Avatar: The Legend of the Universe

di Marge
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Libro primo: Acqua - Capitolo I: Il sole nascente ***
Capitolo 2: *** Libro Primo: Acqua - Capitolo II: La Grande Catastrofe ***
Capitolo 3: *** Libro primo: Acqua - Capitolo III: Dimostrazioni ***
Capitolo 4: *** Libro primo: Acqua - Capitolo IV: La conferenza ***
Capitolo 5: *** Libro primo: Acqua - Capitolo V: Allenamenti ***
Capitolo 6: *** Libro primo: Acqua - Capitolo VI: Sulla punta dell'aeroplano ***
Capitolo 7: *** Libro Primo: Acqua - Capitolo VII: Promessa ***
Capitolo 8: *** Libro Primo: Acqua - Capitolo VIII: L'Archivio ***
Capitolo 9: *** Libro Primo: Acqua - Capitolo IX: Gli uomini volanti e gli uomini torcia ***
Capitolo 10: *** Libro primo: Acqua - Capitolo X: Senza risposte ***
Capitolo 11: *** Libro Primo: Acqua - Capitolo XI: Fuga - parte prima ***
Capitolo 12: *** Libro Primo: Acqua - Capitolo XII: Fuga - parte seconda ***



Capitolo 1
*** Libro primo: Acqua - Capitolo I: Il sole nascente ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



I
Il sole nascente



Che poi, a dirla tutta, Shui non avrebbe mai ammesso di essere estremamente scocciato solo perché era dovuto uscire dal piumino caldo. Se Mahi avesse continuato a chiederglielo sarebbe stato perfettamente in grado di difendersi grazie alla sua nota capacità con le parole; avrebbe senz’altro affermato che il problema era che lei credeva che bastasse passare due ore a settimana a guardarsi allo specchio eseguire tutte quelle stupide mosse, per stare senz’altro meglio, quando lui sapeva perfettamente che il Tai Chi era uno stupido palliativo moderno al mal di vivere, che quello di cui aveva veramente bisogno era vedere uno, ma uno molto bravo, e farsi prescrivere un paio di pilloline azzurre la sera.
Mahi a quelle parole inorridiva. Cominciava a blaterare di contatto con la natura, di spirito e anima, di riconnettersi con l’universo.
“L’universo ha veramente rotto le scatole, visto che non vediamo altro da quando siamo nati” ribatteva sempre lui. Mahi continuava citando gli studi di famosi dottori, secondo i quali le ultime cinque generazioni, nate e vissute sulle astronavi nello spazio, mostravano segni di depressione e disturbo d’ansia molto più frequenti e marcati rispetto alla popolazione che aveva abitato la terra. Sembrava che perfino le persone che, almeno per brevi periodi, erano vissute su altri pianeti (prima di ripartire perché nessun pianeta era stato in grado di ospitare l’essere umano, fino ad allora), stessero meglio rispetto a loro.
“Che fortuna, allora, vivere su una Nave per la quale non è previsto mai l’atterraggio” borbottava lui.
Mahi passava molto tempo immersa nelle attività ricreative offerte sulle Navi; aveva perfino fondato una specie di club, che si chiamava “Il sole nascente”, i cui adepti praticavano praticamente qualsiasi arte marziale ritrovata sui vecchi testi terrestri, ovviamente digitalizzati, meditavano, facevano yoga ed erano vegetariani (cioè, ingurgitavano esclusivamente barrette energetiche composte da molecole sintetiche clonate da modelli vegetali e non animali). Lui trovava tutto questo estremamente stupido. Preferiva di gran lunga godersi la sua depressione da essere umano che non è mai uscito dalla Nave spaziale su cui è nato (“Presto inventeranno un nome, sindrome qualcosa”, diceva), starsene sotto al piumino nella sua cuccetta, leggere i libri (ovviamente altrettanto digitali) a disposizione della biblioteca comune e adempiere i suoi doveri.
Nei momenti più romantici sapeva perfettamente che sopravviveva a tutto quello senza nascondersi sul ponte di lancio e lasciarsi risucchiare dal vuoto quando veniva aperto il portellone (la moda dei suicidi negli ultimi anni) solo perché Mahi era con lui. Mahi era allegra, aveva la testa piena della Terra e del sole e delle piante e degli animali, anche se le sue mani non avevano mai neanche toccato qualcosa di vero legno o vera pietra ma solo freddo alluminio e fibre sintetiche; sembrava vivesse due vite, la mente sempre altrove, felice. E quando erano insieme, a volte lui arrivava a credere che sì, sarebbero stati loro, la generazione fortunata a trovare un nuovo pianeta ospitale, che forse avrebbero fatto un figlio facendolo nascere in piena luce, in un prato; che il suo primo odore sarebbe stato quello di terra fresca. Mahi adorava quel sogno e la notte, dopo l’amore, glielo raccontava sussurrando, con gli occhi illuminati che guardavano molto più lontano della parete della cuccetta. E Shui accantonava il suo cinismo per un po’, si lasciava accarezzare dalle sue parole piene di emozione.
Ma non bastava.
E neanche prometterle di provarci, a essere un po’ come lei, sembrava funzionare. Un paio di lezioni di arti marziali (l’antica arte del Tai Chi, secondo il club di Mahi) poteva avere qualche effetto, su di lui. Ma glielo aveva promesso, così ci andava, usciva dal piumino, indossava quella stupida divisa blu (che tra l’altro gli sembrava scomodissima e troppo calda, con quella pelliccia un po’ dappertutto) e passava due ore a volteggiare come uno stupido ballerino dei tempi andati davanti lo specchio.
“Sei in ritardo” notò Goya quel giorno, quando Shui entrò nel locale adibito alle arti marziali. Quando Mahi aveva tentato di richiedere uno spazio nella palestra ufficiale della nave, le era stato rifiutato senza troppe cerimonie; in alto pensavano che fosse una gran cavolata, era quella la verità, ma nel club credevano che fosse una cospirazione. “Ci preferiscono tristi e depressi” decretava Mahi. Shui non trovava alcuna spiegazione logica a quell’affermazione, ma nel club erano così: un po’ fanatici. Gente simpatica, per carità, ma decisamente strana, come se fossero a conoscenza qualcosa di inarrivabile alla gente comune.
Il gruppo era già quasi a metà delle posizioni di meditazione. Shui lasciò cadere in un angolo il borsone con le sue cose e si accinse a raggiungere il suo posto (ultima fila, ben lontano dallo specchio) ma Goya, che quando erano in quel locale amava farsi chiamare Maestro Goya, lo bloccò con un gesto secco.
“La meditazione non può essere cominciata a metà” disse. “Non puoi arrivare a quest’ora e semplicemente unirti al gruppo, non sei spiritualmente preparato.”
“Bingo”, pensò Shui. “Ora me ne torno sotto al piumino.”
“Vai nell’angolo e ripassa le cinque posizioni fondamentali, poi potrai fare la terza serie con noi” aggiunse però il Maestro prima che Shui potesse anche solo allungare di nuovo la mano verso il borsone.
Obbedì solo perché l’aveva promesso a Mahi. Non credeva che tutto quello avrebbe potuto veramente aiutarlo, no di certo, ma aveva promesso di provarci seriamente per qualche mese, prima di andare in cerca di pilloline azzurre, e lui era un tipo leale. Depresso e cinico, sicuramente, ma leale.
Così si infilò nell’angolo in fondo, dove erano appese un paio di foto sbiadite di antichi maestri delle arti marziali terrestri, tra cui una vecchia con così tante rughe che Shui dubitava fortemente potesse muoversi con agilità.
Cominciò la prima posizione con la grazia di un ippoelefante (stando a ciò che dicevano i libri, ovvio, chi aveva mai visto davvero un ippoelefante?). La riprovò una decina di volte, poi passò alla seconda. Si sarebbe scaldato così, e poi le avrebbe fatte tutte di seguito, una dopo l’altra, cercando di sentirsi un valoroso guerriero terrestre e non uno sfigato marziano sospeso in mezzo al nulla dell’universo.
Accanto a lui c’era un secchio in cui gocciolava acqua dal soffitto. Qualche tubatura difettosa, di certo, perché alle arti marziali avevano riservato il peggior scantinato della nave, e nessun tecnico sarebbe sceso laggiù a sistemare la perdita. Per Mahi e i suoi compari quello sarebbe stato un ulteriore segno dell’avversione che avevano per loro ai piani alti. Tic, tac, seconda posizione, mani in alto, dita rilassate, pugno non troppo chiuso. Movimento di lato, mani all’altezza del bacino, spingere l’energia, raccoglierla in una sfera davanti al petto. Tic, tac. Sentiva la voce di Goya guidarlo. Piedi paralleli, all’altezza delle spalle. Tic, tac, le gocce sembravano cadere nel secchio a due a due. Non si accorse di aver adeguato la velocità dei suoi movimenti al ritmo delle gocce. Inspirava nel silenzio, espirava quando avvertiva il suono arrivare, dandosi tempo di incamerare energia, lasciarla uscire come il fiato caldo dalle sue narici.
Si fermò alla fine della prima serie delle cinque posizioni riemergendo dalla dissociazione. Si fissò negli occhi azzurri, allo specchio, e per un attimo non si riconobbe. Scosse la testa. Tic, tac, le gocce cascarono ancora nel secchio accanto a lui e si voltò innervosito, quasi dovessero smettere di cadere solo perché lui era fermo, ora. Non avevano forse agito in armonia finora? Ancora stordito, spostò il piede sinistro avanti, piegò le ginocchia, lasciò che le mani scivolassero in avanti nella prima posizione, svuotando i polmoni. Due gocce si fermarono a mezz’aria.
Rimase così stupito che sobbalzò all’indietro. Udì subito il tic tac, leggermente attutito perché ormai nel secchio si era accumulato un sottile strato di acqua. Tic tac, ancora. Tic tac, secondo un ritmo ben preciso. Provò ancora la prima posizione con le dita verso il secchio, senza successo.
“Che idiota” pensò. Si era estraniato e aveva immaginato tutto, ecco cosa.
Si rimise ben dritto davanti lo specchio, inspirò, espirò, rilassò le spalle. Ricominciò dalla prima posizione, ma all’ultimo, senza averlo pianificato, si girò ancora. Le gocce si fermarono, sospese nell’aria, e Shui cercò di rimanere concentrato ma di non riemergere oltre la superficie della trance in cui navigava. Passò in seconda posizione, fluentemente, e le due gocce si fusero e si allungarono verso l’alto, in una spirale d’acqua vibrante.
E Shui sentì qualcosa dentro, in fondo. Una parte di sé che non sapeva esistesse, che non aveva mai sentito agitarsi ("agitazione" non era la parola più adatta, nonostante la tachicardia, forse era "vibrare", ecco cosa, esattamente come le molecole d’acqua davanti a sé), ma che riconobbe subito. Gli venne in mente il volto di sua madre, di sfuggita, poi gli pizzicarono le dita. Passò in terza posizione e l’acqua formò un piccolo globo che girava su se stesso. Abbassò allora le mani, lentamente, e fece fondere la sfera alla superficie bagnata in fondo al secchio. Solo allora svuotò i polmoni, forte, a bocca aperta.
Rimase in piedi a fissare il secchio per un po’. Sentiva il sangue scorrere nel suo corpo come non gli era mai capitato prima e fremeva per provarci ancora, ma aveva paura e non sapeva di cosa.
“Shui, cominciamo la terza serie!” disse ad alta voce Goya. Non urlava mai, non quando rivestiva il suo ruolo di Maestro, ma fu sufficiente a Shui per destarsi dal sogno. Si voltò e raggiunse gli altri nel suo posto in fondo, lontano dal secchio e dall’acqua.
Doveva riflettere.


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Capitolo 2
*** Libro Primo: Acqua - Capitolo II: La Grande Catastrofe ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



II
La Grande Catastrofe



Rin era sconcertata. Stringeva tra le dita il cartoncino e guardava l’uomo dall’altra parte della scrivania senza riuscire ad emettere un fiato.
L’altro sorrise intrecciando le dita davanti a sé.
“Dunque, una mezzora, direi, per non annoiare troppo i nostri ospiti. Cosa ne pensa?”
Dovette inghiottire la poca saliva che aveva in bocca e schiarirsi la gola prima di rispondere.
“Io… non saprei, si potrebbe fare, immagino. Ma perché io…?”
“Professoressa, al momento lei non è forse la massima esperta delle popolazioni terrestri originarie?”
Rin spostò ancora lo sguardo sul cartoncino: rappresentava Ten Sen, l’ultimo uomo nato sulla Terra, deceduto esattamente duecento anni prima. Il Gran Consiglio voleva organizzare una giornata di commemorazione in suo onore.
“Quest’uomo è salito su una nave spaziale all’età di soli due giorni, signore, non ha praticamente mai vissuto sulla Terra. Perfino quand’è morto non è stato realizzato che un trafiletto in fondo alla pagina, perché mai ora avremmo bisogno di commemorarlo?”
“Oh, suvvia, non sia così pignola. Abbiamo bisogno di una festa, una giornata speciale, per rianimare le truppe, sa come si dice.” Ridacchiò in maniera sgradevole, mostrando denti non del tutto sani. “Verrà celebrata in contemporanea su tutte le Navi e trasmessa in video conferenza. È un onore, quello che le offriamo!”
“Capisco. Ma di cosa dovrei parlare? Quest’uomo non ha fatto nulla di particolare, nella sua vita. Era una persona ordinaria.”
“Perfetto, allora parli di questo! Di come sia fondamentale per il benessere comune che ognuno faccia la sua parte, anche se umile!”
Rin non riuscì a trattenersi dallo storcere la bocca. “Piuttosto, visto che la mia cattedra si chiama Storia delle popolazioni originarie e non Come siamo bravi sulle Navi, propenderei a parlare delle tradizioni della popolazione da cui proveniva quest’uomo.”
L’uomo, un semplice inviato del Gran Consiglio, corrugò la fronte.
“Purché non si scada nel raccontare mere leggende senza alcuna base storica.”
Lei fremette di indignazione. “Purtroppo, con il poco materiale sopravvissuto all’esodo, è difficile ad oggi dire cosa sia leggenda e cosa verità” ribatté. “Perfino le sue cause rimangono piuttosto oscure. Non è così?”
Fu lieta di averlo messo in difficoltà. Non le riusciva particolarmente ostico, quando cominciava a parlare della Terra e dell'esodo, ma la maggior parte dei suoi interlocutori (gli uomini del Consiglio, ovviamente, ai quali relazionava le proprie ricerche) erano preparati e sapevano come smontare le sue teorie. L’idea che molti secoli prima la popolazione terrestre vivesse divisa in tribù, che a caratterizzare queste tribù fossero delle tradizioni molto specifiche come le arti marziali praticate, faceva ridere i piani alti. Talmente ridere che finora non avevano autorizzato mai alcuna pubblicazione sull’argomento. Per difendersi adducevano come spiegazione il fatto che, al momento dell’esodo, la popolazione mondiale viveva unita esattamente come ora sulle navi, non vi erano divisioni, e le arti marziali erano un hobby da casalinga disperata tanto quanto il lavoro a maglia e la cucina. “Vuole dividere le persone in base al modo in cui preparano un piatto di spaghetti?” aveva scherzato una volta un funzionario.
E le fonti erano così scarse. Pochissime vecchie pergamene erano sopravvissute ed erano state digitalizzate. Rin le conosceva a memoria, passava le sue ore a ripercorrere con il dito le scritte ed i disegni che vi erano tracciati, cercando la verità. Sapeva che c’era, da qualche parte, ben nascosta. Doveva solo imparare a leggerla, ecco tutto. E di tempo ne aveva in abbondanza visto che, da qualche mese, sembrava che nessun giovane volesse più seguire il suo corso. Non teneva lezioni da moltissimo tempo e per questo, quando era stata contattata per quella conferenza, inizialmente aveva gioito.
L’ometto davanti a lei, ad ogni modo, non era che un infimo messaggero dei piani alti, probabilmente non aveva alcuna idea del lavoro che lei svolgeva. Ora se ne stava zitto, a labbra strette, senza sapere come ribattere. Ad un tratto, però, parve illuminarsi.
“La Grande Catastrofe Naturale, ecco cosa è successo. Il nostro pianeta è stato colpito da…”
Rin sorrise. Stava ripetendo la lezione imparata alle elementari. Lo interruppe con un gesto della mano.
“Lasci perdere. Credo di saperne più di lei sull’argomento. Preparerò la mia conferenza, sarà un onore contribuire.”
“Il Direttivo per la Giornata dedicata a Ten Sen vuole averne una copia almeno una settimana prima, così da poterla approvare.”
Sentì il gelo scenderle dentro.
“Ma certo” annuì sorridendo. “Non dubitavo.”


Quando l’uomo fu uscito dal suo studio, Rin si sciolse i capelli e passò la mano tra i ricci scuri. Scosse la testa per sentire il solletico delle punte alla base del collo. Poi sospirò e guardò il soffitto; i piaceri fisici si erano ridotti a quello, da qualche anno: fingere che non fossero i propri capelli ma le dita di qualche amante focoso. Ormai non provava neanche più tristezza per se stessa, sebbene negli ultimi mesi, senza neanche il conforto delle lezioni con i giovani studenti, era stata dura. Probabilmente di lì a poco avrebbero chiuso la sua cattedra, senza tante cerimonie, e lei si sarebbe potuta ritirare in pace su qualche Nave meno pretenziosa della Nave Universitaria, per invecchiare in silenzio. Le sarebbe piaciuto finire su qualche Nave Orto, sì, dove un delizioso sole artificiale scaldava la pelle. Poteva quasi immaginare di essere sulla Terra, no?
Si chiese ancora una volta cosa veramente avesse spinto le ultime popolazioni a lasciare il pianeta. Flotte intere partivano da anni, per cercare di colonizzare l’universo, e questo sembrava logico da quando la tecnologia aveva scoperto come poter sopravvivere per anni lontani dalla superficie, ma molta gente era rimasta, a condurre esistenze normali.
I libri ufficiali riportavano che una terribile Catastrofe Naturale (una cometa? Un terremoto? Non era chiaro) avesse talmente devastato la Terra da non rendere più possibile la sopravvivenza, così anche gli ultimi si erano imbarcati. Del resto sembrava che il Gran Consiglio fosse a un passo dallo scoprire un nuovo pianeta adatto a ospitarli tutti.
Invece, nell’arco di quasi trecento anni, la popolazione umana si era ridotta (avevano perso alcune navi, nascevano meno bambini) e, di quattro atterraggi, neanche uno era andato a buon fine.
Rin aveva quarant’anni e aveva capito, da almeno una decina, che non avrebbe dovuto aspettarsi nulla dalla propria esistenza. Se mai la popolazione umana avesse trovato un altro pianeta in cui insediarsi, di sicuro non sarebbe stato nei prossimi decenni.
Scosse ancora la testa, si godette la pelle d’oca che attraversò la sua spina dorsale, poi si alzò e si stiracchiò verso il soffitto.
Da quando aveva interrotto le lezioni aveva cercato un altro modo per passare il tempo, qualcosa che fosse anche fruttuoso per le sue ricerche, e per la prima volta aveva deciso di esercitarsi nelle forme che erano disegnate sulle pergamene digitalizzate. Le aveva provate tutte: quelle colorate in azzurro con i ghirigori d’acqua intorno e la luna incisa in alto, quelle verdi e marroni, quelle decorate da sbuffi di vapore e quelle con lame di fuoco tutt’attorno le figurine. Queste ultime le piacevano maggiormente senza che sapesse spiegarne il perché. Alla fine dei suoi esercizi si sentiva piena di energia e di ottimismo e questo era particolarmente ironico perché non vi era nulla, nella sua vita, che andasse per il verso giusto.
Il problema era che quelle figure erano concepite come una serie armoniosa, ma lei non aveva idea di come passare dall’una all’altra. Provava a seguire la logica, ma a volte si sentiva così ridicola da scoppiare a ridere da sola.
Dopo quella conversazione, aveva decisamente bisogno di un po’ della sua panacea. Accese le candele sparse nello studio, un po’ perché le piacevano da sempre, un po’ perché le sembravano ben abbinate agli esercizi che intendeva fare; non erano forse circondati di lame di fuoco, quegli antichi terrestri?
Spinse la scrivania verso la porta, giusto per assicurarsi della privacy, e vi incastrò la sedia sotto, così da creare lo spazio adatto. Con il telecomando proiettò la pergamena scelta sul muro alla sua destra, mosse il collo per scioglierlo e si posizionò speculare alla prima figura. Rifletté un momento e passò alla seconda con il movimento che le sembrava, da qualche giorno, il più adatto. Continuò ad andare avanti fino ad arrivare alla fine della prima riga, sentendosi subito già meglio. Si slacciò la giacca e la abbandonò in un angolo, accaldata.
“Dai, Rin, ancora una volta” si incitò con un paio di saltelli sul posto. Ripeté la prima riga più velocemente, cercando di armonizzare piedi e mani, di piegarsi più a fondo sulle ginocchia, di fendere l’aria. Lanciò un gridolino di giubilo e attaccò la seconda riga. Ormai la sapeva a memoria, non aveva quasi più bisogno di controllare la pergamena.
Questo la fece decidere. Spense il proiettore e chiuse gli occhi. Sorrise mentre ripeteva le due righe, senza sbagliare una mossa, decisa e… forte. Non era mai stata una persona fisica, aveva passato anni china sulle carte (e di questo Vade l’aveva rimproverata a lungo, prima di andarsene per sempre), ma ora si sentiva tutta muscoli e sangue.
Dopo la giravolta finale atterrò agile sulle punte e decise di attaccarci subito un’altra serie, senza soluzione. Le sembrava di riempire i polmoni di aria ardente, scoppiettante. Non aprì gli occhi finché non fu di nuovo ferma, pochi secondi dopo, e subito avvertì il calore. Ce n’era troppo. Sembrava quasi che…
Inorridì alla vista delle fiamme che, in un cerchio attorno a lei, divoravano la stanza. Possibile che con lo spostamento d’aria avesse fatto cadere una candela e quella avesse dato fuoco a tutto?
Nella propria testa non ebbe nemmeno il tempo di obiettare. Le fiamme raggiunsero il soffitto e lì il sensore d’incendio; un momento dopo era tutto bagnato, lei e le sue carte e i computer e i mobili, la sirena le trapanava le orecchie e le sembrava di aver trasformato il proprio studio in una sala della sauna locale, tra l’acqua che cadeva dall’alto e il vapore che si alzava.
“Ecco fatto” pensò. “Ora avranno una scusa in più per mandarmi in pensione anticipata. Vecchia professoressa senza alcuno studente dà fuoco al proprio studio. Si sospetta una demenza precoce.


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Capitolo 3
*** Libro primo: Acqua - Capitolo III: Dimostrazioni ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



III
Dimostrazioni



Non era facile trovare il momento giusto per parlare a Mahi.
Doveva essere un momento intimo, certo, in cui fossero solo loro due ed anche tranquilli, ma senza conferire al tutto un’aria troppo solenne, o l’avrebbe spaventata davvero. Non poteva dirle: “Devo parlarti”, perché Mahi avrebbe subito pensato che volesse lasciarla o che volesse farla finita con la vita, il che, per lei, era più o meno lo stesso.
Avrebbe voluto trovare un momento in cui, entrambi rilassati, lui avesse potuto buttarla là: “Sai, l’altro giorno mi è successa una cosa strana, mentre facevo Tai Chi.” Mahi non gli avrebbe creduto, ovviamente, perché era una cosa folle e senza alcun senso, così si sarebbero fatti una risata, lui si sarebbe convinto e sarebbe finita lì.
Il problema stava nel fatto che Shui ci aveva riprovato ed ora, oltre a far spirali e sfere, riusciva a far volteggiare l’acqua quasi in qualsiasi forma volesse. Riusciva perfino a farle fare un movimento in avanti, simile alla coda di una frusta. E poteva fermare l’acqua. Vi aveva provato sotto la doccia: gli bastava alzare le mani, respirare, concentrarsi, e d’un tratto era avvolto da una cupola bagnata senza che alcuna goccia gli arrivasse addosso. Ovviamente aveva provato tutte le mosse che conosceva del Tai Chi e aveva cercato anche di impararne di nuove. Goya era soddisfattissimo dei suoi progressi nelle ultime due settimane, e Shui aveva scoperto che a ogni mossa corrispondeva un movimento dell’acqua. Se quella era pazzia, era sicuramente caduto ben in fondo al pozzo.
Era giunto il momento di parlarne a Mahi. Forse lei si sarebbe finalmente convinta dell’utilità di quelle due pilloline azzurre.
Shui era sotto la doccia. Ormai, quasi senza accorgersene, formava la cupola sopra di sé, faceva accumulare l’acqua e poi se la rovesciava sulla testa tutta insieme. La pressione nelle tubature di quella nave era sempre al minimo e impiegava almeno mezzora a bagnarsi e risciacquarsi i capelli a dovere, e la soluzione della cupola sembrava davvero fatta apposta.
Si era appena fatto inondare dalla cascata che la porta della cabina si aprì e Mahi sgusciò dentro. Ridacchiando si strinse a lui. “Ho finito prima il turno giù in mensa” disse. Shui sentì le punte dei suoi seni premergli sulla schiena e in un altro momento non si sarebbe fatto pregare a prenderli in mano e cominciare a massaggiarli. Invece sospirò mentre si voltava. Le circondò il viso con le mani e le piantò gli occhi nei suoi.
“Lo sai che sei la donna della mia vita, vero?”
Mahi tremò perché, nel movimento, il sottile getto d’acqua della doccia l’aveva colpita ed ora era per metà bagnata. Sorrise e annuì. “Ma certo. Ora esci dalla doccia, così posso lavarmi a dovere. Ti raggiungo a letto.” Shui uscì dalla cabina e si avvolse un asciugamano attorno alla vita. Mentre lei canticchiava sotto il getto si pettinò con cura i capelli, li tirò all’indietro e li legò: in questo modo, asciugandosi, non si sarebbero gonfiati.
Lei aprì la cabina tremando da capo a piedi. “Dai, passami l’asciugamano!” lo implorò. Shui rimase in piedi un momento, a guardarla.
“Devo parlarti” disse serio.
Gli occhi di lei di spalancarono, proprio come aveva temuto.
“Apri l’acqua” disse. Lei scosse la testa, senza capire il collegamento.
“Dai su, fidati, apri l’acqua. Non sto per lasciarti, sta’ tranquilla.”
Mahi aggrottò le sopracciglia. “È uno scherzo?”
Lui negò e lei allungò un braccio di lato verso la maniglia. Con l’altra si strinse i seni, coperta ormai di pelle d’oca. Istintivamente Mahi chiuse gli occhi non appena lo scorrere del getto si fece udire. Dopo un momento, la mancanza d’acqua sulla propria pelle glieli fece aprire, incredula. Il gorgogliare era ancora lì, sopra la sua testa, e davanti a lei Shui era fermo in una delle posizioni del Tai Chi. Spostò allora gli occhi verso l’alto e quello che vide glieli fece spalancare oltre ogni possibilità.
“Ora chiudila” ordinò Shui. Lei lo fece, perché non aveva alternative che fare ciò che lui diceva, vista la situazione incredibile.
Non appena il getto si fermò, Shui ruotò su se stesso, raccolse una gamba verso l’altra e formò una sfera con le braccia; l’acqua accumulatesi sopra la testa di lei lo seguì, docile, e rimase a girare davanti a lui, una palla perfetta e vibrante. Poi Shui si mosse ancora, l’acqua si raccolse in una lama e si diresse verso di lei, o meglio, le sembrò che Shui la guidasse verso di lei, fino a circondarla in una spirale. Mahi lanciò un gridolino e si chiuse in un abbraccio. Shui alzò ancora le braccia per far salire la spirale, poi la fece scendere pian piano fino a adagiarsi sul piano della doccia; nel movimento l’asciugamano che aveva in vita si allentò e cadde a terra.
Quando ebbero finito, entrambi svuotarono i polmoni e rimasero ritti, in piedi, a guardarsi per qualche momento.
Anni dopo avrebbero riso fino allo sfinimento, pensando a quella prima volta in cui Shui aveva dominato l’acqua davanti a lei finendo completamente nudo, come un vero Maestro; e, ovviamente, questo piccolo particolare non passò mai alla storia.


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Capitolo 4
*** Libro primo: Acqua - Capitolo IV: La conferenza ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



IV
La conferenza



Rin era stata furba: non per niente aveva una Laurea, un Dottorato ed un paio di Masters e sarebbe stata capace di ingannare funzionari molto più intelligenti di quelli che erano stati messi nell’organizzazione della giornata di commemorazione.
Aveva trovato una vecchia foto, risalente ad almeno quattrocento anni prima, che ritraeva una famiglia in abiti tradizionali. Si era inventata si trattasse della famiglia originale di Ten Sen, e così era passata a parlare proprio di ciò che voleva: le sue teorie sulla divisione in tribù della popolazione originaria terrestre.
La foto in realtà era palesemente stata scattata in una giornata di festa; in alto, molto sfocata, si leggeva una scritta su uno striscione, nell’antico alfabeto terrestre, e secondo la traduzione approssimativa di Rin non si trattava d’altro che di un festival paesano. Le persone ritratte nella foto indossavano abiti che risultavano storici persino per loro, e quindi il tutto riportava ad un’era molto più antica ancora, ma nessuno lì in platea sarebbe stato in grado di capirlo. E il grande interrogativo su cui Rin lavorava da anni si riduceva ormai a questo: fino a quando la popolazione terrestre era vissuta divisa? Cosa li aveva spinti ad unirsi in un solo governo centrale? E perché sembrava che, precedentemente, fossero separati in maniera così peculiare e cosa li aveva resi così diversi tra loro?
Ovviamente non era arrivata così lontano, durante la conferenza. Aveva descritto gli abiti, rossi e neri bordati di decorazioni dorate, i gioielli che rappresentavano fiamme e le pettinature tradizionali, per lo più complicati intrecci sulla sommità della testa, e le lunghe barbe attorcigliate degli uomini. Ten Sen, al contrario, era un ometto calvo.
“Tutti noi, oggi, siamo diversi da quegli abitanti terrestri che furono obbligati ad abbandonare la casa dove erano nati per un’avventura senza alcuna certezza nel profondo universo. Abbiamo sviluppato tradizioni nostre, modi di dire, di scrivere, di vestire e persino di pensare, ma non dobbiamo dimenticare da dove proveniamo. Io credo sia fondamentale lo studio delle antiche popolazioni, credo possa aiutarci a svilupparci come cittadinanza e come singoli, ed approfitto di quella bella giornata del ricordo per rinnovare ancora una volta la mia richiesta, a voi tutti ed in particolare al nostro Consiglio, a sovvenzionare questa particolare branca della ricerca universitaria” concluse con un largo sorriso. La forza di Rin era nel suo apparire così inoffensiva, con i capelli che cominciavano a striarsi di bianco, gli occhiali sul naso e l’aria mite, il prototipo della vecchia insegnante che continua ogni anno a chiedere qualche soldo per la propria cattedra.
Rimase ferma, a godersi l’applauso non poi così caloroso, scrutando la platea sotto di lei. C’erano forse un centinaio di persone, perché la giornata di commemorazione prevedeva, oltre alla sua conferenza, anche uno spettacolo teatrale, un paio di attrazioni per bambini e un intero settore della Nave dedicato a bevande e cibo (quasi tutto vero, per l’occasione speciale) e la maggior parte delle persone erano sicuramente altrove. Davanti a lei c’erano soprattutto le figure istituzionali, obbligate a partecipare, e pochi altri interessati. D’un tratto trovò, in un angolo, le persone che stava cercando: non vi era dubbio che fossero loro.
Li vide indugiare mentre la sala si svuotava lentamente.
“Mahi e Shui?” chiede educatamente quando fu davanti a loro. La ragazza, capelli corvini e occhi allungati, annuì.
“Professoressa Rin, è davvero un piacere conoscerla di persona. Avevo applicato per il suo corso qualche mese fa, ma mi è stato risposto dall’università che purtroppo aveva smesso di tenere lezioni.”
Rin aggrottò le sopracciglia ma, prima che potesse ribattere, la ragazza aveva ripreso a parlare: “Ci scusiamo di averla disturbata. La sua conferenza è stata davvero molto interessante.”
Il ragazzo, leggermente indietro, annuì senza dire niente. Rin non era ancora riuscita ancora a stabilire chi dei due fosse la mente, se Mahi fosse solo la portavoce o se viceversa fosse lei a dirigere. La lettera era stata firmata da entrambi ma la calligrafia era senza dubbio femminile.
“Mi avete scritto di avere qualcosa da mostrarmi per chiedermi un parere.”
In quel momento il ragazzo parlò: “Forse dovremmo cercare un posto più appartato. Non ha un ufficio?”
“Il mio ufficio è sulla Nave Universitaria, vivo là. Possiamo accontentarci di un angolo nel padiglione ristorante?”
I due si guardarono, poi annuirono con una certa riluttanza. La curiosità di Rin aumentò, insieme ad una strana sensazione di apprensione in fondo alla schiena.


Pochi minuti dopo erano seduti ad uno degli ultimi tavoli in fondo al padiglione. La commissione aveva arredato la sala con delle pacchiane riproduzioni sintetiche di alberi e piante terrestri, mescolando fra loro specie così diverse da far sorridere. Appesi alle pareti vi erano perfino disegni delle principali specie animali e nemmeno una era stata posizionata accanto alla giusta pianta del proprio microclima. Rin lo spiegò ridendo ai due ragazzi mentre raggiungevano il loro tavolino con le bevande in mano.
“Lei è davvero la più grande esperta vivente della Terra” commentò Mahi con occhi pieni di ammirazione.
“Mi sono occupata principalmente di storia e antropologia, nella mia vita, ma è stato necessario esplorare un po’ tutti gli ambiti. Ovviamente esistono biologi molto più competenti di me e non capisco come mai non sia stato assunto neanche un consulente per organizzare questa pagliacciata.”
“Perché non sono interessati alla verità” commentò il ragazzo. Non aveva sorriso neanche una volta da quando si erano presentati e a Rin sembrava una persona, nel complesso, piuttosto triste. Aveva negli occhi quell’ombra che in tanti avevano, lì sulle Navi, la depressione di chi non è mai uscito da quattro mura chiuse. Eh sì, neanche a lei era capitato (escluse le escursioni nelle serre artificiali delle Navi Orto, che non erano proprio aria aperta ma vi rassomigliavano), ma i suoi studi l’avevano tenuta a galla.
La ragazza, invece, era diversa. Era viva.
Tirò fuori un tablet, lo accese e le mostrò l’immagine che aveva aperto.
“Lei sa cosa sia questa?”
Rin rimase sorpresa.
“Ma certo. È una delle mie pergamene.”
“Cosa vuol dire sue?”
Prese aria. “Dunque, la maggior parte del materiale cartaceo della Terra è andato distrutto con la Catastrofe. Le navi che erano partite prima avevano preso con sé poche cose, per lo più ogni persona si era portata dietro libri e documenti personali, come se andassero in viaggio per un po’. Nessuno immaginava che avremmo dovuto abbandonare presto la Terra, quindi non vi era bisogno di organizzare un’archiviazione ben fatta. Quando le ultime colonie partirono in fretta e furia nessuno pensò a farlo, perché lì era la sopravvivenza, a essere in ballo. Quindi abbiamo pochissimo. Gran parte del lavoro della mia vita è stato di catalogare e digitalizzare ciò che si è salvato, per costituire un archivio storico di ciò che era la popolazione umana.”
Sembrava un’incredibile coincidenza, ma la pergamena era proprio una di quelle delle arti marziali che da mesi studiava incessantemente. “Come mai è in tuo possesso?”
“Circa un anno fa ho fondato un gruppo. Si chiama Il sole nascente e ci occupiamo di studiare queste discipline.”
“Le studiate… in che senso?”
“Nel senso che cercano di riprodurre questi balletti davanti a uno specchio indossando lunghe tuniche blu di pelliccia” disse il ragazzo in tono sarcastico. Mahi gli scoccò un’occhiata, ma non proprio di biasimo. Sembrava che stessero recitando un copione con battute concordate precedentemente.
“Ci piacerebbe saperne qualcosa in più, ecco tutto. Cerchiamo solo un modo per entrare in armonia con noi stessi e stare un po’ meglio” concluse poi lei.
“Sta banalizzando” pensò Rin. “Vuole qualcosa in più.” Ma decise di dire ciò che sapeva. Quella coppia la incuriosiva ma non poteva, ancora, indagare esplicitamente.
“Dunque, esistono quattro serie di pergamene. Si distinguono in base alle decorazioni. Secondo la mia ipotesi si rifanno ai quattro elementi fondamentali: aria, acqua, fuoco e terra. Questa fa parte di quella che io chiamo Serie della Luna, per via di questo disegno qui in alto che si ripete uguale su ogni pergamena a disposizione, e ovviamente si rifà all’elemento dell’Acqua.”
“È una tecnica marziale, no? Tai Chi.”
Rin annuì, sorpresa di quanto sapesse quella ragazza. Non erano certo informazioni riservate, anzi, ai suoi tempi aveva tenuto corsi su questi argomenti, ma non credeva che qualcuno potesse interessarsene privatamente. I giovani avevano tutti voglia di scoprire il Nuovo Pianeta della Salvezza, o Come Produrre ancora Più Cibo, o la Nave Spaziale Più Figa Di Tutte.
“I quattro elementi… c’è un motivo, per cui erano stati scelti per differenziare le diverse tecniche?” chiese ancora la ragazza. “O si tratta solo di decorazioni artistiche?”
Fu in quel momento che Rin cominciò ad insospettirsi veramente. Quello fu il momento in cui, si disse poi, avrebbe dovuto capire che la sua vita stava per cambiare. O forse aveva cominciato un po’ prima, quando accendeva le candele per esercitarsi nell’arte dello Shaoling e le sembrava che la fiamma crepitasse più a lungo, più forte, o che si muovesse secondo le sue posizioni. Follie di una pazza che da troppo tempo è sola, si era detta.
In quel momento un gruppo di bambini si insinuò correndo tra il loro tavolino e quelli attorno; un bambinetto sui tre anni inciampò e nel cadere rovesciò il bicchiere che aveva in mano. Rin credette di essere impazzita del tutto quando vide il liquido rosato galleggiare nell’aria, raccogliersi in una sfera e rientrare docilmente nel bicchiere, ancora stretto tra le manine grassocce del bambino che era piombato con il sedere a terra.
Fu lui ad alzare gli occhi spalancati verso Shui. Sorrise, ma Rin, fissando il ragazzo, sentì un battito del cuore saltarle.
Shui era proteso verso il bambino con un braccio e con la punta di un piede. L’altra mano era chiusa a becco ed era sollevata a mezz’aria. Nell’insieme ricordava una delle figure sulla pergamena che Mahi aveva mostrato, anche se era ancora seduto. Aveva la fronte corrugata per la concentrazione.
Una parte profonda, in fondo alla mente di Rin, non era poi così sorpresa. Ma ovviamente il suo raziocinio si ribellò e riuscì a sussurrare: “Ma come hai fatto?”
“Cosa avevamo detto rispetto al farlo in pubblico?” sibilò invece Mahi, velenosa.
“Mi è scappato” commentò Shui alzando le spalle. “Sai quanto avrebbe pianto quel bambino se la Rose Cola si fosse sparsa a terra?”
In quel momento arrivò una donna, sollevò di peso il figlio e cominciò a sgridarlo. Rin si rese conto che nessuno si era accorto di ciò che era successo, perché erano tutti impegnati a mangiare e parlare seduti ai loro tavolini e il bambino era caduto fra i loro piedi.
“Forse dovremmo parlarne meglio nel mio ufficio, uno di questi giorni. In maniera un po’ più appartata” sì sentì dire.


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Capitolo 5
*** Libro primo: Acqua - Capitolo V: Allenamenti ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



V
Allenamenti



In piedi uno accanto all’altra, i due effettuavano la serie di esercizi in maniera speculare. Mahi era perfino più armoniosa, più aggraziata e fluida, ma l’acqua nel secchio davanti a lei rimaneva immobile. Shui, invece, volteggiava in un tutt’uno con la sua, e sembrava veramente che il liquido riempisse gli spazi vuoti del suo corpo. E, cosa ancora più incredibile, la forma dell’acqua corrispondeva a quella disegnata sulla pergamena.
Rin spuntò l’ennesimo disegno e si alzò: “Ok, ora basta. Abbiamo delle risposte.”
Mahi smise a malincuore, delusa ancora una volta, quindi Rin decide di partire da lei. Si sedettero a terra, sul pavimento dello scantinato de Il sole nascente.
“Dunque” cominciò consultando i suoi appunti, “è evidente che l’arte marziale non è sufficiente. C’è qualcosa in lui” e indicò Shui, che non aveva smesso di giocare con la sua acqua facendola correre in un sottile serpentello tra le dita, “che in lei non c’è. Non è affatto questione di tecnica, questo te lo posso assicurare.”
“E allora cos’è?” mormorò Mahi, con la voce che vibrava di lacrime. Shui se ne accorse, le mise un braccio attorno alle spalle e le baciò una tempia. L’acqua rimase in una piccola sfera a roteare sopra la sua mano libera. “Questo ragazzo è incredibile” pensò Rin. Poi armeggiò col tablet fino a mostrare una vecchia cartina terrestre. Era disegnata a mano ed aveva l’aria molto antica.
“Abbiamo alcune prove, come questa mappa, che i quattro popoli terrestri vivessero originariamente in aree diverse del globo. Ed io sono fermamente convinta che ogni popolo si identificasse con un elemento o, per dirla alla luce di ciò che sa fare Shui… che ogni popolo dominasse un elemento diverso. Vedete che i continenti sono colorati in maniera diversa?”
“Non capisco.”
“Mahi.” alzò gli occhi per fissarla bene in faccia, affinché si convincesse, una volta per tutte, di non essere difettosa. “Tu non provieni dalla stessa tribù da cui provenivano gli antenati di Shui. Vedi? La tribù dell’acqua, quella azzurra, si era concentrata ai due poli del pianeta. Evidentemente, la tua famiglia faceva parte di questa qui centrale che è associata alla terra, o a quella del fuoco, o quella dell’aria. Non è la giusta tecnica, per te, non è il tuo elemento. Come non è il mio, del resto.”
“Quindi potrei semplicemente apprenderne un’altra?” La speranza si era riaccesa nei suo occhi. Shui le sorrideva, silenzioso come sempre.
“Però ho un’altra teoria. Se questi domini fossero stati così diffusi, avremmo delle tracce anche ad oggi. Possibile che in poche centinaia di anni tutta la popolazione terrestre si sia semplicemente scordata di cosa sia capace di fare?”
“Effettivamente” mormorò Shui, dubbioso. “Da quando ho scoperto di poter governare l’acqua, non passa giorno in cui io non lo faccia nella vita di tutti i giorni. È così comodo. Non vedo perché qualcuno dovrebbe rinunciarvi.”
“La mia teoria” continuò Rin, “è che non fosse qualcosa alla portata di tutti. Che vi fossero dei sacerdoti o dei maestri dedicati, che lo insegnassero a dei discepoli tramite queste pergamene, ma non che fosse una capacità di tutti.”
“Quindi potrei semplicemente non essere una degli eletti” brontolò Mahi, di nuovo a testa bassa.
“Ma non vale la pena scartare l’idea prima di aver provato, non credi?” aggiunse Rin con un sorriso.
Mahi, controvoglia, le sorrise di rimando. “Dovrò lasciare il Tai Chi e dedicarmi ad un’altra tecnica” concluse alzandosi in piedi. Camminò fino al ritratto della vecchia appeso in un angolo e si inchinò a mani giunte. “Mi spiace di non far parte della tua tribù, venerabile maestra” sussurrò. “Ma prometto che mi impegnerò a trovare la mia.”
Sembrò quasi che la vecchia nel dipinto sorridesse, scuotendo le treccine ai lati del viso e il ciondolo appeso al collo.
“E tu, come stai andando con il fuoco?” chiese Shui a Rin.
Fu il suo turno di sospirare. “Non molto bene. Ho l’impressione di riuscire a far aumentare la potenza della fiamma e di farla vibrare in maniera anomala, con i miei esercizi, ma non riesco a raggiungere neanche lontanamente le capacità che tu hai con l’acqua, né tantomeno a riprodurre le immagini della pergamena. A volte mi convinco che sia tutta una mia illusione.”
“Ti va di mostrarcelo?” chiese Mahi, in piedi alle sue spalle.
Rin rifletté ancora un momento: finora aveva sempre declinato in nome di una novella ansia da prestazione, che non provava da quando aveva vent’anni e doveva superare un esame particolarmente difficile all’università, ma forse era giunto il momento di condividere con quei due. Del resto, o accettavano di fidarsi l’una degli altri, ciecamente, o non avrebbero mai fatto i giusti progressi su quella strada.
Si alzò, si tolse la giacca dell’uniforme rimanendo in canottiera e saltellò sul posto per scaldarsi; allungò i muscoli poi si mise dritta, chiuse gli occhi e si concentrò sul respiro.
Davanti a lei ardeva una candela. Mahi ne accendeva sempre una durante le loro riunioni, per metterla a suo agio. Fece la prima serie, a memoria, solo per sciogliersi, senza mettere particolare impegno. Poi ricominciò, a occhi chiusi. Lasciò fluire l’energia, sgomberò la mente, saltellò e si abbassò e mosse i pugni chiedendo al suo corpo di dare il massimo.
Quando si fermò, svuotò i polmoni e sorrise. Era bello, sì. Fuoco o non fuoco, lo Shaolin le faceva bene dentro.
“Rin…” la chiamò Mahi. Aveva la voce tremante.
“Cosa è successo?”
Le spiegarono, concitati, a cosa avevano assistito: la fiamma alzarsi fino al soffitto, dividersi in diverse braccia, seguirla nei movimenti. Non si era mai staccata dalla sua fonte, lo stoppino e la cera, né aveva assunto particolari forme, ma di sicuro non si era comportata come una candela normale. Erano eccitati e Rin si sentì contagiata.
“Il fuoco è il tuo elemento, non c’è dubbio!” concluse Shui. Sembrava sollevato soprattutto di non essere l’unico strano del gruppo.
“Potrei cominciare con lo Shaolin” propose Mahi. “Visto che devo impegnarmi con gli altri elementi, tanto vale iniziare con te, non credi?”
“Mi sembra un’idea ottima” concordò Rin.


***
Due paroline dall'autrice: un capitolo semplice che chiarisce alcuni elementi fondamentali. Presto arriverà un po' di azione e verranno introdotti nuovi personaggi (tra cui uno che adoro, vedrete!). Fatemi sapere cosa ne pensate fin qui! A presto e grazie per aver letto :)

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Capitolo 6
*** Libro primo: Acqua - Capitolo VI: Sulla punta dell'aeroplano ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



VI
Sulla punta dell'aeroplano



Wo decise che era ora di capire esattamente cosa stessero dicendo. Uscì dal letto, posò i piedi a terra e rabbrividì, quindi afferrò un lembo del piumino e se lo tirò dietro. Si accucciò dietro la porta socchiusa, appoggiò l’orecchio alla fessura e si avvolse in un bozzolo, rannicchiata come un cucciolo.
I suoi genitori avevano cominciato a parlare con tono normale, ma man mano il volume si era alzato e anche la concitazione. Nel tono di sua madre poteva sentir vibrare le lacrime.
“Sicuramente papà si fa un’altra” pensò e storse la bocca. Sembrava che gli adulti non potessero fare a meno di far girare le loro vite attorno all’accoppiarsi come tanti animali in gabbia. I suoi zii si erano separati da poco proprio a causa dell’irrefrenabile tendenza di sua zia a conoscere nuovi uomini, o almeno questo era quanto Wo aveva origliato, anche se la versione ufficiale era stata edulcorata da sua madre. Perfino la cugina Min, che da anni aveva una relazione stabile con una donna che lavorava nella squadra di pilotaggio di una delle navi della loro flotta, proprio quando avevano finalmente ottenuto un alloggio insieme sulla stessa Nave, aveva cominciato a correr dietro alle grazie di una semplice addetta alle pulizie; Min aveva affermato di non poter resistere ai suoi occhi blu, ma Wo proprio non aveva capito in che senso. A lei nessuno mai aveva fatto quell’effetto; avrebbe potuto vivere benissimo persino senza i suoi genitori, figuriamoci senza gli occhi blu di una semisconosciuta.
Min era la sua cugina preferita e da bambina avrebbe voluto diventare come lei, ma ora non ne era più tanto sicura. Wo aveva deciso da tempo che lei non avrebbe mai permesso a nessuno, uomo o donna, di toccarla mai nella vita. Sarebbe stata libera e la sua mente avrebbe avuto la sufficiente lucidità per capire. Quando ne aveva parlato con la sua amica Deka, questa le aveva chiesto: “Capire cosa?”
Wo non aveva risposto, ma qualcosa doveva pur esserci, no? Possibile che la vita fosse solo mangiare, dormire, studiare ciò che insegnavano a scuola, trovarsi un impiego utile alle comunità di Navi, vivere fra quattro mura di metallo, accoppiarsi e poi ammalarsi e morire? Doveva esserci qualcosa di più. Deka ammiccava dicendo che quel qualcosa in più era appunto il sesso e sembrava non veder l’ora di buttarsi nella mischia; Wo aveva pronosticato che entro pochi mesi Deka avrebbe cominciato la sua carriera. Era schifata anche da questo e, proprio per ciò, da un po’ declinava i suoi inviti e passava più tempo da sola. “Ha tutti i requisiti” stava dicendo suo padre. Le sembrò una frase bizzarra da dire a proposito di un’amante.
“Ma ha solo quindici anni! È una bambina!”
Suo padre si faceva una della sua età? L’idea le sembrò tanto riprovevole quando assurda.
“Non lo è. Alla sua età nell’antichità le donne formavano famiglie. E inoltre, lo sai, per… quella cosa, Wo è persino in ritardo. Prima si comincia, meglio è.”
Wo inorridì. Parlavano di lei! E quella cosa… cosa?
Sua madre singhiozzò. Lei non resistette e cercò di sbirciare con un occhio nella stanza attigua. Mamma era sicuramente seduta sul divano; i piedi di suo padre le erano davanti, forse nel tentativo di consolarla con un abbraccio. Ma lui non era un tipo affettuoso: si trattava di uno dei suoi abbracci a distanza, senza alcun dubbio.
“Ma perché proprio Wo?” tentò ancora sua madre, la voce rotta.
“Te l’ho spiegato. L’abbiamo osservata a lungo e abbiamo il forte sospetto che sia… dotata.”
A Wo non sfuggì il secondo tentativo di suo padre di cercare di dire qualcosa senza nominarla direttamente. D’un tratto sentì lo stomaco contrarsi in uno spasmo e un sapore acido risalirle fino in bocca. Non voleva sapere per cosa era dotata e cosa i suoi genitori volevano che facesse (sua madre avrebbe presto capitolato, da sempre era papà a decidere ogni cosa, in famiglia, per tutti).
Strisciò fino nel letto per non farsi sentire e si raggomitolò sotto le coperte, testa compresa. Si accorse di tremare.
Cosa volevano che lei facesse? Non potevano aver intuito che aveva deciso di rimanere sola tutta la vita e di certo non potevano costringerla ad accoppiarsi con nessuno. Conosceva personalmente una marea di persone così, che non avevano né moglie né marito né figli e non era affatto vietato. Certo, magari avrebbe dovuto studiare o trovarsi un lavoro utile alle Flotte, ma era disposta a farlo. In qualche modo avrebbe dovuto sopravvivere, no? Ma di sicuro l’avrebbe fatto da sola.
Sospirò forte e si ingiunse di calmarsi. Non riusciva a riflettere in quello stato d’agitazione. Chiuse gli occhi e immaginò, come faceva spesso, di trovarsi seduta sulla punta di un vecchio aeroplano terrestre e di avere i capelli scompigliati dal vento. Wo non sapeva cosa fosse, il vento vero, perché nelle Navi al massimo si poteva creare qualche corrente artificiale, come facevano sulle Navi Orto per favorire l’inseminazione delle piante, e aveva anche studiato che fuori, nell’universo, non c’era aria, ma solo il vuoto. Una volta, durante una gita scolastica al Museo della Terra, avevano proiettato per i bambini un vecchio filmato che si era salvato non si sa bene come: c’era questo vecchio aeroplano aperto, un paio di piloti con enormi occhialoni e il loro viso era completamente deformato dall’aria che vi si infrangeva contro; per rendere la spiegazione più realistica le maestre avevano persino utilizzato un ventilatore. Wo aveva chiuso gli occhi e aveva immaginato, per la prima volta, di trovarsi lì su quella punta scura, in piedi, con il vento a spostarle i capelli neri e sollevarle i lembi della giacca. Se avesse potuto esprimere un desiderio una sola volta a un qualche essere magico, avrebbe chiesto di poter provare quella sensazione davvero, con vero vento. E così era diventato il suo metodo per scacciare l’agitazione: sentiva sempre una sensazione di benessere pervaderla dalla testa ai piedi, dopo aver immaginato, per un po’, la sensazione di aria attorno a sé. Respirò ancora, immaginò una forte folata far volare via il piumino, poi tutte gli oggetti appoggiati sul comodino e sulla superficie del suo tavolo d’angolo, spazzare via ogni cosa e far rimanere solo lei, avvolta in un bozzolo d’aria tiepida, la pelle sollevata in piccoli brividi di piacere.
Suo padre aveva detto che l’avevano osservata a lungo. Chi poteva averlo fatto? Con quale scopo? C’entrava forse il fatto che papà lavorasse per il Gran Consiglio?
Decise che avrebbe indagato e poi ne avrebbe parlato con Min, la quale, anche se era caduta nell’ossessione dell’accoppiamento come tutti gli adulti, era sempre stata molto intelligente e l’avrebbe aiutata. E poi Min adorava l’idea del vento nei capelli, proprio come lei: quando erano ancora bambine andavano entrambe a mettersi davanti qualche grata dell’aria circolante e condividevano il sogno di essere sulla punta di un vecchio aeroplano. Min avrebbe capito, come aveva sempre fatto.




***
In questo capitolo appare un personaggio che adoro, l'adolescente Wo che, come tutti i ragazzi della sua età, è piena di domande, confusione e granitiche certezze nella testa. Lei sarà molto importante per lo sviluppo futuro della trama. Inoltre il suo interesse per gli aerei e il vento mi ha dato l'occasione di rivedere capolavori come Si alza il vento e PorcoRosso, che personalmente reputo tra i più belli di Miyazaki-san.
Al prossimo capitolo, fatemi sapere se questo vi è piaciuto!

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Capitolo 7
*** Libro Primo: Acqua - Capitolo VII: Promessa ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



VII
Promessa



Il sesso, da quando aveva scoperto di poter dominare l’acqua, andava davvero alla grande.
In realtà non era solo quello: non aveva problemi a prendere sonno, dormiva per dieci ore di seguito senza alcun risveglio, aveva sempre un grande appetito e si sentiva pieno di energie. Perfino il lavoro non lo annoiava più così tanto e, soprattutto, non vedeva l’ora di terminare le sue ore giornaliere per correre nello scantinato de Il sole nascente e imparare sempre nuove serie davanti allo specchio. Rin aveva fornito loro nuove pergamene e Shui non riusciva a pensare ad altro per tutto il giorno.
Fino a quando, a sera, tornava nell’alloggio stanco e sudato, si infilava sotto la doccia e finalmente nel caldo delle coperte insieme a Mahi. E lì trovava il suo corpo morbido che lo accendeva di desiderio. Mahi gli era sempre piaciuta, fin dalla prima volta, ma ora riusciva quasi a capire quando lei gli parlava di spirito, anima e corpo che si fondono insieme. Gli sembrava di poterla sentire con ogni centimetro del suo corpo e non riusciva a staccare gli occhi dai suoi, mentre il piacere li sommergeva come un’onda d’acqua calda. “Ti prego, rifacciamolo subito.”
Mahi rise sollevando il petto. “Vuoi consumarmi? Non riuscirò ad andare a lavoro domani.”
“Cosa importa del lavoro? Potremmo restare tutto il giorno chiusi qui dentro, a fare l’amore e le arti marziali. Non sarebbe stupendo?” Posò la testa sulla sua pancia e sollevò gli occhi a guardarla.
La moquette non era morbida ed aveva un leggero odore di polvere; Shui contemplò per un attimo la possibilità di trasferirsi sul letto, ma non aveva voglia di staccarsi da lei.
“Non mi hai dato neanche il tempo di arrivare al letto” commentò lei guardandosi intorno, come se gli avesse letto nel pensiero.
“A me sembra di ricordare che sia stata tu a trascinarmi qui sul pavimento.”
Le posò un bacio subito sotto l’ombelico, dove Mahi aveva una sottile linea di peluria chiara. Continuò la scia fino al pube e Mahi rise ancora. “Dai, lasciami ancora un momento” mormorò e Shui smise a malincuore. Si tirò su e l’abbracciò, ma lei ruotò tra le sue braccia fino a dargli le spalle, e quella era la posizione che preferivano entrambi quando stavano per addormentarsi. Shui adorava sentirla piccola e schiacciata contro di lui, avvolgerla come una bolla d’acqua.
“Oggi Goya mi ha chiesto come mai recentemente non mi sia più fatta vedere, giù allo scantinato. Ha notato che ho smesso di esercitarmi nel Tai Chi.”
“A me ha chiesto come mai vado ogni giorno e dove ho preso le nuove serie che sto imparando.”
“Ha capito che è successo qualcosa. Credi che dovremmo parlargli? Del resto è uno dei nostri migliori amici e l’idea del Tai Chi, fin dall’inizio, è stata sua.”
Mahi era convinta fosse fondamentale trovare “altri come lui”. Shui avrebbe preferito tenersi tutto per sé: la vita gli sembrava perfetta, ora. A che sarebbe servito? Avevano coinvolto Rin solo per capire cosa stesse succedendo, ma ora avevano le risposte.
“Non saprei. Ho idea che, se la voce si spargesse troppo, poi sarebbero solo guai.”
“Dirlo a Goya non sarebbe proprio come dirlo a tutti, no? Saprebbe tenere la bocca chiusa” ribatté Mahi, con una punta di stizza. “E non possiamo davvero tenerci una cosa del genere per noi. Se Rin ha ragione, moltissima gente potrebbe dominare uno degli elementi. Potremmo cambiare il mondo.”
“Non ho alcuna voglia di farmi acchiappare da quelli del Gran Consiglio e farmi rinchiudere in un laboratorio.”
Mahi si alzò su un gomito e girò la testa a guardarlo: “Come sei melodrammatico!”
“Cosa credi che succederebbe, allora? Il Gran Consiglio lascerà le persone riunirsi pacificamente in quattro antiche tribù, giocare con gli elementi… e se poi magari a qualcuno viene in mente che in questa maniera si può prendere il comando?”
Mahi inorridì. “Come puoi pensare una cosa del genere? Cosa te ne faresti del comando?”
Shui rise di gusto. “Io? Assolutamente nulla. Sto benissimo così come sono. Ma non tutti amano le cose semplici come me.”
Lei non sembrava convinta. “È comunque qualcosa di troppo importante per restare solo fra noi. Abbiamo il dovere morale di…”
“Tesoro, ascolta” la interruppe subito lui. La costrinse a voltarsi per guardarla negli occhi e la abbracciò ancora. “Questa nostra vita, ora, è perfetta. Non sono più triste e depresso com’ero un tempo, non sono mai stato così bene da secoli e tra me e te le cose vanno alla grande. Perché non ci godiamo un po’ la vita? Penseremo poi a cosa è giusto fare.”
Abbassò il viso tra i suoi seni e cominciò a baciarli. Ma sentì, stupito, le mani di Mahi allontanarlo. Quando parlò, la voce di lei era gelida: “Sono contenta che tu stia bene ora, davvero. E abbiamo fatto sicuramente dell’ottimo sesso, recentemente, ma questo non vuol dire che io sia felice quanto te.”
Shui sgranò gli occhi, completamente incredulo. Mahi aveva la bocca tirata e le sopracciglia unite al centro della fronte.
“Credi che la vita sia tutto qui? Chiuderci nella cabina a rotolarci come due lemuri in calore e poi fare giochini con l’acqua sotto la doccia?”
“Mi sembrava che ti stessi divertendo…” provò a obiettare.
“Sai, si può stare molto bene e proprio per questo non stare affatto bene” sentenziò lei, e Shui capì che non sarebbe arrivato da nessuna parte perché Mahi aveva deciso di diventare criptica e profonda e arrabbiata tutt’insieme come le accadeva a volte, e non c’era modo di superare il momento se non lasciandola parlare. Si tirò indietro a sedere a gambe incrociate, a testa bassa.
“Non hai mai pensato che questa faccenda dei domini potrebbe aiutare le Flotte a trovare un pianeta adatto? O potrebbe rendere adatto un pianeta alla vita per tutti gli esseri umani?”
Shui si sentì molto meschino: no, non vi aveva affatto pensato. L’unica cosa a cosa a cui aveva pensato erano le cosce di Mahi attorno a lui, lo ammetteva, e il fatto che lui fosse un gran figo perché sapeva fare le cupole d’acqua sotto la doccia.
“Ma perché dovremmo essere noi a cambiare il destino delle Flotte?” biascicò, ma senza gran convinzione. Mahi si inginocchiò davanti a lui e gli prese le mani: “E perché non dovremmo esserlo? Ci sarà un motivo, se hai scoperto tutto ciò da solo, no?”
Quando lei gli piantava in faccia quegli occhi neri, così profondi e appassionati, Shui non poteva far altro che capitolare.
“Non ho voglia di tornare a fare qualcosa di difficile” mormorò, già sconfitto. “Io ora sono felice.”
“Io no” rispose lei. “La mia vita è identica a prima, solo che ora so che potrei fare qualcosa per migliorarla. Forse non sarò mai un dominatore come te, non sono un’eletta né con l’acqua né col fuoco né, probabilmente, con gli altri elementi, ma posso starti accanto. Insieme possiamo fare qualcosa.”
Shui annuì. Lei allora gli salì in braccio e lo circondò con gambe e braccia. Cominciò a baciarlo sulla fronte, poi sul naso e infine sulle labbra. Shui tirò internamente un sospiro di sollievo e la strinse forte senza smettere di baciarla. Sentì l’erezione crescere nuovamente e Mahi usò una mano per guidarla dentro di sé.
“Promettimi che resterai con me anche se mi chiudono in un laboratorio” sussurrò Shui.
“Sempre” rispose Mahi.


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Capitolo 8
*** Libro Primo: Acqua - Capitolo VIII: L'Archivio ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



VIII
L'Archivio



Suo padre era orgoglioso che Wo gli avesse chiesto di condurla, ancora una volta, a visitare gli uffici del Gran Consiglio. Wo ci era già stata una volta, con un gruppo di altri bambini, durante le scuole primarie e all’epoca anche lei era stata fiera di essere la figlia di uno dei più grandi capi.
“Non è proprio così” aveva riso lui, anche se quelle prole gli avevano acceso una luce negli occhi. “Sono solo un funzionario della Difesa. Ma un giorno, magari, tu potresti diventare un membro del Gran Consiglio. Sei molto intelligente per la tua età, Wo.”
Wo non era più così sicura di essere felice che suo padre lavorasse nella Difesa, né di voler diventare qualcuno. Aveva solo paura perché sua madre, di nascosto, aveva continuato a piangere per giorni e non era un buon segno. Era un pianto disperato e rassegnato, terrorizzante. Così gli aveva chiesto di poterlo accompagnare ancora una volta, con la scusa di dover scegliere presto verso quali studi universitari indirizzarsi.
Suo padre gli aveva mostrato la grande sala ovale dove il Consiglio si riuniva quando ve ne era bisogno, lo scranno occupato dal Presidente e dai quattro rappresentanti delle Flotte, e tutti gli spalti dove sedevano i consiglieri. Era una sala così grande e profonda da far girare la testa, delle dimensioni, da sola, di alcune delle navi civili più piccole. Attorno alla sala, come un alveare, si ammassavano corridoi e uffici di ogni funzione e a Wo sembrava che ci fossero migliaia di persone al lavoro. La Difesa occupava uno dei piani più alti e più larghi.
“Qui ci occupiamo di coordinare l’attività delle Navi Militari” stava spiegando suo padre con il tono di una guida turistica. “Come sai il mio lavoro è proprio questo: formare i nostri soldati, tenerli sempre pronti, …”
“Pronti a cosa?” lo interruppe Wo. “Le Flotte sono unite, no?”
“A volte vi sono piccoli movimenti di ribellione da sedare” spiegò lui con tono triste. “Persone che credono di poter trovare da sole il nuovo pianeta, piccole navi da cento persone che credono di poter sopravvivere nell’Universo infinito senza la coordinazione centrale, senza le Navi Orto, le Navi Laboratorio, le Navi Ospedale… Inoltre le Navi Militari si occupano della navigazione, dello studio delle rotte, dell’individuazione di galassie con pianeti in posizioni favorevoli rispetto alle rispettive stelle. Riesci a seguirmi?”
Wo annuì, composta.
In quel momento un uomo li interruppe e suo padre si ritirò in un angolo a parlare sottovoce.
“Wo, devo assentarmi per una mezzora. Credi di poter rimanere da sola senza infastidire nessuno? Ti accompagno nel mio ufficio. Hai qualcosa da fare mentre mi attendi?”
Wo sorrise e assicurò che sì, aveva con sé i compiti di scuola e se ne sarebbe rimasta tranquilla ad aspettarlo.
Non appena suo padre se ne fu andato, tirò un sospiro. Purtroppo una ragazzina in uniforme delle scuole superiori non passava inosservata nel corridoio di uno degli ufficio del Gran Consiglio, quindi non sapeva davvero come fare per curiosare un po’ in giro.
Non aveva un piano preciso. L’ufficio di suo padre era piccolo ma ingombro di carte; lo schermo del computer alla scrivania era spento, così come altri quattro alle pareti. Provò a sfiorarli ma, ovviamente, non si accesero, perché nonostante condividesse la metà del patrimonio genetico di suo padre, non aveva esattamente la stessa impronta digitale.
Sospirò. Se non avesse scoperto nulla, non avrebbe potuto far altro che aspettare il giorno in cui suo padre l’avesse condotta a fare quella cosa. Non aveva voglia di scoprire cosa fosse.
Aprì a caso qualche fascicolo ma non trovò altro che complicate mappe celesti con rotte tracciate. In qualche modo, lì al Gran Consiglio riuscivano ancora ad avere della carta, anche se era scura e sottile. Wo aveva un solo libro di carta vera, ed era stato un regalo speciale per i suoi dodici anni. Avrebbe potuto portarlo con sé, quando fosse partita per quella cosa?
Notò appesa in un angolo una riproduzione della struttura del Gran Consiglio; vi erano disegnati i piani con l’indicazione della funzione (nono piano, Difesa, tracciò con un dito), gli uffici, i passaggi. Trovò il nome di suo padre, così seppe dove si trovava, e notò che la stanza subito alla sua sinistra si chiamava “Archivio”. E, cosa ancora più strabiliante, dal disegno sembrava vi fosse una porta comunicante tra le due, senza dover passare dal corridoio. Si guardò intorno con attenzione e la notò subito, dietro uno degli schermi. A scuola ne avevano uno simile: scendeva dal soffitto per le lezioni, posizionandosi esattamente davanti la porta. E, dal momento che le Navi condividevano una tecnologia simile e negli ultimi quattrocento anni la squadra di tecnici per le riparazioni e le innovazioni era stata una sola, non le fu difficile trovare il pulsante, esattamente identico, a lato dello schermo. Spinse sulla freccia e quello salì, obbediente, fino al soffitto. Allora Wo aprì la porta e si intrufolò nella stanza accanto.
Solo quando fu dentro si rese conto che non aveva neanche controllato se ci fosse qualcun altro, ma era sola.
L’archivio consisteva in una lunga fila di schedari, alti fino al soffitto, chiusi da serrande scorrevoli. Ne alzò una a caso e scoprì una miriade di cartelle, tutta vera carta, in un intricato sistema scorrevole. Tirò con entrambe le mani per farlo muovere e il fruscio della carta la fece sobbalzare. Sfilò una cartella grigia e notò che riportava un cognome: Mosy. Conteneva fogli tutti uguali, sottili e scuri, con foto e dati su ogni singolo componente della famiglia. Lo rimise a posto e ne pescò un’altra, questa volta di colore rosso; all’interno tutti i fogli era scuri, tranne uno: la scheda di un bambino sui dieci anni era stampata su una sottile carta rossa. Continuò a sfilare cartelle: in alcune i fogli erano tutti uguali, sottili e scuri, ma altre avevano fogli colorati, soprattutto di bambini, e ve ne erano di rossi, verdi, azzurri e bianchi. Ne fece scivolare alcuni a terra. Chiuse la serranda con un colpo secco e le aprì una dopo l’altra fino ad arrivare alla H. Frugò con il cuore all’impazzata finché non la trovò: Huei. I primi due fogli erano scuri, e le foto di suo padre e suo fratello erano stampate senza colori. Come terzo, scivolò via dalle sue mani e cadde in terra un foglio bianco, candido, da cui una Wo a colori le sorrideva: era la stessa foto che portava sul cartellino identificativo che aveva appeso alla divisa. Si accorse di tremare. Scorse ancora la cartella, ma non trovò altri fogli bianchi e neanche la scheda di sua madre. La infilò di nuovo al suo posto, lasciando la propria scheda a terra.
Doveva riflettere un attimo. Non capiva ma aveva la mente vuota e non riusciva a concentrarsi. Aprì ancora qualche serranda, fece scorrere le cartelle in ordine sparso e prelevò qui e là qualche foglio colorato. Ne prese anche qualcuno di quelli scuri.
D’un tratto si illuminò: era un archivio cartaceo perché così non sarebbe stato possibile a nessuno consultarlo, se non i pochi autorizzati. Tutto il materiale digitale era di proprietà del Consiglio, non vi era informazione che non fosse controllata. Il Consiglio aveva il permesso di entrare in ogni tablet, computer, e device anche privato e poteva controllare l’attività di ogni cittadino delle Flotte.
Per questo, quando aveva dodici anni, Min le aveva regalato un libro di carta con le pagine tutte vuote: affinché Wo potesse scrivervi, se ne aveva voglia, tutto ciò che desiderava senza che nessuno potesse leggerlo. Wo lo custodiva gelosamente sotto al materasso, dove era certa suo padre non lo avrebbe mai trovato, soprattutto perché ne ignorava l’esistenza. Quel libro vuoto e la penna per scrivervi erano uno dei pochi tesori segreti di Wo, e l’archivio era lo stesso: una raccolta segreta di dati che solo suo padre e i suoi potevano consultare.
Con mani tremanti Wo raccolse i fogli da terra, ne fece un fascicolo e se li infilò sotto la canottiera, a contatto con la pelle. Come in trance richiuse tutte le serrande, non prima di aver girato per bene i rulli, così da evitare che qualcuno si accorgesse immediatamente che alcune cartelle erano state toccate. Tornò nell’ufficio di suo padre, premette il pulsante per far tornare lo schermo davanti la porta e si sedette su uno dei divanetti. Aprì il proprio tablet, che portava con sé nella cartelletta di scuola, e si mise a fissare uno dei testi da studiare per il giorno successivo.
Quando suo padre rientrò per portarla a mangiare qualcosa, si accorse di aver lasciato impronte di sudore sul piccolo schermo e di non aver scorso neanche una pagina.


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Capitolo 9
*** Libro Primo: Acqua - Capitolo IX: Gli uomini volanti e gli uomini torcia ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



IX
Gli uomini volanti e gli uomini torcia



Goya aveva gli occhi spalancati e non riusciva a distoglierli dalle mani di Shui.
“Così mi fai sentire a disagio” si lamentò il ragazzo, ma non smise di creare spirali d’acqua tra le dita.
“So che può sembrare strano” continuò a spiegare Mahi. “Ma a quanto pare, questa era la normalità, per gli antichi abitanti della Terra.”
Avevano cominciato la storia dall’inizio, raccontando ogni particolare, ed erano arrivati alla dimostrazione pratica. Goya scosse la testa e la sua barba folta ondeggiò. “Non riesco a capire. Non è passato abbastanza tempo perché si sia persa totalmente memoria di tutto ciò. Abbiamo continuato a vivere esattamente nella stessa maniera, abbiamo il Gran Consiglio, le scuole, tutte le nostre abitudini…”
“Beh, non proprio allo stesso modo” sussurrò Mahi, come per paura che qualcuno potesse sentirli, anche se erano soli nello scantinato de Il sole nascente. “Quando vivevano sulla Terra, gli esseri umani potevano fare qualcosa senza che il Gran Consiglio lo sapesse. Potevano varcare una porta senza che il loro passaggio fosse registrato o prendere liberamente un passaggio su una Nave Bus. Potevano scrivere e leggere qualcosa senza che altri ne fossero al corrente.”
“Come fai a sapere queste cose?” chiese Shui. La guardava preoccupato, tanto che l’acqua cadde in terra e lì rimase in una piccola pozza.
“Ho letto qualcosa al riguardo. Ci sono pagine, sulla rete inter-Flotta, di gruppi che lottano per una maggior libertà…”
“Ma, come tu stessa hai detto, ora loro sanno che tu hai letto queste pagine. È stata una mossa avventata, Mahi” disse Goya. Shui annuì, grave.
Ma lei scosse le spalle: “Sono pagine visitate da tantissime persone. E non vengono neanche oscurate, quindi probabilmente il Gran Consiglio crede che siano innocue, esattamente come la nostra pagina sulle arti marziali. Io penso che ci concedano un po’ di queste libertà, per tenerci buoni.”
Shui sentì improvvisamente un senso di soffocamento, come se gli avessero stretto due mani attorno al collo. Inalò profondamente per combattere contro un panico serpeggiante.
“Qual è il vostro piano?” chiese Goya.
“Noi non abbiamo un…”
“Trovare gli altri come lui” lo interruppe Mahi. “Se ciò che dice la professoressa è vero, dovranno essercene tantissimi. Essere un dominatore di uno dei quattro elementi era praticamente la norma, un tempo.”
“Forse hanno fatto in modo che non nascessero più” disse Goya con voce grave. Shui rabbrividì ancora. “Ma con quale scopo?”
Alzarono le spalle tutti e tre insieme. C’erano ancora troppe domande senza risposta.
“Al momento abbiamo un dominatore dell’acqua e uno del fuoco. Dobbiamo trovarne degli altri e dobbiamo scoprire cosa è accaduto.”
“E poi?” chiese Shui, senza risparmiare una vena di sarcasmo nella voce. Ma, in realtà, era solo per mascherare una sorda paura, incontrollabile e immotivata, che gli scorreva dentro.
“Se una persona è nata per essere un dominatore, deve esserlo” disse Goya e Mahi annuì con gli occhi accesi.
“È esattamente ciò che intendo!” esclamò. “Dobbiamo rivendicare la libertà di ciascuno di scoprire ed essere ciò che è. I domini potrebbero aiutare tutte le Flotte a trovare il nuovo pianeta!”
“Farò ciò che vuoi” disse Shui prendendole una mano. Spostò gli occhi verso Goya, che annuì, poi di nuovo verso di lei: “Ma non posso nascondere che questa faccenda puzza di losco. Ho l’impressione di fare qualcosa di sbagliato e illegale, e mettersi a tramare alle spalle del Gran Consiglio non è una grande idea.” “A questo proposito, credo di conoscere qualcuno che potrà aiutarci” disse Goya. “Un mio parente ha lavorato per un certo periodo come secondino nella prigione di una Nave Militare. Raccontava sempre delle storie interessanti. Posso portarvi da lui.”


Provarono a contattare Rin, ma la professoressa non aveva alcun modo di lasciare la propria Nave Universitaria con una scusa plausibile per raggiungerli.
“Verrò a presentarle i progressi per la mia tesina appena possibile” disse allora Mahi al comunicatore.
“Stavo pensando che intervistare alcuni soggetti potrebbe essere molto stimolante per…” si inceppò. Shui ammirava la sua capacità di parlare in codice, ma non sempre era facile trovare una parafrasi.
“Ma certo, le testimonianze dirette dei racconti familiari dei discendenti degli ultimi abitanti della Terra sono sempre molto interessanti” terminò Rin per lei. “Io nel frattempo continuerò a studiare quelle carte. Ho delle novità da mostrarti. Ti aspetto nel mio ufficio non appena potrai.”
“Non vedo l’ora” concluse Mahi, e già viaggiava con l’immaginazione e si vedeva al centro di un turbine di fuoco caldo. Si stava seriamente applicando nello Shaolin, ma finora senza alcun risultato.
Il parente di Goya abitava fortunatamente sulla loro stessa Nave. Goya li condusse al suo alloggio. Era un tipo smilzo, dal viso allungato e un paio di occhiali enormi. Non aveva affatto l’aria di un secondino.
“Oh, le celle delle Navi Militari sono talmente sicure” disse lui sventolando una mano. “E poi, anche potendo fuggire dalla cella, dove potrebbe andare, un prigioniero? In questa nostra società di Navi e computer non c’è molto spazio per la libertà.”
Shui notò che Mahi aveva corrugato le sopracciglia e storto la bocca.
“Ad ogni modo, gli amici di Goya sono miei amici, quindi accomodatevi. Io mi chiamo Pao e posso offrirvi una tazza di thé, se la desiderate.”
Di sicuro, aver lavorato per una Nave Militare aveva i suoi vantaggi, se Pao poteva permettersi di dividere la sua razione di thé con due sconosciuti. Ad ogni modo, Shui non avrebbe rifiutato un’offerta così generosa per nulla al mondo, quindi si affrettò a sedersi su uno dei divani dell’alloggio di Pao.
“Lei è Mahi” cominciò Goya, “e sta frequentando un corso universitario di Storia delle antiche popolazioni terrestri. Ricordo che mi avevi raccontato di alcuni prigionieri che parlavano di alcune vecchie tradizioni.”
“Oh, i prigionieri in quelle celle fanno presto ad impazzire: è la mancanza di stimoli, sapete” cominciò Pao. Volteggiava da un lato all’altro della sua stanza per preparare le tazze di thé come se camminasse sulle punte. Shui notò che non portava gli abiti civili forniti a tutti gli abitanti delle Navi, ma un pigiama morbido e delle babbucce a punta. Chissà dove si era procurato abiti così strampalati.
“Meno stimoli addirittura che su una qualsiasi Nave?” commentò ironico.
Pao si voltò a guardarlo agitando un cucchiaino: “Giovanotto, su quante Navi sei stato nella tua breve vita? Immagino tu non abbia mai messo piede in una Militare.”
“Ringraziando l’Universo, ancora no. Sono magazziniere di questa Nave Alimentare, e tanto mi basta” rispose lui alzando le spalle. Giovanotto? Pao non poteva avere più di trentacinque anni, non erano poi così distanti.
“Anche io lavoro sulla Nave Alimentare” intervenne Mahi con tono conciliante. “Settore cucine. Ma allo stesso tempo desidero continuare i miei studi, e trovo affascinanti le civiltà terrestri. Credo che dovremmo studiare com’eravamo, per prepararci all’atterraggio sul nuovo pianeta.”
“Se mai succederà, che lo voglia l’Universo” sentenziò Goya. Shui trattenne una risatina per il tono formale che aveva assunto, neanche si trovassero al cospetto del Primo Consigliere in persona.
“Prima o poi accadrà” annuì Pao. “Quindi, dicevamo, vecchie civiltà?”
“Ricordi quella volta in cui mi raccontasti di un prigioniero impazzito che vaneggiava di uomini volanti e uomini torcia?” disse Goya.
Mahi e Shui si guardarono in tralice.
“Sì, era un povero folle. Dichiarava di aver visto uomini volare proprio come accadeva sulla Terra un tempo, testuali parole. Quanto agli uomini torcia, sosteneva di esserne uno lui stesso, ma in tutto il tempo che è rimasto in quella cella, nessuno gli ha mai visto neanche accendere un fiammifero. Del resto, non ci mettiamo certo a fornire del fuoco a dei prigionieri.”
Posò davanti a loro le tazze fumanti.
“Per quale motivo era in prigione?” chiese Mahi.
Pao aggrottò le sopracciglia, restio, ma le rispose: “Organizzazione a delinquere e sovversione. Veniva da una di quelle piccole Navi che viaggiano sempre alla periferia delle Flotte. Per fortuna presto verranno smantellate e i loro pochi abitanti ridistribuiti nelle Navi più grandi.”
“Non conosco queste Navi” disse Shui.
“Oh, si tratta di quelle che erano partite per l’Universo prima della Catastrofe. Si sono riunite alle Flotte in seguito ma continuano a voler mantenere una certa, come dire… indipendenza.” Pronunciò la parola con una smorfia, come se avesse trovato un capello nella sua tazza di thé.
“Ricorda altri prigionieri che parlavano delle antiche civiltà terrestri?” chiese Mahi, dopo un momento di silenzio carico.
“Oh, in quelle condizioni si mettono tutti a frignare di mammina o di quanto erano belle le favole della nonna. E qualche volta queste sono ambientante sulla Terra, ovviamente, come tutte le antiche favole tramandate. Ma di uomini volanti non ho più sentito parlare.”
“La leggenda della Regina di Ghiaccio!” esclamò allora Shui. Si voltarono tutti a guardarlo. “Mia nonna la raccontava sempre: c’era questa Regina che si era costruita da sola un grande palazzo di ghiaccio con le sue sole mani, plasmando la neve e…”
“Non è questo il momento” lo fulminò Mahi. Shui tacque perché vide il suo sguardo complice.
“Signor Pao, ci racconti ancora, se può.”
Passarono ancora mezzora nel suo alloggio, ma Pao non tirò fuori nulla di più interessante, continuando invece a starnazzare contro qualsiasi forma di ribellione alle Flotte. Quando si congedarono, lungo il corridoio, Shui prese la mano di Mahi e gliela strinse forte.


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Capitolo 10
*** Libro primo: Acqua - Capitolo X: Senza risposte ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



X
Senza risposte



“Mi scusi, signore, sto cercando l’ufficiale Rikka.”
L’uomo abbassò gli occhi sulla ragazzina con la frangetta che gli aveva rivolto la parola. Si chiese come fosse riuscita ad arrivare fin lì, sul Ponte di Comando della Nave.
“L’ufficiale Rikka è al lavoro” rispose. “E tu non puoi stare qui.”
“Ma devo vederla” insisté Wo. “A che ora finirà il suo turno?”
L’uomo, che in fondo era solo un soldato semplice, guardò l’orologio digitale sopra la porta che separava quel corridoio dai locali di pilotaggio veri e propri e smorzò il tono: “Fra mezzora circa vi sarà il cambio di guardia. Se ti metti in un angolo e non dai fastidio, può darsi che riuscirai ad intercettarla.”
Wo s’inchinò in segno di ringraziamento e si spalmò contro una parete. L’ampia porta era controllata da un rilevatore di badge e lei non aveva alcuna intenzione di provare il proprio, perché sarebbe stata registrata. Già arrivare fin lì non era stato facile, ma si stava stupendo di come potesse risultare invisibile una ragazzina delle Scuole Superiori con la cartella sulle spalle, perfino su una Nave Militare. Probabilmente tutti la conoscevano di vista, sapevano di chi era figlia e non si preoccupavano di vederla gironzolare in giro. Nei sogni di suo padre, un giorno lei sarebbe diventata Ammiraglio di una Nave del genere e lui avrebbe potuto raccontare fiero di come fosse impossibile, quando era bambina, tenerla lontana dal Ponte di Comando, quale segno precoce del suo talento.
Ma il futuro di Wo sarebbe stato un altro, non c’era alcun dubbio. Sarebbe sparita dalla circolazione per entrare a far parte del progetto segreto della Difesa.
Aveva studiato le carte che aveva sottratto nell’ufficio di suo padre. Per lo più si trattava di bambini, c’erano pochi adulti tra i fogli colorati. E, tra i bambini, in fondo alla loro scheda, per alcuni vi era un timbro: reclutato.
Wo aveva riconosciuto uno di quei bambini. Era sparito tempo prima, la sua foto era circolata nella rete inter-Flotte per mesi assieme ai messaggi accorati dei suoi genitori. L’ipotesi, ad ogni modo, era che si fosse trovato sul ponte sbagliato al momento sbagliato e ora fluttuasse nel vuoto dell’Universo infinito. Wo aveva chiesto conferma della storia a Deka e anche lei ricordava esattamente questo. Invece, quel bambino era stato reclutato, e come lui anche parecchi altri. Wo aveva con sé una cinquantina di fogli e almeno la metà presentavano il timbro. Anche alcuni adulti erano stati reclutati. Il foglio con la sua foto, invece, era ancora intonso. Sarebbe stato suo padre in persona ad apporvi la scritta?
Vi erano anche una serie di voci che Wo non aveva capito, punteggi in abilità come “Controllo”, “Attacco”, “Consapevolezza”. A quest’ultima voce Wo aveva un bello zero tutto tondo (e non aveva mai preso un zero, in vita sua), ma non poteva protestare: di sicuro non aveva affatto consapevolezza di cosa le stesse accadendo.
Tra gli adulti, alcuni portavano la dicitura neutralizzato. Wo la trovava ancora più orripilante.
Aveva ricopiato i nomi di tutti i fogli che aveva prelevato nel suo libro speciale e lo portava ora sempre con sé, nella cartella di scuola. Era terrorizzata che sua madre o, peggio ancora, suo padre, potessero trovarlo. Quanto i fogli stessi, beh, erano anche loro nella cartella. Pesava come un macigno ogni volta che doveva attraversare un Varco controllato, ma ormai era certa di una cosa: Wo era invisibile come un refolo d’aria. Si fece vento con una mano per far passare l’agitazione. Mancava poco.
Tutt’a un tratto la porta si aprì e un gruppetto di ufficiali in divisa si riversò nel corridoio. Parlavano fra loro e Wo dovette farsi avanti e appendersi alla manica di Rikka per farsi notare.
“Mi scusi.”
La donna si voltò piuttosto sorpresa. “Sì…?”
“Lei è l’ufficiale Rikka, signora?”
“Sono io. E tu…?”
“Sono Wo, la cugina di Min. Sono venuta per parlarle.”
Il volto dell’altra cambiò improvvisamente. Fece cenno agli altri del suo gruppo di andare avanti e rimase in piedi davanti a Wo finché non furono tutti spariti oltre un’altra porta.
“Sai dov’è?” chiese poi a bruciapelo. Wo rimase interdetta. “Veramente, la sto cercando anche io. Sono stata al suo alloggio e al suo posto di lavoro, ma mi hanno detto che non la vedono da qualche settimana. Ho creduto che aveste fatto pace e fosse venuta a vivere da lei.”
Rikka divenne triste. “No, mi spiace. Non vedo o sento Min da molto tempo.”
Wo rimase un momento immobile, senza sapere come continuare.
“Crede che sia con la donna dagli occhi blu?” chiese poi titubante. Non conosceva il nome della nuova fiamma di sua cugina, altrimenti l’avrebbe cercata subito da lei.
“Da Kara? Oh, no di certo. È la prima persona che ho contattato per cercarla, dato che molte delle sue cose si trovano ancora da me. Ma anche lei non ne sa nulla. E la tua famiglia?”
Wo si irrigidì. Sua madre parlava spesso con la sorella, la madre di Min, ma finora non aveva mai nominato la sua sparizione. Eppure non era facile sparire ufficialmente, sulle Navi. Per passare la maggior parte dei Varchi bisognava utilizzare il badge, per non parlare dei tornelli per prendere una Nave Bus per un’altra. “Noi non sappiamo nulla” disse Wo.
“Com’è possibile? Tuo padre lavora per la Difesa e non sapete dove sia sparita una vostra familiare?” Nella voce di Rikka vi era una nota di isteria.
“Mi spiace” provò a dire Wo. “Se la troverò, le dirò che la sta cercando.”
Si girò e cominciò a camminare prima che l’altra potesse ribattere altro. Si girò a guardarla un’ultima volta, prima che una porta si chiudesse alle sue spalle, e la vide asciugarsi gli occhi.


“È stato un problema arrivare fin qui?” domandò Rin senza neanche salutarla.
Mahi scosse la testa. “Hanno accettato ufficialmente la mia iscrizione al tuo corso. Mi hanno aggiornato un Permesso Studio che mi permette di raggiungere la Nave Universitaria senza alcun vincolo. Questo ci sarà d’aiuto.”
Rin sorrise, in maniera più dolce. Mahi si accorse che era solamente molto tesa. La fece entrare le diede le spalle.
“Qualcosa non va?”
“Solo qualche preoccupazione. Finora ho scritto relazioni su ogni aspetto delle mie ricerche, mantenendo l’Università, e quindi il Gran Consiglio, sempre al corrente delle mie ipotesi. Non è servito a granché, finora…” stirò le labbra amaramente, “perché il Gran Consiglio non crede alla divisione in tribù degli antichi popoli terrestri. Dice che ne avremmo avuto notizia, così come siamo riusciti a salvare moltissime altre informazioni di carattere scientifico o sociale, pur nella partenza frettolosa durante la Catastrofe.”
“È esattamente ciò che dice Goya!” esclamò Mahi. Rin si sedette su un cuscino e la invitò a fare altrettanto.
“Prova a pensarci. Migliaia di persone si imbarcano velocemente perché la Terra sta per esplodere, o essere sommersa, o chissà cos’altro… le Navi si uniscono a quelle già in orbita da decenni, il Gran Consiglio assume il comando e forma le Flotte, per una migliore organizzazione. La struttura sociale viene riorganizzata e tutto viene ottimizzato per una vita nel blu dell’Universo, alla ricerca di un nuovo pianeta. Ma cosa fa la gente comune, sulle Navi?”
“Vive” intuì Mahi. “Si alza la mattina, mangia, si veste e veste i propri figli, compie il suo dovere… fa cose normali.”
“Esattamente. Quindi, se i domini non esistono sulle Navi, vuol dire che già sulla Terra, da diverso tempo, erano scomparsi. Più di quattrocento anni fa, dunque. Del resto, le nostre pergamene sono datate molto più anticamente.”
Rimasero un attimo in silenzio.
“Quindi è sulla Terra che è successo qualcosa che ha portato alla scomparsa di questi talenti” concluse Mahi. “Ma com’è possibile che, in tutti questi anni, ad altri non sia successo cosa è accaduto a te e a Shui?”
“Intendi scoprire in maniera istintiva il proprio dominio?”
Mahi annuì. Continuò poi infervorata: “E, se invece, fosse successo? Se ci fossero altri come noi, che si nascondono per paura? Dobbiamo trovarli e…”
“Mahi, devi chiederti una cosa prima: di cosa abbiamo paura? Perché semplicemente non andiamo dal Gran Consiglio e diciamo Guardate cosa abbiamo scoperto! Può essere utile alle Flotte? Cosa ce lo impedisce?”
“È a questo che stavi pensando, quindi? Di dover scrivere una relazione all’Università sulle nostre scoperte?”
L’idea la fece rabbrividire, ma Rin aveva ragione: di cosa avevano paura, esattamente?
“Devo raccontarti cosa ci ha riferito il parente di Goya, ieri” disse con un sospiro. Rin scosse la testa, smise di riflettere per conto proprio e le rivolse tutta la sua attenzione.


***
Questo, lo prometto, è l'ultimo capitolo in cui si parla tanto e si agisce poco. Come avete pronosticato in qualche recensione, accadrà presto un bel macello e l'azione comincerà esattamente nel prossimo! Inoltre, posso annunciarvi che credo siamo a circa metà del Libro Primo: Acqua, che è stato tutto già scalettato e scritto per buona parte. Ma non temete perché ci saranno anche altri libri e, se l'ispirazione non mi abbandona, avrete molto da leggere per i prossimi mesi :)
Le vostre recensioni, le vostre domande e teorie mi sono utilissime per andare avanti, pormi dei dubbi su ciò che sto scrivendo e immaginare cosa accadrà dopo. Vi ringrazio davvero moltissimo per tutte quelle che mi avete lasciato finora! A presto

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Capitolo 11
*** Libro Primo: Acqua - Capitolo XI: Fuga - parte prima ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



XI
Fuga
parte prima



Wo aveva vagato per la Nave per il resto del pomeriggio, alla ricerca di Min nei posti dove erano solite andare, fin da bambine, o quelli che sapeva lei frequentasse nella sua vita privata, ma senza successo. Aveva perfino cercato di scovare questa Kara dagli occhi blu, ma anche lei era introvabile. E, alle sue domande, la gente rispondeva alzando le spalle: forse Min era stata riassegnata su un’altra Nave?
“Che branco di stupidi” pensò Wo. Ma, in realtà, neanche lei aveva idea di dove potesse essere finita e non sapeva cos’altro fare.
Rientrò a casa e si mise a fare i compiti: doveva pur continuare a vivere normalmente, almeno finché non avesse avuto qualche risposta, e il miglior modo per combattere la paura era concentrarsi. Si sdraiò sul letto con il tablet fra le mani, la cartella di scuola ed il suo pesante contenuto accanto come sempre.
“Wo, posso entrare?”
Si alzò a sedere quando vide sua madre. Aveva gli occhi rossi.
“È successo qualcosa?” chiese. Forse aveva notizie di Min?
La donna si sedette accanto a lei sul letto, gli occhi bassi. Sospirò prima di cominciare a parlare: “Ti sei fatta grande, lo sai? Una gran bella ragazza.”
Oh, puzzava proprio di discorso con fregatura finale, pensò Wo. Uno di quei discorsi che finiscono su come si fanno i bambini.
“So già tutto” la interruppe. “Non c’è bisogno. Min mi ha spiegato molto tempo fa.”
Sua madre parve sorpresa. Spalancò gli occhi e la bocca le tremò. “Davvero? E… a te sta bene?”
Wo alzò le spalle. La faccenda le faceva piuttosto schifo, ma non c’era bisogno che la mamma lo sapesse. “Non c’è alternativa, vero?”
L’altra scosse la testa. “Non dipende da noi” sussurrò. Sembrò riflettere un momento, poi si portò le mani dietro al collo, armeggiò con le dita sotto il colletto della giacca e ne tirò fuori un filo. Lo sfilò dalla testa e lo porse a Wo.
“Questo fa parte della nostra famiglia da secoli” disse.
Vi era un ciondolo, attaccato alla cordicella. Wo lo rigirò tra le mani: era di pietra piatta, circolare, con inciso un motivo a spirali che lei non conosceva. Sembrava un oggetto veramente antico, un oggetto…
“Viene dalla Terra!” esclamò.
Sua madre annuì con un sorriso. “Avrei voluto dartelo più tardi, come è stato dato a me da mia madre, ma non credo che vi sarà molto tempo, ormai. Vorrei solo che ti ricordassi di noi, dopo.”
Wo rimase un attimo interdetta.
“Dopo cosa?” chiese. La paura le esplose in petto, mozzandole il respiro.
“So che è colpa mia, in un certo senso” singhiozzò l’altra. “È una maledizione di famiglia, lo so! Oh, se solo tu fossi stata normale come tuo fratello...!”
La prese tra le braccia e la strinse forte, come non faceva da anni. Wo si divincolò, il respiro difficile. Aria, pensò. Ho bisogno di aria.
In quel momento entrò suo padre, rigido, le braccia dietro la schiena.
“Wo, prepara le tue cose” disse solamente. Il suo sguardo rimase alto, oltre di lei.
Wo guardò sua madre, che singhiozzava silenziosamente, poi suo padre, immobile. Li guardò alternativamente per un secondo che le parve lunghissimo.
Dunque, era il momento. Che stupida che era stata.
“No” sussurrò. Fu certa che non l’avessero udita, perché nessuno dei due si mosse. Afferrò la cartella e balzò giù dal letto. “No!” disse più forte. I singhiozzi di sua madre aumentarono.
“Non hai opzioni” disse suo padre. “Sei stata scelta e dovresti considerarlo un onore.”
“No!” urlò ancora.
“Non sai neanche cosa ti sto proponendo” continuò lui, la voce ora più forte, prossima alla rabbia. “Prepara le tue cose, verrai con me stasera stessa.”
“Wo, sii ragionevole. Tuo padre pensa…”
“Non mi interessa” la interruppe. “Ho detto no!”
“Ecco perché andrebbero presi da bambini, e non da adolescenti” mormorò suo padre. “L’ho sempre pensato.”
Wo sentì il suo cuore aprirsi in due. Fissò ancora le due persone che, nella vita, avrebbero dovuto difenderla e battersi per lei, una impotente in lacrime, l’altro incastrato nel suo ruolo militare, incapace persino di guardarla in volto.
Respirò a fondo, una volta, per impedirsi di piangere. Chiuse gli occhi e immaginò di trovarsi sulla punta dell’aeroplano, il vento a scompigliarle i capelli e carezzarle le guance.
Inspirò ancora, si riempì i polmoni. Poi soffiò fuori, forte, la sua paura e la rabbia e la delusione. Il rinculo la spinse contro la parete. Udì a malapena le grida dei suoi genitori.
Si gettò sul letto, lo scavalcò di corsa e si diresse verso la porta. Suo padre era a terra, inspiegabilmente, ma allungò una mano per prenderla e riuscì a ghermirle una gamba. Wo soffiò ancora, forte, con tutto il fiato che aveva in corpo, e sembrava ce ne fosse davvero molto.
Corse via, libera. Corse lungo il corridoio fino alla porta del loro alloggio, la spalancò e si gettò a capofitto lungo il ballatoio, scese le scale e si infilò tra le persone che, ignare, si muovevano per la Nave dove era cresciuta.
Udì la voce di suo padre chiamarla, chiederle di fermarsi. Poi, lui disse: “Prendetela!” e Wo sentì il terrore renderle le gambe di gelatina.
Continuò a correre nell’eco dei passi numerosi che la seguivano, senza avere il coraggio di voltarsi a guardare quanti fossero.
“Vento, ancora vento!” pensò. Si fermò per un momento, respirò a fondo, prese fiato e si voltò.
Soffiò più forte che mai, come non aveva mai fatto. I corpi dei suoi inseguitori rimbalzarono contro le pareti.
Riprese a correre, diretta ai ponti delle Navi Bus.
“Ferma, Wo!” udì ancora gridare suo padre. “Tu non sai cosa…”
Ma Wo era più veloce: sembrava cavalcasse l’aria.
Vide da lontano una Nave Bus in procinto di partire.
“Aspetta!” urlò. Agitò una mano, la cartella ancora stretta al petto.
Forse perché aveva ancora la divisa scolastica, forse perché era una ragazzina, forse solo per fortuna sfacciata: si buttò contro i tornelli strusciando il petto, con il badge appeso, contro il sensore. Quello scattò e Wo si infilò nella Nave. Un momento dopo le porte si chiusero e la Nave Bus si alzò lentamente e voltò la punta verso il tunnel di lancio.
Wo ansimava, sudata per la corsa.
Tra le dita stringeva ancora il medaglione di sua madre. Lo guardò un momento ancora, poi aprì la cartella e lo gettò sul fondo.





Ed ecco come promesso un po' di movimento! Da qui in poi non può che andare peggio, ve lo prometto. Riguardo al medaglione: no, la famiglia della madre di Wo non discende direttamente da Aang, e il medaglione che ho immaginato è sicuramente più discreto di questo nell'immagine, ma è comunque un medaglione sacro tramandato da epoche antiche.
Per i prossimi giorni ho già pronta una nuoca scheda personaggio (avete letto quella su Wo nel mio LJ?) e il prossimo capitolo non tarderà molto. Grazie per tutte le vostre recensioni <3 See ya!

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Capitolo 12
*** Libro Primo: Acqua - Capitolo XII: Fuga - parte seconda ***


LIBRO PRIMO: ACQUA



XII
Fuga - Parte seconda



Mahi aspettava appoggiata al parapetto di uno dei corridoi centrali, le braccia incrociate davanti al petto. Rifletteva, come sempre. Si fidava molto di Rin, perché era una donna intelligente e che aveva studiato a lungo, e il suo timore nei confronti del Gran Consiglio la inquietava, così come la ritrosia istintiva di Shui di rivelare al mondo cosa avevano scoperto.
Sulle Navi delle Flotte viveva circa un milione di persone; erano poche, considerando i numeri della popolazione originaria terrestre nel momento del suo massimo sviluppo. Rin le aveva spiegato che inizialmente le ricerche si erano rivolte al cielo proprio per trovare nuovi pianeti da colonizzare, nella stessa galassia in cui si trovavano, per non sovrappopolare il loro. Da sola, Republic City, una delle metropoli più grandi del pianeta, poteva contare su almeno cinque milioni di abitanti.
Quel numero faceva girare la testa a Mahi. Quanta gente era scomparsa, nella Catastrofe, senza riuscire a mettersi in salvo?
Provò a mettere a fuoco qualcuna delle persone che passava sotto di lei, nel livelli inferiori. Conosceva praticamente tutti, se non di nome di vista, perché quella Nave era il suo piccolo mondo, dov’era nata e cresciuta assieme ai suoi genitori, prima che scomparissero. Shui invece proveniva da un’altra Nave e si era spostato lì per lavoro; aveva ancora famiglia, sull’altra.
Sorrise al ricordo del loro primo incontro, ma in quel momento due braccia la immobilizzarono alle spalle.
“Catturata” sussurrò Shui al suo orecchio.
“Idiota!” esclamò lei divincolandosi. “Credevo che…”
Scosse le spalle; non aveva voglia neanche di parlare di cosa avesse temuto. Shui annuì, poi spalancò le braccia ancora. “Un uomo merita un bacio della propria compagna dopo una dura giornata di lavoro, non credi?”
Mahi si rifugiò volentieri nel suo abbraccio; alzò il viso e non dovette far altro che aspettare che le labbra di lui la trovassero. Il ventre le strinse in una piacevole morsa.
“Se andiamo a casa subito, abbiamo un paio d’ore prima che io debba uscire per il turno di notte” mormorò senza staccare la bocca dalla sua.
Cominciarono a camminare abbracciati.
“Il mio Pass per la Nave Universitaria funziona benissimo” esordì. Gli raccontò brevemente le riflessioni che aveva fatto con Rin e in solitaria.
“È impossibile che nessun altro si sia accorto del proprio dominio, in tutti questi anni” sussurrò poi. Stretta sotto al suo braccio protettivo, parlava pianissimo al suo orecchio. “Un milione di persone che giornalmente utilizza l’acqua, respira. Pensa a noi giù alle cucine, con i fuochi sempre accesi. Solo i dominatori della Terra sono in difficoltà, su queste navi d’acciaio. Ma tutti gli altri?”
“Gli altri non praticano arti marziali in vecchi scantinati” rispose Shui pensieroso. “Se io non fossi stato così concentrato, e non avessi conosciuto le mosse, probabilmente in quel momento non avrei dominato alcuna goccia d’acqua…”
Mahi scosse la testa. “Sono convinta che ci siano” disse. “Forse dovremmo indire un raduno.”
“Oh, ottima idea. Vogliamo mettere dei cartelli in giro?”
Lei storse la bocca. “Qualcosa in codice, magari. Qualcosa che un dominatore possa capire, ma gli altri no.”
Utilizzò il proprio Pass per aprire il Varco tra la zona pubblica e quella dei dormitori della loro ala.
“O potremmo cominciare a testare gli altri de Il sole nascente, Goya, Miyu, Xiao… del resto conoscono la teoria.”
Le sembrò una buona idea e sorrise soddisfatta a se stessa; Shui se ne accorse e le posò un bacio sui capelli, divertito.
A quell’ora c’era già poca gente in giro. Incrociarono una coppia di vicini e si salutarono con un cenno del capo; oltre a loro, Mahi notò distrattamente solo un paio di militari fermi accanto al Varco in fondo al corridoio. E non ne aveva intravisti altri due nel corridoio precedente, prima di entrare…?
Si irrigidì e lanciò un’occhiata a Shui.
“Sai” disse ad alta voce sciogliendosi dal suo abbraccio. Lui la guardò confuso. “Credo di aver dimenticato il mio tablet giù a lavoro” continuò allo stesso volume, decisamente elevato. Shui aggrottò le sopracciglia nel tentativo di capire.
Lo fissò intensamente. Ti prego, pensò, questo è quel momento in cui una coppia di innamorati come noi deve comprendersi al volo. Comprendimi.
“Forse è meglio se andiamo a prenderlo. Ci vorrà solo un attimo, ma non fido a lasciarlo là.”
Shui finalmente annuì. Assottigliò gli occhi, ma non osò guardarsi intorno.
Si voltarono e mossero i primi passi, l’uno accanto all’altra. Mahi sentiva il proprio cuore nelle orecchie batterle furioso, e le gambe di gelatina. Doveva concentrarsi per metterle una avanti all’altra. Scattò a prendere una mano di Shui e la strinse convulsamente.
“Non preoccuparti” disse lui. “Vedrai che sarà ancora dove l’hai lasciato”. Ma la voce gli tremava e Mahi vide il suo pomo d’Adamo andare su e giù, nervoso.
Passò il Pass sul rilevatore e le porte si aprirono obbedienti. La coppia di militari era là, a metà corridoio, rigidi. Si scambiarono un’occhiata quando li videro.
“Ci mettiamo un secondo per andare a prenderlo” disse Mahi, ancora a voce alta. “Come ho fatto a dimenticare proprio il mio tablet a lavoro, chissà!”
La sua interpretazione era talmente penosa da poter risultare ridicola, se non fossero stati entrambi così tesi.
“Saremo a casa tra cinque minuti, tesoro, non ti preoccupare” aggiunse Shui, e lui sembrava più sincero: stava veramente cercando di rassicurarla.
Magari non sono qui per noi, si diede la speranza di pensare.
Passarono sotto lo sguardo dei militari tesi, tenendosi stretti. I due soldati, a loro volta, sembravano incerti: probabilmente non rientrava nei piani che potessero tornare indietro e non sapevano cosa fare.
Ridicolo. È un caso, pensò ancora.
Percorsero il corridoio nel silenzio più totale, solo il rumore dei passi stentati.
“L’ascensore” sussurrò Shui e voltarono insieme. Nel momento in cui le porte si aprirono davanti a loro, con la coda dell’occhio Mahi vide uno dei due militari portare alla bocca il comunicatore.
“Prossima mossa?” le sembrò di leggere dalle sue labbra, ma non fece in tempo a vedere di più che Shui la spinse dentro e spinse veloce il pulsante per il piano dei bus.
“Cosa facciamo ora?” le uscì con tono strozzato. Respirava affannosamente.
Shui aveva le sopracciglia incurvate, la bocca stretta in una linea sottile; era concentrato.
“Andiamo da Rin” disse. “Con il tuo Pass possiamo prendere il prossimo Bus. Ce ne sono ancora, a quest’ora?”
“Credo di sì.”
“Perfetto. Andremo da lei e vedremo insieme cosa fare. Magari ci stiamo preoccupando per niente e domani torneremo qui.”
Lei annuì, ma continuò a tremare.
Shui si voltò verso di lei e le strinse le spalle con entrambe le mani. Si guardarono negli occhi lucidi per tutta la discesa.


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