You write, I read- the apartment

di Raven_Phoenix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Buonasera a tutti!
Ebbene, ci siamo! Sto per pubblicare ufficialmente per la prima volta una delle mie original! Nel corso degli anni ne ho scritte parecchie ma non ho mai voluto pubblicarle, non so spiegare sinceramente il perché, ma ho sempre dato precedenza a pubblicare fanfic su anime e manga o simili. Ho sempre ritenuto le original molto personali, siccome inevitabilmente per una cosa o per l'altra tendo a prendere ispirazione in parte da esperienze vissute o pensieri generali, e le ho sempre ritenute in qualche modo "private". Ho deciso di abbattere quella barriera, dicendo a me stessa "ehi! Hai un modo di pensare talmente contorto che anche se tu mensionassi un personaggio palesemente ispirato a qualcuno che conosci anche se leggesse lui/lei stesso/a non se ne renderebbe neanche conto!... O forse no? XD 
Non vi annoio oltre e vi lascio al primo capitolo! ^^


Capitolo 1:


Cose da fare:
-Fare la spesa (controllare i negozi in zona)
-Prendere lenzuola nuove
-Essere nell’appartamento per le 15.00 per il camion
 
 
Erano ore ormai che fissavo quella corta e inutile lista appuntata in una delle note del mio cellulare, chiedendomi perché l’avessi scritta e perché non l’avessi ancora eliminata. Ognuno di quei tre punti era impossibile da dimenticare: se non avessi fatto la spesa sarei morto di fame, se non avessi comprato le lenzuola sarei morto di freddo, e se non fossi arrivato alle 15.00 all’appartamento non avrei probabilmente mai più rivisto il resto dei miei averi siccome la compagnia di traslochi non mi sembrava essere molto affidabile.
Non che avessi roba di valore, solo i mobili a prezzi stracciati che avevo trovato online o al mercatino dell’usato e che avevo fatto tenere per gli ultimi mesi negli scantinati della Lemon House aspettando il fatidico “giorno del rilascio”.
Guardai distrattamente l’orario sul cellulare.
Le 9.30.
Mi avevano detto che sarei potuto andare a ritirare le chiavi dell’appartamento tranquillamente dalle 9.00, bastava mostrare un documento in portineria. Una cosa talmente semplice da mandarmi nel panico più totale.
Sarebbe bastato prendere quelle chiavi, e allora avrei realizzato di essere realmente solo. Beh… non che prima non lo fossi in un certo senso, ma potevo sempre contare sui tutori o su una qualche chiacchierata con qualche altro ragazzo dell’istituto, anche se essendo rimasto l’unico di quell’età fare conversazione con bambini in media dagli otto ai tredici anni non era proprio il massimo.
Era pur sempre qualcosa, però.
Ora non avevo più nemmeno quello, ero rimasto completamente solo nel freddo mondo degli adulti, quello che tutti noi avevamo guardato con timore e interesse da dietro i cancelli della Lemon House, in attesa di uscire in qualche modo.
Io ero uscito non proprio nel peggiore dei modi, forse “triste e patetico” poteva andar bene come aggettivo.
Nessuno mi aveva voluto, e avevo oltrepassato l’età in cui era permesso restare all’orfanotrofio. Avevo compiuto diciotto anni, avevo usufruito di un permesso speciale grazie al quale sarei potuto restare finché non avessi ottenuto un diploma che mi rendesse “idoneo al lavoro”, il quale aveva prolungato la mia permanenza altri tre anni. Ora però non c’era più eccezione che potesse salvarmi, i miei giorni da patetico ragazzino abbandonato e non voluto erano finiti. Avevano deciso che era tempo per me di uscire e farmi una vita per conto mio. Certo, tutti alla Lemon House erano stati molto premurosi aiutandomi il più possibile con le scartoffie burocratiche, nella ricerca di un lavoro e di un appartamento, dicendomi di chiamarli per qualsiasi cosa. In rubrica avevo i numeri di tutti, perfino delle donne delle pulizie con le quali spesso mi fermavo a chiacchierare nei corridoi, ma non sapevo se davvero avrei mai chiamato qualcuno, probabilmente non ne avrei avuto il coraggio.
Forse, essendomi abituato a non essere mai stato preso in considerazione da nessuna famiglia mi ero abituato all’idea che non essere speciale per nessuno in generale, semplicemente ero una presenza che come era arrivata se ne sarebbe andata. Non contavo per nessuno come “persona importante”, ero semplicemente un conoscente con cui parlare ogni tanto. Era così, del resto, che io mi ero sempre approcciato alle altre persone. Non ero mai riuscito ad instaurare un legame abbastanza forte con qualcuno, e se per caso era in procinto di succedere quelli venivano adottati e se ne andavano, pronti a realizzare la loro nuova vita. Per non parlare delle mie rare e disastrose relazioni sentimentali, nessuna durata più di qualche mese. “Hai un cuore di ghiaccio” era la frase più comune che mi ero sentito rivolgere dalle mie ormai ex, sostenendo che sembrava non fossi in grado di provare nessuna emozione.
Non era assolutamente vero! Solo che… forse avevo bisogno decisamente di molto tempo per manifestarle, magari anche troppo.
In quel momento, però, di emozioni ne stavo provando eccome.
Avevo una fottuta paura di quello che sarebbe successo da quel giorno in poi.
In quel momento non riuscivo mentalmente a realizzare di essere fuori. La Lemon House non era più il mio porto sicuro a cui far ritorno, e l’idea di mettere piede in quel freddo appartamento dall’aria inospitale mi spaventava più di qualunque altra cosa, era il simbolo concreto e tangibile della mia nuova vita, che non volevo assolutamente.
A me andava bene essere quella conoscenza di passaggio. Era come se fosse diventato il mio lavoro. Io restavo e gli altri se ne andavano, andavo loro incontro quando arrivavano spaesati e li accompagnavo alla porta quando era giunto il loro momento.
Stavolta ero io ad essere stato accompagnato alla porta.
Perciò ora mi trovavo a vagare senza una meta in quella grigia e umida mattinata. Avevo cercato di tirarmi su il morale entrando in una caffetteria dall’aria calda ed invitante, e la cameriera era stata di una gentilezza disarmante, ma non era bastato a far uscire quel freddo perenne che sentivo nelle ossa da quando avevo varcato quei cancelli per l’ultima volta.
L’idea di prendere al volo l’autobus per attraversare di nuovo tutta la città e rientrarci mi aveva sfiorato più volte la mente, ma poi mi ero immaginato la scena in cui, dopo le prime consolazioni affettuose, mi invitavano ad andarmene di nuovo, perché non c’era posto per me, perché la mia stanza era già stata affidata ad un altro, e allora ero rimasto inchiodato sulla scomoda sedia di plastica della caffetteria, sorseggiando svogliatamente una cioccolata calda.
Decisi di iniziare ad adempire ai compiti della mia lista prima di andare all’appartamento: comprare il necessario che mi mancava.
Chiesi alla cameriera carina quali fossero i supermercati più comodi e convenienti nelle vicinanze, e lei prontamente appuntò qualche nome seguito da precise informazioni stradali su un lezioso post-it rosa confetto a forma di fiorellino, augurandomi il meglio. Leggermente rincuorato per quel contatto umano uscii un po’ più speranzoso sul fatto che alla fine non sarebbe andata poi così tanto male, e mi misi alla ricerca dei supermercati costringendomi a vederla come una divertente e bizzarra caccia al tesoro.
Fu la spesa più lunga della mia vita, anche perché era la prima che la facevo unicamente per me stesso. Solitamente se perdevo a sasso, carta e forbice con gli altri ragazzi mi toccava uscire a prendere qualche dolciume, oppure mi proponevo insieme ad altri per andare a recuperare il necessario per una festa di compleanno, nulla di più.
Guardai tutti gli articoli con calma, confrontai le varie marche disponibili e feci attenzione agli sconti della settimana come mi aveva consigliato Gilly, la cuoca della Lemon, e alla fine mi ritrovai con due pesanti sacchetti di plastica rigidi alle mani.
In un certo senso quella pesantezza mi dava un senso di accoglienza, erano le basi per contribuire al mio futuro, e trascinarle per strada rischiando di mandarmi in cancrena le braccia non mi dava così fastidio.
Circa verso le 11.00 mi decisi a prendere la via di “casa”.
La mia nuova casa.
Più mi avvicinavo più sentivo quelle vaghe convinzioni faticosamente guadagnate nelle ore prima svanire metro dopo metro, facendomi tornare allo stato di partenza, solo aggiungendoci due sacchetti incredibilmente pesanti.
Infine giunsi davanti al palazzo.
Era abbastanza vecchio rispetto a quelli adiacenti, proprio per quello era stato possibile riuscire a trovare un appartamento ad un prezzo così basso praticamente in pieno centro.
Due appartamenti per ognuno dei sette piani, facendo un totale di tredici probabili serial killer, tossicodipendenti o famiglie rumorose con interi arsenali di figli come possibili vicini di casa. Non avevo ancora visto nessuno, ma del resto ero stato in quel posto solo una volta, quando ero venuto a vedere l’appartamento dal vivo per decidere se prenderlo oppure no. Avrei potuto aspettarmi di tutto, come del resto mi aveva ricordato George, il mio mentore alla Lemon House, prima che decidessi di prenderlo, convinto dalla vicinanza con il posto di lavoro che avevo appena trovato in un piccolo negozio di giocattoli appena aperto, e io puntualmente avevo deciso di non dargli retta.
Quanto avrei voluto avere con me il puntiglioso George in quel momento…
Mi resi conto di essere rimasto per almeno una decina di minuti buoni davanti all’entrata della palazzina, incerto sul da farsi, e le prime goccioline di pioggia che raggiunsero la mia fronte mi dissero che forse era meglio entrare.
Presi coraggio e spinsi il portone di vetro, trovandomi davanti al piccolo salone d’entrata vecchio stile dove facevano capolino le cassette delle lettere di tutti gli inquilini e la portineria, dove lo stesso uomo sulla trentina che avevo visto la prima volta sembrava essere molto preso dalla rivista che stava sfogliando.
Mi avvicinai al bancone lentamente, sperando di non trovarlo di cattivo umore tanto quanto la prima volta, dove si era messo inizialmente a strillare perché nessuno l’aveva avvertito per tempo che qualcuno sarebbe venuto a vedere l’appartamento libero (e che successivamente però sembrava essersi messo a flirtare spudoratamente con George).
Provai più volte ad aprire la bocca e dire qualcosa per attirare la sua attenzione, ma non ne uscì nessun suono fino al terzo tentativo.
-S…alve.- non sembrava nemmeno la mia voce, dovevo averla dimenticata alla caffetteria dalla cameriera carina.
Non ero sicuro di essere riuscito a farmi sentire finché il frenetico fruscio di pagine della rivista non si fermò, e lui mi puntò addosso i suoi occhietti neri.
-Sì?- disse con la sua voce nasale.
Rimase a fissarmi in attesa di una risposa come se non avesse la minima idea di chi fossi.
-Sono quello dell’appartamento.- riuscii a dire dopo almeno una trentina di secondi di imbarazzante silenzio.
-Tesoro mio, ci sono tanti appartamenti qui dentro.- rispose lui tornando a gettare un’occhiata desiderosa alla rivista, poi probabilmente qualcosa in una qualche area remota del suo cervello dovette rimettersi in funzione, e di colpo spalancò la bocca picchiando una mano sul tavolo facendomi trasalire. –AH!-
-Cosa?!- chiesi allarmato.
-Eri con quel bell’uomo che non aveva occhi che per me! Mamma mia, ero talmente focalizzato sulle sue avances che quasi mi scordavo di te!- iniziò a blaterare alzando di qualche ottava la voce.
Oltre ad essere scandalizzato dal fatto che pensasse seriamente fosse stato George a provarci con lui (e forse dovevo fargli presente che il suddetto “bell’uomo” aveva anche una bellissima moglie e due figli), rimasi pietrificato da quella reazione inaspettata, sentendomi un po’ come alla prima lezione di matematica mentre il professore sciorinava formule una sull’altra senza capirci assolutamente niente.
-Ehm… sì, sono quello nuovo.- quanto era stupido autodefinirsi “quello nuovo”?!
-Perfetto, perfetto, perfetto!- quante altre volte aveva intenzione di dire quella parola? –Dunque, vediamo un po’.- mise con cura un piccolo segnalibro a forma di gatto tra le pagine della rivista prima di chiuderla con uno sguardo che sembrava dire “torno tra poco, dolcezza” e si voltò dandomi un’ampia visione del suo posteriore mentre frugava in una sorta di cassetta di sicurezza –Ecco qui!- si girò di nuovo verso di me con una mezza giravolta da ballerino mancato, e mi porse una piccola chiave.
-Grazie.- dissi titubante allungando una mano per prendere quella che avrebbe aperto il mio futuro appartamento.
-Ti ricordi la strada?- si batté scenicamente una mano sulla fronte –Che sciocco! È ovvio che non te la puoi ricordare se sei stato qui una sola volta. Bene!- Fece il giro del bancone e in un attimo fu davanti a me.
Lo sovrastavo di almeno dieci centimetri (e già la mia statura non era sicuramente da giocatore di basket!), ma con il suo portamento altezzoso sembrava si credesse il padrone dell’universo.
Sì, quell’uomo era decisamente un elemento interessante.
Non smise di parlare un attimo, raccontandomi di quanto fosse adirato perché la meteo non era per niente buona, perché il prossimo weekend aveva intenzione di andare alle terme e non sopportava di sentirsi la pioggia in faccia mentre se ne stava a mollo nell’idromassaggio, per poi passare a blaterare di un assurdo gossip che comprendeva celebrità che non avevo mai sentito nominare (seguito subito da mille smorfie e urletti perché si era reso conto di quanto fossi ignorante in materia).
-Insomma, parlami un po’ di te, anche se ovviamente ho letto tutto il tuo fascicolo per l’idoneità all’appartamento.- ma se non si ricordava nemmmeno chi ero pochi minuti prima?!
-Non saprei da dove iniziare.- mormorai timidamente quando mi lasciò più di due secondi per poter parlare, sfruttando il momento in cui si stava controllando le sopracciglia nello specchio dell’ascensore.
-Suvvia, chiunque nella sua vita deve aver avuto una qualche tresca da raccontare, specialmente un bel giovanotto come te, con quegli occhi grigi così penetranti.- mi guardò attraverso il riflesso dello specchio facendomi l’occhiolino con fare amichevole.
Questo qui mi aveva preso per una rivista di scandali con le gambe.
-Beh… non c’era molto movimento nell’orfanotrofio dove vivevo.-
-Cielo, che brutto posto deve essere stato!- piagnucolò –Vedremo di rimetterti in sesto, non preoccuparti!-
In sesto?
-In realtà non era così male dove stavo.- provai a replicare senza riscuotere molto successo, infatti lui mi lanciò una nuova occhiata compassionevole.
Ero davvero così patetico? Non mi aveva nemmeno chiesto come mi chiamavo né lui si era presentato!
L’ascensore si fermò al quarto piano, e mentre le porte si aprivano sul corto corridoio il nodo allo stomaco si fece ancora più persistente. Vedevo quelle pareti, e quella porta in fondo che sapevo essere l’inizio della mia nuova vita, e non c’era un centimetro di quel posto che io non rifiutassi. Non era il posto che avrei voluto avere, nonostante non sapessi nemmeno cosa volessi.
-Hai avuto fortuna, questo è un piano tranquillo.-
-Evviva.- dissi ironicamente per cercare di non dare a vedere quanto mi sentissi a disagio.
Ero sempre più vicino, sempre più prossimo ad arrendermi all’idea che quando sarei rimasto solo in quell’appartamento vuoto mi sarei abbandonato ad un pianto isterico. Mi sentivo vicino all’iperventilazione, e il portiere stava per chiedermi se mi sentissi bene dalla sua espressione, quando un botto improvviso ci fece sobbalzare entrambi.
Proveniva dal piano di sopra, si potevano sentire passi strascicati e delle voci sommesse dalla tromba delle strette scale che passavano accanto all’ascensore.
-Ehi! Ehi! Ti do una mano ma stai tranquilla, ok?- disse una voce femminile gracchiante, una persona già di una certa età, tirai a indovinare.
-Sono tranquilla, Pam!- rispose un’altra voce molto più giovane, strascicando leggermente le parole.
Il portiere allungò il collo per controllare per poi scollare le spalle e sospirare.
-Un’altra giornata no.- mormorò rassegnato –Fatti da parte, ragazzo.- mi intimò indietreggiando lui stesso.
Altri tonfi.
-Che succede?- chiesi a bassa voce sentendo il panico che montava.
-Nulla di ché, con il tempo ci farai anche tu l’abitudine.- rispose l’altro senza scomporsi.
I passi pesanti si avvicinarono finché non vidi sbucare dalle scale due figure.
Ci avevo azzeccato, la prima era una donna sulla sessantina dall’aria un po’ trasandata, con indosso una tuta color verde militare sbiadita e i capelli striati di grigio raccolti in uno chignon disordinato.
E poi, infine, vidi lei.
Una massa scarmigliata di capelli nero corvino fu la prima cosa che vidi, e subito dopo mi accorsi della ragazza minuta che ci stava sotto.
Sembrava in preda ad una lotta contro l’uomo invisibile, o perlomeno doveva avere appena fatto un giro su un ottovolante per essere in quelle condizioni.
-Serve una mano?- chiese il portiere con discrezione rivolgendosi alla più anziana.
-Fatti i cazzi tuoi, Clod.- abbaiò l’altra liberandosi con un gesto secco dalla presa che la sosteneva, perdendo l’equilibrio e andando a finire contro il muro.
Riuscii a vedere il suo viso tra una ciocca di capelli e l’altra, una maschera di trucco nero sciolto e sbavato, ma riuscii ad intravedere due enormi occhi verdi dall’aria spenta, come se non fosse davvero lì in quel momento.
Mi arrivò al naso quell’odore inconfondibile: era ubriaca fradicia.
Incrociò il mio sguardo per puro caso, e per un momento vi intravvidi un lampo di lucidità. Si esibì in un goffo e traballante inchino.
-Signori, benvenuti all’inferno. Grazie per la vostra partecipazione.- disse in tono acido per poi rischiare di perdere di nuovo l’equilibrio.
Rimasi a fissarla a bocca aperta, non avendo la minima idea di cosa dire.
La donna in tuta la riafferrò prontamente.
-Dai, ti porto a casa.- disse in tono risoluto trascinandola verso il corridoio.
-Cristo! La so la strada!- replicò lei procedendo con passo incerto.
-A quella non pensarci, inizia a cercare le chiavi.-
In tutta risposta lei frugò nelle tasche dei pantaloni e spedì qualcosa diretto a terra qualche metro più in là.
Le aveva trovate.
Rimasi a fissare la scena attonito, sperando di non averla davvero vista entrare e sbattersi alle spalle la porta dell’appartamento proprio accanto al mio.
-Tutto a posto, Pam?- chiese Clod (ecco svelato il mistero di come si chiamava l’eccentrico portiere).
-Le passerà. Sai anche tu com’é.- rispose lei in tono burbero asciugandosi le mani sui pantaloni della tuta.
Clod annuì per poi accorgersi della mia espressione probabilmente ancora allibita.
-Scusa per lo spettacolo. Jane non è sempre così, non preoccuparti. A volte ha delle giornate no.-
-Ah…- fu tutto quello che uscì dalla mia bocca.
-Tu devi essere quello nuovo.- disse la donna – Se dovessero esserci ancora dei problemi vieni a cercarmi al piano di sopra, seconda porta a destra. Chiamami Pam, comunque.- mi allungò una mano che strinsi ancora frastornato.
-Ryan.- mormorai.
Sorrise e mi fece l’occhiolino.
-Mi piaci già.- disse prima di avviarsi verso le scale e sparire verso il piano di sopra.
Clod scosse la testa.
-Mi faranno diventare matto.- disse procedendo poi verso la porta il fondo il mio corridoio.
Ah, già.
In quel breve siparietto mi ero completamente dimenticato di quello spiacevole particolare.
-Bene. Vengo a chiamarti quando arrivano quelli dei traslochi.-
Annuii a testa bassa.
-Grazie, sarebbe perfetto.- risposi imponendomi di sorridere, ma il tentativo non andò granché bene.
-Vedrai, dopo qualche giorno di smarrimento generale andrà meglio. Nel frattempo, se ti annoi posso fare lo strappo alla regola e prestarti qualche rivista. Ho tenuto da parte uno speciale sui red carpet dell’ultimo anno che è la fine del mondo.- disse con aria sognante.
-Ehm… credo che inizierò a sistemare quel poco che ho già portato.- risposi sollevando le buste con la spesa sperando di non risultare sgarbato.
-Nel caso cambi idea sai dove trovarmi, caro.- replicò lui per poi dirigersi a passo spedito verso l’ascensore, probabilmente desideroso di tornare a dedicarsi ai suoi gossip.
-Come hai detto che ti chiami, già?- urlò quando le porte erano già in procinto di chiudersi.
-Ryan!- risposi, scommettendo entro quanti secondi se lo sarebbe dimenticato.
Rimasi solo sul pianerottolo, con la chiave in mano. Guardavo la porta dell’appartamento della ragazza ubriaca, chiedendomi se stesse bene siccome non sentivo più nessun rumore. Forse si era addormentata.
Non riuscivo a togliermi di dosso quel suo sguardo, così arrabbiato con il mondo. Cosa poteva esserle successo?
Con questi pensieri che mi vorticavano per la testa, quasi inconsciamente, feci scattare la serratura ed entrai finalmente in “casa mia”.
Mi ritrovai davanti quel piccolo appartamento completamente vuoto, con le porte di ogni locale spalancate, rendendo ancora più evidente quella desolazione.
Ben presto sarebbe stato disseminato di scatoloni, e in seguito sarebbe stato il chaos più totale per metterlo a posto.
Pregai con tutto me stesso di avere le forze per renderlo più accogliente, cercando di nascondere quanto fosse presente la solitudine che sentivo crescere minuto dopo minuto passato li dentro.
Sistemai con estrema lentezza la spesa alimentare riempiendo la credenza e il frigorifero, il resto lo accantonai in un angolo all’entrata.
Andai al centro del futuro soggiorno, e mi sedetti a gambe incrociate. Iniziai ad immaginare come avrei potuto disporre i pochi mobili che stavano per arrivare e come riempirli, ma possedevo talmente poche cose che neanche impegnandomi al massimo sarei riuscito a riempire quell’appartamento, per quanto piccolo fosse.
“Devo trovarmi un hobby.” pensai fra me e me.
Poco dopo mi persi nei miei pensieri, cadendo in una sorta di trance, e senza rendermene conto mi misi di nuovo a fantasticare su cosa stesse facendo la ragazza dai capelli neri, mi pareva l’avessero chiamata Jane se la memoria non mi ingannava, tanto che quasi trasalii quando Clod arrivò ad avvertirmi che il camion dei traslochi era arrivato.
Uscii in fretta e furia, senza resistere alla tentazione di lanciare uno sguardo alla porta della mia vicina di casa.
Lessi velocemente il nome sotto al campanello.
Jane Heart.
Per un momento l’idea di suonare e chiederle se stesse bene mi attraversò la testa, ma lasciai perdere. Era meglio preoccuparsi di vedere se le mie cose erano ancora intere e non erano state vendute a qualche mercatino delle pulci clandestino nel mezzo del viaggio.
 



Eccoci alla fine del primo capitolo, che spero vi abbia resi un minimo curiosi!
Ci sono molte cose per aria, diciamo che questa era solo una piccola introduzione. Non si sa ancora niente dell'effettivo passato di Ryan, né di quello che l'aspetta nel suo "nuovo mondo". Abbiamo appena iniziato inoltre ad assaggiare qualche personaggio, e ne mancano ancora tanti altri.
Diciamo che l'approccio iniziale di Ryan non é stato proprio dei migliori, ma questo non é che l'inizio. Se in futuro andrà meglio o peggio lo lascio indovinare a voi! 
Spero siate lettori numerosi, siete OBBLIGATI (no dai XD) a recensire, sono aperta a critiche, domande e (spero) anche qualche complimento ^__^' 
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Raven :3 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Buona sera a tutti! 
Sono tornata con un nuovo capitolo, dopo aver avuto un riscontro positivo (secondo i miei standard XD). Molte persone hanno letto il primo capitolo e sono estremamente soddisfatta! Sono contenta di aver ricevuto anche alcune recensioni che sono come una coccola per me ^^
Sono riuscita a pubblicare incredibilmente con una sola settimana di distanza, e spero di riuscire a mantenere una frequenza simile in modo da non farvi aspettare troppo, purtroppo, però, non posso promettere niente XD
Vi lascio al capitolo, buona lettura!



Capitolo 2:
 
 
 
Quando aprii gli occhi e mi accorsi che la stanza era inondata da una piacevole luce pensai che tutto sommato sarebbe potuta essere una bella giornata per iniziare la mia nuova vita.
Cambiai idea quando mi ricordai di essere in quell’appartamento, dove avevo dormito solamente su un freddo materasso, circondato dagli scatoloni.
Alzai la testa con cautela guardandomi intorno, e quando constatai che la situazione era ancora più desolante di quello che ricordavo rimasi lì, a fissare quelle pile di cartone, chiedendomi perché diavolo non avessi scritto cosa ci fosse all’interno di ognuna.
Avevo tentato di iniziare già la sera prima, ma avevo perso oltre un’ora nel cercare la macchinetta del caffè che avevo comprato d’occasione il mese scorso, passando poi la successiva mezz’ora a regolarla per riuscire ad avere un espresso che non fosse 99% acqua (ah, dimenticavo anche il resto del tempo sprecato per cercare le tazzine, ovviamente). Avrei potuto iniziare a mettere i vestiti nell’armadio… se non per il semplice fatto che gli armadi erano ancora da montare e non avevo la più pallida idea di dove cominciare, avevo preso in mano trapano e martello si e no due volte in vita mia.
Alla fine mi ero arreso, avevo scartato il materasso (perché ovviamente anche il letto era da montare), avevo collegato brutalmente TV e lettore DVD alla corrente e avevo guardato un paio dei film che mi avevano lasciato in omaggio al negozio di elettronica dove avevo preso tutto. Più di quello non avevo potuto fare, e fu così che riuscii ad addormentarmi, forse con la speranza che al mio risveglio sarebbe cambiato tutto e che magicamente gli gnomi della foresta avessero sistemato ogni cosa.
Feci un lunghissimo respiro prima di alzarmi e andare pigramente a guardare fuori dalla finestra. La visuale migliore era quella della cucina, che dava su un piccolissimo parco dietro al palazzo. Era una bella giornata rispetto a quella di ieri, anche se il sole era leggermente pallido.
L’unica cosa che avevo appeso per il momento era il piccolo calendario che mi avevano regalato alla Lemon House, dove su ogni pagina c’erano aneddoti per cercare di far riacquistare fiducia in se stessi. L’avevo attaccato al frigorifero con due magneti che il precedente proprietario doveva aver dimenticato e che il personale delle pulizie non doveva aver notato. Poco male.
Avevo esattamente una settimana di tempo per sistemarmi perfettamente, dopodiché avrei iniziato con il mio nuovo lavoro al negozio di giocattoli. Pregai che una settimana bastasse. Chi aveva mai affrontato un trasloco?!
Iniziai a misurare l’appartamento con ampi passi, scrutando la stanza da letto che effettivamente non era poi così piccola, e il bagno era decisamente in ottime condizioni.
Ecco! Mi misi a rovistare tra gli scatoloni finché non trovai tutto quello che concerneva l’igiene personale e cacciai tutto alla rinfusa in bilico sul lavandino, o dove c’era spazio, per poi prendere quello che mi serviva. Mi lavai velocemente i denti per poi decidere di fare conoscenza con la doccia. Il profumo del mio bagnoschiuma mi riportò un po’ di familiarità, e tutto sommato dopo una bella lavata ci si sentiva decisamente meglio, certo, se si ignorava del tutto quel generale senso di disagio che mi faceva sentire orrendamente fuori posto. Rimasi a fissare il mio riflesso nello specchio per un po’, mentre mi asciugavo i capelli color ebano frizionandoli con l’asciugamano. Avrei potuto iniziare a farmi crescere la barba, forse sarei riuscito a guadagnare qualche anno in più e sembrare una persona più adulta, ma a chi avrei mai potuto darla a bere?
Lasciai perdere la contemplazione del mio riflesso ed uscii dal bagno sbuffando.
Decisi di concedermi qualche coccola, e dopo aver trovato qualche vestito pulito afferrai la giacca di pelle che avevo lasciato direttamente davanti alla porta ed uscii con tutta l’intenzione di godermi una bella colazione in qualche bar li vicino. La macchinetta del caffè poteva aspettare ancora per un po’.
Quando arrivai al piano terra vidi Clod dietro al bancone, esattamente nella stessa posa in cui l’avevo lasciato il giorno prima, a sfogliare riviste.
Che dovevo fare? Salutarlo? Non sapevo se la sua gentilezza iniziale era stata pura amministrazione oppure gli ero andato davvero a genio.
Nei pochi istanti in cui ero rimasto lì, indeciso sul da farsi, lui alzò lo sguardo e mi vide. Subito chiuse di scatto la rivista e circumnavigò a saltelli il bancone per venirmi incontro.
-Eccoti qua!- esclamò trafelato.
Subito caddi nel panico. Era successo qualcosa, o peggio, avevo fatto qualcosa?
-Ehm…buongiorno.- lo salutai alzando timidamente una mano –Che succede?-
Clod mi guardò accigliato per qualche istante.
-Nulla. perché?-
Tirai un sospiro di sollievo.
-Non lo so, sembravi preoccupato.-
Lui ridacchiò e fece un gesto di stizza con la mano.
-Perdonami, è che di solito alla mattina presto sono un po’ iperattivo. Sai, arriva la posta, e arrivano i miei nuovi ordini.- ammiccò alla pila di riviste disposte con cura quasi maniacale dietro al bancone.
-Oh…- cercai di controllare le mie espressioni facciali, non sapevo se preoccuparmi per lui o scappare direttamente.
Quel tizio era completamente fuso!
-Allora? Com’è andata la prima notte?-
-Direi bene.- risposi vago –Sono ancora vivo.- cercai di recuperare un po’ di sarcasmo.
-Ma certo che sei vivo! Dove credevi che ti avessero mandato, in una gabbia di matti omicidi?- ridacchiò.
“Più o meno.” pensai tra me e me mascherando tutto con un  mezzo sorriso.
In quel momento l’ascensore si aprì, lasciando rotolare nell’atrio una incredibile quantità di insulti e imprecazioni in russo (o almeno quello sembravano dall’intonazione), o una qualche altra lingua simile.
Clod alzò gli occhi al cielo.
-Scusami- mi passò accanto per andare verso la fonte di quel baccano a passettini veloci –E ora cosa c’è?- gracchiò.
Il suo interlocutore era un uomo piuttosto robusto dall’aria estremamente grottesca. La camicia a quadri ea in perfetto stile boscaiolo appena uscito dalla sua cascina in montagna con la motosega pronta in mano.
-Due volte che il vecchio riempie lavatrici in mio turno! DUE VOLTE!- disse l’omone con voce bassa e possente, aveva un pesante accento.
-Per l’amor del cielo! Lo sai anche tu che Frank ha problemi di memoria, nemmeno si ricorda di che colore ha messo le mutande, se si ricorda di metterle.- replicò esasperato Clod cercando di risuonare autoritario, ma sembrava quasi di assistere a una discussione fra un orso e un criceto.
-Prossima volta vedi come ritorna memoria a quello. Faccio io!- fece il gesto di rimboccarsi le maniche.
-Dovrai passare prima sul mio cadavere.- abbaiò l’altro per poi tornare verso di me –Basta, non ho intenzione di sentire ancora le tue lamentele. Fanno male all’animo e al corpo, lo sai? Diglielo anche tu, Robin!-
Ci misi un po’ a capire che “Robin” ero io.
-Chi è Robin?- chiese l’omone avvicinandosi con fare sospetto –Nuovo consegna posta?-
Rimasi a guardarlo cercando di non spalancare la bocca. Da vicino sembrava ancora più immenso.
-Ti pare che ci mandino postini così giovani e avvenenti?- blaterò gesticolando Clod –È il nuov inquilino!-
-Veramente mi chiamo Ryan.- azzardai timidamente.
-Ryan? Perché lui chiamato te Robin?- aggrottò per un attimo le folte sopracciglia, poi parve illuminarsi –Aaah, lui solito idiota scorda nomi.- si rispose da solo indicando Clod che lo guardò come se gli avesse appena ucciso la madre.
-Idiota a chi?!-
L’omone scoppiò in una fragorosa risata per poi ignorare bellamente le minacce di Clod e porgermi la sua mano che era tranquillamente il doppio della mia.
-Mi chiamo Aleksandr. Tu chiama me Alek, eh?- fece un ampio sorriso.
Per un momento credetti di essermi spaccato tre falangi mentre gli stringevo la mano, mi sforzai di camuffare la smorfia di dolore.
-Io sono Ryan.- scandii ad alta voce lanciando un’occhiata di sottecchi a Clod di modo che stavolta se lo ricordasse.
-E io che ho detto?- replicò lui scocciato.
-Non preoccuparti, lui fatto così. Primi tre mesi che io era qui chiamava me Andrey.- disse Alek facendo salire ulteriormente il livello di isteria di Clod.
-Cosa posso farci se avete dei nomi così maledettamente comuni?- storse il naso incrociando le braccia.
Si udirono di nuovo le porte dell’ascensore aprirsi, e poco dopo arrivò Pam, decisamente meglio vestita della sera prima, a stento la riconobbi. In un certo senso me l’aspettavo che nascondesse un’anima da rocker: portava un chiodo di pelle, strettissimi jeans strappati sulle ginocchia, stivali in stile motociclista e soprattutto una moltitudine impressionante di bracciali, collane e una fila notevole di orecchini per ogni lato. Nonostante l’età il tutto gli stava incredibilmente bene, sembrava una vissuta cantante di qualche gruppo metal anni novanta.
-Cos’è questa riunione abusiva?- commentò con la sua voce roca per poi mettermi a fuoco, battendo un paio di volte le palpebre e scrutarmi con i suoi occhi indagatori cerchiati pesantemente di kajal.
-Ehi, Pam! Tu hai visto nuovo ragazzo?- disse allegramente Alek dandomi una “leggera” pacca sulla spalla (per poco non mi trovai a strisciare sulle piastrelle del pavimento qualche metro più in là).
-Ah, si! Ci siamo incontrati ieri- abbassò la voce –in circostanze non proprio belle.-
-Cioè?- chiese lui facendosi attento.
-Era una giornata no.- fece eco Clod da dietro al bancone sporgendosi verso di noi.
-Aaaah… capito.- fece lui annuendo energicamente con la testa.
Di nuovo quel “giornata no”.
-Beh? Come sta andando il trasloco, Ryan?- mi chiese Pam cercando palesemente di cambiare discorso.
-Non ho ancora iniziato del tutto, a dire il vero.- dissi cercando di nascondere un certo imbarazzo.
-Come mai?- mi guardò sorpresa –Ti immaginavo impegnato a cospargere l’appartamento con roba da teenager e a trovare un nascondiglio sicuro per nascondere i porno.- diede una gomitata ad Alek facendolo partire di nuovo con la sua risata baritonale.
-Io non nascondo porno!- replicai sperando con tutte le mie forze di non essere arrossito –Comunque… non sono un gran genio nel montare i mobili, tutto qui.-
Pam parve illuminarsi.
-Davvero? E cosa aspettavi a dirlo? Alek viene dalla terra di Mr. Ikea, sicuramente ti saprà dare una mano, vero?- disse guardandolo in cerca di consenso.
-Ikea è di Svezia!- ribatté lui lanciandole un’occhiataccia.
-Russia, Svezia, che differenza vuoi che faccia!- gesticolò con una mano –Allora, lo aiutiamo, si o no?-
-Veramente non…- cercai di rimediare precipitosamente.
-Certo! Io doveva già andare da ferramenta a prendere chiodi per mensole.-
-Allora ci troviamo da lui diciamo fra un’ora, che dici?-
-Andata sicuro! A che piano tu abita, Ryan?-
-Abita al quarto. Io vado a prendere qualche birra, sicuramente faranno comodo mentre lavoriamo.-
-…serve.- finii la mia frase senza che venisse minimamente ascoltata dai due che sembrava stessero architettando un piano per armi di distruzione di massa.
-Vedrai, ci metteremo un attimo.- mi rincuorò Pam.
-Sentite, non ho bisogno d’aiuto, davvero. Forse ci metterò un po’, ma ce la posso fare. Avrete sicuro altro di ben più importante da fare.- dissi cercando di oppormi a quell’assurdo piano d’attacco verso i miei mobili.
-Non dire sciocchezze. Se non vedi Alek con addosso l’attrezzatura da scalata vuol dire che è il suo giorno libero.-
-Io istruttore!– disse lui come a conferma delle sue parole puntandosi un pollice al petto orgoglioso.
-Io invece vivo grazie agli alimenti di quello stronzo del mio ex marito banchiere, e mi assicuro sempre di riuscire a rovinargli la vita ogni giorno.- sorrise compiaciuta.
-Ma… non mi conoscete nemmeno. Non voglio fare l’approfittatore di turno!-
-Prontoooo- disse Clod alle mie spalle che nel frattempo era tornato alle sue riviste –non sei tu l’approfittatore, sono loro ad approfittarsi di te per non rendere monotone le loro patetiche vite.-
-Sentilo! Hai di nuovo le emorroidi?- ribatté aspra Pam –Io non ci vedo niente di male nel fare i buoni vicini.-
-Ma…- tentai per l’ultima volta di oppormi.
-Niente ma! Alek, andiamo a prendere quello che manca.-
-No preoccupa per trapano e martello, io ha tutto.- fece eco Alek mentre li guardavo uscire, ormai senza speranza.
Rimasi a guardare la porta a vetri cercando di realizzare quello che era appena successo. Due perfetti sconosciuti sarebbero entrati in casa mia e avrebbero visto quanto patetico potevo essere, e io ero così codardo da non essere nemmeno riuscito a fermarli.
-Siamo alle solite.- commentò Clod che si limitò ad alzare appena le spalle.
-Credi che seriamente lo faranno?- chiesi speranzoso di sentirmi rispondere che era tutto uno scherzo per i nuovi arrivati.
-Se lo faranno? Certo che sì! Secondo me tenteranno anche di appenderti in casa qualche decorazione di Natale in anticipo se non li tieni d’occhio.- rispose come se per lui la cosa fosse del tutto normale –Non ti spaventare, sono innocui.-
-Innocui.- ripetei cercando di farmelo entrare in mente come un mantra.
Uscii dal palazzo cercando il primo bar dall’aspetto invitante. Trovai un pub poco distante e mi ordinai una sostanziosa colazione. Volevo avere tutte le energie possibili per affrontare quella giornata, non sapevo davvero cosa aspettarmi da quei due. Per un momento fui tentato di chiamare George e chiedergli se secondo lui potevo davvero stare tranquillo. Chissà, forse ero io a ragionare troppo da solitario e si poteva considerare normale un atto caritatevole come quello. Guardai il cellulare per un po’, ma alla fine lo rimisi in tasca senza fare nessuna chiamata.
Dovevo imparare il prima possibile a cavarmela senza l’appoggio invisibile della Lemon House, altrimenti non sarei mai riuscito ad andare da nessuna parte.
Mangiai i waffle ai frutti di bosco con gusto e finii il cappuccino gigante per poi tornare verso casa.
Mentre frugavo nelle tasche per trovare le chiavi mi scappò inevitabilmente l’occhio verso l’altro appartamento.
Non avevo sentito nessun suono dalla sera prima. Forse era il caso che qualcuno iniziasse a preoccuparsi per quella ragazza, o forse ero solo io ad aver dormito troppo profondamente e lei era uscita prima che io mi svegliassi.
Scossi la testa ed entrai per confrontarmi di nuovo con i miei odiati scatoloni.
Mentre aspettavo che Pam ed Alek arrivassero iniziai a sistemare meglio le cose in bagno. Misi medicinali e quant’altro nell’armadietto dietro allo specchio o in quello sotto al lavandino, appesi gli asciugamani e mi appuntai sul cellulare di dover comprare un tappetino per la doccia. Giusto il tempo di sistemare quelle poche cose che il campanello stava già trillando insistentemente, e potevo sentire attraverso le pareti la voce di Alek.
Andai ad aprire e me li ritrovai davanti con una sfilza di sacchetti e sacchettini alla mano.
-Tutto pronto.- disse Alek alzando il pollice e sollevando una pesante cassetta degli attrezzi dall’aria parecchio vissuta –Da dove noi comincia?-
Entrarono senza fare troppi complimenti e si misero a dare un’occhiata.
-Che razza di stronzi! A te la lavastoviglie almeno l’hanno lasciata. Quando sono arrivata io ci mancava poco che staccassero anche le piastrelle da terra.- commentò Pam che stava ispezionando la cucina.
-Tutta qui tua roba?- chiese Alek fissando la pila di cartoni.
-Eh già.- risposi con un certo imbarazzo.
-Oh beh, noi farà prima allora.- dedusse dopo una breve pausa, come se niente fosse.
Iniziai con il dividere in un unico mucchio quello che erano i mobili e li accatastai in mezzo al salotto.
Il resto si ridusse a due misere scatole contenenti i miei effetti personali.
-Sei un tipo minimal, eh?- commentò Pam.
-Dovevo farci stare tutto in una stanza.- replicai tentando di sembrare disinvolto.
-Capito. Con il tempo vedrai che farai diventare questo posto una discarica di cianfrusaglie. Basterà un niente, ne sono sicura.-
-Se lo dici tu.- alzai le spalle per poi andare a vedere cosa stesse combinando Alek.
Ci mettemmo goffamente all’opera, Alek e Pam erano decisamente più in sintonia di me che traballavo tra un pezzo di mobile e l’altro e cercavo di capire cosa dovessi farci.
-Questo è facile.- disse Alek dopo aver studiato il mobile della TV.
La cosa si rivelò effettivamente molto più semplice di quello che pensavo. Alek riconosceva i pezzi ad occhio e diceva a me e Pam come attaccarli, oppure si limitava a dire un “tu tiene questo” e dovevo stare a sorreggere un qualche pianale mentre lui  lo avvitava velocemente.
In un batter d’occhio il mobile della TV fu montato.
-Wow. Sembra quasi bello.- commentai quando lo vidi ultimato e in posizione –Ora dovrò solo riuscire a collegare il decoder e tutto il resto.-
-Per quello avrai bisogno sicuramente di un tecnico.- disse Pam alle mie spalle.
-Tu dici?- chiesi mentre già avvertivo brividi freddi. Le mie finanze non erano illimitate, quanto poteva costare un tecnico. –Ieri sera sono riuscito a collegare il lettore DVD, però.-
-Qui ci vuole ben altro, tesoro.- rispose lei picchiettandosi per qualche istante un dito sul mento –Vado a chiamare Jamie.- si diresse verso la porta a passo spedito.
-Jamie?- ripetei.
Lei riemerse dal corridoio giusto qualche secondo.
-Il tecnico.- disse come se fosse la cosa più normale del mondo –Abita al piano di sotto, ci darà sicuramente una mano se è in casa.-
-Aspetta, non…- in risposta ricevetti lo sbattere della porta. -Quanti sconosciuti intende introdurmi in casa quella donna?!- mi uscì di getto mentre mi passavo nervosamente una mano fra i capelli.
-Non preoccupa, Ryan. Jamie è bravo ragazzo. Ripara sempre tutto a tutti, dice che così fa pratica.- disse pacifico Alek che nel frattempo stava scartando i primi pezzi del tavolo.
-Va bene, ma non posso continuare a farmi fare favori dalla gente che nemmeno mi ha mai visto.- ribattei non riuscendo a capire come facesse ad essere così calmo.
-Qui funziona così.- disse con un ampio sorriso –Ognuno qui è bravo a fare qualcosa. Io aiuta a montare cose, Jamie aiuta con elettronica, Piccola Jasmine di sesto piano sistema tende e buchi nei pantaloni, vecchia Ginevra a secondo piano prepara dolci, e tutto via così. Tutti aiuta tutti, quando serve.-
Rimasi a guardarlo spiazzato. Cose simili le avevo sentite solo nelle telenovelas.
-Stai scherzando, vero?-
-Io sarei qui se scherzavo?- rispose lui agitando un pacchetto di viti.
-Ma io… non sono bravo a fare niente.- mormorai –Non so come potrei ricambiare.-
Non ne avevo davvero la minima idea, non avevo mai brillato per nulla in particolare se non forse per riuscire a finire abbastanza velocemente i puzzle.
Alek fece un mezzo verso.
-Tutti bravi in qualcosa.- e come se le sue parole fossero una legge scritta nei secoli tornò a dedicarsi al tavolo ignorando bellamente i miei balbettanti tentativi di replicare.
Poco dopo Pam rifece la sua comparsa portandosi dietro un ragazzo che doveva avere un paio d’anni in più di me, altissimo e magro all’inverosimile con la tipica postura ricurva di chi si sentiva evidentemente a disagio per la sua corporatura da giraffa. Portava spessi occhiali quadrati dalla montatura pesante che nascondevano quasi metà faccia, e i corti capelli biondi sembravano essersi appena fatti un giro in una centrifuga.
-Oggi deve proprio essere il tuo giorno fortunato.- disse Pam mettendo una mano sulla schiena del ragazzo (perché alla spalla non ci arrivava) –Lui è Jamie, il genio dell’elettronica e affini.-
-Ehilà, forestiero.- disse lui alzando una mano in segno di saluto e sorridendo mettendo in evidenza una fila di denti bianchi perfetti, quando in realtà mi sarei aspettato un apparecchio immenso o una dentatura simile alla struttura di Stonehenge.
-Ehi.- risposi al saluto con un certo imbarazzo.
-Dimmi dove devo compiere la magia e farò del mio meglio.- disse muovendosi con un passo ondeggiante schivando i vari oggetti sparsi per terra –Oh, ciao Alek. Tutto a posto con il computer?-
-Fa fusa come un gattino.- rispose sorridendo l’altro –Tuo rubinetto di vasca tiene?-
-Alla grande.-
Rimasi piacevolmente meravigliato. Sembrava essere vero sul serio, tutti si aiutavano a vicenda. Inevitabilmente, però, mi misi a pensare che effettivamente io non sapevo fare davvero nulla di utile, come avevo appena detto. Cos’avrebbero pensato quando l’avrebbero appurato?
Pam fece strada a Jamie verso il televisore, e lui subito si mise a dividere cavi ed armeggiare con prese elettriche.
-Dimmi, hai bisogno anche di un imbianchino?- mi chiese Pam, che sembrava aver preso l’andazzo di un direttore d’orchestra.
-No no!- mi affrettai a direi.
-Perfetto, perché è una delle poche cose che ci manca qui dentro!- scoppiò in una risata acuta per poi andare verso Jamie per fargli da “assistente”.
Decisi di fare lo stesso e andai da Alek che subito partì in una sequenza di “tu regge questo”, “tu alza quello”, “tu martella qui” e “tu mette vite su quello”.
Tutto sommato la cosa dopo una qualche ora si rivelò anche divertente. Mentre lavoravamo ci eravamo lanciati in una discussione generale sugli altri inquilini. Sciorinarono parecchi nomi che mi dimenticavo subito dopo, quello che facevano o non facevano, chi stava antipatico a chi, finché io non mi azzardai a fare la fatidica domanda, cercando di essere il più disinvolto possibile.
-E la tizia che abita qui accanto?- chiesi senza guardare in faccia nessuno, dando l’idea di essere più concentrato su quello che stavo facendo, anche se in realtà era dall’inizio che morivo dalla voglia di saperne di più.
-Ah, Jane.- disse Jamie mentre era seduto a gambe incrociate per terra intento a disfare una matassa di cavi.
-Vero, dimenticavo che hai già avuto l’onore di vederla.- borbottò Pam scuotendo leggermente la testa.
-Oh-oh, era una giornata no quando l’ha vista?- chiese Jamie che sembrava aver interpretato la smorfia.
-Già.-
Anche lui con quel “giornata no”. Perché tutti lo usavano? Era una sorta di codice segreto?
-Fortuna ultimamente succede poco.- commentò Alek che testava se la molla del divano che avevamo appena finito di montare funzionasse.
Pam scrollò le spalle.
-Jane lavora come commessa in una libreria, ma in realtà è una scrittrice.-
-Ah, sì?- feci meravigliato.
-Beh, per come l’hai vista tu effettivamente potrebbe non sembrare proprio una ragazza da letteratura, ma non è sempre così. È una ragazza molto in gamba, ma a volte ha il brutto vizio di lasciarsi soggiogare dalle emozioni. Non preoccuparti, non ti darà problemi come vicina di appartamento, se è questa la tua paura.-
-Ma no, figurati. Non pensavo assolutamente a quello.- dissi subito per mettere le cose in chiaro.
-Pensa se si fosse ritrovato Selly come vicina di casa.- saltò su Jamie subito dopo.
Tutti e tre i miei ospiti ridacchiarono all’unisono.
-Sarebbe uomo spacciato!- esclamò Alek.
Si lanciarono immediatamente in una descrizione dettagliata della suddetta Selly, che a sentir loro doveva essere una sorta di pazza psicopatica che ogni sera tornava a casa con un ragazzo diverso e si divertiva ad intrattenere chi stava negli appartamenti vicini con “discreti rumori molesti”.
Arrivò poi il momento in cui mi chiesero di me, della mia vita. Iniziai a raccontare a grandi linee quella che era stata la mia esistenza alla Lemon House.
-Quindi non sai neanche che faccia abbiano i tuoi genitori?- chiese Pam allibita.
-No, mia madre mi ha lasciato lì appena nato, ma non è stato un gran problema. Da quel che mi diceva George se non mi avesse portato da loro temevano mi avrebbe venduto per qualche dose o qualcosa di simile.-
-Che brutta cosa.- commentò Alek per poi prendere una gran sorsata di birra mentre facevamo una breve pausa.
-Meglio così, no?- dissi tranquillo.
-E come mai… voglio dire… se sei arrivato che eri ancora un neonato, e si sa che le coppie di solito cercano sempre figli adottivi il più giovane possibile…- disse Jamie girando goffamente intorno alla questione.
-Come mai non sono stato adottato?- finii per lui. Ci pensai su un attimo e mi limitai ad alzare le spalle –Boh.-
-Ma come?!- dissero quasi all’unisono tutti e tre.
-Non lo so perché, forse ero sempre casualmente il meno interessante del momento. Ci sono state famiglie che hanno tentato un approccio con me, ma evidentemente non è mai scattata quella scintilla.-
-Non hai dato fuoco a piante o cercato di sventrare gatti, vero?- chiese Pam guardandomi sospettosa per un attimo –Naaah! Che domande faccio, basta guardarti in faccia per capire che sei un tesoro di ragazzo. Fossi più giovane ti adotterei io.-
-Era un complimento?- dissi alzando un sopracciglio.
-Pam vuole sempre fare da mamma.- disse Alek sogghignando –Tratterebbe come figlio anche cassonetto di spazzatura.-
-Ehi!- replicò lei dandogli una gomitata.
Mentre procedevamo con gli ultimi mobili effettivamente mi misi a pensare tra una chiacchierata e l’altra.
Non mi ero mai fermato più di tanto a pensare al perché non fossi mai stato adottato. Non la vedevo come una disgrazia, in fin dei conti. L’idea di dover per forza farmi andare a genio due individui sconosciuti e dover arrivare a chiamarli mamma e papà mi aveva sempre causato qualche problema. Difficilmente legavo con qualcuno per una banale amicizia, figurarsi dovermi fare una famiglia fittizia.
-Penso che così possa bastare, le ultime cose posso farle tranquillamente da solo.- dissi quando anche l’ultimo mobile era stato montato del tutto, e il cielo fuori si era già fatto scuro. Rimaneva solo dover sistemare le mie cose negli armadi, e magari con il tempo andare a prendere qualcosa di carino per abbellire l’ambiente.
Ora faceva decisamente paura, più pieno, anche se ancora abbastanza sterile. Però tutto sommato era carino, mi piaceva.
-Ti ci vorrebbe un bel tappeto per il soggiorno, sai?- disse Pam mentre guardavamo la nostra “opera completa”.
-Potrebbe essere un’idea.- effettivamente non avevo preso assolutamente niente di frivolo e inutile per decorare casa. Non un soprammobile o quadro da appendere, e lì si iniziava ad intravedere il mio essere completamente privo di fantasia. Mi sentivo un po’ come quell’appartamento, riempito di ricordi, ma per forza di cose. Non avevo dei particolari momenti felici o tristi, tutto era inspiegabilmente… “vuoto”.
-Tutto bene?- chiese Jamie che doveva aver notato il mio sguardo perso in quei pensieri.
-Ah, si…sì, stavo solo pensando a cosa potrei mettere su quel muro.- indicai un’intera parete completamente sgombra.
-Ti può interessare libreria? Io aveva comprato una ma troppo larga e non avevo posto. Ti regalo se vuoi.- chiese Alek mentre lo vedevo prendere mentalmente le misure di quello spazio.
-Una libreria?- ci pensai su un attimo –In realtà non so se potrei sfruttarla, non leggo mai. Però grazie comunque.- decretai alla fine, chiedendomi cosa effettivamente me ne sarei potuto fare di una libreria che sarebbe rimasta probabilmente vuota.
-Se tu cambia idea io ti porto.- fece uno dei suoi sorrisoni.
Li accompagnai alla porta rifiutando più volte l’invito a cena di Pam.
-Devo imparare a cucinare, altrimenti non sopravvivrò mai.- dissi per tranquillizzarla.
-D’accordo, però insisto perché tu venga da me a mangiare, uno di questi giorni.- replicò lei facendola suonare come una minaccia.
-Ah…ehm… ok.- risposi imbarazzato. Troppe premure, troppe attenzioni.
-Allora ci si vede prossimamente. In gamba, eh?- disse Jamie con un mezzo sorrisetto mentre si incamminava verso l’ascensore.
-Buona serata a tutti.- salutai in generale sorridendo goffamente.
Alek mi tirò l’ennesima pacca omicida sulla spalla venendo prontamente rimproverato da Pam, e si misero a bisticciare mentre se ne andavano.
Mi richiusi la porta alle spalle, rimanendo di nuovo solo. Non mi ero reso conto di quanto fossi esausto.
Era davvero un posto di pazzi!
Eppure… incredibile a dirsi, mi ero anche divertito.
Sembrava incredibile che fosse quasi tutto a posto in un solo giorno, chissà a che punto sarei stato se fossi rimasto da solo come mi ero prefissato.
-Non è male.- ripetei a me stesso a mezza voce, e per una volta non stavo cercando di autoconvincermi. Non era male davvero. Si poteva decisamente migliorare ma non mi dovevo di certo lamentare.
Presi un lungo respiro e mi mossi per andare in cucina, pensando a quale sarebbe potuto essere il mio primo vero pasto da “persona adulta” (se non si doveva calcolare la pizza d’asporto che avevamo ordinato per pranzo quando ci eravamo presi una pausa dal lavoro).
Stavo facendo mente locale su cosa avevo comprato il giorno prima al supermercato quando ci mancò poco che prendessi un mezzo infarto.
Qualcuno aveva suonato il mio campanello.
Cercai di calmarmi, e lentamente mi avvicinai alla porta, pensando che potesse essere Pam che insisteva di nuovo per la cena, o forse Alek aveva dimenticato un cacciavite da qualche parte.
Aprii la porta, ma non riconobbi né Pam, né Alek, né Jamie.
Rimasi a fissare la ragazza sconosciuta che mi stava davanti.
Aveva fluenti capelli neri, lisci e lucidissimi, che gli ricadevano fino a metà schiena. Indossava jeans e maglione con scollo a barchetta neri, una collana con un semplice triangolo d’argento rovesciato le ricadeva sullo sterno. Intravvidi delle fini linee di un tatuaggio sulla parte sinistra del suo collo che finivano dietro all’orecchio che non riuscii a decifrare del tutto, coperto in parte dai capelli.
Un’altra stramba inquilina che veniva a presentarsi e cercare di irrompere in casa mia?
Fu solo quando mi trovai a fissare i suoi grandi occhi perfettamente truccati, di un verde intenso, quasi sembrassero due smeraldi, che mi accorsi di averli già visti.
-Ciao.- disse lei abbozzando un sorriso.
Rimasi bloccato, fissandola con un misto di meraviglia e una spiacevole sensazione di budella che si contorcevano.
-Ciao.- fu l’unica cosa che riuscii a farmi uscire dalla bocca.
 -Scusa se ti disturbo, ma mi sentivo tremendamente una brutta persona per non essermi ancora presentata. Sai… abito qui accanto.- indicò la porta al lato opposto del corto corridoio per poi allungare una mano con un almeno un anello per ogni dito e delle curatissime unghie color blu notte –Io sono Jane.-
Cosa stava succedendo?
Possibile che quella ragazza tanto in ordine, con quel sorriso leggermente imbarazzato e quegli enormi occhi così brillanti e magnetici fosse davvero lei? L’iraconda ubriacona urlante che avevo incrociato la sera prima?
-Io sono…Ryan.- risposi probabilmente con qualche abbondante secondo di ritardo stringendo la sua mano. Sembrava incredibilmente piccola accostata alla mia, e mi accorsi solo allora di sovrastarla di parecchi centimetri. Era così minuta e dall’aria pacifica… -Scusa, ma… non ci siamo già visti? Sai… ieri sera.- chiesi abbastanza incerto, non sapendo cosa aspettarmi come reazione.
Lei rimase a fissarmi con i suoi occhioni, battendo più volte le palpebre facendo fluttuare le ciglia lunghe.
-Ieri sera?- parve perdersi per qualche secondo nei suoi pensieri, e infine cambiò espressione, arrossendo vistosamente e portandosi una mano alla fronte.
-Oh, cavoli.- si morse il labbro inferiore –Non ricordavo di averti visto. Oddio, scusami. Fai come se… non fosse mai successo, ok? Non sono sempre così, davvero. Chissà cos’avrai pensato!- farfugliò in maniera confusa mettendosi una mano fra i capelli e spostandoli in maniera nervosa.
Avvertii un lieve profumo dopo quel gesto, di un qualche fiore forse, e rimasi lì come un idiota a fissarla mentre balbettava frasi su frasi, inserendo la parola “scusami” ogni tre secondi.
-Giuro che sarò una vicina di casa modello. Non do festini fino alle cinque del mattino e non mi metto ad urlare come una pazza. Ieri sera era solo… solo…-
-Una giornata no?- finii la frase per lei. Quelle parole mi uscirono d’istinto, il mio cervello le aveva forse tirate fuori inconsciamente.
Jane si zittì, sorpresa.
-Già…- mormorò.
Restammo a fissarci ancora per una manciata di secondi, studiandoci a vicenda.
-Beh… anche tu puoi stare tranquilla. Non sono un vicino di casa agitato.- dissi faticando a mettere insieme la frase.
-Oh- fece lei come se si fosse appena destata da un sogno, e di nuovo ricomparve il sorriso di prima –allora siamo a posto.-
-Certo.- risposi un po’ spaesato.
Come era apparsa quella sua improvvisa crisi d’ansia se ne era andata. Che strana ragazza…
-Bene, allora spero di conoscerti meglio!- per un momento i suoi occhi furono come attraversati da un lampo –Ehi! Perché non vieni anche tu al poker abusivo da Frank dopo cena?-
Rimasi interdetto; non mi aspettavo assolutamente una proposta del genere.
-Po…poker abusivo?- chiesi per nulla convinto.
Lei sogghignò e si avvicinò con fare sospetto.
-Milly, la moglie di Robert. Abitano al primo piano, e lei non sopporta che suo marito faccia scommesse o cose simili. Rob si è inventato che il martedì sera va a giocare a squash con qualche collega. Capito, eh?- mi fece l’occhiolino con fare complice –È una delle cose più divertenti del mondo, vedrai!-
Ora sembrava incredibilmente iperattiva come una quindicenne esaltata. Quante personalità era in grado di cambiare in cinque minuti?
-Non so... non ho mai giocato a poker.- e sicuramente non morivo dalla voglia di ritrovarmi sballottato in mezzo ad un sacco di gente che non conoscevo che avrebbe fatto mille domande, le probabilità che potessero essere tutti strambi quanto quelli che avevo già avuto l’onore di conoscere era molto alta.
-Credimi, imparerai presto.- rispose lei scrollando le spalle.
In quel momento mi parve di sentire una lieve vibrazione. Jane si tastò immediatamente le tasche ed estrasse un cellulare con una discutibile cover tempestata di unicorni.
-Scusa, meglio che vada.- abbassò di nuovo la voce –Se per caso cambi idea: dalle nove in poi, settimo piano, porta a sinistra.- si incamminò a passo svelto verso il suo appartamento mentre rispondeva con uno squillante “prontoooo?” e allo stesso tempo mi salutava con una mano, regalandomi un ultimo grande sorriso prima di sparire dietro alla porta di casa sua.
Come in trance rientrai e rimasi lì impalato, cercando di assimilare quello che era appena successo.
Quando ripresi completamente le mie facoltà mentali e motorie, in un gesto quasi automatico e incontrastabile sorrisi. Il primo sorriso spontaneo da quando ero in quel posto.
Ero decisamente finito in un posto pieno di matti… ma la cosa poteva farsi davvero interessante, in fin dei conti.



Ed ecco che iniziano ad apparire nuovi personaggi, compresa la presentazione ufficiale di Jane! Ve l'aspettavate così camaleontica? Ed é apparsa solamente per cinque minuti scarsi, quindi deve ancora dare il meglio. 
E di Ryan che mi dite? Certo, diciamo che non é il ragazzo più positivo del mondo, ma anche su di lui ci sono ancora molti particolari non ancora rivelati.
Ringrazio tutti quelli che finora hanno letto e specialmente chi ha impiegato due minuti per lasciarmi una recensione, grazie grazie grazieee!
Nel frattempo spero che questo capitolo vi sia piaciuto ^^
Appuntamento al prossimo capitolo che spero di pubblicare il più presto possibile!
Raven :3 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ciao a tutti! Rieccomi ad arrecare fastidio! XD
Mi ero imposta di riuscire a pubblicare un capitolo a settimana, ma inutile dire che ho già fallito miseramente, anche se solo di qualche giorno.
Sono sempre più contenta del riscontro che stanno avendo i primi due capitoli, dal numero di lettori mi sembra di aver capito che a qualche anima sta piacendo quello che scrivo, quindi intendo impegnarmi sempre di più <3
Eccovi quindi il terzo capitolo delle disavventure del povero Ryan!
Buona lettura ^^


Capitolo 3:
 
 
Al contrario dei giorni precedenti quella mattina pensai di essermi svegliato troppo presto, era ancora parecchio buio. Mi accorsi solo in un secondo momento, quando guardai pigramente che ore erano sul mio cellulare, che tanto presto non era in realtà. Mi misi a sedere sul letto e mi accorsi che il buio era dovuto ad una giornata terrificante. Pioveva a dirotto e il cielo era carico di nuvole grigio scuro.
Mi lasciai ricadere pesantemente sul materasso con uno sbuffo.
E io che avevo la mezza idea di uscire a farmi un giro…
Cosa si poteva inventare un ragazzo senza hobby e senza nulla da fare in una giornata come quella? Grazie al tempestivo aiuto dei miei nuovi vicini di casa qualche giorno prima ero già riuscito a sistemare tutto, ed ero anche stato piuttosto bravo a pulire da cima a fondo l’appartamento, come una casalinga professionista.
Mi misi a guardare distrattamente il cellulare, passando dai giochini stupidi a leggere le notizie online. Quella era davvero una giornata inutile, talmente noiosa che quasi mi ero messo a desiderare di poter iniziare a lavorare con quasi una settimana d’anticipo.
Alla fine decisi di alzarmi comunque, partendo con il buon proposito di riuscire a trovare qualcosa da fare, perciò mi vestii con fin troppo entusiasmo, mi lavai velocemente ed uscii.
-Ciao, Clod.- salutai mentre passavo per l’atrio.
-Buongiorno, ragazzino.- rispose lui senza alzare gli occhi, quella mattina le riviste erano state sostituite da un tablet che stava facendo scorrere attentamente.
Mi chiesi se quel “ragazzino” fosse un ripiego perché ancora non aveva imparato il mio nome.
Mi lanciai al più vicino negozietto di souvenir per comprare un ombrello, il look da pulcino annegato non mi attirava per niente, e mi misi a passeggiare per le strade dove non si rischiava di essere presi di mira da qualche taxista che si divertiva a spruzzare i passanti centrando le pozzanghere. C’erano parecchi negozi in quella zona, e cercai di capire se ci fosse qualcosa di interessante. Chissà, magari la mia passione nascosta era lì, proprio dietro l’angolo, e aspettava solo che la scovassi. L’unica cosa che mi diede qualche stimolo fu un LEGO store abbastanza grande con diversi modellini da collezionismo esposti, e per un attimo mi chiesi se non fosse il caso di provare a montare uno di quei cosi, paragonandolo ai puzzle. Quando mi scappò l’occhio sul cartellino dei prezzi, però, cambiai immediatamente idea tirando dritto per la mia strada, facendo attenzione a non perdermi.
Poco dopo passai davanti a una libreria ben illuminata, con diversi libri esposti con ordine in vetrina, e subito mi vennero in mente le parole di Pam.
“Lavora in una libreria”.
Rimasi per qualche istante indeciso, poi mi misi a sbirciare con discrezione attraverso il vetro. Riuscivo soltanto a vedere un angolo della cassa, posta al centro del locale e con un grosso pilone davanti.
Scossi la testa, dandomi mentalmente dell’idiota; chissà quante altre librerie dovevano esserci nei dintorni, non potevo davvero credere di aver trovato proprio quella dove…
Eccola.
Sbucò da dietro uno scaffale, intenta a parlare con un uomo sulla quarantina, tenendo in mano un paio di libri formato tascabile.
Non l’avevo più rivista da quando si era presentata alla mia porta, e mi ero iniziato a chiedere quale delle due versioni che avevo visto fosse “l’originale”.
Quel giorno portava i capelli legati in una coda di cavallo, una T-shirt con il logo di Batman che si intravedeva sotto alla felpa con la zip aperta un po’ troppo grande per lei, e dei semplici jeans attillati infilati in un paio di stivali alti fino al ginocchio.
Nessuna traccia di trucco colato o irascibilità, chiacchierava amabilmente con il suo cliente mentre lo accompagnava alla cassa.
Rimasi lì con le mani in mano ancora per una manciata di secondi, indeciso sul da farsi.
Entrare o non entrare?
Che poi, per dirla tutta, Ryan Astor in una libreria sembrava l’inizio di una barzelletta che come minimo avrebbe fatto sbellicare tutti quelli della Lemon House.
“Fanculo, non venderanno per forza solo libri.” pensai mentre prendevo coraggio (coraggio per cosa, poi?!) e spingevo la porta venendo investito da un’ondata d’aria calda che profumava di carta.
L’ambiente tutto sommato era invitante, c’era una leggera musica di sottofondo, persone pensierose che scrutavano gli scaffali alla ricerca del titolo che gli serviva, e in fondo alla sala c’era una scala a chiocciola che portava ad un piano superiore a balconata che fungeva da angolo lettura. Un cartello troneggiava appeso al parapetto: “Angolo relax, gustati gratuitamente un libro usato!”
Dentro di me pensai che non doveva essere una brutta idea, dalla quantità di persone comodamente sedute ai tavolini doveva piacere parecchio.
Mi misi a ciondolare da una parte all’altra del negozio, osservando tutto come se entrassi davvero per la prima volta in un posto simile. Fortunatamente, come avevo previsto, c’era altro oltre ai libri, tra cui piccole lampade da lettura a clip, segnalibri, cartoline, qualche scaffale con articoli da cartoleria e addirittura qualche pupazzo nell’area per i più piccoli.
-Ehi!-
Trasalii quando sentii una voce squillante alle mie spalle, manco fossi stato un ladro in una gioielleria.
Mi voltai e me la ritrovai davanti, i suoi occhi che mi scrutavano incuriositi.
Mi accorsi in quel momento che avevano qua e là qualche striatura di azzurro.
-Eh... ehi, ciao!- risposi goffamente al suo saluto, fingendomi sorpreso di vederla –Non pensavo di vederti qui.-
Bugiardo che non sei altro.
-Nemmeno io- disse lei sorridendo –io ci lavoro.-
-Ma dai?- dissi sorridendo anch’io di riflesso come un ebete.
Bugiardo e stupido incapace che non sei altro.
-Eh, già! È il mio piccolo angolo di paradiso.- disse soddisfatta guardandosi brevemente intorno con aria pacifica per poi tornare a fissarmi –Cercavi qualcosa in particolare? Ryan… giusto?- chiese cortesemente.
Pensa velocemente.
Pensa velocemente.
Pensa velocemente.
Feci scivolare gli occhi sulla pila di libri ribassati che avevo accanto e inquadrai quello con la copertina che mi ispirava di più.
-Ah, eccolo! Sapevo che da qualche parte l’avrei trovato.- dissi prendendolo in mano.
-Wow, non pensavo fossi il tipo da autori svedesi.- commentò lei con un leggero entusiasmo.
Lessi solo allora il titolo: “Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve” di Jonas Jonasson.
-Eh già. Sono molto… originali.- dissi mentre mentalmente mi chiedevo chi potesse aver ideato un titolo tanto strano.
-Anch’io li adoro! Hanno qualcosa di speciale, vero?- disse mentre gli occhi le brillavano.
-Certo!- esclamai.
Emerito coglione!
Sperai che non mi leggesse in faccia quanto fossi nel panico più totale.
-Se questo ti piace fammelo sapere, posso consigliartene altri simili, a meno che tu non li abbia già letti.- disse senza fare la minima piega.
Mi guardai bene dal reprimere qualunque istinto di aggiungere qualche altra frase da persona brillante e mi limitai ad annuire.
-Ti serve altro?-
-No, sono a posto. Leggo con molta calma quindi un libro alla volta per ora mi basta.- risposi cercando di non incespicare nei miei stessi piedi mentre ci avviavamo verso la cassa.
-Non sei venuto al poker abusivo, alla fine.- disse mentre faceva passare il mio “fantastico acquisto” allo scanner e rovistava per cercare una busta della dimensione giusta.
-Ero un po’ stanco. Sai, il trasloco…- dissi dicendo, questa volta, una mezza verità.
-Giusto, che stupida. Potevo arrivarci anch’io, effettivamente.- si diede un leggero colpetto in fronte con il palmo della mano –L’invito però è sempre valido, tutti i martedì sera.-
-Magari la prossima volta ci faccio un pensierino.- risposi mentre mi guardavo attorno nell’attesa.
L’occhio casualmente mi cadde su un piccolo libro appoggiato accanto al registratore di cassa. Non sembrava di gran qualità, era rilegato in malo modo, come se fosse una copia di prova fatta di fretta. La copertina blu scuro non aveva nessun disegno, solo il titolo, l’autore era nascosto da un paio di ricevute accartocciate.
“CHARLENE”.
-Ehi, cos’è quello?- chiesi incuriosito.
Lei seguì il mio sguardo, e quando vide l’oggetto in discussione fece una piccola smorfia.
-Ah… quello. Non è niente, è solo una bozza.- rispose con una punta di amarezza nella voce.
-Sembra carino.- enfatizzai –Semplice e pulito.- bell’idea fare un commento simile mentre stavo comprando un libro con il titolo più chilometrico e assurdo del mondo.
-L’ho scritto io.- lo disse quasi come se si vergognasse.
Strabuzzai gli occhi mentre le parole di Pam mi risuonavano nuovamente in testa.
“In realtà è una scrittrice”.
-Davvero?- allungai cautamente il braccio e lo presi, liberandolo dalle cartacce, rivelando il nome dell’autore.
Jane Heart.
Era davvero suo.
-Niente di ché, solo il parto di qualche notte insonne.- disse senza guardarmi, come se avesse paura che la potessi giudicare –Infatti la casa editrice alla quale l’avevo mandato l’ha respinto. C’era da aspettarselo, del resto.-
Non sapevo esattamente descrivere il perché, ma un’improvvisa ondata di curiosità mi investì. Quel titolo così anonimo mi attirava inspiegabilmente.
-Posso prendere anche questo?- lo dissi di slancio, senza pensare.
Jane alzò lo sguardo sorpresa e batté un paio di volte le palpebre.
-È solo una brutta copia. Non è nemmeno in vendita.- disse cercando comunque di sorridere, come per far capire che aveva apprezzato il mio sforzo.
-Te lo pago lo stesso, ovviamente. Non è un problema.- replicai alla svelta –Davvero, mi piacerebbe leggerlo. E… non lo dico perché sei la mia vicina di casa, eh.- cercai di sdrammatizzare… come se ne fossi capace.
Lei sorrise di nuovo e con delicatezza me lo sfilò dalle mani, riponendolo sotto alla scrivania della cassa.
-Sei tanto gentile, Ryan- disse con un certo imbarazzo –ma davvero, è meglio di no. Hai fatto di gran lunga una scelta migliore con questo.- mi porse il libro che avevo scelto prima in una busta di plastica sforzandosi di rimanere allegra, ma potevo avvertire lo stesso un certo disagio.
Mi sentii ancora più coglione di prima.
-Certo, scusa io non volevo… sei l’autrice, sei tu che comandi.- balbettai mentre rovistavo nelle tasche dei pantaloni alla ricerca del portafogli.
-Figurati, non volevo fare la superiore, anzi- sembrava mortificata –sono quindici sterline.- cercò di cambiare palesemente discorso.
Pagai e mi assicurai che il fantomatico libro svedese fosse al riparo dalla pioggia, che non accennava a smettere.
-Bene, allora ci si vede al poker.- dissi mentre recuperavo l’ombrello.
-Certo, contaci!- rispose lei accompagnandomi alla porta.
Visto che quel giorno avevo deciso di essere un irrecuperabile stupido mi decisi a fare un ultimo tentativo, peggio di così non poteva andare.
-Comunque, fammi sapere quando riuscirai a pubblicare il tuo libro. Verrò sicuramente a prenderlo.- dissi lanciandole un’occhiata fugace.
La sua espressione sembrava indecifrabile.
-Non credo uscirà mai.- mormorò, quasi come se non volesse farsi sentire.
-Beh, allora rovisterò nella spazzatura aspettando il giorno che lo butterai, per recuperarlo.- dissi accennando a una patetica risatina.
Ok, battuta peggiore non potevo inventarmi.
Lei non disse niente, abbozzò un altro sorriso e mi tenne aperta la porta mentre aprivo l’ombrello.
-Ci si vede al poker.- mi salutò allegramente.
 
La sequenza di insulti che mi autoinflissi nel tragitto dalla libreria a casa fu pressoché infinita, mentre schivavo la gente sul marciapiede, tenendo accuratamente sottobraccio la busta per paura che il libro si bagnasse.
In una decina di minuti scarsi ero probabilmente riuscito a farmi odiare dalla mia nuova vicina di casa in tempo di record. Cosa mi era saltato in testa di entrare in quella dannata libreria come uno stalker pretendendo che una quasi estranea mi cedesse la bozza del suo libro della quale si vergognava palesemente?
-And the Oscar goes to Ryan Astor!- borbottai tra me e me a voce abbastanza alta mentre aprivo il portone d’entrata del palazzo.
-Che?!-
Mi ritrovai davanti Jamie, la mano ancora alzata per afferrare la maniglia della porta prima che lo precedessi.
Inutile dirlo, mi aveva sentito.
-Ahem…ciao.- dissi mentre mentalmente mi davo del coglione ancora un paio di volte, tanto per rincarare la dose.
-Stai facendo le prove per quando diventerai famoso?- disse con un sorrisetto appena visibile dall’enorme sciarpa che aveva attorno al collo.
-Lasciamo perdere.- bofonchiai esasperato, preso dall’improvvisa voglia di prendere a testate i citofoni.
-Giornata di merda, eh?-
-Abbastanza.-
-Evvai.-
-Già.-
Rimase a fissarmi un altro po’.
-Parli sempre a monosillabi, tu?- chiese scherzosamente.
-Non è vero!- protestai.
-Dai su, scherzavo.- alzò le mani in segno di resa –Ehi, hai qualcosa da fare oltre a deprimerti oggi?- chiese poi come colto da un’idea improvvisa.
-Veramente no, hai indovinato perfettamente i miei patetici piani.- risposi mentre mi immaginavo tutto il giorno sul divano a guardare film.
-Vuoi venire con me? Devo andare in centro città, e l’idea di andarci da solo è ancora più deprimente della tua visione della giornata. Potremmo fare schifo insieme, che dici?- chiese come se avesse avuto l’idea più geniale del mondo.
Effettivamente l’idea di chiudermi in casa non era delle migliori, e mi servivano giusto un paio di cose.
-Dove devi andare di preciso?-
 
Venti minuti dopo stavo curiosando tra gli scaffali di un negozio di elettronica gigantesco, accorgendomi solo ora di quanti accessori inutili potessero esistere per un computer.
-Ma dai, chi aveva così tanto tempo da perdere per inventare una chiavetta USB a forma di tostapane?- dissi prendendo in mano la confezione.
-Secondo me era un designer messo a dieta forzata dalla moglie e che sognava un panino.- replicò Jamie alle mie spalle, intento ad esaminare una fila di hard disk esterni.
-Questo posto è fantastico. Mai visto così tante cose utili e inutili tutte insieme.- commentai resistendo all’impulso di tenermi la chiavetta USB tostapane e comprarla, riponendola al suo posto.
-Le donne dicono che noi uomini non sappiamo cosa voglia dire fare shopping, il problema è che ci trascinano nei negozi sbagliati.- ridacchiò infilando nel suo cestino l’ennesimo oggetto elettronico sconosciuto di cui non riuscivo a capire l’utilizzo.
-Ho qualche vago ricordo.- rabbrividii pensando ad uno dei rari appuntamenti che avevo avuto in passato con qualche ragazza.
-Allora non sei gay! Lo sapevo!- esclamò Jamie alzando un pugno al cielo, attirandosi addosso qualche occhiataccia.
-Cosa?!- feci io stizzito.
-Oh, niente. Avevo solo fatto qualche supposizione. Sei così riservato e taciturno…- scoppiò a ridere –Scusa!-
-Mi conosci da appena qualche giorno, è ovvio che non mi metto a raccontare alle prime persone che incontro di che colore porto i boxer.- replicai cercando di calmarlo, ottenendo esattamente l’effetto contrario.
-Come le tiri fuori, queste cazzate?- disse mentre si riprendeva dopo aver tossicchiato un paio di volte.
-Da dove vuoi che le tiri fuori?-
-Non chiedermelo, potrei anche risponderti.- fece il gesto teatrale di piegarsi e fissarmi il didietro.
Stavolta fu più forte di me, non riuscii a trattenere un risolino che innescò una reazione a catena.
Andò a finire che ci ritrovammo a ridere come due imbecilli per qualunque cosa, e uscimmo dal negozio di elettronica con le lacrime agli occhi.
-Dammi tregua!- alzai le mani in segno di resa mentre sentivo i crampi allo stomaco.
-Amico, tu sei pazzo.- disse Jamie, le spalle ancora in preda agli spasmi delle risate.
-Io sarei pazzo? Ricordo che sei tu ad aver comprato una custodia per pc con sopra dei polli arrosto.- replicai sghignazzando indicando il suo sacchetto.
-Uuuh! Meschino!- mi additò scherzosamente –Lo sapevo che tanto monosillabe non eri.-
Ed effettivamente, per una volta era vero. Non mi capitava da tempo di fare conversazioni così spigliate, e soprattutto di divertirmi così tanto. Forse era perché non vivevo con la convinzione che Jamie prima o poi se ne sarebbe andato via come gli ospiti della Lemon, o forse perché quel tizio mi andava davvero a genio. Era pura fortuna o forse avevo sempre vissuto in un mondo troppo sterile e riservato?
Di sicuro non mi sarei mai aspettato un’accoglienza di quel genere, né di trovarmi così discretamente bene così presto. Avevo sentito di ex ragazzi della Lemon che una volta usciti ci avevano impiegato settimane, se non addirittura mesi, per instaurare dei veri rapporti, invece volente o nolente quelle nuove persone si stavano insinuando nelle mie giornate a poco a poco, senza che io potessi farci niente, come se fosse destino.
 
 
Andò a finire che passammo tutta la giornata fuori, andando da un negozio all’altro anche solo per commentarne gli articoli, fermandoci più volte a bere qualcosa dove capitava. Jamie mi raccontò un po’ di lui e io raccontai un po’ di me, senza nessuno sforzo particolare.
Ero rimasto sollevato quando mi ero reso conto che anche lui, tutto sommato, non aveva avuto una vita molto più entusiasmante della mia, perciò da un lato avevamo parecchi punti in comune (o forse era meglio chiamarli non-punti, siccome si riferiva a cose che non avevamo fatto entrambi).
Per la prima volta mi sentii davvero a mio agio, e quel nodo di angoscia da quando ero arrivato nell’appartamento si era quasi del tutto allentato.
Che mi stessero trascinando nella rete dei pazzi?
Quando rientrammo salutammo entrambi Clod che aveva quasi finito di “lavorare”, e perfino lui ora mi sembrava quasi “normale”.
-Allora scrivimi se hai bisogno di una mano per montare quel coso.- dissi io quando l’ascensore si era fermato al piano di Jamie; mi riferivo ad un modellino LEGO che aveva comprato poche ore prima (ebbene sì, aveva anche lui quella fissa di unire piccoli pezzi).
-Ovvio, puzzle man!- rispose lui con un ampio sorriso –Ci si vede!- mi salutò mentre le porte dell’ascensore si richiudevano.
Arrivai al mio piano e mi misi a frugare nelle tasche per trovare le chiavi, sogghignando ancora tra me e me, cercando di non far cadere le varie buste dei miei acquisti di quel giorno.
Notai solo all’ultimo qualcosa appeso alla maniglia della mia porta.
Mi avvicinai incuriosito, scoprendo essere un piccolo e anonimo sacchetto di carta riciclata.
-Ma che…- mormorai mentre lo prendevo diffidente, saggiandone il peso, deducendo che era troppo leggero per essere una bomba artigianale.
Ci sbirciai dentro, vedendo solo qualcosa di rettangolare e non troppo grande. Infilai la mano ed estrassi l’oggetto misterioso con cautela, rimanendo spiazzato quando lo riconobbi.
Un libro mal rilegato con la copertina blu scuro.
“CHARLENE”
Rimasi a fissarlo stupito, e subito dopo mi voltai in automatico verso la porta di Jane. Non si sentiva volare una mosca dal suo appartamento. Forse mi stava guardando attraverso lo spioncino per vedere la mia reazione.
Mi aveva davvero lasciato il suo libro?
Entrai spaesato in casa, fissando quella copertina spoglia, ancora incredulo.
-Forse mi ha fatto uno scherzo e sono solo pagine bianche.- mormorai alzando le spalle.
Appoggiai tutto sul tavolo, libro compreso, e andai a mettermi una tuta per stare più comodo, deducendo poi di non avere assolutamente voglia di cucinare, quella sera. Presi un paio dei volantini che avevo raccattato con Jamie nel corso della giornata e optai per un take away messicano con consegna a domicilio non molto distante. Composi il numero e feci la mia comanda sperando di essermi fatto capire dal tizio che aveva risposto, e mi annunciò che il mio ordine sarebbe arrivato in una ventina di minuti.
Presi il telecomando della TV dal tavolino, e stavo per sedermi sul divano pensando a quale inutile programma avrei potuto guardarmi nell’attesa.
Poi, improvvisamente come se avessi visto un fulmine a ciel sereno… cambiai idea.
Andai al tavolo e presi il libro blu. Notai solo in quel momento che dalle pagine sporgeva un post-it che staccai con cautela.
Poche righe in una calligrafia estremamente ordinata.
 
“Sei libero di farne ciò che vuoi.
Usalo anche come carta da cesso
per emergenza, se ti va! XD
Magari non andrà a finire in carta sprecata
nella spazzatura come dicevi tu.
Odio la carta sprecata.
J.”
 
Scossi la testa facendomi scappare un risolino per poi tornare verso il divano.
Mi misi comodo dove avevo più luce ed iniziai a leggere. 




Ed eccoci di nuovo!
Ryan sta iniziando ad uscire lentamente dal guscio, che ne dite? Sta facendo bene o si sta andando a cacciare in qualche guaio catastrofico? Da un lato abbiamo l'inizio di una sana amicizia con Jamie, dall'altra un approccio abbastanza maldestro di conversazione con Jane, che in fin dei conti sembra essere almeno in parte riuscito.
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando! ^^
Come sempre ringrazio chi sta seguendo la storia <3
Al prossimo capitolo!
Raven :3

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ciao a tutti! 
Ehm... ok, in questo momento sono le 2.00 del mattino e io sono in ritardo mostruoso per postare questo nuovo capitolo, chiedo perdono! Sto cercando di sfruttare le vacanze per produrre il più possibile, e come primo punto mi sono prefissata questa fic, siccome l'avete letta in tantissimi (per i miei standard XD)!
Speravo di riuscire a mantenere una pubblicazione regolare, ma in questo periodo purtroppo non ho avuto tempo/le forze per fare qualsiasi cosa (dannato lavoro -.-), spero di riuscire a palesarmi il più possibile!
Non vi faccio attendere oltre e vi lascio al capitolo.
Buona lettura!



Capitolo 4:
 
 
Mi chiedevano sempre cosa volessi fare da grande, ma io non sapevo mai rispondere. Che ne sapeva una bambina di sei anni di cosa significava trovare uno scopo nella vita, che non si riduceva solo ad un banale lavoro? Tra le righe si parlava di quanti traguardi avrei voluto raggiungere, mia madre mi lanciava domande a trabocchetto per vedere se dessi segno di essere intenzionata a fare la brava donnina di casa, sposandomi il prima possibile e sfornando tre o quattro marmocchi, oppure se ci fossero dei segnali che io fossi predisposta ad essere lesbica.
Io invece a sei anni cercavo di scoprire se gli unicorni esistessero davvero, o se fosse possibile avere un vestito da principessa blu.
Poteva esserci una bambina  più felice di me con un vestito azzurro in groppa ad un unicorno?
E invece gli unici unicorni che avrei visto nel futuro sarebbero stati quelli che regalavo come premio ai bambini che non piangevano mentre si facevano fare un vaccino nello studio medico dove, goffamente, cercavo di esistere. Quando invece andava male mi ritrovavo con il rigurgito di qualche paziente nei capelli, e fu forse in uno di quei momenti che capii di essere sulla strada sbagliata.
Ma nonostante questo per diversi anni rimasi comunque Charlene, l’assistente di studio medico incapace di fare prelievi del sangue.
Suonava bene, no?”
 
-Grazie e arrivederci.- dissi con il solito sorriso di cortesia, guardando distrattamente la donna che aveva acquistato tutta soddisfatta un enorme dinosauro di peluche, dopo avermi raccontato quanto ci tenesse a fare bella figura con il suo nipotino, sperando che il suo regalo la facesse diventare “la zia preferita”, e blablabla…
La solita trafila che già mi ero abituato a sentire dopo i primi giorni di lavoro.
Il negozio di giocattoli era davvero ben fornito, e il capo era un signorotto corpulento e bonaccione che mi aveva dato da subito piena fiducia, senza controllarmi in maniera maniacale, lasciandomi la quasi completa autonomia.
Le uniche cose che dovevo sopportare erano i bambini viziati che si gettavano a terra frignando perché volevano a tutti i costi il nuovo mini-drone radiocomandato e i genitori esigenti, che controllavano tutto minuziosamente perché “sa com’è, con tutte le allergie che ci sono in giro bisogna essere prudenti!”.
Stavo iniziando a tenermi una lista mentale delle scene da circo migliori nel caso un giorno avessi mai deciso di darmi al cabaret.
Tutto sommato, però, come primo lavoro ufficiale della mia vita potevo ritenermi fortunato.
C’era solo un piccolo particolare che mi faceva desiderare di arrivare il più in fretta possibile a casa a fine giornata.
-Ciao, Mark. A Domani.- dissi quando finalmente arrivarono le 18.00.
-A domani! E mi raccomando, basta con il cibo spazzatura, eh? Ti voglio in forma!- sentii di rimando dal suo ufficio.
Feci una mezza risatina mentre uscivo dal negozio camminando a passo spedito.
Mark era uno di quelli fissati con la cucina casalinga e assolutamente contro ogni tipo di fastfood esistente sulla faccia della terra. Come biasimarlo, con i pranzetti che ogni giorno gli preparava amorevolmente sua moglie, una donnina adorabile che sembrava non fermarsi mai. Negli ultimi giorni “casualmente” aveva preparato porzioni fin troppo abbondanti, e sempre “casualmente” Mark insisteva perché ne prendessi un po’, nella speranza di convertirmi.
Andando avanti così avrebbe potuto riuscirci… il giorno in cui avrebbero smesso di produrre i cheeseburger.
 
“Dunque, se continuo di questo passo riesco a prendere l’autobus delle 18.05 e tra un quarto d’ora sarò a casa.” feci mente locale mentre cercavo di ignorare i crampi ai polpacci per quanto mi stavo sforzando di tenere un’andatura svelta.
I miei calcoli si rivelarono corretti, e 15 minuti dopo stavo sfrecciando fuori dall’ascensore con le chiavi di casa già alla mano.
Avevo solo un paio d’ore, e poi sarei dovuto andare da Jamie che mi aveva chiesto una mano per un “piano top secret”, a detta sua.
Lanciai le scarpe in un angolo e appesi la giacca in malo modo per poi lanciarmi verso la cucina giusto per prendere un bicchiere d’acqua.
Finalmente.
Mi lasciai cadere sul divano e presi il libro dal tavolino, dove l’avevo lasciato la sera prima.
Sì, il primo libro che avevo mai deciso di leggere di mia spontanea volontà.
Non riuscivo a credere che delle semplici parole stampate su carta scatenassero in me così tante sensazioni, e quella disperata voglia di sapere cosa sarebbe successo era quasi straziante.
Nonostante il libro di Jane fosse di dimensioni modeste i caratteri erano parecchio piccoli e concentrati, per non parlare della mia patetica velocità di lettura di chi negli ultimi quindici anni aveva letto al massimo le istruzioni sul retro dello shampoo per far passare il tempo quando era in bagno.
Procedevo lentamente, quando mi davo seriamente da fare avevo un’autonomia di un capitolo e mezzo prima di crollare dal sonno dopo cena. Avevo addirittura pensato di prendermi una scorta di Red Bull per stare sveglio e riuscire a leggere il più possibile, ma successivamente mi ero detto di volermi assaporare quei momenti completamente lucido e non in preda alla caffeina, a costo di metterci settimane o mesi.
Non avevo più avuto modo di incontrare Jane in quegli ultimi giorni, e una marea di domande mi frullavano per la testa. Come diavolo era riuscita a creare qualcosa di così…non trovavo la parola giusta per descriverlo.
La vita dell’anonima Charlene, caratterizzata da particolari deprimenti ad ogni pagina, era descritta con quel sottile filo ironico che quasi faceva passare inosservata qualsiasi tragedia, perfino la morte di Waffle, il coniglio, grasso e cieco da un occhio, che l’aveva accompagnata nell’infanzia.
A volte, mentre leggevo, mi sentivo un vero stronzo nello scoprirmi a ridere per una di quelle disavventure, ma era più forte di me, mentre in altri momenti potevo sentire il mio stomaco contorcersi per la tensione e la paura di voltare pagina per scoprire cosa sarebbe successo in seguito.
Di tanto in tanto scrivevo qualche domanda sulle note del cellulare, sperando che prima della fine del libro avessero una risposta, e che in caso contrario avrei posto a Jane quando l’avrei incontrata.
Mi chiedevo come avessi fatto a rimanere senza leggere libri fino a quel momento, se era sempre quella la sensazione che si provava, e non sapevo come mi sarei sentito quando sarei arrivato alla fine.
Drizzai le orecchie quando attraverso i muri sentii il suono ovattato dell’ascensore che si fermava sul pianerottolo.
Resistetti all’impulso di uscire e tartassare Jane, mi ero ripromesso di farlo alla fine del libro. Controllai quanto mancava; ero a più della metà, non ci avrei messo ancora molto.
Potevo resistere.
 
“Entrai in camera mia, lanciando la borsa sul letto e precipitandomi al computer, le mie dita che quasi tremavano nel cercare di accenderlo.
Speravo con ogni cellula del mio corpo che lui fosse lì, ad attendermi come sempre. Ogni volta fantasticavo sul suo volto, cercando di indovinare il colore degli occhi, i capelli, la forma dei suoi zigomi, le labbra… se solo avessi potuto vederlo, contro ogni regola per la perfetta prevenzione dai maniaci su internet.
Eccolo.
Wasp era online.
Non ero nemmeno riuscita a digitare un “ciao” che mi aveva già scritto lui per primo.
“Ciao, Bunny.”
Sorrisi cercando di controllare le mie mani mentre rispondevo.”
 
-Quindi mi stai dicendo che il libro parla di questa Charlene, che vive la sua vita monotona e ad un certo punto si innamora di un uomo online, che ovviamente vuole trovare e conoscere dal vivo. Che c’è di tanto originale?- chiese Jamie mentre tornava dalla cucina con due birre.
-L’originalità è per come è scritto. È… è formidabile.- erano cinque minuti buoni che cercavo di fargli capire, ma non ci stavo riuscendo molto bene.
Ovviamente non gli avevo detto che si trattava del libro di Jane, altrimenti sicuramente mi avrebbe ucciso.
-Fammi sapere come va a finire.- disse con poco entusiasmo –Dunque, ora parliamo del mio piano top secret.-
-Giusto.- cercai di fare mente locale e connettermi di nuovo al mondo reale.
-Tieniti forte- alzò le mani come per creare un momento di suspance –Ho bisogno del tuo aiuto per un appuntamento.-
Rimasi interdetto per un istante.
-…io?- chiesi titubante –Jamie, cosa ti fa pensare che io potrei darti una mano con un appuntamento?-
-Veramente… vorrei che tu mi aiutassi a far andare liscio il mio appuntamento. È che… è un po’ complicato. C’è una persona che non si deve assolutamente avvicinare, e sarebbe bello se tu mi facessi da palo.-
Ci capivo ancora meno.
-Ti prego, traduci.-
Il sorriso di Jamie si fece ancora più incerto.
-Vorrei… che tu uscissi con la mia ex ragazza.-
Calò il silenzio di tomba dove potevo quasi sentire la mia mascella scardinarsi.
-Che?- chiesi sperando di non aver sentito bene.
-La mia ex.-
-Tu sei matto.- risposi appoggiando la birra sul tavolo e passandomi una mano tra i capelli –Perché mai io dovrei uscire con la tua ex?-
-Te l’ho detto! È per tenerla occupata e non farmela piombare addosso mentre passo la serata con Eleonor. Ti prego- il suo tono assunse una nota disperata –Ogni volta che cerco di avvicinarmi a lei Trisha piomba lì come una pazza psicopatica e rovina tutto. Sono mesi che cerco di smuovere la situazione.-
-Usare appellativi come “pazza psicopatica” non mi fa vedere le cose in una prospettiva migliore.- replicai lanciandogli un’occhiataccia.
-Non ho mica detto che te la devi sposare. Devi solo, che so, portarla dall’altra parte della città per un paio d’ore mentre io cerco di far scattare la scintilla con Eleonor.- sospirò brevemente con aria sognante –Amico, se la vedessi ti innamoreresti anche tu. È così… così…- mimò con le mani quello che doveva essere l’imponente “davanzale” della suddetta Eleonor.
-Ma piantala!- lo fulminai di nuovo.
-Ti giuro che sarò in debito con te per tutta la vita. Potrai chiedermi qualunque cosa in cambio, non importa quando e dove, io correrò ad aiutarti.- mi guardò speranzoso.
Da una parte mi chiedevo perché mai dovessi sottopormi ad un palese disastro preannunciato per un ragazzo che in fin dei conti conoscevo da poco più di due settimane, ma dall’altra sentivo già quello che mi succedeva sempre più spesso da quando ero arrivato in quel posto.
Stava praticamente diventando irresistibile dire di no anche alla più stupida ed insensata delle richieste in quel palazzo.
Sbuffai prima di dare una lunga sorsata alla mia birra.
-Fammi almeno vedere una foto della pazza.- dissi infine arrendendomi platealmente.
Jamie lanciò un urletto per poi mettersi a cercare qualche foto al cellulare, e dentro di me già me ne pentivo dal più profondo del mio cuore.
 
“C’era un’ultima cosa che dovevo fare.
Presi coraggio e mi lasciai cadere pesantemente davanti al computer, sedendomi su uno dei miei ultimi bagagli.
Me ne stavo andando da quella vecchia vita, dovevo liberarmi di tutti i pesi che mi stavo inutilmente portando dietro, anche se ancora non sapevo dove tutti quei cambiamenti mi avrebbero portata. Stavo solo lasciando la casa dove avevo sempre vissuto, e non sarei andata nemmeno troppo distante, ma per me era un salto enorme, la fine di un’era, e doveva esserlo fino in fondo.
Feci scorrere velocemente le dita sulla tastiera e trovai subito il sito del gioco di ruolo, messo in evidenza per essere trovato subito.
Avevo pensato più volte in quei giorni a quello che avrei potuto scrivergli, ma ora che mi trovavo davvero davanti a quella schermata le cose si facevano estremamente più difficili. Avevo il cuore in gola e quella spiacevole sensazione che il mio cuore stesse per esplodere da un momento all’altro.
Presi un lungo respiro e mi misi a scrivere, cercando di trattenere le lacrime.
Non pensavo che gli addii fossero così devastanti.
Fui sicura di sentire qualcosa rompersi dentro di me mentre premevo invio.
Non rilessi il messaggio e non aspettai che lui rispondesse.
Feci quello che mai fino a poco tempo prima avrei pensato di fare.
Eliminai il mio profilo, come una passata di spugna sulla lavagna di scuola.
Non avevo salvato nulla, nessuna delle nostre lunghissime conversazioni, nemmeno le sue frasi dolci, le mie preferite, che leggevo e rileggevo nei momenti più bui e tristi per tirarmi su il morale.
Dovevo crescere, e non potevo farlo con lui.
Rimasi a contemplare quello spazio vuoto sullo schermo dove avevo praticamente vissuto negli ultimi anni, e alla fine sorrisi in mezzo alle lacrime.
Ora potevo iniziare a vivere davvero.”
 
Rimasi impietrito mentre fissavo quelle ultime righe, seguite da una pagina vuota. Rilessi più volte le ultime frasi nel caso mi fossi perso qualcosa, e cercai degli inesistenti segni di pagine mancanti che erano state strappate.
Era finito.
Avevo finito il libro, e mi sembrava di avere ancora più domande di quando l’avevo iniziato.
Per un momento mi sembrò di impazzire letteralmente, e qualcosa di simile ad una sete improvvisa mi assalì la gola.
Non poteva davvero finire così.
Mi alzai, lasciando il libro sul divano, ed iniziai a camminare come un animale in gabbia per casa non sapendo esattamente cosa fare.
E adesso?
Avevo finalmente trovato qualcosa da fare nella mia miserabile vita, mi sembrava di essere nato con l’unico scopo di leggere quel libro, e adesso che era finito non mi restava più nulla da fare per rendere il mio tempo libero avvincente.
“Calmati idiota, era solo un libro!” mi ripetei più volte cercando di stare calmo.
Prima o poi mi sarebbe passata… vero?
In quel momento di profondo silenzio sentii improvvisamente dei rumori fuori dalla porta di casa. Un mazzo di chiavi che tintinnava, dei passi smorzati dalla moquette del corridoio, e subito dopo l’inconfondibile rumore dell’ascensore che saliva e si fermava sul pianerottolo.
Fu più forte di me.
Mi infilai al volo le scarpe senza neanche stare a vedere se fossero allacciate e mi precipitai fuori di casa con il cuore che mi martellava nel petto.
Vidi Jane dentro l’ascensore, le porte si stavano iniziando a chiudere lentamente, e lei aveva appena alzato lo sguardo dopo aver probabilmente sentito il trambusto che avevo fatto.
Iniziai a correre come un idiota pregando di arrivare in tempo, e lei guardandomi stranita tese velocemente un braccio per bloccare le porte che si riaprirono con un cigolio di protesta.
-Ehi! Sei in ritardo, eh?- disse allegramente quando mi fui lanciato dentro all’ascensore con il fiato corto.
Quel giorno portava una giacca leggera di jeans nera, una gonna scozzese a pieghe, delle particolari calze sopra al ginocchio con quelli che mi pareva ricordare essere degli scettri di Sailor Moon disegnati sopra, e degli stivaletti con il tacco.
Presi un paio di lunghi respiri cercando di riprendermi il più in fretta possibile, e quando sentii di poter riuscire a parlare di nuovo la guardai forse con l’espressione più seria che avessi mai fatto in vita mia. Vidi i suoi grandi occhi verdi fissarmi incuriosita, e anche se sapevo benissimo che sarei andato incontro ad una figuraccia storica quasi assicurata le parole mi uscirono lo stesso come un fiume in piena.
-Perché rinuncia a cercare Wasp?- chiesi sentendomi un pazzo in piena regola.
Me ne stavo lì, in un ascensore, con una ragazza con cui avevo parlato a malapena due volte, chiedendogli dettagli di una storia immaginaria.
Jane mi guardò stranita battendo più volte le palpebre come se gli avessi parlato in una lingua straniera.
-Come?- chiese dopo un breve attimo di silenzio.
-Charlene!- esclamai –Perché proprio quando sta per essere libera dalle regole della sua famiglia rinuncia a cercare Wasp nella vita reale? Se ne sta andando di casa, era il suo piano fin dall’inizio! Io non… perché?- parlavo come una macchinetta, stentavo a riconoscermi io stesso, non ricordavo l’ultima volta in cui avevo fatto una scena del genere.
Lei rimase a fissarmi, gli occhi ancora più spalancati di prima, la bocca leggermente aperta, completamente allibita.
-L’hai letto davvero?- chiese con un filo di voce guardandomi come se fossi un alieno della peggior specie.
-Se l’ho letto? Cavoli, sì!- risposi con fin troppo entusiasmo –È… è dannatamente meraviglioso!-
Jane aggrottò leggermente le sopracciglia.
-Sei serio?- mi guardò con sospetto, e mi sembrava completamente assurdo che qualcuno stesse mettendo in dubbio quelle parole, come se per me fosse la cosa più ovvia del mondo.
-Certo che sono serio. E ti devo fare così tante domane che non so davvero da dove iniziare. Beh… in effetti l’ho già fatto, in realtà.- stavo iniziando a sentire un’ondata d’imbarazzo assalirmi, rendendomi conto di quello che avevo appena fatto.
Davvero mi ero appena catapultato fuori di casa lanciandomi all’inseguimento della mia vicina di casa per un semplice libro?
-Credevo che me l’avessi chiesto solo per fare un gesto carino.- disse lei titubante.
-No, ero serio.-
-E… quindi ti è piaciuto.-
-Da morire.-
Calò di nuovo un imbarazzante silenzio mentre l’ascensore scendeva borbottando fino al pian terreno.
Jane sembrava senza parole, come se gli avessi appena rivelato il segreto dello scopo della vita, guardava a terra mordendosi il labbro inferiore e scuotendo leggermente la tesa.
-Perché sembri così sorpresa che mi sia piaciuto?- stavolta fu il mio turno di guardarla stranito –Ti… ti dispiace che l’abbia letto?-
Lei parve come risvegliarsi da un sogno ad occhi aperti.
-Oh, no! Non mi da fastidio!- balbettò incerta –Figurati, altrimenti non te l’avrei mai lasciato. È che… sei sicuro che ti sia piaciuto?-
Alzai un sopracciglio.
-Al 100%.- risposi convinto –Non vedo quale sia il problema. È una bella storia, anche se lascia un sacco di punti in sospeso. Dimmi che stai lavorando ad un secondo libro, ti prego.-
Contro ogni previsione scoppiò in una risatina, come se avessi appena detto una barzelletta.
-Sei pazzo? Certo che no!- rispose con particolare enfasi facendo una smorfia –Non hanno nemmeno voluto pubblicare questo, figurati se dovessero essere interessati ad un seguito. Effettivamente come dar loro torto, è un racconto talmente campato per aria e stupido che mi stupisco se non l’hanno direttamente buttato nella spazzatura.-
La guardai come se avesse appena detto un’eresia.
-Starai scherzando, spero.- dissi sentendomi quasi “offeso” dal fatto che avesse appena usato quegli appellativi spregevoli.
Lei sbuffò.
-Oh, andiamo. Non puoi dirmi davvero che lo vedresti bene in vendita nei negozi o come oggetto di discussione nei gruppi di lettura. È talmente… banale.-
-Ce lo vedrei benissimo. È vero, forse non parla di qualche supereroe innovativo che scoprirà venti nuove galassie vivibili salvando il mondo intero dal surriscaldamento globale, ma è bello lo stesso. Forse è proprio quella semplicità a colpire, anche se non lo chiamerei mai banale.-
Rimase a guardarmi di nuovo incredula per poi alzare le spalle mentre le porte dell’ascensore si aprivano sull’atrio.
-Se lo dici tu- disse per nulla convinta –comunque non succederà mai in ogni caso. Rimarrà per sempre un racconto campato per aria che nessuno vorrà mai pubblicare. E mi spiace ma no, non scriverò un seguito.-
Iniziammo a camminare in direzione dell’uscita.
-Però era in programma, vero?- tentai di non darmi per vinto. Volevo delle rispose, o almeno volevo tentare di ottenerle.
Jane si morse nuovamente il labbro.
-Non proprio.-
-Cioè?- incalzai speranzoso.
-Beh, ogni scrittore alla fine pensa sempre a come avrebbe potuto mandare avanti un lavoro anche dopo il ventesimo volume. Deformazione professionale, suppongo.-
-Quindi qualcosa c’é.-
Abbozzò un sorriso picchiettandosi l’indice su una tempia.
-Solo nella mia testa.-
Fummo interrotti da quello che poteva sembrare una valanga che precipitava giù dalle scale, anche Clod dalla sua postazione alzò gli occhi da dietro la sua rivista.
-IVANKAAAA!-
Era indubbiamente la voce di Alec.
-Gesù, non di nuovo.- disse Clod passandosi una mano sul viso.
Vidi anche Jane alzare gli occhi al cielo quasi disperatamente.
-Ci risiamo.- mormorò.
Alec arrivò trafelato, sembrava l’ansia in persona vestita con una discutibile camicia a quadri blu e bianca.
-Oh! Jane! Per fortuna sei qui! Tu sei brava a cercare, tu trovi sempre mia Ivanka.- sembrava avesse appena avuto una visione.
-Alec, stai tranquillo. Salterà fuori come sempre, vedrai. Io adesso non posso aiutarti, sto andando a lavoro.- replicò lei dandogli un leggero colpetto sulla spalla. Poi il suo sguardo si posò improvvisamente su di me, e la vidi cambiare espressione –Però potrebbe aiutarti Ryan! Sono sicura che anche lui è un ottimo cercatore.-
Spalancai gli occhi, piombando nel panico.
-Cercatore di cosa?- mormorai titubante.
Alec tirò fuori con le manone tremanti il cellulare e mi mostrò lo sfondo. In primo piano c’era il paffuto musone di un Maine Coon rossiccio dall’aria gigantesca.
-Scappa sempre quando lascio porta aperta per portare fuori spazzatura. È proprio ragazzaccia, ma io non vivo senza lei!- disse Alec guardando con apprensione l’immagine.
-Ah… è solo un gatto.- dissi più per tranquillizzare me stesso; per un attimo avevo avuto paura che tenesse una moglie segreta rinchiusa in un armadio, o alla peggio, un orso.
-È l’amore della mia vita.- tornò a guardarmi speranzoso –Davvero tu potresti aiutare a cercare mia Ivanka?-
Sembrava sul punto di scoppiare a piangere come una fontana.
-Beh, effettivamente oggi sono libero.- dissi esitante, temevo che la ricerca di Ivanka non comprendesse l’infilarsi nei condotti dell’aria o roba simile.
Ancora prima che potessi dare una risposta concreta mi ritrovai sollevato da terra da un abbraccio di Alec che mi tolse il respiro.
-Grazie! Grazie giovane Ryan!- urlò facendo rimbombare il suo vocione per tutto l’atrio.
-Patetico.- commentò Clod da dietro la sua rivista.
Jane dal canto suo ridacchiò.
Notai fugacemente che le si creavano delle piccole fossette sulle guance quando rideva. Non me ne ero mai accorto prima.
-Bene, quindi posso andare tranquilla?- chiese lei soddisfatta.
-Credo di sì.- dissi cercando di sforzarmi per sorridere a mia volta.
-Fantastico! Allora fatemi sapere quando la trovate, così sarò più tranquilla.- disse prima di incamminarsi verso il portone in un fruscio della gonna scozzese e il ticchettio dei tacchi sul pavimento. Rimasi a fissarla finché non fu uscita.
Una tossicchiata alle mie spalle mi fece tornare con i piedi per terra.
-Eh?- dissi forse a voce un po’ troppo alta.
Trovai Clod fissarmi con un sorrisetto sospetto.
-Asciugati la bava, ragazzino.- commentò divertito facendo finta di sistemare alcune scartoffie sulla scrivania.
Rimasi a fissarlo esterrefatto.
-Io non sbavo.- sbottai cercando di non arrossire.
-Certo, come no.- replicò lui facendomi il verso.
Stavo per ribattere di nuovo quando Alec mi prese per un braccio trascinandomi con lui.
-Tu puoi iniziare da locale bicilette, eh? Io controllo cantine.- disse senza aver minimamente sentito il discorso di me e Clod, fortunatamente.
In men che non si dica mi ritrovai a strisciare per terra, guardando ogni possibile buco dove si sarebbe potuto nascondere un gatto, senza troppo successo. Passai in rassegna tutto, poi mi spostai nella lavanderia.
-Andiamo, dove può essersi nascosta un’immensa palla di pelo?- mormorai aprendo tutti gli armadietti.
Fu all’ultimo momento, quando stavo per uscire pensando a quale altro locale avrei potuto controllare, che intravvidi un guizzo rossiccio da dietro l’asciugatrice.
Mi avvicinai cautamente e rividi per un istante una lunga coda tigrata spuntare dal minuscolo spazio tra la macchina e la parete. Vidi subito un paio di occhi gialli che mi fissarono come per dirmi di farmi i fatti miei.
-Ciao, Ivanka.- dissi sperando che non decidesse di usarmi come tira graffi nei prossimi trenta secondi.
 
Un Alec al settimo cielo mi obbligò ad andare da lui, offrendomi da bere i liquori più innominabili che avevo paura potessero bruciarmi le interiora, ed insistendo perché mi fermassi per il pranzo. Chiamò anche Pam, Frank (le loro divergenze per il bucato si erano appianate… per ora) e un’altra donna che non avevo mai visto di nome Giulia, che viveva con suo marito nell’appartamento accanto.
Andò a finire che partirono scommesse a braccio di ferro e discussioni generali su gatti, cibo, la società corrotta, spogliarelliste, negozi di dolci, e alle cinque di pomeriggio mi ritrovai finalmente a casa mia, con la testa che mi girava come una trottola e la pancia piena come se fossi al novantunesimo mese di gravidanza.
Mi lanciai sul divano, intenzionato a non fare nulla se non riprendermi guardando programmi inutili alla TV.
Era stato il giorno libero più pesante che avessi mai avuto.
Una decina di minuti dopo mi stavo per addormentare quando sentii vibrare improvvisamente il cellulare. Pensai che fosse Jamie (l’unico che mi scriveva, a parte qualche sporadico messaggio di George per sapere come andava), ma rimasi sorpreso di vedere un numero mai visto prima.
 
“Ciao, Ryan ^__^/
ho chiesto ad Alec se poteva passarmi il tuo numero, volevo sapere come stava andando la ricerca di Ivanka senza che lui mi chiamasse in lacrime. ma mi ha detto che l’avete già ritrovata! Great job!
J.”
 
Sentii qualcosa di simile ad una carica di dinamite che esplodeva nel mio cervello quando compresi chi mi aveva scritto, facendomi alzare di colpo e pendendomene subito dopo quando sentii la mia testa esplodere.
Dannato alcol.
Cercai di darmi una calmata e pensai a cosa rispondere.
Iniziai almeno una decina di volte il messaggio, con le dita che sembravano essere in preda ad un morbo di Parkinson temporaneo, sbagliando anche le parole più facili. Lo riguardai più volte prima di inviarlo, e rimasi come un cretino ad aspettare che lo leggesse. Chi aveva inventato le due spunte blu era decisamente un sadico masochista.
 
“Ciao, Jane!
Nessun problema, hai fatto ben.! Alla fine Alec non ha pianto(troppo). Puoi stare tranquilla, emergenza passata! Spero non la perda di nuovo, o almeno non troppo presto, non so se posso resistere ancora ad un suo banchetto di ringraziamento.”
 
Quasi subito vidi comparire le spunte blu, e che stava scrivendo di nuovo.
 
“Oddio, dimmi che non ti ha fatto sbronzare.”
 
Sogghignai.
 
“Più o meno.”
 
“Prendi un’aspirina prima di dormire, o domani dovrai darti malato a lavoro.”
 
“Dici? Sembra che parli per esperienza.”
 
“Ho ritrovato Ivanka parecchie volte.”
 
“Sei pazza!”
 
“Me lo ripeto ogni giorno, ahahah!”
 
“Bene, allo seguirò il tuo prezioso consiglio, grazie!” esitai un momento, non sapendo se potessi sembrare troppo invadente. “Stai ancora lavorando?”
 
Non sapevo realmente perché sentissi quell’improvviso impulso di mandare avanti quella chiacchierata improvvisata. Sentivo solo che conversare con lei mi faceva sentire estremamente… bene.
Il cellulare vibrò di nuovo.
 
“Sì, ma ancora per poco. Oggi chiudiamo prima, grazie al cielo! Oggi è terribilmente noioso, vorrei essere al tuo posto intenta a farmi passare la sbronza invece di essere qui.”
 
“Allora ti lascio lavorare in pace, cerca di resistere!”
 
“Ci proverò, mal che vada se sentirai parlare di un omicidio in una libreria saprai il perché. Ci sentiamo!”
 
Il breve scambio di messaggi terminò così, senza ulteriori giri di parole, mi sembrava decisamente un po’ troppo cercare fare ulteriori domande senza sembrare uno stalker, anche se avrei voluto chiederle qualche altro dettaglio su “Charlene”.
No, avrei tentato un’altra volta, era meglio non affrettare le cose.
Mi capitò più volte, però, di controllare il cellulare sperando di veder arrivare qualche nuovo messaggio.




Ed ecco che il nostro Ryan inizia ad adattarsi sempre di più al suo nuovo "stile di vita"... che lo voglia o no! XD 
Riuscirà a sapere qualcosa di più su "Charlene" o é destinato a brancolare ancora nel buio per chissà quanto tempo?
Fatemi sapere cosa ne pensate e se questo capitolo vi é piaciuto!
Un grazie infinito a tutti i lettori! 
Raven :3

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Buoooonasera a tutti!
Sì, sono ancora viva! (per ora XD)
Giuro che ci ho provato, volevo a tutti i costi essere più rapida nel pubblicare capitoli, ma proprio non riesco a darmi una regolata. Confido nella nostra pazienza  e spero che quello che leggerete di volta in volta vi farà pensare che ne é valsa la pena (vana speranza t-t).
Sto anche cercando di evitare quello scrivere tanto per pubblicare qualcosa, facendo uscire captoli su capitoli che non portano a nulla, e tutti noi sappiamo cosa significhi purtroppo -.- voglio cercare di proporvi del materiale il più interessante possibile ^^
Detto questo, vi lascio a questo nuovo capitolo! Buona lettura ^^

Capitolo 5:
 
 
Finalmente sistemai anche l’ultima confezione dell’allegro chirurgo sullo scaffale, chiedendomi come fosse possibile che quel gioco andasse ancora a ruba. Ne avevamo venduti a frotte, tanto che Mark ne aveva ordinati il doppio di prima. Avevo il forte sospetto che non fossero destinati ad innocenti bambini, ma che fossero diventati parte di qualche gioco alcolico in sostituzione al Beer-Pong, ma questo chiaramente a Mark non lo dissi, mi dispiaceva infrangere i suoi sogni di “una gioventù con ancora qualche speranza”.
-Perfetto. Se avessi tentato di sistemarli io mi sarebbero uscite tre ernie come minimo.- commentò lui da dietro alla cassa.
-E poi dici che sono io quello con la faccia da malato di cancro.- risposi scherzosamente mentre appiattivo lo scatolone ormai vuoto.
-Gloria lo dice sempre appena vede qualcuno che non mangia con l’appetito di venti leoni.- bofonchiò cercando di farla risultare come una critica, ma ogni volta che parlava della moglie non potevo fare a meno di scorgere quella luce nei suoi occhi, di chi era perdutamente innamorato nonostante i molti anni passati insieme.
Sobbalzai quando sentii il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni, e appena fui sicuro che Mark fosse assorto nei suoi documenti controllai velocemente.
Un irrefrenabile sorriso mi si stampò in volto quando vidi il nome, succedeva ogni volta.
Quando lessi il messaggio sorrisi un po’ meno e l’ansia tornò a regnare.
 
“Vieni al poker stasera?”
 
Passarono circa una ventina di secondi, in cui mi chiesi cosa fosse meglio rispondere per la mia salute fisica e mentale.
Ovviamente la parte del ragazzo stupido ebbe subito la meglio su quella responsabile.
 
Se davvero quello doveva essere un poker “clandestino” il trambusto che si sentiva ancora prima di entrare nell’appartamento di Frank avrebbe fatto insospettire anche un sacco della spazzatura.
Bussai alla porta e udii la sua voce ancora prima che mi aprisse.
-Eddy, se osi sbirciare di nuovo le mie carte ti faccio finire con la testa nella raccolta differenziata, cristosanto!-
Mi ritrovai davanti una Jane con le guance arrossate e i capelli arruffati, in perfetta tenuta casalinga con indosso una canotta con la scritta “I drink and I know things” e dei pantaloni di una tuta dalla discutibile stampa a fenicotteri.
-Eccoti!- strillò con una voce più acuta del solito, passandomi un braccio attorno alle spalle (o almeno ci provò, ma la differenza di centimetri in altezza rendeva le cose parecchio impossibili) e mi trascinò dentro.
-“Mi raccomando, sii discreto”, eh?- dissi con un mezzo sorriso mentre cercavo di capire quanta gente potesse essere stipata in quell’appartamentino.
Erano stati disposti tavoli da gioco fai da te ovunque, con il risultato di avere la sensazione di entrare in una brutta riproduzione di un locale a Las Vegas.
-Ovviamente! E tu sei stato discreto, vero?- rispose Jane con fare minaccioso, alitandomi addosso quello che doveva essere un mix di birra e qualche altro liquore probabilmente fornito da Alek.
-Ehm… certo.- dissi cercando di non farla alterare ulteriormente; sembrava parecchio alterata, e se dovevo calcolare che dall’orario del ritrovo ufficiale ero arrivato soltanto un’ora dopo mi chiedevo in che stato l’avrei trovata a fine serata -Dimmi che domani hai preso libero.-
Jane fece una smorfia accompagnata da un gesto di stizza con la mano.
-Non ne ho bisogno, tesoro. Sono la campionessa del dopo sbronza.- si esibì in un sorriso a trentadue denti, orgogliosa di quello che aveva appena detto –E ora, se vuoi scusarmi, ho una partita da vincere!- mi liberò dalla sua presa e trotterellò verso uno dei tavoli da gioco improvvisati dove stavano Pam e un uomo che non avevo mai visto.
-Ehi, Cenerentola! Finalmente sei arrivata al ballo.- mi salutò Jamie che era sbucato fuori da non si sa dove con un bicchiere di plastica alla mano e un altro probabilmente pronto per me.
-Ho parcheggiato la zucca in doppia fila per fare prima.- risposi cercando di risultare spigliato e a mio agio, mentre in realtà mi chiedevo cosa ci facessi lì, con tutta quella gente di cui a malapena conoscevo qualche individuo, e nemmeno così tanto bene.
La risposta in realtà era semplice: ero uno stupido idiota che non era stato capace di dire no senza un apparente motivo.
-Abbasso i pensieri negativi, dai su!- mi allungò il bicchiere che speravi contenesse qualcosa di non troppo pesante.
-Sai, dovresti fare il coach motivazionale.- dissi accettando riluttante il “regalino di benvenuto”.
-Ci siamo passati tutti. La prima volta spaventa un po’, ma ti dirò una cosa: nulla è peggio della riunione condominiale annuale. Di quella devi averne paura.-
-Basta che non mi chiedano di giocare e mi lascino fare quello che guarda, sorride e annuisce.-
-Puoi stare tranquillo, io non gioco quasi mai. Mi diverto a studiare le reazioni degli altri e a riempir loro i bicchieri. Potresti farmi da assistente in questa ricerca educativa sul genere umano, se ti va.-
-Non aggiungere altro, ti seguo a ruota.-
-Eccoli che cominciano.- disse dandomi una leggera gomitata e accennando ad uno dei tavoli.
-Cominciano cosa?- chiesi spaesato seguendo il suo sguardo. Capii mezzo secondo dopo di cosa parlava.
-Quindi io ti sfido ad appendere le mutande fuori dalla finestra, se vinco di nuovo!- stava urlando Giulia ad un uomo sulla quarantina che si stava visibilmente alterando.
-Ah, sì? Allora se vinco io dovrai andare ad ordinare al take away messicano in fondo al quartiere con il vestito da mucca irlandese di mia figlia.-
Io e Jamie ci unimmo istintivamente al coro di “oooooh” che si levò istantaneamente dopo le minacce.
-Vai, Giuls! Vogliamo scoprire se è vero che David mette i boxer di Yoda come portafortuna!- incitò a gran voce Jane dal tavolo di fronte, ricevendo il consenso di parecchi altri.
-Sul serio?- dissi a bassa voce cercando di trattenermi dallo sghignazzare.
-Ho idea che tra poco lo scopriremo.- rispose Jamie mettendosi comodo su una poltrona con l’intento di gustarsi la scena, e io lo imitai entusiasta.
In fin dei conti la mia prima serata del poker abusivo non andò tanto male. Passai il tempo a guardare gente che si insultava amichevolmente a vicenda, ma nonostante questo l’ambiente era rilassato e piacevole, anche quando quasi tutti se ne furono andati.
-Ehi, cucciolo. Vieni qui un momento.- mi resi conto di essere io “cucciolo” quando mi voltai e vidi Pam fissarmi insistentemente.
La storia dei nomignoli iniziava a sfuggire di mano.
-Che c’è?- chiesi avvicinandomi.
Un rantolo alle sue spalle attirò la mia attenzione, e quando vidi la fonte ero indeciso se preoccuparmi o ridere.
Su un piccolo divanetto c’era Jane, raggomitolata su se stessa, intenta ad abbracciare un cuscino con espressione soddisfatta.
-È un bene o un male? Cioè… si metterà ad urlare e tirare calci come l’altra volta?- chiesi riferendomi al primissimo incontro che avevo avuto con lei.
-No, non preoccuparti. Alle serate del poker prende sempre la sbronza allegra. L’unico problema è cercare di riportarla a casa.- la guardò scuotendo la testa –Puoi pensarci tu? Visto che sei “di strada”.-
Fui preso da un momento di panico improvviso.
-Io?! E come faccio?- chiesi iniziando ad agitarmi.
-Dunque: Ora la svegliamo quel minimo che serve a farla stare in piedi sulle sue gambe, tu devi solo accompagnarla di sotto assicurandoti che non cada dalle scale o che non mandi in tilt l’ascensore pigiando tutti i tasti, e quando arrivi davanti a casa sua…eccole qui- riuscì ad estrarre un mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni di Jane, e me le porse –apri la porta di casa sua e indirizala dentro. Ricordale di chiudere a chiave ed assicurati che lo faccia. Tutto qui.-
Suonava facile, ma sapevo che molto probabilmente non lo sarebbe stato.
Presi un lungo respiro e scrollai le spalle.
-Va bene, facciamolo.- dissi anche se in realtà non sapevo da che parte iniziare.
-Finalmente qualcuno che mi sostituisce.- Pam sembrava decisamente sollevata.
-Le persone che vivevano prima di me nel mio appartamento non l’hanno mai accompagnata a casa?- chiesi improvvisamente incuriosito.
Pam borbottò qualcosa scuotendo la testa.
-Fidati, è meglio così. Vincent non era una persona sulla quale si poteva fare affidamento.- lanciò un’occhiata quasi compassionevole verso Jane.
-Vincent?- effettivamente nessuno mi aveva detto chi abitava nel mio appartamento prima che arrivassi, quando ero andato a vederlo la prima volta con George era già vuoto e non avevo avuto nessun tipo di contatto con l’ex inquilino, ma direttamente con il proprietario dell’intero palazzo. –Com’era?-
-Lascia stare, non ti sei perso niente. Non andava d’accordo con nessuno, a parte Jane ogni tanto. Un tipo scontroso che di punto in bianco ha deciso di andarsene. Meglio così.- aveva abbassato leggermente la voce, forse non voleva che Jane sentisse –Ma ora abbiamo fatto un ottimo acquisto con te, no?- mi diede qualche colpetto d’incoraggiamento sulla schiena.
-Se lo dici tu…- mormorai più a me stesso che a lei.
-Forza, svegliamo questa bella addormentata.- annunciò con voce più alta iniziando a scrollare leggermente Jane per le spalle.
Subito in risposta ricevette diversi rantoli di protesta misti a risatine.
-Vuoi portarmi al Luna Park, eh Pam?- disse con voce acuta e infantile.
-No, tesoro. Ti ci porta questo bell’imbusto. Ti piace l’idea?- rispose lei accennando a me.
Cercai di non fare caso a quanto potesse sembrare ambiguo il fatto che “un bell’imbusto”(quando mai?) portasse una ragazza al Luna Park, e mi limitai a stare lì imbambolato e rigido come un palo della luce.
-Sai, credo che il Luna Park  non sia una buona idea.- sentenziò Jane una volta in piedi, reggendosi a qualunque cosa per non ruzzolare di nuovo sul divano.
-Meglio una bella dormita, eh?- la incoraggiò Pam indirizzandola verso di me.
Sentii il mio intero corpo sprofondare nella fonte della goffaggine, non sapevo assolutamente cosa fare. Dovevo trascinarla fuori? Prenderla in braccio? Tenerla semplicemente per un braccio? Cosa diavolo si doveva fare con una persona ubriaca?!
Lei con aria smarrita di chi a stento riusciva a capire dove fosse piantò il suo sguardo nel mio, e questo non fece che peggiorare la situazione facendomi andare ancora più in confusione.
Mi accorsi che aveva delle lievi striature dorate nell’occhio destro.
-Allora? Andiamo?- disse lei con fin troppo entusiasmo e mettendosi a marciare con un passo buffo e incerto verso la porta –Sempre in gamba, eh Frank?- urlò verso il padrone di casa, che al momento russava della grossa su una poltrona, felice e beato.
-Valle dietro e lasciala fare finché non rischierà di fare del male a se stessa… o a qualcun altro.- mi intimò Pam per poi sospirare e alzare gli occhi al cielo.
-Agli ordini.- risposi abbastanza rassegnato, e feci un saluto generale che probabilmente in pochi sentirono (in pratica: nessuno).
Da quando hanno allungato i corridoi? Sono lunghiiiissimi!- si lamentò Jane camminando lentamente verso l’ascensore con una spalla che strisciava contro un muro.
Io me ne stavo in silenzio dietro di lei, attento ad ogni suo minimo gesto.
“Pensa a qualcosa da dire, rincoglionito!” mi auto-incitai.
Non solo non ero di certo il re delle battute, ma con lei mi sentivo talmente spaesato che ogni mia azione finiva in un disastro completo.
-Pensa se l’ascensore non ci fosse stato.- fu l’unica cosa che riuscii a dire.
Lei in risposta sbuffò.
-Sapessi quante volte faccio le scale. Ti sei mai accorto di quei rumori che fa ogni tanto quella gabbia infernale? Delle specie di trrr trrrr trrrrrrr! Hai in mente? Ogni volta che li sento ho paura che ad azionare i meccanismi ci sia un elfo domestico arrabbiato che mi farà precipitare per ripicca, quindi mi dico “col cazzo che ci entro!” e mi faccio tuuuutte le scale.- sembrava che credesse ciecamente in ogni parola che diceva, come un bambino che raccontava un nuovo sogno o un desiderio improbabile.
La risposta mi venne in automatico, come se mi avesse contagiato.
-Puoi andare tranquilla. Ricordati una cosa: Dobby non vuole uccidere, ma soltanto mutilare o ferire gravemente.-
Jane si bloccò di colpo davanti a me, voltandosi a fissarmi quasi esterrefatta, i suoi enormi occhi verdi spalancati. Stavo per chiedermi cos’avessi fatto di male quando mi scoppiò letteralmente a ridere in faccia.
-O.MIO.DIO.- iniziò a scivolare lungo il muro ridendo sguaiatamente, e d’istinto mi tuffai in avanti prendendola per un braccio per evitare che si ritrovasse lunga e distesa sul pavimento.
-Che c’è?- dissi cercando di rimanere serio, ma la sua risata mi stava lentamente contagiando.
-Tu sei pazzo!- esclamò –Non puoi farmi battute a tema Harry Potter in questo stato!- continuò a ridere di gusto.
-Ti prego, cerca di stare su se non vuoi costringermi a farne altre. E non ne sono per niente capace.- risposi mentre sentivo di non riuscire a tenerla in piedi a peso morto ancora per molto.
-Ok! Ok! Ok! Mi calmo.- si fece aria con una mano lanciando qualche altro gridolino.
Riuscimmo a ripartire verso la nostra “lontanissima” meta a passo rallentato.
Entrammo nell’ascensore che miracolosamente arrivò subito, e pigiai il tasto per il nostro piano.
-Così anche tu sei fan di Harry Potter, eh?- chiesi così, senza un vero motivo, giusto per non far cadere il solito silenzio imbarazzante.
-Chi non lo è?- replicò lei.
-Sicuramente qualcuno ci sarà.-
-Naaah. È impossibile non amarlo dopo le prime dieci pagine.-
-Magari non tutti hanno letto il libro.-
-Chi mai sarebbe quel folle?!-
Mi sentii avvampare improvvisamente.
-Ehm…-
Lei mi fulminò con gli occhi.
-Dimmi che non è vero.- disse con la stessa reazione che avrebbe potuto avere qualcuno alla quale avevano appena detto che il marito era morto in guerra.
-Però i film li ho visti tutti mille volte!- cercai di difendermi pietosamente.
Mi si lanciò addosso dandomi ripetute manate sulla schiena e ovunque potesse arrivare per colpirmi.
-Non.si.fanno.queste.cose!- scandì parola per parola ad ogni colpo.
-Ehi! Ehi! Che cos… ahi! Mi fai male!-
-E dire che tu sei una persona che legge.- borbottò incrociando le braccia dinnanzi al petto, barcollando pericolosamente.
-Beh… diciamo che… prediligo altri generi più realistici.- mentii spudoratamente.
-Farai meglio a leggerli nel minor tempo possibile se non vuoi che inizi a lasciarti lettere minatorie.-
-Promesso.- alzai un braccio a mo’ di giuramento mentre un brivido freddo mi attraversava la schiena.
Da quando in qua mi mettevo a dire bugie simili?
“Perché sei un idiota, ricordi?” dissi a me stesso mentre le porte dell’ascensore si aprivano sul nostro pianerottolo.
Jane fece un passo deciso per uscire, dimenticandosi il piccolo gradino infame. Riuscii ad afferrarla in tempo, e per poco non mi trascinò giù con lei.
-Dai, manca poco.- cercai di incoraggiarla (o forse cercavo di incoraggiare più me stesso?).
-Ti stai divertendo un mondo, eh?- disse lei con un sorrisetto soddisfatto appoggiandosi del tutto a me, prendendomi a braccetto.
Mi sentii improvvisamente strano; era come se mi sentissi a mio agio e allo stesso tempo non lo fossi. Da un lato la situazione mi sembrava talmente buffa da farmi ridere, dall’altra stavo aiutando una ragazza ubriaca che non sapevo come avrebbe reagito i successivi venti secondi.
-Sicura che domani non ti serve una giornata libera?- chiesi evitando categoricamente di rispondere alla sua lieve provocazione.
-Sciocchezze! E poi domani ho il turno pomeridiano, ho tutto il tempo di riprendermi.- rispose lei gesticolando ampiamente.
Arrivammo finalmente davanti a casa sua, e cercai di destreggiarmi nel cercare di reggere Jane e infilare le chiavi nella serratura. Appena la porta si aprì con un lieve scricchiolio fui investito da un profumo dolce e fruttato, e per un attimo fui tentato di sbirciare all’interno, ma alla fine decisi che era meglio non esagerare e mi tirai indietro.
-Ecco, sei arrivata.- annunciai sentendomi come la vocina stupida sugli autobus che annunciava la fermata successiva.
-Fantastico!- esclamò lei entrando e mettendosi a dare manate alla parete, probabilmente cercando l’interruttore della luce –Ehi! La vuoi una cioccolata calda?-
La domanda mi piombò addosso con la grazia di un’incudine, e rimasi a fissarla nel panico più totale.
-Adesso?!- sbottai pregando tutti gli dei presenti per non farmi arrossire o iniziare a balbettare.
-È sempre un buon momento per una cioccolata.- ribatté lei riuscendo finalmente ad accendere la luce.
Intravidi un salottino identico al mio ma specchiato, decisamente molto più pieno di chincaglierie.
-Jane, credo che ti farebbe bene dormire.- dissi cautamente sperando di non farla arrabbiare.
-Ovvio che mi farebbe bene! Ma ho bisogno di mettere qualcosa nello stomaco, prima.-
Da una parte morivo dalla voglia di entrare, anche per assicurarsi che non rischiasse di mandare a fuoco la cucina, ma dall’altra un enorme muro d’imbarazzo mi bloccava irrimediabilmente. Avevo fatto fin troppi passi avanti quel giorno con il poker clandestino, forse questo era eccessivo.
-Magari un’altra volta, ok?- dissi a malincuore.
Lei si fermò dal suo caracollare da un piede all’altro, e il sorriso smagliante che aveva si smorzò. Rimase a guardarmi, con forse un piccolo lampo di lucidità nel suo sguardo che iniziava a fare capolino.
-Oh…- si massaggiò un braccio arrossendo leggermente –sono in uno stato troppo pietoso, vero?-
-Ma no!- mi affrettai a rispondere precipitosamente –Non è per quello, davvero. È che si è fatto un po’ tardi.-
Lei lanciò uno sguardo verso la parete dietro di lei, dove stava un grosso orologio a muro a forma di fragola che segnava mezzanotte e mezza.
-Mi sa che hai ragione.- si sforzò di sorridere di nuovo ma non le riuscì molto bene.
Mi sentii subito ancora più idiota di prima, e quell’espressione triste fece scattare qualcosa dentro di me che non riuscivo a spiegare. Era come se mi sentissi male io al suo posto.
E non volevo assolutamente che accadesse, per nulla al mondo.
-La prossima volta, ok? Promesso- feci una piccola pausa, non sapendo se fosse il caso di aggiungere qualche idiozia, ma alla fine mi dissi che tanto valeva tentare, peggio di così… -promesso insieme a leggere i libri di Harry Potter. Puoi tenere una lista, se vuoi.-
Funzionò, le scappò una risatina.
-D’accordo- si scostò una ciocca di capelli a lato del viso –allora dici che devo prendere uno di quei quaderni infiniti per marcarmi tutto?-
-Se credi che possa bastare.- alzai le spalle sorridendo.
Era sceso quel lieve imbarazzo come la volta della libreria, anche se non era poi così terribile per me.
-Allora… posso andare sapendo che non attenterai ulteriormente alla tua vita?- chiesi timidamente, anche se ora qualcosa mi stava pregando di fermarmi li con lei.
-Non preoccuparti, nel caso dovessi sentire qualche rumore molesto con tutta probabilità sarò inciampata nella lampada da lettura. Nulla di grave, insomma.- rispose lei con noncuranza.
-Povera lampada.- mi uscì spontaneamente.
Ridacchiò lanciandomi una finta occhiataccia.
-Non dovevi andare a dormire, Astor?-
-Agli ordini.- alzai le mani in segno di resa e facendo un passo indietro nel corridoio –Ricordati di chiudere a chiave.-
-Questa te l’ha detta Pam, ci potrei giurare.- disse mentre iniziava a socchiudere la porta.
Sghignazzai come per conferma iniziando ad incamminarmi verso il mio appartamento.
D’un tratto mi fermai, voltandomi un’ultima volta.
-Ehi- la richiamai non capendo nemmeno io quello che il mio stupido cervello mi stava facendo dire –dammi un cenno di vita se domani mattina va tutto bene, ok?-
-Ah… ok.- rispose lei fissandomi con aria un po’ disorientata attraverso lo spiraglio ancora aperto.
-E per la cronaca, questo non mi ha detto di dirlo Pam.- precisai.
Lei sorrise scuotendo leggermente la testa.
-‘Notte, Ryan.-
-‘Notte, Jane.-
Mi voltai fingendo di andare verso il mio appartamento mentre lei chiudeva anche l’ultimo spiraglio, e rimasi fermo ancora qualche istante nel corridoio, in ascolto.
Infine sentii lo scatto metallico della serratura che si chiudeva a doppia mandata, e solo allora proseguii verso casa con un mezzo sorrisetto da ebete stampato in faccia.
 
Il giorno dopo, quando in tarda mattinata mi presi una pausa caffè a lavoro, controllai il cellulare trovando un messaggio di Jane.
Mi aveva mandato una gif del conte Dracula che si risvegliava dalla bara.
Rimasi a fissare lo schermo ridendo da solo come un cretino.
 
“Non era esattamente il cenno di vita che intendevo, ma mi accontento ahahahah”
 
“No comment dal comunicato stampa.”
 
“Aspirina?”
 
“Le ho finite.”
 
Mi salì un mezzo ghigno soddisfatto.
 
“Controlla fuori dalla porta.”
 
Prima di uscire di casa avevo deciso di lasciare appeso alla sua maniglia un piccolo sacchettino con un paio di aspirine, giusto per farla ridere, anche se forse ora il mio gesto stupido poteva essersi trasformato in qualcosa di utile.
 
“Mioddio, sposami!”
 
Doveva averle decisamente trovate.
Inutile dirlo, non mi smentii neanche stavolta, per quanto fosse palese l’ironia in quel messaggio, arrossii fino alla punta dei capelli sperando che Mark non entrasse nella sala pause in quel momento.




E siamo giunti alla fine anche stavolta, per i temerari che ci sono arrivati XD
Dite che Ryan ce la farà a sopravvivere in quella giungla di disagio, ora che ha visto una "normale" serata tra vicini di casa? Insomma, una cosetta da niente u.u 
Come sempre ringrazio tutte le buone anime che si sono fermate a leggere questa ff e come sempre sono a completa disposizione per domande e opinioni di tutti i tipi ^^
Ci vediamo spero il più presto possibile >__<
Raven :3 
 

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