Project Infinity

di ArtistaMaeda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rientro ***
Capitolo 2: *** Il suono della ritirata ***
Capitolo 3: *** LEVEL 1 MISSION: ACCOMPLISHED! ***
Capitolo 4: *** Partenza ***
Capitolo 5: *** Errore 302 ***
Capitolo 6: *** Aux Sync 12% ***
Capitolo 7: *** Capitolo 2: Alleato ***
Capitolo 8: *** Capitolo 3: Furfante ***



Capitolo 1
*** Rientro ***


In una notte stellata sul pascolo al chiaro di luna. D’un tratto, una meteora squarcia il cielo. La scia luminosa plana candida sul continente e si eclissa nelle tenebre, lasciando solo un ricordo. Un po’ più in là, in una placida valle, la luna si riflette su uno specchio d’acqua. I grilli gracidano e un gufo si prepara alla caccia notturna. D’un tratto, illuminati dalla luce lunare, fanno la loro apparizione tre paracadute colorati di bianco e arancione nel cielo, uniti tra loro da dei cavi robusti, che rallentano la discesa di una capsula spaziale a forma di mezzo cono.

SPLASH!

Gli spruzzi d’acqua piovono sul tetto della capsula, la cui punta spuntata è rivolta verso l’alto e ondeggia e si affianca, ma subito torna diritta, e il cono per intero riemerge, grazie a una serie di galleggianti che si sono gonfiati a comando intorno alla base. Le acque si calmano e i paracadute si afflosciano sopra il cono, coprendolo totalmente esso e l’acqua lì intorno. Oltre al telo colorato, il segno che il laghetto è stato violato da qualcuno è visibile anche dalla scia di vapore acqueo che sale al cielo. Per il resto, la notte continua tranquilla come sempre…

Goccia dopo goccia. Il lavandino della toilette pubblica è pieno per metà, tappato per fermare l’acqua, e sporco di rosso. Una goccia dal rubinetto, una dalla mano insanguinata della LT. Reed, come c’è scritto sulla targhetta affissa sul petto sulla tuta da volo. Ella è china sul lavandino a fissare il proprio volto riflesso nello specchio sporco e opaco. È sconvolta. Il suo sguardo è perso nel vuoto di un turbine di ricordi ancora troppo freschi e confusi per essere processati. D’un tratto si riprende, e strofina compulsivamente le mani tra loro, per togliere il sangue il prima possibile.

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Capitolo 2
*** Il suono della ritirata ***


Quando hai 13 anni il mondo comincia solo adesso ad estendersi oltre i confini dei cartoni animati, della scuola, di casa, e dei videogiochi. La tua bibbia resta comunque come finire i livelli al tuo gioco preferito per arrivare fino alla fine e ricominciare il gioco da capo, con una difficoltà superiore, per sbloccare dei livelli segreti, o per fare un punteggio migliore.

 

NEW GAME

 

LEVEL 1

 

RETREAT!

 

“L’attacco sferrato dai ribelli non ha avuto nessun effetto contro il Titano. Hanno suonato la ritirata. Tu e il tuo squadrone dovete supportare le forze alleate mentre il centro abitato viene evacuato. Il destino di migliaia di persone è nelle vostre mani. Buona fortuna!”

 

Lassù, nel cielo blu, uno stormo di uccelli di metallo ronza agitato e rombante, lanciando missili fumanti che si schiantano contro un vero, verissimo Titano, grande quanto un monte. Ha le sembianze di un gorilla gigante, un po’ come King Kong, e ha tutte le intenzioni di distruggere la vicina città umana. Da una nuvola si libra uno di questi oggetti volanti simili vagamente a una Libellula; un velivolo monoposto dalla lunga e stretta fusoliera, quattro sottili e apparentemente fragili ali  flessibili e versatili, e una calotta dentro la quale si vede l’elmetto di un pilota. Due grosse turbine da sotto le ali inferiori spingono la Libellula in volo per recuperare altitudine, e un planino di coda mantiene l’equilibrio. Ne appaiono altre di queste Libellule dalle nuvole. Alcune di queste nuvole non sono neanche nuvole, sono cumuli di fumo nero e grigio che si erge dalle rovine della città e finisce per otturare la visuale convenzionale dei piloti delle Libellule. Queste si schierano in una formazione a colonna, e come uno sciame di uccelli, sfilano a destra e a sinistra, e in lungo e in largo, aggirando il gigante per sfuggire ai suoi colpi insistenti.

La libellula marcata — 13 Brando — esce dalla formazione per avvitarsi su sé stessa e scendere in picchiata verso il mostro. Sgancia una bomba e si libra di nuovo in cielo per togliersi dai guai ancor prima che la bomba esploda, e quando lo fa, stordisce il mostro. Il resto della squadra trova il tempo di dividersi e attaccare da più direzioni, sfruttando la tregua. — 15 Ambra, 16 Cobalt e 18 Gayp — si allineano e lanciano missili al Titano, facendo centro. Il mostro si dimena e torna all’attacco, perciò le Libellule salgono tutte di quota e si ritrovano tutte insieme, riprendendo la formazione in colonna. Come una scia, una catena fluida, girano intorno al mostro ripetutamente, schivando i vari colpi. Il gorillone spara da cannoni sulle spalle una miriade di munizioni che intasano lo spazio aereo, scie di fuoco visibili anche dall’orizzonte per via del grosso calibro e della velocità di tiro supersonico. Dalla bocca, invece, il gorillone spara un laser ad alta concentrazione e precisione, e riesce infatti a centrare la Libellula — 12 Greta. Brando gli si avvicina a gran velocità per poi orbitargli intorno e nota che il metallo della fusoliera del velivolo di Greta viene liquefatto dal fascio di luce e la fusoliera si spacca in due. Il forte calore fa brillare la cartuccia delle munizioni che esplode mandando in pezzi la parte posteriore della fusoliera, mentre la parte anteriore, con il pilota, scendono giù in picchiata in una scia di fumo nero. Ancora incandescente, il metallo fa miccia al carburante delle turbine, e dalla fusoliera emergono lingue di fuoco che alimentano ancor di più il fumo nero. La parte ancora integra che sta precipitando è quella con le ali ancora presenti, ma quelle del lato di sinista sono danneggiate e conferiscono al velivolo un momento di rollio e imbardata incontrollabili per via della mancanza anche della coda che l’avrebbe stabilizzato. Non sembra esserci altra soluzione che abbandonare il velivolo, ma il pilota nell’abitacolo sembra inerme, va giù con il suo aereo.

13 Brando si toglie dalla formazione e si aggrega alla compagna che sta cadendo, investigando sulle sue condizioni. C’è intenso traffico radio senza più rispettare la disciplina delle telecomunicazioni, ma Brando ignora tutto, sente solo il fuorte battere del proprio cuore, e le voci insistenti delle preoccupazioni mentre la lancetta dell’altimetro si svita freneticamente. Quando manca poca altitudine, Brando si risolleva mentre Greta si tuffa nella coltre di nubi marroni che sovrastano il suolo di decine di metri. È come sparire nel nulla, e gli occhi degli altri piloti di Libellule sono fissi verso quel punto morto dov’è sparita Greta, aspettandosi qualcosa ma non sapendo cosa. Quel qualcosa arriva prima del previsto, in un bagliore arancione che illumina la nebbia marrone. Poi torna tenebra scura.

Brando riprende quota e riflette, una volta fuori dai guai. Il resto della squadra allo stesso modo rompe l’ingaggio per disperdersi e recuperarsi a distanza di sicurezza in due formazioni a V. Brando ha gli occhi fissi al suolo. Poi scorge una palla di fumo nero che sbuca fuori dal resto della coltre di nubi marrone. Impreca e si dimena ai comandi, libero dalla responsabilità del pilotaggio grazie al pilota automatico.

Dalla radio viene l’ordine di rientro, così le due formazioni ripiegano e fanno rotta verso la base, abbandonando la città a sé stessa. Brando si rifiuta fino all’ultimo di tornare con i suoi compagni. È l’avionica del carburante a convincerlo definitivamente a farlo rientrare, avvisandolo che le riserve sono quasi a secco. E il gigante rimane imperterrito a mietere distruzione nella città. Le due formazioni invece si ricongiungono a Brando e insieme abbandonano definitivamente il campo di battaglia e ritornano alla base, lontano dalle colonne di fumo e dalle esplosioni.

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Capitolo 3
*** LEVEL 1 MISSION: ACCOMPLISHED! ***


Reed chiude il rubinetto del lavandino del bagno pubblico. Ha fatto defluire il sangue che le sporcava le mani, ma la sua tuta da pilota ne è ancora un po’ sporca, dovrà cambiarsi e metterla a lavare. Si guarda allo specchio. Dio. Ha un aspetto provato: occhiaie, occhi lucidi e pieni di capillari infiammati, capelli unti e spettinati, e labbra secche. Riapre il rubinetto, fa coppa d’acqua con le mani e si inonda la faccia. Va meglio. Ma non proprio.

Dopo essersi data una migliore ripulita esce fuori, nel corridoio della caserma. Si festeggia il rientro dello squadrone e l’accompimento della missione, ma i piloti che marciano nel corridoio tutto sembrano tranne che in parata, specialmente l’ultimo, il più corpulento, che si trascina a forza e sbatte la porta con aggressività. Reed si unisce al corteo e viene intercettata da un’amica in divisa, sistemata, pettinata, con gli occhiali da vista. Profuma di fiori.

“Reed! Dov’eri sparita? Ti devo parlare del tuo debriefing. Hai un minuto?”

“Non può aspettare?” risponde Reed, evitando apposta lo sguardo dell’ufficiale più giovane di lei.

No, che non può aspettare… Ho trovato piuttosto singolare quello che hai dichiarato nelle note. Ho bisogno di discuterne con te in privato!”

La ragazza prova a posare la mano sulla spalla di Reed, ma questa improvvisamente si ferma, si gira, e le blocca la mano, avvicinandosi al suo volto per parlare più discretamente ma con tono serio:

“Tenente Kase. Mi sta parlando da ufficiale di pari livello o da amica?”

“Ma ovviamente da amica…” risponde Kase, serena, se pur interrogandosi sugli occhi rabbiosi di Reed.

“Allora può aspettare…” ribatte definitivamente Reed, lasciando andare Kase e continuando poi per il corridoio, a seguito del corteo. Incrocia l’omone di prima, anche lui un ufficiale di volo in rientro dalla missione, e si scambiano un sorriso forzato e uno sguardo di rassegnazione. Poi si ritirano ognuno nelle proprie cucce.

Una voce anziana al telefono:

“Ha parlato con la tenente Reed?”

“Sì…” risponde Kase, un po’ delusa e imbarazzata.

“E…?”

“… E… niente. Non ha voluto parlarmi subito. Dovremo forse aspettare che si sia ripo—”

“È vitale che parliamo con lei il prima possibile. Tenente Kase, mi affido al suo giudizio.”

“Ma certo dottor Yakamura! Farò del mio meglio, come sempre…”

Sospira. Si guarda attorno. La sua stanza è molto più dignitosa delle cucce dei piloti. Sta giochicchiando con una penna su un foglio, sulla scrivania, mentre parla al telefono. Si fa coraggio:

“E per quanto riguarda il giovane Ferraro?”

“Stia tranquilla, tenente Kase. Il ragazzo è in buone mani. So che l’unità di trasporto è partita stamattina per il centro della città.”

Kase si preoccupa,

“Sarà rischioso. Rimarranno bloccati nel traffico con l’evacuazione—”

“No, no, no… Non si preoccupi. Ho provveduto a rendere disponibile un elicottero qualora la situazione si facesse calda”

Kase si tranquillizza con un sorriso timido.

“Ha pensato a tutto, allora, dottor Yakamura…”

“Voglio sperare di sì.”

Poi Kase riattacca.

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Capitolo 4
*** Partenza ***


“Daniele… Benvenuto!”

Il dottor Yakamura, dall’alto della vetrata dell’ufficio di comando, parla con il suo accento giapponese attraverso gli altoparlanti, e osserva il giovane Ferraro, vestito in camicia, cravatta, e pantaloni, e la sua accompagnatrice, LT. Kase, in divisa militare da ufficio, con gonna e tacchi. L’hangar sotterraneo dove sono stati portati è illuminato a giorno da potenti riflettori che emanano un ronzio, e la struttura respira profondamente dalle grate alla base delle quattro mura, e anche da bocche sul suffitto, spinta dal sistema di aerazione e condizionamento. I due muri laterali sono dominati da svariate enormi saracinesche numerate, mentre alle spalle dei due interrogati si staglia un enorme portellone con su scritto Rampa.

Il giovane Ferraro cerca supporto con lo sguardo verso Kase, che gli sorride amichevolmente, e poi lei si rivolge al dottore, guardando in alto.

“Preferisce essere chiamato Daniel, dottore”

“Ah, benissimo! Daniel! Benvenuto!”

Kase adocchia Daniel che ha lo sguardo basso e disinteressato. Il dottore continua.

“Dopo la pausa pranzo, eseguiremo un test delle tue abilità cognitive e di familiarizzazione. Sappiamo che non sei del tutto nuovo al programma Infinity”

Daniel sbircia di nuovo Kase con aria spaesata e Kase cerca ancora di rassicurarlo con un sorriso, poi lo nota allungare lo sguardo alla saracinesca 4, senza un apparente motivo, e ci guarda anche lei, senza trovare nulla fuori posto, solo il numero ben chiaro in nero con bordo rosso ed un incorniciatura a striscie gialle e nere che lo mettono in risalto.

“Tenente Kase, ha illustrato al cadetto i compiti odierni?”

“Sì, dottore. Però credo che sarebbe meglio se avessimo più tempo a disposizione…”

“Mi spiace tenente Kase, ma il tempo è qualcosa che proprio non abbiamo a nostra disposizione. Quindi, prima facciamo meglio è”

Daniel rompe la riga e si avvia verso la porta davanti a loro, pur sapendo che deve essere aperta da personale addetto. Kase lo segue.

“Aspetta, Daniel!”

Ma Daniel non la aspetta e arriva alla porta, fermandocisi accanto per girarsi a guardare la militare.

“Adesso ci andiamo a fare la pausa, eh?”

Kase alza lo sguardo verso la vetrata, ma essendo subito sotto al balconcino dell’ufficio di comando l’angolo contro la vetrata è tale che vede solo il riflesso del soffitto dell’hangar.

“Con permesso, dottore…” dice Kase comunque, e il dottore risponde,

“Certamente, capisco…”

Apre la porta e Kase accompagna Daniel fuori.

Lo porta alla mensa, mezza deserta ma comunque attiva, e nella quale aleggia l’odore di cibo scrauso e ripetitivo, di unto e fritto.

“Siediti dove preferisci, Daniel”

Daniel sceglie un tavolo d’angolo, e prendono posto. Il ragazzo scende nel silenzio e si chiude in sé stesso, così Kase cerca di rompere il ghiaccio.

“Cosa ti va di mangiare?”

Daniel non si apre.

“Io prendo un cheeseburger, lo vuoi anche tu?”

Daniel fa spallucce, guardando fuori dalla finestra, nel cortile alberato e pieno di aiuole che ricorda più un’università che una base militare. Fuori alcuni impiegati passeggiano o si dirigono in altre aree del complesso. Nella mensa invece c’è un gruppetto di ufficiali di volo dall’altra parte dell’atrio che adocchia Kase con il suo protetto e fanno battute tra di loro.

Kase torna al tavolo con un vassoio con sopra due cheeseburger e due lattine di coca. Passa un panino e una lattina al ragazzo e poi comincia a mangiare il suo.

“Non hai fame?”

Daniel in un sospiro infastidito afferra il panino e lo rigira tra le mani non sapendoci cosa fare.

“Non lo devi mangiare per forza, però mangiare qualcosa ti farebbe bene. So che non mangi da ieri”

“Non mi va di mangiare”

“Allora parla!”

S’incrociano con lo sguardo. Lei sorride e lui ha il broncio.

“Senti, non ti voglio prendere in giro. Io ho solo il mio compito, che è quello di assisterti nel tuo. Ma a parte questo posso esserti amica, se vuoi, quindi puoi parlare con me… Se vuoi…”

Dopo una breve pausa, mentre fissa il panino, Daniel risponde,

“Non ne voglio parlare!”

Kase s’impegna a trovare una risposta adeguata.

“Non sei contento di stare qui, vero?”

“No!”

“Come mai, Daniel? Non pensi che sia l’opportunità per fare qualcosa d’importante? Non è forse ciò che hai detto a ua madre?”

Sentirla nominare attira l’attenzione di Daniel, che solleva gli occhi infuocati verso Kase, la quale è intenta a sistemare meglio il panino nelle proprie mani.

“L’ho letto nella vostra corrispondenza di ieri sera—”

“Ho detto che non ne voglio parlare!”

Kase si sente in colpa e posa il panino. Si pulisce la bocca con il tovagliolo e pensa a come reagire.

“Scusami, Daniel. Non volevo intromettermi. Non sei qui contro la tua volontà. Voglio che tu sia al corrente di questo”

Lo osserva chiudersi di nuovo in sé stesso e posare il panino. Sospira, vedendolo così.

“Com’è andata ieri? Il viaggio per venire qui?”

Daniel gira la testa e sospira, sempre più infastidito.

“Ho saputo che siete venuti in elicottero perché le strade erano bloccate. Avete trovato difficoltà?”

A Daniel vengono gli occhi lucidi, ma si è impuntato a non parlare. Kase se ne rende conto e così si sporge sul tavolo per posargli la mano sulla spalla. Lui si ritrae all’istante e la fulmina con lo sguardo.

“Ma che cavolo ne sai, tu? Chi cavolo sei?”

“Lo sai chi sono, Daniel, sono Arianne, tenente Arianne—”

“Ho capito come ti chiami, ma chi sei veramente?”

La domanda lascia Arianne spaesata. Daniel distoglie di nuovo lo sguardo, e commenta con rancore.

“Voi militari siete tutti uguali per me”

Allunga lo sguardo sul gruppo di ufficiali di volo dall’altra parte, ancora seduti a fare salotto a loro discapito, e anche Arianne li nota adesso, e poi torna su Daniel.

“Non fare caso a loro. Non sanno chi sei e cosa veramente sei destinato a fare. Ti vedono solo come una recluta. Non come un fenomeno da baraccone. Vedrai…”

Arianne dona un altro sorriso amichevole a Daniel, e gli posa la mano sopra la sua, contenta poi che lui non la ritragga.

“Quando vedranno cosa sai fare, non rideranno più”

“Parli delle Libellule?” replica Daniel, incrociando il suo sguardo, ancora arrabbiato.

“Sì. Parlo delle Libellule. Del programma Infinity. Tuo padre ne faceva parte, lo sai, vero?”

“Sì…” risponde lui, però chiudendosi di nuovo, nella tristezza e nella vergogna. Arianne posa anche l’altra mano sulla sua.

“Era una persona molto coraggiosa”

“No! È un fallito!” ribatte Daniel, fulminando di nuovo con lo sguardo Arianne, e ritrae la mano, distogliendosi anche con la schiena dal tavolo.

“Perché dici questo?”

Daniel ha di nuovo gli occhi lucidi e si chiude a guardare fuori dalle vetrate. Prende il dovuto tempo, e poi si apre un pochino.

“Non c’è mai stato per noi. E poi c’ha lasciato la pelle. Perché è un’idiota. È un fallito!”

“No, Daniel. Questo non è vero. Tuo padre ha fatto grandi cose per il progetto Infinity”

“Certo! Per voi!” ribatte lui, sempre più inviperito, incrociando di nuovo lo sguardo di Arianne.

“Per l’aeronautica ha dato il mondo. E che avete fatto per noi? Niente! Ve lo siete preso, ma meglio così! Tanto era solo un fallito!”

Si chiude anche Arianne, con gli occhi persi nel vuoto. Sente di nuovo gli allarmi del computer, i messaggi di errore, le voci all’interfono degli altri impiegati dell’ufficio di controllo, le voci via radio degli ufficiali di volo, nel panico. Anche a lei vengono gli occhi lucidi. Brutti ricordi, che scaccia via alla fine alzandosi per gettare i rifiuti.

“Aprire saracinesca quattro!”

Il dottor Yakamura dà ordini dalla vetrata dell’ufficio di controllo, con gli altoparlanti che riecheggiano la sua voce nell’hangar. Accanto alla saracinesca un faro rotante allarma i presenti dell’imminente apertura. Pian piano che sale la saracinesca, vengono rivelati i dettagli del mostro di metallo all’interno. Prima i bracci di ancoraggio, simili a zampe di drago, i muscoli e i tendini in realtà meccanismi e cavi idraulici, invece che squame piastrelle termoresistenti e isolanti. Poi vengono rivelate le quattro bocche dei motori a reazione, due per lato, uno sopra all’altro, divisi dalle ali, piegate e sistemate all’indietro per potersi accomodare dentro allo spazio angusto del parcheggio. La saracinesca continua fino in cima, rivelando alla fine anche il muso del mostro, simile ad un dinosauro, con le antenne che sembrano baffi, e scanalature e sporgenze che sembrano denti sporgenti.

“Connettere energia di terra”

Un macchinario accompagna un cordone ombelicare sotto la pancia del drago di metallo, fino a connettersi con esso al suo sistema ricevente.

“Connessione stabilita” risponde una voce femminile negli altoparlanti. Daniel osserva l’operazione a occhi sgranati, con Arianne che gli fa compagnia, con la faccia orgogliosa, ma non fiera tanto quanto quella del dottor Yakamura, che continua,

“Attivare energia di terra”

D’un tratto il cordone prende a ronzare, per il passaggio di energia elettrica all’interno, e si accende una luce rossa lampeggiante sul pannello ricevente del drago.

“Energia di terra attivata”

“Eseguire controllo di base”

“Esecuzione controllo di base”

C’è una breve attesa, poi la femmina risponde.

“Controllo di base eseguito. Nessun fallo”

“Sequenza accensione A.P.U.”

“Sequenza Accensione A.P.U.”

Per prima cosa si accendono due potenti luce lampeggianti rosse, una sotto la pancia e una sul dorso della Libellula. Poi si accendono due luci stabili una per spalla, quella sinistra rossa e quella destra verde. Quindi scatta un alternatore elettrico che dà il via ad un motorino, il quale a sua volta spinge le turbine di un piccolo motore a reazione sul retro della Libellula, dandogli vita gradualmente. Il grido del piccolo jet riecheggia nell’hangar e assorda Daniel che stringe la faccia. Raggiunto un certo regime in pochi secondi, viene erogato carburante al motore e comincia la combustione, un ruggito grave che rimbomba nell’atrio, e il regime acquisisce brio e raggiunge autonomia. A quel punto il motorino elettrico viene staccato, e l’alternatore schiocca di nuovo il suo meccanismo, comunque sottomesso dal frastuono opprimente del motore jet.

“A.P.U. in linea”

“Eseguire controlli pre-accensione!”

“Esecuzione controlli pre-accensione!”

Arianne prende la mano di Daniel e gli dona un sorriso, per poi abbassare la testa verso la sua per farsi sentire,

“Adesso dobbiamo avviarci”

“No!” ribatte lui, eccitato per le procedure di accensione.

“Voglio vedere!”

“D’accordo”

Arianne sorride divertita e torna diritta, continuando a tenergli la mano.

“Controlli pre-accensione eseguiti”

“Attivare sequenza accensione motori, tutti”

“Sequenza accensione motori, numero quattro”

Il getto del piccolo motore jet di supporto viene convogliato all’interno del drago, e può essere udito dalle bocche dei motori principali. La grossa ventola poco visibile all’interno del motore destro in basso comincia lentamente a girare, e poco dopo si sente la turbina prendere vita, molto più vivace e potente di quella dell’A.P.U.. Raggiunto un certo regime, anche per questo motore viene innescata la combustione, e le pareti ed il pavimento cominciano a tremare per la potenza del motore che prende vita e raggiunge l’autonomia. Vengono accesi anche gli altri allo stesso modo, uno dopo l’altro, fino al motore 1, che ormai neanche più si sente partire, soffocato dal frastuono degli altri messi insieme. È salito anche il vento dentro all’hangar, e i capelli a caschetto di Daniel svolazzano liberi, mentre quelli di Arianne sono contenuti in una cipolla sulla nuca.

“Motori in linea, nessun fallo”

“È ora di scendere alla vasca, Daniel” annuncia agli altoparlanti la voce del giapponese. Sia Daniel che Arianne si girano a guardare la vetrata dell’ufficio, e poi Arianne si china su Daniel,

“Dai, è ora”

Arianne lo accompagna alla porta, tramite uno stretto corridoio ben illuminato raggiungono un ascensore che li conduce al di sotto dell’hangar. Tramite un altro corridoio raggiungono un reparto presieduto da impiegati in camice da dottori. Ci sono sarcofagi hi-tech in riga contro il muro, uno accanto all’altro, sono tutti vuoti e aperti e sembrano comodi. Il personale è molto indaffarato, chi ai terminali, chi ai pannelli di comando, chi invece in attesa di Arianne e Daniel intorno ad uno in particolare di questi sarcofagi.

“È il momento di entrare nella vasca, Daniel” dice Arianne, e lo consegna al team di impiegati.

“Devi toglierti i vestiti e restare in biancheria intima. Non ti farà male, vedrai”

Daniel la guarda perplesso e imbarazzato mentre si fa accompagnare dagli impiegati davanti alla vasca a lui assegnata, la numero 4, guardacaso.

“Si sfili la cravatta, per cortesia” chiede uno degli impiegati, una faccia simpatica, giovane, con gli occhiali. Daniel snoda la cravatta e se la lascia cadere di dosso. Gli impiegati non ci fanno caso, e quello di prima continua,

“Si tolga la camicia, per cortesia”

Daniel butta lo sguardo su tutti loro, sono in quattro intorno a lui, c’è una donna un po’ più grande ma gli altri sono tre giovani scienziati. Toltosi la camicia la lascia anch’essa cadere a terra dietro di sé. Nessuno se ne cura.

“Si tolga le scarpe, per cortesia”

Daniel si accovaccia e slaccia e si toglie le scarpe e le calze. È felice di sentire il pavimento riscaldato, e rimane meravigliato a guardarlo. Non appena torna diritto, come si aspettava,

“Si tolga i pantaloni, per cortesia”

L’imbarazzo di Daniel raggiunge il picco, ed è paonazzo e titubante.

“Non si preoccupi, è riscaldato anche il letto”

A Daniel scappa da ridere, ma si trattiene per imbarazzo e cede a togliersi i pantaloni, rimanendo in boxer bianchi. Ha la pelle d’oca. L’impiegato gli mostra la vasca e lo aiuta a sistemarcisi dentro, fino a che è comodamente disteso. Poi tutti e quattro si armeggiano per appiccicargli addosso una miriade di sensori, facendolo diventare una specie di cavia da laboratorio.

“Abbiamo quasi completato, Daniel, va tutto bene?” gli chiede la donna più grande.

“Sì” risponde sommariamente lui, ma non è molto convinto.

Quando hanno finito di mettergli le mani addosso, si concentrano sui pannelli di controllo del sarcofago e sembrano momentaneamente dimenticarsi di lui. Si accende l’aria condizionata nel sarcofago e comincia a soffiargli sui fianchi e sopra la testa. L’aria è fresca, piacevole, e talmente pura da sembrargli montana. Fa dei bei respiri profondi, di gusto, e si rilassa.

“Ambiente interno attivato, chiusura del letto?” chiede uno dei tre scienziati. La donna si rivolge a Daniel.

“Va tutto bene, Daniel? Sei pronto a cominciare?”

“Sì, sono pronto!”

“Bene, adesso rilassati, e se senti il bisogno di addormentarti fallo pure, è tutto normale”

“D’accordo”

La donna chiude il sarcofago, che comunque è di vetro rinforzato e quindi Daniel non si sente seppellito vivo, ma può vedere che succede ed essere visto. Tuttavia si sente inondato da un senso di rilassamento ed un forte bisogno di addormentarsi che sono più forti di lui e non riesce a resistere e…

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Capitolo 5
*** Errore 302 ***


“Sto volando!”
Daniel è sospeso per aria. Le nuvole gli scivolano accanto, il cielo maestoso è dominato da un sole alto e potente.
“Sto volando, Arianne!”
Tra le nuvole scorge un paesaggio lussurreggiante, tra campagne, paesini, colline boscose, un fiume, la costa, e lì, in fondo, la skyline della metropoli, dalla quale sorgono colonne di fumo nero, grigio, bianco…
“Arianne? Tenente Kase?”
Sono qui, Daniel. Ti sto guardando. Stai andando bene. Adesso prova a concentrarti sulla mia voce, mi senti bene?”
La voce di Arianne arriva via radio, tra un click e l’altro del microfono.
“Sì, ti sento bene. Ma dove sono? Che succede?”
Stai pilotando la Libellula, Daniel. Fin’ora è in pilota automatico, ma già che sei online anche tu, se vuoi, possiamo disingaggiarlo e lasciarti i comandi…”
“Non lo so… Qua è tutto strano… Dov’è la Libellula?”
Te l’ho spiegato, Daniel. La vasca ti fa sembrare come se fossi tu la Libellula. Siete collegati. Ti potrebbe causare confusione all’inizio, quindi non è adesso il caso di dare tante spiegazioni. Prova a concentrarti sul volo. Senti l’aria che fluisce. Senti le forze in gioco.
“È tutto strano, Arianne! Che devo fare?”
Niente di particolare, Daniel. Per ora familiarizza con quello che hai intorno. Stai volando, la senti l’aria?
“Sì, la sento. Meno male che non soffro di vertigini, altrimenti sarei già morto di crepacuore!”
Cala il silenzio; Daniel assapora il forte fruscio dell’aria contro di lui e comincia a rimuginare sull’impossibilità di sopravvivere a quella velocità e quell’altitudine senza protezioni. Non era praticamente nudo?
“Arianne? Arianne?”
Sì, sono qui. Dimmi…
“Non sono veramente quassù, vero?”
Arianne ridacchia nel parlare,
No, Daniel, sei nella vasca. Ti ricordi della vasca?
“Sì… Credo di sì. Pensavo fosse un sogno…”
Arianne è seduta davanti a un terminale, con le cuffie e microfono in testa, nell’ufficio di controllo, assieme agli altri impiegati. Il dottor Yakamura gironzola tra i vari impiegati seduti alle loro postazioni, supervisionando le operazioni. Arianne si gira a guardare il collega alla propria destra, con il quale ha una certa confidenza. Anche lui è giapponese, ma decisamente più giovane e con i capelli alle spalle.
“Occhio alla sincronizzazione, Fujita. Se Ferraro si disconcentra potrebbe scendere fino a zero e lo perdiamo. Avvertimi”
“Tranquilla, Kase, la tengo d’occhio da prima” risponde lui.
Arianne? Arianne?
“Sì, Daniel, sono qui, tranquillo. Non era un sogno. Sei ancora nella vasca, ma stai pilotando la Libellula. Concentrati sulla Libellula. Tu sei la Libellula. Sentiti il vento addoso, prova a sentire le braccia distese, l’aria che ci passa sopra, che crea la portanza che ti tiene in volo, dovrebbe essere come una pressione dal basso verso l’alto. La senti?”
… Sì, la sento…
Arianne sorride a Fujita, poi continua alla radio.
“Bene. Ora prova a sentire la spinta dei motori. La senti?”
… Sì, la sento… È fichissimo!
Arianne sorride di nuovo a Fujita. Poi torna seria.
“Come va la sincro?”
“Ancora sopra il cinque per cento”
“Bene, bene…”
“Arianne?”
Dimmi, Daniel, sono qui
“Posso pilotarlo io?”
Certo! Basta che me lo dici e faccio disattivare il pilota automatico.
“E se mi schianto?”
Tranquillo! Il Fly-by-wire ti assiste e non ti fa fare manovre pericolose, non hai nulla di cui preoccuparti. E poi se succede qualsiasi cosa, io sono qui e posso prendere il controllo il qualsiasi momento. E come se non bastasse, c’è una seconda ridondanza con il tenente Reed, che sta in una vasca come la tua ed è pronta a prendere i tuoi comandi nel caso servisse.
“Wow!”
Vuoi provare il controllo manuale?”
“Sì!”
Arianne si gira verso Fujita, e poi allunga il collo a guardare il dottore, che le annuisce con la testa, e lei ricambia e poi torna sul terminale. Con il mouse seleziona il sistema del pilota automatico e ne disattiva la funzione di controllo principale, lasciandolo in modalità armed, armato.
“È tutto tuo!”
Arianne osserva la parte centrale della sua schermata, che rappresenta una mappa semplificata con al centro un cursore rotondo blu con una linea che parte dal centro e punta verso l’alto, nella direzione che il cursore si muove sulla mappa. Ad un tratto il cursore comincia a girare a destra, verso Est quindi. Adocchia i valori della telemetria sul bordo destro e Fujita, che ha una schermata simile, ne legge l’altitudine:
“Trentaduemila piedi e in discesa”
Arianne segue l’evoluzione concentratissima.
“Duemilatrecento piedi al minuto” aggiunge Fujita.
“Trecentosessanta nodi in aumento, e la prua è zero nove zero e continua ancora, segno che sta ancora virando” ribatte Arianne, che sposta lo sguardo in basso, sull’indicatore di attitudine, o orizzonte artificiale, classico negli strumenti aeronautici, e lo nota decisamente inclinato sulla destra.
“Angolo di inclinazione quaranta gradi”
“Ecco! Il Fly-by-wire sta stabilizzando il velivolo”
Il commento di Fujita porta Arianne a concentrarsi sugli indicatori delle superfici di volo, stanghette contro linee, che si muovono su e giù, destra e sinistra, a indicare l’attiva partecipazione del Fly-by-wire nel pilotaggio assistito di Daniel.
“Bravo Daniel, stai virando!”
Ma sto pilotando io?
“Certo! I comandi sono tuoi. Stai facendo tu la virata. La senti?”
Sì. È scomodo. Mi preme la pancia e mi tira le braccia e le gambe. È stranissimo. Ma sto pilotando una vera Libellula?
“Ma certo! Te l’ho detto, sei collegato ad essa. Riesci a immaginare gli strumenti?”
Che cosa? Quali strumen—
Arianne resta con il fiato sospeso e adocchia Fujita, che le sorride per rassicurarla.
Woah! Vedo gli strumenti. Ma non è che li vedo per davvero, cioè… È come se… E come se leggessi il pensiero di qualcuno
“Sì, Daniel, è normale. Ora prova a livellarti e a mantenere la quota”
Arianne osserva attentamente lo schermo. Fujita poi interviene.
“Prua uno otto cinque, velocità trecentonovantadue in diminuzione, altitudine ventinovemilatrecento stabili. È livellato”
“È in gamba, eh?”
“Devo dartela, Kase, avevi proprio ragione”
“Sì, tenente Kase, aveva proprio ragione” s’intromette il dottore, spuntando alle spalle di Arianne.
“Il ragazzo dimostra eccellenti qualità di apprendimento. Mi ha detto che era già familiare con i simulatori di volo?”
Arianne si gira con la sedia a parlare al dottore in piedi dietro di lei, titubante e imbarazzata.
“Sì, dottore. Ferraro ha buone abilità con i simulatori di volo. È in grado di pilotare correttamente aerei con motore a pistoni, turboelica, multi-motore, e aviogetti. Ha anche abilità nel pilotaggio di caccia a reazione. Nello specifico F-15 e F-18”
“Molto bene”
Arianne decide di provare a ignorare il dottore e torna a concentrarsi sul proprio schermo, se pur il dottore la metta a disagio.
“Daniel, come va? Tutto bene?”
Sì, tutto bene. Una volta presa la mano non è per niente difficile
Arianne sorride, incoraggiata.
“Visto? Che ti avevo detto? Adesso prova a salire di quota e raggiungere e mantenere trentacinquemila piedi. Ricorda che puoi controllare anche i motori per mantenere la velocità stabile, altrimenti potresti avvicinarti pericolosamente alla velocità di stallo. Ma sta tranquillo, il Fly-by-wire interverrebbe in tempo.”
Va bene, ora ci provo…
Arianne osserva attentamente lo schermo. Daniel sale di quota come richiesto, e va tutto bene fino a 34000 piedi, poi però nascono i primi messaggi di errore:
 
Errore 302 nell’interfaccia 1024
Errore 302 nell’interfaccia 1025
Errore 302 nell’interfaccia 1026
 
E così via fino al 1041. Arianne si gira a guardare Fujita, già preoccupata. Fujita è perplesso ma calmo.
“La sincronizzazione è ancora a cinque per cento”
“Però l’interfaccia ausiliaria sta andando. Come mai?”
“Non lo so, Kase. Forse un fallo nel sistema ausiliario. Controllo con la sala vasche”
“Cosa succede, tenente Kase?”
“Niente, dottor Yakamura. Per adesso ancora niente. C’è un problema con l’interfaccia secondaria”
“Qual è il codice di errore?”
Il dottore si abbassa a sbirciare lo schermo di Arianne da sopra la sua spalla destra. Arianne sente l’odore di vecchio e di colonia del dottore, e il dottore sente il profumo di fiori di Arianne.
“Trecentodue”
Il dottore rimugina, in quella posizione, che però mette ancora più a disagio Arianne, che comunque si concentra su Daniel.
“Continua così Daniel, stai rilassato, e raggiungi trentacinquemila piedi”
Ma ci sono già!”
Arianne lancia subito uno sguardo a Fujita, ma incontra quello del dottore prima.
“Probabilmente un’inconsistenza o un ritardo di connessione” dice Fujita.
“A me sembrerebbe più un fallo collegabile all’errore trecentodue” spiega il dottore.
“È a trentaquattromilacinquecento, stabile. Cinquecento piedi di variazione” spiega Fujita.
“Daniel?”
Sì, Arianne?
“Adesso prova a virare per prua due sette zero, mantenendo trecentocinquanta nodi e trentacinque mila piedi. Puoi farlo, tesoro?”
Certo, ma solo se non mi chiami — tesoro —
Fujita ridacchia ma dura poco. Torna subito serio con il dottore lì accanto.
“Va bene, Daniel, promesso”
Arianne tiene d’occhio la manovra di Daniel, che esegue correttamente, ma si ferma a 278° di prua, e 370 nodi. Arianne punta il dito sullo schermo e protesta a Fujita.
“Ma come mai varia così?”
Fujita armeggia con il terminale.
“Non lo so, Kase. Non riesco a capire dove—”
Altri messaggi di errore:
 
Errore 508 nell’interfaccia 2011
Errore 508 nell’interfaccia 2012
Errore 508 nell’interfaccia 2013
 
E così via fino a 2019. Arianne ha gli occhi sgranati.
“Sta perdendo l’interfaccia principale!”
“Com’è possibile? Sta ancora pilotando manualmente!”
“Com’è la sincro, Fujita?”
“È ancora a cinque. Ma quella ausiliaria è salita a uno”
“Cosa?”
Arianne è incredula, e sbircia lo schermo di Fujita. Il dottore dà lei spazio tornando diritto e va invece a spiare Fujita. Arianne prende nota dei valori sullo schermo di Fujita e li confronta con i suoi, e ancora è incredula.
“Come può essere a uno? È sempre stata a zero quella ausiliaria…”
“Non chiederlo a me, Kase!”
“Dottore!”
“Tenente Kase?”
“Ma che succede?”
“Non è chiaro?”
Arianne si gira a incrociare lo sguardo del dottore.
“No. Non capisco”
Arianne?
“Sì, Daniel?”
“Ma laggiù, a ore tre, c’è la città, vero?”
Arianne cade dalle nuvole e armeggia con la mappa sullo schermo.
“Sì, perché?”
Quindi c’è il Titano, giusto?
“Sì, Daniel. È ancora lì. Sei a distanza di sicurezza, non ti preoccupare”
Ma sono armato?
Arianne si gira a guardare preoccupata Fujita, che a sua volta ha gli occhi sgranati.
Arianne?
“Mi sembra stranamente tranquillo”
“Che vorresti dire, Fujita?”
“Che… Di solito è scontroso, ma ora sembra… Ben disposto”
“Già… È questo che mi preoccupa.”
Arianne?
“Sì, Daniel. Sei armato”
Arianne continua a sbirciare Fujita alla ricerca di supporto. Fujita interviene.
“Daniel, sono Fujita. Sei armato con un fustino da ottocento munizioni per il cannoncino principale. E un fustino di contromisure sessanta-quaranta. Tutto standard. Se hai ulteriori domande ti passo la specialista degli armamenti.”
“Fujita!” lo fulmina Arianne, e lui sorride imbarazzato.
“Ma che dovevo dire?”
“Non certo dargli carta bianca! Dottore?” si girano entrambi a guardare il dottore, che torna diritto e fa qualche passo tranquillo, con le mani conserte dietro la schiena.
“Lasciatelo fare. È lui al comando. Vediamo che fa”
“Ma dottore! Non era in programma!”
“Tenente Kase. Se avrà imparato qualcosa qui alla H.I.C.E. è che i programmi possono essere cambiati all’ultimo momento. Dovrà abituarcisi!”
Arianne rimane interdetta, nel frattempo però suonano altri messaggi di errore.
“Oh no!”

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Capitolo 6
*** Aux Sync 12% ***


Errore irreversibile in linea 35702

Errore irreversibile in linea 35703

Errore irreversibile in linea 35704

 

E così via fino a 35709.

“Sta perdendo il controllo!”

“Non mi sembra, Kase. La telemetria è ancora stabile, e il computer non sta intervenendo”

“Allora sta semplicemente fallendo il fly-by-wire e dobbiamo ringraziare le abilità di pilotaggio di Daniel, è questo che mi stai dicendo, Fujita?”

“Ehm…”

Fujita? Ho qualche missile o bomba?

Fujita e Arianne si guardano sempre più sbigottiti.

“Beh? Rispondigli, Fujita, avanti!” incita sarcasticamente Arianne.

“Ehmm…”

“Dai!”

“No, Daniel. Solamente l’equipaggiamento di base”

Allora perché ho la sensazione di avere due missili aria-terra e due serbatoi usa e getta?

“Ma come fa a sapere queste cose?” chiede Fujita guardando Arianne.

“Fujita. Com’è la sincro?”

Fujita armeggia nel panico.

“Fujita!”

“La sincro è ancora a cinque, e quella ausiliaria a due!”

Arianne studia il proprio schermo e sottovoce dice, Ma che sta succedendo?”

Fujita?

“Sì, Daniel?”

State per togliermi il comando, vero?

“Cosa ti fa pensare questo, Daniel?”

Fujita è confuso e guarda Arianne per supporto, ma questa non ha risposte per lui.

Come cosa mi fa pensare questo? Sto andando fuori rotta, no?

Fujita è ancora più confuso. Arianne controlla di nuovo lo schermo e la telemetria, ma non trova niente fuori posto. Poi, all’improvviso, si sente il cuore in gola:

 

Errore 9999 nell’interfaccia 11

Errore 9999 nell’interfaccia 12

Errore 9999 nell’interfaccia 13

 

E così via fino a ben 55. Arianne deve scorrere una lunga lista. E poi si accorge di nuovi:

 

Fallimento controllo remoto 11

Fallimento controllo remoto 12

Fallimento controllo remoto 13

 

E così via fino a 19, poi:

 

Fallimento autopilota 11

Fallimento autopilota 12

Fallimento autopilota 13

 

E così via fino a 19, poi:

 

Impossibile stabilire una connessione

 

“Arianne?”

Fujita la chiama ma Arianne è chiusa nel suo mondo, con gli occhi lucidi e sgranati nell’incredulità.

Fujita?

“Daniel, non riceviamo più la tua telemetria. Puoi confermarmi la tua rotta, per cortesia?”

Ma che diavolo… Che vuol dire non ricevete la mia telemetria? Non vedete più che sto facendo?

“Ehm… No, Daniel. Siamo alla cieca, qui. C’è un problema con la connessione”

Un problema con la connessione? E allora io come faccio a pilotare ‘sto coso?

Fujita si gira a guardare Arianne ma la trova ancora persa nelle emozioni nella sua testa. Cerca allora lo sguardo del dottore.

“Dottore! Cosa gli dico?”

A quel punto interviene Arianne.

“Daniel! Non dirmi che stai andando verso la città…”

Ma allora è vero! Non riuscite a vedere dove sto andando!

“Daniel, torna subito indietro!”

Arianne si gira a guardare il dottore, che è ancora molto calmo. Nota che gli altri impiegati sono tesi quanto lei, ma non così emozionati. Per lei è personale. Fujita è spaventato e confuso.

“Fujita, sincro?”

“Quattro, tre”

“Quattro la principale?”

“Sì, e tre l’ausiliaria”

“Credo di sapere cosa stia succedendo”

“Ferraro senior?”

“Mmmh…”

Arianne ricorda gli allarmi e la voce impanicata del padre di Daniel. Il via vai degli impiegati nell’ufficio, simile alla scena che sta vedendo ora. Il cuore le batte fortissimo ed è paonazza.

“Attivare controllo di emergenza!”

“Tenente! Cosa pensa di fare?” chiede il dottore, ancora calmo, ma infastidito. Arianne si alza in piedi e prende le redini della situazione, dando ordini agli impiegati, incluso Fujita.

“Attivare controllo di emergenza!”

“Controllo di emergenza attivato. Nessuna risposta!” replica un impiegato.

“Stabilire connessione con seconda vasca!”

“Impossibile stabilire una connessione, signora!”

Arianne sospira esasperata. Riflette qualche momento, e poi torna in controllo di sé.

“Attivare procedura di rientro di emergenza!”

“Impossibile stabilire una conessione, signora!”

“Dannazione!”

Il dottore la osserva e la studia, mentre Fujita si alza a sua volta e le si fa accanto, ma lei invece torna a sedersi per guardare lo schermo e parlare a Daniel.

“Daniel?”

Arianne?

“Torna immediatamente indietro, Daniel”

Ma come? Non avete più il controllo? Non avevi detto che potevi passare il controllo a quella tipa là, dell’altra vasca? O che potevi pilotare pure tu?

“Stiamo avendo dei problemi, Daniel, torna indietro. Riprenderemo quando i problemi saranno stati risolti. Ma adesso fai ritorno alla base. È un ordine!”

Non ci penso neanche!

Arianne s’irrigidisce di colpo, incredula.

Mi avete messo a pilotare una Libellula per spaccare il culo ai Titani un giorno. Eh beh, perché non oggi?

“No! Daniel, non siamo ancora pronti per quello. Questo è solo un volo di prova, per farti familiarizzare”

La interrompe.

Allora perché sono armato?

Arianne si gira a guardare il dottore, che continua a passeggiare con calma.

“Daniel, non puoi affrontare il Titano da solo. Perderai la Libellula e basta”

E che m’importa della vostra Libellula? Io vado all’attacco, chiudo!

Arianne si gira a guardare Fujita.

“Ma può farlo?”

“Cosa?”

“Chiudere la trasmissione?”

Fujita armeggia con il terminale, poi dice.

“A quanto pare l’ha appena fatto.

Arianne torna a guardare il suo schermo.

“Ma com’è possibile?”

“Non lo so… È tutto così strano…”

“Fujita, sincro?”

Fujita cade dalle nuvole e riesamina la telemetria.

“Non ci crederai…”

“Fujita!”

“Zero, dodici”

Arianne si gira a guardarlo scettica.

“Ma è impossibile, non è mai salito sopra al tre!”

“Sì, lo so! Che ti devo dire? È a dodici…”

Arianne segue la telemetria anche lei senza capirci molto. Uno sguardo alla lista degli errori le basta per concludere che,

“Non abbiamo perso la connessione, Fujita!”

“Che vuoi dire?” chiede lui, esaminando la lista degli errori.

“Non vedi? Continua a generarne di nuovi. Vuol dire che la connessione c’è.”

“Sì, hai ragione! Ma potrebbe essere un feedback dalla vasca…”

“No, non è un ritorno. Questi sono dati diretti dalla scatola nera. Scommetti che quando la recuperano ci saranno gli stessi errori che vediamo qui?”

“Sta hackerando il computer”

“Già”

ARIANNE!

“Daniel! Che succede?”

 

Errore 302 canale comunicazioni 104

 

“Maledetto!”

“Lancio il Debug!”

“Svelto!”

Fujita armeggia rapidamente con il terminale e Arianne lo supervisiona e gli punta voci che Fujita non trova subito.

“Ecco” illustra Fujita con l’indice.

“x f 8 6 2 a a 2 3”

“Che vuol dire, Fujita?”

“È la sezione delle comunicazioni dirette con il computer della sala controllo”

Arianne porta istintivamente lo sguardo al proprio schermo, al riquadro delle comunicazioni.

“La sincronizzazione e la connessione principali sono fallite, ma quella ausiliaria c’è ancora e ci arrivano ritorni di quello che Daniel decide di mandarci. Non sono comunicazioni dirette, quindi, ci arrivano distorte.”

Un impiegata giovane si affianca alle postazioni di Fujita e Arianne.

“Dalla sala vasche comunicano che il ragazzo si sta agitando e farnetica discorsi incoerenti”

Arianne e Fujita si guardano tra loro preoccupati. Poi Arianne si sistema di nuovo al proprio terminale e legge il riquadro delle comunicazioni.

“Arianne” legge, puntando il dito sopra la scritta sullo schermo.

“Sembra stia chiedendo il tuo aiuto” suggerisce Fujita sbirciando sullo schermo di Arianne da sopra la sua spalla.

“Daniel? Sono Arianne. Tutto okay?”

Attendono con il cuore in gola. Poi…

 

ARIANNE, AIUTAMI!

 

“Oh mio dio! Che sta succedendo?”

Arianne e Fujita rimangono sconvolti a fissare il riquadro delle comunicazioni, in attesa di una risposta da Daniel.

 

ARIANNE! ARIANNE! MAY DAY! MAY DAY! MAY DAY!

 

Arianne si guarda in giro disperata, alla ricerca di consensi.

“Sta andando giù? È stato colpito?”

“Impossibile vederlo, Kase” ammette in colpa Fujita.

ARIANNE!

 

“Basta!”

Arianne si alza in piedi di colpo, sbattendo le mani sulla scrivania.

“Svegliatelo!”

 

AAAAAAAAAAAH!

 

Arianne rimane a fissare la scritta con il cuore in gola. Il dottore parla ai dipendenti, dicendo a tutti di stare calmi e di non allarmarsi, ma per Arianne sono solo voci di sottofondo. Lei sente l’urlo del ragazzino, non un militare, non un pilota dell’aeronautica, ma un tredicenne che va a scuola e ha degli amici, una mamma, e gioca ai videogiochi. Con gli occhi lucidi, scatta via dalla postazione e corre alla porta dell’ufficio.

Una volta nella sala vasche, bypassa gli altri impiegati e si mette davanti al pannello della vasca 4, felice di rivedere Daniel dentro la vasca. Esita qualche attimo, osservandolo dimenarsi nel sonno, e poi solleva il coperchio del comando di emergenza e schiaccia il pulsante rosso lì sotto, attivando un allarme generale nella sala vasche e la sequenza di risveglio della vasca 4, che comincia con un alterazione nel sistema di aerazione della vasca. Daniel s’irrigidisce e urla anche per davvero, nella vasca, con la sua voce ovattata dal vetro della calotta, e poi collassa.

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Capitolo 7
*** Capitolo 2: Alleato ***


Daniel si sveglia con una fievole luce lattea che filtra dalla finestra. Ha un gran mal di testa e fa fatica a sollevarsi a sedere. È comodamente avvolto in un letto sobrio, di una piccola stanza di ospedale. È collegato ad una flebo e ad un elettrocardiogramma. Si scosta la coperta e nota di avere addosso una vestaglia da paziente. Accanto al letto c’è una sedia sul cui schienale è stata lasciata la giacca di una divisa militare. Senza indugiare, si allunga per leggerne la targhetta del nome al petto:

 

Lt. A. Kase

 

Sul comodino c’è una foto incorniciata di sua madre che sorride calorosamente, un ricordo prezioso. Accanto alla foto una scatola di cioccolatini già aperta, ne sgraffigna uno e se lo mastica di gusto. Apre il cassetto e trova biancheria della sua misura, ma non sua. Fuori dalla finestra il tempo è nuvoloso.

Arianne entra nella stanza.

“Ah! Vedo che ti sei svegliato!”

Si avvicina al letto. Ha addosso la divisa, tranne che per la giacca, che ha lasciato sulla sedia, e sembra avere i capelli scomposti, e le occhiaie. Ma si sarà riposata?

“Come ti senti?”

Daniel non risponde, abbassa semplicemente lo sguardo e si isola. Arianne si siede e mangia un cioccolatino.

“Hai fame?”

Daniel scuote la testa e si sdraia sul fianco, dando la schiena ad Arianne, che a quel punto sospira.

“Ho fatto avere un permesso speciale a tua madre per visitarti. Aspettavamo solo che ti svegliassi”

“Quanto tempo ho dormito?”

“Posso chiamarla anche adesso, se vuoi”

Quanto tempo ho dormito?”

Arianne fatica a trovare la forza per rispondere. Sospira, si fa coraggio.

“Il fatto è, Daniel… Che… Non hai dormito. Eri in coma…”

Daniel si gira a guardarla.

“E lo sei stato per… Per una settimana”

Daniel sgrana gli occhi e prende a respirare intensamente.

“Otto giorni, per essere precisi”

Arianne gli posa la mano sulla spalla e lui si gira di nuovo dandole la schiena, con gli occhi lucidi, per chiudersi in sé stesso.

“D’accordo” dice Arianne alzandosi.

“Hai sicuramente bisogno di un po' di tempo. Intanto vado a chiamare tua madre”

 

Il treno della metro frena e si ferma sulla piattaforma colma di gente in attesa oltre la linea gialla, come un gregge. Si aprono le porte e uno sciame di passeggeri invade la linea, intrecciandosi con quelli in attesa, che invece vanno contro corrente per salire il prima possibile, tutti accumunati dalla fretta. Daniel è tra quelli che vogliono salire, vestito con una divisa militare non molto diversa da quella di Lt. Kase, ma senza le insigne di grado, soltanto lo stemma dell’aeronautica. Si porta appresso una borsa a tracolla.

Non riesce a trovare posto a sedere, così afferra una maniglia e attende che il treno parta, mentre ascolta musica dagli auricolari. Tira fuori il telefono al quale sono collegati gli auricolari e armeggia per cambiare canzone. Le porte si chiudono e il treno parte, entrando nella galleria. Fuori diventa tutto buio, ma dentro è illuminato a giorno, e c’è puzza di sudore e alito cattivo.

Daniel si lascia scivolare la routine, limitandosi a buttare lo sguardo su sprazzi di panorama quando il treno sbuca fuori dalle gallerie per le stazioni o fuori all’esterno per i ponti sui canali, regalandogli brevi momenti di vista cittadina. Un paesaggio post-apocalittico, come direbbero i suoi compagni di scuola. O ex-compagni.

Ad un certo punto, dopo ogni fermata, i passeggeri diminuiscono sempre di più. Daniel trova posto a sedere e si sistema comodamente, poggiando anche la testa al finestrino, incurante dei tremolii. La gente continua a diminuire. Si rende conto degli occhi addosso di un coetaneo. No. Non è solo un coetaneo, è un compagno di accademia, indossa anch’egli la divisa aeronautica. È incuriosito, solleva la testa e incrocia lo sguardo del ragazzo, che non smette di fissarlo, come se lo conoscesse già. Daniel si sente importunato, così distoglie lo sguardo, ma la curiosità è più forte di lui, così butta di nuovo gli occhi sul coetaneo, mentre il treno rallenta e frena, approcciando la prossima fermata.

“In arrivo a: Fort Auston…”

Daniel osserva il ragazzo alzarsi e accodarsi alla gente per uscire. Il treno si ferma e la gente esce. Nessuno entra. Il treno resta con le porte aperte, poi suona l’allarme della chiusura e Daniel incrocia di nuovo lo sguardo del coetaneo che lo fissa dalla banchina, come se stesse aspettandolo. In effetti Daniel si ricorda che deve scendere, così scatta in piedi e si lancia contro le porte, sbattendoci contro ma riuscendo a scampare alla loro presa. Le porte del suo vagone si riaprono e poi si chiudono definitivamente e il treno riparte. Con il fiatone Daniel si guarda intorno ma il coetaneo non c’è più.

 

“Come intende spiegare la perdita dell’unità 4, dottor Yakamura?”

L’aula magna è piena di ufficiali di vario grado, e una commissione speciale presiede il palco. Il Dottor Yakamura si alza in piedi, chinandosi però per parlare nel microfono della sua postazione. Lt. Kase e Fujita accanto a lui lo osservano preoccupati.

“L’unità 4 ha subito un guasto elettrico ancora indeterminato”

“Vi sono stati numerosi guasti ultimamente con il programma Infinity, dottore…”

L’uomo che interpella Yakamura ha l’insigna da colonnello ed ha la pancia e i baffi.

“Guasti e fallimenti sono previsti in un programma sperimentale, colonnello Atterton”

Atterton riesamina la documentazione sulla sua scrivania, mentre solo alcuni dei colleghi della commissione stanno ascoltando. Un paio si fanno gli affari loro e uno sta addirittra dormendo. Atterton continua.

“Dalle statistiche, è emerso che il tasso di successo del programma Infinity è del 5%. Un numero piuttosto modesto, non trova dottore?”

“Si tratta comunque di un livello di successo superiore allo 0, colonnello”

Interviene una Maggiore, parte della commissione.

“Si riferisce agli armamenti convenzionali, dottore?” Ha i capelli ben curati che arrivano alle spalle e un paio di occhiali da vista. La voce soave.

Yakamura risponde.

“Sì, mi riferisco agli armamenti convenzionali. Con il programma Libellula siamo riusciti a ridare speranza alla lotta contro i Titani, e ora, con il programma Infinity, possiamo eliminare le perdite di vite umane nel programma”

“Per quanto ammiro i suoi sforzi di salvaguardare le vite umane, dottore…” parla il colonnello.

“Non posso fare a meno di notare quanto sia terribilmente inefficiente il suo programma Infinity, e costoso, per di più”

Controlla di nuovo i suoi documenti. Si sente muovere carta dal microfono.

“Secondo un’analisi della commissione interna, per ogni modello Infinity, inclusivo di attrezzature di supporto e casting, addestramento, e preparazione dell’equipaggio, si potrebbe creare e far diventare operativa un’intera squadriglia di Libellule convenzionali. Stiamo parlando di 20 velivoli. 1 per 20. Sono numeri piuttosto rilevanti, dottore”

Arianne, impaziente, afferra il braccio del dottore per attirare la sua attenzione, e si allunga un poco per bisbigliargli.

“Gli dica della sincronizzazione!”

Il dottore però la ignora.

“Mi rendo conto di dove sta andando a parare, colonnello”

“Dottore. Voglio solo illustrare come penso che le risorse che sta investendo da anni ormai nel programma Infinity senza molti risultati dovrebbero essere deviate dove sono più necessarie”

“Il fatto è, signori, che…”

Prende parola, con calma, il generale, anche lui baffuto, ma di buona corporatura.

“Finché abbiamo avuto il tempo di prepararci, dopo i primi attacchi, abbiamo potuto investire risorse per esperimenti e tentativi audaci. Ma adesso siamo sotto attacco, e stiamo perdendo innumerevoli vite umane. Per non parlare delle risorse. È il caso che ci concentriamo su soluzioni provate e sicure. Sappiamo che il programma Libellula funziona, è provato, è testato, abbiamo personale qualificato, esperto… Concentriamoci su questo”

“Non potete farlo!” urla Arianne, alzandosi in piedi.

Zittisce l’intera commissione e gli ufficiali spettatori, nonché il dottore e Fujita che rimangono sbigottiti.

“Tenente Kase! Si ricomponga. Di cosa parla?” chiede infastidito il generale.

“I Titani non sono bunker da far saltare con le bombe intelligenti o, o, un battaglione di vecchi carri sovietici. Qua stiamo parlando di un organismo biomeccanico che si adatta, si evolve, pensa.”

Già solleva il brusio scettico della commissione e degli spettatori. Yakamura si siede, e Fujita, rimasto in piedi, decide che è meglio se si siede pure lui, sentendosi troppi occhi addosso, ma rimane preoccupato e paranoico, a differenza del dottore che si rilassa e si gode lo spettacolo.

“Dobbiamo ragionare come se avessimo davanti un nemico capace e motivato, che impara da ogni mossa che facciamo contro di lui. Arriverà il giorno in cui le Libellule saranno obsolete, e già si stanno cominciando a rivelare sempre meno efficaci”

“La ringrazio, è tutto, tenente Kase”

“Con il programma Infinity potremmo ridurre i tempi di reazione e anticipare i Titani, render loro impossibile leggere le nostre mosse. Per non parlare della possibilità che i Titani si possano riprodurre. Abbiamo rapporti dai nostri piloti di elementi simili a spore rilasciati dal Titano 4. Migliaia di spore”

“La ringrazio, è tutto, tenente Kase!”

“No! Non è tutto! Perché se quelle spore riescono ad attecchire sulla fauna e sugli esseri umani… Allora possiamo dire addio a tutte queste puttanate!”

Scende il silenzio. Arianne si zittisce a sua volta, con il fiatone. Poi il generale esordisce con il verdetto.

“È con il potere conferitomi dalla commissione per conto del capo di stato maggiore che dichiaro il programma Infinity inefficace per gli attuali progressi del conflitto contro i Titani ed è per giunta sospeso indefinitivamente. Per quanto riguarda risorse, unità, personale, ed accesso alle aree destinate al programma, Libellula saranno assegnati al nucleo esecutivo di livello 5 della base aerea di Fallon, sotto la giurisdizione del generale Otto.”

Arianne sta ancora respirando profondamente, paonazza, recependo con rabbia e vergogna il verdetto. Fujita è dispiaciuto e alterna lo sguardo tra la collega e il dottor Yakamura che invece sembra essersi alienato.

“Nessun cambiamento o sanzione verrà stipolata per il dottor Yakamura ed i suoi assistenti, e potranno continuare ad avere accesso al programma Infinity. Tuttavia, il tale programma verrà affidato alla supervisione del colonnello Atterton, da partenza immediata.”

Atterton sorride soddisfatto. Arianne invece lo fulmina con lo sguardo.

“Questa udienza è conclusa”

 

Arianne avvicina il generale sulla porta di uscita, fermando il flusso pigro di gente che già pensa ad altro.

“Generale Riko!”

Il generale si volta e sorride ad Arianne come nulla fosse.

“Perché non fa controllare la zona rossa?”

Lui sorride ancora di più.

“Perché non ce n’è bisogno! Abbiamo riaperto la zona rossa alla gente la settimana scorsa, e nessuno si è lamentato di nessuna spora”

“Aspetti un attimo, quale gente?”

“Coloni! Beh, ingegneri della ricostruzione… Tornano in superficie, ripristinano le infrastutture, puliscono, e insomma ricostruiscono la città dalle macerie. Ci vorranno anni, ma ce ne sono tanti di coloni, e sono motivati. Vivere sottoterra fa brutti scherzi al morale.”

Il generale prova a passare, ma Arianne gli blocca la porta con il braccio.

“Quanti coloni?”

Riko risponde ma comincia a essere infastidito.

“Mille, millecinquecento famiglie… Le dispiace?”

Riko vuole spazio per passare. Arianne ritrae il braccio e lo lascia andare, restando a rimuginare su una terrificante prospettiva.

 

Appena fuori dalla metro, tornato finalmente in superficie, Daniel si avventura lungo il passaggio, una strada transennata adibita ai soli pedoni. Aldilà delle transenne, enormi macchinari lavorano alle macerie in un gran frastuono, con allarmi e sirene che riverberano qua e là. Un elicottero sbatte le pale in lontananza, non si vede, si sente e basta. Comincia a schizzettare. Daniel raggiunge un complesso militare a tre piani attorno al quale ronzano numerosi individui in divisa e in tuta da lavoro. Quel misterioso ragazzino della metro è sugli scalini dell’ingresso, forse in attesa d Daniel. Quando incrociano lo sguardo, il ragazzino si gira ed entra. Daniel rimane a rimuginare, poi d’un tratto un clackson lo porta a girarsi e si scansa da una sollevatrice. Il conducente gli fa segno di spostarsi e poi gli impreca qualcosa alle spalle quando Daniel si avvia all’ingresso del complesso.

Una volta dentro, Daniel va al bancone della reception. S’infila una mano nel colletto della giacca e tira fuori il cartellino appeso al ciondolo. Lo mostra alla sentinella della reception che gli apre prontamente la sbarra. Daniel supera la sbarra e si avvicina con titubanza al metal detector dove una guardia giurata lo aspetta con svogliatezza. Si fa scannerizzare meticolosamente e poi gli vien dato il permesso di passare, così si porta all’ascensore e seleziona il piano 1. Nell’attesa, si uniscono anche una donna, un uomo, e un fattorino. Prima che si chiudano le porte, entra anche quel ragazzino, e si mette in un angolo, lanciando un’occhiata a Daniel per poi farsi i fatti propri. Quando le porte si aprono, il fattorino è il primo ad uscire, seguito dal ragazzino. Poi Daniel.

I due cadetti si ritrovano ad andare tutti e due nel reparto accademia, come indicano i cartelli, per poi finire la loro marcia nell’auditorium, già popolato di cadetti che chiacchierano e bighellonano.

 

“Attenzione, cadetti! Silenzio! Sono il Maggiore Strey!”

Si tratta di un uomo relativamente giovane, di corporatura robusta però, grosso e minaccioso.

“Avete avuto la sfortuna di finire sotto la mia responsabilità. Ma non abbiate paura. Quelli abbastanza intelligenti tra di voi da non sgarrare, forse non mi faranno arrabbiare. Ma per quelli stupidi, beh, avranno presto modo di scoprire cosa significa cella d’isolamento”

Sale il brusio nell’auditorium, ma Strey è intransigente. Sbatte una mano sulla cattedra e alza la voce.

“Silenzio!”

Si zittiscono. Daniel non può fare a meno di cercare con lo sguardo il ragazzino della metro. Non lo trova, dove si è seduto? Ah eccolo! Dall’altra parte dell’atrio. Non conosce nessun altro, ma gli altri sembrano aver già fatto amicizia tra loro. Daniel si sente un pesce fuor d’acqua.

“Voglio sperare che non siate una classe di completi fallimenti. Di sicuro alcuni di voi non lo sono. Questo lo so già. Ma presentiamo gli interessati… Ferraro! In piedi, soldato!”

Daniel viene colto di sorpresa. Si becca gli sguardi sbigottiti, sorpresi, incuriositi, o invidiosi, del resto della classe. Daniel incrocia lo sguardo del compagno di metro, che lo guarda svogliato.

“Ferraro! In piedi!”

Strey sa come attirare l’attenzione su di sé; Daniel si alza in piedi.

“Sì, signore!”

“Dì a tutti come ci si sente ad essere tra i tre migliori piloti di questa classe!”

Daniel si guarda intorno, incrocia per forza gli sguardi affamati di verità dei compagni. È alle strette. Non sa che dire.

“Tutto cloche, ma niente abilità oratorie. Va bene, Ferraro. Non ho bisogno di piloti da cabaret. Ammirate la sua umiltà, classe. Prendete esempio!”

Sale di nuovo il brusio, ma con un bercio Strey li zittisce di nuovo.

“Puoi sederti, Ferraro”

Daniel si siede e abbassa lo sguardo, attendendo impaziente che il momento di gloria indesiderata passi alla svelta.

“Chi sono gli altri due?” chiede un galletto.

“Cadetto. Ti ho forse dato il permesso di parlare?”

“No, ma io”

“Cadetto! Ti ho forse dato il permesso di parlare?”

“No”

“No, cosa?”

“No, signore!”

“Molto meglio. Si alza la mano da queste parti quando si vuole parlare. Non accetto interruzioni, né quando parla uno di voi, né tantomeno quando parlo io. Chiaro?”

“Sì, signore”

“Vale anche per voi altri!”

Sì, signore!

Il galletto alza la mano.

“Cosa c’è, Yuri?”

Il cadetto Yuri sorrise sorpreso di dover ripetere la domanda.

“Signore. Volevo sapere chi fossero gli altri due migliori piloti”

“Che succede, cadetto… Sei forse in paranoia di non essere tra questi?”

“No, è che…”

“Qua non usiamo classifiche. Usiamo esempi. Prendi come esempio Ferraro, che a differenza tua, ha già pilotato un Infinity. Vale anche per il resto di voi rammolliti”

La classe intera rimane a bocca aperta a fantasticare sui propabili superpoteri del compagno. Tutti tranne il cadetto della metro. Daniel ignora gli occhi indiscreti degli sconosciuti per studiare la reazione del ragazzino misterioso, ma cade male, perché il suddetto ragazzino non sembra neanche esserci con la testa.

 

“Basta una spinta e va al tappeto, ahahaha!”

Daniel era andato al tappeto nel vicolo dietro il cortile del reparto accademico del complesso con una spinta, e uno dei galletti ora ride di lui. Yuri, il capo dei galletti gli si pone davanti con un ghigno sadico.

“E tu saresti un pilota di Libellule? Ma se non sai neanche stare in piedi?”

Si china su di lui e gli tira uno schiaffo. Gli altri due se la ridono, mentre Daniel si carezza la guancia che gli brucia.

“Ehy, Jasten!”

Yuri è troppo preso a fantasticare su cosa può fare di sadico a Daniel per rispondere al complice.

“Fallo volare giù per le scale, magari spicca il volo come una libellula!”

Se la ride con il compagno, ma non Jasten.

“No. Ho un’idea migliore”

Trasmette la sadicità a Daniel, che trema spaventato restando ai piedi di Jasten. Poi Jasten si gira a parlare ai complici.

“Gli facciamo fare il bagno nella fontana”

Gli altri due si guardano tra loro, poi uno dei due chiede in maniera confusa.

“Ma, la fontana è piena di fango!”

“Esatto!”

“Lo butteranno fuori per aver rovinato la divisa”

Spiega l’altro.

 

Finisce nel fango.

I tre bulli se la ridono e lo lasciano lì. Daniel si rialza e si pulisce la faccia con una delle poche pozzanghere di acqua torbida. Nota il ragazzino della metro che lo fissa a distanza di sicurezza dalla fontana. Lo fulmina con lo sguardo e si tira fuori dalla vasca della fontana, zuppo di fanghiglia. Si guarda addosso, la divisa è in condizioni pietose. Il ragazzino gli si avvicina e si ferma a pochi passi. Daniel ne osserva il riflesso su una grossa pozzanghera, interrotto poi dal passaggio di un aereo di linea a bassa quota. Il rombo dei motori riverbera tra i palazzi. Poi torna a guardare il coetaneo in faccia.

“Grazie dell’aiuto!”

Esordisce Daniel sarcasticamente.

“Non mi sembrava ne avessi bisogno”

Risponde prontamente l’altro.

Daniel sospira e si guarda nuovamente addosso, per poi provare a strusciarsi via il grosso della melma.

“Sono spacciato! Mi butteranno fuori! La divisa è rovinata!”

“Nessuno ti butterà fuori per così poco! Non dar retta a quei coglioni!”

Daniel incrocia lo sguardo dell’altro.

“Probabilmente saranno loro a essere buttati fuori, se non per cattiva condotta, di sicuro per prestazioni insufficienti”

“Come fai a dirlo?”

“Ma dico, li hai visti?”

L’altro ha un ghigno ironico mentre allunga lo sguardo verso l’entrata del reparto accademico. Una coppietta di cadette sta rientrando dal cortile.

“Tu pensa a fare il tuo” dice l’altro.

“Come ti chiami?”

“Gary”

Daniel gli allunga la mano. Gary gliela osserva insicuro, così Daniel fa tutto da solo, gliela prende con l’altra e la stringe. Gary rimane confuso da tutta la manovra, ma non si oppone.

“Io mi chiamo”

“Daniel”

“Sì, esatto!” risponde incredulo lui.

“Come fai a saperlo?”

“Ti vedo in giro”

Daniel rimugina.

“Eri con me sulla metro, stamani, vero?”

“Sì” risponde prontamente Gary.

“Mi segui?”

“No!”

Daniel sospira. Poi si scansa e comincia a camminare svogliatamente. Gary lo segue e gli si affianca.

“Daniel? Vuoi essere mio amico?”

Daniel si ferma e incrocia lo sguardo di Gary. Trova due occhi sinceri e insicuri in un altrimenti confidente e freddo volto. Daniel si sente a disagio, alle strette.

“T-tuo amico?”

Gary si morde le labbra, sta perdendo speranza, e ciò mette ancora più ansia a Daniel, che si sente forzato ad acconsentire, senza essere sicuro di cosa sta facendo.

“V-va bene…”

La faccia di Gary s’illumina di un sorriso sollevato. Poi gli posa la mano sulla schiena e lo accompagna di nuovo dentro.

Adesso sono amici.

 

Un impiegato nel corridoio incrocia Gary e Daniel in via d’uscita dal complesso. L’impiegato va nella direzione opposta.

“Ray! Ehi, Ray!”

Un collega gli si affianca in maniera insistente. Ray risponde scocciato.

“Cosa?”

“Ricordi ieri mi hai mandato la memo per ricontrollare le coordinate dell’anomalia?”

Girano l’angolo, Ray sta riguardando delle carte e ascolta sommariamente l’altro.

“Ahahn?”

“Beh, le coordinate combaciano. L’anomalia è confermata. Ma la procedura è fin troppo generica per questo caso, e gli acquirenti sono impazienti di andare, cosa gli dico?”

“Chi sono gli acquirenti?”

“I Faymaster, ma’ e pa’.”

Ray sospira ancora più scocciato, poi si ferma e lo fronteggia e costringe anche l’altro a fermarsi e girarsi.

“Digli che per quanto mi riguarda possono fare quello che vogliono. Non ho scritto io le procedure da queste parti. Faccio solo il mio lavoro. E ne ho anche tanto da fare”

Indica i cadetti che si rincorrono nella hall, avranno sì e no 10 anni. L’altro impiegato si arrabbia e sbraita loro contro.

“Voi cadetti non potete giocare da queste parti, tornate all’accademia!”

Il gruppetto di giovanotti si dilegua nel corridoio in direzione del reparto appropriato, incrociando Lt. Reed che viene proprio da quella direzione e pare infastidita dai bambini.

 

“Papà? Quanto manca?”

I Faymaster, coppia sposata di ingegneri coloni in tuta da meccanici, hanno un figlio di 12 anni, cadetto. Il fuoristrada che papà guida è capace di scavalcare quasi ogni tipo di cumulo di macerie, da quelle più fragili a intere fondamenta. È progettato apposta. Ma ciò non significa che debba essere comfortevole stare seduti lì dentro.

Fuori si è fatto buio e sta scendendo anche una coltre di nebbia e polvere, sollevata dal vento, a peggiorare le cose.

“Manca poco, figliolo”

“Peter! Rimettiti la cintura!”

“Mamma, mi fa male il culo! Non ce la fo più a stare a sedere!”

“Rimettiti la cintura, Pete! Dà retta a tua madre. Il terreno qua è imprevedibile. Se becchiamo una crepa batti una testata”

“Fammi guidare allora!”

“Peter!”

Papà ride e Peter sorride complice. Ma poi papà si zittisce e torna serio.

“Woah, aspettate un attimo!”

Aguzza lo sguardo in direzione di una conca con una voragine nel mezzo. Ferma il fuoristrada non lontano dalla sponda.

“Le coordinate sono queste. L’anomalia sarà sicuramente là sotto, ci scommetto!”

“Dan. Non credi che una cosa così dovremmo comunicarla alla base, prima di scendere?”

Papà Dan è troppo preso dall’eccitazione della scoperta per dar retta a mamma.

“Prima vediamo di cosa si tratta, così sappiamo cosa comunicare…”

Non convince pienamente mamma, invece Peter è totalmente interessato.

“Che ne dici? Diamo un’occhiata?” chiede Dan a mamma.

“Sì!” risponde Peter.

Sia mamma che Dan si girano a guardarlo.

“No, tu rimani qua, figliolo”

“Papà! Ma io voglio venire!”

“No, è troppo pericoloso. E poi ci servi da tramite per la radio”

Peter sbuffa, ma conosce bene l’importanza del tramite per la radio, quindi afferra il microfono della radio e se lo avvicina, già pronto a doverlo usare, e accende l’apparecchio selezionando il canale giusto.

“Staremo via poco, te lo prometto. E faremo tante foto!”

Peter li osserva uscire dal fuoristrada e preparare l’attrezzatura per calarsi nella voragine. Quando fanno qualche passo verso la sponda, già spariscono nella nuvola di polveri e nebbia. Lo sguardo di Peter si fa preoccupato per i genitori, ma lui è al sicuro nell’abitacolo illuminato del grosso veicolo.

“Pa’, mi senti? Passo!”

Dopo qualche gracchio, la radio risponde.

“Sì, figliolo, ti sento forte e chiaro! Stiamo scendendo adesso”

“Portami un souvenir, pa’?”

“Certo!”

La voce di papà sembra divertita, e anche la faccia di Peter lo è, ma pian piano si ammoscia nel fissare il tempaccio inquieto.

 

“Pa’? Ci sei? Passo!”

Nessuna risposta. È da un po' che la radio gracchia e basta. Le interferenze sono troppe e non riesce a stabilire un contatto. In un sospiro scoraggiato si lascia andare sul sedile a rimuginare.

D’un tratto mamma apre la porta nel panico e sale nell’abitacolo. Sfila via dalle mani di Peter il microfono della radio e cambia canale, il tutto senza neanche considerare il figlio spaventato.

“May day, may day, may day. Tango 2 5 0 2. Questa è un’emergenza. Coordinate…”

Peter non ascolta neanche più. La sua attenzione atterra sul padre, disteso per terra alle ruote del fuoristrada, con la bocca e gli occhi spalancati, ma lo sguardo perso nel vuoto, come fosse morto. Tuttavia Peter capisce che è ancora vivo perché muove il torace, respira, anche abbastanza intensamente. La preoccupazione e la paura salgono comunque. E fa bene ad aver paura.

 

Fujita ed un soldato della polizia militare imboccano il pianerottolo del condominio sotteraneo e Fujita bussa alla porta dell’appartamento 5A. Dopo una breve attesa, apre la porta Arianne, in vestaglia, stanca, sciatta, e infastidita della visita.

“Kase! Sono qui con la polizia militare per conto della commissione del colonnello Atterton…”

Arianne fulmina Fujita con lo sguardo e poi, senza lasciarlo proseguire, gli chiude la porta in faccia.

Kase!”

Fujita sospira. Incrocia lo sguardo con il poliziotto, ma non trovando supporto da lui, opta per parlare a voce calma e soffusa contro la porta.

“Kase! Abbiamo perso i contatti con Fort Auston!”

Dopo un’altra breve attesa, Arianne riapre la porta.

Una volta dentro, Arianne offre del caffè ai due uomini e li fa sedere sul sobrio divano dell’angusto appartamento privo di finestre.

“Potrebbe essere soltanto un guasto delle comunicazioni” spiega Fujita.

“Ma non lo sapete…” suppone Arianne.

“La commissione ha deciso di mandare una spedizione. Non corrono rischi. Hanno chiamato i Marines.”

“E Ferraro?”

“I cadetti dovrebbero essere stati evacuati, o almeno quella è la procedura standard”

“Quindi non si sa dove siano?”

Fujita non risponde.

“Devi inserirmi nella squadra, Fujita”

Arianne gli si pone davanti, intimidendolo. Il poliziotto s’irrigidisce, pronto a intervenire.

“Non capisci! Ora non comandiamo più. E questa missione è sotto la giurisdizione dei Marines, che rispondono direttamente ad Atterton”

“Trova il modo, Fujita. Devo andare lì”

“No, Tenente, Kase” interviene il poliziotto, alzandosi dal divano.

“I suoi ordini sono di tornare a Fallon e fare rapporto al colonnello Atterton per assegnazione immediata”

Fujita e Arianne si girano a guardare il militare, poi tornano a guardarsi l’un l’altro in maniera complice.

 

“Allora?”

Arianne è al telefono con Fujita, nel proprio ufficio, nei piani interrati della base aerea di Fallon, vestita della sua solita divisa, ma senza la giacca.

“Ancora nessun contatto. La squadra è uscita ora in superficie. Hanno comunicato che le condizioni sono molto scarse e c’è interferenza radio”

“Il livello di radiazioni?”

“Stabile”

“Campo elettromagnetico?”

“Pare che ci sia una concentrazione in direzione di Fort Auston, ma non è confermato. Non so altro”

“OK. Tienimi informata”

Riattacca.

Il Dottor Yakamura è lì con lei.

“Non avremmo mai dovuto lasciare che mandassero i cadetti in superficie” spiega Arianne arrabbiata.

“Non sta a te decidere. E comunque fa bene ai cadetti avere un contatto con l’esterno. Come pretendi che imparino a volare se non vedono mai il cielo?”

La risposta infastidisce Arianne, che ha l’impulso di guardare fuori dalla finestra, ma ci trova la bocca dell’impianto di areazione.

“Siamo tagliati fuori” ammette Arianne.

“Non la vedrei in questo modo…”

“Che vuole dire?”

Arianne è confusa. Il dottore passeggia come al suo solito qua e là osservando i quadri e i decori del tenente Kase, e prende in mano la foto incorniciata di un bambino piccolo che trova sulla scrivania.

“Ci hanno chiuso il programma Infinity e ci hanno tolto il controllo delle Libellule, come pensa di fare?”

“Oh, ma non hanno chiuso proprio niente. Infinity è vivo e vegeto”

“Che cosa?”

Il dottore posa la foto e si siede davanti alla scrivania.

“Infinity è ancora attivo, e abbiamo più controllo adesso che mai”

 

“Kase!”

“Fujita! Allora?”

Di nuovo al telefono con il collega. Stavolta Yakamura non c’è.

“Come avevano detto, la maggior parte dei cadetti non era neanche lì quando è stato perso il contatto, e quelli rimasti sono stati evacuati. Li stanno riportando dentro adesso. Pare che ci siano dei feriti, però”

Il cuore in gola di Arianne.

“Non ti preoccupare, Kase, Ferraro sta bene”

Ariane sospira di sollievo.

“E Fort Auston?”

“Non si sa. Hanno perso il contatto con la squadra di Marines”

Cosa?”

“Lo so! La situazione è peggiorata. Pare che siamo davanti ad un contagio”

Arianne rimugina preoccupata.

“Kase, tu occupati dei cadetti. Io cerco di scoprirne di più”

 

Arianne finalmente ritrova Daniel. Lo accoglie con commozione alla stazione della metro che ferma proprio a Fallon. Lo trova scosso e sotto shock, ma con la lucidità di pretendere di stare assieme al nuovo amichetto. Arianne sgrana gli occhi nel riconoscere Gary e lui a sua volta la riconosce, ma non si parlano. Poi Arianne accompagna Daniel da sua madre e rimane a fare compagnia a Gary nella sala d’attesa del pronto soccorso. Gli compra una cioccolata calda.

“Cos’è successo?”

Gary impiega del tempo a ricomporsi. Sorseggia la bevanda e ritrova calore e comforto. Si fa coraggio.

“Stavamo nell’autobus, per andare alla stazione della metro… Quando… Quando, c’è stata un’esplosione, e… Poi non so. Mi sono svegliato. Alcuni si erano fatti male. Alcuni molto male. E poi ci hanno portati qua. Non so altro. L’ho già detto anche agli altri. Io non so altro!”

“Non ti preoccupare. Ti credo”

Arianne posa la mano sulla coscia di Gary. La divisa del cadetto è sporca di polvere e sangue, ma evidentemente non il suo, o l’avrebbero ricoverato.

“Non ce l’aspettavamo. Non sapevo che fare”

Gary ha gli occhi lucidi. Arianne lo carezza.

“Nessuno se l’aspettava, tesoro. E non c’è niente che avresti potuto fare. Non è colpa tua. Siamo tutti felici che state bene”

Gary si gira a guardare verso la porta dell’ambulatorio, con aria triste.

“Non tutti stiamo bene” ammette Gary.

Anche Arianne guarda dove guarda Gary, anche lei triste.

“Sono morti, vero?”

“Sì, tesoro. Per fortuna soltanto 2”

Anche Arianne ha gli occhi lucidi. Gary si gira a guardarla.

“2 sono già troppi!”

Arianne incrocia il suo sguardo e poi lo abbraccia.

 

“Abbiamo i risultati dalla squadra dei Marines”

Fujita è sollevato. Ancora al telefono con Arianne nel suo ufficio.

“La teoria di un contagio è stata screditata. A quanto pare uno scavo ha inavvertitamente causato la fuoriuscita di rifiuti tossici che hanno avvelenato una squadra di lavoratori e poi c’è stata l’esplosione di cui parlava anche Mitchell.”

“Niente spore…?” chiede Arianne in ansia.

“Niente spore, Kase. Ma Fort Auston è fuori uso. La struttura è ancora intatta ma ha subito danni dall’esplosione. Hanno di nuovo chiuso l’accesso alla zona rossa.”

“Ma che sorpresa… Fujita, mi puzza…”

“Kase… Non so che pensare. Ma lo sai, come sempre, io sono con te”

“Grazie Fujita, l’apprezzo molto. Ne riparliamo domani a cena”

“Non vedo l’ora!”

“Ciao!”

 

Intanto, sopra i cieli della città…

“Contatto! Titano! 20 miglia sud-ovest del centro tattico”

La Libellula 28 Seti pilotata dalla tenente A. Bramstone si stacca dalla formazione con il leader 26 Boa del tenente comandante O. Lee e procede ad esaminare il puntino sul radar.

“È strano!” risponde Lee. “Perché ora si vede sul radar?”

“Non lo so, ma non può essere che lui! Si muove a circa 10 nodi. Chiedo istruzioni!”

“Roger, facciamo rapporto!”

Chiamano l’aereo radar che ritrasmette alla base. 5 minuti dopo ricevono la direttiva di investigare meglio restando a distanza minima di 5 miglia. Una volta in zona, le due Libellule scendono di quota.

“Ci stabilizziamo a 5000 piedi e voliamo intorno”

“Roger!”

Volano in cerchio attorno al ritorno radar. È notte e il tempo è scarso, perciò un contatto visivo è da escludere.

“Eagle one, Saturn one, nessun riscontro visivo, contatto freddo, nessun movimento. Probabile interferenza, richiedo istruzioni”

“Saturn one, Eagle one, tornate alla base”

Proprio in quel momento, le nuvole si illuminano di arancione e 26 Boa esplode in mille pezzi. 28 Seti grida il suo nome.

“Lee!”

Grida più volte nella radio, ma non c’è risposta. Lee non ha fatto in tempo neanche a capire di essere in pericolo. Le nuvole si illuminano di nuovo di arancione. Bramstone capisce che è segno di imminente pericolo, così interrompe i piagnistei e manovra per evitare qualsiasi sia l’attacco. Non serve. Viene colpita lo stesso. O forse sì, perché un momento dopo l’esplosione è ancora viva.

Si guarda intorno, reggendosi alle maniglie dell’abitacolo, e nota che del velivolo è rimasto solo quello, l’abitacolo, che adesso precipita come un sasso. La calotta è rimasta intatta ma la strumentazione è impazzita e ad un certo punto tutti i dispositivi elettrici si disattivano insieme e la cabina diventa buia e morta. S’interrompe anche il flusso di ossigeno, ma non ha importanza, perché ciò che spaventa Bramstone sono le poche centinaia di metri rimasti prima di schiantarsi a terra. Prontamente afferra la maniglia dell’espulsione.

“Ti prego!”

Prega che funzioni.

In un tonfo secco la calotta di vetro si apre e un tornado esplode nella cabina. Subito dopo un getto di fuoco la spinge via con tutto il sedile e la proietta in aria in salvo dal relitto che va a schiantarsi nel bosco. Non esplode, ma Bramston ha sfiorato di così poco la morte che riesce addirittura a vedere le fronde degli alberi agitarsi per aver inghiottito il muso di quello che era la sua Libellula. Il getto del razzo muore e il seggiolino si sgancia, così Bramston può fluttuare e planare nell’aria con il paracadute.

Una volta atterrata pesantemente, fa il quadro della situazione. Tira fuori la ricetrasmittente, nella vana speranza che funzioni, ma quando si accorge che è senza vita non si altera, aspettandoselo. Sente i passi mastodontici del Titano non molto lontano, perciò cerca nascondiglio.

Vagando nel bosco alla fine trova una grotta dove rifugiarsi. Le vibrazioni nel suolo sono tali da far cadere polvere dal soffitto della caverna, se la sente scivolare addosso ed entrare nella tuta di volo, e pizzicarle la gola, infilarlesi negli occhi, tra i denti, nelle orecchie. Ma il fastidio maggiore forse è quella sensazione di umido, di affanno, come se fosse in una foresta tropicale anziché in una caverna in un bosco temperato.

Poi un gorgoglio. Non può trattarsi del Titano là fuori, i suoi versi scimmieschi riecheggiano nell’aria come la voce di un dio vendicativo. No, questo era un verso più alla portata dei comuni mortali, un qualche animale nella caverna, disturbato forse dall’ingresso clandestino di Bramstone. Quest’ultima si arma della pistola, ma poco può se non riesce a vedere. Prova ad accendere la torcia del kit di sopravvivenza ma niente di elettrico funziona. In un sospiro prova ad aspettare di adattarsi al buio, ma la vista non migliora, non c’è luce lunare su cui contare, per colpa del tempo, e dentro a una grotta è anche peggio. Deve far affidamento esclusivamente all’udito e all’olfatto.

Quel qualcosa grugnisce di nuovo. Stavolta se ne sta con la pistola sollevata verso la generica direzione della bocca della caverna.

“Forse preferisco… Stare fuori…” dice a sé stessa a bassa voce, e indietreggia, fino a trovarsi sull’entrata della caverna. I suoi occhi si erano abituati al buio dopotutto e ora riesce a riconoscere le sagome fuori dalla caverna, ma c’è qualcosa che le blocca la visuale. Prima non c’era. E si muove. Viene verso di lei. Respira. Gli punta la pistola contro. L’essere gurgnisce di nuovo e poi l’attacca. Lei spara.

Poi grida.

Poi silenzio.

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Capitolo 8
*** Capitolo 3: Furfante ***


Capitolo 3: Furfante



 

Il fumo di sigaretta si disperde rapidamente nella pungente aria mattutina che siede sul parcheggio assieme a vecchie berline e furgoni. Dei due federali che aspettano di fronte alla clinica, lei fuma incurante e lui cerca di evitare il suo fumo passivo con pazienza. 

Qualcuno emerge dall’ingresso e viene a girare il cartello “Chiuso” appeso all’interno in “Aperto” e si accorge con sorpresa dei due federali là fuori.

Lui ha già gli occhi puntati sulla giovane inserviente in camice celeste e i due si fissano. Il federale lancia una nervosa gomitata alla collega interrompendo il suo passatempo di fumo. Senza neanche bisogno di puntare a sua volta lo sguardo sull'inserviente, la federale lascia cadere la sigaretta mezza fumata a terra e la schiaccia con la punta lustrata della scarpa.

L’inserviente li fa cordialmente entrare e accomodare nella saletta di attesa mentre sparisce per informare chi di dovere. Lui si siede mentre lei assorbe i dettagli dei quadri, dei poster pro-salute, dei riconoscimenti accademici dei dottori che lavorano nella struttura. Quando appare la primaria in camice bianco e occhiali da vista entrambi i federali si girano a guardarla e rispondono alla stretta di mano che il dottore offre loro.

“Salve, sono la dottoressa Chang, come posso esservi utili, agenti...?”

La dottoressa alterna lo sguardo tra i due dopo aver stretto le loro mani e inarca il sopracciglio rimarcando l’intonazione interrogativa di quell’ultima parola scomoda che la rende già nervosa.

“Agente speciale Peter Fuller” si presenta sorridente e sereno lui mostrando il distintivo F.B.I..

“Agente speciale Marika Winston” si presenta seria e pensierosa lei, mostrando a sua volta il proprio distintivo.

L’agente Fuller prende iniziativa: “Siamo qua per i sopravvissuti all’inciden-” non fa in tempo a completare le introduzioni che la dottoressa, sfoggiando un sorriso scoraggiato, lo interrompe.

“I ragazzi dello schianto, sì…”

Infastidito dall’interruzione, Fuller stringe le labbra in una smorfia educata e la allarga in un sorriso cordiale per riprendere il controllo della conversazione.

“Abbiamo già visitato l’obitorio. Adesso dovremmo vedere i…” Fuller cerca nuovamente di nascondere una smorfia con il proprio sorriso da procedura.

“... ragazzi.”

La dottoressa passa lo sguardo alla silenziosa agente Winston che dal primo momento non le stacca occhi di dosso con quell’espressione apparentemente giudicante. La dottoressa prende fiato nervosamente e torna su Fuller.

“I pazienti non sono nelle condizioni di ricevere visite al…”

L’agente Winston la interrompe con fermezza nella voce.

“E’ imperativo parlare con i ragazzi il prima possibile. Siamo già al corrente delle loro condizioni. Se per cortesia ci mostrasse la strada…”

Winston lancia il mento in direzione del corridoio per rimarcare la propria deliberazione nel procedere. La dottoressa alterna nervosamente lo sguardo tra i due federali mentre riflette rapidamente sul dafarsi. Alla fine, con un grosso sospiro e chiudendo gli occhi, anticipa la propria sottomissione alle autorità maggiori.

 

L’elettrocardiogramma sta registrando un battito regolare con una pressione stabile entro i margini di pericolo. La flebo cola periodicamente gocce di una formula incolore che viene pompata per endovena nel braccio di un bambino sdraiato sul letto. Winston assimila l’arredamento accogliente e curato della stanza, dalle pareti colorate ai quadri con tema natura incontaminata e animali selvaggi. Una felce domina l’angolo opposto al letto e aiuta a conferire alla stanza un carattere caldo e vivo grazie anche ai raggi solari che entrano dal gran finestrone e illuminano più della luce artificiale della lampada a soffitto. 

“Un bel posticino…” bisbiglia Fuller mentre adocchia il bambino assopito.

La dottoressa chiude la porta, li sorpassa, e si affianca al letto per chinarsi sul bambino e controllare le sue condizioni con l’aiuto degli strumenti accanto al letto. I federali attendono.

Quando la dottoressa torna diritta sospira di nuovo e si gira ad alternare lo sguardo agli agenti.

“Dovrebbe svegliarsi a breve…”

Fuller sorride cordialmente. Winston sfoggia un sorriso finto e torna subito seria quando la dottoressa aggiunge un commento.

“Credo proprio che dovreste aspettare almeno che arrivi la psicologa…”

Fuller prende fiato per rispondere ma Winston lo precede.

“Dottoressa Chang…” 

Fuller ingoia quel che stava per dire e si gira ad ascoltare la serietà della collega assieme alla dottoressa.

“... Forse non ci siamo spiegati bene…” Winston prova un sorriso cordiale ma il resto del suo corpo e del volto rigidi stonano con le proprie intenzioni.

“... Dobbiamo parlare con il bambino, da soli.”

Lo sgomento della dottoressa la spinge a lasciare la stanza trascinando le scarpe per terra mentre riflette distrattamente alla validità della situazione. Sull’uscio si gira per chiudere la porta ma prima si raccomanda ai federali di avvertirla per qualsiasi evenienza.

“E sarò qua fuori ad aspettare…”

Fuller annuisce sorridente. Winston le regala di nuovo il suo sorriso forzato. Quindi la dottoressa li chiude dentro con un sospiro nervoso e resta lì fuori a fissare il vuoto e massaggiarsi il mento.

Lo sguardo nel vuoto trova finalmente appoggio sicuro quando il pesante bicchiere contenente whiskey e cubetti di ghiaccio viene trascinato sul bancone di fronte a lei, luccicante sotto la luce tiepida e ronzante delle lampadine penzolanti. L’atmosfera è cupa e impersonale nonostante il brusio. Un gruppo di uomini vestiti casual chiacchiera nell’angolo e il notiziario alla radio sta finendo di ragguagliare sui dettagli della distruzione di Eutokyo per poi passare alle previsioni meteo.

Rassicurata dalla presenza del suo drink, Marika Winston lancia un’occhiata all’entrata del bar e non riesce a capire a prima vista se è giorno o notte. Deve strizzare gli occhi per ignorare le luci del bancone e riconoscere le luci dei lampioni esterni che illuminano il marciapiede altrimenti nell’ombra. Spazientito dall’indifferenza della donna, che di donna sembra mostrar ben poco, il barista tatuato perde interesse e si defila a servire un altro cliente ordinario come gli altri anonimi.

Marika torna sul drink. Lo afferra. Lo solleva. Lo agita divertendosi a far tintinnare e roteare i cubetti nella minuscola piscina di alcol. Ritarda l’assaggio, annoiata persino dall’idea di ripetere quel rito così caro, per favorire invece i pensieri insistenti che la separano dalla realtà immediata, ignorando quindi un secondo cliente ordinario che si affianca a lei al bancone, deliberatamente riducendo la distanza con la donna ben al di là del limite non scritto dello spazio personale. 

Percependo la violazione di privacy, Marika gira gli occhi per acquisire la sagoma. La registra come invasore generico e prende fiato per parlare. La testa vuole scivolare dal collo e fa fatica a tenerla dritta. 

“Le dispiace?”

Già che deve far lavorare i muscoli del collo, decide di accompagnare il movimento e far girare la testa così da inquadrare bene l’invasore, il quale esordisce serio e deluso.

“Sei già ubriaca?”

Marika indietreggia il collo e quasi perde l’equilibrio di nuovo. Deve forzare la nuca di rimanere rigida e si spazientisce sbuffando.

“Pfff… Tu che ne sai?”

L’uomo la squadra dal basso, soffermandosi sulla camicia stropicciata e scollata che rivela nei e macchie cutanee coerenti con l’età matura della donna. 

“A che giro sei? Così ti raggiungo…”

Marika ridacchia maliziosamente e manda giù un generoso sorso di fuoco liquido che le sciacqua la bocca. Poi mostra il bicchiere all’uomo.

“Prova a indovinare…”

Il barista tatuato posa il grosso bicipite colorato sul bancone e punta il dito al nuovo arrivato, riconoscendolo con un’occhiata complice. Il cliente si distrae sorridendo da Marika per annuire al barista.

“Fammi quello che avuto lei, con interessi.”

Il barista sbuffa una smorfia divertita e si scosta dal bancone per girarsi a versare whiskey in un bicchiere pulito. Ci va pesante. Intanto il cliente torna su Marika.

“Giornataccia?”

Marika contrasta la gentilezza del compagno sbattendo il bicchiere sul bancone. La pausa di silenzio che segue innervosisce l’uomo e così Marika gli rivolge un sorriso alterato.

“Non lo sono tutte?”

“Almeno hai mangiato?”

“Fred!” 

Un altro uomo, che fino ad ora era parte del gruppetto nell’angolo, si avvicina a passi sgangherati al bancone accogliendo il compagni di Marika a braccia aperte e sorriso alcolizzato.

“Freeed!! Che fine avevi fatto? Non ti vedo da una vita!”

Marika strozza una risata in gola mentre posa lo sguardo sul bicchiere zeppo di whiskey che il barista posa sul bancone davanti a Fred, e poi si gira a guardarlo reagire imbarazzato all’amico ubriaco.

“Yo! Come butta?”

“Bene Fred… Bene!”

L’amico ubriaco abbraccia Fred a forza e ci si accascia contro. Gli sbatte palmo sulla scapola più volte e grugnisce di gioia con il mento sulla sua spalla. Poi si scansa spingendolo via da sé e cerca immediatamente appiglio per evitare di cadere all’indietro. Sia Marika che Fred lo acchiappano per le spalle suscitando una risata collettiva dal gruppetto di amici nell’angolo. Anche l’ubriaco ride di gusto.

“Mike. Mi sa che ti devi sedere, sai?”

Gli dice scherzosamente Fred e lo accompagna, con la mano ancora sulla spalla, a sedersi sullo sgabello accanto.

“Ha…. il trio di ubriaconi…” commenta scherzosamente Marika, tornando a sorseggiare il drink.

“Non siamo ubriaconi, Mary…”

Non appena Marika sente Mike pronunciare quel nome perde il sorriso e si incupisce.

“...Siamo piedipiatti in servizio, qua!”

La risposta suscita una seconda risata sgangherata dal gruppetto di amici.

“Mike! Torna qui che il tuo drink si raffredda!” gli grida uno di loro, mentre agita un bicchiere con un dito di alcol e cubetti mezzi squagliati ad altezza volto.

Fred nota che l’amico si irrigidisce per alzarsi e lo aiuta a non cadere, indirizzandolo poi verso il gruppetto. Lo osserva barcollare ma riuscire autonomamente a non cadere e raggiungere gli amici.

Sospira.

“Non cambia mai niente da queste parti”

Marika intercetta lo sguardo sorridente e nostalgico di Fred e i due si scannerizzano i pensieri a vicenda a lungo, fino a distendere entrambe le loro facce in espressioni rilassate e malinconiche.

Marika è la prima a cedere e torna a immergersi nel malumore guardando a schiena china nel bicchiere.

“Allora?” chiede lei.

“Com’è andata?”

Fred studia il profilo del volto di Marika a lungo, incurante della domanda incombente. Deglutisce a fatica e decide di idratarsi con lo whiskey. Dimezzato il contenuto del drink liscio, lo posa ed esala fiato caldo e stress.

“Sei sicura che ne vuoi parlare?”

Marika sorride sarcasticamente e gira lentamente la testa verso di lui, con un leggero dondolio come se fosse un meccanismo idraulico e non muscoli del collo a tenerla insieme.

“E di che cazzo altro vorresti parlare? Dei Lakers?”

Fred ammicca un sorriso e soffoca una risata nello whiskey. Posa poi il bicchiere e si distrae ad ascoltare il dibattito alla radio sulle decisioni militari riguardo l’evacuazione delle città vicine all’epicentro.

Sospira.

“Okay....”

Marika sbatte ripetutamente le palpebre nel difficile tentativo di riacquistare lucidità e raddrizza la postura sullo sgabello. Tiene il bicchiere a mezz’aria con una vaga intenzione di continuare a bere che non arriva a compimento. La sua attenzione viene stregata dal nervosismo di Fred.

“Il ragazzo è vivo.”

Gli occhi di Marika s’illuminano di energia e si alternano a quelli di lui.

“Lo hanno trasferito all’accademia assieme agli altri candidati.”

Marika perde improvvisamente interesse girandosi al bancone con uno sbuffo di risata sarcastica. Fred insiste con il tono serio.

“Gli hanno assegnato Reed come mentore.”

Marika ferma il bicchiere a pochi centimetri dalle labbra e lancia un’occhiata da sotto la frangia unta di sudore a Fred. Si guardano a lungo senza dir niente, assimilando il brusio ed il dibattito alla radio sull’efficacia o meno dei tentativi del progetto Infinity e delle perdite di Libellule.

“Pensavo li avessero decommissionati…”

“Marika…” Fred ridacchia sarcasticamente.

“Non dar retta ai notiziari…”

Marika agita il bicchiere e la testa mentre si innervosisce.

“Veramente l’ho sentito dire…”

Fred ridacchia imbarazzato scuotendo la testa. Segue un’altra pausa tra i due, e Fred trova il tempo di scannerizzare di nuovo i pensieri di Marika tramite i suoi occhi da tundra innevata.

“Lascia stare, Marika… non ne vale la pena.”

Marika si innervosisce sempre di più e sbatte il bicchiere sul bancone, per poi girarsi completamente verso Fred, ritrovando lucidità per effetto dell’adrenalina. Fred prova la via diplomatica.

“Sono più di vent’anni che ti esasperi con questo caso. Ci hai rimesso la carriera. Vuoi rimetterci anche la salute?” 

Fred punta lo sguardo sul drink di Marika, rimasto a un dito di whiskey e ghiaccioli sciolti. Marika inclina la testa mentre studia il volto di Fred, impassibile, fino a spazientirlo.

“D’accordo. Fai come credi… Io sono dalla tua parte, sai?”

“Se sei dalla mia parte, allora fammi entrare a Fort Auston”

Fred rimane senza parole e decide di riempire la bocca con lo whiskey, invece. Lo manda giù a forza e trova conforto nel soffocare i pensieri.

 

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