It's just a good business

di Minga Donquixote
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strani armadi dalla Giamaica ***
Capitolo 2: *** Partite a Scacchi ***
Capitolo 3: *** Non voglio indossare vestiti ***
Capitolo 4: *** Se il buongiorno si vede dal mattino ***
Capitolo 5: *** Cambio di strategia ***
Capitolo 6: *** James Sexy Norrington ***
Capitolo 7: *** Un qualcuno ***
Capitolo 8: *** Una Lady che si rispetti... ***
Capitolo 9: *** Sarò il tuo incubo più grande ***
Capitolo 10: *** Anime affini ***
Capitolo 11: *** Che brutta idea ***
Capitolo 12: *** Preparativi ***
Capitolo 13: *** Danse Macabre ***
Capitolo 14: *** Shopping londinese ***
Capitolo 15: *** Passi falsi ***
Capitolo 16: *** Di nuovo a Port Royal ***
Capitolo 17: *** Il cuore di Davy Jones ***



Capitolo 1
*** Strani armadi dalla Giamaica ***


Titolo: It's Just a Good Business 
Autore: Minga (Lady) Donquixote
Pairing: Het, Beckett/OC 
Disclaimer: Tutti i diritti a Jerry Bruckheimer. L'unico personaggio che mi appartiene è Eris Gallese.
Avvertenze: Cutler Beckett non è un CATTIVO personaggio nella fiction. Sarà il solito narcisista bastardo ma se siete abituati alle classiche fanfiction con Cutler che picchia a destra e manca e sfrutta giovani fanciulle questa fanfiction non fa per voi. Potrei sembrare di andare fuori personaggio poichè vedo Beckett non solo sotto un punto di vista negativo ma anche positivo data la storia che precede il primo film "Pirati dei Caraibi - La Maledizione della Prima Luna". La fiction sarà molto comica, non si andrà troppo sul romantico ma è possibile che salti all'occhio la possibile coppia centrale.
Detto questo vi auguro buona lettura e le recensioni, sia positive che negative, sia corte sia lunghe, sono ben accette.

Capitolo 1. Strani Armadi dalla Giamaica
 
Il campanello suonò prima una volta, poi due, poi tre, finchè una giovane ragazza dai capelli lisci e mori decise finalmente di fare la sua apparizione.
«Si?»
La mora guardò il ragazzo delle consegne con occhio indagatore poi fece scorrere lo sguardo sull’enorme pacco dietro di lui.
«Ho una consegna a questo indirizzo»
«In realtà aspettavo delle pizze ma ok, di cosa si tratta? E’ sicuro di non aver sbagliato? I miei genitori non mi hanno avvertito di nessuna eventuale consegna. Soprattutto di un pacco così grande.» sospirò lei, poggiandosi contro la porta, con aria stanca.
«Qui mi dice: consegna alla Signorina Gallese Eris. E’ suo o no? Mi ci sono volute 2 ore per trovare questa strada.» disse fattorino, cominciando ad innervosirsi.
La ragazza parve agitarsi sotto lo sguardo scocciato dell’uomo e decise che era meglio toglierselo di torno il prima possibile, in linea di massima avrebbe chiamato il venditore e fatto ritornare indietro.
«Beh, Eris sono io…quindi va bene. Lo può mettere qui, poi ci penserò da me»
Si scansò per far passare l’uomo con l’enorme pacco. Ci volle un po’ per farlo passare attraverso la porta, quel coso era enorme.
Dopo aver firmato ed essersi liberata dell’uomo irritante, Eris prese a sondare attentamente tutto il pacco, cercando di capire di cosa si trattasse.
Il pacco proveniva da un paese della Giamaica. Si chiese come avesse fatto quel coso a finire in Italia dalla Giamaica senza che nessuno l’avesse ordinato o richiesto. Il destinatario inoltre si leggeva veramente male, ma un simbolo chiaro brillava sulla carta lucente.
Un simbolo strano eppure familiare con quattro lettere: EITC.
No, non poteva sbagliarsi.
«Che diavolo ci fa qui un pacco dei “Pirati dei Caraibi”? Ricordo di non aver comprato mai nulla…»
Forse aveva fatto per sbaglio l’acquisto e non se ne era resa conto. Questa era a volta buona che suo padre l’-
Il campanello suonò per l’ennesima volta.
«Oh, finalmente le pizze.»
E ovviamente l’enorme pacco nero rimase dimenticato nel salone.
Beh, fino a quando non rientrarono i genitori della ragazza.

Quella stessa sera, dopo la tremenda discussione con i genitori, il pacco, che si rivelò essere un armadio, fu portato nel salone secondario.
Avendo una casa spaziosa spostare l’enorme pezzo di legno antico non fu difficile.
Quella stessa sera Eris, con una maglietta a maniche corte e dei pantacollant indossati velocemente, si trovò davanti a quel grande oggetto, accarezzando con la punta delle dita la superficie liscia e scura. Curiosa decise di azzardare ad aprire le ante, rompendo il materiale che l’avvolgeva e impediva di aprire, e l’interno la sbalordì.
Vi erano vestiti. Tanti vestiti.
Un’occhiata più da vicino e realizzò che erano completi del XVI secolo o giù di lì. Aveva sempre odiato la storia.
Con un sorrisetto decise di avventurarsi ancor più in là, cercando di vedere se trovava qualche strano completo o qualche vestito a mo’ di principessa.
Ma più scostava vestiti e più tendeva ad entrare nel grande armadio.
«Ma va, che si va a Narnia adesso?» ridacchiò.
Quando entrambi i piedi coperti dalle scarpe da ginnastica furono all’interno del mobile, le ante si chiusero brutalmente e dallo spavento Eris fece un paio di passi indietro finché non sentì più la terra sotto di se e, senza alcun preavviso, cadde verso il basso.
Le urla perse nel profondo buio.

Durante quella che gli parve essere ancora la caduta nel vuoto si susseguirono una serie di rumori.
Prima una serie di colpi da sparo. Urla. Onde che si infrangevano contro qualcosa. Cozzare di ferri. Parole confuse.
Poi il silenzio, ma questo durò poco. Un nuovo rumore, solo quel rumore, si presentò ogni volta.
Un continuo tamburellare su un oggetto vuoto, producendo un rumore singolare.
Eris immaginò tre dita toccare uno dopo l’altro la superficie morbida di una scrivania e sorrise al pensiero.
Il rumore cessò di colpo e ricominciò solo parecchio tempo dopo.
Non capiva. Non vedeva.
Voleva capire. Voleva vedere.
La ragazza aprì lentamente gli occhi, la luce del sole era forte sul viso e lo sentiva bruciare.
Cercò di non affaticarsi troppo, si sentiva esausta, e prese soltanto a muovere il capo intorno a se. Guardandosi intorno.
Era in una stanza. Una grande stanza beige chiaro.
C’era una scrivania proprio davanti al letto e una sedia era stata sistemata proprio alla sua sinistra, accanto al suo corpo disteso.
Eris constatò di trovarsi su un letto, le lenzuola erano morbidissime sotto i suoi palmi e sentiva che se si fosse mossa sarebbe sprofondata in quel materasso comodissimo.
Ma oltre alla vista aveva acquisito anche un altro senso, a quanto pareva.
Un forte odore di salsedine le invase le narici facendola sospirare di piacere come l’aria penetrò nei polmoni donandogli una sensazione confortante.
Ma la cosa che attirò la sua attenzione era proprio da dove proveniva il forte odore e il vento fresco.
Le tende erano tirate da parte e la bellissima vista di un balcone le si presentò davanti, al dì là il mare.
Un mare blu immenso e brillante.
Già, le era sempre piaciuto il mare…
Aspetta, il mare?
La sorpresa e la realizzazione improvvisa di non trovarsi sul SUO letto e nella SUA stanza prese possesso del suo essere e saltò immediatamente a sedere, agitandosi e tentando di uscire da quell’ammasso di coperte.
Quando toccò terra con la punta dei piedi realizzò di essere scalza, o meglio, praticamente quasi nuda.
Indossava solo una lunga veste bianca, con pizzi rosa ridicoli intorno.
«Ma che diavolo-?!»
Qualcuno l’aveva spogliata. Privata anche…delle mutandine.
Li avrebbe uccisi. Tutti.
Avvistata la porta si lanciò con tutta la sua rabbia verso di essa e la aprì di colpo.
Un lungo corridoio le comparve davanti e senza pensarci cercò un modo per uscire da quel posto.
Non fece caso né a quadri né a domestiche che vedendola si erano perfino messe a gridare.
Eris era talmente impegnata a cercare una via di fuga, preoccupata del luogo sconosciuto in cui si era ritrovata, che non ricordò nemmeno il percorso che aveva fatto.
Fatto sta che, senza rendersene conto, si ritrovò in un qualche giardino pieno di cespugli di rose, gigli e chissà quale altro fiore che le stava dando la nausea.
«Mi hanno rapita! Non c’è nient’altra spiegazione…»
Dopo aver girato l’angolo della casa la visione più orribile che potesse immaginare le capitò davanti agli occhi.
Una donna robusta e dall’aspetto burbero teneva davanti un paio di scarpe bianche della Nike e sotto di se un fuoco ardente che scoppiettava felice per il pasto in arrivo.
Con un grido a dir poco disumano Eris si lanciò sulla donna e afferrò le scarpe dalle sue mani e quasi prese a ringhiarle contro.
Colta di sorpresa la donna aveva guardato la ragazzina come fosse un animale pericoloso pronto ad azzannarla al collo e tutto l’aspetto burbero e severo scomparve all’improvviso mentre scappava via, le braccia in alto.
La Gallese, quando capì che il pericolo era passato, si lasciò cadere a terra e coccolò le sue scarpe, felice che non fossero finite in pasto al fuoco cattivo.
Dopo pochi minuti, il rumore di molti passi prese ad avvicinarsi al luogo in cui era rimasta seduta e in quattro e quattr’otto si ritrovò circondata da circa 7/8 militari in tuta bianca e rossa.
«Ecco, Mio Signore. E’ uscita dalla camera ma nessuno ha notato nulla»
Eris deglutì sonoramente guardando tremante i curiosi fucili con coltelli affilati in punta.
Dovevano essere baionette.
«Com’è scortese da parte vostra gironzolare per casa altrui, Miss»
Quella voce.
La mora prese a girarsi intorno e quando si aprì uno varco tra i corpi dei soldati strabuzzò gli occhi.
Un omino, vestito di tutto punto, stivali di pelle nera e una parrucca bianca la fissava con sguardo attento e quasi divertito.
«M-m-ma tu…tu…»
L’uomo alzò un sopracciglio e distese le labbra in un sorriso parecchio tirato.
«Io cosa, Miss?»
«Ma tu sei-!»
Si alzò in piedi, incurante delle lame che le sfioravano la pelle e si avvicinò velocemente al parruccato.
L’uomo parve agitarsi quando la vide avvicinarsi così velocemente e sentendosi minacciato, sistemò la mano sull’elsa della spada, pronto a sfoderarla al minimo accenno di pericolo.
Ma questo non arrivò.
La ragazza si fermò a pochi passi da lui ed essendo una decina di centimetri più alta si abbassò a guardarlo negli occhi. I nasi quasi a sfiorarsi.
«Non è assolutamente possibile.»
Lo aveva detto con uno strano sguardo in quegli occhi marrone scuro. Una piccola fiamma brillava al loro interno, l’uomo poteva avvertirlo.
«Cutler Beckett! NON. CI. CREDO. SEI IDENTICO!» urlò, rialzandosi e sovrastandolo, tenendo ancora strette al petto le scarpe da ginnastica, quasi fossero un pupazzo di peluche.
A quel punto, l’uomo non poté fare altro che constatare che la giovane aveva battuto un po’ troppo forte la testa dopo la caduta.
«E’ Lord, in realtà.»
«E lo dici anche nel suo modo carino!» squittì lei guardandolo con un sorriso a trentadue denti.
Cutler la guardò con i suoi intensi occhi color del ghiaccio, quasi annoiato, e fece cenno alle guardie di abbassare le armi con un gesto della mano e quasi distrattamente notò gli sguardi che gli uomini lanciavano alle cosce nude della ragazzina.
«Miss, non è consono andarsene in giro per un maniero. Soprattutto se accolta gentilmente e in condizioni decisamente NON adatte» e lanciò uno sguardo in basso.
Eris, dopo essersi ripresa, seguì lo sguardo del più basso e sorrise.
«Beh, divertente ragazzi ma ora ridatemi i miei vestiti.»
«I tuoi vestiti sono laceri, ragazzina. Ho dovuto bruciarli. Le condizioni in cui ti trovavi…credevo fossi affetta da lebbra o che so io.» intervenne la donna burbera che all’inizio voleva giustiziare le sue scarpe.
Dopo quello che parve un minuto di intenso silenzio, il viso prima steso in puro shock venne sostituito da uno più rilassato e le labbra formarono un sorriso. Senza preavviso, Eris scoppiò a ridere.
«Si…certo…come dici tu!» e continuò a ridere finchè non si stabilizzò di nuovo e fece per asciugarsi le finte lacrime di ilarità al lato degl’occhi. «Ma ora basta scherzare. Seriamente, ridatemi i miei vestiti.»
Tutti tacquero.
Cutler parve leggermente preoccupato da quell’attacco improvviso. Forse aveva davvero ripescato una matta.
«Ehi, mi avete sentito?! Lo scherzo è bello quando dura poco!» inveì, guardando prima i soldati, poi la donna e infine il presunto Beckett.
«Nessuno sta scherzando, Miss. Siete caduta improvvisamente dal cielo su uno dei miei Ammiragli nel bel mezzo di una battaglia ed eravate gravemente ferita.» rivelò senza mezzi termini, lo sguardo freddo e indagatore che le trafiggeva l’anima.
«I pirati catturati hanno sostenuto di non avervi mai vista, e che non eravate, quindi, una loro compagna. Tutto quello che ho fatto è stato portarvi qui, a Port Royal e far curare le vostre ferite da-»
«ASPETTA ASPETTA ASPETTA, COSA?! PORT ROYAL?» urlò nuovamente facendolo sobbalzare e sospirare irritato. Gli stava distruggendo i timpani con quegli urli improvvisi. «Tu menti…»
Il Lord scoccò la lingua contro il palato e la guardò con superiorità nonostante l’altezza.
«E da cosa ne trarrei vantaggio, scusate?»
Non seppe rispondere a quella domanda così ovvia.
Ma era decisamente impossibile.
Cadere lì? Nel bel mezzo della battaglia?
Ricordava di essere precipitata ma…forse era un sogno. Forse aveva sbattuto forte la testa contro qualcosa ed era entrata in coma perenne? Si, non c’era altra spiegazione.
Stava sognando.
«Dammi un pizzicotto!»
«Cosa?» l’uomo sgranò gli occhi e la guardò con la bocca leggermente aperta.
«Un pizzicotto!» sospirò lei e senza aspettare che lo facesse lui chiuse velocemente le proprie dita intorno alla carne nuda del braccio e strinse forte.
Con un urletto chiuse forte gli occhi e sorrise.
“Quando riaprirò gli occhi sarò a casa, proprio davanti a quell’enorme armadio”
Ma nemmeno a dirlo, quando li riaprì si trovò davanti gli occhi grigi di Cutler che la guardava con un sorrisetto di scherno.
«Ho bisogno delle mie caramelle…» singhiozzò tirando su col naso, pronta a perdersi in urla e pianti. «ADESSO!»


 

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Capitolo 2
*** Partite a Scacchi ***



Capitolo 2. Partite a scacchi
 
La giornata era stata parecchio stressante. La ragazza non aveva fatto altro che urlare e disperarsi, tanto che era quasi riuscita a distruggere la sua collezione di tazzine da tea dell’Oriente.
Dopo quel momento di terrore puro, Cutler aveva deciso di farla spostare in un luogo dove non potesse nuocere né a cose né a persone.
Non era stato complicatissimo gestirla.
Bastò darle un dolcetto che quella si stabilizzò rimanendo silenziosa per tutto il tragitto.
«Immagino che la giornata vi abbia provata» le aveva detto, tentando di liberarsene il prima possibile.
«In realtà no. Sai…una giornata in una stanza con solo due sedie non è il massimo del divertimento… »
Che c’è? Era certamente il miglior posto per non rischiare di veder in frantumi qualche vaso antico o qualche quadro in tela.
«Posso uscire sta sera?»
Beckett alzò un sopracciglio e la guardò male. «Uscire per andare dove?»
«Non lo so. Volevo vedere il porto» tirò  le labbra in un’espressione da cucciolo bisognoso e si piegò appena, le mani giunte davanti al petto a mo’ di supplica.
Il Lord incrociò le gambe e la guardò attentamente.
«Sapete, ho l’innata capacità di capire con che tipo di persona mi sto confrontando eppure con voi non riesco ancora a percepire nulla.»
Eris parve dapprima confusa, poi il viso si aprì in un’espressione maliziosa, guardando il più basso con aria di chi la sapeva lunga.
«Beh, devo ammettere di avere un caratterino niente male-»
«E quindi sono giunto alla conclusione che probabilmente siete soltanto pazza» sogghignò osservando come il suo sguardo spavaldo si tramutasse in odio.
«Sbaglio o è la seconda volta che mi dai della pazza, oggi?»
Cutler piegò la testa da un lato mantenendo il sorrisetto di scherno perennemente sulle labbra fine.
«E quando è stata la prima volta, di grazia?»
«Te l’ho letto negli occhi quando sono scoppiata in lacrime»
«Ah, quindi credete di leggere anche nella mente, adesso. State solo rafforzando l’idea che mi sono fatto di voi, Miss»
Eris sbuffò e si alzò di scatto avvicinandosi velocemente al Lord, che era seduto pochi passi più in là.
L’uomo parve tendersi come una corda di violino all’improvviso movimento e la mano tornò per la seconda volta sull’elsa fredda ma nuovamente la minaccia non arrivò.
Una mano fu tesa prontamente davanti alla sua faccia, uno sguardo determinato nelle iridi scure.
«E’ Eris. Eris Gallese. Smettila di chiamarmi Miss, è imbarazzante»
Il signore assottigliò lo sguardo e prese la mano in una delle sue portandosela alle labbra.
La ragazza, guardando la mano avvicinarsi al viso di lui, fu presa dal panico e la ritirò velocemente guardandolo imbarazzata.
«Che fai?»
«Suvvia, cercavo soltanto di essere il buon gentiluomo che sono. Credevate che vi avrei stretto la mano? Non siete certo un uomo.»
Eris si tese appena sotto lo sguardo tagliente di lui, quasi intimorita. Non aveva mai visto due occhi così freddi e chiari eppure così pieni di segreti e orrori che lei nemmeno immaginava. Ardeva un fuoco in quegli occhi di ghiaccio. Un fuoco che difficilmente sarebbe stato spento…eppure…
«Mi dispiace. Non sono abituata a questi usi. Mi piacerebbe semplicemente stringerti la mano e conoscerti meglio»
«Conoscermi meglio?» ghignò apertamente portando la mano destra a stringere quella dell’altra. «Che audace proposta»
La mora si trovò nuovamente ad arrossire ma riuscì a trovare il sorriso.
«Non c’è nulla di audace, solo che…mi piaci»
Il sorriso strafottente lasciò velocemente le labbra di lui e la guardò come se avesse detto una parolaccia. Qualcosa che probabilmente non si sarebbe mai aspettato.
«Cosa?»
Le mani ancora strette tra loro.
«Ho detto che mi piaci, c’è qualcosa che non va?» era confusa. Forse non avrebbe dovuto dirlo? Cosa c’era di male dopotutto? Era la pura verità. Era uno dei personaggi che si è trovata ad adorare all’interno della saga. Non capiva cosa ci trovasse di così strano…
Ma poi, guardando lo sguardo stralunato dell’uomo e il leggero rossore, appena percettibile eppure presente, sulle gote le fecero intuire che probabilmente lo aveva inteso in modo sbagliato.
«Oh, ehm…no, non intendo “piacere” in quel senso…intendo come…beh…sei un personaggio ben caratterizzato…hai i tuoi buoni motivi per essere crudele…sei scaltro e-» si fermò guardando Beckett che aveva un cipiglio terribilmente confuso.
«Personaggio ben caratterizzato? Cosa pensate che sia, un personaggio di un libro?» domandò con una nota di sarcasmo nella voce.
“Beh, in realtà lo sei…più o meno…”
«N-No, certo che no. E’ perché sono terribilmente stanca, non c’è altra spiegazione» ridacchiò stupidamente portandosi la mano, ora libera dalla stretta, tra i capelli.
«Si, certo, comprendo perfettamente. E’ stata una giornata davvero spossante. Immagino siate affamata» Lord Beckett si alzò in piedi e passeggiò verso la porta, ignorando il fatto che la ragazza fosse rimasta bloccata dov’era.
«Io…probabilmente è da questa mattina che ti causo problemi…» si ritrovò a dire la giovane, guardando l’adulto girare appena lo sguardo verso di lei. «Non sai nulla di me…hai solo assistito al mio silenzio. Sei rimasto da solo in una stanza con qualcuno che consideri pazzo. Non hai fatto domande, mi chiedo perché. So perfettamente di essere irritante…»
Cutler non era poi così male come se lo era immaginato. Certo, era il solito bastardo pronto a fare del sarcasmo alla minima occasione ma non era stato certamente una compagnia spiacevole.
Non era poi nemmeno tanto orribile, in effetti. Quegli occhi chiari la ipnotizzavano ogni volta. Era uno sguardo davvero bello, il suo. Eppure così tremendamente distaccato, lontano dall’essere raggiunto.
«Ho supposto che probabilmente svegliarvi in un posto che sicuramente non conoscevate poteva provocarvi un’instabilità mentale. Per questo mi sono trattenuto dal fare domande ma non si faccia false illusioni.» girò il pomello della porta e lasciò che si aprisse lentamente. «Non mi fido di voi. Nascondete qualcosa più grande dell’oceano. Vi si legge chiaramente in viso»
Eris non si fece intimorire di nuovo da quello sguardo tagliente. Decise che con quell’uomo era meglio lottare ad armi pari. Non mostrare alcun tentennamento.
«Probabilmente quello che vi dirò rafforzerà solo l’idea che vi siete fatto di me» finse riverenza lasciandosi scappare un sorrisetto.
«Mi metta alla prova, Miss Gallese»
Passarono interminabili secondi di terribile silenzio. Un semplice gioco di sguardi fino a quando un uomo dalla faccia solcata da cicatrici comparve davanti alla porta aperta.
«Mio Signore, il cuoco mi ha mandato a chiamarvi. La cena verrà servita a breve.»
Lo sguardo del nuovo arrivato si posò su Eris che rabbrividì. Lo riconobbe. Era senza ombra di dubbio quel tizio macabro.
Alla parola cena però qualcosa si mosse in fondo allo stomaco della ragazza. Cena. Cibo. Fame.
Poteva quasi avvertire l’odore fin da lì su.
«Grazie, Signor Mercer. Avverti il cuoco che anche il nostro ospite gradirebbe cenare.»
Con la stessa fretta con cui era comparso, quello scomparve non lasciando minima traccia del suo passaggio.
«Non dovete avere paura di Ian, Miss. Non le farà alcun male» sorrise Beckett guardandola con la coda dell’occhio mentre quella manteneva ancora lo sguardo sul punto in cui Mercer era comparso. «A meno che io non lo ordini, si intende»
“Ah, si? Cerchi di intimorirmi, piccolo diavolo? Beh, sappi che ci stai riuscendo benissimo!”
«P-Paura, io? Pff. N-Non sai con chi hai a che fare!» e anche il tentativo di sembrare spavalda era andato a farsi fottere con la voce tremolante.
Lord Beckett sembrava estremamente divertito. La presenza del suo assassino l’aveva intimorita più che essere in una stanza da sola con lui.
Probabilmente non aveva abbastanza cervello da capire che era più pericoloso qualcuno che usava le parole come arma rispetto a qualcuno che si dilettava in omicidi. A volte uccidono più le parole di un insulso pezzo di ferro.
Probabilmente era stupida. Non c’erano altre spiegazioni. Pazza e stupida. E lui odiava gli stupidi. Troppo facili da manipolare, troppo facili da rompere.
Lasciando correre i pensieri si ritrovò a sondare il suo corpo senza decenza. Indossava ancora quella veste di lino che le copriva le forme. Non era magra. No, aveva fianchi piuttosto pronunciati, un viso infantile e gambe imperfette. Nel complesso non era male ma mancava di eleganza e finezza.
Molto improbabile inoltre che fosse davvero un pirata. La pelle era di un bianco quasi perlaceo e non c’erano segni evidenti di battaglie affrontate, da quanto poteva vedere.
I capelli marroni e lisci le scendevano ai lati del viso e i due occhi tremendamente scuri circondati da lentiggini appena evidenti erano magnetici.
I vestiti con cui era giunta, poi, erano decisamente anormali e quelle scarpe…che ora indossava orribilmente sotto la veste erano di qualche materiale che lui non riusciva a individuare.
Eris, sentendosi osservata, si schiarì la gola e guardò Beckett con uno sguardo spaurito.
«Beh, si…in effetti sono parecchio affamata ma…non so, potrei riavere i miei vestiti? Mi sento a disagio con questa…cosa…» sancì guardandola malamente.
Cutler ridacchiò. «Quella è una veste da notte, Miss Gallese»
«Quello che è!» sbuffò incrociando le braccia al petto. Quell’uomo o la considerava infantile o addirittura stupida.
«Dirò alla domestica di casa Swann di venire in vostro soccorso» sogghignò facendo per andarsene.
«Beckett!» lo richiamò lei azzardando un piccolo passetto avanti.
Quello rimase fermo sul posto, dandole ancora le spalle.
«Io…Beh…Grazie direi.» sospirò e l’unica cosa che l’uomo fece prima di andarsene fu un piccolo cenno con la testa bianca.

«NON VOGLIO QUEL VESTITO!»
Le urla erano ricominciate, a quanto pareva, ma stavolta sembravano adirate piuttosto che lamentose. Cosa decisamente più fastidiosa.
«Sembra proprio che Miss Gallese non sia facile da addomesticare, Signore» osservò Mercer al dì la della porta dove Eris stava facendo un casino tremendo, poggiato contro il muro decorato.
«Verrà piegata anche lei, caro Mercer. Non c’è da preoccuparsi. Dopotutto, è solo una mocc-»
Ma prima che potesse terminare la frase, il viso soddisfatto di Eris comparve sulla soglia, le mani su entrambi i fianchi.
Cutler boccheggiò appena, Mercer trattenne un sorrisetto di scherno e la domestica alle spalle della giovane sembrava tremendamente colpevole.
«Beh, come sto?» domandò con un sorriso a trentadue denti.
«Sbaglio o quello è uno dei miei completi?» riuscì a chiedere il più basso, sapendo già la risposta.
«In realtà si, ma la vicenda è davvero curiosa. Ero andata nella tua stanza per prendere uno spazzolino da denti, che non ho trovato, in compenso invece ho visto un completo sul letto e così ho deciso di prenderlo dato che i miei vestiti sono stati letteralmente bruciati» il sorriso dolce lasciò posto ad uno terribilmente macabro. Era rimasta sicuramente offesa.
Lord Beckett guardò dalla domestica a Eris, come se non capisse. Quella mocciosa era entrata nella sua stanza e aveva requisito il suo vestito migliore per le cerimonie tutta da sola?
Mercer sembrava altrettanto confuso ma decisamente più divertito. La ragazza era leggermente più alta del suo Signore e infatti i pantaloni le rimanevano leggermente corti sulle caviglie.
La domestica di casa Swann invece era tremendamente dispiaciuta. Eris aveva chiesto alla donna di trovare il modo di aprire la stanza del Lord e lei aveva dovuto adempiere poiché la Gallese aveva minacciato che avrebbe strappato il vestito a pezzi in sala da pranzo.
«Beh, cosa sono quegli sguardi cupi? Io ho una fame che non ci vedo!»
Con un sorrisetto soddisfatto salutò la donna dietro di lei e si incamminò lungo il corridoio.
«Dimmi, Mercer. Se la uccido all’istante cosa ne guadagno?»
«Solo una seccatura in meno, signore» ghignò l’altro avvertendo il minore lanciare sguardi adirati alla giovane che gli dava bellamente le spalle, lasciandolo indietro.
«…e ha sbagliato anche direzione»

La cena era servita decorosamente ma le domestiche e i camerieri sembravano decisamente turbati dall’uniforme della ragazza e dal suo modo di mangiare.
Beh, capitela. Svegliarsi in un posto che non si conosce,presumendo di essere in coma perenne e tremendamente sola le aveva fatto venire un certo appetito.
Intanto al Signore, dall’altra parte del tavolo, stavano venendo degli attacchi di panico e di rabbia. Guardava come i pezzi di cibo volavano a destra e sinistra, il pane che sbriciolava sul suo suntuoso vestito.
Quando la cena fu consumata nel totale silenzio (Cutler voleva limitare le chiacchiere temendo che se la ragazza avesse aperto bocca avrebbe sbrodolato sul tutto il suo completo) i due si alzarono dal tavolo e quando Eris si fermò a ringraziare il cuoco quello accennò un sorriso riconoscente.
«Miss Gallese, voglia cortesemente seguirmi in ufficio.»
Era chiaramente un ordine e nonostante la spossatezza che il buon cibo le aveva provocato seguì l’uomo senza fiatare, osservando durante il cammino i diversi dipinti affissi sulle pareti che ritraevano donne e uomini parecchio in carne.
Raccapricciante” pensò la giovane, non perdendo di vista la piccola forma dell’inglese che si portava avanti con una lampada in mano.
Una volta nell’enorme ufficio, Cutler lo girò e andò a sedersi dietro la scrivania incrociando le dita sotto il mento e fissando intensamente la ragazza.
«Sedetevi pure»
Eris, che era rimasta affascinata da una scacchiera in cristallo distolse lo sguardo in fretta e andò a sedersi su una morbida poltrona.
Quando vi si poggiò si sentì come sprofondare. Non andava bene. Si sarebbe addormentata sicuramente.
«Allora, Miss, stamattina vi ho illustrato il momento in cui siete arrivata all’improvviso e di quando siete stata soccorsa. Ora vorrei sapere il come siete caduta sopra all’Ammiraglio Groves-»
«Oh mio Dio. Sono caduta su Groves? Come sta? Si è rotto qualcosa? Ha riscontrato danni cerebrali? Respira ancora?-»
«L’ammiraglio sta perfettamente bene, Miss» la interruppe irritato. «Però ora risponda cortesemente alla domanda»
Dal tono di voce Eris notò chiaramente la sua curiosità e il suo pretendere una risposta sincera o almeno verosimile.
«Ti ho già detto che non mi crederesti e mi reputeresti una pazza» le rispose semplicemente abbassando il tono della voce in un sussurro.
Chissà poi in che schifo di prigione l’avrebbe ficcata, quel nano malefico.
«E io vi ho detto di provarci» ribatté l’altro.
«D’accordo, ma smettila di darmi del voi. Io non lo faccio, è una riverenza non richiesta»
Dopo essersi agitata un po’ sotto lo sguardo dell’uomo decise che era meglio trovare il coraggio di dirgli tutto senza il minimo tentennamento o l’avrebbe fatta impiccare quella sera stessa.
Si, perché ormai aveva perso le speranze. Sogno, coma o quant’altro lei riusciva a sentire odori, sapori, gioie e dolori. E sicuramente una corda stretta al collo non doveva fare un gran che bene.
«Chiedo venia, Miss Eris.»
IH, SI RICORDA IL MIO NOME!
«Ecco…lo so che è difficile da credere ma sto dicendo l’assoluta verità, lo giuro» quasi pregò guardandolo dritto negli occhi. «Io…vengo da un futuro molto lontano. Dal ventunesimo secolo a dirla tutta»
Non alzò lo sguardo, certa di trovare o un sorriso di scherno o uno sguardo seccato.
«L’altra mattina, a casa mia, è giunto un pacco che aveva il simbolo della Compagnia. L’unica cosa che ho fatto è vedere il suo interno e sembrava immenso. Senza rendermene conto ho sentito un vuoto o probabilmente sono scivolata e caduta. Poi tutto è diventato nero.»
Sospirò e trovò la forza per riportare lo sguardo sull’uomo davanti a se.
«Giuro che non c’entro nulla con i pirati. Quindi non farmi impiccare, non voglio morire giovane!»
Cutler rimase per un momento basito. Ma poi lo sguardo nei suoi occhi si addolcì un poco. Certo, non mentiva.
«Capisco. Beh, lo avevo sospettato. Ho fatto analizzare quelle scarpe e non esiste materiale simile qui. Probabilmente dovevate venire da un mondo che non è quello attuale» si alzò con cautela e si avvicinò ad un tavolino più piccolo in legno su cui erano poggiate bottiglie dei più vari colori. Probabilmente alcool. 
«Dopotutto non è certo una novità. Ho visto cose decisamente al di là di ogni comprensione.»
«Cos-?! Mi credi?!» domandò scioccata, balzando in piedi.
Beckett accennò un sorrisetto mentre versava una modesta quantità di brandy in un bicchiere e poi in un altro.
«Ve l’ho detto, Miss Eris. Il modo in cui vi comportate, il vostro shock al baciamano, il modo di vestire, per non parlare del vostro modo di porvi…non avete nulla dell’attuale società. E io ho viaggiato molto. So gli usi di quasi tutti i paesi del mondo.» le spiegò tendendole un bicchiere di cristallo che lei prese con mani tremanti.
Non poteva crederci. Quell’uomo non aveva fatto una piega. Se ne stava lì, un sorriso appena accennato stampato sulle labbra mentre sorseggiava quel liquido ambrato.
«Parlatemi di questo futuro, Miss. Come sarà? Che genere di evoluzione avrà il mondo? E la pirateria?» poteva quasi essere paragonato a un bambino.
La Gallese si sentì piuttosto imbarazzata, certo gli sviluppi del suo paese di anno in anno li aveva seguiti, studiandoli a scuola, ma sulle altre nazioni non sapeva proprio tutto.
«Beh, ecco. Sicuramente non c’è pirateria…praticamente da nessuna parte»
E in effetti era così. La pirateria come la intendeva il Lord era bella che finita e quasi gli scorse un sorriso soddisfatto e un brillio negli occhi a quelle parole.
«Per quanto riguarda lo sviluppo umano…ci sono soluzioni a malattie che qui vengono considerate incurabili, c’è una politica decisamente più dura e stabile, le donne sono autonome e la vita va avanti serena-»
«Donne autonome? Potete spiegarvi?» domandò aggrottando la fronte e facendosi più attento.
Eris assottigliò lo sguardo. La parola Donna aveva instillato curiosità in quell’uomo così cinico e rispettoso delle regole. Per lui una donna, oltre a dare figli e partecipare a cerimonie solo per compagnia, non poteva fare altro. O almeno era l’idea generale, non solo quella di Cutler.
«La donna ha diritto al voto. Può lavorare. Da impiegata a soldato. Non ci sono più distinzioni di potere tra uomo e donna. Siamo tutti uguali» rivelò senza mezzi termini, facendosi anche un pochino più orgogliosa.
«Che sciocchezza. Il mondo che mi state descrivendo sembra in parte peggiorato» sghignazzò, portandosi di nuovo il bicchiere alle labbra.
«E perché mai? Non pensi che una donna possa essere capitano o Lord come ti definisci tu? Che differenza c’è?» si era adirata oltre il possibile. Studiando all’università di giurisprudenza aveva seguito il caso della donna e il suo progresso nel diritto.
Era incredibilmente offesa da come essa veniva considerata e da come accettava di farsi considerare. Davvero, non capiva. Una società così diversa…
«Per iniziare una donna non può essere nominata Lord, poiché è un titolo prettamente maschile, inoltre una donna non ha certo un giudizio pari ad un uomo, Miss Gallese»
Ah, siamo tornati a Miss Gallese, piccolo scarafaggio.
«Ah, si? E perché mai?» sputò poggiando un po’ troppo forte il bicchiere sulla scrivania liscia.
«Perché, come ho detto, pecca in buon giudizio. Non ha abilità alcune. Non ha certo capacità deduttive che invece ha un uomo. Strategia. Forza.»  la osservò attentamente, affiancando delicatamente il bicchiere dell’altra sul tavolo.
«Molte donne hanno rivoluzionato il mondo al posto dell’uomo. Donne hanno avuto successo laddove gli uomini hanno fallito! Le donne sono persone, non oggetti!»
Cutler si trattenne dal ridergli in faccia. Non aveva fatto nulla se non pronunciare il parere generale eppure quella ragazza si era estremamente irritata tanto da avvicinarsi a lui in modo quasi aggressivo.
Aveva modi certamente pirateschi.
«Su,su, Miss. Non sto assolutamente affermando che la donna sia un oggetto» sospirò sconfitto passandole accanto e avviandosi verso la scacchiera in cristallo che all’inizio aveva adocchiato Eris. «Alle donne piace la condizione in cui si trovano, e perché non dovrebbero? Studiare è faticoso, lavorare lo è altrettanto, pensare…quello è quasi la cosa più complicata. Una donna, il cui unico compito è quello di badare a se stessa e ai propri figli, vivendo nel lusso e partecipando a feste, non trova poi così disgustosa la sua situazione» eppure, quella ragazza si. E Cutler non riusciva a spiegarsene il motivo. Intanto accarezzava dolcemente le piccole pedine nere sulla scacchiera.
«Infatti e ci credo. Le avete costrette a trovarsi bene.
» ringhiò. «Ti faccio una domanda, nano.»
«Come mi avete chiamato?» alzò un sopracciglio, leggermente irritato, guardandola dritta negli occhi e facendola rabbrividire.
«Cosa succede se una donna viene trovata su una nave a lavorare come marinaio?»
«Non potrebbe mai-»
«Rispondi!»
Beckett sbatté le palpebre e aprì le labbra in un nuovo sorrisetto. Aveva una giovane donna dall’orgoglio ferito davanti a se.
«Viene giustiziata. Le donne non possono salire a bordo di una nave come marinaio»
«Appunto»
Seguirono attimi di silenzio. Per la seconda volta quella giornata.
Dopo un po’ l’uomo decise di lasciar perdere. Probabilmente quella ragazza non avrebbe certo lasciato cadere il discorso.
«Non avete bevuto affatto. Scortese da parte vostra.» osservò l'inglese guardando il bicchiere pieno.
«I-Io…non ho mai bevuto quella roba. Dicono che ha un sapore forte» timorosa riprese il bicchiere tra le mani e annusò il contenuto.
Quasi nello stesso istante in cui lo aveva avvicinato lo distanziò tossendo un pochino.
«No, decisamente no.»
Cutler sorrise divertito e la guardò avvicinarsi di nuovo a lui, affiancandolo. Aveva lo sguardo fisso sulla scacchiera.
«Sai giocare a scacchi?» domandò lei.
«Mi state domandando se so giocare a scacchi?» chiese quello sarcastico andando a versarsi un altro po’ di brandy. «Non ho mai perso una partita negli ultimi dieci anni»
«Beh, è ora di annientare questo record, non pensi anche tu?»
Eris si sedette dal lato dei neri. «Ti do anche la possibilità di muovere per primo, guarda» sogghignò infine.
«Voi…sapete giocare?» chiese confuso, colpito ed estasiato insieme.
«Sbaglio o ti ho detto che le donne hanno diritto a tutto, ormai?»
Lord Beckett portò con se direttamente la bottiglia e andò a sedersi dalla parte opposta alla sua, guardandola intensamente.
«Mettiamo una posta in gioco? E’ noioso altrimenti.» scherzò la Gallese.
«Una pedina, una domanda. Risposte sincere.» accettò l’altro.
«Ottimo.»
Il primo a muovere fu lui portando il primo pedone in avanti.
Perdere il primo pedone per Eris fu facile.
«Quanti anni avete?»
«Lo sai che non si chiede un’età ad una signora? Poi sarei io quella scortese…» sbuffò lei alzando il sopracciglio.
«L’accordo.»
«22»
«22? Ma-»
«Lo so, sembro più piccola. Su, tocca a te muovere»
Un altro pedone. Dannazione.
«Dove avete studiato? Vi vedo parecchio istruita.»
«Nel mio futuro le donne,come gli uomini, son ben accette in scuole dai 3 anni ai 18 anni. Poi termina la scuola d’obbligo. Io ho proseguito i miei studi fino all’età attuale. Prendendo un ramo chiamato Giurisprudenza. Studio il diritto.»
«Interessante»
Cutler mosse altri pedoni ma fu il suo turno di perderne uno.
«Sei vergine?»
Il Lord quasi sputò tutto il brandy sulla scacchiera e dalla sorpresa quasi aveva fatto cadere la parrucca bianca.
«Che cosa?»
Eris sorrise malignamente. «Hai sentito bene.»
«Non vi riguarda!» sostenne lui guardandola e arrossendo un po’.
«L’accordo.» rise la moretta imitando il suo tono da rimprovero.
Quella mocciosa…«A-Anche gli uomini devono mantenere controllata la loro libido, così da rispettare la donna con la quale si condivideranno gioie e dolori»
«In breve, lo sei» aggiunse lei, guadagnandosi uno sguardo di intensa rabbia mista ad imbarazzo.
Neanche il tempo di fare un’altra mossa che un altro pedone bianco finì divorato.
«Ma come-»
«Strategie. Quelle che le donne non hanno.» lo scimmiottò. «Allora, hai mai corteggiato una donna o ti hanno friendzonato tutte?»
«Friend- cosa?»
«Uhm…lascia stare» si stava decisamente divertendo.
«Non ho mai corteggiato una donna. Avevo cose più importanti da fare»
«Capisco perché la tua libido è rimasta sottochiave allora» fece le fusa facendolo imbarazzare di nuovo.
Vedere quel lato dell’uomo la rendeva quasi soddisfatta di se. Come lo era stata lei, ora era il suo turno di sentirsi preso in giro.
Dopo un paio di minuti, dove le mosse e le spinte erano decisamente più calcolate. I pedoni erano caduti, gli alfieri li seguivano e le domande si facevano più insistenti e spesso imbarazzanti.
«Ti piacciono i maschi o le femmine?»
«Ma che domande sono!?»
«Rispondi»
«Donne, ovviamente.»
«Si, certo. Vorresti dirmi che non provi nulla per Jack Sparrow?» rise Eris ma la reazione che ne seguì fu terribile.
Quell’intervento e quel nome avevano alterato terribilmente Cutler che l’aveva fissata con rancore.
«Sbaglio o avete detto di non venire da questo mondo?»
Lei deglutì. «E’ vero…»
«E allora come conoscete Sparrow!?» abbaiò guardandola attentamente. Se avrebbe avvertito qualsiasi sorta di menzogna l’avrebbe fatta davvero uccidere.
«I-Io so cose…alcune cose…su qualcuno» mormorò quasi vergognandosene.
«Cosa sapete di Sparrow?»
«Non era nell’accord-»
«Non stiamo più giocando. Dimmi cosa sapete.»
Si era davvero cacciata in un guaio.
«So quello che ti ha fatto, del tradimento arrecatoti. So che sei alla sua ricerca non solo per conto del Re Giorgio ma anche per tua vendetta e per trovare qualcosa che è suo al momento…» sputò coprendosi subito dopo la bocca con le mani.
Fortuna si era bloccata. Chissà che casino se gli avesse rivelato il futuro. Inoltre aveva già il cuore di Devy Jones? Non sembrava.
«Voi…come?» solo balbettò rimanendo con lo sguardo puntato sulla testa china della mora.
«Mi dispiace, Beckett. So solo alcune cose…»
Beckett rimase silenzioso per un attimo. Eris era certa che da un momento all’altro avrebbe chiamato Mercer e l’avrebbe fatta torturare per avere informazioni simili. Ne era in grado, dopotutto.
Ma l’unica cosa che l’uomo fece fu muovere il cavallo.
«E’ il vostro turno»
La Gallese boccheggiò un pochino, come prima aveva fatto l’altro, e mosse la propria pedina.
Perse il cavallo nero.
«Cosa sapete di me?»
«E’ una domanda molto ampia...» osservò, agitandosi. Aveva il re a pochi passi. Quell’uomo era davvero bravo come diceva. Avrebbe dovuto usare qualche altra strategia dato che l’ultima era stata neutralizzata.
«Sto aspettando»
«Il tuo passato. Le tue difficoltà a scuola, la discussione con tuo padre, la morte di tua madre e di tua sorella, le torture inflittoti dal pirata francese di cui non ricordo il nome, le difficoltà avute durante il percorso per diventare qualcuno di rispettabile, qualcuno che tuo padre avrebbe dovuto ammirare, il tradimento di Jack, la perdita della tua speranza di diventare qualcuno, il-»
«Basta…basta così.» sospirò lui muovendo un altro pezzo.
Proseguirono per un po’, mangiando pezzi e Cutler aveva deciso di non fare più domande, così come Eris stessa.
Beckett era diventato aggressivo nel gioco. Aveva preso ad asfaltare praticamente il lato nero senza preoccuparsi di altro. Aveva per la testa altri pensieri. Del perché e di come quella ragazza lo conosceva così bene.
Del perché fosse così teso all’improvviso. Così nudo davanti a qualcuno che lui decisamente non conosceva tranne il nome, l’età, l’aspetto e la preparazione scolastica.
Nudo come non era mai stato.
Sbarrò gli occhi. Aveva sbagliato mossa. Le aveva dato lo scacco al Re e non l'aveva sentita affatto.
«Scacco Matto»
Cutler si lasciò cadere contro lo schienale e guardò con i suoi occhi grigi il Cavallo Nero e il Re Nero circondare il suo Re Bianco non permettendogli di sfuggire senza essere mangiato. Aveva sacrificato inutilmente la sua regina e l'alfiere non avrebbe potuto proteggerlo.
Aveva perso puntando a eliminare cosa, in realtà?
«Beckett, sono quasi le undici»
Non era stanca ma guardare lo sguardo dell’uomo le aveva messo ansia e l’aveva quasi fatta sentire in colpa.
Forse semplicemente non doveva dirgli tutte quelle cose. Forse, rammentarle gli aveva fatto male. Anche se il suo cuore doveva essere fatto di ghiaccio probabilmente provava anche lui emozioni.
«Si, le mie scuse» si alzò dal tavolino e così fece Eris, rimanendo con lo sguardo incollato al suo.
«Vi accompagno nella vostra stanza, presumo che possiate perdervi»
Prima che potesse avanzare verso la porta la mora si sbilanciò in avanti e lo abbracciò di scatto.
Cutler rimase immobile, gelato sul posto, non sapendo minimamente cosa fare.
«Mi dispiace così tanto. Non so come dev’essere stato ma non oso nemmeno immaginarlo.»
Con un’espressione irritata le lanciò uno sguardo più glaciale possibile. «Staccatevi»
Nessuno l’aveva mai abbracciato prima se non sua sorella o sua madre, quando stava meglio.
Quelle braccia emanavano così tanto calore da mandarlo in fiamme. O erano le guance che stavano diventando lentamente più rosse di un pomodoro maturo?
Poi, scocciato da quella situazione e dalla non-reazione al suo ordine, Beckett si ricompose e distanziò la giovane mantenendo il suo solito sguardo freddo e annoiato.
«Seguitemi»
Eris aveva sentito Cutler rilassarsi nel suo abbraccio ma dalla reazione che ne aveva seguito crebbe quasi di esserselo immaginato.
Dopo aver salito delle scale e attraversato un lungo corridoio la ragazza decise di nuovo di spezzare il silenzio.
«Voglio fare un bagno freddissimo in un’immensa vasca da bagno!»
«Che cosa?» chiese l’uomo credendo di aver capito male le parole della giovane.
«Stai scherzando? Una vasca da bagno, amico! Sai, per lavarsi!»
Il Lord strabuzzò gli occhi per un attimo considerandola assolutamente e completamente pazza. «Seriamente, milady, se state cercando di uccidervi avete tutta la mia simpatia ma non è il modo più semplice quello che avete scelto»
«Che intendi dire?» domandò scocciata.
«I bagni d’acqua indeboliscono l’organismo e dilatano i pori. Se volete morire di qualche malattia almeno evitatelo di farlo in casa mia»
“In realtà è casa del Governatore Swann questa…”
«Morire di- aspetta,mi stai dicendo che voi…che tu…non vi-»
Era scioccata.
«Devo criptare quello che dite o vi è tanto complesso formare una frase con un senso compiuto?» sbuffò lui fermandosi a guardarla.
«Quindi non vi lavate…presumo…» storse le labbra.
«Uhm? Ovviamente mi lavo. State paragonando un nobile ad un lercio pirata?»
«Ma hai appena detto-»
«Avete affermato di voler fare un bagno freddo. Se venite a contatto con una malattia sconosciuta e incurabile, Miss Eris, dubito riusciremo a farvi rimanere in vita»
«E-era un modo di dire…»
«Domani mattina vi farò preparare un bagno caldo dalla domestica di turno.» Beckett tirò fuori una serie di chiavi incatenate tra loro in un cerchio di ferro. Con una delle tante aprì la porta davanti a lui e si scansò di lato per far passare Eris, invitandola ad entrare con un piccolo inchino.
«Io-grazie.»
«Di nulla. Ci vedremo domani mattina. Credo sia bene fare una visita in paese. Bisogna assolutamente comprare qualche indumento adatto alla vostra…persona» l’ultima parola la pronunciò quasi fosse difficile accettare che, davvero, la Gallese fosse una persona e non un demonio. Fece per andarsene e lasciarla sola quando si bloccò sulla soglia e la guardò da sopra la spalla, gli occhi improvvisamente più scuri del previsto e decisamente più cattivi.
«Ah, e Miss Eris…» la ragazza ebbe un brivido. «Fate parola con qualcuno di ciò che sapete e vi troverete appesa per il collo senza sapere né come né perché.»
Con quelle parole chiuse a chiave la porta e la mora fu libera di lasciar uscire il respiro che le si era bloccato in gola.
Quel tizio sapeva sicuramente come intimorire la gente nonostante la sua piccola statura.

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Capitolo 3
*** Non voglio indossare vestiti ***



Capitolo 3. Non voglio indossare vestiti

«Hai esattamente TRE secondi per sloggiare dalla mia stanza!»
E come di consueto, la mattina era cominciata nel verso giusto.
«M-Ma…Miss, il bagno caldo è pronto e se non vi sbrigate potrebbe freddarsi nuovamente. Sono due volte che lo rimettiamo sul fuoco»
La giovane cameriera sembrava estremamente turbata, guardando il fagotto di lenzuola sopra il materasso bianco.
«Stai seriamente rischiando la tua pellaccia» poi, un’idea per farla sparire le balenò davanti agli occhi. «Lord Beckett non te l’ha detto? Io sono una strega!»
Si tirò di scatto in piedi, circondandosi con la lunga coperta blu chiaro facendo spuntare soltanto gli occhi.
La domestica tirò un urletto all’improvviso movimento e prese ad allontanarsi mentre Eris scendeva dal letto e mormorava parole sconnesse.
«Ti avverto, fanciulla, se non uscirai da questa stanza nei prossimi trr secondi scaglierò su di te una terribile maledizione!»
Alzò le braccia facendo sventolare minacciosamente il tessuto che la circondava. Guadagnò un nuovo urlo dalla donna e si trattenne dal scoppiare a ridere.
«Uno.»
«M-Miss…la prego…»
«Due» sancì e prese a blaterare parole al contrario con voce sempre più cupa.
«Nooooo!»
Senza che riuscisse a pronunciare la lettera “T” la domestica era sparita, lasciando indietro anche una spazzola.
«Oh» mormorò Eris, piegandosi a raccogliere l’oggetto d’argento. «Grazie»

Dopo essersi liberata della domestica da ansia la mora si era letteralmente tuffata nella vasca dorata, godendosi la piacevole sensazione che le dava l’acqua tiepida.
Lentamente la levigava e passandosi la spugna sul corpo sentì lo sporco venire via.
I capelli erano liberi ma per lavarli aveva usato un saponetta nera e sicuramente non ne avrebbero beneficiato così tanto della cura.
Nemmeno a pensarlo, quando uscì dall’acqua che ormai era diventata gelida ed essersi passata un asciugamano sui capelli lunghi e bagnati si rese conto che non c’era elettricità, di conseguenza nessun phon per asciugare i capelli.
«E ora?»
Quando rientrò nella sua nuova camera da letto notò un camino acceso. Probabilmente la domestica era rientrata mentre lei si faceva il bagno.
Forse l’aveva sentita anche cantare a squarciagola.
Dopo aver indossato alla svelta lo stesso completo bianco della sera prima andò ad acquattarsi davanti al fuoco e piegò di lato la testa così che il fuoco riscaldasse e asciugasse i suoi capelli gocciolanti.
Dopo quel che parve un’ora o due, non aveva tenuto conto del tempo dato che si era messa a pensare a tutto e di più, i capelli parvero decisamente più asciutti ma tuttavia ancora umidi.
Con un sorrisetto prese un laccio da una tenda lì vicino e aggrovigliò i capelli in uno chignon alto.
«Pronta!»
Si alzò e si avviò verso la porta.
La casa pullulava di domestici, tutti impegnati nelle loro faccende abituali. Aveva dovuto chiedere circa dieci volte come raggiungere la sala da pranzo per fare colazione ed era arrivata al punto di costringere uno della servitù ad accompagnarla.
«Quel nano ancora non si sveglia? E quella donna si è impuntata per farmi scendere dal letto all’alba!»
Andò a sedersi alla sedia che aveva occupato la scorsa sera e aspettò che un giovane vestito di tutto punto le portasse una tazzina da tè, una piccola teiera fumante e un piccolo palazzo di dolcetti. Praticamente aveva 4 strati. Due avevano dei strani biscotti mai visti e gli altri due fette di torta dai più diversi colori.
Quasi indecisa agguantò il primo biscotto e azzardò un morso.
«E’ buonissimo!» sostenne estasiata guardando il giovane che ricambiava il suo sguardo con un sorriso.
«Lo dirò al cuoco, Miss. Ora, che aroma preferite?» chiese lui mostrandogli una varietà di bustine da tè da far invidia ad un intero negozio dedicato.
«Ehm…credo…» troppe cose. «Al limone va bene…»
Il cameriere parve per un momento confuso poi accennò col capo e sparì dietro una porticina.
Dopo pochi secondi, nei quali Eris si era ingozzata il più possibile con i biscotti alla frutta, il ragazzo rientrò nella sala e prese a sistemare il tè per poi versarlo nella piccola tazzina.
«Grazie mille»
In quel preciso istante le porte della sala si aprirono lasciando passare un Beckett parecchio incazzato e un Mercer divertito.
Eris stabilì che probabilmente se quell’assassino era divertito qualcosa di brutto stava per succedere.
«Ah, ma buongiorno. Credevo fossi morto nel sonno» ridacchiò la mora portandosi la tazzina alle labbra.
«Avete spaventato a morte la domestica. Non riusciva nemmeno ad aprire bocca»
La Gallese ridacchiò. «Eh, quanta esagerazione. Stavo solo giocando. Le chiederò scusa più tardi»
Beckett sospirò stancamente e scacciò via il giovane servo che sparì senza dire una parola.
La guardò prendersela comoda, gustandosi la sua colazione, i capelli raccolti e il suo completo che le fasciava il corpo.
«Mi dispiace disturbarvi, Miss Gallese ma il tempo è denaro e, di conseguenza, non posso spenderne troppo per fare delle inutili compere» la sgridò facendola scattare sull’attenti.
«A me piace questo completo. Non ho bisogno di altro.» dichiarò con semplicità.
Cutler aguzzò lo sguardo sulla sua uniforme e, nemmeno a volerlo fare apposta, notò che i primi tre bottoni della camicia sotto la giacca erano stati slacciati lasciando ben poco all’immaginazione.
La ragazza seguì lo sguardo dell’uomo e sorrise malignamente. «Ti piace ciò che vedi?»
Il maggiore aprì la bocca ma non rispose.
«Sto scherzando, Cutler. Prendila a ridere ogni tanto»
Si alzò dalla sedia lasciando tutto sul tavolo e avvicinandosi all’uomo, guardandolo dall’alto al basso.
Quegli occhi grigi le piacevano un casino.
Il suo sguardo era particolare. Riusciva ad essere intenso, freddo e intimidatorio.
«Possiamo andare, così potrai concentrarti sulla tua conquista dei mari»
Portò una mano alla cipolla di capelli e sciolse il nastrino facendo cadere i folti capelli marroni alle spalle. La restrizione li aveva resi ondulati e brillanti.

Le strade di Port Royal a quell’ora del mattino erano immerse nel lavoro più fitto. Pescivendoli iniziavano a sistemare le proprie baracche e i propri negozi e militari sondavano le stradine, spesso liberandoli da gente sdraiata per terra, probabilmente ubriaca dalla sera prima.
Nonostante ci fossero anche persone allegre che urlavano o la salutavano togliendosi i cappelli lerci facendola ridere, ce n’erano anche altre che riuscivano a darle tristezza e ansia.
Port Royal non aveva solo lati positivi purtroppo. C’era chi era estremamente ricco, e chi estremamente povero.
Ai lati delle piccole vie erano accasciati uomini, donne e bambini di tutte le età.
Guardò Cutler come per capire se anche lui vedesse quel che vedeva lei ma non sembrava minimamente scosso. Continuava a camminare al suo fianco, stoico come sempre. Così anche Mercer ma non ne rimase colpita.
Proprio mentre li guardava non fece caso di star passando troppo al margine della strada e inciampò su qualcosa…o meglio, qualcuno.
Con uno sguardo scioccato in viso osservò l’uomo curvo su se stesso. Le braccia e le gambe nude mostravano solo ossa con uno strato di pelle per mantenerle insieme. Non c’era altro. Uno scheletro vivo.
Quasi senza accorgersene si ritrovò a fissare gli occhi velati da qualcosa che non riusciva a capire ma che le fece attorcigliare le budella.
Si sistemò una mano sulla bocca e arretrò velocemente finendo contro Cutler, che rischiò quasi di cadere per la sorpresa.
«Insomma!»
L’ometto si girò verso la ragazza e la trovò tremante davanti al corpo del vecchio steso a terra.
Una delle sue mani era agiata sulle labbra e gli occhi erano diventati dei dischetti che lentamente si riempivano di lacrime.
Probabilmente avrebbe dovuto avvisarla di simili scene macabre ma aveva dato per scontato che anche nel suo mondo ci fosse povertà. Che si sbagliasse?
«Miss Gallese, va tutto bene.»
Quando le toccò un braccio quella parve come scottata e si allontanò bruscamente. Lo sguardo, da velato di tristezza, in fuoco rabbia.
«Va tutto bene?! Come può andare bene, questo!?» sbraitò furiosa, indicando con una mano tutto il vicolo.
Alcune donne che stendevano il bucato fuori dalle finestre si tesero appena per guardare la giovane adirarsi e gesticolare.
Molti cominciarono a mormorare e guardare da Cutler alla ragazza.
«Lord Beckett? Che ci fa qui giù?»
Il Signore cominciò a tendersi quando la massa cominciò ad avvicinarsi per sentire blaterare Eris e cominciò ad innervosirsi.
Che figura ci avrebbe fatto? Farsi urlare contro da una mocciosa ingrata.
«Miss, vi suggerisco di abbassare la voce o, meglio, di non fiatare affatto!» la minacciò silenziosamente.
La Gallese fece per aprire bocca di nuovo ma si accorse della piccola cerchia che li aveva circondati, mormorando sempre più forte.
«Strana ragazza»
«Sbaglio o quello è un completo da cerimonia maschile? Sicuri sia una donna?»
«Litigi tra spasimanti?»
«Non ci è giunta nessunissima voce che Lord Beckett sia impegnato»
«Magari è recente»
Eris, al sentir il parer comune, si imbarazzò a tal punto da ammutirsi di colpo e avvicinarsi di nuovo al più basso, afferrandogli un lembo del completo tra le dita.
«Andiamo via…» gli mormorò appena tirandoglielo.
Cutler alzò un sopracciglio ma non si fece intimorire dalla massa. Vi passò attraverso con semplicità, seguiti a ruota da un Mercer decisamente protettivo.
Quando furono lontani dal punto affollato, il Lord prese la mano rimasta attaccata al lembo della sua giacca in una delle sue e la guardò appena.
«Non c’è bisogno di agitarsi tanto. La gente parla, Miss Eris. Inoltre le domestiche al maniero non sanno tenere la bocca chiusa»
La mora era rimasta concentrata sulla mano che lui teneva stretta, sentendo la morbidezza di mani che non conoscevano affatto fatica e lavoro. Erano quasi…
«Hai delle mani da donna»
Cutler sobbalzò un pochino e ritirò alla svelta la propria mano continuando a marciare in avanti.
Ian da dietro posò una mano sulla spalla della ragazza e la invitò con un cenno a seguire il suo signore.
«Sapete, i vostri interventi spesso e volentieri sono tremendamente inadatti» le rivelò a bassa voce, continuando a tenere sotto stretta sorveglianza il superiore.
«Ah, ma allora parli!» osservò lei, lasciandosi scappare un sorrisetto.
«Dubitavate?» domandò lui.
«Non lo so. Sembri terribilmente taciturno e spesso fai paura. Non credevo avessi anche una bella lingua tagliente»
«Come assassino, Milady, le parole sono il requisito più importante» le spiegò, sistemandosi meglio un guanto nero.
«Uhm, capisco. Mi insegni qualche trucchetto del mestiere?»
Mercer ridacchiò. «Non credo sia qualcosa anche solo da suggerire»
Con passo più veloce affiancò nuovamente Beckett e Eris fece lo stesso, per paura di essere lasciata indietro.

«Oh, Lord Beckett! Cosa posso fare per voi? Ho un assortimento di nuovi completi divino» una voce terribilmente mielosa arrivò alle orecchie dei due, facendoli rabbrividire.
Un uomo dall’aria apparentemente e indubbiamente gay era uscito da dietro un bancone. Un paio di baffi alla Hitler gli adornavano il viso rendendolo tremendamente agghiacciante.
“Che diavolo ha fatto ai baffi?” pensarono nello stesso istante i nuovi arrivati.
Cutler stirò le labbra in un sorriso tiratissimo mentre Eris si trattenne dal sbottargli a ridere in faccia, così, giusto per educazione.
«In realtà, non sono qui per me. Miss Gallese ha bisogno del tuo assortimento divino. Magari farà l’impossibile di rendere divina anche lei» ghignò, guadagnandosi uno sguardo terribile ma non dandoci troppo peso.
«Oh!» l’uomo macabro girò intorno alla donna e prese a scuotere il capo. «Mon Dieu, quanto spreco!» prese la ragazzina per il polso e cominciò a trascinarsela dietro.
«Josephine! Josephine!» urlò con voce acutissima. A Eris parve che le orecchie le stessero chiedendo una vacanza.
«Sono qui, maestro» una giovane donna, una ragazza, forse della sua età, aspettava in una sala dove vi erano un sacco di orrendi manichini. Era bella. Incredibilmente bella.
Aveva due occhi verdi da far invidia allo smeraldo più puro e dei capelli biondi color del grano. Poteva essere quasi paragonata ad un angelo. Se non fosse stato per il suo completo da serva con spilli ovunque.
«Prendi attentamente le misure di questa donzella. E non fare errori. Lord Beckett non ammetterà sbagli»
Consegnò Eris nelle mani della ragazza che le sorrise gentile. «Mi segua, mia signora»
«Si, ma niente vestiti eh»
Ma prima che potessero allontanarsi lo sguardo della bionda si puntò su qualcosa alle sue spalle.
La Gallese seguì lo sguardo paralizzato della sua coetanea e la trovò a fissare Beckett, che la guardava a sua volta ma lo sguardo rimaneva decisamente glaciale.
«Lord Beckett» si inchinò riverente la giovane sarta, guardando imbarazzata il Signore.
Quello fece appena un cenno col capo continuando a guardarla.
Eris rimase bloccata. Si sentiva completamente estranea a quel gioco di sguardi così decise di tirarsi indietro così da poter osservare meglio quel fenomeno.
«Su, su, ragazza. Non c’è tempo di indugiare» l’uomo dai baffi alla Hitler diede piccole spinte alla giovane così da costringere entrambe ad entrare in un enorme camerino, lì vicino.
«Cos’era quello?» chiese dopo un minuto di silenzio dove la ragazza bionda aveva preso a cercare febbrilmente gli oggetti adatti per le misure.
«Cosa, mia signora?»
«Il mio nome è Eris. Non “Mia Signora”. Non sono la tua signora.» sbuffò agitando una mano. «Quegli sguardi. Conosci Cutler?»
Josephine arrossì un poco e tornò a cercare gli utensili.
«Lo prendo per un si» ghignò lei facendo un passetto indietro.
Improvvisamente un tessuto le cadde davanti agli occhi e si girò a guardare cosa le era arrivato alle spalle.
La visione che le si parò davanti fu più che meravigliosa.
«CUTLER!»
Afferrando l’enorme vestito e uscendo dal camerino si parò davanti al Lord, che la guardò confuso. Era un lungo vestito di un bianco immacolato, molto lungo. Non era coperto di eventuali fronzoli o pezze di altro genere. Era semplice, con motivi floreali trasparenti.
«Non è stupendo?! Lo voglio!»
Beckett sbuffò. «Miss Eris, questo è-»
«Ah, ma quindi…è venuto per…beh, è sicuramente il vestito più adatto ad essere accanto ad uomo del suo livello, Lord Beckett»
«Cosa?» chiesero in coro guardando stralunati l’uomo che si stava facendo via via più agitato.
«Beh, sicuramente anche la sua signora. Starà d’incanto in quel vestito. Tutte le dame la invidieranno» oh, una scintilla di gelosia?
«Che cosa esattamente state dicendo, Sir Joseppe?» domandò Beckett, stizzito.
«Parlo del-»
«Matrimonio…»
Una voce silenziosa alle spalle di tutti mormorò quella parola con una cadenza quasi triste. Consapevole di qualcosa.
Eris e Cutler si girarono verso Josephine, trovandola decisamente scossa.
«Cos- Matrimonio?» sbuffò, ridendo la stessa moretta.
«Beh, Mio Signore, non c’è che dire. Avete scelto proprio una donna singolare. Unica del suo genere, si vede» applaudì il sarto avvicinandosi e facendo fare una piroetta alla ragazza che fece una smorfia disgustata.
"Bleah!"
«No, vi sbagliate…io e Cutler non stiamo certo per-»
Un rumore veloce di passi fece bloccare la mora sul nascere di una nuova parola e vide, con la coda dell’occhio, il vestito di Josephine sparire dietro una tenda. Poi, qualche attimo dopo una porta che si chiudeva.
«…sposarci»
«Ah no?» domandò confuso colui che ancora le teneva una mano.
«No, CERTO che no. Io e Miss Gallese siamo qui solo per fare semplici compere.»
«NON DIRLO CON QUEL TONO SCHIFATO!» si lamentò la giovane tirandogli una gomitata ad un fianco.
Il viso di Sir Joseppe si rilassò visibilmente e la forte presa sulle sue mani si allentò, questo non sfuggì allo sguardo attento di Eris.
«Cos’ha fatto Josephine?» chiese poi, non distogliendo lo sguardo dal punto dove la ragazza era scomparsa.
«Nulla di grave, si rimetterà presto» il tono del francese era diventato molto più ponderato. Non più fastidioso.
Dopo un paio di minuti e diversi urletti da parte della Gallese quando un aghetto le si avvicinava troppo riuscirono a prendere le misure e prese a scegliere dei vestiti.
All’inizio aveva direttamente svoltato per l’ala maschile ma Cutler l’aveva agguantata per il colletto del completo e l’aveva trascinata dalla parte opposta.
Ovviamente si era opposta all’acquisto di un vestito ma il Lord sembrava irremovibile.
«Ma almeno una maglietta e un pantalone! Non voglio indossare vestiti!» ringhiò buttando l’ennesima enorme bomboniera sulla pila dei scartati.
«Non permetterò che giriate libera con vestiti maschili. Specialmente in mia presenza.» Beckett si avvicinò ad un vestito giallo canarino e la guardò con un ghigno. «Vuol dire che sceglierò io per voi»
«Vuol dire che brucerò prima il vestito e poi te» lo minacciò guadagnandosi una risatina di scherno.
Erano stati lasciati soli nella stanza mentre si offendevano a vicenda, alla ricerca di un vestito che accettassero entrambi. Affare ben oltre l’impossibile.
«Sono proprio curioso di vedere come ci riuscirete» con un movimento fluido tolse il vestito orribile dalla stampella e glielo tirò. «Provatelo»
Eris lo prese al volo e storse le labbra. «Non ci penso proprio»
«Dimmi, Miss Eris, volete usare le buone o le cattive? Posso chiamare direttamente Mercer-»
«LO PROVO!» urlò stanca sparendo dietro un paio di tende.
Dopo aver tentato e sbagliato ad infilarlo nel verso giusto per un totale di 15 volte, alla sedicesima vi riuscì.
«Ci sono dei lacci qui dietro. Non riesco a legarli»
Diede la schiena all’uomo che si avvicinò nella più totale tranquillità e strinse forte i fiocchi, sentendo la ragazza mancare il respiro.
«E’ troppo stretto!»
Quando li ebbe allacciati con ponderatezza si allontanò di pochi passi per osservarla e quasi scoppiò a ridere.
Era orribile.
«Si, ridi, nano bastardo. Spera che non ti faccia cadere per sbaglio da una nave, in un prossimo futuro» sibilò freddamente lei, mentre con una mano si districava per agguantare i fili e scioglierli.
Quando vi riuscì sospirò di sollievo e spinse di lato l’inglese, andando a sondare il resto dei vestiti. Erano tutti terribili. E sicuramente sarebbe risultata davvero ridicola in quel cosi.
Cutler l’aveva bellamente presa in giro con lo sguardo e si sentiva quasi imbarazzata davanti a quell’uomo senza cuore.
Mentre sondava distrattamente i vestiti i suoi occhi caddero su qualcosa di decente di un grigio/verde.
«Forse…»
Lo prese stretto, lo tirò fuori dalla montagna di altri vestiti e lo portò al viso del più basso, facendolo arretrare all’improvvisa vicinanza.
«Si, è perfetto!» rise avvicinandoselo al corpo e osservandolo.
Aveva un collo giustamente scollato e delle maniche fatte di un tessuto quasi trasparente. Anche se aveva numerosi strati di stoffa era coperto da curiose perline bianche e grigie che saltarono subito all'occhio della giovane.
«Quello?» domandò titubante Beckett prendendo un lembo basso del vestito e studiandolo tra le dita.
«E’ bello. Si intona ai tuoi occhi»
L’ometto sgranò proprio quei begl’occhi color ghiaccio ma subito la guardò male, sentendosi preso in giro.
«Si, certo…»
«Non sto mentendo, Cutler» l’uomo rabbrividì al suono del suo nome che scivolava tranquillamente sulla lingua della giovane. «Mi piacciono i tuoi occhi e questo vestito è decente almeno»
Il Lord accennò un sorrisetto. «Non vi rendete minimamente conto che le vostre parole potrebbero essere fraintese?»
Accarezzò silenziosamente il tessuto e pensò alla sera prima. L’abbraccio improvviso che l’aveva colto di sorpresa. Quella mocciosa davvero non si rendeva conto di ciò che diceva o faceva.
Istintiva. Compulsiva.
Non sapeva minimamente cosa fosse la decenza o il rispetto. Meglio tenerla sotto controllo, giusto per non rischiare.
«Lo so che quel vestito bianco è da sposa ma mi piace molto. Se potesse essere fatto di questo grigio lo indosserei» rivelò senza mezzi termini guardando il maggiore.
«Perfetto. Riferirò a Sir Joseppe»
Silenziosamente girò su se stesso e passò accanto alla pila di vestiti, agguantandone due che erano stati adagiati su una sedia.
Uno di un rosa perla e l’altro verde acqua.
«Ah, prendo anche questi» le comunicò.
«Non sapevo ti piacesse indossare vestiti femminili» lo punzecchiò lei.
«Oh, ma ovviamente sono per voi, Miss. Sarà dilettevole vedervi con un colore tanto vivo»
“Piccolo sadico schifoso…”

Quando riuscirono a pagare e uscire dalla sartoria Eris si ricordò improvvisamente della giovane Josephine. Ma ormai erano già in carrozza. Tornare indietro sarebbe stato ridicolo.
«Conosci la sarta?»
Cutler si girò di scatto verso la mora quasi studiandola. «Si»
«Gli interessi, lo sai vero?»
Beckett distolse lo sguardo, puntandolo verso qualcosa che probabilmente aveva attirato la sua attenzione più di quella conversazione.
«E che genere di interesse dovrebbe avere nei miei confronti?»
«Perchè lo chiedi a me? Chiedilo a lei. Probabilmente è rimasta colpita dal tuo…» rise «…fascino?»
«Non c’è bisogno di essere così tremendamente sarcastica, Miss Eris» rise freddamente l’uomo a sua volta. «Che altro interesse potrebbero avere donne di quel livello se non il denaro?»
La Gallese rimase a bocca aperta.
«Sei un completo coglione»
L’inglese la guardò con rabbia curvandosi in avanti e facendosi improvvisamente più minaccioso.
«Potrebbero avere altre ragioni, dopotutto? Voi donne siete incredibilmente viscide su questo punto»
«C-Come ti permetti!?» lo agguantò per il bavero della camicia costringendolo in quella scomoda posizione. «Tu, piccolo maschilista! Sei tu il primo che gioca con sentimenti umani per ottenere ciò che vuoi. Non sei altro che il bue che dice cornuto all’asino!»
Il Signore non sapeva cosa dire. Era rimasto pericolosamente vicino al viso della ragazza e poteva sentire il suo respiro sulle labbra, facendole formicolare.
Rendendosi conto di aver esagerato, si permise un lungo sospiro mentale e rilassò i nervi.
«Quella ragazza prova un vero sentimento. Qualcosa di più forte di questa stupida materialità in cui tu credi»
Offesa lo scostò nuovamente e con la coda dell’occhio notò la piccola pistola che rientrava nuovamente sotto la manica. La credeva pericolosa tanto da servirsene?
Eppure Beckett non azzardò a dire nient’altro, se ne stava lì, seduto al suo posto, sondandola con sguardo attento e curioso.
«Non sono tutte attaccate al denaro, Beckett. Alcune amano. Amano davvero» mormorò come avesse sancito l’ultimo giudizio.
«Voi avete mai amato?»
Eris si trovò a sorridere a quella domanda. «Non lo so. Sono stata con 3 persone in tutta la mia vita ma ancora non credo di aver capito cosa sia l’amore»
Quando alzò lo sguardo trovò il labbro di Cutler arricciato, come se disgustato.
«Cos’è quello sguardo?» chiese alzando un sopracciglio, proprio come faceva lui.
«Tre uomini? Non vi sembra un numero…eccessivo?»
La ragazza sorrise più dolcemente e assunse un tono più carezzevole. «Nel mio mondo, Cutler, non ci sono costrizioni o matrimoni combinati. Ognuno è libero di amare chi vuole ma spesso ci si ritrova ad aver scelto la persona sbagliata. Ma sbagliare è umano e perciò viene consentito, anche se la gente parla lo stesso» e tornò a guardare l’immensa vallata fuori dal finestrino della carrozza.
A quella dichiarazione, l’uomo non poté far altro che annuire. Lo considerava ancora qualcosa di estremamente fuori dalla norma ma aveva focalizzato i suoi modi.
Non era una brutta compagnia ma a volte era estremamente disturbante…va bene, diciamo al 90% non si sopportava. Ma il 10% era davvero piacevole.
«Ripetete il mio nome»
Eris lo guardò nuovamente. «Ehm…Cutler?»
«Lo dite con una strana cadenza» sorrise di rimando vedendola confusa.
«Mi perdoni, sua maestà» sospirò drammaticamente.
«Non è una critica, Miss Eris, è solo un’osservazione»
«Tu invece fai venire i brividi. Limitati. Mi sciupi il nome in questo modo»
Per la prima volta sentì davvero la risata divertita dell’altro e lo guardò con aria assente.
Quando Beckett si accorse che lo stava fissando si allarmò subito. «Cosa?»
«Dovresti ridere più spesso. Ti fa sembrare più umano»
«Lo prendo come un complimento» poggiò il mento sul palmo della mano e tornò a guardare fuori. Sapeva che i suoi complimenti erano sinceri ma si vergognava a dargliela vinta.
«Lo è, Cutler»
Ora che ci pensava lui non aveva mai fatto un’osservazione carina nei suoi confronti.
«I vostri…capelli…» deglutì «…sono belli oggi»
Senza rendersene conto anche Eris arrossì fino alla punta delle dita e distolse lo sguardo puntandolo da tutt’altra parte.
«Z-Zitto»
Cutler la guardò scioccato.
«Questa è l’ultima volta che vi faccio un complimento!»
«Bene» rispose l’altra.
«Bene!» concluse l’altro.

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Capitolo 4
*** Se il buongiorno si vede dal mattino ***


Capitolo 4. Se il buongiorno si vede dal mattino

La stanza era illuminata scarsamente. Le tende erano state tirate per coprire il sole cocente e una candela completamente consumata giaceva sul comodino, sotto un piccolo piattino d’argento che la raccoglieva.
Un respiro affannato riusciva a far mettere in secondo piano il canto degli uccelli e il rumore del mare.
Al respiro andarono a susseguirsi leggeri gemiti sofferenti e uno strascicare di coperte.
«No…»
Si sentì un leggero rumore provenire dalla porta della stanza e quando questa si aprì un poco, due paia di occhi scuri scrutarono attentamente l’interno.
In punta di piedi, senza fare ancora più rumore, entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle.
«Non toccar-»
Un altro gridolino.
La forma scura che era appena penetrata si tese a quel rumore e strisciò ai piedi del grosso letto, piegandosi sulle ginocchia e rimanendo in ascolto.
«State lontana da lì…»
La figura alzò un sopracciglio, aprendo le labbra in un sorriso furbetto.
«Sveglia, dormiglione di un Lord» sussurrò in un orecchio vicino.
Ci fu un sussulto e una delle mani dell’addormentato andarono a chiudersi forte sulle coperte, fino a far diventare bianche le nocche.
«Non rompetele!»
Questo non era un sussurro. Era un vero e proprio urlo, femminile per giunta.
Lo sconosciuto ridacchiò mutamente e stuzzicò il piccolo fagottino assopito con la punta delle dita, pizzicandogli le guance.
Stanca di quel giochino silenzioso e intuendo l’incubo del Signore, la figura si alzò in piedi e si piegò sul suo orecchio, pronta a distanziarsi subito dopo.
«Beckett, Jack Sparrow ti sta rubando tutte le collezioni delle tue preziose tazzine da tè!»
Come previsto, dopo l’intenso urlo, l’uomo si girò su se stesso e se non si fosse spostata in fretta probabilmente avrebbe incassato un bel pugno sul naso.
«Chi? Cosa? Dove?!»
Svegliatosi di soprassalto, Cutler prese a girarsi intorno e quando scorse un paio di occhi e un sorriso malizioso davanti a se, sobbalzò arretrando sul letto e cadendo, finendo con la schiena sul pavimento.
«E’ ora di alzarsi!»
Le tende si aprirono improvvisamente e la luce del sole inondò la stanza illuminando ogni singolo angolo.
Il mucchietto di lenzuola a terra prese a muoversi e la piccola figura di Beckett si affacciò oltre il materasso, gli occhi chiari semichiusi a causa della forte illuminazione.
«Ma che diavolo-?!»
Quando individuò la fonte del suo spavento, prese a stringere convulsamente le lenzuola, sta volta con forte rabbia.
Il sorriso al gatto del Cheshire sul viso di Eris era irritante e sembrava estremamente soddisfatta e divertita del suo operato.
«Che ci fate in camera mia?! Uscite!» le ordinò tentando di coprirsi con il lungo lenzuolo bianco.
«Oh, ma quanto siamo virtuosi» miagolò la giovane sedendosi sul letto e ridendo alle reazioni ancora mezze assopite dell’uomo. In effetti sembrava che avesse dormito nudo dato il caldo ma la stoffa gli si era talmente arrotolata addosso che riusciva a vedere solo braccia e spalle.
«Vi ho detto di uscire! Dio, è la volta buona che vi faccio impiccare!» gli gridò contro facendola accigliare.
Scortese.
«Senti, parla piano. Fino a prova contraria ancora non ti ho messo un’unghia addosso» sbuffò.
Poi notò qualcosa che la fece sorridere ancora di più. Lo sguardo furioso di Cutler era passato in secondo piano quando un ricciolo marrone gli era andato a finire in mezzo agli occhi.
Dei capelli color del caffè di un riccio ondulato erano terribilmente scompigliati ma il sole li illuminava facendoli brillare.
Sembrava decisamente più giovane in quel momento, nonostante le profonde occhiaie.
«P-Parlare piano?! Siete entrata in camera mia senza nessun permesso e-»
«Shhh» lo zittì agitando una mano «Ma dormi la notte?» chiese poi.
Beckett boccheggiò un po’ e assottigliò gli occhi chiari minacciosamente.
«Uscite. ADESSO!»
«Va bene, principessa. Esco subito»sospirò saltando fuori dal letto e aprendo la porta.
Il Lord si rilassò vedendola uscire e si lasciò scivolare a terra, sostenuto dalla parete dietro la schiena.
Scostò delicatamente le coperte e passò due dita sulle cicatrici che gli solcavano la zona poco sotto la fine del collo.
Lo sguardo finì per posarsi di nuovo sulla porta chiusa e con un’espressione sofferente decise di andare velocemente a ricomporsi.

«Mi dispiace, Shorty…» sussurrò lei, seguendo l’uomo vestito di tutto punto e la sua inseparabile sciarpa stretta al collo, come un cagnolino.
Lord Beckett sembrava intoccabile. Per tutta la colazione aveva mantenuto lo sguardo basso e non le aveva rivolto la parola nemmeno quando l’aveva chiaramente insultato sulla sua statura.
Era rimasto teso e impassibile e in quel momento, mentre attraversavano le banchine per salire sull’Endeavour, Eris gli stava dietro chiedendogli il motivo del suo comportamento e scusandosi ripetutamente.
«Ho degli affari da sbrigare. Rimanete qui e non combinate altri guai» gli disse piatto entrando nella cabina, passando le due guardie che bloccarono subito dopo la giovane.
«Aspetta, Beckett, voglio venir-»
«Avete fatto già abbastanza!» gli ruggì contro, guardandola cupo. «Rimanete al vostro posto!»
E scomparve dietro l’angolo.
Eris sentì le lacrime montare agli angoli degli occhi. Questa volta l’aveva combinata grossa ma se l’era presa peggio di quando aveva fatto quella terribile scenata in piazza.
Con un gesto brusco si liberò dalla stretta delle due giubbe rosse e si allontanò, scendendo le scale della nave per andare a girare per Port Royal.
Poteva acquistare qualcosa a Cutler così l’avrebbe perdonata. Un set di penne d’oca o una nuova parrucca.
Lo immaginò con una parrucca diversa dalla solita e decise che probabilmente l’avrebbe soltanto fatto infuriare di più.
Essendo sovrappensiero non vide nemmeno Mercer passarle accanto e salutarla educatamente.
L’uomo in nero si fermò, osservandola correre in mezzo alla popolazione e si chiese se magari era il caso di seguirla.
«SIGNOR MERCER!»
Quando il Suo Signore l’avrebbe lasciato respirare un po’, magari.

Eris girò tranquilla tra i vari negozi centrali e, dopo essersi affacciata a più di una vetrina, giunse al punto di non sapere minimamente cosa acquistare per rendere felice Beckett.
Non capiva i suoi gusti e in più aveva la sensazione che qualsiasi regalo gli avesse fatto avrebbe solo peggiorato tutto.
Con un sospiro rassegnato si ritrovò a seguire la massa, girando e svoltando angoli e vicoli senza sapere esattamente dove andare. Cutler l’aveva cacciata e i suoi occhi l’avevano spaventata.
Non pensava avrebbe reagito in quel modo. Era sempre stato calmo e pacato, cosa che l’aveva colpita. Le frecciatine le piacevano ma non capiva in cosa avesse esagerato quella mattina stessa.
Dopotutto aveva fatto cose ben peggiori il giorno prima. Aveva addirittura mandato in fiamme uno dei suoi paramani tutti merlettati.
«Ehi, mocciosa»
Eris alzò lo sguardo e si trovò circondata da tre tizi puzzolenti e grossi almeno il suo doppio.
«D-Dici a me?» domandò stupidamente guardandoli e tremando visibilmente.
«Vedi altre giovani donzelle?»
La Gallese si girò intorno e quando capì che, no, non c’erano, scosse la testa.
Aveva uno strana calamita per i guai.
Un sorriso marcio e nero brillò minacciosamente sotto l’insegna di un cartello che segnava: “Black Hole”.

Cutler aveva passato la più bella mattinata tra quei 4 giorni. Eris Gallese non si era fatta ne vedere ne sentire.
Per le prime 3 ore fu incredibilmente sospettoso, certo che stesse preparando qualcosa in grande che l’avrebbe mandato su tutte le furie ma invece al susseguirsi del tempo, la giovane non si fece viva.
Mercer aveva detto di averla vista correre felice in mezzo alla folla e di averla poi persa di vista.
Ormai era quasi ora di pranzo e stava cominciando seriamente a pensare che fosse scappata o solamente persa. Conoscendola, avendo un senso dell’orientamento decisamente pessimo e nessun posto dove rifugiarsi, constatò che la seconda opzione era la più plausibile.
«Certo che i servizi del Governatore si stanno rivelando fruttuosi»
Ian solo annuì al suo padrone, lo sguardo che scrutava intorno.
Uscirono entrambi dalla stanza, diretti verso l’esterno e Cutler si preparò mentalmente all’essere invaso dalla figura corrosiva della ventiduenne.
Ma quando giunsero sul ponte dell’HMS, della ragazzina non vi erano tracce.
«Forse si è persa» mormorò il più basso con una nota di felicità.
L’assassino continuò a guardare il punto in cui Eris era sparita e pensò a dove potesse essersi diretta.
«Mio Signore, portava con se il sacchetto del denaro»
Silenzio.
«Decisamente un peccato» rispose poi.
Inizialmente non ci pensò poiché il modo di comportarsi di Eris era chiaramente uno dei più forti ed esuberanti ma quando rimembrò la sua figura nel vestito di seta grigia e il suo sguardo ferito si rese conto del vero problema.
Era una donna.

«E così ‘o sai che gli ho detto?» urlò la moretta, seduta a gambe spalancate sul tavolo lercio della taverna, non preoccupandosi minimamente del bel vedere che donava lasciando la gonna aperta. «Che forse era meglio che si fottesse! Lui e la sua armata schifosa!»
«Si!»
Si sollevarono calici e grida e Eris rise felice all’esuberanza di quei pirati.
I tre tizi ambigui (Fred, Lessy e Teveren) l’avevano invitata per una bevuta. In effetti erano anche incredibilmente timidi ma vedendola spaesata le avevano offerto un momento.
Quel locale era pieno di pirati ma molti riuscivano a nascondersi bene e sembravano tutti in libertà poiché non c’erano segni di marchi o roba varia.
«E che ha fatto quel pezzo di merda?» chiesero in coro due dei pirati che la circondavano.
«Che poteva fare? Ha blaterato su quanto i pirati siano brutte persone…» forti boati di disapprovazione si levarono nella sala. «ma io gli ho detto che è meglio essere pirati che degli incipriati del cazzo!»
Altre urla e risate di gioia.
Si stava talmente lasciando andare che quando l’orologio appeso al muro suonò le tredici non lo sentì affatto, nonostante si fosse ripromessa di farsi trovare sotto la nave di Beckett.

«Una donna l’ha vista entrare lì dentro al seguito di tre malviventi» disse Mercer, tornando al fianco del suo signore che era rimasto silenzioso ad un angolo del vicolo.
«Tenete pronte le baionette» ordinò il Lord alle 4 guardie dietro di lui.
Silenziosamente si avvicinarono alla porta e rimasero in ascolto.
Cutler sorrise appena al suono della voce squillante di Eris. Stava bene, dopotutto.
Fece per ordinare ai suoi soldati quando un silenzio assordante riempì la stanza e solo la voce della giovane rimbombò.
«E proprio stamattina ero entrata nella sua stanza per dargli il buongiorno come fa qualsiasi persona normale…» cominciò a dire. «E lui che fa? Appena mi vede comincia a coprirsi con il suo lenzuolo e urlare come una donnicciola!»
Risate riempirono nuovamente la stanza e da dietro la porta, pronto a sfondarla, Cutler arrossiva prepotentemente.
«Entrate!»
Un forte rumore bloccò le risate e gli urli e quando la porta si spalancò entrarono quattro giubbe rosse che si inginocchiarono e puntarono i fucili.
Eris, che aveva bloccato la sua imitazione di Beckett che tentava di coprirsi e pose una mano davanti alla bocca mentre lo salutava con quella libera.
«L-Lord Cutler Beckett!»
Il Signore era fumante di rabbia. Guardava la Gallese come volesse incenerirla all’istante con la sola forza del pensiero.
Non riusciva a crederci. L’aveva creduta in pericolo per un secondo e invece eccola là, a raccontare delle sue vicende e mettendolo in ridicolo.
«Avete esattamente 3 secondi per uscire da questa bettola, poi aprirò il fuoco» sibilò serafico vedendo i soldati caricare i fucili.
«Non ci provare nemmeno!»
Eris si fece avanti ma solo per coprire la traiettoria dei Marine. Beckett si era accorto di lei e l’aveva cercata solo dopo metà giornata.
Chissà se avesse potuto davvero trovarsi nei guai!
Certo, del resto era colpa sua. Completamente colpa sua…ma quell’uomo poteva pure cercarla prima, no?!
«Non mi sfidate!» le ringhiò contro lui.
«Sono civili, non pirati!» mentì donandogli lo stesso sguardo sprezzante.
«Allora non vi dispiacerà se li faccio analizzare uno per uno. Poi diretti alla forca» ghignò sarcastico. Ovviamente, fossero stati civili avrebbe trovato un qualche escamotage per incolparli comunque di pirateria. Era Lord Cutler Beckett dopotutto.
«Beckett…non hanno fatto nulla, per favore» supplicò, rimanendo sul posto.
Cutler chiuse gli occhi, soppesando la situazione, poi, aprì la bocca emanando la sentenza.
«Arrestateli tutti»
Eris fece per placcare uno dei soldati ma Mercer la agguantò per la vita e se la issò in spalla, portandola fuori dalla Tana nonostante i suoi continui urli da oca e calci e pugni.
«Lasciami Mercer! Sono innocenti, vi dico!»
L’ometto uscì subito dopo il suo assassino e osservò Eris guardarlo con disprezzo. «Sei un mostro»
«Mi hanno apostrofato con nomi peggiori» col bastone picchiò la testa della giovane facendola gemere di dolore.
«Per cos’era questo?!» si lamentò tenendosi la sommità con entrambe le mani.
«Mi andava»
«Piccolo bastardo»

Cutler alzò gli occhi dal proprio piatto e guardò la mora distogliere lo sguardo per puntarlo su un vaso poco distante.
Sul viso un’espressione contratta e delusa che non fece altro che farlo sogghignare.
«Per quanto ancora intendete tenermi il broncio?» chiese tornando a gustarsi la sua portata.
«Fino a quando mi andrà» mormorò l’altra, incrociando le braccia al petto e lasciandosi cadere contro lo schienale della sedia.
«Che infantile» rise.
«Tu hai fatto lo stesso questa mattina. Qual è la tua scusa?» aggredì lei, guardandolo con astio.
Beckett fece per parlare di nuovo, lanciandogli un’altra offesa, ma si trattenne. Naturalmente quella ragazzina era risentita dal suo comportamento, in più aveva mandato a morire degli innocenti, secondo il giudizio di lei, con impiccagione.
Così facendo non avrebbe guadagnato nulla. Invece di ottenere la sua fiducia per scoprire cosa sapesse aveva soltanto peggiorato la situazione.
Non si sarebbe mai sognata di dirgli un’acca se non avesse mostrato il suo finto animo magnanimo. Almeno per apparenza.
«Oltre al fatto che siete entrata nella mia stanza senza alcun tipo di permesso, urlando come una forsennata, cosa che avrebbe potuto condannarvi alla forca? No, direi che non ho altri motivi» disse solo dopo un’attenta analisi.
Eris tornò a dare attenzione al suo piatto. Gli aveva chiesto scusa per l’ennesima volta, che altro doveva fare?
«Non pensavo ti desse così tanto fastidio»
«Infatti, in confronto avete fatto cose ben peggiori, giusto?» la rimproverò, sentendosi soddisfatto della sua superbia. Per una volta aveva abbassato la cresta.
La ragazza posò le mani in grembo, uno sguardo ormai spento, e sospirò stancamente.
No, non avrebbe chiesto scusa anche stavolta. Quell’uomo non si era fatto scrupoli a uccidere dei poveri uomini, la cui unica colpa era quella di avergli fatto compagnia.
«Non ho fame, vado in camera mia»
Fece per alzarsi ma un colpo forte di una posata che batteva contro il legno la fece desistere.
Lo sguardo del Lord era a dir poco spaventoso.
«Non avete mangiato nulla. Non fate la presuntuosa»
La Gallese aprì la bocca per poi storcerla in un’espressione irritata, i denti in mostra come un cane. «Presuntuosa? Mi dai della presuntuosa? Proprio tu, tra tutti?» gli sputò contro.
Cutler portò alle labbra il suo bicchiere, sorseggiando nella più totale tranquillità. In quegli attimi, Eris si era alzata in piedi, incerta se andarsene e fregarsene oppure ascoltare l’uomo.
«Tornate a sedervi» le ordinò, accostando il bicchiere al piatto sul tavolino.
«Non puoi darmi ordini, non sono un tuo servo!»
Beckett ghignò apertamente, lanciandole un’occhiata ironica.
«Vero, almeno il servo la cena se l'è guadagnata» le disse solo, tagliando con gesti leggeri la carne rossa.
Eris, le cui mani fremevano dalla rabbia, ringraziò la distanza tra loro dovuta al lungo tavolo. Probabilmente gli avrebbe dato un bel pugno sul naso.
Passarono interminabili attimi e la mora non poté far altro che tornare a sedersi. Doveva rispettarlo. Era giusto così.
Assorta, guardava il pezzo di carne nel piatto e si chiese che differenza ci fosse in quel momento tra lei e quella costoletta.
Non sentì nemmeno Cutler alzarsi e avvicinarsi silenziosamente a lei.
Non aveva senso restare lì se era solo una prigioniera. Solo uno strumento perché si era accorta delle domande insistenti del nobile, ci girava intorno, credendo di ingannarla e cercando di ottenere le informazioni necessarie.
Ma lei non aveva abbassato la guardia. Non l'avrebbe mai fatto con lui.
«Su,su. Non c’è bisogno di sentirsi così offesa»
Una mano strisciò sul suo viso, costringendola a voltarsi e alzare il mento.
In quel momento, con quel sorriso sadico sulle labbra, gli occhi di ghiaccio e quella sensazione di supremazia Cutler era l’esatta copia di ciò che si aspettava. Non mancava nulla. E lei si sentiva decisamente presa d’assalto. Un topo in trappola.
 «Dopotutto siete viva solo grazie a me, il minimo che voi possiate fare è obbedire»
Già, era quello il minimo che doveva fare. Obbedire come un cane, come fosse solo… «Non ho ragione, mio piccolo animale domestico?»
La mano libera di lei senza accorgersene si strinse intorno a qualcosa di rotondo e freddo e capì esattamente quel che doveva fare.
«Animale domestico, eh?»
Scansò la sedia, facendola raschiare contro il pavimento e cogliendo di sorpresa l’uomo, che allontanò la mano, come temendo che la mordesse da un momento o l'altro.
Con un sorriso lugubre si alzò in piedi, sovrastandolo aiutata anche dai tacchi sotto il vestito.
Il braccio di lei si tese in alto, gli sguardi ancora legati tra loro. Uno d’orgoglio ferito e l’altro predominante.
«Allora la prego di scusarmi, mio padrone»
Con un gesto repentino del polso versò tutto il contenuto, in quel caso rosso dovuto al vino che non aveva bevuto, sulla testa bianca del Lord, zuppando la parrucca e il vestito verde scuro.
Poi, quando l’ultima goccia cadde seguendo le altre, si ritenne soddisfatta e, poggiato il bicchiere nuovamente sul tavolo, si allontanò lasciando l’uomo scioccato alle spalle.
Mercer, che era entrato dopo l’uscita rumorosa della giovane donna, rimase interdetto, guardando il suo padrone tremare.
«Non una sola parola, Mercer!»

Eris fu svegliata da qualcuno che bussava alla sua porta. Con lo sguardo ancora annebbiato di sonno decise di rimanere sdraiata, al sicuro sotto le coperte ormai calde. Fuori il sole ancora sembrava splendere, seppur con minor intensità. Probabilmente aveva dormito per più di qualche ora.
Con la testa pesante per il risveglio improvviso si chiese se qualcuno avesse davvero bussato alla porta. Poteva essere stata una domestica, venuta a chiederle se stava bene o se gli serviva qualcosa?
Il mare fuori dalla finestra era una tavola blu brillante e il suo scrosciare era leggero, quasi un sottofondo perfetto.
Fece per chiudere di nuovo gli occhi ma i colpi risuonarono ancora, stavolta più insistenti.
Poi una voce. La SUA voce.
«Miss Eris, aprite la porta»
Stordita aprì la bocca ma la trovò impastata dal sonno. Non ce la faceva nemmeno a dargli fiato. Era eccessivamente stanca.
Lo ignorò per un po’ e quando i colpi cessarono quasi sospirò di sollievo. Se l’era tolto dalle scatole.
Con uno sbadiglio enorme, si acquattò meglio sotto le coperte e prese a chiudere gli occhi quando la porta si spalancò di colpo.
Presa dal panico si girò verso l’intruso e trovò Cutler, stivali neri e completo blu scuro, che la guardava con sguardo annoiato.
«Avete dormito fino a quest’ora?»
«Vai via…» mormorò lei, sospirando e coprendosi la testa con il lenzuolo. Tenne gli occhi chiusi e si lasciò cullare dal dolce torpore della stoffa e dalla morbidezza del materasso.
«Mi era parso strano il fatto che non vi avessero vista da nessuna parte»
Lo sentì sedersi sul suo lato del materasso, quasi al limitare, lontano da possibili calci.
«E tu che ti sei arrabbiato così tanto quando sono entrata in camera tua…» tirò fuori la testa e lo guardò severamente. «Chi ti ha dato il permesso di entrare?»
Cutler alzò un sopracciglio e la guardò. I capelli mori erano scomposti e arricciati ma lei sembrava non preoccuparsene.
«Non ho certo bisogno di permessi, io» le disse con aria strafottente.
Eris scosse la testa, scioccata. «Tu…sei proprio un…ARGH» con un grugnito tornò sotto le coperte.
Il Lord la guardò irritarsi e sorrise divertito. «Sono qui solo per proporvi un affare»
«Il tuo animale domestico non è in vena di fare affari. Sparisci» borbottò sonoramente lei.
«Ah, capisco» si tirò in piedi, sostenuto dal suo fidato bastone in argento. «Poi non ho ragione a dire che siete presuntuosa?»
Eris ringhiò e si tirò nuovamente fuori dalla sua protezione, guardandolo con finto interesse. «Sentiamo la tua proposta~»
Beckett sorrise in modo beffardo. «Nulla di troppo complicato. Ora sistematevi e venite nell’ufficio al piano di sopra»
Mosse un passo per andarsene ma la ragazza tossì per avere la sua attenzione.
«Non mi ricordo ancora esattamente dove si trova…»

Una volta raggiunto l’ufficio, Eris andò a sedersi al lato della scacchiera che le toccava quella sera. Ormai Cutler l’aveva presa così.
Voleva batterla a tutti i costi, sfidandola ogni fine serata, ma dal giorno in cui era arrivata lui non aveva vinto una partita.
«Tocca nuovamente a me muovere per primo, quindi»
La sera prima stava a lei perciò si ricordò chiaramente che le toccava il lato nero, quel pomeriggio.
«Beh, facciamo in fretta» sbottò cercando di strapparsi una manica del vestito.
Beckett l’aveva costretta ad indossare quel vestito rosa orribile e le pizzicava dappertutto. Il materiale era decisamente diverso da quello del suo adorato vestito grigio.
«Come siamo ansiose» sorrise predisponendo con cura tutte le pedine sul suo lato.
Una volta terminato il classico compitino iniziale, l’uomo si lasciò cadere contro lo schienale e la sondò con lo sguardo.
«Che ne dite di mettere una vera posta in gioco, stavolta?» carezzò con la punta delle dita la testa del cavallo, sorridendo sinistramente.
«Dipende.»
«Una scommessa. Se vincete voi avrete queste» con un gesto tirò fuori dalla tasca del completo un mazzo di chiavi di ferro che tintinnarono tra loro.
«E che ci dovrei fare?» ridacchiò lei.
«Non volete forse liberare quei pirati?» chiese, facendo scoccare tra loro le chiavi. «Queste chiavi aprono le prigioni. Vi do la possibilità di liberarli»
Eris rimase a bocca aperta. Cutler Beckett, il grande e potente sterminatore di pirati, era disposto a liberare dei fuggitivi dalla legge?
No, qualcosa non quadrava. C’era qualcosa sotto.
«Si, certo. E quando andrò lì non mi ritroverò circondata da giubbe rosse, vero?» rispose, sarcastica.
«Se volete che vi semplifichi ancora un po’ di più le cose troverete l’area completamente sgombra» sospirò lui, assottigliando lo sguardo chiaro.
«Completamente?»
«Si»
«Sicurooo?»
«Vi do la mia parola»
«Uhm…se dici così…» Eris annuì ma gli rivolse ancora uno sguardo perplesso. «E tu che ne guadagni?»
Beckett alzò l’alfiere davanti agli occhi, osservando i contorni ben delineati nel cristallo bianco.
Guadagno. Quella ragazza la vedeva lunga. Aveva intuito chiaramente che lui, in quell’affare, se finito lì, non avrebbe guadagnato nulla se non la sua fiducia, probabilmente, ma non si poteva certo fossilizzare su qualcosa di tanto astratto e mutevole. Doveva essere certo di trarne un certo e definito profitto.
«Io non chiedo poi molto…» posò nuovamente l’oggetto sulla scacchiera e le scoccò uno sguardo intenso. «Solo una giornata senza disubbidire e rispettando ogni mio ordine»
Eris ringhiò. E allora a cosa serviva giocare? Potevano fare l’affare e finirla lì.
«Ti ho già detto tutto quello che so»
«Non ne sono ancora completamente certo» sogghignò, la voce diventata improvvisamente pericolosa e grave.
«E nel caso vinca te?»
«Beh, ovviamente non vi consegnerò le chiavi e parteciperete all’esecuzione voi stessa» finse un tono annoiato. «In compenso però potrete chiedermi qualsiasi cosa vogliate per un giorno, a patto che ci sia una distanza di una settimana dalla perdita prima di chiedere»
La giovane rimase raggelata a quelle parole. Le aveva giocate bene le sue carte. Terribilmente bene.
Lui sapeva della sua superiorità nel gioco, dopotutto sapeva strategie che lui ancora non conosceva, e quindi non rischiava nulla. Cutler stava puntando tutto sulla propria sconfitta e ne rimase incredibilmente colpita. Dov’era finito quell’uomo orgoglioso e testardo? Cosa poteva guadagnare se non informazioni? Informazioni che poteva anche inventarsi. Lei non aveva certo promesso di dire la verità, nient’altro che la verità e non era qualcosa che poteva permettersi di divulgare. Ma non poteva fare altrimenti, doveva riuscire a raggirare la verità e doveva fornirgli qualcosa altrimenti gli sarebbe stata inutile.
Sai lo scandalo di sapersi morto tra un paio di mesi? Non osava nemmeno immaginare cosa Beckett avrebbe fatto pur di sfuggire a quel destino.
«Ti stai sottovalutando o sbaglio, Cutler?» lo stuzzicò aspettandosi un ringhio di protesta o un’altra frecciatina.
Ma nulla arrivò.
Lui solamente sorrise, uno di quei sorrisi enigmatici a mezza bocca, che non riusciva mai a capire.
«Allora, è un accordo?» tese la mano e aspettò che l’altra la stringesse.
E, dopo una pausa infinita, Eris la propose a sua volta, stringendo forte, quasi per fargli capire che quel che è fatto è fatto.
«E’ un accordo» concordò infine.
Nonostante la sicurezza con cui aveva ricambiato la stretta, quando l’uomo fece separare le loro mani un brivido gli corse lungo tutta la spina dorsale. Aveva stipulato un patto col diavolo senza rendersene conto?
«Ottimo. Possiamo iniziare»
E fu lui il primo a muovere.
La partita fu tesa fin dall’inizio, almeno dal lato nero. Eris ancora non aveva deciso se perdere o vincere.
Ovviamente non poteva lasciar morire quegl’uomini quando Cutler le aveva servito la libertà su un piatto d’argento, anche se avrebbe pagato un prezzo che faceva tendere la bilancia dal lato negativo.
Perdendo avrebbe ottenuto un favore dal nobile ma non le chiavi ed erano loro la priorità assoluta.
Poteva chiedergli di lasciare liberi i prigionieri ma da lì ad una settimana poteva giustiziarli e bruciarli nella più completa tranquillità.
Cutler invece sembrava incredibilmente tranquillo. Osservava come la giovane aggrottava la fronte per lo sforzo di trovare la soluzione migliore e se ne dilettava. L’aveva messa in crisi e ora leggeva chiaramente le sue mosse, la sua strategia. Aveva intuito qualcosa già dalla sera prima ma ora era come se sulla scacchiera vi fossero ben delineati i vari passi che si accingevano a fare entrambi.
Realizzò in poco tempo che, se la ragazza avesse mantenuto la stessa strategia, sarebbe giunto alla vittoria in breve tempo…
Ma lui non ambiva alla vittoria, non quella sera.
Eris si morse le labbra e la soluzione le venne come un flash in mente.
“Persuadimi”
Certo, poteva perdere e poi provare a sedurlo come una vera donna!
Mosse il suo pedone dopo un’altra attenta analisi e alzò lo sguardo.
Quello che vide la paralizzò.
Il Lord se ne stava a guardare la scacchiera, soppesando la sua prossima mossa mentre con un dito si sfiorava il mento, assorto. Poi, con lentezza, al solo pensiero di sedurre, gli occhi scuri della Gallese salirono alle sue labbra proprio nell’istante in cui la punta della lingua serpeggiò fuori, inumidendole.
Le trovò incredibilmente rosa per essere labbra di un uomo, fine e delineate.
Che fossero fredde anche quelle?
Inoltre trovò l’inglese anche assurdamente attraente in quel momento.
Brutti pensieri gli salirono alla mente e quando Cutler alzò lo sguardo, sentendosi osservato, trovò gli occhi della ragazza puntati sul suo viso.
«Cosa?» chiese solamente.
«Niente!» squittì lei, abbassando lo sguardo e arrossendo furiosamente.
La seduzione era decisamente da scartare!
Via via che il gioco avanzava le mosse si erano fatte vicino alla fine ma Eris era ancora indecisa. Giocava solo per il gusto di farlo e muoveva gli scacchi soltanto seguendo uno schema. Senza ragionamento. La mente confusa.
Non riusciva ancora a scegliere.
«Vi vedo molto impegnata, Miss» la stuzzicò mostrandole finta riverenza.
«E’ colpa sua, d’altronde. È un abile avversario, Lord Beckett» rispose lei, servendolo con la stessa moneta.
«Così mi lusingate»
E in effetti lo era diventato. Era migliorato fin troppo in soli tre giorni. Si chiese se forse avesse fatto delle lezioncine private ma con tutto il lavoro che aveva scartò tale opzione.
Quindi c’era solo una spiegazione.
Conosceva la sua strategia. Era riuscito a studiarla.
Ma lo aveva capito troppo tardi.
«Oh, Scacco al Re…» Cutler sorrise furbetto. «…per voi»
Eris non riusciva a capire. Quella partita, che lei non aveva portato avanti, sembrava aver dato un risultato che ancora non aveva programmato.
«Ho vinto?» chiese ad alta voce che era più una riflessione a se stessa.
«Sembra che anche questa sera le mie abilità non siano bastate» sospirò con fare teatrale e questo non fece che irritare la giovane donna. «Le chiavi sono tutte vostre. Significa che dovrò accontentarmi di un giorno dove sarete al mio completo servizio» terminò ironico, alzandosi e costeggiando la scrivania.
Lo aveva capito. Eccome, se lo aveva capito!
«L’hai fatto apposta, non è vero? Hai manipolato le mie mosse…» sussurrò lei tentando ancora di capire come l’uomo fosse riuscito in una simile impresa.
«Manipolato? Suvvia, non sono mica nella vostra testa» uno sguardo sorpreso aleggiò sul suo viso per qualche istante. «Non riesco mica ad anticipare le vostre mosse»
E invece lui c’era riuscito, e lei era stata così assorta nella propria decisione che non aveva capito che lui le stesse leggendo la strategia come si fa con un libro per bambini.
Silenziosamente prese il mazzo di chiavi che giaceva immobile sul tavolino e uscì velocemente dalla stanza, lasciandosi le domande alle spalle.

Cutler assottigliò gli occhi grigi appena Eris sgattaiolò via.
Quando si fu assicurato che nessuno fosse più nelle vicinanze, prese una chiave dall’interno della sua manica e aprì il cassetto della scrivania.
Dentro, documenti sancivano l’esecuzione di 8 civili.
Pirati o meno, quei manigoldi avevano ben nascosto le loro identità e i dati li classificavano senza dubbio come cittadini onesti e laboriosi di Port Royal.
Tutti tranne uno.
Con un ghigno malefico prese l'unica cartella con scritto Esecuzione Eseguita e avvicinò la carta alla candela sospesa in aria e agganciata al soffitto.
L’uomo cui l’esecuzione era stata effettuata quel pomeriggio stesso fu l’unico ad essersi dichiarato come Pirata. Un certo Teveren Zennyed.
Ovviamente il nobile poteva anche concedersi di far fuggire otto finti piratuncoli ma, la sfida che vide negli occhi di Teveren, no, quella non poteva proprio lasciarsela sfuggire.
Lo aveva guardato per tutto il tempo e Lord Cutler Beckett adorava guardare la trasformazione di uno sguardo.
L’aveva mostrato con così tanto orgoglio all’inizio e poi, con l’avvicinarsi dell’esecuzione era diventato sempre più incerto, sempre più velato fino a raggiungere il suo apice.
Lord Cutler Beckett aveva tanti interessi ma quello che gli stava più a cuore era, sicuramente, vedere lo spegnersi di uno sguardo. Uno sguardo che inizialmente aveva avuto il coraggio di sfidarlo apertamente.
E, con un pensiero malato, si rese conto che non vedeva l’ora di osservare come gli occhi scuri e ipnotici della ragazza perdevano la loro forza e si piegavano a lui.

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Capitolo 5
*** Cambio di strategia ***



Capitolo 5. Cambio di strategia

La mattinata procedeva nella consueta tranquillità. Gli uccelli cinguettavano felici, il vento soffiava leggero, le onde si infrangevano dolcemente contro gli scogli, Cutler sbatteva porte a destra e a manca, Mercer che tentava di tenergli dietro e Eris se ne stava serenamente seduta in sala da pranzo, sorseggiando il suo buonissimo tè alla vaniglia.
“Tre…due…uno…”
«Tu!»
La giovane sospirò guardando con la coda dell’occhio l’ometto vestito di tutto punto entrare nella stanza come un ciclone e avvicinandosi minaccioso verso di lei, i pugni stretti lungo i fianchi, come se si stesse trattenendo dal prenderla a schiaffi. Sul capo il solito cappello tricorno.
«Buongiorno»
«Buongiorno, un accidenti!» tuonò l’altro tremando di rabbia.
Eris nascose i risolini dietro la tazza di tè sperando che Cutler non avesse un brutto scatto.
«Come mai così arrabbiato, shorty? Sono soltanto le nove e venti» finse innocenza, sbattendo le palpebre.
«Arrabbiato?» sibilò freddamente riducendo gli occhi a due fessure minacciose «Non è nemmeno lontanamente vicino a quel che sono adesso!»
La Gallese si lasciò cadere contro lo schienale della sedia e lo guardò annoiata, come se ormai le sue sfuriate e i loro battibecchi fossero una routine.
«Se non vi spiegate non posso capirvi, mio signore» lo stuzzicò.
«Non. Fate. La. Furba. Con. Me!» la ammonì.
Senza accorgersene i servi e le cameriere erano scomparsi. Sapevano che non sarebbe finita bene e tutti erano a conoscenza del guaio fatto dalla ragazzina.
La bandiera delle Indie Orientali sventolava orgogliosa sull'albero maestro. Peccato per il motivo rosa. 
Certo, era un bello scherzo ma non pensava che Beckett reagisse in modo tanto aggressivo.
O almeno, non per il danno causatogli.
«Dove diavolo è finita la Comet?»
«La che?» domandò lei confusa.
«La nave della Compagnia delle Indie! L’HMS Comet!»
Eris si accigliò. «Ehi, senti amico, io mi sono alzata questa mattina alle otto e trenta, non so dove diavolo è finita la tua nave!» poi aprì le labbra in un ghigno maligno. 
«Però hai dato un'occhiata all'Endeavour? Ho pensato che quello stile donasse molto alla-»
Prima che potesse concludere la frase, Mercer entrò nella stanza, un paio di fogli tra le mani.
«Signore, ho chiesto ad un marinaio che era di turno e sostiene di aver visto 8 marinai salire a bordo della Comet, ieri sera tardi» si bloccò un secondo, squadrando Eris e scosse il capo. «Inoltre le sue parole sono state “credevo che fossero membri dell’EITC, mi è stato confermato dalla compagna di Lord Beckett”»
«Compagna di-»
Cutler si girò d’istinto osservando Eris, che se ne stava in punta di piedi, vicino alla porta dall’altro lato della stanza, mentre mangiucchiava i suoi biscotti.
«Voi…piccola-»
«Ehi, ehi. Vacci piano! Guarda che l’accordo non stabiliva mica che non dovevo usare una tua nave per liberarli!» si girò verso di lui, scuotendo un dito come a rimproverarlo.
Beckett aprì le bocca in un muto urlo di esasperazione poi allungò una mano verso Mercer, non distogliendo lo sguardo dalla mora che sembrava improvvisamente tesa.
«Signor Mercer, la pistola. Userò quella testa vuota come tiro al bersaglio»
Eris prese a girarsi intorno, cercando una via di fuga e, sentendosi più vicina alla porta della cucina, andò verso di essa.
Prima che Ian potesse consegnare l’arma al suo signore quella era già sgattaiolata via.
Cutler, ancora infuriato, la seguì ma quando aprì la porta trovò soltanto i servitori che ridacchiavano e la finestra completamente spalancata.
«Prima o poi avrà fame. Mercer, sai cosa fare» disse solo riconsegnandogli la pistola.

Come previsto, nemmeno un’ora dopo, Eris si avvicinò di nuovo alla finestra che i servi avevano lasciato abboccata, rispettando la sua richiesta.
Con sguardo attento osservò che nessuno fosse nei dintorni, poi la aprì lentamente scivolando al suo interno il più silenziosamente possibile.
Le cucine erano deserte. Nemmeno i servitori sembravano intrattenersi nel cucinare qualcosa ma dopotutto erano le dieci.
Con lo stomaco che brontolava si avvicinò a una dispensa e salì sullo scaffale, poiché troppo in alto.
Prima che potesse agguantare il vasetto di biscotti qualcuno la afferrò per i fianchi e la sollevò a mo’ di sacco di patate.
«M-Mercer!» urlò cominciando a tirargli calci allo stomaco. «Lasciami! Lasciami subito!»
Gli tirò un altro calcio ben assestato che non era riuscito a parare e lui le lanciò un’occhiataccia.
Il viaggio fu lungo, soprattutto per un Ian Mercer trattato come un sacco da box, ma quando giunsero a destinazione la lasciò cadere contro un divano e nonostante se la fosse tolta dalle spalle quella si era ancorata al suo completo e non accennava a lasciarlo.
«Miss Eris, lasciate andare Mercer, di cortesia»
Con un ultimo strattone l’assassino si liberò dalla presa e cercò di sistemarsi, come meglio poteva, i capelli completamente in disordine.
«Puoi lasciarci, Ian»
L’uomo non se lo fece ripetere due volte e uscì alla svelta.
Intanto, sul divano, Eris si era agilmente sollevata in piedi, lo aveva aggirato, nascondendosi dietro di esso e mostrando soltanto gli occhi.
Cutler, alla sua reazione, non poté far altro che ridere.
«Non mordo, Miss» le comunicò divertito.
«Però spari, bastardo» e sparì completamente.
Beckett sospirò e si alzò per avvicinarsi al divano, ma proprio quando il tacco dei suoi stivali picchiò contro il pavimento di legno, gli occhi scuri della mora comparvero nuovamente fissandolo con una nota di panico e qualcos altro.
Cambiò fintamente strada, avvicinandosi alle bottiglie di brandy sul tavolino. Non sapeva come ma ogni volta che si alzava dalla sedia finiva lì davanti. Ironia della sorte.
«Volete bere qualcosa? Tutto quell’urlare vi avrà sfiancata»
«Non voglio morire avvelenata, grazie comunque» rispose lei, acida.
Cutler sogghignò sinistramente e la guardò. Lì, piccola e indifesa, sembrava quasi gestibile.
«Non ho alcuna intenzione di avvelenarvi, Miss Eris»
La ventiduenne tirò appena più fuori il capo fino a far intravedere le labbra, leggermente più serena. «Ah, no?»
«No, non intendo buttare del buon brandy»
A quella frase Eris si ritirò nuovamente nell’ombra del divano facendolo ridacchiare.
«Uscite da lì, sicuramente vi siete trovata in situazioni peggiori di questa...»
«Se esco prometti di non spararmi?» chiese quasi in un mormorio.
«Lo prometto»
«E nemmeno tagliarmi in mille pezzi e darmi in pasto a qualche tuo animale? O a Mercer?»
Cutler alzò un sopracciglio, osservandola uscire allo scoperto. Beh, non era una brutta idea dopotutto.
Con l’ennesimo sospiro si passò la mano libera sul viso e assentì col capo.
La ragazza uscì fuori, ancora ben attenta a dove mettere i piedi, e tornò a sedersi compostamente sul suo protettore di pelle nera.
«Perché allora mi hai fatto trascinare qui da Scarface?»
L’uomo ipotizzò che si stesse riferendo a Mercer.
«Sapete che nave hanno preso quei pirati, Miss Eris?» domandò, curioso se la ragazza sapesse o meno le tipo di navi che trattava la Compagnia.
«No…non credo di saperlo»
Come pensava.
Con ponderatezza, si versò un po’ di alcool all’interno del proprio bicchiere e si avvicinò alla giovane, che si tese e afferrò d’istinto il bracciolo del divano.
«Quella nave era carica zeppa d’oro. Era il carico che doveva essere consegnato al Re» si era fatto improvvisamente più orgoglioso, parlando con voluttuosa lentezza.
«Ah…capisco perché volevano salpare proprio con quella, allora…»
Beh, in un certo senso l’avevano ingannata. Lei gli aveva chiesto se potevano rubare una navetta qualunque di quelle ormeggiate per i pescatori, al massimo avrebbe chiesto a Cutler di ripagare poi al buon’uomo, ma loro avevano insistito per prendere quella sostenendo che era l’unica che potevano guidare tutti insieme.
«Siete ancora fermamente convinta che i pirati siano brave persone?»
All’inizio non lo aveva sentito infatti l’uomo lo prese come un momento di esitazione.
«Si, penso ancora che ci siano dei bravi pirati»
Cutler accennò un altro sorriso e si lasciò cadere al suo fianco ma Eris saltò e si spostò di poco.
«Ho detto brave persone, non bravi pirati.»
«Come ti pare. Intendevo dire che ci sono brave persone tra i pirati!» sbuffò incrociando le braccia al petto, rassegnata.
Non poteva certo restituirgli la nave ma comunque era stata colpa sua e l’aveva combinata grossa. Magari rischiava anche il posto all’interno della Compagnia e lei non poteva proprio permettere che scalasse di grado.
«Io-»
«La nave è stata individuata. Poco più di metà carico era assente ma è stata recuperata con successo.»
Prese un lungo sorso dal suo calice e si girò a guardarla.
Quando gli occhi dei due si incrociarono, Eris non poté far altro che arrossire.
«Ah, è bene quel che finisce bene alla fine» ridacchiò nervosamente, distogliendo lo sguardo e sistemandosi i capelli chiusi nella treccia.
Cutler la osservò per un po’. Quella mattina, nemmeno vi aveva fatto caso, aveva indossato nuovamente il suo completo. Ricordò infatti che quando erano tornati al maniero dalla giornata di compere lei aveva detto di averlo perso, facendolo infuriare nuovamente.
Ovviamente aveva mentito.
I capelli racchiusi nella treccia le davano un aspetto ancora più fanciullesco del solito, era quasi impossibile distinguerla veramente per l’età che aveva.
«Sapete, forse dovreste avere davvero paura di me»
Eris piegò la testa da un lato, tornando a guardare l’uomo.
«Hai detto qualcosa?»
Beckett deglutì rumorosamente e scosse la testa. «No, nulla»
La Gallese addolcì lo sguardo e tese una mano sfiorando con attenzione i segni neri sotto gli occhi del nobile, che si tese al contatto.
«Incubi?»
L’uomo prese rudemente la mano e se la scostò dal viso, come irritato da quell’attenzione. «Preoccupazioni, immagino»
Eris ci pensò. Ci pensò tantissimo prima di aprire bocca. Non era sicura della reazione di Cutler ma sapeva di dovergli un sonno tranquillo.
«Avrai il cuore, Cutler»
Il Lord sgranò gli occhi. «Cosa?»
Eris sorrise, un sorriso diverso dai suoi soliti ghigni maliziosi. «Il cuore di Davy Jones. Devi solo aspettare.»
Il silenzio riempì la stanza. La ragazza crebbe quasi di sentire proprio il cuore di Cutler correre all’interno della sua cassa toracica.
«Siete seria?»
«Ti sembro qualcos’altro?»
Cutler fece per schiarirsi la gola ma Eris lo fermò alzando una mano e ridacchiando. «Non rispondere, va»
Poi rialzò gli occhi su di lui, stringendo appena la mano che continuava a tenere la sua.
«Sono seria, e ti posso assicurare che questa è la verità. Puoi fidarti, questa volta»

Il pomeriggio, come sempre, Cutler si chiudeva nel suo ufficio all’Endeavour e ne usciva la sera tardi. Eris se ne rimaneva sola durante quel lasso di tempo e ognuno era libero di fare quel che voleva.
Beckett, quello stesso giorno, aveva assunto e ordinato a parecchie guardie di portare notizie sugli eventi che seguivano Jack Sparrow e Davy Jones. Si era fatto più sicuro di sé ma anche più timoroso di ricevere delle risposte.
Se la ragazzina aveva detto il vero, allora lui avrebbe ottenuto il controllo di tutti i mari in breve tempo. Avrebbe potuto distruggere tutto ciò che atteneva la pirateria senza lasciarne la minima traccia.
Eris, invece, aveva passato il resto di giornata a procurarsi dei piccoli spazzolini da denti fatti a mano cercando di non pensare a quel che aveva detto. In un certo senso non ne era orgogliosa. Cutler avrebbe potuto avere una reazione completamente diversa.
Proprio come la prima volta.
Stava sbagliando strategia.
Per la seconda volta nel giro di una settimana sentiva di aver commesso un altro grande errore. Cutler Beckett non era uno stupido.
Poteva lavorare duramente e pensare a qualcosa che gli permettesse di scoprire molto altro. Inoltre, lei stessa se sottoposta a tortura avrebbe rivelato tutto.
Il dolore non era una delle cose che amava di più, ecco.
Poteva essere definita codarda e senza spina dorsale ma se quello poteva salvargli la vita…
Non era coraggiosa, intelligente, bellissima o crudele. Non aveva qualità distinte. Era solo umana. E, in quanto umana, quel posto non era per lei.
Doveva trovare un modo efficace e sicuro per far si che non rischiasse la vita per nulla. E Beckett sembrava il più disposto a tenerla al sicuro in quel momento.
Quando l’uomo rientrò non trovò Eris da nessuna parte così stabilì che molto probabilmente si era rinchiusa nella sua camera.
Cenò nella più completa tranquillità e senza richiamarla andò rapidamente a dormire.
O almeno, fu quello che provò a fare.

La notte era troppo calda e, nonostante le finestre fossero spalancate e un venticello penetrasse nella stanza, Cutler si rigirava nel letto completamente fradicio.
In più, gli incubi non lo aiutavano. Ogni sera era una storia. Mani grassocce che si chiudevano intorno al collo, lame che gli sfioravano la carne, catene che gli intrappolavano mani e piedi…*
Non c’era speranza. Se scappava veniva catturato, se si nascondeva veniva trovato.
Con un sospiro si tirò a sedere con fatica, quasi avesse passato nuovamente quelle torture, e si passò una mano sul viso e poi sui capelli ricchi, ancora scosso.
Ormai lo sapeva, quegli sogni lo distruggevano e lentamente avrebbero alterato anche la sua sanità mentale.
In quel periodo, quando era stato catturato e torturato dai pirati, si era sentito tremendamente impotente, senza potersi difendere, un giocattolo nelle mani del suo padrone. La notizia che venne in seguito, dove il padre si era rifiutato di pagare il riscatto gli aveva chiuso il cuore in una morsa e, nel tempo che seguì, senza amore o gioie a venire esso si era fatto sempre più piccolo e freddo, finché arrivò al punto di non ritorno. Dove nemmeno la morte della sorella gli aveva arrecato tristezza.
Girò la testa verso la candela ancora non totalmente consumata e assottigliò lo sguardo chiaro.
Non aveva versato una lacrima. Aveva ripiegato con cura la lettera che annunciava la sua morte e poi, osservando il fuoco che ardeva nel camino, ve l’aveva lasciata cadere.
L’ultimo legame ad unirlo realmente alla sua famiglia, spezzato.
Si liberò in fretta dalle coperte che lo circondavano e scese dal letto.
Il contatto del pavimento freddo con i piedi gli mandò una scossa piacevole lungo tutta la spina dorsale. Magari un bicchiere d’acqua o qualcosa di fresco avrebbe potuto giovargli.
Si avvicinò alle ante del grande armadio e afferrò una sottomaglia bianca che gli rimaneva larga e scollata sul petto, segnato da cicatrici. Poi, cercando più in fondo trovò un paio di pantaloni che seppur attillati indossò velocemente.
Passò vicino al comodino e afferrò una piccola pistola nascosta in un fondo cassetto e ne approfittò per agguantare anche il piccolo vassoio con la candela, per poi uscire dalla stanza.
L’intera casa era immersa nell’oscurità e nel completo silenzio.
Un silenzio che stava diventando inquietante.
Scese velocemente le scale, incurante di dove stesse mettendo i piedi coperti dalle pantofole bordeaux, e fece per avanzare verso la sala da pranzo e la cucina quando un piccolo bagliore attirò la sua attenzione.
Si bloccò sui propri passi e si affacciò brevemente allo spiraglio creato dall’abboccare di una porta della sala.
Con lentezza la spinse in avanti e si trovò davanti una ragazza impegnata nella lettura di un grosso libro, tre candele che la circondavano.
Doveva essere la biblioteca, dato che vi erano scaffali su scaffali di libri di tutti i generi seppur messi in ombra.
«Da quanto tempo siete qui?»
Eris, che non lo aveva minimamente sentito entrare, saltò sulla poltrona facendosi sfuggire dalle mani il libro che finì a terra creando un forte boato.
Cutler chiuse velocemente la porta, sperando che i servitori non avessero sentito nulla e la guardò male.
«Siete sdegnosamente maldestra»
La Gallese, che indossava solo con una veste da notte, ringhiò e si piegò per raccogliere nuovamente il libro, senza schiodare il sedere dal divano.
«E’ colpa tua! Sei tu che mi hai spaventata!»sibilò, non eccedendo con la voce.
Beckett sollevò un lato della bocca in una specie di ghigno e fece qualche passo avanti, rimanendo il più possibile nell’oscurità.
«E per rispondere alla tua domanda, sono qui da più o meno…» guardò l’orologio a pendolo vicino allo scaffale alla sua destra. «due ore»
L’uomo si scostò la lanternina da vicino il petto, sperando che la giovane non azzardasse ad avvicinarsi. Non era ancora in pace con i segni che si ritrovava sul corpo.
«Sono le tre e mezza, Miss Eris. Vi siete alzata all’una per caso?»
«Non riuscivo a dormire. E’ tanto strano?» chiese, non alzando gli occhi dalla pagina che aveva ripreso a leggere. «E tu? Incubi?»
«Si» riuscì solo a sospirare fuori.
Che senso aveva mentire? Avrebbe soltanto dimostrato che gli creavano più problemi di quanti poteva concedersene.
«Non ci sono altre spiegazioni. Ci sono arrivata deducendo le tue occhiaie. Il lavoro riesci a concluderlo e so per certo che la notte provi a dormire» gli spiegò, avvertendo una nota di incredulità su quella confessione precedentemente sussurrata.
«Come-»
«Ah, fossi in te non chiederei» ghignò rivolgendogli finalmente lo sguardo. «Che ne dici di passare dal lato illuminato della stanza?» continuò indicandogli il posto libero vicino al suo.
Cutler fece un passo avanti ma esitò. Portò una mano al petto e strinse il tessuto che lo vestiva così da coprire le eventuali cicatrici.
Cercò di essere disinvolto avvicinandosi a lei ma era chiaro che stesse cercando di nascondere qualcosa e quando si piegò per poggiare la candela sul tavolino vicino alle altre Eris riuscì a scorgere un taglio profondo sul basso collo dell’uomo.
Si lasciò cadere indietro e sospirò di piacere al contatto con la fredda pelle del divano, poi, senza preavviso, un paio di gambe nude andarono ad adagiarsi comodamente sulle sue cosce coperte dal tessuto aderente.
«Vuoi massaggiarmi i piedi, dato che non stai facendo nulla?»
«Nemmeno…» cercò di posare il meno possibile lo sguardo sulla pelle nuda e buttò le gambe fuori da se facendola squittire di sorpresa. «…per sogno» completò sogghignando.
Eris portò il libro davanti al viso, facendo trapelare solo gli occhi marroni che lo guardavano con sfida e aprì la bocca per un ultimo sarcastico “grazie”.
Il maggiore rimase per qualche minuto con la testa rilassata contro lo schienale del divano, godendosi la freschezza emanata da esso e sentendo il piacevole sfogliare di pagine.
«Sai, sono del parere che le ferite da guerra vadano portate con onore non con vergogna»
Beckett ovviamente capì che si stava riferendo a lui e nemmeno se ne stupì. Ormai capire e conoscere quella donna era una causa persa.
«E se non sono ferite da guerra?» domandò lui mantenendo gli occhi chiusi e la mano sul petto.
«Credo che non debba esserne fatto un dramma. Io non giudico» e girò l’ennesima pagina, sollevando per un momento gli occhi solo per vedere il braccio del Lord scivolare lungo un fianco, poi tornò alla sua lettura.
Cutler girò la testa verso di lei e si trovò a leggere il titolo del libro: “My Lyfe Amonge the Pyrates”.
«Vedo che oltre a giocarmi scherzi idioti, vi divertite anche a rubare le mie cose, Miss Gallese. Certamente quel libro non si trovava in questa biblioteca...» la stuzzicò.
La giovane non fece altro che accennare un sorriso e aggiungere un piccolo cenno d’assenso col capo.
«Quel libro lo hanno toccato solo tre persone da quando è in mio possesso» continuò, tornando a guardare il nulla davanti a se.
«La persona che me lo ha regalato, io e...Sparrow»
Si girò nuovamente, ma dalla parte opposta, e sbuffò. Ricordava perfettamente quando aveva allungato quelle manacce luride verso il suo libro.

«La persona che te lo ha regalato era il tuo maestro tempo fa, vero?»
Cutler accennò un sorrisetto sadico. «Sembrate una maniaca. Sapete anche che tipi di libri leggevo»
La ragazza ricambiò il sorriso malsano «Si, ma quella è sicuramente l'informazione meno sconvolgente di cui sono al corrente, milord»
Lentamente il sorriso sulle labbra dell'uomo scivolò via. Con quelle rivelazioni la donna riusciva a metterlo a disagio. Non era semplice accettare il fatto che qualcuno conoscesse tutta la tua vita, come se l'avesse vissuta in primis.
Senza rendersene conto stava viaggiando tra i suoi pensieri ed era giunto ad una conclusione importante.

Era sceso al piano terra per fare cosa, esattamente? Se ne era dimenticato.
Con lo sguardo cercò di individuare qualcos’altro che attirasse la sua attenzione e quando trovò un vassoio di biscotti sul tavolo allungò una mano per afferrarne uno ma un colpo repentino di un piede lo fece ritornare sui suoi passi, ritirando la mano.
«Non toccare i miei biscotti. In cucina ce ne sono altri. Se li vuoi alzi il culo e te li vai a prendere da solo»
Cutler aprì la bocca stordito da tale prepotenza e ineleganza. E dire che fino a qualche secondo prima aveva abilmente formulato una frase “garbata”.
«Avete un modo di fare decisamente volgare»
«Beh, buon per me»
«Non era un elogio»
«Stai zitto, sto leggendo»
L’uomo si alzò in piedi e rubò da sotto il naso il libro della ragazza che aprì la bocca in un’espressione di finta sorpresa.
«Dai, ridammelo»
L’inglese parve pensarci davvero su per poi sancire un«No» con un sorrisetto.
Eris decise di non dargliela vinta. Probabilmente si stava solo divertendo a prenderla in giro. Poteva anche concederglielo ora.
«Sai, Shorty…» lo osservò bene.
Senza i suoi soliti abiti e la parrucca sembrava una persona normale. E ovviamente lo sguardo gli finì sulla camicia aperta.
«Non sei male, vestito così» accavallò le gambe e gli scoccò uno sguardo malizioso. «Affatto»
Cutler si accigliò e le tese lentamente il libro, aspettando che lo prendesse.
Eris allungò una mano e quando l’uomo fece per ritirarla in fretta con un sorrisino beffardo lei riuscì ad afferrarla ma, la forza impiegata da lui, la fece alzare dal divano e finire addosso.
Con sguardo scioccato si guardarono negli occhi e passarono istanti in quella posizione. Non sapendo che fare per liberarsi di quella specie di legame momentaneo.
La Gallese era poco più alta e quindi si ritrovava a fissarlo mantenendo il mento basso.
La sua mano scivolò tra le dita del Lord, che le allentò appena e quando sentì la rilegatura in pelle toccare la loro punta si tirò indietro stringendo vittoriosa il libro al petto e sorridendogli benevola.
«Preso!» esclamò agitandoglielo davanti al viso.
Cutler era rimasto per qualche istante ancora immobile poi un sorriso divertito andò a delinearsi anche sulle sue labbra.
Tornarono entrambi sul divano e quando le gambe della donna andarono nuovamente a poggiarsi su quelle del più grande, lui non obiettò.
Rimase immobile, braccia strette ai fianchi, imbarazzato dal contatto scomodo e non consono della ragazza.
«Puoi raccontarmi dell’incubo, se ti va. Sono qui in veste di medico»
Il Lord annuì e la guardò. «Medico?»
«Della psiche umana» e pigiò un dito sulla tempia dell’uomo facendolo sogghignare.
«Non c’è molto da dire. Rivivo momenti del mio rapimento e della tortura. Inutile vi descriva ciò che mi hanno fatto. Lo sapete da voi e lo avete anche potuto constatare, Miss» deglutì sfiorandosi una vecchia ferita.
Eris ridacchiò «Prova a chiamare me in aiuto la prossima volta, accorrerò sicuramente»
Quella ragazza lo faceva sorridere troppo per i suoi gusti.
«Ho paura che l’unica cosa che fareste è unirvi alla tortura» sdrammatizzò sfiorando il piede della giovane, assorto.
«Non dire così, shorty!»
Beckett alzò gli occhi al cielo. Ormai da quella mocciosa li aveva sentiti tutti i nomignoli. Ultimamente si era fissata con quest'ultimo.
«Ho una sete che non ci vedo»
A quella dichiarazione il Lord si ricordò improvvisamente il motivo del suo alzarsi dal letto.
«Vorrei assaggiare proprio del rum!» sbadigliò ancora, stirando le braccia verso l’alto e scivolando stancamente lungo il proprio lato del divano.
«Non sapete cosa sia la signorilità, non è vero?»
«No, si mangia?» scherzò lei portandosi un biscotto alla bocca.
Con un altro profondo e marcato sbadiglio Eris si alzò dalla poltrona e agguantò tutto il sacchetto di biscotti, allontanandosi.
«Credo sia ora che vada a letto. Mi ha fatto piacere la chiacchierata da amici. Non farmi svegliare presto, per favore»
E uscì lasciando l’uomo solo all’interno della grande stanza.
Amici?




BONUS


Sbem.
«Alzati!»
Eris gemette come fosse stata trafitta da qualcosa di appuntito e si riparò dalla luce accecante del sole nascondendosi sotto le pesanti coperte.
«Miss Eris, alzatevi subito!»
La giovane, irritata per aver dormito solo 4 ore, si piegò a sedere velocemente, togliendo le coperte di dosso con fare irritato e guardò l’uomo tendergli davanti agli occhi un pezzo di carta scarabocchiato.
«Spiegatevi!»
Lei lo prese tra le mani e dopo essersi stropicciata per bene gli occhi prese a leggere la pergamena. Un piccolo sorriso giocoso prese a ballarle sulle labbra fine.
«Oh, pare abbia ricevuto la risposta del re. Pensavo che l'avrebbe bruciata direttamente»
«Risposta a cosa?! Perché vuole incontrarvi? E che significa quell“Immunità”?» chiese Cutler arricciando il naso.
Ovviamente aveva aperto la busta. Impiccione.
«Beh, l’altra sera quando ho liberato i pirati sono capitata per PURISSIMO CASO nel tuo ufficio sull’Endeavour e ho trovato, sempre per PURISSIMO CASO, le tue belle carte. Invece di firmarle col tuo nome ho pensato di usare il tuo sigillo per scrivere a mio nome al re...e qualche piccola informazione indiretta al di fuori per essere sicura che la leggesse» alzò le spalle, come fosse la cosa più elementare del mondo.
«Ma…le guardie…»
«Ce n’era una sola e stava beatamente dormendo, per la seconda volta. Ti consiglio caldamente di cambiarla» ridacchiò vedendolo diventare paonazzo di rabbia. «Ah, e l’immunità è il fatto che non posso essere sfiorata nemmeno con un dito altrimenti dovrai risponderne alla corte reale.»
Con quelle parole tornò al riparo sotto il suo letto, lasciando cadere a terra la lettera.
«Tranquillo, nano, è solo una precauzione. Sai, ho tanti di quegli scherzi da giocarti che una giusta protezione era d’obbli-» prima che potesse concludere la frase Cutler era già sparito, borbottando maledizioni per tutto il palazzo.
Beh, almeno avrebbe goduto della festa in maschera indetta dal re che invitava sia Beckett che lei a partecipare.

 
Angolo dell'Autrice
* Dall'asterisco praticamente ci sono pezzi della vita passata di Beckett che sono veri poichè presi dal libro "Price of Freedom" che racconta la storia di Jack mentre era al servizio dell'EITC e Cutler, essendo uno dei personaggi principali del libro insieme al belloccio di Sparrow, ha avuto un background molto dettagliato. Praticamente trasforma il personaggio odioso e pomposo del film in un uomo ferito e tradito in molti modi. Certo, sempre il solito cuore di ghiaccio e sadico rimane, ma nel libro e in questa ff si farà luce sul motivo della sua trasformazione.

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Capitolo 6
*** James Sexy Norrington ***



Capitolo 6. James Sexy Norrington

«Cos’è quell’oggetto?»
Eris, indossando l’elegante vestito grigio, se ne stava tranquillamente sdraiata sull’amaca fuori in giardino. I capelli mori avevano ormai mantenuto la piega e la giovane aveva deciso di tenerli sempre così, magari alternandosi con una treccia o una coda alta. Spesso si ritrovava a legarli all’aria aperta.
Port Royal era davvero calda.
«Spazzolino, quelli provvisori si sono rotti tutti»
Tra le mani maldestre maneggiava un piccolo oggettino con dei curiosi filamenti alla fine.
«E a cosa dovrebbe servire con l’esattezza?» domandò Cutler, sorseggiando il suo tè pomeridiano.
«Dato che il vostro usare la salvia e i ramoscelli non mi va molto a genio per lavare i denti ho deciso di costruire qualcosa, quel qualcosa che tu hai chiesto e che non avresti dovuto chiedere, poiché chiedendolo ti ho svelato un invenzione del futuro che doveva rimanere una domanda senza risposta, comprendi?» ridacchiò vedendo sbattere le palpebre, confuso.
«Che strano, ho un deja-vu»
«Ma non mi dire~» lo prese in giro. Quindi aveva incontrato Jack altre volte.
Beckett portò nuovamente la sua tazzina alle labbra e gustò lentamente il sapore delicato del liquido caldo, osservando silenziosamente con lo sguardo la giovane che si districava nel sistemare quello strano affarino.
Era passata una settimana e mezza ma Eris sembrava ancora completamente persa in quel mondo. Se la ritrovava sempre intorno, per un motivo o per un altro.
Proprio quella mattina era entrata nel suo ufficio sull’Endevour, passando senza problemi le guardie, mentre commissionava degli affari importanti e si era messa a blaterare a proposito del prendere un cagnolino che aveva visto in città e che alcuni poveracci stavano cercando di prendere per nutrirsene.
«Miss Gallese, dubito lo facciano seriamente. Vi stavano solo prendendo in giro»
Le aveva detto ma quella ragazzina non lo ascoltava mai. Era scesa in piazza e aveva afferrato la bestiola trascinandosela al maniero Swann.
Quando si era unito con lei a pranzo si era ritrovato nella sala con un odore nauseabondo e un’Eris che rincorreva il cagnolino nero di sporcizia per tutta la sala.
E anche quella mattina quel coso non era delle creature più dolci.
Cutler abbassò lo sguardo sotto il tavolino e quando incontrò gli occhi marroni dell’animale, ora bianco, quello gli ringhiò puntandogli gli stivali lucidi.
«Miss, togliete quella bestia da vicino i miei stivali»
«Se lo guardi ti morde. Lascialo stare e vedrai che non ti farà nulla» sbuffò lei continuando ad operare col piccolo paziente tra le dita.
«Portatelo via prima che si avvicini troppo o sarò costretto a sparargli»
La Gallese scese velocemente dall’amaca, che continuò a ballare anche senza il peso, e agguantò il cane, portandoselo in braccio.
«Ti ringhia perché sente l’odore della crudeltà pura»
Beckett si ritrovò a sorridere a quel commentino aspro. «Ne sono lusingato»
«E questa è solo un’ulteriore conferma. Non dovresti esserne lusingato…»
L’uomo fece cenno alla ragazza di sedersi sulla sedia mentre continuava a bere il suo tè, ora senza distrazioni.
«Non mi va il tuo stupido tè. Voglio capire come andarmene» si imbronciò lasciando cadere a terra la piccola bestiola che la guardò con aria irritata.
Lo sguardo freddo del Lord prese ad assumere un carattere meno rigido e le si rivolse con gentilezza.
«Sono interessato al vostro ritorno al suo tempo quanto voi, Miss. Ve l’assicuro. Sto facendo il possibile- »
«Non hai notizie nemmeno di come procede la cattura della bussola e del cuore?»
Già. Qualche sera prima, nella loro consueta partita a scacchi, Beckett aveva chiesto a Eris cosa ne sapesse di quel mondo, dato che aveva chiaramente intuito che doveva essere ben istruita su ciò che la circondava, conoscendo lui e Jack.
Lei le aveva spiegato addirittura del cuore di Davy Jones e di come aveva chiesto a William Turner di recuperare la bussola che poteva condurlo alla scrigno.
«Avrai il cuore»
Gli aveva detto, sincera fino al midollo. Aveva provato a chiederle più informazioni riguardo il cuore e come l’avrebbe ottenuto ma la ragazza era stata evasiva dicendogli che la “Calma era la virtù dei forti” e, con la distrazione della sua terza partita persa a scacchi, lasciò cadere la conversazione mentre la ventiduenne lo prendeva in giro. Aveva nuovamente cambiato la sua strategia.
Tornando al presente si trovò nuovamente a domandarsi di quella fatidica frase detta a fior di labbra.
«No, nessuna. Ma Mercer, due settimane prima del vostro arrivo, mi ha riferito di aver visto Elizabeth Swann e James Norrington salire sulla Perla Nera…sapete qualcosa a riguardo?» domandò poggiando la tazzina nell’apposito piattino circolare.
«Forse si…forse no…chi lo sa~» poi pensò al secondo nome detto dall’uomo. «Aspetta! Hai nominato per caso JamesSexyNorrington?!» esclamò balzando in piedi, gli occhi che lampeggiavano di eccitazione.
Beckett tossì appena, capendo chiaramente l’allusione nel nome e guardandola severamente. «Si, l’ex commodoro Norrington. Vedo che conoscete anche lui»
«Ma ovviamente!» rise facendo una giravolta su se stessa e stringendo al petto il piccolo spazzolino, cui saltò la testina di filamenti. «Norry è il sogno di ogni fanciulla»
«E’ un fuggitivo dalla legge, Miss Gallese.»
«Puoi cedermelo come animaletto domestico» sogghignò lei.
Cutler finse orrore, guardandola. «Animaletto domestico? Che cattiveria!»
Scosse il capo vedendola ridere.
«E poi sarei io quello crudele»
«Senz’altro. Sei la disumanità in persona»
«Ma quanti complimenti. Vedo che siete di buon’umore oggi»
In quel momento, in giardino, arrivò il “santo ragazzo dei biscotti” che trasportava su un vassoio un fazzoletto chiuso.
«I suoi biscotti, Mia Signora»
«Mille grazie» urlò la mora, afferrando il fazzoletto e lasciandosi cadere di nuovo sulla sua amaca.
Cutler sussurrò qualcosa al ragazzo, che si inchinò e sparì con un sorrisetto sulle labbra.
«Quanti ne mangiate al giorno? Tanto per curiosità»
«Che ti frega?» le rispose lei ficcandosene uno direttamente in bocca, gonfiando le guance. «Sono miei, non li divido. Fatteli fare!»
«Nessuno ruberà i vostri biscotti, Miss» ridacchiò il più basso trovando ridicolo il suo modo di porsi.
Silenziosamente, Eris continuò a mangiucchiare i suoi biscottini e a cercare di sistemare il suo spazzolino da denti sotto gli occhi curiosi di un Lord silenzioso.
Negli ultimi giorni aveva cominciato a capire come gestirla. L’aveva conosciuta e senza problemi aveva individuato i tasti da non toccare per non farla innervosire e cominciare a urlare come una gallina.
Il suo portamento era orrendo, così come il suo modo di vestirsi e il suo uscire dalla sua stanza per andare ad ingozzarsi nelle cucine. Gli aveva detto che la sua era fame notturna e che se gli si impediva di placarla avrebbe mangiato i mobili.
Inizialmente non crebbe a quella storia ma quella donna era imprevedibile, così decise di stare alle sue regole come lei stava alle sue.
Osservandola inoltre aveva imparato ad apprezzare le sue dichiarazioni, i suoi movimenti e le sue risate. Inoltre almeno una volta al giorno gli ripeteva quanto fossero belli i suoi occhi ma lui non ci trovava nulla di speciale. Erano solo di un colore particolare ma lei sembrava vedere altro.
«Immagino tu voglia anche sta sera una rivincita a scacchi, sai…per il fallimento di ieri» lo stuzzicò non degnandolo di uno sguardo, sapendo che si sarebbe lamentato.
«Non era un fallimento. Avevate utilizzato una strategia non valida» si accigliò.
«Le strategie sono tutte valide finché non si toccano le regole del gioco» mormorò lei a sua volta, agitando una mano come per scacciare una mosca. «Impara dal fallimento. Non avere quella faccia tosta»
Senti un po’. Farsi rimproverare da una mocciosa. Come sei caduto in basso, Cutler.
«Cutler»
L’attenzione dell’uomo fu di nuovo sulla donna, sentendo improvvisamente una certa nota di serietà nella sua voce.
«Ti manca mai…la tua famiglia?»
«No» rivelò senza problemi, chiudendo gli occhi.
«Intendo almeno tua madre e tua sorella…»
Beckett la guardò appena ma la sorpresa l’aveva ormai lasciato. Era un libro aperto per la giovane. Se ne rendeva conto.
«Mi dareste del bugiardo se vi dicessi che, no, non mi mancano?»
Lei lo guardò intensamente e l’uomo si trovò a rabbrividire. C’era delusione in quegli occhi scuri e vorticanti.
«No, sarebbe da te» annuì guardando di nuovo davanti a se. «A me invece mancano molto. Lo stesso i miei amici e la musica. Dio, la musica»
Cutler sbatté gli occhi, ammirato e confuso allo stesso tempo.
«Voi…suonate qualche strumento?»
«In realtà si…la batteria ma immagino che qui sia considerato solo rumore…» rise tornando sulla propria lunghezza di pensieri. «No, intendevo sentire gli altri praticare musica ma…è complicato da spiegare»
«Questa frase l’ho sentita circa sette volte. Sembra che questo mondo si sia davvero sviluppato oltre ogni immaginazione» osservò, comprensivo.
«L’essere umano non ha limiti, Cutler. Ho imparato questo vivendo nel mio mondo e osservando i cambiamenti partendo dal passato» gli spiegò tendendo davanti a se il braccio.
Il cucciolo, che si era appisolato, sentendo cadere qualcosa sulla testa prese a girarsi intorno per accaparrarsi un biscotto.
Eris, vedendo il cagnolino filarsela con il biscotto in bocca, scattò in piedi e prese a inseguirlo mentre quello scappava.
«Vieni qui, bestiolina ingrata!»
Il cane prese a correre nella direzione di Beckett e senza preavviso gli saltò in grembo facendolo quasi rovesciare indietro con la sedia.
Prima che Eris lo agguantasse quello scivolò via dalle gambe dell’uomo e balzò a terra, dandosi uno scatto forte con le gambe posteriori per fuggire via sotto il tavolo.
Essendo troppo vicina, la ragazza non riuscì a frenare e l’unica cosa che poté fare fu poggiare forte le mani sui lati della sedia, su cui Cutler era rimasto seduto, quasi scioccato, e trovarsi a pochi centimetri dal suo viso.
Fortuna che la tazzina era stata poggiata altrimenti chissà chi l’avrebbe sentito se il contenuto si fosse rovesciato sul suo bel completo nuovo di zecca.
«Ops» ridacchiò tirandosi indietro e guardandolo imbarazzata. «Fatto male?»
L’uomo rimase in silenzio per qualche attimo, poi solo un sussurro uscì dalle sue labbra. «Tu sei matta»
«Si, e ti svelerò un segreto:» si chinò prendendolo di nuovo in contropiede e avvicinò le labbra al suo orecchio, semicoperto dalla parrucca bianca. «Tutti i migliori sono matti»
Cutler trattenne il respiro. I capelli della ragazza gli solleticavano il viso e sentiva il respiro caldo sul lato del collo.
«Lord Beckett- Oh.»
Eris si tirò su e fissò l’uomo appena sopraggiunto, salutandolo allegramente.
«Buon pomeriggio, Scarface»
«Buon pomeriggio, Miss Gallese»
«E’ Eris. E-R-I-S» lo corresse agitandogli un dito davanti al viso coperto da cicatrici.
«Sono qui per avvertire Lord Beckett dell’arrivo di una delle navi mercantili.»
Silenzio.
«Sir…» provò nuovamente Mercer, facendo un leggero passo avanti.
Cutler chiuse e riaprì gli occhi e scattò in piedi, spostando lo sguardo da Eris che gli sorrideva a Ian che lo guardava interdetto.
«Si, bene. E…notizie del cuore?»
«In realtà no. Ma la nave ha raccolto un uomo al lato della cost-»
Senza che avesse occasione di finire la frase la Gallese aveva cominciato a tirare dei piccoli urletti e a saltare.
«E’ qui, è qui, è qui!»

La sala era silenziosa. Il nuovo ammiraglio Norrington godeva nell’osservare la sua spada.
Cutler era stato tremendamente felice del nuovo arrivo e della piccola vittoria che aveva comportato. Si era munito di tutti i mezzi possibili per proteggere il cuore di Davy Jones per poi ottenere un momento per dialogarci.
Eris, dal canto suo, aveva preferito rimanersene al sicuro sull’Endevour insieme all’ex commodoro, ora ammiraglio.
«Quindi siete la fidanzata di Lord Beckett?» chiese l’uomo, posando lo sguardo verde sulla giovane che se ne stava bellamente con i piedi sulla scrivania e le carte compilate da Cutler.
«Cosa? Fidanzata? Da chi diavolo l’hai sentito?» domandò quasi ridendo.
«Port Royal» rispose evasivo tornando a posare le sguardo sulla lama lucente.
«Beh, non li ascoltare! Sono una donna single» ammiccò, lanciandogli un occhiolino burlesco. «Io e il piccolo diavolo siamo solo amici, mi sta aiutando in una cosa»
James aprì la bocca ma la trovò asciutta. La gola gli doleva terribilmente e vedere quel liquido ambrato, accanto a lui, che si muoveva per il dondolio della nave lo faceva quasi impazzire.
Eris, captando i pensieri del moro, si alzò e afferrò la brocca, versando una bella dose di brandy in uno dei bicchieri di cristallo.
«Non credo che Cutler si lamenterà se offro del brandy al suo ammiraglio» disse lei, tendendoglielo.
L’ex commodoro guardò prima lei, poi il bicchiere che agguantò e vuotò in un sol sorso.
La Gallese sorrise. Dopotutto mesi in mare gli avevano provocato un bel cambiamento. Non aveva nulla del commodoro che aveva in precedenza.
«Dev’essere stato un bel viaggio.»
«Terribile, direi, Miss…»
«Eris. Chiamami Eris.» lo agevolò tornandosene al suo posto dietro la scrivania.
«Miss Eris, non vado fiero di ciò che ho fatto» abbassò lo sguardo, deluso.
Aveva abbandonato Elizabeth al suo destino, e anche se sapeva che Turner l’avrebbe protetta a qualunque costo, il rimorso di non averla trascinata con se lo stava divorando dall’interno.
«Eppure sei qui» affermò l’altra prendendo un morso da uno dei suoi biscotti. «James, Elizabeth starà bene»
Norrington sgranò gli occhi e balzò in piedi, la spada che cadeva a terra, producendo un gran fragore.
Rimase lì, a guardarla. La giovane non era sorpresa dal suo comportamento, al contrario manteneva un sorrisetto furbo che ritrovò curiosamente in quello di Cutler Beckett.
«Voi…cosa? Cosa avete detto?»
«Ti conosco James Norrington. Non preoccuparti o angosciarti troppo per Elizabeth, fidati se ti dico che starà bene. Il tuo tradimento non farà alcun male a lei. In termini di salute, si intende» mormorò leccandosi le labbra coperte da piccole briciole.
Ovviamente, la reazione che ne seguì non fu delle migliori.
L’ammiraglio si piegò velocemente e puntò la spada alla gola della giovane facendola arretrare istantaneamente contro lo schienale della poltrona.
«Chi diavolo siete voi?»
«Ehi amico…abbassa la spada…non sono una minaccia per te» lo quasi supplicò guardando la lama avvicinarsi troppo al suo collo.
La reazione avuta dall’uomo non aveva nulla a che fare con Beckett. Era stato incredibilmente rude e non lo credeva possibile. Si aspettava che Beckett avesse un comportamento decisamente più aggressivo, non James.
«In questo momento lo siete. Non vi conosco ma voi sembrate conoscere me, compreso quel che ho fatto»
Il rumore di una porta che sbatteva attirò l’attenzione di entrambi.
«Cutler è uscito da un po’. Probabilmente starà rientrando. Che cosa pensi che potrebbe fare, vedendoti puntarmi quella bella spada contro?»
James si accigliò e toccò il mento della giovane con la lama e con minaccia apparente.
«Cosa sa-?!»
Con un movimento fulmineo Eris scostò bruscamente la lama, tagliandosi alla base del viso e afferrò la pistola nel cassetto aperto puntandogliela contro.
Il taglio aveva preso a bruciare, anche se non troppo, facendola gemere di dolore.
«Mi piace parlare con calma, Norrington. Avevo solo intenzione di tranquillizzarti» gli ringhiò portandosi un dito sulla ferita e asciugandosi la lacrima di sangue che andava gocciolando lungo il collo.
James era rimasto fermo, guardandola prendere un fazzoletto sulla scrivania e poggiandolo sulla ferita, mentre con una mano continuava a minacciarlo con la pistola.
Dopo qualche istante abbassò l’arma e fece per rinfoderarla, così fece Eris, andando a posare la pistola all’interno del cassetto.
Prima che il giovane potesse chiederle se stava bene, Cutler e Mercer rientrarono nella stanza, due giubbe rosse al loro seguito.
Appena la ragazza aveva visto l’amico entrare aveva spostato velocemente il fazzoletto dal viso e chiuso all’interno del pugno della mano sinistra mentre James si era affrettato a chiudere silenziosamente la lama all’interno del fodero.
«Tutto procede secondo i piani. Sembra che Jones non avrà nessun problema a seguire le direttive della Compagnia» si compiacque, avvicinandosi alla sua scrivania e osservando la ragazza.
Era stranamente impassibile e lo guardava con uno sguardo quasi velato.
«Che c’è?» domandò alzando un sopracciglio e spostando lo sguardo su James. «Ha fatto qualcosa?»
«No, no. Assolutamente!» urlò agitandosi la mora.
Cutler si girò nuovamente verso di lei e curvò la testa da un lato, confuso. «Ma io stavo chiedendo all’ammiraglio. Sappiamo bene quanto voi possiate essere logorroica» ghignò infine.
«Ah-ah. Simpatico. Sappi che questa me la paghi» gli sputò balzando in piedi, superandolo nuovamente in altezza e avviandosi verso l’uscita.
Quando girò su se stessa fu felice che Beckett non avesse obiettato nulla ma… diamine, stiamo parlando di Cutler Beckett, signori.
L’uomo la bloccò per un braccio e la girò verso di se, così che fossero nuovamente faccia a faccia.
«Che cosa hai fatto lì?» chiese indicando un punto sul basso mento.
«N-Niente di grave…» fece per andarsene ma la mano del Lord le prese il viso in una stretta e guardò meglio il taglio.
La stretta era più dura e forte di quanto Eris immaginasse. Cavolo, chi si aspettava che quel nano riuscisse a bloccarla e girarsela tra le mani.
«Mi sono tagliata con una penna d’oca…» rivelò vedendolo annuire titubante.
«Sembra che sia necessario toglierti anche le penne d’oca dalle mani» la lasciò andare, donandogli quasi una carezza.
Eris annuì spaventata e soddisfatta della riuscita della sua bugia e si allontanò un pochino.
«Avrai molto da discutere con l’ammiraglio. Io vado a prendermi cura di questo taglio…»
«Non c’è bisogno. Il Signor Mercer se ne prenderà cura qui ed ora» stabilì tranquillo l’ometto lasciandola avvicinare a Ian, che le indicava una poltrona su cui poggiarsi.
L’uomo, una volta che la giovane si fu accomodata, con una garza imbevuta in qualcosa di marroncino si avvicinò alla sua ferita ma appena quella si poggiò sulla pelle rossa, Eris sibilò di dolore.
«Cosa c’è là sopra?» domandò irritata.
«Alcool, Miss. Altrimenti c’è il rischio che si infetti» con gesti incredibilmente delicati ed esperti andò a pulire per bene il taglio. Sicuramente avrebbe lasciato il segno ma nulla di eccessivo.
«Lo tenga per un po’ sulla ferita» e gli tese il fazzoletto impregnato di liquore.
«Grazie, Mercer» sorrise all’uomo che si ritirò velocemente con un piccolo cenno del capo.
Con la coda dell’occhio vide James guardarla appena e poi distogliere subito lo sguardo.
Tipico di Norry.
Cutler continuò sul suo blaterare riguardo il cuore, i nuovi ordinamenti di personale, come posizionare il nuovo Ammiraglio sulla propria flotta e il compito affidatogli.
Eris nel frattempo era rimasta in un completo silenzio sfogliando le pagine di qualcosa scritto in spagnolo con fare annoiato.
«Miss Gallese»
La giovane alzò lo sguardo e trovò gli occhi verdi del soldato guardarla, in piedi con un piccolo inchino.
«Vai via?»
«Credo di dover riorganizzare un po’ i miei effetti»
Eris annuì, comprendendo perfettamente l’uomo. «Ok, ci vediamo in giro, Norry»
E tornò a posare gli occhi sul suo libro.
James era confuso. Certo non le doveva niente dopo che le aveva quasi tagliato la gola ma credeva in un saluto più signorile.
Si girò verso Lord Beckett ma lo trovò stranamente divertito. Gli stava sfuggendo qualcosa.
«Lord Beckett» si inchinò all’ometto e uscì dalla stanza chiedendosi che relazione avessero davvero quei due.
«Beh, che gli avete fatto?»
La ragazza alzò un sopracciglio senza alzare gli occhi dalle figure del libro.
«A chi?»
«All’ammiraglio, Miss» sembrava tutto così ovvio, per lui.
«Niente» rispose solamente.
«L’ho visto rinfoderare la spada, abbiate la decenza di inventare una buona scusa almeno» sbottò alterato, piegandosi sulla scrivania, sbattendo i gomiti sulla sua superficie.
La più giovane boccheggiò un po’ e lo guardò sorpresa.
«Ho solo affermato qualcosa su Elizabeth e si è agitato. Questo è tutto»
«Miss Swan?» chiese confuso, abbandonando l’aria aggressiva con cui l’aveva attaccata.
«Si, sembra che il fatto che conoscessi le sue condizioni l’abbia colto di sorpresa e spaventato» le si era stretto lo stomaco in una morsa al solo ricordo dello sguardo dell’ex commodoro.
Cutler era rimasto in silenzio, perso nei suoi pensieri, guardando l’Olandese Volante che galleggiava tranquillamente sull’acqua accanto ad una della navi della flotta.
Ora che James Norrington era al suo fianco poteva considerare un nemico in meno ma la sua presenza ancora lo insospettiva.
Aveva tradito i suoi compagni, condannando Jack Sparrow e compagnia bella a morte certa, quindi difficilmente, nel caso fossero sopravvissuti, l’avrebbero riaccettato tra le loro fila.
Eppure qualcosa ancora non quadrava. Possibile li avesse traditi così facilmente? Tradire la donna che amava, condannandola?
«La prossima volta siate più prudente» cominciò il Lord, continuando a guardare l’orizzonte, in apparenza, senza fine. «Il fatto che voi abbiate particolari conoscenze non deve essere reso pubblico»
Eris parve un pochino delusa ma comunque analizzando l’intera situazione, era la cosa migliore.
«Già, forse è meglio così» assentì tornando a sfogliare quel libro vecchio quasi di secoli.
C’erano molte figure, cosa che le aveva fatto continuare la sua esplorazione, che raffiguravano uomini in guerra e spesso anche immagini di oggetti come pietre preziose o semplici monete.
Il libro sembrava anche leggermente consunto. Come se avesse passato tanto tempo su uno scaffale o anche sfogliato troppo spesso. Le pagine erano di un caratteristico colore giallo e la copertina puzzava di muffa.
«Sono piacevolmente sorpreso di trovarvi d’accordo con me»
Eris alzò un sopracciglio e osservò l’uomo dall’altra parte della scrivania che la guardava nello stesso modo.
Curiosità e confusione.
«Ho solo detto che FORSE è meglio così» mormorò calcando il “forse” in modo troppo eloquente. «Tranquillizzare James non mi sembrava una cattiva idea…»
«Finché non vi ha puntato la spada al collo»
Duro, diretto, senza troppi giri di parole.
«Anche questo l’hai intuito da qualche segno in particolare?» non era sorpresa, solo divertita.
Quell’uomo poteva essere onnisciente e onnipresente la maggior parte delle volte, cose che la inquietavano parecchio.
Lui non fece altro che accennare un ghigno soddisfatto.
Mercer, fuori, sul parapetto della nave, affidava compiti ai vari ammiragli e tenenti, preparandosi a qualcosa.
«Intendi partire subito per avviare il tuo fantastico obiettivo della distruzione della razza piratesca?» chiese dopo un po’ che ebbe osservato le confuse istruzioni che l’assassino di Beckett impartiva agli uomini.
Cutler parve non sentire minimamente quello che la giovane gli aveva chiesto, tanto era occupato da scartoffie e lettere.
Gli affari andavano a gonfie vele, l’HMS Comet era stata affidata ad un altro incarico dopo aver consegnato il bottino recuperato dopo il terribile guaio causato da Eris in persona e il cuore ora era nelle sue mani.
Aveva decisamente compiuto un grandissimo passo e sembrava che la fortuna girasse dalla sua questa volta.
Eppure qualcosa ancora riusciva a tormentarlo.
Davy Jones gli aveva detto che Sparrow era stato ucciso dal Kraken, portato giù negli abissi insieme alla sua adorata Perla Nera.
Il suo nemico. L’uomo che aveva cercato di annientare in tutti quegli anni era stato sconfitto da una piovra gigante. Era riuscito a scappare da situazioni terribili così tante volte che inizialmente, alle parole di Jones, Beckett non seppe se crederci o meno.
Arrivò a pensare persino che Jack aveva sicuramente trovato un modo per risalire lo stomaco della bestia.
E poi, in quell’esatto momento, ragionò che Jack, proprio come era scampato alla morte così tante volte mentre era vivo poteva provare anche a scampare alla morte da morto.
All’inizio non aveva senso tale ragionamento ma, avendo tra le mani il cuore pulsante di un uomo vivo che doveva essere morto realizzò che anche l’impossibile poteva essere reso possibile.
E questo continuava a gettare nebbia sul suo cammino. Avrebbe dovuto essere cauto. Cauto come sempre. Come se ogni passo gli costasse la vita in qualsiasi momento.
Prudenza. Aveva la vittoria in pugno. Un po’ di prudenza non avrebbe certo fatto male, no?
«Ehi, Terra chiama Beckett!»
Cutler si accigliò e tornò con gli occhi sulla figura acquattata sul divano che sembrava irritata.
«Cosa?»
«Lascia perdere. Ti ho chiesto se partirai subito per i sette mari» chiese di nuovo l’altra lasciandosi scivolare lungo il dorso del divano.
«Cosa ve lo fa pensare?» domandò il più basso tornando a scrivere sui fogli davanti a se.
«Ho visto Mercer dettare un sacco di istruzioni, lì fuori. Parti ora?»
L’uomo si bloccò per un attimo e arcuò un sopracciglio. «Perché parlate al singolare?»
«Che vuoi dire?» la mora parve veramente confusa stavolta.
«Lo sapete che non resterete qui da sola a Port Royal, vero?»
Eris aprì la bocca ma riuscì solo a boccheggiare.
«Io odio le navi. Seriamente. Soffro il mal di mare!»
Lo sguardo del Lord si affilò fino a diventare tremendamente intimidatorio.
«Si, bella scusa ma non funziona» sibilò alla fine, poggiandosi alla sedia di pelle.
«Non è una scusa! Dico davvero!»
Eris si sentì salire la bile alla gola al solo pensiero di una nave che ballava a destra e sinistra,soprattutto all’interno di una burrasca.
No, amava la terra ferma. Il mare proprio non faceva per lei.
Cutler sembrava incredibilmente sospettoso, pensava che quella donna le stesse giocando qualche brutto tiro.
Eppure la sua agitazione era reale, glielo leggeva chiaramente negli occhi scuri.
«Beh, è stata una vostra idea quella di inviare una lettera al Re in persona. La sua risposta non era esattamente una richiesta, Miss Gallese» mormorò furbescamente, come ad incolparla di aver agito tanto impunemente.
La mora si riscosse nel suo torpore d’ansia e si portò un dito alle labbra, rosicchiando un’unghia.
Vivere nel ventunesimo secolo gli aveva dato la certezza che l’Inghilterra potesse essere raggiunta anche volando, non aveva proprio preso in considerazione il mare.
Poi, un’idea geniale.
«Ci sono.»
Beckett la guardò attentamente.
«Possiamo mandargli un altro messaggino sottolineando la tua impegnativa conquista dei mari e…non so, declinare l’invito…» gli lanciò un sorrisetto di intesa, come a convincerlo di sostenere la sua trovata.
In cambio l’uomo le donò un sorriso delicato ma con una vena di sadismo che poteva essere ben letta tra le righe ed elargì un tranquillo “Scordatevelo”.
Eris aprì la bocca per contestare ancora ma Cutler alzò una mano intimandogli di tacere.
«Farete come vi viene detto, Miss. Seppur sia una gran perdita di tempo non ho altra scelta che scortarvi a Londra.» sbuffò strizzandosi gli occhi con la punta delle dita.
La giovane deglutì sonoramente e tornò a posare la sua attenzione sul libro. Aveva rallentato le cose, per non dire che probabilmente aveva dato fin troppo tempo ai pirati di gestirsi gli affari.
E se la storia avesse cambiato il corso delle cose?
Cosa avrebbe fatto, in quel caso?



Note dell'autrice 
Si, ragazzi. Sono riuscita a completare il benedetto capitolo 6. Sono stati mesi faticosi per me. Stare dietro a vita sociale e università ha lasciato poco tempo alla scrittura di tutto quello che avevo iniziato...e ne sono profondamente dispoaciuta. Odio lasciare qualcosa a metà, per cui sto continuando a scrivere e gettare idee nei momenti liberi.
Inoltre mi era preso un periodo di confusione totale. Di solito si dice che sia il blocco dello scrittore ma per me è stato più un improvviso ammasso di idee da non saper collocare. Ne avevo talmente tante che concluso un pezzo mi chiedevo se non era meglio inserire l'altro che avevo pensato. Non vi dico il disagio, anche se non devo essere l'unica ad avere simili problemi.
Va beh, fatto sta che la storia non resterà incompleta. Spero di aggiornare con più regolarità da oggi in poi, sperando non capitino altri problemi.
Grazie a tutti i lettori e recensori che mi hanno spinto a trovare la forza per continuare nonostante tutto. 
Al prossimo capitolo :3

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Capitolo 7
*** Un qualcuno ***



Capitolo 7. Un qualcuno

Il sole splendeva meravigliosamente su tutta la distesa di acqua, dandogli leggeri bagliori cristallini. Nel porto vi era un forte vociare di eccitazione e di ordini impartiti.
Genitori e amanti che salutavano i propri cari, marinai che correvano a destra e manca, portando a termine gli ultimi preparativi, mozzi che sistemavano come meglio potevano il ponte dell’enorme nave ormeggiata prima dell’arrivo di tutti gli ammiragli e del capitano.
La banchina era stracolma di bagagli e valigie di tutti i tipi e di altri membri dell’equipaggio ansimanti che faticavano a caricarle.
Eris si lasciò scappare un sorriso mentre affiancava un gruppetto di famigliari intenti a salutare calorosamente il tenente.
Quindi Beckett aveva richiesto la presenza anche di qualche marinaio di Port Royal. Tutti ben sistemati in bellissime divise.
Pensando alle divise, Eris realizzò che anche quel giorno era riuscita a sfuggire dalle grinfie della gentildonna che tentava di farle indossare quel vestito giallo orrendo nascondendosi nelle stanze private del Lord.
Giravano parecchi servitori eppure non dettero cenno di averla intravista tant’è che mentre nessuno la guardava frugò da sotto un ammasso di completi e trovò un lungo cappotto nero.
Lo agguantò e filò via.
Senza che lo stesso Beckett se ne accorgesse aveva fatto fare da Josephine, la sarta, un paio di pantaloni scuri e una casacca maschile di lana. Le erano stati consegnati quella mattina stessa che senza aspettare aveva indossato velocemente entrambi, aggiungendo lo splendido mantello.
Con passo veloce si avvicinò alle scalette mentre vari membri le si inchinarono rispettosi, salutandola.
«Buongiorno» rispose lei, cortesemente proseguendo il proprio cammino.
La passerella ballava un pochino poiché poggiata alla nave e, inavvertitamente, deglutì immaginando tutto quell’agitarsi in mare.
Prima che potesse salire un grido la fece arrestare.
«Dove credete di andare, signorina?»
Un uomo brusco poggiato malamente ad un manico di qualche scopa o simile la stava squadrando con fare irritato.
Eris alzò lo sguardo verso la nave, accertandosi che si stesse imbarcando su quella giusta.
Sfondo giallo, vela e simboli dell’EITC ovunque, la scritta Endeavour sulla fiancata…si, era decisamente quella.
«Sto salendo sulla nave…perchè?» chiese stordita.
L’omone lasciò scivolare la scopa dalle mani e si avvicinò minaccioso.
«Nessuna donna più salire sulla nave. Porta male.»
La mora storse le labbra in un’espressione irritata e ricambiò lo stesso  atteggiamento che aveva mostrato l’uomo, sistemandosi le mani lungo i fianchi.
«Sono solo stupide superstizioni.»
«Non lo sono.»
«Lo sono.»
«Non lo sono!»
«Lo sono!»
Si erano avvicinati tanto l’uno all’altro che avevano le fronti che si sfioravano, le espressioni contratte per la rabbia trattenuta. Di lì a poco sarebbe finita a botte.
«Miss Gallese!»
Un altro marinaio con la parrucca si avvicinò correndo alla ragazza che alzò un sopracciglio nella sua direzione. Sembrava stranamente famigliare con il suo sguardo perso, la giacca blu ricamata in oro e il panciotto giallo come la nave.
Quando si fu avvicinato abbastanza l’uomo aprì la bocca confuso dall’abbigliamento della giovane.
«Ci conosciamo?» gli domandò lei, scongelandolo.
«Oh…no, in effetti, no. Sono il Tenente Theodore Groves» si chinò appena togliendosi il cappello a tricorno in modo rispettoso, per poi riposarselo nuovamente sulla testa bianca.
Eris si coprì la bocca con una mano e sgranò gli occhi.
«Ma certo! Come potrei dimenticare! Sei Groves!»
«Si, è quello che ha appena detto» osservò il bruto accanto a lei, facendola accigliare furiosa.
Theodore, che aveva notato il disturbo della giovane si rivolse all’uomo in modo rigido e rigoroso.
«Può tornare alle sue mansioni, mastro»
Con un borbottio a mezza voce l’uomo tornò ai suoi ambigui affari, lasciando i due da soli.
Una volta che si fu allontanato abbastanza Eris si lasciò sfuggire un lungo sospiro.
«Scusate, Mastro Jeff è molto superstizioso. Ha lavorato come mastro sarto all’interno di un’altra nave molti anni fa, a bordo c’era una donna e poche settimane dopo la loro partenza un ciclone ha mandato tutta la ciurma in mare. Lui e pochi altri sono sopravvissuti. Della donna nessuna traccia.»
La mora rabbrividì stringendosi un braccio coperto dalla stoffa nera della casacca e del mantello.
«Inquietante»
Groves abbandonò il discorso per posare nuovamente lo sguardo sul completo della ragazza.
«Posso chiederle…come mai indossate vestiti da uomo?» aveva un accenno di timore mentre poneva quella domanda. Che fosse paura della risposta?
Eris aggrottò la fronte e posò anch’essa lo sguardo sulla maglia nera.
«Mi piace stare in pantaloni. Odio i vestiti» rivelò senza problemi. «Non ti ho mai visto in giro ma ci prenderai l’abitudine. Il resto dell’equipaggio già si è fatto un’idea» ridacchiò.
Il tenente annuì titubante, non del tutto convinto.
«Comunque, Eris Gallese, anche se te lo hanno già detto» la giovane gli prese la mano senza attendere sua risposta, la strinse e lasciò subito dopo, timorosa che potesse imbarazzarla con un baciamano. «Ma puoi chiamarmi semplicemente Eris…anche se so che non lo farai»
Theodore accennò un sorriso caldo e rassicurante e la giovane arrossì un pochino.
«Ne sarei onorato, Miss Eris. Ho il compito di scortarla sulla nave, farle fare un giro…chiamiamolo, di perlustrazione» le porse il braccio in un gesto galante che la ragazza proprio non si aspettava, ancora intontita dal suo nome che rotolava fuori dalle labbra di un altro sexy tenente in uniforme.
Lo prese in un gesto quasi automatico e si strinse forte quando salirono sulla passerella barcollante.
Già si sentiva male.
Una volta con i piedi sul ponte il suo mondo parve stabilizzarsi un pochino, nonostante il lieve dondolio della nave.
«E’ stato Cutler a dirti di scortarmi?»
«Lord Beckett» la corresse. «Si, in un certo senso si. Ha detto che ero adatto…»
“Piccolo bastardo…pensava di accaparrarsi informazioni con uomini bellocci messi a mia disposizione?!”
«Si, gentile da parte sua» disse, sarcastica, lasciando andare il braccio del tenente.
Il ponte della nave era stipato di marinai che eseguivano ordini in gran fretta, che controllavano le parti della nave e che trasportavano carichi nelle celle che gli venivano indicate.
«Da questa parte, Miss»
L’uomo si avviò con la ragazza alle calcagna, che continuava a guardarsi intorno con fare interessato.
Le descrisse tutto.
Per prima cosa le fece visitare la cabina del comandante che si trovava alla fine della poppa. Dopo un’attenta analisi Eris aveva già cominciato a programmare qualche scherzo da tirare al nano malefico.
Poi scesero di un piano, dove stavano gli alloggi degli ufficiali (tra cui, anche quella di Beckett che Eris aveva annotato con una piccola X) e l’uomo le disse che lei avrebbe alloggiato nella numero 4.
Era un piccolo corridoio dove vi erano poche stanze, 6 o 7 e la giovane si chiese chi altri potesse alloggiare su quel piano.
Poi passarono a setaccio anche le tre successive sale piano dopo piano. Gli alloggi dei sottufficiali, anche loro non tantissimi, la timoneria, e la camera delle polveri e delle munizioni.
Quando raggiunsero l’ultimo dei tre, Eris si avvicinò ad un barile pieno di polvere da sparo e un ghigno sadico si aprì sulle sue labbra.
«Miss, sapete quanto sia pericolosa vero?» domandò impaurito il tenente.
«Ma certo, Groves. Non preoccuparti.»
E l’uomo non fece caso al piccolo sacchettino che si era abilmente intascata alla base della cintura, coperta dal mantello.
Theodore le mostrò la stiva, ancora mezza vuota ma ordinatissima (a differenza delle stive pirati, dove ammucchiavano ogni genere di cose) trovatasi all’ultimo livello del vascello. Poi il ponte corridoio che conduceva agli alloggi e i due ponti di batteria dove risiedeva l’artiglieria.
Anche da lì Eris fu difficile da allontanare.
Infine risalirono tramite il Ponte di Coperta di nuovo all’aria aperta e l’uomo si prestò a nominarle anche i vari pilastri insoliti e confusionari.
Quando Groves passò alla descrizione storica e materiale della nave, la giovane stava già fantasticando per conto suo, non prestando la minima attenzione e annuendo solamente.
Avvicinandosi nuovamente a prua Eris notò la figura familiare di James Norrington che scrutava un taccuino in legno proprio vicino alla passerella.
Sgusciando via dalla soporifera spiegazione del tenente, voltato verso l’albero maestro, la mora si avvicinò silenziosa all’ammiraglio.
Saltò sul parapetto e si alzò in piedi, mantenendo l’equilibrio e sporgendosi un poco per leggere quel che l’uomo stava analizzando.
«Oh, è una lista»
A quelle parole sussurrate appena vicino al suo orecchio, James saltò sul posto e si girò verso la giovane, che ora si era piegata sulle ginocchia e lo guardava con un sorrisetto.
«Ti ho spaventato?»
«N-No…solo-»
«Ti sei spaventato.» lo bloccò, sedendosi e facendo attenzione a non rischiare di cadere all’indietro. Sarebbe stata l’ennesima delle sue solite figure.
James, senza lasciarsi intimorire, tornò alla posizione di prima ed Eris tornò a scorgere la lista.
«Una così gran quantità di polvere da sparo?» chiese, allungando il collo. «Se i pirati dovessero colpire quel punto, la nave farebbe un bel botto»
L’uomo arcuò le labbra in un sorriso ferino.
«Per questo sono posizionate in zone ben difficili da colpire, Miss Gallese»
«Si,si. Come ti pare. Becky ha fatto portare le mie scorte personali a bordo?» domandò ancora, spostando gli occhi furbi sul viso del giovane ammiraglio, che ricambiò lo sguardo.
Norrington annuì frettolosamente, interrompendo la connessione tra di loro, e si mise a cercare. Quando girò il quarto foglio finalmente trovò la categoria che la giovane gli aveva richiesto. Vi era una breve lista di cose.
«Maschera?» domandò più a se stesso che a colei che lo stava ancora sondando con gli occhi.
«Si, idea idiota del Re» sbuffò Eris. «In più le ha scelte Becky, per cui devo ancora dare il mio importantissimo parere» continuò lasciando agitare le gambe nel vuoto.
James accennò un sorrisetto al soprannome del Lord. Beckett doveva davvero considerarla importante se le permetteva di fare quel che gli pareva.
Cercò altre informazioni che gli facessero venire qualche idea su che tipo di persona fosse quell’ambigua e tetra ragazza ma la carta non dava tanti suggerimenti.
Intanto la moretta mormorava qualcosa tra se e se come «Giuro che se è qualcosa di giallo o colori strani gliela faccio ingoiare».
Arrivato quasi alla fine notò qualcosa di curioso.
«Top Secret?»
La Gallese sorrise maliziosamente e annuì soltanto. L’altro non osò indagare oltre, si limitò a controllare cosa era stato sistemato e cosa non.
«Sembra manchino solamente il vostro alto consumo di biscotti, che verranno trasportati insieme alle provviste complessive, e il suo baule. Il resto è già stato imbarcato.»
Eris, soddisfatta del risultato, fece spallucce e scese nuovamente sul legno del ponte, tirandosi bene il mantello sulle spalle.
«Grazie, Commodoro» e fece per allontanarsi.
«E’ Ammiraglio, veramente» la richiamò, accigliato.
La ragazza si girò a metà verso di lui, seria come non lo era mai stata quei giorni, e si portò un dito alle labbra fine.
«Ah, già. Dimenticavo. Le mie scuse, Ammiraglio»
Non seppe se fosse stato lo sguardo, il tono o la presenza stessa ma tutta la frase gli sembrava vagamente ironica.
Un senso di colpa gli stinse in una morsa lo stomaco al ricordo del taglio inflittole due giorni prima. Un senso di colpa puro e semplice.
«Miss Gallese…»
Gli bastò fare due passi per riuscire a bloccarla, posandole una mano sulla spalla coperta dalla stoffa nera.
«Io…sono tremendamente dispiaciuto per l’accaduto nell’ufficio di Lord Beckett»
Ci teneva a scusarsi del suo comportamento decisamente non consono ad un Signore qual’era. Aveva reagito con troppo impulso e l’aveva ferita.
In più, non si vergognava di pensare che potesse incutergli anche un certo timore. Conosceva bene Lord Beckett e questo non era mai una cosa buona. Un buon esempio ne era Mercer, l’inquietante assassino sempre attaccato al padrone.
«Comprensibile.» aveva uno sguardo severo ma rassicurante. «Non preoccuparti, l’importante è che ho ancora la testa attaccata al collo» e si passò un dito sul taglio che stava già guarendo lasciando dietro di se una piccola cicatrice.
«Cosa ti ho detto, Mercer?»
Eris e James distolsero lo sguardo nello stesso istante e guardarono Cutler avanzare tranquillamente con il bastone in una mano e l’altra poggiata su un fianco. Il solito ghigno beckettiano sulle labbra.
«Eccola, solita a disturbare gli ufficiali» concluse, guardandola da sotto in su.
«Non vi smentite mai, Miss» aggiunse Mercer scuotendo il capo.
La ragazza li fulminò entrambi con gli occhi e incrociò le braccia al petto. «Non sto disturbando nessuno, per tua informazione, chiedevo soltanto se le mie cose erano state portate a bordo. Ancora devo controllare le tue maschere» e spostò lo sguardo sul più basso, curvando di poco il capo in giù.
L’ometto alzò un sopracciglio e fece una finta espressione pensierosa.
«Oh, ma certo. Non vi preoccupate, Miss Gallese, quelle sono una sorpresa» disse mefistofelico, alla fine.
«Si, sorpresa un corno. Mi farai venire un attacco di cuore tu, altro che!»
James guardò i due completamente sconvolto. Chi diavolo era quella ragazzina? E perché Lord Beckett ne sembrava tanto divertito?
«Cosa sta facendo il Tenente Groves?» domandò d’un tratto Mercer, con aria confusa.
Tutti si girarono verso l’uomo, che continuava a borbottare e indicare il lungo palo davanti a se ed Eris non poté trattenersi dal scoppiare a ridere.
«Ops»

Eris si precipitò velocemente sulla punta della nave, scavalcando barili e schivando marinai. Poggiò le mani sul parapetto e guardò le onde in basso che si infrangevano contro di essa e si scostavano al suo passaggio.
La distesa d’acqua era una tavola quel giorno e alla luce del tramonto sembrava tutto più magico.
Il canto dei gabbiani, lo scrosciare dell’acqua, i conati di vomito.
«Ci siamo allontanati dalla riva da soli dieci minuti, Miss Gallese»
La tempestiva voce di Beckett che non mancava mai.
Maledetto
«Non importa. Te lo avevo detto che non era per me» si lasciò lentamente scivolare sul ponte, un braccio ancora saldamente attaccato al parapetto, nel caso gli fosse preso un altro attacco.
Cutler sbuffò sonoramente e si avvicinò alla mora. Pose una fiaschetta in equilibrio sulla punta del bastone da passeggio e la allontanò da se, passandola a lei.
«Non sono malata, sai» ringhiò stizzita prendendo la fiaschetta bruscamente rischiando di sfilare dalle mani del Lord anche il bastone.
«Non lo prendete sul personale, Miss. Preferisco essere a debita distanza. Non ho proprio voglia di rovinare anche quest’abito» la vide prendere un lungo sorso e poi deglutire con fatica. Ghignò.
«Che cos’è ‘sta roba?» tossì pulendosi la bocca con la manica del suo completo.
«Rum, l’ammiraglio mi ha suggerito questo per la vostra nausea»
Eris storse le labbra ed emise un gemito sconsolato. «Non sembra migliorare molto» si lamentò lasciandosi scivolare completamente a terra.
«Il trucco è uscirne ubriachi, in effetti» e gli rivolse uno sguardo serafico.
La ragazza si agitò e lo guardò male. Certo che quell’uomo era davvero insopportabile quando voleva.
“Cioè sempre.”
«Non hai qualcosa da fare? Che ne so, torturare tenenti?»
Un fruscio di vesti ed era sparito.
Ed era anche tremendamente permaloso. Si offendeva per un niente e pretendeva di tutto.
“Dannazione, quanto siamo simili”
«BECKY!»
L’uomo, che aveva raggiunto le scale che lo portavano al piano superiore verso il timone, si girò verso di lei.
«Quando mi sento un po’ meglio giochiamo a scacchi, vero?»
Beckett addolcì di poco lo sguardo e se ne andò, senza donarle una risposta palese. Eppure la ragazza sentiva che fosse un si.
Dei passi pesanti la distolsero dai propri pensieri e si ritrovò coperta da un’ombra imponente.
L’omone bruto che l’aveva attaccata quella mattina ora la fissava dall’alto in basso con il sorriso di chi la sapeva lunga e le mani poggiate sui fianchi.
«Che fai qui a terra?»
«Faccio da straccio» gli rispose, sarcastica, alzandosi a sedere. «Secondo te? Soffro di mal di mare» e prese un altro sorso dalla boccetta.
«Tieni»
Senza alcun preavviso un grosso pezzo di pane gli cadde sullo stomaco e prima che potesse cadere sulle assi di legno lo afferrò. Era incredibilmente caldo. Come se fosse stato appena sfornato o tenuto sul fuoco fino a quel momento.
Lo tastò, sentendo l’inconfondibile rumore del pane croccante.
«Pane?»
«Ti aiuterà. Se senti ancora venir su qualcosa prendine un pezzo e mangialo.»
Con quelle parole girò sui tacchi e scese sottocoperta, non degnandola nemmeno di un ultimo sguardo.
«Beh…grazie…»
Groves, che era poggiato vicino l’albero di trinchetto, si accostò di poco alla Gallese, continuando a fissare il punto in cui era scomparso il mastro.
«E’ un brav’uomo quando lo si impara a conoscere.»
Eris annuì e tentò di alzarsi. Nonostante avesse buttato in mare tutta la potenziale colazione di biscotti, thè e dolcetti (Cutler le aveva caldamente detto di mangiare solo cose salate ma non si era scomodato a dirglielo più di una volta, preferiva che soffrisse per la sua testardaggine) si sentiva stranamente meglio.
Il peso del cibo era scomparso, la bile era tornata al suo posto e il rum che aveva tra le mani non era affatto-
«Questo è mio, se non le dispiace»
Una mano andò ad afferrare la boccetta che aveva tra le mani e la allontanò da lei.
«EHI!»
James Norrington era tornato in possesso di ciò che era suo e tornava alla propria postazione con un sorrisetto sulle labbra.
Ok, le era rimasto pur sempre il pa-
Un ringhio.
Abbassò lo sguardo.
Il cagnolino “top secret” era ai suoi piedi e guardava la fetta di pane con uno sguardo languido in quegli occhietti da cucciolo.
«Va bene» sbuffò, curvandosi sulle ginocchia. «Un pezzetto però, piccolo ingrato. Come diavolo hai fatto a uscire dalla camera, mi chiedo»
E gli accostò al muso il cibo che divorò in un boccone. Dopo essersi sforzato a mandarlo giù prese a tossire ed Eris gli picchiò piano sulla schiena pelosa.
La nave era enorme quindi, ora che si sentiva più stabile, poteva far un giretto per conto suo. Beckett non avrebbe potuto romperle per aver fatto un giro, no? No.
Si alzò in piedi, ancora traballante, e si poggiò al legno. Espirò ed espirò per un paio di secondi e poi partì alla volta del ponte di coperta.
La nave era stipata di gente e aveva la sensazione che non li avrebbe nemmeno visti tutti in quel viaggio.
Dall’altro lato del vascello, Beckett ordinava compostamente le carte sopra l’immensa scrivania di legno scuro. Non poteva dirsi un lavoro faticoso eppure era completamente esausto. Le mani cominciavano ad agire di propria iniziativa tant’è vero che si ritrovò un bicchiere di brandy tra le mani senza sapere ne come ne quando lo aveva preso.
Le carte mostravano pallidi volti disegnati di uomini, pirati e mozzi. Tutti da portare alla forca una volta tornati a Port Royal. Tra le dita gli era capitato anche qualche giovane fanciullo che contemplò per un po’ prima di accatastare insieme agli altri.
Nonostante il buon senso gli dicesse di lasciar perdere, si trovò a pensare a Eris e al suo sguardo rammaricato. Condannare bambini di pirateria non era sbagliato. Lui lo sapeva. Perché mai doveva esserlo?
Lavoravano a bordo di navi coscienti che associarsi a pirati equivaleva a reato. Come mozzi, certo, ma un giorno sarebbero cresciuti. E chi li avrebbe fermati poi? Dal distruggere famiglie? Dal rovinare il commercio delle Indie? Dal conquistare tutti i mari?
Non stava sbagliando. No. Ne era convinto.
Assottigliò lo sguardo di ghiaccio su una candela che era quasi al suo limite e vi passò un dito sopra. Lo lasciò chiudersi su di essa finché non sentì l’inconfondibile dolore pungente che seguiva una bruciatura e lo ritirò di nuovo al sicuro dal calore.
Senza poterne fare a meno tornò alla miserabile vita che aveva condotto sulla nave pirata, da solo, come un giocattolo.
Lo ricordava benissimo l’inconfondibile dolore provocato da una fiamma.
Perso nei ricordi prese la candela e la piegò quel poco che bastava per far scivolare una goccia di cera sul dorso della mano sinistra. Storse le labbra al lieve bruciore ma continuò a lasciar cadere il liquido, lo sguardo momentaneamente perso nel vuoto.
Lo avevano umiliato in molti modi. Si erano dilettati nel bruciarlo, frustarlo, tagliarlo…toccarlo. Ormai ogni ferita sembrava nulla a confronto.
Nessuno lo aveva soccorso. Nessuno l’aveva aiutato anche solo a sfuggire per un secondo a quelle torture. Persino i suoi pensieri erano stati distorti a tal punto da sembrare manomessi e usati.
Nemmeno la sua famiglia.
Nessuno…
Il flusso di pensieri disordinati fu interrotto da un forte boato, troppo familiare ad un’esplosione, che tirò giù una dozzina di libri dagli scaffali e un bicchiere di porcellana.
Cutler fece scivolare a terra la candela, che si spense in un filino di fumo,e si aggrappò saldamente alla scrivania in ebano orientale.
Pirati?”
Aprì il cassetto con la mano libera e agguantò la pistola (che grazie al cielo, Eris si era ricordata di riporre). Con un dito accarezzò il caratteristico simbolo delle Indie al lato dell’impugnatura, in grado di stimolarlo alla calma, e lentamente si alzò dalla sedia, spada ancorata al fianco.
Con passi ponderati si avvicinò silenziosamente alla porta e tirò la pistola appena davanti al viso, così da aver un riflesso pronto una volta uscito.
L’esplosione veniva da molto vicino e sicuramente lo stavano aspettando fuori se ancora non avevano tentato di sfondare la porta.
Fece un respiro profondo e con la mano ancora coperta di cera andò ad aprire di scatto la porta, la pistola subito tesa verso il nemico.
Prima che potesse solo azzardare a premere il grilletto un gridolino di panico lo bloccò del tutto.
Eris, schiacciata contro il muro in legno, guardava il grosso buco ai suoi piedi, terrorizzata. Il tappeto che lo ricopriva era stato irrimediabilmente rovinato e ancora bruciava.
«Eris?» gli sfuggì dalle labbra, vedendola puntare lo sguardo prima su di lui e poi più precisamente sulla pistola che mirava verso di lei.
«Ehi, amico! Metti giù quella cosa!» e alzò le braccia in un gesto auto difensivo. «Ti giuro che non l’ho fatto apposta…»
Ora che il Lord vi faceva caso, a fianco al grosso buco vi era una lampada rotta e vetri sparsi a destra e manca.
Il cagnolino gemeva tra le gambe della ragazza e la tirava con i denti verso un punto che non bruciasse.
Era esterrefatto.
«A FUOCO!»
Un ometto vestito di blu comparve dal nulla e buttò un secchio d’acqua sul punto completamente danneggiato, finendo per bagnare anche la Gallese e la bestiola ai suoi piedi.
Si portò una mano al viso e tolse quei capelli bagnati che le si erano appiccicati al viso e guardò male il mozzo.
«Se per caso non l’avessi notato, io non ero coperta di fiamme»
«Le mie scuse, Miss» e fece per correre via quando la voce imperiosa di Beckett lo fermò proprio all’angolo del corridoio.  
«Dato che ci siete, fate chiamare anche qualcuno per le riparazioni, buon’uomo» mormorò, le dita che stropicciavano stancamente gli occhi. Era esausto.
«Si, Lord Beckett» e filò via.
Eris che stava scivolando silenziosamente lungo il corridoio buio si congelò quando lo sguardo di Cutler si posò su di lei.
L’uomo portò la mano sana avanti e mosse due dita, ordinandole di avvicinarsi. Lei avanzò piano, rimanendo a distanza di spada, e quello le fece un altro cenno che le intimava di entrare nell’ufficio senza fare un fiato.
Capo basso e coda tra le gambe sia Eris che il cagnolino si addentrarono nella stanzetta.

«Vi prego, spiegatemi ancora una volta»
Eris sospirò. «Allora, stavo tenendo la lampada con i denti mentre mi avvicinavo e ho preso il sacchetto di polvere da sparo tra le mani-»
«Perché avevate un sacchetto di polvere da sparo, Miss?!» le ringhiò contro.
«Ehm…si…storia interessante.» rise posandosi un dito sul mento. «L’ho preso.» fece spallucce.
«Lo avete rubato dalle scorte.» precisò lui.
«Preso in prestito.» lo corresse lei.
«E come l’avreste restituito, dato che era in prestito?» le chiese, tentando di mantenere la calma.
«…Ci stavo ancora pensando»
L’uomo scosse il capo, poggiando la fronte contro le braccia incrociate sulla scrivania. Era completamente esausto. Ed erano soltanto le sei del pomeriggio.
Eris era comodamente sprofondata nella poltrona mentre accarezzava la testa del cane, che sonnecchiava tranquillamente e girava la testa da un lato all’altro.
«Quando Theodore mi ha portato qui non ho visto bene come era arredata…devo dire che hai buon gusto.»
Cutler alzò di poco la testa, così che spuntassero gli occhi grigi. «Il tenente Groves?»
«Proprio lui.» confermò quella.
«Perché lo chiamate per nome?» domandò scettico, tirandosi nuovamente su e dandosi quell’aria regale e pomposa.
La ragazza smise di agitare la testa e puntò finalmente gli occhi sul più basso, alzando un sopracciglio. «Perché mi piace chiamare le persone coi loro nomi.»
«Certo.» il sarcasmo fatto persona.
Lei fece nuovamente spallucce e tornò a godersi la comodità della poltrona.
Durante il loro colloquio erano entrati nella stanza diversi marine e ufficiali incuriositi dalla situazione e la voce, nel giro di pochi minuti, si era sparsa per la nave.
Eris Gallese aveva lasciato cadere per sbaglio l’intero sacchetto di polvere a terra e aveva fatto scivolare la lampada dalla bocca quando aveva tentato di bestemmiare qualcosa. Beh, uno più uno…
Ed era soltanto il primo giorno.
C’erano soldati che si erano già messi a fare scommesse. Chi puntava su un Beckett che lanciava la ragazza fuori dal vascello, chi credeva che l’uomo ci avrebbe lasciato le penne in uno degli scherzi della giovane, chi persino puntava su un amore possibile tra i due.
«Senti, mi sono spaventata anche io, quindi non toccherò più niente di pericoloso.»
«Siete pericolosa con qualsiasi cosa, voi.» sbuffò nascondendo un sorrisetto divertito che non sfuggì allo sguardo furbo della giovane.
Lo faceva impazzire, è vero, ma in ogni caso lo divertiva. Riusciva a vederlo.
Lo sguardo le cadde inevitabilmente sulla mano sinistra e aggrottò la fronte. Scostando il cagnolino si piegò sulla scrivania e l’afferrò, non lasciandogli via di fuga.
«Come diavolo ti è finita tutta questa cera sulla mano?»
Nonostante alcuni pezzi fossero caduti, molta cera era ancora rimasta attaccata alla pelle, che ora mostrava una brutta scottatura rossa che svettava terribilmente sulla sua pelle pallida.
Tentò di ritirarla accennando un “non lo so” sbiascicato ma la stretta della ragazza era ferrea e lo sguardo altrettanto duro.
Sondò la scrivania con gli occhi e poi, stesa ai piedi della scrivania, trovò la candela corta.
«Sei un masochista?»
Cutler assottigliò lo sguardo e provò di nuovo a sottrarsi alla stretta, con scarsi risultati e un ghigno di scherno.
«Nulla di simile»
«Stai attento la prossima volta. I bambini devono stare lontani dal fuoco.» lo prese in giro.
Beckett deglutì quando il pollice freddo della ragazza passò sul punto scottato, spostando così anche la cera rimasta. Gli dava una sensazione benefica, quel tocco. Ed era leggero. Delicato.
Non se lo sarebbe mai aspettato da un elefante qual’era.
«Un ricordo.» mormorò soltanto ma se ne pentì quando quegli occhi profondi lo fissarono. Come per provare a leggerlo.
Distolsero lo sguardo all’unisono.
Restarono qualche secondo nel più completo silenzio. Entrambi a concentrarsi solo su quel tocco. O almeno quella era l’impressione.
L’ometto si stava ancora dannando per essersi aperto così facilmente. Certo, la donna poteva sapere qualcosa del suo passato ma di certo non poteva leggergli nel pensiero. Di che cosa si preoccupava?
«Un penny per i tuoi pensieri»
Cutler la guardò senza capire e lei solamente scosse la testa, comprensiva.
«Lascia stare, non ne vale la pena parlarne con me.» e con un’ultima carezza lasciò andare la mano del Lord.
«Volete farmi sentire in colpa, Miss?»
Eris sbarrò gli occhi. «Perché, sai provare senso di colpa?» ma si morse la lingua subito dopo.
Maledetto sarcasmo.
«Mi dispiace» sussurrò, lasciando scivolare lo sguardo sulle sue fidate scarpe Nike.
Ne stavano passando troppi di attimi di silenzio. Qualcosa cominciava ad incrinarsi in quella conversazione e la Gallese stava pensando ad una buona scusa per uscirsene velocemente da quell’ufficio.
«Avete ragione»
La giovane sollevò il capo, guardandolo scettica.
«Non ne vale la pena parlarne con voi.» continuò.
Eris si alzò dal divano, il cagnolino scivolò a terra, stizzito, e si girò per andarsene.
E lei che aveva cercato di aiutarlo...si, ok, era stata lei a dirgli di non aprirsi necessariamente ma poteva anche essere meno rude!
«Perché sapete già tutto, non è così?»
Posò la mano sulla maniglia ma quelle parole la fecero tentennare.
«Voi sapete già tutto e ve ne dilettate. Sono come un puzzle per voi. Vi serve solo ricomporre i pezzi.»
E questo lo mandava in bestia. Perché nessuno poteva giocare con lui. Non più. Non avrebbe più chiesto aiuto a nessuno perché nessuno poteva aiutarlo.
Nessuno VOLEVA aiutarlo.
Nessuno…
Un risatina risuonò nella stanza. Seppur triste trasudava ancora una vena di divertimento.
«Davvero pensi che io stia cercando di manipolarti? Io, poi? Tra tutti?» chiese, ancora ridendo. «Ce ne vuole di immaginazione.»
Girò di nuovo su se stessa e si piegò sulla scrivania, una volta raggiunta, prendendo di nuovo stretta la mano dell’altro.
«Ti sto solo offrendo…qualcuno. Qualcuno a cui credere, per una volta.»
 Con quelle parole lo lasciò. Per la prima volta però, con tutti i pensieri che gli invadevano la testa, non si sentì solo.

Come era solito fare all’interno dell’Endeavour, gli ufficiali mangiavano tutti insieme all’interno della sala che si trovava in coperta subito dopo il turno dei sottoufficiali.
La giovane ragazza, invitata alla tavolata dei pezzi grossi, si era comodamente acquattata tra Groves, situato alla sua sinistra, e Gillette, alla sua destra. Schiamazzava allegramente e dopo essersi riempita la pancia con dell’ottimo pollo era tremendamente più calma.
Groves manteneva ancora un certo educato distacco, ogni tanto si sistemava il cappello e le rivolgeva un sorriso. Dall’altra parte invece Gillette flirtava in modo assai imbarazzante.
James Norrington aveva preferito sedersi vicino a Beckett piuttosto che alla ragazza (ancora per sensi di colpa?) e ne ignorava abilmente il fracasso.
Cutler invece era livido. Richiamare l’attenzione di Eris era stato impossibile perché o si concentrava sul cibo o aveva occhi solo per il Tenente. Per un attimo quasi invidiò la spensieratezza e la spontanea giocosità dell’uomo nel parlare con la ventiduenne. Poi, resosi conto dell’esagerata attenzione riservatale, aveva cominciato a sentirsi disturbato.
Quelle occhiate, quelle frecciatine erano disgustose persino per i gusti arrendevoli di lei.
C’era anche la possibilità che lo stesse facendo apposta per avere una reazione da lui. Oh, ma se voleva giocare quella partita l’avrebbero giocata in due.
Si alzò dal tavolino, poggiando silenziosamente il fazzoletto di stoffa e l’intera sala cadde nel silenzio più totale. Persino Gillette, così preso dalla conversazione, si fece improvvisamente rigido sulla sedia di legno.
«Mia signora» fece un cenno nella direzione della Gallese che lo guardò confusa. «E’ ora della vostra passeggiata serale.»
Mentre Beckett circuiva il tavolo e si avvicinava, Eris sbuffò divertita. Passeggiata serale? E dove, a bordo dell’Endeavour? Che aveva in mente quell’uomo?
«Ma cosa stai dicendo?» gli sputò contro quando quello gli scostò delicatamente la sedia indietro, in un gesto galante e le porse il braccio come aveva fatto Groves quella mattina stessa.
«Scusatemi, signori.» proclamò quando lei si decise ad afferrargli il braccio. «Ma sapete come sono fatte le nostre signore.»
«Nostre?» domandò ancora, sinceramente sopraffatta da tutta quella improvvisazione.
Quando uscirono dalla saletta e salirono sul ponte della nave, un vento rinfrescante penetrò nei vestiti calorosi di entrambi, che sospirarono di piacere insieme.
Soffiava tra i capelli stretti in una coda alta facendola agitare un poco e quasi fece volare via il cappello del Lord.
Quando furono a debita distanza dal resto della ciurma, Cutler allontanò il proprio braccio e chiuse le mani dietro di se, in una postura austera e intimidatoria.
Eris, dal canto suo, si era stretta nella casacca nera e si fermò a prendere una bella boccata d’aria, fissando l’immenso mare scuro mentre l’altro si avvicinava alla punta della nave.
Non vedeva una fine e, guardandosi alle spalle, nemmeno il punto da cui erano partiti. Era come se si fossero persi nel vuoto.
Un movimento alla sua sinistra la spaventò, facendola saltare sul posto, ma quando notò che era uno dei sottoufficiali che scendevano sottocoperta si tranquillizzò.
Il ponte del vascello sapeva essere tetro quando vigeva soltanto il rumore del vento, delle onde che si infrangevano e le vele che sventolavano minacciose.
Si accostò velocemente anch’essa al parapetto, affiancando il più basso, e poggiò una mano sul legno, piegandosi un po’.
Dio, le onde sembravano davvero minacciose di notte.
«Ho pensato a quello che avete detto»
La voce di Beckett gli arrivò stranamente ovattata. Si sentiva quasi stordita. Il caldo pesante quel pomeriggio sembrava averla scombussolata più del previsto e il vento fresco le stava dando un momento di riposo mentale.
«A cosa?» domandò lei, non prestando particolare attenzione alla conversazione. Forse le stava risalendo la cena.
«A…quel qualcuno.» L’uomo girò il viso dalla parte opposta, sistemandosi il cappello sulla testa parruccata, e tirò un sospiro. «Forse sarei disposto ad accettare quel qualcuno se solo mi desse l'occasione di conoscerlo un po’ meglio…»
Quando girò nuovamente lo sguardo sulla ragazza la trovò con il busto piegato a 90 gradi e la testa poggiata sulle braccia incrociate sul parapetto.
Fece per rimproverarla quando, nell’oscurità, le vide dipingersi sulle labbra un sorrisetto malizioso. Ne seguì il contorno e quasi si stupì di tanta sfrontatezza.
«Conoscermi meglio? Che audace proposta.»aprì gli occhi, rimasti beatamente chiusi dal momento in cui si era poggiata sul legno e gli sorrise ampiamente, stavolta senza tracce di malizia.
«Usate le mie stesse parole contro di me, ora?» mormorò imbarazzato, distogliendo lo sguardo.
Eris si tirò di nuovo su e la testa le vorticò un casino tanto che dovette reggersi ancora al parapetto. Le serviva proprio una bella dormita. Si sentiva strana ma dopo un paio di secondi tornò di nuovo coi piedi per terra.
«Giocavo un po’» fece spallucce «Beh, per iniziare che ne dici di togliere questo “voi” e cominciare a darmi del “tu”?» e lasciò cadere una mano sul cappello dell’uomo che, per la forza impressagli, andò a incastrarsi profondamente nella testa dell’altro, coprendogli gli occhi e spostando la parrucca.
«ERIS!»
«Ecco, già cominciamo bene!»



Note dell'Autrice
Ok, si. E' sabato. Lo so. Ma la noia mi stava uccidendo e devo aspettare fino alle 21 per uscire di casa. Per cui se qualcuno si sta annoiando come me in questi pomeriggi vuoti, si può dedicare alla lettura del settimo capitolo.
Si, come avete visto sto tentando di far apparire Cutler un po' una vittima (che fondamentalmente è quello che è) senza farlo cadere troppo nell'OCC. Sto cercando di riprodurre più o meno le stesse linee di pensiero che faceva nel libro che come vi ho già detto tempo fa si chiama: "The Price of Freedom". Scorgerete lentamente molte parti di questo libro all'interno della mia fanfiction soprattutto una volta giunti al ballo dove si incontreranno vecchi nemici (non dico altro :3).
Va beh, credo posa bastare. Questo capitolo è logorroico poichè su una nave non è tanto quello che puoi fare.
Ci vediamo al prossimo capitolo :D

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Capitolo 8
*** Una Lady che si rispetti... ***



Capitolo 8. Una Lady che si rispetti...

E come previsto i sintomi di intontimento e debolezza non erano dovuti soltanto al cambiamento tra il sole cocente della mattina e il vento freddo della sera.
La mattina del secondo giorno in mare Eris scoprì tristemente di essere in quei giorni del mese.
Beh, non credo vogliate sapere esattamente come se la cavò, fatto sta che la giovane si rinchiuse per 4 giorni in camera da letto (aspettando che il cibo le venisse servito lì), richiedeva ogni giorno abbondante quantità d’acqua, si azzardò ad uscire la sera soltanto il terzo giorno, l’ultimo richiese nuove lenzuola e quasi mandò in fiamme mezzò ponte per bruciare "qualcosa".
Cutler aveva tentato di chiedere il motivo di tanta ostinazione e tentò persino di entrare nella sua stanza mentre le urlava contro dall’altra parte. Inutile dire che fu fortunato a scamparsela dopo che lei gli ebbe tirato contro quasi tutto l’armadio.
Fortunatamente il quinto giorno di viaggio, Eris uscì con un gran sorriso stampato sulle labbra. I capelli, che si era lavata accuratamente con l’acqua piovana del quarto giorno (messa a fuoco per sterilizzarla), splendevano alla luce del sole, dandole riflessi dorati.
Il viso era roseo e felice, come non lo era mai stato.
Quella mattina, Cutler la incontrò a fare colazione nel solito posticino tra i due Tenenti e quella, vedendolo, lo salutò con un gran fracasso.
«BUONGIORNO, BECKY!» saltò fuori dal tavolo, lo afferrò per un braccio e si chinò appena per baciargli una guancia. Quando si tirò indietro si sentì l’inconfondibile schiocco e i due ufficiali nascosero le risate dietro dei tovaglioli di seta.
Il viso del più basso era un misto di orrore e incredulità.
«Buongiorno a voi…» mormorò soltanto, non capendo appieno l’azione della ragazza.
«A te!» lo corresse lei, sorridendogli. «Non mi sono mica dimenticata dell’altra sera.»
Un colpo di tosse da parte di Groves fece voltare di scatto la mora, mentre Beckett ghignava apertamente. Eris fece per avvicinarsi all’uomo in difficoltà, ma una mano le prese una delle sue e si ritrovò un paio di labbra premute su di essa.
Aprì la bocca in un’espressione confusa ma le richiuse rapidamente quando gli occhi dell’uomo si posarono sul suo viso. Aveva uno sguardo canzonatorio e malizioso, uno sguardo che non gli aveva mai visto se non quando giocava al gatto ed il topo con i suoi nemici.
Sentiva come se i suoi occhi grigi e penetranti riuscissero leggere il suo imbarazzo e questo non fece che aumentarlo. Si trovò ad arrossire controvoglia e un sorrisetto sadico adornò le labbra del Lord.
«Ma certo che no. Mi sono assicurato che non lo dimenticaste facilmente, dopotutto» smielò lasciandole una carezza prima di abbandonare la sua mano e tornando ritto e imperioso.
Non capì l’allusione dell’uomo finché non voltò la testa verso i due ufficiali silenziosi, che fissavano la scena sbalorditi e anche un poco imbarazzati. Quasi quanto lei ora che faceva caso al viso colorito di Theodore.
Accortasi di aver detto qualcosa di estremamente equivoco si girò nuovamente verso Beckett per trovare un appoggio e lo trovò gongolante nella sua personale vittoria.
«T-Tu…»
Il Lord sorrise divertito e le fece cenno di seguirlo, lasciando la sala. Camminarono per qualche secondo nel più completo silenzio finché non raggiunsero un corridoio che conduceva all’ufficio del capitano.
«Cos’era quell’intervento ambiguo? Sicuramente Theodore e Andrew avranno inteso malissimo» si consentì a ribattere lei, gonfiando le guance in modo a dir poco infantile, ma non accennando a fermarsi dietro di lui.
«Ambiguo? Non lo era affatto, Miss Eris» affermò lui, con una finta espressione da angioletto innocuo (che usciva maledettamente bene al bastardo).
«Lo era un casino!» lo aggredì.
«Mi sono concesso un momento di…» ci pensò su. «…divertimento.»
«Ah, finalmente! Un po’ di umanità, diamine!» esclamò allegra spingendogli il cappello in avanti e facendolo borbottare infastidito. «Se vogliamo chiamarla umanità e non sadismo.» aggiunse poi ricordando lo sguardo malizioso dell’altro.
Quando raggiunsero la stanza, Cutler si scostò cortesemente per lasciar passare prima lei e, una volta entrata, si chiuse la porta alle spalle.
«Sadismo, dite?» chiese poco dopo, girando la scrivania e sedendosi sulla sua poltroncina preferita. Gli dava un’aria ancora più intimidatoria, ora che la giovane vi faceva caso.
«Ovviamente. Sedurmi in quel modo…» ringhiò, offesa.
«Sedurvi? Sono riuscito a sedurre voi?» era chiaramente sorpreso eppure questo non limitò il rossore sulle guance della giovane.
«C-Certo che no! Conosco quei trucchetti! Non ci sarei mai cascata!» urlò, cercando si mascherare il suo imbarazzo per furia cieca. «Almeno non completamente…»
Beckett accennò un nuovo sorrisetto e lasciò scivolare un dito sulla superficie liscia del tavolino stracoperto di fogli e lettere da leggere, anche se messi in pile ordinate.
«Però la mia era un’osservazione sincera. Come diavolo fa un verginello come te a sapere quelle cose?»
Senza preavviso le arrivò un colpo di bastone sulla testa facendola gemere e piegare dal dolore. La batosta non era stata violenta ma poteva sentire un futuro bernoccolo nascere sulla sommità del capo.
«Ma perché diavolo l’hai fatto?!» piagnucolò, sfregandosi la parte lesa, tentando di attenuare il dolore e trattenendo le lacrime che pizzicavano sulle ciglia. Aveva dimenticato quanto faceva male.
«Punto primo, Miss Eris, non descrivetemi in quel modo. Punto secondo, sedurre non vuol dire necessariamente entrare nelle sottane di una donna» sbuffò contrariato.
«Si, certo. Dì la verità…non ci sei riuscito» il secondo colpo tentò la sua occasione ma la ragazza si scostò appena in tempo, tirando indietro la sedia e guardandolo male. «Se mi stai insegnando qualcosa alla Rafiki, beh, non sta funzionando!»
Cutler lasciò scivolare dalle mani il bastone, poggiandolo nuovamente accanto alla scrivania, ma sempre a portata di mano, e la guardò severamente.
«Lasciando da parte gli scherzi…mi hai detto che non avevi mai corteggiato nessuno tempo fa» riprese lei, con più attenzione.
Ed era vero. La prima partita a scacchi tra loro era andata di domande a raffica e quando era toccato a Beckett rispondere quello aveva detto di non aver mai corteggiato nessuna donna per mancanza di tempo.
«Ed era la verità. Non ho corteggiato ma...» si trovò in difficoltà con lo sguardo languido della giovane puntato su di se, mentre sollevava le sopracciglia in un gesto volutamente maligno. «…ho dovuto sedurre donne, si. E non guardatemi in quel modo tanto sorpreso.»
Beh, non poteva non esserne sorpresa. Ovviamente un uomo importante doveva e poteva trovarsi in affari anche con importanti donne e in quel caso il fascino era più che ben venuto ma stavamo parlando di Cutler Beckett. Quell’uomo era un iceberg.
«Uhm…» non sembrava tanto convinta ma poteva accettare quella dichiarazione, dopotutto non aveva ragione di mentirgli.
Si alzò dalla sedia su cui si era seduta e prese a gironzolare per la stanza, passando piacevolmente due dita sui solchi nei libri.
«Il vero motivo per cui vi ho portato qui, Miss Eris, non è per parlare della mia reazione ma della vostra.»
Eris alzò un sopracciglio, stordita, e gli rivolse nuovamente tutta la sua attenzione, non stanziandosi dalla piccola libreria in mogano.
«La mia?»
«Ho deciso di darvi lezioni di galateo, giacché sembra essere priva anche delle basi»
Gli lasciò 5 secondi di quiete, poi la risata spasmodica della giovane scoppiò nella stanza. Quasi si piegò a metà dalle risate e questo non giovò alla pazienza dell’uomo.
«Tu…» rise. «…che fai lezioni…di galateo…a me?» no, non poteva essere realmente serio.
«Non posso certo permettervi di vedere il Re, rischiando di traumatizzarlo con i vostri modi di fare» la rimproverò, cercando di riconquistare l’attenzione che aveva perso nel giro di pochi istanti.
«Quanto siamo esagerati. Poi non è nemmeno sicuro che verrò alla cerimonia» fece spallucce tornando a guardare i libri, decisamente più interessanti. «Probabilmente sarò a fare baldoria in qualche bel localino di Londra colmo di giovani marinai coraggiosi.»
Guardò Cutler come per vedere la sua reazione ma quello semplicemente ghignò malignamente e posò la testa sulle dita incrociate.
«Beh, direi che vi sarà impossibile farlo»
«E perché mai sentiamo?»
E ovviamente non poteva chiudere quella bocca, accettando il simpatico aiuto di Beckett senza dover peggiorare la situazione e istigarlo...
«Perché una Lady Beckett che si rispetti non va certo in bettole, per di più  lontana da suo marito.»
No. Ovviamente non poteva.

«No, Mercer! Ve lo siete meritato, un corno! Non posso farlo! Non posso!» beh, non ci erano voluto molto per trovarla urlante e delirante in giro per la stanzetta, che rovesciava cose al suo passaggio.
Mercer, sentendo tutto quel baccano fuori dall’ufficio fece allontanare tutte le guardie nei dintorni ed era andato in prima persona a controllare.
«Lo sapevo che avevi qualcosa in mente dalla prima sera!»
Si guardarono male a vicenda eppure Beckett sembrava ancora divertito. «Oh, ve l’assicuro. E’ estremamente irritante anche per me. Non vi avvicinate nemmeno lontanamente al mio livello.»
Eris si lasciò scappare un ghigno offenso e si avvicinò a lui, sovrastandolo e guardandolo dall’alto in basso. «Beh, è curioso detto da un nano come te.»
«Miss Gallese!»
La ragazza abbandonò lo sguardo odioso rivolto a Cutler e si girò verso Mercer che aveva richiamato la sua attenzione.
L’uomo la stava guardando con uno sguardo deluso e lei se ne sentì morire. Certo, divertente anche essere guardata male dall’assassino più crudele dell’Inghilterra ma…beh, faceva male lo stesso.
Con un ultimo sguardo carico di rancore, girò su se stessa e uscì dalla stanza.

Non passò molto tempo poiché l’ora del pranzo arrivò presto. Cutler aveva espressamente vietato ai marinai e mozzi di servirle in camera. Per mangiare sarebbe dovuta scendere e pranzare insieme a tutti gli ufficiali.
E ovviamente, far presa sullo stomaco della donzella fu una delle sue migliori scommesse. Vero, poteva essere dannatamente testarda ma la fame le vinceva tutto.
Quando la prima portata fu servita al lungo tavolo, la testa moretta della giovane spuntò dalla porticina e fece scattare lo sguardo su tutti i presenti.
Beckett alzò gli occhi e la trovò sulla soglia, le mani che andavano a torturare le maniche della sua casacca (grigia quel giorno).
«Oh, ci onorate della vostra presenza quest’oggi» la prese in giro l’uomo, riferendosi ai precedenti quattro giorni in solitario.
Lo sguardo del resto della tavolata si posò su di lei ma in quel momento era concentrata solo a fulminare l’ometto pomposo davanti.
«Si, non volevo certo privarmi ancora di vostra signoria.» e si girò verso i soldati. «E certamente non dei migliori ufficiali dell’Inghilterra.» sussurrò, accennando un sorriso.
Avanzò lentamente ma notò che l’unico posto vacante era accanto alla sinistra del Lord. Deglutì e si sedette senza un fiato.
La cena proseguì senza intoppi. Dopo il primo arrivò il secondo e poi fu posato al centro un vassoio con mele e aranci.
Eris si rifiutò di prenderne, lasciando il poco spazio per il dolce che sarebbe stato servito a breve.
«Una mela?» domandò Cutler al suo fianco, mostrandole una mela verde e girandosela tra le dita.
«Avvelenata. Rifiuto e vado avanti.» e distolse lo sguardo dal frutto per puntarlo sulla porticina che conduceva alle cucine.
Beckett ghignò ancora, posò la mela nel piatto bianco e la tagliò abilmente.
«La vostra risposta alla questione trattata questa mattina?» domandò prima di portarsene un pezzetto alla bocca.
Eris ringhiò appena e gli rivolse un’occhiata carica di odio, quasi vicino alla furia di poche ore prima.
«Nei tuoi sogni, manipolatore bastardo.»
Le porte della cucina si spalancarono e il cuoco, seguito da altri tre aiutanti, portò su una teglia tanti piccoli piattini contenenti curiosi pezzi di qualche strana crostata. Era di un rosso acceso e stuzzicava certamente appetito al solo guardarla.
«Speravo che avreste risposto così.» le mormorò una voce venosa di malvagità in un orecchio,facendola rabbrividire da capo a piedi.
Il cuoco servì lentamente tutti gli ufficiali finché non giunse a Beckett ed Eris. Posò un'altra porzione davanti al Lord e poi fece per porgerne un’altra alla ragazza quando la mano dell’uomo si alzò proprio davanti al piatto, bloccando la sua avanzata.
La giovane lo guardò, incredula mentre Cutler volse gli occhi freddi sullo chef, un sorrisetto di scherno sulle labbra.
«Niente dolci per Miss Eris.» poi li fece scorrere fino al viso scioccato della fanciulla «Non vogliamo appesantire ancora la vostra linea, non è vero?»
Scese un silenzio così pesante che nemmeno gli ufficiali si azzardarono a toccare il cibo. Solo Beckett si era preso il disturbo di tornare a dare la propria attenzione alla torta nonostante uno sguardo duro gli puntava alla testa parruccata.
Fece passare giusto due minuti poi, rialzando il viso, fulminò il resto dell’equipaggio che si affrettò a tornare al proprio piatto, non dando più alcuna cura alla ragazzina.
Eris era talmente scombussolata da quell’offesa indiretta che non riuscì a pronunciare nulla in contrario o a tirargli qualche frecciatina di vendetta.
Tornò con la schiena contro la sedia e abbassò lo sguardo verso il ventre piatto , tastandolo. Certo, le sue gambe non erano finissime come quelle di una modella ma non era così grassa da non poter mangiare dolci…giusto?
L’uomo, dal canto suo, aveva mirato a ferirla il più possibile ma non si aspettava un silenzio completo da parte sua. Credeva che almeno avrebbe ribattuto qualcosa o si sarebbe difesa con qualche battutina delle sue.
E invece niente. Si era chiusa. Aveva colpito sicuramente il suo punto dolente.
Quando terminò il suo dolce si alzò dalla sedia ma la ragazza non diede cenno di averlo sentito e rimase con gli occhi bassi.
«Miss Eris, dopo di voi.»
Sentendosi chiamare, la Gallese alzò il viso e guardò il punto oltre la porta aperta che le segnalava il Lord.
Si alzò silenziosamente, fece un cenno agli altri membri che ricambiarono e si incamminò davanti all’uomo, sapendo esattamente dove andare.
Cutler non la seguì subito, infatti quando arrivò davanti al suo ufficio dovette aspettarlo per qualche secondo.
Si sentiva talmente imbarazzata che non riusciva a guardarlo nemmeno un po’ e ringraziava la semi oscurità lungo il corridoio che le copriva lo sguardo ferito.
Entrò appena la porta fu sbloccata e andò a sedersi rapida alla solita poltrona davanti al mobile ormai familiare.
Beckett la guardò e tirò un sospiro avanzando e fermandosi alla destra di lei.
Un altro sospiro e un piatto con la fetta più grande di crostata rossa fu posato proprio sotto gli occhi di Eris.
La guardò e un moto di rabbia incontrollabile le montò dentro.
«Un comportamento esemplare, sembra che non siate del tutto priva di basi» la voce del maggiore le arrivava ovattata quasi come quando erano sul ponte la prima sera ma stavolta non era il vento, le onde o la stanchezza a farle sembrare distante l’uomo. Era solo furia. Di quella che non provava da anni.
«Una giusta ricompensa per un giusto silenzio.»
La ragazza allungò la mano verso la fetta e quando Cutler fu sicuro che stesse per afferrarla, quella semplicemente la spinse via, più precisamente fuori dal tavolo finché non finì in un cestino lì accanto.
Lui assottigliò lo sguardo, sospettoso, ancora non spostandosi dal suo fianco.
«Queste lezioni…di cosa trattano?» sussurrò Eris.
Con un nuovo sorrisetto soddisfatto si avvicinò all’altro capo della scrivania e si rilassò sulla poltrona.
«Credo di non avere molto tempo. Londra è vicina per cui quando io sarò occupato, sarà Mercer a darvi lezioni. La moderazione sarà alla base di tutto. Proprio come avete imparato poco fa.»
Lei si morse le labbra a sentir quelle parole ma non sfuggì allo sguardo di Beckett.
«Cominceremo questo pomeriggio alle cinque con la postura e il vostro portamento. Non tardate.»
La Gallese si alzò in fretta, pronta a lasciare quella stanza, conscia che avrebbe dovuto tornarci di nuovo tra poche ore, ma un tossire irritato la costrinse a fare retromarce.
«Lezione numero uno.» le ringhiò dietro lui. «Non ve ne andate finché non vi è stato permesso.»
Eris fece un respiro profondo per calmare i nervi a fior di pelle e, tenendo gli occhi sulla porta chiusa, disse: «Posso andare, mio signore?»
«Siete respinta.»
Senza lasciargli tempo di bloccarla oltre, aprì la porta e uscì più velocemente possibile come se le mancasse l’aria.

Quel pomeriggio Beckett la costrinse in un vestito celeste (che non si rifiutò di indossare, ancora offesa e imbarazzata) e la richiamò di nuovo nel suo posto preferito.
Ormai non aveva altri luoghi dove recarsi. Era un continuo avanti e indietro tra la camera da letto e il suo ufficio.
Cutler le insegnò a tenere la testa alza, le spalle e la schiena dritte e un sorriso finto ma educato sulle labbra.
Furono due ore intense e decisamente distruttive per il suo fisico. La sua schiena le doleva un sacco per le forzature applicate quando si sedeva, si alzava in piedi e camminava. Il vestito inoltre non faceva che complicare il tutto, andando sotto le sue scarpe col tacco e rischiando di farla cadere.
“Mento in alto!” le ripeteva lui ogni volta che si azzardava ad abbassare gli occhi per non cadere, spingendole con un bastone sotto il viso.
Fortunatamente, quando Cutler fu soddisfatto di averla torturata abbastanza la lasciò uscire, ancora dubbioso.
Non si era lasciata sfuggire una maledizione né commentini aspri.  Aveva mantenuto la moderazione che si era raccomandato di ricordargli eppure quella parte ferita e sottomessa aveva preso a torturarlo interiormente.
Quei improvvisi silenzi lo laceravano più delle sue parole affilate ma, Lord Cutler Beckett, uomo ambizioso e orgoglioso, proprio non aveva voglia di ferire se stesso ancor di più chiedendole perdono. Probabilmente nemmeno l’avrebbe accettato e si sarebbe trovato con un’umiliazione in più. Da giungere a tutte quelle che lei stessa già gli aveva provocato.
Che poi stava parlando di Eris Gallese. Quella mocciosa non si scalfiva. Sarebbe tornata quella di prima e avrebbe proseguito a dargli grattacapi come sempre.
Ma Cutler Beckett, si sa, peccava di quella maledetta presunzione.
Eris, uscita per la terza volta dall’ufficio,quel giorno per prima cosa filò nella sua cabina e si sfilò il vestito di dosso con tanta furia da strapparlo ma non se ne curò e lo buttò via.
Riempì il contenitore di acqua a terra e posò cibo raccolto dalle cucine per il cagnolino. Cercò il suo completo nero ormai asciutto dal lavaggio del giorno prima nell'armadio, lo indossò in fretta e uscì nuovamente.
Un unico obiettivo fisso.
«James Norrington!»
L’ammiraglio, che prima stava osservando il cielo che si faceva via via più scuro, si girò a guardare la ragazza avvicinarsi e prendergli il bavero della camicia in una forte stretta, abbassandolo al suo livello.
«Insegnami a combattere!»
Perché se voleva andarsene da quel posto il più in fretta possibile avrebbe dovuto saper maneggiare una spada e se Beckett non poteva aiutarla, si sarebbe aiutata da sola.




Angolo dell'Autrice
Si, lo so. Non è lunghissimo ed è pieno di rabbia ma Cutler è un personaggio pomposo e prima o poi avrebbe colpito il punto debole di ogni donna: la sua linea. Per Eris, forse, ha anche esagerato (vedrete la sua storia ma non immaginatevi nulla di drastico, non è certo un dramma, questa ff). Il prossimo capitolo lo provedo un po' più lungo quindi immagino mi richiederà tempo e sto programmando un bel momento tra i due (terribile o romantico? Vi lascio col dubbio).
Vi metto inoltre qui sotto i link per i vestiti di Eris poichè non sono una tipa che descrive molto gli abiti e spesso può venire curiosità al lettore. Vedrò di migliorare sotto questo punto di vista.
Sto aggiornando tardi quindi se trovate errori (dopo la controllatina che darò prima di postarlo) è dovuto alla stanchezza.

Completo Nero e Grigio da uomo (in pratica quello che indossa quando Cutler non gli rompe sulla sua discutibile femminilità) = http://i65.tinypic.com/97i23q.jpg
Mantello = http://i64.tinypic.com/10qe9g2.jpg
Vestito celeste = http://i65.tinypic.com/xblfns.jpg

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Capitolo 9
*** Sarò il tuo incubo più grande ***



Capitolo 9. Sarò il tuo incubo più grande


La mattina seguente Eris non si presentò a colazione. Il suo posto rimase vuoto per tutto il tempo e Cutler, insospettito da tale assenza, incaricò Mercer di cercarla.
L’assassino controllò prima nella sua cabina, confermando la sua assenza e poi prese a setacciare la nave. Sembrava essersi volatilizzata.
Girò per il quarto corridoio, diretto al pontile quando incrociò un marinaio fuori postazione.
«Mr. Smith, cosa ci fate sottocoperta?»
Mr Smith era un ragazzo di poco più di venticinque anni, alto e biondo con due occhi nocciola.  Non molto presente sulla nave ma ben educato e diligente.
«Il vostro posto non è sulla coffa?» domandò, confuso da tale insubordinazione da parte del giovane.
«Oh, si, Mr. Mercer. Sono stato sostituito per un paio d’ore»
«Sostituito?»
Mercer salì i restanti gradini che lo portavano all’aria aperta e si avvicinò all’albero di trinchetto. Sulla coffa non c’era traccia di vita.
Spostò lo sguardo verso la scala e prese a salire silenziosamente.
Una volta in cima sbirciò all’interno e acciambellata intorno al legno del palo vi era niente meno che Eris, gli occhi chiusi e il respiro lento.
Stava dormendo, e anche dolcemente nonostante il rumore incessante al di sotto.
«Miss Gallese…» la chiamò, salendo ancora un paio di gradini e atterrando anch’esso nella coffa. Si piegò a metà e le scostò delicatamente i capelli legati dal viso. Una delicatezza che non pensava di avere. «Miss Gallese, state dormendo sulla coffa.»
Eris, sentendo un improvvisa mancanza di calore dovuta all’ombra fatta dall’assassino, aprì un occhio scuro e lo posò sulla sua figura.
«Mercer? Che ci fai qui?» domandò, la voce impastata di sonno.
«Sono venuto a recuperarvi per la colazione» le rivelò quello, tornando in piedi e tenendo una mano guantata agganciata all’albero. «Come mai vi siete nascosta qui sopra?»
La ragazza si alzò a sedere passandosi una manica nera sugli occhi assonnati e spolverando il cappello a tricorno che le avevano prestato.
«La cabina mi stava facendo venire il mal di mare. Mi hanno suggerito di stare in alto.» disse solo, stiracchiandosi e sporgendosi indietro per tornare al calore del sole.
Mercer le porse una mano che quella accettò di buon grado, aiutandola ad alzarsi finalmente in piedi.
Le sue gambe per un attimo non riuscirono a sostenerla e si aggrappò saldamente sul parapetto della coffa, stringendo i denti per la paura.
«Stare in alto non sembra tanto una soluzione adesso, non è vero?» ridacchiò malignamente l’uomo, posandole una mano sulla spalla per sicurezza. «Inoltre devo chiederle di non far spostare i marinai dalle loro postazioni» concluse.
Eris annuì e sbadigliò sonoramente, guardando giù verso la prua. Gli ufficiali erano un agitarsi continuo nonostante non ci fosse nulla di preciso da fare. Non avevano incontrato nessuna nave per tutti i cinque giorni e la vita sull’Endeavour stava diventando monotona e noiosa.
Vedendo le sartie minacciose e leggermente smosse Eris quasi pensò di rimanere lì sopra. Il vento non sembrava molto accomodante quei giorni.
«Venite» le ordinò l’uomo, dandole le spalle e abbassandosi su un ginocchio.
La giovane non capì finché lui non le segnalò, infastidito, di salirgli sulla schiena.
«N-Non credo sia una buona idea…» sussurrò lei, mordendosi un’unghia.
Mercer le lanciò uno sguardo duro e, afferratola per un braccio, se la issò facilmente sulle spalle.
Eris si aggrappò saldamente a Ian, e quando quello cominciò a scivolare via dalla coffa e aggrapparsi alla scala tirò un gemito al vuoto sotto di se.
«Peso troppo, cercherò di scendere da sola!»
L’uomo ridacchiò e questo la sorprese e imbarazzò allo stesso tempo. Ottimo, anche lui rideva di lei, ora.
«Non è assolutamente vero, Miss. Glielo assicuro.» lasciò che quella si stabilizzasse meglio e poi riprese la discesa. «Si tenga solo forte.»
La discesa non fu né eccessivamente lenta né eccessivamente veloce. Mercer fece molta attenzione a non fare movimenti bruschi che facessero agitare la giovane fanciulla aggrappata saldamente al collo.
Una volta arrivati alla fine della sartie, Eris scivolò giù con un sospiro soddisfatto e liberatorio.
«Grazie, Mercer.»
Mercer accennò un sorriso, anche se non ci assomigliava nemmeno lontanamente, e chinò il capo, rispettoso.
«Pensa di potermi dire il motivo del vostro nascondervi?» chiese, mentre si allontanavano dall’albero e il giovane Smith riprendeva il suo posto.
«Ero soltanto stanca, Ian e la mia cabina non migliorava il mio stato.» gli rivelò, tranquilla seppur colpevole.
Il giorno prima, dopo la lezione estenuante di Beckett sulla postura, aveva obbligato James Norrington a soddisfare la sua richiesta di insegnarle a combattere. L’ammiraglio, abbandonando le sue prediche sul non avere tempo e che sarebbe stato un pericolo per la sua salute fisica, aveva accettato con riluttanza fissando un orario spossante. 
Si sarebbero dovuti incontrare nella stiva alle dieci di sera e li avrebbero praticato un po’.
Quando era scesa, l’uomo le aveva impartito soltanto dure basi teoriche e di sicurezza per poi passare a maneggiare una sciabola a vuoto. Coordinando mente e corpo.
Seppur fosse un esercizio semplice, la rabbia che ancora la assaliva le appesantì il lavoro più di quanto immaginò.
Tornò nella sua stanza alle undici e mezza poiché James osservò con irritazione la sua fiacchezza e le chiese di essere più attenta e riposata la prossima volta.
Quando raggiunsero la sala da pranzo, questa era completamente vuota. Erano stati lasciati soltanto un paio di dolci, una tazzina da tè e della frutta.
«Mercer, come fa la frutta ad essere sempre così perfetta? È una settimana che siamo in mare ormai…» chiese curiosa, prendendo una mela semirossa e portandola vicino al viso.
L’uomo le si avvicinò da dietro e la guardò in modo strano, quasi incredulo che gli fosse stata rivolta una domanda tanto priva di interesse.
«Il cuoco tiene delle piante e le cura nel tragitto.»
«Non si fa proprio mancare niente, la Compagnia delle Indie…» commentò lei, azzannando la mela. Qualche goccia di succo le scivolò lungo i lati della bocca e questo provocò un ghigno da parte del maggiore.
Mancava decisamente di eleganza. Si sbrodolava come i più infimi dei pirati.
«Suppongo di no.» sospirò Ian, distogliendo lo sguardo e dando un’occhiata al suo orologio da taschino. «Beh, vi lascio ai vostri dolci, Miss Gallese. Mi raccomando. Alle tre nell’ufficio di Lord Beckett.»
Si girò verso di lui, pronta a ribattere sull’orario appena imposto, ma prima che potesse solo aprir bocca quello si volatilizzò.
«Decisamente inquietante, Mercer.» rabbrividì per poi tornare alla sua colazione.
 
Avendo fatto colazione alle 12, Eris preferì saltare il pranzo per farsi un’altra sana dormita nel suo alloggio. Che a quell’ora, decisamente soffocante, non faceva che giovare al suo corpo.
Si era talmente appisolata bene che non sentì nemmeno il cagnolino chiamarla più volte quando un rumore incessante prese a tempestarle la porta.
«Miss Gallese, sono le tre e mezza. Lord Beckett richiede la vostra presenza nel suo ufficio in questo istante!»
Ma chi era?
La giovane girò lentamente la testa da un lato, fissando con un occhio la porta chiusa e sbuffò.
«Si,si. Digli che arrivo tra cinque minuti.»
Ma quei 5 minuti diventarono inevitabilmente 20. Il vestito, quella volta rosso, si era impigliato e non riusciva a districarlo. Inoltre aveva evitato di indossare corsetti poiché non riusciva ad allacciarseli da sola.
Corse nella cabina del capitano il più in fretta possibile, le scarpe col tacco in una mano.
«E-eccomi…» ansimò, sedendosi goffamente sulla prima sedia che incontrò sul suo cammino e indossando le scarpe.
Beckett, che nemmeno prese il disturbo di alzare gli occhi, capì che era la ragazza solo dal modo in cui aprì la porta.
Fece un gesto veloce con una mano a Mercer e quello accennò un inchino.
«Miss, può mostrarmi quello che avete imparato ieri?» domandò, cordiale anche se sembrava molto un ordine.
Eris che si era alzata di nuovo in piedi, lanciò uno sguardo a Cutler ma lo trovò ancora piegato sui fogli sulla scrivania. Con una smorfia si rivolse nuovamente a Mercer e si chinò educatamente.
Camminò come il Lord le aveva mostrato, anche se guardò a terra un paio di volte, e fece per sedersi sulla sedia con la stessa eleganza insegnatale.
L’uomo la guardò come aspettandosi qualcos’altro e lei, presa dall’ansia, accavallò le gambe.
«Una Lady non accavalla le gambe.»
La voce di Beckett era tagliente e quando la ragazza incontrò il suo sguardo rabbrividì.
«Mi pare di avervelo insegnato ieri. Le gambe devono rimanere serrate.» e sospirò come se stesse insegnando una lezione ad un bambino.
Eris, più imbarazzata del suo errore che offesa, lasciò scivolare nuovamente le gambe al loro posto e abbassò il capo.
Mercer che aveva notato il disagio di entrambi si permise di intervenire in quello scontro.
«Può incrociare le caviglie, se non riesce a resistere e trova scomoda la posizione, Miss.»
Eris fece come gli era stato detto e si trovò meravigliosamente a suo agio. Alzò il viso verso Ian e gli regalò un sorriso grato.
Fecero ancora qualche minuto di pratica estenuante sul camminare ma poi Mercer accettò di buon grado che fosse ad un livello accettabile. Cutler sembrava essersi di nuovo buttato nei suoi affari.
«Ottimo. Ora possiamo passare ad una buona etichetta.»
L’assassino sistemò su un tavolino più piccolo, poco distante, una serie di posate e piatti.
Le fece cenno di mettersi a sedere e le indicò la tavolata.
«Questa è la sistemazione di una postazione. La prego di mostrarmi la prima cosa da fare.»
Eris osservò le tre forchette a destra e notò che quella più esterna era diversa dalle altre due, apparentemente uguali. Si morse un labbro e fece per prendere la posata nel mezzo quando la risata beffarda di Beckett la congelò sul posto.
«Incredibile, persino un bambino sa che si comincia dalla posata più esterna.» scosse il capo, mantenendo quell’odioso sorrisetto sulle labbra. «Onestamente, dove avete vissuto finora?»
Eris balzò improvvisamente in piedi, facendo strusciare la sedia contro il legno del pavimento e fissò l’uomo alla sua destra con un’espressione incomprensibile.
Era oltre la rabbia. Molto oltre.
Voleva offenderlo. Voleva prenderlo a pugni. Voleva fargli male come lui ne aveva fatto a lei.
Cutler si era fatto serio. La stava stuzzicando per ricevere una sorta di reazione da parte sua e ne aveva avuta una dopo un giorno.
«Cosa? Si esprima pure. Non si è mai trattenuta, perché ora?» premette ancora, guardandola intensamente.
Eris, intuendo il comportamento del Lord, fece un respiro profondo e tornò a sedersi senza una parola.
Allungò un braccio e sistemò nuovamente le posate che si erano scombinate a causa del suo gesto aggressivo.
«Come Lord Beckett vi ha detto, si inizia sempre dalle posate più esterne.» e indicò le tre forchette a sinistra e i due coltelli con un cucchiaio a destra. «Il piatto in cima viene di solito usato per le minestre, se previste nel menù, mentre gli altri due sono sequenzialmente per il piatto piano e il sottopiatto.»
Continuarono per altre 3 ore, praticando anche sul comportamento a tavola e non solo alla sua composizione. Cutler intervenne un paio di volte, giusto per confermare la sua presenza, ma non azzardò più frecciatine minacciose.
Mercer le insegnò a bere decorosamente, portarsi il tovagliolo alla bocca ogni volta che mangiava o beveva qualcosa, alzare il calice e spezzare il pane all’interno del piattino laterale fatto apposta.
Persino a come atteggiarsi circondata da soggetti di alto livello.
«Credo che sia abbastanza per oggi…» l’assistente guardò Cutler per averne la conferma e quello accennò col capo. Continuava a guardare fisso Eris che cercava di camminare dritta con un libro sospeso sulla testa.
«Potete ritirarvi, Miss Gallese.» la richiamò Ian, portando via il volume pesante dalla cima del capo. «Non vogliamo che arrivi stanca stasera…»
La mora gli rivolse uno sguardo colpito e sorpreso ma l’uomo sollevò di poco gli angoli della bocca, con fare cospiratorio.
Fece per girarsi ed andarsene quando ricordò le lezioni impartitole in precedenza. Girò su se stessa, guardò prima Mercer e poi si soffermò su Beckett, che assottigliò lo gli occhi, si inchinò appena con le ginocchia e sollevò l’abito color sangue.
«Con permesso.»
E sparì dalla porta.
Cutler mantenne lo sguardo fermo davanti a sé, rimembrando il viso riverito della giovane e trattenne un sorrisetto.
Quella sfacciata…
«A cosa vi riferite, Mercer?» domandò dopo qualche secondo all’uomo che ora stava riordinando il tavolino utilizzato in precedenza.
«Cosa intendete, signore?» mormorò, continuando il suo lavoro.
«Quell’attenzione su Miss Eris. Cosa ci sarebbe stasera?»
«La cena, presumo.» rispose evasivo, con un sorrisetto benevolo sulle labbra stroncate dalle cicatrici.
«Uhm.» pure il suo fidato cane era riuscita a portare dalla sua parte, quella sfacciata.
 
Sulla nave non c’era poi molto da fare. L’aveva già setacciata a fondo mentre cercava un posticino tranquillo e caldo, quindi non vedeva nulla di nuovo.
Salì sul ponte e guardò davanti a sé, cercando anche solo un lieve spiraglio di isola, ma nulla.
«Finalmente dei vestiti adatti, per tutti i diavoli!»
Eris si girò e incontrò gli occhi verdi di mastro Jeff. Aveva le manone poggiate sui suoi fianchi larghissimi e la guardava da sotto in su. Proprio come giorni prima.
«Che vuoi dire con adatti?!» rise lei, poggiando la schiena contro il legno e guardandolo a braccia incrociate.
«Ora sei proprio una signora.» asserì serio.
«Perché prima non lo ero?» sbottò arrabbiata.
«Decisamente no!»
«Gentile da parte tua, vecchio.»
«Ma quale vecchio! Attenta a te, Miss.» la minacciò, scuotendo in mano una specie di bastone.
Lei semplicemente si lasciò andare in una grande risata. Di quelle che non era riuscita a permettersi più da tempo.
Si sentiva così libera, per un momento che quasi non riuscì a riprendere fiato che qualche risolino ancora usciva fuori. 
«Siete impazzita tutto d’un tratto?» chiese lui, ghignando apertamente.
«Ma voi non dovreste essere un gentiluomo con una Lady?»
L’uomo sobbalzò e prese a girarsi intorno, intontito.
«Una Lady? E dove?»
«Scortese!» Si lamentò lei.
Jeff rise per la prima volta e la guardò con affetto.
«Assomigliate molto a mia figlia, anche lei odiava comportarsi da donna. Era testarda e coraggiosa.»
Eris sgranò gli occhi e una strana tristezza gli invase i sensi. Lo aveva detto in un tono così smorzato che era quasi doloroso.
«Dov'è ora?» chiese, conoscendo già la risposta a quella domanda.
«È morta. Entrò in contatto con dei pirati a Port Royal 5 anni fa.» seppur stesse parlando di sua figlia il suo tono era duro e costante. «Mi sono unito alla Royal Navy subito dopo.»
La Gallese distolse lo sguardo e trattenne con forza le lacrime. Non si sarebbe fatta vedere debole.
«Quanto può cambiare un uomo la pirateria, eh?» sdrammatizzò lui, facendo un lungo e intenso sospiro.
La mora si ritrovò a pensare a Beckett e all’intesa ombra che ormai oscurava il suo passato e il suo futuro. Quanto poteva cambiare un uomo? Tanto. Forse eccessivamente troppo.
Il dolore ti obbliga a costruire barriere per difenderti e a contrattaccare quando ne hai la possibilità.
Eris comprendeva Cutler, lei faceva la stessa cosa, ma questo non riusciva a farla sentire meno peggio quando riceveva le sue occhiate fredde e le sue parole taglienti. Spesso le sue frecciatine venivano accompagnate da uno sguardo ironico e divertito e lei capiva che era soltanto un gioco. Quel giorno però vi aveva visto solo intensa rabbia che era pronto a rilanciarle contro. Aveva colpito il suo orgoglio e glielo aveva fatto vedere.
«Credo che sia ora che mi ritiri per la cena.» Disse soltanto, non completamente pronta ad affrontare nuovamente quella tavolata.
 
Quando entrò nella sala, gli ufficiali stavano chiaramente parlando di donne o proprio di lei perché si bloccarono nell’istante in cui mise piede sulla moquette.
Lei si tese e pensò di sgusciare via di nuovo quando una mano le si poggiò sulla spalla coperta dal stoffa nera della casacca.
Aveva approfittato dei pochi minuti di libertà per togliersi il vestito e indossare nuovamente i suoi abiti abituali.
E per tenersi pronta per la lezione con l'ex Commodoro.
«Buonasera, Miss Eris.»
La voce di Groves era calda e sincera. Aveva sempre adorato quell’uomo per la sua dolcezza involontaria.
«B-Buonasera…» balbettò, prendendo una ciocca di capelli tra le dita e giocandoci, imbarazzata.
Lui le diede una leggera spinta, accompagnandola al posto vacante vicino a Gillette, le scostò la sedia dal tavolo e aspettò che si sedesse.
Eris sorrise a tutti i presenti e poggiò la chiave dorata della sua camera (identificata dalla lettera E) vicino al bicchiere, poiché non aveva spazi dove metterla.
Prima che potesse fare alcuna altra mossa le porte laterali si aprirono e la figura di Beckett, ancora piegato su una pergamena, fece capolino nella stanza.
Sentendosi osservato, si consentì di alzare lo sguardo e incontrò gli occhi fiammeggianti di Eris che, con un sorrisetto, si lasciò scivolare elegantemente sulla sedia mentre Theodore la spostava in avanti per avvicinarla al tavolo.
Il Lord chiuse gli occhi per un attimo, ignorando la vocina nella sua testa che gli comandava di umiliarla di nuovo per la sfida lanciatogli, e tese le carte a Mercer che le afferrò prontamente.
«Passato un buon pomeriggio, My Lady?»
«Decisamente.» rispose tagliente.
Sedettero entrambi, scrutandosi con tanto odio che persino gli ufficiali vedevano scintille minacciose.
Presero a mangiare tutti in completo silenzio. Nemmeno il ronzare di una mosca era permesso.
Eris applicò tutti i suoi insegnamenti, così che l’uomo non avrebbe potuto offenderla nuovamente davanti alla ciurma.
Una volta conclusa, la ragazza aspettò che il capitano finisse la sua cena, poi si alzò di nuovo, salutò garbatamente e uscì dalla stanza.
Cutler la guardò uscire tranquillamente poi il suo sguardo cadde su una piccola chiave abbandonata vicino al piatto della ragazza.
 
La seconda lezione non ci mise molto ad arrivare.
Alle 22, Eris era già in postazione, che spolverava le sue fidate Nike. Aveva passato tutto il tempo sul ponte a guardare l'orizzonte dopo cena e quando si era resa conto che mancava poco alla lezione si era subito recata nella stiva.
«Mi avete anticipato, questa volta.» la voce di James la fece sobbalzare e si girò per incontrare i suoi occhi verdi che brillavano come smeraldi puri alla sola luce delle torce.
La ragazza gli regalò un sorriso grato e si avvicinò a lui, per prendere la spada che aveva stretta nella mano sinistra.
«Prima di iniziare…» L’ammiraglio spostò lontano l’arma e la poggiò contro il muro in legno della stiva. «Non credo che la spada sia adatta a voi.»
La mora lo sguardò stordita e sentì una lieve fitta al petto. Quindi non l’avrebbe aiutata a cavarsela da sola?
«Preferirei insegnarvi a usare una pistola o un’arma più piccola. Non sapete coordinare gambe e braccia. La spada è troppo impegnativa per voi.» James si sfilò il cappello e lo pose sopra l'elsa della spada.
«Ma abbiamo fatto solo una lezione! Ho bisogno di tempo!» obiettò lei, facendo qualche passo in avanti.
«Ma voi non avete tempo, esatto?»
Eris abbassò gli occhi e li posò sulle scarpe. No, non aveva tempo ma non poteva abbandonare la spada. Non poteva.
«Avevate detto di aver usato un coltello, una volta.» riprese l’uomo attirando nuovamente l’attenzione su di sé. «Ne ho portato uno adatto.»
Afferrò un cinturino e lo agitò davanti al viso della ragazza, che incredula lo afferrò saldamente tra le mani.
Era un coltello con lama a filo liscio lunga almeno una ventina di centimetri. Il manico era stato intagliato nel legno e aveva piccoli cerchi solcati ogni due centimetri.
Si girò la fodera tra le mani e sorrise.
«È bello.»
«Non deve essere bello. Deve essere efficace.» la corresse l’altro sfilandoglielo dalle mani e abbassandosi su un ginocchio, vicino alla sue gambe. «Basta agganciarlo alla coscia e il gioco è fatto.»
Risalì con il cinturino alla coscia e fece per fissarlo quando, alzando gli occhi, incontrò quelli maliziosi e divertiti della mora.
«Quanto siamo intraprendenti, stasera.» ridacchiò lei, facendolo imbarazzare.
«Scusatemi. Dimentico a chi sto dando lezioni di combattimento.» Si rialzò e lo porse a lei, così che facesse da se. «Non capita spesso che una donna mi chieda di imparare a uccidere.»
La osservò agganciarsi l’arma dove le aveva indicato e fece un paio di passi per assicurarsi che fosse ben fissata e non scivolasse via.
«Elizabeth ha imparato le basi da Will.» se ne uscì, quasi in un mormorio ma, trovandosi in un luogo privo di qualsiasi rumore, si sentì comunque distintamente.
«Conoscete bene Miss Swann?» chiese l’ammiraglio, non riuscendo a trattenere la curiosità.
Eris arcuò un sopracciglio e fissò dritto James negli occhi, così colmi di emozioni.
«So molto di lei, si. Ma non posso dire di aver avuto il piacere di conoscerla.» tirò fuori il coltello, facendolo rotolare tra le dita come ai vecchi tempi. «È una donna forte. Non mi stupisce che ti sia innamorato di lei.»
L’uomo addolcì lo sguardo e alzò le labbra in sorrisetto talmente impercettibile che Eris non vi fece minimamente caso.
«Sembrate a vostro agio.» osservò indicando il modo in cui la giovane si trovava a girarsi il coltello tra le mani senza prestare troppa attenzione.
«Ne avevo uno a casa. Era un coltello a farfalla e adoravo inventarmi giochetti. Mi sono provocata non pochi tagli ma ne valeva la pena.» provò a far rotolare in aria l’oggetto dandogli una spinta con le due dita centrali ma quello quasi la tagliò. Scostò la mano appena in tempo per farlo cadere con la lama piantata nel legno del pavimento. «Anche se con questo tipo non sembrano funzionare benissimo.» rise, nervosamente.
Puntò la scarpa sotto il manico, a contatto con il dorso della lama, e tirò su così che il coltello volasse in aria. Prima che potesse ricadere lo afferrò al volo ma sfortunatamente strinse la lama e non il manico, come aveva previsto.
«Doveva essere una cosa figa se usciva bene.» Si giustificò all’espressione esasperata del maggiore. «Tranquillo, la lama era ferma a mezz’aria quando l’ho afferrata. Almeno su quello ho un certo tatto.»
Norrington annuì, seppur titubante, e si girò a prendere il bastone posato dietro un barile quel tanto che bastava per consentire ad Eris di portarsi il dito medio alla bocca per pulirlo dal sangue.
 
James non le aveva lasciato scampo quella sera. L’aveva costretta ad attaccarlo, seppur con un bastone simile alla lunghezza del coltello, mentre lui era a mani nude. Non era certo la prima volta che aveva uno scontro simile.
Alla scuola di arti marziali poteva scegliere se usare un coltello (anche se di plastica) e si trovava a confrontarsi non poche volte con persone disarmate.
Certo, l’uomo la bloccò spesso ai primi tentativi ma al quarto lei riuscì a colpirlo ad un fianco, in modo lieve ma efficace.
Muoversi con un’arma diversa dalla spada la fece sentire realizzata. Poteva affinare le tecniche con il coltello e magari le basi per difendersi soltanto con la spada.
James si ritirò sul ponte, nonostante avesse sudato (Eris se ne stava convincendo per una cosa personale), verso mezzanotte. Lei invece rimase a praticare in sua assenza con la sciabola, tentando di coordinare come Norrington le aveva detto.
Quando furono circa le due si ritirò anche lei, sciacquandosi la faccia e il collo nel barile d’acqua sistemato lì sotto.
Era soddisfatta per la prima volta del suo operato e il fatto che James le avesse lasciato il coltello la rendeva solo più orgogliosa di sé.
Arrivata davanti alla sua stanza tastò le tasche alla ricerca della propria chiave ma non sentiva l’inconfondibile rumore del metallo.
Si morse un labbro, pensando a dove potesse averla poggiata e, con terrore, si ricordò di averla lasciata sul tavolo della sala da pranzo.
“E chi dormirà nuovamente sulla coffa se non riuscirà a trovarla?” si domandò mentalmente con ironia.
Ficcò arrabbiata le mani nelle tasche e proseguì per il lungo corridoio quando, passando davanti ad una stanza isolata dalle altre, sentì qualcosa.
Fermò i propri passi e si accostò con le orecchie accanto ad essa.
Un lieve gemere di dolore le fece rizzare i capelli. Qualcuno era salito sulla nave e stava torturando qualcuno?
Tutte le idee più strampalate le riempirono la testa mentre portava il coltello alla serratura e poggiava la mano su una piccola X incisa sotto il chiavistello.
Ringraziò il suo vandalo cugino per averle insegnato una cosa tanto divertente e cercò di forzarla il più silenziosamente possibile.
Quando sentì l’inconfondibile scatto, si mise in piedi, poggiò la mano sinistra sul pomello e con la destra strinse forte il coltello, pronta ad attaccare.
Con un ultimo sospiro la aprì di scatto e si trovò in una stanza completamente buia.
Solo la luna riusciva a illuminare quel poco che bastava e, con la porta aperta, le torce aiutavano l’impresa.
Non vi era traccia di pirati o “altro” all’interno di quella stanza. Solo un fagotto su quello che doveva essere un letto.
Un fagotto che gemeva e tremava.
Si avvicinò con cautela, non abbassando ancora l’arma e, notando un paio di capelli ricci sbucare dalle lenzuola, trattenne il respiro.
Beckett. Ovviamente.
Abbassò finalmente la guardia e rinfoderò il coltello. Era solo Beckett e i suoi incubi. Doveva capirlo.
Girò nuovamente per uscire dalla stanza quando un gemito più forte la costrinse ad arrestarsi.
“Che io sia maledetta!” pensò avvicinandosi al letto e chinandosi sull’uomo.
«Beckett...ehi…» lo scosse un po’, tentando almeno di risvegliarlo dal suo incubo. «Dai...svegliati.»
Il peso della giornata si fece improvvisamente sentire sulle sue spalle e tirò un grosso sbadiglio.
«Non ho tutta la notte! Devo dormire anche io!»
Gli assestò un’altra violenta scossa e quello si alzò a sedere come una molla, ansimando come dopo una maratona.
Eris si tirò indietro, al sicuro da qualche suo improvviso urlaccio, e lo guardò il più teneramente possibile.
«Era solo un incubo. Va tutto bene.»
Cutler si girò a fissarla e lei si meravigliò di trovare tanto terrore in quegli occhi grigi illuminati dalle torce fuori dalla porta.
Quando constatò che non volesse urlarle contro, si permise di sfiorargli la fronte con una mano, togliendogli due o tre ricci. Era incredibilmente sudato.
«Va tutto bene.»
Con la gola secca, lo scrutò con stupore abbandonarsi al tocco quasi come un cucciolo ferito.
Lo fece stendere nuovamente con la testa sul cuscino che sembrava meravigliosamente comodo…
«Jane?»
«Ehm...no. Eris. L’unica fuori di testa da entrare nelle tue stanze.» sdrammatizzò lei. Jane? Le era familiare...chi era Jane per lui? Futura moglie, forse?
Voleva filarsela il più velocemente possibile.
Lui socchiuse gli occhi e sorrise stancamente, sfregando la guancia contro il dorso della mano della ragazza.
«Buonanotte, Becky.»
Si chinò quasi sulle ginocchia e gli lasciò un bacio sulla tempia, sorpresa lei stessa per tanta avventatezza. Era un gesto estremamente intimo e le era venuto così fottutamente volontario.
Si rialzò dritta, tossì per smaltire quel poco di imbarazzo e si allontanò dal letto.
«Volevano sapere del cuore.»
“Ottimo, ora vaneggia pure” Eris alzò gli occhi al cielo e lo guardò da poco sopra la spalla.
«Chi?»
«I pirati della Requin.»
Eris scosse la testa, non capendo appieno quello che l’ormai signore dei mari stava confabulando.
«Christophe-Julien de Rapièr.»
E non ci volle molto affinché la giovane comprendesse a cosa si riferisse quell’anima dannata.
“La Requin, certo. Prima era la Requin, poi la Vipère.” pensò provando un moto di compassione per Cutler.
Conosceva Rapièr. Era stato lui a rapire Beckett poco più di vent’anni anni prima.
«È morto, Beckett. Jack lo ha ucciso.» gli sussurrò, tentando di calmarlo.
«Ma non mi stupirei se tornasse in vita da un momento all’altro.» rise tremante lui.
Eris tirò l’ennesimo sospiro e si dannò per la centesima volta, tornando ai piedi di quel letto e chinandosi in ginocchio.
Afferrò la mano immobile del Lord tra le sue e le portò giunte alla bocca, lasciandogli un bacio leggero.
«Andrà tutto bene.»
Cutler girò la testa di lato ed esaminò il viso stanco ma sereno della moretta.
«Come fai ad esserne così sicura?»
Sembrava aver abbandonato qualsiasi voglia di distacco. Sentiva di essere tornato a dieci anni prima e le stava mostrando il suo lato debole. Proprio a lei, tra tutti i meno raccomandabili.
«Devi solo fidarti. Per una volta.» separò la mano destra dalla stretta e gliela posò nuovamente sul viso in una carezza leggera. «Ti proteggerò io.»
“Ho sempre voluto dirlo a qualcuno.” urlò nella propria testa.
Via via che le carezze diventavano a mano aperta, l’uomo socchiuse gli occhi fino a chiuderli definitivamente, un sorriso beato appena accennato sulla labbra fine.
«Dio, perché non puoi essere sempre così adorabile?» bisbigliò più a sé stessa ma l’uomo riuscì ad udirla lo stesso tanto che il suo sorriso si trasformò nuovamente in un ghigno.
«Non mi ameresti altrimenti.»
La Gallese agitò la testa, cercando di non dargli la soddisfazione di vederla con un sorriso divertito e si alzò in piedi, pronta al ritiro.
«Beeene, sembra che il vostro ego sia tornato. Col vostro permesso mi ritiro nelle mie-»
«Resta.» la bloccò lui, non incrociando però il suo sguardo. «Resta con me.» continuò quando non sentì risposta.
La ventiduenne si morse l’interno della guancia per evitare un commento amaro e prese a picchiare a terra le scarpe, agitata.
«Non credo sia una buona idea. Inoltre sono un po’ stanca e…» e non aveva altre scuse.
L’uomo capì che stava cercando di andarsene dal momento in cui aveva messo piede nella stanza ma, in quell’improvviso momento di debolezza, non riusciva a lasciarla andare.
«Jane è-...era mia sorella.» Disse soltanto.
Eris sbatté le palpebre un paio di volte e inclinò la testa.
«Ah, già. Jane Beckett. Si, ricordo ora.» annuì, ricollegando i pezzi. «Perché suona come una giustificazione?»
Beckett arrossì e ringraziò l’ombra prodotta dalla figura della giovane che lo proteggeva dalla luce.
«Credevi che non rimanessi perché hai chiamato il suo nome?»
E a quanto pare il silenzio aveva parlato al suo posto. Maledetta mocciosa perspicace.
«Non è per questo.» finì lei.
No, ovviamente non era per quello. Cutler l’aveva capito che si stava allontanando per proteggere se stessa e i suoi sentimenti.
Come lui stava facendo da una vita, dopotutto.
«Solo fin quando non mi addormenterò di nuovo.» provò ancora, con un moto di disperazione anche se lieve, quasi invisibile.
Eris chiuse violentemente la porta e tornò da lui per la quinta volta.
«Sei incredibile!» Si lamentò lei, tornando a sedersi sul pavimento e afferrandogli una mano. «Vuoi pure che ti racconti una fiaba per bambini?»
Cutler la guardò minaccioso e strinse forte la mano facendola gemere di dolore. «Sei insopportabile.»
«Faccio del mio meglio.» ribattè lei quando la mano fu nuovamente libera di respirare (?).
L’uomo voltò la testa dall’altro lato, così che non potesse leggere qualcos’altro sul suo viso e chiuse gli occhi.
«Poi puoi anche andartene e far finta che non sia accaduto.» concluse, lasciando la mano chiusa in quella della ragazza molle e senza forze.
La mora lo scrutò ancora. Doveva sempre avere l’ultima parola eh?!
«Dormi, Cutler.»
 
Poco più tardi quella notte Beckett si svegliò con una sensazione di viscido alla mano destra.
Volse la testa verso di essa e trovò la testa di Eris che poggiava comodamente sul materasso e più precisamente sulla sua mano.
La guardò attentamente e quando capì che gli stava sbavando sopra la ritirò con un gemito disgustato.
Lei si agitò un po’ poi tornò a sonnecchiare.
Con un sorriso divertito andò ad asciugarsi la mano con un fazzoletto vicino alla scrivania, mentre qualcosa sotto di esso raschiò lievemente e vide l’orario.
«Eris…» la chiamò, posando la mano pulita sulla sua spalla. Sentendola ancora passiva sotto di essa la avvicinò al suo viso sereno e le scostò capelli randagi come lei aveva fatto con lui pochissime ore prima. Si alzò dal letto e scostò le lenzuola quel tanto che bastava.
La afferrò per la schiena e le gambe e la posò sul materasso, facendo attenzione a non farle sbattere la testa, anche se l’idea era allettante.
Sondando il suo corpo finì inevitabilmente per guardare il pugnale legato alla coscia e, per essere sicuro, lo sfilò e poggiò sul tavolino.
Una volta stesa e sicura tornò anche lui a coricarsi.
Con il peso di entrambi il letto, adatto alla presenza di una sola persona, scricchiolò e Eris girò su se stessa.
Senza poter far nulla l’uomo si ritrovò due tentacoli che gli circondavano la vita e le spalle, stringendolo contro un altro corpo caldo.
Sbiascicò qualcosa in contrario ma non si allontanò dal contatto. Invece sorrise e posò la testa nell’incavo del collo della ragazza, offensivamente più alta di lui.
La luce della luna che stava per lasciar posto al sole illuminò la coppia beata sul letto, un orologio da taschino che segnava le 4:30, un fazzoletto usato e un’inconfondibile chiave dorata con una E incisa sopra.

Nonostante la chiacchierata amichevole. Nonostante gli sfoghi. Nonostante il sostegno, la mattina dopo, quando Cutler Beckett aprì gli occhi, accanto a lui Eris Gallese non c’era più.



Angolo dell'Autrice
EEEE...SI. A quanto pare sono riuscita ad aggiornare nonostante avessi pensato di avere poco tempo. Sono stati 4 giorni di scrittura questi. Avevo tutto in testa, mi sdraiavo a letto, cellulare in mano e non finivo finchè le idee non mi abbandonavano (o anche la stanchezza.)
Passando al capitolo, come avrete notato e capito è Cutler che ha rubacchiato la chiave di Eris. Credo avesse previsto solo un semplice richiamo o aiuto da parte sua per tornare nella sua stanza e invece gli ha fatto compagnia.
Peccato per l'orgoglio smisurato di Eris :3 Non ci ha pensato due volte, una volta sveglia, a filarsela via.
Passerà questa divergenza prima di arrivare a Londra?
Chi lo sa...
Poi ho introdotto un piccolo spoiler sul passato di Cutler e la sua famiglia. Christophe-Julien, che modestamente odio a morte nel libro, e Jane. LA MIA POVERA JANE CHE POTEVA RENDERE MORTALE QUEL NANETTO.
Vi lascio ancora due immagini per quanto riguarda il vestito rosso e il nuovo pugnale di Eris. In caso di estrema curiosità.
Vestito rosso = http://i67.tinypic.com/2yv2ddi.jpg
Pugnale = http://i65.tinypic.com/2wh2jo0.jpg

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Capitolo 10
*** Anime affini ***



Capitolo 9. Anime affini


La mattina del sesto giorno non assomigliò per nulla a quella del giorno prima.
Eris era piegata oltre il parapetto della nave, a testa in giù così che i capelli fluenti sventolassero senza legami.
Ripensò a poche ore prima.
Quando si era svegliata, aveva capito chiaramente di non trovarsi nella sua stanza. Il corpo premuto contro il suo non faceva una mossa se non respirare contro il suo collo e i brividi le avevano sfiorato la spina dorsale più volte.
Stanca, si era decisa a filarsela.
Aveva spostato abilmente le mani da sotto l’uomo ed era sgusciata via, quasi rischiando di cadere dal letto.
Girandosi intorno aveva trovato il suo pugnale e...la sua chiave.
L’aveva guardata intensamente prima di prenderla in fretta e furia, a causa del rumore inconfondibile di un pre-risveglio, e scappare via dalla porta.
Era entrata nella sua stanza, si era rinfrescata nell’acqua che aveva preparato il giorno prima e cambiata con il vestito del primo giorno di lezione di galateo. Non avrebbe indossato il suo adorato vestito grigio/verde per qualche odiosa lezione.
Si avvicinò allo specchio, si accucciò sulla poltroncina senza schienale e si pettinò i capelli bagnati.
«Che state facendo esattamente?»
James Norrington la guardava con un’espressione confusa e terrorizzata allo stesso tempo.
«Lascio asciugare i capelli.» gli rispose lei, senza muovere un muscolo dalla posizione.
«Beh, non vi sporgete troppo. Non vorremmo interrompere la navigazione per potervi ripescare.» e se ne andò lasciandola da sola.
«Il sarcasmo è eccessivamente troppo su questa nave, maledizione!» sbuffò, vedendolo allontanarsi con la coda dell’occhio.
Dopo qualche minuto sentì una scarpa col tacco allentarsi e scivolare sul piede a causa della posizione scomoda e del sudore e tentò di togliersela facendo leva con l’altro piede.
Quando quella finalmente venì fuori, lo scatto finale la fece sobbalzare in avanti e un gomito scivolò fuori dal parapetto.
Tirò un urletto spaventato ma riuscì comunque ad ancorarsi bene con le gambe così che non cadesse fuori.
Seppur fosse stato un lieve colpo di voce, un tenente che era di passaggio crebbe di averla vista in difficoltà.
Eris si sentì sollevare per la vita, nel giro di pochi attimi, e allontanata con fatica, a causa del suo artigliare il legno, dal parapetto.
«MA CHE DIAVOLO FAI?!» Si agitò contro chiunque la stesse trattenendo per i fianchi, muovendo braccia e gambe come un bambino che voleva sfuggire ad un abbraccio opprimente.
«Va tutto bene, Miss. Siete in salvo!»
La giovane si girò a metà verso il ragazzo e lo fulminò con lo sguardo.
«Ero già in salvo, salame!» Gli ringhiò, dando un ultimo colpo di reni per uscire finalmente dalla stretta del marinaio.
L’uomo parve lievemente scioccato da quella rivelazione e, con fare imbarazzato, si sistemò il cappello a tricorno sulla testa.
«Scusatemi. Ho interpretato male il vostro grido di paura.»
Vedendolo in leggera difficoltà Eris alzò gli occhi al cielo e si postò la chioma, che le era finita davanti al viso, indietro.
«Fa nulla. Non dovevo urlare così. Colpa mia.» sbuffò, sistemandosi alla meglio i capelli ormai quasi asciutti e lievemente mossi. «Grazie lo stesso. Mi fa piacere vedere che sono al sicuro con Tenenti attenti come voi.»
Il Tenente si chinò appena in avanti, un sorriso rassicurato sulle labbra, e dopo aver chiesto il permesso, si dileguò.
La ventiduenne vago ancora un po’ al sole, vaporizzando i capelli in modo che rimanessero mossi e non mezzi lisci, finché lo stomaco non le brontolò vergognosamente.
«Gesù, sono soltanto le 12.»
Eh si, aveva saltato anche la colazione a causa del cagnolino. Forse non era una cattiva idea lasciarlo ai servi a Port Royal. Era un dannato sacco di pulci ingrato. Non faceva altro che abbaiare per uscire, per mangiare e altro.
Era dovuta scendere nelle cucine e frugare senza che nessuno se ne accorgesse. Aveva avuto il tempo di agguantare solo una mela per sé stessa e un ammasso di resti per la bestiola.
Senza un perché, vagò ancora e semplicemente si fermò vicino al timone. Il marinaio aveva lo sguardo fisso sul mare.
«È divertente stare qui tutto il giorno?»
«Non se non è dotata di pazienza, Miss.» le rispose prontamente quello.
Credeva che ci avesse fatto le radici lì, infatti si stupì della sua reattività.
«Del resto, però, ogni tanto qualche mozzo capita. Una buona compagnia fa sempre bene alla pazienza.»
Eris annuì, seppur senza convinzione, e si fece cullare dal rumore del timone che ruotava, dalle onde che s'infrangevano contro la nave come ogni volta e i gabbiani che si agitavano in cielo con il loro richiamo.
Alzò gli occhi e intravide qualche grosso uccello bianco roteare vicino a l’albero maestro, per poi volarsene via.
«Non dovrebbe mancare molto al porto. Guardate.»
L’uomo al timone gli tese un cannocchiale in ferro e oro che agguantò prontamente e portò ad un occhio.
Ed era vero, seppur ancora molto distante, forse da impiegare almeno altre 24 h per raggiungerla, un pezzo di terra poggiava sul mare.
Gli occhi le si illuminarono di gioia.
«Inghilterra. Dio salvi la regina.» ridacchiò, restituendo il pezzo al suo proprietario.
«Dio salvi il re...volevate dire.»
Eris ghignò apertamente, senza freni, e agitò una mano per aria come era solito fare Beckett.
«Miss Gallese!»
La donna si sporse oltre la balaustra, da dove aveva sentito chiamare, e trovò Gillette vicino al portone che conduceva alla sala da pranzo.
«Ci stiamo riunendo in sala. Volete venire?»
Lei annuì al tenente che l’aspettò al piano di sotto e salutò frettolosamente il timoniere.
«Ma sono ancora le 12:15. Perché vi riunite così in fretta? Il pranzo è tra un’ora.» chiese al giovane marinaio, una volta raggiunto alla fine delle scale.
«Beh, per lo più brindiamo al viaggio quasi terminato.» fece spallucce lui, sistemandosi bene la spada al fianco con fare orgoglioso.
Eris arcuò un sopracciglio e rise. «Esatto, quasi terminato.»
Non ci mise molto a vuotare il sacco, e cioè che quello era solo un abituale incontro prima di pranzo. Ovviamente l’avevano fatto ogni volta e si sentiva appena a disagio in quel momento ad essere stata invitata solo da Andrew.
«E Beckett lo sa?»
«Siamo Tenenti. Non ci serve il permesso di Lord Beckett per brindare insieme.» era quasi mefistofelico, quel tono. Forse non andava tanto a genio nemmeno a loro.
Beh, dopotutto aveva ordinato l’arresto di James...comprensibile.
Aprirono le ante della stanza e trovarono già tutti i presenti tranquillamente disposti alle estremità del tavolo, che sorseggiavano e parlucchiavano tra loro.
Pettegole…” pensò lei, lasciando che Gillette coprisse la sua figura il più possibile.
Rapidamente però la sua attenzione fu distorta da una cosa. Mancava James. Perché mancava James?
«Miss Gallese! Venga a sedersi!» chiamò uno del gruppo di cui non sapeva il nome.
«Stavamo solo aspettando lei!» Disse un altro.
«Me? Per cosa?» domandò, curiosa.
5 minuti dopo:
«Allora, avete capito?» la mora sondò tutti i presenti, ora disposti tutti con le sedie intorno al tavolo.
Intravide una mano alzarsi a fatica e indicò uno degli ammiragli.
«Si?»
«Ma...mettere in posta il bacio è svantaggioso. C’è soltanto una possibilità su dieci che punti ad una donna. Inoltre qui ci sono uomini sposati...»
Eris ci pensò su. «Hai ragione. Va bene, chi è contro il bacio?»
9 mani si alzarono in aria.
Codardi.” sbuffò mentalmente.
«D’accordo. Via il bacio. Procediamo.»
Si piegò sulla bottiglia e fece per girarla quando una mano si posò sulla sua.
«Non bisogna sorteggiare il primo che ruoterà la bottiglia, secondo le vostre regole?» chiese un altro tenente.
La mora scosse il capo, scocciata. «Mi avete chiesto un intrattenimento. Allora mio gioco, mie nuove regole. Dato che sono l’unica donna giro io!»
Senza farsi attendere afferrò la bottiglia e la girò talmente forte che quella si mosse di lato.
«Schiaffo!»
La bottiglia ruotò su se stessa per quasi un’eternità.
Quando si fermò indicò un giovane tenente sconosciuto.
«Il tuo nome, caro?» sogghignò, scaldandosi le mani l'una con l’altra e avvicinandosi a lui.
«John.»
«Scusa, John.»
E gli tirò una sberla talmente forte da fargli voltare la testa da un lato a causa dell’impatto.
«Non vi siete risparmiata…» brontolò, passandosi una mano sulla guancia ferita.
Tese la mano verso la bottiglia e chiese quali erano le altre cose poste in gioco.
«Pugno, carezza, schiaffo, bacio-» iniziò ad elencare lei.
«Niente bacio!» dichiararono in coro facendola sospirare di desiderio incompreso.
«Okok. Carro armato, insalata e lettera.» concluse.
«Le ultime non le avete spiegate, però.» Si intromise Groves, deluso.
«Sono facili da capire.» Si giustificò lei.
Il Tenente in difficoltà guardò il resto del gruppo e sospirò. «Bene. Lettera.»
E le reazioni, nello scoprire cosa fosse in realtà la lettera, furono esilaranti.

Cutler aveva sentito un baccano provenire dalla sala già da parecchi minuti ma aveva deliberatamente deciso di ignorare e continuare a concludere le ultime carte per lo sbarco.
Quella mattina, quando si era svegliato, Eris non c’era più. Non aveva avuto una brutta reazione, vista la chiave sul comodino, altrimenti l’avrebbe decisamente ricordato sulla sua pelle...o sui suoi effetti.
Aveva il timore, prima di riaddormentarsi, che la giovane gli avrebbe tagliato a pezzi la parrucca o distrutto mezza camera una volta sveglia e accortasi che la chiave l’aveva presa lui.
E invece nulla. Era semplicemente sparita e la stanza era intatta.
Non sapeva se esserne sollevato o disturbato, poiché qualcosa gli diceva che il loro dibattito non si era risolto ancora.
A colazione non l’aveva vista e Mercer stava completando un ordine di affari a James Norrington, che aveva la massima priorità su tutto.
L’aveva scorta di sfuggita mentre correva fuori dalle cucine ma non lo aveva minimamente notato.
Finita la colazione si era chiuso nel suo studio e aveva ordinato del thè, che ormai consumava a razioni industriali, per calmare i nervi e le tensioni del ballo imminente.
Quando un colpo più violento degli altri arrivò alle sue orecchie decise di constatare lui stesso che diavolo stesse succedendo.
Varcò la soglia del suo ufficio, attraversò il lungo corridoio e si avvicinò alla porta laterale della sala da pranzo.
Aspettò che la situazione si aggravasse di nuovo dato che in quel momento vigeva un completo silenzio. Quasi pieno di suspense.
«AH-AH!»
Cutler sgranò gli occhi. Quello era senza dubbio il suo urlo da gallina.
«Perdonami, Gillette…»
«No! Quello no! No!»
Ci fu un rumore simile ad un tavolo rovesciato e poi uno scoppio di risate.
«Non puoi sottrarti al gioco!»
Beckett ringhiò, stufo di tutto quel movimento, e aprì di scatto la porta.
A terra, con la testa di Andrew Gillette sotto il proprio braccio, c’era Eris che aveva interrotto il suo operato sulla parrucca scombinata del tenente.
I loro occhi si incontrarono nel giro di un secondo e liberò l’uomo istantaneamente.
«Che diavolo sta succedendo qui?!» tuonò, facendo tremare vetri e vetrinette.
Il Tenente preso di mira si alzò a fatica, inciampando su se stesso per sistemarsi al meglio la parrucca, per poi coprirla con il cappello.
Eris girò i pollici, agitata, e si rialzò lentamente da terra. La stanza si era ammutolita di colpo.
«Qualcuno si degna di rispondermi?» ringhiò ancora, facendo scorrere lo sguardo tra i presenti.
«Ehm…» azzardò John, la schiena dritta seppur tremendamente teso. «Signore, stavamo soltanto facendo una piacevole conversazione con Miss Eris.»
Cutler alzò gli occhi al cielo. «Una piacevole conversazione che implica un’azzuffata sul pavimento della stanza?» lo scimmiottò, severo. «Scusa scadente, Tenente Lington.»
Prima che l’uomo potesse aggredire altri membri della Royal Navy, Eris fece qualche passo avanti, le mani strette sul vestito.
«È stata colpa mia.» intervenne anche se la voce le si incrinò appena.
«Colpa tua?» L’attenzione del Lord tornò su di lei e la scrutò, riflettendo intensamente.
La giovane si portò una mano alla testa e ridacchiò stupidamente. «Si, come al solito esagero con le mie idee strampalate.»
«Miss Eris…»cominciò Theodore.
Prima che Groves potesse intervenire nel discorso, la donna alzò una mano in aria, intimandogli di tacere.
Beckett sospirò giocosamente. «Non avevo dubbi.» Disse con un tono falsamente severo.
La mora si morse forte un labbro per non aggredirlo. Tirò dal naso quanta più aria possibile e rilassò i muscoli.
Una volta calmata si avvicinò al braccio di Gillette e lo afferrò.
«Possiamo anche sederci a questo punto, è quasi ora di pranzo.» ma quando puntò di nuovo lo sguardo verso la porta scorrevole, Beckett se n’era già andato.
Ed effettivamente non partecipò nemmeno al pranzo. Eris provò a chiedere spiegazioni a Mercer, ma quello le rispose che non aveva visto il Signore dalla mattina e l’unica cosa che aveva detto riguardo la sua assenza era perché aveva molto da fare.

Quel pomeriggio, come di consueto durante quei giorni, la ragazza camminò nell’ufficio del Lord e si aspettò di vederlo piegato sulle solite scartoffie, come sempre, ma quando aprì la porta e alzò lo sguardo lo trovò ad attenderla in piedi vicino ad un Ian Mercer, dotato di violino.
Eris, colpita, si avvicinò all’assassino e alzò un sopracciglio. «C’è qualcosa che non sai fare, tu?» gli domandò, ricevendo in cambio un sorrisetto di scherno.
Cutler guardò i due e richiese l’attenzione su di lui con un semplice colpo di tosse. «Ballare senza musica sarebbe uno dei primi passi ma Londra è vicina ormai e non c’è tempo.»
L’uomo si sistemò la giacca perfetta con un gesto rigoroso e rivolse il suo sguardo color del ghiaccio verso la ragazza che aprì la bocca in una muta domanda.
Non aspettò nemmeno che avesse il tempo di rifiutare che prese la sua mano sinistra, stesa lungo il fianco e la trascinò in mezzo alla stanza.
Il tavolo strapieno di soldatini e navi in miniatura era stato spostato verso gli angoli della stanza, in modo da lasciare abbastanza spazio ai due per muoversi.
Il lord fece scorrere la propria mano sul basso della schiena della giovane e la sospinse così che potesse assumere una postura più eretta.
Nonostante il suo essere ancora stordita, un leggero rossore involontario andò a colorarle le guancie e distolse velocemente lo sguardo alla propria sinistra quando quello di Beckett cercò il suo.
Con i tacchi era ancor più, se possibile, alta di lui e questo lo innervosiva. Avrebbe dovuto rimediare delle scarpe più basse alla giovane.
Si distanziò nuovamente dal suo corpo e le prese la mano sinistra nella sua destra.
Si sistemò al fianco di lei così che formassero una semplice linea retta e volse il viso verso di lei.
«I primi passi sono i più semplici, avanzate di tre passi e poi girate verso l’esterno alla vostra sinistra» così dicendo fece tre passi avanti e le lasciò la mano, così mentre lui girava a destra, lei girava a sinistra.
In sottofondo Mercer cominciò a suonare un’allegra sinfonia che la ragazza parve di riconoscere per un istante ma gli passò subito di mente.
Dopo due passettini si ritrovarono nuovamente faccia a faccia, ad un paio centimetri di distanza, e ripeterono il passo per altre due volte.
Quando si spostarono diagonalmente  e ripeterono gli stessi passi Eris capì.
«Aspetta un momento!» lo bloccò per un braccio e se lo tirò vicino al corpo, evitando che sfuggisse via per un nuovo passo. «Stiamo ballando un minuetto?»
«Si,è esatto» le rispose quello, alzando il mento così che potesse guardarla negli occhi. Non capiva quell’improvviso blocco.
«Io so ballare il minuetto.» sbuffò contrariata e Mercer bloccò il suo assolo, guardandola stupito. «Che poi…seri? Ancora ballate il minuetto?» continuò poi, rivolgendosi al più basso.
«E’ uno dei balli più in voga in questi ultimi anni» la contraddì lui, sistemandosi di nuovo le braccia lungo i fianchi.
«Beh, è noioso!» sbuffò lei, stanca. «Proviamo qualcosa di nuovo.»
Girò su se stessa e si avvicinò pericolosamente all’assassino, che trasalì un istante per tornare rapidamente duro come la roccia.
Gli posò le mani sulle spalle e lo guardò negli occhi, un lampo eccitato in quei pozzi senza fondo.
«Prova a suonare qualcosa di lentissimo.» gli sussurrò, quasi fosse un segreto. «Qualcosa come il vento che smuove leggermente le piante facendole frusciare dolcemente, sai cosa intendo?»
Molto spesso lei usava l’immaginazione per creare una propria musica e anche se usciva qualcosa di obbrobrio sapeva di averlo affibbiato ad un suono naturale.
Il che l’eccitava oltre ogni immaginazione.
«Non credo di aver inteso bene, Miss Gallese. Vento?» domandò quello, chiaramente confuso.
«Si…vento! Provaci!»
Abbandonato uno, si avvicinò frettolosamente all’altro e gli prese velocemente la mano sinistra nella sua destra, obbligandolo a poggiarla sul suo avambraccio destro.
Cutler sobbalzò quando la mano destra della giovane andò a stringerlo sulla scapola sinistra ma tenne comunque salda la sua presa, toccando con esitazione il muscolo nudo di lei.
Mercer cominciò a suonare e Eris riconobbe la sinfonia all’istante.
Bach, Air on the G string. Un violino.
Era ancora molto veloce per i suoi gusti ma poteva farla andar bene.
Serpentina, afferrò la mano libera del Lord nella propria e se lo spinse nuovamente contro così che i due petti fossero a contatto tra loro.
Il viso di lei si inclinò lievemente verso il basso, così che potesse guardarsi i piedi, e Beckett si trovò a fissare quei profondi occhi scuri, la bocca lievemente aperta e il suo respiro alla menta che gli solleticava il volto.
Perché sapeva di menta, lui non ne aveva la più pallida idea, ma la situazione stava peggiorando di secondo in secondo.
Sentì una scarpa separargli i piedi strettamente incollati l’uno all’altro come fosse uno di quei soldatini sulla carta nautica e si costrinse a deglutire a causa della gola secca.
«Che state facendo?» chiese con voce che raspava, guardandola negli occhi.
«Valzer Viennese, è divertente» gli sorrise, civettuola e sistemò meglio la propria posizione, posando lo sguardo verso Mercer che continuava a suonare. «Mi dispiace per farti fare la parte della donna, ma non sai guidare.»
Cutler arcuò un sopracciglio e le strinse la mano come ad attirare la sua attenzione su di lui ma quando quella abbassò nuovamente gli occhi si sentì in tremendo imbarazzo.
La posizione, oltre che scomoda e antipatica, era tremendamente maligna. A causa del corsetto, il petto della giovane era ancor più evidente e poggiava sul suo, garantendogli anche una vista non proprio celata al massimo.
Eris dal canto suo invece era completamente dedicata a correggere tutte le posizioni, così che potesse rendere la cosa divertente per tutti.
Forse era stata eccessivamente fredda con l’uomo per troppo tempo ma non poteva certo aspettarsi scuse da Lord Cutler Beckett, no?
Cioè, la sera prima valeva come una sorta di rimedio…o forse era solo la sua immaginazione?
«Ora avanzerò con il piede destro e tu dovrai arretrare col sinistro, poi girerò a sinistra col piede sinistro e tu dovrai soltanto seguirmi in avanti. Ti è chiaro?»
Cutler fece per ribattere ma la ragazza aveva già fatto la sua mossa e fu costretto a tirare indietro il piede prima che quello di lei lo pestasse.
Quando la Gallese si trasferì di lato si sentì volteggiare e il movimento dei suoi piedi fu quasi spontaneo.
Si trovarono nuovamente faccia a faccia ed Eris sfoggiava un sorriso raggiante.
«Visto? Non è poi così difficile»
Vedendola apparentemente così tranquilla nonostante il cuore di lui galoppasse a mille, Beckett strinse la mascella e si tirò bruscamente fuori dalla stretta, lasciandola sbigottita.
Con un sospiro si sistemò il completo e intimò al servitore di ammutolire la musica in quel preciso istante.
«E’ senza dubbio la cosa più ridicola e indecente che abbia mai visto» ribatté, arrabbiato, guardandola con astio.
Eris, che era rimasta per qualche secondo con la bocca aperta, la chiuse all’istante e scosse la testa, un sorrisetto deluso sulle labbra rosee.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio.
«Già, probabilmente avete ragione.» si strinse il petto, calmando l’emozione di quel ballo e sospirò stancamente. «Colpa mia.»
Mercer, che aveva poggiato il violino contro un piede del tavolino in un angolo, fece per dire qualcosa al suo signore, ma Eris intervenne per prima.
«Beh, in ogni caso so già ballare il minuetto, quindi non dovrete preoccuparvi di perdere altro tempo con me.»
Senza aspettare il permesso per uscire, cosa che aveva fatto sempre durante quei giorni, alzò la gonna e andò via.
Cutler puntò gli occhi sui suoi stivali e quasi sentiva il tocco delicato che li spingevano da parte.
«Riuscirete mai a mettere fine a questa guerra, mio signore?»
Il lord disattento si voltò verso Mercer e lo scrutò con attenzione.
«Che intendi dire?»
L’assassino scosse solamente la testa, come poco prima aveva fatto la donzella in fuga, e passò a sistemare nuovamente la stanza, posizionando correttamente tutti i mobili al loro posto.
Cutler, nonostante non avesse ricevuto risposta, lasciò correre e i suoi occhi tornarono contro la porta, ora chiusa, quasi come aspettandosi che la giovane tornasse strisciando indietro.
Mercer prese di peso un piccolo tavolo e proprio mentre lo sollevava, il cassetto si aprì e scivolò a terra, spargendone il contenuto ovunque.
L’ometto sussultò e guardò il servitore, tremendamente irritato, finchè lo sguardo non gli finì in mezzo a dei fogli a terra.
«Sono tremendamente dispiaciuto, Lord Beckett. Pensavo che il cassetto fosse vuoto.» si piegò sul vario ciarpame distribuito a terra e lo alzò al viso.
Erano tutti fogli scarabocchiati o con cuoricini disegnati sopra, come per noia. In più varie penne, non ripulite e piene di inchiostro, avevano rovinato il fondo del cassetto e impiastricciato tutti i fogli bianchi che erano scappati alla degenere mentalità della ragazza. Perché era chiaro che avesse combinato lei quel casino.
«Discuterò con Miss Gallese di questo più tardi, mio signore» mormorò contrariato l’assassino quando trovò quello che sembrava il disegno di sue omini con la corda al collo. Inizialmente pensò si riferisse a dei pirati ma invece, in alto alle loro teste rotonde prive di naso bocca e occhi, a lettere cubitali, c’era scritto il suo nome e quello di Lord Beckett.
Cutler, che si era avvicinato incuriosito dall’oggetto luccicante in mezzo alle pagine macchiate, si era piegato al fianco del fidato compagno e aveva scartato quello che lo nascondeva.
Lì, a terra, lucente e trasparente come il vetro, c’era un pezzo della scacchiera. O meglio, IL pezzo della scacchiera.
L’uomo credeva di averlo perso dopo l’ultima sconfitta subita a bordo della nave il primo giorno di viaggio con Eris. La ragazza lo aveva battuto l’ennesima volta e quando lui si era allontanato dal gioco per completare alcune firme, lei si era messa a giocherellare con il pedone proprio su quel piccolo tavolino quadrato.
Allungò una mano e lo prese.
L’aveva cercato ovunque, quel pezzo mancante, senza trovarlo.
Guardandolo e girandoselo tra le dita si chiese perché mai avesse preso proprio quel pezzo ma poi una frase gli tornò alla testa. Una frase che era sfuggita dalla giovane sere prima proprio durante la partita.
“Anche l’uomo più forte del mondo ha bisogno di avere una donna al suo fianco, perché quando la sua vita è un casino, proprio come in una partita a scacchi, la regina protegge il re.”
E poi aveva mormorato parole insensate a proposito di un qualcosa chiamato Tumblr e che trovava belle frasi al suo interno.
Doveva essere un libro, aveva pensato il signore.
Chiuse gli occhi, inspirò ed espirò profondamente, abbandonando quei pensieri, e quando li riaprì i suoi occhi andarono a sondare la stanza fino a fermarsi in un punto preciso.
Un punto in cui giaceva la bellissima scacchiera di cristallo e su di essa tutti i vari pezzi, ma il più lucente di tutti si ergeva esattamente al centro di essa, circondato dietro e avanti da fila di pedoni, come se fosse stato posizionato lì tempo prima e nessuno l’avesse più toccato.
Il Re.
Ian, osservando il Lord completamente perso nei meandri della propria mente, si permise un lieve colpo di tosse e parlò senza aspettare che l’uomo si voltasse a guardarlo, sperando che stesse prestando anche solo poca attenzione.
«Sa, signore, la stiva più essere davvero molto interessante alle dieci di sera.» e quando osservò il suo “padrone” annuire con il capo un sorriso sadico gli delineò le labbra. Quella mocciosa avrebbe pagato per quel disegnino insulso…lui era molto più avvenente di così!

Quella sera, la ragazza arrivò come al solito in anticipo nel livello quasi più basso della nave e afferrò la spada, agitandola davanti a se e tentando di mantenere più equilibrio possibile con i piedi.
La giornata era stata sfiancante e una rabbia incredibile le era montata dentro dopo essere uscita da quell’ufficio. Sapeva di essere una ragazza piuttosto istintiva e incredibilmente orgogliosa, per cui sembrava proprio che il rimorso di non avergliene dette quattro a quel pollastro la stava consumando dall’interno.
E lei era stata anche pronta a ingoiare quel groppo in gola e perdonarlo senza troppe cerimonie. Ma no. Doveva essere il solito sfrontato egoista.
Con un colpo di reni si spostò di lato, come se venisse aggredita da qualcuno, e con un movimento forzuto del braccio scoccò una forte sciabolata ad un palo reggente della nave, che fu gravemente danneggiato.
«Ho già maledetti pirati che tentano di assalire e distruggere questa nave,»
La testa di Eris si girò di scatto alle sue spalle e due inconfondibili occhi grigi brillarono nella semi oscurità della stanza.
«Non vogliamo che anche la ciurma contribuisca.» concluse, scivolando vicino ad una torcia e sistemandosi il cappello sulla testa in un gesto istintivo.
«Io non sono la ciurma.» ribatté lei, guardando Beckett puntare lo sguardo sulla spada nelle sue mani. «Che fai, adesso mi segui pure?» continuò quando capì che l’uomo non avrebbe detto o fatto nulla.
Cutler accennò un sorrisetto invidioso e poggiò le spalle al muro di legno della stiva, le braccia incrociate e strette al petto.
«Quindi è dovuto a questo la vostra disattenzione alle lezioni» si concentrò sul suo viso. «Appuntamento clandestino.»
Eris spalancò la bocca ed era indecisa se scoppiargli a ridere in faccia o andarsene e lasciarlo lì. Optò per la seconda.
«Che idiota…» mormorò quando passò vicino l’uomo e virò per le scale.
Ma prima che potesse mettere un piede sul primo scalino, la lama di un’altra spada le bloccò il passaggio, sfiorandole il tessuto leggero e scuro della casacca.
Seguì il suo contorno fino al braccio che la protendeva contro di lei e lo sfidò con gli occhi.
«Stai facendo sul serio?» domandò, ostinata, vedendo disegnarsi sulle labbra del nobile un sorriso furbo e scaltro.
Quello spostò la lama verso il basso e si allontanò dal muro così da trovarsi esattamente al centro della stanza.
«Fatemi vedere.» la sfidò lui a sua volta, alzando la lama lucente e di classe davanti al viso, la schiena dritta e le gambe unite.
La ragazza prese in seria considerazione di voltargli le spalle e salirsene in coperta ma la provocazione negli occhi dell’uomo l’aveva aizzata fin troppo e ormai aveva mandato a puttane tutto il controllo.
E in secondo luogo non era poi tanto sicura che il bastardo non l’avrebbe attaccata alle spalle.
Fece qualche passo esitante in avanti e protese anch’essa, nella stessa maniera, la spada di fronte al viso.
Le differenze tra i due erano palesi.
Lui non aveva un capello fuori posto, era il sinonimo dell’eleganza e della finezza, negli occhi ancora uno sguardo tentatore. Lei invece era piegata in avanti come un leone pronto a balzare sulla preda, gambe aperte, incredibilmente aggressiva e gli occhi che lanciavano bagliori minacciosi.
Nonostante le possibili conseguenze di allungare eccessivamente a mano morbida la spada davanti a se, lo fece, come a stuzzicarlo e l’uomo rispose alla tentazione, facendo sfiorare la propria lama con quella della giovane quasi fosse una carezza.
Eris sbarrò gli occhi e riconobbe esattamente quel gesto. Ero lo stesso che Jack aveva fatto a Will la prima volta che si erano sfidati.
Cutler doveva averlo preso senz’altro da Sparrow.
«Toglietemi il cappello e avrete le mie scuse.» propose lui, subito dopo il momento di trance.
La mora storse la bocca. «Spero ti piaccia baciare le scarpe!»
Senza aspettare che l’uomo tornasse sulla difensiva, lo attaccò con un fendente profondo che spostò di poco la lama dal suo corpo, lasciandolo scoperto.
Si mosse due passi avanti, pronta a colpirlo di nuovo, ma quello scivolò alla sua destra, mandando a vuoto il suo affondo.
Con il vuoto davanti a se, rischiò di inciampare sui suoi stessi piedi e avvertì due tocchi al suo fondoschiena quando riuscì ad inchiodare.
«Completamente scoordinata.»
Imbarazzata e furiosa si girò di nuovo e le due lame cozzarono producendo un gran rumore metallico. Entrambi avevano forzato i propri affondi.
Rimasero a lame incrociate per un paio di secondi, osservandosi a vicenda e Cutler capì una cosa.
Negli occhi profondi della ragazza la rabbia divampava tranquilla e senza forze restrittive. Tutte le emozioni le stava buttando lì e questo era un terribile errore da parte sua.
«La rabbia non aiuterà affatto.» la rimproverò, accigliato, separando le due spade le une dalle altre ma mantenendo un’alta difesa.
«Non mi serve che me lo dica tu!»
Tirò un fendente tutto nuovo che cercava di colpirlo al ventre ma Beckett fu abile anche per eludere quello con un semplice movimento del polso e l’aiuto fidato della sciabola splendente.
Quello che non aveva previsto era che la ragazza tentasse già così rapidamente un altro colpo e, infatti, fu costretto a fare qualche passo indietro per evitare il colpo violento.
Di quel passo avrebbe anche rischiato di rovinare la sua spada. I suoi colpi erano troppo aggressivi, persino la sua lama che fendeva il vuoto sembrava danneggiata.
E dopo un paio di affondi che portavano le tue braccia a fermare una spada a mezz’aria già era stanca.
Eris sospirò e strusciò la punta a terra prima di posizionarla nuovamente davanti al viso.
«Devi sempre essere così stronzo, non è vero?»
Cutler, che non stava minimamente mirando a colpirla poiché se l’avesse voluto si sarebbe già trovata a terra riversa nel suo stesso sangue, arcuò le labbra in un sorrisetto divertito alla volgarità espressa.
«Smettila di essere così perfetto. Non freghi nessuno.» ansimò, guardandolo con dolore e rabbia. «Credi che facendo il bastardo con tutti perché alcuni lo sono stati con te ti faccia sentire meglio?!» posò la punta della lama sul pavimento della nave e si poggiò sull’elsa con tutto il suo peso.
Era distrutta. Da tutto.
«Beh, sono tutte stronzate!» gridò infine.
Improvvisamente la lama che la sorreggeva scattò di lato quando incontrò l’imprevista lama nemica e la ragazza non poté far altro che scivolare a terra, confusa.
Cutler, che l’aveva vista così ormai abbandonata che l’offendeva senza limiti, non riuscì al trattenersi dal lasciarla cadere a terra.
L’odio che la giovane gli stava lanciando contro veniva abilmente restituito in quell’istante.
«Io lo so…ci ho provato…» mormorò lei sotto il proprio respiro.
«Tu non sai niente.» nonostante avesse aspettato tanto perché lui le desse del tu, la sua voce risultò essere fredda e tagliente proprio come la lama che le aveva accostato ad una guancia, costringendola a guardarlo. Imponente e crudele come non lo era stato da tempo con lei. «E come potresti? Sei solo una ragazzina presuntuosa.»
Eris strinse i denti, ormai nera, e, con uno scatto che gli costò tutte le forze, si alzò in piedi, cogliendo di sorpresa il Lord. Lo afferrò per il braccio armato e gli morse la mano così forte che fu costretto a mollare la presa con un gemito di dolore. Poi, con tutto il peso del corpo, lo trascinò a terra sotto di sé, facendogli battere la testa parruccata.
Il cappello rotolò via e quando riaprì gli occhi, che aveva chiuso inavvertitamente durante e dopo l’impatto, si ritrovò la donna a cavallo dei fianchi, un braccio sollevato in aria mentre l’altro lo costringeva a terra per una spalla.
Stordito per il forte colpo seguì il braccio teso in aria, proprio come prima aveva fatto lei con la sua spada, e, con terrore, constatò che tra le dita stringeva il minaccioso coltello che teneva alla coscia la notte prima.
Senza pensare a bloccarle il braccio che scendeva velocemente verso di lui, si coprì il viso con il proprio avambraccio, pronto all’impatto doloroso…ma questo non arrivò. Invece sentì un forte tonfo al lato dell’orecchio destro.
Con indecisione si scostò il braccio e guardò alla sua destra. Il coltello assassino era piantato saldamente sulla cima del suo cappello a tricorno e la ragazza lo fissava con uno sguardo risoluto ma stanco.
«Ora fammi queste cazzo di scuse!» gli ringhiò contro, mettendosi le mani sui fianchi come una mamma che rimprovera il figlio scorretto.
«Stai-State facendo sul serio?» fu il suo turno di essere modestamente colpito.
«Sono serissima.» asserì lei con un tono fra l’imbarazzato e l’indignato.
Cutler la guardò un attimo incredulo…poi scoppiò a ridere. Rise di gusto a quel buffo personaggio che torreggiava su di lui e che gli aveva regalato nuovamente un momento di ilarità pura.
Il fatto che l’avesse ignorato per un’intera settimana, che avesse passato tanto tempo in compagnia di James Norrington (per di più a vuoto data la sua scarsa dimestichezza con la spada), che lo avesse appena insultato, buttato a terra ed avergli vandalizzato il cappello era passato tutto in secondo piano.
Era solamente concentrato sulla totale stranezza di quel momento.
«Bene…ho fatto impazzire Cutler Beckett. Maledettamente fantastico!» si lamentò lei, scuotendolo così che finisse di ridere e le concedesse un attimo di attenzione.
«Voi…siete incredibile…» diceva tra le risatine che tentava di trattenere. «Completamente imprevedibile.»
Eris alzò gli occhi al cielo e si piegò su di lui così che si trovasse a pochi centimetri dalla sua faccia sghignazzante.
«Bene, i complimenti non mi servono. Voglio delle scuse!»
Cutler scosse il capo, senza capire, il sorriso ancora impresso sul suo viso.
«Perché delle semplici scuse vi dovrebbero bastare?» chiese quando fu sicuro che anche lei avesse la completa attenzione focalizzata su di lui.
«Perché ammettere di aver sbagliato è il primo passo e il più difficile per non cadere di nuovo nello stesso errore.»
Beckett alzò nuovamente lo sguardo così che si trovassero ognuno negli occhi dell’altra ed Eris scorse una fragilità in quelle barriere di ghiaccio.
«Soprattutto per un tipo orgogliosetto come te.» e gli pizzicò il naso con un risolino, tornando dritta, a cavalcioni.
Cutler scostò la sua mano dal suo viso ma la tenne tra le sue.
«E’ una delle frasi prese in quel libro dal nome completamente senza senso?» domandò sfiorandole il dorso con un pollice.
«Libro? Tumblr non è un libro…» ridacchiò lei, conscia della sua ignoranza. «Tumblr è un sito internet. Sai cos’è l’internet? E’ qualcosa che mi manca maledettamente tanto-»
Il Lord posò le labbra sul palmo della mano di lei e rimase qualche secondo a giovarsi nel calore di quella carezza autoprodotta, nonostante lei stesse continuando a blaterare a vanvera.
«…e di tutti quei video divertenti. Ah, che nostalgia di casa improvvisa!»
Quando si accorse che l’uomo si era improvvisamente ammutolito lo guardò bellamente poggiato sulla sua mano aperta.
Notando che anche le labbra sembravano essersi incollate alla sua mano, arrossì fino alla punta dei capelli e mosse le dita come a dirgli di lasciarla andare.
«E-Ehi! Non voglio che ti pomici la mia mano, voglio solo delle scuse!» si agitò e quando il suo sguardo si posò su di lei capì di essere in un mare di guai. E non i guai in cui si cacciava sempre.
No.
Magari fossero quelli.
«Siete arrossita»
E non fece che provocare una reazione peggiore, ovviamente.
«Ma quale arrossita! La botta deve averti davvero danneggiato il cervello» rise nervosamente, tentando di sfilare una volta per tutte la sua mano dalla presa di lui.
Beckett semplicemente si tirò a sedere e sorrise appena guardandole le gote ormai rosse.
«Lo siete eccome.» e le spazzolò via con delicatezza una ciocca di capelli dal viso.
Nonostante lei fosse a cavallo dei suoi fianchi e lui si fosse appena tirato su a sedere, c’era ancora una lieve differenza di altezza tra i due.
«Smettila.» disse risoluta lei. «Le scuse.»
«Queste erano le scuse» tentò ancora allungando una mano per toccarle il collo ma lei lo stroncò sul nascere dandogli una sonora sberla.
Arreso, si poggiò sulle mani e la guardò serio.
«Sono sinceramente dispiaciuto…per tutto.» sussurrò, quasi come se temesse che qualcun’altro sentisse. «Vi prego di perdonarmi.»
Eris alzò nuovamente gli occhi al cielo nel giro di dieci minuti. «Non ce la fai proprio a togliere il sarcasmo di mezzo, eh?»
«Sono serio, Eris.»
«Uhm…»
Lei, finalmente, lo liberò dalla costrizione e si alzarono entrambi in piedi, spolverandosi e ordinando alla meglio i vestiti.
«Bene, adesso devo andare in cucina a chiedere una super torta.»
Prima che la giovane potesse defilarsi, con quel sorriso sgargiante di chi ha appena ottenuto il giocattolo nuovo con cui aveva tartassato a morte i genitori, lui la bloccò posandole una mano sulla spalla.
«Volevo chiedervi qualcosa, prima» e le afferrò più duramente il braccio, temendo che potesse scappare da quella domanda. «Perché vi siete risentita così tanto su quell’argomento.»
E non ci fu bisogno di specificare a quale argomento il Lord si riferisse perché la ragazza, al solo cenno, si oscurò in volto.
«Io…è una cosa successa tanto tempo fa. Ora non ha più importanza.»
Cutler sospirò. Doveva aspettarselo. Dopotutto non erano poi così diversi.
«Stipuliamo un patto. Se mi permetterai di essere quel qualcuno per te, io ti consentirò di essere quel qualcuno per me.»
Eris ghignò alla sua serietà. «Sembra quasi una dichiarazione d’amore, la tua.»
Il più basso sbuffò e tornò a posare le spalle contro il legno della stiva, come aveva fatto poco tempo prima, mentre lei si poggiò a sedere su un barile coperto.
«E’ stato circa a quindici anni. Quando ti ho detto che ti capivo, sull’essere cattivi perché gli altri lo sono stati con te, non mentivo.» cominciò, distogliendo lo sguardo dalla sua figura attenta e andando a curiosare sulla lama ancora piantata all’interno del cappello a terra. «Dei miei compagni di classe mi prendevano di mira perché ero…strana…» si allontanò dal barile e si piegò sul coltello, afferrandolo e togliendolo dall’interno del cappello ormai rovinato.
«Anche voi vi chiudevate in aula a leggere?» chiese lui, improvvisamente incuriosito.
«No…non sono mai stata brava a scuola, comunque.» fece spallucce e si girò il cappello tra le mani, sistemandoselo poi sulla cima della testa. «Fatto sta che…loro mi presero in giro sul mio tenere continuamente legati i capelli e…beh, sul fatto che fingevo di avere seno con reggiseni imbottiti.»
L’uomo si posò una mano sulla bocca per evitare che notasse il suo sorriso divertito, con scarsi risultati, e lei lo guardò male.
«Fatto sta che ingrassai per avere effettivamente quello che mi serviva ma poi passarono a torturarmi sul mio fisico. Trovavo rifugio solo nel cibo.» e picchiettò la lama del coltello sul coperchio del barile.
«A farmi superare tutto questo furono due miei cari amici. Tornai a dimagrire e ora, per il trauma, non riesco più a tenere legati i miei capelli per più di mezza giornata. Cambiai drasticamente e decisi di fargliela pagare, nonostante fossero ormai passati 4 anni.»
Cutler si era fatto, se possibile, ancora più attento al nominare la vendetta e si accostò a lei, così che potesse godersi ogni sfumatura di rabbia che passava su quel viso sempre così innocente.
«E come vi vendicaste?»
Lei lo guardò e aprì le labbra in un sorriso dolce.
«Non lo feci. Si erano rovinate da sole. Perché non sempre sopravvive chi è cattivo. Semplicemente lasciai correre.»
Il Lord fece una smorfia delusa e distolse lo sguardo da lei. «Mi state dicendo di lasciar correre vent’anni di umiliazioni. No, ma che dico, trent’anni di umiliazioni solo perché…perché poi?!» non aveva nemmeno capito il senso di dover lasciar fare il suo corso al tempo. La sua famiglia…i pirati…non meritavano questo atto di carità da parte sua.
«No, ovviamente no. Ti sto dicendo di non lasciarti accecare dalla vendetta, Cutler.»
L’uomo distolse lo sguardo e tornò a concentrarsi sui suoi piedi.
«Ma non voglio obbligarti in nulla, so quanto sia difficile cambiare. E ovviamente non lo sto richiedendo a te.»
Con un sorriso benevolo, gli posò una mano sulla spalla, comprensiva, e poi lo superò diretta al piano superiore ancora una volta.
«Ero molto concentrato su quella parte di Virgilio»
Eris sbuffò sonoramente e si girò nuovamente verso di lui, sul viso un’espressione esausta. «Potresti possibilmente evitare di parlare proprio mentre me ne vado? Sembra di essere ad una soap opera spagnola.»
Sulle prime l’espressione di Beckett rimase vacua, come se fosse tremendamente difficile per lui dire quel che voleva dire a quella ragazza. La scrutò lentamente da capo a piedi e infine si fermò sul suo viso stranito.
Dopo un momento di allibito silenzio, l’uomo deglutì più volte prima di riuscire a ritrovare la sua voce ferma e tagliente.
«Ero rimasto in aula subito dopo la lezione, invece di uscire a giocare, a concludere il capitolo assegnato dal mio tutore.»
La Gallese capì subito a cosa parasse e si fece avanti, seppur titubante. «Non sei obbligato a parlarne…io so già-»
«Si, si lo so.»
Era evidente nel suo sguardo che non volesse essere interrotto di nuovo o costretto a bloccare definitivamente la sua spiegazione.
Per un momento non lo riconobbe affatto, tutto quello che restava della sua fierezza e del suo orgoglio era trapassato e per la prima volta vedeva uno sguardo vuoto. Quel suo sguardo vuoto.
«Pensavo a quanto sarebbe stato bello raggiungere un livello di cui mio padre sarebbe stato fiero. Centro del mio impegno era soltanto raggiungere un buon titolo. Ma per arrivarci dovevo prendere una strada solitaria poiché Jonathan e Bartholomew occupavano già il posto all’interno della compagnia di famiglia.»
Eris scivolò a sedere silenziosamente sulle scale mentre l’altro sondava con sguardo perso il cappello nelle sue mani, come se vedesse oltre.
«Ero talmente distratto da questi pensieri anche uscendo che non li notai affatto.»
La ragazza non dovette nemmeno chiedergli da chi fosse stato attaccato. Nella sua testa l’immagine furiosa di tre ragazzini, figli di personaggi famosi della società, che spingevano Beckett a terra e lo costringevano a rimarci, regnava sovrana.
«Mi spinsero a terra e cominciarono a darmi calci poi non ricordo più nulla. Mi trovai con un naso sanguinante e diversi dolori, a terra, con il mio maestro che mi chiamava.» poggiò il cappello sulla spada sistemata accanto al barile e rivolse finalmente il suo sguardo freddo, nuovamente vivo, verso di lei. «Non ricordo che fine avessero fatto i miei coetanei, né del perché il maestro mi stesse chiedendo il motivo del mio non controbattere. Mi sembrava soltanto di essere da qualche altra parte. Lontano dal dolore e dalle parole.»
«Cadevi in una sorta di trance.» gli rispose Eris, gli occhi umidi di emozione. «Ti succede spesso quando sei in crisi.» e inevitabilmente la forma del Lord in mezzo alle fiamme e detriti dell’Endeavour gli precipitò davanti agli occhi.
Inevitabilmente, mentre passavano quei momenti in un silenzio mortale, la mora non poté far altro che pensare alle voci viziate dei bambini che lo torturavano psicologicamente.
Seppia, lo chiamavano.
C’era un motivo per la sua instabilità mentale e la non distinzione tra il bene e il male.
«Quel giorno, dopo aver pregato il mio maestro di non dire a mio padre dell’accaduto, lui mi regalò un libro di un pirata sui tesori. Voleva consegnarmelo al mio compleanno, ma preferì quella giornata. Il primo e ultimo atto di gentilezza nei miei confronti.» aveva un sorriso amaro sulle labbra e gli occhi erano tornati nuovamente a guardare il cappello, come a proteggersi dallo sguardo profondo della ragazza che lo ascoltava.
Bensì lei non riuscì a resistere. Si avvicinò a lui a grandi passi e, dopo averlo girato verso di sé con una spinta vigorosa, se lo strinse contro.
«Sei troppo tenero.» sbiascicò con voce impastata di emozioni contrastanti.
Il Lord, contrariato, prese a divincolarsi da quella stretta ma non provocò che il risultato contrario. Le braccia della ragazza si strinsero ancora di più dietro di lui, impedendogli la fuga, e una delle due mani andò persino e spingergli il capo sulla spalla nuda.
«E’ passato tanto anche dall’ultimo abbraccio, vero?» gli mormorò in un orecchio, facendolo rabbrividire.
Servì la dichiarazione di Eris per fargli realizzare che quella stretta era solo che un puro e semplice abbraccio. Era vero, erano passati poco più di vent’anni ormai.
«Tua sorella, giusto?»
«Smettetela di leggermi nel pensiero, siete inquietante.»
La donna ridacchiò, lasciando che la mano che gli sfiorava il codino bianco si insinuasse al di sotto, massaggiando la base del collo.
E prima di abbandonarsi a quel calore, Eris non poté risparmiarsi.
«Le tue scuse disperate comunque sono state accettate.»
«Siete così…»
«Sincera, dolce, generosa?»
«Odiosa.»
Sorrise, serafica. «Non mi ameresti altrimenti.»
«Terribilmente odiosa.» fu quello che parve brontolare l’ometto, prima di nascondere la testa tra il collo e la spalla di lei.






Angolo dell'Autrice
SCUUUUUUUSATE IL RITARDO. Imperdonabile. Ma ho avuto molto da fare e Lunedì devo dare un'esame (vorrei quel cervellone di Cutler da mandare al posto mio, ma ahimè) quindi ho avuto poche idee, poco tempo e ansia perenne. Molti di voi forse capiranno.
Comunque questo è finalmente l'ending...della loro battaglia! Uzzàh! Uzzàh!
Da oggi in poi sarà solo un bel viaggio in discesa...o forse no? (MUAHAHAHAHAHAH)
Prevedo che al prossimo capitolo ci sia lo sbarco nella bellissima Inghilterra ma non ne sono sicura (ormai i capitoli li cambio e scrivo come mi vengono a momenti).
Scrivere di un Cutler Beckett ammaliante e malizioso come nell'ultima parte è sempre un divertimento. Non faccio che vederlo perennemente con quel sorrisetto incantatore *-*
Inoltre finalmente si è fatto luce su un piccolo scorcio di passato di Beckett e sul motivo dell'irritazione della ragazza (che fondamentalmente voleva soltanto le scuse dell'uomo). Ovviamente verrà scoperto altro ma intanto ho trovato il PDF online del libro di cui vi dicevo: The Price of Freedom.
Chiunque sia interessato o sia giunto a leggere fino a qui può richiedermi in privato e glielo passerò.
Con questo vi saluto. 
Ci sentiamo presto (...spero)

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Capitolo 11
*** Che brutta idea ***



Capitolo 11. Che brutta idea
Eris si svegliò di soprassalto. Un colpo forte alla porta rischiò quasi di scardinarla dai perni.
Spaventata e irritata per il risveglio poco dignitoso, con una mano andò a cercare l’orologio da taschino sul mobile di fianco al letto, e quando lo trovò guardò l’ora sulle piccole lancette.
Le sei e mezza del mattino.
Ebbe un moto di disappunto. Chi osava fare tutto quel baccano alle sei e mezza del mattino, interrompendo il suo sonnellino?!
Sonnellino, esatto. La sera prima la ragazza era rimasta a torturare Beckett quanto più possibile e si era ritrovata in camera soltanto alle tre del mattino.
Aveva dormito un totale di tre ore e mezza. E non poteva certo essere definito altro che pisolino.
Si alzò a sedere, insonnolita, scostò le coperte e si accorse di aver dormito nel completo nero. La veste da notte era abbandonata su una sedia poco più in là.
Mentre provava a scorgere la propria figura nello specchio della scrivania, fuori dalla porta continuavano a venire rumori e agitazione.
Si passò una mano sugli occhi stanchi, sicuramente solcati da profonde borse, e sospirò piano. Si alzò dal letto e si avvicinò al bacile, rinfrescandosi il viso e il collo con esasperata voglia.
“Ma quando finirà tutto questo strazio?”
Afferrò alla cieca il pezzo di stoffa fissato lì vicino e si asciugò accuratamente anche se non le sarebbe dispiaciuto lasciare che qualche goccia continuasse a bagnarle il viso quando sarebbe uscita nell’aria afosa al di fuori.
Si spogliò di quelle vesti nere e indossò quelle pulite grigie, sospirando di felicità. Poi prese il suo paio fidato di Nike e le indossò alla svelta, senza calzini.
Sistemandosi nuovamente il pugnale alla coscia, andò alla porta e la spalancò.
Davanti alla sua camera c’era un via vai continuo di marinai e ufficiali, tutti impegnati nella loro personale corsa. Alcuni avevano braccia cariche di oggetti, altri sembravano soltanto girarsi intorno, quasi cercando qualcosa.
Quando si richiuse la porta alle spalle, un ufficiale la guardò e salutò galantemente, poi passò avanti, salendo le scalette. Alcuni invece la ignoravano palesemente, troppo di fretta per prestarle attenzione ed interrompere i loro impegni.
Fece per salire anche lei al piano superiore quando un uomo con una sciarpa le balzò davanti, superandola.
“Addirittura con le sciarpe?” si domandò, salendo due scalini alla volta, in modo da liberare in fretta il passaggio affollato.
Quando salì sovraccoperta, ma ancora fedelmente al chiuso, in effetti, non faceva tutto quel caldo del giorno prima. Effettivamente aveva avvertito lentamente un cambio di temperatura in quei giorni, da quando erano partiti dai caraibi. Ma quella mattina sembrava superarli tutti.
Con un groppo in gola per le scale infinite, tornò in camera e agguantò il cappotto ma qualcosa prese a strattonarlo verso il basso.
Sbuffò sonoramente ma quando guardò la fine del mantello, trovò un lembo stretto nella bocca del cagnolino.
«Cosa c’è, piccolo ingrato?» chiese, piegandosi per liberare la stoffa dai suoi dentini aguzzi. «Hai fame anche te?»
Quello abbaiò lasciando andare il mantello, come se avesse davvero capito la domanda appena posta ed Eris lo afferrò mettendoselo sotto il braccio a mo’ di baguette.
«E allora andiamo, dai!»
Si sistemò alla meglio il mantello sulle spalle, andando a coprire anche il povero cucciolo, e uscì nuovamente all’aria aperta.
Davanti a lei si stagliò l’imponente distesa di case e vie affollate. Erano giunti finalmente nella misteriosa Gran Bretagna del 1700.
Quando salì sul ponte della nave il freddo le penetrò nelle vene ma il sole le illuminò il viso. Prese un respiro profondo come per giovare i suoi polmoni di aria fresca.
Anche se faceva freddo, il cielo stava volgendo ad un azzurro…in quel momento era un grigio pallido e a Eris ricordarono gli occhi chiari di Beckett.
“Sembra proprio che abbia l’Inghilterra negli occhi.” Pensò, venendo però subito interrotta da un ringhio disturbato del fagotto tra le sue braccia.
«Si, ho capito!» sibilò alla bestiola, girando nuovamente per andare nella sala da pranzo.
Quando entrò, essa era completamente vuota. Sul tavolo giaceva soltanto una ciotola con delle mele.
Si avvicinò avvilita e ne prese una tra le mani.
“Sul serio, qui hanno seri problemi con le mele…mele ovunque.”
Ne addentò un bel pezzo e quando fu soddisfatta la passò sotto il mantello, davanti al muso del cagnolino, che dopo averla annusata per bene abbaiò contrariato.
«E’ l’unica cosa nei paraggi, bestia. Probabilmente non mangeremo finché non arriverà il pranzo.» gli disse, sistemandoselo meglio sotto il braccio ed uscendo nuovamente all’aria aperta del mattino.
Fece scorrere lo sguardo scuro e ancora assonnato su tutti i presenti, poi, poco distante, trovò la figura di Beckett che spiegava e consegnava un paio di fogli ad un ammiraglio con un cappello dotato di una lunga piuma bianca e grigia.
Sicuramente non faceva parte della ciurma, altrimenti lo avrebbe almeno intravisto di sfuggita.
«Ehi, Beckett. Che fine ha fatto il cuoco?» gli urlò quando fu abbastanza vicina.
Il più basso si girò di scatto verso di lei e poi lanciò uno sguardo preoccupato all’uomo davanti a lui.
Quando la Gallese fu abbastanza vicina Cutler fece un gran sorriso, chiaramente falso anche a chilometri di distanza, e la afferrò per una mano, baciandola con delicatezza.
«Buongiorno, mia cara.»
La mora alzò un sopracciglio, guardandolo con divertimento ma quando fece per parlare lui le si avvicinò così tanto che sentì il suo respiro sulle guance.
«Dormito bene?»
Eris continuò a mantenere fermo sul viso un sorriso piuttosto tirato e confuso ma bastò un altro palese sguardo all’uomo con la piuma per capire a cosa parasse.
«Ooooh, ma siiii, ceeerto…» e gli fece un occhiolino fin troppo evidente, facendo sospirare sconsolato il Lord.
«Voi siete Lady Eris Beckett, presumo. Immaginavamo foste così…singolare.» l’uomo che fino a quel momento stava analizzando la coppia, si fece avanti, aspettando.
La donna lo guardò finché Beckett non le pizzicò il braccio sinistro da dietro le spalle. Senza rendersene conto il signore dei mari le aveva avvolto un braccio lungo la base della schiena.
Per il dolore improvviso mosse il braccio in avanti e l’ufficiale straniero, che lo prese per un consenso, agguantò la mano della ragazza e se la portò alle labbra.
«Il Re non vede l’ora di conoscervi. Temevamo di non avere mai il piacere.» e lanciò uno sguardo obliquo a Cutler che non fece altro che rafforzare la presa sul fianco di lei.
Eris decise saggiamente di non aggiungere nessun “Avete temuto bene, D’Artagnan”. La situazione sembrava già abbastanza tesa senza che lei ci mettesse del suo.
«Questo lo manda il Re in persona.» e tirò fuori dalla divisa una lettera bianca con il marchio rosso di Giorgio II.
Beckett si fece avanti con la mano ma il giovane la distanziò con un sorrisetto di scherno sulle labbra.
«E’ per Lady Beckett, mio signore.» gli disse quello, sostenendo con fierezza lo sguardo di fuoco di Cutler.
«Ciò che mio è anche della mia signora, lo stesso in caso contrario.» ribatté il Lord, disturbato non poco.
«Perdonate la mia insolenza, ma il Re mi ha caldamente ordinato di consegnarlo a Lady Eris e a lei soltanto.» si inchinò alla giovane e le consegnò la lettera. Poi, senza una parola, lasciò il ponte della nave scendendo per la passerella calata sul molo.
Beckett le sfilò la lettera delle mani in modo silenzioso e se la intascò.
Eris, completamente distratta da altro, si sporse un pochino per guardare meglio il ragazzo ormai sceso a terra e i suoi occhi maliziosi le caddero inevitabilmente sul quel bel paio di pantaloni bianchi e attillati che mettevano in risalto quel magnifico fondoschiena…
«Vi prego…»sospirò Beckett, allungando una mano per chiuderle la bocca spalancata. «Un po’ di decoro.» e seguì l’esempio del D’Artagnan dei poveri, scendendo a terra.
La Gallese ghignò apertamente, lasciò che il cagnolino rimasto in silenzio scivolasse a terra e si avvicinò di soppiatto al Lord, sussurrando senza che gli altri intorno a loro potessero ascoltare.
«Non essere geloso.»
Beckett sbuffò divertito e continuò a camminare. «Geloso? E di cosa?»
«Anche tu hai un bel culo.»
Il più basso si girò verso di lei, imbarazzato, e la fulminò con gli occhi grigi. La ragazza, come risposta, non fece che tirargli una guancia rosea e chinandosi sul suo viso.
«Smettetela.» si liberò dalla presa e continuò a guardarla male, mentre si sistemava il cappello sulla testa. «Possibile che non possiate assecondarmi qualche volta?»
«Che divertimento ci sarebbe, altrimenti?» domandò in risposta, facendo spallucce, prendendolo sottobraccio e portandolo avanti lungo la passerella che li avvicinava al porto strapieno di persone che guardavano affascinate e incuriosite.
«Vi ricordo che ho ancora un asso nella mia manica.» sussurrò, mefistofelico, mentre si fermava e la afferrava per i fianchi, portandosela talmente vicino che non poté far altro che ricordare la loro prima danza.
Nonostante fosse il più basso dei due, senz’altro era anche il più forte.
«Siete Lady Beckett, da oggi in poi. Quindi dovete comportarvi come tale.» le afferrò il mento così che non distogliesse lo sguardo da lui e ghignò.
«Beckett, che diavolo fai?! Ci guardano…» sussurrò terrorizzata, guardando con la coda dell’occhio la fila di curiosi che si fermava a guardare i marinai tutto fare e la coppia sul molo.
«Ne sono perfettamente a conoscenza.» disse lui solamente, volgendo, con una forzatura del polso, il viso di lei verso destra e abbassandola al suo livello. Lasciò un bacio leggero sulla sua guancia e avvicinò le labbra al suo orecchio.
«Andate a indossare un vestito alla svelta. Se vi vedo di nuovo con un completo simile qui a Londra, vi farò girare nuda.»
Eris si distanziò dall’uomo e lo trovò ghignante di vittoria. Quel dannato diavolo. Beh, ma potevano giocare entrambi a quel gioco.
«Beh, non che sia di mio interesse. Quando tornerò nel mio mondo sarà come se non l’avessi mai fatto, perciò…» portò una mano alla casacca e fece per sbottonare i primi bottoni. Quando Beckett capì cosa stesse cercando di fare, le afferrò i polsi di entrambe le mani e le allontanò dal suo petto, che ora mostrava una scollatura profonda.
«Perché devi sempre contraddirmi?»
La ragazza fece la finta tonta. «Contraddirti? Mi hai dato una scelta.»
«Non farmi usare la mia carta, Eris.» gli sussurrò, irato.
La mora fece nuovamente spallucce e lo guardò con un sorrisetto di vittoria.
«Bene. Allora, grazie all’ingegnoso patto fatto tempo fa, la mia richiesta diventa un ordine. Ti comporterai come ti ordinerò io per tutto il tempo che resteremo in Inghilterra.» la zittì, lasciandole andare i polsi e rivolgendole uno sguardo mortalmente serio.
«Non oserai…» disse lei, ma nonostante l’aria spavalda non riuscì a coprire la nota ansiosa nella voce. Non si era dimenticata la scommessa fatta settimane prima.
«Oso, oso. Ora fila.»
La giovane provò a ribattere ma l’uomo si girò verso un ammiraglio e prese una fitta conversazione con lui, lasciandola alla propria sorpresa e rabbia.
«Giuro che me la paghi.» gli sibilò in un orecchio.
Salì nuovamente sul ponte, agguantò il cagnolino, sussurrò un “Andiamo, Ingrato, questo posto non è per noi” offeso e scomparve sottocoperta.
Il tutto seguito da uno sguardo divertito del Lord.

Riuscirono ad essere nella carrozza che li avrebbe scortati al palazzo alle 12. Eris fu costretta nel vestito rosso sangue e non fece altro che sbuffare contrariata per tutto il viaggio. O almeno finché non attraversarono la strada piena di negozi da ogni lato.
A quel punto prese a spiaccicarsi sul vetro della carrozza mentre Beckett se ne stava tranquillo , incollato allo schienale.
Forse Eris non se n’era accorta ma da quando erano entrati in quel mezzo ambulante, il cagnolino e Cutler non avevano fatto altro che squadrarsi a vicenda.
Avevano fatto a meno della presenza dell’altro per tutto il tempo sopra la nave ma era finalmente giunto il momento di affrontarsi.
«Eris, davvero, cosa ci trovate in quel cane?»
La giovane, che ormai aveva fatto assumere al vetro la forma della sua faccia, si tirò indietro un pochino, titubante di dover abbandonare quella visione, e guardò l’altro.
«Non so. Mi tiene compagnia la notte.»
Beckett non riuscì a controbattere, per cui preferì tacere.
«Che diceva la lettera, a proposito?» domandò subito dopo lei, volgendo gli occhi sulla strada, un sorrisetto furbo sulle labbra fine.
I negozi stavano chiudendo e le piccole baracche allestite stavano smontando tutto, dandosi un gran da fare.
Il sole aveva finalmente riscaldato la temperatura, seppur fosse ancora fredda, e illuminava le strade. Al loro passaggio, i pochi cittadini che ancora giravano all’aria aperta volsero lo sguardo alla carrozza, cercando di scrutare chi vi fosse al suo interno.
Eris intanto pensava a cosa le sarebbe capitato una volta davanti al Re. Lo aveva ovviamente già visto nel film e sembrava una persona piuttosto viziata.
Sperò che non la costringesse in qualche attività strana…e che soprattutto ascoltasse la sua richiesta.
«Invitava a pranzo entrambi.» rispose solamente il Lord, spostando gli occhi anche lui al finestrino opposto a quello assaltato dalla ragazza.
Proprio in quel momento, un grosso armadio dietro una vetrina attirò la sua attenzione. Fu come guardare qualcosa di mistico in qualcosa di estremamente semplice. Non capiva il motivo ma un brivido gli percosse la spina dorsale, facendolo rabbrividire sul posto.
«Eris, l’armadio di cui mi avete raccontato…com’era?»
La domanda, del tutto imprevista, lasciò la donzella perplessa e rispose con altrettanta confusione.
«Mi stai chiedendo di descrivere quell’armadio?»
«Si.» sembrava molto serio ma ancora non si girava a guardarla.
«Beh…» titubò dopo qualche secondo. «Era alto almeno due metri e mezzo, il legno non so quale fosse ma era molto scuro, quasi nero, e portava il simbolo delle Indie sia sulla carta che lo spediva sia sulla maniglia di entrambe le ante.»
Cutler si accigliò e passò il pollice sulle labbra, pensoso. Non aveva potuto certamente sapere se l’armadio che aveva visto avesse o meno quelle figure incise sopra, eppure la strana sensazione non lo abbandonò.
«Qualche altra accortezza?» chiese ancora, stavolta guardandola con un’intensità che lei non gli aveva mai visto in quelle pozze di argento fuso.
Tentò di ricordare il momento in cui mise piede all’interno del mobile e sorrise. «Ricordo che vi erano tanti vestiti di questo periodo e…le pareti del suo interno erano rosse. Un rosso vermiglio.»
Beckett pensò che sicuramente il colore interno era una particolarità più che utile. Quale armadio comune avrebbe avuto un interno color del sangue?
«A cosa ti serve?»
L’uomo concentrò di nuovo i suoi pensieri sulla Gallese e scosse la testa, come a tranquillizzarla. Lei lasciò correre più in fretta del previsto e non oppose altre richieste.
Il tragitto sembrò essere calato nel più silenzioso dei viaggi. Strano, data la presenza incessante del sacco di pulci, che non faceva altro che ringhiare al nobile, e della giovane, solitamente sempre al centro dell’attenzione di tutti.
Quando la carrozza finalmente cessò il suo sbatacchiare a destra e manca, Eris aprì la porta senza aspettare che qualcuno l’aprisse con lei.
Grave errore.
Spinse forte la portiera e quella andò a colpire dritto sul naso un valletto che era lì proprio per offrirle la cortesia.
Un piede dopo l’altro e si ritrovò sulla terra coperta da ciottolini bianchi. Guardandosi alle spalle notò che non erano nell’immediata città nonostante l’avessero percorsa tutta ma erano passati all’interno del castello tramite un ponte levatoio.
Ai lati di esso due alte torri di guardia, come quelle che si vedevano nel medioevo, solo con qualche scrematura di oro, rosso e bianco.
Il Re si proteggeva bene dalla plebe.
Quando sentì un forte lamento alla sua destra si voltò e trovò un uomo con la mano premuta contro il viso, più specificatamente sul naso.
«Uhm? Va tutto bene?»
Cutler uscì dalla stessa portiera di Eris e la guardò storto. «Ovviamente non sta bene.»
Mercer, che guidava la carrozza, scese al fianco del collega e gli porse il proprio fazzoletto, seppur con disgustosa riluttanza.
Eris alzò gli occhi al cielo e prese sotto braccio l’ometto al suo fianco.
Il castello che le si presentava davanti agli occhi pece le fece trattenere il fiato. Era molto più grande di come l’aveva immaginato (e visto nel film). Anche la parete rocciosa e ben levigata di esso era di un bianco perlaceo con qualche accenno di strisce d’oro qui e là.
Un altro valletto aprì il portone, aiutato da un altro accorso in aiuto e li fecero accomodare al suo immenso interno.
Le pareti interne potevano rispecchiare la brillantezza esterna se non fosse stato per i millemila quadri che tappezzavano tutto e lunghe tende e bandiere rosse attaccate ogni 20 quadri.
Diversi soldati in giacche dei medesimi colori erano fermi alle loro postazioni lungo l’ampio corridoio.
Gli occhi della ragazza si spostarono velocemente verso le grandi porte di quercia alla fine dell’ingresso che si aprirono con un altro forte cigolio che rimbalzò contro le pareti.
Poi, quasi in concomitanza con quell’evento, il braccio che Eris stringeva con la mano destra si tese spasmodicamente.
Fece scorrere lo sguardo al suo fianco e trovò il viso di Beckett tremendamente serio, la mascella serrata e tesa quasi come il muscolo del suo braccio.
La parrucca bianca quasi le faceva male agli occhi. Si era talmente abituata a vederlo senza che ormai le dava un fastidio incredibile al solo guardarlo.
Le mani le prudevano dalla voglia di mettergli le mani in testa e sfilargliela via.
«Nervoso?» gli sorrise, distraendosi.
Lord Beckett si raddrizzò per bene e schiarì la voce. «Per quale motivo dovrei esserlo? Certo che no.»
Il suo tono si era forzato all’impeccabilità in maniera innaturale.
«Uhm, se lo dici tu…»
Quando oltrepassarono le porte una visione paradisiaca le si presentò davanti. Il cagnolino, che silenzioso aveva seguito i due tenendosi il più vicino possibile ai piedi della giovane, tirò in alto il muso e prese a fiutare l’aria con fare sognante.
Un lungo tavolo era posato al centro dall’enorme sala da ricevimento. Era stracolmo di dolci e portate di tutti i tipi, dal pollo alla carne di manzo cotta a puntino e con salse delicate poggiate al di sopra.
La stanza era ampia, probabilmente come il resto di quelle che non avevano ancora visitato. Era stranamente familiare.
Un lampadario in oro massiccio era fermo proprio al di sopra della tavolata e una grande finestra dall’altra parte illuminava il tutto.
Lasciò, ancora stupefatta, il braccio dell’uomo che era stato velocemente affiancato da Mercer, e avanzò verso la tavola, il cagnolino che ringhiava affamato.
Quando si trovò davanti ad un dolcetto alla crema ricordò.
Quella era la stessa stanza in cui Jack era stato trascinato... pronto per affrontare la persona più forte di tutto il continente.
Le porte laterali, posizionate sotto un piccolo soppalco, si aprirono e ne uscì nient’altri che il Re in persona.
In tutta la sua grandezza…e ampiezza.
Un uomo basso e incredibilmente grasso, così familiare alla ragazza, con una parrucca lunga dai molti boccoli dorati, entrò con passo pesante e sgraziato.
Posò i suoi occhi porcini prima sulla figura di Eris, come soppesando il suo essere, poi sul cagnolino che si era fatto avanti con i denti in mostra, come a proteggere il suo padrone.
«Mio Re.»
Vedere Beckett chinato ad un soggetto di quel calibro fece quasi venire i brividi lungo la schiena alla Gallese.
Giorgio II finalmente rivolse la sua attenzione al suo uomo e aprì le labbra in un sorriso radioso, colmo di aspettative.
«Lord Beckett, portate buone notizie immagino.»
Eris si accigliò guardando il tavolo e si morse un labbro. Dovevano proprio parlare di affari davanti a tutto quel ben di Dio?
«Senz’altro.» ma prima che potesse aggiungere altro, lanciò uno sguardo eloquente a tutte le guardie presenti.
Il Re, che stupido non era e sicuramente non era nemmeno la prima volta che parlavano di affari in privato, fece un cenno stizzito alle giubbe rosse (Beckett lo fece a Mercer) che con un inchino si dileguarono tutte dalla porta da cui era spuntato Giorgio, chiudendosela alle spalle.
«La Compagnia delle Indie è in possesso del cuore di Davy Jones, mio re.» completò una volta al sicuro da orecchie e occhi indiscreti.
«Allora la giovane stava dicendo la verità.» constatò il sovrano, girando la testa verso Eris che con mano lunga stava per afferrare un chicco d’uva.
Cutler seguì lo stesso esempio e lanciò lampi di fastidio nella direzione della giovane.
La Gallese, improvvisamente a disagio, fece il sorriso più convinto che riuscì a fare e osservò i due uomini cercare risposte dalla sua bocca.
«Beh, il mio era stato solo un accenno, veramente…» si grattò la guancia con un dito e distolse lo sguardo per posarlo su un tacchino fumante al centro della tavola. «Ma non vi sembra scortese dialogare di cuori pompanti e pirati davanti a tutte queste belle pietanze?»
Quasi al solo immaginare la bocca piena di carne e dolci il suo stomaco brontolò nervosamente e il cane parve acconsentire con un lieve ringhio.
Beckett si passò una mano sul viso, esasperato, e si rivolse al maggiore. «Perdonatela, sua maestà. Il viaggio è stato estenuante.»
Il Re rise e segnalò due sedie dall’altro lato, come dicendogli di sedersi.
Eris non vedeva l’ora di mettere qualcosa sotto i denti per poi sparire in qualche stanza lussuosa di quell’immensa magione per un bel bagno e lavarsi i capelli, pettinarli davanti ad un fuoco finché non si fossero asciugati e riposare in un bel letto stabile e soprattutto al sicuro da movimenti bruschi, come era di consueto sulla nave.
Mangiò col più garbo possibile a causa dello sguardo del Lord che non la lasciava mai.
Il Re sembrava, invece, impegnato quanto lei nel dedicarsi al cibo.
Proprio mentre avvicinava l’ennesima coscia di pollo al piatto, il cagnolino al suo fianco ringhiò e poi le abbaiò, arrabbiato.
Giorgio, che era saltato sulla sedia a quel rumore, guardò sotto la tovaglia e individuò la creaturina irritata.
«Ma guarda un po’, avete anche un cane.» provò a far cenno alla bestia di avvicinarsi ma quello annusò l’aria con aria altezzosa e poi girò nuovamente la sua attenzione sulla padroncina. «Mi chiedo come avete fatto a convincere Lord Beckett a tenerlo.» e indicò l’uomo con un pollice, sghignazzando sotto i baffi.
«L’ho preso e l’ho tenuto.» disse solamente lei, allungando un pezzo di carne al cane.
Cutler alzò gli occhi al cielo e tornò al suo piatto. Era già fin troppo tranquilla per i suoi gusti, preferiva stuzzicarla il meno possibile per non rischiare in qualche sua pazzia.
«Mia moglie ha una bellissima Terrier.» disse sua obesità, picchiandosi un dito sulla guancia grassoccia. «Sicuramente sarà felice di vederli interagire.»
La giovane, contenta di potersi liberare del cagnolino logorante anche solo per poche ore, deglutì a forza il pezzo di pollo rimastole in bocca e sorrise radiante.
«E’ un’ottima idea!»
Beckett, dal canto suo, era preoccupato. Quel cane ai piedi della Gallese era stato trovato in mezzo alla strada ed era incredibilmente aggressivo.
Che sarebbe successo se quel coso avesse aggredito l’animale da compagnia della regina…o peggio, la regina stessa?
«Mia signora, quel cagnolino può effettivamente stare in compagnia di qualcun altro?» aveva generalizzato volutamente e la mora si rivolse a lui con il sorriso più tirato possibile.
«Ma certamente!»
Ovviamente mentiva spudoratamente e l’uomo lo sapeva, lo sapeva benissimo.
Sperò quasi che potesse leggere il suo sguardo intimidatorio che le diceva “se quel cane fa qualche pasticcio, vi butto in mare” ma il sorriso di lei si fece più dolce, sintomo che non aveva afferrato proprio un bel nulla.
Il Re bevve un lungo sorso dalla sua coppa e si assicurò che l’attenzione di entrambi si posasse su di lui.
«Ottimo, questa sera ci sarà la cerimonia. Ho fatto ordinare una camera per voi, in modo da organizzarvi al meglio.»
Eris aprì la bocca, stupita, e guardò l’omone alzarsi in piedi con aria affaticata.
«Cerimonia? Ma non era solamente un ballo in maschera?»
Il sovrano sorrise apertamente e le fece un occhiolino furbetto, come a sottolineare qualcosa che la ragazza non capiva nemmeno lontanamente.
«Sarete stanchi dal viaggio. Vi farò scortare dalle guardie.» batté le mani in modo imperioso e un paio di giubbe rosse rientrarono nella sala, le baionette alte e pronte all’uso in caso di necessità.
Decisamente inquietanti.
Beckett si passò un’ultima volta il tovagliolo di seta sulle labbra e si alzò con garbo dalla tavola, avvicinandosi agli uomini in divisa.
Allungò il braccio nella direzione della ragazza ma quella abbassò lo sguardo sui propri piedi e poi sul Re.
«Vostra maestà, posso richiedere altri cinque minuti del vostro tempo per una questione importante?» chiese, mortalmente seria in volto.
L’uomo acconsentì ma la ragazza si ostinò a tenere la bocca chiusa finché non lanciò uno sguardo nella direzione delle guardie e di Cutler, che aveva la fronte corrucciata dalla confusione.
«In privato. Solo io e voi, mio re.»
Beckett sgranò gli occhi alla conferma del Re ma non fece in tempo ad aprire bocca che le guardie lo affiancarono con decisione, accompagnandolo all’uscita.

«Cosa gli avete detto?»
«Cutler, è la quindicesima volta che me lo chiedi e io ti do sempre la stessa risposta.» strinse il pugno all’interno della tasca interna della gonna e lo guardò con un sorrisetto sadico. «Non è una tua preoccupazione.»
Il tragitto era stato lungo, incredibilmente fastidioso con la presenza sospettosa e tesa di Beckett e ansioso di arrivare a destinazione.
Eris già si immaginava la sua totale libertà all’interno della sicuramente enorme stanza che stavano per mostrarle.
L’unica pecca è che l’avrebbe dovuta condividere con quel nano logorroico ma lo avrebbe scacciato nei migliori dei modi.
Avevano imboccato molti corridoi, decisamente di più rispetto alla magione Swann, e attraversato diverse camere e stanze di ogni tipo. Quasi le parve di adocchiare una piccola libreria in una di esse.
Finalmente le guardie si fermarono davanti ad un’alta porta in mogano e si disposero ai lati.
«Prego»
La aprirono con una chiave e mossero appena avanti il legno così che si aprisse e mostrasse tutto ciò che era al suo interno.
Eris aprì la bocca come un pesce lesso e avanzò fino al centro della stanza, guardandola ammirata e eccitata.
Era enorme, assai più grande della camera che l’aveva ospitata dopo la caduta a Port Royal (nonostante già lei la considerasse grande), aveva un soffitto a volta decorato con dipinti di fiori e frutta mentre il resto era di un rosso e oro, proprio come tutta la villa.
Vi erano vari mobili, un grande armadio e un piccolo cassetto adornato di uno specchio, probabilmente per far si che una signora si sistemasse a dovere.
Un’ampia vetrata che dava ad un bellissimo terrazzo era proprio dall’altro capo della porta, al suo lato un piccolo caminetto in marmo bianco.
Il letto, situato lontano da tutto il resto, era poggiato contro la parete e il tessuto che lo ricopriva era pesante e di un bianco perlaceo.
Eris ringraziò l’aria fresca e spesso pungente di Londra, così che non sarebbe morta di caldo nel caso.
Al capo opposto un bel divano rosso e lungo.
Talmente sorpresa e deliziata da tutto quel lusso, Cutler si occupò da sé delle guardie, ordinando loro che le valige venissero trasferite tutte in quell’alloggio.
Quando si girò la ragazza era sparita, ma con la porta del bagno aperta non ci mise molto a capire dove fosse nascosta.
Si aggirava tranquillamente nel largo bagno, sfiorando delicatamente i mobili e i diversi lavabi. La vasca da bagno, situata contro il muro di fondo, era enorme e dentro potevano entrarci almeno 5 persone adulte.
Quella mini stanza poteva persino permettersi di essere occupata da un’alta scultura di marmo bianco e accecante.
A differenza della stanza però, il bagno era quasi la purezza del castello. Bianco e oro, come il tempio di un angelo.
«Sembra che non abbiate mai visto un bagno, Eris.»
La voce sarcastica di Cutler le arrivò, però, chiarissima alle orecchie, anche nonostante la disattenzione.
«Sono sicura che nemmeno tu ne hai mai visto uno così.» lo rimbeccò, felice di essere finalmente sulla terra ferma e in un mondo simile a quello da cui veniva. Con i giusti lussi e le giuste comodità.
«Dovrei essere contrariato dal tuo tono irrispettoso, ma è vero.» sbuffò, entrando nella stanzetta e affiancando la compagna. «La mia magione di certo non poteva creare simili scenari, nonostante un ottimo commercio, e non posso dire di aver arredato un bagno in modo simile alla mia villa, dato che sono pur sempre occupato con la Compagnia delle Indie, per cui…»
Eris si girò verso di lui e aggrottò le sopracciglia. «Hai una casa tua?»
Beckett quasi si sorprese per la tanta sorpresa mostrata. «Certamente, dove credete che alloggi mentre ho dei periodi di stallo?»
La ragazza si lasciò sfuggire una risata e il Lord la guardò stranito. Si chiedeva perché avesse sempre da ridacchiare.
«Periodi di stallo? Li consideri così i tuoi giorni di beato riposo?»
L’uomo girò su se stesso e cominciò ad uscire dal quel bagno, ormai fin troppo idolatrato, e guardò di sottecchi la giovane che lo seguiva.
«Io non riposo.»
Lo disse con un sorrisetto dipinto sulle labbra rosee, ed Eris colse al volo l’occasione di trovarlo così calmo.
«Il male non riposa mai, eh?»


La temperatura si era alzata, per quanto poteva, durante il mattino e qualche ora del pomeriggio. Parte degli invitati alla cerimonia, che venivano da lontano, avevano cominciato a presentarsi verso le 16:00, riempiendo l’entrata di valigie e il viale di carrozze.
«Come faceva il Re a sapere che saremmo arrivati per la cerimonia di stasera?» chiese confusa la ragazza mentre osservava l’ennesima coppia altezzosa sparire dalla porta principale.
«Non lo sapeva.» rispose secco il più basso, mentre guardava qualcosa nascosto tra i rami dell’albero sotto il quale si erano acquattati. «Si possono fare possibili congetture o previsioni sull’arrivo di una nave ma non è mai certo. Dipende da importanti variabili fattori come il vento, il mare e il tempo…»
Un colpo di vento agitò i rami sopra di loro ed Eris dovette trattenere i capelli per evitare che le finissero davanti al viso.
Dopo essersi ben rinfrescati dal viaggio, la mora aveva insistito per visitare il giardino, o meglio la fauna che lo popolava. Tuttavia non vi erano animali oltre che qualche raro uccellino.
Per lo più, esso era un enorme distesa verde con qualche albero da frutto casuale sulla vasta aerea, sotto il quale erano state portati tavolini e sedie pregiate in ferro.
A costeggiare l’imponente castello, che dava subito sul giardino, vi erano siepi dai colori più belli l’uno dall’altro. Da rose rosse ai gigli bianchi.
Tuttavia, improvvisamente la distesa verde si infittiva verso un numeroso gruppo di alberi alla fine.
Sembrava proprio che il giardino del Re si ricongiungesse ad un boschetto.
Eris, Cutler e Mercer si erano seduti ad uno dei tavoli nascosti all’ombra di un albero di aranci.
Il vento era freddo, certo, ma il sole picchiava forte e stare troppo tempo al sole non faceva bene alla pelle pallida di Cutler.
«Non hai risposto alla mia domanda in modo esaustivo…» si lamentò la giovane, rivolgendo i suoi occhi pece sul volto del vicino.
«La cerimonia è organizzata in mio onore. Gli altri invitati o erano qui da tempo o sono molto vicini alla capitale. Aspettavano solo me.»
Eris alzò gli occhi al commento pomposo finale e puntò lo sguardo su una figura che usciva in sella ad un cavallo dAlla stalla distante da loro, alle spalle dell’imponente castello.
Da lontano non seppe dire se fosse veramente chi aveva pensato che fosse, anche se era ben chiaro, e ne ebbe la certezza soltanto quando arrivò a pochi passi da dove era acquattata insieme ai due.
«Un’ottima giornata per una passeggiata a cavallo, non è vero?» gongolò il Re, ben stretto alle redini del magnifico stallone marrone.
La mora annuì solamente, abbagliata dalla maestosità della creatura, e con attenzione allungò una mano per toccare l’imponente collo della bestia. Sentiva distintamente i muscoli del collo tendersi e rilassarsi ad ogni carezza.
«E’ molto bello» mormorò lei, indisturbata mentre continuava a coccolare il cavallo.
Prima che potesse azzardarsi a chiedere la provenienza dell’animale, un altro cavallo, scortato da un servitore, di un bianco perlaceo fu accostato al suo fianco.
La giovane vide Beckett avanzare verso lo stallone e lasciò che il presunto stalliere gli sistemasse bene le cinghie della sella.
Una volta fatto, il Lord fece presa sulla briglia e la sella con entrambe le mani e salì in groppa al cavallo.
Eris, sbigottita, osservò i due superiori con la bocca aperta. Per la prima volta Cutler mostrava un sorrisetto di superiorità nel guardarla dall’alto in basso.
«Che significa?» domandò subito dopo, accigliata.
«Lord Beckett non vi ha informata? Credevo le avesse riferito della sua assenza nel pomeriggio.» si pronunciò il Re, girando la testa senza collo il più possibile per guardare il “collega”.
Il signore fece un’espressione illeggibile e alzò gli occhi al cielo, fintamente pensoso.
«Deve essermi sfuggito, Maestà. Presumo che la mia testa si trovi ancora a Port Royal.»
La Gallese si morse l’interno della guancia per non dar soddisfazione al tiranno di fronte a lei. Era logico che non glielo avesse detto. Avrebbe sicuramente fatto mille storie per unirsi a loro.
E come evitare lamentii piagnucolosi?
«Davvero?» ribattè lei, offesa da quel gesto. «Io però la vedo ancora attaccata saldamente al collo.»
«Sia ringraziato il cielo per questo, non mi avete reso vita facile. Avrei potuto perderla in qualsiasi occasione.» ghignò l’altro.
Il Re, ormai persosi nella discussione indiretta, diede un colpo ai lati del cavallo che, con uno sbuffo affaticato (e vorrei ben vedere, povera bestia),avanzò con i possenti zoccoli costringendo la ragazza a spostarsi di nuovo all’ombra dell’albero, al fianco di Mercer.
Beckett fece lo stesso e rivolse uno sguardo di traverso verso di loro. Mercer era, come al solito, stoico e attendeva ordini. Eris invece era una maschera.
Fermò il cavallo per poterla osservare meglio e notò che la sua figura si era fatta ritta e insondabile.
«Mercer.» chiamò, e quello si avvicinò al padrone. «Tieni d’occhio Miss Eris, sono sicuro che ha qualcosa in mente.» aggiunse, non preoccupandosi di tenerlo lontano dall’udito di lei.
Tirò nuovamente le briglie per intimare il cavallo a girare nella direzione del Re e osservò Eris regalargli un sorriso falso.
«Cercate di non cadere, mio signore. Non vogliamo certo mancare alla vostra importante cerimonia davanti a tutti i Lord dell’Inghilterra.»
Beckett le diede bellamente le spalle e come ultime parole dichiarò un semplice «Certo che no». Poi, si allontanò, in compagnia del Re.
Nemmeno pochi minuti dopo, la giovane donna era stesa sul prato, le braccia e le gambe aperte, lamentandosi di quanto fosse ingiusto il mondo.
«Perché non posso andare anche io?»
«Non è corretto, Miss. Le assicuro che stare con i piedi per terra senza affidarsi ad un animale è la scelta migliore.»
La mora si lasciò sfuggire un sospiro esasperato. Odiava quel giardino. Era improvvisamente così solitario senza quel nano malefico. Eppure sembrava che le cose stessero procedendo così bene…
Chiuse gli occhi.
Dopo un tempo che le parve lunghissimo, senza che Mercer aprisse bocca, sentì un rumore di passi e volse velocemente lo sguardo dietro di se.
Dietro un albero, due bambini ridevano concitati, osservando la buffa ragazza stesa sul prato verde, non curandosi di terriccio e insetti.
«Che volete, mocciosi?» abbaiò e quelli squittirono e corsero via lungo tutto il verde, giungendo ai piedi dell’entrata.
Affaticata, come se avesse appena affrontato una maratona, si alzò a sedere. Un mantello le scivolò fuori dalle spalle e finì a raggomitolarsi sulle sue cosce coperte dal vestito pomposo.
 Alzando gli occhi notò che il cielo si era fatto arancione e sembrava avvicinarsi lentamente la sera.
Quando si passò una mano sui capelli, per lisciarli, una qualcosa le volò davanti al viso.
Credendo fosse un insetto o simile con le ali, si alzò di scatto, nonostante l’intontimento iniziale, e fece qualche passetto indietro.
Constatò solo quando si trovò a centimetri di distanza, al sicuro, che si era trattato semplicemente di una foglia d’arancio.
«Ben svegliata.»
La ragazza si voltò di scatto, presa dallo spavento, e incrociò lo sguardo dell’assassino. In piedi, accanto al tavolino e alle sedie in ferro.
Guardandolo malamente per smorzare l’imbarazzo, tornò nuovamente a piegarsi verso terra, dove il mantello si era ammassato.
«Credevo fossi tornato dentro.» si avvicinò a lui e gli tese l’indumento. «Grazie.» aggiunse.
L’uomo arcuò le labbra in un sorriso obliquo, evidentemente compiaciuto dall’osservazione fatta dalla moretta, e tolse il peso del suo mantello dalle braccia di lei.
«Direi di rientrare…si è fatto tardi.» comunicò al killer.
Si girò un’ultima volta verso la foresta in fondo al vasto giardino, quasi aspettandosi di vedere una figura bianca, e prese ad avanzare verso l’entrata principale del palazzo.
Se era rimasta sdraiata a terra per tutto quel tempo significava solo che Cutler e il Re dovevano aver tardato il rientro a cavallo.
Quando svoltò l’angolo, seguita a ruota e silenziosamente dal “cane” del Lord, notò che le scalinate erano strapiene di bagagli pesanti e borse di ogni tipo.
Cercò di farsi largo tra di esse, spesso inciampando in qualche fattorino che era tornato a caricarsi di altre valige e che prontamente si scusava con la ragazza (nonostante fosse chiaramente colpa della sua goffaggine).
Quando finalmente riuscì a varcare la soglia tirò un sospiro di sollievo e guardò alle proprie spalle per vedere se Mercer era dietro di lei.
Si sporse a destra e sinistra, torcendo il collo, a causa dei vari servitori che le impedivano la vista e quando decise di lasciar perdere e lasciarlo al suo destino, qualcuno la spinse forte, quasi rischiando di farla inciampare.
Irritata, ma già preparata ad un'altra sfilza di scuse, alzò gli occhi sul suo “aggressore”.
Lentamente il suo corpo si irrigidì, le labbra si aprirono di poco, non riuscendo però a dar voce ai propri pensieri, e il tempo e i movimenti intorno a lei si bloccarono all’istante.
«Le mie più sincere scuse, milady. Queste valige sono sistemate da cani. State bene?»
Eris riuscì a pensare soltanto una cosa, ovvero che niente e nessuno poteva confondere quegli innaturali e turbolenti…occhi grigi.


 

 

Angolo dell'Autrice

Okkk, si. Nemmeno mi perdo in scuse. Il mio ritardo è ingiustificabile, eppure ci provo. Purtroppo con l'Università, la vita sociale e lo sport non mi è consentito faretutto alla stessa velocità e sono stata costretta a porre le cose più importanti ai primi posti, lasciando questa fanfiction per un po'. Diciamo che questa è la parte più complicata da scrivere poichè il ballo e tutto andranno a incidere su tutta la fanfiction in modo importante. Sia sulla relazione tra i due che sulla trama.
Ho deciso di smezzare i due capitoli del ballo (forse diventeranno pure tre) per farvi leggere qualcosa e tornare a intrattenervi tutti con un capitolino.
Spero che la lucidità riguardo questa fanfiction non mi abbandoni durante la scrittura dei prossimi capitoli. Tengo molto portare alla fine questa storia, per cui farò di tutto.
E spero che voi lettori non abbiate abbandonato la speranza :') 
Parlando del capitolo rimangono con un grosso punto interrogativo molti punti. La visione periferica di Cutler, la discussione privata di Eris e...il misterioso tipo dagli occhi così grigi.
Ovviamente sentirvi attivi, anche per farmi sapere vostri pareri, mi sprona sempre molto.
Non ho nessun diritto a chiedervi di recensire con tutto il ritardo che ho fatto...ma accontentate una povera autrice che ancora non trova la stabilità mentale ahahah
          Al prossimo capitolo :P

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Capitolo 12
*** Preparativi ***


 

Capitolo 12. Preparativi

Eris era ormai totalmente col cervello in panne. Davanti a lei si stagliava un uomo avvenente, vestito con un completo decisamente alla moda rispetto agli anni che affrontava, sotto un cappello si intravedevano dei capelli neri e ricci trattenuti a stento da un codino corto e due profondi occhi grigi.
«Tutto bene, signorina? Sembrate distratta.»
Al suono di quella voce secca, si riscosse dai propri pensieri e ricambiò la preoccupazione dell’uomo con un sorriso rassicurante.
«Si, tutto ok. Non si preoccupi. Sono proprio goffa.» e rise forzatamente, per non dare nell’occhio il profondo imbarazzo di essere stata colta mentre lo esaminava attentamente.
L’uomo si tirò stoicamente dritto. Nemmeno aveva notato che si era abbassato vicino al suo viso per guardarla meglio.
«Beh, ne sono lieto.» prima che potesse dileguarsi puntò i suoi freddi occhi chiari su un punto imprecisato dietro la ragazza.
Dopo un momento di titubanza, le labbra fine dell’uomo si aguzzarono in un ghigno maligno.
Eris rabbrividì fin nelle ossa.
«Signor Mercer, che piacere rivederti.»
Una mano guantata di nero si posò sulla spalla della giovane, costringendola a girarsi verso il suo protettore. Credeva di aver perso Mercer in mezzo a tutte quelle valige sparse.
«Signore. Il piacere è senz’altro mio.»
Tra i due volavano scintille. Lo sguardo affilato di Ian riusciva a intimorire persino Eris, che lo guardava con la coda dell’occhio.
«Jonathan!»
Una voce femminile interruppe quello scambio silenzioso ma minaccioso richiamando sull’attenti l’uomo dagli occhi grigi.
«Si, cara. Vecchie conoscenze.»
Si girò, pronto per tornare verso una donna stretta in un ampio vestito tutto merletti e fiocchetti di un giallo canarino, accecante, ma si girò all’ultimo secondo.
Passò i suoi occhi dalla mano di Mercer, caldamente protettiva sulla spalla della giovane donna, al viso scosso di lei e sorrise nuovamente.
Poteva sembrare un sorriso genuino, tutto denti e nient’altro. Ma Eris capì subito. C’era ben altro dietro quel sorriso enigmatico.
«Beh, ci rincontreremo sicuramente, milady. Con permesso.» fece un lieve cenno con il cappello che portava e sparì tra la folla.
I due rimasero immobili, fissando il punto in cui il gentiluomo era sparito. Era chiaramente familiare alla ragazza e il nome suonava come un campanello d’allarme nella testa ma non riusciva ad associarlo a nessuno che conoscesse.
«Mercer, chi è quell’uomo?» domandò all’assassino, subito dopo.
Il servitore assottigliò di più lo sguardo già affilato e si rivolse a lei senza nemmeno guardarla.
«Non è nessuno, Miss»

Quando entrò nella spaziosa camera da letto, piani e piani sopra, Mercer semplicemente la lasciò sola.
Si rese conto che, abbandonati ai piedi del letto, due bagagli, che consistevano in enormi casse di legno coperte da pelle marrone erano ancora sigillate.
Tuttavia, quando si avvicinò ad esse, non c’era nessun nome o nessun segno che distinguesse l’una dall’altra. Lei ricordava distintamente di aver riempito una sola valigia con le cose nella cabina. Quindi pensò che forse quella accanto era del suo “compagno di stanza”.
Provò a piegarsi, in modo da controllare velocemente quale delle due fosse la sua valigia, quando il vestito le bloccò il movimento. Ovviamente, essendo dolorosamente stresso e ampio, non le concedeva tante posizioni.
Stanca, si sforzò di arrivare da sola ai lacci che le legavano la parte superiore dietro la schiena e quando li agguantò tirò con forza, rischiando quasi di sfilacciare la stoffa.
Quando sentì il tessuto più morbido contro la pelle lo lasciò scivolare di dosso, rimanendo in intimo in mezzo all’enorme camera, il vestito abbandonato a terra.
Finalmente libera aprì le labbra in un sorriso soddisfatto, si piegò sulle ginocchia e aprì la valigia più a sinistra. All’interno, fu fortunata, trovò i propri vestiti.
Prese una lunga veste scura, adagiandola sul letto e poi tornò a richiudere la valigia con un tonfo sordo.
Ma prima di alzarsi e dirigersi verso quel magnifico bagno che sembrava urlarle di essere usato, lasciò scivolare i scuri occhi da cerbiatta sulla valigia di Beckett.
Le sembrava assurdo che l’uomo non si fosse curato di sistemare la propria roba, nonostante permanessero entrambi in quella città soltanto una notte. E possibile che tutte le cose care o che valeva la pena portarsi dietro erano rinchiuse in quel solo baule?
Silenziosa come un gatto lasciò scivolare la mano sulla pelle morbida di quella valigia e aprì con l’altra la piccola chiusura.
Al suo interno non vi era altro che un semplice completo che sembrava incartato in una stoffa scura, tant’è che non ne distinse il colore esatto ma che conosceva perfettamente, una piccola confezione di qualche oggetto e uno scrigno sistemato all’estrema destra.
Non era certamente lo scrigno di Davy Jones eppure la curiosità la invase ugualmente. Cosa poteva contenere e come mai l’uomo aveva portato solamente quei tre oggetti.
Lei, a confronto, aveva trascinato con se tutto il suo mondo. Si era portata due completi, più quello della cerimonia, intimo che si era fatta fare simile a quello con cui era arrivata in quel pazzo luogo, il proprio coltello, una spazzola nuova e una fascia per capelli.
Fece scorrere la punta delle dita sulla superficie dello scrigno, mordendosi le labbra con fare meditabondo ma le allontanò subito dopo.
Non aveva alcun diritto di curiosare così privatamente nella vita di quell’uomo. Sapeva già quanto si sentisse esposto a causa della sua conoscenza sulla propria vita, morte e miracoli.
Decise che forse era il caso di lasciargli quel piccolo segreto.
Avvertendo un leggero freddo che le penetrava nelle ossa, a causa del suo stare mezza nuda nel bel mezzo della stanza, agguantò la spazzola con lo specchio decorato all’interno della sua valigia e avanzò verso il bagno.
Non seppe quanto tempo vi passò al suo interno, beandosi della sensazione che l’acqua calda le donava. Aveva passato ormai mesi sulla nave di Beckett e il trauma di non avere acqua calda a bordo era ancora vivo sulla sua pelle abbronzata.
Non solo. Le erano anche state donate diversi tipi di piccole saponette dai mille odori. Ne aveva gettate alcune direttamente nell’acqua per creare una leggera spuma e altre le aveva applicate ai capelli.
Certamente, non erano prodotti tipicamente indicati per il cuoio capelluto come la Garnier che aveva a casa, ma lì era già un grosso passo avanti.
Uscì, con la testa, fuori dal pelo dell’acqua e sospirò. Il piccolo asciugamano era a pochi centimetri di distanza quindi si allungò e lo prese, levandosi finalmente al di fuori della vasca.
A terra non aveva messo tappeti quindi quando il marmo freddo le colpì i piedi rabbrividì. Odiava la sensazione del piede nudo sulle piastrelle del bagno.
Si picchiettò il corpo con l’asciugamano, asciugandosi accuratamente ogni piccola parte, non aveva certo intenzione di prendere un malanno, e poi passò ai capelli strizzandoli e agitandoli a testa in giù.
Una volta finita la piccola lotta, tornò a riavvolgersi l’asciugamano intorno al corpo, circondando i seni e coprendo fino a metà coscia, e uscì dall’aria densa di umidità del bagno.
Appena spalancò la porta, vide una figura in posizione fetale davanti ad una delle valige e si aprì in un sorriso.
«Ma guarda chi ha deciso di rincasare» si guardò per premurarsi che nessun possibile dettaglio intimo del suo corpo potesse essere notato e camminò verso il lato del grande letto. «Bella la cavalcata?»
«Oserei dire perfetta.» ghignò Beckett, afferrando il vestito coperto nella carta scura e alzandosi in piedi. «Nessuna voce stridula di troppo…» così dicendo alzò lo sguardo sulla ragazza e la trovò con un broncio infastidito sulle labbra. Poi notò il resto.
I capelli zuppi e scompigliati, le gote rosse per il calore del bagno da cui era uscita, le spalle nude…
Si fermò lì. Distolse rapidamente lo sguardo e un cipiglio andò a delinearsi sul suo viso «Potevate anche vestirvi nel bagno.»
Eris sbuffò sonoramente e andò ad afferrare quelle che erano mutande e reggiseno all’interno del baule.
«Sono completamente coperta, Cutler.» si avvicinò al suo fianco «Non ti scandalizzare.»
L’uomo tornò a guardarla in viso, senza soffermarsi altrove, come a dimostrarle qualcosa. Poi prese le sue cose e si rinchiuse a chiave nel bagno.
«Guarda che non ho alcuna intenzione di entrarci mentre ci sei tu!»

Quando Beckett uscì dal bagno era già finemente sistemato. Eris aveva fatto chiamare un servitore per accendere il fuoco e sistemarsi la chioma, ma al suo posto era arrivato Mercer. Aveva accesso il camino e poi si era avviato verso il bagno, uscendo solo al fianco del Signore dei Mari una volta che ebbe finito di sistemarsi.
La ragazza, dal canto suo, era ancora impegnata nell’asciugare i capelli facendo fatica persino nello spazzolarli. Il cambio di temperature li aveva resi crespi e parecchio annodati.
«Farò chiamare qualcuno per lei, mio signore»
Mercer si inchinò e, dopo aver lanciato uno sguardo alla giovane carico di disapprovazione, sparì dalla porta principale.
Cutler si avvicinò alle sue spalle e le sfilò la spazzola dalle mani alzandosela all’altezza del viso. Molte fili rotti e annodati si erano incastrati ai denti della spazzola.
«Ho il malsano dubbio che finirete calva se continuerete a toccare quei capelli.» e le tese nuovamente l’oggetto che lei prese con stanchezza.
«Nah, tranquillo. In caso prenderò una delle tue parrucche» fece spallucce lasciando cadere indietro la testa contro le ginocchia di lui. Aveva indossato il vestito fatto a Port Royal ed era stupendo. Bianco, con ricami e bottoni d’oro e nero. Quasi le ricordava quello che gli aveva rubato tempo addietro, rendendolo inavvertitamente suo.
Sorrise. La sarta Josephine glielo aveva descritto proprio bene, proprio come voleva.
Beckett si permise un sorrisetto divertito e poi posò i suoi occhi sul vestito, celato dallo stesso tessuto scuro, abbandonato ai piedi del letto. Era sinceramente curioso di che vestito si trattasse e quel suo sguardo non sfuggì agli occhi felini di lei.
«E’ una sorpresa»
L’uomo alzò un sopracciglio «Oh, questo implica che ne rimarrò colpito.»
Eris aprì la bocca, incredula, ma poi si lasciò sfuggire una risata.
«Beh, non ho mai detto che dovesse essere una sorpresa solo per te.» e gli fece la linguaccia, tornando a posare gli occhi nel fuoco che scoppiettava con ardore.
Non voleva rivelarlo ma sperava di sorprenderlo davvero. Non era mai dovuta essere al fianco della persona celebrata, non si era mai trovata a stretto contatto con così tante persone facoltose. Lei era sempre stata il personaggio secondario nella vita, mai protagonista. Ma lo preferiva.
Quindi l’agitazione per quell’evento era già, di per se, piuttosto stressante. Se considerava anche il dovere di non mettere Cutler a disagio, la sua mente sguazzava in un vero caos.
Si morse le labbra, pensando che se Norrington avesse partecipato avrebbe potuto chiedergli consigli e opinioni. Ma era sola, totalmente e perdutamente sola.
Un leggero bussare obbligò Beckett a trattenere l’ennesima frecciatina sulla lingua e permise alla persona di entrare nella stanza. Una cameriera con la classica divisa nera e grembiule bianco fece la sua timida entrata e osservò i due vicino al grande camino.
«Sono qui su vostra richiesta, mio signore. Se è un momento inopportuno posso passare più tardi…» disse a voce chiara nonostante i due avvertissero l’agitazione. Probabilmente si era fatta due domande sull’accappatoio poggiato sul corpo di lei.
Il Lord scosse la testa e indicò con un gesto della mano la moretta ai suoi piedi.
«E’ già fin troppo tardi. Prenditi cura di lei e aiutala con ciò di cui ha bisogno.» guardò Eris serio, sistemandosi la giacca.
La ragazza si tirò su a sedere, reggendosi bene la stoffa sul seno per non rischiare che scivolasse via, e andò a sedersi sul piccolo sgabello davanti alla piccola mensola con lo specchio accanto al letto a baldacchino. Sorrise alla serva e la invitò al suo fianco agitando la spazzola strapiena di capelli scuri.
«Scusami ma non riesco proprio a domare i miei capelli oggi…e non so se riuscirò a legare il vestito senza strappare nulla.» disse, colpevole.
La donna al suo servizio arrossì mentre si avvicinava e tossì appena per coprire la voce agitata. «Si figuri, è mio dovere.»
E prese la spazzola dalle sue mani, agitando i capelli per vedere dove andassero sistemati e spicciati.
Attraverso lo specchio, la giovane osservò Cutler aprire lo scrigno che aveva sfiorato dalla sua valigia circa un’ora prima e guardare al suo interno, pensoso. Poi alzò lo sguardo su di lei e la trovò a fissarlo.
Richiuse la scatola dopo aver preso qualcosa e la poggiò sul letto.
«Non dimenticarti questa.» e picchiò sulla sua superficie per farle capire a cosa si riferisse.
Girò su se stesso e uscì dalla stanza con la stessa sicurezza e velocità con cui era uscito Mercer.
Mentre Eris soppesava e pensava a ciò che potesse contenere quella scatola, notò che la cameriera aveva quasi terminato di curarle i capelli poiché la spazzola aveva preso a fluire indisturbata nella chioma.
«Finito?»
La donna annuì e le passò le dita in una ciocca raccolta, constatando che non vi fossero più nodi di cui occuparsi.
«Avete idea di come volete sistemare i capelli?» chiese, gentilmente posando lo sguardo sul vestito che giaceva coperto sul letto.
Eris si alzò e si avvicinò ad esso, come capendo la richiesta silenziosa della cameriera e sorrise. La sua amica Josephine ci aveva impiegato davvero tanto tempo e lavorare sul disegno o bozza della ragazzina non deve essere stato un compito semplice. Tuttavia, era esattamente come lo aveva richiesto, forse persino meglio.
Ricordò le parole con cui l’aveva supplicata per farle vedere il vestito di Beckett e che il suo capo aveva tenuto nascosto all’interno di uno stanzino, appeso ad un manichino.
Era piuttosto a disagio coi colori che l’uomo aveva scelto, poiché troppo al centro dell’attenzione, ma quando le venne il colpo di genio quasi stabilì che non vi fossero altri colori che potevano adattarsi alla sua idea.
Soppresse quei pensieri e spostò gli occhi nocciola sulla scatola che Beckett aveva lasciato sul letto, e si piegò per afferrarla.
La aprì e sorrise.
Non poteva essere nient’altro che quello.
Alzò la maschera dorata all’altezza del viso e se la poggiò sul naso, girandosi verso la cameriera.
«Come sto?»

Con la gola secca rimase nascosta per molto tempo dietro la parete che poco più in là si sarebbe aperta nell’intera sala da ballo. Molti camerieri con vassoio carichi di champagne o vino erano passati per di là molte volte, guardandola sorpresi e divertiti.
Doveva sembrare una ragazzina a rintanarsi lì, come a proteggersi dai giudizi e dagli sguardi che avrebbe ben presto dovuto accogliere.
La cameriera le aveva detto che, seppur l’abito fosse la cosa più strana che avesse mai visto, lei era bellissima. Ma ci si affidava ben poco. Una cameriera non avrebbe l’ardire di lasciarsi sfuggire verità severe. O verità in generale.
Deglutì e si sporse appena lasciando che lo sguardo semi celato dalla maschera dorata si spostasse alla base delle numerose scale che avrebbe dovuto scendere per arrivare all’enorme e illuminata sala.
La musica dei violini le arrivava alle orecchie chiara e dolce. Tuttavia, nessuno aveva fatto ancora un passo al centro della sala per azzardare un ballo. Erano tutti sistemati in gruppi. Uomini che discutevano certamente di politica e donne che si confrontavano sui loro doveri o criticavano altri gruppi di donne e uomini.
Beckett era ai piedi della scalinata e con aria compiaciuta e serena salutava e parlava con chiunque si avvicinasse ma, ogni volta che rimaneva due attimi da solo o con Mercer, cominciava a girarsi in direzione del corridoio dove la ragazza si stava nascondendo. Era chiaramente in attesa.
«Mia signora, tutto bene?»
Una giubba rossa le si era avvicinata di soppiatto alle spalle, facendola saltare di paura. Fortunatamente l’agitazione le aveva impedito di urlare.
L’uomo sembrava vagamente preoccupato, ma nemmeno tanto, e si sistemò la pesante baionetta sulle spalle, come temendo in una reazione ancor più agitata della giovane.
«I-io, si.» poi guardò le scale. «Non farei una bella impressione se cadessi mentre scendo quelle scale, vero?»
La guardia non riuscì a trattenere una risata, supponendo si trattasse di un battuta, ma quando la ragazza continuò a sondare la scalinata con aria preoccupata, le assopì subito.
«Scusatemi, non pensavo fosse un’affermazione seria.» e osservò come il vestito di lei fosse essenzialmente molto d’ostacolo alla discesa.
La parte superiore del suo vestito assomigliava molto ad una divisa d’esercito ma con tratti, disegni e una scollatura evidente e tipica di un vestito da donna. Ma ovviamente la difficoltà giungeva al livello delle gambe. Un’ampia gonna bianca le arrivava fino a sotto i piedi, coprendoli totalmente alla vista e, come a peggiorare la situazione, anche un lungo mantello di seta trasparente le scivolava sulle spalle fino al livello della gonna.
Osservandola meglio, e mettendo in secondo piano la maschera la riconobbe.
«Siete Lady Beckett.»
La giovane fece un gemito sommesso, come a confermare la sua ipotesi e strinse più forte le dita alla parete di cemento coperto da strati di carta da parati.
«Posso aiutarvi»
A quelle parole, quasi le vennero le lacrime agli occhi e lo guardò con sorpresa.
«Solleverò quanto basta il vestito e il mantello dietro di voi. Voi dovete solamente preoccuparvi di scendere le scale, e se necessario, sollevare l’estremità davanti a voi.»
Pensandoci, Eris non trovò nessuna soluzione più semplice e sicura di questa. Quasi rimase colpita dalla velocità di risoluzione della guardia ma, probabilmente, era il loro lavoro prendere nel minor tempo possibile una decisione efficace.
«Grazie!»
Si posizionò dietro di lei e prese i due capi tra le mani guantate.
Eris tirò un respiro profondo e si afferrò la propria parte di vestito, accennando col capo per uscire allo scoperto.
La luce la colpì in pieno volto, quasi facendole desistere di continuare a camminare, ma ormai era troppo esposta per ripensarci.
Fece qualche passo avanti e quando si trovò davanti al primo scalino si guardò alle spalle, notando come la giubba rossa fosse concentrata quanto lei. In ogni caso però le regalò un sorriso di incoraggiamento.
Tornò a guardare davanti a sé e prese a scendere scalino per scalino, concentrandosi a non pestare nessuna parte del vestito ai lati. Era troppo distratta nel fissare il tappeto che calpestava mentre scendeva per accorgersi dell’improvviso quietarsi dei sussurri e dei concitati movimenti.
Quando arrivò alla fine della gradinata, e poggiò i piedi coperti dalle scarpe chiuse col tacco al sicuro sulla pista della sala da ballo, tirò un grosso respiro di sollievo.
Si girò nuovamente verso il fidato compagno che l’aveva seguita nella folle impresa e lo ringraziò di cuore.
Quello, che aveva nascosto il sorriso che prima le aveva regalato per darle forza, chinò il capo e si dileguò.
Finalmente salva si concesse di guardarsi intorno e notò come tutti gli sguardi, privi di maschera (cosa che già la inquietava da se), fossero posati su di lei. Non si era accorta di tutta quell’attenzione e sperò che si fosse concentrata solo una volta scese tutte le scale.
«Se non avessi visto la maschera che ho acquistato io stesso, non vi avrei mai riconosciuta.»
Eris volse la testa alla sua sinistra e vide un Beckett stoico e composto al suo fianco. Sollevò una mano coperta da un guanto bianco lattice e spostò la maschera dal naso, sistemandola sulla cima dei suoi capelli sciolti ricci e raccolti ai lati da un nodo morbido.
«Non è ancora tempo di indossare le maschere» le disse facendo scorrere la mano lungo il collo, la spalla e il braccio destro della giovane, fino a raggiungere e stringere la mano nuda e stringendola tra la sua.
Lei rabbrividì a tanta delicatezza e arrossì quando si trovò a osservare un’espressione mai vista negli occhi grigi del piccolo Lord.
«Scusa il ritardo. Non sapevo come scendere le scale senza rompermi l’osso del collo» ridacchiò, spezzando il silenzio assordante tra di loro.
Beckett cambiò discorso «Dopotutto non ero costretto a obbligarvi di essere presentabile. Avevate già deciso.» ghignò. «Ne sono onorato.»
Eris alzò gli occhi al cielo e si rivolse a Mercer, che aveva ancora la bocca aperta. L’aveva sempre vista trasandata o con vestiti sistemati male sulla nave. Non si sarebbe mai aspettato una figura simile.
«Il re?»
«Sarà qui, ormai, a breve. Chiedeva che gli venisse comunicato quando tutti i suoi invitati fossero all’interno della sala.» le comunicò, sopprimendo la voglia di fare un commento di disapprovazione sul suo enorme ritardo.
La sala era nuovamente piena di borbottii, voci concitate e una musica più movimentata e chiassosa, quasi a prendere in giro la nuova arrivata. Probabilmente prestavano ancora tutti attenzione alla coppia ma in modo meno evidente di prima.
Cutler guardò la ragazza per qualche attimo mentre quella era presa e concitata a girarsi intorno e quando fece per azzardare il primo e vero complimento della serata, una voce canzonatoria gli penetrò le ossa fin nel profondo.
«Finalmente ci rivediamo, fratellino.»
Lì, a pochi piedi da loro, l’uomo alto dagli occhi di ghiaccio che Eris aveva scontrato all’ingresso ore prima fissava Beckett con maliziosa arroganza.



Angolo D'autrice
Ehilà, chi si rivede dopo tanto tempo...
Dopo tanto, taaaanto tempo. Non ci posso credere che la voglia e la forza di continuare questa fanfiction sia giunta a distanza di più di due anni. L'avevo data per spacciata ormai e invece eccomi qui, con un aggiornamento misero, lo so, ma questa trancie è molto lunga e piena di particolari che spicciarmi a scriverla all'interno di un solo capitolo mi rovinerebbe la stesura.
Non saprei se esiste ancora qualcuno che segue questo obrobrio tuttavia, per me è come un figlio incompleto che devo portare alla maturità.
Scusatemi ma in questi anni ne son successe davvero di tutti i colori e mi son ritrovata ora a tornare qui.
Tornando alla fanfic, mi piace da morire terminarla con sto tizio. Le fa bene le sue entrate in scena, "il cattivo".
Mi sono accorta inoltre della difficoltà nello descrivere i vestiti e tutto quindi vi lascio qui una foto del vestito e dell'acconciatura al quale mi sono ispirata. Se preferite viaggiare con la fantasia, invece, no problem.
Vestito:http://it.tinypic.com/r/14j56vp/9 
Acconciatura:http://it.tinypic.com/r/fx6mhf/9

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Capitolo 13
*** Danse Macabre ***



Capitolo 13. Danse Macabre
 
«Finalmente ci rivediamo, fratellino»
Eris alzò un sopracciglio. “Fratellino?”
«E’ Lord Beckett, a te.» rispose con nonchalance il più basso, torcendo il busto per osservare l’uomo più in là.
La ragazza era alquanto confusa. Non si sarebbe mai aspettata di incontrare uno dei fratelli di Cutler ad un evento come quello. Non erano loro a detenere il comando della Beckett Trading Company?
Poteva avvertire una pesante sensazione di pressione mentre si trovava nel mezzo di quegli sguardi pieni di fuoco e rancore.
Ma a spezzare il momento, fu proprio l’ultimo arrivato, che avanzò con sicurezza verso la giovane. Si piegò leggermente in avanti con la schiena, mimando un inchino, e le prese una delle mani abbandonate lungo i fianchi, portandosela alle labbra.
Non ne toccò la superficie, per qualche motivo, ma accennò solo un sorrisetto prima di lasciarla andare.
«Che scortese, non ho avuto l’ardire di presentarmi in quella scomoda occasione, questo pomeriggio.» la guardò con quegli occhi grigi e, da quella vicinanza, Eris poté osservare che erano di un colore più scuro rispetto a quelli del Lord accanto a lei. «Io sono Jonathan Beckett Jr., non sono certo che Lord Beckett vi abbia parlato di me.»
Il modo viscido con cui sibilò fuori l’onorificenza di Cutler le fece accapponare la pelle. Quella famiglia sembrava essere fatta con lo stampino. Sarcasmo e cattiveria sembravano non bastare mai.
«Si, certamente. Ma solo cose belle.» rispose con lo stesso tono lei. Se voleva giocare, potevano giocare in due. Non si sarebbe mai tirata indietro ad uno scontro indiretto come quello.
Fortunatamente la sala non sembrava curarsi più di tanto del dialogo con cui i tre si stavano dilettando. Avevano molti sguardi puntati contro ma era altamente probabile, data la musica e le loro maschere amichevoli, che non avvertissero nulla di strano.
Cutler si era fatto inavvertitamente più teso e aggressivo, come a difendersi da un attacco troppo diretto e Mercer era arrivato silenzioso alle sue spalle come un gatto.
Jonathan non sembrava curarsi dell’assassino, tuttavia. Sembrava concentrato su qualcosa che Eris non riusciva a captare. Era difficile leggere quell’uomo e la cosa non le andò a genio neanche un po’.
«Lei invece è mia moglie, Lady Diana, figlia di Charles Spencer, conte di Sunderland.» e si scostò.
Nascosta alle sue spalle, una giovane ragazza dai lineamenti spigolosi ma armoniosi e dai capelli biondi raccolti in una crocchia si fece avanti con un sorriso sereno. Il vestito pieno di fronzoli, molto simile a tutti quelli che indossavano le donne nella sala, verde acqua le metteva in risalto gli occhi chiari.
Jonathan la accompagnò avanti ponendole una mano dietro la schiena, a cui lei sobbalzò vistosamente, e si pose davanti a Cutler.
Eris concluse che quella ragazza doveva avere almeno 4 o 5 anni meno di lei e la metteva essenzialmente molto a disagio anche se provava un forte senso di attaccamento e comprensione verso la sua persona.
«Piacere, io mi chiamo Eris!» e prese la mano che la giovane stava porgendo al Beckett più piccolo.
Cutler sgranò gli occhi contemporaneamente alla Lady davanti a lui, sorpresi dal gesto e dalla presentazione grossolana della Gallese. Lei non aveva onorificenze da mettere prima o dopo il suo nome ma nemmeno le importava molto. Al contrario del Lord al suo fianco che la stava tranciando in due.
«M-Molto piacere» balbettò Diana, lasciandole agitare la mano su e giù nella consueta, ma non molto consueta, stretta di mano.
Jonathan nascose una risata dietro il palmo della mano ma che Cutler avvertì comunque, guardandolo con un cipiglio irritato. Ma prima che potesse aprire bocca due trombe annunciarono l’arrivo del re e della regina d’Inghilterra.
Eris guardò la coppia scendere di scalino in scalino, con molta più autorità e sicurezza rispetto a lei e notò come la musica si fosse subito soffocata alla loro entrata.
Poi, con la coda dell’occhio, osservò come i palmi delle mani della giovane Diana si fossero improvvisamente chiusi in due pugni stretti e tremanti. In viso, un’espressione ferma che cozzava tremendamente con quei gesti adirati.
Il nome della nobildonna doveva dirle qualcosa ma, non preparata abbastanza per quel periodo storico, non le venne in mente nulla.
Quando tornò a dare la sua attenzione ai nuovi, li trovò con le maschere già incollate sul viso e, senza aggiungere niente, entrarono al centro della pista posizionandosi l’uno di fronte all’altra.
Poi, la musica tornò a risuonare. La sinfonia era veloce ma chiaramente di un percorso temporale che la giovane non riconosceva a fondo.
Il re, seppur buffo nelle sue movenze goffe, riuscì a simulare un ottimo minuetto e Eris non poté trattenere un sorriso di meraviglia quando altre coppie si unirono alla danza tutte intorno.
I movimenti sembravano essere studiati per essere perfettamente riprodotti contemporaneamente da tutti. Erano leggiadri e molto semplici.
Guardò tutti con estrema invidia. Conosceva il minuetto ma non l’avrebbe mai ballato così bene.
Una mano bianca si tese alla sua sinistra, sorprendendola e trovò un Cutler Beckett con la maschera dorata ben salda sugli occhi.
«Hai memorizzato i passi?» la guardò con un sorrisetto storto che fece divertire la ragazza.
I passi erano pochi e semplici quindi non avrebbe dovuto riscontrare problemi nel ripeterli nel mezzo della baraonda.
Si sistemò la maschera tutta ghirigori sul viso e poggiò la mano nuda e abbronzata su quella del compagno che la sorreggeva con leggerezza.
Quando ormai erano a pochi centimetri da tutti loro, il cuore di Eris perse un battito e strinse spasmodicamente la mano di Beckett. E se si fosse persa? E se rischiasse di inciampare?
«Segui me.»
In un certo senso, nonostante la vicinanza ad altri nobili che erano a portata di orecchio, Eris apprezzò il gesto di Cutler di darle del tu per tranquillizzarla.
La interpose tra una coppia di donne nel momento esatto ma non le lasciò mai la mano durante l’accompagnamento, nonostante molti non fossero in contatto diretto.
Non si era mai sentita tanto sicura come in quel momento. Gli occhi di Cutler, la mano di Cutler, il sorriso di Cutler le davano una certezza assoluta.
Pian piano, il coraggio e la scorrevolezza cominciarono a prendere possesso del suo corpo e fu lei stessa, seppur mal volentieri, a sfilare la mano da quella di Beckett per godersi meglio il ballo.
«Non era poi così tremendo, non è vero?» la rimbeccò mentre la affiancava per scambiarsi di postazione, sfiorandosi solo con una spalla.
«No, sono costretta a darti ragione, questa volta» rise lei, tornado a stringergli la mano per fare una piroetta intorno a lui.
«Io ho sempre ragione»
Eris alzò gli occhi al cielo, dandogli una giocosa spinta nascosta e tornando alla sua postazione iniziale.
Poi si avvicinarono quasi per ballare un valzer ma a estrema distanza, unico collegamento le mani unite tra loro. E volteggiarono.
Volteggiarono, volteggiarono e poi…
Senza sapere come, ci fu un cambio di coppie. La giovane non contò di quante persone si era spostata. Sentiva solo dei risolini di donne fin troppo evidenti alle sue orecchie e spinte forzose.
E finalmente si fermò. Tra le braccia della persona meno indicata della serata.
Jonathan Beckett la guidò nello stesso modo di Cutler, girando in tondo con le mani serrate. Tuttavia, quella fu una sensazione sgradevole. Era un bell’uomo, nessuno lo avrebbe negato. Aveva fascino e quel tocco di malizia nei modi e nella voce ma tutto era estremamente sbagliato con la persona che rappresentava.
Con la coda dell’occhio vide Cutler assottigliare lo sguardo verso suo fratello, mentre danzava con un’altra donna ma non si mosse dalla sua postazione.
«Sapete, ero troppo curioso di parlarvi.» le disse, torcendo il collo così che il minore non potesse leggergli le labbra mentre parlava con la moretta.
«Quindi hai pensato di sequestrarmi senza dare possibilità a Cutler di intervenire in pubblico.» e strinse i denti. «Si, li conosco questi giochetti, Beckett»
Si sentiva tremendamente a disagio ad apostrofarlo con il cognome di Cutler, ma non avrebbe dato riverenza, affabilità e rispetto ad un soggetto che non lo meritava affatto.
«Non immaginavo foste persino astuta.»
Eris rabbrividì quando l’uomo le dovette girare intorno, arrivando a pochi centimetri dal suo orecchio destro. Stava chiaramente cercando di intimorirla ma non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
«Non sai nulla di me.» lo aggredì, senza curarsi di abbassare la voce o mutare il tono di disapprovazione.
Decise tuttavia di continuare a ballare. Non avrebbe permesso a Jonathan di rovinare tutto ciò che Cutler aveva cercato di costruire nei suoi anni. E non a causa di un imprevisto qual’era lei.
Jonathan indossava una maschera nera con un naso a becchino che sembrava quasi perfettamente arredato con il suo personaggio inquietante e subdolo. Le prese nuovamente le mani, vincolandole ancor più ferocemente, quasi preparandosi ad una sua reazione esagerata alle sue prossime parole.
«Quanto vi ha promesso?»
Eris impallidì, quasi rischiando di inciampare sui propri piedi e sgranò gli occhi da cerbiatta.
«Denaro, un titolo, una dimora…?» continuò compiaciuto, non preoccupandosi della leggera perdita di equilibrio di lei. Si stava beando in una finta vittoria.
La ventiduenne, ormai quasi ventitreenne, aveva capito cosa voleva fare. Voleva umiliarla, calpestando e distruggendo tutta la sua immagine e dignità, costringendola ad una rivelazione fasulla  e offensiva.
Cercò di mantenere la voce più ferma possibile quando gli si rivolse con uno sguardo fermo e freddo come il ghiaccio che lui aveva negli occhi.
«Sono certa che Lord Beckett non perderebbe tempo con me, in tal caso. Ci sono sicuramente faccini migliori del mio in giro per il mondo desiderosi anche solo di un pezzo di pane.»
Quello rimase colpito dalla risposta schietta ma si riprese subito dopo con un ghigno significativo.
«Si, avete assolutamente ragione» le piroettò intorno un’ultima volta, sfiorandole la spalla coperta dai risvolti dorati e sorridendole. «Voi non siete nulla.»
Eris rimase a fissarlo per qualche attimo, dimenticando che la musica si fosse fermata lasciando solo che i boati di applausi riempissero il vuoto. Poi girò su se stessa e avanzò verso le scale.
Prima che potesse raggiungere la rampa, Cutler le bloccò il braccio in una morsa costringendola a voltarsi e guardarlo.
«Va tutto bene? Che cosa-»
«Si, Cutler, è tutto ok!» lo fermò, facendo un respiro profondo.
Il Lord era chiaramente scosso e irritato da tutto quello che era avvenuto a distanza di pochi istanti e metri e, perché no, sembrava anche preoccupato. La Gallese non sapeva definire se per se stesso e la sua immagine o per lei (pensiero che la scosse ancor di più), ma decise di tranquillizzarlo con un sorriso tenue.
«Vado un attimo a rinfrescarmi. Torno subito, va bene?»
Beckett lasciò cadere la mano lungo il fianco mentre con l’altra si tolse via la maschera. Non era molto convinto ma non aveva la facoltà di negarle nulla, era stata fin troppo accondiscendente quella sera.
Annuì, seppur titubante, e la ragazza salì il più velocemente le scale.
«Datemi un solo motivo per non farvi scortare fuori, vi prego.» sibilò il più basso, ponendo uno sguardo di fuoco verso l’unica ragione che stimolasse il suo odio quella sera.

Eris filò dritta dritta verso la sua lussuosa camera. Non aveva tempo di pensare o lasciarsi buttare giù da delle parole prive di senso e significato. Aveva lasciato Cutler in fretta e furia e nulla le assicurava che l’uomo non avesse pensato che fosse scappata a causa dell’altro fratello cattivo.
Ma sincera verità era che le stavano sanguinando i piedi per quelle maledette scarpe di cuoio duro come la pietra. Chiunque le avesse inventate avrebbe certamente avuto un proprio girone all’inferno.
Non impiegò molto ad attraversare il solito caratteristico corridoio e a farsi un altro paio di rampe di scale. Se le saliva non aveva alcun problema, a scendere ci aveva impiegato un po’ all’andata ma trovandosi in posti appartati e non trafficati, l’umiliazione post caduta non era presa in considerazione.
Entrò nella camera facendo scattare la chiave che si era allacciata vicino al fianco e corse a mettersi quel bel paio di Nike.
Non seppe perché non aveva optato subito per la scelta. Aveva veneficamente sperato che le scarpe del diavolo non le facessero poi così tanto male…
Lasciò sfuggire un sospiro di sollievo quando i suoi piedi furono liberi di respirare e si stiracchiò come un gatto, scivolando con la schiena sull’ampio letto a baldacchino che quella notte li avrebbe ospitati entrambi.
Jonathan Beckett. Non era stato affatto carino. Forse avrebbe dovuto trovare una giusta vendetta, qualcosa che lo umiliasse al punto giusto ma senza risultare troppo cattiva.
Si, l’avrebbe fatto, decise. Gliel’avrebbe fatta pagare.
I suoi genitori le avevano sempre insegnato che si ricorreva alla violenza e ai tiri mancini solo quando non si avevano buone argomentazioni con cui combattere una discussione… ma questa volta decise che avrebbe agito da stupida.
In ogni caso, lei non poteva dire tutta la verità quindi un confronto aperto era da escludere per evitare un disastro.
Si alzò a sedere e si infilò le scarpe in fretta e furia.
La corsa al pian terreno fu molto più agile e veloce. Si pestò qualche volta l’estremità del vestito bianco ma riuscì a ristabilirsi in tempo per non sbattere il viso a terra.
Prima di tutto, doveva chiedere ad un cameriere che serviva quei favolosi calici dove avrebbe potuto trovare la cucina e poi avrebbe cercato i classici uova e farina.
Oh, si. Si sarebbe divertita.
Svoltò l’angolo.
«Questo non estirperà le tue colpe! E’ morta a causa tua!»
L’intera sala era nel bel mezzo dell’era glaciale. Nessuno parlava, nessuno si muoveva, i musicisti sembravano pietrificati come i camerieri nel mezzo della stanza.
Eris guardò giù dal muro di pietra dove si poggiavano e cominciavano a scendere le scale e si trovò esattamente sopra i due protagonisti dell’attenzione.
Il maggiore dei Beckett aveva le mani serrate contro i fianchi e sembrava tremare impercettibilmente di rabbia repressa. Dal canto suo, Cutler era una maschera di emozioni, gli occhi opachi e la sua piccola figura stoica nella sua posizione.
«Jonathan…ti stai rendendo ridicolo…» farfugliò un giovane che la Gallese non aveva mai visto prima al fianco dell’uomo arrabbiato.
Nonostante la stanza fosse grandissima e la distanza la separasse dal resto, poteva avvertire addirittura il respiro affannoso del moro.
«Ho letto le lettere! La tua ambizione era più importante di nostra sorella!» continuò, non curandosi della persona che si trovava al suo fianco o della cara moglie che si guardava intorno, imbarazzata dagli sguardi puntati su di loro.
«Hai letto…le lettere che indirizzavo chiaramente e solamente a Jane?!» c’era tanto rancore e dolore nella voce strozzata di Cutler e spaventò terribilmente Eris. Era la prima volta che la sentiva.
«Mentre tu eri impegnato nella scalata al potere, lei moriva credendo alle tue bugie!» lo azzannò Jon, avanzando un passo di troppo che fece tendere Mercer, appoggiato contro la balaustra di marmo che sorreggeva la scalinata.
«Dopo la morte di nostro padre, mai avrei creduto che ti saresti ritirato dal dovere della tua presenza! E per cosa? Quella puttana deve averci giocato bene con la tua testa.»
La saliva in gola le si bloccò, proprio come i sospiri di sorpresa trattenuti simultaneamente da tutta la sala e la vista le si offuscò per un attimo.
Cutler si guardò intorno, come a cercare di individuare la mora ma non la trovò da nessuna parte. Credeva di essere solo.
«Incantevole, davvero. Mi domando cosa tu gli abbia promesso in cambio dei suoi servizi…» la voce gli si era fatta aspra, quasi delirante ma Beckett non apriva bocca. Lo guardava a sua volta, in completo silenzio.
Eris sentì un fruscio dietro di lei e si voltò di scatto. Lì, a pochi centimetri di distanza, verso la svolta del corridoio di destra che prima non aveva notato, un servo stava versando silenziosamente dello champagne in una bacinella di cristallo già semi colma.
Sorrise.
Era sicuramente un segno del destino.
«Dì qualcosa, Seppia!»
Poi, in concomitanza del getto, la stanza tornò a riempirsi di un soave GASP.
Dai piani alti, Eris aveva gettato tutta l’intera vaschetta sulla testa e, a quel punto, sui vestiti di Jonathan Beckett Jr.
L’uomo sembrò talmente scosso che non proferì parola né si mosse nemmeno per vedere chi fosse stato l’artefice di un gesto simile.
«Ops, errore mio» la ventiduenne scese le scale velocemente (Mercer non perse tempo a notare il paio di snickers ai piedi di lei e ad alzare gli occhi al cielo) e si avvicinò al signore. Con cautela allungò un dito e lo passò su una spallina impregnata, portandoselo poi alle labbra. «Uhm, lo champagne è duro a togliere. Ti consiglio di spogliarti qui ed ora.»
Se l’era aspettato, non poteva negarlo, ma fu lo stesso uno shock quando la mano del messere incontrò la sua guancia. La diede abbastanza forte da farle voltare il viso verso destra e qualche passettino per ristabilirsi.
Mercer, che era scattato appena la mano dell’uomo si era fatta forza verso l’alto, torse il braccio con cui l’aveva schiaffeggiata dietro la schiena e quello gemette di dolore.
«Ehi, che diavolo credi di fare! Sei solo un cane!»
«State attento ai cani, Mr. Beckett. Non sapete mai quando mordono.» sibilò l’assassino, stringendo ancora più la morsa e venendo ricompensato da un nuovo gemito.
«Guardie! Scortate questo bruto fuori dal palazzo, di grazia» ordinò il Re dal suo alto scranno vicino al gruppo di violinisti sul piccolo rialzo.
Anche il Re e la Regina avevano assistito al brutale scontro e probabilmente si erano intrattenuti più del previsto.
Le giubbe rosse situate ai quattro lati della stanza avanzarono verso Jonathan e lo bloccarono da entrambe le braccia. Diana, fattasi piccola piccola, lo seguì in silenzio mentre lo scortavano verso l’uscita e l’altro baldo giovane che aveva precedentemente avvertito l’uomo uscì di scena insieme a loro.
Cutler si avvicinò a piccoli passi ad Eris che girò la testa a guardarlo. La porzione di guancia abbronzata era più rossa del previsto e sembrava doloroso.
Il Lord si tolse un guanto e lo posò sul segno, un’espressione di rammarico negli occhi grigi che fecero sorridere dolcemente la ragazza.
«Va tutto bene. Non fa male» e scostò la mano, arrossendo di un profondo rosso pomodoro, rendendo più evidente lo schiaffo sul viso. Nella stanza stavano guardando tutti nella loro direzione.
Come un bisogno fisiologico di togliere tutta quella attenzione lontano da sé, prese Beckett per le spalle e lo girò verso l’intera platea.
«Beh, bando alle ciance! Siamo o non siamo qui per celebrare il titolo di Lord Beckett? Brindiamo!» afferrò un calice da un piatto d’argento che sorreggeva un cameriere lì vicino e lo buttò giù tutto d’un fiato.
Nella stanza partirono prima dei borbottii, poi delle risatine più pronunciate mentre delle coppie si avvicinavano e prendevano anche loro dei calici. La musica ricominciò nella sua vivace melodia ad un accenno del capo della regina e ben presto Beckett fu accerchiato da curiosi.
Eris tentò di svanire alla Homer Simpson facendo dei passettini silenziosi a mò di gambero e quando riuscì a raggiungere nuovamente la scalinata, si girò salendola velocemente e indisturbata.
Cutler si accorse della sua ritirata mentre lei aveva già raggiunto metà della rampa tuttavia evitò di riprenderla. Qualche attimo della serata se l’era guadagnato.

Restò sulla loro balconata in camera fino a tarda serata. Era corsa a mettersi un panno bagnato e freddo sulla guancia per alleviare il bruciore e aveva miracolosamente funzionato.
Riuscì a vedere Jonathan venir trascinato nella carrozza nonostante le mille discussioni sia con le guardie che con la moglie, che tentava di sopprimere i suoi ancora bollenti spiriti. Quasi le fece pena.
Notò molte cose nella buia notte.
Come le giubbe rosse si intrattenessero tra loro con delle battute o dei racconti squallidi, non divergendo poi così molto dai pirati, accanto alle molteplici carrozze nere.
Come l’ampio giardino e i fiori brillassero alla luce delle torce tutte intorno alla zona. Quasi le venne il desiderio di scendere e godersi quell’atmosfera, ma le zanzare e gli insetti non le stavano dando proprio un caldo benvenuto già dalla balconata.
Riuscì perfino a intravedere il suo cagnaccio che si divertiva all’interno di una gabbia mentre mordeva quello che sembrava un osso.
E le stelle. Avrebbe dato qualunque cosa per portare quelle stelle a casa con sé quando fosse tornata indietro.
Al sicuro, sulla terra ferma e senza il rumore del mare che ormai era diventato fastidioso, tutto sembrava essere più magico ed evidente. Miliardi di stelle illuminavano il cielo nero in un modo che non aveva mai visto.
Continuò a bearsi di quella vista fino a quando la porta principale non si spalancò e diverse coppie presero a fare la loro uscita, chiacchierando animatamente.
Li osservò salire a bordo dei loro mezzi privati di trasporto e partire con il loro cocchiere che guidava i cavalli su per il lungo viale di ghiaia.
«Buonanotte.»
La Gallese girò la testa, tendendosi per guardare all’interno della stanza, e trovò Beckett che chiudeva la porta, dirigendosi verso il suo scaffale accanto al letto.
Intravide una medaglia tra le sue mani e la posizionava con cura sulla mensola e la giovane non poté far altro che sorridere a quella visione.
Tornò a dedicarsi allo scrutare tetro dei nobili che andavano via e si lasciò cadere con le braccia sul balcone, non curandosi di mantenere un certo portamento.
«Vi siete persa l’assegnazione del mio titolo.»
Eris sbuffò e alzò un sopracciglio. «Ancora del voi?»
Volse il capo e lo trovò con lo stesso completo ma privo, finalmente, della parrucca bianca. Lasciando i castani capelli ricci al vento fresco della sera.
«L’abitudine…» poi scosse la testa. «O meglio, galateo.»
La mora si fece beffe di lui con una risatina secca e fece spallucce in risposta alla sua provocazione.
Rimasero molto tempo a guardare le persone che pian piano svanivano oltre il muro e si divertirono a osservare come molti alzassero lo sguardo nella loro direzione.
Poi Cutler decise di spezzare il silenzio.
«Quello che Jonathan ha detto…riguardo la morte di mia sorella-»
«Lo so bene. So che non è stata colpa tua.» gli sorrise, benevola. «Non hai ancora il potere di disperdere la febbre, giusto?»
Beckett ridacchiò freddamente. Forse aveva fatto la battuta sbagliata.
«Ho fatto quello che la Compagnia delle Indie si aspettava da me. Anche se questo ha costretto mia sorella al secondo posto.» si voltò verso Eris per guardarla negli occhi, certo che quello che stesse dicendo seppur doloroso e pesante, doveva essere appreso e capito. «Non mi pento di nulla.»
La giovane tornò a posare la sua attenzione sulle stelle e fece un sorriso storto, comprensivo ma non così tanto.
«Probabilmente avrei preso una scelta diversa dalla tua se si fosse trattato di mio fratello…ma il tuo intervento non dava certezza che sarebbe sopravvissuta.»
Cutler la guardò stupefatto.
«Avete-» Eris lo fulminò male. «Hai un fratello?»
«Si, più piccolo di 4 anni. Una vera spina nel fianco.» sbottò ma qualcosa nei suoi occhi brillò come una vaga scintilla di sofferenza. Quanto tempo era trascorso dall’altra parte? Si stavano chiedendo dove fosse finita? Come avrebbero reagito i suoi genitori alla sua scomparsa?
«Non te ne ho mai parlato?» chiese subito dopo, abbandonando quei pensieri per l’ennesima volta.
«Non ne parli mai.» osservò quello, aggrottando le sopracciglia e posando le mani sul balcone. Ora che osservava meglio, Cutler sembrava essersi tolto anche i guanti bianchi.
«La mia famiglia è normale...in realtà, nel mio tempo non ci sono classi sociali così distaccate. Ci sono famiglie facoltose, certo, ma siamo comunque tutti su un pari livello.» si tirò su con la schiena e sospirò al vento che aveva cominciato a scompigliargli un po’ i capelli. Londra tendeva a irrigidirsi di sera, persino in piena estate.
Seguì come la sua mano sfiorò con l’indice sinistro quella del Lord e rimase come fascinata. Le sue dita erano più lunghe di quelle di lui e più fine, Beckett le aveva più corte ma più robuste. Si chiese come mai non l’avesse mai notato prima e se l’avesse osservato solo in quel momento.
Quando alzò gli occhi trovò quelli dell’uomo incollati su di lei, e sorpresa scostò subito la vicinanza.
«Mi dispiace»
Non seppe perché si era scusata. Poteva benissimo essere un incidente, scusarsi non era certo necessario.
«Il giorno è quasi terminato.» avvertì invece lui, non tenendo conto della scusa tirata fuori dalla giovane.
Eris si chinò verso l’orologio da taschino che pendeva da una tasca interna che dichiarava le 23:57. Si corrucciò. Quel giorno particolare stava già volgendo al termine e le era sembrato scorrere fin troppo velocemente. Erano davvero passate già più di 15 ore dal loro arrivo a Londra? Avrebbero dovuto lasciare quel luogo tra pochissime ore e rimettersi in marcia verso l’ufficiale storia.
E lei non se la sentiva di avventurarsi in quei bui e movimentati momenti che sarebbero certamente arrivati.
«Si, meno di tre minuti» confermò lei, aprendo le labbra in un sorrisetto sarcastico «Il tuo asso nella manica nel dovermi far fare tutto ciò che desideravi sta scadendo. Qualche ultimo desiderio?» sapeva che non avrebbe dovuto porgere quella domanda ma non riuscì a non stuzzicarlo fino alla fine.
Cutler rimase immobile per moltissimo tempo prima di fare il primo passo. Allungò una mano al suo viso e in contemporanea avanzò verso di lei, arrivandole a pochi millimetri di distanza.
Eris sentiva la mano scostarle i capelli e arrivare a sfiorarle uno zigomo con il pollice, seguendone tutta la forma. Quella serata sembrava magica, fin troppo. Probabilmente si era addormentata nel letto e stava sognando.
Giunse a questa conclusione fino a quando le labbra di Beckett non toccarono le sue.
Non si era mai soffermata su un bacio. Erano sempre stati chiassosi, duri, passionali. Ma quella delicatezza, quella timidezza, quel distacco insicuro non l’aveva mai provato prima.
Doveva essere vero.
Non riuscì a reprimere un brivido che le partì dalle labbra fino ad arrivarle al ventre, simile ad una fitta dolce. Se ne imbarazzò.
Non c’era alcuna fretta. Si trattava solamente di due labbra una contro l’altra in un casto bacio. Tuttavia l’effetto fu più forte di ciò che si era aspettata.
«Puoi scegliere di dimenticare che questo sia accaduto.» le sussurrò sulle labbra, facendo un passo indietro ma non smettendo di guardarla.
L’unica cosa che la ragazza riuscì a fare era muovere una mano fino al viso e sfiorare le labbra che ancora bruciavano di voglia con la punta delle dita. L’aveva presa nella più totale sprovvista. Avevano passato insieme quanto tempo? Un mese? Forse quasi due. Gli aveva tirato i peggiori scherzi, lo aveva fatto avvelenare e vergognare. Lo aveva deluso non so quante volte ed ora si trovava lì, davanti a lei, con gli occhi vacui come ad aspettare un rifiuto o un’accettazione.
Non sapeva se voleva lanciarsi in quell’avventura ma in quel momento stabilì quel semplice contatto non le bastava.
«Tanto vale goderseli questi due minuti.» gli rispose solamente.
Alzò una mano e afferrandolo per il retro del collo lo avvicinò di nuovo a sé, restituendogli il bacio con più foga. Cutler, che con molta probabilità non si sarebbe mai aspettato un’aggressione simile, sbarrò gli occhi ma non si tirò indietro da quella passione. Lasciò che lo saggiasse con la lingua e lo sfiorasse con le mani fino al grande rintocco del piccolo orologio da taschino.
Poi lei si tirò indietro, gli sorrise e andò verso il bagno, lasciandolo da solo sulla veranda, senza una sola parola.



Angolo dell'autrice
Non posso credere di essere riuscita a finire questo capitolo in dieci giorni. E' stata dura ma ce l'abbiamo fatta. Questo era il clue di tutta la mia storia. 
Non capite quanto ho sudato per scrivere questo finale. Ero indecisa tra concluderlo con una scena divertente o con una scena romantica...ha prevalso, come tutti avete constatato, la romantica.
Forse perchè li volevo finalemente far cozzare come bamboline finalmente, non lo so. 
Beh, da qui ora sarà tutta una serie di problemi. Il sentimento, la complicità, i problemi di un outsider sul filo della storia... Ah, quanto amo il drammah.
Cooomunque, come avete visto (o forse no) ho inserito un personaggio storico Diana Spencer. Lady Diana, se non sapete chi sia, era una nobildonna inglese del 1710. Lei voleva sposarsi col principe del Galles, Federico per creare un'alleanza ma re Giorgio non approvò queste nozze (da qui l'odio alla vista del Re nella fanfiction).
Dato che la storia si sviluppa nel 1729, due anni più tardi Diana si sposò con un Russel. quindi ho deciso di rendere una compagnia a Jonathan Beckett Jr (su cui non ci sono molte informazioni a riguardo) per questo lasso di tempo, poi verrà malamente lasciato secondo i canoni della storia MUAHAHAHAH
Qui vi allego le maschere che Beckett e Eris indossano:
Maschere

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Capitolo 14
*** Shopping londinese ***



Capitolo 14. Shopping londinese

Eris poggiò il suo bagaglio davanti al grande portone di quercia e ferro e si stirò, alzando le braccia al cielo (per quanto il vestito grigio glielo permettesse).
Il valletto che l’aveva vista arrivare sbiancò tutto d’un tratto e corse su per le scale per raggiungere lei.
«Mia signora, non dovevate. Ci avrei pensato io al vostro bagaglio.» balbettò afferrando subito la grande valigia e guardandosi intorno, come temendo il rimprovero di qualcuno.
La ragazza lo guardò stordita ma poi gli regalò un sorriso tutto denti, dandogli leggere pacche sulle spalle curve. «Non ti preoccupare, non pesava poi così tanto.»
«Lady Beckett, il re sta aspettando nella sala.»
Mercer che era comparso dal nulla si avvicinò a lei e socchiuse gli occhi nella direzione del valletto con fare guardingo e anche un po’ minatorio. Ma dopotutto Ian non era in grado di non guardare qualcuno con minaccia velata.
Eris annuì e si avviò verso l’ampia porta alla fine del corridoio.
In mezzo alla sala, la regina e il re sembravano ascoltare un Cutler Beckett vestito di tutto punto e con la spilla nuova salda sul petto. Il Re aveva la fronte corrucciata nel cercare di capire le parole del Lord mentre la regina aveva un’espressione più consapevole, quasi piena di rassicurazione.
«Buongiorno» salutò la nuova arrivata attirando l’attenzione su di sé. «E’ ora di andare?»
La ragazza si era super eccitata quando aveva sentito le guardie parlare di una scorta per le strade di Londra per Lord Cutler Beckett. Non immaginava che avrebbero potuto fare un giro, aveva la convinzione che sarebbero partiti subito dopo aver liberato l’enorme camera da letto (che si sarebbe pentita di aver lasciato, già lo sapeva).
«Oh, eccovi qui. Stavamo giusto parlando di voi.» Giorgio II si tirò pesanti manate sul panciotto ampio e si esibì in uno dei suoi sorrisi miracolanti.
Eris alzò un sopracciglio e girò la testa per fissare Beckett ma quello aveva lo sguardo fisso davanti a sé, come evitandola appositamente.
«Che ne dite di restare a palazzo?» la voce pacata della regina Carolina la colpì di sorpresa. Non l’aveva mai sentita parlare e dalla corporatura non si sarebbe mai immaginata una voce così melodiosa.
Le donne dovevano smetterla di essere così maledettamente perfette, lì.
«I-Io…mi prendete alla sprovvista, mia regina.» nonostante l’offerta l’avesse destabilizzata, riuscì a mantenere un certo rispetto e distacco. Sicuramente Beckett sarebbe stato fiero di lei.
L’uomo non sembrava, invece, per niente colpito dalle parole di Carolina cosa che non le piacque affatto. Che fosse stato lui stesso a proporlo?
«Ma sono costretta a declinare la generosa offerta, per sfortuna di Lord Beckett.» e posò una mano sulla spalla dorata del più basso, stringendo forte come a invitarlo a non aggiungere una parola. «Ho intenzione di seguire mio marito in questa impresa.»
La regina sgranò gli occhietti e mantenne la sua posizione statuaria, rivolgendo un’occhiata al suo Re, colpita dal rifiuto della giovane ragazza.
«E’ un vero peccato, Lady Beckett. Senza la vostra presenza, il palazzo mancherà certamente di un piacevole intrattenimento.» le fece l’occhiolino Re Giorgio, mentre lei rabbrividiva per il tono usato per il suo nuovo titolo e cognome.
«Credo sia tempo per noi di avviarci. Ho dato la mia parola a Lady Eris che l’avrei accompagnata a fare delle compere prima di tornare in mare.»
Erano ormai ore che non sentiva la voce di quell’uomo e quando le arrivò alle orecchie sobbalzò.
Quella mattina Cutler era sviato prima che lei riuscisse a svegliarsi del tutto. L’aveva intravisto attraverso gli occhi impastati di sonno mentre si sistemava vicino allo sgabello dal suo lato del letto ma poi era svanito attraverso la porta della loro camera e non l’aveva trovato da nessuna parte.
Fece scivolare via la mano dalla spalla di lui e aggrottò la fronte nella sua direzione mentre la accompagnava all’uscita della sala, una sua mano guantata che la guidava sulla schiena.
«Darmi la tua parola? Ma se non sapevo nemmeno che saremmo rimasti qualche ora prima di partire…» gli domandò una volta raggiunto l’ingresso e iniziando ad avvicinarsi alla carrozza che li aspettava nel punto esatto in cui l’avevano lasciati la mattina del giorno prima.
«”Mio marito”?» le ricordò Beckett, con un sorrisetto di scherno sulle labbra mentre l’aiutava a issarsi all’interno della carrozza.
Lei semplicemente arrossì e bofonchiò un “stai zitto” prima di essere seguita dal Lord divertito oltre il permesso.
Erano così presi dal giro che avrebbero fatto per Londra che si dimenticarono il cagnolino di Eris alla magione e che il povero servo stava agitando per attirare la loro attenzione.

«Beh, per fortuna che Mercer se n’è reso conto.» sospirò Eris mentre teneva saldamente la corda di cuoio che accompagnava il cane in giro per la strada di pietra.
Beckett, che le camminava al fianco si stropicciò gli occhi stanchi e sospirò sonoramente. Non aveva più parole da esprimere nei confronti della giovane donna. Ormai se ne stava facendo una ragione della sua disattenzione.
Anche se, quella determinata dimenticanza, l’avrebbe liberato certamente dal peso della bestia in giro per la sua Endeavour.
Poco prima di svoltare un angolo Eris si girò verso un piccolo negozio che mostrava in vetrina quelli che sembravano vasetti di marmellate o dolci in generale.
«Possiamo prendere qualcosa da portare sulla nave? Non avrò più nessun altra occasione di assaggiare creme del diciottesimo secolo.» supplicò Beckett che aveva alzato gli occhi al cielo e aveva indicato l’entrata del locale con un movimento del bastone da passeggio, come se stesse concedendo un premio ad un animale domestico.
Prima che si lanciasse all’interno, tese la corda del cane a Mercer che stava per entrare prima di lei e gli sorrise vittoriosa.  L’assassino lo prese senza fiatare ma non dimenticò di lanciare uno sguardo affilato verso la bestiola che gli aveva appena impedito l’accesso.
«Buongiorno, mia signora!»
Eris quasi urlò di paura quando un dolce uomo con una barba bianchissima e ispida si avvicinò di soppiatto a lei. Posò una mano sul cuore e lo trovò pompare in maniera fin troppo eccitata.
«Ma voi inglesi non eravate cauti e freddi? Mi fate salire infarti ogni due per tre.»
L’ometto, che non l’aveva proprio seguita del tutto, lasciò che un sorriso gli adornasse il faccione simpatico e prese da un ripiano un barattolo completamente nero.
«Provate pure.»
La ragazza si girò, guardandosi alle spalle, ma notò che Cutler se ne stava per conto suo a dialogare con un altro uomo vicino a dei barili carichi di chicchi di caffè e di foglie di tè. Fece spallucce.
Prese il cucchiaino di legno che il negoziante le stava offrendo e lo infilò nel piccolo barattolo scuro. Quando lo tirò fuori era pieno di quella che sembrava polvere che le ricordò qualcosa ma solo quando lo poggiò sulla lingua realizzò con felicità di cosa si trattasse.
«Cioccolato!» gemette, sospirando di piacere. Ed era fatto estremamente bene.
Lo prese dalle mani del signore e si avvicinò caotica e ridacchiante al Lord poco distante, sorprendendolo e facendogli piegare la testa da un lato, non capendo l’eccitazione di lei.
«E’ cioccolato! Puoi immaginarlo?!»
Beckett scosse la testa. «Lo credo, sono io ad importarlo, Miss Eris.» e prendendole la mano che teneva l’oggetto, la costrinse a girare facciata del barattolo dove svettava il simbolo della Compagnia delle Indie. «O meglio, lavorano i chicchi di cacao che io importo dall’Africa.» si girò verso l’uomo che era rimasto dove Eris lo aveva lasciato che annuì in fretta alle parole del nobile.
«Oh…beh, prendiamolo lo stesso!»
Cutler sbuffò. «Vi divertite a spendere il mio denaro a caso?» disse quando uscirono dal negozio e sistemava il proprio borsellino nelle mani del mercenario, che aveva nel frattempo riconsegnato il cane alla legittima proprietaria.
Un paio di uomini in divisa si erano fermati per registrare le quantità di tè e ingredienti di cui il cuoco di bordo aveva bisogno.
La ventiduenne sorrise, agitando felice la bustina di carts con due vasetti di cacao. «Beh, puoi metterlo in conto al mio salario.»
Il più basso rise. «Voi non percepite nessun salario.»
Svoltarono per la via principale e la trovarono stracolma di persone. Eris non aveva visto tante persone tutte insieme da così tanto tempo ormai che quasi si dimenticò di rispondere al signore al suo fianco.
«Dovrei, in tal caso. Per i servizi resi al comandante della nave.» ribattè, convinta.
«Ah si? E che tipo di servizi mi rendete, sono sinceramente curioso»
Quando la mora fu lì lì per rispondergli percepì il tono sarcastico dell’uomo e lo fulminò con lo sguardo, trovandolo maliziosamente vittorioso. Un sorrisetto furbo che gli aleggiava sulle labbra. Le labbra che aveva così ferocemente preso possesso la sera prima…
Distolse lo sguardo e arrossì. Non capì si sentisse così a disagio ora, nonostante fosse stata lei, non appena conosciuto, ad aizzarlo e tirargli delle frecciatine vergognose.
«A proposito, questa mattina degli impegni improrogabili hanno trattenuto la mia persona, ma volevo parlare con voi di quel che è successo la scorsa-»
In un lampo, la Gallese era sparita accostandosi ad un negozio di ferrame che indicò con un braccio. Fece cenno a Beckett che sarebbe entrata e lo lasciò in mezzo alla strada accanto ad un Ian Mercer divertito.
Appena l’aveva sentito pronunciare le parole maledette si era velocemente volatilizzata. Non aveva molta voglia di prendere quel discorso, nonostante fosse stata lei stessa la sera prima a fare l’errore di avvicinarsi di nuovo a lui.
Si avvicinò ad una grossa pentola di rame e la sondò tra le mani, trovandola anche incredibilmente leggera. Aveva assolutamente bisogno di un posto dove potersi lavare i capelli che non fossero stantii barili di legno…e poi sarebbe corsa alla ricerca di qualche tipologia di saponi.
«Miss Gallese» sussurrò Mercer prendendo la brocca di ferro e portandosela davanti al viso. Intanto il cagnolino annusava ogni tipo di recipiente che si trovava a terra. «A cosa vi serve? Sulla nave abbiamo tegami a sufficienza.»
«Non ho intenzione di lavare i miei capelli in pentole che usano in cucina!» e riacciuffò il barilotto, portandoselo stretto al petto, come se temesse che l’assassino glielo riponesse via.
«A proposito…» e guardò alle spalle di lui. «Dov’è Beckett?»
«Mi ha ordinato di tenervi d’occhio. Aveva un giro da fare.»
«Uhm…» accettò titubante la mora, avvicinandosi alla cassa per pagare.

Cutler, accompagnato dalle due guardi reali, si avvicinò allo stesso negozio che aveva visto a distanza la mattina precedente e assottigliò lo sguardo leggendo l’insegna.
Non capì come mai la visione di quell’armadio potesse recargli tanto disturbo e curiosità. La Gallese gli aveva descritto un mobilio del tutto comune all’apparenza…non aveva senso che fosse incuriosito da qualsiasi armadio in un negozio di arredamenti.
«Restate qui» Si rivolse alle giubbe rosse senza guardarle ed entrò nel negozio.
Le luce era soffusa e le finestre proiettavano strani giochi sui vari mobili. Il negozio era molto visitato. Coppie di signori osservavano e si consultavano riguardo i vari oggetti da acquistare.
L’atmosfera era quasi pesante ma il Lord lo percepì come uno scherzo della mente e che stava creando da solo.
Camminò in largo, cercando di individuare ciò che gli interessava. Gli stivali ticchettavano contro il pavimento di legno finché non si bloccò davanti ad una fila di armadi alti e imponenti.
Posò gli occhi grigi su ogni singolo pezzo fino a raggiungere quello che lo incitava maggiormente quasi possedesse una volontà propria. Era un legno molto scuro, proprio come l’aveva descritto la giovane…
Si avvicinò e passò le dita contro il pomello che svettava quelle che erano le esatte iniziali della compagnia delle Indie.
Cutler non era a conoscenza di un lavoro della EITC che prevedesse la fabbricazione e la vendita di mobilia.
Girò la manopola e le ante si aprirono con un rumore sordo e davanti a sé si parò un’accecante visione rosso sangue. Proprio come aveva detto la ragazza.
Rimase lì, interdetto. Lo guardò, sfiorò il suo esterno e il suo interno alla ricerca di qualcosa che lo rendesse speciale oltre il colore imprevisto e unico ma non trovò assolutamente traccia di nulla.
Si tirò indietro, incrociando le braccia coperte della giacca al petto e aguzzò lo sguardo, pensante.
La ragazza aveva detto che fu quell’oggetto a portarla in quel periodo.
Cutler azzardò una possibile teoria sul fatto che la Gallese avesse architettato tutto nei minimi dettagli, illudendolo e circuendolo per uno scopo ben preciso…ma si corresse quasi nello stesso istante arrivando alla conclusione che: primo, era fin troppo semplice per poter arrivare a fare una cosa del genere, e secondo, cozzava con il suo arrivo e le sue dichiarazioni troppo personali e futuristiche per poter essere soltanto una casualità.
«E’ di vostro interesse, mio signore?»
Beckett lasciò che i suoi occhi vagassero verso il negoziante che gli si era avvicinato in modo cauto e circospetto e gli rivolse la sua attenzione.
«Avete con certezza dei documenti che attestano da dove sia venuto questo armadio. Ho necessità di ispezionarli.»
«M-mi scusi, ma lei è…?» mormorò l’uomo, colto un po’ alla sprovvista.
«Lord Cutler Beckett. Fate come vi ho chiesto.»
Lo sguardo glaciale che gli inviò fu sufficiente per far scappare il commerciate dietro una porticina poco distante dal punto dove stavano interagendo. Tornò quasi 5 minuti dopo, tempo che non fece altro che innervosire il signore, con in mano un registro con fogli scarabocchiati e gialli.
Cutler che conosceva perfettamente l’economia e i registri non impiegò molto a trovare ciò che cercava, nonostante fossero accatastate centinaia di pagine.
Anno 1715, 14 Dicembre: Nave Mercantile, Wicked Wench, Capitano Jack Sparrow.
«Una persecuzione…» sibilò quando trovò il nome di Jack sul foglio. Sotto alle generalità della nave vi era la descrizione dell’unico prodotto consegnato: un guardaroba di ebano, intarsi in avorio e madreperla, interno rivestito in ganzo veneziano rosso granata.
Quella descrizione lo riportò rapidamente alla scrivania che aveva acquistato ormai dieci anni prima da un mercante nell’Africa Occidentale e che ora giaceva all’interno dell’HMS Endeavour.
Era lo stesso identico materiale.
Non potevano essere tutte esatte coincidenze. La nave, Sparrow, i materiali, il colore del rivestimento.
«Fatelo portare con discrezione alla mia ammiraglia.» consegnò un incentivo nelle mani aperte del commerciante che strabuzzò gli occhi. «Il resto lo avrete a consegna effettuata a bordo dell’Endeavour possibilmente entro le prossime 2 ore.»
Con quelle parole dedicò un ultima occhiata al grande armadio mentre riconsegnava il libro nelle mani del suo proprietario. Poi chiuse le ante e uscì all’aria aperta del mattino.
Quel negozio era talmente chiuso nella sua tenebrosità che la luce del sole quasi lo accecò, se non fosse stato per il suo fidato tricorno che dopo la sventurata lotta contro la Gallese aveva fatto riparare la mattina del loro arrivo a Londra.

«AH! Eccoti qui!» l’urlo di Eris attirò l’attenzione di tutti quelli che la circondavano ma non ci diede minimamente peso. Si avvicinò a Cutler con il pentolone che si agitava avanti e indietro nella sua mano sinistra e gli sorrise.
Quello, ancora mezzo confuso a causa dell’incontro imprevisto, si rivolse a Mercer mantenendo lo sguardo lontano. «Il luogo di incontro non doveva essere alla carrozza, Mercer?»
L’assassino, che era appena sopraggiunto dietro la mora, sospirò stancamente e alzò le braccia stracolme di buste di carta, come a giustificare la sua mancata destinazione.
«Abbiamo incontrato una signora simpaticissima che voleva regalarmi una pistola con una strana punta» raccontò lei, mentre si agitava per cercare di individuarla nuovamente con lo sguardo nel mezzo a quella strada piena di gente.
Cutler aprì la bocca, sconcertato e guardò direttamente il suo servitore negli occhi, come sperando che non aveva ben udito le parole della Gallese.
«Ma Mercer non me l’ha fatta prendere…» sbuffò poi, pestando un piede a terra con aria infantile e il Lord tirò un profondo sospiro di sollievo che non sfuggì alla giovane.
«Avete finito coi vostri acquisti, dunque. Torniamo alla nave, i preparativi devono essere completati prima di mezzogiorno.» stabilì il più basso controllando l’orologio da taschino che era agganciato al panciotto.
Prima che potesse avviarsi anche lei dietro il Lord, qualcuno le afferrò il polso quasi in maniera dolorosa e la costrinse a girarsi di scatto.
Davanti ai suoi occhi, un ragazzo dai capelli castano chiaro e di un folto riccio coperti da un tricorno la stava trattenendo con un’espressione quasi affaticata.
«S-Scusami…ci conosciamo?» balbettò spaventata mentre girava appena la testa a destra e sinistra per cercare Mercer o Cutler, ma senza perdere di vista l’uomo.
«Mi dispiace, non volevo spaventarvi!» si scusò quello togliendo subito la mano dal suo polso e tornando dritto con la schiena. «Non sapevo in che altro modo attirare la vostra attenzione.»
Lei arrossì quando quello si inginocchiò a terra, davanti a tutti con le mani giunte davanti al viso. I passanti ridacchiavano o si fermavano a guardarli e questo non fece altro che recare altro imbarazzo alla ragazzina.
Cutler che invece non l’aveva sentita seguirlo, volse il suo sguardo dietro di se e la trovò imbalsamata davanti ad un uomo in ginocchio.
«Mercer.» ordinò secco.
L’assassino avanzò con fare predatorio ma si bloccò non appena riconobbe il giovane a terra. «Milord…»
«Io vi chiedo perdono per nome e per conto di mio fratello Jonathan. Vi assicuro che non era sua intenzione offendere voi o Lord Beckett.» pregò il ragazzo, guardandola con un tale sincero trasporto che quasi la costrinse a scapparsene via.
Cutler, che l’aveva raggiunta, strinse dolorosamente la mascella per non lasciare che la sorpresa lo cogliesse fin troppo impreparato.
Il cagnolino ai piedi di Eris aveva iniziato ad abbaiare all’uomo, digrignando i denti, e lo costrinse a tirarsi su di scatto con timore.
«Bartholomew.»
Gli occhi chiari del castano passarono da Beckett a, nuovamente, Eris, che era ancora in uno stato catatonico.
«Sono Bartholomew Beckett, quella sera non ho avuto il piacere di incontrarvi…»
«Andiamo, mia signora.» Cutler fu perentorio e la prese per un braccio, trascinandola via. La ventiduenne, colta di sorpresa, si fece trascinare per qualche centimetro ma si oppose subito dopo, sfilando il braccio dalla presa del più basso.
«Sentiamo quel che ha da dire almeno.» lo aggredì facendo per tornare indietro ma Beckett Jr fu irremovibile.
«Non ho alcuna voglia o intenzione di ascoltare le scuse penose di un uomo altrettanto penoso.» la acciuffò nuovamente, pronto ad un nuovo tentato ritiro.
«E’ tuo fratello-»
«Non è nessuno!»
La rabbia con cui l’aveva attaccata prese voce che non sapeva che possedesse. Le persone che si erano fermate a guardare la scenetta avevano cominciato a parlucchiare, complici, azzardando teorie di conflitti.
Il Lord, con un’espressione di astio e tradimento, le lasciò il suo gomito di scatto e girò sui tacchi.
«Fate come vi pare.»
Mercer, che era rimasto in disparte, seguì il suo padrone con gli occhi affilati e invitò le due guardie del Re a seguirlo e assicurarsi che fosse al sicuro. Le giubbe rosse corsero dietro al signore dei mari senza dire nulla e lo accompagnarono fuori dalla strada.
«Mi dispiace…» si scusò Eris, guardo tornò a dare attenzione all’altro Beckett.
Quello agitò il capo a destra e sinistra, tranquillizzandola. «E’ colpa mia. Avevo pensato di venire direttamente alla vostra nave ma c’era l’alta probabilità che le guardie non mi avrebbero permesso di accedere.»
“Oh, puoi giurarci…”
Nel frattempo, le persone avevano ripreso coi loro affari, lasciandoli nella più completa tranquillità anche se bloccavano il passaggio a molti, che dovevano circuirli per proseguire con la propria passeggiata.
«Non importa, ma ora devo tornare da Cutler…»
«I-io volevo solo spiegarvi…» si velocizzò a parlare quello, facendosi prendere da un improvviso colpo d’ansia quando la vide provare a ritirarsi. «La nostra società non sta attraversando un buon periodo con la morte di nostro padre. Jonathan ritiene Cutler in parte responsabile.»
Eris si accigliò, assumendo un tono più severo. «Cutler non ha alcun dovere nei vostri confronti.»
Mercer rimase colpito dall’improvvisa protezione della ragazza nei confronti del Lord. Si era certamente perso parte del puzzle.
«S-si, questo lo so bene. Immagino di voler giustificare un evento ingiustificabile…» ammise a voce bassa, come vergognandosi di aver fatto tutto quel tragitto e quella fatica per niente.
«Proverò a parlare a Cutler della vostra condizione.»
Alle parole della ragazza, Bartholomew parve come risorgere dalle ceneri, regalandole un sorriso pieno di gratitudine.
«Ma…sai bene che io non posso assicurarvi nulla.» lo anticipò, sentendosi un po’ a disagio a fare una promessa che probabilmente non avrebbe potuto mantenere neanche se si fosse suicidata per togliersi dalle scatole del Lord.
«Si, lo capisco. Vi ringrazio comunque di cuore.» si chinò veloce e afferrò la mano della ragazza tra le sue, come se fosse un angelo, baciandola sulla sommità del dorso.
Eris arrossì ancor di più e sbuffò un “di niente” prima di scappare via nella stessa direzione in cui era sparito Cutler.
Quando riuscì a raggiungere la carrozza, Mercer prese tutti i suoi acquisti e li ripose al fianco del suo posto guida lasciando che la ragazza salisse all’interno dell’abitacolo da sola.
Aprì la portiera e gli occhi di ghiaccio di Beckett la perforarono come una freccia, facendola rabbrividire. E avrebbe dovuto passare tutto il tempo di ritorno da sola con quella bestia assetata di sangue?
Rimasero in silenzio per gran parte del tragitto. Soltanto il cagnolino sembrava intrattenersi a mordere i cuscini di stoffa della carrozza.
«Cosa vi ha chiesto?»
La mora sorrise quando l’altro riuscì finalmente a rivolgerle la parola, anche se guardava fuori dal finestrino.
«Si è semplicemente scusato per Jonathan-» Beckett sbuffò, derisorio. «E potevi trattenerti ad ascoltare se eri tanto curioso.» proseguì lei, venendo subito rimbeccata con uno sguardo carico di sdegno.
«Cos’altro?» domandò Cutler, giocando con i merletti delle maniche, come a darle l’impressione che in fondo non gli importasse.
«E mi ha accennato della loro disastrosa situazione commerciale.» lo informò.
Quello non fece una mossa, semplicemente assimilò l’informazione e continuò con il suo intrattenimento.
Passarono ancora altri momenti di silenzio finché Cutler lo non spezzò di nuovo.
«Siete ingenua.» commentò con un sorrisetto che gli si allargava sul viso asciutto. «Troppo ingenua.»
La giovane, guardandolo, trovò una sorta di messaggio nascosto dietro le sue parole un po’ offensive e scosse la testa, come a liberarsi di brutti pensieri.
«Io non sono ingenua. Semplicemente, non ho un cuore nero.»
Beckett rise. «Quindi state ammettendo che io possieda un cuore.»
Eris alzò gli occhi, l’imbarazzo sparito in un secondo. «Solo perché respiri ancora.»
Cutler parve soppesare un po’ cosa dire, ma non sembrò fermarlo comunque. «Se non avessi un cuore, cosa mi avrebbe portato a baciarvi la scorsa notte.»
La Gallese trattenne il respiro, sorpresa che fosse sfuggita quella frase all’uomo freddo e distaccato davanti a lei.
Deglutì sonoramente, certa che pure il cane avesse avvertito il suo enorme disagio, e tornò a dare attenzione alle strade che scorrevano fuori dalla carrozza.
«Per quanto tempo avete intenzione di evitare l’argomento?» soffiò Cutler, lasciandosi cadere stancamente contro lo schienale del mezzo.
«Non lo sto evitando.»
«Allora rispondetemi.»
«Hai intenzione di smettere di darmi tutta questa riverenza?»
«L’avete fatto di nuovo.»
Quando provò a ribattere, il mare e il molo attirarono la sua attenzione, distogliendola da un Beckett testardo.
Era nuovamente stracolmo di marinai e soldati, proprio come Port Royal prima che prendessero vela. Tutti erano indaffarati con i propri registri e bagagli e tutto quel movimento le portava una forte eccitazione.
Aveva quasi messo al secondo posto che di lì a poche settimane avrebbe dovuto combattere con il filo definito della storia.
Quando la carrozza si fermò, non aspettò che Mercer le aprisse la portiera. La spalancò e fece correre via il cagnolino all’aria aperta.
Il vento del mare le scompigliava i capelli e i gabbiani urlavano forte sopra di loro, costringendola ad alzare il viso.
Caso della sorte, un escremento di uccello le arrivò a pochi millimetri dal vestito, infrangendosi a terra. Gemette disgustata e afferrò il cane in braccio.
«Io vado dentro, non ho intenzione di diventare un bersaglio!» e corse via, abbandonando un Cutler Beckett esausto e un Mercer confuso.

Quando Eris tornò finalmente a indossare pantaloni e la casacca nera, poté tirare un sospiro di sollievo. Non aveva visto il Lord per tutta la giornata e nemmeno a pranzo poiché tutti erano indaffarati con la preparazione dell’imminente viaggio verso Port Royal.
Quando era salita sulla nave aveva subito salutato affettuosamente i Tenenti Gillette e Groves che si stavano occupando di affari sul ponte principale ed erano facilmente reperibili. Quelli gli avevano rivolto dei calorosi sorrisi per poi tornare ai loro doveri e lasciarla da sola.
Stabilendo di aver indossato fin troppi vestiti, la ragazza si recò a cena con i suoi vestiti da allenamento che aveva lavato e lasciato ad asciugare per due giorni.
La stanza era, come al solito, colma di tenenti e dall’ammiraglio Norrington, che sembrava non lasciare il suo lavoro neanche a tavola mentre studiava delle carte.
Cutler invece sedeva al solito posto e alzò gli occhi dalla conversazione che stava avendo con uno dei tenenti quando la sentì entrare. Fece una smorfia divertita al suo abbigliamento. Ovviamente non avrebbe mai seguito le sue direttive.
L’uomo si aspettava che prendesse posto accanto a lui, come aveva intenzione di fare, ma come al solito Gillette le scostò la sedia accanto a lui e Theodore. Non poté far altro che accettare e sedersi tra di loro.
Beckett non sembrava essere sfiorato dalle attenzioni che i suoi sottoposti dedicavano alla giovane e la cena proseguì nella consueta calma e compostezza.
Quando fecero per ritirarsi tutti, Groves si avvicinò piano alla ragazza che si stava spolverando i pantaloni dalle molliche di pane sotto lo sguardo attento del Lord e mostrò dal nulla un pacco con un fiocco decorativo.
Eris sgranò gli occhi quando l’uomo le disse che quando l’aveva vista in giro per il porto aveva pensato a lei e lo aprì eccitata.
E proprio come fu veloce nell’aprirlo, fu veloce nel richiuderlo. Il sorriso gelato sulle labbra.
«E’ una bambola di porcellana. E’ molto famosa in Francia.»
Tutto ciò che pensò la mora fu come buttarla fuori bordo appena il ponte fosse caduto nel totale isolamento. Non aveva alcuna intenzione di venire osservata da quei piccoli occhi di vetro malefici mentre dormiva.
«Ehm…grazie…è molto graziosa. Meglio riporla accuratamente, non voglio mica che possa danneggiarsi.»
Cutler, che era rimasto curiosamente ad osservare i due ultimi rimasti, tossì per attirare la loro attenzione ed il tenente si dileguò in fretta, impaurito dallo sguardo del più alto in carica.
Fece cenno alla ragazza di seguirlo che obbedì senza fare un fiato, anche se non ne aveva moltissima voglia, con il pacco saldamente ancorato sotto braccio.
Attraversarono il consueto corridoio fino a raggiungere il suo ufficio stracolmo di tavoli e mappe nautiche. La scrivania piena di piccoli soldatini.
Adibito per l’occasione, un piccolo tavolo rialzato mostrava la loro scacchiera, due poltrone poste ai lati opposti pronte per i degni avversari.
Beckett afferrò due bicchieri rotondi e versò il brandy in entrambi, avvicinandosi alla poltrona dove la ragazza si era già comodamente seduta.
«Prendete»
La Gallese corrucciò la fronte e agitò una mano, come scacciando l’idea.
«Bene.» Cutler poggiò lo stesso la bevanda sul mobile vicino a lei e andò a prendere posto dall’altro lato.
«E’ passato molto tempo dall’ultima partita a scacchi. Ti sei allenato tutto questo tempo per studiare le mie strategie?» scherzò la mora, sistemando dritti i propri pedoni neri.
Il Lord rise al sarcasmo di lei ma non negò quella eventuale possibilità.
Mosse per primo, come gli era sempre concesso, e poi fu il turno di lei.
«Allora, riguardo ieri notte?»
Eris sussultò a quella domanda ma non si lasciò distrarre. «Cutler…» sospirò stanca dopo aver posizionato il pedone dove era certa avrebbe creato problemi.
«Sono piuttosto ostinato, Miss Gallese. Credevo che ormai ve ne foste resa conto.» rivelò senza peli sulla lingua, spostando un altro suo pedone.
Lo squadrò con una sorta di vena vendicativa «Non avevi detto che potevo dimenticarmene?»
Non aveva alcuna intenzione di essere fredda o di ferirlo, ma non se ne doveva assolutamente preoccupare dato che il signore non ne fu minimamente offeso.
«Mi riferivo al mio bacio, non al vostro.»
Eris arrossì e, senza accorgersene, vuotò il bicchiere che Cutler aveva poggiato alla sua sinistra, mentre quello lasciava scivolare un sorriso divertito.
Lasciò cadere quelle parole tra loro per qualche attimo per poter pensare lucidamente a che tipo di mossa sarebbe stata costretta a fare. Quando individuò la posizione libera spostò il cavallo in quella direzione.
«Io non ti capisco. Sembravi disprezzarmi, perché questo interesse per quello stupido bacio? Non sono nessuno, non ho nessun titolo, nessun possedimento qui.» lei conosceva bene come erano soliti architettare i matrimoni i nobili di quel tempo e lei mancava di tutte quelle qualità.
Beckett parve soppesare le sue parole, mentre si passava un dito sul mento. «Non ho mai evinto un disprezzo nei vostri confronti, solo estremo fastidio nelle numerose occasioni che avete provocato voi stessa.» come se credesse di passare inosservato, fece muovere silenziosamente il suo scacco. «Inoltre sono certo che un titolo non sarà difficile ottenerlo per voi. Stavate per essere ospitata dalla Regina in persona senza aver fatto nulla di qualificante.»
Si trovò quasi offesa da quella dichiarazione…se non fosse stato per il fatto che era la semplice e schietta verità.
«Le vostre conoscenze sono più alte della media delle donne, non sarei così contrario ad affidare me e i miei possedimenti a qualcuno simile o pari.»
Eris aprì la bocca. Non stava capendo bene o non voleva capire bene, ma Beckett si stava forse proponendo? Quell’uomo? Dopo tutto quello che avevano passato e che avrebbero dovuto passare?
Alzò una mano e la poggiò sulla sua fronte, poco sotto la parrucca bianca, studiandolo con attenzione.
«Cosa state facendo?»
«Sento se hai la febbre, deliri.» spiegò lei, seria.
Lui assottigliò gli occhi, come avvertendola che se avesse tenuto ancora un altro secondo la sua mano in quella posizione gliel’avrebbe staccata di netto.
«Non riuscite ad essere seria per una manciata di minuti?»
Ma Eris non riusciva a vedere alcuna serietà in quella situazione. Era troppo surreale per la persona semplice qual’era. Un Lord che si interessava a lei era da escludere a priori. Se poi il Lord era Cutler Beckett stavano proprio mettendo su una barzelletta.
«Siete promessa a qualcun altro?» domandò seccamente poi.
Nonostante la domanda fosse stata posta con pesante serietà e disamore, questo non fece desistere la ventiduenne a scoppiargli a ridere in faccia, quasi rischiando di far rovesciare il tavolo.
«S-Scusami-» singhiozzava tra le risate. «Ma da noi non funziona così…» prese un respiro profondo, per spezzare quel piccolo svalvolo «Comunque, per rispondere alla tua domanda, no. No, non sono “promessa” a nessuno.»
Cutler, che si era un attimo destabilizzato per l’improvvisa esplosione della ragazza, si riscosse e tornò al gioco.
«Cutler, sarò schietta. Il tuo interesse mi lusinga nonostante io non abbia fatto nulla per permetterlo…» “ma ti vedo solo come un personaggio immaginario” non era esattamente facile da elaborare nemmeno con delle parole adatte. «…ma io non appartengo a questa linea temporale. Potrei tornare al mio tempo in qualsiasi momento.»
L’ometto parve assimilare le informazioni di cui la ragazza lo stava mettendo al corrente o era concentrato nella partita a scacchi, Eris non riusciva a decifrarlo.
«E se invece dipendesse da voi e voi soltanto?»
Si trovò un momento confusa dalla domanda di lui ma quando si ricordò le proprie parole ricollegò. «Questo non posso comunque saperlo con certezza.»
Cutler mosse il suo ultimo pezzo e si alzò dal tavolo dirigendosi dall’altra parte della stanza, dove poggiavano i liquori. Senza accorgersene aveva vuotato anche lui il proprio calice.
La ragazza abbassò lo sguardo sulla scacchiera e studiandola capì che il Lord si era volutamente suicidato, concedendogli l’ennesima vittoria.
«Sono un corsaro al servizio di sua maestà, Eris. Non ho un’alta aspettativa di vita. Non ho escluso la possibilità di morire da un momento o l’altro durante questa mia persecuzione.» e buttò giù un altro calice di brandy e la ragazza non lo biasimò.
Era piuttosto scossa dalla sua rivelazione ma cercò di non darci troppo peso e fargli capire che lei fosse a conoscenza di qualcosa. Si alzò anch’essa e si avvicinò alle sue spalle curve.
«Allora cambia idea.» e gli posò una mano sulla schiena, come sperando che quel gesto di comprensione e assistenza lo convincesse. Ma era una speranza inutile.
«Sapete che è inevitabile. Non chiedete ciò che non posso concedere.» malgrado avesse usato un tono crudo, non si scostò dal calore della mano sulla sua schiena. Rimase immobile a guardare fuori dalle grandi finestre dell’Endeavour il mare che sembrava più piatto di una tavola.
Quando si girò verso di lei la trovò ferma a guardare una delle sue carte nautiche ma chiaramente non stava leggendo nulla.
«Tornando al discorso di prima,l’unico mezzo, quindi, è corteggiarvi.»
Eris strabuzzò gli occhi e tornò a mettere su quella faccia stanca e piena di disapprovazione ma quando incontrò il ghigno divertito del Lord non riuscì a far altro che ridere.
Quindi sapeva anche prenderla in giro in modo genuino, quando voleva.
«Buonanotte, Lord Beckett.»
La Gallese fece per ritirarsi ma Cutler la pensò diversamente. La afferrò per un braccio, come aveva fatto ore prima e se la costrinse contro, trattenendola.
Sollevò una mano al suo viso e quando la ragazza fu certa che l’avrebbe baciata di nuovo, quello girò il suo viso il giusto affinché potesse premere le sue labbra sulla guancia rosso cremisi.
Quando si tirò dietro un sorriso civettuolo gli aleggiò sul viso facendola boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.
«Buonanotte, Lady Beckett.»
E la lasciò andare, girando la scrivania prima che la giovane potesse pensare di dargli una sberla.
«N-Non sono più Lady Beckett!» urlò imbarazzata, osservandolo sedersi dietro le sue carte e riprendendo il lavoro come se nulla fosse successo.
La mora sbuffò forte, certa che ormai la vittoria fosse dell’uomo, e uscì come una baraonda, dimenticando il pacco di Groves vicino alla scacchiera.




Angolo dell'autrice
Il fatto che stia sfornando capitoli su capitoli, giuro, sorprende anche me. Ho cominciato a scrivere e non mi sono più fermata, escono fuori idee su idee e non posso credere che ormai mancano due o tre capitoli all'inizio della storia dei Pirati (che è la parte più difficile da scrivere a causa dei tanti eventi già presenti).
Cari lettori, spero vi sia piaciuto questo capitolo. Nel farlo mi sono imposta di ristudiarmi un po' il carattere di Beckett e mentre vedevo la scena di lui ed Elizabeth Swann all'interno del secondo film, ho constatato quanto possa essere subdolo e malizioso. Inoltre nel libro è propriamente stato descritto come un ottimo personaggio manipolativo e provocante anche per raggiungere il suo status.
Non è facile scrivere di lui, lo ammetto. Infatti credo di averlo reso anche piuttosto instabile, povero caro.
Ma va beh, diventerei instabile pure io con una come Eris tra i piedi.
Volevo aggiungere, inerente a questo capitolo, che Cutler è il minore di 3 fratelli: Jonathan Beckett Jr, Bartholomew Beckett e Jane Beckett, secondo la storia della sua famiglia. 
Il libro descriveva solamente il padre come una cattiva figura per lui (nonostante avesse sempre desiderato la sua apprensione) mentre i due fratelli li ho caratterizzati io così, poichè non approfonditi.
Spero vi abbia ancora stuzzicato l'interesse. Fatemi sempre sapere cosa ne pensate.
A presto.

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Capitolo 15
*** Passi falsi ***



Capitolo 15. Passi falsi
 
Quando Eris aprì gli occhi l’unica cosa che occupò il suo campo furono due piccoli occhi di vetro spettrali e dal colore innaturale.
Tirò un urlo talmente agghiacciante che accorsero più di sette uomini della marina a capire che cosa le fosse capitato alle 8 del mattino.
Sulla sedia, vicino al suo letto nella cabina, la bambola di porcellana che il Tenente Theodore Groves le aveva regalato, guardava malignamente la giovane donzella che si era appiccicata alla parete di legno della stanza, lontana da quel mostro privo di anima.
Ovviamente, Cutler trovando il pacco dimenticato nel suo ufficio credeva di fare una buona azione riconsegnandolo alla legittima proprietaria. E Mercer, incaricato di portarlo nella sua camera, aveva trovato altrettanto benevolo poggiare la bambola accanto al suo letto.
«Che vi è saltato in mente?!» abbaiò, mentre li guardava lavorare a fianco dei vari tenenti.
«Perché tanto scandalo, Miss Eris…è soltanto una bambola di porcellana» si lamentò Cutler mentre faceva ruotare un pezzo da otto sulla scrivania con le dita.
«Tu non sai» mormorò in un tono spettrale, rabbrividendo al ricordo del film Annabelle che vide a suo tempo.
Beckett sembrava aver ricevuto già le informazioni riguardo i nove pezzi da otto e stava pian piano mettendo ogni pezzo del puzzle al proprio posto.
Passarono diversi giorni e senza rendersene conto il vento aveva cominciato a rallentare. La nave non andava più veloce come prima e il tempo si allungò più del previsto.
Quel ritardo mise addosso alla Gallese un brutto presentimento. La storia non poteva avere dei cambiamenti troppo estremi o lei non sarebbe riuscita a portare in salvo nessuno. Non sarebbe stata in grado di prevedere il futuro.
E il destino parve e rischiò di mutare esattamente la notte del quinto giorno di mare.
Sul ponte della nave, a quell’ora della sera, giravano soltanto i soldati che verificavano e accertavano la normale quiete. Eris era troppo in pena per riuscire a chiudere occhio e Cutler sembrava essere tremendamente indaffarato con i problemi che stavano riscontrando con la navigazione.
Salì sulla prua, sperando che il vento la cogliesse in pieno, ma nemmeno un alito le smosse i capelli. C’era solo un freddo tremendo che li accompagnava in una serata spenta e triste.
Girò sui tacchi e fece per tornare alla propria cabina quando un richiamo curioso le suonò nelle orecchie. Era sensuale e morbido, come musica tentatrice.
Camminò nella direzione dove credeva provenisse quel suono e si trovò davanti alla scalinata a chiocciola che la portava sotto il ponte, dove era solita allenarsi con il Commodoro l’Ammiraglio Norrington.
Poi, dei passi taccati provocarono un improvviso silenzio da parte di quella musica, e la costrinsero a girarsi nella loro direzione.
Dalla scala che portava sotto coperta, un Cutler Beckett barcollante che si sosteneva con forza al parapetto scendeva le scale uno scalino alla volta, come se avesse paura di cadere da un momento o l’altro.
«Ho quasi l’impressione che ormai la sorte c’entri ben poco coi nostri incontri…» scherzò la Gallese, avvicinandosi piano all’uomo, ricordandosi di buttare un’ultima occhiata alla scalinata scura.
Il capitano alzò la testa nella sua direzione e lasciò che un sorrisetto scarno lo accompagnasse per il resto della discesa.
Alla luce delle torce, Eris notò come fosse emaciato e traballante. Aveva qualche ruga ai lati degli occhi e sulla fronte, piena di pensieri e sembrava reggersi a stento in piedi da solo, senza sostenersi al suo bastone.
Probabilmente non dormiva da giorni per riuscire ad uscire da quella situazione persa.
«Dovresti prenderti una pausa, Cutler.» suggerì lei, sostenendo il suo sguardo spento.
«Siete preoccupata per la mia salute, molto toccante.»rise sarcasticamente lui, muovendo un passo nella sua direzione.
Quando il bastone toccò la trave, scivolò inavvertitamente dalla mano del signore che quasi cadde a terra se non fosse stato per il sostegno delle braccia della ragazza accanto a lui.
«Sono sempre preoccupata per la tua salute. Forza.»
Fortunatamente si trovavano sullo stesso corridoio delle loro cabine e quasi respirò di sollievo quando riuscì a trovare la chiave della sua camera da letto senza troppi problemi.
Quando aprì la porta il cagnolino, che come sempre l’aspettava, cominciò ad abbaiare e girare in tondo, salutandola e Cutler si premette due dita contro la tempia, infastidito.
«Fate tacere quella bestia» sibilò.
Eris prese un osso che il cuoco le aveva dato e lo tirò all’angolo della stanza con un rumore sordo. Il cucciolo, attirato, corse nella sua direzione e prese a sgranocchiarlo contento.
La ragazza accompagnò Beckett al proprio letto e lo lasciò adagiare sulla sua superficie. Quello la osservò andare ad una bacinella di ferro e intingere quello che sembrava un panno bianco di stoffa.
Poi tornò da lui e gli passò la pezza sulla fronte, aiutandolo a togliersi la parrucca sanguinosamente ancorata al capo.
«Siete incredibile»
Eris alzò un sopracciglio.
«Un giorno siete voi stessa a provocare la mia stanchezza e quello dopo vi prendete cura di me»
La mora poggiò la pezza sul mobile lì accanto e si sedette vicino al suo petto, guardandolo con una sorta di curiosa attenzione, le mani giunte sui pantaloni neri.
«Sei mio marito, dopotutto» scherzò, togliendo una goccia d’acqua rimasta lungo la sua tempia.
Cutler sbuffò divertito e la studiò per qualche istante mentre continuava con i suoi trattamenti delicati. Si concesse di chiudere gli occhi per qualche minuto, sperando che quella non gli tagliasse il collo nel sonno.
Mentre lo aiutava a rilassarsi Eris capì che la premura che rivolgeva nei confronti dell’uomo non doveva trattarsi di sola e semplice simpatia. Anche perché Beckett ispirava tutto tranne che simpatia.
Ma non voleva nemmeno confondere il desiderio con il sentimento. E certamente a questo aveva pensato anche lui. Non era certo se quel loro bacio fosse scaturito dalla passione o dall’affetto.
Non poteva negare l’innegabile. Cutler Beckett era un uomo stoico, freddo e manipolatore ma aveva anche tanto charme di cui non mancava mai. Era sarcastico, aveva il senso dell’umorismo (cosa che sfidava gli altri nobili a possedere con una come lei) e si era preso cura di lei per molto tempo senza alcuna garanzia o rimborso.
Con il suo lato calcolatore, era quasi certa che la stesse trattenendo sulla propria nave anche per le conoscenze che nascondeva.
Passò la mano dalla fronte alla guancia, fino ad arrivare alle labbra socchiuse. Un brivido l’attraversò da capo a piedi. Sembrava quasi una maniaca.
Nonostante tutti i nervi, muscoli e fibre del proprio corpo le stessero comunicando di non cadere in tentazione, il desiderio di baciarlo in quel momento silenzioso prese il sopravvento sulla sua persona.
Le persone deboli avevano sempre bisogno di un contatto umano, e lei era senza ombra di dubbio la più debole su quella nave.
Il cuore le saltò in gola quando il Lord aprì nuovamente gli occhi di ghiaccio, colta in fragrante mentre lo studiava, le dita che ancora aleggiavano sulle sue labbra.
Tuttavia, sembrava quasi invitarla a farlo con quello sguardo malizioso e quel sorrisetto che gli sollevava un angolo della bocca.
«Sei un diavolo tentatore.» lo rimbeccò e prima che potesse ridersela sotto i baffi, si piegò su di lui e lo baciò forte, in parte per zittirlo, in parte per terribile desiderio di vederlo colto di sorpresa.
Con un grugnito che crebbe di non sentire mai da un uomo del calibro di Beckett, le affondò una mano nei capelli, sollevando la testa quel poco per raggiungerla meglio.
«Baciate come una puttana» mormorò contro le sue labbra quando lo schiocco risuonò per tutte le quattro pareti della stanza.
Eris ghignò «Come fate a sapere che bacio come una puttana se non l’avete mai sperimentato?»
«Touché»
Quando tornarono nuovamente l’uno alle labbra dell’altro un forte boato e una violenta scossa costrinse Eris a piegarsi e a perdere il contatto.
Volse la testa verso la porta, scossa, pensando che fosse provenuto da lì, ma quella era saldamente chiusa.
Beckett si tirò a sedere quasi nello stesso istante, correndo a prendere il bastone da passeggio, tirando fuori dal fodero quella che sembrava una vera e propria spada fina.
«Cos’è stato?» domandò mentre quello caricava la pistola che aveva al suo fianco.
«Restate qui. Non uscite per alcuna ragione.»
Il cagnolino stava piagnucolando ad un lato del letto, spaventato dai successivi colpi e il continuo calpestare poco sopra di loro.
Eris si alzò, prendendo il coltello dentro il cassetto della mensola ma prima che potesse unirsi a Cutler, quello la bloccò per il gomito, tirandola indietro.
«Farai come ti ho ordinato.»
Beckett raramente perdeva il controllo e la riverenza. Il fatto che si fosse lasciato andare era solo un segno di profondo nervosismo.
La Gallese scosse il capo ma non si oppose quando l’uomo la portò nuovamente a sedere sul letto, lasciandocela.
«Busserò tre volte e dirò il mio nome quando sarà finito.»
«Beckett!»
Ma quello era già uscito fuori e un’inconfondibile click bloccò la porta della sua stanza, chiudendola al suo interno.
Rimase almeno un quarto d’ora ad ascoltare i colpi di armi da fuoco e il rumore di corpi che colpivano il suolo sopra la sua testa e si era irrigidita come un palo. Era tutta colpa sua! Aveva alterato il corso della storia e in quel momento stavano morendo decine di soldati della compagnia.
E anche Cutler, anche Beckett stava rischiando la sua vita.
Balzò in piedi, stringendo forte il coltello, e si avvicinò alla porta sbarrata. Tentò di aprirla con calci e pugni ma non funzionò.
Aveva una paura matta di uscire di lì, trovarsi a confrontarsi con un possibile nemico, a rischiare la morte.
Non aveva mai messo in gioco la sua vita in modo così spaventoso e tremò quando si rese conto che la distanza che la separava era soltanto quel semplice pezzo di legno.
Doveva calmarsi e raccogliere le idee.
Premette due dita contro le tempie, cercando di assopire il timore che le bloccava i muscoli e arrivò da sola alla conclusione che lì dentro avrebbero potuto assaltarla in qualsiasi momento, e non avrebbe avuto nessuna via di fuga.
Doveva uscire.
Avanzò il coltello verso la serratura e con una spallata lo costrinse a rompere parte del legno che copriva la serratura, poi la fece scattare aprendo finalmente quella prigione.
Sottocoperta la investì un forte odore di polvere da sparo e fumo, e assopì l’idea che il sangue potesse far parte di quel miscuglio di odori.
Con una mano a coprirsi la bocca, salì velocemente le scale che portavano al ponte superiore ma si trovò chiusa da una grata di legno che separava lei dalla libertà.
Fortunatamente la chiave era ancora attaccata alla trave quindi non impiegò molto a farla scorrere via ed uscire allo scoperto.
Davanti a lei si parò il caos. Corpi di soldati e pirati erano stesi a terra, in un lago di sangue, e quando tentò di avanzare calpestò una mano che fece un orribile suono di ossa spezzate.
Si trattenne dal vomitare mentre si piegava a prendere la spada affilata che giaceva lì vicino e salì verso l’ufficio di Cutler.
Da lì sopra osservò come il campo di battaglia fosse disseminato di marine e pirati in conflitto a colpi di spade e armi da fuoco. Molti urlavano di dolore, altri come una sorta di liberazione e tutto intorno era un frastuono completo.
Alle sue spalle sentì un grido di rabbia e, prima che venisse travolta lei stessa, un corpo ruppe la staccionata che li separava dal vuoto e cadde giù, rompendosi l’osso del collo.
Il pirata giaceva a terra, immobile e quando Eris guardò alle sue spalle trovò un James Norrington guardarla scioccato.
«Perché siete salita qui sopra! E’ pericoloso!»
Prima che potesse tornare a darle attenzione, un altro pirata gli rovinò addosso costringendolo in un’altra folle battaglia di spade.
Eris si agitò, cercando di allontanarsi da quel conflitto e gli occhi le caddero inevitabilmente in una zona molto vicina al parapetto della nave.
Lì, con la spada protesa davanti a se, il Lord combatteva contro diversi pirati che avevano accerchiato lui e Mercer, che lo proteggeva da vicino.
Scese velocemente le scale per raggiungerlo, per sentirsi protetta anche lei. Fu a pochi passi da lui quando un forte colpo la mandò giù come una pera.
Il corpo di un soldato era stato gettato su di lei, senza vita, e la bloccava contro il terreno pregno di sangue. Gemette e urlò per lo sforzo di togliersi l’uomo di dosso e quando vi riuscì si issò in piedi come una molla, cercando di togliersi alla meglio il sangue dalla guancia.
Tornò a sostenere la spada davanti a sé ma ora tutti avevano preso ad ignorarla, troppo impegnati per combattere battaglie più difficili.
Volse lo sguardo alla sua sinistra e trovò Cutler puntare la spada al collo di un pirata con un tricorno rosso sangue. Aveva alzato le mani, in segno di resa, ma aveva un ghigno beffardo sul viso scarno e sporco.
«Cutler!»
Beckett sobbalzò quando sentì la voce della donna e si girò appena, senza però abbandonare il controllo sul suo prigioniero.
«Vi avevo detto di restare di sotto!» urlò arrabbiato, spostandosi così che potesse tenere d’occhio entrambi allo stesso tempo. «Perché non obbedite mai, dannazione?!»
«Avevo paura lì sotto da sola…» alzò la voce lei, sovrastando il chiasso intorno a loro. «Non sapevo che altro fare.»
Un movimento da parte del pirata distrasse per il tempo che serviva il Lord dalla ragazza.
Senza rendersene conto, qualcuno le strattonò i capelli in una presa ferrea e una lama rossa e gocciolante di sangue fu posta al suo collo. Sentiva il fetore dell’uomo dietro di lei e tremò di paura lasciando cascare a terra la spada con un tonfo.
«Non sarei così stupido, milord…» sghignazzò il pirata tenuto prigioniero, indicando, con un cenno sgraziato della testa, la ragazza sotto ostaggio.
Cutler strinse i denti, non spostando minimamente la lama dalla gola dell’uomo. Anzi, a quella visione non fece altro che restringere la vicinanza che lo separava dalla morte.
«Rilasciatela e vi garantirò una morte veloce.» sibilò abbastanza forte da farsi ascoltare da tutti.
Il pirata rise. «Devi migliorare le tue capacità di contrattazione» e schioccò le dita.
L’omone che teneva stretta la ragazza strinse ancora di più la presa facendola urlare di dolore. Non sapeva cosa fare, se ne stava lì, usata solo come un ricatto per Beckett. La presa ai suoi capelli era molto bassa, sentiva la mano del pirata poggiarsi sgraziatamente alla base della sua schiena per la pressione applicatale.
«Aspetta!» gridò il Lord, più all’aguzzino che al pirata che teneva sotto portata. Le lanciò un ultimo sguardo poi tornò al capitano avversario.
Abbassò lentamente la lama, concedendo la libertà al brigantino e attese.
Eris invece ebbe come un’allucinazione. La visione del corpo trafitto da parte a parte di Cutler le balenò davanti agli occhi come se stesse avvenendo davvero davanti a lei. Vide il sangue bagnare il retro del suo capotto scuro, lo vide piegarsi in ginocchio davanti a quel pirata che mostrava una chiostra di denti neri e marci ma felici. Lo vide morire e non ci capì più niente.
Afferrò il coltello che aveva fissato alla cintola dei pantaloni e lo poggiò poco sopra la mano che le stringeva i capelli. Prima che il criminale che la teneva stretta potesse accorgersi di niente, si tagliò di netto la parte di chioma intrappolata e fu libera di correre.
Corse, veloce, ma il capitano che stava per trafiggere Beckett se ne accorse e lo spostò di lato con un forte colpo del braccio.
Accadde tutto nel giro di pochi istanti. Il corpo del Lord si sbilanciò oltre il bordo, la spada che doveva trafiggerlo trafisse la spalla della giovane, e la lama del coltello che lei sorreggeva nella mano destra andò a penetrare la carne molle come budino del collo del pirata.
Sentì il fiotto caldo del sangue che gli rovinava sulle mani e osservò come il sorriso beffardo cominciò a mutare in uno di completa sorpresa gorgogliante.
Non notò nemmeno che alle sue spalle, Mercer aveva dato la stessa sorte al pirata che la teneva prigioniera e che fissava ancora confuso la ciocca di capelli nella grossa mano, finché la testa non gli fu staccata di netto.
Il capitano pirata scivolò a terra, la bocca aperta, il sangue grumoso che scivolava giù e la mano di qualcuno andò a scuoterla vigorosamente.
«Miss Gallese! Ragazza, torna in te!»
Aveva come un velo davanti agli occhi, si sentiva stanchissima e debole. Le stava venendo da vomitare…e poi lo vide. Un piccolo puntino al di là del parapetto che cercava di restare a galla nelle acque profonde e buie.
L’unica cosa che il suo cervello ripeteva come un mantra era che stava per morire, che sarebbe morta, che non doveva muoversi, che doveva sedersi chiudere gli occhi e attendere.
Ma le sue gambe sembravano avere un’idea diversa perché salirono oltre il limite e la costrinsero a saltare giù, quasi nello stesso punto di dove stava cercando di riaffiorare Beckett.
L’acqua la investì gelida ma calma, smossa soltanto dal leggero movimento dell’Endeavour, e sembrò svegliarla dal coma che l’aveva distaccata da quel mondo.
Nuotò nuovamente in superficie ma non trovò Cutler da nessuna parte. Si girò intorno, muovendo braccia e gambe per restare a galla, e cominciò a farsi prendere dal panico.
Era buio, freddo e non vedeva nulla. Non sarebbe mai riuscita a trovarlo in quelle condizioni.
Poi qualcosa gli sfiorò la caviglia, e senza farsi prendere dal panico, si buttò di nuovo sotto il pelo dell’acqua. Trattenne il fiato e si mosse nella stessa area dove aveva visto Beckett faticare e solo quando la sua mano si chiuse intorno ad un tessuto decise di riemergere portandosi tutto dietro.
Pian piano che si avvicinava alla superficie, sperò tuttavia, che non avesse agguantato un morto.
Prese una grossa boccata d’aria, mentre i capelli, ormai seppur corti, le semi ostruivano la vista appiccicandosi sul suo viso. Li scostò con un movimento del capo e nonostante il dolore acuto alla spalla sinistra fece leva con tutte le sue forze su ciò che aveva acciuffato e il viso del Lord comparve davanti ai suoi occhi stanchi.
Aveva gli occhi chiusi e il corpo non combatteva contro la potenza e la corrente del mare. I suoi vestiti pesavano e con la sua sola forza non ce la fece a reggerlo a sufficienza.
Finirono nuovamente sotto l’acqua ma Eris non mollò la presa sul corpo svenuto (lo sperava) dell’uomo, anzi vi si aggrappò con tutte la sua volontà. Come due sassi presero ad affondare sempre più giù, sempre più giù, finché anche la luna alta nel cielo sembrò oscurarsi.
L’aria nei polmoni la stava abbandonando, la pressione della profondità del mare le stava schiacciando la testa, il corpo aveva smesso di lottare contro la pesantezza di entrambi…
E allora pensò e provò la loro sola e unica speranza.
«Davy Jones.»
Dal basso, la cima di un albero con vele simili ad alghe li sfiorò facendoli spostare a causa delle corrente creata e senza sapere come, qualcosa sostenne i due corpi portandoli veloci verso la superficie.
L’Olandese Volante uscì dall’acqua imponente e incutendo timore in tutti coloro che vi posarono sopra gli occhi. Navigò vicino all’Endeavour e travolse la piccola nave pirata che aveva osato attaccarli, riducendola in mille pezzi.
Eris, che tossiva e sputava ancora acqua si piegò sul corpo di Beckett supino sul ponte dell’Olandese e sorrise quando gli occhi grigi di Cutler le si posarono sul viso affaticato.
La ciurma di Jones corse verso l’altro lato della nave, pronta alla battaglia con il resto dei pirati rimasti in vita mentre Davy Jones avanzò nella direzione dei due sopravvissuti con un’aria disturbata.
La Gallese provò ad alzarsi facendo forza con il braccio sinistro ma una fitta la costrinse nuovamente a terra. Si premette forte la mano buona sulla ferita alla spalla che ormai trasudava sangue e acqua di mare e alzò lo sguardo verso il capitano della nave salvezza.
«Grazie.» disse solamente.
La vista le si riempì lentamente di puntini neri e si lasciò scivolare con la schiena a terra, incurante di ciò che la circondava. Ascoltò, per quella che gli parve un’eternità, gli urli di Cutler che le ordinavano di svegliarsi, poi vennero gli schiaffi e successivamente più nulla. Potevano anche prenderla a calci, pensò all’ultimo istante, ormai aveva dato tutto quello che poteva.

Quando aprì gli occhi si sentì tremendamente confusa. Un calore aleggiava intorno a lei, e tutto le sembrava sfocato e irreale in quel momento.
Guardandosi meglio intorno, notò di trovarsi nella camera del palazzo del Re a Londra. Il letto era in ordine e senza una piega, due bauli giacevano a terra di cui uno era aperto, le finestre erano aperte e un vento leggero muoveva le tende.
Mosse qualche passo verso di essa, sentendo come se invece di camminare stesse librando a mezz’aria, e la visione che si parò davanti a lei la sconvolse.
Sulla balconata Cutler Beckett stava baciando la perfetta copia di se stessa, nel vestito bianco e oro della cerimonia di pochi giorni prima.
«Mi faceva davvero quel culone?» chiese ad alta voce e certamente non si aspettava che qualcuno le rispondesse.
«Non è esattamente il tuo colore, mia cara.»
Eris sussultò e trovò una figura incappucciata con una lunga veste nera seduta sul letto a baldacchino proprio dietro di lei. Eppure pochi secondi prima non c’era nessuno.
«Chi sei?» domandò subito, vedendo la figura volteggiare in aria e volando verso di lei. Era come una sorta di dissennatore inquietante, ma con una voce più femminile e melodica.
«Avresti mai immaginato che con un gesto simile si arrivasse al mutamento della storia?» il triste mietitore puntò una manica nera verso i due amanti poco distanti da loro che si erano bloccati con le labbra ancora incollate.
«Non capisco…» sussurrò Eris, smarrita, osservando la coppia.
«Eris, sei in coma!» la nuova arrivata schioccò le dita davanti a lei e attirò l’attenzione su di sé. «E’ un sonno che ti ho imposto io.»
La ragazza corrucciò la fronte e la sondò da capo a piedi, come per accettarsi che non fosse impazzita a causa del poco ossigeno ricevuto in quell’immersione…
«L’immersione, giusto! Beckett, devo vedere Beckett!» realizzò, urlando alla figura, come se lei potesse risolvere quel suo problema.
Quella semplicemente la ignorò di nuovo e svolazzò in aria e in tondo, facendole girare la testa ancor di più di quando aveva aperto gli occhi.
La stanza, improvvisamente, si illuminò di un forte bagliore bianco e si trovarono nella sua piccola cabina sull’Endeavour.
Sul letto, stesa e dormiente, c’era lei (osservarsi la inquietava terribilmente) mentre al suo fianco Cutler le stringeva la mano fuori dal lenzuolo, seduto su una sedia.
«Spero tu ti renda conto di quanto grave sia stata la tua comparsa.» la figura vorticò vicino al Lord. «La scelta di proteggere te invece che se stesso non è contemplata nella personalizzazione del suo personaggio.»
Eris sgranò gli occhi. «Tu sai…chi cazzo sei?»
«Io sono un SaltaMondi» scomparve e ricomparve proprio davanti a lei, facendola quasi cadere a terra per la sorpresa. «Il mio compito è sorvegliare che le storie procedano senza intoppi…e tu, in questo caso, sei stato il mio intoppo.»
La ragazza tornò con lo sguardo su Beckett che si era alzato ed era uscito in tutta fretta dalla stanza, lasciando il corpo spento di Eris su quel letto scomodo e duro per i suoi gusti. Aveva i capelli corti e la spalla era stata fasciata molto stretta, coprendo una probabile brutta ferita.
«Eris, tu hai usato un passaggio che non doveva esistere. Tu non dovevi esistere. Devi lasciare che la storia faccia il suo corso.» sembrava quasi che la figura la stesse supplicando con un tono severo. «Devi lasciare che Cutler Beckett muoia secondo e come narra la storia.»
La mora assottigliò gli occhi verso di lei e digrignò i denti come un cane selvaggio «Mai. Il destino ha voluto rendermi partecipe di questo.»
«Non vantarti, cara. Non è stato il destino a portarti qui, semplicemente il mio errore di lasciare aperto il passaggio.»
La giovane boccheggiò, non trovando nulla contro cui ribattere e tornò con lo sguardo verso la sua copia addormentata.
«Se Cutler Beckett si innamora di te, le sue scelte muteranno e morirà comunque. Ma in questo caso, tu non sarai in grado di proteggerlo o di proteggere te stessa perché non capirai e non conoscerai il mutare della storia.»
Lei aveva paura di morire. L’aveva avuta quando aveva affrontato quei pirati a viso scoperto, l’aveva avuta quando si era lanciata fuori bordo per salvare Beckett…ma questo non l’aveva fermata.
«I-Io…Io ho deciso di proteggerlo. Lo aiuterò a perdere questa ambizione inutile.» rivelò, senza mezzi termini. Non si sarebbe fatta abbattere da quella inquietante presenza.
«Non sei un’eroina, non sopravvalutarti troppo.»
Inaspettatamente, la visione davanti a sé prese a sfumare fino a creare un misto di colori intorno a lei. Non capiva cosa stava succedendo, sentiva il salire di un attacco di panico.
«Ah, un’ultima cosa…» la canzonò la voce della figura che non vedeva più da nessuna parte. «Se Cutler Beckett non muore, tu non potrai più tornare a casa.»
«CHE?!»

L’urlo le era rimasto sulle labbra, un braccio teso verso l’alto. Era tornata nel suo corpo.
E come a confermarle quel fatto, una fitta lancinante la fece gemere forte e riabbassare lentamente il braccio ferito lungo un fianco.
«Cazzo» sospirò, premendo contro la ferita fasciata con la mano libera.
Mosse la testa prima da un lato, poi dall’altro, assicurandosi che fosse davvero tornata nel proprio corpo e con tutte le conseguenze.
Il cagnolino, che non aveva notato mentre sognava, era accucciato vicino ai suoi piedi e sonnecchiava come ad accompagnarla.
Cercò mentalmente di tornare a ciò che era successo prima che si trovasse lì sopra e il ricordo del pirata morente, con la lama del suo coltello che gli trapassava la trachea da parte a parte, le riempì la vista.
Aveva ucciso un uomo a sangue freddo e senza pensarci due volte, aveva sentito il suo sangue caldo bagnarle la mano e colorandola di quel rosso orrendo…
Prima che potesse trattenersi, si girò sul fianco destro e vomitò tutto ciò che aveva nello stomaco, chiudendo gli occhi nello sforzo.
Quando li riaprì un poco notò che il rigurgito era, per lo più, caduto all’interno di un secchio stracolmo di acqua, facendola vorticare davanti al suo viso.
Tornando con la schiena contro il materasso, sospirò stancamente. Si sentiva completamente svigorita, i suoi muscoli chiedevano pietà e altro riposo ed Eris fu favorevole a concederglielo.
Il SaltaMondi le aveva detto che se Cutler Beckett non fosse morto, lei non avrebbe più avuto occasione di tornare a casa dalla sua famiglia. E se Cutler Beckett si fosse concesso di innamorarsi di lei, le sue scelte sarebbero mutate davvero? L’amore sarebbe stato realmente in grado di trasformare le ambizioni di un uomo ferito e vendicativo?
Eris non lo credeva possibile, come non credeva possibile che Beckett potesse innamorarsi di qualsiasi cosa che non fosse la sua Compagnia.
Desiderava tornare a casa più di qualunque altra cosa al mondo.
Con le lacrime agli occhi girò verso la spalla ferita che pulsava e si sentì una bambina. Elizabeth era più giovane di lei e non si sarebbe mai messa a piagnucolare per una ferita alla spalla e la lontananza da casa.
Si portò l’avambraccio sano a coprire gli occhi che non smettevano di lacrimare e prese un respiro profondo, come a cercare di quietare quel panico che le aveva bloccato lo stomaco.
«Miss Gallese! Siete sveglia!»
Eris, colta di sorpresa, volse la testa verso la porta e trovò un uomo con una lunga parrucca grigia e dei vestiti molto singolari.
Sul viso aleggiava un sorriso splendente quasi esultante.
Non l’aveva mai visto a bordo, come era possibile?
La giovane provò a cancellare velocemente tracce di eventuali lacrime e si rivolse all’uomo con una voce raschiante che non crebbe provenire da lei stessa.
«Chi sei tu?»
«Sono il medico di bordo, mia signora!» le si avvicinò e le prese il viso tra le mani, scostandolo con leggerezza prima da una parte e poi dall’altra. «Credevo che non vi sareste più svegliata»
Eris si accigliò a quelle parole. «Più svegliata?»
«Sono passati tre giorni da quando avete chiuso gli occhi…» la mise al corrente il dottore. «Fortunatamente avete superato la notte di febbre. Lord Beckett aveva ragione sulla vostra testardaggine.»
La mora provò a mettersi seduta e il nuovo arrivato la aiutò contro la tastiera del letto, limitando al massimo i suoi sforzi. «Cosa ha detto Beckett?» si ritrovò a chiedere, la gola che le bruciava.
L’uomo sembrò un po’ a disagio, e si strinse appena nei suoi abiti prima di tornare a guardarla. «Sosteneva, mia signora, che non gli avreste concesso la liberatoria assenza della vostra presenza.» rivelò «Che avreste combattuto anche la morte per tornare da lui.»
Eris si morse forte l’interno della guancia e girò il viso dal lato opposto. Non riuscì ad impedire che un sorriso divertito le strisciasse sulle sue labbra ma nemmeno che altre lacrime, stavolta di commozione, tornassero a bagnarle le guance.
Annuì, come a tranquillizzare il suo curatore, e trattenne un singhiozzo.
«Come vi sentite?» chiese dopo averla lasciata sfogare un po’. «La spalla-»
Abbassando lo sguardo sulle proprie vesti, la ventiduenne notò di essere coperta solo da un abito da notte che le lasciava le spalle e le clavicole completamente esposte. La fasciatura era impregnata di una sostanza appiccicosa che non riusciva a riconoscere e la stringeva troppo forte.
«La fasciatura…posso averla un po’ più lenta?» domandò al dottore, con un tono leggero. «E un po’ di acqua…quella l’ho sporcata…» continuò con un leggero rossore, riferendosi al secchio di vomito lì vicino.
Il medico, accortosi in quel momento del piccolo disastro della ragazza, abbassò gli occhi contornati da un paio di occhiali rotondi ai suoi piedi e quando li risollevò sulla ragazzina le donò un sorriso comprensivo.
«Non deve vergognarsi, mia signora. Sono un curatore.» poggiò sul comodino un piccolo bauletto e si avviò nuovamente verso l’uscita. «Tornerò con qualcuno che possa sostituire l’acqua e ripulire, poi penseremo alla sua ferita.»
Quando aprì la porta, davanti ad essa un Cutler Beckett vestito di marrone era in attesa sull’uscio. «Come sta?» chiese subito al medico.
L’uomo trattenne un sorriso e si scostò dalla soglia, permettendo alla luce del sole di entrare nella stanza e illuminare il corpo della ragazza seduta sul letto.
La giovane alzò una mano e lo salutò, con un sorriso genuino sulle labbra.
Quello mosse qualche passo all’interno della stanza e la guardò con un’espressione sbalordita sul viso bianco cadaverico.
«Cosa c’è? Non pensavi forse che ti avrei liberato dalla mia presenza vero?» ghignò lei, tornando alle parole che aveva usato il medico che se la svignò prima che il Lord decidesse di ucciderlo nel giro di attimi.
Cutler chiuse la bocca e tornò dritto e stoico, aggirando il letto per avvicinarsi a lei. La sondò per quella che parve un’eternità, poi alzò una mano nuda al suo viso, lo accarezzò con un pollice e gli angoli della sua bocca si sollevarono, sinceramente consolato che stesse di nuovo bene.
Eris, imbarazzata, si liberò dalla presa scuotendo il capo lontano dal suo tocco e posò gli occhi scuri sulla trapunta che le copriva metà del ventre e le gambe.
Poi, prima che se ne rendesse conto, uno scappellotto le colpì il retro del capo facendola sobbalzare in avanti. Si voltò a guardarlo, scioccata.
«Che diavolo fai?! Potrei aver avuto una commozione cerebrale!» gemette, rocamente.
«La commozione cerebrale non era nel referto delle ferite riportate. Inoltre, vi dovevo uno schiaffo a causa della vostra stupidità e negligenza.» rispose freddamente l’altro, prendendo un’altra sedia e avvicinandola al letto.
«Ah, quindi aspettavi il mio risveglio solo per questo, demone!» si lamentò, gonfiando le guance in modo infantile.
«In parte. Potevate ucciderci entrambi.» le ringhiò contro, lasciandosi cadere sulla sedia e incrociando le braccia al petto. Anche quel giorno aveva la parrucca e il capello a tricorno saldamente posati sul capo.
«Di niente, eh! Ti ho salvato la vita!» disse lei, offesa.
«Salvarmi la vita? Avevo la situazione perfettamente sotto controllo.»
«Ah si? A me sembrava che quel pirata fosse lì lì per fare di te uno spiedino.»
«Avevo una pistola nel palmo della mia mano, Eris.»
A quella dichiarazione la giovane rimase senza parole. Cutler Beckett non era stato affatto in pericolo di vita. Quello che le aveva detto il SaltaMondi allora non era vero.
«Q-Quindi tu…avresti sparato a quel pirata?» “e mi avresti lasciata morire?”, ma quelle parole le morirono in bocca.
Per Beckett non fu difficile leggere l’espressione sconcertata della ragazza.
«Non potevo mica perdere l’occasione di liberarmi della vostra fastidiosa persona facendolo passare per un incidente.» ghignò.
La Gallese sbarrò gli occhi e caricò la mano buona pronta per dargli una sberla ma quello la bloccò a mezz’aria prima che potesse sfiorarlo.
«Avevo visto il signor Mercer avvicinarsi al pirata che vi teneva prigioniera già tempo prima, Eris. Da quella posizione il capitano non poteva notarlo.» corresse, serio, tornando a stringere con entrambe le mani quella della ragazza. «Ma voi, che non sapevate nulla, vi siete comunque sacrificata e avete rischiato la vita per me. Perché?»
Eris aprì la bocca, proprio come Beckett aveva fatto minuti prima nel vederla viva e vegeta, e si rese conto che la domanda che lui le aveva posto aveva una risposta già secca e preparata.
«Perché ho giurato a me stessa di proteggerti.» “faresti meglio ad ascoltarmi, SaltaMondi”, pensò, subito dopo che le sue labbra lasciarono quella dichiarazione.
«Non ho bisogno di essere protetto, Miss Gallese. Non sono un bambino.» era tornato nuovamente ostile, come se il suo orgoglio fosse stato ferito.
«Non ho mai detto una cosa del genere. E’ nell’indole umana voler proteggere a tutti i costi le cose che si amano.» sbuffò lei, alzando gli occhi al cielo.
Il fatto che Cutler non avesse ribattuto con qualche altra frecciatina la incuriosì e quando tornò con gli occhi su di lui lo trovò con un nuovo ghigno divertito.
«Che c’è?» tolse la mano da quella del Lord e si tastò il viso, temendo che avesse qualcosa di buffo in faccia.
Beckett si issò in piedi, poggiando una mano sul materasso e facendo pressione per avvicinarsi a lei. «Avete appena ammesso di amarmi, Eris?»
Eris si appiattì contro la tastiera del letto quando lo vide avanzare predatorio verso il suo viso. Si era avvicinato quel tanto per permettergli di poggiare un ginocchio sul materasso, sovrastandola per la prima volta con la sua figura.
Il viso di lei, già rosso di imbarazzo per essersi resa conto delle parole uscite dalle sue labbra, diventò ardente. «I-Intendevo nella forma generale, non mi riferivo propriamente a noi!»
Quando la mano dell’uomo si insinuò dietro la sua testa capì cosa stava per succedere. Si sentiva troppo confusa, stanca e assetata per opporre anche la minima resistenza…ma non è che la sua libido le stesse proprio dicendo che non volesse quel contatto, chiariamoci.
Chiuse gli occhi, facendosi piccola piccola ma quando avvertì il respiro del Lord sulle sue labbra la porta si aprì nuovamente.
«M-Mio signore!»
Sulla soglia, il medico stava per lasciar cadere tutte le sue bende, contrariato.
Cutler tornò nuovamente a sedersi, lasciandola libera e guardò con un’aria falsamente innocente il dottore che si avvicinava alla coppia.
«Devo cambiare le bende a Miss Gallese.»
«E’ Lady Beckett, ora. Spero tu non te ne sia dimenticato.» le parole di Cutler potevano illudere l’uomo più comprensivo del mondo, ma in quella stanza capirono tutti che c’era solo un sentore di possessione nella sua voce.
«Vattene via» ringhiò Eris nella sua direzione, spintonandolo con il braccio buono. Quello si levò in piedi, guardandola con odio e non lasciando scivolare un cipiglio minaccioso al dottore che se la rideva meticolosamente sotto i baffetti.
«Se avete medicinali in grado di gestirla per qualche ora non fate complimenti ad usarli.» sogghignò l’uomo, ricevendo come avvertimento una calza bianca contro il cappello a tricorno.
«Te lo faccio vedere io!» gli urlò dietro mentre svaniva dietro la porta prima che potesse tirargli dietro un altro rotolo.
Ovviamente, tutta la nave era venuta a sapere nel giro di quei pochi secondi che la giovane futurista era tornata coi piedi nel mondo dei vivi per continuare il suo lavoro di persecuzione.




Angolo dell'autrice
Allora, ragazzi. Finalmente è stato svelato uno dei misteri arcani della presenza ingiustificata della giovane Eris all'interno dell'intricata trama di Pirati dei Caraibi. Le interazioni tra Beckett ed Eris diventano sempre più difficili ma non abbandono la speranza possa uscire il lampo di genio che mi agevolerà la stesura della storia.
Nel capitolo c'è stata la fase più difficile per me ma anche la più emozionante, ovvero uno scontro con pirati.
Volevo aggiungere che molti navi pirata addescano le navi mercantili con zattere o navi di medie dimensioni, così che possano nascondersi agli occhi dei nemici. Questo era il caso di questa banda, che ha tentato la sorte (lo so) sfidando una nave ammiraglia.
Ho deciso di aggiungere oggi questo capitolo perchè ho terminato il capitolo 17 con molta velocità.
Inoltre volevo porvi una importante domanda quindi fatemi sapere anche per email la vostra risposta. Stavo pensando al finale della storia che arriverà credo verso il ventesimo/ventiduesimo capitolo. Riguardo questo finale volevo chiedere: chi vorrebbe che facessi un finale secco e chi invece opterebbe per due finali alternativi? Credo siano entrambi finali with happy ending ma mai dire mai >:)
So, fatemi sapere cosa ne pensate e votate in molti così in base alla maggioranza stabilirò cosa farne del finale.
Bye Bye

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Capitolo 16
*** Di nuovo a Port Royal ***


Capitolo 16. Di nuovo a Port Royal

Il resto del viaggio Eris lo passò all’interno della sua cabina. Con altri due giorni di navigazione avevano nuovamente raggiunto Port Royal grazie all’aiuto dell’Olandese che li aveva scortati con la capacità di navigare in assenza o contro vento, o almeno così le aveva spiegato Cutler.
L’uomo sembrava essere tornato distratto e concentrato sul suo scopo per darle un minimo di attenzione e aveva iniziata a visitarla sempre meno in quei due giorni.
Il quinto giorno, due giorni dopo aver approdato in Giamaica, Eris si sentì in grado si alzarsi dal letto, accompagnata dalla spalla costantemente fasciata.
Il dottor Rosslet l’aveva assistita fino al giorno prima, cambiandole un’ultima volta le bende. Non aveva avuto problemi a farsi toccare e guardare da lui per la cura della spalla…dopotutto aveva un ginecologo maschio, di cosa si sarebbe dovuta imbarazzare?
Nel periodo che aveva passato da sola si era persino occupata di sistemarsi i capelli che ora le arrivavano poco sopra le spalle, anche se con qualche difficoltà, certa che il dolore al braccio non le avrebbe permesso di migliorare il taglio.
La ferita era orribile da guardare. Era stata chiaramente cicatrizzata con un ferro rovente che le aveva lasciato la carne rossa,anche se  sembrava stesse guarendo piuttosto velocemente.
Quindi, nonostante la fasciatura non le servisse più e nonostante il medico le avesse suggerito di tenerla all’aria aperta e pulirla, la ragazza aveva deciso di coprirla perennemente con delle pezze bianche che lavava ogni giorno.
Le avevano detto che un miracolo l’aveva salvata dall’amputare il braccio ma il muscolo era comunque stato danneggiato, impedendole di alzare e stirare la spalla più di un determinato livello.
Jack Sparrow saltava di albero maestro in albero maestro e lei si era quasi fatta staccare un braccio in un solo e singolo combattimento.
Con la casacca bianca e leggera che mostrava parte della fasciatura uscì all’aria aperta, seguita dal fedele cagnolino di neve. Prese a correre nella direzione degli ufficiali che si stavano, come sempre, occupando degli affari sulla nave e abbagliando con insistenza, chiedendo attenzioni.
Qualche soldato si era piegato a salutarlo e carezzargli la testolina, altri lo avevano ignorato.
Eris percorse la rampa verso il basso, mettendo i piedi sul molo con un grosso gemito di liberazione. Quelle giornate dentro quella cabina sembravano non passare mai, nonostante Mercer le avesse dato dei libri per conto di Beckett (che aveva spacciato per intrattenimento, ma che parlavano esclusivamente di galateo).
Proprio mentre superava il molo, una fila interminabile di uomini e donne con stracci e vestiti sporchi incatenati tra loro le passò davanti.
La giovane capì che Cutler aveva dato inizio allo sterminio dei pirati. Il porto era colmo di navi della Royal Navy e della Compagnia delle Indie e con molta probabilità, erano proprio loro a garantire quel via vai di pirati imprigionati.
Passò per la strada principale in silenzio e, vestita com’era e coi quel taglio di capelli, nessuno si girò a guardarla. Durante il tragitto dovette fermarsi qualche volta per aspettare che il cagnolino potesse raggiungerla, troppo curioso a girarsi intorno per annusare e saggiare ciò che trovava.
Proprio mentre fu costretta all’ennesima pausa, osservò l’isteria di una donna in catene che faceva parte di una fila diversa da quella che aveva adocchiato sul molo.
L’anziana si agitava, piangeva, faceva schioccare le sue catene e quelle degli altri e urlava. Un urlo straziante che bloccò il respiro della ragazza.
Una guardia, irritata, le tirò un forte rovescio con il calcio del fucile, facendola rovinare a terra con le ginocchia.
Impietosita, Eris corse verso di loro e poggiò la mano destra sul braccio del soldato. «Deve già affrontare l’impiccagione, vuoi pure pestarla?»
Il soldato la guardò con cipiglio disturbato e fece per tirare anche a lei un colpo quando la voce di Gillette sovrastò il pianto della donna a terra.
«Non lo farei se fossi in te, soldato.»
Il Tenente si accostò alla mora e si chinò appena. «Non è il posto per una lady questo, mia signora.»
Eris guardò prima lui e poi tornò con gli occhi sulla prigioniera, che aveva cominciato a tremare. «Acqua…sete…»
La Gallese si girò verso il soldato che l’aveva minacciata e stracco brutalmente la sacca di acqua dalla sua cintura, aprendola e chinandosi vicino all’anziana.
«Ecco» la avvertì, avvicinando il boccale alle sue labbra chiazzate di sangue rappreso e di chissà cos’altro.
La signora, la prese avidamente senza una sola parola finché non ne vuotò il contenuto. Tornata a stabilizzarsi, un altro marine la tirò in piedi di forza davanti ad Eris ancora piegata in ginocchio e proseguirono la loro strada.
Prese la fiaschetta vuota e la riconsegnò al proprietario, che storse la bocca disgustato.
«Non serve impietosirsi verso saccheggiatori e stupratori, mia signora.» la rimproverò Gillette, guardandola spazzolarsi i vestiti che si erano macchiati di terra bagnata.
«Non sono tutti pirati.»
«Ma assistono sempre la loro causa.» la rimbeccò come si fa con i bambini che non capiscono.
La Gallese ridusse i suoi occhi a due fessure, come tentando di intimare il tenente di non azzardare un’altra parola, ma quello la ignorò bellamente.
«Tornate alla nave.» le ordinò.
Quando la lunga fila di prigionieri terminò la sua corsa accanto a loro, Gillette concluse scortandoli e controllandoli dal retro e avanzò, lasciando indietro la mora.
Eris, rimasta sola in mezzo alla strada. Le case che le facevano da sentiero erano chiuse e le finestre sbarrate, come se temessero un’effrazione da un momento o l’altro. La via era deserta fatta eccezione di marinai e soldati della compagnia che trasportavano carri e cannoni a gran velocità.
L’aria dei caraibi era afosa e la soffocava in confronto a quella fredda e letale di Londra. Non aveva mai amato il caldo, dopotutto.
Quando azzardò un passo per tornare indietro alla nave, il cane le abbaiò e corse via verso la fine della strada.
Scossa, non riuscì a far altro che seguirlo ma ben presto lo perse. Si girò a destra e sinistra finché non osservò una giubba rossa svanire dietro un vicolo.
Prima che potesse perdere anche le tracce di quello, lo affiancò velocemente, il respiro ormai affannoso e la gola secca.
Davanti a lei, su una piccola altura, il vento muoveva sei corde da cappio.
«Miss Eris, che ci fate qui?»
Con la coda dell’occhio vide Groves avvicinarsi a lei, un elenco stretto tra le mani ma non riuscì a distogliere lo sguardo dagli uomini che stavano per essere giustiziati su quel patibolo orrendo.
«Non guardate.»
La fece girare verso di se con forza e la costrinse a guardare soltanto lui proprio mentre il boia abbassava la leva.
Non serviva guardare per sapere cosa stava succedendo a quei poveri uomini e donne. Come poteva l’assistenza ad un pirata essere condannata con la morte?
«Cutler…dov’è?»
«Lord Beckett?» il tenente mosse la testa verso sinistra, trattenendo ancora la giovane verso di lui. «Vi accompagno.»
Le posò una mano sulla spalla non ferita e la condusse verso un piccolo tunnel in pietra, continuando a dare le spalle al patibolo.
Salirono le scale e, seduto ad un tavolo, penna d’oca in mano c’era Beckett. Ai suoi piedi il cane bianco si era accucciato silenziosamente.
L’uomo alzò gli occhi grigi sulla mora appena arrivata e sbuffò. «Il cane mi aveva già avvertito della vostra presenza» fece un cenno di ritirata a Theodore che si inchinò appena e tornò al proprio lavoro.
«Siete venuta a privare qualche pirata della giustizia del Re?»
I pirati erano una razza non destinata a perdurare a causa delle loro moralità corrotte ma perché la parola giustizia sembrava così sbagliata in quel frangente?
«La tua giustizia, ma no.» roteò gli occhi, piegandosi per riacciuffare il cagnolino. Mentre si piegava riuscì a distinguere una moneta chiusa nella mano del Lord che, a quella attenzione, aprì del tutto.
Il pezzo da otto brillava di sporco, ma brillava come nessuna altra moneta aveva mai fatto e sembrava quasi vibrare sul suo palmo.
«E’ stata cantata la canzone?» chiese lei, tornando dritta.
«A quanto pare.» confermò Cutler, portando a livello del viso la moneta. «Vige una leggenda su questi pezzi da otto, ne eravate al corrente?»
«Non proprio…» sussurrò, distogliendo lo sguardo.
«La vostre bugie sono trasparenti quanto i fantasmi» se la rise lui, un sorrisetto sarcastico dipinto sulle labbra. «Sembra che anche i pirati abbiano una gerarchia tra le loro fila, con la canzone saranno costretti a farsi avanti. Mi sono già assicurato che questo accada.»
Eris annuì. «Dov’è Mercer?»
Il Lord la trapassò con i due occhi indagatori, facendola rabbrividire. «Non vi sfugge niente, mia signora»
Eris inspirò forte sotto quello sguardo mentre impallidiva piano piano.
Era chiaro che l’uomo ormai sospettasse che lei sapesse più di quanto aveva detto e dato a vedere. Ed era chiaro che al minimo cenno di cedimento e disattenzione, il Lord avrebbe fatto di tutto per accaparrarsi le informazioni.
«B-Beh, è la tua ombra. L’assenza è ovvia.» ribatté lei, cercando di apparire padrona di se stessa.
Lui le sorrise di nuovo, come aspettandosi una risposta evasiva e si issò in piedi, avvicinandosi al suo corpo irrigidito.
«Forse è meglio se vi ritiriate a bordo dell’Endeavour. Non vogliamo rischiare che possiate farvi ancora del male.» la mano che le bloccò il viso non aveva nulla di delicato o gentile, era fredda, dominante e minacciosa.
«Ci sono soldati ovunque» provò lei, la coda tra le gambe.
«Le sviste succedono.»
I suoi occhi di ghiaccio brillavano alla luce che riusciva a sfuggire alle nuvole ed erano spietati come non lo erano mai stati. Era cambiato nel giro di poche ore.
Eris non dubitava che fosse un po’ lunatico, ma aveva il potere su tutto il mare, non voleva sfidare la sorte in una sua giornata no.
Per qualche istante, la giovane non riuscì a muoversi, imprigionata dalla morsa ma si riscosse subito, scostandolo brutalmente.
«BENE!»

Cutler la guardò girare i tacchi, o meglio quelle sue scarpe chiare, e sparire dalla piazza centrale.
Le giornate che aveva passato per affrontare quella vicenda erano state molto pesanti. Aveva dovuto pensare a come posare le sue mosse e aspettare che quella dannata canzone venisse cantata.
Quella ragazza, inoltre, gli si era presentata nel bel mezzo di un delicato programma mentre leggeva gli aggiornamenti di Mercer. Lo aveva mandato già da un paio di giorni a Singapore, dove la fama di uno dei pirati lo precedeva.
Tuttavia, lei sembrava conoscere alcuni dettagli di quello scontro ma continuava a fare di tutto per nascondere le apparenze.
Lo infastidiva oltre ogni misura.
Quando l’ennesima giornata di esecuzioni terminò, Cutler lasciò ordinato ad un tenente di occuparsi per parte della mattinata del giorno successivo, consegnandogli i documenti che aveva personalmente firmato e siglato con la ceralacca.
Il ritorno al porto non fu lungo, accompagnato all’interno della carrozza e da due soldati della Compagnia delle Indie. Gli ultimi giorni non era affatto tornato alla sua nave a causa delle ore tarde ed aveva pernottato nella magione del Governatore Swann.
Pensò a quando la ragazza lo aveva guardato con occhi spiritati e timorosi ma successivamente travolti da un senso di tenacia che non le apparteneva.
Lo avrebbe sempre combattuto poiché le loro idee cozzavano fin troppo, ma questo non assopiva l’interesse di studiarla, se mai lo stimolava.
Beckett non aveva deciso di evitarla perché aveva paura di sfidarla ma a causa dell’arrendevolezza che dimostrava nei suoi confronti. Lo destabilizzava e confondeva. Era una parte di lui che aveva ucciso anni addietro e vederla riemergere non lo rendeva fiducioso e stabile come aveva imparato ad essere.
Salì sul ponte, ricevendo i saluti dei tenenti e delle guardie e si ritirò sotto coperta, avanzando velocemente verso la sua camera. Ma prima che potesse proseguire, si bloccò davanti alla camera della giovane. Il legno era stato riparato da tempo dopo che ebbe rotto la chiusura.
Scosse il capo e proseguì, togliendosi il cappello prima di prendere la chiave e infilarla nella toppa. Quella però non scattò come per togliere il blocco e si accigliò. La porta era già stata aperta.
Entrò silenziosamente e quasi si stupì di trovare la Gallese stesa sul suo letto.
«Dovrò capire come riuscite a entrare nelle mie stanze.»
Avvicinandosi però constatò che la donna era completamente addormentata.
La lampada accanto al letto illuminava il suo corpo coperto solo dalla veste da notte, un braccio che sorreggeva il capo e i suoi piedi adagiati sul suo cuscino. Ovviamente doveva essere strana anche mentre dormiva, altrimenti avrebbe potuto confonderla con qualcun altro.
Poggiò il giaccone su una sedia lì vicino e si disfece il fazzoletto dal collo, rimanendo in casacca, poi si avvicinò nuovamente al letto e si sedette.
Mentre la osservava dormire la parte ragionevole di lui gli urlava di fare un passo indietro. Lo informava che il suo destino non poteva certo essere ostacolato da una ragazzina che veniva dal futuro, per quanto invadente fosse ormai diventata all’interno della sua vita.
Le scostò i capelli che le avevano invaso il viso e alcuni li trovò incastrati tra le labbra. Proprio mentre l’aiutava a districarsi, gli occhi marroni di lei si aprirono sonnolenti e spaventata dalla vicinanza di qualcuno che non distingueva gli tirò un pugno con tutta la forza che aveva.
Il Lord, colto di sorpresa, non anticipò il movimento e il colpo gli arrivò dritto sul naso. Fortunatamente, il fatto che fosse a debita distanza lo graziò con un pugno debole.
Si allontanò dalla belva ringhiante sul letto e si strinse forte le mani al naso.
«Ma che vi prende, donna?!» le urlò, tirando su la testa e alzando una mano davanti agli occhi per controllare che non sanguinasse.
Si girò verso di lei e la trovò a sfregarsi le palpebre, stanca.
«Beckett?» chiese una volta che si fu abituata alla luce della stanza.
«Chi vi aspettavate, sono le mie stanze!» si lamentò lui, allontanando finalmente le mani dal viso.
«Ah già, ti aspettavo per gli scacchi…» parve rimembrare lei, alzandosi dal letto. Si avvicinò a Cutler e gli prese il viso tra le mani, girandoselo in modo fin troppo rude. «Non ti ho rotto niente, per fortuna.» ghignò. «Sarebbe un peccato per questo bel faccino.»
Il Lord le scostò le mani, stizzito e stanco della giornata e la guardò male.
«Tornate nelle vostre stanze, Eris. Non ho pazienza questa sera.»
Ma invece di fare come le era stato ordinato, la ragazza tornò a stendersi sul suo letto e aprì quello che sembrava un libro della sua collezione privata.
Beckett aprì la bocca un paio di volte e quando fu certo che quella non aveva la minima intenzione di uscire, decise che avrebbe perso la sua solita compostezza.
«Perché dovete essere così cocciuta?!»
Prima che lei potesse sgusciare via dalla sua figura minacciosa, riuscì ad agguantarla per il braccio ferito e la tirò su di peso.
La presa sul suo avambraccio fu così violenta che quasi lo sentì staccarsi. Urlò di dolore e Beckett, scottato, la mollò di colpo lasciandola cadere a terra, mentre si stringeva forte il braccio ferito con la mano sana.
Cutler la guardò trattenere le lacrime mentre si alzava di nuovo in piedi da sola e fissò con sgomento la garza, per paura che si bagnasse di sangue.
Sollevò una mano per controllare che non avesse fatto più danni del previsto ma lei, con uno sguardo carico di paura, la colpì via con talmente tanta foga da quasi fargliela bruciare di dolore.
Rimasero a fissarsi a lungo ma Beckett era tremendamente in conflitto con sé per essersi permesso di perdere le staffe in modo così bruto.
«Le mie scuse, non intendevo-»
Ma lo sguardo di astio nei suoi occhi lo sfidarono a completare la frase.
«Sedetevi, controllerò la ferita.»
«Non ce n’è alcun bisogno-»
«Era un ordine, il mio.»
«E ho mai seguito un tuo ordine?»
Ovviamente doveva sempre avere lei l’ultima parola. Le fece un cenno con la mano verso il letto ma lei non obiettò ancora.
Tornò a sedersi e mosse il viso lontano dalla figura di Beckett che si avvicinava e chinava sulla bendatura.
Cercò di ignorare il resto e focalizzarsi soltanto sulla benda che stava disfacendo e si sentì in collera con se stesso. Nessun gentiluomo avrebbe alzato il dito su una donna nemmeno in casi estremi.
Sospirò di sollievo mentre guardava la cicatrice rossa «Non ci sono danni»
La ragazza sbuffò divertita ma continuò a tenere gli occhi e l’attenzione distanti da lui, un broncio carino sulle labbra rosee.
«Vi ho già detto che mi dispiace, che altro devo fare? Vi ricordo che pochi minuti fa voi mi avete tirato un pugno.»
Finalmente lo guardò negli occhi ma ciò che vide non gli piacque affatto.
«Buttati giù dalla nave e siamo pari.»
Cutler ridacchiò, tornando a stringerle la fasciatura, ma quando tornò con gli occhi nei suoi notò una determinazione palese. Non stava scherzando.
«Non sarete seria, spero.»
La Gallese fece spallucce ma sorrise alla sua espressione timorosa.
«Oggi mi sento caritatevole…» beffeggiò, con aria pomposa. «Sei risparmiato.»
Cutler non riuscì ad impedire che un sorriso divertito gli illuminasse il viso e si posò una mano sul cuore, fingendo sincera commozione.
«Vi ringrazio per la vostra clemenza» sarcastico si scostò dalla ragazza.
Eris lo guardò attentamente. «Nemmeno una settimana fa eri diverso, cosa è cambiato?»
Beckett si accigliò. «Non è cambiato nulla.»
«Non sei più venuto a trovarmi e ora mi minacci apertamente di morte.» disse, dispiaciuta.
L’uomo distolse lo sguardo e lo posò su qualche piccolo ornamento sulla sua mensola, poco distante.
«Impegni più importanti mi hanno trattenuto, pensavo foste al corrente di ciò che sto portando avanti. Inoltre, perché questo improvviso interesse sulle minacce? Non vi hanno mai sfiorata prima.» rivelò severo.
Arrossì improvvisamente. Effettivamente non si era mai offesa quando Beckett ci aveva scherzato su come a cercare di intimorirla.
«Si, hai ragione…»
Cutler parve rifletterci su. «State cercando di dire che vi sono mancato, milady?»
Eris lo folgorò con gli occhi scuri e li strinse in modo minaccioso. «Non crogiolarti.»
«Non sia mai, Eris.»
Maledetto sarcasmo.
«Mi stai facendo davvero desiderare di buttarti giù dalla nave.»



Angolo d'Autrice
Salve, ragazzi.
Che dire, mi sono lanciata nel fantastico mondo del C1 in Inglese e mi toglie ossigeno e tranquillità (come se non bastasse l'università).
C'ho pure un gatto che mi impedisce la stesura dei capitoli perchè attirato dalla benedetta tastiera del mio computer ma vabbè, tralasciamo queste piccolezze.
Questo capitolo, o meglio, questi capitoli sono un po' corti causa poco spazio di trama lasciato dal produttore di Pirati dei Caraibi 3 ma cerco sempre di fare del mio meglio anche con i dettagli (che non sono solita approfondire per svogliatezza, perdonatemi).
Spero che vi piaccia anche questo capitolo e che mi accompagnerete passo passo nel completarlo.
A presto.

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Capitolo 17
*** Il cuore di Davy Jones ***


Capitolo 17. Il cuore di Davy Jones
 
Anche quel pomeriggio il sole rompeva la quiete e la sanità mentale degli ufficiali, costretti ad andare in giro per il ponte per dirigere tutti i vari ruoli dei soldati.
Erano partiti da Port Royal ormai già da qualche giorno ed erano sempre a un tiro di schioppo dalla nave minacciosa di Davy Jones. Sembrava non farsi scrupoli a disintegrare ogni nave che non riportasse una bandiera o mostrasse con orgoglio quella da pirata.
L’Endeavour passava tra i rimasugli e i cadaveri degli uomini caduti per mano del mostro. Gli ufficiali buttavano sguardi, scostando qualche corpo con lunghi bastoni, come per assicurarsi che fossero morti. E si sa, i morti non raccontano storie.
Eris cercava di ignorare come l’aria tra i soldati si fosse fatta tesa e spaurita, tuttavia si trovava ad ascoltare delle conversazioni tra loro mentre girava a vuoto. Erano tutti molto spaventati da Jones e credevano che Beckett non avrebbe saputo gestire con sicurezza quel capitano.
Quel pomeriggio, una nave che svettava la bandiera della compagnia si affiancò all’Olandese, che per sorpresa della giovane lasciò passare senza problemi. Si avvicinò all’ammiraglia e si accostò ad essa, tirando fuori una banchina per portarsi dall’altro lato.
Dalla nave uscì Mercer, vestito dalla testa ai piedi di nero nonostante il caldo bestiale che li assaliva, e salì sull’enorme ponte, chinandosi alla ragazza in un gesto di cortese saluto.
«Tutto bene a Singapore?»
Quello sbatté le palpebre per qualche istante ma stabilì di risponderle solo un semplice “molto bene, in effetti” per poi proseguire verso l’interno dell’ufficio di Beckett. Cutler dedicava le sue serate sempre ed esclusivamente a lei, giocando a scacchi e rimbeccandosi come ragazzini orgogliosi, ma le sue giornate erano occupate alla supervisione dei suoi tenenti e sottotenenti.
Tendeva a disturbarlo molto meno data la vicinanza ai primi atti della battaglia e si occupava di gironzolare per l’immensa nave che non aveva ancora avuto occasione di sondare completamente.
Riuscì a finire nella parte più bassa dell’Endeavour, osservando le inquietanti ma pulite prigioni per poi risalire ai posti dove avevano posizionato i cannoni.
Alla fine un soldato la scortò nuovamente fuori, avvertendola che era una zona pericolosa, non adatta alla sua persona.
Annoiata guardò in giro alla ricerca di un modo per intrattenersi che non fosse leggere per l’ennesima volta quei libri orrendi sull’etichetta (l’ufficio di Cutler era off limits per lei alle ore del giorno) e trovò James che scrutava l’orizzonte con un cannocchiale dorato per individuare l’Olandese Volante.
«Ammiraglio» lo salutò, dandogli una pacca sulla spalla coperta dal pesante giubbotto blu e oro.
Quello guardò verso di lei con un cipiglio confuso. Non è che lei lo salutasse spesso. Inoltre…
«Ah, vi ricordate di me, di tanto in tanto.» sarcastico, tornò a dare attenzione alla nave maledetta.
Lei si accigliò «Che intendi dire?»
«Mi riferisco alle nostre lezioni, Lady Beckett.» un pugnetto si scontrò contro la sua spalla facendolo ridere. Odiava essere chiamata in quel modo dagli ufficiali e non faceva altro che urlarglielo dietro. «Non vi siete degnata nemmeno di dirmi della vostra intenzione di interromperle.»
Lei fece spallucce «Beh, sai, mi hanno quasi staccato un braccio…»
L’uomo alzò gli occhi al cielo, osservando con la coda dell’occhio come la ragazza tenesse ancora applicata la garza bianca sulla ferita sotto la casacca nera.
«Scusami, Norry. Ci sono state delle incomprensioni con Beckett…» sospirò la giovane, ricordandosi le varie dispute scatenate nelle ultime settimane.
«Oh, si. Queste incomprensioni prevedono visite notturne nella sua cabina?»
La Gallese arrossì fino alla punta dei capelli corti, guardandolo scioccata.
«E tu come lo sai?»
«Questa nave pullula di soldati, mia signora. Le notizie viaggiano velocemente» e sorrise maliziosamente nella sua direzione.
Era un po’ stizzita dal fatto che su quella nave si sparlasse così liberamente di lei, ma l’imbarazzo sovrastò l’arroganza con cui voleva fronteggiare Norrington.
«Non nego ciò che è ma nego ciò che si suppone.» mormorò, angustiata e timorosa. «E’ capitato che entrassi nelle stanze di Cutler, ma non di certo per…quello.» aggiunse alla fine dopo un momento di indecisione.
«Perché tanto imbarazzo, mia signora. Sono solo dicerie. I soldati si intrattengono con questo.»
«Dicerie malevole, mai piaciute.»
Prima che il messere potesse ribadirle il concetto, da sopra le scale un tenente attirò la loro attenzione.
«Ammiraglio Norrington, è richiesto da Lord Beckett.»
Eris osservò l’uomo chinarsi rispettosamente a lei e dileguarsi con permesso verso chi l’aveva convocato.
Tornata nuovamente sola, decise di rivolgere gli occhi verso il mare. Probabilmente e se la memoria non la ingannava, Barbossa e compagnia bella dovevano essere ancora in viaggio per recuperare Jack dallo scrigno…tuttavia, a causa della festa e di quei giorni con assenza di vento dovevano aver guadagnato già molto tempo per organizzarsi. La canzone è stata cantata in ritardo.
Non era passato giorno in cui non si era apprestata a guardare calare o sorgere il sole. Chissà, forse avrebbe visto anche lei questo misterioso “verde baleno”. E con quello sarebbe stata certa che Jack fosse tornato nel mondo dei vivi.
«Avvistata nave pirata.»
Un uomo sulla coffa urlò.
Eris posò lo sguardo nel punto dove si trovava la nave di Davy Jones e si spostò lungo il ponte per cercare di individuare la nave a cui si riferiva il soldato di vedetta.
«Due caravelle.» dichiarò ancora dall’alto.
E, socchiudendo gli occhi ai raggi del sole, la giovane riuscì a individuare due lontane figure davanti alla gigantesco Olandese.
«Issate le vele. Dobbiamo avvicinarci velocemente.» ordinò un ViceAmmiraglio nei dintorni, facendo scattare sull’attenti tutti i marinai.
Presto il ponte fu brulicante di uomini in divisa che scattavano a destra e a manca verso i loro rispettivi ruoli come erano soliti fare in quelle occasioni.
Passò quasi un’ora quando in lontananza Davy Jones riuscì a raggiungere le due navi pirata. Tutto accadde fin troppo velocemente anche solo per essere registrato. La nave tirò giù con decine di cannonate le due caravelle. Molti si buttarono in mare, altri urlarono pronti a fronteggiare la ciurma che ne fece però un massacro.
Due forti esplosioni e delle due navi nemiche non vi era la più minima traccia tranne per i mille pezzi galleggianti sul pelo dell’acqua.
«Per tutti i diavoli, non c’è rimasto niente.»
Eris, che era rimasta imbambolata davanti a quello scenario straziante, si accorse solo in quel momento della presenza del Lord a pochi passi da lei con il cannocchiale con cui scrutava l’orizzonte.
«Jones è incontrollabile, signore.»
«Prendi il forziere.» ordinò a Mercer, che lo guardò con aria confusa.
«E il governatore?» l’assassino vide la ragazza avvicinarsi con la coda dell’occhio e abbassò la voce, credendo che non lo avrebbe udito in quel modo. «Sta cominciando a fare troppe domande sul cuore.»
«Quindi sa.»
Beckett e Mercer si lanciarono sguardi carichi di significato. Non c’era bisogno di parole per evidenziare ciò che era tra le righe.
«Parrebbe che la sua utilità abbia fatto il suo corso.» chiuse il cannocchiale in una mossa e lo riconsegnò nelle mani del suo cane da guardia.
Eris azzardò solo in quel momento a subentrare nella conversazione, toccando la spalla del Lord con una mano.
«Oh, eccovi qui.» la salutò, come se avesse realmente realizzato la sua vicinanza solo in quel momento. «Farò una visita al buon capitano, giusto per rinfrescare un concetto.» alzò una mano al viso di lei e quando la tirò via, una piccola piuma bianca splendeva tra due dita.
Eris si pettinò i capelli con le mani, cercando segnali ben peggiori di una piuma ma fortunatamente non trovò niente. Odiava i gabbiani.
«Posso venire?»
«Cielo, perché mai?» chiese quello, stupito. Circa un mese prima, o poco più, si era categoricamente rifiutata di seguire le sue istruzioni a bordo dell’Olandese con la sua richiesta esplicita di eliminare dai mari quello che chiamavano il Kraken. Ora invece sembrava curiosa.
Dal canto suo, Eris aveva solo una voglia matta di vedere dal vivo il cuore di Davy Jones.
«Posso venire o no?» sbuffò lei, abbandonandosi contro l’albero lì vicino.
«C’è qualcosa che volete dirmi?» la scrutò severamente, come se avesse la convinzione che lei sapesse già qualcosa.
«Niente di niente» lo liquidò avanzando verso una delle scialuppe.

Parecchie barche avanzarono prima di loro, una di loro conteneva il Governatore Swann che Cutler le aveva proibito di salutare, accompagnato da Mercer. Poi vennero loro due, pagaiati da due tenenti e soldati.
Il tragitto non lo immaginava così lugubre e soprattutto con il tanfo di morte che sembrava impregnare addirittura le tavole di legno su cui vari corpi bruciati erano accasciati.
Le venne su quasi tutto ciò che aveva mangiato a colazione ma lo sguardo glaciale di Beckett la costrinse a ributtarlo nello stomaco.
Quando finalmente si avvicinarono alla scala di legno, il Lord si issò per primo e quando fu la volta di Eris quello le tese una mano per aiutarla a salire.
Lo ringraziò del gesto spontaneo e salì, con estrema difficoltà, sul ponte dell’Olandese Volante.
Le guardie della Royal Navy avevano già riempito la nave, spade sguainate e fucili pronti al fuoco contro il resto della ciurma di Jones.
«…non voglio neppure vederla sulla mia nave!»
La voce di Jones le arrivò subito chiara alle orecchie mentre uscivano allo scoperto dalla poppa.
Cutler si fece avanti, scostando gli ufficiali in attesa di ordini.
«Oh, mi dispiace davvero tanto…perché lo voglio io.»
Eris si protese per guardare il forziere nelle mani di due soldati e lo sfiorò con le dita, ricevendo un sibilo infastidito da un pesce della ciurma di Jones. Alzò le mani in aria, in segno di resa e si allontanò di qualche passo.
Cutler continuò col suo discorso, di cui lei già era a conoscenza «Visto che sembra l’unica garanzia che questa nave ottemperi agli ordini diretti impartiti dalla Compagnia.» e segnalò ai soldati, dietro Norrington di avviarsi a sistemare il cuore.
«L’Olandese fa solo quello che il suo capitano comanda.» aggredì il suddetto capitano.
«E il suo capitano fa solo ciò che gli è comandato!» ribatté il Lord.
«Questo non è più il tuo mondo, Jones. L’immateriale è ormai solo…immateriale.»
Mentre Eris si affiancava silenziosamente all’assassino, lo sguardo di Davy Jones la raggiunse, facendola rabbrividire. Tuttavia, Beckett si fece avanti interrompendo quel gioco, intimandolo.
«Credevo ti fosse stato chiaro quando ho ordinato di uccidere la tua bestia.»
Jones sembrava più a disagio a confrontarsi con Cutler, che il contrario.
Quello che la ragazza non si era aspettata era l’intervento imprevisto del Governatore, che avanzò al fianco di Beckett con un’aria appesantita.
«Avete dato alle navi l’opportunità di arrendersi?»
«Abbiamo lasciato che ci vedessero. Direi che è un’opportunità più che soddisfacente.» scherzò malignamente il capitano, agitando i suoi mille tentacoli viscidi. La risata della sua ciurma risuonò cupa e sommessa, ma ancora divertita.
«Mia figlia poteva trovarsi su una di quelle. Solo questo avrebbe dovuto essere motivo di moderazione.»
Eris sorrise. Certamente Elizabeth non si sarebbe trovata su una barchetta qualunque.
«Ci servono prigionieri da interrogare, operazione meno complessa quando si hanno ancora vivi.» si infiltrò Cutler, attirando l’attenzione su di se.
«Io sto sterminando i pirati, proprio come è diretto impartito dalla Compagnia!» lo scimmiottò Jones, affiancandolo subito dopo per avvicinarsi al Governatore. «E tua figlia è morta.»
Eris sbiancò a quella dichiarazione quasi quanto lo Swann. Elizabeth non poteva essere morta, la storia non lo prevedeva.
Guardò Cutler ma riuscì solo a vedergli il codino bianco, aveva il viso proteso ancora davanti a se, non danno cenno di nulla.
«Tirata giù nelle profondità con la Perla Nera dalla mia bestia. Lord Beckett non te l’ha detto?» proseguì dando un cenno al Lord lì affianco.
Weatherby guardò prima la giovane paralizzata sul posto, poi Cutler, afferrandolo subito per un braccio e girandolo verso se stesso. L’uomo manteneva lo sguardo basso, un’espressione fredda e quasi trattenuta da qualcosa.
Anche Eris riuscì a guardare il viso del compagno e rimase senza parole mentre il governatore si dirigeva da qualche parte, lontano da loro.
Dopo qualche momento, Jones stanco del silenzio si avviò dietro all’uomo scomparso mentre la ciurma rimaneva ancora sotto stretta sorveglianza della Royal Navy.
Proprio mentre anche Beckett partì al seguito, Eris lo bloccò per la spalla.
«Che significa…Elizabeth Swann…è morta?»
Che cosa avrebbe fatto se la giovane che aveva dato man forte a tutti i pirati fosse stata realmente trascinata e mangiata dal Kraken? Ciò significava che anche lei sarebbe stata trattenuta nello scrigno di Davy Jones, insieme a Jack…o no?
Ma a smentire il suo attimo di pazzia fu Beckett stesso.
«Nonostante non sappia il motivo del vostro interesse nei confronti di quella donna, vi posso sfortunatamente avvisare che no, non è morta.»
Fece un cenno al signor Mercer dietro di lei che la superò silenziosamente andando dietro il Lord.
Eris, dopo essersi ripresa, lo seguì diretta fino ad arrivare ad una stanza. Davanti a loro, il Governatore era trattenuto per le mani da James Norrington e aveva una lunga lama protesa verso lo scrigno aperto sopra il piedistallo. L’Ammiraglio invece protendeva una pistola con la mano libera verso Davy Jones, che era vicino a loro e li guardava come a sfidarli.
La giovane si coprì la bocca con le mani, temendo che quel padre distrutto e lagnante avrebbe davvero trafitto il cuore di Jones.
«Governatore!» gridò Beckett, palesandosi sulla porta insieme agli altri due nuovi arrivati. «Tua figlia è ancora viva.» continuò pacatamente.
«…cosa?» sussurrò a mezza bocca Swann.
Mercer guardò Cutler, poi di nuovo il governatore, prima di prendere la parola «L’ho vista io stesso, a Singapore.»
«Ah…no…siete tutti bugiardi…» una lacrima scese lungo le guance cadenti dell’uomo e sembrava quasi guardare direttamente la ragazza, come aspettandosi un’altra conferma.
Cutler fece qualche passo avanti. Eris notò come stringesse forte un pugno al suo fianco. Lei stessa sentiva galoppare il suo cuore, per Beckett doveva essere lo stesso.  Se Weatherby avesse pugnalato il cuore ci sarebbe stato un grosso problema da risolvere.
«No, Jones è…semplicemente crudele. Tuttavia, mi colpevolizzo per l’omissione, di cui mi scuso.» nonostante avesse usato parole sottomissive, il Lord non aveva perso quella velata presenza di minaccia nella voce.
«Governatore.» lo supplicò James, non lasciando trapelare nessuna esitazione mentre teneva sotto tiro il capitano del’Olandese. «C’è ancora speranza…per favore…»
Lo Swann scacciò via la mano dell’ammiraglio dal suo braccio, provocando in Eris un balzo in avanti che fu prontamente bloccato dal bastone di un Beckett estremamente teso. Il governatore guardò prima tutti loro con uno sguardo carico di odio, poi abbassò l’arma che fu restituita a James.
Circumnavigò il piedistallo e si fermò per qualche attimo al fianco di Beckett. «La nostra associazione termina qui.» e uscì dalla stanza in tutta fretta, asciugandosi gli occhi con una manica del lungo cappotto verde acqua.
«Sei licenziato, Capitano» sibilò Cutler al pesce troppo cresciuto lì accanto.
Davy Jones fece la sua uscita, mediamente soddisfatto.
«Grazie, Ammiraglio» aggiunse poi, tendendo fuori una mano per richiedere al subordinato che gli consegnasse le chiavi del forziere.
James le posò sgraziatamente sul suo palmo e uscì in tutta fretta da lì dentro. Eris, nonostante l’interesse verso lo scrigno, decise di seguirlo velocemente. Lo cercò con lo sguardo per vedere dove avesse voltato e quando lo individuò, si tese e agguantò l’orlo del suo completo.
«James!»
L’uomo la guardò ed Eris, per la prima volta, notò profonde lacrime solcargli il viso.
«Mi dispiace, James. Non ne ero certa neanche io…ma credo in Cutler, quello che ha detto deve essere vero.»
Norrington si allontanò dalla sua presa e osservò la compassione incisa sul viso di lei verso la sua persona.
«Ponete fiducia nella persona sbagliata, Eris.» si portò una mano al viso e cancellò le piccole perle d’acqua rimaste. «Lord Beckett non ha riguardo verso niente e nessuno. Vi porterà a morte certa prima che possiate rendervene conto.» la prese per le spalle e la scosse come a dirle di svegliarsi, totalmente all’oscuro della lieve fitta che le attraversò la parte ferita «Scappate via, voi che potete.»
Per la prima volta, Eris fu assalita da moltissimi dubbi riguardo la situazione precaria in cui si era avventurata. Aveva davvero occasione di fare una buona azione? E se avesse sbagliato? Sarebbe rimasta in vita abbastanza a lungo da poterci provare? Aveva tutto ciò di cui aveva bisogno, dopotutto…
Le mani dell’ammiraglio si scostarono da lei quasi di scatto, facendola tornare coi piedi sul legno umido.
«Mia signora.»
La voce di Beckett era come sempre piatta e fredda come l’acqua di una fonte e quasi familiare nel suo tono categorico.
La guardò intensamente per un così lungo istante, mentre se ne stava lì congelata, con quegli occhi azzurri, che si chiese cosa gli stesse balenando nella mente. Che cosa aveva visto, che cosa aveva sentito?
Poi azzardò un passo, trovandolo tremolante ma stabile, poi un altro acquistando fiducia finché non fu nuovamente al suo cospetto, la differenza di altezza palese sempre nonostante lui indossasse degli stivali.
«E’ tempo per noi di tornare all’Endeavour. Lascerò la responsabilità al caro Ammiraglio di gestire Jones.»
Le pose una mano dietro la schiena, accompagnandola lontano dalla figura ferma dell’uomo e fece per seguirla quando il richiamo di James lo colse di sorpresa.
«Lord Beckett, che ne sarà del Governatore Swann?»
Sembrò passare un’eternità prima che la risposta di Cutler prese consistenza in secche e circostanziali parole.
Dopo aver lanciato uno sguardo carico di sottintesi a Mercer, si girò a mezzo busto verso l’Ammiraglio, la mano ancora forzatamente posta sulla schiena della ragazza.
«Come avete potuto constatare, la nostra associazione non ha più alcun senso di esistere. Sarà scortato nuovamente in Inghilterra.»
“Morto” aggiunse la ragazza mentalmente mentre la trascinava via senza poter offrire a James neanche un ultimo saluto.

Quella sera, come di consueto, Eris dopocena entrò nell’ufficio di Cutler seppur con una certa titubanza. Le parole di Norrington l’avevano afflitta per tutta la giornata e non riusciva a togliersi il peso di quella brutta sensazione sulla pelle. Forse il famoso sesto senso che la pregava di smetterla di giocare e andare dalla parte dei vincenti nel modo più veloce e intelligente possibile.
Si sedette al solito tavolo (o meglio, l’unico libero e privo di scartoffie) con la scacchiera e si abbandonò al più totale silenzio per la prima volta nel giro di mesi e mesi.
«Qualcosa vi turba.»
Poteva sembrare una domanda, ma non lo era.
La Gallese si riscosse e forzò un sorriso.
«No, nulla. Sono ancora scossa dall’accaduto, tutto qui.»
E tornò a posare gli occhi sul suo fidato cavallo che l’aveva salvata in così tante brutte situazioni.
«Si, qualunque cosa vi abbia detto l’Ammiraglio Norrington deve avervi destabilizzata davvero molto.»
Quando puntò gli occhi su di lui lo trovò serio, ma nella sua direzione, non verso il gioco.
Sentiva il cuore quasi esplodergli dal petto. Non sapeva cosa avrebbe potuto fare Cutler se avesse anche solo pensato che lei aveva abbandonato la fiducia in lui. Non sapeva che misure avrebbe adottato per renderla innocua alla sua causa.
«Cosa ne sarà realmente del Governatore?» decise di puntarsi in qualcosa che la opprimesse, si, ma meno del vero e reale motivo.
Beckett accennò un sorrisetto scaltro e tornò al gioco, come soddisfatto di avergli torto dalla bocca le parole.
«Se siete sveglia come volete farmi credere dovreste già averlo capito, non è vero?» e mosse in avanti il suo unico pedone che non gli consentisse di essere mangiato.
«Perché? Potresti davvero solo mandarlo a Port Royal e-»
«Per quanto il vostro buon cuore mi rechi sincera commozione, io non posso permettermi passi falsi. Il Governatore è un rischio pesante alla mia impresa, lo avete notato voi stessa.» la pietrificò. «Non posso permettermi alleati instabili.»
Con molta probabilità, le sue ultime parole non erano dirette propriamente a lei. Ma nonostante questo, la paura prese il sopravvento sulla sua lucidità.
Il cuore le doleva per il forte colpo d’ansia che le era stato appena scaraventato addosso. Aveva sempre giocato con quest’uomo senza mai pensare alla sua indole severa. Non si era mai preoccupata di essere uccisa perché lo credeva improbabile…improbabile che avrebbe ucciso un bene così raro. Ma era probabilmente più una minaccia ormai che una risorsa per lui.
E ci fu un errore.
Il cavallo le scivolò dalle dita e finì a terra, contro il legno del pavimento. Rotolò, rotolò… finché non finì a metà strada tra lei e l’uomo davanti a se.
E poi Cutler si sporse per afferrarlo, alzandosi dalla sedia.
Il movimento del signore, dopo il mini attacco di panico della giovane, la costrinse a balzare in piedi mentre la pesante poltrona strusciava rumorosamente indietro per far spazio alla sua figura ritta.
Le sue mani tremavano nonostante stesse disperatamente tentando di tenerle a bada stringendo forte fino a bucare quasi la pelle dei palmi.
Il Lord si alzò a sua volta, confuso dalla reazione, ma quando lo fece i suoi presentimenti furono cristallini ai suoi occhi.
Lei aveva paura.
«Non so cosa abbia suscitato in voi questa reazione, ma non intenzione di farvi del male.» Beckett sentiva che se avesse fatto del sarcasmo in quel momento, la ragazza non l’avrebbe presa bene.
«Cosa mi rende più importante del governatore, allora?» aveva paura, certo, ma non permise alla sua voce di vacillare nemmeno un secondo. Quello che Cutler avrebbe visto sarebbe stata una donna spaventata ma disposta a tutto. Impose a se stessa di sostenere il suo sguardo di ghiaccio ma quella sera le parve di scorgere un lampo di stupore.
«Credevo fosse piuttosto ovvio.»
«Io sono sacrificabile» si stava mortificando, lo sapeva, ma non riusciva a trovare la sua compostezza.
Beckett parve soppesare quelle sue parole a giunse alla sola conclusione possibile.
«Sembra che la decisione di allontanare James Norrington non sia poi così errata.»
Sgranò gli occhi.
«L-Lui non c’entra…lui-»
«Sembra anche che abbiate stretto un legame particolare.»
«Non è così» stava cominciando ad irritarsi.
«Erano solo lezioni private, io mi domando?»
«Tu! Piccolo-»
Lo prese per il bavero della giacca e strinse forte il tessuto nel suo pugno di ferro, come ad avvisarlo della sua pericolosità.
Ma l’uomo sorrise e basta. Un sorriso giocoso e ironico che la sorprese non poco.
Senza rendersene conto, tutta la paura era stata sostituita da una rabbia incontenibile facendola avvicinare a lui senza soppesare le conseguenze del gesto.
Lasciò lentamente andare la stoffa, tornando col braccio lungo il fianco.
«Le vostre emozioni e reazioni vagano a briglie sciolte.»
Non aveva un minimo di autocontrollo, lo sapeva benissimo. Qualsiasi emozione si appropriasse di lei, diventava un fuoco impossibile da domare.
«Beh, per lo meno abbiamo accatastato quell’innaturale paura, non è così?»
Sotto il naso di lei fu sollevato un bicchiere, che prese nella più completa tranquillità. Aveva spento sia i suoi sudori freddi che i suoi bollenti spiriti nel giro di pochi secondi. Era davvero di così facile gestibilità per lui?
«Era solo…un attacco di panico.» realizzò, sorseggiando con una smorfia il liquido ambrato e secco. Se lo scostò dal viso e agitò il bicchiere davanti ai suoi occhi, facendo roteare il brandy come un mulinello che scacciava i suoi restanti tremori.
«Ognuno reagisce a modo suo. Ma come vi ho detto, non ho alcuna necessità né voglia di togliervi di mezzo. Non ne trarrei alcun vantaggio.» la informò di nuovo, sedendosi dietro la scrivania già colma. «Purché non siate una minaccia.»
E la fissò. Eris sentiva la carta del documento bruciarle contro il petto nella tasca interna della sua casacca, come se volesse auto disintegrarsi in quell’istante.
«Voi siete una minaccia per me, Eris?»
«No!» si affrettò a rispondere, come temendo che l’uomo potesse indagare di più sul suo improvviso silenzio. Strinse forte le dita contro il bicchiere di vetro, temendo quasi di ridurlo in pezzi, per impedire di tremare o tentennare e sembrò funzionare perché Beckett annuì convinto.
«Vi consiglio di non pormi domande di cui non volete conoscere la risposta. Sempre che ne abbiate bisogno davvero.»
Eris deglutì sonoramente e mosse il capo come ad accennare di aver capito.
Si avvicinò alla destra dell’uomo seduto e allungò una mano per afferrare la bottiglia lì vicino. Se ne versò un’altra modesta quantità nel bicchiere sotto lo sguardo sorpreso del Lord e la rimise al suo posto.
«Mi dispiace. Immagino di aver esagerato.»
«Comprensibile. Non che l’idea non mi sia passata mai per la testa, in tutta onestà…» nascose il proprio sogghigno dietro il calice mentre quella lo guardava scioccata.
Ma quasi nello stesso istante, le si aprì un sorriso divertito sulle labbra.
«Si, in effetti un paio di mesi fa hai cercato di spararmi per aver fatto rubare una nave dai pirati.»
«Non una nave, LA nave. Avete ancora un grosso debito da ripagare a proposito di quello» al solo ricordo, Beckett parve sbiancare.
«Sembra passato molto tempo» commentò con fare nostalgico lei, osservando i contorni dorati del bicchiere di vetro.
Cutler parve pensarci su. «Tra un paio di giorni dovrebbero essere trascorsi 3 mesi.»
Eris ghignò «Che carino, ti sei segnato i giorni.»
«Certamente, la vostra petulante presenza non è facile da dimenticare neanche per un’ora.»
La giovane rise. No, dopotutto lui non era cambiato affatto. Forse era solo lei che si era irrigidita oltre il possibile dopo tutto quel avvicendarsi di eventi di cui era già al corrente.
Rimasero in silenzio per lunghi momenti prima che lui avesse l’opportunità di porre la domanda a cui aveva provato a trovare risposta istanti prima.
«Quindi, cosa vi ha detto l’Ammiraglio?»
Negli occhi della ragazza era tornata la diffidenza con il quale aveva cambiato argomento mentre lo fissava. «Lui…mi ha augurato buona fortuna…più o meno…» chiuse gli occhi e distolse lo sguardo. Aveva detto una mezza verità, ma anche una mezza bugia.
«Potrei anche permettere a Norrington di tornare di nuovo sull’Endeavour, dopotutto…» la sua voce era un misto di suadente innocenza, ma senza ombra di dubbio magnetica come poche. «Ci sono molti modi per persuadere un uomo.»
Eris rimase in silenzio per qualche secondo, cercando una frase appropriata per rimbeccarlo di quello scherzo idiota, e ne trovò solo una.
«Hai una piccola traccia di Jack Sparrow, in te, è chiaro.» e scosse il capo tornando alla propria bevanda.
Cutler non rispose subito, sembrava invece esserci perso nei ricordi per qualche attimo mentre faceva cozzare tra loro due pezzi da otto trattenendoli sotto l’indice e il medio.
«Sparrow ha assunto un ruolo essenziale nella mia vita. Che lo abbia svolto in maniera pessima non c’è dubbio.» pensò ad alta voce, alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi silenziosamente alla ragazza. «Ma immagino che abbiate ragione.»
Beckett osservò l’espressione della giovane passare da muta incredulità a orgogliosa consapevolezza.
«Ho sempre ragione io» lo prese in giro lei, spostando gli occhi sul fazzoletto di pizzo al suo collo. Protese le mani e addrizzò la stoffa dal suo collo con due semplici mosse. «Fa un caldo bestiale, credevo che voi londinesi lo soffriste di più.»
«Potete toglierlo, se vi da tanto fastidio alla vista.»
Eris rise. «Non sai chiederlo senza farla sembrare una gentilezza nei miei confronti, vero?» e disfece il panno che scivolò a entrambi i lati del suo collo.
Tuttavia, la punta delle dita della giovane aleggiavano ancora sulla sua carne. Più precisamente, solcavano una piccola cicatrice sopra una clavicola.
Quel lieve contatto bruciò la pelle di Cutler e gli ricordò che aveva abbandonato la protezione del cappotto su una di quelle poltrone lì vicino a causa del caldo della stanza.
La ragazza sembrò percepire il disagio dell’uomo e fece un passo indietro, un sorriso di scuse sulla labbra.
«Era un tentativo di seduzione, mia signora?»
La ventiduenne rise alla domanda divertita e curiosa del Lord e giunse le mani davanti al viso. «No, non credo lo fosse.» poi rifletté. «In realtà non saprei minimamente come sedurti.»
In effetti, l’uomo non era poi così facile da capire, soprattutto in quegli ultimi tempi.
Beckett aprì le labbra in una muta espressione di sorpresa. «Pensavo la stessa cosa di voi.»
Passarono altri duri secondi di imbarazzo finché Cutler non si allontanò dal suo tocco, dritto con le mani dietro la schiena come a imporsi.
«Spero che io sia stato chiaro a proposito della vostra sicurezza a bordo.»
Eris annuì, il sorriso che ancora le aleggiava sulle labbra. «In tal caso cercherò di limitare la minaccia che è in me.»
«Non sono certo che questo possa essere possibile.» sbuffò lui, passandosi una mano lungo la fronte. Doveva essere stanco.
Nonostante questo tornò ad un tavolo pieno di carte e prese da lì una penna, cominciando ad apportare delle scritte eleganti sulla loro superficie. Sembravano essere numeri, più che lettere ed Eris non indagò oltre.
«Cerca di riposare un po’. Ti stanno venendo le rughe.»
Ma prima che uscisse dalla stanza, stabilì che gli avrebbe posto la domanda che la assillava ormai da giorni e giorni.
«Da quando mi sono ferita mi hai evitata numerose volte. C’è una ragione?»
Il suono della penna d’oca si fermò solo dopo aver concluso una frase e fu riposta nel calamaio con un movimento brusco. Quando i suoi occhi incrociarono quelli di lei, un brivido la attraversò da capo a piedi.
«Per quanto voi non mi vediate come tale, son pur sempre un uomo.»
Quando quella parve non capire cosa lui le stesse dicendo, aggiunse con qualche difficoltà «Non posso concedermi…piaceri diversi.»
Allo specificare del concetto, la ragazza arrossì e si portò una mano al collo. La saliva si era improvvisamente prosciugata e deglutire sembrava essere la cosa più difficile del mondo in quell’istante.
«H-Ho capito!» gracchiò. Era stato piuttosto esplicito con le sue motivazioni.
Cutler sembrò come preoccupato dalla sua reazione e si avvicinò nuovamente a lei, per constatare che fosse tutto nella norma.
«Mi scuso, pensavo che le mie intenzioni fossero state chiare due settimane fa.»
Lei agitò il capo, accettando la rivelazione del tutto imprevista dell’uomo e gli augurò la buonanotte prima di uscire velocemente dalla stanza.
Quando riuscì a chiudersi la porta della propria camera alle spalle, si trovò con un forte calore al centro del petto. Non riusciva a comprendere le sue emozioni quando quello prendeva quell’argomento in modo così diretto. Assopirle forse era la scelta migliore, in quel momento. Ogni volta che lo toccava sembrava che giocasse con il fuoco ma non si era mai accorta quanto fosse stata vicina a bruciarsi.


Angolo dell'Autrice
Buooongiorno,
Si, continuo imperterrita ad aggiornare anche se ad estremo rilento. Ho momenti di ispirazione alternati a 10 di totale inettitudine alla scrittura (come per esempio adesso, mentre cerco di scrivere una sorta di spiegazione post capitolo).
Tornando al capitolo, come avrete visto da alcuni dialoghi siamo nel clue del terzo film di POTC. Inoltre, poiché la nostra cara avventuriera scossa da ormoni non si è ben documentata, nei tre film ci sono state scene tagliate ed una di queste scene è proprio quella del Governatore. Ho deciso di metterle anche per chi magari non le ha viste e per creare quell'ambientazione sempre originale ma nascosta agli occhi dei telespettatori. 
Riguardo la coppia, l'aria è chiaramente stracolma di erotismo indiretto ma io da brava scrittrice allungo sempre i tempi lasciando i protagonisti a crogiolarsi nella sensazione di tiro alla corda.
Confesso, in più, che mi inquieta da morire un Cutler Beckett smielato ma dubito non si sia calato nei panni di galante uomo inglese pronto al corteggiamento di una giovane piccola Lady indifesa. Purtroppo qui, la Lady indefesa è sostituita dalla figlia di Satana che si diletta nel perverso sadismo.
Ma che vogliamo farci, chesta c'è capitata e chesta tocca tenesse (come si dice dalle mie parti).
Con questo, saluto tutti quelli che continuano a seguire la storia fino a qui. 
Vi ringrazio e ci vediamo quando ci vediamo.

 

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