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di francyg6
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Tre anni prima. Erano uno di fronte all'altra. Lei era arrabbia con lui; non si era comportato bene nei sui confronti nelle ultime due settimane. Si conoscevano dal primo liceo, ed avevano legato molto e a detta di lui lei era diventata la sua migliore amica. Poi all'inizio del terzo anno era arrivata la popolarità. Conseguenza del fatto che si era dato una sistemata; i vecchi occhiali erano spariti, sostituiti dalle lenti a contatto o, più raramente, da una nuova montatura alla moda. Aveva iniziato a correre regolarmente e ciò gli aveva fatto ottenere un fisico tonico e asciutto. Era diventato molto attraente e non passava inosservato. Con l'inizio dell'anno scolastico aveva iniziato ad attirare l'attenzione dell'altro sesso, a conoscere nuove persone e a fare nuove amicizie. Così arrivò la popolarità; causa principale della sua decisione riguardo la piega che avrebbe dato al suo rapporto con la sua vecchia migliore amica. "È meglio se non ci facciamo più vedere insieme, Bella" lo disse con un certo imbarazzo, guardando ovunque tranne che verso di lei. Quando la ragazza lo aveva trascinato nel ripostiglio non immaginava certo che lui potesse dirle una cosa del genere. Lo voleva affrontare e dirgli che era stato davvero un gran bastardo ad evitarla in quel modo per due settimane; ma lui l'aveva preceduta. Si sarebbe dovuta trasferire a Siattle; la madre aveva ricevuto una grossa offerta di lavoro e avrebbero cambiato città tra una settimana. Lo aveva trascinato in quel posto angusto, tra scope e stracci, per comunicarglielo e, casomai, solo in seguito affrontare il problema del suo comportamento schivo e freddo. Non pensava la evitasse di proposito, forse era semplice distrazione, dovuta al fatto che avesse sempre tutti quegli amici e quelle ragazze in torno. "È meglio che non ci facciamo più vedere insieme? E perché mai? La popolarità già ti ha dato alla testa, Edward?" Ingrociò le braccia sotto al seno e lo guardò, in attesa di una risposta. Era arrabbiata. Non le dava fastidio che si fosse fatto tutti quegli amici e fosse diventato popolare, era felice per lui. Ma adesso cos'era quella storia? "Non fa bene alla mia popolarità" continuò. Sapeva di essere considerata una secchiona, le piaceva studiare e conoscere nuove cose, e sapeva anche di essere un po' sovrappeso ma non avrebbe mai pensato che Edward la potesse allontanare per questo. Lui era un bravo ragazzo, gentile ed altruista; o almeno così pensava. "In sole due settimane sei già diventato uno snob come tutti gli altri? Probabilmente mi prendi in giro insieme a loro, non vero?" Lo disse con una tranquillità che non pensava di poter avere. Edward fu colpito da quelle parole. Bella aveva capito tutto, come sempre, e il fatto che lei avesse ragione e che la delusione fosse ben visibile sul suo viso paffuto, lo innervosirono e gli fecero pronunciare parole che, due settimane prima, non avrebbe nemmeno mai pensato. "Se tu non fossi così grassa e trasandata per me sarebbe più facile!" Aveva alzato la voce. Lei rimase sconvolta da quella ammissione crudele. Edward si rese conto che quelle parole le pensava veramente; non poteva permettere a Bella, con la sua vicinanza e interferenza, di rovinare le cose. Era felice della sua popolarità e non voleva in nessun modo tornare al punto di partenza. Lo schiaffo arrivò all'improvviso, Edward non la vide andare via a causa delle piccole lacrime che gli offuscavano gli occhi a causa del dolore, e senti solo la porta del ripostiglio sbattere

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Il locale era pieno quella sera, ma le tre ragazze erano riuscite a trovare un tavolo, nonostante tutto. 
Si erano appena sedute che il barista si avvicinò. “Buonasera ragazze” salutò raggiante “vi porto il solito?”.
“Ciao Garrett! Per me e Bella, si grazie” gli sorrise Rosalie, non prima di aver guardato l’amica con sguardo d’intesa. 
“Io invece sta sera prendo un’insalata, grazie” Alice, ancora in piedi, lo salutò con due baci sulle guance. 
“Arrivo subito!”
Il solito erano due cheseburgher con patatine e due birre piccole. Quello era il loro locale preferito, ci andavano fin dal liceo, dove si erano conosciute.
Una volta accomodate,  Alice iniziò a guardarsi intorno. “Bella, bel biondino a ore tre!”
L’altra sbuffando si portò una ciocca scura dietro all’orecchio. “Alice, ti ho già detto di smetterla. Mi metti in imbarazzo”
“Mi preoccupo solo per te!”
Le altre due alzarono gli occhi al cielo, ormai si era messa una cosa in testa e non c’era modo di dissuaderla. Ogni volta che uscivano sembrava che Alice volesse a tutti i costi trovarle un ragazzo.
Vedendo l’amica infastidita, Rosalie cambiò argomento e si mise a parlare di moda.
Parlarono ancora un po’, finché non arrivò il cameriere con le loro ordinazioni; mentre cenavano chiacchierano del più e del meno.
Fu quando avevano finito di mangiare già da vari minuti che Alice iniziò a battere, con insistenza, la mano sul tavolo, cercando di richiamare l’attenzione delle amiche.
“Oddio ragazze! È appena entrato un angelo!”
Rosalie alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi azzurri verso la porta.
“Alice, non credi di star esagerando?” disse Bella, roteando gli occhi, mentre sfogliava il menù dei dessert.
“Questa volta Alice ha ragione , Bella. Guardalo” entrambe stavano ancora guardando verso l’entrata. Bella si girò a guardare.
Era alto, fisico asciutto e muscoloso, ma non massiccio. I capelli ramati un po’ spettanti. Camminava, sicuro di sé, verso il bancone del bar. Rimase incantata a fissarlo, finché non lo vide in viso.
Lo riconobbe subito e si girò di scatto verso le altre due. “Lo conosco”. 
Due paia di occhi la guardarono, sorpresi. 
“Vi ricordate di quel bastardo alla mia vecchia scuola di cui vi ho già parlato?”
“Quello che ti ha dato della grassa?” chiese Rosalie.
“Devi andare a parlargli e dirgliene quattro!” iniziò Alice. Lo sguardo determinato, pensando di dover convincere l’amica.
“Si penso che andrò” e così dicendo bevve l’ultimo goccio di birra rimasto nel bicchiere e si alzò.
Camminò sicura verso il bancone e fu contenta di aver messo il vestito nero con le calze velate, quella sera. Sapeva di essere bella, ed era consapevole anche dell’effetto che faceva sui ragazzi.
Era a pochi passi da lui quando lo vide alzare la mano per ordinare. Lo precedette.
“Hey Garrett! Mi daresti una birra per favore?” chiese alzando la mano per attirare l’attenzione del barman. Quello al di là del bancone le fece un cenno di assenso. 
Bella si girò verso Edward e gli sorrise timida, fingendosi imbarazzata. 
“Scusami! C’eri prima tu?”
Gli occhi di lui la squadrarono da capo a piedi. “Non ti preoccupare”.
Non l’aveva riconosciuta. Era certa che sarebbe andata così, era cambiata molto in quegli anni: era dimagrita, aveva scurito i capelli e aveva guadagnato anche qualche centimetro in altezza.
“Sei di queste parti?” le chiese. Gli occhi verdi la fissavano intensamente.
“Vivo a Seattle da qualche anno”
“Io sono nuovo. Non mi so orientare molto, è una città molto grande, io vengo da un piccolo paesino e non sono abituato” sulle sue labbra apparve un sorriso sghembo mozzafiato “Ti andrebbe di farmi da guida?” 
Bella pensò che quel sorriso doveva funzionare su tutte, e se lei non avesse saputo che razza di arrogante fosse probabilmente avrebbe funzionato anche su di lei.
Stette al gioco. “Mi farebbe molto piacere” 
Lui le offrì la birra che aveva preso, ne prese una anche per sé  e iniziarono a parlare. 
Ogni tanto, lei faceva qualche piccolo gesto per sembrare più seducente. Accavallava le gambe per permettere alla gonna di salire un poco lungo la coscia. Sbatteva le ciglia lunghe o schiudeva le labbra piene.
Era palese che lui ci stesse provando, e non poteva essere diversamente perché lei era bellissima e sensuale.
Sicuro di sé, senza giri di parole, alla fine, chiese: “Ti va di venire da me? Abito qui vicino”
Bella non aspettava altro, spalancò gli occhi, gli appoggiò una mano sul braccio e gli disse “Oddio no! Non sei proprio il mio tipo, scusa”
Dalla faccia che fece, Bella capì che non dovevano essere state molte le volte in cui una donna gli aveva risposto in quel modo. Forse nessuna mai gli aveva risposto in quel modo.
Cercò di trattenersi ma non ci riuscì e si mise a ridere. Cercò di ricomporsi e riuscì a malapena a dire: “Scusa ora è meglio che vada” e tornò al tavolo dalle sue amiche, che ormai la stavano aspettando da un po’.
“Forse è meglio se andiamo” disse, ancora ridacchiando.
Pagarono e lasciarono il locale ancora affollato. 
Si avvicinarono ad una mini rossa parcheggiata vicino all’entrata.  Rosalie prese le chiavi dalla borsa e si mise al posto del guidatore, Bella al suo fianco e Alice dietro.
“Si può sapere che gli hai detto? Ha fatto una faccia esilarante!”
La mora scoppiò di nuovo a ridere e questa volta anche le altre due si unirono a lei.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


La facoltà di ingegneria era un’enorme struttura in mattoni rossi. Le lunghe finestre, disposte in tre file parallele, dividevano la facciata in tre piani.
L’edificio era circondato da un bellissimo prato verde ben curato, attraversato da diversi corridoi in ghiaia, che facilitavano l’accesso e che formavano un disegno geometrico.
Alberi, ormai gialli, circondavano l’area e nascondevano alla vista un’enorme fontana, collocata davanti all’entrata, dove campeggiava la scritta “Seattle University”.
Anche se era presto, l’università era già popolata di ragazzi; alcuni che passeggiavano sul viale acciottolato e altri che chiacchieravano sulle panchine.
Edward entrò nell’edifico, e percorse vari corridoi, dai soffitti alti, fino all’aula 1022. La grande stanza era illuminata dalla luce del sole che entrava dalle grandi finestre. Diverse file di banchi di legno erano disposte ordinatamente a formare tre larghi corridoi, uno centrale e due laterali, che permettevano il passaggio.
Il pavimento era leggermente inclinato, in modo da permettere una buona visuale della lavagna da qualsiasi punto della stanza.
Edward si sedette in quarta fila, la stanza era ancora vuota. Nell’attesa ripensò, come ormai faceva da due giorni, a quella ragazza che aveva incontrato nel pub.  Si era trasferito da poco a Seattle e non conosceva nessuno in città. Quella sera aveva deciso di cenare fuori, in modo da sentirsi meno solo e mischiarsi alla gente.
Quegli occhi color cioccolato lo avevano stregato e lo avevano fatto sentire a casa. Inizialmente aveva avuto l’impressione di conoscerla, ma difficilmente si sarebbe potuto scordare di una bellezza del genere.
Ripensò a come lei lo aveva rifiutato. Gli aveva riso in faccia. Non gli era mai capitato, e dopo un iniziale fastidio era venuta la curiosità. Avrebbe dovuto semplicemente scordarsene, eppure non riusciva a non pensarci.
Il professore entrò, ormai l’aula era piena, si avvio alla cattedra, vi posò i libri che aveva sottobraccio e si presentò. Fece anche una breve presentazione del suo corso, fisica 1, e iniziò la lezione.
Il primo argomento che avrebbe trattato era la cinematica; ad Edward era sempre piaciuta la fisica e non ebbe problemi a seguire la spiegazione.
A metà lezione il professore fece una piccola pausa. Fu allora che gli si avvicinò un ragazzo. Era molto alto, la carnagione ambrata risaltava i suoi occhi scuri, come i capelli.
“Scusami, potresti prestarmi gli appunti di questa prima ora di lezione?” aveva un grande sorriso contagioso “Faccio delle foto e li ricopio più tardi” disse indicando lo smartphone che aveva nell’altra mano.
“Certo, nessun problema”
L’altro gli si sedette vicino e gli porse la mano “Comunque piacere, io sono Jacob”
Edward la strinse “Edward”.
Fu così che nacque la loro amicizia. Scoprirono di avere diversi corsi in comune ed ogni mattina si sedevano vicini.
Capirono, inoltre, di avere molti interessi in comune, primo fra tutti il basket. Fu per quel motivo che, quando seppe che Edward, a causa del trasloco, ancora non aveva la tv e che non avrebbe potuto vedere la prima partita della NBA, quel venerdì, Jacob lo invitò a casa sua.
L’Oklaoma Thunder, la squadra di Seattle, avrebbe giocato contro i Rockets. Un evento imperdibile, così Edward accettò.
L’appartamento dell’amico era piccolo ma molto accogliente. Jacob accese la tv, invitò Edward a sedersi sul piccolo divano scuro e andò in cucina. Ritornò con due birre in una mano e una ciotola piena di popcorn nell’altra.
Fin dall’inizio la partita fu molto combattuta. I due incitavano i giocatori nello schermo e ad azioni particolarmente incisive, dell’una o dell’altra squadra, si alzavano in piedi e sbracciavano in direzione della televisione, gridando consigli ai giocatori, come se questi li potessero sentire.
Se l’azione finiva in favore dei Thunder, esultavano e si battevano il cinque, altrimenti si scambiavano pareri su quale sarebbe stata, a detta loro, l’azione vincente.
Alla fine della serata non avrebbe fatto differenza se l’Oklaoma avesse vinto o no, sarebbero usciti a festeggiare in ogni caso.
 
Il lunedì successivo Edward parcheggiò davanti la facoltà. Si stava per incamminare verso l’aula quando la sua attenzione fu catturata da una moto blu elettrico, una Yamaha sportbike 250 cc, dall’altra parte del cortile. I due passeggeri scesero dalla moto e si levarono i caschi.
I capelli mori di lei erano tenuti in una lunga coda di cavallo e sorrideva a Jacob. Gli era impossibile non riconoscerla, pensava a lei dal venerdì precedente. Jacob le mise un braccio sulle spalle e anche lei lo abbracciò sulla vita. Poi li vide incamminarsi verso le aule.
Che la ragazza del pub fosse la fidanzata di Jacob?
Lo stomaco gli si chiuse per il senso di colpa e anche a causa di un’altra emozione che non seppe identificare. Ci aveva provato, inconsapevolmente, con la ragazza del suo amico.
Si incamminò verso l’aula, pronto a spiegare il malinteso.
Edward trovò Jacob al solito banco, da solo.
L’altro appena lo vide lo salutò.
Edward non perse tempo e chiese subito: “Hey Jacob! Poco fa ti ho visto con una ragazza. È la tua fidanzata?” come risposta ottenne una risata.
“Assolutamente no! Siamo amici da quando eravamo piccoli, siamo cresciuti insieme” fece una pausa e lo guardò attentamente “Vuoi che te la presenti?” disse scuotendo le sopracciglia su e giù, un grosso sorriso sulle labbra.
Edward si passo una mano tra i capelli, nervoso. La preoccupazione di poco prima ormai svanita. Voleva rivederla? Assolutamente si, ma cosa le avrebbe detto?
Stava per rispondere a Jacob quando entrò il professore e per sua fortuna quella conversazione finì lì.
Per il momento.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Era appoggiata alla parete del corridoio, davanti l’aula 1022, da dove sarebbe dovuto uscire il suo amico.

Bella studiava economia insieme a Rosalie, mentre Alice aveva scelto moda e design. Jacob, a differenza loro, aveva iniziato i corsi una settimana prima.

Gli edifici di ingegneria ed economia erano attaccati, perciò Jacob e Bella erano rimasti d’accordo che si sarebbero visti dopo le lezioni. Avevano appuntamento per pranzare insieme e poi, quel pomeriggio, lei avrebbe dovuto iniziare il suo turno in biblioteca.

C’era, infatti, la possibilità per gli studenti di lavorare in biblioteca dopo le lezioni, più volte a settimana, secondo dei turni assegnati. Era elettrizzata all’idea che avrebbe iniziato già quel lunedì, non vedeva l’ora di immergersi tra i libri.

Le porte dell’aula che si aprivano attirarono la sua attenzione. Si mise sulle punte dei piedi per riuscire ad individuare, al di sopra della calca di studenti, Jacob.

Non ci mise molto a vederlo, data la sua altezza.

 Si avvicinò e solo quando ormai gli era di fronte si accorse della figura al suo fianco.

Il cuore le inizio a battere all’impazzata.

“Ciao Jake!” gli sorrise.

Lui in risposta le circondò le spalle con un braccio e le diede un bacio sulla testa.

“Ti presento il mio amico…” iniziò indicandole Edward, lì accanto, ma lei lo interruppe.

“Già ci conosciamo”

Nessuno dei due ragazzi sembrò sorpreso. Edward, infatti, aveva avuto il tempo di raccontare all’amico, durante la lezione appena terminata, del loro incontro al pub.

Jacob fece per obbiettare, quando fu interrotto nuovamente.

“Andavamo al liceo insieme, quando vivevo a Forks” chiarì Bella con un sorrisetto sulle labbra.

Un lampo di consapevolezza attraverso gli occhi di Edward. Quell’informazione, infatti, accese una lampadina nella testa del ragazzo, e ogni cosa andò al suo posto.

Bella non diede modo, a nessuno dei due, di reagire. Acciuffò Jacob per un braccio e lo strattonò via.

“Vieni, dobbiamo parlare”

Jacob la seguì e salutò Edward con un cenno caloroso della mano a cui l’altro, ancora stupito, rispose.

L’animo di Bella era in tumulto. Non riusciva a controllare le emozioni che il rivederlo le causava, come le succedeva anni addietro. Eppure, nonostante una parte di lei fosse emozionata e su di giri, era incredibilmente arrabbiata. Non voleva avere niente a che fare con quel presuntuoso che l’aveva umiliata.

Mentre si allontanavano, l’indignazione si impossessò di lei.

Tra tutti gli studenti della Seattle University, Jacob doveva fare amicizia proprio con lui? Conoscendolo, immaginò che Jacob lo avrebbe invitato a prender parte al loro gruppo di studio e, magari, anche ad uscire con loro. Non lo poteva tollerare.

Doveva mettere fine a quella storia; avrebbe parlato con Jacob e lui avrebbe capito. Era sicura che, se lei gli avesse raccontato chi era e come l’aveva offesa, si sarebbe reso conto di che persona era Edward Cullen, e avrebbe smesso di frequentarlo.

 

 

Non aveva mai raccontato in precedenza, a Jacob, cosa era successo con Edward alla vecchia scuola. Si era sentita più a suo agio a confidarsi, su un argomento del genere, con Alice e Rosalie.

Sulle sue amiche poteva sempre contare; proprio per questo, quella sera, era andata nell’appartamento di Alice.

Bella camminava avanti e indietro nel salotto, dove le sue amiche l’ascoltavano, sedute sul divano.

“Mi ha detto che anche lui potrebbe essere cambiato in tre anni e che, a lui, non è sembrato tanto stronzo ed arrogante come l’ho dipinto io”

Si fermò, le mani sui fianchi.

Aveva raccontato quello che era successo quella mattina; dell’incontro con Edward, che sembra essere il nuovo amico di Jacob, e della risposta negativa che questo le aveva dato quando lei gli aveva chiesto di non vederlo più.

“Non te la prendere se te lo dico, Bella, ma, effettivamente, Jake non ha tutti i torti”

A quelle parole Bella si accasciò sulla poltrona davanti al divano. Si passo una mano sul viso e sbuffò.

“Lo so” ammise “Ed è la cosa che mi fa più arrabbiare”

Ci aveva pensato tutto il pomeriggio alle parole di Jake. Durante il suo turno in biblioteca aveva avuto tutto il tempo. E una volta che la rabbia iniziale era scemata, aveva potuto ragionarci con più lucidità e si era resa conto che Jacob aveva ragione.

Lei era cambiata tanto in tre anni, lo stesso poteva valere per Edward?

 

La risposta arrivò il pomeriggio del giorno seguente.

Lei stava svolgendo il suo turno in biblioteca, come d’orario. Doveva riordinare dei libri riconsegnati: dieci scatoloni pieni.

 Li aveva divisi in ordine di genere e d’autore, in modo tale che non avrebbe dovuto fare avanti e indietro più volte.

Prese il primo gruppo, li mise in una scatola e si avviò alla sezione corrispondente.

Avrebbe dovuto arrampicarsi sulla scala della libreria, e ciò significava che doveva sistemarli due, massimo tre per volta.

Prese i primi due tomi in una mano e salì la scala, reggendosi alla piccola ringhiera con l’altra.

Stava per scendere di nuovo a prenderne altri due, quando nel suo campo visivo comparvero due mani, che le passavano altri due libri.

Guardò in basso, oltre la sua spalla, e incontrò due occhi verdi brillanti. Edward le sorrise, come a pregarla di accettare il suo aiuto. Non si rifiutò.

Fu molto più semplice e veloce riordinare tutto.

Svolsero il lavoro in assoluto silenzio.

Bella aspettava che fosse lui il primo a parlare, e solo quando furono usciti dalla biblioteca, lui si decise.

“Bella, io vorrei chiederti scusa” proruppe.

Lei lo guardò negli occhi, due pozzi verdi che ardevano di sincerità, e aspettò che continuasse.

“Immagino tu sappia a cosa mi riferisco” si passò una mano tra i capelli e distolse lo sguardo, a disagio “Anche se in ritardo, spero che tu possa accettare le mie scuse”

Bella piegò leggermente la testa di lato su una spalla e lo guardò, curiosa. Le aveva chiesto scusa per una cosa avvenuta tre anni prima. Non se lo sarebbe mai aspettato.

Il cuore le batteva come un forsennato ma, quando rispose, la sua voce era calma e decisa.

“Accetto le tue scuse”

Eppure non si fidava.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Erano passate diverse settimane, ormai, da quando si era scusato.
Gli era capitato, ogni tanto, di ripensare a quel fatto di tre anni prima e, ogni volta, il senso di colpa lo attanagliava. La popolarità lo aveva cambiato in pochissimo tempo e ne aveva impiegato molto di più, di tempo, per accorgersi di che persone si era circondato. Amici non sinceri. Persone che, appena potevano, gli parlavano male alle spalle.
Eppure lui l’aveva conosciuta la vera amicizia, ma non gli aveva dato la giusta importanza.
D’altra parte, a volte, ti accorgi di quanto una cosa sia preziosa solo dopo averla persa.
Quella consapevolezza era arrivata, per lui, l’ultimo anno di liceo.
Non appena si era reso conto che la ragazza del bar altri non era che Bella, un profondo senso di colpa lo aveva spinto a scusarsi.
Nonostante ciò, Bella lo evitava come la peste. Si incrociavano spesso nella facoltà e si incontravano anche per studiare insieme, con il loro gruppo di studio.
La capiva. Non si fidava, e faceva bene. Anche lui non si sarebbe fidato al posto suo.
Edward aveva iniziato a passare tutti i pomeriggi in biblioteca a studiare. Era un modo per starle vicino in qualche modo, ma anche aiutarla nel suo lavoro in biblioteca, che svolgevano rigorosamente in silenzio.
Spesso rimanevano solo loro due a studiare, ed uscivano solo all’orario di chiusura della biblioteca.
A nulla servivano le proposte di Edward di darle un passaggio, a fine serata.
Lei preferiva prendere l’autobus.
Eppure lui non smetteva mai di chiedere.
Guardò l’orologio. Il display segnava le 19.45. Quindici minuti e li avrebbero cacciati.
Sospirò piano ed alzò un poco gli occhi dal libro che aveva davanti. Guardò di sottecchi la ragazza che aveva di fronte, dall’altro lato del tavolo.
Come ogni volta, si sorprese di quanto fosse bella. Assorta nella lettura, isolata da tutto e tutti. Una matita in una mano e con l’altra si teneva la testa. I lunghi capelli scuri erano acconciati in una treccia che le ricadeva sulla spalla. Il maglioncino azzurro che indossava le risaltava il viso e la pelle chiara.
Ad un tratto lei guardò l’orologio, si alzò e iniziò a mettere in ordine le sue cose.
Edward fece lo stesso cercando di fare il più in fretta possibile per accompagnarla. Lei non lo avrebbe aspettato.
Furi dall’edificio finalmente parlò.
“Vuoi un passaggio?”
“No, grazie”
Come ogni sera l’accompagnò alla fermata e aspettò con lei.
Aveva paura a lasciarla da sola con il buio.
L’autobus arrivò e si scambiarono il consueto cenno di saluto con la mano.
Mentre si dirigeva alla macchina, Edward pensò, come ogni sera, che forse l’indomani avrebbe avuto più fortuna.
 
 
Passarono altri tre giorni e il loro rapporto non cambiò.
“…forse dovremmo provare con l’espansione in serie. Che ne pensi?”
L’attenzione di Edward fu richiamata da Jacob, che, nervoso, batteva la penna sul quaderno di analisi matematica.
“Cosa?”
L’altro, in risposta, gli indicò il foglio e lo guardò, in attesa.
“Ah giusto! Pensavo che dovremmo…” si interruppe, distratto da un movimento dall’altra parte del tavolo, dove erano sedute anche Rosalie e Alice.
Jacob seguì lo sguardo dell’amico. Bella si era alzata, richiamata dalla bibliotecaria.
“Sei proprio messo male, amico” gli bisbigliò.
L’altro sembrò non sentirlo e si alzò.
 
Trovò Bella dietro una libreria, già con uno scatolone di libri in mano.
“Ti posso aiutare?”
Di solito Bella rispondeva con un cenno del capo, e la loro conversazione finiva lì. Quel pomeriggio, invece, non andò così.
“Ho già accettato le tue scuse. Non c’è bisogno che fai questa manfrina ogni pomeriggio” gli disse, mentre con due libri in mano saliva la scala della libreria, senza guardarlo.
Nervosa, spinse il primo libro su uno scaffale e cercò di fare lo stesso con l’altro, ma le scivolò.
Bella lo afferrò al volo dalla copertina rigida.
 Con uno strappo, le pagine del vecchio libro caddero a terra con un tonfo.
Stringendo ancora la copertina rossa del libro in una mano, emise un rantolo di orrore.
“Cosa sta succedendo qui?”
La voce della bibliotecaria fece voltare Edward e Bella.
Gli occhi dell’anziana signora furono attirati dalle pagine per terra.
Edward ne approfittò per strappare di mano a Bella la prova del delitto.
“Signora Coop” iniziò con tono deciso avvicinandosi “sono desolato, è tutta colpa mia. Provvederò immediatamente a ripagare il danno” e le porse la copertina che aveva in mano.
La signora lo guardò da sopra i piccoli occhiali che aveva sul naso, severa. Si girò ed Edward la seguì. Senza guardarsi indietro.
 
 
Edward guardò l’orologio. Era ora di andare.
Tutti gli altri erano già andati via. La biblioteca era quasi deserta.
Alzò lo sguardo e incontrò due occhi scuri. Bella arrossì e distolse lo sguardo.
Gli era venuto spontaneo prendersi la colpa, prima. Anche se lo aveva trattato male poco prima, non gli importava.
Non voleva che finisse nei guai.
Si alzò e iniziò a prepararsi per andar via.
Era indeciso sul da farsi. Lei, poco prima, in pratica gli aveva detto che non lo voleva tra i piedi.
Sarebbe dovuto andar via senza aspettarla, quindi?
Eppure era tardi e fuori era già buio. Non voleva lasciarla da sola.
La guardò e la trovò a fissarlo a sua volta, e un accenno di sorriso che le comparve sulle labbra gli fece prendere una decisione.
Uscirono uno al fianco dell’altro, in silenzio, interrotto solamente dalla consueta domanda.
“Ti va se ti accompagno a casa?”
Si sorprese quando la vide annuire, improvvisamente timida. Lui le sorrise e insieme si incamminarono verso la macchina.
Solo quando furono dentro l’auto Bella sembrò prendere coraggio.
“Grazie per prima” iniziò. Il loro occhi si incontrarono. “E mi dispiace per essere stata antipatica”.
Il cuore di Edward fece una capriola.
Che gli stesse dando un’altra occasione?

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Aveva bevuto troppo. Non era ancora ubriaca ma ci mancava poco. 

Quello sarebbe stato l’ultimo bicchiere, si disse, e mandò giù il piccolo bicchierino di liquido colorato che stringeva tra le mani.

La musica nel locale era molto forte e le pompava nelle orecchie.

Si sedette un attimo sullo sgabello davanti al bancone. La testa all’improvviso le girava, colpa dell’alcol. 

Si guardò intorno e tra la calca, sulla pista da ballo, individuò le sue due amiche. 

Alice, al centro della pista, era avvinghiata ad un ragazzo e insieme ballavano e si strusciavano uno sull’altro. Probabilmente Alice era ubriaca. Rosalie, vicino a lei, ogni tanto le lanciava uno sguardo.

Poco più in là riuscì a vedere Jacob, appoggiato al muro, che flirtava con un ragazza.

Non vide Edward.

Il consiglio studentesco dell’università aveva organizzato una festa per la notte di Halloween, in uno dei locali più in voga tra i ragazzi universitari. 

Si erano dati appuntamento al locale qualche ora prima, ed erano venuti anche altri amici dell’università. Una compagna di corso di Alice, Jessica e il fratello, Mike.

Da vari giorni il rapporto con Edward era migliorato. 

La conseguenza era stata un grande guazzabuglio di emozioni contrastanti che si avvicendavano dentro di lei.

Edward la confondeva. 

Aveva sempre un occhio di riguardo per lei, e le sue attenzioni la lusingavano. 

Eppure non poteva fare a meno di chiedersi da cosa dipendessero queste attenzioni. 

La parte maligna di lei, le suggeriva che, probabilmente, ora che era cambiata in meglio lui la considerava una possibile “preda”.

La parte buona, invece, non lo faceva così opportunista. Forse le sue attenzioni e le sue scuse erano autentiche.

Perciò, ogni volta che erano vicini, due erano le emozioni principali che la dominavano: il sospetto e l’attrazione. Perché, nonostante tutto, Edward era bellissimo e la coinvolgeva in un modo che nessuno prima aveva mai fatto.

Ancora seduta al bancone del bar ordinò di nuovo da bere, violando così il suo proposito. 

Ancora una volta l’alcol le bruciò la gola e le fece girare la testa. 

Stanca, si alzò, in cerca di un posto tranquillo dove riposarsi e pensare. Uscì all’aria fresca e l’improvviso silenzio la colpi. Traballò. 

Con gambe tremanti si sedette su una panchina e si perse nei sui pensieri. 

Pensieri per lo più tristi. Colpa dell’alcol.

Da quando aveva iniziato l’università spesso si trovava a domandarsi se aveva fatto la scelta giusta. Aveva paura di aver sbagliato indirizzo. 

Aveva scelto economia su sollecitazione della madre, eppure a lei non piaceva. Era brava solo perché era sempre stata, fin da piccola, una grande studiosa.

“Posso farti compagnia?”

Sobbalzò. Era talmente immersa nelle sue riflessioni che non si era accorta di Edward.

Si sedette vicino a lei.

“C’è qualcosa che non va?” la guardò con un cipiglio preoccupato. 

Le toccò delicatamente una guancia con una mano, a raccogliere una lacrima che le era sfuggita.

Sorpresa lo guardò e si immerse in due pozzi verdi.

“Ho paura” gli confesso. Bella abbassò lo sguardo, imbarazzata. 

Edward, però, non disse nulla; le prese, invece, una mano nella sua e l’accarezzò. 

Quel gesto, oltre a farle batte il cuore ancora più forte, la spinse a confidarsi. Forse anche per merito dell’alcol.

Gli disse della sua paura di essere inadeguata, di non riuscire nello studio e di deludere la madre.

Edward la lasciò parlare e ascoltò in silenzio, annuendo di quando in quando.

Quando lei finì, tra loro calò il silenzio. 

Entrambi assorti nelle loro riflessioni su ciò che aveva appena detto.

“Bella” 

Lei lo guardò.

“Forse non sono la persona giusta per dirti queste cose” arrossì e si passò una mano tra i capelli “ma non penso tu possa essere inadeguata per qualcosa. 

Avere paura è normale e può anche aiutarti a capire ciò che vuoi fare: se economia è la strada giusta oppure no. 

Ma sei una ragazza intelligente, forse la più intelligente che io abbia conosciuto” si interruppe un attimo.

“Sicuramente la più bella. Puoi fare ciò che vuoi” le sorrise e le accarezzò la mano che ancora stringeva. 

Gli sorrise di rimando, grata delle sue parole.

Bella si mise più comoda sulla panchina. Appoggiò la testa sullo schienale e guardò il cielo limpido sopra di lei.

“Tu ti sei mai sentito inadeguato?” 

Appena la formulò le sembrò subito una domanda da sciocca. Da ubriachi. 

Edward ci mise un pò a rispondere. Bella spostò la testa di lato per guardarlo. 

Era a disagio e vide un velo di tristezza abbassarsi sul suo volto.

“Prima del quinto liceo i miei genitori hanno divorziato. Mia madre ha lasciato me e mio padre per un’altra famiglia”

Edward strinse i pugni, frustrato.

“Ha preferito i figli di un’altro a me. Suo figlio.

Quindi mi sono sentito inadeguato.

Inadeguato per mia madre” 

Una profonda tristezza si impadronì di Bella. 

Voleva fare qualcosa per lui. Stargli vicino e consolarlo. 

Eppure non sapeva cosa dire per farlo sentire meglio.

Si limitò, perciò, ad appoggiare la testa sulla sua spalla.

“Mi sono reso conto di cosa si prova a sentirsi inadeguati. E penso di aver fatto sentire in quel modo molta gente” lo disse quasi sussurrando. E la guardò negli occhi, come a farle capire che parlava di lei.

Tra loro calò nuovamente il silenzio. E passarono la serata a guardare il cielo. Uno vicino all’altro. 

Non c’era imbarazzo tra loro.

Un po’ l’alcol, un po’ il calore del corpo vicino a lei, si addormentò; la testa ancora appoggiata sulla spalla di lui.

Nel dormiveglia si rese conto di due braccia che la stringevano.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


La pioggia cadeva violenta e incessante.
“Non sembra voglia smettere.”
Edward guardò la ragazza affianco a lui. Il portico della biblioteca comunale li teneva all’asciutto. 
Eppure quella mattina, prima di uscire di casa, si era ricordato di prendere l’ombrello, ma, nonostante tutto, il portaombrelli della biblioteca era vuoto. 
Qualcuno gli aveva giocato un brutto scherzo, e aveva deciso di farlo tornare a casa sotto la pioggia.
La biblioteca comunale era facilmente raggiungibile da casa sua, quindi, quella mattina, aveva deciso di fare una passeggiata.
“Sono già venti minuti che aspettiamo” sbuffò Bella  “Inizio a sentire freddo.”
Effettivamente l’aria di metà novembre era gelida e il vento freddo si infilava, agile, tra le piaghe del cappotto.
Edward si sfilò il soprabito e lo mise sulle loro teste, con un braccio coprì le spalle di Bella sperando che bastasse per farla sentire un po’ più al caldo.
Prima di spingerli sotto la pioggia la guardò. Lei gli sorrise e annuì, consapevole di ciò che lui aveva in mente di fare.
La pioggia li investì e presto furono completamente bagnati. 
Corsero più veloce che potevano lungo le strade deserte di Seattle. La risata di Bella sovrastava il rumore della pioggia e ben presto anche Edward si unì a lei.
Percorsero cinque isolati, abbracciati, sotto un cappotto ormai zuppo.
Edward si fermò sotto al porticato del suo palazzo ed entrambi si piegarono in avanti, le mani sulle ginocchia, per riprendersi dalla corsa.
“Ti senti bene?” si preoccupò lui.
“Per ora si, ma credo che mi verrà la polmonite.” Bella rise. 
“Vieni, sali un attimo ad asciugarti, poi ti accompagno con la macchina.” le propose, e lei non se lo fece ripetere due volte, soprattutto quando lui le propose una tazza di cioccolato caldo.
In quelle ultime settimane si erano avvicinati molto; avevano scoperto di avere molti interessi in comune, come i libri o la musica. 
Da due settimane avevano anche iniziato a vedersi tutti i mercoledì per andare a teatro. 
Era una passione che, avevano scoperto, li accomunava. Passavano parecchio tempo insieme, ormai.
L’appartamento di Edward era di medie dimensioni, un divano ad angolo occupava il salotto e una piccola isola lo divideva dalla cucina. Una piccolo corridoio portava alle stanze e al bagno.
Bella c’era stata già un’altra volta, quando lui le aveva proposto di studiare insieme, il fine settimana precedente. 
Edward appese il cappotto all’appendiabiti, non curante delle gocce che presto bagnarono il pavimento.
Si levarono entrambi le scarpe e le lasciarono all’entrata.
“Se vuoi puoi farti la doccia mentre io preparo il cioccolato” offrì il padrone di casa.
Edward poté vedere l’indecisione sul volto di lei, che infatti, declinò l’invito e si levò il maglione bagnato. 
Iniziò a preparare la bevanda calda mentre Bella, seduta su uno sgabello, chiacchierava del più e del meno.
Una volta pronte, posò le due tazze fumanti sul ripiano.
Aspettò che l’assaggiasse, in attesa del verdetto.
“Mmh, buonissima!” abbassò la tazza dal viso e la strinse tra le mani, per riscaldarle.
La risata sommessa di Edward la fece sorridere a sua volta. 
“Cosa c’è?”
“Sei sporca qui” le disse lui indicandosi il mento, appena sotto il labbro.
Bella si passò la lingua sulle labbra, cercando di pulirsi, inutilmente.
Con un fazzoletto in una mano, Edward fece il giro del bancone e le si avvicinò.
Le prese il viso con la mano libera e la pulì, un gesto misurato e delicato. Come se lei fosse di porcellana. Come se fosse qualcosa di fragile e preziosissimo. 
Ed effettivamente, per Edward, era così.
“Ecco fatto” soffiò a poca distanza dal suo viso.
Si guardarono negli occhi per un lungo istante. 
Bella si morse il labbro, un inconsapevole gesto sensuale, che attirò la sua attenzione.
Esitando si avvicinò ancora di più.
Le sua bocca che per poco non sfiorava quella di lei.
La guardò nuovamente negli occhi, come a chiederle il permesso.
Poi posò le labbra sulle sue.
La baciò, con una certa timidezza. 
Solo quando ricevette una reazione da parte di Bella, approfondì il bacio.
Le braccia di lei gli cinsero il collo e infilò le mani nei suoi capelli, avvicinandolo ancora di più.
Edward scese a baciarle la linea della mandibola e del collo; quei baci le fecero inarcare la schiena.
Edward sentì la maglietta bagnata aderire ancora di più al petto, sotto la pressione dei seni di lei. 
Bella si scostò e lo guardò dritto negli occhi, con una certa malizia.
Edward sentì un brivido risalire lungo la schiena. Quella ragazza lo faceva impazzire.
Lei infilò una mano calda sotto la sua maglietta e percorse la linea dell’addome, lungo il costato, fino al petto. 
Si morse il labbro, un gesto, questa volta, volutamente provocatorio, e lo guardò dritto negli occhi. 
“Abbiamo ancora i vestiti bagnati.”
Fece una pausa e, con l’altra mano, iniziò a sbottonarsi la camicetta blu che indossava, senza mai lasciare gli occhi verdi di lui, che ardevano di aspettativa.
“Forse potremmo fare quella doccia di cui parlavi prima.”
In quel momento si rese conto che era completamente fregato.
Le due tazze ancora fumanti di cioccolato rimasero sul ripiano della cucina per tutta la notte, abbandonate.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Panico. Puro panico.
Questo l’aveva spinta a scappare. A scappare da lui e da una decisione avventata.
Quella appena passata era stata la notte migliore della sua vita. Lui era stato dolce e passionale.
Poi aveva aperto gli occhi. Il letto vicino a lei vuoto, la luce del sole filtrava dalle tende.
La stanza odorava di lui e i ricordi della sera prima l’assalirono.
La consapevolezza che lo avrebbe rivisto aveva fatto nascere in lei l’ansia.
Era sempre stata chiara con gli uomini che frequentava, non aveva paura di dire ciò che voleva, o che non voleva, da una relazione. Eppure quella volta non sapeva nemmeno lei cosa voleva.
Desiderava davvero una relazione con lui? Poteva essere sicura che non l’avrebbe ferita e allontanata di nuovo?
No, era stata semplicemente una notte.
Si era alzata dal letto e rivestita velocemente.
Doveva sistemare le cose. Lui era un suo amico, e non voleva perderlo per quella storia. Sapeva che, anche per lui, quella era stata solo un’avventura. Sicuramente si vedeva con altre ragazza, come poteva essere diversamente?
“Okay, ora basta! Cosa ti frulla per la testa?” Rosalie reclamò la sua attenzione.
Guardò prima lei e poi Alice, in piedi davanti allo specchio.
Indossava un vestito giallo canarino che scendeva largo sui fianchi. Una collana colorata metteva in risalto la scollatura a barca.
Quella sera doveva uscire. Ormai usciva con Jasper da due settimane, dalla festa di Halloween, dove si erano conosciuti.
“Ti sta molto bene” Bella le sorrise, in un goffo tentativo di sviare la conversazione.
“È inutile che cambi discorso” alzò gli occhi al cielo.
“Cosa succede?” cercò di indagare Rosalie, e come se le leggesse nel pensiero arrivò subito al nocciolo della questione “C’entra un uomo?”
Bella arrossì vistosamente.
“Ho passato la notte con un ragazzo, si”
Iniziò così a raccontar loro di come lui la affascinava. Di come poi si era sentita quella mattina e il panico che aveva provato.
Lui le aveva preparato la colazione, la sua preferita. Era rimasta stupita del fatto che lui facesse così tanta attenzione alle sue abitudini.
Gli aveva detto che avrebbero fatto bene a dimenticarsi dell’episodio, per non rovinare la loro amicizia. Si era sentita sollevata quando lui si era trovato d’accordo, e poi era scappata.
“Non starai parlando di Edward, vero?” la interruppe Rosalie.
Gli occhi di Bella si spalancarono, come quelli di un cerbiatto accecato dai fari. Le guance diventarono scarlatte, una tacita conferma alla supposizione dell’amica.
Due paia di occhi la guardarono, stupiti.
 
 
Guardò il soffitto, era ormai più di un’ora che lo fissava, come se potesse darle qualche suggerimento.
Aveva pensato a quello che le due amiche le avevano detto, ma non erano state di grande aiuto. La pensavano in maniera opposta.
Alice era certa che Edward fosse già cotto, e che era stata un po’ troppo cattiva con lui.
Rosalie, invece, pensava avesse fatto bene a stroncare sul nascere quello che poteva essere il principio di una relazione. Soprattutto dati i precedenti di lui.
Pensandoci, da sola, nel silenzio della sua stanza si era resa conto di una cosa: la verità era che a lei Edward piaceva. Più di quanto era lecito fra amici.
Quell’ammissione a se stessa la preoccupò. Non poteva innamorarsi di Edward. Lo conosceva da troppo poco tempo.
Sembrava fosse cambiato dal periodo del liceo. Era convinta che fosse così, eppure non voleva rischiare di scottarsi ancora.
Si alzò dal letto e andò in cucina.
L’appartamento buio era rischiarato dalla luce della luna e dei lampioni.
Aprì il frigorifero, prese l’acqua e si versò da bere. Invece di sedersi in cucina si mise davanti la finestra a muro del salone.
Prese un sorso, l’acqua fresca le scese lungo la gola, procurandole un brivido.
Poggiò la testa sul vetro e guardò Seattle dall’alto. Il silenzio della notte fu interrotto da un allarme in lontananza.
Quella vista aveva il potere di rilassarla. Chiuse gli occhi e nella sua mente ne rivide un paio verdi brillante.
Pensò a lui e a quando le sorrideva sghembo. Si scioglieva a quel sorriso, era creta nelle sue mani.
 
Edward, davanti a lei, la guardava, il suo sguardo bruciava sulla sua pelle.
Si avvicinò e le sorrise, come faceva sempre per lei. Solo per lei.
Allungò la mano per toccarlo, lui si allontanò. Il sorriso sulla sua bocca si fece più largo.
“Non posso farmi vedere in giro con te”
Quelle parole la pugnalarono.
Rise. Rise di lei e si allontanò, senza girarsi a guardarla.
Cercò di chiamarlo. Ma dalla bocca non uscì nessun suono.
Cercò di seguirlo. Ma le gambe non le rispondevano.
Si sentì precipitare e sprofondare nell’oscurità.
 
Si svegliò di soprassalto.
Guardò la sveglia, erano quasi le cinque del mattino.
Ci mise un po’ a riprendere sonno, ma inconsapevolmente, aveva preso una decisione.
Non poteva innamorarsi di Edward. 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Lo avrebbero arrestato, ma poco importava. Prenderlo a pugni gli avrebbe dato una grande soddisfazione, che nemmeno la prigione poteva offuscare.
Da quando era entrato nel locale non si era mosso dal bancone del bar. Aveva ordinato da bere e se ne era rimasto lì, a guardare il centro della pista.
Il vestito argentato le lasciava scoperte le spalle in una lunga scollatura. Ballava sulle scarpe alte, le lunghe gambe in bella mostra. Ogni volta che alzava le braccia il vestito le saliva lungo le cosce.
L’aveva amata come non mai nessuna, e lei era scappata.
Si sarebbe goduto lo spettacolo se solo non fosse stato per quel biondino. La stringeva per i fianchi, e le mani di lei erano intrecciate al collo di lui.
“Ti ricordo che l’omicidio è un reato.”
A fatica distolse lo sguardo dalla scena e guardò Jacob, che gli sorrideva beffardo.
Gli sorrise a sua volta, amaro, e prese un sorso dal bicchiere che aveva in mano.
Il liquido ambrato gli bruciò la gola.
Riportò l’attenzione al centro della pista. Il biondo si era fatto più audace, una mano le stringeva un fianco e l’altra le accarezzava la schiena. Lei mise le mani tra i suoi capelli e li strattonò.
Guardò con molta attenzione la mano dell’altro muoversi lungo la linea della schiena nuda, sempre più in basso, fino a posarsi sul sedere sodo di lei.
Un rumore di vetri rotti lo riportò alla realtà.
“Cazzo!”
Edward guardo per terra, il bicchiere che aveva in mano ormai in frantumi, il whisky gli bagnava le mani.
Jacob, vicino a lui, era troppo impegnato a filtrare con una ragazza per accorgersene.
Decise che era il momento di scambiare due chiacchiere con quel ragazzo.
Si fece largo fra la calca, fino ad arrivare alle sue spalle.
Gli batté due dita sulla schiena e il ragazzo, infastidito, si girò.
Edward ne approfittò per prenderlo dal bavero della maglietta.
 
Ignorò Bella, che, dietro il biondo, lo guardava sorpresa, le braccia conserte.
“Che problemi hai?”
“Hai finito di palpare la mia ragazza?” glielo disse all’orecchio, per non farsi sentire da lei, ma le sue parole arrivarono forti e chiare all’orecchio dell’altro.
La rabbia era ben evidente negli occhi di Edward, era pronto anche a scatenare una rissa, per questo il ragazzo si scusò e sparì.
Edward lo seguì con lo sguardo, molto più tranquillo.
“Cosa gli hai detto?”
Bella si era fatta più vicino, lo guardava cercando di mantenere un’espressione seria, ma, dal mezzo sorriso che aveva sulle labbra, era palese che non era infastidita dall’interruzione.
Non le rispose, anzi, le prese le mani e la fece girare. La sua schiena contro il suo petto, le stringeva le braccia ai fianchi.
In quel modo poteva sentire il profumo dei suoi capelli, le era mancata da impazzire.
“Edward, dimmi cosa gli hai detto!” aveva alzato la voce per farsi sentire sopra la musica alta.
“Gli ho detto solo la verità.”
Lei si girò, sciogliendosi dal suo abbraccio, lo guardò negli occhi e mise le sue mani sul suo petto.
“Sarebbe a dire?”
“Che sei innamorata di me”
“Non sono innamorata di te.” A quell’affermazione Edward rise, e le si avvicinò all’orecchio.
“Continua a ripetertelo, dolcezza” le disse, non prima di lasciarle una scia di baci lungo il collo, fino all’orecchio.
Lei lo spinse via, gli voltò le spalle e, facendosi largo fra la calca, si avviò verso il bar, indispettita.
Edward la seguì.
Poggiò la schiena al bancone in modo da poterla vedere in viso.
Bella ordinò, e nell’attesa tamburellava le dita sul ripiano, nervosa; ogni tanto gli lanciava una occhiataccia.
Rimase in silenzio a guardarla, poteva rimanere così anche in eterno.
“Pensavo avessimo deciso di dimenticarci di quella storia.”
Era stato così, per due giorni aveva finto che quell’episodio non era mai avvenuto, ma non riusciva a togliersela dalla testa.
“Infatti è così” alzò le spalle, come se a lui non importasse nulla.
“E allora cos’era quella scena di gelosia?” lo guardò con un sorriso sornione, di chi la sapeva lunga.
Edward aggrottò le sopracciglia. “Non sono geloso.”
Non lo avrebbe ammesso mai ad alta voce e nemmeno a sé stesso.
Lei rise.
 
 
Edward non sapeva come erano riusciti ad arrivare nel suo appartamento, e neppure di come, appena avevano messo piede nell’ascensore del suo palazzo, e le porte si erano chiuse, avessero preso a baciarsi, avvinghiati l’uno all’altra.
Avevano chiacchierato appoggiati al bancone del bar, lei lo aveva punzecchiato ancora, e avevano ordinato da bere. Niente alcolici.
Una volta che Edward riuscì ad aprire la porta, senza mai staccarsi dalle labbra di lei, entrarono in soggiorno.
Lo spinse a sedere sul divano e si mise sopra di lui, a cavalcioni.
Era incredibile come Bella perdesse totalmente il controllo quando lui la toccava, e quel fatto lo eccitava ancora di più.
Lei interruppe il bacio e iniziò ad abbassarsi le spalline del vestito argentato, vi sfilò le braccia e quello ricadde lungo il corpo, fino ai fianchi.
Prese ad armeggiare con il davanti del reggiseno, per slacciarlo, quando si fermò.
Edward vide passare un’ombra nei suoi occhi, insicurezza o timore forse.
“Sei bellissima”
Lei lo guardò e arrossì, improvvisamente impacciata.
Le accarezzò la guancia con delicatezza, il momento di passione precedente si era trasformato in un momento di dolcezza.
Lentamente si avvicinò al suo viso e le sfiorò le labbra con le sue. Poi si allontanò di nuovo per guardarla negli occhi.
“Questa timidezza improvvisa mi fa credere che tu non ti sia ancora accorta di quanto io sia innamorato di te.”
 
 
 

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