Quando piangono le stelle

di A_Typing_Heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stelle danzanti ***
Capitolo 2: *** Quarto di Luna ***
Capitolo 3: *** Moonlight Sonata ***
Capitolo 4: *** Creature della notte ***
Capitolo 5: *** Eclissi di luna ***
Capitolo 6: *** Il buio prima dell'alba ***
Capitolo 7: *** Gabbia dorata ***
Capitolo 8: *** Dietro la maschera ***
Capitolo 9: *** La ricerca dell'anima ***
Capitolo 10: *** Rosso come il sangue ***
Capitolo 11: *** Gli occhi rivelatori ***
Capitolo 12: *** L'antico veleno ***
Capitolo 13: *** Allegria ***
Capitolo 14: *** Verso la luce ***
Capitolo 15: *** Volo di colombe ***
Capitolo 16: *** Sogni infranti ***
Capitolo 17: *** Segreto a tre ***
Capitolo 18: *** Lacrime dal cielo ***
Capitolo 19: *** Il soffio della vita ***
Capitolo 20: *** Sempre avanti ***



Capitolo 1
*** Stelle danzanti ***


Mentre camminavano su e giù per i corridoi del liceo cittadino, nessuno degli studenti faceva caso all'esistenza di Tsunayoshi Sawada. Il ragazzino, sensibilmente più basso e mingherlino dei suoi coetanei, sembrava ancora più piccolo con la sua abitudine di camminare raso ai muri, lontano dalla fiumana centrale di studenti, e di stringersi in se stesso appena veniva toccato da una cartella o una spalla come una chiocciola si ritira nel guscio se sfiorata da un dito. Il ragazzo era decisamente agitato: le sue mani faticavano a reggere i libri che aveva in mano e se non fosse stato rasente al muro sarebbe probabilmente caduto, con le gambe che traballavano come quelle di un vecchio barbone ubriaco. 
Arrancò a fatica fino al bagno, ignorando il cartello con scritto "fuori servizio", e si affacciò su tutti i cubicoli. Nell'ultimo trovò un suo senpai dell'ultimo anno, con uno stravagante cappellino pied-de-poule sulla testa, intento a leggere un quotidiano sportivo.
-Che... diavolo fai?-
-A te cosa sembra?- ribattè lui.
-Perchè leggi un giornale?-
-Non ho gatti che lo usino come bagno.-
-Davvero divertente.- fece il ragazzo, senza alcun segno di divertimento.
-Se qualche insegnante venisse a controllare, vedrebbe solo me seduto su un water che leggo un giornale, tutto normale, non credi?- fece il ragazzo col berretto, dedicandogli un'occhiata che si fece improvvisamente seria. -Ah... sei rimasto senza?-
-Da ieri sera... mi sembra di impazzire...-
-Tranquillo, è tutto a posto adesso.-
Il ragazzo si sfilò il berretto e ne estrasse un pacchetto di caramelle alla fragola, di una marca notoriamente scadente dall'odore di medicina, e lo porse a Tsunayoshi. Lui glielo strappò di mano e ne ingoiò immediatamente un paio, per poi emettere un tremulo sospiro di sollievo.
-Ohi, sgancia, Sawada.-
-Sì... sì, un momento...-
Tsunayoshi sfilò un'anonima busta bianca con scritto sopra il nome di una ragazza, Kyoko, e la porse al ragazzo che sorrise.
-Kyoko, come la Sasagawa? La chiamiamo così d'ora in poi?-
-È il primo nome di ragazza che mi è venuto in mente... sei tu che vuoi buste con nomi di ragazze, adesso... sempre per evitare controlli di insegnanti?-
-Se mi chiedessero di vuotare la borsa vedrebbero solo pacchetti di caramelle e una busta col nome di una ragazza alla quale voglio dire qualcosa, non pensi sia normale?-
-Una volta forse sì, ma se ti trovassero con lettere con un sacco di nomi diversi?-
-Posso sempre dirgli che faccio il lavoro sporco per gli altri, che mi allungano qualche soldo per consegnare le loro lettere d'amore.-
-Credo dovresti farti chiamare... come si chiama, quell'angelo che tira le frecce?-
-Cupido?- disse il ragazzo ridendo di gusto. -Mi piace! Lo userò come nome d'arte!-
Subito dopo, un altro ragazzo entrò nel bagno facendo un commento sul cartello. In un lampo, Sawada schizzò fuori dal cubicolo e Cupido richiuse la porta. Tsuna mise la scatola delle caramelle in tasca e uscì dal bagno senza nemmeno incrociare uno sguardo con il nuovo arrivato. Tornando verso la sua classe assaporò profondamente la sensazione di sentirsi lontano. Non sentiva più debolezza nelle gambe o nelle mani, neanche si rendeva conto di avere libri in mano. Poteva camminare al centro del corridoio, non si accorgeva più di essere toccato o spintonato dagli altri. Alzò i suoi occhi grandi e castani verso il soffitto, ma la squallida vernice bianca leggermente scrostata era svanita, lasciando il posto a una distesa di un colore indefinito tra il blu scuro e il verde petrolio, dove brillavano migliaia, anzi, miliardi di stelle...
Come molte altre volte, non si rese conto di essersi fermato in mezzo al corridoio a fissare sorridendo quello che agli occhi di chiunque altro era soltanto un neon spento. Mentre qualcuno iniziava a notare la sua stranezza, un paio di mani robuste lo spinsero a camminare e lo trascinarono lontano dalla folla, sul tetto dell'edificio.
-Tsuna?-
Ovviamente Tsunayoshi non rispose, si limitò a sorridere quando vide qualche scia di stelle cadenti.
-Tsuna, mi senti? Ehi!- fece il ragazzo, facendogli schioccare le dita davanti agli occhi. -Tsuna, non è il momento di lasciarsi dietro un corpo morto o quasi! Ehi!-
Dopo una vigorosa scrollata, la luce si attenuò e Tsunayoshi riuscì a scorgere il viso del suo amico Takeshi Yamamoto, sebbene lo percepisse sfocato, come guardato attraverso un velo trapunto di stelle. Con un po' meno entusiasmo, ma regalò un sorriso anche a lui.
-Buongiorno, Yamamoto...-
-Eh, mica tanto! Eri imbambolato nel corridoio...- fece lui, sospirando. -Devi per forza fartela anche a scuola? Prima o poi qualcuno si accorgerà che stai impalato a sorridere a finestre, porte e lampadari...-
-Lascia che sia.- disse Tsunayoshi tranquillo.
-Si accorgeranno che non sono caramelle, Tsuna... e finirai in un mare di guai...-
-Ci sono nato in un mare di guai... che cosa può succedermi che sia peggio di quanto non sia già?-
-Piantala con questa storia, la tua vita non ha niente che non va!-
-Niente?-
Nonostante le stelle danzassero e gli sorridessero, Tsunayoshi non accennò a ricambiarle.
-Io non so fare niente. Non sono bravo in nessun gioco, in nessuno sport, in nessuna materia. Prendo continuamente insufficienze e non ho nessun amico.-
-Hai me!-
-Non ti offendere, Yamamoto, ma tu sei mio amico perchè tu vorresti essere amico di ogni singola persona del mondo... e siamo in classe insieme da cinque anni, soprattutto...-
-Nessuno è nato sapendo fare qualcosa, si impara a fare quello che ci interessa... io non sono nato sapendo lanciare e battere come faccio adesso... la Sasagawa non è nata brava in economia domestica e sono certo che neanche mio padre, o tua madre, sono nati sapendo cucinare... tutto si impara!-
-Sai, non è sbagliato quello che dici...-
-Certo che no!-
-Solo che... io non sono capace di vivere... e questo fa tutta la differenza del mondo...-
Yamamoto restò tanto interdetto, proprio quando pensava di aver vinto, che non seppe cosa dire.
-Uno come me non può fare altro che scappare da se stesso... fino alla fine...-
Tsunayoshi alzò di nuovo gli occhi sul cielo stellato e sorrise. Il suo era un sorriso mortalmente dolce, ma anche intriso di una profonda tristezza e di una cupa rassegnazione. Non c'era nessuna volontà di vivere in lui, solo quella di scappare finchè non fosse arrivato il momento in cui non ci sarebbe stato più nessun Tsunayoshi Sawada.
Yamamoto era forse la persona non tossicodipendente che meglio potesse capirlo, perchè qualche anno prima aveva tentato di suicidarsi quando una frattura aveva minacciato di impedirgli di giocare a baseball per sempre, e il baseball era la ragion d'essere della sua vita. Sapeva cosa significava pensare di non avere nulla per cui valesse vivere, di essere derubato del proprio destino senza possibilità di ritorno. Aveva provato queste sensazioni, questo enorme dolore, per qualche giorno, arrivando a un culmine in cui aveva pensato che vivere ancora tanti anni senza giocare era solo un'agonia inutile. Poi, però, sull'orlo del baratro, con la punta dei piedi già fuori dal cornicione di un palazzo abbandonato a strapiombo su una strada, aveva capito. Era riuscito a vedere le ragioni di vita che erano tanto scontate da non riuscire a vederle: suo padre, i suoi amici, e tutte le persone che lo conoscevano... dopo che sua madre era scomparsa, lasciare il padre da solo era crudele, non tenere conto dei sentimenti di quelle persone era come valutarle insignificanti. Ed era riuscito a respirare di nuovo, a uscire dal pantano che lo stava affogando, per poi scoprire che, per svista, per un miracolo, o per una risposta positiva alla sua decisione di vivere, avrebbe ancora potuto giocare a baseball.
Tsunayoshi Sawada non riusciva a vedere il buono della sua vita. Non riusciva a capire che anche se non era un genio a scuola, avrebbe comunque potuto diplomarsi e laurearsi, che avrebbe potuto evitare lo sport se non era portato in favore di un'attività meno fisica in cui imparare a eccellere, o almeno a fare bene. Cercando forse avrebbe trovato una passione, o una vocazione. Come poteva sapere, a soli sedici anni, che in futuro non avrebbe avuto geniali idee che avrebbero portato a comode, utili, innovative invenzioni? Che non sarebbe stato un magnifico insegnante a contatto con dei bambini, o che non sarebbe diventato un giorno un dirigente dell'azienda che l'avrebbe assunto?
Takeshi tentò di nuovo, con parole dolci e incoraggianti, a fargli presente queste sue riflessioni, ma Tsunayoshi non sembrò condividere nemmeno un briciolo del suo entusiasmo. Era così convinto di fallire da essere disarmante: era come se fosse stato nel futuro, avesse visto cosa sarebbe diventato e fosse sicurissimo di non poter cambiare quella visione.
-Questo non vale per me. Io non sono nemmeno capace di parlare con mia madre senza ketamina.-
-Questo succede solo perchè la stai prendendo da troppo tempo, e pensi che nulla sia fattibile senza quella roba che non ti fa sentire l'imbarazzo, la paura e tutto il resto... ma non è vero... vedi, tutti a scuola riescono a parlare con uno sconosciuto, a confessare un votaccio o a scrivere una lettera alla persona che gli piace... tutti hanno paura di fare una figuraccia o di beccarsi una punizione, ma queste cose si affrontano... c'è chi lo fa bene e chi peggio, ma si fa... puoi farlo anche tu, anche senza quella roba che ti stordisce.-
-Yamamoto...-
-Cosa?-
-Ti dispiace... se ne parliamo un'altra volta? È il momento in cui vedo le stelle sorridere... vorrei godermelo... prima che sparisca...-
Yamamoto, che era abituato al fatto che la ketamina rendesse Tsunayoshi molto poco attento, non si offese per quel commento. Non era nemmeno sorpreso, su di lui la droga aveva sempre lo stesso effetto, spalancandogli la vista in una miriade di stelle che a suo dire ballavano e sorridevano. 
Il ragazzo sedette vicino a lui e in silenzio scrutò il cielo, che per lui era un semplice cielo azzurro pallido che si andava coprendo di nuvole grigie. Avrebbe tanto voluto aiutare il suo amico, ma non sapeva come. Non voleva dirlo ai genitori e metterlo nei guai con loro, con un insegnante o con autorità sociali... eppure...
Guardò Tsunayoshi, sorridente e perso in un mondo a lui invisibile. Non faceva il minimo caso a lui e non l'avrebbe fatto finchè non fosse iniziato a svanire l'effetto allucinogeno, lo sapeva. Per la prima volta, sentendosi completamente impotente, battè le mani e pregò che arrivasse una soluzione, che gli venisse l'idea giusta per salvare l'amico, o che giungesse da qualsiasi altra parte. Sapeva perfettamente, come lo sapeva Tsunayoshi, che la ketamina avrebbe potuto paralizzare i suoi polmoni e il cuore ogni volta che la prendeva e strapparlo via dal mondo per cui lui credeva di non essere adatto.

 

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Capitolo 2
*** Quarto di Luna ***


Sulla strada secondaria, quasi deserta a quell'ora di notte, una squallida insegna al neon di un vistoso colore rosa fluo evidenziava l'ingresso di un locale notturno chiamato Quarto di Luna. Una piccola bacheca ricavata da una finestrella recava una serie di targhette con nomi di ragazze, alcuni accesi e ben leggibili, altri spenti. Qualcosa nella bacheca stava indisponendo un paio di avventori del club, che discutevano con un buttafuori dai capelli rossi e l'aria annoiata.
-Ma oggi è mercoledì! Perchè non c'è?-
-E io che ne so? Non timbrano mica il cartellino.- fece l'uomo. -Se una sera non vogliono venire, non vengono... non sono pagate e fine della storia.-
-Ma è mercoledì!- ribattè il cliente con tono afflitto.
Rokudo Mukuro, avvolto in un cappotto firmato lungo fino alle ginocchia, sorrise ascoltando la conversazione. Se i clienti si lamentavano della sua assenza era perchè era bravo nel suo lavoro, e di questo non aveva il minimo dubbio.
Le sue scarpette fecero un sonoro rumore di tacchi sui gradini che scendevano fino all'ingresso e fecero voltare tutti e tre gli uomini: i clienti sembrarono felici, il buttafuori solo sollevato di non dover più rispondere alle domande.
-Romi chan!-
-Romi chan, allora ci sei!-
-Lo dicevo io, è mercoledì...-
-Come mai così tardi?-
-Mi dispiace... ho fatto un pisolino e mi sono svegliata tardi... sarò da voi tra pochissimo...-
Mukuro entrò nel locale e accese la targhetta che recava il nome Romi, il suo nome d'arte. Il locale era stranamente poco affollato per quell'ora e non ebbe difficoltà a farsi strada nel suo camerino. Il suo coinquilino, l'unico altro travestito del locale, doveva essere già al lavoro; i suoi cosmetici erano abbandonati nel consueto disordine sul mobile da toeletta, insieme alla normalissima tuta da uomo con cui doveva essere arrivato. Sentendo un po' la mancanza delle consuete chiacchiere pre-lavoro, Mukuro si tolse il cappotto e si specchiò controllando che il suo trucco reggesse.
Lui non era come altre drag queen, Mukuro prendeva molto seriamente il proprio lavoro. Aveva sempre avuto il dono di saper affascinare le persone, di essere loquace e anche interessante, e aveva anche avuto esperienze in teatro quando andava alle scuole medie. Quando aveva finito quella noiosa pratica chiamata liceo, la soluzione su che cosa fare della sua vita gli era parsa chiara davanti agli occhi: quale lavoro più semplice ed efficace che travestirsi e convincere gli uomini a svuotarsi il portafoglio per riempire il suo? E davvero, era più semplice svuotare il portafoglio di un uomo arrapato che rubare una caramella a un bambino. Col suo lavoro aveva guadagnato bene, da subito, tanto che poteva permettersi un comodo bilocale vicino al night club nonostante i suoi vizi costosi.
-Mh...- gemette Mukuro quando frugò nella borsa. -È l'ultima...-
Ne estrasse un piccolo cartoccio bianco e prese ad aprirlo con cura, per avere la sua dose pre-lavorativa che gli permetteva di lavorare decisamente molto meglio, sentendosi molto più sexy di qualsiasi vera donna in tutta la città e più attivo che mai. Quando l'effetto svaniva invece scivolava in silenzi cupi, lo innervosiva venire toccato dai clienti e si sentiva disgustato dalla sregolatezza della sua vita. Ma non c'era niente di male nella sua vita, poteva controllare l'eroina, come aveva controllato la marijuana o la coca quando le usava... se aveva bisogno di restare lucido per un giorno, o per due, poteva farlo senza alcun problema. Lui era molto più forte degli altri eroinomani.
Mentre gli effetti dell'eroina iniziavano a manifestarsi, Mukuro prese un gran respiro e si sistemò i vari strati di pizzo bianco che portava sotto il vestito. Era piuttosto fiero del suo guardaroba da lavoro, lui non portava squallide minigonne e top argentati, lui sapeva che i clienti apprezzavano la sua diversità e si era fatto fare, con i risparmi di ogni stipendio, nuovi vestiti dall'aspetto molto simile alle ragazze eroticamente più apprezzate del panorama dell'animazione giapponese. Molti clienti, ogni volta che indossava un vestito nuovo, ne riconoscevano l'origine e ne erano contenti. E poi, al contrario del suo collega travestito, lui non portava vistose e orrende parrucche sintetiche: erano almeno sette anni che non tagliava i capelli, e adesso aveva una lunghissima (e curatissima) chioma corvina. Come già detto, Mukuro Rokudo prendeva molto seriamente il suo lavoro.
Uscì di fretta dal camerino e attraversò la sala. Prima di incontrare i suoi clienti, voleva avere una scorta di eroina disponibile. Se avesse esaurito troppo in fretta l'effetto o se l'avessero trattenuto troppo a lungo lo spacciatore avrebbe potuto non avere più niente, o essersene già andato.
Salutò un paio di ragazze sue colleghe mentre passava e raggiunse un angolo della sala, un lussuoso privé nascosto dagli sguardi indiscreti con l'aiuto di alcune vistose tende di velluto blu trapunte di stelle argentate, più adatte all'ufficio di una cartomante che alla sala di un night club. Entrò senza annunciarsi.
-Yacchan, ho bisogno di... e tu chi cazzo sei?-
Quello seduto sul divano di pelle non era il grosso, basso ometto stempiato di mezz'età che tutti chiamavano Yacchan e che riforniva lo staff del Quarto di Luna e la clientela di droghe di vario tipo. E le differenze erano notevoli: si trattava di un giovane, di al massimo venticinque anni, dai capelli bianchi come il latte, la pelle pallida, gli occhi di una insolita sfumatura di viola e un fisico alto e asciutto avvolto in pantaloni bianchi, camicia nera e gilet doppiopetto bianco. Se un tipo del genere avesse mai varcato la soglia del locale, Mukuro l'avrebbe sicuramente notato.
-Tu sei?- disse lui, come un maestro che fa l'appello.
-Romi.- disse Mukuro sospettoso. -Dov'è Yacchan?-
-Il nostro amico Yacchan ha pensato bene di tagliare la nostra roba per aumentarne il peso, venderla e tenersi il margine in più... suppongo che ora si trovi dove merita di stare.-
Un leggero brivido risalì la schiena di Mukuro, sebbene in qualche modo non del tutto spiacevole. Si avvicinò all'uomo dai capelli bianchi e si sedette vicino a lui sul divanetto.
-E quindi, tu sei il rimpiazzo?-
-Sì... mi chiamo Byakuran.- disse lui, guardandolo in faccia per la prima volta. -Tu però puoi chiamarmi Ran.-
-Senti un po', Ran chan, io ho proprio bisogno di una scorta... sono rimasta a secco.- cantilenò Mukuro con la sua comprovata vocetta femminile. -Puoi aiutarmi?-
-Mi dispiace, per oggi sono dovuto venire con roba già prenotata.-
Mukuro lo guardò con l'espressione che avrebbe potuto avere un bambino a cui viene detto che il cioccolato sparirà dal mondo intero. Nessuna dose, nemmeno una, fino al giorno dopo, e senza nemmeno che ci fosse un valido motivo per restare lucido! Non credeva a quello che sentiva.
-Tutto... prenotato?- domandò, con la sua vocetta leggermente incrinata.
-Tutto quanto.-
-Ma dai... non è proprio possibile... nemmeno un pochino di Ero per me?-
-Sono a secco, te l'ho detto, Romi chan... se l'avessi, per una bella ragazza come te...-
Mukuro non era disposto ad accettare un no, per nessun motivo al mondo se ne sarebbe tornato in camerino senza neanche una dose, non senza aver tentato tutto quello che poteva. Prima ancora che Byakuran potesse finire la frase, gli si sedette cavalcioni sulle gambe lasciando intravedere di proposito il pizzo della sottogonna e la fascetta decorata che reggeva le sue parigine bianche. Era una manovra che solitamente demoliva anche il più ostico cliente tirchio.
-Ran chan... non puoi proprio trovare niente per me...? Non la voglio certo gratis...-
Byakuran lo guardò in faccia e accennò un sorriso, posandogli la mano sulla gamba.
-E di solito, come pagavi con Yacchan?-
-Non così.- fece Mukuro, prima ancora di riflettere.
Non voleva assolutamente che si pensasse che andava a letto con gli spacciatori, lui aveva un onesto lavoro e aveva il denaro per comprarla anche senza favori di quel genere. E soprattutto, Yacchan era un vecchio piuttosto sgradevole, non faceva certo venire voglia di risparmiarsi qualche soldo.
-No?-
-Beh, lo conoscevi? Era un ometto bavoso che puzzava d'alcol, non faceva certo venire le voglie.-
Byakuran fece un sorriso decisamente malizioso e allungò le dita sopra l'elastico delle parigine, sfiorando la pelle nuda.
-E io ti faccio venire qualche voglia?-
-Può essere, chi lo sa...-
-Perchè io potrei avere una selezione particolare di roba speciale da provare... potrei farla provare a te...-
Mukuro lo guardò con rinnovato interesse, come un cane che sente i passi del padrone e drizza le orecchie.
-Ce l'hai?-
Byakuran infilò le dita della mano non impegnata in educate esplorazioni per estrarre una bustina di polvere bianca dal taschino interno del gilet. Mukuro cercò di prenderla, ma lui sollevò il braccio fuori tiro.
-Non così in fretta... credo che prima dovremmo raggiungere un accordo...-
-Se è speciale come dici, ti do quello che vuoi!-
Mukuro si alzò di scatto cercando di prendere la bustina, ma ancora una volta gli sfuggì dalle mani. Un attimo dopo sentì le dita di Byakuran intente a un'esplorazione meno gentile sotto il suo vestito blu accuratamente infiocchettato. Irrigidendosi, guardò lo spacciatore con l'angoscia di essersi appena giocato la possibilità di provare l'eroina.
-Mh, in quanti qui dentro sanno che sei un uomo, Romi chan?-
-Due o tre persone.-
-Non l'avrei mai detto.-
-Vero? Sono bravo nel mio lavoro.-
-Vero...-
Byakuran spostò Mukuro di peso sul lato del divano strappandogli una protesta e si chinò sul tavolino, vuotando la bustina e iniziando a fare i preparativi per testare la nuova partita di eroina. Mukuro lo guardò, senza sapere se dovesse ritirarsi oppure no. 
-Forza, provala.-
-Come?-
-Volevi provarla... provala e dimmi come ti sembra... dimmi se ne vale la pena.-
Mukuro si raddrizzò sul divano lentamente, occhieggiando da lui alle ordinate file di polvere sul tavolino. Solitamente, quando era comodamente a casa, faceva uso endovenoso di droghe e raramente la inalava o faceva uso di droghe ad assunzione orale. Scivolò in ginocchio avvicinandosi al tavolino e guardò lo strano, sconosciuto tubicino di metallo, simile al fusto metallico di una corta penna. Cercò con lo sguardo Byakuran e lui annuì incoraggiante. Mukuro notò un'incisione a forma di drago sul fusto, poi si chinò e inalò una riga intera di netto.
La sensazione che sentì subito dopo fece sembrare qualsiasi altra droga che avesse preso una mucchia di bicarbonato di sodio. Nonostante avesse preso una dose pochi minuti prima, la sensazione di energia, vigore e infinite possibilità lo pervase come gli succedeva quando si faceva una generosa iniezione dopo giorni di depressa lucidità... non aveva idea di chi fosse quell'uomo e dove avesse reperito la sua roba speciale, ma era veramente tutto un altro mondo...
Si chinò per prenderne un'altra riga ma sentì una mano dalle dita fredde afferrarlo sotto il mento e tirarlo indietro con forza. Byakuran lo costrinse ad alzare la testa e, capovolta, vide la sua faccia soddisfatta.
-Se ti piace e ne vuoi ancora, Romi chan... o qualunque sia il tuo vero nome...-
-Mukuro.- disse lui. -Rokudo Mukuro.-
-Bene, Mukuro chan... se ne vuoi ancora, contrattiamo...-


 

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Capitolo 3
*** Moonlight Sonata ***


Hayato Gokudera era un ragazzo appena diciottenne. Per la precisione, compiva gli anni proprio quel giorno, ma nonostante fosse ormai pomeriggio non accennava a uscire di casa nè pareva aspettare qualcuno. Si scostò i lunghi capelli chiari dal viso con le dita adorne di anelli di varia fattura e gettò uno sguardo fuori dalla finestra con gli occhi verde chiaro che avevano conquistato e fatto sospirare molte ragazze negli anni della scuola. Fuori il cielo era cupo, come il suo umore.
Distolse lo sguardo dalle nuvole grigie che si addensavano e prese una pagina che sporgeva da un logoro quaderno. Ne scrutò l'angolo e scoprì che si trattava della Sonata Al chiaro di luna.
-Benissimo.-
Con movimenti rodati e precisione estrema, ne piegò il fondo e lo strappò ottenendone un strisciolina rettangolare perfettamente lineare. Estrasse poi una scatolina di bambù che in passato, secondo l'etichetta, aveva contenuto tè verde cinese biologico, tuttavia difficilmente l'odore del prodotto che ne estrasse avrebbe potuto essere scambiato per tè verde. Con le dita sottili e indubbiamente allenate gli ci volle poco più di un minuto a preparare una sigaretta artigianale con all'interno la marijuana. Subito dopo la mise in bocca e l'accese con un accendino di tipo americano con inciso sopra l'asso di cuori, un regalo avuto tempo prima da alcuni amici che lo canzonavano per lo stuolo di ragazzine che lo seguiva dalla sesta elementare.
Hayato mise i piedi sulla scrivania e fumò con estrema tranquillità, rilassandosi nella comoda poltroncina da ufficio imbottita. Quel giorno compiva diciotto anni, un traguardo significativo. Era abbastanza grande per una serie di cose, anche se non per altre. Nel paese di sua madre, poi, sarebbe stato maggiorenne a tutti gli effetti. Sua madre sarebbe stata felice e triste, forse gli avrebbe fatto una torta sorridendo e piangendo nello stesso momento, gli avrebbe chiesto di suonare Chopin, il suo preferito...
Ma sua madre non c'era più. Non sapeva che era arrivato il giorno del loro compleanno. Non ci sarebbero più stati brani suonati al pianoforte per lei, o insieme. Non ci sarebbero state feste, regali, nè auguri, mai più, grazie all'auto pirata che l'aveva fatta finire fuori strada uccidendola. Hayato si stupì di scoprire che, anche se gli sembrava successo poche settimane prima, in realtà era accaduto più di due anni prima.
Ma il tempo era qualcosa di molto relativo. Da quando era morta, niente aveva più un significato per lui, neanche il tempo. Aveva cominciato a trascurare lo studio, perchè non riusciva a pensare a niente se non all'uomo, o alla donna, mai trovato che aveva provocato l'incidente. Non riusciva a trovare pace, e aveva cominciato a pensare che sua madre non poteva più gioire dei suoi altissimi voti a scuola, né ascoltare la sua musica, né vederlo, né salutarlo. Col passare delle settimane anche alzarsi dal letto pareva essere una fatica sprecata.
Poi era arrivata la sua sorellastra, l'altra figlia di suo padre, Bianchi. Era più grande di lui ed era venuta per aiutarlo, per non lasciarlo solo, senza capire che Hayato era già solo. Lei faceva del suo meglio per convincerlo ad alzarsi, studiare e suonare come se nulla fosse cambiato, ma questo non faceva che indisporlo ancora di più verso la vita. Alla fine, più per farla smettere di tormentarlo, era uscito di casa di nuovo e in un angolo improbabile della sua scuola aveva scoperto qualcosa che aveva reso il suo dolore qualcosa di sopportabile, che gli permettesse di lasciarsi dietro la rabbia per la punizione che l'assassino di sua madre non avrebbe mai scontato. Conobbe le droghe.
La prima che provò fu la marijuana, che aveva la portentosa virtù di calmare il suo carattere collerico e fargli scivolare tutto addosso, cullandolo nella meravigliosa sensazione della pace assoluta. Tuttavia, siccome questa condizione insospettiva sua sorella e lo intorpidiva troppo in alcuni situazioni, prese a fare un uso occasionale anche di ecstasy, che al contrario lo rendeva più aggressivo che mai, violento e pericolosamente paranoico, dandogli la sensazione di essere minacciato anche quando non lo era. 
Hayato si guardò le nocche scorticate della mano, ricordando la folle rissa che aveva acceso davanti a uno street pub il venerdì precedente. Accecato dall'ecstasy era stato sicurissimo che il gruppo di ragazzi che erano usciti per fumare nello stesso momento in cui era uscito lui volessero accoltellarlo. Ovviamente non era così, erano normalissimi studenti in cerca di svago e, aveva appurato la polizia, totalmente disarmati. Fortunatamente era riuscito a svignarsela prima di essere riconosciuto o arrestato...
Una mano delicata bussò sulla porta e strappò ad Hayato uno sbuffo impaziente. Possibile che Bianchi non avesse altro da fare che tormentarlo? Stava cercando di celebrare il proprio dolore...
-Vattene, Bianchi, non voglio vede...-
Si bloccò bruscamente quando la porta si aprì e gli mostrò una ragazza che non era Bianchi. Riconobbe subito i lunghi capelli castano scuro, i grandi occhi dello stesso caldo tono di marrone, il viso pallido con un accenno di rosa sulle gote e sulle labbra.
-Haru?-
-Gokudera san... posso... entrare?-
Troppo sorpreso di vederla lì, Hayato si trovò ad annuire senza neanche accorgersene. Quando la ragazza gli passò davanti sentì profumo di fiori e ricordò che sempre, da quando la conosceva, Haru Miura era sempre stata una ragazza con bei vestiti, un aspetto curato e un buon profumo. A quanto ne sapeva però si era trasferita per frequentare l'università a Tokyo, che cosa ci faceva nella sua stanza?
-Io... ti dispiace se apro un pochino la finestra?-
-Ah... no, certo... aprila...-
Haru gli voltò le spalle per aprire uno spiraglio di aria pulita e rimase lì vicino, dove potesse respirare l'aria fresca che veniva da fuori. Hayato tentò di cacciare sotto il letto un paio di suoi boxer lasciati incautamente in bella vista, anche se tutta la stanza di per sé era un caos.
-Se ti imbarazza che io stia nella tua stanza, posso tenere gli occhi chiusi.- disse lei, dando prova del suo particolare tatto. -Capisco che sia disordinata... Bianchi mi ha detto di non avvertirti, perchè forse non ti saresti fatto trovare a casa.-
Hayato lasciò la mucchia di abiti che stava cercando di ficcare dentro un bidoncino della biancheria già oltre la sua massima capienza e la guardò. Teneva veramente gli occhi chiusi.
-È stata Bianchi a dirti di venire?-
-Me lo ha chiesto lei... sì...-
-E perchè?-
Haru restò un momento in silenzio e poi eruppe in un singhiozzo che la costrinse a coprirsi la bocca. Da sotto le ciglia scesero lacrime calde.
-Gokudera san... perchè... perchè ti stai facendo questo?- domandò Haru tentando di arginare il proprio pianto. -Distruggerti non riporterà tua madre in vita... e anche se lo facesse... pensi che... una madre sarebbe felice di vedere il figlio rovinarsi?-
-Tu non sai niente. Non parlare di cose che non capisci.-
-Non nasconderti dietro 'tu non capisci' o scuse del genere! Tu sai che ho ragione! Tu conosci tua madre meglio di chiunque, pensi che sarebbe felice di vedere cosa sei diventato?!-
-Non sono diventato niente.- replicò Gokudera. -Esattamente quello che è lei ora, niente.-
Haru lo guardò inorridita e per un momento una piccola parte dentro ad Hayato si vergognò di quello che aveva detto, perchè aveva detto che sua madre non era niente, e aveva turbato Haru dicendolo.
-Gokudera san... ti prego... tu... non lo pensi davvero...-
Cadde il silenzio per qualche istante, rotto solo da una rumorosa autovettura che passava sulla strada di fronte alla casa. Haru si asciugò gli occhi ancora una volta e sembrò cercare di farsi forza.
-Tua madre vorrebbe che tu riprendessi il controllo della tua vita.-
-Grazie a qualche maledetto pazzo io non saprò mai che cosa vuole mia madre.-
-Tu lo sai, nel tuo cuore lei vive come ogni giorno... sai che cosa ti direbbe se fosse qui.-
-Sono le stronzate che dicono quelli come te, che al massimo nella vita hanno perso un gatto e un pesce rosso... le persone morte non vivono più, né qui, né in cielo né tantomeno nel cuore.- le rispose aspramente Hayato. -Ora vattene e torna solo se perderai tua madre e la sentirai ancora viva.-
Per evitare gli occhi pieni di afflizione di Haru, Hayato tornò a cercare di ficcare la sua biancheria nel bidone di plastica grigio. Non sentì i suoi passi allontanarsi o la porta, per cui era certo che lei fosse ancora lì. Quando non potè più far finta che l'impresa dei panni sporchi potesse avere un lieto fine, li abbandonò e si decise a voltarsi. Haru sembrava più ferita e risoluta che mai.
-Torna a studiare e a suonare.-
-Non lo farò.-
-Devi farlo!-
-Che cazzo te ne importa se suono o no? Che cazzo te ne importa?- sbottò lui, lanciando per terra un libro a caso che non sapeva come si fosse trovato in mano. -Perchè diavolo Bianchi ti ha chiesto di rientrare da Tokyo per venire qui a darmi fastidio?!-
Haru tacque un momento, poi inspiegabilmente sorrise.
-Ho fatto un errore a venire qui.-
-Certo che l'hai fatto, hai sprecato tempo e fatica.-
-Pensavo di venire qui e poter cambiare qualcosa...- proseguì lei, come se lui non l'avesse interrotta. -Ma non posso... perchè io amavo l'altro Gokudera san... quello che si metteva gli occhiali e si nascondeva dietro un libro quando il suo nome era il primo agli esami e tutti lo guardavano... quello che piuttosto che dire che era un genio preferiva dire che stava sveglio notti intere a studiare... quello che passava sempre la palla sul campo da calcio per non prendersi il merito di segnare... quello... che suonava come se la musica gli uscisse dal cuore... quello... che aveva gli occhi che brillavano quando parlava della sua splendida mamma...-
Hayato restò a fissarla come se non avesse mai visto niente di simile sul pianeta terra. Non sapeva che cosa dire o fare. Haru aveva frequentato una scuola media prestigiosa esclusivamente femminile, poi era comparsa nel suo stesso liceo. Erano stati in classe insieme solo l'ultimo anno, e in mezzo a una nutrita schiera di ragazze di ogni annualità che lo corteggiavano vistosamente, preparandogli pranzi, portandogli omamori per la salute, la fortuna e lo studio e cioccolato a San Valentino, l'ammirazione di Haru era passata del tutto inosservata. Non si era mai reso conto che lei fosse tra quelle che aveva inconsapevolmente conquistato.
-Ma a quanto pare, quel Gokudera san è davvero come sua madre... un ricordo che vivrà solo nel cuore delle persone che lo hanno amato...- disse Haru con la voce incrinata. -Mi dispiace di aver disturbato...-
Gli fece un inchino di saluto e fece per andarsene. Si trattenne solo un momento e, esitante, lasciò sulla scrivania una busta rosa confetto. Subito dopo corse via chiudendosi la porta alle spalle.
Ancora sconvolto, Hayato si avvicinò alla scrivania senza neanche accorgersi che la sua sigaretta di marijuana si era spenta. Prese la busta rosa, che aveva lo stesso profumo di fiori della ragazza che l'aveva abbandonata, e l'aprì. Conteneva un biglietto decorato con un bottone a forma di cuore in legno grezzo, dove gli si facevano i migliori auguri per il suo compleanno.
Hayato non seppe spiegarsi che cosa l'aveva ferito di quello che aveva visto e sentito, ma all'improvviso gli sembrò di avere un coltello piantato nel cuore. Il dolore al petto era fortissimo, quasi come il primo giorno che aveva saputo della morte della madre. Le lacrime scesero, sembravano dense e bollenti come sangue, ma durarono pochi attimi. Hayato se le asciugò con il polsino e spalancò la finestra.
-HARU! HARU! ASPETTA!-
La ragazza, che si stava dirigendo verso il cancellino del giardino, alzò gli occhi verso la finestra. Hayato non pensò nemmeno di fare tutto il giro: scavalcò il davanzale della finestra, scivolò lungo la tettoia e saltò giù nel giardino, urtando il prato con meno grazia di quanta sperasse. Haru lanciò un gridolino e lo raggiunse di corsa.
-Gokudera san! Stai bene? Sei ferito?-
-Haru... Haru...-
-Aspetta, chiamo qualcuno...-
Hayato allungò il braccio non dolorante e l'afferrò per il gomito, obbligandola a restare dove si era inginocchiata. Le sue calze bianche si erano sporcate di terra ed erba nella foga di soccorrerlo.
-Sarò di nuovo quella persona.-
-Co... come?-
-Sarò di nuovo il Gokudera di cui ti sei innamorata... quello che viveva con mia madre e di cui era fiera.- disse Hayato, vedendo la vista annebbiarsi per le lacrime. -Te lo prometto...-
Haru non chiese, come si aspettava, che cosa avrebbe fatto, se avrebbe smesso con le droghe, né espresse dubbi sul fatto che fosse sincero. Gli gettò le braccia al collo e pianse e rise mentre gli rimproverava di essersi praticamente gettato dalla finestra quando lei non aveva nessuna intenzione di scappare via.

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Capitolo 4
*** Creature della notte ***


Tsunayoshi quel giorno restò fuori fino a tardi, isolandosi dopo una giornata pesante come sempre a scuola, dando fondo alle sue riserve di "fragoline", come le chiamava lui, e smaltendo la gran parte delle sue allucinazioni in un parco abbandonato in una zona piuttosto decadente della sua città. Là, tra un'altalena semidistrutta, uno scivolo ammaccato e rugginoso e i resti divelti di una giostra, aveva osservato le stelle danzare sorridendo e lui stesso aveva giocato come un bambino, da solo, in quel desolante luogo. Alla fine, quando le stelle sue amiche avevano lasciato il posto a stelle immobili e lontane, si era deciso ad alzarsi dallo scivolo e quantomeno a controllare il suo cellulare.
Non fu sorpreso di trovare una lunga lista di telefonate senza risposta di sua madre, e nemmeno lo sorprese trovarne una di Yamamoto, e una modesta quantità di messaggi. Chiaramente erano preoccupati di non sentirlo, e Takeshi scriveva di aver chiamato a casa e di aver saputo che non era rientrato. Dapprima lo pregava di chiamare la madre o tornare a casa subito, perchè era molto in ansia. Il suo tono però peggiorava di messaggio in messaggio, fino all'ultimo che ghiacciò il sangue a Tsunayoshi.
"Se non chiami subito a casa o non torni entro dieci minuti, dirò ai tuoi genitori che tipo di persone frequenti e cosa c'è in quelle caramelle veramente."
Per un terribile, lucidissimo momento di panico, Tsunayoshi pensò a Yamamoto che raccontava il suo segreto alla madre e al padre. Sua madre come avrebbe reagito? Sarebbe scoppiata in lacrime, ma al tempo stesso sarebbe stata furiosa, avrebbe preso a controllarlo ogni momento, a frugare ogni tasca e ogni nascondiglio possibile, per impedirgli di tornare a casa con delle droghe... non gli avrebbe più dato i soldi per comprarla, non la poteva più ingannare con delle storie inventate su abbonamenti in centri ricreativi e ripetizioni di scuola...  e suo padre...
Stava per telefonare subito a casa pensando febbrilmente a una scusa qualsiasi per aver fatto un'ora tanto tarda, dato che era quasi mezzanotte era piuttosto difficile accampare una storia, ma la fatica di trovarne una in pochi secondi gli fu risparmiata dal cellulare che diede un debole bip e si spense a causa della batteria scarica. Tsunayoshi si infilò la felpa, ficcò il cellulare inutilizzabile nella tasca e prese a correre uscendo dal parco. Non era mai stato tanto agitato: l'effetto delle droghe andava esaurendosi ed era terrorizzato che i suoi genitori già sapessero tutto. Non passava mai tanto tempo con suo padre, spesso via per lunghi viaggi di lavoro, e quando era a casa Tsunayoshi faceva di tutto per evitarlo. Non poteva prevedere come avrebbe preso una simile notizia, poteva essere capace di qualsiasi cosa, per quanto ne sapeva lui.
Il corpo poco atletico del ragazzo non lo assistette a lungo e dopo qualche minuto si aggrappò a un lampione spento lungo il marciapiede per non cadere a terra mentre recuperava disperatamente il fiato. Non era in grado di farsela di corsa fino a casa, e provandoci avrebbe finito soltanto per passare più tempo a riposare che a muoversi. Con la salivazione ai massimi storici e una milza che lanciava fitte terribili, Tsunayoshi si rimise in marcia al passo più veloce che potesse tenere.
La strada era lunga e in quella zona della città era anche piuttosto buia. Ogni tanto vedeva qualche tipo incappucciato o con lunghi cappotti scuri che camminavano da soli, gettando intorno occhiate furtive. Incrociò un gruppo di ragazzi, tutti con le stesso giubbotto verde militare, intenti a fumare e spartirsi del denaro tra loro in un vicolo stretto con dei vecchi bidoni rovesciati e arrugginiti da cui saliva un odore acre e sgradevole. Tsunayoshi tirò dritto più in fretta che potè e raggiunse una zona più illuminata, ma aveva la sensazione di sentire passi dietro di lui, di vedere delle altre ombre proiettate dai fari delle auto che lo superavano nella notte. Ogni volta che si voltava di scatto, gli pareva che i passi finissero, ma sentiva che qualcuno lo seguiva, anzi, che lo inseguiva. Spaventato, riprese a correre senza voltarsi e sentì che i passi si moltiplicavano, quei ragazzi lo stavano rincorrendo, aveva visto qualcosa o qualcuno che non doveva vedere? Avevano pensato appartenesse a una banda rivale, o era solo il prossimo bersaglio?
Tsunayoshi corse a perdifiato, svoltò un angolo e inciampò ruzzolando per terra in una stretta stradina. Accanto a un bidone della spazzatura individuò qualcosa di simile a un bastone e lo afferrò d'istinto, scoprendo al tatto che era di metallo e lo identificò come il manico rotto di qualcosa, forse un attrezzo domestico. Si rialzò, così armato, e si sforzò nonostante la gran fatica di percorrere tutta la strada e sbucare su una strada famosa per i molti negozi. Erano chiaramente tutti chiusi, ma erano ben illuminati da lampioni e faretti sulle insegne.
Con una coltellata nel torace a ogni respiro, il sudore che gli appiccicava i capelli sulla fronte, Tsunayoshi cercò di ascoltare per sentire se lo stessero ancora seguendo, ma con suo sollievo non udì niente che somigliasse a dei passi. Sorrise sollevato e chiuse gli occhi lasciando cadere il manico rotto a terra, in quel momento dimentico della tragedia che poteva essere in corso a casa sua, ma poi il grande orologio del quartiere commerciale lo informò che erano trascorsi otto minuti dalla mezzanotte. Pensò che doveva affrettarsi ad andare verso casa, ma mentre si voltava in direzione della sua abitazione udì qualcosa.
Era uno strano suono, come un ticchettio metallico. Alzò gli occhi al grande orologio, ma si accorse che quello non aveva lancetta dei secondi. Mentre il rumore cresceva, il panico si impadronì di lui, tanto che raccolse la sbarra da terra e la impugnò come un giocatore di baseball avrebbe impugnato una mazza. Si guardò nervosamente intorno, posando lo sguardo su un negozio che esponeva qualche bacheca di gioielli, poi sugli scaffali di una libreria, poi sulla serranda chiusa di un negozio di bento...
Fu allora che capì che il suono, ormai martellante, non era un ticchettio, ma una specie di secca risatina. Atterrito, si voltò lentamente fino a guardare il negozio davanti al quale si era fermato. 
Ed eccolo lì: era una strana forma, un inquietante essere ricurvo, accovacciato su un albero scheletrico, che ridacchiava a più non posso, con gli occhietti malefici illuminati di rosso puntati su di lui. L'essere, qualunque cosa fosse, ridacchiò sonoramente e tese una scheletrica manina unghiata verso la sua faccia, mostrandogli qualcosa che ne pendeva. Con una stretta gelata alle viscere capì che era il corpo mutilato di una donna, che sanguinava ancora, illuminata dai lampi...
-NO!-
Tsunayoshi gridò con tutto il fiato che ancora possedeva e colpì l'essere con il manico rotto, più volte, e quello si crepò come fatto di vetro, lanciando delle urla assordanti. Continuò a colpirlo, deciso a farlo finchè quel suono tremendo non avesse smesso di sfondargli i timpani, e quello perdeva pezzi, frammenti che si staccavano uno dopo l'altro; uno di quelli ferì il ragazzo in faccia procurandogli un forte bruciore, ma non si poteva fermare finchè non avesse smesso di urlare...
-Mettila giù!- gridò una voce dietro di lui, tentando di sovrastare il frastuono dell'esserino. -Tu! Smettila con quell'affare, mettilo giù e alza le braccia!-
Tsunayoshi ignorò del tutto la voce che gli arrivava da lontano e sollevò il manico per colpire di nuovo, ma qualcosa bloccò l'arma e gli impedì di abbassarla. Si decise a voltarsi e vide un uomo robusto con delle cicatrici sul viso torreggiare su di lui, ed era quel colosso a tenere la sua arma. L'uomo gliela tolse di mano con uno strattone.
-No! Mi serve!- gridò Tsunayoshi. -Devo finirlo, mi serve!-
Un secondo uomo, quello che aveva parlato in precedenza, lo afferrò e lo trascinò lontano dal negozio, verso un'auto parcheggiata, e ce lo spinse dentro senza richiudere la portiera. L'urlo della creatura cessò all'istante.
-Ha preso qualcosa?-
-Non c'è niente da prendere qui.- disse l'uomo con le cicatrici. -È un negozietto di idee regalo, non c'è niente di prezioso.-
-È morto?- domandò Tsunayoshi.
Entrambi gli uomini lo guardarono con perplessità, senza rispondere. Perchè non rispondevano? Voleva sapere se quell'essere fosse morto... non sapevano dirglielo? O erano, come lui, spaventati dalle fattezze terribili della creatura?
-Chi è morto?-
-Quell'essere!- sbottò il ragazzo. -Quell'essere, quello con quegli occhi, e la mano...-
In quel momento Tsunayoshi comprese tutto, in un picco di lucidità. All'interno del negozio, ora illuminato dai fari dell'auto della polizia, brillavano due piccole luci rosse, provenienti da un computer e un interruttore sulla parete. La cosa che aveva pensato essere una mano unghiata era un gancio che sosteneva non il corpo decapitato di una donna, ma un piccolo manichino ricoperto di gioielli e accessori rossi. L'albero scheletrico che aveva visto era un elaborato affresco dipinto sul muro del negozio. Il motivo per cui l'essere andava in pezzi mentre lo colpiva era solo il fatto che stava colpendo e sfondando la vetrina...
Il ragazzo si coprì la faccia con le mani tremanti e doloranti. In preda dalle allucinazioni aveva visto cose che non esistevano in una vetrina e l'aveva sfondata, e i poliziotti avevano risposto all'allarme... era quello il grido che cercava di far cessare... e ora non avrebbe avuto altra scelta che dire tutta la verità, cioè che erano state le fragoline a fargli vedere cose da cui pensava di doversi difendere, o andare in prigione per aver vandalizzato un negozio. Era sconvolto. Finora la droga non gli aveva mai dato allucinazioni spaventose, tutt'altro, lo aveva cullato in luoghi tranquilli, piacevoli, pacifici, sotto a stelle danzanti...
-Perquisiamolo... controlliamo se ha rubato qualcosa...-
-No, lo vediamo alla centrale.- disse l'uomo con le cicatrici. -Questo ragazzino ha qualcosa che non va, portiamolo là e vediamo di trovare i suoi.-
Tsunayoshi non disse nulla mentre gli mettevano le manette e lo chiudevano nell'auto. Si limitò a gettare un'occhiata alla vetrina distrutta, poi alla seconda auto che arrivava sul posto, per poi alzare gli occhi al cielo. 
Le stelle non sorridevano.

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Capitolo 5
*** Eclissi di luna ***


-Oh, Isabella!-
Mukuro entrò nel camerino e raggiunse Isabella, questo il nome d'arte del suo collega drag queen, ai mobili da toelette. Lui era già vestito dei suoi panni femminili, e già ben calato del ruolo come ogni volta. Isabella si voltò a guardarlo e quando lo riconobbe gli sorrise ampiamente con le labbra tinte di viola intenso.
-Romi chan, bellezza!-
Mukuro andò a sedersi al suo mobiletto e come ogni volta che si incrociavano prima del lavoro, si accesero una sigaretta e scambiarono un po' di notizie sul lavoro dei giorni precedenti o sulle loro vite private, anche se il primo di questi argomenti era certamente il più gettonato. Dopo aver discusso di un certo contabile cliente fisso del posto che aveva raggiunto nuovi livelli di frottole raccontate per incantare le ragazze, per Mukuro era giunto il momento buono di farsi la dose per affrontare il lavoro. Estrasse quindi la consueta cartina chiusa dalla borsa.
-Ti va una dose con me? Questa roba è proprio fantastica, me l'ha data quello nuovo.-
-Nuovo? Chi?-
-Ran chan! Non lo hai visto? È uno schianto, mica come quel cosetto puzzolente di Yacchan...-
-Ma quando è arrivato? Adesso?-
-No, no, era qui ieri sera... Yacchan è stato silurato, ha fatto il furbo tagliando la roba e intascandosi il margine... beh, è sempre stato disonesto, ricordi quando ha spacciato l'ossicodone per vicodin?-
-Romi chan... Yacchan non è stato silurato...-
-Come no, me lo ha detto ieri...-
-Yacchan è stato arrestato ieri mattina presto.-
Mukuro si bloccò e girò lentamente la testa per guardare Isabella. Sapeva che abitava in una zona vicina alla casa di Yacchan in città, così come sapeva che nei suoi panni di Kousuke usciva ogni mattina a fare jogging. Più di una volta gli aveva raccontato aneddoti sul loro spacciatore perchè lo vedeva dalle finestre o lo incrociava di ritorno da una nottata impegnativa. L'espressione di Isabella, poi, era decisamente marmorea sotto il trucco pesante e la parrucca riccia.
-... Se Yacchan è stato arrestato, allora...-
-Quello ti ha mentito sul motivo dell'assenza di Yacchan.- concluse Isabella. -Romi, sai cosa vuol dire, vero?-
Mukuro non rispose, ma il colorito defluì quasi immediatamente dal suo viso. Senza aggiungere un'altra parola, riprese la borsa e il cappotto mentre Isabella raccoglieva i suoi vestiti maschili e li ricacciava velocemente nella sua sacca da palestra. Se quel ragazzo si era inventato una punizione del cartello senza accennare all'arresto, molto probabilmente era un informatore della polizia... o peggio, un poliziotto lui stesso. Mukuro non poteva credere di essere stato tanto incauto da comprare della droga da un completo sconosciuto senza accertarsi di chi fosse. E ora, come avrebbe fatto, dove sarebbe andato? Gli aveva pure rivelato il suo vero nome, gli aveva dato ogni mezzo per ritrovarlo.
Furioso con se stesso, Mukuro uscì dal camerino dirigendosi verso la porta del locale. Cercò di fare una tabella di marcia: per prima cosa doveva uscire dal Quarto di Luna, doveva andare a casa, cambiarsi, prendere le cose più importanti e uscire... poi doveva ritirare tutti i soldi che aveva lasciato in banca che, sommati a quelli che teneva in casa, gli avrebbero permesso di lasciare la città tranquillamente. Sapeva a chi rivolgersi per cambiare identità e scomparire...
-Fai molta attenzione, Romi... buona fortuna!-
Isabella gli lanciò un bacio e si affrettò ad attraversare la strada e a sparire in un bar squallido ma affollato lì vicino. Mossa astuta la sua: avrebbe potuto mescolarsi alla clientela alticcia, raggiungere il bagno dove struccarsi, vestirsi da uomo e abbandonare vestiti, trucco e parrucca compromettenti. Quello fu forse l'unico momento in cui Mukuro maledisse la sua stupida idea di non cambiarsi al lavoro e di non usare una parrucca, magari ben fatta, ma della quale sbarazzarsi all'occorrenza...
Accelerò il passo proprio mentre una, due, tre auto della polizia sterzavano inchiodando di fronte alla porta del Quarto di Luna. Gettò loro un'occhiata allarmata e scomparve nel primo vicoletto che attraversò correndo, incespicando in ostacoli non identificabili a causa del buio. Sentì voci gridare ordini, rumori e tonfi di portiere, altre frenate. Non si fermò finchè non sbucò sull'altra strada, dove credeva di essere al sicuro, almeno finchè un'altra volante non inchiodò davanti a lui rischiando quasi di investirlo. Scesero immediatamente due poliziotti che si gettarono su di lui afferrandolo per le braccia.
-No! Non ho fatto niente, lasciatemi! Non... con quale diritto mi fate questo?!-
Sempre riversando su di loro insulti e proteste, Mukuro venne dapprima ammanettato e poi trascinato fino all'entrata del locale, dove c'erano più cellulari pronti a caricare i clienti e le ragazze trovate in possesso di sostanze o colti in flagranza di reato. Smise di protestare unicamente quando vide tutte le sue colleghe su uno dei furgoni, e il contabile cliente contaballe che saliva mesto e pallido su un altro.
-Ispettore, abbiamo trovato diverse irregolarità nel locale, e un quantitativo di eroina e di pillole presumibilmente destinato alla vendita in un privé.-
Quella voce fece voltare Mukuro così repentinamente che uno dei poliziotti che lo tratteneva per il braccio si vide sfuggire la presa quasi senza rendersene conto.
-TU!-
L'agente che stava facendo rapporto al suo superiore aveva i capelli bianchi come la neve e occhi viola scintillanti. Era indiscutibilmente Byakuran. La sua sola vista in uniforme da poliziotto bastò a scatenare un istinto molto simile a quello omicida in Mukuro: scattò verso di lui riuscendo quasi a sfuggire a entrambi gli agenti che lo trattenevano e Byakuran, vedendolo a meno di un metro da sè, sussultò facendo un passo indietro.
-SCHIFOSO... PERVERTITO... DI MERDA!- gridò Mukuro tentando di arrivare a lui con un calcio, sotto gli occhi attoniti dell'ispettore. -Sei stato tu... io ti... ammazzo... vieni qui!-
-Stai ferma!- gli intimò uno degli agenti.
-Sali!-
I due uomini lo trascinarono a fatica verso il furgone delle ragazze del night club, quando Byakuran si riebbe dallo shock della tentata aggressione.
-Ehi! Non lì, quello è un uomo, va sull'altro furgone...-
-Non te ne fregava niente quando ti sei calato le braghe, schifoso!- sbottò Mukuro.
-Che sta dicendo?- domandò l'ispettore.
-Non ne ho alcuna idea, ispettore. Sta vaneggiando, è chiaramente...-
Ma cosa fosse chiaramente Mukuro Byakuran non riuscì a dirlo, perchè fu colpito in faccia da una scarpetta lilla con il tacco, che andò a piantarglisi sulla fronte con estrema precisione. Il colpo gli strappò un gemito e lo costrinse suo malgrado ad aggrapparsi alla macchina accanto coprendosi la zona ferita con la mano libera.
-Ti sta bene! Non dovete tenerlo in polizia, quello è il tipo di porco che ferma le donne da sole per un controllo di patente e libretto e le molesta sessualmente per non fare la multa!-
-Chiudi la bocca... porca miseria, fatela tacere!- sbottò Byakuran, a sua volta dimentico del fatto che non avesse davanti una donna e usando il femminile. -Portate via quella drogata!-
-Io... come osi... tu, maiale traditore e corrotto...-
Mukuro sfuggì ancora una volta al poliziotto e dato che avevano commesso l'incredibile leggerezza di ammanettarlo con le mani davanti anzichè dietro la schiena, fece in tempo a sfilarsi la seconda scarpa e a lanciarla verso Byakuran, mancandolo di pochi centimetri. Prima ancora di sapere se il colpo sarebbe andato a segno, gli lanciò la borsetta colpendolo sulla spalla.
-Ne ho ancora, cosa credi, infame...-
Stavolta gli agenti intervennero più convinti impedendogli di togliersi gli orecchini e di scagliare anche quelli, seppure fosse consapevole che non avrebbero causato alcun danno degno di nota. Era fuori di sè dalla collera, non era mai stato tanto furioso in vita sua.
-Io ti rovino, hai capito?!- gli gridò dal furgone dove le sue manette erano state assicurate a una robusta sbarra. -Ti denuncio per stupro di minorenne! Oh sì, brutto stronzo, io non ho ventun anni!-
Byakuran assunse un'espressione decisamente indecifrabile, ma Mukuro non potè studiarla meglio, perchè una volta salito un altro uomo, uno dei baristi del locale, il portello del cellulare venne chiuso precludendogli la visuale. Si lasciò cadere sulla lastra di metallo che aveva la pretesa di essere una seduta per detenuti e sbuffò. Si sentiva ribollire di rabbia, si era sentito meglio a inveire a squarciagola contro Byakuran. In un secondo momento si guardò le calze e si chiese se avrebbe potuto riavere le scarpe lilla. Gli erano costate parecchio.
-Romi...-
Alzò la testa e si accorse che accanto a lui era seduto il contabile. Aveva un'aria afflitta e una brutta cera; era pallido e sudato. Pareva stesse per svenire, anche la sua voce era debole.
-Tu... sei davvero un uomo?-
Mukuro ponderò l'idea di mentirgli, perchè gli pareva che temesse quasi la risposta. Alla fine, invece, annuì.
Il contabile irrigidì i muscoli del volto, sembrava quasi soffrire fisicamente. Mukuro lo guardò dalla testa ai piedi, chiedendosi se non fosse magari stato buttato a terra e soffrisse per una effettiva ferita.
-E davvero sei minorenne?-
-Sì...-
Il furgone partì facendo oscillare i detenuti a bordo per un momento, poi il rumore del motore fu l'unico suono per qualche lungo minuto.
-Perchè mi hai detto queste bugie, Romi chan... non è corretto... voglio dire...-
-Oh, ma piantala! Tu racconti frottole più grosse di queste ogni giorno!-
Il contabile tacque. Fece uno strano movimento, come se avesse tentato di portare le mani avanti per prendere il fazzoletto nella tasca, come faceva spesso quando iniziava a sudare per il caldo, ma ovviamente dovette desistere. Tornò a fissarsi le scarpe con aria decisamente depressa e a quella vista Mukuro si sentì in colpa per tutta la situazione. In fondo quel poveretto era solo un uomo molto solo che si voleva svagare dopo dure giornate di lavoro, era un brav'uomo che beveva poco e non si drogava, voleva solo qualche bella ragazza che lo ascoltasse, e raccontava storie per cercare di sentirsi più interessante. Se era lì era solo a causa di ragazze drogate e in qualche caso minorenni...
-... Mi dispiace di non avertelo detto, ma... beh, tu non mi hai mai chiesto se ero un uomo.-
L'ometto assunse una delicata sfumatura verdognola e non rispose.

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Capitolo 6
*** Il buio prima dell'alba ***


-Che succede, oggi?-
Il ragazzo alla scrivania della centrale tentava di raccapezzarsi tra le mucchie di post it e di rapporti cartacei sparpagliati in giro. Byakuran si avvicinò per aiutarlo nel momento in cui parecchi agenti entravano dall'ingresso principale scortando le ragazze del locale, i clienti accalappiati nella retata, un paio di ubriachi molesti e litigiosi e, in ultimo, Tsunayoshi. Sembrava ancora più piccolo del solito, stringendo le spalle e lanciandosi intorno occhiate timorose.
-Aspettate, questi sono...?-
-Questi qua, questi qua.- fece Byakuran con un tono stizzito, sventolando dei fogli. -Dai la precedenza a questi...-
-Solo perchè hai combinato una cosa grossa non hai la precedenza.- gli rimbeccò il poliziotto con le cicatrici, avvicinandosi. -Prima si deve smaltire il resto, e la chiamata per il nostro scasso è arrivata prima.-
Nell'ora seguente ci fu un vero caos in centrale. Agenti che litigavano per la priorità di questo o quel caso, rapporti da firmare o da correggere, impronte da rilevare e catalogare. Tsunayoshi venne messo nella cella provvisoria insieme a un uomo alto, robusto e rasato vestito di pelle; un tizio con gli occhiali palesemente ubriaco che dormiva sdraiato sulla panca e un vecchietto che borbottava ininterrottamente sottovoce. Aspettò lì per un tempo che gli parve lunghissimo, e la mancanza di ketamina iniziò a farsi sentire con un tremore alle mani e un senso di stanchezza intensa, ma tentò anche i pizzicotti pur di non addormentarsi. Addormentarsi in quella situazione poteva essere quasi letale...
-Ehi, ma chi ha messo questo qui nella cella con le donne?-
Tsunayoshi sobbalzò e si girò verso l'agente che aveva parlato. Era il ragazzo dai capelli bianchi che cercava di scavalcare le pratiche per spingere la sua, facendo innervosire il tipo con le cicatrici che lo aveva arrestato. Il poliziotto stava redarguendo qualcuno che Tsunayoshi non poteva vedere dalla cella, e indicava una persona nella cella di fronte, dove c'erano molte ragazze con vestiti appariscenti e tacchi alti.
-Che succede, Byakuran...?- fece un agente con gli occhiali.
-Chi ha messo questo nella cella delle donne? Ve l'ho anche scritto, quello è un uomo, deve stare nell'altra cella!-
Le ragazze si guardarono intorno perplesse. Tsunayoshi, osservandole, non ne distinse nessuna che sembrasse colpevole, né alcuna l'avrebbe potuta scambiare per un uomo, in verità. Fu con un vago interesse che osservò Byakuran entrare nella cella e andare a prendere per il braccio una ragazza con i capelli lunghi, un vistoso vestito da maid e l'aria decisamente belligerante.
-Non mi toccare!-
-Falla finita, Mukuro.-
-Romi!- sbottò lui. -Io mi chiamo Romi!-
-O tu sei la persona più cocciuta del pianeta, oppure hai un serio problema di doppia personalità.-
-Tu hai un problema più serio di corruzione!- fece quello mentre Byakuran gli chiudeva la porta della cella alle spalle. -Oltre a uno serio davvero con le dimensioni.-
Byakuran lo fissò visibilmente infastidito mentre le ragazze dell'altra cella ridacchiavano. Tsunayoshi vide la ragazza -o non era una ragazza?- sorridere con aria soddisfatta. L'agente sbattè con forza il manganello sulle sbarre facendo tacere all'istante tutte le ragazze ridacchianti e facendo sussultare non solo Tsunayoshi, ma anche il vecchio, che smise di mormorare. Romi o Mukuro che fosse, sorrise.
-Oh, è molto meglio, avrei voluto che mi avessi fatto vedere questo...-
Infastidito e con lo sguardo decisamente invelenito, Byakuran se ne andò e l'agente con gli occhiali lo seguì titubante. Mukuro sbuffò e si girò, guardando gli occupanti della cella.
-Buonasera a tutti... oh, posso sedermi qui?-
Tsunayoshi ci mise un po' a capire che stava parlando con lui, ma Mukuro non se ne ebbe a male e prese posto accanto a lui. Nel momento in cui si sedette fece un sospiro molto teatrale.
-Questo è piuttosto imbarazzante, in effetti.-
Tsunayoshi lo guardò sorpreso ma non fu l'unico: anche le ragazze dall'altra cella lo guardarono e iniziarono a parlottare piano fra loro. Anche l'uomo grosso e rasato lo fissava con sorpresa e ne aveva ben donde, dato che la sua voce e il suo tono erano cambiati completamente. Lo spettacolo era finito e Romi era tornata a essere Mukuro, tanto che sembrava a disagio vestito in quel modo.
-Ecco che succede ad andare al lavoro senza un cambio. Vedi? Adesso dovrò stare vestito così fino a... boh, in realtà fino a quando? Non so nemmeno che ore sono, quanto tempo staremo qui?-
Tsunayoshi non lo sapeva, pertanto non rispose. Non sapeva neanche se avessero chiamato i suoi genitori, cosa stessero facendo, dove fossero. Non sapeva cosa lo aspettava, e le mille angoscianti prospettive unite alla mancanza di ketamina lo rendevano tanto nervoso che tremava dalla testa ai piedi. Sarebbe finito in prigione? Non si era mai preoccupato di questo aspetto della sua dipendenza, e al momento gli pareva di aver sempre passeggiato su un ponte binario cosciente della possibilità di mettere un piede in fallo e cadere, ma senza ponderare la possibilità di un treno in arrivo...
-Stai tremando tutto... ti senti bene?-
Tsunayoshi incrociò gli occhi blu di Mukuro e si sorprese di vedere che sembrava preoccupato. In qualche modo gli faceva affiorare qualcosa alla memoria, ma non abbastanza nitidamente...
-Come ti chiami?-
-Tsu... Tsuna...-
-Tsuna? Che nome è mai Tsuna?-
-Tsuna... è che... mi chiamo Tsunayoshi...-
Mukuro lo guardò e sorrise.
-Hai un bel nome, perchè mai abbreviarlo in un modo così brutto?-
Che Tsunayoshi potesse ricordare, era la prima volta che qualcuno trovava bello il suo pomposo nome da Shogun della famiglia Tokugawa, o almeno era la prima volta che qualcuno lo preferisse a tal punto da non abbreviarlo.
-Tu... tu come ti chiami?-
-Ah... Mukuro, in realtà.- ammise lui con una vaga irritazione. -Ma quando lavoro sono Romi. Romi è un nome molto più bello.-
Passò qualche tempo, mentre i due parlavano come se fossero stati su un treno o comodamente seduti in un caffè. Ogni tanto sopraggiungeva un agente a controllare che cosa stesse succedendo, ma se ne andava senza trovare un motivo per rimproverarli. Tsunayoshi sentiva intensamente la mancanza della droga, ma in qualche modo parlare con Mukuro riusciva a non farlo affogare nei soliti pensieri cupi e nel panico. Era strano pensare che non era in grado di parlare con sua madre senza ketamina ma fosse così semplice con lui, e Mukuro sembrava avere un sacco di cose da dire, a partire da come mai facesse quel lavoro come travestito fino alle cose che più gli piacevano, come la cioccolata, i gatti, la musica, i fumetti, i libri e il cinema. A quanto pareva non era un amante dell'aria aperta o delle attività sportive, anche se confessò che gli piaceva il ballo.
Tsunayoshi fu sorpreso e anche un po' deluso di non sapere cosa dire quando gli fu chiesto che cosa gli piacesse. Non aveva mai avuto animali domestici e aveva paura dei cani, era un disastro in qualsiasi attività manuale o sportiva, non leggeva mai se non qualche manga... persino in termini di cibo pareva gli piacesse tutto, più o meno.
-Che cosa prendi?- gli chiese allora lui, più serio.
-C-come, scusa?-
-Sei in astinenza da qualcosa... che cosa prendi?-
Tsunayoshi si guardò le mani che tremavano a più non posso e seppe che mentire era inutile. Strinse le dita più forte che poteva, ma non riuscì a fermale in ogni caso.
-Prendo... ketamina.- rispose in un sussurro appena udibile. -Per questo sono qui... mi ha... fatto vedere una cosa che non esisteva e ho distrutto la vetrina di un negozio.-
L'espressione di Mukuro si fece distaccata, quasi fredda, per un momento. Dopodichè, si sforzò di sorridere.
-Gli allucinogeni sono molto pericolosi, Tsunayoshi... io non sono certo un esempio di buona condotta nella vita, e so cosa significa avere una dipendenza da droghe, ne ho provate diverse... ma gli allucinogeni... potresti morire senza nemmeno accorgertene... avresti potuto vedere qualcosa di spaventoso nella stanza e lanciarti da una finestra per sfuggirgli, o tagliarti la mano per eliminare un parassita... credimi... l'ho visto succedere...-
Tsunayoshi lo guardò sconvolto, senza riuscire a togliersi dalla mente l'idea di lui stesso che si lanciava da una finestra della scuola. Aveva sempre sperimentato allucinazioni giocose e piacevoli, prima di passare alla ketamina e imparare ad associarla a stelle danzanti e amichevoli. Gli era capitato di vedere farfalle, di sentire canti lontani e cinguettii che non esistevano, gli era successo di sentire odori di cibi golosi... ma mostri, parassiti... l'essere nella vetrina era in assoluto la sua prima sgradevole esperienza.
Con suo sommo imbarazzo, si ritrovò con la testa appoggiata contro la spalla di Mukuro. Non se ne accorse ma arrossì vistosamente, pensando disperatamente a come interrompere quella situazione, ma poi la guancia entrò in contatto con il petto caldo e gli salì alle narici un buon profumo. In modo vagamente simile, ma molto più blando, gli ricordò il piacevole senso di abbandono delle sue fragoline, e si lasciò anche accarezzare la testa.
L'uomo rasato li fissava insistentemente, per la stranezza dell'intero quadretto, e Tsunayoshi gli ricambiò lo sguardo notando un ragno tatuato sopra la sua mano. La sua mente deviò in un mondo di piccoli mostriciattoli che risalivano le gambe e le braccia...
-Conosci qualcuno che si è tagliato una mano davvero?-
Mukuro fissò il muro scrostato della cella e annuì piano.
-Conoscevo un ragazzo... lui è... morto per le allucinazioni... un giorno ha preso qualcosa di diverso, o forse dosi esagerate, non lo so questo, ma... era convinto di vedere una specie di... parassita alieno con molte zampe nere che cercava di attaccarsi a lui... quella notte si è colpito la mano con un coltellino fino a staccarsela, e poi si è suicidato piantandosi la lama in gola...-
Tsunayoshi serrò gli occhi come se dovesse fronteggiare un forte dolore fisico. Si chiese che cosa gli sarebbe potuto succedere se i poliziotti non lo avessero trovato e fermato subito. Avrebbe visto di nuovo la strana creatura? Avrebbe visto altri inquietanti esseri? Avrebbe potuto finire per ferirsi seriamente o uccidersi nel tentativo di difendersi da qualcosa che era solo nella sua testa?
-Non pensare a queste brutte cose adesso.- disse piano Mukuro. -Cerca di riposare un po', appoggiati a me.-
Tsunayoshi non sapeva davvero come avrebbe potuto non pensare a parassiti, ragni e altre creature orribili, ma l'astinenza gli prosciugava davvero le forze. Accondiscendente si sdraiò sulla panca e posò la testa sulle gambe di Mukuro, scivolando rapidamente nel sonno. Per la prima volta da una vita intera si sentiva protetto, anche se la sua sicurezza era nelle mani di un uomo che non aveva mai visto prima.

Meno di un'ora dopo che Tsunayoshi si addormentò sulle gambe di Mukuro, un totale silenzio gravava sulle celle. Tutte le ragazze dormicchiavano l'una appoggiata all'altra, persino il vecchietto mormorante si era appisolato e ronfava lievemente. Mukuro era l'unico ancora sveglio e con lo sguardo perso sul soffitto si chiedeva quanto tempo mancasse all'alba. Aveva una fame terribile, il mal di testa e una lunga serie di infiniti fastidi legati all'astinenza. Non sapeva più come dominare il senso di nausea, temeva di vomitare, seppure non avesse nulla nello stomaco. Chiuse gli occhi nel tentativo di controllare le ondate di nausea regolari e alzò la testa appoggiandola contro il muro alle sue spalle. Aveva talmente fame che sentiva odore di limonata.
-Ehi.-
Mukuro aprì gli occhi, non del tutto certo di aver sentito una voce sussurrare, ma poi fuori dalle sbarre vide l'ennesima figura vestita da poliziotto. La sua espressione divenne marmorea quando riconobbe la chioma bianca.
-Avvicinati.- mormorò lui. -Non ti faccio niente, ma devo parlarti.-
Mukuro si limitò a fare un accenno di sorriso e tornò a chiudere gli occhi.
-Non mi sento bene. Lasciami in pace.-
-Lo so che non ti senti bene, io so che cosa prendi... ti ho portato della limonata.- disse Byakuran in un sussurro solo un poco più forte, allungando un bicchiere attraverso le sbarre. -Ti aiuterà con la nausea.-
Mukuro lo guardò, spostando gli occhi blu dalla sua figura in controluce al bicchiere fumante. Pur disprezzandolo, stava abbastanza male da cedere, quindi spostò con delicatezza la testa di Tsunayoshi e si alzò. Sentiva le gambe di gelatina, faticò a raggiungere la porta. Prese il bicchiere e per poco non si scottò le dita; era bollente. Prese a soffiarci sopra smaniando di poterla bere in fretta.
-Dobbiamo parlare, Mukuro.-
-No, non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo parlare.-
-Smettila con le stupidaggini, per cortesia.- ribattè Byakuran. -Ho parlato con il procuratore del caso.-
-Del caso di una retata di droga o del caso di un poliziotto che va con un minorenne?-
-Del caso che conta veramente, il tuo.-
-Credo che mi riguardino entrambi...-
-Il procuratore chiederà il carcere per te e il riformatorio per il ragazzino, ma i genitori del piccoletto hanno già detto che pagheranno il danno e chiederanno di ritirare le accuse per farlo entrare in una clinica per il trattamento della dipendenza... io ti consiglio di fare lo stesso.-
-No.- disse Mukuro in tono sereno, sorseggiando la limonata.
-Mukuro, finirai in carcere anche se hai solo diciannove anni.-
-Oh, hai fatto i compiti a casa stavolta...-
-Non mi preoccupa cosa succederà a me, in qualche maniera la supererò... tu invece se non ti fai curare morirai.-
-Non è un problema, sono già morto molte volte e mi sono sempre reincarnato.-
Byakuran lo guardò con aria vagamente perplessa, chiedendosi se stesse parlando seriamente o lo stesse solo schernendo. Non riuscendo, in apparenza, ad arrivare a una risposta decise di andare oltre.
-Mukuro, sono sicuro che non sei un ragazzino stupido e sai quando è controproducente intestardirsi sulle idiozie... e questa è una di quelle volte in cui devi riflettere sulla tua situazione.-
-Hai già cambiato il registro da 'quella drogata' a 'figliolo', più o meno.-
-Senti, hai chiacchierato molto stanotte, ma quell'uomo con i tatuaggi tu sai chi è?-
Mukuro, preso leggermente in contropiede, si voltò a scrutare il grosso uomo rasato coi tatuaggi. Al momento dormiva, ma aveva notato che aveva passato tutto il tempo a guardare lui e Tsunayoshi. Non che vi fossero chissà quante emozionanti distrazioni, per cui non ci aveva fatto molto caso, ma effettivamente non aveva detto una parola e non sapeva nulla di lui o del motivo per cui fosse in cella.
-No... chi è?-
-Fa parte di una piccola banda... furti, vandalismo, ricatti, aggressione... finisce dritto in carcere, e quando sarà lì gli farà comodo avere qualcosa di interessante da raccontare a quelli che controllano il braccio dove andrà a finire... potrebbe anche avere qualche nemico da ingraziarsi...-
-Ne consegue che?- lo incalzò con vaga indifferenza Mukuro.
-Ne consegue che ha appena visto un ragazzo che per lavoro intrattiene gli uomini vestito da donna... capisci cosa succede se inizia a raccontarlo a tutti i detenuti?-
Mukuro si bloccò mentre sorseggiava la limonata. Un leggero brivido gli risalì la schiena e lo fece girare quasi inconsciamente verso l'uomo. Sapeva perfettamente che Byakuran aveva ragione, che un'attitudine tanto particolare avrebbe fatto chiacchierare tutti e avrebbe potuto innescare qualche fantasia pericolosa. Se finiva in carcere poteva diventare un bersaglio, e uno molto facile. A meno che non finisse in gabbia con Yacchan, poteva onestamente ammettere di non conoscere nessuno in prigione.
I suoi occhi blu tornarono a guardare il volto pallido del poliziotto, che non era adorno di sorrisi di trionfo come avrebbe immaginato. Aveva un'aria molto seria.
-Fidati di me per questa volta, Mukuro.-
-Hai una bella faccia tosta a dire una cosa del genere dopo avermi giocato quel tiro mancino.-
-Questo lo so bene, ma ora sei nel buio totale... se torni libero morirai, se vai in carcere non potrai nemmeno più dormire senza il terrore che qualcun altro sia sveglio per prenderti o per ucciderti.- fece lui, riprendendo il bicchiere di carta vuoto. -Parla con il giudice domani... fatti mandare al centro per la disintossicazione... prova almeno a riprenderti una vita... un proverbio africano dice che non è mai tanto buio come appena prima dell'alba... forse l'alba è più vicina di quanto credi.-
-... Ora non stai esagerando? Io l'avevo una vita, e tornerò a farla quando mi faranno uscire.-
-Mukuro... ti ho venduto un certo quantitativo di droga e mi hai detto che erano le tue dosi per un solo giorno... con quel consumo di droga morirai prima di diventare maggiorenne.-
Mukuro si irrigidì suo malgrado e non rispose. Non reagì nemmeno quando Byakuran allungò la mano per sfiorargli i capelli prima di andarsene, lasciandosi dietro un denso silenzio e un sottilissimo profumo di limone.

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Capitolo 7
*** Gabbia dorata ***


-Non hai una bella cera, Tsunayoshi.-
Tsunayoshi distolse lo sguardo dall'auto blu che lo aveva portato fino all'ingresso del centro di recupero e notò solo in quel momento l'altra persona che era scesa da un piccolo pullman. Gli ci volle qualche istante per riconoscere in lui Mukuro, poichè l'ultima volta in cui lo aveva visto era ancora vestito e truccato da donna. Quasi gli parve strano vederlo con un paio di jeans e una maglietta stampata a schizzi colorati.
-Mukuro?-
-Sì... ci hai messo così tanto a riconoscermi?!-
-Beh... sì... l'ultima volta eri vestito in maniera... strana.- fece lui stringendo al petto il suo malconcio zainetto rosso. -Per questo non... mi dispiace...-
-Tsunayoshi, sei sicuro di star bene?-
-Non sto bene... da quando mi hanno arrestato non sto mai bene... è stato terribile il ricovero in ospedale...-
Mukuro lo guardò mentre ogni segno di irritazione svaniva. Si avvicinò a lui e gli diede una pacchetta sulla spalla.
-Lo so... è stato terribile anche per me... e sinceramente, non avevo nessuna voglia di venire qui.-
Tsunayoshi non trovò la forza di dirlo, ma anche lui avrebbe preferito quasi essere in carcere piuttosto che pensare di restare rinchiuso per quattro mesi di terapia in una clinica per tossici. Avrebbe voluto tornare alle sue fragoline, a non pensare a niente di spaventoso o triste... avrebbe voluto tornare alle sue stelle sorridenti. Osservare il cielo notturno, immobile e lontano, era come essere costretti a guardare solo un ritratto della persona amata...
-Mukuro kun, Tsunayoshi kun e... Hayato kun?-
Sia Mukuro che Tsunayoshi non risposero alla donna bionda che li aveva accolti, perchè entrambi si guardarono intorno prima di notare un terzo ragazzo molto magro, con i capelli bianchi legati in una piccola coda e un bastoncino di leccalecca che gli spuntava dalla bocca. Quello fu l'unico ad annuire alla donna, prima di sistemarsi la sacca sulla spalla e lanciare un'occhiata quasi riottosa agli altri due. Aveva occhi verdi e brillanti, che colpirono particolarmente Tsunayoshi per la loro forza. Non sembrava essere seccato di trovarsi in un posto simile...
-Benvenuti nel posto giusto, ragazzi... entrate, entrate...-
 -Grazie.-
Il ragazzo di nome Hayato seguì la donna bionda dentro il cortile. Seppur titubante, Mukuro li seguì di buon passo, mentre Tsunayoshi chiudeva il corteo camminando mestamente e guardandosi intorno intimorito. Non vedeva nessuno in giro per i giardini, se non una persona che camminava lungo il muro di un edificio più distante all'interno della recinzione. Non riusciva a distinguere neanche se fosse un uomo o una donna.
L'interno dell'edificio era lineare e pulito, con diverse piante in vaso e molte fotografie di gruppo appese alle pareti. Come lui, anche Mukuro le guardò mentre ci passava davanti e parve sul punto di dire o chiedere qualcosa, ma incrociarono un altro ragazzo che li guardò e sorrise ampiamente. Tsunayoshi avvertì un senso di malessere diffuso e si affrettò a distogliere lo sguardo, aggrappandosi con entrambe le mani allo zainetto come se fosse l'unico appiglio mentre camminava su una corda sospesa nel vuoto.
-Ecco... le vostre camere sono queste, in fila... Hayato kun, Tsunayoshi kun... e qui, Mukuro kun.-
Tsunayoshi si mosse suo malgrado per dare un'occhiata alla stanza come fecero gli altri due. Si trattava di una stanzetta poco più piccola della sua camera da letto a casa, con un letto, una scrivania con lampada da tavolo e qualche scaffale vuoto. Sul piccolo comodino c'era un vasetto colorato contenente una piantina di viole.
-Sistemate le vostre cose... quando siete pronti scendete all'ingresso per compilare dei moduli e poi farete due chiacchiere con il terapista...-
Alla parola "terapista" Mukuro fece uno scatto del capo, come fosse stato infastidito da una mosca, ma non obiettò né commentò la notizia. Buttò la borsa dentro la stanza ed entrò con l'aria di chi ha appena saputo che all'ora del tè avrebbe avuto dei cavolini di Bruxelles da inzupparci dentro. Hayato invece entrò subito senza la minima esitazione. Dava davvero l'impressione di qualcuno contento di trovarsi lì, e questo inflisse un colpo mortale al già bassissimo morale di Tsunayoshi.
Si decise a entrare nella stanza spoglia e posò il suo zaino sul letto. Dalla finestra entrava la luce del mattino e si intravedeva quella che sembrava una piccola serra e un fazzoletto d'orto sul retro dell'edificio. Vedeva anche una parte del complesso dove aveva visto la persona camminare poco prima, ma non capiva se l'orto appartenesse alla clinica, o se l'intera area fosse sempre parte della casa di cura. La cosa che davvero lo colpiva della vista erano le robuste e strette sbarre alla finestra...
Venne distratto da un rumore di nastro adesivo. Chiedendosi da dove venisse abbandonò la sua borsa e si affacciò sulla stanza accanto, ma Mukuro era immobile e assorto come lui prima nella contemplazione del cortile, con le braccia incrociate al petto. Non sembrava interessato a parlare, né a disfare la borsa o a scoprire che cosa fosse il rumore. Forse non lo aveva nemmeno sentito.
Tsunayoshi si spostò senza dire niente a guardare nella stanza del terzo ragazzo e lo vide intento ad attaccare delle fotografie al muro, sopra il suo letto. Le stava sistemando con cura, assicurandosi che fossero ben dritte e perfettamente incollate. Incuriosito, fece qualche passo dentro per vederle meglio: c'era una grande fotografia, un ritratto di una bellissima donna dai lunghi capelli bianchi. Colse all'istante che doveva essere una parente del ragazzo, poichè la somiglianza era lampante. Accanto vide una fotografia di una bella ragazza alta dai capelli lunghi insieme al ragazzo di nome Hayato, e una piccola foto che pareva proprio venire da un annuario della scuola, in cui era ritratta una graziosa ragazza con i capelli castani raccolti in una coda e un bel sorriso spontaneo. Intorno a queste foto ce n'erano altre: scatti di una sala dei concerti con delle esibizioni in corso, un bel pianoforte a coda al quale sedevano la bella donna e un bambino...
-Che cosa vuoi?-
Tsunayoshi sobbalzò e indietreggiò di qualche passo. Non si era accorto di essere arrivato praticamente accanto al ragazzo, preso com'era dalle fotografie. Fu colto dal panico.
-N-niente... io...-
-Allora cosa fai qui?-
Tsunayoshi non seppe cosa dire e si limitò a gettare un'occhiata alle fotografie, poi tornò a guardare gli occhi verdi. In quel momento, qualcosa nello sguardo del giovane sconosciuto si addolcì.
-Le metto qui per non scordare nemmeno per un momento perchè sono qui.- disse, apponendo un altro pezzetto di scotch.
-E... perchè sei qui?-
-Perchè mia madre avrebbe voluto che non arrivassi mai a questo punto... perchè mia sorella vuole che io mi riprenda... perchè devo tornare a suonare il pianoforte... e poi, perchè devo sposare questa donna.-
Tsunayoshi spalancò gli occhi e guardò la fotografia che gli stava indicando. Si trattava della foto dell'annuario con la ragazza col bel sorriso.
-Spo... sposarla?-
-Sì.- fece lui, senza alcuna traccia di imbarazzo. -Quando terminerò la terapia, ci metterò circa un anno per recuperare lo studio che ho lasciato indietro. Se in tutto quel tempo sarò rimasto pulito, lei mi sposerà.-
-Per quale motivo sposare una donna che non accetta quello che sei e le scelte che fai?-
Tsunayoshi e Hayato si voltarono verso la porta, dove un accigliato Mukuro guardava le fotografie e il loro proprietario con altezzoso disprezzo. Con una sorta di tristezza Tsunayoshi pensò a quanto gli fosse sembrato piacevole e gentile quella sera in cella e si domandò se il vero Mukuro non fosse sprezzante e scontroso come quello.
-Amava l'uomo che ero prima di diventare un tossico, per questo devo ritornare a essere lui.- rispose Hayato moderatamente, come se si aspettasse uno scatto d'ira.
-Questo è davvero stupido.-
-No, non lo è.- ribattè Hayato, ora con una punta di irritazione. -Tu non pensi di essere stato migliore prima di iniziare a farti? Tu sei quello che faceva la spogliarellista, no?-
-Non sono una spogliarellista.- fece lui, invelenito. -Lavoravo come drag queen.-
-Beh, quel che è... ti sembra una vita da fare?-
-Io sono sempre stato me stesso... la droga non ha influenzato in nessun modo il mio stile di vita. Avrei fatto lo stesso lavoro nello stesso modo anche se non mi fossi mai fatto di eroina.-
Hayato inclinò la testa e lo guardò con improvviso interesse, come se avesse sorpreso un animale ammaestrato a fare un giochetto insolito. Tsunayoshi occhieggiava entrambi, senza sapere che cosa dire o fare. Sperò soltanto che non si mettessero le mani addosso, perchè non aveva la minima possibilità di riuscire a separarli, per non parlare del coraggio per provarci.
-Quindi facevi quel lavoro prima di iniziare con l'ero?-
-No, non avevo l'età per farlo... anzi, non avevo un documento falso per fare un lavoro del genere. Non ho nemmeno ora l'età per lavorare in un night club.-
-Quindi non sei sicuro di riuscire a fare quel lavoro anche senza le droghe.- puntualizzò Hayato. -Quando hai iniziato eri già dipendente. Non sei sicuro di riuscire a vestirti in quel modo e fare quello che fai senza essere galvanizzato e stordito dalle droghe.-
-Tu... come ti permetti di parlarmi in questo modo?- fece Mukuro, con gli occhi ridotti a fessure tanto si stava irritando. -Io non sono un perdente come te e tanti altri, che si drogano per sfuggire alla realtà. Io lo faccio semplicemente perchè mi piace.-
-O vuoi sfuggire alla realtà che tu sei un uomo e non una donna?-
L'argomento parve infastidire ulteriormente Mukuro, ma fu la frazione di un secondo, e la sua espressione si distese, seppur rimanendo fredda.
-Perchè dovrebbe essere importante la generalità del mio corpo? Nella mia mente io sono completamente libero di essere qualsiasi cosa voglia in qualsiasi momento. Non sono schiavo di formalità come il genere, l'età o altre sciocchezze.-
-Ohh, questo è davvero ammirevole...- lo lodò Hayato, applaudendo tre o quattro volte. -Sì, notevole essere liberi nella mente, quando la mente non fa altro che dire "eroina, eroina, eroina", sì...-
-Non accetto critiche sul mio stile di vita da un tossico.-
-Proprio perchè lo ero so che usavo le droghe per non sentire il peso di quello che provavo o che pensavo. So benissimo perchè si assumono delle droghe. Non raccontare panzane, sei stupido e disperato quanto noi.-
Hayato lasciò la stanza e percorse il corridoio senza aspettare risposte, che tuttavia Mukuro non sembrava intenzionato a dare. Si limitò a lanciargli un'occhiata velenosa, restando a braccia incrociate, e guardò con disprezzo le fotografie. Tsunayoshi lo guardò, chiedendosi se avrebbe potuto dire qualcosa per aiutare quello che avrebbe quasi potuto chiamare il suo nuovo amico, ma non gli venne in mente niente di efficace.
-Ehm... io... pensi dovremmo scendere?-
-Non importa se scendiamo o no... ci verrebbero a prendere.- 
-Come, a prendere...?-
-Le cliniche per la disintossicazione sono delle carceri con scopi di riabilitazione... non hai visto le sbarre?-
Accennò col capo alla finestra e Tsunayoshi la guardò, sebbene le avesse chiaramente notate poco prima. Le sbarre erano abbastanza strette da impedire di passarci in mezzo anche a lui, che era molto magro e di corporatura esile...
-Questo è il carcere per i prossimi tre mesi, ma non mi preoccupa... almeno qui la gente è pulita e il cibo dovrebbe essere migliore che in gattabuia.-
Mukuro girò sui tacchi e lasciò la stanza, lasciando Tsunayoshi da solo con la vaga sensazione minacciosa che gli ispiravano le sbarre scure e una paura decisamente più concreta riguardo a cosa avrebbe scoperto del lato oscuro di un centro di cui la gente comune non si preoccupava minimamente.

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Capitolo 8
*** Dietro la maschera ***


Mukuro era seduto ormai da qualche ora per terra, nella sua stanza della comune, accanto alla finestra. Fissava l'orizzonte, tendendo le orecchie, in attesa che calasse la notte e tutti dormissero, per tentare di scappare dal centro di riabilitazione. Non gli importava del giudice, né di andare in prigione, e si sentiva uno stupido per aver dato retta a quello sbirro, abboccando come un idiota alla storiella di "quello che avrebbero potuto scoprire i detenuti". Era il trucco più vecchio del mondo e ci era cascato... ma la buona notizia era che indubbiamente sarebbe stato più semplice evadere da una clinica che da un carcere... una volta fuori poteva nascondersi e cambiare aria quando sarebbe stato in grado di mettere le mani sui suoi soldi.
I suoi pensieri ronzavano intorno alla pianificazione della fuga, ma fino a poco prima non riusciva a ragionare su nulla a causa del suo incontro con lo psicologo terapeuta della clinica. Era entrato nella stanza convinto di sostenere la cosa con tranquillità, quasi divertendosi, e di passare i prossimi mesi come aveva passato l'ultima settimana in collegio: attendendo la libertà giocherellando con le menti di professori e compagni. 
Purtroppo non aveva idea di che cosa avrebbero potuto trovare dentro di lui le domande rodate ed esperte di un terapeuta della dipendenza, ed era completamente impreparato ad affrontarle.
Non aveva mai passeggiato per i viali della memoria, perchè in realtà li temeva. Mukuro non parlava mai dei suoi genitori, né della sua infanzia, non gli faceva piacere che qualcuno sapesse che erano stati anni infelici trascorsi in una famiglia fredda. Non gli piaceva l'idea che qualcuno potesse sapere che era stato uno studente diligente e intelligente, prima che una brusca rottura dei suoi genitori lo spingesse a cercare le attenzioni di entrambi in modi sempre più contorti, arrivando a farlo espellere dalla scuola media. Non voleva che uno strizzacervelli tirasse fuori strane teorie su come la mancanza di una famiglia gli avesse fatto intraprendere un lavoro di dubbia moralità e lo avesse indotto all'uso di sostanze. Non era vero, i suoi genitori non avevano nulla a che vedere con le sue scelte di vita, aveva scelto entrambe le strade per il semplicissimo motivo che amava divertirsi, e niente era più divertente che travestirsi, prendere un po' in giro i clienti e farlo essendo parecchio su di giri... tutto lì, nulla di strano, nulla da scoprire, nessun nemico oscuro da additare e sconfiggere...
Mukuro sentì bussare sulla porta e il rumore spezzò il filo dei suoi rimuginii. Guardò la porta, ma decise di non rispondere. In ogni caso, se fosse stato uno di loro, sarebbe entrato anche senza permesso, dato che non era possibile per un abitante del centro chiudere a chiave la propria porta dall'interno. Per un momento ponderò l'idea di barricarsi dentro spostando il letto, ma gli bastò un'occhiata per capire che il mobile era troppo leggero per offrire una qualche protezione efficace. Certo, pensò, che pensavano davvero a tutto...
La persona fuori dalla porta bussò con più decisione, la terza volta. Mukuro, che voleva soltanto ribollire di rabbia nel suo angolo e fantasticare sulla fuga, iniziò a irritarsi per quell'insistenza. Alla quarta volta, si alzò pronto a sbottare contro chiunque difendendo il suo diritto all'isolamento volontario, sempre ammesso che a qualcuno della clinica importasse qualcosa di quello che aveva da dire.
Mukuro si bloccò attonito, con la mano tesa verso la maniglia della porta che era appena stata aperta dall'esterno. Tra tutte le persone del mondo quella che meno avrebbe desiderato vedere in quel momento particolare era davanti a lui, lasciandolo in parte sconvolto per lo shock e in parte invelenito alla sola vista di quei candidi capelli bianchi e dello sguardo viola che, come altre volte, sembrava volerlo solo criticare.
-Co... ma che diavolo ci fai tu qui?-
-Sembra che io sia arrivato in tempo.- ribattè Byakuran, col tono di chi osserva di aver evitato un robusto acquazzone.
Senza minimamente badare alla sua reazione poco entusiasta, il poliziotto entrò nella stanza togliendosi il cappotto nero e guardandola come se stesse visitando un delizioso monolocale da prendere in considerazione. Appoggiò sulla scrivania sgombra una scatola di cartone senza scritte né disegni, ma non accennò ad aprirla. La sua ultima occhiata fu al panorama dalla finestra.
-C'è una bella vista, non credi? Io pagherei per una vista così... vivo in una palazzina di appartamenti in mezzo a grattacieli di uffici e altre palazzine, sai.-
La risposta onesta di Mukuro sarebbe stata "chi cazzo se ne frega", ma decise di tacere e continuare a fissarlo in cagnesco per vedere se riusciva a incenerirlo.
-Come stai, Mukuro?- gli chiese quello con molta calma, guardandolo. -Ho sentito che la disintossicazione in ospedale è stata molto difficile per te... sei stato molto male per una nottata.-
Mukuro fu colpito duramente dai ricordi di quei giorni di ricovero per la disintossicazione fisica, tanto che dimenticò completamente i suoi tentativi di infliggere dolore a Byakuran con il solo contatto visivo. Non era mai arrivato, in vita sua, al punto di desiderare la morte... fino a quella prima notte di cura. Era comunque molto sorpreso che Byakuran si fosse informato dai medici sul suo percorso travagliato.
-È passato ormai.-
Mukuro si portò la mano alla gola: non avendo quasi spiccicato parola dal momento in cui aveva urlato contro il terapeuta, non si era reso conto che la gola gli doleva nel parlare e la sua voce era molto bassa, cose che non aveva notato nemmeno quando aveva rivolto la parola a Byakuran. Forse era troppo preso dall'ospite indesiderato.
-Mi hanno chiamato e mi hanno detto che cosa è successo oggi, con il terapeuta.- disse Byakuran ripiegando con cura il cappotto sullo schienale della seggiola. -Pensavano che avresti voluto andare via e mi hanno chiesto cosa fare, dato che la tua libertà è giuridicamente correlata alla tua permanenza qui...-
-Sei venuto ad arrestarmi?-
-Hai intenzione di andartene? Perchè se fosse questo ciò che vuoi, allora lo dovrei fare.-
Mukuro incrociò le braccia e inclinò leggermente la testa, fissandolo. Non aveva la minima idea di che cosa davvero gli passasse per la testa, e ancora meno capiva di che cosa facesse lui lì, esattamente.
-Perchè ti hanno chiamato?-
-Beh, per la sfuriata che hai fatto, te l'ho detto...-
-No, intendevo perchè hanno chiamato te.- precisò Mukuro, belligerante. -Chi diavolo sei per me? Non sei nessuno, perchè per decidere cosa fare di me vengono a chiamare il poliziotto che mi ha venduto droga, molestato e pure arrestato?-
-Sai benissimo che non è andata così, e dato che siamo soli puoi tranquillamente ammettere che non ti ho forzato a fare proprio niente... potevi uscire e trovare un altro spacciatore, nella zona ce ne sono moltissimi... nemmeno la tua dipendenza ti obbligava a rivolgerti a me.-
-Rispondi alla mia domanda, e le tue congetture legali risparmiale per quando qualcuno mi darà retta e si deciderà a processarti per abuso di potere e di minore, tra le altre cose.-
Byakuran avrebbe voluto rispondere sulla questione ed era palese dal suo sguardo, ma decise di lasciar cadere il discorso e si limitò a guardare Mukuro negli occhi per un lungo momento. Mukuro si domandò se non stesse cercando una menzogna credibile da offrirgli.
-Tu non hai più nessuno... i tuoi genitori non sanno dove sei da tanto tempo, non è così?-
La sola menzione dei propri genitori infastidì il ragazzo al punto che si voltò verso la finestra, benchè il sole fosse calato immergendo il cortile nell'oscurità.
-Non ti hanno cercato, non sono venuti all'udienza, non ti chiamano... da quanto tempo non si interessano più di te?-
-La cosa non ti riguarda.-
-Eppure il motivo per cui sono qui è che loro non sono con te.- insistette Byakuran. -Non abbiamo trovato nessuno... né tutori, né amici che potessero garantire per te... quindi, quando hanno chiesto un nome e un recapito per le emergenze, ho dato il mio. Per questo hanno chiamato me.-
-Questo è davvero il colmo, dico sul serio... è da malati...-
-Mukuro, tu continui a vedermi come una specie di mostro e capisco che hai delle ragioni per pensarlo, ma non è la realtà.- rispose il poliziotto con tranquillità. -Voglio aiutarti.-
-Non devi sentirti in obbligo di aiutarmi solo perchè ti ho toccato il pene una volta.-
-Voglio aiutarti perchè nessun altro al mondo vuole farlo, e ti assicuro che se volessi aiutare tutti quelli che mi hanno toccato una volta non avrei più tempo per lavorare.-
Mukuro si ritrovò senza parole, più che senza voce. Non capiva per quale motivo, ma ciò che aveva detto l'aveva colpito interiormente con violenza, e per riflesso strinse ancor più forte le braccia conserte in un istinto di difesa. Si aggrappò disperatamente alla seconda parte della sua frase per tentare, con una risata stentata di sviare da quel terreno pericoloso.
-Non avresti tempo di lavorare? Certo che è veramente una spacconata da dire...-
-Io farei qualsiasi cosa perchè tu possa avere una vita davvero libera.-
Mukuro si accorse che nel brevissimo tempo in cui aveva distolto nervosamente lo sguardo Byakuran si era avvicinato a lui di alcuni passi. D'istinto indietreggiò, ma trovò la parete a impedirgli un'ulteriore ritirata, e il poliziotto si avvicinò ancora. Ormai si sfioravano e il suo pallido viso era a pochi centimetri dal suo.
-Co... sei troppo vicino.-
Mukuro tentò di svicolare sulla destra per liberarsi da quell'angolo, ma il braccio di Byakuran gli impedì di muoversi prima in quella direzione, poi in quella opposta. Cominciava ad avere decisamente paura, soprattutto per il fatto che non riusciva a leggere le sue intenzioni.
-È questo il motivo per cui sei solo, Mukuro? Perchè quando qualcuno è troppo vicino tu scappi?- gli sussurrò Byakuran, vicinissimo. -O scappi perchè pensi che la tua vita sia già perfetta, e non vuoi nessun altro?-
-Io non voglio te, che cosa c'entra adesso la mia vita o...-
-Io penso che tu abbia una tremenda paura di provare quello che hai provato quando i tuoi genitori hanno smesso di preoccuparsi di te... che la storia si ripeta ancora...-
Mukuro lo fissò, smettendo di cercare di liberarsi dall'angolo, mentre il cuore gli batteva nel petto prepotentemente, mentre una sensazione gelida di panico si spandeva in ogni parte del suo corpo.
-Dove hai visto... chi te l'ha detto? Chi ti ha raccontato dei miei genitori?-
-Tu me l'hai raccontato, Mukuro... i tuoi comportamenti mi hanno detto che hai una fame disperata di attenzioni... e la tua scheda mi ha detto che i tuoi genitori non sono più nella tua vita... non ci voleva un genio per tirare le somme...-
Mukuro ammutolì e diventò particolarmente pallido. Non si era mai sentito prigioniero del suo passato, non da quando aveva deciso di andarsene di casa. Aveva smesso di pensare ai suoi genitori, non gli sfiorava il dubbio che potessero cercarlo o rivolerlo in casa, dato che già prima pareva non importargliene nulla. Si era sentito felice di trovare un lavoro così particolare, dove poteva gestire i suoi orari, i suoi clienti, le sue uniformi in piena libertà, guadagnare tanto denaro... e scoprirsi desiderato, ricercato? Era una parte del suo lavoro che non aveva mai valutato in quell'ottica. Non aveva mai pensato che quello potesse essere il motivo primario per cui fare un lavoro che lo costringeva a vestirsi e comportarsi in un modo che lo avrebbe fatto imbarazzare in altri contesti... credeva che fosse normale, essere quotato significava avere tanti clienti e quindi più soldi...
Byakuran si allontanò un po' da lui e gli afferrò la mano, guidandolo verso il letto. Mukuro si lasciò trascinare docilmente e alla sua leggera spinta sedette sul bordo del materasso. Era ancora incredibilmente frastornato, tanto che fece caso a malapena al poliziotto che andava alla scrivania e apriva la scatola che aveva portato in camera sottobraccio.
-A proposito... queste sono tue.-
Byakuran aveva aperto la scatola e ne aveva estratto un paio di scarpette lilla, porgendogliele.
Mukuro le dovette guardare qualche istante prima di focalizzare che erano le scarpe che indossava quando era stato arrestato, le stesse che aveva scagliato con rabbia contro quell'uomo dai capelli bianchi che ora gliele tendeva. Ancora confuso, con un violento nubifragio nella mente, allungò la mano e le prese, osservandole con un misto di nostalgia e sorpresa, come si osserva una foto della propria infanzia di cui non si conservava alcun ricordo.
-A me non importa se vuoi continuare a travestirti e a esibirti vestito da donna... ma se lo farai... se vorrai indossare ancora quelle scarpe, dovrai farlo solo perchè ti diverte, perchè ti va di farlo... non perchè pensi che non puoi avere una vita normale... e soprattutto, non farlo perchè ne hai disperatamente bisogno per sentire che qualcuno ti desidera.-
Byakuran mosse qualche passo verso la porta. Mukuro avrebbe voluto lasciare che uscisse, che se ne andasse, ma le parole gli salirono alle labbra senza che potesse anche solo pensare di trattenerle.
-Sono sempre stato... Romi... hanno sempre chiesto di lei, hanno sempre voluto lei... per loro... Mukuro non esiste nemmeno... nessuno può desiderare qualcuno che non sa che esiste...-
Mukuro sentì pochi, veloci passi, prima di trovarsi Byakuran di nuovo a pochi centimetri dal volto, chino sul letto, con uno sguardo spaventoso. Per poco non si fece sfuggire di mano una delle scarpette.
-Mukuro esiste per me.- disse Byakuran con tono fermo. -Romi non è niente, è solo un'idea. A dare una forma a quell'idea sei tu. Il suo modo elegante di parlare, il suo sorriso, la sua ironia, la sua sensualità... sono tue, Mukuro. Sei tu a darle queste qualità, non è lei a darle a te.-
-Se... sensu... i-io non ho nulla del genere... non scherziamo...-
-Mukuro.-
Il tono perentorio di Byakuran zittì la già flebile protesta di Mukuro, che restò immobile e silenzioso a guardarlo raddrizzarsi e infilarsi il cappotto con aria irritata. Per qualche istante il ragazzo si domandò se non fosse combattuto sul dire o meno quello che pensava.
-Se non fosse severamente vietato avere rapporti sessuali qui dentro, io te lo avrei sicuramente chiesto adesso.- fece lui, per la prima volta evitando di guardarlo direttamente negli occhi. -Il tuo sex appeal non cambia a seconda della maschera che metti.-
Con evidente imbarazzo, il poliziotto infilò la porta e se ne andò a grandi passi. Mukuro guardò di nuovo le scarpette, confuso come non lo era mai stato in vita sua, e quasi in uno stato di trance si alzò per riporle nella scatola. Non si sarebbe mai e poi mai aspettato che un poliziotto, quel poliziotto, potesse capire qualcosa di lui senza nemmeno conoscerlo... né si aspettava che le sue parole avessero su di lui un effetto tanto devastante.
Si avvicinò alla finestra nel tentativo di vedere se stesse andando via, ma da quell'angolazione non poteva vedere il cancello o il vialetto d'ingresso; era tutto buio, illuminato fiocamente solo da un lampioncino distante.
Nel vetro distingueva nitidamente, invece, il proprio riflesso, e per la prima volta da molti anni si soffermò a osservarlo, toccando il proprio viso specchiato contro la notte.
Ebbe la sensazione, del tutto nuova, di non essere soltanto un manichino che indossava gli abiti e il volto di Romi.

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Capitolo 9
*** La ricerca dell'anima ***


Tsunayoshi si richiuse la porta del bagno alle spalle uscendo, trattenendo a fatica uno sbadiglio. Si stava chiedendo che ore fossero quando si accorse che nel corridoio buio c'era qualcuno intento a infilarsi una giacca guardando il cortile battuto dalla pioggia. Strizzò gli occhi avvicinandosi e notò che l'uomo in questione era Hayato.
-Gokudera... kun?-
-Ah... sei tu.- fece lui sorpreso, guardandolo. -Che fai qui?-
-Niente... bagno... e tu? Non te ne stai mica andando?-
-Ma nemmeno per sogno.- ribattè Hayato, e tornò a guardare fuori.
-E allora, la giacca...?-
Tsunayoshi seguì lo sguardo di Hayato fuori dalla finestra e la sua attenzione cadde su una insolita figura che, era abbastanza certo, non aveva nulla a che vedere con i vasi e le decorazioni del giardino. Sembrava che qualcuno si fosse seduto a terra, dietro la panchina di pietra, sotto la pioggia...
-Ma... chi è?- chiese infine, incapace di distinguere meglio la persona.
-Credo sia quell'idiota del tuo amico travestito, Minoru... no, Makoru...-
-Mukuro!-
-Beh, quello che è.- fece lui con aria disinteressata. -La porta è aperta, ma lo avevano chiuso dentro... non ho la minima idea di come sia riuscito ad aprirla, ma ce l'ha fatta...-
-E sta là fuori?!-
-Mi sa che è là da un'oretta, almeno.-
-Co... è un'ora che sta seduto sotto la pioggia e tu lo guardi?-
-Soffro di insonnia.- rispose Hayato.
-Ma se si ammala?-
-Probabile, i tossici hanno un sistema immunitario completamente fottuto.-
Tsunayoshi lanciò un'occhiata ad Hayato, poi guardò di nuovo Mukuro immobile sotto la pioggia. Stava pensando a che cosa potesse fare da solo là fuori con un simile tempo, perchè non pareva intendesse scappare se davvero stava lì da un'ora, quando Hayato sbadigliò vistosamente.
-Forse riuscirò a dormire un po', adesso.- fece in tono leggero. -Allora buonanotte.-
-Ah... buonanotte, Gokudera kun.-
Hayato tornò nella sua stanza e dopo un leggero tramestio cadde il silenzio. Tsunayoshi guardò di nuovo Mukuro. Si chiese se non stesse male, e per questo restava fermo nel cortile.
Improvvisamente sveglio e per nulla stanco, raggiunse la sua stanza, infilò la giacca di una felpa e le scarpe e tornò di nuovo nel corridoio. Lo percorse con un po' di disorientamento, indeciso sulla strada per raggiungere l'uscita nella penombra, e raggiunse la seconda uscita, che dava sul retro del cortile. Per fortuna non incontrò nessuno, perchè non sapeva come spiegare la sua presenza in giro di notte. Fece per spingere la porta e vide che si apriva senza difficoltà; ne dedusse che Mukuro doveva essere uscito proprio da lì.
Ebbe un momento di timore. Non era così sicuro che Mukuro fosse suo amico, o che lo considerasse tale, non era affatto sicuro che non si sarebbe messo a urlargli contro come aveva fatto con il terapeuta. Avrebbe potuto anche diventare aggressivo nei suoi confronti... ma forse stava male, forse aveva bisogno di aiuto... avrebbe anche potuto ammalarsi restando là fuori a lungo. 
Prese un respiro profondo cercando di farsi coraggio e uscì dalla porta. Sotto la pensilina notò un portaombrelli e un ombrello giallo abbandonato. Lo prese e lo aprì, poi si avventurò nel cortile martellato dalla pioggia, sperando di non dare troppo nell'occhio e che nessuno guardasse fuori. Faceva decisamente freddo. C'era poco vento, ma gelido. Tsunayoshi rintracciò frettolosamente la panchina di pietra e dietro a essa trovò Mukuro. 
Stava seduto sull'erba, a gambe incrociate e mani unite in grembo, come se fosse in meditazione. Teneva gli occhi chiusi e la schiena dritta senza appoggiarsi. Non sembrava sentirsi male, in realtà sembrava non sentire assolutamente niente. Tsunayoshi si domandò come facesse a restare lì da un'ora, completamente bagnato, con quel freddo.
-Mukuro?-
Mukuro mosse leggermente un sopracciglio, ma non aprì gli occhi.
-Cosa c'è, Tsunayoshi?-
-... Che cosa fai qui fuori in piena notte?-
-Sto meditando.-
-Sotto la pioggia?- osservò Tsunayoshi, notando che era veramente zuppo. 
Mukuro non si mosse e non rispose.
-Posso chiederti su cosa stai meditando?-
Qualcosa nella posizione e nella rigidità della posa cambiò leggermente, e Mukuro alla fine aprì gli occhi.
-Sto cercando un motivo chiaro per restare.-
-E pensi di trovarla qui fuori?-
-È nelle difficoltà fisiche che riesci a immergerti più profondamente nella tua mente... nei casi estremi si può arrivare a trovare davvero se stessi... e io sto cercando me stesso.-
-Perchè lo cerchi? Voglio dire... non sai chi sei?-
-... Se trovassi me stesso, forse capirei se è una persona che valga la pena salvare.-
Tsunayoshi tacque, aggrappandosi all'ombrello giallo. Mukuro, che gli sembrava una persona così sicura di sè, e anche una persona gentile che lo aveva aiutato senza che ne avesse alcun motivo, che era così bello, così affascinante nel suo modo di parlare... persino lui si chiedeva se meritasse la vita. Cercava se stesso per capire se valesse la pena di impegnarsi in quel percorso in cui erano entrambi incappati per caso...
Il ragazzo abbassò l'ombrello e lasciò che la pioggia lo bagnasse, chiudendo gli occhi. L'acqua era gelida, gli inzuppò i capelli e i vestiti in pochi minuti, ed egli prese a tremare per il freddo. Gli sembrava impossibile resistere per ore...
-Che stai facendo, Tsunayoshi?-
-Anche io voglio cercare me stesso.-
-Perchè dovresti?-
-Per sapere se è una persona che valga la pena di salvare...-
Mukuro non rispose e Tsunayoshi lasciò gli occhi chiusi, anche se faceva molta fatica a concentrarsi su qualsiasi cosa con il freddo che gli si infiltrava nelle ossa, come se fossero fatte di spugna. Tentava disperatamente di non far battere i denti mentre cercava di capire come potesse mai cercare qualcosa che non sapeva dove si trovava e come fosse fatto...
-Tsunayoshi...-
La pioggia smise di battergli sulla testa e sulla faccia e il ragazzo aprì di nuovo gli occhi, scoprendo che Mukuro si era alzato e lo stava proteggendo con l'ombrello, guardandolo con un'espressione di profonda tenerezza che quasi lo turbò. Solo in quel momento realizzò che cosa gli aveva fatto venire in mente lo sguardo di Mukuro quella notte in cella, che allora non era stato in grado di focalizzare. Gli ricordava vagamente il modo in cui lo guardava sua madre, a volte, quando lui non si sentiva bene...
-Non è cosa che tu debba fare, questa.- gli disse lui piano, dandogli un buffetto sul viso. -Torniamo dentro, vuoi?-
-Cosa... perchè non devo farla?-
-Non c'è bisogno di cercare nulla... non dovresti avere alcun dubbio sul fatto che tu debba vivere.-
-Perchè?-
Mukuro lo guardò un po' sorpreso, come se davvero non cogliesse il motivo di tante domande.
-Beh, perchè tu sei un ragazzo gentile... un bravo ragazzo... molto confuso e molto spaventato, ma non è una colpa sentirsi spaesati. Perchè mai non dovresti meritare una vita lunga e felice?-
-Ma allora, Mukuro, anche tu non hai alcun motivo di cercare!- esclamò Tsunayoshi con veemenza inaspettata, guardandolo con decisione. -Anche tu sei una persona gentile! Ti preoccupi per persone che non conosci nemmeno, e sei...-
Tsunayoshi tacque e divenne leggermente colorito sul viso. Aveva esaurito del tutto il suo sprazzo di coraggio con quelle poche frasi, e abbassò lo sguardo. Mukuro lo guardò divertito trattenendo una risata.
-E sono cosa?-
-S-sei... sei...- balbettò Tsunayoshi, senza alzare gli occhi e abbassando ancora più il tono. -Sei... i-io credo che quel poliziotto abbia ragione! Tu... parli così bene, e sei... intelligente... e tutto...-
Mukuro decisamente non si aspettava che qualcuno avesse sentito la sua conversazione con Byakuran, infatti dopo averlo guardato con palese stupore fu il suo turno di arrossire, solo che nel suo caso arrivò ad assomigliare a una pesca matura. Se ne accorse dall'insolito calore localizzato e sperando di non farsi accorgere assestò al ragazzo un paio di robuste pacche sulla schiena, indirizzandolo verso la porta e seguendolo.
-Tsunayoshi, non dirmi che hai il brutto vizio di ascoltare dietro le porte!-
-N-no, ma... ho... l'ho visto arrivare e l'ho riconosciuto... volevo... sapere se era venuto a portarti via.-
-A portarmi via? Era un agente di polizia, non un principe azzurro...-
-Sai cosa intendo dire...- fece Tsunayoshi un po' seccato. -Che ti portasse in prigione...-
Raggiunsero la porta secondaria e rientrarono, con grande sollievo di Tsunayoshi, che tremava violentemente da capo a piedi. Mukuro gli mise la mano sui capelli, che gocciolavano in abbondanza. Il ragazzo lo guardò e vide che anche i lunghi capelli neri dell'altro gocciolavano spietatamente sullo zerbino.
-Vai in camera tua e asciugati come si deve... ti ammalerai se resti così zuppo.-
-E tu?-
-Io?-
-Non tornerai là fuori!- disse Tsunayoshi, afferrandogli il braccio. -Anche tu ti ammalerai!-
Mukuro lo guardò di nuovo con aria stupita e scoppiò a ridere.
-Non ridere... dico sul serio! Gokudera kun stava a guardarti da ore in cortile, stava per venire a prenderti anche lui!-
-Oya, ma dici davvero? Il signor Sposerò Questa Donna?-
-L'ho visto nel corridoio, ha detto che ti guardava da quasi un'ora perchè non riusciva a dormire.- ribattè Tsunayoshi. -Ma si stava infilando la giacca a vento quando l'ho visto. Se non fossi stato lì anch'io, sarebbe venuto a prenderti, sono sicuro.-
-Ma non mi dire.- fece Mukuro con aria divertita. -Che tsundere, è quasi tenero a pensarci.-
-Non torni là fuori, vero?-
Mukuro tornò a guardare il ragazzo, che lo fissava con l'aria di uno che avrebbe volentieri fatto scudo umano davanti alla porta per impedirgli un'altra uscita. Certo sarebbe stato uno scudo decisamente debole, ma quell'aria determinata bastò per farlo cedere. Gli sorrise.
-Prometto che non uscirò più.-
-Giuralo su Dio!-
-Ma io non credo in Dio.- osservò lui.
-... No? Allora in cosa credi?-
-Io? Nella reincarnazione.-
-Allora giura che non uscirai più la notte e sotto la pioggia, o ti reincarnerai in qualcosa di piccolo e miserabile, tipo... una zanzara.- fece Tsunayoshi, alzando una mano. -Avanti, giura.-
Mukuro rise, ma alzò docilmente la mano destra.
-Giuro che non uscirò più la notte e sotto la pioggia o mi reincarnerò in una zanzara piccola e miserabile.-
Tsunayoshi sorrise soddisfatto, prima di starnutire sonoramente.
-Su, ora vai a cambiarti e asciugarti.- fece Mukuro, spingendolo verso il corridoio. -Veloce... io richiudo qui e arrivo fra pochissimo. Non voglio mica tornare come zanzara.-
Tsunayoshi si allontanò nel corridoio e Mukuro rimise l'ombrello giallo nel contenitore accanto alla porta. Inspiegabilmente non riusciva a non sorridere mentre richiudeva la porta con il grimaldello che aveva usato per uscire. Forse Byakuran non era proprio l'unico al mondo che volesse offrirgli aiuto.

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Capitolo 10
*** Rosso come il sangue ***


-Mukuro kun?-
Mukuro sentì la voce che lo chiamava da una lunghissima distanza, come un'eco che risuonava da un lato all'altro della vallata. Decise di ignorarla e risprofondò nel luogo da dove veniva, un bizzarro incrocio tra il suo vecchio appartamento a Gifu e l'opulenza mal assortita del Quarto di Luna, dove stava tentando di trovare una scarpa smarrita.
-Mukuro kun? È tardi, dobbiamo andare...-
-Lo so.- bofonchiò lui, convinto di rispondere a una delle sue colleghe.
-Allora alzati... dai...-
Mukuro venne scosso con una certa convinzione, ma lui infastidito tirò la coperta e si girò sull'altro lato, voltando le spalle a quell'individuo molesto. Ancora una volta tentò di immergersi nel misterioso locale frutto di oniriche misture dove aveva uno spettacolo da portare a termine.
-Mukuro...- pigolò di nuovo Tsunayoshi, sospirando sconfitto. -Ti prego...-
-Che cos'è tutto questo chiasso?-
Tsunayoshi abbandonò la salma dormiente di Mukuro e si voltò a guardare sulla porta della stanza, dove Gokudera li guardava con occhi visibilmente assonnati e altrettanto palesemente irritati. Aveva la camicia abbottonata a metà e anche zoppa, le scarpe da ginnastica infilate con i lacci lenti a mo' di ciabatte e armeggiava nel tentativo di infilare la cintura nei passanti. I suoi capelli erano tutti spettinati.
-Non riesco a svegliare Mukuro...-
-Prendilo a calci.- suggerì Hayato con un certo fervore.
-Ma che... ma non posso prenderlo a calci, Gokudera kun.-
-Allora tiralo giù dal letto.-
Tsunayoshi guardò Mukuro, ma francamente data la differenza di altezza e di stazza non era così sicuro di riuscire a tirarlo abbastanza da svegliarlo. Tuttavia non ebbe mai modo di sperimentare la sua forza in quel modo, perchè Hayato entrò nella stanza borbottando insulti, afferrò la gamba del povero addormentato inconsapevole e lo strattonò con tale energia da trascinarlo fuori dalle coperte in un solo tentativo. 
Mukuro si ritrovò disteso per terra nella stanzetta, con la maglietta arrotolata sul petto e le braccia in avanti a reggere inutilmente cuscino e coperta, che lo avevano seguito giù dal materasso.
-Fatto.- annunciò soddisfatto Hayato, pulendosi le mani teatralmente.
-Che... cazzo... che razza di maniera è di trattare la gente?- sbottò Mukuro, rimettendosi lentamente e faticosamente in ginocchio.
-Se mi sono svegliato io a quest'ora ti alzi anche tu, non me ne frega se fai il bonzo sotto l'acqua tutta la notte come un idiota.-
Mukuro gli scoccò un'occhiataccia, poi guardò dalla finestra, fissandola per alcuni secondi di totale silenzio.
-Ma è ancora buio! Ma che ore sono?!-
-Le cinque del mattino...- rispose Tsunayoshi, in parte ansioso di porre fine alla scenetta prima che finisse in rissa e in parte divertito dal disappunto di Mukuro.
-E cosa diavolo facciamo svegli a quest'ora infausta?!-
-Beh... lo hanno detto quelli del centro di alzarsi a quest'ora... per andare a lavorare nell'orto comunitario...-
-A me non l'hanno detto!-
-Certo che no, tu facevi il diavolo a quattro di sotto con quel poveraccio del terapeuta...- intervenne Gokudera, prima di afferrarlo per il braccio. -Ora basta con le lagne, alla tua età, avanti, fila in bagno.-
-Lasciami... non mi toccare, ehi!-
Tsunayoshi non potè fare a meno di ridere alla surrealità della scena.
-Cosa ridi, tu? Traditore! Non c'è da ridere... ahia... ahia, mi stai grattugiando il sedere!-
Era una fortuna che in quel dormitorio non fosse presente nessun altro in quel periodo, o le lamentele di Mukuro avrebbero svegliato tutti. Tsunayoshi seguì con una certa allegria Hayato che trascinava sul pavimento Mukuro fin dentro il bagno, dapprima per il braccio poi per i suoi lunghi capelli. Assistette ridacchando a una breve zuffa che si concluse quando Gokudera riuscì a spingere Mukuro, completamente vestito, sotto il getto della doccia chiudendocelo dentro. Dall'urlo belluino che lanciò questi Tsunayoshi dedusse che il getto doveva essere ancora freddo.
Hayato sospirò e si tirò indietro i capelli ancora più scompigliati, ignorando completamente il flusso di insulti e colpi che venivano da dietro la porta della doccia.
-Che fatica... certo che se bisogna fare così ogni mattina, io mi faccio dare un secchio e lo lavo direttamente nel letto.-
-Che sta succedendo qui...?-
Tsunayoshi si voltò e vide Elena, la coordinatrice del centro, ferma sulla porta. Impacciato cercò qualcosa da dire, gettò un'occhiata ad Hayato, che aveva immediatamente mollato la porta della doccia e sembrava spaventato quanto lui. Un attimo dopo Mukuro aprì la porta, abbrancò Gokudera e lo trascinò nella cabina.
Dalle urla che seguirono Tsunayoshi pensò che l'acqua doveva essere ancora gelida.

Una mezz'ora dopo, Tsunayoshi era inginocchiato in un angolino dell'orto della comune dove, stando alle piccole targhette, crescevano delle piante di pomodori. Stava tentando maldestramente di legare le cime ad alcune cannette piantate nel terreno, ma la pianta stava decisamente vincendo la guerra. Sospirò e alla prima luce dell'alba si girò a guardare gli altri due.
Mukuro, ancora con un'aria decisamente imbronciata per essere stato sgridato da Elena per il "comportamento infantile", era acquattato in un rettangolo di terra più distante, in cui si coltivavano carote, patate e altre radici. Anche lui sembrava aver intrapreso una crociata contro le verdure che stava miserabilmente perdendo.
Del tutto tranquillo, almeno in apparenza, era Gokudera. Ancora più lontano da lì, era intento a stendere sui fili del bucato lenzuoli e federe bianchi. Anche lui era rimasto silenzioso dopo la sgridata di Elena.
Sospirando, Tsunayoshi si arrese all'evidenza di non avere aiuto né distrazioni nella persona di Mukuro o di Gokudera; si accinse dunque a tornare ai suoi tentativi con il filo e i rami di pomodoro. Sobbalzò alla vista di una figura davanti a lui e cadde all'indietro, con un orrendo rumore di fanghiglia smossa sentì i pantaloni inzupparsi.
-Oh, scusami... non volevo spaventarti, pensavo mi avessi sentito arrivare...-
Tsunayoshi, sentendosi arrossire di vergogna, avrebbe preferito non guardare in faccia quella persona, ma suo malgrado ebbe curiosità di associare un viso a quella mano tesa ad aiutarlo.
Il ragazzo che gli aveva parlato aveva corti capelli rosso scuro, occhi rossi dall'aria un po' triste e un sorriso incerto. Portava un cesto di panni grande quanto quello che Hayato si stava impegnando a smaltire e aveva alti stivali di gomma, come quelli che gli avevano dato per lavorare nell'orto.
-Non ti ho mai visto qui... sei arrivato ieri?-
-Ah... io... sì.-
-Lo immaginavo... quelli che arrivano di solito si occupano subito dell'orto.-
Il ragazzo dai capelli rossi pareva saperne molto del centro, doveva essere lì da molto se sapeva qual era la routine della clinica. Tsunayoshi si sollevò con l'aiuto dello sconosciuto, ma non riuscì a esternare i propri pensieri e restò in silenzio.
-Io sono Enma, comunque. Enma Kozato.-
-Io... io mi chiamo Sawada... Tsunayoshi Sawada.-
-Allora benvenuto nel miglior posto della terra, Tsunayoshi Sawada.-
Sentir definire in quel modo quella struttura, che era abbastanza nuova ma ben lungi dall'essere all'avanguardia o bella dal punto di vista architettonico, sorprese molto Tsunayoshi, che tra l'altro non la vedeva in modo dissimile dall'idea che ne aveva Mukuro. Il suo stupore doveva leggerglisi in faccia, perchè Enma sorrise più ampiamente.
-Lo trovi difficile da credere, vero?-
-Beh... io... non so... sono appena arrivato...-
-Sì... è per questo che non mi credi, e capisco che tu abbia tutt'altra opinione adesso.- disse il ragazzo rosso di capelli. -Ma se resterai per un po', penso che arriverai a pensarla come me.-
-Io... dovrei... restare solo novanta giorni.-
-Ah, per la disintossicazione?-
La domanda stranì Tsunayoshi che aveva pensato di trovarsi davanti a una persona ricoverata per il suo stesso motivo. Si chiese se quel centro ospitasse anche altri tipi di persone bisognose, e istintivamente gettò un'occhiata alla facciata del secondo edificio, quasi a cercare un'insegna esplicativa.
-No, io non sono stato ospitato qui per una dipendenza da stupefacenti.- disse Enma, interpretando correttamente le sue incertezze. -Nessuno di quel dormitorio è qui per questo motivo...-
-E per cosa, allora?-
Enma si limitò a stiracchiare un sorriso, ma non rispose. Improvvisamente sembrava molto più triste, nonostante tentasse di non lasciarlo trasparire, e illuminato dai primi raggi del sole il suo viso apparve di una bellezza struggente, che provocò in Tsunayoshi la sensazione insieme gradevole e spiacevole di una stretta al cuore.
-Devo stendere questi... ci vediamo dopo, Tsunayoshi.-
Tsunayoshi non riuscì a far uscire la voce e si limitò a un goffo annuire con la testa. Continuò a guardare Enma raccogliere la sua cesta, scivolare appena nel fango e attraversare poi il prato diretto verso i lunghi fili. Gli ci vollero alcuni minuti per rendersi conto che stava stringendo le pinze davanti al petto con entrambe le mani, tanto era concentrato sul ragazzo. 
Riscuotendosi a fatica dalla bizzarra sensazione, Tsunayoshi si chinò e prese un altro pezzo di filo di ferro per continuare le infinite legature nella pianta successiva. Ne legò una, poi una seconda, prima che un irresistibile magnetismo gli facesse volgere lo sguardo nella direzione dei fili per il bucato.
La luce dorata dell'alba donava ai capelli rosso sangue di Enma un insospettabile riflesso ramato, anche da quella distanza, e quelli ondeggiavano leggermente nel venticello frizzante di quella mattina. Poi, senza alcun apparente motivo, lui si voltò verso l'orto scoprendo di essere osservato. Tsunayoshi avvertì il panico e tentò di sembrare affaccendato intorno alla pianta, interrompendo il contatto visivo con il cuore in gola.
Quasi quindici minuti dopo, quando fu alla fine della fila, azzardò una seconda occhiata, ma vide soltanto Hayato che stava stiracchiandosi, avviandosi verso il fazzoletto di terra dove stava lavorando Mukuro... in cerca dell'ennesima scaramuccia, forse. Il bucato di Enma era steso, ma lui se ne era già andato.
Con una sorta di delusione Tsunayoshi si alzò con gambe doloranti, restio a buttarsi a capofitto sulla seconda fila di piante; ma mentre pensava se fare o no una pausa una potente folata di vento spazzò il cortile. Le piante e gli alberi frusciarono, i lenzuoli e i vestiti appesi si gonfiarono come vele di navi. Dietro uno di quelli fece capolino una figura dai capelli rossi, che stavolta guardava inequivocabilmente verso di lui, e Tsunayoshi non finse di essere impegnato e non guardò altrove.
Enma fece appena qualche passo verso l'orto, riparò gli occhi dal sole con la mano che non reggeva il cesto vuoto e gli sorrise come nessuno, a memoria di Tsunayoshi, gli aveva mai sorriso.

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Capitolo 11
*** Gli occhi rivelatori ***


Il lavoro e la terapia andarono di pari passo e di pari intensità per alcuni giorni, sfibrando Tsunayoshi in particolare fino all'osso. Lui era abituato ancora meno degli altri due ai lavori manuali e alle pulizie, che non poteva annoverare nel suo personale curricululm, e si riduceva ad addormentarsi stremato dopo una doccia veloce subito dopo la cena. Tuttavia, quando suonò la sveglietta di Tsunayoshi quel mattino, la spense immediatamente. La notte era passata quasi del tutto insonne, nonostante fosse distrutto per il lavoro del giorno precedente, preso com'era ad altalenare momenti di profondo sconforto per la solitudine dei suoi primi giorni di comunità a picchi di emozioni sconosciute se ripensava al ragazzo chiamato Enma. Dopo quella prima mattina non lo aveva più visto, e quasi era arrivato a pensare di averlo immaginato. 
Era così stanco che avrebbe voluto dormire per giorni, ma il pensiero che potesse essere il giorno buono per rivederlo in cortile bastò a farlo alzare subito. Indossò una tuta grigia e azzurra e aprì la porta sperando di essere il primo ad andare in bagno.
Restò basito nel vedere che sia Gokudera che Mukuro erano svegli, nel corridoio. Mukuro era appena uscito dalla sua stanza, con in mano quello che aveva tutta l'aria di un secchiello per il ghiaccio, forse sgraffignato dalle forniture del bar della sala ricevimenti, e lo teneva con attenzione perchè era ricolmo di acqua e ghiaccio. Dall'altro lato della porta di Tsunayoshi, Gokudera era a metà strada verso la stanza di Mukuro e portava con sé un enorme secchio che il ragazzo riconobbe come uno di quelli che venivano usati lì per raccogliere acqua piovana per l'orto. I due si erano appena visti e le loro intenzioni reciproche non potevano essere più ovvie.
Tsunayoshi indietreggiò per togliersi dalla linea di fuoco, o per meglio dire d'acqua, nel momento in cui Hayato scagliò tutto il contenuto del suo secchio contro Mukuro, che però lo schivò agilmente bagnandosi solo una gamba. Scivolando un poco si lanciò subito al contrattacco e col suo secchiello di acqua e ghiaccio colpì Hayato in piena faccia, inzuppandolo fino alla vita.
-Cazzo... merda, Mukuro! Questa me la paghi, te lo giuro!-
Mukuro, dal canto suo, stava ridendo di gusto. Tsunayoshi si affacciò circospetto, controllando i danni sul pavimento e gli schizzi sui muri. Elena non sarebbe stata affatto contenta...
-La prossima volta porto due secchi, ti ci affogo nell'acqua!-
-Oh, povero Hayato chan... non te l'ha detto nessuno?- lo schernì Mukuro con una vocetta che andava molto vicina a quella che usava per interpretare Romi. -Le dimensioni contano, ma conta di più come le gestisci!-
La vaga allusione parve non piacere affatto a Gokudera, che sollevò il secchio vuoto come per lanciarlo, ma un inconfondibile rumore di tacchi sulle scale annunciò l'arrivo di Elena. I due impallidirono e si affrettarono a cercare di occultare le prove, anche se umanamente nessuno avrebbe potuto. Mukuro prese un epico scivolone sul bagnato, ma si rialzò come un fulmine per scomparire nella propria stanza. Tsunayoshi si dileguò in bagno e fu da lì che qualche istante dopo potè sentire per intero l'invettiva della coordinatrice che sì, apprezzava i rinnovati energie ed entusiasmo dei due, ma avrebbe gradito l'osservanza delle regole e più maturità da parte di entrambi.
Durante la frettolosa colazione i due mangiarono in preda alla mestizia e solo una volta Tsunayoshi li colse a guardarsi, ma non nello stesso momento. Qualcosa colpì il ragazzo nel momento in cui vide gli occhi verdi di Hayato posarsi su Mukuro e poi volgersi verso il cielo azzurro acquoso. Non seppe spiegare cosa fosse, eppure sentiva qualcosa che non tornava, e la sensazione si acuì quando vide lo sguardo di Mukuro verso Gokudera. Era lui a essere in malafede? Era lui a vedere cose che non esistevano perchè aveva anche passato una nottata di scarso riposo, o Mukuro gli era sembrato alla spasmodica ricerca di un segno di pace da Gokudera? Un segno di pace, oppure di un cenno di intesa? Oppure, che altro?

Poco dopo Tsunayoshi si diresse ai fili del bucato, con ceste enormi di panni da stendere: erano stati lavati anche tovaglie, asciugamani e tende e aveva dovuto fare più viaggi per portare tutte le ceste fuori. Non ebbe aiuto dagli altri ospiti della struttura, che avevano altri compiti, e Mukuro e Gokudera erano impegnati nell'orto. Prima di iniziare il suo faticoso lavoro, gettò loro un'occhiata furtiva e vide che al contrario degli altri giorni stavano vicini, erano uno di fronte all'altro, separati da una lunga fila di ortaggi da raccogliere, e chiacchieravano a voce così bassa da non poter sentire una sola sillaba dal punto in cui si trovava.
Inferocito per quell'atteggiamento, Tsunayoshi voltò loro le spalle e cominciò a stendere i panni. Invece di calmarsi, restare lì a lavorare da solo rimuginando lo rendeva sempre più irritato e di cattivo umore. Lo rattristava molto vedere che due persone tanto diverse, che non avevano fatto altro che litigare dal principio, fossero riuscite a legare mentre lui non era riuscito a fare niente. Pensava che Mukuro, che lo aveva aiutato in cella così amabilmente, sarebbe stato un porto sicuro, un conforto nelle avversità, e invece anche lui sembrava allontanarsi come capitava sempre con chiunque entrasse in contatto con Tsunayoshi. Che cosa aveva fatto di male per essere messo da parte? Aveva cercato di essere gentile, di essere amichevole, sfidando la sua paura degli altri, sforzandosi davvero tanto per cercare un contatto con le persone che di solito rifuggiva... almeno, quando usava la ketamina non sentiva l'indifferenza degli altri, non gli importava di essere sempre solo... 
Il vento mattutino portò fino a lui l'eco di una risata di Mukuro e quel suono lo affliggeva. Si rese conto che nei giorni trascorsi alla clinica Mukuro non aveva praticamente mai riso quando era da solo con lui. Non si divertiva a stare con lui, lo trovava noioso? Era un ragazzo pesante, la cui compagnia finiva per stancare? Possibile che fosse solo questo il banale, ovvio motivo per cui tutti lo abbandonavano e lo evitavano anche a scuola?
Il ragazzo si voltò a guardare l'orto, restando parzialmente nascosto dietro una tenda candida. Mukuro e Hayato stavano parlando di qualcosa, molto vicini uno all'altro, finchè Mukuro non si accorse che Tsunayoshi li stava guardando. Disse una parola o qualcosa di molto breve all'altro, poi si alzò e si allontanò con una cassetta di ortaggi. Il ragazzo era decisamente infastidito... stavano forse parlando di lui e pensavano che si fosse messo a guardare perchè riusciva a sentirli? Avevano smesso per questo motivo?
-Ciao, Tsunayoshi.-
Tsunayoshi sobbalzò per lo spavento, inciampò nel cesto indietreggiando e cadde gambe all'aria sul prato. Per qualche istante si agitò come una cimice rovesciata, tentando goffamente di rialzarsi, mentre una voce vagamente familiare rideva.
-Oh, perdonami... ti spavento ogni volta...-
Tsunayoshi alzò la testa di scatto e vide Enma, in piedi lì accanto, che gli sorrideva. Indossava dei pantaloni sportivi blu scuro, scarpe da tennis e una camicia a maniche corte, bianche. Sembrava più magro e più alto della prima volta che l'aveva visto, o forse non lo aveva notato. Si accorse che non aveva attrezzi, né cesti o borse. 
-Enma... cosa...?-
-Mi dispiace... volevo venire a salutarti...-
Enma allungò la mano e lo aiutò ancora una volta ad alzarsi, ma questa volta Tsunayoshi sentì il respiro quasi spezzato quando gli prese la mano. Faceva quasi male il petto, ma si chiese se non fosse stata la caduta...
-Ti sei fatto male?-
-No... sto... bene...- disse Tsuna, spolverandosi la tuta. -Ma dove... dove ti sei nascosto in questi giorni?-
-Non mi sono mica nascosto.- rispose l'altro, divertito.
-Ma io non ti ho visto più...-
-Mi hai cercato?-
-Sì! ... Beh... qui fuori... voglio dire, nell'orto, nella serra... anche al pollaio...-
Enma lo guardò con aria vagamente stupita, ma in particolare sembrava lusingato. Gli fece un sorriso un po' più incerto e a Tsunayoshi parve di notare un colorito un po' più roseo nella zona delle sue gote e delle sue orecchie. Lo aveva fatto arrossire?
-Sono stato ammalato... ho preso un po' di febbre e sono rimasto a letto qualche giorno... poi mi hanno lasciato fare qualche lavoro al coperto, finchè non mi sono ripreso...-
-E ora stai bene?-
Enma aiutò Tsunayoshi a stendere un largo lenzuolo che faticava a maneggiare senza farlo strisciare a terra.
-Certo che sì... sono in piena forma adesso... grazie per la tua preoccupazione.-
Tsunayoshi era così sollevato da quelle notizie che sospirò vistosamente prima di pensare che da lì poteva essere udito benissimo. Enma infatti lo guardò con curiosità, inclinando un po' la testa da un lato.
-Cosa?-
-Oh... no... niente...-
-Ti sto annoiando?-
-No! No, certo che no, Enma... no... sono... sono solo contento di averti rivisto, io... stavo... iniziando a credere di averti sognato, quella mattina.-
-Sognare me?- rise lui, anche se sembrava imbarazzato. Imbarazzato, ma non a disagio.
-Beh... mi è successo ancora...-
-Di sognare di vedere persone e scoprire che non esistevano?-
-No... in questi giorni mi è successo di sognare te...-
Enma si bloccò mentre prendeva una tenda dal cesto e lo guardò come se avesse annunciato di vedere unicorni piovere dal cielo. Fu Tsunayoshi stavolta ad arrossire e si maledisse in silenzio per aver avuto l'ardire di rivelare un dettaglio così intimo. Si concentrò su una molletta come se volesse cercare di aggiustarla, anche se era del tutto sana.
-... A me non è successo.-
Anche se Tsunayoshi non aveva nutrito la minima speranza che la sua pallida infatuazione per il ragazzo dai capelli rossi fosse ricambiata, il tono definitivo con cui lo disse lo fece sentire mortificato. Si pentì profondamente di avergli confessato l'oggetto dei suoi sogni, ma poi Enma cercò proprio la molletta che teneva in mano, anzichè prenderne una dal filo.
-Io non ricordo mai che cosa sogno di notte... ma posso dirti che ti ho pensato mentre ero sveglio.-
Il suo cuore mancò un colpo e il suo petto fu invaso da un bizzarro solletichìo, come se avesse stappato una bibita gassata agitata nel proprio stomaco. La sensazione era così intensa che istintivamente si portò le mani al petto.
-Davvero?- domandò con un filo di voce.
-Sì... tu mi piaci, Tsunayoshi... i tuoi occhi mi hanno parlato di una persona meravigliosa.-
Enma sorrise, un po' in imbarazzo, forse convinto di aver parlato troppo, o di aver esagerato, considerando che quello era il loro secondo incontro e pressappoco la loro prima conversazione. Tornò a preoccuparsi delle tende, e Tsunayoshi non disse niente, per timore di sciupare quel momento. Si chiedeva se davvero i suoi occhi potessero dire di lui qualcosa di tanto bello, perchè lui non si sentiva meraviglioso, né interessante sotto qualsiasi profilo... ma come gli aveva detto il terapeuta, la sua mente tendeva a ingigantire qualsiasi cosa, a trasformarla in qualcosa di spaventoso e a trasfigurarla quasi sempre in una sua mancanza. Il fatto che lui tendesse a non vedere del buono in se stesso non significava necessariamente che non ci fosse nulla di prezioso, di speciale, di unico... e nonostante lo avesse visto spaventarsi e cadere goffamente in entrambe le occasioni in cui si erano incontrati, Enma sembrava vedere qualcosa di speciale...
Restarono insieme ancora per quasi un'ora, prendendosela molto comoda nello stendere le montagne di panni, e al riparo di quelli trovarono qualche argomento di cui parlare. Era facile parlare con lui, quanto lo era stato parlare con Mukuro in cella quella notte di detenzione; sentiva di avere qualcosa in comune con quel ragazzo che più volte colse ogni occasione o scusa per toccargli la mano, o almeno così gli era sembrato.
Quando Enma si congedò per tornare ai suoi doveri in cucina Tsunayoshi lo salutò con allegria, anche se guardarlo allontanarsi fu doloroso. Non appartenendo alla sua stessa struttura e al suo programma non sapeva dire quando lo avrebbe potuto vedere di nuovo, non sapeva nemmeno se gli fosse effettivamente permesso di incontrarlo. Punzecchiato da questi pensieri, tornò a controllare l'orto e si accorse che c'erano le piante, c'erano due cassette, c'erano attrezzi a terra... ma di Mukuro e Gokudera non c'era neanche l'ombra.

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Capitolo 12
*** L'antico veleno ***


Mukuro raggiunse uno degli angoli più isolati del cortile del centro di disintossicazione, una zona di prato con piccole aiuole di ciclamini e un imponente mandorlo. Non fu del tutto sorpreso di trovarci Gokudera, sdraiato sull'erba all'ombra dell'albero. Teneva gli occhi chiusi e la testa appoggiata sulle braccia, con il vento che gli scompigliava leggermente i capelli chiari.
Mukuro sorrise e si avvicinò, sedendo sul prato accanto a lui.
-Sei venuto veramente.-
-Non dovevo?- rispose lui, senza aprire gli occhi.
-Non ero così sicuro che ti andasse di parlare da soli in disparte.-
-Mi andava.- disse Gokudera. -Francamente, Sawada che ci fissa di continuo comincia a darmi fastidio... e non mi è chiaro nemmeno perchè ci guarda in quel modo.-
Hayato aprì gli occhi e lo guardò con aria apprensiva.
-Ci ha visto?-
-Tsunayoshi? Non credo.- disse Mukuro. -Quando sei andato via tu stava stendendo i panni e non si è girato, ne sono sicuro... quando sono andato via io c'era un ragazzo coi capelli rossi con lui... sembrava non avere occhi per nient'altro, quindi non credo ci abbia visto andar via.-
-Meglio, non voglio ritrovarmelo sempre intorno a guardarmi come se si aspettasse di vedermi tirare fuori uno spinello dalla tasca alla minima distrazione.-
Mukuro non potè trattenersi dal ridere.
-Non credo che sia questo il motivo per cui ti guarda, Gokudera.-
-E allora quale?-
-È geloso.- disse Mukuro con semplicità, sorridendo. -È geloso che tu parli con me e che scherziamo anche se Elena ci dice di darci un taglio... si sente solo e vorrebbe sentirsi più coinvolto... parte del gruppo. Si chiede probabilmente perchè socializzi con me se ti ero antipatico e non con lui, che è più tranquillo.-
-Io non socializzo, faccio stronzate per passare il tempo.-
-Parafrasando...- rise lui.
Gokudera lo guardò di nuovo con occhi verdi che sembravano brillare nel riverbero della luce e Mukuro non riuscì a evitare di pensare che erano davvero belli.
-Sei bravo a capire le persone, tu.-
-Sono bravo a capire Tsunayoshi, questo sì.- lo corresse lui. -Non mi riesce con tutti... non riesco assolutamente a capire quel poliziotto matto, e nemmeno te, Gokudera Hayato.-
-Non mi aspettavo che mi capissi. Io sono un casino persino per me stesso, e io sono un genio.-
-Modesto, soprattutto...-
Mukuro si sdraiò sul fianco poggiando la testa sull'addome di Gokudera e ne avvertì i gorgoglii sommessi. Gli venne da ridere, ma si trattenne; non voleva dirgli che sembrava avere dei leoni in lotta territoriale nella pancia.
-Ehi, mi devo preoccupare?- fece Gokudera in tono meno leggero di poco prima.
-Di cosa?-
-Di te, là sotto.-
-Non voglio appoggiare la testa sull'erba, non sopporto le formiche.- disse Mukuro seccamente. -Se mi sento una formica sulla testa poi devo farmi una doccia, e ci vuole un sacco di tempo per lavarmi e pettinarmi i capelli.-
A quanto pareva Gokudera non aveva nulla da eccepire a quella spiegazione, perchè non replicò e non protestò oltre per la sua scelta di posizione. Qualche istante dopo, Mukuro sentì delle dita delicate sfiorargli i capelli sulla testa.
-Hai dei bei capelli.-
Mukuro voltò leggermente la testa e vide che Hayato era assorto a guardare le punte della sua chioma corvina e ad arrotolarsele intorno alle dita con aria critica, come fosse un sommelier intento a valutare le qualità di un vino pregiato. E dava l'impressione che quel vino gli piacesse...
-È per il tuo lavoro che li tieni così?-
-Sì... insomma, io... ho smesso di tagliarli quando si sono separati i miei genitori.-
Hayato lo guardò con gli occhi che brillavano come quelli di un gatto. Mukuro sperò che non chiedesse altro, il solo nominare i suoi lo faceva sentire male e si era subito pentito di aver tirato fuori l'argomento.
-Continua.- gli disse invece Hayato.
Seppur riluttante a rispondere, Mukuro prese un profondo respiro. Forse era arrivato il momento di affrontare i fantasmi del suo passato, e se doveva essere, preferiva di gran lunga parlare con Gokudera piuttosto che con un terapeuta che sembrava sapere sempre già tutto...
-Quando... quando ero in prima media, i miei mi hanno mandato in una scuola prestigiosa... erano quel tipo di persone, che vogliono che il loro figlio sia... perfetto... mia madre mi tagliava i capelli con una frequenza quasi maniacale, usava il righello per essere sicura di tagliarli sempre uguali... e mio padre, invece, controllava tutti i risultati dei miei esami, era più spesso a scuola dai miei insegnanti che a casa con me.-
Se ad Hayato erano venute in mente battutine, o se avesse avuto qualche commento sgradevole da fare, decise di tenerli per sé, perchè non disse niente e continuò ad ascoltare con attenzione. Qualcuno che voleva raccontare la sua storia non avrebbe desiderato pubblico migliore.
-Poi... successe qualcosa, durante le vacanze estive... sono stato alla scuola estiva al mare, e quando sono tornato i miei genitori erano diversi.-
Mukuro guardò gli alberi mossi dal vento e si perse nei viali della memoria. Avrebbe voluto spiegarsi meglio, ma come poteva far capire a Gokudera che i suoi genitori erano cambiati in un modo che solo un figlio avrebbe percepito? Che il modo di parlare di sua madre era diverso, che suo padre sedeva più rigido quando cenavano a casa... che non si guardavano più negli occhi... come poterlo raccontare?
-Mia madre... era perennemente... distratta... mio padre quando era a casa trovava sempre qualcosa da criticare, che fosse la cena troppo salata, o la polvere sul cuscino, o anche solo che mia madre non dormiva e sembrava stanca...-
-Hai mai saputo che cosa era successo?-
Mukuro scosse la testa.
-Non me lo hanno mai detto... ma quando ho finito il primo anno, i miei si sono separati in casa... dormivano in stanze diverse, mangiavano in momenti diversi e non si rivolgevano la parola... poi un mattino, mentre mangiavo prima di andare a scuola, mio padre abbassò il giornale e mi sgridò perchè avevo i capelli troppo lunghi... credo fosse... la prima cosa che mi diceva dopo settimane di silenzio...-
-E tua madre non te li tagliava più per fargli un dispetto, o che cosa?-
-Se ne era dimenticata.- ribattè Mukuro, con una freddezza non rivolta a lui. -Non mi guardava mai, quindi non lo ha mai notato... poi, quando ha sentito mio padre urlare per questo, ha deciso di tagliarmeli di nuovo, ma io mi sono rifiutato.-
-E da allora non li tagli?-
-Quel giorno sono come impazzito... e ho urlato ai miei che non mi sarei tagliato i capelli finchè non si fossero parlati di nuovo, che era una famiglia assurda... sono scappato di casa quella sera e sono andato da un mio compagno di scuola, Kyoya... sono rimasto da lui per una settimana prima di decidere di tornare a casa...-
-Ma i tuoi non sono mai tornati insieme, vero?-
-No, non sono tornati insieme e non si parlavano... e da quella volta, ogni volta che si insultavano, parlavano di me dicendo "tuo figlio", come se non fossi più una cosa loro, come se volessero scaricarsela addosso uno con l'altro.- proseguì Mukuro, con un senso di malessere diffuso nel petto. -E sembrava che l'unica cosa che li tenesse ancora in contatto fosse il parlare di me... e io ho fatto tutto il peggio che potevo perchè parlassero di me, anche quando sono arrivati a pensare di spedirmi in un collegio non mi sono fermato... credevo che avrei potuto ricucire lo strappo tra di loro facendo così... ma poi...-
Mukuro si fermò un momento. Aveva un nodo in gola, sentiva che gli occhi gli si stavano riempiendo di lacrime. Se li nascose con il braccio, tentando con tutte le sue forze di trattenersi, non voleva piangere come un bambino...
-Va tutto bene.- disse Hayato, in un tono dolce che non gli riconosceva. -Devi piangere. Devi buttarle fuori quelle lacrime. Sono come la cacca, se la trattieni poi rilascia le scorie e ti intossica.-
Mukuro scoppiò a ridere per quell'assurdo paragone, ma gli uscirono dei singulti decisamente distorti e insieme a quelli anche delle copiose lacrime bollenti. Anche all'epoca, quando i fatti erano in corso, ricordava di aver pianto soltanto una volta, a casa di Kyoya durante la sua fuga da casa...
Restò così qualche minuto, ma Gokudera attese pazientemente finchè i mezzi singhiozzi e le lacrime non gli diedero tregua abbastanza da poter di nuovo parlare e riprendere da dove si era interrotto. La parte peggiore, quella che faceva più male, quella che Byakuran aveva intuito così bene...
-Insomma... insomma, dopo che anche quella minaccia... del collegio... non aveva cambiato niente, loro hanno... semplicemente smesso di provare...- riprese Mukuro, con voce stentata. -Hanno smesso di andare dagli insegnanti quando li chiamavano per qualcosa che avevo combinato... hanno smesso di sgridarmi per i miei voti, per i miei vestiti... non c'era più niente che li turbasse, nemmeno gli orecchini, o il piercing che mi sono fatto da solo nella lingua... assolutamente... niente...-
-Ti sei fatto un piercing da solo nella lingua?-
-Sì... un male dell'inferno, porca miseria... ma poi l'ho tolto subito, a me dava fastidio e ai miei non importava niente che lo avessi o no...-
-Tu sei proprio matto.-
-Lo ero, sì... dopo che avevo fallito con quello, sono andato da un mio professore e gli ho chiesto davanti a tutta la classe se poteva darmi un bel voto in matematica perchè mio padre non mi parlava più.-
-E lui?-
-Mi disse che se studiavo me l'avrebbe dato sicuramente, e io gli ho chiesto se poteva darmi un voto a un compito in bianco se glielo succhiavo.-
Gokudera restò interdetto per un momento, poi scoppiò a ridere a crepapelle.
-Ma che cosa... ma sei veramente pazzo! Davanti a tutta la classe, tra l'altro!-
-L'ho fatto apposta.- precisò Mukuro. -Non volevo che mi dicesse di sì, volevo che lo andasse a dire a mio padre.-
-Beh, l'avrà fatto di sicuro, no? Che cosa ha detto?-
-Mio padre ha detto che mi avrebbe ritirato da scuola e si è scusato con il professore... mi ha ritirato il giorno dopo e mi ha iscritto alla scuola più malfamata che ci fosse... è tornato a casa la sera con i miei libri di seconda mano, l'uniforme della nuova scuola e mi ha detto che lì mi potevo divertire e fare quello che volevo senza metterlo in imbarazzo.-
-Porca vacca, l'ha presa proprio male, eh?-
-Se ne è andato di casa dopo due settimane, senza nemmeno salutarmi... io... non lo vedo da allora.-
-Ma stai scherzando? L'ultima volta che hai visto tuo padre è quando ti ha scaricato in una scuola malfamata?-
-Sì, è l'ultima volta che l'ho visto... e io ho cominciato a fare quello che mi pareva, i miei si erano separati del tutto, mia madre andava via di casa per giorni e giorni, da amiche o dalla zia a Sapporo, e potevo mangiare quello che volevo, tornare anche a notte tarda... è stato in terza media che ho iniziato a frequentare i rave e a provare le droghe... mi dava sollievo non ricordare mio padre, o non pensare a cosa raccontava mia madre agli altri di me, o che bugie inventasse per nascondere che mi abbandonava da solo senza controllo...-
-Non mi stupisce che tu te ne sia andato di casa dopo il liceo e ti sia messo a fare un simile lavoro.- osservò Gokudera. -Sei cresciuto senza regole, non saresti riuscito a sottostare alle regole di un posto di lavoro normale... e dovevi anche mantenere dei vizi costosi, non potevi fare il fattorino...-
-L'uniforme della mia scuola non mi piaceva... volevo disperatamente un lavoro in cui potevo decidere di vestirmi come volevo... ho incontrato Isabella in un bar, Isabella è una drag queen che lavorava al Quarto di Luna... parlava dei miei capelli, della mia pelle... è stata lei a mettermi quest'idea in testa... e alla fine, mi ha preso... era quello che volevo fare... scegliermi i costumi... potevo cantare, potevo ballare... potevo avere le attenzioni di chiunque, lavorare quando volevo e guadagnare tanto... potevo dimenticare di essere stato Rokudo Mukuro... di essere stato un fallimento come figlio...-
-Non sei mai stato un fallimento come figlio.-
Mukuro sentì Gokudera muoversi e lo vide sollevarsi seduto, guardandolo con aria di rimprovero.
-Tu non hai fallito in niente... i tuoi genitori hanno fallito come genitori. Se un matrimonio finisce, i figli restano di entrambi, e io ne so qualcosa.- fece Hayato, molto serio. -Mia madre mi ha cresciuto da sola perchè mio padre l'ha lasciata per sposare un'altra donna... ha deciso di uscire dalla mia vita, ma ha sempre dato dei soldi a mia madre per me, mi ha telefonato ogni anno per il mio compleanno, e chiamava mia madre per sapere come andavo a scuola, e non si è mai fatto sentire per lamentarsi di me. I tuoi non dovevano darti la colpa di quello che andava male nella loro vita. Avrebbero dovuto fare di più per te, per non farti pesare la loro separazione. Loro hanno fallito, e le conseguenze le hai pagate tu.-
Mukuro non sapeva cosa dire, perchè mai nessuno nella sua vita aveva sentito quella storia e quindi non aveva mai sentito il parere di qualcuno diverso da se stesso. E lui tendeva ad addossarsi la colpa di qualsiasi cosa. Ogni risposta data ai suoi era sbagliata, ogni atteggiamento era esagerato, ogni remissione era debolezza, qualsiasi cosa nel suo passato gli sembrava un mastodontico errore... non aveva mai avuto nessuno che gli dicesse che non aveva sbagliato, che erano stati errori di qualcun altro a ripercuotersi sulla sua vita...
Si alzò di scatto dalle gambe di Hayato e sedette sull'erba dandogli la schiena, anche se sapeva benissimo che i singhiozzi che tratteneva erano ben visibili dai movimenti inconsulti delle spalle. Ma in quel momento tutti i sentimenti repressi da anni stavano distruggendo le barricate, volevano uscire tutti insieme, volevano lasciarlo per sempre, e non aveva né la forza né la volontà per fermarli.
In quel momento, in quel giardino, si ricordò di una favola in cui un drago vomitava una maledizione che lo aveva colpito, sotto forma di melma scura. Si sentiva come quel drago... aveva vomitato tutto il veleno che teneva dentro da tanti anni.

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Capitolo 13
*** Allegria ***


I giorni che seguirono furono giorni particolarmente tranquilli e sereni per i tre ragazzi. L'entità dei loro lavori diminuì un po' dopo i trenta giorni di terapia, lasciando loro del tempo libero per fare quello che preferivano o la possibilità di essere coinvolti in attività di gruppo con altri ospiti della struttura, entrambe strade incoraggiate dai loro terapeuti impegnati a ricostruire la loro interiorità in modo personale.
Non sorprese nessuno che Hayato scegliesse di esercitarsi al pianoforte nella sala musica, ma impressionò tutti i presenti quando posò le dita su due tasti e imprecò sonoramente per lo stato di trascuratezza dello strumento, strepitando di accordarlo come si deve.
Il giorno seguente Mukuro, sebbene avesse letto con discreto interesse la lista delle attività organizzate quel mese, alla fine non appose il suo nome in nessuna lista. Tsunayoshi, essendo presente in quel momento, avrebbe voluto chiedergli come mai non ci fosse nulla che lo stimolasse dato che conosceva i suoi numerosi interessi, ma poi venne distratto dal nome di Enma scribacchiato storto sotto la lista Pet Therapy, e si affrettò a scriverci sotto il suo. Quando ebbe fatto, Mukuro se ne stava già andando.

Mukuro passava gran parte del suo tempo libero a leggere, dato che aveva scoperto che si trovava anche una modesta biblioteca nella struttura, e il restante tempo di solito scorreva via mentre guardava un gruppo o un altro impegnato in qualche attività, rimuginando instancabilmente su che cosa avrebbe potuto fare una volta uscito dalla clinica. Aveva superato i trenta giorni iniziali, e gliene restavano circa sessanta prima di essere libero da qualsiasi pendenza giuridica e affrancato dalla sua dipendenza da droghe. Non poteva tornare al Quarto di Luna e questo lo sapeva bene; non poteva ritornare in un posto dove poteva trovare di nuovo l'eroina, o sarebbe stato tentato ogni singolo giorno della sua vita. Sarebbe bastata una giornata storta, e sarebbe potuta ricominciare da capo, ancora una volta... probabilmente, per l'ultima volta.
Sapeva bene che cosa voleva fare non appena uscito, il primissimo posto dove andare. Aveva un amico che aspettava una sua visita da tanto tempo, un amico a cui doveva delle scuse sentite... ma subito dopo, dove sarebbe andato? Non sapeva nemmeno se tornare a casa... non sapeva neanche se una casa ce l'aveva, non pagava affitto da due mesi, pensandoci su.
Mukuro sospirò e guardò dalla finestra della biblioteca. In lontananza vedeva Tsunayoshi, titubante, intento a tentare di pettinare un grosso cane dopo averlo lavato. Lui almeno aveva una casa, dove i suoi genitori lo aspettavano, e la scuola da continuare... ma Mukuro non aveva nessuno...
Per un folle attimo si immaginò a uscire dalla clinica con la sua valigia e di trovare Byakuran ad aspettarlo. Immaginò di seguirlo, e vedere quell'appartamento in una palazzina da cui si vedevano altre palazzine e grattacieli... ma poi si riscosse. Nonostante le sue migliori intenzioni, il poliziotto non aveva mai detto che sarebbe andato a prenderlo, né gli aveva mai chiesto se avesse bisogno di un posto dove stare. Si doveva assolutamente ricordare di chiedergli, nella prossima chiamata su Skype, cosa ne era del suo appartamento, se ne aveva ancora uno, o avrebbe potuto chiedergli di trovargli un posto nuovo... dopotutto, lui aveva parecchio denaro, probabilmente molto più di quanto la busta paga di Byakuran gli consentisse di mettere da parte...
Frustrato dal ronzio di pensieri inconcludenti e ripetitivi, Mukuro prese il libro e si alzò dal tavolo, senza alcuna reazione particolare alla vista del grosso cane che balzava scodinzolando su Tsunayoshi. Sawada poteva anche vedere in lui tutto il meglio dell'umanità, cosa che sembrava effettivamente fare, ma Mukuro al momento si sentiva decisamente uno straccio. Non sapeva cosa fare del futuro che si era tanto dolorosamente guadagnato...
Si fermò al registro, scrisse il titolo del libro che intendeva prendere in prestito e appose la propria firma prima di uscire. Percorse un corridoio baciato dal sole del pomeriggio, assorto in pensieri che faticava a trattenere per più di una frazione di secondo, finchè non percepì la musica del pianoforte. Si fermò di colpo e si voltò verso la stanza che aveva appena superato. Se le orecchie non lo stavano clamorosamente ingannando, erano le note di Allegria, un brano molto famoso dello spettacolo del Cirque du Soleil...
Mukuro si accostò alla porta e dal vetro vide Gokudera seduto al piano a suonare il brano. Sembrava essere da solo nella stanza, così aprì l'uscio con delicatezza ed entrò silenzioso nella stanza. Gokudera percepì il movimento e si voltò a guardarlo, con un'esitazione nel suono, ma al gesto di Mukuro riprese a suonare senza interruzioni. Non si era sbagliato: Gokudera era totalmente solo nella sala musica, e il suo spartito era davvero Allegria. Mukuro chiuse gli occhi e lo ascoltò, riuscendo per la prima volta da giorni a togliersi quell'insopportabile frullare di pensieri dalla mente...
Gokudera suonò le ultime note e calò il silenzio. Mukuro aprì di nuovo gli occhi e vide quelli verdi di Gokudera che lo guardavano.
-Come mai qui?-
-Ti ho sentito suonare passando.- disse lui, alzando le spalle. -Mi piace questa canzone.-
-Anche ad Haru piace. La sto imparando per suonarla quando verrà a trovarmi a casa.-
-A casa? Perchè non quando viene qui?-
Gokudera lo guardò come se avesse detto una parolaccia scandalosa.
-Con questo pianoforte da rottamare? Ma non scherziamo!-
Mukuro rise e si avvicinò al piano, suonando distrattamente qualche nota. Erano parecchi anni che non ne toccava uno...
-Ha davvero un suono tanto orrendo?-
-Porca miseria, sì, fa davvero...-
Ma Hayato non disse mai cosa faceva quel pianoforte, perchè fu totalmente preso dall'osservare la mano di Mukuro sulla tastiera, mentre seguiva le note della mano sinistra indicate sullo spartito, mormorando piano le parole della canzone per seguirla meglio. Dopo alcune frasi del brano, lo guardò in faccia.
-Sai suonare il piano.- osservò.
-Non proprio, no...- disse Mukuro, con un vago sorriso. -Me lo hanno fatto studiare i miei genitori da piccolo, ma non ho mai avuto talento come musicista, e ho smesso quando sono andato alle medie.-
-Suona con me.-
-Cosa?-
-Siediti.- disse Hayato, lasciandogli posto sullo sgabello. -Suoniamolo insieme.-
-No, no, io non posso.- si affrettò a dire Mukuro, togliendo la mano dalla tastiera come se fossero scattate trappole per topi. -Non posso suonare con te, non sono in grado...-
-Ma smettila. Avanti, siediti.-  fece Hayato in tono di comando. -Siediti, ho detto.-
Mukuro non avrebbe davvero voluto, non era neanche certo di riuscire a suonare coordinando due mani, era troppo tempo che non provava più, ma cedette al tono imperioso di Gokudera e gli sedette accanto, sul lato sinistro del piano. Improvvisamente la tastiera e lo spartito gli sembrarono minacciosi, ma poi vide che Hayato sorrideva.
-Non ti uccido mica se sbagli. Siamo soli, non lo saprà nessuno.-
Un po' più rilassato, Mukuro guardò di nuovo la tastiera, rilesse lo spartito, facendo una prova silenziosa con le dita che sfioravano i tasti. Alla fine, annuì a se stesso.
-Sai, sono emozionato anch'io.- disse Hayato, sorridendo.
-Eh? Perchè?-
-Non ho mai suonato con un'altra persona prima d'ora, a parte mia madre.-
Mukuro vide la strana luce che brillava negli occhi verdi di Hayato e pensò che il posto in cui erano finiti sembrava un campo dei miracoli. Solo un mese prima, quel talentuoso pianista bruciava gli spartiti e si faceva di droghe per dimenticare completamente la madre morta... ora, nel ricordare i suoi momenti migliori con lei, sorrideva.

-Tsuna, non ti fa niente, dai.-
-Ma è... enorme!-
Enma Kozato rise di gusto, mentre insaponava il grosso pastore bernese che sedeva quieto nella tinozza di acqua calda. L'animale era il più mansueto dei cani che Tsuna avesse mai visto, eppure non poteva non fissare angosciato le enormi zampe anteriori o i lunghi, robusti canini scoperti mentre la tranquilla bestiola respirava a bocca aperta. Avrebbe potuto praticamente staccargli un arto in un attimo...
Sentì una mano bagnata e delicata prendere la sua e in quel momento Tsuna riuscì a dimenticare l'animale per un periodo abbastanza lungo da accorgersi che era Enma a prendergliela e arrossì, almeno finchè il ragazzo dai capelli rossi non portò quella mano sulla testa del cane.
-Non avere paura, non vedi com'è tranquillo? È un cucciolone!-
Nella sua testa Tsunayoshi pensò che il nocciolo della questione stava tutto in quell'one, ma prima che potesse dirgli qualcosa il cane leccò la mano di Tsuna facendolo sussultare e gridare di paura. Altri partecipanti al gruppo di pet therapy lo guardarono, ma il ragazzo non ci fece caso: se non fosse stato seduto sull'erba sarebbe certamente svenuto per la paura.
-Tsuna... non fa niente, quando un cane ti lecca va benissimo.- disse pazientemente Enma, sorridendogli. -Ti dice che riconosce la tua presenza... insomma, ti dice che gli piaci, tutto qui...-
L'unica cosa che convinse Tsuna a lasciarsi leccare la mano di nuovo fu il fatto che Enma lavava e coccolava quel grosso cane con grande affetto e che sembrava molto felice in quel momento. La sua aria vagamente triste era a malapena percettibile nei suoi occhi. Gli sembrava la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua, e forse Enma si sintonizzò inconsciamente sulla lunghezza d'onda dei suoi pensieri.
-Non è bellissimo...?-
-Bellissimo...- rispose Tsuna, senza guardare il cane né pensare lontanamente a quello.
Enma si voltò a guardarlo, forse per incoraggiarlo nel prendere confidenza con l'animale, ma restò decisamente basito di notare che Tsuna non stava guardando il canide e colse che probabilmente non era di quello che parlava poco prima con quel complimento così sentito. Ancora una volta distolse lo sguardo e tornò alla toeletta, ma mentre gli diventavano rosee le guance sorrideva. Tsunayoshi si imbarazzò per essere stato tanto assente da ardire un commento del genere ed essersi fatto smascherare tanto facilmente, e decise, per cancellare quel momento di vergogna, di impegnarsi nella cura del cane.
Dopo averlo lavato con attenzione, entrambi i ragazzi lo asciugarono con l'ausilio di grandi teli in microfibra e di piccoli asciugacapelli senza fili, estremamente silenziosi, studiati per non far spaventare gli animali con il loro rumore. Il cane era beato e tranquillo e pareva godersela un mondo, così viziato, tanto che mentre ancora procedevano all'asciugatura del folto pelo l'animale posò il grosso testone sulla gamba di Tsunayoshi, appisolandosi.
Con un sospiro per la fatica e il caldo che l'apparecchio produceva, Tsunayoshi prese una piccola pausa e guardò in giro. Qualche cagnetto di taglia più piccola era già asciutto e stava venendo pettinato, qualche altro era in braccio o sulle gambe di altre persone. Oltre il gruppo vide le scaffalature della biblioteca dalle ampie vetrate e distinse Mukuro seduto ad un tavolo da solo, che leggeva. Non faceva molto altro ultimamente, e si era chiesto se non stesse studiando, pensando di continuare gli studi una volta fuori... non ne sapeva niente, perchè non parlavano più molto spesso di cose private...
-Tsuna, tutto bene...?-
-Eh?-
-Sei stanco?-
-Oh... no, no... stavo solo guardando un...-
Avrebbe voluto dire "un mio amico", ma in verità le parole gli restarono impigliate nella gola. Erano veramente amici? Parlavano appena, ormai, e quella prima sera sotto la pioggia torrenziale sembrava lontana anni...
-Il ragazzo della stanza accanto alla mia.- concluse, con un groppo in gola. -In biblioteca.-
Enma alzò lo sguardo dalla bestiola, che con il pelo gonfio assomigliava a un leone dalla lingua penzolante, e guardò verso le finestre. Non ci fu bisogno di chiarirgli chi fosse, perchè era l'unica figura visibile nella stanza. Si stava spostando i capelli alle spalle e dietro l'orecchio.
-Oh, sì... quel ragazzo con quei capelli pazzeschi.- disse Enma. -L'ho visto ieri vicino al recinto, si stava legando i capelli... sono veramente lunghissimi, chissà quanto ci mette a pettinarli.-
-Parecchio, direi...-
-Ci credi che non ho incontrato mai nessuna ragazza con dei capelli lunghi come i suoi?-
Tsunayoshi aveva ammirato la bellezza di Mukuro fino a quel momento, invidiandogliela anche un po', eppure ora nutriva un'inspiegabile avversione per la sua lunga capigliatura nera. Uno spiritello molesto, nel profondo della sua mente, iniziò a chiedersi se ci fosse la possibilità di fomentare uno spirito di vendetta in Gokudera tale da convincerlo a tagliare i capelli di Mukuro mentre dormiva...
-Che tipo è?- chiese Enma all'improvviso. -Non so, qualcuno che tiene i capelli così lunghi forse è un po' narcisista, a te come sembra? È vanitoso?-
Tsunayoshi fissò la spazzola che aveva preso in mano, in conflitto con se stesso. La risposta onesta sarebbe stata no, perchè Mukuro sebbene tenesse al proprio aspetto tendeva a diventare particolarmente umile quando gli rivolgevano un complimento e aveva preso l'abitudine di guardarsi intorno per evitare di essere notato da troppa gente quando si doveva sciogliere i capelli... eppure, tra tanti che potevano beccarlo mentre lo faceva doveva esserci proprio Enma...?
La pena di scegliere una risposta gli fu risparmiata da Roy, il grosso bernese, che scelse di saltargli addosso e leccargli più volte la faccia. Nel tentativo di sfuggire all'enorme lingua umidiccia e ai denti pericolosamente vicini, Tsunayoshi strisciò indietro, si aggrappò a qualcosa e tirò cercando di usarla come appiglio per alzarsi, ma aveva scelto l'ancora sbagliata: la tinozza si rovesciò e lo inondò con l'acqua sporca e saponata con cui avevano lavato il cane. Esplose un coro di risate e il ragazzo non ebbe neanche la forza di alzare la testa. In quel momento avrebbe tanto voluto inabissarsi nella fanghiglia e sparire per sempre... possibile che non riuscisse a passare un solo momento gradevole con Enma senza fare una figuraccia?
-Buono, buono!- stava dicendo lui, sicuramente all'animale. -Tsuna! Tsuna, stai bene?-
Enma si avvicinò in tutta fretta e gli sollevò la testa, preoccupato. Era l'unico, nel campo visivo di Tsuna, che non stesse ridendo.
-Non ti ha morso, meno male... ti sei solo spaventato, allora?-
Con gli occhi che bruciavano, Tsuna sperò che le sue lacrime di vergogna si confondessero con l'acqua che gli colava dai capelli zuppi, o che sembrassero causate dal sapone. Anche se, nel sorriso dolce che ricevette subito dopo da Enma, c'era l'intima certezza che lui avesse capito perfettamente.
-Non è successo niente... su, vai dentro e cambiati... quando sei pronto torna da me... mi occupo io di Roy.-
Fu estremamente felice di dargli retta, e si alzò immediatamente allontanandosi dal gruppo di persone e cani. Vedeva tutto sfocato e tentò di asciugare gli occhi abbastanza da garantirsi una vista nitida. In quello stato d'animo, con la vergogna che si diffondeva a dolorose vampate, riusciva soltanto a pensare che Enma gli aveva detto di tornare "da lui" e non "da loro", come se fossero sempre stati solo in due quel pomeriggio.

Tsunayoshi si cambiò e si asciugò i capelli in fretta, ma vedendo dalla finestra che il gruppo si era spostato vicino ai recinti per far giocare gli animali decise di uscire dalla porta laterale. Scese le scale di corsa e si diresse a sinistra, ma un suono lo fece bloccare quasi contro la sua volontà nel corridoio in cui raramente soleva passare. Voltò la testa verso la porta con la finestrella, che era socchiusa, perchè la musica e la voce venivano da lì. Con una sensazione di dita fredde che stringevano le sue viscere, si avvicinò in punta di piedi e guardò dentro.
Hayato Gokudera era seduto sullo sgabello e le sue mani si muovevano sugli ottantotto tasti con leggiadria, come se non avesse mai fatto altro che dormire, respirare e suonare dal giorno della nascita. Così incantato da quella visione, quasi non riconobbe subito Mukuro, seduto in bilico sul bordo sinistro dello stesso sgabello; anche se quello che lo aveva attratto inizialmente era proprio il suono della sua voce. Stava cantando?
-Beautiful roaring scream... of joy and sorrow, so extreme...-
Tsuna non era risaputamente un genio né tantomeno uno studente diligente, quindi ammise con grande franchezza a se stesso di non capire una sola parola della canzone, anche se gli parve di distinguere la parola "joy", che era in inglese. Con il proseguo della canzone però, colse delle parole che avevano tutt'altro suono, compresa "Allegria", che gli rimandò alla mente qualche lezione di musica senza che egli riuscisse a focalizzare che gli ricordavano le parole sugli spartiti, come "allegro", "andante", "veloce" scritti in italiano.
Mukuro finì di cantare, e ci volle ancora un po' perchè anche Gokudera suonasse le ultime note. Quando smise, Mukuro applaudì qualche volta al suo indirizzo. Non lo vedeva in faccia, ma Gokudera lo stava guardando notevolmente sorpreso.
-Tu canti davvero bene, Mukuro.-
-Ah... ma no, solo qualche esperienza nel karaoke e un po' di sere di spettacolo al mio locale.-
-Questo non è solo karaoke.- insistette lui. -I tuoi ti hanno fatto studiare anche canto?-
-Oya, certo che no, figurarsi...-
-Allora dovresti pensarci su.- fece Gokudera, con aria seria. -Hai una bella voce e una bella respirazione per non aver mai preso una lezione... potresti avere un talento per questo.-
-Stai proprio prendendo un granchio, Gokudera, mi dispiace per te.-
-Perchè non vieni al conservatorio insieme a me?-
Probabilmente quella domanda spiazzò Tsunayoshi tanto quanto Mukuro, che ammutolì senza nemmeno muovere un dito. Solo dopo qualche istante scoppiò in una risata.
-Al conservatorio potrei giusto fare le pulizie, io!-
-Guarda che io sono serissimo.- fece Hayato. -Lo sai che ho un buon orecchio. Non è l'orecchio assoluto, ma è un orecchio allenato, so che cosa ho sentito. Fidati di me.-
-Non credo che...-
-Hai detto che non sai che cosa fare.- insistette ancora il pianista. -Hai detto che non vuoi tornare alla vita che facevi prima, ma che non sai che cosa fare. Vieni con me al conservatorio e vediamo come va, non ci rimetti niente a provarci.-
La risposta di Mukuro tardò ad arrivare. Tsunayoshi non lo vedeva in faccia, ma dal modo in cui la mano salì al mento capì che stava assumendo la posa che teneva sempre istintivamente quando rifletteva su qualcosa.
-Almeno pensaci su, in questi giorni, okay?-
Mukuro annuì e Gokudera sembrò soddisfatto del compromesso. Sfogliò dentro una sua cartelletta e quando parlò di nuovo fu per chiedergli se gli andava di provare un altro brano dal titolo straniero. 
Tsunayoshi abbandonò la finestrella e si allontanò nel corridoio. Erano arrivati a tanto? Gokudera e Mukuro passavano interi pomeriggi insieme persino nel tempo libero, a suonare e a cantare, e pianificavano anche di frequentare lo stesso conservatorio una volta usciti dalla terapia. Dentro al ragazzo iniziò a ribollire la rabbia. E diceva di voler sposare una ragazza, quel bugiardo di Gokudera... e Mukuro? Si era montato la testa con quello che gli aveva detto quel poliziotto l'ultima volta? Oppure preferiva la compagnia di persone di talento, quale Tsuna non era e non sarebbe mai stato?
Quando uscì in cortile, nemmeno la vista di Enma riuscì a scacciare del tutto le ombre dal suo cuore.

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Capitolo 14
*** Verso la luce ***


Quella sera Hayato rientrò nella sua stanza dopo aver dato la buonanotte a Mukuro nel corridoio e si diresse alla scrivania. Si sedette e aprì il portatile, che sua sorella gli aveva portato per mantenere i rapporti con lui durante la terapia nonostante stesse per andare a curare un progetto a Milano. Hayato non usava più il pc da molto tempo, avendo tagliato i ponti con amici, famiglia, scuola e musica. Sul suo desktop ritrovò una gran quantità di cose sparpagliate o senza nomi esplicativi: tabelle, foto scaricate dal cellulare, una rubrica telefonica, cartelle e cartelle di cose a caso trovate in internet, canzoni, file audio dei suoi esercizi al piano che usava per riascoltarsi, spartiti...
Dette un'occhiata all'orario e si accorse che era ancora un po' presto, quindi si accinse a riordinare i suoi file. Cancellò gran parte dei file casuali, archiviò con cura le fotografie che riuscirono anche a strappargli un sorriso, rinominò gli audio e li suddivise per genere. Stava per dare un'occhiata ai file tabelle quando la suoneria di Skype lo distrasse: Haru lo stava chiamando...
Rispose alla chiamata subito e lo schermo gli restituì l'immagine di Haru, con i capelli sciolti, seduta sul letto accanto a una lampada decorata a fiori. A meno che nella penombra non avesse preso un granchio, c'era una fotografia sul comodino che ritraeva un ragazzo seduto al pianoforte...
-Prova prova, mi senti?- trillò lei.
-Io... sì... ti sento...-
-Come stai, Hayato?-
Hayato non sapeva se era l'emozione di vedere una faccia amica dopo tanto tempo, o se era proprio il vedere Haru, il suo sorriso; o se era il suono del proprio nome così raramente usato da chi lo conosceva, o che altro motivo, ma sentì un groppo alla gola e gli occhi che gli diventavano umidi. Impacciato tentò di nascondersi fingendo di cercare qualcosa nel cassetto, ma poi si accorse che anche Haru, nello schermo, sorrideva e piangeva contemporaneamente.
-Perchè piangi, Hayato...?-
-E tu, perchè?-
-Io sono felice di vederti... felice che tu sia rimasto in terapia e che... mi abbia chiesto di chiamarti...- disse lei, asciugandosi con un fazzolettino. -Dimmi di te, Hayato... come stai? Come ti trovi, lì?-
-Sono ancora pulito da quando sei venuta a casa mia... non sento la mancanza della droga...-
-Questo è meraviglioso, Hayato!- disse lei, entusiasta. -E com'è, lì? Ti sei fatto degli amici?-
-Non sono un bambino... e questo non è un camping estivo...-
-Ma non aiuterebbe socializzare con altri ragazzi con lo stesso tuo obiettivo? Bianchi mi ha detto che ti fanno fare tanti lavori lì, non hai trovato nessuno con cui fare amicizia?-
-Beh...-
Anche se non era sicuro di voler passare la serata a raccontare ad Haru di Mukuro o degli altri, non riuscì a reprimere un accenno di sorriso. Lei se ne accorse e lanciò un'esclamazione di sorpresa.
-Ah! Allora c'è! Perchè non me lo vuoi dire, è una ragazza?-
-No, no... non è una ragazza... è un ragazzo, Mukuro, ha un anno più di me... è stato ricoverato qui lo stesso giorno in cui sono arrivato...-
-Che tipo è? Simpatico?-
-...Strano.- ammise Hayato. -Il primo giorno mi ha detto di lasciar perdere una donna che non mi accettava per quello che ero e ci siamo presi a insulti, ma poi in qualche maniera abbiamo legato... ha avuto un sacco di problemi con i suoi genitori, quindi pensava di aver sbagliato più o meno ogni singolo respiro della sua vita.-
-Oh, è terribile... starà meglio ora, spero...-
-Sì, sì... si è ripreso abbastanza bene... fino a stamattina era ancora un po' strano, credo fosse preoccupato di cosa fare una volta uscito da qui, ma gli ho chiesto di venire al conservatorio con me... canta molto bene, sai...-
La notizia parve rendere molto felice Haru, ma più che altro Hayato capì che era per l'implicita conferma delle sue intenzioni di studiare di nuovo pianoforte. Come se con quell'inizio avesse sfondato una diga, Hayato iniziò a parlare a ruota libera. Raccontò ad Haru dei buffi momenti in cui lui e Mukuro tentavano di bagnarsi a vicenda dal mattino presto, le raccontò di Tsunayoshi e di quanto fosse triste che non ricevesse alcuna visita né una chiamata Skype, ma evitò di dirle che sembrava geloso del suo rapporto neonato con Mukuro per paura che la sua paranoia infettasse Haru. Le raccontò che tipo di lavori faceva ogni giorno, le disse qualcosa riguardo alle sue sedute dal terapeuta. Parlò per un'ora, quasi senza che Haru facesse una domanda, ma lei lo ascoltava con attenzione e gli sorrideva. Alla fine, quando ebbe esaurito gli argomenti dopo averle illustrato i brani che pensava di preparare per l'ammissione al conservatorio e i suoi ancora molti dubbi in proposito, si zittì. Si sentiva leggerissimo, quasi vuoto all'interno, ma con una sensazione piacevole, come se avesse imparato a volare sulla brezza anzichè arrancare nelle tempeste. Era come essere un gabbiano che plana placidamente sulla spiaggia, e Haru che sorrideva era il mare che brillava sotto il sole...
-Sono contenta che tu sia felice anche se sei lontano da casa, Hayato... quando tornerai riuscirai a essere ancora più felice.-
-... Ma ho parlato solo io... dimmi... qualcosa di te... cosa succede all'università...?-
-Oh, beh, niente di troppo emozionante... a Tokyo tutti studiano tanto, però c'è stata una festa...-
Hayato cercò di concentrarsi con tutte le forze sulla festa a cui Haru era stata, ma era distratto. Continuava a guardarla, a cercare di immaginare come sarebbe stato essere davvero seduto davanti a lei, e il suo cervello esplorava quasi in un sogno a occhi aperti come sarebbe stato svegliarsi in una casa con lei, fare colazione insieme, fare cose insieme, come sarebbe stato dopo essersi sposati. Certo aveva ancora molta strada da fare, doveva completare la terapia, e recuperare gli esami di scuola, entrare al conservatorio... eppure lei era lì, non era una vana promessa, il contentino lasciato fiutare al cane per eseguire un giochetto divertente...
-Hayato, perchè stai piangendo?-
-Co... non sto piangendo.- mentì lui spudoratamente, asciugandosi gli occhi nella manica senza neanche provare a non farsi vedere.
-Ma come no, certo che piangi, ti vedo...-
-Tu... ignorami!-
-Cosa c'è che non va? Parlane con me!-
-Non c'è niente che non va, per questo piango! Sono stramaledettamente felice, va bene?!-
Seppure la spiegazione fosse decisamente poco credibile, specie nel tono aggressivo in cui lo disse, era anche inequivocabilmente vera. Haru forse lo percepì, perchè dopo un momento di confusione diede in una risatina soffocata dalla mano. Seguendo la sua volontà, finse di non vedere Gokudera piangere, né di sentirlo soffiarsi il naso scomparendo per qualche secondo dall'inquadratura della webcam, e gli raccontò della festa universitaria, descrivendola come molto divertente anche se non aveva passato un solo minuto senza pensare di voler tornare a una festa del genere con il suo fidanzato.

Mukuro invece aveva fatto decisamente tardi all'appuntamento con la sua chiamata Skype, tanto che quando la sentì arrivare aveva appena aperto il portatile sul letto e si era vestito solo a metà. Imprecando nell'udire la fastidiosa suoneria a volume altissimo, corse istintivamente a chiudere la porta e si sporse di slancio sul letto accettando la chiamata. Allungò la mano per regolare il volume più basso mentre tentava di cogliere il verso di una canottiera che usava per la notte.
-Ehi!- fece, a mo' di saluto.
-Ma guarda guarda chi sta sorridendo!-
Mukuro stava effettivamente sorridendo in modo spontaneo, senza quasi che se ne fosse accorto, e quel commento lo fece sorridere ancora di più, seppure lo avesse un po' imbarazzato. Guardò lo schermo dove Byakuran era decisamente sgranato e coperto di pixel monocromatici che nascondevano la sua espressione. 
-Byakuran, non vedo niente, sistema quella webcam... vedo solo quadratini colorati.-
Dopo qualche istante, durante il quale Mukuro individuò l'etichetta sulla canottiera e l'infilò dal verso giusto, Byakuran tornò visibile e in movimento. Lo guardava in un modo non dissimile da come un bambino avrebbe guardato la vetrina di una gelateria.
-Mi stai provocando?-
-Di che stai blaterando, Byakuran?-
-Ti ho visto un capezzolo, ne sono sicuro.-
-Beh, non vorrei che la notizia ti turbasse, ma ne ho addirittura due di capezzoli.- fece Mukuro, incerto se ridere o meno. -E quanti anni hai, dodici, per emozionarti tanto per un capezzolo? Maschile, per giunta.-
-Questo è crudele, Mukuro! Non mi prendere in giro!-
Mukuro si chiese piuttosto se non fosse lui che lo prendeva in giro, perchè il suo tono di voce e quello che diceva erano molto lontani dalle immagini mentali che aveva di Byakuran. Il malizioso spacciatore e poi il poliziotto irritabile e il tutore d'indole filantropica erano diversi, nella sua testa, dal ragazzo che vedeva. Non sembrava più così serio, né preoccupato come l'aveva visto alla sua precedente visita. Mentre borbottava altre lamentele sul suo atteggiamento freddo lo vide aprire un pacchetto di qualcosa.
-Ma che stai mangiando?-
-Eh? Marshmallow... ne vuoi?-
-... E secondo te, anche se li volessi, come li prenderei?-
-Oh, è vero!-
Mukuro si mise la mano sulla faccia e guardò lo schermo con un solo occhio. Possibile che fosse brillo, o qualcosa del genere? Era troppo strano, sembrava di parlare con un ragazzino...
-Mi dispiace per te, Mukuro kun, sono deliziosi. Io li adoro, e gli zuccheri servono a tenere attivo il cervello... ne mangio tutto il giorno, da quando mi sveglio a prima di dormire!-
-Mangi quella schifezza tutti i giorni?-
-Ah, ma io non ingrasso, davvero, guarda.-
Lo guardò alzarsi dalla poltrona da ufficio e arrotolare la canottiera nera mettendo in mostra degli addominali piuttosto invidiabili per uno che professava di ingurgitare marshmallow in continuazione. Sebbene nessuna espressione particolare fosse passata sul viso di Mukuro, per sua deliberata intenzione, Byakuran fece un sorrisetto alla webcam.
-Ti piace quello che vedi? Ti faccio vedere i miei capezzoli se vuoi.-
-Byakuran, vado a dormire, ciao.-
-No! No, no, no, okay, mi dispiace, smetto con le stupidaggini...-
-Mettiti seduto e dacci un taglio, per favore.-
-Scusa, scusa... è la birra...- fece lui mesto, sedendosi. -Sono uscito coi colleghi prima di tornare a casa e ho bevuto un po'... divento un po' allegro quando bevo, sai... credo mi invitino apposta...-
Mukuro sospirò e annuì, senza commentare. Aveva ragione ad averlo visto strano, allora...
-Senti, Byakuran... hai qualche notizia sul mio appartamento?-
-Il tuo appartamento? Cioè?-
-Volevo sapere... beh, se è ancora mio, in realtà... non ho pagato l'affitto, se volessi tornarci dovrei davvero far avere i soldi al padrone subito...-
-Uhm, non lo so, veramente... aspetta un momento, eh.-
Byakuran uscì dal campo visivo della webcam e Mukuro sentì il rumore di una porta, poi il silenzio. Si chiese dove fosse andato; non ne aveva idea. Attese con pazienza per lunghi minuti, tormentandosi le punte dei capelli, fino a quando il rumore della porta non preannunciò il ritorno del poliziotto al computer.
-Allora, ho chiamato un mio amico e mi ha detto che il locatore ha scalpitato parecchio quando hanno fatto i rilievi, prima che tu rinunciassi al processo... a quanto pare ha fatto sgombrare tutto quello che c'era dentro e lo ha affittato a un ragazzo che fa il barista.-
-Mh... questo è un bel problema...-
Mukuro si portò la mano al mento come ogni volta che rifletteva e pensò che cosa poteva fare. Gli serviva un posto dove andare una volta uscito dal centro, almeno temporaneo, intanto che trovava un nuovo appartamento. In effetti, anche se aveva soldi da parte, non poteva certo permettersi di mantenere un affitto in quel quartiere studiando...
-Mukuro kun, ti serve aiuto?-
-Come...?-
-Non hai più una casa e sei solo, no? Ti serve un posto dove stare quando esci?- domandò Byakuran, tornato improvvisamente serio. -Io ho uno stanzino con un letto e un mobile a scaffali... non è molto, ma la mia casa è la tua se vuoi.-
-Byakuran... no... davvero, non c'è bisogno che tu faccia questo...-
-Non ti preoccupare, non è un disturbo per me... la stanzina è sempre pronta, una volta ci ho ospitato un mio amico quando ha litigato con la moglie! È stato lì una settimana...-
-Ho messo dei soldi da parte... starò in un albergo... non c'è bisogno che mi ospiti...-
-Quei soldi ti serviranno, no?-
Byakuran lo guardò con grande intensità nonostante fosse distante parecchi chilometri.
-Non farai più la drag queen, non è vero? Non guadagnerai più così tanto, il denaro è prezioso... non lo sprecare per cose che non ti servono davvero.-
Aveva ragione e Mukuro lo sapeva bene. Non voleva tornare alla vita di prima, gli servivano quei soldi se voleva pagare un affitto e studiare contemporaneamente... se poi avesse avuto qualche problema, qualche improvviso bisogno di fondi? Doveva conservare con cura l'unica cosa davvero buona che avesse ottenuto con quel lavoro... ma anche se ci aveva fantasticato sopra, accettare di stare a casa di Byakuran gli metteva ansia.
-Guarda, ti faccio vedere!-
Mukuro guardò lo schermo, che oscillava da nausea, ed ebbe uno scorcio in movimento di una camera da letto disordinata, piena di riviste sparse. Il pc si ribaltò di lato su un letto con la coperta scura, inquadrando un grande poster di un film di fantascienza, e più in primo piano una rivista con una ragazza in costume sulla copertina. Byakuran recuperò il pc frettolosamente e facendolo fece volare il giornale in qualche angolo oscuro.
-Guarda che l'ho visto il giornale porno.-
-Eh? Non è porno!- si lamentò lui mentre percorreva un piccolo corridoio. -C'era in copertina una idol che mi piaceva!-
Mukuro fece una risatina davanti all'apparente disperazione di Byakuran e non ribattè. Nel tour via webcam Byakuran gli mostrò una piccola ma linda cucina, vantandosi nel mentre di quanto fosse bravo a preparare dolci, e in effetti a Mukuro venne una certa acquolina nel vedere una torta al cioccolato che diceva di aver fatto lui. Vide poi un angolo con un grande televisore, una console per videogiochi ben fornita di dischi e un comodo divano, che erano sicuramente l'angolo preferito del poliziotto quando aveva tempo libero. Il bagno, sui toni azzurri, era molto ordinato e pulito al contrario della camera da letto. In ultimo Byakuran portò Mukuro nel tour virtuale a vedere una stanzetta stretta, con un letto singolo e degli scaffali bianchi quasi vuoti.
-Vedi, posso farti dormire qui! Te la renderò più carina prima che tu esca, lo prometto, adesso è un pochino asettica...- fece lui, dando alla stanza un'occhiata delusa. -Ha bisogno di una sistemata...-
-È perfetta così, Byakuran... è molto più di quello che avrei meritato...-
-Tu meriti tutto quello che c'è di bello al mondo, Mukuro!- sbottò Byakuran belligerante. -Basta con queste idiozie, o ti prenderò a sberle, hai capito?-
Sentendosi in parte lusingato e in parte colpevole verso se stesso, tirò un vago sorriso.
-Hai ragione... scusa...-
-Mh, ci metterò qualcosa di viola, a te piace il viola... sì, chiederò a Kikyo di venire con me a cercare qualcosa che ingentilisca un po' l'ambiente...-
Mentre si muoveva nella stanzina, Mukuro vide l'unico oggetto sui ripiani, a parte due scatole di scarpe e un paio di elenchi telefonici, e ci colse un senso mistico in quell'apparizione: era un quaderno di carta musica...
-Cos'è quello, Byakuran?-
-Quello cosa?-
-Lì, sullo scaffale... no, quel... ecco, quello.-
-Oh, un quaderno per gli spartiti.- fece lui, confermando le sue impressioni. -L'ha dimenticato qui un mio amico musicista quando l'ho ospitato, ma non l'ha mai ripreso, dice che ne ha un sacco... non sapendo che farmene, è ancora qui...-
Byakuran posò il pc sullo scaffale e sfogliò il quaderno.
-È vuoto.-
-Lascialo lì, a me potrebbe servire, se il tuo amico non lo vuole più.-
-A te?- fece lui sorpreso. -Perchè, tu sei musicista?-
-No... però... beh, Gokudera, un ragazzo che è qui, è un pianista... è successo che mi sentisse cantare e... alla fine, sto pensando di andare al conservatorio... o almeno, fare un tentativo, quando esco da qui.-
-Davvero...?-
-Idea folle, vero?-
fantastico, Mukuro kun!- esclamò Byakuran con un entusiasmo quasi indecente in un adulto. -Allora canti bene? Canti qualcosa per me?-
-Co... nemmeno per sogno!-
-Ti prego, Mukuro!-
-Non puoi chiedermelo così, mi metti in agitazione, non posso cantare se sono in agitazione! E poi lo sai che ore sono? Tsunayoshi starà già dormendo, mica posso mettermi a cantare come niente fosse!-
Byakuran sembrò ammosciarsi come fiori appassiti. Il modo in cui lo guardò subito dopo gli ricordò un cucciolo abbandonato per strada.
-Canterai per me, quando verrò a prenderti alla fine della terapia?-
Mukuro fu preso in contropiede. Alla fine, quei pensieri improbabili su Byakuran che lo aspettava all'ingresso e lo portava nella sua casa sembrava fossero diventati realtà... con il cuore leggero e la mente finalmente sgombra dalle ansie per l'immediato futuro, promise a Byakuran quello che voleva.

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Capitolo 15
*** Volo di colombe ***


Tsunayoshi si spostò di lato sul pavimento per evitare un fastidioso raggio di sole in faccia. Il fulvo gatto di Enma, Zelgadis, lo guardò con disappunto e si salì sulle gambe, accovacciandovisi soddisfatto come se così facendo avesse scongiurato ogni rischio di fuga dell'umano. Sorridendo Tsunayoshi tornò a spazzolare il suo pelo lungo provocando un aumento di intensità delle sue fusa.
-Come hai detto che si chiamano questi gatti?-
-Zelgadis, e lui Ashtarot...-
-No, intendevo la razza...-
-Ah, sono dei Norvegesi delle foreste... belli, vero?-
-Sono bellissimi...- ammise Tsuna. -Ma da dove hai preso dei nomi tanto strani?-
-Uhm, Zelgadis è un personaggio stregone... Ashtarot... non mi ricordo, forse era un dio egizio... o forse un demone... non lo so, li ho letti su internet e mi piacevano... tanto io li ho sempre chiamati solo Zel e Ash.-
Ashtarot era un bellissimo Norvegese tigrato grigio, con penetranti occhi verdi. Forse per l'abbinamento di colore o per lo sguardo, a Tsunayoshi quel gatto ricordava molto Gokudera. Anche in quel momento, sdraiato sulle gambe di Enma, facendo pigramente le fusa, lo fissava con vaga indifferenza. Zelgadis era certamente stato più amichevole: gli era balzato in braccio ancor prima che riuscisse a sedersi.
-Tu non hai animali a casa, vero, Tsuna?-
-Ah... no... io ho paura dei cani... e in genere sono sbadato, distratto... non sono in grado di occuparmi degli animali in genere...-
-Eppure sono una perfetta terapia... prenderti cura di qualcosa che ha bisogno di te per vivere e per restare in salute è impegnativo ma anche un balsamo di autostima... e poi animali come gatti e cani entrano molto in risonanza con noi, percepiscono come stiamo... e se sono arrivati a ricambiare il nostro amore, cercano di tirarci su.-
-In effetti mi servirebbe qualcuno che mi sollevi un po' il morale...-
-Ma tu hai famiglia... e mi hai accennato a un tuo amico, l'altra volta, un compagno di scuola... se non sei solo, se non frequenti brutti ambienti, come hai fatto a finire... a farti di ketamina?-
Tsunayoshi aveva tanto temuto quella domanda già quando gli aveva accennato dei dettagli della sua dipendenza, ma non essendo arrivata allora si era cullato in un falso senso di sicurezza. Eppure, se era riuscito a raccontare i suoi problemi a una perfetta sconosciuta, perchè non confessarsi anche a Enma, che era quanto di più speciale avesse avuto nella sua vita?
-Io... credo che sia partito tutto da quando ero bambino...-
Enma lo ascoltava, ma Tsunayoshi non se la sentiva di guardarlo in faccia, quindi parlò guardando Zelgadis che dormiva beato. Lo grattò dietro le orecchie.
-Mio padre lavora con i petrolieri, ed è quasi sempre a lavorare all'estero... quando torna resta qualche giorno, mia madre lo vizia cucinandogli tutto quello che vuole e per il resto del tempo dorme e guarda il baseball in tv... non ricordo una volta in cui abbiamo fatto qualcosa, da quando ho iniziato le scuole...-
-Lui non passa del tempo con te, quindi? Non lo senti come tuo padre?-
-No.- rispose lui convinto. -Per me è un uomo che ricompare a volte e porta scompiglio...-
-E ti toglie le attenzioni di tua madre per qualche giorno...-
L'arguzia di Enma lo spiazzò, ma dopotutto se era lì da tanto tempo doveva aver sentito tante storie, aver imparato molto sulla terapia, sulla psicologia e sul modo in cui le persone reagivano ai problemi...
-Io... non ho mai potuto chiedergli aiuto... non c'è mai stato quando gli altri bambini hanno cominciato a prendermi in giro perchè ero imbranato... non avevo nessuno a cui chiedere cosa fare, come comportarmi con loro... non ho avuto un padre che mi difendesse, o che mi insegnasse.-
-Capisco... quando si è piccoli è una grave mancanza, crea molti problemi...-
-Infatti io non sono mai... riuscito a difendermi... e questo mi ha reso un bersaglio ancora più facile, sempre di più... e io... sono cresciuto convinto di meritarmi quelle angherie perchè ero troppo debole... incapace... e stupido... per avere il rispetto degli altri...-
Enma tacque, serioso, e passò distrattamente la mano sulla schiena del gatto che chiedeva attenzioni.
-Faceva... così male... vedere gli altri riuscire a fare le cose, e io invece... ero sempre l'ultimo in tutto, e gli altri... ridevano di me... non ce la facevo più, ogni giorno speravo di sparire all'improvviso, di finire tutto quello strazio... finchè... non mi ha trovato un ragazzo che... mi ha... mi ha offerto la ketamina...-
-E la tua vita è cambiata?-
Tsunayoshi non ebbe bisogno di rifletterci, perchè la stessa domanda gliel'aveva posta anche la terapeuta. Era stata devastante la prima volta, ma ormai ci si era abituato...
-No, la mia vita è rimasta uguale... ma almeno, con la ketamina non mi importava più niente... non sentivo le risate degli altri, non li guardavo più... ero nel mio mondo, e la ketamina mi ha regalato solo cose belle... odori deliziosi, suoni piacevoli, e le stelle che mi sorridono e che danzano per me... in quel mondo nessuno si prendeva gioco di me, nulla mi era mai contro...-
-Prima che ti vendessero la ketamina, quando dicevi di voler sparire... hai mai pensato di suicidarti?-
Tsunayoshi guardò Enma, per la prima volta sgomento in sua presenza. Il suo pensiero volò attraverso il tempo e ritornò a quei giorni nefasti. Ricordava di aver desiderato scomparire, come una bolla di sapone, in un attimo, senza rumore né dolore... se aveva mai pensato al suicidio? Una volta sì.
Era stato il giorno prima di incontrare Cupido, lo spacciatore. Attendeva che il semaforo diventasse verde per i pedoni, mentre automobili e autobus passavano a velocità sostenuta davanti a lui. Si era detto che sarebbe bastato un attimo di coraggio per fare un passo in avanti, sarebbe stato preso in pieno e con buona probabilità sarebbe finito tutto in un momento. Poi, con grande afflizione, si era detto che se proprio doveva uccidersi, avrebbe dovuto farlo in silenzio, dove non avrebbe dato fastidio a nessuno, perchè almeno nella morte non voleva che gli altri lo criticassero...
Riavutosi dal doloroso e spaventoso flashback, Tsunayoshi annuì piano.
-Io avevo un padre e una madre meravigliosi.- disse Enma, prima che Tsunayoshi avesse tempo di decidere se chiedergli o no spiegazioni su quella strana domanda. -Quando era a casa, mio padre giocava con mia sorella e mi aiutava a fare i compiti... quando l'ufficio era chiuso, ci portava a fare un pic nic, se il tempo era bello.-
Tsuna fece un tirato sorriso, riscoprendosi quasi a invidiargli quei momenti con la famiglia.
-Però un giorno, quando tornavamo da un pic nic, c'è stato un incidente.- disse Enma, che fissò gli occhi sul soffito, perso nella memoria. -Fu una cosa... colossale... vennero coinvolte decine di veicoli, e anche dei tir... I miei genitori morirono subito, mentre mia sorella morì durante un'operazione chirurgica... sopravvissi solo io... e fui uno dei pochissimi coinvolti nel tamponamento a riuscirci.-
-Oh, santo cielo, Enma... mi dispiace... io non sapevo che tu...-
-Non scusarti. Non lo sapevi perchè non volevo dirlo, quindi non avresti potuto.-
Non sembrava arrabbiato o irritato, ma Tsunayoshi poteva percepire la profonda tristezza sotto la freddezza del suo tono. Si sentì in colpa, d'improvviso, per avere una famiglia e averla trattata così.
-Dopo l'incidente ero rimasto solo, ma gli amici di mio padre tentarono di aiutarmi come potevano... mi aiutavano a mantenermi, una sua amica passava a cucinare per lasciarmi una cena pronta quando ritornavo da scuola, ma... il solco tra me e gli altri ragazzi diventava sempre più profondo e ampio... nessuno poteva capirmi, mi isolavo nel mio dolore, e alla fine anche io sono diventato un bersaglio per i bulli... ho perso il conto dei pestaggi... delle volte che mi hanno rubato soldi, e cibo... ho avuto capelli tagliati, scritte sulla faccia, vestiti e libri strappati... mi hanno rotto il naso e tre dita...-
Tsunayoshi si alzò da terra, con grande rammarico del gatto fulvo, e raggiunse Enma sul letto. Prima che potesse prendergli la mano o consolarlo in qualche altro modo, Enma lo fulminò con sole quattro parole.
-Ho tentato di uccidermi.-
-Co... cosa?-
-Sono tornato a casa con il naso rotto e dolore dappertutto... non ce la facevo più, e ho deciso di farla finita... mi sono messo dentro la vasca da bagno e ho ingoiato tutte le medicine che c'erano in casa.-
-Ma è terribile, Enma! Perchè?!-
-Dovresti capirlo meglio di chiunque, Tsuna... ero solo e stanco di vivere in quel modo...-
Aveva ovviamente ragione: Tsuna, avendo sperimentato la tremenda sensazione ed essendo stato sfiorato dal funesto pensiero della dolcezza della morte, poteva capire quanto la disperazione di una condizione che sembra non lasciare scampo potesse essere intossicante e opprimente. 
-Non avevo la minima intenzione di essere salvato.- precisò Enma, come se fosse un punto a suo favore o un'attenuante. -Quell'amico di mio padre passò di lì per caso, aveva dimenticato le chiavi del suo negozio quando era venuto la sera prima... vide la borsa davanti alla porta e capì che dovevo essere in casa... mi trovò lui e mi salvarono la vita.-
Tsunayoshi non riuscì a trattenersi e lo abbracciò, facendo saltare via Ashtarot col pelo dritto. Gli veniva da piangere, per tutte quelle emozioni, per il senso di colpa, per la paura, ma riuscì a trattenersi. Sentì le mani di Enma stringerlo delicatamente sulla schiena.
-Grazie al cielo ti ha salvato, Enma... non potevi... finire così...-
Enma non rispose, ma non accennò nemmeno a lasciarlo, quindi restarono silenziosi e abbracciati per un tempo lunghissimo che Tsuna non seppe quantificare. Dieci minuti, venti, trenta, o di più; lui sarebbe rimasto lì anche per giorni, anche fino alla fine della sua terapia, e oltre...
-È per questo motivo che mi hanno mandato qui, Tsuna... sono qui da due anni a curare la depressione...-
-Due... due anni?-
Tsuna lo lasciò andare per riuscire a guardarlo in faccia. Aveva di nuovo quel sorriso con gli occhi tristi. Si spiegava perchè non avesse voluto sbottonarsi al loro primo incontro, anche se i suoi occhi lo stavano tradendo come sempre...
-Ma due anni sono tanti... non... puoi ancora uscire da qui?-
-Potrei uscire quando lo desidero, in realtà... ma ho troppa paura per farlo.-
-Paura... di cosa?-
-Se esco da qui sono di nuovo solo in una casa vuota... qui posso essere utile agli altri... essere sempre occupato in qualcosa... non devo affrontare la scuola, gli altri... sono... protetto, dentro questi cancelli...- disse Enma, con malinconica dolcezza. -E se uscissi... se non fossi capace di affrontare un mondo enorme e ostile da solo... tenterò di nuovo di uccidermi? E se stavolta ci riuscissi e non fossi fortunato?-
-Ma non sei da solo... hai loro che staranno ad aspettare il tuo ritorno a casa... e io... io potrei... chiamarti ogni giorno... ogni volta che vorrai sentire la voce di qualcuno che... che...-
-Di qualcuno... che...?- l'incalzò lui, incerto di voler sentire quanto Tsuna lo era di parlare.
Incapace di parlare oltre ma determinato a non lasciare un altro discorso affondare nel baratro, Tsunayoshi fece una cosa che non aveva mai nemmeno lontanamente pensato di fare: prese il viso di Enma fra le mani e lo baciò sulla bocca. La sensazione che ebbe fu inspiegabile, soprattutto per lui che aveva passato i suoi ultimi anni stordito dalla ketamina, ma anche sublime... era come galleggiare, con quel senso di vertigine che soleva associare a uno sguardo nel vuoto, come aprire una scatola e stupirsi del volo di decine di colombe...
Durò appena qualche istante, ma quando Tsunayoshi si allontanò sentiva ancora gli effetti, come il ronzio nelle orecchie e le macchie impresse negli occhi dopo uno spettacolare fuoco d'artificio. Subito dopo sentì una stretta violenta allo stomaco. Che cosa gli era venuto in mente?
-Enma... Enma, mi spiace, io... non so che cosa mi è preso...-
-Io forse lo so.- rispose Enma, che riuscì a stiracchiare un sorriso.
Tsunayoshi si coprì la faccia, sentendosi avvampare di vergogna. Come gli era venuto in mente di baciare Enma? Era vero che avevano passato dei momenti piacevoli insieme, ma non era neanche così sicuro che a lui potesse effettivamente piacere ricevere le attenzioni di un maschio...
-Tsuna... non fare così... non era così male, sai?-
Enma diede in una risata e gli passò le braccia intorno al corpo, stringendolo a sé. Tsunayoshi, senza sentire alcuna differenza nella vampata al volto, abbassò comunque le mani.
-Soltanto che il centro ha delle regole su queste cose... quindi, finchè sei anche tu ricoverato qui, cerchiamo di non passare il limite, okay...? Se lo scoprono, ti manderanno in un altro posto... non voglio che tu vada via... sei ancora così impacciato a socializzare con gli altri, saresti a disagio...-
Era indubbio che Tsuna facesse ancora molta fatica a parlare con chi non conosceva, e non voleva andare via da lì per nessun motivo. Almeno ora aveva Enma, che era la sua roccia; e c'erano pur sempre Mukuro e Gokudera, che conosceva, che erano brave persone che lo avrebbero aiutato se avesse avuto bisogno...
-Siamo d'accordo, Tsuna?-
Tsunayoshi si chiese se, dopo la fine della sua terapia, sarebbe cambiato qualcosa e come, dato che se ne sarebbe tornato a casa. Si chiese se Enma avrebbe trovato il coraggio di uscire... ma per quelle domande, per qualche progetto, era il caso di attendere. Senza proteste, accettò le condizioni di Enma e per togliersi dall'imbarazzo di quel silenzio allungò la mano verso Ashtarot.
Lui fece le fusa e si accomodò accanto alla sua gamba.

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Capitolo 16
*** Sogni infranti ***


Tsunayoshi, quel quattordici ottobre, compiva diciassette anni, e sessantadue giorni di terapia. Era piuttosto speranzoso per quel compleanno in particolare. Il giorno precedente, di sera, il suo amico Yamamoto lo aveva chiamato facendogli i suoi auguri per paura che con la partita in trasferta non riuscisse a trovare il tempo o un telefono per chiamarlo l'indomani. Gli aveva promesso di andare a trovarlo in comunità, anche se piuttosto lontano dalla loro città, prima che finisse la terapia e con parole allegre lo incoraggiava. Non vedeva l'ora di vederlo di persona, dopo tanto aver ignorato il suo aiuto ai tempi della ketamina... che sembrava effettivamente distante anni luce...
-Ah, Sawada!-
-Uh?-
Tsunayoshi si voltò nel corridoio, sorpreso che Gokudera lo stesse chiamando strappandolo alle sue riminescenze. Lo vide sorridere.
-Mukuro mi ha detto che oggi è il tuo compleanno... auguri.-
-Oh... sì... grazie, Gokudera kun!-
La gioia gli si doveva leggere in faccia, perchè Gokudera diede in una risatina e gli posò la mano sulla testa scompigliandogli i capelli già disordinati di natura.
-Quanti anni fai? Dodici? Tredici?-
-Eh?! No, sono diciassette!-
-Ma non scherziamo, non ci crederò mai.-
-Ma è vero... Mukuro!- gemette Tsunayoshi, addocchiando Mukuro sulle scale. -Mukuro, dì a Gokudera kun che ho diciassette anni!-
-Ne ha tredici.- disse lui, e continuò a scendere.
-Eh, lo sapevo, io...-
-Mukuro! Non è vero... sono diciassette, lo giuro!-
Entrambi scoppiarono a ridere mentre entravano alla mensa e Tsunayoshi, che un po' si era sentito punzecchiato, riuscì a rasserenarsi. La giornata fuori dalle finestre era piovosa, ma sentendosi per la prima volta coinvolto con i due vicini di stanza era come avere il sole dentro il petto. 
A colazione spazzolò il suo toast con marmellata ed ebbe in regalo anche i due toast di Mukuro e Hayato, quindi fece decisamente un pasto abbondante, e poi li seguì per una mattinata di pulizie. Era il lavoro che più lo annoiava, ma riuscì a impegnarsi con un certo spirito, consapevole che presto avrebbe visto i suoi genitori per la prima volta dalla data dell'udienza che lo aveva spedito lì. Sua madre gli mancava molto, e fantasticò gran parte del tempo sulle possibilità. Si chiese se gli avrebbe portato un dolce per il compleanno, o qualcosa in regalo... avrebbe apprezzato anche solo la sua PSP per fare una partita la sera prima di dormire, dato che i suoi non potevano videochiamarlo...
-Io vado in sala musica, eh?- disse Hayato, alla fine delle pulizie. -Tu salti la Pet Therapy?-
-Oh, oggi non la facciamo... dovevamo fare una giornata con i cani, ma diluvia, quindi l'hanno rimandata...-
-Beh, ma comunque oggi vengono i tuoi genitori, no?- chiese Mukuro, appoggiandosi di peso allo spazzolone per i pavimenti. -Okay per le attività, ma non li vedi da due mesi...-
Tsunayoshi stava per dargli ragione, ma per misteriosi motivi Hayato pensò che tirare via lo straccio sporco sotto lo spazzolone con il piede fosse una buona idea, col risultato di sbilanciare completamente Mukuro che vi stava aggrappato. Un momento dopo un tonfo sordo annunciò la collisione di Mukuro con il pavimento. Gokudera, che sembrava stupito da quello che aveva provocato, non sapeva se ridere o preoccuparsi, e scelse un compromesso, avvicinandosi a lui cercando di non ridere.
-Scusa... ti sei fatto male...?-
-Ma che... cazzo... hai... in quella testaccia... di minchia?!-
Mukuro sottolineò ogni parte della frase con un colpo dello spazzolone in qualsiasi punto di Hayato che fosse sufficientemente scoperto da essere colpito in pieno. Lui abbandonò ogni parvenza di preoccupazione e scoppiò a ridere, senza arretrare sotto i colpi non troppo gentili di Mukuro.
-Scusa... scusa, ho detto, non so perchè l'ho fatto...-
-È la quinta volta che mi butti per terra da quando sono qui, ti ammazzo!-
-Non pensavo fossi appoggiato così tanto...-
Tsunayoshi ridacchiò alla scena e mise via detersivi e strofinacci mentre i due proseguivano con la discussione. Solo quando Mukuro fu soddisfatto delle scuse e dei colpi restituiti con lo spazzolone si decise a rialzarsi in piedi, entrambi lo salutarono e se ne andarono. Il ragazzo ripose il carrello delle pulizie nello sgabuzzino apposito e tornò di corsa in camera sua, dove scelse con cura i vestiti, mettendo la camicia stirata, il cravattino della sua scuola e un gilet grigio che sua madre gli faceva sempre indossare quando veniva sua zia a far loro visita. Fece del suo meglio per pettinarsi i capelli, si lavò i denti e si premurò persino di pulire le scarpe con cura prima di indossarle. Attendeva con trepidazione l'arrivo e lasciò la sua stanza per scegliere la biblioteca: lì poteva stare tutto il tempo che voleva senza dare fastidio e dalle finestre su un lato vedeva l'ingresso principale.
Passarono le due, con l'inizio dell'orario per le visite, ma non arrivò nessuna auto. Tsunayoshi prese a camminare su e giù, nervoso, gettando occhiate al cancello ogni volta che invertiva il senso di marcia. Arrivarono le tre e poi le quattro, infine le cinque, ma ancora nemmeno l'ombra dei suoi genitori.
Il ragazzo era seduto al tavolo vicino alla finestra, con alcuni libri fotografici davanti che sfogliava svogliatamente, annoiato e, in un piccolo angolo del cuore, arrabbiato per la lunghissima attesa. I suoi genitori non avevano voglia di vederlo?
-Tsuna?-
Tsunayoshi voltò la testa di scatto al suono della voce di donna che lo chiamava, ma si rese conto che era soltanto Elena, che lo guardava con un sorriso che non prometteva nulla di piacevole. Era il suo sorriso delle scuse...
-Tsuna, ha chiamato tua madre... dice che tuo padre ha fatto indigestione ieri sera e non riesce a muoversi... non potranno essere qui oggi come ti avevano promesso...-
La mente di Tsunayoshi fu scagliata molto lontano dalla biblioteca e da Elena, che stava dicendo qualcosa riguardo a una telefonata quella sera. Non sapeva che cosa le aveva risposto, ma lei se ne era andata, lasciandolo solo al tavolo, circondato dal tamburellare incessante della pioggia.
In fondo alla pancia sentiva ribollire la rabbia. Dopo due mesi che non lo vedevano, i suoi genitori non si sforzavano di venire a vederlo nel giorno del suo compleanno... suo padre aveva la bella pensata di ingozzarsi di cibo e di rischiare di star male in un giorno così importante... e sua madre invece sceglieva di preoccuparsi di quell'uomo insopportabile invece che andare a vedere il suo unico figlio...
Gonfio di risentimento, si alzò di scatto e lasciò la biblioteca senza badare ai libri abbandonati sul tavolo. Quasi d'istinto, senza prendersi tempo per riflettere, spalancò la porta che dava sul retro e uscì nel cortile sotto la pioggia, diretto al secondo edificio. Camminava veloce, ma non bastò a evitare di inzupparsi abbondantemente capelli e camicia. Non che gliene importasse... ora l'unica cosa che contava era dare un senso a quel compleanno ora improvvisamente vuoto, inutile, e la prima materia preziosa con cui arricchire la giornata era sicuramente Enma...
Arrivò quasi correndo alla porta a vetro del dormitorio e appoggiò le mani fredde e bagnate sulla maniglia a spinta, sorridente alla vista di un ragazzo dai capelli rossi sul divano della sala ricreativa, ma si bloccò subito.
Enma non era solo nella sala. Accanto a lui, proprio accanto sul divano, sedeva una ragazza sconosciuta, dai lunghi capelli scuri, col corpicino esile coperto da una vestaglia a fiori e un occhio coperto da una benda. Tsunayoshi non l'aveva mai vista prima, ma era anche vero che era stato solo due volte dentro il dormitorio... non aveva idea di come si chiamasse, ma chiunque fosse aveva confidenza con Enma, lui le sorrideva, lei gli sorrideva di rimando, e lei accarezzava il suo gatto fulvo... poi lo vide.
Vide Enma chinare la testa e darle un bacio sul viso, che la fece ridere e girare la testa come presa dal solletico.
Il senso di rabbia bollente svanì quasi all'istante, lasciandolo tremendamente svuotato. Abbassò le mani dalla porta e con un abissale sforzo di volontà corse via da lì. Si rigettò sotto la pioggia intensa, contento che almeno lei decidesse di essergli amica e che gli desse modo di lasciar andare qualche bollente lacrima camuffandola. Non poteva credere che Enma, che gli era diventato tanto caro, potesse mentirgli così, potesse così allegramente flirtare con una ragazza dopo tutto quello che c'era stato tra loro... ma c'era stato davvero?
Si era illuso che ricambiasse il suo interesse ma era tutto nella sua testa? Eppure, quello che gli aveva detto degli occhi, e il modo in cui gli sembrava lusingato quando ingenuamente si lasciava sfuggire un complimento, un apprezzamento... argomentazioni che improvvisamente a Tsunayoshi parvero molto deboli. Qual era la sua miglior prova? Che gli aveva preso la mano una volta? Che si era confidato... o che una volta aveva detto "torna da me"? Alla vera prova del fuoco, il bacio, Enma aveva reagito in modo decisamente bizzarro... o forse non era affatto bizzarro, riflettè Tsunayoshi. Non voleva confessargli che aveva una ragazza perchè avrebbe potuto spifferarlo a tutti e stroncare la relazione... e si era ingegnato trovando subito un valido argomento, il "non possiamo perchè è vietato", e lui ci aveva creduto come un ingenuo...
Tsunayoshi raggiunse l'ingresso e attraversò un intero corridoio prima che il fiatone gli rendesse impossibile continuare a correre. Si aggrappò alla ringhiera delle scale, ma non aveva la forza per salirla, così si accasciò sul primo gradino ad ansimare, sentendosi il corpo freddo e il viso bollente...
-Quanto pensi che costi il treno fino ad Ashima?-
Tsunayoshi aprì a malapena gli occhi, guardando il soffitto. Era alle scale vicino alla stanza del pianoforte... sentiva la voce di Mukuro che parlava, presumibilmente, con Gokudera.
-Ashima? Perchè Ashima?-
-Per il conservatorio... vado a stare da Byakuran quando esco, lui abita vicino alla fermata di Shoge...-
-Ah, ma se vieni da lì è più vicino se scendi a Iroten... ad Ashima vai avanti di una fermata per poi dover tornare indietro a piedi... devi scendere a Iroten, poi segui la strada principale verso lo stadio...-
Pur sentendosi senza forze, Tsunayoshi si aggrappò al corrimano, si alzò in piedi e si arrampicò sulle scale allontanandosi dalla sala musica. Sentire gli altri fare progetti sul futuro gli infliggeva dolore. Gli sembrava di essere regredito, che le sue penne ormai pronte a lanciarlo verso il cielo fossero tornate soffici e deboli piumette inabili al volo... aveva perso Enma, preso da una ragazza sconosciuta; non aveva né Yamamoto né i suoi genitori, non aveva Mukuro né Gokudera... in quel triste compleanno gli sembrava di non avere nemmeno un futuro...

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Capitolo 17
*** Segreto a tre ***


Mukuro, preso dalle molte lezioni di teoria musicale che Gokudera gli impartiva con la ferocia di un istruttore dell'esercito, si sorprese di ritrovarsi alla fine di ottobre senza averlo quasi notato. Aveva superato il secondo mese di terapia e mancavano appena poco più di due settimane per portarla a termine, ma ormai non aveva più paura dell'ignoto che lo aspettava fuori. A malapena aveva tempo di rifletterci, perchè il suo iracondo insegnante di musica pretendeva che nel tempo libero studiasse e si esercitasse per costruirsi una base sufficiente per entrare al conservatorio, e la sera era impegnata in doccia, toeletta dei suoi capelli ed esercizi di respirazione.
Quella sera era impegnato in particolare con la seconda di queste: seduto sul letto tentava di venire a capo di un insistente nodo. Mentre cercava di pettinarsi fissava corrucciato lo schermo del suo portatile, dove le sue chiamate Skype si susseguivano senza trovare risposte.
-Ma dov'è quell'imbecille?- sbottò all'ennesima chiamata senza risposta. -Aveva detto di chiamarlo stasera...-
Meditabondo tornò a occuparsi dei capelli, senza riuscire a spiegarsi perchè Byakuran non rispondesse al computer, visto che il suo account risultava in linea e avevano un appuntamento. Arrivò a chiedersi se non fosse troppo occupato con qualche rivista di ragazze in costume, e subito dopo arrivò a sperare che si fosse strozzato con i suoi stupidi marshmallow.
Aprì ancora il computer e tentò un'altra telefonata, abbandonando la spazzola sul bordo del letto e fissando come ipnotizzato i puntini bianchi sulla schermata. Byakuran aveva cambiato la foto nel suo profilo, che ora lo ritraeva allegro in quello che sembrava uno showroom di design di interni, accanto al poliziotto coi capelli rossi che aveva visto in centrale e con un altro uomo alto dai lunghi capelli che aveva in mano un vaso dalle linee contorte e sembrava contrariato per quello scatto. Mukuro guardò con più attenzione gli altri due uomini e pensò che sapeva piuttosto poco delle amicizie di Byakuran o della sua famiglia. Li avrebbe incontrati qualche volta vivendoci insieme? Era piuttosto probabile... che idea si sarebbero fatti del loro rapporto?
-Fanculo.- commentò alla fine, chiudendo la chiamata ancora senza risposte.
Il letto cigolò leggermente sotto il peso di qualcuno che vi si appoggiava, ma Mukuro non fece in tempo a girarsi che un paio di braccia lo strinsero con forza facendogli saltare qualche battito, ma un momento dopo si rilassò un po'. Era certo di conoscere quell'odore...
-Byakuran, cosa diavolo fai qui?-
-Mi hai riconosciuto?-
-Sì, odori di caramelle.-
-Davvero?-
-Sì, ormai mangi talmente tanti marshmallow che sudi zucchero, probabilmente...-
-Questo è davvero crudele da dire, Mukuro...-
Mukuro si liberò dalla stretta tentacolare di Byakuran, che non ne sembrava troppo contento ma fu rapido a ricomporre il suo sorriso. Mukuro lo guardò e notò che era vestito davvero elegantemente, con i pantaloni bianchi, la camicia grigio antracite e il gilet che lo faceva sembrare un avvocato o un ricco imprenditore... o dato il colore, un testimone di nozze, se non addirittura lo sposo.
-Sei stato a un matrimonio?-
-Cosa? No!-
-E allora perchè sei vestito così?-
-... Non ti piace?-
Byakuran si lisciò il gilet e si guardò come a controllare di non avere strane macchie addosso.
-Beh, ti sta bene, ma è piuttosto vistoso per un poliziotto... dove sei stato?-
-Da nessuna parte, mi sono vestito bene per venire qui...-
Mukuro era piuttosto perplesso alla notizia, perchè non capiva come mai tanto sfarzo per far visita a qualcuno in una comunità per tossicodipendenti dove neanche la direttrice era troppo elegantemente agghindata. Comunque Byakuran non ci diede poi molto peso, perchè fu distratto dai capelli di Mukuro, ancora ben lontani dall'essere domati. Sedette sul bordo del letto e ne toccò una ciocca.
-Che belli sono, Mukuro... sono veramente lunghi...-
-Sto pensando di tagliarli... sono così brigosi da...-
-NO!-
Mukuro quasi sobbalzò all'esclamazione allarmata di Byakuran, ma poi lui distolse lo sguardo, a disagio.
-Scusa, intendevo... che sono molto belli... non è un peccato tagliarli?- fece lui, lanciando un palese sguardo di desiderio ai ciuffi sparsi sulla coperta. -Ti aiuto a pettinarti? Ti va?-
-Vuoi pettinarmi?- ripetè Mukuro, non certo di aver sentito bene.
-Lasciamelo fare... è il mio compleanno, fammi questo regalo!-
Byakuran non attese una risposta e prese la spazzola, tornando a sorridere ampiamente. Mukuro non rimase molto a ponderare, dopotutto lui non aveva alcuna voglia di pettinarsi, quindi voltò le spalle al poliziotto e tacendo acconsentì alla sua richiesta. Anche se si aspettava una certa rudezza e inesperienza, scoprì con sorpresa e sollievo che Byakuran aveva una mano molto delicata con la spazzola. Pochi istanti dopo lo sentì iniziare a canticchiare sottovoce.
-Davvero è il tuo compleanno oggi?-
-Mh mh!- fece lui. -Oggi compio ventotto anni!-
-E come mai sei qui?-
-E dove altro avrei dovuto essere?- domandò Byakuran in tono spensierato. -Non avrei voluto essere in nessun altro posto e con nessun altro, stasera...-
Mukuro avvertì un senso di panico come reazione a quella scelta di parole, e non seppe come rispondere. Che fosse venuto a trovarlo era una cosa, che passasse qualche ora con lui su Skype poteva pure passare, ma che nel giorno del suo compleanno non desiderasse la compagnia di amici e famiglia e si mettesse in auto per arrivare tanto lontano era decisamente inaspettato. Mukuro non sapeva cosa fare davanti a quella situazione... come reagire a una simile dichiarazione?
Meditando su questo, passarono minuti interi in silenzio, con Byakuran che canticchiava a bocca chiusa pettinando i suoi lunghi capelli neri. Dopo circa un quarto d'ora Mukuro stava per chiedergli se aveva finito, ma non riuscì a pronunciare una sola sillaba prima di sentire le sue labbra posarsi sul collo. D'istinto si spostò di lato irrigidendosi.
-Byakuran, no, che cosa stai facendo?-
-Scusa... non ho resistito...- disse lui, allungandosi per baciarlo di nuovo sul collo.
-Byakuran... lo sai che non si può... se lo scoprono sai che succede?-
-Non serve che lo sappia nessuno...-
Mukuro non protestò quando Byakuran lo strinse da dietro e gli spostò i capelli per baciarlo di nuovo sul collo, ma più che vivere il momento la sua mente prese a martellarlo con i pensieri più ansiosi che avesse mai avuto. Si domandò per la prima volta se tutto l'interesse di Byakuran per lui, per la sua terapia e per il suo futuro non fosse mirato a mettersi in casa qualcuno che non era nella posizione di opporsi alla sua volontà. Era forse alla ricerca di un giocattolo facile da manipolare come poteva esserlo un tossico appena rimesso?
-Che cosa c'è, Mukuro...? Ti sto mettendo a disagio?-
Mukuro si morse appena il labbro chiedendosi se avrebbe trovato il coraggio di dirgli cosa stava pensando. Se si fosse offeso poi gli avrebbe lo stesso offerto un posto dove stare?
Byakuran però sembrava quasi sapere già che cosa albergava nella sua mente, perchè gli girò leggermente il viso e lo guardò con un'intensità e una serietà mai vista prima in lui.
-Non è un prezzo per la tua stanza... non ti chiuderò fuori casa se dici che non vuoi che ti tocchi o che ti baci...- disse lui con un tono insolitamente dolce. -Quindi se ti dà fastidio prendimi a schiaffi... ma forte, perchè se no io non resisto...-
Il tono quasi infantile col quale disse l'ultima frase fece scoppiare a ridere Mukuro e la risata riuscì a scioglierlo abbastanza da fermare il bombardamento di paranoie del suo cervello. Riflettendoci meglio, Byakuran non era affatto nella posizione di renderlo schiavo; aveva soldi da parte e il potere di denunciarlo con effetti potenzialmente devastanti sulla sua vita e la sua carriera... aveva molto più lui da perdere...
Le sue elucubrazioni subirono un brusco arresto quando delle dita non sue si insinuarono sotto la canottiera che usava come pigiama. Un calore improvviso gli fece avvampare il viso e strinse il polso di Byakuran in un fiacco tentativo di bloccarlo, ma non gli disse nulla neanche quando gli passò la punta della lingua vicino all'orecchio.
-Mukuro chan?-
-Non mi chiamavi così dal primo giorno...-
-Mukuro chan, ti ho portato un regalo, se lo vuoi...-
-È il tuo compleanno e tu mi porti un regalo...?-
Mukuro non riusciva a vederlo alle sue spalle, ma sentì la mano tiepida di lui passare nella sua qualcosa che scricchiolava, e per un momento si domandò se non gli avesse portato dei dolciumi. Una breve esplorazione delle dita gli disse anche senza vederlo che il regalo incartato non era un dolcetto.
Prima che potesse fare un qualsiasi commento, le mani del poliziotto si infilarono sotto i vestiti con più convinzione stringendolo e Mukuro riuscì a percepire il calore e la forma del suo corpo contro la schiena, sentendo per la prima volta la compattezza dei suoi addominali in netto contrasto con l'alimentazione sregolata.
-Che ne pensi di... finire quello che abbiamo iniziato al Quarto di Luna...?-
Il sussurro nel suo orecchio fece salire un brivido non del tutto sgradevole lungo la schiena di Mukuro, ma scelse deliberatamente di non rispondergli, curioso di vedere fino a che punto sarebbe arrivato, o se la paura delle conseguenze lo avrebbe fermato. Tuttavia bastarono pochi minuti per capire che Byakuran era sincero quando diceva di non poter resistere e le sue manovre diventavano più invadenti e più maldestre man mano che saliva la sua impazienza.
-Non farmi questo... Mukuro chan... se dici di no ora mi uccidi...-
Il tono di Byakuran rasentava la supplica e gli provocò una piacevole sensazione di assoluto controllo che raramente ricordava di aver avuto senza avere addosso la maschera di Romi. D'altraparte, però, sentiva che le sue inibizioni si stavano sciogliendo come neanche sotto effetto di eroina era mai successo.
Terribilmente bramoso e definitivamente persuaso a continuare, Mukuro fece un sorriso e strappò con i denti l'involucro del profilattico.

-Allora ci sentiamo domani su Skype, va bene?-
-Okay.-
Byakuran si infilò il cappotto e si sporse in avanti per baciare Mukuro, fermo sulla porta della stanza, ma si bloccò. Mukuro lo guardò senza capire, poi seguì il suo sguardo fino al pavimento del corridoio dove una figura familiare stava seduta, tutta raggomitolata in se stessa.
-Non ti preoccupare, non è un problema.- disse allora a Byakuran.
Era evidente che il poliziotto era decisamente poco convinto, ma decise di fidarsi, perchè gli diede un bacio a stampo sulle labbra e si congedò ignorando Tsunayoshi. Mukuro aspettò che il suo ospite se ne andasse, poi guardò di nuovo il ragazzo. Che cosa ci faceva fuori dalla porta con un'aria così depressa?
-Che cosa fai qui fuori, Tsunayoshi?-
-Lo sai che non si può fare?-
Ancora una volta Mukuro si sentì violato in modo brutale nello scoprire che qualcuno era rimasto fuori dalla porta ad ascoltare, stavolta cose ben più intime e riservate di un dialogo personale. Seppure fosse infastidito, capiva che qualcosa in Tsunayoshi non era normale quella sera...
-Perchè stavi qui fuori ad ascoltare anche questa volta?- gli domandò Mukuro con un tono leggero che non rispecchiava i suoi pensieri. -Sapevi che non sarebbe venuto ad arrestarmi...-
-Volevo sapere che cosa vi sareste detti.-
-Ma questo non è un affar tuo, Tsunayoshi. Sono fatti miei cosa ci diciamo, e se tu proprio fossi curioso dovresti chiedermelo.-
-Chiedertelo?-
Tsunayoshi alzò la testa e lo guardò, con degli occhi che fecero una profonda impressione a Mukuro. Gli sembravano occhi vuoti, ancora peggiori di quelli terrorizzati della loro prima notte in cella. Là era sofferente per l'astinenza e spaventato, mentre in quel momento sembrava in uno stato in cui neanche la paura lo potesse raggiungere.
-Chiederti cosa? Tu non parli mai con me delle tue faccende personali.- obiettò Tsunayoshi. -Per sapere che andavi a vivere da lui... che frequenterai il conservatorio con Gokudera... ho dovuto sentirtelo dire mentre non sapevi che ero lì.-
-Tsunayoshi, perchè hai preso questo brutto vizio di spiare? È irritante, e anche imbarazzante!-
-Sei tu che fai cose imbarazzanti, se non facessi niente non avresti paura.-
-Io non ho paura, ho...-
-Dovresti averne.-
Tsunayoshi si alzò rigidamente dal pavimento, sgranchendosi le gambe intorpidite dalla lunga permanenza nella scomoda posizione. Il vago accenno di sorriso che gli comparve sul volto era quanto meno Mukuro potesse associare al calmo, tranquillo ragazzino che credeva di conoscere.
-Se ti avesse sentito qualcun altro, tutti i tuoi bei progetti con lui sarebbero andati in fumo, no?-
-Tsunayoshi...- iniziò Mukuro titubante, senza sapere come andare avanti. -Io...-
-Buonanotte, Mukuro.-
Tsunayoshi scomparve nella sua stanza richiudendosi la porta alle spalle. Mukuro restò da solo nel corridoio in penombra, con la profonda paura che i suoi progetti crollassero davvero come castelli di carte. Fino a poco prima era sicuro che non ci fosse alcun pericolo, aveva detto anche a Byakuran che era tutto a posto... ma quello seduto nel corridoio sembrava non essere più il ragazzino spaventato che aveva incontrato tre mesi prima.

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Capitolo 18
*** Lacrime dal cielo ***


Il giorno seguente una grande avventura attendeva Mukuro e riuscì a fargli dimenticare del tutto le velate minacce di Tsunayoshi e il suo strano comportamento: per la prima volta aveva la possibilità di uscire dal centro di recupero, accompagnato dal terapeuta. La sensazione che provò a varcare il cancello era paragonabile all'emozione di spavento e gioia mescolati che provava fino a qualche tempo prima quando al Quarto di Luna toccava a lui salire sul palco per l'intrattenimento; ma forse complice la sobrietà e la lunga reclusione gli parve di godersela molto di più.
Passò la mattina a passeggio per la città vicina, che era piccola ma con un quartiere commerciale fiorente dei pressi della principale stazione ferroviaria. La prima cosa che acquistò fu una macchina fotografica usa e getta, dato che non aveva il permesso di usare il telefono fino alla fine della terapia, e fece foto a tutto quello che gli piaceva, alla città, alle vetrine, ad un gatto in un negozio di animali.
In vista della sua prossima libertà fece spese in un negozio di abbigliamento, dato che aveva effettivamente pochissimi vestiti da uomo nel suo guardaroba, e si premurò di pensare a cosa indossare per andare alle selezioni del conservatorio; dopododichè potè godersi un gustoso spuntino in un ristorantino dalla cucina locale. Era quasi come riavere una vita normale, una che non aveva mai avuto, con l'infanzia controllata dai genitori perfezionisti e in seguito con l'adolescenza allo sbaraglio.
Quando nel primo pomeriggio ritornò al centro era particolarmente di buon umore e più che mai propenso a pensare che anche Tsunayoshi sarebbe stato di ottimo umore di ritorno dal suo giro. Non ebbe però modo di saperlo, perchè quando andò in camera per cambiarsi e posare i suoi acquisti lui non era nella sua stanza, e dovette scendere in cucina per il suo turno di servizio senza averlo incontrato.
-Ehi, Mukuro.- lo salutò Gokudera, impegnato a frullare qualcosa di verde brillante.
-Hayato, sei già tornato?-
-Sì, ho fatto un giretto veloce e ho comprato un pensierino per Haru.-
-Hai visto Tsunayoshi?-
-No, quando sono tornato sono venuto direttamente qui.- fece lui, accennando a un paio di sportine in un angolo del locale. -Forse è ancora fuori, tornerà.-
Mukuro annuì e si legò i capelli assorto nei suoi pensieri. Era effettivamente plausibile che Tsunayoshi dovesse ancora rientrare dal suo giro con il terapeuta, così come era possibile che fosse già tornato ma fosse impegnato in qualche altro lavoretto. Non aveva pensato a dare un'occhiata dalla finestra per vedere se il gruppo della Pet Therapy fosse nel cortile.
Venne richiamato all'ordine dalla responsabile della mensa e si mise al lavoro, e quello in cucina era uno di quelli che richiedevano più attenzione in assoluto, pertanto il pensiero di Tsunayoshi andò lentamente alla deriva, allontanandosi dalle sue preoccupazioni più immediate per qualche ora.
Solo alla fine del suo turno, quando restava soltanto da rigovernare la cucina, Tsunayoshi tornò prepotentemente alla sua attenzione, ma purtroppo solo per la sua totale assenza.
-Hayato?-
-Mh?-
-Hai visto Tsunayoshi oggi?-
-Ancora?-
Gokudera, che stava lavando le pentole e le vaschette già svuotate, si fermò per guardarlo con l'aria corrucciata che assumeva sempre quando tentava di ricordare qualcosa. Dopo qualche lungo momento di riflessione, riprese le pulizie.
-No, non l'ho visto.-
-Io non l'ho visto venire a mangiare...-
Mukuro si sporse dal banco a vetro della mensa e guardò la sala, dove molti stavano ancora cenando. Scorse in lungo e in largo la stanza indugiando su ogni tavolo, ma non trovò Tsunayoshi da nessuna parte. Con un senso di ansia crescente si focalizzò sulle persone sedute di schiena, chiedendosi se non l'avesse scorto per quel motivo, ma non si era sbagliato, lui non c'era. Riemerse nella sua memoria quello sguardo assente della sera precedente e qualcosa dentro di lui gridò un avvertimento non perfettamente distinguibile nel caos di ipotesi che si stavano affollando nella sua testa.
Si sfilò il grembiule e lo buttò senza riguardi sul bancone, passando quasi di corsa dietro a Gokudera.
-Hayato, finisci tu qui.-
-Dove vai?-
-Devo trovare Tsunayoshi.-
Se Hayato ebbe domande sull'impellenza di quel bisogno non le palesò, quindi Mukuro lasciò di fretta il refettorio e salì alla camera di Tsunayoshi, che aprì senza bussare e senza la minima delicatezza. Era vuota, esattamente come si sentiva, e notò subito le scarpe da ginnastica vicino al letto. Quando era al centro le indossava sempre, se erano lì forse aveva messo le scarpe migliori per la sua uscita in città...
Per scrupolo Mukuro controllò il bagno, ma era deserto. Guardò in ogni singola stanza che trovò aperta, ispezionò la biblioteca e le sale ricreative, chiese a chiunque incrociasse se avessero visto Tsunayoshi, ma non trovò la minima traccia del suo passaggio. Notò, con crescente angoscia, che gli altri del centro a malapena ricordavano chi fosse quel ragazzo che andava cercando... sembrava quasi che fosse solo il frutto di un suo sogno ricorrente... ma se qualcuno ricordava per certo chi Tsunayoshi fosse era il ragazzo dai capelli rossi, e se aveva capito chi era lo avrebbe trovato nell'altro edificio, quello che ospitava coloro che soffrivano di grave depressione...
Stava attraversando di corsa il cortile e per frenare per poco non inciampò rovinosamente in un piccolo gradino del sentiero che saliva tra l'erba verso il secondo ingresso. Strizzò gli occhi per tentare di distinguere meglio la figura che sedeva nel giardino in un angolo in ombra... sembrava proprio Tsunayoshi, o almeno, il suo cuore lo sperava a giudicare dal batticuore...
-Tsunayoshi!-
Lo raggiunse e con un enorme sollievo confermò che era proprio lui, seduto sulla stessa panchina di pietra dietro la quale lui si era nascosto a meditare sotto la pioggia. Uno dei due lampioncini spenti del sentiero avrebbe dovuto rischiarare quel punto che invece risultava avvolto nella penombra, quindi Mukuro non si accorse di cosa Tsunayoshi avesse in mano finchè non fu di fronte a lui.
Teneva in mano un sacchetto di plastica con una gran quantità di pastigliette rotonde che Mukuro, che aveva partecipato a fin troppi rave, non poteva non conoscere. Allarmato, scattò per cercare di prendergli la ketamina dalle mani, ma fu troppo lento.
-Tsunayoshi, che cosa stai facendo con quella roba? Dammela!-
-Non è la tua droga la ketamina, Mukuro.- fece lui. -È una cosa mia questa.-
-Ma che... dove diavolo l'hai trovata una quantità di droga del genere?!- fece Mukuro, spaventato tanto quanto incredulo. -E cosa fai qui fuori con quella? Avanti, non essere sciocco, dammela... la buttiamo via e nessuno verrà mai a...-
-La faccio finita.-
Mukuro si bloccò nel tentativo di allungarsi nuovamente a prendere il sacchetto. Per un attimo non riuscì a coordinarsi, si sentiva come se avesse preso un pugno dritto nello stomaco. Guardò Tsunayoshi nell'intima speranza di vederlo mettersi a ridere annunciando uno scherzo. Uno scherzo di pessimo gusto, ma pur sempre una burla...
-Stare qui non mi ha dato nulla di buono... anzi... mi ha fatto capire che anche il poco che pensavo di avere in realtà non è niente.-
-Ma come... tu hai una famiglia, no? Hai quel tuo amico della scuola, e quel ragazzo coi capelli rossi, come si chiama...-
-Non parlarmi di Enma!- sbottò Tsunayoshi, dandogli uno spintone di forza sorprendente. -Non voglio sentirlo né vederlo mai più!-
-Ma che... perchè?-
-È inutile che ti affanni per trovare un motivo per cui dovrei vivere, non c'è!- insistette lui, risedendosi sulla panchina. -Una famiglia che non vuole vedermi dopo mesi neanche per il mio compleanno non è una famiglia che mi ama! I miei si vergognano di me, non vogliono che torni a casa, vogliono farmi fare un altro ciclo di terapia per altri tre mesi! Vogliono lasciarmi qui!-
Mukuro non riuscì a spiccicare parola, ma se non altro comprese in piccola parte il dolore e il motivo per cui era tanto cupo negli ultimi tempi. I suoi volevano farlo restare per un secondo ciclo, una proposta che Mukuro aveva rifiutato restando d'accordo con Byakuran che avrebbe continuato a vedere uno psicologo fuori dal centro, almeno per un po'...
-Yamamoto ha a malapena il tempo di ricordarsi di chiamarmi, con tutti gli impegni che ha con il baseball ora che si prepara per i nazionali... ed Enma... che cosa vuoi che gli importi di me? Lui ha quella ragazza con la benda, gli importa soltanto di lei! Non si è nemmeno accorto che non mi vede più!-
-Ma come fai a dirlo... se non ti vede non può neanche chiederti cos'hai...-
-Siamo qui ventiquattro ore al giorno, ogni giorno! E non sa dove cercarmi?- ribattè Tsunayoshi, addolorato e invelenito allo stesso livello. -Non gli importa di vedermi e basta! Non importa nemmeno a te, o a Gokudera, succede a tutti la stessa cosa quando trovate una donna, o un amante!-
-Ma a noi importa...-
-Non pensare che ti darò retta per non farti venire i sensi di colpa! Mi avevi detto che sarebbe andato tutto bene, che non ero solo, e poi? Poi hai cominciato a passare ogni momento con Gokudera, a fare dei progetti per il futuro... con uno che ti ha dato del patetico e con quello che ti ha arrestato! Sembra che ti importi solo di quelli che ti trattano male! O è solo perchè loro sono persone di talento e io no?!-
-Che... non c'entra niente, questo...- pigolò debolmente Mukuro, troppo confuso per mettere insieme una risposta dignitosamente sensata.
-Allora è questione di sesso? Stai con loro perchè sono tutti e due tuoi amanti?-
L'insinuazione penetrò al cuore di Mukuro quanto avrebbe potuto fare una siringa ipodermica. Gokudera era devotamente innamorato di Haru, non gli sarebbe mai passato per la testa di tradirla con chiunque, uomo o donna che fosse. In secondo luogo, l'essere etichettato come una persona che si dilettava a collezionare uomini solo perchè ne aveva avuto uno il giorno prima fu una coltellata al suo amor proprio.
-Adesso basta con le stronzate, Tsunayoshi!-
Si avvicinò e afferrò il sacchetto delle pasticche. Seguì una breve ma feroce colluttazione che Mukuro stava per vincere, appropriandosi del sacchetto di plastica, ma Tsunayoshi gli diede un morso alla mano che lo costrinse a lasciare la presa abbastanza perchè anche l'altro potesse afferrare più saldamente la busta.
-Basta, Tsunayoshi! Se non mi dai questo cazzo di sacchetto giuro che ti stendo con un pugno!-
Forse Tsunayoshi non aveva proprio ascoltato, o forse non credeva che Mukuro fosse capace di colpirlo davvero, ma in quel caso lo aveva sottovalutato. Mukuro strinse la mano su cui spiccava già il segno del morso subìto e sferrò un pugno moderatamente robusto a Tsunayoshi, che mollò all'istante le pasticche. Lo sentì gemere di dolore e lo vide coprirsi con le mani la zona della faccia tra la guancia e l'occhio, dove lo aveva colpito. Mukuro si alzò con un'occhiata sprezzante alle pillole e poi al ragazzo. Immerso in quella depressione aveva davvero pensato che non si prendesse la briga di prenderlo a pugni per salvargli la vita?
-Mukuro... Mukuro! Dammi quel sacchetto!-
-No.-
-Dammelo subito!-
-No. Le porto direttamente a Elena.-
-MUKURO!- gridò Tsunayoshi, rabbioso. -Se non mi dai immediatamente quella ketamina ti distruggo!-
-Fatti sotto, tanto sai benissimo che non puoi seriamente farmi male.-
Evidentemente il ragazzo era ancora abbastanza lucido da capire che aveva ben poche speranze di spuntarla contro Mukuro che era senza dubbio più alto e forte di lui, e sembrò calmarsi, o almeno questo pensò l'altro finchè non riconobbe quello sguardo vuoto. Lo stesso della sera precedente.
-Se non me le dai immediatamente, dirò a Elena che cosa hai fatto ieri sera.-
Mukuro si fermò di colpo sotto il lampione spento, stringendo le dita intorno al sacchetto fino a farle sbiancare e polverizzando qualcuna delle pillole contenute. Anche senza che Mukuro si voltasse, Tsunayoshi capì lo stesso di aver colto nel segno.
-Dirò a Elena che il tuo filantropico tutore in realtà ti viene a trovare per fare sesso... e tu sei minorenne, giusto? Che cosa pensi che succederebbe se si venisse a sapere?-
-Tsu... Tsunayoshi... no...-
-Oh, sì.- insistette lui. -Lui finisce in galera, perde il lavoro e tu perdi tutti i tuoi progetti per il futuro... oh, credi che esista un centro per curare quelli abusati come te? Ti manderanno lì?-
-Tsunayoshi, non puoi farlo!-
-Certo che posso, e lo farò stasera stessa se non mi ridai quelle cazzo di ketamine.- fece lui, allungando la mano verso di lui. -E gli dirò anche di quello che è successo prima che ti arrestasse.-
-Io ti sto salvando!- sbottò Mukuro, sentendosi come pugnalato alle spalle. -Sto cercando di evitare che tu ti uccida per motivi assurdi! Perchè vuoi rovinare tutto quello che di buono ho costruito qui?!-
-Sei tu che vuoi rovinarlo, Mukuro. Io ti permetto di scegliere tra salvarmi rovinando la tua vita o lasciarmi morire e proseguire come previsto.-
-Come se la tua morte potesse lasciare tutto esattamente come sta!-
-Che te ne importa?- fece Tsunayoshi, allungando ancora la mano. -Avrai qualche brutto sogno per un po'? Poco male, hai lui che ti può consolare, poi ti dimenticherai di me, come hanno sempre fatto tutti. Come farà Yamamoto, come faranno quelli in questo centro, i miei genitori... svanirò dalle vostre vite come ho sempre desiderato fare.-
-Non... puoi chiedermi questo...-
-Posso. Sta a te scegliere, adesso.-
Mukuro guardò il sacchetto, sentendosi la gola annodata e un senso di nausea prepotente che minacciava di fargli rimettere la cena. Con tutte quelle pillole Tsunayoshi poteva uccidersi anche se fosse stato un uomo di due metri per centoventi chili, o forse anche due uomini di quella stazza. Se le prendeva tutte era impossibile che sopravvivesse... ma lui poteva davvero distruggere le sue prospettive per il futuro e anche quelle di Byakuran, arbitrariamente, per salvare qualcuno che voleva morire?
Mukuro guardò Tsunayoshi e per la prima volta sotto la rabbia vide una sconfinata tristezza. E se fin dal principio non ci fosse stato nulla da fare per evitarlo? E se tutt'ora lui non potesse fare niente? Esistevano una quantità impressionante di modi di uccidersi, anche virtualmente indolori, che avrebbe potuto mettere in pratica anche se Elena avesse saputo della ketamina... poteva anche uccidersi in qualche modo mentre andava da lei... la morte, per quel ragazzo, sembrava essere l'unico conforto...
-Noi siamo diversi, Mukuro... per questo restiamo separati come l'olio e l'acqua... tu sei una persona incredibile, e piena di talento, e di voglia di vivere... lo hai detto tu che ti drogavi perchè ti piaceva quella sensazione, e non per scappare da qualcosa... tu hai sempre voluto vivere, volevi solo qualcosa che te lo rendesse più piacevole e più facile... io l'ho fatto solo perchè non avevo il coraggio di morire.-
-Anche io stavo scappando...-
-Ma non dalla vita, solo dalla tua.- insistette lui. -Tra poco potrai essere quello che davvero sei... se ora lasci andare me dove davvero desidero essere...-
Tsunayoshi allungò la mano e prese il sacchetto senza che Mukuro facesse il minimo sforzo per trattenerlo. Sapeva che si era già arreso, che aveva preso la sua decisione. Voleva davvero lasciarlo morire per proteggere quello che gli era rimasto, perchè se avesse perso i suoi progetti e Byakuran, la sua vita sarebbe sicuramente finita prematuramente. Probabilmente, stroncata dall'eroina che sapeva così bene dove trovare...
-Grazie.-
Tsunayoshi gli sorrise con una dolcezza e una serenità che non si sarebbe mai aspettato, specie in un simile frangente. Lo vide aprire il sacchetto e stappare una bottiglia di acqua, che era appoggiata sotto la panchina. Non sembrava avere il minimo dubbio o esitazione... eppure qualcosa dentro Mukuro gridava di fare qualcosa, qualsiasi cosa, di non lasciare le cose in quel modo...
-Mukuro... ti senti in colpa per essere parte di tutto questo?-
-Esiste... qualcuno che non si sentirebbe colpevole?-
-Forse... ma non tu, immagino...-
-Tsunayoshi, ti prego, non lo fare... i tuoi genitori...-
-Non voglio parlare di loro prima di andarmene, Mukuro, non voglio altro che le belle allucinazioni della mia droga prima di addormentarmi.-
Ormai non poteva più trattenersi e fu grato che fosse un angolo buio, perchè non c'era più modo di controllare le lacrime. Era di nuovo come condannare a morte un amico, esattamente come era successo con Kyoya, quando lo aveva trascinato nel suo mondo e le allucinazioni lo avevano ucciso. Quella volta non era lì e non aveva potuto fare niente per salvarlo; ora si ritrovava a essere fisicamente presente e ugualmente incapace di muoversi. Non riusciva ad alzare il braccio, a prendere quelle pillole e gettarle. Non riusciva a muoversi. Non riusciva a muovere nemmeno un passo, né per agire, né per andarsene.
-Ti ricorda il tuo amico, vero? Quello che non hai salvato?-
Il suo cervello era troppo disconnesso dai pensieri razionali perchè si potesse soffermare sul come Tsunayoshi sapesse a cosa stava pensando, e Mukuro si limitò a guardarlo con aria smarrita e sofferente.
-Ma io non morirò in modo orrendo, Mukuro... me ne andrò sotto le stelle... vuoi restare fino a che non mi addormento? Ti racconterò quello che vedo fino a quando riuscirò a parlare.-
Mukuro era ben lungi dal considerarlo un sollievo, ma in qualche maniera sapeva che Tsunayoshi aveva solo paura del momento dell'inevitabile. Con un grande sforzo, mosse qualche passo e sedette accanto a lui, tacendo, mentre il ragazzo iniziava a ingoiare una quantità spaventosa di pasticche aiutandosi con l'acqua. Quando le ebbe ingoiate quasi tutte, Tsunayoshi abbassò la bottiglia e alzò uno sguardo perso verso il cielo.
-Inizio a sentire qualcosa... il... profumo dei fiori di ciliegio...-
Essendo la fine di ottobre Mukuro non aveva alcun dubbio che fossero le avvisaglie della ketamina. Lo guardò ingoiare un altro paio di pillole con gesti sempre più impediti dai riflessi lenti; sempre ammesso che 'guardare' fosse la parola giusta dato che le lacrime gli offuscavano sempre più la vista già provata dalla scarsa luce.
-Arrivano...-
-A... arrivano... cosa?-
Tsunayoshi afferrò la mano di Mukuro e lasciò cadere sul lato la bottiglia, sorridendo al cielo. Mukuro si asciugò gli occhi meglio che potè con le maniche, cercando di stamparsi nella mente per sempre quel sorriso, nella speranza che ogni volta che avesse fatto i conti col senso di colpa quella vista potesse aiutarlo. Purtroppo, dopo pochi secondi il sorriso di Tsunayoshi scomparve, lasciandolo indicibilmente triste.
-Non stanno sorridendo... Mukuro...-
-Cosa?-
-Le stelle piangono... loro...-
Gli occhi castani di Tsunayoshi si riempirono di lacrime che scesero copiose sul viso. A quanto pareva le solite allucinazioni piacevoli erano cambiate, proprio durante il suo ultimo viaggio, e questo non fu di alcun aiuto a Mukuro. Sentì ancora una volta Tsunayoshi chiedere in un sussurro perchè non stessero sorridendo, prima di vederlo chiudere gli occhi. La sua testa si posò contro lo schienale della panchina e la sua piccola mano perse la forza di stringere e iniziò a diventare fredda. Mukuro la lasciò e si alzò, sentendosi peggio di quanto non si fosse mai sentito in vita sua. Diede un ultimo sguardo al ragazzo addormentato che non si sarebbe più risvegliato in quella vita e si allontanò a grandi passi nel cortile deserto.
Era ben consapevole che per rendere la sua terribile scelta quella giusta avrebbe dovuto rendere la propria vita un vero capolavoro, ma in quel momento il primo pensiero era solo quello di lasciar perdere tutto e andare a scusarsi di persona con Tsunayoshi e con Kyoya per quello che non era riuscito a fare in nessun modo: aiutarli...

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Capitolo 19
*** Il soffio della vita ***


Intorno a Tsunayoshi era tutto nero, buio. Non vedeva più stelle luminose, non sentiva più suoni. Sapeva di essere in piedi in qualche modo, ma non avvertiva alcuna sensazione sotto i piedi, nulla che fosse simile a un pavimento. Non era compatto come il cemento, non era morbido come sabbia o erba, non era terra nuda, non era bagnato né asciutto, non era caldo né freddo. Era molto strano, ma Tsunayoshi poi vide una porta, o almeno quella che se avesse dovuto descrivere avrebbe chiamato porta, dalla quale filtrava una luce immensa, bianchissima, abbagliante, ma che non gli feriva gli occhi. Seppe di trovarsi alle soglie della morte, perchè era il posto descritto in tanti libri e film: il tunnel con la grande luce...
Con un grande sollievo per non aver sofferto il trapasso, si mosse verso la luce, ma una figura nera si stagliava davanti ad essa e gli sbarrava la strada tenendo le braccia spalancate.
-Non puoi avanzare oltre.- disse la figura.
-Come...?-
-Devi tornare indietro, adesso. Non è il momento.-
Tsunayoshi tentò di scorgere il volto della figura che gli imponeva il ritorno, ma non riusciva a distinguere nulla che gli risultasse familiare. Eppure sembrava troppo giovane per essere qualche suo parente morto, come il bisnonno, e lui non aveva molti parenti deceduti che si sarebbe aspettato di trovare nel tunnel...
Stava per chiedergli chi fosse, quando dalla grande luce soffiò una folata di vento che portò con sé l'odore dei ciliegi in fiore. Lo stesso che aveva sentito quando avevano iniziato a fare effetto le pasticche nel cortile.
Con una sensazione di vertigine, Tsunayoshi si trovò scagliato lontano dalla luce bianca e dalla figura misteriosa, che si voltò e tornò nel grande bagliore che per Tsuna diventava sempre più piccolo, fino a che svanì del tutto, lasciandolo nell'oscurità più completa e nel torpore dei sensi che gli erano rimasti.
Quando aprì gli occhi, rivide la luce sopra di sè. Sbattè le palpebre, infastidito, e pian piano il neon riprese nitidezza. Il soffitto era bianco e spoglio. Un momento... un soffitto e un neon? In che razza di oltremondo era finito? Era piuttosto anonimo anche come inferno...
Voltò la testa e scoprì che aveva una maschera sul viso, ma quando alzò il braccio per rimuoverla un dolore improvviso gli strappò un gemito. Scoprì con un misto di stupore e orrore di avere una flebo attaccata al braccio...
-Tsuna, sei sveglio? Mi senti?-
Tsunayoshi si voltò verso la voce e con ancora maggiore sgomento vide Enma che torreggiava su lui. O si trovavano nello stesso inferno, oppure il suo suicidio non era andato a buon fine. Ancora stranito e sconvolto, annuì debolmente. Era stato tutto un sogno? Ma quando era cominciato quel sogno...?
-Come ti senti? Ti fa male da qualche parte?-
-Uhm... non so... credo... di no...-
-Bene.-
Enma gli tirò l'orecchio così forte da farlo urlare di dolore e fargli temere che glielo avesse strappato. Con la vista parzialmente annebbiata dalle lacrime potè vedere lo sguardo pervaso d'odio che gli stava lanciando.
-Come cazzo ti è venuto in mente di ammazzarti, razza di imbecille decerebrato che non sei altro?!-
-E... Enma... io... AHIA...-
-Dopo quello che io ti ho raccontato! Dopo che ti ho parlato di quello che mi spaventava! Tu mi hai fatto una promessa, e questo sarebbe il modo di mantenerla?-
-Smettila!-
Tsunayoshi allontanò la mano di Enma malamente, irritato per tutta quella situazione. Ora doveva anche essere rimproverato... e dire che era andato tanto vicino a quella luce... se non fosse stato per...
-Kyoya!- esclamò all'improvviso alzandosi dal cuscino.
-Chi?-
Non rispose a Enma; era come folgorato. Lì per lì non lo aveva riconosciuto, ma era proprio il ragazzo della fotografia che Mukuro teneva nel suo portafoglio, quello che molti anni prima in quello scatto era con lui davanti alla scuola media di Namimori, con il libro da cui spuntava un rametto di fiori di ciliegio. Era stato proprio Mukuro a raccontargli che lui adorava la sua scuola, e i ciliegi perchè il loro cortile ne era pieno... quel profumo che aveva sentito... era impossibile sbagliarsi... ma per quale motivo Kyoya, che non lo conosceva nemmeno, avrebbe dovuto costringerlo a tornare indietro?
-Kozato, si è svegliato?-
Tsunayoshi era ancora tutto preso dai suoi rimuginii sull'apparizione ingiustificata di Hibari Kyoya e gli ci volle qualche momento per capire che Gokudera era sulla porta della stanza e lo stava guardando con evidente stupore. Poi lo vide sorridere.
-Avevo sentito le voci! Fantastico, vado giù... alla sala da tè...-
Gokudera si richiuse la porta alle spalle e si lasciò dietro la totale perplessità di Tsunayoshi. Si risvegliava da un tentativo di suicidio e Gokudera pensava ad andare a prendere da bere al bar? Con un profondo senso di risentimento per Hibari o chiunque fosse quella figura, si riappoggiò ai cuscini. Valeva la pena di tornare per questo?
Almeno l'incursione di Gokudera era servita a smorzare la furia di Enma, che sembrava molto più calmo, anche se ancora arrabbiato. Si sedette sullo sgabello accanto al letto e lo fissò con gli occhi rossi più freddi che gli avesse mai visto.
-Si può sapere perchè hai tentato un'overdose?-
-Perchè a nessuno importa di me, e non importa nemmeno a me ormai. Volevo sparire e togliervi il fastidio una volta per tutte.-
-Togliermi il fastidio?- ripetè Enma. -A me? Fastidio? Di che diavolo stai parlando? Tu mi rendi felice, mi fai ridere perchè sei goffo e impacciato quanto me, e sei la persona più amabile che io abbia mai conosciuto, per quale stramaledetto motivo dovrei volermi liberare di te?-
-Oh, piantala con la commedia.- sbottò Tsunayoshi, irritato. -Guarda che ti ho visto l'altra volta, con quella ragazza.-
-Quale ragazza?-
-Quella con la benda. Ti ho visto con lei una sera, sul divano della sala ricreativa, teneva il tuo gatto in braccio, e tu l'hai baciata.-
-Co... eh?-
Sebbene Tsunayoshi ribollisse di rabbia e di gelosia non riuscì a non notare che Enma sembrava veramente sorpreso e confuso. Ma per quello che lo riguardava, ciò dimostrava soltanto che era un valente attore.
-Oh, aspetta, era certamente il tuo gemello, vero?-
-No, quello ero sicuramente io, ma io non ho mai baciato Nagi.-
-Ah, si chiama così, quella?-
-Sì, quella si chiama Nagi Dokuro, ed è arrivata al centro la sera del tredici ottobre, quindi presumo che tu ci abbia visto la sera dopo, il quattordici.- disse Enma con un tono difficile da interpretare, tra il seccato e il divertito. -La sera dopo ho saputo che era arrivata e come sai in quel centro tengono gente come me, e come te, gente che ha tentato il suicidio. Era molto depressa, ma ho saputo che aveva chiesto di portare il suo gatto... quindi per metterla a suo agio le ho fatto tenere i miei.-
-Ma tu l'hai baciata! Io l'ho visto!-
-No, non l'ho baciata, ma tu stavi davanti alla porta, no?- insistette Enma. -Io le stavo dicendo una cosa all'orecchio, le parlavo del fatto che i gatti sono permalosi e quindi se aveva delle critiche doveva farle sottovoce, una scemenza per farla ridere. Ora, sii obiettivo, Tsuna: che cosa hai davvero visto?-
Tsunayoshi aprì la bocca ma la richiuse senza rispondere. Lui aveva visto... cosa aveva visto? Enma seduto accanto a lei, aveva visto il gatto, lo aveva visto chinarsi come per darle un bacio... ma dalla sua prospettiva non poteva davvero dire di aver visto il bacio... aveva soltanto creduto al peggio... e si sentì vergognosamente in colpa per aver dubitato di Enma e irrimediabilmente stupido per non aver affrontato l'argomento subito.
-Ecco.- disse Enma, soddisfatto del suo silenzio colpevole. -Come ti è venuto in mente che potessi fare questo a te, dopo che mi hai dato così tanto? E poi, a me le ragazze non piacciono proprio, non l'avrei mai baciata... soprattutto dove poteva vederci chiunque! Non avrei baciato nemmeno te nella hall, mi hai preso per un idiota?-
-E allora perchè hai smesso di cercarmi? Non ti sei più fatto vedere da allora!-
-Ho visto che non mi cercavi più. Ho pensato che tu stessi cercando di trovare la tua indipendenza, che ti stessi sforzando di abituarti a stare da solo, o che stessi socializzando anche con altre persone.- rispose lui, con un tono più morbido. -Io credo di restare qui per molto, molto tempo ancora... legarti a me in modo esclusivo sarebbe stato egoistico da parte mia... tu... avevi bisogno di imparare a rapportarti con gli altri... se lo stavi facendo, io non avevo diritto di interferire... mi sarei limitato ad essere lì se e quando avessi avuto bisogno di me... ma tu questo non lo hai capito... hai davvero creduto che ti abbandonassi dopo tutto quello che ci siamo detti, e il tempo passato insieme...-
Se solo Tsunayoshi avesse potuto sprofondare dentro il materasso l'avrebbe fatto. Era sopraffatto dall'equivoco, dalla sua stupidità, dalle confessioni di Enma e dal tono di rimprovero con cui stava continuando a borbottare. Eppure restava la consapevolezza che tutti gli altri erano fantasmi nella sua vita, e questo avvelenava i suoi pensieri. Non riusciva a sentirsi felice di essere scampato alla morte per un soffio... di vento, per inciso.
-Tsuna!-
La porta si spalancò ed entrò la persona che probabilmente aveva sostato più raramente nelle sue riflessioni durante tutta la durata della disintossicazione. Yamamoto aveva in mano il più grosso cesto regalo che avesse mai visto, strapieno di mele, arance e pacchetti di dolci assortiti. Sorrideva come sempre, ma aveva l'aria di aver dormito molto poco negli ultimi giorni.
-Tsuna, che bello! Sei sveglio, finalmente! Eravamo tutti preoccupatissimi!-
-Tu... tu... tutti chi?-
-Come tutti chi? Io, i tuoi genitori, tuo nonno... c'è anche quel ragazzo che è con te al centro, quel Gokudera... e poi, l'altro... come si chiama...?-
-Mukuro...- disse Enma. -A proposito, la prossima volta che ti uccidi, evita di dirlo a Mukuro, ha resistito appena dieci minuti prima di chiamare l'ambulanza, e poi è andato a raccontarlo a tutti. Prima che arrivasse l'ambulanza lo sapevo anch'io, e sono salito con te per venire in ospedale.-
-Alla fine sei riuscito a farti degli amici, hai visto?- disse Yamamoto in tono allegro. -Comunque alla fine a scuola si è saputo che... beh, cosa è successo, e mi hanno lasciato un sacco di lettere!-
-Cosa... cosa?- fece Tsunayoshi, confuso. -Ma che... che giorno è oggi?-
-È il sette novembre... sei stato in coma nove giorni...- disse Enma, osservando con apparente noncuranza i pacchetti dei dolci di Halloween a forma di gatto nero.
-Sì... per saltare le partite ho dovuto dire al capitano cosa era successo, e sua sorella minore è in classe con noi, quindi diciamo che si è saputo...- fece Yamamoto con un'aria contrita che non gli aveva mai visto prima. -Mi dispiace per questo...-
-Non importa... davvero... io... sono felice che tu sia qui, e che... che...-
Non riuscì a finire la frase, ma Yamamoto tornò a sorridere, anche se qualcosa suggerì a Tsunayoshi che i suoi occhi sembravano più lucidi del normale. Si lanciò in un elenco dettagliato dei compagni di scuola che gli avevano dato i dolcetti da portargli, gli consegnò una dozzina di omamori per la salute e la felicità provenienti dalle ragazze della sua classe e un pacco di lettere indirizzate a lui. Tsunayoshi non aveva mai avuto tanto affetto materialmente dimostrato e ne era più che commosso. Mentre Enma gli sistemava sul comodino un peluche cucito a mano e gli omamori e Yamamoto gli sbucciava un'arancia, il ragazzo aprì alcune lettere. Erano tutte molto simili tra loro. C'erano le scuse di chi non aveva mai capito il suo disagio, c'erano incoraggiamenti, c'erano auguri che potesse tornare presto. Kurase, la sorella del capitano della squadra di baseball, si offriva di prestargli tutti i suoi appunti per aiutarlo a recuperare lo studio quando fosse tornato a scuola. Alcune ragazze gli avevano fatto dei disegni buffi in fondo alla lettera, raccontando delle figuracce degne delle sue più eclatanti che lo rendevano uno zimbello fisso. Quando ripiegò la settima lettera, stava piangendo e sorridendo allo stesso tempo.
Hayato ritornò nella stanza sorridendo, con il respiro leggermente corto di chi ha fatto le scale e qualche corridoio di corsa.
-I tuoi genitori arrivano subito, erano andati a mangiare qualcosa nel locale di fronte al parcheggio... tuo padre ha insistito, tua madre aveva bisogno di un po' d'aria e di mangiare qualcosa... francamente, l'hai davvero fatta a pezzi, Sawada.-
-Mi dispiace...-
-Dillo a lei che ti dispiace... e poi dillo anche alle ginocchia di Mukuro.-
-Alle... ginocchia? Perchè?-
-Sono quelle che soffrono di più, sono nove giorni che sta inginocchiato in una stanza di sotto che usano per le celebrazioni cristiane.-
-Ma... Mukuro non crede nella reincarnazione?- domandò Tsunayoshi, decisamente spiazzato. -Mi ha detto che non crede in Dio...-
-Saresti sorpreso di sapere a cosa sono disposte a credere le persone disperate, Sawada... e se credi nella reincarnazione non puoi chiedere aiuto a nessuno per salvare qualcuno a cui tieni... ma se Dio ci fosse, se ti ascoltasse, lui potrebbe... non fa una piega, no?-
-... Non ho capito.- disse Yamamoto con lo stesso tono gioviale che usava a lezione.
Mentre un irascibile Gokudera ripeteva il suo ragionamento filosofico con lo stesso linguaggio che avrebbe usato per spiegarlo a un bambino di quattro anni, Tsunayoshi prese un morso dallo spicchio d'arancia e tornò a pensare alla figura che gli impediva di raggiungere la luce. Lui non conosceva Kyoya, ma Mukuro sì... si chiese se non fosse possibile che avesse raccolto lui le sue preghiere...
-Ma a proposito, hai detto a Mukuro che Tsuna è sveglio?- domandò Yamamoto.
-Oh... no, l'ho dimenticato.- ammise Gokudera grattandosi la testa. -Beh, vado a dirglielo, va'.-
Hayato lasciò la stanza ma non richiuse la porta. Il motivo fu evidente a tutti pochi istanti dopo quando Nana Sawada, la madre di Tsunayoshi, entrò di corsa con il fiatone. Nel vedere il figlio scoppiò in lacrime, cosa che Tsunayoshi non le aveva mai visto fare in tutta la vita; nemmeno quando era stato arrestato o quando era andato all'udienza. Se la ritrovò appoggiata addosso, a piangere singhiozzando, stringendolo in modo convulso e senza riuscire a spiccicare una parola comprensibile.
In imbarazzo per quella scena, cercò con gli occhi l'aiuto degli altri due, ma poi vide suo padre sulla porta. Anche lui recava le tracce inconfondibili dello shock che doveva aver subìto: era pallido, con il viso smunto e delle terribili occhiaie.
-Ci vediamo dopo, Tsuna...-
Enma sorrise toccandogli appena la mano e si avviò alla porta, prontamente seguito da Yamamoto, che si chiuse la porta alle spalle. Libero da ogni inibizione, Iemitsu si avvicinò al letto e strinse in un poderoso abbraccio moglie e figlio, senza dire una parola.

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Capitolo 20
*** Sempre avanti ***


Era una perfetta giornata settembrina quando Mukuro raggiunse il cimitero vicino al tempio Nori di Namimori. C'era un sole tiepido e un vento leggero che spazzava le foglie che iniziavano a cadere, tingendo di giallino le strade. Il luogo in quel momento pareva vuoto e silenzioso, non c'erano visitatori. Mosse passi decisi lungo il vialetto e raggiunse una tomba che non vedeva da troppo tempo... l'ultima volta che l'aveva visitata era stato in un lontano cinque maggio, nei panni di Romi, per pochi istanti prima di andare al lavoro...
-Ciao, Kyoya... è da tanto che non vengo a trovarti, vero?-
Mukuro si chinò e posò a terra il suo pelosissimo gatto bianco, che sedette pacioso lì dove il padrone lo aveva lasciato, osservando le foglie che rotolavano mosse dal vento. Byakuran osservò il felino con una certa ostilità per qualche istante prima che quegli occhi gialli si fissassero nei suoi con aria di sfida. I due si scrutarono intensamente per alcuni minuti, durante i quali Mukuro si dedicò completamente allo specifico rituale giapponese dell'omaggio ai defunti, accendendo infine gli incensi.
-Ecco... avrei dovuto farlo molto prima... ma non ero pronto... spero che adesso mi saprai perdonare...-
Byakuran distolse lo sguardo la gatto e guardò Mukuro. Aveva sentito nominare Hibari Kyoya qualche volta, ma le informazioni al riguardo erano sempre state molto vaghe...
-Perchè ci tenevi tanto al suo perdono?- gli domandò, seppur senza aspettarsi una risposta.
-Perchè io l'ho ucciso.-
Una folata di vento forte smosse le foglie al punto che Byakuran non fu più molto sicuro di aver sentito davvero quella parola, con quel fruscio di sottofondo.
-Cosa?-
-Era il mio migliore amico... per cercare di riportarmi sulla retta via dopo la separazione dei miei, ha finito per restare intrappolato nel mio mondo... e... alla fine in un delirio dato da allucinogeni si è ucciso in una maniera... terribile...- raccontò Mukuro, osservando gli incensi bruciare lentamente. -Se almeno avessi avuto l'accortezza di sprofondare da solo in quel pantano, lui sarebbe ancora vivo oggi...-
Un denso silenzio seguì queste parole e Byakuran, non riuscendo a trovare qualcosa da dire, si limitò a posare la mano sulla spalla di Mukuro sperando fosse una risposta abbastanza eloquente. Romi, la gatta bianca, iniziò a fare le fusa rumorosamente, ma non si avvicinò al padrone bensì alla lapide, sulla quale si strusciò voluttuosamente.
-Mukuro, perchè la tua gatta è più affettuosa con quella pietra che con me?-
Mukuro si alzò in piedi, guardando il suo animaletto rotolarsi a pancia all'aria.
-Kyoya ha sempre avuto una sensibilità speciale con gli animali... poteva accarezzare qualsiasi cane e gatto del quartiere... se metteva un dito nell'acqua attraeva i pesci vicini... persino gli uccellini gli si posavano addosso...- spiegò lui, sorridendo. -Non hai perso il tuo tocco, eh, Kyoya...?-
Byakuran lanciò un'occhiata circospetta tutt'intorno, quasi temesse di vedere davvero lo spettro di Hibari Kyoya spuntare da dietro qualche lapide. Mukuro rise, ma dentro di sè sapeva che in qualche modo Kyoya poteva sentirlo e che era lì. Raccolse la gatta da terra e la prese in braccio, con suo disappunto.
-Non aspetterò degli anni per tornare... e... non dovrai mai più rimediare ai miei errori, lo prometto.-
Mukuro si allontanò dalla lapide e Byakuran lo seguì, sembrava piuttosto contento di uscire dal cimitero. Non potè fare a meno di chiedersi se quell'agente tanto orgoglioso non avesse paura dei fantasmi...
-Senti... senti, che intendevi con "rimediare agli errori"?-
-Oh, nulla, nulla...-
Mukuro raggiunse il marciapiede facendo un commento su quanta fame avesse, per sviare il discorso. Tsunayoshi non aveva detto a nessuno che Mukuro era presente al suo tentativo di suicidio, perchè facendolo avrebbe anche dovuto giustificare il perchè non avesse fatto nulla, inizialmente, per impedirglielo. Per proteggere il suo segreto la verità era stata detta soltanto ad Enma, Gokudera e Yamamoto, che aveva dovuto giurare di non rivelarlo a nessuno. Byakuran non aveva idea che fossero stati scoperti e che questo aveva vincolato la tragica scelta del suo amante, e Mukuro non aveva la minima intenzione di dirglielo... pertanto non poteva neanche dirgli perchè, secondo lui, Kyoya aveva cercato di impedirgli di fare un altro errore colossale nella sua vita. Ma una volta conseguita la laurea all'università e concluso il suo corso di tre anni di conservatorio, una volta abilitato... una volta diventato terapeuta avrebbe impedito a ogni costo che un altro ragazzo facesse la fine che era toccata a Kyoya, o quella che Tsunayoshi aveva sfiorato...
-Che facciamo? Mangiamo qualcosa e poi... volevi andare a comprare un vestito per il matrimonio di Gokudera, vuoi andare oggi?-
-Sì, perchè no... mi devo sbrigare, il matrimonio è tra venti giorni...-
-Potrei sempre prestarti il mio vestito...-
-Ci ballo dentro al tuo vestito... e poi tu che cosa ti metteresti?-
-Perchè, io vengo?-
Mukuro lanciò a Byakuran un'occhiata invelenita come non gliene riservava da parecchio tempo.
-Certo che ci vieni, idiota. Il compagno del testimone è invitato di default, no?-
-Ah...-
-Dio, alle volte mi fai salire un nervoso... sembravi uno sveglio quando ti ho conosciuto, e invece vedi che razza di idiota che sei.-
-... Mukuro chan, mi stai di nuovo trattando male...-
-Mukuro chan un cavolo!-
-... Mi tratti malissimo...-
-Aspetta che sia a casa e finisco di trattarti male come si deve.-
-No... dai... prendiamo un gelato?-
Mukuro scoppiò a ridere suo malgrado. Adorava far finta di essere arrabbiato con lui, perchè Byakuran finiva sempre per cercare di comprare la pace con qualcosa da mangiare. Aveva una mentalità talmente infantile per certe cose che non poteva non innamorarsene di nuovo, puntualmente, ogni volta.
Acconsentì all'armistizio, a patto che scegliesse lui il posto dove andare, e Byakuran come sempre non discusse le condizioni dell'accordo. Attraversarono a piedi il quartiere commerciale e, diretti a un caffè rinomato per i gustosi dolci, passarono davanti al liceo di Namimori. I toni erano concitati, erano in corso gli allenamenti della squadra di baseball e Mukuro si fermò a guardare. Dapprima individuò Yamamoto, l'amico di Tsunayoshi, che si stava preparando alla battuta. Passando al terzo anno era diventato il nuovo capitano della squadra e a quanto se ne diceva un ottimo giocatore.
-Tsunayoshi non c'è?- domandò Byakuran, aguzzando la vista verso la panchina.
-Certo che c'è, eccolo.-
Mukuro gli indicò il giocatore con il guantone che stava aspettando il piazzamento di Yamamoto. I cambiamenti che un solo anno di nuove amicizie, nuovi successi e sport avevano provocato nel suo atteggiamento e nel suo fisico erano sbalorditivi. Era cresciuto di dieci centimetri e il suo fisico mingherlino e gracile era un lontano ricordo.
-Cosa? Ma scherzi?-
-Non scherzo affatto, quello è Tsunayoshi... a quanto pare si è scoperto che è un bravo lanciatore, quest'anno farà il torneo invernale da titolare...-
-E non aveva mai giocato prima di... prima di andare al centro?-
-Mai, era convinto di essere una schiappa in tutto... quando è uscito, Yamamoto gli ha proposto di fare gli allenamenti con la squadra per socializzare un po' e fare un po' di esercizio fisico, e alla fine...-
-Beh, un po' come te, sei andato all'audizione per il conservatorio pensando che ti avrebbero scartato e ora hai già scritto cinque canzoni...-
-Scriverle non implica per forza essere capaci di cantarle a dovere, Ran chan, ma grazie della fiducia.- commentò Mukuro divertito, riprendendo la strada.
Byakuran diede un'occhiata al primo lancio di Tsunayoshi prima di seguire Mukuro lungo il marciapiede. Sembrava pensieroso.
-Era un bel lancio... ti ha detto qualcosa su cosa vuole fare? Si diplomerà a marzo, no? Se fa un bel torneo potrebbe anche volerlo qualcuno all'università, non si sa mai.-
-In effetti, me l'ha detto... vuole fare l'insegnante.-
-L'insegnante?-
-Ti sorprende?- gli domandò lui, notando il suo tono stupito.
-Beh... un po' sì, in realtà.-
-Io invece me lo aspettavo quasi... i suoi disagi sono nati tutti a scuola, il padre non c'era e non lo ha aiutato nessuno... uno con un passato così sarà un ottimo insegnante... saprà riconoscere le situazioni difficili, perchè le ha conosciute... sarà uno di quei professori con cui gli studenti possono confidarsi, qualcuno che dà sempre un consiglio...-
-Mh... beh, mettendola così...-
-Anche se prima era indeciso, pensava di fare veterinaria... sai, Enma Kozato, il suo amico, farà quello...-
-Ma chi, quello da cui hai portato il gatto?-
-Oh, sì, quello... ha fatto una bellissima toeletta, vero, Romi chan?-
Ovviamente non aveva dimenticato che era nel negozio dove Enma lavorava part-time che portava la sua gatta, ma aveva ingenuamente scordato che una volta Byakuran era andato con lui e che quindi lo sapeva. Romi fece rumorose fusa. In realtà la sua capricciosa gatta era estremamente dolce con lui, con Enma, con Nagi che lavorava nello stesso negozio, con Tsunayoshi e anche con Hayato; l'unico che sembrava non tollerare era proprio Byakuran. Lui doveva star pensando la stessa cosa, perchè era visibilmente infastidito.
-Non la dovevi chiamare Romi.- borbottò per la centesima volta. -Mi odia per questo motivo.-
Mukuro rise. Conosceva molto bene la teoria di Byakuran secondo la quale il gatto aveva ereditato lo "spirito" di Romi insieme al suo nome e che questo le avesse instillato un odio viscerale nei suoi confronti. Secondo Mukuro invece tutto l'odio nasceva da quando ancora cucciola Byakuran l'aveva usata per sperimentare un marchingegno casalingo che doveva far viaggiare un bidoncino di latta dalla terrazza alla camera da letto, col risultato che secchio e gatto erano caduti rovinosamente a metà tragitto...
Trovarono il passaggio a livello chiuso e Mukuro si fermò a debita distanza, sbuffando appena per il contrattempo. Ora aveva veramente voglia di un gelato, anche perchè camminare sotto il sole con un pelosissimo felino in braccio lo stava accaldando.
-Mukuro...-
-Cosa?-
-Senti... ehm...-
-Che c'è, Ran?-
-Ormai sembra andare tutto piuttosto bene, no? Anche i tuoi amici... voglio dire... Gokudera si sposa fra poco, tu frequenti l'università e il conservatorio, e Tsunayoshi cammina con le sue gambe...-
-Cosa stai cercando di chiedermi, Ran?-
Il tono di Mukuro non invitava a confidenze o domande, anche perchè credeva di sapere dove stava andando a parare. No, non aveva alcuna intenzione di andare a conoscere la sua famiglia o altri impegni del genere.
-Non pensi che sia ora anche per te di far pace con il tuo passato?-
Mukuro spalancò gli occhi fissando davanti a sé mentre le sbarre che si aprivano. La sua mente aveva vagato per ben altri lidi, tutti nel futuro, ben lontani dalle scure e desolanti spiagge del passato.
-Non hai ancora intenzione di andare dai tuoi?-
Gli aveva fatto la stessa domanda il suo primo giorno dopo l'uscita dal centro di recupero, e allora aveva risposto in un "no" schianto che lo aveva anche molto rabbuiato. In seguito glielo aveva chiesto ancora un giorno di fine maggio, poco prima del suo compleanno, e anche allora aveva troncato la storia bruscamente. Però, nell'ultimo mese circa, aveva effettivamente iniziato a meditare sulla cosa. Lo psicologo gli aveva più volte detto che doveva affrontare i suoi genitori, perchè se li avesse persi prima di trovare il coraggio si sarebbe portato dietro il peso per sempre. Non poteva sapere come i genitori avrebbero reagito alla sua vita attuale... erano stati dei perfezionisti... si poteva davvero presentare e raccontargli di essere stato una drag queen eroinomane, che era stato in un centro di recupero, che ora studiava e... che aveva per compagno l'agente di polizia che lo aveva arrestato? L'unica cosa che avrebbero potuto apprezzare di com'era ora erano i suoi capelli di nuovo corti... beh, d'altraparte si erano rimessi insieme, quindi Mukuro poteva dire di aver mantenuto la sua parola.
-Se non altro, i tuoi apprezzerebbero che ti sei tagliato i capelli.- commentò acido Byakuran.
-Li ho tagliati da tre settimane, per quanto ancora vuoi tenermi il broncio per questo?-
-Li hai tagliati troppo corti, e non mi hai nemmeno chiesto cosa ne pensavo.-
-Non te l'ho chiesto perchè non ti riguarda, Ran, mi ero stufato di metterci delle ere geologiche per pettinarmi.- tagliò corto Mukuro, attraversando il passaggio a livello. -Non me ne pento, mi sono finalmente separato del tutto da Romi facendolo.-
-Non ti separerai da Romi finchè non parlerai di nuovo con i tuoi e scoprirai che non hai niente da vergognarti nell'essere nato Rokudo Mukuro.-
Ancora una volta Mukuro si sorprese di come Gokudera e Byakuran riuscissero a dirgli le stesse cose in separata sede, neanche si mettessero d'accordo in anticipo. Non rispose subito e si prese il resto della strada fino al caffè per pensare. Dopotutto, tutti ormai glielo dicevano, tutti gli consigliavano di fare un tentativo di ricucire i rapporti con i genitori. Che aveva da perdere? A continuare così i suoi li aveva persi in ogni caso, ma forse parlandogli avrebbe potuto recuperare qualcosa... magari non un rapporto di affetto, ma per lo meno di cortesia... e poi, era settembre...
-Va bene.-
-Eh?-
-Andrò a parlare con i miei genitori...-
-Davvero lo farai, Mukuro?-
-Sì... il trenta di settembre è il compleanno della mamma... chi lo sa... magari potrebbe essere contenta di vedermi...-
-Anche se non dovesse esserlo, per te è comunque importante saperlo... quindi...-
-Metti le mani avanti?-
-Voglio solo che non sia un trauma per te... per te... è importante solo sapere se quella porta socchiusa è da spalancare oppure da chiudere per sempre senza voltarsi a guardarla di continuo.-
Mukuro sorrise ed entrò nel caffè, appuntandosi mentalmente la metafora della porta. Era curioso di sapere se Gokudera, quando gli avesse raccontato delle sue intenzioni, avrebbe usato delle parole simili. Ma frivolezze a parte, era decisamente nervoso all'idea di vedere suo padre, perchè le ultime parole dette tra loro erano come cubi di ghiaccio che scendevano nello stomaco... ma mentre sedeva a un tavolo d'angolo insieme a Byakuran, non poteva non pensare che le cose che più lo spaventavano erano proprio quelle che avevano cambiato la sua vita in meglio... e con un'adolescenza come la sua, sapeva che il peggio lo aveva già superato. Da quel punto di non ritorno, il massimo che poteva fargli fare la paura era un piccolo passo indietro, ma poi sarebbe andato sempre avanti.

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