Legàmi: parte prima

di Donnasole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** rimembranze ***
Capitolo 2: *** Incrinature ***
Capitolo 3: *** Distanza ***
Capitolo 4: *** Rancore ***
Capitolo 5: *** Rimpianto ***
Capitolo 6: *** Avversari ***
Capitolo 7: *** Compromessi ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** rimembranze ***


~~personaggi

Ursa : moglie di Ozai, madre di Zuko e di Azula
Ozai: figlio secondogenito di Azulon, fratello di Iroh, padre di azula e di zuko
Lu-teng: figlio unico ed erede di Iroh
Iroh: figlio primogenito di Azulon, erede al trono
Azulon: Signore del Fuoco sovrano della Nazione del fuoco
Zyolee e Hachiko: assistenti di Ursa
Zuko: 12 anni figlio di Ursa e di Ozai
Azula :10 anni figlia di Ursa e di Ozai
Cap1

<< Cosa devo guardare nonno? >>
<< Guarda nello stagno. Cosa vedi? >>
<< Sassi coperti di muschio, pesci e piante. >>
<< Ora guarda in superficie. Cosa vedi? >>
<< Vedo i nostri riflessi. >>
<< Questo avviene perché l'acqua è immobile e può riflettere ogni cosa in quanto alcuna immagine si imprime su di essa. Ora guarda più in alto. Che cosa vedi? >>
<< Vedo il cielo. >>
<< Ora contempla! >>

La stagione volgeva alla piena estate e nel giardino che circondava la villa, la natura era esplosa in tutto il suo rigoglioso fulgore. La casa era una di quelle dimore tradizionali della Nazione del fuoco: elegante, comoda, ad un sol piano, costruita su un basamento di pietra e sormontata da un tetto in legno a pagoda. Un camminamento di bambù levigato le girava intorno per poi inoltrarsi verso il giardino aprendosi in un'ampia terrazza. A destra e a sinistra si estendevano bassi fabbricati adibiti al ricovero della servitù, e tettoie destinate alle scuderie e alle rimesse, ormai vuoti e trascurati, ombreggiati da giganteschi alberi di nim e palme dal fogliame fitto e scuro.
Tutto in realtà dava un senso di trascuratezza non voluta, quasi obbligata dal trascorrere del tempo e dalla mancata manutenzione, come se l'uomo si fosse rassegnato e la natura cercasse di riprendere il proprio posto.
Gelsomino, caprifoglio ed sciambaga che da lungo tempo non vedevano la mano del giardiniere esperto, spandevano i loro aromi lungo il sentiero trascurato nel quale una donna dal piede leggero e l'andatura elegante si addentrava scivolando più che camminando sui ciottoli luminosi.
Il caldo cominciava a farsi opprimente.
« Ursa? » chiamò disimpegnando la lunga gonna da un arbusto fin troppo audace. Si deterse un rivolo di sudore inopportuno, sceso lungo la tempia aristocratica. Pensando ai bei vestiti rovinati, sospirò di disappunto.« Ursa dove sei?»
«Qui madre!» le fece eco una voce quasi infantile e molto dolce.
Guidata da quella risposta la donna aggirò un grande masso sul quale erano incisi diversi simboli mistici e vide, sullo spiazzo ricavato fra le rocce la giovane figlia accovacciata sul terreno, al fresco.
Incurante del proprio aspetto, di per se incantevole, giocava, agitando un lungo filo d'erba che un gattoniglio, privo di una zampetta e con diverse cicatrici sul corpo spelacchiato, cercava di afferrare.
Un lieve sorriso danzava sul volto dai lineamenti puri, incorniciato dalla lunga chioma corvina e quando sollevò gli occhi sulla madre, s'illuminò tutta. La madre si perse in quelle pozze d'ambra dimenticando per un attimo il motivo della propria venuta.
« Ti ho trovata finalmente. Questo posto negli ultimi anni è diventato un labirinto. Bisognerebbe proprio fare qualcosa. »
Le labbra della giovane si piegarono all'insù accentuando il sorriso.
« Non dite così madre. Secondo me è più bello così di quanto non sia mai stato. »
La madre non rispose, non era solo il giardino che avrebbe avuto bisogno di manutenzione ma scacciò il pensiero molesto concentrandosi su quanto stava per dire.
« E' venuta a farci visita tua zia.» cominciò il discorso che tanto si era preparata interrompendosi nell'incapacità di trovare le parole adatte.
L'immagine di una donna di formidabile vigore nel corpo e nello spirito agghindata in maniera eccentrica e dallo sguardo rapace, attraversò la mente della giovane che smise immediatamente di giocare, con grande sorpresa del gattoniglio.
« Ursa.» ricominciò la madre sospirando sotto lo sguardo interrogativo della figlia, inginocchiandosi con grazia accanto a lei.« Sai che tua zia fa la mezzana.» attese un cenno affermativo della giovane prima di proseguire.« E' venuta da noi con una proposta.» La ragazza arrossì un poco senza però abbassare gli occhi dal volto animato della madre.
« E' il figlio cadetto del Signore del fuoco Azulon. Il principe Ozai» spiegò precipitosamente.
La luce si affievolì all'improvviso sulla radura dove stavano le due donne, spegnendo i colori intorno a loro. Ursa sollevò il capo. Una nuvola solitaria, vagando nel cielo altrimenti terso, aveva coperto temporaneamente il sole. Senza alcun motivo apparente la ragazza rabbrividì.
« Ursa hai capito?»
Il richiamo della madre la riscosse.
« Voi cosa ne pensate?» chiese dopo un attimo di esitazione.
« Io e tuo padre ne abbiamo parlato e siamo d'accordo. Questo è un grande onore per tutti noi.»
La fanciulla accarezzò la pancia chiara dell'animale affondando le dita nel pelo soffice, pensierosa.
« Se non volessi?»
La donna sorrise comprensiva.
« Nessuno ti obbligherebbe cara. E' una tua libera scelta, ma la domanda che ti dovresti porre è : perché no?»
La giovane concentrò nuovamente la propria attenzione sul gattoniglio acciambellato sul suo grembo, fece scorrere il dito sulla testa, dietro le lunghe orecchie e l'animale rispose allo stimolo strusciandosi e cominciando a fare le fusa.
« Perché io. Non ho esperienza della corte, senza volerlo potrei metterli in imbarazzo con la mia ignoranza. Perché dovrebbero volere me. Che senso ha?»
« Non so rispondere a queste domande. Posso solo dirti che questa proposta è un grande onore per noi ma anche per loro.» Un cofanetto di legno intarsiato venne estratto da una tasca interna della veste. La donna lo aprì con deferenza lasciando che la figlia ne scorgesse il contenuto. La corona del principe ereditario giaceva seminascosta dalla seta purpurea.« Il tuo bisnonno Roku è stato l'ultimo Avatar del fuoco e anche grande amico del Signore Sozin, nonno del giovane Ozai.» Le mise il cofanetto in mano.« Forse è destino che le nostre famiglie si uniscano nuovamente.»
Un dubbio improvviso emerse facendo avvampare la fanciulla.
« Se non dovessi piacergli? Al principe intendo.»
« Dovrebbe essere cieco sordo e stupido.» replicò scostandole una ciocca dal viso con infinita tenerezza. « Quale cuore di pietra potrebbe non amarti?»
La giovane abbassò gli occhi imbarazzata dall'evidente orgoglio materno.
« Se non dovesse piacere a me? » sussurrò quasi timorosa del pensiero troppo audace.
« Se … Se... Se... quanti se figlia mia, troppi!» Sbuffò la madre alzando il volto per incontrare un piacevole alito di vento odoroso di fiori. « Ti preoccupi per un futuro che ancora non esiste. Avere timore dell'ignoto è normale, crucciarsene sbagliato. Non creare tu stessa ostacoli insormontabili.»
Ancora titubante la fanciulla richiuse il cofanetto facendo sparire il gioiello.
« Pensi che potrà essere un matrimonio felice? » chiese ancora con la voce incrinata da un timore sconosciuto.
La madre riprese il cofanetto facendolo nuovamente sparire all'interno della tasca segreta e tornò a volgere la propria attenzione su quella figlia dall'espressione ancora ansiosa. Annuì con fare convinto.
« Queste sono le stesse domande che posi a mia madre prima di sposare tuo padre. E mi disse che la felicità è come questo gattoniglio.» disse indicando la bestiola impegnata a cercare di afferrare con l'unica zampa la coda a batuffolo. Inutilmente.« più cerca di acchiappare la sua coda più questa gli sfugge ma se si impegna in altre cose allora la sua coda lo seguirà. Per il resto invece ricordati cosa diceva il bisnonno:


Sii come il bambù, fuori duro e compatto, dentro morbido e cavo. Le sue radici sono saldamente confitte nel terreno si intrecciano con quelle di altre piante per rafforzarsi e sorreggersi a vicenda. Lo stelo si lascia investire liberamente dal vento, e lungi dal resistergli si piega. Ciò che si piega è molto più difficile a spezzarsi.

Non temere tuo marito, lui sarà l'altra parte di te come lo YIN è per lo YANG. L'uno non può fare a meno dell'altro ricordalo sempre. E se proprio avessi bisogno, non dimenticare che qui è la tua casa, le tue radici e noi ti aspetteremo sempre.»
« Ma la tradizione!» esclamò stupita la ragazza.
« Quella che ti vorrebbe dimenticata dopo le nozze?» la donna fece un ghigno divertito.« Esistono tradizioni che vanno rispettate e altre ignorate, la saggezza sta nel riconoscere quali. »
Le prese gentilmente il mento fra il pollice e l'indice stringendolo come faceva quando era ancora una bimba. « Allora cosa dico a tua zia?» riprese allegramente. « Accetti? »
La giovane annuì senza parlare e la madre eruppe in un sospiro teatrale.
« Meno male.» disse in tono cospiratorio.« Avevo paura di affrontare mia cognata senza un responso positivo. Quella donna mi mette i brividi.» aggiunse abbracciandosi per reprimere un fremito.
Come se un velo fosse stato rimosso il sole tornò a brillare sulla radura ravvivando tutti i colori.
La nuvola che aveva oscurato il cielo, era stata trascinata lontano da un vento invisibile.
Ursa rimase ad osservare la madre allontanarsi da lei; non poteva vederlo ma il volto della donna più anziana tradiva una certa apprensione e una profonda ruga ne incideva la fronte pensierosa.
Si sentì strattonare leggermente ed abbassò il capo. La zampetta, dall'artiglio un po' troppo lungo, era rimasta incastrata nella manica della giovane e il gattoniglio dispettoso, tentava languidamente di sganciarla senza per altro metterci troppa convinzione.
Ursa sorrise riprendendo il lungo stelo d'erba e ricominciò a giocare.

Gli alloggi privati della signora Ursa, giovane moglie del principe Ozai, non avevano bisogno di torce per essere illuminati. A differenza del restante palazzo, costantemente immerso nella penombra, ella aveva chiesto, ed ottenuto, che questi fossero costruiti al centro dei giardini reali così da poter godere di abbondante luce solare. Se al principio tutto ciò era stato visto come il capriccio di una bambina viziata, presto tale residenza era divenuta fulcro per le attività sociali della corte, incantata dalla bellezza dei laghetti artificiali, dalla flora esotica e dal fascino della proprietaria. Un incantesimo questo ancor più sorprendente se si consideravano i natali della principessa.
Ursa infatti non era cresciuta nella porpora imperiale ma lontano dal palazzo e da tutto quello che vi orbitava intorno. Di famiglia prestigiosa, ma di ridotte sostanze, aveva ricevuto un'educazione raffinata volta a fare di lei la quintessenza delle virtù muliebri. Grazie alla propria natura tranquilla fin dalla più tenera età, si era docilmente piegata a tali insegnamenti rispondendo alle aspettative di quanti la circondavano senza porre alcuna resistenza agli altrui desideri e quando la mezzana,  aveva combinato il matrimonio con il figlio cadetto del Signore Azulon, la giovane aveva semplicemente chinato il capo da brava figlia ubbidiente. Non aveva trovato particolari difficoltà in questo. Ozai era giovane, attraente e gentile con un fare austero che ne aumentava il fascino. La loro unione, auspicata dagli spiriti, si era quindi trasformata in un sodalizio venato di tenerezza, che aveva prodotto in breve tempo i suoi frutti. La nascita dei due figli aveva infine completato quel quadro di perfezione costruito intorno alla coppia reale.
Da allora gli anni si erano succeduti come perle false sul filo di una collana.
Quel giorno in particolare Ursa cercava di tenersi occupata.
La notizia della morte di Lu-teng aveva sconvolto gli equilibri già precari della famiglia reale e il suo pensiero continuava a correre al generale Iroh, padre del ragazzo.
Si prese un attimo per ammirare la sontuosa bellezza alla quale aveva tanto lavorato e diede le ultime istruzioni ai giardinieri riguardo l'impianto di un nuovo orto medicinale; Hachiko e Zyolee, le fedeli assistenti, prendevano appunti. Accertatasi che fosse tutto in ordine, Ursa, rientrò nel laboratorio erboristico dove aveva sede anche lo studio e cominciò l'inventario delle scorte officinali.
Le erbe usate per curare il Signore del fuoco cominciavano a scarseggiare e andavano riordinate, bisognava preparare nuovi unguenti e i vini medicamentosi erano ormai terminati; rimaneva qualche sciroppo ma non era sufficiente alle esigenze dell'intera corte, poiché, chiunque a palazzo, per qualsiasi ragione: dal mal di denti, al raffreddore, sapeva che, nella principessa, avrebbe trovato un'abile e discreto farmacista.
Proprio per questo motivo ella passava le sue giornate fra i giardini ed il laboratorio, soddisfatta almeno, se non felice, della propria vita.
Fu lì che Ozai la trovò.
All'annuncio dell'arrivo del consorte ella smise immediatamente il suo compito inginocchiandosi davanti a lui.
Il principe entrò con impettita eleganza, a vederlo nessuno avrebbe potuto indovinare la sfuriata che poco prima aveva devastato i suoi alloggi privati, ma nonostante questo un'aurea di tempesta continuava a circondarlo. Percorse la stanza con sguardo duro.
Nulla fuori posto.
Alle pareti, immagini di famiglia informali, ritraevano i membri in momenti intimi, molto diversi dai ritratti ufficiali che ornavano il resto della dimora; sullo scrittoio, risme di carta sulle quali, con maestria, qualcuno si era esercitato nell'arte calligrafica. Accanto, una impeccabile composizione floreale creata da mani sapienti ingentiliva l'arredamento essenziale dell'ambiente.
Le labbra dell'uomo s'indurirono un istante.
<< Marito? >> disse Ursa con voce dolce ed interrogativa riscuotendo Ozai dai suoi cupi pensieri. La donna stava ancora inginocchiata in attesa di un gesto; compiaciuto dal suo rispetto il principe si avvicinò facendole cenno di alzarsi.
Incantevole.
Allungò le dita afferrando una ciocca di capelli corvini dalla serica consistenza e la usò per accarezzarle il lato sinistro del viso. La pelle, chiarissima e priva di imperfezioni imporporò a quel lieve tocco. Ozai piegò la testa di lato osservandola con intensità, cercando un contatto con lei ma inutilmente. La donna non lo guardava. Ostinata, fissava un punto imprecisato del pavimento. Le labbra del principe si tirarono sprezzanti fino a divenire due sottili e pallide linee che tagliarono il bel volto. L'uomo lasciò ricadere il braccio. Peccato non ci fosse qualcosa a guastare quei lineamenti perfetti, pensò: un neo, una macchia...una cicatrice.
Ursa sentiva l'agitazione montarle dentro. Il suo sposo non era solito andare a cercarla. Quindi che si fosse presentato senza convocarla o farsi annunciare le creava un forte stato d'ansia.
Era successo qualcosa.
La donna guardò il consorte esaminare accuratamente la stanza mentre il desiderio di scuoterlo ed interrogarlo si gonfiava prepotentemente in lei costringendola a reprimerlo con forza, perché conosceva il proprio ruolo ed era troppo rispettosa per porre domande.
Amareggiata ripensò ai primi tempi, quando la guerra fredda fra di loro non era ancora scoppiata e le visite inattese erano un piacere per entrambi. Poi, negli ultimi anni, le cose erano cambiate, precipitate a tal punto da non consentire il superamento del divario fra i due e, il logorio dei nervi, era divenuto una tecnica troppo spesso abusata dal consorte perché lei non se ne avvedesse, prendendo provvedimenti.
<< Portate vino speziato e dolci per il mio signore Ozai. >> ordinò alle due assistenti con voce chiara e ferma. Hachiko e Zyolee, si scambiarono un'occhiata preoccupata. Per esperienza sapevano che il loro allontanamento era un brutto segno ma annuirono, alzandosi ed obbedendo all'ordine ricevuto. Rapide scomparvero nel corridoio. Il principe passò un dito sul mobile farmacia togliendo invisibili tracce di polvere.
<< Moglie diletta. >>  Esordì. Un sorriso inquietante andò a sollevare gli angoli delle belle labbra.. << Mia perfetta e fedele consorte. >> continuò aprendo un cassetto e curiosando all'interno. Ursa rabbrividì gettando una rapida occhiata al contenuto. L'uomo estrasse il fungo millenario dalla sua custodia  annusandolo.
Era questa una sostanza molto rara: poche scaglie potevano salvare un uomo ma bastava sbagliare la dose, anche se di poco, e la fine di quest'ultimo sarebbe stata dolorosamente inevitabile.
<< Il principe Zuko partirà domani. >> le comunicò con indifferenza. La donna sollevò finalmente gli occhi e Ozai sorrise. << Prepara i suoi bagagli e vedi di farlo trovare pronto per l'alba. >>
Ella impallidì e mosse un piede nella direzione del marito. << Per dove?>> chiese mentre Ozai le volgeva le spalle.<< Non vi riguarda. >> rispose senza guardarla.<< Volevo solo lo sapeste da me. >> aggiunse con un sorriso di puerile cattiveria varcando la soglia.

Hachiko e Zyolee lavoravano veloci e in silenzio.
La signora si era ritirata lamentando una forte emicrania e le assistenti avevano deciso di terminare il compito.
<< Zyolee! Ti ricordi quanti ne erano rimasti? >> chiese Hachiko alla compagna indicando il mobile farmacia ancora aperto per l'inventario.
<< No! Mi spiace. >> rispose l'altra scrollando le spalle.
La ragazza si mise a riflettere sforzando la memoria poi, con un sospiro rassegnato, chiuse il cassetto che conteneva il fungo millenario e spuntò l'elenco.

note dell'autore,
chiedo scusa per la ripubblicazione, questo html mi sta facendo diventare matta e si è mangiato il filo conduttore di tutto il racconto, più un paio di dialoghi, spero di essere riuscita a rimediare.

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Capitolo 2
*** Incrinature ***


~~Cap2

La felicità è più leggera di una piuma, nessuno sa afferrarla.
L'infelicità è più pesante della terra, nessuno sa lasciarla.

 - Zhuangz

Le grida dei due ragazzi echeggiavano attraverso il corridoio fino a giungere alle orecchie della Signora Ursa che accelerò il passo alzando gli occhi al soffitto.
Come al solito i fratelli stavano litigando e, probabilmente, era stata proprio Azula a cominciare.
Da quando il talento della bambina era diventato evidente non c'era più stato un giorno di pace fra i due.
<< Tuo padre non ti farebbe mai cosa. Che cosa sta succedendo qui? >> chiese puntando la propria attenzione sulla figlia e il suo sorriso impudente. Azula era così: era l'innocenza attiva, espulsiva perfino crudele e la sua coscienza sempre pulita, netta priva di angoli dove ristagnassero i pensieri. Anche quando mentiva era sincera e intuitiva anche se a un livello quasi selvaggio. La prese per un braccio tagliandole ogni via di fuga. << Io e te ora parliamo. >> disse e la trascinò fuori dalla stanza.

Da quando Ozai si era dedicato anima e corpo all'istruzione di quella figlia tanto dotata, facendo propri i di lei successi, era divenuto un pallido fantasma nell'orizzonte emotivo del figlio. Ursa aveva tentato di colmare quel vuoto con una presenza più assidua, senza riuscire però a lenire l'amarezza che leggeva in fondo agli occhi di Zuko. Sentendosi inutile aveva percorso l'unica strada possibile: cercare di mitigare in ogni modo l'antagonismo e la gelosia che intossicavano il rapporto fra i due fratelli.
Sapeva intimamente di commettere uno sbaglio, ogni azione è per sua stessa natura violenta, e causa squilibrio.
Eppure non trovava una soluzione.

Una volta, da bambina aveva scovato un gattoniglio con la zampa avvolta strettamente da un filo di metallo. La carne era gonfia e suppurata e l'animale se la leccava spasmodicamente, incidendo tagli profondi nella speranza di liberarla. Ursa era corsa a chiamare il nonno che, dopo aver sistemato la bestia ferita in un giaciglio improvvisato, aveva scosso la testa affermando di non poterlo aiutare. Anche allora non aveva trovato una soluzione.
<< Non tutti i problemi ne hanno una, non tutti i dilemmi sono problemi e non tutte le difficoltà sono dilemmi. >> le spiegò.
<< Che cosa possiamo fare nonno? >>
<< Considera l'idea di acconsentire di lasciare il gattoniglio così com'è. E di accettare che soffra. >>

Percorsero un tratto di strada in silenzio prima che la Signora Ursa decidesse di parlare.
<< Si può sapere che ti prende Azula. Perché tormenti sempre tuo fratello. >>
La bambina liberò il braccio con uno strattone. << Non mi prende niente. Non ti preoccupare, nessuno tocca il tuo preziosissimo figlio. >> rispose in tono sostenuto. Ursa sospirò rumorosamente, massaggiandosi una tempia e riprese << A volte dimentico che sei ancora una bambina. >> disse ammorbidendo la voce. << Ma devi smettere comunque di raccontare bugie a tuo fratello per spaventarlo. >>
Azula sbatté i piedi inviperita. << Io non stavo mentendo! Ho sentito con le mie orecchie quello che dicevano il nonno e il padre. >>
La donna davanti all'atteggiamento sdegnato ed impettito della figlia le credette.
Ebbe la sensazione che qualcosa di irreparabile stesse per abbattersi su di loro.
<< Che cosa hanno detto? >>
La piccola principessa mise il broncio, rifiutandosi di guardarla.
<< Che cosa hanno detto? >> ripeté la madre scrollandola per le spalle.
Azula allibita sgranò gli occhi. Si guardarono entrambe disorientate da quel gesto tanto inusuale quanto improvviso.
 La bambina avvilita perse energie incurvando le spalle ed abbassando la testa.
<< Il nonno ha detto “ Dovrai provare che dolore provochi la perdita di un primogenito  sacrificando il tuo.” >> citò imitando, per quanto possibile, i modi del progenitore.
<<  Che cosa significa. >> sussurrò confusa la donna.
Azula fece spallucce.
<< Forse il padre ucciderà Zuzu per far contento il nonno. >> provò a scherzare ridendo malamente. Un suono strano persino alle proprie orecchie.
Un senso di sbigottimento colse la madre trascinandola in un abisso di paura.
<< Devi aver capito male. Cosa hai sentito esattamente! >>
<< Te l'ho detto mamma!. Mi fai male! Non sto dicendo bugie. >>
Rendendosi conto del suo gesto, Ursa strinse forte la figlia fra le braccia.
<< Tutto questo non ha senso. >> mormorò al di sopra della sua testa ad un invisibile interlocutore.
La piccola non ricordava di aver mai visto la madre tanto sconvolta e forse il fatto si aggrappasse a lei o forse lo smarrimento dentro la sua voce così patetico da deprimere gente più avvezza a consolare madri, qualunque cosa fosse, Azula ricambiò l'abbraccio. 
Restarono in silenzio, una fra le braccia dell'altra.
<< Ci sarebbe un'altra cosa... >> tentennò la bambina, incerta se parlare o meno. << Il nonno vuole che Zuzu si sottoponga al Rama-kai. >>
Il mondo intorno ad Ursa vacillò e il rapido battere del sangue nelle orecchie le impedì d'ascoltare oltre.
Si sollevò piano, con la lentezza di chi, colto da capogiro non volesse cedere alla debolezza e si erse risoluta in tutta la sua altezza.
  Liberò la figlia.
<< Vai a letto Azula. >> disse con voce distaccata accomiatandola. La frase aveva un tono conclusivo che non ammetteva repliche. << Io devo parlare con qualcuno. >>
Al repentino cambio di umore della madre la piccola sbuffò e corse via, solo una volta si volse a guardare la figura pensierosa della donna che non la guardava.
Il volto della piccola si fece scuro, fece linguaccia e andò a cercare Mai e Ty lee.

Persa nei suoi ragionamenti, dimentica di tutto, la donna scandagliava sistematicamente tutte le possibilità d'azione.
Per l'intera sua esistenza Ursa aveva trovato rassicurante seguire la via tracciata per lei, senza adoperarsi affinché gli avvenimenti seguissero i suoi desideri ma desiderandoli così, come avvenivano. Questo equilibrio così faticosamente conquistato, con il passar del tempo, si era eroso. La vita di corte, il matrimonio, la pressione dei bisogni altrui, avevano intaccato la purezza della sua filosofia. Come un cristallo lasciato alle intemperie, così pure la sua anima si era poco alla volta incrinata fino a sfiorare il punto di rottura.
Doveva agire.
Animata da una determinazione che mai prima di allora l'aveva sostenuta Ursa imboccò il lungo corridoio scuro.

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Capitolo 3
*** Distanza ***




Mai sazio, come la fiamma mi ardo e mi consumo.
Luce diviene tutto ciò che afferro, carbone ciò che lascio:
sono sicuramente fiamma.

Friedrich Wilhelm Nietzsche






Le fiamme ardevano alte sul trono del signore del fuoco. Dietro le lingue dalle sfumature bluastre, Azulon rimaneva immobile, la bocca dura appoggiata sulle mani rese nodose dalla vecchiaia; del suo volto severo era visibile solo un cupo cipiglio. Ascoltava, impassibile come al solito, che il sifu di suo figlio terminasse il rendiconto scolastico del ragazzo e lo faceva con una tale impazienza silenziosa che l'insegnante sentiva la tensione accrescerglisi dentro.
Inginocchiato sul pavimento accanto al maestro, il giovane Ozai rimaneva composto, imitando coscienziosamente la postura del genitore, osservando le fiamme lambirne le vesti senza tuttavia intaccarle. Il suo sguardo vacuo e assente sembrava indifferente alle lodi che l'uomo al proprio fianco sciorinava senza quasi prendere fiato fra un inchino ed un altro.
Eppure, una certa rigidezza nella postura o un modo di tenersi seduto sui talloni , all'erta, avrebbe rivelato ad un occhio meno disattento, una vigile attesa ed il guizzare rapido dello sguardo dalle fiamme al volto del genitore era indizio di ansia crescente.
« Si il principe è molto disciplinato nell'esecuzione degli esercizi... No i suoi progressi non sono paragonabili a … Si s'impegna con dedizione nell'applicazione del dominio... Lo studio delle antiche arti è ormai bagaglio acquisito...»
Il resoconto era quasi giunto al termine.
Azulon aveva ascoltato in silenzio per tutto il tempo senza che un muscolo guizzasse su quel volto di pietra nel quale il tempo aveva scolpito pesanti segni di durezza e inciso profonde rughe d'intransigenza. Ozai, giunto all'età ormai di tredici estati non ricordava di aver mai visto sorridere il padre.
Finalmente il maestro tacque e Azulon annuì brevemente raddrizzando la schiena e guardando per la prima volta il figlio da quando era iniziato il colloquio. Se era orgoglio o compiacimento quello che sperava di vedere sul volto del padre, il ragazzo ne rimase deluso, sotto l'esame attento e spietato dell'uomo Ozai deglutì, impallidendo leggermente.
« Bene.» disse semplicemente il vecchio interrompendo il silenzio carico di tensione.
Il sangue riprese a scorrere nelle vene del giovane che poté tornare a respirare liberamente.
Azulon riportò la propria attenzione sull'insegnante.
« Sono soddisfatto di quanto ho sentito.» a quelle parole una gioia quasi selvaggia sembrò dilatare le narici e gli occhi del ragazzo facendolo fremere e rendendogli difficile rimanere nella posizione composta prevista dall'etichetta di corte. L'emozione era tale che quasi gli sfuggì il resto del discorso. « Sembra che il principe sia finalmente pronto ad accedere, anche se in deprecabile ritardo, al bujutsu-ryu: la scuola di arti marziali.» decretò il Signore del fuoco laconicamente.« Avrà anche bisogno di un huǒbàn, un compagno di allenamenti. Qualche proposta?»
« Si!» rispose immediatamente l'uomo come se si fosse aspettato la domanda e avesse già preparato la replica. « L'allievo di Jeong Jeong: Zhao.»
« Jeong Jeong. » ripetè Azulon meditabondo accarezzandosi la lunga barba. « Se ben ricordo è stato lo huǒbàn del principe Iroh. Com'è il ragazzo... Zhao.»
« Promettente ma impaziente … a detta del suo insegnante » si affrettò a spiegare il Sifu di Ozai.« Ha un paio di anni più del principe ma credo che questo costituirà uno stimolo, spingerà sua altezza ad impegnarsi maggiormente.»
« Bene. Proceda pure.» acconsentì liquidando la faccenda con un gesto della mano. « Visto che Ozai non ha più bisogno dei suoi servigi ho in mente un nuovo incarico. Mio nipote, il principe Lu Ten ha appena terminato l'apprendimento dei primi rudimenti del dominio, credo che sia pronto per un nuovo Sifu. Mi aspetto grandi cose.»
Il maestro s'inchinò profondamente. « Sono onorato dalla vostra scelta.» lanciò un'occhiata di sottecchi a quello che fino ad allora era stato il suo unico allievo ma i lunghi capelli che ne incorniciavano il profilo, gli occultarono l'espressione del ragazzo. « Dunque non potrò più seguire i progressi del principe Ozai?» chiese per maggiore sicurezza.
« Esatto!» replicò con una nota d'impazienza l'anziano Signore.« Riteniamo il principe oramai troppo grande per aver bisogno di un precettore. Studierà insieme a tutti gli altri figli della corte.»
« Capisco mio Signore.» disse il maestro dopo un attimo di esitazione. « A sua altezza farà bene stare con altri della sua età e il giovane Zhao gli sarà di aiuto in questo.»
Azulon annuì; nessuno notò Ozai stringere i pugni sulle ginocchia fino a far sbiancare le nocche.
« Un'ultima cosa prima di andare. Sposti gli attrezzi per gli allenamenti dalle stanze del principe agli alloggi di mio nipote. Oggi stesso!»
A quell'ordine perentorio il ragazzo sbarrò gli occhi sollevando di scatto la testa.
« No!» esclamò con foga attirando su di se l'attenzione generale.
Stupiti i presenti fissarono il giovane ammutolito per il proprio stesso ardire.
L'uomo al suo fianco fece per parlare, ma con un gesto secco della mano il signore del fuoco lo zittì.
L'anziano genitore, dall'alto del suo scranno, si sporse verso il figlio in atteggiamento inquisitorio.
« Dicevi?» chiese in tono asciutto aggrottando le folte sopracciglia.
Il sangue defluì dal volto del ragazzo, gettando un velo di pallore sui lineamenti tirati.
« Gli strumenti...» cominciò a spiegare tentennante.« Lu ten non può averli.»
« Per quale motivo?»
« Io...»
« Tu?» l'incalzò Azulon sempre più impaziente.
« Io … non ho fatto attenzione. Durante gli allenamenti. E sono andati distrutti.» ammise balbettando il giovane. Abbassò le lunghe ciglia colmo di imbarazzo.
Il vecchio lo studiò a lungo, nella sala tutti tacevano e si sentiva solo il crepitare delle torce intorno a loro.
« Sono molto deluso Ozai.» Disse dopo un lungo silenzio e con una durezza nella voce tale da mettere in agitazione perfino l'insegnante accanto al ragazzo.« Quegli strumenti appartenevano alla nostra famiglia da generazioni. Mio padre li aveva ricevuti dal suo che poi li aveva passati a me. Tuo fratello aveva perfezionato la sua tecnica grazie a quei sacri oggetti e ora... per la tua inqualificabile sciatteria... una tradizione è andata perduta.» si rivolse al maestro ignorando volutamente il ragazzo. « Che il principe venga condotto nei suoi alloggi immediatamente e che lì vi rimanga in attesa della giusta punizione.»
A quell'ordine entrambi s'inchinarono profondamente. Ozai si raddrizzò e con l'elasticità dei suoi giovani anni si mise in piedi; senza voltare le spalle al Signore del Fuoco abbandonò la sala fra due ali di servitori muti ed imbarazzati.
Mantenne un portamento fiero ed impassibile per tutto il tragitto ma, appena varcata la soglia dei suoi appartamenti, una solitaria lacrima venne a solcargli la guancia smunta.
Si appoggiò allo stipite della porta in silenzio con lo sguardo volto al soffitto lasciando che cupi pensieri gli ingombrassero la mente. Alla prima lacrima se ne aggiunsero altre, malinconiche e silenziose.
Nella camera avvolta dalla penombra, tutto era in perfetto ordine. Scarna, quasi monacale, più che la tana di un adolescente sembrava una stanza per gli ospiti, nulla nell'ambiente parlava di chi lo occupava; unico oggetto personale, sembrava essere il grosso baule con lo stemma di famiglia dall'aspetto antico e consunto. Il ragazzo strofinò il dorso della mano sul viso, cancellando con rabbia ogni traccia di debolezza e si avvicinò all'oggetto. Ne sollevò il coperchio, lentamente: dentro, sistemati con cura e avvolti nelle proprie fodere ricamate, stavano gli strumenti di allenamento.
Intonsi.
Ozai sollevò il primo, con reverenza, lo estrasse dalla custodia agitandolo in aria, saggiandone il peso e, con altrettanta cura, lo ripose insieme agli altri. Poi, animato da estrema risolutezza, si allontanò di qualche passo e, dopo aver respirato a fondo richiamando tutta l'energia dei suoi giovani anni, prese posizione e scagliò una palla di fuoco concentrata incenerendo il baule e tutto il suo contenuto in un'unica grande fiammata di sdegno. Con maestria controllò il fuoco affinché ubbidisse ai suoi comandi e lì rimase, ad osservare colmo di gioia selvaggia il legno ed il metallo fondersi fin quasi ad evaporare lasciando solo una macchia nera, miasmatica e catramosa.
Sorrise soddisfatto.





Quando Ozai venne al mondo per lui era già tardi.
Eterno secondo per nascita, abilità e ruolo si trovò a crescere all'ombra della grandezza di coloro che l'avevano preceduto.
Nei racconti della notte, le gesta dei suoi antenati si ammantarono di leggenda, riempiendolo d'orgoglio e meraviglia.
L'annientamento dei nomadi dell'aria ad opera di Sozin, la deportazione in massa dei dominatori nelle tribù meridionali dell'acqua e la politica imperialista delle colonie sotto Azulon, perfino l'uccisione dell'ultimo spirito drago per mano di Iroh; tutte queste storie, avvenute prima del suo concepimento, avevano generato uno stato di esaltazione e di smania tale da farlo illudere di poter essere anche lui, un giorno, annoverato fra i grandi.
Bello come solo un figlio del fuoco poteva essere, secondo la tradizione, al terzo anno di vita, venne tolto all'influenza materna, già di per se carente, che cominciò lentamente ad eclissarsi all'orizzonte del figlio fino alla completa scomparsa.
Abbandonato alle cure dei domestici, assecondato in tutti i suoi capricci e lusingato nella vanità, crebbe con una falsa percezione di sé, ingannevole e consolatoria.
La scoperta del dominio, invece di essere la consacrazione del proprio successo, fu fonte di delusione cocente allorquando, si rese evidente, la mancata predisposizione naturale che da Sozin era stata trasmessa prima ad Azulon ed in seguito ad Iroh saltando infine Ozai. Ogni aspettativa paterna crollò e con essa qualunque forma di attenzione verso il principe. Il giovane si ritrovò sbattuto contro una dura realtà, costretto a ripiegare su se stesso crogiolandosi in ultima nell'avvilimento.
Il bambino cominciò a sottrarsi ad ogni tentativo di contatto da parte del maggiore e la nascita di Lu Teng fece il resto, gettandolo nel dimenticatoio.
Messo a confronto con la propria mediocrità Ozai vide l'ammirazione provata durante gli anni infantili per il fratello talentuoso, sfumare nell'insofferenza verso quella figura fin troppo ingombrante.
L'ammirazione verso il fratello si trasformò in invidia.
L'invidia in competizione.
Così trascorsero gli anni, coprendo di un velo di patina il palcoscenico della corte da dove gli attori recitavano la propria parte a beneficio altrui; un mondo nel quale l'etica diveniva estetica e l'assioma del “ Sii te stesso”, sostituito da quello meno difficile e più vantaggioso del “ Sembra ciò che più ti conviene.”
Ben diverso dal generale Iroh, col quale veniva perennemente messo a confronto, Ozai assunse un comportamento altero dalla fisionomia tanto impassibile, quanto l'altro era aperto e gioviale; i suoi occhi divennero insolentemente penetranti e scrutatori senza recare alcuna traccia di quell'allegria e quel calore così comuni in quelli del congiunto. Una fredda cortesia, una fedeltà assoluta al trono, il rigore dell'etichetta, erano divenuti gli elementi privati e pubblici della sua vita di adolescente e manteneva tale reputazione con la stessa inflessibile solerzia con la quale continuava ad allenare corpo ed intelletto.
Quando arrivò il momento di scegliere una sposa per lui, non venne consultato.
Per più di un mese un continuo via vai di messaggeri, astronomi e dignitari animò i cortili del palazzo reale finché un giorno il giovane principe fu chiamato al cospetto del padre. Non era solo.
Il signore Azulon fu molto chiaro.
Alla mezzana che da ore intesseva le lodi della sua protetta aveva chiesto tre cose: che fosse sana, rispettosa delle tradizioni e di origini onorevoli.
Ozai sedeva accanto a lui in silenzio. La sua presenza ininfluente ai fini della trattativa.
Quello del principe sarebbe stato il classico matrimonio combinato, nulla di più, nulla di meno come a, suo tempo, lo era stato quello del fratello.
Incontrò Ursa durante la cerimonia e ne rimase estasiato, rimasero accanto durante tutta la cerimonia senza parlarsi e senza toccarsi ma la sua ammirazione divenne evidente a tutti quando, contrariamente alle tradizioni che volevano la coppia passare le prime tre notti in meditazione, Ozai cacciò via dalla stanza tutti i dignitari presenti chiudendogli personalmente la porta in faccia.
Gli era stato concesso un dono prezioso e con la stessa eccitazione di un bambino di fronte ad un pacco regalo, si apprestava a scartarlo con cura.
Ursa attendeva al centro della camera ancora coperta dei suoi abiti nuziali. Silenziosa e di una immobilità vigile.
Il talamo, dalle dimensioni maestose, incombeva minaccioso in un angolo: qualche cassapanca magistralmente laccata, un paravento a motivi fiammeggianti, un grande specchio e un tavolino basso completavano l'arredamento.
Ozai le si fece incontro sciogliendosi capelli e cintura; si muoveva silenzioso, a piedi nudi, i suoi passi attutiti dai folti tappeti. Quando la raggiunse si prese il tempo per contemplarla. Ella, sotto quell'esame minuzioso fremette inquieta. Appagato il proprio senso artistico, allungò un braccio per toccarla ma Ursa scartò di lato nervosa evitandolo. Ozai ghignando di soddisfazione le afferrò rapido una mano costringendola ad avvicinarsi e se la pose sul petto nudo. Era ghiacciata. La veste ormai aperta, aveva lasciato esposto quel corpo scolpito dall'esercizio costante nelle arti marziali, forte ed irriducibile come la volontà del suo proprietario. I muscoli guizzarono sotto il tocco riluttante della donna. Ursa non lo guardava tenendo pudicamente gli occhi bassi eppure un soffuso rossore virginale emerse sulla pelle chiara nonostante il belletto. Lui le si accostò ulteriormente annullando ogni distanza finché il calore dei rispettivi corpi si fuse mescolando i loro profumi. Inebriato, Ozai strinse contro il petto la mano di Ursa, facendo aderire il palmo proprio sopra il cuore. Sentendolo battere forte, la giovane sollevò lo sguardo timoroso sulle proprie dita, frementi sulla pelle calda e soda del compagno.
Ozai tolse gli ultimi spilloni dall'acconciatura che si afflosciò, in lunghe onde di seta corvina, brillante al riverbero delle candele. Fece scorrere una ciocca fra le dita accomodandogliela dietro l'orecchio e proseguì la carezza lungo la delicata linea della mandibola, terminando sotto il mento. Le sollevò la testa e per la prima volta i loro occhi s'incontrarono. Appassionati quelli di lui, turbati quelli di lei.
Ursa, soggiogata, con la mano libera sfiorò il ventre del giovane uomo che reagì al tocco gentile.
Dapprima esitanti le sue dita sfiorarono i contorni delle costole agitate dal respiro accelerato e, ad un cenno d'assenso quasi impercettibile, esse si fecero più audaci saggiando la carne dura che si tendeva sotto la pelle; scendendo lentamente fino a toccare il rettangolo di tessuto che copriva il basso ventre. Con un gemito strozzato Ozai la voltò di spalle facendola aderire al proprio corpo rendendo così palese la forte eccitazione attraverso gli strati di stoffa che ancora li separavano. Il grande specchio davanti al quale stavano, rimandava l'immagine di una giovane e bellissima coppia persa in un abbraccio appassionato e soffusamente illuminata dalla fiamma delle candele sparse un po' ovunque.
I loro occhi s'incatenarono attraverso il riflesso.
Ursa, intrappolata da quel possessivo tocco vide Ozai cominciare a spogliarla. Con gesti sicuri le sciolse la cintura scostando i teli sovrapposti della veste fino a far emergere la pelle di quel corpo candido ed inviolato. Come in un sogno lo guardò raccoglierle i capelli scoprendo la tenera curva del collo e poggiarvi le labbra brucianti dietro il lobo sensibile, lambendo con umidi colpi la pelle rovente. Ozai intanto valutava la sua reazione; un brivido la squassò ed un sospiro spezzato uscì dalla bocca socchiusa.
Le lunghe e curate dita di Ozai sostituirono temporaneamente le sue labbra prolungando la carezza lungo la linea della clavicola, percorrendo la pelle serica e palpitante fino a liberarla dal tessuto pesantemente ricamato. La baciò sulla spalla nuda. Senza che ne fosse pienamente consapevole le vesti caddero coagulandosi ai suoi piedi come tizzoni ardenti. Si umettò le labbra di fronte a quella visione erotica. Ozai con un sorriso di trionfo sulle belle labbra le afferrò un seno morbido titillandole il roseo capezzolo fino ad inturgidirlo. Ursa emise un gemito strozzato stringendo le gambe. Uno strano e ardente languore le infiammava le viscere togliendole ogni forza, come colta da una vertigine volse gli occhi altrove per l'imbarazzo ma Ozai la costrinse a guardare quello che le stava facendo mentre con l'altra mano scivolava verso il basso, spingendo il palmo duro contro la pancia e andando ad affondare con dita esperte nel triangolo fra le sue cosce.
Le gambe le cedettero di schianto costringendola ad appoggiarsi di colpo contro il corpo del suo amante che ridacchiò. Una sconosciuta frenesia la colse, il desiderio e una strana avidità le confusero la testa lasciandola ebbra; le sue piccole mani andarono a coprire quelle del compagno stimolando le di lui carezze.
Ozai la fece voltare nuovamente e le accarezzò col dorso di un dito il viso, gustandosi il rossore delle sue gote, lo sguardo annebbiato e la bocca umida. In un attimo il rettangolo di stoffa che gli cingeva i fianchi andò ad ammucchiarsi ai suoi piedi, biancheggiando sullo sfondo rosso cupo delle vesti. La distese sul pavimento coprendola con il proprio corpo e lì la prese, gentilmente, inesorabilmente, ripetutamente finché l'alba non li sorprese, esausti, ancora avvinghiati.

Cominciò così la loro unione, fatta di lunghe giornate e notti roventi. In breve tempo la loro casa divenne ritrovo di sedicenti filosofi, presunti artisti ma, soprattutto, abili cortigiani esperti nell'arte della piaggeria. La coppia si trovò catapultata in un mondo fatuo e brillante la cui linfa era data dall'autoreferenza e dalla maldicenza: piaga assai diffusa in tali ambienti. Ursa, in quella realtà, si muoveva con grazia impeccabile; perfetta padrona di casa rimaneva però algidamente distaccata da tutto. Sempre cortese, divenne per tutti, invidiata icona di perfezione muliebre.
Intanto Ozai crogiolava il proprio orgoglio al fuoco dei complimenti degli ospiti, lusingando il suo ego e il suo autocompiacimento. Cominciò ad agire secondo il motto: "stimati e sarai stimato"; comandando l'organizzazione di feste alle quali si presentava per appena un quarto d'ora e delegando ad Ursa tutte le incombenze sociali. Non concedeva visite ne le faceva; riprese invece accanitamente gli allenamenti e prese inoltre ad interessarsi degli affari di stato, intessendo una rete di alleanze che aveva come fulcro la propria abitazione. In breve tempo Ozai divenne per i suoi alleati un potente protettore, per i detrattori un nemico accanito e subdolo, per tutti gli altri l'incarnazione della dignità regale.
Ursa, lasciata alla deriva in quel mare di veleno, circondata da falsi amici e da scaltri arrivisti, ripiegò su se stessa isolandosi. Favoreggiata dalla nascita dell'erede, trovò il modo di distaccarsi dai propri numerosi impegni, pur rimanendo esemplare nei doveri di ospite.
L'arrivo del primogenito non cambiò di molto le abitudini del principe invece; dopo l'iniziale entusiasmo abbandonò le cure parentali delegandole caritatevolmente alla moglie, che ne aveva richiesto la custodia e riservandosi di intervenire in un secondo momento se il bambino avesse dimostrato attitudini particolari.
Schiacciata dal proprio ruolo di moglie, madre e principessa, Ursa, a poco a poco, si spense. In quel tetro periodo della sua esistenza poche erano le luci a rallegrare il cuore pesante della giovane sposa: una era il figlioletto e l'altra le pur rare visite del cognato che non mancava mai di renderle omaggio ogni qual volta i propri doveri militari gli consentivano il rientro a casa. In quelle occasioni ella tornava ad animarsi e, complice il rito del te', disquisiva di filosofia e di poesia insieme a quell'unica anima affine capace di scuoterla dalle proprie solitarie abitudini.
La cosa non passò inosservata a lungo e la complicità fra i due venne malevolmente riportata di bocca in bocca dall'intera corte. Ozai ne venne informato ed impose alla moglie di troncare ogni frequentazione. Ella acconsentì, ubbidendo alla volontà del marito, questo però gettò un ulteriore velo di malinconia sul suo spirito che nemmeno la nascita di Azula riuscì a estirpare. Isolata per propria ed altrui scelta si dedicò all'impianto di un orto officinale consacrandosi allo studio dell'erboristeria ed alla meditazione.
Mentre Ursa appassiva, in Ozai invece sbocciava la certezza di poter scavalcare il proprio fato e di essere qualcosa di più dell'ombra del fratello e del padre.
Un'avidità possente cominciò a trascinarlo, più forte di qualsiasi desiderio: una volontà di potenza attraverso la quale l'uomo vedeva se stesso innalzarsi al di sopra di tutti, incidendo a lettere di fuoco, il suo passaggio.
Da questo seme germogliò l'ambizione e ciò che prima in lui era rigore si trasformò in durezza, la dignità venne sostituita con l'arroganza e la riservatezza divenne freddezza.
Anche con Ursa.
Infine trasferì i propri alloggi.





Nota dell'Autore



Questo capitolo si è aggiunto all'ultimo dietro insistenza dello stesso Ozai, pena la morte al rogo. Scherzi a parte non è stato facile inserire questa spiegazione, poiché a mio parere interrompeva il flusso della trama ma, dopo averci riflettuto ed ascoltato le indicazioni di una amica speciale ( Lance), ho capito che, non solo era utile, ma anche doveroso per comprendere il futuro della coppia anche se un tantinello pedante e noioso.
Per quanto riguarda la prima notte di nozze vorrei precisare un paio di cose: intanto mi scuso se non è venuta come si deve, leggerne tante non implica riuscire a scriverle, rileggendola mi sono accorta che era risultata troppo cerebrale e poco viscerale ma è il meglio di cui io sia capace; non sono scesa nei dettagli in parte per pudore e in parte per non dover cambiare rating ( abbiate pietà io ci litigo troppo con i programmi). Tengo a chiarire che non è una notte d'amore la loro ma solo di buon sesso come può capitare nella realtà, perché essere un bravo amante non dipende solo dal grado di innamoramento. Ozai si comporta in questo modo con Ursa per dominarla fin dal principio. Sono due perfetti estranei che non hanno mai scambiato parola, non si baciano né si coccolano, Per Ozai Ursa è uno splendido trofeo e come tale lo tratta. Se vi regalassero una Jaguar righereste la carrozzeria e grattereste le marce? quindi a chiunque ritenga che i personaggi siano OOC chiedo di rifletterci un po' sopra. Grazie per l'attenzione e al prossimo capitolo. Ringrazio Era Kim per il consiglio e ho provveduto a modificare il titolo: cosa semplice, l'altra è un tantino più complessa ma ci lavorerò ^^ grazie ancora

Ringrazio poi con tutto il cuore Lance per aver passato una intera serata a cercare i termini tecnici della tradizione cinese.

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Capitolo 4
*** Rancore ***



“ T'odio perché non t'amo
e non riesco a perdonarti
di non riuscire più ad amarti”

Patrizia Cavalli



Le stanze del principe Ozai si trovavano nella parte più interna e sicura del palazzo reale.
Perennemente immerse nell'oscurità e circondate per l'intera estensione da alti e spessi muri, vi si accedeva passando attraverso un dedalo di corridoi ed infinite porte, presidiate costantemente dalla guardia scelta. Nessuno poteva arrivarvi senza essere invitato, nessuno poteva sperare di giungervi di nascosto, ma, per un membro della famiglia reale, esisteva un passaggio sicuro e segreto che seguiva parallelamente il corso del fiume sotterraneo e faceva congiungere, quasi in linea retta, gli alloggi dei due sposi.
Le fiamme ardevano di giorno e di notte cosicché fosse impossibile per chiunque determinare l'ora.
Sulle pareti, dipinti ed arazzi narravano le gesta degli antenati, impegnati in crudeli battaglie contro le altre nazioni.
Il monumentale ritratto di Sozin, a cavalcioni del suo drago, faceva guardia all'uscita del cunicolo dove la porta, magistralmente occultata, stava girando silenziosamente sui cardini.
Uno sciabordio di acqua e risate intime emergeva dalla fitta nebbia proveniente dalla gigantesca vasca nella quale Ozai era immerso fino al collo. L'uomo teneva gli occhi chiusi, giocando pigramente con l'acqua calda; ma più del bagno, a rilassare i nervi tesi, erano le mani sapienti della sua ancella preferita che lo massaggiavano con essenze profumate e movimenti leggeri.
Solo gli spiriti sapevano quanto ne avesse bisogno.
Ripensando al colloquio con il Signore Azulon, Ozai si domandava per quale ragione gli avvenimenti avessero preso una piega tanto avversa.
La morte improvvisa di Lu Ten aveva aperto uno spiraglio di speranza nei diritti di successione del principe, facendogli scorgere l'opportunità di rivendicare per se il trono. La reazione del padre invece era stata imprevedibile.
“ Vecchio pazzo!”
Una smorfia di disappunto contrasse il suo bel volto, alzò la temperatura dell'acqua e cominciò a sudare. Il vapore intanto aveva cominciato a saturare l'intera stanza, sfumando la realtà circostante.
“Dovrai provare che dolore provochi la perdita di un primogenito sacrificando il tuo!” così aveva detto il vecchio. Serrò le palpebre ancora più forte mentre un fiotto di amara bile gli saliva in gola. Cedere il proprio primogenito.
Quel figlio mediocre, debole, piagnucoloso, sempre attaccato alle sottane della madre ma pur sempre suo; non del fratello. Suo!
All'ancella sfuggì un gemito di dolore e la vide ritrarre il braccio scottato. Nuovi sbuffi di vapore si sollevarono ad ondate facendo infittire la cortina lattiginosa che inghiottiva tutto. L'uomo allora spalancò gli occhi e fu allora che la vide emergere dalla nebbia come una apparizione.
Ursa: la sua bellissima e perfetta moglie era venuta a cercarlo con una espressione di rimprovero stampata sul viso.
Ozai licenziò l'ancella e questa rapida si ritirò nella caligine fino a scomparire totalmente.
I passi erano appena scomparsi quando il principe cominciò << La mia sposa viene a farmi finalmente visita dunque. >> disse sorridendo compiaciuto, alzandosi dalla vasca; ritto nella propria gloriosa nudità.
Ursa scostò lo sguardo, imbarazzata per la mancanza di pudicizia del marito e avvertì la sua risata dal suono profondo e gutturale. Un tempo aveva amato quel suono, prima che la distanza fra loro fosse incolmabile. Alla nostalgia subentrò il disagio. Ozai allungò una mano sul telo da bagno e lo avvolse intorno ai fianchi.
<< Signora! Siete venuta a comunicarmi che è tutto pronto per la partenza o volevate qualcos'altro?>> chiese tergendosi il volto ed uscendo dall'acqua.
Ursa ignorò l'allusione.<< Mio Signore! >> esordì interrompendosi subito dopo.
Comunicare con il marito era sempre stata una cosa che andava oltre le sue forze, anche nei periodi migliori.
<< Cosa succede. Fare domande dirette non rientra nel vostro Karma? >>
<< Se vi ho offeso , vi domando scusa. >>
Lui le lanciò un'occhiata colma di risentimento.
<< Non chiedete scusa. Avete passato tutto il matrimonio a scusarvi e neanche per un attimo avete pensato di aver torto. >>
La donna incassò il colpo e mortificata si morse le labbra.
Avrebbe voluto gridare che non era stato facile, sopratutto dopo la nascita del bambino, quando più di ogni altra cosa avrebbe voluto averlo accanto, vederlo alienarsi da lei.
Avrebbe voluto dirgli che un marito come lui divorato dalla fame d'Essere, consumato dal desiderio di compiere azioni memorabili, più della media della gente che non crede in niente, aveva reso maggiormente penoso il suo silenzio.
Ma dopo tanti anni Ursa poteva decidere di tacere un'altra volta.
<< Non potete permetterlo! >> esclamò invece.
Avvertendo il tono accusatorio, l'uomo s'inalberò.<< Cosa non posso permettere. >> chiese duramente, andandole incontro.
<< Zuko! Non potete fargli affrontare il Rama-kai. >>
Ozai sollevò il mento sdegnoso, fissandola con disprezzo.
<< La cosa non mi riguarda. >> rispose aspro. << e non riguarda neanche voi. >>
Se l'avesse colpita con un fulmine l'avrebbe ferita meno.
La donna si gettò ai suoi piedi inginocchiandosi, dimentica della propria dignità.
<< Vi scongiuro mio signore. Se avete provato dell'amore per me... >> supplicò con le lacrime agli occhi; quei meravigliosi occhi un tempo capaci di accendersi di emozione ma, in quel momento, colmi solo di dolore.
<< Cosa ne sai tu dell'amore! >> Ringhiò Ozai << Ti vedo in tutta la tua silenziosa perfezione, distaccarti in contemplazione di noi comuni mortali. Ami tutti, come a dire che non ami nessuno. O forse c'è qualcuno che fa breccia in quel tuo algido cuore? >>
Ursa si contrasse quasi i suoi contorni fossero divenuti indefiniti ed evanescenti.
Avrebbe voluto dirgli che amare non era necessariamente controllare, esercitare pressioni e imporre la propria presenza solo in virtù del fatto di essere mogli o madri o mariti o padri.
<< Ozai, ti prego, è nostro figlio. >> sussurrò invece con un filo di voce allungando la mano fino a sfiorargli il ginocchio.
Il principe pareva scolpito nella pietra. Se godeva nel vederla annichilita non lo dava a vedere.
<< Non per molto! >> replicò. << Se Zuko supererà la prova entrerà in linea di discendenza diretta con Iroh. Il Signore del fuoco Azulon ha provveduto affinché il nostro amatissimo fratello avesse un nuovo erede. >>
<< Ma il Rama-Kai. >> obiettò lei.
<< Il Giudizio degli Spiriti non mi riguarda più e se il ragazzo non dovesse farcela... >> non terminò la frase ma era chiara la sua opinione in merito.
<< Come puoi parlare così! >> esclamò inorridita la consorte.
Gli occhi di Ozai si strinsero gelidi squadrando la donna ai suoi piedi.
<< Tuo figlio è stato una delusione continua. Non è venuto come speravo. >> s'accovacciò sui talloni per far scorrere le nocche sulla guancia della moglie contemplandola.<< Abbiamo sempre Azula e poi...… Sei ancora abbastanza giovane per darmene un altro. >>
Come colpita da una scossa elettrica Ursa scostò la testa con rabbia.
Perdendo d'un tratto santità e ragione balzò in piedi tempestandolo di colpi al petto mentre lui ghignando le bloccava facilmente i polsi e si rialzava dominandola.
Inerme la donna scrollò la testa cercando di liberarsi dei capelli scarmigliati che le coprivano occhi e bocca e fu vedendo il modo in cui il marito la guardava che per la prima volta permise alle parole di uscire liberamente.
<< Che cosa siete! >> inveì furibonda verso quell'uomo dall'animo nero. << C'è polvere nelle vostre vene? Dov'è il vostro cuore...Il vostro onore! >>
Lo schiaffo la colse in pieno volto mandandola a terra per la violenza del colpo.
L'acconciatura si sciolse afflosciandosi e il fermacapelli cadde sul pavimento con un rumore metallico.
Un fermacapelli non dissimile da quello che Zhao aveva detto di aver trovato fra le carte di Iroh e che , sollecito, aveva portato ad Ozai.
Quella notte il principe, roso dalla gelosia e con l'orgoglio ferito, aveva raggiunto la moglie. La notte in cui Azula era stata concepita.
<< Non osare mai più parlarmi in quel modo. >> sibilò riemergendo dai ricordi. Giganteggiava su di lei con gelida furia, le pupille a spillo incassate in quegli occhi dilatati sul viso dai lineamenti di marmo. << Io sono il tuo Signore e non accetterò alcuna forma di disubbidienza. Sono stato fin troppo tollerante con te. E' ora che qualcuno t'insegni il rispetto che si deve ad un padrone. >>
Ella lo fissò sbigottita, il respiro affannoso e la mano a proteggere la guancia bruciante. Incapace di muoversi lo vide avanzare mentre, dai corridoi, la voce lontana di un servitore annunciava a tutti il ritorno del generale Iroh.




Note dell'autore

Lemme-lemme avanziamo nella storia, qui Ozai comincia già a manifestare i primi segni di squilibrio; per un maniaco del controllo come lui non deve essere facile vivere una situazione di perenne subordinazione ed ora anche la moglie, fino ad allora apparentemente soggiogata, gli si ribella. Ursa è una donna dalle forti convinzioni filosofiche ed allevata secondo la più scrupolosa tradizione, in un frangente come questo si rivolge al marito perché, anche se principessa, all'interno del nucleo familiare il suo ruolo è marginale ed è in questo contesto che la donna subisce una trasformazione, da soggetto passivo diventa attivo contestando il coniuge, non per se stessa, ma per quel figlio che ella ritiene in pericolo. Commette un errore di valutazione fondamentale, errore che la condurrà a stravolgere le vite di tutti.

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Capitolo 5
*** Rimpianto ***


Sereno e tranquillo, l’uomo ideale non pratica alcuna virtù.
Padrone di sé e imparziale, non commette peccati.
Calmo e silenzioso, egli non vede e non sente.
Equa e integra, la sua mente non dimora in alcun luogo.
- Hui Neng



Tomba piegata
al vento d'autunno
i miei singhiozzi
Basho



Iroh seduto sullo scranno in cima al colle, osservava con occhio tecnico, la battaglia combattuta sotto le mura di Ba Sing Se.
La prima linea di fanteria vomitava addosso ai difensori, tutto il fuoco che aveva a disposizione costringendo l'esercito della terra ad un continuo ripiegamento difensivo.
Irriducibili e sistematici, i membri dell'esercito della terra continuavano a puntellare le fessure che, incessantemente, si aprivano intorno a loro, nel disperato tentativo di rinforzare le mura danneggiate con massiccio uso del dominio, ignari del vero pericolo che li minacciava.
Sotto di loro qualcosa si stava muovendo.
Il generale, durante l'ultima riunione militare con il Signore Azulon, il principe Ozai e tutto il consiglio, era stato chiaro: c'erano solo due modi per entrare in città; uno attraverso il cielo e uno sotto terra.
I lavori erano cominciati anni prima: grazie alla collaborazione di dominatori della terra conniventi e l'impiego sistematico di manodopera prigioniera, erano stati scavati diversi canali sotterranei che conducevano esattamente sotto la prima cinta di difesa, con lo scopo di minare la base delle mura stesse, facendole crollare.
Il generale aveva puntato tutto sulla fortuna e sulla mancanza di immaginazione degli avversari, avrebbe mostrato loro solo quello che voleva vedessero per ingannarli finché non fosse stato troppo tardi.
Tutto sino ad allora si era svolto secondo i piani e, in quello stesso momento, un plotone di volontari stava dando fuoco alle cataste di polveri, legni e materiale incendiario stipate in stanze create appositamente sotto le mura.
L'uomo non poteva vederli ma il suo cuore si riempì d'orgoglio per il coraggio dimostrato da quei soldati, attraverso i quali la vittoria si sarebbe materializzata.
La seconda fila di fanteria sostituì la prima facendo ancora maggiore scena.
Iroh consegnò alcune lettere ad uno degli attendenti e si mise a contemplare l'alba.
Colmo di ammirazione, guardò le luci dell'est tingere di rosa pallido le nubi oltre le montagne ancora addormentate; pensò di scrivere ad Ursa ed ai bambini, sperando di rendere nella lettera la magnificenza dello spettacolo naturale, consapevole che presto, avrebbe, magari, potuto mostrarglielo.
Alle sue spalle intanto il fuoco aveva cominciato a palesare la propria potenza distruttiva.
Il generale si riscosse dalle suggestioni poetiche e tornò a sedersi al suo posto, mentre un attendente gli versava una tazza di tè. Una folata di vento gli portò alle narici, l'acre odore di macerie bruciate; con un fragore assordante le mura caddero, trascinando con loro buona parte dei difensori.
Una breccia gigantesca era stata aperta.
Il generale sorrise, doveva solo consegnare il dispaccio con i nuovi ordini di avanzata ed entro sera avrebbero avuto un nuovo accampamento ad un passo dalla seconda cinta.
Un soldato in groppa ad una lucertola di fuoco, con le insegne del messaggero, arrivò a tutta velocità dirigendosi verso il generale. L'uomo scese rapido prima che l'animale si fermasse e, inginocchiandosi di fronte al condottiero, mantenendo la testa bassa, gli porse un cofanetto e due dispacci arrotolati.
Era la lista dei volontari e dei caduti durante l'ultima fase, quella che aveva portato al trionfo dell'operazione. Ai superstiti sarebbero andati encomi e laute ricompense, ai defunti, per aver sacrificato la propria vita per la patria, funerali di stato, onori e una congrua pensione per le famiglie.
Iroh ruppe il sigillo. Svoltolò la prima carta, scorrendo rapido la lista dei caduti ed impallidendo vistosamente. Sollevò per un attimo gli occhi sull'inferno di macerie annerite dal fumo e ancora incandescenti.
Rilesse nuovamente e senza una parola fece cadere la carta puntando gli occhi sul cofanetto di metallo che conteneva le ultime lettere dei volontari alle famiglie. In preda alla vertigine con mani ansiose e tremanti ne aprì la serratura rovesciando il contenuto sullo scrittoio e cominciò febbrilmente a cercarne una. Gli attendenti si fissarono tra loro preoccupati senza trovare il coraggio di muovere un muscolo di fronte ad un comportamento tanto anomalo nel loro condottiero. In quel momento il capitano Zhao raggiunse il gruppo tutto trafelato e cominciò ansimando a blaterare su un terribile errore commesso. La voce dell'ufficiale giungeva offuscata e lontana alle orecchie del generale quando le dita finalmente si chiusero intorno a quello che stava cercando.
L'ultima lettera del figlio.
Quando l'uomo aveva visto il nome del ragazzo fra quello dei deceduti aveva vacillato, ma una parte della sua mente aveva caparbiamente continuato a credere che ci fosse un errore, le parole di Zhao non avevano senso, anche lui poteva essersi ingannato, ma quella lettera era reale fra le sue dita, reale come il sapore metallico che dà la paura nella bocca quando sei sull'orlo di perdere ogni cosa.
Ruppe il sigillo e lesse.


Il generale Iroh strinse fra le dita le punte di due bastoncini d'incenso facendole sfrigolare.
Ampie volute di fumo profumato si espansero nella cappella privata dove era custodito il ritratto di Lu Ten e della sua defunta moglie, scendendo poi ad avvilupparlo come in un abbraccio.
Inginocchiato sui cuscini, la schiena china e la testa bassa, rimase in contemplazione delle piccole braci ardenti mentre due lacrime, evocate e non trattenute scesero a rigargli il volto. Con un sospiro afflitto sollevò gli occhi sull'altare da dove i due sembravano fissarlo con rimprovero; poiché cos'altro avrebbe meritato Iroh se non il loro biasimo?.
Per tutta la vita il generale sapeva di essere stato un favorito della fortuna ma aveva accettato la cosa come dovuta. Figlio primogenito di Azulon ed erede al trono, non aveva dovuto cercare lontano un senso alla propria esistenza ed aveva imboccato tranquillamente una strada già tracciata.
Sostenuto da un talento fuori dell'ordinario aveva facilmente rivestito ogni ruolo affidatogli riuscendo trionfante in ogni impresa. Era al fianco di Azulon quando venne deciso il lungo assedio della tribù d'acqua del sud. Memore delle pesanti perdite inflitte all'esercito del fuoco dai nomadi dell'aria, nonostante la presenza della cometa, in concerto col padre aveva suggerito la sistematica cattura di tutti i dominatori con incursioni rapide e ripetute nel tempo, strategia inizialmente considerata poco onorevole ma alla lunga rivelatasi estremamente efficace.
Durante il rituale viaggio alla ricerca dell' Avatar scomparso, come prima di lui avevano fatto il padre ed il nonno, si era imbattuto nei guerrieri del sole scoprendo il vero senso del dominio. Toccato dagli spiriti era tornato al suo ruolo con una nuova percezione delle cose, una profonda ed umile deferenza verso l'armonia cosmica ed il proprio marginale posto nell'equilibrio del creato.
Il matrimonio con una sposa scelta dal padre era solo uno dei tanti mattoni che avevano lastricato la via della sua esistenza e non si soffermò mai molto a domandarsi quale peso potesse essere per la sua compagna essere la moglie di un uomo i cui molteplici impegni ne facevano un interesse marginale.
Una fitta di rimorso contrasse i lineamenti del generale al ricordo.
Non era stata una donna favorita dalla sorte.
La nascita di Ozai aveva fortunatamente allentato le pressioni affinché ella partorisse un erede. Non erano in molte le donne in grado di sopportare il concepimento e la relativa gestazione di un erede di Sozin e questo spiegava come mai fossero così pochi in famiglia: rimanere gravide, sostenere la gravidanza, sopravvivere al travaglio era un rischio che rendeva il ruolo di consorte reale meno appetibile di quanto non si pensasse. Sua madre non ce l'aveva fatta, sua moglie sembrava sterile, la potenza della stirpe non perdonava. Ad Iroh questo non importava, aveva un fratello che avrebbe potuto succedergli e, nella prospettiva delle cose, la casata di Sozin era al sicuro così, nei ritagli di tempo, si divertiva a prendere Ozai sulle ginocchia ed a raccontargli storie guerresche condite di spicciola filosofia colonialista e molto, ma molto, dominio del fuoco.
Finalmente nacque un nuovo erede, un bambino forte e sano al quale venne posto il nome di Lu Ten ed Iroh si sentì riempire d'orgoglio. Non essendo più necessaria la propria presenza a corte, il giovane venne promosso capitano e mandato al fronte sud.
Era presente quando l'ultima dominatrice dell'acqua venne catturata e deportata.
Tornato a casa in trionfo gli venne dato il titolo di generale e affidato un esercito per la conquista di Ba Sing Se. Nella gioia dei festeggiamenti venne concepito un secondo figlio.
Iroh partì insieme al fedele Jong Jong ed era lontano quando gli venne comunicata la morte della consorte in seguito a complicazioni dovute alla gravidanza. Tornò in tempo per accendere il rogo funebre e per conoscere il figlio: Lu Ten aveva già cinque anni ed era uno splendido ed allegro bambino che si attaccò immediatamente a quel padre tanto idolatrato quanto sconosciuto. Ma il generale aveva altri progetti. Per molto tempo Iroh aveva creduto all'illusione dell'immutabilità, come se ogni cosa fosse già stata predisposta per il proprio trionfo e il sogno che aveva fatto sulla conquista di Ba Sing se, era divenuto per lui una vera ossessione. Pensava di avere tutto il tempo del mondo ed agì di conseguenza.
Iniziò l'assedio, un assedio lungo, caparbio, inesorabile come lo era il generale che lo conduceva. Brevi capatine a palazzo per aggiornare personalmente Azulon sull'andamento della guerra e accertarsi dei progressi del figlio nelle arti marziali. Conobbe Ursa e la trovò incantevole ma il gelido contegno del fratello ne raffreddò l'entusiasmo; come suo solito Iroh ignorò ciò che poteva infastidirlo e non si curò di scoprirne la ragione.
Passarono gli anni e Lu Ten ebbe l'età per poter combattere. Dietro insistenza del ragazzo Iroh capitolò e lo chiamò al fronte convinto che un'esperienza sul campo sarebbe stata utile al suo addestramento. Quanto si era sbagliato.


Amorevolmente mise l'offerta di fronte al figlio e si immerse nella preghiera chinando il capo.

Al generale Iroh: Ci vedremo dopo la vittoria in guerra. Lealmente, tuo figlio Lu Ten.

Queste erano state le sue ultime parole. Scritte su una lettera con impresso il suo volto, nella paura forse che il padre non potesse riconoscerlo, considerato il poco tempo passato insieme. Una lettera sterile, vuota di affetto come nullo era stato il loro rapporto. Quanti anni sprecati seguendo sogni di gloria, tenuto lontano da un figlio cresciuto senza un padre ed ora scomparso per sempre.
Lu ten aveva voluto rendere orgoglioso Iroh, innalzandosi ai suoi occhi e l'uomo sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato.
Gli gravò il peso dei momenti perduti.
Lo sguardo gli cadde sulla scacchiera, omaggio del suo amico Jong Jong, l'unico rimastogli sempre accanto.
Nulla aveva più senso. Iroh si chiese per la prima volta quale fosse il vero scopo di tutto questo e non giunse ad alcuna conclusione.
Si sentiva solo un vecchio stanco.
Tornò a pregare per loro: per tutte le cose che non avevano avuto il tempo di fare, per tutta la bellezza che non avrebbero contemplato, per le delizie del mondo dal quale erano stati così violentemente estirpati.
Pianse dentro di se per ciò di cui erano stati privati e per le gioie che non avrebbero conosciuto. Chiuse gli occhi e le lacrime tornarono a sgorgare.
L'andirivieni che solitamente accompagna queste luttuose circostanze si era oramai acquietato e l'anziano genitore non faceva quasi più caso al brusio di sottofondo mischiato alle parole di cordoglio, assorto come era nel commiato dal figlio.
Qualcuno, in silenzio, prese posto alle sue spalle. Un vassoio venne posato accanto e, il profumo dell'incenso, si mescolò al tenue aroma del gelsomino.
Iroh aprì gli occhi asciugandosi il volto con la manica.
<< Perdonatemi generale Iroh, gran dragone dell'ovest, principe ereditario della casa reale di Azulon... >>
<< Per favore Ursa. >> la interruppe lui gentilmente, ruotando sulle ginocchia fino ad averla di fronte.<< Fra noi non occorrono titoli. >> le sorrise debolmente.
<< Perdonami se t'importuno in un momento come questo. >> ricominciò lei con voce appena udibile.
<< Importunarmi tu? Sei un raggio di luce in un mondo buio. >> la rassicurò.<< E poi hai anche portato il tè: il mio preferito. >>
Ursa annuì.
<< E' il primo che ti convinsi a provare. >> rammentò sorridendo
<< Si ricordo. Non ero propenso, ma tu fosti convincente. Non te ne sono mai stato grato abbastanza. Sei venuta a porgermi le condoglianze? >> Chiese vedendola d'un tratto turbata. La donna non lo guardava. Fissava invece ostinatamente un punto alla propria sinistra celandogli parte del volto. I lineamenti erano contratti e le mani, serrate in grembo, tormentavano la stoffa del vestito.
Iroh si preoccupò. << I bambini stanno bene? >> domandò ansioso.
Ursa si morse il labbro e una lacrima scese sulla guancia tracciando una scia di tremula luce.
Il generale, dimentico dell'etichetta, le afferrò fulmineo una mano ed altrettanto velocemente la ritirò. Voci sul loro conto ce ne erano state fin troppe per permettere che ricominciassero.
<< Il mio signore Ozai ha offeso il Signore del Fuoco Azulon e questi ha ordinato che il principe Zuko affrontasse la Prova. >>
La tazza che il generale stava per portare alle labbra, rimase sospesa a mezz'aria e subito riposta. << Il Rama-kai. >> disse Iroh lisciandosi la barba come a soppesare l'informazione. Ella annuì
Era un bel dilemma.
Zuko sarebbe stato in grado di sopportarlo? Sua madre evidentemente riteneva di no.
<< Ozai cosa dice? >> s'informò.
Ursa fece per parlare ma chiuse le labbra cambiando idea.
<< Non gli interessa. >> aggiunse infine in tono addolorato.
Iroh sospirò, non avrebbe voluto deluderla ma c'era ben poco che potesse fare.
Nel loro mondo la lealtà verso il padre ed il Signore era assoluta.
Incrociò le braccia chiudendo gli occhi in meditazione.
Impensabile contestare la questione. Anche se Ozai avesse chiesto scusa, qualunque cosa avesse fatto, uscirne con onore sarebbe stato improbabile.
<< Non posso interferire con quanto deciso da mio padre. >> cominciò a giustificarsi imbarazzato. << Ti prego fa qualcosa. >> insistette lei supplicandolo e iniziando a prostrarsi davanti a lui.
Iroh, scosso, ne fermò la discesa umiliante, sfiorandola sotto il mento con le dita e sollevandole il volto in modo che i loro occhi si incontrassero.
Ammutolì dalla sorpresa. Sotto il trucco, posato pesantemente, un gonfiore inequivocabile deturpava la perfezione dei lineamenti.
Ursa se ne accorse e scostò il volto liberandosi del suo tocco gentile.
<< Cosa è successo? >>
La donna, evidentemente spaventata fece cadere una lunga ciocca di capelli come a nascondere il segno sul suo volto.
<< Parla con me. >> la supplicò.
Ella sembrò tentennare infierendo con i denti sul labbro inferiore ma fu solo un attimo di debolezza.
<< E' stata colpa mia. >> disse infine colma di vergogna e sollevatasi con grazia dal pavimento si ritirò precipitosamente, ponendo fine al colloquio.
<< Ursa! >> la richiamò indietro Iroh alzando inconsapevolmente il braccio per fermarla. Ella era ormai troppo lontana. Fuggita davanti a tutto ciò che fra loro da sempre rimaneva inespresso e mentre il rumore dei suoi passi si attutiva, una tazza di delicato tè, spandeva i suoi vapori come volute d'incenso.



Note dell'autore.
Molto spesso pensiamo di avere tempo per fare tutto e rimandiamo a dopo delle cose che pensiamo possano aspettare. Iroh in questo non è diverso dagli altri: popolare allegro, vincente, sembra aver tutte le carte in regola per essere felice eppure cosa gli rimane? Due bastoncini d'incenso e tanta amarezza. Cosa contano le glorie,le vittorie i suoi doni di fronte alla semplice verità che il nostro ruolo è provvisorio su questa terra e il tempo che decidiamo di passare con coloro che amiamo è l'unico che conta.

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Capitolo 6
*** Avversari ***


Shigururu ya horie no chaya ni kyaku hitori

Pioggia di novembre
nella sala da te sul canale
un solo avventore.

Jisei no ku (haiku del commiato)




<< E' l'ora del rimedio per il Signore del Fuoco! >>
L'annuncio echeggiava monotono attraverso i corridoi del palazzo reale come un eco infinito. Appena una voce si spegneva subito un'altra si levava accompagnando il suono metallico del gong in un susseguirsi di frasi dal ritmo ipnotico; ed ad ogni colpo Ursa trasaliva.
Come ogni giorno, da due anni a quella parte, la donna aveva preparato il rimedio per il Signore del Fuoco secondo le istruzioni del medico di corte e, come d'uso, era ella stessa a recarlo. Da quando le era stato affidato il compito di vegliare sulla di lui salute, neppure una volta aveva mancato al proprio dovere e quella sera, puntuale come al solito, percorreva la strada in direzione delle stanze da letto private di Azulon.
Mai come quel momento il cuore e i pensieri della donna erano stati pesanti ed incerti.
Il gong vibrò così vicino all'orecchio che Ursa incespicò rischiando di far cadere il vassoio.
Un passo dopo l'altro percorreva la storia della famiglia reale: dipinta alle pareti, ricamata sugli arazzi, intagliata nelle porte: strumento di propaganda al servizio della nazione, come monito agli osservatori affinché nessuno dubitasse del potere insito nel dominio e ad ogni passo, essa si faceva più raccapricciante, con diluvi di fiamme volte a schiacciare nemici o chiunque fosse così folle da sbarrare il cammino. La signora, sopraffatta da quel nauseante sfoggio di violenza, si arrestò, incapace di proseguire. Le assistenti alle sue spalle pestarono l'una il fondo della veste dell'altra guardandosi inquiete.
L'ingresso della stanza stava spalancato davanti a loro; un'enorme bocca pronta a divorarle.
Ursa respirò a fondo recuperando il sangue freddo e con passo risoluto varcò la soglia, ignorando le guardie ma avvertendo sulla propria nuca, l'insistente sguardo dei dragoni modellati nel metallo che, dalla porta, la fissavano feroci.
Ad accoglierla un ambiente stranamente raccolto: l'alcova, incassata, era seppellita sotto cascate di veli, un tavolino basso, con gli avanzi della cena stava alla sua sinistra e, dietro tre file di cortine variopinte, la sagoma di spalle del Signore Azulon, restava immobile in attesa.
Ursa cercò disperatamente di ricordare quanto appreso sul suocero.

Nato nell'anno della cometa da un padre già anziano Azulon aveva dimostrato precocità e genio nel dominio del fuoco. Inventore della tecnica del fulmine, temuto e rispettato, teneva l'intera nazione sotto il giogo del proprio potere intimidatorio ed al contempo rassicurante.
Di formidabile aspetto; il volto dall'ovale allungato; la bocca risoluta; gli occhi velati da una profonda cupezza dai quali scaturivano lampi oscuri di misantropia e diffidenza, spiccava per caparbietà e imperturbabilità. Per i suoi avversari Azulon era tanto sottile da essere informe, faceva uso della collera per confonderli, dell'arguzia per far crollare loro i nervi. Non dava quartiere. Attaccava quando erano impreparati e sferrava il colpo quando meno se lo aspettavano. Viveva secondo l'assioma “ dell'andare fino in fondo”. La moderazione nelle sue azioni non era contemplata e quando vinceva un avversario, si assicurava di distruggerlo sin nel profondo dell'anima, per uccidere totalmente il suo spirito di combattimento: tale era l'uomo che Ursa si accingeva ad affrontare.

Un dignitario sollevò il drappo di velo.
La donna fece cenno ad Hachiko e Zyolee di attenderla e oltrepassò la prima fila di tendaggi.
Il vecchio, seduto allo scrittoio stava srotolando assorto alcuni involti.
Uno cadde aprendosi e la principessa vi riconobbe il ritratto di Lu Ten.
Al suono di un campanellino celato, la seconda fila di tendaggi venne sollevata.
Ursa trattenne il fiato mentre Azulon sollevava il dipinto e dopo averlo contemplato lo riponeva con cura in un cofanetto.
Un altro squillo e l'ultima barriera venne rimossa.
La donna, come da etichetta si inchinò profondamente prostrandosi a terra fino a toccare il pavimento con la fronte.
<< Mio Signore vi ho portato il rimedio. >>
Il vecchio, continuando a scrivere, allungò, dietro la schiena, il braccio libero con gesto impaziente. Rapida Ursa gettò uno sguardo attorno.
Erano soli.
Celati dalle cortine che discretamente avevano ripreso la propria funzione, nessuno poteva sentirli, nessuno disturbarli.
Fendendo il vuoto con le dita Azulon si riscosse dalle proprie meditazioni, smise il lavoro e si girò per tre quarti lanciandole uno sguardo infastidito. Come incapace di sostenere la durezza dei suoi occhi, Ursa tornò a toccare con la fronte il gelido pavimento. Sentendosi ardere ripeté la formula che tante volte aveva provato prima di giungere al cospetto del suocero.
<< Mio signore! >> esordì con un filo di voce.<< Se mai questa donna in qualche maniera vi fu gradita, se nel vostro animo alberga un briciolo di compassione, vi supplico di ascoltare le preghiere della figlia, della madre e della leale suddita.>>
Il cipiglio sulla fronte del vecchio si accentuò.
Era oltremodo seccato dall'ardire di quella nuora che fino ad allora aveva tenuto un comportamento impeccabile.
<< Che cosa vuole chiedere questa trinità femminea.>> la schernì severo. << che pretende udienza nonostante la sua protestata umiltà.>>
Incrociando le braccia sul petto la inchiodò a terra sotto il peso del suo sguardo.
Il temporeggiamento di quella creatura stava peggiorando l'umore già abbastanza cupo del Signore del fuoco. Si sentiva affaticato. Provato. La morte del nipote non era passata senza turbamento ed alla sua età non riusciva più a rallegrarsi delle nuove prove e difficoltà che la vita gli rovesciava addosso. Il motto “ quando l'acqua sale la barca s'alza” non aveva per lui più alcun significato.
Era un vecchio, malato e stanco.
Solo, se si escludeva quella femmina seccante.
Ursa si morse il labbro alzandosi al cenno di Azulon.
<< Mio Signore sono venuta a supplicare per la vita di mio figlio Zuko. Vostro nipote. >>
<< So chi è Zuko donna. >> replicò l'altro infastidito. << Che io sappia non corre alcun pericolo. >>
<< Il Rama-Kai >> proseguì imperterrita la donna.<< Deve affrontarlo per vostro ordine. >>
L'anziano patriarca rimase per un attimo interdetto cercando di rammentare.
Un lampo di comprensione attraversò il volto del vecchio che annuì.
<< Vi scongiuro di dispensarlo. >> supplicò ancora la principessa.
Azulon si lisciò i baffi riflettendo attentamente. Il Rama-Kai era si un rito, ma celava in se una buona dose di pericolo, sopratutto per dominatori inesperti e le paure di Ursa risultavano comprensibili.
Contemplò la possibilità di essere stato troppo precipitoso, di aver permesso all'impulsività di gettare un velo sul discernimento, però, rifletté anche, l'offesa era stata grande.
Ozai aveva mancato di rispetto e lealtà e ormai Azulon si era già esposto troppo per poter tornare indietro.
<< Zuko affronterà la prova. >> decise infine dopo attenta valutazione.<< non asseconderò le paure di una madre troppo apprensiva. >>
<< E' troppo giovane per il Rama-Kai. >> insistette Ursa ostinata ignorando l'occhiata di indignato stupore dell'uomo.<< Non può farcela, è impossibile. >>
<< Impossibile?! >> gridò Azulon risentito prima che un eccesso di tosse lo costringesse ad interrompersi.<< Quando si è determinati l'impossibile non esiste, solo quando l'uomo è privo di coraggio non può persuadersene. >> inveì furibondo.<< Avevo la stessa età di Zuko quando mi sottomisi alla prova. Quindi non venirmi a dire cosa è o non è possibile. >>
Ansava agitandole il dito davanti al volto, sottolineando ogni parola mentre con l'altra mano si stringeva il petto.
Un lieve brusio si levò alle loro spalle dai domestici allertati dai toni accesi della diatriba.
<< Ma Zuko non è come voi. >> protestò ancora la madre con la voce rotta dal pianto,<< Lui non ce la farà. >>
<< Zuko affronterà il Rama-Kai e questo è quanto! >> disse sbraitando il vecchio, il volto paonazzo e la fronte imperlata di sudore.
<< No! >>
Ursa schizzò in piedi battagliera.
Dietro le cortine intanto, gli altri si guardavano l'un l'altro a disagio, indecisi sul da farsi. Un'ancella scomparve lungo il corridoio in cerca di aiuto.
Azulon nel mentre boccheggiava. Aveva cominciato a sentirsi male poco dopo il pasto serale e questo scontro inaspettato lo aveva fatto giungere al punto di rottura. Si guardò attorno in cerca d'aiuto ma vedendo solo la sua avversaria roteò gli occhi e crollò. Caduto bocconi, si mise a strisciare nello spasmodico tentativo di raggiungere la tazza con il rimedio poggiato a poca distanza da lui. Ursa, anticipandolo, rapida raccolse il contenitore e prese a stringerlo forte, fino a farsi sbiancare le nocche.
<< Dammelo! >> ordinò il vecchio con voce strozzata.
<< Giura che Zuko non farà la prova. >>
Azulon rotolò sulla schiena rantolando e contorcendosi in cerca d'aria. Tentò di sollevarsi, fallendo miseramente ed il respiro si ridusse ad un fischio sottile e prolungato. Il vecchio, in tutta la sua lunga vita, per la prima volta, si trovava a non aver le forze per reagire seppure la resa non potesse comunque essere contemplata.
<< Sto male. >> esalò con il volto pallido e le labbra bluastre. Gli occhi annebbiati seguivano la tazza fra le mani della donna, ben fuori dalla sua portata.
<< Giuralo! >> ripeté ella disperata.
Troppo tardi.
Ormai il vecchio non poteva più sentirla, sprofondato com'era nello stato di sincope che precede la fine.
Fu così che morì il grande Signore del Fuoco Azulon: riverso in una pozza di sudore ed urina; e fu così che, il generale Iroh ed il principe Ozai lo trovarono, ai piedi di una pallidissima Ursa che ancora stringeva al petto la tazza colma.



NOTE DELL'AUTORE.

Nella mia immaginazione Azulon è sempre stato l'incarnazione dello spirito del bushido, con tutto ciò che comporta, nel bene e nel male, esserlo. Ma il Codice non è altro che una via tracciata che t'impastoia rendendoti schiavo e cieco delle sue stesse regole.
Ursa, anche se a livello inconscio ne prende la forma e diviene l'ultimo avversario del vecchio che mai si sarebbe aspettato di combattere l'ultima battaglia contro un membro della propria famiglia, per di più donna.
Anche se muore Azulon non ne esce sconfitto, paradossalmente il suo non cedere, nemmeno di fronte alla morte, lo rende vincitore, poiché mai viene meno ai propri principi; Ursa d'altro canto, per amor materno e per troppa paura, abbandona la via del Tao e della non azione e assume quella dell'avversario perdendo temporaneamente se stessa.

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Capitolo 7
*** Compromessi ***



Shang Kwang disse:
<< Io non ho la pace dell'anima. Posso chiederti signore, di pacificare la mia anima? >>
<< Mostrami la tua anima, qui, davanti a me, >> replicò Bodhidharma << e io la pacificherò >>
<< Ma io non posso mostrare la mia anima. >>
<< E allora io l'ho pacificata.>>




<< Perché la signora Ursa è agli arresti?>>
Il principe Ozai stava terminando alcuni incartamenti da consegnare al capitano Zhao, in attesa accanto a lui, quando il generale Iroh fece impetuosamente irruzione nello studio del fratello, pretendendo spiegazioni.
Il giovane uomo si limitò a squadrarlo con gelido disprezzo davanti a quello sfoggio di cattive maniere.
<< Per mio ordine >> precisò tornando ad intingere il pennello nell'inchiostro.
Iroh, ignorando il capitano si accostò allo scrittoio sbattendo il pugno sul legno tanto da farlo tremare.
<< Questa è una follia! >> sbraitò rosso in volto dalla collera.
Ozai interruppe seccato il lavoro alzandosi a fronteggiare il fratello maggiore.<< Ha ucciso il Signore del Fuoco >> scandì lentamente come a ribadire una cosa ovvia.
<< Nostro padre ha avuto un attacco. >>
<< L'ha ucciso lei! >> esclamò il principe col tono colmo di acredine. << La salute di nostro padre era affidata alle sue cure; con il suo gesto è venuta meno al proprio compito e questo è un reato di alto tradimento. >>
Iroh rimase scioccato dalla gelida furia che vibrava nella voce del fratello, dall'ottusa ostinazione con la quale perseguiva un nemico immaginato solo nella propria testa.
Si guardò intorno in cerca di qualche alleato ma l'unico ad avere l'ardire di fissarlo era il capitano Zhao con un ghigno crudele malamente nascosto sulla faccia scimmiesca. I due segretari del principe invece, impegnati nel lavoro d'archivio, sussultarono atterriti ed abbassarono il capo fingendosi indaffarati.
Zhao no! Pur mantenendo il riserbo del suo grado pareva gioire di una meschina ed intima soddisfazione di fronte a quello che ai suoi occhi doveva apparire come un gustoso spettacolo. L'arroganza di quell'uomo evidentemente non conosceva limiti.
<< Il capitano ha qualcosa da aggiungere considerato quanto l'argomento sembri affascinarlo? O devo supporre sia diventato così intimo del principe da essere incluso nelle discussioni di famiglia. >> Chiese il futuro Signore del Fuoco in tono raggelante, fulminandolo con lo sguardo.
Come al solito l'uomo stava alle spalle di Ozai, vicino a lui, troppo, per i gusti del generale che non vedeva di buon occhio tale frequentazione. Iroh era assolutamente convinto che avesse una pessima influenza sul principe.
Zhao, avvampò ed impallidì in rapida successione, figurandosi già al confino, e fece per ritirarsi quando il braccio di Ozai ne bloccò il passo intimandogli in silenzio di non muoversi.
Decisamente una pessima influenza.
Il maturo condottiero corrugò le sopracciglia studiandoli attentamente.
Uno scontro diretto dall'esito incerto era l'ultima cosa che Iroh desiderasse così tentò una nuova strategia: fare appello al suo buon senso.
In passato, quando era venuta a galla quella assurda fandonia sulla presunta relazione sua e di Ursa, aveva funzionato.
Assurda davvero? Cacciò il pensiero molesto.
<< Sii ragionevole Ozai. >> disse tentando di abbassare i toni. << Tu non puoi davvero volere questo. >>
<< Io sono ragionevole >> ribatté l'altro.<< Forse sei tu a non esserlo. Ursa, solo per il fatto di essere mia moglie, non può rimanere impunita. >>
<< Questo è assurdo! Ursa appartiene alla famiglia reale e nessuno può giudicarla. >>
<< Io posso! >> replicò caparbio l'altro.
Iroh strinse i pugni conficcando le unghie nei palmi nel tentativo di mantenere il controllo.
<< Ti prego di pensare attentamente a quello che stai per fare. >> disse stancamente << Una volta avviate le accuse, metterai in moto un meccanismo che si concluderà solo in un modo ed allora sarà troppo tardi per pentirsene. >>
<< E' quello che voglio. >>
Nel sentire quel tono ostile ad Iroh si spezzò il cuore.
<< Tu non sei così Ozai. Questa crudeltà non può appartenerti. Ursa è la tua sposa, la madre dei tuoi figli e tu sei tenuto... >>
Non fece in tempo a finire la frase che già l'altro scuoteva appena il capo, con sufficienza, in gesto di spregio.
<< Io non sono tenuto a fare nulla. >> iniziò a parlare ed il disprezzo nella sua sua voce divenne denso come vetriolo. << Ella stessa ha fatto la sua scelta, perché non dovrebbe pagarne le conseguenze? Vuoi forse darmi ad intendere che ci sono persone da poter porre al di sopra della legge? Proprio tu prossimo Padre della Nazione vieni a dire a me che dovremmo chiudere un occhio? Dov'è il tuo onore in tutto questo. >>
Allibito l'uomo rimase senza parole. Cominciò a percepire l'aria intorno a se farsi greve e un senso di vertigine lasciarlo stordito mentre la paura si faceva largo in lui.
Se non poteva convincerlo, pensò, poteva almeno obbligarlo.
<< Come nuovo Signore del Fuoco ti ordino di... >>
<< Non sei ancora il Signore del Fuoco fratello. >> lo interruppe nuovamente Ozai schernendolo.<< e prima di protestare, sai perfettamente che l'incoronazione avverrà molto dopo il giudizio. >>
Il generale ammutolì ancora di fronte a tanta spietata determinazione.
Non riusciva a credere che Ozai fosse tanto adirato con Ursa da desiderare di perderla e con lei anche l'onore della sua casa; guardò il fratello e si chiese che fine avesse fatto il ragazzino che tante volte aveva fatto saltare sulle ginocchia. Ora, nell'uomo di fronte a se, vedeva ardere solo una sfrenata ambizione alimentata da un astio feroce e distruttivo.
" Da dove ti viene tutta questa rabbia... che cosa ti è mai mancato?" pensò di chiedergli ma nessun suono uscì dalle sue labbra poiché dietro Ozai incombeva l'ombra di Zhao pronto già a versare altro veleno nelle orecchie del suo signore.
Il disprezzo per il capitano divenne tangibile e si chiese come mai prima di allora non avesse fatto caso all'aura maligna che si portava addosso.
Con un ulteriore sforzo sui nervi già fin troppo tesi tentò un ultimo appello.
<< Pensa allo scandalo...ai bambini! >>
Di fronte al silenzio dell'uomo, Iroh dimenticò i buoni propositi e passò alle minacce.
<< Ti sfiderò ad Agni-kai pur di impedirlo. >>
Un'espressione di puro terrore attraversò per un attimo il volto altrimenti impassibile del principe.
Un silenzio greve come un sudario era sceso fra i presenti: era chiaro per tutti chi avrebbe vinto il duello e le cicatrici sarebbero durate tutta la vita, sempre che il principe fosse sopravvissuto.
Rimasero a misurarsi, fronteggiandosi come due avversari sull'arena. Poi il bel volto di Ozai si rilassò ed un ghigno satanico gli sollevò i lembi delle labbra purpuree lasciando intravedere i denti candidi come quelli di un lupo-polare.
<< E' tuo diritto. Ma non credo lo farai. >>
Il generale spalancò gli occhi dalla sorpresa, indietreggiando di un passo.
Ozai aveva ragione.
La famiglia era sempre stata il suo punto debole, una fragilità facilmente sfruttabile dal nemico ma che quel nemico fosse proprio il fratello, questo non se lo sarebbe mai aspettato.
L'occhio gli cadde sulle carte ancora sparse sullo scrittoio: tetra sentenza di morte. Era tutto pronto, tutto predisposto e chissà da quanto tempo.
Iroh finalmente aprì gli occhi e il velo dell'inganno fu sollevato.
Lo colse un sentimento di stupore.
Ozai non stava condannando la propria moglie per un malcelato spirito di vendetta o una fasulla sete di giustizia. No. Ozai stava condannando Ursa per fare del male. Non il male commesso per desiderio di grandezza, non per l'egoistico soddisfacimento delle proprie voglie, ma il male per il male; compiuto quasi fosse un'artistica esaltazione del proprio essere, la dimostrazione di un'ostentata potenza in grado di trascendere la subordinata condizione sociale in cui era posto. Anche a costo di perdere se stesso. << Cosa vuoi veramente? >> chiese in tono amaro e dovette ripetere la domanda più forte perché il fratello non diede segno d'averlo sentito. << Allora cosa vuoi? >>
<< Abdica. >> rispose a bruciapelo il principe riscuotendosi d'un tratto.
<< Cosa?! >>
Dopo un momento di iniziale stordimento per la frase che gli era inavvertitamente sfuggita, Ozai raddrizzò le spalle risoluto.<< Rinuncia a mio favore affinché sia io ad essere il prossimo Signore del Fuoco. >>
Iroh rimase senza fiato, tutti nella stanza trattennero il respiro poiché quello che il principe proponeva non era solo un sacrilegio ma un vero atto impuro, il cui solo pensiero disonorava i presenti.
Il Signore Azulon non era ancora stato avvolto dalle fiamme funerarie e già Ozai avanzava un così vile commercio.
Quando era nata tanta ambizione.
Il generale non lo sapeva ma il veleno dell'invidia aveva intossicato il fratello poco a poco e nel corso degli anni lo aveva trasformato nell'esaltato dallo sguardo febbrile di fronte a lui.
<< Tu sei pazzo. >> esalò troppo scandalizzato per obiettare sull'impossibilità della proposta.
Il principe piegò le labbra in un ghigno sardonico << Può essere. >> ammise << Ma se non lo farai , le ceneri del rogo sul quale immolerò Ursa saranno già fredde prima che tu abbia indossato la corona. >>
Iroh chiuse gli occhi troppo scosso per continuare.
L'immagine di Lu Ten gli attraversò la mente accecante e dolorosa. Non aveva neppure terminato di piangere suo figlio e già gli toccava seppellire il padre. Come avrebbe affrontato l'ennesimo lutto? L'uomo si guardò dentro e capì di non avere più risorse.
Sentii tutto il peso della decisione gravargli sulle spalle e abbassò la testa sconfitto.<< Se acconsento, mi giuri che ad Ursa non verrà fatto alcun male? >>
<< Non le verrà torto un capello. >> rispose Ozai in tono stupefatto quasi non si aspettasse una vittoria.
<< Lascerai Zuko a me così che ne sia tutore e maestro!>>
<< Prendilo, è tuo. >> mormorò il fratello ancora incredulo.
Iroh si strofinò il volto, tormentando la fronte, la bocca e la barba vittima di un conflitto interiore in cui il dovere verso la nazione si contrapponeva a quello verso la sua anima.
Ozai evidentemente aspirava al trono con un desiderio maggiore del suo e questa fame rischiava di divorarlo distruggendo tutto, ma se Iroh l'avesse assecondato? Forse la sua ambizione si sarebbe placata, forse, per quanto strano potesse sembrare, era la via giusta da intraprendere e forse avrebbe trovato la pace.
Forse...
<< Cosa decidi? >> chiese impaziente il principe.
Dargli quello che voleva?
Che senso aveva il trono per Iroh?
A chi lasciarlo?
Quando Lu Ten era morto con lui erano state bruciate anche tutte le ambizioni del padre.
Abbandonare la via tracciata per una nuova strada... ne sarebbe stato in grado?
Qualcuno nella stanza si mosse causando un lieve spostamento d'aria che fece fremere le fiamme delle lanterne e la luce danzò sulle facce dei presenti animando le ombre acquattate fra le pieghe della pelle; il volto di Ozai, una maschera di cera dal quale sembrava essere stato risucchiato tutto il sangue, quello di Zhao, così vicino al principe da sfiorargli le spalle, un capolavoro di avida attesa.
Angustiato ed ancora titubante il generale si sedette allo scrittoio e, dopo un attimo di incertezza, tracciò alcune frasi sulla carta imprimendo il suo sigillo con forza, di getto senza rileggere.<< Ora Ozai tocca a te mettere nero su bianco quanto hai promesso.>> disse.
L'uomo fissò ipnotizzato per un attimo, la carta che Iroh sventolava con la mano riscuotendosi immediatamente; sollevò un sopracciglio in segno di sdegno ma ottemperò alla richiesta sotto lo sguardo vigile dei testimoni.
Si scambiarono quanto stilato nel più rigoroso silenzio e subito Ozai fece un cenno al capitano che batté i tacchi in risposta. << Porta questo ai sacerdoti. >> ordinò soddisfatto << E dai ordine di preparare la partenza della Signora Ursa. >> Iroh sollevò la testa di scatto << Mi raccomando. Non deve esserle torto un capello. >> terminò il principe guardando di sottecchi il fratello maggiore.
<< Per dove? >> chiese il capitano soffocando a stento una gioia feroce nel tono della voce, la stessa che aveva mal celato il giorno in cui, a Ba sing se, aveva comunicato la morte di Lu Ten; ma il generale era troppo coinvolto allora come ora per accorgersene.
Ozai scrollò le spalle con noncuranza.
<< L'importante è che non le sia più permesso di far ritorno in queste terre e ovviamente nessuno dovrà mai saperlo. Non avrai pensato, Iroh, che l'avrei lasciata impunita per quello che ha fatto. >> terminò rivolgendosi al generale.
Il maturo condottiero chinò il capo, non c'era altro da aggiungere. Il volto di Ozai si distese in una espressione di trionfo.
<< Spero che tu possa trovare la pace fratello. >> mormorò Iroh mestamente prima di congedarsi.





Note dell'autore:

Iroh qui subisce la trasformazione finale.
Come gli antichi samurai che si svestivano dell'armatura per indossare la tonaca, il generale si libera delle proprie insegne rinunciando al trono. Ha fatto bene ? Ha fatto male? Queste purtroppo sono domande retoriche poiché non vi è una risposta giusta o una sbagliata, sicuramente ha compiuto una scelta della quale poi abbiamo visto gli effetti.
Ozai invece ne esce trionfante, almeno all'apparenza, ottiene tutto ciò che ha sempre desiderato al prezzo della famiglia, chissà quanti si trovano nelle stesse condizioni sul lavoro. Sarà un regno breve il suo, e alla fine perderà tutto ( meritatamente aggiungerei.)
Questa volta purtroppo non sono riuscita ad astenermi dai giudizi e me ne cruccio ma è stato più forte di me ( io li detesto i tipi come ozai e zhao) .
Zhao... Zhao è un personaggio particolare. Mi ci sono messa a riflettere parecchio prima di inquadrarlo e alla fine ho avuto l'illuminazione. Anche lui a modo suo è un samurai. Uno però di quelli che ha degenerato il codice. E' legato al suo signore e non solo ubbidisce agli ordini ma li interpreta per far ascendere Ozai sempre più in alto perché così anche lui può salire. Vuole essere il suo braccio destro e non ammette concorrenza è per questo che tenta di separarlo da Iroh ursa e zuko. Da Azula no perché la ragazza è troppo dipendente emotivamente dal padre per costituire un pericolo.

P.P.S.
Dietro gli utilissimi suggerimenti di Lance ed Era ho modificato il capitolo aggiungendo qualcosina in più al rapporto tra i fratelli.
Grazie a Lance che praticamente mi ha fatto da redattrice sono riuscita a migliorarlo ulteriormente anche se mi ha dato una bella gatta da pelare riguardo alcune sfumature di significati, alla fine ho deciso di mantenere la lettura originale perché mi servirà per il prossimo Legami. Come L. mi ha giustamente fatto notare, Ozai è un immaturo con un forte senso di possesso: mia la moglie, miei i figli, mio il fratello. Mio. Mio. Mio. Però è anche vero che ha appena fatto cambio con qualcosa che pensava di non poter raggiungere: il potere assoluto. Ed è per questo motivo che ho optato per il distacco dato dall'uso dei nomi propri invece di dire fratello mio o mia signora. E' in cima alla piramide ed è completamente solo.
Se vi sembra poco credibile fatemelo sapere così che io, attraverso i vostri suggerimenti migliori le mie abilità di plotter.
Un bacione a tutti i miei lettori e soprattutto a Lance ed Era che mi hanno sostenuto fino ad ora ^^

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


<center>Epilogo</center>

<< Prendi questo sasso e gettalo nell'acqua. Che cosa vedi? >>
<< Nulla. Il fondale, noi, il cielo, tutto è sparito. >>
<< Questo succede perché il sasso ha smosso le acque intorbidandole e le increspature che ne sono generate impediscono alla superficie di riflettere. >>
<< Perché mi hai fatto gettare il sasso? >>
<< Perché capita. >>



§§§


Ursa appoggiò le spalle alla parete in cerca di sostegno e portò le mani gelate al volto tentando di ricacciare indietro le lacrime che le pungevano gli occhi. Quante ne aveva versate negli ultimi tempi, senza riuscire mai ad esaurirle.
Dire addio a Zuko era stata la cosa più difficile ma doveva fare appello alle ultime energie poiché non era ancora finita.
Nel corridoio buio tutto era silenzio, solo qualche rada fiaccola crepitava spandendo un debole chiarore a mala pena sufficiente per indicare la via.
Fece un rapido riepilogo mentale: le guardie corrotte avevano già preso posto all'ingresso e Hachiko la stava aspettando presso la portantina pronta per la fuga, mancava solo una cosa.
<< Vuoi andartene senza salutare? >> chiese una voce ostile.
Ursa trasalì sentendosi scoperta e il cuore prese a battere selvaggiamente.
<< Azula!>> esclamò guardando la figlia ritta di fronte a se, emersa dalle ombre.
La bambina la fissò con astio.<< Andavi via senza salutare. Madre? >> ripeté scandendo lentamente le parole.
Ursa fece un passo nella sua direzione.
<< Stavo venendo da te. >>
<< Bugiarda! >> gridò la figlia indietreggiando.
La donna mise un dito davanti al volto intimandole il silenzio; si guardò ansiosamente attorno, paventando l'idea che qualcuno potesse averle udite e desse l'allarme. Fece cenno alla bambina di calmarsi.
<< Azula davvero... >>
<< Sei stata da Zuko! >> l'accusò la figlia con rabbia.
<< Si. >> ammise << Ma...>>
<< Mi avresti abbandonata senza una parola. >> singhiozzò interrompendola di nuovo.
Alla vista delle lacrime Ursa corse ad abbracciarla.
Azula non piangeva mai: strepitava, urlava, infieriva ma non piangeva e scoprirla così fragile turbò la donna che la strinse ancora più forte.
<< Perché non mi vuoi bene mamma. >> sepolta fra le braccia della madre, per la prima volta Azula dava sfogo alla propria amarezza. << Perché preferisci Zuko. Anche io sono tua figlia. >>
Ursa la baciò sulla fronte prima di appoggiare la guancia sui suoi capelli cullandola teneramente.
<< Io ti voglio bene. >> sussurrò.
<< Non è vero.>> rispose ostinata la bambina.<< stai sempre con Zuko, io non esisto per te se non quando mi rimproveri. Mi tratti come se fossi un mostro. Sono un mostro mamma?>> domandò ansiosamente aggrappandosi con le manine alla veste della donna.
<< No piccina è solo che Zuko... >>
Azula si divincolò inviperita cercando di liberarsi dell'abbraccio materno.
<< Zuko! Zuko! Zuko! Sempre Zuko! >>
Ursa lottò per trattenerla << Lascia che ti spieghi. >>
<< Non voglio sentire niente! >> Urlò la bambina con quanto fiato aveva in gola.<< Io ti odio! >> e così dicendo afferrò il braccio nudo della madre che la tratteneva. In un attimo le fiamme sprizzarono dalle dita contratte della giovane dominatrice andando ad incidere un profondo segno sul corpo.
Con un gemito Ursa lasciò andare di colpo la figlia e rimasero in piedi, una di fronte all'altra, troppo sbigottite entrambe per aggiungere qualsiasi cosa, fosse un gesto o una parola. Azula infine ruppe l'incantesimo girandosi e correndo via, veloce come un fulmine, lasciando la donna sola con le conseguenze di quell'incontro, marchiate a fuoco sulla pelle.
Dal corridoio risuonò in lontananza il corno dell'allarme.

§§§

Yamamoto Tsunetomo
„Non si possono compiere grandi gesta quando si è in una disposizione di spirito normale.
È necessario diventare fanatici e sviluppare la passione per la morte.
Se si esita o si pensa eccessivamente, si rischia di perdere l'occasione per realizzare l'impresa.“




Azulon se ne era andato anche se non nel modo in cui aveva previsto.
I funerali si erano svolti secondo etichetta con un corteo infinito a seguire il feretro fino alla gigantesca pira funebre, viatico dell'ultimo cammino. Era infine divenuto uno scheletro avvolto dalle fiamme, in quel vasto campo desolato che era la stessa vita umana. Tutti loro non stavano piangendo la sua morte , ma la perdita del loro signore e le lacrime non erano per il morto che aveva illuminato il loro viaggio vittorioso attraverso una guerra durata cent'anni, ma per loro stessi, consapevoli di essere rimasti senza guida.
Al buio.
Azula, appoggiata al tronco di un albero del giardino guardava lo zio ed il fratello immersi in una fitta conversazione.
Troppo lontani perché potesse udirli erano anche troppo impegnati per accorgersi della sua presenza.
Invisibile ai loro occhi, aveva tutto l'agio per studiarli con comodo.
Non che fosse particolarmente curiosa, li osservava con la stessa attenzione che avrebbe riservato ad un formicaio brulicante. Erano nel suo campo visivo e tanto bastava, ma il fatto di essere ignorata... Ecco! Questo proprio non riusciva a sopportarlo.
Iroh aveva appoggiato entrambe le mani sulle spalle del ragazzo dall'espressione afflitta.
Una smorfia sprezzante le si dipinse sul viso vedendo il fratello asciugarsi una lacrima furtiva.
Quando lo zio lo abbracciò; Azula, nauseata, voltò le spalle alla coppia fissando la propria attenzione al laghetto artificiale.
Un piccolo di anatra tartaruga si era distaccato dal gruppo, nuotando da solo in mezzo al riverbero del sole sull'acqua. La bambina lo osservò a lungo con distacco ma poi, ispirata da chissà quale pensiero, si inginocchiò sulla riva sassosa a cogliere qualche ciuffo d'erba da fargli cadere vicino.
Il piccolo cominciò a becchettare ed Azula sorrise.
D'un tratto, come evocata dal nulla, un'anatra più grossa, presumibilmente la madre, giunse a richiamarlo, accostandolo al guscio con fare protettivo e trascinandolo lontano.
La bambina si limitò ad osservarli con sguardo vacuo per un po' quasi non li vedesse, poi si alzò lentamente in piedi, il volto inespressivo; non un alito di vento scuoteva le foglie, nessun rumore a disturbarne le riflessioni.
Nel gran silenzio Azula alzò un dito, prese la mira e …
Fece fuoco!



Note dell'autore.


Eccoci arrivati alla fine della nostra avventura.
Grazie per il tempo che mi avete concesso e per avermi seguito in questa suggestione.
Un abbraccio in particolare a Lance e Era per tutto il sostegno, la pazienza e la gentilezza nell'aiutarmi a rendere presentabile questo lavoro.
La storiella ad inizio capitolo chiude la composizione ma non è terminata, proseguirà in "Legàmi parte seconda. Io ti troverò" che parla della ricerca di Ursa.
Spero vogliate seguirmi ancora e se vorrete lasciarmi un'opinione ne sarò onorata ^^
A presto.
Donnasole

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