Of Cogs and Teenage Boys

di Wolverine00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Robot ***
Capitolo 2: *** Giornate a scuola ***
Capitolo 3: *** TSAASPP ***
Capitolo 4: *** Confessioni di un ricco adolescente ***
Capitolo 5: *** Chiacchierate notturne su facebook ***
Capitolo 6: *** Like, Like-Like ***
Capitolo 7: *** Out There ***
Capitolo 8: *** Someone Who Understands ***
Capitolo 9: *** The Party Swings ***
Capitolo 10: *** The Awkward Day Later ***
Capitolo 11: *** Obstacles ***



Capitolo 1
*** I Robot ***


Capitolo 1: I robot

Le mattinate erano le peggiori. O, almeno così credevo, fino all'arrivo delle notte. D'allora la notte diventava la peggiore. Era stata la solitudine a farmi capire che non c'era nessun'altro là fuori. Mi sentivo intrappolata in un'insignificante routine che mi avrebbe accompagnato per il resto della mia vita. Nessuno avrebbe mai capito quello che avevo passato e come mi sentivo adesso.
"Buongiorno, signorina." Le tende si aprirono colorando le mie palpebre di una strana sfumatura. Non volevo aprire gli occhi per vedere quella... cosa. "Fuori è una splendida giornata, signorina."
"Beh, non potrebbe esserci una splendida giornata dentro casa, no?" Mormorai in risposta, sapendo che mi avrebbe sentito. Udito super-sensibile. Aprii gli occhi, vedendo il sorriso sulla sua faccia attraverso le ciglia. Era la faccia che lo rendeva così realistico. Se non ne avesse una non sarebbe altro che un'altro ammasso di ferraglia con cui convivere. Ma non sono più riuscita a sopportarli dopo quello che è accaduto.
" La signora vorrebbe sapere se ha intenzione di andare a scuola oggi, signorina." A quelle parole sbattei le palpebre, paralizzata. Non sono più andata a scuola da quando è successo. Non volevo vedere nessuno dopo che la notizia ormai era su tutti i giornali. Ovviamente tutti ne avevano almeno sentito parlare e sapevano che ero coinvolta. Io ero li, quando ci fu l'incidente. Ero in quell'auto. Io sarei dovuta morire, non Trent.
"Signorina?" Provai a volgere lo sguardo verso quella dannata cosa, ma ormai la mia vista era offuscata dalle mie stesse lacrime. Capita ogni volta in cui ci penso. Erano passati solo tre mesi. Tre mesi in cui non ho fatto altro che stare a letto piangendo, soffocata dai sensi di colpa. 
"Dille di sì, ci andrò" I robot non percepiscono le emozioni. Non provano quello che provano gli umani. Ed è perchè Giorgio non capirà mai come mai piango così tanto. Lui è sempre stato li per me. Ogni giorno perchè i miei genitori non potrebbero mai togliere tanto tempo al lavoro. Lo fecero, per la prima settimana, ma dopo dovettero tornare al loro impiego. Diversamente da me che avevo dieci giorni di scuola da buttare prima che cominciassero a farsi domande su di me. Mia madre provò a parlarne, spiegargli quanto stessi soffrendo, ma non la ascoltarono e per dieci settimane sono rimasta a casa senza un apparente motivo. Il che è stupido perchè tutti sapevano per certo dove fossi e il mio reddito scolastico ne risentì, il che avrebbe dovuto preoccuparmi, ma non lo fece. Non mi importava più di nulla ormai. 
Il primo anno è sempre il più difficile e il miei genitori me lo hanno costantemente ricordato. Non che mi aspettassi che tutto diventasse più facile, ma speravo di poter ricominciare una nuova vita, di voltare pagina, dopo il primo anniversario.
Ancora nove mesi.
Giorgio non stette nella mia stanza per molto. Non so neanche perchè mia madre lo faccia stare anche solo in casa. Lo odio. Non mi è mai piaciuto. Aveva l'abitudine di guardarmi quando ero piccola. I miei genitori lo comprarono dopo il mio sesto compleanno, era la mia babysitter inizialmente. Era programmato per pulire e cucinare. Era l'aggeggio ideale da avere per casa, con due adulti impegnati nel lavoro sette giorni su sette e una bambina occupata con la scuola la maggior parte del tempo.
Ma entrambi i miei genitori sanno quello che accadde quel giorno. E sanno anche che il mio odio per i robot non ha fatto che crescere. I robot sono stupidi e inutili, ma sono anche la ragione del mio amore per la nostra storia. Sapevate che nel passato le case non avevano nemmeno un modello standard di XP 2057? E' difficile da credere, lo so. Avevamo un XP 2045, ma non ricordo di aver mai vissuto senza di loro. Ormai ogni casa possiede un robot e quando un modello passa di moda, ne esce subito un altro. Ne creano sempre di nuovi, ma non li mettono mai in saldo. Ci sono sempre errori e bug.  Penso ci siano errori anche con il modello XP 2057...
Mio padre, al contrario, dice che sono solo sciocchezze: 'Non c'è nessun problema con il modello XP 2057! Sono il top!' , ma io non ne sono molto convinta. Mia madre, invece, è d'accordo con lui, come al solito, dicendomi che dovrei concentrarmi su altro e non su cosa passa per la mente di un robot. Anche perchè, in realtà, non ne hanno una.
Quando ormai fui pronta per prendere l'autobus i miei erano già partiti da un pezzo. Eravamo solo io e Giorgio che stava preparando la colazione in cucina. Ero pronta per tornare, o almeno pretendevo di esserlo. Non sarei mai stata pronta per tornare alla mia vecchia vita. I miei amici avrebbero detto che capivano come mi sentivo, ma non era vero, nessuno capiva come mi sentissi davvero. Non ero altro che la ragazza che ha perso il ragazzo per uno stupido errore.
"Signorina." Sbattei le palpebre un pò di volte cercando di trattenere le lacrime e guardai Giorgio che teneva in mano un bauletto con il mio pranzo.
"Mangerò qualcosa a scuola." Dissi, senza guardare nella sua direzione, ma riuscii a intravedere l'altra mano che teneva una banconota da dieci dollari. Esitai per un momento, spostando lo sguardo sul suo viso. Nessuna emozione. Senza vita. Completamente. Il che era brutto da guardare così rivolsi nuovamente il mio sguardo al pavimento prendendo la banconota e uscii dalla porta d'ingresso sbattendola dietro di me. 
Mia madre mi dice sempre di non essere sgarbata, al contrario, di ringraziare sempre e di mostrarsi cortesi con i robot. Non ne ho mai capito il motivo. Perchè dovrei dare a quelle lattine vuote anche solo un briciolo del mio rispetto? In tutta la mia vita non hanno mai fatto niente di buono per me.
Aspettai alla fermata dell'autobus e mi appoggiai al palo pensando a Giorgio che cerca di guadagnarsi il mio rispetto. Sapevo che nessun studente si sarebbe presentato alla mia stessa fermata. Ero sempre da sola. Non volevo prendere l'autobus, ma non sono ancora in grado di mettere piede in un'auto dall'incidente e non ho intenzione di ricominciare ora. Gli autobus non erano molto meglio, ma devo andare a scuola in qualche modo e camminare per 24 miglia non è un'opzione saggia al momento.
"Courtney!" Una voce familiare mi chiamò appena misi piede nell'autobus. Mi sono mancati gli abbracci e i gossip della mia migliore amica Bridgette. Mi ha scritto molto negli ultimi tre mesi, ma non ho mai risposto. Il mio telefono è stato danneggiato dall'acqua, funziona ancora, ma cercavo di convincermi del contrario.
Mi sedetti sul sedile di fronte a Bridgette e al suo ragazzo, la quale si spostò per posizionarsi vicino a me. Fui soffocata da un suo abbraccio prima che cominciasse a riempirmi di domande e a dirmi quanto le fossi mancata in questi mesi. Insieme a lei molti altri nell'autobus fecero lo stesso e tutti cercando di non parlare di un'argomento del quale tutti avrebbero voluto discutere. Era palese dalle occhiate che ricevevo quando volgevo lo sguardo altrove. Questo è stato solo il tragitto per arrivare a scuola. Da questo potei prevedere che la giornata non sarebbe stata facile per me, così feci un respiro profondo e mi preparai per quello che sarebbe potuto succedere.
Niente avrebbe potuto prepararmi al mio ritorno a scuola senza lui al mio fianco. Trent è stato il mio tutto per così tanto tempo, ma non posso piangere, non qui, non ora. La scuola non era il posto in cui sarei scoppiata. L'ho fatto per le passate 12 settimane in camera mia ed è li che tornerò a farlo.
Bridgette era molto più protettiva nei miei confronti. Non mi lasciava mai, neanche quando Geoff provò a trattenerla in un bacio più appassionato dopo essere usciti dall'autobus. Si staccò dicendo che si sarebbero visti più tardi, tutto perchè non voleva lasciarmi da sola. Voglio bene a Bridgette. E' la mia migliore amica, lo è sempre stata dalla prima settimana di scuola quando avevamo cinque anni. Siamo sempre state unite, fianco a fianco.
Anche quando mi accompagnò alla prima lezione di storia, che per la cronaca è la mia materia preferita, i perenni sensi di colpa non mi abbandonarono. Rimanemmo lì, per un pò, davanti alla porta, io mentre fissavo il mio banco vuoto, rifiutandomi di guardare altrove nell'aula perchè sapevo che se lo avessi fatto il mio sguardo sarebbe caduto su un'altra sedia vuota, la sua. Dovevo assicurarmi di non pensare a lui adesso.
Ci prese un pò di tempo ma Bridgette riuscì a farmi sedere nel momento in cui suonò la campanella. Bridgette si sedette di fronte a me, ma io sapevo che questa si sarebbe rivelata una pessima giornata.
"Courtney, che piacere riaverti tra noi." Disse pacatamente il mio insegnante di storia Mr. Brooks. Il che era diverso dal suo atteggiamento usuale, un pò sfrenato, era anche il motivo per cui amavo le sue lezioni di storia. Era senza dubbio il mio insegnante preferito.
"Grazie" Mormorai, facendolo proseguire con la lezione. Non dissi: 'Sono contenta di essere tornata' come avrei dovuto perchè non lo ero. Non volevo tornare. Se non avessi i normali bisogni umani sarei rimasta volentieri nella mia camera per sempre. Avrei nascosto la mia faccia sotto le coperte per non mostrarmi più nuovamente al mondo, non c'è nient'altro che preferirei fare. Non ho più ragioni per continuare a vivere.
"Ehm... Scusami?" Mi girai verso destra istintivamente, immaginando Trent accanto a me, come sarebbe dovuto essere, ma non c'era. Al suo posto non c'era uno sguardo pieno rancore come ci sarebbe dovuto essere. "Stavi almeno ascoltando?" Al suo posto c'erano due bellissimi occhi celesti che catturarono la mia attenzione per poi non lasciarla più andare. "Fantastico, il mio primo partner ed è apparentemente un'idiota."
"Scusami?!" Risposi irritata a quel commento. 
"Ascoltami, tesoro, posso capire che questo è il tuo primo giorno dopo una lunga assenza, ma non ti converrebbe prestare più attenzione così il nostro progetto di storia non sarà un completo fallimento?" Disse. A quel punto avrei voluto solo urlargli contro e prendere a schiaffi quella sua faccia perfet-Sua cosa?!
"Vorrei farti sapere che sono la prima della classe. Ho studiato l'intero libro e lo conosco come il il palmo della mia mano, idiota. So benissimo quello che sto facendo quindi smattila e cerca di capire cosa dobbiamo fare." Ovvio che non stavo mostrando attenzione, ero troppo impegnata a non piangere. Da quello che quel cretino ha detto, ora siamo compagni per il progetto di storia. Mi girai verso Bridgette, ma lei stava chiacchierando animatamente con la sua compagna per il progetto, così riportai la mia attenzione sul ragazzo di fianco a me, il quale si era appropriato del posto di Trent. Aveva un sorrisetto stampato in faccia e un luccichio negli occhi mentre mi guardava come un cane guarda la sua cena. E intanto storia perdeva il primato nella lista delle materie preferite.

Angolo Traduttrice: Hey! Spero vi sia piaciuta! Ripeto, la storia non è mia, io mi sono limitata a tradurla. Spero vi piaccia perchè sarò felice di continuarla. :D 
Vi assicuro che già dai prossimi capitoli si farà più interessante. E' la prima FF che traduco/ scrivo quindi i consigli sono ben accetti. Enjoy :P

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Capitolo 2
*** Giornate a scuola ***


Ci ho provato. Davvero, ci ho provato. Tutto quello che volevo era piangere e provai a trattenermi fino a quando sarei tornata a casa. Volevo tenermi tutto dentro e non dare altri motivi per fare ulteriore gossip su di me. Ma appena la lezione di storia finì corsi disperatamente in bagno e scoppiai in un mare di lacrime. Era troppo. Solo appena prima della crisi in bagno ero in classe a lavorare al progetto di storia con il mio partner, al quale non ho rivolto la parola per tutta l'ora. Ce ne stavamo seduti li, leggendo, ognuno per conto proprio. Io cercando di non pensare al mio trauma e ai miei sensi di colpa. Ha funzionato... più o meno. Non era il ragazzo nuovo a infastidirmi. Era il fatto che si sedesse nel posto di Trent a mandarmi fuori di testa. Era l'unica sedia vuota della classe, lo sapevo. Le scelte erano due: la mia vita o la sua. E mentre io tornavo alla mia solita vita, Trent non poteva. Non più. Forse è stato quel pensiero a farmi piangere. Alla fine della seconda ora ricevetti un biglietto dalla psicologa della scuola dove chiedeva di vedermi dopo la quarta ora, durante l'ora di pranzo. La psicologa non era nulla che mi interessasse particolarmente al momento. Non ero nemmeno sicura di riuscire a parlare dell'incidente a qualcuno. Non ne ho parlato nemmeno con i medici all'ospedale, nemmeno alla polizia che cercava di ricavare delle informazioni utili. Dettagli che non riuscivo a dare. "Ti tengo il posto" mi disse Bridgette dandomi un piccolo abbraccio appena ci fermammo davanti all'ufficio della psicologa. Ha insistito tanto per accompagnarmi qui, ma ho rifiutato alla sua offerta di aspettarmi fuori dall'ufficio. Volevo andare da sola alla mensa, per stare un pò con me stessa. Ne avevo bisogno. Ero passata dallo stare isolata in camera mia per dodici settimane all'essere perennemente circondata da una folla di studenti. Guardai Bridgette voltare l'angolo prima di bussare alla porta e la psicologa non esitò all'invitarmi dentro. Una donna piuttosto giovane mi sorrideva da dietro una scrivania di vetro. Mi sembrava abbastanza familiare, dopotutto lavorava nella scuola da prima che arrivassi. Tutto di quella donna la faceva apparire come una persona dolce e gentile. Il suo ufficio era pulito, profumato e allo stesso tempo accogliente. I suoi biondi capelli corti e la sua camicia rosa erano perfetti, aveva un'aura rassicurante attorno a se. "Ciao, Courtney" Mi disse dolcemente. "Il mio nome è Laura e sono la psicologa della scuola. Come ti senti oggi?" Mi diede tutto il tempo per rispondere, non come facevano i miei genitori, ma non risposi lo stesso. "Il tuo dottore mi ha chiamato una settimana fa, poco dopo essere stata dimessa dall'ospedale. Mi ha chiesto di fissare un appuntamento con te appena possibile e sei tornata giusto oggi." Come se non fosse ovvio. Questo era il primo segno, pensava fossi pazza. "Come hai passato le ultime settimane?" "Bene." Mentii. "Bene? Ne sei sicura?" Mi chiese. "Si." "Non ne vuoi parlare? Di quello che è accaduto?" Mi fermai un momento per poi scuotere la testa. "Ne se sicura? Puoi dirmi tutto." "Quello che è accaduto quell-... quella notte è stat-" Cercai di dire, ma mi fermai per non dire qualcosa di cui mi sarei sicuramente pentita. "Non è stata colpa tua, Courtney" "Si invece, Trent avrebbe visto quel camion se io non- non lo avessi distratto." Risposi. "Non è vero. Quel camion stava sbandando. Non c'era modo di evitare che colpisse l'auto." Mi disse. "Ma avrebbe potuto frenare!" La mia voce cominciò a calare. "Se non mi fossi comportata come una stupida adolescente in preda agli ormoni Trent avrebbe frenato prima, avremmo schivato il camion e lui- lui sarebbe ancora qui." Le lacrime cominciarono a scendere ancora prima di accorgermi. Laura mi offrì una scatola di fazzoletti, ne presi uno e mi asciugai le lacrime. Non lo avevo mai ammesso prima, ma era la verità. Trent sarebbe ancora vivo se non mi fossi comportata come una stupida ragazzina. Avrebbe visto il camion, frenato e noi saremmo ancora insieme. "Non dovresti incolparti per quello che è accaduto. Era fuori dal tuo controllo." Non risposi. Non riuscii nemmeno ad annuire perchè dentro di me credevo ancora di essere responsabile. Invece mi alzai finendo di asciugarmi le lacrime e le chiesi di uscire. Laura non mi fermo. Prima di uscire diedi un'occhiata veloce allo specchio, i miei occhi non erano così male e potevo andare diretta alla mensa. Non ne avevo voglia, ma non volevo preoccupare Bridgette. La trovai in fretta. Era seduta in un tavolo con Geoff, alcuni sui amici della squadra di football e le loro ragazze cheerleader. Il solito gruppo... fatta eccezione per uno. Mi colpì il cuore vedere un posto vuoto, ma ci sarebbe sempre stato d'ora in poi. "Hey Court!" Mi chiamò DJ. "Hey Dj." Lo salutai dandogli un breve abbraccio. Era l'unica persona che riuscisse a tirarmi un pò su. E' il ragazzo più dolce che una persona possa incontrare, mai una cattiveria da dire. Un cuore d'oro. E appena mi sedetti al tavolo a parlare, mi accorsi che tutti avevano seguito il suo esempio. Nessuno mi tartassava più come sta mattina. Non che prima gli avessi permesso di infastidirmi, ma sapevo che non ci avrebbero più provato. Un brivido mi percorse tutta la schiena e seppi che qualcuno mi stava guardando. Provai a spostare il mio sguardo in giro per la stanza e fu immediatamente catturato dagli occhi azzurri del mio partner di storia. "Hey Katie." Chiesi alla ragazza di fronte a me. "Cosa sai dirmi di Mr. Cresta-verde laggiù?" Se c'era una persona sempre al corrente di tutto, quella era Katie Garcia. "Il tuo partner di storia?" Mi chiese, girandosi per guardarlo. Il suo sguardo ora era rivolto al suo telefono. "Si chiama Duncan Langielas, viene a scuola da circa nove-otto settimane e condivide con te almeno la metà dei corsi. Credo. Nessuno sa effettivamente qualcosa su di lui. E' uno che si impegna molto, ma non ha mai provato a iscriversi in una delle squadre e non si è fatto nemmeno un amico. E' un mistero." Annuii per mostrarle che avevo capito. Non mi interessava come persona, solo come partner di storia e come ragazzo con il quale avrei speso parte del mio tempo nelle successive settimane. Angolo traduttrice: Ho appena guardato l'anteprima del capitolo e viene tutto appiccicato. Non so come mai. Scusate il disagio, vedrò di risolvere il problema. Ma per adesso: Enjoy :D

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Capitolo 3
*** TSAASPP ***


Quel ragazzo aveva qualcosa di strano.
Ero a scuola da circa due settimane, ormai la voce sul mio ritorno a scuola aveva smesso di girare, ma le occhiate non mancavano mai. Alcune accusatorie, alcune cariche di compassione. Nessuno sapeva veramente cosa fare con me. Ovvio, nessuno sapeva la vera versione di quello che era accaduto, era ancora tutto nella mia testa, bloccato in uno degli angoli più remoti.
Le occhiate peggiorarono quando fui beccata a lasciare l’ufficio di Laura. Ormai non ero più la studentessa modello con il ragazzo perfetto alla quale tutto veniva servito su un vassoio d’argento. Ero la ragazza pazza adesso. Quella che sapeva tutta la verità, ma si rifiutava di dirla. Ma imparai presto a ignorare tutto questo.
Tranne lui.
Non mi ha mai guardato, non mi ha mai parlato se non c’era necessità. Lo guardavo in ogni corso che avevamo insieme. I miei occhi gli stavano addosso come una calamita. Sapevo che se la situazione fosse stata differente le ragazze mi avrebbero assillato dicendomi che mi ero presa una cotta per lui. A volte arrivavo a chiedermi se fosse vero… ma ecco subito il ricordo di Trent a farmi sentire tremendamente in colpa.
Io e Duncan eravamo solo compagni per il progetto, non di più. Lo eravamo, ma a volte sembrava che ognuno lavorasse per conto proprio.  Non guardavamo mai a cosa stava lavorando l’altro, potevamo avere gli stessi appunti per quanto ne sapevamo. Non c’era comunicazione e sapevo che avremmo fallito il progetto se fossimo andati avanti così. Dovevo fare la ragazza responsabile e provare a parlargli.
“Duncan.”
“Cosa c’è?”
“Hai impegni per sta sera?”
“No.”
“Ti piacerebbe venire a casa mia per lavorare al progetto?” Non rispose rapidamente come prima. Lo guardai mentre finiva di scarabocchiare sui suoi appunti. La sua scrittura poteva facilmente essere paragonata a quella di un bambino dell’asilo, come se avesse appena imparato a tenere in mano una penna, ma scriveva parecchio veloce per finire.
“A casa tua? Dopo scuola?” Mi chiese come se stesse riflettendo a fondo su quelle parole.
“Per lavorare al progetto, si. Non stiamo lavorando come una squadra come dovremmo e questo potrebbe influenzare il nostri voti.” Risposi in tutta onestà mentre lui ancora fantasticava su quelle parole.
“Non credo sia una buona idea.” Rispose. “Mio padre non mi lascia uscire durante la settimana.”
“Che scusa patetica, prova con un’altra.” Sibilai tornando a lavorare alla mia metà del progetto. Suo padre non lo lascia uscire? E’ questo il meglio che riesce a fare? Sapevo di non andargli a genio come compagna, ma avrei preferito un po’ di sincerità. Non aveva nessuna ragione per mentirmi.
Duncan non mi parlò per tutta l’ora e per le ore sucessive. Cercava palesemente di ignorarmi, ma non mi dispiaceva perché cercavo di ignorarlo anch’io. Però non aiutava il mio ‘stato mentale’ come lo chiama Laura. A quanto pare avevo bisogno di positività, non di altra tristezza e depressione.
“Ti sarebbe potuto capitare di peggio, Court.” Mi consolò Bridgette, cercando di tirarmi su dopo il tempo passato con Mr. Mistero. “Almeno Duncan fa la sua metà del lavoro. A Katie è capitato Justin Ellis e sappiamo tutti che quello non ha un cervello.”
“Ma è un gran figo, il che è un punto a favore.” Disse Katie sorridendo mentre ci raggiungeva. A me e Bridgette scappò una risata. Quasi tutte le ragazze della scuola erano follemente innamorate di Justin. Anche quando accadde qualcosa tra Katie e DJ lei ancora sbavava segretamente dietro di lui, ma non evrebbe mai tradito Dj, era un dato di fatto.
Sorrisi appena le ragazze svoltarono l’angolo e bussai alla porta di Laura la quale mi invitò subito dentro quasi sorpresa di vedermi. Avevo due sessioni a settimana con Laura e non c’era modo di saltarle. Ci provai, ma finii per recuperarla durante un’ora di lezione. Speva che avevo avuto un grosso trauma e mi capiva o almeno ci provava. Mi sentivo ancora colpevole per Trent, ma Laura cercava di aiutarmi il più possibile.
“Sembri tesa.” Mi disse quando non dissi nulla. Non sapevo cosa dire. Non pensavo a nulla in particolare se non al mio compagno per il progetto di storia.
“Sono solo stressata, credo.” Dissi come se non fosse niente.
“Per cosa?” Mi chiese.
“Per un progetto di storia, niente di che.” Le risposi.
Laura non sembrava molto convinta, così bevve un sorso di caffè e si girò verso il suo computer. Aveva un file su di me li dentro, sapeva tutto quello che c’era da sapere su di me, cosa che trovavo abbastanza inquietante.
“Sei riuscita a recuperare tutto il programma in sole due settim-“
“Mi ha aiutato a distrarmi un po’.”  Ho a malapena pensato all’incidente dopo il mio ritorno a scuola e i miei genitori hanno notato un cambiamento in me. Era Trent per lo più a infestare ancora i miei pensieri, non tanto la sua morte prematura o l’aver rischiato la vita.
“Sei una studentessa eccellente Courtney, cosa ti stressa di questo progetto?” Duncan Langielas. “Non voglio vederti stressata Courtney, non va bene per la tua condizione.” La mia condizione? Quella era la prima volta che menzionava una mia ‘condizione’. “Courtney, hai passato un’esperienza particolarmente traumatica. Hai rischiato la vita. Hai pers-”
“LO SO!” Scattai, sentii un peso sul petto e il mio battito accellerò. Non capivo perché mi sentissi così, ma i sensi di colpa tornarono e non riuscii più ad allontanarli. Appena Laura cominciò a parlare della mia ‘esperienza traumatica’ mi tornarono in mente ricordi e flashback di quella notte. La pioggia. L’auto. Il camion. La caduta.
“Calmati, tranquilla, prendi dei bei respiri.” Mi disse Laura mentre si avviò al distributore per prendermi un bicchiere d’acqua. Cominciai a bere dei piccoli sorsi concentrandomi sulla sensazione dell’acqua scendere per la mia gola secca. Le lacrime non arrivarono contro le mie aspettative. Probabilmente erano bloccate dietro un muro di risentimenti.
“Io… Io devo andare.” Dissi ringraziando Laura e mi incamminai. Non mi fermò quando uscii dal suo ufficio. Io, intanto, ero già pronta a crollare ancora prima che la porta si chiudesse. Volevo andare a casa, ma gli autobus passano solo due volte, così decisi di correre verso il bagno. Volevo solo uscire e scappare da qui.
Ma qualcosa mi fermò.
Qualcuno mi fermò.
“Hey” Mi disse Duncan passandosi una mano sulla cresta.
“Hey” Dissi ricambiando il saluto, cercando di deglutire il groppo che avevo in gola.
“Bella sessione?” Mi chiese. Aggrottai le sopracciglia.
Duncan chinò la testa. “Perché la vedi?” Non risposi. Non erano affari suoi se vedevo una psicologa. Non che non lo sapesse già come tutti. Tutti sapevano dell’incidente, era su tutti notiziari e sulla prima pagina di tutti i giornali.
“Ti serve qualcosa?”
Duncan indicò la porta di Laura. “E’ il mio turno.” Gli lanciai un’occhiataccia.
“Perché la vedi?” Chiesi io sta volta.
“Mio padre pensava che mi avrebbe fatto bene.” Disse alzando le spalle. Come frase mi sembrava piuttosto detta e ridetta. “Ho cambiato idea.” Aggiunse. “Se vuoi lavorare al progetto, verrò a casa tua dopo scuola.” Annuii ancora scioccata dell’improvviso cambio di argomento. “Posso accompagnarti in macchina a casa, se vuoi.” Mi disse.
“Tu hai una ma-macchina?” Chiesi più stupita di prima. Annuì. “N-no, non c’è problema, prenderò l’autobus.” Risposi. Lui chinò la testa di nuovo e il gesto cominciava ad infastidirmi.
“Hai paura.” Ovvio che avevo paura! Una macchina?! Io?! Era pazzo o viveva nel mondo delle nuvole?
Gli presi la mano, una penna e scrissi il mio indirizzo dicendogli di venire quando voleva. Sorrise, ma io non ricambiai. Lo salutai velocemente e mi misi a correre verso il bagno mentre lui entrò diretto nell’ufficio di Laura.
Un pomeriggio a studiare? Con Duncan Langielas? Cosa stava succedendo?!
 
 Angolo Traduttrice: Ho risolto FINALLY. Ecco un nuovo capitolo della nostra storia. :D

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Capitolo 4
*** Confessioni di un ricco adolescente ***


Non ne potevo più di quella giornata. Bridgette se ne accorse, ma non potevo dirle la verità. Mi vergognavo, me ne vergognavo ed ero spaventata. Era normale che lo fossi ricordando quello che è successo l’ultima volta che sono rimasta sola con un ragazzo. L’ultima volta fu quella dell’incidente…
“Court, a volte mi fai davvero preoccupare.” Mi disse bridgette preoccupata mettendomi le mani sulle spalle. “Hai avuto un terribile…” Ma non finì la frase. Quelle parole non uscivano mai dalla bocca di nessuno. Nessuno osava dire quelle parole ad alta voce e io non ne capivo il perché. Io non ne parlavo perché parlarne rendeva tutto così reale, ma nessun’altro aveva questa scusa. Solo io. La sfortunata sopravvisuta.
“Bridgette, lo so.” La abbracciai per rassicurarla. “So che è difficile da credere, ma sto bene, mi sto riprendendo. E so anche che a volte ho la testa altrove e che altre devo correre in bagno per sfogarmi, ma tutto questo svanirà con il tempo. Te lo prometto.” Avrebbe dovuto farmelo lei questo discorso, ma noi non funzioniamo così. Lei è quella sensibile e io sono quella forte. Ho sempre cercato di esserlo, per tutte e due.
A fine giornata, sorprendentemente, respiravo ancora. Bridgette mi prese a braccetto e uscimmo dalla classe passando per gli armadietti e infine arrivammo alla fermata. Per un attimo tutto questo mi fece pensare a Duncan e alla sua auto. Il solo pensiero mi fece venire la nausea.
“Courtney, sei sbiancata. Non vuoi prendere l’autobus? Ti accompagno a casa a piedi se vuoi.”  Bridgette è sempre al mio fianco quando ne ho bisogno, sa sempre come aiutarmi e quando farlo. Se non avessi voluto prendere l’autobus Bridgette mi avrebbe accompagnato senza pensarci due volte, nonostante abitassi a miglia di distanza. Bridgette è fatta così.
“No, non c’è problema, è tutto ok.” Le risposi cercando di sembrare più convincente possibile. Salimmo sulla trappola mortale gialla e ci sedemmo. Più l’autobus si avvicinava a casa mia e più cominciavo a innervosirmi. Sapevo che Bridgette aveva capito che qualcosa non andava dall’espressione preoccupata sul suo viso, ma non mi andava di parlarne perché dopo sarei andata troppo nel dettaglio e non mi parve una saggia decisione dirle che Duncan Langielas stava venendo a casa mia o per lo meno non sapevo come dirglielo senza che suonasse imbarazzante.
Il tragitto fatto sembrò fin troppo corto. Avranno accorciato il percorso? Abbracciai Bridgette e mi incamminai lasciando i commentini dei miei compagni dietro di me.
Giorgio mi aprì la porta e appena entrai fui accolta da una sorpresa inaspettata.
“D-Duncan.” Alzò lo sguardo. L’ultima cosa che mi sarei aspettata era di trovarlo qui, sul mio divano impegnato a leggere gli appunti di storia.
“L’autobus è davvero così lento?” Mi chiese. Probabilmente aspettava da quindici minuti buoni. Giorgio deve averlo fatto entrare. Dovrò dire due paroline a quella macchina senza cervello. Come aveva osato far entrare un estraneo in casa?
“Non so… Ho solo-“
“Mi hai detto tu di venire a casa tua dopo scuola.” Si, l’ho detto, ma trovarmelo sul divano appena tornata a casa non era decisamente tra i miei piani. Ha davvero preso questo lavoro così seriamente? Persino io non l’ho fatto. Anche se qualcuno penserebbe al contrario…
[“Sei sempre sui libri, Court” Sorrisi appena il mio fidanzato-peso piuma si buttò di schiena sul letto. Non potevo dargli torto, avevo passato più di quattro ore a studiare.
“Ammettilo che non vuoi farmi passare l’esame” Mi girai con la sedia per vedere Trent il quale aveva un’espressione indecifrabile sul viso. Non era la prima volta che entrava in camera mia e non sarebbe stata nemmeno l’ultima.
“Tu? Che non passi un esame?” Mi chise palesemente divertito. “Non è possible. Non è nella tua natura. Anche se non studiassi per un anno intero passeresti quell’esame.” Scoppiai a ridere e ancora prima di accorgermene ero nel letto insieme a lu-]
“Penso sia meglio cominciare.” Mormorai scacciando il pensiero dalla mente. Non era programmato che mi ricordassi di certi momenti, ma solo il fatto di essere da sola con un ragazzo mi faceva sentire in colpa, come se fosse sbagliato.
Mi sedetti nel divano di fronte a quello di Duncan e presi i libri dalla cartella. Mi guardò con un velo di diffidenza mentre sfogliavo gli appunti di storia, ma non fu detta una parola. Rimanemmo così per un po’, in silenzio, a fissare gli appunti fino a quando non parlò . “Forse dovremmo mettere insieme gli appunti per creare almeno una bozza del nostro lavoro.” Annuii, pensando alla A che avrei preso grazie al progetto.
Iniziammo a lavorare insieme e a dare forma al progetto creando una scaletta. Duncan si offrì di scrivere tutto a computer e a quella proposta non rifiutai. Non riuscivo a usare il computer, i miei social network erano programmati per saltare fuori dal nulla e io non ero pronta.
“Hai un robot.” Mi disse volgendo lo sguardo verso Giorgio dall’altra parte della stanza.
“Si, tutti ne hanno uno. Tu no?” Chiesi. Robot? Voleva parlare di robot?
“Più di uno.”
“Più di uno? Sei ricco o cosa?” Un solo robot era abbastanza costoso, ma più di uno era semplicemente troppo.
“Qualcosa del genere.”
“Qualcosa del genere?” Era come se comunicasse a indovinelli. All’improvviso si avvicinò come se fossi sorda e non sentissi.
“Qualcosa del tipo: estremamente ricco.” Ora ci capivo già di più. Era strano parlare con lui così e realizzai che io di lui non sapevo praticamente niente. Nonostante fossimo compagni da due settimane.
Ero affascinata da come appariva e da come semplicemente era. Il suo aspetto da ribelle. Cresta verde. Collare per cani. Vestiti strappati. Non c’era nulla di troppo particolare nel suo aspetto, tranne gli occhi. Quegli occhi celesti. Sembravano così innocenti. Sembrava un bambino curioso di scoprire il mondo. La stessa curiosità con cui lo stavo guardando io adesso, mentre mi parlava della sua storia.
“Mio padre guadagna progettando robot, quindi di conseguenza ne abbiamo parecchi in giro per casa.” Chinai la testa mettendo insieme i pezzi del puzzle. “Non sono tutti operativi, ci sono ancora cose da sistemare quindi… ecco.” Il tuo tono di voce calò facendo repentinamente alzare il mio.
“Mi stai dicendo che Paul Langiela è tuo padre. Cioè… QUEL Paul Langielas?”
“Lo hai capito adesso?” E un sorriso apparì sul suo viso, contagiandomi con quegli occhi così penetranti. “E io che pensavo fossi sveglia. Come hai fatt-“
“Zitto.” Squitti, arrossendo palesemente. L’unica somiglianza che aveva con suo padre era il cognome. Avevo visto centinaia di foto e video sul professor Langielas e Duncan non gli assomigliava per niente. Paul Langielas era il padre di tutti i robot. A soli diciassette anni aveva creato il suo primo robot e a vent’anni aveva fondato la Langielas Robot  Inc. Cominciò a crearne ancora di più e a venderli alle forze di polizia e ai vigili del fuoco. Quindici anni dopo i robot cominciarono a venire utilizzati anche in casa e ora a sessantanove anni è un’uomo di successo. Tutti conoscono il suo nome e tutti sanno quello che ha fatto. Viveva nella parte alta della città insieme a molte altre persone, nessuno lo infastidiva fatta eccezione per qualche paparazzo. E’ anziano ormai, non si preoccupa troppo nemmeno della sua azienda.
“Iu-hu” Mi ero incantata. “C’è nessuno?” Sbattei le palpebre per un secondo tornando alla realtà, Duncan stava sventolando la mano davanti alla mia faccia cercando di riportarmi sul pianeta terra. Io, intanto, stavo provando a immagazinare il fatto che il figlio dell’uomo più ricco del mondo era seduto sul mio divano.
“N-non sapevo che Paul Langielas avesse un figlio.” Era il meglio che potessi dire? Davvero?  Questa domanda stupida era la prova palese del mio shock.
“Ne ha due.” Rise, chiaramente divertito. “Io e mio fratello Antoin.”
“Antoin?” Il nome uscì dalla mia bocca ancora prima di realizzarlo. Ma era così strano. Duncan e Antoin? Non erano molto in sintonia come nomi.
“Un amico di mio padre morì prima… che mio fratello nascesse” Non capivo se avesse un nodo alla gola o se fosse insicuro delle sue stesse parole. “Il suo nome era Antoin Bartolini e mio padre, in suo onore, chiamò mio fratello così.” Duncan ruppe il contatto visivo. Non battè ciglio e probabilmente nemmeno io. Solo dopo mi accorsi che eravamo pericolosamente vicini, riuscivo a vedere l’alzarzi e l’abbassarsi del suo petto. I suoi occhi innocenti tornarono a guardarmi e il mio cuore si fermò. Non c’era bisogno che mi riprendessi dallo shock per capire che si stava avvicinando sempre di più verso di me. Avrei voluto fare lo stesso, ma finii per allontanarmi.
“Credo sia meglio che tu te ne vada.” Dissi, senza suonare fredda, ma piuttosto abbattuta.

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Capitolo 5
*** Chiacchierate notturne su facebook ***


Non era il fatto di non riuscire a dormire che mi preoccupava, ormai non dormivo nemmeno più. Il problema era perché non ci riuscivo. Era il suo viso. Riuscivo a vederlo così vicina a me, a sentire il suo respiro e il battito del suo cuore. Ci era mancato così poco, ma non potevo farlo. Era qualcosa di terribilmente sbagliato. Trent…
Non mi venirono le parole. Certo, conoscevo meglio Trent. Eravamo insieme da ormai due anni. Anche per questo era inconcepibile. Baciare Duncan significherebbe allo stesso tempo tradire Trent, il mio ragazzo. L’unica persona che era lì per me nonostante tutto.  Non potevo dimenticare tutto questo, non ancora.
Capii che non sarei mai riuscita a dormire così decisi che era ora di dare un’occhiata a Facebook, Myspace e Twitter. Sono sempre rimasti così, intatti per più di quattro mesi. Non avevo mai trovato il coraggio di riaprirli, ma non riuscendo a scacciare il pensiero di Trent dalla mia testa decisi che fosse meglio darci un’occhiata.
Twitter fu il più facile, mi limitai a leggere qualche tweet dalla lista. Trent non ha mai avuto Twitter, non era un gran amante dei social network, ma il suo nome appariva in almeno i tre quarti dei tweet che mi erano arrivati. Tutti mi facevano le condoglianze ed erano preoccupati per la mia situazione in ospedale. Quando fui ricoverata rifiutai di ricevere visite. Solo i miei genitori potevano vedermi.
Il prossimo era Myspace e il livello di difficoltà aumentava. La prima cosa che apparì fu un video mio e di Trent, era prima dell’incidente, nel bel mezzo dell’inverno. Eravamo al Muskoka Sports Center.
[“E ora, Trent ci mostrerà le sue abilità” La mia faccia sorridente apparì sullo schermo.
“Cosa sono? Un cane?” Trent oscurò la telecamera. “Devo mostrare a tutti come si va a riprendere un frisbee?” Ghignai. Trent sapeva sempre come farmi divertire e quando farlo. Finivamo sempre per ridere.
“Fa un tuffo!” Girai la telecamera su Trent che era pericolosamente vicino al bordo vasca. Aveva i capelli completamente bagnati. Lo vidi sorridere prima di prendere la rincorsa e fare un tuffo dal trampolino alto più di due metri. Trent mi emozionava ogni volta.
“YAY!” Urlò uscendo dall’acqua. Avevo la videocamera in mano quindi non riuscii ad applaudire. Girai la telecamera puntandola verso di me per commentare le sue eccenzionali performance, ma prima che me ne accorgessi Trent mi aveva preso in braccio e mi baciò. Tentai di spegnere la telecamera.]
Ormai le lacrime stavano uscendo senza controllo. Cercai di trattenerle senza successo. Erano le tre del mattino, non c’era motivo di farlo. I miei genitori dormivano e Giorgio era disattivato.  Eravamo solo io e le lacrime in camera mia.
Non era un segreto che mi mancasse Trent con tutto il mio cuore. Tutto quello che chiedevo era riaverlo qui. Avrei voluto svegliarmi un mattino e scoprire di essere stata in coma così il resto sarebbe stato solo un brutto sogno causato dallo shock.
Facebook era l’ultima tappa, la più pericolosa. Mi sarei dovuta preparare per quello che mi aspettava.
378 notifiche, 76 messaggi e 3 richieste di amicizia.
Molte delle notifiche erano uguali a quelle su Twitter. Auguri per riprendermi, messaggi di condoglianze e scuse per cose di cui nessuno di loro aveva colpa. Non li lessi tutti, misi solo ‘like’ come ringraziamento.
Cody Lewis, rifiuta. Non ho accettato la richiesta per un motivo.
Chris McLean, rifiuta. Chi diavolo è?
Duncan Langielas.
Esitai per un momento. Aggiungere qualcuno su Facebook non significava nulla, no? Soprattutto quando sai chi è. Avevamo già 157 amici in comune, non c’era motivo per rifiutare.
Duncan Langielas (dopo un’attesa infinita), accettato.
Cliccai sui messaggi e cominciai dal più recente. Non ho mai neanche parlato con la metà di queste persone. Tutto quello che mi scrissero era: ‘Ci sono se hai bisogno di parlarne’. Trovai messaggi di Tyler, Dj, Katie e Bridgette. Mi avevano mandato messaggi lunghissimi chiedendomi di tutto.
Non risposi, non ero dell’umore per rispondere a così tante persone. Al contrario mi misi a scorrere la lista per arrivare al primissimo messaggio. Dentro di me sapevo già di chi fosse. Trent.
[Il clacson di Trent suonò animatamente dall’esterno. Misi la testa fuori. “Sei in anticipo di dieci minuti!”
Trent mi sorrise dal sedile del guidatore e mi rispose: “Guarda su Facebook! Ti ho scritto che sarei arrivato prima!”
Alzai gli occhi al cielo. “Non lo guardo mai Facebook!” E con questo chiusi con troppa enfasi la finestra.]
Non ebbi più l’occasione di leggerlo. Quello era il giorno dell’incidente. Fu una bella giornata, il viaggio di ritorno però-.
*PING*
Il suono delle chat di Facebook mi riportò alla realtà. Mi strofinai gli occhi e lessi sullo scermo:
Duncan Langielas, un nuovo messaggio.
Cosa voleva adesso? Cliccai sul nome e apparì il rettangolino bianco che non vedevo da tempo. Riuscivo a scrivere a dodici persone in contemporanea. Ora non sopravvivevo nemmeno con una sola.
D: Hey! :D
C: Ciao.
D: Ma come? Nemmeno uno smile?
C: Non credo sia possibile sorridere alle tre del mattino.
Decisi di sfruttare l’occasione per sbirciare il profilo di Duncan. Non mi diceva nulla su di lui comunque. Ero decisa a scoprire cosa nascondesse.
D: Come mai sveglia a quest’ora?
C: Tu invece?
La sua foto profilo era piuttosto recente. Potrebbe averla fatta oggi, non era cambiato di una virgola. Sorrideva nella foto, come se fosse stato sorpreso a ridere. Una risata genuina. Non avevo mai visto questo suo lato. Le uniche volte che lo avevo visto farsi una risata era a mie spese.
D: Ho appena finito di scrivere il nostro progetto. Sta venendo bene.
C: Felice di sentirlo. Io non riesco a dormire.
C’erano solo foto recenti. Molte erano scattate dentro un laboratorio con un signore anziano. Tutte cose che centravano con suo padre, ci avrei messo la mano sul fuoco. Controllai anche la sua lista di amici trovando solo due tipi di persone: i ragazzi a scuola e persone troppo avanti con l’età.
D: Brutti sogni?
C: Qualcosa del genere.
Il che mi fece pensare. Katie aveva già detto che prendeva lezioni private a casa, il che era comprensibile, ma non aveva proprio nessun amico? Nessun vicino di casa? Era tutto così strano…
D: Vuoi parlarne?
C: Non proprio.
D: Di cosa vuoi parlare?
C: Non lo so, sei stato tu a scrivermi.
D: Perché non ti piacciono i robot?
C: Scusami?
D: Mi pare abbastanza ovvio che non li sopporti, mi chiedevo perché.
C: Perché ti interessa?
D: Beh, sono figlio di mio padre, mi incuriosiscono certe cose. Incluso il tuo odio per loro.
Esitai, indecisa su cosa scrivere.
D: Se non vuoi dirmelo per mio padre, ti aiuterebbe sapere che non piacciono neanche a me?
C: Perché?
D: Sono vuoti. Scatole di latta riempite di ingranaggi. Niente sentimenti o pensieri. L’unica cosa che li accomuna con gli umani è la loro forma.
C: Non ho mai avuto buoni rapporti con i robot.
Quelle parole di inviarono da sole, non me ne accorsi nemmeno. Non avevo pianificato di dirgli assolutamente nulla, ma più o meno avevamo le stesse idee. I robot erano vuoti.
C: Da piccola credevo che Giorgio mi spiasse. All’inizio mi spaventava, ma poi non ci feci più caso. Sono stata quasi investita da un robot quando avevo dieci anni. A dodici un robot mi spinse dalle scale (venne considerato un incidente) e qualche mese fa un robot ha fatto la scelta sbagliata.
D: Cos’è successo qualche mese fa?
C: Non fare finta di non saperlo.
D: Onestamente, non lo so. So di qualcosa accaduto una notte. Un ragazzo morì e tu finisti all’ospedale, ma l’ho capito stalkerando il tuo profilo Facebook, proprio come hai fatto col mio.
C: Era su tutti i giornali e notiziari.
D: Non guardo i telegiornali, o leggo i giornali, o ascolto le voci di corridoio a scuola.
C: Non importa.
D: Si invece.
C: Non voglio parlarne.
D: Va bene.
C: Me ne andrò a letto ora.
D: Sogni d’oro.
C: Notte.
D: Buonanotte xx (*)
Mi ci vollero dei minuti dopo aver spento il computer per realizzare che Duncan mi aveva appena inviato dei baci. Due baci nell’ultimo messaggio. Ma non significano nulla… giusto?
 
(*) Le due x= bacini/baci [per chi non lo sapesse].
Angolo Traduttrice: Hei!  Spero sempre che vi piacciano i capitoli che pubblico (la traduzione almeno lol) Buon pomeriggio e buona domenica a tutti! :D Come sempre: Buona lettura!
 

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Capitolo 6
*** Like, Like-Like ***


Cercai di convincere i miei a farmi rimanere a casa il giorno dopo. Non dormire la scorsa notte non ha aiutato a schiarirmi le idee. Era come se fosse tutto annebbiato nella mia mente e i miei pensieri si nascondessero nella foschia,fuori dalla mia portata. Il venerdì non era un giorno particolarmente emozionante, comunque. Tutti sarebbero stati impegnati a parlare della festa che Geoff avrebbe gentilmente organizzato. Non sono più andata a quel tipo di feste, quindi non c’era motivo di andare a scuola.
Il weekend non passò in fretta. Non avevo più parlato con Duncan da quel pomeriggio. Non che avessi parlato con altre persone, non avevo più riacceso il computer o guardato il cellulare. Sono semplicemente stata sul letto per due giorni, ascoltando musica e mangiando quando Giorgio mi portava del cibo.
Nonostante ciò fu un bel weekend, tranquillo e rilassante, ma arrivò il lunedì. Avevo saltato così tanti giorni di scuola che i miei genitori mi lanciarono un succo per colazione dicendomi di uscire di corsa. Partivano per il lavoro presto la mattina e tornavano tardi la sera, sempre quando ero a letto, sarei potuta rimanerci per tutto il giorno per quanto ne sapevano e non potrebbero avere più ragione di così, ma dovevo tornare a scuola prima a poi.
L’autobus arrivò in orario e Bridgette si mostrò più che contenta di spostarsi per sedersi di fianco a me, lasciando Geoff da solo. Ormai era diventata un’abitudine. Mi trascinò sul sedile insieme a lei per cominciare una di quelle chiacchierate tra donne.
“Ti sei persa un’altra festa PAZZESCA!” Mi disse Geoff facendomi alzare gli occhi al cielo, notai che Bridgette fece lo stesso. “Sono serio, al prossimo devi esserci per forza”
“Geoff!” Lo rimproverò Bridgette, il che era insolito, ma si stava solo mostrando protettiva nei miei confronti, non ero ancora pronta per una festa. Geoff si mise ancora più comodo appoggiando la schiena allo schienale e io feci girare Bridgette dandole un colpetto sulla spalla.
“Dov’eri venerdì?” Mi chiese appena il volume nell’autobus ci permise di parlare senza che nessuno sentisse. “E’ tutto ok? Credevo fosse successo qualcosa.”
“Sto bene.” Cercai di sorridere. Non sarei mai riuscita a convincerla che fosse tutto ok, che tutto si sarebbe sistemato. “Ma penso che ci servirebbe fare una bella chiacchierata.”
Non mi ero svegliata con l’idea di parlare a Bridgette del mio compagno per storia, ma alla fine accadde. Ed erano solo le nove! Forse dovevo semplicemente torgliermi il peso e ricevere qualche saggio consiglio dalla mia migliore amica. Duncan era complicato e questo non faceva che intricare la mia situazione. Non voglio ancora complicazioni ora, nella mia ‘condizione’. E come mi aspettavo, Bridgette non mi giudicò. Era gentile ed educata, prestava attenzione ad ogni mia parola, come una madre che ascolta il brutto sogno di suo figlio, fino alla fine.
Finito il racconto non riuscii ad alzare lo sguardo. “E come se passare del tempo con Duncan significasse tradire Trent.”
“No.” Fu la prima cose che mi disse scuotendo la testa. “Non pensarlo nemmeno Courtney, mai. Trent avrebbe voluto che tu fossi felice, giusto? Sai che è così. Ha sempre messo te e la tua felicità prima di tutto.” Era vero. Trent ha sempre messo me prima di qualsiasi altra cosa, anche quando eravamo solo amici. “Duncan è chiaramente attratto da te e io non sprecherei questa opportunità.” Le mie orecchie bruciavano a queste parole. “Gli piaci, ma pensa che tu non condivida.”
“Ma Trent-“
“Avrebbe voluto vederti felice.” Mi disse Bridgette appoggiando entrambe le mani sulle mie spalle. Mi morsi il labbro pensando a Duncan e Trent. Era possibile amare Trent e allo stesso tempo innamorarsi di Mr. Mistero? L’unica conclusione che ottenni era che mentalmente stavo lasciando andare Trent. Non volevo, ma non era giusto possedere qualcosa che non era completamente mia. Trent doveva liberarsi da me, essere libero.
“Voi due scendete?” Guardai Bridgette e subito dopo Katie che ci fissava dalla porta dell’autobus. Tra una cosa e l’altra eravamo arrivati a scuola, ma la mia mente era troppo presa dai pensieri per accorgersene.
Duncan non era nell’aula magna, una delle poche volte in cui non lo vedevo. Quindi passai i successivi dieci minuti a ignorare chi mi circondava. Una cosa a cui ero incredibilmente brava. La cosa mi diede l’occasione per riflettere sulle parole di Bridgette. Credeva davvero che io piacessi a Duncan? Ma proprio quel ‘piacere’? Non mi importa se suona infantile, lei-Bridgette è la mia migliore amica dalle elementari, poi siamo rimaste insieme alle medie e che ci crediate o no, anche adesso. Mi fido di lei, ma ancora non ci credevo fino in fondo.
Alla fine trovai una soluzione. Raggiunsi la mia aula con una lentezza smisurata. Dovevo parlargli. Non c’era altra soluzione. Dovevo sapere direttamente dalla fonte se era vero. Ne avevo bisogno. Non riuscivo a capire esattamente cosa provavo in quel momento, ma non era importante. Mi sedetti e pregai che non fosse uno di quei giorni in cui Duncan non si presenta, ma fu lo scricchiolio della sedia accanto alla mia a mettere fine ai miei dubbi. Era arrivato.
Il fatto che si sedesse sulla sedia di Trent mi infastidiva ancora. Normalmente durante matematica avevo l’abitudine di voltarmi per un momento verso di lui con un debole sorriso. Mi giravo incontrando la sua espressione incuriosita. La mia era solo una vecchia abitudine: io seduta vicino alla finestra con il mio ragazzo di fianco a me, nemmeno Mr. Moore ci fece più caso. Ma Duncan sembrava non averlo ancora capito.
Sta volta non lo feci. Non ero pronta per guardarlo. Apettai che Mr. Moore assegnasse la lezione di oggi dando inizio ad un forte brusio. L’ho presa come un’opportunità. Tutti erano distratti. Mi girai vero di lui per attirare la sua attezione, ma lui mi stava già guardando.
“Posso chiederti una cosa?” Alzò un sopracciglio, quasi stupito. “Suonerà strano…” Mi chiesi se riusciva a percepire il mio apparente nervosismo. Mi tremavano le mani e non riuscivo a guardarlo negli occhi. “Ma-Io ti piaccio?”
“Tu? Piacermi?” Il suo tono e la sua espressione erano difficili da decifrare. “Non sei male.”  Mi rispose alzando le spalle. Devo aver cambiato espressione perché mi chiese divertito: “Non sei abituata ad avere persone che non cadono ai tuoi piedi, eh principessa?” Questo era il Duncan che si divertiva a tormentarmi. “E io? Ti piaccio?”
“Non sei male” Risposi ripetendo le sue esatte parole. Alzai gli occhi al cielo e mi rigirai tornando al lavoro. Continuai a sentire il suo sguardo su di me, mi stava ancora guardando e continuò a farlo finchè non posai la penna per girarmi nuovamente verso di lui, ma appena mi voltai e incontrai quegli occhi così penetranti persi completamente la voce.
“Perché mi guardi così?” Mi chiese incuriosito.
“Così come?”
“Come se provassi…”  
“Provassi…?”
“Compassione”
“Mi dispiace se ti ho dato questa impressione, ma non provo un briciolo di compassione nei tuoi confronti.” Compassione? Non capivo come la espressione nei suoi confronti potesse risultare tutto fuori che ostile. Se era vero che gli piacevo, cosa avrei dovuto dire? Che mi piaceva anche lui? Che non mi piaceva? Ero così confusa. Non sapevo cosa stesse accadendo nella mia mente, ma i miei sentimenti cominciarono muoversi di nuovo dopo tanto tempo.

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Capitolo 7
*** Out There ***


Devo essermi addormentata il mercoledì pomeriggio. Cominciai a trovare la ‘siesta’ pomeridiana abbastanza rilassante visto che cominciavo a sviluppare la paura per il buio. Da quella chiacchierata con Duncan nel cuore della notte l’oscurità mi ricordava costantemente di Trent. Continuo a vederlo. E a vedere l’incidente. Mi immagino la sua faccia, mentre eravamo nell’acqua… Mi perseguitava e sonnecchiare durante il giorno significava poter rimanere sveglia durante la notte.
Vedevo nero, ma il caldo respiro sulla mia faccia era inconfondibile. Mi stiracchiai, aprii a fatica gli occhi cercando di mettere a fuoco. Come sospettavo, non ero sola. Un viso molto simile al mio mi osservava da lontano. Pelle olivastra, occhi neri e lunghe ciocche castane.  Sostanzialmente quella era l’unica cosa che distingueva me da mia cugina, i miei capelli mi arrivavano alle spalle, i suoi raggiungevano almeno la metà della schiena. Le persone ci scambiavano per sorelle da piccole, gemelle nel peggiore dei casi. Ci scherzavamo su molto spesso.
“Finalmente sei sveglia!” Sorrise luminosa sedendosi sul bordo del mio letto. “Ci crederesti mai?” Non c’era modo per descrivere la felicità con cui mi fece questa domanda. Era sicuramente successo qualcosa, mia cugina ha solo due tipi di umore: tristezza cosmica o felicità incontrollata.
“Come mai così allegra?” Mormorai scendendo dal letto cercando disperatamente una spazzola.
“Ho una notizia fantastica! Mamma mi lascerà organizzare una festa questo venerdi!”
“Zia Shari ti lascia organizzare una festa!?” Non era possibile. Zia Shari non avrebbe mai, per nessuna ragione lasciato Andy fare una festa. Lei non è quel tipo di madre. Nonostante le volessi un mondo di bene dovevo ammettere che fosse un tantino iperprotettiva e dispotica. Non lasciava nemmeno che Andy prendesse l’autobus da sola. Come poteva farle organizzare una festa?
“Eh si, e voglio che tu venga.” La sincerità con cui me lo disse mi spaventò. Andy venne a farmi visita durante il mio periodo di depressione, ma non riuscii mai a parlarle. Entrava in camera mia, ci scambiavamo un abbraccio e se ne andava subito via. Succedeva piuttosto spesso. Questa era la prima volta che la vedevo in camera mia dopo il mio ritorno a scuola. Venne a trovarmi anche in mensa una volta, ma ormai ci ero abituata.
“Andy, sai che non ci vado più alle feste.” Mia cugina lo sapeva già dato che non se ne perdeva una. “Non faccio più quel tipo di vita-“
“Ti prego Court.” Era così strano sentiglielo dire. Andy era una che otteneva sempre quello che voleva quando lo voleva. “Fallo per me. Ho bisogno di te. Se no ti vengo a prendere e ti ci porto con la forza.”
In molti avrebbero rifiutato la proposta/minaccia di Andy. Ma mi fece sorridere. Era l’unica che sapeva di questa cosa tra me e Trent. Ci teneva che andassi a tutte le feste, se no mi ci portava contro la mia volontà. Era una cosa nostra. Mi mancava.
“Devo proprio?” Mi lamentai. Annuì velocemente e in quel momento realizzai che non c’era più modo di tornare indietro. Aveva bisogno di me, era la sua prima festa dopotutto.
Non potevo lasciarla da sola, era mia cugina. Così era deciso, sarei stata impegnata ad organizzare la festa di venerdì con Andy. L’unica cosa che mi venne in mente il quel momento era ‘Geoff sarebbe fiero’. E infatti, il giovedì, sarebbe stato così. Ci saremmo seduti nel nostro solito posto e avrei cominciato a parlare della festa che avrebbe fatto mia cugina il venerdì sera. Mentre sembrava tutto fantastico ed elettrizzante, qualcosa non lo era.
Un certo ragazzo dai capelli verdi era seduto di fronte a me. Fu uno shock salire sull’autobus e incontrare il sorrisetto compiaciuto di Duncan. Bridgette era seduta dietro di lui, lanciandomi sguardi di incoraggiamento che si traducevano con un ‘siediti con lui, non con me’. Ma non avevo intenzione di farlo. Volevo sedermi vicino a Bridgette. Era la mia dose di comfort la mattina.
Non potei non interrogarmi sul perché Duncan fosse sull’autobus, ero sicura che ne avrebbe tirata fuori una delle sue, quindi non gli chiesi perché fosse qui, ma: “Pensavo avessi una macchina.”
“Si è rotta e ho colto l’occasione per provare l’emozione di salire sull’autobus.”  Disse facendomi l’occhiolino. Alzai gli occhi al cielo. Appena mi sedetti sulla poltroncina dell’autobus cominciai a parlare a Geoff del fatto che stavo aiutando mia cugina ad organizzare la sua festa. Un sorrisetto non lasciò la sua faccia per tutto il tragitto.
“Andy è il tuo clone?” La mia testa si girò verso il sedile di fronte al mio.
“La conosci?”
“Non penso di piacerle.” Mi rispose guardandomi negli occhi. “Mi lancia sempre delle occhiataccie in atrio. Fa paura.”
“Mia cugina ti fa paura? Andrea Martenelli ti fa paura?” Questa era una delle cose più assurde che avessi mai sentito. Andy non faceva paura. Certo, sa mandare degli sguardi glaciali, ma non fa paura. La cosa diventa ancora più assurda se è Duncan a dirlo, quello che dovrebbe essere un punk senza-paura. Mi rispose con un’alzata di spalle.
Cademmo in un silenzio imbarazzante. Bridgette mi diede una gomitata. “Andy farà una festa domani, vuoi venire?”
“Non sono molto un tipo da festa, ecco.”
“Mai stato ad una festa al Liceo?” Non era una domanda, lo sapevo già.
“Ho preso lezioni private a casa, ricordi?”
“AMICO!” Disse Geoff a Duncan, che stava a tre posti di distanza. “Devi assolutamente venirci, sarà una figata!”
“Una figata?”
“Si, fuori di testa.” Guardai con attenzione la reazione di Duncan alla proposta di Geoff. Sembrava interessato. C’era una reale possibilità che decidesse di venire alla festa-non che lo volessi lì per me, è solo per aumentare il numero di partecipanti. Duncan era già abbastanza fastidioso a scuola.
L’autobus si fermò davanti alla scuola e i ragazzi cominciarono ad uscire. Io apettai un po’, per evitare di essere travolta. Non ero nell’umore per farmi calpestare da una mandria impazzita di studenti che corrono per arrivare in orario a lezione. Stavo per scendere finchè Katie non mi prese il braccio tirandomi da fuori l’autobus.
“Ha un tatuaggio!” Mi sussurrò emozionata.
“Chi ha un tatuaggio?”
“Duncan! Sul fianco, me l’ha detto DJ. Lo copre con del nastro, i ragazzi lo hanno notato e glielo hanno chiesto.” Katie sembrava davvero emozionata. E non potevo negare di esserlo un po’ anch’io. Duncan ha un tatuaggio? C’era qualcosa di attraente in tutto questo. Ma non riuscivo a capire cosa.
Dopo il mio incontro con Katie e la conversazione nell’autobus mi sentivo un pò confusa appena arrivai davanti l’ufficio di Laura. Era giovedì e questo significava un altro appuntamento con la psicologa. Non che mi piacessero le chiacchierate con Laura. Abbiamo sempre parlato di argomenti stressanti, ma sta volta…
“Duncan ha un tatuaggio.” Le parole mi uscirono di bocca di nuovo prima di realizzarlo. “Me l’ha detto Katie sta mattina.”
“Lo so, è una mia priorità conoscere tutto dei miei clienti.” Mi disse con un sorriso diverso. Non che fosse strano, ma non era il solito. Era un sorriso nascosto. Sapeva qualcosa. Su di me? Su Duncan? Non avevo il coraggio di chiedere.
“Mia cugina Andy fa una festa domani. Mi ha chiesto di aiutarla ad organizzarla e di esserci. E’ la mia prima festa dall’incidente.” Dissi con tranquillità. Laura annuì, sapeva che non era facile per me.
“Penso sia una buona idea.” Mi disse subito dopo. “Devi provare a ricominciare.”  Ma io non sapevo come fare.

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Capitolo 8
*** Someone Who Understands ***


Il venerdì mattina non riuscii nemmeno a vedere mia cugina. Era letteralmente circondata da una folla di festaioli, godendosi tutta l’attenzione, finchè poteva. Si chiese perfino perché non le fosse venuta prima questa idea della festa. Se otteneva tutta questa attenzione per una sola festa, perché non farlo tutte le settimane? Durante le ore libere nel primo pomeriggio le dissi che era assurdo. Era l’unico momento della giornata in cui potevo sedermi e parlarle.
“Zia Shari non ti lascerà mai organizzare una seconda festa.” Era già un miracolo che gliene facesse fare una sola. Me lo ha dovuto confermare lei stessa perché ci credessi. “Casa tua sarà un vero casino e non riuscirai mai a pulire tutto in tempo.” Lo sapevo per esperienza di Geoff e mia. Passavo nottate intere ad aiutarlo.
“Ma tu mi aiuterai, vero?”
“Ma certo.” In realtà non ne avevo voglia, ma mia mamma mi obbligava ad aiutare Andy in ogni modo possibile. Diceva che questo faceva di me una buona cugina, ma sapevo che questo era solo un pretesto per non farmi stare in casa ad ammuffire sul letto. I miei erano così preoccupati per me. Il lavoro viene prima di tutto, lo sapevo, ma in quei momenti imbarazzanti in cui erano a casa e si ricordavano di avere una figlia si dimostravano piuttosto premurosi preoccupandosi che non annegassi in un mare di disperazione. Questa festa mi avrebbe aiutato almeno un po’.
“Woho, Principessa a ore 10.” Non ascoltai nemmeno più mia cugina anche perchè non mi sarebbe servito per riconoscere la persona che intravadevo con la coda dell’occhio. Capelli verdi, vestiti neri. Non poteva che essere lui.
Gli occhi di Duncan incontrarono i miei appena mi girai sorridente. Mi diede un blocco di fogli scritti fermati con una graffetta, il nostro progetto. Aveva fatto davvero un buon lavoro scrivendolo a computer e rileggendolo realizzai che lo avevamo scritto perfettamente. Negli altri progetti avevo trovato solo difetti, invece in questo Duncan non aveva fatto nemmeno uno sbaglio, come se mi leggesse nel pensiero.
“E’ un ottimo lavoro, grazie.” Risposi raggiante mentre guardavo ancora il foglio, ma ero sicura che stesse sorridendo anche lui. In quel momento si aggiunse Andy con uno dei suoi soliti sguardi, sta volta rivolto verso tutti e due.
“Quindi, Duncan.” Andy fissava solo Duncan adesso. “Verrai alla vesta di stasera, vero?” Non sembrava impaurito dall’occhiataccia di mia cugina, direi più nauseato.
“Forse”
“Ti prego, vieni.” Andy stava già cedendo, in meno di 24 ore! C’era qualcosa sotto. “Non farlo per me, fallo per Courtney.” Disse mostrando i suoi soliti occhi da cane bastonato.
“Ci penserò.” Rispose secco. “Ci vediamo in classe Court.”
Appena Duncan uscì dalla biblioteca Andy si girò verso di me con un ghigno malefico stampato sulla faccia. “Che pagherei per mordergli il sedere-“
“ANDY!” La rimproverai, leggermente disgustata.
“Oh andiamo Court, lo faresti anche tu.” Affondai la faccia tra le mani dall’imbarazzo. Io e Andy non potevamo fare questo tipo di conversazione. Io non volevo fare proprio nulla. “Tu e Trent lo avrete fatto tantissime vol-o no?” Si fermò subito appena studiò la mia faccia. “O mio dio! Tu non hai mai-“ Le chiusi la bocca un la mano prima che dicesse qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. Andy non avrebbe fatto sapere all’intero pubblico in bibblioteca della mia vita sessuale inesistente.
“Non dire una parola, Andrea.” Le dissi furiosa togliendo la mano dalla sua faccia. Tutto quello che fece fu guardarmi come se fossi un extraterrestre. “E’ vero. Io e Trent non abbiamo mai- mai fatto nulla.”
“Nulla?” Mi chiese scioccata. “Proprio niente?”
“Beh…” Non volevo davvero parlarne. Non ora, non ancora. “Volevamo.” Andy si illuminò a quelle parole. Si avvicinò un po’, voleva altri dettagli, ma io presi la borsa, la coricai sulla spalle e mi diressi verso l’uscita. “Devo andare a lezione. Ci vediamo a casa tua per la festa.”
Mi diressi verso il corso di storia, assicurandomi di prendere la strada più lunga. Ero ancora in anticipo di 10 minuti, ma trovai lo stesso Duncan seduto al suo posto e altre persone a punteggiare la stanza.
Se ne stava lì a guardare il telefono. Mi avvicinai e mi sedetti vicino a lui. C’era una donna sulla cinquantina sullo schermo, ma sembrava essere più in salute del normale. Aveva dei lunghi capelli neri raccolti in uno chignon e indossava dei vestiti che sarebbro andati di moda quindici anni fa. Non l’avrei riconosciuta se non avesse avuto gli occhi di Duncan.
“E’ tua mamma.” Dissi in un sussurro. Lui annuì. “E’ molto bella. Hai i suoi occhi.”
“Mio padre ha gli occhi color nocciola. Li odia, così hanno fatto in modo avessi quelli di mia madre.” Annuii, non era raro vedere coppie volere bambini con specifici tratti. Perfino i miei si sono pentiti di non aver fatto lo stesso per me. Sono nata con il naso di mio nonno, il che non è male, aveva solo una strana forma. Non mi dispiaceva, ma ai miei a quanto pare si.
“Diventa più facile, sai.” Mise via il telefono. “Fa male all’inizio, ma sono dell’idea che tutto accada per una ragione. Tutti abbiamo la possibilità di avere successo nella vita, ma molti ancora non lo sanno.” Sembrava deglutire a fatica. Voltò lo sguardo verso di me. “Da quello che ho sentito Trent era un bravo ragazzo.”
“Direi che posso considerarmi fortunata ad averlo conosciuto.” Risposi sincermente. Duncan ed io non avevamo mai avuto conversazioni serie. Ma avevamo qualcosa in comune, i nostri cari defunti. Non sapevo se ero d’accordo con la faccenda dello ‘scopo nella vita’ di Duncan, ma era bello sapere che non ero l’unica ad aver perso una persona a me cara.
“Quindi, qual è il tuo scopo?” Chiesi con un sorriso, giusto per alleggerire l’atmosfera. Duncan sorrise di rimando e senza nemmeno pensarci disse: “Io cambierò il mondo.”
“E come hai intenzione di cambiare il mondo?”
Alzò le spalle. “Vedremo.” Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere. Non che non gli credessi… ne avevo bisogno.
“E’ un altro progetto da A+ quello che vedo?” Il mio sorriso si allargò ancora di più quando Mr. Brooks entrò di corsa in classe.
“Si aspettava qualcosa di diverso?” Mi sorrise di rimando. Sono sempre stata una studentessa da A+. Non ho passato lo scorso quadrimestre a causa della mia assenza, ma appena sono tornata i miei voti sono pericolosamente lievitati. Tutte le materie studiate in tempo, tutti i compiti eseguiti. Ho passato tutti i test con il massimo dei voti superando tutti, beh, quasi tutti. Duncan era diventato il mio avversario per il primo posto. Sapeva quanto ne sapevo io, in tutto, e questo mi preoccupava.
“E questo, signore e signori, è un progetto perfetto.” Disse Mr. Brooks alla classe congratulandosi con me e Duncan. Eravamo entrambi in piedi davanti a tutti a leggere alcune parti del nostro progetto. “Un’A+ ad entrambi.” Ora capii come mai ci chiamò per ultimi ad esporre il progetto. “ Sapevo che mettere insieme i miei due studenti migliori era una magnifica idea.” E nessuno lo negò.
Ci venne assegnato un altro argomento prima della fine dell’ora. Non stavo prestando un minimo di attenzione in quei 5-10 minuti. Stavo ancora ordinando i miei pensieri, come in una libreria. Duncan. Festa. Duncan. Bridgette. Duncan. Scuola. Duncan. Casa. Duncan. Andy. Duncan.
La festa sarebbe cominciata tra quattro ore e io non parlavo a Bridgette da sta mattina. La scuola mi stava consumando. Casa, era un bel posto dove stare. Andy mi avrebbe ucciso se non fossi andata alla sua dopo scuola. E Duncan… Cosa centrava Duncan in tutto questo? Tutto di Duncan: il suo aspetto, la sua personalità, la sua filosofia, la sua intelligenza mi colpiva. Le parole di Bridgette risuonarono di nuovo nella mia testa ‘Trent avrebbe voluto vederti felice’. Ma lo avrebbe voluto anche se comportasse ricominciare con qualcun altro?

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Capitolo 9
*** The Party Swings ***


Andai a casa di Andy dopo scuola. Avrei semplicemente potuto prendere il suo stesso autobus, ma non penso mi sarebbe piaciuto starmene lì seduta con decine di ragazzini che non conoscevo e che non avrebbero fatto altro che fissarmi e sparlare su di me. Quelli nel mio avevano appena smesso di farlo. Nonostante ciò, le voci su di me a scuola erano ancora parecchio gettonate. Mi ero abituata ad entrare in classe e sentire il mio nome sulla bocca di tutti. Tutto il gossip su di me e sull’incidente non aveva ancora stancato a quanto pare.
Era una camminata di mezz’ora per arrivare a casa di mia zia, nella parte est della città. Avevo ancora troppa paura per salire su una macchina. Andy sembrava parecchio elettrizzata per il mio arrivo, mi venne incontro saltandomi letteralmente addosso, probabilmente si aspettava che prendessi in mano la situazione per organizzare la festa, ma, contro le sue aspettative, quando mi chiese ‘la prima cosa da fare’ io risposi: “Mi farò una dormita.” Non avevo intenzione di interrompere i miei ritmi per una stupida festa.
“Svegliami tra un’ora.” Mormorai avviandomi verso camera sua. “E nascondi la roba di valore.”
 Erano le cinque del pomeriggio quindi dalle sei ci sarebbe stato tutto il tempo necessario. O almeno così sarebbe andata se Andy mi avesse ascoltato. Al contrario, fui svegliata dal rumore assordante proveniente dal piano di sotto. Non mi serviva nemmeno aprire la porta per capire che la festa era cominciata da un pezzo. Il lato positivo era che avevo avuto il buon senso di chiudere la porta quindi nessuno aveva avuto il piacere di vedermi sbavare sul cuscino.
Maledissi Andy dentro di me apprestandomi ad aprire il suo armadio. Non avevo portato vestiti con me così mi accontentai di una maglietta viola e di una gonna color crema, o almeno speravo fossero così, non riuscivo a vedere nulla. Buttai gli altri vestiti nell’armadio promettendomi di venirli a riprendere e mi pettinai i capelli tutti scompigliati. Forse l’idea della ‘dormita’ non era stata proprio una brillante idea.
Aprii la porta e sgattaiolai fuori. Fortunatamente non c’era nessuno. Era come se non fossi esistita per tutto il tempo in cui ero stata al piano di sopra.
Cominciai a scendere le scale, Bridgette era letteralmente avvinghiata a Geoff e le sue labbra non lasciarono mai il collo di lui. Ero disgustata, ma ormai ero abituata a vederli a tutte le feste. Bridgette si staccò da Goeff appena i suoi occhi incontrarono i miei.
“Courtney!” Cercò di urlare Bridgette per farsi sentire, si avvicinò e mi diede un abbraccio piuttosto imbarazzante. “Dove sei stata? E’ tutto il tempo che ti cerco!” Mi chiese.
“Ero in giro.” Risposi sorridendo. Non avevo mai detto a Bridgette dei miei riposini pomeridiani. Non penso sarebbe mai riuscita ad accettarlo senza prima dirmi di vedere un professionista. Ogni minima differenza tra la vecchia e la nuova me la terrorizzava a morte. Più di quanto avrei mai pensato. Voleva che ne parlassi con qualcuno, ma non mi sentivo nel bisogno di farlo. Cioè… Era quello che avrei dovuto fare con Laura, ma non ne volevo parlare neanche con lei.
Appena scesi definitivamente dalle scale vidi mia cugina ballare in mezzo al salotto circondata da alcuni ragazzi della scuola. Come il solito, aggiungerei. Non potevo dire che ad Andy non piacesse stare al centro dell’attenzione. Non mi preoccupai nemmeno di raggiungerla, era già abbastanza occupata. Le avrei parlato più tardi.
Un paio di ragazzi ubriachi cercarono di far ballare anche me, ma non mi ci volle tanto per mandarli via. Non riuscivo nemmeno a vedere l’orologio sulla parete, sembravano le undici. Il che significava che avevo dormito anche troppo.
Ero nel pieno vivo della festa, ma non riuscivo a entrare nell’umore per festeggiare. Era pieno di ragazzi e ragazze ubriache e questo non mi lasciava nemmeno un posto per starmene tranquilla a pensare quindi mi ritrovai a scavalcare la folla di gente per arrivare verso il giradino sul retro. Anche li era pieno di gente, ma almeno se ne stavano vicini all’entrata. Mi limitai a raggiungere l’altalena alla fine del giardino. Zio Rio la costruì per noi quando eravamo piccole, mio padre tolse la nostra così mio zio ne costruì una qui. Ci vollero mesi per ottenerla, ma alla fine ce la facemmo. L’abbiamo sfruttata a dovere direi, per sei anni, ogni volta che venivo qui. Ora la usano ancora le sorelle più piccole di Andy. Certo, era tutta arrugginita, le corde erano tutte rovinate, ma era come se non avesse mai perso la bellezza che aveva un tempo.
Mi sedetti per guardare la luna. Il cielo senza stelle sembrava ancora più grande. Mi ricordava di quella notte. L’ultima notte. Quella dell’incidente. Lo stesso cielo che ci accompagnò per il viaggio di ritorno. Riuscivo a sentire le lacrime scendere ogni volta in cui ci pensavo.
“Mi manchi.” Sussurrai quasi impercettibilmente. “Mi manchi più di qualsiasi altra cosa. Eri tutta la mia vita. Ti amo così tanto. Bridgette dice che dovrei andare avanti, che lo avresti voluto anche tu. Ma è davvero così?” Non sapevo se aspettarmi o no una risposta, ma non ne arrivò nessuna. Cercai di non concentrarmi sugli occhi che mi guardavano da dietro. “C’è questo ragazzo… non so dire se ti sarebbe piaciuto o no, ma una parte di me continua a pensare che sia stato tu a mandarlo. Per aiutarmi ad andare avanti.” Sospirai. “Sono così confusa.”
“Magari questo ragazzo vuole davvero aiutarti.” Non ero stupita quando Duncan si sedette sull’altalena di fianco alla mia. Ormai ero abituata al fatto che mi pedinasse tutto il giorno.
“Non credo.” Ammisi. “E’ così complicato. E ha già abbastanza problemi senza che si occupi anche di me.”
Riuscivo a vedere Duncan con la coda dell’occhio. La sua altalena era rivolta verso di me con le corde intrecciate su se stesse. Allungò le braccia verso di me costringendolo a guardarlo negli occhi.
“Credimi.” Quelle parole crearono un brivido che mi percorse tutta la schiena. “E’ così.” E mi baciò. Fu come un’esplosione di sensazioni ed emozioni che affioravano dai meandri più remoti del mio subconscio. Appena posò le sue labbra sulle mie era come se nulla fosse mai successo, mi sentivo… bene. Riuscivo a sentire un sapore strano, quasi metallico, era come una droga in quel momento. Non misi le braccia sul suo collo come avrei dovuto, mi limitai a tenerle ben salde sulle corde dell’altalena. Lui, invece, cercava di avvicinarmi a se tenendo le mai ai bordi dell’altalena.
*COSA STO FACENDO?!*
Mi staccai e Duncan non oppose resistenza. Si staccò dalla mia altalena, cosa che mi fece ruotare alla posizione di prima. Duncan fece lo stesso, ma non stava ridendo come me.
“Scusami.” Mormorò.
“E perché? Non baci così male.” Gli risposi presa da un impeto di confidenza. Mi girai di nuovo verso di lui, si stava mordendo il labbro inferiore mentre mi guardava con la coda dell’occhio. “Cosa c’è che non va?” Chiesi.
“Niente.” Mi rispose e io gli credetti. 


Angolo traduttrice: Eccomi di nuovo, scusate se ci ho messo più del solito a mettere il nuovo capitolo ma è maggio per tutti e sono piena di roba da studiare. Spero vi piaccia. ENJOY. :D

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Capitolo 10
*** The Awkward Day Later ***


Le cose si fecero imbarazzanti il giorno dopo la festa. Mi svegliai nel divano di mia zia, non riuscivo a tenere in piedi la testa. Andy era letteramente in coma sul pavimento. Dovevo aver cominciato a bere ad un certo punto della serata, quello era tutto ciò di cui mi ricordavo. L’unica cosa che sentivo adesso era il bruciore del mio stomaco ed un mal di testa terribile. Ma non fu quella la cosa più imbarazzante.
Mi girai con l’intenzione di guardare il soffitto, però la visione di questo era bloccata da una migliore.
“Hai bevuto parecchio ieri sera.” Mi disse Duncan. “Non pensavo nemmeno fosse umanamente possibile bere COSI’ tanto.”
“Non urlare.” Mugugnai nascondendo la testa sotto il cuscino. Almeno le tapparelle erano abbassate, il bagliore accecante del sole di mattina non non sarebbe stata una bella idea per me in questo momento.
“Dove tieni le pillole?” Riuscii ad avvertire il suo solito sorrisetto. Avevamo già parlato delle mie ‘medicine’ tempo fa.
“Di sopra, nell’armadietto vicino allo specchio.” Mormorai sotto il cuscino. Andy si mosse, ma non si svegliò. Duncan era andato a prendermi dell’antidolorifico, nell’attesa decisi di riaddormentarmi.
Fu una dormita senza sogni, ricoperta da quel velo di oscurità che tanto mi spaventava. Cercai di non farmi prendere dal panico, ma non feci altro che soccombere ancora di più alla paura che cresceva dentro di me.
“Courtney! Courtney!” Riuscivo a sentire il mio corpo muoversi e i miei occhi si aprirono all’istante. Vidi Duncan appollaiato di fianco a me tenendo un bicchiere d’acqua e una pillola in una mano.
“Hai avuto in incubo.” Mi spiegò. Io intanto mi ero già fiondata su qualsiasi cosa ci fosse nella sua mano nella speranza che mi facesse passare tutto il dolore, ormai esteso su tutto il corpo. Non era da me bere così tanto. Capitò forse una volta, ma poi non successe più. Non riuscivo a capire cosa mi aveva spinto a bere tanto. L’ultima cosa che ricordavo era la mia chiacchierata sull’altalena… con Duncan.
“Dove hai dormito ieri notte?” Chiesi, cercando di scacciare quel pensiero.
“Non sono uno che dorme molto.” Mi rispose, ma io ero già tornata a riflettere su quello che era successo ieri sera.
Per un attimo lo studiai con lo sguardo e lui fece lo stesso con me, entrambi aspettando che l’altro dicesse qualcosa. Non sapevo che dire. Cosa avrei potuto aggiungere? Ci eravamo baciati e dopo aveva avuto il piacere di guardarmi ubriacare tutta la sera. Non c’era nulla da dire. Riuscivo a sentire i sensi di colpa, di nuovo. Baciandolo gli avevo praticamante detto che mi piaceva. Però… è come se lo avesse ammesso anche lui. Più cercavo di ricordare, meno ci riuscivo, dannazione.
“Non far lavorare troppo gli ingranaggi li dentro.” Disse con un sorriso che mi fece salatare un battito o due. “A cosa stai pensando?”
“Cos’è successo ieri sera?”
“Beh, eravamo in giardino sull’altalena quando mi hai chiesto di ballare con te, così siamo tornati in casa dove ti sei bevuta tre o quattro drink di fila. Dopo una mezz’oretta ti sei messa a ballare e abbiamo pomiciato sul divano e per finire, dopo aver bevuto ancora, hai ballato di nuovo. …Finita la festa ti sei accasciata sul letto svenuta e tua cugina sul pavimento.”
Ascoltai ogni singola parola a bocca aperta. Non aveva ragione per mentirmi, ma faticavo a credere di poter essere capace di una cosa del genere.
“Se ti è di aiuto, non baci male neanche da ubriaca.” Gemetti disperata. “Di certo sai come usarla quella lingua.” Mi lasciai cadere di spalle sulla montagna di cuscini.
Non ricordavo ancora, ma la dettagliata spiegazione di Duncan mi fece ricordare la scena di me che prendo la sua mano per tornare dentro casa e di Geoff che mi allunga uno strano intruglio colorato. Devo aver ballato ancora peggio di come faccio di solito…non riuscivo nemmeno ad immaginare cosa pensasse Duncan di me adesso. E vedendo in che stato ero adesso non ero nemmeno certa di piacergli ancora. Però era qui, di fronte a me, ad assicurarsi che stessi bene. Magari gli piacevo ancora.
“Scusami.” Gli dissi. “Non so davvero cosa mi sia pres-“
Un altro bacio da Duncan Langielas. Bello come il primo. Non ricordavo il secondo, ma il primo e il terzo erano… incredibili. Duncan sembrava sapere esattamente quello che stava facendo, come se fosse programmato per far sembrare tutto così magnifico. Non sembrava molto esperto, ma il modo in cui premeva le sua labbra sulle miei mi mandava in estasi.
“A volte, vorrei solo che chiudessi quella bocca.” Mormorò con un sorriso appena ci separammo leggermente.
“Okay…” Risposi in un sussurro. I miei occhi erano saldamente chiusi e la mia mente era completamente inebriata. Stavo assaporando quel momento più che potevo. Ero sotto il suo incantesimo.
Apettai un momento, impegnata ad ascoltare il ticchettio del suo cuore-
“Perché il tuo cuore ticchetta?” Aprii gli occhi per guardarlo. Non sembrava turbato, come se fosse una domanda normalissima.
“Ho una patologia al cuore. Ho una macchina lì dentro per farlo funzionare.” Mi disse tranquillamente. “Le opzioni erano: la macchina o un’operazione per sostituirlo.” Avrei voluto annuire, scusarmi di nuovo. Per cosa, non lo so, ne sentivo solo il bisogno. “Ti da fastidio?”
“No.” Riposi sinceramente. “Ti rende speciale. Molto speciale.”
Duncan mi guardò di nuovo. Avevo la pelle d’oca, ma non ci feci caso. Era una bella sensazione. Ne avevo un disperato bisogno dopo tutto quello che avevo passato nei sei mesi precedenti. Duncan mi dava speranza. Mi piaceva. La speranza per ricominciare, per il futuro, che tutto si sarebbe sistemato.
All’improvviso sentii uno scricchiolio alle mie spalle. D’istinto mi allontanai da Duncan e mi girai per vedere Andy ingoiare due pillole bianche di antidolorifico.
“Oh, continuate continuate.” Borbottò sdraiandosi di nuovo per poi riaddormentarsi. Sorrisi sentendo dietro Duncan trattenere una risata.
“Dovrei tornare a casa.” Dissi mentre cercavo con lo sguardo qualcosa che mi appartenesse, ma i miei vestiti erano nell’armadio di Andy e il mio telefono nella tasca dei pantaloni. Era tutto quello che avevo.
L’orologio sulla parete segnava mezzogiorno passato. I miei genitori erano a lavorare da un pezzo, quindi a casa ci sarebbe stato solo Giorgio. Mi ci volle un po’ per realizzare che non avevo ancora visto Rile. Rile era il robot personale di Andy, doveva esaudire qualsiasi sua richiesta, che spesso concideva col fare i suoi compiti. Sarà disattivato da qualche parte aspettando che Andy lo attivi per fargli pulire tutto il disastro.
“Vuoi un passaggio?”
“No.” Risposi immediatamente. Duncan alzò un sopracciglio, ma non disse nulla. Sapeva già della mia fobia per le auto da quella volta a casa mia. “Pensavo che la tua auto fosse rotta, comunque.” Aggiunsi ribadendo quello che aveva detto sull’autobus.
“Ho chiesto a mio padre di venirmi a prendere quando sono andato a prenderti l’antidolorifico.” Rispose. “Sono sicuro che non gli darà fastidio dare un passaggio anche a te. Fa feddo sta mattina e non voglio vederti morire di freddo con addosso vestiti così striminziti.”  Mi guardai e mi accorsi di avere ancora i vestiti di Andy addosso. Ora capii cosa intendeva Duncan per ‘striminziti’. Almeno non è andato troppo nel dettaglio.
“Non fare il galantuomo.” Disse Andy dal pavimento. “Sembra un prostituta.” La sua faccia era ricoperta dal cuscino. Non sapevo nemmeno se respirasse li sotto.
“Non salgo sulle auto.” Gli risposi ignorando mia cugina.
Duncan fece per rispondermi, ma fu interrotto dal bussare sulla porta di ingresso, un sorriso comparve sulle sue labbra. Si alzò per andare ad aprire. Nonostante non fosse casa sua, Andy non era nelle condizioni per farlo. Lo seguii per infilarmi le scarpe che stavano sulle scale mentre apriva la porta.
Dietro la porta contro le mie aspettative non c’era il Professor Langiela. Al suo posto c’era un robot con addosso un cappello da Baseball. Non avevo mai visto un robot  indossare dei vestiti prima d’ora.
“Ugh, Steve.”
“Ugh, Duncan.” Rispose il robot. Ora la cosa si faceva strana.
“Dov’è papà?” Chiese mentre tese la mano verso di me per aiutarmi ad alzarmi. La afferrai, esistante, mi fidavo di lui.
“Sta lavorando.” Rispose Steve. “Ed ha mandato me.” Disse sventolando le chiavi, che Duncan afferrò con velocità.
“Andrai a casa a piedi, apri-lattine.” Io mi limitai a guardarli.  “Courtney, lascia che ti presenti Steve. Ricordi quando ti ho detto di avere più di un robot a casa? Ecco, Steve è uno di questi. Steve, lei è Courtney.”
“Quindi tu sei la famosa Courtney.”
“Non ascoltare quello che dice.” Disse subito Duncan.
“Ma-“ Tentò di replicare Steve.
“Zitto Steve.” Nessuno dei due era arrabbiato, si stavano solo punzecchiando, come due fratelli. “Sai mantenere un segreto?” Mi chiese Duncan, annuii. “Mio padre sta lavorando ad un nuovo tipo di robot. Un robot che è più umano rispetto agli altri. Ci lavora da tantissimo tempo e ormai lo sta solo perfezionando. Tuttavia, ha fatto dei prototipi, e Steve è il terz-“
“Il quarto.” Lo corresse Steve.
“Il quarto su una linea di sedici. “
Il mio cervello stava cercando di immagazzinare l’informazine appena ricevuta. Creare robot umani? Era assurdo. I robot dovevano essere... beh... robot. Ma guardando Steve realizzai che era possibile o addiritura reale. Mi venne il volta-stomaco.
“Andiamo, guiderò 20 km\h sotto i limiti e cercherò di prendere le strade meno trafficate possibili.” Almeno ci stava provando, ma appena la mia attenzione si rivolse da Steve alla macchina cominciai a impazzire. Quella era una Lamado 9x2. Una delle migliori auto mai prodotte, ed una delle più costose in assoluto. Ero piuttosto sorpresa che Duncan potesse guidarne una. Ero sorpresa anche solo del fatto che io stavo per salirci.
Una voce nella mia testa mi sussurrava: ‘Non aver paura.’. E mi piaceva pensare che fosse Trent a farmi coraggio.
“Non aver paura.” Disse Duncan, come se mi leggesse nel pensiero. Salii sul sedile dell’auto e sentii un’ondata di adrenalina scorrere nelle mie vene. Ero elettrizzata e allo stesso tempo terrorizzata.
Duncan si sedette sul sedile del guidatore rivolgendomi un sorriso rassicurante. Feci un bel respiro non appena Duncan diede vita all’auto schiacciando un paio di bottoni. Mi tese nuovamente la mano che afferrai senza pensarci due volte. Ero davvero troppo nervosa.
“Ti prego, metti il pilota automatico.” Trent non lo metteva mai, e non avevo la minima intenzione di ripetere l’esperienza. E così fece, premette un altro bottone per poi appoggiare la schiena sullo schienale. Mi sentivo molto meglio.
La macchina cominciò a muoversi e i miei occhi si chiusero istintivamente. “Distraimi.” Lo implorai. Non volevo pensare alla mia situazione. “Come vanno le cose con Steve?”
“Beh, hai presente come tu odi i robot? Beh, io odio Steve.” Il suono della voce di Duncan mi rilassò. “Da quando ci siamo presentati l’unica cosa che ha fatto è stata venirmi a prendere.”
“Come mai ha chiamato tuo padre ‘papà’?”
“Mio padre crea i suo robot come se fossere suoi suoi figli. Ha sempre voluto una famiglia numerosa.”
“E tu e tuo fratello?”
“Ci vuole bene, credo. Ma ama anche i suoi robot. Ad Antoin sta bene. Ma Io- Io a volte sono invidioso nei loro confronti.” Questa era nuova. “Mio padre si preoccupa tanto di creare nuovi figli spesso dimenticandosi degli altri.”
“I miei genitori mi mettono sempre in secondo piano.” Quelle parole uscirono dal nulla. Non lo avevo mai detto ad alta voce. “Il loro lavoro viene sempre prima di tutto. Non si preoccupano molto per me, ormai c’è Giorgio che lo fa. Finchè non mi bocciano, non sono un problema.”
“Non stavi rischiando quest’anno?”
“Ma era diverso.”
“Parlamene.”
“No… Non finchè sono in questa trappola mortale.”
“La trappola mortale è ferma da ben 4 minuti.”
Aprii un occhio solo, non mi fidavo. Eravamo parcheggiati fuori casa mia. Non me n’ero accorta. Non mi interessava se ero riuscita a non pensare alla macchina in movimento o semplicemente era piacevole parlare con Duncan. Tutto quello che mi importava era che ero riuscita a sopravvivere al mio primo viaggio in auto dall’incidente.
“Mi piaci davvero tanto.” Mi surrurrò Duncan. Le mie guance dovevano aver preso una nuova tonalità in quel momento.
“Mi piaci anche tu.” Risposi con la stessa tranquillità. Non ero ancora sicura cosa si intedesse per ‘piacere’ comunque.
“Ci vediamo lunedì?” Mi chiese.
“Ci vediamo lunedì.” Risposi sorridendo. 


Angolo Traduttrice: Adoro questo capitolo, le 3 ore e mezza di traduzione meglio spese della mia vita, lol. Spero vi piaccia. ENJOY :D

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Capitolo 11
*** Obstacles ***


Bridgette venne a trovarmi la domenica. I miei erano fuori casa da prima delle otto e io ne approfittai per far venire Bridgette subito dopo mezzogiorno, dopo la messa. Bridgette non era molto religiosa, se no non starebbe con uno come Geoff, ma i suoi genitori si. Ci andai anch’io con loro una volta. Non mi piaque per niente. Non sono una che crede in Dio, credo più nel destino.
“Beh, io e Geoff stavamo dormendo nella camera di Andy.” Continuò a spiegarmi. “Ma appena ci siamo alzati Andy ci ha detto che te n’eri già andata con… Duncan.” Cercò di dirmi usando più tatto possibile mentre ci sedemmo a gambe incrociate sul mio letto. Non voleva mettere il dito sulla piaga, anche se non ce n’era nessuna in realtà.
“Bridgette, sono salita su una macchi-“ Non ebbi nemmeno il tempo di finire la frase che Bridgette mi era già addosso stringendomi in un abbraccio. Continuava a dire di essere fiera di me… mi fece sorridere. “Lo so, ero scioccata. Duncan mi ha riportato a casa e io ho tenuto gli occhi chiusi per tutto il tragitto. Il tempo non passava mai, ma ce l’ho fatta, sono stata in una macchina per ben dieci minuti.”
“Sono così fiera di te Courtney. Anche Trent sarebbe fiero. Stai migliorando a vista d’occhio!” Al solo menzionare di Trent la mia vista si annebbiò. Era stupido considerarlo ancora il mio ragazzo. Era morto, e non sarebbe più ritornato. Solo non riuscivo ad accettarlo. Non ci eravamo mai veramente lasciati… lui era ancora il mio ragazzo. Mi sentivo come se lo stessi tradendo con Duncan. Ero così confusa. Quando stavo con il mio nuovo e misterioso ragazzo, mi stentivo bene. Era come se tutto tornasse alla normalità. Ma appena mi ritrovavo da sola tornavano i sensi di colpa.
“Cosa c’è?”
“L’ho-l’ho baciato.” Confessai.
“LO HAI BACIATO?!”
“Tre volte.”
“TRE VOLTE.” Bridgette era completamente a bocca aperta. Non riusciva a trovare le parole per espirimersi. Nemmeno io riuscivo a capacitarmi del fatto di averglielo permesso.
Non riuscivo a capire cosa stesse frullando nella testa di Bridgette. Sapeva meglio di me che non avrei mai lasciato andare Trent. Mai.
Aspettai in silenzio che Bridgette immagazzinasse le informazioni. Cercai di indovinare a cosa stesse pensando, ma alla fin fine niente di tutto questo era un gioco, così mi limitai a svuotare la mente… cosa starà facendo Duncan adesso? Immediatamente capii che avevo abbassato la guardia, ancora, Duncan si era impossessato nuovamente dei miei pensieri. Non volevo stesse li, quello spazio apparteneva al mio ragazzo, ma per quanto provassi a cacciarlo da lì i miei sforzi si rivelavano inutili. Era come se fosse incastrato.
“Stai ancora pensando a Trent?” Cercò di chiedermi Bridgette, senza più quel velo di autocontrollo.
“Penso a tutti e due.”
“Ricorda quello che ti ho detto; Trent avrebbe voluto vederti felice. Avrebbe voluto che andassi vanti con la tua vita.” E lo pensava davvero, anche sta volta. Bridgette conosceva Trent bene quanto me. Lo avevamo conosciuto lo stesso giorno. Il giorno in cui Geoff tirò sbadatamente la palla da football fuori dal campo che mi colpì in testa. Ancora oggi non sappiamo se quel tiro fosse il più lungo mai fatto. Comunque fu proprio quel martedì del primo anno in cui sia io che Bridgette conoscemmo i nostri ragazzi. Diventammo un bel gruppetto da quattro, poi ci allargammo ed entrarono tutte quelle persone che oggi ho l’onore di chiamare ‘amici’.
“Lui ti piace? Ma tanto-tanto?” Era così? Credo proprio di si. Non c’era altra spergazione ai miei pensieri costantemente incentrati su di lui. Mi piaceva davvero tanto.
“Si Bridgette, mi piace molto.” Ed era la verità.
La mia testa era pronta ad esplodere per tutta la durata della giornata. Dopo la chiacchierata ci eravamo guardate un film mentre Giorgio ci portava man mano degli snack, ma la mia testa era altrove. Tutto quello che volevo era stare con Duncan. Mi mancavano le nostre convesazioni, e come le sue labbra si posavano sulle mi-.
Speravo che Trent stesse sorridendo a tutto questo. Non volevo che Trent si arrabbiasse perché mi vedevo con Duncan (non che stessimo uscendo ufficialmente). Volevo fosse felice quasi come volevo esserlo finalmente anch’io. Volevo sapesse quanto mi mancava e che sarebbe stato sempre parte di me. Ma Bridgette aveva ragione, dovevo ricominciare.
Appena Bridgette se ne andò accesi il computer. Non che non mi piacesse la compagnia della mia migliore amica, volevo solo un altro tipo di compagnia adesso. Aprii subito Facebook e, a mia sorpresa, era online.
D: Hey.
E voleva parlare. Ero di buon umore quindi mi permisi di prenderlo un po’ in giro ripagandolo con la stessa moneta.
C: Ma come? Niente smile?
D: :D :D :D
C: Molto meglio. :P
Colsi l’occasione per sbirciare ancora il suo profilo. Non era cambiato quasi niente. Alcuni scienziati avevano postato qualcosa sul suo diario, ma non riuscivo a capire cosa stessero dicendo.
D: Che fai?
C: Niente di che, sto solo stalkerando il tuo profilo.
D: Almeno sei onesta.
C: E’ noioso.
D: Troppo onesta.
Stavo sorridendo e sapevo che stava sorridendo anche lui.
C: Tu che fai?
D: Cerco di non uccidere Steve.
C: Salutamelo.
D: Ti saluta anche lui.
C: Come mai vuoi ucciderlo?
D: Credo mi abbia rotto un dito.
C: MA E’ TERRIBILE!
D: Lo so.
Non riuscivo a capire se fosse serio o no. Normalmente se qualcuno mi dicesse una cosa del genere penserei subito ad uno scherzo. I robot non potevano far male agli umani. Ma conoscendo Duncan e avendo conosciuto Steve, non ero più molto convinta.
Stavo giusto per rispondere a Duncan quando la chat di Andy spuntò all’improvviso.
A: Indovina.
C: Cosa?
A: ALEJANDRO MI HA CHIESTO DI USCIRE DI NUOVO!
Appena vidi il ‘di nuovo’ alzai gli occhi al cielo. Era come se lo avesse rifiutato, ma lui non fosse intenzionato ad arrendersi. Non era proprio così. Quel ‘di nuovo’ significava che Alejandro aveva ‘di nuovo’ bisogno di qualcuno per fargli compagnia e non solo. E mia cugina ci sarebbe cascata. Di nuovo. Era la sedicesima volta ormai in tre anni.
C: E’ uno stronzo!
Cercai di ricordare ad Andy quanto l’ha ferita, ma sembrava troppo presa per rendersene conto.
A: E’ cambiato.
C: Come la scorsa volta.
A: Ma questa volta è per davvero! E’ una persona nuova, Court. Non puoi essere felice per me?
Alzai di nuovo gli occhi al cielo. Felice per lei? Mi stava prendendo in giro?
C: Sono felice per te. Ora devo andare, sto parlando con Duncan.
A: Anch’io sono felice per te. Ciaoooo :D xx
Ancora prima di poter contestare qualsiasi idea si fosse fatta, uscì.
D: Sei ancora viva?
C: Scusami, Andy ha appena deciso di parlarmi di quell’idiota del suo fidanzato.
D: E’ proprio così male?
C: Come farsi sbranare da un gruppo di leoni.
D: Capisco…
Non sapevo esattamente cosa rispondere. Stavamo solo parlando, ma prima o poi avremmo dovuto affrontare la realtà.
C: Penso che dovremmo parlare.
D: Pensavo lo stessimo già facendo.
C: Intendo della festa.
Ora era il suo turno. Sapevo anche non era facile parlarne, ma avremmo dovuto affrontare la cosa prima o poi.
D: Okay. Mi piaci. Mi piaci davvero tanto. So che hai parecchi scheletri in un armadio che ti rifiuti di aprire e condividere con me, ma va bene, ti accetto per quello che sei se tu accetterai me per quello che sono. Mi rendi nervoso. Non ho mai avuto una ragazza prima d’ora e, a dire la verità, quello di ieri sull’altalena era il mio primo bacio. Voglio solo farti sapere ti vedo come una persona fantastica, non importa cosa provi per me.
Beh, sarebbe stato imbarazzante se non mi fosse piaciuto anche lui.
C: Mi piaci anche tu. Un giorno troverò il coraggio per aprire il mio armadio e finalmente potrò condividere con te la mia storia. Ti accetto per come sei, socialmente imbarazzante, super fastidioso e ticchettante. Mi rendi nervosa anche tu, non so mai come mi sento quando ci sei. Ho avuto solo un ragazzo prima di adesso e, da quanto sai, non è andata molto bene. Anche tu sei fantastico e credimi i ricambio tutto quello che provi.
Mi ci volle un bel po’ di coraggio, ma alla fine confessai. Doveva sapere come mi sentivo.
D: Vuoi essere la mia ragazza?
C: Si. :D
 
 

Angolo Traduttrice: Buona sera a tutti! Ecco il nuovo capitolo. Spero vi piaccia. 
Una cosa che non condivido di questo capitolo è come si siano messi insieme su Facebook, lol.
Però non importa, buona lettura a tutti! ENJOY :D 

 

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