Musica e amore

di myqueasysmile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Il prof di musica ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - La musica: una passione ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Una speciale sorpresa ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Uno pseudo appuntamento ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Happy Ending ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Una ragazza indifesa ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Cominciata bene, finita male ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Quando qualcuno ti raddrizza la giornata ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Incontri inaspettati a Milano ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Un nuovo amico? ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Piccola Solitaria ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - "Dai zio, baciala!" ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Occhi Azzurri ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Scoperte interessanti a Natale ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Attrazione o no? ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Lo psicologo (e che psicologo!) ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Il compleanno migliore ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Immaginazione o realtà? ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Forse sì, forse no ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - Confessioni inaspettate ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - Una percezione sbagliata ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - Stiamo flirtando? ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - La solita cuffia ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - La grande rivelazione ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - Dolce notizia ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 - La mia rovina ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 - Pomeriggio produttivo ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 - La sua festa ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 - Troppo razionale... non mi piace ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 - "La mia bella dose di ragazze" ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 - Il fatidico giorno ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 - Cinema e pop-corn ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - Distrazioni ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 - La foto ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 - Quando tutto è perfetto ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 - Insieme ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 - Doppia sorpresa ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 - Qualcuno di speciale ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 - Perdono o no? ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 - Il fuoco ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 - Qualcosa di inaspettato ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Il prof di musica ***


La campanella della ricreazione era appena suonata.
Guardai i miei compagni uscire, aspettando di rimanere sola, poi presi le cuffie dallo zaino e le collegai al cellulare.
Lo tenevo sempre acceso in classe, tanto non c'era pericolo che suonasse, nessuno mi scriveva mai. Gli unici messaggi che ogni tanto ricevevo erano di mia cugina Marta, dei miei genitori o di mio fratello.

Marco era più grande, aveva 24 anni ed era un cantante. Aveva partecipato a x-factor qualche anno prima e con mia grande gioia aveva vinto. Ero immensamente felice per lui... ma d'altra parte mi dispiaceva averlo sempre così lontano da me.

Poi c'ero io, che di anni ne avevo 18. Facevo il liceo socio-psicopedagogico ed ero in quinta. L'ultimo anno finalmente. Odiavo la scuola e odiavo la mia classe. A nessuno importava niente di me, a meno che non ci fosse una verifica di matematica. In quel caso era tutto un "Elisa mi potresti aiutare??", "mi passi i risultati?" o "mi fai copiare i compiti??". Sì, ero brava in matematica. O almeno lo dicevano gli altri.

Da parte mia pensavo solo che ne ero portata, non ero certo un genio, ma me la cavavo abbastanza bene rispetto agli altri.
E comunque li aiutavo sempre. Non riuscivo a dire di no, e mi ritrovavo puntualmente a correggere esercizi sbagliati o a prestare il quaderno... ero fatta così.

Guardai fuori dalla finestra. C'erano ragazzi che parlavano in cortile, alcuni ridevano e altri fumavano credendosi chissà-chi.
Mi alzai dalla sedia e sgusciai fuori dal mio banco in seconda fila. Mi avvicinai alla finestra appoggiandomi al davanzale e guardai davanti a me.
In realtà non guardavo veramente, i miei occhi si erano fissati in un punto, ma la mia testa era altrove. E senza accorgermene davvero muovevo i fianchi a ritmo con la musica nelle mie orecchie, e il piede batteva il tempo.

Pensavo ad altro, pensavo a mio fratello che ora nemmeno sapevo dov'era, pensavo a quanto avrei voluto incontrare colui che stavo ascoltando e dirgli grazie, pensavo a come dovesse essere avere delle migliori amiche, a come dovesse essere avere un ragazzo...

Spesso mi chiedevo cosa avessi che non andava. Le ragazze non cercavano la mia compagnia e i ragazzi sembravano non vedermi nemmeno. Ok, forse non ero bella come le modelle che si vedono nelle pubblicità o come alcune ragazze della mia scuola, ma non mi sembrava di essere così brutta e nemmeno di avere un brutto carattere. Eppure nessuno voleva stare con me. Io avevo più volte cercato di parlare con le mie compagne, ma poi mi sentivo lontana comunque. Mi sentivo un po' esclusa, e non capivo perché.

Ero ancora persa nei miei pensieri quando qualcuno mi tolse una cuffia.
«Che cazzo...?» esclamai girandomi di scatto e bloccandomi di colpo.
«Oh, buongiorno prof. Scusi, non sapevo fosse lei!» dissi arrossendo per la figura di merda. Era il mio nuovo prof. di musica arrivato quest'anno. Era molto giovane, forse sui trent'anni o addirittura meno. Alto, occhi azzurri e capelli castani, spesso in disordine. Era davvero bello, dovevo ammetterlo, e anche molto gentile. Nonostante questo però riusciva a farsi ascoltare, forse perché eravamo una classe quasi tutta di femmine e almeno metà di loro gli facevano gli occhi dolci.
Appena era entrato dalla porta, la settimana prima, mi aveva colpita, non posso negarlo. Io mi aspettavo il solito prof. di musica di mezza età, quasi pelato e largo il doppio di me. Invece era entrato lui, il prof Milani.

«Ti ho salutata ma non mi hai sentito, ho pensato di fare così...» spiegò guardandomi.
Aveva gli occhi così azzurri, e io ogni volta mi perdevo a fissarli. Erano bellissimi, del colore del cielo e del mare che io adoravo.

«Cosa fai qui da sola comunque? Non dovresti essere assieme alle tue compagne o fuori con questo bel tempo?» chiese indicando fuori.
Io alzai le spalle. «Si vede che non mi conosce, mi piace stare per conto mio... e comunque non sono sola, lui mi tiene compagnia» dissi mostrandogli la cuffia che tenevo tra due dita.
«Posso sapere chi è questo lui?» chiese appoggiandosi anche lui al davanzale affianco a me.
«Mika» risposi tornando a guardare fuori.
«Mika, è un grande cantante» fece lui.
Io sorrisi «Sì. Lo adoro!».

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto. Avevo spento la musica e tolto le cuffie appena avevamo iniziato a parlare.
«Ti piace molto la musica, vero?» chiese all'improvviso.
«Come fa a dirlo? Tutti ascoltano musica come stavo facendo io» replicai.
«È vero, ma il tuo corpo si muoveva come se la sentissi nella tua anima» disse lui riportando gli occhi su di me.

«Amo la musica» ribattei «mi fa pensare a cose belle, mi porta lontano da qui e mi fa sentire meglio».
«Non dirlo a me. La amo a tal punto che ho deciso di finire in un liceo pieno di ragazzi scalmanati a insegnarla» disse scuotendo la testa e facendo una smorfia.
«Si vede che è la sua passione prof» commentai sorridendo.

«Sai, stavo pensando di proporre una cosa. Vorrei creare un coro. Lo so che avete gli esami, ma ve lo chiederò lo stesso».
«Non mi parli di esami prof per favore. Altrimenti riattacco Mika a tutto volume» dissi facendo una smorfia. Lui rise.

«È una bella idea comunque, basta che non ci faccia fare canzoni deprimenti» aggiunsi.
«Spiegami cosa intendi per "canzoni deprimenti" però» disse corrugando la fronte.
«Sono quelle cose in latino, di ottocento anni fa...».
«Nah, pensavo più a canzoni di adesso. Anche di Mika, perché no?» disse lanciandomi un'occhiata.
«Lo ha detto apposta per avere il mio sì. Non vale prof» sbuffai.
«E comunque ascolto anche i Tokio Hotel, Avril Lavigne, i Simple Plan, eccetera».
«E mio fratello Marco» aggiunsi dopo qualche secondo.
«Tuo fratello canta?».
Io annuii «Ha vinto x-factor qualche anno fa, ho sempre saputo che avrebbe fatto strada».

In quell'istante però suonò la campanella.
Mi allontanai immediatamente da lui. Non volevo che gli altri pensassero che ci stessi provando con un professore, perché la gente giudica sempre in base a quello che vede. Che sia o meno la verità.

Infilai le cuffie nello zaino mentre lui tornava alla cattedra e sistemava le sue cose. Stavo prendendo il quaderno quando il resto della classe entrò salutando il prof.
Presero posto non senza fare rumore, noncuranti del fatto che il prof fosse in classe.
Ma dopo una decina di secondi lui si schiarì la voce facendo calare il silenzio in aula e guadagnandosi l'attenzione di 23 persone.

«Allora, oggi è la nostra terza lezione insieme. Come sapete abbiamo due ore alla settimana, una di teoria e una di storia della musica. Perciò, siccome ho bisogno di conoscere quello che avete studiato l'anno scorso e verificare il vostro livello, per oggi ho preparato un semplice test di teoria» disse alzandosi in piedi e prendendo una pila di fogli.

Tra sbuffi e lamenti vari consegnò i fogli girando tra i banchi. 
«Eddai ragazzi, è semplicemente un test, non metterò voti» aggiunse finendo il giro e risedendosi alla cattedra. «Ma guai a voi se copiate, allora in quel caso potrei anche cambiare idea».

Mi guardai intorno vedendo facce perplesse e fronti corrugate. Allora portai l'attenzione su quel foglio e lo lessi da cima a fondo.
Non mi sembrava per niente difficile, forse perché oltre alla matematica mi piaceva anche musica ed essendo sorella di un cantante ne sapevo qualcosa. Anche perché prendevo lezioni di canto da quando avevo 12 anni.

Mi guardai di nuovo intorno e sorrisi quando incontrai gli occhi di Milani. Poi mi fiondai sul foglio e in poco più di mezz'ora avevo finito. Mi alzai e andai a consegnargli il test, poi tornai al mio posto. Dopo qualche minuto Martina, la mia compagna di banco, mi chiese una risposta di quelle a crocette. Gliela suggerii e lei mi ringraziò.
Ma qualche secondo più tardi dovetti fare lo stesso anche con Francesca.
E cinque o sei persone stavano cercando di attirare la mia attenzione.

Diedi un'altra risposta, ma quando alzai gli occhi incontrai quelli del prof che mi fissavano. Cercai di mostrarmi innocente, ma lui alzò un sopracciglio guardandomi fisso.

«Cosa stavi facendo Elisa?» chiese con aria da "ti ho beccata!".
«Ehm, io... io stavo parlando da sola» dissi per non far finire nei guai nessuno.
«Ah capisco, allora vieni qui a parlare con me».

Sembrava più un ordine che un invito, perciò feci come diceva. Presi la sedia e andai a sedermi affianco alla cattedra.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - La musica: una passione ***


Presi la sedia e andai a sedermi affianco alla cattedra.
«Eh no, girati di qua!» disse quando mi sedetti rivolta verso la classe.
«Ma prof!» sbuffai alzando gli occhi al cielo, poi feci un cenno di scuse a Martina. Lei e Francesca erano quelle con cui avevo legato di più nella mia classe.
Sorrise e mimò un "grazie comunque" con le labbra.

Mi rialzai girando la sedia e mi sedetti guardando la lavagna.
Sbuffai di nuovo.
«Che bella vista prof» sussurrai facendo una smorfia.
«Posso almeno ascoltare musica?» aggiunsi dopo qualche secondo.
«No. Ma per la vista puoi sempre guardare il sottoscritto... E ora smettila di distrarmi per farli copiare».

Lo guardai e con la mano feci il cenno di chiudermi la bocca e buttare via la chiave. Poi accavallai le gambe e incrociai le braccia sul petto. Portai i miei occhi su di lui e lo osservai attentamente.
Cavolo se era bello! E quegli occhi color del cielo erano come una calamita, non riuscivo a fare a meno di guardarli.

Era concentrato su dei fogli, probabilmente i test delle altre classi. Ogni tanto alzava gli occhi per controllare la classe, e io prontamente distoglievo lo sguardo per puntarlo sulla lavagna, sui fogli, o sulle piastrelle che erano davvero molto interessanti.
Aveva due piercing, uno al sopracciglio destro e l'altro sul labbro, e questi lo rendevano ancora più intrigante ai miei occhi.

Sbuffai e gli tolsi gli occhi di dosso. Era il mio prof. Non potevo pensare a lui in quel modo e soprattutto non potevo prendermi una cotta per lui! Proprio no!
Scossi la testa come se fosse servito a togliermelo dalla testa e fissai gli occhi sulla lavagna mentre mentalmente cantavo Happy Ending.
Ma quanto ci mettevano a finire quello stupido test?

Finalmente dopo un bel po' di tempo, durante il quale nella mia testa avevo cantato anche Grace Kelly, Rain, We are golden e Lollipop, suonò la campanella.
«Bene, ora puoi andare» disse il prof alzandosi e passandomi di fianco. Mentre lo faceva mi posò una mano sulla spalla e io sentii un brivido alla schiena.
Maledetto prof, cosa mi fai?!

«Finalmente, pensavo di dover passare tutto il repertorio di Mika» borbottai sottovoce alzandomi e recuperando la mia sedia.
Tornai al mio banco mentre lui raccoglieva tutti i fogli, poi lo salutai assieme al resto della classe e lo guardai andarsene.

Dopo la sua uscita entrò la prof di inglese, una delle mie preferite. Era davvero brava e pendevo letteralmente dalle sue labbra.
Io adoravo l'inglese.
Dopotutto le canzoni che di solito ascoltavo erano in inglese, e la maggior parte delle interviste anche, per cui mi era piuttosto utile se volevo capire quello che si diceva.

Ogni volta che usciva una nuova canzone infatti la prima cosa che facevo era trovarmi il testo e capirne il significato. In camera poi, sopra al letto, avevo attaccato le frasi che mi avevano colpita di più. Magari un giorno sarei riuscita anche io a scrivere qualcosa.

La musica era la mia passione. Prendevo lezioni di canto e suonavo la chitarra dall'età di 12 anni, ed ero cresciuta cantando assieme a mio fratello. La cosa che amavo di più però era passare del tempo con lui, noi due da soli, a cantare. Io suonavo e cantavamo insieme.
Mi mancava farlo. Da quando era diventato famoso Marco era sempre distante e la sua mancanza si sentiva. Certo, non era colpa sua. Lui cercava di tornare a casa appena poteva, ma ultimamente lo avevo visto davvero poco.

A marzo era uscito il suo nuovo album, poi tra interviste, impegni vari e il tour lui era stato sempre in giro per l'Italia e aveva perfino preso un piccolo appartamento a Milano. Milano, a chilometri da qui.
Città maledetta che mi ricordava il suo cognome anche adesso. Milano, Milani. Dovevo smetterla!

Sospirai e tornai a prestare attenzione alla prof che aveva iniziato a spiegare.

Quando finalmente suonò la campanella della fine delle lezioni infilai tutto nello zaino e a passo veloce uscii dalla scuola.
Oltrepassai il cancello e mi infilai le cuffie alle orecchie, facendo partire la musica.
Sulle note di Summer Paradise mi avviai verso casa.

"La canzone giusta" pensai.
Quel sole che spaccava le pietre e quell'arietta calda sapevano proprio di estate infatti. E mi ritrovai a pensare alle vacanze al mare, alla musica ascoltata in spiaggia assieme a Marco, alle nuotate in mare... Ah, quanto mi mancavano!
Io amavo l'estate, certo soprattutto per i tre mesi di vacanza, ma adoravo veramente il caldo.
Invece il freddo non era proprio per me. Sì, mi piaceva vedere la neve cadere, il paesaggio imbiancato, le luci di Natale... ma il gelo, brrr, lo odiavo.

«Ciao!» dissi una volta entrata in casa.
«Ciao» risposero mamma e papà già seduti a tavola.
«Com'è andata a scuola?» aggiunse papà. 
«Bene, come al solito» risposi con un'alzata di spalle.
«Vado un attimo su, arrivo subito!» esclamai poi uscendo dalla cucina e fiondandomi su per le scale. Lasciai lo zaino in camera mia e dopo essere andata in bagno tornai di sotto a mangiare.
Avevo una fame da lupi!

«Prima o poi farai le scale col sedere a furia di correre su e giù Elisa» disse mia mamma ridendo.
«Dovevate mettere uno scivolo, così sarei scesa in un secondo, senza rischiare di rompermi il collo, non è colpa mia se ho fame» dissi sedendomi e iniziando a mangiare di gusto.

«Stamattina ha chiamato Marco, forse tra un po' riesce a venire» disse mamma dopo qualche minuto.
La mia bocca si spalancò in un sorriso gigante.
«Quando?» chiesi felice.
«Tra una settimana o due, ha detto di salutarti» fece lei «Sei felice eh?» 
«Sì, mi manca un sacco...» dissi sospirando.

Finii di mangiare, salutai mamma e papà che tornavano al lavoro e salii in camera. Decisi di fare subito i compiti per togliermi il pensiero, perciò tirai fuori i libri e mi misi al lavoro.
Dopo aver riletto letteratura e iniziato a fare gli schemi di storia, materie che odiavo con tutto il cuore, passai a matematica.
Aprii quaderno e libro, mi alzai e accesi lo stereo. Ormai era un'abitudine, mi piaceva fare gli esercizi ascoltando musica. Era rilassante.

Quando ebbi finito preparai lo zaino per il giorno dopo e ci infilai già un pacchetto di Ringo e un succo di frutta. La mia merenda.
Dopodiché presi la chitarra, mi sedetti sul letto ed entrai nel mio mondo: la musica.
Cantai e suonai per quasi due ore senza accorgermene.
Il tempo passava in un attimo quando facevo quello che amavo, al contrario della scuola, in cui certe ore sembravano durare giorni, mesi, o addirittura anni. Soprattutto se era una lezione di Storia, per la quale provavo un odio profondo. Date e nomi infiniti da ricordare... per carità!

Riposi la chitarra nella sua custodia e il raccoglitore delle canzoni sulla mensola, poi scesi in salotto e feci merenda con pane e nutella guardando Castle. Era uno dei pochi programmi che mi piacevano, infatti non guardavo spesso la televisione.

Preferivo di gran lunga leggere libri.
Invidiavo da morire l'attrice che faceva Kate, Stana Katic. Era bellissima.
Al contrario di me. Io non ero niente di speciale. Ero alta e magra, come mio fratello, avevo gli occhi marroni e scuri come i suoi e i capelli castano chiaro, mossi. Né lisci, né ricci.
Non mi ritenevo particolarmente bella. Andavo a periodi diciamo.

C'erano momenti in cui non mi dispiacevo e mi sentivo abbastanza bella, e altri in cui non riuscivo a guardarmi allo specchio. Ero fatta così, ero dannatamente insicura di me stessa. Avevo sempre paura di quello che avrebbero potuto dire gli altri, avevo sempre paura di essere giudicata. Ma non potevo farci niente. Era il mio carattere.

Dopo cena diedi la buonanotte ai miei genitori e andai in camera. Mi misi il pigiama, mi infilai sotto le coperte e presi il libro che stavo leggendo dal comodino.
Prima di riprendere a leggerlo però presi il cellulare ed entrai su whatsapp per dare la buonanotte anche a Marco.

"Buonanotte Marco. Mi manchi tanto, ti voglio bene!"

Lui mi rispose quasi immediatamente: "Ciao sorellina, buonanotte anche a te. Anche tu mi manchi, prometto che tornerò presto. Sogni d'oro stellina, ti voglio bene! ❤"

Sorrisi e gli risposi. "Non chiamarmi stellina, ormai sono grande. Notte Marco!"

Sorrisi di nuovo ed uscii da whatsapp spegnendo poi il telefono.
Marco era il fratello più dolce che potessi avere, sapevo sempre di poter contare su di lui se avevo bisogno perché lui c'era sempre e ci sarebbe sempre stato per me.

Mi ridestai dai miei pensieri ed aprii il libro, dopodiché mi immersi nella lettura finché non mi accorsi che gli occhi mi si stavano chiudendo. Infilai il segnalibro tra le pagine, poggiai il libro sul comodino e spensi la luce. Chiusi gli occhi e nel giro di qualche minuto dormivo già.

Quella notte sognai mio fratello e un paio di occhi azzurri.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Una speciale sorpresa ***


«Elisa, non esci con noi?» mi chiese Martina dalla porta.
«No, voglio stare un po' da sola!» risposi sorridendo.
«Va bene» disse Francesca «casomai ci raggiungi in giardino».

Annuii e le guardai uscire dalla classe.
Erano passate due settimane da quel martedì, e Marco non era ancora tornato a casa. Infilai le cuffie e feci partire la musica.
Sbuffai e presi la mia merenda, che quel giorno consisteva in un panino con la nutella. Gnam! Lo scartai e me lo mangiai stando seduta sul banco e guardando fuori.
Avevo sempre mille pensieri per la testa, anche in quel momento.

Marco era uno di questi. Sentivo troppo la sua mancanza.
Noi da piccoli eravamo molto legati, e crescendo lo eravamo diventati ancora di più.
Mamma mi aveva raccontato che lui aveva fatto i salti di gioia quando ero nata, e continuava a chiederle quando avrebbe potuto giocare con me, stando ore a guardarmi dormire nella carrozzina.
Da piccoli giocavamo sempre insieme, anche se qualche volta ci scappava di mezzo un piccolo litigio. Lui mi aveva preso la palla, io lo avevo spinto... cose così.
Lui mi teneva d'occhio ed era sempre pronto a proteggermi.

Avevo avuto paura che diventando grandi ci saremmo allontanati, ma fortunatamente non era stato così, anzi. 
Adoravo stare insieme a lui, parlare e ridere con lui, e soprattutto cantare insieme. Perché la musica era la nostra passione e cantare insieme era la cosa più bella.

Mi ridestai dai miei pensieri quando una mano mi sfiorò l'orecchio togliendomi la cuffia. Sobbalzai e mi voltai. Era lui, Milani.
«Buongiorno!» disse con quella sua voce melodiosa.
«Buongiorno prof, ma mi odia così tanto da volermi uccidere?» chiesi spegnendo la musica e togliendomi le cuffie.
Lui sorrise. «No, non è quella la mia intenzione. Ma se non ascoltassi sempre musica magari mi sentiresti arrivare no?».
Alzai le spalle e tornai a guardare fuori «Io ho bisogno della musica».

Ci fu qualche momento di silenzio.
«Va tutto bene? Mi sembri leggermente triste...» chiese appoggiandosi al davanzale.
Io annuii. «Tutto bene, è solo che mi manca mio fratello, da morire».
«Gli vuoi molto bene eh?» fece lui.
«Sì, è l'unico che mi capisce davvero. E non viene da me solo quando ha bisogno di qualcosa come fa la maggior parte della gente» risposi continuando a fissare un punto fuori dalla finestra. «Oltre alla mia famiglia, a nessuno importa di me. Sembra che io sia invisibile» aggiunsi abbassando la voce, parlando tra me e me.

«E allora con chi starei parlando? Da solo?» chiese facendomi sorridere.
«Ecco, ti ho anche fatto sorridere. Ma comunque c'è una piccola sorpresa che ti aspetta se ti giri».
Lo guardai confusa, poi mi voltai verso la porta.
«Marco?!» esclamai vedendo mio fratello appoggiato allo stipite a braccia incrociate.

Saltai giù dal banco finendo quasi addosso al prof e corsi da lui fiondandomi tra le sue braccia. Lui mi strinse a sé «Ciao Eli».
«Ciao Marco. Sei tornato!» esclamai schioccandogli un bacio sulla guancia. Lui sorrise e mi baciò sulla fronte.
«Ma come mai sei qui a scuola?» chiesi sciogliendo l'abbraccio.
«Passavo qui davanti per andare dagli zii, e Gabriele mi ha fermato» spiegò lui.

«Gabriele? E chi sarebbe?» chiesi aggrottando le sopracciglia.
«Io» rispose la voce del prof da dietro le mie spalle. Io mi voltai arrossendo «Oh, non sapevo si chiamasse così».
«Già, poi lui mi ha chiesto se volessi entrare a salutarti, ed eccomi qua».

Guardai l'orologio.
«Mancano ancora otto minuti, rimani vero?» chiesi prendendogli la mano.
Lui annuì e io lo portai verso il mio banco. Ci sedemmo vicini e lui mi passò una mano sulle spalle.
«Non mi sembra vero che tu sia qui» dissi appoggiandomi a lui «Mi sei mancato un casino».
«Anche tu, allora come va? Con la scuola, il canto...?».
«A scuola bene, canto anche. Sto cercando di trovare un lavoro, perché vorrei prendermi una chitarra elettrica e poi trovare qualcuno che mi dia lezioni» dissi.

«È una bella idea, hai chiesto a mamma e papà per la chitarra?»
«No. Non voglio fargli spendere tutti quei soldi, vorrei comprarmela da sola».
«Vedrai che troverai qualcosa, potresti sempre fare la baby-sitter visto che adori i bambini».
«È quello che pensavo, chiederò in giro...» dissi alzando le spalle.

Rimanemmo qualche istante in silenzio, che fu poi rotto dalla voce di Milani.
«Mia sorella sta cercando una baby-sitter, se vuoi le parlo di te».
Io alzai gli occhi su di lui «Davvero? Sarebbe fantastico prof, ma non sapevo avesse una sorella!» dissi stupita. Lui rise.
«I prof sono esseri umani Eli, hanno un nome e anche una famiglia. Sai, mangiano, dormono, scopano...» disse Marco prendendomi in giro.

Io inorridii, immaginandomi il prof. di italiano nudo. Bleah!!
«Tu non sai che schifo di immagine mi è passata per la testa» dissi guardandolo disgustata.
Lui rise. «Ecco vedi, non ci avevi mai pensato».
«Sai fratellino, di solito non mi immagino i prof nudi, tanto meno se sono estremamente brutti e vecchi» replicai schifata. «E ora cambiamo argomento per favore».

«Hai già deciso su cosa fare la tesina?» chiese Marco.
«No, e ho intenzione di non pensarci almeno fino a Natale. Non parlarmi di esami o me ne vado».
«Va bene, allora hai trovato un ragazzo?».
«Ma perché dobbiamo parlare di questi argomenti complicati?» chiesi sbuffando e prendendomi la testa tra le mani.

«Non mi hai risposto» fece lui.
«Nemmeno tu, comunque no. Io non capisco, tutti che mi rompono con questo ragazzo, ma trovatemelo voi!» risposi lamentandomi.
Lui sorrise divertito «Ok, quello là!» fece indicando un biondino di sotto intento a fumare.
«Ma anche no, è piccolo, fuma, e se la tira».

«Avrà la tua età Eli» disse ridendo.
«Be', e a me piacciono quelli più grandi» dissi arrossendo.
«Tipo?».
«Tipo te, se non fossi mio fratello» risposi con un sorriso. Lui mi tirò a sé stringendomi forte.
«E poi nemmeno tu ce l'hai la ragazza. Per fortuna, direi».
«Io ho te. Saresti gelosa?» chiese scrutandomi.
«Sì» dissi decisa. «Tu sei solo mio, e poi già stiamo poco insieme, se poi avessi la ragazza sarebbe ancora meno il tempo per noi due».

«Se non sapessi che siete fratelli, penserei che state insieme» si introdusse Milani.
«Forse in una vita precedente eravamo innamorati» dissi guardando il prof e sorridendo.
«Ma no, è solo che ci vogliamo molto bene, vero?» aggiunsi voltandomi verso Marco.
Lui annuì. «Ora è meglio che vada. Grazie per avermela fatta salutare Gabriele» disse alzandosi e stringendogli la mano «Ciao Eli, ci vediamo dopo. Fai la brava!».
«Ciao!» lo salutai mandandogli un bacio. Lui sorrise e sparì dalla mia vista uscendo dall'aula.

Mi girai e incontrai gli occhi del prof. «Allora canti e suoni?» chiese lui rompendo il silenzio.
Io annuii «Canto da sei anni e suono la chitarra».
«Perfetto, ho già in mente una cosa per il progetto del coro».
Io sbiancai «No, la prego prof. Ci manca solo che mi prendano in giro per come canto...».
«Se sei brava come Marco non c'è alcun pericolo».
«È impossibile che io sia brava come lui... e comunque chissà perché da quando lui è famoso quella gente si è accorta di me. Certo, solo per chiedermi di farglielo conoscere, o per fargli avere dei biglietti...» dissi sfogandomi, rivolgendomi a tutti quei ragazzi fuori in cortile.
«Ma almeno in quello ho imparato a dire di no!» aggiunsi dopo qualche secondo più a me stessa che a lui.
«Fai bene, la gente tende sempre ad approfittarne» commentò lui.

Alzai gli occhi e lo guardai. «Grazie prof».
Lui mi guardò accigliato «Perché?».
«Perché ascolta tutte queste mie cavolate. Io non so perché le sto dicendo tutte queste cose, soprattutto visto che di solito non parlo molto» dissi facendo una smorfia.
«È bello parlare con te Elisa. Ma non mi pare che tu sia una di poche parole di solito».

«Intendevo che parlo poco quando sono da sola con un ragazzo, perché lei è abbastanza giovane. Per quello...» spiegai arrossendo leggermente.
Lui sorrise «Forse ti fidi di me?».
Io alzai le spalle. «Forse...» mormorai.
Lui ridacchiò e sfilò il cellulare dalla tasca.
«Mi dai il tuo numero?» chiese alzando un attimo gli occhi su di me.
«Perché?» chiesi perplessa.
«Così lo passo a mia sorella no?» fece lui alzando il sopracciglio.
«Oh. Allora diceva sul serio!» dissi.
«Certo, io dico sempre sul serio. Allora?» continuò lui.

Sorrisi e gli dettai il mio numero, giusto un attimo prima del suono della campanella.
Tornai al mio banco mentre la classe riprendeva posto nell'aula e recuperai dallo zaino il quaderno di musica.

«Buongiorno ragazzi!» esordì stando appoggiato a braccia conserte alla cattedra facendo calare il silenzio. «Dato che voi siete l'unica classe che fa ancora musica ho deciso di farvi una proposta».
«Il Preside mi ha già dato l'ok, perciò adesso sta a voi decidere. Vorrei formare con voi un coro. Prima che vi lamentiate perché avete gli esami e bla bla però, vi dico già che non dovreste passare più ore a scuola perché si tratterebbe di usare l'ora di teoria. Cominceremmo a novembre in modo da svolgere prima un po' del programma e fare una verifica. Si Laura?».
«Che cosa vorrebbe farci cantare?» chiese la mia compagna.
«Tranquilli, pensavo a musica moderna. Come Tiziano Ferro, Laura Pausini, Katy Perry...» disse guardando la classe.
Si fermò su di me «...Mika... Poi se voi avete proposte...».
«Mi sembra una bella idea!» commentò qualcuno.
«Allora facciamo così, alzi la mano chi è d'accordo» disse Milani.

Alzai la mano e vidi che tutta la classe aveva fatto come me.
«Wow, perfetto! Ah, poi sceglierò dei solisti ovviamente, perciò chiunque lo voglia può farsi avanti. Potete ancora pensarci comunque».
«Adesso però direi di fare un po' di lezione» disse andando a sedersi alla cattedra.

Cominciò a spiegare e io presi appunti, anche se molte delle cose che stava dicendo per me non erano affatto nuove. Ma era comunque bello guardarlo parlare e spiegare con tutta quella passione. Ti veniva voglia di seguire anche se non volevi.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Uno pseudo appuntamento ***


Aspettai il suono della campanella poi mi diressi, assieme ai miei compagni, verso l'uscita. Avevamo solo quattro ragazzi in classe. Ma pur essendo in generale più educate dei maschi, mancava comunque un certo equilibrio.
A volte era davvero un inferno. Discutevamo per delle cavolate oppure ci schieravamo in gruppetti, e non risolvevamo un bel niente.

Superai il cancello e con passo veloce mi avviai verso casa, sempre con la musica nelle orecchie. Ero impaziente di arrivare per parlare con Marco, doveva raccontarmi un sacco di cose.
Spalancai la porta salutando mamma e papà che erano già in cucina, poi salii in camera mia. Lasciai lo zaino nella mia stanza e andai in bagno.

Quando uscii mi ritrovai tra quelle braccia così familiari.
«Marco, mi soffochi!» esclamai ridendo, con la faccia premuta sul suo petto.
«Scusa, ma mi mancava stritolarti così, stellina» disse lui allentando leggermente la presa.
«E a me mancavano i tuoi abbracci» replicai alzandomi sulle punte e sfiorandogli la guancia con le labbra.

«Ho fame» dissi dopo qualche istante.
Lui rise e mi lasciò andare. Poi mi seguì fino in cucina, dove mamma ci aveva già impiattato il pranzo.
Mangiai ascoltando le parole di Marco. Ci parlò dei concerti, delle interviste e di quanto adesso sentisse di essere stanco. Ci raccontò alcuni aneddoti che gli erano capitati facendoci ridere, ci parlò di com'era vivere a Milano e delle fan che incontrava spesso per strada.

Finimmo il pranzo e noi due ce ne andammo di sopra. Mi sistemai sul divano accanto a lui e iniziammo a parlare.
Parlammo per ore, di lui, della sua vita cambiata da così a così (come le gocciole), di me, delle mie lezioni di canto e della scuola.
Poi gli raccontai della proposta di Milani, e mi promise che se mai avessimo fatto un concerto lui ci sarebbe stato.
Come io ero stata ad alcuni dei suoi. In realtà avrei voluto vederli tutti, ma i miei non volevano che perdessi così tanti giorni di scuola, perciò ne avevo visti solo tre o quattro.

Parlando il tempo era volato e io dovevo ancora fare i compiti e studiare. Per cui, seppur controvoglia, mi alzai e lo lasciai a guardare la tv.
Mi presi avanti anche con le materie dei giorni seguenti e ripassai un po' di tutto. Psicologia, filosofia, pedagogia, storia... ce n'era di scelta!

Per fortuna a scuola me la cavavo abbastanza bene. Avevo solo qualche difficoltà con letteratura, il prof mi incuteva terrore e sembrava mi odiasse.
A quanto pareva i miei temi facevano schifo, anzi, non solo i miei. In generale, secondo lui, eravamo una classe scarsa e non c'impegnavamo.
D'altra parte, il prof di storia diceva che era contento di noi, e lo stesso quello di psicologia e sociologia... Quindi valli a capire i prof!

Finalmente dopo quella che mi parve un'eternità finii, perciò preparai lo zaino.
Guardai l'orologio. Avevo ancora un po' di tempo. Sfilai la chitarra dalla sua custodia, recuperai il raccoglitore dalla mensola e mi sistemai sul mio letto. Suonavo ogni giorno, o quasi. Per me era un modo per rilassarmi.

Non feci nemmeno in tempo a intonare le prime parole che Marco arrivò sedendosi di fronte a me sul letto. Allora mi fermai e sorrisi.
«Pensavi di suonare senza di me?» chiese.
«Pensavo non ne avessi voglia, lo so che sei stanco...» risposi stringendomi nelle spalle.
«Ho tempo per riposarmi, ora fammi sentire quanto sei brava».

«Ok» dissi «Mi fucili se provo a farne qualcuna delle tue?».
«E perché dovrei?» chiese ridendo.
«Perché tu sei il cantante e sei più bravo no?».
«Bah, a me fa piacere sentirti cantare le mie canzoni, quindi non preoccuparti» fece sorridendomi.

Io annuii e iniziai a suonare. Cantai qualcuna delle sue canzoni.
Poi passai a Mika. E con lui persi il conto delle canzoni, dato che le cantai tutte.
«Tu non te ne vuoi rendere conto, ma sei brava Eli. Non tutti riescono a cantare Mika così. Se lo vedo glielo dico» disse appena finii Relax, take it easy.
«No, se lo vedi me lo fai incontrare» ribattei io.
«Ai tuoi ordini sorella» concluse lui.

Io risi, poi riprendemmo e lui cantò con me finché mamma non ci chiamò a cena.
Mangiammo tutti insieme, poi io e Marco tornammo di sopra.
Mi cambiai infilandomi il pigiama e accesi la sveglia.

«Eli ho una cosa per te».
Mi girai verso la porta trovandolo in boxer. Lui dormiva così.
Si avvicinò, venendo a sedersi accanto a me e porgendomi un pacchettino.
«Questo è per farmi perdonare, spero ti piaccia» disse.
«Tu non hai proprio niente da farti perdonare Marco» risposi aprendolo.

Alzai il coperchio alla scatoletta che vi era dentro e sorrisi. Era una collana di cordoncino con una piccola chitarra come ciondolo. Era uguale alla mia, sembrava la sua miniatura.
La appoggiai sul comodino e abbracciai mio fratello. «Grazie. È bellissima».
Lui ricambiò stringendomie posandomi un dolce bacio sulla fronte «Ti voglio bene, non dimenticarlo mai».
«Anch'io ti voglio bene, sei il mio fratellone preferito».
«Anche perché sono l'unico» precisò lui sciogliendo l'abbraccio. Io risi.

Restammo un attimo in silenzio a guardarci. Poi io mi infilai sotto le coperte.
Lui si guardò intorno. «Non sei un po' grande per avere tutti questi poster sui muri?».
«No» risposi.
«Non credi che quando ci porterai il tuo ragazzo si sentirà un po' osservato?» chiese ancora.
«Ci penserò quando lo troverò, un ragazzo» risposi. «Ma tu non dovresti essere geloso di me, e tenermi distante dai ragazzi?».
«Forse, ma voglio che tu abbia qualcuno vicino ora che io faccio questo lavoro e sono spesso via. Voglio vederti felice».
«Io sono felice anche così. E comunque non posso decidere quando e di chi innamorarmi, lo sai».
Lui annuì e si alzò.

«Marco?» lo chiamai prima che uscisse. Lui si voltò.
«Hai voglia di dormire con me?» chiesi speranzosa.
Lui sorrise e tornò indietro.
«Fammi spazio stellina» disse salendo sul letto e infilandosi sotto le coperte, tra me e il muro.
«Non mi sembra vero che sei qui» dissi girandomi verso di lui. Ora eravamo uno di fronte all'altra.
Spensi la luce della camera, accendendo quella piccola affianco al letto.
Parlammo un altro po', poi Marco mi attirò a sé circondandomi con il braccio e ci addormentammo così, abbracciati come non succedeva da tempo.

-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-

Venni svegliata dal suono della sveglia, che prontamente mi sporsi a spegnere per non svegliare Marco.
Avevo ancora il suo braccio attorno a me, perciò glielo spostai lentamente.
Lui si mosse un attimo. Lo guardai ma stava ancora dormendo, quindi gli stampai un bacio sulla guancia e cercando di fare meno rumore possibile mi alzai dal letto.
Avevo una dannata voglia di restare lì con lui a dormire... maledetta scuola!

Sbuffai, poi recuperai un paio di jeans e una maglietta dall'armadio, il reggiseno e un paio di calzini dal cassetto e mi fiondai in bagno.

Dopo aver fatto colazione mi sistemai i capelli, mi truccai leggermente, presi lo zaino e uscii di casa salutando i miei.

Arrivai a scuola qualche minuto prima che suonasse la campanella, raggiunsi la mia classe ed entrai, andando a sedermi al mio posto. Pronta per un altro noioso giorno di scuola.
Aspettai con ansia la ricreazione, dopo due ore di italiano e una di latino. Mi chiedevo con che criterio venissero fatti gli orari. Il mercoledì era un inferno!

Quando finalmente finì l'ora di latino tirai un sospiro di sollievo. Presi la merenda dallo zaino e mi infilai le cuffie. I Tokio Hotel mi aspettavano.
Passai così i miei quindici minuti di pausa, una boccata di aria fresca in confronto alle altre tre ore che mi aspettavano: filosofia, storia e inglese.

Mi sentii libera quando passai il cancello. Come al solito accesi la musica e andai verso casa.
Salutai i miei e Marco, che a quanto pare si era svegliato da poco ed era ancora mezzo addormentato.

«Ehi, ben svegliato» dissi trovandolo all'uscita del bagno, di sopra.
«Ciao» rispose facendomi un piccolo sorriso «Com'è andata a scuola?».
«Solito, il mercoledì fa schifo» risposi «Ma almeno al pomeriggio ho canto».
«Ti accompagno io se vuoi oggi» disse sistemandosi un po' i capelli.

Io sorrisi «Sì, va bene. Si dorme bene nel mio letto?».
«Credo che avrei dormito anche su un letto di spine, ero distrutto» fece lui. «Tu? Dormito bene?».
Io annuii «Una meraviglia, dovrei trovarmi davvero un ragazzo. A quanto pare dormo meglio con un bel maschio vicino» dissi voltandomi per andare in camera mia.
Lui mi diede una pacca sul sedere e io scoppiai a ridere.
«Guai a te, se proprio ne hai bisogno chiedilo a me. Niente maschi nel tuo letto» disse con una smorfia.
«Ah, eccolo il fratello protettivo» scherzai per poi filare in camera.

Dopo pranzo, mentre stavo studiando, mi suonò il telefono. Era un numero sconosciuto, ma risposi comunque.
"Pronto?" chiesi aspettandomi che fossero quelli della Vodafone.
"Ciao Elisa, sono il prof Milani".
Non avevo riconosciuto la sua voce.
"Oh, ehm, buongiorno prof." risposi piuttosto impacciata.

"Senti, oggi sei libera? Ho parlato con mia sorella e vorrebbe incontrarti".
"Ho canto dalle quattro alle cinque, per il resto non ho niente da fare. A parte studiare cioè...".
"Bene, allora passo a prenderti alla scuola di canto alle cinque".
"Ma non serve che si disturbi. Posso andarci anche da sola prof".
"Tranquilla. Dovevo comunque andare da lei, perciò non c'è alcun problema".
"Allora va bene".
"Perfetto. A stasera".
"Sì, arrivederci" dissi prima di chiudere la chiamata.

Feci un respiro profondo. Perché parlare con lui mi faceva quell'effetto? Uffa.
E stasera lo avrei visto, da sola...
Dio, era il mio professore, non poteva piacermi!
Mi presi la testa tra le mani e chiusi gli occhi. Dovevo togliermelo dalla testa.
Non mi era mai capitata una cosa del genere. Nessun ragazzo mi aveva mai colpita così... perché cavolo dovevo sentirmi attratta proprio da un tipo irraggiungibile?? 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Happy Ending ***


Malgrado i miei pensieri alla fine finii di studiare e mi preparai sia fisicamente che psicologicamente alla lezione di canto e all'incontro con lui.
Prima di uscire di casa recuperai la giacca di pelle e la borsa dall'attaccapanni, poi raggiunsi Marco che mi aspettava già in macchina.

«A che ora ti devo venire a prendere?» chiese qualche minuto dopo fermando la macchina nel parcheggio della scuola di musica.
«Ah, non te l'ho detto... Passa a prendermi il prof per portarmi da sua sorella, sai, per quel lavoro da baby-sitter» spiegai girandomi a guardarlo.
«Ok, ma chiamami se hai bisogno».
Annuii e gli diedi un rapido bacio sulla guancia prima di salutarlo e uscire dalla macchina.

Entrai nell'edificio e raggiunsi l'aula di canto, dove già mi aspettava la mia insegnante.
Era una bella donna, sui cinquant'anni circa. Era stata anche l'insegnante di Marco, sapeva il fatto suo e pretendeva giustamente impegno e costanza dai suoi allievi.

Quell'ora passò fin troppo velocemente e quando uscii dal portone mi guardai intorno nel grande parcheggio.
Lo individuai subito. Era appoggiato a un'audi bianca, a braccia conserte e sorrideva.
Lo squadrai da capo a piedi mentre lo raggiungevo. Jeans, maglietta bianca e occhiali da sole. Dannatamente bello!

«Buonasera prof» lo salutai fermandomi a qualche passo da lui.
«Ciao Elisa» rispose lui aprendomi la portiera. Salii e lo guardai fare il giro e salire dall'altra parte.
«È sua questa macchina?» gli chiesi accarezzando la pelle del sedile.
Lui si girò a guardarmi con un accenno di sorriso «Sì».
«Wow, che figata!» dissi mostrando il mio entusiasmo. In tutta risposta sentii la sua risata.
Accese il motore ed uscimmo dal parcheggio. Poi accese la radio e mi presi quasi un colpo quando partì Happy Ending.
Quante probabilità c'erano che la passassero proprio in quel momento sulla radio che ascoltava lui?
Scossi la testa e iniziai a canticchiarla sottovoce, notando con la coda dell'occhio lui che mi lanciava un'occhiata e sorrideva.

Non guidò per molto, anzi. Saranno stati sì e no cinque minuti.
Casa di sua sorella, scoprii, non era molto distante da casa mia. Meglio.
Spense il motore e scese dalla macchina senza dirmi niente. Io aggrottai le sopracciglia. Se n'era andato lasciandomi lì da sola?

Ma dopo un secondo la portiera dalla mia parte si aprì e lui mi porse una mano. Lo fissai per qualche secondo chiedendomi se stavo sognando.
Poi presi la sua mano e uscii dalla macchina.
Quel contatto mi fece venire un brivido lungo tutta la spina dorsale, perciò gli lasciai subito la mano come se mi fossi scottata.
E in un certo senso mi ero scottata.

«Perché prima avevi quell'espressione strana?» chiese scrutandomi.
«Non mi aspettavo che lei mi aprisse la portiera...» dissi leggermente imbarazzata «Non mi è mai successo».
«Allora non hai incontrato molti gentil uomini» disse lui.
«No, in realtà non ho incontrato molti uomini e basta» ammisi stringendomi nelle spalle.
«Capito... Vieni» disse facendomi strada lungo il vialetto. Bussò alla porta e sentimmo dei passi veloci prima di vedere una testolina bionda sbucare.

«Zio Gabriele!» esclamò il bambino spalancando la porta e aggrappandosi alle sue gambe.
«Ciao ometto» lo salutò lui prendendolo in braccio e facendomi entrare prima di lui.
Sentii dei passi e una giovane donna comparve di fronte a noi. Assomigliava tantissimo al fratello. Anche lei aveva gli occhi azzurri e dei lunghi capelli lisci castani.

«Ciao Gabri» disse rivolta a lui, poi guardò me e sorrise «E tu devi essere Elisa, piacere io sono Serena».
Ci stringemmo la mano, poi guardai il bambino che stava cercando di attirare la mia attenzione. Il prof lo fece scendere.
«Ciao, io sono Elisa, tu come ti chiami?» gli chiesi scompigliandogli i capelli.
«Stefano, ho cinque anni» rispose lui «Vieni a giocare con me?» chiese poi prendendomi per mano.
Io annuii e lui mi guidò nell'altra stanza, il salotto. Mi fece sedere con lui sul materassino dove c'erano alcuni giochi della Lego e mi fece vedere quello che aveva costruito.

«Che belli. Lo sai che quando ero più piccola ci giocavo sempre con mio fratello?» gli confidai mentre mi faceva vedere le varie macchine.
«Adesso non giochi più?» chiese lui con quella vocetta dolce.
«No, lui adesso è grande e lavora lontano da qui».
«Allora puoi venire a giocare con me qualche volta» disse guardandomi con aria speranzosa.

«Mi scarichi così Stè?» si intromise il prof facendo il finto offeso.
«Ma no zio, tu giochi con noi!» rispose il nipotino come se fosse una cosa ovvia.
«Ah bene» disse lui «Allora gioca un po' con me mentre Elisa parla con la mamma...»

Io mi alzai e raggiunsi Serena sulla porta. Mi condusse in cucina e mi fece qualche domanda. Mi disse che a quanto pare a Stefano piacevo perciò quando lei era via potevo fargli da baby-sitter.

«Ah, senti, domani ho un impegno dalle tre. Gabriele ha detto che lo guarda lui, ma vorrei che venissi anche tu così ci prendi un po' la mano, ti andrebbe?».
«Sì, certo».
«Perfetto. Per qualunque cosa chiedi a lui, poi questo è il mio numero per qualsiasi emergenza» disse porgendomi un foglietto.
«Va bene» risposi mettendomelo in borsa.
Tornammo in salotto e Stefano mi chiamò subito a giocare, mentre sua madre andava a preparare la cena.
«Quanti anni hai?» chiese il biondino all'improvviso.
«Diciotto» risposi.
Suo zio lo rimproverò «Non si chiede mai l'età a una donna Stè».
Stefano alzò solamente le spalle senza dire niente, poi tornò a giocare.

Giocammo un altro po' insieme, poi diedi un'occhiata all'orologio.
«Mi sa che è ora che io vada a casa» dissi alzandomi in piedi.
«Non mangi con noi?» chiese Stefano.
«No, vado a casa mia. La mamma mi aspetta».
«E tu zio?» chiese allora il piccolo guardando lo zio.
«Devi chiederlo alla mamma» rispose lui.
«MAMMA?!» urlò allora Stefano. «LO ZIO PUÒ MANGIARE CON NOI?».
Serena comparve sulla porta. «Non serve che urli così, ti sento lo stesso!» lo riprese.
«Allora?» fece ancora il biondino.
«Certo che sì» rispose sua madre facendolo felice.

Io presi la borsa e andai da Serena a salutarla, poi salutai anche Stefano.
«Allora a domani prof» dissi alzando gli occhi su di lui.
«No, aspetta. Ti accompagno» disse lui avvicinandosi.
«Ma casa mia non è lontana. Posso andare a piedi» feci io «Mi piace camminare di sera».
«Comunque non ti lascio andare da sola, vengo con te» replicò lui.
Io alzai gli occhi al cielo «Va bene».
«Sere torno subito!» disse alla sorella prima di aprire la porta e farmi passare.

C'era una bella arietta, non troppo fredda, era piacevole. Percorremmo il vialetto e prendemmo la via di casa mia.
«Allora che te ne pare?» chiese lui dopo qualche passo. Camminavamo fianco a fianco.
«Stefano è dolcissimo, è davvero un bambino fantastico» dissi ripensando a quegli occhietti azzurri. Dello stesso colore della persona che mi camminava affianco.
«Anche tu gli piaci. Di solito non è così con le persone che non conosce» fece lui.

«Comunque non serviva che mi accompagnasse a casa, prof» dissi dopo qualche istante di silenzio.
«Tuo fratello mi uccide se ti succede qualcosa» rispose.
«Mmh, forse ha ragione» dissi ridendo «Ma credo di sapermi difendere».

«Ecco, questa è casa mia» aggiunsi dopo qualche metro fermandomi di fronte al cancello. Lui si fermò di fronte a me.
«Grazie per avermi fatta tornare a casa sana e salva, ci vediamo domani».
«Sì, a domani. Ciao Elisa» rispose mentre aprivo il cancello.
«Arrivederci prof» lo salutai prima di entrare e richiudermi il cancello alle spalle.

Dopo cena parlai un po' con mio fratello, lessi qualche capitolo del libro che stavo leggendo e mi addormentai ripensando alla giornata che avevo passato.

Inutile dire che sognai degli occhi azzurri e un bimbetto biondo.

-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-

DRIIIIN.
Maledetta sveglia. Aveva interrotto quel fantastico sogno.
Allungai il braccio e la spensi subito, non volevo svegliare Marco. Mi feci coraggio e mi alzai dal mio morbido letto, preparandomi ad un'altra noiosa giornata di scuola.

Scesi a fare colazione, poi tornai di sopra a vestirmi. Scelsi un paio di leggings neri e una maglietta lunga grigia e bianca, mi sistemai i capelli come meglio potevo e mi truccai leggermente.
Recuperai lo zaino e salutai mamma e papà, poi uscii di casa e attaccai la musica infilandomi le cuffie.

Stranamente la mattinata passò in fretta e dopo pranzo feci subito i compiti, preparando anche lo zaino. Dopodiché non rimase molto tempo, perciò sistemai un attimo la mia camera e infilai portafoglio, cellulare e cose varie nella borsa.

«Marco, io vado!» lo avvisai qualche minuto più tardi prima di uscire di casa.
«Va bene, a dopo» rispose lui dal divano.
Uscii e raggiunsi a piedi la casa di Serena. C'era già la macchina di Milani, perciò percorsi il vialetto e bussai alla porta.

«Ciao Elisa» mi salutò aprendo e facendomi passare.
«Giorno prof» risposi entrando.
«Com'è andata a scuola?» chiese precedendomi in salotto.
«Bene» risposi con un'alzata di spalle «Non c'è Stefano?».
Lui mi guardò «È all'asilo, adesso lo andiamo a prendere».
«Va bene» risposi. Lui spense la tv, che probabilmente stava guardando prima che arrivassi, e uscimmo. Chiuse la porta, poi ci incamminammo verso l'asilo.

Appena ci vide, Stefano ci corse incontro, fermandosi addosso a me, aggrappato alla mia vita.
Sorrisi e gli scompigliai i capelli «Ciao biondino».
«Ciao Elisa, ciao zio» disse voltandosi poi verso di lui.
«Andiamo Stè?» chiese il prof.
Il bimbo annuì, allentò la presa su di me e mi diede la mano, porgendo l'altra allo zio.

«Allora giochiamo insieme oggi?» chiese Stefano esaltato.
«Sì, sei contento?» chiesi guardandolo.
«Sì» rispose saltellando.
Diedi un'occhiata al prof. Si era infilato gli occhiali da sole, ma si vedeva il suo sorriso.
Dio, quanto era figo!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Una ragazza indifesa ***


Arrivammo a casa di Serena e io rimasi a giocare con Stefano in salotto, mentre Milani preparava delle cose per la scuola in cucina.

«Vuoi che ti faccio vedere un gioco che facevamo io e mio fratello da piccoli?» chiesi al biondino dopo un po'.
Lui mi guardò annuendo. Spostai i giochi dal materasso e mi misi a quattro zampe facendo un ponte.
«Ecco, allora, io scelgo un numero ma non te lo dico. Poi inizio a contare lentamente, e tu intanto passi sotto il ponte avanti e indietro, come vuoi... puoi anche fermarti ogni tanto. Quando arrivo al numero che ho scelto però il ponte crolla, e se tu sei sotto rimani intrappolato, perciò devi essere veloce» gli spiegai.

Lui annuì preparandosi, poi io iniziai a contare e lui a girare di qua e di là, passando sotto di me. Al numero 25 gli crollai addosso, stando attenta a non fargli male e lui scoppiò a ridere.
Continuammo per qualche minuto, poi si trovò ancora sotto di me.
«Ti piace?» gli chiesi dandogli un leggero pizzicotto sul fianco. Lui ridacchiò. Allora gliene diedi un altro e incominciai a fargli il solletico.
Ormai nella stanza risuonavano solo le sue risate...

«Ba-sta! Smettila E-lisa!!» esclamò tra una risata e l'altra, riuscendo a liberarsi dalla mia presa e a scappare. Lo rincorsi fino in cucina.
«Zio, aiutami!» esclamò implorando il prof. che ci guardava col sorriso sulle labbra.
«A fare cosa?» chiese quest'ultimo guardando il nipotino.
«A fargli il solletico, lei lo ha fatto a me!» urlò il piccoletto in risposta tirandolo per il braccio. Lui si alzò e lo guardò «Si dice "a farle il solletico" Stè, è una femmina».

Portò il suo sguardo su di me. La sua espressione non mi piaceva per niente.
Arretrai lentamente, poi velocizzai il passo facendo il giro del divano e lasciandolo tra noi.
Loro si misero uno di qua e uno di là, e in un attimo mi ritrovai circondata.

«No, vi prego!» dissi alzando le mani per difendermi. Stefano mi si avvicinò afferrandomi il braccio «Dai zio, prendila!».
Io riuscii a scansarlo e mi voltai per scappare. Ma venni bloccata da due forti braccia che mi trascinarono per terra, sul materassino.
Mi ritrovai sotto di lui. Le braccia bloccate dalla sua mano che mi teneva i polsi sopra la testa, e le gambe bloccate sotto di lui che stava seduto su di me. Aveva un'espressione trionfante sul volto e un sopracciglio alzato.

«Presa!» esclamò Stefano saltellando lì affianco. Lo guardai facendo una smorfia, poi guardai il prof.
Avevano tutti e due quel sorriso beffardo sulle labbra.
«Non vale così, due uomini contro una ragazza indifesa!» mi lamentai cercando di liberare le mani.
Milani strinse la presa sui miei polsi, mentre io cercavo di non pensare alla nostra vicinanza, al contatto dei nostri corpi...
Cavolo, dovevo seriamente smetterla!

«Allora? Cosa ne facciamo di lei Stè?» chiese guardando il nipotino.
Il biondino guardò lo zio, e poi me.
«Dai Stefano, liberami!» lo esortai.
«Ma tu mi hai fatto il solletico» protestò lui «quindi lo zio può farti quello che vuole...» continuò saltellando fuori dalla stanza.
«Stefano?!» lo chiamai. Ma era già sparito.

Sbuffai e incrociai gli occhi del prof.
«Ehm, lo zio mi libera vero?» chiesi leggermente in imbarazzo ora che eravamo rimasti da soli in quella posizione.
«Nah, credo che deciderà Stefano quando torna dal bagno» disse lui tranquillamente.
«Ma prof» gemetti facendolo ridere.

Lo fulminai con lo sguardo. «Potrei anche arrabbiarmi» dissi facendo il broncio.
«Non penso che lo farai» commentò lui avvicinando la mano lentamente.
Capii le sue intenzioni e mi dimenai cercando di sfuggirgli, ma era molto più forte di me. Perciò mi ritrovai in balia delle risate mentre lui mi faceva il solletico sui fianchi.

«Stefano liberami dallo zio cattivo!» esclamai quando il piccoletto tornò dal bagno, dopo qualche minuto. La mano di Milani era momentaneamente ferma, io cercavo di riprendere fiato.
«Lo zio non è cattivo, ti fa solo ridere» replicò lui avvicinandosi con quell'aria innocente tipica dei bambini.

Alzai gli occhi al cielo «Ma anche lui ha bisogno di ridere, dai aiutami!».
«Ma cosa mi dai in cambio?» chiese.
«Un bacino» risposi mentre il prof. ci ascoltava divertito.
Lui ci pensò su per qualche secondo. «Ok, ALL'ATTACCO!» urlò gettandosi sullo zio e facendogli allentare la presa su di me. Mi liberai e andai ad aiutare il bambino, ma con scarsi risultati. Milani riusciva a tenerci a bada tutti e due, perciò dopo un po' ci arrendemmo e ci sedemmo per terra sfiniti.

«Il mio bacino?» chiese all'improvviso Stefano sedendosi sulle mie gambe. Mi sporsi e gli baciai la guancetta.
«Che ruffiano!» commentò lo zio prendendolo in giro.
«Non è vero. È solo che lei lo ha dato a me e a te no» replicò Stefano facendogli la linguaccia, poi si girò verso di me e mi chiese di giocare.
Il prof scosse la testa divertito e tornò in cucina a finire quello che stava facendo prima che lo interrompessimo, e noi due giocammo con i Lego.

Quando tornò Serena stavamo guardando dei cartoni in tv.
Lasciai lì Stefano e parlai un po' con sua madre, dopodiché salutai lei e il fratello e mi affacciai a salutare il bimbetto. Lui mi corse incontro abbracciandomi, mi fece abbassare e mi diede un bacio sulla guancia. Lo salutai e uscii dalla casa, percorrendo il vialetto.

«Aspetta!».
Mi voltai trovando il prof che mi raggiungeva.
«Vado a casa, ti do un passaggio» disse aprendomi la portiera.
«Non serve prof, vado a piedi» risposi.
«Lasciami accompagnare una povera ragazza indifesa» fece lui con tono divertito prendendomi per il braccio.
«Non mi prenda in giro prof» borbottai mettendo piede per la seconda volta in quella fantastica auto.
«Ci sai fare con Stefano» disse accendendo la macchina.
«Be', adoro i bambini. E poi lui è molto dolce» risposi guardandolo.

-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-

Qualche settimana dopo Marco dovette ripartire per Milano.
Aveva il volo alle nove e mezza perciò lo salutai prima di andare a scuola, abbracciandolo forte.
«Ciao Eli, fai la brava» mi sussurrò stringendomi al suo petto.
«Ciao Marco» risposi con gli occhi lucidi.
Lui mi allontanò leggermente guardandomi negli occhi «Ti prego, non piangere stellina». Mi strinse di nuovo a sé e mi lasciò un bacio sulla fronte.
Feci un respiro profondo, sciolsi l'abbraccio e lo salutai un'ultima volta prima di uscire di casa.

Feci il tragitto fino a scuola a passo veloce, ero un po' in ritardo. Ma fortunatamente arrivai in tempo e raggiunsi la mia classe giusto un secondo prima del suono della campanella.
Probabilmente non sentii nemmeno una parola di quello che venne spiegato la prima ora.
Ripensavo a mio fratello e già mi mancava.

In queste poche settimane avevamo passato molto tempo insieme, quando non dovevo fare da baby-sitter a Stefano. Avevamo parlato per ore, guardato insieme i nostri programmi preferiti alla tv, cantato e suonato... e avevamo dormito ancora insieme due o tre volte.

Quando lui non era a casa mi sentivo molto più sola. Mamma e papà lavoravano e io rimanevo per ore in quella casa silenziosa, senza sapere cosa fare.

Per questo anche ascoltavo tanta musica. Mi teneva compagnia. Attaccavo lo stereo in salotto e ci mettevo i cd di Mika, poi cantavo facendo finta di essere su di un palco. Si, se qualcuno mi avesse visto probabilmente avrebbe pensato che fossi pazza, ma io così mi divertivo. Almeno Mika mi dava un po' di gioia e allegria...

Mi sforzai e cercai di prestare attenzione alla lezione. Ero in quinta, non potevo permettermi brutti voti.
Ma almeno era venerdì.

Passai come sempre la ricreazione da sola e dopo la sesta ora uscii a passo svelto da quel cancello. Come sempre attaccai la musica e mi infilai le cuffie camminando a ritmo.
Arrivata a casa mangiai assieme ai miei, anche se rimasi piuttosto silenziosa.

Dopo pranzo feci i vari compiti. Più che altro si trattava di studiare per le verifiche e le interrogazioni varie. Guardai un episodio di Castle in tv, suonai qualche canzone e iniziai a rileggere per l'ennesima volta la saga di Harry Potter.

Mi divorai quasi mezzo libro prima che la mamma mi chiamasse a preparare la tavola. Cenammo e poi tornai di sopra a guardare un po' di tv. Non rimasi su fino a tardi dato che l'indomani avevo scuola ed ero stanca. Ed effettivamente non mi ci volle molto per addormentarmi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Cominciata bene, finita male ***


«Buongiorno ragazzi, allora, pronti per la prima lezione di coro??» chiese il prof. entrando in classe e scatenando una serie di risposte incomprensibili.

«Allora, spostate i banchi e le sedie lungo i muri» disse indicandoli.
«Senza trascinarli magari!!» aggiunse alzando la voce per sovrastare il rumore assordante che si stava creando.

Quando i banchi furono spostati ci ammassammo davanti a lui in attesa di nuovi ordini.
«E adesso?» chiese Martina incrociando le braccia sul petto.
«Intanto voi maschi mettetevi di qua!» disse lui guardando i ragazzi e indicando alla sua sinistra.
«Voi invece di qua» aggiunse rivolto a noi ragazze.

Ci spostammo seguendo le sue indicazioni. Maschi da una parte e femmine dall'altra.
«Perfetto. Ora iniziamo ascoltando la prima canzone che ho scelto». Andò dietro la cattedra e trafficò sul suo computer portatile.
Fece partire la canzone e la riconobbi all'istante rischiando di svenire. Lo guardai, incrociando i suoi occhi. Mi fece un sorriso che io non ricambiai, dovevo ancora riprendermi.

Mi concentrai sulla mia canzone preferita iniziando a canticchiarla non troppo forte e lasciandomi cullare dalla voce di Mika. Il mio sguardo era fisso sul computer, mi immaginavo quel ragazzo riccioluto cantare davanti a me. Sorrisi. Quanto avrei voluto abbracciarlo in quel preciso momento.

Verso la fine della canzone alzai gli occhi e incontrai quelli azzurri del prof.
Questa volta gli sorrisi, come per ringraziarlo della canzone. Quella canzone che, pur essendo triste, per me era la più bella e la più importante.
Lui fece lo stesso e io distolsi lo sguardo, sentendomi in imbarazzo.

«Ecco. Allora, questa era Happy Ending di Mika. Non so se la conoscete tutti, comunque sarà il nostro primo tentativo. Lorenzo distribuisci i fogli per favore!» disse allungandogli i fogli.

Si appoggiò alla cattedra e aspettò che tutti avessimo il foglio in mano. Ne presi uno, anche se non ne avevo assolutamente bisogno, il testo lo sapevo fin troppo bene.

«Bene. Ah, per la parte solista ho scelto io» disse. Lo guardai e volli sprofondare. Quegli occhi azzurri che tanto adoravo erano fissi su di me. Sbiancai e scossi la testa cercando di fargli cambiare idea.

«Elisa, è tutta tua» concluse ignorando i miei cenni.
Lo fulminai con lo sguardo mentre una ventina di teste si giravano a guardarmi. Maledetto prof.

Sentii alcune mie compagne sussurrare tra loro cose non proprio belle. Ci mancava solo che se la prendessero con me. Sospirai.
Dopo qualche secondo Milani riattirò l'attenzione su di lui.
Ci fece risistemare in semicerchio e iniziò a farci ripetere il ritornello, prima a noi ragazze e poi ai ragazzi. Devo dire che non veniva fuori proprio uno schifo.

Lo schifo più che altro era che non sarei mai stata in grado di cantare quella canzone, non davanti a tutta questa gente. Alle lezioni di canto eravamo solo io e la mia insegnante, per cui non avevo mai avuto un pubblico. E io ero timida.

E per di più non ero Mika. Lui aveva un'estensione vocale di cinque ottave, o almeno così avevo sentito. Non sarei mai stata alla sua altezza, e mi stavo già facendo i complessi mentali...

Mi riscossi dai miei pensieri e ritornai con i piedi per terra. Il prof stava spiegando come respirare con il diaframma. Dopodiché ci fece fare qualche vocalizzo.

Le altre ore passarono abbastanza veloci, e quando suonò la campanella della fine delle lezioni tutti si alzarono in fretta ansiosi di uscire da lì.
Chiusi lo zaino e me lo misi in spalla, poi mi avviai verso la porta.

Mi sbilanciai per un attimo quando qualcuno mi prese per il braccio. Mi voltai trovandomi di fronte a Ludovica, Benedetta e Stefania. Il terzetto di stronze, sempre pronte a criticare tutto e tutti.

«Vi serve qualcosa?» chiesi gentilmente cercando di capire cosa volessero. Eravamo rimaste solo noi quattro.
«"Vi serve qualcosa?"» mi fece il verso con la sua vocetta stridula e odiosa Ludovica.
La guardai confusa.
«Pensi di essere la più brava solo perché sei la sorella di Marco?» sputò fuori Benedetta dandomi una spinta. Arretrai tra i banchi.

«Si, ora oltre che la cocca del prof. di matematica sei anche la cocca di Milani?» aggiunse Ludovica colpendomi alle spalle.
«Io... non è vero!» protestai impaurita. Non le avevo mai viste così.
«Oooh "Non è vero!"» disse Stefania facendo una smorfia.
«Però intanto il prof. ha scelto te e quella stupida canzone di quel gay del cazzo!» sputò Ludovica spingendomi di nuovo e facendomi cadere lo zaino.

«Non parlare di lui in quel modo!!» dissi sentendomi la rabbia montare dentro.
«Perché? Altrimenti cosa fai? Stai zitta va!!» disse Benedetta dandomi un'ultima spinta che mi fece perdere l'equilibrio. Caddi per terra sbattendo la testa sul muro, mentre loro tre se ne andavano lasciandomi lì da sola.

Mi portai la mano sulla nuca dove avevo sbattuto mentre i miei occhi diventavano lucidi. Ero sotto shock e mi faceva malissimo la testa, probabilmente mi sarebbe spuntato un bel bernoccolo l'indomani. Cercai di alzarmi, ma ci rinunciai. La testa mi girava e le lacrime mi impedivano la vista.

Attirai le gambe contro il petto e mi rannicchiai appoggiando la testa sulle ginocchia. Cosa avevo fatto di male per meritarmi questo? Perché cavolo non ero riuscita a difendermi?

Rimasi così mentre le lacrime scendevano senza accennare a smettere. Non mi accorsi nemmeno che qualcuno era entrato nella stanza, che quel qualcuno si era accorto di me, finché non sentii la sua voce sopra di me.
«Cazzo, Elisa, che cosa è successo? Stai bene?». Era lui, il prof.
Non risposi. Sentii la sua mano stringermi il braccio, ma non volevo che mi vedesse così, perciò rimasi com'ero.
«Elisa calmati dai» disse. Probabilmente si era abbassato per essere alla mia altezza.

Lui aspettò finché smisi di piangere. Mi asciugai gli occhi con le maniche e tremando riuscii ad alzarmi. Barcollai ma lui mi prese tenendomi per la vita. Io avevo ancora le mani davanti alla faccia.

«Dove vuoi andare?» chiese preoccupato.
«In bagno» risposi a voce così bassa che quasi non si sentiva.
Lui mi accompagnò senza lasciarmi un secondo fino al bagno. Mi aggrappai al lavandino e mi risciacquai la faccia. Dopodiché presi della carta e mi asciugai, buttandola poi nel cestino.

Feci qualche passo uscendo dal bagno. Lui mi fu subito accanto, senza toccarmi. Ma questa volta fui io ad aggrapparmi al suo braccio perché tutto aveva ripreso a girare.
«Mi gira la testa» spiegai chiudendo gli occhi e sperando che passasse.
Lui mi circondò immediatamente la vita col braccio, appoggiai la testa sulla sua spalla e mi lasciai riportare in classe da lui.

Prese una sedia e mi fece sedere. Poi mi guardò preoccupato. «Ora mi dici cosa cavolo ti è successo per ridurti così?».
«È tutta colpa sua, se non avesse scelto me tutto questo non sarebbe successo!» dissi con la voce roca dal pianto.
«Guardami e dimmi cosa è successo Elisa» disse con tono autoritario. Alzai gli occhi e li fissai in quelle pozze azzurre.

«Hanno detto che penso di essere la migliore solo perché sono la sorella di Marco, e che sono la sua preferita prof, e che mi ha scelto per questo, poi hanno insultato Mika e mi hanno spinto... ma non sono riuscita a difendermi!» dissi guardando il pavimento. «Sono caduta e ho battuto la testa, ho provato ad alzarmi ma girava tutto...».

«Chi?» chiese mettendomi una mano sulla spalla.
Lo guardai e scossi la testa. «Lo faranno di nuovo» sussurrai impaurita.
«Invece no, lo dirò al preside e ci saranno delle conseguenze. Credimi Elisa».
«Ludovica, Benedetta e Stefania» sussurrai dopo qualche attimo di silenzio.

«Bene. Stai meglio ora?» chiese scrutandomi.
Annuii e mi alzai, mi appoggiai ai banchi e recuperai lo zaino. La testa mi faceva ancora un male cane e facevo fatica a camminare.

«Elisa, non stai bene. Chiama qualcuno che ti venga a prendere» disse lui affiancandomi.
«Mamma e papà sono via fino a domani, Marco è a Milano. Non importa, ce la faccio» dissi mentre una lacrima mi solcava di nuovo le guance.
«Cazzo» imprecò lui guardandomi «Ti porto da me».
«Cosa? No!» replicai «basta che mi accompagni a casa, solo quello».
«Non ti lascio a casa da sola in questo stato Elisa, nemmeno per sogno» rispose lui prendendomi lo zaino dalle spalle «Fortuna che avevo dimenticato qui la giacca».

Mi accompagnò alla sua macchina facendomi sedere, poi mise lo zaino nel bagagliaio e prese posto alla guida.
Arrivammo in un attimo, poi mi aiutò a scendere sostenendomi per il braccio e accompagnandomi fino in salotto. Mise lo zaino a terra e mi guardò.
«Elisa» disse guardandomi preoccupato e dispiaciuto mentre alcune lacrime mi rigavano il viso.
«Non ce la faccio» spiegai chiudendo gli occhi «Ho bisogno di Marco».

Dopo nemmeno due secondi mi ritrovai nel suo abbraccio, il viso sul suo petto e le sue braccia intorno a me. «Va tutto bene, non sei sola ok?» disse con voce rassicurante.
«Respira e pensa a Mika che in questo momento starà cercando di parlare l'italiano con i suoi concorrenti di x-factor, sparando qualche cazzata».
Sorrisi e lo circondai timidamente con le braccia.

«Grazie» sussurrai qualche minuto dopo sciogliendo l'abbraccio leggermente in imbarazzo.
Lui sorrise «Va meglio?».
Annuii «Ho ancora mal di testa però».
«Ok, siediti qua. Preparo qualcosa da mangiare e poi ti do una pastiglia, tu intanto fai come se fossi a casa tua. Ah, attenta a non schiacciare il gatto che è sul divano».
Mi guardai attorno e individuai un micetto grigio che dormiva sul divano.
«Come si chiama?» chiesi al prof che era già in cucina.
Lui si affacciò alla porta con un sorriso «Spark».

Mi sedetti sul divano e presi il micetto in grembo. Iniziai ad accarezzarlo e lui fece le fusa chiudendo gli occhi e strofinandosi sulla mia mano. Quanto era dolce!

Dopo qualche minuto mi alzai tenendolo in braccio e mi guardai attorno. Vicino alla tv c'era una libreria piena di libri e qualche foto. Mi avvicinai e guardai le foto. Lui con la sua famiglia, insieme al nipotino, lui da piccolo con la sorella. Era bellissimo fin da bambino!

Sospirai, poi lo raggiunsi in cucina. Stava buttando la pasta perciò mi dava le spalle.
«Posso aiutarti?» chiesi facendolo voltare.
«Sei passata al tu ora?» fece lui sorridendomi.
«Oh, ehm...» balbettai in imbarazzo.
«Tranquilla, mi fa piacere. Solo non mi viziare troppo Spark».
Io sorrisi «È bellissimo».
«È anche un gran rompipalle quando ci si mette» disse lui preparando il tavolo.
«È un maschio, è ovvio» commentai alzando le spalle.
Lui mi guardò alzando un sopracciglio.
«Che c'è? È la verità!» dissi in risposta al suo sguardo.
Lui rise.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Quando qualcuno ti raddrizza la giornata ***


«Va meglio adesso?» chiese dopo qualche secondo, mentre stava preparando la tavola.
«Sì, è solo la testa che mi fa ancora male. Mi è uscito il bernoccolo a quanto pare» risposi passandomi una mano sulla nuca e facendo una smorfia.
«Dopo chiamo il preside» disse guardandomi.
«No ti prego, non dirlo a nessuno!!» lo pregai agitandomi.
«Elisa, lo sai che quello che hanno fatto è sbagliato. È giusto che siano punite!» replicò lui avvicinandosi a me e mettendomi una mano sulla spalla.
«Lo so, ma sarebbe peggio. Già credono che io sia la tua preferita perché hai scelto me e quella canzone, grazie mille!» dissi acida.

Lui incrociò le braccia al petto «Ho scelto te perché fai canto, e quella canzone perché so che ti piace e la sai cantare. Ho visto la tua reazione stamattina quando ve l'ho fatta sentire, eri felice» disse fissandomi negli occhi.
«Sì be', finché non ho scoperto di doverla cantare io. Io non sono Mika» replicai ricambiando il suo sguardo «Non ci riuscirò mai!».
«Vedremo!» concluse lui andando a scolare la pasta.

Lasciai perdere e andai a posare Spark sul divano.
«Prof, posso andare in bagno?» chiesi dal salotto.
«Sì, nel corridoio, la prima porta a sinistra» rispose lui dalla cucina.
Ci andai e mi lavai le mani. Poi mi guardai allo specchio. Avevo ancora gli occhi rossi e lucidi. Fanculo!

Tornai in cucina e presi posto di fronte a lui, davanti a un bel piatto di pasta.
Mangiammo in silenzio, poi lo aiutai a spreparare. Tornai in salotto e mi sedetti a fianco a Spark, premendomi le dita sulle tempie. Mi appoggiai allo schienale e chiusi gli occhi. Maledetto mal di testa!

«Ecco qua!». Aprii gli occhi e presi la pastiglia e il bicchiere che mi stava porgendo. La buttai giù, poi gli restituii il bicchiere «Grazie!».
Lui tornò e si sedette accanto a me.
«Mi dispiace, scusa per tutto questo» mormorai evitando di guardarlo.
«Non dirlo nemmeno, dispiace a me per quello che ti hanno fatto» disse lui alzandomi il mento e facendo incontrare i nostri occhi.

«Non è colpa tua, è colpa mia che non mi sono difesa, ho perso l'equilibrio e ho battuto la testa» borbottai. «E comunque non ha senso, avrebbero potuto proporsi loro con quelle voci del cazzo! Ora sembro una drogata, con questi occhi...».
«Non è vero, sei bellissima!».
Io arrossii e distolsi lo sguardo.

«Ascolta, adesso ti sdrai un po' così ti passa il mal di testa, poi ti faccio vedere una cosa e proviamo con Happy Ending» disse alzandosi «Io intanto mi correggo i compiti».
«Mmh, va bene, buon divertimento!» dissi sarcastica mentre si allontanava.

Mi sdraiai sul fianco, portando il micetto tra le mie braccia. Lui mi leccò un po' la mano, poi si rigirò e si mise a ronfare. Chiusi gli occhi e mi riposai un po'.

«Spark, perché mi stai leccando?» mormorai riaprendo gli occhi un po' di tempo dopo.
Mi ritrovai davanti il micetto grigio che mi guardava. Era così carino. Lo accarezzai con la mano e lo avvicinai a me dandogli un bacio.
«Sei bello come il tuo padrone» gli sussurrai all'orecchio.

«Me lo stai viziando?».
Sobbalzai e guardai sopra di me.
«Mi hai fatto prendere paura» dissi «Comunque sì, è troppo carino!».
«Come va?» chiese allungando il braccio e accarezzando in testa il micio.
«Bene» risposi tirandomi su, poi mi alzai dal divano tenendo Spark.
«Allora vieni con me!» fece lui.
«Io... forse dovrei andare a casa. Non voglio disturbare...» dissi guardando l'ora.
«Ma figurati, e poi guarda Spark. Ha tutta l'aria di voler rimanere in braccio a te per sempre» rispose lui prendendomi per il polso e portandomi di sopra.

Rimasi a bocca aperta. C'era un pianoforte a coda nero nel centro della stanza, la quale si affacciava sul salotto. Poi, vicino alla parete c'erano tre chitarre elettriche e due acustiche. Lì vicino degli amplificatori e i vari cavi. Era il paradiso!
«Wow!» dissi ammirando la stanza mentre accarezzavo distrattamente il gattino «Suoni il pianoforte? E la chitarra?».
Lui sorrise con aria divertita annuendo. Poi si sedette sullo sgabello del piano e posizionò le dita sui tasti incominciando a suonare. Happy Ending.

«Forza, provaci!» disse voltandosi e incitandomi.
Annuii e feci un bel respiro, ma quando fu ora di iniziare mi bloccai. Lui mi guardò e smise di suonare «Ehi, che succede?».
«Io...» cominciai, evitando i suoi occhi «Io non ci riesco...».
«Perché?» chiese dolcemente.
"Perché ci sei tu, ecco perché!" pensai.
«Non ho mai cantato di fronte ad altri a parte la mia insegnante e Marco...» spiegai intimorita.
Lui si alzò e mi venne di fronte, poi allungò la mano, alzandomi il viso «Guardami».
Alzai gli occhi, perdendomi in quei pozzi azzurri.
«Non devi aver paura di cantare davanti a me, Elisa, ti ho già sentita e sei brava. Lo penso davvero» disse con la sua voce rassicurante.
«Mmh, ok».

Si risedette e ricominciammo. Riuscii a cantare tutta la canzone, fortunatamente senza fare grandi errori.
«Grande, dovresti seguire le orme di tuo fratello» disse tornando di fianco a me.
Io lo guardai, aggrottando le sopracciglia «Sai meglio di me che non durerei in un programma del genere col carattere che ho, mi hai visto oggi...».
«Forse non sembra, ma tu sei forte. Lo so».
Io scrollai le spalle non sapendo cosa dire, e riportai gli occhi su Spark.

Ritornammo di sotto e quando gli dissi che sarei andata a casa insistette per riaccompagnarmi.
Spense il motore davanti a casa mia e mi guardò. Ammirai ancora il suo viso. Quegli occhi azzurri che ogni tanto animavano i miei sogni e quei capelli castani un po' spettinati che gli davano un'aria da figo.
Scese dalla macchina e fece il giro, venendomi ad aprire la portiera e porgendomi la mano.
La presi e scesi dalla macchina, poi gliela lasciai.

«Grazie mille per oggi» dissi torturandomi le mani e sentendomi un filino nervosa.
«Cos'è che ti rende così nervosa ora?» chiese facendomi portare lo sguardo su di lui.
Io arrossii. «Oh, ehm... è che lei, cioè... tu...» cominciai balbettando.
Lui rise.
«Non ridere uffa, non aiuta!».
«Va bene. Qual è il problema?» chiese infilandosi le mani in tasca.
Feci un respiro. «Ok, è che non so come rivolgermi a te. Oggi abbiamo parlato come se tu fossi Marco, tu però non sei mio fratello ma il mio prof e io ti sto dando del "tu" e mi sembra di mancarti di rispetto...» dissi fissandomi le mani.

«Ah, ecco. Intanto parlare insieme non è vietato, avevi bisogno di qualcuno e c'ero io, per fortuna aggiungerei. Poi, mi sembra normale che tu mi dia del "tu" fuori da scuola, in più ci siamo già parlati perché sei la baby-sitter di mio nipote e ci conosciamo...».

«Ok, scusa se ho detto che era colpa tua, non è vero» aggiunsi alzando gli occhi su di lui.
«Non preoccuparti» rispose «Basta che tu stia bene».
Io annuii. «Grazie davvero per tutto, buona serata!».
Lui sorrise «Anche a te, ci vediamo!». Sorrisi e lo guardai tornare in macchina, poi entrai in casa.

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«Ciao Eli!!» esclamò Marco. Era lunedì sera ed era appena entrato in casa. Appoggiò la valigia per terra e mi stritolò in un abbraccio da orso. Sorrisi e gli baciai la guancia. «Ciao Marco!».
«Preparati, mercoledì vieni con me a Milano!» mi sussurrò all'orecchio.
Io spalancai gli occhi «Davvero?». Lui annuì, e io gli saltai in braccio, facendolo ridere.
«E la scuola?» chiesi aggrottando le sopracciglia.
«Rilassati, ho parlato con mamma e papà, recupererai quei cinque giorni».
«Cinque? Marco ti amo!!» esultai stringendolo.
Lui scoppiò a ridere.

«Mi sei mancato un casino fratellino» dissi più tardi, quando eravamo seduti di sopra sul divano.
«Anche tu stellina, mi farò perdonare in quei cinque giorni. Ci sarà una sorpresa per te!» disse lui.
«Ma così mi fai stare in ansia» protestai facendolo ridere.
«Dai, raccontami cosa hai fatto mentre ero via!».
«Le solite cose, ho fatto da baby-sitter a Stefano, che tra l'altro vuole conoscerti, le lezioni di canto, poi abbiamo iniziato col coro a scuola... e mi tocca fare la parte solista» riassunsi.
«Forte! Che canzone?» fece lui.
«Happy Ending» risposi guardandolo.
«Be', allora sarai perfetta lo so!» commentò tirandomi a lui e baciandomi la fronte.
Alzai le spalle «Se lo dici tu».
Lui rise.

Guardammo ancora un po' la tv, finché non decisi che era ora di andare a letto.
«Io vado a dormire» dissi alzandomi dal divano.
Lui sbadigliò senza ritegno «Anch'io. Sono distrutto, quando torno a casa devo sempre recuperare il sonno perduto...».
Si alzò anche lui e spense la tv. Feci qualche passo verso le nostre camere.

«Marco?» chiesi fermandomi.
«Mmh?» chiese lui guardandomi.
«Dormiamo insieme?» chiesi facendogli gli occhi dolci.
Lui mi fissò «Stavolta da me».
«Ok» risposi scrollando le spalle. Recuperai il cellulare da camera mia e lo raggiunsi nella sua camera. Era in maglietta e boxer. Obiettivamente era davvero un bel ragazzo.

Si infilò sotto le coperte e io lo raggiunsi. Impostai la sveglia e appoggiai il telefono sul comodino.
«È un po' più complicato di quando eravamo piccoli, stai attenta a non cadere giù» disse dopo qualche secondo.
«Per quello si va meglio da me, alla peggio mi schiacci sul muro...» risposi dandogli la schiena.
«Vieni qua dai!» fece lui prendendomi per la vita e attirandomi più vicino al suo corpo.
«Posso abbracciarti?».
«Non serve mica che me lo chiedi!» risposi ridendo.
«Be', lo sai, non sei più una bambina. Potrebbe darti fastidio...».
«Finché tieni le mani a posto è tutto ok» risposi sbadigliando.

«Notte sorellina, ti voglio bene!» sussurrò dopo aver spento la luce, circondandomi con un braccio.
«Buonanotte Marco, io te ne voglio di più» risposi chiudendo gli occhi.
«Non è vero...» lo sentii borbottare prima di addormentarmi.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Incontri inaspettati a Milano ***


Io e Marco eravamo appena atterrati a Milano. Recuperammo le nostre valigie e uscimmo nel parcheggio dell'aeroporto.
Prendemmo un taxi che ci portò al suo appartamento, Marco pagò il tassista e dopo aver preso le valigie mi fece entrare nell'edificio. Prendemmo l'ascensore fino al quinto piano, uscimmo nel pianerottolo e poi mio fratello mi condusse nella sua "casa".

Non era grandissimo, cucina e salotto, bagno e due stanze.
«Ecco! Non è granché, ma mi serviva solo un posto dove stare e qui c'è tutto il necessario» fece lui mostrandomi le stanze.
«Non è male. È carino!» dissi ammirando la città dalla vetrata in salotto.
«Si. Ti va di fare un giro fuori?».
Annuii. Ero eccitata, finalmente ero a Milano!!

Camminammo tra negozi e vetrine, che mano a mano si illuminavano col calare della sera. Alcune fan di Marco lo fermarono per fare qualche foto o un autografo, erano abbastamza gentili fortunatamente.
Non sopportavo quelle che invece gli si buttavano addosso, erano snervanti.

Ad un certo punto facemmo dietro-front e tornammo indietro, era quasi ora di cena.
«Ordiniamo la pizza?» chiese in ascensore.
Io lo guardai e sorrisi battendo le mani «Si!».
Lui ridacchiò scuotendo la testa.

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Il giorno dopo Marco mi portò a visitare la città. Andammo a vedere un mucchio di bei posti, come il duomo e i navigli.

Sfortunatamente non vidi Mika seduto su nessuna panchina. Sapevo che gli piaceva stare lì...

A mezzogiorno mangiammo in un ristorante, poi riprendemmo il nostro giro.
Stavamo passando di fronte a dei negozi quando mi fermai ad ammirare un vestitino bianco che era in vetrina. Era semplice, sotto il seno aveva una fascia di pizzo nera e poi cadeva morbido sui fianchi. Arrivava un po' sopra il ginocchio, non era troppo corto. Era davvero bello! Me lo immaginai addosso in una serata speciale, magari con un paio di converse nere e una borsetta...

«Ti piace?».
Sobbalzai e mi risvegliai da quella specie di bolla in cui ero caduta.
«Oh... scusa» biascicai girandomi a guardare Marco.
«Ti starebbe bene, perché non lo provi?» chiese incoraggiandomi.
«Io... non so...» mormorai indecisa.
«Su dai, entriamo!» disse prendendomi per un braccio e trascinandomi dentro il negozio.
Alzai gli occhi al cielo e lo seguii.
Lui parlò con la commessa, la quale dopo qualche minuto tornò da noi con lo stesso vestito della vetrina in mano.

Mi accompagnò al camerino e me lo porse. Lo indossai e mi guardai allo specchio. Questo si che mi faceva sentire bella. Guardai il cartellino del prezzo e sbiancai. Costava troppo per me. Ma provarlo non costava niente no?
Scostai la tenda ed uscii facendomi vedere da mio fratello.

«Sei bellissima Elisa, guardati, ti sta d'incanto!» disse indicandomi e facendomi girare verso lo specchio. 
«Grazie, ma non posso... costa troppo per me» dissi voltandomi a guardarlo.
«Per me no, pensavo fosse scontato» replicò lui sorridendo.
«No Marco, non puoi» ribattei.
«Invece si, nessuno mi può vietare di spendere i miei soldi per la mia sorellina. È un regalo, te lo meriti» disse avvicinandosi e guardandomi negli occhi. Poi mi posò un bacio sulla fronte.
«Ti voglio bene, sei il miglior fratello del mondo!» dissi abbracciandolo di slancio.

Tornai nel camerino a cambiarmi, poi Marco mi trascinò alla cassa pagando il vestito. Uscii contenta dal negozio col sacchetto in mano.
«Grazie».
«Questo lo metti stasera» disse ammiccando.
«Stasera? Dove andiamo stasera?» chiesi scrutandolo.
«Vedrai!» rispose con aria divertita.

«Eli sei pronta?» mi chiamò qualche ora più tardi mio fratello dal salotto.
«Arrivo!». Mi guardai un'ultima volta allo specchio. Indossavo il famoso vestitino bianco. Mi ero truccata leggermente e avevo sistemato i capelli che ora mi ricadevano morbidi sulle spalle. Al collo avevo la collana con la chitarra che mi aveva regalato Marco e al polso dei braccialetti. Mi infilai le converse nere, la giacca e presi la borsetta. Ero pronta!

«Sei bellissima, dovrò stare attento a chi ti guarda stasera» disse Marco quando gli arrivai davanti.
«Ma smettila!» mormorai imbarazzata mentre mi prendeva sottobraccio e mi portava fuori di casa.

Dopo dieci minuti di macchina entrammo in un parcheggio.
Scendemmo e Marco mi guidò verso un edificio. Entrammo da una porta secondaria dove un uomo ci fermò e dopo aver scambiato qualche parola con mio fratello ci fece passare.

Cercavo di capire dove eravamo, ma era difficile dal momento che stavamo percorrendo un corridoio poco illuminato. Sbucammo in un altro corridoio un po' più grande e illuminato. Mi ci volle qualche secondo per registrare le immagini che stavano vedendo i miei occhi. Poi spalancai la bocca.

«Marco? Siamo ad x-factor?» chiesi con un tono di voce molto strano.
«Sì» rispose semplicemente.
«Perché non me l'hai detto? Potevi avvisarmi prima che mi ritrovassi una gigantografia di Mika davanti agli occhi. Mika, capisci?!?» blaterai fissando quella foto. Dio, quanto era bello!
«Ma aspetta... allora Mika è qui?!?» esclamai esaltata guardandolo. Lui annuì divertito dalla mia reazione, fissando qualcosa alle mie spalle.

«Cosa...?» cominciai girandomi e perdendo un battito. Mika. Era lì. A qualche passo da me. Spalancai gli occhi, poi cercai di riprendermi velocemente.
Lui si avvicinò, senza rendersi conto che mano a mano che avanzava io rischiavo di svenire.

«Ciao Marco!» esclamò il ricciolo fermandosi davanti a noi.
«Ehi, buonasera Mika» rispose dal mio fianco Marco.
Si strinsero la mano, poi Mika guardò me.
«Ciao, sei la sua girlfriend?» chiese in perfetto Mikaliano facendomi un sorriso.
«Ciao. N-no» balbettai arrossendo.

Lui guardò Marco leggermente perplesso.
«È mia sorella. Di solito parla molto, deve essere il fatto di averti così vicino...» gli spiegò divertito.
Mi ridestai. «Stai zitto Marco! Scusa, mi chiamo Elisa».
Lui mi porse la mano e gliela strinsi cercando di non andare in brodo di giuggiole.

«Bello tuo nome, mi piace. So, tu sei mia fan?» chiese con quel suo accento inglese molto figo sorridendomi.
Io arrossii di nuovo. «Sì, you are the best!» dissi.
«Grazie eh!» commentò con ironia mio fratello dal mio fianco prendendosi un'occhiata da me.
«Oh, thank you!» rispose Mika passandosi una mano tra i ricci e regalandomi un sorriso stupendo che mi fece sciogliere il cuore.

«Mika, vacci piano. Questa mi sviene qui» disse mio fratello indicandomi e scatenando una risata da parte del riccio.
«Non è vero!» protestai arrossendo.
«Suoni la... how do you say guitar?» chiese Mika guardandomi e indicando la collana.
«Chitarra» risposi «Si, da sei anni».
«È brava si, ma dovresti sentirla cantare» si intromise Marco.
«Oh, davvero? Canti?» chiese Mika riportando gli occhi su di me.
Marco annuì. «Canterà Happy Ending a scuola come solista col coro».
«Questo potevi anche fare a meno di dirglielo eh?» dissi girandomi e fulminandolo con lo sguardo. Lui rise.
«Really?» chiese allora Mika guardandomi sorpreso.
«Si, non è colpa mia» mormorai imbarazzata.
«Oh, don't worry! Se tu ha la voce di tuo fratelo you can do it!» disse posandomi la mano sulla spalla.

Si guardò il polso per qualche secondo, la fronte corrugata.
«Oh, fuck it!» sbottò all'improvviso portandosi una mano sugli occhi.
«Sono le sette e mezza» dissi dando un'occhiata al Kukulakuku.
Lui tolse la mano dagli occhi e mi guardò «Grazie! Io non riesce a leggere l'orologio».
«Sì, lo so. Però con Yasmine ne hai fatto uno bellissimo!» dissi mostrandoglielo.
Lui sorrise «So, tu sai tutto di me!».
Io risi «Non proprio tutto tutto».

«Venite con me!» disse all'improvviso con un'espressione da bambino. Che bello che era!
Io e Marco lo seguimmo faticando a stargli dietro finché non arrivammo in una stanza piena di gente.
«Ehila Marco!» gridò Morgan con un bicchiere di vino in mano facendogli un cenno.
«Morgan!» lo salutò mio fratello quando l'altro fu davanti a noi.
«E questa bella ragazza?» chiese dopo qualche secondo guardandomi da capo a piedi.
Marco mi circondò le spalle col braccio. «Mia sorella, giù le mani bello!» disse facendo ridere sia Morgan che Mika.
«Oh, peccato! Te lo rubo qualche minuto bella, tu goditi quel fighetto inglese» esclamò prendendo Marco e trascinandolo da qualche parte.

«Cosa ha detto? Io non ha capito...» mi chiese Mika qualche secondo dopo.
Lo guardai «Ehm, he said that he takes away my brother, so I can stay with this... I don't know how to say "fighetto"... maybe a really beautiful and good guy?».
Lui rise «Me? I'm not that».
Io lo guardai «Yes, you are».
«Nah. Ma possiamo parlare italiano? Io deve imparare...».
«Ok. Ma tu sei già bravo lo stesso» risposi con una scrollata di spalle.

«Tu non sapevi che io era qui? Prima ti ho visto sorpresa» chiese sorridendo.
«È colpa di Marco, lui non mi ha detto che venivamo qui. Ho visto la tua foto e ho capito...» spiegai guardando in su. Era abbastanza alto.
«Oh, e sei felice di essere qua?».
Annuii e sorrisi «Sono sei anni che aspetto di incontrarti!».
«Davero? Oh my God, come here!» disse stringendomi in un abbraccio. Io arrossii e lo strinsi inspirando il suo profumo.
«Later possiamo fare una foto, se tu vuole» disse sciogliendo l'abbraccio.

«Ah bè, non c'è bisogno che tu glielo chieda Mika!» gli rispose Marco affiancandoci e baciandomi la guancia.
«Vieni Eli, ti faccio conoscere qualcuno. Mika vieni con noi?».
«Oh, yes. Volete wine?» chiese prendendo un calice da un vassoio appoggiato sul tavolo lì vicino. Marco ne prese altri due e uno lo porse a me.
Poi ci dirigemmo verso un angolo della stanza.

«Marcooo!» esclamò una figura conosciuta.
«Ciao Ale!» lo salutò mio fratello ridendo.
«Ehi Mika, un'altra conquista?» chiese poi al riccio indicandomi.
«Si, lei è la mia girlfriend staserra» rispose cingendomi la vita col braccio.
«È Elisa, la mia sorellina, che a quanto pare stasera si prende tutte le attenzioni» spiegò lo scemo bevendo dal calice.
«Ma smettila, sei tu quello famoso!» ribattei assaggiando il vino. Molto buono.

Parlammo ancora per un bel po' e mi fecero conoscere il resto dei giudici e lo staff finché non fu quasi ora della messa in onda.
Io e Marco li seguimmo nel backstage. Ci sedemmo su dei divani dove avremmo potuto seguire tutto dagli schermi, poi salutammo i giudici.
«In bocca al lupo Mika!» esclamai prima che uscissero.
Lui si girò e mi sorrise «Crepi!».

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Un nuovo amico? ***


Seguimmo con ansia la puntata, poi ad un certo punto Marco li raggiunse al tavolo dei giudici lasciandomi da sola.
Sentivo un certo languorino perciò chiesi a un ragazzo dello staff dove avrei potuto trovare da mangiare.
Questo dopo dieci minuti tornò con una vaschetta di patatine fritte. Lo ringraziai e parlammo un po' insieme, mangiando di tanto in tanto qualche patatina.
Mi disse che si chiamava Andrea e aveva 23 anni. Era molto carino, aveva i capelli biondi e il ciuffo che gli scendeva fin quasi a coprire i suoi occhi azzurri. Avevo un debole per gli occhi azzurri...

Dopo qualche minuto lui mi salutò e tornò al lavoro, e qualche minuto più tardi ricomparvero i giudici e Marco. Si buttarono poco elegantemente sui divani recuperando altri calici di vino.
«Oh good, I'm hungry!» esclamò Mika allungando una mano e rubandomi una patatina. Si era seduto accanto a me.
Sorrisi e ne presi una anch'io.

«Grazie Eli!» fece mio fratello rubandomene una anche lui.
«Ehi!» protestai allontanando la vaschetta da lui.
«A lui non hai detto niente sorellina!».
«Lui è Mika» risposi con un'alzata di spalle.
Il diretto interessato guardò Marco con aria di vittoria e un sorrisetto in faccia.
Io risi dell'espressione di mio fratello: sembrava leggermente frustrato.
Allora mi sporsi verso di lui, gli baciai la guancia e gli offrii le ultime patatine.

Ero seduta tra mio fratello e il mio "idolo".
In realtà non sapevo come definirlo.
Sì, era uno dei miei cantanti preferiti, ma non era solo questo. Lui era una guida, un modello da seguire, avevo imparato tante cose da lui e dalle sue azioni... e tante cose avevo ancora da imparare.

Spesso pensavo che ero fortunata ad essere la sorella di Marco. Non perché era famoso, non per questo. Anche se molte persone avrebbero voluto essere al mio posto probabilmente.
Marco era una persona semplice, dolce e umile. Per certi versi un po' simile a Mika.
Anche se quest'ultimo non potevo dire di conoscerlo bene, purtroppo.

Eppure ora mi ritrovavo seduta tra due delle persone più importanti della mia vita. Due ragazzi che mi avevano cresciuta, uno con la sua voce, l'altro con la sua presenza. Ero felice!

Mi avvicinai al mio fratellone che stava chiacchierando con gli altri e gli diedi un bacio sulla guancia.
Lui sorrise, poi mi guardò alzando un sopracciglio.
«Grazie per tutto questo» gli sussurrai all'orecchio «Ti voglio bene».
Il suo sorriso si allargò, poi mi prese il volto alzandomelo e avvicinò le sue labbra al mio di orecchio.
«Anche io» rispose, poi mi sfiorò la tempia con le labbra lasciandomi un piccolo bacio, e mi circondò le spalle con il braccio, riportando poi l'attenzione sul gruppetto.

Lo imitai, ma poi sentendomi osservata voltai la testa verso la mia sinistra. Mika mi stava guardando mentre giocherellava col cellulare.
«Che c'è? Ho qualcosa in faccia?» chiesi toccandomi il volto.
Lui scosse la testa. «No, io guardava voi. Tu e Marco siete molto dolci insieme, guarda!» disse trafficando con il cellulare.
Mi liberai dalla stretta di Marco e mi avvicinai a lui.
«Io adoro voi così» disse ancora mostrandomi una foto. Una foto di me che baciavo la guancia a Marco, poi un'altra di lui che ricambiava e che mi stringeva.
Sorrisi «Ehi, perché mi fai le foto?».

«Voi siete belli» rispose con un'alzata di spalle e un sorriso da bambino.
«Anche tu con le tue sorelle» risposi abbassando gli occhi.
«Io adoro le mie sorelle, anche mio fratello. Ma non ci vediamo spesso...» raccontò lui «Ma tu come fa a sapere?».
«Oh, ehm...ho delle foto vostre molto belle...» risposi imbarazzata.
«Hai mie foto in tuo mobile?» chiese allora.
Io annuii. «Si, però si dice cellulare o telefono, non mobile» lo corressi.
«Oh, fuck it. But, perché hai le mie foto?» chiese allora.

Incrociai quei suoi occhi castani e riabbassai subito lo sguardo «Perché tu sei importante, e così quando sono triste le guardo».
«E tu poi sta melio solo con le mie foto?» chiese facendomi ridere per la sua espressione perplessa.
«Sì, e con le tue canzoni. Per questo sei importante, tu mi sei sempre stato vicino, mi hai insegnato tante cose e sei il mio maestro. Per questo ti dico "grazie"» risposi abbassando gli occhi e sentendo le mie guance colorarsi.
«Davero? Tu pensa questo di me?» chiese ancora.
Annuii.
«Ma tu è embarassed? Why?» aggiunse notando il rossore probabilmente.
«Perché ti ho detto quelle cose e forse non dovevo».

«Perché?» chiese allora appoggiando la sua mano sulla mia. La guardai. Era così grande rispetto alla mia mano, quelle dita suonavano tutte quelle melodie che coloravano la mia vita...
«Non lo so... Io sono così, sono timida, ho sempre paura di quello che pensa la gente» risposi rialzando gli occhi e incontrando i suoi.

«Tu no deve avere paura di questo, tu sei bella, sei forte, tu deve credere in te Elisa» disse guardandomi negli occhi.
«Grazie Mika» risposi.
«Tu no deve ringraziarme».
«Invece si, perché ci sei sempre stato anche se non lo sapevi, era da tanto che volevo dirtelo. E grazie per aver parlato con me, mi hai fatto felice».
«Well! Tu ha parlato con me senza avere paura, right?».
Io annuii titubante.

«So, tu puoi farlo anche con le altre persone, così poi loro vedono che sei speciale. Tu non deve mai avere paura, tu deve essere quello che vuoi essere. Chissenefrega di quelo che dicono e pensano gli altri!».
Lo ascoltai pendendo dalle sue labbra. Che belle parole!
«Grazie, di nuovo».

Lui sorrise e mi tirò a sé in un abbraccio. «Grazie anche a te. E adesso facciamo una selfie!».
Sfilò di nuovo il cellulare dalla tasca e lo portò davanti a noi.
«Are you ready?» chiese sistemandosi i capelli.
«Sei perfetto così Mika» lo rassicurai «Comunque sì, sono pronta».

«Posso vederla?». Lui annuì mostrandomi cinque foto.
Feci una smorfia «Oddio, faccio schifo!».
«Non è vero, tu è venuta bene» replicò lui.
«TU sei venuto bene, tu vieni sempre bene. Può piovere, può esserci la bora o un sole che spacca le pietre, può essere mattina o notte fonda. In qualsiasi foto tu sei bellissimo, non è giusto!».
«Ma io no è belo...» concluse lui con una smorfia.
Io alzai un sopracciglio «Invece sì. Però le hai fatte col tuo cellulare...».
«Se tu mi dai il tuo numero, poi io te le mando. Anche quelle col tuo fratelo» disse con una scrollata di spalle.

«Dici sul serio? Poi avrei il tuo numero, non mi sembra una cosa molto intelligente da fare» riflettei da una parte eccitata per l'idea.
«Ma Marco ha già il mio numero, tu no lo sapeva?» chiese sorpreso.
«Sì. Però Marco è Marco, lui non è un tuo fan. Cioè, in realtà sì... ti ha anche chiesto l'autografo a x factor, ma... voglio dire, tu lo conosci...» cominciai cercando di spiegargli la mia idea.
«Ma io pensava che tu avessi chiesto a lui mio numero!».
«Oh, no. Non sarebbe stato giusto nei tuoi confronti, e poi non avrei mai potuto disturbarti. Mi avresti odiata!» feci aggrottando le sopracciglia.

«Tu è strange» concluse lui.
«E tu sei pazzo, è per questo che io ti adoro» replicai io.
Lui mi guardò e mi fece il sorriso più bello.
Quando mi ripresi sorrisi anch'io. Dopodiché, visto che insisteva, gli dettai il mio numero e lui mi mandò le foto su whatsapp.
«Grazie Mika» dissi cercando di contenere l'eccitazione e la gioia. Dopotutto ora avevo il numero del mio cantante preferito! E sarebbe rimasto un segreto, un segreto nostro. Non lo avrei detto a nessuno.
«Giuro che lo terrò per me e non lo dirò mai a nessuno» aggiunsi dopo qualche secondo.
«Sei una brava ragazza, but now io deve andare» disse alzandosi e raggiungendo gli altri giudici pronti a tornare in scena.

Scambiò poi qualche battuta con Morgan. Quest'ultimo si girò verso me e Marco.
«Rimanete qua, poi andiamo tutti a fare festa! Marco, Elisa, ci conto!!».
«Va bene boss» rispose Marco.
«See you later!» mi salutò Mika con un sorriso prima di scomparire sul palco.

Sorrisi e saltellai fino ad arrivare di fronte al mio fratellone. Lo abbracciai di slancio stringendolo forte a me.
«Sei il miglior fratello del mondo lo sai? Grazie».
«Sei felice?» chiese lui.
«Sì, da morire. Ci ho parlato insieme, abbiamo fatto delle foto e adesso ho anche il suo numero. È proprio come me lo immaginavo, anzi, meglio» raccontai allontanandomi leggermente.

«Sembri innamorata di lui» constatò inclinando la testa da un lato e accennando un sorrisetto.
Io arrossii «Bè, non lo sono. Gli voglio solo un mondo di bene, come ne voglio a te. Lui è importante quanto te, e ci tengo davvero a lui».

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Piccola Solitaria ***


Purtroppo quei pochi giorni di "vacanza" passarono troppo veloci. Ma in compenso erano stati bellissimi. Soprattutto grazie a Mika, inutile dirlo.

Il giovedì sera, dopo la fine della diretta di X-Factor, eravamo rimasti con i giudici a mangiare qualcosina nel backstage. Poi, ad un certo punto avevano messo su della musica, col risultato che avevo ballato con Morgan e Mika. Il primo aveva un qualcosa che mi attraeva, ma continuava a provarci con me finché non era arrivato Mika a salvarmi dalle sue grinfie.

A quel punto ero quasi convinta di stare sognando. Ballare con Mika era il paradiso. E lui aveva un profumo buonissimo, era una meraviglia.
Gli avevo promesso che lo avrei incontrato di nuovo, prima o poi. Più prima, speravo, che poi.
E lo avevo ringraziato un'ennesima volta per quella fantastica serata.

Continuai a seguire x-factor tifando ovviamente per la squadra di Mika. Diciamo che lo guardavo soprattutto grazie alla sua presenza, e sì, forse anche perché aveva dato la possibilità a mio fratello di fare quello che amava...

Intanto il tempo era volato. Era ormai l'inizio di dicembre e il freddo aveva preso il posto del caldo dell'estate. Inutile dire che fin dal primissimo giorno di scuola avevamo iniziato a contare i giorni mancanti. Sia alle vacanze di Natale, che alle vacanze estive.
Anche se ci aspettava la maturità, perciò speravo il tempo non passasse troppo in fretta.

Recuperai le mie cose e le infilai nello zaino, pronta per finire l'ennesima giornata di scuola.
Avevo ricevuto il compito di italiano, 5 come il solito. Ormai non ci speravo nemmeno più, quel prof mi odiava tanto quanto Piton odiava Harry. Forse anche di più. Ma almeno l'odio per Harry da parte di Piton aveva un motivo, quello per me no.

In più quella mattina, essendo in ritardo e quindi di corsa, avevo dimenticato le cuffie a casa. Ovviamente me ne ero accorta solo mentre correvo cercando di arrivare in orario...

Diciamo che la giornata era iniziata male, per poi continuare male.
E finiva decisamente male, constatai guardando dalla finestra.
Pioveva.
Anzi no, diluviava.
E ovviamente la sottoscritta aveva lasciato a casa anche l'ombrello. Perfetto!

Sbuffai e aspettai il suono della campanella, poi mi infilai tra la folla che usciva.
Mi tirai su il cappuccio della giacca e infilai le mani in tasca, dopodiché uscii all'aperto.
Ci mancava solo il diluvio universale per rendere una giornata storta ancora peggiore.

Uscii a passo veloce dal cancello e mi avviai verso casa. Probabilmente dopo quel quarto d'ora di camminata sarei arrivata fradicia e con una broncopolmonite. Che nervi.

Ero arrivata in fondo alla via quando sentii arrivare una macchina da dietro. Giurai che se mi avesse bagnata passandomi accanto avrei dato di matto!
Ma la macchina rallentò fin quasi a fermarsi «Ehi, Elisa. Sali su!».
Girai la testa. «Prof?» chiesi tra lo stupito e l'imbarazzato.
«Sì, dai muoviti che ti accompagno!!» esclamò lui facendomi segno.
«No» risposi scuotendo la testa «Sono tutta bagnata, ti sporco la macchina».
«Come vuoi, se non sali tu vengo a prenderti io» fece lui.
Lo guardai. Sguardo deciso e sopracciglio alzato. Sarebbe sceso sul serio.
Sospirai e feci il giro della macchina, salendoci.

«Ciao Piccola Solitaria».
«Ciao» risposi ignorando il modo in cui mi aveva chiamato e abbassandomi il cappuccio. Almeno i capelli erano asciutti. Solo quelli, a quanto pareva.
«Non serviva, potevo andarci a piedi» dissi mentre lui ripartiva.
«E ammalarti? Non è la cosa migliore da fare...».
«In effetti no, ma ormai» risposi indicandomi. Poi mi girai a guardare dal finestrino in silenzio.

«Sei silenziosa oggi». Eravamo quasi arrivati a casa mia.
«Lo sono sempre» dissi portando lo sguardo sulla radio.
«Non con me di solito» precisò lui.
«Mmh» commentai «non è stata la mia giornata migliore oggi».
«Davvero? Non l'avrei mai detto!» ironizzò lui. Lo guardai storto.
«Ti va di parlarne?».

«Ma non è niente di che. Praticamente stamattina ero in ritardo, ho dimenticato a casa le cuffie e mi sono dovuta fare la strada di corsa senza musica. Poi il prof di italiano ha deciso bene di mettermi un altro 5, è evidente che mi odia. E per finire sembra che mi sia fatta un bagno in piscina vestita, perché ovviamente non avevo l'ombrello».
«Nessuno ti odia» disse lui spegnendo il motore. Eravamo arrivati.
«Invece sì, per quanto io studi il voto è sempre quello... vabbè, me ne sono fatta una ragione. Ora mi tolgo dalle scatole, grazie prof per "avermi salvata"!».
Lui sorrise guardandomi con quegli splendidi occhi «Quando vuoi, buona giornata».
«Grazie, anche a te. Ciao!» risposi aprendo la portiera.
«Ciao!» fece lui alzando l'angolo della bocca.

Scesi e corsi alla porta. Entrai e mi tolsi zaino, giacca e scarpe lasciandoli nell'ingresso poi mi andai a cambiare, subito dopo aver salutato mamma e papà, e scesi a pranzo.

«Chi ti ha accompagnato prima?» chiese papà infilzando la pasta con la forchetta.
«Il prof di musica, mi ha trovata per strada e si è fermato. È lo zio di Stefano» risposi prima di riempirmi la bocca. Che fame!
«È abbastanza giovane, e anche carino mi sembra» commentò mia madre.

La guardai sbalordita. «E quando l'avresti visto tu?» chiesi aggrottando la fronte.
«Lui e Marco erano nello stesso gruppo di amici, anche se poi si sono un po' persi di vista. Ma credo si sentano ancora qualche volta».
«Ah, non ne sapevo niente» risposi. In effetti non avevo mai visto o conosciuto gli amici di mio fratello...
«Oggi vai da Stefano?».
«Mh, no. Serena mi ha chiesto se ci vado domani dalle tre e mezza alle sei e mezza. Comunque oggi studio, ho un sacco di materie da fare».

Il pomeriggio infatti lo passai immersa nello studio. Letteratura, storia, pedagogia e chi più ne ha più ne metta... mi concessi solo una piccola pausa tra mezzo, Castle mi aspettava!
Smisi si studiare solo all'ora di cena. Papà era andato a prendere le pizze. Non c'era niente di meglio che una pizza post-studio.

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«Ciao Elisaaa!».
Stefano mi corse incontro appena fui entrata dalla porta dell'asilo, tutto carino col grembiulino azzurro.
«Ciao ometto!» lo salutai prendendolo in braccio.
«Lo sai che oggi abbiamo mangiato la torta perché Thomas compie gli anni?!» mi disse mentre gli infilavo giacca e berretto.
«Ah sì? Ed era buona?».
Lui annuì. «Tutta al cioccolato come piace a me!».
«Mmh, buona. Dai che andiamo» dissi prendendolo per mano e salutando le maestre.

«La mia mamma mi ha detto che oggi viene anche lo zio Gabriele a giocare con noi!!» fece Stefano tutto esaltato mentre si toglieva giacca, berretto, grembiule e scarpe.
«Davvero? E come mai?» chiesi nervosa ma anche felice all'idea.
«Ha detto che voleva stare un po' con me e giocare. E poi lui è sempre a casa da solo, poi diventa triste se non può giocare con nessuno» spiegò tutto serio fissandomi con i suoi occhioni azzurri.
«Giusto, hai proprio ragione Stè!».
«Lo so!» rispose con un'alzata di spalle.
Sorrisi, quel bambino era troppo forte.

«Vado io, vado iooo!». Appena era suonato il campanello il biondino era saltato in piedi ed era corso alla porta.
Sorrisi, quel bambino era davvero una forza.
«Ciao ziooo!» lo sentii esclamare dal salotto.
«Ciao ometto» rispose l'altro. Qualche secondo ed entrarono in sala, il nipote in braccio allo zio. Si volevano davvero bene.
La scena durò solo per qualche attimo però, perché poi il biondino si fiondò di nuovo a giocare con le macchinine ignorandoci.

«Ciao Piccola Solitaria».
Si era tolto la giacca ed era venuto a sedersi vicino a me.
Sorrisi «Ciao prof. Perché mi chiami così?».
«Perché è quello che sei, una piccola solitaria» disse guardandomi. «Allora? Oggi è stata una giornata migliore?».
«Sì. Bè, in effetti non ci voleva molto...» risposi.
Lui rise.

«Invece di parlare di cose noiose giocate con me?» chiese Stefano in piedi davanti a noi.
«E tu che ne sai se parlavamo di cose noiose?» gli chiese il prof.
«Boh» rispose il piccolo alzando le spalle.
«Buona risposta ometto, a cosa vuoi giocare allora?» gli chiesi alzandomi.
«Con le macchinine!» rispose tirandomi sul materassino. «Dai zio, gioca anche tu!!» aggiunse poi tirando giù anche lui.

«Cosa gli hai dato oggi?» mi chiese un'ora dopo il prof mentre Stefano correva al bagno.
Mi girai a guardarlo «Io? Niente».
Lui era sdraiato sul fianco sul materassino, io ero seduta un po' più in là. E finora avevo cercato di non fissarlo troppo.
Non per dire, ma aveva i jeans e una camicia bianca con qualche bottone aperto.
Praticamente tutto di lui mi attraeva.

«Tu e mio fratello vi conoscete?» chiesi dopo qualche attimo.
«Sì, perché?» corrugò la fronte guardandomi.
«Me l'ha detto ieri mia mamma, io non lo sapevo. Marco non mi ha mai fatto conoscere i suoi amici...» spiegai abbassando lo sguardo sulle mie dita e sentendomi arrossire.
«Sì, uscivamo spesso insieme con altri della nostra età. Ho solo due anni più di lui alla fine».
Feci un rapido calcolo. Perciò ne aveva 27, nove più di me...
«E poi?» alzai lo sguardo su di lui.
«Poi ognuno è andato per la sua strada. Ma ogni tanto ci sentiamo e andiamo tutti a berci qualcosa come ai vecchi tempi».
«Detto così sembra siano passati quarant'anni» constatai.

«Elisaaaa! Devo dirti una cosaaaa!!». Stefano arrivò di corsa urlando.
Risi, poi lo guardai «Sì?».
«Oggi Kevin mi ha detto che lui è fidanzato con una bambina bellissima» disse fermandosi di fronte a me.
«Ah sì?» chiesi non avendo idea di quel che volesse dirmi.
Lui annuì «E allora ha cominciato a prendermi in giro perché io no, ma io invece gli ho detto che anche io ce la ho».
«Stè, lo sai che non si dicono le bugie» intervenne il prof con aria leggermente divertita.
Lui si girò a guardarlo con aria seria «Non è una bugia zio, io ce la ho la fidanzata».
«Come si chiama?» chiese l'altro.
«Elisa» rispose il biondino.

Il prof mi guardò divertito. Io alzai le spalle.
«Questa Elisa?» chiese indicandomi con la testa.
Stefano annuì «E gli ho detto che è bellissima, ma non è una bugia».
«No, in effetti no. Ma non credi che forse sarebbe meglio una bambina della tua età?».
Ero combattuta tra il ridere e il sotterrarmi. Un bimbo di 5 anni che discuteva con lo zio riguardo la mia bellezza. Robe da matti!

Stefano mi scrutò. Poi tornò a rivolgersi allo zio «Ah. Sono troppo piccolo per lei. Forse vuole uno più grande».
«Direi di sì» rispose l'altro.
«Tu sei grande zio» disse ancora Stefano.
Spalancai gli occhi intuendo il suo pensiero. Poi mi coprii la faccia con le mani in attesa della conclusione imbarazzante, e appoggiai la testa sulle ginocchia.
«Ma allora tu puoi essere il suo fidanzato!» esclamò il piccoletto.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - "Dai zio, baciala!" ***


Erano passate circa due settimane dal giorno in cui Stefano aveva suggerito a Milani che avrebbe potuto essere il mio fidanzato. Ripensandoci non so come avevo fatto a tirarmi fuori da una situazione tanto imbarazzante...

A scuola stava andando tutto bene e i prof continuavano a dirci di cominciare a pensare alla tesina e all'argomento da affrontare.
Non ne avevo la più pallida idea. Magari avrei chiesto a Marco un consiglio...
Col coro si proseguiva alla grande, avevamo fatto molte altre canzoni e le tre oche, Ludovica, Benedetta e Stefania, mi avevano per fortuna lasciato in pace da quel fatidico giorno.

Pur essendo metà dicembre gli studenti continuavano comunque ad uscire a ricreazione, per fumare più che altro. Altri si riunivano nei corridoi e guardavano la gente che passava.
Altri ancora, come me, se ne stavano in classe tranquilli, lontano dalla confusione.
Questa volta non mi ero infilata le cuffie, ma mi ero portata un libro da leggere, più precisamente "Harry Potter e il principe mezzosangue". Mi ero seduta per terra sulla giacca con la schiena appoggiata al termosifone. Si stava da dio.

Mi mangiai il panino mentre leggevo, finché non sentii la porta aprirsi. Mi ero completamente dimenticata che fosse martedì, e che Milani avrebbe passato la ricreazione in classe nostra.

Avrei voluto scappare a nascondermi, pensavo che prima o poi questa attrazione verso di lui mi sarebbe passata, ma ormai continuava da tre mesi e io non sapevo cosa fare.
Richiuse la porta, ma probabilmente non mi vide perché non mi salutò. Feci un sorrisetto, poi tornai a leggere. Ero così concentrata che nemmeno mi accorsi che lui in realtà si era accorto di me ed era arrivato tra i due banchi dov'ero.

«Ciao Elisa». Sobbalzai e alzai gli occhi. Aveva uno sguardo divertito, cosa che avevo notato spesso in lui.
Arrossii. «Buongiorno prof».
«Cercavi di nasconderti da me?» chiese sempre con tono divertito.
«Io? No... Sto leggendo» risposi mostrandogli il libro.
«E stai comoda?» chiese alzando il sopracciglio col piercing. Maledettamente bello era!
Annuii.

«Devo ancora capire perché vuoi rimanere sempre da sola» disse lui sedendosi nello spazio vicino a me, e appoggiandosi al termosifone.
«Non c'è niente da capire...» risposi alzando le spalle e riportando gli occhi sul libro.
«Invece sì, non me lo vuoi dire?» chiese dolcemente.
«Perché dovrei?» chiesi arrossendo per la sua vicinanza.
«Pensavo ti fidassi di me!» rispose lui.
«Mi fido, però non ho niente da spiegare, sono fatta così...».

«Mmh» commentò lui «Arriverà il giorno in cui parlerai con me?».
«Ma io parlo con te, e ti ho anche detto troppe cose finora. Cose che tu nemmeno dovresti sapere».
«Possiamo parlare insieme anche se sono un professore Elisa, non è niente di illegale... se questo è il problema».
«È complicato» risposi fissando lo sguardo sul libro.
«Capito, comunque se hai bisogno ci sono» disse lui alzandosi. Annuii.

Quando alzai lo sguardo lui se ne era già tornato alla cattedra. Ripensai un attimo alla nostra breve conversazione, poi ritornai al mio libro e alle avventure di Harry, Ron ed Hermione.

Le ore mancanti non ci misero molto a passare, soprattutto perché non prestavo davvero tanta attenzione ai prof. Ripensavo a quello che lui mi aveva detto. Fin dall'inizio stranamente non avevo avuto grandi problemi nell'aprirmi con lui.
Stranamente, perché la timidezza spesso mi portava a cercare di stare in disparte, a non parlare con altre persone che non conoscevo bene, a sentirmi a disagio soprattutto con persone dell'altro sesso.

Invece con lui era stato diverso. Certo, la sua presenza mi causava tachicardia e nervosismo... ma parlare con lui mi veniva naturale, e lo trovavo strano, ma allo stesso tempo bello.
Forse davvero mi fidavo di lui, mi aveva fatto capire che non avrei dovuto avere paura del suo giudizio e avrei potuto contare su di lui.

Questa cosa mi faceva sentire in qualche modo più leggera, era come aver trovato un amico, anche se non era proprio un amico. O almeno, lui non sapeva che per me stava diventando sempre più importante, e speravo davvero che non se ne accorgesse.

Perché alla fine non ci incontravamo solamente a scuola. Capitava spesso che passasse a salutare il piccolo Stefano mentre c'ero io con lui... e allora inevitabilmente parlavamo assieme mentre giocavamo col biondino. Della scuola, di musica, di qualsiasi altra cosa...

Probabilmente in mancanza di mio fratello, lui era diventato una buona persona con cui parlare. Tra una cosa e l'altra io e Marco non ci sentivamo tanto spesso, ma sicuramente a Natale sarebbe tornato, anche perché ci sarebbe stato il suo compleanno. Dovevamo festeggiare per bene!

"Anzi, a proposito di compleanno e Natale" pensai mentre tornavo verso casa avvolta nella giacca con tanto di guanti, sciarpa e berretto, "devo muovermi a prendere i regali!".
Eh già, non avevo ancora preso niente, e mancavano poco meno di due settimane. Dovevo assolutamente farmi venire qualche idea... e poi volevo prendere un regalo anche a Stefano, addio cari soldi!

Arrivai a casa tutta infreddolita, salutai mamma e papà e dopo essermi cambiata scesi a mangiare.
Passai qualche ora a studiare e a prendermi avanti con i compiti dato che spesso dovevo badare a Stefano. Poi mi guardai un po' la tv e il resto del tempo lo passai suonando.

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La mattina dopo fortunatamente riuscii a farmi portare a scuola da papà. In realtà avevo la patente, ma non la macchina... quindi per forza o dovevo andarci a piedi o mi facevo accompagnare.
La mattinata passò anche abbastanza velocemente. Era ora di verifiche e interrogazioni varie, per il momento tuttavia me la cavavo abbastanza bene. Vabbè, a parte italiano...

Dopo pranzo messaggiai un po' con mio fratello, ormai ero abituata, però era strano ritrovarsi a casa da sola per tutto questo tempo.
Dopodiché mi preparai e andai a prendere Stefano all'asilo.

Mi salutò come sempre abbracciandomi, poi andammo a casa sua.
Giocò un po', poi mi chiese di leggergli un libretto. Era la storia di Biancaneve e i sette nani. Cominciai a leggere facendogli vedere le immagini del libretto. Lui pendeva letteralmente dalle mie labbra.

«Giochiamo a Biancaneve e i sette nani?» mi chiese una volta finito, alzandosi e guardandomi speranzoso.
«Va bene Stè».
«Allora, tu sei Biancaneve... io sono la regina cattiva... e aspetta! Vado a prendere i sette nani!!» esclamò correndo poi in camera sua.

«Ecco! E questa è la casetta dei sette nani» disse indicando il divano.
Sorrisi e seguii le sue istruzioni mano a mano che la storia andava avanti.
«Ciao bella ragazza, la vuoi una di queste belle mele rosse?» chiese facendo la voce roca.
Soffocai le risate e annuii, poi presi una mela finta, feci il gesto di morsicarla e feci finta di svenire cadendo sul divano, chiudendo gli occhi.

Lo sentii avvicinarsi coi vari pupazzi e fare le voci dei nani.
Aveva una fantasia incredibile, questo bambino era fantastico!

«Oh no, Biancaneve è morta!» disse facendo una vocina acuta, e poi facendo finta di piangere.
Cercai di rimanere seria e immobile.
«No, era tanto bella e dolce» disse cambiando voce. «Non può essere morta!».

«Però manca il principe uffa. Non ho più pupazzi...» lo sentii mormorare disperato.
In quel preciso momento suonò il campanello. Feci per alzarmi.
«No, Biancaneve è morta, non puoi alzarti!» esclamò andando verso la porta.

«Ciao zio! Sei arrivato nel momento giusto!».
Il mio cuore perse un battito. Perché doveva essere proprio lui? E per di più io stavo facendo finta di essere Biancaneve addormentata... era imbarazzante.

«Ciao Elisa!».
Feci per rispondere ma Stefano mi precedette «Non può parlare, è morta!».
«Morta?» chiese l'altro.
«Si, stiamo giocando a Biancaneve e i sette nani... solo che ci manca il principe, lo fai tu??».
Mi sentii sprofondare.
Lo sentii togliersi la giacca «Mmh, ok».
«Bene, allora adesso tu arrivi e la guardi e poi chiedi ai nani cosa è successo» disse il biondino istruendo lo zio.

L'altro seguì i suoi ordini e si mise a parlare coi pupazzi. Sorrisi.
«Ecco, adesso devi darle un bacio per svegliarla!» esclamò il piccoletto.
«Giusto» commentò il prof.
"Elisa stai calma, Elisa stai calma..." cominciai a ripetermi in testa.
Sentii il cuore accelerare mentre lui si avvicinava. Mi arrivò una ventata del suo profumo, che tra l'altro era buonissimo. E se non fossi stata già sdraiata sul divano, probabilmente sarei svenuta sul serio.

Lo sentii avvicinarsi e poi le sue labbra si posarono sulla mia guancia. Perché Stefano riusciva sempre a mettermi in queste situazioni assurde?
«No, non va bene. Devi baciarla sulla bocca!» esclamò il bambino.
«Eh? Stefano ti prego!» mormorai ancora ad occhi chiusi.
Milani rise.
«Non è divertente!» borbottai.
«Zitta, non puoi parlare. Sei addormentata Elisa!».

«Dai zio, baciala!» insistette di nuovo.
Lo sentii avvicinarsi e l'imbarazzo mi colorò sicuramente le guance.
«Tranquilla piccola solitaria» lo sentii sussurrare, poi posò dolcemente le labbra vicino alla mia bocca. Sperai davvero che non sentisse il battito accelerato del mio cuore.
Aprii gli occhi ed evitai accuratamente il suo sguardo. Poi mi alzai a sedere.

Stefano batté le mani. «Adesso la devi portare con te! Sarebbe sul cavallo, ma visto che non ce l'hai prendila in braccio» disse alzando le spalle.
Lo guardai «Non serve Stè, io peso».
«Ma sì che serve, dai zio ti prego!».
Alzai gli occhi al cielo, poi lanciai un urlo quando lui mi alzò all'improvviso. La sua risata mi arrivò dritta nel cuore.
Mi aggrappai al suo collo poi gli diedi un pugno leggero sul petto.

«Bene, dove la devo portare?».
«In camera mia».
Il prof fece come il nipote gli aveva detto e mi portò nella sua cameretta.
«Ecco, puoi mettermi giù» dissi sempre evitando i suoi occhi.
«Dici? Pensavo di poter fare quello che voglio con te, dato che sei la mia principessa!» disse con tono divertito.
Aprii la bocca, poi la richiusi.

«Perché non mi guardi?» chiese.
«Se te lo dico non ridere».
«Ok. Non rido, te lo giuro».
Esitai per qualche secondo «Perché mi sento in imbarazzo».

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Occhi Azzurri ***


«Ti senti in imbarazzo a guardarmi?» chiese lui scrutandomi con quegli occhi azzurri così belli.
Sospirai «In questo momento sì».
«È perché ti ho quasi baciato?» chiese alzando il sopracciglio. Non lo guardavo, ma sono sicura che lo fece.
Annuii arrossendo «Ehm, potresti mettermi giù?».
«Solo se non scappi» disse lui.
«Perché dovrei scappare?» ribattei.

Lui non rispose, ma mi fece scendere. Poi uscì dalla cameretta e si fermò nel corridoio «Stefano, puoi giocare da solo per qualche minuto? Io ed Elisa dobbiamo parlare!».
«Va bene zio!» rispose l'altro dal salotto.

Sbuffai alzando gli occhi al cielo e mi sedetti sulla sedia aspettandolo. Odiavo essere così timida, odiavo sentirmi in imbarazzo per qualsiasi cosa. Era bruttissimo, cazzo. Non riuscivo nemmeno a godermi questi momenti pazzi in sua compagnia.

Prese l'altra sedia e si avvicinò.
«Allora... mi dispiace, a quanto pare ho superato il limite prima. Scusa» disse lui.
«Non è colpa tua se io sono una maledetta stupida. Sono io che rovino sempre tutto...».
«Non sei stupida, sei solo timida, l'ho capito... forse è questo il problema» disse allungando il braccio e alzandomi il viso fino a far incontrare i nostri occhi.

«È sempre quello il problema. Mi odio, perché non riesco a fare niente. Fa schifo, perché non riesco a divertirmi che continuo a pensare alle cose sbagliate che potresti pensare di me...».
«Ma tu fregatene di quello che pensa la gente, compreso me. Tu devi vivere la tua vita per te non per gli altri».
Sorrisi «È quello che mi ha detto anche Mika».
Lui mi fissò per qualche secondo «Hai parlato con Mika?».
Annuii «Non sono pazza, ci ho parlato quando sono andata a Milano con Marco, ad x-factor qualche settimana fa».

«Non lo sapevo, e com'è stato?» chiese.
«Bello, abbiamo parlato tanto e fatto foto... ho anche il suo numero!» risposi sorridendo.
«Quindi non hai avuto problemi a parlare con lui, perché invece con me sì?» chiese.
«Io ci parlo con te, anche adesso» risposi.
«Però tendi ad evitarmi... prima o poi scoprirò il perché!» concluse lui scrutandomi.

"È perché mi piaci" avrei voluto urlargli. "Perché non so mai come comportarmi quando ci sei tu, e se poi quasi mi baci capirai che non è facile far finta di niente!".
Lui si alzò e si voltò per andarsene senza aggiungere altro. Mi sentii malissimo in quel momento.

Mi alzai velocemente.
«Aspetta!».
Lui si voltò.
«Sei arrabbiato con me?».
«No, non avrei motivo di esserlo» rispose avvicinandosi.
«Però lo sembri...» constatai io sospirando «Mi dispiace, non sto cercando di evitarti. È solo che certe volte non so cosa fare, come comportarmi con te quando non siamo a scuola. Lo so che te l'ho già detto, ma non riesco a superare questa cosa».

«Va bene, vedremo di fartela superare» rispose sfoderando un sorriso magnifico «Ora credo sia meglio vedere che combina mio nipote».
«Meglio sì» risposi seguendolo fuori dalla camera.

Tornammo in salotto dove Stefano stava giocando con le sue solite macchinette.
«Elisa, mi chedevo se vi va di venire da me... avevo chiesto a Stefano se mi aiutava a fare l'albero di Natale l'altro giorno» disse il prof. girandosi a guardarmi.
«Mmh, non so. E se tua sorella torna?» chiesi riflettendoci.
«Dopo ci parlo io. Hai voglia di venire?» chiese lui.
«Ok» risposi con un piccolo sorriso.

Nel giro di venti minuti avevamo parlato con Stefano ed eravamo davanti a casa del prof.
«Permesso!» dissi entrando in casa, e subito notai la piccola palla di pelo di nome Spark che ci veniva incontro.
Anche Stefano se ne accorse e andò ad accarezzarlo prima che quest'ultimo scappasse.
Come previsto il micio si liberò dalle grinfie del bimbetto e si fermò ai miei piedi fissandomi.

«Ciao Spark!» lo salutai accucciandomi e lasciandogli qualche carezza.
Poi seguii il prof e mi tolsi la giacca che lui prese e appese all'attaccapanni.
«Allora Stefano? Sei pronto?» chiese lui sfregandosi le mani.
Il nipotino annuì entusiasta.
«Perfetto. Aspettami qua che prendo le decorazioni!» aggiunse sparendo nel corridoio.

Mi guardai attorno, era tutto esattamente come qualche mese prima, eccetto un grande albero vicino alla parete.
Feci qualche passo e mi avvicinai alla libreria scorrendo i titoli dei vari libri, poi passai alla fila di dvd e quella di cd.
Quando mi girai ci mancò poco che spiaccicassi il gatto.
Si salvò per un pelo solo perché prontamente avevo cambiato la traiettoria del mio piede.
«Spark stavi per fare una brutta fine» gli dissi guardandolo negli occhi.

Di lì a qualche secondo ricomparve l'uomo dei miei pensieri con uno scatolone che posò per terra vicino all'albero.
Mi avvicinai mentre lui tirava fuori le varie palline.
«Vieni Stè» disse porgendogli una pallina.
Il nipotino la prese e la appese all'albero.
«Zio? Mettiamo la musica?» chiese dopo qualche secondo il piccoletto facendo una giravolta e prendendo un'altra pallina dalle mani dello zio.
«Va bene» rispose quest'ultimo andando ad accendere lo stereo.

«Ci aiuti Elisa?» chiese poi guardandomi.
«Ok» risposi avvicinandomi all'albero col gattino che mi seguiva.
«Però il tuo gatto è inquietante... da quando sono arrivata non fa che fissarmi e seguirmi» aggiunsi prendendo una pallina dalla scatola.
«Spark non si fissano le ragazze! E se proprio si deve fare non ci si fa notare» disse lui puntando il dito verso il gattino che ora lo guardava.

Gli lanciai un'occhiataccia.
«Che c'è? Gli sto insegnando!» rispose lui con un'alzata di spalle e un sorrisetto sulla faccia.
«No, mi stai prendendo in giro!» precisai incrociando le braccia.
«Come vuoi, Piccola Solitaria!» rispose ammiccando.
«Smettila Occhi Azzurri!» replicai. Poi mi sporsi a prendere una pallina rossa che andai ad appendere sull'albero.

«Occhi Azzurri, che è? Tipo Toro Seduto?» chiese ridendo. Una risata che mi arrivò dritta nel cuore.
Lo fulminai con un'altra occhiataccia.
Poi feci spallucce «Non sapevo come altro chiamarti ed è la prima cosa che mi è venuta, e quindi sei Occhi Azzurri».

«Ehi, ma anche io ho gli occhi azzurri!» esclamò il piccoletto in quel preciso momento.
Mi girai verso di lui «Lo so, e sono bellissimi!» dissi scompigliandogli i capelli.
«Ehi!!» esclamò sottraendosi dal mio tocco e facendo qualche passo indietro.
Risi. «Scusa Stè, non te li tocco più!» lo rassicurai appendendo una pallina blu.

«Non ci arrivo, non ci arrivo più!!» si lamentò ad un certo punto la piccola peste.
«Aspetta, ti aiuto io» risposi. Lo presi in braccio in modo che ci arrivasse. Lui appese la pallina che aveva in mano.

«Ce la fai?» chiese subito il prof.
Annuii. «Però Occhi Azzurri ci devi passare le palline!» dissi girandomi a guardarlo e facendo un sorrisetto.
Lui rise «Sei fantastica Elisa!». Poi prese una pallina e la passò a Stefano.
«Non è vero, ma ok» risposi spostandomi in modo che Stefano arrivasse allo spazio libero rimasto sulla cima dell'albero.

«Ma sì, lo zio ha ragione» commentò Stefano.
«Lo zio ha sempre ragione» replicò il prof sottolineando la parola "sempre".
Lo guardai male «Che ne hai fatto del prof di musica serio e composto?».

«Oh, be' quando voglio posso essere anche serio» disse incrociando le braccia sul petto e togliendosi l'espressione divertita dalla faccia.
Mi fissò con sguardo fermo e autoritario.

«No ok, era meglio prima» commentai facendolo ridere di nuovo.
«Ti faccio paura?» chiese divertito.
«No» risposi mettendo giù Stefano che andò a giocare col micetto. L'albero era ormai pieno di palline.
«Invece sì» disse lui alzando un sopracciglio.
«Invece no, non mi hai mai fatto paura da quando ti conosco» risposi alzando a mia volta un sopracciglio.

Mi voltai e raggiunsi Stefano e il micio.
«Lo vuoi tu?» chiese il biondino passandomi Spark.
Lo presi e lo feci accoccolare sul braccio, accarezzandolo con la mano.

«Adesso cosa facciamo?» chiese il piccoletto guardando il gattino acciambellato tra le mie braccia.
«Non lo so, forse è meglio se torniamo a casa tua... che tra un po' arriva la tua mamma».
«L'ho chiamata prima, viene direttamente qua a prendere Stefano» disse lo zio.
«Ecco, allora cosa facciamo?» chiese ancora il biondino.

«Ho un'idea!» esclamò il prof. all'improvviso. Andò verso le scale e le fece a due a due, saltando metà degli scalini. Esattamente come facevo io a casa quando ero di corsa, rischiando, come mi ricordava spesso papà, di rompermi l'osso del collo.

«Ecco, tieni» disse tornando davanti a noi con una chitarra.
Lo guardai stranita «Io?».
«Sì, non credo che Stefano la sappia suonare» rispose con un'alzata di spalle.
«Ma tu sì» replicai «E sicuramente meglio di me».
Lui alzò gli occhi al cielo «Non riuscirò in alcun modo a farti suonare adesso vero?».
«No, credo proprio di no» confermai.
«Ok» rispose sedendosi sul divano e sistemandosi la chitarra sulla gamba.
Io e Stefano lo imitammo andandoci a sedere vicino a lui.

Lui iniziò a suonare e, cogliendomi di sorpresa, anche a cantare. Era una canzone che avevo già sentito... forse dei Coldplay. Era molto bella, ma la sua voce era davvero fantastica.
Avevo i brividi.
Questa cosa mi stava lentamente sfuggendo di mano.
Prima o poi si sarebbe accorto delle mie reazioni? Boh. Speravo tanto di no.

Ci stavo ripensando anche due ore dopo, al caldo, nel mio letto sotto le coperte.
Probabilmente prima o poi mi sarebbe passata questa fissa con lui. Ma chissà quando...
Speravo molto presto.
Stargli vicino diventava sempre più difficile, e nascondergli che mi piaceva ancora di più.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Scoperte interessanti a Natale ***


Ero sotto al palco. Mika stava cantando e io cantavo insieme a lui, il resto del mondo in quel momento non esisteva.

Cantava Happy Ending quando mi accorsi che la mia mano era allacciata ad un'altra.
Aggrottai le sopracciglia, poi guardai la mano, e pian piano risalii il braccio arrivando a guardare in faccia la persona che mi stava accanto.

Rimasi un attimo spiazzata. Era il prof... e mi sorrideva.
Mi ripresi e gli sorrisi anche io. Dopodiché lui mi attirò a sé abbracciandomi stretta.

Per un momento rimasi rigida dalla sorpresa, ma poi mi rilassai tra le sue braccia.
In quel momento Mika ci guardò e sorrise, o almeno sembrava che guardasse proprio noi.
«Elisa?». Sentii la sua voce nell'orecchio.
Mi voltai e alzai il viso verso di lui.
Ci fissammo per qualche secondo, poi lo vidi avvicinarsi lentamente.

Il mio cuore ormai batteva all'impazzata, forse un po' anche a causa di Mika. Probabile.
Guardai le sue labbra. Ormai eravamo vicinissimi, sentivo il suo respiro sulle mie labbra.
Mancava solo qualche centimetro e...

Noooo!
Perché cavolo mi ero svegliata in quel momento?
No! Non era possibile!!
Mi girai dall'altra parte e richiusi gli occhi. 
Dovevo continuarlo, dovevo continuare quel sogno incredibile.
Ripensai a quelle scene ma niente, ormai ero sveglia e quel sogno era finito così.
Mi veniva da piangere!

Sbuffai, poi guardai la sveglia. Erano quasi le nove.
Ed era il giorno di Natale!
Quindi anche il compleanno di mio fratello!!

Mi alzai e scesi di sotto. Trovai mamma e papà al tavolo che facevano colazione.
Ma di Marco nessuna traccia. Ovviamente stava ancora dormendo il mio fratellone.

Feci gli auguri a mamma e papà e poi mi sedetti a fare colazione.
Quando finii tornai di sopra a cambiarmi. Mi infilai i leggings neri, e mi misi il vestito grigio e nero di lana.
Mi sistemai poi la massa di capelli e cercai di coprire le occhiaie con correttore e fondotinta. Mi truccai leggermente con un po' di mascara e guardai il risultato. Non ero poi tanto male dai. Oggi era uno dei giorni "sì".

Saremmo andati a pranzo dai nonni, con tutti gli altri parenti. Il Natale lo passavamo sempre tutti insieme dai nonni.

Recuperai i regali per i miei e Marco e li portai di sotto, sistemandoli sotto all'albero di Natale. 
Per Marco ce n'erano due ovviamente. Uno anche per il suo compleanno.

«Elisa, Marco sta ancora dormendo?» chiese mia madre intercettandomi.
«Credo di sì, mamma» risposi.
«Tra un'ora dobbiamo essere dai nonni, vedi di svegliarlo!» disse lei.
«Ok mamma, vado!» risposi facendomi venire una fantastica idea.

Andai di sopra ed entrai in camera di mio fratello spalancando i balconi e facendo entrare la luce del sole.
Lui mugugnò qualcosa ma io lo interruppi cantando una delle sue canzoni con le parole modificate per l'occasione.

Lo guardai stiracchiarsi.
«Buongiorno sorellina, storpiatrice di canzoni» disse con voce ancora roca.
«Giorno fratellone. Però dai, non era così male» risposi sorridendo «Era perfetta per l'occasione».
«Sì, non molto poetica ma te lo concedo, ci stava» commentò lui.
«Eh, vabbè. Non sono ancora arrivata ai tuoi livelli...» replicai.

Scese dal letto, rimettendo a posto le coperte. «Perché? Ci hai provato?» chiese trafficando col lenzuolo.
«Ehm... forse sì?» borbottai imbarazzata.
Lui si voltò sorpreso «Davvero?».
«Sì, ma non è uscito mai niente di speciale...» risposi scrollando le spalle.
«Allora devi farmi leggere qualcosa».
«Ma anche no!» replicai ridendo.

«Comunque Buon Natale e Buon Compleanno Marco!!» esclamai cambiando argomento.
Mi avvicinai a lui e lo abbracciai forte. Poi gli diedi un bacio sulla guancia.
Lui ricambiò «Grazie, Auguri anche a te!».
«Ma non è giusto, oggi dovrebbe essere il tuo giorno e invece gli auguri se li prendono tutti» sbuffai.
«A chi lo dici!» ribatté lui sbadigliando.
«Sì, ma anche tu. Nascere un altro giorno no? Proprio a Natale? Te la sei anche cercata» commentai scherzando «Dai, vestiti che mamma sennò ti uccide».

Prima di andare a pranzo scartammo insieme i regali.
E alle undici eravamo arrivati dai nonni.
Salutammo tutti i parenti scambiandoci gli auguri. Poi insieme a mia cugina preparai il tavolo. Mentre le donne in cucina finivano di preparare e gli uomini in salotto chiacchieravano di chissà che cosa.

Mangiai così tanto che stavo per scoppiare, e mancavano ancora i dolci. Una bella torta al cioccolato a forma di albero, un tiramisù e un tronchetto di Natale. Aiuto! Non dovrebbe essere legale mangiare così tanto a Natale.

Fortunatamente qualcuno propose di aspettare per i dolci, e di fare una bella tombola prima di ributtarci sul cibo.
E così ci ritrovammo in una confusione di numeri, numeri letti, numeri da dire, ambo, terna...
Risultato? Vinsi una scatola di Ferrero Rocher. Solo quello. Non male però!

Anche se il miglior premio era stato quello di mia cugina Marta. Si era ritrovata le mutande per il nonno. Al che era scoppiata una risata collettiva che non finiva più... comunque alla fine lei e il nonno avevano fatto cambio e si era presa una scatola di caramelle.

Più tardi mangiammo i dolci e cantammo "Tanti Auguri" a Marco, che si prese un altro po' di regali.
Chiacchierai con mia cugina che non vedevo molto spesso, e poi insieme a tutti gli altri formammo due squadre, maschi contro femmine, e giocammo a vari giochi. Non si sa come ma finimmo in parità per la gioia degli uomini che negli ultimi anni avevano sempre perso.

«Oddio! Tra un po' scoppio!» esclamai stravaccandomi poco elegantemente sul divano. Eravamo appena rientrati in casa, dovevano essere le sei passate. I miei ci avevano accompagnati, poi erano tornati dai nonni.
«Idem!» commentò Marco sdraiandosi vicino a me «Stanotte sognerò cibo a valanghe».
Risi. «A proposito, stanotte ho sognato che ero al concerto di Mika. Sembrava reale» dissi tralasciando che nel sogno qualcuno era con me.

«Dai, al prossimo ti ci porto!» promise lui alzando gli occhi su di me «gli hai fatto gli auguri?».
«A chi?» chiesi perplessa.
«A Mika, a chi altro sennò...» rispose alzando gli occhi al cielo.
«Su twitter sì, comunque non si ricorderà neanche della mia esistenza, figurati se gli scrivo. E poi non voglio rompergli le scatole» spiegai.
«Sì che si ricorda dai, e poi un messaggio non uccide. Alla peggio non ti risponde...» insistette mio fratello.
«Dici?» chiesi insicura.
Lui annuii «Sì».
«Se si arrabbia è colpa tua però».

Recuperai il telefono che avevo appoggiato sul tavolino ed entrai su whatsapp. Guardai per qualche minuto le foto che mi aveva mandato quella famosa sera e cercai il coraggio di scrivere.
Ci pensai su un po', poi iniziai a digitare.

"Hello Mika! :) I hope you remember me. I only wanted to wish you and your family a Merry Christmas and a Happy New Year! I hope you had a great day today!!
P.s. Ti voglio bene! Xx"

Feci un sospiro e lo inviai. Poi riappoggiai il cellulare sul tavolino.
«Bene, ora che si fa?» chiesi girandomi a guardare Marco.
«Io vado in bagno» rispose lui alzandosi e sparendo di sopra.
«Interessante» commentai.
Guardai il cellulare, ma non mi era arrivato assolutamente niente. Adesso avrei avuto l'ansia fino all'arrivo di una sua risposta, lo sapevo!

Ed ecco che il suono del campanello interruppe le paranoie che mi stavo per creare.
Mi alzai. "Strano. Mamma e papà hanno le chiavi" pensai raggiungendo la porta.
Sbirciai fuori, ma vedevo solo alcune figure scure, impossibili da riconoscere.
Valutai i pro e i contro, poi titubante aprii la porta. Giusto lo spazio per guardare fuori.

«Ciao! C'è Marco?» chiese una delle figure. Ignorai gli altri e mi concentrai su di lui.
Da quel poco che riuscivo a vedere, doveva avere occhi verdi e capelli neri. Lineamenti molto dolci, mi sembrava davvero un bel ragazzo. Non poteva essere un malintenzionato.
«Sì, ma chi siete?» chiesi.
«Siamo suoi amici, Elisa ti puoi fidare!» rispose una voce che conoscevo fin troppo bene. Li passai tutti finché non lo trovai, alla mia sinistra.
«Oh, ciao... non ti avevo visto» dissi arrossendo «Ok, venite dentro».
Li feci entrare e chiamai Marco su per le scale.

«Scusate, Marco non mi aveva detto niente» dissi tornando da loro «Io sono Elisa».
Il ragazzo che prima aveva parlato si fece avanti «Tommaso, piacere». Gli strinsi la mano e ci scambiammo due baci sulle guancie.
Poi si presentarono gli altri due: Matteo, moro e occhi scuri, e Daniel, biondo e occhi nocciola.

Quando arrivai davanti al prof esitai un attimo, ma lui non ci fece caso e si avvicinò salutandomi con due baci sulle guance. Mi arrivò una piacevole ventata del suo profumo, che io adoravo.
Cercai di mantenere un certo contegno, perciò distolsi lo sguardo da lui.

Stavo seriamente pensando che qualcuno si stesse divertendo alle mie spalle. Possibile che mi piacesse l'unico ragazzo che non doveva piacermi, e che questo mi capitasse davanti continuamente?
Anche se avessi voluto per me era impossibile evitarlo.
E io non volevo.

«Ehi, ciao ragazzi!» li salutò mio fratello comparendo al mio fianco. Li fece accomodare in salotto mentre io cercavo di capire come mai mi sembrassero tutti così belli.
...Certo, non come lui ovviamente.
Ma possibile?
Ma che amici aveva mio fratello?
Ma soprattutto, perché cavolo non me li aveva mai fatti conoscere?

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Attrazione o no? ***


Presi il foglio che il prof di filosofia mi stava porgendo, e i miei occhi andarono subito in cerca del voto trovando un bel 8 e mezzo. Be' dai, niente male!

L'ora prima avevamo avuto Milani.
Avevo dovuto sforzarmi di fare attenzione a quello che diceva, mi veniva sempre troppo facile incantarmi a guardarlo mentre spiegava, finendo con la testa tra le nuvole.

Anche se, da qualche settimana a questa parte, avevo iniziato ad evitare di incontrare i suoi occhi mentre parlava.
Più precisamente da quella sera che lui e i suoi amici erano capitati a casa nostra.

Quando avevo fatto per lasciarli soli avevano insistito affinché rimanessi. E io avevo insistito per andarmene... L'ultima cosa di cui avevo bisogno era starmene tra di loro (uno più bello dell'altro) e diventare bordeaux ogni volta che qualcuno mi rivolgeva la parola.

Ma non era finita lì. Marco, chissà perché, aveva deciso che sì, potevo restare lì con loro.
«Senti, è il tuo compleanno, e non voglio sentire i vostri discorsi!» avevo protestato quando mi aveva presa per il braccio e fatta sedere al suo fianco.
«I nostri discorsi? Di cosa pensi che parliamo?» si era intromesso Daniel con lo sguardo acceso.
«Delle solite cose di cui parlate voi maschi, no?» avevo risposto arrossendo per il fatto che tutti mi guardavano.
«Non parliamo solo di quello che stai pensando tu, anche perché qui le ragazze scarseggiano...» disse Tommaso facendo una smorfia.
«Per te» aggiunse Daniel con un sorrisetto. Gli altri erano scoppiati a ridere.

«Ecco, io me ne vado» avevo borbottato alzandomi, ma Marco mi aveva ripreso bloccandomi là.
«Comunque sto uscendo con una, credo abbia la tua stessa età Elisa» aveva ripreso Daniel «Benedetta Stefani».
Appena avevo sentito quel nome una smorfia mi era comparsa sul viso. Fortunatamente loro gli avevano chiesto qualcosa senza fare caso a me. Ma quando avevo distolto gli occhi da lui avevo incontrato quelli del prof. Non rideva, anzi sembrava preoccupato forse.

Come me, a quanto pare, non si era dimenticato quello che lei mi aveva fatto assieme alle sue amiche.
Ci eravamo guardati forse per due secondi, poi avevo distolto lo sguardo.
Mi sentivo ancora strana riguardo a quella storia.
Da quella volta poi noi due non ne avevamo più parlato, per fortuna. Mi vergognavo ancora di essermi fatta vedere così debole davanti a lui, di aver avuto bisogno di lui.

E insomma, poi erano passati a parlare di altro fortunatamente. Anche se per un po' mi ero sentita osservata.
Avevo seguito i loro discorsi finché Marco non mi aveva chiesto di preparare dei piatti con la torta rimasta.
Allora ero andata in cucina, lì mi ero ricordata del messaggio a Mika. Avevo preso il telefono e avevo sorriso vedendo la sua risposta:

"Hey Elisa! Happy to hear you, of course I remember you! Merry Christmas to you too, and to your family. Thank you xx"

In quel momento qualcuno era entrato in cucina facendomi alzare gli occhi. Era lui ovviamente.
«Sono venuto ad aiutarti» aveva detto.
«Oh, be'... non serviva, ma grazie» avevo risposto io.
«Perché sorridevi?» aveva poi chiesto indicando il cellulare che tenevo in mano «Se ti va di dirmelo».
«Mika» avevo risposto passandogli il telefono per fargli leggere i messaggi.
«Ah, ci credo che sei felice. Che belle foto!» aveva commentato risalendo la chat.
«Ehi, non guardarle che sono venuta male!» avevo esclamato prendendogli il telefono dalle mani.
«Non è vero».
«Invece sì» avevo confermato andando a prendere i piatti sul mobile in alto. Solo che come sempre faticavo ad arrivarci perciò ero in punta di piedi e stavo allungando il braccio quando lui mi aveva raggiunta e mi aveva appoggiato una mano sul fianco.
«Aspetta, faccio io» aveva detto mentre io cercavo di tornare a respirare ignorando la sua mano. Cosa non molto facile!

Aveva preso i piatti passandomeli mentre io balbettavo un "grazie" non proprio convinto. E mentre tagliavo la torta sentivo ancora un formicolio lì dove c'era stata la sua mano.
Speravo davvero che non si fosse accorto delle mie reazioni e dei pensieri che mi stavano girando in testa. Era alquanto imbarazzante!

Mi ridestai dai miei pensieri tornando a prestare attenzione al prof di filosofia.
Fortunatamente era anche l'ultima ora, per cui quando suonò la campanella feci lo zaino e seguii la massa di studenti fuori dalla scuola.

Mi imbacuccai nella giacca. Era freddo. Ok, era anche abbastanza normale che fosse freddo a metà Gennaio. Però era freddo!
Allungai il passo andando a ritmo con la musica.
Arrivata a casa, mangiai con i miei, poi studiai e feci i compiti, e iniziai anche a buttare giù qualche idea per la tesina. Secondo i prof avremmo dovuto già scegliere l'argomento prima di Natale. Ma io ancora non avevo la più pallida idea su cosa farla. E non ero l'unica.

Un'ora più tardi ero arrivata a casa di Serena. Dovevo badare a Stefano per qualche ora perché i suoi sarebbero andati via.
Non feci nemmeno in tempo ad entrare in casa che il piccoletto mi si era già attaccato addosso. Sorrisi e lo salutai. Ormai gli volevo un mondo di bene... come se fosse stato il mio fratellino.

Qualche giorno dopo Natale gli avevo portato il regalo che gli avevo preso. Era un camioncino da aggiungere alla sua collezione di macchinette.
Lui in cambio mi aveva fatto un disegno con me e lui che ci tenevamo per mano. Era dolcissimo!

Salutai sua madre, poi lo seguii in salotto dove giocammo un po' insieme prima che mi chiedesse di leggergli una storia.
Allora ci sedemmo sul divano e lui si accoccolò a me mentre gli leggevo il libretto che aveva scelto.
Mi venne in mente quello che era successo qualche mese prima, dopo la lettura della storia.

Ormai ogni volta che andavo da Stefano vivevo nell'ansia che suo zio capitasse lì.
Che poi non riuscivo a capire esattamente quello che sentivo: da una parte ero sempre nervosa all'idea che potesse entrare da quella porta, dall'altra ero invece ansiosa di vederlo. Lo so, non aveva senso.
Soprattutto perché poi quando ci trovavamo nella stessa stanza non riuscivo a guardarlo negli occhi, mi limitavo a guardarlo quando non se ne accorgeva.
Avevo sempre l'impressione che quando mi guardava riuscisse a leggermi dentro.

Aveva già saputo troppe cose di me, ci mancava solo che arrivasse a capire che mi piaceva.
Cosa che, continuando così, prima o poi avrebbe sicuramente capito.
Non era così semplice cercare di dimenticare un ragazzo quando lo vedevi quasi ogni giorno.

La cosa peggiore era che non mi piaceva solo per il suo aspetto fisico, mi piaceva nel ruolo di prof. a scuola e anche come persona fuori da scuola. Praticamente mi piaceva tutto di lui. Non sapevo come spiegarlo... ma era la prima volta che non riuscivo a togliermi qualcuno dalla testa.

E poi lui era sempre così gentile con me, e a scuola continuava a venire a parlare con me durante la pausa del martedì prima della sua ora.
Avrebbe potuto lasciarmi da sola a pensare ai fatti miei, invece veniva a farmi compagnia. Non sapevo se gli piacesse parlare con me, o se gli facessi solamente pena e mi considerasse come un'amica o una sorella. Sta di fatto che però io non riuscivo a togliermelo dalla testa e lui continuava a girarmi intorno.

Scossi la testa cercando di liberarmi di quei pensieri e tornai al presente. Stefano mi stava chiamando per giocare con lui. Mi alzai dal divano e lo raggiunsi sul materassino pieno di giochi, dove passai l'ora successiva.

Quando più tardi tornai a casa, preparai lo zaino e ripresi a leggere il libro che da qualche giorno avevo un po' trascurato.
Mi piaceva tantissimo leggere. Ma ultimamente, tra la scuola, lo studio, le lezioni di canto e i pomeriggi a fare la baby-sitter, non avevo moltissimo tempo da dedicare alla lettura.

Perciò approfittai di quel momento libero e lessi fino all'ora di cena, quando mamma mi chiamò ad apparecchiare la tavola.
Mangiammo tutti insieme, eccetto Marco, lui era di nuovo a Milano.

Ogni tanto ci sentivamo per telefono, ma era sempre così impegnato...
Ormai era così da qualche anno, ma ancora non ci avevo fatto l'abitudine. Era inutile che mentissi, senza di lui a casa era tutto diverso.

Quando i miei erano al lavoro la casa diventava silenziosa, ed era quasi un sollievo quando dovevo andare da Stefano.
Avrei voluto tanto prendere un gattino per avere almeno la sua compagnia, ma ancora non ero riuscita a convincere i miei genitori, quindi in quei momenti la mia unica compagnia consisteva o nel guardare la tv oppure nell'ascoltare musica o suonare la chitarra e cantare. Oppure leggere.

Dopo cena tornai di sopra, mi cambiai e poi mi infilai sotto le coperte sul divano. Accesi la tv e cercai un bel film da vedere.
Trovai un film romantico, di quelli che adoravo, ma che alla fine mi facevano sentire ancora più depressa di quello che già ero.

Perché, per quanto ci provassi, ogni volta che pensavo a me con qualcuno, quel qualcuno era Occhi Azzurri.
Come se il suo ruolo, la differenza d'età, e tutti gli altri ostacoli non esistessero. Io ne ero ben consapevole... ma il mio cuore forse non lo era così tanto.

Magari più avanti avrei scoperto che tutta quella attrazione era frutto della mia immaginazione e che in qualche modo mi stavo costruendo delle false idee.
Ma ne dubitavo fortemente.

Finché lui non avesse fatto qualcosa per farmi cambiare idea, avrei pensato che era una persona stupenda e perfetta.
Al momento ne ero convinta.
Anzi, ne ero convinta da ben quattro mesi e mezzo!

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Lo psicologo (e che psicologo!) ***


Camminavo a ritmo con la musica che ascoltavo nelle cuffie.
Avevo iniziato ad uscire per un'oretta il pomeriggio a camminare, quando avevo il tempo per farlo ovviamente.
Ormai ero sulla via del ritorno, e mi stavo godendo i raggi di sole che mi arrivavano addosso.

Tirai fuori il cellulare dalla tasca e controllai che non mi fossero arrivati messaggi o telefonate. E poi, visto che c'ero, cambiai artista passando ai My Chemical Romance.
«Ehi, Elisa!» sentii chiamare.
Alzai gli occhi, incontrando a qualche passo da me quei familiari occhi azzurri. Perfetto! Questo ragazzo mi perseguitava!!
«Oh, ciao!» salutai squadrandolo dalla testa ai piedi. Come faceva ad essere sempre così dannatamente attraente?!

«Cosa fai qui?» chiese avvicinandosi.
«Sono andata a farmi un giro, ne ho approfittato visto che avevo un po' di tempo oggi» risposi stoppando la musica.
«Ti va di entrare?» chiese lui indicandomi casa sua. Solo in quel momento mi accorsi che ci eravamo proprio davanti.
«Non so...» dissi esitante.
«Su dai! C'è Spark che ti aspetta» fece lui sorridendo «Non dirmi di no!».
«In realtà... avrei delle cose da fare, devo studiare» risposi cercando una scusa.

Lui mi guardò socchiudendo gli occhi.
«Non sei brava a mentire, potrei offendermi» concluse estraendo la chiave dalla tasca dei jeans.
«E tu come faresti a sapere se sto dicendo o meno la verità?» chiesi alzando un sopracciglio.

«Mi basta guardarti, sei un libro aperto. E poi non eri molto convinta mentre parlavi» rispose lui aprendo il cancelletto e prendendomi per il polso.
Mi arresi, facendomi guidare da lui fin davanti alla porta, che poi aprì precedendomi all'interno.
«Eccoci, ciao piccola peste!» disse togliendosi la giacca e accarezzando Spark che gli era andato incontro.

Lo imitai, togliendomi la giacca e appendendola sull'attaccapanni. Poi mi abbassai a coccolare il gattino, mica poi tanto "ino" ormai, che era arrivato a giocare con i lacci delle mie scarpe.
«Come va?» chiese il suo padrone. Tornai in posizione eretta e lo seguii fino al divano, sedendomi non troppo vicina a lui.
«Al solito» risposi guardandolo.

«Hai già cominciato la tesina?».
«Mmh no... Mi stai per fare la predica?» chiesi scrutandolo.
Lui ridacchiò e scosse la testa «Se vuoi te la faccio però!».
«Non serve grazie. In realtà ho qualche idea, volevo parlarne con Marco e farmi aiutare da lui. Ma come sicuramente sai non lo vedo da Natale, perciò mi toccherà arrangiarmi...» risposi guardando Spark che saliva sul divano tra noi due. Era più facile parlare con lui se non lo guardavo.

«Non è colpa sua» disse lui, probabilmente notando la delusione nella mia voce.
«Lo so che non è colpa sua» dissi stuzzicando il micio «Ma devo ancora abituarmi a non averlo sempre intorno, a non poter parlare con lui quando ne ho voglia o quando ne ho bisogno».
«Puoi sempre parlare con me no?».
«Si, lo so... Ultimamente sei più presente tu nella mia vita, di lui. Ma non sei mio fratello, e sei il mio prof» dissi sospirando.

«Ancora con questa storia...» commentò lui alzando gli occhi al cielo. Lo vidi con la coda dell'occhio.
«Sì, e a parte il fatto che non dovrei nemmeno stare qui adesso, sai già troppe cose di me» replicai.

«Lo sai vero che più continui a cercare di evitarmi e più io mi incuriosisco no?» ribatté lui con tono divertito.
Sbuffai. «Perché ti diverti a perseguitarmi? Non hai una ragazza da intrattenere?».
«No, niente ragazza».
«Impossibile!» esclamai prima di riuscire a fermare la bocca.
Arrossii, e lo sentii ridere. La sua solita risata che mi arrivava fin sotto la pelle e mi vibrava nelle ossa.

«Posso chiederti una cosa?» domandai cambiando argomento e lanciandogli un'occhiata.
«Certo, spara!» rispose lui.
«Perché quella volta che Marco è venuto a scuola non mi avete detto che siete amici, e anzi avete fatto finta di non conoscervi nemmeno?» chiesi, stavolta alzando lo sguardo.

Lui si passò una mano tra i capelli, poi mi guardò. «Marco ha pensato che fosse meglio che tu non lo sapessi, così non ti saresti trattenuta dal parlare con me o sentita in qualche modo in imbarazzo».
«Adesso lo so, e comunque sto parlando con te... Non serviva tenermelo nascosto!» ribattei.
«E poi, a meno che tu non gli dica quello che io dico a te, non dovrebbe esserci alcun problema. Ora dovrei andare!» conclusi facendo per alzarmi.

«Perché tanta fretta?» chiese trattenendomi con una mano sul braccio.
«Uffa, mi sembra di stare dallo psicologo» dissi sbuffando.
Lui ridacchiò, ma alla mia occhiata si ricompose.
«Devo ancora parlarti di una cosa seria comunque».
«Mmh» replicai.
Era molto più semplice parlare con lui, notai, se mi limitavo a guardarlo pochissimo.

«Al compleanno di Marco, quella sera, quando Dan ha parlato di Benedetta...» cominciò lui.
«Non voglio parlarne» lo interruppi distogliendo lo sguardo.
«Ma io sì, Piccola Solitaria» disse, usando quel soprannome che era da un po' che non sentivo.
«È successo altro con loro?» chiese.
Scossi la testa «Umiliarsi una volta mi basta e avanza... ogni tanto mi prendono in giro, ma ci ho fatto l'abitudine ormai».

«Qualcuno lo sa?».
Alzai lo sguardo incontrando i suoi occhi, «Tu, ora» risposi.
Lui mi guardò a lungo.
«Non parli con me solo perché ti faccio pena, vero?» chiesi sentendo il bisogno di saperlo.
Sentii il suo sguardo analizzarmi e frugarmi dentro.
«È questo quello che pensi?» chiese aggrottando le sopracciglia.

«Guardami» disse alzandomi il viso con un dito «dalla prima volta che hai imprecato perché ti ho tolto una cuffia, mi hai incuriosito. Sembrava che vivessi in un mondo tutto tuo. Volevo conoscerti meglio, e capirti. Poi ho scoperto che parlare con te era bello, e sinceramente, anche se Marco non mi avesse chiesto di tenerti d'occhio, avrei continuato a farlo».

Elaborai queste parole, ma poi alzai un sopracciglio. «Aspetta! Marco ti ha chiesto di tenermi d'occhio?».
«È preoccupato per te, ed è comprensibile dato che passa così tanto tempo lontano da qui. Voleva essere sicuro che in caso di bisogno potessi parlare con me».
«Oh, bene. Allora anche mio fratello pensa che sono una sfigata. Che bello!» commentai acida.

«Lo sai meglio di me che non è così. Lui odia lasciarti da sola, vuole solo che tu abbia qualcuno a cui puoi rivolgerti».
«Lo so. E ovviamente ha scelto te per farmi da psicologo».
«Già, sono uno psicologo di tuo gradimento?» chiese sorridendo.
"Sapessi quanto!" pensai.
«Mmh, non sei male» dissi invece.

«"Non sono male", speravo in una risposta migliore ma mi accontenterò... Per quanto riguarda la tesina invece, puoi rivolgerti a me, credo di essere in grado di aiutarti».
«Volevo farla sulla tua materia, è ovvio che sei in grado!» commentai alzando gli occhi al cielo.

«Chissà perché non ne sono sorpreso!» esclamò alzando il sopracciglio «Allora, quando vuoi che ne parliamo me lo dici e vediamo di metterci d'accordo, possiamo anche fermarci a scuola se vuoi».
«No grazie, meglio qui o a casa mia. A scuola no!» risposi decisa, dopo qualche secondo.
Lui mi guardò con sguardo interrogativo.
Sbuffai «Meno mi vedono con te, meglio è».
«E la ragione è...?».

«Devo dirtelo sul serio?» chiesi facendo una smorfia.
Lui annuì.
«Voglio evitare un'altra situazione come quella che sai. Il punto è che... ecco... al momento, cioè da quando sei arrivato, sei... be', il prof più amato della scuola. E non vorrei scatenare... qualcosa facendomi vedere con te» ammisi con un po' di fatica.
Lui rise «Davvero?».
Annuii «Credo sia una delle ragioni per cui quelle tre se la sono presa tanto con me, mi stavi dando troppe attenzioni. E invece ti vogliono tutto per loro».

Lui mi scrutò a lungo, senza parlare.
«Io approfitterei per farle ingelosire di più» disse finalmente.
«Così mi becco un altro bernoccolo? Mi odi così tanto?» chiesi scherzando.
«No, voglio semplicemente far capire loro che tu vali di più di tutte e tre messe assieme. E che mi piace parlare con te».

«Mi vuoi far piangere? No, perché la prima volta che sono venuta qui ho pianto, la seconda ero felice, e ora se continui a dirmi queste cose finirà come la prima volta» mormorai alzandomi.
Lui mi imitò e prima che me ne rendessi conto mi trovai tra le sue braccia. Esitai un attimo, poi lo strinsi a mia volta e appoggiai la testa sul suo petto.
Se avesse continuato ad essere così gentile e dolce con me sicuramente non sarei riuscita a trattenermi e lui avrebbe capito tutto. Ammesso che non lo avesse già capito.

Mi strinse per un tempo che mi parve infinito.
«Grazie di esserci» sussurrai ancora appoggiata a lui.
«Ci sarò sempre Piccola Solitaria, ok?» replicò lui.
«Ok, Occhi Azzurri» risposi.
«Non stai piangendo, vero?» chiese sottovoce.
Sorrisi «No, sto pensando».
«A cosa?» chiese.
«Forse un giorno te lo dirò» risposi «Credo sia meglio che adesso vada. Non c'è nessuno che mi aspetta, ma credo di aver già preso abbastanza del tuo tempo».
Lui sciolse la stretta e mi guardò «Mi puoi prendere tutto il tempo che vuoi Elisa».
Annuii e gli sorrisi «Perché sei così gentile con me?».
Lui si strinse nelle spalle infilando le mani in tasca.

Recuperai la mia giacca, me la infilai, poi salutai Spark arrivato ai miei piedi.
«Allora, mmh grazie! La prossima volta però faccio io la psicologa e tu parli ok?» feci tornando a guardarlo.
Lui sorrise divertito «Ok, fai la brava!».
Mi seguì fino alla porta, aprendola.
«Lo sono sempre, buona serata!» lo salutai.
«Grazie, anche a te» rispose.
«E stai attenta per strada!» aggiunse mentre percorrevo il vialetto.
«Va bene papà!» risposi prendendolo in giro.
Lo vidi scuotere la testa e sorridere prima di chiudere la porta.

Mi incamminai verso casa.
Il mio piano di evitarlo e cercare di stargli lontana era durato nemmeno un mese.
Quel piano era decisamente e definitivamente andato a farsi fottere alla grande.
In un pomeriggio era praticamente riuscito a farmi recuperare tutto il tempo in cui ero riuscita ad essere fredda con lui.

Non mi rimaneva che una cosa da fare. Prendere le cose così come venivano!
Certo, avrei cercato di trattenere i miei sentimenti per lui e nascondergli quello che mi faceva provare... ma perché dovevo complicarmi la vita cercando di stargli distante se a me piaceva stare con lui?
Più mi sforzavo di dimenticarlo, più lui mi perseguitava impedendomi di farlo.

Oh, chissenefrega di quello che avrebbe potuto pensare!
Passando del tempo con lui non avrei commesso alcun reato... perciò godermi quei piccoli momenti in sua compagnia non poteva essere un errore, no?

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - Il compleanno migliore ***


Impressionante quanto veloce stesse passando il tempo.
Senza che quasi me ne fossi resa conto era arrivato il giorno del mio compleanno, il 25 Febbraio. Due mesi esatti dopo quello di Marco!

Quella mattina, appena avevo acceso il cellulare mi era arrivato un suo messaggio in cui mi faceva gli auguri. Ci eravamo sentiti qualche giorno prima, quando mi aveva spiegato che quest'anno non sarebbe riuscito a venire a festeggiare con me.

Avevo risposto che non importava, che avremmo festeggiato appena fosse tornato da Milano. Ma in realtà ci ero rimasta male.
Lo so, ormai lui aveva la sua vita e io la mia, e sapevo che non avremmo potuto stare tutta la vita insieme... però certe volte mi sembrava di non ricordare nemmeno come fosse avere un fratello a casa.

Probabilmente il fatto di non avere amici o amiche mi faceva sentire di più la sua mancanza. Lui era l'unico amico che avevo, e andandosene aveva lasciato un vuoto intorno a me.

Il giorno prima avevo fatto una torta e dei biscotti, e ora (era ricreazione) stavo sistemando tutto sulla cattedra. Insieme a qualche bibita.
Le mie compagne e i quattro ragazzi mi stavano intorno in attesa, gli auguri me li avevano già fatti appena ero arrivata a scuola. Tutti, anche le tre ochette.

Finii e iniziammo a mangiare, chiacchierando. Presi una fetta di torta e un bicchiere di coca-cola e mi sedetti su uno dei primi banchi, vicino a Martina e Laura. Poi iniziammo a parlare.

«Buongiorno!». Eccolo!
Ci fu un coro di "Buongiorno" e "Giorno Prof".
Mi voltai verso la porta guardandolo entrare.
«Festeggiate oggi?» chiese indicando la cattedra, mentre appoggiava la borsa per terra e la giacca sulla sedia.
«Già, Elisa compie gli anni» rispose Francesca prendendosi da bere.

Lui annuì, poi mi cercò con lo sguardo, trovandomi.
«Capito» disse avvicinandosi. Appoggiai la torta e il bicchiere sul banco e saltai giù, giusto mentre si fermava lì davanti.
«Tanti auguri Elisa!» disse stringendomi la mano e dandomi due baci sulle guance.
«Grazie prof.» risposi. «Si prenda pure quello che vuole» aggiunsi indicando la cattedra.

«Certo» rispose sorridendo e avvicinandosi al tavolo.
Ritornai a sedermi e riprendemmo a parlare da dove ci eravamo interrotte.
Intanto finii la torta, poi andai a recuperare qualche biscotto.
Ne presi uno in mano per mangiarlo quando Laura mi chiese se avevo già scelto l'argomento della tesina, allora cominciai a spiegarle le mie idee, quando qualcuno mi prese il biscotto dalla mano. Mi interruppi e alzai lo sguardo «Ma Prof!» esclamai vedendolo che stava morsicando il mio biscotto.

Lui sorrise, «Voi ragazze state sempre a lamentarvi della linea e poi mangiate tutta questa roba... ho deciso che devo salvarvi, visto che io non ho problemi di linea» spiegò divertito.
«È evidente» mormorò qualcuna tra la confusione, ma era comunque arrivato alle mie orecchie. Mi domandai se anche lui lo avesse sentito...
Sentii delle risatine, adesso sarebbero ripartiti i commenti su di lui. Inevitabile.
«Prof. la aiutiamo noi!» disse Lorenzo dando una pacca sulla spalla a Davide. Entrambi con un'altra fetta di torta in mano.

«Ma che gentiluomini!» fece Valentina, facendoci ridere.
«Comunque mi dispiace deludervi, ma non mi interessa se divento grassa... non ho intenzione di rinunciare al cibo» risposi gustandomi il biscotto.
«Prima che tu diventi grassa ce ne vogliono di biscotti, Elisa!» rispose Laura.
«Ecco e allora lasciatemi mangiare in pace, e non si rubano i biscotti Prof!» commentai.
Lui rise, poi si girò a parlare con Davide, che gli aveva chiesto qualcosa.

Qualche minuto prima che suonasse la campanella cominciai a mettere via le cose rimaste e a pulire la cattedra, aiutata da alcune delle mie compagne.
Dopo che la campanella fu suonata, tornammo alla normalità, ascoltando una nuova lezione di musica.
Le ultime due ore poi passarono abbastanza veloci, ed era già ora di andare a casa.

Appena entrata dalla porta mi ritrovai davanti un mazzo di fiori, dietro il quale c'era papà che sorrideva «Ancora tanti auguri Elisa!».
Lo salutai, appoggiai lo zaino per terra e presi i fiori, dandogli un bacio sulla guancia. Andai a metterli nel vaso in cucina, salutando anche la mamma, poi recuperai lo zaino e andai di sopra.

Dopo pranzo i miei tornarono al lavoro. Mamma era un po' dispiaciuta nel lasciarmi a casa da sola nel "mio giorno", ma le risposi che non importava, che avremmo festeggiato quella sera con la torta.
Feci velocemente i compiti, poi mi buttai sul divano a guardare il soffitto.

Sbuffai.
Non dovevo andare da Stefano, ma non potevo stare lì tutto il giorno a deprimermi.

Guardai il bianco del soffitto per qualche minuto, persa nei miei pensieri. Una riflessione che venne interrotta dal suono del campanello.
Non aspettavo nessuno... a meno che Marco non mi avesse fatto una sorpresa! Mi alzai col cuore che batteva forte, piena di speranza, e andai ad aprire.

Ma ovviamente non era mio fratello. Mi ero illusa, anche se sapevo benissimo che non poteva essere lui.
«Ciao, che ci fai qui?» chiesi fissando due occhi azzurri.
«Che entusiasmo!» disse ironico. «Aspettavi qualcuno?» aggiunse alzando un sopracciglio.
Scossi la testa «Non ho nessuno da aspettare, ma per un attimo ho pensato potesse essere Marco».

«Mi fai entrare?» chiese divertito.
Mi feci da parte e richiusi la porta dietro di lui.
«Perché sei qui?» chiesi di nuovo.
Lui mi scrutò. «Marco mi ha detto che gli sei sembrata triste quando ti ha detto che non sarebbe venuto, quindi eccomi qua» disse allargando le braccia.
Lo guardai perplessa.

«Non guardarmi così, Piccola Solitaria. Posso abbracciarti?».
Annuii e lui si avvicinò fino a stringermi contro il suo petto.
Mi lasciò andare troppo presto, però.
«Tantissimi auguri!» disse guardandomi negli occhi.
«E adesso preparati, che ti rapisco fino a stasera!» aggiunse dopo qualche secondo.

Lo fissai «Eh?».
«Dico sul serio! Andiamo a casa mia, ci sono Tommi, Dani e Matte che ci aspettano là» rispose sorridendo.
«No, tu sei pazzo, io non ci vengo!» risposi stizzita.
«Invece sì, è ora che tu conosca gli amici di tuo fratello e poi non vorrai stare tutto il giorno a casa da sola!».
Invece sì. Incrociai le braccia sul petto.
Lui mi guardò e inarcò di nuovo il sopracciglio. Quello col piercing.
«Se non collabori ti porto di peso» annunciò divertito.
«Non lo faresti» dissi convinta.
Lui si avvicinò invadendo il mio spazio vitale e fece per prendermi in braccio.
«Ok, ho capito!» esclamai allontanandomi da lui.
Feci una smorfia e lui sorrise con aria di vittoria.

«Tu riesci a farmi fare tutto quello che vuoi» dissi sbuffando «non è giusto!».
Lo vidi fare un sorrisetto.
Poi mi diressi verso le scale «Torno subito, fai pure come se fossi a casa tua».
Andai in bagno e mi sistemai un po' il trucco e i capelli. Poi presi la borsa infilandoci il portafoglio e tornai di sotto trovandolo ad osservare le nostre foto sul muro.

«Ecco, sono pronta a morire» annunciai con tono melodrammatico.
Lui rise e si voltò «Perché dovresti morire?».
«Diciamo che la vita sociale non è il mio forte e la relazione con l'altro sesso ancora peggio. Anche se probabilmente a loro appaio come una bambina...».
«Mmh, non credo proprio» rispose lui.
«Io sì... allora andiamo?» chiesi cambiando discorso.

Lui annuì e mi precedette fuori di casa. Chiusi a chiave, poi raggiungemmo la sua macchina. Come sempre lui mi aprì la portiera facendomi salire, poi richiuse facendo il giro e salendo al posto di guida.

«E se io adesso scappassi?» chiesi prendendo la sua mano e scendendo dalla macchina. Eravamo appena arrivati davanti a casa sua.
Lui mi guardò, gli angoli della bocca piegati all'insù in un accenno di sorriso.
«Ti prenderei» rispose «Su, coraggio, andiamo».
Gli lasciai la mano e gli camminai affianco fino alla porta. Lui aprì ed entrammo.

Salutai imbarazzata i suoi amici, che mi raggiunsero subito per farmi gli auguri. 
«Allora, che si fa?» chiese Daniel guardandosi intorno.
«Giochiamo a calcetto?» propose Matteo illuminandosi.
«Elisa, ti va?» chiese Tommaso guardandomi.
Annuii «Però non sono molto brava».

«Facciamo a turno ok?» disse il prof. mentre ci faceva strada giù per le scale fino ad una stanza molto accogliente con un biliardo, un calcetto, le freccette, altri giochi ed una tv gigantesca circondata da due divani.
«Wow» mormorai guardandomi intorno.
«Ecco, hai capito dove ci troviamo di solito» mi spiegò Matteo sorridendo.
«Bene, formiamo le squadre?» chiese Daniel.
«Un attimo» disse il prof. andando a prendere qualcosa in un cassetto.

«Ecco, due stuzzicadenti corti, due lunghi e uno mezzo rosso» spiegò tenendoli in mano in modo che si vedessero solo le estremità uguali. Poi fece il giro ed ognuno ne prese uno.
Presi lo stuzzicadente corto e finii in squadra con Tommaso, contro il prof e Daniel.

Ci mettemmo ai nostri posti, poi Daniel buttò la pallina in campo.
Dopo cinque minuti eravamo pari 5 a 5.
Tommaso prese la pallina e la buttò in campo, nello stesso istante mossi la manopola e chissà come la pallina andò dritta in rete.
«Wow Elisa!!» esclamò Tommaso e ci battemmo il cinque.

«Per fortuna che non eri molto brava» mormorò il prof «adesso ti faccio vedere io!».
Sorrisi aspettando che buttasse in campo la pallina. E riprendemmo a giocare.
Finimmo qualche minuto più tardi, 10 a 8 per noi.
«Certo che farvi battere da una ragazzina...!» esclamò Matteo rivolto agli altri due.
«Siamo una coppia vincente eh?!» fece il moro accanto a me, circondandomi le spalle con un braccio.
Io arrossii, ma sperai che nessuno lo avesse notato.

Quando mi lasciò alzai lo sguardo, e trovai il prof con il solito sopracciglio inarcato che mi guardava. Ok, come non detto!
Lo fissai per un secondo, poi distolsi lo sguardo.
Rifacemmo il giro con gli stuzzicadenti e stavolta finii io fuori. Erano Daniel e Tommaso contro Matteo e il prof.
«Uh, adesso posso giocare sul serio!» disse il prof preparandosi sulle manopole.
«Ehi!» esclamai dandogli un pugno sul braccio.
Lui rise «È la verità».
Lo guardai male mentre gli altri tre seguivano lo scambio tra di noi ridacchiando.

Mi voltai verso Daniel e Tommaso «Fatemi un favore, vincete voi!».
«Ai tuoi ordini, bella» rispose Tommaso facendomi l'occhiolino.
«Io, al tuo posto, non sarei poi così tanto sicuro di vincere» commentò il prof.
«Scommettiamo?» lo sfidò Daniel.
«Dai Matte, facciamogli vedere come si fa!» rispose il prof impugnando le manopole.

Li guardai, incrociando le braccia sul petto.
«Maschi» borbottai mentre cominciavano a giocare così seriamente che facevo fatica a seguire la pallina.
Li osservai giocare.

Anzi, forse era più esatto dire che osservai Lui giocare.
Aveva tirato su le maniche della felpa, e i miei occhi continuavano a tornare sui suoi avambracci. I muscoli che guizzavano ad ogni movimento. 
Sospirai, e con una buona dose di forza di volontà riuscii a distogliere lo sguardo e a puntarlo sul gioco. 

«Grazie per oggi» dissi prima di scendere dalla macchina, qualche ora più tardi.
«Ti sei divertita?» chiese lui girandosi a guardarmi.
Annuii e sorrisi «Un po' difficile non divertirsi con voi».
«Modestamente!» rispose lui, facendomi alzare gli occhi al cielo.
«Vedo che a te non manca l'autostima» scherzai «potresti darmene un po'».
Lui sorrise studiandomi.
«Buona serata, e grazie ancora!» dissi rompendo quel momento di silenzio.
«Figurati, piccola solitaria! Buona serata anche a te, e buon compleanno».
Sorrisi e scesi dalla macchina.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Immaginazione o realtà? ***


«Elisa?».
«Si?» risposi voltandomi verso Stefano, che stava giocando sul materassino.
«Possiamo andare un po' fuori?».
Sbirciai un attimo dalla finestra. «Va bene, ma solo finché c'è il sole» risposi alzandomi dal divano. Presi la sua giacchetta dall'attaccapanni, e quando mi raggiunse, lo aiutai ad infilarla.

«Più forte, più forteee!!».
«Ehi, più forte di così finisci sulle nuvole, Stefano!» risposi ridendo. Lo stavo spingendo sull'altalena. Ormai mi facevano male le braccia, e avevo capito che lui adorava andare sull'altalena.
«Siii, così posso volare in alto!!» esclamò lui allargando le braccia.

«Ehi, vedo lo zio!» fece qualche minuto dopo.
«Ma non c'è nessuno!» risposi guardandomi intorno.
«Perché io sto volando alto e lo vedo, e c'è anche un altro signore!» esclamò scalciando con i piedi «Eccoli!».
Spostai lo sguardo sul cancello, ed effettivamente c'erano due figure che ci stavano venendo incontro.
Rimasi senza fiato dalla sorpresa, poi le mie gambe si misero in moto e finii tra le sue braccia.
«Marco!! Perché non me l'hai detto che tornavi?» chiesi lasciandolo andare dopo qualche minuto.

«Volevo farti una sorpresa, come va?».
Sorrisi e lo presi per mano portandolo fino all'altalena, dove ora Stefano si stava facendo spingere dallo zio.
«Stefano, questo è mio fratello. Si chiama Marco!» gli spiegai.
«Ciao, fratello di Elisa!» lo salutò il biondino. «Tu sai andare sull'altalena?».
«Ma certo, io sono un mago dell'altalena!» rispose Marco.
«Vero che sto volando alto?» gli chiese «Mi spingi tu, adesso?».

«Ciao Elisa».
Mi girai a guardare il padrone di quella voce e, come sempre, rimasi prigioniera di quegli occhi stupendi.
«Ciao!» risposi dopo qualche secondo.
«Oh, bene. Temevo di essere diventato invisibile» commentò lui col suo solito sorrisetto.
"Questo risolverebbe i miei problemi" pensai.
«Scusa» risposi invece stringendomi nelle spalle, e riportando gli occhi su mio fratello «È che non me l'aspettavo proprio».

«Allora? Cosa mi racconti, sorellina?» chiese Marco dopo qualche minuto, raggiungendomi. Mi cinse con un braccio attirandomi al suo fianco.
«Cosa vuoi sapere?» chiesi tenendo d'occhio Stefano.
«Tutto. Come va la vita qui?».
«Bene, credo» risposi.
«Manca solo un mese agli esami, sei in ansia?».
«Un po', non vedo l'ora che sia tutto finito. Voglio uscire dall'orale e dire addio a tutta quella gente!» commentai sorridendo.

«Spero di non essere compreso in "tutta quella gente"» commentò il prof che evidentemente stava ascoltando.
«Sono sicuro che mia sorella non ti dirà addio, sta tranquillo» fece mio fratello assestandogli una pacca sulla spalla.
«Ci conto, visto che la sto aiutando con la tesina» rispose l'altro.
«Ehi, guardate che sono qui!» esclamai.
«Lo so bene che sei qui, sorellina» commentò Marco dandomi un bacio sulla fronte.

«Mamma e papà sanno che sei arrivato, comunque?» chiesi scrutandolo.
«Certo che lo sanno, gliel'ho detto la settimana scorsa» rispose lui con un'alzata di spalle.
Lo fissai sorpresa «Cosa?». Poi guardai il prof «Ora mi verrai a dire che lo sapevi anche tu?».
Lui sorrise divertito.
«Ti pare che avrei rovinato la sorpresa?» chiese alzando il sopracciglio.

«Bene, hai trovato qual...?».
«Non finire neanche la domanda. Nella remota possibilità in cui dovesse succedere te lo dirò io» lo interruppi.
Lui alzò gli occhi al cielo «Non vorrei dire, ma quando siamo andati a Milano, cara sorellina, perfino Morgan non ti toglieva gli occhi di dosso. E ho sentito di quel ragazzo dello staff...».
«Stai zitto!» dissi fulminandolo con lo sguardo «Allora: punto uno, Morgan guarda tutte le ragazze, quindi lui non conta. Punto due, Andrea è solo stato gentile con me. E punto tre, perché so che lo dirai, Mika è gay. Quindi non conta nemmeno lui!».
Incrociai le braccia sul petto e lo guardai con aria di sfida, dimenticandomi completamente di tutto il resto.

«Va bene, hai vinto tu» si arrese dopo qualche minuto di battaglia tra sguardi. Si voltò e tornò a spingere Stefano sull'altalena.
Sbuffai.

«Piccola Solitaria?». Sobbalzai. Mi ero del tutto scordata della sua presenza.
«Oddio. Hai sentito tutto!» esclamai guardandolo.
Lui rise.
«Non è divertente, per niente» commentai.
«Invece sì, pensavo te ne fossi accorta. Credo che tu piaccia a Tommaso».
Lo guardai spiazzata.
«E anche a te piace lui!» aggiunse lui con un tono strano.

Feci una smorfia «Non è vero!».
«Cosa?».
«Che mi piace» risposi arrossendo.
«Sei arrossita però» constatò lui osservandomi.
«È perché mi imbarazza parlare di queste cose» risposi evitando il suo sguardo.
«Ti ho visto quando ti ha abbracciata, eri tutta rossa!» disse scrutandomi.
«Questo perché sono molto timida, ma non vuol dire che mi piaccia» commentai guardandolo.
Aveva il sopracciglio destro inarcato.

«Ok» continuai alzando gli occhi al cielo «è un bel ragazzo ed è carino con me, ma non mi piace in quel modo! E poi anche quando mi abbracci tu arrossisco, quindi non vuol dire niente».
«Non ne sono così sicuro» mormorò. Poi mi passò affianco, diretto verso gli altri due. Nel farlo mi poggiò una mano sulla spalla.
«Comunque, anche oggi sei bellissima» sussurrò in tono appena udibile.

Mi girai e lo guardai allontanarsi.
L'aveva detto veramente? O me l'ero immaginata?
Rimasi impalata, cercando di capire cosa avesse esattamente detto e se fosse stata la mia mente a modificare le sue parole...
E con la prima frase a cosa si riferiva? Sicuramente a Tommaso...
E se invece sapeva di piacermi??

E quello che mi aveva sussurrato? Me l'aveva detto altre volte, riflettei, ma mai in questo modo!
Ma non poteva significare quello che volevo credere, forse era una cosa normale tra amici...
Cavolo! Mancava appena un mese di scuola, avevo già abbastanza preoccupazioni!!

«Eli! Stai bene?». Scacciai quei pensieri e alzai lo sguardo.
«Sì, perché?» risposi avvicinandomi a Marco.
«Ti ho chiamata tre volte» disse scrutandomi «Sei sicura di stare bene?».
Alzai lo sguardo e commisi l'errore di incrociare quello del prof. Ma non lasciava trasparire assolutamente niente.
Tornai a guardare Marco e annuii «Stavo solo pensando».
«Ok, allora smetti di pensare» commentò lui sorridendo «Noi adesso andiamo. Ci vediamo a casa».
«Va bene» risposi «Ciao!».

«Non voglio più andare in altalena!» esclamò Stefano venendo da me.
«Va bene, ometto. Allora rientriamo e giochiamo a qualcosa dentro, ok?».
«Sì!».

-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-

Era passata una settimana. Avevo fatto vedere la tesina che avevo completato al prof. Lui non aveva minimamente accennato a quello che mi aveva detto quel giorno. 
Anzi, si comportava come al solito. Quindi decisi che me ne sarei completamente dimenticata, sempre che non fosse stata tutta opera della mia mente malata...

La tesina andava bene. Perciò avevo un pensiero in meno. Ora restava da studiare tutto, ma fortunatamente non avremmo avuto più verifiche in quelle ultime settimane.
Il sabato della settimana seguente, invece, avremmo fatto il saggio del coro. Marco era ancora qui. Quindi ci sarebbe venuto, come mi aveva promesso ad inizio anno.
Tutto sommato procedeva bene. A parte qualche camomilla alla sera per riuscire a calmare l'ansia e a dormire.
Ormai mancava pochissimo tempo. Quest'anno era volato!

Suonò la campanella della pausa e presi, come d'abitudine, le cuffie dallo zaino.
La maggiorparte della classe uscì subito, perciò recuperai il panino dallo zaino e lo appoggiai sul banco.
Poi mi infilai le cuffie e feci partire la musica. Che però dovetti spegnere dopo qualche secondo perché Benedetta si era piazzata davanti a me e stava dicendo qualcosa, che io non sentivo.

Sbuffai e tolsi le cuffie, fermando la musica.
«Scusa, non ho sentito» dissi mostrandole la cuffia.
«Stavo dicendo che devi essere proprio strana. Te ne stai sempre qui rinchiusa da sola, in questa classe del cavolo» recitò lei.
Alzai le spalle «Mi piace stare da sola e ascoltare musica».
«L'avevamo capito» commentò Ludovica affiancando la compagna.
«Quindi? Avete bisogno di qualcosa?» chiesi vedendo comparire al loro fianco anche Stefania.
«Si, che tu sparisca "puf"» rispose la nuova arrivata.

«Vi sto dando fastidio?» chiesi corrugando la fronte.
«Sì, la tua sola presenza ci da fastidio» rispose Benedetta.
«Sei solo una povera sfigata, guardati. Il grande Marco Mengoni meriterebbe qualcosa di meglio come sorella. Tu non ne sei all'altezza. Non sei all'altezza di nessuna di noi!».
Fissai lo sguardo sul telefono, cercando di lasciarmi scorrere tutto addosso.
«Sfigata, sfigata, sfigata!!» presero a canticchiare in coro.

«Si da il caso che quella "sfigata" non senta il bisogno di andare in giro a insultare le compagne, e solo per questo motivo risulta essere meno sfigata di voi tre!» annunciò una voce, facendole sobbalzare. «Se sento qualcosa del genere un'altra volta state certe che vi beccate una nota sul registro!».
Loro tre si guardarono e se ne andarono senza dire nulla, chiudendosi la porta alle spalle.
Il tutto mentre una lacrima solitaria si faceva strada sulla mia guancia. Me la asciugai in fretta.

«Stai bene?» chiese lui avvicinandosi.
«Secondo te sto bene?» chiesi con veemenza.
«Lasciami stare» mormorai dopo qualche secondo.
Lui non mi ascoltò, ma si sedette sul banco di fianco a me e mi cinse col braccio, tirandomi verso di lui.
Mi irrigidii e cercai di liberarmi «Non puoi, ci vedono!».
Lui non mollò la presa «Non ci vede nessuno, tranquilla».

«È successo altre volte?» chiese, la mia testa appoggiata sulla sua spalla.
«Si, ma ormai manca poco. Tra qualche settimana non le vedrò più» risposi a bassa voce.
«Perché non ti difendi? Non riesco a capirlo» disse quasi parlando tra sé e sé.
«E cosa dovrei dire?» lo aggredii. Alzai la testa e cercai di allontanarmi.
Lui mi scrutò «Non ci crederai davvero a quello che dicono! Elisa, tu sei una persona bella, e una sorella fantastica per Marco. Come fai a pensare che non sia così?»
«Perché dopo un po' che te lo senti dire cominci a credere che sia vero» dissi con amarezza.

«Be', e tu non credere a loro. Io continuo a dirti che sei speciale! Credi a me!» replicò lui «Non ti mentirei mai, se ti dico una cosa è perché ne sono convinto».
«Lo so, ma non è facile» risposi torturandomi le dita.
Aspettai qualche minuto «Non dirlo a Marco. Non gli dire niente, ok?».
Lui esitò.
Lo guardai «Ti prego! Non volevo che lo sapessi nemmeno tu, non riuscirei più a parlargli...».
«Va bene. Ma se succede altro me lo vieni a dire subito».
Annuii «Non vedo l'ora che sia finita» mormorai.
«Anch'io» mormorò lui in risposta.

Lo guardai interrogativa, ma lui rimase del tutto indifferente.
«Sei bella anche mentre piangi, comunque».
«Non ho pianto, e non sono bella» replicai dopo un attimo di sorpresa. «E non serve che mi dici queste cose solo per farmi stare meglio».
«Non è quello lo scopo» mormorò lui.

«Va bene, come vuoi tu. Puoi lasciarmi ora, non ho intenzione di uccidermi».
Lui mi fissò sconcertato «Non dirlo nemmeno per scherzo!».
«Ok, va bene. Come sei suscettibile» commentai alzando un sopracciglio.
Lui mi fissò «lo fai sempre».
«Cosa?» chiesi.
«Alzare il sopracciglio, il sinistro. Lo fai spesso» spiegò lui.
«Anche tu» risposi «il destro però».
Lui rise «Va bene, abbiamo un'altra cosa in comune allora!».

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Forse sì, forse no ***


Stavo morendo di ansia. Nel giro di qualche minuto avremmo dovuto salire sul palco.
Era sabato. Era la sera del saggio del coro. E io avrei voluto smaterializzarmi e andarmene da tutt'altra parte...

«Sei nervosa?». Sobbalzai. Non mi aspettavo che qualcuno mi rivolgesse la parola. Mi ero rintanata in un angolino della piccola saletta dove stavamo aspettando e cercavo di calmarmi un po'.
Alzai lo sguardo sul prof arrivato accanto a me, poi mi guardai intorno per vedere se qualcuno ci stesse ascoltando «Una volta mi hai detto che mi capivi solo guardandomi, quindi, se è ancora così, credo che tu lo sappia» risposi tornando a fissarmi le mani.
«È ancora così, per questo sono venuto qui a tranquillizzarti» replicò lui.
«Bene, non credo che ce la farai» dissi sicura.
«Come vuoi, ma ti ripeto che le prove sono andate benissimo e stasera andrà altrettanto bene. Adesso andiamo che è ora!» concluse precedendomi verso il corridoio.

Il resto passò così veloce mentre ero concentrata a cantare, che nemmeno me ne resi conto. L'ansia mentre cantavo era pian piano sparita, soprattutto perché stavo immaginando di cantare su un prato verde senza nessuno che mi guardardasse.
In alcune canzoni lasciai il posto agli altri solisti, e in men che non si dica era tutto finito.

Scesi dal palco e quasi andai a sbattere contro mio fratello che mi stava aspettando.
«Grande sorellina!» esclamò stringendomi in un abbraccio.
Sorrisi «Ho cantato bene?».
«Benissimo» rispose. Poi aggiunse sottovoce «tu non hai visto quanto era felice Gabriele!».
Sorrisi tra me e me. Mi faceva piacere sentire queste parole.

In quel momento lui ci raggiunse «Brava Elisa, sei stata fantastica!».
Arrossii «Grazie».
«Tieni Marco, ho fatto!» aggiunse restituendogli il suo telefono e facendogli un cenno d'intesa.
«Come ti è sembrato?» chiese poi passandosi una mano tra i capelli. Era nervoso?
«Bellissimo, hai fatto un ottimo lavoro amico!» rispose mio fratello dandogli una pacca sulla spalla «non avevo dubbi».
L'altro sorrise, rassicurato. A quanto pareva ci teneva molto all'opinione di mio fratello.

Li ascoltai parlare per un po', finché non sentii la mia tasca vibrare. Tirai fuori il telefono e quasi mi venne un colpo.
Un messaggio di Mika.
Mika?
Forse era il mio telefono che dava i numeri... Mika non mi avrebbe mai scritto!
Aprii whatsapp. E invece sì, era proprio lui!

"Hey Elisa! Io ho appena visto te cantare Happy Ending, è stato great. I loved it so much, tua voce è super! E tu sei adorable 😊"

Lo rilessi tre volte per accertarmi che avessi capito bene, poi pensai a cosa rispondergli. Il tutto mentre il cuore tentava di uscirmi dal petto...

"Ciao Mika. Grazie mille, ma non capisco... dove mi hai vista?"

Risposi, dopo aver scritto e ricancellato una mezza decina di volte.
Aspettai, piena di ansia, mentre il "sta scrivendo..." continuava a comparire in alto.

"Oh, il tuo ragazo ha mandato me un video. He's very sweet on you!"

Fissai lo schermo, poi alzai gli occhi e scrutai i due ragazzi davanti a me.
«Prof?» chiesi interrompendoli.
Lui mi guardò.
«Si può sapere perché hai mandato un video a Mika? Che tra l'altro tu non hai...» mi bloccai facendo una smorfia «ah, certo! Col telefono di Marco!».
«Ti ha scritto?» chiese il prof.
Annuii. «E chissà perché è convinto che tu sia il mio ragazzo... cosa gli hai detto?» chiesi arrossendo.
Lui si strinse nelle spalle «Niente, cosa ti ha detto?».
«Mi ha fatto i complimenti, ma potevi fare anche a meno di mandarglielo» risposi.
Lui fece un sorrisetto.

"Lui non è il mio ragazzo, è il mio insegnante di musica e un amico di Marco... Ma comunque grazie mille, mi hai fatto felice! 😊"

Risposi mentre i due tornavano a parlare tra loro.
Inutile dire quanto mi sentissi emozionata. Insomma, mica capita tutti i giorni di ricevere un messaggio dal tuo eroe, che per di più ti fa i complimenti!

-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-

Le ultime due settimane di scuola erano passate.
Ma mentre tutti gli altri si trovavano già in vacanza, io avevo passato un'altra settimana a studiare. Pedagogia per la seconda prova; storia, filosofia, inglese e matematica per la terza. Per la prima ci sarebbe solo voluta una buona dose di fortuna...
E insomma, anche gli scritti poi erano andati. Anche abbastanza bene, scoprii dopo.

In quel preciso momento stavo aprendo la porta d'ingresso della scuola, per poi lasciarla richiudere alle mie spalle. Era finita!
Avevo appena finito l'orale, e mi sembrava fosse andato anche abbastanza bene, tutto sommato.
Mi sentivo il sorriso sulle labbra! Ero felice!!

Arrivai a casa e raccontai tutto, per filo e per segno, ai miei e a Marco. Ripensandoci, era stato abbastanza sereno... non come i professori me lo avevano fatto immaginare. Be', meglio così!
Ora restava da aspettare l'uscita dei risultati.

«Eli! Oggi vado da Gabriele, ci sono anche gli altri... vuoi venire? Così festeggiamo la tua maturità!» mi chiese Marco appena finii di aiutare la mamma a spreparare la tavola.
Alzai gli occhi «No, sono tuoi amici, mica miei!».
Lui sbuffò «Ma ti piacciono, e poi loro insistono per vederti... cosa che sinceramente mi dovrebbe preoccupare».
«Ma figurati, cosa mai dovrebbe preoccuparti?» risposi ridendo.
«Be', tu sei una bella ragazza, e loro sono maschi» sottolineò lui.
Lo guardai alzando un sopracciglio.

«Comunque, ci vieni vero? Giochiamo un po', ci divertiamo... fallo per me!» insistette ancora lui.
Alzai gli occhi al cielo «E va bene!».
Lui esultò, e io andai a prepararmi. A Marco non sarei mai riuscita a dire di no...

«Eccola la nostra diplomata!» esclamò Tommaso appena entrammo in casa di Gabriele venendo a darmi due baci sulle guance.
«Grande!» disse poi Daniel dandomi il cinque.
Sorrisi «Grazie!».
Poi i miei occhi si posarono sul prof, o meglio, sul mio ex-prof. E cavolo, il mio cuore mi risuonò così forte nel petto, che quasi ebbi paura che loro lo sentissero.
Distolsi a fatica gli occhi dal suo fisico perfetto, per poi finire incatenata dal suo sguardo.
Ops, forse se n'era accorto!

Ma lui sorrise avvicinandosi e mi strinse in un abbraccio, avvolgendomi con il suo profumo.
«Brava, piccola solitaria» mormorò mentre gli altri salutavano Marco.
«Non lo so ancora come è andata» commentai quando lui si allontanò leggermente.
«Scommetto che è andata bene, ne sono sicuro» mi rassicurò lui.
«Speriamo, e grazie per tutto!» risposi.
Lui sorrise, poi lanciò un'occhiata ai suoi amici.
Dopo un attimo mi si avvicinò di nuovo.
«Comunque piaci a Tommi, ne sono sicuro» mi sussurrò all'orecchio, facendomi venire i brividi.

«E come faresti ad esserne sicuro?» chiesi scrutandolo.
«Basta vedere come ti guarda, e poi mi ha chiesto il tuo numero... più chiaro di così!» rispose lui facendo una smorfia.
Io arrossii «E glielo hai dato?».
Lui scosse la testa.
«Bene, è un bel tipo, ma sarebbe imbarazzante uscire con lui».
«Perché?».
«Perché non so esattamente di che anno sia, ma già Marco ne ha 7 più di me... E la mia esperienza ammonta a zero, lo sai» spiegai guardando Tommaso che parlava con Matteo.

«È dello stesso anno di Marco, sono io il più vecchio. Comunque la differenza d'età non è così importante, quello che conta davvero è quello che provi per l'altra persona» replicò cercando il mio sguardo.

Sospirai «Lo so, ma lui non mi fa venire la tachicardia. Mi piace, ma non così tanto...».
Era qualcun'altro in effetti a farmi venire la tachicardia e le farfalle nello stomaco. Cosa che finora non avevo mai provato, ma adesso sapevo bene come ci si sentiva.
«Comunque non dirlo a Marco» continuai.
Poi raggiunsi gli altri quattro e salutai Matteo che ancora non avevo salutato.

«Andiamo giù?» chiese Daniel, mentre Spark mi raggiungeva e cominciava a strofinarsi sulle mie gambe.
Lo presi in braccio e seguii gli altri giù per le scale.
«Spark, sei un ruffiano!» disse il prof facendogli una carezza, mentre mi passava affianco.
Mi accorsi però che non potevo più pensare a lui come al "prof". Non lo era più. Avrei dovuto chiamarlo per nome, cosa che finora non avevo mai fatto... era un modo per ricordarmi la differenza e la distanza tra noi e i nostri mondi.

Mi sistemai vicino al calcetto con il micio in braccio, mentre gli altri cinque decidevano chi giocava e chi no. Cominciarono Daniel e Matteo contro Marco e Gabriele. Ecco! Mi faceva già strano riferirmi a lui con il suo nome...
Tommaso si mise di fianco a me, a guardare la partita. Forse un po' più vicino del normale.
Incrociai gli occhi azzurri, e il sopracciglio alzato. Ok, forse aveva ragione lui.

Seguii la partita, assistendo alla vittoria della mia squadra preferita. Non c'erano dubbi su quale fosse, ovviamente.
Poi cambiarono squadre e insistettero affinché giocassi anch'io. Finii in squadra con Marco, contro Tommaso e Daniel.

«Eeeeeh, grande Eliii!» esclamò mio fratello dandomi il cinque. A metà partita eravamo in svantaggio, ma poi in quattro e quattr'otto avevamo recuperato, vincendo.
Sorrisi, poi tornai da Spark che stava comodamente stravaccato sulle braccia del suo padrone. Restai vicino a lui, mentre gli altri quattro iniziavano un'altra partita.
«Lo vuoi tu?» mi chiese indicando il gatto con la testa.
«No, guarda come sta bene lì» risposi accarezzandolo, poi mi chinai leggermente e gli stampai un bacino sulla testolina pelosa.

«Però! Essere un gatto ha i suoi vantaggi» constatò lui facendo un sorrisetto.
Lo fissai «Sei geloso?» mormorai divertita.
«Mah, essendo il suo padrone dovrei ricevere lo stesso trattamento, non credi?» sussurrò con una luce negli occhi.
Risi «Tu passi tranquillamente dall'essere serio, a mettermi in situazioni assurde. Non so mai se stai scherzando o no, quando mi dici certe cose».
Lui sorrise «Chi lo sa, forse sì forse no. Ma io non rischierei».

«Che dici Spark? Lo devo fare o no? Muovi una volta la coda per il sì, due per il no» dissi avendo notato che quasi sempre quando muoveva la coda lo faceva due volte di seguito.
Lo guardammo e dopo qualche secondo lo fece. Cavolo! Una volta!
Guardai il suo padrone, che mi fissava con aria di vittoria.
Alzai gli occhi al cielo, poi mi avvicinai e gli posai un bacio sulla guancia.
«Grazie, e grazie a Spark. Lui sì che ha capito tutto!».

«Tommi, concentrati sulla partita!» esclamò Matteo. Mi girai verso di loro.
«È quello che sto facendo» mormorò l'altro.
«Mica tanto» replicò il moro.
«Vedi, te l'avevo detto» sussurrò una voce nel mio orecchio facendomi sobbalzare.
Mi voltai e lo fulminai con lo sguardo «Ma devi per forza farmi prendere un infarto ogni volta? Avvisami quando ti avvicini senza fare rumore. Prima o poi muoio».
Lui si mise a ridere.

Tornai a guardare la partita cercando di non pensare a lui. Cosa molto difficile, dato che ormai mi si era definitivamente impresso nella testa.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - Confessioni inaspettate ***


Nel giro di qualche settimana Marco tornò a Milano. E io andai con mamma e papà per una settimana al mare, durante la quale ricevetti i risultati degli esami, grazie a Martina. Avevo preso 80, niente male! Sinceramente mi ero aspettata peggio...

Quando tornai ero leggermente abbronzata e decisamente più rilassata.
E quando, dopo qualche giorno, Stefano mi invitò alla sua festa di compleanno accettai volentieri... mi era mancato il piccoletto!

«Buon compleanno ometto!!» esclamai trovandolo finalmente in mezzo a tutti quei bambini nel giardino.
«Ehi, Elisa! Sei venuta!!» esclamò lui saltandomi in braccio.
«Si, e questo è per te» dissi dandogli il pacchetto incartato e facendolo scendere.
Lui mi guardò con gli occhi luccicanti «Grazie, lo metto insieme agli altri. Dopo li apro!».
Corse fino al tavolo lì vicino e lo posò insieme agli altri regali.

Intanto io individuai Serena e andai a salutarla. Mi presentò alcune mamme di bimbi che andavano all'asilo con Stefano, e mi unii alle chiacchiere.
Poi, mentre loro continuavano il loro discorso, la aiutai a portare fuori altri vassoi con il cibo, sostituendoli a quelli vuoti, e sistemammo le bibite e i bicchieri.

«Vado un attimo dentro a sistemare la torta, mi tieni d'occhio Stefano intanto?» chiese lei dopo qualche minuto.
«Certo, fai pure con calma» risposi raggiungendo i bimbi.
Stavano giocando a qualche strano gioco con banditi e poliziotti. All'inizio mi erano sembrati molti di più, ma contandoli mi resi conto che erano solo in otto, compreso Stefano.
«Elisaaa, tu fai quella che porta il carico di botti... siediti lì» annunciò il biondino accorgendosi di me e indicandomi un punto del prato.
«Ok, capo» risposi sedendomi.

«Forza banditi, rubiamo il caricooo!!» urlò uno degli altri bambini.
«Siii» esclamò un altro puntandomi.
"Oh oh" pensai mentre me li vedevo venire addosso.
«Caricaaaa» gridò infine Stefano finendomi addosso e facendomi cadere all'indietro.
«Non muoverti, altrimenti ti spariamo!» esclamò il biondino mentre facevano finta di rubare il carico.
Sorrisi e mi misi un braccio sugli occhi per ripararmi dal sole, mentre arrivavano gli altri bambini, i poliziotti, e loro combattevano facendo un chiasso tremendo.

«Prendi il sole?».
Strabuzzai gli occhi, poi tolsi il braccio e lo vidi sopra di me.
«No, è sempre opera di tuo nipote quando mi trovi a fare cose strane. Avrei dovuto aspettarmelo!» commentai alzando la testa.
Lui alzò il sopracciglio. «Sei anni e già riesce a far fare alle donne quello che vuole» disse ridendo. Poi si mise vicino a me e mi allungò la mano. La presi e lui mi aiutò a tirarmi su da terra.

«Ciao, piccola solitaria» disse, quando fui di fronte a lui.
«Ciao» risposi sentendomi il calore sulle guance.
Lui piegò la testa, osservandomi. E facendo crescere il mio imbarazzo.
«È da tanto che non ci vediamo, come va?».
«Bene» risposi stringendomi nelle spalle «Come al solito, tu?».
«Benissimo» rispose sorridendo, poi si guardò intorno. «Scusa, vado un attimo dalla piccola peste, torno subito» aggiunse mostrandomi un regalo.
Annuii e lo seguii con lo sguardo.
Poi andai a sedermi sull'altalena, dondolandomi leggermente.

Aveva dei jeans corti azzurri, che richiamavano il colore dei suoi occhi, e una maglietta bianca.
Ed era bellissimo.
Come sempre.
Ammetto che, dopo quel giorno in cui Marco mi aveva portato a casa sua, ero riuscita a stargli lontana.
Quasi un mese. Era un record!

Certo, facendo da baby-sitter a suo nipote era inevitabile che prima o poi ci incontrassimo. E sinceramente non riuscivo a decidermi se volevo stargli vicino o no. La confusione nella mia testa era sempre la stessa, certo che lo volevo! Ma avevo paura di quello che voleva lui...

«A cosa pensi?».
Ecco! Mi ero di nuovo persa nei miei pensieri, estraniandomi completamente dal mondo attorno a me.
Si era seduto sulla traversa di legno dell'altalena, e mi osservava.
«A niente» risposi.
«Quel "niente" è una persona?» mi interrogò lui.
«Forse».
«Allora spero che quella persona sia seduta al mio posto» concluse lui, abbassando un po' il tono di voce.

Alzai gli occhi su di lui, interrogandolo con lo sguardo.
Lui alzò un angolo della bocca in un accenno di sorriso, poi si passò la mano tra i capelli. Gesto che, avevo notato, faceva quando era nervoso.
«È da tanto che ci penso, ho aspettato che finisse la scuola... adesso ho deciso che non aspetterò ancora. Ti va...» disse interrompendosi e facendo un bel respiro «Ti va di uscire con me?».

Registrai le sue parole, poi lo fissai sbalordita. Non stavo sognando, vero?
«Dici sul serio?» chiesi, non credendo alle mie orecchie.
Lui annuì.
«Wow. Io non... non so cosa dire!» esclamai.
«Magari rispondimi, mi stai tenendo sulle spine» mormorò lui.
«Scusa, è che non ci credo. Insomma, io non credevo di piacerti» dissi arrossendo. Poi lo guardai «Sì».

Lui si rilassò e sorrise.
«Ma non ti serviva la mia risposta, vero? Sapevi che mi piaci» chiesi facendomi coraggio.
Lui rise «L'avevo capito sì».
Mi nascosi la faccia tra le mani. «Ecco, lo sapevo. Ma tu continuavi a starmi intorno e io ogni volta non sapevo cosa fare, e poi hai cominciato a dirmi che ero bella... e io non capivo più niente».
«C'era un motivo se ti stavo intorno, piccola solitaria».

«Elisa!! La mamma ti vuole» esclamò Stefano correndo da noi.
Alzai la testa «Va bene, vengo subito». Lui annuì e corse di nuovo via.
Poi guardai Gabriele. E lui guardò me.
«Stasera?» chiese dopo qualche attimo di silenzio.
Annuii «Va bene». Poi mi alzai «Lo sai però che io non so da che parte iniziare».
«Non importa» mi rassicurò lui.
Poi mi allontanai, raggiungendo sua sorella.

«Scusa, vi ho interrotto?» chiese lei appena entrai in cucina.
«Tranquilla, non importa».
«Ti piace, vero? Ho visto come lo guardi...».
Arrossii e annuii. «In effetti, mi ha appena chiesto di uscire con lui...» dissi, non riuscendo a trattenermi.
Lei mi sorrise «Oh, ha deciso di impegnarsi un po' finalmente». Poi si chinò a sistemare le ultime candeline sulla torta.
«Serena?» chiesi dopo qualche secondo.
«Si?» fece lei alzando la testa e guardandomi.
«Credi... credi che io vada bene per lui?».

Lei si raddrizzò «Certo che vai bene per lui, perché non dovresti?».
«È che sono più piccola di lui, non so se riesco ad essere quello di cui ha bisogno» dissi esternando le mie paure.
«Ehi, non farti questi problemi. Se ti ha scelto significa che ti vuole, anche se sei più piccola. E sono sicura che riuscirai a farlo felice» rispose lei, tranquillizzandomi.
Poi mi abbracciò «Sono felice per te».
«Grazie, anche io».

Poi, su sua richiesta, presi la macchinetta fotografica e uscii. Feci qualche foto al giardino addobbato. Dopodiché mi avvicinai ai bambini e ne feci qualcuna anche a loro, mentre mi sentivo gli occhi di lui addosso.
Li avvertii di andare a sedersi al tavolo, per l'arrivo della torta, dove li raggiunsi. Lui era già lì, e mi fece sedere al suo fianco.

Dopo l'apertura dei vari regali, la canzoncina di auguri e qualche fetta di torta, ci ritrovammo a fare le foto di gruppo. Feci di tutto per fare in modo di non dover fare la foto (venivo sempre male), ma alla fine mi ritrovai dietro a Stefano e con un braccio di Gabriele intorno alla vita, mentre una mamma ci scattava qualche foto.

«Va bene se ti vengo a prendere dopo cena?» chiese a bassa voce Gabriele, mentre le mamme incominciavano a radunare i loro figlioletti.
Annuii «A che ora?».
«Otto e mezza?».
«Perfetto» risposi cercando di trattenere un sorriso «Dove andiamo?».
«Sorpresa! Tranquilla, a cena ti porto la prossima volta» rispose con un sorrisetto e gli occhi luminosi.
Arrossii. «Non serve che mi porti a cena, mi hai conquistata già tempo fa» mormorai.
«Voglio fare le cose per bene, piccola solitaria» disse prima che Stefano ci interrompesse per giocare con lui.
«Io vado allora, a stasera».
Lui sorrise, scompigliando i capelli del nipotino «Ciao».

Arrivai a casa che ancora stentavo a crederci. Allora almeno un po' gli piacevo anche io!
Saltellai per casa come una scema, e per fortuna mamma e papà erano al lavoro.
Poi mi fiondai in camera per decidere cosa mettermi per l'appuntamento, ma dato che non mi aveva detto dove saremmo andati non avevo la minima idea di come vestirmi.
Alla fine decisi per dei jeans corti e una maglietta. E una felpa da mettere sopra se avessi avuto freddo.

Adesso rimaneva la parte più difficile, cioè dire ai miei che sarei uscita e con chi sarei uscita. E se non glielo avessi detto? Dirlo a mamma e papà significava che Marco lo avrebbe saputo... e se l'avesse presa a male?
Oddio! Non volevo farlo sapere a nessuno, prima ancora di sapere come sarebbe andata tra noi...
Sbuffai.
Ci pensai per qualche minuto, poi decisi. Gli avrei detto che uscivo con una compagna di classe. Loro mica sapevano se fosse o meno la verità...

«Allora divertiti!» disse mamma, mentre mi infilavo le scarpe «Le chiavi di casa le hai, vero?».
«Sì, tranquilla. Cercherò di non fare tardi».
«Mi raccomando Elisa!» aggiunse papà.
«Va bene» risposi aprendo la porta «Ciao!».

Percorsi il vialetto e raggiunsi la macchina, e mi venne in mente che i miei quella macchina sapevano di chi era. Imprecai tra me e me. Poi aprii la portiera (mi parve strano che non lo facesse lui, come al solito) e salii in macchina.
«Ciao!» mi salutò lui.
Lo guardai e mi sentii le farfalle nello stomaco. «Ciao» risposi.
Lui accese il motore e partimmo.
«Ho pensato che sarebbe stato meglio per te se non fossi uscito dalla macchina, rimedierò dopo» spiegò lui.
«In effetti, ho raccontato una bugia ai miei. Altrimenti Marco lo saprebbe subito e non voglio» mormorai «Spero non abbiano fatto caso alla macchina».

«Spero che con loro tu menta meglio che con me» commentò lui.
Lo guardai «Sei tu che mi confondi le idee, per forza non riesco a mentirti».
Lui fece un sorrisetto «Ti confondo le idee, eh?».
Arrossii, ma fortunatamente eravamo al buio.
«Perché parliamo sempre di me?» chiesi sbuffando.
«Siamo quasi arrivati, dopo mi potrai chiedere quello che vuoi» rispose lui, girando su una strada bianca.

Cinque minuti e parcheggiò la macchina, spegnendo il motore.
«Aspettami» disse, prima di scendere.
Obbedii, aspettai che mi aprisse la portiera e che mi porgesse la mano. La presi e uscii.
Poi mi guardai attorno. Eravamo su una collinetta, da dove partivano diversi percorsi illuminati.
Chiuse la macchina, poi si diresse alla fine del parcheggio. Lo seguii e mi fermai vicino a lui. Eravamo davanti a un panorama mozzafiato.
«Ti piace?» chiese voltandosi a guardarmi.
Annuii «È bellissimo».

Stavo osservando le mille luci là sotto, quando lui intrecciò le sue dita alle mie. Mi sentii pervadere da una gioia immensa.
Lo guardai, e lui guardò me.
Poi si avvicinò e mi prese per la vita. Appoggiai timidamente le mani sul suo petto, sentendo il suo cuore battere deciso.
«Ho intenzione di baciarti» sussurrò con determinazione, avvicinando il viso al mio.
Per un attimo fui presa dalla paura. Io non sapevo farlo!
Lui se ne accorse «Tranquilla, rilassati».
Annuii e all'ultimo momento chiusi gli occhi. Appena prima che le sue labbra si appoggiassero sulle mie. Morbide, ma decise.

Sentii la sua lingua premere sulle mie labbra, allora le schiusi e lo lasciai entrare. Pensai che il suo sapore era un misto di menta e rosmarino. Poi non pensai più a niente.
Dopo qualche minuto riaprii gli occhi e lo guardai. Lui fece lo stesso.
«Wow» fu l'unica cosa che mi uscii dalla bocca. Poi lo abbracciai appoggiando la testa al suo petto e lui mi strinse a sé.

«Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata» sussurrai.
«Anche tu, piccola solitaria» rispose lui dandomi un bacio sulla fronte.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 - Una percezione sbagliata ***


«Giorno! Che è quel sorriso?». Ero appena entrata in cucina, ancora in pigiama. E a quanto pareva sorridevo come un'idiota.
Cercai di ricompormi «Niente mamma, non posso sorridere?».
Lei mi scrutò, poi annuì «Certo. Vado, a dopo».
«Ciao» risposi sedendomi a fare colazione.

Quando finii, salii in camera a vestirmi, poi accesi il telefono.
E di nuovo mi ritrovai a sorridere come un'idiota.
Mi era arrivato un messaggio. Un SUO messaggio, in cui mi dava il buongiorno.
Gli risposi, ripensando ai bei momenti della sera precedente. Non vedevo l'ora di rivederlo, mi mancava già.

Passai la mattinata a fare una torta, ascoltando musica e ballando. Sì, ero decisamente presa male...
Poi preparai il pranzo e quando arrivarono i miei mangiammo insieme.
Dopo pranzo sistemai un attimo la mia stanza, poi portai giù la chitarra e mi misi a suonare un po'. Quando suonavo in salotto era molto meglio, l'acustica era sicuramente migliore che nella mia piccola camera.

Cantai qualche canzone prima di essere interrotta dal suono del campanello.
Sbuffai e appoggiai la chitarra sul divano, poi andai alla porta e la aprii, trovandomi davanti Gabriele.
Sorrisi «Ciao». Poi mi feci da parte per farlo entrare.
«Ciao» rispose lui entrando. Poi mi si avvicinò dandomi un bacio sulla guancia. Richiusi la porta e lo guardai.

Si stava guardando in giro. Poi si infilò le mani in tasca, osservandomi con i suoi meravigliosi occhi «Mi suoni e canti qualcosa?».
Io feci una smorfia «No».
Lui aggrottò le sopracciglia «Perché?».
«Mi vergogno» risposi arrossendo.
Lui sorrise «Ti vergogni con me?».
Annuii.
Lui, in tutta risposta, mi si avvicinò.
«E se ti baciassi?» chiese abbassando la voce.
«Forse» risposi, incatenata dal suo sguardo.
«Bene» mormorò lui divertito. Poi si chinò fino a sfiorarmi le labbra, mentre una mano mi stava sulla schiena e l'altra sulla guancia.
Chiusi gli occhi e gli allacciai le braccia al collo, tenendolo stretto a me. Poi lasciai che incontrasse la mia lingua con la sua, e mi persi nel suo sapore.

«Mi sei mancato» sussurrai, affondando la testa nel suo collo e stringendomi a lui, mentre riprendevo fiato.
«Anche tu, e le mie intenzioni di andarci piano con te stanno andando a quel paese» ribatté lui.
Alzai la testa per vederlo in faccia «Ma non è colpa mia».
Lui rise «È decisamente colpa tua, stai compromettendo la mia natura di gentiluomo».
Io sorrisi e inarcai il sopracciglio. «Io non sto facendo un bel niente, e poi tu sei un gentiluomo sempre e comunque» risposi.
«Dici?» chiese lui scrutandomi divertito «Perché non...».
Lo interruppi alzandomi sulle punte dei piedi e premendo la mie labbra sulla sue. Mi feci coraggio ed esplorai la sua bocca, facendo danzare la mia lingua con la sua.

«Vedo che sai quello che vuoi» mormorò lui poggiandomi le mani in vita.
«Io ho sempre saputo quello che volevo, ma mi mancava il coraggio di prendermelo. Mi manca ancora, in realtà» spiegai.
«Lo so, ma non devi avere paura con me» rispose appoggiando la sua fronte alla mia.
«Mi sembra ancora tutto irreale» confessai.
«Invece è tutto vero, ragazzina. Adesso mi suoni qualcosa però» aggiunse prendendo le mie mani e togliendole dal suo collo. Poi mi guidò fino al divano e prese la chitarra, mettendomela in grembo.

«Fantastica» disse appena finii di suonare Grace Kelly.
«Si, è bellissima» concordai. Era una delle mie canzoni preferite di Mika.
«Non mi riferivo alla canzone, ma a te» specificò lui.
Arrossii «Oh, bé, grazie!». Poi infilai la chitarra nella custodia e presi il raccoglitore in mano. «Torno subito» aggiunsi andando verso le scale.
«Non vuoi farmi vedere camera tua?» chiese lui facendomi fermare.

Mi voltai e lo guardai. Lui si alzò, e inarcò il solito sopracciglio.
«Ehm... secondo Marco ti sentiresti... osservato» balbettai imbarazzata.
«Nah, sono pronto ad affrontare una cosa così dolorosa» rispose divertito sfilandomi la chitarra dalla spalla e prendendola lui.
«Smettila!» esclamai dandogli una sberla sul braccio. «E guarda che sono capace di portare una chitarra» aggiunsi guardandolo storto.
«Lo so» rispose salendo i gradini.
Sbuffai e lo seguii.
Lui si fermò appena prima della porta «Se non vuoi non entro».
«No, puoi venire... ma non spaventarti» conclusi ridendo.

Poi lo precedetti nella mia piccola camera. A sinistra c'era la scrivania, vicino alla finestra. Di fronte il letto, sopra al quale cominciava l'armadio che occupava tutta la parete opposta alla scrivania. Le pareti che rimanevano erano piene di poster, di Mika, dei Tokio Hotel e di Harry Potter (uno, in realtà); e le mensole piene di libri.

Poggiai il raccoglitore sulla scrivania e gli presi la chitarra dalle mani, appoggiandola al muro.
«Mi piace, anche se ci sono troppi ragazzi per i miei gusti» decretò guardandosi intorno.
«Sei geloso?» chiesi divertita.
«No, decisamente no. Io posso averti, loro no!» rispose fissandomi.
«Ma io posso guardarli invece» aggiunsi sorridendo «Bill è bellissimo».
Lui si girò a guardarlo e fece una smorfia.

«Tu mi piaci di più» aggiunsi arrossendo. Lui tornò a guardarmi, poi mi prese per la vita facendomi finire contro il suo petto, e mi abbracciò, posandomi un bacio sulla fronte.
«Lo sai, vero, che non sono abituata al contatto fisico?» chiesi circondandolo timidamente con le braccia.
«Dovrai abituarti, piccola solitaria» rispose.
«Va bene, occhi azzurri».

«È da tempo che me lo chiedo, quando mi chiami così lo fai per prendermi in giro?» chiese dopo qualche minuto.
Alzai la testa e lo guardai negli occhi, eravamo vicinissimi.
«No, o meglio, volevo trovarti un nomignolo ed è la prima cosa che mi è venuta in mente. Ora diventerò ancora più rossa di quello che già sono, ma la verità è che amo i tuoi occhi, dalla prima volta che li ho visti» spiegai sospirando.

Lui sorrise e si chinò facendo incontrare le nostre labbra per l'ennesima volta.
«Se continui così mi mancherai appena uscito da questa casa» dissi quando riuscii a parlare.
«Potrebbe essere il mio piano, che ne sai» replicò lui, scostandomi con la mano i capelli e poggiando la bocca sul mio collo.
Un brivido mi percorse da quel punto, per tutta la colonna vertebrale.
«Gabriele» mi lamentai chiudendo gli occhi.
La sua risata mi vibrò sulla pelle, facendomi perdere del tutto la concezione della realtà.

Mi riscossi con la suoneria del mio telefono.
Gabriele mugugnò contro il mio collo, e malvolentieri mi lasciò andare a rispondere.
«Marco» dissi, prima di rispondere.
Lui mi guardò e fece per uscire dalla camera, ma lo presi per la mano e lo trattenni.

"Ciao, sorellina. Come va?".
"Ciao fratello, benissimo. Tu?" risposi.
"Forse torno la prossima settimana, adesso mi organizzo. Ho voglia di andare al mare, mi serve un po' di vacanza".
"Davvero? Non vedo l'ora. Mi porti al mare con te? Ti prego, ti prego, ti prego!" chiesi eccitata all'idea.
Gabriele al mio fianco si mise a ridere e io gli lanciai un'occhiataccia.
"Ehi, c'è qualcuno con te?" chiese mio fratello sentendolo.
Sbiancai. "Si, il tuo amico Gabriele. Gli hai detto di tenermi d'occhio e lui ovviamente lo fa" aggiunsi.
"Bene" disse ridendo. "Comunque sì, volevo invitare gli altri quattro... ma puoi venire anche tu".
"Ah, allora non importa... se volevi stare solo con loro va bene" risposi con un'alzata di spalle.
"Scommetto che loro sono d'accordo, passami Gabs".
Feci una mezza smorfia a quel nomignolo, ma obbedii e gli diedi il telefono.

"Si, non ho impegni" disse lui. "Scrivilo sul gruppo intanto, non so quando ci vediamo" aggiunse guardandomi. "Per me va benissimo" e mi fece l'occhiolino.
Io ridacchiai, poi ripresi il telefono che mi porgeva e salutai Marco.

«Gli altri mi uccideranno» dissi rimettendo il telefono sulla scrivania.
«Non credo, più probabile che io uccida loro se dovessero guardarti troppo» commentò lui con un sorrisetto.
«Nah, tu non litigheresti mai con loro» replicai uscendo da camera mia. Lui mi seguì.
«Potrei, per una cosa davvero importante» confermò lui.
«Bene, io non sono una cosa così importante... e poi c'è Marco. Non potrai comunque far capire niente» decretai scendendo le scale.

«La tua percezione di te stessa è completamente sbagliata» annunciò seguendomi in cucina.
Alzai le spalle «Vuoi un po' di torta?».
«Si, ma non cambiare argomento» rispose lui.
Alzai gli occhi al cielo e andai a prendere un piattino. Solo che, come al solito, anche in punta di piedi facevo fatica ad arrivarci.
Perciò quando lui mi si avvicinò mettendomi una mano sul fianco, ebbi un deja-vu. Prese i piattini e me li porse.

«Questa cosa è già successa» dissi tagliando la torta.
«Lo so» rispose lui «ma non avevamo finito. Cosa devo fare per farti credere di più in te stessa?».
«Niente» risposi porgendogli un piatto «Mangia».
Lui rise «Sei testarda».
Andai a sedermi di fronte a lui «Grazie, te l'ho detto che ti stuferai di me».
Lui corrugò la fronte «No, non me l'hai detto». Poi mi scrutò così intensamente che io dovetti distogliere lo sguardo.
«Non guardarmi così, mi fai sentire n imbarazzo».
«E tu non dire cazzate, passami il termine».
«Va bene, capo. Ti piace?» chiesi indicando la torta.
Lui annuì «Quasi quanto te».
Io lo guardai senza parole. E lui mi strizzò l'occhio.

Ok, stavo seriamente rischiando di innamorarmi sul serio di lui. Continuando così non so come avrei fatto a stargli lontana anche solo per qualche minuto.

«Meglio che vada, adesso. Spark si starà deprimendo senza qualcuno a coccolarlo».
«Si, meglio che tu sparisca prima che arrivino i miei» concordai.
«Mi stai buttando fuori?» chiese divertito.
«Si, se non vuoi finire tra le sgrinfie di mio padre» risposi «e di Marco, che lo verrebbe a sapere».
«Prima o poi dovremo dirglielo» constatò lui.
«Ho paura che si arrabbi» confessai evitando i suoi occhi.
«Perché?».

«Perché tu sei troppo grande per me, e io troppo piccola per te... per non parlare del fatto che siete amici e non voglio mettermi fra voi».
«Non c'è questa gran differenza e comunque al massimo si arrabbia con me, non con te» specificò lui.
«Vedi tu, probabilmente avevi già la fidanzata quando io sono nata. E comunque non voglio che litighiate per me, non me lo perdonerei mai» replicai.
«Non litigheremo te lo prometto, e poi lo capirà da solo che insieme stiamo bene» concluse avvicinandomi a sé.
Gli allacciai le braccia al collo «Una cosa alla volta ok?».

Lui annuì «Sabato posso portarti a cena fuori?».
Lo guardai spiazzata «Fortuna che ci stavi andando piano con me! Solo ieri ho saputo di piacerti e siamo già al secondo appuntamento!».
Lui sorrise «Ognuno ha le sue debolezze. Allora?».
«Sì, va bene» riposi avvicinando il volto al suo collo e inspirando profondamente il suo profumo.
«Perfetto, ti porterò in un bel posto».
«Basta che non sia troppo affollato, sarebbe imbarazzante incontrare qualche compagna di scuola o qualche prof» mormorai guardandolo.
«Lo so, adesso posso baciarti?».
«E se ti dicessi di no?» lo provocai alzando un angolo della bocca.
«Non lo farei» rispose lui del tutto tranquillo.
«Gentiluomo sempre e comunque eh!» commentai «Puoi baciarmi».

Lui non se lo fece ripetere due volte. Mi infilò una mano tra i capelli facendomi incontrare le sue labbra, mi morse più volte il labbro inferiore facendomi perdere completamente la testa e poi esplorò con tutta calma la mia bocca, intrecciando le nostre lingue.
Non so quanto tempo fosse durato quel bacio, ma quando le nostre labbra si separarono entrambi stavamo ansimando. Per qualche minuto restammo in silenzio a riprendere fiato.
«Questo cos'era esattamente?» chiesi sottovoce.
«Così non ti dimenticherai di me» rispose lui, con lo stesso tono di voce.
«È impossibile dimenticarsi di te» assicurai «E anche di questo bacio».
«Perfetto. A domani, piccola solitaria!» rispose lui sciogliendo la mia presa sul suo collo e dandomi un bacio a stampo.
«Ciao» risposi ancora scossa, mentre lui si richiudeva la porta alle spalle.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 - Stiamo flirtando? ***


«Ciao sorellina!! Sono felice di vederti!» esclamò il fratellone stritolandomi.
Sorrisi e cercai di non soffocare «Anche io!».
«Sabato ce ne andiamo al mare eh!» aggiunse scompigliandomi i capelli.
Protestai e scivolai via dalla sua presa «Lo so».

Era giovedì sera. E Marco era appena arrivato a casa.
Perciò io ero estremamente eccitata e su di giri.
Perché: 1, Marco era tornato; 2, saremmo andati al mare; 3, Gabriele.

Sì. La cena, sabato sera, era stata assolutamente perfetta.
Avevo passato circa mezzo pomeriggio a decidere come vestirmi, l'altro mezzo a cercare di farmi passare il nervosismo. E l'ultima ora a vestirmi e a prepararmi sul serio.
Avevo messo il vestitino bianco, quello di Milano, quello che indossavo quando avevo incontrato Mika.
Mi faceva sentire bella, più bella del solito.

Mi era venuto a prendere, e quando i miei occhi si erano posati su di lui ero rimasta senza fiato. Si era messo in tiro, con pantaloni eleganti e camicia bianca. Il colletto sbottonato e le maniche arrotolate fino ai gomiti. Era una visione!

Ovviamente mi aveva aspettata in macchina, e mi aveva salutata con un dolce bacio sulla guancia.
Ero arrossita vistosamente quando mi aveva detto che ero magnifica. Ma lui non era per niente da meno!

Il resto della serata era stato davvero perfetto!
Avevamo cenato in un piccolo ristorante dall'atmosfera tranquilla e intima. Tra un boccone e l'altro avevamo parlato tanto, ma avevamo ancora tante cose da conoscere uno dell'altra.

«Eliii! Terra chiama Elisa, ci sei??».
Mi riscossi all'improvviso dal mio sogno ad occhi aperti. Che in realtà sogno non era, per fortuna.
«Si, scusa, stavo pensando a una cosa» risposi leggermente imbarazzata.
Mio fratello mi scrutò attentamente, poi fece un sorrisetto «Dev'essere qualcosa di davvero importante per distrarti così!».
Mi strinsi nelle spalle, mordendomi il labbro. Dovevo decisamente stare più attenta!

Lo seguii di sopra e me ne andai in camera mia, finendo di ripercorrere con la testa la serata passata con Gabriele.
Adoravo quel nome, era dolce e musicale, e mi dava l'impressione di una persona gentile, protettiva... di un angelo. Proprio quello che lui era!
E insomma, finita la cena eravamo usciti a fare una passeggiata lì vicino. Lui aveva preso la mia mano, e l'aveva tenuta per tutto il tempo, facendomi sentire la persona più felice del mondo. Mi bastava essere con lui!

Poi ci eravamo fermati a sederci su una panchina. Mi aveva attirata a sé, circondandomi le spalle col braccio e mi aveva dato un bacio sulla tempia, facendomi sciogliere.
Avevamo parlato ancora, scherzando ogni tanto come era diventata abitudine ormai tra noi.
Mi trovavo così a mio agio con lui ormai, che non avevo più paura di dirgli niente. Avevo imparato ad aprirmi a lui, lo avevo fatto fin da subito quando ancora nemmeno lo conoscevo. E diventava sempre più facile e normale.

Prima di rientrare in macchina mi aveva afferrata per la vita, e ci eravamo fermati a guardarci in silenzio.
Poi, nello stesso istante, lui si era chinato verso di me, e io mi ero alzata verso di lui. Le nostre labbra si erano unite, per la prima volta in quella sera, in un bacio lento e dolce.
Avevo sentito il suo piercing freddo posarsi sul mio labbro e scaldarsi grazie al contatto tra le nostre bocche. Alla fine mi ero allontanata controvoglia.
Dopodiché eravamo rimasti per qualche minuto abbracciati, godendoci l'aria fresca che ci solleticava le braccia e i volti.
Prima di staccarmi gli avevo detto che era bellissimo, e in tutta risposta lui aveva alzato un angolo della bocca in un accenno di sorriso.

Mi aveva riaccompagnata a casa, salutandomi con un veloce bacio sulle labbra. E io poi lo avevo ringraziato per la fantastica serata dandogli un bacio sulla guancia, resa leggermente ruvida dalla barba di due giorni.
Lo avevo già visto in passato con un accenno di barba ogni tanto, ma non avevo davvero realizzato quanto di più mi piacesse così. E già senza mi piaceva un casino!

Più tardi, mentre mi stavo infilando nel letto, sentivo ancora il suo profumo e la sensazione delle sue labbra sulle mie. Avevo faticato ad addormentarmi. Continuavo a pensare a lui!

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«Mi raccomando Elisa!» disse papà aiutandomi a portare la valigia fino alla macchina di Marco.
«Sì, non ti preoccupare» risposi guardando i due uomini di casa caricare la macchina.
Saremmo andati con due macchine, eravamo in sei e contando tutte le valigie e i bagagli non ci saremmo mai stati tutti su una macchina, nemmeno grazie a un miracolo.
Perciò, quando la macchina fu a posto e dopo aver salutato i nostri genitori, partimmo e passammo a prendere Matteo.
Gli altri li avremmo incontrati più avanti e ci avrebbero seguito.

Mi infilai le cuffie e guardai fuori dal finestrino il paesaggio che cambiava leggermente, fino a diventare completamente pianeggiante. In un'ora eravamo arrivati.
Scendemmo dalla macchina e sentii subito l'odore del mare.
Gli altri tre ci raggiunsero e ci salutarono, a Marco con una pacca sulla spalla, a me con un bacio sulla guancia. Quando toccò a Gabriele, mi strinse leggermente la mano.
Gli sorrisi, era bellissimo vederlo. Da quando Marco era tornato avevano passato un bel po' di tempo insieme, quindi non avevo avuto modo di vederlo molto. E poi avevo paura che Marco lo scoprisse, perciò ci eravamo incontrati solo due volte.

Avevo voglia di correre tra le sue braccia. Mi era mancato, mi mancava!

Scaricammo tutti i bagagli dalle macchine e li portammo su nel nostro appartamento. Era al primo piano, ed era fronte-mare.
Dopodiché cominciai a fare i letti, fortunatamente c'erano sei posti letto, c'era posto per tutti!
Presi la borsa con la scorta di lenzuola che mi aveva dato la mamma. «Qualcuno muore dalla voglia di fare i letti?» chiesi osservandoli tutti.
Nessuno rispose.
«Sfaticati, cominciamo bene!» dissi andandomene nella camera matrimoniale.

«Ti aiuto io». Persi un battito, e mi girai. Incrociai i suoi occhi e ci guardammo, così intensamente che ad un certo punto mi sentii arrossire.
«Grazie» risposi facendo il giro del letto e tirando fuori quello che mi serviva dalla borsa.
Sentivo la sua presenza alle mie spalle, e infatti, appena mi girai, mi catturò velocemente tra le sue braccia stampandomi un bacio sulle labbra.
Diedi una veloce occhiata alla porta, poi lo abbracciai cingendogli il collo con le braccia e stringendomi a lui.
«Mi sei mancato» sussurrai affondando la testa nell'incavo tra la sua spalla e il collo.
Inspirai per un instante il suo profumo, poi mi allontanai dandogli un bacio sulla guancia. Lui sorrise.

«Non devi per forza aiutarmi, non mi arrabbio se non vuoi farlo...» dissi appoggiando lenzuola e federe sul letto.
«Chi ti dice che non mi faccia piacere fare questa cosa con te?» chiese lui afferrando un cuscino e infilandolo nella federa. «Soprattutto se c'è qualche speranza di occupare questo letto» aggiunse facendo un sorrisetto.
«Mi dispiace deluderti, ma qui ci devono dormire due persone...».
«Eh, appunto!» replicò fissandomi divertito.
«Oh» fu tutto quello che mi uscì dalla bocca mentre sentivo le mie guance colorarsi sotto il suo sguardo.

«Sei adorabile» mormorò sfiorandomi la guancia con la mano.
«Se lo dici tu, io mi sento un pomodoro» borbottai ancora in imbarazzo.
«Comunque non è una buona idea... e Marco ti ucciderebbe. Ha detto espressamente che posso dormire solo con lui» aggiunsi sistemando le lenzuola e aggiustando gli angoli.
Lui mi scrutò a braccia conserte «Ah, quindi dormi con lui!».
«Ogni tanto» confessai lanciandogli un'occhiata «perché?».
«Potrei essere geloso» rispose avvicinandosi.
Guardai l'opera finita, poi mi concentrai sul ragazzo che avevo davanti. Un gran bel ragazzo!

Passammo poi all'altra camera con i due letti singoli. E intanto ci scambiavamo qualche battuta, io prendendo in giro lui, e lui prendendo in giro me... come era solito ormai.
Tanto che ad un certo punto fummo interrotti da un Daniel abbastanza divertito che, stando appoggiato allo stipite della porta, si mise ad assistere.
«Non credevo che fare i letti fosse così divertente» disse.
«Ecco, vedi cosa ti sei perso!» ribattei «Ma sei ancora in tempo, se vuoi aiutarci».
«No grazie» rispose staccandosi dalla porta. Poi abbassò il tono di voce «Vi lascio flirtare in pace».
Guardai Gabriele, che mi rispose con una scrollata di spalle.
«Non stiamo flirtando» ribattei tornando a fissare Daniel.
«Raccontalo a tuo fratello» rispose lui divertito «Io non ci casco».

«Stiamo flirtando?» chiesi a Gabriele appena lui se ne fu andato.
Lui sorrise «Non proprio».
«Io non ho idea di come si facciano queste cose» confessai evitando i suoi occhi. «Anzi, in realtà non so proprio come comportarmi».
Lui si avvicinò fino a posarmi le mani sulla vita. Lanciai uno sguardo allarmato prima a lui e poi alla porta.
«Non ci sono regole. Tu continua ad imbarazzarti quando ti guardo, ridi con me, prendimi in giro e fatti prendere in giro, baciami e fatti baciare...». Tolse una mano dalla mia vita portandola sul mio viso e sfiorandomi la guancia.

«...continua a parlare con me di tutto quello che vuoi, e non avere paura di me, mai».
Fece una pausa assicurandosi che lo guardassi negli occhi. «Sei fantastica, e voglio stare con te!» concluse lasciandomi un lieve bacio sulle labbra.
«Anche io voglio stare con te» risposi sentendomi il sorriso sulle labbra. «Ma avvisami quando stai per fare un discorso di questo genere, potrei rimanerci secca» aggiunsi con una risatina.
«È il mio scopo. Conquistarti, con i gesti e con le parole» spiegò alzando il sopracciglio.
Alzai gli occhi al cielo «Lo hai fatto fin da subito e anche senza volerlo».

«Fatto. Il divano-letto lo facciamo stasera. Rimane solo da decidere chi dorme dove» annunciai tornando di là, seguita da lui.
«Io mi prenoto uno dei singoli» disse subito Matteo.
«Io l'altro» aggiunse Tommaso immediatamente.
«Perfetto! Allora io mi prendo Marco» annunciò Daniel con aria da sbruffone, come al suo solito.
«Eh? Tu sei pazzo» rispose mio fratello «E comunque c'è Elisa».
«Lo so, lei dorme con Gabriele. Preferiresti che dormisse con me?» ribatté Daniel.
Mio fratello lo fulminò con lo sguardo «Non prendertela, ma non mi fido di te».
Scoppiammo tutti a ridere, compreso Daniel.
«Eli?» chiese Marco interpellandomi.
«Sì, nemmeno io mi fido di lui» risposi prendendomi un'occhiataccia da parte di Daniel, e notando subito dopo l'espressione soddisfatta del mio angelo.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 - La solita cuffia ***


Mi svegliai in un groviglio di lenzuola. Cercai di capire dove mi trovassi, poi guardai finalmente la figura distesa al mio fianco.
Stava ancora dormendo. Una mano distesa verso di me, perché ci eravamo addormentati tenendoci per mano.

Dopo cena, la sera prima, eravamo tutti usciti a fare una passeggiata lungo il viale con i negozi. Al ritorno avevamo preparato il divano-letto, poi li avevo lasciati in terrazza a chiacchierare tra loro, mentre io mi ero preparata tutte le cose per la spiaggia.
Mi ero messa il pigiama ed ero andata a dargli la buonanotte, per poi andarmene a letto a leggere.

Gabriele era arrivato dopo un po'. Mi aveva chiesto cosa stessi leggendo e, subito dopo, se potesse dormire solo con i pantaloncini, a causa del caldo.
Ero arrossita solo a sentirlo chiedere, ma speravo che la luce soffusa lo avesse nascosto. Gli avevo risposto di sì, per poi osservarlo mentre si toglieva la maglietta, rivelando la sua schiena perfetta. Poi si era tolto i pantaloni, infilandosi gli altri e si era girato verso di me, trovandomi a fissarlo spudoratamente.

Aveva fatto il suo solito sorrisetto, accompagnato dal sopracciglio inarcato «Vedi qualcosa che ti piace?».
Ero arrossita ancora di più.

«Vedo tutto che mi piace» avevo mormorato, completamente rossa, prima di nascondermi dietro al libro aperto.
Lo avevo sentito ridere, poi il materasso si era inclinato per il suo peso e una sua mano mi aveva tolto il libro dalla faccia.

Avevo protestato, ma poi i miei occhi erano finiti sul suo petto appena scolpito, e con una leggera peluria castano chiaro. Si era messo sul fianco, la testa sorretta dal gomito, ed era una cosa magnifica.
«Puoi guardarmi finché vuoi» aveva detto sottovoce e con lo sguardo decisamente divertito.
A quel punto lo avevo guardato negli occhi «È colpa tua. Sei troppo bello, e io continuo a fare la figura dell'idiota».
«E tu non ti rendi conto dell'effetto che mi fai tu, invece» aveva mormorato lui accigliandosi.

In quell'istante era arrivato Marco, prendendosi tutto il tempo per osservarci, lanciando un'occhiata di traverso al suo amico.
«Cosa fate voi due?» aveva chiesto alla fine.
«Niente, parlavamo» aveva risposto Gabriele.
Mio fratello aveva fatto una smorfia.
«Oh, sei geloso adesso?» avevo chiesto ridendo «dormiamo solo nello stesso letto».
«Eh, appunto. Ricordi quello che ti avevo detto» aveva commentato lui.
Io avevo alzato gli occhi al cielo «Marco, lui sta nella sua metà e io nella mia. E poi so difendermi».
«Ok, Gabs comportati bene!» aveva concluso mio fratello «Buonanotte!».

«Quindi devo stare nella mia metà» aveva mormorato Gabriele, appena il suo amico era sparito.
Io avevo annuito.
«Va bene, ma almeno un bacio me lo devi, piccola solitaria» aveva risposto avvicinandosi pericolosamente e facendomi sentire un terremoto nello stomaco. Mi ero appoggiata all'indietro, sul cuscino, gli occhi fissi nei suoi. Poi li avevo chiusi e la sua bocca si era finalmente posata sulla mia, prima sfiorandola dolcemente e poi approfondendo il bacio e facendo intrecciare le nostre lingue.

Inutile dire che avevo dormito magnificamente.
Lanciai un'altra occhiata a Gabriele, ancora profondamente addormentato, poi mi alzai e, facendo meno rumore possibile, andai in bagno e mi vestii.
Dopodiché recuperai il portafoglio e, senza svegliare nessuno, uscii dall'appartamento diretta al panificio.

Quando rientrai era ancora tutto buio. Scossi la testa, appoggiai il sacchetto sul tavolo e andai in camera.
Alzai la tapparella, poi salii sul letto e mi allungai fino ad arrivare all'altezza della figura distesa.
«Gabriele?» lo chiamai sottovoce passandogli una mano tra i capelli. Era da tempo che desideravo farlo, ed erano morbidi esattamente come mi aspettavo.

Lui mugugnò e si mosse, poi aprì gli occhi e si girò a guardarmi.
«Buongiorno» dissi sorridendo.
«'giorno» rispose alzandosi e puntellandosi sui gomiti «Che bella questa sveglia».
Mi osservò per qualche secondo, poi mi posò una mano sul fianco «Vieni qui, piccola solitaria».
Finii appoggiata a lui, che mi strinse tra le braccia per poi darmi un bacio a stampo.

Rimanemmo qualche minuto abbracciati, e sinceramente avrei voluto rimanere così per sempre.
«Vado a svegliare gli altri» mormorai poi, allontanandomi dalla sua stretta confortevole e alzandomi dal letto.
Lui annuì, poi si alzò mostrandomi il suo fisico decisamente perfetto. Cavolo se era bello!
Staccai controvoglia gli occhi da lui, e andai a svegliare gli altri quattro.

Dopo aver fatto colazione, ci preparammo e andammo in spiaggia. Riuscimmo, chissà come, a incastrarci nello spazio intorno all'ombrellone.
Poi ci spogliammo, anche se in realtà fui l'ultima a togliermi i vestiti. Mi vergognavo da morire, ma alla fine riuscii a rimanere in costume.

Giocammo un po' a carte, poi andammo tutti insieme in acqua. Al primo impatto rabbrividii, e ci misi circa cinque minuti per entrare, mentre gli altri si erano tuffati subito. Probabilmente gli uomini non sentivano il freddo allo stesso modo.

Nuotai con loro, finché non cominciarono a spruzzarsi l'un l'altro. Allora mi allontanai e continuai da sola, fino a che non fui stanca. Poi li avvisai e uscii tornando al nostro ombrellone.
Mi asciugai, poi presi le cuffie collegandole al telefono, accesi la musica, e mi sdraiai sul lettino chiudendo gli occhi.

Li riaprii quando qualcuno mi sfilò una cuffia dall'orecchio. Mi ritrovai due occhi azzurri a pochi centimentri dalla mia faccia.
«Potevo scommetterci che eri tu» dissi sorridendo.
«Vorrei baciarti adesso» mormorò lui, in risposta.

Io mi sentii arrossire, poi mi guardai intorno. Gli altri stavano per arrivare.
«Sei bellissimo» risposi facendo scivolare i miei occhi sul suo corpo.
I capelli bagnati che gli gocciolavano sul viso.
Gli occhi incredibilmente azzurri, resi ancora più chiari dalla luce, e penetranti come sempre.
E le fossette che gli si formarono agli angoli della bocca quando sorrise, una cosa stupenda.

Mi scostò i capelli e mi infilò di nuovo la cuffia nell'orecchio. Poi si andò a sedere sull'asciugamano. Nell'esatto momento in cui i suoi quattro amici raggiunsero l'ombrellone.
«Cosa ascolti, Elisa?» chiese Daniel spostandomi le gambe e sedendosi sul lettino.
«In questo momento Mika» risposi sorridendo.
«Non è mica male!» commentò lui divertito.
Alzai gli occhi al cielo «Ma davvero vi diverte fare queste battute?».
Lui rise «Era per darti fastidio, non odio mica Mika».
Lo guardai quasi ridendo «Smettila, fai la persona seria!».

«Mi sa che hai scelto quello sbagliato» si intromise Tommaso.
«Perché, tu saresti una persona seria?» chiese l'altro ridendo.
«Qui siamo uno peggio dell'altro, altro che persone serie» rispose Matteo scatenando una risata di gruppo.

Notai un paio di ragazze, due o tre ombrelloni più in là, girarsi a guardarli. In effetti, oggettivamente erano uno più bello dell'altro.
«Fate piano, che attirate l'attenzione» li ammonii.
Matteo, Tommaso e Daniel mi guardarono perplessi.
Gli feci un cenno verso le tre ragazze, e loro prontamente si girarono a guardarle.
«Però!» esclamò Daniel «Che bella bionda. Me la farei».
«La rossa anche non è male» replicò Matteo.
«Sono una più figa dell'altra, in realtà» aggiunse Tommaso.

«Potreste evitarmi questi commenti per favore?» chiesi alzando la testa e fulminandoli con lo sguardo.
«Sei gelosa?» chiese Tommaso.
«No, ma magari non spiattellatemi in faccia la loro perfezione» risposi dopo una leggera esitazione.
Sentii lo sguardo penetrante di Gabriele addosso.
«Tu non sei meno perfetta di loro, sorellina» disse mio fratello lanciandomi un'occhiata.
«Se lo dici tu» risposi con un'alzata di spalle «Adesso torno ad ascoltare Mika».

Alzai il volume, poi mi misi ad osservare loro che si stavano mettendo a giocare a carte.
Vedere quel gruppetto era decisamente una gioia per gli occhi, ma osservare colui che mi aveva rubato un pezzo di cuore era una cosa ancora più bella.
Adoravo quando scherzavano tra di loro, e adoravo il fatto che andassero così d'accordo nonostante i loro caratteri diversi.

A mezzogiorno tornammo in appartamento ed io e Marco preparammo il pranzo.
Dopo aver mangiato ognuno se ne andò per i fatti suoi, chi in terrazza, e chi in camera a riposarsi.
Io mi fermai in cucina e lavai quelle poche cose che non entravano nella piccola lavastoviglie, poi, quando ebbi finito, me ne andai anche io in camera.

Trovai Gabriele spaparanzato a pancia in giù sul letto, con gli occhi chiusi. Era così meraviglioso che dovetti per forza prendere il telefono dalla tasca e fargli una foto.
Poi mi distesi anche io, e lui aprì gli occhi, seguendo i miei movimenti.
«Dov'eri finita?» chiese girandosi sul fianco.
«A lavare i piatti, e sistemare di là» risposi girandomi verso di lui.

Lui mi avvicinò la mano al viso, sfiorandomi la guancia. E facendomi venire un brivido.
«Sei una ragazza da sposare» mormorò incatenandomi nel suo sguardo.
Io mi sentii arrossire. Quella semplice frase, detta da lui, mi faceva sentire al settimo cielo.

Sorrisi timidamente, poi mi avvicinai a lui, facendolo sdraiare sul materasso, e lo baciai.
Lui mi prese per i fianchi e mi fece finire contro il suo petto, azzerando quella piccola distanza che avevo lasciato tra i nostri corpi.
Poi unì di nuovo le sue labbra alle mie, in un bacio di una dolcezza infinita.

Appoggiai la testa sul suo petto e sentii il battito rassicurante del suo cuore. Sorrisi notando la leggera accelerazione. Probabilmente il mio batteva ancora più veloce.
Aspettai qualche secondo, poi feci per tornare dalla mia parte del letto.
Ma lui me lo impedì «Rimani qui».
«E se arriva Marco?» mormorai.
«Prima o poi lo verrebbe comunque a sapere» rispose lui, scostandomi un ciuffo di capelli che mi era caduto davanti agli occhi.

Annuii, poi riappoggiai la testa su di lui, disegnando con la mano dei cerchi immaginari sulla sua maglietta.
Sentii il suo respiro farsi pian piano più lento e regolare. Alla fine alzai la testa ed effettivamente si era addormentato.
Non avrei mai capito come gli uomini faccessero ad addormentarsi in cinque minuti, quando a me ci voleva minimo mezz'ora, se andava bene.
Rimasi un altro po' così, poi decisi di spostarmi. Era caldo, e avendo me addosso probabilmente lui lo sentiva ancora di più.
Gli spostai con attenzione il braccio, poi me ne tornai dalla mia parte, dandogli la schiena.

Presi il libro che avevo iniziato la sera prima dal comodino e continuai a leggerlo. Questa volta si trattava di Divergent.
Avevo appena iniziato il capitolo quindici quando sentii il materasso muoversi, e Gabriele girarsi.
Improvvisamente mi ritrovai il suo braccio intorno, mentre si avvicinava a me fino a fare incontrare la mia schiena e il suo petto.
«Perché ti sei spostata?» chiese con la voce impastata dal sonno.
«Non volevo farti caldo» risposi a bassa voce.
«Non importa» mormorò lui stringendomi.

Sorrisi, quanto amavo stare tra le sue braccia così!
Poi ripresi a leggere, mentre lui si addormentava di nuovo.

Venni interrotta, più tardi, dall'entrata di qualcuno. Alzai gli occhi e sbiancai.
Marco, che probabilmente era venuto per dire qualcosa, era rimasto a bocca aperta e completamente bloccato di fronte a noi.
Appoggiai il libro, poi alzai la testa dal cuscino.
Lui si riprese e mi guardò con la fronte corrugata.
«C'è qualcosa tra voi due?» chiese indicando me e Gabriele col dito.
«Parla piano che sta dormendo» risposi sottovoce.
Lui annuì, poi si abbassò e si sedette contro il comodino «Allora?».
«Sì, noi stiamo... credo che stiamo insieme» mormorai evitando il suo sguardo.

«Da quanto?» chiese rabbuiandosi.
«Da qualche settimana» risposi «Sei arrabbiato?».
Lui scosse la testa «Perché non me l'avete detto?»
«Volevo prima vedere se tra noi poteva funzionare, poi te lo avrei detto. Avevo intenzione di farlo uno di questi giorni».
«E sta funzionando?».
«Sì, alla grande» risposi sorridendo.
«Sei felice» disse guardandomi e accennando un sorriso anche lui.
Annuii, poi abbassai ancora di più la voce «Credo di essermi innamorata di lui».

Marco si tirò su, poi si avvicinò e mi diede un bacio sulla fronte «Mi hai fatto una bella sorpresa!».
«Scusa, non volevo che lo scoprissi così. È che avevo paura di quello che avresti detto» spiegai.
Lui sospirò, lanciò un'occhiata alle mie spalle per poi tornare con gli occhi su di me «Devo solo realizzare bene, ma sono felice per te, per voi».
«Grazie» mormorai abbracciandolo come potevo.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 - La grande rivelazione ***


La settimana al mare stava quasi per finire, ed era stata assolutamente meravigliosa.
Quante partite a carte e quanti bagni avevamo fatto!
Per non parlare delle passeggiate serali, e delle chiacchierate fuori in terrazza. Era stato bello passare del tempo con tutti loro. Avevo imparato a conoscerli, a capire le dinamiche della loro amicizia. E loro forse avevano imparato a conoscere me.

Ma ancora non del tutto. A parte mio fratello, gli altri ancora non sapevano di me e Gabriele. O almeno, noi non glielo avevamo detto, ma secondo me Daniel già lo sospettava.

In quel momento stavamo camminando sul lungomare, illuminato dai lampioni e dalla luna. C'era una brezza fresca che mi scompigliava i capelli, e che rendeva davvero piacevole la passeggiata.
Stavo ascoltando Daniel che ci raccontava, o meglio, mi raccontava come si erano conosciuti loro cinque.
Ad un certo punto, del tutto inaspettatamente, delle dita si intrecciarono alle mie. Guardai Gabriele alla mia sinistra, lui ricambiò il mio sguardo. Un guizzo negli occhi azzurri.

«Se non vuoi ti lascio» mormorò semplicemente indicando con la testa le nostre mani.
Scossi la testa.
Lui sorrise e sollevò le nostre mani fino a premere le sue labbra sul dorso della mia mano.
Sentii le farfalle nello stomaco. Anzi, forse degli elefanti, rendevano meglio l'idea.
Distolsi gli occhi da lui, con molta fatica, e tornai a prestare attenzione al suo amico.

«Ehi, vi va un gelato?» chiese Tommaso appena Daniel finì di parlare. Ci fu un "sì" collettivo, quindi continuammo in cerca di una gelateria, che trovammo poco più avanti. Dopo che ognuno ebbe scelto i gusti, e che i cinque ebbero litigato per pagare, andammo a sederci in riva al mare, su alcuni lettini.
Gabriele mi passò subito un braccio intorno alla vita, ma senza farsi notare dagli altri.

Cercava spesso il contatto con me, era una cosa a cui ancora non ero abituata ma mi piaceva. Mi faceva sentire bene. Sapere che lui era lì, al mio fianco, e che mi voleva bene era una cosa che mi faceva stare al settimo cielo.

Tante volte non sapevo come comportarmi con lui, avevo paura di lasciarmi andare troppo e di rimanere scottata. Anche se sapevo che lui non mi avrebbe mai fatto del male di proposito.

Ci godemmo in silenzio i nostri gelati, ascoltando il rumore delle onde che si infrangevano a pochi metri da noi. Era l'ultima sera. L'indomani mattina saremmo partiti per tornare a casa.
Ognuno sarebbe ritornato al suo lavoro, alla sua casa.
Mi resi conto che mi sarebbero mancati, malgrado i loro difetti e le loro prese in giro.

Stando insieme a loro mi sentivo come finora non mi ero mai sentita, accettata e benvoluta. E mi dispiaceva tornare alla vita normale, dopo aver passato un'intera settimana in loro compagnia.
E sì, mi sarebbe anche mancato passare così tanto tempo a stretto contatto con colui che mi faceva battere forte il cuore solo guardandomi.

Avevo quasi finito il mio gelato, mentre gli altri si alzavano per andare fino sul molo.
«Vi raggiungo subito» dissi rabbrividendo.
«Ti aspetto» rispose Gabriele, tornando a sedersi. Poi mi scrutò «Hai freddo?».
«Un po'» replicai mangiando l'ultimo pezzetto del cono. Mi alzai e mi strinsi nel golfino che indossavo.
Gabriele mi imitò, e poi, del tutto inaspettatamente, mi ritrovai stretta in un suo abbraccio.
«Cosa fai?» chiesi, presa alla sprovvista.
«Ti riscaldo, piccola solitaria» rispose accarezzandomi la schiena.
Mi rannicchiai contro il suo petto, dimenticando completamente il resto della comitiva.

«Va meglio, grazie» mormorai dopo qualche secondo, staccandomi malvolentieri da lui.
Ma prima che mi allontanassi troppo i miei polsi furono imprigionati nelle sue mani. Si avvicinò, mi lasciò i polsi e, posandomi una mano sulla guancia, si chinò a baciarmi.
Assaporai il contatto delle nostre labbra. Lui sapeva di cioccolato, gusto che non amavo molto. Ma su di lui era il gusto più buono del mondo.

«Andiamo» disse appena ci fummo scostati uno dall'altra, poi mi prese per mano.
Sorrisi, e strinsi la sua.
Raggiungemmo gli altri, sul molo di legno leggermente illuminato dalla luna.
Vedevo a malapena dove mettevo i piedi. Strinsi la presa sulla mano di Gabriele, non ci tenevo proprio a finire in acqua.

«Eccoli i piccioncini» annunciò Daniel, prendendosi immediatamente uno scappellotto dal suo amico.
«Ahi» imprecò, strofinandosi la testa «Tutta questa violenza! E io volevo dirvi che siete belli!».
«Grazie, ma limita i commenti» rispose il ragazzo al mio fianco.
Poi mi circondò le spalle con il braccio tirandomi più vicina a lui
«Scusa» sussurrò al mio orecchio.
«No, va bene così» risposi «prima o poi glielo avremmo dovuto dire».
Lui annuì, poi posò le labbra sulla mia fronte.

Chiusi gli occhi, e quando li riaprii incrociai lo sguardo di Marco. Mi sorrise, e io sorrisi a lui.
In quel momento ero la persona più felice della terra!

Tornammo indietro, attraversammo la spiaggia e ritornammo sul lungomare. Ma riprendemmo la direzione di casa.
«Me lo sentivo che vi sareste messi insieme. Era palese da come vi comportavate» fece Daniel, affiancandoci.
«Solo io non me ne sono accorto?» chiese Marco perplesso.
«Nemmeno io, non credevo che... Insomma... Non pensavo che ti piacesse lui, Elisa» replicò Tommaso lanciandomi un'occhiata.

«Il mio obiettivo era non farlo capire a nessuno, lui compreso... Ma direi che non ha funzionato» risposi leggermente imbarazzata.
«In effetti, ha funzionato fino ad un certo punto» puntualizzò Gabriele.
«E grazie! Doveva funzionare fino alla fine...» ribattei.

«Be', io sono felice che tu me l'abbia fatto capire, e sono felice di aver fatto il primo passo» aggiunse lui lanciandomi un'occhiata.
«Anche io» risposi stringendogli la mano. «Cioè, sono felice che tu l'abbia fatto» precisai.

Raggiungemmo il condominio e salimmo in appartamento, disperdendoci poi in cucina, bagno, camere...
Io uscii in terrazza, ad ammirare il panorama notturno del mare e della spiaggia.

«Bellissimo, vero?» chiese la voce di Gabriele. Appena un attimo prima che le sue braccia mi circondassero da dietro, facendo incontrare i nostri corpi.
«Sì, mi mancherà» risposi inspirando i suo profumo.
«E mi mancherai anche tu» confessai dopo un attimo.
«Fidati, ci vedremo così tanto che non ti potrò mancare» rispose lui stampandomi un bacio sulla guancia.
«E martedì e mercoledì verrai a dormire da me, comunque» aggiunse.

Aggrottai le sopracciglia «Perché?».
«È il mio compleanno, siete tutti invitati. Soprattutto tu» spiegò lui.
«È vero! E io non ti ho ancora preso un regalo, oddio!!» esclamai spalmandomi una mano in faccia.
Chi se lo ricordava?! Che figura di merda, proprio!
«Non mi serve niente» mormorò lui sfiorandomi il collo con le labbra.
Ebbi un brivido.

«Gabriele ti prego!» mormorai. Lui rise, poi mi fece girare verso di lui.
Allacciai le braccia al suo collo e lasciai incontrare i nostri sguardi. Occhi azzurri con occhi marroni.
Passò una decina di secondi prima che finalmente le sue labbra si posassero sulle mie. Sapeva ancora di cioccolato, sapeva di lui, ed io non avrei mai voluto staccarmi da lì.

Appena sciogliemmo quel contatto, mi appoggiai al suo petto. Ascoltai il suo cuore battere, e il respiro leggermente accelerato.
Poi sbadigliai. Mi era improvvisamente venuto sonno. E lui se ne accorse.
«Dai, andiamo dentro».
Annuii e mi staccai da lui, per poi entrare in casa. Andai dritta in camera e mi buttai sul letto.

«Adesso rimango qui» borbottai chiudendo gli occhi.
Sentii la risata di Gabriele «Vuoi che ti spogli io?».
Spalancai subito gli occhi, mi voltai e lo guardai male, aveva il sopracciglio alzato e un sorrisetto sulle labbra.
«No comment» risposi, poi a malavoglia mi alzai e recuperai il pigiama «Potresti uscire un attimo, per favore?».
Lui sorrise «Ti ho già vista in costume».
Lo fissai.
«Va bene, mi giro dall'altra parte».

Mi cambiai controllando che non sbirciasse verso di me. Poi mi sfilai il reggiseno da sotto la maglietta, e lo misi sulla sedia, insieme agli altri vestiti.
«Fatto».
«Tocca a me» disse lui, spogliandosi tranquillamente.
Ammirai il panorama che mi stava offrendo, tanto ormai era inutile che gli nascondessi quanto mi piaceva...

Poi andai in bagno e passai di là a dare a tutti la buonanotte.
Gabriele mi raggiunse lì e rimase a guardare la tv con gli altri.
«Buonanotte» mormorai dandogli un bacio sulla guancia, poi me ne tornai in camera. Mi infilai sotto le lenzuola e spensi la luce.

Mi svegliai tempo dopo, sentendo il materasso muoversi. Mugugnai qualcosa, ancora mezza addormentata.
«Scusa, non volevo svegliarti» sussurrò la sua voce, accanto a me.
«Non importa» risposi io con la voce impastata dal sonno.
Poi allungai la mano fino a trovare il suo petto. Lui me la strinse con la sua, poi lo sentii avvicinarsi.
Mi spostai leggermente verso di lui, finché non fummo praticamente abbracciati.
«Buonanotte, piccola solitaria» sussurrò, lasciandomi poi un bacio tra i capelli.
«Notte, occhi azzurri» risposi già con gli occhi chiusi.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 - Dolce notizia ***


«Stefano, mettiamo via i giochi che tra un po' torna la tua mamma» dissi raccogliendo le macchinine sparse per terra.
«Va bene, così la mamma è contenta» rispose con la sua dolce vocetta.
Sorrisi e gli scompigliai i capelli «Bravissimo!».

Riordinammo la stanza, rimettendo tutti i giocattoli al loro posto. Poi gli concessi un po' di cartoni animati, in attesa di Serena, che arrivò una decina di minuti più tardi.
«Eccomi» disse entrando e abbracciando il figlioletto che si era letteralmente attaccato a lei.
«Ciao Elisa, grazie mille per oggi. Ti va di restare a cena?» aggiunse poi, una volta che Stefano fu tornato a giocare.

«Io...» cominciai, ma lei mi interruppe.
«Viene anche Gabriele, non puoi rifiutare».
«Oh, bè allora ok, ma non voglio disturbare».
«Figurati, ormai sei parte della famiglia» disse poggiandomi la mano sul braccio.
«E a dirla tutta, non vedevo l'ora di vedervi insieme» aggiunse dopo qualche secondo.
Non riuscii a trattenere un sorriso «Davvero?».
Lei annuì.

La aiutai in cucina, preparando la tavola, poi andai a controllare il piccoletto che se ne stava tranquillo sul divano, guardando le immagini di un libro.
Quando suonò il campanello lui balzò subito giù dal divano e corse ad aprire.
Due voci si unirono alla sua, salutandolo. Poi li vidi tornare in salotto, e notai con gioia l'espressione piacevolmente sorpresa di Gabriele.
Gli sorrisi, e dopo aver salutato il papà di Stefano, lo raggiunsi.

«Che bella sorpresa! Ciao» disse catturandomi con i suoi occhi incredibilmente azzurri.
«Ciao» risposi leggermente imbarazzata dal suo sguardo fisso su di me.
Esitò per qualche secondo, poi si guardò intorno, incrociando lo sguardo di suo cognato «Nicola, non so se lo sai... Io e lei stiamo insieme».
L'altro ci osservò «Ah, bravi ragazzi, allora vi lasciamo soli». Prese in braccio il figlio e lo portò a lavarsi le mani.

Riportai gli occhi sul mio ragazzo. Mi faceva ancora strano chiamarlo così, ma mi piaceva.
Mi avvicinai e mi aggrappai al suo collo, stringendomi a lui. Lui mi strinse tra le sue braccia.
«Ciao, piccola solitaria» mormorò premendo le labbra sulla mia fronte.
«Ciao, occhi azzurri. Mi sei mancato» risposi inspirando a fondo il suo profumo.

Qualche secondo di silenzio, poi mi alzò il viso con la mano e fece incontrare le nostre labbra. Ci baciammo, come se fossimo stati separati per molto tempo, e non solo per un giorno. E dopo quel bacio ce ne fu un altro.
Solo l'arrivo di Serena riuscì a fermarci, e il clic della fotocamera del suo cellulare.

Ci separammo e la guardammo, io ero ancora leggermente su di giri, lui sembrava aver ripreso perfettamente il controllo.
«Mi dispiace interrompervi, ma la cena è pronta. E comunque vedervi così è una meraviglia!».
«Grazie, Sere» rispose alla sorella, «Mi hai fatto una fantastica sorpresa» aggiunse poi dandole un bacio sulla guancia.
Io arrossii, mentre gli occhi di entrambi tornavano su di me.

Serena mi sorrise, poi tornò in cucina. Gabriele mi prese per mano «Te l'ho già detto che sei adorabile quando arrossisci?».
Arrossii ancora di più, per quanto fosse possibile.
«Mmh» mormorai coprendomi la faccia.
Lui mi prese i polsi «Non nasconderti, sei bellissima». Si chinò lasciandomi un bacio a stampo sulle labbra.

«Dai, andiamo» aggiunse poi.
Entrammo in cucina e ci sedemmo al tavolo, i piatti di spaghetti al pomodoro ancora fumanti.
Mangiai in silenzio, ascoltando la conversazione tra loro tre. E Stefano che ogni tanto interveniva per dire qualcosa, scatenando qualche risata.

«Dobbiamo darvi una bella notizia» disse dopo un po' Serena.
«Eh già» aggiunse il marito, sorridendole.
«La dici tu Stefano?» chiese lei rivolgendosi al figlioletto.
Lui si illuminò. «Avrò un fratellino o una sorellina!» esclamò saltellando sulla sedia.
«Davvero?» chiese Gabriele «Ma è bellissimo. Congratulazioni!».
«Wow, è davvero una splendida notizia!» dissi guardando Serena «Di quanto sei?».
«Tre mesi, dovrebbe nascere a Febbraio».

«Allora, diventerai di nuovo zio!» esclamai una mezz'oretta più tardi. Eravano tutti seduti sul divano, e Stefano giocava sul materassino.
Gabriele sorrise e annuì.
«Ma allora tu sei la mia zia?» chiese il biondino arrivando davanti a me.
Guardai Gabriele, poi tornai al bambino «No, io rimango Elisa».
«Ma se tu baci lui, allora siete sposati!» esclamò lui.
Serena sorrise «No, amore. Non funziona proprio così. Lo zio ed Elisa si vogliono molto bene, ma non sono ancora sposati, sai» gli spiegò con calma.

Lui guardò Gabriele, e me. Poi riportò lo sguardo sulla mamma «Ma io voglio che Elisa diventa la mia zia!».
Suo padre rise «Capito ragazzi?».
Gabriele lo guardò divertito «Poca pressione eh?».
«Amore, Elisa verrà ancora qui a giocare con te!» si intromise la mamma, sistemandogli i capelli.
«Lo so» rispose il bimbo alzando le spalle e tornando a giocare.

Chiacchierammo un altro po', finché non decisi di andare a casa. Gabriele insistette per accompagnarmi, e io accettai più che volentieri. Non avevo proprio voglia di tornare a casa a piedi, di sera e da sola!

Entrammo in macchina, e, prima che potessi fare qualsiasi cosa, Gabriele si sporse verso di me. Mi prese il viso tra le mani e unì le nostre labbra, in un bacio dolce, lento e completamente travolgente.
E quando le nostre labbra si separarono, i nostri occhi invece si incontrarono. Rimanendo legati, come da una forza misteriosa.

«Stasera vieni da me?» chiese a bassa voce.
Lo guardai, e scossi la testa «Io vorrei, ma...».
«Lo so, so cosa stai pensando» rispose lui posandomi la mano sulla guancia.
«È che non voglio fare le cose di nascosto... E vorrei... insomma, so che abbiamo già dormito insieme, ma era diverso» spiegai abbassando gli occhi.
«Ehi, tranquilla, piccola solitaria. Lo capisco» disse girando la chiave e mettendo in moto «Dai, riportiamoti a casa».

«Vuoi entrare?» chiesi, una volta arrivati davanti casa mia «Possiamo guardare un po' la tv, e c'è anche Marco».
Lui mi guardò, poi spense la macchina «Va bene».
Appoggiai la mano sulla maniglia per aprire la portiera.
«Aspetta!» fece lui sporgendosi e prendendomi la mano. I nostri volti a pochissima distanza uno dall'altro.
I miei occhi finirono catturati dai suoi.
E il mio battito cardiaco probabilmente ebbe un incremento improvviso di velocità.

«... ai tuoi?».
Aggrottai le sopracciglia e mi ripresi dalla specie di trance in cui ero caduta «Cosa?».
«Mi stavi ascoltando?» chiese leggermente divertito.
«No» risposi cercando di distogliere lo sguardo dai suoi occhi.
Lui sorrise «Come mai?».
«Forse perché mi stai facendo morire».
Lui apparve perplesso. Allora gli presi la mano, sbottonai la giacca, e gli feci sentire il battito accelerato del mio cuore.

Forse era una mia impressione, ma i suoi occhi diventarono come più vivi. E la sua bocca si aprì in un sorriso mozzafiato.
«E se faccio così?» mormorò diminuendo la distanza, e avvicinando pericolosamente il viso.
Sentii il battito, che prima si era un po' calmato, accelerare di nuovo. E probabilmente lo sentì anche lui, perché l'angolo della sua bocca si sollevò.
«Smettila» mormorai «Questa cosa è molto imbarazzante».

«No, questa cosa è molto dolce» replicò lui.
«E comunque non sei l'unica» aggiunse dopo qualche secondo, abbassando la voce.
Lo guardai, lasciando che i miei occhi scivolassero sul suo viso, fino a fermarsi sulle labbra.
«Vuoi torturarmi ancora, o pensi di baciarmi?» domandai.

Lui rise «Penso di baciarti».
Poi si avvicinò fino a far toccare le nostre labbra. Lo strinsi a me e chiusi gli occhi, godendomi quel momento. Le nostre bocche in contatto, e le nostre mani a stringerci l'un l'altra.
«Vorrei continuare, ma questa posizione scomoda mi sta uccidendo» borbottò lui appena ci fu un centimetro di distacco tra noi.
«Colpa tua, pur di tenermi sulle spine l'hai tirata per le lunghe» risposi dandogli un bacio a stampo.

Poi aprii la portiera e scesi, aspettandolo. Avanzammo insieme fino alla porta, ma esitai prima di aprire.
«Mmh, comportati normalmente ok?».
«Certo, piccola solitaria» rispose lasciandomi la mano.

Aprii la porta ed entrando salutai i miei genitori che stavano guardando la tv in salotto.
Feci entrare Gabriele e glielo presentai, anche se in realtà già lo conoscevano in qualità di mio professore.
«Marco è di sopra, no?» chiesi poi.
Mamma annuì, ma mi sentii il suo sguardo indagatore addosso finché non sparimmo su per le scale.

Ripensai al suo commento di quasi un anno prima, sul ragazzo che stava appena qualche passo dietro di me.
"È abbastanza giovane e anche carino, mi sembra" aveva detto. E mi era rimasto impresso come ogni cosa che riguardava lui.
Al tempo mia mamma ancora non l'aveva conosciuto, era successo solo qualche settimana più tardi. E ricordavo come fosse stato ieri i commenti che aveva fatto su di lui dopo il primo ricevimento insegnanti-genitori.
"Sai, mi è sembrato davvero una brava persona. Decisamente gentile e simpatico, e sa il fatto suo".

Sorrisi. Poi mi accigliai. "E se fosse vero che le mamme capiscono tutto subito?".
Scossi la testa per cercare di togliermi quel pensiero dalla testa.
«Ciao Marco!» esclamai buttandomi sul divano e finendogli addosso.
«Ciao pazza» rispose lui. Poi alzò gli occhi «Ehi, Gabs».
L'altro fece un cenno e venne a sedersi accanto a me.
«Serata di presentazioni?» chiese Marco abbassando la voce.
«Cosa? No!» risposi «Non ancora».
«Bene, non sono ancora pronto per la sfuriata di papà» replicò lui tornando a puntare gli occhi sulla tv. Scambiai un'occhiata con Gabriele, che sembrò perplesso quanto me.

«Ehi, cosa hai?» chiesi trovandolo più sfuggente del solito «Sei arrabbiato con me?».
Lui tornò a guardarmi. «No, solo che...» si interruppe e guardò Gabriele «...mi manca averti tutta per me».
Sospirai e lo abbracciai stretto «Io non mi allontanerò mai da te, e non voglio farti stare male. Sarai sempre il mio unico fratello. Sei una parte sicura della mia vita».

Guardai Gabriele, che seguiva attentamente il nostro discorso.
Poi tornai a mio fratello. «Forse non sai quanto è stato difficile per me. Capire che qualcuno, che non avrebbe dovuto piacermi, stava pian piano diventando sempre più importante per me».
Mi scese una lacrima, sfuggita al mio controllo.
«Ho avuto un mucchio di pensieri per la testa, nel frattempo dovevo impegnarmi per la scuola, la tua distanza non aiutava... E, per quanto cercassi di convincermi che non stava succedendo, mi stavo un po' alla volta innamorando di lui».

Marco mi passò il dito sulla guancia, asciugandola. Poi mi strinse a sè «Mi dispiace, avrei voluto aiutarti e ascoltarti. E lo so che rimarrai sempre tu, ma vederti con qualcun altro, anche se si tratta di un mio grande amico, è difficile» mormorò dandomi un bacio sulla fronte.
Sciolsi l'abbraccio.
Lui si rivolse a Gabriele «Amico, l'hai fatta innamorare di te, vedi di non farla anche soffrire». Si strinsero la mano al loro solito modo, che io ancora non avevo imparato, poi si guardarono.
«Farò del mio meglio, è una promessa» lo rassicurò Gabriele. Poi portò gli occhi su di me e si avvicinò fino a far combaciare le nostre labbra.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 - La mia rovina ***


Mi svegliai nel bel mezzo di un sogno confusionario in cui prima stavo parlando con mio fratello, che poi era diventato Tommaso, il quale aveva tentato di baciarmi. Poi era continuato con Gabriele che aveva visto Tommaso e si erano messi a litigare...
Che ansia! Anche nei sogni.

Guardai la sveglia. Le 9:08. Feci un sospiro e mi alzai. Poi risistemai le lenzuola, aprii i balconi e accesi il telefono.
Dopodiché, la prima cosa che feci fu mandare un messaggio di auguri al mio... ragazzo. Sì, non ero abituata a pensare a lui dandogli quel nome.
Ma era così bello pensare che era mio. Solo mio.

Mi vestii e scesi a fare colazione. Mamma e papà erano già a lavoro. Stranamente, invece, Marco era sveglio ed era già in cucina.
«Ciao fratellone» lo salutai prendendomi il caffè nella tazza.
«Ciao Eli» rispose lui venendo a darmi un bacio sulla guancia.
«Vai via oggi?» chiesi versandomi il latte caldo.
«No, oggi relax. E stasera da Gabriele» rispose osservandomi con un sorrisetto.
Io arrossii «Che c'è?».
«Come va con lui?».
«Bene» risposi leggermente imbarazzata.
«Non mi dici altro?» fece lui curioso, sedendosi di fronte a me.
«Io... Lui è gentile, dolce, divertente» dissi alzando gli occhi su di lui. «Mi fa sentire bella».
«Be', lo sei» commentò lui.
Alzai gli occhi al cielo «Tu sei mio fratello, il tuo giudizio non conta».

«Invece sì, sei una bella ragazza. Ed è giusto che il tuo...» esitò un attimo «...ragazzo... ti faccia sentire bella, come sei».
«Lui lo fa, lui è sempre così dolce e premuroso con me. Io non sono riuscita a non innamorarmi di lui. Mi fa sentire davvero felice» confessai.
Mio fratello sorrise «Mi fa davvero piacere sentirtelo dire, è un sollievo sapere che avrai qualcuno vicino quando io sarò a chilometri e chilometri da qui. E di lui mi fido. Sei in buone mani».

«Mi è sempre stato vicino in quest'anno, anche se io cercavo di tenermelo distante. Mi ha sempre ascoltato e dato consigli, è l'amico che non ho mai avuto finora» spiegai sospirando.
«Spero solo che non si rovinino i rapporti tra noi, ho sempre paura che qualcosa possa andare storto».

«Non succederà, se davvero credi nella vostra storia» rispose lui.
Io annuii «Grazie Marco, è un po' strano parlare con te di queste cose, ma non ho nessun altro con cui parlare altrimenti».
«Io ci sarò sempre, lo sai. Telefonami e ti risponderò appena possibile, per qualsiasi cosa».
«Lo farò, ma pensiamo ad adesso. Starai ancora qui per un po' quindi godiamoci la nostra compagnia» dissi alzandomi e mettendo tazza e cucchiaino nella lavastoviglie.
«Sicuro» rispose lui imitandomi. «Vai da Gabriele adesso?».

Mi girai a guardarlo «Pensavo di sì, perché?».
«Niente, sono sicuro che ti sta aspettando sorellina» rispose con un sorrisetto.
Io arrossii.
«Secondo te, mamma e papà si arrabbieranno?» chiesi, dopo una leggera esitazione.
«Stasera?» chiese lui, perplesso.

«No» risposi «quando gli dirò di lui».
«E perché dovrebbero arrabbiarsi?» chiese.
«Perché ha nove anni più di me.. » cominciai a dire contando sulle dita «...era un mio prof, ha un lavoro e una casa sua mentre io non ho trovato ancora niente, e gliel'ho tenuto nascosto per tutto questo tempo».
«Se vi vedranno insieme non avranno niente da dire. Se tu lo ami e lui ti ama il resto non dovrebbe importare a nessuno» replicò.
Io annuii «Speriamo. Grazie per quello che hai detto, sei il fratello migliore del mondo!».
Lo abbracciai e mi lasciai stringere da lui.

Tornai in camera mia e cercai di rendermi presentabile, vestendomi e truccandomi, ma niente di troppo pesante.
Riempii la mia borsa con le cose essenziali, dopodiché presi i regali che avevo nascosto nell'armadio (nel caso Gabriele fosse capitato in camera mia) e tornai di sotto.
Salutai Marco, rifiutando il passaggio in macchina, e mi incamminai verso la casa del mio angelo.

Bussai, e attesi finché non sentii la chiave girare nella toppa.
«Ehi, che sorpresa! Cosa ci fai qui, piccola solitaria?» esclamò, mentre un sorriso gli si formava sul volto.
«Sono venuta a ricordarti che stai diventando vecchio» scherzai sorridendo.
Lo osservai per bene. I pantaloncini bianchi che lasciavano scoperti i polpacci, la maglietta azzurra che faceva risaltare in modo destabilizzante il colore dei suoi occhi e i capelli disordinati come quelli di Harry Potter.
Lui inarcò il sopracciglio, poi si fece da parte lasciandomi entrare.
Chiuse la porta e io mi girai verso di lui. Poi, prima che uno dei due potesse dire una qualsiasi cosa, mi avvicinai e lo baciai. Mi mancava sempre così tanto quando non eravamo insieme!
Lui rispose al bacio, facendomi quasi perdere la testa, e strinse le braccia intorno a me tirandomi più vicina.

«Tanti auguri!» dissi appena le nostre labbra si separarono.
Lui mi guardò con una luce negli occhi «Grazie, vale la pena compiere gli anni solo per questo».
«Ma se ci baciamo sempre!» esclamai sorridendo.
«Di solito prendo io l'iniziativa» rispose lui alzando di nuovo il sopracciglio.
«E non ti piace?» chiesi appoggiando la borsa per terra. Riportai gli occhi su di lui, poi gli appoggiai le mani sul petto e feci incontrare di nuovo le nostre labbra.

Lui rispose al bacio, imprigionandomi nella sua stretta.
Riemersi dopo qualche minuto da quella bolla che ci eravamo creati, leggermente senza fiato.
«Così va bene?» chiesi alzando lo sguardo.
«Così metti a dura prova il mio autocontrollo» rispose lui accigliato.

«Perché, cosa vorresti fare?» chiesi accennando un sorriso.
«Non provocarmi, piccola solitaria» rispose togliendomi le mani dal suo petto «Non finché non sarai pronta».
Mi prese una mano e, tenendomi l'altra, mi fece girare. Facendomi così finire completamente intrappolata nel suo abbraccio. La mia schiena contro il suo petto.
Ebbi un brivido.

«Sei bellissima» mi sussurrò nell'orecchio. Per poi appoggiarmi le labbra sul collo.
Chiusi gli occhi, lasciandomi completamente nelle sue mani.
«Tu sei bellissimo» risposi a bassa voce «E mi stai facendo morire».

Rimanemmo qualche istante in quella posizione, poi mi liberò le mani, io riaprii gli occhi e mi girai verso di lui. E lo abbracciai.
«Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata, non mi stancherò mai di dirlo. Grazie di esistere!» sussurrai.
«Potrei dire la stessa cosa di te, piccola solitaria».
«Non è vero, io ho bisogno di te. Tu non hai bisogno di me...» puntualizzai.
«Dovresti smetterla di sottovalutarti, sei molto più preziosa per me di quello che tu credi».

A quelle parole alzai gli occhi cercando i suoi. «Non è che per caso hai fatto un corso per imparare a dire sempre la cosa giusta?» chiesi inarcando il sopracciglio e accennando un sorrisetto.
Lui sorrise e scosse la testa «È tutta opera mia».
«Vedi? Sai sempre cosa dire per farmi cadere ai tuoi piedi. Non che ce ne sia bisogno, in realtà ero già spacciata molto tempo fa».
Lui rise, poi mi stampò un sonoro bacio sulla fronte.

Sospirai. «Meglio che mi stacchi da te, altrimenti non combineremo niente di utile oggi».
Mi allontanai dal suo petto e recuperai i regali dalla borsa.
Poi glieli porsi «Sono per te, spero ti piacciano».
Lui li prese «Grazie piccola».

Mi tolsi finalmente la giacca e la appesi all'attaccapanni. Poi lo seguii sul divano e mi sedetti al suo fianco.
Scartò il primo regalo trovandosi davanti un libro che speravo gli sarebbe piaciuto. Era "Inferno" di Dan Brown.
«Ho visto che nella tua libreria ne hai alcuni dei suoi, spero ti piaccia» spiegai stringendomi nelle spalle.
«Certo che sì, grazie» rispose sporgendosi a baciarmi la guancia.

Poi aprì l'altro.
Avevo comprato una bella cornice e avevo fatto stampare una foto che mi aveva passato mio fratello. Aveva catturato il nostro bacio in riva al mare, durante la nostra piccola vacanza. Si vedevano le nostre figure illuminate dalla luce della luna e da quella debole proveniente dai lampioni in lontananza.

Quando avevo visto quella foto avevo subito pensato che fosse bellissima. Non potevo non farla vedere a lui.

Gabriele la osservò, poi si girò a guardare me.
«Questa foto è stupenda, piccola solitaria» disse facendomi un sorriso disarmante.
«Finirà in camera mia, così potrò guardarla quando mi sveglio e prima di addormentarmi» continuò prendendomi la mano e facendomi alzare.

Mi guidò lungo il corridoio e dentro una stanza, che a quanto pareva era la sua camera.
C'era un enorme letto al centro, un armadio gigante sulla sinistra, e un mobile sulla destra dove era appoggiato un portatile. Era semplice, ma molto bella.
«È tipo tre volte la mia camera» dissi guardandomi intorno.
«Sono i vantaggi dell'abitare da soli» rispose lui facendo un sorrisetto.
Gli feci la linguaccia.

Lui posò la cornice con la foto sul comodino, poi tornò davanti a me.
«Sul serio mi hai fatto la linguaccia?» chiese con tono molto divertito.
«Sì» risposi ridendo.
Lui alzò il sopracciglio. Poi si avvicinò con uno sguardo diabolico, facendomi arretrare e inciampare sul bordo del letto, finendo completamente distesa.

«No no, cos'hai intenzione di fare?» chiesi mettendo le mani avanti.
«Chi lo sa» rispose semplicemente, chinandosi in avanti.
Arretrai fino alla testiera del letto, che tra l'altro era anche molto morbido e invitante.
«Mi fai paura quando fai così» dissi seguendo i suoi movimenti.
Si avvicinò fino a trovarsi sopra di me, le mani appoggiate di fianco alla mia testa per sorreggerlo.

I miei occhi passarono dai suoi, alla sua maglietta che lasciava scoperta una striscia di pelle. Senza pensare, allungai la mano e la posai lì.
«Stai tentando di farmi dimenticare quello che volevo farti?» chiese a bassa voce.
«Tu volevi farmi il solletico» replicai «Qualsiasi cosa per fermarti».
Lui rise «Non mi aspettavo una cosa del genere da te».
«Nemmeno io, l'ho fatto senza pensare» risposi arrossendo completamente.
Avvicinò il viso al mio e io chiusi gli occhi quando le nostre labbra entrarono in contatto.

Qualche minuto, e poi tornammo a guardarci.
«Sei la mia rovina» disse lui.
«E tu la mia» risposi.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 - Pomeriggio produttivo ***


«Vuoi rimanere a mangiare qui con me?».
Ci eravamo appena seduti sul divano, dopo essere finalmente riusciti a staccarci uno dall'altra.

Ricambiai il suo sguardo, perdendomi nel colore ammaliante dei suoi occhi.
«Solo se lo vuoi tu» risposi stringendomi nelle spalle.
«Certo che voglio pranzare con la mia ragazza il giorno del mio compleanno» disse, facendomi imporporare le guance.
Quando mi guardava in quel modo non c'era verso che il mio stomaco non facesse le capriole.
Quando mi guardava in quel modo, per quanto cercassi di non farlo accadere, le mie guance si coloravano.
Quando mi guardava così mi sentivo... bene. Mi sentivo in paradiso.

Lo vidi aprire la bocca. Stava per dire qualcosa, quando la suoneria del suo cellulare risuonò per tutta la stanza. Distolse lo sguardo da me e, dopo aver individuato il suo telefono che era posato sulla scrivania, andò a rispondere.
Gli lasciai il suo spazio e me ne andai in cucina. Avevo davvero bisogno di riprendere fiato.
Era incredibile come il mio corpo reagiva anche solo ai suoi sguardi, e io che non amavo molto i contatti con le persone stavo cominciando a fare fatica a stare lontana da lui.
Avrei voluto abbracciarlo, baciarlo e accoccolarmi a lui senza più staccarmene.

In quest'anno ci eravamo conosciuti, avevamo parlato tanto, lui mi aveva ascoltata, avevamo riso insieme, e alla fine lui era diventato una parte del mio cuore. Senza che io avessi potuto farci niente.
Si era pian piano intrufolato nella mia vita fino a diventare la persona più importante per me.

Mi versai un bicchiere d'acqua e lo bevvi tutto d'un fiato. Poi, non sentendolo più parlare, tornai di là.
Ma lo trovai ancora al telefono, seduto alla scrivania. Feci per riandarmene, ma lui mi fermò facendomi cenno di restare.
Obbedii e andai a sdraiarmi sul divano, a pancia in giù e con le gambe per aria. La testa poggiata sulle braccia, gli occhi chiusi.

Era una posizione molto rilassante, tanto che non avevo prestato la minima attenzione a Gabriele, il quale probabimente doveva aver finito la telefonata dato che poco dopo la sua mano si posò sulla mia gamba, cominciando a salire.
Spalancai gli occhi di colpo «Cosa fai?».
Lui mi posò l'altra sulla spalla, tenendomi giù «Rilassati, non faccio niente». La sua mano riprese ad avanzare, creandomi brividi lungo la spina dorsale.
«Questo non è niente, te lo assicuro» mi lagnai cercando di sfuggire al suo tocco.
Lo sentii ridere, poi le sue mani si andarono a posare sulle mie spalle, cominciando a massaggiarle.
Mugugnai, lasciandomi toccare dalle sue mani miracolose, a quanto pareva.
«Sei tutta tesa qui» mormorò continuando a massaggiare.

«Chissà perché!» risposi chiudendo gli occhi e lasciandomi in balia delle sue mani e di quella sensazione paradisiaca.
Lo sentii ridacchiare di nuovo «Perché?».
«Lo sai il perché, sai cosa mi stavi facendo».
«Voglio sentirtelo dire» sussurrò avvicinandosi al mio orecchio.
«Non te lo dirò mai» borbottai sentendomi la pelle del viso andare a fuoco.
«Cattiva ragazza» replicò lui, poi tolse le sue mani facendomi sentire stranamente vuota.

Un lamento scappò dalle mie labbra, mi voltai a pancia in su, trovandolo ad osservarmi.
«C'è qualcosa che non ti riesca dannatamente bene?» chiesi provocando in lui una risatina.
Abbassò gli occhi e si passò una mano tra i capelli, scompigliandoseli, e facendomi venire una voglia incredibile di affondarci le dita. 
Lo osservai rialzare gli occhi ed incantarmi con il suo sguardo magnetico.
Sorrisi come un'idiota, poi mi morsi il labbro.

«Sei stupenda» disse Gabrele sfiorandomi il viso con la mano e scostandomi un ciuffo di capelli dagli occhi.
Io arrossii e abbassai lo sguardo, cercando senza efficacia di trattenere quel nuovo sorriso che si formò spontaneamente sulle mie labbra.
«Non smetterò mai di ripetertelo se continuerai a reagire in questo modo» mormorò. Alzai lo sguardo, trovandolo ad osservarmi con dolcezza. «Adoro come ti si colora la pelle quando te lo dico».
La sua bocca si aprì in un sorriso disarmante.

«Io no» replicai facendo una smorfia «È dannatamente imbarazzante non riuscire a nascondere quello che provo, quando sono con te».
Lui allungò la mano, intrecciandola alla mia.
«Non mi devi nascondere niente. Non voglio che tu mi nasconda niente».
Rialzai gli occhi, fissandoli nei suoi, maledettamente azzurri.
«Tu riesci sempre ad essere così...». Esitai un attimo cercando le parole, poi sospirai. «...controllato, e sicuro di te stesso. E non lasci trasparire niente. Io invece sono completamente l'opposto».
«E infatti com'è che si dice? Gli opposti si attraggono» rispose Gabriele, sorridendomi.

Alzai gli occhi al cielo «Lo so. Ma vorrei essere più come te».
Lui scosse la testa «Tu mi piaci proprio per quello che sei. Timida, insicura, sincera e bella».

Sbuffai. «È tremendamente difficile vivere con questo carattere che mi ritrovo. Vorrei davvero non essere timida, vorrei essere una di quelle ragazze estremamente socievoli. E invece mi faccio mille paranoie per qualsiasi cosa... Fa schifo».
«La timidezza è un modo per proteggerti. È il tuo sistema di difesa» ribatté lui «In questo modo cerchi di evitare situazioni spiacevoli per te, non devi vederla per forza come un difetto».
«Lo so, ma dovrei cercare di limitarla».

«Con me lo stai facendo» disse portandosi la mia mano alla bocca e posando le sue labbra suo dorso della stessa.
Guardai il suo gesto e sorrisi «Con te ci sto provando».
Mi avvicinai di più e avvolsi le braccia intorno al suo collo, stringendomi a lui.
Lui ricambiò l'abbraccio, avvolgendomi nella sua stretta protettiva.
Inspirai a fondo il suo profumo e mi godetti quella sensazione di protezione che mi trasmettevano i suoi abbracci.

«Che ne dici se cominciamo a preparare il pranzo?» chiese quando ci fummo separati.
«Dovrei avvisare Marco e i miei, cosa gli dico?» chiesi improvvisamente inquieta, toeturandomi le mani.
«Lascia fare a me» rispose lui alzandosi in piedi e recuperando il suo cellulare.

«Ciao Marco... Senti, posso rubarti tua sorella per pranzo?». Esitò qualche secondo, ascoltando la risposta dall'altro lato. «Mmh-mmh, inventati qualcosa... Dì che le ho chiesto di aiutarmi per stasera, o una cosa del genere!».
Fece qualche passo, poi si fermò «Grazie mille, amico. Sono in debito».
Chiuse la telefonata e mi guardò «Tutto a posto! Sei tutta mia».

Arrossii, mentre lui si avvicinava cingendomi la vita e stampandomi un bacio sulla guancia.
«Mettiamoci al lavoro» disse poi, prendendomi per mano e portandomi in cucina.
Lo aiutai, seguendo le sue istruzioni e godendomi la vista del mio bellissimo ragazzo alle prese con i fornelli.
Ogni tanto nel passare mi sfiorava. Il braccio, la schiena... facendomi trattenere il respiro. Ma quando lo guardavo sembrava completamente concentrato nel suo lavoro, cosa che mi fece pensare che quei gesti me li stessi immaginando.
Forse era così.

Constatai poi che era davvero bravo in cucina. Anche se in effetti non mi sorprendeva più di tanto. Cominciavo a pensare che fosse maledettamente bravo in tutto quello in cui metteva le mani. Anzi, lo pensavo già!

Lo aiutai a sparecchiare, per poi fare un salto al bagno.
Quando tornai esitai qualche attimo sulla porta della cucina, prendendomi il tempo di ammirarlo mentre se ne stava girato a lavare i piatti. Era terribilmente attraente!

Mi avvicinai e mi appoggiai alla sua schiena, circondandolo con le braccia.
«Posso aiutarti?» chiesi.
Lui scosse la testa «Ho quasi finito».
Annuii, consapevole del fatto che non potesse vedermi. Poi mi alzai in punta di piedi, arrivando a posare le mie labbra sul suo collo.
Lo sentii trattenere il respiro e sorrisi.
«Piccola solitaria?» chiese.
«Mmh?» risposi baciandolo di nuovo sul collo.
«Cosa fai?» chiese col respiro spezzato.
«Volevo verificare se ti faccio effetto, come tu lo fai a me» risposi, mentre le mie guance si imporporavano leggermente «O se sono l'unica a sentirsi morire ogni volta che mi sfiori».
«Non sei l'unica» replicò voltandosi e togliendosi i guanti. Incrociai i suoi occhi infuocati. E sarei arrossita se le mie guance non si fossero colorate poco prima.

Allungò il braccio, posando la mano alla base della mia schiena. Poi fece pressione, facendomi avanzare fino a scontrarmi con il suo corpo.
Dopodiché non potei più pensare a niente. Le sue labbra erano sulle mie, la sua lingua giocava con la mia e le nostre mani ci stringevano l'uno all'altra.

Passammo il pomeriggio in modo davvero molto producente.

No, non a baciarci!
Anche se sarei davvero stata capace di non staccarmi mai dal mio angelo!

Preparammo tramezzini, pizzette, muffin e dei biscotti.
Ogni tanto mi perdevo ad ammirare Gabriele e la sua dimestichezza nel cucinare. Era così sicuro di quello che faceva, che sembrava fosse nato apposta per farlo.

Tirai fuori dal forno l'ultima teglia di biscotti, poi guardai lui. Sorridemmo entrambi, e ci battemmo il cinque.
«Ce l'abbiamo fatta!» esclamò prendendomi e stritolandomi nella sua stretta.

Mi staccai e mi diedi una rapida occhiata. Avevo farina sparsa sulla maglietta e sui pantaloncini «Direi che devo andare a farmi una doccia».
«Anche io, decisamente» aggiunse Gabriele facendomi un sorriso sghembo. Avvicinò la mano alla mia guancia, passandoci sopra il pollice. Poi se lo portò alla bocca.
Io arrossii vistosamente, seguendo ossessivamente ogni suo minimo gesto.
«Mmh, buono» commentò facendo un'espressione concentrata.
Mi osservò per qualche secondo, poi, a braccia conserte, si appoggiò al bancone della cucina.
«Cosa c'è?» chiesi sentendomi trapassare dal suo sguardo.

«Niente» rispose dopo un attimo di esitazione. E distrattamente si passò una mano tra i capelli, rendendoli ancora più disordinati.
«Dai, ti porto a casa» disse recuperando le chiavi della macchina.
Annuii, e andai a prendere la mia borsa. Poi salutai Spark, accoccolato sul divano.

«Ti vengo a prendere stasera?» chiese fermando la macchina davanti a casa mia.
«Nah, vengo con Marco» risposi. Poi mi girai a guardarlo.
«Auguri, occhi azzurri» mormorai sporgendomi e premendo le mie labbra sulle sue.
«Grazie, mia piccola solitaria» rispose lui, con una nota di dolcezza nella voce.
Scesi dalla macchina con ancora il sorriso sulle labbra, e lo ascoltai ripartire mentre entravo in casa.

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Ciao a tutti!
Finora non mi sono mai presa un piccolo spazio per salutare voi che leggete o semplicemente per presentarmi, perciò ho pensato di farlo ora. Meglio tardi che mai, si dice...
Be', mi chiamo Elisa (sì 😂 ho voluto usare il mio nome per la protagonista), ho 22 anni e questa è la prima storia che ho cominciato a pubblicare. L'ho iniziata su wattpad (dove si trova con lo stesso titolo e il mio nick è lo stesso) e visto il relativo successo (così sembra che me la stia tirando 😅 intendo più successo di quello che mi sarei mai aspettata) ho poi deciso di cominciare a pubblicarla anche qui.
E niente, sto cercando di pubblicare ogni mercoledì, anche se non ho idea del perché io abbia scelto questo giorno...
In ogni caso, vi ringrazio se state leggendo e se continuerete a seguire la storia, e grazie a chi ogni tanto mi lascia una recensione. Forse non rispondo sempre ma sappiate che mi fa molto piacere avere un feedback da parte vostra, soprattutto visto che sono alla mia prima esperienza di scrittura e ho sicuramente molto da imparare ancora.
Non mi dilungo oltre, ho già scritto abbastanza...
Alla prossima settimana! xx

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 - La sua festa ***


«Cos'hai detto a mamma e papà?» chiesi dopo aver salutato mio fratello.
«Che Gabriele ti aveva chiesto di aiutarlo per stasera...» rispose scrollando le spalle.
«Tra l'altro, vedo che ti sei divertita!» aggiunse poi lanciandomi un'occhiata divertita.
Arrossii, e annuii.
Poi mi squadrai «Devo decisamente andare a farmi una doccia, a dopo».

Mezz'ora dopo mi stavo asciugando i capelli, cercando di renderli perlomeno decenti.
Ad operazione riuscita, o quasi, andai in camera per decidere che cavolo mi sarei messa quella sera.
Aprii l'anta dell'armadio e passai tutto al setaccio. E mi disperai. Io non avevo vestiti eleganti a parte quello famoso bianco regalatomi da Marco.
Dal mio armadio si vedeva la mia sfigataggine.
E sì, lo so che questa parola non esiste... ma il mio armadio era decisamente lo specchio della mia vita: jeans, felpe, magliette e giusto qualche vestitino che mettevo per stare in casa. Che tristezza!

Uscii dalla camera e tornai di sotto «Marco» chiamai sconsolata.
«Mmh?» rispose lui, concentrato sulla televisione.
«Non so cosa mettermi» dissi guardandolo «Ho solo il vestito che mi hai regalato tu».
Lui alzò lo sguardo «Metti quello, ti sta benissimo».
«Ma l'ho già messo al primo appuntamento con Gabriele!» mi disperai.
«E allora? Secondo me gli piacerai comunque. Anzi, ne sono sicuro» replicò lui.
«Ok, grazie Marco» dissi rincuorata.
Lui sorrise.

Diedi un'occhiata all'orologio, erano già le 18:30. E in quell'esatto momento sentii il rumore della macchina dei miei, che tornavano dal lavoro.
«Ciao ragazzi» salutò mamma entrando e posando la borsa sul mobile.
Poi venne verso di me «Marco mi ha detto che non c'eri perché Gabriele aveva bisogno di te».
Annuii. «Gli serviva un aiuto femminile in cucina» risposi facendo di tutto per controllare le mie espressioni facciali.
Lei mi scrutò, poi annuì.

Nel frattempo mio padre era entrato in casa, facendomi un cenno di saluto.
«Ciao papà» lo salutai, sentendomi lo sguardo di mia madre incollato addosso.
Mi girai e la guardai. «Cosa c'è, mamma?».
Lei aprì la bocca in un sorriso e scosse la testa «Niente, tesoro».

Scrollai le spalle, e me ne tornai di sopra. Lontano dallo sguardo indagatore della mamma. Eppure ero stata molto attenta al mio comportamento!
Vabbé, sarebbe stato quel che sarebbe stato...

Iniziai a prepararmi.
Indossai un completino bianco di pizzo che avevo preso nel periodo degli sconti. Infilai le calze color carne, riuscendo miracolosamente a non romperle. Fortunatamente, prima di lavarmi, avevo avuto l'ottima idea di farmi la ceretta alle gambe.
Passai al vestito, maneggiandolo amorevolmente prima di indossarlo. Quel vestito finora era stato presente nelle mie serate più speciali. L'incontro con Mika e la prima uscita con Gabriele.

Scelsi un paio di orecchini, e la collana d'argento che i miei genitori mi avevano regalato per i 18 anni. Al polso allacciai il kukulakuku, l'orologio di Mika, per dare un tocco di colore al tutto.
Andai in bagno e mi specchiai. Sì, mi piaceva!
Mancava solo il trucco.

Ci pensai un attimo. Alla fine decisi di mettere un ombretto blu, che richiamava l'orologio e le scarpe che avrei indossato. Mi passai la matita nera e il mascara. E per finire, il burrocacao sulle labbra.
Diciamo che il risultato non era niente male, almeno per me.
Uhm, mancava solo un'ultima cosa. Presi la boccetta del mio profumo preferito, al succo di lampone, e me lo spruzzai.
Uscii dal bagno fiera di come ero riuscita a rendermi presentabile.

Recuperai la mia adorata borsa bianca, mettendoci dentro tutto quello che mi serviva, poi andai a vedere a che punto stava mio fratello.
«Wow» mormorai trovandomelo davanti vestito di tutto punto, con un completo scuro e camicia bianca. 
«Sei molto figo!» aggiunsi guardandolo bene.

Lui fece un sorrisetto, mettendosi in posa.
Poi mi prese la mano e mi fece fare una giravolta.
«Anche tu sorellina» disse prendendo il suo telefono «dai che ci facciamo un selfie».
Mi circondò le spalle con un braccio, tenendomi vicina a lui. Poi scattò un paio di foto.
«Perfetto, andiamo?».
Annuii, e lo seguii di sotto.

«Uh, ciao Elisa! Stai benissimo!» esclamò Serena aprendoci la porta.
«Anche tu, Marco. Finalmente ci vediamo!» aggiunse squadrando mio fratello.
«Serena, quanto tempo!» la salutò lui, mentre entravamo in casa.
«Mio fratello è qui da qualche parte. Sono appena arrivati anche Daniel Tommaso e Matteo» spiegò facendo un cenno verso i tre.
Seguii Marco verso di loro, guardandomi intorno in cerca del festeggiato. Ma niente
Li salutai, notando per l'ennesima volta quanto fossero dannatamente belli. In modo diverso, ma tutti ugualmente attraenti. Era davvero un attentato alla salute avere a che fare con quella compagnia di amici. Come se per farne parte fosse stato richiesto un certo canone di bellezza.

Parlai un po' con loro, poi notai il piccolo Stefano che giocava in un angolo, sul suo tappetino dei giochi. Lo raggiunsi e lui mi salutò col suo solito adorabile entusiasmo.
«Ho sete» mi annunciò «Ma non trovo la mamma».
«Vieni, ti accompagno io» dissi prendendolo per mano.

Raggiungemmo il tavolo al centro della stanza, messo lì apposta per l'occasione, su cui c'erano bibite, acqua, vino e birre, e i risultati del pomeriggio passato in cucina.
Gli versai un po' d'acqua, che bevve subito, e lo guardai tornarsene a giocare nel suo angolino.
«Ciao, bella ragazza» disse una voce al mio fianco.
Mi girai verso la sua fonte, e alzai gli occhi incontrando quelli scuri di un ragazzo decisamente abbronzato.
Mi guardai intorno cercando belle ragazze a cui potesse essersi rivolto.
«Mi riferivo a te» aggiunse facendomi un sorriso, e mostrandomi i denti fastidiosamente bianchi.
«Oh, ciao» risposi leggermente intimorita da tanta bella presenza.

«Sei qui da sola?» chiese bevendo un sorso dal calice di vino che teneva in mano.
«No...» cominciai dando un'occhiata dietro di lui.
«È qui con me» mi interruppe la mia voce preferita. La sua mano si posò sul mio fianco, facendomi sentire un meraviglioso formicolio. Girai il volto, alzando gli occhi fino ad incontrare i miei adorati occhi azzurri.

«Ciao» sospirai, ammaliata dal suo sguardo dolce.
«Ciao a te, sei splendida» mormorò lui osservandomi dalla testa ai piedi.
Sorrisi imbarazzata, poi tornai a prestare attenzione al nostro interlocutore.
«Lei è Elisa, lui è mio cugino Alessandro» ci presentò Gabriele.
«Mi dispiace Ale, ma lei non è disponibile» aggiunse stringendo la presa su di me.
«Vedo, gran bella ragazza, cugino!» rispose l'altro dandogli una pacca sulla spalla e passandoci vicino per sparire chissà dove.
«Lo so» sentii mormorare Gabriele.

«Vieni» disse dopo qualche secondo, prendendomi la mano. Mi trascinò fino in cucina e chiuse la porta. Ci fermammo uno di fronte all'altra.
Lasciai che il mio sguardo vagasse per il suo corpo godendomi la vista di tanta bellezza. Era dannatamente attraente in quel completo blu, con tanto di camicia bianca e cravatta argento. Da togliere il respiro!

«Stai benissimo» dissi sospirando.
Lui si passò la mano tra i capelli, facendo un timido sorriso.
Lo guardai spiazzata. Non poteva essere imbarazzato davanti a me, era impossibile!
«Tu sei davvero bellissima stasera» disse infine, avvicinandosi pericolosamente.
Il mio sguardò si fissò sui suoi occhi, per poi finire sulle sue labbra.

Avanzammo fino ad incontrarci a metà strada. E come posai le labbra sulle sue, chiusi gli occhi e mi lasciai andare completamente.
Mi aggrappai al suo collo, stringendolo a me.
E lui fece lo stesso, facendomi combaciare perfettamente con il suo corpo.
Il bacio, dapprima timido e prudente, divenne incredibilmente appassionato. Tanto che i nostri sapori ormai erano diventati una cosa unica, e le nostre bocche ormai si conoscevano alla perfezione.

Riaprii gli occhi quando riuscimmo a separare le nostre labbra. Il mio respiro era decisamente accelerato, il suo anche.
Per non parlare del mio battito cardiaco. Quello aveva preso il volo!
«Forse...» cominciai, ma la voce che mi uscii era talmente roca e strana che mi interruppi per schiarirmela.
«Forse» ritentai «dovremmo tornare di là».
«Sì, decisamente» rispose passandosi una mano sul viso.
«Tu hai il potere di farmi perdere il controllo» aggiunse dopo una leggera esitazione, trafiggendomi con i suoi occhi.
«Scusa» sussurrai. Poi sorrisi «Però mi piace».
Lui rise, prendendomi la mano. Riaprì la porta e tornammo in mezzo alla piccola folla.

Lo seguii, e lui mi presentò ai vari parenti.
«Ecco, mancano solo i miei genitori. Sono lì» disse ad un certo punto, facendomi un cenno.
Sbiancai.
Che stupida! Certo che avrebbe invitato anche i suoi genitori, come cavolo avevo fatto a non pensarci?
«Aspetta!» esclamai terrorizzata «Tu vuoi presentarmi ai tuoi genitori?».
Lui si voltò a guardarmi, leggermente divertito dalla mia reazione.
«Sì» rispose semplicemente.
«Ma io non posso, io... non... posso» balbettai sentendomi la gola diventare secca.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 - Troppo razionale... non mi piace ***


«Ehi, piccola solitaria» disse allora, prendendomi entrambe le mani nelle sue, e cercando i miei occhi «Sta tranquilla, vedrai che andrà tutto bene e ti faranno sentire a tuo agio. E poi ci sono io con te».
Annuii, e feci un bel respiro «Va bene».

Lui sorrise «Prima però vediamo di farti riprendere un po' di colore».
E, prima che potessi fare qualsiasi cosa per fermarlo, si chinò a baciare le mie labbra.
Era la prima volta che ci baciavamo in pubblico, e non in presenza dei suoi amici. E come lui aveva previsto io arrossii, anche se era stato un castissimo bacio a stampo.

Lui fece un sorrisetto «Adorabile».
Feci una smorfia, e gli tirai un leggero pugno sul braccio, facendolo ridere.
«Dai, andiamo» riprese, stringendomi la mano nella sua, e mi guidò verso i suoi genitori. Entrambi molto eleganti, sembravano abbastanza amichevoli a vederli parlare con le altre persone.
«Mamma, papà?» li chiamò Gabriele.
Loro si voltarono del tutto verso di lui, poi i loro occhi passarono inevitabilmente sulle nostre mani intrecciate, per finire a posarsi su di me.
«Sei bellissimo, tesoro» disse sua madre, riportando gli occhi su di lui e lisciandogli la giacca. Lo sguardo amorevole.
«Grazie mamma» rispose lui, leggermente imbarazzato. Lo notai subito.
Sciolse la nostra stretta per circondarmi la vita con il braccio e stringermi a lui.
«Lei è Elisa, la mia ragazza» disse voltandosi a guardarmi. Staccai gli occhi dai suoi e guardai avanti.
Sua madre si avvicinò e, prima che me ne rendessi conto, mi strinse a lei. Gabriele dovette per forza mollare la sua presa.

Si riallontanò «Io sono Elvira, sono molto felice di conoscerti. Mi sembrava che questo qui mi tenesse nascosto qualcosa». Diede un'occhiata di sbieco al figlio, il quale si passò una mano tra i capelli.
Diceva tanto a me, ma nemmeno lui era molto tranquillo!
«A te non si può nascondere niente, cara» commentò il marito cingendole le spalle.
Poi allungò la mano verso di me «Sono Giorgio, molto piacere». La strinsi «Piacere mio».

Mi osservarono per qualche istante, facendomi sentire sotto verifica.
«Sei giovane» disse suo padre scrutandomi.
Io annuii «Io... ho diciannove anni» ammisi, aspettandomi già la loro disapprovazione.
Gabriele tornò a cingermi la vita con il braccio, infondendomi un po' di sicurezza.
«Una bella differenza, ma siete davvero molto belli insieme» disse sua madre, guardandoci con dolcezza.
Poi guardò il marito «Io e Giorgio ne abbiamo sette di differenza. Lo amo ancora come il primo giorno».

Tirai un sospiro di sollievo, poi aspettai il commento di suo padre.
«Sentito? Se gli anni non sono un problema per voi, non lo saranno per nessuno» aggiunse lui. Poi incrociò i miei occhi «Ci credo che ha perso la testa per te».
Arrossii.

In quel momento arrivò di corsa una piccola furia.
«Nonna, lei è Elisa. Gioca con me!» esclamò Stefano aggrappandosi alle gambe della nonna.
Lei gli scompigliò i capelli «Gioca con te, amore?».
«Sono la sua baby-sitter, vero ometto?» spiegai poi rivolgendomi al bimbetto.
Lui annuì.
«Ah, allora vi siete conosciuti per quello?» chiese allora la madre, alzando lo sguardo su di noi.
Io e Gabriele ci guardammo, poi lui si voltò verso di lei «Sì, mamma».

Passammo il resto della serata a mangiare e a chiacchierare con le varie persone.
Poi aiutai Serena, e insieme portammo la torta cantando "Tanti auguri" ad un imbarazzato Gabriele.
La tagliammo, dandone una fetta a testa e facendo calare un piacevole silenzio sulla stanza. Alla fine ne presi un pezzo anche io, e non era solo buona. Era una cosa meravigliosa, si scioglieva in bocca e non avresti mai voluto smettere di mangiarla!
Dopo aver mangiato quella delizia, Gabriele passò a scartare i vari regali, ringraziando...

Dopodiché Serena distribuì delle cartelle della lotteria e ci giocammo tutti insieme, ridendo per i parenti che ad ogni estrazione dicevano qualche battuta. Probabilmente le stesse ogni volta che ci giocavano.
Fu estremamente divertente, anche se come al mio solito non vinsi nulla. Nemmeno le mutande di mio nonno!

Quando finimmo, pian piano i suoi parenti salutarono e se ne andarono. Alle 22:00 eravamo rimasti in 6: io, Marco, Gabriele e i loro tre amici.

Sistemammo la stanza, chiacchierammo e scherzammo ancora per qualche ora, finché non finii praticamente a dormire sulla spalla di Gabriele.
Allora si decisero ad aprire il divano-letto, poi Gabriele portò loro delle magliette e, dopo avermi presa per mano, li salutammo andando nella sua camera.

«Ehm... Gabriele?» chiesi improvvisamente in imbarazzo.
«Sì?» rispose lui voltandosi a guardarmi.
«Mi aiuteresti con il vestito?».
«Con piacere» mormorò avvicinandosi. Si posizionò alle mie spalle, e cominciò ad aprire la cerniera del vestito, arrivando fino alla base della schiena. Poi, prendendomi completamente alla sprovvista, risalì il percorso fatto sfiorandomi la pelle con le dita e procurandomi un delizioso bruciore al suo passaggio.

Sospirai, chiudendo gli occhi. Per poi sentire le sue labbra posarsi sul mio collo, e mille brividi percorrermi il corpo.
Mi girai, impaziente di sentire di nuovo le sue labbra sulle mie, e mi avventai su di lui.
La temperatura della stanza mi parve salire precipitosamente, e, senza pensarci, lasciai cadere il vestito per terra.

Vidi gli occhi di Gabriele soffermarsi sul mio corpo, e lui deglutire prima di ritornare a guardarmi in faccia.
«Forse dovresti coprirti» mormorò portandosi le mani al collo e sfilandosi la cravatta, per poi aprire la camicia sul petto. La giacca se l'era tolta qualche ora prima.
Azzerai la distanza, e lo baciai di nuovo, posando le mani sul suo petto e sentendo la leggera peluria che lo ricopriva.

Appena le nostre bocche si separarono lui fece un passo indietro e andò all'armadio, tornando con una maglietta grigia.
Me la porse, e io me la infilai subito.
Lui sospirò «Molto meglio, ma mi sa che stanotte non dormirò».
Io sorrisi, vedendolo in difficoltà. Ma il mio sorriso si spense quando anche lui si spogliò, rimanendo solo in boxer. Ok, forse nemmeno io avrei dormito!

Raccolsi il mio vestito da terra e lo appoggiai sulla sedia lì a fianco. Poi feci per infilarmi sotto le lenzuola, salvo ricordarmi all'ultimo momento del trucco. Non mi ero struccata. Cavolo!

Tornai indietro e recuperai la mia borsa, tirandone fuori tutto l'occorrente, sotto gli occhi curiosi di Gabriele.
Mi infilai il mio paio di calzini di riserva che tenevo sempre in borsa (erano puliti, non preoccupatevi!).
«Vado a struccarmi» gli spiegai, avviandomi verso la porta.
«Così?» chiese facendomi voltare.
Guardai lui, poi scesi con lo sguardo ad analizzare il mio corpo. Be', ok, indossavo solo la sua maglietta grigia. Ma mi arrivava a metà coscia, era abbastanza lunga.
Annuii, poi uscii, percorrendo il corridoio e raggiungendo il bagno.

«Non mi serve le guardia del corpo» dissi sentendolo camminare alle mie spalle.
«Non sono dello stesso parere. Ci sono altri quattro maschi in questa casa, adesso» rispose facendomi ridere.
Si era infilato una maglietta nel frattempo.
«Non mi guarderebbero, non sono per niente bella in questo momento, sembro una... non saprei nemmeno cosa definirmi» dissi voltandomi e indicandomi.

Lui si fermò, guardandomi a braccia conserte «Odio ripetermi, ma non sono dello stesso parere».
«Come vuoi» gli concessi, alzando gli occhi al cielo.
Poi aprii la porta del bagno, entrai richiudendomela alle spalle e feci tutto quello che dovevo fare.
Quando uscii, Gabriele stava percorrendo il salotto, venendomi incontro.
Ma all'improvviso sobbalzai. Qualcuno alle mie spalle aveva fischiato. Non molto forte, ma abbastanza da farmi venire un mezzo infarto.

Mi girai, trovandomi di fronte a un Daniel con un sorrisetto sulle labbra.
«Incontri interessanti, stanotte».
Feci per parlare, ma Gabriele mi batté sul tempo dandogli uno scappellotto sulla nuca.
L'altro si strofinò il punto, poi mostrò le mani in segno di resa, continuando a sorridere divertito «Ho capito amico, era solo una constatazione».
«Ecco, hai capito» sottolineò Gabriele prendendomi la mano «Buonanotte».
«Notte» rispose il biondo aprendo la porta del bagno.

«Cosa dicevi prima?» chiese chiudendo la porta della sua camera.
Alzai gli occhi al cielo «Dai, lo fa apposta per darti fastidio. Sei troppo adorabile quando ti stuzzicano».
Lui alzò il sopracciglio «Io sono adorabile?».
«Molto» risposi agganciandomi a lui con le braccia e affondando la testa nell'incavo tra il mio braccio e il suo collo.
Inspirai il suo profumo inebriante, mentre le sue braccia mi circondavano, stringendomi a lui.
Posai le labbra sulla sua pelle e cominciai a lasciargli dei piccoli baci, e avrei continuato all'infinito se lui non avesse deciso che era il caso di staccarci.
Sbuffai mentre mi toglieva le mani dal suo collo, tenendole nella sua salda presa.

«Cattivo» commentai.
«Direi più razionale» ribatté lui
«Non mi piace lo stesso» replicai, povocandogli una risata che mi entrò dritta nelle costole.
«Sapessi a me» mormorò, portandomi fino al letto. 
Mi lasciò le mani e io mi infilai sotto le lenzuola.

«Vado un attimo di là, torno subito» disse un attimo dopo.
Io alzai la testa «Se vuoi stare di là con loro fallo, non devi per forza stare qui con me».
Lui mi regalò un sorriso «Il punto è che io voglio stare qui con te. Per favore, non addormentarti».
Io annuii e lo seguii con lo sguardo mentre usciva dalla stanza.

E lasciai via libera ai miei pensieri. Quanto fortunata ero stata a trovare lui! Ma soprattutto, lui ricambiava quello che io provavo per lui. E certe volte faticavo ancora a crederci.
Non avevo mai avuto qualcuno al mio fianco, che non fosse la mia famiglia.
Era tutto nuovo per me, ed era bellissimo provare tutte quelle emozioni quando stavo con lui.

Io mi ero innamorata di lui.

Lo so, stavamo insieme da a malapena un mese. Ma avevamo passato un anno intero a parlare, ad ascoltarci, a passare dei bei momenti insieme.
Aspettavo a dirglielo, ma io ero follemente innamorata di lui!
E questa cosa mi faceva anche un po' paura, se dovevo essere sincera.

Ero ancora sovrappensiero quando lui rientrò in camera. Ma mi riscossi quando si sfilò la maglietta. Probabilmente in quel momento avevo gli occhi a cuoricino!
Si avvicinò al letto e alzò le lenzuola, infilandosi sotto. Ci guardammo per qualche secondo, occhi negli occhi.

«Vieni qua» esclamò poi catturandomi e tirandomi fino a farmi finire contro il suo corpo.
«È ingiusto» ribattei appoggiando il braccio sul suo petto, e trattenendo il respiro quando sentii la sua pelle nuda sotto la mia mano.
«Perché io devo essere vestita e tu no?» mormorai, sbadigliando subito dopo.
«Perché sei tu quella che ne risente se il mio autocontrollo va a farsi fottere» rispose con molta calma, dandomi un bacio sulla fronte.
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma ormai ero così stanca che le parole si ingarbugliavano nella mia testa. E la sua mano tra i miei capelli era molto ma molto rilassante.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 - "La mia bella dose di ragazze" ***


«Gabriele?» chiesi.
Erano passati una decina di giorni dal suo compleanno, e noi stavamo passeggiando per il paese, mano nella mano. Ma sempre all'erta, nel caso avessimo trovato qualcuno che non doveva sapere di noi.
«Si?» rispose voltandosi a guardarmi.
«Quest'anno non insegni più al liceo, vero?».
«No. La tua era l'ultima classe a studiare musica, nel nuovo ordinamento non è prevista.
Ma mi hanno chiamato alla scuola media, il prof che c'era è andato in pensione, mi hanno dato la cattedra lì» spiegò.
«Oh bene» commentai non riuscendo a bloccare un sorriso.

«Bene? Perché, piccola solitaria?» indagò scrutandomi.
«Così non avrai un branco di ragazze che ci provano con te. È un sollievo».
Lui rise. «Se è per questo, anche quest'anno qualcuna ha messo a dura prova la mia pazienza... Purtroppo per loro, io non sono così facile da incantare. Anche se in effetti, tu ci sei riuscita».
«Io non ho fatto niente» replicai arrossendo, «Nel caso non te ne fossi accorto, io ho tentato in tutti i modi di tenermi distante da te» mormorai ripensando a tutti i nostri discorsi.
«Lo so bene, piccola solitaria» rispose sorridendo.

Rientrammo a casa sua, e io presi in braccio Spark, coccolandolo un po'. Amavo i gatti, erano così adorabili!
Lui andò a recuperare il portatile e si sistemò su divano a preparare delle cose per la scuola.
Mi sedetti al suo fianco.
«Ogni volta che torno a casa dopo essere stata con te, mi sento sotto verifica da parte di mia mamma» annunciai all'improvviso «Scommetto che ha capito tutto molto tempo fa».
Sbuffai.

Gabriele alzò gli occhi, incontrando i miei «A mia madre non ho mai potuto nascondere niente. Ha sempre capito tutto: quando ero triste, quando ero arrabbiato, se avevo litigato con i miei amici... Per quanto cercassi di tenerle nascoste queste cose, lei ne era sempre al corrente. Sarà l'intuito femminile mischiato all'amore materno, non lo so, ma ci capiscono meglio di chiunque altro».
«È che volevo aspettare a dirglielo. Stiamo insieme da poco e...» feci un sospiro «...ho paura».

Lui spostò il portatile dalle sue gambe al divano, poi si girò verso di me.
«È un mese oggi, piccola solitaria» disse avvicinandosi fino ad incantarmi con i suoi occhi meravigliosi.
«Lo so» sussurrai «Ma mi sembra molto di più».
«Anche a me» ribatté lui, avvicinandosi e posando le sue labbra sulle mie.

Assaporai il corto e dolce contatto con lui, poi lo lasciai tornare a prestare attenzione al suo lavoro.
Da lì a una decina di giorni sarebbero ricominciate le scuole. E il tempo per stare insieme sarebbe calato notevolmente, purtroppo. Quindi stavo cercando di godermi la sua compagnia più che potevo.

Il fatto di sapere che sarebbe andato ad insegnare alla scuola media era un immenso sollievo.
Mi fidavo di lui. Ma già sopportare i commenti su di lui per nove mesi non era stato per niente semplice. E a quel tempo lui non era nemmeno mio. Quindi non avevo avuto nessun motivo per essere "gelosa", ma in realtà sotto sotto lo ero stata ogni volta in cui qualche ragazza aveva fatto apprezzamenti su di lui.
Anche se non avevo nessuna esclusiva su di lui, anzi, ero stata convinta che piacergli fosse una cosa irrealizzabile.

E alla fine mi ero dovuta ricredere. A quanto pare gli piacevo!

Presi il libro che mi ero portata, Hunger Games (il primo) e ricominciai a leggere dal punto in cui l'avevo lasciato la sera precedente.
Spark intanto mi si sistemò in grembo, cominciando a fare le fusa. Era adorabile!
Ed era un sollievo per i miei dolori causati dal ciclo. Da qualche anno a questa parte ogni volta era una tortura atroce, perché dovevo soffrire così ogni mese??
Quel pomeriggio poi era tremendo, avevo talmente tanto mal di schiena e mal di pancia che era incredibilmente difficile sopportarli.
Chiusi un attimo gli occhi, e sospirai.
Poi li riaprii, e mi concentrai sul libro.

Ero così immersa nella lettura e nelle terribili vicende, che me lo divorai quasi tutto. Quasi tutto, perché qualcuno ad un certo punto decise bene di mettersi ad osservarmi. Ed io, sentendomi osservata, non riuscii a non alzare lo sguardo.
«Mi rendi nervosa» dissi, infilando il segnalibro tra le pagine, e appoggiando il libro sul divano.
«Perché mi guardi?» chiesi ancora.
Lui sollevò un angolo della bocca «Perché mi piace guardarti, adoro vedere le tue espressioni mentre leggi» rispose spostando il computer dalle sue gambe.
«Fantastico» risposi ironica.

In quel momento Spark si stiracchiò e scese da me, sparendo da qualche parte.
Sentii subito la mancanza di quel peso caldo e confortante sulla pancia, perciò lo sostituii con la mano.
Gabriele seguì ogni mio gesto, corrugando la fronte «Stai male?».
Scossi la testa «Non è niente».
Lui però insistette con lo sguardo, avvicinandosi a me.

Alzai gli occhi al cielo, poi li riabbassai, evitando i suoi.
«È i ciclo» spiegai in imbarazzo.
«Ti fa male?» chiese allungando la mano, prendendomi il viso e facendomi incontrare i suoi occhi.
«Non puoi nemmeno immaginare» mormorai sospirando.
«Perché non me l'hai detto?» chiese, avvicinandosi fino a sfiorarmi col suo corpo.
«Perché non puoi comunque farci niente» risposi, con un'alzata di spalle.
Lui mi guardò «Ma posso distrarti».
Io sorrisi «Tu mi distrai già».
«A quanto pare non abbastanza, rimediamo» annunciò, per poi impossessarsi delle mie labbra, della mia bocca, del mio sapore e della mia anima.

«Funziona?» chiese, con il respiro ancora accelerato.
«Sì, funziona» risposi quasi ridendo «Ma dovresti continuare a farlo per tutto il giorno».
«Mi dispiace, piccola solitaria» sussurrò abbracciandomi «Vorrei poter fare qualcosa».
«Dopo mi prendo una pastiglia, ma non preoccuparti, non volevo romperti le scatole con questa cosa» dissi, accoccolandomi contro di lui.
«È normale, perché dovresti nascondermelo?».

«Perché è imbarazzante» risposi, mentre lui mi posava un braccio sulla schiena cominciando a massaggiarla.
Cosa che mi fece più che piacere, dato il dolore che sentivo.
«Soprattutto parlarne con te» aggiunsi.
«Sono cresciuto con una sorella più grande, e ho avuto la mia bella dose di ragazze. Direi che con le donne ho fatto un po' di esperienza, ormai ci sono abituato».
Riflettei un attimo sulle sue parole.
«Questa frase dovrebbe confortarmi? No, perché "la mia bella dose di ragazze" suona molto male» dissi dopo qualche secondo.
Ascoltai la sua candida risata.

«Quante?» chiesi dopo aver esitato, mentre nella mia testa due voci litigavano su cosa dire.
«Contando anche asilo ed elementari? Quattro» rispose con un sorrisetto divertito.
Alzai il sopracciglio mentre pensavo a cosa dire.
«Non so se chiederti di più o se non voglio sapere» dissi scatenando una risatina da parte sua.

«La prima è stata Marta, all'ultimo anno di asilo. Ci siamo fidanzati con un anello di carta, fatto da me» iniziò lui. Mentre io mi immaginavo un sosia di Stefano con i capelli castani insieme a una bimbetta carina.
«Poi c'è stata Anna, quarta elementare. Ma siamo stati insieme poco, perché poi si è arrabbiata con me e non ha più voluto parlarmi».
Io ridacchiai «Chissà cosa hai combinato».

Lui sorrise, poi continuò «In seconda superiore sono stato con Veronica, ma ci siamo lasciati dopo qualche mese. E poi c'è stata Nicole. Ci siamo conosciuti all'università, quando ero al secondo anno, e siamo stati insieme per cinque anni. È finita qualche anno fa».
Ci pensai su «È tanto tempo».
Lo sentii sospirare «Sì, lo è».
Alzai la testa per riuscire a vedergli il viso «Come mai è finita?».
«Se vuoi dirmelo» aggiunsi, vergognandomi della mia curiosità.
Lo vidi fare una smorfia «L'ho trovata che si baciava un altro... E da quanto ho saputo poi, non era nemmeno la prima volta».

«Oh, che stupida» mi lasciai scappare.
Come poteva aver anche solo per un momento pensato di farlo soffrire? E rischiare di perderlo? Stupida!
«Scusa, è che non capisco come si possano fare queste cose... Però, probabilmente, se non l'avesse fatto ci sarebbe lei ora qui con te» aggiunsi riflettendo sulla cosa.
«Non lo so, alla fine ho capito che non eravamo poi così compatibili come pensavo. Con il passare del tempo ci siamo allontanati».

«È quello che mi spaventa» mormorai, dando voce alle mie preoccupazioni.
Lui mi strinse «Non possiamo sapere cosa ci riserverà il futuro, intanto godiamoci il presente».
«Me lo sto godendo il presente, con te» risposi posando le labbra sulla sua guancia.

«Abbiamo parlato di me, e delle tue conquiste cosa mi dici?» chiese subito dopo, incrociando i miei occhi.
«Lo sai già, sei il primo» mormorai riabbassando la testa sul suo petto e nascondendogli il viso.
«Nessuno ha mai conquistato il tuo cuore?» chiese ancora.
Scossi la testa.
«Io ci sono riuscito?» domandò allora, sicuramente ben consapevole di quale fosse la risposta.
«Sì» risposi «E lo sai».

Portò una mano sulla mia guancia, accarezzandola. Poi mi alzò il viso, e si chinò a baciarmi.
«Lo so» confermò, prima di far rientrare in contatto le nostre bocche.
«Ma sentirtelo dire è meraviglioso» aggiunse una volta ristabilito un minimo spazio tra i nostri visi.

«E io ho conquistato il tuo?» chiesi, mordendomi il labbro inferiore.
«Dalla prima volta che ti ho tolto la cuffia e tu hai imprecato» rispose con un sorrisetto.
«Credo sia stato lo stesso momento in cui tu ti sei rubato il mio, di cuore» risposi io, rendendomi poi conto di quanto fosse vero quello che avevo appena detto.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 - Il fatidico giorno ***


Spostai la borsa da una mano all'altra. Ero appena stata a fare la spesa, e stavo tornando verso casa, sotto il sole ancora caldo della fine dell'estate.
Era pomeriggio, infatti si era alzata una leggera brezza che ogni tanto mi scompigliava i capelli, facendomeli finire negli occhi.

Me li scostai per l'ennesima volta, proprio mentre attraversavo la strada e prendevo la direzione di casa mia.
Lanciai un'occhiata al bar lì di fronte, ultimamente mi guardavo sempre in giro in cerca di cartelli con offerte di lavoro. Anche se lavorare in un bar non sarebbe decisamente stata la mia più grande ambizione...

Niente cartelli. Ma in compenso riconobbi quei capelli disordinati che tanto adoravo. A quanto pare Gabriele era al bar, oggi tornava da scuola tardi quindi probabilmente si era appena fermato a prendersi qualcosa.
Feci per avvicinarmi ed entrare, quando notai una chioma bionda vicino a lui. Ok, questo non era previsto.

Tentennai per qualche minuto, chiedendomi se entrare e andare da lui, oppure no. Poi mi squadrai, prendendo coscienza del mio stato: braghe della tuta grigie e una banale maglietta blu, per non parlare dei miei capelli, tutti per aria a causa del vento. Ero il completo contrario rispetto a quella ragazza che stava parlando con lui.
Sospirai, e tornai a guardare loro.

Lui parlava, lei non riuscivo a vederla in faccia. Probabilmente si trattava di una collega di scuola. Sicuramente sì, vedendo le borse appoggiate vicino a loro.
Finalmente mi decisi, e ripresi a camminare verso casa.

Appena entrai, appoggiai con sollievo la borsa sul tavolo. Cavolo, se era pesante!
Sistemai tutte le cose nei rispettivi mobiletti, poi decisi di mettermi a fare un dolce. Sfogliai i libri delle ricette finché trovai una deliziosa torta al cioccolato. Preparai tutti gli ingredienti, e mi misi all'opera.

Un'ora dopo la cucina era in completo disordine, la torta stava in forno, e dallo stereo usciva la voce di Mika.
Cominciai a raggruppare gli oggetti da lavare vicino al lavandino, e li lavai canticchiando.
Poi ripulii il resto della cucina, facendola ritornare splendente e decisamente più presentabile.
Stavo controllando la torta, quando il campanello suonò.

Andai ad aprire, cercando di sistemarmi un po', e mi trovai davanti il mio angelo.
Lo feci entrare «Ciao».
«Ciao, mia piccola cuoca» mi salutò chinandosi a baciarmi. Poi inspirò l'aria «Torta?».
«Sì, è in forno» risposi prendendolo per mano e portandolo in cucina.
«Per adesso sembra buona, a vederla» commentai sbirciando il forno.
«Anche a sentire dal profumo» fece lui, fissando gli occhi sul mio viso in un espressione concentrata.

«Cosa c'è?» chiesi, arrossendo sotto il suo sguardo insistente.
«Che ho un'incredibile voglia di assaggiarti» mormorò, facendo incendiare del tutto le mie guance.
Lo guardai sconcertata, mentre allungava una mano toccandomi la guancia, per poi ritirarla e succhiarsi il dito.
«Dovresti fare attenzione, non è favorevole per il mio autocontrollo trovarti con le labbra sporche d'impasto» sussurrò, gli occhi fissi sulle mie labbra.
«Allora lo devo fare più spesso» risposi lasciandomi scappare un sorriso.
I suoi occhi si alzarono sui miei, mentre la sua bocca si distendeva in una risata.
«Questo si chiama giocare col fuoco» mi ammonì, diminuendo la distanza tra i nostri corpi.

«No, questo si chiama giocare con te» replicai appoggiando le mani sul suo petto.
Lui fece un sorrisetto «Potrebbe essere pericoloso».
Alzai gli occhi al cielo «Vuoi baciarmi o no?».
«Il "no" non è contemplato nelle alternative» rispose lui, prima di azzerare definitivamente la distanza tra le nostre bocche. Mi succhiò le labbra, facendomi sentire una mandria di elefanti nello stomaco. Altro che farfalle!
Chiusi gli occhi, lasciandomi completamente alla sua mercè. Se avessi potuto fermare la mia vita in un momento perfetto sarebbe stato quello, senza ombra di dubbio.

Un momento perfetto che però fu interrotto dallo squillo del timer del forno. Mi allontanai malvolentieri da Gabriele, e andai a spegnere il forno. Feci la prova dello stecchino e, una volta assicuratami che fosse cotta, tolsi la torta dal forno.

«Mi è venuta fame».
«Mi dispiace, ma devo ancora finirla» dissi appoggiandola sul marmo, in modo che si potesse raffreddare.
«Ma se vuoi stasera puoi rimanere a mangiarla» aggiunsi lanciandogli un'occhiata.
Notai un sorriso comparire pian piano sul suo volto.
«Intendi quello che penso?» chiese avvicinandosi e cercando i miei occhi con i suoi, meravigliosamente azzurri.
Annuii.
«Sicura?» chiese ancora, inclinando la testa e scrutandomi.
«Sì, ci conosciamo da più di un anno, stiamo insieme da quasi due mesi... Non ha senso continuare a tenerlo nascosto» risposi torturandomi le mani.
Un attimo, e mi ritrovai tra le sue braccia, a respirare il suo profumo dannatamente buono.
Quanto era bello essere abbracciata da lui!

Rimanemmo così, uno attaccato all'altra, per qualche minuto. Godendoci quel momento solo nostro, mentre i battiti dei nostri cuori si fondevano diventando un unico suono.

«Posso accenderlo?».
Ci eravamo appena spostati in salotto, e Gabriele stava indicando lo stereo.
Annuii, e lui lo accese.
L'ultima volta avevo lasciato dentro il cd di Mika. Life in cartoon motion.
E infatti partì Grace Kelly, rompendo il silenzio della stanza.

Lui mi guardò con quel solito dannato sorrisetto divertito sulle labbra. Poi si avvicinò e mi prese la mano.
Ballammo per un bel po', ridendo ed estraniandoci completamente da tutto il resto.
Finché non arrivò l'ultima canzone, Happy Ending.

Gabriele mi prese per la vita, avvicinandomi al suo corpo, e facendomi ballare una specie di lento.
Appoggiai la testa sul suo petto e chiusi gli occhi, lasciandomi cullare da lui.
«Elisa?».
Alzai la testa e lo guardai, in attesa.
Ma quello che arrivò non furono parole, bensì un bacio da favola. Un. Bacio. Da. Favola. Con il punto esclamativo!

Gli occhi chiusi per godermi a pieno quel momento, le mani intorno al suo collo per stringerlo a me, e nel frattempo infilare le dita tra i suoi capelli. La dolcezza, la premurosità e il senso di protezione che mi trasmetteva ogni qualvolta mi abbracciava, mi baciava, o anche solo quando era al mio fianco, mi facevano rimanere senza fiato. Era incredibile come fossi riuscita ad aprirmi con lui e a lasciarlo avvicinare così tanto a me.

«Cazzo».
Aprii gli occhi sentendo Gabriele imprecare in un tono di voce appena udibile.
Lo guardai perplessa, notando i suoi occhi fissati in un punto alle mie spalle.
Sbiancai.
Poi mi girai, trovando mia madre a guardarci. Bloccata nell'atto di posare le chiavi della macchina sul mobile all'entrata. Un'espressione indecifrabile sul viso.

«Mamma, stai bene?» chiesi, senza avere una minima idea su cosa dire.
Lei si riscosse, annuì, e posò finalmente le chiavi. Poi rialzò gli occhi su di noi.
«Voi due state insieme?» chiese allora, indicando alternativamente me e Gabriele.
«Avevo intenzione di dirvelo stasera» risposi, mordendomi il labbro. Mi avvicinai a lei.
«Sei arrabbiata?» mormorai, cercando di decifrare cosa le stesse passando per la testa.

Lei sorrise, poi scosse la testa. «Sapevo che mi stavi nascondendo qualcosa» disse abbracciandomi «Sono felice per te».
La strinsi a me e mi rilassai sentendo le sue parole.
«Gran bella scelta, comunque» mi sussurrò poi all'orecchio.
Arrossii. «Mamma!» sussurrai imbarazzata.

Ci separammo, poi lei raggiunse Gabriele, rimasto in disparte alle mie spalle, e si salutarono.
«Preparatevi, papà starà arrivando».
Guardai Gabriele, sembrava talmente tranquillo e rilassato. Ma poi si tradì passandosi la mano tra i capelli.
Andai a spegnere lo stereo, mentre mamma spariva dal salotto.

«Sei nervoso» dissi riavvicinandomi a lui.
Lui mi sorrise e scosse la testa.
Lo scrutai. «Invece sì, molto meno di me, ma lo sei» puntualizzai incrociando le braccia.
Ci fissammo per un lungo istante. «Ok, te lo concedo» mormorò alla fine.
Io sorrisi soddisfatta, e non resistetti alla tentazione di dargli un bacio sulla guancia.
Lui ne approfittò per bloccarmi, tenendomi un braccio intorno alla vita. «Cosa ti ha detto tua madre?» sussurrò al mio orecchio.

«Non posso dirtelo» risposi, cercando di non arrossire «E sarebbe meglio se mi lasciassi, papà sta per arrivare».
Lui lo fece, proprio mentre la porta d'ingresso si apriva.

«Ciao ragazza!» esordì papà, lanciandomi un'occhiata.
«Ciao papà» lo salutai, prima che i suoi occhi finissero sulla figura al mio fianco.
«Buonasera Gabriele».
«Sera» rispose lui.
«Qual buon vento ti porta qui? Anche se ho qualche sospetto» disse papà scrutandolo.
«Sono qui per sua figlia» rispose l'altro, con un'incredibile dose di coraggio.
Gli occhi di papà finirono su di me «Marco ne è al corrente?».
Io annuii.
Lui fece un cenno «Bene, sono contento per voi. Mi raccomando ragazzo!».
«Sì signore» rispose Gabriele.
«E dammi del tu, per carità. Rimani a cena?».

«Sì, caro» rispose la mamma passandoci a fianco.
«Perfetto. Che profumino! Opera tua Elisa?».
«Sì, anzi, adesso vado a finirla. Posso fidarmi a lasciarvi da soli?» chiesi leggermente divertita. «Papà, mi raccomando!» lo ammonii poi.

Andai in cucina e preparai la crema da inserire nella torta e la glassa per ricoprirla, poi presi la torta e la tagliai in due, riuscendo miracolosamente a non romperla. La farcii con la crema e qualche scaglia di cioccolato, e la ricoprii con la glassa al cioccolato fondente.
Guardai l'opera finita. Non era perfetta, ma ne ero assolutamente soddisfatta.
La presi e l'infilai nel frigo. Poi aiutai la mamma a preparare la cena, e ad apparechiare la tavola.

Quando un quarto d'ora più tardi ci sedemmo a mangiare, notai con piacere che non c'era nessuna tensione nell'aria.
Contrariamente alle mie paure, mamma e papà avevano accettato bene Gabriele. Sembravano molto tranquilli nei suoi confronti, e lui sembrava trovarsi a proprio agio con loro. Non chiedevo niente di meglio!

«La torta era fantastica» mormorò Gabriele una mezz'oretta più tardi. Eravamo appena saliti in camera mia, e lui si era seduto sul mio letto, appoggiandosi al muro.
«Grazie» risposi sorridendo felice.
«E tu sei bella quando sorridi» aggiunse facendomi arrossire.

«Tu sei bello sempre» risposi guardandolo.
Lui mi fissò contrariato «Non intendevo quello».
Io risi. Poi mi andai a sedere vicino a lui «Lo so cosa intendevi».

«Vorrei portarti a casa con me» sussurrò dopo qualche secondo.
«E io vorrei venire a casa con te» risposi.
«Non mi rendi le cose facili, Piccola Solitaria» replicò facendo una smorfia.
«Tu me le hai rese difficili per un anno, ora tocca a te» risposi divertita.
Poi mi avvicinai e finalmente azzerai la distanza tra i nostri visi, e tra le nostre labbra.

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 - Cinema e pop-corn ***


Era un sabato sera. Un raro sabato sera in cui ero uscita di casa. Di solito li passavo a casa, sul divano, davanti alla tv, guardandomi un bel film.
Stavolta invece Gabriele era riuscito a convincermi ad andare con lui e i suoi amici al cinema.

Ma me ne stavo pentendo. Era appena iniziata la pausa, e io ne approfittai per fare un bel respiro.
Avevano deciso di vedere un thriller, e la cosa non era esattamente il mio genere. Mi ero praticamente aggrappata al braccio di Gabriele quando le scene si erano fatte più violente. Che ansia!

E sì che leggevo gialli e thriller, e mi piacevano anche. Ma i film erano tutta un'altra cosa. Mi mettevano un'ansia assurda... e a saperlo prima sarei rimasta a casa.
Ma per fortuna avevo lui, che sopportava la mia stretta.

«Stanotte avrò gli incubi» mormorai staccandomi dal braccio del mio ragazzo.
«Un motivo in più per dormire da me» commentò lui.
Mi voltai a guardarlo, inarcando il sopracciglio. Lui rispose al mio sguardo, alzando l'angolo della bocca.
Cavolo, ogni volta che lo guardavo mi sentivo la pancia sottosopra! Era bello. Troppo bello.

Io ogni volta rischiavo seriamente di imbambolarmi a guardarlo, chiedendomi come potesse essere mio. E lui non faceva niente per rendermi le cose più facili. Non avevo ancora capito se fosse consapevole del proprio fascino. Ma sì, doveva esserlo per forza! Tutti gli sguardi che si beccava da parte delle ragazze non lasciavano alternative.

Quegli occhi incredibilmente azzurri che si ritrovava, e i capelli scompigliati al punto giusto, già erano due punti a suo favore.
Per non parlare del suo sorriso, che ti faceva sentire la persona più speciale di questo mondo.
E il carattere! Incredibilmente gentile e premuroso, divertente e un po' bambino a volte, e serio e composto in altre.

Era una persona bella! Il fatto che lo fosse anche esteriormente lo rendeva l'uomo perfetto; ai miei occhi almeno.

«Pop-corn?».
Tornai al presente e alzai gli occhi su Daniel, appena tornato con tre enormi contenitori di pop-corn.
«Grazie». Gabriele ne afferrò uno, appoggiandoselo sulle gambe.
E Daniel tornò a sedersi al mio fianco.
«Guarda che se vuoi cambiare lato per aggrapparti fai pure, mi offro disponibile» fece, stampandosi un sorrisetto in faccia.
«Vuoi una manata in testa?». Eccolo! Lo sapevo...

Alzai gli occhi al cielo, poi li guardai. Prima uno e poi l'altro.
«Voi due siete incorreggibili!».

«Dani, la mia... e sottolineo "mia" ragazza» cominciò Gabriele passandomi un braccio sulle spalle «è off-limits. Punto».
«Lo so, mica le ho proposto di venire a letto con me» rispose l'altro con un'aria fintamente innocente.

«Oddio» mormorai coprendomi il viso con le mani. E sentendo subito dopo il rumore di una sberla.
«Sei uno dei miei migliori amici, ma a volte sei terribilmente idiota» commentò a bassa voce Gabriele.
«O terribilmente divertente?» replicò l'altro.
«Scusa Elisa, lo so che l'unico che può averti nel suo letto è seduto alla tua sinistra».

Mi sentii arrossire.
«Ecco, hai capito!» rispose il diretto interessato.
"Vi prego, fate ricominciare il film. Vi prego, vi prego, vi prego!" pensai sperando che la pausa finisse presto.
Tolsi le mani dal viso. «Ma dovete proprio parlarne qui?» borbottai fulminando Daniel con lo sguardo.

Lui mi guardò, inclinando la testa.
«Sei arrossita?» chiese divertito.
Mi lasciai scappare un gemito di frustrazione, poi gli diedi le spalle girandomi verso Gabriele. E notando Matteo e Tommaso intenti a seguire il nostro discorso.
Tornai con lo sguardo sul ragazzo davanti a me, poi mi risedetti al mio posto sprofondando nella poltrona.
«Non ci vengo più al cinema con voi» annunciai «Siete peggio dei bambini».

In quel momento esatto si spensero le luci della sala e il film riprese.
Rimasi sprofondata nella mia poltrona, allungando ogni tanto la mano fino alla scatola di pop-corn, che finirono molto presto.
Gli occhi incollati allo schermo, fino a quando la mano di Gabriele cercò la mia, stringendola.
Mi girai verso di lui e lo trovai a guardarmi. Mi sorrise, e il mio cuore si sciolse.

Lo so, nemmeno a me piacciono queste cose diabetiche... Ma è impossibile trovare parole migliori per spiegare quello che provavo quando mi guardava e quando mi sorrideva.

Finimmo di guardare il film, mano nella mano. Poi uscimmo infilandoci tra la folla, e raggiungendo la macchina di Gabriele.
Andammo tutti a casa sua e ci sistemammo sul divano, mentre lui andò a recuperare qualche birra.

Tornò dopo qualche minuto con le bottigliette in mano, e venne a sedersi accanto a me, stringendomi al suo fianco. Mi appoggiai a lui, godendomi le sue attenzioni. Era sempre così dolce!

Li ascoltai discutere del film che avevamo appena visto e di altre cose, sbadigliando di tanto in tanto, finché chiusi gli occhi senza neanche rendermene veramente conto.

Mi svegliai tempo dopo (dieci minuti? Un'ora? Chi lo sa...) quando mi sentii appoggiare su una superficie morbida.
Aprii gli occhi trovandomi di fronte i miei amati occhi color del cielo.
Mi passai il braccio sul viso. «Scusa, potevi svegliarmi» dissi con la voce mezza impastata dal sonno.
Lui alzò le spalle «Non volevo svegliarti».
«Sono andati a casa?» chiesi ancora.
Lui annuì, poi si tolse la maglietta, lasciando scoperta una bella dose di pelle.
«Così mi svegli del tutto» mormorai alzandomi leggermente.

Lui rise «Ti ho sentito».
«Lo so» sospirai «ma è giusto che tu lo sappia».
Mi guardò divertito «Certe volte mi sorprendi».
«Certe volte mi sorprendo da sola» confessai facendo un timido sorriso.

Mi alzai dal letto e recuperai il pigiama dalla mia borsa, mentre lui si toglieva anche i pantaloni.
Poi mi spogliai velocemente, infilandomi il pigiama e tornai sul letto, accanto a Gabriele.
Mi infilai sotto le lenzuola e mi lasciai avvicinare dalle sue braccia, finché finii accoccolata contro di lui.

«A cosa stai pensando?» chiese dopo qualche attimo di silenzio.
Spostai la mano sul suo petto e cominciai ad accarezzarlo distrattamente, poi alzai gli occhi verso il suo viso.
«Non so cosa sia l'amore» mormorai riordinando le idee «ma se significa che quando mi guardi sono la persona più felice del mondo, che quando mi abbracci il mio cuore fa le capriole, che quando non sei con me mi manchi continuamente e che vorrei stare sempre vicino a te... Be', se questo è l'amore, io penso di amarti».
Feci un profondo respiro «Probabilmente me ne pentirò, quando domani realizzerò quello che ti ho detto, ma io ti amo Gabriele».

Lui sorrise e posò la mano sulla mia guancia, accarezzandomela. «Non devi aver paura di dirmi quello che provi, e spero davvero che non te ne pentirai... Perché anche io ti amo, Piccola Solitaria. Credo di averti amata fin dall'inizio, in verità».
A quelle parole un sorriso mi nacque spontaneo sulle labbra.
Labbra che subito dopo furono sfiorate dal suo dito che ne percorse il contorno, per poi finire sul mio mento e alzarmi il viso verso di lui.
«Ti amo Elisa» sussurrò appena prima di unire le sue labbra alle mie.

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Socchiusi gli occhi, mentre le immagini del sogno che avevo fatto giravano ancora nella mia testa.
Durante la notte mi ero mossa, adesso la mia testa stava sul cuscino ed ero girata a pancia in giù. Voltai la testa dall'altra parte, in cerca di Gabriele. Stava ancora dormendo beatamente, un braccio sotto la testa e l'altro che...
Lo seguii con lo sguardo. Ok, l'altro era infilato sotto la maglietta del mio pigiama. E io non avevo minimamente fatto caso alla sua mano sulla mia schiena!

Sorrisi e mi avvicinai, per quanto poco possibile, a lui. Portai la mano sul suo petto, poi richiusi gli occhi, godendomi quella sensazione di pace e amore.

Forse erano passati dieci minuti, forse un'ora... Sta di fatto che quando riaprii gli occhi trovai quelle iridi azzurre davanti a me.
«Buongiorno» mormorai.
«Ben svegliata, Piccola Solitaria» rispose lui.
Sbadigliai. «In realtà mi ero svegliata anche prima, ma tu dormivi» precisai.
«Che ore sono?» aggiunsi poi.
Lui si voltò verso il comodino, per poi tornare con gli occhi su di me «Le nove. Ma possiamo rimanere qui anche tutto il giorno...».

«Con la mano sotto la mia maglietta?» chiesi divertita.
Il suo sguardo si fece più intenso e scherzoso allo stesso tempo. «Con la mano sotto la tua maglietta» confermò, muovendo la mano a quelle parole, e salendo ad accarezzarmi la schiena.
«Non hai niente sotto» mormorò subito dopo, con un tono di apprezzamento.

Io arrossii. Poi confermai «Mi dà fastidio dormire col reggiseno, e a dirla tutta non è che ci sia granché da tenere su».
«Dici?» chiese avvicinandosi e facendo scontrare le nostre labbra.
Il mio cuore era già impazzito, di prima mattina.

«Dico» risposi.
La sua mano si spostò sulla mia pancia, facendo accelerare il mio battito cardiaco. Alzai gli occhi incontrando i suoi, che mi chiedevano tacitamente il permesso.
Cercai di scollegare il cervello e di lasciarmi andare per un po', senza dover pensare a niente.
Annuii, e chiusi gli occhi mentre le lievi carezze della sua mano mi lasciavano dei piccoli brividi in tutto il corpo.
Lasciai che con quella lentezza disarmante verificasse da sé quello che io sostenevo.
Riaprii gli occhi e allungai il braccio fino ad aggrapparmi ai suoi capelli, lo tirai a me e feci incontrare di nuovo le nostre labbra.

«Mi farai morire» mormorai sulle sue labbra. Poi mi spostai fino a stargli praticamente sopra, e lo baciai di nuovo, premendomi contro la sua mano.
Spostai le labbra sul suo collo, mentre la sua mano si sfilava dalla maglia del mio pigiama e andava a posarsi sulla schiena, scendendo lentamente sul sedere.
«Direi di fermarci» disse ad un certo punto, sospirando.
Appoggiai la testa sul suo petto, e mi godetti il suono del suo battito accelerato. Era il suono più bello del mondo!

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 - Distrazioni ***


Erano quasi le 15, e io ero appena arrivata a casa di Serena. Era metà ottobre ormai, come volava il tempo!
E Stefano a Settembre aveva iniziato la prima elementare.

Sciolsi la presa del piccoletto dalle mie gambe, poi salutai la sua mamma.
«Allora? Facciamo i compiti?» chiesi prendendolo per mano.
Lui annuì «Lo sai che la maestra mi ha dato una stellina gialla perché ho colorato bene le schede sul quaderno?».
«Davvero? Bravissimo!».

Lo aiutai a portare lo zaino in cucina, poi mi sedetti al suo fianco. Non ebbe particolari problemi a fare i compiti. Stava imparando a scrivere le lettere, quindi per ora doveva solo ricopiarle sul quaderno, e colorare qualche disegno sulle schede.

Quando finì andammo a giocare in salotto, e leggemmo anche qualche libretto. Gli piaceva stare lì a guardare le figure e ad ascoltarmi leggere.

Tra una cosa e l'altra il tempo passò, e presto arrivò Serena. La pancia cresciuta, essendo al quinto mese di gravidanza, e un'aria radiosa.
«Come stai? E il piccolino?» chiesi dopo averla salutata.
«Bene, un po' stanca, ma stiamo bene. Lui o lei cresce e ogni tanto si muove» disse con una luce negli occhi.
Ci spostammo in cucina.
«Non vedo l'ora di vederla, o vederlo» dissi ammirando la curva dolce della sua pancia.
«Sapessi io» rispose lei sorridendo «sarà strano, però, avere di nuovo un cosino piccolo da coccolare dopo così tanto tempo».

«E te, con mio fratello come va? Si comporta bene?» chiese portando il discorso su di me.
«Benissimo, lui è sempre così perfetto. A volte mi chiedo perché stia con me, quando ci sono ragazze decisamente migliori».
«Sta con te perché vuole te» ribatté lei «Mio fratello è una persona semplice, sono sicura che adesso lo sai meglio di me. Mette impegno in tutto quello che fa, soprattutto se si tratta di far felici le persone che ha intorno».
«Lo so, lui mi rende felice» confermai non riuscendo a trattenere un sorriso, pensando a lui.
«E tu rendi felice lui» rispose lei.

«A proposito, credo sia appena arrivato» aggiunse, lanciando un'occhiata dalla finestra.
E infatti poco dopo sentimmo bussare alla porta.
«Posso aprire io, mamma?» chiese Stefano fiondandosi alla porta.
«Certo tesoro».

«Ciao zio!» sentimmo esclamare il piccoletto.
«Ciao ometto» rispose l'altro «come va?».
«Bene, oggi ho preso una stellina a scuola! E poi ho giocato con Elisa».
«Bravissimo, sono fiero di te».

Sentimmo i loro passi avvicinarsi, finché comparvero nella nostra visuale.
Incrociai gli occhi di Gabriele. E quasi simultaneamente sorridemmo entrambi.
Era bello vederlo, dopo due giorni in cui non ci eravamo visti. Prima a causa di una riunione a scuola, poi per un corso di agiornamento. Entrambi dopo una giornata di scuola, quindi avevo voluto lasciargli un po' tirare il fiato nelle poche ore che aveva avute libere.

«Ciao Sere» la salutò baciandole la guancia.
«Ciao Elisa» disse poi, girandosi verso di me e impossessandosi delle mie labbra. Niente di particolarmente movimentato, solo un lieve contatto. Ma era quello che a me bastava per sentire le farfalle nello stomaco. 
«Ciao» risposi poi, mentre le mie labbra si piegavano automaticamente in un sorriso.

«Quanto siete belli!» osservò Serena, facendomi ricordare di essere in una stanza con altre persone, e non solo con lui.
Quando eravamo insieme tendevo sempre ad estraniarmi da tutto il resto, concentrandomi soltanto su noi due.
Ma non era una cosa molto conveniente...

«Sono venuto a prenderti» disse lui circondandomi con un braccio.
«Come mai?» chiesi.
«Così! Voglio passare un po' di tempo con te» rispose.
«Ok, prendo la giacca e arrivo».

Andai in salotto a recuperare la mia giacca e la borsa, poi tornai in cucina e salutai il piccoletto e sua madre.
Gabriele mi prese per mano e uscimmo di casa, diretti alla sua macchina. Come da vero gentiluomo mi aprì la portiera facendomi salire, per poi chiuderla e raggiungere la parte del guidatore.
«Avvisa a casa che torni dopo cena» disse, mentre girava la chiave e metteva in moto.
Sorrisi «Ok, boss».
Lui mi lanciò un'occhiata divertita, poi tornò a prestare attenzione davanti a sé.

«Mi sei mancata» mormorò una decina di minuti più tardi, chiudendo la porta di casa dietro di lui, e bloccandomi il braccio nella sua presa.
Fece forza e mi fece voltare e tornare indietro fino a finire contro di lui. Le sue mani si posarono sulla mia schiena, tenendomi in "trappola". Una meravigliosa trappola!

«Anche tu mi sei mancato» risposi alzando lo sguardo, e finendo per incantarmi con l'azzurro dei suoi occhi.
Ci fissammo in silenzio e immobili per qualche istante. Poi presi l'iniziativa e mi sporsi verso le sue labbra, finché, ad occhi chiusi, sentii quel dolce contatto che tanto adoravo.
Lo sentii stringere la presa mentre premevo sulle sue labbra affinché le schiudesse. Nemmeno un istante, e le nostre bocche danzavano già, bisognose di toccarsi, mordersi e assaporarsi.

Un bacio da togliere il fiato!
E, in effetti, ci ritrovammo entrambi ad ansimare, cercando di riprendere aria. Portai le braccia dietro il suo collo, stringendolo a me, e appoggiai la testa sulla sua spalla, abbracciandolo.
«Ti amo» fu quello che mi sussurrò all'orecchio, mentre io lo stringevo come se avessi avuto paura di perderlo.
E io, in realtà, avevo paura di perderlo!

«Ti amo, Gabriele» sussurrai, sentendo quanto fosse vero quello che stavo dicendo.
Io gli volevo bene. Mi ero innamorata di lui. Lo amavo.

Non so quanto tempo passò prima che sciogliessimo quell'abbraccio, e non so nemmeno chi fu ad allontanarsi per primo.
So però che sarei potuta rimanere in quel modo, tra le sue braccia, per sempre.

Ci togliemmo le giacche, e appoggiai la borsa sul mobile nell'ingresso. Poi lanciai un'occhiata al pianoforte che si intravedeva al piano superiore.
«Mi suoni qualcosa al pianoforte?» chiesi.
Era da tanto che desideravo sentirlo.
Finora, escludendo quella volta in cui aveva suonato per farmi provare Happy Ending, non avevo mai avuto modo di ascoltarlo suonare.
«Certo, mia Piccola Solitaria» rispose, intrecciando la sua mano alla mia.
Mi guidò su per le scale, fino al bellissimo pianoforte nero, in centro alla piccola "stanza".
Mi sedetti sulla poltroncina lì a fianco, e lo guardai sistemarsi sullo sgabello.
Si sbottonò i polsini della camicia, arrotolandosela fino al gomito e lasciando scoperti gli avambracci.

E io seguii ogni sua mossa, senza riuscire a staccare gli occhi da lui.
Appoggiò le dita sui tasti e cominciò a suonare. Era bravissimo, sembrava che le sue dita danzassero!
Lo guardai, incantata, mentre suonava. Era così concentrato che sembrava essere in un altro mondo. Il suo mondo.

«Wow» dissi una volta finita la canzone. Non sapevo che altro dire.
«La prossima è dedicata a te» fece lui, voltandosi e donandomi un sorriso da sciogliere tutto.
Sorrisi anch'io, mentre lui tornava a concentrarsi sui tasti.
Riconobbi la canzone appena lui iniziò a suonarla. Era "Per Elisa", e lui la stava suonando perfettamente!
Aspettai che finisse, poi mi alzai e mi avvicinai a lui.

«Grazie!» mormorai.
Lui mi afferrò facendomi sedere sulle sue gambe.
«Mi piacerebbe imparare a suonare il pianoforte» dissi sfiorando i tasti con i polpastrelli.
«E anche la chitarra elettrica» aggiunsi, portando lo sguardo sulle sue chitarre appoggiate lì vicino.

«Ti insegno io» disse lui.
«So già da dove iniziare. Questo è l'accordo Do diesis» cominciò, appoggiando un dito alla volta sui tre tasti che formavano l'accordo. Poi lo risuonò, le tre note insieme.
Tolse la mano e la mia prese il suo posto, suonando l'accordo appena imparato.
«La destra invece fa questo» aggiunse suonando dei singoli tasti, mentre io riconoscevo la canzone. Era sempre lei, la mia amata Happy Ending!
Memorizzai i tasti e provai a suonarli dopo di lui.
Poi riprovai aggiungendo quelle note dopo l'accordo. La canzone prendeva forma.

Mi mostrò come suonare la prima strofa, un pezzo alla volta. Arrivai alle ultime note, poi decisi di riprovarla tutta insieme.
Appoggiai di nuovo le mani sui candidi tasti e cominciai.

Ma mi fermai prima del previsto.
E non perché non ricordassi gli accordi o le note... Ma perché qualcuno aveva deciso bene di distrarmi appoggiandomi le labbra sul collo.
«Se tu fai così la mia concentrazione scende a livello sottoterra» lo avvisai.
Sentii le sue labbra curvarsi in un sorriso.

«Non dovresti distrarre la tua allieva, prof» lo ripresi.
«Sei tu, signorina, che distrai me» ribatté lui.
«Io non sto facendo niente, e tu tieni le mani a posto» risposi.
«Le mani sono al loro posto» rispose lui divertito. E, in effetti, le mani erano a posto, erano le sue labbra che invece non lo erano state.

Ripresi a suonare e, stavolta senza distrazioni, riuscii a suonare tutta la strofa.
«Brava. Però basta per oggi» decise lui.
Mi alzai, lasciando che anche lui potesse farlo. E tornammo di sotto, dove cominciammo a preparare la cena.
Lo aiutai, seguendo le sue direttive, e una volta pronto ci sedemmo a tavola.

Una mezz'ora più tardi stavo sparecchiando. Lui era andato in bagno, e nel frattempo io cominciai a lavare i piatti.
«Che stai facendo?». Sobbalzai, non l'avevo proprio sentito arrivare.
«Lavo i piatti» risposi, appoggiando un bicchiere sullo scolapiatti.
Poi, non sentendolo rispondere, mi girai a guardarlo, trovandolo a braccia conserte.
Osservai la sua espressione, troppo seria per i miei gusti.
«Che c'è?» chiesi.
«C'è che sei mia ospite e non devi farlo tu. Ne abbiamo già parlato» rispose fissandomi.
«Sono la tua ragazza, e se mi va di lavare i piatti a casa tua lo faccio. Che problema c'è?» replicai, fissandolo a mia volta. «Stiamo davvero litigando per questo?» aggiunsi.
«Non stiamo litigando».
«Guardati!» ribattei accennando alla sua posa e alla sua espressione.
Lui si guardò, poi guardò me, e sciolse la stretta delle braccia «Scusa».
«Non hai niente di cui scusarti. E comunque, almeno ho scoperto che sei bello anche da arrabbiato. Il che non è che sia proprio a mio favore» risposi girandomi e tornando a finire di lavare i piatti.

Lui rise, poi sentii le sue braccia avvolgermi la vita.
«Ti amo».
Mi fermai da quello che stavo facendo e sorrisi.
«Ti amo, anche se mi distrai continuamente» risposi.
«Ma ti piace» rimbeccò lui.
Sospirai.
«Sì, mi piace».

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 - La foto ***


«Ciao Elisa!».
«Ehi, ciao» salutai Martina.
Ero appena entrata nella mia vecchia scuola, per la consegna del diploma. Davanti a me l'intera mia vecchia classe.
Raggiunsi Martina, che era insieme a Francesca e qualche altra compagna, e aspettammo finché ci fecero entrare in aula magna.
Prendemmo posto, mentre anche tutte le altre ex classi quinte arrivavano e si sedevano, riempiendo la sala.

Arrivarono anche alcuni professori, che passarono a salutarci.
Ma quello che proprio non mi aspettavo era che ci fosse anche Gabriele!
Non mi aveva detto che sarebbe venuto, e invece era proprio lui quello che era appena entrato dalla porta, raggiungendo gli altri prof, dall'altra parte della stanza.

Ma non fui solo io ad accorgermi della sua presenza, a quanto parve.
«Ehi, guardate chi è arrivato!» annunciò qualcuna, dalla fila davanti a me.
«Quanto vorrei farmelo» sospirò Benedetta, facendomi sentire un peso sullo stomaco.
Gelosia? Forse sì, certamente sì!
Anche perché con quei jeans e quella camicia bianca un po' sbottonata era talemente tanto bello che riusciva difficile togliergli gli occhi di dosso.
«Credo sia fidanzato» le rispose Stefania, e io allungai le orecchie per ascoltare per bene.

«L'ho incrociato per strada con una bionda tutta gambe, più grande di noi. Si sorridevano, credo proprio che se lo sia acchiappato lei».
Dicendo questo prese il cellulare e smanettò un po' mostrandole poi una cosa «Guarda».
Mi sporsi riuscendo a sbirciare lo schermo. Aveva ragione! La foto ritraeva lui e la bionda, fianco a fianco, mentre si sorridevano. Sembravano proprio una coppia!

Mi sentii gelare. Poi sprofondai di nuovo nella mia poltrona, la penultima della fila, mentre cercavo di non farmi prendere dal panico, e di non lasciar capire niente a nessuno.
Alzai lo sguardo, cercando di nuovo quella figura così familiare, e la trovai. Si stava avvicinando, e nel mentre i nostri occhi si incrociarono. Mi sorrise prima di distogliere lo sguardo.
«Ciao ragazzi!» esclamò arrivando vicino alle nostre sedie.
«Giorno prof» risposero una ventina di voci all'unisono. Meno la mia.

Aspettavo che se ne andasse, invece si sedette sull'unica poltrona rimasta libera, la quale ovviamente era vicino a me.
Trattenni il respiro, mentre tutti gli occhi lo seguivano.
Gli chiesero un po' di cose: insegnava ancora? Aveva cambiato scuola? Ecc.
Tutte cose che io sapevo già, perciò focalizzai l'attenzione sugli altri prof, vicino al tavolo con i microfoni.

«Cos'hai?».
Mi voltai, accorgendomi che più nessuno guardava indietro, e che Gabriele era decisamente concentrato su di me.
«Niente» risposi a bassa voce, togliendo gli occhi da lui.
«Stai mentendo» replicò lui, sussurrando.
Scossi la testa «Non è vero».
Lui non rispose, ma si mosse facendo finire la sua gamba a contatto con la mia. Come se fosse stato un gesto assolutamente casuale. Ma non lo era.

Fortunatamente gli insegnanti richiamarono il silenzio, perciò smisi di pensarci e mi concentrai sul perché eravamo lì.
Quando chiamarono il mio nome mi alzai e raggiunsi il presidente di commissione che aveva tenuto il mio orale, mi consegnò il diploma e ci stringemmo la mano. Poi tornai al mio posto. Trovando il sorriso di Gabriele ad accogliermi.

Finita la "cerimonia" salutai alcune compagne e mi avviai verso l'uscita. Ero quasi arrivata alla fine della via, quando una macchina accostò. Il rumore era più che famigliare.
Mi voltai e trovai Gabriele a sorridermi «Volevi andartene da sola?».
«Eri occupato» risposi con un'alzata di spalle.
«Non sono mai troppo occupato per te» replicò lui.
Se fossi stata di buon umore avrei trovato la sua frase la cosa più dolce del mondo. Ma non lo ero, perciò mi limitai a fargli un cenno.
«Dai, sali» aggiunse poi.
Mi avvicinai alla macchina e aprii la portiera, per poi entrare e richiudermela alle spalle.

Guardai fuori dal finestrino il paesaggio finché notai che non aveva preso la strada per casa mia.
«Non mi porti a casa?» chiesi perplessa, voltandomi a guardarlo.
«No» rispose lui.
«Ok» risposi, tornando a guardare fuori.

«Sei silenziosa oggi» disse lui, ad un certo punto.
«Lo sono sempre» risposi «E ho l'impressione di aver già avuto questa conversazione con te».
«Mmh. A cosa stai pensando?».
Alzai le spalle. «A niente» risposi.
E invece la mia testa era piena di pensieri, su di lui, su quella dannata foto e sulle parole sentite qualche ora prima.

Qualche minuto più tardi arrivammo a casa sua. Scendemmo dalla macchina ed entrammo in casa.
«Cosa c'è?» chiesi, sentendomi osservata.
Lui non rispose, ma si avvicinò fino a circondarmi con le braccia, facendomi aderire al suo petto.
«Lo sai che mi puoi dire tutto, vero?» mormorò appoggiando il mento sulla mia testa.
Sospirai.
«Lo so» risposi.
«Ti amo» replicò lui, tenendomi ancora stretta a sé.
«Ti amo» risposi io, godendomi il suo abbraccio e riempiendomi i polmoni del suo profumo.

«Come mai non mi avevi detto che oggi saresti venuto?» chiesi. Eravamo seduti sul suo divano.
«Volevo farti una sorpresa» rispose lui, avvicinando il volto.
«L'hai fatta a tutti la sorpresa» replicai, scostandomi leggermente.
Lui sospirò. «Mi dici cosa c'è che non va?» chiese prendendomi la mano.
«È da stamattina che sei distante» aggiunse «Non mi piace».

«Va tutto bene» risposi, guardando le nostre mani.
«Non va tutto bene» ribatté lui «Ti prego, parlami!».
«Ok» dissi spostando gli occhi su di lui «Avresti dovuto dirmelo che saresti venuto. Per me sarebbe stato più facile».
«Cosa sarebbe stato più facile?».
Esitai. Non volevo parlare con lui della foto che avevo visto. Avevo paura di quello che mi avrebbe detto, di quello che sarebbe successo. Le parole di Stefania mi erano girate e rigirate in testa, stavo cominciando a pensare che si fosse stancato di me e che quella bionda, molto più attraente di me, lo avesse invece conquistato.

«Avrei evitato di poter sentire cose che non avrei voluto sentire» risposi.
E vedendo la sua faccia perplessa aggiunsi «Commenti su di te».
Lui fece un sorrisetto «Sei gelosa!».
Io abbassai gli occhi, sentendomi al tempo stesso imporporare le guance.
«Sei adorabile» mormorò avvicinandosi, mentre io mi allontanavo fino a finire distesa sul divano.
«Non hai scampo, Piccola Solitaria» disse avanzando tra le mie gambe, arrivando ad essere sopra di me.
«Non ne sarei così sicura» risposi puntellando le mani sul suo petto.
«Dici?» chiese alzando il sopracciglio.
Io annuii, tenendo salda la distanza tra noi.

Quello che però non avevo previsto era che mi avrebbe fatto il solletico. Cercai di ripararmi come potevo, anche se era una cosa alquanto complicata dato che mi stava tenendo prigioniera sotto di lui.
Non so come, ma le mie mani finirono nella sua presa ferrea, mentre si sorreggeva con una mano sola per non pesarmi troppo addosso.

«Così non vale!» esclamai fissando gli occhi nei suoi.
«In guerra e in amore tutto è lecito» rispose lui, con aria di chi la sa lunga.
«Ma sentilo!» sbuffai «Tiratela meno, prof».
Lui rise, poi avvicinò pericolosamente il suo viso al mio.

«E se io non volessi baciarti?» chiesi.
Lui si rabbuiò, poi mollò la presa sulle mie mani e fece per allontanarsi.
Ma io fui più veloce e, riacquisito l'uso delle mani, mi artigliai alla sua felpa.
«Era solo una domanda» mormorai tirandolo giù. Poi finalmente mi appropriai delle sue labbra.
Mentre anche il suo corpo si rilassava, pesando un po' più su di me. Era una cosa che mi piaceva. Molto!

«Ho l'impressione di schiacciarti» mormorò, mentre entrambi riprendevamo fiato.
«Non mi fai male» risposi.
Ma lui mi spostò, ribaltando la situazione e facendomi finire sopra.
Appoggiai la testa suo suo petto e ascoltai il battito del suo cuore, mentre con le braccia lo stringevo a me.
Avevo paura di perderlo!

Rimanemmo così per un tempo indefinito, finché il brontolio imbarazzante della mia pancia gli fece decidere che era ora di prepararci qualcosa per pranzo.
Lo aiutai in cucina, e quando fu pronto ci sedemmo entrambi a mangiare.


«Pronto?» risposi al telefono. Erano passate un paio d'ore e il suo suono mi aveva interrotto mentre stavo suonando la chitarra. Era Marco!
"Ciao sorellina" salutò lui "come va?".
«Ciao! Tutto bene... Mi manchi» risposi tornando a sedermi sul letto.
«Anche tu mi manchi, se tutto va bene forse presto ci vedremo».
A quelle parole sorrisi «Davvero? Non vedo l'ora!».

Restai un bel po' al telefono con lui. Mi mancava parlarci insieme, raccontargli quello che mi succedeva e ascoltare quello che capitava a lui.
Mi mancava averlo per casa, poterlo vedere ogni giorno e poter andare da lui quando avevo bisogno.

Finii la telefonata quasi un'ora dopo. Poi scesi di sotto e andai ad aiutare a preparare la tavola e la cena.

Dopo aver mangiato andai a cambiarmi e poi accesi la tv, cercando qualche bel film da vedere. Ma non lo vidi nemmeno tutto, perché ero stanca e ad un certo punto decisi di andarmene a dormire.

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Eccomi qui con un nuovo capitolo!
Di solito pubblico la parte senza lasciare miei commenti, ma questa volta mi fermo un po' XD
Vorrei innanzitutto ringraziare chi legge e sta seguendo questa storia, e ringrazio in particolar modo chi la recensisce dandomi dei feedback molto apprezzati. Grazie davvero!
Questa storia è nata un po' per gioco, per poi diventare una cosa molto importante per me. E vedere che piace è bellissimo.
Non so che altro dire se non ringraziarvi ancora tutti...
Al prossimo capitolo! xx

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 - Quando tutto è perfetto ***


"Stasera fatti trovare pronta per le 20, ti porto fuori a cena".
«Davvero? Perché?» chiesi.
Era sabato ed ero a casa di Serena, per stare qualche ora con Stefano mentre lei e Nicola andavano a fare compere per il nascituro.
Stavo spingendo il bimbetto sull'altalena, mentre ero al telefono con Gabriele, che non vedevo da qualche giorno.

"Non posso invitare a cena la mia ragazza?" chiese lui.
«Certo che puoi» risposi mentre un sorriso mi nasceva sulle labbra.
"Sei bellissima" mormorò lui, facendomi sentire un calore nello stomaco.
Il mio sorriso si allargò.
"Soprattutto quando ti faccio sorridere" aggiunse.

Io aggrottai le sopracciglia, poi mi guardai intorno. Ed eccolo, appena al di là della ringhiera. Capelli scompigliati dal vento e occhiali da sole calati sul viso.
Sentii subito la reazione del mio corpo alla sua vista e mi dimenticai completamente della telefonata ancora in corso.

Lo guardai finché ci raggiunse, salutando il nipotino entusiasta di vederlo. Si voltò verso di me e circondandomi con il braccio mi attirò contro di lui, chinandosi poi a baciarmi. Quanto mi era mancato stare nella sua presa sicura!

«Ciao» dissi appoggiandomi poi al suo petto.
«Ciao piccola solitaria» rispose poggiando le labbra sulla mia tempia.
«Mi sei mancato» mormorai.
«Anche tu, perciò dobbiamo recuperare con una cena. E poi ti fermi da me».
«È un invito?».
«No, è un ordine mia cara».

Mi scostai da lui per potergli vedere il viso. E lui fece un sorrisetto.
Lo abbracciai di slancio, stampandogli un bacio sulla guancia.
Da quando stavamo insieme mi ero un po' alla volta abituata al contatto fisico. All'inizio gli abbracci mi mettevano a disagio e tendevo a non prendere l'iniziativa.
Adesso invece lo abbracciavo quando ne avevo voglia, e lo baciavo tutte le volte in cui volevo farlo.
O forse non tutte, certe volte riuscivo a trattenermi un po' e a non stargli troppo col fiato sul collo.

«Elisaaa. Mi spingi?».
La voce di Stefano mi riscosse. A malincuore mi staccai dal mio ragazzo e tornai a spingere Stefano sull'altalena.
«Come mai sei qui?» chiesi osservando il suo outfit, era tremendamente attraente e faticavo a togliergli gli occhi di dosso.
«Per te» rispose lui «Avevo voglia di vederti».
Sorrisi a quelle parole, poi riportai gli occhi su Stefano.
Gli diedi una bella spinta e andai a sedermi sull'altra altalena. Sembrava di no, ma era abbastanza stancante stare lì in piedi a spingerlo.
«Dai, adesso ti spingo io Stè» disse Gabriele prendendo il mio posto.

Cominciai a dondolarmi lentamente, poi chiusi gli occhi godendomi la leggera brezza sul viso. Ci stavamo godendo il calore del sole prima che se ne andasse, ormai era Novembre inoltrato e le giornate si stavano accorciando a vista d'occhio.
Stavo quasi per addormentarmi appoggiata alla corda dell'altalena, persa nei miei pensieri, quando sentii di nuovo la voce del mio lui.

«Ma quand'è che imparerai a spingerti da solo?».
«Ma io so già andarci da solo, zio!» esclamò il biondino di rimando.
Soffocai una risata, quel bambino era incredibilmente furbo.
«Ma sentilo, piccola peste!» rispose l'altro.
«A qualcuno dovrà assomigliare» intervenni riaprendo gli occhi e puntando gli occhi su di lui.
Lui mi guardò inarcando il sopracciglio, e io scoppiai a ridere.

«Giochiamo a palla?» ci interruppe in quel momento Stefano.
«Certo, ma solo finché c'è il sole. Poi rientriamo» risposi scendendo dall'altalena.
«Va bene, vado a prenderla» e un attimo dopo era già sparito in casa.
Feci qualche passo verso la casa, ma venni bloccata da due braccia che mi circondarono tenendomi ferma.

«Cosa fai?» chiesi appoggiando le mani su quelle braccia.
Lui non rispose, ma sentii il suo respiro caldo finirmi sul collo. Appena prima che ci finissero le sue labbra.
Un brivido mi percorse tutto il corpo, facendomi venire la pelle d'oca.
Ed evidentemente lo sentì anche lui, dato che si lasciò scappare una risatina.

«Cos'era?» chiese mormorando.
«Niente» risposi divincolandomi per cercare di sfuggire alla sua presa.
In tutta risposta però lui serrò la stretta, rendendo vani i miei tentativi.
«Quel niente mi ha fatto piacere» sussurrò nel mio orecchio, per poi riportare le labbra sulla mia pelle e scatenare un'altra ondata di brividi nel mio corpo.

Stavo per protestare quando ricomparve Stefano.
Gabriele mi lasciò andare, ma non prima di sussurrarmi all'orecchio un «Riprendiamo stasera» che mi suonava decisamente bene.
Il piccoletto ci raggiunse e decise che loro due avrebbero dovuto fare gol a me.
Sospirai. Odiavo il calcio, ma per vederlo contento avrei fatto tutto quello che mi avesse chiesto...

Presi posto davanti alla piccola porta di plastica bianca mentre loro si posizionavano a una decina di metri da me.
Fecero alcuni tiri che miracolosamente riuscii a parare.
Poi Gabriele si preparò a tirare, e un attimo dopo sentii una fitta alla gamba. Guardai la palla rimbalzare via, poi mi guardai la gamba e infine alzai gli occhi su di lui.
«Guarda che se mi uccidi non ci sarà nessun "riprendiamo stasera"» lo avvisai.
Lui ridacchiò avvicinandosi.
«Non è divertente!» lo ripresi tentando di non ridere a mia volta.
Arrivò davanti a me. «Scusa piccola solitaria» mormorò allungando la mano e accarezzandomi la guancia.
«Vuoi un bacino per far passare la bua?» aggiunse con tono divertito e una luce negli occhi.

Lo fulminai con lo sguardo «Non fare lo scemo».
Lui incrociò i miei occhi, incatenandomi ai suoi. «Sono serio» rispose avvicinandosi lentamente.
«C'è Stefano» mormorai.
«Sta giocando, e se anche ci guardasse non ci sarebbe nessun problema».
Mi morsi il labbro, senza riuscire a distogliere gli occhi dai suoi, finché non si chinò a sfiorare le mie labbra.
Allora li chiusi e lasciai che mi stringesse a sé, mentre baciava ripetutamente le mie labbra.

«Stasera prometto di meglio» sussurrò quando ci furono di nuovo una decina di centimetri tra i nostri visi.
"Meglio di così?" pensai mentre il mio stomaco era già in subbuglio.
Lui mi osservò e sorrise «Noto con piacere che arrossisci ancora».
Appoggiai una mano sul suo petto e gli diedi una spinta «Smettila».
Si voltò e tornò dal nipotino, mentre io mi godevo il suono leggero della sua risata.

Ma qualche ora più tardi stavo di nuovo arrossendo davanti a un mazzo di rose. Gabriele si era presentato a casa mia nel suo completo elegante, porgendomi i fiori.
Era bellissimo!
«Buonasera Elisa» disse salutandomi con un bacio sulla guancia.
«Buonasera Gabriele» risposi sentendomi le guance in fiamme.
Anche se i miei non ci stavano guardando sentivo benissimo la loro presenza.

Sistemai le rose in un vaso, poi salutai mamma e papà e presi la mano di Gabriele, che mi accompagnò alla sua macchina.
Mi portò a cena nello stesso ristorante in cui eravamo stati la prima volta.
E dopo cena facemmo una passeggiata, mano nella mano.

«Grazie per stasera» dissi, mentre osservavo gli alberi, che costeggiavano il marciapiede, illuminati dai lampioni.
«Non è ancora finita» rispose lui.
Mi voltai a guardarlo e lui sorrise.
«Lo so bene» risposi sorridendo.

Camminammo un altro po', poi tornammo alla macchina e andammo a casa sua.
Aprì la porta d'ingresso e mi fece passare, richiudendosela alle spalle.
Ci togliemmo le giacche che finirono sull'attaccapanni, e appoggiai la borsa sul solito mobile.
Subito sentii dei passetti sul pavimento, e infatti di lì a qualche secondo comparve Spark.
«Ma ciao amore!» esclamai accucciandomi ad accarezzarlo.
Lui si strofinò sulla mia mano e cominciò a fare le fusa.

«Forse dovrei sentirmi offeso».
Alzai gli occhi verso il padrone della voce, poi tornai in posizione eretta.
«Perché?» chiesi scrutandolo.
«Invito la mia ragazza a casa mia, e la prima cosa che fa è coccolare il mio gatto e chiamarlo amore, tu cosa dici?» rispose incrociando le braccia sul petto.
«Dico che è carino, non posso non coccolarlo» risposi io.
Lui alzò il sopracciglio.
Alzai gli occhi al cielo, poi mi appoggiai a lui «Lui è carino, ma tu sei bellissimo. E ti amo».
Mi alzai sulle punte dei piedi e mi sporsi per far incontrare le nostre labbra. Nel mentre afferrai le sue mani e gli feci sciogliere la stretta, portandole poi sulla mia schiena.
Lui mi lasciò fare, stringendomi a sé mentre approfondiva il bacio.

«Mi piace che tu sia geloso del tuo gatto» dissi una volta che le nostre labbra si furono allontanate.
«Non sono geloso» ribatté lui.
«Invece sì» replicai io sorridendo e abbracciandolo.
Spostai leggermente il viso e appoggiai le labbra sul suo collo.
Aspettai una sua reazione, ma non notai nulla.
«Non è giusto» sbuffai.
«Cosa?» chiese a bassa voce.
«A te non succede niente» risposi.
Poi tornai a lasciargli dei piccoli baci sul collo, sentendo finalmente un gemito uscire dalle sue labbra.
Mi strinse, se possibile, ancora di più contro il suo corpo, mentre gli sbottonavo il colletto della camicia in modo da poter avere più pelle a disposizione.

«Ti sbagli» mormorò dopo qualche secondo, riprendendo il controllo della situazione e appropriandosi delle mie labbra.

Mi sembrò un bacio infinito, ma purtroppo finì comunque.
«Eccome se ti sbagli» riprese con voce roca.
Prese la mia mano e la fece scivolare tra i nostri corpi, ora leggermente staccati, fino a posarla sul cavallo dei suoi pantaloni.
«Oh» fu l'unica cosa che mi uscì sentendo il rigonfiamento.

«Ho oltrepassato il limite?» chiese, con una luce nuova negli occhi.
Scossi la testa, poi mi sporsi di nuovo per riprendermi le sue labbra.
Un bacio che aveva qualcosa di nuovo, una frenesia che finora non c'era mai stata.
«Forse dovresti togliere la mano ora» sussurrò affondando la testa nel mio collo.
«O forse no» risposi accarezzandolo, mentre dalle sue labbra scappava un altro gemito.

Ritirò indietro la testa e cercò i miei occhi, scrutandomi per bene.
«Sei sicura?» chiese.
Annuii, poi abbassai gli occhi. Stava diventando troppo imbarazzante quel suo osservarmi attentamente.
Recuperò la mia mano dal posto in cui l'aveva messa lui, intrecciò le sue dita alle mie e lentamente mi condusse fino alla sua camera.

Lì mi riprese tra le braccia, baciandomi di nuovo, mentre le sue mani salivano sotto la mia maglietta.
Alzai le mani sul suo petto e gli sbottonai la camicia, accarezzandogli la pelle sotto.
Poi gli sfilai le mani dalla mia maglietta e lo aiutai a togliersela completamente.
Subito dopo fu lui ad afferrare la mia maglia e a sfilarmela, facendola finire sul pavimento.

Ci avvicinammo un po' alla volta al letto finché lui mi spinse gentilmente fino a farci sdraiare entrambi. Riprendemmo a baciarci mentre ci spogliavamo degli ultimi vestiti rimasti tra noi, e fui grata al fatto che fosse sera quando mi sganciò anche il reggiseno. Era abbastanza buio da nascondere il rossore delle mie guance, ma non così tanto da impedirci di vederci l'un l'altra.

Gabriele si sistemò tra le mie gambe, facendo entrare in contatto le nostre intimità, divise soltanto dalla stoffa rimasta, e facendomi uscire di bocca un piccolo gemito.
Mi guardò negli occhi, poi si sporse verso il comodino recuperando un pacchetto dal cassetto.
Qualche minuto dopo anche gli ultimi pezzi di stoffa rimasti finirono sul pavimento.
Ci infilammo sotto alle lenzuola, poi Gabriele cercò i miei occhi come per lasciarmi il tempo di tirarmi indietro.
«Mi fido di te» sussurrai allungando la mano fino a posarla sulla sua guancia.
«Ti amo» rispose lui.

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 - Insieme ***


Mi svegliai con la sensazione di essere osservata, e di non essere nel mio letto.
Aprii gli occhi, strofinandomeli, e guardandomi intorno ricordai dov'ero e con chi.
Mi voltai verso Gabriele, che stava lì a guardarmi. Bello da morire nella penombra della stanza.
Ma fu solo muovendomi che mi accorsi di essere nuda. Sbiancai e afferrai il lenzuolo stringendomelo al petto.
Sentii una risatina «Ti ho già vista ieri sera».
Io arrossii fino a sentirmi le guance caldissime e d'istinto alzai il lenzuolo nascondendoci la faccia.

«Non nasconderti» disse lui allungando una mano sotto il lenzuolo e appoggiandola sul mio fianco. Un piccolo brivido mi scosse.
«Buongiorno, piccola solitaria» aggiunse facendo forza e tirandomi a sé, facendomi aderire al suo petto.
«Buongiorno» risposi da sotto il lenzuolo, che dopo qualche secondo Gabriele riuscì a togliermi dal viso.

«Dormito bene?» chiese.
Annuii «Benissimo».
Alzai gli occhi incontrando l'azzurro dei suoi. E ripensai a quello che era successo la sera precedente.
Le mie guance tornarono a colorirsi.
Gabriele mi osservò, mentre sulla sua faccia compariva un piccolo sorrisetto.
«A cosa stai pensando?» chiese, spostandomi un ciuffo di capelli dal viso.
«A niente» risposi innocentemente.
Lui alzò il sopracciglio, poi si spostò leggermente finendo per posare le labbra sul mio collo. Rabbrividii, artigliandomi alle lenzuola.
«Allora?» mormorò.
«Lo sai a cosa stavo pensando» risposi.

Lui si allontanò e fissò gli occhi nei miei «Sì, lo so». Guardai le adorabili fossette che si formarono quando sorrise. Era bello!
«Ma volevo sentirtelo dire. Non lo farai vero?» chiese posando di nuovo le labbra sulla mia pelle.
«O forse sì» bisbigliò staccandole un attimo.
«No» risposi.
E in quel momento sentii la sua mano accarezzarmi dolcemente e spostarsi verso il mio seno. La bloccai subito con la mia e lui ridacchiò sulla mia pelle.

«Stavo pensando che è stato bellissimo» sussurrai in tono quasi inudibile.
«Lo possiamo rifare» rispose lui.
Stavolta fui io a fare una risatina «Non adesso, occhi azzurri».
Lui sbuffò, poi mi liberò delle sue labbra e della mano e mi fece semplicemente appoggiare a lui.

Rimanemmo per un bel po' in quella posizione, abbracciati. Poi decidemmo di andare a turno a farci una doccia.
«Posso andare prima io?» chiesi.
«Certo, Amore» rispose.
Sorrisi come un'idiota a quelle parole.
«È la prima volta che mi chiami così» sussurrai arrossendo.
Lui mi guardò dolcemente «Lo so».
E a me venne l'impellente voglia di affondare le mani tra i suoi capelli e di unire le nostre labbra.
E fu quello che feci, stringendomi a lui.

Quando mi allontanai eravamo entrambi senza fiato.
E solo dopo qualche secondo mi accorsi che i suoi occhi erano fissati su un punto.
Seguii il suo sguardo. Mi ero completamente dimenticata di tenere il lenzuolo. Lo afferrai subito coprendomi di nuovo.
«Gabs, non sei credibile» dissi, anche se quel nomignolo mi faceva ridere.
Lui tornò con gli occhi su di me «Perché?». Il solito sopracciglio inarcato.
«Queste cose da pervertito non ti si addicono» risposi alzando gli occhi al cielo.

«Dici? Perché potrei convincerti in qualche modo» disse cercando di fare il malizioso.
Io ridacchiai ai suoi tentativi di porsi come un ragazzo completamente diverso da quello che era. «Non ti conviene, dopotutto rimango la solita ragazza timida. A meno che tu non voglia liberarti di me...».
«Allora ti conviene filare a lavarti, cara» rispose con una luce divertita negli occhi.
«Scemo» ribattei dandogli un colpetto sul petto.

Poi mi guardai intorno in cerca dei miei vestiti. La mia borsa col pigiama e il cambio di vestiti stava sulla sedia, praticamente dall'altro lato della stanza. I vestiti che indossavo la sera prima invece erano sul pavimento, ma anche quelli lontani da me.
«C'è un problema» dissi voltandomi verso quel bellissimo esemplare maschile al mio fianco.
Lui mi guardò con un sorriso già stampato in faccia «Quale?».
«Ieri sera quando mi hai tolto i vestiti potevi anche metterli più vicini al letto» sbuffai.
«Ieri sera ero leggermente concentrato a fare altro, anche tu se non sbaglio» replicò divertito.
Arrossii vistosamente e pensai a cosa dire, ma lui aveva ragione.

Valutai ancora la situazione e puntai la sua camicia, era abbastanza vicina alla mia parte del letto. Stringendomi il lenzuolo al petto mi sporsi con il braccio cercando di prenderla.
«Sarebbe molto più semplice se ti alzassi e basta» disse lui.
«Non puoi alzarti tu e portarmi qualcosa?» chiesi, dalla mia posizione alquanto precaria sul bordo del materasso.
Lo sentii ridere, poi rispose «no».
«Chissà perché lo immaginavo. Stai perdendo le tua qualità di gentiluomo?».
«No, solo ogni tanto mi piace metterle da parte per godermi il momento».
«Te lo do io il momento» risposi riuscendo finalmente ad afferrare una manica della camicia. Tornai sul materasso e, sotto le lenzuola, me la infilai chiudendola. Mentre Gabriele molto divertito seguiva ogni mio singolo movimento.

Scostai le lenzuola e facendo attenzione a non lasciar vedere niente mi alzai.
Fortunatamente la sua camicia era abbastanza lunga e copriva quello che serviva coprire.
Recuperai la mia borsa e mi avviai al bagno.

Quando uscii, entrò lui.
Andai in camera e sistemai le mie cose, che lui aveva già raccolto. Arrossii quando notai che aveva disfatto il letto e che sul lenzuolo spiccava una macchia rossa. Rimasi qualche secondo a guardarla, poi uscii. Tornai in cucina e preparai la colazione, mentre anche Spark reclamava la sua girandomi intorno e strusciandosi sulle mie gambe.

Qualche minuto più tardi udii i suoi passi avvicinarsi sul parquet, e subito dopo le sue braccia erano intorno alla mia vita.
Affondò il viso nel mio collo facendomi rabbrividire.
«Sai di buono» mormorò.
«Anche tu» risposi inspirando il suo profumo.
«Ti eri portata via le tue cose» constatò lui.
Annuii.

La sua mano scese sulla mia pancia. «Come va?» chiese.
La sua dolcezza mi stava facendo rimanere senza fiato.
«Tutto bene» risposi «Non preoccuparti».
«Ti amo, piccola».
«Ti amo».

Mi aiutò con la colazione, poi diede da mangiare al suo micio, e infine ci sedemmo a mangiare anche noi.
«Cosa vuoi fare oggi?» chiesi.
«Stare con te» rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Sì, anch'io voglio stare con te» replicai alzando gli occhi al cielo.
Lui rise.
«Bene, allora ho un'idea» disse pulendosi la bocca sul tovagliolo.

Un'ora dopo stavamo passeggiando in un posto bellissimo. Una stradina che attraversava i prati verdi, col sole che ci scaldava un po'.
Tutto intorno c'era il silenzio e nessuno che potesse disturbarci.
Camminammo per un bel po', finché trovammo un posticino sotto ad un albero e ci fermammo.
Tolsi la coperta dallo zaino che avevamo preparato e la sistemai, in modo che potessimo sedercisi sopra.
Tirammo fuori anche il resto, che comprendeva il nostro pranzo: dei panini che avevamo preparato appena dopo colazione, dei biscotti,  un po' di frutta e il bere.

Mangiai di gusto il mio panino, mentre i miei occhi tornavano sempre a posarsi su Gabriele.
Ogni tanto mi chiedevo cosa avevo fatto di bello per meritarmi un ragazzo speciale come lui. Era tutto quello che avessi potuto desiderare.

«Perché continui a guardarmi?» chiese infatti lui, accompagnando la domanda a un sorrisetto (decisamente adorabile).
Scossi le spalle «Sei bello, non posso farne a meno».
«Così mi fai arrossire» rispose allora lui, facendo comparire le sue meravigliose fossette.
«Ma se tu non arrossisci mai!» esclamai.
«Perché tu lo fai per tutti e due» disse divertito.
Aprii la bocca per protestare, ma l'unica cosa che feci fu di dargli uno spintone facendolo finire disteso, mezzo sulla coperta e mezzo sull'erba.
«Ehi!» esclamò mentre rideva.

«Era un colpo basso quello» mi lagnai.
«Scusa, piccola» rispose lui puntellandosi sui gomiti.
Gli lanciai un'occhiataccia, poi me ne tornai al mio posto e presi un biscotto, che sparì dalla mia mano prima che potessi anche solo sfiorarlo con le labbra.
Mi girai alla mia sinistra, trovando Gabriele che masticava.
«Per avere 28 anni sai essere piuttosto rompipalle quando ti ci metti».
Lui rise di gusto «Ma mi adori anche per questo».
«No» risposi girandomi dall'altra parte e dandogli le spalle. Stavo mentendo. Eccome se stavo mentendo.

Recuperai un altro biscotto e stavolta me lo mangiai. Era anche buono. Molto.
Ne presi poi un'altra manciata e uno dopo l'altro finirono nella mia pancia.
«Mi perdoni?».
La sua voce era appena dietro di me, mentre le sue braccia mi circondarono stringendomi a lui.
Non risposi, ma mi stavo godendo quel suo abbraccio. Pur cercando di apparire indifferente.

«No» dissi infine, dopo una manciata di secondi.
Lo sentii sbuffare, poi le sue braccia sparirono da me e lo sentii allontanarsi.
Si alzò in piedi e, venendomi di fronte, mi prese le mani facendo alzare anche me.
Poi mi guardò a lungo negli occhi, e io sostenni il suo sguardo.
«Tu non sei arrabbiata» disse poi aprendosi in un sorriso.

«Invece sì» ribattei.
«Invece no» rispose lui artigliando le tasche dei miei jeans e tirandomi bruscamente contro di sé.
Alzai istintivamente le mani, appoggiandole sul suo petto.
Lui avvicinò il viso al mio ma io, reggendo il mio gioco, mi scostai evitando le sue labbra.

Gabriele alzò il sopracciglio e mi guardò, studiandomi.
«So io cosa ti ci vuole».
E prima che potessi pensare a qualsiasi cosa mi ritrovai sulla sua spalla a mò di sacco di patate.
«Ehi» esclamai aggrappandomi alla sua vita.
«Non ti conviene giocare con me, cara» disse semplicemente lui.
«È bello giocare con te» risposi io.

Lui non rispose ma si avviò verso una macchia di erba non tagliata. Era abbastanza alta.
«Cosa hai intenzione di fare?» chiesi arresa al suo controllo.
«Questo» rispose entrando in quel pezzo di prato e scaricandomi nel mezzo dell'erba.
Fece per tornare indietro ma mi aggrappai alla sua gamba e tirando lo feci cadere sopra di me.
Lui instintivamente mise giù le mani cercando di non finirmi con tutto il peso addosso.
«Dove pensavi di andare?» chiesi sorridendo soddisfatta.

«Mah, a trovare qualcun'altra da baciare» rispose con aria seria.
Lo guardai rendendomi conto che probabilmente non avrebbe mai avuto problemi in quel senso. E ripensando che poteva stufarsi di me da un momento all'altro.
«Io..» balbettai «No-non...».
Lui probabilmente vide la paura nei miei occhi «Ehi, stavo scherzando».
La sua mano si posò dolcemente sulla mia guancia «Elisa, non c'è nessun'altra che vorrei baciare».

Guardai le sue labbra avvicinarsi. Stavolta non mi tirai indietro, anzi. Desideravo sentirle sulle mie.
Mi baciò, mentre io lo stringevo a me. Sdraiati in mezzo all'erba alta, sotto il sole.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 - Doppia sorpresa ***


Arrivai a casa dopo un pomeriggio passato in compagnia di Stefano. Era sabato. Precisamente un sabato sera di fine Novembre.

Salutai mamma e papà, poi salii velocemente di sopra per cambiarmi e tornai di sotto a cenare.
Aiutai la mamma a mettere in tavola le ultime cose, dopodiché mi sedetti al mio posto.
E solo allora notai che sotto al mio piatto era nascosta una busta.

Aspettai che mamma e papà si sedessero, poi la tirai fuori e me la rigirai in mano.
«Cos'è?» chiesi, cercando di immaginare cosa potesse contenere. Era una semplice busta bianca, nessuna scritta all'esterno.

«Oh, aprila e vedrai!» rispose mamma guardandomi e sorridendo.
Aprii piano la busta ed estrassi il contenuto.
Era un biglietto.
Un biglietto aereo! Per Milano.

Lo guardai senza parole, poi alzai gli occhi e guardai i miei genitori, prima uno e poi l'altra.
«L'avete preso voi?» chiesi felice all'idea di riabbracciare finalmente mio fratello.
«Sì, insieme a Marco» rispose papà.
«Grazie!» dissi allora, rimettendo il biglietto al sicuro nella busta.
«Quindi dopo cena fila a farti la valigia» aggiunse mamma.
«Cosa? Domani?» chiesi stupita. Non avevo letto l'orario prima.
Lei annuì «Domani mattina».

Mangiai mentre l'eccitazione mi riempiva dalla testa ai piedi.
Non vedevo l'ora!

Finita la cena filai subito in camera e dopo aver recuperato una valigia cominciai a preparare le cose da portare via.
Poi decisi che avrei dovuto avvisare Gabriele, non potevo farlo per messaggio dicendogli "scusa sai, domani me ne vado". Mi avrebbe lanciato un avada kedavra appena fossi tornata...

Ci pensai un po'.
Era andato con i suoi amici a una festa in un bar del centro, dove mettevano anche musica.
Alla fine decisi che gli avrei fatto una sorpresa. In realtà mi aveva anche chiesto se volessi unirmi a loro, ma io avevo detto di no.
Ora però avevo voglia di dargli subito questa bella notizia!
Certo, sarei stata distante da lui, ma mio fratello mi mancava da morire. Volevo passare del tempo noi due da soli.

Mi cambiai, mettendomi un paio di jeans e una felpa, poi mi infilai le scarpe e recuperai la mia borsa.
Di sotto presi la giacca, indossandola, poi chiesi in prestito la macchina al papà.
Non sarei tornata tardi.
Dopotutto l'indomani avrei dovuto svegliarmi presto per prendere un aereo.

Parcheggiai e scesi dalla macchina, avviandomi verso l'entrata da dove giungeva già la musica ad un volume abbastanza forte.
Entrai e mi guardai intorno, cercando di individuare Gabriele e i suoi amici.
Quando finalmente li vidi, andai verso il loro tavolo.
«Ciao Elisa!» esclamò Daniel vedendomi.
«Ciao!» risposi, mentre lui mi faceva posto sulla panca.
Mi guardai intorno, c'erano anche Matteo e Tommaso. Ma di Gabriele nessuna traccia.
«Gabriele?» chiesi.
«Era qui, è sparito un attimo fa di là» rispose Tommaso indicandomi l'altra stanza oltre il bancone del bar.
«Torno subito» dissi alzandomi, poi mi avviai di là cercandolo tra la gente.

Lo individuai grazie ai suoi capelli e alla sua statura. Mi avvicinai, facendomi spazio tra ragazzi già mezzi ubriachi.

E vidi l'ultima cosa che avrei mai voluto vedere.

Rimasi incredula a guardare, mentre dentro di me sentivo crollare tutto.
Poi finalmente riuscii a staccare gli occhi da quella scena: il mio ragazzo che baciava un'altra. E non un'altra qualunque. Ma "quella" altra.
E capii tutto.
Quella volta al bar, quella maledetta foto, e stasera.
Mi sentii una stupida mentre mi facevo di nuovo spazio per tornare indietro, cercando di trattenere le lacrime che premevano per uscire.
Raggiunsi in fretta l'uscita e spalancai la porta, uscendo a prendere aria.

Mi fermai vicino al muro, cercando di convincermi che andava tutto bene.
Ma non andava tutto bene. Per niente.
Mi sentivo vuota.
«Stai bene?».
Mi voltai trovando un Daniel preoccupato ad un passo da me.
Scossi la testa.
«Cos'è successo?» chiese cautamente.
«Niente» risposi. Mi staccai dal muro e andai verso la macchina, mentre una lacrima riusciva a scappare al mio controllo. Seguita da altre.

Qualcosa si serrò intorno al mio polso, fermandomi.
«Ehi, perché stai scappando?» chiese facendomi voltare.
Vide il mio viso, e sicuramente anche le mie lacrime.
Strattonai il polso, cercando di liberarmi. Volevo andarmene da lì e dimenticare quello che avevo visto.

«Daniel» dissi, cercando di dare alla mia voce un tono normale. Ma quello che mi uscì non era proprio per niente un tono normale.
«Per favore, lasciami andare» aggiunsi abbassando la voce, stanca di tutto.
Ma lui non mi lasciò andare, anzi strinse le braccia intorno a me, abbracciandomi.
«Cosa ti ha fatto?» mormorò.
«Niente, non ditegli che sono stata qui» risposi. E appena mi lasciò corsi alla macchina e tornai a casa.

Non so come, riuscii a salutare i miei senza far loro sospettare nulla. Salii in camera e mi cambiai infilandomi il pigiama, poi spensi il telefono e lo lasciai sulla scrivania.
Infine ricontrollai la valigia, anche se per come mi sentivo avrei potuto benissimo buttarmi dalla finestra, e preparai le ultime cose.
Il tutto mentre lacrime silenziose continuavano a rigarmi le guance. Malgrado cercassi di non pensarci quell'immagine continuava a vorticarmi in testa.
Come aveva potuto farmi questo?

Io non riuscivo a spiegarmelo. Tra noi non era cambiato niente, e io non potevo credere che lui si incontrasse di nascosto con un'altra. Lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere, o sì?
Mi presi la testa tra le mani, poi mi infilai sotto le coperte e spensi la luce.
Volevo solo dimenticare tutto e svegliarmi scoprendo che tutto questo non era successo.

E riecco le lacrime.

Non sarei mai riuscita a dormire così.
Mi alzai, presi l'ipod e mi infilai le cuffie. E feci partire l'unica canzone che sapevo mi avrebbe fatto stare meglio, Happy Ending.
Impostai la ripetizione e tornai a sdraiarmi ascoltandola decine di volte, finché mi fui calmata un po'.
Spensi la musica e tolsi le cuffie, sistemandomi per dormire e finalmente sentii che sarei riuscita ad addormentarmi.

-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-:-

Appena mi svegliai spegnendo la sveglia mi tornò in mente tutto. Ma stavolta mi sforzai di pensare che presto avrei visto Marco e riuscii ad alzarmi.
Feci colazione, mi vestii e controllai di aver preso tutto quello che mi sarebbe servito.

Un paio d'ore dopo finalmente riabbracciai Marco.
Arrivammo a casa sua già immersi in una piacevole chiacchierata che mi fece dimenticare, almeno per un po', i miei problemi.
Mi fece sistemare nella stanza degli ospiti, piccola ma carina, dove ero stata anche l'anno prima quando ero venuta a trovarlo.
Sistemai le mie cose, poi finalmente mi decisi ad accendere il cellulare.
Dovevo chiamare a casa per dire che ero arrivata, che ero sana e salva, eccetera eccetera.
Ma finora era rimasto spento perché non volevo nemmeno vedere il nome di Gabriele, la verità era che non sapevo cosa avrei fatto e quel viaggio era la cosa migliore che potesse capitarmi in quella situazione.

In realtà dovevo ancora capire come mi sentivo. Ero ferita, ma anche arrabbiata. Il mio cuore era a pezzi, ma la mia mente cercava di sistemare tutto dandomi le mille opzioni possibili sulla scena che avevo visto. La maggior parte delle quali, però, implicava una relazione tra i due. E solo a pensare a una cosa del genere mi saliva una tristezza infinita.

Ignorai i messaggi e le chiamate perse di Gabriele e chiamai subito a casa.
Ma alla fine della telefonata mi arresi e li aprii.

"Buonanotte, Piccola Solitaria ❤"

Questo era il primo, me l'aveva sicuramente mandato la sera prima quando io già avevo spento tutto, e lui non sapeva niente.
Alla fine allora Daniel mi aveva ascoltata!

"Buongiorno, amore. Passiamo del tempo insieme oggi?".

Il secondo. Mandato quella mattina.
Lo fissai, poi mi sentii salire la rabbia.
Come poteva anche solo pensare di baciare un'altra e il giorno dopo stare con me come se niente fosse?

Alla fine aprii anche il terzo.

"Elisa, perché non mi rispondi?
Comunque se ci sei sto venendo a casa tua!"

Sorrisi amaramente. No, non c'ero.
E anche se avesse chiesto spiegazioni ai miei genitori, loro non ne sapevano niente.
Ma lui aveva sicuramente saputo della mia partenza. Questo spiegava il messaggio successivo.

"Non capisco cosa sia successo, perché te ne sei andata senza dirmi niente?
Ti prego, sto impazzendo per cercare di capire. Rispondimi, Piccola Solitaria. Ti amo."

Feci una smorfia e uscii dai messaggi, ma subito il cellulare iniziò a suonare.
Lo lasciai suonare per un po', ma alla fine, visto che non si arrendeva, risposi.

«Pronto?».
"Finalmente! Ciao piccola". Sentii il suo tono sollevato.
«Ciao» risposi con tono neutro.
"Perché finora non mi hai risposto? Stai bene?".
«Perché avevo spento il telefono e non volevo parlarti. E no, non sto bene» risposi sputando fuori la verità.
"Non volevi parlarmi" ripeté "Cosa è successo? Ieri andava tutto bene".
«Andava tutto bene sì, prima di vederti baciare un'altra» risposi mentre mi saliva un groppo in gola.
Lo sentii trattenere il fiato e poi imprecare.
«Per favore, lasciami in pace Gabriele» aggiunsi mentre tornavano a scendermi le lacrime. Sentire la sua voce era ancora più doloroso.
Chiusi la telefonata e lasciai il telefono sul comodino.

Mi asciugai le lacrime e uscii dalla stanza, andando a prendermi un bicchiere d'acqua.
«Allora? Contenta di essere qui?» chiese Marco, incrociandomi in cucina.
Annuii, ma lui mi guardò meglio.
«Ehi, cosa succede Eli?» chiese mentre la sua espressione da tranquilla diventava preoccupata.
«Niente, Marco. Lascia stare» risposi versandomi l'acqua.
Ma i suoi occhi erano ancora puntati su di me «C'entra Gabriele?».
Mi girai a guardarlo, poi riportai lo sguardo sul mio bicchiere e bevvi.

«Qualsiasi cosa sia vedrai che si sistemerà ok?» disse venendo ad abbracciarmi.
Mi aggrappai a lui, mai come in quel momento avevo bisogno di un suo abbraccio.
«Non ne sono sicura» mormorai in risposta.
«Io sì, non voglio dover uccidere il mio migliore amico».
«Tu non lo ucciderai» risposi stringendolo forte a me.
Volevo sentirmi al sicuro, e tra le sue braccia lo ero. Lui non mi avrebbe mai fatto del male.

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E rieccomi qui, con un nuovo capitolo! Ormai siamo quasi alla fine, mancano quattro capitoli soltanto e questa storia sarà completa. *le scende una lacrimuccia*

Approfitto di questo spazio per ringraziare voi tutti che leggete, chi ha recensito, chi ha inserito la storia tra le preferite o le seguite... Grazie davvero, per me significa molto!

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 - Qualcuno di speciale ***


Ero a Milano da due giorni.
Marco mi aveva portata in giro, cercando di farmi stare meglio. Anche se era una cosa alquanto difficile.

In questo momento stavamo rientrando dopo un giro per i negozi. Avevo trovato un paio di belle cosine, e il mio umore era leggermente migliorato, almeno rispetto ai giorni precedenti...

«Eli, dopo pranzo ho un appuntamento. Se vuoi puoi venire con me, mi dispiace lasciarti sola qui» mi avvisò Marco, appena entrammo nel suo appartamento.
«Tranquillo, troverò qualcosa da fare» risposi appoggiando per terra i sacchetti.
«È solo oggi pomeriggio, poi per i prossimi giorni sarò completamente libero per la mia sorellina».
«Non sono più tanto "ina" ormai» risposi sorridendogli.
Lui sospirò «Lo so»

Andai lì e lo abbracciai «Ti voglio bene, Marco».
Lui rispose alla stretta «Anche io ti voglio bene, Elisa».
«Sono felice di essere qui con te, mi mancava passare del tempo insieme» aggiunsi.
«Mancava anche a me, il tempo passa così in fretta e gli impegni sono sempre tanti. Vorrei poter riuscire a tornare a casa più spesso».

Sciolsi l'abbraccio e portai i sacchetti in camera, sistemando le cose che avevo comprato. Poi tornai ad aiutare mio fratello a preparare il pranzo.
Ma il tempo passò e prima che ce ne accorgessimo era già ora che Marco uscisse per il suo impegno.
Lo rassicurai dicendo che non mi sarei sentita sola e avrei trovato qualcosa da fare, anche se lui pareva comunque restio a lasciarmi da sola.

Inizialmente mi sistemai sul divano a guardare la tv, ma dopo un po' mi stufai non trovando niente che mi interessasse. Quindi presi in mano il telefono, ma quello era pieno di chiamate perse di Gabriele e messaggi che non volevo nemmeno aprire. E ricominciai a pensare a lui, cosa che non mi faceva per niente bene.

Sbuffai e mi alzai dal divano, mi infilai le scarpe e mi preparai per uscire. Avrei fatto un giro per la città, sicuramente meglio che stare in casa a intristirsi e piangersi addosso...
Girai per le strade che poco poco, ma avevo imparato a conoscere. Camminai guardando la gente e sbirciando le vetrine, finché non mi imbattei in una libreria. Entrai ammirando il bellissimo posto, gli scaffali ricolmi di libri e un silenzio quasi alieno.
Salutai la signora dietro alla cassa e cominciai a scorrere i titoli dei libri. Ne trovai tre che mi ispiravano davvero molto, non potevo lasciarmeli scappare. E poi non mi ero portata via nessun libro, ma leggere mi avrebbe aiutata a dimenticare per un po' le mie preoccupazioni.
Andai alla casa e pagai i libri, che la signora sistemò in un sacchetto, porgendomelo.

Le augurai una buona giornata, poi uscii di nuovo nella vita frenetica della città, che sembrava non intaccare quel piccolo posto da cui ero appena uscita.
Camminai un altro po', poi decisi di fermarmi su una panchina, sotto agli alberi, in una via piuttosto tranquilla. Mi guardai intorno e soltanto allora realizzai di non esserci mai stata.

Estrassi un libro dal sacchetto e iniziai a perdermi in quelle parole.
Alzai la testa solo quando sentii il mio nome. Probabilmente non stavano chiamando me, ma reagivo sempre istintivamente al suono del mio nome.
Invece una figura era proprio ferma davanti a me. Quando realizzai chi fosse il mio cuore cominciò a battere forte. Ero sorpresa.

«Ciao!» salutò lui.
«Ciao Mika!» risposi cercando di trattenere la gioia.
Lui si sedette al mio fianco «Non ero sicuro fossi tu. I mean, non sapevo fossi a Milano».
«Sono venuta a trovare Marco, starò ancora qualche giorno credo» risposi chiudendo il libro e riponendolo nel sacchetto.
Si guardò intorno «È qui?».
«Oh no, sono da sola. Oggi aveva un impegno, allora sono uscita a fare una passeggiata anche se credo di non sapere dove sono finita».
Lui rise «Ti posso accompagnare io, ormai conosce bene Milano».
«Sicuramente più di me. Come stai?» chiesi.
«Benissimo, tu?».
«Più o meno» risposi abbassando lo sguardo.
«Hey, se hai volia di parlare, sono qua» disse sfiorandomi il braccio.

«Ti ricordi Gabriele, quello che ti aveva mandato il video di Happy Ending?» dissi cominciando dall'inizio, mentre fissavo le mie mani.
Lui annuì «Il tuo profesore, che io pensava fosse il tuo fidanzato».
A quelle parole alzai gli occhi su di lui e feci una smorfia.
«Ah!» esclamò facendomi sobbalzare «Voi due adeso state insieme! Io lo sapeva».
«Stavamo» lo corressi, poi aggiunsi «Credo».
«Oh, cosa ha successo?».
Mi presi una ciocca di capelli tra le mani e cominciai a giocarci nervosamente.

«L'ho trovato che baciava un'altra» risposi alla fine abbassando il tono di voce. Come se in quel modo potesse non essere successo davvero.
Il suo braccio circondò le mie spalle «Per quelo sei scappata qua?».
«Sarei venuta lo stesso, ma questo viaggio mi ha fatto comodo» risposi mordendomi il labbro.
«Avete parlato?» chiese ancora.
Scossi la testa «Per telefono, ma poi non gli ho più risposto. Mi faceva stare male».

«Dovresti parlare con lui, Elisa. Forse quelo che hai visto c'è un motivo, scappare non è buono».
Sospirai «Lo so, ma non voglio parlargli per telefono».
«Lui ama te, io lo sa».
«Ma non lo conosci, non l'hai mai visto» replicai scettica.
«Oh, si capisce. I mean, lui non chiamerebbe tanto altrimenti» concluse guardandomi negli occhi.
Annuii.

Poi guardai l'orologio «Forse meglio che torni a casa, che se arriva Marco mi da' per dispersa».
Mi alzai e presi il sacchetto con i libri.
Lui rise, poi mi imitò «Posso venire con te?».
«Certo! Così saluti Marco... E ci facciamo qualche foto».
La sua risata fu bellissima «Sure».

Arrivati all'appartamento, lo feci salire e poi accomodare.
Di Marco non c'era ancora l'ombra, perciò gli offrii da bere e come avevo proposto facemmo qualche foto.
Avevo appena appoggiato giù il cellulare quando suonò il campanello.
«Oh, Marco è arrivato!» esclamai saltando in piedi e raggiungendo la porta.

La aprii, ma rimasi di sasso.
Quello non era Marco!
Ci guardammo per qualche secondo, poi lui mi rivolse la parola.
«Ciao, Elisa».
«Ciao» risposi spiazzata dalla sua presenza lì.
«Posso entrare?» chiese indicando dietro di me.
Mi spostai e lo lasciai passare, poi richiusi la porta.

Tornai al divano, pensando a cosa fare.
«Penso tu sappia chi è lui» dissi guardando timidamente gli occhi azzurri.
Poi spostai subito lo sguardo su Mika «Mika, lui è Gabriele».
Mika sorrise, poi si salutarono stringendosi la mano.
«Mi sei mancata» mormorò tornando a guardarmi.
«Perché sei qui?» chiesi.

Lui si passò una mano tra i capelli, poi guardò Mika e tornò a guardare me.
«Lo sa già» dissi.
«Ecco, penserai che sono uno stronzo vero?» chiese girandosi verso di lui.
L'altro scosse la testa «Vado à la toilet, così potete voi parlare».

«Elisa, cosa hai visto esattamente quella sera?» chiese Gabriele, appena Mika fu fuori dalla stanza.
Lo guardai sbalordita. «Tu e la bionda che vi baciavate. È già stato brutto abbastanza, me lo vuoi far imprimere meglio?» chiesi mentre mi saliva la rabbia.
Lui scosse la testa «Hai visto anche che la respingevo?».
Feci per ribattere, ma poi mi soffermai su quelle parole «No, tu la stavi baciando. Ne sono sicura».
Lui sospirò «Lei è Nicole».

«Quella Nicole? La tua ex?» chiesi stupita.
Lui annuì.
«E da quando vi vedete esattamente?» chiesi lasciando cadere tutti i limiti che di solito mi imponevo.
«Non esco con lei, se è quello che intendi» rispose con tono duro. «Ci siamo visti qualche volta, è una mia collega adesso. Io amo te!».
«E allora perché la baciavi?» ribattei alzando la voce e cercando di trattenere le lacrime.
«Se avessi visto tutta la scena, avresti anche visto quando l'ho respinta. Perché per qualche motivo lei mi si è buttata addosso e io non me lo aspettavo per niente. Appena me ne sono reso conto l'ho allontanata, e le ho anche detto che ho te e che con lei è finita tempo fa».
«Come faccio a crederti?» chiesi abbassando la voce, più chiedendolo a me stessa che a lui «Io vi ho visto insieme, sembravate una coppia».

Lui si avvicinò a me. «Perché non me l'hai detto? Potevi chiedermi qualcunque cosa» mormorò stupito.
«Perché non me l'hai detto tu? Invece di tenermelo nascosto... E comunque avevo paura».
Mi si avvicinò, fino a stringermi tra le sue braccia «Elisa, d'ora in poi ci diremo tutto ok? Ho sbagliato, lo so. E credimi, se avessi saputo che eri lì ti sarei corso dietro subito. Non avevo idea che tu fossi stata là».
«Ho detto agli altri di non dirti niente» confessai «Ma non arrabbiarti con loro».

«Perdonami, ti prego» sussurrò nel mio orecchio.
Strinsi le braccia intorno a lui, mentre qualche lacrima mi rigava le guance.
«Lei non significa più niente per me, ma tu sì, non posso permettermi di perdere te per una cazzata».
«Ho avuto paura» singhiozzai.
Lui, se possibile, mi strinse più forte.
«Mi dispiace, Piccola Solitaria. Vorrei tornare indietro ed evitare quello che è successo».

Sciolsi l'abbraccio, allontanandomi da lui.
«Ti piace ancora?» chiesi facendomi coraggio.
«Cosa? No» rispose guardandomi.
«Non ne sono sicura» replicai dandogli le spalle e andando a prendermi un bicchiere di acqua.

In quel momento Mika tornò nel salotto, e nello stesso istante la porta d'ingressi si aprì mostrandoci Marco.
Si guardò intorno «Ohi, cos'è questa folla?».
Poi avanzò in salotto «Eli, organizzi feste in mia assenza?» chiese scherzando.
«Sì, non vedi? Siete le mie tre persone preferite!» risposi voltandomi verso di lui, che ovviamente notò subito il mio viso.
«Cosa...?» cominciò a chiedere.
«Niente, è tutto a posto. Forse».

Mi scrutò, poi posò gli occhi su Gabriele «Gabs, io ti voglio bene...».
«Marco» lo interruppi «Lascia stare per favore, mi arrangio io».
«Ok, ma c'è troppa tensione qui. E tu, Mika? Mia sorella ti ha rapito?».
L'altro sorrise.
Io arrossii «Dai Marco!».
«Ci siamo incontrati in giro per Milano, abbiamo parlato un po'» rispose Mika facendomi un sorriso.
«Allora hai fatto bene a non venire con me» mi disse, poi si rivolse a Mika «Sei capitato al momento giusto, sono sicuro che solo vedendoti si sia sentita meglio, sempre se non è svenuta».
«Sono ancora qui, ma mi farebbe piacere se mi ignoraste».

«Ah, ma io deve andare!» annunciò all'improvviso Mika guardando il cielo già scuro dietro la finestra.
«Ciao Elisa» disse avvicinandosi a me e abbracciandomi.
«Ciao Mika, grazie di tutto» risposi quasi commossa dalla sua dolcezza.
Salutò anche gli altri con una stretta di mano, soffermandosi da Gabriele e sussurrandogli qualcosa che sfortunatamente non riuscii a sentire.
Lo salutai un'ultima volta, poi lui sparì al di là della porta, lasciando noi tre soli nella stanza.

«Io preparo la cena, voi andate pure a risolvere la cosa. Gabriele rimani qui stanotte?» disse mio fratello.
«Se per voi va bene» rispose l'altro.
«Ovvio» replicò allora Marco.
«Grazie Marco» rispose Gabriele, poi mi prese la mano portandomi in camera.

«Io amo te Elisa, se non ti volessi bene, se non ti amassi non avrei passato ogni momento libero per cercare di contattarti, non avrei controllato ossessivamente i voli in partenza per Milano cercando di prendere un biglietto per il primo posto disponibile...» cominciò incatenandomi nel suo sguardo.
«Lo so, ma facciamo un esempio: se Tommaso avesse intenzione di baciarmi, me ne accorgerei subito. Lo vedrei avvicinarsi e avrei tutto il tempo di fermarlo, se lo volessi».
Vidi la sua mascella indurirsi.
«Avresti potuto fermarla» aggiunsi.
«Sì, cazzo, avrei dovuto fermarla. Pensi che non me lo stia ripetendo da domenica mattina?» ribatté alzando il tono.
«Non l'ho fatto. Non ho avuto la prontezza di riflessi per reagire in quei cinque secondi, e la colpa è mia. Ne sono consapevole, ho lasciato che si mettesse tra noi due... Ma credi davvero che avrei voluto fare a te una cosa che proprio lei ha fatto a me?».

Lo guardai, rendendomi conto di quanto questa situazione lo stesse stressando. E di quanto stesse stressando anche me.
«No. Ma non so più cosa credo».
«Ti assicuro che non ho provato assolutamente niente, e ho messo ben in chiaro le cose con lei» concluse Gabriele.
«Va bene» risposi stancamente, poi mi avvicinai a lui e mi appoggiai al suo petto, cingendolo con le braccia.

«Questo significa che mi perdoni?» chiese ricambiando la stretta.
«No, significa che non ho più voglia di litigare oggi» risposi chiudendo gli occhi.
«Troverò il modo di farmi perdonare, Piccola Solitaria, te lo prometto».

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 - Perdono o no? ***


Dopo cena, durante la quale me ne ero rimasta in silenzio persa nei miei pensieri, ci sistemammo sul piccolo divano a vedere un po' di tv.
Mi appoggiai a mio fratello, mentre cercavamo qualcosa di bello da vedere.
Ma mi sentivo osservata. Gabriele continuava a guardarmi, alternativamente alla tv.

Mi voltai verso di lui, notando la sua espressione. Cercava di non darlo a vedere, ma ormai lo conoscevo bene e capii subito che non era tranquillo.
Lui non era tranquillo, ma io mi sentivo ancora ferita a causa del suo comportamento.

E mi costava non poca fatica stargli distante e cercare di non fiondarmi tra le sue braccia.
Alla fine sospirai e allungai la mano verso la sua.
Sbirciai il suo viso, era comparso un piccolo sorriso mentre intrecciava le sue dita alle mie.
Ma la mossa che fece dopo mi arrivò dritta al cuore. Sollevò le nostre mani, avvicinandole al suo viso, e subito dopo le sue labbra si posarono sul dorso della mia mano.
Non potei non girarmi a guardarlo...

I nostri sguardi si trovarono, e si tennero stretti.
Avevo voglia di farmi stringere dalle sue braccia, ma allo stesso tempo ero restia a farlo finché non fossi stata assolutamente certa della situazione.

Ci guardammo per qualche secondo, poi i nostri occhi tornarono a puntarsi sulla tv.
Tornai a concentrarmi sul film, fino alla fine. Ma nel momento in cui comparvero i titoli di coda lasciai la mano di Gabriele e mi alzai.
«Vado a cambiarmi» annunciai andando in camera.

Dovevo cambiarmi, sì. Ma avevo anche bisogno di qualche momento per schiarirmi le idee.

Mi infilai il pigiama, mentre la mia mente mi faceva ripensare a tutti gli avvenimenti di quel giorno. Ripassai mentalmente il discorso avuto con Gabriele, poi riflettei cercando​ di capire cosa avevo intenzione di fare.

Tornai in salotto una decina di minuti più tardi. Salutai Marco che se ne stava andando a dormire, poi mi concentrai su Gabriele che stava sistemando i cuscini del divano.
Lo guardai perplessa. «Hai intenzione di dormire lì?» chiesi.
Lui si drizzò e mi guardò «Sì».

Ci riflettei per qualche istante, poi mi avvicinai a lui. Gli presi la mano «Puoi dormire con me».
Lui mi scrutò «Sei sicura?».
«Certo che sono sicura, dovrai solo convincermi che lei davvero non ti piace più... Ma io sono più che sicura di amarti» risposi.
«Elisa, te lo giuro su tutto quello che vuoi. Non ho provato assolutamente niente nel rivederla, e nemmeno durante il bacio. E sicuramente non sarei qui se mi piacesse un'altra» disse catturandomi nel suo sguardo.
Poi aggiunse «Ti amo».

Gli lasciai la mano, per allacciarla insieme all'altra dietro il suo collo.
Le sue braccia si strinsero possessive intorno al mio corpo, mentre i nostri visi si avvicinarono istintivamente fino a permetterci di far combaciare le nostre labbra.
Mi erano mancati i suoi baci, mi erano mancati i suoi abbracci... Mi era mancato lui. Da morire!

Non so quanto rimanemmo a baciarci, lì in mezzo al salotto, dove mio fratello sarebbe potuto entrare da un momento all'altro. E noi eravamo così presi che non ce ne saremmo nemmeno accorti.
Ma lui non entrò, e le nostre labbra continuarono a cercarsi e a trovarsi.

Finalmente riuscimmo a fermarci abbastanza per riprendere fiato e renderci conto che c'era un mondo intorno a noi.
Appoggiai la testa sul suo petto, sempre tenendolo stretto a me, e rimasi lì ad ascoltare il battito rassicurante del suo cuore.
Rimanemmo entrambi in silenzio, mentre il suo mento si appoggiava alla mia tempia.

Mi sentivo di nuovo al sicuro.
Ed era sconcertante sapere che colui che riusciva a farmi sentire così protetta fosse riuscito, anche se per pochi giorni, a farmi stare tanto male.
Aveva un potere su di me che era bello, sì, ma pericoloso!

Una volta in camera mi infilai sotto le lenzuola, aspettando che lui si cambiasse.
Nel frattempo mi arrivò un messaggio completamente inatteso: Daniel mi chiedeva se le cose si erano risolte tra me e Gabriele.

Quel ragazzo faceva tanto lo spavaldo, ma era anche incredibilmente premuroso e gentile, come avevo potuto constatare.
Quel suo abbraccio in quella fatidica sera non me lo sarei mai scordato.

Gli risposi che la situazione si era abbastanza stabilizzata, ma che io ero ancora scombussolata, e le mie idee non erano per niente chiare.

In quel momento il materasso del letto si inclinò. Lanciai un'occhiata a Gabriele, che si sistemò vicino a me.
«A chi scrivi?» chiese osservandomi.
«A Daniel, mi ha chiesto come va tra noi» risposi evitando il suo sguardo.
«E cosa gli stai scrivendo?» chiese ancora.
«Che va meglio, ma sono ancora... confusa. Boh, non lo so nemmeno io cosa provo» risposi.

«Mi dispiace, Piccola Solitaria» mormorò circondandomi la vita con il braccio.
«Lo so. Ma ho capito quanto male puoi farmi, mi fa paura» confessai.

«E io ho capito che a me fa paura poterti perdere, e che non voglio mai più farti del male» replicò passandomi una mano tra i capelli.

«Quella sera ho capito che la persona da cui sarei voluta andare eri tu, ma tu eri la stessa persona da cui stavo scappando» dissi.
«Hai intorno tante persone che ti vogliono bene, non solo io e Marco. Vorrei che avessi detto a qualcuno quello che hai visto, non devi tenerti tutto dentro così».
«Non avrei potuto dirlo a nessuno, non ai miei genitori, men che meno ai tuoi amici...».
Lui corrugò la fronte «Non l'hai detto nemmeno a tuo fratello, a quanto pare».
«No» risposi «Non potevo».

«Certo che potevi dannazione, è tuo fratello».
«E si da' il caso che sia anche uno dei tuoi migliori amici. Non sarò io quella che rovinerà le cose tra voi» ribattei.
«Sei sempre troppo altruista. Mi sarei meritato una lavata di capo da Marco, ma non significa che avrebbe rotto un'amicizia di tanti anni. Dovresti fregartene di questo, pensa prima a te stessa qualche volta. Te lo meriti, Elisa!» disse passandosi una mano sugli occhi.

«Ti sei già preso abbastanza parole da me, e un mucchio di maledizioni di cui non sai niente, direi che bastano» dissi scivolando più vicino a lui e togliendogli la mano da quegli occhi meravigliosi.
Lui fece una debole risata «Vorrei prendermi a pugni da solo».
«No grazie, non lo voglio un ragazzo tutto ammaccato» risposi facendo un sorriso.

«Quindi mi hai perdonato» fece lui.
«Quasi» risposi, gli occhi fissi nei suoi.
Sentii il suo braccio posarsi sulla mia schiena, per poi farmi scendere fino ad aderire al suo petto.
«Sei una ragazza d'oro» sussurrò prima di stamparmi un bacio sulla fronte.
«E tu un ragazzo figo» risposi, facendolo finalmente ridere.

«Con questa hai rovinato un momento romantico».
«No, il momento romantico c'è ancora» replicai, poi alzai leggermente la testa e mi avvicinai alle sue labbra. Gliele sfiorai con le mie, lasciandogli un lieve bacio.
«Pensi che dormiremo prima o poi?» chiesi a bassa voce, a cinque centimetri dalla sua bocca.

«Sinceramente? Spero di no» rispose con un tono che sottintendeva altro.
Alzai gli occhi al cielo.
«Dai, che mi adori quando faccio così» aggiunse facendo un sorrisetto.
«E comunque sarebbe come prendere un biglietto di sola andata per l'inferno» disse poi, indicando verso la stanza di Marco «No, grazie».
«Io ti adoro sempre, eccetto quando baci le altre si intende» risposi mordendomi il labbro.

«Mi sono segnato a vita, vero?».
«Quasi. Non me lo dimenticherò facilmente credo».

«Ma devo tentare» mormorò prima di posarmi una mano sulla nuca e tirarmi verso la sua bocca.
Mi baciò in quel modo così travolgente, che davvero rischiavo di dimenticare le cose brutte.

«Quando devi tornare a casa?» chiesi nel successivo momento di calma.
«Non lo so, domani vedrò di trovare un volo» rispose.
«Non puoi rimanere qualche giorno?» chiesi allora.
«Meglio di no, e comunque sei venuta qui per passare del tempo con Marco, e scappare da me».

Sbuffai «La mia intenzione quella sera era di dirti che sarei venuta qui, non è colpa mia se mi si è parata davanti una scena del genere e sono stata contenta di andarmene!».
«Vorrei tornare indietro e cambiare le cose» sussurrò guardandomi con quegli occhi di un azzurro intenso.
Come potevo rimanere arrabbiata con lui, se mi guardava così?
Era umanamente impossibile!

«Quel che è fatto è fatto» sospirai. Poi aggiunsi «vedi solo di non farmi più una sorpresa del genere o ti uccido».
«Ho intenzione di farmi bastare questa cazzata per tanti anni».
«Perfetto, perché non voglio più stare così male».

A quelle parole mi strinse forte a sé, e solo allora feci caso al suo petto nudo.
«Ma siamo quasi a Dicembre e tu dormi ancora mezzo nudo?» chiesi dopo qualche secondo di silenzio.
Lui rise e lasciò la presa «Lo noti solo adesso?».
Io arrossii.
«E pensare che era una mossa per cercare di farmi perdonare» aggiunse ridendo.
«Avevo altri pensieri... Hanno funzionato più i tuoi occhi comunque. Il che è leggermente frustrante».
Lui sorrise «Perché?».
«Perché sono azzurri, bellissimi. E mi destabilizzano, giocando a tuo favore. Non è giusto!».
«I tuoi non sono da meno, Piccola Solitaria» rispose lui fissandomi.

Lo guardai, ma poi distolsi lo sguardo e mi staccai da lui.
«Secondo me è ora di dormire».
«Così? All'improvviso?» chiese stupito.
«Certo, non voglio dire altre cose di cui mi potrei pentire».
Lui ridacchiò leggermente, poi mi strinse il braccio intorno facendo aderire i nostri corpi.

Allungai la mano sul muro e spensi la luce «Buonanotte».
«Buonanotte, piccola mia» rispose lasciandomi un dolce bacio sul collo.

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 - Il fuoco ***


Sospirai.
Ero appena uscita dall'ennesimo asilo. Avevo portato il mio curriculum negli asili di tutta la zona, scuole materne e nidi. Sapevo che era abbastanza difficile che trovassi lavoro in uno di quei posti, ma provarci non mi costava niente no?

La verità era che sarebbe stato il mio sogno lavorare con i bambini, ma chi aveva voglia di studiare per altri cinque anni? Io no. Per niente.
Ma dovevo trovarmi qualcosa da fare, assolutamente.
E il primo passo era questo, magari capitavo nel momento giusto... Chissà.

Tornai alla macchina e mi avviai verso casa. Ascoltando Mika. Ovviamente!

Mi fermai ad un semaforo, perciò mollai il volante e presi a strofinarmi le mani. Erano non gelate. Di più!
Accesi il riscaldamento, continuando a canticchiare le canzoni.

Stava diventando freddo, come era giusto tra l'altro. Ormai era iniziato Dicembre e si vedevano i primi alberi di Natale illuminati nei giardino delle case.
Mi piaceva. Amavo l'atmosfera natalizia, la consideravo un periodo magico. Sebbene fossi ormai cresciuta e fossi consapevole che la magia a cui credevo da bambina in realtà non esisteva.
Ma una parte di me voleva continuare a crederci.

Forse per questo adoravo leggere e rileggere i libri di J.K.Rowling. Ogni volta era come entrare in quel mondo magico e bellissimo. In fondo avrei voluto essere davvero una strega, magari non essendo ad Hogwarts negli anni di Harry... La vedevo dura sopravvivere a tutte quelle catastrofi. E fortuna che Hogwarts era il posto più sicuro!

Comunque, tornando a noi, le cose tra me e Gabriele erano stabili. Lui stava cercando in tutti i modi di farsi perdonare. Non che si vedesse granché la differenza, era sempre stato estremamente gentile e dolce con me.
E io in realtà lo avevo già perdonato. Non mi era proprio possibile rimanere arrabbiata con lui quando evidentemente non ce n'era motivo.

Si accese la luce verde, e io ripartii diretta verso casa.

Quel pomeriggio cominciai a recuperare l'albero di Natale e i vari addobbi. Appena mamma e papà avessero avuto tempo lo avremmo decorato insieme, come era tradizione.
Sebbene la tradizione avesse voluto anche la presenza di Marco...

Avevo appena finito di sistemare gli scatoloni quando il campanello suonò, facendomi sobbalzare.
Andai ad aprire e finii per specchiarmi in quei dannati occhi azzurri.
«Ehi ciao!» lo salutai lasciandolo entrare.
«Ciao, Piccola Solitaria» rispose catturandomi in un abbraccio.
Diedi una spinta alla porta proprio mentre le sue labbra trovavano le mie.

«Come mai sei qui?» chiesi.
«Oh, sono venuto a rapire la mia bellissima ragazza».
Come era prevedibile, a quelle parole io arrossii. Nemmeno fosse stata la prima volta che me lo diceva!
Scossi la testa. Ero un caso perso...

Cercai di ignorare il fatto e tornai a concentrarmi su quel ragazzo estremamente figo, almeno secondo la mia modesta opinione.
Ma cavolo, altro che figo! Lui era dannatamente attraente, anzi, pericolosamente attraente!

«Sul bellissima avrei qualcosa da ridire, ma per il resto puoi rapirmi quando vuoi» risposi finalmente, dopo aver imposto alla mia mente di lasciarmi concentrare sulle cose importanti.
Lui incrociò le braccia sul petto e aprì la bocca, pronto a ribattere.
Io lo interruppi «So cosa stai per dire, ma possiamo lasciare perdere tranquillamente».
Lui sospirò.

«Vieni ad aiutarmi a decorare l'albero?» chiese allora, lasciando veramente perdere il discorso.
Lo guardai illuminandomi «Certo!».
«E poi devo coccolare un po' Spark, è da un sacco che non lo vedo» aggiunsi.

Gabriele inarcò il sopracciglio, rendendomi assai difficile guardare qualsiasi altra cosa che non fosse il suo viso.
«Io ti invito a casa mia e tu pensi al mio gatto?» chiese divertito «Potrei offendermi».
Risi.
Poi mi avvicinai, allacciandogli le braccia al collo «Sei geloso?».
«Io? Geloso? Quando mai...» rispose facendomi l'occhiolino.
«Peccato, volevo baciarti... Ma se sostieni di non esserlo potrei benissimo farne a meno» mormorai facendo per staccarmi da lui.

Impresa impossibile!
Le sue mani erano già salde sui miei fianchi, inchiodandomi dov'ero.
Ridacchiai guardandole. Poi tornai a fissarmi in quelle iridi azzurre, così tanto familiari.
«Baciami» disse serio.
E io non me lo feci ripetere due volte.
Accarezzai le sue labbra, sentendo il metallo freddo del suo piercing sulle mie.

Lui lasciò che facessi con calma, mentre sentivo il suo respiro accelerare sulle mie labbra.
Lo baciai, facendo scontrare le nostre lingue. Gli occhi chiusi mentre mi stringevo a lui, godendomi al contempo le sue braccia strette intorno a me.

«Avrei voluto farlo la prima volta che ti ho visto» mi lasciai scappare appena si fu ristabilita un minimo di distanza tra le nostre facce.
Lui mi guardò, e per la prima volta mi accorsi di quanto amore potesse contenere uno sguardo.

«Sono innamorato di te, Piccola Solitaria» sussurrò alzando la mano e lasciandomi una carezza sulla guancia.
«E io di te» risposi arrossendo sotto il suo sguardo intenso.
«Ma meglio andare, altrimenti rischio un'autocombustione» aggiunsi qualche secondo dopo.

Lui rise di gusto.
«Non c'è niente da ridere, anzi, è altamente frustrante».
«Ma è anche per questo che ti amo».
Alzai gli occhi al cielo «Stiamo diventando troppo diabetici, e comunque ti amo anche io».

Lui rise di nuovo, mentre io andai a prendere la borsa prima di uscire di casa.

«Ciao Spark!» esclamai appena ebbi individuato la palla di pelo spaparanzata sul divano.
Gabriele sospirò e si andò a spaparanzare sul divano accanto al suo gatto.
Lo guardai alzando il sopracciglio, poi raggiunsi il micio e lo accarezzai facendogli i grattini sulla pancia che tanto amava.

Quando alzai gli occhi trovai quelli di Gabriele a seguire ogni mio minimo movimento.
Sorrisi e mi voltai verso di lui, per poi salirgli in braccio «Sei incredibile».
Lui mi continuò a guardare, senza muoversi.
«Cosa c'è? Ti sei pietrificato? Hai visto il basilisco?» chiesi ridacchiando.
«Sei bellissima».

Come era prevedibile io arrossii. Distolsi gli occhi dai suoi e mi rifugiai sul suo petto, nascondendo il viso contro il suo collo. E allo stesso tempo inspirando e godendomi il suo profumo.

Posai le labbra sulla sua pelle, sentendolo rabbrividire al mio tocco.
In quel momento le sue braccia si mossero, andando a finire intorno a me e bloccandomi contro il suo corpo.
Alzai la testa, e subito dopo le mie labbra erano attaccate alle sue.

Ci perdemmo in quel bacio, ritrovandoci qualche minuto più tardi con le mani infilate nelle magliette altrui.
Gli accarezzai il petto, sentendo la leggera peluria sotto i polpastrelli.
Un gemito gli sfuggì da quelle labbra perfette, che subito andai a baciare.
«Dobbiamo fare l'albero» disse non appena allontanai il viso. La voce roca e incredibilmente sexy.
«C'è tempo per fare l'albero» risposi sorridendo alla vista dei suoi occhi così pieni di... Desiderio? Passione? Non lo so.

«Mi stai facendo impazzire» si lamentò mentre la mia mano seguiva il contorno dei suoi pantaloni.
«Mi piace farti impazzire» mormorai stranamente sicura di me stessa.
«Stai giocando con il fuoco, Piccola Solitaria».
«E chi ti dice che il mio intento non sia di bruciarmi?» ribattei sorridendo.

Lui mi fissò, poi strinse la presa sulla mia schiena e fece incontrare di nuovo le nostre labbra.
Ci staccammo, entrambi a corto di fiato.
«Al diavolo tutto» borbottò alzandosi e contemporaneamente tenendomi in braccio.
Era così bello vederlo perdere le sue sicurezze a causa mia!

Mi portò in camera sua, facendomi sdraiare sul letto e tenendosi sopra di me.
I suoi occhi trovarono i miei, fissandoli a lungo.
«Vuoi davvero bruciarti?» chiese lentamente.
Io annuii «Voglio te».

E fu l'ultima cosa a cui prestai davvero attenzione prima che i nostri vestiti finissero in giro per la stanza, le nostre labbra continuassero a cercarsi e la mia mente fosse annebbiata dai baci e dalle carezze.

«Ti amo».
Furono le prime parole ad essere sussurrate nel silenzio della stanza.
I nostri corpi ancora intrecciati, i nostri petti ad alzarsi e abbassarsi velocemente per ristabilire la normalità dopo quel magnifico dispendio di energie.
Ero ko. Un fantastico ko!

«Dovremmo farlo più spesso» mormorai chiudendo gli occhi e godendomi le carezze circolari della sua mano sulla mia schiena.
Sentii il suo petto scuotersi per la leggera risata.
«Non potrei essere più d'accordo» rispose.

«Ma ti rendi conto che un anno fa eravamo a scuola e adesso siamo a letto insieme?».
«Oh sì, ma sai un anno fa sarebbe stato assolutamente un suicidio finire a letto insieme» rispose.
«Tu non mi volevi un anno fa» mormorai.
«Dannazione, e invece sì, ma cercavo di convincermi di non volerti un anno fa. Mi hai reso le cose abbastanza difficili».

«Io? Chi era che mi girava sempre intorno? Che si metteva a cavalcioni su di me facendomi quasi perdere la testa...?» replicai alzando leggermente la testa per vederlo.
«Te lo ricordi?» chiese stupito e allo stesso tempo divertito.
Alzai gli occhi al cielo «Certo che me lo ricordo, come potrei dimenticare anche solo un singolo momento che abbiamo passato insieme? Eri diventato un'ossessione, non bastava vederti di giorno... Ti sognavo anche di notte!».
Lui rise, poi mi catturò le labbra nell'ennesimo bacio.

«Andiamo a fare quello per cui sei venuta?» chiese qualche minuto più tardi.
«Interessante scelta di parole» dissi ridendo «ma no, rimaniamo qua. E se ti annoi possiamo sempre fare un altro round». Gli feci l'occhiolino.
Lui mi scrutò divertito «Che ne hai fatto della mia dolce e timida Elisa?».
«Sono sempre qui, ma sto cominciando a seguire i tuoi consigli. Non voglio avere paura di quello che pensi di me, non voglio non riuscire a fare quello che vorrei con te. Sto cercando di lasciarmi un po' andare, per te e per me» ammisi arrossendo incredibilmente.

Gabriele ascoltò le mie parole, per poi stringermi in un abbraccio fortissimo.
«Quello che hai appena detto è bellissimo».
«Non so se lo hai capito, ma credo di averti perdonato. Solo, per favore, non teniamoci nascosto più niente» sussurrai aggrappandomi alle sue spalle.
«Te lo prometto».

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Capitolo 41
*** Capitolo 41 - Qualcosa di inaspettato ***


«Buon compleanno fratellone!» esclamai appena vidi Marco uscire dalla sua stanza.
«E buon Natale!» aggiunsi fiondandomi tra le sue braccia. Eh, sì. Era il giorno, o meglio, la mattina di Natale.
«Grazie Eli» rispose ancora mezzo assonnato.

Era tornato a casa una settimana prima. Quanto era bello poterlo vedere ogni giorno!
Mi stritolò in quell'abbraccio, poi io scesi a fare colazione, trovando i miei genitori già seduti a tavola.
Feci gli auguri ad entrambi e mi sedetti con loro.

Era incredibile come stesse passando veloce il tempo... Io e Gabriele eravamo insieme da quasi cinque mesi ormai, anche se c'erano stati quei due/tre giorni neri di mezzo. Ma tutto era passato, si era risolto ed io ero di nuovo felice come prima.

A proposito di Gabriele, gli risposi al messaggio che mi aveva mandato egli feci gli auguri.
Non ci saremmo visti prima di sera. Io avevo il pranzo con la mia famiglia, e lui con la sua. Era giusto che potesse passare un po' di tempo anche con loro.

Lo amavo.
Rendeva la mia vita migliore anche semplicemente guardandomi e basta.
Era in grado di farmi stare meglio solo con un sorriso, e capiva sempre cosa mi stesse passando per la testa.
Ero fortunata ad avere incontrato lui, fortunata che lui mi amasse così tanto.

Per il resto la vita continuava. Nessuna novità ancora nel campo del lavoro, ma avevo incontrato una famiglia con due bambini che aveva bisogno di una baby-sitter per tre giorni la settimana.
Ci ero già andata, i genitori erano ok, i bambini un po' vivaci, ma niente che non riuscissi a gestire.
Avevano 9 e 7 anni, più grandi di Stefano. Entrambi maschi, amanti della lotta, dei videogiochi e delle corse in bici con gli amici.

Perciò in qualche modo riuscivo a riempirmi i pomeriggi della settimana, rimaneva da trovare qualche lavoretto per la mattina.
Ero sempre con gli occhi aperti in attesa di qualche occasione.

Finii di fare colazione proprio quando Marco scese e ci raggiunse.

Dopo colazione ci sedemmo sul divano e ci scambiammo i regali.
«Il tuo Eli lo avrai stasera» mi disse Marco dopo avermi ringraziato per il suo.
«Perché?» chiesi perplessa di fronte alla sua faccia divertita.
«Perché l'ho preso insieme a Gabs, è da lui» rispose con un'alzata di spalle.
«Oh, ok» risposi, mentre già mi chiedevo cosa potesse essere, e allo stesso tempo sorridevo oer quello strano soprannome.

Dopo aver aperto i regali ed esserci messi tutti in ghingheri, come tradizione andammo dai nonni per il pranzo di Natale, trovando tutta la parentela vivace e chiassosa.
Non mancò l'enorme scorta di cibo e la solita partita a tombola, comprendente i premi più disparati.
Alla fine avevo racimolato un piccolo bottino composto di una scatoletta di smarties, un piccolo block notes e una penna.

Rimanemmo lì quasi tutto il pomeriggio, era bello passare de tempo così in famiglia...
Verso le sei tornammo a casa e subito Marco volle portarmi dal mio ragazzo per darmi quel famoso regalo.
Andai a sistemarmi un po', poi tornai in salotto e mi infilai la giacca. Marco, che nel frattempo se n'era rimasto sdraiato sul divano, fece lo stesso. Salutammo mamma e papà, salimmo in macchina e nel giro di una decina di minuti eravamo già lì.

Bussai alla porta, che si aprì dopo qualche secondo mostrandomi il mio angelo. Avessero potuto cambiare forma, i miei occhi sarebbero diventati due cuori...
Era bello, lo ripetevo sempre. Ma lui per me era davvero meraviglioso, specialmente quando si metteva così in tiro. In quei casi faceva fare le capriole al mio cuore, e anche alla mia testa, ammettiamolo.

Mi prese, tirandomi dentro, e non mi lasciò nemmeno salutarlo che le sue labbra si erano già avventate sulle mie.
Sentii mio fratello, dietro di me, schiarirsi la voce. Ci staccammo e Gabriele sorrise imbarazzato.
«Scusa, dovevo farlo. Ciao Marco!» salutò alzando gli occhi su di lui.
«Ciao amore» mormorò poi stringendomi.
«Ciao Gabriele» risposi, godendomi quelle sue attenzioni.

«Rimandate a dopo le effusioni, per favore» disse Marco divertito, entrando in casa e chiudendosi dietro la porta.
Gabriele rise e mi lasciò, intrecciando però le sue dita alle mie.

«Allora, il tuo regalo ti sta aspettando Elisa».
Mi guidò vicino all'albero di Natale, che poi quel famoso giorno eravamo riusciti a fare. Lì per terra c'era un grande pacco dalla forma allungata, più largo da una parte e più stretto dall'altra.
«Dai, aprilo!» esclamò Marco.
Gabriele mi lasciò la mano e mi fece cenno di andare.

Mi chinai e afferrai un angolo della carta rossa brillante e cominciai a toglierla. Lo scartai e rimasi immobile, senza parole.
Poi guardai i due ragazzi lì con me «È uno scherzo vero?».
«Aprila» fu la risposta di Gabriele.
Lo ascoltai e con il cuore che batteva all'impazzata feci scorrere la cerniera lungo tutto il bordo.

Era una custodia, più precisamente la custodia di una chitarra elettrica.
Guardai dentro. Era bellissima! Sui toni del rosso, ma un rosso scuro veramente bello. La accarezzai, poi mi alzai in piedi e abbracciai contemporaneamente sia Marco che Gabriele.
«Grazie, non dovevate» dissi con la voce rotta dall'emozione «È troppo, io...».
«Shh» mi interruppe Gabriele «Ti piace?».
«Certo che mi piace, è bellissima!».

«Grazie Marco» mormorai lasciando Gabriele e abbracciando mio fratello.
«Ti voglio bene sorellina».
«Anche io, tanto» risposi baciandogli la guancia.

Poi andai da Gabriele e abbracciai forte anche lui «Grazie, ti amo!».
«Di niente. Ti amo sempre di più» rispose facendomi scendere una lacrima che finora ero riuscita a trattenere.
Lui me la asciugò passandomi il pollice sulla guancia «E non piangere che devi ancora vedere l'altro».
Lo guardai interrogativa, poi mi voltai di nuovo verso l'albero dove c'era un altro pacco.
Sciolsi l'abbraccio e mi chinai ad aprire anche quello, era l'amplificatore, accompagnato dal cavo per collegarci la chitarra.

«Io non so cosa dire, voi siete pazzi. Vi voglio bene!» dissi mentre lo guardavo ammaliata.
«Sì, sono pazzo di te» rispose Gabriele facendomi un sorrisetto.
Lo guardai «Smettila, mi farai piangere».
«Sono in debito con voi per i prossimi 20 anni mi sa» aggiunsi facendo una smorfia.

«Nah, un po' di baci e qualche puntata a letto e siamo a posto» rispose Gabriele con un tono molto divertito.
Io arrossii immediatamente, Marco divenne improvvisamente serio e tirò una sberla tra quei capelli scomposti.
«Ahi, stavo scherzando» rispose quest'ultimo alzando le mani in segno di resa.
«Meglio Gabs» rispose Marco «Gli altri sono di sotto vero?».
Gabriele annuì, e Marco scomparve giù per le scale.

«Tu vuoi farti uccidere» dissi voltandomi verso quei magnetici occhi azzurri.
«Non ero serio...» rispose sorridendo.
«...o forse sì» aggiunse guardandomi fisso.
Arrossii di nuovo.

Poi, prima che potesse mettermi in imbarazzo ancora di più, presi il regalo per lui.
«In confronto a quello che mi avete regalato voi questo è niente» dissi mordendomi il labbro.
«Ehi, non importa. Il mio desiderio era di farti felice. Non mi interessa altro, davvero».
Gli porsi il pacchetto e lo guardai aprirlo.
Era una penna, di quelle professionali. Era tutta in legno pregiato con dei piccoli ornamenti laccati di oro.
«Ma è fantastica, grazie mille! Questa è proprio perfetta» esclamò poggiando la penna e il pacchetto e stritolandomi.

Gli allacciai le braccia al collo e incatenai i suoi occhi ai miei «Grazie per essere nella mia vita».
Mi avvicinai al suo viso e poggiai le mie labbra sulle sue. Gliele feci schiudere e approfondii il bacio, infilando nel frattempo le dita tra i suoi capelli un po' più lunghi del solito.
Le sue mani, prima ferme, si appoggiarono una sulla mia schiena e una sul collo, tenendomi stretta al suo corpo e alla sua bocca.

«Vieni, andiamo in un posto» disse, con la voce roca, appena ci staccammo.
«A ripagare il debito?» chiesi, un po' scherzando e un po' seria.
La sua risata mi fece sentire bene, come ogni volta. Era bello sentirlo ridere.
«No» rispose prendendomi la mano.
«O almeno, non ora» aggiunse sussurrando nel mio orecchio.
Mi vennero i brividi, un po' per il suono della sua voce, un po' per il significato della sua risposta.
«Freddo?» chiese avendolo notato.
«No» risposi arrossendo «Tu».
Lui sorrise soddisfatto della mia risposta, poi mi fece infilare la giacca, e lo stesso fece lui.

«Dove andiamo?» chiesi mentre accendeva la macchina.
«Vedrai» rispose vago.
Sbuffai e lui rise.
In quel momento il mio telefono fece un suono. Lo tirai fuori e aprii il messaggio che era arrivato.
«Oh, è Mika che ricambia gli auguri. Ha detto di farli anche a te. Che carino!» esclamai.
«Se non sapessi che è fidanzato con un uomo potrei essere geloso» rispose Gabriele.
Io risi «Dovrei farti ingelosire sul serio, magari con il tuo amico».
«Attenta a quello che dici, cara».
«Sembra una minaccia» constatai lanciandogli un'occhiata.
«È una minaccia infatti» sottolineò lui.

Lo guardai e sospirai sonoramente.
«Cosa c'è?» chiese, guardandomi velocemente prima di tornare a prestare attenzione alla strada.
«C'è che ogni volta che ti guardo mi innamoro sempre di più» mormorai ammirando il suo profilo.
«E questo ti fa sospirare?».
«Sì, perché vorrei prendere, sedermi sopra di te e baciarti di nuovo».
Fu lui questa volta a sospirare «Non tentarmi, Piccola Solitaria».

Sbuffai, provocandogli una risata, poi continuai a guardare fuori finché non fermò la macchina.
Scendemmo e ci prendemmo per mano.
Mi guardai intorno sorridendo, era il posto dove eravamo stati alla prima nostra uscita, quasi cinque mesi prima.
Ripensando a quel giorno mi veniva da ridere, ero stata così eccitata e allo stesso tempo spaventata di fronte alla sua "dichiarazione".

Per alcuni cinque mesi potevano sembrare pochissimi, ma per me erano stati perfetti insieme a lui. Era come se lo conoscessi da sempre, avevamo passato bellissimi momenti, e alcuni meno belli. Ma sempre uno al fianco dell'altra.
Lo amavo. Tanto.

«Non ci siamo più tornati da quella volta. So che è freddo, ma volevo portarti qui... Non staremo a lungo».
«È bellissimo, come quella volta» mormorai guardando il panorama mozzafiato.
«Già» rispose lui. Poi mi tirò vicino a sé «È qui che ti ho baciata la prima volta».
«Me lo ricordo bene» risposi perdendomi nei suoi occhi incredibili.
La sua mano si posò sul mio collo. Io automaticamente allacciai le braccia dietro al suo, mentre il mio cuore già accelerava.
Portò l'altra mano sulla mia schiena spingendomi contro il suo corpo e contemporaneamente unì le nostre labbra.

Mi lasciai andare a quel bacio paradisiaco, tanto che smisi di sentire il freddo. Sentivo solo la pressione della sua mano sulla schiena, la foga del bacio, la mano calda accarezzarmi la nuca e allo stesso tempo tenermi contro la sua bocca.

«Sei bellissima» sussurrò appena le nostre labbra si furono lasciate.
Sorrisi, ancora scombussolata da quelle sensazioni surreali.
«Ho qui un altro regalo per te» aggiunse estraendo una scatolina dalla giacca.
La guardai, poi guardai lui. Era nervoso, e anche pienodi speranza. Si vedeva.

Presi la scatolina, scartandola, tolsi il coperchio e corrugai la fronte perplessa.
«Sono le chiavi di casa mia» disse, rispondendo alla mia tacita domanda come se mi avesse letto nel pensiero.
«Vuoi venire a vivere con me?» chiese, poi aggiunse «Non intendo subito o tra una settimana. Quando lo vorrai tu, quando ti sentirai pronta... Dovesse essere anche tra, non so, altri cinque mesi. So solo che sono egoista e voglio averti vicino più che posso».

Quasi mi mancò il fiato a quella sua domanda, mentre la mia testa cominciava già a produrre film mentali sulla nostra vita insieme.
«Non sei egoista. Sei la persona meno egoista che conosco» risposi.
«Piccola Solitaria, ti pare il momento? Lo so che non ti ho chiesto di sposarmi, ma sai, sono un po' sulle spine» disse facendo un sorrisetto tirato.
Io sorrisi, poi mi sporsi in avanti e poggiai le mie labbra sulle sue.

«Certo che voglio venire a vivere con te».

~FINE~
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Sono commossa 😭

Ok, questo è l'ultimo capitolo di questa storia.
Ho pensato molto a come farla finire, avrei potuto allungarla e trovare altre cose da scrivere, ma credo che sarebbe diventata noiosa... poi mi è venuta un'idea e nel giro di qualche giorno il capitolo era scritto.

Spero che questa ultima puntata con Gabriele ed Elisa vi sia piaciuta. Non si sa mai, magari un giorno mi verrà voglia di riprendere in mano le loro vite e scrivere un sequel...

Questa storia ha significato molto per me, l'ho scritta in ben due anni. Due anni che sono stati complicati, a volte belli a volte brutti, ma avevo sempre questa storia in cui rifugiarmi quando ne avevo voglia.
Inizialmente è nata così, non sapevo cosa tirarne fuori, cosa sarei riuscita a scrivere... non avevo nemmeno un'idea precisa di cosa raccontare. Poi mano a mano i capitoli hanno preso forma, e spero di aver io stessa migliorato il mio modo di scrivere.

So che non è un capolavoro, ma per me è un enorme traguardo. Lo sarebbe anche se non la leggesse nessuno. Perché in questa storia ci ho messo di tutto, le mie passioni, il mio carattere, alcuni miei pensieri... Inutile dire che Elisa rispecchia in tutto e per tutto me, anche se alcuni aspetti sono più accentuati, altri meno.

Semplicemente, è stato un modo per esprimere me stessa.

Non so che altro aggiungere.
Voglio ringraziare te che stai leggendo e chi ha lasciato qualche recensione. GRAZIE!

So già che mi mancherà scrivere di Gabriele ed Elisa, ma anche di Marco e di Mika (non so se l'ho mai detto, ma amo entrambi, come artisti e soprattutto come persone ❤).

Anyway, ringrazio di nuovo tutti.
Ho scritto un papiro, perdonatemi. A presto (speriamo)! xx

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