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di Sarija
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


​Buongiorno a tutti! Questa storia è il proseguimento della OS "Hope", quindi se non la avete ancora letta, vi consiglio vivamente di farlo (per comprendere meglio) ^^ Detto questo, buona lettura!
 
 
PROLOGO
 
Un tuono riverberò lontano, accompagnato dal lieve ululato del vento che correva libero fra le stradine strette della città.
Continuavo a salire sul tetto della Dimora nonostante fossero passati due mesi dalla sua scomparsa, con la speranza che mi attanagliava il cuore dopo quei sporadici pezzi di pergamena, trasportati dalla sua aquila, che non portavano alcun messaggio se non una disperata richiesta: aspettami.
Il giorno precedente era scoppiata una rivolta popolare, subito repressa nel sangue e mi ero ritrovata ad annaspare fra mutilazioni e sguardi vacui in cerca del suo cappuccio biancastro fra la folla. Mi sarebbe bastato semplicemente vederlo, sapere che stesse bene e incrociare il suo sguardo anche per pochi secondi.
Ridacchiai amaramente: non mentire a te stessa!
Sospirai profondamente mentre una folata di vento più forte mi scostò i capelli biondo cenere sul viso e ripensai al mio passato con le immagini del presente ben impresse davanti agli occhi. Capivo bene il sentimento che aveva spinto i popolani a reagire in modo così violento: avevo vissuto la mia infanzia sotto il dominio degli Hohenstaufen1 e la morsa di Federico I il Barbarossa non era certo diversa da quella dei Templari.
Quando mi ero imbarcata abusivamente su una nave mercantile a Venezia, non avevo immaginato che Milano, la città che mi aveva vista nascere, non mi sarebbe mancata.
La mia vita era qui, in Terra Santa, che di sacro aveva ben poco con tutte quelle morti causate dai Crociati.
Ero stata fortunata: mio padre era un mercante che lavorava prevalentemente con i colleghi veneziani, i quali a loro volta facevano scambi commerciali con il vicino oriente; conoscere l'arabo era fondamentale.
Prima della morte di mio padre, caduto durante la Battaglia di Legnano quando ero solo una bambina , il mio destino e futuro erano ben definiti e sicuri: sposare un ricco mercante e renderlo felice.
Un sorriso amaro comparve sulle mie labbra pensando al fatto che in quel momento mi trovassi lontana da casa senza sapere dove fosse l'amore della mia vita.
Dopo quella battaglia sanguinolenta nell'Alto Milanese avevo fatto una promessa a me stessa e con determinazione ero riuscita ad apparire un giovane uomo desideroso di rendersi utile agli occhi ciechi  della folla.
“Dovresti tornare al coperto”.
Una voce alle mie spalle giunse ovattata alle mie orecchie a causa del cappuccio che mi ero calata sul volto appena salita sul tetto della Dimora. Mi voltai lentamente e incontrai lo sguardo attento di Al Mualim.
“Sì, tra poco” gli risposi atona mentre lui si pizzicava la barba bianca e mi corrucciai quando si avvicinò al parapetto, fermandosi al mio fianco.
Non mi piaceva la sua compagnia.
Anzi, non mi era mai piaciuta, ma la presenza di Altaïr al mio fianco mi aveva sempre fatta sentire sicura, protetta. Ma lui ora non c'era.
Avevo sempre notato gli sguardi carichi di tensione che si scambiavano i due, ma non avevo mai indagato, ritendendo opportuno non sapere nulla al riguardo.
“Noto che a volte l’aquila viene qui …” disse con finto disinteresse.
Aggrottai la fronte e lo guardai sospettosa da sotto il cappuccio.
“Sì, le manca …” risposi senza dire altro riferendomi a lui.
Mancava anche a me …
Piccole goccioline fredde iniziarono a cadere sulla città mentre nuove saette accecanti facevano capolino seguiti da schianti e brontolii.
“Coraggio, rientriamo. Non vi fa bene …”.
Appena si riferì a me al plurale, coprii istintivamente la pancia leggermente gonfia e repressi il senso di colpa che mi attanagliò la gola.
Il padre non lo sapeva ancora.
 
Ed eccoci qui! Se state leggendo questo è un bene: significa che la storia non vi ha stancato ^^ Sarei felice di sapere cosa ne pensate, anche con un piccolo commentino! Per quanto riguarda la lunghezza dei capitoli, solo il prologo e l'epilogo saranno così, quindi non preoccupatevi XD

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


​Buongiorno! Ho deciso di pubblicare oggi anzichè martedì per la poca disponibilità di tempo durante la settimana (Università portami via e.e).
ATTENZIONE: I fatti narrati nei capitoli centrali della storia sono POV ALTAIR e ricordo che questa long è una OTHERVERSE.
Detto questo, buona lettura ^^
​CAPITOLO 1

La sensazione di una dolce carezza mi destò dal sonno leggero e con un sospiro amaro mi ricordai di essere in realtà solamente in compagnia di me stesso.
Passai la mano sulla guancia ispida dove ancora sentivo quel contatto mai avvenuto e con uno sguardo veloce guardai la parte vuota del giaciglio di paglia, che lei era solita occupare.
Inspirai profondamente, sentendo mille piccole lame conficcarsi nel cuore.
Avevo finto la mia morte per poter tenere sotto controllo senza scocciature – chi avrebbe mai tenuto d'occhio un uomo morto?- sia i Templari che Al Mualim.
Lo avevo fatto a fin di bene, per il Credo.
Eppure non mi perdonavo affatto il suo pianto.
Non ero molto distante dalla Dimora e quando l'orgoglio e la mia sconsideratezza me lo permettevano, mi intrufolavo nella residenza, silenzioso come un'ombra, e la guardavo dormire con il cuscino fradicio di lacrime.
Non avevo neanche il coraggio di sfiorarla o di scriverle.
Mentendo a me stesso potrei dire che lo facevo per non essere scoperto, ma sapevo bene  che non era questo a bloccarmi o almeno non era il motivo principale.
Temevo mi odiasse per quanto avessi fatto.
Mi passai una mano sul volto, scacciando sotto un masso d'orgoglio quei pensieri e riorganizzai la mente.
Qualche giorno prima avevo avuto la possibilità di girovagare per la città senza problemi a causa della sommossa popolare e, nascondendomi fra la folla, avevo potuto parlare tranquillamente con il mio contatto. Il suo resoconto mi fu utile: i Templari erano a conoscenza del fatto che la Mela si trovasse nella Dimore di Gerusalemme.
Anch'io lo sapevo, persino da chi fosse costudita, ma non la avevo mai vista materialmente. Il suo detentore la teneva al sicuro e lontano dal mio sguardo.
Un bussare deciso alla porta mi fece raddrizzare sul posto, pronto ad agire, la mano sull'elsa della spada legata fedelmente al mio fianco.
“È pronto!” una voce gracchiante mi giunse attutita a causa del legno spesso e pensante della porta.
“Arrivo fra un momento” dissi a denti stretti con tono acido e sentii i suoi passi scendere le scale borbottando qualcosa sul fatto che fossi sempre scorbutico di prima mattina.
Effettivamente aveva ragione.
Amani era una donna sulla sessantina che mi aveva accolto senza fare domande nella sua casa, appena io le chiesi asilo quasi due mesi prima. Io le garantivo protezione e materie prime per i pasti che lei pazientemente mi preparava ogni volta che potessi mangiare, mentre lei mi offriva in cambio un tetto sotto cui dormire tranquillo.
Ma ciò che preferivo di quella donna era ben altro.
Scesi le scale con passo felpato e la osservai sistemare la tavola finché non incontrai il suo sguardo vacuo e vitreo.
Amani era completamente cieca.
“Avanti giovanotto, non rimanere sull'uscio”.
Feci una smorfia contrariata: in qualche modo riusciva a percepire la mia presenza, nonostante gli anni di allenamento a cui ero stato sottoposto per essere il più silenzioso possibile.
Amani ridacchiò, probabilmente intuendo i miei pensieri e con un sospiro mi sedetti a capotavola davanti ad una pagnotta appena sfornata e una piccola ciotola di latte. Bevvi tutto d'un fiato il liquido biancastro dopo un’improvvisa arsura e mi gustai metà del pane.
Amani riusciva sempre a renderlo morbido all'interno e croccante all'esterno.
Alzandomi da tavola incrociai il viso corrucciato della donna che con le braccia incrociate  mi guardava irritata dritto negli occhi, come se potesse vedermi.
Sospirai sconfitto “Il resto lo mangerò durante la mattinata …” dissi mettendo ciò che rimaneva della pagnotta in una tasca della tunica bianca.
“Sarà meglio per te, giovanotto!” disse con una sicurezza che avrebbe fatto invidia a certi soldati novizi che sfortunatamente incrociavano la mia lama.
Uscii di casa senza aggiungere altro e mi arrampicai sul muro che si innalzava lungo una stradina senza uscita. Conoscendo a memoria gli appigli, raggiunsi il tetto in pochi secondi e osservai l'orizzonte lontano.
Ero stato inattivo per molto tempo lasciando che fossero i miei contatti a fare il lavoro - per poter dare peso alla notizia della mia morte – e ora era giunto il momento che tornassi sul campo.
Velocemente passai da un tetto all'altro, stando attendo alla possibile presenza di guardie cittadine e sentinelle, ma di loro non vi era alcuna traccia.
Dovevano ancora rintegrare le perdite subite in seguito alla sommossa. Ottimo.
Passai quatto quatto sul tetto di una casa che si affacciava sul mercato e il mio sguardo venne attirato da qualcosa.
Il mio cuore ebbe un sussulto e guardai la sua chioma bionda che si muoveva veloce e con sicurezza tra la folla mora, finché non si bloccò davanti ad un banchetto che vendeva stoffe colorate.
Mi fermai ad osservarla, mentre soppesava con sguardo critico un foulard color smeraldo.
Lei adorava il verde.
Ero troppo lontano per poter sentire quanto le diceva il venditore, ma dopo poco lei lasciò cadere la stoffa sul bancone e se ne andò imboccando la via più breve per la Dimora, ma anche la più pericolosa.
Corrucciai lo sguardo: le avevo sempre detto di evitare quella strada.
Veloce la inseguii e feci appena in tempo a sentire delle voci balorde.
“Ehi … dolcezza!”. Era stato un uomo sulla quarantina a parlare e, spalleggiato da altri due ubriaconi, le si avvicinò barcollando.
Misi mano sui miei coltelli da lancio, pronto ad intervenire mentre un ringhio profondo e sordo mi percorreva la gola.
“Non voglio scocciature”.
Inspirai profondamente sentendo la sua voce cristallina e sicura dopo così tanto tempo.
“Oh andiamo …”.
L'uomo allungò una mano verso il suo viso e in un lampo lei gliela torse in una posizione innaturale facendolo gemere dal dolore. Lo scintillio di una lama si riflesse fino al mio sguardo attento e nel lasso di tempo di un battito la sua mano armata del mio pugnale si abbatté lesta sul volto dell'uomo. La via si liberò nel giro di pochi secondi e l'aria parve fermarsi al suo passaggio, mentre ancora impugnava con sicurezza la lama sporca di sangue.
Rilassai i muscoli delle spalle e stirai le labbra in un sorriso mesto: me lo sarei dovuto aspettare da uno spirito combattivo come il suo.
Angelica …”.
Assaporai il suono del suo nome sulle labbra, come se stessi assaggiando il frutto più dolce della Madre Terra e scuotendo la testa tornai con lo sguardo in direzione opposta.
Saltando da un tetto all'altro ripassai mentalmente la strada che dovevo percorrere per giungere al più vicino accampamento dove si erano stabiliti i Crociati.
Arrivato nei pressi del campo principale mi accorsi della presenza di una sentinella che imbracciava inesperta una balestra. Si guardava intorno in modo nervoso e cambiava costantemente il soggetto della propria attenzione, ma fortunatamente mi dava le spalle ed ero persino controvento.
Mi avvicinai di soppiatto e veloce gli coprii la bocca con la destra mentre feci scattare la lama celata, tagliandogli la gola in modo netto.
Ascoltando i suoi mugolii indistinti, mi abbassai lentamente accompagnando la caduta dell'ormai cadavere che tenevo tra le braccia e con due dita gli chiusi gli occhi, ancora spalancati per la sorpresa.
Nascosto dal muro che faceva da parapetto, mi sporsi per osservare i movimenti dei soldati e notai con interesse che tutti sembravano in visibilio per un evento imminente. I Crociati con rango maggiore erano in attesa appena fuori l'entrata principale e vestivano le loro armature migliori, rigorosamente lucidate da qualche scudiero minuzioso. I cavalli si agitavano di continuo insieme ai propri cavalieri, ma allo stesso tempo c'era un generale senso di contentezza.
Il che non era affatto un bene.
 
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Con un agile salto rientrai in quella che ormai consideravo camera mia mentre mi lasciavo il tramonto alle spalle.
Il giro di ricognizione che avevo deciso di intraprendere non risultò inutile, anzi, tutt'altro. Avevo scoperto dell'arrivo di un personaggio importante, molto probabilmente uno stratega dalle abilità più che ottime. Ascoltando varie conversazioni, alcune reclute si erano lasciate sfuggire che presto quel qualcuno, De Sable, avrebbe preso in mano la situazione, succedendo nel comando all'attuale Templare che regolava le azioni dei propri sottoposti.
Ricordavo bene quel nome. Ricordavo bene la mia arroganza e tutto il sangue che ne derivò.
Mi lasciai cadere sul letto con un tonfo sordo e mi rigirai tra le mani il pezzo di stoffa dal color verde brillante che ero riuscito a recuperare qualche minuto prima. Il mercante aveva già riorganizzato la sua merce nelle casse, pronto per andarsene, e quando gli avevo chiesto di vendermi quel foulard lui mi aveva subito risposto contrariato, ma con qualche moneta tintinnante in più ero riuscito a convincerlo.
Esasperato mi coprii il volto con una mano e strinsi con forza fino a farmi male.
Cosa pensavo di fare!?
Ridacchiando mi risposi da solo: sapevo esattamente cosa fare.
La porta si socchiuse cigolando, ma avendo sentito i suoi passi sulle scale non mi allarmai.
“Hai mangiato qualcosa, giovanotto?”.
Amani si preoccupava eccessivamente per il sottoscritto.
“No, ma sto bene così”.
La prospettiva di vederla mi aveva chiuso lo stomaco in una morsa micidiale.
Lei disse qualcosa, contrariata e con un sospiro uscì, ma mentre la porta si richiudeva potei sentire le sue parole: “Al cuore non si comanda” intuendo cosa mi stava sconvolgendo nell’animo.
Mi coprii gli occhi con il braccio e ripensai a quanto avesse detto.
Nemmeno io, Altaïr Ibn-La'Ahad, riuscivo a dimenticare quella donna.
Aspettai con impazienza l'arrivo della notte e sotto lo sguardo delle stelle mi avviai verso la Dimora, con il foulard stretto tra le dita come se fosse il più prezioso dei tesori.
Arrivato nei pressi della residenza notai un maggiore via vai di Assassini, soprattutto novizi.
Probabilmente erano anche loro a conoscenza dell'arrivo in città del nuovo stratega Templare.
Corrucciai lo sguardo: dovevo prestare maggiore attenzione questa volta.
Superai facilmente il primo ostacolo confondendomi tra i novizi, non avendo portato con me la spada in quanto fin troppo distintiva e le cinque placche metalliche che mi identificavano come Maestro Assassino. Il problema maggiore era dunque arrampicarmi fino al piano superiore, dove si trovava la nostra stanza, senza essere visto.
Mi acquattai vicino alla parete che avrei dovuto scalare e mi nascosi dallo sguardo altrui utilizzando il grande albero che si innalzava fino al tetto della Dimora: lo avevo utilizzato spesso nei mesi ed anni addietro.
Mi arrampicai sul muro lentamente per fare il meno rumore possibile e conoscendo ogni anfratto di quella parete, mi fu facile giungere al balconcino dove a volte sostavo osservandola dormire. Questa volta entrai nella camera immediatamente per timore di essere visto e la mia ombra si proiettò sul suo volto, come avvolto da una lucentezza degna delle stelle del firmamento. Abbracciava con forza il cuscino che ero solito usare e teneva le gambe strette al proprio corpo, in posizione fetale.
Mi avvicinai lentamente e ammirando ogni suo piccolo dettaglio, ammisi a me stesso che in quel momento era ancora più bella di quando la incontrai per la prima volta.
Lasciai cadere il foulard sul suo ventre e mi beai quando la sentii sussurrare il mio nome mentre si stringeva con più forza su se stessa, come se avesse percepito la mia presenza.
Mi voltai verso il piccolo tavolino di fronte al letto e individuai il quadernetto su cui annotava qualsiasi cosa: nuove cure, nuovi metodi e dettagli di malattie che non aveva mai incontrato.
Quel libro era la sua mente.
Spostandomi alla luce della Luna aprii a caso su una pagina scritta in modo ordinato e minuzioso in un idioma a me completamente sconosciuto: probabilmente si trattava della sua lingua natia. Guardando con più attenzione vidi un appunto scritto a lato non da molto, in arabo: Sindrome del cuore spezzato.
Dubbioso sfogliai le pagine, ma andando avanti lessi un elenco di date e le ultime mi colpirono particolarmente: erano recenti e a fianco vi era scritto nausea mattutina.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
 
Il mio cuore perse un battito. Forse due.
Avvicinai il quaderno ai miei occhi, assicurandomi di aver letto correttamente, ma quelle parole non cambiarono neanche dopo svariati minuti.
Ero attonito. Sorpreso. Felice…?
Chiusi di scatto il libro, incurante che potessi attirare l’attenzione di qualcuno e mi volsi lentamente.
Il suo petto si alzava ritmicamente, con una lentezza che quasi mi ipnotizzò , ma mentre mi stavo avvicinando per avere la prova, un rumore nel corridoio mi fece ben ricordare dove mi trovassi e la mia situazione precaria.
In uno scatto repentino mi ritrovai sul balconcino e dopo un ultimo sguardo veloce alla sua figura, mi dileguai nella notte.
 
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Quando il cielo iniziò a tingersi di un rosa pallido per l'alba imminente avevo da tempo terminato di contare le travi del soffitto e di memorizzare tutte le ammaccature e i dettagli che formavano strane forme geometriche nel loro insieme. Non avevo chiuso occhio, neanche per un momento.
Strinsi l'attaccatura del naso alla fronte fra pollice e indice e la brezza del mattino mi fece ricordare di essere a petto nudo. Avevo tolto la parte superiore della tunica in un momento di nervosismo e rabbia appena varcata la finestra della camera, qualche ora prima.
Perché doveva essere tutto così complicato, dannazione!
Mi sciacquai il volto con dell’acqua fresca contenuta nella tinozza in legno scuro ai piedi del letto e mentre mi stavo svogliatamente rivestendo, Amani bussò piano alla porta, quasi con timore.
Forse aveva udito il mio ritorno irruento.
Con un mugolio d'assenso le feci intendere che poteva entrare ed ella iniziò subito a dare aria alla bocca con una sequenza infinita di domande.
Ero confuso. Stanco. Non capivo mezza parola, come se la mia testa fosse circondata da una bolla d'acqua da me solo percepibile. Dopo qualche secondo Amani parve accorgersene e mi guardò stranita.
“Tutto bene, giovanotto?” il suo sguardo si fece preoccupato e mi accorsi solo in quel momento che teneva fra le mani il mattarello che era solita usare per stendere la pasta del pane.
Non sapevo cosa risponderle.
Mi sedetti sul giaciglio, bisognoso di un appoggio fisico, e in un momento di debolezza mi lasciai sfuggire il mio tormento.
“Diventerò padre, Amani”.
Per un momento pensai che non mi avesse sentito e nel constatare se pensassi il vero alzai lo sguardo su di lei, vedendola prendere la rincorsa per poi lanciarsi contro di me, brandendo l'utensile da cucina come se fosse una spada.
Mi alzai di scatto e veloce le bloccai istintivamente le braccia.
“E TU SEI QUI A PARLARNE CON ME!?”.
Era furibonda.
Lei tentò di divincolarsi dalla stretta e nella confusione del momento riuscì nel suo intento, colpendomi sul costato.
Mi piegai leggermente per il dolore e con un ringhio indietreggiai fino alla finestra.
“Va’ da lei o non sarai degno di rimanere sotto questo tetto, codardo!” e detto questo scese le scale come un fulmine.
Con un mugolio mi massaggiai la parte lesa fino a sentire solamente un leggero fastidio.
Per un momento mi pentii di essermi lasciato sfuggire dalle labbra quella frase, ma Amani aveva ragione: mi stavo comportando come un codardo.
Dovevo parlare con Angelica.
Decisi quindi di percorrere la stessa strada che feci il giorno precedente e con sorpresa la vidi camminare nervosa su e giù per la piazzetta del mercato, incurante delle persone che scontrava.
Si mise le mani nei capelli e con quel gesto mi permise di vedere il pezzo di stoffa verde legato con cura alla vita, proprio sopra la cintura dove teneva alcuni utensili utili per le medicazioni veloci. Dopo un ennesimo scontro con una signora sospirò pesantemente e con passo arrabbiato e lesto si incamminò verso la Dimora.
Chissà per quanto tempo mi aveva aspettato.
La rincorsi e giunto sul tetto della casa che dava sulla viuzza che stava percorrendo, mi lasciai cadere atterrando con un tonfo sordo di fronte a lei, bloccandole la strada con il mio corpo.
Spalancò la bocca, pronta ad urlare per la sorpresa, che prontamente coprii con la destra per evitare che qualcuno la sentisse. Velocemente la trascinai in un vicolo laterale, abbastanza stretto da obbligarci in un contatto intimo, ma abbastanza largo da non essere opprimente.
Il suo respiro si infrangeva con forza contro la mia mano, così allentai la presa gradualmente fino a che non la lasciai completamente libera. Asciugai lesto una lacrima sulla sua guancia e mi persi in quelle pozze blu che aveva al posto degli occhi, mentre sentivo le sue mani tremanti che mi toglievano il cappuccio per poter vedere completamente il mio volto.
“Sei veramente tu…?” chiese con sguardo allucinato.
Un sorriso spontaneo distese le mie labbra e facendomi coraggio allungai una mano verso il suo ventre. Lei sussultò al contatto, non aspettandoselo.
“Tu… sai?” sussurrò ancora più incredula.
Le baciai la fronte e inspirai con forza il profumo dei suoi capelli color del grano.
Si strinse a me, tremando per i singhiozzi che a stento tratteneva e affondò il naso nel mio petto, soffocandosi pur di tenermi il più vicino possibile.
Dopo qualche minuto si allontanò un poco per potermi guardare in volto “Perdonami se non te l'ho fatto sapere in qualche modo…“ disse ancora scossa dai singulti.
Le accarezzai piano una guancia e lei inclinò il capo approfondendo il contatto “Non hai fatto nulla per cui io ti debba perdonare… Semmai il contrario” risposi con voce contrita.
Mi prese la mano sinistra fra le sue e dolcemente mi baciò l'anulare mutilato, facendomi fremere il cuore “Lo hai fatto per il Credo…” sospirando continuò “…lo capisco, anche se fa male averti lontano da me”.
Il clangore del metallo mi mise sull'attenti e anche lei, accortasi del giungere di uno o più soldati, si allarmò sgranando lo sguardo.
Dopo la sommossa popolare di poco tempo prima, l'allerta delle guardie cittadine era massima e chiunque fosse stato colto in azioni considerabili ambigue e losche per i Crociati sarebbe stato arrestato.
Feci così la prima cosa che mi venne in mente per non venire scoperto.
La baciai.
Non ricordavo la morbidezza delle sue labbra, il sapore della sua bocca e l'inconfondibile e piacevole sensazione che mi dava la sua presenza tra le mie braccia.
Il clangore del ferro, dovuto all'oscillazione della spada contro l'armatura in maglia metallica, si fermò a qualche passo da noi.
“Ehi, quelli se la spassano alla grande!” e ridendo sguaiatamente, entrambi i soldati proseguirono per la via allontanandosi da noi.
Mi staccai controvoglia dalle sue labbra rosee e guardai le sue guance in fiamme mentre respirava a fatica, in mancanza di aria.
“Oggi sta’ lontana da Al Mualim” dissi serio guadandola negli occhi ancora liquidi dalla passione di quel bacio.
Lei corrugò la fronte confusa, ma annuì decisa senza chiedere spiegazioni.
“Oh… ehm, grazie per…” disse lasciando in sospeso la frase indicando il foulard che le cingeva la vita.
Le sorrisi intenerito e lei, alzandosi in punta di piedi, mi baciò l'angolo della bocca esattamente sopra la cicatrice ormai biancastra.
“Quando ti rivedrò?” mi chiese sussurrando mentre mi calavo nuovamente il cappuccio sul capo.
“Presto, mi auguro” e me ne andai con il cuore più leggero.
 
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Avevo atteso in silenzio, all'ombra di un porticato, l'arrivo del crepuscolo.
Avevo ben impresso nella mente ciò che era accaduto a Masyaf: gli Assassini erano come in trans, corrotti dallo stesso potere che aveva guastato l’animo del mio Maestro sin nel profondo.
Dovevo fare qualcosa.
Avevo soppesato con cura le mie azioni, i miei pensieri e le mie parole, ma quando mi ritrovai alle sue spalle sembrò tutto vano e inutile.
Altaïr… Sapevo saresti arrivato, prima o poi”.
La sua voce profonda era esattamente come me la ricordavo: imponente e seria.
Sapevo bene di non essere riuscito a fargli credere che fossi morto, probabilmente anche per il fatto di Angelica: era più facile leggere i suoi pensieri che un libro aperto sulla pagina corretta.
“So anche il perché, non disturbarti nel dirmelo”.
Una strana luce arancione mi avvolse e una sensazione singolare si impossessò del mio corpo: non potevo muovere un muscolo.
“Non vedi quanto ti abbia corrotto?” dissi a denti stretti nel vano tentativo di divincolarmi da quella morsa.
Lui si volse lentamente e tra le sue mani rugose per la vecchiaia, potei finalmente vedere l'oggetto che emanava la stessa luminescenza che mi avvolgeva: la Mela.
“Non puoi capire, ragazzo. Il suo poter-“.
“Non mi lasci altra scelta! Ucciderò te e distruggerò la Mela!” lo interruppi mentre la rabbia iniziava a fluire nelle vene insieme al sangue.
Dovevo fermarlo. Possibile che non vedesse quanto fosse cambiato?
Lui scosse la testa, sconsolato “Le tue sono solo parole”.
“Allora, Maestro, lasciami libero e le mie parole diventeranno azioni” risposi quasi digrignando i denti.
Lui rise per quanto avessi detto e sospirando mi guardò dritto negli occhi “Sei stato il mio allievo migliore, ma non mi dispiacerà ucciderti”.
Detto questo la luce che mi avvolgeva sparì e la stanza ritornò nelle tenebre di quella notte senza Luna.
Una lieve luminescenza avvolse Al Mualim e quanto seguì mi fece sgranare lo sguardo, attonito.
Estrassi veloce la spada mentre copie del vecchio iniziarono a riempire lo spazio fra me e la parete opposta.
Ma cosa stava succedendo?
Parai di piatto il primo fendente e spostandomi sulla destra evitai di venir ferito dalla lama di un'altra copia. Era necessario che agissi in modo veloce e agile, ma allo stesso tempo dovevo utilizzare il minor numero di parate e attacchi per stancarmi il meno possibile.
Un copia di Al Mualim precedette una mia mossa e per pura fortuna riuscii a deviare il colpo fatale. Con un passo indietreggiai velocemente, riprendendo fiato.
Dopotutto era stato il mio Maestro: conosceva il mio modo di combattere avendo avuto modo di osservarmi negli anni.
Dopo molte parate, schivate e contrattacchi riuscii ad eliminare tutte le copie di Al Mualim, le quali sparirono nel giro di pochi secondi con un piccolo sbuffo aranciato.
“Devo ammettere che sei migliorato, Altaïr” disse estraendo la sua spada “Sei ora degno di incrociare la mia lama, in uno scontro all'ultimo sangue”.
I suoi fendenti erano potenti e pesanti, che compensavano il fatto che il suo corpo non era più agile quanto il mio.
Una mia parata non fu pienamente efficiente e la sua lama aprì un lieve taglio sul mio fianco, facendo sgorgare un piccolo rivolo rosso. Fortunatamente era solo una ferita superficiale.
Ero stanco. La spada iniziava a pesare fra le mie mani e il tremolio della lama rifletteva la fioca luce delle stelle.
Al Mualim non aspettò molto ad attaccare nuovamente e con un fendente micidiale puntò alla mia testa, deciso a recidermela di netto dal collo.
Mi abbassai all'ultimo secondo, sentendo la sua spada tagliare l'aria e lo trafissi al ventre dal basso verso l'alto.
Sentii il suo ferro cadere a terra, in un tonfo agghiacciante che riverberò per le pareti della stanza. Accompagnai dolcemente la sua caduta mentre mormorava qualcosa di incomprensibile. La Mela cadde a terra, rotolando silenziosamente verso l'angolo buio vicino alla libreria ricolma di volumi polverosi e seguii con lo sguardo la sua mano, tesa verso la sfera.
“Ora… cosa farai?” mi chiese rantolante mentre la pozza di sangue si allargava sempre più sotto il suo corpo.
“La distruggerò” dissi con fermezza.
“Non… puoi” disse quelle parole con le ultime forze che gli rimanevano e guardandomi in volto spirò.
Mi alzai da terra e mi avvicinai cauto alla Mela, con un certo timore reverenziale. La presi in mano e la studiai attentamente notando decorazioni minuziose su tutta la superficie.
Aveva ragione: non… potevo. Lo percepivo. Avevo comandato al mio braccio di scagliare il manufatto contro il muro, ma i miei muscoli erano rimasti immobili.
Sentendo i passi di qualcuno nel corridoio, uscii lesto dalla finestra e senza essere visto mi arrampicai sulla parete di una casa nei pressi della Dimora. Raggiunto il tetto mi fermai osservando quanto stava accadendo fra le mura di quella che una volta chiamavo casa.
Vidi giungere il Rafiq nello studio di Al Mualim e, senza poter udire quanto dicesse, intuii che avesse mandato qualcuno a chiamare Angelica, la quale giunse qualche minuto dopo con ancora i capelli disordinati. Si inginocchiò a fianco del morto e, portando delicatamente due dita sul collo del vecchio, scosse la testa, facendo intendere a Malik che non poteva fare nulla.
Malik Al-Sayf.
Passando una mano sul volto, cancellai veloce le immagini tormentanti del Tempio di Salomone e con un sospiro mi diressi verso la casa di Amani, con l'ombra della Morte al mio seguito.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


​Note: ricordo come sempre che si tratta di una ff otherverse e che il punto di vista della narrazione è di Altair ^^ Ho da aggiungere soltato questo: la parte completamente incorsivo e i pensieri in stile normale, è un flashback che spiega il lasso di tempo che divide il capitolo precdente con questo ;) Buona lettura!



CAPITOLO 3

 

 

Dolore. C'era soltanto dolore.
Una continua e lenta fitta di dolore intenso.
Partiva dai piedi, si arrampicava con i suoi piccoli artigli lungo le gambe, si faceva strada sulla schiena e colpiva con forza le membra stanche, distrutte.
Altaïr…”.
Aprii lentamente un occhio, ma vidi soltanto nebbia e sangue.
Ti prego! Devi rimanere sveglio…”.
Mi piaceva quella voce. Era chiara, leggera e forse senza quella nota di preoccupazione sarebbe stata ancora più splendida.
Resta con me…”.
L’oscurità vinse. 

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Una brezza leggera soffiava da occidente, portandosi con sé i profumi della campagna. Sfortunatamente la serenità del cielo non riusciva a penetrare lo spesso strato di rimorso che mi avvolgeva sin nelle ossa.
Era bastato vedere Malik per pochi secondi e quei momenti agghiaccianti erano tornati con il loro peso sulla mia anima.
Ridacchiai chiudendo gli occhi di fronte alla sfera infuocata che lentamente calava verso l'orizzonte: quale anima, Altaïr?
Inspirando profondamente riuscii a seppellire quelle immagini almeno per un momento senza che il volto di quel ragazzino, il fratellino di Malik cresciuto fin troppo in fretta, rimanessero impresse sulle palpebre.
Avevo consegnato la Mela ad Amani, sapendo bene che lei era a conoscenza di un nascondiglio più che perfetto, il quale non sarebbe potuto essere descritto dalla donna stessa, per ovvi motivi. In più ella non sapeva minimamente cosa avesse nascosto.
Una voce più che conosciuta mi destò dai miei pensieri.
“Siete stato molto gentile, ma non era necessario accompagnarmi”.
Mi sporsi leggermente e ciò che vidi mi fece aggrottare la fronte.
“È il tramonto… Dovevo assicurarmi che tornassi sana e salva, Angelica”.
La sua voce non mi era mai parsa così fastidiosa.
Perché Malik era con lei? Usciva raramente dalla Dimora e lo faceva sempre per delle emergenze o situazioni particolari.
Un vociare concitato e il clangore del ferro giunsero da una stradina laterale; appiattendomi contro il parapetto della terrazza dove mi trovavo, potei osservare quanto accadeva senza essere visto.
Quattro soldati templari avevano circondato i due e Angelica, spaventata, si nascose all'ombra di quel braccio che ormai non vi era più.
“Finalmente… È lei la donna dell'Assassino che state cercando. Se avete lei, avrete lui. Ve lo assicuro”.
Il mio cuore perse un battito e osservai sconcertato l'avvicinarsi dei soldati a quella figura tremante che tanto amavo.
Era talmente sorpresa e attonita dal gesto di Malik, che rimase a fissarlo per qualche secondo senza reagire.
Mi alzai di scatto udendo le sue grida disperate in cerca di una mano amica e mentre guardavo con astio il capo di quel traditore, egli si volse leggermente verso di me inclinando il volto.
“Occhio per occhio, Altaïr”.
 
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Una frustata di dolore mi percosse fino a svegliarmi boccheggiando, in cerca di aria che a stento mi riempiva il petto.
Mi lasciai cadere a peso morto e sentii il clangore delle catene che mi bloccavano braccia e gambe in una completa sottomissione.
Aprii lentamente gli occhi e combattendo contro una fitta nebbia grigia riuscii a vedere il suo volto angelico sfigurato dal dolore e dal terrore mentre veniva trascinata con forza fuori da quelle quattro mura spoglie e grigie.
Non ero riuscito a fare molto per salvarla e contro quattro Templari ben addestrati nel combattimento ravvicinato non avevo potuto fare alcunché
Ero una continua delusione.
Il Templare, che saldamente teneva in mano una frusta in cuoio nero, mi osservò attentamente mentre, con lentezza calcolata, girò attorno al mio corpo martoriato fermandosi alle mie spalle.
“La tua donna ha fatto un ottimo lavoro. Non morirai… non oggi” e l'aria sibilò.
 
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Il dolore e le mani tremanti di Angelica si alternavano in modo regolare in una altalena corrosiva.
All'inizio non avevano neanche posto domande. Si erano semplicemente divertiti a martoriare la mia carne con il caldo cuoio delle fruste e il freddo ferro delle lame più affilate.
“Mi fa male vederti così, Altaïr…”.
La sua voce fu quasi un sospiro, un singhiozzo, un ansito del reale dolore che portava in quel corpo minuto.
La guardai in volto con tutta la forza che in quel momento possedevo e con la gola in fiamme e le labbra più secche del deserto stesso riuscii a dire la più grande bugia del mondo: “Va tutto bene”.
Dovevo essere forte per me stesso. Per lei.
Per noi.
 
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“DOV’È LA MELA ASSASSINO!?”.
Un altro squarcio si aprì sull'addome e un urlo agghiacciante, soffocato da un rantolio gutturale, riverberò per la stanza e a stento riconobbi quello strazio come mio.
Mentre il cuore batteva con forza contro la pelle ormai completamente rossa per il sangue, mi dimenai cercando di combattere la costrizione delle catene, ma esse si strinsero con più forza attorno ai polsi e alle caviglie, fino a che la spossatezza dei muscoli non ebbe la meglio.
L'uomo che fino a quel momento era rimasto in silenzio e in disparte, si avvicinò veloce al mio torturatore e con un manrovescio ben assestato lo fece barcollare. Mentre urlava qualcosa in una lingua straniera lo osservai attentamente.
Era completamente calvo, con un abbigliamento leggermente diverso da quello degli altri e quando si volse nella mia direzione potei vedere i suoi occhi.
Occhi di ghiaccio. Occhi di serpe.
Non era affatto cambiato.
“Scusalo, non conosce le buone maniere”.
Tentai di ridere a quelle parole, ma la sola cosa che uscì dalle mie labbra fu un rantolio gracchiante.
A quanto pareva ero davvero l'unico modo per conoscere la posizione della Mela.
Peccato che non lo sapessi nemmeno io.
“Il mio nome è Robert de Sable e per qualche tempo sarai mio… ospite
Oh, sapevo bene il suo nome. Come dimenticarlo? Probabilmente non mi aveva riconosciuto con tutto quel sangue in faccia.
Infine disse qualcosa all'altro uomo e in quel groviglio di parole straniere percepii Angelica.
Ma ancora una volta l'oblio mi richiamò a sé.
 
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Una mano gentile e delicata era posata sul mio ventre e leggera come una piuma seguiva il percorso delle ferite che mi erano state inferte.
Pochi secondi dopo capii di essere sdraiato e… libero dalle catene.
Aprii lentamente gli occhi e a stento riconobbi il suo volto: aveva lo sguardo corrucciato, concentrata su quanto stava facendo, mentre le pupille erano esageratamente dilatate dalla paura. Alle sue spalle un Templare mi stava osservando attentamente e notando fossi cosciente, parve stupirsi. Era piuttosto giovane, forse non aveva neanche la stessa età di Angelica.
I suoi occhi, dal colore del ciel sereno, guardarono con circospezione il proprio compagno, il quale osservava annoiato il soffitto di quella prigione. Spostò lo sguardo su di me e poi su un punto preciso del fianco dell'altro soldato alternativamente e dopo qualche secondo finalmente notai ciò che i suoi occhi mi indicavano: un mazzo di chiavi.
 
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Non avevo idea di quanto tempo fosse passato, ma fu abbastanza da creare una sorta di routine. Avevo memorizzato i cambi di guardia e i volti dei Templari che creavano un via vai in quella prigione: il ragazzino era di turno ogni 3.
Ringhiai a denti stretti all'ennesimo colpo di frusta sulla schiena, ormai un groviglio di solo dolore pungente.
“Te lo chiedo di nuovo: dov’è la Mela?”.
Tentai di sorridere e fallendo miseramente mi ritrovai con una smorfia deforme sul viso “Non. Lo. So”.
In quel momento la porta della prigione si aprì cigolando e una giovane voce scambiò un breve dialogo con il mio torturatore nella lingua che avevo finalmente capito essere francese.
“Sei fortunato, Assassino. Per ora abbiamo finito” e con uno sguardo sadico mi sorrise, deridendomi.
Come previsto, il ragazzino entrò seguito da Angelica e dal soldato che portava con sé la mia unica via di fuga.
“Questa volta dovrai accontentarti, donna. È cosciente… non te lo libererò”.
Il giovane intervenne ridacchiando: “Perché? Cosa potrà mai fare ridotto così? Secondo me persino un bambino potrebbe batterlo” e la sua risata risuonò falsa alle mie orecchie mentre mi lanciò uno sguardo di intesa. Gli altri due soldati si unirono alla risata di scherno e facendo tintinnare le chiavi contro le catene che mi mantenevano immobile, venni liberato.
Angelica mi prese fra le sue braccia e arrancando mi fece sdraiare  prono su un tavolo di legno ormai annerito a causa del mio sangue che nei giorni lo aveva impregnato.
Sentii le sue lacrime calde e salate sulla pelle martoriata e sospirai piacevolmente quando mi accarezzò delicata una guancia, ormai completamente ricoperta dalla barba infoltitasi nei giorni di prigionia.
Sentii a mala pena l'ago preciso e veloce ricucirmi la carne, ormai abituato a ben altro dolore e con piacere notai che il soldato addetto al mio Jahannam2 non era più presente.
Con uno sguardo veloce vidi il ragazzino che fissava con impazienza le dita di Angelica, con la mano sull'elsa della spada, pronto ad agire.
Perché mi voleva aiutare?
Appena sentii quelle mani amorevoli terminare il lavoro, feci un cenno con la testa e lui estrasse lesto la spada colpendo con forza la tempia del secondo soldato, tramortendolo.
Angelica si guardò attorno spaesata e il Templare le intimò di tacere appoggiando l'indice sulle proprie labbra mentre si impossessava del mazzo di chiavi. Mi sedetti a fatica e con l'aiuto di entrambi mi alzai riuscendo a stento a rimanere in piedi e accettai di buon grado la Bastarda3 che il ragazzino mi aveva porto.
“Perché ci stai aiutando?” chiese Angelica anticipandomi.
“Perché vi ho riconosciuti” corrugammo entrambi la fronte e lui proseguì spiegandosi meglio “Tu mi risparmiai… mentre tu ricucii una ferita che avevo riportato alla gamba giorni prima”.
Sospirò profondamente “Ho un debito di vita con entrambi”.
Veloce aprì la porta della prigione e con un gesto delle mano ci fece segno di seguirlo, ma ad ogni passo una stilettata di dolore si aggiungeva a quell'agonia di sottofondo che ormai era diventata una compagna fedele.
Stringendo i denti per non emettere alcun suono, raggiungemmo una scala a chiocciola molto stretta e dai gradini piuttosto angolati.
“Saliamo sulla torre?” chiese Angelica in un bisbiglio.
Il ragazzino annuì con forza e prima che potessimo iniziare quella salita, una voce rabbiosa echeggiò per tutta la lunghezza del corridoio in pietra.
TRAÎTE!4”.
“Muoviamoci!” esortandoci, iniziammo a salire quei gradini costruiti apposta per far affaticare gli eventuali invasori.
Era questo il piano: sfiancare in partenza i soldati che ci avrebbero seguito e costringerli a rimanere uno in coda all'altro, così da attaccarli singolarmente una volta raggiunto il termine della scalinata. Il ragazzino sapeva il fatto suo.
Raggiunta la cima per poco non caddi a terra e reggendomi con la spada indicai ad Angelica di allontanarsi il più possibile dalla tromba delle scale.
Cercai di reintegrare l'aria nei polmoni e posizionandomi alle spalle del Templare, guardai attentamente attraverso le feritoie in cerca di una via di fuga.
“Come ti chiami, ragazzo?”.
Lui si volse leggermente nella mia direzione senza perdere di vista l’imboccatura delle scale “Antoine… Antoine de la Roche”. Annuii lievemente e cercai di tenere a mente quel nome dal suono così particolare.
Il clangore del ferro e il rumore di passi pesanti si avvicinarono sempre più,  finché non dovetti parare il primo fendente di quello che sarebbe stato un vero e proprio massacro.
La lama della mia spada diventò presto lenta e imprecisa e Antoine mi si avvicinò cercando di aiutarmi.
Lanciai nuovamente uno sguardo al di fuori della torre e in pochi secondi trovai finalmente un percorso che avrebbe potuto fare persino Angelica, senza rischiare. Girandomi verso di lei attirai la sua attenzione e le spiegai velocemente il tragitto per scendere dalla torre in modo dettagliato, per non rischiare in un passo falso.
Un grido strozzato mi fece voltare di scatto e incredulo guardai il corpo esanime di Antoine cadere a terra, in tonfo sordo seguito dal clangore del suo ferro.
Con uno scatto, abbastanza veloce per le mie condizioni, trafissi il ventre del Templare che aveva porto fine alla vita di quel ragazzino, troppo, troppo giovane.
Mi avvicinai al suo corpo e guardai quel volto così simile a quello di… Kamar e la sua immagine si impresse a fuoco nella mia mente, gravando ulteriormente su quel piccolo rimasuglio della mia anima martoriata.
La colpa era mia. Attorno a me non poteva che esistere Morte e sofferenza.
Angelica”.
Mi volsi a guardarla e dal suo sguardo percepii che aveva compreso quanto le stavo per dire.
“Devi fare ciò che ho detto. Passo per passo. Non riuscirò a trattenerli a lungo” la mia voce era spenta, il tono piatto.
Lei represse un singhiozzo e mi guardò disperata, in cerca di un'altra soluzione, la quale purtroppo non esisteva.
“Non… non pensi a nostro figlio?” la sua voce rotta aggiunse dolore al mio cuore già dilaniato.
Certo che ci pensavo. Ma non dissi nulla.
Guardai assente il sangue che colava copioso dalla lama della spada che impugnavo “Crescerà meglio senza di me”.
Lo sgomento si fece strada sul suo volto e asciugandosi una lacrima nervosamente, riversò su di me tutto il dolore che provava “COSÌ MI VUOI ABBANDONARE!?”.
Sospirai. Forse era un bene che mi odiasse. Sarebbe stato tutto più facile.
“Ora va’”.
Non controllai se mi avesse dato ascolto e mentre una lacrima traditrice si faceva strada sul mio volto, salii a fatica sul muretto che faceva da parapetto e allargai le braccia al vento nel mio forse ultimo salto della fede.
 
Jahannam2: Inferno per la religione islamica.
Bastarda3: spada dalla lama più corta rispetto alla tradizionale spada medievale.
TRAÎTE!4: traditore in francese.
 
​Nota dell'autrice (cattiva):
*si nasconde dietro ad uno scudo* Sì, scusate... in questo capitolo sono stata piuttosto sadica e.e ma mi farò perdonare nel prossimo capitolo...che purtroppo concluderà questa storia travagliata. Ma... ho intenzione di scrivere alcune one shot come approfondimenti per quanto riguarda i eprsonaggi da me inventati :) scrivetemi nelle recensioni ciò che desiderate sapere su Angelica, Amani etc ^^ Forse così mi farò perdonare x3
Alla prossima,
Sari :*
 

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Eccoci giunti alla fine di questa travagliata storia... Mi scuso per gli aggiornamenti irregolari, ma l'unversità mi ha tolto anche il tempo per respirare xD Con questo capitolo si ritorna con il POV di Angelica: spero apprezerete questa scelta ;)
Ho notato un calo nelle recensioni e vorrei capire se è stato causato in u calo nella qualità della storia, dello stile, o altro... vorrei solo saperlo ^^ le critiche sono ben accette purchè costruttive :)

Spero che questa storia sia piaciuta e che abbia fatto provare le stesse emozioni dei personaggi... Detto questo,buona lettura ;)

EPILOGO

Il vociare di Gerusalemme era ormai lieve con il giungere del crepuscolo. Ero rimasta in Terra Santa perché non avevo alcuna possibilità di ritornare nella mia città natale: con un bambino e senza una fede al dito sarei stata l’argomento principale di qualsiasi pettegolezzo.

Almeno mi sarei potuta fingere una giovane Vedova.
Sì, perché per me lui era morto.
Non lo pensavo con dolore, ma con rassegnazione e fermezza.
Aveva deciso di abbandonarmi e lo avevo accettato. La mia vita non era vuota e infelice come me la ero immaginata: mio figlio era la gioia di ogni giorno.
Guardai il mio piccolino che dormiva beato avvolto in calde coperte candide e non potei non notare la sempre più ovvia somiglianza con il padre. Gli accarezzai dolcemente una guancia paffuta e le immagini di quei giorni terribili tornarono a tormentarmi, vivide come se stessero ancora accadendo.
Qualche giorno dopo la mia fuga si era sparsa la voce della morte di De Sable e la prima volta nella mia vita fui felice per la morte di un uomo, se quel templare possa esser definito tale.
Mi sdraiai sul letto a fianco di quello più minuto su cui dormiva Arad, il mio piccolo angelo. Ero davvero stanca: la donna cieca che mi aveva accolto con sé, Amani, mi faceva lavorare nel suo orto modesto in cui coltivavamo ortaggi, sia per noi che per il piccolo banchetto che ogni giorno occupavamo al mercato.
La pace era finalmente giunta con un accordo stipulato tra Re Riccardo e il Saladino.
Chiusi gli occhi e neanche mi resi conto di essermi addormentata, ma lo scricchiolio di una trave del pavimento mi fece destare e aprendo gli occhi potei scorgere una figura scura, troppo, troppo vicina a mio figlio.
Ormai completamente sveglia, impugnai lo stiletto che tenevo sempre sotto il cuscino e con una forza non mia, mi abbattei sull'intruso: mi sedetti sul suo addome, con le ginocchia gli bloccai le braccia e gli appoggiai decisa la lama del coltello sulla gola, immobilizzandolo.
Sentii i suoi muscoli contrarsi e il respiro accelerare lievemente, ma non quanto mi sarei aspettata.
Strano.
“Che cosa vuoi!? Chi sei!?” sibilai acida.
L'intruso non rispose, ma il suo respiro tornò regolare. Corrugai la fronte: pensava forse che una donna non possa uccidere?
“Sono io”.
Il mio cuore perse un battito e per poco non persi la presa sul pugnale. Lui tentò di sbloccare il braccio destro dal peso del mio ginocchio, ma aumentai la pressione della lama sul suo collo e sentii la sua pelle lacerarsi lievemente in una piccola linea rossa, mentre inspirò con forza.
Doveva rimanere al suo posto.
“Sei… diversa”.
Oh, davvero?
“Un vaso rotto e poi riparato non sarà mai bello e spendente come in origine” ribattei cinerea.
Lui rimase in silenzio, forse ripensando a quanto avessi detto.
Mi aveva spezzata.
Allora? Perché sei qui?” lo incalzai.
“Voglio vivere… con voi. Ho portato a termine il mio compito”.
Una risata isterica sfuggì dalle mie labbra fino a spegnersi in un lamento indistinto e agghiacciante.
“Hai anche il coraggio di pensarlo?”.
In un unico e fluido movimento mi ritrovai in un battito di ciglia sotto di lui, con la lama ora rivolta contro la pelle delicata del mio collo.
Il mio respiro era un singulto: mai aveva usato le sue abilità per sovrastarmi.
Credimi, Angelica, se ti dico che avrei preferito morire piuttosto che abbandonarvi… “.
Una goccia calda e salata cadde sulle mie labbra e mi resi conto che una sua lacrima era sfuggita dal suo autocontrollo di ferro.
Lentamente allontanò la lama dalla mia gola e con la stessa lentezza avvicinò il suo volto al mio. Sapevo cosa sarebbe successo dopo quei momenti il cui unico rumore erano i nostri respiri, ma non feci nulla per impedirlo.
Una parte di me non voleva rispondere a quel bacio, non voleva farsi sfuggire quei sospiri di piacere e non voleva che toccassi quel corpo che tanto mi era mancato.
Interruppi quel bacio che sapeva di scuse e dispiaceri e mi avvicinai a lui, più di quanto non lo fossi già.
“Domani mattina sarai ancora qui?”.
Sentii le sue labbra sfiorarmi la fronte “Sì… e sarà così per molto, molto tempo”.
Sorrisi al suo petto accogliente e con il cuore palpitante compresi che eravamo appena diventati una famiglia.
Bentornato a casa, amore mio”.

Fine

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