Enigma

di Jackie_Blue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caos: Preludio ***
Capitolo 2: *** Senzatetto ***
Capitolo 3: *** Stoccarda: Abbiamo compagnia ***
Capitolo 4: *** Interrogatorio ***
Capitolo 5: *** Deduzioni ***
Capitolo 6: *** Una pista ***



Capitolo 1
*** Caos: Preludio ***


1. Caos: Preludio



Mi porto fino
alla fine del mondo
voglio andare più a fondo
voglio leali pensieri su cui volare
dove non so toccare la terra,
è distante questo pianeta
dalla mia amata meta.
Metà di me non sa più dove vorrebbe andare
l'altra vuole restare.
Mi si legge in fronte il caos che ho dentro
e si sente forte il caos che ho dentro.
(Levante)


Somewhere in New York, USA.
Friday, 14th September 2012.
10:40 p.m.


Caos.
Solitamente si attribuisce questa parola al frastuono o a una moltitudine di rumori che si accavallano. Eppure quel caos che stava vivendo si era tramutato in un silenzio spiazzante. La luce bluastra che proveniva dall'alto le leniva gli occhi, la confusione in testa la schiacciava come una pressa e il vuoto allo stomaco accentuava il suo sesto senso: pericolo. In quel momento aveva davvero tante domande a cui dare risposta, ma l'istinto puntava ad una sola meta, sopravvivere. Doveva farsi largo in quel caos per mantenere vivida quell'unica promessa che si era fatta: vivere.
Spalancò gli occhi castani e nonostante non riuscisse a riconoscere nulla del luogo in cui si trovava si tirò in avanti fino a sedersi. Mura altissime e pavimentazioni di ferro spropositate riempivano l'ambiente, stracolmo di macchinari dalla tecnologia sconosciuta. Sul soffitto la strana luce color azzurro intenso continuava a fluttuare minacciosa illuminando di una tinta tetra i corpi in completo scuro che giacevano a varie distanze da lei. A pochi metri dal macchinario centrale dell'enorme abitacolo si stava rialzando un uomo di colore con un occhio coperto da una benda nera.
- Hill! Mi ricevi?- biascicò ad una ricetrasmittente, mentre si tastava dolorante il petto.
L'ansia e la preoccupazione trapelavano dalle sue parole e questo bastò a far scattare in lei la scintilla. Si mise in piedi e dando un'occhiata veloce all'ambiente visualizzò l'unica via d'uscita presente nella stanza. Quel paesaggio distruttivo e tetro era stato innescato indubbiamente dal Tesseract, ne riconosceva gli effetti, quindi le possibilità di sopravvivere in quella struttura erano pari a zero.
Con un impulso felino si avviò alla porta, raccogliendo nel tragitto una pistola che giaceva inerme accanto al corpo privo di vita di un agente.
Il vuoto allo stomaco si faceva sempre più concreto e respirare sembrava minuto dopo minuto più complicato. Non aveva idea di dove fosse, né di come avesse raggiunto quel luogo, l'unica certezza era la fuga.
Imboccò delle scale in ferro battuto scavalcandone i gradini due o tre per volta fino ad individuare un gruppo di soldati che a passo svelto si recavano, secondo le procedure, alle uscite di evacuazione.
Seguì la loro scia raggiungendo così una sorta di corridoio larghissimo che conduceva ad un garage immenso di Suv neri come la pece. Era il momento di agire, così, superò il gruppo di agenti e senza troppi complimenti si avventò su uno dei veicoli. Un colpo di pistola rimbalzò sulla portiera non appena questa si chiuse, ma l'accaduto sembrò non destarle alcuna preoccupazione: unico obiettivo fuggire da lì.
Il motore sibilò come un serpente pronto all'attacco e gli pneumatici stridettero sotto la pressione dell'acceleratore. Imboccò decisa la galleria a cui puntavano tutti gli altri Suv e incurante dei proiettili che schernivano il suo mezzo di trasporto sfrecciò verso l'uscita.
Le grandi velocità non davano segno di preoccuparla o metterla in difficoltà tra i numerosi zig zag che doveva effettuare per superare gli altri veicoli. Gli unici generatori di ansia erano le continue minacce di cedimento del terreno e i numerosi boati dei soffitti che precipitavano. Dietro di lei le mura della galleria cominciarono a deflettersi e più di un'auto fu inghiottita dalle macerie.
Il frastuono dei proiettili, delle urla, dei freni e motori in delirio la seguivano e la precedevano, e la sua sembrava essere una corsa contro il tempo. Ma, una luce soffusa davanti a lei sembrava predirle un lieto fine.
La galleria era finita e il cielo sembrò abbattersi come un quadro devastante su di lei. Nessuna stella, solo il nero della notte e il vacuo scintillio della luna. Elicotteri e cenere vaneggiavano a mezz'aria, mentre l'esteso campo di terra arida vagava per miglia sconfinato, attraversato da vetture militari nella più torbida delle baraonde.
Lei si ritrovava nell'ipocentro di quel caos, nell'occhio del ciclone, ma nonostante tutto era salva.
Era viva.

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Capitolo 2
*** Senzatetto ***


2. Senzatetto



Manhattan, New York.
Monday, 16th September 2012.
06:30 p.m.


Erano passati tre giorni da quando Loki era approdato sulla Terra carico di intenzioni ben poco pacifiche e con lui, dal Tesseract, era fuoriuscita una giovane ragazza dai corti capelli castani e un'identità sconosciuta. Lo S.H.I.E.L.D. l'aveva completamente persa di vista durante l'evacuazione della base segreta, ormai distrutta e ridotta in polvere dalle attività paranormali del cubo. Fury l'aveva vista sfrecciare via tra le macerie, mentre ancora dolorante cercava di raggiungere l'elicottero sul tetto.
Aveva provato a rintracciarla, mentre nella baraonda più totale tentava di mettere in piedi il progetto “Avengers”. Erano riusciti a risalire al Suv scomparso, ma quest'ultimo era stato abbandonato sul ciglio di una strada deserta, ripulito di qualsiasi traccia potesse ricondurre ad un indizio sulla fuggitiva.
Non accadde lo stesso per la controparte, che insediatasi in un rifugio per senzatetto aveva racimolato abbastanza informazioni da ricostruire gli avvenimenti che l'avevano vista protagonista.
La parola chiave, che precedeva “Tesseract”, era: viaggio nel tempo.
Senza un reale preavviso, si era ritrovata a fuggire da quell'ormai lontano e buio 1965 per essere catapultata in un 2012 dalle sfaccettature misteriose e i tratti somatici di un labirinto complesso. La sua teoria si basava sui pochi concetti di fisica quantistica che aveva acquisito nel tempo, sulle informazioni dei giornali che aveva raccattato dai cestini in metro e tutto il resto lo aveva messo di immaginazione, o intuito, che dir si voglia: il varco che Loki aveva aperto nell'epoca odierna, in qualche oscuro modo, aveva cozzato e si era amalgamato alle attività processuali del Tesseract del 10 gennaio del '65. Le forze elettromagnetiche e i fasci quantici l'avevano risucchiata via come un aspirapolvere fino a sputarla in avanti di circa cinquant'anni.
Restavano aperte diverse domande, ad esempio come avesse fatto a sopravvivere a così tanta potenza ed energia aliena restandone indenne. Ma le risposte risultavano passare in secondo piano di fronte ad un problema più grave. Il Tesseract era in mani nemiche.
Aveva lavorato tanto per riuscire a recuperarlo e ora se lo vedeva scivolare via dalle mani come fosse di sabbia.
- Ehi tu, hai da accendere?- una donna sulla quarantina, dai capelli spettinati e le occhiaie gonfie e livide l'aveva ridestata dai suoi pensieri. Indossava una felpa sgualcita di qualche taglia più grande e i sui pantaloni avevano diverse toppe ricucite alla meglio. Tutti lì erano sistemati in quel modo improvvisato e stentato, con espressioni vuote e cariche di nichilismo e misantropia. Parecchi annerivano lo sguardo con rabbia o l'effetto devastante della solitudine.
- No, mi dispiace.- asserì fissando la sigaretta penzolante tra le dita lunghe e magre della donna. Questa senza neanche rispondere si voltò alla ricerca di una fiammella che le regalasse un soffio di nicotina per alleviare i nervi tesi.
La ragazza passò in rassegna il suo sguardo su tutte quelle figure grigie e nuvolose, solitarie e dimenticate dal mondo. Qualche misero relitto umano si stava sistemando sulle panche, rimboccandosi dei fogli di giornale attorno al corpo a mo' di coperte. Li guardò senza impietosirsi. Fare il barbone, lo chiamavano. Suonava così dispregiativo, eppure lei non aveva mai sentito pietà per quel genere di poveri: autentici, genuini, straziati da sentimenti veri. Erano i poveri in giacchetta nera, i piccoli ragni della società, che bisognava compiangere. Bramosi di tessere ragnatele fatte di soldi e sangue. Quelli sì che li biasimava con disprezzo: freddi come macchine e assassini che non si erano mai sporcati le mani.
Ora si ritrovava a guardare loro, i senzatetto, e no, non erano questi i poveri di cui aveva pietà; loro erano gli invisibili, esattamente come lei. Pedine spersonalizzate, spesso facili da sacrificare per una brama di potere più grande.
Tornò a riflettere soffermandosi proprio sulla parola “senzatetto” trovandola piuttosto ironica, nonché disegnata a pennello sulla sua pelle in quell'istante.
Lei era una senzatetto, nel senso più stretto del termine; una randagia scappata di casa, senza un tetto sulla testa, che puzzava di ciò che non aveva mai posseduto, ma anche di tutto ciò che probabilmente mancava a molti di quelli che aveva incontrato nel corso della vita.
Aveva acquisito quell'andare silenzioso totalmente libero, quel deambulare perplesso, eppure così naturale, così necessario, quel fregarsene del tempo meteorologico e di quello dell'orologio. Per la prima volta dopo tempo si sentiva libera; libera anche se sulla sua testa non c'era e non vi era mai stato un tetto che le appartenesse; e in quel momento, ironia della sorte, neanche il cielo violaceo che si imperlava del rosso del tramonto poteva considerarsi più suo.
Sorrise rivolgendosi ad una finestra del prefabbricato in cui decine di poveracci e barboni si rintanavano per nascondersi dal freddo della notte.
Pensò che mancavano poche ore al calare del buio e che quindi il suo progetto di ricerca avrebbe avuto inizio: il Tesseract doveva tornare tra le sue mani.
Il suo piano non si era ancora concluso.

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Capitolo 3
*** Stoccarda: Abbiamo compagnia ***


3. Stoccarda: Abbiamo compagnia



Stoccarda, Germany.
Wednesday, 19th September 2012.
09:50 a.m.


La musica da sala rimbombava soave tra le mura di marmo e le colonne in perfetto stile ionico del museo storico della città. Tutti i più illustri funzionari del paese erano riuniti lì, incartati come caramelle nei loro smoking o abiti da sera.
Loki scendeva fiero e sardonico la grande scalinata in pietra bianca, poggiandosi al suo scettro dalla mistica luce bluastra. Gradino dopo gradino avanzava tra le note dei violini avvicinandosi sempre più alla sua preda. Tra la folla venne avvistato da una cameriera, che, preso da se stesso e dal suo egocentrico piano, non riconobbe. Capelli corti castani, sguardo vispo dai toni caldi e freddezza calcolatrice nei movimenti. La ragazza degli anni '60 era lì, mimetizzata allo staff della gran serata di gala, pronta a seguire come un cane da tartufo l'unico elemento che avrebbe potuto guidarla al Tesseract.
Eppure accadde qualcosa che nessuno in sala si sarebbe aspettato. Il dio norreno dagli occhi color del ghiaccio si avventò famelico su uno dei tanti signorotti in giacca scura e camicia linda, il dottor Heinrich Schafer e, come se il suo peso corporeo fosse nullo, lo sollevò scaraventandolo su una delle sculture al centro dell'atrio. Estraendo uno strano aggeggio molto simile ad un frullino elettrico, si attaccò all'occhio sinistro dello sprovveduto. Il dolore sfrecciò via dalle fauci digrignate del povero Schafer.
Urla di panico si mischiarono alla musica, che a mano a mano cessò e l'eco del caos rimbombò in tutta la struttura. Tutti si apprestarono a raggiungere l'uscita correndo e lasciandosi dietro una ventata di terrore.
La ragazza mollò di sasso il suo vassoio ricoperto di tartine al caviale e, portando rapidamente la mano alla pistola, si nascose tra una colonna in marmo e una grossa pianta d'ornamento. Con tutta quella confusione sarebbe riuscita a seguire indisturbata il suo uomo. Quello che non aveva calcolato, però, era l'indole narcisista e lo smisurato ego da dominatore dell'universo di cui era provvisto il dio dell'inganno.
- Inginocchiatevi.- le sue parole raggiunsero distintamente le orecchie di ogni uomo presente al suo cospetto e il suo scettro incuteva timore nello sguardo dei suoi ostaggi.
In molti tentarono la fuga, ma ologrammi di quel viscido individuo si moltiplicarono ad ogni angolo della strada, la ragazza, dall'interno dell'edificio assisteva alla scena pietrificata.
- In ginocchio. ORA.- tuonò lasciando vagare la luce blu della sua arma nel buio della sera.
Lentamente tutti i presenti, circondati dalle copie sornioni e maligne di quell'essere, cominciarono a calarsi verso il basso, seguendo l'ordine impartito.
Gli sguardi tetri di angoscia e paura puntavano dritti sulla figura longilinea e tagliente di Loki. I suoi lunghi capelli neri sembravano la coda di un serpente e il suo viso aguzzo ricordava molto i lineamenti di una lucertola. Il suo abito, ora molto diverso da quello indossato all'interno della struttura, presentava due lunghe corna dorate e un mantello verde smeraldo degno di un principe d'oriente. Eppure di regale quell'abominio non sembrava assumere proprio niente.
- Non vi sembra semplice. Non è questo il vostro stato naturale? È la verità taciuta dell'umanità... Voi bramate l'asservimento, il luminoso richiamo della libertà riduce la gioia della vostra vita in folle combattimento per il potere, per un'identità. Voi siete nati per essere governati... Alla fine vi inginocchierete sempre.- la sua voce risuonava simile al verso di un rettile subdolo e dal sangue freddo.
La ragazza percepì il sapore amaro della bile risalirle e la rabbia gonfiarle le vene del collo. Uomini come quello ne aveva già visti in passato e ricordi spiacevoli riaffiorarono come edere nella mente. Non era scappata dalla prigionia di un cupo 1965 per sottomettersi ad un famelico uomo assetato di poter nel 2012. Ritornò all'interno dell'edificio in cerca di un'uscita d'emergenza. Quel pazzo avrebbe fatto fuori qualcuno e le armi umane, per quanto avanzate rispetto alla sua epoca, non potevano nulla contro uno scettro alimentato dallo stesso tipo di energia del Tesseract. Munita di una pistola, dunque, poteva ben poco e l'unico vantaggio si prospettava essere l'effetto sorpresa.
Si ritrovò a correre velocemente le scale d'emergenza che circostanziavano la struttura. Nei dintorni il suono di sirene della polizia, delle autoambulanze e dei pompieri si facevano largo tra i clacson impazziti dei civili.
Recuperando una visuale strategica, tra un muro e un cassonetto, la viaggiatrice del tempo si appostò ad osservare la scena.
Un uomo anziano si era alzato tra la folla, tremante di paura, ma con lo sguardo carico d'orgoglio. Sarebbe stato lui la prima vittima se qualcuno non avesse fatto qualcosa.
- La voce saggia del popolo... Che lui sia d'esempio.- disse in tono mellifluo il vile dio norreno, mentre con un gesto regale puntava la sua arma in direzione della vittima.
La giovane donna era combattuta, sapeva che salvare quell'uomo avrebbe mandato a monte la sua copertura e di conseguenza la sua unica possibilità di recuperare il cubo; d'altro canto si era ripromessa di fare la cosa giusta e il suo istinto sapeva che sparare quel proiettile era l'unica cosa giusta da fare. Mirò e con sicurezza sparò il colpo.
Quest'ultimo colpì di striscio il polso di Loki, ma non perché il proiettile non avesse intrapreso la giusta direzione, bensì perché a proteggere l'esile corpo dell'anziano signore vi fu uno scudo circolare dai colori sgargianti della bandiera americana.
La mascella della ragazza sembrò cedere per qualche secondo, poi il suo istinto vigile la portò ad arretrare nell'ombra.
Captain America era vivo e vegeto, in perfetta forma smagliante, in un costume a stelle e strisce che urlava forte e chiaro il suo messaggio. Forse le sue ricerche in quei giorni non erano state poi così approfondite e gli anni 2000 offrivano alla giovane dai corti capelli castani novità più ampie rispetto alla tecnologia avanzata e ad alieni dall'ego spropositato.
Cosa doveva aspettarsi da lì in poi, cosa pensare o su che basi ricostruire i propri piani?
I suoi interrogativi non riuscirono a trovare risposta, poiché la situazione era in suo netto svantaggio. Una strana navicella molto simile ad un aeroplanino di carta nero sorvolò la folla accalcata tra gli ologrammi di Loki e una voce femminile risuonò da alcuni altoparlanti intimando allo spregevole uomo dagli occhi di ghiaccio di arrendersi.
Quello fu un perfetto cannone di inizio per lo scontro.
La viaggiatrice del tempo sapeva che era giunto il momento di scappare, ma quello che la stava circondando era troppo strano persino per lei. Un tizio in armatura cremisi e oro volava a ritmo di una canzone rock verso di loro, l'altro, che tutti pensavano presumibilmente morto più di 70 anni prima, si muoveva agile tra un gancio destro e un lancio dello scudo verso il suo avversario, che in quanto stranezze aveva un bagaglio tutt'altro che leggero. In più a mezz'aria uno strano elicottero senza eliche continuava a puntare un grosso mitra militare sul piazzale ormai svuotato dai civili.
Sì, doveva fuggire, su questo non vi era alcun dubbio, ma le sue gambe avevano deciso di non percepire i consigli della ragione e la sua curiosità le intimava di restare.
- Fa la tua mossa piccolo cervo.- ordinò l'uomo in armatura, mentre innescava armi di ogni genere dalle spalle e le braccia, puntando dritto sulla figura ora così vulnerabile di Loki.
Si arrese e tutta la sua spavalderia perì in un attimo. Lo scettro lontano, lo sguardo vigile e le mani in alto.
- Merda.- si lasciò sfuggire la ragazza, capendo che il suo obiettivo stava per essere messo sotto chiave da quella banda di reperti paranormali. Stava perdendo il suo unico filo d'Arianna che la collegava al Tesseract.
Ma, mentre dava gas ai neuroni per trovare una soluzione al suo inghippo, qualcun altro si era accorto di lei.
- Agente Romanoff, abbiamo altra compagnia. Alle tue ore 10, la ragazza del Tesseract. Sai cosa fare.- la voce impetuosa di Nick Fury fuoriuscì dall'altoparlante del velivolo in cui la Vedova Nera stava arbitrando il numero 28 di Konigstrasse.
Tra i cassonetti laterali dell'edificio e alcune auto ormai abbandonate dal caos generato da Loki, si nascondeva una figura femminile dalla statura minuta. Natasha intimò al pilota di virare verso il basso per recuperare i suoi nuovi colleghi di lavoro e per far sì che lei potesse occuparsi della ragazza misteriosa.
- Romanoff, che piacere, sei venuta addirittura ad aprirci il portellone. Stai facendo un corso di buone maniere?- ironizzò l'egocentrico Tony Stark, mentre puntava il palmo della sua armatura contro le spalle irrigidite del dio norreno.
Nessuna risposta lo accolse, mentre la donna dai capelli rossi si avviava a passo svelto verso il nuovo obiettivo.
Con la guardia alta Natasha si apprestò a raggiungere il luogo incriminato, ma la ragazza sembrava essersi volatilizzata. La piccola statura le conferiva molta agilità e diversi punti ciechi a cui la Vedova non riusciva ad arrivare. Attivò i polsini elettrici e si mise sulla difensiva pronta ad ogni eventualità.
Si calò verso il basso per osservare meglio sotto le auto capovolte e abbandonate, ma neanche l'ombra di un piede all'orizzonte. A passo felpato ispezionò il perimetro meticolosamente, per poi avvicinarsi sempre più al muro di un vicolo cieco. Era l'ultima frontiera, la fuggitiva doveva trovarsi inequivocabilmente lì.
Era pronta a coglierla con le spalle al muro quando i suoi riflessi scattanti si ritrovarono a parare un calcio proveniente dall'alto, troppo veloce da poter essere previsto.
La ragazza atterrò davanti a lei con il viso nascosto da un cappuccio nero. Natasha non ebbe il tempo necessario per studiare meglio l'avversaria, che questa con il calcio della pistola le si avventò sulla faccia. Era la seconda volta che mirava al suo viso e probabilmente la sua tattica era quella di accecarla o comunque distrarla. Si ritrovò a schivare anche questo colpo per un pelo, ma quello che seguì allo stomaco non riuscì proprio a calcolarlo. Un dolore lancinante la colpì sotto lo sterno, un diversivo abbastanza efficace, che permise alla brunetta di sfilarle una delle due pistole dal cinturone dell'uniforme. L'aveva presa alla sprovvista e questo non le capitava mai, forse aveva commesso l'errore di sottovalutare la sua avversaria. Digrignò i denti pronta a risollevarsi e a conciare per le feste la rivale.
Quando rialzò la chioma color rosso mogano e si ricompose in una dignitosa posizione eretta, si ritrovò gli occhi della ragazza puntati addosso, impegnati in uno strano sguardo di sfida, misto a quello che sembrava essere proprio stupore.
Era giovane, il viso sottile e la carnagione pallida. Gli occhi castani erano grandi e ricordavano molto quelli delle bambole di porcellana. Qualche lentiggine le macchiava le guance e i capelli corti e disordinati le conferivano un'aria adolescenziale.
Con freddezza tipica di chi ha subito un addestramento la teneva sotto tiro impugnando le due pistole di cui era fornita. Eppure accadde qualcosa di inaspettato.
Lo stupore nei suoi occhi si spense e una velata aurea di consapevolezza le coprì il volto. Lasciò cadere le due armi al suolo e si liberò dalla posizione rigida della difesa. Nonostante avesse un notevole vantaggio in quel combattimento, aveva deciso di arrendersi.
Probabilmente l'idea di essere in svantaggio numerico l'aveva fatta desistere ed ora era pronta a risalire il velivolo dello S.H.I.E.L.D..

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Capitolo 4
*** Interrogatorio ***


4. Interrogatorio



Somewhere, flying over Germany.
Thursday, 20th September 2012.
00:20 p.m.


- Chi è la nostra nuova amica?- domandò Tony vedendo risalire le due donne, di cui una aveva le braccia costrette dietro la schiena.
- Non vuole farcelo sapere.- annunciò la Romanoff, mentre si recava nuovamente al posto del pilota, punta nell'orgoglio e con lo sterno dolente.
La ragazza vagò con lo sguardo sui presenti, partendo dalla figura chinata al suolo di Loki. L'immagine di un viscido rettile velenoso che aveva avuto di lui venne riconfermata e nei suoi occhi chiari riconobbe perfettamente le tinte della malvagità di cui si era riempito la bocca poc'anzi. La sua mano destra era livida e una piccola ferita, simile ad una bruciatura, lasciava intendere che il proiettile che gli aveva sparato lo aveva colpito.
Passò ad osservare l'uomo in armatura, non aveva più l'elmetto e guardandolo nel dettaglio riscontrò una somiglianza inaudita con Howard Stark: stessi zigomi, stessi occhi e incredibilmente, stesso baffetto. Possibile che si trattasse di suo figlio? Le sue ricerche parlavano chiaro e la risposta era inequivocabile. Tony Stark, ideatore della Stark Tower autoalimentata da un reattore arc, o così enunciavano a caratteri cubitali le prime pagine dei quotidiani raccattati in giro nei giorni precedenti.
Howard Stark, sposato e con figli, probabilmente era la cosa più utopica in cui si era imbattuta in quei pochi giorni nel ventunesimo secolo.
Prese posto davanti a Loki, sedendosi e poggiando la schiena ad una parete, spostò poi lo sguardo indagatore sulla figura di Captain America. Era identico alle figurine del suo tempo, lo stesso slancio asciutto e fiero dei poster pubblicitari. L'eroe americano, sacrificatosi per la patria, ora lì vivo e vegeto davanti a lei.
Quali eventi fuori dal mondo la stavano ancora aspettando?

- Hanno detto qualcosa?- Nick Fury si mise in contatto con la Romanoff.
- Non una parola.- sentenziò lei con gli occhi fissi sui comandi.
- La ragazza?- proseguì dalla ricetrasmittente l'uomo dalla voce autoritaria.
- Non ha opposto molta resistenza, ma è addestrata e sa come difendersi. Da tenere sott'occhio.- precisò lei ripensando ancora al colpo subito.
- Portali subito qui non c'è tanto tempo.- chiuse le comunicazioni l'altro.
Nell'abitacolo opposto alla postazione comandi, intanto i quattro personaggi più bizzarri della storia si fissavano vicendevolmente con arie trite di curiosità.
La ragazza continuava a soppesare con diffidenza i tre uomini, mentre provava ad elaborare una soluzione al suo nuovo problema.
- Mi ricordi qualcuno, tipo una cantante... Col rockettaro qui sareste un bel duo.- disse sardonico il miliardario Stark indicando prima lei e poi l'asgardiano.
- Come facevi a sapere di Stoccarda?- Steve Rogers ignorò bellamente l'ironia dell'uomo in armatura, per concentrarsi piuttosto sull'enigmatica figura della ragazza.
- Deduzioni.- si limitò a proferire lei asettica.
- Reality Bites! Ecco chi mi ricordi: Winona Ryder in Reality Bites! Facevi da controfigura?- accentuò il suo siparietto comico Tony.
- Stark.- lo ammonì l'uomo a stelle e strisce.
- Cosa? Ah già, non l'hai mai visto. Bel film, ottima annata: 1994. Te lo consiglio caldamente.- rispose lui con il suo solito tono canzonatorio.
Dando le spalle ai due prigionieri Steve assunse un'aria pensosa.
- Non mi piace per niente.- sussurrò al compagno in armatura.
- Chi dei due? Cappuccetto nero che ha mangiato il lupo o il punkabbestia molto arrendevole?- domandò il playboy rosso ed oro.
- Io non li sottovaluterei, quello poi picchia molto forte.- proseguì mantenendo il tono di voce basso.
- Anche tu sembravi molto brioso per essere un attempato. Qual è il segreto? Pilates?- continuò a mantenere vivo il suo spirito ilare Stark.
Un frastuono esteriore, però, portò l'attenzione di tutti verso il cielo, che si illuminò di schegge azzurre e lampi accesi.
Loki sembrava il più turbato di tutti, mentre l'espressione della Vedova Nera risultava più preoccupata per la traiettoria di volo compromessa.
- Paura di un paio di fulmini?- si rivolse Steve al dio dell'inganno.
- Non apprezzo quello che ne seguirà.- soffiò quasi disgustato lui.
Un boato assordante colpì il tettuccio del velivolo e altre scariche azzurre attanagliarono il cielo. Il portellone si aprì con uno scatto metallico e la figura di un possente uomo dai capelli biondi e l'armatura di un vichingo volò all'interno dell'abitacolo.
Nel mentre Captain America ed Iron Man avevano assunto le posizioni difensive, l'elmetto metallico e lo scudo in vibranio erano ai posti di combattimento e i loro muscoli ben tesi per l'azione. Tony fu il primo ad avanzare, ma il grosso martello tribale dello sconosciuto lo scagliò direttamente verso la zona di pilotaggio, trascinando con se anche il soldato in tuta blu. Nel mentre il culturista dalla chioma bionda con un semplice movimento del braccio strattonò via dalle briglie di sicurezza Loki e, come se quest'ultimo avesse la stessa consistenza di un peluche di pezza, se lo tirò dietro fuori dall'aliante dello S.H.I.E.L.D.
- Oh, ma al diavolo!- esclamò con incredulità e sdegno la ragazza.
Per la seconda volta in meno di un'ora qualcuno era riuscito a soffiarle da sotto il naso la sua traccia.



Somewhere, flying on the Helicarrier.
Thursday, 20th September 2012.
02:30 a.m.


- Hill, come procede la situazione?- Fury entrò nella stretta cabina in cui l'agente Maria Hill stava osservando attraverso un vetro oscurante la misteriosa ragazza del Tesseract.
- In realtà... Si comporta in modo strano da quando è salita sull'Helicarrier. Sembra stare male, guarda.- la donna indicò sia la figura femminile dietro la lastra a doppio fondo, che dei dati sullo schermo di un computer.
Il volto sottile era imperlato di sudore, continuava a stringere le palpebre come a sopportare uno sforzo, il colorito, benché fosse chiaro in partenza, aveva assunto toni malaticci e cadaverici. Le dita erano strette a pugno e le nocche risaltavano pericolosamente come spine, tremolii improvvisi le scuotevano le spalle e i piedi, entrambi ancorati alla sedia di metallo su cui l'avevano bloccata, continuavano ad andare su e giù. Sul computer il battito cardiaco risultava accelerato e la respirazione affannosa. Si comportava come un pesce fuor d'acqua, incompatibile con l'ossigeno di quell'ambiente.
- Hai idea del perché?- domandò l'uomo dalla carnagione scura.
- Le ho fatto dei controlli, non dipende da agenti interni, ferite o problemi fisiologici del corpo. Ho provato a chiederglielo, ma si rifiuta di rispondere.- spiegò la donna dagli occhi azzurri e il temperamento freddo tipico di una spia.
- La Romanoff ha parlato di un addestramento, non riusciremo a vuotarle niente se non sotto interrogatorio.- precisò Fury puntando il suo occhio buono sulla ragazza la cui cera andava peggiorando attimo dopo attimo.
- Lo sospettavo. Hai idea per chi possa lavorare?- la Hill lasciava saettare il suo sguardo dai valori incalzanti sullo schermo al volto incorniciato da goccioline di sudore della giovane donna.
- No, ma lo scopriremo.- puntualizzò statuario lui.
- Mandi su la russa?- l'agente Hill focalizzò tutta l'attenzione sul direttore dello S.H.I.E.L.D., il quale le rispose con un cenno affermativo del capo.

La testa le scoppiava come una campana percossa da un bastone e il suo corpo continuava a reagire in modo negativo. Brividi di freddo le percorrevano la schiena e stringere forte i denti serviva a poco. Quanto diavolo ci metteva il suo sistema nervoso ad abituarsi?
Per la seconda volta la porta della cella in cui l'avevano confinata si aprì e il volto della donna dai capelli cremisi con cui aveva quasi aperto uno scontro si presentò al suo cospetto.
- Non hai una bella cera?- inaugurò il discorso posizionandosi difronte a lei a braccia incrociate.
Il rintocco dell'interrogatorio risuonò come la sveglia del lunedì mattina.
- Immagino che la mia salute sia al momento la tua priorità.- rispose la brunetta sistemandosi meglio sulla sedia e concentrandosi al meglio per tenere gli occhi aperti.
- Certo che no. Ma potrebbe diventarlo se mi dai un buon motivo.- proseguì con aria furba la donna dai grandi occhi verdi.
- Un buon motivo?- la domanda le fuoriuscì impertinente e a denti stretti, mentre una fitta lancinante le perforava una tempia.
- Sì. Qualcosa di facile tipo: da dove vieni? Qual è il tuo nome? Casa centri tu col Tesseract?- la sua voce era ferma e impenetrabile.
- E se non volessi dirtelo?- nonostante l'evidente sforzo fisico, la ragazza non sembrava demordere e manteneva fisso lo sguardo sulla donna.
- Non mi sembri un'idiota e sono certa che questo non sia il tuo primo interrogatorio... Ti conviene collaborare.- sorrise calma Natasha.
- Assurdo... Minacciata da una Vedova Nera in uno stabilimento dello S.H.I.E.L.D.. Se me l'avessero raccontato non ci avrei mai creduto.- questa volta a sorridere era la viaggiatrice del tempo e gli angoli della bocca si allungarono ancora di più quando riuscirono a leggere sgomento e sorpresa negli occhi dell'avversaria.
- Stai cercando di provocarmi?- la voce era ancora invalicabile e impostata, ma il suo sguardo si era fatto scuro e attento, come se da un momento all'altro avesse dovuto parare un colpo troppo veloce da prevedere.
- No, ma volevo farti presente che sono stata già messa al corrente di come funzionano gli interrogatori dalle tue parti e ti posso assicurare che non dirò nulla.- confermò con pacatezza la ragazza dagli occhi castani, ora nuovamente serrati dalle fitte alla testa.
Lo sguardo di Natasha diventò indecifrabile, un misto di rabbia e impazienza, ma il tutto velato dalla freddezza dei suoi nervi. Non sopportava sentirsi in svantaggio, nonostante non ci fosse lei paralizzata ad una sedia con chissà quale dolore lancinante a contorcerla.

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Capitolo 5
*** Deduzioni ***


5. Deduzioni



Somewhere, flying on the Helicarrier.
Thursday, 20th September 2012.
03:30 a.m.


- Se è vero che sai come funziona un interrogatorio, saprai anche che se non ricavo niente dalle tue risposte posso facilmente liberarmi di te, ragazzina.- gli occhi verdi della Romanoff erano diventati di ghiaccio e la voce più calma che mai fece saettare via le parole con grazia, mentre un sorriso sagace le illuminava il viso. Chiunque fosse quella ragazza e indipendentemente da quali fossero le circostanze che l'avevano legata al Tessercat, o peggio, ad un'altra Vedova Nera, non potevano e non dovevano conferirle alcun appiglio su di lei. Se voleva giocare col fuoco si sarebbe bruciata.
- Naturalmente... È per questo che voglio collaborare con voi.- affermò lei stiracchiandosi sulla sedia in cerca di una posizione più comoda.
- Dove vuoi andare a parare?- domandò la rossa.
- C'è una cosa che abbiamo in comune. Il cubo cosmico. Voi volete recuperarlo, è per questo che io sono qui... La mia proposta è questa: vi aiuto a trovarlo e voi non fate troppe domande sul mio conto.- spiegò repentina tra un fremito e l'altro.
- Interessante. Peccato che: A. non vedo perché dovremmo fidarci di te.- iniziò a scandire in modo nitido la russa, mentre serrava le mani sui braccioli della sedia su cui la sconosciuta era stata bloccata. I suoi occhi erano indissolubilmente incatenati a quelli espressivi e marroni di lei. Due sguardi di pietra.
- E, B. perché il tuo aiuto dovrebbe essere più efficace di quello di uno staff di agenti specializzati, scienziati e ingegneri informatici?- concluse continuando a puntare il suo sguardo in cerca di una qualsiasi percezione di cedimento negli occhi della giovane donna.
Niente.
La paura non sembrava accomunare il suo viso e anche una situazione scomoda come quella non le suscitava alcuna preoccupazione. Viveva di quello sguardo incurante, indomabile, che potevano possedere solo i pazzi o coloro che non temevano il peggio, perché il peggio lo avevano già vissuto. E chi meglio di lei poteva riconoscere tra la folla quel tipo di occhi.
- Io non ho mai parlato di fiducia, ho detto “collaborare”, e a voi sembra proprio necessaria un po' di collaborazione... Inoltre, vi sarete chiesti come abbia fatto a trovare la traccia di Stoccarda prima di voi? Senza le vostre tecnologie e i vostri esperti, per giunta.- un sorriso ironico tentò di stiracchiarsi sul viso pallido e imperlato di sudore della sconosciuta.
Certo che se lo erano chiesti ed è per questo dato motivo che lo S.H.I.E.L.D., ora, era più preoccupato che mai della sua figura indecifrabile. Tra lei e l'asgardiano dall'ego sproporzionato, il caos aveva preso forma e sostanza sulle teste dell'organizzazione di intelligence più temuta al mondo.
- Sono tutt'orecchi.- sibilò la Romanoff.
- Osservazione. Pensiero laterale. Deduzione. E l'incentivo di un internet-point e qualche giornale raccattato qua e là.- affermò la ragazza come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Di rimando Natasha alzò un sopracciglio in segno di disappunto, cenno cristallino che non si sarebbe accontentata di quelle due parole messe in croce teatralmente.
- Dalla tua espressione però, deduco di non avere soddisfatto appieno la tua curiosità... Allora passerò alla versione lunga. Bene, partiamo dal 16 settembre. La prima vittima di Loki: Charles Duke, proprietario di un'industria siderurgica a Charlotte, la più produttiva in tutta la Carolina del Nord. Tre dei suoi stabilimenti sono stati svuotati fino all'ultimo grammo di ghisa, acciaio o lega metallica in generale. Perché aveva bisogno di così tanti minerali ad alto contenuto di ferro? Ce lo spiega la sua seconda vittima: Jason Williams, New Orleans, responsabile della sicurezza di una piccola industria metalmeccanica in crescita. Si registra la scomparsa di 24 operai e di diversi macchinari al suo interno. La risposta ora mi sembra ovvia: deve costruire una macchina. Per cosa? Ovviamente per ricreare un nuovo portale col Tesseract, ma questa volta vuole che sia più stabile e governabile. Come? Aveva bisogno di un agente stabilizzante e, mentre lui si preoccupava di raccattare pezzi per il suo modellino della morte, io ho spostato le mie ricerche su quella componente, che prima o poi avrebbe cercato.- le parole discorrevano veloci come un fiume in piena e ad ogni domanda posta la risposta era pronta a sopraggiungere dietro l'angolo.
- Nessun minerale sulla Terra avrebbe mai potuto reggere la mole di energia quantica del Tesseract. E allora cosa? Un materiale che sulla Terra non viene generato, ma che è comunque possibile recuperare. Ci ho messo un po', ma sono riuscita a trovare quell'informazione che mi sfuggiva. L'iridio: estratto da asteroidi e meteoriti con un tasso così elevato di platino e osmio da poter reggere anche le onde gamma del cubo. Insomma sapevo che avrebbe avuto bisogno dell'iridio prima ancora che lo sapesse lui. Ho sprecato tutte le mie energie nei giorni successivi per trovare un modo rapido per raggiungere Stoccarda e trovare il dottor Heinrich Schafer, l'unico al mondo a possedere la giusta quantità di minerale per costruire un congegno del genere. Il resto della storia lo conosci già.- sentenziò lapidaria con uno sguardo vittorioso sul viso.
Deduzioni.
Quando aveva dato quella risposta al capitano Rogers sembrava quasi una presa in giro, un modo pratico per depistare o semplicemente per provocare, eppure era la verità.
Quello che aveva messo in piedi era un ragionamento lineare, fluido e ora, sotto la luce della logica razionale, così semplice, sviscerato da una mente che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di definire ordinaria. Era questo il suo potere? Un cervello umano dalle fattezze meccaniche? Una testa contorta, ma allo stesso tempo pragmatica, insomma un portento naturale? O forse sarebbe stato meglio definirla un'arma mortale?
- Agente Romanoff, lasci quella cella. Ha finito.- la voce di Fury raggiunse la ricetrasmittente nell'orecchio della donna dai capelli rossi, la quale sbalordita si portò un dito all'orecchio e rispose atona con un segno affermativo.

La ragazza rimase sola.
I dolori si stavano ridimensionando e le fitte alla testa diventavano sempre meno frequenti.
Il suo sistema nervoso aveva cominciato ad abituarsi, anche se quell'ambiente riusciva a rendergli il compito veramente difficile.
Era piuttosto stanca e stremata, ma non aveva alcuna intenzione di perdere la calma o la determinazione. Se avesse giocato bene le sue carte in breve tempo il Tesseract sarebbe tornato in mano sua. Per il momento doveva accettare qualche compromesso, con sé stessa e con quel circo paranormale che la stava circondando.

La cella si aprì per la terza volta.
A farle visita vi fu l'uomo di colore che aveva visto agonizzare tra le macerie la sera del suo approdo sulla Terra del futuro. Era sopravvissuto al crollo e ora aveva un aspetto più autoritario, più freddo e lo sguardo irremovibile.
A seguirlo vi erano tre soldati in divisa blu, armati di taser, cinturone con pistola e chissà quale altra arma celata.
- Sei veloce.- disse Fury infilando le mani nelle tasche del suo lungo cappotto di pelle nera.
- Lo è stato anche lei, se è ancora qui.- il respiro era tornato pressoché regolare e portare avanti un discorso non sembrava più così difficile.
- Non mi riferivo alla corsa. Intendevo questo...- proseguì il direttore dello S.H.I.E.L.D. indicandosi la testa.
- Oh, già. Immagino che sia per questo che sta cercando di farmi un test.- sorrise pacatamente lei, cercando di rilassarsi sulla sedia nonostante la posizione scomoda.
- Tu credi?- anche l'uomo dalla benda sull'occhio aveva un'aria stranamente calma.
- Non lo credo, ne sono certa. E tra parentesi non si è neanche impegnato tanto. Vuole sapere se me ne sono accorta, la risposta è sì... Il soldato sulla destra, ovviamente no, non è un soldato. Piedi piatti e una forte miopia, non potrebbe esserlo neanche in un futuro utopico. Per di più è mancino e la pistola nel cinturone è posizionata a destra. Lo so cosa sta aspettando signor “pezzo grosso” dello S.H.I.E.L.D., vuole che gli mostri cosa so fare non è vero?- mentre con la rapidità di una freccia la brunetta sputava sentenze, lo pseudo-soldato sulla destra cominciò a fissarsi imbarazzato i piedi e la pistola messa al posto sbagliato, domandandosi poi come avesse fatto a capire che soffrisse di miopia nonostante non indossasse occhiali da vista. Fury sorrise, non aveva idea di chi si trovasse davanti e probabilmente sarebbe stata l'ultima persona di cui si sarebbe fidato in vita sua, ma una cosa doveva ammetterla, la ragazzina gli stava simpatica.
- Ok, la accontento... Quello lì, come ho detto, non è un soldato, ma un dottore, anzi uno scienziato, un chimico precisamente. Ultimamente non ha lavorato molto in laboratorio, problemi con la spalla destra, diagnosi approssimativa: lussazione provocata da una caduta. Vediamo... Di recente è stato costretto a viaggiare. Ha iniziato a fumare da poco, perché è stressato. Oh, ma certo, come ho fatto a non capirlo... Sua moglie è incinta, probabilmente tra il settimo e l'ottavo mese di gravidanza. Congratulazioni.- affermò con sicurezza, mentre le pupille vagavano come saette su ogni centimetro della figura del malcapitato.
- Dottor Mitchell?- Fury pose l'interrogativo senza mai distogliere lo sguardo dalla giovane donna.
- Direttore io... Non so come sia possibile, ma è tutto corretto.- rispose titubante e sconvolto il povero uomo preso di mira.
Nick Fury teneva ancora puntato il suo occhio nero sulla viaggiatrice del tempo. Serio, autorevole, solenne. Una statua dai toni scuri in piena contemplazione. Lasciò scorrere diversi secondi nel silenzio più assoluto, facendo così sprofondare la piccola cella in un forte clima di tensione.
- D'accordo. Sei dei nostri, ma sappi che ti tengo d'occhio e al minimo passo falso ci penserò personalmente a sopprimerti.- affermò alla fine con tono sostenuto, tipico di un leader, e freddo come quello di chi chi è certo di poter mantenere la parola data.
- Ah, dimenticavo. Staremo alle tue condizioni: riservatezza fino al ritrovamento del cubo, ma non ci dispiacerebbe sapere il tuo nome.- aggiunse poi sul ciglio della porta blindata della cella.
- Joanne.- fu la risposta di lei.
Non aggiunse altro.

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Capitolo 6
*** Una pista ***


6. Una pista



Somewhere, flying on the Helicarrier.
Thursday, 20th September 2012.
06:00 a.m.


Chi ha detto che uno sguardo non può fisicamente tangere? Chiunque fosse non si era mai ritrovato a sostenere decine e decine di occhi puntati contro come fari.
Sguardi silenziosi, ma che inequivocabilmente urlavano: Chi sei?
Difficile rispondere ad una domanda simile, soprattutto se la risposta non è ben chiara nemmeno a te, unica imputata del processo penale messo in atto da quegli sconosciuti.
Chi era Joanne?
Una ventiseienne perennemente in fuga, senza una meta, senza una casa e con l'unico obiettivo di sopravvivere. A quale scopo? Non un'anima viva che potesse sentire la sua mancanza, non un vero e proprio sogno professionale, nessuna possibilità di condurre una vita ordinaria... Eppure il cuore le batteva in petto per inerzia e con un unico proposito ben delineato nella sua mente: fare giustizia.
Quel mantra, che con veemenza le riempiva la mente, le diede, anche quella volta, la forza di ignorare i pesanti sguardi di diffidenza, curiosità, scetticismo e sospetto, con cui gli agenti e i soldati dello S.H.I.E.L.D. la vigilavano.
Entrò nella piccola cabina in cui le avevano dato la possibilità di farsi una doccia.
L'abitacolo per quanto ristretto era ben organizzato. La pavimentazione era liscia, sui toni freddi del grigio e del bianco, e richiamava le pareti e le apparecchiature metalliche. Su un piccolo tavolino le avevano lasciato un completo da recluta: felpa grigia e tuta nera, il tutto immancabilmente marchiato dal logo dello S.H.I.E.L.D..
Si spogliò della felpa nera e dei jeans strappati che aveva raccattato da una cesta di vestiti per “i più bisognosi”, ormai zuppi di sudore e polvere. Cliccò un pulsante sulla parete su cui era stilizzato il disegno del getto d'acqua e come la stessa icona suggeriva zampilli repentini cominciarono a fuoriuscire da una precisa zona del soffitto. Restò in piedi sotto il flusso lenitivo e rilassante dell'acqua cercando di ritrovare la concentrazione che a causa delle fitte alla testa continuava a sfuggirle.
Per la prima volta dopo giorni si ritrovò a tornare indietro nel tempo coi ricordi. Alcuni erano molto offuscati. Il caos era l'unica costante certa della sua vita e provare a fare ordine le stava costando più di quanto credesse. Le sue questioni personali, attimo dopo attimo, diventavano qualcosa di più grande di lei, al di fuori della sua portata.
La prima immagine che le balzò davanti agli occhi fu quella del Tesseract a pochi passi da lei. Stava per mettere appunto il suo piano, ma poi era accaduto qualcosa, improvvisamente. Un vorticare di suoni indecifrabili si accavallarono, un boato, ripetuti colpi metallici, un urlo straziante e infine uno sparo.
Buio.
Si portò una mano sugli occhi, la testa era come un colabrodo. Le immagini si accavallavano alla stessa velocità con cui le sfuggivano e riorganizzare i fatti risultava impossibile. Chi aveva sparato? E a chi apparteneva la voce dell'urlo? Cosa o chi aveva attivato il Tesseract? Era stata lei? Non era riuscita a contenere i suoi poteri?
Strinse le dita della mano sulla fronte. Nessuna risposta sembrava voler giungere al suo cospetto. La sua era una maledizione di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
Lasciò cadere il braccio sinistro lungo il corpo e vagò con lo sguardo su di esso. Il segno del suo incubo peggiore era ancora lì, impresso nero su bianco.
Appena sotto la piega interna del gomito sinistro, sulla pelle pallida e frastagliata da venature bluastre, trionfava il nero di un inchiostro velenoso e indelebile: E-015.
Bastò un'occhiata veloce a quel simbolo per smettere di crogiolarsi nel caos della sua mente e riportarsi in modalità “tabula rasa”. Non c'era tempo per le domande o per piangersi addosso, il vittimismo non l'avrebbe salvata o aiutata in alcun modo a trovare il Tesseract.
Si ripulì velocemente e indossò gli abiti che le avevano consegnato.
Era pronta a rimettersi all'opera.

Nella sala comandi dell'Helicarrier tutti i tipi più strani della Terra erano riuniti ad un unico tavolo. Il meccanico miliardario, il soldato scongelato, l'assassina, il vichingo e l'irascibile scienziato. Si voltarono tutti contemporaneamente verso due soldati che camminavano verso di loro, nascondendo dietro di sé la figura minuta di Joanne.
- Ora che anche Mega-mind ci ha raggiunti, signori, direi che possiamo fare un quadro completo della situazione.- disse in tono plateale Stark.
- Thor, qual è il suo gioco?- domandò Rogers riferendosi a Loki.
- Ha un esercito, sono i chitauri. Non sono di Asgard o di altri mondi conosciuti. Intende condurli contro il vostro popolo. Loro sconfiggeranno la Terra in cambio, immagino, del Tesseract.- rispose con un tono pressoché profetico quest'ultimo.
- Questo spiega perché ha bisogno di un portale stabile.- si intromise Joanne pronta a captare qualsiasi informazione utile per recuperare il cubo.
- E anche del perché abbia preso il dottor Selvig.- aggiunse il dottor Banner pensieroso.
- Selvig?- Thor sembrò animarsi improvvisamente.
- È un astrofisico.- spiegò l'uomo in camicia viola.
- È mio amico.- rivelò rabbuiato il biondo col martello.
- Loki gli ha fatto una specie di incantesimo... Insieme a uno dei nostri.- avvisò repentina l'agente Romanoff, oscurando lo sguardo sull'ultima frase.
- Perché Loki si è lasciato arrestare? Da qui non può guidare un esercito.- l'uomo a stelle e strisce riprese la parola.
- Non credo che dovemmo concentrarci su Loki. Ha un cervello completamente fuori fase. Basta guardarlo per capire che è pazzo.- fu la risposta del dottor Banner.
- Sarà anche pazzo, ma è fin troppo lucido. Se si è lasciato catturare ci sarà un motivo.- affermò la ragazza dai capelli corti in favore della tesi del Capitano Rogers.
- Io credo che sia meglio soffermarci sulla meccanica.- riconfermò l'alter-ego del mostro verde.
- Tutte le materie prime l'agente Barton è in grado di rimediarle facilmente, ma gli manca un componente, una sorgente di potenza ad alta densità energetica. Qualcosa per dare l'impulso al cubo.- spiegò con tono pratico Tony, mentre giocherellava tra un monitor e l'altro.
Probabilmente nessuno si era accorto del piccolo bottoncino metallico che aveva collegato ad uno di essi. Tutti tranne l'occhio vigile di Joanne.
Le erano bastate poche occhiate complessive per capire che quegli individui non potevano coesistere. Personalità contrastanti e l'inesistente presenza di fiducia l'uno per l'altro. Per non parlare dello S.H.I.E.L.D., li aveva compressi tutti in una struttura inaccessibile dall'esterno e invalicabile dall'interno. Si muovevano come atomi impazziti, ognuno con la propria idea in testa, chiusi alla possibilità di guardare attraverso un punto di vista differente da quello personale.
Loki lo sapeva. Era quello il suo piano, distruggere dall'interno, come in una fantasmagorica reazione a catena, gli unici nemici in grado di tenergli testa.
Come Joanne aveva già detto: era pazzo, ma lucido. Più di quanto si stavano dimostrando esserlo quei fenomeni da baraccone, che in confronto lei si sentiva solo una teenager nella sua fase hippie. Era la paura, l'ansia o la rabbia a muoverli? Questo lei non poteva saperlo e neanche le importava, il suo compito era un altro e non sarebbe riuscita a portarlo avanti continuando a starsene con le mani in mano mentre quel branco di animali messi in cattività assemblavano insieme una parvenza di piano.
- Ho bisogno di una ciocca di capelli di Loki e di osservarlo per tre minuti da vicino.- si limitò a dire cercando con lo sguardo Fury.
- Hai intenzione di fargli una bambolina voodo?- fu l'immancabile ed ironica domanda di Stark.
- I tessuti piliferi sono come una spugna: catturano e trattengono ogni genere di informazione, organica e non. Possono dirci dove è stato in questi ultimi due mesi con la precisione di un orologio.- spiegò Joanne aspettando che il direttore dello S.H.I.E.L.D. le desse l'opportunità di mettere in pratica le sue capacità.
- Perché devi restare con lui per tre minuti? Hai intenzione di interrogarlo?- questa volta fu la Vedova Nera a prendere parte al discorso.
- Ho detto osservare. Non ci sarà neanche bisogno che io gli rivolga la parola.- rispose prontamente la brunetta.
- D'accordo, ti farò accompagnare da un paio di agenti.- finalmente il direttore Fury fece segno con la mano ad un uomo in divisa e in men che non si dica tre soldati ben armati avevano accerchiato ordinatamente la ragazza.
Muovendosi coordinatamente raggiunsero la stanza ovale in cui si trovava la cella oltremodo sicura del dio degli inganni.
Era rivolto di spalle e la sua figura longilinea e slanciata risaltava ancora di più. I lunghi capelli neri gli accarezzavano le spalle. Si voltò lentamente verso i quattro soggetti appena entrati nel suo spazio vitale. La pelle estremamente pallida metteva ancora di più in risalto il colore chiaro degli occhi, due pietre fredde e velenose incastonate nei bulbi oculari di una serpe.
La prima persona che catturò il suo sguardo fu proprio la ragazza.
- Sapevo che avrei dovuto ucciderti non appena siamo usciti dal portale, ma confidavo nel crollo dell'edificio a sotterrare i tuoi resti.- sibilò con tanta calma quanta malizia.
Nessuna risposta si aggiunse alla provocazione.
- Mi serve una ciocca di circa tre centimetri, potete metterla in questa provetta.- sussurrò la brunetta ad uno dei tre uomini che l'avevano accompagnata.
- Si fidano di te? Quanto stolti posso essere i midgardiani. Non sanno neanche la tua terra d'origine eppure ti affidano il delicato compito di interagire con me. Patetici.- aggiunse passeggiando lentamente in tondo nella sua capsula di prigionia.
- Allontanati dall'ingresso con le mani ben in vista.- sentenziò autoritario uno dei soldati, ora pronto a puntare contro l'asgardiano un fucile di precisione. Anche il secondo soldato imitò la sua mossa, mentre il terzo si avviò ai comandi della gabbia di sicurezza munito di provetta e forbici.
- Quando ho percepito la vostra presenza credevo fosse giunta l'ora delle mie torture. Le peggiori che la misera mente umana possa immaginare... Quanto posso essere deluso sapendo che il massimo che siete riusciti ad escogitare è stato farmi una spuntatina ai capelli?- le mani ben in vista come gli avevano ordinato e l'espressione ilare di chi è eccessivamente sicuro di sé.
Ancora nessuna risposta sembrò giungere dall'unica interlocutrice capace di destare interesse nel viscido uomo dalle vesti verdi. Ignorarlo era un modo per innervosirlo? Provocarlo? O peggio, sfidarlo?
- Non so cosa ti abbiano spiegato ai piani alti, ma durante un interrogatorio si pongono domande, ragazzina insolente. Cosa dovrei pensare? Che sei così stupida da credere che io parli da solo, o forse che sei così furba da capire che io non ti dirò niente comunque?- la voce di Loki si era pericolosamente incrinata in un verso graffiante, intrinseco di impazienza e irritazione.
Joanne continuava ad osservarlo in silenzio con espressione seria e al limite della concentrazione. Quando il soldato ebbe richiuso la cella, ora con la provetta piena dei capelli del megalomane dio di Asgard, la ragazza prese ad avvicinarsi alla parete trasparente della capsula in cui quest'ultimo era rinchiuso.
- Ma io non sono qui per interrogarti. Perché dovrei farlo?- disse calma Joenne fissando negli occhi quell'uomo dai connotati distorti dall'indole malvagia.
- Perché io so dov'è il Tesseract e indipendentemente dallo S.H.I.E.L.D. a te serve sapere dove si trova... Ne hai bisogno per tornare nella tua epoca, o sbaglio?- affermò con disprezzo lui assottigliando in due lame taglienti gli occhi.
Joanne tacque e questa volta perché presa in contropiede dalle parole del suo interlocutore. Non solo era a conoscenza del suo viaggetto nel tempo, ma aveva appena rivelato quell'informazione cruciale allo S.H.I.E.L.D..
I suoi occhi sgranarono per una frazione di secondo, si maledisse per non essere riuscita a tenere a bada i muscoli facciali. Ma Loki era pronto ad approfittarne per infierire girando il dito nella piaga.
- Cosa c'è? Credevi che come quegli idioti non me ne sarei accorto? La piccola ragazzina che viene dal passato, tutta sola in un'epoca sconosciuta. Deve essere difficile non è vero? È per questo che li stai aiutando, credi che ti permetteranno di utilizzare il cubo per tornare nel passato? Menti più a te stessa che a loro e alla fine ti ritroverai in una cella più piccola e meno confortevole di questa... Sempre che sarete ancora vivi.- il tono profetico e ricco di pathos aleggiava tempestoso in tutta la stanza ovale. Ogni parola era scandita con l'intento di ferire, ma Joanne aveva smesso di ascoltarlo ancora prima che aprisse nuovamente bocca.
Quel verme non aveva nemmeno idea di cosa stesse parlando, tornare nel passato era l'ultimo dei suoi desideri e la paura del futuro, o meglio dell'attuale presente, era una preoccupazione che non faceva parte del suo spettro emotivo. Una cosa però era riuscito a farla, l'aveva fatta arrabbiare e questo non prospettava niente di buono.
Chiuse gli occhi e tutto attorno a lei scomparve per secondi interminabili. Immagini ben definite vorticarono attorno a lei, veloci, alternate a parole, ricordi e pezzi frammentati di conversazioni.
Tutto roteava vertiginosamente intorno alla sua testa, come tanti ingredienti messi in un calderone e mescolati alla rinfusa.
Aveva ancora gli occhi chiusi, ma quando li riaprì investì con lo sguardo la figura meschina del dio dell'inganno. Lui credeva di conoscere i punti deboli di Joanne, ma si sbagliava.
Credeva di essere in vantaggio, ma, esattamente come appariva, non era altro che un topo in trappola. L'aveva squadrato perfettamente e letto come uno di quei volantini pubblicitari da strapazzo. Tanti colori, parole in grassetto, ma in sostanza inconcludenti, semplice pubblicità ingannevole. La sua furbizia veniva surclassata dall'ambizione ossessiva e dal narcisismo. Il suo ego rappresentava pienamente il suo tallone d'Achille.
- Come ho detto non sono qui per interrogarti.- puntualizzò gelida la ragazza, gli occhi marroni mirati su di lui. Aveva capito il suo gioco, creare scompiglio e disordine, un diversivo che gli avrebbe permesso di adoperare nell'ombra il suo piano di conquista.
Eppure Joanne sapeva che le mancavano troppe incognite all'equazione. Loki desiderava trovarsi in quella cella più di qualsiasi altra cosa al mondo. Si sentiva protetto, al sicuro e pieno di risorse. Aveva un vantaggio, se volevano batterlo dovevano scoprire quale fosse il suo asso nella manica.
- Vuoi fare tanto la dura, ma ti è solo andata di traverso la verità. Sta tranquilla, quando verrà l'ora ti farò il piacere di spedirti all'altro mondo per prima... Così potrai raggiungere i tuoi cari, chissà da quanto tempo hanno lasciato per sempre questo pianeta. La vita dell'essere umano è così breve e insulsa. Dimenticati del Tesseract, non riuscirai mai a trovarlo.- ridacchiò soddisfatto Loki illuminando il suo sguardo di una luce sadica e cupa.
- Presuntuoso detto da un prigioniero.- puntualizzò riacquistando la calma la viaggiatrice del tempo.
- Il prigioniero si godrà in prima fila la vostra distruzione... E poi potrò governarvi come è giusto che mi spetti.- la dentatura bianca e aguzza non smise mai di illuminargli il viso di una luce ancora più tetra.
- Io qui ho finito.- sentenziò voltandogli le spalle Joanne e muovendosi a passo svelto verso l'uscita, ora seguita dagli agenti dello S.H.I.E.L.D..
Non si voltò mai a guardare la figura fredda e insensibile di Loki, sapeva di non poterlo fare, si sarebbe tradita con qualche frase sarcastica mirata a distruggere quel sorrisetto strafottente e non poteva permettersi alcuna debolezza. Doveva sfruttare tutte le costanti del caso a suo favore. Se lo S.H.I.E.L.D. continuava a credere che il Tesseract le servisse solo per tornare a casa, probabilmente aveva qualche possibilità di guadagnarsi bricioli di fiducia qua e là e spostare il mirino dell'intelligence solamente sul pazzo in mantella verde.
Per di più le era ormai chiaro e limpido il suo raggio di ricerca: sapeva per certo che il cubo si trovava in un luogo sotterraneo per eludere gli spettrometri in superficie e chiunque con un minimo di conoscenza, come appunto il dottor Selvig, avrebbe pensato ad una stazione metropolitana abbandonata, poiché le onde elettromagnetiche dei treni sarebbero andate a cozzare inevitabilmente con quelle del Tesseract e le informazioni sarebbe risalite dal sottosuolo deviate o completamente annullate.
Aveva una pista e molto lavoro da fare.

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