PROFEZIA 19 - amore diabolico

di Robin Stylinson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitol0 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Le nuvole coprirono il cielo.
Iniziò a piovere.
Una pioggia tanto fine quanto quasi impercettibile. Ormai la notte era scesa sulla città e una grande luna piena regnava su di essa.
Mi affacciai alla finestra di camera mia e mi sedetti sul piccolo divanetto sottostante. Tutti dormivano, non si sentiva più nessun rumore e tutte le luci della casa erano spente.
Mi piaceva stare a guardare la pioggia, sentire il suo rumore e rilassarmi con qualcosa da bere. Presi la tazza di cioccolata calda dal comodino. Non era molto distante da dove ero seduta, ci potevo arrivare solo allungando un braccio.
La strada era deserta.
Casa mia si affacciava su un immenso stradone nero che di notte diventava inquietante.
Il fruscio delle foglie mi fece spostare lo sguardo su un albero che s’innalzava accanto a un lampione dalla luce fioca. Strizzai gli occhi per cercare di vedere meglio ma, nonostante la mia pupilla continuasse a dilatarsi, la visione era pessima.
Odiavo il buio.
La chioma della pianta si mosse e con un balzo agile ne scese un ragazzo non molto alto. Portava dei jeans lunghi e una felpa scura con cappuccio in testa. Era fradicio da capo a piedi.
Spalancai la finestra e un vento gelido entrò nella stanza. Quell’autunno era il più freddo che ci fosse mai stato.
«Cosa ci fai qui?» Non alzai molto la voce ma ero sicura che mi avesse sentito.
«Sono qui per te!» disse lui allargando le braccia. Era nel bel mezzo del giardino con la pioggia che gli bagnava il viso. «Tu sei mia.»
«Lasciami in pace» dissi di tutta risposta.
«Sei destinata.»
Dopo la sua affermazione scossi la testa e chiusi i vetri.
Chiusi anche le tende, ma non del tutto. Riuscivo ancora a sbirciarci fuori. Vidi lui mettersi le mani nelle tasche della felpa. Abbassò il viso verso il terreno impregnato d’acqua per poi rialzare la testa verso la mia finestra.
Era stato in quel momento che vidi i suoi occhi. Era lontano da me ma li potei vedere benissimo. Erano cambiati. Brillavano nella notte, come se in tutto quel buio profondo si potessero vedere solo quelli.
Erano diventati color ghiaccio.
Qualcosa stava cambiando.
Chiusi del tutto le tende e presi un sorso di cioccolata stando attenta a non far cadere fuori dalla tazza i marshmallow.
Per ogni fine c’è un inizio e quella notte non era finito nulla, era semplicemente l’inizio del caos.



[ Questa è la mia seconda FanFiction. Tratta temi differenti rispetto alla prima che ho scritto, dove ha contato più di 400 recensioni e quasi 13 000 visualizzazioni solo del prologo! Vi aspetto numerosi anche qui, con tante visualizzazioni e tanti commenti! La stessa storia, con lo stesso titolo l'ho caricata anche su Wattpad, leggetela dove volete! Aspetto vostri riscontri per quanto riguarda la storia! Buona lettura a tutti ]

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Stavo camminando per William Street.
Ero in ritardo, come sempre. Ma non importava.
Eileen mi aveva letteralmente buttato giù dal letto con una sua telefonata. Era il primo giorno d’estate eppure quella ragazza dai capelli lunghi e scuri lavorava. Faceva la barista in un piccolo caffè che si trovava all’angolo di Avenue Place. La mia migliore amica mi aveva chiamato dicendomi che aveva una notizia importantissima da darmi. Mi aveva urlato di vestirmi e correre da lei che avrebbe finito il turno di lì a un’ora.
La famosa strada che portava il nome di Shakespeare era una via piuttosto antica, aveva quel non so che di retro. Aveva dei negozi piuttosto piccolini ma bellissimi da vedere, come la bottega della musica. Aveva i serramenti colorati di una tinta rosso fuoco. Le vetrine, che coprivano tutta la facciata del negozio, erano pulite alla perfezione e in bella vista c’erano le due chitarre elettriche autografate da chissà quale celebrità della musica rock. Sulla porta c’era l’insegna al neon, rossa anche quella, con la scritta “open” che lampeggiava. L’uscio era sempre semi aperto, in attesa che qualche cliente entrasse per comprare un vecchio CD. L’interno era completamente tinteggiato di grigio scuro, dei dischi di vinile erano appesi alla parete mentre i CD degli anni novanta erano sistemati con ordine nei bassi scaffali di mogano un po’ ruvidi al tatto. Avevano un colore che assomigliava vagamente a quello delle nocciole. Nell’aria aleggiava il profumo del legno vecchio, quell’inconfondibile odore di antico che rilasciava il parquet scricchiolante.
Ero quasi arrivata alla tavola calda, sapevo già che Eileen mi avrebbe completamente urlato addosso. La puntualità non era mai stata il mio punto forte, soprattutto se, prima di uscire di casa, dovevo fare un milione di cose.
Indossavo un paio di shorts di jeans, una canottiera blu, un maglioncino color burro tutto traforato e intorno al collo avevo una sciarpa di lino, aveva lo stesso colore del cioccolato. Ai piedi, le converse bianche, facevano gli ultimi passi prima di aprire la porta del bar.
Ero arrivata al Blue Cafè. Il nome non c’entrava nulla con la struttura. Infatti, il locale, era interamente costruito con mattoni il cui colore ricordava la terracotta. I serramenti erano color vaniglia e, sulla vetrata che lasciava intravedere l’interno, c’era un enorme adesivo posto sulla parte superiore con scritto “CAFÈ”.
La porta vetro era spalancata e accanto ad essa c’era un cavalletto con appoggiata sopra una lavagnetta sporca di gesso. C’era scritto qualcosa e, nonostante alcune lettere fossero sbiadite, si poteva leggere “Blue Cafè – Caffè americano, cappuccino o cioccolata e brioches a 2,50 £”.
Entrai quasi in punta di piedi, come se non volessi farmi notare da nessuno. Mi guardai attorno ed Eileen non si vedeva. Decisi di andarmi a sedere in un angolino aspettando che la ragazza mora dagli occhi azzurri come il cielo si decidesse a staccare il turno e a parlarmi della sua famosa notizia. La poltroncina su cui ero seduta era un po’ nascosta, dall’entrata non si vedeva e, solo quando il bar era affollato, qualcuno si sedeva li. Era piuttosto isolato e tranquillo, ci venivo quando volevo scrivere, quando mi serviva il profumo di caffè per iniziare a stendere il nuovo capitolo di un libro o semplicemente quando volevo solo staccare la spina e rilassarmi davanti al portatile.
Appoggiai la borsa grigio verde vicino ai miei piedi. Era una piccola cartella con un manico a tracolla e le fibbie argento. Mi chinai per prendere l’i Phone bianco dalla tasca esterna. Lo stavo cercando solo con il tatto, sperando di riuscire a infilare la mano nella tasca senza dover aprire tutto. Il mio intento andava fallendo, così mi abbassai del tutto per vedere se riuscivo a far scivolare le dita più velocemente.
Afferrato quel maledetto cellulare, mi rimisi composta e, con mia grande sorpresa, mi ritrovai davanti Eileen. Sorrideva a trentadue denti. Non l’avevo mai vista così felice, con gli occhi lucidi. La guardai perplessa mentre si slegava il grembiule marrone. Lo sbatté sul tavolo, scostò una sedia e di tutta fretta si sedette.
«Sei pronta per la grande notizia?» disse Eileen rossa in volto.
«Non si usa più salutare?» replicai io facendo la finta offesa.
«Okay, scusa» fece un gesto veloce con la mano. «Allora?! La vuoi sentire questa bella notizia o non t’importa?»
Parlava troppo veloce per i miei gusti. Si sfregava in continuazione le mani sudate rigirandosi tra le dita l’anello nero. Quel famoso anello che avevo anche io, quell’anello che avevamo comprato insieme.
«Certo, dimmi.» ruotai gli occhi. «Mi hai sbattuto giù dal letto il primo giorno di vacanza. Spero per te che sia veramente bella.»
«Ti ricordi quella villetta bianca? Quella dove i miei ci passavano l’estate qualche anno fa?»
«Certo, era quella dove una volta di nascosto avevamo fatto una festa, giusto?» Ero un po’ confusa.
«Sì, è quella» disse la ragazza con le lacrime quasi agli occhi «Potremmo passarci l’estate io e te, senza andare sempre in quello squallido campeggio come ogni anno!» Stava parlando del Dolphin. «Però c’è un problema.»
Mi stavo per alzare per andare ad abbracciarla, per fare quegli stupidi salti di gioia che facevamo prima che qualcosa di stupendo accadesse.
«Che succede?» chiesi con aria sospettosa. Eileen stava cercando di nascondermi qualcosa. Il suo viso si fece più pallido.
«Hai presente mio fratello?»
«Che ha fatto?!»
«Tranquilla non ha fatto niente, è solo che…» Eileen abbassò lo sguardo e fece un respiro profondo «Non prendertela con me, okay?»
Dopo quelle parole, puntò i suoi occhi color oceano nei miei di un verde appena accennato.
«Va bene, ma ora dimmi che succede.»
«Viene anche lui in vacanza con noi.» La mora si accasciò leggermente sulla sedia mentre si copriva il volto con il suo grembiule.
«Cosa?» urlai. Mi resi conto di aver alzato un po’ troppo la voce così, prima di dire altro, mi guardai attorno. «Cosa?!» ripetei a voce più bassa prima di sbattere un pugno sul tavolo.
«Avevi detto che non ti arrabbiavi.» mi ammonì la mia migliore amica.
«Noi in vacanza con quello?! Ma stiamo scherzando?!»
«È pur sempre mio fratello»
«Ti devo ricordare cosa è successo?» alzai le sopracciglia in modo da spronare la mia migliore amica a pensare.
«È cambiato, credimi.»
A quell’affermazione aggrottai la fronte.
«E se dovesse succedere di nuovo?» domandai piuttosto sconvolta.
«Vedrai che non succederà. Fidati di me.»
Costudivamo un enorme segreto, se qualcuno lo avesse scoperto, sarebbe stata una rovina, anche se ero convinta che Eileen mi stesse nascondendo qualcos’altro. Un ragazzo non può cambiare da un giorno all’altro, c’era sotto qualcosa.
«Partiamo domani.» disse in fine la mia migliore amica.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


«Muoviti!» Eileen stava urlando per camera mia mentre cercava di alzare le tapparelle. Lentamente la luce iniziò a filtrare dalla finestra.
«Chi ti ha fatto entrare?» borbottai mentre aprivo lentamente gli occhi. Svegliarsi la mattina era sempre una cosa difficile per me. Lo era sempre stata, odiavo essere mattiniera. Mi stropicciai gli occhi con le mani e mi stiracchiai. Ero ancora sotto le lenzuola color crema mentre Eileen scorrazzava di qua e di là mentre cercava di raccattare i miei vestiti da mettere in valigia.
«Si può sapere perché non hai fatto la valigia?!» mi rimproverò lei. In meno di cinque minuti quasi tutto il mio vestiario estivo era in valigia. C’era stato tutto. A forza, ma c’era stato tutto. «Per fortuna che ci sono io, se no chissà quando saresti arrivata!»
«Chi ti ha fatto entrare?» Ero ancora stordita e capivo la metà delle cose che diceva.
«Tua madre. Alza il tuo bel sederino dal letto che viene tardi!» Tutta quella fretta. Non capivo. «Harry e il suo amico sono già arrivati. Siamo sempre le ultime, veloce.»
«Chi? Cosa? Quando?!» mi alzai di scatto dal materasso sgranando gli occhi. «Cosa hai detto?! Il suo amico? Non bastava solo lui?!» oh, perfetto. Non solo in casa c’era una sottospecie di animale, ora anche il cucciolo!
«Beh…» la mia migliore amica era quasi sulle scale. Stava per scendere per mettere la valigia in macchina «Non poteva venire da solo. Tranquilla, staranno sempre fuori, non ti preoccupare.» La sua voce si faceva sempre più lieve e lontana. «Veloce, ti aspetto in macchina.»
Quale macchina? Eileen non aveva una macchina, non l’aveva mai avuta. Non feci obbiezioni e controvoglia poggiai i piedi sul tappeto della camera.
 
 
*
 
 
Eravamo arrivate alla famosa villetta di quel candido color bianco e a quanto diceva la mia migliore amica, Harry era già in casa con l’amico. La cosa mi spaventava. Eileen aveva detto che era cambiato, anche se in fondo non volevo crederci, annuii alla sua affermazione.
Avevamo parcheggiato la mini nera proprio davanti al cancello di casa. Scendemmo dall’auto e iniziai a dirigermi verso l’entrata. Il vialetto era composto da grandi sassi lisci mentre il contorno di esso era ciottolato. Il davanti dell’abitazione era piuttosto carino. Non c’erano fiori nel giardino, era il tipico prato inglese senza erbacce.
Avevo raggiunto la porta dell'abitazione in fretta. Mi fermai un secondo a pensare, presi un bel respiro e suonai il campanello.
Non rispose nessuno.
Suonai una seconda volta ma capii che probabilmente i ragazzi erano già fuori casa, come aveva detto Eileen.
«Non c'è nessuno in casa.» mi girai e feci segno alla ragazza mora di lanciarmi le chiavi.
«Prova a vedere se è aperto» rispose prontamente lei mentre cercava di aprire il baule dell'auto.
Girai il pomello con molta forza ma non si aprì.
«È chiuso» urlai mentre provavo un'altra volta, per essere sicura.
«Vieni ad aiutarmi con le valige che poi apro io.»
Tornai indietro quasi trascinando i piedi. La mia valigia sarebbe pesata un quintale con tutte le cose che ci aveva messo Eileen.
Arrivata all'auto presi il trolley e a fatica lo trascinai sul vialetto mentre seguivo la mia migliore amica. Aprì la porta senza nessuna difficoltà. Entrai di fretta e furia buttando la valigia a terra. Con un gesto veloce sbattei la porta beccandomi un’occhiataccia da Eileen.
A quanto pareva in casa non c'era nessuno. Il salotto che ci accoglieva era molto raffinato: sulla sinistra un sofà a tre posti, bianco, mentre ai suoi piedi era disteso un enorme tappeto grigio chiaro. Sulla destra invece c'era la cucina. Assomigliava a quelle famose cucine americane con il tavolo centrato nella stanza sul quale era posto il lavello. Era enorme, i lati erano di marmo mentre il piano era di legno bianco. I fornelli, il frigorifero a due ante e i vari mobiletti erano posti dietro di esso, tutti rigorosamente bianchi.
Nell'aria aleggiava una fragranza per ambienti al melograno, era molto dolce e intenso. Sembrava quel dolce aroma che ti travolgeva appena entravi in un negozio di profumi.
Iniziai a guardarmi attorno. Mi accorsi che la cucina dava su un altro giardino. La porta che divideva essa dal cortile era di vetro e si poteva vedere la piscina.
Sentii qualcuno scendere le scale ma ero troppo presa da quel paradiso di casa per dargli attenzione.
«Hey, Eileen!» esclamò qualcuno.
La sua voce. Appena la sentii un brivido mi percorse la schiena.
Mi girai di scatto e appena i miei occhi incrociarono i suoi di un colore verde scuro come quello mimetico, mi mancò il respiro. Il cuore prese a battere all’impazzata e arrossii.
Harry.
Non capivo che mi succedeva. Non era mai capitato, eppure quel ragazzo mi aveva provocato una strana reazione, era come avere le farfalle allo stomaco.
Lo scrutai in un secondo da capo a piedi. Aveva i capelli corti, mossi e con il ciuffo all’indietro. Erano castano scuro, come quelli della sorella. Aveva un bel fisico. Portava un paio di bermuda grigio scuro che gli arrivavano fino al ginocchio mentre per coprirsi il petto, aveva una maglietta bianca. Girava per casa con un paio di converse bianche, come le mie.
La mia attenzione cadde su due particolari: una piccola cicatrice che passava per il sopracciglio sinistro e un braccialetto di cuoio. Era di un filo sottile ed era avvolto al polso destro per quattro volte con inserito un ciondolo rotondo. C’era inciso qualcosa, ma non capivo cosa fosse.
Mi resi conto che lo stavo fissando, iniziai a guardarmi in giro come se nulla fosse e mi passai una mano nei capelli mentre abbassavo lo sguardo a terra per l’imbarazzo.
«Allen? Sei cambiata dall’ultima volta.» disse lui. Aprii lentamente le labbra per rispondere, presi un bel respiro ma non uscì niente. Mi girai verso la mia amica ancora con la bocca aperta cercando di farle capire con lo sguardo che la presenza di suo fratello mi turbava.
«Ci aiuti a portare di sopra le valige? Sono abbastanza pesanti.» disse Eileen a suo fratello. Mi si congelò il sangue.
«Va bene.» rispose prontamente lui prima di dirigersi verso di me per prendere il mio trolley. Lo sollevò senza problemi, mi diede un’occhiata veloce senza dire nulla e si incamminò verso le scale.
Feci per seguirlo ma Eileen mi bloccò con un braccio. Aspettò che Harry fosse salito al piano superiore prima di bisbigliarmi qualcosa.
«Ma che ti prende?»
«Non lo so. Mi ha fatto venire i brividi.» abbassai lo sguardo sui miei piedi.
«Allora?» la voce di Harry arrivava da sopra «Dove la metto la valigia?» si sentì il tonfo che fece il trolley mentre lo appoggiava per terra.
«Ora arriviamo» urlò Eileen.
La aiutai a prendere la valigia e, piano piano, salimmo anche noi le scale.
«Tu dormirai in quella stanza, Allen.» disse la mia migliore amica indicando una camera verso la fine del primo piano «Hai anche il bagno in camera.»
Il corridoio era piuttosto stretto. Appena salite le scale, sulla sinistra, c’era una camera piuttosto spaziosa. La porta era aperta e si poteva vedere l’interno. Era tutto di un colore panna, molto ordinata e con una porta finestra che dava sul cortile. Un po’ più avanti vi era un’altra stanza ma l’uscio era chiuso così da non poter sbirciarci dentro. Era la camera di Eileen. Si capiva dal fatto che sulla porta c’era stampata la sua iniziale con un colore rosa pallido. Sempre sulla sinistra del corridoio, invece, c’era un bagno. Non era molto grande. Dopo i sanitari c’era la penultima camera, probabilmente ci avrebbe dormito l’amico di Harry.
Arrivammo all’ultima stanza, posta proprio di fronte a noi.
«Spero ti piaccia.» ancora quella voce bassa e roca. Mi dava i brividi sentirlo parlare.
«S-si» riuscii a balbettare una risposta affermativa per miracolo.
«Okay Allen.» entrai in quella che sarebbe stata la mia camera per svariato tempo mentre Eileen iniziò a parlare «Ti lascio sistemare le cose» aveva chiuso la porta dietro le sue spalle lasciando che suo fratello rimanesse fuori «e tra poco meno di due ore si cena, va bene?»
«Ehm, okay. Devo vestirmi in un modo particolare?»
«Certo che no, ma vestiti in modo carino. Ti presenterò Louis, l’amico di mio Harry.» fece per uscire quando, prima che la porta si richiudesse, tornò indietro «Dopo mangiato andiamo a fare un giro tutti e quattro insieme.» mi fece l’occhiolino e uscì senza fare rumore.
Ora avevo un paio d’ore per me stessa. Potevo fare quello che volevo. Potevo rilassarmi sotto la doccia oppure fare un pisolino.
Non sapevo che cosa scegliere, così optai nel sistemare gli indumenti nell’armadio. Presi la valigia e la appoggiai a fatica sul letto matrimoniale. Aveva le lenzuola bianche candide con un copriletto nero, come il guardaroba.
Mentre sistemavo i vestiti mi cadette l’occhio sulla porta finestra che avevo alla mia sinistra. Mi avvicinai ad essa e spostai leggermente le tende.
Nessuno mi aveva mai detto che dietro la villetta c’era un bosco. Sembrava più una piccola foresta. Gli alberi erano molto fitti e le chiome non lasciavano intravedere molto ma era comunque terrorizzante. Era molto scura e cupa e avrei potuto giurare che al suo interno ci fossero degli strani animali carnivori come lupi o cose simili. Alzai per un attimo gli occhi al cielo. Dei grandi nuvoloni stavano scemando verso nord, proprio sopra quei vecchi alberi.
Mi appoggiai al vetro della finestra e vidi le foglie muoversi. Strizzai gli occhi e mi avvicinai un attimo di più per vedere meglio.
Ero intenta a fissare gli alberi quando un fulmine precipitò sopra il bosco facendo volare via uno stormo di uccelli usciti dalla chioma dell’albero più grande. Il lampo fece un gran rumore da spaventarmi. Con uno scatto veloce allontanai il mio busto dalle tende, ma non ero troppo distante da vedere le creature volare. Erano neri ma non erano corvi. Erano centinaia.
Feci un gran respiro e mi girai verso destra, verso la valigia, per poi rigirarmi alla finestra ma intravidi qualcosa. Mi rigirai di nuovo verso il trolley e puntai gli occhi verso la porta. Ero sicura di aver visto qualcuno fissarmi. L’uscio era socchiuso eppure qualcuno era li, prima. Inclinai la testa leggermente verso sinistra pensando che qualcosa non andasse. M’incamminai verso la porta ma prima che potessi toccare il pomello per aprirla, essa sbatté. Non c’erano correnti d’aria quindi non poteva essere stata una folata di vento. Era come se qualcuno l’avesse voluta chiudere di proposito, in modo troppo energico perché passasse inosservato.
Sentii una dolce fragranza. Era molto fresca e non troppo speziata. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Era ora di cena e il profumo della pizza stava invadendo la casa. M’infilai un paio di converse alte bordeaux e iniziai ad avviarmi verso il piano inferiore. Stavo ancora ripensando a ciò che era accaduto, non capivo chi poteva spiarmi o fare una cosa del genere.
Stavo camminando lentamente per il soggiorno con la testa tra le nuvole quando sbattei contro qualcosa. O meglio, contro qualcuno.
«Oh mio Dio, scusa!» scossi la testa e mi stropicciai gli occhi «Non ti avevo visto, sono desolata.»
«Non ti preoccupare!» il ragazzo dai capelli color nocciola che tiravano sul biondiccio e dagli occhi azzurri come il mare mi sorrise. Aveva i denti bianchissimi. «Tu sei Allen.» mi fece l’occhiolino e mi porse la mano.
«Esatto, sono io. Non mi sono presentata nei migliori dei modi.» ricambiai il suo sorriso e gli strinsi la mano.
«Io sono Louis.»
«Mi sembra di averti già visto da qualche parte.» Dissi io strizzando gli occhi per cercare di capire e gli lasciai la mano dopo avergliela stretta in segno di saluto.
«No, ti sbagli.» rispose prontamente «Chiamami Louis, se vuoi.» era davvero un bel ragazzo.
Ci avviammo verso la cucina e intravidi Harry scendere le scale. Senza aprire bocca mi sedetti al tavolo quando Eileen mi porse un trancio di pizza margherita su un piatto dal color argento. Si sedettero anche gli altri. Con la coda dell’occhio potei notare che la mia migliore amica si mise accanto a me, sulla destra, mentre Louis sulla mia sinistra. Avevo lo sguardo posato sulla pizza. Non osavo nemmeno alzarlo.
Appena arrivò Harry, un dolce profumo invase la cucina. Era la stessa fragranza che avevo sentito dopo il fulmine. Alzai di colpo la testa puntando i miei occhi in quelli del ragazzo misterioso. Feci un gran respiro e quel profumo mi entrò nei polmoni come se fosse ossigeno. Sentivo come bruciare dentro. Era qualcosa di inspiegabile.
Trattenni il fiato per qualche secondo. Harry si fermò appena fu arrivato al tavolo e mi guardò con aria perplessa. Me lo ritrovai davanti. Anche lui era seduto a capotavola. Non distolsi lo sguardo nemmeno per un attimo.
«Hey» Eileen mi afferrò per un braccio «Tutto okay?»
Lasciai uscire l'aria dai miei polmoni e mi girai verso la mia migliore amica.
Dischiusi leggermente la bocca come per rispondere ma non uscì nulla, un'altra volta. Mi girai verso Louis e vidi che lanciò un'occhiataccia al suo amico.
Scossi la testa e la abbassai verso la pizza.
«Sto bene.» sbattei un paio di volte le palpebre prima di prendere in mano il trancio e dargli un morso.
Da quel momento non alzai più lo sguardo. Harry mi metteva a disagio. Quella fragranza persisteva nei miei polmoni e i suoi occhi verdi nella mia mente. Quel ragazzo aveva qualcosa che mi mandava in confusione.
Mi mandava fuori di testa.
«Allora Allen, non ci hai ancora detto nulla di te.» disse Louis sorridendo.
«È timida» disse Eileen ridendo.
«Dai parlaci di te. Cosa ti piace fare, hai animali domestici, è la prima volta che fai una vacanza così…? Non saprei cosa chiederti.» era come un interrogatorio ma la voce dell'amico di Harry mi infondeva tranquillità, stranamente. «Hai tatuaggi, piercing, sei etero, gay…? »
«Sì.» mi limitai a rispondere.
«Sì cosa?» lui sgranò gli occhi provocandomi una leggera risatina.
«Ho dei piercing.» scostai i capelli dall'orecchio sinistro. Avevo sei buchi tra cui tre normali, come quelli che si fanno le bambine innocenti, e altri tre che erano qualcosa di più serio, da ragazza cattiva. «Ce l'ho anche all'ombelico.»
«Posso vederlo?» a quella domanda la mia migliore amica ruotò gli occhi e si trattenne dall'insultarlo.
«No» risposi secca io. Non chiese più nulla e si limitò a finire il suo pasto. Tenni gli occhi fissi sulla cena, non guardai nessuno. Mi persi nei miei pensieri.
Ero sicura di averlo già visto. Louis aveva qualcosa di familiare.
Finii la pizza per ultima, facevo piccoli morsi.
«Usciamo? » Louis era già in piedi che cercava le chiavi della macchina. Osservai la scena senza dire nulla.
Harry appoggiò le braccia sul tavolo, chinò la testa un secondo per poi alzarla e dirigere il suo sguardo verso di me visibilmente imbarazzata.
«Potremmo fare un giro per il bosco, di notte è meraviglioso» obiettò lui. La sua voce si era fatta cupa. Cercavo in tutti i modi di evitarlo, di evitare il suo sguardo. 
«A quest'ora?» chiese la mia migliore amica. Erano circa le ventitré.
«Sì.» rispose seccamente il fratello. Io mi limitai ad annuire, ero curiosa di vedere quegli alberi, il retro della casa e quegli strani uccelli. Volevo capire che tipo di volatili fossero.
Volevo arrivare nel punto in cui il fulmine colpì l’albero.
«Andiamo.» mi spronò il ragazzo dai capelli color nocciola «Se hai paura stai pure con me.» mi fece l'occhiolino e sorrise.
Senza curarmi degli altri mi avvicinai a lui e misi la mia mano destra intorno ai fianchi mentre lui appoggiava il suo braccio intorno al mio collo. 
«Possiamo andare.» dissi con lo sguardo un po' assente.
Avevo paura del buio ma la mia curiosità non sarebbe di certo diminuita. 
Harry spinse in dietro lo sgabello su cui era seduto provocando uno stridio. Si alzò con un fare da duro e si avvicinò a un cassetto della cucina. Lo aprì con un gesto veloce tanto che le posate al suo interno sbatterono conto le pareti di esso. Sempre abbracciata a Louis, mi girai verso di lui. Era di schiena e lo sentivo frugare in quel maledetto cassetto. 
Il ragazzo dai capelli mossi alzo verso l'alto due torce e richiuse lo scompartimento. Non appena si girò, con un movimento veloce, alzai lo sguardo verso Louis e gli poggiai la mano sinistra sugli addominali.
Uscimmo dalla porta ancora abbracciati. Non sapevo la strada e mi lasciai guidare da lui. Camminammo lungo il vialetto ma a metà strada girammo a desta e i miei piedi toccarono quell’erba tanto soffice del giardino. Ai lati del prato, ogni quattro metri, c’era una lanterna. Erano molto graziose e illuminavano quasi interamente il terreno erboso.
Ci stavamo avvicinando al bosco e la tensione saliva.
Mi strinsi più forte a Louis e il cuore prese a battere all’impazzata. Lui non disse niente e si limitò a ricambiare la mia stretta. Il suo corpo era così forte e caldo che dava senso di sicurezza.
Avevo la testa chinata verso il basso per controllare i miei passi, per vedere dove mettevo i piedi, quando arrivammo all’imbocco del bosco.
Un rumore mi fece sobbalzare. Una folata di vento scosse le chiome degli alberi e un gufo prese a bubolare facendomi rabbrividire.
«Ci sono io, tranquilla.» disse il ragazzo ventunenne al mio fianco.
«Non ti preoccupare.» iniziai a tremare e la mia voce si fece lieve.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Ci addentrammo nel bosco. Sembrava così buio e cupo quando spuntarono delle lucciole. Sembravano delle piccole stelle fluttuanti.
Ero completamente incollata a Louis. Non riuscivo a lasciarlo andare. La paura di incontrare qualcosa di strano o di mostruoso era tanta.
Una folata di vento mi scompigliò i capelli e mi fece rabbrividire. Stavamo camminando in mezzo al terriccio leggermente umido. Non c'era un vero e proprio sentiero. Sembrava quasi che stessimo vagando senza una meta precisa. L'odore di erba bagnata mi pervase le narici e, senza rendermene conto, strofinai il braccio contro la corteccia di un albero. Era piuttosto ruvida e sulla pelle potei sentire la muffa bagnata per l'umidità. 
«Dove stiamo andando?» chiesi cercando di non pensare a quale insetto avrei potuto ritrovarmi sul braccio una volta alla luce.
Nessuno rispose.
Continuammo a camminare e iniziai a sentire dell'acqua scorrere, come se lì a pochi metri ci fosse una piccola cascata o un fiumiciattolo.
Sentii un clic ma solo dopo che un bagliore fioco si accese, capii che era la torcia di Eileen. Con la luce era decisamente più facile camminare.
Anche Louis accese quella strana lampadina appena tirata fuori dalla tasca. Cercavamo di fare lo slalom tra le radici secche degli alberi per non cadere. 
 Inciampai in un qualche rametto ma per fortuna l'amico di Harry mi sostenne. Ormai la figuraccia era fatta e la mia migliore amica sogghignava sotto i baffi cercando di non farsi sentire.
«Andate avanti voi.» disse Louis spostandosi di lato, trascinandoci anche me, per far passare la coppia dei fratelli. 
Strizzai gli occhi per vedere meglio ciò che stava combinando Harry. Stava armeggiando con delle foglie mentre la sorella gli teneva la torcia per fare luce. 
Stava creando una specie di varco per passare, anche se non avevo ancora capito dove volevano portarmi. La cosa iniziava a preoccuparmi.
Non appena Eileen e Harry si spostarono, davanti a me comparve uno stupendo spettacolo. La prima cosa che notai era una casetta di legno ben illuminata posta su un piccolo rialzo di terra. Per arrivarci c'erano almeno una trentina di scalini. Subito dopo la mia attenzione ricadde su un piccolo laghetto. Feci qualche passo per varcare la soglia di quell'apertura appena fatta. Mi staccai dal biondo e mi avvicina alla riva dello specchio d'acqua. 
«Ma che…» ero leggermente confusa. Come faceva a esserci un lago?
Mi girai per guardare gli altri. Mi accorsi che Eileen stava trafficando vicino a un paletto quando, con un colpo sordo, si accesero le luci poste sul fondo sassoso di quel piccolo bacino. Mi rigirai verso l'acqua. Era limpida e cristallina. 
La mia idea di lago fangoso e verde scomparve all'istante. Mi abbassai per bagnarmi le mani e sentire la temperatura. Non era molto fredda. 
Alzai lo sguardo e mi accorsi che, verso il fondo, sulla parete rocciosa più lontana, c'era una cascata che si riversava nel lago facendo poco rumore.
Sentii i ragazzi correre ma non potevo immaginare che lo stessero facendo verso di me. Con un grande salto si gettarono in acqua schizzando ovunque. Mi allontanai velocemente mentre Harry e Louis si bagnavano l'un l'altro. Era la prima volta che vedevo quel ragazzo strano e tanto misterioso lasciarsi andare. Durante la cena era rimasto lì, seduto, senza aprire bocca e rimanendo distaccato da tutto e da tutti.
Andai a sedermi vicino alla mia migliore amica che trovò un posto discretamente comodo su un masso grande quanto una panchina.
«Di chi è quella casetta?» le chiesi girandomi verso essa e indicandola.
«È sempre dei miei genitori.» annuii senza fiatare «Domani a pranzo verremo qua a fare un pic-nic, non so se Louis te l’ha già detto.» mi fece l'occhiolino come se nulla fosse.
«So a cosa stai pensando!» sorrisi leggermente «Tra me e l'amico di tuo fratello non c'è niente, nemmeno ci conosciamo.» dissi per mettere le cose in chiaro.
«Ma eravate così carini prima.» mi schioccò un bacio sulla guancia. 
«Non credo proprio.» scoppiammo a ridere entrambe. 
Vidi Louis dirigersi verso di noi nuotando. Arrivato verso la riva si alzò toccandosi i capelli e sistemando il ciuffo all'indietro. Mi guardo negli occhi e sorrise. Quando vide che non ricambiai il sorriso si alzò la maglietta per poi togliersela definitivamente lasciando scoperti gli addominali appena accennati. Continuò a camminare verso di noi con un’aria di sfida. Non capivo il perché di quello sguardo.
Continuava ad avvicinarsi sempre di più. L'acqua gli scendeva ovunque e i vestiti erano impregnati di essa. Lanciò la t-shirt alla mia amica. Si chinò su di me e, mettendomi un braccio sotto le ginocchia e uno dietro la schiena, mi sollevò.
«Che cosa stai facendo?! » chiesi io senza avere risposta.
Lo sguardo mi cadde su Harry. Sembrava quasi che volesse tenermi d'occhio.
Il ragazzo che mi teneva in braccio si avviò verso lo specchio d'acqua incurante delle mie richieste di non farlo. Quando l'acqua fu abbastanza alta da arrivagli appena sotto l'ombelico mi lasciò andare. Cadetti come una pera in acqua.
Tornai in superficie molto velocemente, mi strofinai gli occhi per vedere meglio e feci un bel respiro.
Vedevo lui davanti a me con le braccia sui fianchi che rideva.
«Ma sei scemo?! Cosa ti è saltato in mente?» presi a urlagli in faccia. Quando si accorse che ero seria chiuse la bocca e sgranò gli occhi. «Ti avevo detto di lasciarmi, ma non in acqua! Cos'hai al posto del cervello? Un criceto in prognosi riservata?» ero fuori di me. Non sopportavo di essere bagnata in quel modo. Soprattutto se era sera. Eileen se ne stava vicino alla riva incredula dell'accaduto.
Con la coda dell'occhio vidi arrivare Harry. In meno di un secondo lo ritrovai in parte all'amico. Iniziò a spingerlo con delle gomitate mentre io abbassavo lo sguardo verso l’acqua.
«Levati.» gli disse con un tono autoritario. Non mi staccava gli occhi di dosso. Continuava a farli muovere su e giù per l’intera lunghezza del mio corpo. «Hai già fatto abbastanza.» il suo sguardo scrutò a fondo, scrupolosamente, il mio corpo.
«Mi dispiace» mi disse Louis incurante dell'amico.
Harry gli poggiò entrambe le mani sul petto e con una spinta veloce lo fece cadere, facendolo finire sott’acqua per l’ennesima volta.
«Tutto bene?» mise la sua mano destra sul mio braccio sinistro. Aveva la pelle così morbida e calda. Sembra come vellutata.
Il cuore prese a battermi all'impazzata e affondai i miei occhi nei suoi senza riuscire a dire nulla. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era al suo tocco. La mia bocca si aprì leggermente mentre una stretta mi chiuse lo stomaco. Agitai la testa in un no appena accennato.
«Andiamo a casa, adesso.» la sua voce era cambiata.
 Mi passò una mano sul viso ancora grondante d’acqua. La mia pelle sotto il suo tocco arrossì molto velocemente lasciando spazio all’imbarazzo. Fece scivolare lentamente le sue dita sul mio corpo. Dalla guancia al collo, dalla scapola alla spalla, dal braccio alla mia mano. Era come se volesse tracciare un percorso. Intrecciò le sue dita con le mie.
Mi portò fuori dal laghetto lanciando un’ultima occhiata all’amico e cercò di fulminarlo con lo sguardo. Vidi Eileen guardarci. Harry non aprì bocca e con un passo non molto lento si avviò tra gli alberi per tornare alla villetta bianca.
Avevo un freddo inimmaginabile, volevo tornare a casa il più veloce possibile. 
Sentivo delle voci lontane. Erano quelle della mia migliore amica e di Louis. Sembravano così lievi, come dei sussurri appena accennati. Non capivo che dicevano ma sentii Eileen alzare la voce. Pronunciò un "corri!" a mo' di ordine. Mi accorsi che anche il ragazzo che mi teneva per mano sentì la sorella. Di colpo accelerò il passo stringendomi più forte la mano. Ero sicura che quel comando non fosse indirizzato a lui ma, senza nemmeno assicurarsi che io stessi bene, iniziò ad affrettarsi.
Il cielo diventava sempre più scuro man mano che ci allontanavamo dal laghetto, le luci diventavano sempre più soffuse e le pupille lentamente si dilatavano. 
Regnava il silenzio.
Al di fuori dei nostri passi e del respiro affannato, non si udiva nulla. Finalmente eravamo usciti da quell'immensa boscaglia, così fitta e così scura. Mi girai all'indietro per guardare gli alberi, per vedere se anche gli altri ci stavano raggiungendo, ma nessuno arrivava. La foresta appariva così buia, nera come la pece. Metteva paura, terrore. Era come si mi volesse intimidire.
Mi girai di scatto, eravamo arrivati a casa. Stavo ancora tremando e mi battevano i denti.
«Ora puoi lasciarmi la mano.» le parole pronunciate da Harry sembravano quasi una supplica.
Avevo il fiatone, non ero abituata a camminare in quel modo.
Risposi con un mugugno. Ero stanca, non afferravo subito ciò che mi diceva, anche perché ero troppo impegnata a congelare. «Oh!» abbassai lo sguardo sulle nostre dita e mi accorsi che le mie stringevano un po' troppo saldamente le sue, come a fagli mancare il sangue. Senza aggiungere una parola gli lasciai la mano e con un colpo di tosse per smorzare l'imbarazzo, mi avviai molto velocemente verso la porta d'entrata.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Ero salita in camera di corsa, lasciando Harry da solo ad aspettare gli altri. Finalmente ero riuscita a togliermi i vestiti fradici e a farmi una doccia tiepida. 
Ormai erano quasi le due ma il sonno non si faceva sentire per niente. Ero abituata ad andare a letto tardi ma di certo non ero una mattiniera. Odiavo la mattina, preferivo dormire fino a mezzogiorno quando ce n’era la possibilità.
Mi sedetti sul letto per un secondo a pensare. Con un gesto veloce presi l’i Phone poggiato sul comodino e mi alzai. Presi a frugare nella borsa, ero sicura di averle. Era lì, non potevano essere scomparse. Iniziai a tirare fuori varie cose: portafoglio, chiavi di casa, vari documenti e perfino la pochette dei trucchi. Dove erano finite? 
Dopo averle cercate per cinque minuti buoni, le trovai. Erano contorte attorno alla custodia di eco pelle dei Ray-Ban. Cercai di districare i nodi che, non si sapeva come, si facevano. Senza le mie cuffie ero persa. Amavo ascoltare la musica e spesso era una via di fuga. Spesso era per scappare dalle persone, dalle situazioni. O molte volte era solo per scappare dal mondo stesso. Mi facevano sognare e, anche sono per pochi secondi, mi facevano dimenticare chi ero facendomi entrare nel mio mondo, in quello che io stessa mi ero costruita. E lo amavo.
Mi strofinai gli occhi e con molta calma aprii la porta della camera. Cercai di fare il più piano possibile. Per fortuna non cigolava. 
Diedi una sbirciatina veloce al corridoio. Sembrava che tutti stessero dormendo nelle loro camere. Uscii dalla stanza con un passo felpato. Stingevo il telefono nella mano sinistra mentre le cuffiette penzolavano. Sul pavimento era stesa della moquette grigia chiara. La cosa che preferivo di più erano le lucine incastrate nei battiscopa. Quelle lampadine emanavano una luce biancastra ma non sgradevole agli occhi. Non dava per nulla fastidio.
Scesi le scale trattenendo il fiato, non volevo svegliare nessuno. Più che altro, anche se i miei passi non facevano rumore, non volevo che qualcuno si accorgesse di me.
Feci l’ultimo gradino. Rivolsi il mio sguardo alla porta d’entrata. Mi sembrava chiusa a chiave, non c’era nulla di cui preoccuparsi. Almeno speravo.
Girai la testa verso sinistra, guardai la porta vetro della cucina. La luce di un lampione del giardino filtrava all’interno e, fioca, illuminava il tavolo. Mi avvicinai a esso e ci appoggiai sopra l’i Phone. 
Non sapevo che fare, non riuscivo a prendere sonno.
Decisi di aprire il frigo. Magari con un bicchiere di qualche liquore o un goccio di un alcolico funzionava. Dentro ci trovai di tutto: vodka, rum, cognac, brandy, tequila, whisky, gin e perfino qualche bottiglia di birra.
La scelta era tanta ma non ero una di quelle ragazze a cui piaceva ubriacarsi, ma decisi comunque di prendere un sorso di rum.
Aprii lo sportello sopra la mia testa e presi un bicchiere, uno a caso. Tirai fuori la bottiglia. Era alta e snella con un’etichetta attaccata sul davanti. Non riuscivo a leggere la marca, ma davvero m’importava?
Svitai il tappo color oro e versai due dita di quella bevanda nel bicchiere. Rimisi la bottiglia al suo posto e richiusi il frigo. 
Mi sedetti direttamente sul tavolo e m’infilai le cuffiette. Feci partire la musica in modalità casuale mentre mi facevo rigirare l’alcolico tra le mani.
Presi un piccolo sorso. Aveva un ottimo gusto.
Ne feci un altro.
Un altro ancora.
Lo finii in fretta ma non ne versai un altro bicchiere. Poteva bastare quello.
Appoggiai il bicchiere accanto a me.
Non era poi così male starsene lì al buio. Era innocuo, non poteva farmi niente, mi ero costruita tutto io, nella mia mente.
Stavo canticchiando la mia canzone preferita, avevo il volume basso, quando sentii un rumore. Un oggetto di vetro andare in mille pezzi. 
Mi girai di scatto e vidi il bicchiere per terra, rotto. Mi prese il panico. Tolsi le cuffiette di colpo, non ero stata io a buttarlo per terra. Ero rimasta immobile e poi me ne sarei accorta se gli avessi toccato per sbaglio.
Scesi dal tavolo velocemente e il mio cuore per un momento smise di battere. Vidi un’ombra accucciata ai miei piedi. 
Solo strizzando un po’ gli occhi mi accorsi che era lui. Chi poteva essere se non Harry?
«Che stai facendo?» chiese lui sotto voce mentre raccoglieva i cocci di vetro.
«Io…Ehm…» dovevo farmi forza per una volta. Non potevo sempre balbettare davanti a lui, era un ragazzo come gli altri. Strano, ma era come me. Presi un bel respiro e continuai. «Non riuscivo a dormire così…»
«Così hai pensato giustamente di farti un goccetto.» si alzò e fece una smorfia. Con molta delicatezza appoggiò i pezzi del bicchiere nel lavandino. 
«Non bevo quasi mai.»
«Ne sono sicuro, ma abbassa la voce.»
Dopo quelle parole si diresse verso l’entrata principale. Fece girare le chiavi che erano ancora nella serratura un paio di volte e fece per uscire.
«Dove vai?»
Non rispose. Si limitò a far si che la porta si richiudesse dietro di lui.
Mi avviai verso l’uscio e lo seguii sul pianerottolo.
«Ti ho chiesto dove stai andando.» non sapevo che stavo facendo, molto probabilmente era quel goccio d’alcol che mi stava aiutando.
Si fermò immediatamente. Era di schiena ma non si girò. La luce della luna piena delineava appena i contorni della sua figura.
«Rientra in casa.» disse lui
«No.»
Si girò di scatto verso di me e con una velocità inimmaginabile mi era quasi addosso. Mi prese per un braccio, nello stesso modo in cui mi aveva toccato al lago ma ora stava stringendo. E anche tanto.
Iniziava a farmi male.
«Non sono qui per stare dietro ai tuoi cambi di umore.» stava parlando con i denti stretti. Non riuscivo a vedere i suoi occhi. «Smettila di prendertela con tutti. Ora muoviti. Rientra in casa.» mi strattonò per un secondo. Strinse ancora di più la mano. La stretta faceva male.
«Lasciami, mi fai male.» sentivo stringere come una morsa.
«Vai.»
Mi lasciò il braccio e facendo un grande respiro si girò e prese a camminare. 
Solo dopo qualche secondo scomparve nell’oscurità.
Mi massaggiai il braccio. Mi sembrava di essere intrappolata nella sua stretta ogni volta che stringeva di più. Non ero riuscita a vedergli gli occhi. Volevo puntare il mio sguardo nel suo.
Ma non lo trovai.
Rientrai in casa, sentivo il braccio pulsare.
Andai in cucina a prendere il telefono e con uno scatto veloce me ne tornai in camera. Incurante degli altri sbattei la porta e la chiusi a chiave.
Mi recai in bagno. Mi specchiai e mi lavai la faccia con dell’acqua fredda. Non appena mi asciugai il viso, la mia attenzione ricadde su un particolare che vedevo nello specchio. 
Il mio braccio. Appena sotto la piega del gomito sinistro.
Dove mi aveva stretto Harry era rosso.
Abbassai lo sguardo su di esso per vedere meglio e sembrava bruciato. Come se mi fossi scottata o una pentola olio bollente mi fosse caduta addosso.
Com’era possibile questa cosa?
Non era successo nulla.
Mi passai una mano sul braccio. Faceva male da morire.
Mi stavano sorgendo delle domande a cui probabilmente non avrei trovato una risposta facilmente. O magari non l’avrei mai trovata.
Ma la cosa che ora urgeva fare era cercare di fare scomparire quella scottatura. Che ci potevo mettere sopra? 
E soprattutto come potevo nasconderla agli altri?


Se vi è piaciuto il capitolo, lasciate una recensione!
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Mi svegliai senza voglia. La luce entrava senza ritegno in camera mia. Non avevo abbassato le tapparelle la sera prima.
Avevo dormito si e no quattro o cinque ore. Erano le otto del mattino e la voglia di fare qualsiasi cosa mi era passata. Avevo uno strano ricordo della notte appena trascorsa. Un flash mi passò per la mente: il braccio.
Ero ancora sdraiata sul letto coperta semplicemente da un sottile lenzuolo. Con le mani mi stropicciai gli occhi mentre l'indecisione saliva. Guardare il braccio o lasciarlo così com'era?
Magari mi ero solo sognata tutto, così decisi di passarci una mano sopra. La pelle risultava piuttosto ruvida al tatto così abbassai lo sguardo. Non mi ero sognata nulla, era tutto reale. 
La ferita, se così si poteva chiamare, era peggiorata. Non sapevo che fare.
Ancora non capivo perché al tocco di quel ragazzo moro la mia pelle aveva reagito così. Non era una reazione allergica o cose del genere. Io non avevo fatto niente. Più che altro mi aspettavo un leggero livido delle sue cinque dita per via della stretta.
La mia pelle era come bruciata. Non avevo nulla da metterci sopra.
Mi alzai di scatto e mi avviai verso il bagno. Avevo ancora circa un'ora prima che gli altri si svegliassero. Dovevo coprire tutto.
La prima cosa che mi era venuta in mente era di mettere il braccio sotto l'acqua fredda, magari il colore rosso scemava in uno più roseo. Aprii il rubinetto e senza pensarci due volte lo inzuppai ma non fu un'ottima idea. Appena asciutto sembrava irritarsi sempre di più e iniziava a bruciare. Non potevo toccarlo. Ci avevo provato ma sembrava prendere fuoco sotto le mie dita.
Non mi rimaneva che coprirlo con qualcosa sperando che passasse. Potevo mettere una maglia con le maniche a tre quarti ma faceva troppo caldo.
Di colpo mi ricordai della fascia che avevo in borsa. Non so perché ma Eileen, prima di partire, mi aveva infilato un pezzo di garza arrotolato in una tasca. 
Mi avvicinai alla cartella verde e presi la benda. Mi sedetti sul bordo del letto e presi a stingermela attorno alla scottatura. I miei pensieri erano sempre rivolti a Harry.
La ferita piano piano scompariva ricoperta dal tessuto color avorio. Presi l'ultimo lembo della fascia e per chiudere il tutto lo infilai sotto uno dei tanti giri che la garza aveva fatto sul mio braccio.
Ero pronta, dovevo solo spazzolare i capelli e cambiarmi.
Presi una t-shirt color caramello. Sul davanti era liscia mentre, sulla schiena, era interamente fatta di pizzo lasciando intravedere il reggiseno. Infilai un paio di pantaloncini di jeans e le solite converse bianche e uscii dalla camera. 
Arrivai nel luogo in cui si era rotto il bicchiere in meno di un minuto. Guardai nel lavandino e i pezzi di vetro erano scomparsi, qualcuno li aveva buttati. Appoggiai le mani all'estremità del lavello e lasciai che le braccia sorreggessero il mio peso mentre mi perdevo tra i miei pensieri.
«Che stai guardando?» la sua voce mi distrasse e mi girai.
«Buongiorno, come mai già sveglia?» chiesi io per cambiare discorso.
«Andiamo a fare il pic-nic, ricordi? Devo preparare le cose.» Eileen si stropiccio gli occhi e sbadigliando si sedette su uno sgabello rialzato.
Gli passai una tazza, i cereali colorati alla frutta e il cartone del latte. Aveva le palpebre leggermente calate, segno che voleva tornarsene a letto. Con un gesto di routine versò i corn-flakes nella bacinella e con un cucchiaio, che le feci scivolare sul tavolo, iniziò a mangiare. 
Alzò il viso verso di me. Mi ero seduta di fronte a lei e avevo appoggiato i gomiti sul tavolo.
«Che hai fatto al braccio?»
«C-cosa?» mi era preso il panico, non avevo pensato a cosa dire agli altri. Di certo non potevo digli di suo fratello. Già non riuscivo a rispondergli in modo sensato senza arrossire o senza vergognarmi, se in più le dicevo che mi aveva bruciata solo toccandomi, mi avrebbe preso per pazza.
«Perché hai la fascia, cosa è successo?» richiese Eileen. Stava giocherellando con i cereali creando una strana pappetta con il latte. Era disgustoso.
«Mi... Mi sono tagliata con un bicchiere ieri sera.»
«Sei un disastro.» non ero un granché a mentire ma aveva funzionato. «Vado a svegliare gli altri, intanto tu riesci a preparare il mini frigo con le cose da mangiare?»
Annuii.
La mia migliore amica salì al piano superiore per buttare giù dal letto i ragazzi come solo lei sapeva fare.

*

Eravamo pronti per tornare al laghetto della sera precedente.
Uscimmo di casa e ci addentrammo nel bosco in fila indiana. Nessuno disse una parola, tanto meno io. Camminavo guardandomi i piedi, ero la penultima della fila. Dietro di me c'era Harry con le cose da mangiare.
Mi metteva paura, il cuore mi batteva all'impazzata.
Sentivo che qualcosa non andava.

[ Lasciate una recensione, un commento o un suggerimento per la storia! Vi aspetto numerosi anche nel prossimo capitolo!  ]

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Appoggiai lo zaino bordeaux vicino a un sasso. Aprii la zip e tolsi il telo. Lo dispiegai per terra vicino a un masso con l’aiuto di Louis.
«Stai bene?» chiese lui fissando il mio braccio.
Annuii, non ero in vena di spiegazioni.
Mi sedetti molto velocemente e il ragazzo che era accanto a me fece lo stesso. Vidi passare Eileen proprio davanti a me. Si stava dirigendo verso la casetta di legno. Guardai Harry con occhi impauriti. Stava camminando tranquillo dietro di lei quando si fermò davanti a me. Non appena si girò, puntò i suoi occhi nei miei facendomi abbassare lo sguardo. Lui fece un gran respiro e si fermò, come se volesse dire qualcosa. Socchiuse le labbra, ma non fece in tempo a dire sola vocale che sua sorella lo chiamò. Chiuse per qualche istante gli occhi prima di girarsi e proseguire verso le scale.
«Sicura che è tutto okay?» Louis mi toccò un ginocchio facendomi distrarre dai miei pensieri.
«Si, va tutto bene.» stavo mentendo spudoratamente.
Il ragazzo biondiccio mi mise un braccio dietro al collo lasciandolo ricadere sulle mie spalle.
«Vieni qui.» disse in fine prima di stringermi in un caloroso abbraccio. Lo stinsi forte a me. Sentivo il suo cuore battere come non mai.
Si staccò leggermente da me, per qualche secondo mi guardò fisso negli occhi. Passò una sua mano sulla mia guancia e sorrise. Mi sistemò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, si leccò il labbro superiore e socchiuse gli occhi. La sua mano destra finì dietro la mia nuca e stava cercando di avvicinare la bocca alla mia.
Cercai di lasciarmi andare. Assomigliava tanto a quelle scene a rallentatore dei film.
Mi morsi il labbro inferiore e sorrisi. Ormai le nostre bocche si stavano per sfiorare quando sentii qualcosa. O meglio, qualcuno.
«Stalle lontano.» era Harry.
La cosa mi sorprendeva. Fino a qualche momento prima sembrava che volesse ignorarmi e ora non voleva che Louis, il suo migliore amico, mi toccasse. Ma che aveva quel ragazzo? Per essere stano, lo era.
«Come hai detto?» Louis si girò con una faccia da scettico mentre faceva scivolare le sue mani dal mio corpo verso il telo di un azzurro confetto.
«Ti sta cercando Eileen.» replicò Harry.
«Ripeti quello che hai detto prima.» il ragazzo si alzò e sistemandosi il ciuffo, andò verso il suo amico con un fare di sfida.
«Vai da Eileen, ora.» il moro era inamovibile. Aveva un tono piuttosto minaccioso e autoritario, come sempre del resto. Louis scosse la testa da destra verso sinistra un paio di volte e con uno sbuffo si diresse verso gli scalini che conducevano alla porta d’ingresso di quella piccola cascina, se cosi si poteva chiamare.
Lo guardai camminare. Cercavo di non distogliere il mio sguardo dal suo sedere. Di certo era più interessante guardare il suo didietro coperto da un paio di bermuda beige che parlare con quella sottospecie di assassino che la sera prima aveva cercato di abbrustolirmi come una salsiccia.
«Ciao.» Harry sembrava voler essere gentile per una volta.
Non risposi e si sedette accanto a me senza nemmeno chiederlo.
«Stammi lontano.» continuavo a guardare altrove. Stavolta non mi avrebbe fregato, non l’avrei guardato negli occhi e non sarei andata in palla.
«Cosa hai fatto al braccio?» chiese lui con un tono di preoccupazione.
«E me lo chiedi anche?» prima mi faceva del male e poi si divertiva a prendermi in giro, che coraggio. Appoggiai delicatamente la mano destra sulla fascia e iniziai a sfregare piano come se il dolore potesse alleviarsi in qualche modo. «Complimenti.» feci una smorfia.
«Ti sei tagliata con il bicchiere ieri sera?» davvero non sapeva che cosa mi aveva fatto al braccio? «Fammi vedere, ti aiuto a medicarlo meglio.» mi porse una mano.
«Ti ho detto di non toccarmi.» ritrassi il braccio lasciandomi scappare un piccolo gridolino per il male.
«Smettila di fare l’antipatica, ti sto offrendo il mio aiuto.» tirò indietro la mano e appoggiò le braccia sulle gambe piegate. «Sei davvero una stronza.» iniziò a fissare il laghetto.
Feci lo stesso anche io, sembrava che entrambi avessimo lo sguardo perso verso la cascata alla fine dello specchio d’acqua. Harry si girò verso di me.
«Perché fai così?» chiese con gli occhi lucidi per lo sbadiglio che aveva appena fatto.
«Non mi fido di te.»
«E perché? Neanche mi conosci.» si stava mettendo sulle difensive ma sapevo qual era il suo passato e cosa aveva combinato. Non m’importava se Eileen diceva che era cambiato.
«Si che ti conosco.»
«Era il passato.» fece un sorriso beffardo. Mi girai anche io verso di lui.
«So cosa hai fatto.»
«Ti sbagli.» aggrottai la fronte. Io? Sbagliarmi? Non credo proprio, ci vedevo bene e di sicuro non me l’ero sognato. «Andiamo a fare un giro.» si alzò con un balzo veloce e mi tese la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Alzai lo sguardo verso di lui e dopo aver scosso leggermente la testa, mi alzai da sola lasciandolo lì con la mano in sospeso.
«Dove vuoi andare?» chiesi io leggermente titubante.
«In un posto dove posso raccontarti una storia.»
«Perché non qui?»
«Seguimi.» odiavo quelle risposte, diceva sempre cose che non mi interessavano.
«Se vuoi raccontarmi quella della bella addormentata nel bosco, la conosco già.» si fece scappare una risatina ma non disse nulla. Si girò un secondo per dare un’occhiata alla casetta di legno. Eileen e Louis erano ancora li, non si sarebbero accorti della nostra mancanza.
«Vado avanti io.» disse lui, come se la cosa non fosse già chiara.
 Si avviò dalla parte opposta da cui eravamo arrivati. Imboccò un piccolo sentiero sterrato che percorremmo per un paio di minuti prima di abbandonarlo e camminare di nuovo in mezzo al muschio e alle radici.
Orami stavamo camminando da un quarto d’ora buono. Nessuno dei due aveva ancora da dire qualcosa anche perché io ero impegnata a non cadere.
«Provi qualcosa per Louis?»
«Cosa?» mi fermai un secondo. Quella domanda mi aveva spiazzato. Non pensavo gli interessasse la mia vita amorosa.
«Era solo per fare conversazione.» spiegò lui continuando a camminare dandomi la schiena mentre abbassavo lo sguardo.
«Va bene.» mi tolsi i capelli da davanti agli occhi e ripresi a camminare.
«Rispondi.»
«No, non rispondo.»
Harry si fermò di colpo e si girò verso di me. «Siamo arrivati.» Eravamo nel bel mezzo del nulla. «Io ti racconto la mia storia che pensi di sapere già e tu sleghi la benda.»
«No, non lo farò.»
«Non è una domanda, è un ordine.»
«Ma…»
«Niente ma.»
Quel ragazzo aveva delle pretese assurde.
Ero curiosa di sapere che cosa voleva dirmi. La sapevo già la storia. Era la solita solfa: non sono stato io, è colpa di altri e non ti farei mai del male.
«La so già la tua storia.»
«Smettila. Ci sono anche i retroscena di un racconto.»
«Va bene racconta, ma non ti farò vedere il mio braccio.» sapeva tenere gli altri al loro posto ma con me non funzionava. Non doveva riuscirci.
«Hai detto che è solo un taglio, che hai da perderci?» mi aveva incastrato. Aveva capito che avevo molto di più da nascondere.
«Vedremo.»
«Sono sicuro che scioglierai la fascia senza tanti problemi.» quell’autorità che aveva mi incuteva terrore e fastidio allo stesso tempo.
«Che cosa sono quelli?» indicai il suo braccio. Volevo rompere la tensione che si stava creando.
Alzò il suo braccio sinistro per far si che si vedessero meglio. «Sono tatuaggi.»
«Ciò vuol dire che sei stato in galera.»
«Non tutti quelli che hanno un tatuaggio sono stati rinchiusi, sai?» scosse la testa incredulo a quello che avevo appena detto. «Sono quattro simboli. I quattro elementi della natura.»
Acqua.
Aria.
Terra.
Fuoco.
«Ognuno di essi ha una storia.»
«Il fuoco cosa racconta?» chiesi incuriosita.
«Non è il momento.»

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


«Raccontami degli altri simboli.»
«Ogni cosa a suo tempo Allen.» il tono della sua voce si abbassò. «Io non sono chi tu credi.»
«Hai ucciso.» con voce tremante pronunciai quelle parole.
«Ti sbagli.» fece un passo per venire verso di me. «Devi sapere…»
«So già tutto.»
Dopo quelle parole scossi la testa e indietreggiai lentamente. Mi girai di scatto e iniziai a correre verso il sentiero che poco prima avevamo percorso.
Arrivai al laghetto con il fiatone ma dovevo fare un ultimo sforzo. Alzai la testa per guardare la casetta di legno. Non erano tanti i gradini che ci dividevano. Dopo essermi accertata che dietro di me non ci fosse nessuno, che Harry non fosse alle mie spalle, mi diressi verso la scalinata.
Presi un bel respiro e feci il primo gradino. Avevo le gambe che mi tremavano per via della corsa fatta. Non ero abituata a cose del genere.
Finalmente feci l’ultimo gradino.
Spalancai la porta. Molto probabilmente era fatta con la corteccia di un castagno. L’interno dell’abitazione non era tanto grande.
Il pavimento era interamente ricoperto dal parquet mentre al posto dei classici muri di cemento, c’erano delle travi di legno. Le stesse che si vedevano da fuori.
Aveva un’aria accogliente e dava senso di calore.
Appena entrata la mia attenzione cadde su una cassapanca posta sul fondo della stanza contro la parete più lontana. Aveva un colore piuttosto scuro con degli intagli tutt’attorno. Sopra di essa c’era un centrino bianco, sembrava ricamato a mano. L’aria che aleggiava nella casa era fresca e delicata, sapeva di pino.
In mezzo alla stanza c’erano un divanetto a due posti e un paio di poltrone ai suoi lati. Erano tutti ricoperti da una stoffa grigia scura, quasi nera. Il salotto non aveva molti fronzoli, per completare tutto c’era una tv al plasma da quaranta pollici circa.
Mi girai verso destra e notai una porta leggermente socchiusa. Doveva essere la cucina.
Con un passo felpato mi avviai verso di essa. Non feci in tempo ad appoggiarci la mano sopra per spingerla che di colpo si aprì.
Mi spaventai leggermente ma quando vidi che Louis uscire mi tranquillizzai.
«Hey!» esclamai io contenta di vederlo.
«Ciao.» rispose freddo lui.
Si avvicinò lentamente a me e senza aggiungere una parola mi diede un bacio sulla guancia e uscì da casa a testa bassa.
Mi sembrava strano il suo atteggiamento ma non mi soffermai molto a pensarci. Feci spallucce e senza esitare entrai in cucina, dove vidi Eileen intenta a preparare il pranzo.
«Eileen, che aveva Louis?» lei alzò lo sguardo dai fornelli e si girò verso di me.
«Non ne ho idea.» intravidi qualcosa sul suo volto, sembrava un livido o qualcosa di simile.
«Cosa hai fatto alla guancia?» abbassò lo sguardo e si accarezzò il viso.
«Qui dici?» finse un sorriso mentre gli occhi s’inumidivano. «Niente, stavo scherzando con Harry prima che arrivasse Louis.» mentre ascoltavo le sue parole, mi sedetti su una sedia appoggiandomi sul tavolo con i gomiti e il resto del peso. «Nulla di che, poi passa.» si girò come se nulla fosse e continuò a tagliare le verdure che erano sull’asse di legno.
Muoveva le mani molto velocemente e ritraeva alla stessa velocità le dita per evitare di tagliarsi. La vedevo dimenarsi per l’intero piano cottura.
La stavo osservando quando vidi che altri lividi stavano comparendo sulle sue braccia e sulle sue gambe.
«Hai altri lividi, Eileen.» con un gesto veloce spinsi indietro la sedia e mi alzai per andare verso di lei.
«Te l’ho detto, non è nulla di che. Quando scherzo con Harry può capitare. Anche a lui vengono.»
«Ti ha fatto del male?» ero vicina a lei che cercavo i suoi occhi. Non voleva alzare lo sguardo. Continuò a cucinare come se non le avessi chiesto nulla. «Rispondi, ti ha fatto del male?» alzai la mia voce.
«No, non mi ha fatto niente!» rispose con voce tremante e alquanto acuta.
«Puoi dirmelo se ti ha fatto qualcosa.»
«Non è successo niente, ora non è il momento.» non è il momento per cosa? Era lì, in piedi, tanto fragile da piangere quanto forte per trattenere le lacrime. Per evitare che scoppiasse, le accarezzai un braccio e annuii senza dire nulla. Non sapevo che era successo, ma di sicuro non era stato un incidente.
Mi sedetti sul tavolo e cercai una scusa per cambiare discorso.
«Louis ha provato a baciarmi.» sputai il rospo senza pensarci due volte.
«Non fidarti di lui.» rispose come se fosse un comando, aveva preso quel tono autoritario del fratello.
«Come?»
«Hai capito, ora aiutami a portare di sotto le cose. È ora di pranzo.»

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Erano le ventidue e finalmente potevo farmi una doccia in santa pace.
La giornata era andata bene, tutto sommato. Avevamo mangiato in tranquillità, Louis aveva passato tutto il giorno con il suo amico a schizzarsi in acqua mentre io cercavo di avere una conversazione con Eileen. Aveva avuto un’espressione assente per tutto il giorno. Aveva provato a isolarsi tornando a casa prima. Appena aperta la porta, i ragazzi ed io, la trovammo distesa sul divano con le cuffiette della musica che dormiva. Harry la prese in braccio senza farla svegliare e la portò in camera.
L’acqua tiepida mi scorreva lungo tutto il corpo. Era rilassante. Avevo i capelli raccolti in un cucù per non bagnarli.
Aprii leggermente il box della doccia e feci scivolare fuori una mano. Presi una salvietta per coprirmi e uscii. Me la attorcigliai attorno al corpo. Mi copriva il seno e arrivava appena sopra le ginocchia.
Mi asciugai velocemente e mi misi in biancheria intima. Slegai i capelli e iniziai a pettinarli. Appena finii, spalancai la finestra del bagno per far uscire il vapore. Chiusi la porta di esso e mi buttai sul letto. Avrei dedicato la serata a rilassarmi. Avrei fatto una maschera al viso, mi sarei messa il latte da corpo alle mandole e avrei rimesso lo smalto. Avrei dedicato la serata a me stessa.
Feci per alzarmi dal letto quando qualcosa a terra richiamò la mia attenzione.
Era un foglietto bianco. Sembrava essere passato sotto la porta.
Mi alzai del tutto dal letto e lo raccolsi. Aprii la porta della mia camera per vedere se c’era qualcuno di fuori. Sporsi la testa eppure era tutto tranquillo. Non si sentiva niente. Niente passi, niente respiri, niente parole. Niente di niente.
Richiusi la porta e girai la chiave. Stava succedendo qualcosa di strano. Prima il mio braccio, poi Louis che esce dalla casetta di legno scuro in volto, Eileen piena di lividi che dice che sta bene e ora questo foglio.
Lo feci girare un paio di volte tra le mani. Era grande come un biglietto da visita.
Sul fronte c’era una scritta: ACQUA.
Sotto di essa, un disegno. Era un triangolo rovesciato.
Girai il foglio per leggere ciò che c’era scritto dietro.
SOPRAVVIVENZA.
Una sola parola e un sacco di significati.
Ma che voleva dire quel biglietto?
Riflettei un secondo e pensai a Harry. Quel triangolo era uno dei suoi quattro tatuaggi. Aveva detto che ognuno aveva un significato. Un significato per lui o in generale?
Sopravvivere.
Mi soffermai su quella parola. La fissai per un paio di minuti. Non mi veniva in mente nulla.
Mi vestii di fretta e furia e senza fare troppo rumore aprii la porta. Dovevo parlare con Harry.
Uscii in corridoio. Non ricordavo quale fosse camera sua, ma dei sussurri mi distrassero per un secondo. Provenivano dalla camera della mia migliore amica.
«Dovresti diglielo.» disse Eileen. Con chi stava parlando? Mi avvicinai di più alla porta per sentire meglio quando la mia amica aprì la porta dalla camera quasi sbattendomela in faccia. Feci un balzo all’indietro. Harry mi guardò con gli occhi pieni di rabbia.
Non disse niente e si precipitò in camera sua sbattendo la porta.
Entrai nella camera della mia migliore amica.
«Posso?» chiesi con una voce lieve.
Lei non rispose. La vidi ai piedi del letto piangere.
«Cosa è successo Eileen?» con un fare sconvolto mi inginocchiai alla sua stessa altezza e la abbracciai. «Tranquilla ci sono qui io, cosa è successo?» lei continuava a non rispondere.
Nello stringerla forte a me sentii un suo gridolino di dolore. Iniziò a tremare e a singhiozzare. Le sfregai le mani sulla schiena ma lei continuava a muoversi come se le facessi del male ad ogni tocco. La feci girare e le alzai la maglietta. Sulla schiena aveva graffi rossi e qualche taglio non molto profondo.
Mi alzai di scatto e corsi da Harry. Aprii la porta di camera sua con una spinta tanto forte da farla sbattere contro il muro. Era seduto su una poltrona in un angolo della stanza.
«Ma cosa ti prende?!» presi a urlagli in faccia. «Si può sapere che razza di animale farebbe questo alla propria sorella?!» non riuscivo a trattenermi.
«Non sono un violento. Stai attenta a chi ti circonda. Non sono come credi. Non lo è nemmeno Louis.» mi spiazzò.
«E se non è colpa tua perché non la aiuti?!» si alzò di scatto e si avvicinò a me. Eravamo distanti un paio di centimetri. Potevo sentire il suo respiro sulla mia pelle.
«Io non posso farci niente. Se avessi potuto, non me ne sarei stato qui con le mani in mano. Non posso toccarla.» dopo quelle parole mi sbatté fuori dalla sua camera. Rimasi allibita da quel gesto. Ormai non mi rimaneva altro da fare che aiutare la mia migliore amica.
Tornai da lei e la feci sdraiare a pancia sotto sul letto a due piazze. Le alzai la maglietta e le spalmai una crema per far guarire prima i graffi. A ogni ferita era una lacrima e mi si spezzava il cuore a vederla così.
«Non è stato Harry, vero?» le chiesi con un filo di voce.
«Lui brucia.» riuscì a dire solo queste due parole prima di tornare a lacrimare.
Dopo quell’affermazione mi pietrificai. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Ero sdraiata accanto alla mia migliore amica. Eravamo sul suo letto. Ero riuscita a farla addormentare nonostante i lividi e i graffi sulla schiena.
Rimasi per un paio d’ore accanto a Eileen mentre le accarezzavo il braccio per farle capire che non l’avrei abbandonata.
Ero persa nei miei pensieri quando sentii una fitta al braccio sinistro. Ero stata troppo occupata a pensare ad Eileen che mi ero dimenticata di pulire la mia di ferita.
Mi accertai che la ragazza mora dormisse prima di alzarmi lentamente dal letto. Mi sollevai cercando di non far muovere troppo il materasso.
Iniziai a dirigermi verso il bagno, aprii lentamente la porta per poi richiuderla dietro le mie spalle.
Notai una valigetta non molto grande di cuoio nero con stampato sopra una croce argentata. La aprii ed era piena di medicinali. C’erano pastiglie per il mal di testa, per il mal di stomaco e pasticche per il mal di mare e il mal d’aereo. Non capivo a cosa potessero servire tutte quelle cose. Iniziai a togliere alcune confezioni. Trovai un termometro, delle supposte e perfino delle gocce per l’otite. Okay, stavamo via un po’, ma non pensavo di prendere tutti i malanni di questo mondo.
In fondo alla scatola trovai un barattolo non molto grande di un colore rossastro. Lo tirai fuori lasciando il resto dei medicinali nel lavandino e iniziai a leggere le istruzioni. Era una crema contro le scottature e le bruciature.
Iniziai a slegare la fascia. Eileen ne aveva tante, avrei potuto prenderne una in prestito mentre mettevo la mia a lavare. La srotolai lentamente dal mio braccio. La bruciatura era peggiorata. Si erano fatti dei piccoli taglietti su di essa, facevano male da morire perché le crosticine si erano attaccate alla benda e nel toglierla, si aprirono le piccole ferite lasciando uscire un po’ di sangue.
La mia attenzione cadde su un punto interno del braccio. Il resto della scottatura era rossa tendente al color vinaccia mentre in quel punto stava diventando blu, tendente al nero.
Pensai che fosse una cosa normale, era la prima volta che mi capitava.
Aprii il barattolo rosso e, con due dita della mano destra, presi un po’ di crema. Iniziai a spalmarla, non faceva molto male appena messa. Dopo qualche secondo la pomata iniziò a bruciare e per alleviare il dolore presi a soffiarci sopra. Ci legai attorno la fascia molto velocemente e rimisi a posto tutti i farmaci. Un po’ alla rinfusa, ma li avevo sistemati.
Rimisi la valigetta dove l’avevo trovata e tornai in camera.
Eileen dormiva ancora come un angioletto, non si era accorta di niente.
Una folata di vento mi scompigliò i capelli. Notai che la porta finestra era aperta. Ricordavo di averla chiusa prima di essermi coricata con Eileen, non poteva essersi aperta da sola.
Per terra trovai una foglia nera. Non ne avevo mai vista una così. Non era il solito colore verdognolo scuro delle foglie. Era strana.
La raccolsi, e la guardai incuriosita.
Decisi di lasciare stare, non era così importante. D’altra parte vicino c’era un bosco, era normale che con il vento qualche foglia entrasse.
Mi sedetti sul letto e accesi l’abatjour che avevo sul comodino. Appoggiai la foglia accanto ad essa e la fissai per un attimo. Scossi la testa e mi coricai.
Ripensai alle parole di Eileen: “Lui brucia.”
Che voleva dire?
Abbassai lo sguardo sul mio braccio. Non lo aveva mia visto, come faceva a sapere che Harry bruciava?
Era strano. Anche al lago mi aveva tocca e non era successo nulla.
Di colpo, crollai in un sonno profondo.
 
*
 
Come uscii dalla camera della mia migliore amica, lei la chiuse a chiave. Un po’ stranita, mi voltai indietro e bussai svariate volte.
«È tutto okay?» chiesi da dietro la porta. Ricevetti come risposta solo un mugugno così decisi di lasciare stare.
Scesi in cucina, il profumo di caffè mi entrò con prepotenza nelle narici. Era un buon odore da sentire la mattina, un dolce aroma.
La mia attenzione ricadde sulle nuvole grigie fluttuanti nell’atmosfera. Riuscivo a vederle attraverso la porta di vetro della stanza in cui mi trovavo. Si sapeva che il tempo qui poteva variare da un momento all’altro. Il meteo era sempre incerto e potevano cambiare quattro stagioni nel giro di un’ora.
Mi sedetti su uno sgabello poggiando i gomiti sul tavolo. Su di esso era appoggiato l’ultimo bicchiere di carta. Aveva il mio nome.
I ragazzi stavano già sorseggiando la loro colazione quando sollevai leggermente il sedere dalla mia seduta per poter arrivare alla mia bevanda.
Presi un sorso di caffè e alzai lo sguardo un po' intimorito verso i due ragazzi. Louis se ne stava tranquillamente appollaiato sulla sedia con il bicchiere di carta in mano riempito con qualche bevanda calda. Non sapevo dire cosa fosse, tutti gli odori della colazione si confondevano l'uno con l'altro facendo sembrare tutto caffè. 
Stava sfogliando una rivista di motori.
Spostai lo sguardo su Harry. Non aveva mai spostato il bicchiere dalla bocca da quando ero scesa. Aveva lo sguardo un po' cupo e assonnato e non mi staccava gli occhi di dosso. Non batteva ciglio. 
La cosa mi metteva a disagio e presi a guardarmi attorno arrossendo leggermente. Sentivo i suoi occhi addosso come se volesse dire qualcosa, ma non poteva. 
Decisi di fare il suo stesso gioco. Di colpo puntai i miei occhi nei suoi e mi parve di vedere un luccichio. Socchiusi leggermente gli occhi e sussurrai qualcosa di così impercettibile che il ragazzo biondo non alzò nemmeno la testa dal suo giornale. Era stato come un soffio, la frase "Sei stato tu?" non era rimbombata nella stanza.
Harry, che probabilmente aveva letto il labiale con facilità, scosse la testa. 
«E se fossi stata tu?» disse lui.
La domanda mi sorprese. Iniziarono a tremarmi le mani e di conseguenza anche il bicchiere di caffè che tenevo in una di esse.
«Come ti permetti?» i miei occhi si accesero di rabbia. «Non sono un animale, come te.» replicai senza nemmeno pensarci un secondo.
«Sei molto di più di un animale!»
Di colpo strinsi il bicchiere che in un secondo si accartocciò facendo uscire tutto il liquido che finì sulla mia mano.
Solo dopo averlo lasciato cadere e aver sporcato il pavimento Louis mi guardò. Per tutto il tempo era stato a leggere senza problemi.
«Che succede?» chiese con tanta leggerezza. «Ti sei scottata?»
«No.» risposi mentre cercavo di uccidere Harry con lo sguardo. «Il tuo amico mi ha dato della bestia!»
«Quando?» alla sua domanda alzai un sopracciglio.
«Ora.»
«Ma se non avete nemmeno parlato.»
Non avevamo parlato? Ero sicura di quello che mi aveva detto. Ero sicura di averlo sentito parlare e non mi sbagliavo, le mie labbra si erano mosse lasciando uscire parole un po' scombinate.
«Avrai capito male.» disse il ragazzo dai capelli biondicci prima di alzarsi per aprire qualche sportello della cucina.
Harry si alzò dalla sedia. Iniziò a dirigersi verso di me. Ero immobile seduta ancora al tavolo della cucina con una mano sporca di caffè.
Mi si avvicinò con cautela e con ancora in mano il suo bicchiere bollente si abbassò per sussurrarmi qualcosa all'orecchio.
«È giunta l'ora, non puoi fermarti.»la frase parve un sibilo.
Si ricompose, gettò un'occhiata all'amico che trafficava nei cassetti per trovare un asciugamano per pulire il disastro appena fatto e se ne andò.
Uscì dalla porta di casa senza avere nulla in mano se non un bicchiere di caffè accartocciato. 


[Spero che la storia vi piaccia, lasciate una recensione per farmelo sapere o anche semplicemente per un consiglio!]
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Louis si avvicinò a me, ancora immobile. Senza dire nulla si chinò ai miei piedi e iniziò ad asciugare il caffè.
Una volta ripulito il disastro fatto, si limitò a lavare lo straccio nel lavandino della cucina mentre io, senza fare rumore e senza dire una parola, mi dileguai in giardino.
Il tempo reggeva, le nuvole non minacciavano ancora pioggia. Mi sedetti su una delle sdraio che erano poste vicino al bordo di quella piscina poco utilizzata. Sembrava ancora nuova. Il maglioncino grigio della sera precedente mi riparava dal leggero venticello.
Come era possibile non aver parlato con Harry? Lo avevo sentito insultarmi.
Pensai all’accaduto per svariate ore. L’unica cosa che mi venne in mente era una cosa assurda, che mai si era sentita.


 
*
 
 
Nonostante il tempo incerto, passai la giornata in giardino. La sera cominciava a scendere su di noi e, come se fosse un comando automatico, mi alzai e andai in camera. Avevo bisogno di rinfrescarmi e di dare un’occhiata alla scottatura.
Chissà come stava Eileen.
Avrei bussato alla sua porta dopo essermi ripresa.
Mi diressi in bagno, pronta a sciacquarmi il viso. Aprii l’acqua, la feci scorrere per qualche istante prima che qualcuno iniziasse a bussare alla porta di camera mia. Mi guardai allo specchio. Non ero di certo presentabile, avevo le occhiaie e i capelli scompigliati ma non potevo lasciare che qualcuno sfondasse la porta per entrare.
Con uno sbuffo mi diressi verso l’uscio. Ruotai gli occhi e aprii la porta lentamente. Appena aperto, mi guardai attorno. Non c’era nessuno.
La cosa non era per niente divertente.
Non capivo chi si divertiva a fare questi scherzi idioti.
Respirai molto profondamente, chiusi gli occhi e ripetei la cosa per un paio di volte. Mi passai le mani sul viso e mi morsi la lingua per cercare di non imprecare.
Chiusi la porta quasi sbattendola e tornai in bagno, dove c’era ancora l’acqua che scorreva. Misi le mani sotto quel getto tiepido e, dopo essermi abbassata all’altezza del lavello, me la gettai in faccia per tre, quattro, cinque volte. Era come se volessi scacciare i pensieri dalla mente.
Avevo gli occhi chiusi e a tastoni cercai la salvietta sulla mia sinistra. Non appena la trovai, ci affondai il viso. Era morbida.
Alzai il volto, di nuovo, verso lo specchio per vedere se la situazione era migliorata, quando un biglietto incastrato nella cornice del vetro riflettente ebbe tutta l’attenzione.
Un attimo prima quel biglietto non c’era. Erano passati solo dei secondi tra il bagnarsi il viso e asciugarsi con la salvietta.
La cosa stava diventando inquietante.
Presi il biglietto facendo cadere la salvietta a terra. Era uguale a quello della sera precedente ma stavolta le scritte erano cambiate. Anche il disegno non era lo stesso.
Stavolta la parola era ARIA. Sotto di essa c’era un triangolino tagliato da una striscia, orizzontalmente, a un quarto di altezza partendo dalla punta, rivolta verso l’alto .
Mi tremavano le mani.
Girai il foglietto e la parola abbinata era ELEGANZA.
Prima acqua, poi aria.
Entrambi i simboli trovati sui biglietti erano dei tatuaggi che aveva Harry. Ma perché mi mandava quei foglietti? Perché dietro a ogni nome scriveva una parola?
Mi sarebbero arrivati altri bigliettini, non poteva fermarsi a metà. I simboli erano quattro e i biglietti due. E le parole dietro a ogni nome, erano collegate l’una con l’altra?
I pensieri m’invasero la mente quando sentii come pizzicare al braccio. Il braccio sinistro. Quello che ancora era fasciato.
Andai ad appoggiare il biglietto, che ancora avevo tra le mani, sul comodino. Lo misi insieme a quello precedente. Uno sopra l’altro. Mi sedetti sul letto e dopo aver preso un bel respiro, iniziai a slegare la fascia.
Cercai di farlo il più delicatamente possibile. Stranamente non faceva male.
Tolsi anche l’ultimo strato e mi accorsi che il rossore e la scottatura erano quasi passati, ma ora c’era un’altra cosa a preoccuparmi. Un qualcosa di nero si stava formando sulla pelle. Ci passai sopra le dita in modo leggero, come se quasi non toccassi nemmeno il braccio. La pelle sembrava che stesse tornando liscia.
Pigiai un po’ di più, con tutta la mano, non bruciava nemmeno.
Mi alzai dal letto, sembrava che la ferita stesse guarendo perfettamente. Non diedi tanta importanza a quello stupido segno nero, sarebbe passato anche lui.
Mi tolsi il maglioncino e la canottiera che avevo sotto. Stavo per togliere anche i pantaloni quando un ‘bip’ mi fece girare verso la borsa, buttata un po’ così su una sedia in un angolo della stanza. Era un messaggio. Mi avvicinai ad essa e iniziai a cercare l’i Phone.
Era un numero sconosciuto.
‘Vestiti in modo pesante ed esci da casa. Sono qui fuori che ti aspetto. Harry.’

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


 
Ero confusa ma feci come disse il ragazzo riccio. M’infilai un paio di jeans verdone militare, una t-shirt bianca con sopra un maglione grigio con inserti bianchi. La maglietta era più lunga del caldo pullover e s’intravedeva sotto. Mi misi i calzini, le converse bianche e, tutta di fretta, afferrai la borsa per attaccare la tracolla a quella che prima era una piccola cartella. Ci infilai dentro il telefono e uscii dalla camera cercando di chiudere la porta senza fare rumore. Mi guardai attorno, tutte le stanze erano chiuse e come sempre regnava il silenzio.
Scesi le scale e con un passo deciso uscii sul vialetto e lo vidi. Era alla fine del ciottolato seduto su una moto. Era illuminato solo dalla luce fioca di un lampione e dalla luna piena. Aveva già il casco sul capo mentre un altro era poggiato sul manubrio.
Mi avvicinai a lui con cautela e quando mi vide, mi passo il copricapo integrale e senza dire una parola, mi fece gesto di salire dietro di lui. Un po’ insicura, poggiai una mano sulla sua spalla, salii dolcemente e mi infilai il casco. Feci giusto in tempo ad attaccarmi al suo ventre che accelerò. Il mio corpo era completamente attaccato al suo. Mi stingevo sempre più forte a lui.
Eravamo usciti dalla zona urbana e avevamo imboccato una superstrada.
80 km/h.
100 km/h.
130 km/h.
150 km/h.
Al salire della lancetta della velocità, si alzava anche la mia paura, ma l’adrenalina che avevo in corpo era tanta. Era un’emozione unica.
Poteva iniziare a piacermi, Harry.
Arrivammo in una cittadina che distava poco più di sessanta chilometri dalla villa. La raggiungemmo in meno di mezz’ora.
Aveva qualcosa di familiare.
Ci fermammo davanti a un vecchio faro. Lui abbassò il cavalletto della moto per fare in modo che fosse più stabile e per non cadere quando poi sarei scesa io.
Misi un piede a terra seguito subito dall’altro. Mi sfilai il casco integrale e mi guardai attorno. Era buio pesto e non si vedeva nulla. Mi girai indietro per guardare il ragazzo riccio. Da sola non avrei fatto nemmeno un passo.
Harry si stava sistemando il ciuffo quando alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi nei miei. Riuscii a vederli distintamente. Mi parve di vederli color ghiaccio ma cambiai subito direzione della visuale per l’imbarazzo. Non volevo che mi dicesse che avevo stretto troppo forte il suo corpo. Non volevo che mi chiedesse se avevo avuto paura.
Sarei voluta sprofondare in quel momento. Era la prima volta che eravamo veramente soli, lontani da casa.
Lui mi allungò una mano che d’istinto, senza pensarci nemmeno un secondo, gli afferrai. Harry sogghignò per poi cingermi le spalle con il braccio.
Mi stava abbracciando davvero?
Ci incamminammo senza una meta apparente, ma sapevo che lui aveva organizzato tutto, sapevo che stavamo andando a un posto preciso che, purtroppo, mi era sconosciuto.
«Non tremare» disse serio lui.
«Non sto tremando» sbuffai ruotando gli occhi.
Avevo solo freddo.
E paura di lui, del suo tocco. In quel momento mi ricordai di non avere la fasciatura al braccio, dovevo stare attenta. Non mi scollai da lui nemmeno per un secondo. Non chiesi nulla, non aprii bocca. Non feci nulla di nulla se non far muovere i miei piedi in dei passi abbastanza lunghi per stare dietro alla sua camminata.
Nel silenzio sentivo il suo respiro, il suo calore.
«Riposerai domani mattina, se vorrai.» Era già tutto organizzato.
Non capivo. La mattina mi aveva insultato dandomi dell’animale e ora faceva il carino. Cosa aveva che non andava? Iniziai a sospettare che soffrisse di bipolarismo ma non dissi nulla.
Il vento soffiava e la temperatura piano piano scendeva. 
«Non mi stringevi così da quando avevi quindici anni» disse Harry facendo divampare le mie guance. 
«Fa solo freddo.» mentii. 
Erano passati circa tre anni dall'ultima volta che mi aveva abbracciata per davvero e circa due da quando avevo deciso di non vederlo mai più. Era da molto che non gli stavo così vicina, che non sentivo l'odore della sua pelle. Non sapevo cosa mi attirasse di lui. Avevo deciso di non averci più niente a che fare, ma sembrava tornato tutto come prima.
Non era vero.
Io lo odiavo, non avrei cambiato idea. Il mio cervello non sarebbe tornato a pensare a lui come qualche anno prima. Era il cuore che faceva come voleva ed era difficile ignorarlo quando partiva a battere all’impazzata dopo un suo sguardo o un suo tocco.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Ero persa nei miei pensieri, le gambe si muovevano automaticamente. Harry si fermò di colpo e fece un gran respiro. Scossi la testa per tornare alla realtà.
Di fronte a noi c'era un molo di legno illuminato dalla luna e da alcune luci poste sul faro perso in lontananza. Ci avviammo verso quella corta passerella un po' ammuffita. 
«Seguimi» disse lui. Mi staccai dal ragazzo riccio e con una leggera esitazione ubbidii.
«Che ci facciamo qui?» chiesi io guardando Harry sedersi sul bordo alla fine del molo. 
«Volevi sapere la mia storia, se non ricordo male.»
«Certo.» Mi girava le spalle, era inquietante. Mi avvicinai a lui e mi sedetti con le ginocchia piegate vicino a lui. Abbassai lo sguardo verso l'acqua ma il suo livello non era ben definito. Amavo il rumore delle onde, mettevano calma e pace.
«Non è il momento giusto.» Mi girai verso di lui e vidi che aveva gli occhi socchiusi che scrutavano nell'ombra.
Era uno scherzo? Prima si, poi no.
«Perché?» chiesi io aggrottando la fronte.
Lui non rispose. Si sdraiò sulla schiena con le mani dietro la nuca e i gomiti allargati verso l'esterno.
«C'è la luna piena.» Aveva il naso all'insù e un sorrisetto che poteva illuminare un'intera città. «Potrei fottermi con le mie stesse mani, ragazza.»
«Ho un nome» replicai scocciata.
«Non fidarti di nessuno, soprattutto di lui.»
«Lui chi?» Harry si alzò di colpo e puntò i suoi occhi nei miei. Con la luce fioca potei vedere il luccichio che avevano, sembravano splendere di luce propria. 
Mi spostò una ciocca di capelli dal viso facendomi divampare di rosso. Non era visibile al buio ma ero certa che se mi avesse toccato il viso l'avrebbe sentito scottare sotto la sua pelle. Il cuore iniziò a scoppiarmi nel petto, ormai si sentiva solo lui, come un forte ticchettio di una sveglia mal funzionante.
La ferita sul braccio iniziò a bruciare. Sempre più forte. Un dolore infinito, insopportabile. 
Distolsi lo sguardo e con la mano destra premetti sulla ferita. Non sarebbe servito a molto ma speravo che il dolore si placasse senza che lui se ne accorgesse.
«Sono stato io» disse Harry.
«No.»
«Non era una domanda» continuò lui. Aveva gli occhi puntati sul mio braccio sinistro quando mi allungò una mano. 
Senza un motivo apparente, allungai il braccio verso di lui. Non sapevo perché lo stavo facendo ma c'era qualcosa dentro di me che mi stava spingendo a farlo. Lui lo scrutò a lungo, ci passò sopra le dita, rigirò il mio braccio tra le mani come se fosse una bacchetta cinese. Mi lanciò un'occhiataccia per poi fare una smorfia. 
Allungò una sua mano verso il basso, la posizionò appena sotto il molo. Non capii che stesse facendo fin quando, tutto d'un colpo, mi schiaffò quattro dita sulla scottatura.
«Brucia?» chiese il ricciolo. Scossi la testa in un no ma dentro morivo. In quel preciso istante mi passarono per la mente mille pensieri. Perché faceva tutto questo per me? Era così dolce e non lo era mai stato. 
Subito gli comparve un sorriso beffardo sulle labbra.
«Cos'hai da ridere?» mi irritai.
«Sei così innocente, io non sono dolce.»
«Come scusa?» Ero allibita.
«Stai attenta a ciò che dici.»
«Io non ho detto nulla.»
«I pensieri parlano per te.»



 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Ritirai subito il braccio. La mia bocca era a corto di parole.
«Devo chiederti una cosa» dissi io stringendomi tra le gambe per poi guardarlo dritto negli occhi.
«Non è il momento.» fissai l’acqua per qualche istante prima di rispondere.
«I segreti uccidono.»
«Non farò del male a nessuno.» replicò subito Harry. Il suo sguardo era pungente e mi trapassò il cranio come una freccia appena scagliata e indolore. «Non tutti i segreti uccidono, sai?»
«Tu sì.» risposi senza esitare.
Si girò molto lentamente e iniziò a fissare il vuoto.
Davanti a noi non c’era nulla se non una lunga distesa d’acqua resa scura dalla notte.
Continuai a guardarlo, imperterrita. Notai che socchiuse leggermente gli occhi e che si avvicinò lentamente al bordo del molo.
«Dobbiamo andarcene.» senza dire nient'altro si alzò di scatto prendendomi una mano. Mi sollevò di peso e iniziò a trascinarmi verso l’inizio della banchina.
 
 
*
 
 
«Stai zitta.»
«Cosa?!»
«Smettila di fare domande e infilati il casco!» si girò verso di me, quasi sbattendomi il casco della moto sul petto.
«Smettila di trattarmi come se non avessi sentimenti.»
«Non mi sembra il momento di litigare.» mi diede un’occhiataccia per poi montare in sella al veicolo.
«Allora rispondi! Io riesco a sentire ciò che pensi.»
«Non qui. Non ora.» i fari della due ruote si accesero e con un forte rombo si accese anche il motore.
«Perché no?!»
«Ti decidi a chiudere la bocca e salire?» In quel preciso istante un fulmine colpì un albero poco distante da noi, seguito da un tuono e da un urlo agghiacciante. «Sei in pericolo.»
Non me lo feci ripetere due volte e con un balzo agile salii sulla moto e mi strinsi saldamente al busto di Harry. Stavolta era partito subito in quinta. Stavamo sfiorando quasi i duecento chilometri orari in una zona con un limite di quaranta. Ero davvero terrorizzata.
 
 
Il viaggio di ritorno mi sembrò che fosse durato un’eternità. Non appena Harry abbassò il cavalletto della moto, scesi con le gambe tremanti e mi precipitai in casa.
Avevo un sacco di domande che mi frullavano per la testa. Che cosa era successo? Perché il comportamento di Harry cambiava ogni tre per due?
Travolta dai miei pensieri, mi ritrovai chiusa in camera per l’ennesima volta. Sembrava l’unico posto sicuro ma non lo era affatto.
Chiusi la porta a chiave e iniziai a spogliarmi mentre mi dirigevo verso il bagno. Lasciai una scia di vestiti dietro di me, a partire dal maglione fino ad arrivare all’intimo. Mi gettai sotto la cascata di acqua calda della doccia. Mi sentivo sporca. Volevo lavarmi via tutto di dosso. La paura, il sudore, il calore e l’odore del ragazzo riccio. Era come se incitassi i miei pensieri a uscire dalla mia testa e scivolarmi addosso per finire nello scarico e lasciare la mia mente in pace. Ma tutto ciò non successe. Anzi, il fruscio dell’acqua mi suggerì altri quesiti a cui io non sapevo rispondere. Nessuno sarebbe stato in grado di rispondere.
Chiusi il rubinetto, presi un asciugamano e me lo attorcigliai intorno al corpo. Uscii dalla doccia e, senza asciugarmi né corpo né capelli, mi diressi verso la porta finestra della camera. Mi sedetti ai suoi piedi e scostai le tende. Mi misi a guardare fuori e capii che l’oscurità era l’unica cosa che poteva essere dalla mia parte, non dovevo temerla, anche se era difficile.
Stavo guardando fuori dal vetro da un paio di minuti quando, una folata di vento mosse gli alberi e le loro chiome in modo rumoroso.
Di colpo, mi ritrovai appiccicato alla finestra un biglietto. Il terzo biglietto.
Harry stava superando ogni limite.
Con i capelli ancora fradici e grondanti di acqua aprii la porta e staccai il biglietto da essa. Era uguale a quello precedente finché non notai le lettere al contrario. Richiusi tutto e vidi quel triangolino rovesciato verso il basso. Anch’esso, come quello precedente, era tagliato da una striscia a un terzo a partire dalla punta, ma stavolta essa puntava verso il basso. La parola abbinata a TERRA era PASSIONE.
Spazientita, mi alzai. Ne avevo piene le scatole di questi bigliettini.
Mi misi a cercare una penna nella mia borsa.
Riuscii a trovare un pennarello nero.
Gli tolsi il tappo e iniziai a scrivere sul bigliettino. Proprio sotto la parola “passione”, incisi quasi a forza la frase “COSA VUOI DA ME?”. Spalancai la porta della mia camera e mi diressi verso quella di Harry. Non appena mi ritrovai davanti alla sua porta, feci scivolare il biglietto nella fessura. Avrebbe dovuto rispondere in meno di un minuto oppure sarebbe uscito a gridarmi contro. Aspettai un paio di minuti, ma il biglietto non tornava più indietro. Decisi di bussare ma nessuno rispose. Mi guardai intorno prima di appoggiare la mano sulla maniglia della porta. Nessuno girava per casa, nessuno si faceva più sentire. Erano quasi le cinque di mattina ed Eileen e Louis erano ancora in letargo.
Aprii la porta molto dolcemente. Il biglietto era li, ai miei piedi. Dove era finito Harry? Non era ancora rientrato in casa?
Impossibile.
Mi aggirai per la sua stanza in modo furtivo, senza fare rumore, senza toccare e spostare nulla quando una voce mi pietrificò.
«Cosa ci fai qui?» mi si gelò il sangue e smisi di respirare per un secondo. Le farfalle m’invasero lo stomaco e nella stanza risuonava soltanto il rumore dei battiti del mio cuore. Mi girai velocemente rossa in viso.
«Io?» ero talmente imbarazzata che non sapevo cosa dire. Mi guardai attorno come se nulla fosse e con tutta la nonchalance che riuscivo ad avere, uscii dalla camera raccogliendo il biglietto rimasto ai piedi del ragazzo.
Ero arrabbiata con me stessa per essermi fatta beccare. Non avevo nemmeno avuto il coraggio di lasciargli il biglietto.
Feci un bel respiro, mi sistemai il salviettone e feci dietrofront. Non appena mi girai notai la porta ancora aperta e Harry appoggiato al suo stipite.
«Sei bellissima» disse lui con un ghigno sul viso.
Mi diressi verso di lui con decisione e, non appena gli fui difronte, gli colpii il petto con una manata. Lui appoggiò la sua mano destra sulla mia che lo aveva appena colpito mentre io, con un gesto delicato, feci scivolare via le dita dalla sua presa.
Mi sentivo in colpa per averlo colpito ma non lo detti a vedere.
Gli feci un cenno con il capo e mi diressi verso camera mia. Sentivo Harry che si rigirava il foglietto tra le mani. Feci per entrare nella stanza quando un suo bisbiglio mi fermò.
«Tutto.»

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


«Come hai detto?» mi girai con la fronte aggrottata.
«Penso tu abbia capito.»
Lui era sempre appoggiato alla porta che mi fissava. Stavolta però aveva le braccia incrociate e si passava in modo provocante la lingua sul labbro superiore.
Lo guardai confusa.
In meno di un secondo anche la mia lingua prese a volteggiare sulle mie labbra.
«Smettila di provocarmi» dissi a denti stretti a Harry.
«In fondo sei tu che lo vuoi.» Mosse leggermente il sopracciglio destro per istigarmi ancora.
«Come fai a leggermi nel pensiero?» A quella domanda lui si girò. Senza aprire bocca cercò di svignarsela in camera. «Ti ho fatto una domanda» dissi io nervosa.
«Buonanotte.» Aveva la voce ferma.
Harry lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle, lasciandomi lì, da sola. Ero in piedi in mezzo al corridoio a fissare l’uscio di quella ridicola stanza dov’era appena entrato l’essere più odioso esistente sul pianeta. Non capivo. Ogni volta che ero vicina a una risposta, automaticamente si creavano altre dieci domande.
Se il karma voleva punirmi per qualcosa che avevo fatto, ci stava riuscendo alla perfezione.
Ne avevo le scatole piene. Tornai in camera furibonda, decisa a mettere un po' di luce in tutto questo trambusto. Era ora di avere delle risposte.
Mi asciugai e mi vestii. Ero determinata, niente avrebbe potuto fermarmi. 
Aprii la porta della camera, guardai fuori e scrutai tutto il corridoio. Tutto taceva. Scesi le scale e, fregandomene del baccano, aprii un cassetto della cucina. Rovistai tra le posate di acciaio, presi una torcia e uscii di casa.
Presi un bel respiro e partii. La porta dietro di me rimase aperta, spalancata, ma ciò non m’importava.
Mi avventurai nel bosco. Li, di certo, mi avrebbe seguita. 
Non si vedeva nulla, il buio era fitto e si stendeva ovunque. Aveva preso piede in poco tempo e l'aria fresca era arrivata. L'unica cosa che avevo con me era un’unica fonte di luce attira insetti che mi era amica nell'oscurità. 
Camminai per qualche minuto sentendo i rami e le radici degli alberi rompersi sotto il mio peso. Attorno a me sembrava esserci il nulla ma sapevo che era più pieno di quello che pensassi. Non si sentivano animali, non si sentivano rumori di ruscelli. Niente. Le ombre che giravano attorno a me erano inquietanti. Alzai il naso all'insù per guardare la luna ma le foglie me lo impedivano. La paura si faceva strada in me e i rumori inesistenti sembravano farsi sentire. Sempre più forte.
Mi girai di scatto, dietro me non c'era nessuno.
«So che mi stai seguendo» bisbigliai. Mi allacciai il giubbetto di pelle nera e proseguii per la mia strada. Puntavo la luce ovunque, tutto sembrava regolare per quanto poteva esserlo un bosco.
Continuai a camminare sperando che alla fine Harry si facesse vivo. Sapevo che lui percepiva il fatto che ero in quell’angusta selva.
Sentii un rumore dietro di me. Mi girai di scatto e intravidi qualcosa.
Avevo il cuore in gola.
Era come se un animale di grossa taglia avesse fatto uno scatto alle mie spalle. Puntai la torcia un po’ ovunque senza ottenere risultati. Non vidi niente.
Iniziai a pensare che fosse frutto della mia immaginazione e tornai a camminare. La foresta sembrava infinita, come se stessi camminando in cerchio. Del ragazzo riccio nemmeno l’ombra.
Sbuffai rumorosamente e imprecai.
D’improvviso iniziai a sentire un odore fortissimo. Anzi, un profumo. Era fresco e non troppo speziato. L’avevo già sentito.
Mi fermai e cercai di fare mente locale, non ricordavo nulla. Presi un bel respiro e le mie narici vennero invase dalla fragranza che aleggiava nell’aria.
Ancora nulla, non riuscivo a rammentare quel profumo.
Ero persa nei miei pensieri quando sentii qualcosa pizzicarmi il collo. Mi passai una mano sopra al pizzico, iniziai a grattarmi e in un attimo tutto si offuscò.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Mi strofinai gli occhi e mi girai sul fianco destro.
Poi sul sinistro.
Poi ancora sul fianco opposto.
Mi misi supina e mugugnando aprii gli occhi. L’ultimo ricordo che avevo era della foresta, di qualcosa che mi aveva provocato un gran terrore facendo rumore dietro di me. Ora mi trovavo sul letto, sopra le coperte. Mi misi seduta e cercai di inquadrare la situazione.
Il sole era già alto nel cielo e filtrava attraverso la finestra creando un gran disturbo. Mi alzai e mi diressi verso la porta. La aprii senza tanti pensieri e mi ritrovai davanti Louis.
«Tutto bene?»
«Certo.» Non mi aspettavo quel ragazzo biondiccio davanti alla porta. Mi prese alla sprovvista e cercai di apparire il più naturale possibile. Lui ricambiò la mia risposta con un sorriso e con delicatezza rischiusi la porta. Proprio davanti alla sua faccia.
Ero confusa, perché era fuori dalla mia camera? Era come se avesse saputo che di lì a pochi secondi sarei uscita. Mi soffermai a riflettere su quella domanda quando, nemmeno dopo un secondo, sentii una voce alle mie spalle.
«Sicura che stai bene?»Mi girai verso la finestra e lo vidi. Era proprio dietro il letto.
«Come hai fatto ad entrare Louis?» Come era possibile? Un attimo prima era fuori, dietro la porta. La cosa era inquietante. Lui non rispose e come prima sorrise senza fare nulla.
In preda all’agitazione mi fiondai fuori dalla camera per poi correre giù dalle scale. Arrivai in cucina con il cuore in gola che batteva a mille. Eileen era al lavello che stava trafficando con qualcosa di vetro, probabilmente dei bicchieri. Seduto al tavolo che mi dava le spalle c’era una figura del tutto familiare.
«Allora?» Si girò e mi puntò uno sguardo fisso su di me. Louis.
Sgranai gli occhi. Una folata di vento proveniente da un angolo cieco della casa senza finestre mi fece venire un brivido lungo la schiena.
Il cuore smise di battere e mi si congelò il sangue.
Sbiancai.
Inizia a indietreggiare lentamente per tenerlo d’occhio. Facevo un piccolo passo alla volta. Tutto sembrò fermarsi, senza nessun rumore.
Feci un altro passo e sbattei contro qualcosa. O contro qualcuno. L’idea di girarmi e trovarmi Louis mi terrorizzava. Deglutii rumorosamente e lentamente mi girai.
«Harry!» Lo abbracciai. Ero sollevata.
«Cosa stai facendo?» Chiese lui quasi sconvolto. Mi staccai da lui, paonazza, e scossi la testa.
«No, niente. È solo che…»
«Non lo voglio sapere.» Disse frettolosamente gettando un’occhiata sfuggente al mio braccio. Sgattaiolò via, si sedette sulla prima sedia che trovò e iniziò a tamburellare con le dita sul tavolo. «Devi smetterla di farti del male.» Si rivolse a me.
«Scusa?»
«Sei troppo irrequieta.» Disse Harry volgendo uno sguardo all’amico biondino. Lui di tutta risposta si limitò a sorridere, come stava facendo da tutta la mattina.
La mia mente era come offuscata dalle strane situazioni che stavano succedendo. Mi avvicinai alla mia amica che era rimasta, sempre impassibile, davanti al lavandino. Notai che aveva portato le braccia con le mani ancora gocciolanti d’acqua lungo i fianchi. Aggrottai la fronte e le sfiorai la pelle.
Era bollente.
Eileen girò il viso verso di me con la bocca socchiusa. Non feci in tempo a dire il suo nome che la vidi stesa a terra.
Era svenuta.
Caddi ai suoi piedi in preda all’agitazione, sembrava morta. Mi sentii strattonare per un braccio e una mano calda mi tirò su a forza. Avevo la gola secca e le labbra aride.
«Vai fuori. Ora.» era la voce di Harry che mi chiedeva di andarmene. «Esci di casa.» ordinò nuovamente lui.
Era accasciato a terra con la testa della sorella tra le mani che mi guardava. Eileen aveva un colorito roseo, nonostante fosse crollata come quando i bicchieri di cristallo vanno in mille pezzi. La pelle del viso era distesa, assomigliava a una bambola di porcellana. Era serena.
Mi guardai intorno e Louis era rimasto seduto esattamente nel suo posto senza muovere un muscolo. Lo fissai per un secondo e lui inclinò la desta da un lato, in stato confusionale. Vedevo il suo sguardo appannato e sbiadito.
«Apri quella maledetta porta e vattene.» mi urlò Harry richiamandomi alla situazione. «È il momento.»
«Il momento? Qualcuno mi vuole spiegare cosa sta succedendo?»
«Sei destinata.» A quelle parole mi morsi le labbra per non rispondere. I suoi occhi si fecero brillanti ed Eileen si riprese.
Il fratello le bisbigliò qualcosa all’orecchio, lei annuì e gli avvolse le braccia intorno al collo. Harry si alzò con la sorella in grembo e si diresse verso le scale.
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


                  

 

Rimasi ferma in mezzo al salotto. Non aprii bocca e mi guardai attorno. Louis aveva un'espressione seria. Non disse nulla nemmeno lui.


D'un tratto vidi Harry precipitarsi giù dalle scale, correva nella mia direzione. Nella casa persisteva un silenzio inquietante. Il ragazzo riccio si avvicinò a me, mi prese per una mano senza nemmeno fermarsi e mi trascinò verso la porta. La aprì e mi tirò a forza in giardino.

 

«Mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?» Lui non disse nulla e si fermò girandosi verso di me. Mossi le dita, la sua presa era stata così forte che mi si bloccò per qualche istante la circolazione alla mano.
 

«Guarda il tuo braccio» mi ordinò lui. Ubbidii senza fiatare. 

 

Il braccio sinistro era guarito, non c'era più ne la scottatura ne il livido violaceo.

 

«Non ha nulla che non va, cosa dovrei guardare?»

 

Harry mi porse una mano in segno di allungargli una delle mie. Gli porsi il mio palmo con il dorso rivolto verso il basso.

 

«Devi ancora rispondermi alla domanda che ti ho fatto» lo incalzai io. Nulla sembrava smuoverlo. 

 

Appoggiò il palmo della sua mano sul mio avambraccio, verso la metà di esso, proprio dove il giorno prima avevo quella strana contusione di colore viola tendente al nero. Il ragazzo alzò lo sguardo puntando i suoi occhi nei miei.

 

Fissi.

 

Lo fissai, come faceva lui. Notai che i suoi occhi cambiarono colore. Da un verde scuro come una palude a uno strano verdino brillante e acceso.

 

Mi spaventai e indietreggiai lasciando che la sua mano percorresse tutto il mio braccio. Gli diedi un'occhiata e notai che era comparso un segno.

 

Un triangolo.

 

«Sei tu la causa di tutto questo» mi disse Harry. I suoi occhi si spensero e tornarono del colore naturale.

 

«Cosa significa? La causa di cosa?»

 

«Non devi più mettere piede nel bosco da sola.» Non rispondeva a una sola domanda. Ogni volta cambiava discorso lasciandomi con mille dubbi.

 

«Perché?» chiesi indicando il braccio.

 

«Le cose sono cambiate.» Si passò una mano tra i capelli.

 

«Tu sei cambiato.»

 

«Quella è un'altra storia. Ora devi imparare chi sei tu.» Mi si gelò il sangue dopo quella affermazione. «Per ora, non ti fidare di nessuno. Solo di me.»

 

«Come posso fidarmi di te? Potresti farmi del male.»

 

«Non ti farò del male, ognuno ha i suoi demoni a cui badare. Tu pensa ai tuoi.» Alzò il sopracciglio e il tono della voce si fece più severo. Probabilmente avevo toccato un argomento delicato. «Ricorda: nemmeno l'inferno è così caldo come vogliono farti credere.»

 

Mi passò a fianco e si diresse verso casa.

 

«Stasera esci con me» aggiunse in fine. «Fatti trovare pronta per le otto.» Io rimasi ferma immobile, non mi girai nemmeno. Annuii senza sapere se mi avesse visto o no.

 

«Dove andiamo?» chiesi.

 

Lui era già in casa e come ogni santa volta non ricevetti risposta.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Venti e zero due.
Qualcuno bussò alla porta della mia camera. Sapevo che era lui. Aprii senza esitare e mi trovai difronte Harry. Feci una smorfia e lui mi squadrò da capo a piedi.
«Dove pensi di andare così?» entrò nella mia stanza lasciandomi li sulla porta. Mi girai e lo guardai perplessa, non riuscivo ad aprire bocca. «Tieni.» disse lui porgendomi una busta di carta color rosso e argento che un attimo prima aveva nascosto dietro la schiena. «Metti questi.» si sedette sul letto e con fare arrabbiato gli strappai la borsa dalle mani. Mi sembrava piuttosto grande per contenere un paio di vestiti. 
Andai in bagno, chiusi a chiave la porta e sbattei la busta per terra. Mi misi le mani nei capelli e mi guardai allo specchio. Li avevo appena pettinati e ora sembravo solo una palla di pelo arruffata.
«Muoviti, sono della tua taglia.» lo sentii comandare dall'altra parte della porta. Ero stanca del suo tono.
«Taci.» gli ordinai io con tono severo dando un pugno al legno bianco che ci separava.
Non disse nulla.
L'unica cosa che mi rimaneva da fare era cambiarmi. Prima lo avrei fatto, prima saremmo usciti e di conseguenza prima saremmo tornati così da non doverlo più sopportare. O almeno per quella notte.
Mi piegai verso il pavimento, stracciai la busta di carta e ne tirai fuori una canottiera bianca quasi trasparente, un paio di leggins di pelle e una giacchetta troppo striminzita dello stesso tessuto dei pantaloni. Sul fondo trovai un paio di converse alte nere. Il tutto si abbinava, aveva pensavo a ogni cosa.
Mi cambiai velocemente stando attenta a non sporcare nulla con il trucco. Mi rimisi un filo di rossetto e girai la chiave per uscire quando notai che nella busta c'era ancora qualcosa. Sembrava un pezzo di stoffa nero. Lo presi, me lo rigirai tra le mani, feci un bel respiro profondo e sbuffai.
Delle mutandine. 
Nere.
Piccolissime.
Uscii dal bagno e le tirai a Harry. 
«Queste non le metto. Puoi scordartelo.» gli si illuminò il viso e sorrise. Sorrise per davvero. Un sorriso sincero che sfociò in una leggera risata. «Cosa c'è?» chiesi stupita. «Ho qualcosa in faccia?»
«No.» si limitò a darmi una risposta monosillabica. Si alzò dal letto e fece cadere le mutandine ai suoi piedi. «Andiamo.» disse aprendomi la porta come un gentiluomo, cosa che lui non era.
 
 
*
 
 
Scendemmo dalla moto come se ormai fosse abitudine. Mi guardai attorno ma il posto mi era sconosciuto. Tolsi il casco e senza nemmeno girarmi, allungai la mano per porlo a Harry. Il posto in cui mi aveva portato mi sembrava familiare ma non ero mai stata li. Il chiarore della luna illuminava i contorni della struttura che mi era parsa davanti. Si presentava come un'enorme villa romana dell'età augustea probabilmente di color avorio eretta su un'imponente scalinata. Nonostante il buio potevo vedere che era stata abbandonata e l'odore di vecchio aleggiava nell'aria. Ero affascinata da ciò che vedevo, ma non avevo idea del perché Harry mi avesse portata in quel posto.
«Segui me e non toccare nulla.» mi afferrò una mano e mi trascinò nella sua direzione. «Non sembra ma cade a pezzi.»
Ero dietro di lui, mano nella mano, e con passo lento e cauto ci avviammo verso un punto ignoto. Salimmo le gradinate come se fossimo piume, non mi guardai indietro per paura di mettere un piede nel punto sbagliato. Quando arrivammo in cima notai che i vetri delle finestre e delle porte erano assenti. Entrammo in quella specie di tempo e la visione cambiò completamente: tutte le pareti, soffitto incluso, erano sepolte da piante rampicanti e sul pavimento si stendevano le radici di esse.
Stavamo camminando per la prima stanza quando un brivido mi percorse la schiena. 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Ero ferma sui miei piedi che mi guardavo attorno. Sbirciai nella stanza dopo, era completamente allagata ma sembrava che l’acqua sul pavimento non si muovesse da dove era, come se le due stanze erano una cosa a sé stesse. Come se le foglie non potessero invadere la stanza numero due e l’acqua non potesse entrare nella camera in cui mi trovavo.
Strattonai la manica della maglietta di Harry, lui si girò come a chiedermi cosa volessi da lui ma non aprì bocca. Indicai la pozza d’acqua grande quanto il pavimento.
«Non dovremo mica passare da lì?» chiesi guardando la distesa bagnata che mi arrivava alle ginocchia.
Il ragazzo riccio mi guardò, roteò gli occhi e con un gesto rapido mi prese in braccio, sbuffando. A quel gesto cercai di nascondere un sorriso e il rossore sul mio viso, affondai la faccia nel petto di Harry e inspirai profondamente il suo profumo. Le narici iniziarono a formicolare e bruciare, scossi la punta del naso, gli avvolsi le braccia intorno al collo e lui mi prese in braccio. Harry iniziò a procedere a grandi passi, il fruscio dell’acqua si faceva sempre più morbido sotto i suoi piedi, sotto il nostro peso.
Arrivammo alla fine della camera e con la stessa velocità che aveva avuto prima, mi gettò a terra, su un pavimento di marmo.
Era freddo come il ghiaccio.
Alzai la testa e girai il viso verso di lui. Alzai un sopracciglio e Harry si avvicino a me come se non avesse fatto niente. Mi allungo una mano che prontamente afferrai. Feci leva sulle gambe, mi alzai e mi tolsi la polvere di dosso.
Dopodiché lo presi per la maglietta. Gli strinsi un pugno proprio sul petto e lo sollevai da terra. Lo appesi al muro senza pensarci un secondo. Digrignai i denti, il mio sguardo prese fuoco.
«Sei solo uno stupido bambino.» Lo scossi un po’ «Non azzardarti mai più.» Lo strattonai. Con un impeto di rabbia mi girai e lo scaraventai contro il muro opposto alzando un polverone. La sua maglietta si impregnò di polvere e muffa.
Harry si alzò e si ricompose come se non gli avessi fatto nulla. Scosse la testa bassa e strizzò gli occhi per poi sgranarli un secondo dopo. Mi guardò e si portò un dito alla bocca facendomi segno di stare zitta. Corremmo attraverso le camere. Passammo da quella ghiacciata a una pregna di calore per arrivare, in fine, in un’enorme stanza ricca di rocce e rovine. Il ragazzo riccio si guardò attorno, mi prese la mano e ci nascondemmo dietro a quelle che sembravano pietre di una vecchia montagna vulcanica. Harry mi mise una mano sulla testa e mi spinse in basso. Dovetti abbassarmi.
«Non fiatare» mi disse mentre si sporgeva per cercare di vedere qualcosa. O qualcuno.
Non feci in tempo a rispondere al suo ennesimo comando che delle voci metalliche riempirono la stanza. 
Ripensai a ciò che era accaduto poco prima, ripensai alla forza che avevo avuto nello sbattere Harry ovunque. Avevo sollevato ottanta chili di ragazzo come se fosse una piuma.
Una delle voci della stanza aveva pronunciato il mio nome facendomi ritornare alla realtà.
«Allen.» Drizzai le orecchie e guardai Harry che cercò di infondermi tranquillità. «Non è un Angelo Nero.» Mi sporsi leggermente per vedere chi era a parlare ma fui tirata all'indietro dal cretino che avevo in parte.
Sospirai cercando di non fare rumore quando una voce familiare pronunciò delle parole che mi fecero rabbrividire: «Se venisse a conoscenza dei mondi paralleli non ne uscirebbe viva.» 
«Morirà comunque» rispose la seconda voce.
Il cuore prese a battermi all'impazzata e continuarono a parlare.
«Ma è la Protetta di Harry» disse di rimando la voce maschile. Era Louis.
«Non è né una protetta né un Angelo Nero. È un Incendiaria.» 
Sentii un tonfo non molto lontano da me e subito dopo dei passi. Alzai lo sguardo verso Harry che dopo qualche minuto si precipitò fuori dal nascondiglio. Sporsi il viso all'infuori e lo vidi seduto vicino al corpo del ragazzo biondino. Louis era steso a terra con le gambe divaricate e le braccia leggermente aperte. 
Raccolsi tutto il coraggio che potevo avere e gattonai nella sua direzione. Notai subito il segno di una saetta color terra cotta sul braccio. Avvicinai le dita verso la sua pelle quando Harry mi fermò.
«Non toccarlo.» 

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Capitolo 21
*** Capitol0 20 ***


Tolsi la mano, mi alzai e mi allontanai. Corsi dietro le rocce, dove mi trovavo un minuto prima, mi accovacciai a terra e iniziai a piangere. Non so perché lo feci, ma non riuscivo a fermarmi. Piansi in silenzio, cercando di non far rumore. Le lacrime mi scendevano come se fossi una fontana. Mi strofinai gli occhi che stavano diventando rossi e gonfi quando sentii la sua voce. Girai il viso verso la mia sinistra e lo vidi lì, in piedi, con un braccio appoggiato alla parete.
«Dobbiamo andare» disse. Tirai su con il naso, feci un gran respiro e annuii. Harry si abbassò alla mia altezza e mi asciugò le lacrime con le mani. «Sei più bella se sorridi.» Accennò a un sorriso e io scoppiai di nuovo a piangere. Tutto quello che era successo, fin dall’inizio, aveva iniziato seriamente a turbarmi. Era l’unico modo per scaricare la tensione.
Non sapevo cosa mi stava succedendo. Cos’era successo a Harry. Cos’era successo a Louis.
Non sapevo cosa fosse successo in generale.
Il ragazzo mi abbracciò esortandomi ad alzarmi. Mi afferrò per le mani, mi fece alzare e mi cinse la vita con un braccio. Uscimmo da quella specie di nascondiglio e vidi Louis in preda alle convulsioni. Mi fermai. Mi si gelò il sangue ma prontamente Harry mi rassicurò.
«È così per ciò che gli ha fatto Enkeli, ma si riprenderà.» avevo lo sguardo fisso sul ragazzo a terra quando il moro mi tirò verso l’uscita.
 
 
*
 
 
La corsa in moto mi sembrò come un viaggio sulle montagne russe. Fu interminabile. Pensai che in qualsiasi posto fossimo diretti, non saremmo più arrivati. Ma mi sbagliavo.
Arrivammo a casa, se così si può chiamare, scesi dalla moto con un balzo felino e aspettai che Harry dicesse qualcosa. Scese anche lui dopo aver abbassato il cavalletto, si voltò e mi guardò fisso negli occhi. Il suo sguardo era acceso, luminescente.
Mi mise una mano sulla guancia per poi farla scivolare leggermente verso i capelli. Inclinò la testa e mi diede un bacio sulla gota rossa. Subito dopo fece scivolare le sue dita verso le mie, facendole intrecciare. Ci incamminammo verso il bosco e mille domande mi frullavano per la testa. Ma non aprii bocca. Il gesto del ragazzo mi aveva lasciata senza fiato e i pensieri sembravano svanire come polvere nel vento. Mi feci trasportare dalla camminata di Harry: un passo felpato e veloce allo stesso tempo.
Ero persa nella natura quando vidi la casetta di legno del famoso pic-nic. Ci fermammo sulla soglia del laghetto e il ricciolo iniziò a parlare.
«Devo lasciarti qui. Corri in casa e non uscire. Mai» mi disse.
«Devi spiegarmi un paio di cose, non credi?» Ero scocciata.
«No.»
«Cos’è un’Incendiaria?»
«Tu.» I suoi occhi erano diventati freddi, congelati come ghiaccio.
Lui si girò, fece per andarsene ma lo strattonai per la manica.
«Non sei al sicuro. Lasciami andare e potrò proteggerti» mi ordinò lui.
«Non te ne vai finché non mi spieghi tutta la storia. So che hai fatto del male a qualcuno, ma questa cosa sta diventando troppo assurda. Per entrambi.»
Si girò verso l’inizio del sentiero. Le chiome degli alberi iniziarono a muoversi e tutto d’un colpo un urlo agghiacciante s’intrufolò nelle mie orecchie. Dopo che le foglie smisero di scuotersi per via del vento, uno stormo di strani uccelli neri si librò nel cielo scuro della notte placando la voce assordante.
Harry si volse verso di me partendo di scatto verso l’ammasso di legni che formavano una semplice cascina.
«CORRI, CORRI, CORRI!» mi urlò lui. Guardai le chiome e notai che gli strani volatili erano diretti verso di me. Verso di noi. Senza esitare presi a correre fino ad arrivare alle scale. Harry era già in cima che mi incitava a fare più veloce mentre mi allungava una mano. Arrivai all’ingesso, il ragazzo mi afferrò e cademmo all’interno dell’abitazione. La porta, grazie a un gesto veloce del protettore si chiuse dietro di noi facendo in modo che le creature volanti ci sbattessero contro.
Harry ed io eravamo sdraiati sul pavimento, con il fiatone, l’una sopra l’altro. Sentii il calore pervadermi l’intero corpo mentre quello del ragazzo moro ghiacciava. Sembrava una strana reazione chimica per proteggersi.
Il cuore mi batteva all’impazzata.
Non appena lui se ne accorse, mi spostò sul tappeto accanto a lui. Si alzò con agilità e iniziò a camminare avanti e indietro per il salotto. Io ero ancora lì, distesa su quel pezzo di stoffa grigia, a pensare a tutto l’accaduto.
Il riformatorio di Harry.
L’omicidio.
I biglietti.
Il triangolo sulla mia pelle.
Louis.
Eileen.
Enkeli.
Angeli Neri.
Protettori e Protetti.
Incendiari.
Pensai alla mia intera vita.
 
«Suppongo che tu non possa uscire da qui fin quando quelle cose nere che volano non se ne vanno, vero?» dissi sarcastica e mi rigirai su me stessa mettendomi prona sul tappeto. Misi le mani sotto il mento e sorrisi. «Ho come la sensazione che non se ne andranno molto presto.»
«Va bene, hai vinto» disse lui.
Feci un sorriso a trentadue denti, mi alzai da terra e mi buttai sul divano. Lui sbuffò e si diresse verso di me, accese il finto caminetto e si sedette sul tappeto, a gambe incrociate, davanti a me. La luce delle fiamme sullo schermo irradiavano tutta la stanza avvolgendola in uno strano senso di calore.
Mi sentivo a mio agio e Harry iniziò a raccontare.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


«Tutto cominciò tre anni fa» disse Harry.
Mi raccontò che per salvare Eileen fece un patto con Enkeli. La mia migliore amica aveva venduto l’anima al più potente sacerdote dannato mai conosciuto per poter vivere in eterno ma non aveva pensato alle conseguenze.
«Una volta scoperto ciò che aveva fatto, cercai di riscattare la sua anima ma ormai aveva condannato anche me. Ero diventato un sopravvissuto al servizio di Enkeli, il mio compito era quello di controllare i protetti.» Lo guardai confusa senza capire un bel niente.
«Sopravvissuto? Protetti?» chiesi io. «Non ti starai mica inventando tutto, vero?»
«Secondo te potrei mai inventarmi una storia simile?» Si alzò in piedi e iniziò ad agitare le braccia quasi si fosse infuocato. «Mi fai continuare o cerchi di trovarti una spiegazione da sola?» alzai gli occhi al cielo e rimasi in silenzio aspettando che lui continuasse.
«Un giorno mi ribellai, non volevo più rimanere al servizio di qualcuno così malvagio che si era dovuto creare un mondo nuovo perché nemmeno il diavolo lo voleva con sé. Enkeli fece perdere la memoria a Eileen regalandole il fiore proibito, uccise i nostri genitori facendo ricadere la colpa su di me, dicendo che se non mi fossi piegato alla sua volontà mi avrebbe fatto rinchiudere. Non sarebbe stato un problema se non fosse stato per il fatto che la prigione in cui voleva sbattermi non era la prigione umana e mia sorella sarebbe rimasta da sola.»
Mi raccontò che il fiore proibito induceva uno stato di trans al solo tocco e se veniva annusato il suo dolce profumo, si sveniva. Eileen è rimasta come in come per un paio di giorni e quando si è risvegliata non ricordava più nulla. Fu proprio Harry, piano piano, a cercare di farla ricordare.
Sembrava tutto finito, sembrava che l’anima di sua sorella fosse tornata terrena ma si sbagliava. Il fiore proibito, con il passare del tempo l’avrebbe trasformata in un angelo nero.
Adesso Harry era un protettore, doveva evitare che persone come me, aveva detto, combinassero guai. Quindi a suo dire dovevo essere una protetta.
Ma non era così.
Mi aveva detto che ero un’incendiaria.
«Questo Enkeli non lo sa» mi disse poi.
«Non sa che sono un’incendiaria?»
«No» disse poi secco lui.
Un’incendiaria era colei che portava caos nel mondo di Enklei e andava eliminata. Ne esistevano pochi e coloro che ne erano al corrente si mantenevano distanti e fuori dai guai.
Ma Harry sapeva che io non ero così.
Non ero brava a stare nell’ombra.
«Ci sono delle cose che ancora non capisco» gli dissi guardando fuori dalla finestra.
«Avrai tante domande ma non tutte possono essere soddisfatte oggi» rispose lui cupo per poi avvicinarsi a me e sedersi sul divano, sullo stesso dove ero io. «Vedi,» continuò poi «è tutto così complicato.» Girò il viso verso di me e io feci lo stesso. Il cuore iniziò a battermi all’impazzata
«Prova a spiegarmi» lo esortai io.
Lui continuò ad avvicinare sempre di più il suo viso verso il mio. Aveva gli occhi puntati nei miei e potevo vedere il colore grigio acceso dei suoi.
Aprì leggermente la bocca e si avvicinò lentamente.
«Non dire nulla ad Eileen, nemmeno a Louis. Non puoi fidarti di nessuno» mi disse poi. Sentivo il suo alito sulla mia bocca.
«Quindi non dovrei fidarmi nemmeno di te» gli risposi in un sussurro.
«Nemmeno io mi fido di me stesso.» Ansimò, si leccò le labbra e scosse la testa.
Avevo il cuore a mille.
Dischiusi leggermente le labbra anche io e feci per avvicinarmi. “Ora o mai più”, pensai. Desideravo baciarlo come non avrei mai pensato. 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Lui si scansò da me molto velocemente.
Mi ero illusa che volesse baciarmi.
E non lo fece.
«Se ne sono andati» mi disse.
«Chi?»
«Gli uccelli che ci inseguivano. Dobbiamo andare.»
Mi alzai dal divano. Ero scocciata. Mi diressi verso il bagno, volevo lavarmi il viso con l’acqua fredda. Non era per fermare i bollori che Harry mi aveva fatto venire. Era la rabbia.
La rabbia di essermi illusa.
E perché no, forse anche il batticuore.
Harry iniziò a seguirmi e mi irritai. Non gli dissi nulla finché non arrivò anche lui sulla soglia del bagno e rimase fermo a fissarmi.
«Che vuoi?» dissi io quasi furente di rabbia.
«Ti sto guardando.»
Mi guardai allo specchio e scoprii di essere tutta sudata. Avrei voluto farmi una doccia, se solo avessi potuto. Ci pensai per un po’, tanto ormai era quasi l’alba e di tornare alla villa tutta sporca non mi andava.
«Falla» mi disse lui. Mi girai verso Harry, ammutolita per quello che aveva appena detto.
«Adesso mi devi spiegare perché mi leggi nel pensiero. E non farlo più, ti odio quando fai così» risposi diventando rossa in volto per l’energia che ci avevo messo per dirgli quelle parole. «Rispondi!» lo esortai io dandogli un pugno sul petto.
Harry mi afferrò e mi cinse i fianchi.
«Che fai?» chiesi io cercando di divincolarmi.
«Lo so perfettamente che non mi odi» mi rispose con un sorriso beffardo. Non riuscivo più a comprendere quel ragazzo. A volte sembrava così premuroso e accecato dall’amore, altre volte sembrava impossessato dall’odio.
Dopo quell’affermazione mi lasciò andare e io mi decisi a dirigermi verso la doccia per far scaldare l’acqua, almeno per dieci minuti sarei rimasta da sola con i miei pensieri e senza nessuno che potesse leggermeli.
Mi girai e non feci in tempo nemmeno a pensare.
Harry era addosso a me.
Mi cingeva i fianchi. Non era una presa stretta ma non volli comunque divincolarmi.
Iniziò a farmi camminare all’indietro mentre lui veniva verso di me e finimmo nella doccia.
Avevo i miei occhi fissi su di lui e lo scrutavo senza diventare troppo invadente.
Harry mi alzò il viso con due dita.
I suoi occhi nei miei, i miei nei suoi.
Eravamo completamente fradici sotto il getto della doccia e i bollori che prima erano scomparsi per la rabbia, riaffiorarono.
Il cuore era a mille.
«Non dovremmo» disse poi lui con in filo di voce.
«E tu segui sempre le regole, vero?» risposi io quasi scherzando.
«Non tentarmi» continuò poi lui.
Gli passai una mano sul petto e sentii la pelle d’oca formarmi sotto al mio tatto. Feci scorrere la mia lingua per tutto il labbro superiore, d’altra parte sapevo che lo voleva anche lui.
Mi stinse a se con più vigore e sentii qualcosa premermi sulla gamba ma decisi di non pensarci.
«Mi malediranno per questo» disse in un sussurro. Ansimò quasi non riuscisse più a starmi lontano.
«Io lo sono già.»
Dopo che pronunciai quelle parole, mi sbattè contro il muro della doccia. Sentii le piastrelle rompersi dietro la mia schiena ma lasciai perdere, in quel momento bramavo le sue labbra e non mi importava di niente.
Mi passò una mano sul viso e sui capelli bagnati.
«Mi mandi in confusione» disse.
E mi baciò.
Mi baciò così avidamente che pensai di essere la prima che gli aveva acceso quella scintilla dentro di se.
Mi baciò a stampo per poi infilare piano piano la lingua nella mia bocca e io lo lascai fare, rimasi al suo gioco.
Mi prese in braccio e mi sorresse tenendo le sue mani sotto il mio sedere.
Era un bacio così passionale che mi scordai di tutto e per la prima volta imparai cosa significa desiderare qualcuno. Fremevo così tanto che avrei voluto andare oltre.
«C’è una camera da letto di là» gli sussurrai in un orecchio.
Harry mi rimise con i piedi per terra e prese a baciarmi anche con foga. Sentii la sua mano stringere fortissimo la mia maglietta.
Si staccò da me e, ansimando, cercò di mettere insieme una frase: «Abbiamo già rotto le piastrelle della doccia, forse non è il caso d rompere altro.»
Mi baciò ancora e io non mi volevo più staccare da lui, ero avida dei suoi baci. Gli appoggiai una mano sul petto, gli appoggiai anche l’altra per poi farla scendere sui suoi fianchi.
Cercai di farla ricadere al di sotto di dove la tenevo, ma Harry mi fermò.
«Non puoi farlo, mi faresti scoppiare.»
«Ed io voglio scoppiare con te» gli risposi con un sorriso malizioso.
Mi diede un bacio a stampo quando si staccò improvvisamente. Aveva sentito una voce e per noi non era un bene.
«Questa cosa rimane tra di noi» mi disse per poi fiondarsi fuori dalla doccia e togliersi tutti i vestiti fradici. «Nemmeno Eileen deve saperlo, o sarebbe la fine.» Mi sembrava di vederlo confuso, in ansia, come se non sapesse cosa fare.
Ma poi lo sentii sussurrare «Solo Dio sa quanto mi è piaciuto.»
 
Io mi sentii morire dentro. Avevo il cuore a mille, il cervello confuso e le emozioni in subbuglio.
Iniziai a piangere e corsi fuori dal bagno lasciandomi alle spalle le due ombre grigie in salotto. 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Dall'altra parte della porta si sentiva vociferare. Cercai di calmarmi e smettere di piangere.
Pensa, pensa, pensa, mi imposi.
Mi misi le mani bel capelli fradici e decisi di aprire l'unico armadio della stanza. C'erano esclusivamente vestiti neri e me li feci andare bene. Mi spoglia da capo a piedi, presi una maglietta dall'armadio e decisi di asciugarmi con quella, poi, dopo essermela passata su tutto il corpo, ci avvolsi i capelli. L'intimo trovato nell'armadio era parecchio striminzito, gli slip sembravano filo interdentale ma me li infilai. Trovai un solo reggiseno ma era troppo stretto per riuscire ad allacciarlo, così me lo lanciai dietro le spalle e rinunciai a quel capo d'abbigliamento. Mi misi una maglietta nera talmente stretta che mi si poteva vedere il seno attraverso, mi infilai un paio di pantaloni della tuta e presi di scorta un paio di jeans super attillati, avrei cercato uno zaino in casa prima di andarmene.
Era quasi l'alba e forse era ora di riposarsi, non mi ero nemmeno accorta di quanto fosse passato in fretta il tempo. Le voci dall'altra parte della porta non smettevano ed io ero curiosa di sapere che cosa dicevano.
«Devi smetterla! Dimmi cosa è successo!» Era la voce di Eileen.
«Ti ho detto che non è successo niente, adesso mollami e tornatene a casa con Louis» rispose il fratello.
«Lasciamoli solo, tesoro, sa benissimo quali sono i rischi» continuò poi Louis rivolto a Eileen, evidentemente.
I tre si dissero ancora qualcosa di cui non mi importava niente, mi ero staccata dalla porta e avevo pensato in fretta: io in quel casino non ci stavo, era ora di imparare qualcosa da sola, di cercare, trovare e scoprire da sola. Se Harry voleva fare lo stronzo con me, gli avrei reso pane per focaccia, anche io ero capace di fare la stronza.
Uscii dalla camera e di fronte a me mi trovai il riccio con addosso solo un asciugamano, lo squadrai da capo a piedi ma non mi feci prendere dal panico.
«Mi riposerò un po' qui, più tardi mi servirà la tua moto» gli dissi guardandolo negli occhi.
«Mi dispiace per prima, non volevo.»
«Non volevi cosa? Mi prendi in giro?!» gli diedi uno spintone e lui finì contro la parete. «Non voglio più sapere niente, non voglio sapere perché mi leggi nella mente, perché sono più forte di te, perché ho questo stupido tatuaggio o chi io sia, non voglio saperne più niente.»
Lui mi prese per un braccio e mi tirò verso di se.
«Non sei più forte di me» mi disse poi. « So già cosa hai intenzione di fare. Non farlo.» Concluse il discorso guardandomi negli occhi.
Mi staccai da lui, lo guardai fissa negli occhi e non dissi niente. Andai in salotto in cerca delle mie scarpe e magari anche della mia borsa. Non potei non pensare a come Eileen e Louis fossero venuti a conoscenza del fatto che Harry ed io ci eravamo rifugiati nella casetta nel bosco, ma la cosa che più di tutte non riuscii a capire fu come Louis si fosse ripreso in fretta da ciò che era successo.
Smisi di farmi domande e mi ficcai in testa che lo avrei scoperto da sola, tutto ciò che dovevo sapere e non, l'avrei cercato e affrontato da sola.
Tornai verso la camera da letto dove ci trovai il ragazzo riccio tatuato. Era seduto sul bordo del materasso con ancora solo l'asciugamano.
«Vorrei dormire un po', ora» gli dissi rivolgendogli un sorriso cordiale e timido. «O se preferisci posso dormire io sul divano» continuai poi.
« Non ti preoccupare, c'è una camera degli ospiti. Mi troverai lì quando vorrai» mi rispose lui in fine, senza sapere a cosa stava alludendo.
Si alzò e uscì dalla camera facendo richiudere la porta dietro di se.
 
*
 
Mi svegliai di soprassalto. Guardai l'ora ed erano le due del pomeriggio. Mi alzai dal letto e mi infilai i jeans neri che avevo tolto il giorno prima dall'armadio. Infilai la tuta nella borsa, l'avrei lavata e riportata qui. Uscii dalla camera con le scarpe in mano e con passo felpato, cercando di non fare rumore, andai in salotto.
Harry si era addormentato sul divano e non nella camera degli ospiti come aveva detto. Cercai le chiavi della moto e con mio grande stupore le trovai sul tavolo della cucina con accanto un biglietto: "so che le avresti prese comunque, così ti ho reso tutto più facile".
Sorridi e alzai gli occhi al cielo. Posai il biglietto, presi le chiavi della moto del riccio e iniziai a pensare al casco, ma Harry aveva pensato a tutto: i due caschi erano vicino alla porta d'entrata. Presi il mio e girai la maniglia per uscire quando il ragazzo sul divano bofonchiò qualcosa. Non ero sicura di ciò che aveva detto ma mi parve di capire "stai attenta".
Non gli diedi peso e uscii.
Percorsi il sentiero nel bosco quasi correndo. La moto mi aspettava proprio lì fuori.
Mi misi il casco e lo allacciai, la borsa la lasciai nella casetta. Sapevo di cosa poteva essere capace Harry e per non essere rintracciata, lasciai tutto a casa, telefono compreso. Mi sembrava di essere una criminale in fuga che non voleva farsi trovare.
Accesi la moto, ingranai la marcia e partii per la mia prima meta. 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Arrivai al vecchio tempio in cui ero stata con Harry, parcheggiai la moto e mi tolsi il casco. Rimasi a guardare per qualche secondo il luogo per poi scendere dal veicolo ed inoltrarmi tra le vecchie mura. Si sentivano solo i fruscii delle foglie degli alberi, tutto il resto era tranquillo. 
Entrai in quello che sembrava una vecchia villa romana, tutta rovinata. Ripercorsi le prime stanze di fretta, cercavo di non pensare a ciò che era successo la prima volta che ero stata lì. Corsi attraverso le radici e camminai svelta con l’acqua alta fino sotto l’ombelico fino ad arrivare alla stanza tutta di marmo. Era completamente bianca, mi guardai attorno e i brividi si impossessarono di me. Scossi la testa per togliermi dalla mente tutte le immagini che mi erano comparse, compreso Louis in preda alle convulsioni. Feci un respiro profondo e decisi di continuare.
Entrai nella stanza dopo, sembrava l’ultima della villa. Aveva le pareti scure e non brillava di luce propria come le altre tre camere: essa aveva appesa alle pareti diverse fiaccole con del fuoco. Questo limitava la vista e rendeva tutto più terrificante. Pensai a cosa fare, a cosa potessi cercare in quella stanza. Non toccai niente, ero da sola e in caso di pericolo non potevo contare su nessuno, cercavo di essere il più cauta possibile. 
Guardai le quattro fiaccole una per una, in cerca di un qualsiasi indizio ma non vidi niente. 
Decisi di avanzare lentamente, non vedevo cosa ci fosse sul pavimento e tanto meno non riuscivo a vedere se alla fine della stanza c’era un muro talmente scuro da farla sembrare infinita, o era illimitata davvero. Camminai piano, un piede davanti all’altro, con passo felpato fin quando non sbattei un piede contro qualcosa. Allungai le mani davanti a me e trovai il muro che tanto desideravo. Feci scorrere i palmi sulla roccia ruvida e calda quando trovai un piccolo foro. Mi spostai verso destra, dove si trovava il buco, mi abbassai e ci sbirciai dentro. Vidi una luce fioca che per qualche strano motivo non usciva dalla fessura, potevo vederla solamente quando ci avvicinavo l’occhio.
Scrutai attentamente tutto ciò che mi era possibile vedere dall’altra parte ma l’unica cosa presente in quella stanza era un libro, sul pavimento. 
Mi spostai un po’ verso sinistra nel tentavo di cercare un porta o una qualsiasi entrata che poteva portare a quella stanza, ma senza successo. Ripetei la stessa cosa spostandomi verso destra ma non c’era nulla. 
Mi staccai dal muro e tornai sui miei passi in preda ai miei pensieri. Attraversai nuovamente tutte le stanze trovando un collegamento tra i tatuaggi di Harry e le stanze: terra, acqua, aria, fuoco. Uscii da quelle quattro mura vecchie correndo giù dalla scalinata, quasi arrabbiata. 
Con me stessa, per non aver trovato una soluzione da sola.
Mi diressi verso la moto, presi al volo il casco e salii in sella. Volevo tornare indietro, tornare alla villetta bianca ma qualcosa mi spingeva a fare un giro lì attorno. Accessi il veicolo a due ruote preso da Harry e mi avviai a passo d’uomo.
Torna indietro mi diceva una voce nella testa. 
Non volevo ascoltarla.
Torna a casa, subito. 
Era passata da un sussurro che sembrava un consiglio a un ordine ad alta voce. 
Allen, non farlo disse poi.
Quella voce assomigliava molto a quella di Harry. 
Cercavo di non dargli retta.
Feci il giro della villa e arrivai sul retro. C’erano molti rampicanti sulla facciata posteriore e mi accorsi che scendevano sul terreno e continuavano fino a formare una sorta di boscaglia poco più lontana. 
Parcheggiai la moto, ma non tolsi il casco. 
Camminai su radici e foglie per cercare di avvicinarmi alla parete quado mi accorsi che non molto distante da me, c’era un battente coperto anch’esso dalla vegetazione. Avvicinai lentamente la mano quando la voce di Harry risuonò ancora dentro di me.
Corri.
Ritrassi la mano un po’ spaventata.
Sentii un rumore forte, un fruscio tra le foglie, dietro di me. Mi girai lentamente e tutta la vegetazione attorno iniziò a muoversi. Avevo già visto una cosa simile e non prometteva niente di bene. 
Cercai di indietreggiare lentamente per non far sentire la mia presenza a qualcuno o qualcosa. 
D’improvviso uscì Louis dalla fitta vegetazione. Per un attimo mi sentii sollevata, ma quando notai lo strano uccello nero appollaiato sulla sua spalla, mi pietrificai. 
Corri, ora.
Dopo quell’esortazione, presi coraggio e girai le spalle al ragazzo biondiccio e tornai alla moto.
«Dove corri, Allen?» lo sentii dire, ma non mi girai. 
Arrivata alla moto, mi misi in sella in meno di un secondo, la accesi e accelerai il più possibile. Tornai davanti alla villa ma non mi fermai nemmeno lì. Misi la quinta e diedi gas per arrivare a casa il prima possibile.
 
*
 
Arrivata alla villetta bianca, corsi subito dentro. Avevo il fiatone e il cuore a mille, non sapevo più che cosa pensare.
«Allen!» Eileen venne verso di me e mi abbracciò forte. «Dove sei stata?» chiede poi staccandosi.
«Solo a fare un giro, non ti preoccupare» risposi io per cercare di tranquillizzarla. 
La guardai negli occhi e cambiò tutto. 
Eileen girò gli occhi all’indietro, non le vidi più le pupille e cadde a terra. Sembrava avesse delle convulsioni, come quelle che avevano colpito Louis poco tempo prima. Mi ricordati di non toccarla e cercai di non farmi prendere la panico.
Cercai il cellulare della mia amica e chiamai subito Harry. 
Non feci in tempo a lasciar squillare il telefono che lui comparve sulla porta di casa. Si precipitò sul corpo della sorella, senza però fare nulla.
Rimase a guardala per qualche minuto finchè non smise di muoversi. Rimasi senza fiato tutto il tempo, tra paura e brividi. 
«Non puoi stare qui» sussurrò la ragazza a terra. 
Guardai il ragazzo riccio cercando una spiegazione, sperando che quella frase non fosse rivolta a me. Harry girò il suo volto verso di me, dischiuse la bocca ma non disse niente.
«Vattene, ora» continuò poi la sorella.
Harry mi prese per un braccio e mi fece alzare. Con passo svelto ci dirigemmo fuori casa.
«Cosa sta succedendo?» chiesi a lui.
«Dobbiamo andarcene» continuò il riccio e come ogni volta non ottenni la risposta che volevo. Mi fermai di colpo, questa volta le spiegazioni le volevo subito.
D’un tratto, un urlo.
Agghiacciante.
Secco.
Proveniva dalla casa.
Era Eileen.
«Ti stanno cercando» disse tutto d’un fiato Harry mentre mi esortava a salire sulla moto e ad attaccarmi stressa a lui. 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Harry guidò come se non ci fosse un domani: ero stretta a lui per paura di cadere dalla moto talmente era elevata la velocità. 

 

Arrivammo a destinazione poco più di due ore dopo. Il riccio spense il motore e mi fece cenno di scendere dalla sella. Mi tremavano le gambe e facevo fatica a rimanere in piedi ma mi feci forza, il cuore mi batteva fortissimo e sembrava volermi esplodere nel petto. Harry scese dalla moto a sua volta e si tolse il casco, lo imitai e iniziai a fissarlo. Dalla sua espressione capii che il colorito del mio viso non era dei più belli ma non dissi nulla: il ragazzo mi prese il casco tenendolo stresso nella mano destra grazie al cinturino mentre il suo era infilato sull'avambraccio. Con la mano libera strinse una delle mie e iniziammo a camminare.

 

Non sapevo dove eravamo. 

 

Non aprii bocca.

 

Il posto in cui ci trovavamo sembrava desolato, attorno a noi c'erano solo alberi e un piccolo stagno paludoso. 

 

«Non ti preoccupare» mi disse lui. Continuai a camminare finché Harry non mi fece fermare proprio sulla riva di quell'orribile pozza d'acqua.

 

Gli lasciai la mano e feci un respiro profondo mentre lui cercava qualcosa per terra.

 

«Che sta succedendo?» riuscii a dire a malapena

 

«Non ti devi preoccupare» ripeté lui.

 

Un secondo dopo l'acqua dello stagno davanti a me iniziò ad ondeggiare ed Harry ritornò in posizione eretta. Lo guardai e poi tornai a fissare l'acqua che continuava ad agitarsi sempre più forte.

 

Feci un passo indietro incredula per quello che stavo vedendo: un'enorme torre si stava alzando proprio al centro dello stagno. Era tutta di pietra e ricoperta di muschio per metà, l'acqua colava da ogni suo angolo. La struttura a parallelepipedo non era troppo ampia ma era alta almeno dieci metri e culminava con un tetto a punta, proprio come una torre medievale.

 

Mi girai incredula verso Harry.

 

«Adesso vuoi spiegarmi cosa sta succedendo?»

 

«Non ancora» rispose il ragazzo riccio.

 

Appena dette quelle parole sentii una voce arrivare dalla boscaglia dietro di noi e continuava ad urlare "no, no, no, no" e si avvicinava ogni secondo di più. Mi guardai attorno confusa mentre Harry si era dipinto sul volto un sorriso beffardo e aveva incrociato le braccia sul petto. In pochissimi secondi apparve davanti a noi un ragazzo sulla trentina, alto, moro con i capelli lisci e la carnagione olivastra. Aveva gli occhi infuocati di rabbia e le iridi arancioni brillavano con la poca luce solare. Trattenni il fiato, lo guardai quasi impaurita e lui di tutta risposta, sollevò Harry da terra.

 

«Cosa ti è salutato in mente?!» gli disse senza che il riccio facesse una piega. Il ragazzo moro indossava dei jeans attillatissimi grigi e una camicia viola dalle maniche lunghe completamente sbottonata.

 

«Marmellata di fragole» disse poi Harry ancora per aria.

 

Il ragazzo di cui non sapevo ancora il nome sbuffò rumorosamente e scaraventò per terra quello che doveva essere il mio protettore.

 

«Muoviti e seguimi!» esortò poi il moro.

 

Harry si alzò da terra spazzolandosi il terriccio dai vestiti con le mani per poi farmi un cenno con la testa per seguirlo. 

 

I due ragazzi camminavano due passi davanti a me e io cercavo di tenermi leggermente a distanza. Ci stavamo avvicinando allo stagno sempre di più e una volta giunti alla riva vidi i due ragazzi fermarsi e girarsi verso di me tendendomi entrami una mano. Li guardai sorpresa e un enorme punto interrogativo si dipinse sulla mia faccia. Perché mai avrei dovuto prendere le loro mani?

 

Incrociai le braccia sul petto.

 

«Cosa dovrei fare?» chiesi aggrottando la fronte.

 

«Non puoi camminare sull'acqua» rispose Harry di rimando ritraendo la mano. Il moro fece lo stesso. 

 

Chiusi gli occhi, feci un respiro profondo e prima di rispondere sogghignai. 

 

«Perché voi invece potete, vero?» chiesi con tono sarcastico prima di scoppiare a ridere.

 

I ragazzi si fecero più seri e si guardarono per un secondo prima di rivolgere nuovamente l'attenzione a me. 

 

Sbuffai e decisi di non aggiungere altro allo scherno appena fatto.

 

«D'accordo» continuai «Cosa devo fare?» conclusi poi.

 

«Uno di noi due ti deve portare sulle spalle fino all'entrata» mi disse il ragazzo moro allungandomi la mano.

 

Guardai Harry che mi porse nuovamente la mano.

 

«Siete proprio sicuri che non possa farcela da sola?» cercai di sviare. Proprio non mi andava di essere il peso sul dorso di qualcuno. Il ragazzo dal nome ancora sconosciuto inarcò il sopracciglio sinistro in segno di non sopportazione.

 

«Okay, va bene» conclusi poi io avvicinandomi a Harry.

 

Gli posai le mani sulle spalle e con un salto agile gli atterrai sulla schiena. Il riccio non fece una piega e si avviò verso la torre insieme al suo amico. Mi tenevo stretta al mio "qualunque cosa fosse" per paura di cadere e lui se ne accorse: sorrise e scosse il capo quasi divertito.

 

«Mi devi un sacco di risposte» gli sussurrai in un orecchio per non farmi sentire dal ragazzo poco più avanti di noi.

 

«Adesso avremo un bel po' di tempo per parlarne» continuò lui.

 

«Iniziamo subito allora» continuai. «Come si chiama il tuo amico?» chiesi.

 

«Lo chiederai direttamente a lui.»

 

Non risposi.

 

Harry continuava a camminare leggero come una piuma sull'acqua, sembrava quasi magia. Il ragazzo moro davanti a noi era arrivato proprio davanti alla torre e ci stava aspettando.

 

Il riccio che mi portava in spalla aumentò il passo consapevole di essere quasi arrivato.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Il cielo sopra di noi stava diventando sempre più scuro e il tramonto quasi non si vedeva più.
L'amico di Harry posò una mano proprio sopra il portone davanti a noi e una scintilla blu apparve appena sotto il suo palmo. Quando staccò la mano l'ingresso si aprì da solo, senza nessuna fatica, ed entrammo e io potei posare nuovamente i piedi per terra.
L'interno era più spazioso di quello che sembrava, molto probabilmente anche grazie all'arredamento scarno che era presente nella prima sala. Un enorme lampadario capeggiava proprio sopra le nostre teste e i pochi mobili presenti erano completamente verniciati di nero. Alle pareti vi erano alcuni quadri impolverati e si potevano distinguere perfettamente diverse finestre che non avevo notato dall'esterno. 
«Adesso ti lascio nelle sue mani» disse Harry rivolgendosi a me. «Non posso trattenermi di più» continuò poi lui girandosi verso il ragazzo moro.
«Come sempre» replicò l'amico.
«Cosa, scusa?» dissi io prendendo Harry per un braccio. Lo tirai verso di me e ci allontanammo per qualche secondo dal ragazzo senza nome. «Mi vuoi dire che mi lasci qui da sola?»
«C'è lui» rispose Harry indicando un punto dietro di lui.
«Spero tu stia scherzando.» Incrociali le braccia sul petto.
«Senti» iniziò il riccio «Devo tenerti al sicuro, ti stanno cercando!»
«Chi mi sta cercando?» chiesi io allibita.
«Adesso devo andare, ma ti prometto che torno. Lo sto facendo per proteggerti.» Harry mi prese per il braccio sinistro ed io inarcai un sopracciglio. Allungai le braccia lungo i fianchi, feci un respiro profondo e strinsi i pugni.
Non riuscivo più a sopportare questa situazione.
«Voglio tornare a casa. A casa mia» dissi in fine.
«Non puoi» rispose Harry.
Mi infuriai. Strinsi i pungi sempre più forte e sentii un tremendo dolore al braccio sinistro ma non distolsi mai lo sguardo da quello di Harry. Lui iniziò a scuotere la testa e io mi accorsi del triangolo che si era formato nuovamente sul mio braccio: era nero e la mia pelle bruciava. Tornai in me, quasi spaventata. 
Alzai gli occhi verso una finestra poco distante da me, da Harry, dalle sue spalle. Dei nuvoloni neri minacciavano pioggia.
Poi un fulmine.
All'improvviso.
Rabbrividii.
Harry mi posò una mano sulla spalla e poi la fece risalire fino alla mia guancia. Puntai i miei occhi nei suoi. Erano diventati argento e brillavano come non mai. Mi feci indietro impaurita ma poi mi avvicinai nuovamente. Il calore di Harry mi spaventava e mi attraeva allo stesso tempo.
«Hanno scoperto della profezia, ma adesso non abbiamo tempo. Devi fare tutto ciò che ti dico, okay?» disse il riccio davanti a me.
Annuii.
Harry mi lasciò un bacio umido sulla guancia.
«Sei in buone mani, Zayn ti dirà tutto ciò che vuoi sapere» continuò poi. «Ti cambierà completamente, ma non devi temere. Tutto ciò è solo per proteggerti» concluse poi.
Annuii un'altra volta.
Adesso per le testa mi balenavano tutte le domande a cui Harry non aveva mai voluto rispondere e forse, finalmente, avrei trovato delle risposte, ma la più importante, in quel momento, era: quale profezia?
Harry si allontanò da me, fece un cenno con il capo a Zayn ed uscì dalla torre senza nemmeno voltarsi. In quel momento mi sentii vuota e sola. Mi ritrovavo in mezzo a una faccenda di cui non sapevo niente e per di più non sapevo nemmeno più chi ero io.
Fuori iniziò a piovere a dirotto.
«Andiamo» mi esortò poi Zayn distraendomi dai miei pensieri.
Lo seguii senza fiatare.
Camminai proprio dietro di lui. Passammo attraverso diversi ambienti e diverse stanze, salimmo una strettissima scala a chiocciola in pietra e poi ci fermammo davanti a una porta di legno. Il ragazzo moro alzò un chiavistello abbastanza pesante e poi spalancò la porta. Davanti a noi comparve un'enorme stanza creata su due piani: al livello più basso c'era una biblioteca mentre sul piano superiore dotato di balaustra, vi era come una camera da letto. 
«Accomodati» disse Zayn lasciandomi passare davanti a lui.
«Avrei un paio di domande da farti» continuai io entrando in quella camera spettacolare.
«Calma tesoro, il mio compito adesso è un altro» mi rispose lui di rimando facendo chiudere la porta dietro di noi. 
Mi addentrai nella stanza e guardai la copertina di ogni singolo libro. «Adesso dobbiamo cambiare il tuo aspetto.»
«Perché?» mi voltai verso Zayn e lo guardai perplessa. «Per via della profezia? Io non sono nemmeno chi sono e dove sono capitata...»
«Va bene» disse poi il mio interlocutore. «Seguimi e risponderò a tutte le tue domande.»
«Grazie» conclusi io.
Zayn mi sorrise e mi fece cenno con la testa come per indicarmi la via. Annuii e seguii il ragazzo fino alla camera superiore.
Mi sedetti sul letto e Zayn non disse nulla. Andò ad aprire l'enorme armadio che si trovava difronte a me e scelse alcun vestiti striminziti, tutti di colore nero, e me li porse. 
«Dobbiamo cambiare il colore dei tuoi capelli e coprire anche il tuo profumo» mi disse mentre mi cambiavo. I pantaloni di jeans, neri, erano attillati mentre il top di pelle lasciava poca immaginazione.
Una volta vestita, Zayn prese gli abiti che indossavo appena arrivata alla torre, li portò in bagno e li adagiò nella vasca. Io lo seguii, più per curiosità che per altro. 
In seguito mi fece sedere sul bordo della vasca ed iniziò a tingermi la cute di nero. 
Mi tagliò i capelli che puntualmente finivano nella vasca, sopra i miei vecchi vestiti: erano talmente corti che non toccavano più le mie spalle. 
D'un tratto Zayn si allontanò dal bagno. Pensavo stesse cercando un phon ma poi tornò con uno strano affare. Prese il pettine e una molletta per tenere fermi i capelli e, in meno di un secondo, iniziò a rasarmi una parte della testa. Non dissi niente e rimasi immobile. Quando ebbe finito gettò tutto nella vasca dietro di me: forbici, mollette e rasoio. Mi porse una mano e mi fece alzare, io mi avvicinai allo specchio e iniziai ad ammirare i miei nuovi capelli. 
Mi girai per ringraziare Zayn ma in quel preciso istante vidi la vasca da bagno prendere fuoco. Sgranai gli occhi e feci per avvicinarmi ma il ragazzo moro mi guardò e scosse la testa. 

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