Gli dei del cielo

di Bankotsu90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Soldati in marcia. ***
Capitolo 2: *** Attorno al fuoco. ***
Capitolo 3: *** Disfatta totale. ***
Capitolo 4: *** Festa grande. ***



Capitolo 1
*** Soldati in marcia. ***


Ohio, 7 luglio 1755
 
La terra tremava sotto i passi pesanti di decine di soldati, sconvolgendo la quiete del piccolo villaggio indiano. Dalle tende facevano capolino donne e bambini, un misto di curiosità e paura negli occhi; la schiera inglese avanzò fino a quello che sembrava essere il centro del villaggio, poi si fermò bruscamente su ordine del comandante, Edward Braddock, un uomo robusto dal volto rubizzo coi capelli corvini. Quest'ultimo smontò da cavallo e andò incontro al capo del villaggio, una donna anziana (che era uscita frettolosamente dal suo tepee,  per accogliere i nuovi arrivati) fissandolo con durezza; il capo, una donna anziana dall'aria fragile ma dallo sguardo deciso, gli parlò in Irochese con voce rispettosa ma non umile; era chiaro che non intendeva lasciarsi intimidire. Braddock allora si rivolse a un suo tenente, Thomas Gage, che era originario del Sussex e comprendeva la lingua di quella gente:
 
 "Che cos'ha detto?"
 
"Vi ha porto il suo saluto e vi ha chiesto che cosa vi porta in questo luogo, signore. Che cosa volete che gli dica?"
 
Il comandante squadrò la vecchia, poi parlò con voce dura:
 
"Digli che sono qui in cerca di informazioni sui popoli che abitano questa zona, specialmente quelli che dimorano al di là di queste montagne di fronte a noi; in particolare voglio sapere quali di questi popoli nutrono sentimenti ostili nei confronti degli inglesi. Digli anche che non ho tempo da perdere!"
 
Gage  tradusse, e la Irochese rispose con lo stesso tono gentile, accompagnato però da una nota di ammonimento:
 
"Dice di non poterci aiutare, poiché il suo è un villaggio piccolo e poco importante che raramente intrattiene rapporti con le comunità vicine. Però ci ha dato un avvertimento: se teniamo alle nostre vite non dobbiamo oltrepassare quei monti, poiché nel farlo scateneremmo la collera degli dei del cielo.”
 
“Dei del cielo?”
 
“Sì. Giunsero qui in volo in tempi remoti, esplorarono la regione e poi se ne andarono; ma ogni tanto tornano… Prima erano tre, ma ora solo due.”
 
Braddock contrasse il volto in una smorfia di pura rabbia:
 
“Vecchia pazza! Pensi dunque di prendermi in giro con queste fantasie? Ti sembro forse un imbecille?? Dimmi subito ciò che sai se tieni alla tua lurida pelle!”
 
Sfoderò la pistola e la puntò alla fronte della donna, che sussultò ma rimase in silenzio. Il comandante inglese stava già per spararle, ma una voce lo fermò.
 
“Aspettate un momento signore! Non credo sia necessario ucciderla!"
 
Braddock si voltò.
 
A parlare era stato George Washington, suo aiutante di campo, un uomo sobrio, calmo e riflessivo che godeva di grande rispetto tra gli uomini ed era noto per la sua misericordia. Braddock lo guardò freddamente:
 
"Resta al tuo posto , Washington. Non possiamo permetterci di essere teneri con questi selvaggi; la Francia sta stringendo alleanze con le tribù locali in funzione anti-inglese. Siamo stati mandati qui per prendere Fort Duquesne, a pochi giorni da qui e per farlo abbiamo bisogno di tutte le informazioni possibili; dunque non contraddirmi più e pensa solo al tuo dovere, che è quello di servire l’Inghilterra!" Detto ciò si rivolse nuovamente all'anziana:
 
 "Ascoltami bene selvaggia, perché te lo ripeterò una volta sola; se non mi dirai la verità ucciderò tutta la tua gente e raderò al suolo quest'ammasso di tende! " Gage tradusse e la Irochese  impallidì.
 
Ogni traccia di determinazione svanì dai suoi occhi. Cadde in ginocchio ai piedi di Braddock e iniziò a proferire suppliche con voce tremante.
 
"Come avrete già intuito, vi scongiura di non attuare la vostra minaccia.”
 
 Disse Gage con un mezzo sorriso.  
 
“E vi assicura che non sa chi o che cosa si nasconda dietro quelle montagne; sa solo che , qualunque cosa sia, è estremamente pericoloso."
 
 Il comandante inglese fissò la vecchia per un lungo istante. Sembrava indeciso sul da farsi. Alla fine disse:
 
"Sei fortunata, selvaggia... il mio istinto mi dice che non stai mentendo... lo leggo nei tuoi occhi terrorizzati. Puoi smettere di tremare come una lepre. Non ti ucciderò."
 
 Poi rimontò a cavallo e si rivolse alla truppa:
 
 "Andiamo, uomini! Raggiungeremo Fort Duquesne e lo espugneremo!"
 
Un grido d'assenso più o meno convinto si levò dalla truppa che si mise in marcia, lasciando il villaggio e dirigendosi verso le oscure e nebbiose montagne che gli si paravano davanti.
 
*******
Nello stesso momento, in un luogo imprecisato, alcune figure stavano osservando i soldati in marcia.
 
“Caro, vecchio Eddie… Non è cambiato affatto dai tempo dell’assedio di Bergen op Zoom.” Commentò una voce femminile.
 
“Avete visto il suo comportamento? Non avrebbe esitato un solo istante a uccidere quella donna se Washington non fosse intervenuto.” Commentò un’altra voce di donna.
 
“Secondo te perché lo hanno soprannominato Bulldog? È un cane feroce, che uccide senza fare distinzioni tra amici e nemici, militari o civili.” Intervenne una voce maschile.
 
“Esatto, figliolo. Ed è per questa ragione che non possiamo lasciarlo vivere. Alla prima occasione lo uccideremo.”
 
“Avete già un piano, madre?”
 
“Te lo spiegherò al momento opportuno…”

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Capitolo 2
*** Attorno al fuoco. ***


8 luglio
 
Il giorno dopo stavano già salendo lungo le ripide pendici montuose, dopo essersi lasciati alle spalle la vasta pianura dove sorgeva il villaggio irochese; i soldati marciavano in fila per quattro, armati fino ai denti e pronti a tutto, con i cavalieri che li proteggevano sui fianchi. Ma per il momento non v'era alcun segno di pericolo. Tutto sembrava tranquillo. Nonostante ciò Washington, che camminava tra le prime file, era inquieto. Da tutto il giorno era perseguitato da una strana sensazione... come se qualcuno li osservasse. Ma ogni volta che si guardava intorno non vedeva nulla di strano... era tutto tranquillo... troppo tranquillo; i boschi che li attorniavano erano pervasi da una calma quasi innaturale, resa ancor più inquietante dalla nebbia.
 
Forse mi sto solo facendo suggestionare.
 
Pensò, e volse lo sguardo al resto della truppa; in tutto erano 2100 uomini, tra regolari e milizie; inoltre trasportavano 10 cannoni. Una cosa era certa: con un simile schieramento Fort Duquesne non aveva scampo, avrebbe senza dubbio capitolato. Poi guardò accanto a sé e vide Braddock; cavalcava leggermente distanziato dal resto della truppa, con aria impettita. Per il suo atteggiamento estremamente aggressivo era stato soprannominato il bulldog. Era irascibile, autoritario e spietato. Di recente aveva ucciso un subalterno solo perché aveva contestato un suo comando. E a causa di ciò i soldati lo temevano, quando non lo odiavano.  Improvvisamente questi disse:
 
“Di certo molti si chiedono perché ci spingiamo tanto a ovest. Sono lande selvagge, e anche ribelli e incivili. Ma non lo resteranno a lungo. A breve, i possedimenti non basteranno più. E quel giorno è sempre più vicino. Dobbiamo garantire al nostro popolo spazio per crescere e prosperare. Questo significa che ci occorre terra! I francesi lo capiscono, e cercano di arginare la conquista. Circondano il nostro territorio, erigono forti e stringono alleanze, in attesa del giorno in cui ci strangoleranno col loro bel cappio. Questo non deve accadere! Dobbiamo segar la coda e cacciarli via! Ecco perché lottiamo. Per metterli di fronte ad una scelta: devono fuggire o morire! Dico bene, colonnello Washington?”
 
“Sissignore.” Rispose il diretto interessato.
 
*******
Poco più indietro, Thomas Gage si guardava intorno con circospezione.
 
“Che hai, Thomas? Ti vedo teso.” Gli chiese il tenente John Fraser.
 
“Dovresti esserlo anche tu… Ci troviamo in una zona isolata, per giunta avvolta dalla nebbia. L’ideale per un’imboscata.”
 
“Beh, quel tale di Boston… Come si chiamava?”
 
“Benjamin Franklin.”
 
“Franklin aveva avvisato il comandante Braddock sulla possibilità di una imboscata da parte delle truppe francesi.”
 
“Non sono i francesi a preoccuparmi… Siamo abbastanza numerosi da respingere ogni agguato.” Intervenne Charles Lee.
 
“E allora cosa ti angustia?”
 
“Quella storia degli dei del cielo…”
 
Si guardò intorno, inquieto.
 
Gage lo guardò beffardo.
 
“Non mi dirai che credi a quella sciocca leggenda?.”
 
“Beh, quella vecchia irochese sembrava intimorita solo a nominarli.”
 
“Viviamo nell'età dei lumi, Lee… Il Medioevo è finito da un pezzo. Nemmeno i bambini credono a queste favole. Dobbiamo preoccuparci dei francesi e dei loro alleati nativi, non di illusioni.”
 
“Thomas ha ragione… Il tragitto verso Fort Duquesne è lungo, e rischiamo di subire imboscate da parte del nemico.” Convenne Fraser.
 
Lee preferì non replicare, non ci teneva a diventare lo zimbello dei suoi commilitoni… Per non parlare di Braddock, che sicuramente non avrebbe tollerato certi atteggiamenti superstiziosi.
 
*******
Nello stesso momento, a Fort Duquesne, il comandante del forte Daniel Liénard de Beaujeu era seduto nel suo studio, quando improvvisamente qualcuno bussò alla porta.
 
“Avanti!”
 
“Scusi il disturbo, comandante, ma alcune persone desiderano vedervi.” Lo informò un soldato.
 
“Chi sono?”
 
“Inviati del governatore generale Pierre de Rigaud.”
 
“Falli entrare.”
 
“Subito.”
 
Il soldato si eclissò per poi tornare dopo pochi minuti in compagnia di due donne, una con lunghi capelli bianchi e occhi dorati e l’altra con lunghi capelli azzurri e occhi blu.
 
“Ho il piacere di parlare con Daniel Liénard?” Chiese la prima.
 
“In persona, madame.”
 
“Io mi chiamo Seiya, e sono un’inviata del governatore. Sono qui per portarvi un messaggio della massima urgenza.”
 
Daniel squadrò da capo a piedi le due straniere, poi disse:
 
“Per essere francesi avete un aspetto anomalo, nonostante la padronanza perfetta della lingua.”
 
“Infatti siamo giapponesi.”
 
“Credevo che il Sol Levante avesse proibito ai suoi cittadini di lasciare l’arcipelago.”
 
“Lo abbiamo abbandonato da tempo, monsieur. Abbiamo intrapreso un lungo viaggio attraverso l’Asia fino ad Istanbul. Lì ci siamo imbarcate per Napoli. Abbiamo risalito la penisola e abbiamo raggiunto la Francia, dove ci siamo messe al servizio di re Luigi, che ci ha inviate qui nel Nuovo Mondo in qualità di interpreti e messaggere. Le nostre conoscenze geografiche e linguistiche sarebbero state molto utili.”
 
“Tres bien.. Ma ora riferitemi il messaggio.”
 
“Il forte è in grave pericolo. Gli inglesi marciano in questa direzione e intendono espugnarlo.”
 
“In quanti sono?”
 
“Più di 2000, comandati dal generale Edward Braddock.”
 
A quelle notizie l’uomo si rabbuiò.
 
“Allora siamo spacciati. Qui ho solo 250 soldati regolari più 640 alleati nativi per un totale di 890 uomini.”
 
“Non è detto.”
 
“Come sarebbe a dire? Il forte è indifendibile, gli inglesi potrebbero distruggerlo semplicemente soffiando!”
 
“No, se giocheremo bene le nostre carte.”
 
“Che diamine intendete?”
 
“Che dobbiamo colpire per primi.”
 
“E in che modo? Non mi dica tramite un attacco frontale, sarebbe una follia oltre che un suicidio.”
 
“No, tendendo loro un agguato nei pressi del fiume Monohangela. È a 16 chilometri a sud di qui.”
 
“Non abbiamo forze sufficienti per difendere il forte, figuriamoci per tendere una imboscata!”
 
“Lasci fare a me e le garantisco che le servirò la vittoria su un piatto d’argento. Ma a tale scopo ho bisogno di tutte le truppe dislocate qui.”
 
Daniel la guardò come se fosse impazzita e sbuffò:
 
“Anche se la proposta mi sembra un suicidio non ho altra scelta che accettare.”
 
Seiya sorrise soddisfatta.
 
“Bene.”
 
******
Giunse la sera, e Braddock diede ordine di fermarsi e di predisporsi per la notte. Tutti si misero al lavoro per montare l'accampamento e preparare il pasto serale. In meno di un'ora l'oscurità avvolse ogni cosa come un manto nero; l'unica luce proveniva dall'accampamento inglese, dove i soldati si erano riuniti in piccoli gruppi intorno ai fuochi di bivacco per riscaldarsi e mangiare. Ai limiti del campo numerose sentinelle montavano la guardia, pronte a dare l'allarme in caso di attacco improvviso. Ma era ancora tutto tranquillo. Washington era seduto presso uno dei fuochi insieme ad alcuni suoi commilitoni e in quel momento stava ascoltando il racconto di un certo Haytham Kenway, il quale narrava dell’incontro che aveva avuto con una Mohawk dal nome impronunciabile a Boston.
 
“Stavo sorseggiando una birra al Green Dragon, quando all'improvviso vedo entrare una donna indiana…  Una bella donna, con una espressione fiera e spavalda in volto.  E non ero l’unico, un altro paio di avventori l’aveva notata, lanciandole apprezzamenti o occhiate lascive. Lei si si dirige al banco e si siede accanto a me. Io le offro una birra, giusto per attaccare bottone. Il barista riempie un boccale e glielo porge. Lei mi ringrazia, io le chiedo il suo nome… È così strano che neanche lo ricordo. Chiacchieriamo un po’, tra un sorso e l’altro… Sapete, parla correttamente inglese. Mi chiedo dove l’abbia imparato. Discutiamo un po’, poi le chiedo se le va di farsi un giro e…”
 
“Ti manda in bianco!” Intervenne Lee, suscitando le risate dei presenti.
 
“Già… Mi è andata buca.”
 
“Braddock non sarebbe contento di sapere che ci hai provato con una selvaggia.” Commentò Gage, serio.
 
“Non sarai tu a dirglielo, spero. Si tratta di un abbordaggio finito male, niente di più.”
 
“Fortunatamente per te non ho la lingua lunga.”
 
“Manca ancora molto per Fort Duquesne?” Domandò Fraser.
 
“No… Siamo vicini.” Gli rispose Washington.
 
“È  tutto troppo tranquillo… Siamo a poca distanza dal forte e non abbiamo subito neanche un’imboscata.”
 
“Sta’ zitto, Kenway… Rischi di portare male con le tue parole funeste.”
 
“Superstizioso come sempre, eh Gibbs?”
 
“Beh, meglio superstizioso che iettatore! L’ho imparato quand'ero un lupo di mare, a bordo della Perla Nera…”
 
Ecco che ricomincia!
 
Pensò Gage.
 
Prima di unirsi alle giubbe rosse Gibbs aveva militato nella Royal Navy, prestando servizio nei Caraibi agli ordini del capitano Alexander Smollet, incaricato dalla corona di debellare la pirateria in quella zona (fatta eccezione per i corsari che per conto dell’Inghilterra depredavano le navi francesi e spagnole). In seguito a un imprecisato evento denominato Incidente dell’isla de muerta   si era trasferito a Boston, arruolandosi nel reggimento di Braddock. Di norma e regola Gibbs non parlava mai dell’incidente suddetto e se qualcuno gli faceva domande in merito si chiudeva a riccio, rifiutandosi di rispondere. Solo una volta, quando era ubriaco, gli aveva sentito farfugliare qualcosa riguardo quell'evento, dicendo le testuali parole:
 
“Ho visto un lampo dal cielo… Poi lui è venuto giù… E ha iniziato ad ammazzare tutti!”
 
Ma chi fosse il lui di cui parlava restava un mistero. Una volta tornato sobrio aveva provato a domandarglielo e lui aveva risposto di non dare credito ai suoi vaneggiamenti. Aveva anche cercato di informarsi negli archivi della marina di Londra, ma non esistevano documenti riguardanti l’incidente di Isla de Muerta. Era come se non fosse mai avvenuto. Aveva poi cercato di recarsi sull'isola ma essa era sprofondata in mare tempo prima, portando i suoi segreti negli abissi.
 
“Risparmia il fiato, Gibbs… Conosciamo i tuoi trascorsi nei Caraibi, ce l’avrai narrato un miliardo di volte.” Intervenne Lee.
 
Gibbs lo guardò sprezzante.
 
“Sentirselo raccontare non è come averlo vissuto. Tu non capirai mai cosa ho visto…”
 
“Già, non lo capirò mai.”
 
Fece per bere un sorso d’acqua dalla borraccia ma improvvisamente una strana sensazione lo mise in allarme. Si voltò, osservando incerto la boscaglia circostante.
 
“E adesso che ti prende?” Gli chiese Washington, notando il suo comportamento.
 
“Per un attimo mi è sembrato di percepire una presenza qui vicino.”
 
Fraser guardò il punto indicato da Lee, poi disse:
 
“Sarà qualche animale… Queste terre ne sono piene.”
 
“E se fosse qualche spia francese?”
 
“Impossibile, le sentinelle avrebbero dato l’allarme.”
 
“Washington ha ragione, i nostri soldati fanno buona guardia.” Gli diede manforte Gage.
 
Confortato dalle parole dei suoi commilitoni, Lee si rilassò e bevette un sorso d’acqua.
 
“A proposito, dov'è il generale Braddock?” Domandò Haytam.
 
“Sarà nella sua tenda, a preparare i piani di conquista di Fort Duquesne.”  Gli rispose Gage.
 
“Si comporta come se avessimo la vittoria in pugno.” Commentò Washington.
 
“La abbiamo in pugno, George… Noi siamo 2000, loro meno di 900.”
 
“Alle Termopili gli spartani  erano 300 contro un milione persiani e li hanno tenuti in scacco per 3 giorni.”
 
“Ma alla fine sono stati sopraffatti.”
 
“Hanno perso una battaglia, ma Serse ha perso la guerra.”
 
“Dubitate della nostra vittoria, colonnello?” Chiese all'improvviso una voce conosciuta.
 
Tutti alzarono lo sguardo e videro Braddock che li fissava severo.
 
“Nossignore. Sto solo dicendo che dovremmo essere prudenti… Non si scuoia l’orso prima di averlo ucciso.”
 
“L’Inghilterra non è diventata un impero grazie alla prudenza, ma alla sua forza militare e all'intraprendenza dei suoi leader! Vi assicuro che entro domani prenderemo Fort Duquesne, con o senza di voi! Sono stato chiaro?”
 
“Sissignore.”
 
“Bene! Allora può anche gettare alle ortiche la paura!” Detto questo si allontanò.
 
“Ti è andata bene che fosse di buon umore, George… In caso contrario saresti stato spacciato.”
 
“Già, Thomas… Ricordi il povero Norrington?”
 
“Certo che lo ricordo… Si è beccato una pallottola in  testa per averlo smentito.”
 
“In futuro sarò più prudente.”
 
*******
Mentre i soldati discutevano, a pochi passi da loro una ragazza dai capelli corti rossi e dagli occhi dello stesso colore era posizionata in cima a un albero e li osservava.
 
Si fanno sempre più vicini… Devo avvertire la somma Seiya!
 
Pensò.

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Capitolo 3
*** Disfatta totale. ***


9 luglio
 
Tutto era pronto per l’imboscata: gli uomini erano posizionati e pronti ad attaccare, attendevano solo l’ordine di Seiya. Quest’ultima si aggirava fra gli alberi  in compagnia di Daniel quando venne raggiunta da un esploratore Mohawk che le disse qualcosa che il francese non comprese.
 
“Che ha detto?” Le chiese.
 
“Stanno arrivando.” Rispose lei.
 
“Ne è sicura?”
 
“Sì. Conosco bene la loro lingua.”
 
Strano, per una che è giunta qui da poco tempo, per quanto ne so.
 
“Mi tolga una curiosità, sono suoi amici quelli?” Chiese, indicando un gruppetto di persone composto da  7 individui (tre maschi e quattro femmine).
 
“Esatto.”
 
“Sanno battersi?”
 
“Esatto, li considero i miei guerrieri scelti. Mio figlio, Sesshomaru, è uno di loro.”
 
“Comincio a pensare che lei non sia una semplice messaggera.”
 
“Pensi a prepararsi per la battaglia, piuttosto.”
 
“Con tutto il rispetto, madame Seiya, lo considero un suicidio. 890 uomini non possono tenere testa a 2000 nemici.”
 
“Primo errore: Leonida e i suoi trecento spartani tennero testa a 300.000 persiani per tre giorni, prima di soccombere. Secondo: i nemici sono 1300, Braddock ha diviso la sua armata in due, lasciando indietro 800 soldati. Me lo ha riferito una mia spia.”
 
“Ne è sicura?”
 
“Le mie spie non mentono né errano mai.”
 
“Capisco.”
 
Il comandante francese rifletté per qualche istante, poi chiese:
 
“Lei ha detto che i persiani erano 300.000 ma in realtà erano un milione.”
 
Seiya scosse la testa.
 
“Erano 300.000, la cifra fu successivamente gonfiata dallo storico Erodoto per accrescere il trionfo greco.”
 
“Ma ne è sicura?”
 
“Se non lo io, che assistetti in prima persona alla battaglia…”
 
Daniel la guardò stranito, poi disse:
 
“Lei è troppo giovane per avervi assistito… Per averlo fatto dovrebbe avere più di 2000 anni.”
 
“Cambiando discorso, vorrei chiederle un favore.”
 
“Se posso… Dica.”
 
“Ordini ai suoi soldati di mantenere la calma, qualsiasi cosa succeda. È chiaro?”
 
“Oui, madame.”
 
“Bene.”
 
La donna gettò una occhiata alla valle del Monongahela.
 
Tempo pochi minuti e arriveranno.
 
Pensò.
 
Infatti, dopo poco, vide emergere dal limite degli alberi ai piedi della collina i soldati di Braddock; non una pattuglia o un gruppo di esploratori, ma un intero reggimento armato fino ai denti. In testa c’erano gli ufficiali a cavallo, poi i tamburini e i bandisti, seguiti dalle truppe a piedi, quindi i facchini e i servitori dell’accampamento che sorvegliavano i carri con le vettovaglie. L’intera colonna si stendeva fin quasi dove arrivava lo sguardo. E, alla testa del reggimento, il generale in persona che dondolava dolcemente al ritmo del suo cavallo, il fiato gelido che annebbiava l’aria davanti a lui, con George Washington al suo fianco. Dietro gli ufficiali i tamburini mantenevano un rullo costante, di cui gli uomini in agguato furono eternamente grati, perché tra gli alberi c’erano cecchini francesi e indiani. Sull'altura c’erano gruppi di uomini in attesa del segnale d’attacco: un centinaio o più di uomini che aspettava di far scattare l’imboscata; un centinaio di uomini che trattenne il respiro, quando, all'improvviso, il generale Braddock alzò una mano, un ufficiale urlò un ordine, i tamburi tacquero e il reggimento si arrestò, con i cavalli che nitrivano e starnutivano, pestando il terreno gelato e coperto di neve, il silenzio che calava pian piano sull'intera colonna, una calma misteriosa. Nel luogo dell’imboscata tutti trattennero il respiro, e si chiesero se non fossero stati scoperti. Seiya deglutì e lanciò una occhiata ai suoi sottoposti, in particolare a suo figlio.
 
Preparatevi al peggio.
 
Sembrava dire il suo sguardo.
 
*******
George Washington guardò Braddock, poi dietro di sé, dove il resto della colonna, ufficiali, soldati e servitori stava aspettando ansioso, e infine riportò lo sguardo su Braddock. Si schiarì la voce.
 
“Tutto a posto, signore?” Domandò.
 
Braddock trasse un profondo respiro.
 
“Stavo semplicemente assaporando il momento…” Rispose.
 
Poi aggiunse:
 
“Presto marceremo vittoriosi su Fort Duquesne e lo raderemo al suolo… i francesi si pentiranno amaramente di aver tentato di bloccare la nostra espansione a Ovest!” Affermò, orgoglioso.
 
*****
Sei sempre lo stesso, eh Eddie? La vecchiaia non ti ha ammorbidito affatto…
 
Pensò Seiya.
 
“Tenetevi pronti!” Annunciò.
 
******
Il reggimento, a poco meno di trecento metri di distanza, riprese a muoversi con un frastuono simile a quello di un temporale in avvicinamento, i tamburi ripresero a suonare e gli indiani sfruttarono l’improvviso fracasso come copertura per spostarsi nel bosco, approntando l’imboscata.
 
*******
“I Francesi sanno di essere deboli su tutti i fronti, e così si sono alleati ai selvaggi che abitano questi boschi. Poco più che animali… Dormono sugli alberi, collezionano scalpi e addirittura mangiano i loro morti. La clemenza è fin troppo per loro… Non risparmiatene neppure uno!” Ordinò Braddock, duro.
 
“Signore, quelle sono solo storie. I nativi che ho conosciuto non fanno nulla di simile.” Gli rispose un suo ufficiale.
 
“Mi state dando del bugiardo?” Domandò furioso, girandosi di colpo.
 
“Mi sono confuso, scusi.”
 
Per tutta risposta Braddock sfoderò la pistola e gli sparò in faccia. L’uomo cadde da cavallo, esanime. Lo sparo fece alzare in volo alcuni uccelli che stavano lì vicino e la colonna si fermò, con gli uomini che toglievano i moschetti dalle spalle e puntavano le armi, pensando di essere stati attaccati. Rimasero all'erta per alcuni momenti, poi arrivò l’ordine di abbassare la guardia e una voce filtrò fino a loro, un messaggio consegnato sottovoce: il generale aveva appena ucciso un ufficiale.
 
“Generale!” Esclamò Washington, sconvolto da quanto aveva appena assistito.
 
 Braddock si voltò verso di lui e per un attimo Washington si chiese se non stesse per ricevere lo stesso trattamento.
 
Dio del cielo, George! Hai deciso di suicidarti?
 
Pensò Gage, nervoso.
 
“Non tollero dubbi tra coloro che comando, né comprensione per il nemico! Non ho tempo per insubordinazioni!” Tuonò Braddock.
 
“Nessuno nega che abbia sbagliato, signore. Solo…” Provò a ribattere Washington ma fu interrotto.
 
“Ha pagato il suo tradimento, come tutti i traditori! Quando vinceremo questa guerra contro i Francesi sarà grazie a uomini come voi, che obbediscono a uomini come me e lo fanno senza esitare. L’ordine deve regnare fra le nostre fila e deve esserci una netta catena di comando. Capi e seguaci. Senza una simile struttura non può esserci vittoria, mi sono spiegato?”
 
Washington annuì, distogliendo però rapidamente gli occhi, tenendo per sé i suoi veri sentimenti, poi, quando la colonna riprese la sua marcia, si allontanò dalla prima linea con la scusa di doversi occupare di altro.
 
Cristo… Ogni giorno diventa sempre più brutale!
 
Pensò, inorridito.
 
*****
Seiya alzò il braccio destro, pronta a ordinare l’attacco.
 
Quella era l’ultima tua carognata, Eddie… Te lo garantisco!
 
Pensato questo abbassò il braccio gridando:
 
“ORA!”
 
I francesi partirono all'assalto, mentre gli indiani iniziarono a scagliare frecce su frecce. Contemporaneamente Sesshomaru, Toran, Karan, Shuran, Hiten, Yura, Shunran e la stessa Seiya partirono all'attacco, dilaniando, fulminando, incenerendo, stordendo e ghiacciando qualsiasi soldato inglese si parasse loro davanti. Daniel non credeva ai suoi occhi, era come paralizzato dallo stupore.
 
“Ha visto che fanno?” Gli chiese uno dei suoi ufficiali.
 
Lui non rispose, e un solo pensiero gli attraversava la mente:
 
Mon Dieu…
 
******
Nel giro di pochi minuti gli inglesi, sebbene numericamente superiori, so ritrovarono in difficoltà; non erano i francesi e i loro alleati nativi il problema ma quel gruppetto di strani individui che sembravano dotati di capacità sovrannaturali. La loro situazione peggiorò notevolmente quando un ragazzo con lunghi capelli neri legati in una treccia e occhi rossi armato di una lancia apparve nel cielo sopra di loro e scagliò dei raggi e dei globi luminosi sia dalla sua arma che dalla bocca mietendo numerose vittime.
 
******
Gibbs aveva appena sventrato un soldato francese quando, alzando gli occhi al cielo, vide ciò che Hiten stava facendo. Nel vederlo per poco non gli venne un infarto. Si fermò nel bel mezzo della battaglia, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata in una espressione di sgomento misto a terrore.
 
Ancora lui…
 
Pensò spaventato, per poi gettare a terra la sua spada e darsi a una fuga precipitosa.
 
E adesso dove scappa quel pazzo incosciente? Vuole forse finire sul patibolo come disertore?
 
Si chiese Charles Lee mentre sparava a un soldato francese.
 
Ma Gibbs non era il solo: anche Braddock, vista la mala parata, dopo qualche secondo spronò il cavallo e si diede a sua volta alla fuga.
 
Quel bastardo sta scappando!
 
Pensò Seiya allarmata, per poi rivolgersi al figlio:
 
“Sesshomaru! Braddock sta scappando! Non devi permetterglielo!”
 
“Sì, madre!”
 
Detto questo egli assunse la sua forma canina e si lanciò all'inseguimento, seminando il terrore nel campo di battaglia.
 
********
Che cos'è quello?
 
Si chiese Gage, sbigottito da quella orrenda visione… Un cane gigantesco dagli occhi color sangue e dall'aspetto feroce che si faceva strada tra i due eserciti in lotta.
 
Alcune giubbe rosse spararono contro la bestia, mancando però il bersaglio.
 
******
Devo muovermi anche io… Per assistere in prima persona alla fine di quel grosso maiale in uniforme!
 
Pensò Seiya, mentre si avviava nella stessa direzione dove si erano diretti il suo bersaglio e suo figlio, superando indiani e francesi che si stavano precipitando giù per la collina verso la colonna.
 
*****
Sesshomaru vide frecce piovere su Braddock, senza però colpire il bersaglio; poi furono fatte scattare le trappole piazzate dai francesi: un carretto carico di polvere da sparo scagliato contro i nemici disperse alcuni fucilieri per poi esplodere, causando la fuga di cavalli privi di cavalieri mentre dall'alto i cecchini indiani colpivano i soldati spaventati e disorientati. Braddock continuò a correre fino a quando l’inu yokai non lo colpì con una musata, disarcionandolo e scagliandolo in aria con un urlo. Il bulldog rovinò a terra, tentò di rialzarsi per fuggire  ma si era rotto una gamba. Sfoderò la pistola e sparò contro il demone, facendogli però il solletico. Questi si posizionò sopra di lui, tenendolo fermo con una zampa e facendogli un male del diavolo. Dopo pochi minuti giunse anche Seiya, la quale lo fissava beffarda.
 
“Da quando siete diventato un codardo, Eddie?” Gli chiese.
 
“Che cosa volete?” Chiese, dolorante.
 
“8 anni fa voi e i vostri uomini avete sterminato un’intera famiglia… 7 persone innocenti uccise barbaramente.”
 
“Me lo dite a voi che ve ne importa?”
 
“Moltissimo… Se c’è una cosa che non sopporto sono i sanguinari come voi.”
 
“Ma chi siete?”
 
“Può chiamarci gli dei del cielo, come ci hanno ribattezzato i nativi.”
 
“Allora siete reali!”
 
“Certo, ma non siamo dei. Siamo demoni, originari del Giappone.”
 
Braddock sorrise amaramente.
 
“I piani alti mi avevano avvisato della possibilità di strani incontri in America… Ma non ci avevo creduto.”
 
“Errore fatale… Che ora pagherete con la vita.” Affermò la yasha.
 
All'improvviso però uno sparo seguito da un dolore lancinante alla spalla sinistra la mise in allarme. Si voltò e vide George Washington a cavallo, che la teneva sotto tiro col suo moschetto.
 
Ci mancava anche questa…
 
Pensò, scocciata.
 
“Sesshomaru, occupati di Braddock! Io penso a Washington!”
 
Detto questo  sferrò un attacco con la sua frusta velenosa contro il cavallo di Washington, così l’uomo cadde a terra. Tentò di rialzarsi e di raccogliere il fucile ma la yasha lo raggiunse in pochi passi e gli sferrò un calcio nel fianco.
 
“Sta’ giù!”  Gli intimò.
 
Dopo pochi istanti un urlo agghiacciante risuonò nell'aria: Sesshomaru aveva ucciso Braddock con un poderoso morso, maciullandolo. Seiya sorrise soddisfatta, si tolse il proiettile dalla spalla, guarì la ferita, poi si rivolse a Washington:
 
“Perché tentare di salvare un mostro come Braddock, che non esitava a eliminare i suoi stessi soldati? Voi  stesso siete stato testimone delle atrocità da lui commesse!”
 
“Era pur sempre un mio superiore, per quanto detestabile e disumano! Era mio dovere proteggerlo!”
 
“Ligio al dovere, vedo… Ma tale attaccamento vi risulterà fatale.” Fece per colpirlo ma una voce conosciuta la fermò.
 
“Non fatelo, madre… Il nostro obiettivo era uccidere Braddock, e lo abbiamo fatto.” Era Sesshomaru, che aveva riassunto forma umana.
 
“Lo so, figliolo. Ma sai anche che non possiamo lasciare in giro testimoni scomodi. L’esistenza della nostra specie deve rimanere un segreto.”
 
“Non possiamo neanche abbassarci al livello di Braddock.”
 
“E allora cosa proponi?”
 
“Lasciarlo andare.”
 
“Che assurdità!”
 
“Anche se dovesse raccontare quello che ha visto stai certa che nessuno gli crederà mai.”
 
Seiya guardò suo figlio, poi Washington. Rimuginò per qualche minuto, poi  si decise.
 
“Alzatevi!” Ordinò.
 
Seppur recalcitrante l’uomo obbedì.
 
“Ringraziate mio figlio, che ha fermato la mia mano. In caso contrario avreste seguito il vostro generale nella morte.”
 
“Ne sono consapevole.”
 
“Se volete un consiglio,  non racconti in giro quanto ha visto. Otterrebbe solo derisioni o peggio.”
 
“Sono consapevole anche di questo.” Ammise a malincuore Washington.
 
“Madre, avete sentito?”
 
“Cosa, Sesshomaru?”
 
“Nulla, è questo il punto.”
 
Concentrandosi, Seiya si accorse che era vero: i rumori della battaglia (grida, nitriti e spari) erano cessati.
 
“Evidentemente lo scontro è finito.” Affermò.
 
“E chi sarà il vincitore?”
 
“Domanda superflua, figliolo.”
 
Infatti dopo circa un quarto d’ora il terzetto venne raggiunto da Toran e Karan, entrambe con una espressione trionfale in volto.
 
“Gli inglesi sono in fuga, Seiya-sama.” Affermò la yasha del ghiaccio.
 
“Quanti ne sono rimasti in vita?”
 
“Circa una ventina, tutti gli altri sono carne morta. Avreste dovuto vederli, somma Seiya! Scappavano come conigli!” Rispose Karan.
 
“I francesi e i loro alleati indiani?”
 
“Stanno ancora festeggiando la vittoria. A proposito, dov’è Braddock?”
 
“Morto, Toran.... Per mia stessa mano.” Rispose Sesshomaru.
 
“E di lui che intendete fare?” Domandò Karan, indicando Washington.
 
L’uomo iniziò a sudare freddo e a temere per la sua vita; anche se Sesshomaru e sua madre avevano accettato di risparmiarlo le nuove arrivate (dei, demoni o qualunque cosa fossero) potevano spezzare la sua vita in un istante.
 
“Semplice… Colonnello Washington!”
 
“Sì?”
 
“Ci sono altri 800 soldati inglesi, giusto?”
 
“Sì, ma sono rimasti indietro.”
 
“Li raggiunga, comunichi loro che Braddock è morto e che la spedizione è fallita. Assuma il comando e ordini di tornare indietro.”
 
Washington deglutì.
 
Non ho altra scelta… Le nostre forze militari possono tenere testa a francesi e indigeni ma non a queste… Creature.
 
Pensò, intimorito.
 
“Va bene.”
 
Seiya sorrise.
 
“Ora vada.”
 
Washington esitò per qualche istante, poi inizio a camminare e infine a correre. Ora voleva solo allontanarsi il più in fretta possibile da lì.
 
“Ora cosa facciamo, Seiya-sama?” Le chiese Toran.
 
“Torniamo a Fort Duquesne, insieme ai nostri amici francesi.”
 
“Sissignora. E per quanto riguarda il corpo del generale Braddock?”
 
“Cibo per i corvi.”
 
Detto questo la donna si avviò, seguita a ruota dai suoi complici. 

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Capitolo 4
*** Festa grande. ***


Washington corse più veloce che poteva… Senza mai fermarsi, per un tempo non misurabile. Non aveva mai provato tanta paura in vita sua. Ad un certo punto inciampò contro alcune radici scoperte di una sequoia e finì faccia a terra.
 
Devo raggiungere il reggimento rimasto, prima che si imbatta in quei mostri!
 
Pensò, atterrito.
 
Fece per rialzarsi ma una voce lo bloccò.
 
“George! Sei tu?”
 
Si voltò e vide, a poca distanza da lui, un gruppetto commilitoni raccolti attorno a un fuoco. Tra essi riconobbe Thomas Gage, Charles Lee, Haytam Kenway, Gibbs e John Fraser.
 
“Temevo di essere l’ultimo rimasto!” Affermò, tirando di essere un sospiro di sollievo.
 
“In effetti siamo rimasti in pochi… Anzi, forse solo noi.” Disse Lee, scuro in volto.
 
“Dov'è il generale Braddock?” Domandò Kenway.
 
“Morto.” Rispose Washington.
 
“È stato quel cane mastodontico, giusto? Ho visto che correva nella stessa direzione in cui era fuggito il generale.”
 
“Esatto, Thomas. Gli dei del cielo non sono solo una leggenda, esistono davvero. E noi li abbiamo visti in azione durante la battaglia.”
 
“Se questi… Dei si sono schierati coi Francesi allora siamo spacciati. Nessuno può fermarli. I nostri eserciti verrebbero annichiliti in quattro e quattr’otto!” Disse Gage.
 
“Gibbs… Tu hai riconosciuto uno di loro, vero?”
 
“Sì, Kenway… E la sua sola vista mi ha gettato nel panico!”  Affermò l’ex lupo di mare, angosciato.
 
“È stato durante l’incidente di Isla de muerta, giusto?”
 
“È successo circa 20 anni fa… Ufficialmente era una operazione contro una ciurma di pirati che alloggiava sull'isola. C’erano tre navi: la Perla Nera, la Dauntless e l’Interceptor, comandate dai capitani Alexander Smollett, John Silver e Jack Sparrow… Ognuna di loro ospitava 100 uomini, per un totale di 300. Eravamo giunti in prossimità dell’isola e stavamo per sbarcare, ma lui non ce ne ha dato il tempo.  Ha distrutto le navi una ad una, con la sua lancia diabolica! Io mi sono salvato gettandomi in mare e allontanandomi a nuoto prima che la perla esplodesse. Il giorno dopo fui recuperato dalla  Endeavour, capitanata da Cutler Beckett. Mi scortò a Port Royal, dove venni interrogato dal governatore Weatherby Swann e da Sir Robert Walpole, che si trovava sull'isola in incognito.”
 
Haytam fece un fischio.
 
“Il primo ministro in persona! Cosa ti disse?”
 
“Mi intimò di non rivelare a nessuno quanto avevo visto. Secondo lui ero rimasto vittima di allucinazioni, e non voleva si generasse un panico immotivato.”
 
“E poi?”
 
“Lasciai i Caraibi e mi recai a Londra per qualche tempo… Ovviamente nessuno sapeva quello che era accaduto all’Isla de muerta. Il governo aveva messo a tacere l’intera faccenda, mettendo in giro la voce che tre navi da guerra erano state affondate da un uragano. Poi, all'inizio degli anni ’50, lasciai l’Inghilterra e mi trasferii a Boston, dove mi arruolai nelle giubbe rosse. Il resto ve lo risparmio, lo sapete già. Quell'esperienza mi ha segnato a vita…”
 
“Ci credo… Hai mai provato a narrare la vera versione dei fatti?”
 
Gibbs scosse la testa.
 
“Se l’avessi fatto ora starei a marcire in qualche manicomio… O magari in una tomba, ucciso da un sicario del governo. Ero l’unico rimasto di quella spedizione, non c’erano altri testimoni. Nessuno mi avrebbe creduto.”
 
“Come nessuno crederà alla storiella degli dei del cielo.” Intervenne Washington.
 
“Ma noi li abbiamo visti!”
 
“Charles, ciò che abbiamo visto non conta! È una storia troppo assurda per essere creduta. Ci prenderanno per pazzi! E se quello che sostiene Gibbs è vero il governo ha tutto l’interesse ad insabbiare la verità… Diranno che siamo stati vittime di allucinazioni.”
 
“O peggio… Potrebbero accusarci di aver ucciso il vecchio Braddock.” Affermò Fraser.
 
“Perché dovrebbero accusarci della sua morte?”
 
“Braddock, a causa della sua crudeltà e dei suoi metodi brutali, si era attirato l’ostilità di molti di noi, George… Te compreso. Non è un mistero che lo odiassimo cordialmente. In base a questo qualcuno potrebbe dire che abbiamo approfittato dell’attacco francese per ucciderlo. E un’accusa come questa può condurci al patibolo.”
 
“E allora cosa proponete?”
 
“Semplice, Charles… Braddock è morto durante la battaglia, ucciso da un cecchino francese. Privi di una guida e incalzati dal nemico, siamo stati costretti a ritirarci.”
 
“Una ricostruzione credibile, Haytam…” Commentò Gage.
 
“Già, basterà convincere gli altri superstiti (ammesso che ce ne siano) a stare al gioco.”
 
“Se riusciremo a ricongiungerci con l’altro contingente.”
 
“Adesso sei tu a portare male, Gibbs…” Lo avvertì Haytam.
 
“Quelle creature, qualsiasi cosa siano, potrebbero darci la caccia e ucciderci.” Affermò l’ex lupo di mare.
 
“ Se avessero voluto saremmo già morti.” Spiegò Washington.
 
“E allora perché non ci hanno uccisi?” Gli domandò Lee.
 
“Il loro obiettivo era uccidere il generale Braddock, niente di più. Hanno eliminato gli altri perché avrebbero ostacolato il loro tentativo di omicidio, non hanno interesse a colpire dei fuggiaschi come noi.”
 
“E come lo sai?”
 
“L’ho sentito dire da Sesshomaru.”
 
“Sessocosa?”
 
“Il cane gigante.”
 
“Stai chiamando quel mostro Sesshomaru?”
 
“No, Thomas. Sua madre l’ha chiamato così. Da quanto ho capito gli dei del cielo possono assumere varie sembianze, almeno alcuni di loro.”
 
“Bene, ma ora che dobbiamo fare?”
 
“Ora che Braddock è morto assumo io il comando. Dobbiamo riunirci con l’altro contingente e tornare indietro.”
 
“Come vuoi… Partiamo ora?”
 
“No, all'alba. Adesso è troppo buio, rischiamo di incontrare pattuglie nemiche o belve feroci.”
 
“Giusto… Meglio essere prudenti.”
 
Fraser sospirò e alzò gli occhi al cielo, tappezzato di stelle.
 
Quella che doveva essere una scampagnata si è rivelata un disastro!
 
Pensò, amareggiato.
 
******
Nello stesso momento Fort Duquesne era in festa; il comandante Daniel ci aveva lasciato la pelle ma l’assalto britannico era stato respinto. Sesshomaru osservava i soldati francesi che cantavano, ballavano e bevevano vino (ma in maggioranza preferivano rimanere sobri, temendo un ritorno di fiamma inglese); i nativi invece tenevano un atteggiamento più contegnoso e sobrio.
 
“Pensano che già finita.” Commentò Seiya, affiancatasi al figlio.
 
“Hanno vinto una battaglia, ma solo grazie a noi.  E la guerra è appena agli inizi, ne sono certo. Gli inglesi possono ancora vincere.” Affermò quest’ultimo.
 
“Vero.  Ma poi che importa chi vince? Francesi o Inglesi, Arabi o Franchi, Bizantini e Ostrogoti, Romani o Sassanidi, Greci o Persiani… Alla fine uno riceve la gloria e l’altro mangia la polvere, questa è in sostanza la differenza. I posteri santificheranno il vincitore e demonizzeranno lo sconfitto. È sempre stato così e sempre così sarà.”
 
“Il vincitore di questa guerra otterrà il dominio del Nord America. Non è una differenza importante?”
 
“Non lo controlleranno per sempre, figliolo… Dovresti averlo imparato da tempo. Noi stessi siamo stati testimoni, nel corso dei secoli, dell’ascesa e del tramonto di stati e imperi. Pensa a Roma, per esempio. Quando la vedemmo la prima volta era un insignificante villaggio costruito su sette colli. Poi divenne la fastosa capitale di un vasto impero, ed infine cadde in rovina. L’impero romano, che sarebbe dovuto durare in eterno, durò appena 12 secoli.  E la Persia Achemenide? Si estendeva dall'Egitto ai confini con l’India, ma crollò come un castello di carte di fronte ad Alessandro Magno. E l’impero mongolo? Pochi decenni e si è spezzato in vari tronconi. Come disse William Shakespeare: i regni sono argilla. Solo tre cose sono eterne: il mondo, i kami e noi yokai.”
 
“Sagge parole, madre… Ma ora che faremo? Torneremo in Giappone?”
 
La donna ci pensò su, poi disse:
 
“Non saprei… Magari potremmo soggiornare un po’ a Boston prima di tornare in patria, che ne dici?”
 
“Boston?”
 
“Sì… Una città vivace, ricca di cultura,  il fiore all'occhiello del Massachusetts. Potremmo farci ospitare dal signor Franklin. Non lo vediamo da tre anni, sarà ben contento di accoglierci a casa sua.”
 
“Per me va bene. Inoltre Karan sarà ben felice di poter re-incontrare lo zio Ben.”
 
“Excusez-moi, messieurs.”
 
I due demoni si voltarono e videro un uomo sulla trentina, che li fissava cordiale.
 
“Lei chi è?”
 
“Mi chiamo Jean-Daniel Dumas, nuovo comandante del forte. Voglio ringraziarvi per l’aiuto dato contro gli inglesi. Senza di voi saremmo stati travolti dalle superiori forze nemiche.”
 
“Abbiamo solo fatto il nostro dovere per la Francia.”
 
“Siete anche modesti… Resterete qui ancora a lungo?”
 
“No… Domattina ripartiremo per Quebec, per informare il governatore della disfatta inglese.”
 
“Capisco… Nel frattempo siete miei ospiti. È il minimo per aver allontanato la minaccia britannica da questo forte.”
 
Per ora.
 
Pensò Seiya, ma si guardò bene dal dirlo.
 
“Ve ne siamo grati, comandante Dumas.” Lo ringraziò, inchinandosi.
 
“Questo e altro per i nostri salvatori.”
 
Detto questo l’uomo si congedò.
 
“Sesshomaru?”
 
“Ditemi, madre.”
 
“Come mai hai voluto uccidere personalmente Braddock? Potevo occuparmene io.”
 
Il demone la guardò per qualche istante, poi rispose:
 
“È grazie a gente come lui se Kagura è morta.”
 
Ci avrei scommesso.
 
“Capisco che hai subito una grave perdita, ma ormai sono passati 200 anni. Non pensi sia il momento di voltare pagina?”
 
“Voi avete voltato pagina a 400 anni di distanza  dalla morte di mio padre?”
 
“Tuo padre…”
 
Distolse lo sguardo, furente.
 
“Mi ha piantato in asso per mettersi con un umana. Io ho voltato pagina da tempo, ormai.”
 
“E allora perché non vi risposate, magari con uno del nostro clan?”
 
“Sesshomaru… È bene che tu capisca che rapporti come l’amore e l’amicizia non durano mai. Prima o poi vanno in pezzi, e restano soltanto il dolore causato dalla persona che è morta, o ti ha tradito. Io l’ho provato una volta e mi basta. Non permetterò che la storia si ripeta.”
 
“Ma senza quei rapporti la vita sarebbe vuota e fredda.”
 
“Ti sbagli… Devono esserci altri fattori che rendono la vita degna di essere vissuta.. Un ideale o una filosofia di vita che ci dia una ragione per continuare a vivere.”
 
“E quale sarebbe questo ideale?”
 
“Prima o poi lo scoprirò. Te lo garantisco.”
 
“Kagura credeva in un ideale.”
 
“E quale?”
 
“La libertà.”
 
“Libertà? In un mondo come questo? Che sciocchezza! Hai visto tu stesso il modo in cui è stato premiato il desiderio di libertà di quella donna… Uccisa a sangue freddo dal suo creatore! Un ideale come la libertà non potrà mai attecchire, credimi.”
 
Sesshomaru la guardò senza replicare.
 
“Ora andiamo dagli altri.” Disse la yasha, evidentemente scocciata da quella conversazione.
 
FINE

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