I leoni della corona ( I libro)

di marig28_libra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Personaggi ***
Capitolo 3: *** CAP 1 - quo vadis, victoria? ***
Capitolo 4: *** CAP 2 - Aspettando il mattino: sotto il canto della pioggia ***
Capitolo 5: *** CAP 2 - Aspettando il mattino: un proiettile nella mente ***
Capitolo 6: *** CAP 3 - la dimora dei pomi d'oro: antiche paci ***
Capitolo 7: *** CAP 3 - la dimora dei pomi d'oro : melodie da lontano ***
Capitolo 8: *** CAP 4- Patriarchi e focolari: il figlio dell'estate ***
Capitolo 9: *** CAP 4 - Patriarchi e focolari: l'apprendista in catene ***
Capitolo 10: *** CAP 4 - Patriarchi e focolari : la bambina con il fiocco blu ( I parte) ***
Capitolo 11: *** CAP 4 - Patriarchi e focolari : la bambina con il fiocco blu ( II parte) ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


premessa

Premessa

 

 

 

Questa storia è nata il maggio scorso, inseguito alla conclusione de “ Nella mia penombra” .
Si potrebbe definire vagamente  un prequel ma in realtà è un nucleo indipendente nonostante io abbia ripreso alcuni elementi proprio dalla precedente fan-fic.
Il mio intento, infatti, è quello di delineare,  nella maniera più completa possibile, i  personaggi “ secondari” della serie di Ryoko Ikeda e già, attraverso l’altra narrazione, avevo iniziato a dare  rilievo al Generale François de Jarjayes e alla moglie che ho chiamato Judith ( visto che il suo nome non si sa ) . Ne “ I leoni della corona” saranno loro la coppia protagonista parallelamente a Oscar e ad André… Il primo posto sul podio spetterà inizialmente al Generale  che verrà indagato nei ricordi dell' infanzia e della giovinezza, nel  ruolo di militare, nelle vicende sentimentali  e  nelle problematiche “ vestigia”  di padre. A mano, a mano che si evolverà il racconto, metterò in luce la figlia che  condividerà il palcoscenico con lui   in modo equilibrato fino a che , verso la parte finale , i proiettori si concentreranno un po’ di più sulle sue esperienze.

A supportare e a sviluppare tali snodi non mancheranno personaggi originali, storici e naturalmente quelli della trama classica. Un ruolo di fondamentale importanza lo ricoprirà, per esempio,  Victor Clement de Girodel ( che solo per motivi di spazio nella presentazione non ho potuto inserire) in quanto  anche il suo back ground verrà svelato come quello di François…

 

L’avvertimento OOC l’ho inserito per  ragioni di prudenza e sviluppo narrativo, nonostante io non stravolgerò le linee dell' anime e quelle del manga . Altre spiegazioni più specifiche verranno date nelle note finali di ogni capitolo.

    

Spero che possiate apprezzare di volta, in volta questo lavoro che sto plasmando con cura al fine di creare qualcosa di valido e approfondito.

 

Poiché ho due importantissime fan fic nel fandom di Saint Seiya che sto mandando avanti da tempo ( e che devo concludere ) avverto  immediatamente che gli aggiornamenti saranno bimestrali o trimestrali. ( salvo eventuali ritardi imprevisti e prolungati impegni)
“ I leoni della corona”  dovrebbe contare su sette massimo nove capitoli totali.

 

Non mi resta che augurarvi

Buona lettura!

 

Marig28_libra

 

 

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Capitolo 2
*** Personaggi ***


Personaggi

***§***

 

Famiglia Renier de Jarjayes :

François Augustin : ufficiale della Maison du Roi, ultimo erede della stirpe de Jarjayes.

Judith Louise Marguerite de la Seigne :   moglie di François

Primogenita anonima,  Danielle, Madelene, Orthénse,Josephine + ( le bambine decedute di François e Judith)

Oscar Françoise :  la neonata sopravvissuta di François e Judith.

Jean Antoine + ( padre defunto di François)

Philippe Michel + ( fratello maggiore defunto  di François )

Etienne Joachim + ( fratello minore defunto di François )

Servitù :

Marie Grandier : governante

Albert : capo maggiordomo , ex servitore di Etienne

Berthold : cameriere

Angele + ( moglie defunta di Berthold ,  madre di Damian , balia di François e Etienne)

Celine + ( sorella minore di Damian, amica di François e Etienne)

Damian : figlio di Berthold, servitore e amico di François

Lazar : stalliere

Faustine : moglie di Lazar, seconda cameriera di Judith

Ginette : capocuoca

Famiglia de la Seigne:

Grégoire Isaie : padre di Judith, precettore reale.

Bénédicte Anne Magdaléne: madre di Judith.

Oriane : sorella maggiore di Judith

Cosimo di Nardo : marito di Oriane

Samuele di Nardo : il bambino di Oriane e Cosimo.

 Amici dei de Jarjayes :

 Blaise Enrique Rochebrune : ufficiale dell’esercito reale, migliore amico di François ed Etienne.

Elenoire : moglie di Blaise

Padre Jeremy Meunier : gesuita appartenente alla comunità parrocchiale di Jossigny.

Renè Deronne : medico dell’esercito, amico di François.

 

Famiglia Grandier :
Lucien + ( marito defunto di Marie)

Marcel: figlio di Lucien e Marie, padre di André.

Pauline: moglie di Marcel e madre di André.

André : l’erede di famiglia.


Famiglia Girodel:

 Frédéric Claude : alto ufficiale della Maison du Roi, appartenente anche al Secret du Roi

Ivonne Henriette : moglie di Frédéric

Victor Clement : primogenito di Frédéric e Ivonne

Christine : balia di Victor

 

Reali di Francia :

 Luigi XV

Il delfino Luigi Ferdinando ( padre di Luigi XVI )

Generali dell’esercito reale

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** CAP 1 - quo vadis, victoria? ***


Quo vadis, victoria?
LIBRO  PRIMO  




1

 

Quo vadis, victoria?

 

 

 

“ Le nazioni  si divorano perché una non potrebbe sussistere senza i cadaveri dell'’altra [ …]
e invoco contro agli invasori vendetta;
ma la mia voce si perde tra il fremito ancora vivo di tanti popoli trapassati “

(  U. Foscolo )

 

 

 

 

*** §***

 

 

Il 1740 vide l’Europa travolta da un grave conflitto.

Alla morte di Carlo VI , salì al governo d’Austria la primogenita Maria Teresa, sposa di Francesco Stefano di Lorena.
Il diritto di successione della nuova sovrana provocò numerosi dissensi tra le casate regnanti europee…
La prammatica sanzione emanata dal re degli Asburgo nel 1713, attribuiva l’ascesa al trono anche agli eredi di sesso femminile. Nel 1716  Leopoldo morì prematuramente e  l’anno successivo nacque  Maria Teresa che, per la prima volta dal X secolo, lasciò capire che la dinastia si apprestava a perdere la guida maschile…Con Maria Anna e Maria Amalia si concluse, infatti,  la figliolanza di Carlo VI…
Nonostante il sovrano avesse tentato di far accettare tale delibera alle cancellerie d’Europa, dopo la sua morte, i generi del fratello Giuseppe I pretesero la corona del Regno Asburgico.
Carlo Alberto di Baviera e Federico Augusto III vennero appoggiati dalla Prussia di Federico II, da Don Carlos di Napoli, dalla Spagna e dalla Francia, intenzionati a ostacolare l’espansione  della potenza austriaca in Italia.
Maria Teresa si trovò isolata dinanzi ad una coalizione di ferro con la sola alleanza di Carlo Emanuele III di Savoia.
Nel 1742 l’Inghilterra intervenne al suo fianco essendo acerrima nemica dei francesi nell’egemonia degli imperi coloniali.

 
Per sette anni l’Occidente conobbe il sanguinoso terremoto della “ Guerra di successione austriaca.”

 

 

*** §***

 

 

 

 

Giugno 1743
Dettingen, Baviera





François malediva se stesso.

 Non era il momento di riflettere…
Arretrare…subire il cuore.

 Il tempo dell'’anima doveva cancellarsi.
L’orizzonte artigliava mefitico di grigiore.

 Le ore del giorno e del pomeriggio si congiungevano in una foschia amorfa e iettatrice.

 Non era il momento di riflettere…eppure… il dolce inferno della mente si riversava negli occhi, nel nucleo della spietatezza…

 
Ingiusto. Demenziale. Fatale.

 

 
Quella mattina di febbraio il cielo  moriva d’azzurrità malata.
La sera era lontanissima ma la luce si svuotava rapida e immobile…
I venti non scorrevano, avevano paura di sollevarsi.
Qualche passero canticchiava senza troppa convinzione.
Alcuni corvi svolazzavano rasoterra come fiori carbonizzati.

 Villa de Jarjayes si affardellava di un augusto gelo che pareva inasprire le colonne e le  parataste che decoravano  i portali e le finestrate…

Quella spigolosità la rendeva un afflitto tempio neoattico e  lo stemma araldico del leone, che troneggiava sul portale d’ingresso, esibiva una crepa, una cicatrice d’impaurito vespro.
Sul sentiero di ghiaia del cortile, quasi fosse un tappeto cerimoniale in attesa di sbiadire, camminavano i sacerdoti custodi del duomo.

 

François Augustin Reynier.
Terzo figlio del conte Jean Antoine Reynier de Jarjayes.
Luogo tenente della Chevaux-Legers de la Guard.
Una brillante e precoce carriera nel corpo de la Maison du roi.

 Era dannatamente complicato ricordarlo?!

 Perché tornare a Parigi? Da lei?

 

L’attesa guardava. Ammutoliva. Si bruciava.
Era nella brina salmastra delle fronde gelate, tra i pennacchi dei pioppi, tra gli aghi cadenti dei pini…
Soffiava sotto il sole intirizzito di dorata bronchite…
Sussurrava dinanzi allo sportello aperto di quella carrozza, un vacuo cofanetto di intarsi vegetali e ossidati.

Il cocchiere  aveva finito d’imbrigliare i cavalli con pesante mitezza mentre nel giardino  la fontana  sopiva sopra il vetro smunto delle acque.

 

Judith Louise Marguerite Bouchet…
Secondogenita degli stimati marchesi Bouchet de la Seigne.

Un’austera ed elegante educazione di convento e salotti.
Compostezza e leggiadria da dama di compagnia…Vestiti sobri e sofisticatamente melanconici…
Uno sguardo azzurro di fonte invernale e meditabonda…
Una chioma di  spirali marroni pallide e intimidite…

 Judith…
Diciannove anni, un dolce talento per il pianoforte sacrificato.
Una forza affaticata incapace di lacrimare ma di suonare acutissima.
Una nuova vita in grembo, un nuovo cognome.

 La moglie.

 Perché doveva contaminare il sudore della tensione?

 

 
François aveva appena afferrato l’ultima sacca da viaggio non sapendo se lasciarla cascare a terra o issarsela frettolosamente sulla spalla…
La consorte era poco distante con un abito cobalto che riverberava carbonifero tra le  pieghe titubanti. Uno scialle di lana bianca le avvolgeva busto e spalle come fosse un  cigno dalle ali esanimi e impotenti.
L’aria, in cui s’impigliavano le pagliuzze rarefatte del sole, odorava del buio delle cattedrali, di quella vuotezza gravida di sbavature d’incenso e occhiaie di candele…Ci si trovava dinanzi ad un’abside onirica, dove non si rimembravano rosari per glorificare la salvezza o, almeno, la sopravvivenza…

 
Il ragazzo ricordò , straniato e inquietato,  che due ore addietro era a letto con la sposa, sotto la sofficità delle coperte che scaldano il silenzio  del commiato…
Aveva fatto l’amore fingendo di non conoscere la patina d’angoscia che si disperde sulle nudità al termine dell'’irrinunciabile dolcezza di congiungersi.

Si era destato per primo a malincuore ma con la razionale nevrosi di ricomporsi, tornare rigido
giacché non poteva prolungare l’ebbra meditazione che infondono le carezze.

Il capo leggero di Judith,, con i rivoli confusionali dei suoi capelli,  era insostenibile e portare sul petto quell’umido torpore di gelsomino significava tribolarsi. Quando poi le ceree braccia e le gambe fresche di lei cullavano i palpiti, era meglio finire tutto…

 
Rivestirsi…rivestirsi…Rivedere la luce disidratante del sole che induriva i terreni e gli spazi.

 

Una divisa di stoffa, rame e ghiaccio.
Occhi di un mare blu tagliente e troppo salato.
Capelli ondosi d’un castano intenso e pieno di fumo… Una bellezza di raffinata crudità.

 
Era così lui…o per lo meno voleva tentare di restare così…

 
Il matrimonio gli cagionava strani effetti collaterali: abituato a chiudersi, a preservare la genuinità dell'’ autoritarismo si concepiva teneramente esecrabile. Si sorprendeva fino al punto da chiedersi se l’uomo che baciava, abbracciava e si fletteva fosse lo stesso che decollava con la sciabola, chiodava con i proiettili e puniva ogni diserzione…

 
Amava sconsacrandosi.
Amava senza sapere come farlo al meglio e temendo di sopprimere l’intransigenza.

 Con Judith si erano incrociati in una timidezza analizzatrice che aveva lasciato sbocciare  inedite maree.
Si erano fidanzati conoscendo violente leggerezze che la tristezza delle loro esistenze non aveva concesso…poi… sposi novelli, novizi d’una vita di speranze misteriose.

Tutto era spuntato grazie e a causa di lei.

 
 

-          Fa così freddo che pare non ci sia il sole…- mormorò la fanciulla- eppure il cielo è limpidissimo, ancora più azzurro di quando vengono la primavera e l’estate.

 Lo sposo aprì il  portello del calesse appoggiando il bagaglio sul sedile.
Sorrise  cercando di non scendere dalla gradinata dell'’alterigia.

-      Per fortuna non m’imbatterò in uno di quei tremendi acquazzoni che rendono le strade impraticabili.

-          Certo…però è strano…non c’è neanche una nuvola e tutto è troppo immenso e sfocato. E’ come se non trovassi rami cui appendermi. Più il celeste è intenso, più è vuoto.

 François squadrò la ragazza, indurendo i  bei lineamenti che sarebbero potuti apparire  rassicuranti e luminosi.

-          Se vedessi i cieli d’Europa – fece acremente-  ti assicuro che vorresti gelare qui, nel cuore dell'’inverno, sotto questo cielo che vedi troppo “ vuoto”.

 Judith sospirò  rabbrividendo leggermente.
Nonostante apparisse desolata simile a una bambina insonne, non osò abbassare lo sguardo davanti i granitici occhi dell'’esaminatore.

-          Hai ragione…- ammise – Non appartengo alla dimensione delle armi, non so come si carica una pistola o una carabina, sono incapace di descrivere veramente il suono e l’odore della polvere da sparo…Mi hai raccontato ciò che vivi, provi, le radici del dovere che persegui…Anche se sono distante dalla materia che maneggi e che ti ha forgiato…mi sento vicina a te.

 François credé che  la mano di un angelo lo stesse spingendo  in uno sfavillante fossato …
Studiò adagio, in soggezione, gli squisiti contorni della giovane: l’ovale un po’ lungo, fragile, morbido, le labbra piccole tinteggiate d’un rosa fruttato e trasparente…
Con quella pelle rannuvolata d’ inquietudine nessuna Vergine bizantina  o gotica la  eguagliava in maestosità…

-          Due sponde possono essere differenti- proseguì ella  sorridendo -  ma proteggono i fianchi d’uno stesso fiume, sempre l’una di fronte all’altra…

 L’ufficiale, vinto dall’ incantesimo di quella nostalgica dea, la prese tra le braccia…
Lasciò smarrire una mano tra le filature infreddolite dei boccoli così sfuggenti e astratte da mutare in  arabeschi di vapore…

-          Judith  devi pensare al nostro avvenire… è meglio che rientri a casa. Quando tornerò, voglio vederti con il nuovo de Jarjayes in braccio. Credo  sarà estate e io adoro quelle stoffe chiare e leggere che solo tu sai indossare.

 Mentre si scioglieva dall’abbraccio, la donna gli afferrò le mani illudendosi di cancellare le amare linee che impugnavano le armi.

-          François…il sentiero che porta alla villa è diventato terribilmente lungo…ho paura di percorrerlo…

-          Judith…mi costringi  a dannarti?

-          Per colpa tua  il camino fingerà di scaldare e illuminare la casa.

-          Non smetterai di farmi precipitare in tutti i sensi.

-          Ti prego…siamo solo all’inizio.

-          Andremo avanti…te lo prometto.

 François circondò di nuovo  la moglie dandole un bacio e un sospiro di cordoglio sulla guancia.
Ella, non osando guardarlo negli occhi, lo strinse con inatteso e infantile ardore, celando il viso tra i lembi della sua giacca, sfogando l’angoscia.

-          Ti amo.

-          Judith.

 Venne scostata con burbera dolcezza.

-          Perdonami – fremé imbarazzata.

 Il marito le prese lievemente le spalle.

-          Non dire sciocchezze…Sono io che devo imparare a guardarti come si deve.

 L’attrasse a sé rinunciando finalmente a controllare la mente…
Volle soltanto pregare contro labbra d’angelica e sconfinata ansia…Trattenne la bocca,  irruvidita  d’amarezza, su quelle superfici irrigate di  pensosa primavera.

-          Ti amo.

 Le accarezzò il viso per disperdere un’ultima scia di calore e salire in carrozza.

Si sedette cercando di non crollare al suono della tenerezza…Ormai un pesante sportello di legno  lo separava dall’amore.

 Bisognava partire e basta.

Il vetturino ricevette l’ordine di avviarsi verso l’uscita della tenuta.

 Le ruote scricchiolarono acquisendo piano, piano, un ossuto e impolverato vigore…
Gli zoccoli dei cavalli presero a piagare la ghiaia…

 François sperò invano che i rumori delle manovre coprissero i martellamenti  dello sguardo della sposa….
Capì di non offrirsi limpidamente,  che rischiava di perdere validità cadendo in prescrizione.
Voleva incitare il cocchiere ad abbandonare il cortile con più lena e brutalità ma non ne aveva il coraggio.
Scorse Judith che salutava opalescente simile a  una ninfa spettrale.

 Sollevò anche lui la mano tentando di sorridere e lanciare un abbaglio…purtroppo fu difficile trasmettere quel messaggio.

 
La villa si allontanava…
Lei si allontanava giustiziandolo…

 Le fronde degli alberi lo scacciavano via.

 Il tenente desiderò raggiungere al più presto i campi militari poiché la dimora che rimpiccioliva luccicava di soavità malefica.
La sensazione di aver abbandonato la parte migliore e neonata di se stesso era atroce.

 Innervosito, distolse l’attenzione dalla campagna per deporla nel vuoto che aveva di fronte.

 Impossibile parlare,  stringere un cuore al proprio petto.
La solitudine deformante non esigeva nulla.

 

 

-          E’ assurdo continuare così!

-          Generale!  Il Duca di Noailles ha ordinato di mantenere la difensiva!

-          Sono trascorse sei ore! Sei ore! E l’artiglieria non ha ancora polverizzato quei maledetti inglesi!

-          Attaccare sarebbe troppo rischioso! Il nostro compito è quello d’impedire che Re Giorgio arretri!

 
La voce furibonda dell'’ufficiale Louis di Grammont e le proteste dei generali Montagne e Lally frantumarono il raccoglimento…

François inspirò l’odore amarognolo dell'’erba che s’arricciava al lezzo grigio della polvere da sparo…

Il fiume Meno*  , coperto da  un vello di foschia ferrosa, si strozzava tra il verde corrotto delle sponde…
Sul versante meridionale,  le milizie francesi erano asserragliate attorno ad un collare di cannoni che ruggiva sfere nere…

La palude circostante , disciolta in un castano marcescente,  non ascoltava le urla del contingente britannico che tentava di sopravvivere all’assalto nemico…
Le colline settentrionali della vallata e le piccole dimore del villaggio di Dettingen guatavano lontano dalle eruzioni della battaglia, incupite  qua è là da macchie tumide di boschetti scuri.

Era quasi mezzogiorno ma il sole  restava  avvolto da un pellame rancido di nuvole bianche, illividite da croste bigie…L’azzurro si palesava attraverso  qualche strappo di libertà rosicchiato  da flebili venti…

-          Le vie di rifornimento sul versante di Francoforte sono state tagliate – soggiunse de Felix d’Olliéres -  ormai gli inglesi e gli alleati austriaci sono pressoché spacciati! Se batteranno in ritirata verso est, il maresciallo Noailles infliggerà il colpo di grazia!

-          È uno spreco di tempo! – ribatté Grammont – ci stiamo logorando miseramente quando potremmo atterrare   con un solo assalto! Porremmo fine allo scontro!

-          Non mi pare una strategia illogica – riconobbe il generale de Broglie – dovremmo cogliere quest’occasione dal momento che gli inglesi hanno perso compattezza nei loro corpi! La nostra fanteria romperebbe lo schieramento centrale mentre le ali di cavalleria  annienterebbero i fianchi! I cavalieri britannici sono  piuttosto mediocri…

-     In effetti, sono inferiori rispetto a quelli austriaci e hannoveriani – ragionò l’ufficiale Rechelieu – le nostre milizie sono in grado di accerchiare e abbattere anche se non bisogna sottovalutare  le linee arretrate degli alleati.

François osservava irritato le dispute dei superiori…Odiava gli ingarbugliamenti strategici e specialmente biasimava la razza di quegli aristocratici , ignoranti in materia tattica , che si aggiudicavano i comandi delle milizie…Era tutta una competizione burocratica per appiopparsi un succulento posto tra i ranghi del prestigio. Pareva una comica e indecente corsa a degli appalti pubblici dato che la dea Guerra era stata deflorata da tempo…

 Ventuno anni, cento granate subite e più di cento da scoprire.
Una giovinezza denutrita e diffidata…
Il tenente de Jarjayes  non aveva mai vissuto l’ adolescenza o forse si era talmente afflitto da rinunciare ad assaporarla…Il suo cursus honorum possedeva le sembianze d’una scala di pietra che andava giù, verso una vecchiezza senza rughe  un po’ ipigli os e rancorosamente sognatrice…
Avrebbe desiderato godere di una beota e beata ingenuità però sarebbe stato improbabile…Trattenere il vomito alla visione dei raccomandati, mordersi con altri arroganti concorrenti, resuscitare la sua stirpe dal declino…quelle erano le norme dell'’esistenza che un po’ aveva patito dal padre e un po’ dal Fato…

Quelli erano divenuti gli stendardi di battaglia che ora desiderava difendere con l’ onore amareggiato.

-          Chissà se saranno i gentlemen di Re Giorgio a crollare definitivamente o la Maison du Roi…

 François vide avvicinarsi il capitano Blaise Enric Rochebrune.

Era il suo migliore amico, l’unico umano aristocratico di cui si fidava veramente nell’esercito…Si conoscevano da cinque anni e assieme avevano ottenuto, con meritevole impegno,   i comandi dei Mosquettiers e della Chevaux-Legers de la Guard, squadroni di cavalleria che appartenevano  alle truppe  di de La Broglie.

 -         Ritengo che la soluzione di Grammont sia appropriata – valutò con asciuttezza François – bisogna demolire gli inglesi ora, piuttosto che bombardare senza risolvere la questione! Li abbiamo alla nostra mercé!

 Il collega piegò all’ingiù il labbro in segno di disapprovazione.
Era in grado d’illuminarsi brioso e flemmatico, quanto di solennizzarsi in una razionalità pietrosa. Aveva lineamenti affascinanti con il naso un po’ pronunciato, la mandibola elegante e il mento ornato da una corta lanugine di peli. La fronte era spaziosa e proporzionata, gli zigomi emergevano dolci e forti e la bocca si muoveva flessuosa ed energica. Due grandi occhi nocciola ardevano  autorevoli scaldandosi di linda perspicacia ma mai di sbadata incredulità. I capelli castano rossicci erano di un liscio increspato e si adagiavano sulle spalle con imprecisa finezza. Una manciata di lentiggini, sparpagliata sulla pelle,  conferiva una smaliziata puerilità  al viso che in quel momento  rivelava scettica preoccupazione…

-          Quello che affermano i generali Grammont e de la Broglie è vero…a una prima analisi – si corrucciò Blaise – la fanteria e la cavalleria sono abbastanza preparate ma non eccelsamente…Le reclute arruolate in febbraio non hanno mostrato abilità proprio efficaci…

-          Sì…è vero – sbuffò frustrato de Jarjayes – questo è il risultato dei progetti dell'’ultima ora…quando la disperazione di gonfiare i numeri manda al diavolo la qualità…

-         Non stiamo giocando una partita a scacchi…niente è scontato e in meno di un’ora tutto può essere sconvolto ... Credi che l’esercito Prammatico abbia esaurito le risorse?

-          Quei dannati cani sono pericolosi…ma dobbiamo agire! Tribolarci coi “se”  e coi “ ma” equivale a morire! Finiamola con gli sproloqui!

 François diede una speronata al cavallo galoppando dinanzi al suo squadrone.

 -          Soldati di cavalleria! – esclamò – iniziate a schierarvi sulle linee!

 Le milizie obbedirono formando un rettangolo ordinato di timore e perplessità.

-          Vedo che il tenente de Jarjayes spasima di sacrificio – sibilò sarcastico Montagne dopo aver guardato la scena.

-          Almeno non trema come un animaletto in gabbia! – obiettò rabbioso e soddisfatto  Grammont .

-          Già...quel giovane è rapido e provvidente- disse de La Broglie con finta ammirazione – per fortuna possiamo contare su uomini come lui…

 Blaise   accostò il proprio destriero a quello dell'’amico.   

-          Rompere la barriera difensiva è un suicidio! – replicò – perderemmo un sacco di uomini! Rimanere compatti su questo fronte, come esige de Noailles, permette di governare prudentemente la situazione!

-          Schieriamo gli elementi più forti all’esterno delle ali! Sarà  difficile disperdersi!

-          Tra gli inglesi regna il caos! Attaccarli significherebbe ribaltare disastrosamente i ruoli! Non dobbiamo ostacolare l’artiglieria!

-          Blaise! Vuoi  ammollarti con Montagne, Lally e d’Olliéres?

-          E’ questione di evitare una macellazione di massa!

-          Annientare o essere annientati!

-          Trasformeremo un successo in fallimento!

Spazientito, il tenente de Jarjayes, ignorò il capitano:

 -          Generale de la Broglie! – avvertì duramente – la Cavalleria Leggera è pronta all’attacco.

 L’alto ufficiale interrò il disprezzo per quel ragazzo, quell’impudente che lo anticipava incisivamente nell’azione e che lo guardava a sua volta con disprezzo.

-          Bene, tenente de Jarjayes. Mantenete le truppe sul lato esterno! Moschettieri…. Ordinatevi in manipoli. Disponetevi sul fianco destro della fanteria!

 Blaise, inghiottendo la pietra del dissenso, dispose con zelo repentino i propri uomini.
Alla fine, restò in attesa,  massaggiandosi le tempie…
Cercò di placare la propria rattristata collera sospirando pesantemente.
Guardò di sbieco François che ricambiò il cipiglio.

-          Che aspettate generale Rechelieu?! – esclamò de Grammont – ordinate l’ala sinistra!

 Il comandante eseguì le disposizioni sebbene fosse angosciato dalla prospettiva di finire infilzato da una sciabola inglese o austriaca.

-          Montagne! Lally! D’Olliéres! Smettete di sputare lamentele e dislocate i corpi di fanteria!

 I tre nobili, con le spalle al muro, rispettarono le direttive.

I battaglioni  furono collocati al centro affinché travolgessero i fanti nemici   mentre gli squadroni delle cavallerie, che  cingevano i lati ,  avrebbero dovuto irrompere sulle fiancate e attuare una manovra avvolgente.

 Grammont si mise alla testa dell'’esercito.

 Una distante orchestra di garriti contagiò il cielo…

François , inspiegabilmente,  riuscì a udirla tra  frastuoni di stivali in corsa e zoccoli che rombavano.
Sollevò il volto…

 Uno stormo di rondini , anomalo e agitato,  scivolava verso sud, verso la Francia…
Nessuna festosità estiva esplodeva da quelle piume indomite ma solo luccichii  luttuosi.
Un immateriale fiotto di sangue schizzò dal cuore per gelarsi in una stalattite acuminata.
Il tenente si paralizzò  in un infarto collassante…
Judith allucinò l’ animo per svanire in un rapido e violento buio d’interrogativi.

-          Maison du Roi ! Gendarmerie française! – urlò il generale- in nome di nostra maestà Luigi XV , abbattiamo i nemici di Francia!

 Le truppe si riversarono in un sisma di polvere contro l’esercito prammatico.

 

-          Cessate il fuoco! Cessate il fuoco!

 Sulla riva meridionale del Meno, il colonello  dell'’artiglieria d’assalto, Frederic Claude de Girodel, guardò basito la scena.
Solitamente  marmoreo tuonò pieno d’ira impallidita:

-          Perché diamine l’esercito di Grammont sta attaccando?!  

 Chiamò un sottoufficiale:

-     Caporale! Avvisate immediatamente il duca di Noailles! Occorre cambiare tattica! Il piano è andato  a  monte! 

 

 

 

 

Joyssigni, Parigi

 

-          Madame! Coraggio! Respirate! Respirate a fondo…

 
Marie Grandier , la fidata governante di casa de Jarjayes, tentava di mantenere il sangue freddo.
Minuta e dai contorni tondeggianti, possedeva membra salde e svelte pronte a gestire incombenze e allarmi.  
Judith annaspava terrea e sudata talmente sopraffatta da quell’artiglio asmatico da non aver la forza di urlare.
Il letto bolliva durissimo, venato dai dossi delle lenzuola che parevano serpi di pietra.
Le serve , agitate, correvano da una parte all’altra della stanza per supportare il medico e l’allevatrice chiamati d’urgenza.
Avanti l’ora di pranzo, la giovane era stata assalita da fitte al ventre culminate in una febbre delirante.
Durante i primi mesi di gravidanza non aveva dato segni di debolezza mentre in seguito si erano fatte più frequenti nausee ed emicranie…Marie e le altre cameriere l’avevano assistita  con attenzione , preoccupandosi di sottoporla a visite giornaliere e  non crearle ulteriori ansie siccome François era in guerra.

 Quel giorno villa de Jarjayes era invasa dal panico più disintegrante.
Le doglie non parevano normali…

-          Dottore! – chiese sbiancata Marie – è possibile che un bimbo possa già nascere al settimo mese?

-          Può accadere signora ma ho il sospetto che non si tratti d’un parto vero e proprio.

 L’uomo contrasse la fronte esaltando le rughe che  lo intorpidivano di disincanto cimiteriale.
Aveva cinquant’anni ma ne mostrava settanta con i capelli bianchi e sciupati, le mani bronzee che toccavano stenti e il naso che s’incurvava sempre più aquilino.

-          Dio mio! – s’allarmò la governante -  Non ditemi che…

-          Presto! – interruppe con malgarbo la levatrice – aiutatemi a tirarla su!

 Judith parve frangersi, afferrata dalle braccia di quella virago unta di abbrutito pragmatismo.

-          Accidenti! Fate piano! – s’irritò  Marie – non vedete com’è ridotta?

 Con efficace dolcezza cinse le spalle  della padrona adagiandola semiseduta.
Il medico somministrò un decotto liquido , che venne inghiottito a fatica, e  raggiunse i piedi del capezzale…
Judith lacrimò con i capelli che soffocavano le spalle e la fronte e i brividi che ustionavano gli arti.

-  Dottore! – insistette Marie – mi spiegate che sta succedendo?!

 La ragazza esalò un lamento rauco, sanguinante…

- Dottore! Che sta succedendo?!

- Dobbiamo salvare il salvabile- sbraitò l’uomo-  o vi sarà un doppio funerale!

 L’assistente premette sul ventre della partoriente che macinò un grido squagliato…

 Un fragore lacerante, dalle tinte massacrate e indefinibili…
Una piccola valanga vischiosa, di leggerezza sassosa e sfibrata.

 Silenzio…
Ogni rumore venne fracassato.

 Il dottore , minato di stanchezza glaciale, afferrò una creaturina violacea…
Una bambina rachitica già esiliata nella ninna nanna della morte.

 

 

Dettingen ore 14:00

 

 

 

-          Maledizione! Concentrati François! 

eJean Antoine torreggiava, con collera artica, sull’erba paralizzata del giardino di casa.
Il sole del mezzogiorno s’ insinuava nei solchi della fronte e degli zigomi seccandogli la pelle in un pallore d’alabastro spettrale.
La pesante parrucca di riccioli grigi lo rendeva una surreale divinità orientale o uno di quei geni malefici che divoravano i viandanti carovanieri.  

IIl piccolo François preferiva non guardarlo mentre tentava per l’ennesima volta di afferrare con maggiore durezza il cavalletto della pistola.
Le mani erano orribilmente sudate e sembravano rimpicciolirsi sempre di più all’eco della vergogna…
Le ciocche castane dei capelli riuscivano a vibrare senza il vento e ad appiccicarsi con agitata gravezza sulla fronte…
I lineamenti tondeggianti delle guance  e  il  naso setoso s’inumidivano alla scansione dei brividi che tormentavano il sangue… 


-          Allora?! Ti decidi?! È da mesi che ti eserciti e non riesci ancora a centrare un bersaglio!

 Lo sguardo blu del ragazzino si restrinse per inghiottire la sfocatura del terrore.
Le braccia erano goffamente rigide e dolentemente instabili.

 Il bersaglio, coi suoi cerchi concentrici, rideva muto in una lontananza imprendibile…

 Il bambino strinse un occhio cercando di rinsaldare la mira…
Posò il dito sul grilletto caldo e scivoloso…
Premette con cautela cercando di nascondere al padre il tremolio degli avambracci…
Sparò.

 Un tuono sfrecciante, brevissimo, stridulo.
Il proiettile si era conficcato nel sesto cerchio del bersaglio.
Il centro era rimasto illibato e nero.

 

 

 Bastava un minuto.
Un niente.

 
Una tempia si fracassava, una fronte si apriva, un ventre o un petto si stracciavano come carta inscrivibile.
La vita era un piatto d’argilla scagliato in aria per essere frantumato dalla ferale fugacità  di un proiettile…

Impensabile una metafisica della carità. 

La cavalleria dei dragoni austriaci era una mandria di centauri che non sapeva da che parte crollare.

François aveva imparato che detenere un’arma equivaleva diventare Dio in attimi di polvere soffocante.
Un potere blasfemo ma perfettamente legittimo. 
I cuori non avevano la sostanza durissima dell’oro poiché erano coaguli di carne che squagliavano i collanti delle vene e del sangue.

Così bisognava pensare… evitare di precipitare…

 Tale era l’evoluzione.
Tale il castigo.

-          Caricate sui fianchi! Non lasciateli fuggire!

Il giovane comandava con ghiacciata ferocia, manovrando il cavallo quasi fosse un essere dalla nobiltà infera…
Lasciava strepitare la carabina dopo aver preso la mira con turpe accuratezza e arpionava con la baionetta chiunque tentasse di annientarlo.

 Il suo sguardo non si perdeva in quello degli avversari.
Pestava e volava via…
Artigliava e buttava via.

 Inutile redigere il resoconto di ogni spirito umano… i corpi dei militari si svuotavano in lampi di secondi che valevano  zero.

Fingere che nessun battito contasse.
Dimenticare il proprio ego... L’empatia che costringe ad abbassarsi, ascoltare attentamente.

 Il giovane toccava  terra solo per smontare temporaneamente da cavallo e farsi strada con fulmini di sciabolate.

Il primo assalto dello squadrone di Rechelieu era stato respinto dagli inglesi e la cavalleria leggera e i moschettieri stavano annientando gli alleati asburgici.

 Da un’ora  logoravano le ali nemiche avendo l’inquietante impressione di decapitare idre…Erano  vincitori che restavano  impantanati a pochi metri dal traguardo…

 Blaise tentava di non disperdere e disciogliere le milizie tra le nubi imbrunite della polvere…
Con viso granitico , che celava una tormentosa mestizia, aggrediva e difendeva assordandosi alle esplosioni dei fucili.

 Non approvava l’avventata strategia di quegli assalti ma doveva continuare a navigare sulle onde del maremoto.
Supportava l’amico che lo faceva snervare…Il fratello che non poteva abbandonare tra i fragori delle lame e dell'’imprudenza.

 La moschetteria degli austriaci si dispose in una transenna di denti di archibugi .

-          Restate compatti! – gridò Blaise – preparatevi a rispondere al fuoco!

 Una raffica di pallottole detonò dai fucili avversari intrecciandosi caoticamente alla carica dei francesi.

Un nugolo biancastro , quasi fosse un talco di ossa sbriciolate, coprì i boati delle granate e i feriti  che piombavano al suolo…

I cavalli annegavano o fuggivano nella coltre della tempesta come irreali tritoni marini…

-          Fuoco! Fuoco! Non fate avanzare gli austriaci!

 Il capitano dei moschettieri venne colpito alla spalla e al ginocchio sinistro.

-          Blaise!

 François scorse l’amico che franò dalla sella scomparendo nella bruma degli spari.

 

 

 

***§***



Il Meno era ormai mutato in un Acheronte di cenere fanghigliosa…
Coaguli di fumo, che sembravano cotone tumefatto,  si fondevano con acque pastose e cementizie …
Dalle sponde rotolavano corpi moribondi che grottescamente si disumanizzavano in fantocci di paglia bruciata e insanguinata…
I due ponti di barche, costruiti dai francesi, galleggiavano con catarrosi sibili, assumendo le viscide sembianze di bisce imputridite…

 Con  disperato sangue freddo, il Duca di Noailles aveva attraversato il fiume per riparare i danni dell'’assalto di Grammont: era riuscito a impadronirsi dell'’artiglieria nemica demolendo parte delle milizie hannoveriane * ma gli austriaci stavano già distruggendo il fianco sinistro della fanteria….

 La bolgia dei dispersi in fuga, travolgeva le truppe avversarie finendo incendiata dall’ala asburgica…

 Il Generale era un chirurgo che provava a ricucire gli arti di un corpo che finiva continuamente sbrindellato….
Forse fu un pantano di sagome urlanti la battaglia tra San Michele e  Lucifero, anche se lì nessun soldato  possedeva ali di demone o di angelo…
C’erano divise rosse, verdi, blu o grigie…un mucchio di stracci variopinti che mitigavano o ridicolizzavano la  friabilità degli aneli.

 Frattanto il colonello Girodel  supportava , con polare stoicismo, le retrovie .
Guidava con brutale e fine impeto i propri uomini, abbandonando chi inciampava e intimando di non errare a chi sopravviveva…
I suoi  capelli neri, legati in una treccia, parevano la coda di un grifone e gli occhi verde azzurro, incuneati in un viso acuminato, sbriciolavano ogni opposizione… I soldati desideravano odiarlo in una selvatica libertà ma avevano terrore di farlo…
Quell’uomo possedeva l’inquietante facoltà di zittire qualsiasi complotto poiché bastava l’acqua arsenica dello sguardo a spegnere i fuochi.

Conduceva le truppe verso la gola dell'’inferno tenendole serrate, affinché costituissero una muraglia che non doveva far disperdere i nemici…
Si spinse per diversi metri atterrando gli schieramenti prammatici fino a ché la batteria hannoveriana fece esplodere le bocche dei cannoni.

 Moltitudini di soldati furono sbalzati dal riverbero della polvere che scosse il sottosuolo.

 Una pioggia di schegge bruciate investì Frederic che sbatté per terra…
Una calura acida e ustionante gli mangiò metà del viso…
Ruscelli rossi gli insudiciarono lo zigomo e la mandibola grondando luccicanti…

 Rimase rintronato per diversi secondi genuflesso nel fango secco…sentii la pelle staccarsi, esporgli direttamente i muscoli crudi alla scabrosità asfissiante della cenere…
Masticò il gusto rugginoso della saliva insanguinata che s’impiastricciava all’acidità rigonfia del fegato…
La gola si rattrappiva in un’infiammazione gelata che strizzava a morte i polmoni e le lacrime che potevano sgusciare dalle interiora e dagli occhi.

Sopprimendo  le urla di dolore, rafforzando le arterie pulsanti nella testa, l’uomo riprese il fucile in mano con inumana risolutezza…

Crivellò di colpi un gruppo di austriaci che lo stava per catturare …
Sconvolse le milizie con quella fanatica maestosità di annientare anche a costo di perdere pezzi…

 Le schegge di legno e ferro rodevano la carne ma il sangue colava ignorato, alienato.

 

 

*** §***

 

 
François non trovava più la chiave per evadere dall’odore nauseante della nebbia…
Non trovava più lo scettro del comando, dell’ordine…

Con un braccio sorreggeva Blaise , che ciondolava svenuto in groppa al cavallo e con una mano sventolava lo stendardo consumato del proprio reggimento.

-          Imbecilli! Tornate a schierarvi sulle linee! Non scappate!

 Galoppava rabbiosamente minacciando i superstiti,  i frammenti di un arazzo quasi impossibile da risanare…

Radunò un malcerto gregge di reclute cercando di non comprendere che la situazione ormai precipitava e che alcuni generali battevano in ritirata, compreso de la Broglie che aveva lasciato alla deriva un cospicuo numero di milizie.
A occludere con penosa tenacia le voragini dell'’esercito stavano Grammont, che faticava a respingere la fanteria di Re Giorgio, e gli agonizzanti contingenti di Montagne.

-          Accerchiamo il terzo reggimento inglese! Facciamoli arretrare!

Il tenente attaccò con una coda lacerata di militi ma una mitragliata di granatieri britannici lo fermò violentemente.

 Alcune pallottole gli scalfirono il braccio, una gli danneggiò una costola e un’altra gli squarciò il fianco sinistro.

 Rovinò al suolo trascinandosi l’amico e finendo schiacciato dal proprio corsiero rimasto martoriato.
L’incoscienza prese ad affannarlo velocemente e l’animo diventò un’ampolla che si colmò d’inchiostro colloso …

 Non era la prima volta che veniva disarcionato, che decollava per schiantarsi…

 Tutto era iniziato con un  impatto al suolo.
Con il terrore di correre.

 

 
Quel dorso nero  terremotò con crudeltà cieca, tuonante…
La criniera s’increspò come un flutto di tempesta notturna…
La sella divenne un setaccio di viscosa argilla che si sarebbe presto sfaldato…

-          François! – gridava Jean Antoine – non mollare le briglie! Non mollarle!

 Il bambino,  inebetito dal panico,  non sentiva più nulla.
Il cuore gli sbatacchiava tra la gola e lo stomaco, il cervello pareva spappolarsi in una motriglia gelata…
Il verde della campagna si deformava in pennellate isteriche che balzavano contro il cielo azzurro…
Le corde delle redini marchiavano a sangue le dita.

 I muscoli del cavallo s’incrinavano e si gonfiavano in un bollore incontrollato e folle.
Le lunghe zampe picchiavano furiosamente il terreno struggendo erba e sassi.

-          François! Reggiti!

 Il piccolo, con le braccia e le gambe esasperate, volò giù dall’ arcione.

 Il frantumante  boato contro il suolo gli detonò nei midolli delle ossa e la mente annegò in un pozzo   stretto e  tirannico.  

 

 

Un dolore acutissimo lo ustionò fino ai capillari delle dita dei piedi.
I muscoli gli si contrassero istintivamente  in uno scatto iroso.

-          Diamine ragazzo! – esclamò una rude voce maschile – resisti che ho quasi finito!

 François aprì gli occhi alla stregua di membrane sudaticce…era a torso nudo madido di sudore terricolo…
Una stretta bendatura gli stritolava l’arto sinistro e un’altra mezza fasciatura gli intrappolava il costato…
 Ammorbato dall’infiacchimento, riuscì  a sentire sotto il corpo la scabrosità d’una branda…
Lentamente mise poi a fuoco la sagoma massiccia e tarchiata di un uomo che maneggiava lesto e corrucciato arnesi chirurgici…

Si accorse che in una bacinella di rame giacevano quattro proiettili e un paio di pinze insanguinate…una matassa di garze invece straripava da una cassetta di cuoio posata su uno sgabello di legno…

-          Dove…d-dove mi trovo? – ruminò.

-          Nel Regno dei vivi… In questo splendido lazzaretto allestito con amore.

-          Siete…il medico di campo?

-          Potrei mai essere San Pietro con le chiavi del Paradiso? Certo faccio vedere le stelle ma non esageriamo…

 Il dottore infilò l’ago di sutura nel fianco del giovane che ruggì.  

-          Il mio nome è René Deronne e devo ammettere che possiedi una bella scorza…Di che lega sei fatto? Hai ricevuto ben quattro pallottole: una ti si è incastrata magistralmente tra una costola e l’altra causandoti fratture neanche esposte…due ti si sono piantate nel braccio sinistro e sei scampato a infezioni letali e questa non ti ha spappolato per poco la milza…le mie congratulazioni.

 François bolliva in tutto e per tutto: il filo che stava ricucendo le carni pareva tritarlo e la verve sarcastica e grezza del dottore gli urtò i nervi.   

-          Si sa qualcosa del capitano Rochebrune? – chiese a denti stretti.

-          Rochebrune? E chi sarebbe?

-          L’ufficiale che comandava i moschettieri!

 René tagliò lo spago di sutura e  prese una soluzione disinfettante.

-      Rochebrune…Rochebrune…- ragionò con serafica strafottenza – aaah! Il lentigginoso  coi capelli rossi di nome Blaise Enric?

-          Sì…

-      Ho capito. È il fortunello che è finito schiacciato assieme a te da quello stallone scuro…Sono riuscito ad arrestargli una bella setticemia che avrebbe indotto  l’amputazione di metà gamba… Zoppicherà per un anno intero ma almeno reciterà più di mille rosari di ringraziamento.

 Il giovane tenente sentì la scottatura dell'’ antisettico diventare più dolce…
I lineamenti villici del dottore si trasfigurarono in quelli di un arcangelo irsuto e deliziosamente urticante

-          Anche il tuo compare ha chiesto di te –  rivelò grezzamente – Ti chiami François, giusto?

-          François Augustin Renyier , conte di Jarjayes!

-         Va bene, va bene…non mozzicarmi nobile cavaliere. Spero che tu non abbia scordato per strada qualche altro dorato epiteto per rammentare la mia meschinità di mortale…

     -            Avete una bella faccia tosta! Come osate…
 
Il militare gemette   interrotto dal chirurgo che lo costrinse a sollevarsi.

-          Ascolta ragazzetto, sarai pure conte ma tutti qui stanno facendo i conti con il fango e le ferite…la vostra battaglia è durata solo quattro ore…quattro ore di gloriosa discesa in una latrina senza scampo. 

 Gli fasciò con vigoria tutto l’addome mentre lui si zittì vergognato e angosciato.
Le  garze non servirono a coprire la nausea che si dipanava dalle viscere gorgoglianti e smarrite…

 Cadde il silenzio.

 L’uomo fissò il paziente che si lasciava avvolgere accondiscendente ma belligerante…
Quel giovane d’alta statura aveva una snellezza robusta: spalle ampie, pelle che subiva colpi laceranti, muscoli che pompavano burrasche allo sfinimento…eppure, con quelle saldezze,  sembrò indifeso…un galata che temeva di risollevare il proprio scudo…

-          Quanti anni hai? – gli chiese con tenue scabrezza.

-          Ventuno.

-          Sposato?

-          Sì.

-          Figli?

-          Aspetto il  primogenito.

 François sospirò cipiglioso.
René sorrise ammorbidendo i tratti ispidi.

-       Ti stai affilando come un uomo con dedizione e imprudenza…Provi a fare invecchiare gli occhi ma sei un bambino che vorrebbe scendere dall’albero sul quale si è arrampicato…L’ancora del tuo vascello è stata appena levata. Hai vissuto nel baccano di un porto che ti ha schiaffeggiato per buttarti all’orizzonte.   

 
Il giovane si rimise sdraiato per trovare vanamente conforto nella forza di gravità.
Aveva la sensazione di essere tornato a otto anni, quella lontana epoca così vicina e lontana in cui cadde per la prima volta da cavallo…
Fu il primo trauma: per parecchi mesi non riuscì più a guardare e ad andare in groppa a un quadrupede senza piangere e morire di brividi.

Tutto era partito dal padre...
L’oracolo del destino.
Il fabbricatore di scelte.
Il castigatore dei sogni di fuga.

 

 

***§***

 

-          Blaise! Non ti saresti dovuto muovere dalla branda!

 Il capitano sorrise all’amico con lo sfatto desiderio di ritrovare la consueta e scherzosa ilarità…
Claudicava sorretto da una stampella di legno con una fasciatura attorno alla spalla lesa. Le efelidi vibravano di una vivacità rattristata e i capelli rossi erano sparpagliati stremati sulle spalle…

-          Potevo mai lasciarti in pace, François? – disse cercando di far luccicare la voce – volevo accertarmi  se avevi  la forza di divorare lo sventurato infermiere di turno!

 De Jarjayes abbozzò un sorriso mettendosi cautamente a sedere  sul letto:

-          Più che gli infermieri è il dottor Deronne che mi sta uccidendo…devo stare semiparalizzato una settimana per le ferite alle costole…non sia mai provassi a saltellare! Vorrei spaccare tutto, ti giuro…odio starmene qui a ingurgitare antidolorifici e brodaglie schifose.

-          Coraggio! Aspetta un po’ e  pian pianino tornerai a deambulare normalmente! Pensa a me che continuerò a zoppicare come un nonnetto per un anno!

-          Sei un nonnetto bello arzillo! Mi ronzi attorno nonostante tu sia rottamato dalla testa ai piedi!

-          Oh! Scusa se mi preoccupo di visitare la belva più infernale del regno di Francia!

 I due compagni risero ma le ferite  presero a pulsare dolorosamente.
Furono costretti a interrompersi subito.   

-   Chissà quando abbandoneremo la Germania – sospirò afflitto Blaise – c’è da uscire pazzi in questo accampamento…Non si capisce mai che ore siano, e quali siano precisamente le cifre dei dispersi e delle forniture perduti…Noailles e Grammont pare si debbano massacrare da un momento all’altro ma  restano congelati cercando di supportare gli avanzi delle nostre milizie…

 François fissò la tenda bigia dell'’ospedale provvisorio…
Chiuse qualche secondo gli occhi per domandare:

-          Quanti uomini abbiamo perso?

-          Non so…Avevo sentito attorno ai tremila ma i numeri possono aumentare…Durante la ritirata parecchi sono finiti uccisi dall’artiglieria hannoveriana mentre alcuni sono annegati nel Meno perché i ponti di barche sono stati distrutti…è stata una ritirata catastrofica…Le riserve intatte del nostro contingente non ci hanno raggiunto tempestivamente e per giunta i prussiani sono fuggiti senza degnarsi di fermare l’avanzata dell'’esercito prammatico. 

-          Splendido. È bastata una giornata per polverizzare i tre quarti delle nostre risorse.

-          Quando gioco valuto attentamente le carte prima di buttarle.

 Blaise espirò con melanconica delusione ma l’amico intuì che dentro covava rabbia…una rabbia più che lecita e che in parte s’indirizzava verso di lui.

 

-          Tra gli inglesi regna il caos! Attaccarli significherebbe ribaltare disastrosamente i ruoli! Non dobbiamo ostacolare l’artiglieria!

-          Blaise! Vuoi  ammollarti con Montagne, Lally e d’Olliéres?

-          E’ questione di evitare una macellazione di massa!

-          Annientare o essere annientati!

-          Trasformeremo un successo in fallimento!

 

François udiva quelle parole suonare orribilmente trasparenti e profetiche…
Si rammaricava, devastato,  della propria sordità ma l’ orgoglio soppresse in parte gli elogi che doveva al compagno…

-          Non è facile prevedere con chiarezza i movimenti di una tempesta – riuscì a pronunciare – i contorni delle nubi sono spesso sfocati…

-          Hai ragione…ma credo che non bisogna temere d’usare il cervello. C’è un motivo per cui è collegato ai nervi ottici, non trovi?

 L’amico si stizzì ma era cosciente di trovarsi dalla parte del torto…Reagire aggressivamente si rivelava una soluzione sciocca e inconcludente.  

-          Blaise…mi dispiace tanto.

 Il giovane si accinse a far ritorno al proprio giaciglio dando le spalle in modo traballante.

-          Cercare di raccogliere l’acqua versata non serve a niente – rispose – bisogna evitare di disimparare a camminare…

 Si voltò poi indietro, adagio , sorridendo colmo d’ affettuosa amarezza:

-          Ringrazia il cielo e il nostro bisbetico Deronne se riusciremo di nuovo a stare in piedi per prenderci  a sciabolate.

 François ricambiò il sorriso con un cruccio disteso e debitore.

 

 

***§***

 

 

La luna grondava lattiginoso squallore sulle tende dell'’accampamento.
Simili a un unguento gommoso, i suoi riflessi gocciolavano sul terreno acetosi impastandosi alla tenebra bituminosa.
Il sudore resinoso del silenzio si appiccicava al fetore del sangue sotto le bendature.
I rumori dei bisturi, delle pinze, delle lame d’amputazione rantolavano nello spettro delle ore pomeridiane inumidendo le brande viscose dei soldati feriti.

Con la fasciatura attorno ai fianchi, la camicia ingiallita e la giacca della divisa illividita, François abbandonò il proprio giaciglio.
Cigolante, si diresse verso l’estremità settentrionale del campo cercando con esausta asprezza qualche pietruzza di stella, qualche mollica di cristallo brillante.
Le membra s’irruvidivano di formicolii, s’impregnavano d’echi smangiucchianti: le ossa mutavano in bastoni di carta fradicia; i muscoli avevano le fibre impietrite.

 L’anima si sfilacciava nelle vene trascinandosi grumosa e ingrigita.

 La coltre notturna pareva non dispensare trilli rasserenanti di grilli, né tragitti per arrivare a un’anticamera infera… Tutto s’incartava in un’inezia meditabonda e drogata.
Che cosa sarebbe accaduto all’alba e nelle ore successive, Dio solo lo sapeva e , in quel momento, era impossibile concepire un’unghia di preghiera.

Perché sprecare pensieri che sarebbero arsi alla luce della finitezza?
Al limite della tendopoli vi erano schiume di boschi, greggi di montoni che brucavano senza logica e pastori.
A tratti s’intravedevano colline d’erba calcarea, onde di un oceano di mummificata burrasca.

 Niente esplodeva e niente si placava.
Tale era l’eredità della sconfitta: un testamento di ore svalutate che non vaticinava vie d’uscita.

 Il giovane non sapeva dove  perdersi, infuriarsi…
Gli sembrava una sanguinosa beffa, un’ingiusta umiliazione alla sua lealtà, allo spirito che si consumava. Immaginarsi alla stregua di un eroe omerico o di un paladino carolingio era puerile e ridicolo ma non poteva sostenere la sensazione di vedersi sprecato.
La gloriosa fama della cavalleria francese  stava affogando in limacciose lagune…
Il tenente levò lo sguardo al cielo, dove la luna galleggiava spaurita sopra una tenaglia di nuvole scure.

Judith.
Judith sopra l’anello dell'’abisso.

Il respiro circolò nel cuore come una nube lacrimante di solfato.
Gli occhi di lei inondarono, dolci e angoscianti, il vacuo gelo dell'’ira.
Il giovane venne tramortito violentemente da quel tesoro che aveva visto annegare prima dell'’assalto degli inglesi.
Era stata una sensazione di rovina, un presagio che distruggeva inizi felici.

La sposa doveva essere al settimo mese di gravidanza e mancava poco alla nascita del piccolo…il primogenito, un ignoto ed entusiastico inizio che avrebbe donato un altro ruolo: quello di padre.

Il marito non riusciva a provare felicità, a godersi quell’attesa: sentiva che era accaduto qualcosa, che a Dettingen come a Parigi la falce del fallimento aveva colpito, razziato. 

Judith stava davvero bene? La sua sottigliezza reggeva il ventre crescente? Com’era diventata la sua pelle? Più rosea? Più pallida? Più screpolata?
Che diceva al piccino nel letto nuziale per metà vuoto? Gli parlava di lui?

L’ufficiale si pentiva di straziarsi, amare quella completezza che offriva  ansie.

Era sufficiente il macigno della guerra perduta…Forse sarebbe stato meglio…niente anime che attendevano e ricambiavano calore…Nessuna piantagione di fiori nel cuore…

Troppa era la delicatezza, spaventosa la cura.
No.
Che oscena assurdità.

 Come poteva pensare di non avere quella fanciulla? Esistere senza lei? Costruirsi privo dei suoi colori?

La luna nel cielo era una perla estirpata da una conchiglia, dalla protezione e lui si sentiva il peggiore dei malfattori anche se il dolore rappresentava la gioia di concepirsi vero, dominato da una disperazione vitale.
In quelle ore di mortifero mutismo, dialogò con la lontananza, con il riflesso della moglie intrappolato nel feretro della notte.

-          L’aria è terribilmente inutile, vero?

 Il ragazzo si voltò a destra e distinse una sagoma assisa su un mozzo tronco d’albero. Stava con la schiena eretta e fumava , solennemente sprezzante, una lunga pipa…

-          Colonello de Girodel !

 L’uomo si alzò con placidezza cinica e scorbutica, lasciandosi irrorare dal crudo argento dei raggi lunari…Alto, snello e vigoroso era dotato della regalità boschiva del cervo, l’animale araldico di famiglia. Nonostante fosse debilitato da una feroce spossatezza, egli non voleva lasciar cadere la sua corona di rami insidiosi.
Il  volto appariva in un’affilatezza da esattore fiscale e in una sabbiosa santità d’ eremita. I capelli bruni, sebbene compromessi di pulviscolo e secchezza, erano accuratamente raccolti in una coda bassa. Gli occhi allungati verde acqua filtravano ematomi notturni ma non perdevano  brillantezza algente.  Il naso possedeva una minacciosità diritta e asettica, le labbra sottili erano di una perentorietà geometrica e il mento si disegnava aguzzo e fine.
A stropicciare quei tratti da sfinge,  un’ustione sulla guancia sinistra e striature di graffi che deturpavano la liscezza sassosa della pelle.

-          Era una prospettiva intollerabile affossarvi come un cadavere – intuì apatico Girodel – così volete trovare conforto nella frescura della notte.

-          Non so se questa frescura sia veramente confortante…

-      Avete ragione. C’è tanfo di lentezza…troppa lentezza…Le ore sono diventate futili e voi siete un uomo d’azione. Un autentico leone.

 Frederic sorrise con acida cupezza…
François strinse i denti per disfare il disagio che lo screditava: non capiva se provasse un imbarazzante rispetto o una collerica avversione verso quel nobile dall’eleganza ostile ed enigmatica.

-   La campagna è squisitamente immensa – seguitò con gelida ironia il colonello – tuttavia è muta e claustrofobica. Finge di mostrare lunghi sentieri ma non è altro che un prolungamento di questa prigione, un bel cortile infame. Chissà che sofferenza per voi abituato a correre su pianure infiammate o a discendere ripidi colli…Immagino sia bello  essere liberi di scordare i calcoli concepiti con cura.

 Il cervo affilava il diadema di corna  per  trafiggere  in profondità.
Il leone ringhiava  intenzionato a schermarsi con depressa fierezza. 

-      Ho commesso un grave errore di valutazione  – rifletté dolente il ragazzo – credevo di dover agire, supportare Grammont perché restare fermi sarebbe potuto costare caro. Sembrava che ormai gli inglesi fossero in trappola e non si poteva perdere altro tempo. Era necessario concludere la battaglia…

-          E mandare all’altro mondo buona parte delle nostre milizie.

-          La cavalleria francese ha provocato numerose perdite nei corpi austriaci e hannoveriani!

-          Certo, tenente…peccato che i soldati si siano gioiosamente dispersi per finire dritti in mattatoio.

-          Ho mantenuto lo stendardo fino alla fine! Ho riunito l’ultimo brandello delle mie truppe! Non ho risparmiato nessuna goccia del mio sangue! Nessuna!

-          La vostra temerarietà è ammirevolmente esilarante. Vorrei conferirvi una medaglia di platino per l’ardore che trasmettete ma quando il coraggio assume le fattezze della stupidità tutto si complica.

 Il fumo della pipa di Frederic era un serpente che gonfiava di veleno le stelle traballanti del buio.
François represse le lacrime di rabbia che gli incendiavano la vista.

-          Mai ho desiderato deludere la Corona – scandì stritolato – il mio obiettivo era di vincere i  nemici e non ho fatto altro che mettere in atto le migliori strategie. Non…non avevo previsto…un ribaltamento delle sorti. Io penso a dare il tutto per tutto e, poiché non è possibile determinare con totale certezza le mosse future, è necessario rubare il tempo all’avversario prima di lasciarlo riprendere…

-           È  triste che vi siate rivelato un pessimo veggente come Grammont. Non vi eravate accorto che le truppe arretrate degli Asburgo sarebbero potute intervenire e rafforzare le fondamenta indebolite della cavalleria?! Vi si squagliava d’impazienza la mente se la lasciavate lavorare con  più calma?!

-          Colonello de’ Girodel! Sarò pure colpevole di stoltezza ma non mi sono azzardato a fuggire e ad abbandonare i superstiti come ha fatto de la Broglie!

-          Il senso dell'’onore è encomiabile ma inutile, valoroso de’ Jarjayes… ho solo visto il vostro stendardo bruciarsi al suolo.

 Il giovane strinse i pugni con la voglia indiavolata di percuotere il rivale, calpestarlo, fargli comprendere che il Fato era sprovvisto di un codice etico…Purtroppo quel maledetto cervo aveva ragione e la sua odiosa regalità pareva insormontabile…Aveva trentuno anni ma già ne esibiva il doppio visto che era fermentato in un distillato d’ aridità e razionalismo smantellatori.

-          Domani pomeriggio vi presenterete al duca di Noailles- annunciò freddamente – è fondamentale riparare le crepe della maison du roi.

-          Che intendete dire?

-          Sarete retrocesso a grado di sergente.

 
François si sentì spaccare il cranio e l’anima da un martello incandescente.
Un orripilante assideramento l’oppresse e lo sguardo  si sospinse nel silenzio che sviscerava i respiri degli alberi.

-          Sono mortificato, de’ Jarjayes – disse con arrogante compassione Girodel – credetemi, non tutto il male viene per nuocere. Sono convinto che imparerete a destreggiare il vostro eroismo con maggiore consapevolezza. Il nome della vostra stirpe sta prendendo la rotta dell'’ovest…desiderate  tramontare nell’onta dell'’oblio?

L’uomo espirò tracce di fumo tartareo e tornò all’accampamento.
La sua ombra lo accompagnò ieratica e incendiaria come un nibbio del Sahara. 

François scaraventò per terra la blusa dell'’uniforme e la calpestò con violenza.
L’ira lacrimò dagli occhi graffiando il viso e i singulti.

 

 

*** § ***

 

-          François Augustin Reynier de Jarjayes… Per aver trasgredito gli ordini del vostro comandante supremo, vi requisisco i gradi di tenente.

 Il Duca Adrien Maurice de Noailles tolse le medaglie al giovane che taceva deferente e frantumato.
La sua voce montagnosa aveva rimbombato nella tenda raggelata e regia. Le rughe gli incidevano  fronte e zigomi con ruvidezza vellutata, con quell’imponenza melanconica da Marco Aurelio che riflette sull’imprevedibilità delle emozioni.

-          Sarete  sergente nel contingente delle Guardie di Parigi.

 Il ragazzo annuì con la gola prosciugata di risposte.
La sua criniera era bagnata di colpevolezza e il sangue si terrorizzava ai ticchettii smagnetizzati  dalla bussola del petto.
Gli occhi versavano cocci di zaffiro opachi e molli e il viso , dai lineamenti decisi e adulti, cedeva ad una tenerezza adolescenziale, ad una freschezza sbiancata ed infantile.
Ogni cosa si denudava in un’imbarazzante piccolezza, nell’essenza più luminosa di una giovinezza emarginata.
Il generale analizzava quel nobile con asprezza nebulosamente paterna…Il suo sguardo castano era caldo come legno secolare e percuoteva con  liquidità densa.

-          Sono profondamente amareggiato, conte de’ Jarjayes… ho avuto modo di seguire i progressi della vostra carriera rimanendo estasiato. Avete mostrato abilità notevoli e soprattutto un senso del dovere ferreo e ardente. È difficile incontrare un uomo sinceramente convinto di combattere per lo Stato…Impugnate la spada senza tremare, maneggiate il fucile con   destrezza…Il comando della Cavalleria Leggera non vi è stato affidato con incosciente benevolenza. Contavamo su di voi. Credevo di aver scelto con cura ogni ufficiale del mio esercito.

 François si percepiva la più demente delle reclute…Ogni schizzo di discorso che tentava di visualizzare  sembrava scandalosamente inadeguato…
Il Duca apparteneva alla razza di quegli antichi strateghi  che permetteva alla dignità bellica di sopravvivere. Trovarsi di fronte a lui , in  una vulnerabilità da ragazzetto brigante, era  patetico e l’odio verso le incontrollate sudate dell'’animo aumentava.

-          G-generale de Noailles…-  disse il giovane– porre le mie scuse è stupidamente vano. La debolezza logora i mattoni di ogni muro e io sono stato incapace d’intendere…La cosa che mi fa più rabbia…è che nel cercare la vittoria mi sono trasformato in un perdente e ora…non riesco più a prendere la mira.

 Noailles restò muto, in una rigidità invernale.
Il ragazzo decise di aggiustare maldestramente quell’uscita incerta:

-          Perdonatemi, Duca. Ho la pessima abitudine di parlare a sproposito…senza provare a starmene fermo.

-          Siete precipitato in un grosso burrone de Jarjayes…piuttosto che paralizzarvi in ciechi miserere, trovate le funi per tornare in superfice.

 L’uomo abbozzò un sorriso pregno di rigore ma di  vaga fiducia. 

-          Avete una mente e delle mani. Afferrate la vostra spada e pulitela dalla polvere… Le lame devono riflettere la luce del sole.

 

 

*** § ***

 

 

Wiensbaden, 10  luglio 1743

 

Cara Judith,

come state tu e il bambino? Com’è  l’aria a Parigi?
Spero davvero che il calore dell'’estate possa farti solo bene accompagnandoti il giorno e la notte…Lo so che potrei dire  sciocchezze e che magari vorresti provare a schiaffeggiarmi…E’ impossibile che l’angoscia finisca di tormentare.
Non ho mai smesso di cercarti in questi mesi e in questi ultimi dannatissimi giorni…Sapevo bene che non potevi comparire magicamente agli angoli delle strade ma ci speravo troppo.

E lo voglio tuttora.

Sono distrutto.
Non tollero più il tempo che scorre irrecuperabile, i miei pensieri, questa noia orrenda che immobilizza ogni cosa.

 Le operazioni di Dettingen si sono concluse in un vomitevole disastro.
Abbiamo perso quasi quattromila uomini e i prussiani ci hanno voltato le spalle.
È meglio che per adesso non ti descriva nulla…il mio stomaco è abbastanza intossicato…

 Io e Blaise Enric siamo sopravvissuti per miracolo…chissà… forse il Signore desiderava non creare sovraffollamento nel Regno dei Cieli.
Il medico dell’esercito è un tipo veramente in gamba e ha salvato la pelle a parecchi soldati …Non so quante amputazioni abbia fatto o quante maledizioni di morte abbia ricevuto ma almeno mi sto riprendendo…

Certo ha il vizio di sparare sentenze e trattarmi come un marmocchio rimbecillito però non importa…E’ bello arrabbiarsi con lui.

 Non stare a preoccuparti… appena mi riprenderò raggiungerò  Parigi.
Non posso dirti con certezza quando tornerò e mi auguro di saperlo al più  presto.

Ho  terrore a guardare la luna, Judith.
È bellissima, pare profumata ma a volte la trovo pericolosamente dolce.
È così bianca che potrebbe congelarsi e non parlare più…
Assomiglia tanto a te.
Mi fa restare sveglio…Perché non riesco a sdraiarmi affianco all’ombra del vuoto.
Attendo tue notizie…
Sono stanco del silenzio…del nulla.
È orribile immaginarti e scoprire che sei ancora troppo lontana, che non posso afferrarti…

 Ti bacio
François

 

 

Il giovane lesse per l’ennesima volta la lettera che aveva steso l’ora addietro.
Sulla banchina del piccolo porto di Wiensbaden  attendeva l’imbarcazione che avrebbe attraversato il Reno per giungere alla città di Kartsruhe al confine con la Francia.

 Il blu argentato delle onde esalava un aroma di severa e inquieta calma che s’adagiava sui ciuffi  screziati degli alberi arrampicati alle sponde…
Le parole incise sulla carta  innervosivano di tenera impazienza…

La mente fantasticava sulle reazioni di Judith, tremava per trovare una cornice appropriata in cui collocarla…V’erano la gioia di vederla col bambino in braccio, l’incubo di saperla ammalata, la nera prospettiva di non raggiungerla più…
Tutta quella matassa di pensieri causava un mal di mare odioso, sfocato e irrisolvibile….Volare a Parigi alla velocità della luce era assurdo e l’unica sanguinante soluzione si rivelava l’attesa…
L’attesa che taceva e non mostrava lo scrigno dei minuti futuri…
L’attesa che costringeva a fissare il cielo e la terra su un’altalena che oscillava ancorata al presente.
All’instabilità cristallizzata.

-          State leggendo una lettera romantica, de’ Jarjayes?

 François avrebbe voluto trovare l’ingresso dell'’inferno per spedirci dentro Girodel.
Quel dannato profanava puntualmente i momenti d’intimo smarrimento…Lanciava occhiate di compassionevole sarcasmo e attendeva flemmatico la reazione dell'’interlocutore…
Un cappello scuro gli ombreggiava metà viso permettendo agli affilati occhi chiari di lumeggiare con prepotenza.   

-          Una cocotte di provincia vi ha dedicato i suoi ricordi emozionanti? – incalzò – o forse siete voi che vi dilettate a comporre poemi sentimentali?

-          Ho scritto a mia moglie.

 Il colonello inarcò le sopracciglia simulando stupore infantile: 

-          Siete dunque…sposato.

-          Da un anno. Aspetto un figlio.

-          Amate la vostra donna?

-          Certo…sono molto in pensiero per lei.

 L’uomo sospirò con una  gravezza che François non capì se fosse contaminata di canzonatura  o sincera severità:

-          La lontananza rischia di far diventare le cose irreali, farle sparire…

 Inquietato, il ragazzo restò zitto.
Senza conoscere la ragione di quell’apertura, si sentì obbligato a raccontare una piccola parte di sé…

-          In effetti mi è capitato di sognare che ero stato fuori Parigi per un periodo di tempo così interminabile che al mio ritorno ogni cosa si era dileguata...soprattutto la mia casa e Judith.

-          Vi siete complicato l’esistenza cercando di dare un senso a voi stesso… Operazione sciocca a mio parere visto che la sensatezza non farebbe vivere l’anima.

 Il sergente contrasse le mascelle obiettando:

-          Colonello…siete il primo illuso convinto di avere le mappe mentali degli uomini. Una scuola che insegni la cartografia dello spirito non è stata inventata da alcun filosofo.

-          Fate ridere de Jarjayes. La vostra antitesi appoggia la mia teoria ed è proprio perché non esiste una cartografia perfetta dello spirito che affermo che la sensatezza non farebbe vivere l’uomo. Non so se sia una fortuna o una piaga ma non ho pretese da sapiente…anzi…credo che più si cerchino significati profondi, più si perde cognizione della realtà…C’è l’incoerenza alla base di ogni elemento e bisogna accettarla senza farla trasparire eccessivamente. L’amore peggiora le cose e non ha censure per evitare scomodi spaesamenti.

 François lanciò un adolescenziale e vendicativo sorrisetto a Frederic.

-          Dunque è per questo che siete ancora celibe? Avete timore di diventare più insensato di prima?

 L’uomo non si scompose e ribatté con solenne boria:

-          Il matrimonio è semplicemente un contratto volto a perpetuare il sangue di famiglia. Un dovere da compiere che non implica un turbine cerebrale. La maggior parte degli individui non sono martiri sentimentali come voi e la vostra consorte e inoltre, spiacente deludervi, sono fidanzato da diversi mesi. Non appena tornerò in Francia mi sposerò.

-          Se ritenete quest’atto così…elementare e giusto perché avete quell’espressione eroica e sofferente?

-          Ivonne Marianne Henriette è deliziosa, istruita ed elegante…insomma ha sedici anni, tutte le grazie di questo mondo e una famiglia che naviga nell’oro. L’ideale per rafforzare le fondamenta dei Girodel. Mi auguro che quella fanciulla non spicchi voli pindarici…Sapete,  è intelligente ma rischia di lasciarsi instupidire dalla curiosità che hanno gli illusi che sperano di risolvere le contraddizioni del mondo... Poveretta. È talmente tenera da rattristarmi molto…sarà difficile gestire una mocciosa.

 

 

 

***§***

 



 Joyssigni, Parigi

10 agosto 1743

 

 

 

Caro François,

quando torni? Non sopporto più quest’estate…non fa veramente caldo…il sole è come inesistente…Non c’è niente che mi piaccia, che mi riposi…
Non riesco a sentire odori e non ho più bisogno  di mangiare.
Cammino  per ricordare di avere le gambe, giusto per far rimanere un po’ intatta la vista quando cerco tra gli alberi il vento.

 Perdonami. Perdonami.

 A casa non vedrai bambini.

Il mio ventre ha partorito una creatura morta. Una piccola troppo scura, troppo infreddolita…
Ti prego, perdonami…
Non sono riuscita ad abbracciare il nostro avvenire.

 Sono solo qui che ti aspetto tra un incubo e l’altro con intervalli di nauseante insonnia.

 È orribile.

 Torna…

 Ti amo tanto.

Mi dispiace scriverti ciò  ma è l’unica cosa che sono in grado di pensare per evitare di uscire pazza.

 Voglio abbracciarti al più presto.

 Fai finire quest’estate.
Questo cielo odioso che non crolla.
Io sono qui sperando che tu diventi nuovamente reale, che dormirai affianco a me facendomi sentire viva.

 Non capisco se sono sveglia o sotto terra.

 

 

Judith

 

 

-          Santo Cielo, François! Che ti prende?

 Blaise, ansioso,  fermò a mezz’aria il boccale di birra.
L’amico aveva lasciato cadere lentamente la lettera sul tavolo.
Era sbiancato intontito, incredulo…Un acquazzone, forse di fiamme o di ghiaccio, seminava nel sangue e nelle  ossa  aculei avvelenati.

-          Cosa ti ha scritto Judith?

 François seguitò nel suo mutismo, imprigionato in una sfera di piombo che si rigava di rosso, di nero. Si mise una mano tra i capelli sciolti come per reggersi il cranio che diventava un funereo incensiere di terracotta.
Gli occhi blu erano imbalsamati in un luccicore comatoso, salassato di brezza.

-          François…

 Sempre più preoccupato,  Blaise lo scosse lievemente, come per scrollargli di dosso una neve dannosamente sonnifera.

-          François…che è successo?

-          Scusami.

 Il giovane afferrò la lettera stropicciandola e si diresse verso l’ingresso dell'’osteria.
Il compagno lo raggiunse.

-          La tua Judith…- gli mormorò – come sta?

 Lui fissò la sera calante, che impreziosiva e invecchiava la quotidianità formicolante del paese…
Si sentì tragicamente estraneo a  quella calma…
Si sentì rabbiosamente invidioso, tradito dal venticello che prese a rinfrescare i sassi delle vie.

 Sbatté un pugno contro lo stipite della porta del locale.

-          È stato tutto inutile, Blaise – sibilò rauco – la culla affianco al letto di Judith resterà vuota…Devo tornare immediatamente a Parigi.

 

 

*** § ***

 

 

                                                                                                                            Parigi , 20 Agosto 1743

 

 

 

 

Il sole del tardo pomeriggio ansimava timido e afflitto dietro le tende della finestra…
Una luce farinosa ingombrava di riarsa quiete le pareti della stanza da letto che pareva l’androne di un museo mortifero, colmo di oggetti d’opaca raffinatezza…
Un orologio di castagno mostrava un pendolo d’ottone che oscillava indefesso nel suo rettangolare ventre di vetro…
Un armadio mogano imperava contro una parete simile a un luttuoso portale del limbo che si sarebbe spalcato su una valle di sconfinato grigio…
Qualche cornice d’argento rinchiudeva lo spettro di un silvestre paesaggio crepuscolare o il ritratto di un antenato onirico…

Judith era sdraiata sul letto simile a una regina appassita che stava declinando assieme al suo regno perduto.
Coperta da una leggera veste di un rosa cupo, polveroso, dava l’idea di una bambola di porcellana guasta ma custodita con  cura all’interno d’una soffitta.
I folti capelli castani non valorizzavano più la sua grazia ma accentuavano una malsana magrezza che assottigliava il bel collo e svuotava di colore ed energia le membra…
Il volto era una maschera di serico e plumbeo decadimento: aveva sofficità infantile e pallidezza d’anzianità…
Le clavicole sporgevano uguali a radici fragili ed esangui, le spalle si erano disseccate facendo emergere la spigolosità degli omeri e le braccia avevano sembianze di rami assiderati che potevano spezzarsi da un istante all’altro…

 Il cuore pulsava catrame annacquato rinchiuso nelle costole che si atrofizzavano in una mollezza febbricitante…
La mente tentava di fare affluire il sangue superstite nei suoi meandri sterminati…
Gli occhi materializzavano sul lato freddo del capezzale la sagoma di François, l’unica fantasia ancora possibile, realizzabile, l’unico calore che si riversava in un addome depredato, ululante, sterilizzato…

-          Madame! Madame!

 Marie spalancò con commosso turbamento le porte della camera. 

-          Madame! E’ arrivato vostro marito!

 La giovane donna si sollevò sui gomiti con traballante e gioioso scombussolamento. 

-          Cielo…ditemi che non è un sogno…dite…

-          Insomma Marie! – esclamò un’arcigna voce maschile – lasciatemi andare e dateci un taglio!

Con ansiosa rozzezza François tentò d’entrare nella stanza ma la governante lo abbracciò piangente dimentica delle convenzioni sociali.

-          Signor de’ Jarjayes! – balbettò – è stato terribile! Eravamo angosciati! Abbiamo temuto il peggio! Madame era disperata!

 Sbuffando il giovane la calmò con brusche carezze sulle spalle: aveva l’ età di suo figlio e non c’era da stupirsi se talvolta gli istinti materni di lei prendevano il sopravvento...

-          Marie…sono tornato…su….

-          C-chiedo…chiedo perdono! Vado via! Vi lascio!

 La donna uscì con febbrile imbarazzo chiudendosi la porta alle spalle.

-          François…

 Judith stava faticosamente assisa con le lenzuola tirate su, per non palesare la macilenza che l’affliggeva…

 Il marito si era già accorto, devastato, di quell’ombra che la usurava…
Le si avvicinò dolcemente mettendosi a sedere sul letto…
Sorrise indolenzito accarezzandole il viso, con i capelli spettinati e la divisa abbottonata in una triste e ferita austerità. 

-          Scusami…- sussurrò egli – avrei voluto raggiungerti prima…

 Lei tremolò in silenzio con le labbra che stentavano a distendersi.

-          Farò smettere tutto, vedrai…

 La vide lacrimare incapace, impaurita di pronunciare un discorso.

-          Judith…quest’incubo finirà…non possiamo perdere.

 Strinse a sé la fanciulla, attento a non frantumarla,  a non disciogliere la sua pelle che rabbrividiva e singhiozzava…
Massaggiò la tastiera delle ossa del busto macabramente irrigidite, rimpicciolite…
Voleva vincere quel deperimento…Scaldarlo…Annullarlo…

-          François – incespicò la ragazza – non volevo che mi…mi vedessi…così…ti sembro morta?

 Si scostò da lui afferrandogli le spalle con disperato fervore.

-          Sembro morta? – esclamò stordita – sembro morta? Dimmelo.

Lo sposo la baciò assorbendo ogni  anelo di dissanguamento.

-          Sei una luna, Judith…la mia splendida luna.

 Lei gli precipitò di nuovo tra le braccia per penetrare nel suo cuore, rifugiarsi nella linfa di quell’anima che  l’avvolgeva anch’essa piena di scorticature.

-         Andremo avanti – mormorò François – te l’avevo promesso…non so come…ma ce la faremo. Non siamo diventati ciechi…non abbiamo mai smesso di toccarci.

 I due restarono allacciati in respiri sbrindellati…
Stavano tentando di spegnere l’incendio che assediava  sentieri  in costruzione…
Si gettarono l’uno nella cenere dell'’altra per trovare assieme acque resuscitanti…

 Erano spettri che attendevano fattezze di carne…carne che sarebbe cicatrizzata sotto le candele che bruciavano il buio. 

 

 

 

 

 

 

Note esplicative :

 

Meno*: affluente del Reno

milizie hannoveriane* :  Hannover è una città della Germania sul fiume Leine, capitale della Bassa Sassonia. Occupata in epoca carolingia dai Sassoni, passò alla casa di Brunswick e da questa al ramo di Brunswick-Luneburg, da cui deriva la casa di Hannover. I suoi discendenti sarebbero divenuti in seguito re della Gran Bretagna . Il primo di essi, Giorgio I, ascese al trono britannico nel 1714. Tre re della Gran Bretagna o del Regno Unito sono stati allo stesso tempo Principi elettori di Hannover.

 

 

Note storiche ( e considerazioni personali):

 

questo dannatissimo capitolo mi ha portato via un mese e mezzo con la bella aggiunta di due settimane di documentazione preliminare su: l’ Esercito Francese ( durante e dopo Luigi XIV)  la Guerra di Successione Austriaca e la battaglia di Dettingen ç_________ç

La faccenda della prammatica sanzione non è stata tragicissima ma lo scontro in Germania è stato devastante! Mi occorreva sapere in quale battaglia avrebbe potuto partecipare François e così , leggendo gli sviluppi della guerra austriaca,  ho trovato questa disfatta dell'’esercito francese in Baviera.
Per sapere i generali e le fasi degli attacchi e contrattacchi sono stati utilissimi due siti di wargame, basati su libri di storia militare…Le fasi di cui ho parlato sono accadute davvero ( le misure prese da Noailles, l’errore di Grammont, l’ora dell'’assalto della cavalleria , la “ ripresa” dell'esercito prammatico, il bilancio delle perdite )
Naturalmente ho filtrato il tutto in chiave poetica e dal punto di vista del protagonista…ho cercato di essere abbastanza verosimile ma non ho pretese da saggista storica! Alcune cose le ho dovute immaginare e intuire e la disposizione delle truppe in manipoli mi deriva dall’aver studiato storia militare romana XD le tattiche adoperate nell’antichità continuavano ad essere studiate e adoperate anche nel XVIII secolo.

 
Per ricapitolare i personaggi storici sono stati : il Duca di Noailles che era zio di Grammont, poi i quattro generali de La Broglie, Rechelieu, Montagne e Lally ( sui loro effettivi comandi vi sono dati incerti ma io li ho voluti inserire comunque)

 

Il personaggio di François:
L’ Ikeda si è ispirata molto  liberamente all’aristocratico realista François Augustin Reynier de’ Jarjayes e io ho seguito la sua linea…gli unici elementi storicamente rimasti intatti di questo personaggio sono  l’onomastica, la lealtà nei confronti della corona, il nome Jean Antoine del padre e il cognome della moglie Bouchet de la Seigne.  

 Per concludere e  non tediarvi maggiormente, uno degli  elementi che ho ripreso  da Nella mia penombra  è la sequela di lutti che colpiscono François e Judith…o meglio le  morti delle sorelline che Oscar non conoscerà mai. Ho parlato solo dell'’ orribile esperienza dell' aborto perché è il principio, l’elemento più importante che darà avvio alle altre perdite. Nel secondo capitolo  mi ricollegherò a questi eventi ma non mi dilungherò perché comparirà la cara Oscar ( e poi André ^^ )  Sarò pure cattiva, ma io ho sempre creduto che lei fosse figlia unica visto che ste sorelle non si vedono mai nell’anime, come se non esistessero XD tra l’altro è meglio che sia sola! Mi fa più comodo!! XD e , scherzi a parte, si capisce più efficacemente lo snervamento di François che non potrà far rischiare la vita all’amata moglie troppe volte…le gravidanze sono serie e le perdite delle bimbe sono dure da assimilare…

Non so quanto vi sia stato simpatico il futuro Generale ma mi auguro che un pochino lo apprezziate ^^ “  va bene…nella storia originale non credo abbia suscitato particolare simpatia…dal  modo con  cui si comporta con la figlia  -_______- è da pigliare un po’ a sberle…però ho desiderato rivalutarlo e costruirci un bell’impianto d’indagine psicologica! Alla fine sono giunta a volergli un gran bene nonostante sia un personaggio pieno di difetti…

 
A dicembre!!

Grazie per aver avuto la pazienza di leggere!! ^^

 

 

 

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Capitolo 4
*** CAP 2 - Aspettando il mattino: sotto il canto della pioggia ***


CAP 2 - Aspettando il mattino: sotto il canto della pioggia

Prima della lettura….

vi chiedo innanzitutto scusa per questo ritardo biblico ( di cui vi spiegherò le cause a fine lettura ) XD rivelandovi immediatamente che il capitolo 2 è lunghissimo ( supera la cento pagine ) e l’ho articolato in 4 parti che , nonostante siano connesse da una metafora e un tema comuni, mostreranno diversi e importanti episodi del passato dei nostri due protagonisti e naturalmente la situazione politica della Francia prima della Guerra dei Sette Anni.
Ho cercato di  essere verosimile ma non ho assolutamente pretese da storica perché questo è un romanzo ed è dunque un’opera di fantasia.

Vi lascio alle vicissitudini dei personaggi che ho ripreso dodici anni dopo il 1743 anno  della drammatica battaglia di Dettingen in Baviera durante la guerra di Successione Austriaca…  

 

 

 

 

 

 

 

“ mi ridomando, vorrei sapere,
se un giorno sarò meno stanco, se le  illusioni
siano le antiche speranze della salvezza;
o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni altro, non volgare
letteratura ma vita che si piega al suo vertice,
senza né più virtù né giovinezza.
Potremo avere domani una vita più semplice?
Ha un fine il nostro subire il presente? “

 ( G. Giudici)   

 

 

 

 

                                                                                                                                         

*** Ouverture***

 

                                                                                                                                            Settembre1752

Versailles, Parigi

 

Chiudere gli occhi non sarebbe servito a nulla.
Conosceva alla perfezione il ruolo di letale rilievo che ricopriva fin da bambino.

 In qualunque stagione,  da un soffitto altissimo,  pendeva una spada legata a un fragile crine di cavallo.

Si specchiava vanitosamente carnefice sulla superficie della sua corona, pronta a tagliarlo in due.

Nonostante quel mattino il sole dispensasse calda freschezza e allettasse con l’opportunità di  passeggiare per i giardini della reggia in compagnia delle amate figlie, era semplice scardinare  schemi  d’ illusorie spensieratezze.

-          Se gli esseri viventi vogliono la sopravvivenza in questo mondo imprevedibile, è necessario che  adeguino il proprio corpo in funzione dei mutamenti che incombono tra la terra e il cielo.

-          Continuo ad avere l’impressione, caro Ministro, che si tratti di procurare tumori a un organismo efficiente.

-          Maestà, valutate attentamente a chi elargite lealtà.  Potrebbe essere dannoso nutrire ottimistica fiducia verso la Prussia che maschera pusillanimità e  ignavia con  prudenza e pace.


Tra le pareti bollate di gigli dorati del suo gabinetto, Luigi XV si pentiva ancora una volta di aver ricevuto l’ambasciatore Wenzel Anton von Kaunitz*.
 

-          Non sarebbe dannoso porgere la mano all’aquila degli Asburgo disposta a strapparci l’intero braccio?

-           La mia regina, Maria Teresa, non sta chiedendo dissanguamento ma sincero appoggio verso un progetto volto a ripristinare quest’equilibrio in procinto di logoramento.


Il re fissava dall’alto e di sbieco il messo elegante dal viso mitemente ovale e dal naso prominente… Quei suoi occhietti chiari , che sormontavano lievi e rigonfie borse, trasmettevano l’espressione flemmatica dei segugi che solo all’apparenza sbadigliano mentre già hanno fiutato da un pezzo la preda da  ghermire.
 

-          Conte Von Kaunitz. Non è mio dovere accondiscendere i capricci di una dinastia che ha contribuito a decretare la rovina della Francia!


La lunga parrucca di riccioli argentei  rendeva al nobile un’aurea fastidiosamente inoppugnabile.
 

-          Il trattato di Aquisgrana sta già  per essere obliato, vostra Altezza . Dopo le guerre Polacche non è bastato il riconoscimento della Prammatica Sanzione a garantire la saldezza del nostro Stato. La Slesia appartiene all’Austria da più duecento anni, rappresenta uno dei nostri più importanti sostentamenti economici e la Prussia ha abusato illecitamente di una facoltà che non le spetta.

-          Spiacente Ministro. Le vostre dispute testamentarie  non m’interessano.


Il sovrano passeggiava con nervosa calma davanti alla sua massiccia scrivania ramata. Era robusto, proporzionato, possedeva lineamenti rotondi e severi infiammati da  occhi scurissimi che si armonizzavano col colore gelido  della parrucca militare…tuttavia si rendeva conto di trovarsi in una posizione di vana asimmetria perché ,  malgrado si ergesse in piedi, il principe austriaco  sedeva su una poltrona rococò fingendo  rispettosa umiltà e pilotando il gioco.
Da quasi due anni perorava le proprie cause attraverso un eloquio paziente , dall’accento tedesco mendacemente buffo che si mostrava in realtà durissimo.
 

-          Oh…- sospirò lui recitando ingenuità – Vi faccio presente che re Federico sta osservando interessanti patteggiamenti tra la Russia e l’Inghilterra.

-          Non mi stupisco che Hohenzollern tenga d’occhio l’Hannover che è la terra d’origine di Giorgio I…E’ normale che quei maledetti britannici cerchino il supporto dei russi che a loro volta temono i prussiani…

-          Riflettete, Maestà. Re Federico, dotato di encomiabile istinto paterno verso la sua terra, guarderebbe serenamente una cintura anglo-russa che rischierebbe di soffocarlo?


Von Kaunitz protese il busto, socchiudendo lo sguardo e inarcando le sopracciglia gravide di docile canzonatura:


-          Trovate auspicabile l’eventualità di un accordo con re Giorgio?


Nonostante fosse ancora distante dalla vecchiaia, Luigi avvertiva il peso dei quarantadue anni. Non si era dimenticato della pericolosa malattia che l’aveva debilitato durante la guerra di successione austriaca. Partito  da Versailles , nel 1744, si era messo alla testa delle sue truppe che stavano combattendo contro l’Austria, l’Inghilterra e l’Hannover…Mentre visitava le Fiandre venne colpito da una bronchite che gli fece rischiare la vita e ,  dopo la guarigione, tornato a Parigi, il popolo e l’esercito gli esibirono una così immensa venerazione da soprannominarlo  “ benamato” ….un epiteto mai da tradire e rinnegare. 

-          Le vostre sono formulazioni ipotetiche – affermò egli-  e non possiedono alcun fondamento accertato.


L’austriaco si alzò con calma per licenziarsi ma artigliò, cortese e poderoso, lo sguardo dell' interlocutore.

-          Maestà… io sono prudente. Vedo lontano. Le ipotesi partono da fatti percepibili e non potete negare che le flotte inglesi considerino le vostre trame commerciali nelle Americhe alquanto scomode.


Il re tacque sentendosi le viscere ardere al pensiero degli stendardi anglosassoni che svolazzavano su alberi maestri di torvi velieri.
 

-          L’Austria – proseguì il Conte-  non ha mai osato e non oserebbe cancellare dalle mappe le vostre rotte mercantili che vi danno nutrimento, luce e salvezza…Con permesso, sire,  mi congedo.


Il sovrano guardò Von Kaunitz  inchinarsi deferente sfumando uno sfregiante sorriso sulle labbra.
La regina Maria Teresa, donna pericolosamente intelligente, si era avvalsa di un diplomatico altrettanto pericolosamente intelligente…
Una spietata aritmetica che non lasciava spazio a nessuna vecchia e solida convinzione. 

 

*** §***

 

 La Guerra di successione austriaca, che aveva scosso l’Europa nella prima metà del XVIII sec, si concluse con il trattato di Aquisgrana nel 1748 sottoscritto tra  le  potenze protagoniste degli scontri.

Gli accordi avevano premiato , tuttavia, soltanto il Regno Sardo e la Prussia. Quest’ultima infatti vide  Federico II di Hohenzollern confermare il possesso della Slesia a danno dell’Austria.
L’Imperatrice Maria Teresa , profondamente insoddisfatta, non accettò il sacrificio di una regione che dal 1526 apparteneva agli Asburgo e costituiva una parte dei proventi economici grazie alle risorse minerarie e carbonifere. Il semplice riconoscimento della Prammatica sanzione, dopo le Guerre Polacche* ( 1738)  non  aveva compensato  adeguatamente quella perdita territoriale.   
Il quadro delle alleanze delineatosi durante le trattative di Aquisgrana stava per essere ribaltato a causa degli esclusivi interessi territoriali dei sovrani : Francia e Prussia da un lato ; Austria, Inghilterra e Russia dall’altro , vacillarono pericolosamente.
Federico II , sentendosi minacciato dagli accordi tra l’ Inghilterra che controllava l’Hannover ( terra natia di Re Giorgio)  e la Russia desiderò evitare possibili attriti iniziando trattative diplomatiche.
Maria Teresa, invece, prese a tessere una serie di ardue negoziazioni con Luigi XV in perenne lotta contro il Regno Britannico.
I successi commerciali della Francia nel Mediterraneo, in India, nelle Antille e nell’America Spagnola avevano procurato grave allarme. Nonostante la borghesia inglese fosse più forte, i francesi potevano contare sull’alleanza di molte  tribù indiane dell'’America Settentrionale e dei minori costi degli schiavi in Africa .
Entrambi i Regni erano accecati dalla sete di conquista per l’incontaminata Valle dell'Ohio e il territorio dell'Acadia . Quest’ultimo, finita della guerra di successione Austriaca , venne ceduto dalla Francia  alla Gran Bretagna che v’insediò nuovi coloni e  insediamenti.
I francesi costruirono forti lungo il confine incitando gli indiani a compiere scorrerie a sfavore delle comunità antagoniste.  

Nel 1754 cominciarono le Guerre Franco-indiane  che ebbero come maggiore palcoscenico l'Ohio. Qui il colonnello George Washington fu incaricato dal governatore della Virginia di porre testa ai distaccamenti francesi che avevano eretto una temibile base difensiva in Pennsylvania…
Fort Duquense era la pervicace brama d’ egemonia su fiumi , foreste e terre ormai  contaminati da un ‘ irrimediabile insonnia che non concedeva più virginea floridezza.  

 

***§***

 

 

2

Attendendo il mattino:

sotto il canto della pioggia.

                                                                       

 

Giugno 1754

Fort Duquense, Pennsylvania

Le estati sbalzavano così nella Pennsylvania: il caldo intorbidiva il cielo limpido per poi catramarlo di nubi temporalesche. Il sole s’ingrossava nell’azzurro salmastro e poi si tumefaceva tacitando nella cenere.
La base di Fort Duquense era tatuata lì, nel verde pietroso della bassa vegetazione palustre. Una roccaforte a forma di stella quadrata a sei punte…Un tempio esoterico situato alla confluenza di due serpi che arruffavano le squame azzurrognole ai tremiti del vento.

Gli affluenti Monongahela e Allegheny , vedendo da sinistra e destra, carezzavano il fortilizio formando il grande fiume Ohio, divenuto ormai vena trasportatrice di globuli-merci e notizie infiammate. .

-          Quel colonnello da quattro soldi sta firmando la sua condanna.

-          Succede quando si vogliono promuovere i dilettanti d’avventura. Dindwiddie si è dato la zappa sui piedi.

-          Il governatore della Virginia non sarà stato efficacemente  cauto, capitano Pécaudy , ma Washington e suoi luridi selvaggi sono responsabili del massacro di mio fratello e di nostri quindici uomini mandati per una missione diplomatica.


Tutti stimavano quei condottieri  dalla scorza di ruvide frane pronte a incamerare qualsiasi acquazzone.

All’interno del Quartiere dei Comandanti , i veterani Claude-Pierre Pécaudy*, signor di Contrecoeur , e Louis Coulon de Villiers* avevano convocato un consiglio di guerra assieme due ufficiali francesi .

Si trovavano attorno ad un tavolo di legno su cui era stata stesa una mappa della Valle dell'Ohio che veniva valutata  tra buie attestazioni .

-          Sono davvero raccapricciato, comandante de Villiers. – continuò gravemente Pécaudy -  Io e le mie truppe siamo riusciti a  sgomberare questa roccaforte dagli inglesi dell'’ufficiale Ward senza spreco di risorse.  Non appena sono stato messo al corrente che Washington potesse essere nei paraggi dei nostri territori, ho inviato il maggiore Joseph de Jumoville per intercettarlo e ingiungerlo di ritirarsi ma a quanto pare le buone maniere  hanno fallito…Dai racconti di uno dei nostri canadesi sopravvissuti e specialmente da un indiano disertore è risultato che sono stati gli inglesi ad aver sparato per primi anche se…inseguito ad un’altra indagine…

-          Sì, capitano! - impallidì de Vielliers di una rabbia che riusciva a far sanguinare dentro senza lanciarla fuori -  i virginiani si sono uniti al saccheggio assieme a quei cani irochesi!


Contrecoeur cercò di alleggerire tristemente i tratti quadrati del volto anche se sapeva che il trauma subito dal collega era un baratro dal fondale lontanissimo.

-          Vi assicuro che la morte di vostro fratello ha atterrato tutti…la sua doveva essere solo una delegazione pacifica.


Louis Coulon poggiò i palmi delle mani sul tavolo,  pressando le clavicole quasi avesse un freddo febbricitante.
Piegò il capo alla stregua di un toro ferito che si stava preparando a diluviare tornado .

-          Ogni missione è pericolosa, capitano. Me ne rendo conto. Nessuno di noi ha profeti o è profeta. e…Joseph…Joseph sapeva che bisogna sempre tenere gli occhi aperti. Siamo militari e ora dobbiamo pensare  a  Fort Necessity e annientare questi dannati americani.


Avanzò uno dei due generali francesi, un uomo di trentaquattro anni , di statura elevata, dai lineamenti belli e vigorosi che celava sotto l’acidula solennità una tristezza tuonante. Per sua fortuna nessuno riusciva a immergere le mani  in quegli appuntiti occhi blu dove le onde di una burrasca cuocevano snervate da tempo. Lo sguardo , che brillava d’umidità fuligginosa,  incuteva rispetto verso i subordinati mentre la parrucca scura militare inspessiva un’intimidatoria inviolabilità  che non lasciava fibre di nuda carne.
François Augustin Renyer de Jarjayes aveva percorso una dura strada per risollevarsi e tornare ai vertici della carriera. Indossava l’uniforme degli alti ufficiali : giacca blu con il colletto e gli orli delle maniche rossi, un panciotto dorato, una pesante cintura grigia, pantaloni chiari e lunghe ghette di cuoio nero. 
 
 
 

-          La situazione ci è favorevole – confermò adusto - Washington ha eretto un fortilizio nel mezzo di una pianura alluvionale piuttosto scomoda per sferrare attacchi efficaci. Crede di poter condurre il suo contingente verso….. e combattere frontalmente ma si è messo in trappola da solo.


A completare il quadro della situazione , intervenne l’altro colonnello.
Aveva una corporatura alta ed energica, occhi marroni nei quali scoppiettava un fuoco di afflitta allegria, lentiggini cosparse come tanti semi di grano arso sulle guance e una capigliatura rosso cupo assonnata sulle spalle. Sapeva essere gioviale e flessibile nei momenti di serenità ma serissimo nelle strategie.
 
 

-        Alcuni miei uomini- riportò Blaise Enrique Rochebrune - hanno riferito che sta Washington finendo addirittura di ergere le ultime palizzate e di scavare altre  trincee.   Il terreno è instabile per i corpi di fanteria e rischieremmo di passare in una situazione svantaggiosa, nonostante gli americani siano mediocremente preparati. Stanno tentando di creare una difesa destabilizzante.

-          A essere destabilizzato è Washington – obiettò François - La nostra artiglieria è molto potente e possiamo colpirlo da lontano.

-          Esattamente – riprese il comandante de Vielliers indicando la cartina - Fort Necessity è circondata da boschi e le nostre truppe si divideranno in quattro gruppi e si nasconderanno tra gli alberi – Prese quattro segnacoli quadrati e li dispose in differenti posizioni - Di questi tempi si possono scatenare temporali estivi, e noi saremo eventualmente  al riparo evitando di bagnare la polvere da sparo. La mia divisione attaccherà frontalmente da sud, la vostra de Jarjayes si disporrà a ovest , Rochebrune, voi starete a est  e gli alleati uroni a nord.

-        Una disposizione a tenaglia -  esaminò Blaise - La semplicità è la migliore soluzione per ridurre il più possibile il numero di feriti e vittime. Abbiamo in tutto cinquecento francesi e cento wyandot. Dobbiamo spiegare a questi ultimi la nostra strategia sui campi d’addestramento. È gente pratica e abile….preferisce provare nell’ immediato le prove.

-     Non resta che stabilire un sistema coordinante di segnali tra le milizie francesi e canadesi  – puntualizzò François – Ci occorrerà almeno una settimana di preparazione.

-        Bene. – concluse Pécaudy – Allora potrete  partirete da qui questo ventotto giugno per raggiungere Great Meadows.


De Vielliers si pietrificò per un breve istante, vibrato da un altro terremoto che restò sottopelle a succhiare corrosivamente i nervi.


-       Sì, capitano – disse schiacciando i tremiti delle mandibole - Anche se non troverò mai veramente pace, preferisco realizzare questo straccio di punizione  e riposare come ghiaccio.

-      Non temete – lo rassicurò il comandante canadese posandogli una mano sulla spalla -  Abbiamo valenti soldati e soprattutto due eccellenti ufficiali di Parigi. Il duca  Adrien Maurice di Noailles * non ha mandato due incompetenti. So che avete faticato molto, signori ma è con l’adattamento alle intemperie che si fortificano le ossa.


François e Blaise promisero decisi:  

-          Non vi deluderemo.


Pécaudy  fece portare nel piccolo ufficio cinque boccali di birra fresca, luci di cagliatura dorata nel bel mezzo dei riflessi umidicci del pomeriggio plumbeo.

-          Allo spirito di Joseph che verrà vendicato e alla corona di Francia!

 Gli uomini sollevarono i  pesanti calici verso la lanterna del soffitto che vaporizzava palpiti di rosso lavico.  

***§***

 

 Il sole era erotto dalle nubi bagnato e tremulo, effondendo un alone giallognolo che rendeva mucosi i pochi sprazzi azzurri che si sbottonavano.

Fuori il fortilizio, poco distanti dall’affluente Monongahela, François e Blaise si stavano concedendo un attimo di calma grigiastra per redigere il ragguaglio degli eventi.
 

-          Scommetto che con l’assassinio di Joseph Coulon abbiano voluto impedire eventuali trattative diplomatiche tra Luigi XV e Giorgio II .

-          Non è da escludere, François. Molti commerci vogliono sfruttare a meglio le animosità. Basta che pensi a queste ingarbugliate alleanze con gli indigeni. Avranno vissuto e vivono con la natura ma non sono così differenti da noi per la sete territoriale.

Gli scontri contro i canadesi e i francesi si rivelavano inevitabili e molte volte accadevano  episodi di violente imboscate. Diverse tribù di irochesi si erano alleate coi britannici per tentare di rivendicare possedimenti e distruggere antichi nemici.

-          Ho visto molti uomini feriti orribilmente e uccisi Blaise  e ti assicuro che quella carneficina  è stato  uno degli spettacoli più abominevoli  in assoluto.

-          E dire che il comandante ha voluto vedere con i propri occhi il cadavere del fratello.

-          Era…talmente dilaniato che ho stentato a riconoscerlo. Non sono riuscito a dormire per un sacco di giorni. È passato quasi un mese ma sembra ieri.

-         Il comandante sta sempre sveglio. È preda dell'’insonnia e i medici tentano di somministrarli della valeriana. Ormai la rabbia , la tristezza e la disperazione lo nutrono più del cibo.

Tra una giornata ronzante di zanzare assolate e un’uggiosa e appiccicaticcia , François credeva di inspirare un miasma dolciastro di sangue sgarbugliato nella polvere.

Quando lui e un contingente di canadesi erano andati ad appurare la testimonianza del canadese fuggiasco, avevano avuto dinanzi gli occhi, sotto le penombre di quella selva maledetta, la prova del massacro.
I quindici morti vennero trovati  penosamente nudi e scotennati  tali e quali a bambole di pezza scaraventate alla rinfusa da un bambino adirato. La decomposizione stava già iniziando a compiere la sua viscida opera di logoramento e gli insetti formavano una corteccia brulicante. Uno degli sventurati era stato decapitato e la sua testa impalata ad un bastone appuntito mentre  Joseph Coulon giaceva prono col cranio spaccato te la materia cerebrale,  ormai irriconoscibilmente marcita,  si snodava sul terriccio, un festone  zuppo di fango ed erbaccia.   

-          Generale.

L’ufficiale venne ripescato dalla cisterna delle memorie.
Si voltò alle proprie spalle e socchiuse gli occhi un po’ confuso riconoscendo un volto famigliare...
Troppo famigliare...
La stessa carnagione, lo stesso colore dei capelli e degli occhi...
Lo stesso sorriso d’incendio...
Di nuovo lui?

-          Etienne!


Il giovane arcuò le sopracciglia sorpreso:

-          Cosa signore?

Il generale si scrollò il cappello come si stesse togliendo della pungente brina dalla testa.

Mise a fuoco il soldato che l’aveva interpellato snebbiando le lenti opacizzate della mente.
Era un abenachi, un pellerossa appartenente a una di quelle tribù che vivevano sulle coste del Canada.
Aveva trent’anni, un corpo di statura slanciata e nerbi aitanti : né troppo acerbo e ancora estraneo al decadimento. Possedeva un volto affusolato, appesantito da un naso tendenzialmente aquilino;  le labbra erano  morbide e mostravano denti di un bruciante  biancore. Gli occhi nerissimi splendevano d’intelligenza e affabilità e il derma duro ed elegante si accordava assieme alla chioma corvina in parte legata da due trecce laterali e in parte lasciata indomita.

-    Nootau – disse François riprendendo il tono arenario – hai , dunque, portato le tue truppe sui campi di addestramento?

-          Sì, Generale. Miei guerrieri aspettano di conoscere nuovo piano d’assalto.

-      Bene. Io e il maggiore Rochebrune, vi raggiungeremo tra qualche minuto. Il vostro aiuto sarà molto importante per completare al meglio la nostra operazione contro gli americani.

-          Voi non temete. Miei uomini sanno usare polvere di fuoco.

 Il guerriero fece un cenno rispettoso e si accomiatò dirigendosi verso i campi d’addestramento.

Le trattative di coalizione con il suo clan erano riuscite grazie a lui che fin dalla pubertà, a contatto con i colonizzatori  d’oltre oceano, aveva imparato un po’ di francese sviluppando un notevole senso diplomatico. François, lasciando stupiti i soldati, gli era diventato quasi amichevole sempre preservando il proprio status di europeo giacché  l’etnocentrismo  è un virus genetico che appartiene ad ogni civiltà soprattutto a quelle “ evolute”.
 

-     Speriamo che gli  uroni* continuino a comportarsi ragionevolmente – borbottò schiarendosi la gola – non possiamo sapere con certezza di quali intrugli sia fatto il cervello dei selvaggi.

Blaise lo fissò in silenzio e  poi notò che assunse un’espressione smarrita e ventosa.

Capendo perfettamente quell’aria annegata e svolazzante fece:

-          Nootau somiglia molto a Etienne.

 L’amico sospirò disperdendo una pallida ombra di assenso.

Non era stato facile contrattare con i nativi che portavano piume tra le chiome lunghe, mefistofelici amuleti, strani abbigliamenti di pelle conciata, credenze di spiriti enigmatici...Rappresentavano veramente un’altra dimensione che conosceva una natura di caccia, rituali e sopravvivenza di rude solennità. François, come gli altri militari, aveva pensato che quegli uomini , dai visi terrosi e dai linguaggi cavernosi , fossero esseri regressi e lontani dalla vera realtà...Eppure mai si sarebbe aspettato di trovare dall’altra parte del pianeta una persona che potesse reincarnare  una parte di famiglia.

-          Sì, purtroppo. Anche io come de Vielliers vorrei diventare un ghiaccio in mezzo agli incubi.

 Si allontanò bruscamente dalla sponda ripiombando nel mutismo scrosciante d’acqua plumbea e rami secchi .

Si tastò lo sterno quasi fosse un gesto di poco conto per aggiustarsi il gilet.
In realtà sotto le stoffe nascondeva una medaglietta di fine oro prezioso che rappresentava la Santa Vergine Maria.
Apparteneva alla moglie fin da bambina ma lei gliela aveva regalata prima della partenza per l’America…
Gliel’aveva regalata nonostante lui avesse litigato e lasciato nella sua villa valanghe irrisolte che ostruivano parecchi passaggi di luce.  

“ Judith…so che non sono stato il migliore dei mariti in questi ultimi anni…avrei dovuto baciarti molti minuti prima di salutarti a Le Heavre. Non sono riuscito a farlo ma ti prego…aiutami….continua ad aiutarmi.  Ti ho sempre promesso che , qualunque cosa possa capitare, continueremo insieme. C’è la morte dappertutto che   separa  e l’unica madonna che conosco sei tu… L’unico sogno che mi resta per davvero. 

 

 

***§***

 

 

Cimitero di Saint Paul de Champs, Parigi

 

Un’altra piccola  croce di fiori bianchi.

La quinta testimonianza di una voce smorzata nell’appestata tenebra polmonare.
Pareva l’ultimo pezzo prezioso di un’opaca collezione esangue di farfalle mai cresciute.
Era la settima volta in quel mese che Judith, accompagnata da François, visitava la tomba di Josephine , stroncata a cinque anni da una violenta bronchite.
Dopo il funerale, avvenuto alla fine dello scorso febbraio, la donna si recava al cimitero in una compulsiva e tacita incredulità   per capire se stesse viaggiando in uno sconfinato incubo oppure no.
Cercava di credere che fosse un errore assurdo, che era impossibile che anche la sua ultima bambina si trovasse lontano da lei e dal marito in un mondo deforme e inaccessibile…
Non poteva dormire sottoterra, tra segnacoli di marmo rugginoso e ossa sconquassate dall’oblio,  se il suo posto era nella cameretta accanto a quella dei genitori….

Una febbre si poteva curare e quella cavità digeriva lenta e inesorabile solo una cassa  vuota.

Prima che avesse potuto vedere i necrofori deporre il corpicino della figlia nella bara, era svenuta tra le braccia raggelate di François.
Josephine portava ancora la camicetta da notte ricamata e la cuffia coi merletti che lasciava zampillare teneramente i suoi riccioli castani.
Quella che era stata riposta nel feretro ligneo doveva essere una bambola di porcellana biancastra che le somigliava tanto.
 

-          Cos’è Judith? Ancora non ti svegli? – la interpellò con arida ruvidezza il marito.


La donna lo guardò in silenzio sentendosi forare il petto dal vento freddo dei suoi occhi blu…
Voleva trovare un conforto sanguinante ma almeno caldo nell’uomo che amava e con il quale stavano condividendo il desiderio disperato di allargare la famiglia.
Da molto tempo lui era  desertificato da un dolore che mangiava le lacrime prima che potessero scorticare il viso. Ormai s’isolava in una notte cavernosa piena di coltri nevose.

-          L-la nostra Josephine – balbettò la moglie – ci aspetta a casa, vero? In questi giorni si sarà nascosta sotto il suo letto, per non farci vedere che ha la febbre…non vuole dare preoccupazioni ma noi la guariremo…

Il Conte socchiuse le palpebre quasi volesse filtrale e depurare quell’ aria primaverile che  cercava  di artigliargli il pianto assopito negli occhi.

-          Josephine – rispose roco - è sotto quella croce.

-          Dio…non può commettere ancora una cosa simile…


L’uomo deglutì avvertendo le pareti della gola che si sfregavano infiammandosi.  

-          Judith. Nostra figlia è solo un corpo vuoto in una cassa vuota. Una vuotezza dentro l’altra…un nulla che è finito in una buca che produce altro nulla.

-          E' così allora?! Consideri ciò che abbiamo messo al mondo una vuotezza?


Lo sposo le si accostò  al viso per chiuderle col proprio afflato ogni poro di pelle che osasse respirare  malsana speranza.

-          Dare nomi e battesimi basta per ritenere vite, anime che durano un battito di ciglia?Femmine malate che muoiono subito! L’unico miserabile progresso è stata Josephine…Gran bella consolazione!

 Judith, all’improvviso si paralizzò smorta e allucinata .

Lesse avidamente sulle lapidi  i nomi delle sue bambine per cercare di sentire in bocca un minimo sapore di delicatezza…

Danielle…Madelene…Orthénse…Josephine…

Una dolcezza che lasciava spazio a una cruenta insipidità…un retrogusto orribile  d’irrealtà come se quelle piccine non fossero esistite.

François era stato atrocemente sincero…

L’essenza di quei nomi aveva avuto una luce talmente breve da essersi rivelarsi illogica.
La prima, morta per aborto spontaneo, non aveva nome…Le due gemelle Danielle e Madelene erano decedute al quarto mese di vita per una complicazione cardiaca mentre Orthènse , affetta da spina bifida,  spirò a due anni.

Una successione di tragici  quadri che luccicavano d’ironia assassina.

Judith sentì i nervi frantumarsi e  piombò in  ginocchio sull’erba, gonfiando la pesante gonna scura del vestito che appassì le pieghe simile ad un fiore moribondo. .
Pianse squarciata fin nelle vene coprendosi il viso con le mani, solleticate da ciocche isteriche di capelli che si scompigliavano dalla crocchia.  
 

-     Ognuna di quelle creature malate mi è cresciuta nel ventre!- esclamò arrochita di singulti -   È insensato sentire le loro anime parte di me? Ho sbagliato?!  Ho sbagliato a far crescere ciò che abbiamo fatto insieme?!


François , straziato da quei gemiti,  sollevò la moglie alla maniera di una condannata che stava per essere condotta in una cella buia e appestata.
 

-          Judith! -  la scosse - forza! Andiamocene!


La donna lo respinse con adirato panico  svincolandosi dalla soffocante stretta.
Tornò chinata vicino alle figlie.
Il conte la ghermì per un braccio e la rialzò sbattendole a momenti  il viso contro il suo.

-          È inutile ! - sibilò - Hai capito? Basta.


La trascinò via ma lei si scostò ancora una volta bruscamente. Chiudendosi nella sua mantellina di lana.

-          Riesco a camminare anche da sola.


I due uscirono dal cimitero, uno accanto all’altra senza sfiorarsi, guardarsi….
Le loro ombre, separate da uno strinante raggio di sole., erano sagome di nomadi che incedevano su vie diverse annaffiate da una  pioggia che defluiva tra respiri fatiscenti e parole mai consumate .   

 

-          Non trovi che queste violette siano splendide  ?


Judith tornò al presente illuminata gentilmente dalla voce di Oriane. 
Sentì di nuovo l’asprigno e soffice odore dei boccioli sulle tombe e la presenza accalorante della sorella maggiore…
Il sole del tardo pomeriggio avvampava di riflessi miele le foglie degli alberi che diventavano trasparenti , mostrando le vetrose venature sottopelle.

-    Sì… hai  avuto una bella idea, Oriane. Il bianco dei gigli e dei crisantemi è lucente ma è troppo infreddolito…le tonalità delle violette sono pietre preziose e donano un po’ di linfa colorata.

-          Questi fiori sono bellissimi eppure nascondono la loro purezza tra l’erba alta, crescono silenziosamente senza pretese, senza farsi notare e poi , quando vengono raccolti,  colmano il cuore di un profumo serale e gioioso…Tali sono le speranze nei momenti più oscuri. Sbocciano lentamente e magari uno non se ne accorge.

Judith si chinò ad accarezzare delicatamente un fiore indaco che abbassò la corolla come un uccellino timido.

-          Ricordo che a Josephine piaceva tanto quando raccontavo che davanti la casa delle Madonna, dopo l’annunciazione di Gabriele, erano spuntate tante belle violette.

 Oriane le posò affettuosamente la mano sulla spalla.

-          Tutte le tue bambine desidereranno che tu faccia sbocciare le viole… hai ancora tanti anni da vivere anche se so che questa lunghezza che ti si protrae verso un orizzonte invisibile crea paura.

-          È così…Dopo ciò che è successo , alcune volte credo di non riuscire ad alzarmi dalla cenere…è sempre come se avessi addosso detriti inamovibili. E François…François è in America nel momento in cui ho bisogno di parlargli…di riunirmi a lui…tornare all’origine del nostro legame.

La contessa tacque un breve attimo e , scrollando la testa con amara ironia, riprese: 

-          Ma alla fin fine il nostro matrimonio pare un microcosmo smarrito, una bolla trasparente che galleggia  pallidissima fra gli enormi trambusti del mondo…François ha dovuto risollevare le nostre finanze proponendosi per una missione militare d’oltreoceano…E infatti è stato convocato il novembre dell’anno scorso dallo stato maggiore per il Canada. Non ha esitato a partire…dalle lettere che mi manda non mi ha ancora riferito con precisione quando tornerà in Francia…forse addirittura il prossimo anno. Non sai che dolore, Oriane. Peggio della battaglia in Baviera.


La sorella sospirò ma sorrise ardente e seriosa.
Era una donna avvenente di trentacinque anni, dai lisci capelli color caffè che emanavano un odore liquido e dissetante. Portava due trecce laterali che salivano sul capo per legare una parte della chioma che lasciava liberi dei ciuffi alla moda greca. I tratti del viso erano vellutati ma più quadrati rispetto a quelli affusolati di Judith…le sopracciglia scure erano spesse e gli occhi brillanti possedevano striature grigio cupo e argento mentre la bocca pulsava decisa e vermiglia sulla carnagione rosea e chiara.

-          Come mi racconti sempre, Judith, tuo marito è un militare ed è ancorato a un assillante senso del dovere ma sa che non può vivere privato di un rifugio sicuro…un rifugio che non è soltanto un’accomodante quotidianità. Tu sei sua moglie e non puoi essere calma monotonia. Voi due mandate avanti assieme la casa ma concepite diversamente il dolore …più che altro modi di agire che vi hanno portato a prendere le distanze l’uno dall’altra. François ti sarà potuto apparire incomprensibile e arido…Con la testa accaldata, mi avrebbe fatto infuriare e quando leggevo le tue lettere ci restavo male…tuttavia credo di aver capito che lui erige una diga poiché porta l’acqua di un fiume immenso che se non riesce a controllare rischia di devastare tutto…Tuo marito non vuole travolgerti con le sue sofferenze.

-          Stando in silenzio, Oriane , lo ha fatto comunque. È dannatamente orgoglioso e testardo, ha paura che aprendosi cada in un baratro. Non mi vuole mostrare le lacrime! Non capisce che sono disposta ad accogliere qualunque suo tormento! Ci siamo conosciuti, abbiamo avuto la fortuna di sposarci liberamente…Lui all’inizio si era messo in gioco criticando se stesso e ora…negli ultimi anni…ha fatto passi indietro mentre io mi ponevo avanti.


Oriane inarcò con inquisitrice ironia le sopracciglia, storcendo di lato la bocca in un’arricciatura teneramente superba.

-          Ne sei sicura?

-          Ho dato e sto dando tutta l’anima a François.

-    Non ne dubito, sorella, ma…anche tu cammini all’indietro come tuo marito…Hai paura di tirare fuori veramente le armi. Non puoi vivere di triste diplomazia…Un dialogo è fatto anche di scontri, persuadere l’avversario per portarlo sulle tue stesse teorie.


Judith aggrottò la fronte tentando di arrestare le sentenze dell’avversaria:

-          Ma non posso cambiare l’indole di François! L’ho sempre saputo che ha un carattere particolare…


L’altra donna le picchiettò  una guancia, allo stesso modo di quando era ragazzina e la scrollava con dispettosa amabilità dai piagnistei e dalle paure del buio.
 

-           È proprio perché non puoi cambiare questo carattere che devi affrontarlo per difendere te stessa e anche lui…Arrabbiati più spesso. Non dico di atteggiarti  da scatenata nevrastenica ma al momento giusto bisogna che tu sfoderi le armi giuste. Tuo marito non ti sarà solo complice ma anche antagonista. I vostri cuori sono uniti ma hanno ritmi sanguigni differenti…


La contessa sbilanciò un sorriso confuso di lacrime.
 

-      Da ragazzi…quando…stavamo da soli, tranquilli in una bella notte…a me sembrava che i nostri cuori battessero come fossero meravigliosamente scossi da uno stesso sangue…però non riusciamo più ad avere figli da due anni.


La sorella l’abbracciò accarezzandole protettiva le spalle ed ella si sentì ridicolmente e felicemente bambina come nei momenti in cui giocavano a mamma e figlia. 
 

-          Alcune volte l’amore Judith è un cantiere perennemente in costruzione…si alzano palazzi e se ne abbattono altri che non vanno bene…non c’è  un piano architettonico definito dal principio alla fine…L’unica tua certezza è procurarti di volta in volta i materiali adatti per plasmare solide fondamenta…Torna a restaurare quello che hai  edificato con François. Un bel palazzo può rovinarsi, ma può tornare al suo antico e autentico splendore.   

Inutile. Quell’amica  non si smentiva. Da adulta aveva razionalizzato in parte il carattere irruento e passionale, ma la sostanza era rimasta immutata. Si rivelava in famiglia quella dall’animo schietto e intrepido talvolta anche imprudente. La sorella minore rimembrava quanto fossero  state distanti da piccole in materia d’abitudini. Erano cresciute nella stessa casa, erano state mandate a studiare nello stesso convento e nondimeno avevano maturato attitudini opposte. Una più dedita allo studio, alla musica e al riserbo, l’altra sveglia , estroversa e proiettata verso una mondanità in cui aveva difeso i propri pregi e assecondato i corteggiamenti dei giovani.

Judith sapeva , comunque, che Oriane era sempre stata in realtà lontano dai cuori frivoli e spregiudicati di certe cortigiane che  ne avevano descritto  meschinamente cattive e false immagini.

Non  sapevano quanto lei possedesse mani profonde per accogliere burrascosi atterraggi.

-          Oh- si accorse – stanno arrivando, finalmente.


Da un viale di lapidi irrorate di sole si avvicinò un uomo magro e alto con  un bimbo di tre anni che gli teneva la mano.
Il primo portava un fascio di fiori colorati, il secondo teneva un tumido  germoglio bianco.

Cosimo Ludovico di Nardo era sposato da quasi diciotto anni con Oriane.

Aveva quarantatre anni, un corpo longilineo dal collo lungo e le spalle spigolose e una camminata ponderata e rassicurante da anziano.  Era vestito di un semplice completo grigio
Originario di Napoli, gestiva una ditta commerciale navale che aveva numerosi affari in Francia. Non proveniva da una stirpe nobile ma la sua famiglia aveva accumulato faticosamente così tanti successi,da essere stata elevata a grado di baroni dai Borboni del Regno di Sicilia. 
Il piccolo Samuele  era l’adorato figlio che tuttavia non possedeva alcun legame biologico coi genitori…

-          Chiedo venia , mie signore, se abbiamo tardato…- s’inchinò l’imprenditore parlando con fine e delicato accento partenopeo.


Judith fissò profondamente contenta quella coppia.
Sapeva che durante l’adolescenza Oriane ebbe due relazioni tempestose finite male che le causarono sofferenza da parte dei nobili. Fu ritenuto scandaloso che una delle figlie dei conti de La Seigne  avesse consumato la propria illibatezza prima del matrimonio aggiudicandosi la nomea di fanciulla dai facili costumi. Ovviamente furono tutte notizie diffamatorie ma la compromisero in modo serio.
L’unico che non osò giudicarla accettandola così com’era fu Cosimo che avanzò la sincera proposta di condurla all’altare. Oriane non si mostrò entusiasmata da quell’uomo che all’inizio le pareva troppo tranquillo e noioso…tuttavia fu costretta piano piano a cambiare idea…
Si trovò vincolata a lui da un sentimento lento e calmo, discordante dagli infuocati amori passati ma più profondo e incredibile che l’aveva portata a stabilirsi in Italia.  
Quel commerciante brillava d’intelligenza e intuito negli affari ma non possedeva maligna furbizia. Era una persona onesta, dai placidi occhi neri cesellati da fini rughe,  dalla voce calorosa e paterna che non tremava e s’inacidiva d’ira. Sembrava quasi il canto di un pastore che camminava sicuro su  ripidi declivi.

-           Su Samuele – lo incitò dolcemente - impara che non dobbiamo far attendere le dame.

Oriane prese il piccolo in braccio , aggiustandogli premurosamente il gilet e la camicetta scomposti. Aveva un visetto diffidente e affascinato dall’universo immobile e gorgogliante delle lapidi.

-          Vieni piccolo…spero che tu abbia fatto il bravo.


Non era propriamente un bel bambino visto che possedeva una fronte pronunciata che stonava con le guance paffute e il mento basso,  ma i grandi occhi castano verde vispi e tremuli come quelli di un gattino curioso e i folti capelli rosso irlandese lo rendevano grazioso e buffo.
I genitori stravedevano per lui.
Per molti anni non erano riusciti ad avere figli e così avevano adottato un neonato che era stato abbandonato dinanzi al sagrato di una chiesa.

-          Abbiamo trovato margherite arancioni, Madame Judith – disse il cognato porgendole il fresco mazzo che espanse un aroma agrodolce-  Spero che possano aggiungere un po’ d’allegrezza a queste belle corone. Si sa che questi fiorellini spuntano dappertutto e non conoscono momenti precisi per riempire prati.

-          Sì, Cosimo…hai ragione – soggiunse sorridendo Oriane - Non ci avevo pensato… adesso il bouquet è completo e pare sorrida di più.  

-          Vi ringrazio….è una nuvola carica che non perde di leggerezza.


La donna , nel suo periodo buio, si sentiva scaldata dalla presenza di quei parenti che erano venuti dall’Italia e  le avevano sollevato il morale nel lungo periodo di assenza del marito.
 

-          Dato che l’ora del tramonto si avvicina – propose Cosimo - potremmo avviarci verso la chiesa di San Paolo per recitare i Vespri.

-          L’aria è ancora dolce, Judith…il freddo della sera non è ancora calato.

-          Certo, andiamo.

-          Zia…zia…


Il nipotino allungò la vivace mano verso Judith che gli rispose dolcemente:

-          Che c’è , tesoro?

-          Per te.

La contessa prese tra le dita il candido camma. 

-          Oh…che bella rosa bianca!


Il cognato si accostò alla moglie accarezzando i capelli fiammati del figlio.

-           Il piccolo Samuele ci teneva a regalarvela…è difficile trovare un simile bocciolo a luglio…chissà…avrà desiderato tardare per donarvi qualche sorpresa.

 Judith, s’indirizzò assieme  a Oriane, al cognato e al nipotino, verso la vecchia basilica…

Tra mausolei cubici, statue crespate di angeli e lapidi che fluidificavano le loro ombre, il pensiero le andò a Etienne.
Etienne che riposava illecitamente sotto i cipressi di spine tumultuose.
Lo aveva promesso a François.
Avrebbe pregato anche per lui che faticava a trovare il paradiso tra nebbie incenerite.
Contemplò la rosa sospirando sulla corolla mezza dischiusa di tenera e freddolosa incertezza.

 

***§***

 

 

 Luglio,

Fort  Necessity, Great Meadows

 

 

La pioggia cantava filigrane di vetri spaccati.

L’orchestra levava e calava i fumi delle sue note.
Gli alberi , che imperterriti assorbivano tra le frasche  la sublime tossicità del pulviscolo,  erano martiri fumatori istupiditi d’oppio.

La pioggia cantava scalpiccii d’insetti cristallini che schiantavano il loro volo sull’erba melmosa…

Grandi fiumi di sporco e triste terrore si espandevano nella verde vallata…

I musicisti da dietro i tronchi, coi volti semicoperti da fazzoletti simili a banditi o fabbri febbricitanti, suonavano i loro flauti e oboi neri seguendo il direttore...
Il direttore che modulava armonie rintronanti o singhiozzi di cacofonia pachidermica.
Tutti lo seguivano, chi elettrizzato, chi ricolmo di impaurita adrenalina.

François arrampicato su un masso e riparato da un albero scandiva a voce alta ordini scostandosi e ricoprendosi la bocca con una bandana bigia. Teneva il cavallo dello schioppo posato sul petto, una mano incollata al grilletto e una che sorreggeva la canna. Si inginocchiava sul sasso e si rialzava in una ginnastica inquieta e potente che metteva a dura prova i tendini e i muscoli delle gambe.

Conducendo da una posizione innalzata l’attacco di centosessantasei soldati, tentava di avere una visuale  decente della muraglia di legno di Fort Necessity ma la fuliggine gelida che emetteva lo schianto dell’acquazzone e la  polvere da sparo costituivano un nefando connubio. 
Le fronde del bosco riparavano i fucilieri così che le pietre focaie degli archibugi potessero far esplodere efficacemente le cariche. Tutta la coltre appannava  le piante che si annerivano  trasformandosi in una zolfara che propagava moscerini di carbone che parevano pinzare lo sguardo e infiltrarsi nella gola e nei bronchi.
Di certo le gocce d’acqua attutivano l’effetto soffocante degli spari, ma il contingente franco-canadese aveva iniziato ad attaccare il fortilizio di Washington dopo le undici di mattina.
Pioveva  dalle tre di pomeriggio ma da quasi quattro ore alternate d’offensive, pause e offensive, soldati e ufficiali inalavano nei polmoni salnitro e monossido di carbonio.

Il generale de Jarjayes era abituato ad adoperare  moschetto e carabina ma lo aveva sempre fatto nella cavalleria leggera e nel corpo delle guardie urbane di Parigi. Da quando si era proposto volontario per andare in America , lo avevano preposto proprio a uno degli squadroni di artiglieria.

Nonostante l’abile e burbero spirito di adattamento, trovarsi nel bel mezzo di una fucina vomita fumo era diverso che combattere a cavallo o piedi. Cavalieri o fanti la polvere bisognava sempre affrontarla ma stanziarsi dietro cannoni o fucili non consentiva di galoppare o correre  seminando nugoli riarsi.

“ Maledizione!
“ inveiva dentro di sé l’ufficiale francese “ quegli americani stanno affogando come topi in una fogna e ancora vogliono resistere ?! “

Le trincee di Fort Necessity si erano trasformate in ruscelli oleosi e parte dei miliziani britannici e virginiani tentavano di uscire da quei gorghi fetidi, mentre altri , scheggiati dal diluvio, rispondevano disperatamente al fuoco dei nemici.
La vallata era talmente deturpata dal fango che l’erba pareva essersi diradata a isolette di ciuffi verdi che sporgevano simili a bubboni ispidi e viscidi.    

George Washington , circondato completamente dalle truppe francesi, non aveva via di scampo: le munizioni dei suoi uomini stavano per esaurire, la polvere da sparo rimasta era inutilizzabile e per altro si rifiutava di armonizzarsi con il capitano inglese James Mackay. Quest’ultimo era stato mandato tre giorni fa da Fort Cumberland per dargli manforte ma la convivenza , più che saldare validi aiuti, aveva fatto scaturire dissidi e incomprensioni cosicché l’esercito si trovava diviso in due deboli compagini.


“ Patetici….”
rifletteva François “ cosa credono di  combinare? Sono talmente scoordinati che non so se ridere o piangere…”

- Generale de Jarjayes!   

 


L’uomo si voltò  dietro accorgendosi che era arrivato un messaggero di Vielliers : capì che era giunto il momento cruciale della battaglia.

-          Il capitano inizia l’ultima fase d’attacco? – chiese.

-          Sì, signore. Preparate l’artiglieria da campo.


François ordinò:

-          Fuori batteria ! Avanguardie retrocedere!


Gli artificieri rimasti nascosti obbedirono celermente trascinando avanti due massicci cannoni neri trasportati su carri a ruote. Immediatamente  caricarono le palle dentro la lunga bocca da trenta calibri e innescarono la polvere da sparo nella camera della mina. Infiammarono le teste degli accenditoi.

-          Mirate a ore dodici…Uno!Due! Tre! Fuoco!


I mortai ruggirono sfere cocenti che demolirono, come fossero rachitiche falangi di scheletro,  le palizzate di Fort Necessity.
Le squadre di Vielliers e Blaise attaccarono una dopo l’altra facendo eruttare l’artiglieria pesante che devastò in tante parabole di boati  il fradicio accampamento dei nemici.

Gli americani non contemplavano più l’opportunità di rivolgersi alla divina Provvidenza.

Infinite porte d’inferno avevano aperto squarci tra il temporale e  lagune divoratrici.

***§***

 

Oramai il sole s’era dileguato invisibile tra le svuotate nubi temporalesche tale a quale ad uno sfrattato che vergognoso raccoglie i suoi stracci scomparendo in una nebbia protettiva.

Le bocche dei cannoni francesi spente e fumose erano diventate musi di placidi formichieri che avevano distolto lo sguardo dagli insetti  prede.
L’avvento della sera non quietò il giovane Washington che aveva perso irrimediabilmente il controllo  dei superstiti che , spompati dall’esaurimento,  si erano saturati i fegati col rum finendone ogni scorta.
Dagli ossami di Fort Necessity , alcune misere tende si drizzavano simili a cappelli marci dalle quali provenivano bestemmie, imprecazioni , ordini stremati e screzi.
Le milizie franco canadesi avevano catturato centonovantadue soldati che giacevano seduti l’uno affianco all’altro legati per i polsi sorvegliati da wyandot. Avrebbero trascorso un’infausta notte fuori l’accampamento provvisorio di Vielliers , sozzi  da capo a piedi col fango che si sarebbe rappreso tra i capelli e  sulle divise. L’umidità calda avrebbe presto fatto sentire il brulicare stordente di germi e setticemie febbrili .

-          Le truppe virginiane e britanniche sono state ormai annientate – ricapitolò Vielliers ai suoi ufficiali – centonovantadue prigionieri e trentuno morti. Su un  totale iniziale di duecentonovantatre uomini, a Washington e Mackay ne restano settanta e per giunta feriti.  Noi abbiamo  avuto soltanto tre deceduti e diciannove infortunati. Perdite davvero minime. Il nostro battaglione è quasi intatto.

-          Signore – intervenne François –  non converrebbe domattina arrestare il resto degli americani e giustiziare Washington al cospetto del nostro tribunale militare?


Louis Coulon de Vielliers lo guardò annuendo con aria grinzosa e al contempo negando combattuto e razionale:

-          Generale de Jarjayes . Sono terribilmente tentato di condannare a morte Washington, ora che non ha vie di fuga….tuttavia dobbiamo tener conto d’importantissime e delicati equilibri tra la nostra Francia  e l’Inghilterra. Vi rammento che siamo in tempo di pace.

-        Pace? Non confondiamo la formalità con la verità dei fatti! Tra noi e i britannici non c’è mai stata una pacifica condivisione dei territori e inoltre il grave crimine di cui è responsabile Washington è al di là di questioni meramente nazionali! Qualunque militare di qualunque stato deve essere condannato a morte per aver massacrato un contingente diplomatico!

-     Generale! – esclamò inasprito  di tristezza di Vielliers – credete sia facile per me accettare una simile situazione? I lutti privati appartengono al nostro piccolo mondo ! Gli stati sono più grandi e noi serviamo la Francia. Abbiamo agito nella legittimità di difendere e accrescere la nostra potenza economica e bellica ma se uccidessimo Washington e il resto dell'’esercito decreteremmo una guerra contro l’Inghilterra e le potenze a essa alleate! Mineremmo equilibri già abbastanza precari. Ci siamo spinti rischiosamente lontano con questa battaglia.


Blaise soggiunse rammaricato e grave:
 

-          François, il comandante ha ragione. È meglio che restituiamo i prigionieri e concediamo a Washington la possibilità di resa. Lui e suoi sono stremati ed è impossibile per loro sostenere un altro assalto. Inoltre  le nostre munizioni sono scarse e le nostre provviste iniziano piano piano a diminuire. Se arrivassero altri rinforzi dai virginiani saremmo noi a soccombere disastrosamente. Concludiamo la faccenda qui. Gli americani hanno subito ingenti perdite e il controllo del fiume Ohio è in mano della Francia.

-          Quindi…- si crucciò il generale guardando la lanterna infreddolita della tenda- non ci resta che passare alle trattative…Bene. In che modo potremmo sperare di contrattare se noi non capiamo l’inglese e gli inglesi non capiscono il francese?

-          Alcuni prigionieri hanno informato che tra gli americani c’è un olandese che se la cava con entrambe le lingue – rivelò l’amico – lo faremo giungere qui tra qualche ora .  

 


De Vielliers si avvicinò a un rudimentale scrittoio di legno, prese alcuni fogli di carta ingiallita e una penna che intrise in una boccetta d’inchiostro e iniziò a scrivere.

-          In questo documento – spiegò il veterano – verrà concessa agli inglesi la condizione di ritirarsi con le loro armi, bandiere e proprietà  personali e la garanzia di vedere rimpatriati i compagni imprigionati. In cambio non dovranno per un anno più mettere piede nell’Ohio o altrimenti saranno distrutti. Naturalmente a Washington verrà attribuita la responsabilità dell’assassinio di mio fratello Joseph e degli altri defunti . Non posso fare altro.


François si rassegnò constatando che il ragionamento dei colleghi non faceva una piega. Osservò con acre rispetto e mestizia de Vielliers col cranio bianco cosparso di rughe incerate che parevano bruciarsi di gelo al barlume delle lucerne.

-          Perdonatemi, signore – s’inchinò mortificato – prima mi sono lasciato andare in modo poco conveniente. Non dovrei comportarmi così. Ho superato l’età dei bollori adolescenziali.


Il comandante canadese fece un sorriso smunto ma pieno di gratitudine.

-          Non è necessario che vi scusiate, generale …purtroppo la vendetta è una fasulla soddisfazione che genera una voragine d’infinti crimini. Mi basta già quel pezzo di famiglia che non esiste e non mi parla più. Sentirò freddo in ogni stagione.

 

***§***

 

 Dopo la mezzanotte del quattro luglio, George Washington  fu costretto a firmare il patto di resa redatto da Louis Coulon de Vielliers. 

Da un cielo nero, grosso di farinosi nembi, che s’appiccicavano sopra le stelle spegnendone ogni fiammella, riprese a piovigginare.
L’olandese di nome Van Braam , portò il documento di capitolazione al suo comandante che lo firmò vacillante in una veglia assonnata e tesa, quella strana stanchezza che fa appesantire gli occhi ma non concede alcuna rassicurante posizione di addormentamento.
 
Mentre gli americani si accingevano miserevolmente a far fagotto dei loro tendaggi sotto il cielo bluastro di un’aurora sudicia di torba , François passeggiava lungo il perimetro dell'accampamento franco-canadese.
Non vedeva l’ora di andarsene da quella specie di palude corrugata della Pennsylvania e potersi finalmente lavare nel quartiere militare di Fort Duquense. Un bel bagno bollente lo avrebbe aiutato a prevenire cervicali, precoci indolenzimenti d’ossa e letali malori causati dall’umidità perforante che s’attaccava in una canicola artica, simile al ghiaccio che si strofina sulla pelle scottata.
Si sentiva puzzare dappertutto. Il cappello nero era pregno dell'agre odore metallico della pioggia, la giacca della divisa si appesantiva di raffreddato stantio , i pantaloni e gli stivali mostravano maculature sbavate di fango.

Voleva davvero andarsene.
Da Great Meadows.

Dall’America.

Far ritorno in Francia da Judith….da lei…Voleva soltanto lei e nessun epico e dorato riconoscimento. Aveva lasciato in sospeso troppe cose. Si era chiuso, lasciato costellare da una dolorosissima abulia…un rintronamento furente che gli aveva avvizzito calore e interesse. Le morti delle cinque bimbe erano state intollerabili e soprattutto il giorno in cui si spense Josephine fu lancinante.

Quel tardo pomeriggio, periodo in cui si trovava ancora al  comandando delle Guardie Urbane di Parigi, aveva organizzato prontamente un’operazione di soccorso per contrastare un incendio esploso in uno dei quartieri più poveri della città. 
Durante un’evacuazione da un’abitazione, riuscì assieme ai suoi uomini a salvare un’anziana e una donna. Quest’ultima urlò che i suoi due figli erano rimasti intrappolati da alcune travi di legno.
Senza pensarci due volte François si lasciò trangugiare dalle fiamme ed estrasse da assi, spine dorsali imputridite e acuminate, i bambini  della giovane madre. Tenendoli ben stretti tra le braccia uscì assieme a loro , col respiro granulato di carbone e la divisa e la pelle bruciacchiate.
Tutti lo acclamarono con ardente ammirazione ritenendolo un eroe ma quando tornò a casa e la moglie, tremante e asmatica,  riferì che Josephine non si muoveva più, si scordò di ogni encomio e successo.
Da quel momento la situazione sprofondò sempre più giù fino a che non si deteriorò anche l’intimità coniugale. Se prima fare l’amore rappresentava un preziosissimo ritaglio di complicità, di riappacificazione e conforto intensi divenne un terribile atto meccanico.
Judith era troppo triste e angosciata e lui si deformò talmente polare e tetro da non riuscire più ad accarezzare e baciare. Il piacere fisico gli parve soltanto una scintilla immensa, ustionante e inutile. La sposa provava sofferenza a concedersi  e questo fu  umiliante e frustrante.
François venne travolto da sensi di colpa che restarono a macerare come aceto nel cuore e si lasciò investire da una macabra frigidezza che contagiò anche l’amata Judith. Quella malattia lo aggrovigliava più disintegrante di qualunque sifilide: il disgusto verso se stesso.    
Si sarebbe dislocato in quell’istante per ritrovarsi a casa e recuperare il tempo perduto, calpestato, fuso in silenzi d’uragani.
L’unica consolazione e l’unico contatto d’amore con Judith erano le lettere , quei bellissimi fogli stesi con la sua calligrafia ricercata, danzante di tenera mestizia. Potevano essere custodite le frasi più dure e massicce ma l’odore di leggera menta argillosa della carta, l’inchiostro nero che effigiava ricami di aspri rimproveri, aneli di rabbia incarnavano una voce e una pelle uniche, insostituibili…Le parti di luce che albergavano da anni nello spirito. Ogni volta che riceveva una lettera dalla sposa , il Conte avvertiva una fiamma oceanica irradiare gli acquedotti  intirizziti del cuore.

Il mese scorso le aveva inviato la risposta, un manoscritto lungo, una delle più piovigginose che avesse mai stilato…

Attendeva con trasudata trepidazione cosa gli avrebbe ribattuto, rivelato…
Tanti sogni e incubi aveva plasmato con fango, sale e oro liquefatto…

Fintanto che  si arrovellava, sentendosi un pesce strappato dal mare che si dimena ansando sul crudo legno di una barca, si avvicinò ad un gruppo di pellerossa che parlottavano tra loro.

Alcuni avevano i fucili posati sul terreno, alcuni si abbeveravano a borracce di pelle, altri pulivano le armi o controllavano le munizioni .


Nootau , tra di loro, stava cambiando le cariche alla carabina.

Era un gesto che non aveva nulla di strano ma François restò col cuore schiacciato come se qualcuno glielo avesse strizzato per fargli colare tutto il sangue.

L’indiano era mancino.
Come Etienne.
Aveva una pistola in mano.
Come Etienne il giorno della sua morte.
 

-          Washington, sta per lasciare Great Meadows.


Blaise, che lo aveva raggiunto con discrezione,  lo trasse in salvo da  un breve ma brutale bagno in una vasca di pece.

-          Allora consegnerà il documento redatto a De Vielliers? – domandò secco.

-          Sì…eccolo che sta per arrivare.

Il giovane ufficiale virginiano, seguito da un taciturno e rancoroso MacKay, raggiunse . con passo estenuato, incrostato di fango e le insegne sfatte, i limiti dell'’accampamento nemico.


Louis Coulon lo accolse tale e quale ad una statua di pietra templare che poteva ritrarre un inviolabile guardiano.

Il generale si avvicinò  assieme all’amico, incuriosito cupamente dall’aspetto del comandante avversario.
Poteva essere un ragazzo di ventidue anni… la stessa età di quando lui perdette parte delle proprie milizie in Baviera.
Viso imperfetto dalle quadrature sassose e stanche quasi fossero impastate di gesso secco e opaco, naso grosso da avvilito uccello marino che dalle narici lasciava cadere una lunga e fragile scanalatura che distanziava la bocca già di sottile vecchiezza...tuttavia era illuminato dalla medesima vergogna guerriera che vestì il Conte l’estate del 1743.
La battaglia di Dettingen fu una sua forzata medaglia di consolazione per aver accompagnato  la Francia nel fallimento. L’esercito di Giorgio II uscì vincitore e, sebbene avesse stracciato il proprio anelo e il proprio corpo, tornò con la divisa lacera, la baionetta scarica e la sciabola irrimediabilmente insozzata di sangue e sterile arena.

Gli saettarono nella mente frecce di ricordi ad una velocità paradossale e lenta….il ritratto che gli fece Deronne, il medico grezzo e acuto dell'’esercito capace di fare una diagnosi certa senza bisogno di una visita:
“ Ti stai affilando come un uomo con dedizione e imprudenza…Provi a fare invecchiare gli occhi ma sei un bambino che vorrebbe scendere dall’albero sul quale si è arrampicato…L’ancora del tuo vascello è stata appena levata. Hai vissuto nel baccano di un porto che ti ha schiaffeggiato per buttarti all’orizzonte” 
Le accuse sarcastiche e corrosive di Frederic Claude de Girodel.
 Il senso dell'onore è encomiabile ma inutile, valoroso de’ Jarjayes… ho solo visto il vostro stendardo bruciarsi al suolo.”

Il verdetto finale del Duca de Noailles : “Per aver trasgredito gli ordini del vostro comandante supremo, vi requisisco i gradi di tenente.”

In quel momento, impantanato in una vallata  limacciosa della Pennsylvania, guardò un riflesso di se stesso remoto che parlava un inglese sferzante e ferroso contro un melodico e irruvidito francese che tentava di contrastarlo.

Coulon rispettò le condizioni del patto e liberò i soldati anglo americani presi prigionieri.

François avrebbe volentieri piantato un proiettile nel petto di Washington. Si convinse che costui lo avesse offeso mostrandosi in qualità di un sosia perdente che dimorava invitto nella coscienza.

Quando costui diede le spalle, si domandò se l’olandese avesse parafrasato precisamente il documento di resa…

I suoi sospetti non gli vennero mai confermati ma in effetti ebbe veramente ragione a dubitare.
Washington non comprese mai di essere stato accusato di assassinio e de Vielliers non seppe mai che il  virginiano aveva firmato la capitolazione ascoltando la traduzione stentata e malmessa del militare olandese.

I termini di piombo che lo incriminavano assunsero il pallore  tisico  di un’emaciata foschia:

  responsable de l’assassiner du comandant Joseph Coulon de Jumonville  «


Dopo le otto di mattina, Fort Duquense venne data alle fiamme che depurarono inesorabili ciascun carcame che osasse ancora sopravvivere di futile malinconia.

 

***§***

 

 

 

ottobre

Versailles, Parigi

Nonostante l’autunno stesse iniziando a depredare dolcemente gli alberi da foglie di smorto smeraldo e inibito oro, persisteva  un aroma d’acidità afosa…

Un’ombra di sterpaglie che sgretolava lentamente ticchettando scalpiccii brucianti.

Tutti erano ormai convinti che tra padre e figlio vi fosse un ponte in rovina sorretto dai loro occhi ancora più spalmati d’olio combustibile.

In quell’assolato pomeriggio di residue brine estive, i militari guardavano sorpresi Luigi XV presiedere l’Alto Consiglio di Stato assieme al Delfino Luigi Ferdinando.

Nel salone , di lusso austero e spigoloso , sedevano tutti attorno ad un rettangolare tavolo in massiccio stile rococò, imperioso residuo archeologico di Re Sole, una deposizione  di mortifera vitalità.
I due reali si fronteggiavano l’uno assiso sul versante di levante l’altro sul versante di ponente.  A separali una pianura levigata di gelo castagno cosparsa di missive che parevano cedere il posto rispettosamente ad una grossa e renosa mappa dell'America del Nord.

-          La valle dell'Ohio è finalmente sotto il controllo della Francia – pronunciò il sovrano come un valoroso atleta che avesse terminato una maratona-  Dopo estenuanti scontri abbiamo pieno potere sui commerci con Fort Pontchartrain du Detroit * e La Baie des Puants* : con gli scambi tra il Québec e le città della Louisiana guadagneremo notevole vantaggio sulla Gran Bretagna. Si è registrato un ingente aumento delle entrate e la Virginia ha assistito a una critica contrazione dei suoi proventi…tuttavia la notizia della sconfitta di Washington a Fort Necessity sta infiammando il torpore del Duca di New Castle. A quanto pare si sta mobilitando per organizzare un contrattacco.  Confermate dunque tali notizie,  Generale de Girodel?

Il conte  sedeva alla destra del re, simile a un Cristo di glaciale minacciosità.

A quarantaquattro anni i capelli neri, che gli arrivavano sulle spalle , erano filamentosi di grigio:  di rado portava la parrucca proprio perché ci teneva a palesare la sua santità profana e tronfia.
 Il fisico di arcigna snellezza somigliava ai cipressi che verdeggiano cupi e sprezzanti e gli occhi seghettavano con un tono acquamarina chiaro e laminato.
Il volto tagliente , in parte butterato da cicatrici d’ustione, carburava mitezza inquietante e il sorriso espandeva un pulviscolo di fraudolenta modestia.
 

-          Sì, vostra Altezza – rispose con tono greve simile a uno strato di neve -  Ora che Thomas Pelham-Holles è diventato Primo Ministro, sta rivedendo i suoi assetti diplomatici. La situazione per le loro colonie può declinare ancora più e perciò si sta programmando una forte spedizione contro i nostri territori. È confermato che i rinforzi britannici partiranno l’anno prossimo. Non si conosce con assoluta certezza chi sarà il generale al comando. La stragrande maggioranza caldeggia la nomina di Edward Braddock. È un veterano temibile e potrebbe creare notevoli problemi. Nonostante la nostra vittoria è necessario chiamare in patria i francesi che hanno combattuto in Pennsylvania e spedire nuove milizie. Dobbiamo disporre di efficaci forze in campo. Questo è l’inizio di una guerra contro re Giorgio.

Il re congiunse le mani davanti al viso meditabondo. Cercava di apparire autorevole e ponderato ma chi lo conosceva molto bene riusciva a cogliere in quel gesto un’insicurezza imbarazzata che veniva respinta dentro dagli avambracci chiusi. Alcune volte si aveva l’impressione di vedere un corridore che prima partiva veloce e deciso e dopo rallentava guardandosi dietro per la paura di aver perso o di perdere qualcosa.

 

-          In teoria – considerò schiarendosi la gola -  non siamo in tempo di conflitto e non possiamo definire grandi battaglie piccole lotte per estendere l’egemonia degli empori. È difficile, nondimeno, stabilire quanto possa convenire uno scontro definitivo per affermare pienamente la nostra supremazia in America Settentrionale. I nostri fondi si reggono su pilastri non ancora solidi al cento per cento…però…se riuscissimo a conquistare tutte le colonie inglesi , la Francia arriverebbe a possedere i tre quarti delle rotte marittime e ciò decreterebbe un’autentica apoteosi: la trasformazione nel più grande impero mondiale che sia mai esistito.

Frederic si compiaceva degli sguardi di Luigi XV che lo interrogavano con trepida mansuetudine. Da dopo la Battaglia di Dettingen  era riuscito a farsi abilmente strada tra i pochi fidati consiglieri reali. Apparteneva all’associazione silenziosa del Secret du Roi. Il parlamento aveva ricevuto una così grave restrizione di poteri che non vi erano più primi ministri da sette anni. Tanti funzionari covavano odio verso la corona e il monarca, avvelenato dalla paura e dalla diffidenza, era giunto per avvalersi di una sotterranea rete di spie-dirigenti .  

-          È quello che penso anche io, Sire – accondiscese Girodel -  Quanto tempo potrà reggere questa ridicola tregua che esiste solo su carta? Tra l’altro, sottolineo  i resoconti dell'ambasciatore  Von Kaunitz. Sarà pure un rapace degli Asburgo, ma la nostra rete di spionaggio gli dà ragione. C’è un motivo per cui i viennesi hanno soprannominato Federico di Hohenzollern  “ il brigante di Postdam”. I suoi rapporti diplomatici con re Giorgio  diventano sempre più sospetti e se non sferriamo un attacco drastico  all’Inghilterra ci troveremmo stritolati in una morsa letale . Se un gigante viene ferito alle gambe non riuscirà mai più a correre. Gli austriaci potrebbero sta volta rivelarsi utili…

 Si alzò il Delfino di Francia, un giovane di ventisei anni un po’ corpulento ma terribilmente solido e dotato di un’ammirevole e religiosa eleganza. Lineamenti regolari, di morbidezza autorevole e per nulla flaccida e pigra. Colpivano i suoi occhi neri, d’intelligenza amara, viva e indagatrice. Non abusava di falsi sorrisi e baldanzose cortesie. Non camminava mai curvo e aveva il volto perennemente in alto non come emblema di boriosità ma con acutezza di  falco guardiano.

Non amava Girodel e non amava i segreti del padre che tentava di forzare con una pertinace spranga di ferro.  
 

-          Vorrei poter condividere il vostro entusiasmo Generale de Girodel  - lo appellò con burbero contegno - poiché all’inizio anche io ero tentato di muovere guerra ai britanni ma  ho avuto modo di riflettere più accortamente su alcune  questioni per nulla trascurabili: la nostra vacillante economia. Le guerre espansionistiche di re Sole misero a nudo l’inefficienza  del suo sistema fiscale in cui i funzionari appaltatori prelevavano in modo eterogeneo e disorganizzato, frenando attività e arricchendo solo le loro casse. Piaga che è caduta su Filippo D’Orleans che ha tentato di far rinsaldare la situazione con l’emissione di carta moneta, una soluzione illusoriamente risanatrice…Si è vista poi l’inflazione e la svalutazione stessa della moneta! Si è visto poi come annaspavano le banche!

Gli altri generali  borbottarono tra loro lamentando la rigida diligenza del principe. Speravano che i contrasti in famiglia andassero avanti affinché costui non potesse  rimirare il trono neppure col binocolo.

Era indubbiamente comodo che Luigi XV dispensasse loro fiducia visto che era di continuo irresoluto ed era indubbiamente doloroso che il figlio un giorno sarebbe potuto divenire re.
 

-          Siamo riusciti a raggiungere il pareggio di bilancio sedici anni fa , grazie ai piani diligenti del Cardinale de Fleury…- silenziò tutti il Re - L’economia è già in ripresa! E direi che ci occorra una svolta, figlio mio!

-          L’ottimismo non vi deve ottenebrare la ragione, padre!  Se siete devoto alla buon’anima del Cardinale de Fleury che vi ha guidato e insegnato ,  preservate la sicurezza del nostro Stato! L’economia si è avviata ma ha ancora un respiro irregolare e cagionevole! Se ci buttassimo nel vortice di una guerra firmeremmo la nostra condanna a morte!

Luigi Ferdinando, da fervente cattolico che non confessava i sensi di colpa a chi non fosse sacerdote,   ribatteva evitando di sollevare un altro problema pungente: la migrazione degli ugonotti dalla Francia avvenuta due anni orsono inseguito a cruente repressioni che duravano dal sedicesimo secolo. Tale ondata di volontari esuli aveva sottratto al regno una cospicua  parte di commercianti , artigiani e operai determinando un forte indebolimento nello sviluppo delle attività.

-          Principe – cercò di conciliarsi Frederic più per convenienza che per franchezza-  La vostra lodevole ponderatezza, è comprensibile ma come si vuol dire se la migliore difesa è l’attacco è doveroso soppesare i rischi e analizzare i nostri punti di debolezza e forza. È vero che dobbiamo ancora ristabilirci però non possiamo ristagnare e regredire. Un ‘espansione bellica ben organizzata porterebbe sotto i nostri piedi le nazioni rivali. L’esercito è ben controllato.

 Il giovane e si risidette e serrò le mandibole cercando di contenersi: ovvio, per il conte Girodel era normale evidenziare sempre che anche lui possedeva lo scettro del comando.

Aveva aderito con successo a molte operazioni di guerriglia nelle colonie americane, assoggettando indigeni in maniera più o meno valida. Deteneva parecchi affari di cui, quasi al novanta per cento, non si riusciva a capire quanti fossero leciti e no. Tra l’altro  la Compagnia delle Indie Occidentali contava sui suoi finanziamenti tenendolo in grande considerazione e fornendogli lealmente supporto.
Il principe giurava a se stesso che , una volta salito al trono, avrebbe approfondito ancora meglio le indagini sul suo conto.

-           So a chi affidare determinati incarichi, figlio mio…- redarguì  il Re - bisogna circondarsi di pochi ma buoni servitori.

-          La vostre misure precauzionali hanno lasciato perplessi me e le mie sorelle, padre…Certo, è degno d’interesse il come esercitiate appassionata filantropia a commedianti teatrali che siedono su troni e vi rintronano il senno con irresistibili profumi!

Ecco che cominciava il duello tanto atteso.

Girodel fissava tacitamente allietato il confronto tra padre e figlio: si sapeva che il primo, finalmente libero dall’ombra moralista di Fleury,  aveva abbandonato da tempo la fedeltà coniugale cercando deliziose amanti e iniziando a guadagnarsi, lentamente in politica, la nomea di fannullone .
Il reggente , al contrario, era ritenuto un lodevole esempio di morigeratezza e razionalità, un nobile legato sinceramente alla consorte e ai suoi piccoli figli. Era stato reduce da un primo lutto matrimoniale da adolescente che l’aveva ferito in modo profondo e successivamente si era dovuto risposare con la principessa Maria Josephina con la quale aveva instaurato un vero affetto.

-          Caro figlio, potresti essere anche un giudice mandato dal Creatore in persona, ma sono io padrone della mia volontà! E io discerno l’intelligenza nefanda da quella brillante!

-          Con quale mossa strabiliante voi e la vostra musa ci porterete sul lastrico?

-          Ti rammento, Luigi Ferdinando, che sul trono ci sono ancora io.


Quando si osava alludere in modo velenoso all’amata Madame Pompadour , il sovrano s’incolleriva. Sapeva bene che il delfino e le figlie la detestavano cercando di trovare crepe che potessero far crollare il raffinato edificio delle sue qualità. Trovavano inconcepibile che avesse ricevuto il titolo di amante ufficiale.
Luigi Ferdinando temeva aggressivamente la sua influenza e desiderava esiliarla da Versailles non appena avesse ottenuto i pieni poteri governativi.
Il Duca di Noailles che fin a quel momento era rimasto in un mutismo  riservato, ritenne opportuno dileguare la coltre elettrica di burrasca:

-          Maestà. Io sostengo le preoccupazioni del Principe così come comprendo la ferrea determinazione del Generale Girodel. Espanderci potrebbe accrescere la nostra potenza ma al contempo un regno con ampissimi confini aumenterebbe pericolosamente la vulnerabilità. Bisogna prendere insegnamento dalla storia. I grandi imperi non hanno retto il peso di regioni spropositatamente allargate. Le membra che si allungano perdono compattezza muscolare. Anche Ottaviano Augusto raccomandò ai propri eredi di custodire gli antichi e ampi limes di Roma e di non lanciarsi in dissennate conquiste. Il mio suggerimento è, come ha detto Girodel, mobilitare altre truppe in Canada ma restare sulla difensiva e non emettere alcun ultimatum contro l’Inghilterra.


I generali esposero alcune obiezioni ma non osarono dilungarsi più di tanto perché quell’uomo, anche se ormai a cinquantanove anni stava per concludere il servizio militare, trasmetteva una regalità cesarea e autentica che scorreva nei canali di fresca antichità delle sue rughe, nei suoi lineamenti fieri ed eroici tali e quali a quelli di un grifone dal volto spesso d’aquila, dal torso leonino e dalle invisibili ali rocciose.
Il re non poteva dargli torto perché lo stimava allo stesso modo di Girodel e in fondo, con autentico amore e vergognosa colpevolezza, non voleva distanziarsi ancora di più dal figlio per il quale aveva sperato nell’infanzia e nell’adolescenza e lo riteneva, in un clima anche deteriorato, una parte della sua anima generata dal proprio anelo vitale.

Fissò il principe che distese un po’ più dolcemente lo sguardo anche se manteneva negli occhi un telo di offesa severità.
Tornò a volgersi verso il Duca:

-          Capisco…condivido il vostro pensiero però temo che restare sulla difensiva significherebbe offrire vantaggio a re Giorgio.

-     No, Altezza. Si tratta di tenere al sicuro le ricche regioni che già sfruttiamo e incentivare di più il loro sviluppo…Piuttosto che una guerra infinita , bisognerebbe proporre una volta per tutte una spartizione equa delle colonie di America.


Sta volta Frederic era preso in contropiede: non voleva rinunciare orgogliosamente alla sua facoltà di obiettare ma neppure desiderava contrastare uno dei pochissimi uomini che temeva e rispettava con franchezza.
Certo Noailles, avrebbe potuto benissimo lasciare il maggiore Rochebrune a dirigere i corpi di polizia delle frontiere e  soprattutto imprigionare De Jarjayes nella caserma delle Guardie Urbane di Parigi a contatto coi microbi  della plebaglia.
 

-    Ahimè, Duca di Noailles i patti di questo genere non giovano tanto…- tentò di imporsi con  gentile prepotenza- pensate a cosa è accaduto durante le trattative di Aquisgrana. Il Regno di Savoia e la Prussia hanno divorato la maggior parte delle pietanze del banchetto lasciando le briciole all’Austria e a tutte le altre nazioni.


Il valoroso veterano, colmo d’integerrima e pietrosa serenità , rimandò:

-          Avete ragione Generale de’Girodel ma occorre pensare al meglio e fare decisamente di meglio. Siamo ancora in tempo per prevenire irreparabili disastri. Non sono state stipulate ancora nuove e decisive trattative e il Primo Ministro di Inghilterra non credo sia entusiasta di allestire un dispendioso diluvio bellico. Penso che neppure la Prussia desideri un conflitto…essa vuole garantirsi protezione e non ha esternato dannose ostilità verso di noi.


Il delfino, anche lui convinto patrocinatore di Noailles, indirizzò al re un’occhiata bruciante d’implorazione:

-       Padre. Lasciamo che l’Austria risolva da sé i suoi screzi con gli Hohenzollern! Prendiamoci cura e arricchiamo le colonie che già possediamo. Se originiamo un’altra guerra ci incancreniremo causando l’amputazione di buona parte dei nostri arti.

Il monarca fissò un antico mappamondo che troneggiava nel letargo di una ringhiante mitezza da orso bruno….

Così serico e perfetto, così fintamente piccolo che ci si scordava che tenerlo in mano rappresentava sorreggere l’ opprimente ossigeno di mari e monti.  
 

-          D’accordo – si decise più fermo -  Non avanzeremo alcuna dichiarazione di guerra…per adesso. Siccome tutto è in divenire ed è incerto, valuteremmo in che modo avanzare volta per volta. Duca di Noailles e  Conte Girodel , da domani inizierete i preparativi per reclutare le milizie d’America.

 

Frederic si dovette accontentare amaramente di quel mezzo trionfo…De Noailles era un monolite difficile da gettare a terra. Il fatto che François fosse ritornato nella Maison du Roi ,  non l’aveva digerito bene.
L’ odio comunque non lo portava ad anelare la sua morte…non gli augurava  di finire massacrato dai pellerossa o annegare in una palude della Louisiana.
Conveniva più che altro  nutrire accuratamente il proprio ego, vedendo il rivale  arrampicarsi ai vertici della carriera similare a una scimmia zoppa che tenta di raggiungere i cocchi di un'altissima palma. Se coi compensi ricevuti per la sua missione di volontario, avesse risanato la precarietà dei latifondi di famiglia sarebbe rimasto un erede senza eredi.

I Girodel avevano un figlio di cinque anni, i de Jarjayes bambine finite all’altro mondo.


François non era un uomo povero, ma un pover’uomo.
Un Sisifo condannato a portare sulla montagna un macigno che, raggiunta la vetta,  gli sarebbe sempre scivolato lungo un pendio di strozzanti rovi.

 

 

***§***

 

 

novembre

Nouvelle Orleans, Louisiana

 

 

Quella sentenza gli rimbombava nella testa come una nenia funebre di metallico incenso.

“ Mai chiedere perdono in guerra. Il Signore lo sa che hai una sciabola e una baionetta. Non puoi perdere tempo a estrarre proiettili da cadaveri nemici. I romani sono tornati a raccogliere in lacrime il sale sparso su Cartagine distrutta? “

François  credeva di udire le spettrali raccomandazioni del padre Jean Antoine quasi fosse sorvegliato  dall’alone di un nero angelo custode.
Sta volta non c’era nulla di cui umiliarsi e infatti stava con la schiena eretta  introiettato verso l’azzurro del levante cosparso di nebbiolina dormiente.

Bisognava recitare inni di gloria, eppure non riusciva temendo di stonare in modo misero e tragico.

Lui… Lui che finalmente tornava trionfante e che aveva contribuito a fortificare la grandezza del Regno di Francia.

Conosceva bene la legge dell'infido splendore.

L’aurora somigliava al crepuscolo, il crepuscolo all’aurora.
Niente di più certo. Inevitabile. Confuso.
Nascita e appassimento costituivano un armonioso codice binario o forse erano riflessi di uno stesso numero primo cui la mente stremata attribuiva multipli inesistenti di possibilità.

Il Mississippi dominava plumbeo e meditabondo le lande della Louisiana, infiltrandosi con ieratica arroganza tra vecchie montagne, tra opache rive di boschi pianeggianti, tra melmose  isolette che sporgevano come dorsi di caimani o incuriosite teste di anfibi.
Le nuvole , che lievitano all’orizzonte della foce, prendevano le sembianze di  scogli ruvidi e cremosi e rivelavano che il mare terminava  versandosi in un limbo senza giorno e notte.

François , compiuta la missione a Fort Necessity,  si accingeva a raggiungere Nouvelle Orleans in attesa di altre direttive .

Affacciato alla prua del battello Lys Blanc , non condivideva l’esausta serenità dei soldati…Non riusciva a scambiare qualche effimera cordialità col timoniere, non sorrideva ai borbottii irritati degli sconfitti a carte, non si confrontava o congratulava coi propri sottoufficiali. 
Quel fiume , sul quale navigavano, gli pareva una sciarpa infeltrita che si scuciva all’estremità annegando in una distesa di vernice blu e informe.

Neppure il neonato mattino servì a dorare la cenere dei pensieri…

Tutto si bruciava dopo il silenzio acquatico dell'aurora e anche la pallida ombra della Luna veniva incenerita da fiamme inesorabili.

Il sole si accingeva a levare gli ormeggi e a viaggiare nella volta celeste con una corazza di recrudescenza splendente.

Da tempo il generale diffidava di quella malevola castità che carezzava e scuoiava città, campagne e progetti.
Era una colata di fasullo oro zecchino, utile a impreziosire la permanenza del buio che non scompariva dagli angoli delle strade, dagli ombelichi screpolati dei tronchi, da sotto i nidi delle rondini che migravano altrove.

“ Ma niente è più dolce che occupare i sublimi templi sereni, saldamente muniti dalla dottrina dei saggi, donde si possa abbassare lo sguardo sugli altri e vederli errare qua e là e cercare, aggirandosi senza criterio, la via della vita. “

François adorava Lucrezio* e da adolescente lo leggeva all’insaputa del padre che da cattolico praticante e aristocratico catoniano, deprecava le teorie sull’assenza di Dio e sul rifiuto dell’obbligo civile e militare. 

Il De rerum natura, riprendendo i precetti del filosofo greco Epicuro, mostrava la casualità del moto degli atomi che dà origine ai corpi, l’aggregazione e la disgregazione a cui sono soggetti gli esseri viventi, la confutazione della religione tradizionale, l’esaltazione della vita appartata lontana dai tumulti politici…

Cose  inconcepibili per un bravo cristiano e un nobile servitore della corona…

Guardando verso l’alto, il Generale invidiava i gabbiani che sorvolavano i  rombi delle cannonate terrestri…

Quegli uccelli s’interessavano a Maria Teresa che aveva rivendicato la Slesia perduta a causa dei prussiani?
Sostenevano la Francia ? Decidevano di arruolarsi in un esercito e servire uno Stato?!

L’unica constatazione, ironica e vendicativa, era pensare che anche gli uccelli più bianchi atterravano al suolo per cibarsi di pesci morti e spazzatura.

Làthe biòsas” , diceva Epicuro “ vivi in disparte”…Fosse stato semplice!

Non sia mai  Jean Antoine udisse che la fede opprimeva gli uomini “ dalle sue regioni celesti” , che “ la natura non è preparata dal dovere divino”  , che la saggezza consiste nel rinnegare la ragion di stato e nello  starsene bellamente in disparte nella contemplazione!

I moti dell’universo erano troppo logici e perfetti per non essere stati creati da Dio, gli uomini si erano evoluti e si erano organizzati in società dandosi leggi e obblighi da rispettare e così ,  come il Sacro monoteismo aveva distrutto gli dei pagani, la Monarchia aveva oppresso con un unico scettro le brame dei feudatari.

François ricordava che il padre conciliasse i pensieri dei repubblicani  Catone il Censore  e Cicerone con la devozione verso il re. Non esistevano contraddizioni e l’ “Exemplum” dell’Antica Roma ben fungeva da pilastro per una più che rispettabile carriera pubblica. La filosofia non doveva possedere fini estetici ma pratici e le teorie pericolosamente razionali o edonistiche erano proibite e corrompenti.

Il generale si domandava, tuttavia, come fosse possibile credere in Dio e avere una visione imperialisticamente pragmatica del creato...
Si domandava in che modo si poteva andare in chiesa , incapaci di comprendere l’anima: il cuore si deformava simile ad uno specchio d’acqua infilzato da un dito ed egli ancora non fermava gli archi vibratori delle scosse.

 

Erano le undici di sera nella dimora de Jarjayes ma la routine pareva inghiottita da un’atemporalità di claudicante bufera.
Da più di sei ore i medici chiamati da Jean Antoine non uscivano dalla camera di Philippe…
Qualche candelabro rischiarava , come l’aureola di un piccolo santo avvizzito, il grande blu dell'’oscurità. Alcuni servi , reggendo candele, facevano avanti e indietro seguendo gli ordini irrequieti del conte. Lasciavano magri serpentelli di luce che svanivano subito in liquescente polvere.
Il piccolo François, col cuore palpitante di angoscia, aveva smesso di giocare quella mattina, da quando nel giardino della villa suo padre era giunto sconvolto portando in braccio il figlio maggiore svenuto e terreo.
I servi avevano riferito che, durante la battuta di caccia, il ragazzo era caduto rovinosamente da cavallo sbattendo la schiena e la testa.

Vennero chiamati fatti chiamare due chirurgi e un farmacista perché la situazione si rivelava più grave del previsto.

Il bambino era stato confinato nella sua stanza assieme alla balia e  adesso, esasperato da quella tensione che bolliva devastazioni sottocoperta,  volle uscire.


Poiché la nutrice si era addormentata, ne approfittò per sgattaiolare fuori e immergersi nell’oscurità dei piani superiori della villa.

A cinque anni tutto  pareva gigantesco.

I riccioli erano una fontana incontrollabile che gli inondava la fronte e le guance di tondo e freddoloso zucchero, la morbida camiciola da notte stava larga e i piedi, piccini e paffuti, faticavano a calpestare per intero le grandi mattonelle di marmo.
Il corridoio che conduceva alla camera del fratello grande si elevava con gelide volte a botte che sembravano spettrali colli di giraffa che si congiungevano in un lontanissimo buio.

Molte finestre erano coperte dalle tende e soltanto una lasciava intravedere uno spiffero d’alito lunare.


Nonostante fosse impaurito dal buio e dalle geometriche armature medioevali che sembrava dovessero scattare da un istante all’altro, François affrettò il passo per avvicinarsi alla porta di Philippe.

Mentre ormai era molto vicino,  l’uscio si aprì facendo fuoriuscire una rovente luce arancione.

Immediatamente si nascose dietro la tenda broccata di una finestra.
Riuscì a distinguere la voce del fratello che si dimenava lacera:

-          Perché…non mi sento le gambe? V- voglio rialzarmi…

-          Philippe – raccomandò il conte stritolato – non ti agitare.

-          P-padre…che sta s-succen-do…?


Jean Antoine, senza aggiungere risposta, uscì dalla camera seguito dal più anziano dei medici.

-          Dottore, com’è la situazione di mio figlio? È  un trauma momentaneo? Quanti giorni deve impiegare per riabilitarsi?

Ci fu un silenzio vergognoso e tristemente agghiacciante.

Dopo un po’ il chirurgo, sforzandosi di apparire  più misurato possibile,  rivelò:

-          Signore, vostro figlio è stato fortunato a non aver subito un’emorragia interna al cranio e una febbre infettiva…tuttavia…le tre fratture  riportate alla colonna vertebrale sono gravissime.

-          Che…che intendete dire? Dovrà stare a letto lunghissimo tempo?

Il medico desiderò svanire come aria ma alla fine dovette completare l’orrenda diagnosi:

-       Io e miei colleghi siamo mortificati, nonostante abbiamo tentato di raddrizzare le giunture cartilaginee dei dischi vertebrali, i nervi che collegano e controllano le gambe  sono irrimediabilmente danneggiati.          

-          No…non capisco – rispose con tono smorzato e moribondo l’uomo.

-          Il sistema nervoso parte dal cervello e si propaga lungo le braccia, la spina dorsale e le gambe…è un meccanismo delicatissimo. Se si lede una di queste componenti non esiste guarigione.

-          Non ditemi che Philippe…

-          Purtroppo , signore, il ragazzo non camminerà più.

Da dietro la tenda, François affacciò attonito il capo.

Sentì il cuore del padre comprimersi brutalmente nelle penombre cavernose.
Mentre ancora gli sfuggiva di mano la consistenza di quella verità, il bambino posò gli occhi su una sciabola dall’elsa dorata appesa alla parete di fronte…

Da lontano luccicava simile a una reliquia  fatua e lo teneva d’occhio svelando  la lama affilata pronta a fischiare spietata.
Aspettando torrenti di piogge.
Aspettando il mattino.

 Il Generale esibiva un regolare e avvenente connubio tra l’eleganza della madre, che echeggiava negli ondosi occhi blu,  e le severe ombreggiature dei lineamenti del conte. Alto, maestoso e severo trasmetteva ammirazione, soggezione e gelida diffidenza.

Tuttavia, troppe volte, si sentiva il viso granitico tenero e frangibile analogo a quello di un bimbetto. Quando si radeva gli capitava di tagliarsi una guancia che si striava di rosso impallidita da una goffaggine adolescenziale…

Rabbrividiva se pensava di essersi addossato il destino del primogenito Philippe…

Cosa sarebbe successo se non fosse avvenuto quel tragico incidente a cavallo? Da figlio cadetto avrebbe perseguito un’altra carriera? Quella di ministro? Quella di cardinale? Una vita più comoda  lubrificata dal privilegio di dedicarsi agli  studi ?

Meglio non elaborare ipotesi irreali…

Il Cielo aveva desiderato in tal modo il corso degli eventi e lui era stato costretto ad appropriarsi , fin dall’infanzia, del dovere di un altro…Un dovere trasformatosi, dopo lungo tempo, in linfa vitale.
Aveva raggiunto la vetta dei gradi inseguito a una lunga scalata: per quasi sei anni era stato sergente, maggiore e capitano nelle Guardie Urbane di Parigi e, grazie all’abilità e alla fermezza, si era guadagnato una rinnovata ammissione nella Maison du Roi grazie al Duca di Noailles, proseguendo l’avanzata e attuando missioni difensive sulle frontiere della Francia e persino nelle colonie d’Oltreoceano.
Infiniti mesi di arrampicata scansando gelide valanghe che crollavano alla più piccola aurea di lamento e in che maniera Jean Antoine aveva reagito? Con sguardi di solenne e magnanima sufficienza quasi si rassegnasse a non redigere il testamento a un erede semidio.
François, tristemente astioso, comprendeva in parte quella diffidenza genitoriale: anche dall’Aldilà  avvertiva l’ombra di un’ arcata sopraccigliare raggelare ogni raggio di calore...

-          Nessuna pioggia spegnerà Sole di oggi.

-          Etienne!

Il giovane, che l’aveva raggiunto a prua,  scherzò perplesso:

-          Signore! Piace tanto chiamarmi con quel nome! Il mio è così brutto?

 Il generale guizzò leggermente il capo e rispose:

-          Perdonami... E’ da un pò di giorni che non riesco a dormire...L’insonnia fa strani scherzi, Nootau.

 L’abenachi appoggiò le mani sul corrimano di prua ispirando  l’aria fresca e nebbiosa del mattino.

-          Insonnia non del tutto cattiva – ammise con riflessiva semplicità – fa sentire bene le parole senza suoni...quelle che non nascono mai da bocca ma che restano acqua scura che si unisce a sangue e che non si possono prendere.

 Infastidito dalle pieghe che si sarebbero potute evolvere, il Conte tagliò seccamente: 

-          Lascia luccicare queste perle di saggezza nella tua testa e dì ai tuoi uomini che tra mezz’ora approdiamo a Nouvelle Orleans.

-          Sì, Generale.


L’uomo si rammaricò di licenziare il migliore dei suoi sottoposti alleati.
A mano a mano che l’imbarcazione si avvicinava al litorale di Nouvelle Orleans , prese a organizzare zelantemente le operazioni d’attracco aiutato dai comandanti di marina.

Cercò di non sentire la voce dorata del pellerossa che tanto rassomigliava al tono agreste e cesellato di Etienne…

Sebbene le considerevoli differenze caratteriali tra i due, entrambi risplendevano di un’energica positività...
Quella positività ingenua e sfrontata che egli si spossava di trovare oltre le nuvole.
Nell’attimo in cui il naviglio stava preparando la passerella che si sarebbe adagiata sulla banchina del porto,  chiamò:

-          Nootau.


L’indiano gli si affiancò reverenziale e interrogativo.

-          Dopo che avremo attraccato  - proseguì il superiore – immagino che tu e tuoi uomini ritornerete dalle vostre famiglie.

-          Certo, Generale…ho moglie e tre bambini che domandano se io stato divorato da spiriti maligni!

François abbozzò un sorriso abbattuto.

La visione del volto di Judith lo destabilizzava…
Il millesettecento quarantatré era stato il principio dei suoi annegamenti famigliari…il principio di una maledizione scaturita proprio quando si era appena sposato imparando a distendere speranze.
 

-          Capisco- rispose accantonando a fatica le proprie angosce – prima che ci separiamo, vorrei ringraziarti nel migliore dei modi...

-          Per me è stato onore servirvi...Vostra tempesta è nobile, Generale...anche se forse sembra che viaggia perdendo molti fulmini.


Il militare fissò il mare fustellato di resina arancione e azzurra e tornò a guardare il guerriero con sincera ed estenuata limpidezza.

-          Sai, Nootau...Etienne...era mio fratello. Il migliore che  abbia mai avuto.

 

 

 

 

 

 

Note storiche:

 

-          Guerra di successione Polacca ( 1733-1735) : conflitto che scaturì in Polonia inseguito alla morte del Re Federico Augusto II : l’Austria e la Russia sostennero il figlio Federico Augusto III mentre la Francia , la Spagna e il Ducato di Savoia Stanislao Leszczynski, suocero di Luigi XV.

 

-          Uroni : popolazioni indigene del Nord America, più propriamente “ wyandot ”  ( di cui fa parte anche la tribù degli abenachi ). Il termine “ urone” ( detto huron in francese ) , all’inizio usato dagli esploratori in modo  dispregiativo,  significava “ burbero” e “ arrogante”   ,  oppure hure “ testa di cinghiale” , per indicare la particolare capigliatura degli indigeni che ricordava la peluria.

Voltaire, per esempio, nel libro “ l’ingenuo” , adopera il termine “ urone” per denotare semplicemente la provenienza esotica del suo protagonista che è appunto un pellerossa.

 

- Lucrezio : o Tito Lucrezio Caro ( Pompei o Ercolano 94 a.C – Roma 50 a.C )  poeta e filosofo romano seguace dell'epicureismo che influenzerà molto l’esistenzialismo moderno con temi riguardanti l’angoscia  e il pessimismo.

 

( personaggi realmente esistiti)

 

-          Venzel Anton Von Kaunitz ( 1711- 1794) : influente diplomatico e politico austriaco laureato in legge, sostenne il dispotismo illuminato e molte riforme nazionali dapprima sotto la regina Maria Teresa ( che gli concesse ampio potere) e successivamente durante il governo di Giuseppe II, Leopoldo II e Francesco II. Divenne il primo vero fondatore del Consiglio di Stato Austriaco e , in veste di cancelliere fu responsabile, in politica estera, delle trattative con la Francia durante la Guerra dei Sette Anni. Venne inviato infatti a Parigi nel 1750, dove rimase per due anni al fine di convincere Luigi XV a sostenere la causa degli Asburgo contro la Prussia. All’inizio non fu facile persuadere il sovrano  ma l’ambasciatore riuscì a piegarlo , avvalendosi di Madame Pompaduor che lo indurrà a stipulare l’alleanza con l’Austria [ questo si vedrà più avanti nella storia]

 

-          Claude Pierre- Pécaudy de Contrecoeur e Louis Coulon de Vielliers :  entrambi ufficiali  canadesi, ebbero un ruolo molto importante nella difesa e nella gestione delle colonie francesi in America. Il primo espulse le truppe inglesi del comandante Ward da Fort Prince George che fu abbattuto e ricostruito con il nome di Fort Duquense ( in onore del Marchese Duquense, allora governatore della Nuova Francia ) . Il secondo, fratello maggiore di Joseph Coulon de Jumoville , sconfisse Washington a Fort Necessity e redasse il documento di resa.

 

 

[ per il Duca di Noailles , potete rivedere le note del CAP 1 ]

 

 

I problematici resoconti sull’imboscata di Jumoville prima della Battaglia di Fort Necessity:

 

nonostante assuma una prospettiva da narratore onnisciente, ho riportato il punto di vista solo dei franco-canadesi ( per non allontanarmi  dal palcoscenico del protagonista ) ...

Mi pare opportuno e corretto , quindi, esporre le versioni che sono state date di quest’imboscata in un’ottica più ampia possibile.

Esistono parecchi dibattiti al riguardo , perché le fonti studiate concordano su molti fatti e discordano su altri. Tutte però sostengono che lo scontro durò quindici minuti e Jumoville fu ucciso e una buona parte dei suoi uomini freddata o fatta prigioniera. Ho consultato sia wikipedia che un altro sito di battaglie coloniali poiché i miei libri di storia non si dilungavano dettagliatamente prima della guerra dei sette anni e sulle guerre franco-indiane.

 

Le versioni che Washington scrisse coincidono tutte tranne che per dei particolari. In un suo diario affermò riguardo alle sue truppe, che “  "eravamo appostati molto vicini a loro... quando ci scoprirono; dopodiché ordinai alla mia compagnia di aprire il fuoco... La compagnia... ricevette tutto il fuoco dei francesi, durante gran parte dello scontro, che durò solo un quarto d'ora, prima che il nemico fosse sconfitto. Uccidemmo Mr. de Jumonville, il comandante... ed altri nove; ne ferimmo uno, e facemmo ventuno prigionieri".

 

Durante il dialogo della seconda scena Contrecouer riporta i rendiconti fatti da un Canadese scampato e un irochese disertore appartenente al contingente di Washington. Entrambi sostennero che furono gli inglesi a far fuoco sui francesi e specialmente l’indiano disse che il suo popolo cercò d’impedire agli inglesi di massacrare i francesi.Nella mia fan-fic ho desiderato tuttavia mostrare maggiormente  lo scetticismo di Contrecouer e attribuire l’assassinio del contingente diplomatico sia agli inglesi che agli irochesi. Infatti è stato de Jarjayes a verificare sul campo la modalità d’uccisione di Jumoville e dei coloni.

 Una terza fonte, ritenuta da diversi storici come la più corretta e precisa, proviene da John Shaw,  un soldato appartenente al contingente di Washington che non prese parte diretta allo scontro ma raccolse accuratamente le testimonianze dei propri compagni mettendo in luce la terribile azione di un capo irochese di nome Tenachrisson, conosciuto dagli inglesi come “ Half king” poiché aveva radunato diverse tribù sotto il suo comando.

La cosiddetta imboscata accadde di notte, e i virginiani colsero di sorpresa i francesi che dormivano e uno di loro perciò: "sparò un colpo dopodiché il colonnello Washington diede l'ordine di sparare. Molti d loro furono uccisi, il resto fuggì, ma i nostri indiani li avevano accerchiati... tornarono dagli inglesi deponendo le armi... Qualche tempo dopo [,] gli indiani giunsero[,] il Mezzo Re prese il suo Tomahawk e spaccò la testa del capitano francese, dopo avergli chiesto se fosse inglese ed aver ricevuto risposta negativa. Ne prese quindi il cervello e se ne lavò le mani prima di togliergli lo scalpo".

Anche un altro disertore anglo indiano confermò il resoconto sostanzialmente corretto di Shaw: “nonostante la scarica di moschetti che [Washington] fece su di lui, egli [Washington] intendeva leggere [l'invito] e si era ritirato tra i suoi uomini, a cui in precedenza era stato ordinato di sparare ai francesi[. T]ale [Tanacharison], un selvaggio, giunse [dal ferito Jumonville] e disse, Tu non sei ancora morto, padre mio, e colpì ripetutamente con l'ascia uccidendolo" . Tale versione è stata documentata dallo storico Fred Anderson che interpreta il massacro da parte degli indiani come un sacrificio rituale e riporta i dati dei morti francesi a 13 o 14.

Riportati questi dati,  il giovane Washington ha avuto gravi responsabilità e difatti nessuno contesta il fatto di attribuirgli la morte di Jumoville.

 Tuttavia, leggendo anche il sito sulle battaglie del farwest ( che conferma anch’esso le fonti di wikipedia) , ho riscontrato e condiviso un’interpretazione “ umana”  di Washington e dei suoi errori. Lo scontro con Jumoville è avvenuto, come ho riportato prima , di notte  ma a quanto pare vi è stata una certa confusione iniziale : “dopo una notte di pioggia fitta, Washington, confuso e mezzo perso tra i boschi con una quarantina di miliziani, aveva seguito Tanaghrisson, l’Half King, fino al luogo dove era accampata la pattuglia francese, ora chiamato Jumonville Glen, ed era quasi inciampato addosso ai soldati francesi ancora intontiti dal sonno che si preparavano a far colazione ai piedi di un roccione. Non è chiaro se un Francese avesse dato l’allarme o un Virginiano avesse sparato subito per il panico, comunque i Virginiani lanciarono due salve di fucilate, mentre i Francesi ricambiavano qualche colpo sparso e si ritiravano tra gli alberi, dove però i Mingo di Tanaghrisson bloccavano loro la ritirata. Un ufficiale francese chiese il cessate il fuoco, dichiarando che l’alfiere Jumonville e altri 14 francesi erano feriti, uno era morto e cercando di far capire, tramite un interprete, che i Francesi venivano in pace a portare un messaggio scritto per gli Inglesi in cui si ingiungeva loro di ritirarsi dai possedimenti di re Luigi XV di Francia. Washington disse che avrebbe letto la lettera tramite il suo interprete e si apprestò a farlo. Intanto Tanaghrisson si avvicinò a Jumonville ferito, si accertò che non fosse inglese e […]  poi alzò l’accetta, lo colpì alla testa finché non si spaccò[…]. Mentre Washington restava paralizzato dallo shock, i Mingo si precipitarono a massacrare i Francesi feriti, finché Washington riuscì a riprendersi e a far formare dai Virginiani un cordone protettivo attorno ai 21 superstiti. Solo uno dei feriti fu salvato, mentre gli indiani scotennavano i 13 cadaveri, li denudavano, ne decapitavano uno, impalandone la testa su un bastone, e se ne andavano con il bottino.”

 

Washington,  scosso e debole a causa della poca esperienza, volle proteggere la sua vacillante reputazione redigendo nel suo diario che aveva ucciso i francesi di Jumoville in quanto spie…naturalmente senza mai confessare che si trattava di un contingente diplomatico. Perdonate questo papiello XD ma anche a costo di essere noiosa è necessario ribadire che la storia è fatta di interpretazioni e non è sempre facile capire al cento per cento quale possa essere la più corretta…

 

Note personali:

ecco l’angolo degli sfoghi! XD finalmente posso dirvi perché ci ho impiegato tantissimo per aggiornare ( università e disegni a parte ) …

dunque, ho avuto dei problemi di salute che mi hanno rallentato e tra l'altro ho dovuto finire un altro capitolo macigno in Saint Seiya ( i cavalieri dello zodiaco) e sono tornata su Lady Oscar. Bene. Ero partita abbastanza tranquilla perché credevo e M’ILLUDEVO di avere il capitolo 2 completo ad un 60% dove doveva all’inizio esserci la nascita di Oscar…mi sono resa conto che la situazione era più tragica del previsto perché, avendo in mente di parlare approfonditamente di François e Judith ( sì, ho lasciato il nome di Judith aggiungendo “ Marguerite” come nome secondario ) , non potevo trascurare una cospicua quantità di vicissitudini sul loro passato. Oltre però il fattore psicologico e intimo c’era anche l’antefatto della Guerra dei Sette Anni , o meglio la battaglia di Fort Necessity su cui mi sono dilungata abbastanza.

Passiamo ai personaggi. Ho desiderato fare questo grande salto temporale di dodici anni dal primo capitolo poiché credo che una narrazione lineare sarebbe stata eccessiva e pesante  invece una un po’ più frammentata da flashback avrebbe trasmesso più  mistero e  concesso gradualità conoscitiva alla figura di François. Ho lasciato capire il drammatico periodo di crisi con la moglie e ho anche introdotto il nome di un importantissimo personaggio : Etienne, il fratello minore del protagonista.

Non posso anticiparvi null’altro su costui perché il prossimo aggiornamento gli sarà dedicato quasi interamente  ;)  e sarà una figura importante per tutta la storia specialmente per quanto riguarderà Oscar e André .
Ovviamente ho anche mostrato la sorella maggiore di Judith, Oriane, il cognato Cosimo e il nipotino Samuele ( futuro cugino di Oscar) …Saranno personaggi “ secondari” ma continueranno ad apparire , soprattutto Samuele.
È stata un’occasione per mettere in luce il carattere sensibile e buono della contessa , fragile e forte e comunque non esente da incomprensioni verso il marito che come afferma Oriane, reagisce in modo diverso nel dolore…Nel flashback del cimitero i due sposi sono uniti nel lutto ma tristemente separati da lacrime che escono e lacrime celate…

Altro aspetto importante in questo capitolo è stato il rapporto tra Luigi XV e il delfino Luigi Ferdinando ( attinto dalla realtà storica ma reinterpretato ) che oltre a far emergere la situazione d’incertezza politica della Francia ( la crisi economica, la persecuzione degli ugonotti, l’assenza di un parlamento autorevole) cerca d’offrire un ritratto umano di due reali, padre e figlio, distanziati dai loro contrasti e le differenze caratteriali e uniti in fondo da un affetto sofferto.

Per ricostruire il carattere di Luigi XV ho consultato la mia enciclopedia, il mio manuale di storia, wikipedia e un altro libro che concordavano tutti sul delinearlo come uno dei Borbone più colti, un re legato molto alle figlie ma dotato di una personalità insicura che l’aveva condotto a essere aggressivo verso i parlamentari e soggetto e influenzato dal Secret du Roi e dalle sue donne specialmente Madame Pompadour.

Ho riportato di nuovo il simpatico e amabile Frederic-Claude de Girodel che ha già avuto Victor di cui parlerò nell’ultima parte del Cap 2 ( assieme ad un piccolo André X3 )….lui è il personaggio molesto che deve per forza guastare  le feste…è accresciuto in furbizia e spregiudicatezza e non manca di delineare in termini compassionevoli e spregiativi François…

Chiudendo tutto , vi do appuntamento bisettimanale con i prossimi aggiornamenti! ^^

Un ringraziamento colossale e affettuoso a chi mi segue e un ringraziamento speciale a Lady Dreamer!! :*  

p.s : purtroppo Oscar nascerà nel cap 3 XD dovrete penare un po’….  


 

  

 

 

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Capitolo 5
*** CAP 2 - Aspettando il mattino: un proiettile nella mente ***


CAP 2 - aspettando il mattino: un proiettile nella mente

Attendendo il mattino:
un proiettile nella mente.

 

 

 

Note pre-lettura: la seconda parte di “ Aspettando il mattino”, riprende direttamente da dove abbiamo lasciato François , ovvero, da dopo la missione bellica a Great Meadows…
Il nostro protagonista è giunto a Nouvelle Orleans e , frattanto che attende l’amico Blaise , si è raccolto in una dolorosa rimembranza ….   

 

 





“ L'infanzia ho sotterrato
Nel fondo delle notti
E ora, spada invisibile,
Mi separa da tutto.

Di me rammento che esultavo amandoti,
Ed eccomi perduto
In infinito delle notti.

Disperazione che incessante aumenta
La vita non mi è più,
Arrestata in fondo alla gola,
Che una roccia di gridi.”

 

( G. Ungaretti ) 

 




C’erano i bagagli pronti nell’atrio, i bauli damascati che contenevano i vestiti, le scatole quadrate  che coi coperchi facevano accucciare  le piume sibilanti dei cappelli.
C’erano le custodie lignee dei moschetti, di alcuni fucili…

C’erano promesse di vacanze…
Allontanamento su litorali pacifici…
Catarsi dal buio che chiude gli scuri della ragione.

 

-         Sono felice che Etienne venga assieme a noi…- disse sottovoce Judith –  ha sempre amato il mare di Arras. Il rumore piatto della Senna gli reca più dolore che serenità…

-         Mi auguro che possa tentare di distaccarsi da tutta quest’intossicazione…” Distrarsi” è un eufemismo, ahimè…l’unica cosa che ho potuto fare è stata supplicarlo di allontanarsi da Parigi.

 

François, sospirando,  prese posto affianco a lei sul sofà ricamato del salotto.   Erano giunti in carrozza da Etienne quella mattina tiepida d’agosto per portarlo a distrarsi in Normandia...Nella  villa i servi facevano avanti e indietro dal piano terra alle camere superiori percorrendo con lesta e discreta disinvoltura i gradini e i tappeti lasciando bisbigliare le suole delle scarpe e i lembi dei vestiti.
A giocherellare con la sua bambola di pezza ignara ma un po’ preoccupata della situazione, la piccola Josephine di quattro anni. Parlottava sottilissima per il timore di essere sgridata: sapeva che l’amato zio era tanto triste, come diceva la mamma, e bisognava tornare a farlo sorridere.

 

-         Se non sbaglio – continuò la madre – il medico gli aveva raccomandato un viaggio tranquillo per sgomberare in modo sano l’animo.

 

Il  Conte si massaggiò la fronte aggrottata dalla speranza e da un’ angoscia ammonitrice …Quando aveva esposto al fratello la proposta di quel soggiorno presso la tenuta ad Arras , lui gli aveva sorriso in modo accondiscendente e tetro…c’era stata  dolcezza spaventosa nella sua espressione simile ad un whisky che invade delizioso e caldo il palato e scende poi nelle viscere gonfiando di bruciore letale il fegato…

 

-         Judith – mormorò l’uomo -  sai bene che il male che ha Etienne è impossibile curarlo coi medicinali…Gli organi riconoscono come capo supremo la sola mente e le sono fedeli spietatamente.

 

Le luci dell’alba appena sbocciata imburravano i marmi dei pavimenti e i mogani dei mobili attraverso una sfoglia di riflessi  rosa sabbioso. Le finestre, denudate dalle tende di raso, palesavano i tigli crespati del cortile da cui cinguettavano di frizzante desolazione i passeri. 
I pendoli , attraverso i dardi barocchi delle lancette, segnavano le sette scandendo una tranquilla remata di secondi.
La bambina seduta su un piccolo sgabello , si tenne in grembo il giocattolo e guardò timidamente il padre con i riccioli castani che le coprivano le spallucce quasi a proteggerla dalla fredda aria tesa che pizzicava il naso e il petto.

 

-         François…- tentò di rassicurarlo Judith – tuo fratello ha superato mille prove e il suo carattere è pieno d’energia….Ora è distrutto per ciò che ha perduto…Dobbiamo rendergli materiale la fiducia che  non vede più…Non sarà facile per niente ma alla fine scommetto che lui stesso avrà voglia di uscire dai suoi sotterranei. Il freddo raggela le ossa e non le fa muovere.

?

-         È’  quello che mi spaventa…se lui non volesse muoversi per sempre?

-         Ha accettato di unirsi a noi! Ha preparato tutti i bagagli!

 

François saettò la sposa tramite uno sguardo di rabbioso timore:

 

-         Ti sei resa conto che da quando siamo arrivati qui  non è sceso a salutarci?! – sibilò pallido – ci ha accolto Albert dicendo che lui si stava preparando…Non avrebbe fatto così, credimi!

-         Etienne è molto stanco e non è in sé…- ribatté piano e decisa la moglie – non puoi pretendere atteggiamenti normali!

 

Il Conte si alzò espandendo una folata di ansia gelata mentre la sua figlioletta si fece ancora più piccola sul seggiolino:

 

-         Se ci avesse preso in giro?! – sussurrò sporgendosi verso la sua interlocutrice – la capacità di raccontare bugie non gli è svanita neanche con il buio nel cervello!

 

Camminò avanti a indietro di fronte il divano per risedersi:

 

-         Etienne qualche settimana fa aveva ricominciato a bere pesantemente – rivelò coi denti stretti tenendo le mani incrociate sulla bocca e i gomiti posati sulle ginocchia –era venuto a riferirmelo in lacrime Albert mentre tornavo da Versailles sulla strada di casa.

 

Judith domandò visibilmente angustiata:

 

-         Non dirmi…che maltrattava anche i servi…

 
Il marito chiuse gli occhi facendo un cenno affermativo del capo.

 

-         Sono stato costretto a rompergli davanti agli occhi le bottiglie di vino…

 

La donna lo osservava piena di tristezza stravolta.

 

-         Gli ho anche alzato le mani…se no non ragionava più.

-         François!

 

Il generale sollevò il torace, rispondendo con sgarbata mestizia:

 

-         Che dovevo fare, Judith?! Dimmi che dovevo fare?!

 

Josephine , nonostante fosse spaventata, si avvicinò alla madre con pudore impallidito che le afferrò la mano e   obiettò piovigginosa al conte:

 

-         Potevi dirmi innanzitutto questi altri problemi….sei quasi sempre seppellito nella tua stessa casa, scordandoti che sono tua moglie…un’anima che vive con te e che vuole parlare e capire.

 

Lui sbuffò  sbattendo il dorso sullo schienale del divano.

 

-         Non cominciare con queste stupidaggini. Ci sono ben altre complicazioni adesso che dar corda alle tue paranoie.

-         Tranquillo, François…diventerò invisibile visto che sei un generale in grado di affrontare da solo qualunque ostacolo.

 

Il Conte stava per mandare  alla malora la sposa, quando giunse Albert, l’anziano capo della servitù di Etienne, un uomo di media statura magro, teneramente rigido, con un cesto di capelli canuti e stanchi:

 

-         Miei Signori – proferì rispettoso con espressione  scartocciata – chiedo venia di questa attesa. Il padrone sta prendendo gli ultimi pacchi e tra pochissimi minuti uscirà dalla sua stanza.

 

Un frantumo.
Immenso. Veloce. Crudamente tramontante.

Il suono di uno sparo.
Una lacrima tritata in un rasoio urlante.

 

Amabilissimo mio Signore Gesù Cristo, che della fraterna carità, di cui presentaste in Voi stesso il più perfetto modello, avete fatto il primo dovere ed il primo distintivo di tutti i Vostri discepoli, liberate dalle pene che soffrono, e chiamate al possesso della Vostra Gloria i nostri fratelli e le nostre sorelle “

 
L’anziano maggiordomo restò attonito e la contessa, scombussolata di paura, a prese immediatamente in braccio Josephine sull’orlo delle lacrime.

 
François fissò loro  pochi secondi  e subito corse verso le scale dei piani superiori.

A ogni gradino il sangue , che si strigliava nelle caverne del cuore,  diventava calce pesantissima.
Talmente grandi erano quelle martellate di montagna crepata che le esclamazioni dei servi parevano un’eco che sbiadiva simile a un tessuto usurato.

 

Il Conte percorse  il corridoio che conduceva alla stanza del fratello.
Non appena spalancò  la porta, quasi sgretolando la maniglia dorata, si arrestò.
Tutto si annebbiò di paralisi tranne che una figura.

 

Il baldacchino assunse le sembianze di un mausoleo che piangeva sete lattiginate.
I deboli riflessi del primo mattino si screpolarono dalle invetriate della finestra.

A terra, sui marmi di fiori acuminati, giaceva un giovane uomo.

Aveva a malapena trent’anni.
L’ abbaglio della sua bellezza si spargeva in artigliate rosse sulle mattonelle. Un completo beige copriva la snellezza indebolita ma sempre elevata delle membra lunghe e fini.

 

François, ignorando le proprie gambe intontite di cenere, si avvicinò a quel corpo.
S’inginocchiò cigolando i menischi.
Lasciò sospesa la sua mano ingrossata di secchezza.

 

“ Voi, che Vi degnaste di diventare il nostro fratello maggiore prendendo la nostra stessa carne, ed elevandoci alla dignità di figli del Vostro Eterno Padre, non permettete che siano a lungo da Voi divisi questi minori fratelli, che con gemiti inenarrabili Vi domandano pietà.”

 

No.
Non era Etienne.

 

Quegli splendidi e lunghi capelli corvini non potevano diventare delle bisce lerciate di sangue.
Quel proiettile di piombo che sfracellava la tempia era solo un frutto di bosco schiacciato che irrorava la gota di rivoli  grumosi.

 

Quella posa supina era brutalmente dispettosa e ingenua. La mano mancina che reggeva la pistola, il viso tenero e folle riverso di lato, l’armonioso collo che spiccava dallo jabot bianco…che fosse uno scherzo repellente?  

 

-         Etienne…- spirò esanime  François – alzati…forza….alzati.

 

Gli occhi neri, inceneriti e liquefatti, guardavano la tappezzeria del muro di fronte.
Luccicavano uguali a pietre affogate in un lago.
La bocca socchiusa e setosamente livida ingoiava ogni sussurro nei tunnel spenti dei polmoni.
Dai denti bianchi non sgattaiolava la minima sillaba.

 

-         Etienne…smettila. Svegliati.

 

François girò  il capo del giovane  ma la maschera afflitta e spudoratamente serena che lo guardava non si scioglieva dalla freddezza  che scoloriva la pelle scura.

 

-         Etienne…non mi sto divertendo.

 

“ Giunti poi che saranno al possesso del Paradiso, esaudite le preghiere che porgeranno per la nostra salute al trono della Vostra misericordia; affinché possiamo godere perpetuamente della loro compagnia nella gloria, dopo avere emulata la loro rassegnazione e tutte le loro virtù in questa misera vita.”

 

Le lacrime non sgorgavano.
Erano bolle di ossigeno che uscivano dalla bocca e si maciullavano verso la superficie di un mare nero.
Mentre i camerieri e Judith esclamavano strabuzzati di panico, il Conte cercò di convincersi che il cadavere che stava toccando non era Etienne.

 

Era un cadavere…
Non Etienne.

 

Lui stava scappando chissà dove…stendendo un incubo che sanguinava sotto i riverberi dilaniati del mattino.

 
 

L’eterno riposo,
dona loro, o Signore,
e splenda ad essi la Luce perpetua.
Riposino in pace.
Amen.”

 

Dopo mezz’ora di mutismo psichico, François era riuscito a recitare dall’inizio alla fine un requiem destinato ai fratelli defunti.
Quello scetticismo pauroso di ricordare preghiere lo accompagnava da ere eppure ne provava vergogna. Diceva  di essere dotato di  pessima memoria mentre la verità era che odiava raccogliersi in Chiesa.
Tanto per dannarsi l’anima e tentare di redimersi da una condotta che Jean-Antoine avrebbe giudicato biasimevole, il Conte a volte si recava in una qualsiasi parrocchia nei pressi del posto in cui si trovava.

 

In quel tardo pomeriggio era entrato in una scarna e piccola cappella di legno costruita provvisoriamente fuori la zona portuale di Nouvelle Orleans. Dalla struttura fatiscente di un palazzo distrettuale del diciassettesimo secolo , si era consacrata , per i cattolici coloniali francesi, una basilica adibita di altarino, crocifisso e alcune panche di pino.
Sedutosi davanti la striminzita zona absidale, l’uomo aveva incrociato le mani e fissato la fuligginosa scala di luce che penetrava dal rosone centrale.
La calma che impregnava il tempietto, si differenziava per uno squallore claustrofobico rispetto all’oscura maestosità delle cattedrali e basiliche europee.
Certo François avvertiva inquietudine in ogni santuario che visitava ma quel giorno lo doveva proprio fare.

 

Infrangere le regole cristiane anche in una casa di Dio.

 

Dopo le esequie alle sue bimbe mai cresciute, ai parenti morti di malattia rivolgeva la più grande, amorevole e scabrosa orazione a Etienne.

Un suicida.

Non un’anima del purgatorio ma dell’inferno.

 

Erano già passati tre anni da quell’incredibile avvenimento e sembrava ieri.
Erano solo passati tre anni ma le scanalature delle lacrime si rivelavano così ramificate da vantare un’essenza secolare.

 

Il tempo dilatava e restringeva le pupille senza mai confessare la durata effettiva delle tenebre.
I riflessi del mezzodì scintillavano sporadicamente balsamici al di là del ponente mentre le stelle polari, incastrate al cielo, rendevano longevo il lenzuolo monacale della notte.

 

-         Siamo a novembre eppure si sente ancora l’afa che si attacca alla pelle…che orrenda umidità.

 

Il Generale si voltò alla propria destra.
Un altro ufficiale francese era entrato nella chiesetta con un sussurrio di passi adombrato e discreto.

 

-         Blaise -  sorrise rincuorandosi François – sei tornato anche tu dalla Valle dell'Ohio?

-         Giusto qualche ora fa…-  rispose l’altro sedendosi accanto – avevo bisogno di uscire dal pandemonio dei carretti armati e degli abbaiamenti militari.

-         Non hai paura di questa pace?

 

L’amico lo guardò silenziosamente interrogativo.

 

-         Sai…è bella ma penso che posso rintronarmi di sonno e non uscirne più fuori…

 

Blaise rispose tristemente scherzoso:

 

-         Etienne ti verrebbe a risvegliare a suon di tromboni assieme ad un branco di scimmie.

 

François rise fragilmente:

 

-         Era quello che minacciava di farmi ogni volta che veniva a buttarmi giù dal letto la domenica mattina.

 

Il maggiore guardò il crocifisso che ormai riceveva flagellate trasversali di luce carminio.

 

-         Recitiamo un altro requiem, François? Anche io detesto pregare da solo. L’assenza è invisibile ma alza sempre grida di carne e ossa.

 

 

***§***

 

 

 
Quando François e Blaise uscirono dalla cappella, la ruota solare era appena caduta nel fossato di ponente, spargendo  nel cielo le nubi serpeggianti delle sue orme.
Parevano tanti ammassi rappresi di polvere che nessuna scopa poteva spazzare via.
L’arancio fatiscente del giorno schizzava fioche brillantature sull’oceano, s’annodava ai timoni, ai cordami,  saliva sulle vele ammainate.
Le navi galleggiavano ieraticamente intontite con la mestizia di balene  incapaci di riprendere il largo. Gli alberi maestri erano miriadi di arpioni che infilzavano i loro dorsi penitenti  e fissandoli da lontano davano l’idea di un fittissimo cimitero di croci spettrali e oscillanti.
Il porto di Nouvelle Orleans boccheggiava assieme alle sue caserme e agli scricchiolii rugginosi dei magazzini : luccicava arcano come toccato dalla mano di re Mida.
I marinai e i soldati davano gli ultimi guizzi di grida e incitamento sbarcando cassette di mercanzie e armi.
Quando sarebbe sopraggiunto il blu della sera, tutta la città avrebbe acceso  lanterne di febbre alabastrina nelle umili dimore, nelle locande e nei postriboli.

 

-         Oggi sarebbe stato il suo compleanno…- constatò dolorosamente Blaise.

-         Sì – rispose François con cupa asciuttezza – ma tre anni fa lui preferì non festeggiare. Quale utilità  avrebbe rappresentato , in dei conti, se i traguardi erano diventati senza senso?

 

Adoperava moltitudini di perifrasi, quasi tentasse ancora di credere che fosse rimasto vittima di un crudele scherzo poiché , nonostante avesse visto parecchi uomini perire, la morte di quel fratello raffigurava un’anormalità inaccettabile. L’amico capiva che quando si ricordava Etienne la parola “ suicidio” veniva  censurata oscena e irreale : fu uno shock che s’impresse sanguinosamente ceramico  per lunghissimo tempo…

 

 

Quel tardo pomeriggio estivo pareva ingrigitosi precocemente annunciando piogge autunnali con carri molli e lividi di nugoli.
La maculatura biancastra, bigia e carbone del cielo assomigliava all’epidermide di un cadavere annegato  e in alcuni sprazzi s’intravedevano venule cobalto smorto…arterie vuote di sangue.

Blaise aveva intimato il cocchiere di attraversare velocemente Pont Neuf e raggiungere la sponda orientale della Senna oltre gli alveari periferici di Parigi dalle finestre lacrimanti cenci e lenzuola ruvide.
Era stato messo a corrente di quella tragedia tramite uno dei servi mandato da François pensando di udire la manifestazione di un incantesimo oscuro che mai si sarebbe potuto avverare.

Giunse trafelato alla villa di Etienne, accompagnato dalla moglie Elenoire e si precipitò immediatamente nell’atrio.

Dentro splendevano candelabri di luce ingobbita e farfugliante…il mobilio, i tappeti e i quadri palesavano le spigolature e le traforazioni delle cesellature inumidite  di penombra.

 

Le cameriere parlavano sottovoce  sconvolte e Judith tentava di rassicurare la rintronata Josephine quasi costituissero un gruppo monacale di spettri.

 

François si alzò lentamente dal divano del salotto e gli andò incontro.
Era a tal punto distrutto che le lacrime bruciavano di rosso le cornee senza fluire liberamente.
Non portava la parrucca e mostrava la vera capigliatura castana, scombinata e infeltrita. Sembrava un marinaio salvato da una tempesta in cui aveva perduto un tesoro immenso.

 

-         Abbiamo finito di allestire la camera ardente qualche ora fa – mormorò rauco- E’ di sopra dove lui dormiva.

 

Blaise sperò che fosse tutto un macabro palcoscenico che presto si sarebbe smantellato ma l’amico non aveva l’abitudine di compiere buffonate.

 

-         François…- biascicò strozzato – non capisco…Etienne è davvero…

-         Non c’è niente da capire.

 

Il Conte  aveva interrotto serrando le labbra per tentare di soffocare un violento singulto.

All’altro non gli restò che scottarsi veramente e così si avviò al piano superiore, seguito da Elenoire che sebbene non l’avesse obbligata a vedere una salma si era rifiutata di lasciarlo.

 

Percorso il buio corridoio,  videro un tetro fascio di lumi arancioni sbattere contro la parete opposta in un atto di preghiera disperata. ..Sembrava emergere  una sorta di anti inferno colante di muto incenso.

 

Entrarono lentamente nella stanza…Grandi paraventi verde petrolio , ai lati delle mura, coprivano tutto l’arredamento mondano...
Solo il baldacchino troneggiava lucido, grondante pastelle di drappi scuri.
Una lunga bara aperta  era distesa sul letto di ieratica seta bordò.
Due ali di lanterne la riscaldavano illusoriamente per sciogliere  la solitudine fredda e soffocante.

 

Blaise ed Elenoire si misero più vicino percorsi dai brividi.

 

Etienne giaceva supino, con le mani eleganti e spente incrociate sul torace.
I necrofori l’avevano vestito di un fine e macabro completo nero  che gli esaltava l’appassimento agonizzante della bellezza.
Gli orli ricamati della camicia e dello jabot bianchi possedevano la consistenza di una spuma affranta che contrastava orridamente soave con le stoffe tenebrose.
Gli inconfondibili capelli corvini erano stati pettinati in modo tenero e terribile in un ordine fluente che si sparpagliava sul petto e sui cuscini…Una raggiera di lingue d’inchiostro.
Sul viso, un tempo raggiante e abbronzato, si stava cospargendo un alone cinereo mentre sotto le ciglia nere delle occhiaie carbonifere prosciugavano i lineamenti smagrendoli a poco a poco.
I dettagli più agghiaccianti erano le labbra, che avevano assunto una scurezza tumorale e rugosa,  e la cruenta ferita alla tempia sinistra, simile ad un cratere screpolato di viscida lava.

 

Blaise  prese  per mano la moglie cercando di trasmettersi calore dinanzi a quell’involucro gelato.
Le ginocchia si stavano sgretolando assieme ai bronchi e al cuore.  

 

 

-          Non ci ha mai concesso il tempo di dargli uno straccio di calma…- affermò François - una piccola ma consistente gioia che tutto sarebbe tornato come prima.

-         È vero…neppure io riesco a capire che Etienne…- inspirò a disagio – che… Etienne tace sottoterra…lui che non voleva mai stare zitto e doveva bombardarti in faccia  tutto quello che pensava ed esigeva.

 

Un vociare crepitante, similare  al canto gareggiante di un coro di passeri, raggiunse gli amici.
Erano due bambini , probabilmente figli di un qualche artigiano, che stavano correndo verso casa.
Mentre ridevano e scherzavano , indirizzarono brillante curiosità verso il Generale e il Maggiore, attratti dalle loro divise. Si ammutolirono intimiditi per alcuni secondi.
Scambiandosi tra loro  qualche parola d’ammirazione sussurrata, salutarono in modo goffo e vivace e si accinsero a raggiungere i genitori.
Blaise aveva sorriso gentilmente, invece François era riuscito a malapena a flettere le labbra all’insù…
Pensò alle sue bambine morte, al figlio maschio che lui e la moglie non concepivano ancora…
Pensò che , malgrado fosse in grado di correre e affannarsi, non poteva farlo più alla maniera di un bimbo.
Gli sembrava assurdo aver vissuto un’infanzia e dei giochi…Il padre  lo costringeva ad impegnarsi nello studio e nella scherma ma in tutti i momenti liberi lui volava via…Libero, almeno alcune ore , di fantasticare in compagnia del suo adorato antagonista.  

 

 

La canaglia aveva già attraversato la baia e lui non doveva permettere che giungesse nella città fortificata…Nel  palazzo del re.
Era il capitano supremo dell’esercito reale, un cavaliere potente dalla spada infallibile e dallo scudo più resistente di una roccia.

 

François, il Leone di fuoco , stava dando la caccia al bucaniere più temuto di tutti i mari: Etienne, la nera lince dei Saraceni.

 

I pioppi e i faggi di Villa de Jarjayes si scrollavano al lieve vento solare pitturandosi di una danza da pini , carrubi e tamerici….quando vi erano duelli e inseguimenti l’aria agreste e impagliata di polline si appuntiva di resina salmastra come la scorza spalancata di un riccio marino.
Mentre le grosse magnolie si truccavano e cercavano di apparire magre eguali a oleandri , l’ampia fontana del giardino recitava scrosci di onde oceaniche.
I passeri e i cardellini imbiancavano di iodio i loro canti per trasformarsi in gabbiani e la ghiaia delle stradine s’ammorbidiva  in sabbia e lasciava luccicare ostriche e conchiglie di molluschi sloggiati.

 

-         Dove sei diavolo d’un pirata?

 

Esclamò il prode François rimpolpando le sottili corde vocali di arenaria tenorile.

 

-         Pensi che ti farò entrare nel castello?

 

Il lestofante si era nascosto  bene…
Non si trovava né dietro ai grumosi cespugli che circondavano il piazzale della fontana, né dietro ai tronchi degli alberi che decoravano il viale d’ingresso…
Possibile che fosse già riuscito a raggiungere gli appartamenti dei servi? No…l’aveva visto correre nella direzione opposta, dove si allungava la serpentina delle tettoie delle stalle. 

 

Sì… là giacevano molti cumoli di biada…l’ideale per coprirsi senza destare sospetti!

 

Il bambino si aggiustò sulla testa la calotta di rame, un pentolino da latte e piccole zuppe che possedeva il potere di trasformarsi in elmo da  guerra. Si tirò su i vecchi  guantoni invernali  di suo padre che gli gonfiavano  i magri avambracci imitando una poderosa muscolatura. Si legò saldamente  il nobile mantello bordò, la coperta di lana che la balia si ostinava invano di riordinare sul suo letto,  e impugnò minacciosamente la  durlindana fatta di rami di faggio.

 
Avanzò verso l’entrata delle scuderie ma mentre stava per aprire la porta di legno fu sorpreso da un urlo:

 

-         Insetti- pipistrello!

 

Il manigoldo era balzato fuori da un cumulo di foglie secche che lanciò addosso all’ inseguitore allegramente indiavolato.

 

-         Andate! Andate! Insetti pipistrelli! Ora ti papperanno tutta l’armatura!

-         Etienne ! Ehi, Etienne!

-         Ah!ah!ah!

-         Tu non avevi questo attacco!

 

François , crucciato in volto; interruppe la regia della scena: il suo collega aveva infranto ancora una volta il copione!

 

-         Insomma! Dove hai cacciato fuori gli “ insetti-pipistrello” ?

 

L’altro bambino sghignazzò e fece la linguaccia…con la strana zazzera liscia e corvina, gli occhi scurissimi stirati in modo gattopardesco e  il nasetto impudente pareva un folletto asiatico:

 

-         Embè? -  scribacchiò una smorfia sulle guance lunari –  li ho rubati al mercato della magia!

 

Il fratello maggiore soffiò spazientito: non era la prima volta che la sua  fantasia avventurosa ma logica e razionale cozzavano contro quelli furbeschi , strambi e sregolati del più piccolo…

 

-         Etienne! Le magie non te le vendono sulle bancarelle! Non sono prosciutti o broccoli!

-         E tu come lo sai ? Io vado  dove i maghi fanno le feste!

-         Feste?!

-         Certo! Quelli si ubriacano e io mi piglio le loro pozioni!

-         Uffa! Abbiamo deciso dall’inizio i nostri poteri! Non puoi inventartene altri ancora!

-         Quando dormi o mangi, io continuo a rubare cose che tu non sai!  

 

La bricconaggine del  moro non si sconfessava .e tra l’altro già  padroneggiava un armamento di tutto rispetto: l’enorme cappello scuro da passeggio, sottratto illecitamente al padre, lo rendeva un velenoso funghetto di bosco, la mantellina marrone,  lo scialle di lana che ogni volta la santa balia gli  prestava ,  era il vello di un’anatra magica che lo faceva balzare da un albero all’altro. Il cucchiaio di legno, che mescolava il minestrone di verdure, era lo scettro-scimitarra  mentre i cucchiaini da dessert , che custodiva con smargiassa solennità nella cintura bordò,  erano i suoi pugnali avvelenanti...

 

François capì che a mali estremi occorrevano estremi rimedi.

 

-         Va bene! – ruggì afferrando un pugno di fieno da un piccolo cumulo- Vermi-ago!

-         Non vale! – lamentò Etienne con faccia tosta.

-         Anche io ho dei maghi alleati che mi regalano pozioni!

-         Tanto con quelle non mi fai niente!

 

Il leone nero  in miniatura sguainò il suo mestolo-artiglio e si avventò contro il Leone di fuoco iniziando un concerto di percussioni e  legnetti.
Erano scontri micidiali  in cui la daga cavalleresca combatteva contro il ferro malefico del corsaro e infidi pugnali- cucchiaini  si abbattevano contro il  clipeo-coperchio dell' eroe difensore.

 

-         Non puoi essere invincibile! – detonò da Orlando furioso François.

-         Vola , Pacho!

 

Una strana creatura  venne scagliata sul paladino: avrebbe dovuto immaginarlo!
Era Pacho! Il fido pappagallo del pirata addestrato con odiosa maestria.
Un disgraziato pupazzo di stoffa verde oliva, dagli occhietti di bottone e dal becco di cuoio,  con ali di ruvida flanella e una coda di filamenti di vecchio raso…il padroncino lo faceva decollare con imprudente ardore ma  lo riprendeva amorevolmente da terra e lo proteggeva nella sua mano sinistra.

 

-         Pacho ti ha mischiato i pidocchi! Ah!ah!ah!

-         E perché non ce li hai pure tu?

-         Lui vuole bene a me, no a te!

 

Sganciando una  pernacchia scodinzolò satiresco verso la scalinata d’entrata del portico di casa.

 

-     Pagherai per i tuoi stupidi trucchetti! – sbraitò il giustiziere rincorrendolo.

-         Io posso volare con il mio mantello! – cantilenava dispettoso il pirata distaccando fulmineo il nemico e raggiungendo la cima della gradinata – ora conquisterò il castello, babbeo!

-         Non la farai franca! -  François aumentò la velocità sicché  l’ orgoglio gli aveva  dato le ali di Ermes ai piedi.  

 

I due combattenti proruppero nell’atrio d’ingresso grandinando l’austerità bianca delle sei colonne doriche con esclamazioni rimbalzanti.

 

-         Prova a scansare le polpette fumose!

 

Etienne tirò fuori da un sacchetto appeso alla cintura  gomitoli di lana che sparò contro l’avversario ma costui sapeva con quale sortilegio schermarsi:

 

-         Coda di volpe!

 

François agitava impetuosamente uno spelacchiato piumino anti polvere che teneva  nascosto nella fusciacca di pelle  per gli usi d’emergenza…ma Etienne aveva in serbo un contrattacco infame:

 

-  Fantasmi-bomba!

 

I fantasmi bomba,   tovaglioli di stoffa o centrini di antichi mobili,  volavano con schizzata leggiadria pronti a tormentare l’avversario ma non potevano distruggere i proiettili-carta della fionda del provetto David:

 

-         Ah! Gemme fiammeggianti!

 

Il duello dislocò la sua tempesta di grida, getti di grovigli e cellulosa, al piano superiore dove Etienne , arrampicandosi su uno sgabello, afferrò da un mobile una ciprea a forma di corno attorcigliato.

 

-         Conchiglia della luna – enunciò al modo di un prete che elevasse il calice di Cristo- ora ti addormenteraiiiii…..

 

François sbatté il piede sul pavimento esasperato:

 

-         Etienne! Di nuovo ?! Niente incantesimi dell’ultimo momento!

-         Me l’ha regalata mia moglie!

-         Sei sposato?!

-         Sì! Con una sirena!

-         Non è vero , scemo!

-         Mica ti posso dire tutto della mia vita!  

 

Un cigolio acquoso e segaligno da mulino fantasma interruppe i giochi.

 

-         Basta! – sentenziò una verrucosa voce maschile – scendi dallo sgabello, Etienne! E tu François piantala di scalciare come un bufalo!  

 

I bambini si voltarono verso l’ala sinistra del corridoio e videro che, da uno studiolo bordò, era uscito un servo che portava su uno strano marchingegno un uomo di nervosità gutturale e altezzosa.
Philippe , il primogenito rimasto paralizzato tre anni fa, stava  
sulla sua speciale sedia di legno*. Era un macchinario semplice ma sofisticato costato parecchio, formato da quattro ruote avvitate ad un ripiano, sul quale era fissata saldamente una seggiola.  Da quella prospettiva, vestito con completi sobri ma regali, il giovane  poteva  comportarsi da sovrano e muoversi preparato a falciare le gambe altrui.

 

-         Direi che avete devastato a sufficienza la casa, piccole scimmie! Ora levatevi quel ciarpame di dosso, ripulitevi e andate in biblioteca!

-         Ma…- balbettò François imbarazzato e implorante – possiamo giocare almeno altri dieci minuti per favore?

-         Sei sordo?! Ho detto di ripulirvi e andare in biblioteca! Tra un’ora arriva il precettore!

 

Il domestico, un uomo di media statura brizzolato e  robusto, si schiarì discretamente la gola: aveva il viso bucolico e mansueto di un San Giuseppe con piccole rughe lucenti  d’immensa e sacrale pazienza.

 

-         Emh…signor Philippe – propose garbatamente – non credo che vi possano essere ritardi rischiosi se i vostri fratelli finiscano di giocare. Il maestro tarda sempre di una mezz’oretta visto che abita lontano…

-         Berthold ! Se continuano così faranno crollare i piani superiori!

-         Basta che raccomandiamo loro di tornare a giocare in cortile e…

-         Taci!

-         Chiedo perdono, signore.

 

Il povero Berthold aveva fatto il callo  ai chiari di luna del padrone.
Costui non era mai stato bello ma  la malata sedentarietà l’aveva fatto appesantire di spigolosità. La sofferenza non l’aveva condotto a empatica bontà o a dolce tristezza…gli aveva peggiorato il carattere già non troppo facile e per giunta l’aspetto fisico. Il viso diciassettenne mostrava più di venticinque anni e i capelli,  di un castano olivastro e smorto,  si raggrumavano in greggi di gracili ricci sul cranio. Sulla nuca ne pendevano di più ma conferivano una spumosa e pecoresca decadenza.

 

-         Ma noi…- raccolse ancora un po’ di coraggio François – dobbiamo finire la storia.

 

Philippe si sporse dalla sedia assumendo la possanza di un centauro.
Gli occhi marroni, un po’  infossati, bruciavano anche nella penombra e apparivano bocche di mortaio perennemente infiammate. I segmenti quadrati degli zigomi e delle mascelle racchiudevano una pelle  d’opaca pulizia sulla quale sporgeva il faraglione del naso e una rachitica bocca  capace di allargarsi come quella di un varano tirannico.

 

-         Niente piagnistei e filate via!

 
Inutile.
Il faraone fingeva di non capire che i  fratelli avevano sette e cinque anni e non erano adulti nani.

 

-         Presto, cavaliere – incitò improvvisamente Etienne prendendo il complice per un polso – Stordiamo lo stregone della carriola malvagia! È lui il vero nemico!

-         Che diamine…? – biascicò Philippe.

-         Fantasmi bomba!

 

Il filibustiere scagliò in faccia al dittatore l’ultimo tovagliolo che gli era rimasto.

 

-         Etienne! Dannato germe!

-         Meteora lucente! – esclamò François scaraventando una cartaccia con la fionda.

-         Bella mossa amico – si congratulò Etienne con vissuta aria spaccona – ora Pacho c’indicherà un’osteria!

 

Adorava scopiazzare il lessico cisposo  e allegro degli stallieri che sentiva parlare la domenica.

 

-         Osteria? – domandò perplesso l'armigero.

-         Io ho fame e tu?

-         Beh…un po’…

-         Andiamo a mangiare polli grassi!

 

Mentre i ragazzini scappavano nelle cucine , Philippe  abbaiava dal suo scranno ambulante:

 

-         Tornate qui bestiacce da circo! E tu  non startene impalato,  Berthold!

 

L’uomo soffocò incresciose risate con una cerniera di deferenza: sapeva di sembrare il  domatore che doveva incatenare un  molosso sbrodolante di ira disonorata.

 

   

-         Mio fratello era tremendo, Blaise – rimembrava il Generale  con una mortificata gioia sulle labbra – pretendeva di giocare sempre anche da grande , cosa che a un estraneo poteva apparire sciocca e infantile ma che per lui era fondamentale per focalizzare qualunque ostacolo e renderlo leggero uguale ad  una nuvola che si sarebbe dissolta presto nel cielo. Nessuna rete riusciva a impigliarlo. Trovava il modo di  rompere i lacci.

-         Come faceva impazzire vostro padre!  – ridacchiò il colonnello -  povero Conte!  In quante circostanze si sarà dovuto trattenere dall’usare tutta l’artiglieria della sua collezione?

 

Sta volta François tolse dal blu degli occhi il piombo della tetraggine.

 

-          lui pregava ogni notte Gesù e San Michele Arcangelo di liberare i propri figlioli dal male – rise lievemente -  Etienne era insuperabile in fatto di poteri demoniaci ma anche io e Philippe gli procuravamo affanno esistenziale.

-          Restavo sconvolto ogni volta che venivo a trovarti nella villa di….. – scherzò Blaise – era colma di  tele della passione di Cristo e di San Michele che infilzava il diavolo! Mi sentivo il più terrorizzato dei peccatori a entrare nel vostro santuario!

-          Guarda, mio padre era talmente devoto all’arcangelo guerriero che , oltre a visitare tutti gli anni Mont Saint-Michel , andò pure a Monte Sant’Angelo* nel Regno di Napoli!  

 

Jean Antoine era sempre stato disperatamente  insoddisfatto dei propri figli.
Quei leoni avrebbero dovuto incarnare la nobiltà guerresca, la compostezza morale, la severità inoppugnabile…
E invece in che maniera Iddio l’aveva castigato?
Togliendogli la moglie, un’autentica matrona dal polso fermo, e lasciandolo ad addomesticare un cerbero con tre differenti teste che ringhiavano  attaccate ad unico grande corpo che era la stirpe…una stirpe vacillante.

Philippe-Michel, François-Augustin ed Etienne - Joachim non avevano mai rappresentato la  perfezione e quindi l’equilibrio della santissima trinità…
E dire che i loro nomi erano stati scelti con sacrale cura! Due importanti sovrani Capetingi vennero chiamati “ Filippo” ed eressero le fondamenta di una Francia unificata! “ Michele”  era l’arcangelo vincitore di Satana!  “ Francesco “ d’Assisi era il patrono di tutti i Santi, “ Agostino”  fu uno dei fondatori della filosofia cristiana! Etienne , o meglio Stefano, fu il primo martire ad aver professato il Vangelo,  mentre “ Gioacchino” era il padre della Vergine Maria!
Il padre, baloccando con sorriso rugoso e pallido, diceva che se fosse stato Urano avrebbe affidato al  tetro primogenito l’Oltretomba, al nevrastenico secondogenito i fulmini dei cieli e al voluttuoso terzogenito i sette impetuosi mari…Purtroppo erano più frequenti le situazioni in cui quell’anziano leone cantava, da eccelso drammaturgo, i difetti della prole. Quando conversava con gli amici diceva di avere un figlio ammorbato, un figlio angosciante e un figlio eretico. Un tridente demoniaco che non gli dava pace.
Il pupillo era stato un tempo Philippe che,  grazie a doti precoci, aveva promesso una carriera militare di successo. Colto, intelligente, abile con la spada e le armi da fuoco si era mostrato retto e ubbidiente. Dopo i quindici anni, però, costretto alla sedia a rotelle a causa dell'incidente a cavallo, si rattristò e soprattutto s’incattivì maturando un’insana invidia verso gli altri fratelli.
François a dire il vero era il terzo perché Jean Antoine e la moglie avevano avuto un secondo figlio morto in tenera età e  il testimone dell’ eredità bellica era passato perciò a lui. A Etienne, di due anni più piccolo, sarebbe spettato un futuro clericale oppure da precettore della famiglia reale. Una vita , insomma, o consacrata ad una rispettabilissima oppure ad un percorso dedito a  forgiare i rampolli dei Borbone spiritualità ( con qualche garanzia di doratura dato che Seneca sosteneva che la ricchezza è cosa buona e lecita se fondata sulla virtù ) .

 

-          Di sicuro Etienne era formidabile a livello di cultura – rammentò Blaise – ma non lo fu  tanto nell’accettazione dei voti di castità ed obbedienza!

 

Il Generale si mise a ridere:

 

-          Ne avemmo la dimostrazione scientifica quando mio padre lo mandò a studiare  al liceo Louis-le-Grande, presso i Gesuiti!

-          Si deve sempre partire da una ricerca empirica caro François!

-          Sì…la speranza è pur sempre l’ultima a morire. Peccato che , dopotutto,  una linea irregolare non può chiudersi e formare un cerchio perfetto…

-          Così come il lupo perde il pelo ma non il vizio! Le damigelle, le dame e anche le vecchie damigiane subivano la malia fatale di Etienne!

-          È finito nella lista nera di parecchi fidanzati  e mariti, oltre che ovviamente, nella lista degli scrittori eretici dei gesuiti!

-          Una volta compose in musica In taberna quando sumus*!

-          Ne ebbe la brillante idea durante un venerdì di Pasqua. Ma questa non fu la performance peggiore che condusse all’esasperazione il collegio gesuita.

 

 

Etienne era sempre stato reputato l’incarnazione della sregolatezza, un serpente meraviglioso che scivolato dall’albero dell'eden , si era liberato dalle squame per assumere sembianze umane.

Pareva vendere a chiunque diversi tipi di mele, che fossero tentazioni di seduzione, ebbrezza, sfida o collera. Le bucce lisce dei suoi frutti cangiavano cromatura a seconda di chi le comperava ma dal sorriso non si scioglieva un biancore di dolcezza impudica.  

 

 

 

-          Io sono infelice! Io sono infelice!

 

I passeri volavano dagli alberi, in una cacofonia  terrorizzata di cinguettii  e foglie strappate.
I cavalli nitrivano nelle stalle sbattendo gli zoccoli e sollevando polvere perplessa.  
Da più di un quarto d’ora villa de Jarjayes, vibrava tale a quale al vulcano dell'Etna che eruttava  le urla  del titano prigioniero Tifone.
I servi sapevano che quelle soffiate di bufera sgorgavano dal luogo più austero, più foderato d’insegne guerresche  della dimora.

 
La sala dei processi e del trono.

 

-         Padre Eterno! San Michele! Ditemi che ho fatto di così empio per meritarmi una progenie blasfema!

 

Jean Antoine , nel suo grande studio privato, agitava le braccia davanti il camino  tentando di chiedere l’amnistia ad una statua bronzea dell'Arcangelo Michele e a un crocifisso di fattura medioevale  che lacrimava assieme a lui.

 

Seduti davanti il pachidermico scrittoio di quercia, i due accusati.
Il diciottenne François stava pressato sul sedile, con la schiena irrigidita di rabbia e le mani arpionate ai braccioli che minacciavano di sgretolare ogni cosa.
Portava la divisa azzurro chiaro dei capitani, slacciata in malo modo sul petto dall’impaziente malumore , e lo jabot  che s’ingarbugliava fuori i bottoni .

 

Etienne, di sedici anni,  aveva le belle ciglia semicalate in un’espressione di sorniona strafottenza , la fronte arcuata al’insù dispettosamente allegra e il corpo spostato in avanti con le gambe distese e i gomiti posati in modo sciatto sui corrimani. La pesante tunica da gesuita veniva portata in modo inconveniente e irriverente…contrastava in modo buffonesco con una psiche ben poco incline a rispettare dogmi o bigottismi vari. Era un demone dal viso apollineo in bilico tra i fumi degli inferi e le musiche dorate del paradiso.
Lo ritenevano tutti il più fascinoso e ineguagliabile dei fratelli de Jarjayes:  possedeva la grazia sinuosa dei danzatori cretesi, la regalità profumata di un signore asiatico, la spietatezza di un pirata saraceno. I capelli nerissimi e lunghi riflettevano  l’umidità  delle stelle blu disciolte. Il viso efebico era identico a quello della madre , ma la scurezza esotica derivava dal nonno paterno che si raccontava avesse sposato un’aristocratica spagnola di origini arabe. 

 

 

-          Neanche a farlo apposta! – sbraitava il Conte – due cannonate una di seguito all’altra! Ieri pomeriggio la denuncia del Cardinale Fournier e del Generale Lemaire  e poi, dulcis in fundo, l’ atto di espulsione dal liceo Louis-le-Grand! Ditemi, orsù, vi siete messi d’accordo per sancire la mia morte?!

-          Padre! Vi prego, lasciate che spieghi veramente…

-          Taci François! La tua ponderazione mirabolante sta mettendo a rischio una carriera di successo! Ad un passo dalla posizione di capitano  mandi all’aria tutto?!

-          Sono quegli imbroglioni ad aver mandato all’aria tutto! Dopo essermi dissanguato in addestramenti e concorsi tra Parigi, Napoli e Berlino, arriva il nipotastro del cardinale… uno smidollato incompetente di prima categoria a soffiarmi il posto solo perché figlio di quel crapulone…

-          C’era bisogno di sferrargli  un pugno e slogargli la mascella?!

-          E’ un furbo della peggior specie! Lui ha osato pavoneggiarsi della sua messa in ruolo senza fare niente! Si è pure preso il gioco di me!

 

A godersi sprezzantemente la scena stava Philippe. Era l’amministratore della casa, si occupava della gestione dei latifondi e aveva assunto il ruolo di gelido maestro per i  fratelli minori . Aveva l’aspetto rude e aspro del padre, reso sgradevole dall’acidità del rancore che gli scartavetrava la pelle e gli arti, irrigidendoli di precoce vecchiezza. A trent’anni era già calvo e infatti portava sempre una parrucca di riccioli schiumosi che gli copriva il collo incassato. Soffriva spesso  di carie ai denti, ragione che gli legittimava la facoltà di sputare veleno.

 

-          Oltre ai muscoli credevo avessi  un cervello – appurò ironico- ma a quanto pare a posto delle meningi, c’è segatura che prende fuoco alla minima sciocchezza. Un de Jarjayes non può permettersi spettacoli d’osteria.

 

François si voltò irato verso il provocatore. In quel momento l’avrebbe voluto spingere via, ma avvertiva sempre una crudele compassione verso il corpo paralitico di quel fratello che , sebbene cercasse occasioni per sminuire e umiliare, riusciva a costringere ad un affetto da subordinato .
Sapeva che era un sentimento  dettato pateticamente da un’infermità che se non fosse esistita l’avrebbe invogliato a picchiare.

 

-          E’ vergognoso che la Maison du Roi rimpinzi le  milizie con damerini  raccomandati! – ribatté il giovane sbattendo il pugno sul bracciolo del sedile – un militare non può fare strategie con il sedere poggiato su morbidi cuscini!

-          E’ tu François – continuò Philippe – non puoi fare strategie con il sangue che soffrigge la tua capacità d’intendere e di volere… A dire il vero, già non brilli d’eccelsa prudenza, figurati se dobbiamo farti finire all’Asylum de Bicetre*!  

 

Il ragazzo scattò in piedi:

 

-          Da quale pulpito proviene la predica! – vociò alzando il braccio in aria – perché tu non fai il pazzo furioso se i camerieri tardano di qualche secondo a portarti  la brodaglia quotidiana ,  non ti piegano perfettamente le coperte e non riescono ad aggiustarti la parrucca sulla testa?!

 

Philippe, mascherando l’irritazione con un sorrisetto di cotone stiracchiato,  rincarò:

 

-          Credevo che l’isteria cogliesse le femmine in preda ai mal di pancia mensili.

-          I mal di pancia li fai venire trecento sessantacinque volte l’anno!

 

Etienne tirò per una manica François calmandolo  in modo giocoso:

 

-          Via fratellone! Non sprecare le tue fiamme! Quelle ci servono per far saltare in aria le ville dei cardinali e dei generali! Porremmo fine all’edilizia abusiva!

-          Ora basta! – tuonò il padre – sembrate un  branco  di marmocchi incontinenti!   

 

François si rimise a sedere mentre il fratello minore cercava di trattenere una risatina impertinente.

 

-          Il re è entusiasta dei tuoi progressi e gli ho parlato bene di te – riprese gravemente il discorso Jean Antoine  -  Se il cardinale rivelerà questa faccenda ti troverai compromesso! Ora dovrò sbrogliare questo disastro e tu porgerai le tue scuse a eminenza e al conte !

-          Io chiedo perdono solo al Padre Eterno!

 

Il Conte camminò minacciosamente davanti la scrivania e puntò il dito contro il figlio quasi lo volesse polverizzare con una scarica di fulmini:

 

-          La devi finire con prodezze da moccioso! La realtà è stupidamente complicata, François perché c’è gente che ha il coltello dalla parte del manico ed è pronta a pugnalare. Occorre far viso a cattivo gioco, mostrarsi disponibili a stipulare trattati di pace.

-          Questo significa  recitare da allocchi, vero?

-          No, significa garantirsi l’immunità dai veleni!

-          Voi padre, mi avete sempre detto che si avanza con la fatica, non con agevolazioni di carta!

-          Questo non ti autorizza a picchiare chiunque ti insulti! Quanta gente dovremmo uccidere di botte, allora?!

-          Io son stato preso in giro fino all’ultimo minuto!  

-          Ahimè qui si  vive di scuse e …di bugie…vero, Etienne?

 

L’adolescente guizzò spiritosamente sorpreso:

 

-          Bugie? Io lavoro per la salvezza della spiritualità…

-          Ma certo…soprattutto per la nostra  salvezza.

 

Il Conte con la fronte aggricciata  si avvicinò allo scrittoio oscillando il suo poderoso e appesantito torso. Mise la mano su un libercolo che recava  un titolo a caratteri gotici. Lo sollevò, colmo di solenne e finta fierezza.

 

-          Mi complimento per il tuo straordinario trattato critico sulla Chiesa, un unicum della storia dei gesuiti : “ Le serpi di San Pietro “ …non ti stavi occupando di redigere dei commenti sulla Divina Commedia?

-          Esatto padre. Ho compiuto uno studio specifico di Alighieri.

-          Uno studio su come sia salvifico per l’umanità far bruciare all’inferno i papi?! Rappresentare la Chiesa come una meretrice che si concede all’Impero?! 

 

Etienne sorrise con tenerezza felina:

 

-          Noto con sommo gaudio che avete letto attentamente le mie analisi!

-          Fai poco,il buffone! Non me la sono spassata  ad apprendere esegesi deliranti!

-          Quelle sono le più grandiose invettive di Dante! Io ho voluto mostrare la sofferenza del Padre Eterno e di tutti i Santi dinanzi alla corruzione! La decadenza di Firenze è l’emblema universale della distruzione degli antichi valori! Non c’è più il sole dell'’impero e il sole della santità cattolica!i papi e i chierici vogliono mangiarsi tutto!

-          Non ti sei limitato solo a denunciare la corruzione! Hai composto alla fine della tua operetta una ballata in cui paragoni importanti monsignori ad animali di fattoria!

-          Appunto. Non sguazzano nel fango, non belano false prediche, non si accoppiano come fanno i montoni? Loro non tradiscono le sagge condotte di Alessandro Borgia.

 

Philippe agguantò da un tavolinetto basso vicino a lui, un altro libricino, sfogliandolo come stesse toccando fogli lerci di melma.

 

-          Caro padre – disse con un tono di sarcastica rassegnazione – dovete smettere d’avvelenarvi con tanto stupore…Cosa ci potremmo attendere da uno che compone  “ Lucifero , la luce delle tenebre” ?ci rendiamo conto che ha redatto un elogio epico e demenziale ad una creatura che vive al di sotto degli escrementi terrestri?

-          Lucifero era il più elevato dei serafini!- rispose con una smorfia canzonatoria Etienne – l’unico che ha avuto il coraggio di usare il cervello e porsi domande su quanto conveniente possa essere la fede in uno spirito creatore troppo luminoso e privo di forma concreta!

-          Ma ovvio! – esclamò furibondo Jean Antoine - Dilettiamoci a erigere templi a Satana davanti alla croce di Cristo! Ti sembra normale tradurre il poema osceno di quel poetastro inglese?!

 

L’adolescente s’infiammò di sincero e candido sdegno:

 

-          John Milton è stato un genio! Ha osato scavare nell’essenza delle Sacre Scritture come nessuno aveva mai osato fare! “ Paradise lost” è il coraggio di essere liberi anche nelle viscere spaventose della terra!

 

Philippe sospirò scuotendo il capo con la perfida dolcezza che si rivolge a bimbi minorati:

 

-          Ho la vaga impressione Etienne che il tuo scrittorucolo abbia realizzato una magistrale accozzaglia di cristianesimo, ebraismo e islamismo per spiegare le sue idee confuse e tristemente irrisolte.

 

Il fratello minore si mise a ridere dissacratorio:

 

-          Philippe sei tu a essere irrisolto! Non sai che la trasmissione dei valori e delle arti si tramanda in una tradizione che si rinnova sempre? Dio incita a porsi domande. Lucifero lo fece in maniera migliore rispetto agli altri servitori del paradiso…Il Signore  è un re e non rinuncia a sottomettere quando si accorge di aver creato un’arma a doppio taglio : la coscienza.

-            Beh in effetti…- sostenne François massaggiandosi il mento- Dio ha concesso il libero arbitrio donando la ragione e poiché ha donato la ragione a tutte le  creature è all’origine di ogni virtù e male.  

-           Finitela con queste assurde disquisizioni! – interruppe il padre- Mi avevi detto che stavi analizzando Cassiodoro e Boezio!- si disperò nuovamente rivolto a Etienne - Incredibile…avevi fatto traduzioni prodigiose, hai curato magnifici commenti su Sant’Agostino, San Tommaso e Girolamo! Quei disgraziati gesuiti ti hanno perdonato le più stolte gozzoviglie pur di averti come futuro istitutore del loro ordine! Guarda solo come ti conci! Porti quei capelli selvaggi!

-          Per me è già una sofferenza legarmeli in una crocchia da nonnetta! E comunque Gesù aveva una bella chioma lunga. 

-           Certo – soggiunse Philippe squadrandolo  spregiativamente  – con la differenza che portava la tunica con la dignità di un messia e non con l’allegria di una sgualdrina.

 

Etienne si alzò con inverosimile calma e , guardandosi assorto la tunica, affermò:

 

-          Hai proprio ragione…- sospirò grattandosi il capo – la mia indole non si adegua a quest’abito di splendente umiltà e rigore…no,no…non lo merito assolutamente.

 

Si tolse la tunica scura mostrando uno sgargiante completo arancione dai baveri e dagli orli della giacca damascati di bordò.

 

-          E  questo orripilante vestito da giullare?! – strepitò il Conte diventando annichilito come i visi ululanti dei battenti – da dove è saltato fuori?

-          Ho chiesto di cucirlo al nostro sarto di fiducia!

-          Padre – lo riprese Philippe –  è inutile che vi scombussoliate alla metamorfosi di una cornacchia che diventa pappagallo.

 

François gli indirizzò un sorriso fulminante e tagliente:

 

-          Meglio trasformarsi in un variopinto pappagallo, che permanere un raggrinzito avvoltoio.

-          Andatevene fuori! Sparite!- gridò Jean Antoine mulinando le braccia in aria.

-          Non vi preoccupate padre! – rassicurò serioso Etienne dirigendosi verso l’uscio assieme al fratello-   Togliamo il disturbo. Per noi è “ meglio regnare all’inferno che servire in paradiso”*!

 

I due ragazzi riuscirono a scappare fuori lo studio prima che il conte li potesse centrare con il potente decollo di “ Lucifero, la luce delle tenebre”.
Chiusa in tempo la porta,  che rimbombò  all’urto del volumetto, restarono in silenzio.

 

-          Accidenti – lamentò abbacchiato Etienne – non è stato un bel lancio editoriale…

 

François inarcò un sopracciglio con aria d’inflessibilità giudiziaria.
L’adolescente sgranò gli occhi , quasi fosse uno sciagurato ladruncolo di strada che chiedesse perdono.
Entrambi iniziarono ad avvertire un fremito sulle labbra e poi una scarica d’effervescenza che li fece scoppiare a ridere.  

 

-          Etienne…di’ la verità….Quell’abito non te lo ha fatto il nostro sarto.

-          Beh, è così in effetti…regalo d’amicizia.

-          Amicizia femminile?

-          Una squisitissima dama ha desiderato sdebitarsi con me per averla alleviata dolcemente dalla  noia mortifera.

-          Scusa, ma come ci sei riuscito se frequentavi il castello, monasteri e chiese?

-          Credimi, fratellone a messa e ai confessionali possono accadere incontri molto interessanti.

 

François , sorridendo briosamente severo, schioccò  una sberla sul capo del suo incorreggibile cadetto .

 

 

-          Dopo che fu espulso dai gesuiti – seguitò Blaise con la porpora ilare delle reminiscenze -  andammo a brindare in una di quelle osterie anfibie della Senna e tu non venisti!

-          Potevo mai tracannare luppolo? – obiettò l’amico-  Ero talmente pieno di gastrite  che l’alcol mi avrebbe fatto esplodere e finire direttamente…” nell’aeree” , per dirla alla maniera poetica.

-          Etienne anche da sbronzo sapeva a memoria Bernard de Ventadorn* ! Aveva la letteratura nel sangue e…scherzi a parte,  una delle sue scene preferite della Commedia  è nel Canto II del Purgatorio…

-          Già. L’attimo in cui, nell’Antipurgatorio, Virgilio ordina a Dante di chinarsi dinanzi alla venuta dell’angelo nocchiero.

 

François scrutò da lontano una piccola barca che un magro e giovane pescatore guidava col remo verso la baia di molle argento ossidato di Nouvelle Orleans…nonostante la corposità lagunare del mare, le lacrime cremisi e violacee del tramonto inoltrato disperdevano diamanti di foschia paradisiaca e quell’esile sagoma di vogatore si trasfigurava di trasparenza ultraterrena. 

 

Etienne le conosceva quelle terzine e le aveva recitate molte volte davanti alla sua famiglia . Il Generale si ricordava di quando egli pronunciava il discorso severo di Virgilio con trasporto genuino, spontaneo e serissimo:

 

«Fa, fa che le ginocchia cali.
Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di sì fatti officiali.

Vedi che sdegna li argomenti umani,
sì che remo non vuol, né altro velo
che l'ali sue, tra liti sì lontani.

Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo,
trattando l'aere con l'etterne penne,
che non si mutan come mortal pelo».

 

-          Alcune volte si rattristava – mormorò malinconico Blaise – si chiedeva come mai gli angeli non avessero i capelli neri.

-          Avrebbe dovuto sapere invece di avere ali bianchissime – rispose il conte -  perché le ho sentite veramente attorno a me, a circondarmi piene di luce.

Lui non era soltanto stato l’angelo su un vascello…era sceso sulla baia per aiutare François a rialzarsi dalla sabbia gelida…come quella volta , alcuni giorni prima che morisse la quartogenita Orthense.

Avevano ventidue e venticinque anni…il periodo della prima età adulta dove si è giovani ma non più adolescenti…Si è su quell’angosciosa ed energica parabola che conduce alla scogliera d’essere uomini.

 

Alcuni alberi figuravano fumi di esplosioni pietrificate in un ossigeno dal cronometro rotto.
Altri davano l’idea di lunghi gamberi imbalsamati da bende bianche e risecchite, altri ancora di lobuli polmonari derubati dei bronchi.  
Un sudario di neve annichiliva il giardino affine a una colata di lava cagliata che pietrificava ogni farfugliamento di erba e foglie secche.
La fontana del giardino , dall’acqua solidificata in  collari di stalattiti, era il calice ominoso di Lucifero che veniva levato da  sotto la cianotica brillantezza del Cocito.

 

La villa fiatava debolissima, rocca norrena  dalle  colonne dissanguate che non saggiavano più linfa vitale, e dagli occhi di miope tetraggine con le  lenti appannate delle finestre.

Il cielo rifletteva il silente pellame delle nuvole sonnambule sui vetri, sulle tegole del tetto, sui marmi spenti…

 

-          Perché è così stupida? Lo sa che non c’è più niente da fare!

 

François era emerso fuori dall’atrio  riversandosi sul pianerottolo del portico d’ingresso.
Privo di mantello, vestiva un semplice completo grigio scuro, pesante ma non sufficiente a corazzarsi dalle sferzate invernali .
Da giorni non voleva portare la divisa militare…perché sapeva che  i gradi di comandante non lo elevavano al di sopra della terra, della casa…della dea piangente del focolare.
Espirò dalle labbra illividite gomitoli d’ aria  che si srotolarono e svanirono con violenta e repentina cagionevolezza.
L’impatto col gelo di gennaio equivalse a una remata che gli scombussolò il sangue caldo del cervello, si aggrappò agli stinchi coperti da calze bianchi e  gli fossilizzò le scarpe.
Le parole uscirono lente, bruciate  come fossero una  stola di lino  estratta  lentamente da sotto un ferro rovente.

 

-          Continua a pregare il medico come fosse Cristo in persona. Orthénse non imparerà mai  a camminare.

 

Un veloce rumore di passi gli fece voltare lo sguardo dietro: Etienne lo aveva raggiunto inflessibile, di una solidezza arborea e intensa. Gli occhi neri foravano d’amarissimo splendore il candore delle cornee ma non erano vacui buchi di stelle , bensì sfere da cannone pronte a detonare in un cielo limpido.
I lunghi capelli mori e sciolti mostravano graffiature blu notte quasi avvilendo con il loro calore il pallore mortuario dei barbigli  nevosi.    

 

-          François – pronunciò -  Rientra  in casa.

-    Orthénse… Non potrà vivere normalmente!

 

Il fratello maggiore si strinse nelle braccia senza capire bene se fosse il freddo a  percuotere  il suo  costato alla stregua di un arrugginito xilofono o fosse la disperazione che coi suoi artigli siberiani si assicurava alla pelle del petto stracciandogliela all’infinito.

 

-          È nata rachitica…non riesce a dormire…non vuole  il latte…non sa neanche strillare….

 

Guardò il suolo del cortile ,  terrificante e lieve scapola  piatta, che faceva sporgere fratture di  omeri, ulne sfrangiati a loro volta in miriadi di consunte falangi.

 

-          Così non risolvi nulla – ribatté Etienne con un tono d’acqua e cenere -  Piantala di blaterale e rientra.

 

Il conte scese le  scale del pronao accingendosi a percorrere il viale d’ingresso.
Gli ondulati  capelli castani frusciavano di secco fieno mentre gli occhi blu parevano indolenzirsi di una fluorescenza ardente, iniettata dall’abbaglio candido della neve.

 

-          Credi che sia la soluzione migliore assiderarti?! – urlò arrochito  il fratello nell’attimo in cui l’altro sbraitava:

 

-          Che me ne faccio di una femmina nata con la spina dorsale rotta?

-          Basta François!

 

Il comandante strattonò l’amico uguale a una belva ferita che voleva annegare in un lago artico.

 

-          Non voglio vederla! Non m’importa niente! Niente!

 

Etienne lo assalì afferrandolo violentemente per i colletti della giacca e mostrando i denti che fecero fuoriuscire fiato ardente e roccioso:  

 

-          Ringrazia il Cielo che Judith sia una santa incapace d’impiccarti!

 

Il conte chiuse gli occhi ammutolito stringendo debolmente le dita.
Non aveva il coraggio di sollevare lo sguardo verso la finestra della camera in cui stavano la sposa e la bambina sotto il controllo del medico.
Si vergognò cruentamente di percepirsi lontanissimo dal proprio nido. 

 

-          François…- Etienne sospirò mettendogli le mani sulle spalle-  raggiungi tua moglie , forza. Voi siete i creatori di ogni cosa.

-          Certo…creatori di bestiole malate o paralitiche…

 

Il ragazzo mormorò delicato ma imponente somigliante a  quei palpiti di scintillante nebbia in cui la voce di una montagna distante scorre vicina e vitale al di là del vento.

 

-          Io non credo nei miracoli, ...perché sono gocce ingiuste e magrissime che benedicono la fronte di pochissimi. Non aspetto alcun disegno dalla Provvidenza…e…so che è sciocco dire che la vita continua…però…qualunque cosa orribile possa capitare…tu e lei vi amate. E quella bimba…che entro poco si spegnerà l’avete desiderata con tutto il vostro essere.

 

François, pensò silenziosamente a pochi giorni fa…una mattina in cui aveva preso in braccio  la minuscola  figlia per farla addormentare e dare il cambio alla spossata Judith.

Era paurosamente leggera, con il torace grande quanto la mano di un uomo, la schiena storta alla maniera di una catenina di spilli e le gambette a penzoloni. Le uniche morbidezze erano i bei capelli castano chiaro  e il  visetto cereo dagli affaticati e pazienti occhi azzurri che tinnivano microscopiche melodie coi rintocchi delle ciglia marroni.  

 

-          Anche se la piccola non capirà e non potrà muoversi – proseguì tristemente affettuoso Etienne -, rientra dentro e affacciati alla sua culla…assieme a Judith. Lei vi vedrà e non saprà mai cos’è la paura del buio.

 

Il militare , con gli occhi oramai dilaniati da venature rosse, lasciò svenire le lacrime che le  palpebre asfissiavano  e sfociò  nell’abbraccio marittimo  del fratello.
Egli  accolse ogni suo  singhiozzo quasi fosse un figlio da proteggere che dovesse imparare a non dire vane menzogne…che dovesse capire,  meglio di chiunque altro, che il cuore era il centro del  sangue e non di alieni e umilianti detriti.   

 

 

-         E’ meglio che torniamo in città , nei nostri alloggi…- avvisò Blaise udendo i primi schiamazzi fermentare dalle taverne - Tra poco sarà buio e le strade pulluleranno di farabutti e scarafaggi vari.

-         Già…questo posto è una fogna a cielo aperto. Ci sarebbe da vomitare continuamente.

 

I due amici raggiunsero la caserma militare quando il sole , ormai aspirato completamente dall’Atlantico, lasciava soltanto protendere alcuni sprizzi di ciglia violacee.

 

Etienne non concedeva spazio ad alcuna logica spiegazione… lui che aveva illuso tutti con la tiara intramontabile del suo sorriso finita a pezzi.
Lui, bruno dalla testa ai piedi, che adorava i cavalli bianchi e le sete brillanti…

Lui che , come un principe d’Egitto, riposava in una sabbiosa necropoli in un deserto arancione di giorno e blu nelle notti agghiacciate.

François , tuttavia, intravedeva, nella germogliazione di ogni ombra serale,  quella chioma nerissima che si appiattiva dietro gli angoli dei palazzi e dei carretti…
Quasi che l’insolente  predone giocasse nascondendo e  sporgendo il capo.
Forse  continuava a prendere in giro senza cessare di tenere d’occhio… chissà da quale arcano veliero,  chissà da quale edera celeste…  

 

 

 

 

 

 

Citazioni o riferimenti letterari :

 

-         La preghiera che François rivolge al fratello è uno dei più diffusi salmi della religione cristiana rivolto ai fratelli e sorelle defunti.

 

-         In taberna quando sumus” * : uno dei componimenti goliardici de i Carmina Burana , corpus di testi poetici scritti in latino del XI e XII secolo.

 

-         preferisco regnare all’inferno che servire in paradiso”* : una delle battute più celebri di Lucifero ( Satana) all’interno del II capitolo di “ Paradise lost” scritto da  J.Milton.

 

 

 

Note storiche:

 

Monte Sant’Angelo*: importantissimo sito di pellegrinaggio che si trova nell’attuale Puglia garganica: la leggenda narra che proprio qui, in una grotta,  comparve per la prima volta l’arcangelo Michele. Il  santuario è gemellato con quello francese di Mont Saint Michel ( Normandia).   

 

Liceo Louis-de-Grande*: fondato nel 1563 come Collège de Clermont, era il collegio gesuitico di Parigi, situato nel cuore del Quartiere latino, tradizionalmente l'area universitaria parigina, di fronte alla Sorbona e di fianco al Collège de France.

 

Asylum de Bicetre* :  situato nei sobborghi meridionali di Parigi, fu aperto come orfanotrofio nel 1656 ma successivamente venne usato come prigione, manicomio ed ospedale .

 

 

Note personali:

 

ecco la seconda parte di “ Aspettando il mattino” ^^ mi dispiace averla messa , come al solito , in ritardo ma visto che ho dovuto rivedere alcune cose ho rallentato…credetemi, non lo faccio certo per scorrettezza ma sono un po’ lenta con la revisione perché valuto scena per scena cosa va bene e cosa no..
quindi, dato che sono imprevedibile, non so quando posterò la 3 parte del Cap 3…Non sono sicura di farcela a Gennaio anche perché nel 2016 gli esami per la laurea s’infittiscono -.-  senza sperare eccessivamente azzardo febbraio…( incrocio le dita)  perché mi trovo anche nella bizzarra situazione che ho concluso da un pezzo l’ultima parte di questo Cap e non ancora la 3…Va beh…tralasciamo….
Spero che questo capitolo possa essere stato di vostro gradimento! ^^ Etienne è un personaggio originale concepito durante le genesi di questa fanfic. Ecco che ve l’ho presentato! Ho introdotto “ l’argomento” citando Ungaretti all’inizio , proprio perché quella poesia la scrisse dolorosamente per il fratello defunto.

Si è aperta dunque un’altra importantissima parentesi sul passato di François: Etienne è un personaggio insolito e stravagante nella famiglia De Jarjayes e apparirà nella memoria e nel sogno altre volte durante la storia. Non ho ancora svelato la tragica causa che ha condotto il suo vulcanico e forte animo alla fatale depressione…è un elemento che si racconterà più avanti e di cui non spoilero nulla. Sappiate solo che anche Oscar verrà a sapere dello zio mai conosciuto …di quest’uomo leggero, che sembra sregolato e che alla fine possiede un’indole profonda e sensibile…una sorta di artista” maledetto” ….

 

Mi auguro che Lady Dreamer che conosce da ere la gestazione di questo personaggio ne abbia apprezzato la messa in scena tanto attesa! ;)

 

Ringrazio di cuore i pazienti lettori e lettrici che seguono…

 

Un augurio di BUON ANNO NUOVO!!

 

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Capitolo 6
*** CAP 3 - la dimora dei pomi d'oro: antiche paci ***


CAP 3 - LA DIMORA DEI POMI D'ORO: ANTICHE PACI

Ciao tutti! ^^ ritorno nuovamente da nebbiose e lontane lande dopo tanto tempo…Tra impegni vari e alcuni problemi sono riuscita a proseguire la storia che non mi ero certo scordata di mandare avanti…col fatto che ho altre due fan fiction belle corpose cerco di fare il possibile per non dimenticare nessuna!
Dunque  ricapitolazione sui contesti :

- storico

Guerre franco-indiane, America del Nord. I francesi riescono a sconfiggere Washington e a mantenere una cospicua porzione di dominio nella valle dell'’Ohio a discapito delle colonie inglesi. La tensione internazionale si fa alta e intanto le vecchie alleanze della Guerra di Successione austriaca sembrano cambiare gradualmente gli equilibri…Gli Asburgo si fanno avanti con il re Luigi XV chiedendo collaborazione contro la Prussia , Russia e Inghilterra ( cap 2 , PRIMA PARTE ) ancora non avanza nessuna dichiarazione  di guerra contro Re Giorgio e la situazione resta sospesa in una fragile stabilità…

-         famigliare

Nella seconda parte del capitolo 2 abbiamo avuto modo di conoscere de i De Jarjayes , oltre al già apparso padre Jean Antoine , gli altri due fratelli : il più grande Philippe rancoroso, acido e costretto da un drammatico incidente sulla sedie a rotelle… Etienne il più piccolo dalla testa calda, spericolata e brillante . François gli era molto legato e  ha  rimembrato,  con l’amico Blaise,  il suicidio e altri ricordi più leggeri di gioventù. Concludendo,  i membri della famiglia d’origine del nostro protagonista sono deceduti +

Per quanto concerne Judith, abbiamo conosciuto l’affezionata sorella maggiore Oriane, estroversa, positiva e dal carattere fervente, il cognato ( e marito di quest’ultima ) Cosimo, un barone napoletano con numerose attività commerciali e il nipotino Samuele ( l’amato figlio della coppia adottato da un convento)
Ultima parentesi riguarda la servitù dei due protagonisti ( cioè  i membri comparsi fino ad ora) : Marie , la nonna di André, Berthold, il servo che accudiva Philippe sempre rimasto al servizio della famiglia, e  Albert , maggiordomo di Etienne che poi è stato trasferito nella dimora de i de Jarjayes.

 

Detto questo vi auguro buona lettura! ^^

François, dopo la missione in America di Fort Necessity , sta per approdare in Francia…

 

 




 

 

3

La dimora dei pomi d’oro:

antiche paci.

 

 

 



 

Te, mela,
voglio
celebrare
riempiendomi
la bocca
col tuo nome,
mangiandoti.
Sei sempre
nuova come niente altro,
sempre
appena caduta
dal Paradiso:
piena
e pura
guancia arrossata
dell’aurora!
Quanto difficili
sono
paragonati
a te
i frutti della terra,
le uve cellulari,
i manghi
tenebrosi,
le prugne
ossute, i fichi
sottomarini:
tu sei pura manteca,
pane fragrante,
cacio vegetale.

(P. Neruda) )

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valle dell'Ohio

30 giugno 1754

Cara Judith,

è delirante vivere solo con un’immagine di te che alberga nella testa e non posso toccare…L’unica cosa che mi pare di odorare è la carta su cui scrivi, l’inchiostro della tua calligrafia…
Fa male vedere le tue parole.
Fa male perché a marzo di quest’anno ti ho lasciata senza chiarirti nulla.
Abbiamo attraversato brutti momenti ed io ho preferito raggelarmi. Il calore brucia troppo e non posso tollerare di essere rimasto l’unico erede senza eredi.
Tre anni, Judith.Tre anni e ancora nulla.
Sono terribile e ho osato trattarti in modi che tu mai avresti meritato. Sì…le mie scuse possono apparire retoriche, chissà quante volte riciclate da mani di innamorati collerici…Ma se non m’importasse nulla …non sprecherei carte, non dormirei a mala pena tre ore a notte riflettendo inutilmente su ciò che ho combinato. I miei doveri sono pesanti ma almeno con il loro peso mi calpestano bene la testa che vola molte volte male.
È la mia indole…ma voglio raccogliere le cose sporche che si sono accumulate in questi anni e cacciarle via dalla più grande finestra che riesca a immaginarmi. Con cose sporche intendo tutti i momenti in cui abbiamo fatto finta di vederci…e magari abbiamo anche finto di far l’amore. In primis io sono stato un pessimo amante. Anzi non lo sono stato e questo mi fa davvero schifo.

Non possiamo mettere a mondo un altro bambino se io non imparo di nuovo a darti tutto me stesso.
Non ho mai smesso di pregare per le nostre figlie…continuo a provare rabbia che ci siano volate via di mano uguali a lucciole che , dopo la notte, cadono al suolo già vuote…Credimi. Vorrei aver avuto come preoccupazione, durante tutti questi mesi,  quella di provvedere alla loro istruzione, prendere  vestiti ordinati e belli, stabilire dove farle frequentare catechismo…Avrei voluto vedere sui loro visi un’altra te stessa piccola che sarebbe cresciuta…

Mi sono dilungato ancora una volta su cose che, purtroppo, non ammettono fantasie molte costruttive…Perdonami…

 Forse il mio contingente dovrà  partire in pieno autunno, prima di dicembre…Lo spero vivamente.

La Louisiana non è un gran posto. C’è l’aria salata del mare che s’attacca viscida ad ogni abitazione e anche se siamo riusciti ad arginare senza fatica le spinte invasive degli Americani, non è finita qui. Dell'’Inghilterra non mi fido e tutte queste colonie non credo se ne staranno a lungo con i confini fermi e piatti. Da alcune indiscrezioni, stanno trapelando le intenzioni degli Asburgo di stringere alleanza col Regno di Francia. Avverto odori non tanto piacevoli…Stai a vedere che le alleanze stabilite dopo Aquisgrana  andranno all’inferno…Ma so da tempo che non c’è da stupirsi se l’Europa non è una scacchiera bella e quadrata  ma un calderone che può variare sempre la temperatura di ebollizione per far eruttare sorprese nuove.

Quel che mi preme adesso è tornare da te e dedicarci a noi e al nostro avvenire.
 Finché non ti avrò avanti, non ti avrò abbracciato e non avrò la certezza assoluta di sentirti concreta  non potrò stare tranquillo…

Ti amo,

François

 

 

Arras, Normandia

15  novembre 1754

Caro François,

Ho appreso con molta gioia che le truppe francesi hanno trionfato in Pennsylvania contro le milizie americane…sono state svolte molte operazioni con successo e più di una volta, con orgoglio, hanno pronunciato il tuo nome.
Sentire il tuo nome soffiarmi nelle orecchie e cadermi sugli occhi è una sensazione meravigliosa quanto inquietante e triste.
La mia felicità è aumentata quando a corte è stato comunicato che il tuo contingente sarebbe partito agli inizi di questo mese.
Tu sei il Generale De Jarjayes. So che le lettere impiegano moltissimo per giungere a destinazione…il grande oceano Atlantico ci separa e , nonostante il tempo abbia la sua semplice matematica, scorre diversamente da continente a continente… Non basta soltanto la tua assenza ma la sregolatezza del sole che mentre da me sorge, da te sta già invecchiando...
Ho letto la tua lettera e vorrei che le onde si scuotessero ancora di più per far muovere la tua nave…
Non possiamo scordare le nostre bambine ma non desidero proseguire questo discorso perché è impossibile tracciare una copia , anche sfocata, del mantello della morte…Che sia malvagia o alleviatrice di tribolazione non voglio più saperlo…

Tu hai perfettamente ragione a dire che ora ci siamo noi.
 
Sì ci siamo noi e dobbiamo affrettarci ad ammucchiare tutto ciò che abbiamo accumulato e togliere via c’ho che ci disturba.
Sei difficile, François . Mi hai fatto star male e ho avuto modo di riflettere lucidamente. Nei momenti peggiori di solitudine emergono quei terrificanti fantasmi mentali…quelle proiezioni che toccano i ritratti del passato e fanno diventare la luce degli antichi giorni obliqua allungando a dismisura le mani per mutarle in zampe e artigli. Non ti nascondo che parecchie volte mi sono chiesta se ho fatto bene a sposarti…se non sono stata ingenua e precipitosa a diciotto anni…Ti giuro, e ora me ne vergogno terribilmente, ho creduto che il blu dei tuoi occhi fosse in realtà una macchia ghiacciata di nuvole, gettata lì sul tuo viso per spazzarmi via nei tempi morti della quotidianità. E …per un po’ di tempo ho sospettato , nella nostra stanza da letto, che tu guardassi solo il mio corpo…non me, Judith…la tua sposa…ed è per questo che mi rinchiudevo senza più voglia né rabbia di oppormi
Ti faccio questi discorsi, perché è solo con te che posso capire e alla fine riesco a notare che quel tuo freddo, quelle fortezze che sollevi non li chiudi mai del tutto.
Lasci sempre degli spiragli e puntualmente fai crollare i mattoni. Io so che sei un soldato anche fuori dall’esercito. Puoi nasconderti ma so che mi guarderai sempre.
Mi hai sempre scritto e io voglio aprire un altro capitolo con te.
So che sarà diverso e magari ci saranno altri problemi….ma vedremo nascere  un altro bambino.

Sento che andrà bene, François…perché quando ci rivedremo ci toglieremo dagli occhi tutta quella brina che ci ha fatto scordare che, benché siamo diversi, troviamo sempre il modo e la sostanza di combaciare.

Ti amo,

Judith

P.s  mia sorella Oriane col marito e il piccolo Samuele si sono trattenuti nella nostra villa per tre settimane . Torneranno a dicembre e trascorreremo il Natale  a Le Heavre nella piccola tenuta di  vacanza dei miei genitori . Se le navi arriveranno a fine gennaio in Francia potremmo passare una settimana assieme in tutta tranquillità.

 

 

Le Heavre

28 gennaio 1755

 

 

 

 

Le Heavre era la solita bestia acquattata, distesa con le sue maculature di tetti grigi su un bacino d’acqua. Le affusolate zampe stiracchiate formavano i bracci del porto con l’unico ciuffo ribelle della pelliccia che pareva contemplarli:  la torre della cattedrale barocca di Notre-Dame cercava di alzarsi sempre per far temere il proprio appuntito cappello vescovile.
Un grumo di fumo comparve ,a un certo punto, nel cielo argento e azzurro del mattino.

Una schiera di cannoni neri , caricati a salve , lanciarono ruggiti di deferenziali saluti.

La fortezza militare della città accolse tre dei velieri francesi mandati in missione nelle colonie d’America.
Il primo a insinuarsi nel grande golfo del porto fu il Saint-Michel d’or , con il vessillo del giglio della corona di Francia e lo stendardo di riconoscimento blu che recava ricamato l’arcangelo che calpestava il demonio. La composizione delle vele quadre issate sui tre alberi , dava l’idea di un  pesce corazzato appeso all’ingiù alla stregua di un trofeo imponente e mitico, mentre l’acuminata prua sfibbiava le acque blu piombo simile al becco di un uccello palustre.  
La grossa creatura,  spedita e sbuffante , si accostò alla banchina del porto seguita dalle altre due navi che parevano guardie del corpo che le proteggevano le spalle.
Le passerelle furono issate da  braccia ruvide e inumidite di mozzi e marinai che gettavano e afferravano funi in tante frenetiche pennellate.
Presero a uscire ufficiali, soldati, marinai in una marcia di ordini, imprecazioni e passaggi di merci attraverso catene ondeggianti e gridanti.

-         Qui c’è sempre puzza di termiti che corrono e intasano!

-         Almeno siamo in Francia e non più a Nouvelle Horléans…

-         Beh, mica scanso il pantano e le fontane di polvere…sono le schifezze a fortificare la salute …

-         …. anche una dose di ben cotti manrovesci giusto, Damian?

L’uomo, che portava i bagagli, sorrise ironico alla battuta del padrone François mentre attraversavano la passatoia .

-         Sono sempre abbrustoliti alla perfezione, non temete. La qualità non è andata perduta neppure in America.

-         Te li sei meritati tutti, dato che  la tua zucca più che abbrustolita si è carbonizzata a furia di rosolarsi nelle idiozie.

-         Ancora con quest’argomento, signore?

I due scesero e attraversarono il molo. Se un  aristocratico avesse udito quello scoppiettio di frasi, si sarebbe sdegnato per la sfacciataggine del servo. Non poteva conoscere la particolare vicenda che lo legava ai de Jarjayes.
Damian , coetaneo del generale, era un bell’uomo di elevata e vigorosa corporatura. Possedeva  capelli castano cenere di un liscio crespo con alcune ciocche che guizzavano imbiondite per il sole marino e salato. La spazzola non voleva conoscere quell’ammasso di vegetazione indomita che gli arrivava al collo. L’unica cosa tosata con un po’ più cura era la peluria che copriva il mento e che accordava al viso , dagli zigomi sudati d’abbronzatura , un’aria da vagabondo avventuriero. Gli occhi grandi e marroni non volevano mai calare le palpebre sempre pronti a scrutare e a commentare vivaci e disinibiti. 
Era il primogenito di Angéle, l’amatissima balia della famiglia, che aveva allattato François ed Etienne. Egli  aveva vissuto coi giovani  padroni quasi da pari, da fratello. Jean Antoine, certo , aveva sempre imposto i gradini dei ruoli (benché stimasse la propria servitù )  ma questo non aveva impedito l’istaurarsi di un’amicizia sincera e a volte burrascosa.
François conosceva quello spirito intelligente, inquieto e , a cicli lunari , imprudente.

-         Capisco che l’Europa e l’America siano lontane– ammise – però, maledizione, contattare uno scrivano a buon prezzo e farci sapere qualcosa di tanto in tanto non è mandare missive a Saturno! Due anni! Due anni!

-         È stato difficile, generale…So che ho sbagliato a causa…a causa…di quello che mi è successo.

-         Se beccavi qualcosa di peggio potevi morire in una stamberga puzzolente! Non hai pensato a quel disgraziato di tuo padre Berthold? Non gli sei rimasto che tu. Ringrazia il cielo che sia una specie di santo…fossi al suo posto ti ridurrei a ecce homo.

-         Invece son io a metterlo in croce…povero papà...Mi è mancato tanto. Dovremo andare a trovare assieme mamma , Celine ed Etienne.

-         Già…Angéle…Celine.

Angéle aveva spirato molti anni fa per cause naturali ma Celine restava, come Etienne, una porzione di terreno messo a soqquadro dal dolore. Era l’adorata sorella minore di Damian. Si passavano solo due anni di differenza e avevano condiviso una grande amicizia coi fratelli de Jarjayes…

-         Dovevo andarmene, signore…- sospirò il servo guardando i carretti con le mercanzie che rullavano tra le vie - grazie a voi mi sono potuto imbarcare altrove per diverso tempo.

François non gli aveva impedito di cercare , per un periodo,  esperienze  d’oltreoceano. Fu una decisione molto drastica ma sarebbe stato tirannico non lasciarlo volare via: allo stesso modo della morte, l’agonia e la tristezza erano i crudeli e democratici generali di tutti.

-     Ti ho prelevato da quel postribolo il giorno prima della partenza del Saint-Michel d’or – il conte preferì arginare i pensieri luttuosi - Non so davvero se sia stata una mano divina a guidarmi verso le urla tue e di quella ragazzaccia.

Damian sbuffò e schioccò pesantemente la lingua tra l’imbarazzo e una certa rabbia da spaccone compiaciuto .

-        Diamine! e la sgualdrina mi aveva garantito di essere sotto controllo medico…insomma! Aveva vent’anni, una pelle perfetta e…

-         Come un bel salmone ti sei buttato nella corrente e sarai fuori combattimento per un bel po’.

-      Meno sento parlare inglese , meglio è…- l’uomo si fermò un attimo -Ehi, avete notato? La Compagnia britannica pare piuttosto tranquilla…temevo chissà che risse e incidenti.

L’austero palazzo grigio e bianco della Compagnia delle Indie Occidentali sembrava starsene sicuro e a proprio agio  proteggendo il via vai dei membri , mostrando le finestrate rettangolari simili ad uno schieramento disegnato di scudi romani. C’era la cupa vigilanza su derrate alimentari e su uomini provenienti dalle Antille , dai Caraibi o dall’Africa dalla pelle d’ebano o di mogano che attendevano il seguito di una sorte tempestosa.

-         Deve stare con la testa bassa, Damian…dobbiamo farlo tutti. La battaglia nell’Ohio è stata un’esplosione in una piccola polveriera che comunque si è sentita qui e in Inghilterra. Tra dodici giorni dovrò recarmi con Blaise  a fare  rapporto al re a al consiglio di guerra. Lui attraccherà  a giorni.

-         Dobbiamo procuraci una vettura e raggiungere la dimora de La Seigne…

-         François! François!

Quella voce…possibile fosse proprio lei?

-         Signore! Ma avete sentito?

-         Sembra…sembra lei?

L’ufficiale allungò maggiormente lo sguardo sulla folla pullulante di marinai, soldati, mercanti , e schiavi.
“ François”  era un nome diffuso…non certo raro.

-         François! Sono qui! Sono qui!

Un braccio si levò dalla fanfara gorgogliante di gente smuovendo un fazzoletto candido.
Il generale avanzò sentendosi il cuore sprofondare in un pozzo di violenta e immensa gioia.
Aveva riconosciuto una capigliatura di boccoli castani assai cara e un vestito pesante color acqua marina.
La sua pietra preziosa era lì.
Incredibile.

      -         Judith…- la voce gli colò per terra.

La stanchezza disgelò tutta d’un colpo dalle membra e lui corse verso la moglie mandando al diavolo il consueto contegno militare, quella camicia di forza che aveva rischiato di divenire un innaturale esoscheletro.
Non era il Generale de Jarjayes  in quel momento e neppure un conte.
Era solo François.Un marito che tornava.
Buttò il bagaglio e la baionetta per terra e strinse a sé Judith che gli gettò le braccia attorno al collo.
Non si dissero nulla durante quei secondi.
Tra i loro corpi le parole non trovarono ancora spazio. Tante erano le cose da chiarire lasciate in sospeso ma ora bisognava solo riprendere a bruciare.
Il ritorno fece mutare in ombre alienate l’odore cruento del pesce e dei battelli sfigurati.

 

***§***

 La carrozza , con la quale Judith era giunta al porto,   lasciò scorrere dai finestrini le abitazioni di legno coi tetti grigio bluastri del centro. Prese la ben più pacifica strada che portava alla tenuta marittima della famiglia de la Seigne. Presto le vie si fecero più mormoranti di alberi e sassolini.

-          Che strana sensazione essere tornato in Francia…- sospirò disteso il Generale inclinando la testa all’indietro – tutto ciò che mi è famigliare, mi sbatte in faccia nuovo…anzi rinnovato.

La moglie gli si accostò sorridendo:

-         Anche a me non pareva vero che la tua nave fosse all’orizzonte…L’ho intravista dalla terrazza della villa e ho fatto preparare la carrozza.

-         Non speravamo in questa sorpresa…io e Damian stavamo provvedendo per una vettura.

-         Avremmo perso tempo a pizzicare un onesto cocchiere, Madame – ridacchiò il servo seduto sul sedile destro davanti a loro

-         Ma Judith…– domandò il generale con un sopracciglio inarcato e  a denti stretti – hai scelto Serge come cocchiere?

-         Suo fratello non stava bene e lui è stato così gentile da mettersi a disposizione…

Serge era uno dei servi della famiglia de la Seigne. Una brava persona lunga, magra col mento piccolo e arretrato e un naso a punta sgranchito in avanti. La sua aria placida era affidabile ma alcune volte finiva tra le nubi dell’imbranataggine. Ciò rendeva poco tranquillo il conte.

-         Beh, vedo in forma il nostro Serge – diluì Damian - siete stata provvidenziale in ogni senso, signora.

-         E’ da tantissimo che manchi da casa. Sono molto felice di rivederti…Appena arriveremo dovremo mandare una lettera a Joyssigni , così Albert potrà riferire a tuo padre che sei sano e salvo.

-         Salvo sì, sano…eh!eh!

-         È accaduto qualcosa di grave?

François grugnì crucciato:

-         Il nostro giovine ha avuto qualche problemuccio di salute che sta  sistemando…

-         Non vi preoccupate Madame – evase arrossendo Damian – piuttosto…papà sta bene?

-         Berthold si è sforzato un po’ troppo in questo periodo. Prima di andare ad Arras abbiamo chiamato un medico e ha riscontrato  un principio di artrosi.

-         È sempre stato così…lavora tanto quando c’è un pensiero grosso che lo assilla. Beh…ora il grosso pensiero è in Francia e  festeggeremo i suoi settant’anni assieme!

-         Assolutamente – sorrise Judith – sai,Marie si domanda quando ti sistemerai e farai il brav’uomo?

-         Quella donna nutre un’eccessiva fiducia – scoccò ironico François -  ne passeranno di diluvi universali prima che Damian prepari paglia e rametti per il suo nido.

-         Signore – si drizzò fieramente il servo – le mie ossa sono pietra e i miei muscoli brace! Troverò la soluzione a tutto…A proposito Madame, cosa dice Marie?

-         Sì – aggiunse il conte –  non aspettava il nipotino?

La contessa si riempì  di gioia mista a lucentezza e rattristata consapevolezza.

-         E’ felicissima – rispose con le ciglia leggermente incrinate – il suo André è nato ad agosto. A quanto pare è bellissimo,  pieno di salute e affamato.

-        Buon segno! – rise allegro Damian – inizierà da subito a fare scorte di energia! Da grande avrà un fisico di ferro.

François accorgendosi del sottile rivo ombroso della moglie le strinse con calore la mano. Se fossero stati  soli l’avrebbe presa tra le braccia e ricoperta di baci :

-         Abbiamo tutto il tempo – mormorò - …non abbatterti…

Mentre Judith ricambiò uno sguardo d’acquatica dolcezza, le ruote della carrozza barrirono acidule. I passeggeri traballarono a destra e sinistra come fossero sonagli scossi da un musicante balordo.
L’ufficiale tirò fuori la testa dal finestrino e sbraitò contro lo svampito conducente:

-         Serge! Per le corna di Satana! Volevi scassare la carrozza?!

-   P-perdonatemi, Generale de’Jarjayes! Non ho visto quella buca… Questo pezzo di strada è un po’ accidentato…

-         Accidentato sarai tu! Non sapresti vedere  neanche la voragine creata da un elefante!

Tutti si misero a ridere sotto i baffi pensando che mancasse quel collerico tocco di classe per coronare un tanto atteso ritorno alla normalità.
Le colline, nel frattempo, presero a mostrare i grembi ricolmi di meli dalle arterie maestose e ingarbugliate. Nonostante fosse inverno, si avvertiva un senso di tranquillizzante densità in quei rami come se formassero una forte falange contro le rigidità del freddo. 
Oltrepassato un leggero declivio, sbucò la dimora paglierina dei nobili della Seigne ,dal tetto spiovente e grigio che veniva vegliata da pini marittimi accucciati poco distanti da essa.
In pieno stile Normandia, era un semplice solido a due camini in mattoni compatti e rassicuranti. Da fuori sembrava più una dimora di borghesi rustici che di conti. Le finestre mostravano i volti dalle imposte bianche mentre al centro s’incuneava, sotto un arco a tutto sesto, un portone di legno massiccio. Un vialetto di mattoni candidi e rosa, cinto da voluminose siepi ben tagliate, accoglieva gli ospiti. Il cortile centrale si spianava ampio, quadrato e chiaro mentre sul versante sinistro una bella scuderia proteggeva robusti cavalli frisoni e vari tipi di carrozze. Uno splendido giardinetto , smeraldino d’estate e verde cupo d’inverno , ornava il retro della villetta con un gazebo di pietra argentea che sormontava un tavolo ovale e sedie scolpite in marmo.  Parecchie piante di rosmarino zampillavano voluminose dal prato e diverse lavande lilla e glicine restituivano un pacifico e grandioso spettacolo, fatto da miriadi di pennacchi danzanti. Oltre un recinto si stendevano altri alberi di melo, coltivazioni di famiglia da parecchie generazioni che regalavano pomi rossi o arancio.
Quando François scese dalla carrozza assieme alla moglie e a i servi, provò la particolare e piacevole sensazione di straniamento: più volte era andato a trovare i suoceri assieme al padre e a Etienne ed era capitato anche di essersi recato lì per  far respirare aria buona a Josephine.
Sapeva di aver vissuto concretamente momenti allegri, malinconici e mansueti eppure riteneva di scontrarsi con un sogno, che seppur vivido, restava sogno.
Perfino nel momento in cui il maggiordomo della casa ricevette aprendo il portone ,coglieva una visione non completamente vera.
Cercò di prendere confidenza con l’ampio atrio rettangolare dalle pareti percorse da una sottile e azzurra striscia  arabesca. Lasciò ,quasi intorpidito, il bagaglio a Damian e per poco non lo fecero sussultare i passi gentili del padrone di casa e la lunga gonna vellutata della severa consorte.    

-         Caro François – gli disse l’uomo -  siamo lietissimi di accogliervi  tra queste mura dopo tanto tempo.

-         L’onore è mio ,signori – sorrise lui cordialmente – dopo il baccano del mare e i terribili movimenti delle navi, per me è come essere entrato in un tempio.

Il Conte Grégoire Isaïe de la Seigne era un sessantenne di media statura, tutto giusto nelle proporzioni , tutto calmo e lindo nei gesti: un’armonia di sincerità, discrezione e innata benevolenza.  Aveva il volto un po’ quadrato ma  morbido e ben conformato. Gli occhi azzurri , del cielo dell'aurora,  erano sormontati da meditabonde ciglia castane e i capelli mossi e brizzolati si riordinavano dietro le tempie e le orecchie per non cadere scomposti sopra le guance. Indossava un semplice completo invernale grigio chiaro con un panciotto blu scuro che gli correggeva il ventre leggermente in rilievo.
Non alta ma di grande presenza era la moglie di cinquantacinque anni: la contessa Bénédicte Magdaléne. Sebbene alcune rughe le pieghettassero la pelle , possedeva ancora una strabiliante e algente bellezza. Ogni bagliore sapeva di brinata cristallizzata e l’abito color malva , decorato solo sul corpetto e sull’orlo delle maniche lunghe,  s’accostava deferente al  chiaro epidermide. I folti e delicati capelli biondissimi s’accumulavano in una crocchia sul capo tenuta ferma da una cintura di piccoli fermagli di madreperla. Il viso era affusolato tale e quale alla torre inflessibile del collo ; il naso e la bocca  sembravano lavorati in pregiati frammenti di marmo e gli occhi grigio chiarissimo risaltavano in mezzo alle ciglia bionde, incutendo bruciore gelato  a chi osasse contraddire. Le sue materne origini svedesi e l’aurea invernale le avevano fatto guadagnare l’appellativo di “ Normanna”.

-         Speriamo che possiate riposare in tutta tranquillità – si rivolse al genero – la vostra camera è quella dalla porta blu che guarda a est , verso il  porto della città .

-         E’ la vecchia ubicazione , François – rise Judith – sai quanto io ci tenga…

-         Sì,  è vero – ammise il marito afferrando quel gesto di complicità -  ricordo che fin da ragazza hai avuto una grande affezione per i rifugi con le pareti floreali…

La contessa della Seigne si schiarì  la voce , con un lieve increspo,  per redarguire battute sconvenientemente intime.

-         Saremo a disposizione per qualsiasi evenienza – si sforzò di essere tenue e garbata -  pranzeremo verso l’una così, François, avrete tutto il tempo a disposizione per sistemarvi .

-         Esatto – aggiunse il suocero con disinvolto calore – mettetevi comodo e dite subito se desiderate qualcosa.

-         Vi ringrazio di cuore – rispose rispettosamente il generale – in effetti ho proprio bisogno di ridarmi una sistemata da capo a piedi …

-         Allora facciamo preparare la vasca per il bagno – proferì Judith – vedrai che ti sentirai come rinato…

-         Cosimo e tua sorella Oriane sono assenti?

-         Si trovano ancora giù in città per sbrigare alcuni servizi. Torneranno a mezzogiorno o forse prima.

-         Bene ! Sarà meglio che mi tolga questa divisa che non è più fatta di stoffa ma di alghe e sale!

***§***

 

L’acqua calda e la fumogena leggerezza del pulito avevano fatto dissolvere la grassezza del sudore e le scaglie della stanchezza. Finalmente libero di non indossare la divisa militare senza che qualcheduno lo potesse multare, François si sistemava davanti lo specchio della stanza da letto. Con un paio di pantaloni nuovi addosso e una vestaglia da camera , attendeva che Damian portasse la camicia, il gilet e la giacca freschi di pulizia. Dopo il bagno gli aveva velocemente spuntato i capelli divenuti raggrinzati e lunghi quasi fino alle spalle. Il pettine riusciva ,  meno intimidito,  a disciplinare le ciocche ondulate che presentavano alcune striature di primizia argentatura.
All’inizio sciattamente quieto poi sempre più incuriosito e ansioso, il generale si acconciò sempre più lentamente fino a che non contò uno per uno i capelli grigi o bianchi che incappavano tra i dentelli del pettine. Abituato a portare la parrucca si era scordato della piantagione che evolveva sul suo capo.

Non era uomo vanesio ma si rattristò  alle graffiature della vecchiezza. Quei filamenti erano le firme che la pazienza cupa, il dolore e la rabbia avevano deposto poco per volta e che s’immergevano nella sua castana e matura giovinezza per poi emergere e rammentargli che proseguivano  la loro semina.

Per sollevarsi spostò lo sguardo sulla parete di fronte ,  un po’ più in alto dov’era appeso un ritratto ovale  di Judith adolescente… Il pittore l’aveva tratteggiata con magistrale delicatezza in un abito estivo arancio chiaro che le lasciava scoperti gli avambracci, le spalle e il collo. Sul viso , senza trucco, regnava imperitura la morbidezza ingenua della pelle; le belle labbra  sorridevano tranquille e gli occhi erano gocce  mattutine spruzzate da un pennello inumidito in un mare calmo. I boccoli erano legati solo in parte da un nastro bordò all’estremità del capo. Il resto  della chioma era una profusione di libertà angelica e rinascimentale. 
Seduzione irresistibile.  
François dovette ringraziare il cielo e la propria tenacia sincera e disobbediente: sarebbe finito ammogliato con una duchessa se non si fosse opposto al padre Jean Antoine. Le unioni combinate erano all’ordine del giorno tra aristocratici ma lui non le aveva mai sofferte: la vita militare non gli aveva impedito di maturare il senso dell'autodeterminazione nella sfera più intima del proprio essere. 
In seguito ad animose discussioni,il genitore s’era dovuto ricredere alla conoscenza diretta di Judith.
L’uomo rammentava un episodio che aveva svelato un’ inedita angoscia, un’angoscia che spiegava l’intelaiatura di un capo famiglia che programmava e programmava cercando di far quadrare qualsiasi tassella nell’ottica delle sicure disillusioni.

Padre e figlio passeggiavano nel cortile della loro villa… Un primo pomeriggio morsicato qua e là da rigurgiti di nubi grigie che si ritraevano a tratti lasciando sgocciolare un sole primaverile e tremolante come il tuorlo di un uovo... 

-         Voglio sposare Judith – dichiarò privo d’esitazione il giovane - …lo voglio con tutto me stesso. E’ una delle poche certezze della mia vita. Grazie a lei…ho avuto il coraggio di scoperchiare tante cose e paure  orribilmente ridicole.

Jean Antoine emise un ruvido sbuffo dalle narici…Era la manifestazione di un raffreddore intorpidito.

-         Son rari questi tipi di matrimoni, figlio mio…- rispose respirando l’umidità asprigna delle cortecce dei pini -  non so se essere immensamente felice.

-       La mia relazione non è un contratto di vendita ! Parlerò da ragazzino, ma non concepisco un’esistenza di negoziazioni ,  tranquille bugie e…

François si fermò nel vedere l’uomo abbuiare tra le rughe e i ricci bianchi. Si vergognò contrito pensando di aver offeso l’unione dei genitori…l’onestà di quella lontana madre non vissuta visto che l’aveva lasciato all’età di tre anni. Di lei restavano numerosi ritratti, forti,autorevoli di una bellezza sobria e granitica…una Cornelia romana dagli occhi blu e i capelli castani che forse odoravano di fiori secchi. Jean Antoine la elogiava quasi fosse un’icona sacra, una diva incontestabile delle antiche gens tiberine…però quel codice deferenziale, seppur sincero,  definiva  un  sinonimo di vero amore ?  

-         Non ho nulla da ridire sulla tua fidanzata – riprese l’anziano in tono calmo -  Sono vecchio ma non rimbambito a tal punto da non cogliere l’energia che ti trasmette e  dona. Ha devozione, franchezza e profondità. Un tesoro preziosissimo e piuttosto pesante.

-         Una felicità grande può essere pesante?- interpellò il ragazzo lievemente urtato -  La fortuna è un dramma?

-         La grandezza non è opera leggera. Il mondo ha la consistenza di una piuma? Tu e la tua futura sposa sorreggete reciprocamente  i vostri universi.

-         Dunque, padre , dove scorgereste l’inquietudine?

Il sole fece cadere un braccio bruciando di oro bianco la fontana del cortile:  l’acqua stagnante nella vasca prese di nuovo linfa vitale. Anche il verde dell’erba e degli alberi venne schiaffeggiato da quel raggio scivolato via furioso dalle nuvole grigie.

-     Mi domando, François – sospirò Jean Antoine - in che maniera gestirai gli incoraggiamenti, le dichiarazioni della passione, ogni verbo d’amore che ti correrà via dalle labbra.

-         In che senso?

-      Nel senso che ci sono parole che non tornano più indietro. Le potrai ripetere ma tutte le  volte,  lentamente, avranno un sapore diverso. Si sprecano spesso e poi si dimenticano  in un lungo rapporto in procinto di  ghiacciarsi…

Il figlio restò basito. Non aveva mai sentito il genitore esprimersi attraverso termini tristi, accorati che emettevano il fruscio di vecchie carte riprese da un cassetto chiuso a lungo…Si rese conto di aver ininterrottamente percepito quell’uomo come il pater familias incontestabile e contestabile, carceriere e protettore senza mai riflettere sul fatto che era stato giovane e magari sventurato e intrappolato...
Alla fine l’anziano interrogò  con gli occhi neri che sembrava dicessero “ ma che guaio ti procuri? ”:

-         Sarai in grado di non lasciare deteriorare un cibo che ti dovrà alimentare per infiniti anni? La libertà fa correre su distese fiorite ma anche su deserti pieni di massi aguzzi… Se hai scelto di non aver catene, potresti calpestare sentieri luminosi così come potresti barcollare su un  precipizio.

 Damian bussò alla porta facendo rimpicciolire i ricordi nella memoria.
Il conte ricevette i vestiti ordinati.

-         Sono felice che voi e Madame vi siate riuniti – esordì il servo mentre aiutava il generale a sistemare la giacca sulle spalle.

-         Sì…stento a crederci…Finché non l’ho presa tra le braccia temevo si trattasse di un miraggio.

François si abbottonò tornando dinanzi lo specchio. Stette per qualche secondo immobile contemplando il riflesso della camera azzurro chiaro decorata da floreali linee blu…. Trovò mirabolante non odorare le tende di un accampamento costellato di zanzare plumbee.

-    Non posso più pensare alla distanza…- confessò accennando un sorriso - continuo tuttavia a essere  smarrito…devo ancora riprendermi…

Damian ,  tranquillo e  impertinente, si avvicinò al talamo matrimoniale. Aggiustò un po’ i lembi delle coperte ricamate  da vecchia balia premurosa e pettegola.

-         Beh…- appurò massaggiandosi il mento -  Il letto è stato preparato con grande cura.

François trasalì di vergogna e stizza.

-         Damian!

-         Dovete rimettere in moto quello che avete lasciato dormire. Se no, tanti saluti disgelo!

-         La baionetta funziona bene anche senza proiettili.

Il suono leggero e ritmato di passi indubbiamente femminili, persuasero l’uomo a risparmiare staffilate al servo.

-         Suvvia, vi do suggerimenti da uomo a uomo…- mormorò costui sorridendo e battendogli una mano sulla spalla - se volete ritrovare la vostra dimensione pensate alla felicità di Madame…non avete visto il modo in cui vi guarda?

-         Spolverati via.

Si udirono tre bussi alla porta:

-         François – chiamò Judith – è permesso?

Damian aprì l’uscio e , con elegante sornioneria,  riferì:

-         Madame: vostro marito è pronto. Risplende amabilmente da cima a fondo somigliante ad un angelo del paradiso.

-         Ti farò risplendere appeso al tetto di questa magione – minacciò il generale – se non righi dritto alla tua postazione!

Judith sorrise costernata mentre il servo obbediva divertito.

-         Mai che quell’asino smetta di spiattellare asinerie – brontolò il padrone cambiando poi  tono rivolgendosi alla moglie – scusami…spero di non aver tardato troppo.

-         No – rassicurò lei – la tavola è già apparecchiata ma Oriane e Cosimo devono ancora arrivare...ti va se aspettiamo in terrazza?

I due attraversarono il corridoio , arrivando sulla balconata che guardava il giardino d’ingresso della casa … Le Heavre pareva un grumo di scatole spazzate nell’angolo più remoto dell’orizzonte.  
La donna  si avvicinò affettuosamente al marito dandogli un bacio sulla guancia e stringendo il suo braccio.

-         Incredibile che tu sia accanto a me. La tua espressione e il tuo corpo si sono ridotti su fogli di lettera per troppo tempo. Ho potuto sgridarti soltanto attraverso l’inchiostro. Per fortuna adesso è diverso.

Lui  sorrise afferrandole la  mano in modo implorante:

-         Desideri già somministrarmi fucilate? Ti prego, sono saturo di proiettili…hai  tutto il tempo per randellarmi più tardi.

-         Hai proprio ragione, caro. Ne abbiamo di conversazioni da fare. Sarà impossibile annoiarsi.

-         È così…bisogna recuperare in ogni senso.

-         Inevitabile. Tante cose ci cadono per strada mentre andiamo di corsa.

L’uomo circondò le spalle della moglie voltata dalla parte opposta .Percorse con gli occhi la linea della guancia su cui sfumava la luce perlacea dell’azzurro. I riccioli castani ingombravano le spalle offuscando il collo ed evocando la visione terribile degli incubi regnanti nelle notti irrespirabili. La donna diventava muta immobilizzandosi. Al terzo disperato richiamo si girava mostrando un ovale piatto, liscio uguale a un uovo di ceramica sprovvisto di occhi, naso, bocca… Uno spettro svuotato,  bianco d’irriconoscibile morte.
La morte di parole,  ricordi materiali…il rifiuto atroce del contatto profondo. Immediatamente il conte  pronunciò dipanando la coltre del silenzio:  

-         Ho la pessima abitudine di correre troppo e  leggo ad alta voce sentenze credendo che gli altri non possano avere facoltà di rispondere…molte volte l’ho fatto con te…Credo che ci siano germi che restano perennemente  nel cuore. Ne sono talmente tanti che non basta una vita per toglierli tutti. Alcuni si estirpano e altri si generano o rigenerano…Judith, non ne ho idea di quanto io possa migliorare o peggiorare…In America , quando mi trovavo a cenare da solo…la vuotezza che mi stava di fronte era aliena… Non diceva nulla. Si limitava ad esistere nella sua assurdità senza forma. Certo la spada, la divisa e lo stendardo della mia famiglia  appartengono al re… ma tutto quello che ho dentro, il sangue, la rabbia, la tristezza, la mente piena di cianfrusaglie appartengono alla mia anima che siede qui, attaccata a te. Ecco…anche nella stupidità più nera mi rendo conto che sono tuo. Posso urlare quanto mi pare ma la legge dell'anima resterà questa. 

Judith poggiò la testa tra la spalla e il colletto della giacca dello sposo.

-         Invece , François , io ho la pessima abitudine di scappare dalle battaglie…Temo di non sapere impugnare le armi e perciò le lascio cadere credendo che sia inutile. Anche le corazze mi spaventano perché le trovo opprimenti e impediscono di camminare. Posso provare a dare fuoco per prima e ci riesco ma dopo,  per tanto tempo , mi gelo. Io non ho avuto abbastanza forza per cavarti sempre fuori dai fossati in cui ti infilavi. Sai quanto odio dormire da sola…ho avuto il terrore, per molte notti, di trovarmi in un mausoleo funebre …col pensiero poi della culla delle nostre bambine che sta chiusa in soffitta…

François scrollò la sposa stringendola a sé contro la stoffa calda.

-         Ci sarà una nuova culla, Judith. Me l’hai scritto nell’ultima lettera, ricordi? Sarà così perché ti vedo diversa. Guarda, il tuo volto è ancora più bello…I tuoi occhi sono forti e si muovono come acqua corrente..Sento che mi saprai sfidare a duello meglio di prima, qualunque cosa possa accadere…Sei la mia luna. La mia splendida luna.

Lei gli accarezzò il viso rimirando le iridi blu aggrappate tra le ciglia nere e le forti palpebre.

-         La nostra camera è quella che guarda a est, voltata verso il mare. Io l’ho sempre adorata perché, quando eri via,  almeno potevo immaginare il tuo sguardo. Sia di notte che di giorno, il colore delle onde cambia ma rimane lì, a vegliarmi da lontano…

Vennero interrotti da un palpito di zoccoli e polvere arrotolata: una carrozza con due cavalli marroni si avvicinò giungendo davanti le scuderie.
Scesero un uomo alto, magro e distinto con una donna vestita di lilla e un bambino dai capelli rossissimi. 
Judith e François  chiamarono Cosimo , Oriane e il piccolo Samuele che salutarono con caloroso entusiasmo.

 

 

***§***

 

 Nella sala da pranzo , dalle pareti bianche che intonavano un’eco agreste e greca, sfavillava una magnifica tavolata. Era un topazio istoriato dalle lamelle d’argento dei piatti d’ostriche, imporporato dalla calda freschezza rubino del vitello rosolato e puntinato dai vassoi dei formaggi agrodolci.
I conti della Seigne non erano sperperatori di opulenze, ma si premuravano che la gastronomia di casa offrisse prodotti di alta qualità. Dai frutti di mare pescati dal gustoso furore dell'oceano agli animali allevati nel pregiato clima salmastro dei pascoli costieri: c’era da perdersi in quel tempio sugoso di profumi forti, dolci e gioiosi. Grégoire ci teneva a far pervenire da Neufchatel-en-Brain, l’omonimo cacio d’antica tradizione normanna. Il particolare gusto farinoso si sposava con l’innaffiatura amarognola e fine del sidro.   

-         Prego , signori! – invitò il padrone sollevando la brocca di ceramica-  È d’obbligo per il palato e la gola questo nettare di famiglia.

-         Ormai le nostre cantine a Napoli rischiano di esser popolate più da bottiglie di sidro che vino!  Ci manca soltanto una coltivazione di meli sul nostro terrazzo per ottenere i giardini pensili di Babilonia!

-         Oh ,Cosimo! – accusò  Oriane - Dovremmo tornare qui durante la bella stagione! Da noi in Italia non esistono questi tesori di coltivazioni…tu cerchi di rifilarmi , ogni domenica,quel dannato amaro alla rucola dal sapore di medicinale per tosse!

-         Suvvia , cara…sai che sono un amante delle tradizioni d’Ischia ma non per questo disdegno i sapori della Normandia, anzi…

Il marito , ricevendo la brocca dal suocero , la pose alla sua signora mentre Samuele seduto  in mezzo odorava il transito dell’aroma dolce e pungente.

-         Questo sidro è un’antica lavorazione che rende il gusto più fermo e dolce – accennò Grégoire.

-     Non vedevo l’ora di tornare a berlo – dichiarò François sorridendo -   Se non sbaglio penso di averlo assaggiato la prima volta proprio da voi quando ero ragazzo.

-         Sì – confermò la sposa seduta affianco -  quella primavera in cui venisti con tuo padre e tuo fratello.

-         Già…la fioritura dei meli…uno spettacolo favoloso. Facevamo passeggiate lunghissime.

-         I fiori degli alberi sono molto belli. Sembrano rosa acceso quando sono chiusi , quasi provino vergogna , e poi aprono la corolla che è bianchissima.

-         Da piccole costruivamo delle coroncine – ricordò Oriane che stava di fronte alla sorella dalla parte opposta del tavolo -  Te ne feci una molto bella, Judith…sarebbe stata perfetta abbinata agli orecchini che hai ora.

-         Li ho da parecchio tempo. Me li regalasti tu, François, all’inizio del nostro fidanzamento.

Il generale annuì rimembrando, per un breve istante, un pomeriggio in cui l’aveva portata ad ammirare le coltivazioni costiere: lei sedeva sul dorso di un cavallo che lui conduceva per le briglie facendosi strada tra le piante.  Una bellissima giornata specialmente durante l’attimo in cui la fanciulla , nello scendere in modo scorretto dalla sella, capitombolò tra le sue braccia che prontamente s’erano preparate ad afferrarla.

-         Helene! – rimproverò la contessa Bénédicte, imperiosa a capo del tavolo –Rischiavi di rovesciare il dolce!

-         Perdonatemi, signora!

La cameriera arrossì costernata : era una ventiseienne minuta e pallida, dai capelli neri legati in  una treccia  e
dalla bocca piccola travolta bruscamente dall’incandescenza delle guance.

-   Madame – giustificò Damian che stava aiutando a portare i piatti –lo sconsiderato sono io che ho involontariamente intralciato la ragazza. Sono grande e ingombrante.

-      D’accordo, ho compreso – concluse scabra la padrona – l’importante è che stiate attenti. Per cortesia giacché è stato servito il tortino di mele  portate anche il calvados.

Mentre si allontanavano verso le cucine , l’imponente uomo  strizzò l’occhio alla ragazza che sorrise con pudore mettendosi la mano sulla bocca.

-         Ti sei ricordata bene, cara – aggiunse Grégoire -  non può mancare questo assaggio prima del dessert. è come una goccia di fiamma dolce in gola.

-         No, papà – rise Judith – credo proprio che rinuncio. Non sono abituata a finire neppure un intero bicchiere di vino!

-         Io ne prendo solo una goccia – disse Bénédicte che assaggiava sempre il sidro con estrema moderazione– per tener fede alla nostra tradizione.

-         Non preoccuparti papà – gioì Oriane – io non persisto mai al Calvados. Mi auguro che non ti comporterai da taccagno se domando una bottiglietta da portarmi a casa.

-         Puoi stare tranquilla, figliola – sorrise il padre – io sono sempre orgoglioso di saperti ottima degustatrice dei nostri prodotti.

-         E la nostre collezione di bevande normanne si allarga sempre di più – scherzò Cosimo – sentiremo odore di mele anche prima di entrare in casa.

-         Se tu importi casse di liquore rucoloso , io lo faccio col sidro e il calvados.

-         Povero rucolino! Sempre con lui, ce l’hai!

Damian portò la bottiglia dell'acquavite con i bicchierini di cristallo intanto che Helene  serviva,  da un vassoio ,  ciotole di caramello ricavato dallo zucchero di mela.
Samuele puntò , bramoso, quelle delizie morbide arancio brillante  cominciando a fare vivaci cenni prima alla madre  e poi al padre.

-         Tranquillo – rimbrottò Oriane -  nessuno ruba la tua parte! Non fare la scimmia…c’è prima la torta.

-         Ma – bofonchiò il bimbo – a me piace prima il caramello….

-       Suele – mormorò il padre mescolando francese a incrinature partenopee – una cosa per volta e in piccole parti! Visto che l’altro giorno hai avuto mal di pancia?

Imbronciato il figlioletto tracciò col dito ghirigori immaginari sulla tovaglia.  

-         Posso avere un altro po’ di succo di mela?

-         Certo, piccolo – s’accinse il nonno a prendere un’altra piccola caraffa di ceramica.

-         No, papà – lo fermò Oriane – così si abitua troppo alle cose zuccherate. Va bene assaggiare tutto ma non troppo.

-         Ma – oppose dispiaciuto l’uomo – mi sembra che abbia soltanto bevuto un bicchiere.

-         Effettivamente sarebbe meglio che il bambino non toccasse neppure il caramello – ammonì la nonna – la torta è bella buona Samuele, vedrai che già con quella sarai pieno.

Il nipote , intimidito,  posò supplicante lo sguardo sulle tazze che tenevano in pugno l’invitante e soleggiata sostanza d’ambra.

-         Samuele può mangiare un pochino di torta e un pochino di caramello – puntualizzò la madre.

-       Una fetta di torta è sostanziosa – predicò la contessa – se il piccino prende sia l’uno che l’altro potrebbe sentirsi di nuovo poco bene come diceva tuo marito.

La figlia minore cominciò a percepire aria di tensione: la madre e la sorella facevano molte volte attrito tra loro. Numerose erano state le discussioni specialmente durante l’adolescenza quando Oriane aveva fatto divampare a meglio il proprio spirito ribelle…

-         Madre, controlliamo che Samuele possa abituarsi a mangiare con noi a tavola senza strafare. Ha avuto la sua porzione di primo e secondo e ora può assaggiare il dolce.

-         E dopo tanti assaggi di tal genere che è stato costretto a letto.

-         L’altra volta – ribatté l’altra sull’orlo dell’irritazione – ha combinato pasticci con  accostamenti di cibo che gli hanno colpito lo stomaco!

-         I nonni si preoccupano per i nipotini – sospese la diatriba Judith – può succedere che  non si sappia  quali alimenti diano fastidio ai più piccoli.

Nonostante fosse una quisquilia, Bénédicte doveva trovare il minimo pretesto per criticare la figlia più grande. Dopo le tempeste rischiose della giovinezza, la donna si portava appresso l’ombra di una diffidenza  accusatrice: un po’ per orgoglio ma soprattutto perché temeva chissà quali errori potessero nuocere alla famiglia.

        -        
Per fortuna che Samuele mostra appetito -  fece calmo Grégoire – è giusto che il suo palato si adegui piano                piano a ogni cosa.

-         Sta volta si è regolato bene – osservò Cosimo – può prendere la sua parte di dolce tranquillamente…e poi è l’occasione del ritorno dello zio François.

-        Io più di una volta mi sono sentito male da bambino – ammise lui – perché avevo l’abitudine di andare a mangiare di nascosto i biscotti al miele. Infatti mai mi sono scordato quei bei momenti di traballamenti intestinali.

Dopo una risata corale ( anche se più che ridere Bénédicte accennò un sorriso) si mescé il calvados nei bicchieri che vibrarono ondeggiamenti cristallini.
Dalla cucina provennero,  ad un tratto , una cacofonia grossa e argillosa e improperi della cuoca e dei camerieri: Serge aveva fatto cadere due barattoli di confettura di mele dando prova della sua leggiadra destrezza.

 

 

 

 

Note personali:

il secondo capitolo l’ho concluso con la parte Un proiettile nella mente . All’inizio tutta questa scena doveva essere l’ultima parte del capitolo secondo ma poi ho deciso che ormai sanciva un’altra fase degli eventi.Ed eccoci ad aver fatto conoscenza della casa di Le Heavre, dei genitori di Judith….c’è un ambiente di serenità e tranquillità a differenza di quello che si avvertiva con Jean Antoine…ho desiderato introdurre i caratteri differenti di Grègoire e di Bénedicte , una coppia veramente particolare, due poli opposti...Sono riapparsi Oriane, Cosimo e il piccolo Samuele…mi auguro di aver descritto in modo decente le dinamiche famigliari…Naturalmente i nostri François e Judith si sono ritrovati con la voglia di andare avanti e con rinnovata forza nonostante i tristi eventi passati..

È apparso un altro servo Damian, connesso anche col passato del protagonista, insomma un altro elemento che ci racconterà più avanti di più sui de Jarjayes !
L’ultima parte del III cap ( la più lunga) , vi posso garantire con certezza che sarà postata tra lunedì 8 maggio o martedì 9….

Ci sono novità per il quarto capitolo! Praticamente le prime due parti le avevo già completate da un pezzo ….quindi ci saranno ulteriori aggiornamenti il 16 maggio, il 31 maggio …l’ultimo sarà probabilmente a metà giugno perché lo devo revisionare da cima a fondo e apportare modifiche…

Col capitolo 4 si conclude il LIBRO PRIMO. I leoni della corone NON sarà una saga ma un romanzo unico suddiviso in più libri che rappresentano le fasi della vita dei personaggi. Ho deciso quindi che il libro secondo sarà dedicato all’infanzia di Oscar e André, il terzo all’adolescenza, il quarto all’età adulta + epilogo^^
Vi ringrazio umilmente per la pazienza!!
Un salutone!

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** CAP 3 - la dimora dei pomi d'oro : melodie da lontano ***


CAP 3 - La dimora dei pomi d'oro: melodie da lontano

3

La dimora dei pomi d’oro:

melodie da lontano

 

 

 

 

 

 

“ Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano. “

 ( E. Sanguineti)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il sole delle cinque già si avviava verso ovest con andatura sicura. D’inverno pareva  avesse fretta di ritirarsi come un sovrano vanaglorioso, che concesso udienze ad alcuni sudditi, chiudeva le porte del proprio palazzo lasciando molte preghiere inascoltate. Nell’azzurro, ancora chiaro, s’intravedevano le prime dorature arancioni che formavano il bagliore del  tesoro regale sepolto dietro il solco intangibile del mare.
François guardava,  da dietro le vetrate del salone della villa, le colline dei meli che fissavano quello spettacolo inermi e rassegnate con le foglie in parte secche e in parte verde scuro.
Anche lui , nonostante la contentezza, sentiva una parte di se accoccolata tra quei rami…Il tramonto annunciava che la sera avrebbe invaso tutto : quello strano giorno,  che l’aveva visto prima sulla nave e poi proiettato in famiglia,  iniziava a incanutire.

-         Provate già nostalgia del mare? – chiese con lieve scherzosità Cosimo portando una tazza di tè.

-         Mi basta guardarlo da lontano – rispose sorridendo François – sono saturo delle navigazioni. È sempre una gioia camminare sulla terraferma.

-         Chi vi da torto? Quando viaggio in veliero  un occhio dorme e l’altro veglia.

-         Le tempeste accadono dappertutto ma , sbattuti tra le onde,  si ha l’impressione di finire ingoiati nell’infinito, senza alto né basso. Non esiste un suolo.  

-         Il suolo c’è a dire il vero – considerò aggrottando la fronte l’altro – è un lunghissimo deserto nella calma…non differisce dal Sahara e dalla steppa.

-         Beh sì  l’immobilità fa male in ogni luogo. Privati dei soffi di vento ci si scorda davvero di respirare…eppure…

Il Generale rifletté : le visioni paurose restavano in una lontana stasi  però riusciva a toccarle come fossero vicine.

-         L’oceano m’inquieta di più – continuò- Forse è la potenza di Nettuno…negli attimi in cui le onde si alzano, hanno forme più mostruose delle tempeste di sabbia o delle valanghe che si staccano. E’ proprio il fatto che si elevano con sagome distinte e pesantissime.

Cosimo sorseggiò il tè e fece leggermente ondeggiare il liquido residuo in fondo alla tazza:  nella colorazione ocra s’intravedeva qualche minuscolo e stordito brandello di foglia aromatica.

-         Prima il mare è limpido e piano , poi si smuove, si imbizzarrisce e si sporca… È il voltafaccia della natura. Anche noi uomini ne facciamo parte. Io mi rapporto con i commercianti, François, voi con la corte e l’esercito.

-         L’Europa è tutto un mare inaffidabile. Ora non si comprende cosa l’Impero Asburgico voglia fare, né se l’Inghilterra continuerà questi tafferugli Sfornita di una dichiarazione di guerra…In Francia sto sempre meglio anche se ci sono ugualmente trappole.

-         Nutrite ostilità verso il mare…- disse serafico Cosimo– ma vi garantisco che amarlo è un bel modo per sopportare le furberie del mondo. Sprovvisti di rotte commerciali ci s’instupidisce. Non bisogna sopravvivere dentro circuiti locali, ognuno chiuso in un’autoproduzione piccola. L’economia è un sistema universale di concorrenza e patteggiamenti. Tutti gli stati appartengono a questa scacchiera e voi capite che tutti sono uguali nelle brame. Vi abituerete a non farvi trovare impreparato da amare sorprese.

François arcuò il sopracciglio:

-         La rassegnazione gioca un ruolo dominante…non voglio cederle il passo anche se rischio di ammalare il sangue…

-    Così porterete perennemente ferite aperte. Siete leale, un autentico cavaliere ma la rabbia vi darà avvelenamento piuttosto che reale giustizia.

-         Mio padre era più negoziatore di me e  so bene che l’epoca dei veri cavalieri è finita.

-         Credo che vi aiuterà pensare alla rassegnazione identica ad una creatura attiva…Se evitate di prendere a cuore i normali disordini diplomatici , preserverete ancora più attentamente la vostra famiglia. Mi dedico a navi e traffici per proteggere a meglio la tana. Lo faccio per Oriane, per Samuele…Mio figlio dovrà imparare a sgomitare parecchio e a identificare la stupida malignità delle persone. Servirà a non versare troppe lacrime.  

-         Già…la famiglia.

“ Che insegnerò a mio figlio?” pensò François    a comportarsi come un Orlando o farsi i fatti propri? Servire la corona come leone o come volpe?”
Osservò il nipotino Samuele intento a mostrare ai nonni il suo cavalluccio di legno a ruote. Muoveva briosamente la testolina di capelli rossi, resa buffa dall’ampia fronte e dalle guance sporgenti. Si chinava poi a terra sgualcendo il gilettino blu e farfugliando con parole e gesti il funzionamento del giocattolo quasi fosse uno strumento magico.  

-         Eh, Suele – sorrise Cosimo – sta facendo vedere com’è bravo a domare il suo cavallo…è così che capirà: trascinare la pazienza e la volontà in ogni dove.

-         Parole sante – rise il generale-  per dar credito al discorso di prima, bisogna saper vendere le proprie qualità a qualsivoglia interlocutore.

-         È una legge che ci accompagna fin da piccoli – sospirò il barone – Samuele non può ancora captare ma se un attimo pensiamo alla nostra infanzia, avete il ricordo di quelle ansie di approvazione? Insomma catturare la benevolenza e l’affetto di tutti ?

 Il Conte tacque per qualche secondo: gli riaffiorò un rapido ricordo dell'età di sei anni, quando diceva alla balia Angéle e al buon Berthold che era andato a cavallo la prima volta. Si figurò,  con letizia,  i loro visi pieni di qualche dolce ruga che lo incoraggiavano entusiasti.
Un altro ricordo , abbacchiante e imbarazzante,  lo vide che esibiva al padre Jean Antoine un cavalluccio costruito con rametti secchi. Riusciva ancora a sentire la risposta grugnente :” piuttosto che fare ciarpamerie ripassa le prime due declinazioni di latino che non sai neppure cincischiare!”     

-         Sì…- ammise piegando la bocca– dicono che i bambini non abbiano pensieri, invece se dovessi tornare indietro, non sceglierei per nulla l’età degli scolaretti. D’accordo che , se vediamo dalla nostra ottica quei giochi e capricci,  ci sembrano sciocchezzuole…però percepivo il problema di piacere e non piacere, portare la pesantezza di un cannocchiale che ingigantiva.

-         Verissimo… - fu d'accordo il cognato – era una missione strappare la benedizione di chi ci circondava. Certo,  adesso Samuele è bello tranquillo. Il caro Grégoire è una garanzia in fatto di serenità e sicurezza. Sembra che quegli occhi e quel sorriso  siano stati costruiti apposta per quietare i piccoli.

-         Non vi è dubbio che ha dato prova d’essere grande precettore a palazzo – appurò François - Il Re da sempre nutre profonda stima verso di lui. Il Delfino Luigi Ferdinando continua a scrivergli e, in occasione delle ricorrenze sante, gli manda doni.

Stava per aggiungere che anche Etienne fu un precettore eccezionale e che più volte si era confrontato su metodi educativi  con Grégoire. Preferì, tuttavia, evitare rinnovata sofferenza. Quel pensiero sembrò distanziarsi allo stesso modo della cameriera che prese con garbo la tazza vuota di Cosimo e se ne andò silenziosa:

-         Ahinoi , nostra suocera – disse poi sottovoce il cognato con quell’umorismo leggero ma mai perfido – è una dama veramente di roccia. Possiede una muraglia che protegge da attacchi o suscettibilità. Noto che con Samuele è molto più vellutata…

Seduta sul canapè color crema del salotto, ricamato con foglie e frutti, Benedicte sorrideva al nipote. Sembrava che il pallore regale del viso avesse assunto una tonalità più rosea e che la schiena, dalle vertebre di vetro, si fosse rilassata in morbidezza cartilaginea. Il marito,  accomodato nella poltrona vicino, si accordava con il salotto illuminato dalle luci del tardo pomeriggio. Era un elemento naturale appartenente a quell’eco sistema dalla delicata carta da parati vegetale e dai mobili di legno chiaro…

-         Mio padre era un uomo molto rude –evidenziò François – quando si sedeva davanti al camino c’era aria di spade e pietre. Da piccolo temevo che il fuoco lo mutasse in drago!

Cosimo rise e appoggiò:

-         Anche mio padre era un tipo severo. Ho in mente quell’eleganza notarile e scura che mai ammetteva controbattute. Non usava urlare ma già bastava lo sguardo a zittire ogni lagna. Rimasi stupito quando conobbi la prima volta Grégoire…ha una calma completamente diversa a cui ero abituato da bambino… penso porti un innato senso femminile. Non certo che sia un effeminato! No!

-         Ho inteso perfettamente…ha il talento di capire le proprie figlie. Judith mi aveva raccontato che , da ragazzina , preferiva confessare i propri errori a lui che alla madre e quando , in collegio, aspettava di tornare a casa voleva vedere scendere dalla carrozza sempre e solamente lui.

-         Sì, Oriane mi ha descritto cose meravigliose. Da ragazza , quando le erano successi  guai, è grazie a Grégoire che si è riappacificata con la madre…Sapete, il modo in cui la Contessa affronta determinati problemi.

-         Non me lo ricordate, Cosimo…Judith non ha l’indole di esternare rabbia ma in privato l’ho vista davvero esasperata .

I due uomini si chiesero, con reiterata perplessità, quale equazione chimica potesse tenere congiunta una simile coppia. Persino le loro mogli non avevano saputo trovare risposta o forse non volevano preoccuparsi di conoscerla. I suoceri formavano un duo osmotico. Le differenti soluzioni di base arrivavano ad un certo punto a congiungersi,  scambiarsi molecole, rinnovare i propri liquidi e poi tornare allo stato di prima. Se per un periodo gli affari di famiglia erano appalto del marito mentre quelli domestici della moglie, giungevano a invertire quelle mansioni in un'altra fase . La stessa cosa avevano fatto per l’educazione delle figlie. Il padre tante volte aveva rivestito il ruolo di madre mentre la madre tante volte quello di padre. Grégoire era stato capace di credere che Judith e Oriane gli fossero cresciute nel ventre. Benedicte , tenendo fede all’appellativo di “ Normanna”, reggeva il bastone del comando disciplinare.

-         Suele, attento! – richiamò Cosimo.

François avvertì il  giocattolo urtare contro la sua scarpa e ribalzare di lato. Sorridendo,  si chinò , raccolse l’imprudente destriero e lo porse al bambino che si precipitò  con il viso rosso tale e quale al bulbo dei capelli.   

-         Beh ? – incalzò il padre – cosa devi dire adesso?

-         Scusate , zio François – balbettò il piccolo – non l’ho fatto apposta.

-         Va bene giocare…ma non dare fastidio alle persone.

-    Non è successo nulla , Cosimo – intervenne tranquillo il Generale – si sa che non è facile addestrare i cavalli…Vero, Samuele?

Il nipotino annuì silenzioso fissandolo con soggezione e ammirazione : era abituato ad alzare spropositatamente il mento per vedere la lunga statura del padre ma lo zio lo impressionava per la maggiore robustezza fisica. Benché fosse dimagrito per le battaglie e i viaggi, l’ossatura robusta restava. Il viso, ora intenerito di serenità, era forte e gli occhi blu, dalle ondeggiate brillanti, si notavano a distanza.

-         Come si chiama il tuo cavallo? – domandò.

 Il piccolo si sentì felicemente incoraggiato, specie da un parente che gli era sembrato serissimo e duro alla prima impressione.

-         Si chiama Pigna -  spiegò con professionalità – perché è nato da un pino.

Cosimo scosse la testa divertito e precisò sottovoce al cognato:

-         Avevo detto che è fatto di legno di pino ma Samuele ha interpretato a fatti suoi.

-         Lui è nato da un pino! – contrastò il figlio che aveva sentito quei bisbigli insidiosi – e per questo è forte!

-         Hai ragione, tesoro, hai ragione.

-         Allora deve essere un cavallo magico – accondiscese François -  sa volare?

-         Sì – rivelò fieramente il bambino – ho insegnato tante magie!

Lo zio frugò in tasca facendo bisbigliare un leggero tintinnio:  

       -   Ecco, piccolo. Queste sono per te.

Tirò fuori tre biglie colorate: una dipinta di blu decorata di magenta, una di legno tatuata con motivi geometrici verdi e una che pareva uscita da un quarzo con particolari cromature argento e nere. Le aveva comperate in America in una piccola bottega d’artigianato.

-         Guarda che belle, Samuele –ammirò Cosimo – luccicano proprio tanto!

 Il bimbo ringraziò e le afferrò piano dalla mano dello zio. Esaminò le tre sferette senza perdere alcuna variazione di sfumatura. 

-         Ma – esclamò stupito – fanno un colore se le metto al sole e un altro se le metto all’ombra!

-         Già – soggiunse lo zio – cambiano a seconda del movimento della luce.

-         Allora sono magiche!

-         Certo, tu potrai aumentare il loro potere!

-         Faranno  più potente anche Pigna?

-         Esatto. Hanno moltissima energia!

Samuele riguardò orgoglioso le palline quasi avesse trovato un’altra chiave per dominare le sfere della natura. François ricordò i giochi bizzarri che s’inventava Etienne da piccolo che mai rispettavano il raziocinio delle regole.

-         Eccoci finalmente – comparve nel frattempo Judith seguita da Oriane -  oltre ai miei soliti spartiti, ho trovato persino vecchie composizioni!

-         Diciamo sorella che sono io ad aver frugato nei meandri dei tuoi armadi di fanciulla.

-         Va bene Oriane, riconosciamo i meriti delle tue antiche abitudini di ficcanasa.

Grégoire  interruppe lo scherzoso battibecco:

-         Su , fanciulle mie, risparmiate la vostra carica per la musica.

Judith si avvicinò al pianoforte del salone mentre la sorella al violino adagiato su un tavolo di quercia poco distante . Tra lo stropiccio  dei pentagrammi si consultarono a bassa voce per scegliere le arie da eseguire . François prese posto su una poltrona vicino al suocero mentre Samuele e il padre si sedettero sul divano poco distanti dalla contessa Bénédicte.

-         Con quale brano cominciate? – domandò alle figlie .

-         Stavamo pensando – meditò Judith – di aprire con Vivaldi…

-         Potremmo però suonare l’Aria sulla quarta corda– propose Oriane – è quello che hai adattato per violino e pianoforte.

-        Sì, è vero…credo comunque sia meglio iniziare con Vivaldi e poi con Bach. Cominciare con una bella ondata di primavera.

-         Hai ragione – assentì la sorella cercando lo spartito giusto -  daremo un po’ di movimento anche se è tramonto.

-         Approvo pienamente! Ottima scelta – commentò Grégoire – oh, perdonatemi François! L’ospite d’onore siete voi! Avete qualche preferenza?

-         Giusto – inarcò le sopracciglia  Judith voltandosi  verso il marito– desideri ascoltare qualche composizione concertistica particolare? Ne ho a disposizione tante.

-         La scaletta è perfetta – le rispose lui sorridendo pacato -  Se mi verrà in mente qualcosa per il dopo lo dirò volentieri. Sono una garanzia di qualità Bach e Vivaldi.

-         Non tanti nostri contemporanei apprezzano quest’ultimo – si rammaricò Grégoire – continuano ad affermare che sia stato un eccelso violinista ma un compositore mediocre.

-    In effetti – espresse Bénédicte – prediligo indubbiamente Bach. Vivaldi, differenti volte, mi ha dato l’impressione di un’esecuzione che perpetuava gli stessi motivi.  

-         Non sono d’accordo,  cara. Io ho notato una grande leggerezza e vitalità dinamica. Non dimentichiamo che Bach debba molto a tutto questo repertorio.

-         Su molte opere di Vivaldi – intervenne Cosimo – ero all’inizio scettico, invece dopo aver assistito a diversi concerti di camera e sinfonici mi sono ricreduto!

-         Ognuno avrà lo spazio che merita – rise Oriane – seguiamo il suggerimento di Judith.

Sollevò il violino posandolo tra la spalla e il collo intanto che la sorella aggiustava lo spartito adagiando le dita sulla tastiera del pianoforte.
L’arco salì immediato e tonante, come se i fiori avessero anticipato la nascita dei germogli . Il pianoforte scandì i voli e le zampettate degli uccelli che si scontravano dolcemente sulle superfici acquatiche o sulle foglie. Le vibrazioni divennero ventose, corsero forti simili a tanti pesci che nuotavano in fiumi rapidi e bruschi e poi tornarono,  spensierate e allegre,  per quietarsi e lasciare spazio all’altra stagione.
François si sentì sprofondare in una pace stupefatta: conosceva quel celebre brano, ma sentirlo dopo tanto tempo lo rendeva commosso dentro, felice delle eufonie che lo riabbracciavano alla maniera di un bambino che faceva capolino all’entrata di casa. I fracassi delle armi da fuoco e i cupi suoni tribali dei pellerossa gli avevano reso estranea la sua Europa, tutti i suoni famigliari , centenari.
Ad accomodare il giaciglio ancora di più  sovvenne l’aria di Bach.
La musica principiò dolcemente spontanea , priva di lentezza ed eccessiva velocità…le corde dell'arco fecero sbocciare le note da un’acqua tremula e serena, mentre l’ arrangiamento del pianoforte accompagnava l’andamento con passi grevi e delicati scandendo un sottofondo cristallino.
Conclusa in un tenue bagliore la sinfonia, si concesse spazio esclusivo a Judith con l’indomita Toccata e fuga in re minore. Non ebbe bisogno dello spartito poiché conosceva a memoria la giovanile composizione di Bach.
Drizzò tranquilla la schiena e sdraiò le dita sulla tastiera del piano con la naturalezza di quando ci si appresta ad aggiustare le pieghe di un lenzuolo. Non vi doveva essere alcuna increspatura nell’inizio.
Ci fu  silenzio e poi la scintilla.
François ascoltò ogni movenza delle braccia di sua moglie. Era sempre stata un’anima apparentemente placida ma nei balzi e nelle giravolte rischiose delle note affiorava una corritrice incredibilmente scapigliata e poco incline alle norme didattiche. Nel terreno della musica venivano a galla curiose differenze con Oriane: quest’ultima, estroversa, schietta e riluttante ai comandi , diventava,  col violino , mansueta quasi inconsciamente rientrasse in un recinto di autodisciplina ; la sorella minore,  al clavicembalo o all’organo della cappella del collegio,  aveva fatto intimorire le badesse. L’intelletto serafico ardeva all’odore fosco e brillante dei pedali , delle canne di metallo o del complesso intreccio di corde…
Il generale notava il modo in cui si slanciava  da un tasto all’altro , pinzando con ruvide carezze le note più alte e percuotendo elegante quelle più gravi. Era uno sfarfallio di libellule. La velocità veniva tradotta da quelle mani delicate che sapevano rendersi d’acciaio domando dorsi di cavalli selvaggi o toccando quelli più docili. Uno scavo di falangi sicuro e da falco pose fine all’esecuzione del pezzo.
Seguì uno scroscio di applausi e complimenti: Samuele batteva allegramente le mani per  tentare di fare più rumore del padre, Bénédicte, intransigente alle variazioni degli arrangiamenti, sembrava tranquilla e soddisfatta.  

-         Magnifico, Judith –apprezzò François – devi darci un’altra dimostrazione! Cos’hai tra le composizioni originali ?

La donna sorrise composta all’infuori, ma profondamente felice nel cuore. La musica era riuscita ad attrarre la nave del marito nella baia ormai congiunta a lei.

-         Dunque…- passò in rassegna gli spartiti - a parte qualche lavoro incompleto a cui sto lavorando, ci sono produzioni di anni fa…questa è rimasta senza titolo, questa è Passi di pioggia , questa è Sonata in sol maggiore ….

Oriane raccolse alcuni fogli che erano caduti. Li sfogliò e all’improvviso una favilla rese grigio cristallino i suoi occhi :

-         Oh, sorella! Guarda ! Te nei sei proprio dimenticata!

Judith prese in mano quel vecchio pentagramma: aggrottò la fronte,  e  fece guizzare in alto le sopracciglia…un moto d’imbarazzo e riso.

-         Cielo! E’ materiale primitivo!

-         Di che si tratta? – domandò il generale.

-         L’attraversata di Febo…la realizzai da adolescente…rabbrividisco se penso a quell’ accozzaglia di note che osai fare!

-         E’ il brano che suonasti…al nostro primo ballo…

-         Giusto! – sollecitò Oriane picchiettando l’avambraccio della sorella- A maggior ragione, lo devi eseguire per tutto l’uditorio.

-         Obbedirò  solo perché è un desiderio di mio marito.

 Cosimo si strofinò il mento con sorriso d’acqua  frizzante :  

-         Fu , allora, un brano galeotto!

-         In un certo senso sì, caro – gli spiegò la sposa - però bisogna precisare che i veri galeotti sono state persone in carne e ossa.

-         Che cos’è galeotto? – interrogò Samuele stupito da quel suono tondeggiante  che gli ricordava un appetitoso dolcetto di panna e caramello.

-         Non te lo posso spiegare ora, amore – rivelò la madre accostandosi – te lo dirò quando sarai più grandicello…

-         La memoria non t’inganna Oriane – sospirò intanto Judith attraverso una piccola smorfia di sopportazione - Quella sera a villa Blanchard. Mi ci hai letteralmente trainata!

-         Se non fosse stato per me non avresti : primo, avuto il coraggio di esibirti in pubblico con la tua composizione…

-         Senza alcun preavviso,  mi sono ritrovata  uno spettacolo fuori programma…

-         Lasciami concludere! Secondo punto ( il più importante ) hai fatto la conoscenza di un giovane ufficiale che ora è Generale.

 

  

Dagli appartamenti privati ove alloggiavano i conti de La Seigne, a Versailles, proveniva un intenso  sfrigolio di voci e suole di scarpette. Nella stanza delle due fanciulle sbalzavano tra le mura piagnucolii e rimbrotti tra una spazzola che cadeva e il mugolio di cassapanche che venivano aperte.

-         Accidenti a te, Oriane!- sgridò Judith -  Sta sera non mi andava di partecipare a questo evento!

-         Un baule pieno di ferramenta sarebbe più leggero da trascinare.

-         Mi conosci! Detesto  questo genere di ricevimenti!E poi perché ti sei messa d’accordo per farmi esibire nell’orchestra dei Blanchard….

Una delle serve allacciò il corpetto della ragazza , togliendo  quasi il respiro al torso sottile. Un’altra cameriera più anziana appurava che la biancheria intima fosse ordinata e discreta sotto il panier, l’impalcatura in stecche di balena che doveva sorreggere il drappeggio della gonna. Oriane, che indossava un vaporoso vestito celeste di taffetà   , si muoveva per la stanza con la leggiadria di un cerbiatto , valutando gli accessori  per l’abito della sorella. Sul letto era disposto un raffinato andrienne rosa opaco decorato da  una minuta tessitura di ricami floreali blu.    

-         Cara – bofonchiò scegliendo i fermagli per capelli più adatti -  basta già l’allodola impagliata nello studio di papà a stare zitta e immobile!

-         Odio i cambiamenti di programma! Non sapevo nulla di quello che ti svolazzava nel cervello!

-         Se non ci fossi io staresti a marinare nella tua teglia d’aglio e aceto come un’acciuga anemica.

-         Oriane. Io non sono te. Un giaguaro che si getta a capofitto nella jungla e ruggisce e mostra gli artigli.

Le due cameriere presero a vestirla sbalzandola  da una parte all’altra alla stregua di una piccola ape immischiata tra i panneggi di  una tenda.  

-         Sai emettere le nenie che facevi da piccola – cantilenò la sorella maggiore -  quando non riuscivi ad arrampicarti su un alberello di melograni! Neanche avessi dovuto scalare una sequoia! 

-         È che…è che…insomma mi sento non molto diversa da quei candelabri di bronzo sulle pareti!

 Judith si guardò al lungo specchio della camera dal cornicione di ottone che imitava edere di vite…Aveva il viso imbronciato, rughette che marchiavano il centro della fronte e i lunghi capelli castani ancora scomposti alla maniera di una bambina che aveva giocato in un fienile. Il contrasto tra l’eleganza dell’andrienne e l’ aria scontrosa e offesa era buffo.
Oriane si accostò: possedeva ben altra presenza…Nonostante emanasse pepe effervescente era proprio donna nel suo abito e nell’accurato tupè con lunghi riccioli laterali e persino un’audace frangetta.

-         Judith. Sei una delle dame di compagnia della regina. Hai sedici anni e ormai la soglia di questo ingresso l’hai varcata. Devi analizzarlo in ogni suo antro e…aguzzare la vista!

-         Cielo! Ti sembra appendere gli occhi a ogni nobile che cammina nella nostra circoscrizione ?

-         Sorellina, da quando hai compiuto quattordici anni, avrai danzato con esemplari maschili della fauna nobiliare cinque o sei volte.

L’adolescente  si voltò, gesticolando col braccio e indicando con mano seccata il proprio volto:

-         Non mi asfissiare! Sulla mia fronte non è inciso il responso della sibilla delfica!  Se non mi sposo entro l’anno prossimo non sarò destinata ad una grama vita da zitella!

Le pazienti cameriere la fecero accomodare alla toilette per pettinarla e preparare l’ acconciatura mentre Oriane assunse un ghigno grottesco e spettrale come quelli che mimava da bambina e che la madre trovava sconvenienti per damigelle compite.  

-         Ih!ih!ih! ricordi la vecchia Clotilde? - gracchiò ruvida -  Quella nonnetta tartarugosa e  dall’incarnato di fiele?

-         Per favore! Ora ti metti a raccontare…

-         Rimembra, sorella, la vicenda di quella donna inumata nella sua casa salata dall’oceano e dalle velenose amarezze. Ah…con il corredo, un tempo candido e soffice, ora gelido , indurito e lasciato alle mandibole delle vili tarme…

-         Basta, Oriane!

-         Il timore ti avviluppa le membra e la mente, eh?

-         Se pensi che possa sotterrare me medesima,  sbagli enormemente.

La sorella maggiore ridacchiò facendo tornare il viso alla squisita grazia smaliziata.

-         Lo devi dimostrare, tesoro mio – predicò -  È impossibile registrare e valutare fenomeni atmosferici se non si manifestano.

-         Quale turbolenza potrò mai creare?

-         Ascolta, la questione non è stipulare nozze fra tre o sei mesi uno o sette anni…Dovresti conoscere più gente per selezionare amici o amiche e magari valutare i giovani che ti interessano. Il tuo pianoforte è un ottimo mezzo per metterti in luce!

-         Non so…è che davvero vorrei evitare messe in scena compassionevoli e imbarazzanti…insomma fare la particina della fanciulletta che si aggira pallida e triste…oppure una smunta musicista ammattita dallo studio…ecco mi auguro di non tradire una tale impressione!

Mentre le serve le legavano all’estremità una matassa di boccoli, la giovane, sta volta più protettiva,  le immerse un fermaglio a forma di rosa bianca che parve illuminare la carnagione intimidita.    

-         Judith! Non dirlo manco per scherzo! Non appartieni al circolo delle ragazzotte disperate in cerca di  cavaliere! Sei soltanto…molto riservata e composta e vai bene in questo modo. Esistono gli uomini che ammirano le ragazze discrete ed eleganti, non temere…Evita, tuttavia, di stritolarti troppo nella taciturnità! Sorridi finemente ma non abbozzare sorrisi…appariresti identica ad un bastone d’ottone per tende. Uno perde il gusto di corteggiarti e approfondire la tua conoscenza. Ovviamente è sbagliato l’opposto. Ridere chiocciando , inarcando troppo la schiena per far emergere certi rilievi collinari. Ecco…quello proprio no. Chiacchiera sì, ma non ammorbare le orecchie con poemi omerici sulle tue fissazioni e dettagli …Non svelarti eccessivamente.

-         La tua morale oraziana rifulge anche in queste occasioni…il problema è che tu sei capace di nuotare in questo lago senza sbattere goffamente i piedi. A me non pare naturale.

 

 

Judith avvertì le parole adolescenziali confluire, in un’inconsapevole simbiosi, nel racconto del marito.

-         Quella sera ero più che indisposto! –affermava enfatico -  Mi vedevo rosolare nell’intimità della rabbia! Nessuno  poteva parlare di divertimenti e bisbocce varie, figuriamoci dei balli!

-         Beh, François – rispose il cognato -  personalmente gradisco le piccole feste con buona musica e buona compagnia . Le danze non mi dispiacciono però niente mascherate!

-         Confesso che non ho mai partecipato a un ballo di carnevale organizzato dal nostro re – sospirò Grégoire grattandosi una guancia -  poiché per me l’imbarazzo è molto. Mi preoccupavo sempre di architettare una scappatoia per declinare gli inviti.

-         Ah…le mascherate – emise un soffio di disappunto Bénédicte -  Scempiaggini di colori e recite inconcepibili. La sovrana di Russia, a quanto pare, si diletta nel promuovere serate scandalose in cui gentiluomini si vestono da donne e le dame da cavalieri. Bah!

-         Contessa – dichiarò con coraggiosa soggezione il napoletano -  non so se sia più vergognoso per un uomo costumato, agghindarsi da donna o da pennuto ibrido ( misto di gallinaccio e cinciallegra ) a causa di una scommessa perduta.

-         Non mi era accaduto qualcosa di simile, Cosimo – lo consolò François - in compenso temevo di trovarmi chiuso in una gabbia di uccellastri chiassosi!

 

 

 
Se avesse spalancato le fauci ,  il salone da ballo sarebbe stato abbrustolito dal suo refolo lavico.
François emetteva nubi vesuviane dal naso, dalle orecchie, dagli occhi.

Odiava i lampadari di cristallo.
Odiava i pavimenti laccati di melliflue venature vegetali.

Odiava i riccioli barocchi dei capitelli delle colonne.

Odiava i soffitti  popolati da divinità che lo deridevano.

Sarebbe stato bello quella sera, fumigare in santa pace tra le rassicuranti mura di casa…
Cena alle otto, lettura di un buon libro fino alle dieci e mezza e poi a letto, per scordare i succhi gastrici che bruciavano i malumori  della giornata.
Sventuratamente, all’ora del vespro , Blaise ed Etienne erano piombati a Villa de Jarjayes con sorriso vampiresco riferendo che villa dei conti di Blanchard si sarebbe svolta una serata di gala .
Il sergente, già comodamente in tenuta casalinga, aveva declinato l’invito pronto a congedare i molestatori a suon di pedate sul deretano.
Sapeva che quel duo di demoni lo doveva  costringere al supplizio di una festicciola broccata e giuliva.
Dopo un duro combattimento, il leone era uscito sconfitto e  inamidato da capo a piedi grazie alla premura della servitù.

Ora si trovava proprio a palazzo di quei nobili vestito con l’alta uniforme di raso pesante dalla giacca blu e col giusta corpo e pantaloni bianchi. Le spalline d’oro gli rendevano le spalle ancora più cubiche e le mandibole contratte si armonizzavano cuboidi e stirate. I capelli mossi , pettinati alla bell’è meglio, lasciavano intirizziti alcuni pelicchi che trasportavano all’esterno l’elettricità nervosa.

-         Mio buon François, scommetto che la tua  aurea ilare  farebbe invidia persino a Caronte.

Blaise , sorridendo,  si era affiancato all’amico facendo un’ironica ramanzina. Anche lui indossava la divisa di gala ma la portava con garbata disinvoltura. Lasciava luccicare le medaglie quasi fossero fiori dorati sbocciati in modo spontaneo sul suo fusto. I bei capelli rosso scuro erano ordinatamente acconciati sulle spalle, morbidi e spumosi di lavatura.

-         Chiedo scusa, principino sfavillante – replicò bisbetico  l’altro sergente – se ricordo bene, non avevo dato il consenso al mio rapimento! Potevo farne a meno sta sera di spettacoli zoologici!

-          Arcuare la boccuccia all’insù, non costa erculea fatica…ti aggiri per il salone tale e quale ad uno spettro! Tra poco la gente farà gesti di scongiuro.

-         Che dovrei combinare, Blaise?! Iniziare a lanciare boccioli in aria saltellando e cantando?!

-         Non dico che tu debba volteggiare come un drogato bacchico, ma almeno alleggerire l’espressione…

-         Cosa diamine dovrei alleggerire?!

-         Sai, penso che neanche un fulminante diabete t’ addolcirebbe l’acidume nelle vene.

S’intromise tra i due un adolescente dai capelli corvini e lunghi che sprizzava verve da tutti i pori, vestito da uno stravagante completo verde che disperdeva aroma di frutti esotici. 

-         Su, fratellone! Blaise ha ragione! Hai un grugno più rugoso dei gargoyle di Notre Dame!

François afferrò Etienne per il gassoso jabot candido.

-         Noi non dovevamo essere qui, caro pappagallo  smeraldino!

-         Oh…per l’artrosi di Matusalemme! – sbuffò il fratello spintonandolo-  cominci a fare il pentolone schiuma-querele?!

-         Tu sei fresco fresco di espulsione dal Collegio dei Gesuiti, mentre io sospeso dal servizio militare per tre mesi! È solo per questo muso maculato che siamo finiti  qui!

Blaise incrociò le braccia sul petto: una delle poche cose che non tollerava sin da piccolo erano gli appellativi ironici alle sue lentiggini che lui stesso non sopportava.

-         Ehi! – ribatté - Dovresti ringraziare che io abbia prelibate conoscenze tra le beltà dei fiori cortigiani!

-         E sai che fiori impollinati…

-         Non sono un lenone! Semplicemente ho detto che conosco alcune dame di compagnia della regina!

Etienne tornò alla riscossa assumendo una smorfia di fanciullesca buffonaggine: 

-         François, ma hai diciotto o settant’anni? Ammorberesti persino gli evangelisti, Gesù Cristo e gli arcangeli!

-         Siamo de De Jarjayes! I leoni della corona da generazioni!

-         Appunto! Siamo leoni dotati d’audacia!

 Il sergente si mise una mano in fronte sollevando al cielo uno sguardo da martire.

-         Siamo leoni che devono avere l’audacia di non finire nel fango davanti al re! Lui sa cos’abbiamo combinato!

-         Non dobbiamo temere le lingue biforcute dei serpenti e delle vipere che strisciano qui! Proprio perché ce ne infischiamo dei pensieri degli altri! Osare, conquistare, regnare!

-         Io ti…

Blaise trattenne il balzo da belva di François con l’abilità di un domatore da circo. Gli circondò le spalle scrollandolo come un tamburello.  

-         Coraggio amico , ci sono damigelle ansiose di conoscerti! Approfittane…l’alta uniforme non giova soltanto nell’esercito…fai brillare bene le stellette. 

-         No, grazie…non sono foraggio per  giumente!

-         Ecco….- lo stuzzicò Etienne dandogli una gomitata nelle costole - sei il solito erotofobico…

-         Io rimango coi piedi per terra a differenza di certi farfalloni a domicilio!

-         Risparmia le scintille per le colombelle che attendono di essere messe sulla graticola!

-         Quale intruglio mefistofelico vi frulla in testa?!

Blaise tondeggiò gli occhi identico ad un bimbo che chiedesse spiegazioni su un qualcosa di scandaloso.

-         François…non sarai per l’amore….socratico?

-         Macché amore socratico e socratico!

-         Beh, Socrate affermava “ io so di non sapere”…

-         Sodomita?! Giammai!

Etienne diede una pacca sulla schiena poderosa del povero sergente.

-         Allora apposto!  Ho detto di avere un marcantonio di fratello dagli splendenti occhi blu e dallo spirito ardente!

-         Non c’era bisogno di decantarmi…

-         Ci penserai tu, François, a dare conferma delle nostre lodi!

-         No! Resto qua!

Blaise lo prese energicamente:

-         Suvvia, abbatti il tuo fortilizio e mostra la cittadella del cuore! Non ti ha insegnato nulla l’amor cortese? Siamo cavalier  anche noi!

-         Andate cortesemente alla malora!

 François era allergico alle feste e malauguratamente non vi era scampo a quell’incubo avicolo. Il cervello gli esibiva , tramite  una lente  iperbolica,  le specie volatili che affollavano il salone da ballo. Nugoli olezzanti di gallinelle razzolavano attorno al gallo di turno dal petto rigonfio e colorato. Vi erano poi gallinacce burrose che speravano ancora di attrarre poiché non accettavano di finire nel brodo. Non mancavano albatros incapaci di  reggere ali di sbruffonerie troppo grandi per goffe zampe. Tacchini di superbia intellettualoide discutevano animatamente mentre piccioni dallo sguardo di tonda ottusità ascoltavano senza capire davvero.Dovunque lo sventurato posasse lo sguardo avvertiva il cicaleccio di becchi che gli perforava le tempie.

-         Finalmente Sergente de Jarjayes…siamo molto liete di aver l’onore della vostra presenza.

Bene: le colombelle. Avrebbe messo in padella quei fagiani di Etienne e Blaise a fine serata.  Ora era obbligatoria una recinzione contro i lisciamenti muliebri.  Il sergente constatò che fossero fanciulle molto belle che trasmettevano un’inevitabile fascinazione.
Una, vestita di blu cobalto,  aveva una capigliatura corvina legata da grosse trecce e che sfavillava preziosa  sulla carnagione chiara. Era la maga Circe. Un’altra, che ostentava un abito arancio,  possedeva un’impalcatura di riccioli ramati e un rossetto esasperatamente cremisi. Pareva una bambola troppo pitturata. La terza, dallo sguardo languido e umido, portava una grossa e attorcigliata cascata di crini biondo scuro che imitavano i drappeggi del vestito color crema. Probabilmente credeva di appartenere alla cerchia delle  ninfe di Bacco. 

-         Sarebbe stato un sincero dispiacere non potervi conoscere di persona – riprese la Circe -  Rochebrune ed Etienne ci hanno raccontato del vostro animo illuminato di incandescente giustizia.

-         Non provate alcun timore a difendere schiettamente i vostri diritti e soprassedere a ridicole etichette – pigolò la bambola rococò. 

-         Beh…- rispose il giovane -io sono stato semplicemente colto da un atto di sconveniente collera. Eh,stanchezza mentale…non mi sarei dovuto abbandonare ad un simile comportamento.

-     Sarete stato poco ortodosso – musicò dolciastra la ninfa -  ma non è necessario sconfortarsi colpevolmente. Avete dato voce a un legittimo dissenso.  Vi siete impegnando faticando corpo e spirito perché siete determinato e onesto. 

-          Vi siete  presentato  fiero ! – spumeggiò la cortigiana ricciuta. 

-         Questo è grazie a loro - stiracchiò un sorrisetto il sequestrato indicando i sequestratori – mi hanno invitato  e…vivacemente esortato a venire….

-         È così che bisogna agire…- approvò Circe - è raro trovare un uomo della vostra tempra.

-         Chi sarà la prima dama a danzare con voi?- chiese la ninfa.  

-         Ecco signore, io…devo lasciare questo privilegio ai miei due amici…

-         Come?- si mortificò la bambolina-    Ci volete arrecare tale dispiacere? 

-         La riservatezza è  virtù ammirevole…- supplicò la mora -ma non è delittuoso partecipare a istanti di giocosità.

-         Sono costernato, ma i capogiri mi stanno assillando per mancanza d’ossigeno… vado a prendere una boccata d’aria.

Marciando  impacciato e guerresco, come avesse un bombardino nell’esofago, François si diresse verso la finestrata ad arco che volgeva su un’immensa balconata di pietra. Prima di uscire dalla vetrata s’inciampò sul piccolo gradino del terrazzo.

-         E’ un tantino spigoloso il nostro sergente – fece sprezzante la ninfa.

-         La rigidezza marziale lo rattrappisce fino alla punta dei capelli! – ridacchiò la Circe.

-         Ci ha guardate neanche fossimo mostri spaventevoli – si mise a braccia conserte la damigella tinteggiata.

-         No, care amiche – scherzò la bruna -  il nostro giovane ufficiale è probo di mente e di…carne! Poveretto!

-         Quindi – finse di riflettere la naiade  - non saprà descrivere il profumo di una bella chioma o di una pelle levigata.

Tutti risero ma Etienne e Blaise, che avevano poi sinceramente a cuore François , cercarono di valorizzarlo :

-         Pazientate, fanciulle – pregò Etienne – François esterna  la scorza di un orso, spande il ringhio di un lupo  e ha la pazienza di un leone in gabbia. Dietro questa composizione chimerica di bestie da selva , è veramente tenero e gentile. Bisogna prenderlo per il verso giusto.

-         Sì, non è per nulla facile – continuò l’amico – io che lo conosco da alcuni e anni e tu che sei suo fratello, fatichiamo a sollecitare il meglio di lui. Abbiamo, fortunatamente,  visto questa parte brillante. E’ nascosta però esiste. Certo alberga in una testa di piombo….

 

 Per alcuni attimi François venne ricondotto al presente dalle voci di Oriane e Judith che stavano trovando la maniera di iniziare il nuovo brano:

-         Coraggio, Oriane ! L’accompagnamento del violino mi è indispensabile per riprendere confidenza con l’adagio…

-         Ma non potrei rivelarmi più un’interferenza rischiando di appesantire l’apertura?

-         Assolutamente no. Anzi il tuo arpeggio si connette con l’ingresso del pianoforte…ti sto dicendo che seguiremo  la seconda versione de L’attraversata di Febo !

-         Penso sia indubitabile la soluzione di Judith – insistette Grégoire – le composizione dei duetti le sono sempre riuscite armoniche anche se parecchie sono per clavicembalo o piano solisti.

-         Ricordo addirittura – riesumò François - un duetto con l’arpa e un altro con il mandolino…il primo lo eseguì assieme a Etienne e il secondo a Damian.

-         D’accordo- si decise Oriane riprendendo in mano il violino – allora avrò l’onore di rispolverare per prima la vecchia storia di questa sonata!

Sorridendo cominciò un delicato arpeggio che diventò sempre più argentino e cadenzato…

 


-         Fratello! –sollecitò  Etienne uscendo dalle finestrate – animo! Rientra!

-         No – pronunciò burbero l’altro – mi godo questa postazione senza cicalii e profumi che attentano lo stomaco.

-         Favoloso. Preferisci fare monologhi davanti ad una platea di pipistrelli, gufi e barbagianni… Perché non ti ha accolto una congrega di becchini?

-         E tu perché non fai il saltimbanco circondato da babbuini?

Etienne lo ghermì per un braccio costringendolo a una piroetta destabilizzante.

-         Toglimi di dosso le tue zampe da scimmia! – vociò il guerriero.

-         Piantala, cervello di muflone! Tra poco si esibisce il primo pianista! Tu ami i concerti!

-         Sì, ma non all’interno delle aie!

L’ adolescente ormai l’aveva ricondotto nel salone pungolandolo in avanti. Blaise e le tre Esperidi cercavano di trovare una buona posizione per vedere meglio l’orchestra.

-         Oh , finalmente! – ridacchiò piano l’ufficiale – il nostro borbottone ramingo è tornato in società!

-         L’ho dovuto rimorchiare di peso! – sottolineò Etienne – se no si sarebbe mimetizzato con la boscaglia notturna.

-         Giuro …- ringhiò François – giuro che dopo il concerto giro i tacchi e filo a casa!

-         E smettila di fiatare,trombone! – rimbrottò Blaise – lascia che gli archi e il pianoforte accordino la loro musica...   

Il sergente si aggiustò nervosamente il colletto della giacca,  scrollò via dalle maniche un’invisibile polvere batterica e si scostò in malo modo dalla fronte un ciuffo impertinente. Alcuni signori di mezza età scambiarono,  a bassa voce ,  qualche commento altezzoso e sarcastico che lui captò con gli orecchi propensi prudentemente sempre al male. Lanciò un’occhiataccia a quei paperi sputasentenze con l’intenzione di rendere pan per focaccia però fu prontamente dissuaso dalla musica. Le note lo trasportarono con tranquilla e gaia gentilezza verso l’orchestra.

 

Judith s’inserì dolcemente tra le insenature del violino, assumendo connotati sempre più freschi…Le dita si muovevano a tal punto svelte ed eteree che non sembrava toccassero i tasti…
Il generale la rivide, sovrappose l’immagine dell’adolescente che da nebbiosa mutò in splendente materia…

 

Notò, a mano a mano che la sinfonia ascendeva, lo squillante e delicato rumore di passi del piano forte che s’innalzava impetuoso al di sopra degli archi. Sembrava imitare i balzi pieni di spuma di un delfino che rompeva in alto e in basso le onde…o un carro…Sì…un galoppo, un ritmo di zoccoli celesti che trainava la biga di un dio. Poteva afferrare la luce solare perché ogni nota acuta, ogni nota grave componeva i differenti raggi della chioma di Apollo. Così incontenibili eppure leggerissimi…
Dalla prospettiva in cui si trovava, non riusciva a intravedere bene l’artista…Scorgeva solo una matassa di capelli mossi. Avanzò tra gli spettatori e ne contemplò finalmente l’aspetto: una fanciulla.
Sorprendente…

Dall’elegante energia delle mani poteva essere scambiata per un giovane uomo. Il sergente restò intinto in una piacevole confusione. Considerò che fosse piuttosto magra: il gioco delle luci tracciava lievi ombreggiature sotto le clavicole mentre gli avambracci , dai polsi piccoli, contrastavano con le rotondità dei merletti delle maniche. Il vestito andrienne, fine e ricamato, lasciava cadere dalle spalle sottili un tenue manto e il corpetto restituiva al busto un diametro così affusolato che il piccolo seno pareva quasi inesistente. François si chiese se quella ragazza digiunasse giornalmente o  fosse un angioletto pronto a frantumarsi da un momento all’altro. In che modo riusciva quel collo pallido e longilineo a sorreggere l’acconciatura dei  boccoli? Doveva ammettere che comunque il fermaglio bianco a forma di rosa la rendeva proprio graziosa…un po’ evanescente ma carina. Il viso era un disegno luminoso: composto ma trascinato dall’amplesso del ritmo. Il naso e la bocca facevano volteggiare sulla pelle i chicchi di luce dei lampadari dando l’idea di lacrime incostanti e mute.

Al termine del pezzo, tutti applaudirono colpiti. La fanciulla si alzò incoraggiata dai padroni di casa e s’inchinò un po’ intimidita. La sua figura apparve ancora più sottile e bambinesca nonostante non fosse esattamente di piccola statura.
L’ufficiale  aveva applaudito serio in volto ed enormemente convinto. Era in grado ancora di vedere le note sfarfallare nell’aria simili a fiori di pesco.

-         Accidenti ! – riconobbe Etienne – allora è vero, Blaise, quello che si dice su di lei. Pensavo  si trattasse di un musicista bravo sì, ma sopravvalutato. Insomma una bravura comune e invece…

-         Secondo ciò che ho sentito  – seguitò l’altro – non sarebbe dovuta venire alla festa. È stata una sorpresa questa esibizione conoscendo il suo carattere.

-         Sì – rispose la Circe con arietta di sufficienza – a Versailles l’avremmo vista pochissime volte passeggiare nei giardini o giocare le domeniche. Esiste il sospetto che sia una sorta di fantasma…

-         Sì – sostenne la bambola laccata – magari possiede l’abilità di murarsi viva. Ma in quale maniera crede di poter vivere a corte quell’uccelletto che compare e scompare?

Incuriosito , François chiese:

-         Chi è la fanciulla? Conosciamo la sua famiglia, Etienne?

-        È una delle figlie dei Conti de la Seigne. Si chiama Judith Emile Marguerite. Appartiene alle damigelle di compagnia della nostra regina. Non ho mai avuto modo di parlarle direttamente visto che è parecchio riservata e taciturna. In compenso mi è capitato di incontrare il padre, il precettore reale Grégoire Isaie. Una persona garbata, brillante e nobile come se ne trovano poche.

-         La figlia maggiore, Oriane – continuò Blaise – è lì. È quella giovane coi capelli scuri  vestita di celeste. Oltre che un autentico splendore , è  amabilissima ,sagace e ci sta davvero stare con le persone. La piccola Judith non sembra trovarsi a proprio agio. Eppure , grazie al talento e all’ eleganza, sorgerebbe ancora più squisita. Certo, è notevolmente…snella.

-         Snella? –ironizzò la Ninfa – è talmente mingherlina che un alito di vento invernale se la trascinerebbe via!

-         È una fanciulla affascinante – controbatté Etienne – è proporzionata, possiede un bellissimo viso e sa suonare divinamente! La regina si circonda di persone che valgono! Ha composto un brano che ha i toni dell’improvvisazione e al contempo un calcolo spontaneo ma senza  arzigogoli didattici.

-         Concordo – rinforzò Blaise – non aveva proprio nulla da invidiare agli altri musicisti più grandi di lei. Ha tenuto testa a tutti. E’ emersa genuinamente.

François ascoltava ammutolito e nello stesso tempo non perdeva di vista Judith che stava parlando con la sorella…La  scrutava ,la testa di vuota levità, tranquillo e interessato.  Il cuore non gli palpitava violentemente ma restava a monitorare scrupolosamente i suoi movimenti …Da un lato avvertiva una strana soggezione che lo costringeva a rintanarsi nella propria conchiglia spigolosa, dall’altra un fuocherello gli bisbigliava di trovare un po’ d’audacia e farsi avanti.
Chiedere di danzare…Un gesto semplice ma troppo galante per un ritroso per nulla avvezzo a quei rituali. Per non parlare di lei che sembrava stesse escogitando un modo per volare via oltre le finestrate del salone.

Un’accoppiata comica un ragazzo e una ragazza  con lo stelo rivolto al suolo identici a  graminacee sbattute dalle correnti.

-         Fratello – sghignazzò Etienne – stai imparando a tendere gli occhi come una canna da pesca?

-         Effettivamente – rise volpone Blaise – è da un po’ che stai stralunato a fissare madamigella Judith…

-         Vi piacciono le fatine rarefatte, sergente ? – chiese la Ninfa scatenando i risolini delle altre amiche.

-    Io…io…stavo of…- s’impappinò infastidito il giovane – uff! volevo soltanto sapere con quale repertorio si esibirà l’orchestra….

-         Certo, certo – lo burlò il fratello minore – sei curioso di vedere quant’è bella la pianista da vicino.

-         Io non sono un calabrone ronzante!

-         D’accordo, vecchio mio – lo stuzzicò l’altro ufficiale – resta appeso alla noia uguale ad una caciotta ammuffita.

Punto dall’arpione dell'irritazione e dell’orgoglio, François abbandonò il gruppo intenzionato a chiedere un ballo a damigella de la Seigne. Si scontrò in malo modo con dei gentiluomini senza chiedere scusa : in quel momento tutti erano  pericolosi rivali  che potevano mandare a monte la missione. Nel momento in cui oltrepassò il gruppo dei musicisti ,,la ragione lo irrigidì  peggio di prima.
Sentendosi ridicolo, s’inibì e camminò cautamente fingendo disinteresse e mostrandosi il doppio più ridicolo.  Judith, infatti, lo stava esaminando  profondamente imbarazzata.

-         Oriane – chiamò piano – stai vedendo quel comandante?

-         Sì…- sorrise spiritosa– è il sergente François Augustin de Jarjayes.

-         Ricordo, cielo! La famiglia de Jarjayes! E’ il militare sospeso dall’esercito?

-         Esatto! – rise alla fine l’altra ragazza  coprendosi la bocca – è quello che ha steso con un pugno sul muso il nipote del cardinale Fournier! È un temibile atleta, sai?  

-         Che faccio? Sembra che abbia intenzione di invitarmi a ballare...si sta spostando nella mia direzione.

-         Beh…considera il lato positivo: è alquanto bello, alto, imponente …mica un esemplare scalcagnato come quelli con cui ballasti gli scorsi anni.

-         Emh…sì…non gli manca nulla ma…m’inquieta un tantino. È  strano.

-         Ti do ragione: agilità e morbidezza da bufalo delle praterie. Felino da salotto: zero . Però, secondo me, non è realmente un mostro mangia faccia. Ha soltanto i piedi di latta e la schiena calcarea. Forse se ammirasse più da vicino le tue lunghe ciglia si scioglierebbe fin dentro i tendini.

-         Oriane! – esclamò sottovoce l’altra ricolma di panico -  Non t’accorgi del suo viso? Sa di cenere e granate! Se gli pesto uno stivale mi folgora  mostrando i denti!

-         Esagerata! Si tratta di concedergli un minuetto. Un ballo! Nessuno ti sta ordinando di sposarlo!

François intuì da lontano che Judith si era resa conto della sua presenza, del suo deambulare inquieto e maldestro. In quei terribili minuti si fecero largo le paranoie più disparate: sembrava patetico? Un soggetto tanto impacciato da dar l’idea di uno tardo mentalmente? Oppure era stato scambiato per uno dai malsani appetiti che attendeva il momento propizio di toccare un’esponente del gentil sesso?
Il disgraziato moriva di vergogna e gli sovvennero le disavventure dei primi amori di ragazzino: si era infatuato timidamente di donzelle fini ma dagli animi poco garbati. A tredici anni venne respinto da una duchessina col nasetto spocchioso troppo sensibile agli odori del prossimo; a sedici anni era stato preso perfidamente in giro da una baronessa che prima lo aveva illuso e poi trattato alla stregua di un ebete.

D’accordo, non si definiva  innamorato, ma sentiva che si sarebbe avvilito se Judith lo avesse preso moralmente a schiaffi tenendo fermo il dolcissimo volto…
Quasi nessuno sapeva di quella sensibilità aggressivamente taciuta, diffidente un po’ verso tutti e verso le donne...Quel timore  che qualcuno potesse giudicare male o beffare la sua andatura...Nel petto brulicavano miriadi di fiamme insopportabili che gli alitavano pesantemente lo sguardo della gente…
Tuttavia il troppo era troppo , giunto sul trampolino doveva tuffarsi una volta per tutte! Al diavolo il pubblico!
Riprese  la camminata,  veemente e selvatico… riprese avvicinandosi a Judith. Lei lo vide fermarsi davanti, sollevando il mento con contegno severo. Pareva dovesse presentare le armi ad un capitano di pattuglia piuttosto che rivolgersi ad una donzella. Nonostante il brusco approccio cercò comunque di ammorbidirsi arretrando leggermente  il passo e inchinandosi.  Porgendo , lento e delicato, la mano destra chiese :

-         Madamigella de la Seigne, concedete a me, sergente de Jarjayes, l’onore di questo ballo? 

Ottimo. Dritto al punto senza formule di cortesia. Gran prova di galantuomo.
François pensò che , dopo il rifiuto di Judith , avrebbe chiamato una carrozza per tornare a casa lontano dal pericolo di ulteriori figure barbine.

-         Sì, sergente – rispose inaspettatamente la fanciulla trasmettendo  rossore e gentilezza – avrò il piacere di essere la vostra dama per il prossimo minuetto.

Il giovane, avvampato in tutto il viso , si eresse rigidamente e balbettò un tenero ringraziamento facendo scivolare sulla fronte i soliti ciuffi indomiti.
Lei sorrise , prima guardandolo negli occhi trepidamente e poi abbassando lo sguardo,  cercando di aggiustare  inesistenti pieghe fuori posto nei drappi della gonna. Si domandava agitata se avesse fatto bene a concedere quel ballo oppure se si fosse cacciata in una situazione terribilmente scomoda. Lanciò una rapida occhiata di aiuto a Oriane che invece strizzò  sorniona l’occhio. 

L’orchestra si concesse  una breve pausa per suonare il passo del minuetto.
Il dado era stato tratto.
François si mise alla destra di lei prendendole la mano. Avvertiva strana felicità e al contempo angoscia: le sottili dita della sua danzatrice erano leggere e precarie uguali alle zampe di una farfalla aggrappata alla corolla di un fiore. Trasmettevano morbidezza e il freddo della tensione.
Dal canto suo Judith percepiva  disagio ma si mostrava  incuriosita dalla mano grande e un po’ ruvida del  cavaliere. Ripensò  fosse bizzarro che con quella avesse tirato un pugno e con quella la guidava verso il centro del salotto con impacciata dolcezza temendo di recarle male.

I padroni di casa guardarono interessati la novella coppia di ballerini ,scambiandosi parole di ammirazione : finalmente i giovani più schivi della festa avevano deciso di prendere parte alle danze. Non scarseggiavano i nobili che canzonavano quella coppia di asociali dicendo che “ Dio li fa, poi li accoppia” oppure giudicandoli bambinetti dilettanti.
Etienne e Blaise ridevano sottovoce:  François era buffissimo impettito come un Lancillotto d’altri tempi ma soprattutto  si congratularono tra loro per aver strappato dalla tana il lupo della tundra.

Le coppie di danzatori si disposero in due ordinate file parallele e intanto  flauti e clarinetti presero ad aleggiare una sinfonia volitiva e vivace assieme ai violini.
François e Judith si misero l’uno di fronte all’altra guardandosi  preoccupati: non era un vellutato e semplice minuetto classico bensì un minuetto rondò italiano.
Il rischio di gaffe era assicurato specialmente in un ritmo abbastanza dinamico.
Il ragazzo, evitando di pensare alle disastrose lezioni di ballo  preadolescenziali ,cominciò: s’inchinò in maniera neanche maldestra, sufficientemente elegante.
Judith , rincuorata dal gesto, s’inchinò rispondendo delicata ma attenta a non sembrare legnosa.
I due si afferrarono per mano avvicinandosi e allontanandosi seguendo le battiture della musica. Ruotarono un po’ distogliendo gli occhi e un po’ guardandosi cercando di tenere ben viva la concentrazione.

Da prassi, la fanciulla s’interruppe flettendo leggermente il busto mentre il sergente le girò intorno : le ammirò velocemente la chioma e il mantello che  donava un’ aurea da lucente vestale.

Quando toccò a lei volteggiare attorno a lui , si concesse il tempo di studiare la sua postura e la sua schiena: Oriane aveva ragione. Era indubbiamente un giovane plasmato proprio bene munito di gambe slanciate e forti e spalle vigorose.

I due si presero nuovamente per mano passeggiando fianco a fianco e dopo si voltarono avanzando nel senso opposto. Dovettero al fine disporsi ancora una volta l’una di fronte all’altro ma leggermente  in diagonale facendo una mossa piuttosto giocosa: la ragazza si dovette flettere all’indietro mentre lui di fianco piegando lievemente il ginocchio.
Le loro espressioni assunsero un’aria così infantile e comica che  scattò il bagliore di un piccolo riso. Naturale. Furtivo.
Ripeterono le stesse movenze di prima più disinvolti e semplici . Nonostante i caratteri introversi , non riuscirono sta volta a fissare altrove. Trionfò un interesse mai provato prima: François si sentì accolto dall’ amabilità del viso di Judith e Judith si accorse che il viso di François non stava trasmettendo neppure lontanamente lampi scorbutici. Quelle iridi blu riverberavano di una tonalità robusta ricalcata dalle folte sopracciglia  eppure  osservavano deferenti senza osare sovrapporsi prepotentemente.
Al termine del ballo , il giovane si scusò aggiustandosi le ciocche impertinenti con tenue imbarazzo: 

-         Perdonatemi , madamigella de La Seigne…ahimè ho cercato di danzare decentemente.

-         Oh, non vi preoccupate – sorrise lei - avete eseguito i passi con molta finezza. Siete stato proprio abile.

-         Io…sono lieto che la pensiate così. Mi auguro di non avervi messa a disagio.

-         Ecco…no.

Lei calò il volto mettendosi apposto i merletti delle maniche: meglio cercare di affondare il rossoretra la selva dei ricami. Lui , temendo sempre di non essere all’altezza della “ politesse” , sfoderò l’arma dell'autocritica:

-         Non rappresento il fior fiore della cavalleria…nonostante appartenga ad essa. Me ne rendo conto.

      -         A essere sinceri…- riprese coraggio Judith - mi ha lasciato perplessa il fatto che mi abbiate chiesto di              ballare.

Sorridendo , un po’ punzecchiato dalla vergogna , il giovane si toccò un attimo il colletto della giacca e ammise:

-      Non frequento spesso la corte…e sono alquanto profano in materia di salotti. Sì, effettivamente, è eccezionale che un rozzo prenda l’iniziativa di uscire dalla propria catalessi.

-         Beh se è per questo , neppure io ballo tanto.

-         Io vi ho trovata agile e assai raffinata.

-   Grazie. Ma non gradisco stare per molto tempo al centro della scena…dopo che ho concluso un’esibizione devo tornare al sicuro nel mio nido…mi sento al pari di quegli uccellini che rientrano nel loro tronco d’albero.

Il sergente lanciò un’occhiata colma di accorata e sincera lode:

-         È improbabile madamigella che voi possiate nascondervi per bene se offrite musica bellissima.

 La ragazza si zittì sorpresa da una piacevole letizia. Chiese posando le dita sulle labbra quasi avesse paura di  rivolgersi  sfrontata:

-         Vi…vi è piaciuto il mio brano?

-         Tanto. Avrei terribili sensi di colpa se non vi avessi domandato di danzare…Sono stato immobile e rintronato durante l’esecuzione del vostro pezzo.

-         Mi riempite di gioia,  sergente. È una composizione personale a cui stavo lavorando da parecchio tempo.

-         Adoperate i virtuosismi barocchi ma non eccessivamente…- commentò serio il ragazzo - nel vostro stile c’è anche la ponderazione dei nostri melodrammi francesi. Siete una compositrice irregolare.

Judith si accorgeva che il viso di François prendeva una fisionomia più tersa e dolce . Parlava e effigiava sorrisi:  gli s’intravedeva una bella dentatura genuina che invitava sicuri confronti e confidenze. Stranamente lei  non si mostrò reticente a raccontarsi:

-         Quando frequentavo il convento, le badesse rimproveravano che mi avvalessi di contrappunti insoliti e a momenti disarmonici, quando invece sono stata introdotta a corte, le persone lamentavano un’eccessiva rigidezza. Così ho deciso di conciliare , in questi ultimi due anni, una linea classicista e una barocca. Trascorro più ore nel mio appartamento a studiare musica che a stare con le altre dame. La regina, tuttavia, s’interessa molto di me e incentiva la mia attività.

-         Beh, sul modo equilibrato di gestire le note mi ricordate André Campra . Ho assistito alla rappresentazione di alcune tragedie al teatro dell'Opera.

-         Oh! Infatti! È uno dei miei punti di riferimento! È stato maestro di cappella a Notre Dame più di trent’anni fa ! Le sue musiche sacre mi hanno dato modo di riflettere su alcuni miei esperimenti  un po’ troppo pomposi. Però le composizioni  di Charpentier restano insuperabili per le sue dissonanze e cromatismi che modulano silenzi per rimanere comunque rigorosi.  E dire che è stato ingiustamente criticato per quest’efficaci sperimentazioni.

-         Stando in tema di contrappunti gotici, immagino che abbiate ben presente Johann Sebastian Bach e Georg Friedrich Handel.

-         Sarebbe un oltraggio non conoscerli! Il difetto di noi francesi è che abbiamo timore di accogliere influenze esterne che ci sarebbero utili per far evolvere il nostro stile e dotarlo di maggiore flessibilità. Non amo i barocchismi estremi ma la classicità può essere sempre interpretare in chiave innovativa. Noto con piacere che ve ne intendete di musica…persino autori stranieri. Suonate qualche strumento?

 François rise un po’ costernato. Sperava di non deludere quella fanciulla che gli stava piacendo sempre  più.

-         Purtroppo no…Ho avuto un’educazione più che altro militare anche se la mia famiglia non disdegna per nulla l’opera sacra e profana. Mio padre e mio fratello maggiore Philippe sono più legati alle liturgie mentre il più piccolo Etienne è più intraprendente e compone ogni tipo di brano. Sa suonare benissimo l’arpa ma se la cava anche con il clavicembalo. Io…mi reputo un ascoltatore interessato. Se non fossi stato costretto alla carriera dell’esercito mi sarei gettato su un percorso letterario e musicale… Quando stavo a Berlino e a Napoli per dei corsi di formazione , approfittavo delle sere libere per andare ad ascoltare concerti , drammi o commedie.

-         Avete avuto modo di vedere il San Carlo? È stato inaugurato tre anni fa…

-      Ho avuto questa fortuna, madamigella e non sapete con quale fatica sono riuscito a entrare…ammetto che ero diffidente verso la musica italiana e in parte mi sono dovuto ricredere…certo alcune cose mi lasciano ancora perplesso specialmente riguardo a talune scelte di cantanti…uomini in ruoli femminili! 

-         Emh…i giovani che fanno concorrenza alle soprano?

-         Naturalmente madamigella!- criticò fervente l’ufficiale -  Scusate  la cruda schiettezza! Non riesco a capacitarmi che un castrato possa essere paragonato allo stesso  livello di una donna . Saranno abilissimi, ma ho la fastidiosa sensazione di ascoltare il canto di un cappone! 

Si misero a ridere di gusto in tutta vivacità e continuarono a chiacchierare a lungo. Si concedevano qualche ballo e poi tornavano a parlare, raccontare, ridere o lamentarsi di situazioni scomode per entrambi. Si stava ormai instaurando quell’empatia serena degli amici che si conoscono da tempo…i due ragazzi,  che all’inizio scalciavano dall’impazienza di andarsene dalla festa , conversarono fino alle tre di notte…Giunta l’ora si salutarono promettendo d’incontrarsi qualche mattina a Versailles o le domeniche a messa o in qualche altra occasione. Nel cuore albergava la leggerezza frizzante di chi abbia ricevuto acqua rinvigorente.

 

***§***

 

 Oriane aggiustò premurosamente le coperte al piccolo Samuele che era crollato dal sonno dopo aver giocato nel salone fino quasi alle undici. Di solito andava a dormire verso le nove e mezzo massimo dieci in punto ma in quella serata gli avevano concesso maggiore spazio di scorrazzate.  Tra gli interstizi delle ombreggiature calde e dorate delle candele, si scandiva il ritmo di una ninna nanna silenziosa. Quella cameretta , dalle pareti arancioni costellate di disegni di bacche,  comunicava direttamente con la stanza matrimoniale dei genitori. Un tempo era stata uno studiolo connesso ad una piccola biblioteca che aveva cambiato la sua originaria funzione in seguito ad un’esigenza logistica di ampliare e trasferire gli scaffali dei libri .

-    Mi stava quasi per cadere – sussurrò scherzosa Oriane – è sempre un’impresa svestirlo e mettergli il camiciotto da notte!

La sorella sorrise mentre ripiegava i vestiti del bambino per posarli su una seggiola di legno.

-         Ha corso avanti e indietro – disse piano – con tutta l’energia che  ha bruciato per poco non si addormentava in piedi…

-         Come il suo cavalluccio Pigna.

La madre levò il giocattolo dal tappeto ai piedi del letto , dov’era stato depositato senza ceppi, per posarlo su una piccola scrivania di fronte. Tornò dal figlioletto per dispensargli un’altra dose di carezze delicate e dargli un bacetto sulle guance ravviando i capelli rossi.
Judith s’incantò in quei brevi minuti avvertendo una sorta di tenerezza ammirata che sfumò nel dolore più recondito: dapprima pensò al grande amore di Oriane e Cosimo verso il bambino, che nonostante non avesse alcun legame biologico con loro, era diventato sangue delle carni e dell'anima…successivamente vide sé stessa e François  orbi di un figlio…vide sé stessa, nella villa de Jarjayes, aprire l’ex cameretta delle sue  bimbe completamente bianca ,disadorna e  vuota. Era un sepolcro derubato da ogni gioiello. Era la conca che lei  aveva fatto spogliare da ogni ricordo di teneri e morti sospiri.

-         Judith …- la scosse Oriane intuendo il turbamento nei suoi occhi azzurri – stai bene? Sei un po’ pallida…

-         No, tranquilla …è una tua impressione, cara…Pensavo che il piccino abbia la fortuna di avere genitori come te e Cosimo.

Mentre uscivano felpate dalla cameretta per entrare nella stanza matrimoniale , la sorella maggiore sorrise …
Aveva un’espressione seria piena di una soddisfazione che sgorgava dal cuore. Una convinzione di avanzare sicura.

-         Io – prese a raccontare a voce bassa – non mi aspettavo tutto questo Judith. Insomma, ricordi? Da ragazza ero presa e trascinata dalle fiamme del mio amante Franz…d’accordo, i bambini mi sono sempre piaciuti però all’epoca esisteva quell’amore che non dava tregua ai pensieri. Era vita per me, vita che sentivo sferzare…vita che poi mi ha reso in parte cieca. Sia chiaro, ho vissuto senza rimorsi : ho amato e non ho commesso alcun delitto ma ero stata sprovveduta su alcune cose. Franz si rivelò inabile a sorreggere , comprendere e accompagnare  veramente. Non ero stata ricambiata fin nel midollo puro.

-         Ricordo …- soggiunse Judith -  che Cosimo , già prima del termine di quel rapporto , s’interessò a te …Era da tempo un nostro amico di famiglia. Mai stato indiscreto, invadente…temeva di causare disagio per una qualsiasi piccolezza. Qualche volta domandava o a papà o a me come stavi, ti sentivi…

-         Cosimo mi era simpatico però non avvertivo la benché minima attrazione nei suoi confronti. C’erano volte che, senza una ragione precisa, non lo potevo vedere. Specialmente il periodo in cui m’infuriavo ad ogni minima sciocchezza. Lo captavo ( poveretto) alla maniera di una presenza molesta, spilungona , l’antitesi della fascinazione.

-         Lui ti ha adorato invece sotto ogni sfaccettatura…anche quando avevi un diavolo per capello!

-      Già…solo qualche tempo dopo mi sono resa conto che esiste un altro sentimento, una maturazione inaspettata ,incredibile. Sai bene che me ne sarei scappata di casa piuttosto che accettare un matrimonio combinato e rendere felice nostra madre…eppure …fu assurdo. Cosimo, con tutte le malelingue che mi davano della sgualdrina, se ne infischiò e mi disse che non gli importava, che anche lui aveva vissuto un lungo rapporto con un’altra donna conclusosi male.

-         Si è rivisto in te Oriane, privo d’ipocrisia e  pieno di grande spirito. Lui desiderava scrivere un altro capitolo…il più importante della sua esistenza.

-         Vero…alla fine , quando avanzò la proposta,  non mi tirai indietro. Risposi “sì” ricolma di confusione, dubbi…non sapevo più che forma possedessero i miei sentimenti… Grazie al Cielo ebbi la prova più che tangibile di una benedizione. Certo, fu molto diverso dalla passione per Franz ma non meno intenso, no. Ecco…io…durante la prima notte di nozze…non me la sentii di concedermi. Lo confessai mortificata. Mai avvertito un’insicurezza del genere. Cosimo mi tranquillizzò esprimendo che potevamo condividere lo stesso letto e  che mai avrebbe osato fare qualcosa contro la mia volontà. Per quasi due settimane non accadde nulla ma io mi ero iniziata ad abituare al sibilo del suo respiro, al modo in cui si girava nel letto senza ansia o movimenti bruschi, l’odore pulito delle sue camice e dei capelli. Mi accorsi che ogni cosa dettava tranquillità, una tranquillità che non era noia ma  equilibrio sorprendente. Notai che il suo volto è bello a suo modo, metà giovane metà maturo. Tutta la sua altezza è bella , pure quegli arti lunghi che all’inizio trovavo ridicoli. Fare l’amore con lui mi venne spontaneo perché sapevo che c’era una dolcezza mai conosciuta prima.

-         Senza Cosimo non ci sarebbe stato Samuele, la vostra famiglia…il vostro tutto.

-         Cosimo è autentico. È il marito che non riuscivo a immaginare. Mi ha dato sempre l’onestà , l’ottimismo nei momenti in cui i bimbi non arrivavano, la devozione pura. Ha costruito il nostro nido. Mi ha ricostruita da capo . Non esito a diventare una furia e una sconsiderata se qualcuno gli manca di rispetto o lo insulta. Possa schiacciarmi un albero se divento folle da causargli male.

La sorella minore annuì ridendo ma tornò ad assumere quell’espressione di mitezza fittizia, l’inquietudine che la sera tornava a palesarsi a fior di pelle, nonostante la soavità del volto.

-         Ne abbiamo parlato…- incitò l’altra stringendola per le braccia - non farti trascinare dalla disperazione, dalla tristezza orribile che rende infecondo ogni terreno. Pensa al qui , all’ora per il domani. Pensa a stare con François…torna a vedere la felicità senza inquadramenti razionali. Siate tu e lui . Basta. Una nuova creatura  non può comporsi senza una connessione veritiera .

Le due donne si congedarono abbracciandosi. Judith lasciò la stanza sorridendo a Oriane nel fascio tiepido di luce che sbucava dalla porta semi aperta. Prendendo la candela , lasciata su un mobile del corridoio , s’incamminò silenziosa verso la camera sua e del marito. L’alone della fiammella, carezza docile , fece ripiombare nel sonno blu nero  quadri e suppellettili.

 

***§***

 

Avvolto in un pesante mantello di lana, François odorava l’aria della prima notte. Dopo essersi intrattenuto con il suocero e il cognato, si era concesso una sana sferzata di aurea invernale. Nel giardino della villa, distante dal gazebo in marmo, guardava il cielo completamente scuro. Le stelle parevano cancellate da una polvere grigio nera, compatta e stranamente leggera. Il freddo toccava ogni cosa ma non possedeva quell’umidità appuntita che s’infiltrava tra le ossa della faccia. C’era  un clima di stallo… L’uomo in parte si dispiacque di non vedere gli astri notturni e la luna, dall’altra parte provò bizzarro sollievo: guardare magneticamente il cielo stellato , fin da bambino, gli creava una meraviglia angosciosa e terrificante. Tutta quell’immensità brillante lo faceva sentire smarrito in una trappola infinita dove non esistevano un centro , né mappe. Le costellazioni erano disegni illusori. Se si annullava il circuito della fantasia diventavano tanti punti inspiegabili, una gelida folla immobile e grandiosa.

-         Tempo di neve – giudicò Grégoire raggiungendo il genero - Già nel pomeriggio erano comparse strane nubi.

-         Dite che verrà a nevicare e non a piovere?

-         Sicuro. Il terreno è particolarmente freddo ma negli strati intermedi dell’aria la temperatura è  più calda.  Percepite la secchezza?

François espirò incuriosito  guardando il rivolo pallido del suo fiato che si dissolveva nel vuoto.

-         E’ vero…io che son stato in Louisiana ho imparato a conoscere bene l’umidità…Non c’è quella fastidiosa  sensazione di bagnato pregnante…

-         Esatto. Per nevicare è necessaria una situazione di stabilità , una sorta di armonia chimico fisica.

Il generale sorrise non potendo dargli torto. Quell’uomo , protetto da un rassicurante soprabito spesso, era l’immagine stessa dell’armonia. Fosse stato facile e spontaneo diventare lui! Un maestro come lui, un padre come lui…

-         Curiosi i fiocchi di neve. A occhio sprovvisto sono perfettamente identici l’uno con l’altro ma se li osservate cadono per terra con ritmi differenti …derivano da una medesima composizione ma si evolvono mostrando peculiarità.

-         Un po’ come si sa dove si nasce e non si sa né dove nè come si muore .

Grégoire rise piano accompagnato da una greve consapevolezza:

-         Basta che pensate a Oriane e Judith nate da me e Bénédicte…sono cresciute in uno stesso ambiente ma hanno mostrato modi diseguali di addentrarsi nella vita…

François spostò lo sguardo verso la finestra della sua  camera intravedendo  la sagoma della moglie chiudere le tende lasciando un sipario schiarito debolmente dalle candele. Sapeva che in quel momento non esisteva  tensione  nondimeno fu un gesto che istintivamente lo impensierì.

-         Anche all’interno di una stessa casa – aggiunse aggrottando la fronte – anche all’interno  di una stessa circostanza si matura in modi diversi che alcune volte spiazzano, causano tempeste e poi silenzi…Oppure tutto è già in potere nella mente e nello spirito e si palesa bruscamente a fasi…

L’uomo più anziano intuì l’allusione che riassumeva attimi dolorosi di vita condivisa. Fissò anche lui verso la finestra della figlia. Restò tranquillo alla visione delle piccole luci che filtravano dai tendaggi. Tornò a esaminare il cielo e poi si rivolse al generale:

-         Sono felice che voi abbiate fatto ritorno. Judith si è di nuovo illuminata…Vi confesso che, purtroppo, mia moglie ha il triste vizio di far gravare sulle nostre figlie ansie e aspettative. È preoccupata per la faccenda di un secondo nipotino…ma io le ho suggerito caldamente di non intromettersi nell’attesa…se gli eventi devono evolvere lo fanno nella legge dell’armonia…

I primi lontani e intrepidi cristalli di neve presero a caracollare senza fremiti    fretta…

-         Vedete? – indicò il suocero - Ecco che iniziano a sorgere lentamente, uno per volta perché le nubi si sono aggregate spontaneamente…

L’ufficiale sorrise volgendo l’attenzione alla seconda porta d’ingresso della villa , la luminosa sagoma dei vetri che stava inchinata sul prato.

-         Avete ragione, Grégoire… Vi auguro una serena notte.

-         Buona notte, generale. Abbiate veramente tutto il tempo per riprendervi.

Prima di rientrare , François si fermò un breve attimo per salutare il padrone di casa.
Si inoltrò poi nelle sale dormienti marchiate dalle bolle luminescenti emanate dai candelabri. Prese uno di questi per salire le scale che conducevano al piano superiore. Attraversò il lungo corridoio per raggiungere la stanza. Una volta dietro la porta blu bussò piano, sentì “ l’avanti “ di Judith ed entrò. La trovò in camicia da notte seduta alla toeletta. Davanti allo specchio era intenta  a sistemarsi i lunghi capelli disciolti dalla crocchia. Lui sorrise togliendosi il mantello infreddolito e posandolo su una sedia. Fece lo stesso con la marsina mettendola sul letto.

-         Scusami  - disse avvicinandosi– stavo parlando con tuo padre...ti ho fatto aspettare molto?

Lei ricambiò il sorriso vedendo , tramite il riflesso dello specchio, il marito che le posava le mani sulle spalle.

-         Non è trascorso tanto tempo – rispose -  mi sono comodamente messa in camicia e liberata dai fermagli…

-         Eri così la prima notte di nozze – rammentò François – la prima volta che ammiravo i tuoi capelli sciolti e che ti conoscevo coperta da una semplice veste…non immagini, da ragazzo,  quanto avrei dato per poterti anche solo accarezzare.

Si chinò per posarle le labbra sulla guancia e sul collo.

-         Judith …non hai idea in America , quale incantesimo avrei cercato, pur di vederti dormire nel mio letto per una notte intera….

La donna si voltò  per baciarlo forte:

-         François, è stato terribile – confidò prendendogli il viso tra le mani – nonostante quello che abbiamo passato, ho finto di abituarmi alla solitudine della casa…sai,  nella tranquillità mi sarei voluta mostrare più fredda  per provare a tutti che potevo diventare pietra e infischiarmene di tutte le piogge. In realtà non era forza, bensì apatia…quel silenzio disumano che avvertivo nella tua assenza…

Si alzò di colpo allontanandosi dal marito:

-         E’  il mutismo che sento qui – sussurrò sfiorandosi il ventre – sì…chissà se resterà in questo modo nelle ombre…Avevi scritto nell’ultima lettera che sono passati tre anni senza il concepimento di un figlio…sembra un’orribile immensità.

La moglie tremò , come fosse scossa da invisibili bisce glaciali, e gli occhi avvamparono di umidezza.  Il generale capì che voleva espandere la sua apprensione restata stretta a lungo nel soggiorno coi genitori.

-         Devi mandare avanti la tua stirpe, François…sei…sei rimasto soltanto tu…S-se io…non riuscissi più a darti nulla…mi ripudieresti?

L’uomo venne travolto da un’ira improvvisa dettata dall’orgoglio. Non l’orgoglio militare bensì il ben più sofferente e sacrale orgoglio d’amore:

-         Cosa diamine dici?!

-         Che te ne faresti di una moglie come me?

-    Osi pensare queste idiozie?

La donna si sedette sul lato del letto tentando di prosciugare le lacrime. Il marito , a quella visione,  si addolcì immediatamente avvertendo lo sdegno svaporare tra le protettive mura della camera. Si mise davanti a lei posando un ginocchio sul tappeto e accarezzandole le gambe.
Un lungo silenzio gli fece riaffiorare un ricordo buio, un ricordo che la mente aveva sotterrato presa dall’istinto di una collera nera.

-         Judith – rivelò  – ricordi…quando litigai per l’ultima volta con mio fratello Philippe ? dopo che noi perdemmo Othénse?

Lei assentì debolmente scrutandolo negli occhi che risplendevano di un blu scuro  rasserenato dalle candele.

-         Ecco – seguitò lui -  sai che non sono mai così andato d’accordo con lui e ti aspettavi che saremmo giunti ad un punto di non ritorno.  Troncai definitivamente i rapporti perché vi fu una goccia che fece traboccare il vaso…non te l’ho mai detto ma quel giorno persi il senno perché Philippe …ebbe il coraggio di insultarti. Mai gli ho perdonato quel gesto. Neanche quando vidi la sua sepoltura. Non voglio riportare quei termini ignobili…

 

Quella stanza, ricolma di scabra ampiezza color ocra, conteneva la virulenza di Philippe che toccava ormai apici di agrezza esasperata e rabbiosa. I poveri camerieri conservavano una pazienza sovrumana sapendo che era una delle loro incarichi arginare il dispotismo del malato padrone. Sebbene François non provasse piacere a vedere quel volto rattrappito di sudore e spigolature nere, si trovava davanti al suo capezzale tentando di placare una delle solite sfuriate:

-         Philippe! Calmati! Sei appena guarito da una febbre orrenda! Vuoi peggiorare ancore le cose?

Si accostò al comodino dove  era posato il portavivande con teiera e  tazze .

-         Lasciami , razza di imbecille! – sputò l’altro -  Perché non torni a casa a pensare alla tua rammollita spina dorsale? Porta questa tazza di te a quella femmina inutile e incapace che chiami moglie.

Il ragazzo sentì un violentissimo tremito di bile che gli salì in gola facendolo impallidire fino agli occhi. Restò un breve momento con le braccia tremanti finché poi,  in un raptus dissennato, scaraventò per terra il vassoio e le tazze formando una distesa di schegge appuntite e agonizzanti. Gettò sul fratello tutto il sangue delle ferite aperte e indifese.

-         Sai per quale motivo non cammini , Philippe? – esclamò con voce uccisa dalle lacrime – Sei una carogna. Le carogne hanno le gambe mangiate da vermi e scarafaggi! Impiccati  e vai all’inferno!

 

Le carezze della moglie sul viso diradarono i nugoli pece del passato.

-         François…- mormorò lei - ti prego…dimentica quello che ho detto…

Lui sorrise alzandosi da terra e togliendosi il gilet. Si avvicinò a lei stringendola tra le braccia , trovandosi  tra l’invitante arrendevolezza dei nastri della veste e i lacci ondulati della sua chioma.

-         Ora basta, Judith… mi sei mancata troppo…

La donna gli mise le mani sul petto scostandolo leggermente e ampliando l’apertura della camicia. Le dita saggiarono il solco delle clavicole e quello dello sterno.

-         Ricordi – rise - quando , la prima volta che facemmo l’amore,  mi vergognavo da morire? Ti chiesi se dovevo…togliermi la camicia da notte?

-         Ti ho detto prima niente idiozie. Specialmente in un momento come questo! Non dirmi che temi il freddo !

-         Mica sono affetta da reumatismi!

-         Smettiamola di chiacchierare, allora …

L’uomo s’inoltrò , con le mani, a toccarle le gambe nude nascoste dalla sottana fino a che non le sfilò la camicia da notte allo stesso modo di un bambino che volesse giocare un dispetto. Ammirò quel corpo da sempre sottile, ora ammorbidito dalle gravidanze passate ma comunque magicamente liscio sul piccolo petto disteso . L’addome recava sulla superficie ,vicino agli inguini, piccole striature  pallide,  dolci alfabeti di smagliature in miniatura. In fin dei conti chi non portava segni d’onore o battaglie? Anche lui, una volta denudato, si accorse che la moglie gli sfiorò le forti impronte sbiancate e zigrinate delle cicatrici sul costato e il fianco sinistro…memoriali fossili della battaglia di Dettinghen che mai se ne sarebbero andati ma sempre avrebbero ricevuto la visite della mano e delle labbra di lei.
Nel momento in cui egli le affondò il respiro nella bocca, iniziando con fervore ad addentrarsi nel suo corpo, sentì incredulo e felice le sporgenze di quei delicati fianchi che lambivano i suoi, le gambe che si aggrappavano imprigionandolo in quella dolcezza piena di fiamme . Mentre le afferrava la calura del seno, che non osava liberarsi dal palmo della mano, la neve si librava fuori dalla villa  lontanissima.
Il mare poteva ingoiare ghiaccio all’infinito…
Nel profumo delle pelli vulnerabili ad ogni carezza, il conte capì di avere ritrovato sangue ed essenza...
Era realmente tornato a casa.

 

 

 

 

 

Note personali:

 ciao a tutti! ^^ perdonate se pubblico con due giorni di ritardo ma ho fatto un esame dell’università e ieri sono stata via…mi ero illusa di potercela fare entro l’otto o il nove e mi sbagliavo XD l’importante è comunque aver terminato il capitolo 3!
Spero che vi sia piaciuto e che vi siate divertite/i a conoscere il primo incontro dei nostri due protagonisti. Non vedevo l’ora di raccontare questa parte e mettere a confronto i François e Judith adulti con i François e Judith ragazzi…un momento di altre problematiche e leggerezza . Diciamo pure che non vedevo l’ora di mettere la prima scena di ballo in assoluto di questa storia.
Ecco brevi note storico musicali ( sugli autori più sconosciuti): ahimè io non sono intenditrice di musica e quindi ho dovuto perdere tempo un po’ a documentarmi. Come avete notato siamo in un periodo un po’ particolare che risente fortemente delle influenze barocche…

André Campra ( 1660-1744) : fu sacerdote e maestro di cappella, autore di musica sacra e teatrale. Compose circa 43 opéra-ballet. La raffinatezza melodica delle sue composizioni univano le caratteristiche della musica italiana con quella francese.
Marc Antoine Charpentier ( 1636- 1704) anche lui scrisse oratori, musica sacra e opere . Fu uno dei massimi esponenti della musica sacra. Celebre è il Te deum
Teatro San Carlo ( Napoli)  :  fondato nel 1737 per volontà di Carlo di Borbone e costruito da Giovanni Antonio Medrano , è il più antico teatro dell’opera europeo.

 Fatte queste piccole precisazioni , per descrivere il minuetto rondò sono andata a fare una ricerca su you tube dei video delle società di danza…i minuetti classici erano molto belli ma troppo graziosi per uno come  François XD perciò ho optato per una bella esibizione del minuetto italiano sabaudo che era elegante ma non eccessivamente “ frou frou” XD
È stato uno dei capitoli più faticosi fino ad ora se si esclude il primo con la ricostruzione delle battaglie in Baviera…
Mi auguro di aver reso bene questa concatenazione di scene con la parte finale un po’ più triste ma che si conclude lo stesso lietamente…
Al prossimo aggiornamento ( il 16 maggio) ;)
Un saluto affettuoso!

p.s una peculiare dedica a ladydreamer che attendeva con ansia la scena del ballo! XD

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** CAP 4- Patriarchi e focolari: il figlio dell'estate ***


CAP 4 - patriarchi e focolari: il figlio dell'estate

4

patriarchi e focolari :

il figlio dell’estate

 

 

 

 

  Ce la caveremo, vero, papà?

 Sì. Ce la caveremo.

E non succederà niente di male.

Esatto.

Perché noi portiamo il fuoco.

Sì. Perché noi portiamo il fuoco.

 ( C. McCarthy )

 

 

 

 

 

 

 

Luglio

                                                                                                                                                        Jossigny,Parigi 1755

 

 

 

 

 

Toccava le nuvole e atterrava tra le sue forti mani.
Spiccava di nuovo il volo e l’erba e i sassolini  lo salutavano  divenendo macchioline di pittura. Tornava vicino al sorriso adamantino di lui e ai suoi occhi castani che si scioglievano in olio dorato alla luce di ponente. Tendeva le manine per impadronirsi dei suoi attorcigliati capelli scuri ma ecco che veniva sollevato ancora una volta…

E rideva a quello sballottamento che deformava il mondo al suono di un’immaginaria e allegra fisarmonica: le dimore del villaggio, dai cappelli etruschi di legno e paglia , parevano flettere le facce agresti.

-         André! – esclamava giocoso il padre- sei proprio un bell’aquilotto!

Afferrò il figlio con le braccia snelle e vigorose e gli stampò un bacio sulla guancia.

-         Marcel! – rimproverò scherzosa Marie - la sottoscritta vuole vedere com’è diventato bravo il piccino!

-         Eh no, mamma! Lo hai già consumato troppo!

-         Niente è mai troppo per quel tesoro!

Marcel s’inginocchiò riponendo delicatamente il bimbo per terra.

-         Su – lo incoraggiò dandogli un’affettuosa pacca sul didietro – vai dalla nonna se no si mette a piangere!

Il piccolo cominciò a muovere un passettino per volta fino a che non s’impettì sicuro velocizzando l’andatura e dirigendosi dalla donna che lo aspettava a braccia aperte. Non appena la raggiunse, aggrappandosi buffamente alla veste, venne sollevato e coperto di baci e carezze.
Dalla soglia di una casetta quadrata , forata da finestre argillose, una donna assisteva alla scena.
La mamma Pauline sorrideva tale e quale a un folgorante geranio, con una corolla folta di capelli ramati che non osava piegare un gambo minuto ed esile.
Erano trascorsi undici mesi dalla nascita del piccolino e lei e il marito avevano assistito ai suoi progressi assieme a Marie che forniva sempre aiuto. Durante la gravidanza , la suocera aveva chiesto dei permessi a Madame Judith che si era mostrata comprensiva e generosa.
Pauline, nonostante il trascorso passato, mai avrebbe sperato in quella fortuna e ringraziava ogni notte la Madonna e Sant’Anna.

-         Gli occhi di André hanno strani colori – disse Marcel avvicinandosi a lei –il verde delle  foglioline fresche ,  quello scuro dei boschi o quello più leggero dei laghi...

-         E’ vero…non restano gli stessi. Seguono i movimenti della luce che c’è in cielo. Le cose meravigliose  fanno vedere sempre sfumature diverse.

-         Lo penso  ogni volta che ti guardo.

Il marito cinse le piccole spalle della moglie.

-         Il nostro bimbo è fortunato – soggiunse – ha il tuo bellissimo viso.

Pauline gli circondò la vita col braccio posando le testa sul suo petto.

-         La chioma selvatica è tua…pure la  forza…Diventerà un uomo splendido!

Marcel si mise a ridere:

-         Davvero mi consideri bellissimo? Con queste occhiaie che pare mi abbiano preso a pugni e le gambe che sono pertiche?

-         Per favore! Dovevo stare attenta alle altre ragazze che ti sorvegliavano di continuo...

-         Ma se mi chiamavano il “  nazareno” ?

-         Beh…quando trasportavi le travi di legno da un villaggio all’altro e portavi quella barbona sembravi davvero Gesù sulla via Crucis!

-         I peli sul viso non mi donano tanto…

-         Quando venisti a fare i lavori a casa dei miei genitori , la prima volta,  il tuo viso era liscio, liscio…

-         Ovvio. Non potevo cogliere un bocciolo porgendo un muso da capra!

Pauline gioì e guardò il loro omarino che si lasciava travolgere dalle coccole della nonna.

-         Non ci posso credere ancora che abbiamo avuto André…da ragazzina  pensavo che nessuno mi avrebbe  sposata…

-         Basta pensare al passato! Quanta gente soffoca con stupide ansie?

La baciò allegramente sulle labbra.
La donna sapeva bene che il miracolo era avvenuto dopo tentativi falliti, angoscianti sospetti di sterilità e due aborti spontanei. La rassegnazione stava salivando ragnatele quando nell’aprile dell’anno precedente aveva scoperto di essere incinta di quasi quattro mesi. Era molto magra e non poteva affidarsi al menarca irregolare e debole ma quella volta sentiva un seme che sarebbe germogliato. Da adolescente le parenti donne la spaventavano sul fatto che fosse finissima e che a quindici anni non avesse emesso alcuna emorragia. Pareva un avvenire rachitico e bollato da recinti ma un falegname ventenne l’aveva osservata senza farsi scoprire.
Venne chiamato dalla sua famiglia per realizzare lavori di riparazione alla stalla e ai carretti di trasporto. Si stava pensando da giorni di chiamare il figlio del rinomato e defunto artigiano Lucien Grandiér: Marcel, sebbene rimasto orfano quattordicenne, già all’età di  sette anni era stato introdotto al mestiere esibendo abilità ed efficienza. In seguito aveva completato la formazione praticando nella bottega di un capomastro così che a diciannove anni svolgeva qualunque tipo di manutenzione.

-         Chi l’avrebbe detto?  - rifletté Pauline – mica mi aspettavo che quel carpentiere sarebbe diventato mio marito…In fin dei conti ero convinta fossi un semplice lavoratore che, una volta finite le mansioni, ci avresti detto “arrivederci” e fine!

Marcel le strizzò un occhio candidamente complice:

-         Modestamente sono stato silenzioso e non hai notato che ti studiavo da tempo…

-         Detta così è da bandito poco raccomandabile!

-         Come fa un “ nazareno” a essere bandito? Che colpa ho se in quelle cerimonie di Pasqua la tua voce si ficcava nelle orecchie per non uscire più dalla zucca?  In mezzo a quelle oche che starnazzavano  c’era un bel cardellino dalla testina rossa…Quando riuscii a farmi avanti tra la folla ti vidi la prima volta…Da allora , durante i momenti in cui  abbandonavo la bottega, speravo di rivederti soltanto per qualche minuto…poi, il Cielo ha voluto che tuo padre mi chiamasse alla tua fattoria.

Lei scompigliò il bulbo riccioluto dello sposo.

-         Sei stato la mia salvezza!  E lo trovo divertente e  assurdo…

-         Devi ammettere che la tempestività è una delle mie virtù!

Pauline lasciò che le fronde smeraldine delle sue iridi accarezzassero quelle  miele di Marcel.
La memoria si allontanò simile alle ultime nubi del giorno che rincorrevano puerilmente la luce declinante…

 

 

Il sole estivo lasciava schiantare le ombre degli alberi e dei casolari su erbe annaspanti e sassi aguzzi.
L’azzurro pareva dovesse grondare gocce roventi sulla terra ma restava stuccato in alto tremolando fumoso.
Pauline tornava dal torrente con una pesante cesta di vimini colma di panni lavati.
La stradina che portava al villaggio non era particolarmente ripida ma col calore s’ingigantiva tale e quale al dorso scarnificato di un sauro mitologico.
La fatica era immensa e i muscoli magri degli arti s’indolenzivano di sudore e crampi preminenti. Le ossa degli omeri crocchiavano quasi fossero  steli di grano che dovessero staccarsi dalle clavicole e dalle scapole.
Il corpetto di cuoio pesava quanto un giogo di legno e la veste verdognola si attaccava alla pelle umettata allo stesso modo di un tessuto fangoso di foglie.

La ragazza aveva le tempie che si strizzavano e si ammollavano, spugne tormentate da una mano feroce…Alcune ciocche di capelli ramati le si appiccicavano alle guance e alla fronte sciogliendosi da una crocchia pericolante.
Il casolare di legno si avvicinava lento e indifferente e le sue scarpe di pelle segavano i tendini  stigmatizzandoli di striature rosse.

Appoggiò sfiancata la cesta e osservò la cima del colle schermandosi gli occhi verdi con i palmi delle mani…
Scorse una piccola sagoma china che la stava guardando dalla sommità…
Per alcuni minuti non capii cosa fosse ma era certa che non si trattasse di un uomo.

Si mosse.
Camminava a quattro zampe.

Ella mise a fuoco più attentamente.
Il sudore che le inzuppava le membra si ghiacciò in tanti rigagnoli pietrosi.
Il sangue nel cuore diventò dolorante quasi avesse aperto una finestra che lasciava entrare una raffica invernale .

Un cane randagio grigio e nero si stava approssimando verso di lei…
Al villaggio si diceva che già avesse aggredito delle persone rischiando di dilaniarle.
La fanciulla indietreggiò barcollando vedendo che la bestia sveltiva i passi restando in un silenzio violento.
Cominciò a correre spaventata seguita da affanni sbavanti che sembrava la dovessero stracciare…

Dalla saliva inaridita emerse qualche grido strozzato.

Mise un piede in fallo e capitombolò rovinosamente con la capigliatura che le cascò sulle spalle e davanti agli occhi in tanti torrenti sudati.
Attutì il colpo escoriandosi i palmi delle mani che si granellarono di terriccio ed erba marcia.

Il cane le stava per balzare addosso ma venne colpito fulmineamente da un sasso che lo centrò sul muso.
Era stato lanciato talmente forte che gli aveva spaccato alcuni denti e dissestato l’osso della mascella.
I mugolati di dolore rabbioso zampillavano schiumosi assieme al sangue denso…

-         Vattene via!

L’uomo che aveva scagliato tempestivamente il ciottolo, scese veloce dal pendio con il rischio di spezzarsi il collo.
Era armato di una mazza di legno e i suoi capelli ricci e lunghi splendevano di carbone cocente.

-         Sparisci! Via!

Il cane ebbe ancora il coraggio di abbaiare scalcagnato sotto le ventate del bastone del giovane ma alla fine dovette battere in ritirata con la coda tra le gambe.

-         Per la miseria! – esclamò il soccorritore ansimando – qualcuno dovrebbe prenderlo a schioppettate nel sedere pulcioso!

Pauline era ancora tremante per terra. Aveva soltanto fatto il tempo ad appiattarsi sul fianco destro.

-         Pauline! Pauline! Come stai?

L’uomo si chinò premurosamente sulla ragazza afferrandola  per il braccio e aiutandola a rialzarsi.
Aveva il vestito sporco di polvere, le membra livide e il viso solcato da pallide lacrime.

-         Su…su…- mormorò lui scostandole dolcemente i capelli dalle guance – è tutto finito…

L’adolescente guardò  bene il  salvatore in volto.
Possedeva due insolite occhiaie che parevano ditate di fuliggine sulla corteccia imbrunita.
Gli occhi castani , alla luce del sole,  divenivano fragranti analoghi alla corteccia del pane sfornato.
Il sorriso si allargava uguale ad una rustica collana d’avorio.

-         M-Marcel! – balbettò lei – grazie…

Si allontanò costernata da lui asciugandosi le lacrime imbarazzata.
Desiderò andare a recuperare il canestro degli indumenti per mostrare di essersi già ripresa ma vacillò  a causa  delle nervature stordite.

-         Dove vuoi andare, conciata in questo modo?

Marcel la sorresse arrestandole l’andatura incerta.

-         Devo…tornare a casa…- ribatté debolmente lei.

Il ragazzo si incurvò e la sollevò:

-         Prima bisogna risistemarti…guarda i gomiti e le mani! E  hai pure le scarpe rotte! Andiamo al ruscello va’.

Pauline si strinse a Marcel che discendeva il declivio a falcate intrepide, facendo stridere e rotolare i massi.
Nonostante le braghe marroni arrivassero fino alle ginocchia, gli stinchi esponevano la loro saldezza impolverata e i piedi, corazzati da pesanti calzature di pelle, piegavano qualunque erbaccia e spezzavano ogni ramoscello secco.

Quando giunsero al torrente, lui la posò su un tronco d’albero mozzo e s’immerse nelle acque argentate strappandosi due lunghi lembi della camicia e bagnandoli.
Tornò da Pauline , inginocchiandosi davanti e mettendole  i piedi sbiancati e feriti sulle gambe.
Le prese le caviglie smunte con una soavità refrigerante inverosimile per mani di sughero da falegname.Ripulì i graffi dei tendini fasciando le striature rossastre accuratamente…

-         Per fortuna ti stavo cercando…avevo chiesto di te alle tue sorelle e  sono arrivato…appena in tempo per cacciare quel cane bastardo...

-         Emh…sì….ero venuta qui per lavare i panni e sulla strada del ritorno avevo visto da lontano la bestiaccia! Ho una paura tremenda dei cani! Una volta da bambina uno mi aveva rincorso per mozzicarmi!

Il giovane agitò una mano, piena di sincero e brioso rimprovero,  indicandole le membra mingherline:

-         Sembri ancora una bambina!E porti  tre chili di biancheria!  Potevi cascare in modo brutto!

La ragazza tormentò una ciocca dei capelli sforzandosi invano di apparire  disinvolta:

-         La mamma non sta tanto bene e allora le do una mano…

-         Se ti ritrovi a svolgere compiti pesanti, devi  chiamarmi!

Lei scosse la testa  celando il volto disperso attraverso i crini ramati:

-         No, Marcel…non posso disturbarti!

Lui le scoprì di nuovo il volto dandole un cricco sul nasetto:

-         Smettila! Se mi crolli,che farò?

-         Beh…sì…sono talmente secca che sembro un rastrello! Potrei nascondermi dietro qualunque mazza,  scomparirei!

-         Credi di essere così invisibile? Io ti ho notata eccome…

-         Certo! Scambiandomi per un alberello rachitico…

-         No, stupida, scambiandoti per un bellissimo fiore…Hai un corpo fine fine e una grandissima corona di capelli….

Marcel tacque alcuni minuti…
Lasciò che il rivo serpeggiasse trilli imbottendo il silenzio di pesci che guizzavano.
Coccolò il dorso dei piedi della fanciulla e iniziò:

-         Ascolta , Pauline…ero venuto a cercarti per parlare di una cosa importantissima…E’ un peso che ho dentro e che mi dà felicità e crampi alla pancia….Vedi…è da mesi che penso e ripenso…Ci siamo visti tante volte e ogni ora che parlavo con te già mi sentivo triste…perché sapevo che tutto sarebbe finito e tu saresti tornata alla tua casa…e io sarei restato con l’ombra della tua voce che si perdeva nell’aria  senza che si riuscisse più a toccarla.

La ragazza ascoltava muta col cuore che le artigliava i polmoni grondando di pioggia bollente e freddissima.
Era ipnotizzata dalle carezze del falegname che baciavano pudiche la pelle ma che si sotterravano al di sotto d’essa.

-         Non te ne rendi conto, Pauline ma io so vedere anche a occhi chiusi, il verde del tuo sguardo, la tua pelle, i tuoi capelli…Adoro i tuoi pensieri quelli che mi hai detto ridendo e piangendo…quelli che vuoi sempre nascondere.

Lui le adagiò regalmente  i piedi sul suolo ciottoloso e afferrandole le mani:

-         Dovrei parlare con tuo padre ma non m’importa… Conti prima tu…tu solo.

Ci fu altro silenzio in cui saltellarono i cinguettii degli uccelli,  le ali degli insetti e l’acqua del fiume che sbatteva flemmatica contro i massi sporgenti.
Marcel strofinò la sua guancia sulla mano destra di Pauline:

-         Ti amo e vorrei sposarti.

La ragazza si ritrasse turbata:

      -   Marcel…io…io…

Il ragazzo oscurò di dispiacere lo sguardo allontanando leggermente il busto da lei.

-         Ti ho spaventata?

Ella si stropicciò il viso quasi stesse scongiurando da un’assordante emicrania.
Tornò a fissare l’innamorato  e mormorò parole che pareva dovessero confessare chissà quale delitto: 

-     Assolutamente…sono felicissima ma io…ecco….quando avevi detto che sembro una bambina…beh…lo sono veramente.

Lui innalzò le sopracciglia spesse assumendo una buffa espressione di sbigottimento:

-         Cioè? Vorresti dire che…tu non hai…?

-         Sì.

Ruzzolarono secondi afoni interrotti soltanto dal fruscio degli alberi che scartocciavano nidi.
Alla fine il falegname proruppe in una risata purificante stringendo a sé la ragazza:

-         Pauline…Io ti considero  donna e comunque non avrò paura di aspettare…

Lei gli prese il viso tra le mani:

-         Marcel…tu non hai vergogna di me? Insomma che ti potrei regalare? Anche io ti amo tanto…ma ho paura di non renderti felice…mi sento piccola …

Ricevette un bacio  uguale al latte che prima  brucia il palato e poi discende morbido.

-         Posso essere tuo marito semplicemente dormendo accanto a te. Il tuo respiro non ha prezzo…

Lui appoggiò la testa sulle gambe di lei scevro di  pessimismi.

 

 

 Alcuni gemiti ostinati interruppero ciascun pensiero aleggiante.

-         Pauline – chiamò teneramente apprensiva Marie – il piccoletto ha fame!

André  piagnucolava  volgendo il visetto verso la mamma.

-Tranquillo, amore – sorrise la giovane venendo in contro– sono qui , sono qui.

Prese il bambino tra le braccia e lo quietò mentre balbettava versetti con la testolina posata sulla sua spalla.
Entrati  in casa, gli accarezzò i boccoli sussurrando parole ninnanti e poi, accomodandosi su una panca di legno, lo sistemò dolcemente sul grembo e si scoprì un seno.
André scominciò a succhiare , felice di essere rinchiuso nel calore di vigna della sua prima  amata.
Mostrava un soddisfacente appetito verso differenti tipi di pappe ma adorava ancora il petto materno. Tuonava gemiti punitivi se non riceveva il trattamento che legittimamente gli spettava. 

-         Guarda, guarda che fame! – commentò Marcel sedendosi accanto alla sposa – e dire che credevano che tu non potessi mai mettere a mondo un essere così goloso!

-         Temo che mi finisca il latte da un momento all’altro!

Intanto che Pauline rideva col marito, Marie, iniziò ad accendere qualche candela guardandoli amorevole e orgogliosa.
Per troppo tempo quei chiarori erano stati soltanto cera colante e secca mentre sui pavimenti cricchiava  polvere magra.
Ora era diverso…Il tanto agognato nipotino veniva vezzeggiato dai genitori e portava un completino color sabbia che aveva cucito apposta per lui.
Seduta su una sedia di fronte non si stancava mai di contemplarlo attaccato al busto della mamma o sulle gambe del papà. Non esitava a pulirlo, cambiarlo e dargli da mangiare quando ce n’era bisogno.

-         Lucien sarebbe stato felicissimo di voi…- confessò dolcemente triste – ho pregato anche lui mentre aspettavate André…

-         Mi è dispiaciuto molto non aver conosciuto il signor Grandiér….- confessò Pauline – Marcel mi ha raccontato un sacco di cose su di lui…

Il marito sorrise silenziosamente e in quel momento la limpidezza dei denti si opacizzò tale a quale a vetro di bottiglia infranto da una polverosa luce .

-         Ecco… – mormorò rivolto alla moglie e alla madre – prima di sapere con certezza che sarebbe venuto André…avevo sognato papà.

Marie inarcò le sopracciglia sorpresa e inquietata, la nuora ascoltava incuriosita  il racconto:

-         Ricordo che stavo camminando proprio sulla stradina che porta a casa – proseguì il falegname – quando vedo papà venirmi incontro con delle piccole assi di legno…L’avevo riconosciuto subito…Era alto quanto me, aveva i capelli spettinati e la barba perennemente scarmigliata…Se io ero il nazareno, lui era San Giuseppe! Mancava solo l’aureola!

Rise brevemente come fanno le foglie  trasportate dal vento e poi riprese:

-         Io gli domandai cosa ci facesse lì e lui mi sgridò dicendo che dovevo sbrigarmi a costruire una culla…In quel momento, da emerito idiota, non capii per quale famiglia la dovessi fare e quindi ricevetti uno sberlone e la risposta: “ Tua moglie  è incinta dello Spirito Santo?! “

Marie ridacchiò commossa:

-         Tipico di tuo padre! Lo rimbrottavo che si comportava da grezzone ma sapevo che era anche troppo bravo… Quando si arrabbiava faceva paura ai cani più feroci ma poi si preoccupava un mondo se vedeva che ritornavo dal mercato leggermente in ritardo…Era capace di mettere a soqquadro l’intero villaggio…

Improvvisamente André staccò la bocca dal seno della mamma e si lamentò…Era agli inizi e non aveva ancora imparato l’autocontrollo degli stimoli fisiologici.
Il pannetto di cotone che gli avvolgeva i lombi si inumidì spargendo nell’aria un odore acidulo, pungente e secco.

-    Ah, amore – si alzò Pauline sollevandolo e scherzando imbronciata – è questo che fai alla mamma?Animaletto!

L'accusato si mise le dita in bocca impacciato e storse i piedini quasi si fosse reso conto di aver commesso una terribile gaffe davanti al pubblico di ammiratori.

-         Su, su – incitò Marie - vado a prendere il cambio per il nostro principino! Chi vuole sentire sua altezza reale?

Il pargoletto fu disteso su un fasciatoio di legno coperto da soffici stoffe,  spogliato e  accuratamente ripulito dalla mamma e della nonna intanto che il papà andava a mettere via i pannetti imbrattati di urina  fumante.
Alla fine asciutto e vestito da un’altra casacca, si allacciò beatamente al collo della mamma. 

-         André è tutto suo padre! – fece vivace la nonna - Avevo il petto sempre dolorante e abiti che bisognava sciacquare di continuo!

-         Quella era la prova del mio amore verso te! – ribatté Marcel – apprezzavo il nutrimento che mi davi, quello che offriva la casa!

Furono interrotti da tre picchi alla porta . Tocchi gentili, chiari e fidati.

-         Chi sarà a quest’ora? – borbottò la donna più anziana - Sono quasi le otto…

Il volto del figlio venne folgorato da un promemoria che aveva fino a quel momento accantonato temporaneamente.

-         Cielo! Dovevo dare il crocifisso restaurato a…

I bussi insistettero e fuori una voce maschile si presentò:

-         Marcel…Pauline… Sono padre Jeremy!

L’uomo corse a spalancare l’ uscio scusandosi:

-         Perdonatemi! Mi ero scordato che sareste venuto prima di cena a ritirare il lavoro!

-         Non ti preoccupare , ragazzo – sorrise – anzi scusami tu se sono stato costretto l’altra volta a concordare questo orario , forse non propriamente comodo …cara Pauline, signora Marie …

Il prete, che portava con sé una sacca di cuoio,  si tolse il vecchio cappello in segno di saluto mentre le donne contraccambiarono il sorriso accogliendolo calorosamente.
Jeremy Meunier aveva cinquantadue anni  ed era di media statura, magro con un viso ovale su cui spiccava  un curioso naso morbido tendenzialmente aquilino. Se lo si guardava di fronte si notava un promontorio lieve mentre di profilo si slanciava una struttura abbastanza imponente. I baffetti sulla bocca piccola e i grandi occhi color basalto rendevano quella forma buffa e dolce senza alcunché di autoritario. I capelli castani , rigati di grigio e bianco,  si diradavano sulle tempie cadendo in riccioli un po’ più folti a metà collo. Si accontentavano di una semplice pettinata giusto per non restare in disordine eccessivo.
La lunga veste nera, legata in vita da una cintura scura, indicava l’appartenenza all’Ordine dei Gesuiti e l’adesione totale ad uno stile di vita umile  e  frugale.

-         Ho portato qualcosa per voi – disse aprendo la sua borsa , antica compagna di viaggi -  ecco due vasi di miele di noce  provenienti dall’orto della parrocchia…So che vi piace molto e che il vostro cucciolo apprezza.

-         Vi ringraziamo di cuore, padre- rispose Marie - Sì , André adora la pappe dolci.

Prese i due recipienti riponendoli al fresco, dentro una piccola credenza che conteneva orzo , grano e semola. Marcel, nel frattempo, si diresse nel versante retro della casa dove c’era un piccolo magazzino con  attrezzi e manufatti.

-         Tra l’altro è un ottimo rimedio medicinale – esaltò il parroco-  cura e previene in modo naturale raffreddori e malanni –accarezzò la testa del bambino dandogli un buffetto sulla guancia - Vedo che sei bello cresciuto piccolo!

-         Sta prendendo a mangiare tutto di gusto! – rise la madre – da quando voi lo avete battezzato è diventato una bestiola! Sa pure camminare

-         Presto comincerà a correre e saltare!Come passa il tempo…

Da più di un anno Jeremy risiedeva ufficialmente nella circoscrizione ecclesiastica di Jossigny; tuttavia, conosceva  da parecchio tempo i Grandiér e il loro villaggio giacché operava assieme ai suoi confratelli nella diocesi di Parigi e dintorni : si occupava dell' istruzione di bambini e ragazzi più poveri, del recupero dei soggetti emarginati e delle cure mediche per i bisognosi.

-         A proposito, padre – sospirò raggiante Marie - non siete felice per i de Jarjayes?

-         Oh, ! È meraviglioso! Me lo sentivo nel cuore che sarebbe avvenuta un’altra benedizione!

-         Madame è incinta di quattro mesi…

-         Mi era dispiaciuto moltissimo per i Signori– si unì Pauline - Ci riferisti  , Marie, che il Conte , quando stava nelle Guardie Urbane , salvò tre bambini da quell’orribile incendio di Parigi e  nello stesso periodo Madame Judith mandò il suo medico per farci curare…Io tendevo ad ammalarmi spesso e anche Marcel prese una terribile febbre. Per sdebitarci  lui  restaurò e costruì  alcuni mobili e tu, facesti molti scialli e tovaglie…

-         E pensare che Madame non pretendeva nulla….- sorrise la nonna- E’ raro trovare persone di questo genere soprattutto tra gli aristocratici.

-         Sono contentissimo per il Generale e la Contessa – proferì sincero il padre - li conosco da quando erano ragazzi e li ho visti gioire ma, purtroppo, patire molto. Che Nostro Signore possa finalmente concedere la tanto attesa felicità per una nuova e luminosa vita.

Quando Jeremy risiedeva ancora nel piccolo cenobio vicino al cimitero di Saint-Paul des Champs, dove vi era la cappella di Saint Philippe , aveva celebrato lui stesso i funerali delle figlie dei de Jarjayes ma soprattutto la sepoltura in terra consacrata del suicida Etienne. Questo atto, fortunatamente messo a tacere dall’abate della chiesa, gli sarebbe potuto costare l’espulsione dall’Ordine dei Gesuiti . Su di lui, tra l’altro,  gravavano sguardi nemici delle autorità clericali più alte, visto che non aveva esitato più volte a denunciare negligenze e malcostumi.
 
Si era preferito, dunque,  risolvere la faccenda attuando un trasferimento nella pieve di Jossigny, in cui officiava l’ottantenne padre Zaccaria , vecchio maestro che presto gli avrebbe lasciato la guida pastorale della comunità religiosa.  

-         Padre – tornò Marcel con una scatola in mano - Eccovi il crocifisso. Sono stato attentissimo a sostituire le parti deperite rispettando la vecchia decorazione in ottone.

Scoperchiò il contenitore , tolse un pannetto e mostrò una croce posta su un cumulo di paglietta: era  una semplice ma pregevole manifattura prebarocca. I legni erano stati perfettamente riparati e lucidati e sopra di essi si distendeva uno splendido Gesù Cristo dalla muscolatura magra, sofferta e solenne. Jeremy aveva sempre constatato che somigliasse un po’ a quello di Giotto conservato a Santa Maria Novella e un po’ a quello della pietà michelangiolesca.

-         È un lavoro superbo ! – rimirò colmo di commossa contentezza prendendo tra le mani -  -  questa croce ha più di un secolo , Marcel… non è solo un piccolo tesoro di famiglia ma è la forza con cui mi ha sempre guidato il Signore. Sebbene piena di crepature, fori e parti annerite ,è stata la fede che mi ha sollevato da terra. E’ così , fratelli : il diamante della speranza si trova  sotto terra incastrato tra  rocce scure e taglienti.

-         Avete ragione -  assentì l’altro uomo -  si prosegue sempre tra lo scoramento e la speranza…non conosciamo mai cosa la vita ci darà, se bene o sofferenze…l’unico modo è trasmettere tutto il nostro amore ai cari , perché l’anima è un po’ l’energia che noi lasciamo e offriamo…

-         André l’avrà tutta – affermò Pauline baciando il piccolo – qualunque cosa possa accadere lui sarà forte. Dentro gli scorre il nostro sangue...

Il  prete sorrise accingendosi ad andare verso  la porta conservando accuratamente la scatola del crocifisso nella borsa .

-         Parole sante, amici – ribadì – dovremo pregare affinché ai conti de Jarjayes giunga una creatura bella e sana…

-         Assolutamente – aggiunse Marie – non vediamo l’ora di poter sentire la vocina del neonato.

-         Voglio ricamare un bel lenzuolo per Madame – pensò ilare Pauline – sono indecisa sul disegno da fare…

Il bambinetto  scalpitò volgendo il faccino in un punto sotto una delle finestrelle di casa. Il padre lo prese in braccio e facendogli il solletico sui fianchi gli chiese:

-         Cosa c’è ? Cosa hai visto?

Il piccolo mugugnò qualcosa tornando a fissare il punto di prima . Tutti i presenti  posarono l’attenzione su un cespuglietto di lucide foglie verde cupo decorate da carnose frastagliature. Tra i rametti di spine notarono un qualcosa di inconsueto, improbabile: un bocciolo di rosa candido svegliatosi in ritardo tra i frutti dell'estate.

-         Non ci era mai accaduta una cosa simile – fece meravigliata Pauline – le nostre rose, come tutte le altre rose , appassiscono verso fine maggio…Sono molto delicate.

Marie si chinò col busto avvertendo un eccezionale profumo tenero , misto di pesca e menta.

-         E’  stranissimo – strepitò – che un piccolo germoglio trasmette questo forte odore…

-         Il nostro André è davvero acuto – si rallegrò Marcel – nessuno di noi aveva visto quel fiorellino.

Padre Jeremy espanse un grande sorriso:

-         Beh, è un segno! Direi che sul lenzuolo per Madame de Jarjayes  potrà sbocciare un ricamo di rose bianche…l’amore più puro e grande che nasce nel silenzio.


 

 

Note personali:

ciao a tutti! ^^ come promesso ecco la prima parte del capitolo Quarto!

André è ancora piccino, quindi l’escursus era basato sui suoi genitori Marcel e Pauline …mi auguro che abbiate gradito questo cambiamento di luoghi e personaggi anche per mostrare più situazioni e fare confronti. È tornata la nostra Marie che nella mia storia ho figurato già dall’inizio profondamente attaccata al nipotino e naturalmente al figlio e alla nuora. ( nella storia originale non si capisce se sia stata accanto ad André fin dalla più tenera età…però notando il suo affetto , i suoi rimbrotti e preoccupazioni XD )

Altra new entry è Padre Jeremy, un personaggio che avevo architettato già durante la genesi dei Leoni della corona ma non sapevo con precisione in quale capitolo del Libro Primo collocarlo. Sarà fondamentale per la famiglia de Jarjayes, per Oscar e Andrè e anche negli scenari prerivoluzionari visto il suo impegno sociale umanitario…

( piccola nota storica: del cimitero di Saint Paul des Champs ne avevo parlato nel Cap 2 – un proiettile nella mente. È una struttura , assieme alla chiesa di San Philippe, che è esistita ma ora non c’è più. Il cenobio di cui ho parlato è stato frutto della mia fantasia per esigenze narrative così come l’esistenza della parrocchia a Joyssigny )
Ultima cosa: spero che sia colta la simbologia finale ;)

Non mi resta che darvi appuntamento al 31 maggio…
Entreremo nella dimora di…Victor Clement de Girodel! 

 

 

 

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Capitolo 9
*** CAP 4 - Patriarchi e focolari: l'apprendista in catene ***


CAP 4 - Patriarchi e focolari: l'apprendista in catena

4

patriarchi e focolari :

l’apprendista in catene

 

 

"... il mondo si divideva per me in tre parti, e nella prima io, lo schiavo, vivevo sottoposto a leggi concepite solo per me alle quali, senza saperne il motivo, non riuscivo del tutto ad adeguarmi, poi c'era un secondo mondo infinitamente lontano dal mio in cui vivevi tu, occupato a dirigerlo, a impartire gli ordini e ad arrabbiarti se non venivano eseguiti, e infine un terzo, dove il resto dell'umanità viveva felice e libera da ordini e da obbedienze"

( F. Kafka )

 

 

 

Novembre 1755

Saint-Cloud , Parigi

 

Oltre la Senna esfoliata ed oltre i turgidi giardini del castello Saint-Cloud, si scorgeva una villa di titanico candore.  La cupola spuntava dalle fronde dei tigli come fosse il cranio bianco di un abate che leggeva di nascosto chissà che cupi manoscritti...
Chiunque andasse a cavallo o passasse con la carrozza verso ovest , lontano da Ile-de-la Citè,  vedeva imperare , oltre un cancello gotico  di fiori ,  un’ insolita struttura classica. Un polposo viale di querce  mostrava, inquietante binocolo, la facciata templare greca.
Colonne ioniche troneggiavano da una massiccia scalinata sorreggendo la loggia di un pronao che ombreggiava il portone d’accesso.
“ La fortezza di Deifobe”, chiamata così da tutti i nobili, veniva vegliata all’entrata da una  terrificante statua della sibilla cumana che scrutava minacciosamente qualunque ospite chiedesse responsi. La donna anziana, d’angosciante bellezza e avvolta in un pesante  peplo, si diceva fosse stata scolpita nelle Fiandre da Jean de Boulogne e portata a Parigi dai proprietari del palazzo…Quella nobile famiglia era talmente potente che ordinò di riprogettare  l’intera dimora, nel sedicesimo secolo, all’architetto Jacopo Barozzi  , uno degli artisti stimati da re Francesco I  che lavorò ai cantieri di Fointanebleau. I raffinati locali interni, vantavano alcuni affreschi di Rosso Fiorentino  e Francesco Primaticcio che rappresentarono episodi dell'Iliade, dell'Eneide e degli Argonautica.
Coloro che godevano  dei capolavori  realizzati dai più abili manieristi italiani erano da secoli rispettati e temuti dai reali di Francia.

Una sola stirpe celava  preziose armature medioevali, arazzi persiani, tele inedite di Rubens…
Una sola stirpe glorificava  uno spietato capostipite feudatario che fece tremare persino Carlo Magno.
Erano i Girodel. 

Lo stemma di un maestoso cervo,affisso al testone del pronao,  recava inciso il loro nome, la loro progenie sorvegliata dall’animale sacro alla vergine Diana.
Quando il sole tramontava cospargeva sangue sui marmi quasi desiderasse ungere di languida devozione quel Santuario, d’ingessata sobrietà esterna e di bronzeo barocchismo interno.

Il vento che defluiva, tra le foglie degli alberi, rendeva la sera nascente già paurosa di affrontare le ore del suo viaggio.
Le vetrate della sala da pranzo riflettevano quella liquidità bluastra invernale che forse avrebbe spruzzato le prime nevicate.   
Sarebbe stato bello illuminare il grigio verde del giardino con il biancore dei fiocchi di neve.Le ombre si potevano zuccherare e gli uccellini decoravano il ghiaccio imprimendo punti croce  di zampette…

-         Victor Clement! -  esclamò  il conte Frédéric Claude, generale dell’Artiglieria Reale – t’incanti  davanti la finestra? La cena è già a tavola!

Il bimbo sussultò lievemente , distogliendosi dalla visione scura del cortile.
Era dotato di una squisita e triste bellezza e lì, davanti l’enorme vetrata del balcone, pareva un preoccupato astronomo che non riusciva a studiare i pianeti…
 La natura gli aveva donato un corpo proporzionato, tenero e sottile plasmando un visetto d’insolita e allungata paffutezza…Dal capo si riversavano onde spumeggianti di un castano delicatissimo uguale all’arenaria levigata dai ruscelli.

       - Su, tesoro vieni – mitigò dolce la contessa Ivonne – la minestra si sta raffreddando.

Si diresse veloce verso la tavola imbandita dove i genitori l’attendevano…
Il padre, inguainato in una giacca di velluto nera, imperava dal suo sedile di legno con le spalle ampie che avvisavano pari a ali d’avvoltoio. Lo jabot bianco traforato era un bouquet  di neve congelata che annaspava tra l’inchiostro dei baveri. 
A contrastare simile a un raggio fruttato , forse nascente o forse morente, la madre avvolta in un abito arancio rosato ricamato agli orli da un damascato mogano.
I lunghi capelli ricci castano dorato erano  legati in una voluminosa crocchia da finissimi fermagli d’argento che formavano un piccolo bruco di diamanti. Alcune ciocche fumose lasciate libere incorniciavano quel viso  di Musa che pareva veramente impolverato di gesso opaco.

- Scusatemi …- disse il bimbo che si mostrava maldestro in quel completino bordò troppo serioso per la sua età.

- Non ti preoccupare – tranquillizzò la bella donna prendendolo in braccio e aiutandolo a sedersi sulla grande sedia accanto a sé.

- Arrivi al piatto?

Il piccolo sporgeva dalla tovaglia solo con la testolina e guardava abbacchiato il piatto che gettava fumo sul nasetto. 

- Christine – chiamò la giovane donna alzandosi – potreste portare per favore un altro cuscino?

La governante di casa aiutò  la padrona a sistemare il piccolo sulla morbida pila di sostegno: era una cinquantenne  accalorante, dal viso di sobrietà quadrata e dai capelli  scuri raccolti in uno chignon.

-State comodo, signorino?

-Grazie, nounou Christine – rispose timido lui temendo di spazientire il padre – ce la faccio, adesso.  

La signora sorrise affettuosamente.
Pensava che fosse proprio un bravo bambino.
Si sedeva composto, non metteva in disordine nulla, si esprimeva sempre educatamente e giocava in silenzio…
Troppo in silenzio.
Quella caratteristica la preoccupava un po’ ma era da attribuirsi alla sua indole introversa e… al Conte.

- Suvvia, Ivonne – sospirò l’uomo con sarcastico affaticamento – è giusta la vostra premura ma credo che alcune volte dimentichiate che Victor ormai ha già superato l’età in cui le gambe sono  incapaci di camminare diritte.

La donna guardò il marito che sedeva a capo tavola: aveva rinunciato da tempo a tremare di  fragile rabbia perché qualunque saetta non bruciava il viso di quell’uomo che portava fieramente sulla gota destra una raffica di cicatrici d’arma da fuoco.

- Frédéric – rispose autorevole e calma – ho semplicemente notato che questa sedia è inadeguata per un bimbo. È troppo grande e ogni volta abbiamo bisogno di cuscini…

- Quante sciocchezze…nostro figlio è in grado di adeguarsi a tutto. Non è manchevole di alcuna capacità e non possiamo rischiare che la mollezza lo appanni.

- Avete ragione- ribatté cupa la contessa- anche giocare un po’ , giusto qualche minuto, è deleterio per la mente di Victor che già inizia a studiare latino.

- Dovreste essere felice…prima impara ad affinarsi meglio è. Gli consento di partire avvantaggiato.

La sposa prese posto a tavola, alla destra del marito, insabbiando l’irritazione. Se fosse stata adolescente già sarebbe stata sull’orlo di tagliarsi il viso di lacrime.
Aveva provato quei brucianti torrenti il giorno prima del matrimonio e nel corso degli anni era stata costretta a stringarli per il decoro sociale…per una finta serenità.
Quell’ufficiale, dai lunghi capelli neri sfregiati d’elettrico grigio, possedeva la superbia di un direttore d’orchestra che suonava brani tetri. 

- Sono lieta che lui apprenda adesso ciò che gli altri ragazzini fanno dopo…però credo si potesse perfettamente aspettare e avanzare per gradi…ha solo sei anni.

Il figlioletto fissava impensierito la madre che stava alla sua sinistra ed evitava di posare lo sguardo sul padre che serbava una flemma intimidatoria…
La donna lo poteva prendere in braccio di nascosto e non sia mai il Conte nero udisse “ papà”,  un termine da plebeo sporco e ignorante!
Era proprio un bambino confuso.
Continuò a mangiare la minestra, anche se quel verde passato di verdure, mutava in un’ insidiosa fossa lagunare.

- Non sto applicando nessun precetto maligno e neppure anomalo – ribatté l’uomo arrochito – la mente di un bambino adesso è più ricettiva e fresca. Vedrai che Victor, da grande,  raggiungerà vette d’eccellenza e sarà più avanti degli altri. Dico bene?

- Sì, padre – rispose il bimbo fingendo un contegno che mascherava scettico imbarazzo.

- Cosa ti raccomando sempre?

 - La mente deve essere lucente come una lama e un vincitore non deve mai rompersi la schiena contro il suolo.

- Bravo – approvò il padrone – inoltre non solo possederai un’anima colta: diventerai un vero uomo di spada. Te la stai cavando discretamente…però alcune volte sembra che tu abbia paura di colpire l’avversario…e cadi all’indietro.

- Beh è che…devo migliorare a tenere molto ferma l’elsa e…a capire i punti deboli dell'altro spadaccino.

- Ricordati Victor che riflettere eccessivamente, durante un duello, può costare caro.

Il subordinato guardò impaurito il piatto con la carne d’agnello che stava affianco la scodella del brodo… Era sanguinosamente abbrustolita e la salsa di cipolle pareva un unguento funebre sul cadavere di un guerriero debole.

-Però – obiettò  in un piccolo guizzo di ribellione- se non ho tempo di osservare come  sconfiggo il nemico?

- Figlio mio – rise il conte traboccante d’inquisitoria sufficienza – il difficile è trovare un punto d’incontro tra il cervello e le braccia. È d’obbligo velocizzare i ragionamenti e farli scivolare sulla punta della lama.

Ivonne coccolò il piccolo confortandolo:

- Victor…hai presente ora che stai imparando a suonare la chitarra? All’inizio ti sembrava difficile pensare e pizzicare le corde contemporaneamente, perché prima calcolavi per troppi minuti le note e dopo sbagliavi…adesso stai migliorando e hai l’impressione di non pensare tanto quando suoni... non fai  più gli errori  di prima.

Frédéric sbuffò tenuemente tagliando la carne nel piatto.

- Interessanti le vostre soavi similitudini – appurò canzonatorio e regale -  paragonare l’insegnamento  della spada all’apprendimento della musica…entrambe elevati arti, certo…peccato che nell’esercito non si suonino ariette di melodrammi ma si scandiscano marce e ordine.

- Se non erro, caro, la musica ha, fin dall’antichità, fatto parte dell’educazione dei nobili…Apollo era sia un temibile arciere che il più sublime dei musici.

 - Vi rammento che non abitiamo, purtroppo, nell’Arcadia o a Delfi…vostro padre non aveva bisogno di prendersi tanto disturbo per regalare una chitarretta così pregiata...

La contessa bevve un bicchiere d’acqua per spegnere le fiamme che le graffiavano la gola e il fegato…Victor, intanto, allontanò il piatto della minestra e avvicinò quello delle costole d’agnello che erano sudate tali e quali alle sue.
La governante Christine arrivò silenziosamente a togliere alcuni vassoi aiutata dalle altre domestiche che portarono via le zuppiere di ceramica.
Osservò, discreta, i suoi signori sentendo l’aurea di grigia tensione attanagliarle il petto…
Confrontò afflitta gli sguardi di Frédéric e Victor: possedevano le stesse iridi ma mentre quelle del primo esponevano un celeste striato di proiettili gelidi, quelle del secondo parevano intrise della brillantezza dei mari tropicali. 

- A proposito…il conte Sanchez sta bene?- chiese il militare con gelido garbo - Siete andata a fargli visita spesso ultimamente.

- Lui, per fortuna, gode di perfetta salute – replicò la moglie riprendendo la calma e guardando il contorno di fresche verdure che abbracciava la carne -  Era da tanto poi  che non vedevo mio fratello che ora abita Lione.

- Sì…ricordo…mi avevate tra l’altro accennato ai danni che hanno colpito la vostra tenuta…

- La casa deve essere ristrutturata da cima a fondo e il sistema di irrigazione dei campi contigui aveva presentato alcuni problemi…adesso abbiamo assunto naturalmente  personale di competenza tecnica. Agrimensori, geometri, architetti. C’è stato un continuo viavai.

- Le manutenzioni  sono un bell’impiccio…d’altronde se si vuole vivere su fondamenta solide...

- I lavori procedono zelantemente.

Frédéric prese una  brocca di vetro blu  e versò il vino nel calice di cesellato cristallo…
Lo decantò elegantemente aggrottando le sopracciglia…
Il bambino lo teneva sottocchio quasi osservasse una miccia che stesse per giungere a un barile di polvere da sparo.

- Immagino che l’ architetto Gerard Touluse  sia abile e degno di fiducia.

La donna impallidì alle parole del marito e mandò pesantemente giù l’insalata.

- Sì…assolutamente…- reagì  rinnovando il contegno -  lo conosciamo da molto tempo.

Il conte bevve in burrascoso silenzio e dopo interrogò con finta ingenuità:

- Da prima del nostro matrimonio?

- È un amico di famiglia e i miei genitori  hanno ininterrottamente nutrito per lui una profonda stima.

Victor aveva visto più di una volta quel brillante architetto quando andava con la madre a trovare il nonno…Era un uomo molto semplice, dalla fisicità morbida ma non appesantita, possedeva due grandi occhi grigi perennemente assolati che assomigliavano a pietre ferme e lucenti. La  voce suonava sincera , bella e gli parlava in modo gentile e allegro.

- Peccato che non abbia qualche cappella o atrio da lasciargli  restaurare…- interruppe Frederic accartocciando i pensieri del figlio - sarei proprio curioso di vederlo all’opera… Diversi miei colleghi ne parlano bene…una bella carriera non c’è che dire. Chi l’avrebbe mai detto? Il figlio di due commercianti di provincia…architetto insigne…

- Il talento sboccia in qualunque dimensione, Frédéric…non privilegia né la terra, né il cielo. Non mi sembra che Michelangelo e Leonardo fossero figli di duchi o conti.

- Certo…certo…mi auguro che questo Gerard abbia anche talento nella finezza e nel garbo che serba al… prossimo.

Il bambino seguitava a tacere sapendo che la mamma, prima di andare a letto, si affacciava alla finestra quasi attendesse d’essere salvata da qualcuno…e molte delle lettere che scriveva cominciavano con “ Caro Gerard “ :

- Sono uomo molto paziente, Ivonne…Evitate di allontanarvi da Saint-Claude nei prossimi giorni …Sapete…Victor si distrae spesso se non ci siete.

La giovane, accarezzando protettiva i capelli del figlio,  s’imporporò d’indignazione :

- Credete che io voglia abbandonare questa casa?!

- Mi limito a dare suggerimenti, cara. Alcune volte i battiti del cuore sono talmente forti che sembra picchino il cervello e demoliscano i timpani.

Ridacchiò piano, simile al fuoco che, strepitando,  divora  un covone di grano.  

- A proposito… - riprese indurendo di nuovo le sottili labbra - avete provato un qualche leggero malessere in questi giorni…in questo mese?

La contessa sospirò agitata cercando di temporeggiare tamponandosi la bocca col tovagliolo di stoffa.

- Io…non ho avvertito… Né emicranie, né nausee, né strano appetito verso un certo cibo.

Il marito poggiò il dorso allo schienale della sedia da sovrano giustiziere:

- Vi siete sottoposta ad una visita medica?

-Il dottore ha detto che…è tutto nella norma.

- Quindi…?

- Ancora nulla.

Il militare espirò pesantemente prendendosi la fronte con la mano:

- Perché deve essere un’impresa?

-Sono cose che possono accadere, Frédéric…ci vuole tempo.

-Ivonne. Vi rammento che in questi sette mesi non mi avete portato alcuna lieta notizia, né sembra che desideriate coinvolgervi seriamente.

-È l’ansia che vi procura queste impressioni.

-È una fantomatica impressione che voi scappiate?

Victor rabbrividì saggiando il contrasto tra il tono calmo che adoperava il padre e l’espressione di celeste violento con cui sferzava la sposa.

-Io non ho l’abitudine di fuggire – affermò ella con inclinazione tentennante -  È che non amo distruggermi in battaglie continue.

Frédéric detonò un sorriso tagliente, più terrificante dell’ espressioni adirate e offese. La parte destra del volto, piena di cicatrici, pareva aumentare di rugosità e quelle piccole fosse si restringevano pari a crepe di un terreno arido.

- La vostra bellezza è accresciuta, siete più disinvolta, avete un’ammirevole compostezza che v’invidiano tutte…- musicò velenoso prendendo la mano della moglie- eppure io vedo in quegli occhi la fanciulla che ho portato all’altare.

- Io non sono di ferro ed è normale che possa stare qualche volta poco bene.

Il generale sbatté il tovagliolo sul tavolo e scandì pregno di artico incendio: 

-Qualche volta? È una coincidenza che diciate d’avere mal di testa  o d’essere indisposta quando dovreste rispettare i vostri doveri?

- Io li rispetto fin troppo.

L’uomo, ghignando acidamente, finì di bere il vino dalla coppa.

- Evitate i vittimismi da santa. Sapete che non vi si addicono.

Ivonne , tentando di non balbettare e far tremare le dita, controbatté col petto gonfio:

- Il ruolo di Conte regnante vi sta a pennello.

Lui , lanciando un’occhiata tirannica alla moglie, ordinò apatico al figlio:

- Victor. Sono le otto. È ora che ti prepari per andare a letto.

- Ma…padre…- obiettò l'altro delicatamente - io vado a dormire alle nove e mezza.

- Christine. – venne troncato secco- Accompagnate  nostro figlio nella sua camera.

- Frédéric – sibilò la madre -  Non c’è alcuna fretta!

- Ivonne. Domani si deve alzare presto. Lo attende il precettore e ha lezioni di scherma.

La giovane stritolò il tovagliolo nella mano:

-Noi dovremo andare al Parco di Saint-Claude!

Il governatore socchiuse gli occhi recitando dispiacere:

-Mi dispiace, cara. Sono stato intempestivo nell’avvisare il cambio di programma. La prossima volta sarò più diligente.

La contessa, mentre si chinava verso il bimbo per il bacio della buonanotte, gli sussurrò all’orecchio.

-Tranquillo tesoro…usciremo nel pomeriggio.

Victor , a malincuore, dovette abbracciare la mamma in fretta…
Sapeva che il padre non pativa tanto le effusioni…

-Su, signorino venite.

La balia Christine lo aiutò a scendere dal sedile e , prendendolo per la manina,  lo guidò per la scalinata di marmo che portava alle camere superiori.
Era proprio un bambino triste…
Doveva aspettare il mattino senza aver paura del buio…
I suoi occhi si muovevano precari uguali all’acqua trasportata in un secchio che perde gocce e non irriga liberamente la terra.

 

***§***

L’orologio a pendolo rimbombava  mezzanotte e stelle gocciolanti…
Ancora mezzanotte.
Solo stelle che perdevano acqua.
La camera rintronava di silenzio e tappezzerie di fiori finti.
Ancora silenzio e tappezzerie.
Solo fiori disegnati e piatti.

Le tende della finestra erano leggermente scostate per far infiltrate un remo pallido di luna che nuotava paralizzato sulle piastrelle.
Croci scivolose e asettiche, ombre delle vetrate strisciavano a terra allungandosi impercettibili.
Victor guardava la vuotezza decorata della sua stanza, impaurito di perdere la rotta  tra le onde delle lenzuola del letto.
Il baldacchino di raso rosso pareva una rete pronta a catturarlo in un qualsiasi attimo di distrazione procurandogli una fine da coniglio.
Si chiamava Victor , vincitore...Il luccicore dei fasci littori che si levano al termine delle battaglie, l’aroma dell’alloro che cinge il capo degli eroi… L’aquila d’oro che sovrastava il nome di Roma…Tutte quelle onorificenze, che aspettavano di materializzarsi su una bella divisa, pesavano sulla sua azzurrina veste da notte.

Eroe? Aquila?

Era uno schermidore dilettante che più che dilettarsi si angosciava e più che un maestoso rapace delle montagne appariva un passerotto che non spiccava il volo.
A stemperare magro e ironico Victor ,  Clement  il nome del nonno materno...però... un Vincitore poteva  essere davvero clemente verso gli altri?
Il piccino respirava felicemente i minuti solo se aspettava la mamma, solo se giocava davanti a lei mostrando orgoglioso l’esercito dei soldatini che preparava apposta per difenderla…
Riusciva a distinguere le sfumature dei verdi  fogliami solo quando passeggiava sotto i tigli e tra le ombre c’erano squame di luce che danzavano sui capelli e sul petto di Ivonne.

All’improvviso un gentile battito risuonò sul duro legno della porta.
Un lieve fruscio di veste blu, morbido e leggero volteggiava sul pavimento fuori l’oscura tana.
Lui si mise a sedere sul materasso credendo che il sangue freddo nelle vene fosse divenuto tè caldo e dolce.
Conosceva benissimo quei passi.
Erano quelli della sua fata in cuffietta che l’aveva sempre cullato nei momenti in cui la Contessa era malata o era dal fratello, fuori Parigi.
Un’altra sequela di bussi.

- Avanti.

Una donna, non molto alta, avanzò piano con un candelabro in mano.

- Signorino Victor…state bene? – gli domandò preoccupata – prima ho sentito che eravate uscito dalla vostra stanza e poi siete tornato qui…

- Nounou Christine…- lamentò mogio- non ho sonno.

La nutrice sorrise tale e quale a una brezza primaverile:

- Vi porto una tazza di latte?

- Va bene.

Alcuni minuti dopo, la signora giunse con un piccolo vassoio d’argento e una coppa di ceramica smeraldina, la preferita di Victor. Poggiò le candele su un mobile di cedro e si accomodò sull’orlo del letto vicino a lui.

- Nounou… la mamma  può venire da me?

Christine assunse una piega disagiata e abbattuta…
Non poteva riferire che il conte Frédéric aveva costretto la consorte a riceverlo nella stanza matrimoniale .

- Mi dispiace…- mormorò pulendo con un fazzoletto la bocca del bimbo marchiata di latte- Madame è …con vostro padre.

- Oh…lei mi legge le fiabe e si mette pure a dormire qui qualche volta…

Non capiva perfettamente certi meccanismi adulti ma sapeva benissimo che il generale gli rubava la principessa.
Tacque qualche minuto cercando di arrabbiarsi ma si accorse di provar soltanto timore:  rimembrava una volta in cui si era messo a piangere forte perché Ivonne non poteva coricarsi con lui e il padre gli aveva tirato uno schiaffo dando inizio ad un terribile litigio coniugale. 

- Purtroppo signorino non so leggere…- confessò dispiaciuta la balia.

Il bambino sollevò le coperte e le si addossò in grembo.

- Però…- obiettò con tenero cruccio - tu sai qualche storia…te le raccontavano anche a te da bimba?

- Oh..certo!- rise lei accarezzandolo-  conosco quelle del mio vecchio villaggio.

- Nounou - le borbottò con la testa poggiata sul suo petto che profumava di dolce pasta- Non dire niente a mio padre. Lui dice che io sarò un uomo e non devo stare tanto attaccato a maman.

- Signorino….- rivelò prendendogli scherzosamente il faccino tra le mani- mio padre diceva che un bambino amato dalla propria mamma sarà senza dubbio un uomo valoroso. Perché saprà proteggere e adorare le fanciulle come un cavaliere. Anche senza  spade. 

Victor sorrise…Luminosità di pioggia che cadeva inondata dal sole.

- Non vedo l’ora di saper suonare la chitarra!

- E’ un bellissimo strumento.

- Già…ti prometto che farò  canzoni con tante favole tue e della mamma…    

 

 

 

Note storico-artistiche:

Jean de Boulogne  o il Giambologna ( 1529-1608) è stato uno scultore fiammingo che ha operato a lungo a Firenze. Grande esponente del Manierismo, alcune tra le opere famose : Il ratto delle sabine ( Loggia della Signoria , Firenze) , Statua Equestre di Cosimo I – Piazza della Signoria , Fontana del Nettuno- Piazza del Nettuno, Bologna.

Jacopo Barozzi , detto il Vignola ( 1507 – 1573) : fu uno dei più importanti architetti della corrente manierista , autore del trattato Regola delli Cinque Ordini d’Architettura . Alcuni tra i suoi progetti più noti: Palazzo Farnese , Villa Giulia, Chiesa del Gesù ( Roma)

Note personali:

ciao a tutti! scusate il lieve ritardo! ^^”
ecco finalmente una panoramica introspettiva sulla famiglia Girodel e in particolare sul piccolo Victor…
costoro segnano un taglio netto con i de Jarjayes e i Grandier…a parte la ricchezza smisurata e incredibile ( la loro dimora è sostanzialmente una pinacoteca e galleria d’arte ) ci sono gravi problemi all’ interno. Frédéric , che già ha avuto modo di spiccare con la ““ simpatia”” , è un po’ l’imperatore incontrastabile che non è differente da come si comporta nell’esercito…Ivonne e Victor sono uniti nel loro ruolo di succubi ma soprattutto nel ruolo di madre e figlio. Sarà proprio l’affezione del bambino alle figure femminili ( indifferente  non è la posizione di Christine – nounou è il diminutivo affettuoso francese di nourrice , nutrice) a farlo maturare nella maniera più nobile che conosceremo…( e a portare futuri contrasti col padre-padrone)
più avanti verranno alla luce altri episodi di questa famiglia( specialmente sulla drammatica condizione di Ivonne)…

Spero che abbiate apprezzato quest’altra digressione ( non particolarmente serena XD )
L’ultima parte del 4 capitolo vedrà ….la nascita di Oscar!!!

Non so dirvi la data precisa…ma entro la fine di giugno mi auguro di aggiornare ( è un po’ un periodo di intasamento esami ^^”)

Un saluto grande!
( un ringraziamento affettuoso per la pazienza con cui mi seguite :-* )

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** CAP 4 - Patriarchi e focolari : la bambina con il fiocco blu ( I parte) ***


CAP 4 - PATRIARCHI E FOCOLARI : LA BAMBINA DAL FIOCCO BLU

4

Patriarchi e focolari:

La bambina con il fiocco blu

( I parte)

 

 

 

 

 

Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti. “

( U. Saba)

25 Dicembre 1755

 

Era un Natale strano, denso di mormorante umidità e decorazioni affievolite.
Il pomeriggio fuggiva negli alveoli della sera scudisciato da  un temporale di cenere.

Le capriate del cielo, rotte da chissà quale divinità, grandinavano pezzi di vetro in gemiti secchi.

Villa de Jarjayes gravitava  tra le fiammelle  lacustri dei candelabri.

Nella sala da pranzo non si gustavano vapori di cibi rosolati o bolliti, non si udivano i dolci e bombati rumori dei tappi  che balzavano dalle bottiglie …

Ogni cosa si era desertificata in un emporio di mobili, tappeti e quadri lasciato incustodito dall’ansia dei proprietari…

-         Albert – chiese piano Berthold –  il generale è ancora al piano di sopra?

Il maggiordomo settantaquattrenne fece un cenno assorto e negativo col capo. Era appena entrato in cucina dopo aver rianimato l’ugola infreddolita del camino nel salone. I folti capelli bianchi si scaldarono sotto la luce del piccolo lampadario del soffitto assieme alle rughe signorili e campestri:  sempre composto , si avvicinò al tavolo velato da una semplice tovaglia bianca su cui giacevano ciotole di brodo, tozzi di pane spolpati e bicchieri d’acqua mezzi vuoti.
Lui e gli altri servi avevano deciso , dettati dal rispetto e dalla tenebra superstiziosa, di non aprire le bottiglie di vino fino a che non fossero giunte notizie felici dalla camera di Judith.

-         Da quando Madame ha iniziato ad avere le doglie prima dell’ora di pranzo – ricordò Albert - non si è voluto allontanare da dietro la porta di quella camera...

-         Avrebbe fatto meglio a mangiare qualche boccone prima di sera – sospirò Damian seduto di fronte al padre - ora i nervi gli salteranno fuori dal cranio! Non riesco a capire se sopra abbiamo un mastino o un uomo...

Davanti alla ciminiera  , intenta a rimestare nella pentola di rame le bolliture dello spezzatino , stava la quarantenne Ginette, la capo cuoca dal fisico di chioccia laboriosa. Girò verso gli interlocutori il volto tenero  che contrastava con gli occhi scuri e lampeggianti pronti a scattare per sospetti e irregolarità.

-         Nel pomeriggio – raccontò tonante - ho tentato di portargli una scodella di minestra calda e sostanziosa e per poco non mi ha mangiata viva! E dire che ho messo tante di quelle patate, cipolle e ortaggi scelti!     

-         Ginette,  non ti scoraggiare! – sorrise Damian voltandosi e dandole un colpetto affettuoso sul braccio -  Sai com’è il re della foresta... in una situazione come questa...

-         Lo so!lo so! – ribattè con gli occhi al cielo agguerita di preoccupazione -  Sento la paura fin nei capelli! Ma non si può lottare a stomaco vuoto!

-         Hai proprio ragione – annuì Berthold -  però la tensione ti può togliere l’appetito...

La donna venne colpita da subconscie manie di persecuzione. L’ infanzia  l’aveva vista subire asprissimi e assillanti rimproveri dalla nonna e dalla madre che sostenevano che non sapesse eseguire perfettamente i suoi compiti. 

-         Ah! – sibilò stringendo gli occhi -  È un modo simpatico per dire che la mia minestra era una pappetta disgustosa?!

-         No! – si premurò di precisare Albert tentando di prevenire una reazione esagerata -  Assolutamente è che....il nervosismo non fa apprezzare delizie e piatti preparati con amore e grandissima cura.

Ginette si ritrasse in preda ad un ripensamento infantile, quasi avesse commesso un danno causato da una grave mancanza di senno.

-         Forse avete ragione....- piagnucolò abbattuta - l’odore delle cipolle era troppo forte....non avrei dovuto strafare! Ecco perchè il Conte si era arrabbiato! Sto peggiorando!

Lazar, il responsabile delle stalle seduto accanto a Damian , si mise a ridere. Era un uomo di mezza età, inguainato da una capigliatura sale e pepe e sorretto da membra lunghe, nodose come le cortecce degli alberi marittimi.
Sembrava che la bellezza fosse stata avara sul viso olivastro, lungo, coperto dalla fuliggine di una peluria invincibile al rasoio. Il naso spuntato, quasi elaborato da un fabbro medievale, captava qualunque tipo di odori rendendolo esperto di linguaggi animali che parlava attraverso  la dentatura biancastra gialla.

-         Ginette! – esclamò col tono di fieno e segatura - Sappi che la tua squisitezza ha rallegrato le nostra budella! Quel ben di dio ha scaldato le carrucole dei miei muscoli!

-         E la caverna del tuo palato delizioso – ridacchiò Damian - per non aggungere altro!

-         Fai poco il principino sputacchioso! Che i miei cavalli hanno meno pulci dei tuoi capelli!

-         Chiedo venia prode Lazar  lazzarone!

Berthold rimproverò il figlio :

-         Per favore. Mantieniti. Ti pare il momento di scimmiottare i marmocchi?

I gomiti sul tavolo e i capelli chiari sul cranio gli avevano incrementato l’aurea di stoico greco.

-         Papà! La situazione è quella che è. Cerchiamo di tenere il morale energico e no spiacciccato sotto le scarpe! La casa sembra un cimitero!

-         Dobbiamo avere pazienza e contegno. Rispettiamo il conte e madame. Non possiamo organizzare numeri da circo in un giorno come questo.

-         Suvvia Berthold....- s’inseri flessibile e diplomatico Albert - è dura ma non c’è bisogno di perdere la positività e la concordia...stiamo uniti e magari finiamo il magnifico spezzatino della nostra Ginette.

Lazar si alzò dalla seggiola sporgendo il tronco del collo verso la porta della cucina:

-         Ehi, gente! Sento i passi di mia moglie che sta scendendo!- prese a gridare senza porsi problemi d’intonazioni eleganti - Faustine! Faustine! Ohilàààà! Faustiiiiine!

Giunse in fretta , a passetti svelti e febbrili, una donnina dalla carnagione infreddolita ma dal nasetto energico e dagli occhi verde marrone  di sensibiltà premurosa e ordinata. Aveva soltanto un ciuffetto fuori posto dalla crocchia castano nocciola.

-         Che abbai così?! – sgridò a denti stretti - Razza di cafone! Non stai scaricando scorfani e cozze a Marsiglia!

-         E piantala di spaccarmi la testa con bacchettate da balietta! Che sta succedendo al piano di sopra?

-         Sembra che manchi poco – riferì impaziente e impensierita - il medico, sua moglie e sua figlia sono bravissimi. Tengono tutto sotto controllo.

-         Eh !eh! c’erano dubbi? – incoraggiò rumorosamente il marito - Avete visto quell’uomo! È uno che mastica pane, aglio e birra! Altrochè  robette spocchiose!

-         Deronne ha la pellaccia di un elefante da combattimento e un cuore grande – aggiunse Damian battendo allegramente la mano sul tavolo - è una benedizione che il generale lo abbia  rincontrato!

-         Ringraziamo il cielo... – disse Berthold con un timido sorriso - oggi è natale....che nostro Signore dia a questa casa una bellissima creatura.

-         Amici – invitò Albert calorosamente  -  Preghiamo assieme. Così le nostre voci saranno più forti.

-         Che paura abbiamo? – incalzò Lazar azzannando un pezzo di pane e masticando rozzamente -   Gesù Cristo è con noi!

-         Sì...- gli diede poi ragione la moglie -  il Salvatore ci ha dato un segno!

 

***§***

 

 François fissava angosciato la porta della camera dove la consorte stava partorendo.
Passeggiava avanti e dietro desiderando spellare il pavimento o frantumare i vetri delle finestre  canute di  condensa.

S’inquietava sempre di più e terrorizzava sempre di più…
La sventurata cameriera di turno, che usciva di tanto in tanto ,  tentava di calmarlo assicurando che Judith  era ormai prossima a far nascere il neonato.

-          Giuda assassino! – imprecava il padrone - E’ da due ore che dite le stesse cose e non vedo ancora né mia moglie né il bambino!

-          Signore…il travaglio è stato un po’ lungo, bisogna evitare che Madame corra rischi…

-          Sarà meglio che questo stillicidio finisca al più presto!

L’uomo andava vicino alla finestra, sbatteva un pugno contro le imposte e mugugnava preghiere tra i  denti:

-          Padre Eterno…Vergine Maria…non sono il più fervido dei praticanti ma vi prego…proteggete Judith e…il piccolo…Sì…il piccolo…sarà un maschio, vero? Perché sta volta andrà diversamente…sì…lo sento...la vostra misericordia è immensa…

Aveva ricevuto un’educazione cattolica ma veleggiava nel limbo dell'agnosticismo…Credeva, ripudiava, rivalutava, confutava e ricredeva…Era un’altalena di speranza e scetticismo…un pendolo metafisico che ciondolava tra cieca fede e sgretolante amarezza.

-          Non so che volto abbiate ma almeno vedo il cielo sopra di me …Dio, Gesù Cristo, immacolata Maria…non abbandonate mia moglie e donatemi un maschio…un bel bimbo sano e forte…e fate in modo che quel bovaro di Deronne abbia le mani guidate da voi!

L’ansia rabbiosa gli faceva schiumare scongiuri e insulti ma nel cuore sapeva che era veramente  sleale dubitare di quel professionista.
In fin dei conti doveva ringraziare il Padre Eterno o il Fato per averglielo, dopo tanto tempo , rimesso accidentalmente sul sentiero.

 Il sole di agosto , quasi avesse il sangue semi svenuto nelle vene, si accasciava sulle vie e sulle case antiche di Parigi. I ciottoli parevano schiudersi come uova di anguilla e le case di respiro medievale minacciavano di diventare liquefatte. I nobili cercavano refrigerio nei parchi o nei boschi sotto le braccia rigonfie degli alberi mentre fornai, artigiani , editori e sarti avvertivano la pelle mescolata alla pesantezza dei tessuti bagnati e logori.
Una carrozza nobiliare, trainata da robusti e coraggiosi cavalli, spaccava,sotto i raggi di mezzogiorno, il viale che sporgeva sulla Senna drogata d’azzurro e verde rame.
Aveva una linea austera decorata con qualche filamento d’edera d’ottone imbrunita di vecchi luccicchii.

Il cocchiere, un uomo dai capelli grigio neri sbatacchiati  , si schermava con un cappello leggero a tesa larga. Finalmento libero dal protocollo di corte , si era slacciato la marsina beige , la camicia di lino e il nastro di raso mogano che ne teneva congiunti i colletti. 

Lazar , stava riaccompagnando a casa François reduce da una riunione militare sull’organizzazione delle linee di difesa dello Stato giacché ormai gli equilibri delle alleanze mutavano in fretta.

Anche lui , aperti i finestrini del veicolo, si era allentato i bottoni della divisa e sventolava il cappello tentando di produrre un soffio di vento che potesse raggelargli i capelli spettinati che si addossavano sulla fronte, le guance e il collo.

Damian, seduto dirimpetto , si scuoteva le fronde umide della capigliatura castano chiara e tentava di trovare sollievo slacciandosi giubba e panciotto.

A mano a mano che si procedeva una voce femminile  , rustica e cristallina , diveniva sempre più alta e irritata.

-          Teh ! – sbraitava - Che dicevo?! Tu: “ ma non vedi che questo legno è roccia!”

-          Letamai di strade! – imprecava l’uomo con un vocione da fornace -   Proprio lì si doveva piazzare quella pietra aguzza?!

François , incuriosito,  si sporse dal finestrino: al lato opposto della strada stava un carretto ammutinato con la ruota spaccata. Era circondato da tre persone. Una coppia corpulenta sulla sessantina che agitava le braccia alla stregua di marinai e una giovane robusta che tentava di mantenere la calma.

-          Certo! – canzonava la signora -  Le pietre si divertono a saltellare e fare dispetti! Mai ascoltare me e chiamare un falegname prima del disastro!

-          E chi lo trovava il tempo?

-          Intanto potevi accorgertene prima che il cerchio si lamentava!

La poderosa schiena, le gambe taurine e forti, il volto di mattone,  le setole dei capelli in disordine...
Il generale , affacciandosi dallo sportello della carrozza,  ordinò a Lazar di fermarsi ed esclamò: 

-          Ma...voi siete il medico Deronne!

Il trio ammutolì inarcando le sopracciglia all’unisono in comica armonia.

-          Cosa?- rumoreggiò energicamente René senza curarsi dell’etichetta -   tu...François?

Il Conte , sorridendo e scuotendo il capo , uscì dalla carrozza investito dai raggi del sole che rimbalzarono sulla divisa blu mare.
La signora e la ragazza restarono piacevolmente meravigliate dalla sua figura alta, distinta e dal  viso guerriero simile ai santi cavalieri delle chiese: possibile che il loro omaccione conoscesse un nobile del genere?

-          Spero di non essere così invecchiato da sembrare irriconoscibile!- scherzò l’ufficiale -

-          È da quasi quattro anni che non ci si vede! – rise fragorosamente l’altro -  La tua faccia di stagno è sempre quella!

François , seguito da Damian , osservò il piccolo calesse che poggiava sul mozzo della ruota demolita.

-          Coraggio....avete un bel danno... lasciate che aiuti voi e...

Deronne presentò le donne:

-          Queste sono mia moglie Susanne e mia figlia Colette.

-          Piacere di conoscervi, signore – fece un rapido e rispettoso  inchino il conte -  Dov’eravate diretti?

-          Siamo levatrici – spiegò la signora -  Assieme a mio marito dobbiamo effettuare una visita d’urgenza ad una giovane che abita oltre Pont Neuf.

-          Io e Lazar vi accompagniamo immediatamente, intanto Damian si accuperà del vostro carro e dei vostri cavalli.

-          Sì, signori – assicurò l’attendente– conosco un fabbro nelle vicinanze a cui mi rivolgo da anni. Lui e i suoi garzoni vi ripareranno tutto.

Colette  indugiò con lo sguardo,  pudica ma interessata , sull’avvenente servitore che intanto prese per le briglie i due cavalli . Come il conte, possedeva una statura importante ma mentre il primo era più solenne e metteva più soggezione, lui emanava semplicità agreste e vivace.

-          Vi ringraziamo di cuore – si riprese lei tornando compita - Che Dio vi benedica! Non possiamo abbandonare quella ragazza e i suoi genitori...

-          Vostro marito mi ha salvato la vita – rivelò François accorato -  e ha sostenuto con grande valore molti altri uomini.

-          Dicci che potremmo fare per te François! – incitò Deronne mettendogli le manone da carpentiere sulle spalle.

L’uomo riflesse e  indugiò quasi costernato  ma alla fine raccontò:

-          Ecco...mia moglie Judith è incinta di cinque mesi e il medico che la visitava putroppo è in viaggio all’estero...sto cercando un professionista o dei professionisti  degni di fiducia che la seguano e ci possano garantire la salvezza del nostro nuovo bambino...

-          Susanne e Colette sono di ferro ma possiedono mani d’angelo mentre io ho il corpaccione da muratore ma  braccia di velluto quando afferro i pupetti frignanti.

Vagiti squillanti interruppero il flusso dei pensieri.
Le voci entusiaste della servitù dissolsero la tetraggine dell'attesa.

Un orologio di cedro e ottone segnava le otto e mezzo.

François si precipitò davanti alla porta della stanza, pensando di progettare in futuro un pellegrinaggio a Santiago di Compostela.
Dopo una mezz’ora di pianti e parole calmieranti,  Marie venne fuori raggiante con un fagottino in braccio.

-          Signore! Il parto è andato bene! Madame deve riposare ma il dottor Deronne dice che si riprenderà tra qualche ora.

Il generale  sorrise gioioso  lasciando defluire  la tensione  accumulata.
Dopo Santiago , pensò, si sarebbe recato anche a Roma.. .

-          Sono felice,  Marie! Stavo morendo d’ansia! Non osavo immaginare cosa sarebbe potuto accadere a Judith! Che tortura…Non ho dormito tranquillamente…Grazie al Cielo è andato tutto per il meglio! E… questo splendido piccino?

Una testolina di biondissime ciocche d’etere sporgeva dalle braccia della governante. Un visino ancora madido d’alba, rosseggiato di gemiti ma dolce di tepore…Gli occhi erano chiusi e solo le braccia paffute tentavano di appropriarsi delle immagini del  mondo.
Era un piccolo Iperione, un dio del Sole…Sarebbe diventato uno sfavillante armigero con quella criniera di rara beltà e quell’ effervescenza di vento.

-          E’ proprio un degno de Jarjayes! – esclamò elettrizzato François afferrando  la creatura.

Marie sorrideva colma di  ansioso imbarazzo.

-          Emh…signore…

-          Somiglia ad un arcangelo! No! Ad un cherubino! A un serafino! Un serafino!

L’uomo teneva tra le braccia la creaturina che protestava per quella verve commossa

-          Signore…non vi siete accorto…

-          Vedrete, Marie! Splenderà di nuovo la gloria della nostra famiglia!

Il generale ormai lievitava nell’atmosfera, giurando al Creatore di compiere un viaggio a piedi fino a Gerusalemme per deporre ogni tipo di offerte.
La governante aveva paura di smorzare quell’agognato momento d’ilarità…

-          Signore, devo dirvi che…

-          Non siete d’accordo con me? Non è  un bellissimo principe?

-          Una…bellissima principessa.

Di colpo François ammutolì.
Sgranò gli occhi facendo diventare il loro blu cocente.

-          Una p-principessa? – sorrise adirato e incredulo – avanti, non prendetevi gioco di me…è stata una giornata estenuante…

-  Ho detto la verità, signore. Voi e Madame avete una bambina…Guardate…è sanissima e meravigliosa…neppure troppo piccola! Il medico è rimasto piacevolmente stupito!

Il conte aveva le mandibole contratte e un tremolio negli arti.
Con lentezza scoprì il corpicino della neonata per verificare la tragicità delle rivelazioni…

-          Una femmina…- ruggì – ancora una femmina!  

-          Ma signore! – si sdegnò la serva – dovreste essere fiero! Questa piccina non ha nulla, è perfetta e Madame è finalmente felice!

-          È la sesta! Incredibile!

L’ufficiale avvertiva i ditini dell'infante battere sull’orlo del gilet , sul bordo della giacca...Era come se cercasse un appiglio sicuro, caldo, solido...Gli sfiorò , quasi cinguettando, la cravatta di seta già stupendosi di quel contatto stropicciato e liscio...

-          Suvvia! Dove la vedete questa fine? – rinfacciò Marie – è un reato che una fanciulla perpetui il sangue di famiglia?

François restò in silenzio annullandosi nella furia dell'acquazzone.
Le gocce che sbattevano contro le finestre intaccavano i riflessi dei suoi lineamenti  inaspriti di confusione.
Contemplò di nuovo il faccino della figlia rigonfio di delicatezza arrossata...quella floricultura di capelli finissimi era incantevole e desiderosa di essere coperta da carezze e cuffiette.
Da quanto tempo poi non sorreggeva la leggerezza vibrante di un neonato? Da quanto lui e Judith erano rimasti atrocemente a digiuno di quelle sensazioni?
Sì...desiderava un maschietto però una splendida femminuccia poteva segnare un inizio luminoso, simile ai riflessi carezzevoli dell’aurora. Sarebbe stata un’erede della madre, avrebbe appreso la grazia della musica e la sottile regalità. Bisognava attendere un altro pò di tempo e si sarebbe pensato subito ad un altro prodigio...un secondogenito che avrebbe portato la spada e protetto la corona e la famiglia.

-          Come sta Judith ? – si addolcì il conte guardando la governante – riposa?

Marie si riaccese di contentezza vedendolo tornato alla pacata tenerezza di marito e padre.

-          Sì – rispose – è necessario aspettare, il tempo che Madame si senta tranquilla e...si sia ben sistemata.

-          Capisco...- annuì l’altro dispiaciuto – attenderò ,allora...è che non mi sento completamente tranquillo finchè non ho la certezza di riabbracciarla...

Diede delicatamente la bimba a Marie che lo rassicurò:

-          Anche Madame desidera riavervi accanto. E’ stato un travaglio difficoltoso però è finito nel migliore dei modi.

-          Assolutamente....dovremmo decidere il nome per la bambina...Judith avrà sicuramente in mente qualcosa di delizioso.

Trepidante ma sollevato dalla gioia dei piani futuri, François si precipitò al piano di sotto senza più premurarsi  della compostezza delle etichette.
Pensò fosse un natale scarmigliato, agitato ma felicissimo. Saltò quasi per le scale mostrando la grinta di un adolescente che si era imbarcato sul vascello di un’avventura tanto agognata.
Giunse in cucina, sconvolgendo la servitù per lo strepitare dei passi, insolito per la sua consueta serietà.

-          Carissimi! – scandì vivacemente ergendosi in tutta altezza -  la nostra casa ha una nuova piccola contessa!

Albert e Berthold si infervorarono di contentezza battendo le mani tra uno spruzzo di risa. Ginette e Faustine si commossero immaginandosi la fanciullina che avrebbe riempito la casa col rumore della sua giocosa curiosità.
Damian sorridendo , attraverso lo sguardo lucido di lacrime, abbracciò François.

-          Siamo felicissimi signore! questo dono ve lo meritavate da tempo...

-    Sì – assentì l’altro sentendo la dolce strozzatura in gola della commozione – io non ci posso ancora credere...dopo questo capitolo, ce ne sarà un altro.

-          Che bello! Scommetto che la bimbetta è uno straordinario bocciolo! Dopo questo miracolo viene voglia di farne un altro!

-          Ora però – gridò Lazar che aveva già ghermito sfacciato una bottiglia di Borgogna – è doveroso festeggiare l’avvento della damigella!

-          Ehi! – vociò Damian – giù le zampacce da quell’elisir, muso di mulo!

I due si spintonarono alla stregua di calciatori fiorentini fino a che François sgridò:

-          Insomma! Riusciamo a brindare in modo gioioso e civile? O devo prendervi a calci come buoi da traino?

Tra le risate, il vino nei calici brillò al di sotto delle lampade coi suoi sussulti di danza scarlatta.

 

 *** § ***

-          Ecco, la pulcina è al caldo – disse compiaciuto Deronne – guarda, Susanne ! chi è più beata di lei?

La levatrice sorrideva  mentre Judith ricopriva di baci la figlioletta dispensandole  carezze e sorrisi.
Non poteva credere d’averla tra le braccia, attaccata al petto…
Quei solleticanti capelli di vapore, il naso minuscolo come un pistillo di fiore, le gote di pesche accalorate…L’avevano accuratamente coperta con una camiciola di cotone decorata da ricami di uccellini.
Marie guardava la giovane uguale ad  un’immagine santa…Aveva i capelli ondulati raccolti in una selvatica e virginale treccia, gli occhi azzurri sfavillanti di spossatezza lietissima, la camicia da notte che pareva una marea traforata di neve…C’era pure il bel lenzuolo di Pauline, su cui danzava un arabesco di rose, a conferire leggerezza alle coperte invernali.

-          Allora dottore – domandò la contessa avvolta  dall’incredulità felice di chi ha passato brutti momenti – la mia piccola è in perfetta salute?

-          Madame – rispose l’uomo rassicurante e professionale – l’epidermide non mostra la benchè minima macchia , la spina dorsale e gli arti sono ben formati, il palato è sano e il respiro e il battito del cuore sono regolarissimi.

-          Avete stabilito chi sarà la balia? – si premurò Susanne – se sarà possibile visiteremo anche lei per verificarne lo stato di salute.

Judith reagì in modo strano: sorrise tenera eppure nebulosamente scurita.
Avvertì germogliare in se una sorta di gelosia esclusiva. Il sangue che scorreva nella neonata doveva sentirlo soltanto lei...ogni palpitazione, ogni bisogno doveva captarli soltanto la sua mente.

-          No – enunciò austera – non ci sarà alcuna nutrice.

Deronne, la moglie e la figlia si ammutolirono allibiti. Marie e le cameriere, che stavano finendo di mettere a posto la camera, arrestarono i movimenti.

-          Dottore – chiese conferma la contessa risoluta – voi , Susanne e Colette avete riscontrato qualcosa di anomalo al mio seno?

La ragazza affermò discreta e precisa:

-         No, madame...Nonostante il parto sia stato difficile , non c’è nessuna infiammazione al petto. È perfettamente normale.

-          Bene – sospirò Judith baciando la sua bambina sulla guancia – allatterò io stessa.

Il medico si mise le mani sui fianchi voluminosi , approvando ammirato quella decisione fuori dalle regole. Susanne e la figlia parlottarono tra loro perplesse ma in fin dei conti contente. Le serve pensarono fosse incredibile che una nobil donna si flettesse all’umanità primitiva di un gesto concesso solo agli umili.

-          Madame – domandò piano Marie – veramente desiderate allattare la fanciulla?

Judith aggrottò la fronte quasi offesa che si mettesse in dubbio la sua istintuale convinzione di madre:

-          Posso mai provare avversione nel nutrire mia figlia? E’ cresciuta nel mio ventre e l’ho cibata per nove mesi! Continuo semplicemente il processo della natura. Non c’è nulla di scandaloso o osceno a differenza di quello che vogliono credere le altre aristocratiche.... Forse dimenticano che Gesù sia stato allattato dalla Santa Vergine e no da una balia....

Tutti restarono profondamente colpiti da quell’inedita aggressività, quell’aggressività dolce di leonessa che riafferma le leggi ancestrali del creato.

-          Avrei voluto farlo già da tempo – continuò mesta la donna – la sventura o l’indisposizione fisica me lo hanno negato...tra le cose che rimpiango , pensando alle mie bimbe,  è non avere potuto dare loro la linfa del mio petto, ecco... Adesso voglio offrire tutta l’ energia a questa nuova vita. 

Marie , commossa e accorata, chiarì:

-         Madame, dovete perdonare l’inopportuna domanda di prima...non oserei mai mettere in discussione la vostra forza. Ci ha  proprio sorpreso questa decisione. Siamo con voi. Vi capisco con tutto il cuore.

La contessa sorrise costernata per la reazione  verso la governante, che aveva resistito all’urto  di quell’onda ferma nella sua figura tondeggiante e devota. I capelli grigi e ricci celati dalla cuffia e la sua veste ordinata di zelo non si erano mai allontanate dal letto del parto. 

-          Marie, io vi chiedo scusa...Non avrei dovuto rispondere in quel modo...so che comprendete ogni mia decisione e se intuite qualcosa di sbagliato me lo rendete noto. Siete un pò il nostromo di questa casa vascello.

-          Signora, voi mi avete fatto sentire parte di questa famiglia...e la piccolina sarà la mia seconda nipote.

-          Ha la chioma favolosa di mia madre…- rimirò Madame - sapete , a me  e a mia sorella Oriane ci sarebbe tanto piaciuto  giocarci , pettinarla e acconciarla ma lei...è stata sempre una sorta di colonnello fulminatore!

-          Lo farete  con la vostra cucciola! – rise la signora – credo  ci sarà…l’imbarazzo della scelta poi nello scegliere i vestiti.

-          Potrà indossare qualunque cosa! Ogni colore su di lei farà una luce diversa e sempre magnifica! Anche se si coprisse con una nuvola scura sarebbe in grado di brillare come un raggio di sole…

-          Un angelo rende d’oro anche un abitaccio di lana!

-          E’ vero…e dovrà conoscere anche la musica…Le insegnerò a suonare il pianoforte.

Juditte si portò alle labbra le manine della figlia.
Marie era enormemente intenerita…Pensava all’ amato nipotino André, con la matassa di capelli bruni e disordinati, con  il visetto sgargiante dagli occhi verde fogliame …Il tanto desiderato miracolo di Marcel e Pauline.

-          François che ha detto della piccina? – trepidò Juditte – era così in ansia! Voleva un maschietto ma…non credo abbia resistito a una simile meraviglia…

Giocherellò con le ciocche della neonata, anche se, negli occhi, spuntò una scintilla d’apprensione…
Marie la tranquillizzò orgogliosa:

-          Vostro marito…è rimasto folgorato . L’ha presa tra le braccia contentissimo.

Era la verità, certo aveva celato il neo dell’iniziale scontentezza ma una magia è una magia.

-          Avrei desiderato vedere la sua espressione! – s’illuminò la giovane – e che nome ha scelto per la nostra bimba?

-          Preferisce sceglierlo con voi .

-          Bene – rise l’altra che poi divenne seria rivolgendosi a Deronne – dottore...mio marito non ha ancora saputo...delle complicazioni del parto?

Marie restò zitta sentendo l’ansia picchiettarle lo sterno. Il medico sospirò piano ma sempre ben piantato nella  sicurezza:

-          Lui sa bene che avete avuto un travaglio difficile poichè la durata è stata eccessiva per una donna che è alla sesto genita...però tutto è andato per il meglio. Non dobbiamo tenergli nascosto che bisogna innanzitutto preservare la vostra salute e la vostra vita.

-          Lo so ... – pensò lei aggrottando la fronte che sembrò mutarsi in fragile porcellana – però non vorrei che...

In quell’istante bussò alla porta François in un tempismo tragicomico.
Mentre Marie andò ad accoglierlo , Deronne mormorò alla contessa:

-          Madame, lasciate a fare a me , non temete.

L’uomo , sorridendo, si diresse verso il giaciglio e si sedette baciando e abbracciando la moglie . si chinò poi verso la figlioletta.

-          Che paura ho avuto – sussurrò – sono felice di rivederti...

-          Anche io –  fece la donna impensierita appoggiandosi tra la sua spalla e il suo petto – hai visto quant’è bella?

François accarezzò la testolina della neonata ricolma di boccoli rarefatti, mentre sgambettava  flettendo e animando i ricami della camiciola.
Le guance sporgenti si strofinavano contro il seno caldo della madre assaporando quel nuovo antro coccolante .

-          Allora che nome vorresti darle? – domandò il conte –  quello di tua madre?

-          A dire il vero – ammise Judith con un lieve imbarazzo come avesse commesso un dispetto imperdonabile – pensavo...di non seguire questa tradizione.

-          Beh , qual’è il problema? scommetto avrai ritenuto opportuno chiamarla diversamente.

-          Non vorrei mia madre si offendesse – confessò la contessa – non è una questione di mancanza di rispetto...

-          Figuriamoci se tu, Judith, sei una persona irrispettosa e screanzata – scherzò l’uomo.

-          Hai qualche preferenza?

-          Io ho pensato al nome per un uomo...Oscar...ma sarà per il prossimo bambino!

Judith rise tesa e la bimba parve accorgersi del battito accellerato del cuore che faceva , a momenti, vibrare i merletti della camicia da notte.
Temporeggiò alcuni secondi aggiustando il vestitino  della neonata.

-          Immagino sarà qualcosa di grazioso – riprese il marito – per una creatura del genere.

-          Sì...ero indecisa tra Nathalie e Noel visto che oggi che è natale...

-          Vediamo...interpelliamo il nostro medico. Deronne!

L’uomo si avvicinò calmo senza lasciare trapelare panico.

-          Dottore , visto che voi e la vostra famiglia avete protetto Judith , ci dovete consigliare il nome più adatto.

-          Oh, l' onore spetta solo a Madame – conciliò  il medico.

-          Avete reso possibile questo parto difficilissimo Deronne! – si alzò il generale avvicinandosi a lui -  Temevo il peggio...

-          Alla fine  loro sono uscite sane e salve...però...è necessario che ti spieghi  alcuni importanti dettagli... di salute.  

François stese le labbra e abbassò le sopracciglia avvertendo una fastidiosa corrente d’aria artica.

-          Riguarda mia moglie? – s’informò , rabbuitato, a bassa voce – dovrà stare a riposo immagino...mi pare davvero stanca.

Renè , gli fece un cenno del capo invitandolo a parlare nella saletta attigua alla camera da letto dove vi erano bauli e un grosso piano di legno con l’occorente della toilette.
Una volta entrati,  illuminati dalle fiamme instabili dei candelabri , il dottore cominciò asciutto:

-          François , hai notato che madame Judith non se l’è passata bene la settimana prima del parto.

-          Sì. Non riusciva a dormire e aveva frequenti attacchi di nausea. Ha avuto una gravidanza piuttosto tranquilla fino a che non è entrata nell’ultimo mese...

-          Esatto. Ieri si sono scatenate fitte così atroci che si pensava dovesse partorire e invece il travaglio è iniziato alle dieci di mattina.

Il generale si irrigidì inquietato , lasciando guizzare il nervosismo delle  pupille tra un lembo di luce e uno d’ombra.

-          È veramente strano – riflettè quasi con tono sordo – forse Judith è diventata più fragile fisicamente. Da ragazza ebbe  seri problemi di salute ma si riprese benissimo mostrando una tempra straordinaria...

-          Mi sono stupito anche io.

Il conte ascoltò zitto il seguito delle parole del medico:

-          Non targiverserò oltre. Una settima gravidanza potrà essere fatale per tua moglie.

-          Come?!

Ci fu un silenzio tachicardico, alimentato dagli ululii del temporale che sbatteva e si rompeva contro i vetri della finestra.

-          Hai sentito bene. Se tua moglie resterà incinta ancora una volta...dubito che sopravviverà.

-          Quindi...non potremo mettere al mondo un altro bambino.

François si sedette su un baule affossando le testa tra le mani e tacque per diversi minuti smarrendosi mentalmente sotto terra.
Renè Deronne, a braccia conserte , cercò di ravvivarlo:

-          François...lo so che è dura da digerire...ma pensa al fatto che Madame è fuori pericolo è la tua bimba non ha nulla.

-          È facile parlare – biascicò acido e ruvido – quando non hai una stirpe spacciata....

-          Che diamine dici? – si sdegnò il medico – ti rendi conto che tua moglie rischiava grosso?

Il generale scattò irosamente in piedi.
L’ incarnato passò da un bianco lunare, a un rosso mogano, a un grigio acciaio…Mancò poco che virasse verso un demoniaco verde fluorescente.

-          Ovvio che sono morto di paura per Judith! – sbraitò sgranando gli occhi – ovvio che sono felice che sia salva! Ma abbiamo una femmina! Una femmina! E ci resterà solo lei!

Diede un calcio ad uno sgabello che rovinò a terra lasciando disperdere una pila di federe che si accasciarono spaurite.
Intanto Judith impallidì al vociare crescente dei due uomini che fuorisciva dalla serratura della porta.
Strinse la bambina che le si addossò sul petto lamentandosi. Susanne sospirò inarcando un sopracciglio e cercando di tranquillizzarla con l’ autorevole esperienza di signora della casa:

-          Madame, mio marito è nato così. In casa abbaia per stupidaggini . Il conte sarà stato preso dalla rabbia perchè è in pensiero per voi e Renè ha avuto la gentilezza di un energumeno.

Judith espresse gratitudine nello sguardo ma Marie, afferrò quell’attenta agitazione che le faceva riaffiorare i timori più grevi.
Infatti nello stanzino François sfogava la  rabbia a denti stretti:

-          Voi non capite , Deronne! I de Jarjayes sono servitori della corona da generazioni! Io sono rimasto l’unico erede  con un’unica figlia !

-          In che modo pensi di proseguire questa tragedia da re greco?

-          La mia famiglia sta ormai morendo e la carriera militare è stata la nostra linfa vitale, il dovere che abbiamo verso il nostro regno e verso il Signore.

-          Quanta polvere da sparo ti avranno messo nel te o nella birra, durante le campagne militari? Io scommetto che ne hai una quantità dannosa nella scatola cranica.

-          Giusto! – esclamò sarcastico il conte – cosa può capire un bifolco che non distingue la lana caprina dalla seta cinese e non sa la differenza tra un mulo pulcioso e un purosangue da combattimento!

Renè rispose prontamente all’insulto con altrettanta canzonatura:

-          Perdonatemi , monsieur! Non è colpa mia se le mie ditacce non maneggiano spadini e la mia zucca plebea non ragiona come la vostra regal capoccia delirante! 

-          Saranno deliri veri quando questa casata si estinguerà !

-          Per la miseria, François – brontolò il medico aprendo le braccia – dove vedi questa apocalisse? Anche io desideravo un maschietto, ma poi è nata Colette e sono stato comunque felice! Mi aiuta tantissimo e ,senza di lei, io e mia moglie non sapremmo che fare. È l’energia della casa!

Un fulmine deturpò di un biancore crudo il cielo gonfio…
Un boato scarnificante fece vibrare le vetrate.
Il generale si ammutolì a lungo fissando la finestra che mostrava le rigature intricate dell’acquazzone.
Il suo volto era  pietra atona e livida.
Renè si augurò di averlo persuaso ma non ne fu completamente convinto quando gli udì pronunciare calmo e annerito:

-          Sì...perchè una fanciulla non può aiutare la propria famiglia ... perchè dovrebbe essere esclusa dai doveri di protezione?

Il conte uscì dal camerino seguito dal medico che temeva di assistere ad una soluzione assurda.
Judith fissò angustiata il marito e domandò timidamente:

-          Caro...va tutto bene?

L’uomo era avviluppato da una flemma apatica poco rassicurante:

-          Va tutto bene Judith...la nostra fanciulla riporterà in vita i de Jarjayes e lo farà col nome di Oscar François.

Le serve manifestarono agitazione guardandosi tra loro , Marie si avvicinò preventivamente alla contessa  annichilita :

-          Ma – balbettò- Oscar è un nome da uomo...perchè...

Il marito si accostò alla porta della stanza brandendo la maniglia alla stregua di un’elsa da spada.

-          Le cose vanno così, purtroppo.

-          Non capisco! Che significa?

Lui si voltò increspando la fronte durissima di piombo:

-          È semplice. Imparerà gli obblighi che ho dovuto rispettare. Si chiamerà Oscar François come avevo stabilito fin dall’inizio... È tutto. Non voglio sentire obiezioni.

L’ufficiale abbandonò tutti marziale…senza voglia di ragionare, lasciarsi benedire dalla dorata bimba… La sposa non seppe se farsi bruciare dalle lacrime o dalla stanchezza sventrante.

 

***§***

 

Nel  giorno di Santo Stefano si alternarono i mormorii smarriti dei servi e il silenzio cavernoso del Conte. Tutti si domandavano il perché di quello sbalzo d’umore ma soprattutto perché decidere così duramente di attribuire alla neonata un nome maschile.
Il pranzo fu di una tetraggine insopportabile : un grigiore inamidato e accecante si riversava dai finestroni della sala da pranzo. Gli abeti e i lecci del giardino avevano assunto un verdastro nero che contrastava col cielo preannunciante nevischio scompattato.

La medesima desolazione regnò sulla tavola ornata da una pallida tovaglia di ricami dorati.

Ginette si prodigò a  preparare un arrosto succulento, unto da una luccicante salsina di funghi e contornato da patate  ma il conte restò austero e freddo.

Il fatto che non avesse voluto mangiare in intimità con Judith la diceva lunga sulla situazione.

Damian , che aiutò Albert a servire e sparecchiare ,  avvertì sofferente quella  pesantezza  che risuonava nel vino che colpiva il bicchiere e nei vapori muti dei cibi. Non osò dire una parola al generale, che con l’abbigliamento blu scuro e i capelli pettinati rigidamente, esprimeva la propria segregazione intransigente.

Nel pomeriggio, il servitore si trovò in compagnia di Marie a rassettare le camere degli ospiti. Fu felice di vedere il suo volto morbido e il rilievo buffo e piccolo del suo naso.

-          Accidenti – sospirò – vedo nero pesto! Prima il generale sembrava così felice della contessina! Abbiamo brindato assieme e ora si è inumato nel ghiaccio e nel carbone! Ma hai visto che faccia da sasso muschioso?

La signora scosse il capo piegando  i lenzuoli sul letto foderato da una coperta damascata:

-          Ah , Damian…non so davvero cosa fare!  - si crucciò – dopo aver portato a Madame il brodo di carne cucinato da Ginette, ho chiesto al conte se desiderava pranzare al piano di sopra ma..nulla! Ha rifiutato !

-          Guarda , è un peccato che adesso il dottor Deronne non ci sia…

-          Sta mattina aveva provato a fare una lavata di capo al nostro generale di granito eppure neanche quella lo ha pizzicato!  Trucido  e  convinto che quella cucciola possa fare il militare!  Assurdo!

-          Adesso ho preferito lasciar stare , Marie, se dico “ bu “ o “ba” lui mi appende al muro tale e quale ad una testa di cervo!

-          Ma ricordi quando Madame divenne magrissima dopo…la morta della prima bimba? Il conte era stato di una dolcezza e di una nobiltà incredibili! La vegliava in continuazione l’aiutava a mangiare…la trattava come una regina! La serviva senza stancarsi…

-          Detto tra noi – fece a mezza voce Damian accostandosi all’orecchio della governante – sono una coppia inspiegabile…vorrei sapere quale sostanza li unisce e quale li respinge…vai a capire.

-          Non potremmo mai scoprirlo…mi auguro solo che il conte rinsavisca! Sappiamo bene quanto lui la ama…bisogna sperare in questo.

Damian sorrise assottigliando le labbra pensieroso:

-          Sì, Marie …è mirabolante che una donna della pasta di Madame stia con uno dalla corazza di metallo…Abbiamo l’esempio vivente di una sofferenza e di una profondità rari. È l’amore che rende tutto difficile e che mette al mondo creature come Oscar.

La donna annuì piano  prendendo gli indumenti puliti da portare alla contessa:

-          Dovrà essere l’amore che ha verso di lei a riparare tutto – poi sospirò inquieta – se i compromessi potranno veramente essere riparazioni in faccende del genere!

Uscì dalla stanza e andò a bussare alla camera di Judith.

-          Entrate,  Marie.

Vide la madre seduta ad una comoda poltrona che allattava la figlia.
Fu un sollievo assistere al leggero sorriso che teneva serrata l’intimità del nutrimento.

-          Madame…spero di non avervi disturbato. Vi ho portato le vesti nuove.

-         Non vi preoccupate. Anzi grazie che siete venuta. Poggiate pure sul letto.

La governante ubbidì e si rallegrò notando che Oscar quieta, quieta, con i ricciolini che sbucavano dal braccio della contessa, si crogiolava:

-          La piccolina ha mostrato un più che discreto appetito – scherzò – non ha nulla di cui lamentarsi!

-          Sì – rise la giovane – appena l’ho messa vicino al seno pare che subito abbia sentito profumo di latte.

-          Crescerà bene, crescerà bene.

La neonata, tramite un balbettio tumido, lasciò capire che era sazia. Judith l’allontanò dal capezzolo e le pulì la bocca con un morbido tovagliolo. Si ricoprì il seno e la cullò un attimo per tranquillizzarla.

-          Marie – domandò – mentre mi cambio , potreste tenere Oscar?

-          Ci mancherebbe,  Madame! Avete bisogno di aiuto? Vi sentite in forze?

Judith, un po’ frastornata, si alzò e poi sedette sul letto.

-          Mmm…- mormorò – è meglio se chiamate qualcuno…ho ancora i capogiri.

Immediatamente giunse Faustine che supportò delicatamente la Contessa a togliersi la camicia da notte bianca e a mettere un’altra veste azzurrina con le maniche lunghe e larghe. Poi si congedò silente simile ad un sospiro di corrente. 
Marie intanto vezzeggiava la bimba che si lagnò , conscia di essere finita tra le braccia di una persona che non fosse la mamma. Dopo un po’ si rabbonì , lasciando disperdere lo scetticismo tra un borbottio e un altro.
Era splendido  guardarla, aggiustarle i merletti dell'’abitino e darle un bacio sulle gote floride.
A malincuore la governante dovette ridarla alla custode che, sedendosi contro i cuscini, se la rimise in grembo.

-          Accipicchia, Madame – ridacchiò Marie – vi assicuro che me la sarei tenuta in braccio tutta la giornata!

Judith riuscì a donare un sorriso tenerissimo malgrado le angustie che assediavano il cuore:

-          Oscar vi dovrà chiamare “nonna” – decise affettuosa – e la sgriderò se non imparerà a farlo.

-          Ne sarò felicissima…lo sapete che già dal primo momento che l’ho vista è divenuta la mia seconda nipote.

-          Mi dovrete far vedere il vostro André ! Anche lui deve essere stupendo.

-          Sta diventando sempre più bello, sempre più bestiola ! ormai cresce e salta quasi da una parte all’altra della casa.

-          Marie.

L’ufficiale era entrato nella stanza, eretto in tutta la sua altezza incupita e ferrosa.
La sobrietà pesante e la blusa scura l’avvolgevano inflessibile.

-          Lasciateci soli.

Marie ubbidì pressata dal senso di colpa.
La contessa guardò il marito immensamente ingrigita…
Una mesta delusione la infuocò nel vederlo che si sedeva uguale a un giudice su una poltrona.
Dov’era l’uomo che l’affiancava severo ma cosparso di tenerezza? Era veramente a lui che si abbracciava quando sedevano sul divano? Quelle mani di lucente granito che l’accarezzavano  ora erano asserragliate, incrociate…
Il viso dalle mascelle quadrate e armoniose, il naso tracciato con lindo rigore, quegli occhi blu affilati di iodio salino e  profonda ventosità…
Possibile che quell’ imperatore ibernato fosse il giovane devoto che l’aveva fatta innamorare?

Erano uno di fronte all’altra.
Alienati.
La neonata si agitò lievemente.

-          Ti senti bene? Sei stanca?

Le domande di François , più che premurose, risultarono da interrogatorio di caserma.
La sposa arricciò la fronte rispondendo secca:

-          Prima ero un po’ stordita ma ora sono abbastanza ripresa.

-          Mi fa molto piacere. Il medico ha detto qualcos’altro?

-          Dovrò evitare  sforzi eccessivi questa settimana. Andrà tutto bene.

-          Niente complicazioni, quindi…

-          Se tu lo vorrai, no.

L’ultima frase  suonò  alterata.
Il generale  rizzò il busto mettendosi in posizione d’ammonimento.
La bambina afferrava i nastrini della camicia materna.

-          Cosa hai intenzione di fare? – provocò guardinga Judith.

Lo sposo  mise le mani al mento, squadrandola con fredda aria di sfida.

-          Rispettare la natura dei doveri: mandare avanti la famiglia.

La donna impallidì ostile accarezzando protettiva la figlia.

-          “ Rispettare la natura dei doveri…” – enunciò sardonica - Temo di non trovarmi sulla tua lunghezza d’onda.

-          Judith. Conosci la situazione dei de Jarjayes.

-          Abbiamo una bambina splendida e piena di salute. Voglio  il meglio per lei, ciò che le permetterà di crescere serenamente.

-          Crescerà…crescerà nel modo più giusto: toglierà dal baratro la nostra stirpe.

-          Ho detto che dovrà vivere serenamente.

-          Contano la rinascita e la sopravvivenza. C’è la continuità.

La piccola emise qualche gemito.
La madre , cullandola, si rivolse accusatrice:

-          Qual è il tuo concetto di continuità?

L’uomo incrinò le sopracciglia preparandosi a schizzare veleno:

-          Uscire dalla rovina.

-          Rovinando tua figlia?

-          Servire il proprio sangue e la corona non significa “ rovinare”.

-          Stai farneticando, François!

Il militare si alzò furibondo:

-          Vuoi vederci estinguere, Judith?! Siamo dissanguati! Mio padre, a stento, è riuscito mantenere il nostro patrimonio, Philippe è stato costretto a vendere alcuni latifondi in Normandia prima di morire e neppure Etienne può essere più di aiuto ! L’ idiota che deve sollevare questa torre crepata sono io!

La figlia scoppiò in lacrime.
La giovane ,cercando di calmarla, esclamò:

-          Ringrazia il cielo che hai avuto una creatura così! Non è lei la vera continuità?! Non basta per annullare il decadimento totale?

-          Indossare un abito ricamato e un ventaglio non  rappresenterà nulla! Non servirà a nulla!

-          Ti scongiuro! Non vorrai…

-          Imparerà a combattere. Vivere facendo resuscitare la nostra gloria. Difenderà la Corona dello Stato.

-          Sono stupide assurdità! Sarà una donna in tutto e per tutto!

La fanciullina continuava a piangere spaventata.
Il padre si esasperava trincerandosi in un cieco autoritarismo.

-          Stiamo morendo! Lo capisci?! Da secoli le armi sono la realizzazione dei nostri principi, siamo vissuti per perpetrare la potenza di Francia, far vivere le fondamenta di un meccanismo che ci permette di respirare!

-          Cosa cambierà mai,  François,  se sarà una ragazza e non un generale a mandare avanti la famiglia? Occorre sbraitare ordini e usare spade per saper combattere nel mondo?! Non essere ridicolo…

-           Il suo nome è Oscar François. Pantaloni e divisa non le causeranno malattie mortali.

-          Stai calpestando la tua bambina! Te ne rendi conto?!

François si avvicinò alla sposa dilatando gli occhi con sarcasmo:

-          Non è colpa mia se sei stata capace di partorire solo femmine! Dannate femmine!

-          Le abbiamo fatte in due le nostre dannate femmine! Siamo marito e moglie! Ho sempre pensato a noi! No allo Stato e alle sciabole!

L’uomo raggiunse la parete d’ingresso della camera e indicò una sciabola appesa.

-          Questa è la legge, Judith! Questa sarà la sua legge! -  strepitò - Non m’importa a che prezzo! Si deve sempre pagare qualcosa…

Abbandonò come un ciclone a brandelli  la moglie e la figlia.
Marie si appiattì contro la parete del corridoio quando lo vide passare colmo di lampi e tuoni.
Trascorso qualche minuto, tornò dalla contessa.

-          Madame ? – bussò delicatamente alla porta.

-          Entrate, Marie…

Judith aveva il volto colmo di scie di pianto e Oscar allacciata al seno, rinchiusa  nel suo abbraccio.

-          Desiderate che vi porti qualcosa, Madame?

-          Soltanto un po’ d’acqua, grazie.

Marie si congedò preferendo non porre domande su François.
Intuì depressa che Judith avrebbe dormito sola quella notte e che l’unico sapore tenero era il latte che la neonata avrebbe bevuto in quei giorni di intemperie.  

 

 

 

Note personali : rieccomi in tardo autunno ( siamo quasi prossimi al Natale XD ) con il  capitolo che chiuderà questo libro primo!
Torno a dispiacermi per non essere riuscita a farmi viva  in estate ma ho scritto questo lungo episodio daccapo perché non mi aveva convinto la prima vecchia stesura…preferisco rimandare l’aggiornamento piuttosto che pubblicare uno scritto che non trovo credibile.

Ammetto che François poteva apparire OOC ( ho messo per cautela questo avvertimento nella presentazione della storia) ma l’ho fatto per esigenza narrativa…come avrete potuto notare diventa davvero intrattabile e inflessibile XD XD

Ringrazio Lady Dreamer che mi ha dato consigli indispensabili per la rappresentazione della scena sulla nascita della piccola Oscar :* :*

Ci vedremo tra pochi giorni con la seconda e ultima parte del capitolo ! ^^

 

 

 

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Capitolo 11
*** CAP 4 - Patriarchi e focolari : la bambina con il fiocco blu ( II parte) ***


CAP 4 - PATRIARCHI E FOCOLARI: LA BAMBINO CON IL FIOCCO BLU ( IIparte)


4
Patriarchi e focolari:
La bambina con il fiocco blu
(II parte)
 

 
 
 
 
Gennaio 1756

 
 
 
 
Fu una settimana di guerra fredda in casa de’Jarjayes…
Judith preservava la propria regalità di cerva trasformandosi in tigre quando si trattava di Oscar: la proteggeva con aggressiva dolcezza facendola dormire nella sua camera, talvolta nella culla talvolta persino vicino a lei nel letto…Quella gelosia illudeva di non pensare all’educazione futura che sarebbe stato opportuno impartire…
François, intanto,  si era esiliato temporaneamente in un’altra camera, lanciando ammonimenti e costringendo chiunque  a rassegnarsi che la figlia sarebbe stata “ figlio”.
La faccenda divenne ancora più spinosa durante una mattina di gennaio dopo capodanno.
Era giunto il momento di inserire il nome della neonata nei registri parrocchiali e battezzarla.
A occuparsi dell' eroica e delicata missione venne chiamato Jeremy Meunier.
Accolto con somma venerazione dai servi che, gocciolavano imbarazzo e costernazione dietro la cordialità , giunse dinanzi ai padroni di casa.
Erano un trittico di composta tensione: i coniugi mostravano l’incarnato bronzeo brunito delle incurvabili icone bizantine mentre la bimba, in braccio alla madre, non osava lamentarsi infagottata in un abitino bianco piumato di merletti.
Il parroco non sapeva veramente se il clima fosse drammatico o comico. Era come nelle tragedie greche in cui il messo annunciava la notizia in cui si sarebbe ribaltata la sorte degli eroi? O era dinanzi ad una platea desiderosa di ascoltare qualche storiella buffonesca?
Guardava interrogativo tutti i camerieri che rispettosi ma ansiogeni stavano ai lati del salone da pranzo: probabilmente lo credevano il Cristo incarnato in grado di dispensare miracoli.
 
-          Il Signore vi benedica – ruppe il ghiaccio sorridendo festoso – che questo anno possa donarvi serenità, gioia e…nuove energie.

-          Potete dirlo ben forte , padre Jeremy – stiracchiò François lanciando un’occhiata arcigna alla moglie – vi ringraziamo di cuore per essere venuto.

-          Che il Signore possa proteggervi in eterno – aggiunse gentile la donna schivando il marito – siamo felici che possiate vedere la nostra piccina.
 
Mostrò orgogliosa Oscar che si guardava attorno sorpresa , con gli occhietti azzurri in cui si mescolavano ancora confusamente le cromature dei genitori.
Jeremy si avvicinò incantato e commosso carezzandole il faccino accuratamente rinfrescato:
 
-          Che capolavoro! È biondissima! Non per essere sfacciato, Madame , ma vostra madre, se non ricordo male , possiede una chioma chiara chiara.

-          Oh sì! – esaltò Judith  -   lei ha genitori e antenati svedesi! Anche io avevo i capelli biondi appena nata ma non così . Erano più scuri.

-          Devo ammettere…che mi ricorda un vostro ritratto da piccolo , generale…vi somiglia nell’espressione!
 
Il conte ebbe un indispettito guizzo che gli fece sollevare la mandibola : la galleria d’arte della villa era spesso oggetto d’ammirazione da parte del gesuita, amico di famiglia. In particolare costui adorava i ritratti (tutti i  tipi di ritratti ) e apprezzava la sensibilità e l’umanità con cui venivano resi gli infanti.
François provava vergogna di uno splendido dipinto che lo raffigurava a due anni intento a giocare su un sofà con un animaletto di pezza. Il pittore dei de Jarjayes aveva manifestato pazienza ciclopica a eternare quel baleno di innocenza nelle pupille sorprese.
 
-          Beh sì – considerò contemplando la figlia – un po’ è vero…ricorda me…ma c’è anche molto di Judith…Comunque, padre, entrate , accomodatevi!
 
Il parroco si sedette ad un tavolo ellissoidale davanti alla coppia. Aprì il registro di cuoio ramato che sollevò un odore d’ocra rugosa. Prese , lindo e positivo, la penna e il calamaio , accuratamente preparati da Albert,  e domandò:
 
-          Dunque, signori…che nome avete stabilito per la fanciullina?
 
Judith, sistemandosi in grembo la figlia , sospirò severa scagliando un allusivo e rapido sguardo allo sposo.
 
-          È stata una scelta alquanto travagliata, padre.

-          Immagino che non ci si accontenti di poco per una futura e splendida contessa.
 
François, posò un avambraccio sul tavolo protendendo il petto in avanti foderato dalla giacca militare.
 
-          Si potrebbe affermare così…soprattutto quando è impossibile trascurare progetti e doveri per il bene dei de Jarjayes.

-          Progetti che gravano parecchio sull’animo – soggiunse la moglie ergendo la testa.

-          Mmmh…credo di comprendere…disporre dell’avvenire crea frequentemente apprensioni. Come chiameremo, la novella arrivata?

-          Oscar François.
 
Il sacerdote rese ancora più sferici gli occhi grandi e scuri.
 
-          Eh? Oscar?

-          Sì.
 
Si grattò il naso che pareva volesse fuggire ma non poteva poiché  voluminoso.
 
-          Emh…proprio Oscar?
 
Il conte inclinò il volto di lato socchiudendo assolutistico gli occhi:
 
-          Qualcosa vi urta , padre Jeremy?

-          Per favore, conte, non fraintendetemi…- si scusò il gesuita arrossito di vergogna - è….solo che…è curioso chiamare Oscar François una futura damigella…

-          Ciò non mi pare sia d’ostacolo al sacro rito del battesimo.
 
Judith, più dolce e desiderosa di deporre  la rigidezza del marito , chiarì:
 
-          Padre, credetemi, questa…scelta è stata dettata da…una situazione estrema e dura da intendere.
 
Il conte appoggiò il gomito sul bracciolo della seggiola quasi volesse dare uno strattone metaforico alla moglie che tentava di superarlo in una gara tra maratoneti.
 
-          Accanto alla culla del mio erede ci sarà un fioretto.
 
Jeremy non si sarebbe mai voluto trovare sul sentiero che divideva due vulcani in attività. Sinceramente, poi,  era mortificato dal più profondo alla vista di quella coppia che aveva unito e sposato.  Perfino i suoi baffetti sottili e umili tremolavano disgraziati.
 
-          Ah….- tentennò - quindi….scrivo Oscar?
 
Spazientito François sbatacchiò le iridi :
 
-          Certo, padre! – digrignò i denti - Quanti  Ave Maria devo pronunciare per farvelo incidere su quel libro?!

-          Chiedo venia! Non desideravo essere importuno…Allora…Oscar…

-          …Françoise , padre – circostanziò soave e integerrima Judith.

-          Oscar… Françoise
 
Il generale , ricevuto lo sgambetto a tradimento , rizzò le spalle e le sopracciglia :
 
-          Françoise?! Perché?! Avevo detto François!

-          Caro – perorò la contessa -  non possiamo negare il fatto che lei è e sarà contessa, qualsiasi sarà il suo percorso formativo.

-          Che ti è saltato in testa?

-          Oscar François sarebbe troppo drastico e assurdo….e poi Oscar non sembra neppure cristiano!
 
La bimba mugolò tossicchiando quasi interrogativa.
 
-          A dire il vero , Madame – illustrò Jeremy -  ci fu un santo germanico che portava quel nome…secondo la tradizione, l’onomastico dovrebbe cadere il tre febbraio…

-           Ma…- replicò risentita la donna - convenite con me che un doppio nome maschile sarebbe inaccettabile! È già difficile abituarsi a Oscar !

-          Eh, sì…anche un nome di santa andrebbe bene…magari come terzo nome! Anne, la madre della Vergine! Elisabeth! Rachele oppure…

-          Si chiamerà Oscar Françoise! Basta – troncò importunato il Generale -  o questo battesimo si celebrerà la domenica delle Palme!
 
Si stropicciò le palpebre tra pollice e indice per impastare in maniera più sopportabile quel bruciante compromesso.
Oscar emetteva versetti e brontolii di perplessità mentre la madre, soddisfatta di aver vinto quella piccola battaglia, le diede un bacio sulla guancia.
Jeremy cercò di trovare un nesso tra disagio ed esuberanza sdrammatizzante.
 
-          Giusto!Giusto! – pronunciava infondendosi ottimismo - Oscar Françoise… sarà un perfetto equilibrio tra forza virile e grazia di rosa! 
 
 
 
***§***
 
 
 
 
Le irremovibili correnti di  gelo , cariche di nuvole e raggi solari inargentati, non avevano fermato Grégoire e Bénédicte.
Avvolti in vestiti di velluto e mantelli pesanti giunsero a villa de Jarjayes entusiasti di ammirare la nipotina ed assistere al battesimo.
Judith era felice della loro presenza, François un po’ meno. Certo, non si trattava di astio e antipatia ma temeva un complicarsi ulteriore della faccenda.
Una volta messi comodi , i suoceri , naturalmente, furono condotti nella camera in cui ninnava la culla protetta da una bella stola di veli ricamati.
Non osarono turbare il sonno di Oscar , il cui profilo minuto dalla bocca paffuta,  si stagliava sul morbido cuscino. Restarono profondamente toccati dalla serenità e dalla salute che veniva espirata da quelle narici rosate e piccolissime.
Grégoire ebbe parole tenere mentre Bénédicte , dopo un’iniziale leggerezza,  tornò severa e persino inasprita. Aveva ritenuto  un’onta che la bambina si chiamasse “ Oscar “ e che avrebbe , probabilmente,  seguito un percorso differente dalle altre fanciulle. Anche il marito esternò, con maggiore diplomazia ma eguale sbigottimento, i bizzarri propositi del genero. Quest’ultimo , cercando di mantenere l’autocontrollo, perseverò fermissimo come se fosse la cosa più naturale del mondo far entrare un ipotetico uomo nelle guardie reali. “ Dentro Oscar c’è anche il mio sangue” appianava “ e i bambini hanno l’animo aperto a tutto. Non conta tanto il sesso quanto la mente che deve recepire “ . Prontamente Judith opponeva “ la mente è molto delicata e può precipitare! “  Da qui si propagavano catene e catene discussioni a cui si unì Bénédicte e che vennero arbitrate dal paziente Grégoire.
La sera prima del battesimo,  la contessa scrisse a Oriane per sfogarsi della frustrante situazione. Purtroppo la sorella abitava a Napoli e non si sapeva ancora  quando ,  con la famiglia ,  sarebbe tornata in Francia. Avvertiva l’ esigenza di una persona esterna, sebbene stretta parente, che non era pregna del pulviscolo turbolento di Villa de Jarjayes. Dialogare con il marito significava caricare preventivamente i cannoni mentre la madre stava arroccata sui propri principi di indignata moralità. Non sentiva il desiderio di recar dispiacere al padre che voleva godersi la nipotina in pace senza avvelenamenti. Bisogna aggrapparsi all’estenuante pazienza che richiedevano gli scambi epistolari e attendere la volitiva e informale calligrafia della mano amica…
Restava la consolazione della cerimonia.
Il giorno seguente il cielo e l’aria trasudavano  limpidezza fine e pungente. Pini e pioppi sfoggiavano un verde scuro, gonfio e imponente ; il suolo mostrava le squame ciottolose umide di lieve nevischio.
Quella domenica la chiesetta romanica di Joyssigni  accoglieva imperterrita i fedeli con la facciata a capanna in pietra franco-longobarda mentre il campanile assisteva silenziosamente uguale ad un fedele paggio.
C’erano alcuni nobili che risiedevano fuori Parigi , poi notai e contabili , diversi artigiani , mercanti e agricoltori. Tutti parlavano davanti il sagrato, una folla compatta da lontano e  fratturata da vicino. Si notavano chiaramente le chiazze ocra, marroni e grigi dei più umili da un lato, i completi seriosi e neri dei borghesi da un altro lato e gli abiti blu, verdi e bordò dei baroni e dei conti vicini ai portoni secondari.
François e Judith appartenevano alle prime schiere di parrocchiani che portavano i bimbi da battezzare. Oscar era scrupolosamente avvolta in tessuti di candida lana, munita di una cuffietta pesante che le proteggeva orecchie e i riccio letti. Si univa ai borbottii , ai lamenti e alle lagnanze degli altri piccoli iniziati alla comunità cattolica.
Marie era stata concordemente nominata madrina assieme alla crucciata Bénédicte che non aveva approvato la presenza della governante in quel frangente. Grègoire, come al solito, tentava di rabbonirla invitandola a farsi scaldare dal sole e non dal freddo suolo di sassi.
Con piacere partecipò all’evento Blaise assieme  alla moglie Elenoire di ventitré anni.  
 
-          Signori – sorrise l’ufficiale – vi facciamo le nostre più sincere e affettuose felicitazioni! Finalmente possiamo festeggiare!

-          Anche noi, Blaise, siamo lietissimi di avervi qui tra noi– ricambiò tersa Judith – ho saputo da François che presto non sarete più soli.

-          Volevamo dei bimbi ed ecco giunta la tanto attesa conferma.
 
La giovane ricambiò un’espressione gioiosa, benché fosse d’indole riservata e restia a parlare con scioltezza . Era d’aspetto semplice e curato, con una carnagione fresca e luminosa su cui spiccavano labbra indaco rosseggiante. I lunghi capelli neri si arrotolavano in una rigonfia crocchia sul capo che lasciava cascare tornelli di boccoli sulla nuca . Portava un vestito blu scuro che le dava la giusta sicurezza per non sembrare né troppo sobria e né troppo fastosa.
 
-          Sì – rispose con voce chiara e ponderata – se Dio vuole , il piccolo vedrà la luce prima dell'estate. Forse a maggio.

-          Già stiamo discutendo su che nome dare – scherzò il marito - che avi glorificare e quali no. Tanto so che uscirà vincitrice la futura mater familia .
 
Elenoire gli strinse il braccio affabile ma al contempo vigile: era scrupolosa, perspicace e diffidente . Si sentiva profondamente soddisfatta della sua unione,  soprattutto,  con un uomo intelligente, brillante e attraente. Quest’ultimo aspetto si rivelava un’arma a doppio taglio giacché provava una forte gelosia , conscia di alcune avventure galanti del consorte. Nonostante non si definisse civetta,  ci teneva a mostrasi in perfetto ordine e avvolta in abiti di elevata sartoria. Controllava furtiva le altre dame per tranquillizzarsi e dare valore alla propria grazia.
François ricordava, sorridendo dentro se stesso, che l’amico aveva frequentato donne di bellezza più estrosa e frizzante. Tuttavia Elenoire era indispensabile: non poteva mai essere una passione focosa o una dea donata da Eros. Doveva occupare il trono di moglie - madre, pulita e affidabile senza possedere ottusa passività. Blaise, pur di non prendere decisioni affrettate ( e prolungare la  libertà di scapolo seducente) , aveva scelto diligentemente la fanciulla da portare all’altare. Desiderava pace, stabilità e bei figlioletti.
 
-          Dunque– si rivolse all’amico – alla fine avete stabilito…Oscar Françoise. Confesso che sono stupito se vedo la tua bimba. Un nome molto particolare per una nuvoletta così delicata…
 
Alla stregua di un giaguaro  , che sospetta un invasore nella propria selva, il generale si mise quasi in guardia, ficcando gli occhi dentro le pupille del suo interlocutore. Quel “ molto particolare” gli pizzicava tale e quale ad una chela di granchio che importunava la saldezza dei suoi piedi.
 
-          Oscar Françoise è un nome perfetto – sentenziò minatorio – starà bene ad un futuro ufficiale delle Guardie Reali.
  Elenoire non riuscì a dissimulare preoccupato disorientamento mentre Blaise inarcò le sopracciglia come per dire “ sicuro di non aver una febbre cerebrale?”  ma annuì :
 
-          Sì…capisco, capisco. Ci sono state… motivazioni importanti. Lei sarà l’erede della famiglia.

-          Imparerà ogni regola e le permetterò di essere forte quanto un uomo.
 
Judith, mettendo comoda la neonata in braccio , si inserì tentando di temperare l’imbarazzante piglio militaresco :
 
-          La piccola avrà un’istruzione come si deve, abbiamo una bella biblioteca e imparerà a suonare il piano e ad essere elegante e discreta.
 
I  Rochebrune sorrisero per evitare impicci con altre incresciose domande: il volto di François si accingeva a tingersi di bigio uguale alle pietre della chiesa mentre la contessa , con le labbra tirate , non sapeva quale scudo prendere per arginare altre sofferenti affermazioni sulla piccola Oscar.
La campana , per fortuna,  chiamò la folla col suo squillo d’ottone oscillante e la messa potette iniziare.
Sulle prime panche di legno sederono le famiglie coi bambini,qualcuna aristocratica e qualcuna che palesava l’accresciuta potenza di una stirpe di avvocati o giuristi. I più umili formicolavano coi loro rosari sia sul fondo della navata sia nei posti centrali. Padre Jeremy , non digeriva quegli scompartimenti classisti , essendo naturalmente cristiano fin nel midollo. Sosteneva, causando parecchie volte la stizza dei feudatari  di campagna, che anche il fornaio o il macellaio avessero diritto a pregare nei primi posti dato che il Creatore era presente ovunque ma la disposizione dei fedeli non era facilmente controllabile.
Marie era seduta accanto a conti de Jarjayes e aveva alle spalle Marcel, Pauline e il nipotino. André , che ormai iniziava a sentirsi invincibile avendo imparato a camminare e a correre, non stava quieto. Voleva toccare le pietre a terra per cercare le formiche e prontamente la mamma glielo impediva. Voleva saltellare e il padre gli sibilava di placarsi. Ciondolava in maniera insistente contro le sue gambe, fino a che non fu sollevato e incastrato sulla panca. Muoveva i suoi scarpini di cuoio , spiegazzò il completino blu scuro da domenica, spinse avanti il labbro superiore in una smorfia imbronciata.  Allora strofinò lamentoso il faccino contro il petto della mamma.
 
-          Tesoro – lo riprese lei – stai buono! Non vedi com’è brava madamigella Oscar?

-          Esatto – aggiunse il padre – lei è più piccola e ha già smesso di fare i capricci.
 
André , seccato e incuriosito , vide Judith che si voltò un attimo verso di lui sorridendo dolcemente. Scorse il cappellino di Oscar , che lasciava scappare i riccioli biondi,  e delle piccole braccia che si muovevano pacate e rassicurate.
Quando venne il momento del battesimo e i conti si alzarono, sollevò il mento spostandosi a destra e sinistra. Marcel lo prese in braccio per mostrargli la cerimonia.
Il piccolo non poteva coglierne il significato né la formula della liturgia ma sembrò quasi impressionarsi nel momento in cui padre Jaremy scoprì la testolina candida bagnandola con l’acqua.
Sotto il crocifisso che raffigurava un Cristo eretto, di antichità rigida ma luminescente, il catino di ottone non osò ingoiare la bimba.
Marie , emozionata, vide Judith vicina a François che reggeva solidamente la figlia. A lui era spettato sorreggerla in quell’istante di benedizione pura.
Esaminando il viso di Oscar , che pigolava pieno di gocce trasparenti , si sentì fiero, preoccupato e triste: quel rito era scivolato sopra una piccola mente che non avrebbe serbato il ricordo del primo ingresso in una comunità. Al livello inconscio sarebbe perdurato l’attaccamento materno e il…padre?
Odorò la neonata vicinissima e lontana: lui era un oggetto esterno, completamento esterno che doveva per forza essere mutuato dalla moglie. Le diede la piccina in braccio e , con gesto insperabilmente delicato,  posò la mano sulla sua schiena. Non era certo la prima volta che il cuore gli rinfacciava la natura della sua mancanza genitale. Aveva avuto cinque bambine ma sta volta la coscienza si era  mostrata terribilmente più chiara. Esisteva un’invidia impotente, senza cattiveria…l’invidia di conoscere quei limiti insanabili. Era più alto di Judith , possedeva una muscolatura più forte , diversa ma non avrebbe mai potuto ottenere il prodigio di un utero che nutriva un feto. La compagna devolveva il cibo in modo naturale e lui lo poteva cercare fuori ; i segni del proprio sangue che scorreva in Oscar bisognava estrapolarli in un processo assai più difficoltoso: la piccola doveva introiettarlo profondamente facendolo uscire dalla categoria degli enti superficiali.
La contessa , nel frattempo, indugiava sul consorte intuendo fumosamente cosa potesse impensierirlo e chiedendosi se si sarebbe confessato faccia a faccia  perché quella tristezza strana  era stata sottile , rapida ma sfolgorante quanto un fulmine nel cielo scuro. Com’era possibile che la ragionevolezza potesse andare di pari passo con provvedimenti integerrimi e pesanti?
Queste domande continuarono a barbugliare ,simili a fogliame scomposto dal vento, fino a che la cerimonia non terminò.
Le voci di Grégoire, Bénédicte che parlavano coi Rochebrune , unite all’aria effervescente del sole invernale,  contribuirono a sotterrare ogni elucubrazione.
Una volta sul sagrato , Marie raggiunse,  ilare ,  la sua famiglia  prendendosi in braccio il nipotino :
 
-          Sei proprio un birbante! – lo rimbrottò – volevi fare il diavoletto, eh?!

-          Lui diventa nervoso quando si avvicina l’ora di pranzo – rise il padre – si trasformerà in lupo da grande!

-          André è un bellissimo bambino.
 
Judith si era avvicinata con Oscar, destando costernazione in Marcel e Pauline che fecero un inchino rispettoso. Bénédicte scosse il capo in segno di diniego per quell’atteggiamento espansivo appropriato più per una donzelletta campagnola che per un’aristocratica .
 
-          Inaccettabile!  – sussurrò al marito – ti pare perdere tempo a  salutare quegli artigiani di villaggio? Lei avanza così ,  senza porsi scrupoli! Spetta loro salutarla con le dovute e adeguate deferenze!

-          Cara – ribatté l’uomo – sarebbe sconveniente se si stesse relazionando con dei bruti , ma la signora Marie è una governante brava e diligente. Ha commesso qualche svogliatezza, a tuo parere? Non mi pare.

-          Ha eseguito i propri compiti come si conviene alle più efficienti delle governanti.

-          Esatto. Quindi , visto che hai senno e senso del giudizio, concordi sul fatto che i membri della sua famiglia sembrano persone squisite e a modo. Poi  il loro bambino è vivace e spigliato!

-          Certo, certo…- pronunciò roca e altezzosa la domina – ma nostra nipote è un vero splendore ed possiede il sangue di famiglie illustri. Quel bambino può essere grazioso quanto vuoi ma percorrerà sentieri di sassi e terra battuta.

-          Ciò non vuol dire che l’intelligenza e il carattere gli mancheranno.

-          Grégoire…sei incorreggibilmente prodigo . Il tuo  ascendente si è fatto davvero sentire sulle nostre figlie.

-          Non potevo lasciarti  sola a reggere la fatica del timone di casa.
 
Col suo piglio ironico e pacifico , che si rifletteva nella figura morbida, l’uomo mise a tacere la regale sposa dai capelli biondissimi come duri gioielli.
Judith , incurante del cipiglio materno , continuava a discorrere:
 
-          In questi giorni farò portare a Marie una copertina per il piccolo.  Vi ringrazio per quello che avete realizzato per noi . Il vostro lenzuolo ,  Pauline , è meraviglioso.

-          Sono io a dovervi ringraziare , Madame . Voi e vostro marito siete stati generosi. La bambina è una piccola regina.
 
Blaise , che in quel momento si era affiancato a François , gli chiese piano :
 
-          Sono i parenti della signora Marie, giusto ?

-          Sì. I Grandier, persone oneste – l’uomo cercava di tenere un atteggiamento patrizio ma si notava l’ ammirazione che veniva a galla –ricordi la scrivania che ho nel mio studio? Quel mobile  molto antico che si era davvero rovinato? L’ha restaurato da cima a fondo il signor Marcel mentre la moglie ha donato delle belle lenzuola ricamate a Judith .

-          Ho presente, certo! non mi avevi anche raccontato che Judith gli ha aiutati col cuore in mano.
 
Il generale assentì gravemente :
 
-          Vedi – ammise sottovoce – anche per loro non è stato facile concepire subito un figlio.

-          Capisco – intuì delicato l’amico per non rigirare il coltello in un’antica piaga – però adesso il Cielo ci sorride…e ora tutti saremo alle prese con dei bei pupi.
 
François reagì con un sorriso per esorcizzare quella sotterranea stizza che masticava per i Grandier.
Il Signore aveva concesso un maschietto fulgido a quei villici che non dovevano preoccuparsi di stirpi e pesi regali mentre a lui, discendente di una schiatta che esisteva fin dai capetingi,  era toccata l’ennesima  femmina! Proprio vero che gli ultimi erano i primi!  
Dovette però accantonare quel risentimento poiché la sua parte cristiana ( non proprio totale come in padre Jeremy) esisteva e gli gettava secchiate d’acqua fredda nella mente.
Raggiunse la moglie e la governante nella maniera più garbata possibile, da autentico gentiluomo che però non rinuncia al radicato guizzo militaresco.
 
-          Judith, Marie  – chiamò – dobbiamo avviarci verso la nostra carrozza. Signori Grandier è stato un piacere incontrarvi. Congratulazioni per…il vostro magnifico André.
 
Asciutto, senza fronzoli, ma corretto. Sì…non aveva nulla di cui rimproverarsi.
I suoi occhi , tuttavia, si sciolsero dalla rigidezza per rimirare quella coppia: gli fecero tenerezza ma non sprezzante compassione. Marcel indossava una giacca molto sobria e dei pantaloni di seconda mano puliti e ordinati. Si era dovuto arrangiare con degli stivali da campagna lavati e messi a lucido mentre Pauline era coperta da un abito verdino , anch’esso non proprio nuovo, tenuto in perfetta compostezza ,  spazzolato e stirato per le feste . Entrambi avevano occhi intelligenti dalla fragilità sensibile di chi ha sofferto senza corrompersi di ulcere. Erano veramente belli per quel contrasto tra il capello scuro e ricciuto dello sposo  e quello ramato della sposa magra quanto Judith.
André , scapigliato e agreste, richiamava alla mente quei dipinti caravaggeschi di Giovanni Battista, nobile, indomito e sincero.
Quando li salutarono, François sentì la necessità di avere un dipinto della famiglia, un quadro vero senza idealizzazione. Perché non c’era bisogno di alcuna mistificazione per scorgere la grazia di quei genitori e di quel bimbo.
 
All’improvviso un rumorio crescente di zoccoli martellò nell’aria.
 
-          Blaise – fece Elenoire – quella carrozza che si sta dirigendo qui…lo stemma…non sono i Girodel?

-          Sì – avvalorò il marito aggrottando le sopracciglia – ma non credo che si fermeranno qui. Loro non appartengono a questa parrocchia.

-          Se non ricordo male hanno dei possedimenti qui vicino…

-          È un miracolo che il Generale Frédéric Claude non abbia avanzato pretese per questi terreni! Forse la mano di un angelo l’avrà fermato prima di dissanguare qualcuno.
 
  La carrozza calpestò il sentiero della chiesa.
In quei secondi di ansiogeno trotto, legati da una feroce empatia , Frédéric scostò la tendina del finestrino e François posò istintivamente lo sguardo nella sua direzione.
Tre proiettili invisibili di fastidio, disprezzo e gelo. Poi tutto tornò normale.
Mentre si allontanavano , Girodel adagiò, con maggiore morbidezza,  il dorso sullo schienale del sedile . Aveva l’alterigia felina del governatore di una provincia soggiogata.
 
-          Ma che piacevole sorpresa…- pronunciò con labbra incurvate all’ingiù - a quanto pare i de Jarjayes possono stringere tra le braccia il loro fanciullo. A proposito, Ivonne: si è saputo se è un rampollo o una contessa?
 
Ivonne, foderata da un pesante vestito verde scuro e da una mantella beige , stava aggiustando la cappa marrone al piccolo Victor.
 
-          Non so nulla – rispose asciutta e quasi distratta - Madame de Jarjayes si è ritirata da corte e non ha lasciato certo trapelare notizie private.
 
Il marito sorrise calando le palpebre compiaciuto di sarcasmo.
 
-          Per lo meno , da bravo cavaliere cristiano, il generale desidera evitare che un altro dei suoi angioletti finisca dimenticato nel Limbo, lontano dal Padre Eterno.

-          Frédéric! Tenete per voi i commenti da serpe.
 
Ivonne esternava  irritazione per non mostrare al suo bambino quella devastante sottomissione che la ottenebrava da tempo. Non sopportava sinceramente l’indole sprezzante di quell’uomo ma ne aveva fastidioso timore.  Quando lo vide per la prima volta in casa dei genitori era rimasta colpita dal suo aspetto principesco e dalla bellezza pietrosa e austera… ma qualcosa non l’aveva convinta : il verde acqua degli occhi non sfolgorava rasserenante ma acuminato simile ad un quarzo che si nutre solo di neve e gode della desolazione che gli sta al cospetto. Divenne presto odiosa la sua intelligenza che scaraventava sui gradini più bassi , il suo senso dell’osservazione che analizzava e demoliva, il suo riso ferocemente bianco e dritto.
I lunghi capelli neri  sembrava fossero più aguzzi irradiati dalla luminescenza invernale così come il viso che si riordinava in una tranquillità arrogante.
 
-          Che bisogno c’è di indignarsi in questo modo? – scrollò fintamente benevolo -  È più che lecito proteggere lo spirito dei propri figli e ciò che stiamo facendo anche noi. Se continuerai ad ascoltarmi, Victor mio, sarai in grado di ottenere grandi cose e di non prestare attenzione a chi è destinato a restare indietro. Victor…Victor!
 
Il bimbo distolse il faccino dal finestrino che rilasciò l’alone bianco del suo respiro; gli piaceva tanto guardare le carrozze e i loro destrieri , giganteschi in confronto ai suoi giocattoli. Era una delle poche cose che gli dava un sogno raggiante perché si vedeva cavaliere molto più del padre. Lui restava però il sommo sacerdote a cui bisognava obbedire per cercare di ottenere un anelo di affetto che non si capiva se esistesse oppure no.
 
-          Scusate , padre. G- guardavo i cavalli.
 
Il bambino si era messo subito composto coi piedi che oscillavano imbarazzati per non riuscire a toccare terra. Cercò un segno di vaga transigenza davanti al padrone che aveva assunto un’espressione calma… Calma alla maniera di un paziente spillo che giace su un tavolo.
 
-          Sciocco – punse con precisa velenosità il despota -  Non riuscirai a correre su un cavallo se guardi sempre indietro.
 
 
 
 
***§***
 
 
 
 
 
Febbraio 1756
 
 
 
 
Stava rischiando parecchio ma lo stemma del leone pulsava pesantemente…
Stringeva l’impugnatura dei suoi principi ma Judith gli sfuggiva…
 
Judith…Judith lo sparava silenziosamente, affossata nella sua trincea di ferita dolcezza…
Ella si difendeva senza bisogno d’attaccare crudamente.
Guardava in faccia il nemico e non per distruggerlo…
Lo sferzava per intrappolarlo.
Prenderlo in giro.
 
Perché era stanca e non voleva soffrire il freddo.
 
François la osservava passeggiare, sotto la condensa dei raggi invernali, con Oscar tra le braccia…Erano un duetto di violini tristemente libero, privo d’uno spartito guida…
Lui si sentiva esule, piccolo, inadeguato.
In battaglia non esitava a gettarsi all’assalto ma  quegli istanti lo disperavano in un’inammissibile vergogna.    
 Uscire dal tracollo, ritrovare le miniere d’oro, dimenticare il risucchio dell'onta…I de’ Jarjayes non potevano e non dovevano annegare.
François le aveva assorbite fin troppo bene quelle norme.
Fissava l’emblema araldico di famiglia in un raccoglimento fiero eppure…infingardo…astioso…
Una strana sensazione di sconfitta lo pervadeva, una verità che tentava di sfrattare ma che mai sarebbe riuscito ad annullare.
 
La consapevolezza d’una prigionia senza uscita, che durava da tempo, da sempre.
 
Ascoltare ordini.
Ascoltare il terrore.
Ascoltare lo spettro d’un mondo che non aveva mai desiderato assimilare…
Suo padre, Jean Antoine , aveva trionfato.
Un teorema paradossale. Una condanna a morte che non sarebbe morta.
Se non avesse subito quelle strozzature al collo, non sarebbe stato l’uomo attuale. La sua impalcatura di sassi e argilla si reggeva  su pilastri di ferro rugginoso ma era la sua impalcatura…La sua totalità contraddittoria e smembrata.
Disgraziatamente lo sapeva ma aveva troppo timore a rivedere i calcoli errati…
 
Judith, tuttavia, continuava a minacciarlo…continuava a chiamarlo…
François non sarebbe riuscito a stracciare l’arazzo del Leone de’Jarjayes e neanche a sopportare da solo la sua mente perennemente gonfia.
 
Quella sera, dopo cena, raggiunse la stanza della moglie.
Si accostò dietro la porta ma non bussò garbatamente.
Entrò nella stanza con grezzo silenzio perché non poteva ammettere che il cuore era un muscolo che si agitava incontrollato…
La giovane si era assopita lasciando un lume acceso…
Affianco al suo letto, la culla della bimba…
 
Un aroma rosa, di pesche e fiori,   s’espandeva dai cotoni pesanti delle coperte e delle lenzuola…
 
L’uomo camminò lentamente…
Un lieve gemito scosse la calma. Un gemito che ne produsse altri…
Oscar iniziava a stropicciare le sue  coperte.
 Il padre si affacciò al lettino e lei s’interruppe.
I due si contemplarono sorpresi l’uno dall’altra…
L’orologio della stanza cadenzava le nove, in un chiacchiericcio granicolo di minuti, quieti, soleggiati…era sera fuori ma ogni ombra scivolava via in una cascata che sbiancava di meraviglia.  
François non capiva se detestasse o amasse follemente quella piccina…
Era calamitato dai suoi capelli rugiadosi, striati di riflessi ghiaccio…
Il visino rosseggiava lievemente sulle guance e a illuminarlo quegli occhi in cui si fondevano cielo e mare senza confini tra aria e onde, tra ossigeno e abisso…
Le ciglia lunghe erano insolitamente nere, ventagli di rondini leggere.
Le labbra minute s’inclinavano e si sollevavano in espressioni  smarrite di divertimento.
L’uomo allungò le braccia con  lentezza ieratica quasi stesse officiando un rituale latino…
Le mani lapidee afferrarono il  torace della bimba: le tiepide ondulazioni dei respiri accondiscesero la presa in uno sciabordio.
Una morbidezza devastante parve insinuarsi sotto la pelle …Nel sangue un richiamo soffuso, una forza tenue che congiunse due continenti: uno di giovinezza antica e scrostata, l’altro friabile e ornato di virgulti ancora chiusi.
L’odore del padre s’intersecò con quello della figlia: un amarognolo autunno di faggi e pini e un’aurea di rose  bagnate di latte.
Oscar si addossò maldestramente a François che restò impietrito e indeciso.
Lei gli strofinò il naso sulla spalla e gli spalmò la manina sul volto.
Lui sbuffò  cercando di distanziarsi da buffetti che diventavano più impudenti…
 
La bimba gli afferrava il mento, gli scuoteva le guance e cominciava a scombinargli i capelli
 
-          Insomma! – ringhiò piano lui – vuoi stare ferma?
 
Oscar fece un cinguettio di dispettoso affetto.
Il padre le mise una mano in testa costringendola a stare quieta sulla sua spalla.
 
-          Che diamine…
 
La figlia salivò sulla vestaglia da camera.
L’uomo  l’allontanò guardandola in cagnesco: lo fissava candidamente prendendo a giocherellare coi colletti smossi della pesante camicia.
François si lasciò trasognare…
Scostò piano la mano della neonata e , con una severa e imprevista premura, prese la copertina posata sul bordo della culla e gliel’avvolse attorno ….Lei emise versetti ancora scontornati ma con una gamma incredibile di colori vivaci…
Agitava le braccia per issare piloni di parole  che non poteva pronunciare. Balbettava giocosa, impaziente desiderando essere presa di nuovo in braccio per correre dentro quegli occhi.
 
-          Qual buon vento, François?
 
Judith , sveglia, aveva gli occhi aperti e il dorso posato sui cuscini…La sua espressione era inflessibile come quella d’una  sacerdotessa greca e beffeggiatrice come quella di una gitana.
Il marito , malgrado provasse irritazione, la trovò splendida con quell’aureola di boccoli che fumeggiava sulle spalle e la veste da notte che celava, simile ad un peplo d’acqua, le sue snellezze…
Se non fosse stato pressato dalla superbia, o dalla smania d’apparire superbo, si sarebbe precipitato ad abbracciarla.
 
-          Volevo vedere se tu e Oscar davate ancora segni di vita…- rispose lui con acida ironia- è da ieri sera che non vi vedo dal momento che ami dissolverti.

-          Non abitiamo dall’altra parte del mondo…se eri tanto preoccupato potevi benissimo raggiungerci.
 
Mite e algente, Judith si alzò lentamente dal giaciglio per prendere la figlia in braccio.
 
-          Non oserei mai, cara , invadere il tuo recinto di legno massiccio…Mi dispiacerebbe se ci restassi male.

-          Anche a me, caro, causerebbe dolore abbattere il tuo castello di pietra …è la tua  residenza estiva per restare al fresco?
 
François fece un ghigno d’abbattimento…Gli rodeva quella puntura ma stranamente non fu in grado d’alimentare la belligeranza…
La sposa cullava Oscar che tartagliava appagamento sotto la luce dorata del candelabro…
La calura della penombra , che modellava la camera in lamine nere e rilievi infiammati , trapassava la mente e il cuore…
 
-          Judith…- sospirò François – la villa mi appare, a volte, tanto immensa che ho paura di non trovare le stanze a cui tengo di più.
 
La donna lasciò ondeggiare dolcemente gli occhi cerulei…
Indugiò, in silenzio, sull’alta figura dello sposo, sfrangiabile simili a nubi temporalesche…
Lui si scostò i capelli castani dalla fronte che fin da adolescente faticava a pettinare…veniva a chiedere l’armistizio .
 
-          Hai ragione – ammise ella – gli spazi grandi sembrano sprecati se non sono colmati dal sole.
 
Guardò il lato vuoto del letto dove dormiva solitamente lo sposo e si rivide lei, ragazza fidanzata,  che non soffriva più la solitudine…Ricordava l’ardore con cui pensava a François, sognando di averlo affianco, sentire il peso del suo corpo che piegava il materasso e che poi le avvolgeva le membra…
 
-          Sai – continuò lei – è brutto non avere una muraglia contro cui urtare.
 
Lui sorrise imbronciato: dormire nel deserto poteva confortare visto che dimoravano silenzio e libertà…tuttavia…senz’acqua era impossibile sopravvivere.  
 
Judith si sedette sul letto iniziando ad allattare Oscar.
 
-          Su, vieni .
 
L’uomo, piamente rispettoso, si accomodò vicino senza osare invaderla.
Sarebbe tornato a dormire assieme a  lei sotto un’unica coltre di stoffa e caldo.
Quella notte avrebbero riposato su versanti opposti, privi di abbracci o carezze ardenti , ma almeno si trovavano a navigare sullo stesso veliero…
La maternità di vaniglia e pelle scaldata possedeva una magia così terrena e pura che lui, l’influsso maschile incurvabile, non raggiungeva…sarebbe stato destinato ad altro per la figlia…il legame col suo effluvio l’avrebbe conosciuto in seguito poiché la figura paterna ( lo sapeva benissimo) era una realtà spigolosa e particolare:  si trattava di una colonna che sorregge o fa dolere la schiena,  di cui ci si accorge della sua concretezza solo alcuni anni dopo aver abbandonato il grembo materno. Una concretezza che segnava in bene o in male una qualunque crescita.
Judith avrebbe, ugualmente, conservato l’aurea di una placenta  protettiva volta a fare sempre da rifugio e consiglio.
In quel momento occorreva schiarire, grazie alla delicatezza della sera,  il complesso gioco di onde cosmiche.
 
-          Judith…- mormorò greve il marito - mi sono comportato e mi comporterò magari in maniera esecrabile. Non intendo giustificarmi invano. Mio padre, mio nonno e i miei antenati si sono trasmessi il testimone degli obblighi verso la corona. È un antico giuramento che mai abbiamo infranto. Io appartengo a questa catena e…Oscar è la nostra unica erede.
 
La donna avvertì l’angoscioso e lieve peso della figlia connessa al suo petto e la manina raggomitolata sullo scollo della camicia. Non poteva comprendere nulla di quel linguaggio e non poteva stabilire consciamente i suoi abiti…Gli uccellini mutano il piumaggio tramite  la mano universale della natura mentre i piccoli umani cambiano le proprie penne per le norme genitoriali, che a loro volta affondano le radici nelle secolari tradizioni sociali integrate biologicamente  in ogni paesaggio terrestre.
 
-          François . Temo che le venga sottratta la normalità di una vita da fanciulla, la possibilità di formarsi , avere gioie,  una famiglia…

-          Non le sto negando il futuro ma dovrà imparare a costruirsi una strada, affrontando sacrifici.

-          Lo so…lo so…per questo è sbagliato viziare i figli. Rischiano di non apprezzare le cose e di mistificare la realtà . E’ giusto insegnarlo ma…riuscirà  mai a conseguire un’educazione da soldato?
 
Lo sguardo dell’uomo si aggrappò alle ante del mobile che sonnecchiava accanto al baldacchino. Il suo pensiero finì ingarbugliato nelle spirali vegetali di edera e fiori campestri che arricchivano fittamente il legno; miriadi di disegni barbiturici e ammonitori che stimolavano lo smarrimento e al contempo rapide soluzioni.

 
-          Ti chiedo di avere fiducia in me – implorò sicuro il conte contraendo la fronte e facendo addentrare di più l’oscurità -  Il latte che tu stai dando a Oscar è impareggiabile e insostituibile. Sono uomo…ma in quanto padre devo offrirle un altro nutrimento. Più duro sì, ma che la fortificherà più delle altre donne. Si muoverà libera. Avrà una grossa quanto mai grave autonomia di spazi e posizione. Ci saranno responsabilità che lei, imparando l’onore, la fatica e l’autorevolezza porrà dentro l’animo. Spero che così…guarderà l’essenza delle cose e non la superficie.

-          Lei conoscerà l’essenza del suo essere donna, François. Non puoi arrestare il ciclo della natura. Anche se la proteggeremo con vestiti maschili , arrivata ad una certa età, prenderà consapevolezza del proprio corpo.
 
Gli occhi azzurri di Judith pareva avessero ricevuto la colatura fiammeggiante delle candele . Vacillavano ma restavano lì senza l’intenzione di cadere.
Il generale posò i gomiti sulle ginocchia e intrecciò le dita delle mani. La moglie ne osservò impaziente il profilo divenuto immobile… metà inscurito dalla notte invernale , metà illuminato dalla luce calda: da grande Oscar avrebbe esibito un volto simile? Una parte che avrebbe luccicato sotto il sole e un’altra remota , relegata in ombre intangibili?
   
-          Hai ragione …- sollevò il viso François rischiarandolo quasi del tutto - però un’educazione di spada penetra lo stesso nella mente. Inizia da piccoli e non esce più.

-          Non vorrai che tua figlia resti sola, senza un marito e dei figli? – si inasprì la donna -  Non è una questione di norme civili o etichette ereditarie! È il cuore che potrebbe esigerlo…io e te non siamo fatti di sabbia prosciugata che cade senza emettere rumori. Abbiamo messo in gioco ogni nostra goccia di sangue in questo matrimonio. Io ho voluto te, tu hai voluto me sebbene siamo diversi e ci troviamo scaraventati su posizioni opposte. Oscar non potrà conoscere se stessa se non amerà!

-          Ci sarai sempre Judith…Oscar dovrà imparare a suonare il pianoforte, a prendere esempio dalla tua leggiadria, dalla tua costanza. Lei avrà acqua e fuoco camminando su questa terra. non temere. Affronteremo di volta di volta ogni sua perplessità e…ogni problema nonostante , probabilmente, si profili un’odissea.
 
Il conte si avvicinò un po’ di più , posando la propria mano su quella della moglie che sorreggeva la lattante.  
 
-          Almeno Oscar – propose lei un pò più distesa -  potrebbe essere affiancata da un aiutante…una guardia del corpo…

-          Ti riferisci ad un attendente?

-          Sì…una persona valente , onesta e più che affidabile…
 
Il consorte per un attimo tacque contemplando un disegno a carboncino e china appeso alla parete di fronte. Era la riproduzione di una pittura vascolare greca che rappresentava un giovane cavaliere coperto di clamide seguito a piedi da un soldato con lancia e scudo. 
 
-          Riflettevo anche io a riguardo…- rispose positivo - è una faccenda difficile ma non impossibile. Bisognerà valutare molto attentamente.

Un attendente sveglio e capace, sì. Oscar era pur sempre una fanciulla e comunque tanti comandanti avevano un altro soldato che li seguiva nel lavoro e negli oneri.
Doveva essere un uomo forte, privo di malsani desideri e abitudini…magari non eccessivamente bello. Meglio che la lealtà venga emanata da un viso grezzo piuttosto che da un Apollo scolpito da Fidia. Si potevano già annusare premonizioni complicate e scomodissime.
L’uomo preferì non pensare d’essere un pericoloso timoniere…preferì non pensare che Oscar sarebbe diventata la stella  di una nebulosa confusionale.
Adesso la piccola respirava il sonno dorato, con le ossa ancora morbide, il cuore più leggero di un lenzuolo : non distingueva ancora il ritmo del giorno e della notte, né le maree incostanti delle emozioni e delle domande infinite.
 
C’erano solo la pelle del respiro materno e lo sguardo del padre che sussurrava tra  un’ondata di schiuma salata e un graffio di vento.
 
 
 
 
 
 
                                                                             
***Fine Libro Primo***
 
§




 
 
 
 
 
 
 
 
Note Personali:
ciao a tutte/i, carissime/i!
Siamo giunte alla fine del Libro Primo!
Capisco di essere stata un po’ OOC , ma mi è sempre piaciuto indagare su dinamiche mai viste di personaggi “ secondari”.
Desideravo che Judith restasse dolce, calma e gentile ma che , al contempo manifestasse una combattività materna , una combattività delle sue posizioni  che uscisse da un ruolo marginale. Nella storia originale avrei desiderato comparisse di più perché Oscar deve pure avere una figura femminile di riferimento!
Per quanto riguarda François …eh!eh! che dire? È un po’ il mio figlioccio problematico! Ah!ah!ah! Da dopo la storia Nella mia penombra , ho voluto calarmi in quest’avventura e conoscerlo meglio, a trecento sessanta gradi …e  mi ci sono affezionata profondamente!
Spero che voi l’abbiate apprezzato in questa mia versione, un po’ diversa e che magari può spiazzare…perché è un personaggio problematico. Mi auguro di non aver creato un altro personaggio ma di aver aggiunto pennellate all’integerrimo generale…non solo generale, ma figlio, marito e padre.
Spero anche che abbiate gradito  tutti gli altri membri della famiglia de Jarjayes e della famiglia de la Seigne così come gli altri amici :  Blaise, il dottor Deronne, padre Jeremy,  i Grandier ;) e i Girodel ( so quanto possa essere delizioso Frédéric XD XD )  
Naturalmente è stato impegnativo ed estenuante tenere conto del periodo e dei personaggi storici per creare eventi il più completi possibile…
 
 
Ho deciso di mettere “storia completa” per alleggerire il carico di un’epopea  lunga ^^”
Ci tengo a precisare che I leoni della Corona NON è una SAGA, bensì un romanzo UNICO composto da 4 libri. Il primo ci ha mostrato il background dei de Jarjayes , il secondo parlerà dell'’infanzia di Oscar e André, il terzo dell’adolescenza e l’inizio dell' età adulta e il Quarto sarà l’ultima parte. Non modificherò gli eventi della trama originale ma intendo mostrare vicende quotidiane inedite e panoramiche storiche su cui evolveranno i personaggi^^
Prossimamente , quindi, creerò proprio la serie dei Leoni della Corona , così in futuro potrete leggere in modo compatto i macro capitoli di questa avventura che saga non è! Ho deciso di fare più libri fin dall’inizio e poi ho deciso di dividerli in modo da non risultare troppo pesante.
 
Vi ringrazio di cuore per essere arrivate/i fino qui tra guerre in Europa e in America, tra drammi e felicità quotidiane dei nostri eroi…
Oscar e André sono piccini ma avranno taaaaanto da raccontarci assieme a Victor e tutti gli altri.
La giostra delle battaglie della storia non si fermerà e le piccole realtà famigliari possiedono ancora grandi segreti da raccontare.
 
Un ringraziamento speciale a Lady Dreamer mia consulente speciale che mi segue in ogni universo narrativo!
 
Ci vedremo nel 2018 con il Libro Secondo!
Un abbraccio!!
 

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