrovato qui, seduto a un pub, a bere un drink con una ragazza bellissima. Stupenda. Intelligente. E più simile a me di quanto potessi mai sperare di trovare. E mai avrei detto che poi, dopo queste parole, l’avrei presa tra le braccia e l’avrei baciata.
 
Il mio difetto è quello di avere una mente che esagera, sia in eccesso che in difetto. In grado di passare dalla luna ad un granello di sale. Non posso definirmi realista. Sono un ottimo pessimista nell’essere un pessimo ottimista.
 
È altrettante vero che, quando ami davvero qualcuno, difficilmente te la levi dalla testa. È incastonata, più della spada nella roccia.

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Capitolo 11
*** Fantasia, solo fantasia ***


Ormai sei diventata un affare di stato. È inevitabile che tutti i miei amici sappiano di te.
Ogni argomento.
Trovo sempre il modo per parlare di te.
Trovo sempre il modo di pensarti.
Questo è l’effetto che mi fai. Se solo lo sapessi…che ne dici se adesso ti chiamassi e ti dicessi tutto questo? Esordirei con “Ti amo perché…” e partirei ad elencarti i mille e più motivi. Ogni giorno. Ormai sei una costante. Come le stelle in cielo. Impossibile non vederti. Come il vento. Impossibile non sentirti. Come l’amore. Impossibile non identificarlo con te.
 
Una città non è ‘vuota’ o ‘piena’ a seconda di quante persone ci sono in giro. Per me una città è ‘piena’ se ci sei tu. Anche se ci dovessimo ritrovare da soli, senza nessuno intorno, per me sarebbe comunque la città più affollata di tutte. D’altro canto, se non ci fossi tu, sarebbe la più deserta. Anche avendo una folla intorno.
 
Una barca. La sua traiettoria fende il mare. Lo divide a metà. Lascia dietro di sé una scia. Ricordi, speranze, sogni, rimpianti. Si allargano sempre di più. E va. Più passa il tempo e più si ingrandiscono. Fino ad immedesimarsi nuovamente con le onde. Diviso a metà. Il mare. Come due destini inscindibili. Restano divisi. Un paradosso. Una vela. Trasportata dal vento. Affidare il proprio faro al caso. O ad un libro scritto. Un capitolo dopo l’altro. Un’onda dopo l’altra. L’amore, quello vero, potrebbe essere nascosto proprio lì. Alla fine del mare. All’orizzonte. Oltre quelle vele. Oltre quelle onde.
Due destini.
Divisi.
Si ritrovano.
Inevitabilmente.
Legati.
Come il mare.
 
Ci appartenevamo più di ogni altra cosa al mondo, solo che non ne eravamo ancora coscienti.

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Capitolo 12
*** Il sole e la luna, il bianco e il nero, l'inizio e la fine ***


«È il mio respiro…e non è qui».
«Mi sembra di vederti respirare anche senza di lei…».
«È il battito del mio cuore».
«Idem come prima».
«Vuoi dire che potrei vivere anche senza di lei?».
«Lo stai facendo e mi sembra che te la stia cavando benissimo!».
 
Se tu fossi qui con me ti direi che non ci sarebbe altro posto in cui vorrei essere. Se tu fossi qui con me ti accarezzerei le mani, dolcemente, così come le ali di un gabbiano accarezzano l’acqua.
Se tu fossi qui con me ti farei ridere. Sì, perché il tuo sorriso è tra le cose più belle al mondo. Così come i tuoi occhi, nascosti dietro quegli occhiali.
Se tu fossi qui con me ti direi che amo quegli occhiali. Rivedo te in qualunque altra li porti.
Se tu fossi qui con me proverei a baciarti. Giocherei le mie carte. Non farei lo stesso errore di tenere dentro quello che provo. Ma tu non sei qui con me. Purtroppo.
 
«Non sono abbastanza per lei».
«Supponi…».
«Dico, l’hai vista? È un incanto…figurati se si accontenta di uno come me…».
«L’autostima è un tuo pregio, vero?».
«Dico solo la verità…».
«Mettiamola così…lei è tutta apparenza…sotto quella facciata è molto meno di quello che ti aspetti …è lei che non merita te».
«Vorrei poterti credere…».
«Lo farai».
«E come lo sai?».
«Te ne renderai conto, un giorno o l’altro…insomma…l’hai vista due volte soltanto…a stento si ricorderà il tuo nome…come fai ad essere così innamorato?».
«Lo senti».
«Lo senti? Cosa?».
«Il colpo di fulmine».
«Il colpo di fulmine…e tu hai avuto un colpo di fulmine».
«Già».
«A me sembra soltanto di vedere un bambino che non può avere il suo giocattolo».
«Non ti seguo».
«L’hai vista…ti è piaciuta, ma, diciamocela in tutta sincerità, non eri molto convinto all’inizio…poi, appena hai visto che non potevi averla, hai cominciato ad idealizzarla…come una divinità…sono più che sicura che, se avvenisse il miracolo di metterti con lei, la lasceresti il giorno seguente…».
«Io la amo».
«Non è amore».
«Lo è».
«Dimostramelo».
«Se mi mandasse un messaggio ora e mi dicesse ‘vieni da me scalzo, in mutande, cantando Michael Jackson’, lo farei».
«E questo non è amore».
«No?».
«No».
 
Cercando il pensiero di te nello sguardo delle altre.
Ogni ciocca di capelli: te.
Ogni voce: te.
Ogni volto: te.
Ma tu non ci sei.
Vorrei poterti regalare il nostro amore e vorrei che tu, come una bambina trepidante il giorno del suo compleanno, lo aprissi e ne fossi entusiasta. Perché in fondo il tramonto c’è un po’ dappertutto, ma i tuoi occhi sono solo per chi ha la fortuna di averti accanto e poterli guardare.
 
Mi piace farti ridere.
Mi piace vederti felice.
Quando ti guardo negli occhi, il mio cuore si riempie di te.
Vorrei poterlo fare per sempre.
Sei riuscita a farmi ricordare cosa significa amare.
Mi piace vederti sorridere.
Mi piace quando mi dici stupido.
Il tuo sguardo vale più di mille orizzonti.
Vorrei poterlo vedere per sempre.
Stare con te mi fa sentire bene.
Mi piace quando mi guardi negli occhi.
Vorrei poterti dire che stai diventando la persona più importante al mondo, per me.
O forse lo sei già.
 
Il rumore attutito di una coperta nel silenzio di una camera d’albergo. La sua mano sul tuo petto.
Ho provato ad immaginare qualcosa di più bello.
Ma non c’è.
Voltarti. Guardarla dormire. Accarezzarle delicatamente i capelli.
Ho provato ad immaginare qualcosa di più bello.
Ma non c’è.
Seguire il suo respiro. Provare ad immaginare cosa stia sognando. Sentirla d’improvviso avvicinarsi ancora di più a te.
Ho provato ad immaginare qualcosa di più bello.
Ma giuro, non c’è.
 
«Smettila di amarla!».
«Vorrei…ti giuro che vorrei!».
«Quanto ancora deve farti soffrire prima di uscire dai tuoi pensieri?».
«Non ci riesco…lei è la malattia e la cura…la sconfitta e la vittoria…la fine e l’inizio».
«Ti rendi conto che la tua non è vita?».
«Questo lo so…».
«Devi dimenticarla, incontrare altre ragazze, rimuoverla per sempre dalla tua dannata testa».
«Non è facile».
«Non ho detto che lo fosse».
«Non sarei naturale, non mi sentirei coinvolto, sarebbe come se prendessi in giro la persona che ho davanti».

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Capitolo 13
*** Disillusione ***


Se la tua felicità è lontana da me ti prenoto il biglietto per l’altra parte del mondo.
 
Domande, domande, domande.
Un mondo fatto di domande dona poche sicurezze a chi vuole solo starne certo.
 
«Beh, questo non è amore».
«Non lo è?».
«No».
«E allora che cos’è?».
«Una stronza che si approfitta di un povero illuso».
«Mi manca».
«Non è vero».
«Lo è».
«Non può mancarti qualcuno che non ha avuto più di un quarto d’ora nella tua vita».
«Eppure è così».
«Hai visto troppi film romantici…».
«Sarà…ma adesso vorrei essere con lei».
«Grazie».
«Scusa…anzi, ti ringrazio di essere qui ad ascoltare le mie lagne».
«Dovere».
«Ti voglio bene».
«Ecco! Questo è vero».
«Sei la mia migliore amica».
«Lo so. Diamine quanto sei fortunato».

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Capitolo 14
*** L'individuo, quinta parte ***


Il lento procedere dell’individuo lo aveva quasi portato vicino casa, ne riusciva a vedere la struttura familiare.
Della sua anziana donna non aveva voluto conservare nemmeno una foto. L’unico modo di ricordarsi di qualcuno non era dare uno sguardo saltuario a qualche immagine impressa su una carta senz’anima. L’unico modo di portare veramente qualcuno sempre con sé è imprimerlo a fondo nella memoria. Cercare di ricordarne ogni minimo particolare, ogni singolo giorno. Così come con minuzia dei particolari un pittore dipinge un paesaggio, un ritratto, un’emozione. Si può dipingere un’emozione? O già l’atto di dipingere è esso stesso un’emozione?
 
Quando doni il tuo cuore a qualcuno, lo fai per sempre.
 
È a casa. È seduto sulla sua poltrona.
La gamba sinistra gli duole.
La colpa era solo sua. Quella bambina esigeva più d’un gelato adesso. Anzi, gli sembrava quasi che esigesse l’intera gelateria. L’individuo chiude lentamente gli occhi e intraprende il lungo viaggio, consuetudine dei suoi giorni.
Consuetudine di sempre.
Dapprima una diramazione di soffici capelli castani si materializza nella sua mente. Da essa prendono vita due cascate sincrone, speculari, ai due lati. L’individuo cercava di dipingere quel quadro con un’attenzione maniacale.
Al centro di quello scrosciare si intromette un volto. Senza fattezze. Di color salmone. Anzi no. Sorride l’individuo. Che colore bizzarro per un volto.
Prova a concentrarsi di più. Cerca di non perdere quell’abbozzo giunto alla sua mente. Ci riprova. Quel volto stavolta ha un colore più chiaro di prima. Più delicato. Come se, toccandolo, si avesse la sensazione di avere sotto i polpastrelli la cosa più dolce che potesse esistere in questo mondo. Un’amabile e vellutata pelle. Ed è proprio così. Pelle. Chiara pelle. Su di essa cominciano a prendere forma due gabbiani. Due gabbiani in volo. Forse no. Sarebbe più appropriato due corvi. Non è mai stato un appassionato di ornitologia. Ma adesso non importava. Quei due corvi dal piumaggio stranamente castano sono in volo, verso una meta lontana. Ognuno ne ha una propria.
La meta sono due pianeti scuri. Due pianeti rocciosi circondati da un mare immacolato. Due pianeti castani, anch’essi, come i corvi.
Il cuore dell’individuo comincia ad accelerare il battito. Il viaggio stava proseguendo bene. Fosse stato per lui avrebbe prenotato quanti più biglietti gli fosse possibile pur di intraprenderlo esattamente come era ora, più volte possibile. Ma sapeva fin troppo bene che proprio quel viaggio avrebbe cominciato ad avere degli intoppi in futuro. Non è il momento di pensarci, ora.
L’individuo si impone di tornare a quella tela.
Doveva tornare a quella tela.
Voleva tornare a quella tela.
Quei due occhi. Lo fissavano. Erano occhi felici. Ma, stranamente, quella felicità lo riempiva di tristezza. Era una felicità che non poteva più toccare.
Forse l’individuo doveva fermarsi. Evitare di farsi tutto quel male. Ma non ci riusciva. Come una droga.
Si impone di andare avanti.
Doveva andare avanti.
Voleva andare avanti.
Una delicata linea comincia a prendere vita su quel volto, poco al di sotto dei due pianeti. Un naso. Quel naso che adorava accarezzare. E che ora era tangibile solo in quel ritrovato ricordo. Poi, l’individuo, immagina il punto che vorrebbe tanto poter baciare un’ultima volta. Non ne era mai stato sazio, e mai ne sarebbe stato. Ma la vita lo aveva obbligato ad un digiuno eterno. Labbra. Rosee. Ah, quanto vorrei poterti baciare. Poterti toccare. Poterti guardare. Poter assaporare l’essenza della tua anima fusa con la mia.
A questo punto, consuetudine dei suoi giorni, l’individuo si ferma. E comincia a piangere. Nessuno può sentirlo. È un pianto silenzioso, colmo di dolore. È perfino più straziante di quella bambina ribelle. Questo perché quello non è un dolore fisico, al quale può cercare di opporsi con tutto sé stesso. Quello è un dolore interiore. Impossibile da debellare.
Solo il tempo. Quel tempo che molti maledicono ma che, quell’individuo, benedice giorno dopo giorno. Si piega a metà. Il dolore è troppo forte. Infine estrae un fazzoletto dalla sua tasca e si asciuga la tempesta di lacrime che ha inondato il suo viso. Consuetudine dei suoi giorni. Non dovrebbe.
Non vorrebbe.
Ma è infinitamente liberatorio.

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