Zootropolis- A dark tale

di Rorschach D Wolfwood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1- Io sono Nicholas Wilde ***
Capitolo 3: *** 2- La maschera di Nicholas Wilde ***
Capitolo 4: *** 3- Un iniziale disastro ***
Capitolo 5: *** 4- E fu così che venni incastrato ***
Capitolo 6: *** 5- La caccia abbia inizio! ***
Capitolo 7: *** 6- Ti va di uscire con me? ***
Capitolo 8: *** 7- Protezione ***
Capitolo 9: *** 8- Non sono nessuno, io ***
Capitolo 10: *** 9- Fiumi di paura che rimandano ad un passato lontano ***
Capitolo 11: *** 10- Fiumi di paura che rimandano ad un passato lontano (parte 2) ***
Capitolo 12: *** Ho vagato nel buio per così tanto tempo... ***
Capitolo 13: *** 12- Ridotto ad uno spettro che vaga senza pace... ***
Capitolo 14: *** 13- Sai qual'è la cosa più spaventosa? Non sapere qual'è il tuo posto nel mondo... ***
Capitolo 15: *** 14- Born to be devil, live to be ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Zootropolis… “La città dove ognuno può essere ciò che vuole”. Così la chiamavano.
Un posto dove, dopo anni di evoluzione e di continue lotte per la sopravvivenza, prede e predatori riuscirono a vivere finalmente in pace.
Ma erano solo voci.
Alle orecchie di un forestiero, di qualcuno che ne aveva solo lontanamente sentito parlare, poteva sembrare un paradiso terrestre. Ed in effetti lo era; una città ridente e popolata, forse un po’ troppo per i miei gusti, circondata da palazzi che si sollevavano dal terreno raggiungendo altezze che mai occhio animale aveva visto, alcuni avevano le forme più strane, addirittura di corna di antilope, ed i vetri riflettevano la luce del sole fino ad apparire abbaglianti e talmente colorati che i colori si riflettevano nelle strade, nei vicoli, in ogni suo abitante, dal più imponente rinoceronte al più piccolo dei criceti.
Ricordo ancora le risate nel vedere quelle piccole palle di pelo rosicchiare velocemente e avidamente un ghiacciolo.
 E l’accoglienza di ogni nuovo arrivato non poteva essere più che gradita: uno schermo enorme, posto davanti alla stazione principale, dal quale Gazelle, la popstar più amata del regno animale, salutava chiunque  La stessa luce, poi, colpiva ognuno dei distretti che circondavano il cuore di Zootropolis, l’umidissimo Distretto Foresta Pluviale, la torrida e soffocante Piazza Sahara e la “fresca” Tundra Town.
- Tundra Town… Il mio vecchio amico, Mr. Big..Chissà se ha ancora quel tappeto di chiappe di puzzola che gli ho regalato da ragazzo-

Ma se l’avessimo guardata per quello che era davvero, Zootropolis non era altro che una grossa menzogna.
“La città dove tutti gli animali vivono in armonia”. Certo, sarebbe stato bello se fosse stato vero.  In tal caso, io, una volpe, un predatore, avrei potuto vivere senza il peso di sentirmi preda; una preda dei pregiudizi e della diffidenza di ogni abitante, escluso e ignorato da chiunque per via della mia natura furba e ingannatrice, tanto da costringermi, fin da ragazzo, a vivere truffando gli altri.
Ironico, non trovate? Un predatore divenuto preda..
E quell’aria di truffa ed inganno era all’ordine del giorno. Iniziai a indossare una maschera di cinismo e menefreghismo, e mi resi conto che quell’aria, come una nube tossica, si era insinuata nell’anima di ogni abitante della città; non era possibile voltarsi senza intuire in qualcuno un senso di corruzione o, peggio ancora, vuoto.
Persino i nostri agenti di polizia, i “difensori della legge”, vestivano quella nube mascherandola da divisa e distintivo. Tutti.

-Tutti… Tranne uno. Un agente di polizia molto speciale. Una creatura che, per quanto potrò sforzarmi, non dimenticherò mai. E nemmeno voglio farlo. Quei meravigliosi occhi li vedo ancora, sento le sue piccole e dolci mani che mi afferrano e mi tirano…-

Sentivo che quel senso di vuoto e completo disinteresse verso tutti si stava lentamente attaccando alla mia schiena, quasi si stava aggrappando
con degli artigli invisibili che non mi mollavano un attimo.
Menefreghismo, disinteresse, vuoto. Solo io. Pensavo solo a me stesso.
Dopotutto, se per il mondo la volpe non è che un animale disonesto, a cosa serve provare ad essere qualcosa di diverso?
Ma… Non so come, o perché, arrivò il giorno, e qualcuno che cambiò tutto.

Mi chiamo Nicholas Wilde, e sono un agente di polizia. Questa è la mia storia, la storia della mia città, e dell’unica creatura che io abbia mai amato in vita mia.


 

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Capitolo 2
*** 1- Io sono Nicholas Wilde ***


  1. Io sono Nicholas Wilde

    Il  grosso lupo bianco mi prese per la spalla e mi scaraventò a terra facendomi sbattere violentemente la testa contro il pavimento gelido.  " Muoviti, volpe!" Tuonò lo sbruffone.
    " Ehi, bello" dissi io, massaggiandomi la testa.  "Ti costerebbe tanto un po’ di gentilezza? Ti ricordo che la testa l’ho già picchiata abbastanza, ieri sera…".  L’agente “Bianco spacca tutto”, così lo chiamavo io, afferrò  il colletto della mia camicia e mi rimise in piedi col suo solito fare da duro, che pensava bastasse a nascondere ciò che era davvero, ovvero un povero idiota, e mi spinse fuori dalla cella nella quale avevo passato la notte. "Ritieniti fortunato ad avere qualcuno che ha parlato in tuo favore!"  Replicò bruscamente lui.
    E dire che non l’avevo nemmeno cominciata io quella rissa… Ma non mi stupii più di tanto, dopotutto la frase “lo sapevo che c’entravi tu, maledetta volpe!” avrebbe fatto capire come sarebbero andate le cose.
    Potevo comunque dire di essermela cavata, con un occhio nero, dei lividi sul muso e un paio di bernoccoli, ma sempre meglio che ritrovarsi senza denti a forza di pugni e manganellate come i miei “compagni” di botte.  “Stupidi orsi ubriaconi” borbottai guardandoli con la coda dell’occhio, prima di allontanarmi definitivamente dalla cella.
    Ovviamente “Bianco spacca tutto” non fu parco di spintoni nello scortarmi fuori dalla centrale – Come, nessun calcio nel sedere? – e quando arrivammo all’uscita mi diede proprio il tanto atteso calcio. Imbecille di un lupo.
    "La prossima volta non sarò così gentile con te, Wilde"
    Sistemandomi la camicia  "Non mi sorprende che questa tua gentilezza abbia spinto tua moglie a cornificarti con quel tigrone più dotato, e molto più carino di te, devo dire!"
    La soddisfazione nel vedere il suo muso deformarsi in un ringhio pieno di rabbia fu impagabile, e il pelo, che da bianco divenne talmente rosso che sembrava fumare, mi diede un maggior senso di vittoria. Se fosse stato DAVVERO un duro, avrebbe preso il manganello e me l’avrebbe spaccato sul muso, istigato maggiormente dal mio sorrisetto compiaciuto, e dall’occhiolino che gli feci con tanto amore. Ma il massimo che ottenni fu uno sputo sul naso. "Vattene, sporca volpe!". Aggiunse, per poi darmi le spalle e rientrare in centrale.
    - Tsk, lupo senza palle… -

    Mi lasciai alle spalle quel postaccio pieno di falsità e mi diressi verso quello scricciolo di appartamento che chiamavo casa. Detta così, qualcuno potrebbe pensare che io vivessi in uno dei peggiori quartieri della città, ma nessuno poteva più permettersi di definire “squallido” quel posto, poiché questo avrebbe implicato ammettere la bellezza del resto della città. E questa sarebbe stata una bugia che nemmeno una volpe poteva sparare.
    Camminare era un ottimo esercizio per il corpo, per quanto non mi desse la muscolatura di un leone, ma un pessimo esercizio era, invece, osservare la gente che mi circondava. Tutta gente che evitavo –e da cui ero evitato -.
    Sentivo solo qualcuno che borbottava riguardo al ritrovamento del cadavere di un predatore appeso ad un lampione, tra lo sconcerto e la paura di tutti. Avevo sentito notizie simili nei giorni passati. Ma in fondo cosa mi importava?

    Arrivai finalmente a casa.
    Accesi la tv e feci un rapido giro tra i canali, beccando il telegiornale. Trasmettevano un servizio con protagonista quel patetico, idiota e pomposo del sindaco Leodore Lionheart, povero scemo, durante un annuncio davanti a tutti i poliziotti di Zootropolis, blaterando di un programma di inserimento o qualcosa del genere, non ricordo bene adesso.
    "Sono fiero di annunciare che la mia iniziativa di integrazione mammifera ha portato alla promozione di una cadetta, che si è distinta diventando il primo agente coniglio di Zootropolis: Judy Hopps!"
    - Un coniglio poliziotto? Come no, non resisterà più di una settimana-

    Presi del ghiaccio e, dopo essermi sdraiato sul divano, comodo e, allo stesso tempo, polveroso, lo posai sull’occhio ancora gonfio. Senza accorgermene mi addormentai.
    - Quella coniglietta non sarà un granchè come agente, però devo ammettere che aveva un bel sorriso -
    Non ricordo quanto dormii, ricordo solo che una volta sveglio mi ritrovai davanti il muso di quel nanetto di Finnick, e la sua mano palesemente pronta a prendermi a schiaffi. Fortunatamente lo fermai in tempo.
    "Aww, il mio fratellino è venuto a svegliarmi" Veloce come un fulmine, stampai un bacione sulla guanciotta pelosa del mio amico. Era così piccoletto che chiunque l’avrebbe scambiato per un cucciolo di volpe. Ed in effetti, da ragazzi, avevamo fatto non pochi soldi con truffe che lo spacciavano per mio figlio.
    Finnick assottigliò lo sguardo  "Se mi baci un’altra volta ti mangio la faccia a morsi!" Esclamò. Cercava di essere in qualche modo minaccioso, ma riuscì solo a strapparmi una lieve risata. "Perché vieni a disturbarmi, Finnick?"
    "Hai idea di che ore sono? È passata l’ora di pranzo!" Sbraitò indicando l’orologio appeso al muro. "Hai dormito tutta la mattina e non ti sei presentato nemmeno a lavoro"
    "E allora? Guardami il muso, sono un povero invalido!" Ah, il mio sarcasmo. Fosse stato più alto, o quanto meno più grosso fisicamente, Finnick mi avrebbe preso a sberle. Invece rimase a fissarmi con un’espressione rassegnata che lasciava trasparire un “si, certo…”. Tirò fuori dalla tasca quella che sembrava una comune cartaccia, ma che invece era il mio stipendio. E senza aggiungere altro, se ne andò.
    200 dollari a settimana, che ora erano solo 100.  – Dannata rissa-
    Visto che non aveva senso ormai raggiungere il cantiere, dato che avevo i soldi, tornai a dormire, fino a sera.
    Quando te ne freghi di tutto, te ne freghi di tutto.



    Feci un’altra visitina al bar della sera precedente, quello in cui ebbe luogo la rissa. Pochi mi salutarono, tra cui quel vecchio caprone del barista, che mi servì la solita birra. “Birra” si fa per dire. In realtà, ogni sorso di quella roba equivaleva ad ingoiare una poltiglia gommosa ed appiccicaticcia che della birra non aveva nemmeno il sapore. Ma come si dice? Questo passa il convento.
    Dietro di me notai un gruppo di faine, 4 per la precisione, intente a giocare a carte. Un classico di ogni faina, il gioco d’azzardo. Erano chiaramente dei dilettanti. Peccato per tutti quei soldi, sarebbero finiti in tasca a chi non ne era degno. Qualcuno avrebbe dovuto insegnargli a “giocare” davvero.
    Con un giro di parole che non starò qui a dirvi, riuscii a unirmi a loro. La partita non fu esente da diffidenza nei miei confronti –del resto, anche io a volte diffido di me stesso- ma ciò non toglie che le mie abilità mi permisero di vincerla. Ero riuscito a recuperare almeno 300 dollari. Certo, non ero diventato ricco ma meglio di niente, no?
    Inutile dire che quei babbei mi diedero addosso, accusandomi di aver barato. E forse avevo effettivamente barato, chissà. O forse erano proprio loro che non sapevano perdere?
    Molto più probabile la prima opzione.
    Una di loro estrasse addirittura un coltello e me lo puntò contro.
    "Signori, signori" Con una tranquillità che chiunque avrebbe trovato strana ma, andiamo, erano solo faine. "Prima di stabilire se effettivamente questa volpe ha barato o no, dovreste chiedervi una cosa…. COSA STA FACENDO QUEL TIZIO, DIETRO DI VOI?"
    Indovinate? Come polli, si girarono per guardare dietro di loro, pensando che ci fosse davvero qualcuno. Del resto chi non era a conoscenza della stupidità delle faine?
    Mi dispiace non aver avuto la possibilità di godermi le loro facce quando, voltatisi di nuovo verso di me, si accorsero che io ero già sparito, con i soldi arraffati e nascosti al sicuro nelle tasche dei miei pantaloni.

    Lo so, sono un monellaccio.

     

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Capitolo 3
*** 2- La maschera di Nicholas Wilde ***


2- La maschera di Nicholas Wilde

Dicono che per andare avanti bisogna dimenticare ogni legame con il passato. Dicono che quel che è successo è successo, e non si può cancellare. Si può  solo decidere come sarà il futuro.
So che come concetto è banale, ma a quanto pare è la verità. E l’ho capito solo in tempi recenti, grazie a qualcuno.  Ho sempre cercato di dimenticare il mio passato, ma, andando avanti con gli anni, sentivo sempre più il suo peso. Sentivo qualcosa di molto pesante arrampicarsi lentamente sulle mie spalle. Pesante quanto il Capitano Bogo!  Se facciamo un calcolo, le mie spalle reggevano il peso di un passato con il quale cercavo di chiudere, la realtà squallida dei fatti di una città all’apparenza perfetta ma nella quale dovevo mentire per sopravvivere, e in “minor” misura, il peso di una solitudine che mi accompagnava ogni istante, in ogni luogo, ogni parte del mio corpo.
Solo ora ho capito che tutto dipendeva dalla maschera che indossavo. Quella stessa maschera della quale, ormai, sono riuscito a liberarmi – chissà cosa sarebbe successo se lei non mi avesse salvato… - .

Accadde tutto quando avevo 9 anni; ero un semplice cucciolotto, un piccoletto, ma sempre più alto di Finnick, con la classica voglia di vivere, solarità e felicità di ogni bambino. Avevo un gruppetto di amici, nel quale ero l’unica volpe, formato da una capretta, un maialino, di nome e di fatto, tanto che durante il pranzo persino il tavolo tremava, come se sapesse del suo arrivo, una zebra, un ippopotamo e un paio di giraffe. Forse per questo non mi sentivo a mio agio a volte.
Nessuno di loro, però, mi dette mai motivo di dubitare o di non credere nella loro amicizia.
Passavo interi pomeriggi insieme a loro, e una volta tornato a casa non vedevo l’ora di affondare il muso tra le braccia di mia madre. La prima persona del cui affetto non avrei mai potuto dubitare in tutta la mia vita. Ma dove c’è luce, purtroppo, c’è anche ombra… E l’ombra che abitava la mia casa aveva le sembianze di mio padre.

Si può dire che mio padre corrispondesse appieno al profilo che ogni animale tracciava nei confronti della volpe; aveva alle spalle non so quante truffe, senza dubbio l’unico mezzo con il quale si guadagnava da vivere, perché non ho mai saputo che lavoro facesse, tante bugie, chissà quante nei confronti di mia madre, e completamente inaffidabile. Solo che laddove una volpe avrebbe potuto fermarsi qui, lui riusciva ad andare oltre: non ricordo un solo momento di affetto da parte sua, una sola carezza o una zampa gentile posata sulla mia testa o spalla, in segno di incoraggiamento o di stima.
Freddo, distaccato, disinteressato. A volte mi chiedevo se in realtà non fosse una volpe polare, dato il suo atteggiamento freddo.
Ok, questa era pessima, lo riconosco.

Da cucciolo parlavo sempre di quanto desiderassi entrare a far parte degli scout,
così da passare le estati con i miei amici, e, non ci crederete, di fare il poliziotto. Diventare il primo agente volpe e aiutare Zootropolis ad essere la città più bella del mondo.
Vi ho stupito, vero?
Ma ogni volta che accennavo ai miei sogni, solo la voce di mia madre mi dava conforto e fiducia, e mi spronava a crederci dicendomi che se mi fossi impegnato, avrei potuto realizzare tutto quello che volevo.
Un classico da genitore, insomma.
Il disappunto, o se vogliamo, menefreghismo di mio padre, non tardava ad arrivare.
"Nicholas Wilde" Le parole con le quali iniziava il solito discorso  "Credi davvero che una volpe possa avere la fiducia degli erbivori? Credi davvero che delle prede si fidino di te?" 
"Si papà, ci credo!" Gli rispondevo ogni volta. "Io li conosco e mi fido di loro, sono miei amici."
A quelle parole, una sonora e fastidiosa, ma soprattutto bastarda, risata rimbombava nelle mie orecchie, e vi si faceva strada come fosse un branco di vermi schifosi che strisciavano fino ai miei timpani, fino a raggiungere, in qualche modo, il mio cuore e colpirlo come solo lui sapeva fare.
- Bastardo… - Un pensiero che riecheggiava nella mia mente, un riflesso istantaneo a quella risata, mentre stringevo i pugni e tentavo di trattenere le lacrime. Non avrei mai avuto il coraggio di dirglielo. Almeno non da cucciolo. Se lo incontrassi adesso, probabilmente gli romperei tutti i denti.

"Una volpe poliziotto? Ah! Ci sono più probabilità che lo diventi un coniglio al posto di una volpe!"

In quei momenti, solo l’abbraccio di mia madre riusciva a strapparmi dalla crudeltà di quelle parole. Ma nonostante tutto, non potevo trattenermi dal singhiozzare, tanto che, per tentare di nascondere la vergogna provata, cercavo di affondare il muso sempre più nel suo petto. Lei lo capiva, e non mi lasciava finchè tutta la tristezza non scemava. E a quel punto, quando veramente ci riusciva, si beccava un bacione sulla guancia da parte mia.
Se mi avesse visto lui, invece…
Arrivò finalmente il giorno in cui gli amici del quartiere, membri del gruppo scout di Zootropolis, mi chiesero di unirmi a loro. Quel giorno ero davvero al settimo cielo. Mia madre, che sapeva bene del mio desiderio, tirò fuori una divisa da scout nuova di zecca, talmente bella che credo mi brillarono gli occhi appena la vidi. Non resistetti; l’appuntamento con i compagni era alle 7 di sera, ma io la indossai subito, tutto il giorno, anche se dopo colazione, su ordine di mamma, e in parte anche per mio desiderio.
Una divisa così bella non avrebbe dovuto sporcarsi nemmeno per sbaglio!



Avevo passato l’intero pomeriggio davanti allo specchio con la divisa addosso e mettendomi nelle pose più strane, da quelle più fiere a quelle più ridicole.
Il momento arrivò.
Mi ritrovai lì, in piedi davanti alla porta d’ingresso del club. Mi sentivo ancora più piccolo di quanto già non fossi davanti a quella porta gigantesca, e il cuore, forse più nervoso di me, batteva più forte di un tamburo, tanto che ero sicuro sarebbe balzato fuori dal mio petto per darsela a gambe.  - Un cuore con le gambe?-
Ma non glielo permisi! Raccolsi tutto il mio coraggio ed entrai. Trovai tutti gli altri ad aspettarmi, anche loro con le divise indosso, e nella mia testa mi pavoneggiavo pensando che la mia divisa fosse più bella della loro. Come fanno tutti i bambini insomma.
D’un tratto le luci si spensero. Un bagliore improvviso mi accecò, e d’istinto mi coprii gli occhi, e solo allora realizzai che si trattava di una torcia puntata contro il mio muso. A puntarla era il maialino, il capetto del gruppo, e tutti gli altri erano riuniti in circolo intorno a me. La luce si abbassò quanto bastava per permettermi di vedere chi avevo davanti, mentre le mie dita picchiettarono le une contro le altre in un misto di agitazione ed emozione.
Quando iniziò il giuramento.
"Io, Nicholas Wilde, prometto di essere coraggioso, leale, disponibile e affidabile!"
" … Anche se sei una… Volpe!" Un silenzio tombale mi circondò. Abbassai le orecchie e tentai di parlare, ma l’enfasi maligna con cui era stata pronunciata quella parola, volpe, bloccò ogni parola e ogni suono nella mia gola.
Quando ero certo di riuscire a parlare di nuovo la torcia si spense, e sentii qualcosa, o meglio qualcuno, afferrarmi le zampe e portarle dietro la mia schiena per impedirmi di muoverle, e qualcosa di duro e metallico serrarmi la bocca. Quando si accesero le luci realizzai che mi avevano messo una museruola. C’erano attaccati gli zoccoli grassi del capetto del gruppo, il maiale, e dietro di lui tutti gli altri che mi guardavano ridendo con disprezzo, e una delle giraffe mi stava trattenendo. 
"Pensavi davvero che ci saremmo fidati di una volpe come te? Sei solo uno stupido!" Quella domanda risuonò nell’aria così forte da coprire le risate degli altri, i quali sembravano divertirsi come fossero ad una festa di compleanno.
"Guardate, ora si mette a piangere!"
Tentai di dire qualcosa, di pregarli di smettere e lasciarmi andare, ma le mie parole non ebbero alcun peso. Sentivo la museruola talmente stretta che nemmeno il mio fiato riusciva a scappare. Mi sentivo soffocare, il mondo sembrò girarmi intorno vorticosamente. Ero certo che da un momento all’altro sarei svenuto.
Ma poi me la tolsero. Ma non per chiedermi scusa. Mi spinsero a terra e iniziarono a pestarmi. Tutto sembrava interminabile.


Quando aprii la porta di casa, la prima cosa che vidi fu mio padre, seduto sulla poltrona, perfettamente di fronte a me. Non riuscii nemmeno a chiamarlo, tanto ero impegnato a respirare affannosamente e massaggiarmi lo stomaco per via di tutte le botte che avevo preso.  "E così quelli erano tuoi amici, giusto?" 
Una coltellata in pieno petto. Un’altra ferita da aggiungere a quelle che già avevo. 
– Sta zitto, maledetto!-
Quasi come se mi avesse letto nel pensiero, mio padre si alzò e si diresse verso di me. 
- Mamma… Mamma, aiutami… -
Le enormi zampe di mio padre mi schiaffeggiarono almeno 3 volte, o forse di più. Per come era conciato il mio muso quasi non sentivo più nulla.
"Te l’avevo detto, stupido! Una volpe non può avere la fiducia di nessuno!" Tuonò  "E scommetto che non hai nemmeno provato a reagire. Dovresti essere un predatore! Dovresti essere più forte di loro!". Tentai con le poche forze che mi erano rimaste di non lasciarmi andare, ma in tutto quel casino, anche loro mi avevano abbandonato. Mi lasciai cadere a terra, mi rannicchiai e mi sfogai. Le lacrime sgorgarono come fiumi, rigandomi il muso come se me lo stessero graffiando. Mio padre proibì persino a mia madre di avvicinarsi e medicarmi.
La serata peggiore della mia vita. In assoluto.
E il giorno dopo, mio padre se ne andò. Abbandonò me e mia madre, per sempre.
Non capii mai perché mio padre ce l’avesse così a morte con me. Non gli avevo mai fatto nulla per meritarmelo. Forse non ero un figlio degno di un bugiardo come lui.
Voleva solo una copia di sé stesso? Un figlio bugiardo e disonesto che rispecchiasse ciò che tutti pensavano della mia razza.
Allora realizzai.
Mio padre non si fece più vivo, ma col passare degli anni la sua ombra si insediò in me. Crebbi, mentii, ingannai tutti, spesso in compagnia di Finnick, che nel frattempo conobbi, e grazie al suo aiuto molti trucchi e molte truffe fruttarono a entrambi un bel po’ di soldi. Abbandonai anche il mio sogno di diventare la prima volpe poliziotto di Zootropolis.
Se mi sentivo in colpa? Assolutamente no! Perché avrei dovuto?
Non era certo colpa mia se quegli idioti si lasciavano fregare come polli.
E comunque, nessuno avrebbe potuto giudicarmi, visto e considerato che io e Finnick non eravamo gli unici a truffare per sopravvivere. Nel nostro mondo, tutti fregavano tutti, solo i più svegli non si lasciavano fregare. Ma, ovviamente, se lo faceva una volpe era peggio che essere uno che uccide a sangue freddo persino chi non ha la possibilità di difendersi.
Questa fu la mia vita. Chissà, probabilmente adesso mio padre mi avrebbe amato. Ero diventato esattamente come voleva lui, però molto più carino di lui. Almeno io non avevo il pelo brizzolato e di muso ero più bello, modestamente.
La maschera di Nicholas Wilde, la volpe bugiarda di Zootropolis, si era “finalmente” posata sul mio muso.

 

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Capitolo 4
*** 3- Un iniziale disastro ***


3) Un iniziale disastro

Io e Finnick, fin da quando ci siamo conosciuti, abbiamo capito di essere bene o male simili. Molte cose ci accumunavano, ad esempio un padre che tale non si poteva definire, l’aver deciso di condurre una vita all’insegna della menzogna per guadagnarci da vivere e molto altro. All’età di 21 anni, io, lui ne aveva già 26, (perché, anche se non si direbbe, e voi sapete perché, lui è più  grande di me) decidemmo di cercare una casa tutta nostra, un rifugio in cui poter architettare qualche trovata che ci permettesse di campare. E ancora oggi, dopo 10 anni, viviamo nello stesso identico e squallido posto. Però, in fondo, non ci lamentiamo troppo. Meglio un tetto squallido sopra la testa che un ponte, no?
Anche se avevamo un lavoro, e continuavamo a truffare, spesso ripensavamo alle nostre imprese di gioventù. L’ultima volta che accadde, prima di un fatale incontro, eravamo tornati a casa dal cantiere; Finnick, come sempre, si era buttato sul divano esclamando “e adesso, Nick, lasciami morire qui… Fino a domattina”.
E chi l’avrebbe schiodato da lì..
Io invece mi spogliai e mi diressi nella doccia. Ah, la doccia, la parte della giornata che più preferivo, non lo nascondo. Sentire il proprio pelo colpito da un getto di acqua tiepida che fonde e fa scivolare via tutta la stanchezza e il malumore di ogni giorno per gettarlo in un tubo e mandarlo chissà dove, nel sudiciume di qualche tubo di cui ignoro l’esistenza.
Quella doccia per me era la rinascita. Sarei rimasto lì dentro ore intere, disposto a farmi staccare via il pelo dall’acqua per la troppa esposizione. In effetti un’oretta buona passava prima che mi decidessi ad uscire.
Uscito dalla doccia raggiunsi Finnick in salotto, ci preparammo un paio di panini e guardammo un po’ di tv.
Non ricordo nemmeno come, è passato molto tempo, finimmo col ricordare le nostre prime “marachelle”, quella a cui eravamo più affezionati era quella del ghiacciolo Jumbo. Ovviamente fu tutta una mia idea; bastava fingersi un ragazzo che voleva comprare un ghiacciolo al fratellino, interpretato da Finnick, ma ovviamente non avevamo i soldi. La truffa consisteva nel riuscire ad impietosire il gelataio, all’epoca un vecchio elefante, puntando su un fratellino amante degli elefanti tanto da volerlo diventare da adulto – Non vi dico quanto faticavo nel trattenermi dal ridere vedendo Finnick con un costumino da elefante- e sperare che il gelataio ce lo regalasse. Quando non funzionava, trovavamo qualcuno che ce lo comprava.
Ma non finiva qui; una volta conquistato il ghiacciolo, io e il mio socio lo facevamo sciogliere e poi ci recavamo a Tundra Town. Lì, io tempestavo la neve di impronte delle mie zampe, ci versavamo dentro parte del ghiacciolo squagliato e aspettavamo che si congelasse.
Avevamo inventato quelli che io e Finnick chiamavamo “Ghiaccioli Zampa”.
Quanti soldi rimediavamo con quei ghiaccioli. Ah, la giovinezza…

Ma ciò di cui forse andavo più fiero era lo scherzo fatto a Mr. Big, ovvero il famigerato tappeto di chiappe di puzzola.
- Non chiedetemi come ci riuscii, fidatevi, è meglio non saperlo-
Sappiate solo che come ricompensa prima ottenemmo un bel pestaggio da parte degli orsi polari del boss, due occhi neri, un braccio rotto e poi un ingaggio “a tempo indeterminato” dal boss in persona, ahahah. A quanto pare era rimasto colpito dalla quasi totale noncuranza con la quale gli avevamo fatto questo scherzo, senza temere conseguenze.
- Più che altro eravamo sicuri che non sarebbe riuscito a trovarci… -
E da quel giorno io diventai “l’esattore delle tasse” di Mr. Big. Finnick, invece, rifiutò l’offerta.
Più ripensavamo a quei giorni felici, più essi sembravano farsi sempre più lontani, tanto che persino riuscire a ricordarli stava diventando impossibile.


Mi sono sempre vantato della mia abilità di rubare le cose alla gente. Il classico urto accidentale sarà old school ma funziona sempre. Ci ho fregato non so quanti poliziotti con quel classico. Un sacco di orologi, cellulari e altri oggetti rivenduti al giusto (per me) prezzo, e nessun paio di manette aveva mai circondato i polsi pelosi di questa volpe.
Fu proprio il mio ennesimo classico a farmi conoscere Judy Hopps.

Ero nel bel mezzo del viale alberato del parco principale di Zootropolis, appoggiato ad una ringhiera che si affacciava su di un lago al quale io davo le spalle, impegnato a scrutare i passanti in cerca della giusta vittima. Dovetti scartarne almeno 3 prima che i miei occhi si posassero su di lei.
Camminò a poca distanza da me, con le orecchie tappate dalle cuffiette dell’ iphone che teneva nella zampa destra, totalmente immersa nei propri pensieri. La testolina dondolava a ritmo di musica, senza dubbio l’ultimo successo di Gazelle, e ogni tanto muoveva le labbra canticchiando.

- Dio, non posso assolutamente scordare il momento in cui posai lo sguardo sui suoi occhi…. Quegli occhi enormi, ametista, semplicemente bellissimi… Ora non avrei usato più un semplice “bellissimi” per descriverli. Erano molto di più. Ammalianti, ipnotici, sensuali. Irresistibili.
Non avrebbero potuto essere incorniciati da un musetto più dolce del suo. All’epoca non avrei mai pensato di arrivare a questo punto, ma col tempo divenni letteralmente affamato di quel musetto!
Ogni volta che esso attirava il mio sguardo, come un’ape è attirata dal fiore, qualcosa mi impediva di staccarmi. Sarei stato capace di fissarlo per ore, e ore, e ore, e ore.
Non so nemmeno io il motivo, ma da quel musetto vedevo trasparire una dolcezza e un fascino che mai avevo visto in nessuna creatura vivente. Così come il mio sguardo, le mie mani non resistevano a posarsi su quelle guance coperte da morbido pelo grigio, e accarezzarlo come per accertarmi che la creatura che avevo davanti non fosse una mera allucinazione. -

Certo, ora ne parlo così perché ne sono innamorato, ma il nostro primo incontro fu tutt’altro che “romantico”, o comunque simile a ciò che si vede in un filmetto per adolescenti.
Vedendola così presa dalla musica, e dato che sembrava non essersi minimamente accorta di me, aspettai che si allontanasse un po’, poi mi avvicinai, allungai la zampa per prendere l’iphone… Ma tutto ciò che sentii fu una stretta tremenda sull’avambraccio, e in una frazione di secondo, senza nemmeno accorgermene e senza aver capito come, mi ritrovai a terra a pancia all’aria, con la coniglietta che mi sovrastava, stringendo il mio avambraccio.
"N-no, non può essere… Non può essere successo quello che credo" Borbottai io cercando di capire cosa fosse successo. La coniglietta mi lasciò il braccio e mi permise di rialzarmi, guardandomi con quegli occhioni – meravigliosi – e un sorrisetto compiaciuto e sicuro di sé stampato sul musetto. Si era tolta le cuffiette e aveva riposto tutto nella tasca dei pantaloni. Poi incrociò le braccia e la sua voce ruppe il silenzio che ci aveva circondato.

- Ora come ora, direi che la sua voce uscì fuori dalla sua bocca ed inondò le mie orecchie, distruggendomi i timpani con un suono caldo e dolce allo stesso tempo. Un suono di cui non mi sarei mai stancato. Poco mi sarebbe importato se davvero la sua voce mi avesse distrutto le orecchie. Dire che ne sarebbe la pena sarebbe riduttivo.
Darei qualunque cosa per poter sentire adesso quel suono… -


"E-ehi, è questo il modo di trattare un onesto poveraccio che…" Tenta di elaborare una scusa quanto meno credibile il più velocemente possibile, ma non un ulteriore suono uscì dalla mia bocca. La coniglietta aveva calpestato le parole prima che potessero raggiungere la mia bocca.
"… Un onesto poveraccio che prova a fregarmi l’iphone con un tentativo pessimo e vecchio come il mondo?" Mi aveva zittito. Aveva estratto il mio fiato e l’aveva gettato letteralmente via.
Non so che espressione assunse la mia faccia, ma se lo avessi chiesto a lei, di sicuro avrebbe detto “da scemo”, o qualcosa di simile.
Ed effettivamente mi ci sentivo uno scemo in quel momento.
"No! " Tentai di ribattere, rialzandomi "No, no no, si sbaglia signorina. Io… Ecco… Stavo cercando di…"
"Di trovare una scusa plausibile per spiegare il fatto che la tua zampa si sia casualmente avvicinata al mio fianco, dove, guarda caso, si trovava il mio iphone?"
E come un cucciolo che ancora non è in grado di parlare, rimasi in silenzio ad osservare l’iphone che lei stava agitando per enfatizzare la cosa.
 "Non ci riesci proprio a trovare una scusa, vero?" La presunzione e la sicurezza con cui mi fece quella domanda mi passarono addosso come un rullo compressore, con tutto il suo peso. Per la prima volta, in vita mia, non riuscivo a trovare una scusa efficace. IO che ero cresciuto con la menzogna attaccata ad ogni pelo del mio corpo da quando ero piccolo, che mi aveva preso e fatto suo, mi stavo facendo zittire da una semplice coniglietta.
- Come l’avrei chiamata tempo dopo, una coniglietta acuta -
Assottigliai lo sguardo osservandola con aria di sfida, mentre il suo musetto continuava a sfoggiare lo stesso sorrisetto di prima, e il picchiettare della sua zampa destra a terra, palesemente in attesa di una mia difesa, rimbombava prepotentemente nell’aria. Il problema è che la mia difesa non arrivò. Era tutto così strano e snervante.
La coniglietta alzo le spalle, chiuse gli occhi e, voltandosi, sussurrò "Beh, buona giornata, signor volpe" A scherno, mi fece anche l’occhiolino. E mentre lei si allontanava, io finalmente mi ripresi, scossi la testa completamente incredulo riguardo ciò che era appena successo. Dentro di me c’era una tale furia, scaturita dalla prima umiliazione della mia vita, una tale rabbia che avrei solo volto urlare e sbraitare come un pazzo. Ma, contrariamente, il mio self control – che poliglotta, non trovate? – mi impose di non farlo. Semplicemente, tornai sui miei passi e decisi di lasciar perdere quel giorno.
Tornato a casa, ovviamente non dissi nulla a Finnick di ciò che era successo. Sarà anche un grande amico, ma quando si tratta di sfottere e prendere per il culo…. Lasciamo perdere.
Ma la cosa che più mi sconvolse fu il non riuscire a dimenticare l’intera situazione, la sfrontatezza che la coniglietta mi aveva sbattuto in faccia e la coniglietta stessa. E nonostante tentassi in ogni modo, provando qualunque distrazione per tenere occupata la mia mente, quell’immagine  non si decideva a mollare quel monolocale da 4 soldi che era la mia testa.
Però riuscii a dormire. A tarda notte… Verso le 3…


Visitai nuovamente il parco nei due giorni successivi, ma della coniglietta nessuna traccia.
Il terzo giorno, invece, dovetti recarmi in uno dei vicoli di Zootropolis abitati da donnole, ermellini, criceti, animaletti piccoli, insomma. Mr. Big doveva riscuotere da Duke Donnolesi. Ah, il vecchio Duke, una povera donnola italo- americana dallo sguardo stralunato e dalla voce acuta e, a volte, stridula che rendeva il suo accento italiano fastidioso, il più delle volte.
Mi recai da lui verso le 13, orario verso il quale si faceva sempre vedere. E proprio nel vicolo giusto lo vidi parlare con qualcuno. Aveva il fiatone, come se avesse affrontato una lunga corsa, e tra le zampe stringeva un sacco grigio. Il quesito su cosa potesse contenere, ammetto, sfiorò i miei pensieri, ma non me ne curai più di tanto. Mi decisi ad avvicinarmi quando il dialogo tra i due sembrava essere finito.
"Ehi, Donnolesi!" Urlai minacciosamente. Dovetti farlo. Duke era famoso per i suoi ritardi in tutto, soprattutto nei pagamenti, e Mr. Big mi aveva dato carta bianca su come trattare la faccenda. Duke si volse e mi osservò sgranando gli occhi. Sicuramente aveva capito perché mi trovavo lì ; di solito mi rivolgevo a lui per proporgli un affare, perché comunque, malgrado i suoi ritardi e i modi di fare da ghigliottina, Duke era efficiente nel suo lavoro. MA non appena mi vide, lanciò via il sacco e scappò. Iniziai a correre anche io, inseguendolo in tutti i vicoli nei quali si infilava nel tentativo di sfuggirmi, chiamandolo con tono sempre più rabbioso e intimandogli più volte di fermarsi, o le cose sarebbero peggiorate.
Trovate strano che una donnola sia più veloce di una volpe? Ebbene, posso assicurarvi, a malincuore, che era esattamente così. Duke, piccoletto e schizzato, era un fulmine nella corsa. Riusciva a superare ogni ostacolo presente in un vicolo con una facilità e agilità ai limiti dell’assurdo, mentre io rischiavo di inciampare almeno 2 volte su 3. Come cavolo facesse non lo so. So soltanto che, nella foga della corsa, abbandonammo i vicoli e ci ritrovammo a correre per le strade principali di Zootropolis, in mezzo a tanta, troppa gente che spintonavamo senza remore. Persino in mezzo alla strada quel piccoletto si muoveva senza problemi! E io rischiavo di essere investito. In mezzo a tutto il casino provocato dal nostro inseguimento, proprio quando ormai stavo per acchiapparlo, - ironia della sorte- sentii la voce tonante di un poliziotto – credo fosse McHorn- chiamare rinforzi; a zittirlo indovinate chi arrivò? Esatto!
"Ci penso io! Agente Hopps all’inseguimento!" Ricordo perfettamente le parole udite. Da dove fosse sbucata non lo so, ovviamente non avevo il tempo di voltarmi e guardare, anche perché…. Beh, vi risparmio troppi dettagli, alla fine sia io che Duke venimmo bloccati.
Non chiedetemi come, vi assicuro che è imbarazzante.
Fummo sbattuti entrambi in una cella temporanea, la stessa dove venni portato dopo la rissa nel mio locale preferito. Una mezz’oretta dopo, una tigre venne a prendermi e mi portò in una stanza per il classico interrogatorio.
Nemmeno 5 minuti dopo, la porta della stanza si aprì e ne uscì una volpe con la camicia verde e dal sorriso soddisfatto. Esatto, proprio io. Come riuscii a liberarmi? Mi dispiace, ma un mago non rivela i propri trucchi. L’unica cosa che posso dirvi è che io e la tigre trovammo un accordo, poiché anche lui era dalla parte del boss di Tundra Town.
Mentre mi avviavo all’uscita della centrale, tenuto fastidiosamente d’occhio da ogni agente lì presente, dal più brutto dei leoni al più obeso degli elefanti, una vocina familiare mi bloccò con una domanda dal tono sarcastico e allo stesso tempo ironico.
"Allora, quanti anni ti hanno dato?"
Mi girai. Era propri lei, la stessa coniglietta responsabile della prima umiliazione della mia vita, stavolta non in abiti comuni, ma con una divisa da poliziotto addosso. La guardai ridacchiando dalla testa ai piedi.
"Non più di quanti potresti passarne tu in quella divisa, piccola "
"Non ti azzardare a chiamarmi piccola!" Rispose lei seccamente, per poi sorseggiare del caffè che aveva precedentemente preso dalla macchinetta poco distante da noi.

"Oh, scusami. Ehm, allora vedrò di scegliere un nomignolo più adatto ad un tenero batuffolino di pelo vestito di blu. Ce ne dici di…. Carotina?"
" Era palesemente infastidita. Bastava il suo sguardo a dirlo. Occhi assottigliati e la bocca ridotta ad una linea piatta che non permetteva ad un singolo suono di venir via. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, mentre io continuavo a fissarla aspettando la sua reazione. Ma di nuovo, la sua reazione mi costrinse ad arretrare. "Ti ricordo.." Proseguì lei "Che ti trovi nel mio territorio, adesso, e che, in una frazione di secondo, potrei farti tornare in gabbia e tenerti lì dentro come fossi in cattività, per il resto della tua vita per aver tentato di derubare un agente di polizia. Anche se  questa Carotina ti ha messo K.O. stando di spalle e con la musica a palla nelle orecchie e canticchiando isolata dal resto del mondo. Ora che ci penso… Potrebbe essere una bella storiella da raccontare ai miei colleghi, non trovi? Una volpe umiliata da una “sciocca coniglietta”..."
Il mio orgoglio… Crollato come un castello abbattuto da un esercito di catapulte…

"Niente di personale, tesoro" E di nuovo mi sorrise, si volse e si allontanò come al parco. Sentii persino qualcuno che, in lontananza, ridacchiava come se avesse udito l’intero dialogo.
"Tsk, conigli…"
- Si si, “conigli…” -

Abbandonai finalmente quel posto e mi gettai nel caos quotidiano di Zootropolis. Scesi gli scalini, attraversai la strada, la piazza sulla quale si affacciava la centrale e mi avviai lungo il viale alberato, in cerca di uno svago. Non passò molto tempo prima di sentire delle grida e vedere un branco intero di animali dirigersi verso la fine del viale. Preso dalla curiosità, seguii la folla, ma quando arrivai erano tutti talmente ammassati che dovetti arrampicarmi sulle teste di ogni animale lì presente per vedere qualcosa.
No, stavo scherzando. Riuscii solo a farmi strada nella mandria, con non poche difficoltà, e quando finalmente arrivai davanti a tutti alzai lo sguardo. Il corpo senza vita, con la bocca spalancata, la lingua e il cranio sfondato di fuori penzolava legato al lampione, divenuto ora un patibolo. Il lupo era nudo, il pelo bianco coperto di sangue che colava ai piedi del lampione, e nello stupore generale, o più che stupore dovrei dire terrore, riconobbi quel poveraccio.
“Bianco spacca tutto”!

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Capitolo 5
*** 4- E fu così che venni incastrato ***


4- E fu così che venni incastrato

Il corpo venne tirato giù dal palo e posto in un’ambulanza arrivata poco dopo, tra lo sconcerto generale dei presenti. Sapevo che prima o poi “spacca tutto” sarebbe finito male, ma non immaginavo così male. Né tanto meno io gli avevo mai augurato una fine del genere, nemmeno nei miei pensieri più profondi; più che altro pensavo che si sarebbe suicidato per  via del tradimento della moglie. In fondo mi divertiva prenderlo per il culo. Osservai l’intera scena; la corda sciolta dal palo, il corpo poggiato a terra e l’ambulanza che si allontanava. Ai piedi del palo, la chiazza di sangue era ormai quasi una pozzanghera. Devo ammettere che ci rimasi un po’ male per lui. Ma lo stesso, ormai non si poteva fare più niente, per cui non mi restava che mettere le zampe in tasca, voltarmi e andarmene per i fatti miei. 
Un’altra vittima di quel killer di cui tutti parlavano. Tutti predatori. Io sono un predatore. Probabilmente avrei rivisto presto il mio caro lupo all’altro mondo. Molto probabilmente all’inferno.
Le vie di Zootropolis erano in fermento per la notizia. Ovunque sentivo bisbigliare, formulare ipotesi, addirittura urla isteriche di qualche gallina incapace di controllare le proprie emozioni.
- Peccato che non fossero state uccise loro al posto di “Bianco”-

Rincasai al solito orario, le 8 di sera, e trovai Finnick che guardava la tv, spaparanzato sul divano come sempre. Mi sedetti accanto a lui e girai qualche canale sperando che trasmettessero qualcosa di interessante, ma le reti erano intasate dalla notizia del poliziotto impiccato. La serie di omicidi stava terrorizzando sempre di più i cittadini, enfatizzando il particolare che le vittime fossero tutte predatori. Durante una conferenza, il sindaco Lionheart e il Capitano Bogo cercavano di tranquillizzare gli abitanti, garantendo loro che ogni agente di polizia era alla ricerca del responsabile, e che presto tutto sarebbe finito. Ma io e Finnick eravamo troppo impegnati a guardare la sua assistente, tale Bellweather, una minuta pecorella talmente sbadata che sarebbe stata capace di inciampare persino sulla propria gonna, nonostante le arrivasse alla caviglia; cercava di farsi notare in ogni modo e di nascondere la timidezza che la conferenza le aveva messo, ma il più delle volte si nascondeva dietro la pila di fogli e fascicoli che aveva in mano per conto del sindaco. Eravamo talmente impegnati a ridere di lei che, prima che potessimo accorgercene, il notiziario era finito.
"Beh, amico, io vado al solito posto, ho bisogno di bere qualcosa. Non aspettarmi alzato, mi raccomando" dissi a Finnick, anche se, in ogni caso, non l’avrebbe mai fatto.
"Ehi, amico, stai attento. Insomma, tu sei un predatore… Eheheh" Con un tono bastardo che sembrava me lo stesse augurando. La sola risposta che potei dargli fu un bel dito medio.
Uscii in strada e mi recai al solito locale – l’avete capito, insomma, era la mia seconda casa, praticamente- . Per fortuna, nessuno borbottava a proposito dell’omicidio, anche perché non mi andava proprio di parlarne. Non perché la morte di “Bianco” mi avesse toccato nel profondo, voglio dire, non era mica il mio migliore amico, mio “fratello”, ma semplicemente non era affar mio. I tavoli erano circondati dai soliti brutti musi, intenti a cazzeggiare tra di loro, chi fumava, chi sniffava della coca fresca, chi giocava a carte, mentre io mi sedetti al bancone e ordinai la solita “birra”.

-Magari vi starete chiedendo “ma se quella birra fa schifo, perché la bevevi?”
Beh, il succo di mirtilli non lo vendevano, quindi… Quando hai fame o sete tutto diventa buono-

Le mie labbra toccarono per l’ennesima volta quella poltiglia, ma essa non fece in tempo a scendere nel mio esofago che il barista, ippopotamo beota, mi domandò se fossi a conoscenza di ciò che era accaduto a “Bianco”. Assottigliai lo sguardo, rimasi in silenzio per qualche secondo e posai il boccale sul bancone con aria seccata.
"E io che speravo non me l’avresti chiesto" Gli dissi sospirando "Si, ne sono al corrente. Ho visto dal vivo il suo cadavere appeso al lampione..."
La serata procedette chiacchierando del nostro vecchio “amico” e di quanto ci fossimo divertiti a prenderlo in giro per il suo carattere spaccone, uno che cercava di sembrare un duro quando invece era uno smidollato. E del famigerato tradimento. Per fortuna, lui non seppe mai che anche io andai a letto con la moglie.
Una volta sola, però. Ok, forse 2. O 3? In mia difesa, posso dire che era sempre stata lei a chiedermi di passare la notte insieme. Probabilmente “Bianco” era un fallimento anche a letto.
L’ippopotamo sosteneva che si fosse suicidato, ma non era plausibile come teoria; era stato chiaramente ucciso, altrimenti come si spiega il cranio sfondato?
"Sai, l’altra sera è venuto proprio qui. Ad un certo punto è stato avvicinato da un giaguaro, era vestito che sembrava un autista. – Forse lo era- Ha parlato un po’ con lui e poi lo ha accompagnato fuori"
Drizzai le orecchie. Un giaguaro vestito da autista? Forse avevo capito di chi si trattava. Ma non poteva essere opera sua.
"Parlavano di Mr. Big. Che dici, sarà stato proprio lui a farlo fuori?" Mi chiese l’ippopotamo
 "Non credo. Mr. Big non è tipo da uccidere e mettere in bella mostra la vittima. Non può essere stato lui" Controbattei io. Quando Mr. Big eliminava qualcuno, lo faceva in modo fin troppo silenzioso. Anche per questo tutti lo temevano.
-E allora chi potrebbe essere stato?-
"Stai attento, Nick. Tu sei un predatore, in fondo, giusto? Eheheh"
"Ma che cazzo!" Lo fulminai con lo sguardo "Non sono il miglior residente del quartiere, ok, ma volete tutti che quello mi becchi? Sei il secondo stronzo che me lo augura!"
Mandai a quel paese anche lui e mi congedai, mentre tutti ridacchiavano alle mie spalle. Avrei potuto scatenare un’altra bella rissa per farli stare zitti, magari avrei pestato a sangue qualcuno in particolare – d'altronde non avevo frequentato boxe per 4 anni per niente, e il mio fisico un po’ lo dimostrava- ma quella sera proprio non mi andava di menare le mani.

Oh, ma basta parlare delle nostre supposizioni, sicuramente voi vorrete sapere come andò avanti la mia storia con Judy, giusto?
Bene: passarono due giorni dall’omicidio. Al cantiere avevo solo il turno di mattina, per cui, una volta finito, potei andarmene senza problemi. Era un po’ una rottura, però, quel giorno non avevo nulla di particolare da fare. Camminai senza meta per un po’, finchè non venni raggiunto da una volante dei piedipiatti. Mi fermai e guardai l’auto con fare interrogativo. Per una volta che avevo fatto il buono…
Lo sportello si aprì e si, dalla macchina saltò fuori la vostra tanto amata coniglietta poliziotta – Vostra.. . La mia – Tirai un sospiro di sollievo. Con lei non avrei avuto alcun problema a scappare via, se fosse servito.
Sorrisi nel vederla avvicinarsi, in mano un taccuino e nell’altra una penna.
"Ehi, guarda chi si rivede, la Carotina tutto pepe!" Dissi con tono pungente. Ovviamente, in quell’occasione, ero del tutto infelice di vederla.
"Non sono qui per fare dello spirito, oggi" Mi zittì lei  "Ho qualche domanda da farti, riguarda il caso dell’agente Thomas Howlingstone" - Ovvero “Bianco spacca tutto”-
Tentai la classica evasione dal discorso, anche perché lei cosa ne poteva sapere della ma conoscenza di quel povero idiota?
"Mi spiace" Dissi io "Ma non so di chi stai parlando, Carotina. Non conosco nessun.. Ehm, come hai detto che si chiama?" - Ripensandoci ora, mi viene da ridere. Dai, Nick, come potevi davvero pensare che una coniglietta acuta come lei potesse abboccare alle scemenze di una volpe ottusa come te? -
Lei mi guardò con aria da “non mi prendere per il culo”, picchiando la zampa sul marciapiede, attendendo una mia risposta, proprio come durante il nostro primo incontro. La testolina inclinata a destra, con quegli occhioni viola semi chiusi che mi fissavano, magari pensando che fossi solo un povero bugiardo da rinchiudere, o, peggio ancora, una sporca volpe, creatura di cui non fidarsi, e le labbra ridotte ad una linea orizzontale.
"Senti, signor Nicholas Wilde" Deglutii al solo sentirla pronunciare il mio nome "Esatto, mio caro, non puoi prendermi in giro. Ho fatto delle ricerche su di te, e ho scoperto che sei moolto famoso da queste parti" - Oh, Judy, perché dovevi sorridere così “malignamente” nel pronunciare quelle parole? Perché deve tornarmi in mente così, limpida come un cielo libero dalla presenza opprimente delle nuvole, cristallina come la più pura acqua di una sorgente incontaminata?-
"Lavori in un cantiere edile, o meglio, dovresti  lavorarci, ma a quanto pare ti dilegui molto spesso, e infatti mi meraviglio che ancora non ti abbiano licenziato, passi le serate in un locale chiamato “l’ippopotamo ubriaco”, nel quale sei stato recentemente arrestato per aver scatenato una rissa, e, per rimanere in tema, hai moolti precedenti, per lo più furti e truffe, e in ultimo, e questo è molto interessante, sei “l’esattore delle tasse” di tale Mr. Big, il boss criminale di Tundra Town"
La mia faccia. Non potete immaginare la mia faccia in quel momento.
"Sai, la lista non è del tutto finita; ci sono molti, molti altri motivi per i quali potrei arrestarti e tenerti chiuso in gabbia, e non perché sei una volpe, ma perché, a quanto pare, sei una minaccia per la tranquillità di questo quartiere, ahahah" Il fastidio provocato da quella risata si attaccò alla mia pelliccia come una terza pelle – vi ricordo che avevo già addosso il marciume e la realtà che si respirava a  Zootropolis-. Essendo una volpe di strada, cresciuto nella totale cattiveria, avrei dovuto iniziare a ringhiare, digrignare i denti e, probabilmente, saltarle addosso per  tentare un inutile attacco. E sarebbe stata la volta buona per  finire definitivamente in gabbia: aggressione ad un pubblico ufficiale e resistenza all’arresto. Ottimo titolo per i giornali.
"Si, può darsi che io sia una minaccia per questo quartiere" Aggiunsi io "Ma tu sei una minaccia per la credibilità della nostra polizia. Ah! Colpita e affondata!"
Il sorrisetto e la sicurezza di Carotina scemarono con la stessa velocità con cui cresceva il mio orgoglio nell’averla fregata. "Detto questo..." Continuai io "Mi congedo. Mi ha fatto piacere riveder.." Non feci in tempo a finire la frase che mi ritrovai con dei “braccialetti” poco fashion che mi impedivano di allargare le braccia. Il bello fu che non me ne accorsi nemmeno.
"Nicholas Wilde, ti dichiaro in arresto!" Esclamò la coniglietta.
"Come ti permetti di.."
"Arrestarti? Sarò pure un’inutile coniglietta, ma sono comunque un agente di polizia, e, come ho detto prima, i motivi per arrestarti sono molteplici, tra cui… Evasione fiscale"
Al diavolo!
"Suppongo tu conosca il Capitano Bogo, dico bene? In fondo so che tu conosci tutti in città, perciò, se non vuoi ritrovarti dietro una cella, o peggio, con l’esofago letteralmente ridotto ad una linea retta dagli zoccoli del mio capo, ti conviene aiutarmi e dirmi tutto quello che sai sull’agente Howlingstone! Niente di personale, tesoro" Occhiolino.
 - Tesoro… -
Potete immaginare il resto della conversazione; vi dico semplicemente che non potei fare altro che accettare. E fu così che venni incastrato, e collaborai ad un caso che, come si suol dire, avrebbe cambiato la mia vita.


La nostra prima tappa fu il caro vecchio bar. Carotina rimase dapprima sconvolta nel vedere il posto; una mezza baracca che dimostrava tutti e 50 gli anni che si portava dietro, un pavimento con mattonelle mancanti in più punti, muri verdi e pieni di crepe, con appese foto di qualche vecchia celebrità, tra le quali spiccavano le foto in intimo di Gazelle, tavoli disposti a casaccio e un lungo bancone grigio, che una volta era bianco. Appena 3 lampadari illuminavano il posto. Non riusciva a credere che un rappresentante della legge potesse frequentare un posto simile, pieno di canaglie e tipi poco raccomandabili. Io le risposi che le canaglie, si ritrovano sempre e comunque, dappertutto, persino sotto una divisa blu. Lei però sembrò non capire. Entrammo. L’ippopotamo sobbalzò leggermente  vedendo entrare un agente di polizia, mentre tutte le altre presenze buttarono un occhiata maliziosa su Judy –dovetti ammetterlo anche io, nonostante fosse solo una coniglietta, era molto carina- ma le occhiate erano accompagnate da bisbigli incomprensibili, ma qualcosa mi diceva che stessero speculando sul mio passaggio dalla parte dei piedipiatti. Ma vi ricordo che parlo sempre di bestiacce ben più disoneste di me.
- in realtà era bellissima!-
Ci avvicinammo al bancone e ci sedemmo. – Avevo intravisto anche le faine che, giorni prima, avevo fregato a poker. Speravo che loro, al contrario, non mi avessero notato- . L’ippopotamo, nervoso come se nascondesse qualcosa e temeva che Judy lo avrebbe scoperto. Non chiedetemi perché, non so se effettivamente avesse qualcosa da nascondere- ma, nonostante tutto, rispose alle domande della coniglietta. Le ripetè ciò che aveva detto a me, ovvero del giaguaro che aveva avvicinato Thomas e lo aveva condotto fuori dal locale.
"E per caso non gli ha detto dove lo avrebbe portato?" Chiese Judy "Non ha sentito un luogo, qualcosa? Niente di niente?"
"Mi spiace, agente" Rispose lui "Non ha aggiunto altro. Ha solo detto che avrebbe dovuto seguirlo dal suo capo, per un certo affare in sospeso, e che lui – Thomas- sapeva bene di cosa si trattasse"
"Quello era l’autista di Mr. Big!"
Sia io che Judy ci voltammo nello stesso momento. Una donnola, col gli occhi coperti da una vecchia coppola rovinata e la testa quasi del tutto nascosta dal colletto alto di una vecchia giacca di pelle nera, un sigaro in bocca, ci aveva interrotti.  "Quello era l’autista di Mr. Big, il capo indiscusso di Tundra Town. Thomas, o come lo chiamavano tutti, “Bianco spacca tutto”,  gli doveva un bel po’ di soldi, e da parecchio, anche!"
Mi voltai verso Judy. Vidi il suo – dolce- musetto contorcersi in un’espressione di puro shock. Le mani le tremavano, le orecchie caddero pesantemente sulle sue spalle, gli occhi sembrarono spalancarsi sempre più, oltre il loro limite. Sembrava cercare di dire qualcosa, ma ci volle un po’ prima che il fiato riuscì ad abbandonare la sua bocca.
"N-no.. Non.. Non può essere… Tu stai mentendo!" Ciò che prima era shock divenne rabbia. La coniglietta saltò giù dallo sgabello e, con un unico balzo, si avvicinò alla donnola, afferrandola per il colletto, iniziando a scuoterla e urlare contro di lui, e credo che stesse per piangere nel farlo. Continuava a urlare che un poliziotto di Zootropolis, la città perfetta per tutti gli animali, non avrebbe mai potuto fare affari con un criminale. Dovetti intervenire personalmente ed allontanarla da quel tipo per calmarla. La presi per gli avambracci e, con forza, riuscii a farle staccare la presa da quella vecchia giacca. Dovetti abbracciarla e stringere, non troppo ovviamente, per impedirle di continuare. Fortunatamente si calmò.
"Scusami… Scusami, Nick. Non so… Cosa mi sia preso"
Sarebbe stato palese anche per l’animale più stupido che in quel momento, in quella coniglietta, una forte delusione l’aveva colpita.
"Siediti, ci penso io a lui, Carotina"  Detto fatto, presi una sedia e mi sedetti al tavolo di quella donnola. Un muso coperto di pelo brizzolato e quasi completamente grigio, con qualche piccolo sfregio intorno al naso, e, pur non conoscendolo di persona, sapevo che quel tipo conosceva vita, morte e miracoli di ogni abitante, ogni vicolo, ogni centimetro, perfino il più nascosto, di tutta Zootropolis e di ogni suo distretto., da Tundra Town a Piazza Sahara. Ancor più di me.
"La tua amica è proprio una novellina" Bisbigliò sarcasticamente  "Ancora non sa come funzionano le cose in questa città"
"Qualcosa che imparerà comunque. In ogni caso..." Proseguii io  "Ho due domande da farti;  numero 1: sei sicuro che quel tipo fosse l’autista di Mr. Big? E numero 2: dato che tu sai tutto, dove ha portato il lupo?"
Il sorriso della donnola si allargò sempre di più, fino a mostrare un ammasso di denti giallognoli storti e, non credo proprio di sbagliarmi, marci. Questo spiegherebbe l’odorino che sentii subito dopo.
"Risposta numero 1, si, quello era Manches, l’autista personale di Mr. Big. E risposta numero 2…"
Lo fissai in modo enigmatico. Stava per parlare ma non disse nulla. Io fissavo lui e lui fissava me.
"Allora? "
"Posso solo dirti che, forse, è meglio se ne parli con il boss in persona. In fondo, tu sei uno dei suoi, no? Perché non chiedi direttamente a lui?"  - Tsk, bastardo- Sapevo che non sarei riuscito a convincerlo a parlare. Non ci fu altro da fare. Presi Judy e me ne andai da quel posto. Sapevo già dove recarmi quella sera, in un posto di proprietà di Mr. Big nella zona nord della città. Non potei fare a meno di buttare lo sguardo sulla –mia- coniglietta. Era ancora afflitta e dispiaciuta da ciò che aveva appreso poco prima. Nessuno di noi accennava a parlare. Il silenzio che ci circondava divenne quasi assordante, tanto che decisi di prendere l’iniziativa e rompere quel silenzio. Col mio solito modo di fare, ovviamente.
"Sai, Carotina, da quello che ho visto prima, sembrava che “Bianco spacca tutto” ti piacesse" Aggiunsi forse un pizzico di malignità –innocente- nella mia affermazione. Questo la fece bloccare di colpo, e credo anche arrossire. Ciò provocò una risatina bastarda in me, come se avessi detto “ti ho beccato!”,  ma lei subito smentì tutto ciò.
"Ma cos’hai capito, scemo?" Disse spintonandomi. "No che non mi piaceva, è solo che…"
- I suoi occhi… Stava per piangere. La sua passione, il suo amore per la giustizia… -
"La giustizia è qualcosa a cui tengo molto. Qualcosa in cui credo fin da piccola. Ed avendo sempre sentito cose meravigliose su queste città ed essendo riuscita a realizzare il mio sogno, quando ho sentito di un rappresentante della giustizia in affari con un criminale non ho voluto crederci..." Le ultime parole uscirono come un debole sussurro dispersosi nell’aria. Era proprio una novellina.
"Devi ancora imparare come funzionano le cose in questa città, Carotina"  Mi dispiaceva doverle dire quelle cose, e rischiare di cancellare il suo entusiasmo dalla faccia della Terra, ma prima o poi, essendo una poliziotta, sarebbe venuta a contatto con essa comunque. La Zootropolis di cui aveva sentito parlare forse era esistita in qualche tempo lontano, magari proprio quando lei era solo una cucciola. Ma, per quanto cercassi, nelle gallerie oscure del mio cervello bacato, un ricordo che mi confermasse che fosse davvero esistito un tempo in cui Zootropolis era la città dei sogni di ogni animale, un posto in cui ogni animale poteva essere ciò che voleva, e non il letamaio che vivevo ogni giorno. Ma non trovai nulla. Nada. Nisba. Forse perché ogni tentativo mi riportava alle vicende della mia infanzia. Vi ricordate di mio padre e di tutto il resto, no? In fondo, io avevo scelto di essere un bugiardo.
Beh, in ogni caso dovetti rinunciare. Salimmo sulla volante e guidai Judy nel luogo dove ero sicuro si trovasse Mr. Big; non un posto nascosto di Tundra Town, non un palazzo diroccato fuori ma arredato come una villa ottocentesca o di lusso o qualcosa del genere, ma un posto di sua proprietà, nella zona nord di Zootropolis, un quartiere colorato e tempestato giorno e notte, notte e giorno di luci al neon, flash e ogni altra sorte di illuminazione possibile. Una sorta di Las Vegas, insomma, ma più piccola e senza lo spropositato giro di soldi che domina quella città. Non dimenticherò mai la faccia di Carotina quando, una volta giunti a destinazione, scoprì che il posto era…
"U-un bordello?" Domandò. Ero troppo impegnato a ridacchiare, o meglio a cercare di trattenermi, vedendo il suo musetto. Sembrava che l’imbarazzo e il disgusto in persona l’avessero preso e deformato, con loro grande diletto, aggiungerei, dandole quell’espressione che mischiava disgusto, shock, paura, nervosismo, imbarazzo mortale e chissà cos’altro.
"Che succede? La nostra intrepida coniglietta si sente in imbarazzo nell’entrare in un posto simile?" Il mio classico, impareggiabile sarcasmo. "Pensa che la maggior parte dei poliziotti della città vengono qui. Chissà, potresti trovare qualche tuo collega" Non era vero, o del tutto falso, eheh, lo dissi più che altro per istigarla un po’ , ma era un posto effettivamente frequentato anche da poliziotti. Quelli in affari con Mr. Big, pagati per chiudere un occhio sugli affari del boss di Tundra Town. Pagati sia in soldi che in donne. Carotina scosse la testa, si schiarì la voce e si schiaffeggiò le – tenere, morbidissime- guance grigie con le proprie zampette. Fece un respiro profondo e gonfiò il petto. "O-ovvio che non sono imbarazzata! Sono un’agente di polizia!" Esclamò con un lieve, ma evidentissimo, tremore nella voce, lucidandosi nel frattempo il distintivo posto sul giubbotto antiproiettile che indossava. Ci avviammo insieme all’entrata –io ovviamente cercavo ancora di trattenermi dal ridere- . La sola occhiata che Carotina lanciò al tabellone posto sul cornicione, una seducente lupacchiotta sdraiata in posa sensuale, con addosso un mini costume rosso, con intorno ogni tipo di frase provocatoria e sporcacciona per richiamare clienti, bastò a bloccarla a pochi passi dalle due grandi porte in legno rosso dell’ingresso.
"Ci stai ripensando? Posso entrare solo io, se vuoi"
Aveva senza dubbio capito che, ancor più di prima, non la ritenevo assolutamente all’altezza di quel luogo, così come non la ritenevo all’altezza di risolvere il caso. Carotina non mi rispose; mi passò davanti, sguardo determinato e pronto all’azione, pugni stretti e passo pesante. Aprì le porte e….

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Capitolo 6
*** 5- La caccia abbia inizio! ***


5- La caccia abbia inizio!

Il chiasso ci investì in pieno come fosse macchina a tutta velocità. Credo che Judy dovette addirittura reggersi alle porte per non cadere a terra, tanto era forte il frastuono! Ma le maniglie non poterono godere delle sue manine a lungo, poichè esse, in una frazione di secondo, afferrarono le orecchie fino ad allora perfettamente dritte e le incollarono alle sue guance per non sentire l'assordante musica che, nel frattempo, era uscita dal night e si stava diffondendo per strada come una miriade di serpenti fuori controllo. Io invece ero dietro di lei, con le zampe nelle tasche dei pantaloni, sghignazzante e giocondo, ridacchiando nel vederla in quello stato. Ma avrei dato qualsiasi cosa, allora, per vedere il suo musetto, che sono certo fosse diventato di un rosso ben peggiore del mio pelo, e tutto a causa dello spettacolo che le si parò davanti: le porte, infatti, si affacciavano direttamente sulla hall del locale, un salone circolare enorme tanto da sembrare una sala da ballo in grado di contenere più di ottanta persone. Dal soffitto pendevano quattro o cinque lampadari vecchio stile, di quelli che si vedono nelle regge francesi. Al centro della sala, un lungo tavolo e intorno ad esso divani in pelle rossa. O almeno così si era sempre presentato il posto. Si, perchè tutto quello che i nostri occhi videro, una volta varcata la soia , fu una festa letteralmente fuori controllo: tavoli e sedie rovesciati, pavimento coperto da bottiglie di alcolici, sedie mezze rotte e soprattutto abiti, magliette, pantaloni - e mutande- e intorno a noi, coppie di animali intente a limonare e scopare senza pudore e senza controllo, bestie che scopavano con bestie di razze diverse e tre o quattro scimmie che saltavano e agitavano i propri piselli verso i presenti, mentre si rovesciavano addosso fiumi di liquidi dai mille sapori. Poveri liquidi inutilmente sprecati...
Il boss doveva aver organizzato una mega festa per tutti i suoi soci e collaboratori. Fu difficile, ma io e Judy ci addentrammo nella folla impazzita tentando di crearci un passaggio per raggiungere l'arco posto alla fine del salone, il quale si affacciava su un lungo corridoio che conduceva all'ufficio di Mr. Big. Intorno al salone ce n'erano altri di archi, ognuno di essi conduceva alle varie camere, dopo rampe di scale che portavano al primo piano, ma quando capitava una festa, di quelle camere ci si dimenticava perfino l'esistenza. E io lo so perchè.... Beh lo confesso, ho partecipato anche io a qualche festa. 
C'erano così tanti animali che ad ogni passo era impossibile non incappare nel culetto di qualche femmina (o, nel peggiore dei casi, sfiorare genitali maschili (sono costretto ad edulcorare certe cose, sennò mi censurano!)), e in quel caso, il corpicino di Judy si allontanava di scatto, come fosse un riflesso condizionato, e il suo musetto si deformava in un'esilarante espressione di disgusto e vergogna, come se per lei il sesso fosse qualcosa di orribile, una sorta di aberrante creatura che divora l'interiorità di un animale. Insomma, era un coniglio dopotutto! E mentre lei cercava di raggiungere il più in fretta possibile l'arco, io salutavo qualche mia conoscente momentaneamente libera e improvvisavo con lei un balletto, ringhiando e sfoggiando il mio sorrisetto vincente che lasciava intendere un "con te ci vediamo dopo!" che però non sarebbe mai arrivato. Riconobbi anche qualche poliziotto, nella mischia. Sicuramente anche a Judy non sfuggì tale particolare. 
Riuscimmo, infine, a raggiungere l'arco; Judy era dietro di me che riprendeva fiato dopo le "orribili visioni" a cui era stata sottoposta, mentre io era davanti ai due tizi di guardia: un ippopotamo e un cinghiale, entrambi davanti alle grandi tende rosse raccolte ai lati dell'arco. Erano due novellini, era palese. Avrei potuto presentarmi a loro come "Nicholas Wilde, addetto al recupero crediti per conto di Mr. Big", ma prima che potessi aprire bocca, Judy mi passò davanti - ancora paonazza in viso!- decisa a palesare la propria autorità di poliziotta e ordinare ai due di lasciarci passare.
"Agente Judy Hopps, ZP..." 
Prontamente le tappai la bocca con una mano. Zampa. E' uguale! Il cinghiale avanzò leggermente verso di noi e, con espressione accigliata, si pronunciò. "Che volete voi due? E che cosa ci fa uno sbirro qui?"
Tipico dei novellini, per sembrare intimidatorio tentava di usare un tono più intimidatorio, proprio come "Bianco spacca tutto". Elaborai in fretta una bugia da raccontargli. Se gli avessi detto che Judy doveva fare delle domande al boss per via dell'indagine, probabilmente ci avrebbero sbattuti fuori. Fortunatamente, ogni volpe è maestra nel raccontare scemenze, per cui la bugia mi venne quasi automaticamente. 
"Ecco.." Dissi "Lei non è uno sbirro, amico! Lei è una ragazza voluta appositamente dal capo." Accostai un occhiolino per rendere la cosa più credibile, e allo stesso tempo, la mia mano lottava per tenere zitta Judy, che continuava a dimenarsi per liberarsi, dandomi addirittura un morso! Quel gesto fece quasi saltare tutto. - Pazza di una coniglietta tremendamente irresistibile!- 
Le due guardie si scambiarono un'occhiata di sospetto, soprattutto a causa dell'imbarazzo di Judy. Mi avvicinai al cinghiale, in modo da sussurrargli nell'orecchio che la coniglietta era nuova, e che era presa dall'agitazione per il fatto che fosse la sua prima volta, ma una voce familiare mi allontanò dall'orecchio peloso del maialino; guardai dietro di lui e vidi il signor Otterton, una lontra, fioraio e socio di Mr. Big e co-proprietario del bordello. Lavorando per Mr. Big da molto tempo, ovviamente ci conoscevamo bene. Spostò con noncuranza il cinghiale per abbracciarmi e salutarmi, come a sottolineare il fatto che non ci si vedesse da molto. Ricambiai i saluti e gli spiegai perchè io e Carotina eravamo lì e perchè avevamo bisogno di parlare con il boss. Mr. Otterton, da sempre molto disponibile, ma non per questo incapace di farsi rispettare quando serviva, capì immediatamente e ci fece strada verso l'ufficio di Mr. Big. Il lungo corridoio era tappezzato di locandine di vecchi film italiani, thriller e horror, di un particolare regista, un certo Mario di cui non ricordo il cognome. Ciò che le rendeva affascinanti era l'alone di vintage che le ricopriva. Erano disegni stupendi e suggestivi, e i colori cupi rendevano bene l'atmosfera. Mi girai e vidi che Judy si era fermata davanti ad una locandina, il cui titolo era "Sei donne per l'assassino": essa ritraeva il killer in primo piano, coperto da una maschera completamente bianca, che delineava appena qualche tratto del muso, un cappello e cappotto neri. Sotto di lui, le sei vittime e poi il titolo. 
Una zampetta sul mento e uno sguardo profondo e pensieroso erano ciò che il killer avrebbe visto se non fosse stato solo un disegno; Judy fissava la maschera bianca senza smorfie come se stesse cercando di capire chi potesse celarsi dietro. Ed era proprio quello che stava facendo. Incredibile, quella coniglietta - la mia coniglietta- non era capace di staccarsi dal lavoro nemmeno osservando un semplice disegno!
Mi avvicinai a lei e picchiettai la sua fronte come se bussassi ad una porta - una piccola, dolcissima, adorabile "porta" coperta di pelo grigio e con due occhi dalla bellezza indescrivibile- ma dovetti farlo più di una volta per riuscire a tirarla fuori da quella specie di trance. 
E finalmente quegli occhietti abbandonarono la locandina per concentrare la loro attenzione su di me. Sembrava completamente spiazzata, neanche fosse appena tornata da una qualche dimensione alternativa.
" E' possibile che tu non riesca a staccarti dal lavoro neanche guardando una semplice locandina?" Dissi io sarcasticamente.
Lei sorrise e scosse leggermente la testa, portandosi una zampetta sulla fronte come a dire "hai ragione".
" Lo so, hai ragione" Rispose lei " Ma questo disegno mi ha colpito troppo fin da subito, come se l'istinto mi avesse suggerito di piazzarmi qui e tentare di... "Risolvere il caso" " Concluse il tutto con un'adorabile risatina alla quale non potei resistere, e sorrisi guardandola. Lei ricambiò il sorrisetto - arrossendo!- ma poi, Mr. Otterton ci richiamò alla realtà - maledetto!- e ci condusse all'ufficio di Mr. Big. 
Otterton aprì la porta, ed entrammo nell'ufficio del capo; Mr. Big era in piedi, di spalle, con una mano posata in segno di conforto sulla spalla di colui che si rivelò poi essere Manches, il giaguaro suo autista. Dietro la scrivania, due suoi bodyguard, due orsi polari, osservavano la scena. Entrambi ci davano le spalle, ma subito si voltarono. La gola mi si annodò, e in essa il mio respirò soffocò nel vedere il muso di Manches: una fasciatura gli copriva completamente l'occhio e l'orecchio destro, mentre il resto del muso era coperto di lividi che di certo non derivavano da una semplice rissa da bar - io ne so qualcosa. ricordate?-, ma erano evidentemente i segni di qualcuno reduce da una vera e propria aggressione, e lo sguardo pregno di paura. L'intero corpo del giaguaro, coperto dalla divisa di autista, sembrava tremare. Persino l'unico occhio rimastogli. Tentai di deglutire ma non ci riuscii. Judy lo fece per me. Lo sentii perfettamente, come se avessi poggiato l'orecchio contro la sua gola. 
Manches quasi sobbalzò vedendoci, pensando magari che fossimo lì per picchiarlo. Mr. Big lo tranquillizzò, e il giaguaro, poco dopo, mi riconobbe. Il boss, quel vecchio toporagno dai folti sopracciglioni e lo smoking sempre impeccabile, e poco te ne fregava se ti sembrava uscito da un film anni 50, tutti noi sapevamo che era capace di mettere da parte l'aria da bonaccione e tirar fuori il vero boss.
Io e Judy ci avvicinammo al centro dell'ufficio, dov'era seduto Manches, mentre Otterton annunciò di volerci lasciare soli in modo da parlare con Mr. Big. 
Il suo sguardo si posò subito su Judy. La studiò dalle orecchie alla punta delle zampe, con fare intimidatorio. Percepii il disagio di Judy in quel momento, e per la prima volta, da quando la conoscevo, sembrava spaventata. Mi feci avanti per rompere quel silenzio, ma Judy, raccolto tutto il coraggio presente nel suo corpo, e la sua voce lasciò colmò il vuoto tra lei e il boss.
" S-signore non sono qui per un arresto o per fare qualcosa contro di lei" Cominciò Carotina "Ho ragione di credere che il suo autista sia coinvolto nell'omicidio dell'agente Howlingstone, per questo io..." Non fece in tempo a finire la frase che Manches, digrignando i denti, balzò davanti alla coniglietta con rabbia furente, urlando e sbraitando poichè Judy, almeno secondo lui, sembrava accusarlo di aver ucciso "Bianco spacca tutto". Mr. Big lo fermò e lo fece sedere di nuovo. 
"Mi scuso per la brusca reazione del mio amico" Disse Mr. Big "E' ancora pesantemente scosso da quanto gli è successo."
Non so per quale motivo, ma l'occhiata che Big mi lanciò, dopo aver pronunciato quelle parole, mi buttò in un pozzo di inquietudine, un'occhiata quasi colpevolizzante e priva di fiducia, come se stesse pensando che io fossi, per qualche assurdo motivo, passato dalla parte dei poliziotti. O peggio ancora... Che l'avessi tradito, che avessi portato lì qualcuno di talmente incorruttibile e talmente forte da riuscire a prenderlo e rinchiuderlo in gabbia, decretando la fine del suo impero e della sua stessa vita. 
Ok, forse la mia mente aveva esagerato in quel momento, ma ve l'ho detto, sapeva essere tremendo quando voleva, nonostante fosse solo un toporagno un po' troppo grosso, sia di pancia che di statura. Posso dirlo con certezza perchè l'ho visto con i miei occhi, ma tornando a noi...
Probabilmente ancora segnato dallo sguardo di Mr. Big, non mi accorsi che Judy si era seduta davanti a Manches, e il boss dietro la propria scrivania. Solo io ero rimasto in piedi, come un baccalà, tra le risatine dei due orsi, per poi scuotere la testa e riprendermi da quel mezzo shock. Solo dopo realizzai che Judy e Manches stavano parlando di ciò che era successo la sera in cui Manches era andato a prendere Howlingstone al bar.



"Quella sera andai a prendere Howlingstone con l'intenzione di portarlo da Mr. Big. Lui doveva al capo una grossa somma ancora non saldata per la droga che era solito acquistare, e il capo si era stufato di aspettare. Avevamo scelto come luogo d'incontro una zona poco frequentata della strada per Tundra Town, soprattutto la sera. Cominciò a piovere, e..." 
Con l'avvento della pioggia, come un riflesso del passato che torna a colpirti quando meno lo vorresti - scelta di parole non casuale-, le mani di Manches iniziarono a tremare; dapprima solo un po', ma via via che proseguiva con il suo racconto, esse sembravano martelli irrequieti che martellavano incessantemente. Gocce di sudore si mostrarono sulla fronte, e scesero lentamente lungo tutto il suo muso. Potevo solo immaginare per lui cosa significasse; quando un simile nervosismo assaliva me, sentire quelle gocce attraversarmi il pelo equivaleva ad essere graffiati dal più affilato degli artigli.
"D'un tratto iniziò a piovere, e dato che eravamo in anticipo rallentai un po'. Quando raggiungemmo il luogo stabilito, notai una figura, qualcuno in piedi sotto la pioggia. Perfettamente immobile, come se non si fosse accorto della pioggia" - Il tremore colpì anche la sua voce-
"Mi fermai per cercare di farlo spostare, ma non ci fu verso. Continuava a rimanere immobile. Sembrava stesse aspettando qualcuno. Non vedendo altra scelta, poco dopo scesi dalla macchina, chiudendola per impedire ad Howlingstone di svignarsela, e mi avvicinai a quel tizio.
Più mi avvicinavo, più notavo che aveva una mole imponente, poco più grande di me, ed era coperto da un cappotto nero e, credo, una maschera che gli celava il muso. Non sono riuscito a distinguere in lui alcun elemento che potesse farmi capire con quale animale avevo a che fare. Notai però che aveva delle braccia molto grandi e più lunghe delle gambe. Tentai di intimorirlo mettendomi in guardia - sapete, sono anche pugile oltre che autista- ma quello continuava a non mostrare segni di risposta. Sentii i miei nervi esplodere, come se mi stesse sfidando, e tirai qualche pugno, ma li evitò. Ne tirai altri, e altri, e altri ancora. Ma quel tipo evitò ogni mio colpo con una rapidità mai vista prima. Nessuno dei miei colpi è mai andato a vuoto! - Mr. Big annuì- 
Continuai a colpire finchè, "finalmente", quello mi rispose; senza darmi nemmeno il tempo di accorgermene, mi colpì il muso con un destro potente e fulmineo. Nessuno sarebbe riuscito a proteggersi in tempo!"

Ed è qui che il racconto di Maches iniziò a farsi più inquietante...

" Il fiato cominciò a mancarmi. Stavo scagliando quei colpi con troppa forza, poi il tizio bloccò il mio ennesimo pugno... Con una zampa sola! Strinse sempre più la presa, tanto che mi sembrò che il dorso della zampa si stesse sgretolando. O forse erano le ossa.. In ogni caso, non riuscii più a muovere quella zampa, nonostante tentassi in tutti i modi. Ad un tratto mi colpì violentemente allo stomaco facendomi cadere a pochi metri dalla macchina. Ero talmente impreparato che sentii un dolore atroce che non avevo mai provato nemmeno durante un incontro... Quel tizio, poi, saltò verso di me e mi atterrò davanti, iniziando a riempirmi di pugni da muso a stomaco, facendomi sputare tanto di quel sangue che si mischiò all'acqua che bagnava l'asfalto... E infine, mi strappò, letteralmente, l'orecchio e l'occhio...
Non riuscii più a sentire nulla. Tutto intorno a me, il vento, la pioggia che colpiva la strada e io mio corpo mezzo distrutto, i tuoni, tutto era ridotto ad un unico suono ovattato, e i miei occhi faticavano sempre di più a rimanere aperti. Ogni cosa iniziò a girare, sempre più velocemente, sentii una sensazione amara di vomito risalirmi la gola, ma si bloccò in bocca, senza uscirne. Non so quanto tempo rimasi a terra, ma tentai di rialzarmi. Ogni minimo movimento era come essere colpito ulteriormente da quel maledetto. Alzai la testa e vidi quel tipo, sempre avvolto in quel cappotto nero, illuminato da un lampo, sul tetto della macchina intento a sfondarlo con i pugni. 
Non so che razza di animale fosse, ve l'ho detto, ma aveva una forza davvero fuori dal comune!
Strisciai lentamente sull'asfalto allagato per avvicinarmi alla macchina -credendo stupidamente di riuscire, forse, a fermarlo o affrontarlo di nuovo- ma non feci in tempo; il maledetto aveva sfondato il tetto della macchina e aveva afferrato Howlingstone, impedendogli qualunque reazione, per poi soffocarlo...
Non potei fare nulla. 
Poi saltò giù dalla macchina e rimase fermo dritto davanti a me, a fissarmi; temevo un nuovo attacco, ma invece entrò in macchina, con il corpo di Howlingstone, mise in moto e... Se ne andò..
Gli ultimi grammi di forza mi abbandonarono definitivamente e mi accasciai a terra privo di sensi. Quando poi Otterton e gli altri raggiunsero il luogo dell'incontro mi aiutarono e mi portarono a casa mia, prestandomi soccorso. Se non mi avessero raggiunto, non so cosa sarebbe accaduto.."

Sentii un gelido vuoto attraversarmi le vene. Non una singola parte del mio corpo peloso e rosso si mosse, non un orecchio, non un dito, nulla. Deglutii.
Il racconto di Manches mi aveva pietrificato, eppure non sono mai stato uno troppo impressionabile, soprattutto per quanto riguarda un "racconto", chiamiamolo così. Eppure tutta la faccenda ebbe uno strano impatto su di me. Mi volsi leggermente verso Judy; anche lei era attonita, tanto che sembrava non essere più riuscita a prendere appunti sul suo blocco. Scuotemmo la testa, insieme, nello stesso momento, e a rompere il silenzio fu proprio lei.
" Signo Manches, lo so che ricordare quest'esperienza è terribile per lei, ma mi serve tutto l'aiuto possibile" Disse lei con tono di conforto " Ha detto che non ha visto nulla del suo aggressore perchè era completamente coperto di nero, ma non è riuscito, per caso, a notare qualche altro particolare, oltre le braccia, che possa metterci sulla strada giusta? Anche la più piccola cosa potrebbe esserci d'aiuto" - Si, credo che Judy fosse una grande lettrice di Sherlock Holmes-
Manches sospirò. Si grattò la fronte, e dopo un altro sospiro, disse " Mi dispiace, agente, ma davvero non saprei cosa dirle. Potrei solo dirle che aveva una mole impressionante, molto robusta, e una grande forza fisica, e nonostante questo riusciva a saltare e muoversi con estrema agilità. Camminava in posizione eretta, ed aveva le braccia più lunghe delle gambe. Almeno così mi sono sembrate..." 
Judy posò una zampetta su quella di Manches, ringraziandolo per l'aiuto. 

"C'è solo una cosa che non capisco" Disse poi la coniglietta, picchiettando la penna contro il proprio mento "Se costui è l'autore degli omicidi dei predatori, perchè ha colpito solo Howlingston e ha lasciato andare lei?"

"Forse per mettergli ulteriormente paura" Suggerii io  "Forse per dirti che non sei più al sicuro, Manches. E che probabilmente intende tornare per finire ciò che ha iniziato!"
Un urlo mostruoso si propagò per tutta la stanza. La paura di Manches era esplosa fuori dalla sua bocca e adesso circondava ognuno di noi. Potevamo sentirla, persino giurare che ci stesse sfiorando, come se volesse impossessarsi anche di noi, e scolpire nel nostro cervello il pensiero che, magari a breve, uno di noi avrebbe visto quell'ufficio e i presenti per l'ultima volta.
Il giaguaro si strinse la testa tra le zampe scuotendola senza sosta, accompagnando a quell'atto disperato urla e ruggiti degni di un animale fuori controllo, si alzò e tentò di correre freneticamente verso la  porta per scappare via, ma gli orsi bodyguard di Mr. Big riuscirono a fermarlo, trattenendolo con tutte le loro forze - quanto dovettero faticare due orsi polari per fermare un singolo giaguaro? E' proprio vero, certi stati d'animo scatenano in te una forza inaudita- e riuscirono a farlo sedere di nuovo. I nervi di Manches erano definitivamente crollati, ed egli scoppio a piangere per la disperazione. Mr. Big, io e Judy uscimmo dall'ufficio, pensando che fosse il caso di lasciare Manches da solo, con i due orsi a fargli da guardia. 
"E' terribile.." Commentò Judy  "E' rimasto terribilmente sconvolto. Dice che si riprenderà mai?"
"Non lo so" Fu la risposta del capo, testa bassa e occhi fissi sul pavimento in un misto di malinconia, compassione e dispiacere.  "Manches l'ho sempre considerato uno di famiglia, gli ho sempre voluto bene come un figlio, non posso vederlo in quello stato." 
- C'è da dire, comunque, che era parecchio emotivo per essere un pugile, oltre che autista di un boss criminale-

"Cosa intende fare, adesso?" Chiesi
"I miei uomini sono ancora alla ricerca della macchina; dopo l'aggressione, sappiamo solo che è stata rubata dal killer, ma sembra essere scomparsa del tutto. Per adesso metterò i miei uomini migliori a proteggere Manches. Lo seguiranno dovunque, e mi terranno costantemente informato. Ma non so come fare a rintracciare quel maledetto che lo ha ridotto così!"
"E' quello che intendo scoprire, signore! Quel maledetto ha anche ucciso un mio collega, e non intendo fargliela passare liscia!"
Mr. Big accennò un sorriso nel vedere la determinazione di Carotina, ma in lui leggevo una domanda: "sarai davvero in grado di farlo?"
In fin dei conti, era pur sempre una coniglietta. Come avrebbe potuto una coniglietta fermare un assassino che ha ucciso ferocemente 14 predatori? 
Inutile dire che nel discorso trascinò dentro anche me. Beh, in fin dei conti ormai ero stato incastrato, quindi negarlo o cercare di tirarmi fuori sarebbe stato inutile - vi ricordo che su di me pendeva l'accusa di aver tentato di rapinare un agente di polizia, anche se era una coniglietta!- 
Mr. Big ci guardò apostrofandoci come "la strana coppia ancora più strana", ma con lo stesso sguardo sembrò chiederci di riuscire nell'impresa e rendere giustizia al povero Manches.
Lasciammo il bordello facendoci nuovamente strada tra la folla ancora festa - a mezzanotte passata!- e calpestammo di nuovo l'asfalto della strada di che ci aveva portato lì. La caccia era iniziata.

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Capitolo 7
*** 6- Ti va di uscire con me? ***


6- Ti va di uscire con me? 
 
 
" E insomma, Carotina.. Ti-ti va di uscire con me?" 
La domanda abbandonò pesantemente la mia bocca come il respiro che avevo raccolto prima di formularla. 
Le zampe erano aggrappate al tavolo - sotto, più precisamente- con tutte le unghie, le quali sembravano sprofondare nel legno del tavolino, mentre nel mio orecchio rimbombava un suono ovattato ma fin troppo potente, incessante, tuonante, il suono di qualcosa che pulsa e sembra crescere, e crescere, e crescere sempre di più, finchè non scoppia. E poco ci mancò perchè scoppiasse davvero!
Lei mi fissò con gli occhi spalancati, il gelato ad appena 2 centimetri dalla boccuccia che, tra qualche tempo, avrei iniziato a desiderare come la dose giornaliera di droga. 
Se per un qualche strano e casuale motivo finissi indietro nel tempo, in quel preciso istante, spingerei me stesso sul tavolino solo per poter chiudere quella bocca con la mia..
Ma comunque, prima di arrivare a questo ne sono successe di cose. Che ovviamente racconterò.
 
 
 
-Corri! Corri! Corri!
Perchè devo correre? Dove devo andare? Sto forse scappando? Da cosa sto scappando?-
Sono nudo. In una foresta povera, morta. Alberi spogli e schleletrici e piegati come se cercassero di toccare il terreno. Perchè mai dovrebbero? Quel terreno non ha un filo d'erba, un fiore, una piccola macchia verde. Solo sassolini e polvere scura che mi entra nelle narici ogni volta che la calpesto. Non so dove mi porta questa strada, so solo che devo scappare. 
Ma da cosa sto fuggendo?
Il sudore mi solca la fronte e le guance, il mio respiro si disperde nell'aria morta che aleggia in quella foresta, le mie orecchie vengono distrutte da un rombo, un suono lontano indistinto che sento avvicinarsi sempre di più. E più si avvicina, più quel suono somiglia a qualcosa di pesante che si avvicina a gran velocità, calpestando il terreno mosso da qualcosa che gli da una forza spaventosa. 
La foresta non si decide a finire. Più corro, più prosegue. Gli alberi si fanno sempre più bassi e sempre più scuri. I rami mi finiscono addosso, mi graffiano il muso, il petto, le zampe. 
Chiudo gli occhi.
Non so come, la foresta intorno a me svanisce. Sento altri rumori, versi macabri che, comunque, mi spingono ad avvicinarmi per scoprire da dove provengono. E lì lo vedo... 
Lui sta lì, seduto in una pozza di sangue, il pelo rosso e corto copre a malapena un corpo magro e scheletrico sul quale ogni singolo osso è disegnato con una perfezione impressionante, come se fosse opera di un grande artista rinascimentale. 
Dietro di lui, il sangue continua a schizzare e gocciolare a terra. Credo di intravedere un orecchio, un lungo orecchio grigio. Mi avvicino il più lentamente possibile, ma lui si volta. E vedo il suo orrendo muso. E' quello di una volpe dal muso scarnificato che mi ricorda vagamente il mio, e con gli occhi gialli e i denti appuntiti e storti. 
Tento di indietreggiare ma sento la presenza che mi inseguiva nella foresta. Mi piomba dietro con la stessa potenza di una frana; una figura completamente nera, dalla mole imponente e che somiglia al tizio descritto da Manches. Quasi non sembra accorgersi di me, tanto che corre direttamente verso "la mia versione scheletrica" urlando e agitando le braccia-
 
 
 
Sobbalzai con uno scatto che fece volare ogni goccia di sudore della quale il mio corpo era impregnato. Respiravo affannosamente, come se fossi reduce da una corsa interminabile. Una vera, però. Scossi la testa e mi passai una zampa sulla fronte per asciugare il sudore, mentre il mio respiro, lentamente, iniziava a placarsi. - Chissà se Finnick mi aveva sentito. Nah, probabilmente era beato nel mondo dei sogni, e anche se fosse, non si sarebbe scomodato- 
Abbandonai il lenzuolo impregnato dell'odore di volpe bagnata, l'equivalente dell'odore di un cane bagnato, e mi diressi al bagno. Un bagno di modeste dimensioni, adatto a due sole persone, dal pavimento tappezzato di mattonelle che una volta erano verdi, ora sembravano color muffa - anche se di muffa non ce n'era!- , un lavandino con sopra uno specchio, al quale mancava un pezzetto, un water e una doccia. 
La classica casa di noi disadattati, insomma.
Mi lavai il muso e mi guardai allo specchio. Un'immagine fin troppo familiare; una volpe alta un metro e 82, dal pelo rosso arruffato e mezzo brizzolato che copriva un fisico asciutto e robusto. Non muscoloso e definito come gli attori del cinema, ma nemmeno mingherlino!
Non so perchè ma rimasi tipo 5 minuti a fissarmi come un ebete, ripensando al sogno e a cosa potesse significare. Beh, direi che il significato era più che ovvio; il racconto di Manches mi aveva turbato profondamente, ed essendo io un predatore, il sogno aveva identificato la mia paura in un sogno. 
Come fossi stato mosso da una mano invisibile, mi voltai verso la finestra del bagno. Era ancora notte. Mi avvicinai e scrutai il quartiere. Qualche luce era già accesa, ma sfigurava totalmente a confronto con le luci, in lontananza, dei palazzi del centro di Zootropolis, ben visibili da ogni angolo e quartiere della città.
"E chi dorme più, adesso.." Commentai tra me e me. E' una cosa che mi è sempre accaduta, se mi sveglio di notte non riesco più a riaddormentarmi. Non avendo niente da fare in casa, decisi di uscire e fare quattro passi. Non mi andava, quella volta, di indossare una camicia colorata, per cui presi una camicia nera e dei pantaloni scuri. Il tutto con un accompagnamento musicale del tutto degno di nota: il russare di Finnick che si sentiva anche con la porta chiusa..
Uscii di casa e iniziai a vagare senza meta per il quartiere. Le strade erano deserte, qualche lampione acceso, qualcuno no. Mi rilassava sempre camminare in strada da solo, solitario, senza nessuno intorno di cui sentire gli occhi accusatori addosso. Solo la piacevole compagnia di un venticello fresco che mi arruffava il pelo. Era un riflesso quotidiano ormai dover sviare ed evitare quegli sguardi, e forse anhe qualche parolaccia. 
Ma in quel momento, con quel venticello e quel silenzio quasi tombale, era come respirare la tranquillità in tutta la sua essenza. O meglio ancora, mi sentivo come se la tranquillità mi stesse accompagnando. La tranquillità durò un paio d'ore abbondanti, durante le quali girai completamente a caso, arrivando alla stazione centrale della città, sulla quale sovrastava il mega schermo che, più avanti, avrebbe mostrato Gazelle accogliere i nuovi arrivati. O i classici viaggiatori che rientravano a Zootropolis. I lampioni si spensero e non molto dopo, le strade iniziarono ad essere popolate di macchine, e i marciapiedi di animali che si recavano a lavoro, e altri che, non avendo niente da fare ancor meno di me, aspettavano l'apertura dei centri commerciali e grandi magazzini. 
Ma che cavolo ci vanno a fare lì di mattina presto?
 
Senza neanche rendermene conto, mi ritrovai di fronte la centrale di polizia. 
- Chissà se la Carotina è già dentro..- mugugnai tra me e me. Per saperlo sarebbe bastato salire gli scalini, aprire la porta, trovarmi nel grande salone e cercarla. Dopo aver chiesto dove poterla trovare, in quel mezzo labirinto. Un piede calpestò il primo gradino, e il mio corpo buttato in avanti avrebbe lasciava intendere, a chiunque mi avesse visto, che mi stavo avviando verso l'ingresso. Ma desistetti. Tornai sui miei passi. In fondo perchè mai avrei dovuto cercarla? Cioè, se l'avessi fatto non sarebbe sembrato... Strano? In fin dei conti l'ho solo aiutata con un caso, ancora irrisolto, ma non per questo avrei dovuto iniziare chissà cosa. Giusto?
Ma anche se fosse stato per motivi che potete facilmente immaginare.. Quali possibilità avrei potuto avere? Insomma, era impossibile che uno come me potesse piacere a una come lei. Anche perchè io non sono mai piaciuto a nessuno. Nemmeno a mio padre...
Per di più.. Un truffatore e una poliziotta?
Mi lasciai la centrale alle spalle e mi avviai verso strade e marciapiedi più affollati, e tanto per svagarmi, iniziai a "urtare accidentalmente" qualche animale, portandomi via almeno una cinquantina di dollari. O forse di più. Poi mi ricordai che dovevo passare a riscuotere per Mr. Big. Imboccai una stradina adiacente ad un piccolo ristorante gestito da due vecchi bovini, e una puzzola, un giovanotto loro nuovo aiutante, ormai in attività da anni ma comunque ancora frequentato. La giovane puzzola aveva chiesto un prestito di 200 dollari, e il debito non era ancora stato saldato. La stradina conduceva alla porta di servizio, aperta la quale si entrava in cucina. Mi appostai contro il muro ed attesi che il giovanotto uscisse per buttare la mondezza. Un quarto d'ora dopo, eccolo lì, con indosso un grembiule bianco e in mano due enormi sacchi neri, diretto verso il cassonetto. Aspettai che desse le spalle, poi mi avvicinai, ma lui si volse prima del previsto e mi vide. Lasciò cadere i sacchi e tentò di fuggire, ma non riuscì ad uscire dal vicolo che lo afferrai per il colletto della maglia e lo sbattei contro il cassonetto. 
"Lo sai cosa voglio, vero?" Usai il tono più minaccioso che riuscii a tirar fuori, la bocca ben spalancata per poter mostrare i denti. - Probabilmente avrebbe funzionato di più se fossi stato un lupo, perchè, diciamocelo, una volpe non può essere molto minacciosa-
La puzzola annuì e cominciò a balbettare il classico "non farmi del male, ti prego!" piagnucolando come un cucciolo.
"Mr. Big vuole i 200 adesso, s'è stancato di aspettare. E dice che se non ce li hai devo romperti il braccio. Quindi, cosa facciamo? Preferisci pagare o farti qualche giorno di vacanza da lavoro?"
"L-lo so ma ti prego, dammi ancora un po' di tempo.. I-io non.."
"Senti, bello, devo ricordarti che io sono un predatore? Devo ricordarti cosa posso farti se mi arrabbio sul serio?  Lo sai che razza di mondo è questo, no? Allora con me l'inseguimento non funziona!" 
La fronte e il muso della puzzola iniziarono ad essere rigate da pesanti perle di sudore che scendevano quasi incessantemente, la bocca tremò e gli occhi divennero lucidi. Con stizza, lasciai il colletto della camicia del giovanotto, agitando la zampa come a dire "forza, dammi i soldi". La puzzola, infine, si convinse. 
Ma qualcosa non andava.
"Questi sono..130!" Il silenzio da parte della puzzola "Bello, tu sei ancora sotto di 70 dollari... Che dovrei fare ora, secondo te?" Gli chiesi minacciosamente alludendo al braccio. Mr. Big lo diceva sempre, "se non pagano, rompigli il braccio!"
La puzzola si mise in ginocchio e mi pregò di non fargli del male, ma io gli ripetei che avrebbe dovuto aspettarselo. Chiunque riceveva un prestito da parte del boss di Tundra Town sapeva benissimo a cosa sarebbe andato incontro in caso di mancato debito saldato. Il suo piagnucolare mi innervosì tanto che lo colpii violentemente sul muso, facendolo cadere tra i sacchi della mondezza accatastati ai piedi del cassonetto. Lo immobilizzai calpestandogli il braccio, poi mi ritrovai sul punto di romperglielo e dargli la lezione che avrei dovuto dargli. Ma..
Non so per quale motivo non lo feci. Trasgredire agli ordini di Mr. Big non era consigliabile a nessuno, nemmeno all'animale che ti stava più sulle scatole, eppure Mi ritrovai combattuto sul da farsi. Quel giovane doveva capire cosa significava rispettare un patto, ma allo stesso tempo, il pensiero che quel giovane avesse bisogno del braccio per lavorare, non entrerò nei dettagli, ma di soldi ne aveva bisogno - ricordate che so tutto di tutti gli abitanti, no?- 
Alla fine presi i soldi e me ne andai. Non senza avergli prima intimato che la prossima volta non sarei stato così morbido con lui. 
Scossi la testa. Chissà cosa mi sarebbe successo..
Bah, in fin dei conti, se da giovane sono riuscito a sopportare un pestaggio per uno scherzo spudorato come un tappeto di chiappe di puzzola, perchè da adulto avrei dovuto preoccuparmi?
 
 
 
Verso le 2 del pomeriggio mi ritrovai di nuovo nei pressi della centrale di polizia. Più precisamente mi ritrovai nel mezzo della piazza sulla quale la centrale si affacciava la centrale. Trovai una panchina e mi sedetti, o meglio mi spaparanzai con totale noncuranza del fatto che i presenti potessero notarmi. Chiusi gli occhi e mi rilassai, cadendo nel vuoto e nella pace più totale. Per almeno 10 secondi. 
"Ma guardati, sempre in giro a bighellonare e non fare niente. Non ce l'hai un lavoro?" Tuonò una voce molto familiare. 
Sbuffai perchè sapevo benissimo di chi fosse. Aprii gli occhi e notai davanti a me una grossa tigre con un'espressione sarcastica e un sorrisetto da sornione stampati sul muso, e il corpo felino striato chiuso in una divisa da poliziotto. 
"Thomas McClaws!" Risposi io con fare allegro e ironico.  "Beh, potrei rifilare la stessa domanda a te. Non ce l'hai un lavoro?"
Thomas scoppiò in una fragorosa risata. "Esatto, ma a differenza di te io sono andato in pausa, non ho marinato il lavoro. Tu, invece, cosa ci fai in giro?"
"Mah, sai com'è.." Continuai io "Cerco di scoprire per quale motivo sono stato messo al mondo. Il senso della mia vita, insomma"
- Forse è il caso di spiegarvi chi fosse Thomas: semplicemente l'agente che mi lasciò andare il giorno in cui venni rinchiuso in cella insieme a Duke Donnolesi per aver causato un po' di "movimento" per le strade della città. Anche lui, se vi ricordate, aveva intimità con Mr. Big. Infatti era proprio lui a dare a Thomas gli stupefacenti di cui ogni tanto faceva uso. Si, Thomas era praticamente un drogato, ma stranamente, per voi tanto quanto per me, non uno di quelli per cui la droga è la vita. Thomas ne faceva uso ogni tanto, e non era mai caduto nella dipendenza. Non chiedetemi come ci riuscì, non me l'ha mai detto. So tutto di tutti, ma questa è forse l'unica cosa che davvero non so-.
Tornando a noi; 
"Tommy caro, ho notato che da un po' non fai più richieste di tu- sai- cosa.. Come mai? Ti sei forse ripulito?"
Thomas sospirò con aria nostalgica. 
"Sai che c'è, amico" Rispose lui "Ero sicuro di poter tenere la roba nascosta nel mio ufficio. Quello era il mio tempio, e nessuno aveva il permesso di entrarci. Tranne Bogo. Un posto per nascondere tutto l'avevo, ma ormai con quella nuova collega.."
"Nuova collega?"
"Si, quella famosa prima coniglietta sbirro che hanno assunto settimane fa. E' tremenda!" 
Una prima coniglietta sbirro? Stava parlando di Judy. 
"Perchè sarebbe tremenda?" - Io avrei detto tutt'altro invece che tremenda..- 
"Si, Judy Hopps! Diavolo, è peggio di un cane da guardia. E' attenta alla più piccola cosa in centrale, controlla tutto come se fiutasse la presenza di ciò che nascondo! Ho dovuto prendere tutto durante il suo giorno libero e portarlo a casa mia"
Nell'ascoltarlo, provai a trattenere le risate, ma a stento ci riuscii. Era vero, Judy era talmente amante del proprio lavoro che non si lasciava sfuggire neanche la più piccola cosa. Mi faceva sorridere immaginarla mentre agitava quel suo adorabile nasino rosa fiutando l'aria, in cerca del "tesoro nascosto" di Thomas.
"Per caso c'è oggi?" Chiesi al tigrotto. 
"Si, ma le è stato affidato un caso, un furto in un condominio a 3 isolati da qui."
- Cavolo! Se sta lavorando allora sarebbe meglio non disturbarla..-
Mi alzai dalla panchina e mi stiracchiai.  "Beh, grazie dell'informazione, amico" Dissi battendogli poi la zampa - "batti il 5" insomma- 
"Ora scusami ma devo proprio andare. Ci vediamo quando sarà, tigrotto. E attento al tuo tesoro!" 
 
Peccato. Avrei voluto fare un salto da te.
- E quanti vorrei la stessa cosa in questo momento...-
 
Quella stessa sera, sdraiato sul letto, con le zampe dietro la nuca, non feci altro che fissare il soffitto e pensare. 
Cosa stava facendo Judy in quello stesso momento? A cosa stava pensando? Magari a chi stava pensando? Aveva qualcuno a cui pensare? 
E come sarà andato il caso? L'avrà risolto? Mille domande e mille pensieri, tutti aventi lei per protagonista...
 
 
 
Due giorni passarono. 
Ero fermo davanti al primo gradino della scalinata, lo sguardo verso l'alto. In cima a quegli scalini, una piccola -raggiante, magnifica, meravigliosa- coniglietta dal pelo grigio e grandi occhi viola che, per volere forse di qualche entità sovrannaturale, si erano posati sul mio muso. Il pelo grigio sembrò risplenderle alla luce del sole, e il suo musetto.. Dio, quel musetto..
"Oh, ciao Nick, che sorpresa rivederci" 
La sua voce si insinuò nelle mie orecchie come una soave melodia composta da qualche grande musicista del passato. 
"C-ciao, Carotina" Un debole quanto imbarazzante saluto. 
La vidi scendere e raggiungermi. Sentii una parte di me tentare di allontanarmi, ma un'altra parte mi costringeva a rimanere dov'ero, per aspettarla. 
"C- che strano, ci incontriamo sempre per caso, non trovi?" Una piacevole e dolce risatina accompagnò le sue parole.
"Già, ahah. Ed è la seconda volta che ci incontriamo davanti ad uno dei posti che più ho frequentato in vita mia"
Un'altra risatina solleticò le sue labbra, ma ad essa seguì un'occhiata che lasciava intendere un "eh, chissà come mai". A quell'occhiatina, risposi affermando che non era stata quasi mai colpa mia... Qualche volta. Ma nonostante lei credo intuisse la verità, non si oppose. La sua bocca era troppo impegnate a sorridere e ridacchiare. Strano, qualsiasi altro poliziotto mi avrebbe preso e sbattuto immediatamente dentro.
"Senti, Carotina"  Vi lascio immaginare la solita occhiataccia nel sentirsi chiamare così  "Visto che, contando la prima volta al parco, ci incontriamo e parliamo sempre per caso, che ne diresti di parlare sorseggiando qualcosa?"
"... Cioè mi- mi stai chiedendo un.."
"Ah no no! Non è quello che credi tu. Ma, ecco, ho pensato che magari, visto il nostro ennesimo incontro, avremmo potuto parlare più tranquillamente e... Diciamo "ufficialmente".. No, eh?"
Una delle prime volte in cui mi sentivo imbarazzato. Sembravo un adolescente in preda alla più stupida crisi di timidezza davanti alla tipa che gli piace. Cioè, non che all'epoca mi piacesse Judy, sia chiaro! - Si, come no. Ormai l'hanno capito, idiota.-
Il responso? 
Quello stesso pomeriggio, alla fine del suo turno, io e Carotina eravamo seduti in una piccola gelateria dall'altra parte della piazza - non mi sembrava affatto il caso di portarla in un bar per chiacchierare, anche se avrei potuto assaggiare finalmente una birra degna di quel nome-. Lei prese un normale gelato, io un frullato di mirtilli, da sempre uno dei miei cibi preferiti. Da piccolo ne mangiavo in quantità, fino a ritrovarmi la lingua e la bocca completamente viola. 
Già, da piccolo, prima che tutto andasse storto...
Dato che non esisteva il gusto carota, ne prese uno alla fragola. Era divertente vederla mangiare quell'ammasso di latte congelato e colorato. Ad ogni cucchiaio si leccava i baffi tanto da sembrare una cucciola che mangiava il gelato per la prima volta. E io invece sorseggiavo un frullato con una naturalezza degna di.. Beh, di chiunque sorseggia un frullato. 
Solo quando riuscì a staccare momentaneamente gli occhi dal gelato, Carotina mi parlò.  "Nick, è successo qualcosa, per caso?"
"Come, scusa?"
"Ecco, non so se sia una mia impressione, ma hai un'aria così stanca.."
Si stava riferendo indirettamente agli incubi che mi perseguitavano da qualche giorno.  "Ah, quello? No, niente, tranquilla. E' che, da un po' di tempo ho qualche difficoltà a dormire"
"Oh, capisco.." 
"In realtà è cominciato dalla sera in cui abbiamo incontrato Manches da Mr. Big. Ho cominciato a sognare cose strane"  Sembra strano che mi stessi confidando con così tanta semplicità con una coniglietta che conoscevo da poco tempo? Beh, ripensandoci può sembrarlo, ma che posso dirvi? E' andata così.
"Beh, probabilmente ti sei solo fatto suggestionare un po' dalla storia di Manches. Voglio dire, non sarebbe nemmeno troppo strano. IN fondo, era agghiacciante il solo pensiero"  Cercava dolcemente di consolarmi. Dolce.
"Beh, più che altro il fatto che io sia... Un predatore"  Evidentemente un piccolo dettaglio a cui la Carotina non aveva pensato. Strano, di solito non le sfuggiva nulla. Ma un suo errore potevo perdonarlo. Carotina inclinò la testolina guardando in su, con fare pensieroso, picchiettandosi il mento con il cucchiaino da gelato. Attesi svariati secondi una sua risposta, ma quegli occhietti continuavano a fissare l'alto.
"Piuttosto" Interruppi il silenzio "E' stata ritrovata la macchina di Manches?"
"Mh?" 
"Ho chiesto se siete riusciti a ritrovare la macchina scomparsa. Quella che Manches guidava prima dell'aggressione"
"Ah, scusa, scusa"  Quanto era adorabile la sua momentanea sbadataggine?  "No. Purtroppo ancora niente, stiamo brancolando nel buio. Nessuno sembra neanche averla vista lontano da Tundra Town, o quanto meno una macchina simile. Nemmeno i dirupi o i fiumi hanno dato risposta. L'abbiamo cercata dappertutto" Judy sospirò rassegnata, e il suo musetto si intristì. Avrei voluto consolarla. Sedermi accanto a lei e avvolgerle le spalle con un braccio, e accarezzarla per farla sentire meglio. Ma se l'avessi fatto allora sarebbe risultato piuttosto strano. 
"Beh " Suggerii io "A questo punto, se non l'avete trovata nè in un fiume nè in un dirupo, ce l'ha chiaramente l'aggressore. Dopo averla rubata, l'avrà portata al suo nascondiglio"
"Ci ho pensato anche io" Disse lei "Ma mi fa una tale rabbia non sapere dove possa essere!" 
Il sorrisetto che la sua determinata rabbia mi provocò, ovviamente senza cattiveria, ma un sorriso affettuoso, il clima di tranquillità intorno a noi fu interrotto dallo squillo del mio cellulare. Era il signor Otterton.
 
 
 
 
 
Il dottore e gli infermieri ci lasciarono da soli. Ormai eravamo solo io, Judy e Otterton, in una piccola camera d'ospedale al diciottesimo piano dell'ospedale di Zootropolis. Una scena familiare, analoga ad una accaduta neanche troppi giorni fa. Otterton giaceva sul letto, ridotto maluccio ma ancora vivo. E per fortuna non era in pericolo di vita. 
Se l'era cavata con un paio di arti rotti, 3 costole rotte, un occhio nero e la testa fasciata. Niente di che, insomma.
La prima cosa che ci disse, non appena ci ritrovammo soli, fu che tutti gli altri erano morti. E Manches era stato portato via. 
"E' successo tutto così in fretta.. Così all'improvviso.. Non-non ho potuto fare nulla"
"Mr. Otterton, cos'è successo? Chi vi ha ridotto così?"
Otterton chiuse gli occhi e sospirò profondamente. Poi, liberò quel sospiro.
 
"Ero andato a trovare Manches per vedere come si sentisse. Era ancora pesantemente scosso dall'accaduto, e gli avevamo assegnato una scorta, una guardia personale che lo seguisse dappertutto, sperando che riuscisse a sentirsi più al sicuro. 7 orsi, scelti personalmente da Mr. Big. 
Vi sembrerà assurdo, ma appena misi piede nel Distretto Foresta Pluviale, qualcosa, istintivamente, mi avvertì che qualcosa non andava. Percepivo una brutta sensazione nell'aria"
- E' un classico, il brutto presentimento che preannuncia qualcosa di brutto-
"La porta di casa di Manches era semi aperta. Non un suono o un rumore proveniva da dentro. Mi avvicinai lentamente, e altrettanto lentamente la aprii...
Trasalii... Morti... Tutti morti... I loro corpi giacevano a terra con i crani sfondati, e il loro sangue aveva inondato il pavimento. Il loro stesso pelo bianco era diventato una massa rossa che si uniformava al rosso del pavimento... Oddio...
Tutti e 7 morti. 
Manches era contro il muro, in un angolo completamente buio della casa, ancora vivo, ma pieno di lividi. Doveva respirare a fatica. Feci per avvicinarmi, ma subito lo notai: lui era lì, accovacciato di fianco a Manches, vicino la finestra che dava sulla giungla. Si alzò in piedi e si avvicinò. Accovacciato sembrava grosso, ma in piedi... Era enorme! Corrispondeva alla descrizione fatta da Manches, ne sono sicuro! Enorme, vestito di nero e con delle braccia enormi e lunghe. Tentai di dargli le spalle e fuggire per chiamare aiuto, ma lui mi piombò davanti, e con i suoi possenti pugni mi pestò, riducendomi come mi vedete ora. L'unico motivo per cui non mi uccise, lo disse lui stesso - si, ho sentito la sua voce!- è perchè non sono un predatore pericoloso. Non come Manches, Howlingstone, o tutti gli altri che sono morti. Poi andò verso la finestra, afferrò Manches per la gola... E poi sparì. Saltò dalla finestra è sparì. 
Non ricordo più nulla, devo essere svenuto poi"
"Quindi non sa chi l'ha portata qui?" Chiese Judy. Otterton scosse lentamente la testa. 
Sapevo che Judy stava per partire con molte altre domande, ma le posai una zampa su una spalla e, con lo sguardo, le feci capire che era meglio lasciare che Otterton si riposasse.
Mi appostai contro la porta della camera, lo sguardo verso il basso e il mento coperto da una zampa. 
"Carotina, vorrei sbagliarmi, ma temo proprio che Manches.." 
Non feci in tempo a finire la frase - capita troppo spesso- che udimmo un rumore simile a qualcosa che batte contro un vetro, e l'urlo terrorizzato di Otterton. Spalancammo la porta e, di fronte a noi, la finestra non si affacciava più su Zootropolis, ma sul cadavere martoriato, insanguinato e impiccato di Manches.

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Capitolo 8
*** 7- Protezione ***


7- Protezione
 
"Insomma, che cos'avete intenzione di fare?"
"Che ne sarà di noi se questi omicidi continuano?"
"Avete almeno qualche indizio? Chi è questo assassino?"
Domande incessanti, voci che ruotavano nella stanza come un tornado scatenato, flash accecanti come fulmini che squarciano un cielo in tempesta.
Mille domande, nessuna risposta.
Il sindaco era davanti a tutti, il muso solcato da righe di sudore e nervosismo, le zampe tremanti posate sul tavolo - immaginavo, con estremo gaudio, le sue ginocchia che faticavano a tenerlo in piedi, ahahah-, e al suo fianco il Capitano Bogo, il bufalo più integerrimo della città. Ma nemmeno lui era estraneo al nervoso e la rabbia, lo si poteva leggere perfettamente nonostante l'immutabile espressione su quel brutto muso. Ovviamente non fecero che ripetere le stesse cose, ovvero che tutte le forze di polizia di Zootropolis erano sparse in tutta la città per cercare quel tipo, ogni forza possibile immaginabile per proteggere i predatori di Zootropolis. 
La notizia della morte di Manches sembrò una goccia che rischiava di far traboccare il vaso. L'ennesimo morto, e ancora nessun nome. Un fantasma nero con alle spalle 16 anime massacrate.
- "I predatori di Zootropolis"... Inutile dire che, sicuro come il parrucchino di Lionheart, non si riferiva di certo a quelli come me-
Un vero peccato che quel tizio non fosse sbucato fuori dal nulla per fargli la pelle. Lì in piedi, al centro della piazza principale, sarebbe stato un bel colpo. Ok, sarebbe stato freddato dai poliziotti, o peggio ancora, calpestato dagli zoccoli del "bufalo violento della legge", ma almeno ci saremmo liberati di quel gattone ipocrita. 
Ma non accadde. Io, seduto da solo sulla terrazza di un ristorante che affacciava sulla piazza, osservavo in silenzio, commentando tra me e me e sorseggiando un frullato di mirtilli. C'era una sola cosa che speravo di vedere tra i presenti: un paio di lunghe orecchie coperte da pelo grigio, ritte su di una testolina rotonda. Ma vidi solo sconosciuti. Orde di sconosciuti che reclamavano un muso e un nome, magari per poterlo linciare. 
Erano passati quasi due mesi da quando avevo incontrato Judy Hopps in quel parco, nel tentativo di rubarle qualcosa. Ci ripensavo spesso, negli ultimi giorni. Ancora un po' e sarebbe arrivato Natale. 
- Cosa devo fare? Devo regalarle qualcosa? Ma, perchè mai? Sembrerebbe solo strano se lo facessi... -
Cercai, cercai e cercai, ma non vidi nulla. Solo un bufalo sovrappeso, un pomposo micione e la sua assistente, una pecorella cicciottella, con un paio di grandi occhiali sul naso e un enorme boccolo dondolante che le dominava la testa, forse quella con la peggior forma di tremarella tra i presenti. Probabilmente era di pattuglia. -Forse con un altro!- 
Scossi la testa, distolsi lo sguardo e finii di bere, poi mi alzai e me ne andai. Senza pagare.
Mi infilai tra la folla che si stava ormai disperdendo, essendo finita la conferenza, tra spintoni e borbottii, finchè non urtai la pecorella assistente del sindaco.
"Oddio" Esclamò raccogliendo il mucchio di fogli che le erano caduti a terra "Mi- mi dispiace tantissimo, signore, non l'ho proprio v-vista. S-sa, con tutta questa gente.."
"Si, si come vuoi" Non le diedi nemmeno il tempo di finire di parlare che la interruppi. Già il suo balbettare mi aveva dato l'idea della classica tipa insicura che sembrava relegata ad un lavoro che schiacciava ogni parte di se stessa. Credo anche di aver sentito sussurrare un debole "Oh.. Mi-mi scusi". Non ero interessato a fare amicizia, per cui feci per proseguire per la mia strada, che mi avrebbe portato a bighellonare senza una meta precisa, se non avessi sentito una voce familiare chiamare un nome. E no, non chiamò il mio, ma quello di Bellweather, ovvero la pecorella.
Era lei. 
Mi feci largo a fatica, tra chissà quanti spintoni (perchè, furbo, mi ero allontanato molto) in quel mucchio di bestie, quando finalmente riuscii a vederla, mentre aiutava la pecora a raccogliere i fogli. Si salutarono con un energico abbraccio, dovevano conoscersi da anni, per poi proseguire con i soliti "come stai? Io tutto bene, e tu?" ecc. Soliti saluti femminili.
Per un momento pensai di ritirarmi; Judy sembrava reduce da una ronda, e di certo la attendeva qualche incarico, non avrebbe potuto perdere tempo con me. 
"Ah, ehi Niiick!" 
Un tamburo prese il posto del mio cuore nel petto. - Perchè? -
 
Tum-tum. Tum-tum. Tum-tum. Tum-tum
 
"Ah, ehm ciao C-carotina!" Riuscii a fare un misero cenno con la zampa per salutarla, e temo.. Di essere arrossito un po'. Cominciava a fare freddo, ma la camicia nera che indossavo, unita al giubbino verde che indossavo, si attaccarono al pelo del mio petto fino a soffocarmi. Sentii il colletto della camicia stringersi attorno alla gola, malgrado la camicia fosse sbottonata, e ridurre il mio esofago una sottile linea piatta impossibile da toccare. La situazione non migliorò molto quando la vidi avvicinarsi a me, con quella rosea bocca spalancata in un sorriso radioso e gli occhi illuminati dalla luce del sole. Dio, quanto era bella.
Come poteva una splendida creatura come lei filarsi uno come me?
"Che ci fai di bello qui?" Mi chiese "Hai assistito alla conferenza? Ah, questa è Bellweather, Dwan Bellweather" 
Naturalmente poco mi importava di lei, ma per non apparire maleducato, o stronzo, strinsi lo zoccolo tremolante di Bellweather. 
"B-beh ci siamo incontrati poco fa, Judy, ci-ci siamo scontrai per via d-della troppa g-gente"
Ammetto che il suo balbettare era parecchio fastidioso, quasi quanto la sua insicurezza, gliela si leggeva ad un miglio di distanza. 
"Beh si, Carotina, diciamo che ho sentito qualcosa - ma ero troppo distratto per cercare te- 
Certi pensieri cominciavano a farsi sempre più largo nel mio cervello, e non capivo perchè. 
"Allora sai tutto, no?" 
"Tutto di cosa?" Chiesi io distrattamente. 
"Del nipote del sindaco, Leocas, lui ha.."
"Ha-ha ricevuto mi-minacce di morte!" - Bellweather, la guastafeste! Non poteva lasciar finire di parlare Judy?-
Detto da lei poco mi importò, ma finsi un'espressione di stupore, che, sono sicuro, Judy smascherò immediatamente, ma non disse nulla.*
"Minacce di morte? Davvero?"
"Ebbene si" Proseguì Judy.
"Oh, oh cielo, Judy, ti-ti ho interrotta, mi dispiace tanto!" La pecorella agitò le zampe così freneticamente da far cadere di nuovo tutti i fogli che aveva tra le zampe. Tra mille scuse interminabili, li raccolse di nuovo. 
"No no, tranquilla, non fa niente" Replicò Carotina. Non capivo come facesse a trovarla simpatica. Poi mi decisi a riprendere il discorso. 
"Comunque, cosa dicevi a proposito del nipote del sindaco, Carotina?" Le chiesi - sperando che la pecora non interrompesse di nuovo-
"Ah, si, dicevo, da qualche giorno il nipote del sindaco ha ricevuto delle lettere minatorie, secondo le quali lui sarà la prossima vittima del killer!"
Già, "il Cacciapredatori", così l'avevano soprannominato i media. Nome un po' banale, privo di fantasia. Io ne avrei scelto uno migliore.
"Secondo le lettere" Proseguì Judy "Leocas dovrebbe... Ecco... Essere ucciso tra due giorni. Il sindaco è molto preoccupato, pensa che ha chiesto la protezione da parte dell'intero corpo di polizia della città!"
Possibile che una sola creatura riesca a creare tutto questo putiferio? Non credo nemmeno che Judy, all'epoca, fosse al corrente del fatto che molti cittadini si stavano organizzando in piccoli gruppi per pattugliare le strade durante la notte. Le voci cominciarono a girare, fino a diventare certezze. 
Ma come avrebbero potuto evitare i piedipiatti, ora che la sorveglianza notturna era aumentata? Non che fosse particolarmente difficile, dato che molti poliziotti battevano la fiacca durante la notte, ma comunque...
Stavo per informare Carotina, quando la vidi allontanarsi insieme a Bellweather, salutandomi con una mano mentre urlava "Scusami, Nick, ma devo andare ad una riunione! Tornerò dopo!" 
Scossi la testa come se mi fossi appena ripreso da una specie di tranche, o qualcosa del genere, e istintivamente le risposi "Va bene! Ti-ti aspetterò qui!" . Non ricordo nemmeno di aver pensato minimamente prima di urlarle quelle parole, ricevendo anche un "va bene!" da parte sua. Ricordo una cosa, però: tanti occhi puntati su di me e bocche coperte da zampe che tentavano di nascondere delle risatine. Nonostante, e sono sicuro, il mio muso completamente rosso, ricambiai guardando tutti storto, ringhiai, misi le zampe in tasca e me ne andai - momentaneamente-.
 
Rimasi lì fuori ad aspettare per non so quanto tempo. Forse un paio d'ore, o qualcosa di più. Persi persino il conto di quante volte girai intondo il quartiere, tanto per tenermi occupato, e non so quante volte vidi gli stessi musi. Qualcuno, vedendomi vagare così senza apparente motivo, avrà magari immaginato chissà quale losco intento in me. 
Non mi sarei stupito, d'altronde le volpi sono sempre state famose per avere sempre qualcosa di losco in testa, no?
Pomeriggio inoltrato. Finalmente vidi le porte della centrale spalancarsi; branchi interminabili di poliziotti e giornalisti uscirono e si dileguarono. I poliziotti salirono in macchina e partirono a sirene spiegate. Lapalissiano, la pattuglia notturna in azione.
Ma cavolo, tutti energumeni, tutti animali enormi che si muovevano freneticamente in gruppo. Dopo un po' pensai di rinunciare, che forse era salita in macchina con qualche collega, e ora in giro chissà dove per la città.
"Nick!" 
Drizzai automaticamente le orecchie. Tum- tum. Tum. tum. Di nuovo quel suono si fece strada nel mio petto. Mi voltai.
"Oh, buonasera" Nonostante, sono sicuro, voi immaginiate come potessi sentirmi, tentai comunque di mantenere un atteggiamento calmo e sarcastico. "Pensavo.. Fossi già partita a perlustrare le strade buie della nostra giungla di cemento" Continuai io.
"Buie? Sono ancora le sei del pomeriggio!" Disse ridacchiando.
"Beh" Replicai io, controllando l'ora al cellulare "Il sole non splende comunque al centro del cielo. E comunque... Sono le sei e mezza, per la precisione! Il sole sta scomparendo dietro i palazzi da un bel po'" 
Lei fece roteare gli occhi ridacchiando e sottolineando, scherzosamente, quanto fossi pignolo. Poi si volse verso il sole, che lentamente stava per nascondersi di nuovo dietro i palazzi, salutando un altro giorno che, ormai, stava finendo, mentre le ombre iniziarono a coprire il suolo di cemento che le nostre zampe calpestavano. La luce ci avrebbe fatto compagnia ancora per poco, ma questo non m'interessava, in fondo ero abituato all'assenza della luce. 
La luce la colpì in pieno muso, tanto che fu costretta ad alzare un braccio e coprirsi gli occhi nella speranza di vedere meglio. In quel momento avrei voluto dirle "no, non ti coprire"; quasi come se mi avessero letto nel pensiero, Carotina abbassò il braccio, e il suo sguardo si posò su di me. Il suo pelo risplendeva come fosse incorniciato da miriadi di stelle, i suoi occhi viola... Non stavo più osservando due occhi, ma i diamanti più belli e abbaglianti di tutto il pianeta. Se il sole fosse stato alto nel cielo, in quel momento, la luce emanata non sarebbe stata nulla in confronto al radioso e dolcissimo sorriso con cui continuava a fissarmi.
- Judy...- 
Tutto tacque. I passi degli abitanti, i clacson, le auto, niente. Nessun suono. 
Il cielo rosso, ardente come il fuoco, le nuvole dorate, i mille colori proiettati dai vetri dei grattacieli più alti. E lei. Quante volte avrò visto quello scenario in vita mia? Ma perchè me ne stavo accorgendo solo in quel momento? 
Perchè prima non c'era lei
 
"E'-è bellissimo, vero, Nick?"
"... Si... Bellissimo.."
 
 
 
Nottata in bianco, abbandonato sul letto come fossi un sacco di spazzatura buttato in una discarica, con lo sguardo perso nel vuoto. Tutta la notte passata a fissare il vuoto, o, forse, a cercare qualcosa che non c'era. Un rumore nel petto, scatenato e assordante come una carica di tori che calpestano il terreno correndo all'impazzata. 
Non mi accorsi nemmeno quando la luce illuminò la mia stanza filtrando dalla finestra. D'istinto posai una zampa sulla pancia; sentii qualcosa sotto la zampa, la presi e vidi una foto di me sul letto nello stato catatonico di cui vi ho parlato. 
"Ma che dia.. Finnick!"
E lui, prontamente, apparve.
"Dimmi, Nick?"
"Cosa significa questa?" Chiesi seccato, alludendo alla foto.
"Significa che, stanotte, eri così. Era una scena divertente, e, dato che ad un certo punto mi sono alzato e ti ho visto, ho pensato bene di immortalarla" Spiegò lui  " Non ti sei accorto proprio di niente, mio caro."
Sospirai. Che imbarazzo. 
"Dimmi" Riprese il piccolo stronzo, ridacchiando "Quante parolacce ti stanno venendo in mente, in questo momento?"
"Troppe" Risposi alzandomi "Troppe perchè tu le possa contare!" 
Mi diressi verso il bagno, sentivo il bisogno di sciacquarmi il muso. Poi mi guardai allo specchio; occhiaie, pelo spettinato, faccia da coglione, insomma nulla di nuovo, la stessa immagine che vedevo ogni giorno. Lo stesso muso che mi accompagnava da anni. Il muso di Nicholas Wilde.
Allora, perchè quella mattina, mi sentivo più stanco del solito? Non era certo la prima notte in bianco della mia vita.
La voce fastidiosa e rauca del mio piccolo coinquilino (bastardo) ruppe il silenzio.
"Ti ha fregato alla grande, vero?"
Spalancai gli occhi. "C-cosa? Di chi stai parlando?"
"Su, non fare l'idiota" Disse lui, contornando la sua frase con uno schiaffo sul mio sedere. "La coniglietta... Non mi dire che ti sei fatto incastrare da uno sbirro con un bel musetto!" 
"Ah, non ho tempo per le tue sciocchezze!" Gli risposi acidamente, sgattaiolando via dal bagno. "E non osare più prendermi a schiaffi sul sedere!" 
"Ooh, quante storie!"
 
Indossai una camicia nuova, stavolta verde, un giubbino nero ed uscii di casa. Ormai le possibilità di girare a camicia sbottonata e giubbino aperto stavano diventando poche. L'aria cominciava a farsi più fredda. Si sentiva che l'estate era finita. Dopo pochi passi mi arrivò un messaggio sul cellulare. Lo presi di tutta fretta (non c'è bisogno di dirvi perchè) ma rimasi ben deluso quando lessi il messaggio:
 
"Inganna pure gli altri, ma non te stesso! ;) "
 
Sbuffai. -Maledetto piccolo fenneck- 
Non avevo tempo per queste cose. Dovevo raggiungere Judy in municipio. Le era stato affidato il compito di proteggere Leocas Lionheart per i prossimi due giorni, essendo la nuova possibile vittima del killer. Perchè scelse proprio me, che non ero un poliziotto? Beh, non fu molto chiara su questo, disse qualcosa sul fatto che era rimasta l'unica di tutto il dipartimento senza un partner, sul fatto che io conoscessi bene la città, e tutti i luoghi più sicuri dove nascondere qualcuno, o forse perchè il "Grande Bufalo" le aveva affidato l'incarico dopo che lei, gran testona, aveva asserito di non aver bisogno di partner per proteggere il nipote del sindaco. Ora come ora non me lo ricordo, scusatemi.
Lungo un viale alberato, tempestato di bar, ristoranti, bar più grandi, bar più piccoli, intravidi delle boutique, e accanto, la gioielleria gestita da Madame Gigi, una vecchia gatta francese il cui vanto era quello di avere il pelo più bello di tutta Zootropolis, splendido quanto i gioielli che vendeva. Ovviamente questo da giovane. Ormai aveva almeno 70 anni, e il suo pelo cominciava a risentire dello scorrere del tempo. 
Mi avvicinai alla vetrina, vidi anelli, collane, braccialetti di ogni forma e colore (e costo!). Erano belli, senza dubbio, ma troppo... Raffinati. Troppo elaborati, troppo "eccentrici", troppo adatti a qualche riccone da strapazzo. Al sindaco sarebbero piaciuti. Lei non era certo il tipo da indossare cose così lussuose.
Tutti superavano i mille dollari. Stavo per arrendermi, quando scorsi, tra le tante, un braccialetto, semplice, eppure mi colpì più di tutto proprio per la sua semplicità; una catenina nera con un cuoricino stilizzato, colorato in modo da farlo sembrare dorato, con al centro un piccolo diadema a forma di J ma con uno stile che ricordava una carotina, dai colori sgargianti e luminosi.
Le sarebbe piaciuto? O non le sarebbe piaciuto? Rimasi lì a fissarlo almeno un quarto d'ora prima di decidermi. E lo comprai!
Pensai "beh, male che va, non ho nulla da perdere se ci provo". 
Arrivai all'appuntamento con un quarto d'ora di ritardo. Judy era in cima alla scalinata dell'ingresso, poggiata contro il muretto e con la zampa destra che picchiava freneticamente contro il pavimento e lo sguardo che noi predatori definiremo "inferocito", se non fosse che tale termine, su una coniglietta, non risulta affatto credibile.
"Se dovessi tirare a indovinare" Mi introdussi con un sorrisetto beffardo e grattandomi il mento "Direi che sei irritata perchè ho fatto un po' tardi!"
Judy alzò un sopracciglio senza rompere di neanche una virgola la propria espressione irritata. La sua bocca era una linea piatta orizzontale e immobile, come una porta d'acciaio chiusa e che non lasciava uscire una sola parola. 
"E va bene, va bene, ho fatto tardi, però avevo un buon motivo" - Genio!- "Che, però.. Non posso dirti" - Doppio genio!-
"Oh!" Finalmente rispose "Spero almeno che fosse qualcosa di serio, e non, che so, qualche soldo preso impropriamente a qualcuno"
"No, no affatto. Era un motivo molto serio" 
Judy sospirò, mi sorrise e io la raggiunsi sulla scalinata. Ci scambiammo entrambi un sorriso silenzioso, prima di varcare l'entrata del municipio; n salone ampio e dal soffitto altissimo, circondato da pareti asettiche, completamente bianche che davano la sensazione di trovarsi in ospedale, con appesi quadri vari, ritratti del sindaco, incontri e strette di zampe con altri politici, ecc., un pavimento lastricato di mattonelle dello stesso colore delle pareti calpestate da un irrefrenabile movimento di animali vari, tutti con in mano qualche documento o alle prese con pc, portatili e non, e le orecchie tappate da cellulari e cuffie. Ci dirigemmo verso il fondo della stanza, entrammo nell'ascensore e salimmo fino all'ultimo piano, 53 in tutto. 
La musichetta d'attesa fu l'unica cosa che le quattro mura mobili in cui eravamo rinchiusi potevano sentire. Qualche fugace e rapido sguardo tra me e lei, e nulla più. In quel momento, almeno. 
Stavo per aprire bocca e provare a dire qualcosa, tenendo la zampa destra in tasca, saldamente ancorata alla scatoletta che conteneva il braccialetto, stringendolo con forza, tanto che avrei rischiato di romperla, quando giungemmo a destinazione, e indovinate chi ci accolse?
Esatto, l'irritante pecora col boccolo in testa. 
Vi risparmio i suoi altrettanto irritanti balbettii, proseguo dicendo che ci accompagnò nell'ufficio del sindaco; per la prima volta mi ritrovai davanti quel parruccone falso ed egocentrico di un gatto troppo cresciuto, sempre impeccabilmente vestito, seduto dietro una scrivania con le zampe tra la criniera, intento a parlare affannosamente con il nipote, il quale gli era seduto di fronte. Alla loro sinistra, in pieni e nella solita posa fiera e immobile come il protagonista di un dipinto (il più brutto che io avessi mai visto), il Capitano Bogo. 
Leodore si alzò e ci venne incontro asciugandosi il sudore, poi strinse la zampa a Judy, non prima, però, di aver buttato gli occhi su di me con fare sospettoso. 
"Sarebbe lui il tizio di cui mi ha parlato, agente Hopps?" Quanto mi infastidì quella nota di diffidenza che circondava quella sua domanda!
Tanto da farmi quasi digrignare i denti, ma un colpetto col gomito sul fianco da parte di Judy mi fece rimanere buono.
"Esatto, signor sindaco. Le presento Nick Wilde"
"Certo, certo. Dunque..." Disse tornando alla scrivania dandomi le spalle in un quarto di secondo. " Non abbiamo un minuto da perdere, signori: questo è mio nipote, Leocas"
Leocas, la famosa prossima vittima, un pittore di scarsa fama, qui a Zootropolis, forse più conosciuto all'estero, un giovane leone di almeno 23 anni, dalla criniera liscia e tirata indietro con chissà quanti strati di gelatina, i peli del mento a mo di pizzetto a punta e 3 orecchini all'orecchio destro.  Ma nonostante tutto... dovetti riconoscere che era un tipo affascinante, colpa soprattutto di due profondi occhi azzurri, e un fisico robusto grazie alla sua natura di leone -il mio fisico da volpe, in confronto, non era nulla. 
"Dunque..." Così si presentò il "piccolo principe" amore dello zio  "Un coniglio e una volpe dovrebbero proteggermi da un serial killer che caccia i predatori? Una volpe?"
"Mi dispiace, i militari non erano disponibili, al momento!" Gli risposi non riuscendo più a trattenere il fastidio. 
E il mio fianco subì nuovamente l'ira del gomito di Judy (stavolta, però, più forte di prima!).
"Eheh, potete scusarci un attimo?" 
 
"Ma che cosa ti è preso, Nick? Ti rendi conto di cosa potevi combinare? Lionheart avrebbe potuto..."
"Non potevo più sopportarlo, Carotina! Insomma, hai visto come mi guardavano? E il modo in cui quel moccioso ha detto "volpe"? " 
Judy abbassò lo sguardo dispiaciuta, placando per un attimo il rimprovero. Con la zampetta destra si grattò la nuca, come se cercasse un modo per non farmi dire ciò che realmente si nascondeva dietro quegli sguardi e quelle parole.
"Loro non si fidano, Judy. Nessuno si fida di una volpe!"  Infuriato, feci per andarmene, dando le spalle a Judy e a quella porta, dirigendomi verso l'ascensore, ma qualcosa mi bloccò: due braccia si avvolsero intorno alla mia vita e mi strinsero a più non posso. Sentii una morbida guancia posata contro la mia schiena, e una flebile voce che accompagnava quelle strette. 
"Io mi fido di te..."
Deglutii e sospirai. Persi almeno un anno di vita in un attimo che sembrò interminabile. Chissà se solo per me, o... Per entrambi.
Non potei rifiutare. Rientrammo in ufficio e ci facemmo spiegare tutto dal sindaco. Il nostro compito era prendere in custodia Leocas e proteggerlo per almeno due giorni, il limite secondo il quale il killer avrebbe dovuto ucciderlo. L'idea di Judy era di nasconderlo in un posto che il killer non avrebbe saputo trovare, e dato che io conoscevo la città e i dintorni come le mie tasche, il compito di trovare un buon nascondiglio per il "cocco dello zio". Esclusi fin da subito casa mia (come avrei fatto con Finnick? Io stesso avevo già rischiato molto, Finnick avrebbe potuto peggiorare le cose) e casa di Judy. 
Ci assortimmo tutti nei nostri pensieri, cercando una soluzione, mentre il piede di Leocas martellava il povero pavimento con fare sempre più nervoso. Scommetto che se avesse potuto, il pavimento l'avrebbe risucchiato!
Mi avvicinai alla mappa della città e dintorni, posta sulla parete dietro la scrivania del sindaco; quasi automaticamente cercai i punti in cui il killer aveva colpito precedentemente (la sera precedente, prima di passare la notte in bianco, avevo cercato qualche informazione); la maggior parte degli omicidi erano concentrati nella zona tra Zootropolis ovest e Distretto Foresta Pluviale. Un killer, di solito, non si allontana troppo dal proprio rifugio. 
"Avete concentrato le squadre in questo punto?" 
"Per quale motivo vuole saperlo?" Esordì Lionheart con un tono che non nascondeva affatto un "cosa cazzo c'entra questo, adesso?".
"Semplicemente perchè..."
Non ebbi il tempo di spiegarmi che subito Bogo mi interruppe, dicendo che non gli interessavano le mie "teorie da cucciolo che vorrebbe fare il poliziotto". Fui costretto a ingoiare l'ennesimo rospo, ma solo per non fare un'altra scenata, e sulla mappa indicai un vecchio loft abbandonato alla periferia sud di Zootropolis. Come immagino molti di voi che mi state seguendo, anche loro storsero il naso. 
Perchè quel loft? E perchè proprio una periferia? Semplice: quella zona era disabitata da anni, ormai, credo che qualcuno si fosse persino dimenticato della sua esistenza. E in più, conoscevo quel loft molto bene... La mia vecchia casa.
La casa dove sono cresciuto, fino alla fatidica giornataccia.
Nonostante il loro scetticismo, riuscii a convincerli che la zona era sicura, del tutto abbandonata e ben lontana dal luogo dov'erano maggiormente concentrate le aggressioni, e in più c'erano piedipiatti sguinzagliati dappertutto, quindi non avremmo potuto correre rischi.
Quello stesso pomeriggio ci recammo nel nuovo nascondiglio; per passare inosservati, raggiungemmo la mia vecchia casa con il vecchio furgone di Finnick, invece che con una macchina della polizia. Inutile dire che le lagne di Leocas ci fecero compagnia per tutto il viaggio!
Mezz'ora di viaggio passata a desiderare di essere sordo per non sentirlo ripetere che "uno come me non può permettersi di passare due giorni in un posto abbandonato e ammuffito!" . O ancora "Io, il pittore più importante di tutto il regno animale, ridotto a nascondermi come un topo nella tana di una volpe!"   - Dio, che difficoltà trattenersi dallo schiantarsi contro un camion e mettere fine a tutto questo!-
Superata una pattuglia, entrammo nella zona periferica, un paio di isolati, la via principale ed arrivammo a destinazione. La zona non era diversa da come la ricordavo, un ammasso di palazzi e strade definitivamente divorate dal degrado e la sporcizia. Non c'era, letteralmente, un'anima in giro. L'unico suono che si udiva era il vento che sollevava ogni tanto qualche cartaccia dalla strada, o si tuffava tra l'erba del parco giochi. Un parco giochi talmente vecchio e scalcinato che, probabilmente, solo i fantasmi, di cui mi sembrava di udire le risate, avrebbero potuto divertircisi. 
Mille ricordi si alternarono nella mia mente, dai pomeriggi passati spensieratamente a giocare con gli altri cuccioli alla figura di mio padre seduto sulla poltrona, una volta aperta la porta ed entrati nel nuovo rifugio; la poltrona era proprio dove la ricordavo, di fronte all'ingresso, ma al posto di mio padre, c'era solo un telo che una volta doveva essere bianco, coperto di polvere, così come ogni altro telo che copriva il resto dei mobili. O quel che ne rimaneva. 
- Cos'è successo quando me ne sono andato, mamma ?- 
Avrei potuto rimanere impalato a fissare quelle mura ammuffite tutto il tempo, attaccato da mille ricordi, se non fosse stato per una zampa gentile che si posò sulla mia, accarezzandola dolcemente, mentre un filo di voce mi chiese "Ehi, tutto bene?"
Scossi la testa, prima di risponderle di non preoccuparsi. La mia risposta non fu nulla in confronto alla sua: semplicemente... Il suo sorriso.
- Meglio non dirvi di come le lagne di Leocas rovinarono tutto, altrimenti mi viene un tale nervoso...-
 
 
La sera non tardò ad arrivare. 
Con la tv e qualunque altro svago assente, come si poteva passare il tempo e nello stesso momento annoiarsi a morte? Facile: guardando Leocas dipingere!
Seduto di spalle sullo sgabello, al centro della sala, con davanti quel cavolo di cavalletto mentre agitava il pennello senza sosta. Che palle!
Sbuffavo, sbadigliavo, picchiettavo le unghie contro il tavolo mentre con l'altra zampa mi tenevo la testa che rischiava di cadere per la noia e il sonno. Al mio fianco, Judy sembrava muoversi all'unisono con me. I miei stessi sbadigli, la mia stessa posizione.
All'ennesimo sbadiglio, Leocas si volse di scatto verso di me con quello che lui avrebbe definito "impeto di rabbia", ma che a me risultò solo la smorfia di un muso sul quale avrei volentieri posato il mio pugno. 
"Insomma!" Esordì "Sto cercando di concentrarmi, Wilde! E non e facile, per il pittore più famoso di questa lurida città, se continui ad assordarmi con questo casino!"
- Il pittore più famoso della città? Avevo più l'impressione di assistere ad una checca in preda ad attacchi di isterismo-
Judy si avvicinò al mio orecchio sussurrandomi "Ma se, in realtà, non lo conosce nessuno a Zootropolis!"
Scoppiare a ridere come due idioti e ritrovarsi con il miglior mal di pancia della storia sarebbe stato impagabile, per entrambi, ma non potendo, per ovvi motivi, dovemmo entrambi coprirci la bocca e trattenere tutto, sotto lo sguardo vigile e irritato di Leocas (che nel frattempo era tornato a dipingere).
Ma la tentazione di sfotterlo era troppo ghiotta per essere ignorata!
"Ma siamo sicuri.." Sussurrai a Judy  "Che li faccia lui quei quadri?"
"Io credo che se li faccia fare da un altro!" 
Di nuovo, tutto il fiato presente nei nostri corpi avrebbe voluto esplodere tutto in una volta in un'altra chiassosa risata, ma fummo costretti a trattenerci (o almeno, facemmo il possibile per trattenerci!). 
E un'altra occhiataccia da parte del principino tentò di fulminarci. Judy tentò di riprendere la compostezza e la serietà degna di un poliziotto, nonostante degli abiti comuni al posto della solita divisa; una camicetta rosa a quadretti e un paio di jeans scuri. Era la prima volta, dal giorno del nostro incontro, che la vedevo con abiti diversi. Le donavano molto più della divisa. 
In modo particolare la camicetta; non so perchè, ma sembrava ammantarla di un'aura di dolcezza che prima di allora non ero riuscito a scorgere in lei. Inoltre, la camicetta non era larga, ma aderiva perfettamente al suo corpo, quasi a disegnarlo come un pennello mosso da un pittore particolarmente ispirato. A fare da contorno, i suoi occhi, sempre luminosi, sempre splendidi, ancora di più, colpiti dalla luce della luna che filtrava dalla finestra.
Tempo fa avrei distolto lo sguardo e mostrato indifferenza verso una femmina un pochino abbondante sui fianchi, ma con lei non succedeva. Tutto di lei cominciava ad attrarmi, ogni particolare, ogni dettaglio, anche quello che avrebbe potuto essere, comunemente, considerato un difetto. Non ne vedevo su di lei. Ma dopo un po' notai i suoi occhi spalancati con fare interrogativo e i muso rivolto al mio.
"Ehm.. Tutto bene, Nick?" 
"Come? Oh, si, si tutto bene, sta tranquilla!" -La risposta/fuga evasiva non poteva essere credibile per sempre-
Dopo qualche imbarazzante minuto di silenzio mi alzai, poichè... "la natura chiamava" (non pensate male, però!). 
 
Mi liberai. Fu un sollievo. Uscii dal bagno, ma non tornai subito in sala. Mi aggirai per l'ampio corridoio, diedi una lunga occhiata ad ogni stanza sulla quale il mio sguardo si posava. La mia mente elaborò foschia e pensieri come un proiettore per un film.
La mia camera da letto; quante notti passate a giocare con mia madre sul letto, io che facevo i soliti capricci per non dormire se non mi leggeva la storia del Cavaliere Lupo Nero, un cavaliere che vagava per le foreste salvando principesse e poveracci. La classica storia che si racconta ai cuccioli, insomma, oppure le storie dei pirati, i cui giocattoli e pupazzi riempivano il pavimento della mia stanza tanto da farlo sembrare un campo minato. 
Ora, invece, il letto era ridotto ad un materasso grigio e vecchio posto su una fredda rete di metallo, e la poltrona sulla quale mia madre si sedeva non c'era più. L'armadio era vuoto, le tende della finestra tirate. I muri coperti da chiazze di muffa maleodorante. Quante volte avevo visto mia madre seduta davanti a me mentre leggeva tutte quelle storie?
Quante volte l'avrò vista sorridere nel vedermi eccitato imitando il Cavaliere Lupo?
Quante volte avrò avvertito la sua protezione? E il suo amore?
E quante volte l'avrò fatta piangere con il mio nuovo comportamento ?
Sentivo sempre più quel peso; il peso di quella maledetta maschera che fui costretto ad indossare, quella che mi fece allontanare dalla sua protezione per gettarmi nella gelida realtà nella quale vivevo. Tutto per colpa di...
"Zampe in alto!" 
Drizzai istintivamente le orecchie e spalancai gli occhi. 
"Ahah, ehi ti sei spaventato?" 
"Mh, direi di no, Carotina" -Altra risposta evasiva- 
"Assorto nei ricordi?" Mi chiese lei, mentre mi avvicinavo. Poi entrambi, fianco a fianco, camminammo lungo il corridoio per tornare in sala.
"Ricordi non molto piacevoli..."  Risposi io  "Tu invece? Dov'è il nostro principino?"
Judy si coprì leggermente la bocca con una zampetta, cercando di nascondere un risolino. "Il principino ha deciso che per oggi bastava così e si è messo a dormire" Spiegò lei
"Non si sentiva particolarmente ispirato, per usare le sue parole"
"Ma lo è mai stato?" Replicai io sarcasticamente  "Davvero non lo conosce nessuno?"
"Credo sia più conosciuto per essere il nipote del sindaco di Zootropolis che per i suoi quadri"
"Beh, io lo conosco molto poco" Continuò lei  "So che un paio di volte è venuto a Bunnyburrow, il mio paese natale. Probabilmente per ritrarre la campagna"
Tornammo nello stesso punto, dove prima Leocas stava dipingendo. Lei era in piedi davanti alla finestra, la quale dava sul cortile interno del palazzo, mentre io seduto, poggiato contro il muro.
Il cortile era un quadrato d'erba marcia di 20 metri, con i resti di mattonelle che una volta formavano un piccolo spiazzo sul quale i cuccioli, una volta, giocavano. Tutto era illuminato dalla luna piena. Ma io continuavo ad osservare solo un musetto grigio con due ipnotici occhi color ametista...
Improvvisamente misi una zampa in una tasca, e sentii qualcosa, qualcosa di cui mi ero completamente dimenticato: il regalo!
Il mio cuore si trasformò in una banda di tamburi incessanti. 
"Ti.. Ti manca?" -Non riuscivo a credere di stare per chiederglielo-  "Voglio dire, vorresti tornare a Bunnyburrow?" 
Judy sobbalzò come se le avessi fatto la domanda più imbarazzante del mondo.
Riconosco che forse era fuori luogo, in quel momento, ma qualcosa, dentro di me, chiedeva a gran voce di saperlo. Nonostante... Avessi paura.
Lei abbassò il capo, sorridendo, per poi guardarmi con quegli occhi socchiusi per i quali stavo seriamente rischiando di impazzire. 
"Beh, ne sento nostalgia, qualche volta, ovvio. In fondo, lì ho la mia famiglia: i miei genitori, i miei fratellini, vecchi amici... Ma se me ne andassi da qui non potrei realizzare il mio sogno"
"E... Quale sarebbe il tuo sogno?"
"Beh.. Mi sento un po' in imbarazzo a dirlo proprio a te" Sussurrò lei coprendosi il musetto con le zampe. "Rideresti!"
"No, non riderò" Risposi io
"All'inizio dite tutti così, ma due secondi dopo..."
"Su, Carotina, te lo prometto, non riderò. Hai detto che ti fidi di me, no?"
Lentamente, le sue zampette scivolarono lungo il musetto, scoprendolo. Sembravo averla convinta. Beh, dopotutto non mentivo, non avrei riso di lei. 
"Va bene, te lo dico..." Prese fiato  "Il mio sogno... E'.." 
Qualcosa la interruppe. Sembrava paralizzata, tremante e con il sudore che le solcava il pelo.
"N-Nick..." Sussurrava
Mi alzai prontamente e posai le zampe sulle sue spalle cercando di tranquillizzarla, ma l'unica cosa che vidi furono i suoi occhi spegnersi e riempirsi di terrore.
Ma cosa poteva averlo provocato? 
Mi voltai verso la finestra e guardai dritto verso il cortile.... E lo vidi anche io: in piedi dritto verso la nostra finestra, con quell'inquietante travestimento nero che lo copriva. 
Ci aveva trovato!

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Capitolo 9
*** 8- Non sono nessuno, io ***


8- Non sono nessuno, io
 
 
Non mi rendo neanche conto del tempo passato. Non ricordo da quanto tempo sono qui, appoggiato alla ringhiera dei un ponte che cavalca il fiume del parco di Zootropolis , a fissare l'acqua immobile, silenziosa, che proietta il riflesso di una volpe ormai stanca e vecchia che sta raccontando la sua storia, tra le foglie che lasciano i rami degli alberi e si posano dolcemente su quello specchio.
Qualcuno passa, ogni tanto, qualcuno mi saluta anche, io rispondo, ma il mio sguardo torna sempre al mio riflesso. Cosa vedo in quel riflesso? Qualche anno fa avrei visto una volpe dal folto pelo rosso, un sorrisetto stronzetto stampato sul muso e vestito o di nero o di verde, qualche volta con l'aggiunta di qualche cravatta. 
Oggi, invece, il pelo rosso è brizzolato, spettinato (non che prima fosse molto pettinato), gli occhi sono stanchi e cerchiati da occhiaie, e vesto quasi sempre di nero. Ma senza cravatta. Qualche amico dice che sembro più un beccamorto che un poliziotto. Io annuisco e li lascio parlare.
L'ennesima foglia si stacca dal ramo e cade sul mio riflesso: guardo una parte di me dissolversi nel nulla, mentre l'altra parte di me continua a fissarmi. Un vento freddo mi colpisce di fianco, quasi cercasse di spostarmi da quel ponte, quasi volesse cacciarmi. Ma io non glielo permetto. 
Mi vibra il cellulare. Lo prendo, mi è arrivato un messaggio. Lo leggo, e sorrido...
Sento una zampa posarsi sulla mia spalla, mentre una voce a me familiare la accompagna. 
"Caro Wilde, sei invecchiato terribilmente!" Mi dice. "Questo pelo brizzolato non ti si addice affatto!"
"La mia non eleganza compensa la tua mancanza di peli sulla testa, mio caro" Ribatto io.
Mi giro verso di lui; Kenny Blackback, un vecchio compagno di accademia, un orso grande e grosso mio partner per sette anni, finchè non se n'è andato per godersi le "ferie" con le sue due mogli. E' l'unica cosa che riesca a farmi abbandonare quella ringhiera sula quale mi sono fossilizzato, avvolgendomi un braccio intorno alla spalla, ed entrambi ci incamminiamo verso l'uscita del parco. 
"Due nuove mogli?" Gli chiedo io, dopo che mi mostra le foto sul cellulare. E' poligamo, per tipo la terza volta.
"Già"  La tranquillità con cui mi risponde non mi sorprende. Lo conosco da tempo, una sola femmina non gli è mai bastata. Che posso dirvi?  "Che vuoi che ti dica, Nick Non riesco a farne a meno"
"Niente, credo. Ognuno è fatto a modo suo" 
"Già, già. E tu? Sono anni che non ci vediamo! Nessuna di importante nella tua vita?"
                                
                                                             ..........
 
 
 
- Come cazzo ha fatto a trovarci?- Non c'era tempo di chiederselo, c'era solo il tempo di prepararci e sperare di cavarsela.
Judy impugnò la pistola e si appostò dietro il bancone della cucina, non molto distante dalla poltrona. Io, nel frattempo, andai ad avvertire Leocas, rintanato nella camera da letto dei miei genitori, cercando soprattutto di farlo stare zitto e immobile, ma, come è ovvio pensare, il tentativo fu inutile; iniziò a sproloquiare e frignare, perfino invocare lo zio per proteggerlo! 
Se avessi potuto mi sarei strappato le orecchie e le avrei divorate pur di non sentirlo! 
Afferrai la prima cosa che trovai in terra, un lembo di tenda, e lo imbavagliai! - Ah, la pace dei sensi!- e lo spinsi sotto il letto.
"Ora ascoltami bene, artista dei miei stivali! Se vuoi vivere e tornare dal caro zietto mi fai il favore di stare muto! Non voglio un fiato, non voglio un sospiro, nulla! O conduco quel maledetto qui da te, mi sono spiegato?" 
Leocas annuì. 
Tornai subito da Judy e mi appostai dietro il divano, posto di fianco alla poltrona di mio padre. Chiunque avesse aperto quella porta, la prima cosa che avrebbe visto sarebbero stati proprio la poltrona e il divano.
"Dov'è Leocas?" 
"Imbavagliato e sotto il letto, non preoccuparti" 
"Che cosa? l'hai imbavagliato? Sei impazzito, Nick?"
Sospirai "Carotina, ne parliamo dopo, per favore?" 
Tacemmo entrambi quando i pesanti passi iniziavano a farsi sempre più forti. Tonfi inquietanti che calpestavano le scale e rimbombavano in tutto l'androne come se ci avvertissero del suo arrivo, come se dicessero "sta arrivando!". Quei tuoni non riuscivano, però, a coprire il respiro pesante di Judy, la sua ansia, la paura di ritrovarsi davanti il responsabile di tutte quelle morti. Avrei voluto andare da lei e rassicurarla, posare una zampa sulla sua piccola spalla, magari abbracciarla, stringerla a me e sussurrarle che sarebbe andato tutto bene (sarebbe stata una bugia o una probabile realtà?).
Non ebbi tempo di scoprirlo; i tonfi cessarono, e qualcosa sfondò la porta, i cui pezzi esplosero e si sparpagliarono in tutta la stanza. La paura si impossessò anche di me. Cos'avrei potuto fare? Non avevo una pistola, non avevo alcuna arma, e avrei dovuto fronteggiare un colosso del quale non conoscevo nemmeno l'aspetto. L'ennesimo tonfo fece tremare l'intero pavimento. Mi accucciai il più silenziosamente possibile per spiare nello spazio tra il divano e il pavimento: un'enorme pugno poggiato a terra, coperto da bende nere, si faceva largo attraverso l'ingresso, poi il secondo, che per la grandezza credevo fosse ad appena dieci centimetri dal divano!
Mi tappai la bocca con una zampa per evitare che anche il più piccolo fiato uscisse, ma in ogni caso credo sarebbe stato anche inutile, poichè quell'essere emetteva rumorosi grugniti e respiri forti come il vento. Non credo che con quel casino si sarebbe accorto di me, ma la prudenza...
Tentai di sporgermi lentamente dal divano: l'essere era imponente, l'intero corpo avvolto da un cappotto nero ampio quanto un mantello, che copriva le zampe posteriori, poggiava l'intero peso sulle braccia enormi, la parte inferiore del muso coperta da una maschera, si vedevano solo due occhi gialli circondati da una folta e scombinata peluria nera somigliante ad una criniera. 
Manches asserì di non aver riconosciuto in esso alcun tratto distintivo di un animale in particolare... Ma quella posizione...
L'essere mosse la testa in tutte le direzioni, si mosse verso il corridoio che portava al resto delle stanze, quando...
"Fermo!" 
-Judy! Incosciente, stai giù!
Si volse verso Carotina.
"T-ti dichiaro in arresto!" La sicurezza e prontezza di Judy cedeva sempre più alla paura, soprattutto quando l'essere si girò verso di lei. Sembrava la scena di un film horror. 
Le sue zampine non smettevano di tremare, ero certo che da un momento all'altro la presa avrebbe ceduto, e senza più la pistola in mano sarebbe stata troppo vulnerabile. Dovetti pensare in fretta ad un piano per aiutarla! Pensai che, con uno scatto sufficientemente veloce, avrei potuto raccogliere la sua pistola e sparare nel muso al Cacciapredatori, con un po' di fortuna l'avrei beccato in un occhio, o magari in mezzo alla fronte. Ma nonostante il tremore, Judy riuscì in qualche modo a tenere salda la presa. 
Tentai di fare il giro del divano, con un po' di fortuna sarei riuscito ad aggirare il Cacciapredatori e provare ad attirarlo fuori di casa abbastanza da permettere a Judy e Leocas di lasciare la casa e allontanarsi. Di cosa ne sarebbe stato di me non m'importava. Avrebbe anche potuto uccidermi, mi bastava sapere di Judy al sicuro. E in minor misura anche Leocas.
Mi mossi come un predatore pronto per l'agguato, a quattro zampe, con passo felpato, ma fu il suono della sua voce a bloccarmi; 
"C'è un predatore in queste stanze... E non sei tu, volpe! " Mi irrigidii, come se lo sguardo della mitologica Gorgone mi avesse colpito e trasformato in una statua di pietra fredda. Mai fredda quanto quella voce, però. Un suono profondo, freddo come il vento che invade la notte e ti penetra le viscere fino a congelarle. Il divano fu scaraventato in aria e, senza che avessi il tempo di accorgermene, quella mano gigantesca mi schiacciò contro il pavimento e premette sulla mia gola. 
"Non sono interessato ai predatori minori  come te!" sussurrò  "Ditemi solo dove si trova Lionheart, e il massimo che farò sarà rompervi qualche osso!" 
Secondi interminabili durante i quali ogni tentativo di respirare o cercare di togliere quella pressa dalla mia gola fu inutile. Con la coda dell'occhio vidi la pistola di Judy cadere a terra, e lei seguirla subito dopo, in ginocchio, con gli occhi lucidi sull'orlo di scoppiare. 
"Va bene!" - Non farlo, Judy- "Va bene, te lo dirò!"
La pressa mi lasciò. Strisciai verso Judy tossendo e riprendendo fiato, lei mi abbracciò e mi accarezzò le guance piangendo. "Oddio, Nick" mi sussurrò  "Come ti senti?"
"Sto.. Sto bene, tranquilla"
Il Cacciapredatori si era alzato in piede. Sembrava ancora più grosso di quanto già non fosse. Si diede la spinta necessaria ad alzarsi con le nocche ma sembrava faticare a rimanere eretto; intravidi la parte inferiore del suo corpo sotto l'ampio "mantello", una grande pancia e le zampe posteriori, più corte delle anteriori, piegate, come se facessero fatica a sorreggere quel corpo. Come ha fatto Manches a non accorgersene, quella notte?
All'improvviso qualcosa si infranse contro la schiena di quel mostro (credo una sedia, non so, non riuscii a vedere per colpa della sua stazza). 
"Leocas!"
Il Cacciapredatori posò lo sguardo su Leocas; in uno scenario di chissà quanti anni fa, Leocas, un leone, sarebbe stato la minaccia, il predatore supremo che osservava la preda pronto a balzargli addosso. In questo scenario, invece, egli era la preda, e davanti aveva il suo carnefice.
Mi precipitai sulla pistola di Judy, ma il mostro mi afferrò e mi scagliò contro violentemente il muro. Tutto intorno a me iniziò a farsi scuro, le forme divennero sempre più sfocate, e il musetto di Judy una macchia indistinta. Persi i sensi.
 
La prima cosa che vidi fu un debole luccichio, due piccole lucette viola simili alle stelle che dominano un cielo senza nuvole. Poi, piano piano, il luccichio assunse la forma di due diamanti, e non due diamanti qualsiasi, ma due enormi diamanti luminosi capaci di brillare nel buio più totale, due diamanti lucidi e tristi dai quali partivano lacrime che rigavano le guance di un piccolo musetto coperto di pelo grigio, al centro del quale, un delizioso nasino rosa tremava. Una piccola bocca invocava il mio nome, pregandomi di svegliarmi. 
Non avrei potuto svegliarmi, probabilmente, se il calore della sua zampina non si fosse posato dolcemente sul mio pelo rosso arruffato, mentre i suoi occhi non accennavano a staccarsi dal mio viso - e probabilmente pregavo perchè non lo facessero-
Le asciugai le lacrime, e con un piccolo sorriso dissi "Questo non ti si addice, Carotina" 
Lei abbozzò un sorrisetto sarcastico "Piantala, scemo" 
"Esatto, piantala ed alzati!" ci interruppe una terza voce. Alzai lo sguardo e notai un vecchio caprone intento a palparmi fianchi, schiena e petto. Pensavo di risvegliarmi con tutte le ossa rotte, accompagnate da dolori lancinanti, e invece no; qualche dolore qua e là ma niente di grave.
"Per fortuna non ci sono fratture" disse il caprone alzandosi  "Sei stato fortunato, volpe!"  Poi si diresse verso gli altri poliziotti.
- Dio, che nervoso!-
Mi alzai, tra i "sicuro di stare bene, Nick?" di Judy, e iniziai a guardarmi attorno.
"Carotina... Dov'è Leocas?" 
 
 
 
Il funerale si svolse un paio di giorni dopo. L'intera Zootropolis era presente.
Mai, prima di allora, avevo avuto la possibilità di camminare in strada senza mille occhi attorno. Una volpe solitaria che camminava su un marciapiede ancor più solitario. L'unica compagnia era il vento freddo che sbuffava nella mia stessa direzione. Non ebbi bisogno di alzare il colletto del giubbino per ripararmi. La cosa bella dell'essere una volpe, o comunque un qualsiasi animale, è l'avere un pelo folto che ti protegge dal freddo. 
Ma ciò non serve a molto. Il freddo lo senti comunque, quando realizzi di essere solo
E forse era solo una mia impressione. Forse non c'era nemmeno quel vento. Forse era tutto dentro di me, nella mia testa, nel mio stomaco. O nel mio petto.
Perchè, tutto ad un tratto, mi preoccupavo? Crescendo senza un vero padre, percorrendo la via della menzogna e della truffa, essere nato volpe... Mi ci ero abituato, ormai. Mi bastava campare, andare avanti per la mia strada. Invece, da quando era arrivata lei , sentivo qualcosa cambiare, dentro di me. Forse la solitudine... Forse era un male. Un fiore appassito che dovevo recidere alla radice e buttarlo in un cassonetto sporco e buio. E magari, sostituirlo con un fiore nuovo...
E quel nuovo fiore, se la fortuna fosse stata dalla mia parte, per una volta in 30 anni, avrebbe potuto essere la poliziotta più improbabile del mondo animale. 
 
Entrai nella prima gelateria che trovai, gestita da un vecchio papero, un tempo amico di mia madre; presi un frappè ai mirtilli, da sempre il mio preferito, e guardandomi attorno in cerca di un posto a sedere (nonostante il posto non fosse granchè affollato) incrociai il suo sguardo, seduta tutta sola al tavolino in fondo al locale, con una coppetta di gelato tra le zampine, e un musetto cupo accentuato dalle orecchie cadutele sulle spalle. Mi avvicinai e la salutai, ma dovetti ripetere il mio "ciao" almeno tre volte prima che lei ricambiasse.
"Cosa ci fai qui, Carotina? Non dovresti essere al... "
Judy si incupì, iniziò a girare il cucchiaino nel gelato, e gli occhi guardarono silenziosamente il tavolino, come se non sapesse cosa dire, oppure pensare.
Stupido!
"Scusa, io non.. Non dovevo" -Quanto sei stupido, Nick!-  "Beh, ehm... N-non ti ho mai detto che la divisa ti dona, vero?" 
Mi guardò per una frazione di secondo, ma non fece alcuna smorfia. L'ombra che si era posata su di lei era, evidentemente, qualcosa alla quale non potevo rimediare. Capii che aveva bisogno di stare da sola.
"Ci.. Ci vediamo, Carotina" Mi alzai e feci per andarmene, ma lei mi fermò afferrandomi la zampa libera.
"Sai cosa mi fa star male di quella notte, Nick?" esordì  "Sono rimasta immobile a tremare come un cucciolo indifeso davanti a quel mostro..."
- L'abbiamo visto entrambi, Carotina, noi due soli non potevamo fare nulla-
"Avevo la pistola" continuò "Ce l'avevo tra le zampe! Potevo sparargli, cazzo!". Battè il pugno sul tavolo. Lanciai un'occhiataccia a chiunque si fosse girato verso di noi, invitandoli a farsi gli affari loro.
"Forse... Forse avevano ragione loro" proseguì, gli occhi si sforzavano di trattenere le lacrime " Forse non sono adatta per fare questo lavoro...". E in men che non si dica prese a divorare il gelato con la foga di un cucciolo impaziente. Per poi essere punita con un bel mal di testa. 
"Ecco, questo è ciò che succede quando mangi con troppa foga!". Ricambiò con un sarcastico "ah- ah!", mentre i polpastrelli pelosi premevano sulle sue piccole tempie massaggiandole per placare il tormento.
"Non è colpa mia!" disse lei "Mi succede sempre, quando sono giù di morale, mangiare il gelato mi aiuta"
"Ad avere mal di testa senza dubbio". Riuscii a strapparle una risatina. Avrei voluto vedere un altro tipo di sorriso, ma già quella risatina la consideravo una piccola vittoria.
Tornò, però, il momento di essere seri. "Comunque, Carotina, non devi sentirti in colpa solo perchè hai avuto paura. Se non avessi paura, non saresti un essere vivente" 
Mi guardò, il cucchiaino era tornato a girare a casaccio tra il gelato. "Ma in un simile lavoro non posso permettermelo, Nick" sussurrò "Questa divisa e questa pistola testimoniano il mio giuramento di proteggere la gente di questa città, come posso farlo se poi mi metto a tremare?"  
Tirò su col nasino e si asciugò le lacrime che avevano iniziato a fuggire dai suoi occhi. Mi dispiaceva davvero per lei, sembrava così vulnerabile in quel momento che iniziai a sentirmi in colpa per averla definita una minaccia per la credibilità della polizia cittadina.
- Inutile stronzo!- 
"Forse ho sbagliato ad intraprendere questa strada... Avrei dovuto dare ascolto a..."
"Sai cos'è davvero sbagliato, Judy? Starsene qui, seduta nel peggior angolo di una squallida gelateria ad autocommiserarti!" 
"Ehi!" urlò il papero.
"Senza offesa, Donald!" 
La guardai dritta negli occhi, stufo di avere davanti qualcuno che non fosse Judy Hopps. "Credi di essere la prima, forse? La paura è un sentimento come un altro, credi che i tuoi colleghi siano tutti d'un pezzo come nei film di LoStallone?"
"Ma gli altri non sono conigli, Nick..."
"Potrei raccontarti certe cose su Howlingstone che neanche potresti immaginare, eppure nonostante la paura era un ottimo poliziotto. E lui era un lupo! Imbecille, ma comunque lupo!"
Non mi ero mai messo a fare simili discorsi, non so nemmeno da dove mi uscirono quelle parole. Nessuno aveva mai parlato così con me, perchè io ne stavo parlando con qualcun altro? 
"Se hai scelto di fare questo lavoro, non puoi tirarti indietro solo perchè hai avuto una prima brutta esperienza. E da quello che ho intuito, se sei riuscita ad arrivare fin qui nonostante i dubbi di chi ti guardava dall'alto in basso, se sei riuscita a dire "posso farcela" allora, perchè non dovresti esserne più in grado?"
Judy ancora non sapeva quanto fosse dura la vita a Zootropolis. Era stata abbindolata dalla falsa pubblicità che la dipingeva come la città perfetta, ma aveva appena iniziato a grattare la superficie della verità con le sue unghiette. Quel Cacciapredatori era solo una parte della realtà di quella città, ma con un simile comportamento non sarebbe riuscita a sopravvivere, avrebbe finito con l'andarsene, tornare a casa sua. E non volevo assolutamente questo.
"C'è una sola cosa che devi fare, adesso: dimostrarti degna di quel distintivo. So che lo sei molto più di altri tuoi colleghi, e lo dico perchè li conosco. Sbattigli lo scetticismo sul muso e fagli vedere chi è Judy Hopps!" 
La chiacchierata proseguì, e a quanto pare le mie parole ebbero effetto. La nube oscura in Judy si diradò, tanto che mangiò il gelato come si deve, finalmente. Ma dovetti pensare a qualcosa per aiutarla a distrarsi, a non pensare più a quella nottataccia. Forse... Un'uscita insieme. Di colpo, afferrai il sotto del tavolino con le unghie. Quando sono nervoso mi aggrappo sempre a qualcosa, per evitare che le zampe mi tremino. MA se avesse rifiutato? Se il suo buonumore fosse stato solo momentaneo? Forse non ero nemmeno il più adatto ad aiutarla, tanto meno sono mai stato bravo nel risollevare il morale agli altri. Ma ora non si trattava di me, si trattava di lei. Solo di lei. Volevo vederla felice. Veramente felice.
"Carotina..."
"Si, Nick?" ingoiò l'ennesima cucchiaiata di gelato.
"Ecco, stavo pensando... " le unghie graffiarono il tavolino "Volevo chiederti se, magari per passare un alto tipo di momento insieme, invece che starcene qui al buio..." 
Mi guardava perplessa.
" Insomma, Carotina.. Ti-ti va di uscire con me?" 
La domanda abbandonò pesantemente la mia bocca come il respiro che avevo raccolto prima di formularla. 
Le zampe erano aggrappate al tavolo - sotto, più precisamente- con tutte le unghie, le quali sembravano sprofondare nel legno del tavolino, mentre nel mio orecchio rimbombava un suono ovattato ma fin troppo potente, incessante, tuonante, il suono di qualcosa che pulsa e sembra crescere, e crescere, e crescere sempre di più, finchè non scoppia. E poco ci mancò perchè scoppiasse davvero!
Lei mi fissò con gli occhi spalancati, il gelato ad appena 2 centimetri dalla boccuccia e, soprattutto, le guance tinte di un delizioso rosso imbarazzo.
 
 
 
2 giorni dopo...
 
Judy scoppiò a ridere fino a piangere. 
"Cosa c'è? Credevo di essere... Elegante"
"Si, Nick lo sei senz'altro, però... Non riesco proprio a vedertici vestito così!" disse toccandomi la giacca e la camicia come se fossero creature che non aveva mai visto prima  "insomma, non sono abituata a vederti così. Non sembri nemmeno tu! Sembri... Non so, un avvocato!"
Deglutii nel pieno dell' imbarazzo. Cominciai a pensare di aver fatto una grandissima cazzata. 
- Accidenti ai tuoi consigli, Finnick!-
"Beh, Carotina, volevo essere elegante, ma se la metti così..." una lampadina mi illuminò la mente "Il lato positivo di essere una volpe è l'essere dotati di un cervello che ci permette di elaborare rapidamente stratagemmi per rimediare a situazioni difficili o, in questo caso, figuracce!"
Sbottonai la camicia lasciando parte del petto scoperto, tirai su le maniche della giacca fino al gomito, tolsi la cravatta (pessima scelta più di tutto il resto!) e allargai il colletto della camicia sulla giacca. 
"Beh, cosa ne dici adesso, Carotina?" 
Judy mi squadrò attentamente come se stesse studiando il modo di far sputare il rospo ad un criminale sotto interrogatorio. Credo nemmeno si accorse che qualche passante ci stesse osservando perplesso; lei intenta a squadrarmi, io fermo come un manichino. 
"Così sei perfetto!" esultò saltellando come una ragazzina in preda all'euforia "Adesso si che ti riconosco, Nicholas Wilde"
"Sai, Carotina, è passato molto tempo dall'ultima volta che qualcuno ha pronunciato il mio nome per intero con un sorriso..."
"Davvero? Ehm.. Posso chiedere chi è stata l'ultima persona ad averlo fatto?" 
"Piccola coniglietta curiosa!" commentai sarcastico, ma le dissi che non era il momento per quei discorsi, che avremmo fatto meglio ad avviarci, essendo stati fin troppo "sotto i riflettori". 
Zootropolis era universalmente nota come l'unica città nella quale avresti potuto trovare animali nemici, per natura, camminare fianco a fianco per la stessa via zampa nella zampa, a braccetto magari, parlare come parlano due fratelli, un gruppo di amici da anni incalcolabili; se il sole potesse parlare avrebbe detto, in quel pomeriggio da lui prepotentemente illuminato, che ciò era vero soltanto per una volpe e una coniglietta che camminavano fianco a fianco nella più totale disinvoltura e disinteresse nei confronti di chi li circondava; una volpe inizialmente elegante ridotta ad un trasandato con la giacca mezza stropicciata e, sotto di essa, una camicia mezza nei pantaloni e mezza di fuori, e al suo fianco, una coniglietta il cui abbigliamento rifletteva tutta la sua semplicità: una comune camicia bianca con sopra una giacchetta bordeaux a quadretti e un paio di comunissimi jeans. 
Ed ero contento di essere stato l'unico, tra i due, ad aver fatto quel ridicolo tentativo di sembrare elegante. Perchè lei era perfetta così com'era: coraggiosa, audace, piena di passione per il proprio lavoro, un pochino impertinente ma semplice, semplicissima, e questo lo capii quando preferii il Nicholas Wilde di tutti i giorni, invece del falso elegante. 
Zootropolis offriva molti luoghi d'interesse, e molti dove passare piacevoli momenti liberi. Ma lei saltellava ed esultava anche per la cosa più semplice, perfino per il traffico, puntuale come sempre, delle cinque; mentre io ero più che abituato, lei rideva di gusto nell'incrociare lo sguardo infuriato di un automobilista bloccato da chissà quanto tempo, e non mancò di beccarne uno che, probabilmente sentitosi offeso, balzò fuori dall'auto per raggiungerci e "sfogarsi" su di noi. Non aveva mai visto nulla di simile in campagna.
Prontamente, afferrai Judy e, insieme, ce la filammo. Lei ci rimase spiazzata, ricordandomi che era pur sempre una poliziotta, e io risposi "Non oggi! Oggi sei una comune cittadina di Zootropolis!".
Fortunatamente, i maiali non sono veloci nella corsa, e si stancano subito.
La via principale era il posto ideale per essere colpiti dal sole. Iniziava a fare sempre più freddo, e un pomeriggio pieno di sole era l'ideale, non tanto per tentare di stare al caldo, ma per godersi lo spettacolo di luce riflessa nei vetri e negli specchi dei palazzi: un raggio di luce colpiva un vetro ed esso ne rifletteva mille altre, tutte di colori diversi, come se qualcuno avesse preso quel raggio e liberato i colori. I grattacieli aiutavano molto in questo, poichè non solo molti avevano le forme più originali, ad esempio a corno di gazzella o vari piani accroccati in modo da sembrare, da lontano, le alte montagne rosse del deserto, e rosso era proprio il loro colore. Altri invece assumevano toni che saltavano dall'azzurro più limpido al verde più lucente. 
Qualche raggio ci colpiva in pieno muso, accecandoci, ma Judy non si lasciava fermare da questo: rideva sempre, anche quando doveva coprirsi gli occhi per non essere accecata. 
Peccato dovesse farlo. Avrei dato qualunque cosa per godermi lo spettacolo di quelle due gemme illuminate dal sole.
Ma le luci del pomeriggio erano solo un assaggio del vero spettacolo che avevo in mente di mostrarle.
Il viale alberato, in quel periodo, non era il posto ideale da attraversare per arrivare al parco, a meno che non ti piaccia vedere gli alberi quasi del tutto spogli e le foglie a terra, ma entrambi ci scoprimmo, sorprendentemente, desiderosi di passare di lì: le chiacchierate e il rivangare il nostro primo (disastroso) incontro, del mio tentativo di fregarla, di tutto ciò che ne seguì ci accompagnarono per tutto il parco, seguendo, senza che ce ne accorgessimo, il fiume cristallino che lo attraversava. Una sensazione quasi viscerale, o qualcosa di simile, mi dava l'impressione che il fiume ci stesse scortando lungo tutto il tragitto, fino all'uscita. 
Judy ironizzò molto sugli espedienti che, quella volta, tentai miseramente di utilizzare per sfuggire ad una probabile, o forse sicura, cattura, addirittura prese in giro il mio pensare di riuscire ad imbrogliarla. 
L'avesse fatto chiunque altro, me la sarei già presa a morte, avrei messo il broncio e me ne sarei andato per i fatti miei; con lei, invece, riuscii a non farlo, risi di me stesso e della mia ingenuità. Non sono mai stato uno molto paziente in ambito scherzoso, tranne forse con Finnick, ma con lei riuscivo a tirar fuori tutto, a ridere come mai avevo fatto prima. Percepivo una strana aura intorno a me -noi - , qualcosa di... Indescrivibile. La sua allegria, la solarità ad ogni piccola cosa per lei nuova, persino vetrine decorate da fiori che le ricordavano i prati di Bunnyburrow, scatenava in me sensazioni magnifiche, avevo in testa solo cose belle, e tutto mi sembrava strano, perchè nessuno era mai riuscito a farmi sentire così, mi sentivo come un esploratore che scopre una terra ritenuta inesistente, o un importante personaggio che fa una scoperta di portata storica. Forse, probabilmente illudendomi, stavo iniziando ad essere importante per qualcuno...
 Prima che potessimo accorgercene, sulla funivia che attraversava l'intera città e i suoi quartieri più importanti, si fece sera, e i lampioni si accesero sotto le nostre zampe. Si stava avvicinando il momento da me tanto atteso.
Il giro turistico terminò e una volta lasciata la funivia ci dirigemmo nuovamente verso il parco.
"Ma, Nick, non è chiuso a quest'ora?" chiese controllando l'ora dal cellulare "Sono le nove passate!"
"Uno dei tanti vantaggi di essere me, Carotina, è l'avere molte conoscenze speciali "
" "Uno dei tanti"? " chiese sarcasticamente lei "Perchè, ce ne sono altri?"
La guardai ridacchiando, sottintendendo un "piccola impertinente!". "No, in effetti, credo che quello sia l'unico. Ma ora..." mi aggrappai alle sbarre del cancello "Mi faresti il favore di seguirmi, Carotina?"
"Ma, Nick!" protestò sbigottita "Ti-ti rendi conto di quello che stai facendo? Non possiamo introdurci oltre l'orario!"
"Ti ricordo che oggi non sei in servizio" scavalcai e mi ritrovai dall'altra parte del cancello, dentro il parco  "E poi, c'è una cosa speciale che vorrei farti vedere"
Ci volle un po' ma riuscii a convincerla. 
 
Raggiungemmo il centro del parco, poi ci avvicinammo alla grande fontana. Quella fontana, in estate, era molto speciale. Fu lì che incrociammo un mio vecchio amico, Jervis Jackall, uno sciacallo di turno per la ronda notturna. 
"Nick! Cominciavo a pensare che non arrivassi più!"
"Scusami, Kenny, abbiamo fatto un po' tardi. E' tutto pronto?"
"Certo, amico!". Jackall prese la radiolina e si mise in contatto con un collega, dicendogli che era ora. 
La fontana si accese e un getto d'acqua si innalzò verso il cielo, poi un altro, e un altro ancora. Ogni getto raggiungeva altezze diverse, poi la stessa, e in seguito un'altra.
I potenti getti iniziarono a danzare, saltarono l'uno contro l'altro, infrangendosi come potenti onde contro una barriera di rocce, mentre i colori di ognuno di essi si accesero; rosso, verde, blu, giallo, infiniti colori si alternarono vorticosamente davanti ai nostri occhi, mentre miriadi di gocce d'acqua colpivano i nostri musi.
Judy ne fu entusiasta. Il musetto lasciò trasparire ogni singola sfumatura di gioia, eccitazione e sorpresa. Gli occhi si illuminarono di ogni colore esistente, riflettendo quelli della fontana; non riuscivo a decidere di quale colore li preferissi. Solo dopo compresi che non potevo farlo, perchè sarebbero stati perfetti in ogni caso, di qualsiasi colore.
"Nick" sussurrò sbalordita "Io... Io non ho parole... E' meraviglioso!" 
"Si, beh, speravo davvero che ti piacesse, Carotina" le risposi sorridendole dolcemente.
"Sai, Nick, mi-mi vergogno un po' a dirtelo, ma... Fin da quando ero cucciola, quando assisto ad un qualsiasi spettacolo di luci..."
"Si, Catorina?"
Lei arrossì pesantemente. "Beh... Mi-mi viene voglia di... Ballare!" sputò quelle parole come una confessione, per poi coprirsi il musetto con le zampe, piena d'imbarazzo. 
Ridacchiai, ma senza cattiveria. "Beh, perchè non lo fai, allora?"
"Oh no!" urlò ancor più imbarazzata "Mi vergogno tremendamente di fronte a qualcuno!"
"Nah" le risposi io, voltando il muso da un'altra parte "Ci siamo solo noi, Jervis è tornato al suo posto già da un pezzo"
"Beh, però ci sei tu... E, insomma..."
"Mpf, perchè dovresti? In fondo, non sono nessuno io..." commentai guardando da un'altra parte con tono leggermente cupo. 
Beh, era vero, dopotutto. Non ero nessuno, solo un comune poveraccio, un bugiardo e un infido, e soprattutto una volpe, e forse il pensiero di essere diventato d'un tratto importante per qualcuno, forse era solo una mia sciocca illusione. Quindi perchè mai avrebbe dovuto vergognarsi? 
"Ti prego, non dire così, Nick... Non meriti queste parole"
"Sai che ti dico?" tentando di evadere dal discorso "Ballerò anche io!" - Cosa dici, idiota? Che razza di scemenze ti frullano per la testa?-
Judy mi guardò sbigottita. E da una parte lo ero anche io, insomma, come poteva una coniglietta impegnata nell'affrontare un serial killer gigantesco vergognarsi di una cosa semplice come ballare? E come posso io, ora, nascondere che io stesso mi vergognavo ancor più di Judy? Perchè sono un cretino, ecco perchè.
In ogni caso, alla fine mi buttai! Iniziai a muovermi totalmente a caso, senza un senso logico, senza controllo, come se mi trovassi in discoteca, tentando di nascondere il mio imbarazzo (e non fu cosa facile!). 
All'ennesima... "Giravolta" mi accorsi che Judy si era unita a me, ma era tremendamente legnosa: l'imbarazzo non si decideva a mollarla. Tentai di incoraggiarla a lasciarsi andare dicendole di far finta di essere ad un concerto di Gazelle, e funzionò. Stavamo entrambi ballando sotto una tempesta di acqua e colori incontrollabile e infinita, e quando le luci si attenuarono, quando i colori si fecero più intensi e caldi, provammo anche un breve lento, ma fu molto breve, poichè il nostro imbarazzo ci tradì. Ma invece che arrenderci, ne ridemmo di cuore. 
 
 
"Nick, posso chiederti una cosa?"
"Via libera, Carotina" 
"Perchè prima, al parco, hai pronunciato quelle parole? Perchè dici di non essere nessuno?" 
"E chi vuoi che sia, Carotina?" ribattei seccato, non dalla sua domanda, ma dal motivo che mi spinse a pronunciarle "Nicholas Wilde, un povero truffatore e squallido "esattore delle tasse" guardato dall'alto in basso da chiunque per via della sua appartenenza ad una specie etichettata come "geneticamente bugiarda"!"
Sospirai.
"Come vedi, non sono nessuno di speciale, Judy..." 
Incrociai lo sguardo affranto e mortificato di Judy. I sensi di colpa la colpirono in pieno come un treno. 
"Questo pomeriggio" continuò lei "Mi parlasti di qualcuno che pronunciava il tuo nome sorridendo. Chi- chi era?"
"Non... Non è il momento giusto per parlarne, Judy" risposi io. Non volevo farle sapere, altrimenti mi avrebbe fatto mille altre domande, e avrei dovuto raccontarle del mio passato. Non volevo farlo, non quella sera almeno. Lei abbassò orecchie e sguardo, e un cupo silenzio calò intorno a noi. Il marciapiede e la strada erano desertici, la nostra unica compagnia erano gli scalini del palazzo in cui lei abitava. Io sospirai, lei sospirò. 
"E comunque, che cavolo, sto parlando solo io, qui, Carotina!" tentai di usare un tono il più scherzoso possibile, per farle capire che non ero affatto arrabbiato con lei "Perchè, piuttosto, non mi racconti tu qualcosa?"
Drizzò le orecchie e spalancò gli occhi. "Ma-ma Nick, ho forse parlato più di te in tutta la giornata!" esclamò ridacchiando. 
"Solo perchè non avevi visto la città nella sua interezza!"
"Beh, hai ragione" disse coprendosi la bocca per trattenere un risolino "Dimmi, cosa vuoi sapere?"
"Ecco... In realtà ci sarebbe una sola domanda che mi assilla da un po': probabilmente te l'avranno già chiesto un milione di volte, ma... Perchè hai deciso di fare la poliziotta?"
Nascose le zampette dietro la schiena, segno della tensione che provava. "Beh, potrà sembrarti sciocco come motivo" spiegò "Volevo dimostrare... Che non ero la perdente che tutti credevano"
Ci sedemmo su uno scalino. 
"E' un sogno che ho fin da quando ero cucciola. Tutte le mie compagne di scuola lo sapevano, ed erano le uniche ad incoraggiarmi. Beh, erano tutte conigliette e pecore, quindi puoi immaginare"
"Certo, della serie "noi erbivori ci sosteniamo a vicenda anche se non abbiamo possibilità" " commentai io. Lei annuì.
"Non so se credessero davvero in me, ma ad un certo punto, ho iniziato a fregarmene. Mi dissi che se nessuna credeva davvero che potessi farcela, gli avrei dimostrato il contrario, che l'essere un coniglio non mi avrebbe impedito di realizzare il mio sogno!
Un giorno, la nostra scuola organizzò una recita che parlava di come il nostro mondo si è evoluto, su come noi ci siamo evoluti, e alla fine ognuno di noi avrebbe dovuto dire al pubblico cosa volessimo fare da adulti. Chi diceva la bibliotecaria, chi il fioraio, chi il coltivatore di mirtilli. Io risposi "la poliziotta!".... Tutti scoppiarono a ridere, i miei genitori si coprirono il muso per la vergogna..."
"Judy... I-io non avevo idea che..."
"Oh, tranquillo non finisce qui!" continuò "In quel momento, con quelle assordanti risate che mi distruggevano i timpani, lasciai il palco e fuggii nel giardino della scuola. Venni raggiunta da alcune amiche, e riuscii a riprendermi, ma Gideon Grey rovinò tutto. Era il peggior bullo della scuola, una volpe arrogante e stupida, tutto il contrario di te, Nick. Gideon continuò a burlarsi del mio sogno, mi picchiò e mi buttò a terra per dimostrarmi che non sarei mai stata una poliziotta, al massimo... Uno spuntino. Se non fosse arrivato mio padre a fermarlo non so cosa sarebbe successo"
Il mal umore e lo scontento che circondava quelle parole mi colpì in pieno stomaco come il pugno di un pugile scatenato. Perchè dovetti farle quella domanda? Brutto idiota che non sono altro! 
"Quando tornai a casa, i miei genitori non fecero che ricordarmi quanto io fossi assurda nel sognare qualcosa che non è nelle mie corde, che io avrei dovuto solo fare la coltivatrice di carote, come loro. Mio padre diceva che non devo dare ascolto ai miei sogni, che sono idee che in poco tempo spariscono dalla mia testa. Ma cosa poteva saperne lui, era solo un ignorante che passava le serate ad ubriacarsi e prendermi a schiaffi una volta tornato a casa..."
"Judy, basta, per favore"  Non potevo più stare a sentire quella voce impastata di tristezza e dolore rivangato. Al pensiero del padre -dannato bastardo!- stava pesantemente sforzandosi di non bagnare le guance di pianto. Ma una lacrima sfuggì al suo controllo forzato. Voleva sfogarsi, voleva buttar fuori tutti quei pensieri negativi, forse quei pensieri la stavano schiacciando come il più pesante dei massi. 
"Scusami, Judy, non avrei mai dovuto farti quella domanda" dissi coprendomi il muso con una zampa -che avrei voluto coprisse tutto il muso di questo emerito idiota- "Se- se avessi immaginato... Credo di aver rovinato tutto..."
"Ti sbagli" sussurrò lei scoprendomi il muso e guardandomi con gli occhi lucidi, ma accompagnati da un sorriso che sembrava quasi dirmi grazie  "Io. ecco, era qualcosa che mi tenevo dentro da troppo tempo...A dirti la verità mi sento meglio dopo averti parlato" 
Il suo ennesimo sorriso mi mandò in confusione il cervello. Il mio senso di colpa non faceva che urlarmi "Idiota! Imbecille! Coglione che non sei altro!"  ma lei mi abbracciò improvvisamente, continuando a guardarmi con quei due occhioni che continuavano a bagnarle le guance. "Non hai rovinato niente, Nick"
Le asciugai quelle dannate lacrime, non potevo più sopportare di vederla piangere. Quel gesto mi fu fatale: tenni quel dolce musetto tra le zampe per non so quanto tempo, poichè troppo impegnato a perdermi nel suo sguardo. Non so se il mio cervello avesse più problemi di quanti già non fossero, ma in quello sguardo riuscii a percepire rabbia, tristezza, dolore, rassegnazione, ma anche una gran forza, voglia di rivincita verso sè stessa, determinazione. Tutto questo creava il perfetto quadro che era Judy Hopps.
I nostri sguardi si specchiarono l'uno nell'altro, finchè, prima che potessimo accorgercene, le nostre bocche si stavano avvicinando, lentamente, sempre di più, mentre una bomba ad orologeria nel mio petto era sul punto di esplodere. E l'avrebbe fatto... Se due assordanti urla non ci avessero interrotti! 
"Oddio!" esclamò Judy.
"Cosa- cosa c'è?" 
"Ehm, sono i miei vicini" affermò lei ridacchiando "Sono... Sono molto disturbanti, vero?"
"Si, beh, molto disturbanti" le risposi seccato.
"Beh, ehm, credo che sia giunta l'ora di salutarci" la stessa nota di amarezza delle mie parole la percepii anche nelle sue. 
Mi ritrovai nuovamente col busto stretto tra le sue zampe, mentre una vocina penetrò fin nel mio cuore "Non potrò mai ringraziarti per questa splendida giornata, Nick! Non so come avrei fatto senza di te..."
Ricambiai quell'abbraccio. Volevo stringerla tra le mie zampe senza paranoie mentali, senza dubbi, senza nulla. Solo il desiderio di abbracciare Judy Hopps, perchè ne sentivo il bisogno. Un bisogno mortale!
 
 
"Judy" 
"Si, Nick?"
"Vorrei che tenessi a mente una cosa: il fatto di essere riuscita a diventare qualcuno, nonostante lo scetticismo di chi ti circondava, è un segno di vitale importanza. La tua forza e determinazione si percepiscono già da questo solo fatto. Dovrebbe essere un incentivo per continuare. Ma... Ne parleremo un'altra volta. Forse"
"Sei ricco di sorprese, Nick, mi sorprendi sempre di più. Specialmente oggi"
"Beh, chissà, potrei superarmi" scherzavo, ma speravo che mi desse un'altra possibilità per dimostrarlo.
Arrossì "E' per caso un altro invito?"
"Magari, pensaci su e fammi sapere"
Ci salutammo. L'ultima cosa che vidi, quella sera, fu una coniglietta dal dolce musetto completamente rosso e sorridente. Poi sparì dietro la porta d'ingresso.
Per la prima volta, in 30 anni di vita (mia), le strade di Zootropolis mi videro sorridere, non per essere riuscito in un colpaccio, non per aver realizzato la truffa del secolo, ma per pura felicità.
 
 
 
 
Appartamento di Judy Hopps
 
Judy chiuse freneticamente la porta e si poggiò contro di essa, sospirando pesantemente, come se si stesse riprendendo da una fuga o un'azione che aveva richiesto tutte le sue energie. Ma non smise un solo attimo di sorridere guardando verso l'alto e fregandosene altamente delle continue ed incessanti urla dei suoi vicini. Si buttò sul letto e chiuse gli occhi, sprofondando nei propri pensieri nel più sicuro e rilassante silenzio. Finchè non sentì qualcosa dentro una tasca. 
Pensò dovesse trattarsi del cellulare, ma quello lo aveva posato un attimo prima di sdraiarsi sul letto. 
Si trattava di un pacchetto, un pacchetto avvolto in una carta gialla a striscette rosse con un fiocchetto e un bigliettino attaccato. Judy lesse il bigliettino. Si potrebbe benissimo dire che la luce, in quel momento, fu inutile: ad illuminare la stanza bastò il sorriso di Judy, nato grazie a quel biglietto.
Si spogliò, indossò il pigiama e si infilò sotto il piumone.
Quella notte, forse per la prima volta in vita sua, quel vecchio letto di un povero monolocale accolse una coniglietta con un caldo sorriso sulle labbra, intenta a stringere il cuscino immaginando di stringere qualcuno in particolare.
 
                   
                                                   "Aprilo solo a Natale" 

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Capitolo 10
*** 9- Fiumi di paura che rimandano ad un passato lontano ***


9- Fiumi di paura che rimandano ad un passato lontano (parte 1)
 
 
Qual'è, secondo voi, un perfetto buongiorno
Un caldo raggio di sole che si posa sul vostro muso colpendovi col suo calore? La zampa della vostra compagna che vi accarezza una guancia e vi sfiora la bocca per baciarvi, rispecchiandosi nei vostri occhi?
Beh, questo solo se non siete me. 
Un perfetto buongiorno, per Nicholas Wilde, era uscire di casa, scendere gli scalini e trovare un gruppo di ragazzini intenti a imbrattare la facciata del palazzo con delle bombolette, scrivendo Qui vive una volpe!
Quattro o cinque cuccioli, due zebre e tre cerbiatti (ai quali ancora non era spuntata nemmeno la punta delle corna), con indosso giacche nere intenti ad atteggiarsi a membri di una gang di chissà quale film di James Deer. Persino un cieco avrebbe potuto notare il disprezzo che riempiva il loro sguardo, mi fissavano come fossi un mostro, un essere di cui sbarazzarsi, qualcosa da chiudere in un sacco della spazzatura.
Feci per avvicinarmi, due di loro alzarono minacciosamente le bombolette con l'intenzione di scaricarmi il contenuto sul muso, e non c'era dubbio, l'avrebbero fatto. I giovani di periferia non hanno di questi problemi, lo sapete. 
Se avessi avuto vent'anni, almeno, sarei balzato in mezzo a loro e avrei scatenato una rissa. Certo, cinque contro uno... 
E se lei mi avesse visto? Cos'avrebbe pensato?
Decisi di lasciar perdere, misi le zampe in tasca e me ne andai per i fatti miei. Avevo cose più importanti da fare quel giorno.
Camminai solitario, come ogni giorno, su un vecchio e rovinato marciapiede calpestato da ogni genere di essere vivente, ma negli ultimi tempi qualcosa stava cambiando: l'episodio dei teppistelli e il muro non era l'unico, altre scritte avevo notato nei giorni precedenti, e tutte con lo stesso significato: messaggi di disprezzo nei confronti dei predatori, frasi diffamatorie, persino contro quei pochi che non avevano mai fatto nulla di male in vita loro, e gli erbivori iniziavano a cambiare. La città era nota per la convivenza tra predatori e prede, ma questi ultimi sembravano diventare giorno dopo giorno più uniti, più diffidenti e meno propensi ad avere contatti con i predatori. Ovunque mi girassi non vedevo altro che gruppetti uniti contro singoli individui, madri che stringevano a sè i propri cuccioli allontanandosi da qualcuno che non aveva la minima intenzione malvagia, e che magari non li aveva nemmeno notati.
C'era anche chi sosteneva che stessero nascendo gruppi di pseudo vigilanti notturni, con l'intento di pattugliare le strade e intervenire laddove la polizia non riusciva.
Le azioni del Cacciapredatori stavano lasciando una traccia indelebile che presagiva l'arrivo di una tempesta, della quale stavamo vivendo solo una momentanea e delicatissima quiete.
 
 
Non avevo tempo da perdere con quelle sciocchezze, quella mattina; mi dissi che se per anni ero riuscito a sopportare ciò che, per me, era all'ordine del giorno, le futili minacce di qualche marmocchio non dovevano avere alcun effetto. Ero abituato ormai a farmi scivolare tutto di dosso.
Un breve viaggio in treno mi portò a Tundratown. Sceso dal treno, trovai Vladimir, uno degli orsi di Mr. Big, ad aspettarmi, salii in macchina e mi feci accompagnare a casa del loro capo. Non mi ero mai soffermato più di tanto ad osservare la città, ma durante il viaggio in macchina, non feci altro che tenere lo sguardo incollato al finestrino; Tundratown dava l'impressione di una città sospesa nel tempo, ogni palazzo, ogni insegna, le luci al neon, l'atmosfera, tutto dava l'impressione di trovarsi in una città anni '50, persino il modo di vestire di alcuni cittadini. Malgrado fossimo in un clima festivo, la neve che ricopriva le strade non accentuava minimamente l'atmosfera natalizia. Il clima che stavamo vivendo era tutt'altro che allegro.
Mr. Big viveva in una villa in stile Ottocento, non proprio enorme ma neanche modesta, circondata da un piccolo parco. Arrivati alla villa, mi recai nel suo studio. Mi salutò con il solito fare affettivo e mi invitò a sedere. Non fu difficile notare l'aria di preoccupazione che lo circondava. 
"Hai notato niente per le strade, ultimamente, Nick?" mi chiese.
"Ad esempio l'ondata di diffidenza che sta riempiendo le strade come un fiume in piena?"
"Non è solo diffidenza, Nick" sentenziò sospirando " E' paura! Gli eventi degli ultimi mesi si rispecchiano sempre più negli abitanti di Zootropolis. Se prima era semplice diffidenza, ora è qualcosa di molto peggio..."
"Dove sarebbe la novità?" chiesi sarcasticamente "Quand'è stata l'ultima volta che ha visto un'antilope e una iena conversare amichevolmente, Mr. Big?"
Mr. Big si accese un sigaro e lo fumò con fare nostalgico. Mi disse che, quando era giovane, a Zootropolis c'era molta più tolleranza tra gli abitanti e il motto per cui era conosciuta valeva davvero, rispetto ad oggi. Non sapevo se credere o no a quelle parole; pensavo sarcasticamente che fosse cresciuto in una Zootropolis diversa dalla mia, in un universo più colorato e allegro, magari, dove gli animali cantano e ballano.
Nella nostra Zootropolis, invece, per ascoltare qualcuno cantare si entrava in un night club, sedersi al bancone e aspettare che, sul palco, si presentasse qualche giovane felina in abito rosso che iniziasse a cantare, mentre tu stringevi un bicchiere pieno di un qualsiasi alcolico nella zampa.
Mr. Big intuì il mio scetticismo, ma non andò oltre nel rivangare il passato. 
"Ti ho fatto venire, Nick, perchè devo avvertirti.." 
"Avvertirmi di cosa?"
"Tu conosci tutti, in questa città, ma qualcosa può sempre sfuggirti. Immagino avrai sentito parlare di quei gruppi che vagano in città durante la notte" disse alzandosi e dirigendosi verso la finestra, alla quale io davo le spalle.
"Certo, quei branchi di fanatici che credono di arrivare dove la polizia non può. E allora?" chiesi leggermente spazientito. Mr. Big stata inconsapevolmente donando alle sue parole un alone di mistero che iniziava ad infastidirmi. Volevo sapere cosa aveva da dirmi. Subito!
"Esattamente" proseguì  "Scommetto, però, che non sai cos'è successo ad un tuo vecchio amico: ti ricordi di Joe Thibtanus?"
"Quel vecchio orso con la macchia bianca sul petto? Come faccio a non ricordarmene.."
" E' stato ucciso!"
Un profondo e inquietante silenzio calò nella mia mente, un improvviso blackout che oscurò qualsiasi mio pensiero, impedendomi di formularne uno nuovo. Tutto ciò che riuscii a fare fu portarmi una zampa sulla fronte, mentre il mio sguardo cadde a terra.
"C-come.. come è successo?"
" E' successo due sere fa, dopo che aveva lasciato il suo locale preferito. Era ubriaco, per non dire drogato, e non ha voluto saperne di farsi accompagnare, da nessuno, ha preferito tornare a casa da solo, a piedi"
"Razza di scemo.." commentai io.
"Sarà riuscito a percorrere appena pochi isolati prima di incrociare uno di quei gruppi: erano almeno una decina di erbivori, e appena l'hanno visto si sono accaniti su di lui. Lo hanno riempito di botte, con le spranghe di ferro, e gli hanno rotto le zampe. Quel poveraccio ha trovato la pace solo quando... Gli hanno sparato in testa..."
I miei occhi si persero in un improvviso vuoto, una imperscrutabile nebbia si addensò nel mio cervello, mentre le parole di Mr. Big penetrarono dolorosamente nelle mie orecchie; l'unica cosa in grado di squarciare quella nebbia e raggiungere il centro del cervello per colpirlo come migliaia di martelli pneumatici, nel tentativo di perforarlo e impiantare ulteriormente parole che si erano già scolpite a fondo dentro di me.
Premetti i polpastrelli contro le tempie mormorando fra me e me Basta! Finitela! Andatevene via!  ma il rumore si faceva sempre più assordante. Finchè non riuscii, a fatica, a spiccicare qualche parola.
"Ma perchè..?" 
"Paura, Nick. Sono animali spaventati. Creature i cui cuori sono stati calpestati dalla forza di quell'assassino" sentenziò Mr. Big spegnendo il sigaro "Dicono di voler scovare quel mostro, ma è solo apparenza: io temo che il loro vero obiettivo sia eliminare i predatori! 
Sono un gruppo di fanatici spaventati che credono che, aiutandolo, debelleranno un male che li affligge"
- Un male che li affligge. E' dunque così che vedono i predatori. Sapevo che non godevamo della loro simpatia, ma addirittura un male... Una pestilenza!
"Ma... Lei come fa a conoscere Joe?"
"Dimentichi che io ho un mucchio di uccellini, Nick. Informatori. So tutto di tutti, anche più di te. E se le cose non miglioreranno, temo che questa città conoscerà presto la sua fine..." mormorò Mr. Big.
Sentii il bisogno di andarmene, di abbandonare quel posto. Dovevo starmene da solo, riuscire a riprendere fiato, pensare a qualcosa, a come avrei affrontato tutto questo. Non mi scusai. Sapevo che Mr. Big avrebbe capito.
Feci appena un passo dopo aver varcato la soia dell'ufficio, diretto all'uscita, quando Mr. Big mi fermò. 
"Nick" il suo tono era preoccupato, ansioso ma allo stesso tempo estremamente paterno, più paterno di quanto non ebbi mai sentito in vita mia "Ti prego di fare attenzione, figliolo"
Io non risposi. Avrei voluto rassicurarlo, ma forse, in cuor mio, sapevo che non sarei andato molto lontano. Insomma, era solo questione di tempo prima di fare la stessa fine di Joe.
"Io posso darti aiuto, protezione" continuò "Rimani qui con me, nessuno ti toccherà con una sola zampa!"
"Credo di essere pronto da tempo, ormai, Mr. Big" sussurrai "Non ho nulla per cui continuare a vivere, da molto tempo"
"E quella coniglietta? Lei non conta nulla?"
 
                                              
                                                Judy...
 
 
 
 
L'infinita distesa azzurra limpida che sovrasta la terra fin dall'alba dei tempi si coprì di nuvole cupe che riversarono la propria tristezza sulla città. In una manciata di secondi, i marciapiedi e gli animali furono bersagliati da proiettili d'acqua che facevano scivolare tutta la sporcizia giù nelle grate, fin nella puzzolente oscurità delle fogne. Qualcuno apriva l'ombrello, qualcuno camminava come se la pioggia non esistesse. E io che credevo di essere l'unico a fare così. La pioggia non mi ha mai dato alcun fastidio, era da sempre qualcosa di familiare per me; d'altronde, quando cresci con la pioggia e il freddo nel cuore, ad un certo punto non ci fai più caso, no?
La metropolitana mi attendeva. Un posto in particolare mi attendeva!
 
La mia fermata fu una zona periferica della parte sud della città, non molto distante da Piazza Sahara. Uscito dalla metro camminai per qualche centinaia di metri, fino a ritrovarmi in un grande spiazzo circondato da erba alta, due grandi salici e il letto di un fiume ora prosciugato che divideva in due lo spiazzo, con un ponticello di pietra che conduceva dall'altra parte; al centro, un vecchio zuccherificio abbandonato da anni, con a fianco un capannone anch'esso in disuso da anni. Nonostante la pioggia, si percepiva nell'aria una parte del caldo clima della vicina Piazza. Lo sguardo cadde quasi meccanicamente sul cartellone in legno consumato recante la scritta Zuccherificio Thibtanus, con un amaro sorriso, il muso solcato dalla pioggia e qualche lacrima che si mimetizzava tra le altre gocce (per fortuna, avrei odiato se qualcuno mi avesse visto in quel momento, ma quando ti assalgono i ricordi...)
Lo zuccherificio era stato fondato dal nonno di Joe chissà quanti anni fa, all'epoca in cui un'attività o una fabbrica era un testimone che, al momento giusto, veniva ceduto al successore. Il nonno, orso tibetano come lui molto facoltoso già prima di fondare la fabbica, forse uno degli animali più ricchi di Zootropolis, la lasciò in eredità al figlio, ovvero il padre di Joe, che avrebbe dovuto ereditarla al momento della sua morte. Ma nel pieno della nostra giovinezza, invece di dedicarsi ad imparare il mestiere e il necessario per controllare un'attività, Joe passava tutti i pomeriggi con me, letteralmente a spasso per la città, prima di conoscere Finnick.
 
Mio padre se n'era andato di casa da cinque anni e io ero mi stavo immergendo sempre più nel sentiero della solitudine e della menzogna. Bazzicavo per le strade con il pensiero di mia madre, sola in casa tutto il giorno, senza sapere cosa io facessi, dove mi recassi. Rifiutava di usare i soldi che portavo a casa, preferendo trovarsi un lavoro degradante in locali sempre più squallidi. Intuivo perfettamente che sapeva tutto, per questo non voleva abbassarsi al mio stesso livello. E io la capivo. Fu in quel periodo che conobbi Joe; raggiunsi lo zuccherificio durante una delle mie solite passeggiate senza meta, dopo aver deciso di fare un salto dalle parti di Piazza Sahara, passando l'intero viaggio sdraiato sui sedili della metro, impedendo a chiunque di sedersi.
Un caldo vento mi colpiva ad ogni passo ed accarezzava dolcemente i salici, così come l'erba alta che circondava il sentiero che conduceva al ponte e alla fabbrica, mentre il fiume scorreva silenzioso nel proprio letto, facendo da innocuo spettatore. In lontananza si potevano scorgere alcuni palazzi di Piazza Sahara, ma non ero interessato a recarmici, per il momento; il sole picchiava alto, al centro del cielo, decisi di sdraiarmi sotto il salice più vicino al ponte e rilassarmi per godermi quella tranquillità che non mi sembrava di sentire più da tempo. Chiusi gli occhi quasi subito. Per un istante mi sentii di nuovo un innocente cucciolo cullato dal dolce tocco della propria madre, la stessa che ti  rassicura quando in piena notte sobbalzi spaventato da pensiero dei mostri nascosti sotto il letto, con la capacità ineguagliabile di trasformarti da un discolo inarrestabile ad un innocente santarellino con un semplice abbraccio e un bacio sulla fronte. 
- E ora quel legame si sta piano piano sciogliendo...- 
A riportarmi alla realtà furono improvvise urla e motori di moto che si dirigevano verso di me. Dal ponticello sbucò un giovane orso dalla pelliccia nera, cicciottello ma veloce come un ghepardo, con indosso un maglione rosso sotto il quale sembrava nascondere qualcosa. Fulmineo, trovò il tempo di voltarsi verso di me e farmi cenno di stare zitto, per poi nascondersi sotto il ponte (con metà corpo nell'acqua!). Lo osservai perplesso, ma non molto dopo si palesò il motivo di quella foga: quattro cavalli motociclisti vestiti da tipici bulletti anni '50, con giacca di eco pelle nera, jeans e criniera pettinata si avvicinarono al ponte, avevano almeno sedici o diciassette anni. Si guardarono intorno, poi il loro capo, un giovane cavallo bianco con macchie nere puntò l'attenzione verso di me. 
"Ehi tu, volpe!" tuonò.
Pensai inizialmente di fare il vago ma non sarebbe servito a nulla, ormai mi avevano inquadrato. Scese dalla moto e camminò fino a metà ponte, con lo sguardo tipico di uno a cui giravano tremendamente le palle.
"Hai visto passare un orso da queste parti?" mi chiese spazientito. Quell'orso probabilmente era riuscito a fregare qualcosa a quegli aspiranti ribelli da film, e l'idea di prenderli ulteriormente in giro mi stuzzicava non poco; li indirizzai in tutt'altra direzione, e per quanto strano possa sembrare mi credettero! 
Quando sparirono all'orizzonte, l'orso sbucò da sotto il ponte sghignazzando come un pazzo per come fosse andata la cosa, camminando verso di me.
"Ehi, amico" disse poggiandosi contro la corteccia del salice "Grazie per avermi coperto! Sei stato grandioso! Li abbiamo gabbati!"
"Abbiamo?" chiesi spaesato.
"Beh, certo! Se non fosse stato per il tuo aiuto non sarei riuscito a sfuggirgli" affermò sorridendo. Ammetto che inizialmente mi tenni un po' sulla difensiva. Nessuno mi aveva ancora dato tutta quella confidenza, nè mi aveva parlato con simile tranquillità. Ricordiamoci che io ero, e sono, una volpe!
Poggiatosi contro la corteccia, sollevò il maglione e un mucchio di mele rosse caddero sull'erba. Erano il bottino che aveva sgraffignato alla banda.
" E' stata una vera impresa prenderle!" affermò "Arrampicarsi su un albero e prenderle una ad una silenziosamente non è facile, soprattutto se sei grosso come me!" 
Entrambi scoppiammo a ridere, poi ci sedemmo nuovamente all'ombra del salice e lui mi offrì una mela, ma io inizialmente esitai ad accettarla. Joe aveva senza dubbio notato il mio nervosismo.
"Non... Non ti da fastidio dividerla con una... Volpe ?"
"E dove sarebbe il problema, scusa?" 
Basito. Era la prima volta che qualcuno aveva pronunciato quelle parole nei miei confronti. Per la prima volta, a qualcuno sembravo andar bene per quello che ero. 
"Io sono un orso" continuò lui "Non godo certo di una reputazione più colorita!" 
"Davvero? Perchè?" gli chiesi io, giocherellando con la mela.
"Perchè è risaputo quanto noi orsi siamo tremendamente golosi! E queste mele rosse, poi... Il cibo perfetto da sottrarre ad un cavallo!" 
Cedette  infine all'impulso di divorare, con appena un paio di morsi, la mela che da qualche minuto stringeva tra gli artigli, e che continuava a fissare sbavando. Al solo vederlo mangiare così di gusto, mi convinsi anch'io: avvicinai la mela alla bocca e diedi un morso: una danza di sapore, gusto e dolcezza colpì le mie papille gustative come mai prima di allora. Un solo morso bastò a convincermi a divorarne il resto freneticamente, come un predatore che divora la preda con lo stomaco vuoto per la fame. Ok, forse non era il paragone migliore...
Ci guardammo entrambi con l'acquolina in bocca, e in men che non si dica, le nostre fauci si riempirono di mele, più di quante potessero contenerne. Eppure non avevano nulla di diverso dalle comuni mele rosse. Forse, era il fatto di condividerle con qualcuno che le rendeva così buone.
Un momento di complicità che solo una cosa riuscì a rovinare: il ritorno dei puledroni motociclisti.
Il loro capo sbucò da dietro l'albero, pericolosamente vicino a me, altri due afferrarono Joe e ci scaraventarono violentemente a terra, fuori dall'ombra proiettata dal salice. 
"Lo sapevo che facevo bene a non fidarmi di una volpe!" disse il capo, scrocchiandosi le dita "Ve lo dicevo che avremmo fatto meglio a tornare indietro, ragazzi!" 
I suoi compagni non smettevano di sghignazzare, pregustando il momento in cui ci avrebbero riempito di botte.
"Wow, stallone" dissi con tono provocatorio "Sei stato così sveglio da intuire che stavo mentendo, ma non lo sei stato abbastanza da evitare di farti fregare ben due volte da due ragazzini!" 
Con la coda dell'occhio vidi Joe tentare di trattenere una risata. Essa non fu però sufficiente a nascondere il ringhio di rabbia del capo stallone, tant'è che, non molto dopo, lui e i suoi amici ci furono addosso. 
Solo quando ne ebbero abbastanza, ovvero dopo averci riempito di lividi, tra calci e pugni, si decisero a lasciarci stare. Non presero nemmeno quel poco che restava delle mele, considerandole infette perchè toccate da due patetici ladri. 
"Spero che la lezione vi sia bastata! E guai a te se osi mettere di nuovo piede nel nostro frutteto, palla di pelo e lardo!"
Dopo essersi rivolto con simili termini a Joe, il capo e la sua banda tornarono da dove erano venuti, lasciandoci a terra, poco lontani dalla riva del fiume. 
La cosa buffa era che nè io nè Joe stavamo piangendo o ci stavamo lamentando per il dolore; ridevamo di gusto. Trovammo sollievo dal dolore nel pensiero di essere riusciti, in ogni caso, a fregare dei teppisti più grandi di noi.
Fu quello il momento in cui ci presentammo.
"Io sono Joe, Joe Thibtanus, amico"
"Io mi chiamo Nicholas Wilde...Amico!" (Non vi dico quale shock fu per la famiglia di Joe quando ci presentammo a casa sua pieni di lividi!).
Da allora, io e Joe diventammo inseparabili. Se prima mi aggiravo per le strade di Zootropolis da solo, progettando scherzi e truffe e guardando chiunque con disprezzo (ma soprattutto invidia), ora avevo finalmente qualcuno con cui condividere e riempire quei momenti solitari e vuoti. Joe era un amico grandioso, uno specchio nel quale vedere il mio riflesso, qualcuno di cui non avere paura. Ci piaceva girare per la città atteggiandoci a fighi, cercando di attirare l'attenzione di chiunque, volevamo farci notare, soprattutto dalle femmine. Spesso compravamo maglie aderenti e di una taglia più piccola, facendo finta di essere due machi con magliette troppo strette per i loro muscoli. Qualche volta funzionava anche. Fu così che rimediammo le nostre prime compagne (e la nostra prima volta!). 
Eravamo entrambi divoratori accaniti di film, avevamo gli stessi attori preferiti, Sylvester LoStallone e B. J. Horseman, e non perdevamo un solo appuntamento al cinema con loro . Inoltre, Joe divenne il mio primo compagno di truffe, molte delle quali mi diedero idee per diversi trucchi che, fra qualche anno, avrei attuato insieme a Finnick.
Era strano in effetti, perchè Joe non aveva affatto bisogno di soldi: la sua famiglia possedeva una fabbrica, il nonno aveva lasciato al padre una bella eredità, ma a lui non interessava. Definiva sempre quella vita "una vera palla!"
Ovviamente questo lo portò a numerosi conflitti con il padre e il nonno, spingendoli quasi a diseredarlo. 
Più volte tornammo nel luogo del nostro primo incontro, lo spiazzo sul quale sorgeva la fabbrica, sempre durante gli orari di lavoro, in modo che nessuno ci vedesse, e osservando curiosamente verso la fabbrica gli chiedevo perchè non volesse diventarne capo. 
"Io darei qualunque cosa per essere come te, Joe" dicevo malinconicamente "Avrei un futuro assicurato, un mucchio di soldi, non dovrei lottare girovagando in strada alla stregua di un vagabondo per sopravvivere. E magari, in questo modo, riuscirei anche ad aiutare mia madre..."
"Si, ma poi?" 
"Poi cosa?"
"Cosa saresti una volta ottenuti quei soldi, Nick? Migliore? No, non credo proprio. Piano piano diventeresti una creatura sempre più solitaria, vuota, ossessionata dall'idea di accumulare sempre più ricchezza tanto da ricordarti di avere un figlio solo per crescerlo come una macchina, per poi passargli una responsabilità come fosse un semplice testimone che si passano gli atleti durante le corse..." 
Rivedevo sempre una parte di me stesso in quelle parole, ecco perchè consideravo Joe il mio riflesso; entrambi trascurati dai nostri padri, anche se per motivi diversi. Praticamente orfani (di padre).
"Io voglio solo divertirmi, Nick" affermava  "Non voglio stare chiuso tutto il giorno in ufficio a blaterare con animali che nemmeno conosco. Magari diventerò un libero vagabondo!"
"U- un vagabondo?"
"Se ci pensi, la vita del vagabondo non è detto che sia orribile. Si, non sarà facilissima ma almeno non hai restrizioni, puoi non devi sottostare a nessuno e puoi viaggiare e vedere i posti che più ti piacciono!
Tu non hai un sogno da realizzare, Nick?"
"Ehm... L'avevo, ma credo che non sarei mai riuscito a realizzarlo. Io... Volevo diventare la prima volpe poliziotto di Zootropolis!"
Non so d quanto tempo non riaprivo il cassetto della mia mente nel quale avevo riposto quel desiderio, per vergogna e imbarazzo. 
"Avrei voluto aiutare Zootropolis a diventare migliore, evitando qualsiasi tipo di corruzione. Ma immagino che ormai sia troppo tardi..."
"Beh Nick, i sogni non svaniscono finchè le persone non li abbandonano!"
"E questa da dove l'hai tirata fuori?"
"Da un fumetto che parla di un pirata dello spazio!"  
Nessuno di noi due, all'epoca, avrebbe immaginato che quei pomeriggi passati a ridere delle citazioni fumettistiche di Joe sarebbero svaniti.
 
Due anni dopo, mia madre morì. 
Le mura di casa mia, d'ora in poi, avrebbero visto una sola volpe calpestare il pavimento, abbandonarsi sul divano e guardare fuori dalla finestra. Se la fortuna mi avesse assistito, avrebbero potuto vedere una giovane volpe che si divertiva insieme ad un orso, mentre la madre, seppur stanca, li osservava felice. 
Quelle mura non videro nulla di tutto ciò. 
Poco prima della morte di mia madre, qualcosa cambiò in Joe. Lui stava cambiando. Iniziò a frequentare discutibili compagnie, gruppi di sciacalli e iene che si riunivano nei vicoli dei bar e locali più disastrati, e lì, nascosti ad occhi indesiderati, i loro nasi risucchiavano quantità immonde di polvere bianca, fino a ricoprirne l'intero naso. Finirono più di una volta dietro le sbarre, per giunta.
Spesso invitavano anche me, ma non ebbi mai il coraggio di provare. Mi bastava vedere come ne uscivano gli altri per capire che mai mi sarei abbassato a tanto. Avrei preferito diventare un alcolizzato, piuttosto.
Finchè una sera, tutto degenerò: Joe esagerò così tanto , tra il bere e il drogarsi, da importunare ogni cliente di un locale, fino a scatenare una rissa con chiunque provasse a fermarlo. Ci buttarono fuori e ci intimarono di non tornare mai più. 
Persino i pali della luce, se avessero avuto una coscienza, si sarebbero vergognati per lui nel vederlo barcollare e sbraitare a vuoto, sputando insulti come se avesse davanti qualcuno, ma davanti a noi si estendevano solo le strade notturne del quartiere. Quei pochi che ci incrociavano si allontanavano immediatamente. 
Arrivammo ad un incrocio. Svoltando a destra mi sarei diretto a casa. 
"Ehi, dove stai andando?!" 
"Da- da nessuna parte, Joe"
Joe avanzò verso di me, sostenendosi contro un muretto per non cadere, indicandomi minacciosamente con un artiglio "Non dire stronzate, Wilde! Te ne stai andando!"
"Che cazzo stai dicendo, Joe? Sono davanti a te!"
"Non alzare la voce con me!" . Io non alzai la voce, ma lui alzò il pugno e lo scagliò contro di me, ma riuscii ad evitarlo. 
"Che cazzo stai facendo?" gli urlai, ma lui non sentiva ragioni, continuava a cercare di colpirmi, fino a riuscirci. Mi assestò un pugno talmente potente alla mascella da stendermi a terra, contro il lerciume del marciapiede.
Mi rialzai lentamente, massaggiandomi la mascella per alleviare il dolore. Davanti a me non c'era più Joe Thibtanus, ma solo un dannato orso nero dal sangue e il cervello completamente fottuti, con gli occhi talmente annebbiati che Dio solo sapeva cos vedesse invece di me. 
Non accennò a calmarsi, si accanì su di me borbottando cose incomprensibili, ma d'altronde non ebbi il tempo di comprenderlo, troppo occupato com'ero a non farmi colpire. Ma la mia risposta non poteva farsi attendere più di tanto; a malincuore dovetti rispondere ai colpi, e in poco tempo demmo vita ad un'altra rissa. 
Il marciapiede accolse su di sè le gocce di sangue che entrambi sputavamo, ma probabilmente ciò che accolse maggiormente furono le mie lacrime.
"Che diavolo ti è successo, Joe?" continuavo a chiedergli, con tutta la tristezza che provavo in quel momento "Questo non sei tu!"
"Tu che cazzo ne sai, Wilde?" tuonò lui tra un pugno e l'altro "E se fosse questo il vero me?"
"Non ci credo! Non ti sei mai comportato così! Tu non sei uno zombie imbottito di merda, sei un cazzone allegro e spensierato, un perdi giorno come me!" urlando quella parole, il mio pugno colpì il suo mento, spinto da un mix di rabbia, tristezza e consapevolezza. Consapevolezza che quello che avevo davanti era un animale diverso, ormai. 
Joe cadde a terra, battendo violentemente la testa contro il marciapiede. 
"Come hai potuto pensare che me ne stessi andando? In questi ultimi due anni sono sempre rimasto con te, non ti ho abbandonato una sola volta, nonostante abbia assistito alla tua caduta!"
Joe si riprese, si mise seduto, pulendosi con la manica il sangue che colava dal labbro. " E' proprio per via di questo che vuoi lasciarmi perdere!"
"Cosa?"
"Non negarlo, Nick! Credi che non l'abbia capito? Non vuoi più stare in mia compagnia perchè hai visto come mi sono ridotto. E mi hai lasciato solo ogni volta che mi hanno sbattuto in galera! Beh sai che ti dico? Io mi sento libero!" sputò quelle parole come un respiro trattenuto troppo a lungo " E' la libertà di cui ti ho sempre parlato, quella che mi ha permesso di allontanarmi da quella pidocchiosa famiglia!"
"Questa non è libertà, ti stai solo distruggendo con le tue stesse zampe!"
"Esatto! Sono libero di fare quello che più mi pare!"
Lo guardai, tentai di scrutare un piccolo accenno di lucidità, un'ombra dell'amico che avevo conosciuto, ma di lui nemmeno l'ombra era rimasta. Tutto quello che diceva o faceva non aveva senso.
"Sai qual'è il vero motivo per cui ho deciso di lasciarti perdere, Joe? Ti sei completamente scordato di me proprio nel momento in cui avevo più bisogno di qualcuno accanto! Quando è morta mia madre! E' molto peggio che ritrovarsi dietro le sbarre per tutti i casini che hai combinato di tua spontanea volontà! TU mi hai lasciato da solo!"
"Vorresti delle scuse, non è così? Io te le farei, ma ho finalmente capito come funziona in questa città, Nick. Per sopravvivere, per andare avanti ed essere te stesso bisogna essere egoisti..." sentenziò. Erano parole che non avrei mai voluto sentire da parte di un amico.
"Tu non hai capito niente!" sussurrai io "Sei solo un povero stronzo con il cervello completamente fottuto..."
Ma forse aveva ragione. Nel delirio mentale provocatogli dal matrimonio perfetto tra alcool e droga, Joe aveva detto qualcosa di giusto. Dovevo essere egoista, pensare solo a me. 
E il primo passo, fu quello di dargli le spalle e andarmene, per la mia strada, e lasciarlo lì, a terra, tra flebili singhiozzi dettati da una probabile, ma forse mera, presa di coscienza.
 
Tutto era iniziato con una rissa, e con una rissa era finito.
 
 
 
Le luci soffuse, di vari colori, si alternavano in modo del tutto casuale, accompagnate dalla musica e le urla/chiacchiere dei clienti seduti ai tavoli, intenti nelle più svariate attività, fumare, bere, vomitare, giocare a carte. Il palco era vuoto, l'unica presenza era l'asta del microfono, silenziosa e solitaria, che osservava un panorama visto e rivisto chissà quante volte, in attesa che qualcuno prendesse il microfono tra le zampe e iniziasse a cantare. 
Il locale era abbastanza grande da contenere tutto quel casino di gente: era di forma circolare, con al centro un numero imprecisato di tavoli rotondi e lunghi, con diversi posti a sedere, in fondo, affiancato da uno squallido cesso, un bancone, piattaforma perfetta per un'esposizione di bottiglie, cenere fuori dal posa cenere, cartacce varie e teste di animali ubriachi e addormentati. La perfetta galleria d'arte che qualsiasi ubriacone adorerebbe.
Di fronte al bancone, in fondo, oltre il mare di tavoli, il già citato palcoscenico. 
Non era difficile, da qualche sera, notarmi seduto al bancone, intento a gustare degli alcolici degni di tale nome, non la schifosa poltiglia che circolava nella mia zona! 
Il ricordo di Joe aveva abbandonato la mia mente, eppure la sensazione di solitudine continuava a permeare attorno a me. Sentivo che qualcosa mi mancava. O qualcuno. 
D'un tratto, le luci si spensero, e una luce bianca illuminò il palco: il sipario si aprì, e ne uscì una leonessa bianca, una regina d'avorio con un lungo vestito bianco, un muso delicato e due magnetici occhi blu. 
Il casino cessò. Ella prese il microfono e intonò una melodia malinconica, che lentamente riempì l'intero locale più dell'insolito silenzio appena calato. La voce calda ed estremamente dolce ammaliò ogni singolo animale presente, tutti gli occhi erano puntati su di lei, sulla sua morbida pelliccia bianca, sui penetranti occhi blu, sul piccolo seno a cui stringeva il microfono, mentre avanzava lentamente tra i tavoli. 
Si avvicinò al bancone, dritta verso di me, ma per tutta la strada che ci separava, nonostante i miei occhi fossero incollati a lei, io non vedevo una candida leonessa, ma una piccola coniglietta dal manto splendente come l'argento, con una voce unica, semplicemente unica, e due occhi ancor più magnetici dell'azzurro più intenso che si sia mai visto in questo mondo. Una coniglietta che mi cercava con lo sguardo, e quando finalmente mi trovò, mi accarezzò il mento, con gli occhi che sembravano volermi parlare. Accecato da quella meravigliosa fantasia chiusi i miei occhi verdi, respirai profondamente, e mi lasciai sfiorare da quelle piccole e morbide dita. 
Tornai alla realtà solo quando vidi la leonessa allontanarsi verso il palco, e la voce da sirena farsi più debole, finchè, una volta tornata sul palco, sparì dietro il sipario. Un assordante applauso si levò in tutto il locale, un applauso che coprì ogni parola che sussurrai, o meglio il solo nome che sussurrai: Judy.
Passai l'intero tragitto dal locale a casa a chiedermi come sarebbe stato passare un Natale diverso, in compagnia di qualcuno che non fosse Finnick, qualcuno di speciale. Qualcuno a cui avevo tentato di far intuire ciò che sentivo dentro, con un piccolo regalo.
" l'avrà aperto? non l'avrà aperto? l'avrà accettato?" divenne la nuova paranoia che martellò il mio povero cervello, che se avesse potuto, avrebbe aperto il mio cranio dall'interno e sarebbe scappato via, stanco delle innumerevoli domande, titubanze, paure che il mio cuore gli trasmetteva. Forse avrebbe potuto funzionare. Forse avrei potuto propormi a lei. Quanto mancava alla Vigilia? Un giorno appena. In fondo non avevo nulla da perdere, nel peggiore dei casi avrei rimediato una delusione, l'ennesima della mia vita, ma non ero estraneo alle delusioni. Avrei perso qualche pezzo di cuore infranto, ma se non avessi provato me ne sarei pentito per tutta la vita. 
"Lo farò!" esclamai.
 
Era ancora presto per tornare a casa. Girai quartieri e strade completamente a caso, senza una meta. Un venticello freddo sibilava per le strade. Il silenzio intorno a me. Finchè da dietro un vicolo, dei fasci di luce si agitavano freneticamente. Non riuscii a capirne il numero, ma dovevano essere tanti. Non molto dopo, dal vicolo sbucò un manipolo di cervi, cinghiali e bisonti armati di spranghe di ferro e mazze da baseball. 
Mi videro.
"Oh, merda!" 
"Una volpe!" fu il grido che scatenò l'inseguimento. Fossero stati due o tre sarei riuscito a cavarmela, ma erano in troppi, mi costrinsero alla fuga. 
Corsi alla cieca tra vicoli e strade, tentando di raggiungere la metro più vicina; con un po' di fortuna avrei preso il treno e sarei riuscito a scappare.
Uscito dall'ennesimo vicolo, vidi in lontananza le scale che portavano alla metro. Ce l'ho fatta pensai, ma qualcosa mi cadde addosso e mi buttò a terra: un cinghiale, il più corpulento a giudicare dal peso, si era lanciato e mi aveva bloccato. Prima che potessi pronunciare mezza sillaba, mi furono tutti addosso. Il rumore metallico delle spranghe contro la mia testa mi spaccò i timpani, calci e pugni rischiarono di disintegrarmi lo stomaco. Il sangue si riversò sul marciapiede. 
E' la fine pensai, non ce l'avrei fatta. 
Non so precisamente quando e come riuscii a sentire le sirene della polizia avvicinarsi, e gli agenti urlare a tutti di alzare le zampe e non muovere un muscolo. Forse perchè, tra tutte quelle voci, c'era proprio la sua.
"Oddio, Nick!" 
Mi stava chiamando. 
"Nick, ti prego, rispondimi!" 
La voce continuava a chiamarmi a sè. Quegli occhi gonfi di lacrime mi pregavano di parlarle. Le piccole zampe stavano pulendo il mio muso dal sangue.
"Non avrei mai voluto... Che tu mi vedessi in questo stato...Carotina"
 
Persi conoscenza. 

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Capitolo 11
*** 10- Fiumi di paura che rimandano ad un passato lontano (parte 2) ***


10- Fiumi di paura che rimandano ad un passato lontano (parte 2)
 
 
Distretto di polizia di Zootropolis
 
Non c'era bisogno di sottolineare quanto fosse affollato l'ingresso: giorno dopo giorno, per tutto il giorno, il frenetico rumore di zampe e zoccoli che calpestavano il pavimento lastricato di mattonelle bianche riempiva l'intera volta sopra le loro teste. Un via vai incessante, senza un attimo di pausa, nemmeno sotto Natale; tra agenti impegnati a scortare in cella qualche teppista o criminale dalla dubbia importanza, agenti in divisa pronti a partire per pattugliare i settori assegnati, per non parlare di coloro che uscivano per i fatti propri. Insomma la porta d'ingresso si apriva e chiudeva senza sosta, con un via vai così repentino che sarebbe difficile stabilire il numero esatto dei presenti in quella centrale. 
Ma in fondo, a noi interessa uno solo di questi agenti, giusto?
Tra la marea infinita di divise in movimento, Judy Hopps spiccava sempre su tutti. Dal suo primo giorno alla centrale, non un solo ritardo, non una sola riunione mancata, non una singola macchia sul suo curriculum. Era senza dubbio uno egli elementi più validi in quel pandemonio, assieme a Bogo, capitano del distretto, il suo partner e qualche altra bestia che non nutriva particolare simpatia verso di lei. A molti ancora non sembrava normale un coniglio poliziotto. Ma Judy se ne infischiava; a lei interessava svolgere il proprio lavoro al meglio delle sue forze. E magari, potendo, passare il tempo libero con una certa volpe.
 
 
La porta dell'ufficio si chiuse con un sospiro di sollievo, e Judy si adagiò per qualche secondo contro la porta, sospirando profondamente. Erano passati mesi dal suo arrivo, eppure vi erano giorni durante i quali sentiva di non essersi ancora abituata alla frenetica e, a volte troppo, movimentata vita della poliziotta. Si sedette alla propria scrivania ed esaminò con una rapida occhiata la pila di scartoffie e moduli da riempire. 
Quella soleggiata mattina di dicembre dovette passarla da sola, con la sola compagnia di una penna stretta nella zampa destra e un susseguirsi di fogli riempiti con nero inchiostro, poichè era il giorno libero del suo partner, Benjamin Clawhauser, un leopardo corpulento, non grasso, come lui stesso sottolineava, ma comunque robusto e dal muso permeato dalla classica aria da bonaccione. L'unica altra compagnia di Judy al momento, oltre alla pila di fogli, era un alberello di Natale che Clawhauser aveva posato sulla sua scrivania qualche giorno prima, un simpatico modo per augurarle buone feste.
Quando sentiva l'opprimente peso delle responsabilità che il lavoro comportava, Judy pensava sempre alla tipica risposta di Clawhauser: egli apriva un cassetto della scrivania, tirava fuori una fiaschetta di bourbon e, tra un sorso e l'altro, esclamava sempre Ho trovato la risposta allo stress parecchio tempo fa, Hopps!
Nonostante tutto, Benjamin era uno dei migliori agenti del distretto, con più anni di esperienza, ovviamente, ma come Judy anche lui era riuscito a dimostrare il proprio valore non molto tempo dopo il suo arrivo al distretto. Si poteva dire che avesse un solo difetto: simpatizzare per il cibo e, a volte esagerando, per gli alcolici. 
Pensare a quelle parole la faceva sorridere, perchè dopotutto quel leopardo sulla strada dei cinquant'anni aveva una spontaneità naturale che lo rendeva simpatico e gradito a tutti. 
Solo quando ebbe finalmente finito (le ci volle un po') potè rilassarsi e soddisfare la sete che la attagliava con un caffè preso dalla macchinetta nel corridoio, per poi consegnare il lavoro finito, sottolineando quanto si ritenesse fiera di sè stessa, scherzosamente, ma neanche tanto in realtà. In fondo, un po' di modestia è concessa a tutti, no?
Tornata in ufficio, guardò i cassetti della scrivania: erano tre, tutti pieni di fascicoli, documenti e robe varie, ma uno di essi, da qualche giorno, era speciale per quella coniglietta; aprì il primo cassetto e prese un pacchetto avvolto da una carta gialla a strisce rosse, legato con un fiocchetto.
Era il regalo che Nick le aveva messo furtivamente in tasca la sera del loro primo appuntamento.
Alzò lo sguardo verso il soffitto e tornò con la mente a quella serata, che per lei aveva significato moltissimo, ma ancora non riusciva a capire con quale incredibile velocità o abilità ci fosse riuscito, o come lei stessa non fosse riuscita ad accorgersene. Poi si ricordò di quei due smeraldi che avevano incrociato il suo sguardo - almeno, per lei erano due smeraldi, Nick li avrebbe definiti due comuni occhi che, dello smeraldo, avevano solo il colore- 
Il ricordo di un momento che sembrò interminabile portò un delizioso sorriso sul suo musetto, il nasino le tremò e allo stesso tempo sentì le proprie guance avvampare, la spina dorsale percorsa da mille brividi provocati dalle gentili carezze di Nick e il cuore tuonò sempre più forte, tutto esattamente come nel momento in cui le loro labbra si erano quasi toccate - se non fosse stato per quei dannati vicini! pensò - 
Dovette però riprendersi; sgranò gli occhi e scosse la testa, si portò una zampina su una guancia e capì che quel calore non accennava a diminuire: era tremendamente arrossita!
Se qualcuno fosse entrato in ufficio d'improvviso, Judy avrebbe prontamente afferrato le orecchie e le avrebbe usate per coprirsi dall'imbarazzo. E lo fece lo stesso! Nonostante l'ufficio deserto!
Uno spiraglio tra le orecchie e l'occhio cadde nuovamente sul pacchetto, poi sull'alberello di Natale; in quel momento, ma forse ci aveva pensato molto tempo prima, un pensiero attraversò la mente della coniglietta, si insidiò nel suo cervello e non se ne andò più: e se... Se gli proponessi di passare Natale insieme? pensò.
Inutile dire quanto il solo pensiero non aiutò il suo muso a riacquistare il classico colorito grigio e bianco..
Però... pensò Io lo voglio davvero...
Ogni pensiero o fantasia si ruppe bruscamente come un vetro colpito da un sasso; la porta dell'ufficio si aprì e sull'uscio si fece largo, per quanto poteva, la figura imponente di un bufalo dallo sguardo austero, le sopracciglia perennemente calate sugli occhi, come se qualcuno le avesse scolpite così di proposito, il che gli conferiva un'aria da "meglio non farmi incazzare" (sorpassando, ovviamente, sulla possenza fisica che racchiudeva una furia pronta a scatenarsi in qualsiasi momento).
Insomma, una vera e propria bomba su due zampe dotata di un paio di corna.
"Agente Hopps" tuonò tanto da far balzare Judy dalla sedia e scattare con la rapidità di un ghepardo.
"Eccomi, Capitano Bogo!"
"Il vicesindaco Bellweather è qui, vorrebbe parlarti urgentemente"
Judy fece un cenno con la testa, e il capitano si dileguò lasciando il posto ad una pecorella grassoccia, a voi giudicare se fosse per la lana o per altro, con un vestito a fiori probabilmente uscito fuori dagli anni '50 con sopra un'anonima giacchetta blu, e sul muso due vistosi occhiali rossi. Dovettero mantenere le formalità in presenza di Bogo, era tremendamente fissato con certe cose, ma una volta chiusa la porta, l'una corse verso l'altra per abbracciarla. Si conoscevano da parecchio tempo, dopotutto, ed essendo entrambe non- predatori e Judy il primo agente coniglio della storia della città, non ci volle molto perchè nascesse un forte sostegno tra le due.
Ma abbracci e baci durarono poco: Judy capì subito che Bellweather non era venuta per una visita di cortesia. La fece accomodare e si fece spiegare il motivo della visita.
"Oh Judy" esordì la pecorella con il giornale stretto nello zoccolo "H-hai letto dell'aggressione?"
Il giornale riportava in prima pagina la notizia di un'aggressione avvenuta la sera precedente: all'uscita della metropolitana, più precisamente vicino il Moon Theatre, non molto lontano dal parco principale della città, la testimonianza affermava di aver visto un trio di giovani ippopotami intento a picchiare una coppia di anziani lupi (la fotografia sul giornale mostrava i due corpi a terra, in una pozza di sangue). La femmina non era sopravvissuta, il maschio era stato portato d'urgenza in ospedale, ma del trio non si erano trovate tracce. Il testimone dichiarò che i tre si erano dileguati non appena l'ebbero notato. 
Judy lesse la notizia con sgomento e terrore. Niente di tutto ciò le sembrava vero, non poteva credere che fosse accaduto sul serio. Non le ci volle molto per capire che quell'atto era collegato all'operato del Cacciapredatori. 
Che fossero suoi complici? E se no, per quale motivo avrebbero compiuto una simile atrocità? Mille domande le attraversarono la mente, tanto che per un attimo sembrò dimenticarsi che con lei c'era Bellweather.
"Io.. Non so cosa dire" balbettò la coniglietta sconvolta.
"I-il giornale non la riporta" continuò Bellweather "Ma non è stata l'unica aggressione della scorsa notte..."
Un freddo improvviso circondò il petto di Judy: un freddo oscuro ed opprimente chiamato paura.
"Sono stata i-informata dal giornalista in persona, è un mio co-conoscente" sussurrò Bellweather avvicinandosi alla coniglietta come se temesse che qualcuno, magari fuori dall'ufficio, potesse sentirle. 
"A-a quanto pare un'ora dopo quell'aggressione è stato trovato qua-qualcun altro con una so-sorte simile"
Il tono della pecorella, già ansiosa di suo, turbò ulteriormente Judy, specialmente quando seppe che le vittime della seconda aggressione erano una giovane volpe argentata e uno sciacallo, entrambi reduci da una serata in discoteca. 
Il cuore di Judy smise improvvisamente di battere: erano tutti canidi, e uno di loro per di più una volpe! 
- E se il prossimo... Fosse Nick?-
"J-Judy? Judy?"
"Co-cosa?" Judy si ridestò come da un sonno profondo, ma quel pensiero non l'aveva ancora abbandonata. Tentò comunque di riprendere l'autocontrollo che l'aveva sempre contraddistinta. 
"E il sindaco cosa intende fare?" chiese nervosamente Judy.
"Beh, il sindaco Lionheart è nell'ufficio di Bogo, in questo mo-momento" proseguì Bellweather "Stando a quanto ho sentito vorrebbe m-mettere degli agenti di pattuglia notturna nei punti più frequentati della città" 
"Spera così di evitare altre aggressioni?"
"Quantomeno di controllare la situazione" affermò la pecorella con tono non molto convinto, la stessa poca convinzione che si leggeva nel muso di Judy, ma in effetti era la soluzione più opinabile secondo Lionheart (specialmente per evitare di perdere il sostegno dei cittadini, ovvero gli elettori).
 
La chiacchierata con Bellweather lasciò il posto ad un pomeriggio placido e senza particolari risvolti, che per chiunque altro sarebbe risultato narcolettico, ma non per Judy, colpa imputabile al turbamento che aveva posato gli occhi su di lei come un falco che tiene costantemente d'occhio la preda. Ok, forse non era l'esempio migliore.
Continuò a chiedersi se in pieno giorno, magari proprio in quel preciso istante, mentre i dubbi la attanagliavano, in un vicolo poco frequentato della città, non si stesse consumando una nuova aggressione ai danni di qualche predatore. O qualcosa peggiore di un semplice pestaggio. E soprattutto come stesse lui - e se stesse pensando a lei, come lei pensava a lui, e non solo per preoccupazione- 
"Ooh, che diavolo!" era arrossita di nuovo "Non è il momento di pensare a queste cose!" ripetè tra sè e sè prendendosi a schiaffi sulle guance. 
"Ahi!" 
Ci aveva messo troppa forza.
Tra mille domande, dubbi e preoccupazioni, il pomeriggio passò e la giornata di servizio di Judy terminò con l'uscita della coniglietta dalla centrale, non prima di aver ricevuto un avvertimento da parte del capitano riguardante il giorno successivo.
La metro che Judy prendeva per tornare a casa era piena di predatori e prede, seduti gli uni accanto agli altri, o meglio "schiacciati" gli uni accanto agli altri, poichè il mezzo era sempre pieno, durante l'orario serale.
Eppure l'aria era pesante, soffocante, opprimente come l'afa: in un altro momento gli occhi di Judy avrebbero brillato nel vedere come quelle creature riuscissero a stare tutte insieme nello stesso posto, intenti a chiacchierare e ridere tra di loro, ma ora un silenzio tombale li circondava: non c'erano più animali che parlavano animatamente fra loro, ma solo sguardi che evitavano altri sguardi, teste di cuccioli circondate da abbracci di protezione, sussurri e bisbigli che, lo capiva benissimo nonostante il suo udito molto acuto, tutto erano tranne parole gentili o battute scherzose. 
Judy Hopps percepì sempre più che la tempesta si stava avvicinando. 
 
"Sei solo una puttana!" furono le prime parole che Judy udì non appena rimese zampa nel proprio quartiere. 
Drizzò le orecchie, seguì le urla, le parolacce, i deliri senza senso strada dopo strada, vicolo dopo vicolo, trovando infine la bestia che li emanava. Bestia, in realtà un comune fossa. Il fossa, in genere, non è particolarmente pericoloso, ma quel tale stringeva una bottiglia di birra quasi del tutto vuota nella zampa sinistra, mentre la destra era intenta a bloccare la propria, presumibilmente, compagna contro un sudicio muro al fianco di un vecchio cassonetto aperto. Egli non faceva che rimproverarla e coprirla di insulti, con un alito talmente infestato dall'alcool che non solo si infrangeva contro il muso della povera femmina, ma invadette disgustosamente le narici della povera coniglietta. 
Il fossa, che ad occhio e croce era sulla ventina, era palesemente incapace di intendere e di volere, mosso dai peggiori deliri dell'alcool che dominava il suo cervello come una sorta di malefico potere psichico, e iniziò a schiaffeggiare e malmenare la povera compagna.
Ma in quel momento Judy non era in servizio, non indossava alcuna divisa blu, tanto meno la pettorina, o il distintivo con la sigla ZPD che sottolineava la sua autorità di poliziotta. Non aveva nemmeno la pistola! Era in abiti del tutto civili, una semplice camicetta a quadri rosa chiaro e comuni jeans.
Ma bastò questo a fermarla, secondo voi?
La coniglietta si lanciò contro il fossa, lo afferrò per la spalla e con un potente destro in pieno muso lo atterrò. Un destro degno della migliore cadetta dell'accademia, dopotutto Judy si era distinta anche per una notevole abilità nel pugilato, anche se preferiva evitare, laddove possibile.
Il fossa si rialzò a fatica, scombussolato dalla sfortunata combinazione di alcool e dolore provocato dal pugno di Judy, la quale, invece, si schierò davanti alla femmina di fossa a mo di scudo, in posizione di guardia, pronta a colpirlo una seconda volta, ma non sembrava necessario: il fossa si guardava attorno spaesato, come se non capisse chi o cosa lo avesse colpito, sbraitando e sproloquiando, quando i suoi occhi lucidi incrociarono il muso di Judy. 
Egli digrignò goffamente i denti e serrò i pugni.
"Tu di cosa t'impicci, roditore?" urlò con disprezzo, ma Judy non si lasciò intimorire da quegli insulti, tanto che lo colpì una seconda volta, in pieno stomaco. Il fossa crollò in preda ai conati di vomito, riversando tutto sul suolo appiccicoso. 
"T-tu.. P-putt.."
Judy prese la giovane fossa per la zampa e si diressero verso l'uscita del vicolo, ma...
"Torna qui, dannata puttana!"
 
-TORNA QUI, DANNATA PUTTANA!-
 
Judy si fermò improvvisamente, le orecchie lasciate cadere sulle spalle e il nasino tremante.
"Ehi? Perchè ti sei fermata?" le gridò la giovane fossa, ma la coniglietta non accennò a risponderle. Non fu solo il naso a tremarle, ma anche la bocca, impedendole di pronunciare anche la più semplice delle lettere o sillabe. Ci provò, tentò le più svariate smorfie ma sentì solo i propri occhi gonfiarsi di lacrime che sembrava faticare a trattenere. Due occhi, due gioielli brillanti capaci di illuminare la via più tenebrosa nella notte più buia, ora sembravano un fiume pronto a straripare.
A niente valsero le continue grida della giovane fossa, fino al momento in cui Judy si sentì afferrare la caviglia dalla disgustosa zampa del fossa; essa fu stranamente sufficiente a risvegliare Judy dall'improvviso stato catatonico nel quale era caduta. 
 
 
" E' incredibile, Hopps!" esclamò sbalordito l'agente "Persino in abiti civili il lavoro non ti abbandona mai!"
Judy rispose con un leggero risolino per sottolineare quanto la cosa fosse ironicamente vera. 
"Tutto bene, Hopps?" chiese il collega. Aveva notato qualcosa che non andava nello sguardo della coniglietta. Il turbamento che l'aveva assalita prima non l'aveva ancora abbandonata. 
"Come? Ehm si, si sto bene, non preoccuparti" gli rispose la coniglietta con una vena di nervosismo. L'agente fece spallucce e rientrò in auto. Il fossa ubriaco era sdraiato sul sedile posteriore, ammanettato e con un bel bernoccolo in testa, e la compagna era stata riaccompagnata a casa, dopo aver - letteralmente- sommerso di grazie la nostra eroina per il tempestivo aiuto.
Judy salutò entrambi ed imboccò la strada che l'avrebbe portata al suo piccolo appartamento, in un vecchio palazzo dai mattoni rossi con una porta d'ingresso sormontata da un portico, preceduti da qualche scalino.
L'intero palazzo era silenzioso come un cimitero, come d'altronde il quartiere stesso, fatta eccezione per le urla incessanti dei due vicini di Judy: una coppia di gazzelle conviventi incapaci di resistere più di cinque minuti senza litigare. Strano, perchè le coppie omosessuali, da quelle parti, erano famose per andare molto d'accordo.
 
Il caldo getto d'acqua investì il morbido pelo grigio e il bianco del ventre, e con gli occhi chiusi quasi ermeticamente, Judy sentì lo stress e la titubanza scivolare dolcemente via, partendo dalla testa, scendendo lungo il piccolo seno, il ventre e le zampe, fino a scomparire nell'oscurità dello scarico. 
Un solitario e tanto atteso momento di relax che poteva essere eguagliato, o addirittura superato, dal sentire il calore del morbido letto sotto la schiena. Con indosso il pigiama, la coniglietta si girò e rigirò sul materasso, puntando poi lo sguardo verso la finestra.
"Chissà cosa sta facendo?" pensò "Dovrei chiamarlo per chiedergli..." 
- TORNA QUI, DANNATA PUTTANA!- 
Le zampe iniziarono a tremarle, un'inquietante rete di brividi si ramificò lungo la sua schiena come una pianta velenosa cresciutale improvvisamente addosso. 
Di nuovo quelle parole!
Sentiva freddo, un innaturale freddo non dettato dal clima invernale, ma da qualcos'altro. Si strinse più che poteva sotto le coperte, rannicchiata come una cucciola terrorizzata dalla paura dei mostri che, nella fantasia dei cuccioli, popolavano gli armadi e gli angoli più bui delle loro camerette.
Era effettivamente un mostro la causa di tutto ciò, ma un altro tipo di mostro. Un mostro che può popolare qualsiasi realtà, specie la nostra.
 
 
Bunnyborrow, 15 anni prima
 
La pendola battè i dodici rintocchi. Bonnie continuava a fissare l'orologio preoccupata. Il salotto sembrava una grande campana vuota nella quale l'unico suono che si potesse sentire era proprio l'orologio che scandiva l'ora. Il caminetto riempiva la stanza di un dolce tepore che non si poteva trovare fuori, data la neve che copriva l'intero villaggio e le colline circostanti.
Bonnie Hopps continuava a pensare, a porsi mille domande, con una tazza di cioccolata calda in una zampa e una coperta sulle spalle. 
L'intera casa era avvolta da un silenzio così tombale che si poteva udire perfettamente il respiro della piccola Judy, allora di nove anni, rannicchiata teneramente sotto le coperte ma con gli occhietti ancora aperti, e già a quell'età, essi brillavano come diamanti.
Ma in quel delizioso musetto si leggeva la stessa preoccupazione, per non dire paura, di Bonnie: entrambe conoscevano bene il motivo.
Bonnie drizzò immediatamente le orecchie: il rumore delle chiavi che giravano nella serratura risuonò all'unisono con il battito accelerato del cuore di madre e figlia. La porta si spalancò violentemente, e sull'uscio si fece largo la figura di un coniglio sovrappeso con il muso parzialmente coperto dalla visiera di un berretto verde e lo sguardo praticamente perso. 
Chi potrebbe dire che fosse cosciente di trovarsi nella sua stessa casa?
Si diresse barcollando verso il salotto buttando a terra il giubbotto che indossava. Bonnie si alzò tremando.
"Oh, Stu!" esclamò. 
Stu Hopps, marito di Bonnie e padre di Judy Hopps, la fissò respirando pesantemente, come fosse reduce dall'aver trasportato un pesante carico. In realtà, l'unica cosa che si potesse considerare un "carico pesante" era il pancione per cui quel coniglio era famoso nel villaggio.
"Eh, brava! Que- quello è il mio nome!" rispose seccato. Lo sguardo rassegnato di Bonnie non lo abbandonò un istante, nemmeno quando il suo enorme deretano sprofondò sul divano con un pesante sospiro. Stu l'aveva notato, e la cosa lo infastidiva parecchio.
"Che c'è? Che hai da guardare?" non pronunciò nemmeno il nome della moglie. Era palese che non se lo ricordasse.
"N-niente..." sussurrò Bonnie "Mi sono chiesta fino ad ora dove fossi... Ma credo di sapere già la risposta"
Non c'era bisogno di indagare a fondo; gli occhi lucidi, l'aria intontita e l'alito impastato di alcool erano la conferma che lei sperava inutilmente di non avere.
"E allora? Vuoi castigarmi?" tuonò Stu alzandosi minacciosamente dal divano (reggendosi al bracciolo). "Ciò che faccio e bevo sono affari miei, hai capito? Sono io che mi faccio il culo tutti i giorni per badare a te e quell'altra!" continuò con cattiveria tra un singhiozzo e l'altro. Bonnie indietreggiò terrorizzata, pregandolo con gli occhi di calmarsi, cercando di mantenere un tono di voce abbastanza forte da nascondere la paura.
Lo stress, la stanchezza e un profondo complesso di inferiorità avevano pian piano spinto Stu Hopps sulla via dell'alcool; una volta passava le serate in casa, sul divano vicino al camino, osservando la piccola Judy giocare allegramente, ora invece se ne stava nell'unico bar di Bunnyborrow ad affogarsi con varie bevande in compagnia di qualche amico, con il quale si tratteneva fino a mezzanotte, o addirittura oltre. La situazione durava da almeno due anni ormai.
Ma Stu Hopps riusciva anche ad andare oltre.
"Vieni qui" disse alla moglie, vedendola allontanarsi "Vieni qui!" 
Le urla avevano attirato la piccola Judy, che sbirciava la scena di nascosto. Bonnie se n'era accorta, e con la mano le faceva cenno di andarsene, sperando che Stu non se ne accorgesse. 
"M-mamma..."
"Amore, torna in camera tua!" 
Stu si girò e si accorse, purtroppo, della presenza della figlia. "Ah, ho capito, brutta stronza, vuoi allontanare mia figlia da me! Judy, vieni subito qui!"
La coniglietta rimase immobile. Il nasino le tremava, i brividi la assalirono come se in quel momento si trovasse sepolta da metri di neve. Non sapeva chi ascoltare, non sapeva cosa fare. Riuscì solo a rigare le paffute guance con lacrime di paura. 
Stu si infuriò sempre più, continuando a ripeterle "ti ho detto di venire qui!", per poi avanzare minacciosamente verso la piccola, ma Bonnie, prontamente, lo afferrò da dietro per bloccarlo, ma il coniglio, data comunque una mole considerevole, e di conseguenza una buona forza fisica, ci mise poco a liberarsi di lei, prendendola a schiaffi e buttandola a terra. Che fosse per il troppo alcool o per un malato impulso partito dai meandri più oscuri della materia grigia, Stu le si sdraiò addosso e affondò le dita nelle vesti della moglie per strappargliele, sfogando poi su di lei i propri istinti animaleschi più bassi.
Quella notte, per la prima volta in vita sua, Judy Hopps si ritrovò davanti una delle realtà più inquietanti ed oscure di questo mondo. 
 
Nessun tiranno è più beffardo del Destino...
 
 
La scuola di Bunnyborrow era situata poco lontano dal villaggio, su di una collinetta circondata, in primavera, da alti fili d'erba e distese di fiori colorati che, agli occhi di tutti i cuccioli del paese, apparivano come un'unica distesa policromatica che portava con sè il profumo della nuova stagione, un profumo di cui tutti si beavano, visto che inondava l'intero villaggio. 
Ma ora, in inverno, i cuccioli usciti da scuola non facevano altro che tuffarsi nella neve e darsi battaglia con le palle di neve, in un misto di urla e risate che si innalzavano fino al cielo e movimenti così frenetici che sembrava di assistere ad una danza tribale attorno al falò.
Judy, ovviamente, non era da meno. Fosse per lei sarebbe rimasta a giocare tutto il giorno, in compagnia delle sue amiche, senza badare alle infantili prepotenze che, poco lontano da loro, Gideon Grey stava esercitando su qualche sfortunato compagno.
Ma il momento di tornare a casa giunse, puntuale e funesto come il rintocco inquietante di un pendolo che annuncia l'inizio della marcia verso il patibolo. E in effetti, per Judy, tornare a casa quel giorno fu davvero una marcia verso il patibolo...
La scuola non era lontana dal centro abitato, per cui non era necessario che i genitori andassero a prendere i piccoli, alla fine Bunnyborrow non era Zootropolis.
Judy tornò a casa salutando le sue amiche, due pecorelle, ed aprì la porta di casa. 
Una strana ombra sembrò stagliarsi davanti a lei, non appena la piccola mise il primo piede all'interno della casa. Il nasino iniziò a tremarle per l' inquietante silenzio che non lasciava trasparire il più piccolo suono o rumore. Le sembrò di trovarsi in un film horror, in una di quelle case maledette dai cui angoli, da un momento all'altro, sarebbe sbucato fuori un mostro, uno spettro, un'entità malvagia pronta ad aggredirla; avanzò lentamente lungo il corridoio, piano, come se temesse di farsi sentire. Tentò di sussurrare il nome della madre per chiederle dove fosse, ma la voce sembrò non volerle uscire di bocca, il debole respiro le morì quasi subito in gola. 
In un lasso di tempo apparentemente interminabile, la piccola riuscì a raggiungere il salotto. Fece lentamente capolino dallo stipite della porta, e non notò alcuna differenza tra il salotto e il resto della casa. Lo stesso silenzio. Se non fosse stato per Stu Hopps di spalle, seduto davanti al camino, abbandonato su una sedia, con il berretto buttato a terra, accanto ad una bottiglia di scotch, i jeans sbottonati e un respiro tipico di qualcuno che aveva appena messo le proprie energie in qualcosa. E delle macchie bianche sul pavimento.
"La mamma non c'è, Judy" proferì Stu, con un tono solo in apparenza dolce "Ma tranquilla, ci sono io a farti compagnia..." con un' inquietante smorfia sul muso.
Una smorfia che nessun padre normale dovrebbe mai avere nei confronti della figlia, con la puzza di alcool a fargli compagnia...
Stu si alzò lentamente digrignando i denti, come se per lui fosse uno sforzo, con l'intenzione di avvicinarsi alla piccola. I pantaloni e i boxer coprivano a malapena i suoi genitali, fatto che più di tutto spaventò Judy, pur non sapendone il motivo nè il significato. Stu protese una zampa verso di lei e sorrise, sperando stupidamente di trasmettere fiducia alla piccola e sebbene inizialmente Judy avanzò di un paio di passi, fu rapida la sua ritirata. Ogni tentativo del padre fu inutile, finchè, leggendo qualcosa nello sguardo della figlia, ma probabilmente non il terrore che le stava trasmettendo, si infuriò, prese la bottiglia di scotch e la buttò violentemente sul pavimento, spaccandola in mille pezzi.
"Sono tuo padre!" urlò imbestialito "Quando ti dico di fare qualcosa, tu devi farlo, hai capito?!!"  
Judy cadde a terra, scoppiando a piangere, con gli occhi coperti dalle zampette, ogni centimetro del suo piccolo corpo in preda al terrore. Voleva chiamare la madre, voleva urlare aiuto a tutti gli abitanti del villaggio, ma le uniche parole, o per meglio dire, urla, che si udivano erano quelle di Stu.
Stu la raggiunse e si chinò verso di lei, afferrandola per le orecchie con una zampa e per la gola con l'altra, avvicinandola pericolosamente ai propri genitali. Prima che la sua bocca, per non parlare della sua innocenza, fosse sporcata dall'infame libidine del padre, Judy riuscì a mordergli un dito con tutte le sue forze. Per il dolore Stu la lasciò andare, e Judy corse più velocemente che poteva verso la cameretta.
"TORNA QUI, DANNATA PUTTANA!" 
Judy raggiunse la sua cameretta e si chiuse a chiave dentro, nascondendosi poi sotto il letto, e riversando a terra tutte le lacrime che le rimanevano. Il nasino non smetteva di tremarle, e la sua bocca continuò a chiamare inutilmente la madre, invocandone l'aiuto con disperazione, con in sottofondo i violenti colpi del padre contro la porta.
"Chi ti credi di essere, maledetta?" parole orribili che riecheggiavano nella cameretta come se quel coniglio fosse fisicamente lì dentro.
"Credi di essere migliore di me solo perchè vuoi diventare un fottuto sbirro? Tu non sei nessuno, Judy! Sei solo una piccola puttana!!"
 
Nessuno sarebbe in grado di dire quanto tempo passò prima che Judy riuscisse ad aprire gli occhi al suono di una voce familiare. La piccola aveva chiuso gli occhi, continuando a sperare in un aiuto, e piano piano si era addormentata. Solo la dolce voce della madre, in un misto di pianto, preoccupazione e disperazione, che continuava a bussare alla porta chiamandola ininterrottamente permise a Judy di uscire da sotto il letto, con un filo di dubbio, pensando che fosse una sorta di trappola da parte del padre. 
Ma no, il dubbio cedette il posto alla sicurezza. La riconobbe, era proprio la voce della sua mamma. Aprì freneticamente la porta e la prima cosa che si ritrovò davanti fu Bonnie con le braccia spalancate pronte a stringere al proprio petto quella povera cucciola spaventata.
Dietro di loro due poliziotti stavano scortando Stu Hopps fuori di casa, per chiuderlo nella volante e portarlo via. 
Tuttavia, gli occhi di Judy non nascosero una punta di dispiacere, nè qualche lacrima, nel vedere il padre portato via in quel modo. Uno spettacolo al quale nessun piccolo dovrebbe mai assistere nella propria vita...
Un ricordo doloroso che non le permise di addormentarsi. Le bianche zampe strinsero il cuscino, le sue lacrime lo bagnarono e dalla sua bocca un solo nome, il primo che le venne in mente...
"Nick... Dove sei?" sussurrava come se stesse rivivendo una seconda volta quell'esperienza "Ho bisogno di te..." 
Una parte di lei desiderava che in quel momento, sbucando fuori dal nulla, Nick si sdraiasse accanto a lei per abbracciarla, accarezzarla e farla sentire al sicuro tra le proprie braccia.
 
 
 
Distretto di polizia, 24 Dicembre
 
Per la polizia di Zootropolis non esistevano quasi mai le festività. Quei giorni durante i quali solitamente ci si riunisce a tavola con l'intera famiglia, con lo stomaco vuoto e pronto per essere riempito da varie prelibatezze, circondati dal calore e le risate di parenti con cui si hanno poche occasioni di stare insieme. Null'altro aveva importanza in quel momento. 
Un tempo anche Judy conosceva questa sensazione, ma non ebbe più il tempo di pensarci nel momento in cui il Capitano Bogo irruppe improvvisamente nel suo ufficio per chiamarla a raccolta insieme a molti altri agenti che in quel momento non erano di pattuglia.
Nella sala riunioni, senza troppi giri di parole, Bogo informò tutti i presenti che in almeno sette settori della città erano state segnalate delle aggressioni ai danni di alcuni predatori e il passaggio di molte bande era stato denunciato. Bogo divise i presenti in gruppi e li mandò in perlustrazione. 
Judy partì in coppia con Joseph Witboar, un cinghiale, e si diressero verso il settore assegnato. Le strade erano praticamente deserte, nessuna zampa calpestava i marciapiedi, illuminati dalla luce dei solitari lampioni che accompagnavano la volante dalla quale Judy e Witboar scrutavano ogni angolo, ogni via, ogni dettaglio della strada.
Attorno a loro il silenzio più inquietante. Sembrava uno scenario immaginato dallo scrittore di un romanzo gotico. Mancava giusto un banco di nebbia a fare da cornice.
Era impossibile che, con tutte le segnalazioni arrivate, si fosse improvvisamente placato tutto. A meno che qualcuno non avesse avvertito i membri delle bande...
Ci volle un secondo giro del settore prima che una forma di vita apparisse davanti a loro: un giovane coyote, sbucato da una stradina poco distante, corse verso la volante agitando le braccia e chiedendo aiuto a gran voce. I due poliziotti, con le pistole impugnate, ma nella speranza di non doverle usare, scesero dalla macchina e si diressero verso di lui, sperando di riuscire a tranquillizzarlo; non ci volle molto perchè si facessero vivi anche i responsabili della fuga di quel giovane canide, ovvero uno dei famigerati gruppi notturni, ovviamente sempre dei non- predatori. Tutti immancabilmente armati, ma alla vista di un paio di pistole indietreggiarono tutti, tentando palesemente di rientrare nella stradina dalla quale erano sbucati. 
Judy ordinò a tutti di posare le armi e arrendersi, puntandoli con la pistola, ma uno di essi, un cavallo dalla spiccata quanto insopportabile aria sbruffona, palesò il suo non essere spaventato da una, testuali parole, coniglietta sbirro, invitando gli altri ad andarsene. Uno sparo fece calare il silenzio: il cavallo dava le spalle a Judy, e il suo muso non distava molto da un muro di mattoni. Il proiettile si schiantò contro il muro, proprio vicino al muso del cavallo.
Tutti gli altri perfettamente immobili.
"Ve lo chiedo di nuovo, gentilmente : posate a terra le spranghe e non vi muovete!"
Witboar chiamò una pattuglia lì vicino tramite radio perchè li raggiungesse e li aiutasse a portare dentro i delinquenti appena catturati, i quali, nel frattempo, giacevano sol culo sul marciapiede gelato, ammanettati e sotto lo sguardo vigile dell'agente Hopps, che con tutta l'eleganza di cui può disporre una coniglietta di campagna non mancava di stampare l'impronta del proprio piede sul muso del primo che le lanciava un'occhiata per così dire... Indecente. La pattuglia più vicina non tardò ad arrivare.
"Unità 5 rispondete"  esclamò improvvisamente la radio. Witboar rispose prontamente.
"Parla Witboar, che succede?" 
"Ci hanno segnalato un altro gruppo di fanatici a dieci isolati da voi, sembra che stiano inseguendo una volpe! "
- Una volpe!- 
Il quartiere intero sembrò crollare, i lampioni si spensero come candele e tutto attorno a lei fu inghiottito dall'oscurità.
- Una volpe!-
"Ehi, Hopps, dove stai andando?" urlò Witboar, ma inutilmente: Judy era ormai lontana, correva con la stessa velocità di una lepre nella notte, con i lampioni che le illuminavano la via e, in testa, la speranza che quella volpe non fosse quella volpe.
Dieci isolati. Non ce la faceva più. Si poggiò contro la ringhiera di una scalinata per respirare e riprendere quel poco fiato che le restava. Aveva corso con tutte le sue forze ma non aveva ancora trovato niente, niente di niente. Guardò a destra, guardò a sinistra, ma non vedeva altro che un quartiere silenzioso degno di una città fantasma, il cui unico elemento "decorativo" poteva considerarsi una fermata della metro.
"Oddio... E se non lo troverò in tempo? Cosa gli succederà?" cominciò a singhiozzare in preda alla disperazione. 
Quasi come la risposta ad una supplica, una volpe, in lontananza, sbucò dal nulla correndo verso la fermata della metro, per poi essere atterrata e circondata. Judy non ebbe il minimo dubbio.
"Nick!"
Le volanti della polizia, che nel frattempo erano giunte sul posto, individuarono Judy, e lei fece cenno di seguirla. 
Così, mentre gli altri poliziotti si occuparono degli assalitori, Judy si chinò sul corpo della volpe ormai ridotta una maschera di lividi e sangue.
"Nick, ti prego, rispondimi!" 
Nick aprì debolmente un occhio, e nel vedere il musetto che tanto agognava abbozzò un sorriso.
"Non avrei mai voluto... Che tu mi vedessi in questo... Stato...Carotina"
Poi perse conoscenza.
 
 
                                              - - - - - - - - - - - - - - 
 
 
Per anni, innumerevoli volte in innumerevoli film, ho sentito parlare del nero tunnel e di una bianca luce in lontananza. E' come trovarsi in un limbo, un luogo senza forma, senza alberi, senza terra, senza cielo. Solo il buio. E quando vedi quella luce senti qualcosa, una voce familiare che risuona nelle tue orecchie come l'eco di un urlo lanciato contro una montagna. Non sai perchè, ma provi l'impulso di seguire quella voce. Quel tono lo riconosci, e vuoi raggiungerlo. Vuoi vedere chi ti sta chiamando in quel momento, e quando finalmente raggiungi quella luce, essa ti abbaglia...
 
Un abbaglio, ciò che vidi quando il mio occhio, debolmente, si aprì. In un secondo momento realizzai che si trattava della luce di una stanza. Tentai di guardarmi attorno, ma una fitta improvvisa quanto atroce mi partì dal collo e raggiunse il centro del mio cervello facendomi digrignare i denti e a stento trattenere un verso di dolore. 
Respirai, alzai lentamente la zampa sinistra e la posai sul muso: la parte sinistra della mia testa era fasciata, lasciandomi libero solo l'occhio destro. Istintivamente tentai di alzarmi per mettermi seduto, ma proprio come per il collo, una fitta ancor più lancinante, come una lama penetrata nella carne, mi bloccò.
"Non mi muoverei se fossi in te" esclamò una voce roca a me fin troppo conosciuta.
"Dovrei affidarmi alle tue parole per sapere come sono ridotto, Finnick ?" 
"In effetti" proseguì lui "Ci vorrebbe lo scrittore di IT per descriverti. Mi limiterò a dire che le bende migliorano il tuo aspetto. Solo un po', però" 
"Che gentile!" 
Entrambi scoppiammo a ridere.
"Sei stato fortunato, Nick. Ti hanno salvato prima che quella banda di psicopatici completasse il lavoro"
"Spero solo che non fosse tua la bella voce quella che ho sentito. Non vorrei subire un altro shock!"
Finnick mi mandò a quel paese con lo sguardo, per poi affermare che la voce apparteneva "a quello sbirro che ti ha fatto perdere la testa".
- Allora non l'ho sognata... Lei c'era davvero!- 
"E se ti interessa saperlo" continuò sussurrandomi nell'orecchio "Mentre tu eri impegnato a fare il bello addormentato nell'ospedale, la coniglietta ha detto che sarebbe passata a trovarti, nel pomeriggio!"
"Ne-nel pomeriggio?... E-e non ha detto precisamente quando?"
Finnick mi guardò sghignazzando, ma non mi rispose. Anzi, mi prese addirittura in giro avviandosi all'uscita della stanza.
Piccolo bastardo.
E così rimasi da solo, nella mia nuova cameretta dalle pareti asettiche e una sola finestra che si affacciava sui grattacieli di Zootropolis e il caos che ogni giorno la governava. Non valeva la pena tentare di affacciarmi, dall'alto o dal basso lo spettacolo era lo stesso.
Aiutandomi con le braccia tentai di alzarmi per poggiare la schiena contro il cuscino, stanco di stare supino, e tra un dolore e l'altro ci riuscii, ma volli vedere anche com'ero ridotto: la parte inferiore del costato e i fianchi erano fasciati, e nel passarmi nuovamente la zampa sul muso sentii dei gonfiori di cui prima non mi ero accorto. Se mi fosse capitato uno specchio tra le zampe è probabile che si sarebbe rotto. Al solo tatto sentivo di essere inguardabile, un ammasso di lividi che nessuno avrebbe voluto guardare per più di cinque secondi, tanto che sperai che Finnick mi avesse detto una cazzata e che Judy non sarebbe passata a trovarmi, ridotto com'ero. 
La giornata passò lenta e pigra. L'unica cosa degna di nota fu un alberello con lucette lampeggianti che l'infermiera posò sul comodino all'ora di pranzo, tanto per augurarmi "buon Natale", il che mi ricordò con amarezza che non avrei più potuto proporle di passare insieme quel giorno. Tutto per colpa di un branco di fanatici idioti istigati da uno psicopatico.
Iniziai a pensare a quel pazzo, di come il suo caso mi avesse catapultato in una storia della quale avrei preferito essere spettatore, non attore, ma soprattutto di come mi avesse messo di fronte a qualcosa nella quale non avevo mai creduto: nuovi sentimenti che non pensavo di possedere... O forse erano semplicemente sopiti dentro di me, in una gabbia fredda e solitaria chiamata cuore, in attesa di qualcuno ce li aiutasse ad uscire. Quando camminavo per le strade mi sentivo sempre accompagnato da una presenza invisibile, ma fin troppo palese per essere ignorata, una sensazione di freddo che mi circondava e camminava con me passo dopo passo, e non era il freddo invernale, ma qualcosa di peggio. La solitudine. 
Era stata una mia scelta vivere una vita solitaria all'insegna della menzogna, e non me n'ero mai lamentato. Non apertamente. Dentro di me, invece, una vocina tentava di far uscire un urlo disperato, il bisogno di qualcosa. E forse, Judy Hopps, quella piccola carotina dalle guance bianche, il nasino rosa e due occhi che ogni creatura di questo maledetto mondo sognerebbe di possedere o di ammirare senza sosta, limpidi come la più pura acqua di un lago, senza parlare del suo coraggio, la sua determinazione e la voglia di proteggere tutti. Dove si può trovare una così oggigiorno?
Era il pensiero di lei, del suo sorriso, la sua personalità a farmi compagnia quando lei non c'era, e sentivo che il freddo mi stava abbandonando. Talmente perso in questi pensieri da non sentire i piedi di Judy toccare il pavimento della mia camera.
"Ehi, Nick? Nick?"
Mi ripresi come se mi avessero dato uno schiaffo, e con uno scatto che non avrei dovuto compiere mi girai di spalle coprendomi con la coperta (tentando di non far trasparire il dolore). Non volevo che mi vedesse in quello stato.
"Nick? Che succede? Ti stai nascondendo, per caso?" mi chiese con tono divertito.
"Ehm..." imitai un tono da vecchietta "Sono molto malata, Cappuccetto! Non vorrei contagiarti!"
Lei rise.
"Uuh, che orecchie lunghe che hai, nonna!"
"Veramente ne ho uno solo disponibile, al momento" ribattei, ma riuscii a farla ridere di nuovo.
"Perchè ti stai palesemente nascondendo, Nick?" 
"Non mi piace l'idea che tu mi veda ridotto così" sussurrai "Non sono un granchè neanche normalmente, ma così... Ahi!" 
"Ti prenderei a pugni, Nick, se non ci avesse pensato quella fitta a punirti!" 
Non mi girai, ma dal tono intuivo che stava parlando con il suo solito fare provocatorio. 
"Girati, Nick..."
"Vuoi davvero vedermi?"
"Forse non te lo ricordi, ma ho tenuto - e accarezzato- il tuo muso pieno di sangue, in preda alla disperazione..."
Drizzai l'unico orecchio libero "Disperazione?"
"S-si, ecco..." deglutì "Io credevo... Ho visto tutti quegli animali attorno a te, e le spranghe e..." 
Stava trattenendo delle lacrime?
"Avevo paura, Nick..."
Silenziosamente, per quanto potei, mi voltai e mi mostrai per com'ero: una mezza mummia dal pelo rosso. Lei non fece alcuna smorfia, contrariamente alle mie aspettative. Si fece solo scappare un paio di lacrime, per poi asciugarsi le guance e sedersi sul letto. 
"Beh, hai visto che gioiello?" il mio solito sarcasmo.
Ridacchiò, poi mi accarezzò dolcemente le guance scrutandomi come se provasse ad immaginare cosa nascondessero le bende. Il tamburo nel mio cuore iniziò a battere incessantemente: avevo davanti a me i suoi occhi, e la sua bocca pericolosamente non troppo lontana dalla mia. Mi sentivo come il lupo che desiderava divorare la sfortunata dal cappuccetto rosso, anche se la mia fame era di tutt'altro tipo. 
- Dio, quanto desidero quella bocca! - 
"Avevo paura di averti perso, Nick..." sussurrò lei, con le guance bagnate di pianto. Quelle guance chiamavano a gran voce le mie zampe. Non resistetti, le accarezzai e le asciugai, ma le lacrime continuavano a scendere.
Abbozzai un sorriso. "Ti sarebbe dispiaciuto? Se mi avessero..."
"Non farmi domande sciocche, Nick!" si strinse al mio petto "Non avrei saputo cosa fare se fosse successo!"
"Avresti perso solo una comune volpe ladra" dissi baciandole e accarezzandole delicatamente la testa, finchè lei non sollevò lo sguardo per incrociare il mio.
"No... Avrei perso qualcosa di più importante..."
Non esitai più. Un attimo di silenzio precedette l'unione tra le nostre labbra da me tanto agognata. Temevo che si sarebbe sottratta, ma invece avvolse le zampe attorno al mio collo e ricambiò con la mia stessa foga e lo stesso desiderio. Un fremito mi attraversò la spina dorsale facendomi drizzare ogni singolo pelo della schiena, mentre lei mi tenne prigioniero del suo caldo abbraccio. Ma a conti fatti, ero già suo prigioniero da molto tempo...
Quell'abbraccio, quella stretta che impediva al mio collo di ribellarsi non poteva essere uno sbaglio, un semplice lasciarsi prendere dal momento, così come la foga con la quale le sue labbra non si staccavano da me, tra un bacio e un lieve morso. 
Se le mie zampe non fossero state occupate ad avvolgere la sua vita per avvicinarla a me il più possibile, avrei stretto la coperta con tutte le mie forze, fino a squarciarla, per cercare di frenare l'indescrivibile vortice di sensazioni che colpirono il mio intero corpo in quell'istante. Sentii improvvisamente le sue zampe scendere lungo il mio torso fino ai fianchi, le nostre labbra si separarono e lo stesso collo, che fino a poco fa era stretto in quella dolce morsa, fu bersagliato da miriadi di baci. Ero sul punto di fare la stessa cosa a lei, quando l'ennesima - bastardissima- fitta al fianco, provocata dalla stretta di Judy, ci costrinse ad interrompere tutto.
"Ahi!! Porc..." trattenni a stento un mucchio di parolacce e imprecazioni. 
"Oddio, scusami, Nick!" esclamò lei "Io-io non volevo... E' successo tutto così in fretta e..."
Se avessi potuto guardarmi in faccia, all'udire quelle parole, avrei visto un cupo muso dallo sguardo colmo di preoccupazione. Che se ne fosse pentita?
"Spero..." deglutii e distolsi lo sguardo come un cucciolo con la paura di ricevere un rimprovero, o nel mio caso la più grossa delusione della mia vita.
"Spero tu non te ne stia pentendo, Carotina..."
La sua morbida zampa si posò sul mio mento e riportò il mio sguardo sul suo musetto.
"Non dire assurdità, volpe ottusa" 
Tra il suo sorriso e la lucentezza dei suoi occhi, fui solo capace di rispondere sorridendo, ma sentivo che quel sorriso, per la prima volta in vita mia, aveva qualcosa di diverso: era un sorriso sincero.
 
"Mi spiace ma l'orario di visite è terminato" ci interruppe una voce graffiante e fastidiosa quanto un artiglio che raschia un vetro. Queste infermiere!
"Temo di dover andare, Nick" il rammarico nella sua voce.
"Ligia al dovere persino in ospedale. Sei incredibile, Carotina"
Lei ridacchiò "Perchè, vorresti dirmi che tu non hai mai rispettato neanche le regole dell'ospedale?"
"Mh, un paio di volte si!"
L'infermiera, una femmina di armadillo zitella e, ad occhio e croce sulla cinquantina, battè la zampa sul pavimento per ricordare a tutti e due che era giunto il momento di salutarci. Judy non potè fare altrimenti.
"Un'ultima cosa, Carotina!"
"Si, Nick?" 
"Sai per caso quando potrò lasciare quest'accogliente prigione?"
"Le ferite non sono troppo gravi, ti abbiamo salvato appena in tempo, Nick" - TU mi hai salvato appena in tempo-  "Un paio di giorni e potrai tornare a camminare per strada senza sentirti una mummia"
"Cos'era, sarcasmo?" 
"Non credo sia la prima volta che ti prendo sarcasticamente in giro" alludeva certamente al nostro primo incontro. 
"Beh" conclusi io "Non mi resta che contare i minuti che mi separano dalla libertà, allora!"
"Non vedo l'ora, Nick!" 
Poi se ne andò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Ho vagato nel buio per così tanto tempo... ***


11- Ho vagato nel buio per così tanto tempo...
 
 
 
 
Il rinoceronte fu sbattuto violentemente al tappeto. Il ring, chiazzato di sangue e sudore al pari del manto di un leopardo, sembrò sul punto di crollare, ma fortunatamente si macchiò solo dell'ennesimo rivolo di sangue sputato abbondantemente dal rinoceronte, assieme al paradenti. 
Tra le scatenate e roboanti urla, tra chi lo incitava a rialzarsi e chi gli consigliava, tra vari e pittoreschi insulti, di rimanere a terra, l'arbitro, un tapiro, iniziò il conteggio; l'avversario, un gorilla, indietreggiò fino all'angolo neutro, sostenendosi contro le corde e con i guantoni lungo i fianchi, il muso indiscutibilmente segnato dalla stanchezza. Entrambi i pugili avevano il muso così tumefatto e sporco che definirli una maschera di sangue era un eufemismo; tra un numero indefinibile di lividi, l'occhio destro del gorilla era completamente chiuso, una ferita dalla fronte sanguinava copiosamente assieme al naso, probabilmente rotto, scendendo lungo la bocca e la gola per gocciolare sul tappeto assieme alle perle di sudore penzolanti dalla pelliccia, l'occhio sinistro aperto con grande fatica, per non dire di quanto fosse annebbiata la vista. Il rinoceronte non era messo di certo meglio, senza badare al dettaglio del corno rotto... Anche se non costò un'ammonizione al gorilla, poichè si ruppe dopo l'impatto con il tappeto. 
Il conto arrivò a sei e il rinoceronte non accennava a rialzarsi. Dell'imponente forza di cui era pregno il suo corpo non ne era rimasta neanche una briciola. 
Sette.
Otto.
Nove.
Dieci! 
Un unica voce si levò dagli spalti e l'arbitro sollevò trionfante il braccio destro del gorilla dichiarandolo vincitore. E a quelle urla si unirono anche le mie, anche se mi trovavo davanti al televisore. Come qualsiasi cucciolo che si rispetti mi alzai in preda alla totale eccitazione, iniziai ad imitare il vincitore, Gerart O'Rilla, il campione dei campioni, e l'ampio spazio che separava la tv dal divano e la poltrona era l'ideale per imitare il ring.
"Ehi, Nicholas?" 
"Si, mamma?"
"Cos'è tutto questo baccano?" 
"Mamma! Mamma!" urlai correndole incontro, senza preoccuparmi del frastuono che le mie zampette provocavano calpestando pesantemente il pavimento "Mamma, O'Rilla ha vinto! Ha mandato al tappeto il rinoceronte e ha vinto!" 
Scandivo quelle parole come fosse accaduta la cosa più bella dai tempi della Creazione, ma suppongo sia normale quando, da piccoli, vediamo il nostro idolo, o eroe, battere quelli che consideriamo i cattivi. E O'Rilla era il mio eroe. Quando lo vedevo combattere sul ring, vedevo in lui l'eroe più forte di tutti, e nei suoi avversari i cattivi più perfidi che avrebbe dovuto sconfiggere. Aveva collezionato innumerevoli vittorie, e finalmente aveva conquistato il titolo più agognato di tutti: quello di campione del mondo. Lo dichiarò nel corso di un'intervista tenuta subito dopo l'incontro - non gli diedero nemmeno il tempo di prendere fiato e riposarsi!- 
Tra flash abbaglianti e scatti incessanti, milioni di domande inondarono il povero pugile sfinito, e la maggior parte di esse chiedeva "E ora che ha vinto cosa farà, signor O'Rilla?"
"Per prima cosa" esordì O'Rilla "Ho intenzione di prendermi un periodo di riposo, cosa che voi non mi state permettendo nemmeno adesso. Secondo, con i soldi vinti, ho intenzione di aiutare mio fratello con la sua..."
Il discorso si interruppe: mio padre aveva spento la televisione. 
"Papà! Perchè hai.."
"Pensa ad andare a dormire, piuttosto!" 
"Ma stavo guardando O'Rilla! E' diventato il campione del.."
Uno schiaffo mi colpì in pieno la guancia, forte e doloroso alla stregua di una frustata. Mio padre mi urlò di obbedirgli, e, guardandolo storto, trattenendo qualche lacrima, gli diedi le spalle e mi ritirai in camera, chiudendo violentemente la porta. 
Sebbene sdraiato sul letto, non chiusi occhio tutta la notte. Saltai giù dal letto, presi un paio di federe per cuscini, ci avvolsi le zampe e sferrai pugni contro l'aria senza sosta, e la piccola e silenziosa cameretta, ai miei occhi, si trasformò in un immenso stadio, il pavimento divenne il ring e davanti a me, O'Rilla, imponente, titanico, con i muscoli tesi e il pugno affondato nel  muso dell'avversario. Un altro nemico sconfitto, un'altra vittoria conquistata.
Eccitazione, felicità, esaltazione, ammirazione, tutte cose che, di lì a due giorni appena, si sarebbero spente inaspettatamente, come la debole fiamma di una candela zittita da un dolce soffio d'aria. Ma l'aria che mi colpì fu tutt'altro che dolce: un paio di giorni dopo l'incontro, i notiziari riportarono la notizia del ritrovamento del cadavere di O'Rilla in un lago di sangue sotto il lavandino del bagno di casa sua. Il cranio era stato sfondato,  il ventre squarciato e le budella ammucchiate sul pavimento. Dissero che la porta era stata buttata giù, e la casa mostrava i segni di una lotta; tutto era a soqquadro, ma niente sembrava esser stato rubato. 
 
 
 
"Nick?" 
.......
"Niick?" 
......
"NICK!" 
Sobbalzai come quando si riceve uno schiaffo in pieno muso. 
"C-che c'è?"
"Dovrei essere io a chiedertelo, ti sei improvvisamente incantato" disse "Forse... Ti stai annoiando?" 
- Perchè devi sussurrare e guardarmi in quel modo?! Odio i tuoi genitori per averti fatto così !-
"Ma finiscila!" esclamai con una piccola smorfia "Se mi stessi annoiando l'avrei detto da almeno... Trenta minuti"
Judy annuì, afferrò il panino ripieno di verdure grigliate e gli diede un grosso morso. Ridacchiai nel vedere quelle soffici guance gonfiarsi e muoversi con dolcissima goffaggine per masticare un boccone più grande delle sue zampine. 
Era sera. Il quartiere viveva della frenesia e dell'incessante vociare degli animali che calpestavano i marciapiedi e le strade, tutti impegnati a divertirsi tra di loro, gruppetti di giovani seduti sulle scalinate a fumare e scambiarsi pettegolezzi, vecchie affacciate alle finestre dei palazzi circostanti che osservavano tutto come gufi silenziosi appollaiati sui rami, coppie zampa nella zampa che mi passavano davanti gli occhi quasi a sfregio; non tanto perchè fossero coppie, quanto più perchè si trattava di animali della stessa razza, due creature che condividevano l'aspetto fisico, esclusi gli organi sessuali, che avrebbero potuto stare insieme senza alcun problema, mentre io e Judy...
"Certo, lo so..." continuò lei "Ma non mi dimentico mai di avere a che fare con una volpe dalle capacità attoriali non indifferenti, ahimè!" 
"Avrò pure il diritto di sfruttare qualche capacità - positiva- che la natura mi ha gentilmente concesso, o sbaglio, agente?" 
"Mmh, credo che, prima o poi, questa tua capacità gentilmente concessa finirà per farti cadere tra le braccia dell'animale sbagliato". Non la credevo capace di un simile sarcasmo. Era un lato che avevo visto poche volte dal giorno in cui l'avevo conosciuta; lo stesso sarcasmo col quale mi aveva praticamente infinocchiato.
"Nah, impossibile"
La sua bocca era sigillata da un altro boccone, ma il suono che emise fu un semplice "perchè?"
Senza rendermene conto chinai il capo, chiusi gli occhi e sorrisi, sussurrando "Perchè sono già caduto fra le zampe di qualcuno..."
Temevo di averlo detto ad alta voce. Temevo scioccamente di dire apertamente qualcosa che, ormai, visto il recente episodio, era più che palese, ma qualcosa mi bloccava. Forse  l' imbarazzo? 
Alzai lo sguardo cercando di non farmi notare, e vidi le sue guance passare dal grigio al rosso in meno di un secondo, e una piccola zampa portata a coprirle dolcemente. Sapevo che non avrei potuto resistere in quelle condizioni ancora a lungo, così mi alzai e la esortai ad andarcene da locale, portando con noi i nostri panini, gentilmente offerti da me, ci tengo a sottolinearlo!
La paninoteca scomparve alle nostre spalle, e il branco di animali si aprì al nostro passaggio come le acque in un racconto che lessi una volta in un famoso libro; la serata procedette tranquilla, nessuno si curò particolarmente di noi, nessuno ci disturbò. Passeggiammo senza preoccupazione alcuna. Io, lei e quel panino che faticava a finire. 
Un giretto in tram concluse la serata. 
 
"Beh, allora..." 
"Allora...Domani passi a trovarmi?"
"Domani? All'ora di punta? Con tutti gli agenti in pausa che, metti caso, non mi permetterebbero di fare quello che vorrei neanche se potessi?"
"Ehm... Si?" con quegli occhioni dannatamente supplichevoli e una smorfia imbarazzata.
"Ovvio!" 
Lei ridacchiò, un suono dolce e soffice come la neve che scendeva dal cielo grigio e si posava sotto le nostre zampe e sulle nostre teste; ci salutammo e io iniziai a contare i secondi che ci separavano dal giorno dopo. Ma mi fermai praticamente subito perchè iniziai a sentirmi un povero scemo da teen drama da quattro spiccioli. Come mi stavo riducendo... Aveva ragione Finnick a sfottermi!
Mi sentivo solo senza di lei al mio fianco. Era una sensazione del tutto nuova per me, o meglio, conoscevo bene la solitudine, come una vecchia compagna di giochi d'infanzia, ma ora, qualcosa era cambiato. Era un tipo di solitudine diversa, più amara, come il gusto schifoso di una bevanda oleosa incollato alle mie nere labbra. 
L'unica sensazione diversa che riuscivo a provare era quel piacevole freddo provocato dai marciapiedi ghiacciati che calpestavo a zampe nude.
Tutto questo finchè non capitai davanti al negozio di elettronica di una mia vecchia conoscenza; i televisori in esposizione, come sempre, trasmettevano la stessa cosa sullo stesso canale, e quella notte, chissà per quale curiosa coincidenza, capitai nel momento in cui il telegiornale trasmetteva la notizia dell'anniversario della morte di Gerart O'Rilla. 
O'Rilla, il mio eroe d'infanzia, un idolo di cui, col passare degli anni, mi ero dimenticato. Eppure andavo sempre al cimitero di Zootropolis a visitarne la tomba. 
La sequenza di immagini scatenò un'onda di ricordi nella mia testa, ricordi di una vita passata durante la quale, per un certo periodo di tempo, sapevo cosa significava essere felice. Ma il tempo dei ricordi è qualcosa che ha vita molto breve, soprattutto quando a soffrire non è solo il tuo cuore... Ma l'anima.
Chiusi gli occhi, diedi le spalle al mio eroe e me ne tornai a casa.
Quando rincasai la casa era, come sempre, silenziosa e buia, con in sottofondo solo il russare bovino di Finnick. Accesi la luce del salotto e mi buttai sul divano dopo aver buttato a terra la giacca, per poi addormentarmi praticamente subito, con il profumo di Judy ancora vivido e limpido nelle narici.
 
 
 
La scalinata della centrale era assediata: zampe e zoccoli la calpestavano senza sosta, chi saliva, chi scendeva. Chi entrava, chi usciva. L'ora di pranzo, il momento preferito da tutti. 
Ero in piedi davanti alla scalinata; la struttura non destava in me alcun timore da tempo, la conoscevo bene, e tanto meno mi irritavano gli occhi di qualche fugace occhiata storta di qualche sbirro. Era questione di qualche minuto; lei sarebbe uscita, avremmo passato una normale mezz'ora insieme in qualche locale senza infamia e senza lode, poi lei sarebbe tornata al suo lavoro, chiusa in un ufficio fino a tardi probabilmente, e io avrei continuato a bighellonare per la città senza fare nulla. 
Attesi.
Attesi ancora, sotto le nuvole che piangevano acqua congelata, sotto lo sguardo vigile delle decorazioni, che mi ricordarono che mancava sempre meno al nuovo anno, appena cinque giorni. I cuccioli, per strada, avevano già cominciato a lanciare miniciccioli e petardi già prima che iniziassero le feste. Che rompiscatole. Certe volte speravo che quegli affari gli scoppiassero nelle zampe.
Passarono venti minuti, ma Judy non si era ancora fatta viva. Strano, di solito era tra i primi ad uscire. Mi guardai attorno pensando che magari era già uscita e io non l'avevo notata, ma, se fosse stato così, avrei sentito il richiamo della sua voce.
"Scommetto che sei tu Nick, vero?"
Al mio fianco si presentò un leopardo grasso, o corpulento, non lo so, con la camicia blu dalle maniche arrotolate fino ai gomiti e un sacchetto di ciambelle stretto in una zampa, mentre l'altra ne teneva una già azzannata che gli aveva sporcato la bocca di glassa. 
"Beh" risposi "Dipende da chi vuole saperlo..."
"Nessuno che voglia arrestarti. Almeno per adesso" rispose lui. "In ogni caso, Judy è stata trattenuta, colpa di uno svaligiatore che ha operato stanotte" 
Che rottura di palle.
"Non ci vorrà molto, tranquillo. Le tue pene amorose non dureranno ancora a lungo"
BAM! Un pugno in pieno stomaco con un guantone d'acciaio. Cominciai a temere che Judy si fosse lasciata scappare qualcosa che non avrebbe dovuto dire. O forse ero io a non essere più così bravo a nascondere ciò che provavo.
"Non so quali idee tu ti sia fatto, caro gattone maculato, ma se non ti sbrighi a mangiare quella ciambella, la glassa ti imbratterà anche la camicia, oltre alla bocca"
Il leopardo aggrottò le sopracciglia e ridacchiò "Lo sai che il sarcasmo si usa solo quando non hai modo di ribattere ad una cosa vera?" 
Sebbene non sopportassi quel leopardo, poco prima che sparisse dietro le porte della centrale, avvertii una strana complicità tra di noi, sottolineato da un particolare e, aggiungerei, singolare scambio di sorrisi.
Decisi che l'avrei aspettata seduto su un gradino, e se qualcuno mi avesse cacciato.. Beh mi sarei spostato su una panchina della piazza, senza degnarlo di una risposta o del più fugace sguardo. 
Le 13:30
Le 13:45
La mia zampa destra ballava nervosamente, le dita picchiettavano la coscia freneticamente, il culo mi si gelava sul gradino ghiacciato.
Le 14:00
Era inutile, ormai, rimanere lì ed aspettare qualcosa che non sarebbe arrivato. Forse il leopardo aveva ragione, quel dannato rompipalle aveva trattenuto Judy fino al mio sfinimento, impedendomi di incontrarla. Non potei far altro che allontanarmi e farmi una lunga passeggiata per la città, nel sottosuolo, nel freddo mezzo di trasporto comunemente noto come metropolitana.  
Ma no, pensai, Judy era capace di sorprendere in ogni caso, me lo aveva dimostrato più volte. Forse, a costo di un'altra mezz'ora, sarebbe riuscita a raggiungermi, anche un solo minuto, cinque scarsi minuti della sua voce, del suo sorriso mi sarebbero bastati, e sarei tornato a casa con il sorriso anche io.
"Non riesco a credere che tu mi abbia aspettata fino ad ora..."
Il freddo attorno a me sembrò non esistere più, come sparito nell'aria, salito oltre le nuvole e dissolto silenziosamente nella stratosfera.
"Ti sarà più facile credere che stavo perdendo tutte le speranze, però" le risposi.
Lei sorrise, poi scese i gradini a gran velocità e si lanciò contro il mio petto, stringendosi alla giacca come se temesse di cadere. Sembrava una cucciola che abbracciava un genitore. 
"Non credi che un gesto così sia un po' troppo affrettato? In fin dei conti è poco che noi due..."
"Nick..." mi guardò dritto negli occhi "Per te è un problema?"
Tirai fuori ciò che pensavo veramente, senza discorsi preparati, senza frasi sarcastiche o sciocchezze per alleviare la tensione e i brividi più belli che la mia pelliccia potesse mai sperare di sopportare. "No, Carotina. Non lo è affatto"
 
 
 
"Non ci credo!" esclamai sgomento mandando giù un sorso ghiacciato di frappè ai mirtilli "Quel felino sovrappeso ha davvero detto così?"
"Te lo giuro, testuali parole. Se l'ho inquadrato bene, e di solito io sono una spada nell'inquadrare i canidi, sarà ancora lì fuori ad aspettarti" disse arrossendo. 
"Io direi piuttosto che è una spada nell'inquadrare le ciambelle e dolci vari. Insomma, quel tizio che ti ha trattenuta così tanto, che cosa ha combinato?" chiesi curioso.
"Era solo una vecchia iena impregnata di cocaina" esclamò seccata Judy "Si era intrufolata in una casa di Distretto Foresta Pluviale e aveva iniziato a svaligiarla in cerca di qualcosa di valore nella speranza di rivenderlo. Abbiamo dovuto faticare per comprendere ciò che diceva, era in preda al delirio per via dell'astinenza"
"E ci è riuscito?"
"Beh, qualcosa si stava portando via, ma poi gli inquilini lo hanno beccato e hanno chiamato McHorn e me. Per fortuna erano due alligatori belli forti" sottolineò con sarcasmo. Sembrava il racconto del classico ladro sgamato in pieno che non aveva niente di nuovo da raccontare, nulla che Zootropolis non avesse già visto dall'alba dei tempi, se non che un dettaglio fece scattare un allarme nel mio cervello: nel parlarmi della perquisizione effettuata alla iena, Judy disse che avevano trovato una catenina d'oro con un piccolo ciondolo a forma di  banana con una pietruzza blu incastonata nel mezzo.
"Stai.. Stai scherzando, Carotina?"
"Ehm no, perchè? Cos'ha di strano una catenina?"
Balzai sul tavolino con gli occhi sgranati e in una posizione tale da sembrare una scimmia abbarbicata su un albero, urlando a squarciagola "Quella è la catenina di O'Rilla!" sotto lo sguardo imbarazzante di tutti i presenti.
"....Sarà meglio uscire!" disse Judy prendendomi per una zampa e trascinandomi fuori, con le orecchie abbassate a coprirle il muso.
"E ora spiegami un po', perchè quella scenata imbarazzante?"
"Te l'ho detto, quella è la catenina di O'Rilla!"
"Chi è questo O'Rilla?" chiese Judy completamente disorientata.
"Come chi è? Gerart O'Rilla, uno dei più grandi pugili che il mondo animale abbia mai visto!"
"... Tu sai che io non seguo il pugilato, vero Nick?"
"Non ha importanza questo, ma quella iena probabilmente è il folle che ha ammazzato O'Rilla!"
"Calmati!" disse posando le zampe sulle mie spalle, guardandomi nelle palle degli occhi "Come fai ad essere sicuro che sia proprio la sua? E cosa ti fa pensare che sia stata proprio quella iena a uccidere questo pugile?"
Ok, cercai di darmi una calmata, quell'idea mi aveva decisamente sconvolto. "Lo so perchè solo lui aveva quella catenina, la mostrava in continuazione in tutte le interviste, la considerava il suo portafortuna. E d'accordo, forse non è stato proprio lui ad ucciderlo ma sicuramente la catenina ci sarà finita in qualche modo nelle sue tasche!"
Judy assunse un'aria pensierosa. "E se ti stessi sbagliando, Nick?" 
Sospirai. "Non lo so nemmeno io, Carotina, ma è qualcosa che sento dentro. Ho bisogno di saperlo. E' importante per me..."
"Ma... Cosa faresti se dovesse rivelarsi tutto vero? Ti vendicheresti di lui come fossi il protagonista di un film noir degli anni '40?"
"Tsk, ovviamente no, Judy! Ma O'Rilla è stato l'eroe della mia infanzia. Quando la mia vita da cucciolo era una schifezza, lui era l'unico che riusciva a darmi la forza per sopportare tutto. Non saprei spiegartelo, e probabilmente mi giudicheresti anche un povero scemo" o meglio, un cucciolo troppo cresciuto che stava palesemente tentando di trattenere qualsiasi forma di emozione negativa, per non dire qualche lacrima " E' qualcosa che devo sapere..."
 
 
 
Arrivò la notte. 
Aspettai Judy nella metro, una fermata prima della piazza principale. La metro era buia e l'aria fredda penetrava non solo dall'entrata, ma da ogni foro, ogni spaccatura del muro di mattoni e l'intonaco, una volta bianco, quasi candido, era macchiato di verde, un verde putrido e puzzolente che avrebbe distrutto l'olfatto all'animale dal naso più forte. 
Pezzi di giornale e altri tipi di carta svolazzavano e si posavano tra i binari, forse in attesa di un treno che li investisse. Una volta pensai seriamente di suicidarmi, di ritirarmi in qualche vecchio motel all'entrata di Zootropolis, chiudermi nel bagno e squartarmi le vene con un pezzo di vetro acuminato, o di buttarmi sotto la metro. Quest'ultimo mi sembrava il metodo più rapido e indolore per andare all'altro mondo. Sarebbe stata una botta secca, una frazione di secondo e il mio cervello sarebbe stato spalmato sui binari come una fetta viscida e poltigliosa di burro, e non si sarebbe più distinto dal sangue. 
Non ricordo nemmeno per quale motivo ad essere sincero.
Sentii una zampa gentile posarsi sulla mia spalla, coperta da una vecchia e pesante giacca marrone. Era lei.
Uscimmo dalla metro e ci dirigemmo alla macchina. Con mia grande sorpresa, alla guida trovai il grosso leopardo violento della legge, non intento a mangiare ciambelle ma a sorseggiare serenamente qualcosa da una fiaschetta.
Di nuovo non mi guardò con diffidenza, non mi lanciò occhiate storte, non fece alcun discorso che nascondesse doppi sensi riguardanti la brutta fama di noi volpi. Sembrava così assurdo. 
"Come stai, amico ?" mi chiese lui.
"Non riscaldato quanto te dopo un sorso di.. Cos'è che stai bevendo?"
"Eheh, solo del sano, genuino e salutare bourbon. Sarà la seconda, o forse la terza fiaschetta della serata!"
"Ottimo esempio di rispetto della legge!"
Clawhauser abbozzò una risatina. "Fra animali di strada ci intendiamo, mi sembra. Su, saltate su, non abbiamo tutta la notte per agire!"
Ci volle poco per raggiungere la stazione di polizia. Clawhauser era riuscito a organizzare un incontro notturno con la iena nella prigione della centrale - probabilmente grazie al suo essere uno dei migliori agenti del distretto-. 
La stazione di notte aveva un che di decisamente poco attraente: le deboli luci dei lampioni lasciavano più spazio alle ombre, e dalle finestre e la cupola la luce emanata non sembrava la più rassicurante. A condire il tutto, una notte completamente buia, non una sola stella in cielo o la luna era presente. Cornice perfetta? La nebbia, seppur debole.
L'interno della centrale rifletteva perfettamente il suo esterno: senza un concerto di voci indistinguibili e un traffico interminabile di mammiferi, l'edificio sembrava così enorme, così vuoto. Tutto rimbombava in modo inquietante. Mi sembrava di essere stato catapultato in un vecchio film horror, o in un videogioco che avevo provato una volta, mi pare si chiamasse Five nights at qualcosa, non ricordo. 
Ad ogni passo, nonostante fossimo tutti a zampe nude, seguiva un suono ovattato che si disperdeva pesantemente nell'aria, dandoci l'impressione di essere seguiti. 
Stranamente, quando scendemmo le scale per raggiungere il "locale gabbia", come lo chiamavo io, ogni titubanza, ogni sega mentale svanì. Mi sentii più leggero, come se tutte le mie stupide idee/impressioni da ragazzino pauroso fossero state risucchiate dalla porta d'ingresso, come una qualche specie di portale. Percorremmo il corridoio tempestato di celle, almeno una dozzina, sei per lato, e nell'ultima, quella che, ironico, mi aveva ospitato più di una volta, la iena stava seduta sulla fredda branda di ferro. 
Aveva gli occhi completamente rossi, da sembrare un misto tra congiuntivite e chissà quale irritazione, tremava il naso, tremava l'intero corpo, come se la mano congelata del gelo in persona gli stesse accarezzando la pelle nuda e glabra. Era in tremenda astinenza. Biascicava, bofonchiava, emetteva versi apparentemente senza senso: chiamava a gran voce la sua sposa, la creatura della sua vita. La cocaina.
Clawhauser tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca interna del cappotto e con una di esse aprì la cella.
"A proposito" esordii io "Mi spiegheresti come hai ottenuto il permesso per questa visita notturna?"
"Semplice: non l'ho ottenuto!". La sua risposta lasciò sbigottiti me e Judy. Se ci fossimo trovati in un cartone animato, le nostre mascelle avrebbero toccato il pavimento.
"Ma-ma Clawhauser, questo vuol dire... Che noi stiamo trasgredendo!" esclamò indignata la Carotina.
"Oh, suvvia, Hopps! Sii un po' più sciolta, ogni tanto"
Devo ammetterlo, quel leopardo iniziò a piacermi, da quel momento.
La cella si aprì, io e Clawhauser entrammo, mentre Judy rimase fuori, battendo nervosamente la zampa. 
La chiacchierata sembrò durare un'eternità. Le nostre domande, la nostra curiosità, la nostra pazienza andata a puttane mentre lui continuava ad arrancare sillabe sconnesse e rivolte alla solita cosa.
Ci volle tempo, gli mostrammo la catenina -Clawhauser l'aveva "presa in prestito" prima di scendere le scale- ma finalmente riuscii ad ottenere quello che speravo, ma la verità mi sconvolse più di quanto avrei mai potuto credere: scoprimmo che la iena era l'ultimo membro di un gruppo mafioso di Piazza Sahara, quando io ero un cucciolo, alle dipendenze di Mr. Otterton, quando lui e Mr. Big ancora non collaboravano. Scoprimmo che furono proprio loro ad uccidere Gerart O'Rilla due giorni dopo la vittoria del titolo di campione del mondo. O'Rilla avrebbe dovuto perdere quel match, ma lui non sottostò agli ordini dei criminali, perchè i soldi gli servivano per qualcosa di importante, e non cedette alle minacce di morte. Le vide realizzarsi due giorni dopo.
La iena, per completare il quadro, si era portata via la catenina portafortuna di O'Rilla come souvenir. 
Mr. Otterton...
Per un attimo tornai cucciolo, lo stesso cucciolo che stava impalato davanti al televisore perchè innamorato del proprio eroe, e mi sentii schiacciato da un enorme muro di pietra, con tutti i calcinacci disposti quasi ordinatamente attorno a me.  
Clawhauser mi diede una pacca sulla spalla."Ehi? Tutto bene?"
Scostai la spalla per non sentirlo. Mi alzai e abbandonai la cella, percorsi i corridoi e lasciai la centrale, mentre nelle orecchie echeggiava il mio nome gridato a gran voce da Judy.
La piazza e i marciapiedi erano coperti di soffice bianco, aveva iniziato a nevicare da un pezzo, mentre noi eravamo dentro, ma, camminando, non sentii nè il freddo della neve nè il vento gelido che mi sbuffava contro. Ero diretto a passo sicuro e deciso verso la più vicina metropolitana; la presi e viaggiai verso Tundratown, seduto su un vecchio sedile mezzo rovinato di un vagone sporco e puzzolente, fortunatamente vuoto a quell'ora, ignorando tutti i messaggi e le chiamate di Judy. 
Uscito dalla metro, corsi a perdi fiato per non so quanti metri, per non so quanti isolati, per non so quale motivo, in mezzo ad una strada totalmente deserta illuminata dai lampioni. Fu solo quando mi ritrovai vicino il piccolo parco di Tundratown che mi fermai a riprendere fiato. Mi guardai attorno. 
"Ma che cosa stai facendo, razza di coglione?" borbottai. Era vero, cosa stavo facendo? Cosa speravo di ottenere una volta arrivato lì? Di andare a cercare Mr. Otterton, sparargli in fronte con una pistola e poi ritrovarmi il petto, lo stomaco e il cranio ridotti un colabrodo di proiettili solo per vendicare qualcuno che, si, era stato il mio eroe d'infanzia, ma che, di fatto, neanche conoscevo personalmente? 
Era una stronzata bella e buona, perfino per me! E poi non avevo nemmeno una pistola: le tasche della giacca erano vuote, e in quelle dei pantaloni avevo solo un cellulare vecchio di due anni e dieci dollari.
Mi ricordai che, poco lontano dal parco, c'era una tavola calda aperta tutta la notte. "Beh, visto che non ho nulla da fare, spendiamo questi dieci denari" bofonchiai. 
Ogni tanto, camminando, controllavo il cellulare: nessun'altra chiamata, nessun altro messaggio da parte sua. Forse ci aveva rinunciato, e magari Clawhauser l'aveva riaccompagnata a casa. Mi sarei sentito più tranquillo, ma conoscendo la sua testardaggine la immaginavo già setacciare tutta la sezione polare di Zootropolis pur di trovarmi, e l'idea mi fece sorridere non poco. Decisi di facilitarle le cose; le mandai un messaggio scrivendole dov'ero diretto. Era una poliziotta, dopotutto, conosceva tutte le strade, non avrebbe avuto difficoltà.
Nel frattempo, io raggiunsi la tavola calda, ancora aperta e con all'interno un paio di clienti. Mi sedetti in fondo, vicino alla finestra, lontano da tutti - era un sollievo poggiare il culo su qualcosa di morbido e, soprattutto, integro, al contrario della metropolitana!-.
"Ogni tanto ti ricordi di venire a trovarmi, sottospecie di volpe fantasma !" 
"Solo quando ho qualche soldo a disposizione"
"Mh, e sentiamo un po', di quanto disponi, stanotte?"
Le sventolai davanti gli occhi i dieci dollari "Guarda, sono ricco!"
Lei ridacchiò. "Beh, cinque dollari in più dell'altra volta" sottolineò sarcasticamente "Ti porto il solito?"
"Pochi mi conoscono come te, Lottie" risposi ammiccando. 
Lottie era una giovane volpe artica di sette anni più giovane di me, un po' problematica per via di vicende familiari non molto rosee, tradimenti a destra e manca da parte di entrambi i genitori, il patrigno in galera, la madre ridotta una prostituta, che per sfuggire alla realtà era andata in cerca di un qualsiasi lavoro notturno, e l'aveva trovato in quella tavola calda. Da un paio di anni a quella parte, andavo a trovarla ogni tanto, dato che conoscevo bene il suo datore di lavoro, e se aveva bisogno di confidarsi o di parlare io l'ascoltavo e la aiutavo come potevo. Seppur fisicamente un po' in carne, aveva un musetto davvero grazioso, due grandi occhi verdi e un ciuffo sbarazzino adorabile quanto l'orecchino che le pendeva dall'orecchio destro. Cinque minuti dopo mi portò il solito: una scodella di patatine fritte, una coca cola e una pila di pancake con sciroppo di mirtilli. Certo, che schifo di miscugli...
Guardai fuori. Judy stava tardando. Presi il cellulare per controllare, magari mi aveva scritto e io non avevo sentito la vibrazione. Niente di niente. 
Quando lasciai la tavola calda il cellulare squillò e il nome sullo schermo era proprio il suo.
"Ehi Carotina" risposi prontamente "Si può sapere che fine hai fatto? Ti ho scritto più di.... Sei tu, vero?"
"Avevo sentito dire che eri perspicace, ma non pensavo fossi anche così sveglio" 
Era una voce profonda, cavernosa, ma allo stesso tempo affaticata, intervallata da pesanti sospiri, come se a parlare fosse un vecchio.
"Senti, saltiamo i convenevoli e arriviamo direttamente alla parte in cui mi dici cosa vuoi e, fammi indovinare, cosa ne hai fatto di lei!"
"Hai ragione, ci abbiamo messo anche troppo, credo" - sarcasmo da rottura della quarta parete- "Ti ho visto camminare con aria trasognata vicino al parco. Un post carino, non trovi? Ci passavo molte giornate da cucciolo. Ti sto aspettando lì ! ". Riagganciò.
Corsi più velocemente che potevo, rischiando di far risalire e vomitare tutti i pancake che avevo ingurgitato, ma non avevo tempo per pensarci. Il parco distava due isolati dalla tavola calda, mi sembrò di percorrerli a malapena in neanche cinque minuti, scivolando e battendo il culo sull'asfalto almeno tre volte, ma finalmente raggiunsi il parco e mi poggiai contro il cancello per riprendere fiato. Non del tutto casualmente, sapendo cosa mi aspettava, il parco si presentò più lugubre della centrale di polizia. Varcai l'entrata, guardato a vista dai rami spogli degli alberi dai quali pendevano appuntiti cristalli di ghiaccio, mossi lievemente dal vento. L'unico rumore che un altro ipotetico essere vivente avrebbe potuto sentire era la neve calpestata da me, e il gracchiare di qualche uccellaccio del malaugurio. Venti metri dopo mi fermai. La mia testa era ridotta un unico calderone di pensieri e idee negative, nel petto il battito del cuore echeggiava fino alla punta della coda, stringevo i pugni rimpiangendo di non avere una fottuta pistola o qualsiasi altra arma per difendermi, pur non sapendo cosa diavolo mi sarebbe successo. 
"Eccomi, sono qui! Vieni fuori!". Perchè mai ho gridato così quando me la stavo facendo sotto?
Un tonfo scosse la terra dietro di me. Le zampe (gambe) iniziarono a tremare più delle mani, il battito cardiaco accelerò drasticamente. Ci mancava solo che iniziassi a sudare.. In inverno!
Era a una decina di metri da me, eppure sentivo il suo fiato sul collo come se mi stesse alitando addosso, e oscurato da una gigantesca ombra che non riuscivo a vedere per via del buio, ma la sentivo fin troppo bene.
"Cosa succede sempre a questo punto della storia?" 
"Il classico scontro tra buono e cattivo. E il buono è sempre alla ricerca disperata della sua amata"
"Già, ma a differenza dei grandi classici, stavolta non è detto che il buono possa farcela..."
Il Cacciapredatori scoppiò a ridere. "Mister Ottimismo!"
"Basta stronzate, adesso. Dimmi quello che voglio sapere: dov'è lei?" 
"E di lui non ti interessa?"
Gli avevo parlato dandogli le spalle per tutto il tempo, ma fu solo quando mi volsi per guardarlo muso a muso, in lontananza, nella sua imponente mole coperta dall'inquietante cappotto nero, coperto di neve e fradicio quanto la mia giacca, e la maschera a coprirgli la parte inferiore del muso. Chissà da quanto tempo mi stava aspettando... Fu allora che mi accorsi che, con il pugno destro, stringeva Clawhauser ridotto ormai un unico livido grondante sangue, che formava una pozza densa e scarlatta ai suoi piedi.
"Perchè tutto questo?" chiesi cercando di trattenere la rabbia e un ringhio sommesso. Il bestione lanciò Clawhauser verso di me, facendolo rotolare sulla neve. Riuscii a vederne il muso: era irriconoscibile, ma respirava ancora, debolmente. 
"S-sapevo che dovevo farmi... Gli affari miei con te" sussurrò debolmente Clawhauser con una vena di ironia.
"E allora perchè non te li sei fatti?" risposi io, abbozzando una risata dopo essermi inginocchiato verso di lui. 
"Eheh... Tu.. Tu riusciresti a dire di no a quegli occhi?"
Sorrisi malinconicamente. Aveva ragione. Chi mai riuscirebbe a resistere a quelle gemme?
Clawhauser posò una zampa sulla mia con fare supplichevole. "T-ti prego, Nick"
"Non sprecare il fiato, gattone ubriacone, o non riuscirai più a ingurgitare una sola ciambella"
"Sta zitto... Ti prego... T-trovala... Trovala, Nick..."
Rimasi in silenzio per qualche secondo. L'assassino che stava terrorizzando la città era davanti a me, immobile e troneggiante come una statua di marmo, pronto a saltarmi addosso per schiacciarmi sotto i propri pugni da un momento all'altro - in effetti mi meravigliai che non l'avesse fatto fin da subito-, eravamo soli, e l'unico che potesse darmi una mano era ridotto uno straccio, e per di più disarmato. Con un po' di fortuna avrei potuto afferrare la pistola e provare a beccarlo in mezzo agli occhi, ma se non ci fossi riuscito? Dio solo sapeva di quale assurda forza fisica era dotato. 
Senza me, il leopardo e Judy, non avrebbe più avuto ostacoli, avrebbe stretto la città nel pugno per chissà quanto tempo ancora. Non valeva la pena tentare un'azione offensiva o difensiva con lui. Non avrei mai potuto farcela.
No...!
Non posso permettere che finisca così, anche se dovesse massacrarmi e stritolarmi le ossa fino a ridurle un miserabile mucchio di polvere! 
Lo guardai dritto negli occhi con tutta la furia, la determinazione e la paura che avevo in corpo, e per tutta risposta, lui si abbassò la maschera, rivelando il proprio muso: il muso grigio di un gorilla dall'espressione immutabile, glaciale, con la pelliccia nera mossa dal vento incalzante. 
"Ho vagato nel buio per così tanto tempo, sono cresciuto vedendomi portare via tutto ciò che amavo. Finchè lei non è entrata nella mia miserevole vita, portandovi la luce che avevo sempre desiderato. Non posso farmi portare via anche lei!" 
Il gorilla assottigliò lo sguardo.
"Perciò, dannato mostro, dimmi una volta per tutte dov'è Judy!" 
 
 
" ......... Due giorni....."

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Capitolo 13
*** 12- Ridotto ad uno spettro che vaga senza pace... ***


12- Ridotto ad uno spettro che vaga senza pace ...
 
 
 
 
 
Fu solo alle undici del mattino che riuscii ad entrare in quella stanza. Lo spettacolo non era certo dei migliori, ma il suo protagonista, in fin dei conti, non era mai stato un bijoux; ma ora più che mai, in quel groviglio di bende, cerotti , fasciature, flebo con sacchetti di sangue, nemmeno una ciambella glassata al cioccolato gli si sarebbe avvicinata per saltargli in bocca. Tanto meno una bottiglia di gin.
Clawhauser sembrava addormentato, ma a quanto pare aveva percepito la mia presenza nella stanza. Non a caso, l'unico occhio disponibile lo ruotò verso di me, con un sorrisetto di complicità. 
"Sei ancora più inguardabile di quanto non fossi prima" commentai.
"Pensa che, con la dieta che mi faranno fare qui, riuscirò finalmente a togliere questa pancia" 
"Ah, quindi non la vuoi più la pancia?" chiesi poggiandovi leggermente una zampa sopra.
"Nah.." rispose lui "In realtà mi piace il grasso. E' più comodo di quanto sembri. Dovresti provare anche tu, sai?"
Abbozzai una risatina, ma i muscoli del mio muso erano troppo stanchi per sorridere appieno. "Sinceramente ho altro a cui pensare, in questo momento"
Clawhauser assunse un'aria cupa nello sguardo, una cupezza che si espanse nell'intera stanza. "Non sei ancora riuscito a trovarla?"
Una pausa. Abbassai le orecchie, scossi la testa. Sospirai, stringendo il pugno destro.
- Due giorni!-
"Sei riuscito almeno a chiudere occhio per un paio d'ore?"
"Non chiudo occhio da quando ti ho visto penzolante nel pugno di quel mostro"
Ed era vero. Dal mio incontro con quell'essere non avevo più dormito. Non ci sarei riuscito neanche volendolo. Un'intera notte passata a setacciare tutti i vicoli, tutte le strade, tutti i luoghi che conoscevo a Tundratown, contro un vento avverso e il tempo che, per sfregio, aveva tutta l'aria di correre più veloce allo scopo di divertirsi, di burlarsi di me.
Indossavo ancora la stessa giacca, non l'avevo cambiata neanche per sbaglio, e ora era completamente bagnata, gelida e gocciolava su tutto il pavimento.
Due giorni! continuava ad echeggiare la sua voce nella mia testa. 
Ne era passato uno, e ancora non avevo un merdoso straccio di indizio su cui basarmi.
Erano la mattina del secondo giorno quando andai a trovare Clawhauser, e sentivo che ogni minuto passato a parlare con lui erano secondi preziosi che se ne andavano. 
"In realtà..." dissi sedendomi "Non so più dove cazzo andare a sbattere, Claw. Ho girato tutta Tundratown, ogni posto che conoscevo, come le mie tasche, fino ad un'ora fa, e probabilmente ho anche un principio di raffreddore o polmonite, chi lo sa. Ma se non sono riuscito a trovarla fino ad ora..."
Due giorni... Ho fallito....
Gli occhi mi pesavano come macigni, gridavano a gran voce chiudici! chiudici!, non mi sentivo più le zampe, la testa pendeva in avanti. Se si fosse presentata l'occasione, sarei caduto a muso in avanti addormentato, e probabilmente non avrei sentito nemmeno la botta contro il pavimento; il sonno avrebbe "attutito la caduta".  
Clawhauser non tentò di distrarmi o tenermi sveglio. Voleva che dormissi per almeno qualche minuto, ma qualcosa, dal profondo, mi impedì di soddisfarlo, e riaprii gli occhi (con tutti gli sforzi del caso). 
Era passato un giorno, eppure mi sembrava di essere sveglio da una vita. Tutto attorno a me ruotava, le voci, i minimi suoni echeggiavano nelle mie orecchie fino a battere sul mio cervello come un tamburo. 
Dio, Judy, che cazzo mi hai combinato....
"Senti, Clawhauser, io... Io penso che riprenderò le ricerche... N-non ho tempo da perdere..."
"Nick, non fare lo sbaglio di fare tutto da solo, per favore" mi pregò "Sai che anche gli altri poliziotti di Zootropolis sono alla sua ricerca. Non puoi fare tutto da solo"
".... Sono abituato a fare tutto da solo da quando ero piccolo, Claw"
"Non siamo in un film... A fare l'eroe solitario, nella realtà, ci si rimette soltanto, Nick..."
Abbandonai la stanza.
 
 
 
 
 
 
 
"Lascia la bottiglia!" 
"Credo tu abbia bevuto abbastanza"
Battei violentemente la zampa sul bancone. "T'ho detto di lasciare la bottiglia!" 
L'ippopotamo mi guardò con una smorfia di disappunto, ma finchè gli davo i soldi ero libero di ordinare e bere quanto mi pareva.
Posò la bottiglia proprio davanti al mio muso con la stessa violenza con la quale io battei la zampa. 
"Ecco. Che ti vada di traverso!"
"Fottiti!"
Afferrai la bottiglia e mi ci attaccai come un beduino che non vedeva l'acqua dopo aver passato settimane nel deserto senza il minimo indispensabile. Me la scolai con noncuranza, avidamente, fregandomene delle gocce che colavano lungo la gola, la quale, nonostante i bicchieri precedenti, non aveva perso la sensazione di secchezza, come se ogni tentativo di idratarla fosse inutile. 
Così com'ero inutile io in quel momento, seduto al bancone di un misero bar ad ubriacarmi.
La testa mi cadde pesantemente sul bancone, la bava colava dalla mia bocca semi aperta, il frastuono che gli altri animali facevano mi rimbombava nelle orecchie, tutto nella mia testa ruotava, ruotava e ruotava in modo insopportabile. Sentii addirittura lo stomaco ribollirmi e tutta la robaccia dentro risalirmi lungo l'esofago. 
Avevo voglia di vomitare. Avevo voglia di ruttare. Avevo voglia di accasciarmi al suolo, spegnere il cervello e non svegliarmi mai più. 
Per un attimo non sentii più nulla.
" E' a questo che ti sei ridotto?"
Nessuna risposta da parte mia.
"Fortuna che non c'è uno specchio a portata di zampa: quella poltiglia che Nathaniel spaccia per birra ha un aspetto decisamente migliore del tuo!"
La testa era pesante, non riuscivo a fare il minimo movimento senza sentire un enorme peso in un unico punto della testa, che di sicuro non era il mio cervello. Premeva in modo insopportabile, ma riuscii a voltarmi dall'altra parte; mio padre era seduto al mio fianco, con la solita smorfia di disgusto stampata sul muso. Già, non era cambiato di una virgola.
Iniziai a ridacchiare, come fossi sull'orlo della fine. "Mi chiedo... Di tante visioni che potevo avere, perchè proprio tu vieni a rompermi le palle?"
"Se tu avessi davvero un paio di palle da rompere non ti rifugeresti in un posto ombroso come questo ad ingurgitare alcolici scadenti!"
"Chiudi il becco, bastardo!". Feci per colpirlo con un pugno, ma mi ritrovai a colpire un puma nerboruto e pieno di tatuaggi. 
"Che cazzo vuoi, volpe?"
"Che cazzo vuoi TU, gatto riempito di scarabocchi!"
SBAM, mi scaraventò a terra come un fantoccio riempito di paglia che si lascia andare ad un vento più forte di lui, e mi ritrovai ad assaggiare l'orribile - e per nulla igienico- sapore delle assi di legno vecchie quanto la stessa Zootropolis, tra le risate ignobili di tutti i presenti.
"Belle palle, Nicholas Wilde!"
Di nuovo quella voce insopportabilmente familiare, e lui era in piedi davanti a me, guardandomi come solo lui sapeva fare. 
"Sai perchè ti sei ridotto così? Perchè ti sei rammollito! Hai perso stupidamente la testa, e per chi? Per un coniglio. Un coniglio!"
Quanto avrei desiderato avere la sufficiente lucidità per strapparmi le orecchie e non sentire più niente.
"E guarda cosa ti ha portato, ti sei lasciato coinvolgere in una storia con la quale tu non avevi niente a che fare. E dimmi un po': ne è valsa la pena?"
Si era chinato verso di me. Ora potevo guardarlo dritto negli occhi, come mai avevo fatto in vita mia, e reggere quello sguardo accusatorio che sembrava non conoscere altre parole se non disprezzo, vergogna e pena. Ma forse, in un certo senso, poteva non avere torto. Insomma, cosa ci facevo io in mezzo a tutto quel casino? Il Cacciapredatori non mi aveva - ancora- infastidito, non avevo nemmeno idea della sua esistenza fino a mezzo anno fa, e tutto ad un tratto avevo visto la mia vita cambiare, scossa da eventi ai quali io non avevo mai voluto partecipare. 
Ma allora perchè? Perchè non avevo ancora abbandonato tutto e non ero tornato alla mia tranquilla e monotona vita di tutti i giorni? Quei giorni sembravano così lontani, ormai... Solo un vago ricordo di una vita passata chissà quanto tempo fa.
Conoscere Judy fu come essere colpito da un uragano, un uragano che aveva spazzato via tutto ciò che caratterizzava la mia vecchia vita. 
E, una volta riacquistata la giusta lucidità, non potei fare altro che essere eternamente grato a quel piccolo e grigio uragano per aver sconvolto la mia esistenza.
"Sai, per la prima volta, in vita mia, devo ringraziarti!"
"Per cosa?" 
"Sai, mi è tornato in mente quando tu, anni fa, abbandonasti me e la mamma per sempre. E ripensandoci ora, quel tuo gesto è stato il mio primo contatto con la vera codardia!"
Mio padre inarcò un sopracciglio e drizzò le orecchie.
"E se tu non avessi agito così quel giorno, se tu non mi avessi dato quella dimostrazione, probabilmente ora non riuscirei a guardarti negli occhi! Lo ammetto, ho avuto un momento di debolezza, ma sai qual'è la differenza tra me e te? Che mentre tu hai ceduto al tuo momento di debolezza, io mi sono appena rialzato!"
La figura di mio padre iniziò a sbiadire. "E al contrario di te, io non mollerò!"
"Bene, e allora, se non ti dispiace, alza i tacchi e sparisci!"
Quelle parole le pronunciò un lupo. Non chiedetemi come ci finii davanti, non me lo ricorderò mai. Posso solo dirvi che, tempo zero, mi afferrò e mi "scortò" fuori dal locale, lanciandomi in una gigantesca pozzanghera sul marciapiede. 
Ma non me la presi. Non imprecai e nè lo minacciai di spaccargli il muso. Semplicemente iniziai a ridere. Ridere di cuore, ridere di una strana gioia, mentre proiettili di acqua bersagliavano il mio corpo.
 
 
 
 
"Co-come sarebbe a dire due giorni? Cosa significa?"
Il bestione si avvicinò lentamente. Ad ogni pugno posato sul suolo innevato, una nuova crepa si formava. Se solo lo avesse voluto sarebbe stato capace di frantumare tutto in meno di due secondi. Ogni cosa in lui, dalla stazza all'abbigliamento che nascondeva le proprie fattezze trasudava una potenza spaventosa racchiusa in un enorme guscio, dal quale tentava di venir fuori, e un'aura più oscura delle più oscure profondità marine. 
Le zampe mi tremavano per la paura, ma cercai di mantenere i nervi saldi e di controllarmi, o mi sarei ritrovato a correre a zampe levate preso da un improvviso impeto, nel disperato, e sicuramente vano, tentativo di sfuggirgli e nascondermi. 
E nel frattempo, non una singola parola usciva dalla sua dannata bocca di gorilla.
"Rispondimi, maledetto!"
"Significa che hai due giorni di tempo per trovare l'agente Hopps. Considerala una specie di sfida"
"Una sfida? UNA SFIDA?" 
Mi sento uno sciocco a dirlo, perchè fu molto più che sciocco quello che feci, ma diciamoci la verità, chi di noi non fa cose sciocche, oltre che inutili, quando sente la rabbia ribollire nelle vene e salire fino a farti scoppiare il cervello?
Corsi verso di lui urlando a squarciagola pronto a prenderlo a pugni, ma egli, per tutta risposta, com'era logico pensare, mi afferrò per la gola e mi sollevò, stringendo fino a farmi diventare il muso di tutti i colori per la mancanza di fiato, finchè non fui più in grado di dimenarmi. 
Solo a quel punto aprì il pugno e mi lasciò cadere sulla neve.
"Non tentare azioni inutili contro di me! Ricordi come finì il nipote del sindaco quando ci provò? Non fare sciocchezze, dato che ci tieni a lei"
Poi fece per andarsene, lasciandomi lì. "Nel caso non dovessi riuscirci... Beh, ti "aiuterò" io!"
 
 
 
La pioggia aveva degnamente sostituito la neve a Tundratown, dall'entrata al vicolo più nascosto della città. Setacciai ogni posto, ogni parte di ogni vicolo o spazio aperto che non avessi già controllato il giorno prima, ma in me la speranza si riduceva sempre di più. Non un singolo indizio che potesse suggerirmi o farmi scoprire, che so, un passaggio segreto o l'ubicazione del nascondiglio di quel mostro. Ma ero certo che si trovasse a Tundratown. 
Tutti gli omicidi erano avvenuti in punti della città non troppo distanti da Tundratown, o comunque zone che permettevano di tornare lì nel minor tempo possibile. E un assassino non si allontana mai troppo dalla propria tana. Ma di dove fosse quella tana non ne avevo la minima idea.
E alle otto di sera, con la pioggia che non accennava minimamente a cessare e col pelo e gli abiti completamente zuppi, ero seduto al centro di un deposito di rottami abbandonato a fissare il cielo, con lampi di luce bianca che illuminavano le nuvole mentre il loro ruggito si disperdeva nell'aria. Avevo fallito, ormai era certo. 
Un'ora dopo mi ritrovavo a vagare per strade che nulla avevano di familiare, ciondolante e dallo sguardo assente, ridotto ad uno spettro che vaga senza pace, in cerca di qualcosa della quale non ha più memoria. Avevo iniziato a tossire pesantemente da un pezzo e la fronte scottava. Lo scenario davanti a me dondolava a destra e a sinistra, senza un senso logico. Se avessi tirato fuori un termometro mi sarebbe scoppiato non appena avesse provato il calore della mia ascella. 
Non riuscii nemmeno a riconoscere in quale parte della città mi trovavo, riconobbi solo una stretta e buia via, due grandi muri di mattoni ai lati e una porta su un paio di scalini e una piccola copertura. La via era piena di cianfrusaglie e robacce varie, impossibile catalogare ogni singolo elemento nelle condizioni in cui versavo, ricordavano assi di legno e tubi abbandonati o qualcosa del genere. Decisi di sedermi su quegli scalini e ripararmi dalla pioggia - per quanto fosse inutile, dato che ero talmente fradicio da sembrare un ammasso di acqua dalla forma di una volpe- e aspettare che spiovesse. 
Non so quando precisamente, ma persi conoscenza. Forse nel momento stesso in cui vidi una gigantesca ombra indistinta avvicinarsi a me.
 
Il fastidioso picchiettio di gocce cadute sulla fronte mi riportò lentamente alla realtà. 
Cristo se era fastidioso! Avevo letto che questa, una volta, era una tortura praticata millenni fa, anche se non avevo ben capito come delle gocce sulla fronte potessero costituire una tortura. 
Aprii gli occhi, lentamente, come se avessi paura di ciò che avrei visto di lì a poco. Inutile negarlo, avevo davvero paura. Avevo paura fin dall'inizio di tutta questa faccenda. Qualcosa, dentro di me, urlava di tenere gli occhi chiusi, di non assistere a ciò che mi sarebbe accaduto. Il mio solo olfatto bastò a farmi intuire che il nauseabondo tanfo che mi circondava e il bagnato melmoso che toccava il mio corpo non appartenevano certo ad una discoteca o un night club. A meno che gli abitanti delle fogne non ne avessero aperto uno all'oscuro di noi della superficie. 
Eppure riuscii a percepire qualcosa di bello in quell'ammasso di miasmi degni del carcere più degradato di tutto il Creato: qualcosa di morbido e di caldo mi accarezzava dolcemente, mi stringeva a se, vidi due luccichii viola splendere come pietre preziose - lo so, sembrerò banale, ma questo erano per me i suoi occhi, due gemme, due pietre preziose- e un suono delicato, come quello di un violino, alternato a qualche piccolo ma tenero singhiozzo. 
Non potevo crederci. Forse era il delirio della febbre, non potevo ritrovarmi davvero tra le sue zampe, sentire le sue carezze e il mio nome sussurrato con amore. Al novanta per cento doveva trattarsi di un delirio. 
Con la mia fortuna, quante probabilità c'erano che quel dieci per cento corrispondesse a realtà?
Eppure... Avrei dato qualunque cosa perchè quel delirio non finisse mai.
" E' la febbre migliore nella quale potessi incappare, Carotina"
Lei abbozzò un sorrisetto tra le lacrime. "Come fai a trovare sempre il tempo per scherzare, Nick?"
" E' l'unico modo che conosco per rendere la realtà meno orribile, Carotina..."
Lei avvolse le zampe attorno al mio muso, mi baciò la fronte e posò una guancia contro di essa. "Sei bollente, Nick..."
"Prenditela con la pioggia, Judy... Non è riuscita a persuadermi dal cercarti ininterrottamente"
"Razza di volpe ottusa!"
Iniziò a baciarmi senza sosta, a piangere, a stringermi, fino a farmi soffocare.
"Vuoi spedirmi all'altro mondo prima del tempo, Carotina?"
"Ma smettila, sciocco" singhiozzando "Come? Come ti è venuto in mente di beccarti una simile febbre, Nick?"
"C'è bisogno di chiedermelo? Perchè altrimenti, nella mia vita, non ci sarebbe più un raggio di luce..."
"Non dire sciocchezze, ti prego... Sii serio per una volta"
"Non avrei fatto certe pazzie se non fossi serio, coniglietta ottusa... Tu sei tutto ciò che io avrei voluto essere: coraggiosa, forte, intraprendente, generosa... Impulsiva.. Tutto ciò che io non sono - impulsività esclusa, ovviamente-."
Strofinai il muso contro il suo ventre, avvolgendole la vita con le mie zampe. Mi sentivo al sicuro, protetto, tranquillo.
"Persino ora, che non ho la minima idea di dove ci troviamo e di cosa sia la roba bagnata sotto le mie zampe, mi basta guardarti per sentirmi tutt'altro che disperato. Con te riesco a sentirmi... Felice.."
 Ci baciammo. Non riuscimmo a resistere, ci lasciammo andare, e per un attimo mandammo al diavolo tutto il resto. 
Solo quando riuscimmo a riprendere il controllo di noi stessi mi venne in mente di chiederle dove ci trovassimo. Lei rispose che non ne aveva idea; era una stanza scarsamente illuminata, i muri consumati e pieni di crepe dai quali si staccavano le mattonelle, qualche catena penzolava dal soffitto tra i condotti, alcuni dei quali spezzati a metà e gocciolanti acqua verdognola. Davanti a noi, tavole di legno e altra roba di metallo poggiata contro la parete. Un'unica porta in tutta la stanza.
"Se solo avessimo le caviglie incatenate saremmo i protagonisti di un vecchio film..."
Con fatica, riuscii a rialzarmi e reggermi in piedi, aiutato da Judy, e la mia attenzione fu catturata da qualcosa che non avevo notato subito: nell'angolo alla nostra sinistra, un blando giaciglio composto da due vecchi materassi e un ammasso di coperte, e poco distante un tavolo con i resti di ciò che sembrava un pasto consumato. Le pareti, invece, era tempestato di ritagli di giornale e vecchie fotografie su Gerart O'Rilla, da quelle ritraenti le sue vittorie a quelle più "quotidiane". 
"Cazzo" commentai  " O'Rilla si sta divertendo a perseguitarmi anche da morto!"
Esaminai attentamente le ultime foto, quelle più vicine al giaciglio: alcune mostravano O'Rilla da piccolo, in compagnia di molti altri cuccioli, altre lo vedevano in compagnia di un altro gorilla, più grosso di lui però.
"Potrebbe essere suo padre?" disse Judy.
"No, è impossibile: O'Rilla era orfano dall'età di tre anni, e qui, ad occhio e croce, ne aveva almeno cinque. Eppure... C'è un dettaglio su di lui che mi sfugge, ma cazzo, non riesco a..." 
D'un tratto un terribile mal di testa mi assalì. Judy posò una zampa sulla mai fronte, sottolineando quanto scottassi, ma io le risposi che non avevamo tempo di pensare a questo, che non era la prima febbre della mia vita. E poi, era solo febbre, nulla di letale. Judy mi guardò storto. Sapeva che stavo deliberatamente ignorando la situazione, ma da una parte sembrò concordare, seppur controvoglia, che non c'era tempo da perdere. 
"Tanto per sapere... Hai provato a contattare qualcuno, Carotina?"
"N-non ho potuto... Quando mi ha portato qui mi ha preso il cinturone e ha distrutto tutto ciò che avevo. Compresa la pistola..."
"Beh, di bene in meglio..."
Iniziai a tastare le mie tasche, pantaloni e giacca. Con un po' di fortuna avrei tirato fuori il mio cellulare e saremmo riusciti a chiamare aiuto. 
Tasche dei pantaloni: niente.
Tasche esterne della giacca: niente.
Tasca interna della giacca: Bingo!
"Tsk... Ci mancava la fregatura: non c'è campo!"
"Nick guarda!" esclamò ad un tratto Judy indicando una delle foto. 
Mi avvicinai e la osservai. 
"Guarda cosa indossa l'altro gorilla in questa foto"
Era la collana di Gerart. La stessa collana per la quale io, Judy e Clawhauser, tre notti prima, rischiammo di essere sorpresi alla centrale di polizia fuori orario. Era la stessa collana.
"C'è qualcosa che non quadra, però" dissi. Nonostante il mal di testa, le idee e i pensieri si fecero piano piano più nitidi, e mi ricordai di una cosa importante: 
"Gerart non ha mai permesso a nessun altro di indossare la propria collana... Tranne a suo..."
 
 
Fratello.

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Capitolo 14
*** 13- Sai qual'è la cosa più spaventosa? Non sapere qual'è il tuo posto nel mondo... ***


13- Sai qual'è la cosa più spaventosa? Non sapere qual'è il tuo posto nel mondo...
 
 
 
 
 
Zootropolis, molti anni prima
 
"Lo so" pensò "Stanno per venire a prendermi" 
L'intera sala ruotava vorticosamente come una trottola, le forme si mescolavano tra di loro, non un singolo dettaglio si poteva distinguere, non un libro, non un pezzo di tenda, non una banalissima mattonella. Eppure non aveva bevuto, anche perchè, nel caso, non sarebbe successo niente comunque, aveva un'alta sopportazione dell'alcool.  
Erano due giorni, due giorni di fila, dalla serata più importante della sua vita, il cui ricordo troneggiava sul camino in marmo bianco e lucente che illuminava e riscaldava la sala, che non chiudeva occhio. Le mani gli tremavano, afferravano i braccioli della poltrona conficcandovisi le unghie nere fino a farle sanguinare, le perle di sudore solcavano le rughe della pelle grigia della fronte come se le disegnassero. Cosa gli stava succedendo? Lui, un pugile, il campione del mondo, un gorilla, una delle bestie la cui forza fisica permetteva di infrangere una barriera di vetro con un semplice salto, sfruttando la giusta forza ed elevazione, anche con i soli piedi. 
Sapeva bene il perchè; era andato contro i loro voleri. Gli avevano ordinato di perdere quel match, lui era il più forte, il suo avversario non valeva la cagata di un piccione in confronto a lui, ma i loro interessi implicavano che lui, quella fatidica sera, avrebbe dovuto finire al tappeto. Invece non solo aveva vinto, ma aveva anche spaccato il corno dell'avversario, infliggendogli un doppio danno, sul piano sia fisico che morale. E ora, sebbene avesse un ricordo indelebile di quel momento, sapeva bene che presto avrebbe dovuto affrontare il suo destino. Aveva speso le ultime 48 ore cercando un modo per sfuggire, lontano da Zootropolis e ricominciare una nuova vita. Ma, anche fosse, quanto sarebbe riuscito a durare? Quei tipi, senza dubbio, lo avrebbero rintracciato senza far passare troppo tempo. Mr. Big non perdonava, e lo sapeva bene, dal giorno in cui aveva chiesto il suo aiuto.
I pensieri, le preoccupazioni, in ogni caso, non erano tanto rivolte a se stesso, quanto più a lui. Era per lui che aveva chiesto l'aiuto del criminale più potente del regno animale, perchè tutto ciò che il pugilato gli fruttava non bastava a coprire ciò che serviva per quella dannata malattia. E, nel caso non fosse stato possibile portarlo con se, cosa avrebbe dovuto fare? Abbandonarlo per sempre? Suo fratello? Mai, pensava. 
Quando, preciso come una campana solitaria che rende omaggio al caduto, sentì lo stridio dei pneumatici arrestarsi, delle portiere aprirsi e i pesanti passi avvicinarsi sempre più alla porta. 
Si toccò la collanina un ultima volta, gli occhi chiusi, il pensiero a suo fratello, l'unica creatura rimastagli, l'ultima traccia della sua famiglia, la creatura per la quale aveva sacrificato tutto.
La porta implose, i pezzi e le schegge si sparsero a casaccio sul pavimento, gli esecutori invasero la casa. Un piccolo gruppo di bestie provenienti da Piazza Sahara, tre coyote, due sciacalli e una iena. Non erano enormi, non erano mastodontici, eppure tutti sapevano che ogni membro della "famiglia" di Mr. Big non era scelto a caso. Come i due orsi polari che li accompagnavano.
" Pensavo che Otterton sarebbe venuto di persona" disse lui, faticando nel mantenere salda la voce.
" E' in macchina" rispose uno degli orsi " Non ama sporcarsi le zampe!"
O'Rilla abbozzò un sorriso. " Spero che almeno il mio sangue imbratterà i sedili della sua auto!"
Le ultime parole di Gerart O'Rilla, campione del mondo dei pesi massimi di Zootropolis, il gorilla dalla forza dirompente, l'Indistruttibile, prima di gettarsi a capofitto in un conflitto dal quale non sarebbe mai potuto uscire vincitore. Avrebbe sferrato un pugno e avrebbe colpito in pieno i musi di quei criminali, ma quale sarebbe stata la loro risposta? Incassarono i colpi, ma risposero prontamente con delle mazze di ferro premute con violenza contro il suo cranio, una volta, due, tre, fino a ritrovarsi con la testa sfondata senza che ne avesse la consapevolezza, tutto in un lasso di tempo che sembrava a malapena una frazione di secondo. 
Accadde tutto così in fretta...
Il suo corpo fu trovato il mattino seguente, abbandonato sotto il lavandino. Lo avevano sistemato accuratamente lì, come un pupazzo che riposa contro il muro, su una mensola, e, ciliegina sulla torta, il suo stomaco era aperto, il sangue era colato abbondantemente come un fiume straripante e le viscere erano state tirate fuori e ammucchiate sul pavimento. 
Lo stato della casa, non ne parliamo...
Di suo fratello? Nessuna traccia...
 
 
 
 
 
Zootropolis, oggi
 
Sentii tutto il peso del mio corpo cadere in avanti. Poggiai la testa contro il gelido muro, accompagnandomi con una zampa, mentre Judy tentava di sorreggermi.
" Nick, per favore" disse " Devi riposarti. Tanto non abbiamo altra scelta. Siamo chiusi in una stanza con un'unica porta che, scommetto, è bloccata da fuori, e tu scotti tremendamente"
" E non ci aggiungi il freddo che fa, Carotina? Anche se fosse, il pelo mi fa da isolante, lo sai. Nonostante gli abiti..."
" Non m'importa, Nick! Anche se tu fossi una stufa ambulante ti proibisco di sforzarti! Non sei un supereroe, Nick!"
La guardai in silenzio. Faticava a trattenere le lacrime, e i suoi occhi mi supplicavano, come se vedessero il bruciore che mi attanagliava incessantemente la fronte. Il cervello era sul punto di scoppiarmi.
Senza aggiungere altro mi lasciai scivolare lungo il muro fino a sedermi sul pavimento. Judy abbassò le orecchie con un sorriso di gratitudine, poi si sedette a fianco a me, premette la testa contro il mio petto. Senza rendercene conto, ci addormentammo.
 
- Ehi, Carotina, sai che giorno è?- 
- No., Nick...-
- E' l'ultimo giorno dell'anno. Tra qualche ora cominceranno a rompere le scatole sparando interminabili fuochi d'artificio. ahah-
- Già, non ho mai potuto sopportare quel chiasso assordante!-
- E, invece, passare l'ultimo giorno dell'anno in una specie di cripta gelida e fetida invece che in una stanza enorme, piena di cibo e gente che fa casino?-
- A me basta essere insieme  te, Nick...-
- Già... Questo sarà anche il primo di tanti giorni che ti toccherà passare insieme a me, povera coniglietta-
- Cos'è, hai tirato fuori un po' di positività?- 
- Forse era solo sopita... Forse c'era bisogno di qualcuno che... La risvegliasse-
 
Aprii gli occhi più o meno mezz'ora dopo, o forse un'ora dopo, non lo so. Il bruciore si era temporaneamente placato, finalmente potevo girare la testa senza sentire pressioni dall'interno. Judy, invece, dormiva ancora, come fosse caduta in letargo. Aveva un'aria così serena...; mi alzai il più lentamente possibile, riuscendo a non svegliarla e adagiarla sulla mia giacca, lasciata a terra. Poi mi diressi alla porta, afferrai la maniglia e la smossi. Niente. 
Provai con più forza, provai anche a darci spallate, ma niente, non si smosse di mezzo centimetro. Judy aveva ragione, era bloccata dall'esterno. 
"Perfetto. E la stanza non presenta la minima traccia di un qualche fottuto passaggio o roba simile!"
Clank!
Uno scatto, qualcosa cadde a terra e la porta si aprì, e un debole ma nitido spiffero d'aria fredda mi invitò ad uscire.
Per qualche istante rimasi immobile davanti a quella porta. Cosa mi avrebbe aspettato una volta fuori? Chi avrei dovuto affrontare? Cosa avrei dovuto affrontare? 
Guardai Carotina un'ultima volta. Avrei voluto continuare a bearmi di quella sua dolce espressione così rilassata, con la stessa tranquillità che trasmetteva a me. Chissà se riuscirò a provarla di nuovo..
Pensai di prenderla in braccio e portarla fuori dalla stanza, con un po' di fortuna... Nah, troppi trip mentali!
Decisi. Andai incontro a ciò che mi aspettava, e se la fortuna si fosse decisa ad assistermi, sarei tornato indietro e l'avrei portata via.
Varcata la soia, si presentò l'ennesimo muro davanti a me. L'unico elemento degno di nota era una rampa di scale alla mia destra, immerse nella totale oscurità, come il resto dell'ambiente. L'uscita doveva per forza trovarsi in cima alle scale. Salii i gradini con cautela, con le orecchie dritte e pronte a captare qualsiasi suono o rumore. Cercai di mantenere la mente lucida e libera da ogni pensiero su cosa potesse aspettarmi, eliminando le più macabre e probabili possibilità. Non volevo morire. Non dovevo morire. Non poteva essere arrivata la mia ora. Non potevo permettere ad una stupidissima febbre di annebbiarmi il cervello in tutti i modi possibili. 
Fanculo! Fanculo, fanculo, fanculo, fanculo! continuavo a bofonchiare, mi aiutava a non pensare. 
Finalmente raggiunsi una porta in cima a quelle scale, una porta semi aperta, tenuta da un blocco di cemento. Era da lì che entrava il vento. 
Una volta aperta la porta, un gelo indescrivibile si scatenò davanti ai miei occhi; le forme erano opache, a malapena distinguibili, come cancellate da una gigantesca gomma. Niente palazzi, niente luci di lampioni, niente che potesse aiutarmi a capire in quale diavolo di zona mi trovassi. Solo dopo riuscii a distinguere mucchi di travi in ferro, in legno, mattoni e vari attrezzi da lavoro, e ad ogni angolo quattro enormi pilastri che circondavano il tutto con una recinzione di alte barre di ferro. Una rampa di scale portava ai piani superiori. 
Era un cantiere, ma non sapevo quale, poichè a Tundratown ce n'era più di uno, e la neve mi rendeva difficile individuare il posto. Quand'ecco che in cima alle scale, mezzo nascosto dal muro, intravidi la sagoma, ben familiare, di quel maledetto. Immobile, in tutta la sua possanza, con quel nero soprabito governato dal vento come il tenebroso mantello di un vampiro. Mi stava invitando a seguirlo. Deglutii e mi feci coraggio, ma appena poggiai la zampa sul primo gradino sentii la fronte ribollire.
" No,cazzo, non adesso!". Febbre del cazzo! " Proprio ora devi rompere?!"
Beh, che altro potevo fare? Salii fino a raggiungere il primo piano; esso non si presentava tanto diverso dal piano terra, eccetto per la presenza di mura e finestre, ma il pavimento era comunque lastricato di attrezzi e teloni. Il gorilla mi dava le spalle, intento a scrutare un orizzonte che, probabilmente, solo lui riusciva a vedere. Piombò il silenzio. Tra noi due la bufera quasi si placò. Eravamo forse giunti alla resa dei conti? L'unico conto che avrei visto sarebbe stato quello dell'ospedale, nel caso fossi sopravvissuto!
Visto che non si decideva a parlare, fui io il primo a rompere il silenzio. " Beh? Quanto hai intenzione di farmela sudare la fine?"
Si volse, mi guardò con quegli occhi d'acciaio, lucenti e affilati come lame pronte a perforare ogni centimetro del mio petto. Accompagnati da quei profondi respiri, apparivano ancora più terrificanti. 
" Perchè ti sei immischiato in questa storia, volpe?"
Assottigliai lo sguardo nel sentirmi chiamare volpe. " Cosa ti cambierebbe saperlo?" gli chiesi.
" Mi aiuterebbe a decidere se ucciderti o no"
Ridacchiai. " Che la mia risposta ti soddisfi o meno, non cambierebbe nulla. Anche perchè credo di essermi fatto una mezza idea su di te..." andai a sedermi su una trave al centro del piano " Correggimi se sbaglio: non conosco il nome, ma il cognome scommetto che è... O'Rilla!"
Il gorilla battè le nocche sul pavimento protraendosi verso di me. La bufera si infuriò ancora di più, e udii un sommesso ma potente ruggito nell'aria.
" Come l'hai scoperto?"
" L'ho intuito dalle foto che io e Judy abbiamo visto in quella specie di cantina. Io.. Ero un grande fan di Gerart, da cucciolo, seguivo tutti i suoi incontri, e più di una volta l'ho visto indossare questa" dissi tirando fuori dalla tasca la catenina " La stessa che si vede in quelle foto. Inoltre, sapevo che Gerart non permetteva a nessuno di indossarla, a parte, forse, a un membro della sua famiglia. E sapevo che aveva un fratello. Anche se non credevo un fratello maggiore, grosso così, poi..."
" Dovresti fare lo sbirro, sai?"
" Era il mio sogno da cucciolo, in effetti. Ma non credo potrò realizzarlo più, dato che so praticamente tutto e tu ti stai preparando a cancellarmi dall'elenco telefonico di Zootropolis. Ci sono solo due cose che vorrei sapere, prima di morire"
" Ovvero?" chiese lui girandomi attorno nello stesso modo in cui un predatore osserva la preda, preparandosi a saltarle addosso per sbranarla. Ironico che la preda, in quel momento, fosse proprio un predatore.
" Ho saputo chi ha ucciso Gerart, ma vorrei sapere: cosa c'entravano Howlingstone e il nipote del sindaco? Non mi pare che loro fossero implicati con il gruppo che ha ucciso tuo fratello. E seconda domanda: come hai fatto a diventare così grosso?"
Il gorilla si sedette sull'altro capo della trave. Preda e predatore, assassino e vittima spalla contro spalla, a parlarci, a confidarci come due vecchi amici, sulle teste degli abitanti di Tundratown, i quali nemmeno immaginavano cosa stava succedendo su di loro, mentre si preparavano a festeggiare l'ultimo giorno dell'anno.
" Se proprio ci tieni a saperlo mi chiamo Maximillian, e se ho questo aspetto.. E' colpa di una condizione fisica che si burla di me da quando ero cucciolo. Chiamala condizione, chiamala malattia, come cazzo ti pare, so solo che è da allora che vedo il mio corpo trasformarsi; i muscoli si ingrossavano man mano che crescevo, e gli sforzi ai quali ero sottoposto aumentavano con essi. Le cure, le visite mediche costavano così tanto che mandai i nostri genitori sul lastrico. E non riuscivo ad aiutarli. Gerart aveva tre anni quando i nostri genitori morirono... Io ne avevo sette"
Continuai ad ascoltare in silenzio.
" Non facevano che sfotterci di continuo all'orfanotrofio, ci consideravano dei poveracci, dei rifiuti. E io, beh, oltre che rifiuto cosa potevo essere se non un mostro?"
" Non credere che io sia stato trattato meglio, caro" lo interruppi " Sarò pure alto solo un metro e ottanta ma non sono certo nato con la camicia. Il giorno in cui nacqui, mio padre non venne nemmeno ad assistere..."
Di nuovo il silenzio tra di noi. 
" Certo che siamo proprio forti, Max" dissi " Sembriamo i protagonisti di un film drammatico , due poveri coglioni con cui la vita non aveva altro da fare che divertirsi. Come fa la vita a scegliere chi tormentare, secondo te? Accuratamente o va a casaccio?"
" Sai qual'è la cosa più spaventosa, volpe?" mi chiese. 
" .... Non sapere qual'è il tuo posto nel mondo"
Maximillian sospirò profondamente. " Dopo aver scoperto chi fece fuori mio fratello, lo vendicai. Mi vendicai anche di quelli che mi avevano snobbato da piccolo, e Howlingstone faceva parte di quella cerchia. Per Leocas, invece... Non lo so. Penso dipenda dal fatto che ormai ci avevo preso così tanto la zampa che non mi fermai più"
Nell'ascoltare il suo racconto, avevo in mente solo il musetto di Judy. Il suo musetto sorridente, con quegli occhioni spalancati e luminosi come stelle. Forse, con lei, avevo trovato il mio posto nel mondo...
" Se mi permetti una terza domanda, Max: mi ucciderai subito o mi lascerai il tempo di cercare un minimo di nascondiglio?" 
" Fai come credi" sussurrò lui " Se riesci a trovare un nascondiglio tra otto piani..."
Senza pronunciare altro mi alzai, mi diressi verso le scale e salii, salii senza fermarmi, con la testa che continuava a ballonzolare. Arrivai al quinto piano. Mi guardai attorno, mi nascosi dietro una pila di grossi tubi e attesi. Guardai oltre il balcone e per un attimo mi balenò l'assurda idea di buttarmi; avrei risparmiato la fatica al Cacciapredatori e l'avrei fatta finita buttandomi sulle barre che delimitavano l'area. Fine per fine... 
Ma falla finita, Wilde!
Quanto durò quel silenzio? Il tempo necessario ad un gorilla per arrampicarsi e raggiungere il piano dondolandosi tra un'impalcatura e l'altra e sorprendermi alle spalle.
" A nascondino sei pessimo!".
Ma nella corsa non mi batteva nessuno. Almeno prima. Le mie zampe non erano mai state afferrate prima d'ora con l'intenzione di scaraventarmi contro l'impalcatura. Con non so quale fortuna riuscii ad aggrapparmi ad essa invece di cadere, ma avvertii la tremenda sensazione del vuoto sotto di me. Egli si avvicinò furiosamente, ma con lo scatto degno di un ghepardo balzai verso destra, in cerca di qualunque cosa potesse rivelarsi utile come arma. La prima cosa che afferrai, un mattone, lo lanciai meccanicamente contro il suo muso, beccandolo sul naso. Indietreggiò leggermente con la mano sul muso per trattenere il sangue, mentre io mi precipitai ad afferrare qualcos'altro da spaccargli in testa, qualsiasi cosa, mi sarei accontentato persino di un martello. 
Non feci in tempo: mi afferrò per la gola e mi schiacciò contro il muro, spezzando in meno di mezzo secondo qualsiasi mio tentativo di respirare o reagire. Cos'avrei potuto fare contro un simile colosso, in fondo? Prima o poi mi avrebbe schiacciato comunque. Le forze mi abbandonarono lentamente, le zampe oscillavano come gli arti di uno spaventapasseri riempito di paglia e mossi dal vento, tutto cominciò a farsi scuro e silenzioso. La mia vita scivolò lungo il mio corpo come gocce di pioggia miste a lacrime. Il mio più grande rimpianto in quel momento? Non aver potuto dire apertamente a Judy cosa provavo davvero per lei. 
Era questione di secondi, ormai. Nella mia mente risuonava debolmente un addio, Carotina.. Mio amor.."
I pensieri si dispersero come uno stormo di uccelli spaventati da uno sparo. Il mio corpo piombò sul polveroso pavimento, il cuore riprese a rimbombarmi in petto, il fiato mi usciva prepotentemente dalla gola con la peggior tosse dei miei 32 anni. 
Mi voltai verso il colosso e lo vidi ruggire e reggersi la testa, dalla quale colava molto sangue. Dietro di lui c'era lei, Judy, con una grossa spranga di metallo in mano grondante sangue. Doveva averlo colpito proprio per bene per averlo fatto sanguinare così copiosamente. 
" Scappa, Judy!" le urlai con ogni singolo frammento di ossigeno rimastomi, ma lei, ovviamente, non volle darmi retta. Il gorilla la puntò, e anche se non riuscii a vederli, percepii la furia assassina che impregnava il suo sguardo.  Judy lo colpì una seconda volta, in piena mascella, cercando di indietreggiare per non farsi prendere. Se solo quello stronzo non le avesse distrutto la pistola..!
Mi guardai attorno, trovai delle barre d'acciaio sparse, ne presi una e la conficcai nella zampa sinistra del gorilla, mentre Judy continuava a colpirlo in testa. Il mostro si inginocchiò digrignando le zanne per il dolore intenso, con il sangue che colava copiosamente fin sotto la pianta del suo piede. Judy mi raggiunse e mi aiutò ad alzarmi. 
" Oddio, Nick, tutto bene?"
" Starò meglio quando ce ne saremo andati da..."
Entrambi venimmo scaraventati in aria da un possente pugno del gorilla, e ci ritrovammo sull'orlo del precipizio, bloccati solo da un pilastro e parte dell'impalcatura. Maximillian, ormai sempre più selvaggio, iniziò a distruggere tutto ciò che gli capitasse a tiro, ruggendo e battendosi il petto come fosse regredito allo stato primordiale. 
" Resisti, Carotina" le sussurrai " Qualcuno arrivrà ad aiutarci, te lo prometto!"
" Nick, io... ATTENTO!" 
Con entrambe le zampe mi spinse via, e senza che potessi rendermene conto, di Judy rimase visibile solo un mezzobusto. Il resto del suo corpo venne schiacciato, travolto da una bestia senza più una briciola di raziocinio che la trascinò con se nel vuoto. 
Erano scomparsi, e avevano portato via tutto il fracasso che avevamo provocato. 
Tutto tacque, come se un grande sudario si fosse posato su tutta la zona.
La bufera si placò. 
Vidi i fuochi d'artificio esplodere in cielo, ma non sentii alcun suono.
L'unico vagamente distinguibile, che si avvicinava sempre più, era quello delle sirene della polizia...

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Capitolo 15
*** 14- Born to be devil, live to be ***


14- Born to be devil, live to be "hero" - End of a dark tale 
 
 
 
 
 Il gigantesco cadavere continuava a grondare sangue dagli squarci nello stomaco dai quali spuntavano prepotentemente le barre di ferro spezzate in due. Giaceva immobile, senza neanche un debole filo di vita ai piedi del muretto di cinta che circondava il fabbricato. Da esso si ergevano le barre sulle quali il gorilla era caduto. Sembrava la vittima di un antico principe che aveva l'abitudine di impalare i propri nemici. 
La caduta fu talmente pesante che la sua gigantesca mole spezzò le barre e lo fece cadere su una pila di blocchi. L'impatto con essi gli aveva spaccato la testa.
Il capitano Bogo osservò l'intera scena con il suo solito sguardo distaccato. Alzò il colletto del giaccone per ripararsi dal vento, poi con un cenno fece avvicinare l'agente Francine, che coordinava le operazioni per tenere a bada i presenti accorsi sul posto. 
" Signore?" disse l'elefantessa.
Bogo rimase in silenzio, come intento a contemplare l'accaduto. Aveva davanti a se il responsabile di tutte quelle morti, di tutto il terrore, colui che aveva spinto masse di erbivori ad unirsi per dar vita ad un'insensata giustizia sommaria per le strade notturne. Osservava il cadavere. Non mutava atteggiamento. 
Almeno all'esterno.
Bogo era famoso per il suo essere impenetrabile. Pur mantenendo lo stesso sguardo in qualsiasi occasione, nessuno era mai riuscito a capire cosa stesse pensando dentro di se. Egli stesso aveva raramente mostrato un lato diverso della sua persona, e pochi erano i fortunati che l'avevano visto.
" Signore?" insistette Francine.
" Fanno più casino che durante la stagione degli amori" disse riferendosi ai curiosi. Le macchine fotografiche non facevano che sfornare foto, i giornalisti assordavano con il loro "incessante sproloquiare", come avrebbe detto Bogo, e i giovani riprendevano tutto con il cellulare. 
" Stiamo facendo il possibile per tenerli a bada, signore"
" Sembra che tutte le bestie della città si siano radunati nello stesso momento. Neanche fosse un concerto rock..."
Francine si limitò ad annuire. Anche a lei dava fastidio quel marasma di creature, poichè tenere a bada i curiosi era non solo la parte che più odiava, ma anche quella più difficile.
" Quanto ci metteranno ad arrivare per rimuovere questo ammasso di merda?"
" Dovrebbero essere qui a momenti, signore"
Bogo annuì. Poi si incupì. " ... E l'agente Hopps?"
" L'hanno già portata in ospedale... Signore"
" Bene... Continuate a farli star buoni, allora"
Francine salutò il capitano, poi si congedò. Bogo alzò lo sguardo verso l'alto, cercando di immaginarsi la rovinosa caduta. Forse immaginava di individuare la malinconica figura di una volpe, sconvolta e inginocchiata, che contemplava la scena, proprio come lui. Ma da un punto di vista completamente differente, e con il cuore spezzato.
 
 
 
 
 
Spalancai gli occhi, e la prima cosa che vidi fu un meraviglioso cielo notturno cosparso di stelle capaci di oscurare le più belle luci di Zootropolis. Troneggiante al centro di quel cielo, come inchiodata da qualche divinità, la luna piena mi trasmetteva una piacevole sensazione di quiete. Il mio corpo era così leggero che un soffio di vento avrebbe potuto sollevarlo e portarlo in cielo. Si sarebbe dissolto nell'aria e non me ne sarei neanche accorto.
Mossi una zampa e sentii qualcosa di morbido sotto di me. Strinsi il pugno e lo portai davanti agli occhi; era una manciata di foglie verdi e profumate. Il profumo della primavera, di qualcosa di indescrivibile. Qualcosa come...
Mi guardai attorno, poi mi alzai: una sorta di caverna alta e cava mi circondava, ero nudo e seduto su un giaciglio di foglie. Mi sarei beato di quell'odore all'infinito. 
Poi il mio sguardo si posò su una figura poco distante da me. Non riuscii a distinguerla inizialmente, anche se la silhouette suggeriva fosse una figura femminile, notai solo che era chinata in avanti, intenta a fare qualcosa.
Mi mossi il più lentamente possibile, cercando di non smuovere nemmeno una foglia, allungai una zampa e la figura si volse: la prima cosa che vidi fu un dolce nasino rosa, un musetto bianco e soffice dominato da una piccola boccuccia dalla quale facevano capolino denti bianchi come perle. Era nuda anche lei, e il suo corpo era perfettamente disegnato dal pelo grigio e dai giochi di luce ed ombra. Ma il particolare più bello, sogno o realtà che sia, erano quei dannati occhi. 
Quale maledetto dio poteva aver creato un simile capolavoro con quegli occhi? Di cosa diavolo erano fatti? Da dove proveniva tutto quel potere ipnotico? 
Stavo per dire qualcosa ma lei mi zittì. 
" E' riuscito finalmente ad addormentarsi " sussurrò lei " Sai quanto è difficile che ci riesca al primo colpo"
" A- addormentato?" 
Parlava di un cucciolo. Il suo respiro quasi non si sentiva. Era così tranquillo, così sereno che mi si sarebbe spezzato il cuore a svegliarlo. Ma non potetti resistere alla tentazione di allungare la zampa e sfiorargli il musetto. 
" Questo è mio..."
"  Si, Nick... Questo è il nostro piccolo"
Il cuore mi si fermò. "  Nostro..."
Lei mi avvolse il collo con le sue braccia e strusciò dolcemente il muso contro il mio collo, baciandolo. "Cosa c'è, Nick? Qualcosa non va?"
" Judy... Cos'è questo?"
"  Questo... Insomma... Questo è un sogno... Vero?". Lo dissi con una marcata malinconia, perchè una voce, dal profondo, non faceva che ripetermelo. Questo è un sogno, diceva, questo è un sogno. Eppure era un sogno così bello...
Lei mi prese per la zampa e mi trascinò con se sul giaciglio. Ora eravamo entrambi sdraiati su un letto di foglie, nudi, l'uno abbracciato all'altra. I miei occhi si specchiarono nei suoi, e in essi l'intero creato si palesò. Era come se da lei dipendesse l'esistenza dell'intero mondo. Del mio mondo.
" Questa è la nostra vita, Nick" sussurrò lei accarezzandomi il petto " La nostra vita insieme". Avvicinò il proprio muso al mio, mi baciò una volta, un'altra, e un'altra ancora. La strinsi tra le mie zampe e la baciai con tutta la passione, il desiderio e l'amore che provavo per lei dal primo momento che l'avevo vista. Ci accarezzammo, ci toccammo, ci baciammo. Anche se si fosse trattato di un sogno... Avrei dato qualsiasi cosa perchè non finisse mai...
 
Il gelido pavimento mi riportò alla realtà. Ero caduto dalla panchina sulla quale mi ero addormentato, ma poco mi fregava. Un altro delirio della febbre? No, quella era scesa ormai, grazie alle medicine che mi avevano dato le infermiere.
Il corridoio era buio come la notte. Soltanto una luce lo dominava: la terribile luce rossa che indicava che l'operazione era ancora in corso. Controllai l'ora al cellulare. Quasi le sette di mattina. Erano passate dieci ore e ancora nessuno si decideva a uscire da lì dentro. Avrei voluto sfondare quella porta, entrare e guardare con i miei occhi cosa diavolo le stessero facendo. Ma sarebbe stato inutile; mi avrebbero preso e scaraventato via come un sacco dell'immondizia. Le zampe iniziarono a tremare, i palmi sudavano e un cattivo presagio non faceva che ronzarmi nelle orecchie. Avrei voluto strapparmele e divorarle. Il ronzio dovette averlo intuito perchè dalle orecchie scivolò nel profondo del mio cervello. Portai entrambe le zampe sulla testa e premetti le dita così forte che le unghie avrebbero potuto perforarne la carne. Ed ero sul punto di farlo, se non fossi stato fermato da qualcuno. 
" Se proprio hai le zecche ti conviene tornare a casa a farti una doccia!". Riconobbi all'istante quella voce graffiante e roca: Finnick.
Si era seduto accanto a me intento ad aprire una lattina di birra. Me la offrì ma io rifiutai, e se la scolò tutta da solo. 
" In effetti" continuò " Dovresti fartela davvero una doccia, amico. Non emani certo un odore gradevole"
" Il mio odore è l'ultima cosa a cui penso, Fin!" dissi continuando a fissare la luce rossa, attendendo che si spegnesse per portare qualche buona notizia. Finnick tirò fuori un'altra lattina e l'aprì. L'attesa fu così snervante che gliela strappai dalla zampa e la bevvi tutta d'un fiato. " Ne hai un'altra?" gli chiesi.
" Era l'ultima, amico"
" Sei inutile..."
" E' comunque più lucido di te" esordì una seconda voce altrettanto familiare. Clawhauser ci raggiunse sulla sedia a rotelle. Finnick storse leggermente il muso, avendo fiutato la puzza di sbirro che lo ammantava, ma io lo rassicurai. 
" Non dovresti essere in camera a riposare come se non ci fosse un domani, Claw? Cos'è, la birra? Oppure è l'astinenza da ciambelle che ti ha fatto alzare?"
" Fottiti, Wilde" disse Claw " Avrei accettato più volentieri un goccio di bourbon"
" E' stato già difficile portare due lattine senza farsi notare!" commentò Finnick. Quando però gli chiesi come ci fosse riuscito, lui fece il vago. Notai una busta penzolare da un gancetto della sedia di Clawhauser, e solo quando me la passò scoprii che conteneva due panini e una bottiglietta d'acqua. Su, non fare storie, mi disse, mangia che ti fa bene. Scherzammo sul fatto che avrei preferito una birra fresca al posto dell'acqua, ma Claw disse che quella che avevo fregato a Finnick era sufficiente. Per cui non potei fare altro che divorare quei panini, spinto anche dalle lamentele incessanti del mio stomaco. 
 
Le otto. Finalmente la porta si spalancò e uno dei medici si avvicinò. Era un'antilope, e il camice era cosparso di macchie rosse. Si tolse i guanti e abbassò la mascherina. Bastò il suo sguardo a lasciar intuire l'esito dell'operazione. Non era solo stanco, era affranto, distrutto, dispiaciuto. 
" Mi dispiace..." 
Il cuore cessò di battere. Il sangue mi ribollì nelle vene, una selvaggia rabbia pervase ogni muscolo del mio corpo. Gli occhi cessarono di trattenere le lacrime. Saltai addosso a quel buffone come fossi regredito allo stato selvaggio, pronto a divorarlo.
" Che diavolo significa che ti dispiace?" urlai con tutta l'aria nei polmoni. Il medico era terrorizzato.
" M- mi creda, abbiamo fatto tutto il possibile" balbettò mentre io lo strattonavo " Purtroppo le ferite erano troppo gravi..."
" Cosa cazzo significa? Che medici del cazzo siete?!"
" I-i polmoni erano perforati, le costole ridotte in pezzi e-e le varie emorragie interne..."
Lanciai un urlo disumano. Ero letteralmente sul punto di azzannarlo alla gola e ucciderlo nella maniera più brutale, se non fossi stato fermato da Finnick e altri due medici accorsi in suo aiuto. A fatica riuscirono ad allontanarmi e a condurmi nella sala d'attesa, seguiti da Clawhauser. Il leopardo dovette prendermi a schiaffi per riuscire a farmi tranquillizzare e rimanere seduto sul divano della sala. Ma fu una calma indegna di tale nome. Nascosi il muso tra le zampe e mi lasciai andare, liberando tutto ciò che provavo in quell'infernale momento. 
Lei non c'era più. 
Non ce l'aveva fatta. Quel mostro me l'aveva portata via.
" Le dispiace rimanere qui con lui mentre io vado a parlare con il medico?" disse Clawhauser rivolgendosi a Fiinick. 
" Vai, non preoccuparti " rispose lui. 
 
 
 
- Ufficio del capitano Bogo, Z.P.D.
 
Aveva ordinato a chiunque di non disturbarlo. Non voleva ascoltare lamentele, non voleva che nessuno lo raggiungesse, non voleva ricevere telefonate. Nessuna telefonata, tranne una. 
Il silenzio della stanza venne distrutto dallo squillo del telefono, e il bufalo, con lo zoccolo tremante, afferrò la cornetta.
" Si?" disse. Dall'altra parte c'era Clawhauser.
" Signore, l'operazione è finita, ma... Judy Hopps non ce l'ha fatta..."
Il bufalo non seppe cosa rispondere. Si tolse gli occhiali e si stropicciò gli occhi, con un debole sospiro. 
Quel maledetto mostro...
" Le ferite erano troppo gravi, signore, i medici hanno tentato di salvarla, ma non ci sono riusciti..."
Dieci ore di sofferenze. Quel pensiero risuonò nella mente del capitano come un eco lontano. 
" Farò un salto il prima possibile, Clawhauser, ho... Devo occuparmi di una questione spinosa, prima"
Clawhauser non aggiunse altro, in cuor suo aveva intuito cosa intendeva il suo capo. " Certo, signore".
Bogo alzò lo sguardo verso il soffitto, preparandosi al prossimo passo, il più difficile.
 
" Si, pronto?" rispose dall'altro capo una voce femminile.
" Bonnie Hopps?" 
" Si, chi parla?"
" Sono il capitano Bogo, della polizia di Zootropolis. Sono spiacente, ma ho... Ho delle brutte notizie da comunicarle..."- 
 
 
 
 
 
Il cimitero sembrò più silenzioso del solito. Un poeta maledetto avrebbe speso qualche goccia di inchiostro per scrivere qualcosa come "sembra che tutte le anime del Paradiso si siano raggruppate per salutare un'ultima volta l'agente Hopps". 
Ma io non ero un poeta maledetto. Io ero maledetto e basta. 
L'intera città era presente, ogni creatura, dalla più piccola alla più grande, tutti a renderle omaggio. Lionheart era in prima fila, affiancato da Bogo e la pecora con gli occhialoni, e dietro di loro l'intero corpo di polizia, radunati attorno alla sua bara. In qualità di sindaco dovette pronunciare il classico discorso nel quale si elogiavano le qualità del caduto. Ma questa volta, benchè le altre fossero delle recite nei confronti di qualche incompetente, le parole pronunciate non presentavano la minima sfumatura di falsità. Era tutto vero, ma per Judy quelle parole non erano abbastanza. 
Il mio sguardo cadde sugli abitanti di Bunnyburrow, un numero incalcolabile di conigli e coniglietti. Non so come, ma individuai subito sua madre. Aveva un portamento elegante, e nel suo sguardo distrutto dal dolore si intravedevano comunque forza e fierezza, e anche se si lasciò andare, nessuno avrebbe potuto dubitare della loro presenza. Stando a quanto mi aveva raccontato, solo da lei Judy aveva potuto ereditare tutte le qualità che la distinguevano dagli altri. 
Judy non era come tutti gli altri. Lei era diversa, era uno spiraglio di luce che si era fatto strada tra le nuvole nere che ammantavano Zootropolis dalla sua fondazione. Era un fulmine a ciel sereno capace di sconvolgere la vita di chiunque. Ma mai come aveva sconvolto la mia.
Io e Clawhauser eravamo in disparte. O meglio, io ero in disparte, lui mi aveva raggiunto. 
" Però non è del tutto giusto" disse lui.
" Cosa vuoi dire?"
" E' giusto che Judy riceva tutti quegli elogi, ha messo fine a quella linea di sangue, però... Anche tu hai contribuito!" 
Non gli risposi.
" Sei stato tu a scoprire l'identità di quello scimmione, e se non mi avessi mandato quel messaggio, permettendomi di allertare il capitano..."
" Non importa, Claw" dissi io.
" Come sarebbe a dire? Non ti da nemmeno un po' fastidio, Nick?"
" E cosa pretendi che faccia? Che vada lì a dire ehi, guardate che ero presente anch'io e sono stato io a scoprire la verità ?"
Clawhauser mi guardò stranito, come se avessi pronunciato le esatte parole che stava pensando.
" Io sono una volpe, ricordi? Non c'è gloria per la mia razza. Sarei nato diavolo per poi essere proclamato "eroe"? Judy ha fatto molto più di me per questa città. E poi, a me piace così, essere invisibile in una città di milioni di animali. Vivere tranquillamente era il mio sogno..."
"... Forse è giunta l'ora di avere un nuovo sogno, Nick..." disse posando una zampa gentile sulla mia spalla. 
 
Fu solo quando tutti ebbero lasciato il cimitero che mi avvicinai  alla sua lapide. Era coperta di corone di fiori, profumatissimi e dai mille colori, come quelli che si vedono in campagna. Solo allora mi rammaricai di non aver mai visto dal vivo un campo di fiori. La foto che avevano scelto era perfetta: lei mostrava un sorriso raggiante, con le orecchie dritte come se avesse puntato qualcosa, con i due incisivi in bella vista e quella deliziosa camicetta rosa a quadretti. 
Drizzai le orecchie. " Mi scusi" fece una voce femminile alle mie spalle " Lei è Nicholas Wilde?"
Era sua madre. Pensavo se ne fosse andata, invece era davanti a me. Somigliava molto a sua figlia, se non fosse che, a differenza di Judy, era un po' più paffutella. Ma le guance, il colore del pelo, gli occhi, mio Dio, gli stessi occhi! 
" Sono io, a disposizione per qualunque rimprovero o insulto per ciò che è successo?"
" Come, scusi?"
" Ho il cuore a pezzi, ma sono abbastanza abituato a sopportare insulti e colpe da quando ero cucciolo. Per cui..."
" Si sbaglia, signor Wilde" disse lei " Volevo ringraziarla, per essere stato vicino alla mia Judy"
Quelle parole mi spiazzarono. Nessuno mi aveva mai ringraziato, prima di allora. " R- ringraziarmi?"
" Non so se ne è al corrente" proseguì " Ma Judy mi ha parlato molto di lei e mi ha raccontato di come le è stato vicino in questo periodo. In tutti i sensi. E anche... Beh, di cosa c'era tra di voi"
Lo disse con una sfumatura di imbarazzo, ma la sorpresa più grande fu capire che si trattava solo di quello. Non vi era ribrezzo, disprezzo o contrarietà. Che fosse solo il puro imbarazzo di una madre?
A dir la verità un lieve imbarazzo colse anche me. " Comunque, non c'è nulla per cui ringraziarmi, signora" le risposi " Non sono riuscito a proteggerla, tanto meno a salvarla..."
Lei posò una zampa sul mio avambraccio, guardandomi fisso negli occhi. " Se era scritto che le cose andassero così, non possiamo incolpare nessuno, signor Wilde, nemmeno noi stessi. Judy ha lottato fin da piccola, ed è riuscita a realizzare il suo sogno, nonostante tutti la ostacolassero per via della sua natura di coniglio. E poi, grazie al suo aiuto, è riuscita a porre fine a quei delitti, perciò..."
Cercava di nascondere la tristezza, era evidente. Eppure, così come per l'imbarazzo, non c'era alcun tipo di malignità nelle sue parole. Mi parlò con la stessa dolcezza e comprensione di una madre, di qualcuno che, anche se non direttamente, sapeva che tenevo sul serio a lei, e che avevo fatto tutto il possibile per salvarla. Era una sensazione strana, non ero abituato a quel calore. Però... Allo stesso tempo era stupendo.
Salutammo entrambi la nostra Carotina, poi ci dirigemmo all'uscita del cimitero e la salutai con un abbraccio. 
" Sa, signor Wilde" disse poco prima di andarsene " Mi sarebbe davvero piaciuto averla nella mia famiglia" 
Mi sorrise. Poi ci salutammo.
 
Andavo a trovare Judy una volta ogni settimana, e tutte le volte le raccontavo tutto ciò di interessante che era successo durante la giornata, e quanto avrei voluto che tornasse a "minacciarmi" per le mie malefatte. Ma avevo anche pensato a ciò che lei aveva fatto per la città, al suo coraggio, alla fiducia - e non solo- che aveva dimostrato per un disgraziato come me. E soprattutto al suo desiderio di salvare e cambiare un posto malfamato come Zootropolis. Non lo ammisi mai apertamente, ma una parte di quella sua determinazione si insinuò dentro di me.  Nei giorni seguenti, piano piano, iniziai a guardare la città con occhi diversi, i suoi abitanti e tutto ciò che la animava, e quell'alone di cupezza, di pessimismo e assenza di speranza che l'aveva sempre caratterizzata non si diradò, ma mi spinse a prendere una decisione importante: 
Lavorai sodo, mi impegnai, faticai come mai in vita mia, e, superando le stesse difficoltà che aveva affrontato lei, il cui ricordo mi accompagnava giorno dopo giorno, diventai la prima volpe poliziotto di Zootropolis - con una leggera contrarietà da parte di Finnick-. 
Sapevo che non sarebbe stato facile proseguire il suo sogno, ma non mi sono mai arreso, ho continuato a fare tutto quello che potevo per la mia città, con l'aiuto di Clawhauser, che divenne col tempo mio grande amico, oltre che collega. Fui proprio io a rendergli omaggio prima di tutti il giorno del suo funerale, tre anni fa. 
Ed ora mi ritrovo a passeggiare nel parco in borghese, ricordando cose delle quali ho un ricordo più che indelebile per narrarle ad un pubblico che, probabilmente, non appartiene nemmeno a qualche razza animale. O forse si? Magari una razza evoluta, come un giorno ci evolveremo noi, chissà.
Riprendo in mano il cellulare e rileggo il messaggio di poco fa. E' di Finnick, e mi ha ricordato, scioccamente, una cosa della quale non mi scorderò neanche fra mille anni.  
 
 
Finnick: Ehi "eroe" non dimenticarti di andare a trovare la tua principessa! 
           ( E quando torni a casa passa dal pizzaiolo a ordinare la cena!!)
 
 
 
                                                                                                             - Fine-
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTORE 
 
E alla fine, dopo un anno e qualche mese di tortura della tastiera, la storia è finalmente giunta alla sua conclusione. Che posso dire, spero di non aver deluso nessuno con questo finale, nè con la storia in generale. Ringrazio tutti voi che mi avete seguito e atteso, chi ha recensito e anche chi ha solo letto e non recensito, per me significa comunque molto.
In particolare ringrazio Plando, sempre presente e pronto all'azione, Redferne e darkdestroyer, di cui non scorderò mai quel messaggio che mi ha rallegrato una pallosissima serata di lavoro. Il fandom sembra aver perso un po' di mordente negli ultimi tempi, ma non importa, finchè abbiamo progetti in mente continuiamo a metterli per iscritto! 
Grazie a tutti e alla prossima epopea animalesca! 

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