Scarborough Fair

di Jordan Hemingway
(/viewuser.php?uid=664958)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***



Capitolo 1
*** 0 ***


Image and video hosting by TinyPic

 

 

 

Are you going to Scarborough Fair?

Parsley, Sage, Rosemary and Thyme.
Remember me to one who lives there,
He once was a true love of mine.
 
 
Regole della Fiera:
Niente imbrogli all’interno della Fiera,
niente scontri all’interno della Fiera,
niente magia all’interno della Fiera.
 
0
“Dadi truccati?” La domanda fu accompagnata da un calcio tanto violento quanto improvviso. Il colpo raggiunse Cecilia alle costole, facendola annaspare all’indietro. Fu obbligata a restare ferma dai due tirapiedi che la tenevano saldamente per le spalle. I frequentatori abituali della bisca, abbandonati i tavoli da gioco, si erano radunati attorno allo spettacolo inaspettato: risate di scherno e imprecazioni risuonavano per tutto il locale.
Chi poteva essere così ingenuo da utilizzare dadi truccati alla Fiera di Scarborough?
 
“Una ragazza deve pur prendere delle precauzioni.” Riuscì a boccheggiare la giovane donna prima di sputare un grumo di sangue sul pavimento sporco.
Una risata echeggiò dal fondo della sala. Alcuni dei presenti si spostarono, rivelando una nicchia seminascosta da una tenda di velo strappata in più punti. Una mano scostò la cortina: un uomo dai lunghi capelli neri raccolti in una bandana sedeva contro il muro coperto da cuscini e tappezzerie rovinate. Dal suo sigaro si espandevano volute di fumo dall’odore pungente che, in tutta franchezza, Cecilia trovò nauseante.
 
Il gestore della bisca, il faerie che aveva colpito Cecilia poco prima, si sentì in dovere di afferrarla per i lunghi capelli biondi. “Pensavi di avere a che fare con i tuoi amici umani?” Sibilò furente.
Cecilia sogghignò. “Al contrario: un umano non avrebbe impiegato ore per capire il trucco dei miei dadi.”
La mano con gli artigli pronti a scattare fu fermata da una presa d’acciaio.
 
“Per quanto apprezzi il tuo coraggio, Cecilia,” l’uomo della nicchia, materializzatosi all’improvviso, torse il braccio del gestore facendolo gemere di dolore prima di lasciarlo andare, “non farò eccezioni alla regola: chi bara nel mio locale deve pagare.” Con due dita percorse il viso della ragazza fino ad arrivare al mento. “In qualunque modo.” Sussurrò, esalando altro fumo verdastro.
 
“Minacciata da un Gancanagh?” L’espressione di Cecilia era puro divertimento. “Jaehem, Jaehem, che delusione: mi aspettavo incantesimi d’amore ma trovo solo fetore magico.”
“Sprecare la mia magia per una mezzosangue come te?” Gli occhi di Jaehem si assottigliarono pericolosamente. “Illusa.”
 
“O forse non sei più in grado di andare fino in fondo?” Continuò Cecilia in tono casuale. “Dopo qualche secolo deve essere normale anche per voi…” Sogghignò di nuovo. “Potresti rivolgerti a un’alchimista: conosco una persona che…”
Jaehem lasciò cadere il sigaro.
 
“Usi troppo quella lingua, Cecilia carissima. Per questo ti farò un favore e la strapperò adesso.”
La ragazza rise ancora. “Che proposta allettante. Peccato doverla rifiutare.”
E usando la presa dei due tirapiedi come perno gettò le gambe in aria, compiendo un mezzo giro fino a trovarsi alle loro spalle. Le braccia dei due, costrette in una posizione innaturale anche per due faerie, allentarono la stretta su Cecilia, che fu finalmente in grado di liberarsi e mandarli a sbattere contro un tavolo. Carte e dadi volarono in aria e ricaddero a terra, aumentando la confusione. Alcuni presenti estrassero le loro pistole.
“Fermatela!”
“Spiacente Jaehem.” Cecilia iniziò a saltare di sedia in tavolo, ribaltandoli dopo il suo passaggio. “Sai com’è, vado di fretta.” Concluse, abbassandosi giusto in tempo per evitare il proiettile che mirava alla sua testa.
La libertà era sempre più vicina ed era rappresentata da una piccola finestra nel punto più alto del muro alle sue spalle. Troppo in alto per essere raggiunto da chiunque.
 
Sorridendo, la ragazza continuò a correre e saltare nella direzione opposta, fino a raggiungere la nicchia dove poco prima era seduto Jaehem. Strappò la tenda sporca alla massima velocità possibile, dopodiché saltò ancora, questa volta sulla testa del più alto tra i suoi inseguitori e lanciò il pezzo di stoffa su uno dei piccoli lucernai appesi al soffitto.
“Prendetela!”
Troppo tardi: ormai Cecilia, preso lo slancio, aveva usato il lucernaio come molla per catapultarsi alla finestra e uscire indisturbata.

°°°



Storia partecipante al contest Dire Circumstances indetto da Sagas su EFP Forum

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1 ***


Image and video hosting by TinyPic

 

1
“Mamma, guarda lì!” Un bambino tirò la manica della madre, indicando la figura snella che saltava di tetto in altana proprio sopra le loro teste.
“E’ solo Cecilia che scappa un’altra volta, tesoro.” Replicò quest’ultima, senza alzare gli occhi dal proprio banco: con tutti quei ladri in circolazione e nessun Guardiano a vigilare decentemente come poteva sopravvivere un’onesta commerciante di amuleti?
Il vecchio coboldo della bancarella accanto si accarezzò la barba. “Mi domando chi abbia fatto arrabbiare questa volta.”
“C’è chi può permettersi di divertirsi ogni giorno e c’è chi invece deve lavorare.” Borbottò sua moglie, gettando il resto a un cliente con un’occhiata talmente truce da farlo fuggire.
 
 

Allegramente ignara di ogni pettegolezzo Cecilia salutò con la mano i bambini che strillavano frasi di incoraggiamento e continuò a correre, concedendosi il tempo per ammirare lo spettacolo della Fiera che si espandeva sotto di lei.
 
Le sfumature di rossi e marroni degli edifici addossati l’uno contro l’altro si riflettevano a fatica nell’acqua torbida degli innumerevoli canali che percorrevano la città. Piccoli ponti, a volte solo due travi gettate quasi per caso tra un muro e l’altro, permettevano il passaggio degli abitanti e dei visitatori.
 
Perché quella era la Fiera di Scarborough: ogni via e ogni vicolo erano coperti da file di banchi ammucchiati in modo caotico per sfruttare ogni spazio disponibile, al punto che da alcune finestre pendevano corde e carrucole su cui erano fissati contenitori di merce pronti per essere fatti scendere all’altezza di eventuali compratori.
Il profumo di spezie, erbe e incensi provenienti da regni lontani, lo sfavillare dei ciondoli da quattro soldi e dell’argento del vero antiquariato, le urla dei venditori d’acqua e di sabbia, i mille colori e fogge delle vesti dei visitatori intenti a contrattare questo o quell’articolo.
 
Alzando lo sguardo, Cecilia poteva vedere alla propria sinistra lo splendore del quartiere dei postriboli e della piazza dove si teneva il mercato degli schiavi, mentre più lontano, a destra, le giostre di legno e acciaio pitturate a colori vivaci e il fumo proveniente dai piccoli tendoni sotto ai quali erano distribuiti cibo caldo e bevande alcoliche.
 
In fondo, quasi un punto invisibile allo sguardo, oltre i due grandi fiumi che dividevano Scarborough in tre parti, ecco la Porta della Fiera: il limite oltre al quale era permesso il libero uso della magia.
 
Le Regole della Fiera: niente imbrogli all’interno della Fiera, niente scontri all’interno della Fiera, niente magia all’interno della Fiera.
 
Agli albori dei tempi gli Organizzatori della Fiera avevano creato una barriera per impedire l’uso libero della magia all’interno della città, assieme ad un corpo di Guardiani immune a essa incaricato di vigilare sull’ordine e sul buon andamento degli affari.
 
Diversamente, come sarebbe stato possibile far sopravvivere una tale quantità di creature magiche nello stesso perimetro? Cecilia provò a immaginare che ne sarebbe stato della Fiera senza le Regole e senza i Guardiani a farle rispettare.
Il pensiero le causò uno scoppio di risa.
Dopotutto, con o senza magia, le Regole erano fatte per essere infrante.
 
Atterrò con agilità sulla terrazza (probabilmente abusiva) di un edificio che pareva sul punto di crollare da un momento all’altro.
I raggi del sole facevano brillare la superficie dell’acqua creando riflessi colorati sui muri coperti da chiazze di muschio variopinto.
A Malvina sarebbe piaciuto quello spettacolo. Un pensiero che Cecilia si affrettò a reprimere, allacciando meglio le stringhe della sua fidata borsa di cuoio e riprendendo la corsa.
 
 

La luce del sole entrava dalle finestre ampie: perfino la polvere che volteggiava nella stanza diventava pulviscolo dorato. Pergamene e libri di ogni genere accatastati sugli scaffali; in un angolo decine di carte geografiche, arrotolate e gettate in secchi di metallo, facevano compagnia a mappamondi usurati. Se qualcuno si fosse avvicinato di più avrebbe notato che le terre e le città indicate su di essi non comparivano da nessun’altra parte, nemmeno sulle mappe più moderne della Royal Society of Geography.
 
D’altronde la persona cui appartenevano non era esattamente il prototipo dell’esploratore della Royal Society of Geography.
 
Al centro della stanza una ragazza dai capelli rossi sedeva su un cuscino buttato sul pavimento, consultando una sorta di dizionario: le pagine, sfogliate con attenzione, ritraevano erbe e piante medicinali disegnate con cura; effetti e utilizzo erano ampiamente illustrati sotto ogni immagine, corredati da note aggiunte a mano in una calligrafia minuscola.
 
La ragazza corrugò la fronte e aggiustò sul naso gli occhiali dalla montatura dorata. Con un sospiro insoddisfatto afferrò una penna d’oca e iniziò ad aggiungere un’altra nota a fianco di una pianta particolarmente elaborata.
 
“Sempre a correggere gli errori degli altri, sorella.” La voce proveniva da una delle finestre aperte. “Non ti stancherai mai?”
Un corvo si posò sul balcone.
“Senti questa: l’elleboro giapponese ha la capacità di tramortire gli animali che annusano il profumo dei suoi fiori quando invece tutti dovrebbero sapere che è una pianta praticamente innocua, mentre è la mandivora arborea che…”
Altri corvi si radunarono accanto al primo, uno accanto all’altro, così vicini da sembrare sul punto di fondersi assieme.
 
“Ti prego, risparmiami!” I corvi erano scomparsi. Una testa bionda e un viso abbronzato fecero la loro comparsa sul balcone. “Non capisco nulla ma sono d’accordo su tutto.” Rise Cecilia, e si issò all’interno.
“Lo sai che esistono le porte?”
“Malvina, lo sai che le porte sono per i vecchi”
L’altra sospirò, arrendendosi all’evidenza che, per quanto fosse la più grande delle due, sua sorella non sarebbe mai cresciuta davvero. 
°°°

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2 ***


Image and video hosting by TinyPic

 

2
Un suono secco e l’asse del tetto si sfasciò, facendo precipitare Cecilia all’interno dell’edificio e sopra un tappeto damascato.
“Atterraggio migliore del previsto.” Borbottò la ragazza, massaggiandosi la schiena.

L’arredatore del palazzo sembrava aver avuto una torbida ossessione per il cremisi: dal pavimento ligneo alle tappezzerie, perfino le luci (chiaramente non naturali) riflettevano le intense tonalità del tappeto. Qua e là il muro si apriva rivelando delle piccole alcove seminascoste da tende vermiglie.
 
“Tesoro, nessuno ti ha insegnato a usare la porta?”
Ancora sdraiata a terra, Cecilia piegò la testa all’indietro.
“Agatha.” Gli occhi argentati che la stavano fissando avevano un’espressione per niente amichevole, ma forse era solo un effetto dovuto al guardarla con la testa al contrario. “Quanto tempo.”

“Un anno, tre mesi, cinque giorni, due minuti e tre secondi.” La informò l’altra, con una piega della bocca che Cecilia non avrebbe esitato a definire sinistra (ma forse era sempre l’effetto dello stare a testa in giù).
 
La faerie scese dallo scalone e si spostò davanti a Cecilia, la quale di riflesso si mise a sedere e iniziò a retrocedere lentamente.
 
“Sai com’è: prima ti assumono in una carovana di mercenari, poi una tempesta di sabbia ti fa perdere la strada e ti ritrovi in un’oasi, dove il capo dei briganti ti parla di questa montagna proibita e…” La schiena di Cecilia urtò contro i primi gradini della scalinata coperta di tessuto damascato. Cremisi. “Circostanze difficili.” Concluse con il più sfacciato dei suoi sorrisi.
 
“Difficili.” Agatha incrociò le braccia sul petto nascosto a fatica dalla corta camicia – cremisi- che costituiva il suo unico abbigliamento. Una vista che, in altre occasioni, Cecilia non aveva mancato di apprezzare a dovere. “Di difficile vedo solo la tua uscita da qui, tesoro.” Sussurrò dolcemente.
 
Un secondo dopo aveva afferrato il collo di Cecilia e lo scuoteva violentemente. “Hai una fottuta idea di quanto cazzo costassero quei candelabri e quei tappeti che hai distrutto l’ultima volta? Ti è mai passato per quella tua testa demente il pensiero di quanto avessi pagato per quelle sedie che hai sfasciato dopo nemmeno due minuti?”
“Stavo solo… Cercando di… Salvarti dall’incendio…”
“L’incendio che tu hai provocato rovesciando i miei candelabri d’antiquariato!”
 
“Agatha, sorellina, la rabbia non ti dona.” Si intromise una voce maschile.
Di male in peggio.
In cima alle scale era apparso un faerie dai corti capelli scuri e dagli stessi occhi argentati dell’esemplare che le stava artigliando la gola.
 
“Lucas. Che piacere rivederti.”
“Non ne dubito.” Annuì quest’ultimo, osservando la scena con evidente divertimento. “Sei qui per pagare il tuo debito con la Casa, ovviamente.”
“Riguardo a questo…”
“Sono sicuro che riusciremo a trovare un accordo.” Lucas sorrise in modo sinistro. “Agatha, stai spaventando i clienti: portala in una delle camere di sopra e assicurati che non possa uscire in nessun modo.”
Si rivolse poi a Cecilia: “Sarò da te appena possibile. E avremo modo di discutere sulle modalità del tuo pagamento, interessi inclusi.” Cecilia non si sentì per nulla rassicurata. “Per il momento ti lascio alle cure di Agatha.” Concluse.
 
“Muoviti.” Mantenendo la stretta sulla gola, la faerie fece alzare in piedi Cecilia e la trascinò su per le scale. Anche se fuori il sole era ancora alto, la Casa Cremisi era già in affari, come testimoniavano i gemiti e i grugniti soddisfatti provenienti dalle porte chiuse.

“Tutto bene Cecilia?” La salutò una faerie coperta solo da un velo – cremisi- , accompagnando un cliente (il quale somigliava in modo incredibile a un gambo di sedano appassito) verso una delle stanze in fondo al corridoio.

“La situazione è sotto controllo.” Fu la risposta, resa meno convincente dall’intensificarsi della presa sulla gola che la costrinse a esalare l’ultima parte della frase.

Agatha aprì una delle porte e senza troppe cerimonie gettò Cecilia all’interno della stanza vuota, non prima di averla liberata dell’ingombro della borsa. Dopodiché girò la chiave nella serratura e la ingoiò di colpo.
“Questo dovrebbe impedirti di scappare.” Gongolò la faerie.
 
La camera era effettivamente priva di ogni possibile via di fuga: senza finestre, occupata da un grande letto a baldacchino coperto di tende –cremisi- e da enormi specchi alle pareti. Nessun mobile che potesse essere usato come ariete, nessun oggetto contundente. La prigione (o, come in questo caso, l’alcova) perfetta.
 
“E adesso,” Cecilia fu scaraventata sul letto: il viso di Agatha, le sue labbra e i suoi denti appuntiti erano molto vicini, “ fino a quando non arriverà Lucas discuteremo del perché tu non ti sia fatta viva per un anno, tre mesi, cinque giorni, dieci minuti e quattro secondi.” La informò, togliendosi la camicia.
 
 

Quel che trovò Lucas quando entrò nella stanza non era certo quel che si sarebbe aspettato.
Sdraiata sul letto privo di tende, avvolta solo da quella che pareva essere una rete di stoffa e nodi, Agatha si dimenava e gemeva di piacere a ogni movimento, la bocca anch’essa bloccata da un lembo di seta.
Di Cecilia nemmeno l’ombra.
Sconfortato, Lucas fissò la sorella. “Dove ho sbagliato con te?”
Fu in quel momento che notò qualcosa. O meglio, l’assenza di qualcosa.
I suoi occhi andarono a quelli di Agatha, che tra un gemito e l’altro gli confermò quel che aveva capito.
“Cecilia, questa volta ti ammazzo.” Sbottò Lucas uscendo dalla camera, ignorando i gemiti indignati della sorella.

 
 °°°

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3 ***


Image and video hosting by TinyPic



3
I tetti del quartiere dei postriboli, per quanto splendidi, erano inadatti a una fuga veloce, si ritrovò a pensare Ceciliau inciampando nell’ennesimo gargoyle.
I palazzi e i canali si diradavano, facendo spazio a strade più larghe che convogliavano i potenziali acquirenti verso il mercato degli schiavi di Scarborough.
 
Scappare diventava sempre più problematico, rifletté Cecilia osservando l’acqua che scorreva sotto di lei. La separazione tra Postriboli e Mercato era marcata dalla corrente del Lithes, il primo dei due fiumi gemelli da cui si generavano i mille canali che attraversavano Scarborough. L’edificio successivo si trovava sull’altra sponda, troppo distante per tentare un altro balzo.
Tuttavia forse c’era una soluzione.

Una scivolata di qualche metro sulle tegole laccate di azzurro le permise di raggiungere una grondaia non del tutto usurata dalla ruggine. Afferratala con entrambe le mani Cecilia tirò a sé il pezzo di metallo, che una volta staccato si rivelò della lunghezza giusta. La ragazza controllò che la cinghia della borsa fosse allacciata a dovere, prese la rincorsa e, facendo perno sull’asta improvvisata, saltò affidandosi a tutti gli dèi che conosceva.
 
Atterrò sul limite di un tetto piatto e imbiancato. Un magazzino, le cui fondamenta sembravano essere state costruite sul letto del Lithes. A poca distanza la piazza del Mercato si apriva di fronte a lei.
Ora avrebbe solo dovuto attraversare il quartiere e riprendere la propria corsa tra i mille vicoli di Scarborough.
“Vai di fretta, Cecilia?” La ragazza si girò e iniziò a pensare di aver pregato nel modo sbagliato.
 

Il capo della Confraternita dei Mercanti, accompagnato da una decina di guardie del corpo, era comparso sul tetto di quella che era il magazzino principale della Confraternita.
“Perché dovremmo ancora discutere i dettagli del tuo ultimo passaggio tra noi.”
“Friederik, lo sai che è stato tutto un malinteso.”
 
“Compresa,” l’altro estrasse una pergamena e si aggiustò gli occhiali sul naso, “l’intera partita di schiavi andata persa in seguito alla distruzione dei palchi per opera dell’olifante da te cavalcato.” Il tono monocorde contrastava con lo sguardo che lanciò alla ragazza.
 
“Sei sempre stata brava a metterti nei guai, Cecilia.” Un odore pungente si diffuse nell’aria, bloccandole la ritirata.
Non adesso.
Jaehem inspirò profondamente dal suo sigaro mentre i suoi uomini si disponevano a ventaglio. “E’ quasi un peccato che questa volta tu non possa uscirne.”
Come diceva sempre a Malvina, erano i guai a cercarla e non il contrario.
 

 
La stessa stanza, le stesse carte arrotolate nell’angolo: il tramonto illuminava a malapena i contorni dei mappamondi disposti sopra le librerie.
“Se cercano te allora non verranno alla mia ricerca.” Stabilì Malvina mentre verificava che i legacci della borsa fossero saldi.
“Credi sia una fiera come tutte le altre?” Cecilia aveva perso la sua solita allegria. Presa la borsa dalle mani della sorella le afferrò decisa le spalle. “Condividiamo il sangue umano di papà, ma tua madre era umana, la mia no.”
“Che differenza può fare?” Replicò Malvina. “Hai sempre detto che anche gli umani…”
Lo schiaffo la colse di sorpresa.
Cecilia strinse le labbra. “Quello non è il tuo mondo.” Sussurrò, e per la prima volta a Malvina sembrò di vedere paura negli occhi dell’altra. “Stai lontana dalla Fiera.”
Mi dispiace, sorella mia, ma non posso. Non più.
°°°

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4 ***


Image and video hosting by TinyPic

 

4
Le aste erano nel pieno del loro svolgimento: i banditori perforavano l’aria vantando le prestazioni della propria merce, i compratori strillavano le loro offerte accompagnandole con gesti di rito.
 
Il comportamento della merce, ovvero degli schiavi, variava di caso in caso: chi non si era ancora rassegnato al cambio del proprio status tendeva a piangere o a fissare la folla con aria vacua; chi aveva anni o una vita di esperienze da schiavo, una volta individuato il migliore tra i possibili compratori, cercava di invogliarlo all’acquisto aggiungendo frasi alle descrizioni sommarie del banditore, arrivando al punto da rivolgersi direttamente al compratore stesso.
 
“Guardami: non lo diresti mai che io sia in grado di sollevare dieci basti di calce con un braccio solo. E invece ne posso sollevare quindici.” Un minotauro coperto di cicatrici accompagnò la vanteria con un guizzo dei muscoli del suddetto braccio.
 
Il compratore si passo una mano sulla lunga barba brizzolata di bianco. “E dell’altro braccio che mi dici?” Indicò quel che restava del braccio sinistro dello schiavo.
 
“Un regalo della guerra.” Ammise il minotauro sospirando. “Primo reggimento, terzo battaglione: mai una sconfitta fino a quella maledetta imboscata. E dire che avevo avvisato il comandante di non attraversare quella palude…” Riportò gli occhi sul vecchio faerie. “Ad ogni modo un braccio come questo è più che sufficiente per lavorare, non credi?”
 
Un boato coprì la risposta.
Minotauro e acquirente girarono la testa: a quanto sembrava, il magazzino della Confraternita dei Mercanti era appena crollato su se stesso.
Dalla nube di calcinacci spuntò una sagoma che, dopo essersi accertata delle condizioni del proprio corpo, iniziò a correre come se avesse alle spalle l’intera Confraternita.
La qual cosa era tristemente vera.
 
 

“Portatemela viva.” Ordinò tranquillo Friederik a quel che restava dei suoi scherani, raccogliendo le lenti scheggiate e riportandosele sul naso. “Viva e non danneggiata. A quello penserò io stesso.”
“Con il dovuto rispetto, Mastro Friederik, credo di avere un diritto di precedenza.” Gettato il sigaro ormai spento, Jaehem se ne accese un altro rialzandosi dai resti del magazzino crollato.
“Ne dubito fortemente.”
“Vogliamo scommettere?” Gli occhi del Gancanagh assunsero una pericolosa sfumatura rossastra.
Coperti di polvere e calcinacci i due stettero a fissarsi per qualche minuto.
“Signori.” Un paio di stivali immacolati comparvero tra le macerie. “Sono certo riusciremo a trovare un accordo soddisfacente per tutti.” Sorrise Lucas della Casa Cremisi.
 
 

“Tumulti al mercato degli schiavi.” Annunciò il comandante Goura in persona.
L’edificio che ospitava gli uffici dei Guardiani di Scarborough aveva visto tempi migliori. Progettato per essere una torre, con il passare degli anni si era visto infliggere ampliamenti e modifiche sempre più bizzarre – un piano ammezzato con terrazza panoramica, una cucina priva di canne fumarie, un’ala interamente riservata agli archivi cartacei che rischiavano di prendere possesso di tutto lo stabile – al punto che tra gli abitanti di Scarborough la costruzione era ormai nota con il nome di “Teiera”.
E il fatto che fosse proprio il capo della Teiera a parlare indicava la gravità della situazione.
 
“La Corporazione dei Mercanti è perfettamente in grado di occuparsene.” Il sottotenente Saint-Clare ritornò al libro che stava leggendo fino a poco prima che iniziasse quella Riunione di emergenza.
Tutti gli ufficiali sospirarono.
“La Corporazione dei Mercanti è occupata a sgomberare le macerie del loro magazzino principale dalla piazza del mercato.” Provvide a informarlo uno di loro, il viso già nascosto dalla tagelmust[1] blu d’ordinanza.
 
Saint-Clare fischiò. “Notevole. Anche se sa di già visto.”
“L’esplosione del magazzino?”
“Parlavo dell’uso di questa figura retorica…”
Un lampo saettò nella stanza, riportando il silenzio.
 
“La Corporazione non ha richiesto la presenza dei Guardiani,” continuò il comandante, “tuttavia un informatore ha riferito che il crollo potrebbe essere stato causato da una forza esterna.” Portò lo sguardo su Saint-Clare. “La stessa che un anno fa ha provocato la distruzione del Mercato e di parte della Biblioteca.” Sottolineò l’ultima parola con particolare enfasi. “La stessa che è sfuggita in più di un’occasione alle nostre pattuglie. La stessa forza che ora, a quel che sembra, è inseguita dai capi di Bische, Postriboli e Mercanti.”
Il sottotenente posò il libro.
“Assumo il caso.”
°°°
 
[1] Turbante indossato dai Tuareg 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5 ***


Image and video hosting by TinyPic

 

5
Coperta la chioma bionda con un mantello, Cecilia si mescolò ai visitatori della Fiera.
Una volta lasciato il quartiere del Mercato le strade tornavano a farsi vicoli, i canali riprendevano a intersecarsi sotto i piedi dei passanti che affollavano la Fiera.
 
Per avanzare di qualche metro in un tempo ragionevole erano necessari pazienza e destrezza per sgusciare tra la moltitudine di persone che, ferme di fronte ai banchi, contrattavano i prezzi di questo o quell’articolo.
“Dieci mine sono anche troppe per questo vaso.”
“Tu scherzi? Era parte della collezione della Rhani Varaina, non lo cedo per meno di venti.”
 
Ignorando il baccano Cecilia si inoltrò nella confusione, schivando agilmente coloro che procedevano in senso opposto ed evitando collisioni.
Solo all’ultimo momento si girò e, scansando il flusso di energia diretto alla propria schiena, afferrò il primo oggetto che le capitò tra le mani.
“Che cosa intendi fare con quella?” Le chiese tranquillo Saint-Clare, indicando la casseruola in rame sbalzato.
Cecilia guardò la pentola come se la vedesse per la prima volta.
“Acquistarla, voglio sperare.” Si intromise il venditore spuntando da sotto il banco dove si era rifugiato.
“A che prezzo?”
“Ti dedichi alla cucina?” Il Guardiano avanzò con lentezza, senza staccare gli occhi da quelli della ragazza. “Pensavo che i roghi nelle biblioteche fossero più nel tuo stile.”
 
Prudentemente i passanti si affrettarono a sgomberare la zona, tra le proteste dei commercianti.
“Guardiani.” Sbuffò uno di questi riponendo la merce sotto i tavoli. “Il motivo per cui questa Fiera andrà in rovina.”
 
Cecilia sospirò. “Lo sai che non è stata colpa mia.”
“Come sempre.” La luce inquietante negli occhi di Saint-Clare non accennava a spegnersi. “Non preoccuparti, stai per fare ammenda in modo appropriato.” E così dicendo lanciò un nuovo colpo.
D’istinto Cecilia alzò la casseruola.
 
Il flusso magico, contrariamente ad ogni aspettativa, rimbalzò contro il rame e centrò il balcone del palazzo adiacente, facendolo esplodere in una nube di fumo.
Quando Saint-Clare riuscì a smettere di tossire, Cecilia era già sul tetto dell’edificio danneggiato.
“Non riuscirai a scappare in eterno!”
Per tutta risposta l’altra scrollò le spalle e lo salutò con una mano prima di sparire tra comignoli e altane.
 
“Avete visto? Questa è merce fatta per durare!” Gongolò il proprietario della casseruola, recuperandola da terra e disponendola in bella vista nonostante le ammaccature.
Saint-Clare fu tentato di dare alle fiamme tutto il banco.
 
“Un Guardiano sconfitto da una pentola.” Jaehem frantumò sotto il piede quel che rimaneva di un mattone. “Bambini di tre anni saprebbero usare la magia in modo migliore.”
Gli occhi del Guardiano si assottigliarono. “A che cosa devo l’onore?”
Il Gancanagh esalò una boccata di fumo. “Diciamo che per questa volta potremmo avere un interesse in comune.”
 
 
°°°

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6 ***


Image and video hosting by TinyPic

 

6
“Cecilia, avresti potuto bussare.”
La ragazza si rialzò dal pavimento in terra battuta. “Ci sto lavorando, Sorella Helvira, davvero.” Replicò massaggiandosi la schiena.
L’alchimista gettò uno sguardo al buco sul soffitto e sospirò.
“La barca è sul retro come al solito.” Aggiunse tornando a distribuire polveri ed erbe in sacchetti di tela bianca.
 
Il laboratorio era vuoto: sottili alambicchi in cristallo e strumenti in acciaio erano stati messi ad asciugare sui tavoli, le cassettiere alle pareti erano chiuse da lucchetti la cui chiave non poteva essere falsificata.
Sorella Helvira, munita di guanti di pelle, continuò il suo lavoro senza più prestare attenzione a Cecilia.
Quest’ultima si passò una mano tra i capelli arruffati per la corsa.
 
“Che cosa farei senza di voi, Sorella.”
“Saresti in guai peggiori di quelli in cui sei ora.” L’alchimista sistemò il proprio soggolo in modo che non si spostasse di continuo. “Di qualunque cosa di tratti.”
“Solo un piccolo malinteso questa volta.” Assicurò Cecilia. “Forse due.” Ammise dopo aver pensato per qualche secondo.
Con mani esperte Sorella Helvira annodò i sacchetti di tela.
“E’ per caso rosmarino quello che avete lì?”
L’alchimista si fermò. “Rosmarino della migliore qualità.” Confermò. “Prezzemolo per il sorriso, salvia per la forza, rosmarino per l’amore e timo per il coraggio.[1]” Aggiunse ricordando tra sé una vecchia ballata.
“Pensavo che la Sorellanza utilizzasse ingredienti più… esotici per il vostro mestiere.”
“A volte le piante più semplici, usate nel modo giusto, hanno un potenziale maggiore di quel che ci si aspetterebbe.”
“Anche piante come salvia, prezzemolo e timo?”
Irrigidendosi leggermente, Sorella Helvira scrutò a lungo Cecilia prima di rispondere.
“Sbaglio o questa volta non sei qui per caso?”
“Non del tutto!” Rise l’altra estraendo un foglio dalla borsa. “Oggi è giorno di Fiera dopotutto.”
 
 
La stessa stanza, le stesse carte, gli stessi mappamondi, ma l’unica luce era quella delle candele e della luna al di là delle finestre.
Il letto era stato spostato in quella stanza per volere di Malvina quando la malattia aveva iniziato a farsi più grave e non aveva più avuto le forze per alzarsi.
Tuttavia ormai Malvina non riusciva nemmeno a tenere in mano un foglio di carta.
Cecilia, le occhiaie di chi non dormiva da giorni, passò un panno bagnato sulla fronte della sorella.
La febbre non accennava a scendere: Malvina sentiva che qualcosa al proprio interno stava combattendo disperatamente per non cedere ma la battaglia la stava consumando troppo.
La voce la chiamava, la tentava e le imponeva di non opporsi, di arrendersi al destino che aveva deciso di abbracciare dalla prima volta in cui aveva messo piede a Scarborough.
Di quel passo la fine sarebbe giunta presto.
“Avresti dovuto ascoltarmi.” Cecilia trattenne un singhiozzo. “Perché non mi hai ascoltato?”
Rimaneva un’unica cosa da fare.
“Cecilia…” Con uno sforzo enorme Malvina allungò verso la sorella un libro dall’aspetto antico: le pagine sembravano sul punto di sbriciolarsi da un momento all’altro mentre le sfogliava a fatica. “Devi…andare alla Fiera…”
 
 
La porta del laboratorio fu spalancata con violenza.
“Lei dov’è?”
“Credevo di avervi già detto di bussare prima di entrare, Lord Lucas.” Sorella Helvira continuò il suo lavoro senza alzare lo sguardo sui faerie armati che avevano invaso la stanza. “Vi prescriverò un rimedio per l’udito.”
 
“Fate molta attenzione, Sorella.” Livido in volto, Lucas si sforzò di mantenere la sua solita calma. “Ho sentito dire che, di questi tempi, nemmeno la Sorellanza è al sicuro.” Passò un dito sul vetro di uno degli alambicchi.
“Al sicuro da chi?” L’alchimista aveva posato i sacchetti di tela e ora fissava Lucas dritto negli occhi.
 
Nel silenzio che seguì si udì un suono attutito.
“Il canale. Certo.” Uno schioccare di dita e i faerie si precipitarono fuori dal laboratorio.
Sorella Helvira scosse la testa. “Credete davvero di riuscire a prenderla?”
“E chi vi dice che io la voglia fermare?”
°°°
                                                       
 

[1] Riferito al simbolismo delle erbe utilizzate nel ritornello di Scarborough Fair 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8 ***


Image and video hosting by TinyPic

 

7
Cecilia sapeva di averli alle calcagna. Sapeva inoltre che loro sapevano che lei sapeva. E che tutto quel sapere non avrebbe portato a nulla di buono, ma continuava a correre sui tetti come se invece di essere inseguita dalla metà più pericolosa di Scarborough fosse nel pieno di una scampagnata primaverile.
 
Atterrò con destrezza sulla cima di un comignolo e spiccò un altro balzo: i canali e i vicoli sembravano muoversi assieme al vento che le fendeva il viso, mentre il sole, ormai avviato al tramonto, dipingeva ombre di fuoco su ogni palazzo.
 
Il riflesso color sangue le indicò che il Methis era vicino. Il secondo fiume della Fiera, dopo il quale si trovavano la Porta e la fine della Barriera.
Ancora uno sforzo per poter volare di nuovo.
 
L’acqua era ancora occupata dalle chiatte dei venditori ambulanti: pesce, frutta, verdura, fiori freschi invadevano ogni spazio delle imbarcazioni ancorate alle rive. I visitatori non dovevano far altro che accostarsi a una di queste per esaminare la merce, oppure sporgersi da uno dei numerosi – e affollati – ponti di pietra resa scura dal tempo.
 
A volte però le chiatte erano utilizzate in modo improprio.
“Cecilia, questa volta non la passi liscia!” Agitando un lungo mazzo di cipollotti dall’aria provata, una donna dalla pancia prominente cercò di tenersi in equilibrio sulla propria imbarcazione, le cui oscillazioni rischiavano di far cadere tutta la merce in acqua.
 
“Chiedo scusa, chiedo scusa!” Cecilia continuava a saltare da una chiatta all’altra.
Seguendo il suo esempio alcuni degli inseguitori decisero di lasciar stare i ponti.
 
“Le mie angurie!” Un ragazzo emerse dalle onde e si issò cavalcioni di quella che era stata una dignitosa barca per il commercio di frutta. “Chi pagherà per le mie angurie?”
“Un’altra parola e ti ributto nel fiume, ragazzo!” Urlò un faerie che pareva essersi pentito di aver abbandonato l’inseguimento via terra a giudicare dal modo in cui tentava disperatamente di tenersi in equilibrio.
 
Una donna si lasciò cadere sul fondo della propria chiatta. “Dove sono i Guardiani quando servono?” Strillò tra un fischio di pallottola e l’altro.
Un’ombra le passò sulla testa.
“Dove meno li si aspetta.” Saint-Clare non sprecò altro fiato e continuò l’inseguimento.


 
Cecilia avanzava tra le proteste dei venditori ambulanti senza perdere tempo, piegandosi di quando in quando per evitare uno sparo.
La riva opposta era ormai vicina: la ragazza si preparò a saltare quando un’oscillazione imprevista la fece barcollare e cadere sulla barca di fronte.
Il colpo fu attutito da qualcosa di soffice e profumato.
“Mia cara ragazza, cerca di non rovinare tutta la merce se ti è possibile.”
 
Rialzandosi, Cecilia si trovò circondata da fiori.
Corolle di mille colori e forme diverse occupavano il fondo della chiatta e si affacciavano dallo scafo, riempiendo l’aria stagnante con il loro profumo.
 
Seduto a prua un vecchio dalla faccia simile al cuoio stagionato la stava fissando con un’espressione divertita.
“Scusatemi, scusatemi,” la ragazza si aprì un varco tra i mazzi colorati, cercando di non rovinarli ulteriormente, “non intendevo davvero…”
 
Il vecchio continuò a sorridere. “Un fiore è qualcosa di così delicato,” raccolse uno degli steli piegati e lo raddrizzò con cura, “eppure ha una resistenza superiore a quella di molte altre creature.” Riportò lo sguardo su Cecilia, la quale si era fermata di colpo. “Cerca di ricordartene.”
Senza distogliere gli occhi, la giovane donna annuì.
 
“Forse uno dei miei fiori potrebbe portarti fortuna.”
Immersa una mano nel mare di petali, il vecchio estrasse un ramo sottile che porse a Cecilia.
Un pezzo di legno scuro, contorto e pieno di spine, niente di più lontano dalla merce di quella barca.
La ragazza lo esaminò attentamente. “Questo rovo non sembra certo un ramo di fiori. Pare anzi non aver mai visto un germoglio in tutta la sua vita.”
 
“Porta in sé la promessa di sbocciare.” Fu la risposta enigmatica.
Il viso di Cecilia si illuminò. “Credo abbiate ragione.” Ringraziò, riponendo il ramo nella borsa e issandosi sul parapetto. “Ora devo proprio andare!”
Il vecchio la osservò saltare a riva e riprendere la corsa.
“Buona fortuna a entrambe.”
°°°

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8 ***


Image and video hosting by TinyPic

 

8
Il cortile del caravanserraglio era, come sempre, nel caos più totale.
“Togli di mezzo quel ronzino, ho bisogno di bere!” Sbraitò un kelpie gettandosi in una delle fontane, guadagnandosi un’occhiata furente.
“Il mio ippogrifo un ronzino? Guardati allo specchio, somaro di mare!”
 
“La nostra carovana ha viaggiato per mesi e dite che non c’è posto?”
“Dove sono le carte di viaggio? E l’elenco delle merci? Non crediate di potervela cavare così.”
“Qualcuno ha visto un’idra albina?”
 
Del resto, quella era la Fiera di Scarborough: il caos era un male necessario, almeno questo era il parere dell’amministratore Davenport, il cui lavoro consisteva nel portare un po’ d’ordine nella suddetta confusione.
Fino a quel momento con scarsi risultati.
“Casdeen Davenport, ho speso diecimila mine per quell’idra albina: se non salta fuori entro…”
 
L’amministratore represse un sospiro e distolse gli occhi dalla finestra per riportarli sul problema al di là della scrivania.
“Zia Ygraine,” si rivolse alla vecchia che gli urlava nelle orecchie, “per caso anche questa volta avete dimenticato dove…”
“Io non dimentico nulla!” Una bastonata gli piovve in testa. “Una Fiera di ladri, come ogni anno!”
Purtroppo per Davenport la giornata non era ancora terminata.
 


Cecilia sgusciò all’interno del caravanserraglio. Il continuo andirivieni le permise di passare inosservata tra la fiumana di persone impegnate a trovare un posto per le proprie cavalcature – o a se stessi.
La Porta di Scarborough era ben visibile oltre gli alloggiamenti del cortile: le mura che cingevano la città terminavano con due alte colonne di pietra liscia sulle quali era stata posta una trave dello stesso materiale.
L’accesso era incustodito: oltrepassare la Porta equivaleva a una rinuncia temporanea alla propria magia, il che risolveva la maggior parte delle minacce possibili.
Tutto a maggior gloria del libero commercio.
Al di là della Porta tuttavia…
 
Guardandosi intorno Cecilia scoprì di essere riuscita a seminare la maggior parte dei suoi inseguitori. Rimaneva solamente Saint-Clare, la cui tagelmust blu spiccava tra la folla, lo sguardo di chi non intende cedere nemmeno di fronte alla morte.
C’era una sola soluzione, concluse la ragazza fissando il sole in procinto di tramontare.
 


Il frastuono si era fatto più intenso, ma non fu questo a mettere Davenport sull’allarme, bensì l’improvvisa fitta alla bocca dello stomaco.
E che cosa diceva sempre la sua amata nonna? Fidarsi sempre del proprio stomaco.
Uno degli aiutanti irruppe nella stanza.
“Capo, gli olifanti…” Ansimò appoggiandosi al muro. “Qualcuno ha… liberato gli olifanti…”
Davenport chiuse gli occhi. “Perché ho la sensazione di aver già sentito questa storia?”
“Mi stai ascoltando Casdeen? La mia idra…”
“La vostra idra dovrà aspettare, zia.” L’amministratore infilò la giacca e si preparò a uscire. “Fermo restando che le sue sette teste riescano a sopravvivere al tramonto.”
 
 

Saint-Clare capì di aver fatto uno sbaglio.
Un conto era accettare di collaborare con i bassifondi della malavita per riuscire a mettere le mani attorno al collo del suo obiettivo, un altro era ritrovarsi invischiato in una fuga di creature mastodontiche che si dirigevano a tutta velocità verso la Porta.
Si schiacciò contro quel che rimaneva delle mura del caravanserraglio. La sua magia, essenzialmente d’attacco, poteva poco in situazioni come quella: avrebbe contribuito ad aumentare la confusione generale.
Rimaneva una sola possibilità. Chiuse gli occhi.
E’ qui.
 

 
E’ qui.
Il messaggio colpì la mente di Jaehem come un colpo di spada.
Un altro trucco dei Guardiani, quello della comunicazione mentale. Il Gancanagh sapeva che in quello stesso istante anche Lucas e Friederik avevano ricevuto la stessa missiva.
 
Le parole erano accompagnate dall’immagine di un cortile in fase di distruzione.
Jaehem fece schioccare le dita. “Al caravanserraglio.”
“E gli olifanti?” Fece notare uno dei suoi scherani, indicando le sagome delle creature, visibili anche da quel punto della città.
“Qual è il problema?” La risposta secca provocò l’immediata partenza del gruppo verso quel che rimaneva del caravanserraglio.
 
Olifanti.
Che Cecilia tendesse a utilizzarli a ogni occasione non era un mistero per nessuno.
Tuttavia, in quel modo, quando sarebbe bastato nascondersi per le poche centinaia di metri che separavano il caravanserraglio dalla Porta…
Il Gancanagh accantonò il pensiero.
Dopotutto era vero: Cecilia era completamente pazza.
°°°

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 9 ***


Image and video hosting by TinyPic

 

9
La Porta si stagliava contro il rosso del tramonto.
Tutto quello che la separava dall’uscita della Fiera era una spianata di terra e di sassi, dopodiché la libertà la aspettava a braccia aperte.
Sempre che non venisse afferrata dalle altre braccia che in quel momento si tendevano alle sue spalle.
 
“E’ finita, arrenditi!” Le lame di energia di Saint-Clare non le lasciavano tregua. Cecilia saltò di lato, evitando per un soffio una pallottola.
Lord Lucas, in piedi sulle rovine del caravanserraglio, abbassò il fucile per ricaricarlo. Le sue guardie erano già lanciate all’inseguimento, ma il faerie non aveva timori in proposito: Cecilia non poteva più scappare.
 
Ancora uno sforzo, uno solo.
Ormai Cecilia si reggeva in piedi solo per pura volontà. Se fosse riuscita a uscirne viva avrebbe evitato qualunque esercizio fisico per un tempo molto lungo.
La borsa che portava a tracolla sbatteva sulla sua schiena, rallentandola. Non era ancora il momento di lasciarla andare.
La Porta era a qualche metro di distanza.
 
Poteva sentire le urla di Saint-Clare e le imprecazioni delle guardie della Casa Cremisi: a quanto sembrava Lucas, a differenza dei Mercanti, aveva deciso di occuparsi di persona del piccolo furto da lei perpetrato ai danni di Agatha.
 
Mancava qualcuno.
L’elemento più importante. Inconsciamente Cecilia rallentò il passo.
“Arrivare fin qui per nulla.” L’odore nauseante le riempì gli occhi di lacrime. “Un vero peccato.”
Dalle soglie della Porta Jaehem comparve davanti a lei, seguito dai suoi faerie.
Vedendosi sbarrata la via Cecilia tentò una finta, ma fu bloccata e ridotta in ginocchio da Jaehem in persona.
 
“Ricorda, il contenuto della borsa è mio.” Lucas aveva raggiunto il gruppo.
Saint-Clare si lasciò cadere a terra ansimando. “Che cosa c’è di così importante in quella borsa?”
“La cosa non ti riguarda, Guardiano.”
 
Jaehem li ignorò e, afferrata Cecilia per i capelli, le sollevò la testa con uno strattone.
“Come ci si sente a perdere?” Sussurrò.
Fu allora che la ragazza sorrise.
“Dovresti dirmelo tu.” E con le sue ultime forze afferrò Jaehem e saltò – o meglio, rotolò – con lui al di là della Porta.
 
Are you going to Scarborough Fair?
 
Nel fare questo la borsa si aprì e il contenuto si sparpagliò attorno ai due.
“Rosmarino?” Saint-Clare annusò perplesso l’aria. “Ti stai davvero dedicando alla cucina, Cecilia?”
“A volte mi chiedo quali siano i criteri di selezione per i Guardiani.” Lucas iniziò a correre verso la Porta.
 
 
Tell her to make me a cambric shirt,
Parsley, sage, rosemary and thyme,
Without any seam nor needlework,
And then she'll be a true love of mine.
 
Saint-Clare guardò meglio quel che giaceva attorno a Cecilia e Jaehem: una camicia rossa senza cuciture, un ramo secco, sacchetti di erbe aromatiche.
E la consapevolezza lo colpì come se fosse stato travolto da un olifante.
 
Tell her to dry it on yonder thorn,
Parsley, sage, rosemary and thyme,
Which never bore blossom since Adam was born,
And then she'll be a true love of mine.
 
“Che cosa credi di aver risolto, stupida?” Jaehem afferrò i polsi di Cecilia. “La mia magia è superiore a quella di una mezzosangue. Non hai nessuna speranza.”
“E chi ha mai parlato di fuggire?”
 
Un vento innaturale fece volteggiare le erbe aromatiche attorno a loro.
“Che cosa…?” Jaehem lasciò andare Cecilia ma le sue gambe sembravano ancorate al suolo: abbassato lo sguardo si accorse della camicia rossa come il sangue sotto i suoi piedi. Un pezzo unico, senza cuciture visibili, dal quale si alzavano volute di fumo.
 
Spalancò gli occhi, cercando di radunare a sé la propria magia. Inutilmente.
Cecilia raccolse il ramo secco. “Con i più cari saluti da parte di mia sorella Malvina.” E con queste parole conficcò il ramo nel cuore di Jaehem.
 
 

Quando il fumo si dissolse accaddero alcune cose.
La prima fu l’arrivo di Lucas giusto in tempo per vedere evaporare del tutto la camicia di Agatha. Il faerie si lasciò cadere in ginocchio.
“Anni per trovarla e tu l’hai consumata così…”
Cecilia si strinse nelle spalle. “Che senso aveva farla indossare ad Agatha? Avete abbastanza clienti da poter fare a meno di una camicia incantata.”
“Quella era la camicia del Primo Cavaliere Elfico[1]!” Sbottò Lucas. “Ne esisteva una e una sola, e tu l’hai distrutta. Perché?”
“Perché anch’io ho una sorella. E piuttosto intelligente.”
 
 

La stessa stanza, gli stessi arredi, le stesse carte impolverate nell’angolo.
La persona nel letto aveva smesso di sudare, il tremito era sparito. Gli incubi erano cessati: la voce che per mesi le era risuonata nella testa portandola quasi alla follia era scomparsa, il fuoco nelle vene non bruciava più.
Ora Malvina dormiva profondamente, il tipo di sonno che accompagna una guarigione, e sorrideva.
Come se stesse gustando qualcosa di particolarmente squisito.
 

 
“Ha invertito l’incantesimo del Gancanagh.” Anche Saint-Clare li aveva raggiunti. “Quando si sveglierà sarà Jaehem a cedere le proprie energie vitali all’umana da cui le assorbiva.” Indicò il corpo del faerie ancora privo di sensi: il ramo che spuntava dal suo petto si era coperto di piccoli fiori immacolati. “Credevo fosse possibile solo nelle leggende. Un contrappasso perfetto.” Ammise ammirato. “Non vorrei essere in lui quando si sveglierà.”
 
“Questo non la salverà dai suoi debiti.” Mastro Friederik era accanto alla Porta, circondato dalle sue guardie.
Lord Lucas tornò in sé. “Che cosa credi di fare, Friederik?” Gli chiese in tono ostile. “Tu e i tuoi non avete mosso un dito e pretendete di avere l’ultima parola?”
“Pretendo solo quello che mi spetta.”
Saint-Clare si riscosse. “Un momento: avevamo stabilito che la sua custodia spettasse ai Guardiani.”
Friederik non lo degnò di uno sguardo.
 
“Odio deludere il pubblico.” La voce di Cecilia ricordò loro una cosa molto importante: erano tutti fuori dalla Porta. Si girarono all’unisono verso la ragazza ma era troppo tardi.
 
“Alla prossima Fiera.”
Un turbinio di piume nere e Cecilia si dissolse in uno stormo di corvi, presto scomparsi assieme alle ultime fiamme del sole.
Di lei rimase soltanto la borsa di cuoio vuota e il suono della sua risata nel vento.
 
 
Have you been to Scarborough Fair?



NdA: Se siete arrivati fin qui, vi ringrazio e vi faccio i complimenti per essere sopravvissuti al caos di questa storia. ^^ Questo è quel che la mia mente ha prodotto per il contest Dire Circumstances indetto da Sagas su Efp Forum, dove si è (incredibile ma vero) classificata terza. 
I miracoli accadono a tutti. 
Alla prossima, nice people, sayonara e visitate la vera Scarborough se vi capita. ^^
 
 
[1] Riferimento a Elfin’Knight, ballata da cui deriverebbe Scarborough Fair

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3657995