In società

di Mannu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


In società
1.

Sgusciò non visto tra la folla del grande atrio. Non intendeva destare l'attenzione quindi passò ben alla larga dalla reception riservata ai VIP. Ma non riuscì a fare nulla per evitare il direttore del ristorante a sei stelle del ventesimo piano: fu intercettato a pochi metri dalla salvezza, rappresentata dall'ascensore secondario.
- Signor Valdemort! Che sorpresa! Come sta? Tutto bene mi auguro! La vedo in splendida forma.
Accennò una risposta di cortesia: conosceva i modi del direttore Welder. Gioviale e affabile per mestiere, non gli avrebbe dato tregua fino all'esaurimento dei suoi soliti argomenti. Essendo un uomo molto orientato agli affari, essi non potevano che riguardare il lussuosissimo ristorante di cui era responsabile.
- Sono molto contento di vederla! - si avvicinò sorridendo, le spalle larghe e squadrate rese ancora più geometriche dalla giacca di sartoria, di un taglio un po' passato di moda. Un dettaglio perdonabile dato che era nuova di zecca e realizzata con veri filati naturali, non robaccia sintetica. Welder poi non era tipo da trascurare nulla: fingendo di aggiustarsi i polsini della camicia candida che indossava sotto la giacca dell'abito grigio cenere, ostentò due abbaglianti gemelli.
- Ma che maleducato sono a non informarmi riguardo la deliziosa signora Hoshi!
Sfruttò la breve pausa nel torrente di parole per tranquillizzarlo: la deliziosa signora stava benone.
- Ne sono felice! Vede, signor Valdemort, proprio l'altro giorno pensavo a lei e alla sua raffinata signora. Infatti io e il mio chef abbiamo messo a punto un interessantissimo menù con sushi, sashimi...
Welder andò avanti decantando tutte le nuove raffinatezze che il suo ristorante offriva, ideati appositamente per il piacere di lui solo. E della deliziosa signora, ovviamente. Non si fermò fino a quando non gli ebbe strappata la promessa che sarebbe andato a trovarlo per provare il nuovo menù thai-cino-giapponese. Finalmente l'ascensore secondario giunse in suo soccorso, anche se con ritardo.
Fortunatamente non vi era nessuno nella cabina e poté riafferrare il flusso dei suoi pensieri interrotti dal chiassoso direttore. Lui e il suo ristorante... tante cerimonie per cosa? Per poter battere con stile conti da capogiro ai clienti? Si strinse nelle spalle con un movimento quasi impercettibile anche se era completamente solo. Che seccatura. Ma alla “deliziosa signora” piaceva da matti atteggiarsi e quindi trovava in Welder una sponda perfetta. E infatti quel cicisbeo da ristorante l'adorava. Si scoprì a sperare che non esagerasse stavolta: non solo non era sicuro di poterla sopportare, ma avrebbe potuto essere potenzialmente dannoso per il lavoro.
L'ascensore lo portò senza fermate intermedie fino all'attico dove aveva la suite. La direzione dell'albergo era stata molto sollecita a esaudire le sue richieste e a riconfigurare l'ampio e lussuoso locale secondo i parametri che lui stesso aveva fornito. Come suo solito o, per meglio dire, come abitudine del signor Valdemort la maggior parte dell'arredamento era stato smontato e rimosso per far posto a un ampio tatami da allenamento, alcuni attrezzi ginnici, un bel futon, un paravento decorato e poco altro.
Chiusa la porta dietro di sé non perse tempo in sciocchezze: nonostante l'ora tarda si mise subito al lavoro. Aprì una valigia metallica dagli spigoli arrotondati, una di quelle valigie spesso utilizzate per il trasporto di materiale fotografico. Odorava ancora di nuovo. Un profano aprendola vi avrebbe trovato proprio ciò che chiunque si sarebbe aspettato: un grosso teleobiettivo digitale, un corpo macchina con dorso rimovibile, un cavalletto con la testa pesante e diversi accessori. Solo un esperto avrebbe riconosciuto i componenti di un sofisticato sistema di osservazione. Reso ancora più complesso da modifiche che forse nemmeno il progettista avrebbe immaginato.
Aprì il cavalletto assicurandosi che rimanesse bloccato in posizione; vi installò il pesante obiettivo digitale che combinava in sé il meglio dell'ottica in fatto di lenti e il meglio della tecnologia digitale in fatto di correzione delle aberrazioni e di eliminazione di ogni possibile difetto. Poi installò il corpo della macchina agganciandolo alla flangia del teleobiettivo e rimosse il dorso. Nonostante fosse il meglio sul mercato in termini di risoluzione e resa dell'immagine, il sensore non raggiungeva lo standard richiesto da quel lavoro. Installò quindi un sensore militare da lui stesso modificato: un lavoro lungo e delicato che richiese tutta l'attenzione e la pazienza possibili. Una sola manovra sbagliata e avrebbe compromesso il sensore, estratto da un'apparecchiatura militare e ora estremamente vulnerabile.
Lavorando nel silenzio più totale riuscì nell'impresa, ma non senza fatica. Restava ora la parte più facile: collegare tutto al computer. Estrasse da un'altra borsa il computer portatile e, connesso al potente strumento di osservazione appena assemblato con diversi cavi, cominciò a configurare il software. Lavorò senza soste per un'ora: tarò lo strumento, regolò l'ottica, configurò il controllo remoto dal computer, calibrò il software. Fu faticoso ma alla fine ebbe ciò per cui aveva lavorato: uno strumento di sorveglianza capace di individuare e riconoscere un viso anche a mille metri di distanza, facendosi beffe delle finestre polarizzate, mantenendo la possibilità di errore così bassa da poter essere scartata senza troppe preoccupazioni. Guardò il telemetro, un dato che il sensore militare passava al software del computer attraverso una delle connessioni. Ottocentoquarantasette metri al suo bersaglio: un curvo palazzo scintillante di vetri riflettenti che, da quel privilegiato punto di osservazione, si offriva per intero nella sua luccicante magnificenza. Il che significava centinaia di finestre a cui il suo uomo avrebbe potuto affacciarsi, anche solo per un secondo. Ridurre quel numero era la seconda parte del piano. Dalla tastiera olografica del computer portatile digitò i comandi che attivavano il controllo dello zoom ed eseguì delle ricognizioni di prova. Il potente teleobiettivo controllato elettronicamente non ebbe alcun problema a farlo entrare in locali vuoti e bui quasi come se fosse appeso fuori dalla finestra, poté sbirciare in stanze da letto dove gli occupanti dormivano immobili, in altre trovò gente seduta al tavolo da lavoro o intenta a telefonare. Vide gente che entrava e usciva dal bagno nelle più diverse condizioni e, come se quello fosse un limite da non valicare, fu allora che decise di avviare il programma di scansione che avrebbe lasciato in esecuzione permanentemente.
Aveva trascorso dieci minuti osservando il sistema in azione quando sentì la porta aprirsi.
- Tesorooo... sono arrivata!
Alzò gli occhi al soffitto. Sempre sopra le righe, la rimproverò ancora prima di vederla. L'ultima volta si era divertita a fare l'eccentrica riccona cui piace vestirsi da stracciona. L'aveva avvisata che quel lavoro andava fatto con la massima discrezione e che stavolta non voleva pagliacciate.
Si alzò in piedi e si voltò verso l'ingresso, già pensando alle parole migliori per rimproverarla senza urtarla troppo, affinché capisse che non lo faceva solo per pignoleria, ma perché era davvero importante per il lavoro.
Tutti i rimproveri gli morirono in gola.
Era elegantissima. Dimostrando buon gusto e anche una certa raffinatezza era riuscita a vestirsi davvero bene. Riconobbe costosi abiti su misura e accessori del tutto all'altezza, ben scelti e coordinati. Si immaginò i salti mortali che il sarto aveva dovuto fare per trasformare una muscolosa ragazzona alta due metri nella creatura che aveva di fronte, più simile a un'indossatrice avvezza alla passerella e ai lampi dei flash piuttosto che alle risse e alle fiammate delle armi.
- Tesoro, chiudi la bocca o entreranno le mosche – cantilenò quella, atteggiandosi a diva. Entrò percorrendo con lunghe falcate feline lo spazio vuoto dal disimpegno dell'ingresso al lussuoso divano.
- Ti piaccio? - continuò a parlare in falsetto e si sedette con grazia insospettabile – Ho speso troppo, caro? A proposito, quei quattro soldi che mi hai dato sono bastati a malapena per l'estetista. Già che c'ero mi sono fatta l'epilazione permanente... sai ero in dubbio se sgomberare anche tutta l'area del parco giochi quaggiù o se lasciar stare. Alla fine ho optato per una tosatina e basta, spero non ti dispiaccia.
Ecco, ora la riconosceva. Sapeva che era solo questione di tempo e Nadia sarebbe venuta a galla.

Terminato l'ultimo esercizio assunse la posizione del loto sul tatami e chiuse gli occhi.
Si rilassò profondamente nel silenzio, lasciando riposare il corpo ed estendendo le proprie percezioni tutto intorno. Lasciò il respiro fluire dentro e fuori di lui senza tentare di domarlo o controllarlo, libero come i suoi pensieri. Arrivò a percepire il debole soffio dell'aria condizionata prima con le orecchie e poi sulla pelle, il lento scivolare dell'alito sul labbro superiore. Si immerse ancora più in fondo, dentro se stesso, dentro i suoi pensieri, annullando il proprio corpo di carne fino a percepire il pigro pulsare del cuore artificiale, il respiro regolare e sottile di Nadia addormentata dietro il paravento che suonava come un pieno d'orchestra.
Il frusciare delle lenzuola fu come accendere la televisione a tutto volume. A occhi chiusi poteva vedere ogni movimento, lo deduceva dai rumori assordanti che le sue orecchie riuscivano a percepire. Piedi e mani strusciati sulle lenzuola, il lungo corpo di donna che si rotolava sul futon, uno sbadiglio soffocato come il rumore di un aerogrifo a bassa quota.
Passi di piedi scalzi diretti verso di lui, felpati. Giù dal tappeto, lieve scalpicciare sul parquet, fruscianti sul tatami. Fracassona come suo solito lo strappò dalla profonda concentrazione raggiunta con l'esercizio fisico prima e la meditazione poi. Non poté fare a meno di concentrarsi su di lei: le orecchie piene di ogni movimento gli dicevano che ora si era accomodata davanti a lui imitando la sua posizione.
- Om, Karman... mi senti? Sono il tuo stomaco, e sono vuooooto...
Irriverente e anche un po' sciocca, Nadia conserva la capacità di stupirmi con i suoi scherzi bambineschi, pensò Karman. Inconsciamente aveva contato meno di cinque secondi da quando la giovane era uscita dall'ultima fase del sonno a quando si era alzata dal giaciglio perfettamente sveglia.
- Te l'ho mai detto che adoro fare la signora Valdemort? Mi piace da matti fare finta di essere tua moglie. Non mi sposeresti davvero?
Karman salutò l'ultimo brandello di concentrazione cui si era disperatamente attaccato. Nadia non aveva alcuna intenzione di lasciarlo in pace. Aprì gli occhi: esattamente come le orecchie avevano sentito, Nadia era seduta in una discutibile posizione del loto a pochi centimetri di fronte a lui e sorrideva soddisfatta. Non aveva perso tempo a vestirsi.
- Karman, devo dirti una cosa – anche se sembrava divenuta seria di colpo, sapeva bene che non poteva fidarsi.
- Sei bruttino: anche se hai un fisico da paura, ce l'hai piccolo. Mi piace la cicatrice che hai sul petto: sembra che per impiantarti il cuore abbiano usato un frullatore. Ma hai un carattere del cazzo, anzi a volte sei proprio stronzo. Sei pignolo, antipatico, freddo e attaccato al lavoro fino all'ossessione. E stai perdendo i capelli.
La pausa a effetto trovò Karman che restituiva paziente a Nadia il suo sguardo duro e serio.
- La cosa peggiore di tutte è che mi ignori. Anzi, no. La peggiore è che io ti penso. Penso solo a te: tutto il giorno, tutti i giorni. Voglio te e tu mi respingi. Respingi le mie avance da quello stronzo che sei. Ti devo pregare in ginocchio per fare un po' di sesso. Dico io, non c'è bisogno di sposarsi o fidanzarsi per fare un po' di sesso tra adulti, no? Che ti costa?
Altra pausa. Incuriosito, Karman attese in silenzio che riprendesse. Quella volta sembrava intenzionata a concludere la rimostranza in modo diverso dal solito.
- Beh? Che hai da dire a tua discolpa?
Lasciò passare qualche secondo poi suggerì che effettivamente avrebbe apprezzato una robusta colazione prima di mettersi al lavoro.
- Prima nutri il mio spirito, stronzo – Nadia sporse le labbra verso di lui e gli impedì di alzarsi dal tatami finché Karman non vi posò le proprie.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


In società
2.

Il ricevimento procedeva benissimo: tutti gli invitati parevano a proprio agio. Aveva già fatto cento volte il giro della sala sforzandosi di sorridere a tutti, di scambiare qualche parola fingendo di interessarsi agli argomenti più disparati. Aveva salvato nel suo impianto tutte le informazioni che era riuscita a trovare su ciascuno dei presenti: ciò rendeva il suo lavoro più facile, ma non per questo più divertente. Era da quasi mezzora che galleggiava alla deriva nella folla degli invitati fingendo l’espressione più beata possibile senza sconfinare nell’idiozia, ricambiando tutti i sorrisi finti che le venivano rivolti con altrettanta finzione. Unica parziale consolazione un calice di fresco e costoso spumante, vivace e frizzante, di cui però poteva solo sentire il sapore. L’impianto cibernetico che le era stato innestato sotto i lobi del fegato, un congegno non più grande di un comune rossetto, impediva ad alcol e droghe di annebbiarle il cervello e danneggiarle il curatissimo fisico. Avrebbe potuto bere superalcolici a litri e farsi di pasticche fino all’inverosimile senza subire alcuna conseguenza, ma costringendosi a fingere l’ebbrezza per non risultare antipatica. Cosa che nel suo ruolo di mediatrice le era categoricamente proibita.
- Tutto bene, Hanna?
La domanda la colse alla sprovvista. Non aveva sentito arrivare la padrona di casa: nonostante i tacchi appuntiti la megera si muoveva come un felino. Aveva raccolto interessanti informazioni anche su di lei, informazioni che andavano oltre il semplice pettegolezzo: era intenzionata a farne uso solo se strettamente necessario, ed eventualmente solo dopo essere stata retribuita per il lavoro di quella sera. Oppure, come le era capitato in passato, proprio per garantirsi una retribuzione.
Hanna si riprese subito dall’istante di smarrimento: indossò lesta un bel sorriso standard e un po’ di faccia tosta. Nessuno avrebbe notato quell’istante di noia, meno di tutti la strega che le sorrideva falsa e mielosa a un passo di distanza: aveva problemi di cataratta a un occhio e il bicchiere di spumante che teneva fra le dita ossute e grinzose era già il terzo in meno di un’ora. Profumava troppo, e di un'essenza troppo dolce. Bastava quello a infastidirla.
- Benissimo, signora Ghettmann. Proprio un bel ricevimento, complimenti.
Esattamente come Hanna si era immaginata non era di complimenti che la signora Ghettmann era in cerca. Era la vedova dell’industriale Adolf Ghettmann e alla morte del marito ne aveva ereditato il piccolo impero. Produttore di armi leggere, Ghettmann aveva lasciato la sua vedova quasi coperta d’oro, ma questa non si era certo fermata a godersi il denaro che il lavoro del marito avrebbe prodotto per inerzia probabilmente per decine di anni ancora.
Fu interrogata riguardo gli invitati: la vedova additando con molta discrezione ora questo ora quello, Hanna rispondendo con competenza e precisione. Era il suo lavoro.
- Quello - continuò dopo che la vedova ebbe puntato un’affusolata unghia laccata di nero lucido contro un modesto uomo dalla pelle del colore del caffè - è Robert Ndama, accreditato di possedere alcuni stabilimenti produttivi su Prometeo, qualcuno anche su Vulcano e di possedere azioni di banche con interessi su Icaro e su un paio di stazioni Mu. Un ottimo partito nonostante l’aspetto poco appariscente.
- E cosa mi dici di quel bell’imbusto laggiù?
- Lei ha occhio, signora - mentì Hanna - quello è Johnathan Darp, con tutta probabilità un semplice arrivista che di certo ha solo i debiti. È stato più volte visto perdere grosse cifre al casinò e posso dirle che circolano brutte voci sul suo conto. Soprattutto si agita molto per sembrare ciò che non è. Ha tentato per ben due volte in mezzora di arpionare Luther Ethan Jones, ma senza risultati.
- Mia cara - cinguettò la vedova fasciata in abiti costosi e troppo scollati per la sua età cingendole per un attimo il polso con mano adunca - vali ogni singolo credito della tua parcella. Continua, ti prego. Che accade laggiù?
Senza additare nessuno in particolare la signora Ghettmann si volse verso la vetrata panoramica: metri e metri quadrati di estensione, una vera e propria parete trasparente che si apriva sull'orizzonte cilindrico della Stazione e rendeva quel posto davvero entusiasmante. Ampi gradini sagomati come onde portavano a una zona rialzata del locale che seguiva l’andamento curvilineo della vetrata. Nel punto dove la curva si protendeva maggiormente verso l’esterno si era formato un capannello di persone intente a chiacchierare, ridere e bere insieme.
- Ah, quella... - esordì Hanna freddamente - Quella è Hoshi Nakano, rampante moglie di Eric Valdemort, un piccolo industriale di poco conto. Pare abbia la scollatura più profonda di tutta la sala, al momento. Anche se ben poco seno da esibire.
- Due mezze tacche, mi pare di capire - commentò acida la vedova sorseggiando altro vino.
- Direi di sì - Hanna era rimasta solo un po’ sorpresa dalla facilità con cui aveva trovato scarne informazioni sulla bionda e torreggiante Nakano e ancora meno sul marito. Parevano davvero due mezze tacche, ma danarosi abbastanza da permettersi la costosa paranoia della privacy. Poche le immagini della moglie disponibili in Rete, nessuna di Eric Valdemort. Quest'ultimo era quindi un bel bersaglio per lei.
- Ti spiace andare a controllare che non succeda nulla di sconveniente laggiù? Voglio sapere chi sta regalando attenzioni a quella svampita spilungona bionda dal balordo nome giapponese. Voglio sapere se qualcuno semina zizzania a casa mia, soprattutto.
Effettivamente c’erano due o tre nomi importanti nel piccolo nugolo di curiosi intorno alla Nakano. Hanna espresse il suo assenso con un piccolo inchino e si congedò dalla vedova. Ecco una parte del suo lavoro che non le piaceva affatto. Non aveva alcun interesse per i fenomeni da baraccone come quella bionda dagli occhi a mandorla che, non contenta di superare i due metri per natura, calzava vertiginosi sandali dai tacchi a spillo. Contrariamente a molte esibizioniste però dimostrava buon gusto: l’abito era di finissima fattura, realizzato senza dubbio su misura da una nota sartoria e la generosa porzione di petto visibile dalla scollatura a V da capogiro era ampiamente coperta da sciarpe di veli dai colori indovinati e intonatissimi ai gioielli che la donna portava. Veli che creavano un seducente effetto vedo-non vedo i cui risultati erano palesi: Hanna dovette letteralmente sgattaiolare tra spalle e schiene maschili erte come pareti, ma anche alcune femminili prima di giungere a portata d’orecchio.
Ne approfittò per mettere a frutto i suoi innesti: memorizzò nel suo impianto modificato volti e nomi più che poté. La piccola CPU biologica che aveva nella testa cominciò a elaborare, inesorabile. Dopo pochi minuti le arrivarono i primi risultati: apparentemente aveva sopravvalutato la Nakano. Intorno a lei c’erano soprattutto mezze tacche del suo stesso livello, un solo pesce più grosso davvero interessante che la osservava divertito e un noto ladro che attendeva il momento migliore per sfilare gioielli con la destrezza che lo caratterizzava: collana, orecchini, anelli e una spilla discreta ma preziosa appuntata tra lo scarno seno e la spalla. Hanna con un impercettibile movimento della mascella attivò il suo impianto di comunicazione modificato per poter chiamare oltre che ricevere e avvisò la sicurezza. Pochi minuti dopo, con la massima discrezione e senza che nessuno si rendesse conto di nulla, il ladro fu intercettato e accompagnato fuori vista. Hanna ringraziò i suoi impianti cibernetici grazie ai quali poteva identificare un volto in pochi secondi. Le bastava averlo già visto almeno una volta in precedenza. Ovviamente avrebbe fatturato a parte l’intercettazione del ladro: la sicurezza non rientrava tra i suoi compiti.
- ...ma questo non è mio marito!
Lo scoppio di risa fu ben controllato ma evidente. Incredibile a dirsi quella gente, banchieri, industriali, investitori, azionisti di maggioranza e presidenti di società danarose a volte perfino molto note si stavano intrattenendo raccontandosi a vicenda barzellette idiote. Molte mani sorreggevano calici di vino o cocktail profumati di frutta e alcol, ma per Hanna non era una scusa sufficiente. Non c’erano molti nuovi ricchi lì intorno, tranne forse il misterioso e spregiudicato Luther Ethan Jones, uno che aveva mostrato di sapere molto bene come costruire la propria fortuna usando ossa altrui. E quando non vi erano cadaveri in giro, Jones era in grado di trovarne uno fresco e conveniente da disossare. Apparso dal nulla un paio di anni prima, era salito alla ribalta della cronaca finanziaria grazie a una pericolosa ma riuscita speculazione che gli aveva fruttato denaro e una certa notorietà. Di quella pericolosa però: c'era un buon numero di persone, alcune anche a quel ricevimento, che l'avrebbero affondato volentieri. Anche lui era nell'orbita di Hoshi Nakano, sebbene più in disparte.
Dovette riconoscere alla nippo-valchiria una certa abilità, una miscela tra grazia e sfacciataggine che la rendeva interessante. E irresistibile per molti: gli uomini non le toglievano gli occhi di dosso e alcuni, i più avventati o i meno esperti forse, arrivavano a pavoneggiarsi davanti a lei nei modi più diversi, incluso gonfiando il torace e i bicipiti. Probabilmente la Nakano era ben consapevole di ciò e, sebbene con molta discrezione e abilità, conduceva lei il gruppetto comandandolo a bacchetta. Brava a spostare continuamente l’attenzione sempre su una persona diversa, ma la vera protagonista era lei. Hanna aveva fatto dello studio del comportamento delle persone il proprio mestiere e dopo pochi minuti di osservazione non ebbe dubbi: era Hoshi Nakano il capo indiscusso del branco.
- Brava, vero?
Per la seconda volta in poco tempo Hanna si fece cogliere alle spalle, impreparata. Tale era la sua attenzione per l’altissima bionda che non si era resa conto dell’avvicinarsi dell’uomo.
Vestito elegantemente ora quello le porgeva un calice colmo di spumante cristallino decorato da finissime bollicine in corsa, come preziosi fili verticali di minuscole perle. Non sorrideva ma dalla luce che brillava negli occhi non pareva minaccioso.
- Grazie... - Hanna accettò il calice sorridendo, accennando una millimetrica e aggraziata riverenza. Le servì per frugare disperatamente il suo impianto mnemonico alla ricerca di quel viso. Del tutto normale, privo di segni caratteristici, apparentemente uguale a mille altri dentro e fuori quella sala. Lo perquisì più volte alla ricerca di qualcosa cui agganciare la propria memoria artificiale. Ben rasato, non un pelo fuori posto, capelli tagliati cortissimi come dettava la moda, nessun anello alle mani, nemmeno il colore dell'iride era degno di nota. Non profumava, cosa più che normale visto che la moda dei profumi corporei maschili era in piena fase minimalista. L'unico segno che l’avrebbe distinto dalla folla della strada erano i soldi che doveva possedere in abbondanza, vista la qualità degli abiti. Ma si trattava di una caratteristica comune a tutti i presenti.
- La conosce? - Hanna accennò alzando il calice verso la bionda nippo-valchiria che ora si era portata ancora più vicina alla vetrata fingendo di seguire un canuto senatore. In realtà era stata lei a imporre lo spostamento a tutto il nugolo di gente che l’attorniava. Tanto che lo sconosciuto e lei si trovavano ora al centro di un’isola di vuoto e fresca, improvvisa tranquillità. Hanna fu colpita a tradimento da un pensiero che stentò a riconoscere come suo: avrebbe desiderato una scollatura come quella della Nakano, che con lei avrebbe fatto decisamente più sensazione, per sbatterla in faccia all’imperturbabile individuo. Voleva destabilizzarlo, provocare una reazione, far guizzare i muscoli di pietra di quel viso.
- È mia moglie - rispose quello atono.
Eric Valdemort, piccolo industriale abilissimo a tenersi in disparte, lontano dai riflettori ma sempre ben addentro redditizi affari. Nel tempo di un sorriso associò l’immagine che la parte elettronica del suo cervello aveva catturato di quel viso a quanto archiviato nel suo ricco database. Bel colpo: Hanna si congratulò con se stessa per il piccolissimo ma inatteso successo. Non poté fare a meno di ostentare subito il suo trofeo col diretto interessato.
- Complimenti signor Valdemort... la sua signora è davvero intrigante. Formate una coppia estremamente varia, ma davvero ben assortita.
Non stentò a immaginare quanto frizzante potesse diventare la Nakano una volta su di giri per l’alcol o per qualche pillola di gialla, mentre invece il marito non muoveva un muscolo più del necessario. Forse nemmeno se preso a schiaffi. Aveva qualcosa negli occhi però che la scoraggiava dal tentare un simile approccio.
- Lei è molto gentile, signorina Fernandes.
Nonostante tutti i suoi sforzi Hanna si sentì sbiancare sotto la bella pelle color caffelatte. Quello era un bel colpo.
- Non è l’unica a giocare con i database somatici...
Impossibile dire se Valdemort stesse scherzando con lei o se avesse in mente qualcosa, e di che genere. Non solo l’aveva chiamata col suo vero cognome, ma sapeva chi era e cosa faceva lì. Aveva bisogno di tempo per pensare ma nello spazio di un sorso dal frizzante calice che Valdemort stesso le aveva portato tutto quello che le riuscì di dire suonò debole e falso alle sue stesse orecchie.
- Mi devo correggere... la sua signora non è l’unica a essere intrigante - ammiccò più palesemente di come avrebbe voluto, sentendosi volgare come una prostituta. Se Valdemort avesse interpretato quell’atteggiamento come un’offerta di qualche genere non lo diede a vedere.
- Se crede, Hanna... posso chiamarla Hanna? - lei accennò un debole assenso, la gola improvvisamente paralizzata - abbiamo alcune cose di cui parlare. Vuole accompagnarmi ai divani?
Cortesissimo, eppure fermo e freddo come una trave d’acciaio. La sua offerta non sembrava nemmeno prevedere un rifiuto, una scusa. Lanciò tutto intorno uno sguardo che non avrebbe voluto essere una muta richiesta di soccorso, ma Hanna si rese conto che stava proprio cercando qualcosa cui aggrapparsi per non dover seguire Eric Valdemort. Ma come se un complotto nascosto si palesasse solo in quel momento in tutta la sua terribile e schiacciante realtà, vide solo schiene.
Come un turbine profumato Hoshi Nakano li raggiunse, straordinariamente leggiadra per essere una donna tanto alta da essere facilmente scambiata per una spaziale.
- Eric, non posso lasciarti solo nemmeno un minuto! Mi devi assolutamente presentare questa bellissima ragazza che hai già tra le grinfie!
Inebriante: era un buon termine per definire Hoshi Nakano. Profumata, elegantissima, seducente. Non certo bella: stupiva come nonostante vivesse palesemente nel lusso non avesse fatto ancora nulla per quei lineamenti un po’ troppo spigolosi, per le labbra scarne e sottili, per il naso un po’ troppo schiacciato e per quella piccola cicatrice sul mento. Piccola ma ben visibile. Anche un minimo ritocco al seno le avrebbe giovato grandemente: aveva un fisico troppo asciutto e quasi androgino. Erano di gran moda le curve mozzafiato e non v’era donna nella sala che non ostentasse vita sottile, seni ampi e natiche modellate con generosità. Gli occhi da soli erano in grado di bilanciare ogni tratto sgraziato che la affliggeva: deliziosamente obliqui, scuri ed estremamente femminili.
- Ma certo - Valdemort si illuminava a fatica perfino in presenza della sua consorte - ho appena invitato la signorina de Chateaux a bere qualcosa con noi.
Hanna si rammaricò di aver desiderato vedere il viso dell’uomo cambiare espressione. Il sorriso di Valdemort era forse peggio della più inespressiva delle maschere che quello possedeva. Un sorriso inquietante, pauroso, cannibale.
- Come sei formale! “Signorina de Chateaux”! - lo rimproverò la Nakano irraggiungibile, chinandosi sorridente su di lei dall’alto dei due metri superati grazie ad acuminati stiletto. Le loro guance si sfiorarono appena nel saluto di rito.
- Hanna, Hanna de Chateaux - si corresse subito Valdemort con tono di scuse usando il nome con cui lei era stata presentata dalla padrona di casa, la vedova Ghettmann. Non l'aveva chiamata col suo vero nome di fronte alla moglie. Avere quella piccola complicità con Valdemort non servì a tranquillizzarla, anzi. Si sentì intrappolata e senza possibilità di fuga.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


In società
3.

- Immaginerà facilmente, signorina Fernandes, come sia impossibile per me darle una garanzia qualsiasi se lei si ostina a oppormi questo atteggiamento non collaborativo.
Karman la fissò per qualche secondo poi con uno scatto acciuffò Nadia appena in tempo. Il braccio bloccato nella posizione più arretrata, il polso all’altezza della testa stretto nella forte presa di Karman, gli obliqui occhi fiammeggianti di lei che sembravano volerlo tagliare come laser. Hanna Fernandes era una ragazza dall’aspetto solido e ben proporzionata, non certo il modello anoressico così duro a sparire dalle riviste d'alta moda. Ma non avrebbe retto un pugno di Nadia, non di quel genere. Karman sostenne lo sguardo furente della sua collaboratrice e la dissuase con un lento e ponderato cenno di diniego della testa, un divieto che non ammetteva repliche. Nadia abbassò il braccio e sembrò controllarsi, ma Karman sapeva per esperienza che non era finita lì. Nell’eterno gioco del buono e del cattivo la sua bionda aiutante pretendeva sempre la parte del cattivo perché le piaceva da matti andarci pesante con le mani.
Karman trascinò una sedia vicino alla ragazza che teneva il mento contro il petto e si sedette. Con fare affettuoso le scostò i capelli dal viso umido di pianto e rigato di nero trucco colato. Inespressivo come solo lui poteva essere l’afferrò dolcemente per il mento e le sollevò la testa, costringendo la giovane mediatrice a guardarlo in faccia.
- Ti faccio un breve riassunto. L’ultimo. Il tuo memobox è tutto quello che mi interessa. Che tu lo voglia o no, l’avrò. Se non lo sblocchi tu lo farò io. Ne ho i mezzi, credimi. Se mi resisti ti aprirò il cranio e te lo espianterò personalmente. So farlo, anche di questo puoi essere certa. Oppure puoi scaricarlo in questo deck, già decifrato se tu volessi essere così cortese.
Prese il piccolo apparecchio elettronico e lo mostrò nuovamente alla ragazza che abbassò gli occhi su di esso e lo fissò come una bambina capricciosa potrebbe fare con una medicina amara.
- È la tua unica possibilità di tirare fuori la pelle tutta intera - ribadì lui agitandole il deck davanti al viso. La ragazza rimase inerte, Nadia fremeva di violenza repressa. Solo grazie a Karman la giovane Hanna non aveva ancora sperimentato la durezza dei colpi della bionda valchiria dagli occhi obliqui.
- Il DB è tutto quello che ho - mormorò la ragazza alzando l’unica difesa che le era rimasta. Karman sapeva bene che per una mediatrice le informazioni che accumulava significavano reddito se ben piazzate. La stessa capacità di assorbirle con rapidità ed efficienza, di elaborarle sul posto e fornire anche prime analisi anche piuttosto accurate era apprezzata in molti ambienti. Era quello che la Fernades stava facendo quando lui l’aveva individuata. Una inaspettata risorsa che però poteva trasformarsi da grande aiuto in grande problema. La memoria digitale del memobox che quella giovane aveva nel cervello era un’arma a doppio taglio.
- Hai un bel culo, camperai bene se impari a venderlo - le sibilò contro Nadia, irosa perché minuto dopo minuto vedeva sfumare la possibilità di menare le mani.
- Hai i dati e la vita. Io voglio solo i dati. Il resto te lo puoi tenere - aggiunse Karman.
- Sarà come morire - piagnucolò Hanna con voce rotta. Una mediatrice senza i suoi dati non poteva cominciare da capo. Prima o poi sarebbe circolata la voce che si era fatta soffiare il DB e nessuno le avrebbe più affidato un incarico, nemmeno il più umile. Avrebbe dovuto reinventarsi una vita dal nulla.
A quelle parole Karman si alzò e senza parlare, senza compiere un gesto non essenziale attraversò la camera d’albergo, afferrò una valigia dall’aspetto comune e l’aprì sul letto assicurandosi che Hanna potesse vedere comodamente cosa lui stava facendo. Nadia si mostrò incuriosita. Ne estrasse molti grandi fogli di plastica piegati più volte, una scodella grande, sacchetti di plastica con chiusura ermetica. Da una imbottitura nera sagomata estrasse con delicatezza un meccanismo che la giovane riconobbe subito con un singhiozzo di terrore mozzato. Era un robot chirurgico, un meccanismo autonomo dall’aspetto sinistro. Un brutto incrocio tra un ragno, un granchio e un’aragosta. La corazza segmentata di resistente ABS bianco e le articolazioni protette da morbidi soffietti non lo rendevano più piacevole alla vista. Grande come un vassoio, di quelli stracarichi di stuzzichini golosi che fino a un’ora prima aveva guardato con invidia e un pizzico di appetito al ricevimento della vedova Ghettmann, era dotato di arti multifunzione di acciaio lucido. Poteva aggrapparsi alla testa grazie a lunghe ma robuste zampe articolate, era dotato di sottilissime sonde di fibre ottiche, laser per illuminare, cauterizzare e tagliare, telecamere digitali ad elevata definizione, grandi chele dentellate e sottili micro-pinze manipolatrici, lame, forbici, due seghe circolari specifiche per il taglio del tessuto osseo più duro. Era tutto quanto serviva a Karman per mantenere la sua promessa di aprirle il cranio e prendersi il memobox.
Karman posò il robot sul tavolo e col telecomando lo accese. Il meccanismo scattò rizzandosi prontamente sulle lunghe zampe come un granchio e iniziò la diagnostica di tutti i suoi sistemi. Fu il colpo finale per Hanna, che capitolò singhiozzando disperata.
Mentre il robot chirurgo si guardava intorno coi laser Karman si avvicinò di nuovo alla ragazza piangente e le offrì di nuovo il deck da cyberspazio, abbastanza piccolo da stare nel palmo della mano. Tremante, Hanna lo prese. Scelse poi un’interfaccia ad ago tra quelle presenti nel kit di collegamento che Karman le stava mostrando. Scelse l’ago lungo otto centimetri e lo collegò al deck. Poi scostati i capelli dalla nuca rivelò una piccola zona rasata e tatuata con una elegante chiavetta antica. Con gesti esperti prese la mira con il polpastrello e repentina infilò l’ago per tutta la sua lunghezza.
- Vi odio - sputò con ritrovata fierezza, uno schizzo di rabbia contro Karman che in piedi davanti a lei aspettava inespressivo, e contro Nadia che con una debole smorfia simile a un ghigno sadico aspettava il suo momento seduta scomposta su una poltroncina.
Poi Hanna accese il deck.
Un fremito la scosse. I navigatori del cyberspazio, ciascuno gelosissimo del proprio deck, erano abituati a un istante di smarrimento all’atto del collegamento. Alcuni di loro non a caso lo chiamavano “il tuffo”. Se il tuffo era troppo brusco a causa del deck non configurato si potevano avere pericolose vertigini e nei casi più gravi convulsioni e svenimenti.
La schiena di Hanna si inarcò di scatto, gli occhi si rovesciarono mostrando solo il bianco e dalla bocca schiusa giunsero orrendi rumori mentre la lingua sfuggiva alla stretta dei denti e lacerata scivolava dentro la gola. Le braccia si contrassero in preda a spasmi e per un attimo sembrò che la ragazza volesse aprirsi la camicetta tesa sui seni al punto che si vedeva chiaramente l’impronta dei capezzoli inturgiditi.
Poi si accasciò di colpo immobile, un rivolo di schiuma sanguigna le colò dalla bocca e tutto finì.

- Karman... di tutti i bastardi stronzi e figli di puttana che ho incontrato nella mia vita tu sei quello col punteggio più alto.
Nadia lo osservò mettere via deck, accessori, robot chirurgo e tutto il resto come se niente fosse. Visto che non accennava a uscire dal silenzio di pietra, lo stuzzicò ancora.
- Come cazzo hai fatto?
- Un metavirus da assalto nel deck. Le ha svuotato il memobox e le ha fritto il cervello. Ha... aveva un impianto Hagawara di terza generazione, molto ramificato. Vista, udito, equilibrio, midollo, bio-processore per l’elaborazione primaria, interfaccia dati... tutto collegato. Bello, ma come un castello di carte. E Bitpuk sa il fatto suo.
- Quel moccioso sa come farmi venire i brividi - Nadia si alzò dalla sedia per guardare il cadavere di Hanna - Non hai mai avuto intenzione di lasciarla viva, vero?
Karman le lanciò un’occhiata a metà tra la disapprovazione e lo scetticismo.
- Una mediatrice con un memobox del genere? Ci ha visti in faccia entrambi e peggio ancora era perfettamente in grado non solo di ricordare dove, come e quando è successo, ma ha... aveva capacità di analisi immediata dei dati raccolti. Ha una CPU nella testa. E il suo mestiere era vendere al miglior offerente i dati, grezzi o elaborati. Una vera mina vagante. Sono stato fortunato ad accorgermi di lei.
- A proposito, come hai fatto? - volle sapere Nadia. Karman chiuse con uno scatto la serratura della valigia e la tolse dal letto.
- Osservazione. L’ho vista parlare con la Ghettmann. Aveva degli atteggiamenti rivelatori. Fortunatamente non era in grado di reagire agli scompensi provocati dai suoi impianti: attimi di assenza, di smarrimento appena percepibili. Movimenti compensatori spiegabili solo come copertura per i tempi di elaborazione. Un mediatore o una mediatrice più addestrata sarebbe forse passata inosservata a chiunque. E Bitpuk ha scoperto che stava usando un nome falso.
- Quindi potrebbero essercene altri? - si stupì Nadia.
- Raramente lavorano in coppia e il numero di persone da tenere sotto controllo oggi non era così elevato da richiedere due mediatori. Poi c’è sempre Bitpuk per queste cose. Vuoi sapere altro?
Nadia si strinse nelle spalle. Bitpuk era l’elemento che nella squadra di Karman si occupava di fornire copertura informatica. Un arrogante ragazzino che lei avrebbe volentieri gonfiato di sberle solo per l’innata abilità coi computer che ostentava.
- Due cose soltanto... ti rendi conto che dovrò picchiare te per sollevarmi il morale - indicò il cadavere sulla sedia - e... chi pulisce? Il signor Brown?
Karman si mise la giacca sul braccio e sollevata la valigia da terra si diresse verso la porta della stanza d’albergo. Si voltò tenendo una mano sulla maniglia come se si ricordasse solo in quel momento di dover rispondere alle domande della sua bionda aiutante.
- Me ne rendo conto. Pulirai tu, ovviamente. Ci vediamo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


In società
4.

Da sola nella grande suite Nadia, ancora immersa nel ruolo di Hoshi Nakano adorabile e brillante moglie di Eric Valdemort, si stava annoiando.
Aveva già superato la fase dei videogiochi e dei fumetti, da godersi rigorosamente a pelle nuda. Aveva aumentato il riscaldamento fino a far scattare l’avviso automatico per il solo gusto di potersi denudare senza soffrire il freddo. E per rimbeccare l’addetto dell’albergo intervenuto poco dopo, minacciandolo dolcemente e con stile. Annoiata anche da quel breve e sciocco divertimento aveva finito con il rovistare dapprima tra i vestiti di Karman, scegliendo per capriccio di indossare una delle sue magliette, e poi di sbirciare nel suo computer.
A gambe incrociate davanti alla tastiera olografica proiettata sul tatami, Nadia se ne stava lì in mutandine, maglietta e ventre scoperto. Cercava nuovi modi di incrociare l’archivio dati estratto a viva forza dal memobox della mediatrice Hanna, di cui lei in prima persona aveva dovuto smaltire il cadavere, e il flusso di dati proveniente dal dispositivo di sorveglianza che Karman aveva ricavato incrociando un sensore militare per rilevazioni satellitari e una costosa macchina fotografica con obiettivo digitale di ultima generazione.
Il software era potente e ben congegnato. Lei non era a suo agio coi computer: sapeva usarli quel tanto che le bastava. Ma per riconoscere un lavoro ben fatto non bisognava essere un demonio dell’informatica come Bitpuk. Ogni tentativo di alterare i parametri di esecuzione era subito rintuzzato dal software, ogni modifica annullata. Nadia era sufficientemente esperta da capire che avrebbe finito col rallentare l’esecuzione delle routine di riconoscimento: tutti i suoi tentativi di dare una mano sembravano destinati a produrre solo intralci. Il sistema era configurato bene e, apparentemente, non era possibile fare di meglio.
Così cominciò a frugare in giro nella memoria di massa del computer. Incappò ovviamente nelle false piste lasciate lì apposta da Karman per deviare l’attenzione dalle cose serie, trovò tutte le trappole che lui stesso le aveva insegnato a disporre per impedire che qualcuno facesse esattamente quello che lei stava facendo in quel momento. Intrigata dalla relativa facilità con cui aveva penetrato le difese più esterne della macchina, passò a esaminare il bottino. Informazioni su armi tra cui spiccava una che riconobbe subito: aveva visto Karman studiare le caratteristiche di quel fucile e anche lei se n’era interessata. Un’arma di precisione in grado di colpire a duemila metri di distanza, con ottiche capaci di correggere la mira da sole calcolando in tempo reale la rotazione del cilindro di Apollo, la gigantesca stazione orbitante in cui viveva parte dell’umanità sopravvissuta. Tutto il mondo a lei noto. Una persona appostata sul tetto di un edificio del settimo settore avrebbe potuto colpire indisturbato chiunque nel raggio di due chilometri. Il che, data la densità della popolazione, significava un sacco di gente. Anche considerato il fatto che il settimo settore era quello più ricco e quindi meno popolato.
Saltando di ipertesto in ipertesto passò dal meccanismo di caricamento del fucile alle tecnologie di trattamento dei metalli per armi, dalle canne rotomartellate alle rigature poligonali, dai proiettili monolitici alle gelatine balistiche. Karman aveva un database personale pieno zeppo di informazioni su armi e armamenti di ogni tipo, dalla comune pistola fletcher ai missili antinave “stand-off” intelligenti. In alcuni casi, e non si spiegava perché solo in così pochi record, il database era particolarmente ricco di informazioni “piccanti”, molto intime riguardo modifiche e tecniche di produzione estremamente specifiche. Lesse distrattamente la dettagliata procedura per la fabbricazione di un fumogeno artigianale e della sua variante tossica, ma non trovò nulla che catturasse a lungo la sua mente. Si sentiva troppo annoiata per concentrarsi davvero su qualcosa: la sua attenzione era così volatile che le sue dita cliccavano ipertesti ancora prima che gli occhi vi scorressero sopra e che il cervello ne comprendesse il contenuto.
Musica, pensò d’un tratto. Aveva voglia di musica. Doveva pur essercene su quel computer. Pensandoci bene non si sentiva interessata ad ascoltare musica in generale: voleva scoprire i gusti di Karman. Lanciò un paio di ricerche e presto il computer le restituì alcuni file. Con sua grande delusione trovò solo musica molto commerciale, troppo scialba per uno come Karman perfino se lui fosse stato un maniaco delle armi da fuoco e basta. Nadia sapeva invece che l’uomo che l’aveva tolta dalla strada poco tempo prima non era affatto un ignorante dai gusti telecomandati dalla moda, ma una persona con una certa cultura e gusti ben definiti. Era chiaro che quella musica scipita e male assortita era lì solo per costituire un diversivo di qualche genere.
Un file mischiato in mezzo ad altri che non c’entravano nulla attirò la sua attenzione per via delle dimensioni. Era di due ordini di grandezza superiore a tutti. La incuriosì il fatto che il sistema lo considerava come un ologramma dello stesso tipo degli altri. Senza pensare alle possibili conseguenze per la complessa elaborazione in corso Nadia avviò la riproduzione.
Obbediente l’impianto olografico della suite di lusso di Eric Valdemort fece zampillare a mezzo metro da Nadia un ologramma alto due spanne.
Tutta la noia del pomeriggio da sola fluì via da Nadia come acqua da un bicchiere rovesciato. Uno spot pubblicitario. Non uno qualsiasi, ma quello spot. Lo riconobbe subito. Il vuoto dentro il petto e la testa fu presto colmato da liquida rabbia incandescente. Gelosia, si corresse dandosi anche della stupida. Ma chissenefrega se sono gelosa, pensò poi. Sono gelosa, sì! E allora?
Come se volesse soffrire e infuriarsi ancora di più Nadia gettò le dita sulla tastiera olografica, che nel frattempo si era riconfigurata per offrirle i comandi multimediali contestuali a ciò che stava riproducendo. Con lo zoom ingrandì l’ologramma che resse tranquillamente l’aumento delle dimensioni dell’immagine, rifiutandosi di perdere risoluzione e mostrare pixel sgranati e sfuocati perfino quando Nadia ebbe di fronte a sé una gigantessa di tre metri e mezzo. Straripante con tutte le sue curve da un brillante bikini giallo che sembrava studiato a tavolino per giungere a mostrare tutto il possibile senza far scattare il permissivo controllo parentale, sorrideva e ammiccava al limite delle ridotte capacità di un’attrice meno che dilettante. La riproduzione continuava ripetendosi: era un loop fluido e ben pensato di poco meno di dodici secondi. Oltre la protagonista non avrebbe retto, pensò lei con cattiveria.
Con rabbia e risentimento tipicamente femminili che si arrotolavano in una zuffa corpo a corpo nel suo petto, Nadia cercò di considerare meglio la sua scoperta. Da un lato una parte di lei tentava di giustificare Karman. Era un uomo, coi tipici limiti maschili: in fin dei conti era comprensibile che provasse un po’ di attrazione per il fenomeno del momento (di qualche mese fa, si corresse subito Nadia: quella puttanella pubblicitaria aveva girato ben pochi spot commerciali per poi sparire nel nulla come migliaia di altre, secondo la moda vigente che consumava volti e corpi in poche settimane) al punto di salvare lo spot sul computer per poi poterlo rivedere a piacere. Un po’ adolescenziale come comportamento, ma comprensibile.
Dall’altro lato non poté fare a meno di notare che quello non era lo spot andato in onda sulla Rete. Era troppo risoluto, e perfino diverso. Se lo ricordava bene l’originale televisivo. Karman aveva sparato a due oloproiettori a causa di quello spot. Quello era studiato per una riproduzione fluida a ciclo continuo, con l’immagine olografica ad alta risoluzione a colori e di grandi dimensioni tipica dei grandi spazi commerciali. Karman aveva troppo stile per rubacchiare una copia a bassa definizione da uno streaming pubblico. Aveva violato qualche server privato, di certo uno appartenente alla rete dello sponsor committente, e aveva copiato il file da lì. Non si era accontentato. Era uno dei motivi per cui lo adorava, ma in quel momento l’avrebbe preso a calci nelle palle.
Osservò la gigantesca ragazza passeggiare provocante qua e là nella suite sorridendo e scuotendo la cascata di ricci scuri che le carezzava la schiena e le spalle, un’immagine così vivida e perfetta da sembrare reale. Troppo perfetta, pensò Nadia. Nonostante quella cagnetta fosse lontanissima dall’anoressico standard delle modelle sempre vigente, era troppo perfetta per essere vera. Certo l’immagine era studiata e la post-produzione aveva lavorato a lungo sul girato originale. L’ambiente tropicale in cui la scena si svolgeva, per esempio, non esisteva più da nessuna parte se non come ricostruzione artificiale. Stanca di tenere indietro la testa e di aver davanti agli occhi le ginocchia elettronicamente rifatte di quella stupida attricetta a tempo perso, ripristinò l’ingrandimento e si alzò in piedi.
Come pensavo, constatò soddisfatta. Alla grandezza naturale guadagnava sì un realismo incredibile tanto che pareva di averla davanti in carne e ossa, ma perdeva molto della sua appariscenza. Non era ovviamente altra tre metri e mezzo ma arrivava forse a uno e ottanta e tutte quelle curve, una volta riportate alla scala corretta, non erano poi così entusiasmanti. Il ridotto bikini però conservava intatto il suo potere. E se lo percepisco io chissà un uomo, pensò con astio.
In quel momento si aprì la porta d’ingresso e sulla soglia apparve Karman.
- Non dovresti pasticciare col mio computer. Non ti basta la dotazione dell'albergo?
- Ciao – rispose lei gelida. Stava imparando a conoscerlo: il fatto che non avesse salutato era un sintomo di nervosismo. Non era facile vivere a fianco di quell'uomo e comprenderlo: come pretendere di imparare come funziona qualcosa semplicemente guardandolo da lontano. Difficilissimo.
- È da mezzora che sto ricevendo allarmi di ogni tipo... cosa stai cercando? Non quella pubblicità, spero.
Nadia gettò uno sguardo alla mora straripante dal bikini intenta nella sua ripetitiva passeggiata per poi tornare a fissare Karman che si toglieva la giacca e le scarpe. Pareva il perfetto marito che torna a casa la sera in tempo per la cena, che non vuole calpestare il tappeto buono né stropicciare la giacca abbandonandola sul divano.
- Sono gelosa! - annunciò infine a gran voce, standosene in piedi nel mezzo del tatami.
- Di un ologramma? - rintuzzò lui.
- Di questa troietta qui! - Nadia additò l'ologramma come se fosse una persona reale che potesse offendersi. L'avrebbe voluta presente davvero non solo perché potesse sentire gli insulti, ma anche per regalarle una cura di bellezza che le avrebbe guastato la carriera di indossatrice di costumi da bagno. Per sempre.
- Tu mi rinfacciavi una cotta adolescenziale per costei e ora ti metti a fare adolescenziali scenate di gelosia?
- Esattamente! - Nadia sentì il gelo dell'imbarazzo avvolgere il calore della gelosia cominciando a spegnerlo. Anche stavolta Evan aveva ragione. Sul punto di sbottare, si trattenne all'ultimo momento.
- Hoshi, Hoshi... ti voglio bene lo stesso.
Lo odiava quando riusciva ad avere ragione. Era un vero professionista: era nel ruolo di Eric Valdemort e pensava come Valdemort. Contrariamente a lei che per un paio di volte era stata sul punto di chiamarlo Evan.
- Quindi niente in contrario se cancello questo cazzo di file, no?
- Se ci riesci... - la sfida era lanciata. Mentre l'osservava sbottonarsi la camicia Nadia concluse che se avesse tentato di cancellare il file non ci sarebbe riuscita. Non col metodo più semplice, almeno. Sapeva che Karman non era uno sprovveduto e in più il computer era protetto dalle diavolerie di Bitpuk. Ma solo per il gusto di fargli un dispetto, non avrebbe lasciato nulla di intentato.
Fissava torva ora il computer ora Karman che appendeva ordinatamente i suoi abiti quando si udì chiaramente un segnale acustico. Un breve, acuto suono che lei non riconobbe. Non era uno dei soliti suoni di sistema e aveva destato l'attenzione di Evan.
- Che cazzo succede? - chiese, ma non ottenne risposta. L'uomo aveva interrotto ciò che stava facendo e mezzo nudo stava colmando a grandi passi la distanza che lo separava dalla tastiera proiettata sul tatami. Senza fretta ma con decisione si sedette a gambe incrociate e inespressivo gettò le mani sui comandi olografici del suo computer.
In un istante l'ologramma in bikini scomparve, lasciando la stanza nel buio. Poi con veloci tocchi delle dita Karman impostò uno schermo olografico bidimensionale a bassa luminosità e di piccole dimensioni, orientato in modo bizzarro. Nadia si chiese il perché, poi cercò di ragionare come il suo uomo per trovare la risposta. Devo cercare di essere più paranoica possibile, si disse. Inginocchiatasi al suo fianco si mise a seguire passo per passo ciò che lui stava facendo. Controllo remoto delle protezioni informatiche dell'albergo, apertura di tunnel crittografati, attacco informatico alla rete delle telecamere di sicurezza: in pochi minuti furono al centro di una barriera digitale ancora più forte del solito, ma al tempo stesso discreta. Lui e Bitpuk dovevano avere predisposto tutto già da tempo poiché lo vide attivare ciascuna cosa in pochi secondi. Troppo poco tempo anche per uno molto bravo.
Poi passò al software di elaborazione delle immagini. Aveva trovato il loro uomo. Ne mostrava sia il volto di riferimento, una vecchia immagine poco risoluta, sia quello fotografato dalla macchina modificata da Karman. Era un po' cambiato: aveva naso e bocca rifatti dal chirurgo, portava una barba corta, aveva cambiato drasticamente il colore e il taglio dei capelli e perfino il colore dell'iride. Non era bastato a nascondersi da Karman. La probabilità era del novantanove virgola tre per cento. L'immagine era un ritaglio di un fotogramma scattato attraverso la vetrata della sala dei ricevimenti della vedova Ghettmann. Non lontano dall'uomo, giovane ed elegante, Nadia poté distinguere senza ombra di dubbio se stessa sorridente, un calice di spumante dorato in mano. L'uomo nel riquadro, sorpreso mentre osservava il paesaggio offerto dalla finestra panoramica, le stava molto vicino.
Nadia fischiò. Era un bell'uomo.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


In società
5.

Luther Ethan Jones non credeva ai propri occhi. Nemmeno alle sue orecchie, eppure era palese che la donna davanti a lui, una conoscenza casuale risalente a un paio di giorni prima al ricevimento della vedova Ghettman, ce l'aveva con lui.
Paranoico come il suo mestiere gli aveva insegnato a essere, aveva colto al volo un momento di disattenzione generale per attaccarsi al suo impianto cifrato e chiamare il suo agente legale di fiducia cui affidava tutti gli incarichi di intelligence. Gli aveva chiesto di raccogliere tutto ciò che c'era su quella donna e di riferire il più presto possibile. Trattando affari come quelli che lui gestiva era opportuno considerare ogni dettaglio. Jones era uno squalo della finanza: uno di quelli la cui carriera sembrava inarrestabile. Non poteva permettersi sbagli.
- Mi stai forse evitando?
Rieccola: si era avvicinata felina e nonostante i due metri di altezza l'aveva vista solo quando non era più possibile evitarla. Jones sorrise, ma solo con le labbra. Quel party era per lui un'occasione per fare ricognizioni, per tastare il terreno e scovare nuove possibilità di guadagno, non per flirtare con la moglie di qualcun altro. Eppure Hoshi Nakano sembrava proprio interessata a lui. E il marito non era presente alla festa né, a sentire lei, si sarebbe fatto vivo.
- Niente affatto. Sai che uno come me non smette mai davvero di lavorare, nemmeno alle feste. Ogni tanto ricevo qualche chiamata che richiede un poco di privacy...
- Ne so qualcosa – rispose lei prendendolo sottobraccio con movimenti delicati ma decisi – per questo non ho mai voluto impianti. Io tengo molto alla mia intimità...
Sorrise, promettendo con gli occhi cose cui Luther Ethan Jones rifiutò di credere. Sembrava tutto così facile, così aderente al copione già vissuto molte volte. La Nakano non era la prima a cercare di sedurlo in qualche modo. Sapeva già che tutto ciò cui quella mirava erano i soldi, il potere. Come tutte. Non desiderava altro. Eppure un debole campanello d'allarme suonava nella sua testa. Troppo facile.
- Non mi offri da bere?
Sentì la mano di lei solleticargli il bicipite attraverso la finissima giacca di cotone e la camicia di vera seta. Ammiccava sensuale da tutta la sera e gli orbitava intorno senza sosta, una cometa con una coda di profumo insolito, inebriante. Jones sapeva di essere attraente come uomo per l'aspetto oltre che per la posizione di potere che occupava. Sapeva anche che ciò aveva l'effetto di sciogliere le inibizioni di quelle donne che lo vedevano come un bersaglio da prendere di mira con lusinghe erotiche. Da secoli nessuno si scandalizzava più vedendo vecchi incartapecoriti ma pieni di soldi o ancora saldamente in posizioni di potere accompagnati da donne venti o trent'anni più giovani di loro. Baldracche di lusso spesate di tutto, mogli di rappresentanza, sanguisughe professioniste o sfortunate titolari di imperi prossimi al crollo in cerca di liquidità per evitare il disastro. Motivi ce n'erano a decine e a nessuno importava davvero che ve ne fosse uno. Jones era un bell'uomo ed era consapevole di esserlo: spesso ne aveva approfittato al punto da riempire più volte le pagine digitali di riviste online di pettegolezzi e inutile cronaca rosa.
Con cortesi scuse interruppe il suadente monologo della Nakano, Hoshi come lei insisteva nel farsi chiamare da lui, quando il suo legale investigativo lo contattò per riferirgli dell'arrembante corteggiatrice.
- Lavoro... - le disse con un sorriso mentre spostava l'attenzione su quanto il legale gli stava dicendo.
Apparentemente non c'era nulla di cui preoccuparsi: la Nakano appariva come una neoricca rampante come tante altre, niente di più. Aveva sposato un piccolo industriale, un certo Valdemort, che confrontato all'impero che Jones aveva ormai stabilmente avviato appariva come una pulce al fianco di un carro armato. Il legale si disse praticamente certo che si fosse trattato di un matrimonio di convenienza poiché nel passato della Nakano non vi era nulla di significativo: atleta dagli scarni e radi successi sportivi, attricetta insulsa e mai nemmeno menzionata, aveva da poco debuttato nel giro che conta ma solo in periferia. Doveva ringraziare il matrimonio con l'industriale Valdemort che le aveva dato l'agiatezza economica. Lo stesso Valdemort non era nemmeno da considerare: uno dei tanti neoricchi che popolavano il panorama all'orizzonte della tavola dei veri potenti, tavola cui Jones era ormai prossimo a sedersi.
- Grazie – disse concludendo la conversazione col suo legale investigativo e tornando con gli occhi e l'attenzione all'altissima donna che lo guardava golosa come fosse una tartina al caviale.
- Concluso il business? - le disse vagamente seccata.
Jones la vedeva ora in modo diverso. Sarebbe stato interessante vedere fino a che punto era disposta ad arrivare la sua nuovissima ammiratrice Hoshi Nakano. L'avrebbe convinta di poter salire a bordo con lui, avrebbe goduto vedendola vendersi a lui al ribasso, umiliando se stessa e il burattino che aveva sposato per denaro. Per ottenere più denaro e più potere cos'era disposta a fare? Era deciso a scoprirlo. E, come aveva già fatto con personaggi molto più potenti e pericolosi di lei, non appena ottenuto ciò che voleva l'avrebbe gettata via come un giocattolo rotto e non più desiderabile. Con una piccola ma significativa differenza: mentre lei stava agendo per denaro, lui per puro capriccio.
- Perdonami – le disse cercando di addolcirsi un po' – prometto che non mi lascerò più disturbare mentre sono con te.
Fece un cenno al cameriere il quale si avvicinò e con modi impeccabili raccolse l'ordinazione secca e precisa. Tornò dopo qualche minuto con una bottiglia di prezioso vino e due calici scintillanti. Eseguì il complesso rituale di apertura della bottiglia e porse il calice alla donna per il primo assaggio. La Nakano non padroneggiava il bon-ton, era evidente. Perse tutte le occasioni di mostrare raffinatezza e cultura, ma se non altro non commise gravi infrazioni all'etichetta. Neoricchi, pensò Jones con disprezzo. Lo era anche lui ma a differenza di molti altri lui aveva studiato. Percepita l'importanza di certe cose per poter meglio penetrare l'ambiente di potere ora vi sguazzava a suo agio e addentava le prede fino a farle sanguinare. Quella la sua intenzione da sempre e già prede eccellenti avevano provato a loro spese la potenza del suo morso.
Si spostarono su un divanetto miracolosamente libero e lì dettero fondo alla bottiglia di pregiatissimo champagne. Lasciò libera la donna di agire e presto fu chiaro ai suoi occhi non solo che era disposta a tutto, ma anche che non aveva intenzione di perdere tempo. Stava deliberatamente cercando di fargli perdere la testa: allungava le mani ogni volta che poteva, ammiccando e promettendo con mezze parole, frasi lasciate abilmente in sospeso, con gli occhi obliqui lucidi non solo per il vino bevuto.
D'un tratto fu come se un interruttore fosse scattato. Quella si ritirò, raffreddandosi rapidamente. Smise di cercare il contatto fisico, perfino gli occhi si fecero fuggenti e distratti. Jones ebbe la netta sensazione che la sua preda, all'inizio saltata dentro la trappola di propria iniziativa, gli stesse sfuggendo. La castrante sensazione di non aver fatto qualcosa, di aver mancato le aspettative di lei e di aver fallito un colpo impossibile da sbagliare lo punse sul vivo, urtando un nervo sensibile del suo orgoglio di squalo senza rimorsi o sentimenti.
- Mi sto annoiando un po' – proferì lei d'un tratto, dopo un prolungato, pesante silenzio. Poi la vide tendersi incontro a lui con un'espressione complice e quando fu abbastanza vicina sussurrò.
- Mi sto davvero rompendo i coglioni, portami via da qui!
Tornò sorridente mentre si appoggiava con la schiena all'imbottitura del divanetto. Per Jones fu una insperata ventata di aria fresca. La partita non era ancora persa.
- Dove vorresti andare? - le chiese alzandosi, abbandonando il calice vicino alla bottiglia ancora imperlata di gelide gocce di condensa.
- Non così – lo rimproverò col sorriso sulle labbra mentre lo tratteneva delicatamente per un polso. Jones si sedette nuovamente, vinto da quella debole pressione. A stento riconobbe l'errore appena compiuto, meravigliandosi di se stesso. Un errore davvero banale.
- Sono una donna sposata... un conto è mezzo flirt per passare la serata, un altro è farsi vedere andare via insieme a braccetto come due scolaretti arrapati – gli disse con voce sommessa ma decisa.
- Incontriamoci tra un po' in un posto tranquillo... - ora il sorriso da malizioso si era fatto predatore.
Hoshi Nakano credeva di aver preso il controllo. Luther Ethan Jones le avrebbe fatto credere che fosse davvero così.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


In società
6.

Nadia ricontrollò tutto da capo usando lo specchietto per il trucco. La parrucca era perfetta, si era truccata da capo e rivestita di tutto punto. Nemmeno Karman mi riconoscerebbe combinata così, si compiacque. Avevano studiato bene la preda: non sarebbe stata la prima volta che nel cuore della notte una escort di lusso si fosse presentata chiedendo del noto uomo d'affari. Il custode e il personale della sorveglianza notturna più volte avevano chiuso un occhio sull'andirivieni notturno di personaggi non sempre appartenenti al mondo della finanza. Le puttane di lusso erano comprese tra questi.
Scese dall'auto parcheggiata in un silo automatico odorante di ozono e lubrificante. Le telecamere e i sistemi informatici erano già stati oggetto delle attenzioni di Bitpuk e non se ne curò. Si diresse con la lunga falcata che le sue gambe le consentivano verso l'ingresso dell'edificio dove il suo uomo aveva uno dei suoi uffici.
La guardia sorrise al suo passaggio e non ebbe nulla da obiettare quando lei pronunciò il nome dell'uomo d'affari. La fece passare cogliendo l'occasione per divorarla con gli occhi. Nadia lasciò fare anche se la sensazione che qualcosa di viscido e freddo le scorresse sulla pelle nuda fu netta al punto da farle desiderare di tornare alla guardiola e uccidere a pugni il sorvegliante.
All'ascensore trovò un completo giacca-pantalone-occhiali tecnologici con dentro un gigante. Inquietante. Per domare un bestione del genere Karman le aveva dato un tubo-pistola a colpo singolo calibro dodici caricata con un proiettile perforante. Entro tre metri di distanza non c'era giacca corazzata in grado di fermare quel confetto. E tutto stava comodamente nascosto nella borsetta chic che teneva sotto il gomito, appesa alla spalla nuda.
Il gigante non fece una piega: Nadia salì sull'ascensore lindo e profumato che era lì ad attenderla e che l'avrebbe portata direttamente al piano desiderato, occupato per intero dall'ufficio del suo uomo.
Con la parete a specchio della cabina fece l'ultimo controllo. Una snella donna dai lunghi capelli corvini la fissava elegantissima: impermeabile nero semitrasparente, abito corto che metteva in mostra le lunghe gambe avvolte da collant neri di prima scelta, velatissimi. Una singola spalla era scoperta ma per evitare volgarità un succinto coprispalle di pizzo nero fermato da spille dorate garantiva un eccitante gioco vedo-non vedo sulla pelle del braccio, della spalla e del petto lasciato scoperto dalla generosa scollatura. Costosa e ricercata bigiotteria e altrettanto costosi stivali col tacco completavano la sua figura. Quante figone come me ci sono in questo palazzo, si chiese. Alte due metri nessuna, si rammaricò. Quello che era per lei un bel punto di forza era anche un grave svantaggio: avrebbe potuto travestirsi bene quanto voleva, la sua altezza rimaneva impossibile da mascherare.
Superò agevolmente anche i due gorilla che trovò al piano: talmente avvezzi a vedere passare visitatrici a quell'ora di notte che nemmeno si mossero né le puntarono addosso le nere lenti indagatrici degli occhiali tecnologici che entrambi indossavano.
Tra odorosi arredamenti di lusso e veri quadri alle pareti percorse la strada che le era stata descritta senza incertezze, come se fosse un'abituale frequentatrice di quel luogo normalmente inaccessibile. Le tecniche mnemoniche che Karman aveva insistito a farle perfezionare finalmente erano tornate utili.
Spinse la porta che le sbarrava la strada: vero legno nero con una maniglia dorata, la serratura elettronica che indicava “accesso consentito”.
Luther Ethan Jones era accomodato nella sua smisurata poltrona imbottita, un trono di pelle e cuscini, davanti a un proiettore olografico ad altissima risoluzione. Un'intera orchestra in miniatura era ai suoi piedi. L'impianto ad alta fedeltà riempiva la stanza di musica classica. L'uomo le rivolse uno sguardo dapprima perplesso, poi la sua espressione corrucciata si sciolse in un sorriso.
- Non ti piace ciò che vedi? - lo apostrofò. Ancheggiò per rincarare la dose ma un luccichio inedito negli occhi dell'uomo le suggerì che non era necessario: nell'attesa si era aiutato con qualcosa di chimico che non era alcol. La bottiglia sul tavolo vicino era ancora chiusa e i bicchieri puliti.
- Certo che sei la regina dell'incognito... sembri un'altra.
- Nemmeno la mamma mi riconoscerebbe – sentenziò misurando l'ampio locale coi suoi lunghi passi.
L'arredamento era ricco ma non sfarzoso, abbondante ma funzionale. I materiali dominanti erano legno, vero legno, e metallo lucidissimo. C'erano anche superfici di cristallo linde e perfette; tutti i soprammobili parevano oggetti d'arte e non si vedeva un granello di polvere. L'illuminazione era abbassata e dalla parete panoramica polarizzata filtravano le luci notturne del settimo settore. Un grosso drone passò volando pigro e muto a poche decine di metri di distanza da lei, le sue luci colorate lampeggianti le lasciarono scie sulle retine, il faro di navigazione era una lama che tagliava la notte artificiale della Stazione.
- Ecco ciò che si dice una posizione dominante – disse contemplando il panorama. Jones la raggiunse e le mise le mani sulle braccia. Pelle contro pelle, caldissime. Nadia le trovò piacevoli e si lasciò toccare, carezzare. Sorrise e sospirò dolcemente per dare credito alle proprie intenzioni.
- Ti si addice...
- Un posto elevato?
- In tutti i sensi – insisté.
L'abbracciò da dietro e se la strinse al petto.
- Non sono uno che si accontenta. In alto per me non basta. Tanto non basta. Io voglio sempre di più – le sussurrò.
Nadia si liberò dalla presa e chiese da bere. Lo osservò allontanarsi dall'ampia vetrata corazzata, versare il liquore in due bicchieri e tornare da lei. Brindarono.
- E per avere tutto, sei disposto a tutto?
- Lo sono.
- Davvero faresti qualsiasi cosa?
Jones si strinse nelle spalle.
- Già ho fatto molto. Sono pronto a fare altrettanto.
- Sbaragliare avversari con ogni metodo? Affondare intere zaibatsu giocando sporco, falsificando, corrompendo...
- Sei molto ben informata – Jones si fece guardingo. Nadia lo sentì raffreddarsi e insospettirsi. Temette d'aver fatto un passo falso e cercò di recuperare.
- Non credere che sia nata ieri... non sarò brava come te ma anche io so fare cose... e sono disposta a farne ancora...
Si appoggiò al freddo crilex blindato, molle e lasciva. Le lucide labbra promettenti, schiuse a mostrare i denti bianchi in un lungo sospiro di passione. Con un unico studiato gesto della mano ricacciò i lunghi capelli corvini dietro le spalle e si liberò del coprispalle.
- …discutibili... - aggiunse, facendo cadere l'unica spallina del miniabito.
Sobbalzò per lo spavento scostandosi dalla finestra. Uno schiocco proveniente dal crilex, come se qualcuno avesse lanciato un sassolino contro la finestra. Difficile, all'ottantasettesimo piano. Jones si afflosciò sul suo ricco e spesso tappeto come un sacco vuoto. Odore di bruciato nell'aria. Capelli bruciati. Nadia osservò un filo di fumo chiaro arricciarsi salendo dalla nuca dell'uomo. Un piccolo sibilo: proveniva dalla finestra, da un punto alla medesima altezza della testa del defunto squalo della finanza. Tre forellini piccolissimi ma ben visibili, molto vicini: la differenza di pressione tra l'interno e l'esterno li faceva sibilare.
Nadia raccolse tutte le sue cose e si preparò alla parte finale del piano.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


In società
7.

Uno di fronte all'altro in una perfetta posizione del loto. Karman e Nadia stavano in silenzio ascoltando ciascuno il respiro dell'altro.
- Avresti potuto dirmelo che eri intenzionato a usare il laser.
- Il crilex della vetrata panoramica è troppo spesso anche per le palle perforanti. Avrei dovuto usare un calibro troppo grosso e il crilex sarebbe espolso colpendo anche te.
- Invece è esploso il laser.
Karman iniziò a perdere la concentrazione. Il tono accusatorio di Nadia lo distrasse. Il dolore alla mano tornò come se le parole di lei l'avessero destato da un sopore innaturale. Mosse le dita dentro la busta di nanogel militare. I tessuti lesionati si stavano rigenerando a un'ottima velocità.
- Può capitare. L'ho modificato pesantemente per ottenere maggiore potenza e la batteria non ha retto.
Anche Nadia sentì la concentrazione così faticosamente raggiunta sfuggirle via come acqua tra le dita. In un video al rallentatore visibile solo nella sua mente ritornarono più volte le immagini di Karman vestito da addetto alle pulizie che con una insolita smorfia la fa uscire dal bidone di rifiuti dove si era nascosta. Lo vede guidare il veicolo di servizio, fermarsi più volte a sostituire i contrassegni e a cambiarsi d'abito, passare a un'altra auto, poi a un taxi e poi a un'altra auto ancora. Con naturalezza e normalità. Poi finalmente al sicuro le porge delle forbici di sicurezza ordinandole di tagliare i guanti che non aveva ancora tolto. Nora vede se stessa tagliare il destro scoprendo ferite e ustioni curate alla bell'e meglio sotto un secondo guanto di lattice indossato per non far gocciolare il sangue. Ancora gli occhi della mente vedono la pelle ustionata, umida e molle, staccarsi dalle ferite mentre lei cerca di togliere il guanto di lattice.
Nadia aprì gli occhi e trovò su di sé lo sguardo di Karman, freddo e immobile.
- Meditazione terminata – sentenziò lei.
Karman si alzò per primo. Lei se lo mangiò con gli occhi: indossava pantaloncini da atletica aderenti, sostenuti da bretelle strette. Il corpo magro e allenato era per lei fonte di inesauribile eccitazione. Andò ad abbracciarlo, desiderosa di contatto fisico.
- Mi fai impazzire... potrò fare ancora la signora Valdemort la prossima volta che ti servirà?
- Sei stata abbastanza brava. Cerca di non andare troppo sopra le righe però... Bitpuk e i suoi hanno sudato sette camicie per levarti dai video della sorveglianza.
- Tre urrà per il moccioso prodigio dell'informatica – disse lei a bassa voce mentre coi palmi aperti esplorava con cura i muscoli del torace di Karman.
- Ti ha salvato il culo – le fece notare lui.
- Ringrazialo da parte mia – Nadia si strinse al petto l'uomo e cercò le sue labbra con le proprie. Un contatto breve, una scarica elettrica di piacere intensa.
- Sarà fatto – rispose piano Karman. Poi fu il suo turno di cercare le labbra di Nadia.
- Mi dici chi ha voluto morto il nostro uomo? Sono curiosa...
Lui sorrise stortando un po' le labbra.
- Curiosità molto pericolosa...
- Eddài... ormai sono dentro fino al collo con te in questa faccenda.
Karman esitò per un istante. Poi capitolò.
- Hai presente il ricevimento della Ghettman?
Nadia fece un cenno di assenso.
- Almeno un terzo dei mandanti era lì presente. Wes Dewey, il vero nome del nostro uomo, dato per morto due anni e tre mesi fa in un finto incidente aereo per sfuggire a creditori, tasse e altra gente che lo voleva morto, ha saggiamente aspettato, cambiato nome e faccia prima di ricominciare a calpestare cadaveri per scalare fino alle alte vette del potere ma...
- …ma non è riuscito a fare fesso Evan Karman.
Sorrise, poi la strinse a sé.
- Basta fare nomi. Abbiamo ancora una settimana da passare in questo bell'albergo solo per mantenere la nostra copertura. Una piccola vacanza. Pensi di farcela?
Nadia squittì un gioioso “sì” stringendosi al collo di Karman.

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