Un giorno, o forse due

di Niacchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi dispiace ***
Capitolo 2: *** Primo Incontro ***
Capitolo 3: *** 3. Voci ***
Capitolo 4: *** 4. Parole Sussurrate ***



Capitolo 1
*** Mi dispiace ***



"Una parte di me diceva “ti prego, non andartene”
e l'altra parte non voleva vederti mai più."

-Tredici
 
Josie posò i piedi nudi sul pavimento gelido, aprì e chiuse gli occhi più volte per abituarsi al buio, respirò profondamente e si accarezzò con delicatezza il ventre. Quella sera la bambina dentro di lei non voleva proprio saperne di stare ferma, sospirò e piano si alzò dal letto, cercando di non svegliare il ragazzo che dormiva profondamente al suo fianco. Scese lentamente le scale e si recò in cucina, in un bicchiere d’acqua sciolse tre quattro gocce di valeriana e melissa, e si sedette sullo sgabello della cucina con parecchia difficoltà. C’era qualcosa che non andava in lei, certi giorni era così dura che le sembrava di non farcela, si sentiva così stanca e così giù di morale negli ultimi tempi. Scosse la testa energicamente e fece un respiro profondo, intenzionata a cacciare via quei pensieri, rimase a fissare il bicchiere d’acqua ancora pieno e si disse che una volta riiniziati i veri farmaci sarebbe stata meglio, almeno sperava. Doveva stare meglio per forza. Doveva stare meglio per la bambina. Accarezzo con dolcezza la pancia ormai evidente e così grande per lei, anche se il medico continuava a ripeterle che per gli standard di una donna al settimo mese era anche fin troppo piccola.
Si riscosse dai sui pensieri sentendo il calore di una carezza dietro la schiena e il lieve tocco di un bacio fugace posato tra i capelli, sospirò.
“Tutto bene?” le chiese con la voce ancora impastata dal sonno, Alex, mentre si allontanava da lei per prendere un bicchiere d’acqua. “Non ti ho sentito più nel letto e mi sono preoccupato” e bevve un sorso d’acqua senza guardarla nemmeno. Era così freddo e distante, lui, negli ultimi tempi e lei era così spaventata da tutto.
“Scusa, non riuscivo a dormire e sono venuta a prendere i tranquillanti che mi ha dato il medico. Va tutto bene, torna pure a dormire, sarai stanco. Adesso arrivo.” Gli disse bevendo tutto d’un sorso il bicchiere di fronte a lei.
Quando Josie non lo poteva vedere, Alex la guardava di nascosto, notava come i suoi occhi erano tornati ad essere bui e cupi e non riusciva a vederla di nuovo stare in quel modo, non riusciva a vederla stare di nuovo sull’orlo di crollare definitivamente.
“Sicura?” annuì vigorosamente scendendo con difficoltà dallo sgabello, cercando di non darlo a vedere e posò il bicchiere nel lavandino. “Torna a dormire, tranquillo”. Avrebbe voluto urlare che niente andava bene da quando lui passava più tempo in ufficio che con lei, proprio quando ne aveva più bisogno, ma non lo disse e lui non disse nient’altro.
Si appoggiò al mobile della cucina mentre le passava davanti e probabilmente tornava a letto, avrebbe voluto che rimanesse ma era così stanca di dovergli chiedere sempre tutto. Strinse con forza il mobile fino a farsi diventare le nocche bianche, una fitta l’aveva presa alla sprovvista; nella sua testa sentiva una voce, molto simile a quella del suo medico che le diceva che era normale e di non farci caso, ma un’altra voce nella sua testa le sussurrava che, come il solito, stava sbagliando tutto e qualcosa non andava bene. Trasse un altro respiro profondo e si accarezzò con delicatezza la pancia.
“Fai la brava piccola, che la mamma è tanto stanca” sussurrò amorevolmente e piano si diresse nel grande salone e si sedette sul divano da sola, non voleva tornare a letto.
Fissò il cielo notturno che si intravedeva dalla grande finestra del salone, faceva così caldo quella notte, forse sarebbe dovuta tornare a letto e cercare di dormire un po’, invece di starsene lì a pensare a cose stupide. Sapeva e lo avvertiva in quei sporadici momenti in cui riusciva ad avere la meglio sulla sua mente che stava di nuovo sprofondando in quel circolo vizioso da cui non riusciva proprio ad uscire, almeno finché non iniziasse di nuovo a prendere le pillole, che allo stesso tempo la facevano cadere in uno stato di torpore che impediva alle voci nella sua testa di farsi sentire. Per la sua bambina aveva deciso di non prenderle almeno finché non fosse nata, il bene della sua piccola veniva prima del suo. Sospirò infondo non andava così male quando con lei c’era Justin che la distraeva, e ultimamente Justin c’era sempre per Josie. Il problema tornava quando lui se ne andava e rimaneva sola in quella casa enorme finché non tornava Simon, ma con lui non era più uguale. Da tempo ormai era cambiato tutto.
Odiava sentire che i suoi stati d’animo più negativi prendevano il sopravvento su tutto, odiava sentire quelle maledette voci nella sua testa e odiava immensamente quel divano. Ogni volta che si sedeva lì sprofondava nei cuscini troppo morbidi e non riusciva più ad alzarsi a causa di quella pancia troppo ingombrante. Sospirò e con tutta la buona volontà cercò di alzarsi, ma invano, non sapeva che fare di solito era Justin a prenderla per le braccia e a darle una mano ad alzarsi, ultimamente non riusciva più nemmeno ad allacciarsi le scarpe, ma lui non c’era e non sapeva che fare, di certo non poteva chiamarlo a quell’ora e farlo venire fino a casa sua solo per aiutarla ad alzarsi, anche se sapeva che molto probabilmente sarebbe venuto immediatamente. Si morse il labbro di certo però non poteva rimanere sul divano tutta la notte, avrebbe dovuto chiamare Alex, qualcosa però la bloccava dal chiedere aiuto a lui, ma non poteva fare altrimenti.
“Alex” disse con voce tremante.
“Alex” ripeté alzando di poco la voce per farsi sentire da lui. Rimane qualche secondo in silenzio e non sentì nessun rumore, non l’aveva sentita.
“Maledizione, Alex!” quasi gridò, si era stancata e aveva bisogno di lui e come sempre lui non rispondeva.
Sbatte la mano chiusa a pugno con violenza e gridò di nuovo il suo nome, era così infuriata e non riusciva più a controllarsi. Questa volta senti i passi pesanti lungo le scale e qualche secondo dopo se lo ritrovò davanti con gli occhi sgranati.
“Che diavolo succede? Stai male? Dobbiamo andare all’ospedale?” disse in preda al panico, lei scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.
“No sto bene, devi aiutarmi ad alzarmi” gli spiegò scocciata e incrociando le braccia al petto, mettendo in evidenza i seni gonfi.
“Sei matta? Che cazzo ti urli per così poco, mi hai fatto spaventare a morte!” imprecò lui guardandola furioso.
“Così poco? Cosi poco?” sbatté il pugno di nuovo sul bracciolo del divano.
“Cazzo, Alex sono incinta! Sono entrata nel settimo mese e tu nemmeno lo sai, non sei mai venuto con me dal medico, sai almeno se è maschio o femmina? Perché non me lo hai mai chiesto! Non ti sei mai interessato, e dici che è così poco? Maledizione, sono un pallone e non riesco alzarmi da sola da questo divano, non riesco nemmeno più ad allacciarmi le scarpe da sola! Pensi che a me piaccia? Mi sento così inutile! Non sei mai qui con me, se sempre chiuso in ufficio e avvolte non torni nemmeno a casa a dormire, non rispondi mai a quel cavolo di telefono e mi vuoi dire che adesso ti sei spaventato, ma per favore! La maggior parte del tempo lo passo con Justin, mi viene a prendere, mi alza da questo maledetto divano, mi aiuta a mettere le scarpe e mi porta dal medico, ha visto più ecografie lui che il padre, risponde appena lo chiamo a qualsiasi maledetta ora e dorme qui quando tu non ci sei! Ma è tua figlia e non la sua, sei tu il padre di questa bambina e io non riesco a capire che ti passi per la tua maledetta testa! Per te esiste solo il tuo lavoro, ma io non posso farcela da sola!”.
Aveva il respiro affannato e sentiva che da un momento all’altro il cuor le sarebbe scoppiato, ma non sapeva trattenersi, non ne era mai stata capace o forse non ne poteva semplicemente più di quella situazione. Simon la guardava e non sapeva risponderle, non le rispondeva mai, deglutì sentendosi colpevole, sentendosi uno schifo, l’aveva abbandonata davvero questa volta. Abbassò lo sguardo e si passò una mano tra i capelli ricci, tirandoli: “Mi dispiace… non so che altro dire o forse si, è che il lavoro…”
“Sempre e solo il lavoro, esiste solo quello per te. Capisco, che non era previsto, capisco che ci siamo ritrovati da un momento all’altro in questa situazione, ma è anche tua figlia ed è ora che tu ti prenda le tue responsabilità!” lo interruppe lei, usava sempre la solita scusa, ogni volta che non poteva tornare a casa per dormire, ogni volta che non poteva accompagnarla dal medico, ogni volta che lei aveva bisogno di lui, c’era sempre il lavoro prima. Aveva iniziato a tremare dall’agitazione e sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi, si morse il labbro. Doveva calmarsi per la bambina e per lei, non poteva avere una crisi adesso.
Alex si inginocchiò di fronte a lei, la vedeva che cercava di trattenersi, di trattenere tutto dentro, vedeva i suoi occhi pieni di lacrime ed erano così cupi, così tristi e la cosa che gli fece più male era sapere che era lui la causa. “Mi dispiace, la verità è che non riesco a vederti così, non riesco a vedere di nuovo i tuoi occhi così tristi, non riesco a vederti star male. Mi sono buttato sul lavoro e cercavo di non lo so, cercavo di evitare il dolore che mi provoca vedere e sapere che ti senti vuota, tristi e persa come tempo fa. Non pensavo, però, di far peggio, io non ne avevo idea! Mi sono comportato da perfetto egoista, ho pensato solo al mio dolore e non ho pensato che potessi far peggio” fece una pausa e abbassò lo sguardo verso la pancia di lei, “è che ho dato la colpa a me stesso per non essere stato attento e non volevo, ma in un certo senso ho iniziato a dare la colpa anche… anche alla bambina perché ti faceva star male. Non lo so che mi sia preso…”
“Alex, io sto bene e non è colpa di nessuno, né la tua né tanto meno della bambina. È successo e basta, sono io che ho voluto interrompere i farmaci per non farle del male, ma vado dallo psichiatra una volta a settimana, per quanto possa servire, prendo calmanti naturali e se anche non riesco a dormire qualche notte, che fa? Un’ora in più un’ora in meno non cambia poi così tanto” prese un respiro profondo e si accarezzo il ventre con delicatezza, soffermandosi sul punto in cui la bambina le aveva dato un calcio.
“E poi, nei momenti in cui sto peggio penso che devo farcela, che devo stare bene per lei” continuò indicando la pancia “Alex non è colpa di nessuno e comunque una volta partorito ritornerà tutto alla normalità, quindi smettila e inizia a comportarti da padre! E da marito…” sussurrò le ultime parole, come se fossero proibite, come se non potessero essere dette.
Alex annuì e lasciò un bacio leggero sulla pancia di lei, forse fu il primo bacio in tutti quei mesi. Quasi sussultò quando sentì le sue labbra sulla sua pancia, sentiva il suo calore anche dalla maglietta che indossava. “Mi dispiace, piccola, mi dispiace per aver fatto soffrire la tua mamma, mi dispiace per tutto” sussurrò lui, posando un altro lieve bacio sulla pancia.
“Penso che questa sia la prima volta che tocchi la pancia volontariamente”.
“Bisogna recuperare” rispose lui, con un sorriso che non gli vedeva da mesi, i suoi occhi brillavano e lei ricambio il sorriso e annuì.
“Preferirò sempre quando sorridi, sei così bella” disse sedendosi sul divano e stringendola tra le sue braccia, le baciò dolcemente le labbra. Fu quasi un semplice sfiorarsi, ma fu così intimo che lei arrossì. Un contatto così intimo non lo avevano da mesi.
“Baciami ancora” sussurrò contro le sue labbra, “Mi sono così mancati i tuoi baci” e lui l’accontentò. La baciò delicatamente e man mano approfondì il bacio, accarezzandole la pancia con una delicatezza che forse non aveva mai avuto.
“Mi sei mancato” sussurrò lei tra un bacio e l’altro.
“Anche tu” e la baciò di nuovo con trasporto.
Si staccò dolcemente da lui per riprendere fiato e balbettando gli disse: “Vuoi vedere una cosa divertente, cioè Justin la trova divertente”. Alex annuì e lasciò un tenero bacio sul collo, Josie si alzò la maglia scoprendo la pancia, prese le mani di Simon e le posò sopra, trattenne il respiro per qualche secondo finché non senti la bimba muoversi proprio nel punto in cui c’era la mano di Alex.
“Guarda si vede la sua manina” gli disse lei, mentre lui fissava allibito il punto in cui la sua mano entrava in contatto con quella di sua figlia.
“È bellissimo”. Lei gli sorrise e mise la mano sopra la sua e gli diede un bacio sulla guancia.
Rimasero sul divano per tutta la notte, abbracciati cercando di recuperare tutto il tempo perduto in quei mesi, perché avvolte un mi dispiace può valere più di mille parole, avvolte due semplici parole possono far dimenticare tutto il rancore e il dolore di mesi interi. Perché avvolte due persone possono attraversare momenti difficili, ma continueranno comunque ad amarsi.
 
L’angolo dell’autrice.
Ciao a tutti!
Comincio con il dire che questo progetto è nato, beh da niente…
Comunque la storia si basa su racconti sparsi,
ovvero la storia ha sempre i stessi personaggi principali,
ma diciamo che vengono affrontati episodi che li riguardano in maniera sparsa,
come se fossero dei ricordi.
Perciò non seguirà un’asse temporale preciso, spero che l’idea vi piaccia.
Ci tengo inoltre a dire che tutti gli episodi sono ispirati a fatti realmente successi,
che poi ho modificato e ho creato questa storia,
mentre alcuni fatti saranno totalmente reali, magari con dialoghi modificati ecc…
Un’ultima cosa non so con che frequenza aggiornerò
perché è un’idea che mi è venuta dal nulla e poco tempo fa,
quindi non ho molti capitoli scritti.
  Detto ciò spero vi piaccia e se vi va fatemi sapere che ne pensate!                                             
Baci G
P.S. Se volete passate anche a dare un’occhiata alla mia altra storia:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3652803
 

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Capitolo 2
*** Primo Incontro ***



"Se il mio amore fosse una stella, in piena notte vedresti solo la sua luce.
e se il mio amore facesse spuntare le ali, spiccherei il volo."
-Tredici
 
La porta dell’aula si spalancò all’improvviso, facendo sussultare Josie che stava cercando di seguire la professoressa di filosofia. La vicepreside fece il suo ingresso, salutando la classe, attirando l’attenzione di tutti, compresa la professoressa: “Buongiorno, ragazzi, scusate il disturbo, sono qui per presentarvi il vostro nuovo compagno di classe”.
A questo punto tutti erano davvero incuriositi di vedere il loro nuovo compagni, o almeno quasi tutti. Josie alzò un sopracciglio, non le piaceva l’idea di avere una nuova persona nella propria classe, non adesso che aveva quasi trovato un equilibrio. Odiava i cambiamenti. Dietro la vicepreside sbucò una testa riccia, Josie rimase a fissare le converse nere del ragazzo nuovo, mentre Harley, la sua compagna di banco, le dava una gomitata: “Ha una faccia familiare, non trovi?”
Fece salire lo sguardo lungo le sue gambe lunghe, pensando che fosse davvero alto, inclinò la testa di lato e con circospezione squadro i lineamenti del suo viso: “Non so, Harley”.
“È carino” replicò lei, Josie annuì, guardando come i ricci gli cadevano ribelli sulla fronte, coprendo quasi gli occhi castani.
“Bene, lascio tutto nelle sue mani professoressa!” si congedò la vicepreside, uscendo in fretta dalla classe, sbattendo la porta. Josie sussultò di nuovo, odiava i rumori forti. I ragazzi nell’aula iniziavano a mormorare, tutti lo guardavano curiose, a quanto pareva alcuni già lo conoscevano, confermando così l’ipotesi di Harley. Era una faccia conosciuta, non c’era dubbio.
“Beh, come faccio sempre quando devo conoscere i nuovi alunni, ti chiedo d presentarti e di dirci qualcosa di te.”
Il ragazzo in questione annuì e sistemò la borsa di pelle nera sulla spalla, sembrava agitato: “Mi chiamo Alex e ho cambiato sezione, dalla D sono venuto qui in B”.
La professoressa, come era suo solito fare, inizio a fargli domande su domande, perché aveva cambiato sezione? Come mai erano in tanti a farlo? E via continuando.
Josie si dondolò sulla sedia, annoiata, come sempre la professoressa aveva iniziato il suo interrogatorio, lo aveva fatto con tutti, anche con lei. Odiava questo genere di cose. Continuò a guardare il ragazzo, lui sembrava cavarsela però, anzi rispondeva anche fin troppo sicuro di lui, e la cosa la infastidiva parecchio.
“Saccente, però” sussurrò nell’orecchio di Harley, che annuì vigorosamente, “Lo preferivo quando ancora non aveva aperto bocca” aggiunse l’amica e Josie le diede ragione. Non le piaceva, era bello, ma sicuramente lei le sarebbe rimasta lontano. Non che se fosse stato diverso da come le era sembrata ci avrebbe fatto amicizia. Lei non era il tipo.
“Si conosco alcuni che venivano in D, qualche anno fa, ma mi piacerebbe conoscere nuove persone” dichiarò posando lo sguardo su tutti i presenti e incrociando anche quello ostile di Josie.
“Bene bene, adesso vai pure a sederti al posto vuoto, vicino a Tina, che se non sbaglio anche lei viene dalla D”. entrambi annuirono e Alex prese posto accanto alla compagna, proprio nel banco di fianco a Josie.
La professoressa riprese la lezione e Josie tornò a prendere appunti, gettando di tanto in tanto lo sguardo verso il banco del nuovo compagno, lui non stava scrivendo nemmeno una parola e la cosa la stupì parecchio, ma non le importava granché così tornava subito a seguire la lezione.
Alex notò immediatamente che la ragazza dai capelli castani che scriveva al banco alla sa sinistra, ogni tanto lo guardava e non poteva fare a meno di sorridere. Era carina si, ma non il suo tipo.
La campanella suonò, la professoressa diede i compiti e uscì dalla classe, mentre tutti si alzavano. Josie e Harley si misero davanti al termosifone ancora spento aspettando l’arrivo del prossimo professore.
Né Josie né Harley si sarebbero mai aspettate che proprio uno dei loro migliori amici, Simon, potesse essere il primo a presentarsi al nuovo arrivato e a portarlo da loro; non che non fosse un comportamento proprio da Simon, tutt’altro, ma di certo le due ragazze non se lo aspettavano proprio, come non se lo aspettavano nemmeno gli altri amici del loro gruppo che le avevano raggiunte al termosifone.
“A me non piace che gente nuova venga nel nostro gruppo” mormorò Josie a Clay, che sapeva condivideva la sua idea, mentre vedeva Simon che veniva verso di loro con Alex.
“Concordo” le sussurrò guardandola di nascosto, mentre Josie si tirava su i jeans neri che le stavano grandi, Clay distolse subito lo sguardo mentre Harley intervenne nel loro discorso: “Non fate sempre gli asociali voi due!”
Josie alzò gli occhi al cielo, ultimamente non la sopportava: “Non siamo asociali, semplicemente non ci piace la…” s’interruppe quando nel suo campo visivo vide la t-shirt bianca di Alex.
“Piacere Alex” salutò lui con voce profonda, mentre le tendeva la mano. “Josie” e non ricambiò assolutamente il suo gesto, lui le sorrise ugualmente e si presentò all’amica al suo fianco. Josie abbassò lo sguardo “Che figura di merda” sussurrò. Ecco perché odiava conoscere persone nuove, faceva sempre delle figuracce.
Si morse il labbro, mentre Alex e Harley parlavano, e si chiese perché non fosse come la sua amica. Il professore di fisica entrò e lei si diresse subito al suo banco, senza più alzare gli occhi da terra per il resto della giornata.
Alex continuò a guardarla di nascosto per il resto della giornata scolastica, continuando a dirsi che non era proprio il suo tipo. Troppo chiusa.
Era il secondo giorno di scuola del quarto anno di liceo, e fu il giorno in cui si conobbero, nessuno dei due si piaceva, ma le cose di lì a poco sarebbero cambiate per entrambi.
 
L’angolo dell’autrice
Beh questo è il secondo capitolo,
come vi avevo già detto nel primo capitolo
la storia non ha un asse temporale preciso,
perciò sta voi ricostruirlo diciamo.
Ma comunque con i titoli dei capitoli e
le descrizioni penso che sia una cosa abbastanza facile.
Dovevo dire qualcos’altro ma non mi ricordo.
Comunque fatemi sapere che ne pensate, magari lasciando una recensione.
Grazie mille in anticipo,
Baci G.
p.s. questa è la mia altra storia, se avete voglia passate: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3652803

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Capitolo 3
*** 3. Voci ***



“Ma non puoi sfuggire da te stesso.
Non puoi decidere di smettere di vederti.
O di spegnere il rumore che hai in testa.”
-Tredici
 
Prese il telefono dal comò, erano le 02:30 di notte e lei ancora non riusciva a dormire, Alex al contrario dormiva profondamente al suo fianco. Sospirò e si mise una mano sul petto, sentiva il cuore batterle così forte che quasi le faceva male. Non quasi, le faceva proprio male il petto. Cercò di regolarizzare il respiro, che diventava sempre più affannoso. Non riusciva proprio a dormire ultimamente, la confusione nella sua testa non le deva un attimo di pace, le lacrime iniziarono a rigarle le guance arrossate per caldo. Sentiva freddo e caldo allo stesso tempo, sentiva l'ansia e il panico che si facevano largo nella sua testa e nei suoi pensieri, sentiva la voce nella sua testa ripeterle: “Sei patetica, nessuno ti vuole ed è per questo che sei così sola. Nemmeno lui ti ama”.
Diventava più profonda altre volte così stridula da farle tappare le orecchie con le mani, voleva che smettesse di parlare, voleva farla tacere in qualsiasi maniera, ma non ci riusciva. Ogni volta che pensava di averla zittita per sempre, lei tornava a farle visita ricordandole che non l'avrebbe mai lasciata sola, era l'unica che ci sarebbe stata per sempre. 
“Alex” sussurrò in preda al panico, lui si girò dall'altra parte.
“Alex” disse in un singhiozzo, lui si giro verso di lei e piano aprì gli occhi castani.
“Che c’è, Josie?” era scocciato, lo si capiva dal tono della sua voce, era maledettamente scocciato dei suoi pianti isterici tutte le notti, era scocciato di sentire quei singhiozzi e quelle parole che per lui erano così futili e inutili. Josie si morse il labbro, singhiozzando, il petto le faceva sempre più male e a mala pena riusciva a respirare. “Non lo so”.
“Che vuoi che faccia?” Alex alzò gli occhi al cielo, si passò una mano tra i capelli e si tirò su a sedere.
“Che diamine vuoi che faccia?” ripeté, sempre più scocciato, non ne poteva davvero più.
“Non lo so” e i singhiozzi divennero più forti.
Alex si passò di nuovo una mano tra i capelli tirandoli e scosse la testa: “Che vuoi che ti dica? Sinceramente non ne posso più di questi piagnistei inutili, senza nessun motivo particolare e non fanno nemmeno più effetto, tanto te stai sempre male!”. Si distese di nuovo, si tirò le coperte sopra le spalle e si girò, ogni sera era sempre la stessa storia ormai ne aveva abbastanza. Non c'era mai nessun motivo di fondo, non sapeva mai spiegargli che aveva e ormai pensava davvero che facesse solo finta, avvolte pensava davvero che lo prendesse in giro solo per attirare la sua attenzione. Era così? Non lo sapeva, ma in quel momento voleva solo dormire e chiuse gli occhi, cercando di ignorare il rumore dei singhiozzi di lei. 
“Scusa” sussurrò Josie, nella sua testa lei le aveva formulate risposte migliori alle sue domande, ma la sua bocca non riusciva mai a formularle e se ci riusciva, non veniva capita. Scostò le coperte e si diresse in bagno, chiuse la porta alle sue spalle e si sedette per terra, rannicchiò le ginocchia al petto e pianse, non riusciva a smettere.
La voce nella sua testa continuava a ripeterla imperterrita, con quel tono stridulo: “Non ti ama, guarda ti ha lasciato sola. Sei sempre sola e nessuno ha bisogno di te, faresti meglio a sparire, Josie. Lui non ti ama”, e Josie si convinse che lui non l'amava davvero, che la voce nella sua testa in fin dei conti non aveva torto. In fondo era sola anche quella notte, lo era sempre, non c'era mai nessuno per lei. Si portò le mani tra i capelli tirandoli fino a farsi male, ormai era arrivata al punto di non ritorno. Era sola, per l'ennesima volta. Si strinse le gambe al petto e si cullò su se stessa, le unghie le graffiavano le braccia, la testa sbatteva al muro dietro di lei. Non le importava. Non le importava più di niente da così tanto ormai, non riusciva a vivere più la sua vita come prima. Non le piaceva la sua vita, non le era mai piaciuta. Era così triste e così sola. Niente aveva più senso ormai.
Pianse più forte e urlò tra i singhiozzi: “Non ti è mai importato di me!”.
“Smettila Josie, e lasciami dormire”. 
La verità era che nella vita reale non esiste nessun lieto fine, nella vita vera si è soli e ognuno affronta i propri demoni da solo. C'è chi, però, anche nella vita reale, ha bisogno di aiuto, chi da solo non riesce a sconfiggerli e soccombe piano piano.
Perché la vita quasi mai ci concede un «vissero felici e contenti», sarebbe troppo banale.

 
L’angolo dell’autrice
Salve a tutti!
Innanzi tutto mi scuso per il ritardo,
ma non ho avuto il computer per questa settimana.
Beh, parlando del capitolo si iniziano a capire un po’ i problemi di Josie,
ma ovviamente non dirò altro perché dovrete scoprirlo leggendo.
L’unica cosa vi prego di non giudicare male Alex,
primo perché è troppo presto, è solo il terzo capitolo,
secondo perché nel corso della storia verrà comunque spiegato tutto.
Quindi vi prego di non odiarlo, non se lo merita hahah,
lo dico soprattutto perché come ho detto nel primo capitolo,
la storia avvolte si basa su personaggi e fatti realmente accaduti,
quindi ci tengo che non lo odiate.
Ultima cosa, so che il capitolo è un po’ breve,
ma alcuni saranno così anche perché sono dei momenti.
Basta chiacchiere,
a presto!
 
P.S. questa è la mia altra storia (che provvederò ad aggiornare presto!):
 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3661363

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Capitolo 4
*** 4. Parole Sussurrate ***



 
"L'amai perché provava un dolore profondo;
perché fu molte cose, ma non fu mai furba e seppe amare tutto e tutti,
tranne se stessa"
-Umberto Saba

“Sono a casa!”, la porta d’ingresso si spalancò e Alex posò la borsa piena di documenti sullo scaffale vicino alla porta e il soprabito sull’attaccapanni. Allentò il nodo della cravatta mentre camminava sul parquet e con lo sguardo cercava in ogni stanza della casa sua moglie. Sbirciò in cucina, ma vide soltanto la tavola apparecchiata per due e i piatti ancora pieni di cibo, gli si formò un groppo in gola e continuò a cercarla con gli occhi. L’aveva fatta cenare da sola anche quella sera e il senso di colpa si fece largo nel suo petto ancora di più quando la vide rannicchiata sul divano, sperava con tutto il cuore che lei non lo avesse aspettato anche quella sera e che fosse andata a dormire, ma Josie l’aspettava sempre.
Si avvicinò piano al divano di pelle nera e si inginocchiò di fronte a lei che dormiva, rimase qualche secondo a guardarla, gli occhi chiusi e le labbra leggermente socchiuse, respirava profondamente. Le spostò i capelli che le cadevano sul viso, odiava che le coprissero quel volto che lui amava, e dolcemente le accarezzò la guancia.
“Josie, sono tornato. Scusami” le sussurrò Alex all’orecchio, baciandole dolcemente le labbra, lei mugugnò qualcosa e si portò le ginocchia al petto.
“Josie, dai svegliati così andiamo a letto”. Josie sbatté un paio di volte le palpebre e si tirò su a sedere, Alex le sorrise e le spostò di nuovo i capelli dal viso.
“Sei tornato, che ore sono? Mi sono addormentata e…”, Alex le sorrise di nuovo e si avvicinò al suo viso: “È quasi mezzanotte, scusami non sono riuscito a rientrare prima e cenare con te, mi hanno bloccato al lavoro con dei progetti e solo ora sono riuscito a rientrare”.
Josie si morse il labbro per non parlare, avvolte odiava con tutto il cuore il suo lavoro, lo portava a stare sempre troppo lontano da lei, ormai era quasi una settimana che non cenavano insieme ed era molto di più che non passavano una giornata intera insieme, ma Josie sapeva che quello era il suo lavoro, il suo sogno e lei non poteva mettersi in mezzo.
“La cena è pronta se non hai mangiato, te la riscaldo?”
“No ho mangiato qualcosa in ufficio, Josie…”.
Tra i due calò il silenzio e Josie lo guardò interrogativa, sorridendogli e Alex sentì un peso nel petto che aveva iniziato a provare da poco, lo provava ogni volta che vedeva Josie che gli sorrideva e che si comportava così gentilmente con lui, anche se non lo meritava. Il senso di colpa lo stava uccidendo dentro, si era ripromesso di essere più presente rispetto a quando erano dei semplici ragazzi, quando l’aveva sposata gli aveva promesso che il lavoro non l’avrebbe allontanato da lei, ma invece stava succedendo proprio questo, “Mi dispiace”.
Josie sorrise di nuovo e non disse una parola, sapeva bene che avvolte un gesto valeva molto più di mille parole. Si avvicinò piano al viso di Alex, mentre lui teneva ancora gli occhi rivolti verso il basso, gli accarezzò i capelli ricci attirando la sua attenzione e dolcemente lo baciò sulle labbra. Josie sperava di trasmettere tutti i suoi sentimenti in quel bacio, sperava che lui capisse che si avvolte era triste per la sua assenza, ma continuava ad amarlo comunque e niente le avrebbe fatto cambiare idea, perché bastava sapere che lui la sera tornava a casa da lei e per lei.
Alex ricambiò il baciò, stringendola a sé più che poteva, Josie schiuse le labbra e Alex si lasciò trasportare da tutte le sue emozioni, si era reso conto solo in quel momento quanto volesse toccarla, baciarla e stringerla a sé tutto il giorno, come facevano quando erano dei semplici ragazzini. Adesso però, erano adulti e molte cose erano cambiate a partire da loro stessi, ma soprattutto era cambiato il loro modo di amarsi, i baci non erano più semplici, ma crescendo erano diventati man mano più profondi, come se in un bacio, loro avessero imparato a celare tutti i sentimenti che provavano e per Josie e Alex era proprio così. Avvolte era l’unico modo per capire quello che stavano provando l’uno per l’altro, per loro un bacio non era mai semplice. Poteva essere bagnato dalle lacrime quando uno dei due stava male, poteva essere violento quando erano arrabbiati e poteva essere profondo e intimo per comunicare tutto l’amore che provavano, proprio come in quel momento.
Josie gli tirò i capelli, attirandolo di più a sé, e si staccò dolcemente da lui per riprendere fiato, appoggiò la fronte sulla sua e lo guardò negli occhi: “Mi manchi.”
E Alex riprese a baciarla con più foga, le accarezzò le cosce lasciate scoperte dalla sua maglia a righe, che lei usava quando sentiva la sua mancanza.
La prese in braccio e la portò su per le scale, fino alla loro camera da letto, Josie, per paura di cadere, si era aggrappata alla sua camicia e gli urlava di metterla giù, ma Alex non le diede ascolto. Entrò nella loro camera e la buttò giù sul letto, mentre Josie iniziava a ridere di gusto, tanto che il cuore di lui ebbe un sussulto.
“Sempre molto delicato, Alex!”.
Lui si morse il labbro e inizio a togliersi le scarpe velocemente, mentre stava per slacciarsi la cintura dei pantaloni, sentiva gli occhi di Josie su di lui: “Possibile che tu già sia mezzo nudo?”
“Beh potresti esserlo anche tu, se solo ti togliessi quella maglia e non mi dispiacerebbe per niente” si sfilò velocemente i pantaloni e si mise tra le sue gambe, mentre lei scuoteva la testa. “Preferisci che te la tolga io?” e Josie annuì piano, mentre lui le sfilava la maglietta e la gettava da qualche parte nella stanza. Lei si lasciò cadere sui cuscini mentre lui tornava a baciarla, con le mani tremanti gli sbottonò la camicia e lui se la sfilò facendola finire vicino alla maglia, riprendendo a baciarla. Le accarezzava le gambe, mentre lei gli accarezzava la schiena, Alex la baciò ovunque e poco dopo anche il loro intimo finì sul pavimento della stanza, i sospiri di Josie diventavano sempre più pesanti mentre le mani di lui erano su ogni parte del suo corpo, provocandole brividi ovunque. Alex aprì le coperte la mise sotto il lenzuolo, mentre si sdraiava di fianco a lei, Josie gli si avvicinò e sussurrò il suo nome, la mano di Alex accarezzò tutto il profilo della donna distesa al suo fianco e non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bella, ma questa volta qualcosa era diverso. Mentre Josie lo stringeva per le braccia e lo tirava sopra di lei, chiedendogli di baciarla, Alex la guardò negli occhi e prima di riprendere a baciarla con foga, le sposto una ciocca di capelli dal viso e le sussurrò dolcemente: “Sei bellissima”.
Josie sgranò gli occhi sorpresa, accadeva così poco che lui esprimesse i suoi sentimenti per lei o che le dicesse anche solo che era bella, ma lo stupore durò poco perché Alex riprese a baciarla, stringendole i fianchi con forza, mentre Josie allacciava le gambe dietro alla sua schiena, tirandogli i capelli e gemendo piano e interrompendo il loro bacio. Alex sospirò sulle sue labbra e le lasciò teneri baci mentre Josie, gli sgraffiava la schiena con le unghie, sussurrando il suo nome.
Alex le prese la mano e la intrecciò con la sua, voleva sentirla vicina come non gli accadeva da giorni; anche se la vedeva tutte le sere, aveva iniziato a sentire la sua mancanza, a desiderare di tornare a trascorrere più tempo con lei, a volerla baciare di più e a tornare ad avere più momenti come questi.
Sussurrò il nome di lei così piano che Josie non lo sentì nemmeno, appoggiò il viso sul suo petto esausto, mentre la stretta delle loro mani si allentava e Josie con tenerezza giocava con i suoi riccioli.
“Alex, non vorrei rovinare il momento… ma così mi soffochi!”, Alex rise e si spostò dal suo lato del letto fingendosi offeso.
“Si hai rovinato il momento e io che volevo farti le coccole” disse dandole le spalle, ridendo sotto i baffi quando sentì Josie scusarsi e lasciargli baci veloci sulla schiena.
Alex si girò di nuovo verso di lei e la strinse con forza tra le sue braccia, Josie appoggiò il viso sul suo petto e lo strinse a sua volta. Gli occhi le se chiudevano anche se cercava di rimanere sveglia, ma Josie era stanca ed era tardi per lei, e ogni volta che Alex la stringeva così si sentiva talmente al sicuro che dolcemente il sonno iniziava a cullarla.
Alex le accarezzava i capelli e la guardava mentre cercava di rimanere sveglia per stare ancora con lui, sorrise e la strinse di più a lui.
“Ti amo” sussurrò, ma Josie si era già addormentata e non poté sentirlo, nemmeno quella volta. Così tante volte le aveva sussurrato quelle due parole, ma lei non le aveva mai sentite e forse, Alex, lo faceva di proposito perché era più facile aprirsi quando non lo guardava con quegli occhi che gli chiedevano amore continuamente, ed era sempre stato più facile, per lui, recitare la parte di quello che non provava niente. Anche se l’aveva ferita così tante volte nascondendo quella sua parte, ma Alex non riusciva ad essere così aperto.
Le baciò prima la fronte e poi le labbra, e prima di chiudere gli occhi le sussurrò di nuovo: “Ti amo, Josie, tu non sai quanto ti amo”.
 
L’angolo dell’autrice
Salve a tutti,
scusate per il ritardo ma lo studio mi toglie parecchio tempo, diciamo che è un po’ un periodaccio!
Comunque, scusate anche se nel capitolo c’è qualche errore ma l’ho scritto e non ho davvero il tempo di ricontrollarlo con attenzione.
Spero con tutto il cuore che il capitolo vi piaccia anche perché forse è il primo capitolo dove c’è una bella scena d’amore tra Josie e Alex! Vi dico che ce ne saranno altre ovviamente, ma vi anticipo anche che dopo questo seguiranno capitolo anche abbastanza tristi, quindi preparate i fazzoletti!!
Il problema è trovare il tempo di scrivere, ma non vi preoccupate ci riuscirò hahaha
Detto ciò vi mando un bacio e vi auguro una buona serata!
G.

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