Crossed swords

di elenac3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era stata una lunga giornata quella per Lady Sharin Liwang, principessa dell’Isola del Sud, passata a fare festa e banchettare con, come ospite d’onore, il ricco e potente Lord Borsnik. Gli antenati di Lord Borsnik erano mercanti e avevano fatto tanti soldi e acquisito tanta potenza da suscitare la paura nei nobili di stirpe, che per non inimicarseli si erano visti costretti a assegnargli un titolo nobiliare. Con il tempo il loro potere aveva continuato ad aumentare e ora era arrivato quasi a superare quello del re stesso, il padre di Lady Sharin. Suo padre, il re dell’Isola del Sud, non si era mai preoccupato molto di loro, ma da quando aveva deciso di fare guerra ai Territori Centrali si era reso conto che la loro ricchezza e il loro prestigio erano indispensabili per intraprenderla. Così aveva preso a fare negoziati per avere il loro appoggio e in fine ci era riuscito, aveva ottenuto tutto quello che voleva e forse anche di più, solo che Borsnik aveva accettato solo a condizione di sposare la sua bella figlia. Quella giornata di festa era in onore del loro futuro matrimonio, un matrimonio che lei non voleva e non solo perché Borsnik aveva superato da molto la mezz’età, non aveva affatto un fisico asciutto ma, anzi, tutto il contrario e aveva già chiarito di volere una moglie docile e sottomessa, entrambe caratteristiche che non facevano affatto parte del suo carattere, anzi, che proprio non conosceva, ma anche perché lei amava un altro ed era lui che voleva sposare. Suo padre non lo sapeva ed era meglio così perché non avrebbe mai approvato dal momento che il suo amato non era un nobile, anzi non era neppure ricco. Ovviamente a lei non  importava, lo amava e sarebbe stata con lui, suo padre e il nobile Borsnik erano solo un ostacolo che lei avrebbe superato a costo di rinunciare al suo titolo. Per quella sera però non si sarebbe preoccupata di quello, era troppo stanca e mentre saliva le scale che portavano alle sue stanze pensava solo a lui, il suo amato, che presto avrebbe incontrato come faceva tutte le notti ormai da tempo. Quello era un altro motivo per cui non si preoccupava tanto del matrimonio; una volta che avrebbe rivelato di non essere più vergine Borsnik non l’avrebbe più voluta e suo padre non avrebbe potuto far altro che accettarlo e trovare un altro modo per finanziarsi la sua stupida guerra. Raggiunse la cima delle scale, aprì la grande porta di legno ed entrò chiudendosela bene alle spalle. La sua stanza era grande e circolare, la luce della luna che la illuminava attraverso le finestre faceva apparire il pavimento in marmo come se fosse stato fatto con l’argento fuso. Le pareti erano ricoperte di arazzi pregiati che però in quel momento erano in ombra. Appoggiato con la testata nella parete difronte alla porta, di fianco a una finestra a sesto acuto, c’era il suo enorme letto a baldacchino ricoperto da lenzuola di pregiata e fine seta. Sulla sinistra c’era una scrivania, che come tutto il restante mobilio era in legno di quercia, e una piccola libreria con i suoi libri preferiti, a destra invece c’era un grosso armadio colmo di eleganti e ricchi abiti e, a fianco, un tavolo da toeletta pieno di profumi e creme. Corse subito alla grande finestra a sesto acuto e l’aprì, un delicato e fresco vento autunnale entrò nella stanza facendo scuotere le fini tende del baldacchino, investendola in pieno e riscuotendola un poco dal torpore e dalla stanchezza. Sorrise guardando la grande volta blu scuro del cielo, punteggiata di preziosi diamanti che brillavano e di una luminosa luna piena che rischiarava quasi a giorno il paesaggio notturno. Le sue stanze erano  in cima a una delle torri e questo gli offriva una vista incredibile di tutta la terra sottostante, la sua terra. Il suo castello, chiamato il Castello Bianco perché costruito con il marmo bianco, brillava ancora di più nella notte illuminata dalla luna di quanto non facesse normalmente. Si allontanò dalla finestra e si andò a sedere sul suo grande e soffice letto, aspettando l’arrivo del suo amato. Come tutte le sere si sarebbe arrampicato su per il muro e sarebbe entrato della finestra che aveva appena aperto. In realtà nella parete destra aveva una finestra che si apriva su un balconcino, un posto migliore per entrare dell’altra angusta finestra, il problema era però che il balconcino era visibile dalle stanze del padre mentre la finestra a sesto acuto no, quindi avevano ritenuto più prudente usare quella. Dopotutto il suo amato  era un membro del mitico Circolo degli Assassini, una confraternita che si occupava di spiare, rubare e uccidere sotto commissione, in pratica dei mercenari molto più addestrati, silenziosi e letali di quelli comuni, specializzati nell’arte dell’agire in silenzio, nascosti e non visti per portare a termine con successo qualsiasi compito loro affidato. Da tempo erano ormai al servizio di suo padre, anche se ogni tanto facevano dei lavoretti anche per altri. Il suo amato, Rained, era uno dei migliori, non era quindi un problema per lui arrampicarsi non visto su per l’alto e liscio muro della sua torre ed entrare dalla finestra, anche in una notte luminosa come quella. 

Mentre aspettava Sharin decise di togliersi quel pesante e ingombrante vestito e di indossare una sottoveste azzurro pallido, leggera, fresca e sicuramente molto più pratica per quello che sarebbe accaduto dopo. Poco dopo si era già cambiata ed era tornata a sedersi sul letto, aspettando impaziente. L’impazienza si intensificò e ad essa si unì una fastidiosa sensazione di inquietudine quando si rese conto che stava tardando. Lui non tardava mai, impaziente come lei,  alle volte arrivava prima ancora che lei aprisse la finestra e aspettava lì appeso. Se invece era in missione glielo faceva sapere così che lei non lo avrebbe aspettato e si fosse preoccupata in vano. Ma quella notte non era in missione, era in ritardo. Impossibile. 

Stava quasi cedendo al panico quando con la coda dell’occhio vide un’ombra scura arrampicarsi sulla finestra goffamente ed entrare nella stanza. Si alzò e si precipitò verso di lui sollevata e con un sorriso stampato sulle labbra. 

- Oh, Rained, cominciavo a preoccuparmi per il tuo ritar... -

Sharin non finì mai la frase perché ormai lo aveva raggiunto e si era accorta che c’era qualcosa che non andava: lui non era dritto e fiero ma piegato su sé stesso, non le corse in contro come faceva sempre ma rimase lì fermo e poco prima che lei lo avesse raggiunto crollò sulle ginocchia.

Sharin emise un urlo strozzato e gli si inginocchiò accanto mettendogli un braccio attorno alle spalle per abbracciarlo e cercando di sollevargli il viso con l’altra mano. 

Lui sussurrò il suo nome e subito dopo emise un gemito, appoggiandosi a lei. Sharin gli tolse il cappuccio dalla testa, gli passò le mani tra i corti capelli castani e infine riuscì a sollevargli il viso. Era pallido, gli occhi infossati e sofferente, come divorato dal profondo del suo essere da una terribile malattia. Lei era scioccata, non aveva mai visto nessuno in quelle condizioni e non riusciva a capacitarsi che il suo amato fosse ridotto così, lui era sempre stato forte e in perfette condizioni fisiche. Nonostante i suoi sforzi per apparire forte di fronte allo sguardo supplicante di lui, non riuscì a trattenere le lacrime che le colarono come fiumi lungo le sue guance bianche. 

- Che cosa ti è successo? -

Lui provò a parlare ma gli uscì solo un gemito e abbassò la testa per sfuggire allo sguardo di lei, che non gli e lo permise perché nonostante il dolore e lo sconvolgimento che provava esigeva spiegazioni. Dopo qualche istante di silenzio e scambi di sguardi tra i due innamorati, Rained riprovò a parlare e questa volta gli riuscì. 

- Tuo padre sta creando un esercito indistruttibile con l’aiuto di uno stregone, prende i soldati migliori dal suo esercito e li consegna allo stregone che li trasforma. Li rende insensibili al dolore, senza sentimenti, immortali, inumani, con il solo pensiero di obbedire ai suoi ordini e disseminare la morte. Diventano macchine da guerra e perdono tutto di loro stessi, i ricordi, l’amore, la propria vita; con questo. - Rained si scoprì a fatica il lato sinistro del petto: all’altezza del cuore aveva uno strano tatuaggio infuocato inciso nella pelle, da esso partivano delle venature dello stesso colore che gli solcavano tutta la pelle e bruciavano. Riprese a parlare - Tuo padre sapeva di noi, ti ha fatto spiare da uno dei miei confratelli, sapeva tutto e ha detto che non poteva permetterti di far fallire i suoi piani. Ha detto che questo avrebbe dovuto farti tenere la bocca chiusa sulla tua verginità. 

Rained lanciò un urlo e si piegò fino al pavimento mentre cercava di sopportare il tremendo dolore del tatuaggio di fuoco che si estendeva. 

- Ha detto che quello che mi ha fatto è per punire te, che devi fare quello che dice d’ora in poi se non vuoi fare soffrire altre persone a te care. Non preoccuparti per me, per quello che mi hai dato posso pagare anche questo prezzo, ma non mi devi più cercare, non ti devi più avvicinare a me perché una volta che mi sarò trasformato non mi ricorderò più di te e non voglio sporcare le mie mani con il tuo sangue. Ormai manca poco ... ricordati che ti amo, tuo padre mi può togliere tutto ma in fondo continuerò ad amarti, per sempre. 

Rained guardò per l’ultima volta la sua amata, che lo fissava senza parole, sconvolta per tutto quello che le aveva appena rivelato, poi si alzò di scatto, sottraendosi all’abbraccio di lei, e si buttò fuori dalla finestra. 

Sharin rimase in ginocchio a guardarsi le mani, senza avere la forza di alzarsi e seguirlo, ancora cercando di capire quello che era successo e che le era stato detto, mentre il suo mondo le crollava addosso. Non seppe per quanto tempo rimase lì, in silenzio, mentre si svuota di tutti i pensieri, di tutti i sentimenti. Le lacrime smisero di scorrere e si asciugarono sulle guance, gli occhi si persero nel vuoto. In quel momento, non provando più niente, non era molto diversa dal suo amato appena diventato un mostro. L’unica differenza e che lei non sarebbe rimasta così per sempre, se ne accorse all’improvviso; dopo un tempo indefinito di sconfitta e vuoto qualcosa si risvegliò dentro di lei, un fuoco che prese ad ardere e che non si sarebbe spento finché non fosse stato saziato. 

 

In tutto quel dolore si era lasciata sfuggire l’elemento chiave di tutte le sue sventure, il colpevole di tutto quello: suo padre. Suo padre non voleva altro che il potere, non gli interessava nient’altro, né sua figlia né i suoi soldati né il suo popolo. Per i suoi stupidi giochetti lei aveva pagato il prezzo più alto ma sarebbe stato anche l’ultimo: non aveva nessuna intenzione di continuarlo a servire, a fare quello che lui voleva per accontentarlo. Lui le aveva portato via la cosa che più amava al mondo, ora era ora che lei ricambiasse il favore. Il dolore venne sostituito dalla sete di vendetta, che prese a bruciare come fuoco vivo in lei, esigendo di essere alimentato. La sua mente prese a ragionare freddamente e con logica come mai aveva fatto prima d’ora. Aveva sbagliato suo padre a credere che dopo quello che le aveva fatto lei gli avrebbe obbedito, e di molto, se l’avesse conosciuta avrebbe dovuto immagine che lei avrebbe voluto solo vendetta. Si alzò con una nuova luce che gli brillava negli occhi. Si diresse decisa al suo armadio; aveva deciso di andarsene, fuggire quella notte stessa, ma per farlo aveva bisogno di abiti comodi e comuni che non la intralciassero e non la facessero riconoscere. Ma frugando nel suo armadio si accorse che non aveva abiti comuni e comodi, solo lunghe gonne di sete preziose e con ricami elaborati. Richiuse l’armadio e si guardò attorno, non si sarebbe lasciata fermare, il fuoco che ardeva in lei non glielo avrebbe permesso. Poi gli venne in mente che i servi dovevano avere il tipo di abiti che le servivano, si precipitò fuori della sua stanza, senza curarsi di essere ancora in sottoveste, e raggiunse correndo le stanze della servitù. Aprì la porta cercando di fare il minimo rumore, sapeva che tutti dovevano essere ancora indaffarati a sistemare dopo la festa ma voleva essere prudente. Per fortuna non c’era davvero nessuno, si avvicinò a uno dei bauli dove i servi tenevano le loro cose, lo aprì e tirò fuori il primo abito che trovò: una semplice camiciola bianca e pantaloni di lana marrone. Li indossò immediatamente, raccolse da terra la sua sottoveste e corse fuori dalle stanze, raggiunse un corridoio con una piccola finestra e buttò la sua sottoveste. Non voleva in alcun modo collegare il povero servitore con lei per paura della punizione del padre, lei al contrario suo aveva sempre amato e rispettato i suoi sudditi. Continuò a correre finché non raggiunse le stalle, attenta a non farsi vedere, assicurandosi a ogni angolo che non ci fosse nessuno. Le stalle erano buie e non c’era nessuno, gli stallieri erano andati a dormire già da tempo, ma a lei non serviva la luce per sapere dove andare, sapeva perfettamente dove si trovava la stalla del suo cavallo preferito, una cavalla. La raggiunse in breve tempo e lei la riconobbe subito, alzò la sua testa fiera e sbuffò in segno di saluto. Lei le accarezzò il muso vellutato poi entro nella stalla. La sua cavalla era alta, palomina dorata, fiera e indomita, giudicata da molti impossibile da cavalcare perché troppo focosa. Ma non per lei. Le montò in groppa senza sella e la spronò fuori dalle stalle al galoppo, senza bisogno di redini per guidarla. Cavalcarono attraverso l’ampio corridoio della scuderia, la paglia che ricopriva il pavimento attutiva il rumore degli zoccoli, si fermarono davanti alle porte affinché lei le potesse aprire e poi di nuovo al galoppo attraverso il cortile e il ponte levatoio, che in tempi di pace era tenuto abbassato, e infine nei campi che circondavano il castello. Le guardie che sorvegliavano la porta non ebbero il tempo di fermare il possente cavallo dorato che gli sfrecciò davanti e non osarono sparargli perché non sapevano chi era il cavaliere, per quanto ne sapevano poteva essere la principessa stessa. 

Sharin decise di abbandonare la strada maestra e passare attraverso i campi e i boschi, cavalcò senza meta per tutta la notte, lasciandosi guidare dal suo cavallo e con l’unico scopo di allontanarsi dal castello e da suo padre. Non seppe come ci arrivò ne quanto aveva cavalcato, ma improvvisamente il fitto intreccio del bosco si diradò e lei si ritrovò in un’ampia pianura illuminata dalla luna. Fermò la cavalla e guardò quello che le si presentava davanti agli occhi. Un enorme edificio, grande più del castello stesso si ergeva al centro della pianura. L’architettura era simile a quella di una caserma ma di dimensioni molto più grandi, in tutto: porte, stalle, centro di addestramento. Sapeva perfettamente che cos’era, suo padre ne parlava spesso, era il suo orgoglio. Quello era il posto dove vivevano e si allenavano i cavalieri dei draghi, una parte dell’esercito di suo padre. Mentre guardava quell’enorme caserma, tenuta isolata per via delle sue cavalcature pericolose, capì cosa doveva fare, chi doveva diventare. Suo padre non l’avrebbe mai cercata lì, ovunque tranne che lì, sapeva che la vita militare non faceva per una principessa raffinata come lei. E inoltre non avrebbe mai cercato soldati da trasformare tra i cavalieri dei draghi perché si diceva che tra drago e cavaliere ci fosse un legame speciale e se il cavaliere fosse stato minacciato il drago avrebbe fatto di tutto per proteggerlo, anche uccidere il re, dopotutto i draghi non riconoscono nessuna autorità. Era il posto ideale per nascondersi. Si sarebbe travestita da uomo e sarebbe entrata tra le file dei cavalieri dei draghi, avrebbe affrontato qualsiasi addestramento e qualsiasi pericolo che la scuola gli avrebbe posto di fronte, avrebbe combattuto per suo padre e lo avrebbe portato trionfante sul trono dei Territori Centrali, poi mentre lui si godeva la sua vittoria gli avrebbe portato via tutto. Come lui aveva fatto con lei. 

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Capitolo 2
*** capitolo 1 ***


Capitolo 1 La foresta sembrava spettrale. Gli alberi erano fitti e alti, le foglie comparivano solo verso la cima, lasciando i tronchi quasi interamente nudi. Una leggera nebbia, bassa, aleggiava tra gli alberi, non limitava di molto la visibilità ma contribuiva molto a rendere l’ambiente sinistro. Tutto era immobile, non un alito di vento, non un suono. Sembrava un luogo deserto, privo di vita, spento e grigio. Sicuramente incuteva timore, anche senza sapere cosa o chi ci abitava. Un piccolo gruppo di soldati avanzava silenziosamente, guardandosi continuamente intorno e alle spalle temendo un attacco improvviso. Cercavano di fare il minor rumore possibile, ma i loro pesanti stivali scricchiolavano comunque quando toccavano il sottobosco ricoperto di aghi e rametti secchi. Avevano tutti le spade sguainate, li faceva sentire più sicuri, più pronti a difendersi nel caso di un attacco, soprattutto in quella foresta. La chiamavo la Foresta dei Sussurri, non era ben chiaro il perché del nome, e si diceva che fosse abitata da esseri spaventosi, assetati di sangue, che pochi di quelli che entravano riuscivano poi ad uscirne vivi. Nessuno era stato mai in grado di dire se davvero quelle voci era vere e quali mostri di preciso la abitavano. Quelli che ci erano andati e ne erano poi usciti o dicevano che avevano avuto la fortuna di non incontrare nessuno oppure si inventavano di strani versi e ombre che avevano sentito o visto in lontananza. Il gruppo dei soldati però sapeva per certo che ci abitava una strega, perché quello era lo scopo della loro missione: trovare e catturare la strega perché potesse essere messa al rogo. Anche senza preoccuparsi di belve spaventose, la loro rimaneva comunque una missione difficile e pericolosa perché la strega si diceva che fosse potente e sicuramente non sarebbe stata felice di essere catturata per essere messa al rogo. Ogni passo che facevano li avvicinava di più alla strega e aumentava il loro tempo all’interno di quel luogo infernale, ormai avevano tutti i nervi a pezzi e dovevano fare un enorme sforzo di volontà per non scappare via da dove erano venuti. L’unico che era apparentemente calmo era Alexey. I suoi occhi azzurro ghiaccio non erano terrorizzati come quelli dei suoi compagni, non si guardava freneticamente attorno, non aveva il battito cardiaco accelerato al punto da sentirsi quasi, come quello degli altri. Procedeva tranquillo ma attento a tutto ciò che gli accadeva attorno, posava i piedi attentamente uno davanti all’altro, teneva la spada salda in pugno. Era sempre stato il migliore del sua classe, pronto a eseguire gli ordini, attento alle lezioni, eccezionale nel combattimento con qualsiasi arma, abile nel progettare attacchi e difese, capace di mantenere la calma in qualsiasi circostanza, e ora lo stava dimostrando. Non temeva la strega, non la sottovalutava ma non ne era nemmeno terrorizzato come tutti gli altri. Aveva fiducia nella sua abilità ed era certo di poterla sconfiggere, e fremeva dalla voglia di incontrarla. Finalmente arrivarono in vista di una piccola casetta in pietra grigia situata in un’altrettanta piccola radura, da una piccola cappa in pietra uscivano volute di fumo bianco: la casa era abitata. Alexey sorrise e si preparò al tanto desiderato scontro, i suoi compagni cominciarono a sudare freddo. Alexey fu il primo a incamminarsi verso la casa, seguito dagli altri che gli coprivano le spalle. Si avvicinò in silenzio alla porta in legno e la spinse delicatamente con la mano, la porta si aprì senza nemmeno cigolare, a quanto pare le streghe non ritenevano ci fosse bisogno di chiudere a chiave. Alexey finì di aprire la porta ed entrò con la spada davanti a sé. L’interno era piccolo, con arredamento semplice di legno di quercia, c’erano molti libri e fogli di pergamena sparsi un po’ ovunque e candele accese che diffondevano un accogliente colore arancione, dal tetto pendevano mazzi di erbe di tutti i tipi, alcune essiccate altre mantenute fresche da un’incantesimo, fiori colorati e profumati tutti mantenuti freschi, alcuni comuni altri rarissimi, e alcuni grappoli di aglio e uva messi ad essiccare. Lo sguardo di Alexey però passò veloce su tutto questo per andarsi a fermare sulla figura di una donna nuda, coperta solo da un telo, e dai lunghi capelli castano scuro che le ricadevano delicatamente mossi sulla schiena nuda. La donna, sui vent’anni, si trovava in un’altra piccola stanza, che però non aveva nessuna porta a separarla da quella principale, e di fianco a una vasca da bagno come se fosse appena uscita da lì. Mentre lui percorreva con gli occhi il suo splendido corpo illuminato dalla debole luce delle candele, la bocca rossa e perfetta di lei passò da un simulato stupore a un leggero sorriso. Infine gli occhi di lui incontrarono quelli di lei e rimasero completamente colpiti da quello che videro: la sue iridi erano di un delicato ma luminoso giallo all’interno e all’esterno di un viola che si scuriva man mano che si avvicinava al bordo. Elysia guardò i soldati che avevano appena fatto irruzione nella sua casa e sorrise. Non sapeva che stavano arrivando ma non erano neanche una sorpresa, era da qualche ora che aveva una strana sensazione, e di solito significava che stava per accadere qualcosa. Si sistemò meglio il telo attorno al corpo mentre valutava i suoi avversari. Era ovvio che erano soldati e non mercenari per le armature, ben tenute, con i colori oro-verde e con le insegne dei Territori centrali: un’aquila con le ali spalancate. Era ovvio anche il perché si trovassero lì, con le armi in pugno e i volti insieme preoccupati e decisi: volevano lei, sicuramente per metterla al rogo nella piazza di Skyblack . Erano in sei, non troppi per lei ma nemmeno pochi, e non sembravano in perfette condizioni di agire e pensare, erano in parte spaventati e questo li avrebbe rallentati, tutti tranne uno. Ed era lui a preoccuparla di più: alto, i capelli scuri tagliati corti come tutti i soldati, sembrava lucido e scattante, non mostrava segni di paura ma si vedeva che per quanto imperturbabile era rimasto colpito da lei, e questo non poteva che fargli un certo piacere dal momento che era alquanto bello. Tuttavia non poteva permettersi di perdere altro tempo, l’elemento velocità faceva comodo quando si era in inferiorità numerica, anche a una strega. Continuando a guardarli mormorò velocemente qualche parola nella sua lingua e mosse una mano nella loro direzione, un’onda d’urto lì colpì mandandoli tutti fuori da casa sua attraverso la porta. Sorridendo soddisfatta di averli colpiti tutti insieme e con così tanta facilità, al primo colpo, si avvicinò alla porta allargando il suo sorriso. Quando raggiunse la soglia li trovò tutti ancora sdraiati a terra che cercavano di rialzarsi. Pronunciò altre parole e li immobilizzò tutti dove si trovavano, non voleva ucciderli solo spaventarli abbastanza da farli desistere. Cercò con lo sguardo quello che aveva attirato la sua attenzione, ma non lo trovò. Fece scorrere rapidamente lo sguardo intorno per vedere dove fosse, poi percepì qualcosa alle sue spalle e le venne in mente della porta sul retro che si poteva vedere comodamente dall’entrata. Si voltò di scatto ma ormai era troppo tardi: il pomo della spada la colpì con forza dritto tra le spalle, mandandola a terra. Non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi che lui le era già sopra, la voltò bruscamente prendendola per le mani e prima che lei se ne rendesse conto le aveva circondato i polsi con due grosse manette di ossidiana, l’unico materiale in grado di bloccarle completamente i poteri . Sbuffò infastidita, era una delle streghe più potenti e si era lasciata catturare da un gruppetto di soldati impauriti. Aveva avuto troppa fiducia in sé stessa e nella sue abilità aveva sottovalutato i suoi avversari, o almeno uno di essi. Lui la guardò e si lasciò sfuggire un sorriso di vittoria prima di tirarla su e consegnarla agli altri, che ormai non erano più bloccati. Non è stato tanto difficile, vero ragazzi? - disse Alexey. I suoi compagni scoppiarono a ridere per alleviare la tensione, poi circondarono la strega e la presero per la braccia, assicurandosi che non potesse fuggire. Posso almeno vestirmi? - chiese Elysia con voce melodiosa. No, non vogliamo correre il rischio. - le rispose Alexey cominciando a incamminarsi sulla via del ritorno. E poi tanto tra poco arderai e allora non ti serviranno più i vestiti. - le disse uno dei soldati sghignazzando, più per il sollievo che per la sua battuta. Elysia sbuffò infastidita. Non aveva alcuna intenzione di andare al rogo, tanto più con solo un telo indosso. Ritrovandosi in mezzo ai soldati fu costretta a mantenere il loro stesso passo, altrimenti veniva spintonata senza tante grazie. Se avesse avuto delle scarpe non avrebbe avuto nessun problema, invece aveva i piedi nudi e il sottobosco era costituito principalmente di aghi che le pungevano in continuazione i piedi, facendoli sanguinare e dolere in modo tremendo. Aveva scoperto la magia a cinque anni, ma era riuscita a controllarla e capirla solo a quindici, e da allora l’aveva sempre usata per curarsi immediatamente le ferite ed eliminare il dolore, per questo ora non era abituata a sopportare e il fatto di non poter far ricorso alla magia la faceva sentire perduta, perché la magia era l’unica cosa che le era sempre stata affianco. Ben presto cominciò a sussultare ogni volta che poggiava un piede a terra e dopo pochi metri chiese di poter fermarsi a riposare. Nessuno di noi ha voglia di rimanere un istante di più del necessario in questo luogo, specialmente in tua presenza. - rispose irremovibile Alexey, prendendo la parola. Allora portatemi in braccio, così non vi rallenterò. - ribatté prontamente lei. No. Elysia lanciò un’occhiata di fuoco alle spalle alte di Alexey, ripromettendosi di fagliela pagare una volta libera. Cercò di ignorare il dolore ai piedi e per farlo decise di concentrarsi su ciò che la circondava; abitava da qualche anno in quel luogo e nonostante quello che si diceva in giro a lei non aveva mai fatto paura, aveva la magia su cui fare affidamento, che non l’aveva mai tradita, e credeva di potersi difendere da qualsiasi essere l’abitasse. E comunque, a parte alcuni lupi più grossi della media, non aveva visto nulla di diverso da quello che si poteva trovare in qualsiasi bosco. Nonostante ciò dovette ammettere che ora, senza più magia, quel luogo, con la sua bassa nebbia e gli alti alberi, appariva spettarle anche a lei, soprattutto si sentiva indifesa, una sensazione che non le piaceva affatto. Smise di pensare anche a quello dal momento che non la aiutava e si concentrò invece su cosa avrebbe fatto una volta arrivata a destinazione. Era stata spesso a Skyblack, nonostante quello che credeva la gente comune lei non se ne stava tutto il tempo nella sua casa, a cuocere erba in un paiolo e a pensare come uccidere gente per i suoi incantesimi. Non aveva affatto bisogno di fare sacrifici umani, era già potente e le erbe le cuoceva, neanche tanto spesso, per pozioni innocue quanto indispensabili, che la gente avrebbe pagato a peso d’oro se solo le avesse conosciute. Il paiolo invece lo usava quasi sempre per cucinare il pranzo e la cena, per lo più a base di funghi. Usciva però spesso e a volte viaggiava per giorni per raggiungere città nuove o con particolari mercanzie. Comprava dai mercanti cibi vari, per variare la solita dieta a base di funghi; abiti, per lo più comodi e caldi, raramente costosi e eleganti; infine oggetti per la casa. Poiché Skyblack era più vicino, neanche mezza giornata di cammino considerando andata e ritorno, era quello che visitava più spesso nei giorni di fiera quindi ne conosceva perfettamente la mappa, almeno delle zone aperte al pubblico, doveva solo analizzarla attentamente nella sua mente e pianificare un piano di fuga. Finalmente, assorta nei suoi pensieri, riuscì a ignorare il dolore ai piedi e l’odio che provava per i suoi carcerieri, in particolare uno di essi. Il resto del viaggio proseguì in maniera tranquilla, ogni tanto i soldati si scambiavano delle battute, sussurrandole piano come per non farsi sentire; come per l’andata non incontrarono alcuna forma di vita, cosa che per quanto strana li sollevò. Dopo un’ora di viaggio raggiunsero il limitare della foresta e anche se nessuno espresse apertamente la propria gioia, la si poteva leggere sul viso di tutti. Con immenso piacere Elysia vide che i soldati si stavano dirigendo verso un gruppo di cavalli legati agli ultimi alberi del bosco, significava che il resto del viaggio lo avrebbero fatto a cavallo e lei poteva far finalmente riposare i piedi martoriati. Alexey raggiunse il suo cavallo, un imponente stallone nero, fiero e ben curato, e si mise a fissare una robusta corda alla sella, poi si avvicinò a Elysia, tenuta ferma da dei soldati mentre gli altri montavano in sella ai rispettivi cavalli, e cominciò a legare l’altra estremità della corda in un nodo stretto attorno ai polsi e le manette di lei. Quando lei capì cosa quello significava non riuscì a trattenersi. Non vorrete farmi fare il viaggio a piedi, mentre voi state in sella? Non ho nemmeno niente ai piedi, si sono già feriti abbastanza. E poi sono una donna! No, sei una strega, una prigioniera e verrai trattata come tale. - le rispose duro Alexey. Lei lo guardò con bocca e occhi spalancati, mentre lui faceva di tutto per non incontrare il suo sguardo: era un soldato, non si sarebbe lasciato impietosire da una strega solo perché era bella, giovane e aveva degli occhi incredibili. L’avrebbe trattata esattamente come se fosse il tipo di strega che si aspettava: vecchia, brutta e arcigna, solo che per riuscirci doveva evitare di guardarla. Finì di stringere il nodo e le voltò le spalle, ritornando verso il proprio cavallo e montandogli in sella. Lo stallone sbuffò e prese a scuotere la testa, Alexey gli fece una carezza sul collo e lui si calmò un po’, sebbene continuò a tenere le orecchie mezze tirate indietro. Mentre gli altri due soldati, che fino a quel momento la tenevano, facevano lo stesso lei si ricompose e con occhi che promettevano sfida e vendetta decise di fare tutto quello che era in suo potere per rendere il viaggio più lento e orribile possibile, proprio come sarebbe stato il suo. Li avrebbe fatti pentire di non averla fatta salire su uno dei cavalli. Alexey spronò il proprio cavallo e Elysia venne strattonata in avanti. Così cominciò la seconda parte del viaggio, che avrebbe durato per almeno un’altra ora, forse più. Dopo pochi minuti raggiunsero la strada e si lasciarono alle spalle l’erba cosparsa di sassi. Avrebbero continuato a seguire la strada fino alla fine del viaggio e l’acciottolato fresco diede un minimo di sollievo ai piedi sanguinanti di Elysia. Inoltre allontanandosi dalla grande e cupa foresta i raggi del sole, ormai alto nel cielo, riscaldavano loro le membra e i cuori. Ormai si erano lasciati alle spalle quell’orribile posto e ricominciarono a ridere e fare battute come se stessero facendo uno spostamento. La strega invece subiva l’effetto opposto al loro, prigioniera, privata della sua magia, trascinata a piedi nudi dietro a un cavallo e circondata da altri, diretta al rogo. Per tutto il viaggio si dibatté, tirando e strattonando la corda, cercando di resistere alla forza del possente cavallo che la tirava in avanti, incurante delle corde che le arrossivano i polsi e il telo che cominciava ad allentarsi. I suoi piedi feriti sanguinavano copiosi e si lasciavano dietro delle piccole chiazze di sangue. Più si allontanavano dalla foresta e si avvicinavano a case di campagna e piccole cittadine più le strade si popolavano. C’erano viaggiatori di passaggio, a piedi, su cavalli o carri; c’erano contadini che si dirigevano verso una cittadina o verso casa; donne con bambini piccoli e ragazze; carri trainati da buoi o robusti cavalli da tiro, magari colmi di raccolto o mercanzie; uomini che si trainavano dietro il mulo appena comprato, che, come Elysia, faceva di tutto per fermarsi; c’erano anche alcuni soldati, in piccoli gruppi o da soli, che si scambiavano cenni di saluto con quelli che si portavano d’appresso la strega, alcuni facevano anche commenti spiritosi o osceni su di lei, che ricambiava con sguardi truci. Comunque sia, tutti, nessuno escluso, si mettevano da parte per far passare il gruppo di soldati in assetto da combattimento, e quando vedevano la donna seminuda, incatenata, rinchiusa tra i cavalli, che si dibatteva, si allontanavano ancora di più, impauriti avendola riconosciuta come strega. Le voci circolavano in fretta e tutti erano al corrente della missione di quei soldati, che erano passati al galoppo per quella stessa strada quella mattina presto, prima dell’alba. Tutti erano timorosi che prima o poi sarebbe riuscita a liberarsi e alcuni lo fecero notare ai soldati, infine Alexey non ebbe altra scelta se non scendere, ristringerle il telo addosso in modo che non cadesse e caricarla di peso dietro al suo cavallo, che tirava indietro le orecchie fino alla nuca nervoso per tutto quel rumore e movimento vicino a lui. Lei protestò e si dibatté ulteriormente, protestò anche per essere stata messa sul cavallo come un sacco, a pancia sotto, ma infine quando si trovò a non dover più camminare smise di lamentarsi e cercò di addormentarsi per recuperare le forze. Così il viaggio proseguì più tranquillo per tutti e poterono anche aumentare di un po l’andatura, con disappunto di Elysia che si risvegliò bruscamente dal sonno a causa dei saltelli del trotto. Era da poco passato il mezzogiorno quando raggiunsero l’imponente porta delle mura di Skyblack. Il castello di Skyblack si innalzava verso il cielo, alto e imponente, era fatto con pietre grigio scuro che sembravano, soprattutto da lontano, nere e incutevano timore più di quanto già non facesse la forma. Era lì che abitavano coloro che governavano i Territori Centrali, i cinque maggiori esponenti dell’esercito, i più saggi e abili sia nell’arte della guerra sia in quella del comando, erano chiamati i Capi. Poiché era un castello militare non era sfarzoso e non aveva una corte composta di nobili, solo soldati, divisi tra quelli che combattevano e quelli che si occupavano degli affari politici e di gestione, ma entrambi erano capaci di combattere se necessario. Gli alloggi dei soldati e la mensa si trovavano nell’ala destra, mentre nell’altra parte c’erano le stanze per pianificare, discutere, occuparsi di affari e per accogliere ospiti, come in qualsiasi altro castello. Le prigioni erano nei sotterranei, freddi, umidi e bui, insieme alle stanze per gli interrogatori e le torture. Il castello era circondato da alte mura difensive, sempre presidiate, e tra le mure e il castello c’era un’ampio spazio che accoglieva il cortile dove in certi giorni si svolgevano le fiere, le stalle, varie taverne, campi per l’addestramento e case per le famiglie dei soldati. L’intero castello era abitato da soldati e le loro famiglie, la gente comune stava nelle valli circostanti le mura, non troppo vicine, ed entravano nel castello solo per le fiere e per eventi importanti, come il rogo di una strega. La porta della mura era aperta e davanti c’erano due guardie armate e sopra, nel camminatoio delle mura, altre due, il piccolo gruppo si fermò. Siamo tornati con la strega. - annunciò Alexey, indicandosi alle spalle. Le guardie si sporsero incuriosite. Ma che ha solo un telo addosso? - chiese una delle due. Aveva appena finito di lavarsi quando siamo arrivati noi. - gli rispose uno dei soldati. Le due guardie risero, poi gli fecero cenno da passare e Alexey rifece partire il suo cavallo. Intanto Elysia si era svegliata, ma non disse nulla e fece finta di continuare a dormire. Appena furono dentro, un ragazzo li raggiunse correndo e si fermò davanti al cavallo di Alexey. E’ andato tutto bene? - chiese. Certo, fratellino, come vedi siamo tutti qui e abbiamo la strega. - gli rispose Alexey. Il ragazzo sorrise di ammirazione per il fratello, poi disse: Porto io i cavalli nelle stalle voi andate a godervi la vittoria, vi raggiungo dopo alla taverna “la spada e lo scudo”. Grazie, Dimitriy. - dissero in coro i soldati, contenti di poter andare subito a riposarsi invece di dover occuparsi dei cavalli. Alexey ci pensi tu alla strega? - chiese poi uno dei soldati. Si, non preoccuparti ti sei già affaticato troppo oggi. - rispose ironicamente Alexey, facendo ridere tutti gli altri. Dimitriy era il fratello minore di Alexey, di diciannove anni, più piccolo del fratello di sei, e gli assomigliava molto, sia fisicamente che di carattere, tranne che i suoi lineamenti erano meno duri, e lui era più allegro. Scesi da cavallo i soldati diedero una pacca sulla spalla a Alexey e Dimitriy poi si avviarono verso la loro taverna preferita. Alexey tirò giù da cavallo Elysia e si incamminò verso l’ampia gradinata che portava al castello, per poi dirigersi verso le prigioni. Dimitriy guardò con gli occhi spalancati per lo stupore la bella ragazza che Alexey aveva con sé e prima che se ne andasse gli urlò: Fratello, sei sicuro che è lei la strega? Si. E sei sicuro di volerla far mettere al rogo? Si. Dimitriy scosse la testa e fece una carezza sul muso del cavallo di suo fratello, che sbuffò e scosse la testa a sua volta simpatizzando con lui, poi raccolse le redini di tutti gli altri cavalli e si avviò verso le stalle.

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Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


La cella era buia, rischiarata solo da una lanterna nel corridoio, fredda e le pareti erano perfino umide. Il suo telo ancora umido non la riscaldava affatto, anzi dopo poco servì solo a farle più freddo. Si era seduta sul marcio pezzo di legno che fungeva da letto non appena l’avevano portata lì, finalmente poteva riposare i piedi. Istintivamente aveva fatto per curarseli con la magia, ma quando i suoi occhi si erano posati sulle manette che ancora le circondavano i polsi, aveva scosso la testa sconsolata. Se li era comunque esaminati per occupare la mente con l’incantesimo di guarigione migliore da usare quando avrebbe potuto: erano ricoperti da sangue secco e polvere, nel rosso scuro spiccava quello più chiaro dei mille piccoli tagli ancora freschi e sanguinanti, ai quali si erano attaccate delle pagliuzze della marcia e sudicia paglia che ricopriva il pavimento della cella. Elysia si era tolta quelle fastidiose pagliuzze con la fronte aggrottata per la preoccupazione di una possibile infezione. Poco dopo era arrivato il freddo e ancora aveva sentito la mancanza della magia, con essa avrebbe potuto riscaldarsi. Senza contare che con essa non avrebbe avuto alcun problema a uscire da quella cella. Quando il freddo era diventato insostenibile e il suo corpo aveva preso a essere scosso da continui, violenti fremiti, aveva ignorato il dolore ai piedi e la paura di un’ infezione e aveva preso a camminare nello spazio ristretto della cella, cercando di scaldarsi. Non servì, la sua pelle era sempre più ghiacciata, i tremiti sempre più forti e il camminare non faceva altro che procurarle dolore ai piedi. Infine cominciò ad aspettare con ansia il momento in cui sarebbero venuti a prenderla per portarla al rogo, lì almeno sarebbe stata al caldo. Comunque non credeva che sarebbe riuscita a sopravvivere per molto altro tempo lì dentro, sicuramente non sarebbe sopravvissuta alla notte. Perse la cognizione del tempo, quindi non sapeva quanto tempo era passato quando due guardie vennero a prenderla. Appena le vide fermarsi davanti alla sua cella e tirare fuori la chiave per aprirla, si preparò. Aveva stabilito che quella poteva essere l’unica possibilità che aveva di fuggire, sicuramente tutti erano già fuori attorno al rogo, in attesa, quindi se fosse riuscita a stordire quei due avrebbe avuto un po’ di tempo per fuggire senza che nessuno sapesse nulla, almeno finché non fossero andati a cercare le due guardie, ma per allora sperava di essere già fuori dalle mura. Poi, quando sarebbe stata in salvo, avrebbe pensato a come togliersi quelle insopportabili manette. Le guardie aprirono la porta, una entrò mentre l’altra aspettava sulla soglia. Elysia si ripassò rapidamente nella testa le mosse che conosceva del combattimento corpo a corpo e si lasciò prendere per un braccio dalla guardia. Aspettò di arrivare davanti all’altra guardia e allora sollevò di scatto i polsi ammanettati e li sbatté in faccia alla seconda guardia, cercando di colpirla con il ferro. Prima ancora che quella indietreggiasse Elysia si era già girata verso l’altra, gli diede uno spintone con tutto il suo corpo, mandandola a sbattere contro lo spigolo della cella. Libera dalla stretta e più libera nei movimenti schiantò le manette in faccia alla guardia contro la cella e gli tirò anche un calcio tra le gambe, dopo che quella fu crollata a terra, si voltò giusto in tempo per tirare un calcio nella pancia all’altra guardia, che l’aveva quasi raggiunta e la stava per afferrare, e poi, dopo che quello si piegò in due, gli tirò una ginocchiata in faccia, facendo crollare a terra svenuto anche lui. Soddisfatta, si strinse il telo addosso e corse su per le scale che portavano fuori dalle prigioni. Quasi non riusciva a credere di avercela fatta così bene, specialmente perché il combattimento corpo a corpo non era affatto il suo forte e quelli avrebbero dovuto essere soldati super addestrati. Raggiunse in breve la cima delle scale, sembrava che il dolore ai piedi e il freddo fossero completamente spariti, e si ritrovò in una piccola stanza vuota con una porta di fronte. Si gettò contro la porta e l’aprì, senza prima assicurarsi che dall’altra parte non ci fosse nessuno. Per fortuna non c’era davvero nessuno, ma si ritrovò in una stanza rettangolare che dava su due porte, una a sinistra e una di fronte. Poiché si ricordava che, dopo essere stata condotta da Alexey in una stanza da un uomo di mezz’età che lui aveva chiamato generale, era stata condotta da due guardie in quella stessa stanza dalla porta sulla sinistra decise di non passare da quella nel caso il generale fosse ancora lì, ma prese quella che aveva di fronte, questa volta facendo più piano. Si ritrovò nel salone d’entrata, ovviamente non poteva uscire dal portone d’ingresso, ma poteva provare a calarsi da una finestra o trovare una porta laterale. Mentre si guardava attorno una porta dall’altro lato del salone si aprì improvvisamente, lei indietreggiò spaventata cercando di rientrare nella stanza dalla quale era appena uscita, senza ricordarsi che aveva chiuso la porta, e ci andò a sbattere con la schiena. Dalla porta aperta uscì Alexey, un’espressione preoccupata e disorientata sul viso, poi vide lei, schiacciata contro la porta, sola. La sua espressione diventò dura e impietosa, la prima cosa che fece fu assicurarsi che avesse ancora la manette alle mani. Perché non sei fuori con gli altri? - gli urlò con tono accusatorio Elysia. Che hai fatto alle guardie? - gli urlò di rimando lui. Per qualche istante nessuno dei due, si mosse o disse altro, ognuno cercava di decidere cosa fare, basandosi sulle mosse dell’altro. Infine Elysia prese l’iniziativa, ormai era stata scoperta, sapeva di non poter affrontare Alexey come aveva fatto con le due guardie, lui era più alto, più muscoloso e più sveglio, inoltre non l’aveva battuto con la magia figurarsi senza e con le mani legate, l’unica opzione era fuggire e sperare di essere almeno più veloce di lui nella corsa. Il portone principale non era così lontano e sicuramente meglio di girovagare per il castello senza sapere dove andare e magari incontrando anche altri soldati. Elysia si mise a correre, Alexey fece lo stesso neanche un secondo dopo. Osteggiata dal telo e meno allenata di lui venne raggiunta dopo pochi metri di corsa, afferrata alla vita dalle sue braccia forti e bloccata contro di lui. Si dibatté invano e quando capì di non poterci far nulla smise, adagiandosi contro la sua fredda placca di ferro che gli ricopriva il petto. Non poteva accettare di stare per morire ma sapeva anche che era inutile continuare a dibattersi, lui aveva una presa ferma e non l’avrebbe mai lasciata andare. Abbassò il capo sconfitta. Non puoi fuggire. - le disse semplicemente Alexey. Quando capì che lei aveva smesso di lottare la prese per un braccio e la condusse fuori. Il rogo era stato allestito proprio nel mezzo del cortile d’entrata, in fondo alla scalinata che portava al castello. Mentre Elysia scendeva le scale con Alexey sentì che non sarebbe morta, non quel giorno e non così. Non sapeva spiegarsi il perché, facendo più attenzione sentì che c’era qualcosa di strano nell’aria, come quando stava per accadere qualcosa, più o meno la stessa sensazione che sentiva quando aveva la magia, ma più debole. L’unica cosa di cui era certa era che non sarebbe morta. Quando raggiunse il fondo della scalinata e Alexey la affidò a coloro che l’avrebbero sistemata sul rogo era molto più tranquilla, più sicura di sé, e sicuramente la sua espressione quasi arrogante dovette farla sembrare folle. Mentre la sistemavano sul rogo e la legavano lei guardò la folla che aspettava la sua morte: la maggior parte erano gente del popolo, i soldati stavano all’esterno e non erano molti, proprio davanti al rogo c’erano i Capi. Vide anche Alexey, se ne stava tranquillo, appoggiato ad un albero con un gruppo di altri soldati tra cui riconobbe quelli che avevano contribuito alla sua cattura, non vide però quello che li aveva accolti al loro ingresso nel castello e che Alexey aveva chiamato “fratellino”. Elysia non riusciva a capire come lui potesse stare così tranquillamente appoggiato ad un albero mentre lei bruciava per colpa sua, decisamente lo odiava. Sopratutto perché era la seconda volta che le impediva la fuga. Uno dei Capi pronunciò un breve discorso dove diceva che lei era una strega e che quindi andava uccisa per il bene di tutti, lei non lo ascoltò ma, dopo aver fissato per lungo tempo Alexey, cominciò a guardarsi attorno per capire cosa sarebbe successo, quale sarebbe stato l’evento straordinario che le avrebbe salvato la vita. Quando uno dei boia si avvicinò con la fiaccola al rogo cominciò a temere di essersi sbagliata, che la sensazione che non sarebbe morta quel giorno era solo una sua illusione, un gioco della sua mente impazzita. Cominciò a tremare, pur non volendolo, fissando la fiamma che si avvicinava sempre di più. Poi un movimento in fondo alla folla, un mezzo grido, tutti si voltarono a guardare in quella direzione, anche il boia si fermò per guardare, la fiaccola sospesa a mezz’aria. Anche Elysia alzò lo sguardo e grazie alla sua posizione sopraelevata riuscì a vedere anche meglio. Il movimento veniva da dove si trovava Alexey, che ora non era più appoggiato all’albero ma stava trattenendo il braccio di un’uomo munito di coltello che aveva cercato di pugnalarlo a un fianco. Quando quello si accorse di aver attirato l’attenzione cercò di fuggire ma Alexey lo trattenne, fissandolo sconvolto. Elysia allora guardò meglio l’assalitore e riconobbe il “fratellino” di Alexey. Ma guardando più attentamente vide anche un’altra cosa, che la sconvolse e che forse aveva sconvolto anche Alexey più del fatto che il fratello aveva cercato di ucciderlo: tra le pieghe della camicia semiaperta c’era un marchio di fuoco da cui partivano altre venature simili che erano arrivate anche al collo. Verleyn! - sussurrò Elysia. Fino a quel momento erano stati tutti zitti e immobili come congelati, poi improvvisamente i soldati vicini a Alexey accerchiarono il “fratellino”, le spade sguainate, i Capi si fecero largo tra la folla e cominciarono a urlare ordini. Elysia vide che raggiunsero Alexey e che cercarono di scuoterlo e staccarlo dal fratello, poi quando ci furono riusciti gli parlarono e indicarono verso di lei, Alexey rimase un istante in silenzio ancora sconvolto e poi prese a camminare diretto verso di lei. Intanto alle sue spalle i soldati stavano accerchiando il ragazzo, sicuramente avevano intenzione di ucciderlo o forse catturarlo per interrogarlo, ma in qualunque caso non sarebbe stato piacevole altrimenti non avrebbero allontanato Alexey, se lo avevano fatto era per non fargli vedere la fine tragica del fratello. Alexey raggiunse il rogo a lunghi passi e diede ordine al boia di tirare giù Elysia. Lei diede un’ultima occhiata ai soldati che si stringevano attorno a Dimitriy e la folla ammutolita che non sapeva come comportarsi, poi venne tirata giù e posata a terra di fronte Alexey. Elysia alzò lo sguardo verso Alexey e gli vide gli occhi azzurri e persi nel vuoto lucidi di lacrime, che però non colorarono lungo le guance. Poi lui la prese per un braccio e la portò su per la scalinata, dentro al castello e verso le prigioni. Elysia camminò in silenzio, senza divincolarsi o tentare di fuggire, lo odiava ma in quel momento non riusciva a non provare compassione per lui. Lui non ci fece neanche caso, era ancora troppo turbato: un attimo prima guardava verso il rogo, poi aveva sentito un lieve movimento di foglie alle sue spalle e si era voltato giusto in tempo per vedere e fermare il braccio munito di coltello che si dirigeva verso il suo fianco. Se fosse riuscito sarebbe stato un colpo mortale, una morte lenta e dolorosa. Poi aveva alzato lo sguardo e aveva incontrato i caldi occhi marroni del fratello, questa volta però non avevano la solita luce allegra ma una omicida. Non capiva perché suo fratello lo voleva uccidere, erano molto legati, era allora che aveva visto quei segni di fuoco lungo il collo, non era andato oltre con lo sguardo per non distogliere l’attenzione dal “nemico”, come gli era stato insegnato. Non riusciva a capire cosa era successo a suo fratello, non in così poco tempo: dopo aver consegnato la strega al generale perché fosse portata in prigione, era andato alla solita taverna, “la spada e lo scudo”, dove si doveva incontrare con Dimitriy e gli altri per festeggiare la cattura. Si era seduto al tavolo insieme agli altri e Dimitriy era arrivato poco dopo, lamentandosi di quanto erano sporchi e sudati i cavalli e che per fortuna aveva trovato uno stalliere che se ne sarebbe occupato, se no sarebbe dovuto rimanere là tutto il giorno. Dopo aver mangiato e bevuto si erano separati, lui era andato a riposare e Dimitriy aveva detto che si sarebbe andato ad allenare un po’ con la spada. Quando si era svegliato era andato nel cortile per assistere al rogo, non avendo visto il fratello e avendogli detto gli amici che non era ancora arrivato, era andato a cercarlo nel cortile d’addestramento e non trovandolo nemmeno lì era andato negli alloggi, non era neanche lì. Era uscito per andarlo a cercare altrove ma poi aveva visto lei, libera e pronta a fuggire, allora aveva pensato solo a prenderla e dopo averla presa si era detto che non c’era alcun motivo di pensare che Dimitriy fosse in pericolo e che lo avrebbe cercato dopo. Si era sbagliato. Dimitriy aveva bisogno di aiuto e magari se lo avesse cercato lo avrebbe potuto salvare, perché non aveva dubbi che gli fosse successo qualcosa, che qualcosa lo aveva cambiato. E ora suo fratello era là, circondato da soldati con le spade sguainate, e lui lo aveva abbandonato ancora una volta. Aveva fiducia nei suoi compagni, erano come fratelli per lui, però ora stavano minacciando il suo vero fratello, quello di sangue, e forse lo avrebbero ucciso. Sapeva che se era un pericolo andava eliminato per il bene degli altri, e sapeva anche che se lo avrebbero fatto li avrebbe perdonati perché era la cosa giusta da fare, ma sapeva che non avrebbe mai accettato la morte del fratello, non sarebbe riuscito a sopportarlo. Sempre che ormai non fosse troppo tardi: a suo fratello era successo qualcosa, non era più lui e forse non lo sarebbe più stato, forse avrebbe preferito morire piuttosto che diventare un burattino. Lui lo avrebbe preferito e suo fratello lo prendeva sempre come esempio, ma se lo avesse ucciso e poi fosse venuto a sapere che c’era un modo per farlo tornare in sé? Non avrebbe potuto sopportarlo. Non sapeva cosa era successo a Dimitriy, non sapeva perché, non sapeva come e quindi non sapeva come comportarsi. So cosa è successo a tuo fratello e so come aiutarlo. - disse Elysia all’improvviso, sussurrando quelle parole con la sua voce melodiosa. Quelle parole riscossero Alexey dai suoi pensieri e si voltò brevemente a guardarla, ma quando incontrò i suoi meravigliosi occhi così soprannaturali la paura di essere ingannato lo sopraffece e tornò subito a guardare davanti a sé, cercando di non far trapelare i suoi pensieri, i suoi sentimenti e non chiedendole nessuna spiegazione, sebbene una parte di lui gli stesse urlando di farlo. Non le rispose, ma nella sua mente si era accesa una fiamma di speranza. Sapeva che non si sarebbe dovuto fidare di una strega, che poteva mentire, ma sapeva anche che essendo una strega doveva aver una certa conoscenza di magia e quello che era capitato a suo fratello era molto probabile che fosse magia. Se lei diceva il vero e lo poteva aiutare per suo fratello c’era una speranza. Prima però doveva trovare più informazioni. In fondo alle scale trovarono le due guardie, che erano confuse e frustate per essersi lasciate sfuggire la strega. Quando quelli videro la strega e Alexey si affrettarono a dare spiegazioni, ma parlarono contemporaneamente e Alexey non aveva nessuna voglia di ascoltarli. Il rogo è stato rimandato, rimettetela dentro e assicuratevi che non scappi di nuovo. - disse semplicemente, interrompendo il loro patetico balbettare. Quelli obbedirono immediatamente zittendosi, la spinsero in cella e chiusero bene a chiave. Alexey le lanciò un’ultima occhiata, poi tornò di sopra.

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Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


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Capitolo 5
*** capitolo 4 ***


Capitolo 4 Quando Elysia si destò dal sonno una flebile luce inondava la stanza, passando attraverso i tendaggi che ricoprivano le alte finestre. Si godette per qualche altro momento la morbidezza del materasso e il calore delle coperte. Stiracchiandosi esaminò la stanza in cui si trovava, poiché quando ci era arrivata la sera prima non aveva pensato ad altro se non coricarsi nel letto e dormire. Non era grande ma nemmeno troppo piccola, il letto prendeva quasi tutto lo spazio, poi c’era una alta cassapanca che poteva fungere anche da tavolo e un piccolo caminetto in un angolo. Doveva essere già mattina inoltrata poiché la luce del sole riusciva ad attraversare i tendaggi, quindi decise di alzarsi e scendere in cortile, sempre che avrebbe trovato la strada: per arrivare lì avevano attraversato diverse stanze e corridoi e anche scalinate e lei era troppo stanca per fare caso a dove passavano. All’improvviso un dolore penetrante le contorse il viso in una smorfia e lei si ricordò dei suoi piedi martoriati. La sera prima, in qualche modo, il dolore era passato in secondo piano fino a scomparire, forse aiutato dal freddo delle pietre e dai morbidi calzari, e comunque non credeva di riuscire a fare un efficace incantesimo dopo il prolungato uso delle manette. Ora invece, sicuramente dopo una notte passata a strusciarli contro le coperte, nei piedi era tornata sensibilità e poteva sentire la magia scorrere fluida in lei, come il sangue nelle vene. Si alzò a sedere sul letto e si guardò entrambi i piedi, uno alla volta; erano sporchi di sangue incrostato, polvere e pagliuzze di paglia marcia, ma almeno sembrava che i tagli avessero smesso di sanguinare e non si fossero infettati. Alzò la testa e si guardò attorno in cerca di qualcosa con cui poterseli pulire, sulla cassapanca c’era una brocca in ceramica bianca colma di fresca e limpida acqua e un panno bianco ripiegato, che sicuramente erano stati portati lì quella mattina presto anche se lei non aveva sentito niente. Poggiò i piedi a terra e fece per alzarsi per raggiungere la brocca, ma una fitta ai piedi, che presero a pulsare dolorosamente, le fece cambiare idea. Sporse leggermente il labbro inferiore, lo mordicchiò e pronunciò una formula magica con una mano tesa, senza problemi la brocca le volò nella mano e lei sorrise soddisfatta, l’effetto delle manette era completamente scomparso. Si prese un piede tra le piccole mani e con delicatezza ci passò sopra il panno inumidito nell’acqua, la freschezza le donò subito sollievo e lei sospirò contenta. Quando il piede fu pulito ci appoggiò una mano sopra e mormorò una formula, una soffusa luce dorata scaturì dal suo palmo e venne assorbita dal piede, quando tolse la mano dei tagli erano rimaste solo lievi cicatrici rosate che sarebbero sparite a breve. Ripeté lo stesso procedimento per l’altro piede ottenendo lo stesso risultato, quando poggiò i piedi a terra il dolore era scomparso. Dopo essersi alzata si infilò la gonna marrone e le scarpe di cuoio, che aveva tolto la notte prima per dormire più comoda. Si stava ancora finendo di vestire quando entrò nella stanza la donna che la sera prima era sempre stata al centro e che pareva essere quella che aveva più potere. Bene, sei già sveglia. - disse la donna appena entrata. Elysia finì di mettersi le scarpe e si avviò alla porta. Vieni. - disse la donna, incamminandosi fuori dalla stanza. Elysia seguì la donna mentre lei faceva strada e infine raggiunsero l’entrata principale. Da in cima alla scalinata Elysia vide che il cortile era completamente deserto eccetto che per due cavalli e un uomo che li teneva entrambi, il rogo era ancora lì. Elysia guardò perplessa la donna mentre cominciavano a scendere. Ma gli uomini che dovevano venire con me? - chiese Elysia, per metà sospettosa e per metà stupita, il rogo le metteva ansia. Abbiamo deciso per un gruppo meno numeroso, e quindi meno vistoso. Ti accompagnerà un solo uomo, ma è tra i migliori. - spiegò la donna. Capisco. Mentre finivano di scendere le scale e si avvicinavano il viso dell’uomo era rimasto nascosto da uno dei musi dei cavalli ed Elysia non ebbe modo di vederlo. Uno dei due cavalli le appariva però famigliare, ma non ci badò. Fu quando in fine li ebbero raggiunti che Elysia vide chi era l’uomo e ne rimase profondamente colpita, non se lo aspetta e non sapeva se era un bene o un male che fosse lui ad accompagnarla. Sei pronto, Alexey? - chiese la donna all’uomo che teneva le redini dei due cavalli. Si, signora. - rispose lui. Abbiamo pensato che il viaggio a cavallo sarebbe stato più rapido e meno stancante. Tu sai cavalcare, vero? - chiese poi la donna, rivolgendosi a Elysia. Si, lo so fare. - rispose lei, distogliendo infine gli occhi da Alexey. Alexey porse le redini a Elysia, evitando di incontrare il suo sguardo, lei le prese riluttante e poi si volse verso il cavallo. Mentre quello di Alexey era lo stesso di quando erano andati a prenderla, nero, imponente, fiero e magnifico, il suo era marrone con balze nere che arrivavano poco sotto al ginocchio, uno dei garretti posteriori era bianco, i crini erano anch’essi neri ed era leggermente più basso di quello di Alexey. Gli occhi erano dolci, ma la posa della sua testa era fiera quanto quella dell’altro. Elysia sistemò le redini sul collo del cavallo e, tenendole sempre con una mano, afferrò la sella con l’altra e si issò su. Mentre lei infilava i piedi nelle staffe, trovava la posizione giusta in sella e si sistemava la gonna, Alexey salì agilmente sul suo cavallo ed era pronto prima ancora di lei. Lui era molto più avvezzo ai cavalli, il suo addestramento implicava anche il saper bene cavalcare e combattere in sella e inoltre usava il cavallo per ogni spostamento, non andando quasi mai a piedi per questioni di velocità. Elysia invece aveva imparato a cavalcare da piccola, con un mulo, e per alcuni viaggi aveva affittato dei cavalli da delle locande, ma non aveva mai avuto un addestramento specifico né cavalcava spesso. Elysia fece una carezza sul collo del cavallo, che sbuffò e scosse su e giù la testa contento, e fu piacevolmente sorpresa di sentire il morbido pelo corto ben strigliato e pulito, che alla luce del sole assumeva un bagliore d’oro ramato. Buon viaggio! - disse la donna facendosi da parte, quando loro furono entrambi pronti. Alexey salutò con il capo il suo superiore poi spronò il cavallo a un leggero trotto, dirigendosi verso la porta aperta delle mura. Elysia lo seguì in silenzio, cercando di riabituarsi alle andature del cavallo. Fu piacevolmente sorpresa di scoprire che il cavallo obbediva anche al più lieve comando, non ne aveva mai cavalcato uno così ben addestrato. A quanto pare i soldati non erano i soli a subire un rigoroso addestramento nell’esercito. Alexey salutò i due soldati a guardia della porta, senza rallentare l’andatura, e poi proseguì sicuro lungo la strada, senza voltarsi in dietro per controllare che Elysia lo stesso seguendo, gli bastava sentire il rumore degli zoccoli dell’altro cavallo sull’acciottolato per capire che lo stava facendo. La sera prima, appena dopo che Elysia era stata accompagnata in una delle stanza degli ospiti, Alexey aveva chiesto di poter far parte della squadra che avrebbe accompagnato la strega a Nord. Sapeva che se fosse rimasto lì tutti lo avrebbero guardato diversamente per la perdita che aveva subito e a lui non piaceva essere guardato così. Ed era stato sempre lui a proporre di essere il solo ad accompagnarla dicendo che così non avrebbero avuto problemi ad attraversare il confine con il Nord e se lei avesse mentito avrebbero perso solo un uomo invece che di più. Temeva davvero per i suoi confratelli ma questo gli avrebbe anche permesso di allontanarsi dai loro sguardi comprensivi che gli avrebbero sempre riportato alla mente quello che era successo. Invece dalla strega non avrebbe avuto nessun sguardo comprensivo, per la prima volta preferiva la compagnia di un estraneo a quella dei suoi compagni. I Capi inizialmente avevano esitato, dicendo che doveva essere ancora scosso per quanto accaduto e quindi non abile per missioni così pericolose che richiedevano il massimo. Lui li aveva assicurati che non era così, non era scosso ma perfettamente abile mentalmente e fisicamente, ed era vero: non si piangeva addosso per quello che era successo, cercava di trovare una soluzione. Alla fine i Capi avevano finito per trovarsi d’accordo con lui e gli avevano affidato la missione. E ora che la missione era cominciata, lui era sicuro di sé come sempre, attento a tutto quello che lo circondava compresa la sua compagna di viaggio, il pensiero del fratello era stato rinchiuso in un angolo della sua mente e non lo avrebbe intralciato. Decise di godersi il viaggio e liberare la mente dai pensieri. Quando si furono allontanati dalle mura e le strade erano meno affollate, Alexey spronò il cavallo al galoppo. Elysia fece lo stesso e per fortuna si riabituò in fretta anche a quella andatura, inoltre il cavallo perfettamente addestrato le facilitava di molto le cose. Quando raggiunsero le campagne vicine alla Foresta dei Sussurri, che si cominciava a vedere all’orizzonte, Elysia spronò il cavallo e si affiancò ad Alexey per potergli parlare. Dovremmo fare una deviazione. Devo passare a casa mia a prendere delle cose. - gli disse Elysia. Alexey si voltò a guardarla, lo sguardo duro. Non avevi parlato di questo prima, perché? - chiese infine dopo qualche istante di silenzio. Non pensavo che ai Capi importasse più di tanto un minima deviazione. Che cosa devi andare a prendere? Vari strumenti per prendere il Verleyn. Alexey rimase a lungo in silenzio, guardando fisso davanti a sé, poi infine decise: Va bene, ma faremo in fretta. Elysia annuì contenta e riportò il suo cavallo dietro a quello di di lui, più che altro per non ingombrare troppo la strada. Alexey prese la strada che portava verso la foresta e spronò il cavallo per farlo correre più forte, Elysia non ebbe problemi ad imitarlo, ormai aveva una perfetta padronanza in sella. Ci misero meno di un’ora a raggiungere il limitare della foresta, che si stagliava alto e scuro in contrasto con le basse e verdeggianti pianure e colline che lo circondavano. Alexey fece rallentare gradualmente il cavallo mentre si avvicinavano e quando infine lo raggiunsero lo fece fermare completamente. Elysia lo affiancò. Possiamo proseguire anche a cavallo, così faremo più in fretta. - gli disse Elysia, mettendo il cavallo al passo. Alexey la affiancò immediatamente, non tollerando di stare dietro e seguirla. Procedettero per un po’ in silenzio, Elysia guidava sicura il suo cavallo orientandosi perfettamente tra quegli alti tronchi. Alexey invece non si ricordava nemmeno dove era passato il giorno precedente, quegli alberi erano tutti uguali. Conosci la strada. - disse infine Alexey, accorgendosi che lei sapeva dove andare. Si, è da tempo che vivo qui e conosco quasi tutta la foresta. - gli rispose Elysia, anche se quella di lui non era una domanda. Il resto del tragitto fino alla casa di lei proseguì in silenzio, con Alexey che si lasciava guidare da Elysia, invece di vagare alla cieca come la prima volta, ma rimanendole al fianco, e lei che procedeva tranquilla godendosi la sensazione di sentire di nuovo la magia scorrerle dentro. Quando infine giunsero in vista della casetta Elysia portò il suo cavallo al piccolo trotto, impaziente, e appena fu arrivata davanti all’ingresso ancora spalancato scese al volo, senza nemmeno aspettare che il cavallo si fermasse, e si precipitò dentro. Alexey invece continuò al passo, fece fermare il cavallo, scese e raggiunse la soglia della porta. Per fortuna i cavalli erano stati addestrati affinché rimanessero fermi dopo che il loro cavaliere era sceso, quindi non c’era il problema di trovare un posto dove legarli, se la sosta era breve. Alexey entrò nella casa, si guardò attorno e infine fissò lo sguardo su Elysia che si stava muovendo per la piccola stanza cercando qualcosa. Posso aiutarti? - si decise infine a chiedere Alexey. Si, puoi andarmi a prendere qualche vestito nella stanza di là. - gli disse lei. Perché c’è anche un’altra stanza? - disse sottovoce Alexey mentre si dirigeva verso il fondo della casa. Elysia si fermò un’attimo a guardarlo, avendo sentito perfettamente quello che aveva detto, poi riprese a cercare quello che le serviva, almeno il freddo soldato aveva dimostrato di possedere un po’ di sarcasmo. Alexey si fermò un attimo nel punto dove aveva visto per la prima volta Elysia, la vasca era ancora piena d’acqua e per un breve istante rievocò il ricordo del suo bellissimo e perfetto corpo seminudo, si costrinse subito a scacciarlo dalla mente con la debole giustificazione che lei era una strega ed entrò nella stanza a destra. Questa era piccola, la maggior parte dello spazio occupato da un semplice letto, in fondo al quale c’era un baule. Si diresse verso questo ipotizzando che i vestiti si trovassero lì, dopo averlo aperto vide confermate le sue ipotesi. Tirò fuori vari vestiti e infine ne prese due: una gonna intera blu scuro a maniche lunghe, da indossare sopra a diverse gonne bianche; e una gonna rosso scuro con una camicia dalle ampie maniche bianche e un corpetto quasi nero. Le stoffe di entrambi sembravano abbastanza pesanti, di lana morbida, ma non pregiate, probabilmente avrebbe potuto permettersele un ricco contadino, ma ciò che importava era che sembravano abbastanza comode e confortevoli per un viaggio. Rimise gli altri abiti nel baule, prese i due vestiti scelti e uscì dalla stanza. Elysia si stava infilando dei guanti di cuoi marrone quando Alexey la raggiunse porgendole i vestiti. Grazie. - gli disse lei. Elysia prese i panni che le porgeva e li infilò in una sacca di pelle, questo permise ad Alexey di sbirciare all’interno della sacca per vedere cosa ci avesse messo dentro: un grande sacchetto di cuoio e un libro vecchio. E’ tutto qui quello che dovevi prendere? - chiese Alexey stupido e anche un po’ irritato. Si. - rispose Elysia, poi quando alzò lo sguardo su di lui e vide il suo sguardo, spiegò - Il libro ha una parte dedicata al Verleyn, dicendo tutto quello che c’è da sapere; il sacchetto è fatto apposta per contenere il Verleyn, senza rischi, con una protezione interna; e infine questi guanti che mi servono per trattare il Verleyn minimizzando i rischi e per non ferirmi le mani con le redini. E poi ne ho approfittato per prendere dei vestiti di ricambio. Alexey sospirò. Adesso andiamo. - disse uscendo dalla casa. Aveva fatto pochi passi fuori dalla casa quando venne colpito da un qualcosa che gli si schiantò addosso con grande forza, gettandolo a terra. Neanche un secondo dopo che aveva toccato terra Alexey si era già ripreso e si voltò a guardare da cosa era stato assalito. Quello che vide lo bloccò a terra, nonostante il suo coraggio e il suo addestramento davanti a quello che vide non seppe come reagire, rimase semplicemente lì a fissare i due occhi gialli assassini che lo sovrastavano. Alexey era bloccato al suolo da un enorme lupo, più grande della media. Aveva il pelo bianco sotto e sopra la caratteristica maschera grigio chiaro, che si scuriva appena di più sul centro della schiena e sfumava lievemente sul marroncino sul muso, in particolare sul naso. Il lupo aveva posato le enormi zampe bianche nel terreno proprio vicino alle braccia di Alexey, che così non poteva muoverle, e aveva assunto la posizione di attacco. Il muso era molto vicino al viso del soldato e ringhiava minaccioso scoprendo le bianche e lunghe zanne. I suoi penetranti occhi gialli erano come ghiaccio tagliente ricoperto d’oro e avevano la particolare caratteristica di ipnotizzare e catturare le proprie prede, come era successo con Alexey. Tutti questi elementi si fondevano insieme in quel lupo, facendone il predatore perfetto, il predatore assoluto. Ghost! - urlò Elysia contenta. Elysia era a pochi passi da lui quando l’enorme ombra bianca era passata davanti alla porta e si era schiantata su Alexey, lei sapeva benissimo che cosa era e che cosa era pronto a fare. Corse subito fuori: Alexey era stata scaraventato a qualche metro dalla porta. Sentendosi chiamare, il lupo aveva subito voltato la testa in direzione della voce e i suoi occhi erano diventati apprensivi e affettuosi, un cambiamento incredibile perfino per un umano figurarsi per un lupo. Elysia l’aveva guardato e aveva sorriso, le era mancato. Alexey ritornò subito in sé e cercò di raggiungere con la mano la spada, per sbarazzarsi di quell’enorme bestia. Ma appena mosse un solo muscolo il lupo lo sentì e fece scattare la testa a un centimetro dal viso di Alexey, i denti di nuovo scoperti e gli occhi di nuovo assassini. Conosci questa bestia, strega? - chiese Alexey a denti stretti, senza distogliere lo sguardo da quello del lupo. Si. - rispose lei, tranquilla e compiaciuta di sentire la voce spaventata di lui. Ti dispiace togliermelo di dosso? Non lo so, se Ghost adesso ti uccide io sono libera. Strega! E mi sarei anche vendicata: tu mi hai catturata due volte. Strega! La voce di Alexey era diventata un basso ringhio molto simile a quello del lupo. E potrei assistere alla tua morte esattamente come tu avresti fatto con la mia. La vuoi smettere? Non dovrei nemmeno affaticarmi. Te la farò pagare quando sarò libero! Se mai sarai libero. Adesso basta, strega! Basta? Perché, io mi sto divertendo. Inoltre in questo momento sei in mio potere, quindi ... Strega! Va bene, va bene. Ghost indietro. Ghost si voltò a guardare Elysia dubbioso e, quando lei annuì, lui indietreggiò deluso. Libero Alexey scivolò indietro e si alzò, lanciò un occhiata di fuoco a Elysia e le si avvicinò minaccioso. Ghost vedendo minacciata la sua padrona si preparò a riattaccare, ma Elysia gli fece cenno di stare fermo, sapeva che Alexey non le avrebbe fatto del male, lo sguardo che aveva lanciato alla sua vasca le era bastato per farsi una sua idea. Alexey le si avvicinò fin quasi a toccarla, chinò il viso per poterla guardare in faccia, dal momento che la superava di tutta la testa, e per un lungo momento la guardò in silenzio. Gli occhi viola-gialli di lei erano sicuri, non impauriti, e sostenevano quelli azzurri e furibondi di lui. Se ti avessi voluto uccidere, lo avrei già fatto. - disse infine Elysia, la voce calma e sicura. L’altra volta però non ci sei riuscita. - la provocò lui, la voce fredda. L’altra volta ti ho sottovalutato perché non ti conoscevo, ora si e non commetterò più lo stesso errore. Pensi davvero di conoscermi? Così come tu conosci me. Stai attenta perché se penserò che mi vuoi uccidere ti ammazzo prima. Ne avresti davvero il coraggio? Uccideresti la donna che ti piace? Tu non mi piaci e se sarai una minaccia, io ti vedrò come un nemico non come una donna. Detto questo Alexey le lanciò un’ultimo sguardo e poi si allontanò, verso il cavallo, che dopo essere fuggito un po’ più in là, spaventato dall’enorme lupo, aveva assistito alla scena incuriosito con le orecchie tese in avanti. Elysia lo seguì con lo sguardo e le labbra rosse leggermente piegate in un sorriso. Muoviti! - gli urlò Alexey, dopo che fu salito sul suo cavallo. Elysia lanciò un sguardo a Ghost, sottovoce gli disse di seguirli a distanza e di nascosto, e si diresse lentamente verso il suo cavallo, anch’esso più distante e attento, assicurò la borsa di pelle alla sella, salì in groppa e afferrò le redini. Alexey spronò subito il cavallo al galoppo e Elysia si affrettò a fare lo stesso e a raggiungerlo per fare strada attraverso l’immensa e tutta uguale foresta. Invece di fare la strada che aveva percorso prima, ne prese un’altra che sapeva avrebbe portato un po’ più avanti lungo la strada principale, così avrebbero abbreviato il viaggio. Quando lo disse ad Alexey, lui non commentò e lei la prese come un’approvazione. I cavalli galoppavano tranquilli, il sottobosco morbido non li affaticava e i loro zoccoli a contatto con esso producevano solo un leggero tonfo. Era il terreno perfetto per fare un attacco a sorpresa, nessuno poteva sentire i tonfi leggeri degli zoccoli dei cavalli se non a qualche metro di distanza. Era quindi anche il terreno perfetto per subire un attacco a sorpresa, ma Elysia grazie al suo istinto lo avrebbe sentito comunque molto prima. Molto distante, Ghost correva parallelamente ai due cavalli. Nonostante la lontananza la sua vista da predatore gli permetteva di vedere le due sagome scure dei cavalli, ma nessuno poteva vedere lui. Il suo nome era perfetto per lui anche per un’altro motivo: i suoi enormi piedi colpivano così leggermente il terreno da non provocare neanche un minimo rumore.

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Capitolo 6
*** capitolo 4 ***


Quando Elysia si destò dal sonno una flebile luce inondava la stanza, passando attraverso i tendaggi che ricoprivano le alte finestre. Si godette per qualche altro momento la morbidezza del materasso e il calore delle coperte. Stiracchiandosi esaminò la stanza in cui si trovava, poiché quando ci era arrivata la sera prima non aveva pensato ad altro se non coricarsi nel letto e dormire. Non era grande ma nemmeno troppo piccola, il letto prendeva quasi tutto lo spazio, poi c’era una alta cassapanca che poteva fungere anche da tavolo e un piccolo caminetto in un angolo. Doveva essere già mattina inoltrata poiché la luce del sole riusciva ad attraversare i tendaggi, quindi decise di alzarsi e scendere in cortile, sempre che avrebbe trovato la strada: per arrivare lì avevano attraversato diverse stanze e corridoi e anche scalinate e lei era troppo stanca per fare caso a dove passavano. All’improvviso un dolore penetrante le contorse il viso in una smorfia e lei si ricordò dei suoi piedi martoriati. La sera prima, in qualche modo, il dolore era passato in secondo piano fino a scomparire, forse aiutato dal freddo delle pietre e dai morbidi calzari, e comunque non credeva di riuscire a fare un efficace incantesimo dopo il prolungato uso delle manette. Ora invece, sicuramente dopo una notte passata a strusciarli contro le coperte, nei piedi era tornata sensibilità e poteva sentire la magia scorrere fluida in lei, come il sangue nelle vene. Si alzò a sedere sul letto e si guardò entrambi i piedi, uno alla volta; erano sporchi di sangue incrostato, polvere e pagliuzze di paglia marcia, ma almeno sembrava che i tagli avessero smesso di sanguinare e non si fossero infettati. Alzò la testa e si guardò attorno in cerca di qualcosa con cui poterseli pulire, sulla cassapanca c’era una brocca in ceramica bianca colma di fresca e limpida acqua e un panno bianco ripiegato, che sicuramente erano stati portati lì quella mattina presto anche se lei non aveva sentito niente. Poggiò i piedi a terra e fece per alzarsi per raggiungere la brocca, ma una fitta ai piedi, che presero a pulsare dolorosamente, le fece cambiare idea. Sporse leggermente il labbro inferiore, lo mordicchiò e pronunciò una formula magica con una mano tesa, senza problemi la brocca le volò nella mano e lei sorrise soddisfatta, l’effetto delle manette era completamente scomparso. Si prese un piede tra le piccole mani e con delicatezza ci passò sopra il panno inumidito nell’acqua, la freschezza le donò subito sollievo e lei sospirò contenta. Quando il piede fu pulito ci appoggiò una mano sopra e mormorò una formula, una soffusa luce dorata scaturì dal suo palmo e venne assorbita dal piede, quando tolse la mano dei tagli erano rimaste solo lievi cicatrici rosate che sarebbero sparite a breve. Ripeté lo stesso procedimento per l’altro piede ottenendo lo stesso risultato, quando poggiò i piedi a terra il dolore era scomparso. Dopo essersi alzata si infilò la gonna marrone e le scarpe di cuoio, che aveva tolto la notte prima per dormire più comoda. Si stava ancora finendo di vestire quando entrò nella stanza la donna che la sera prima era sempre stata al centro e che pareva essere quella che aveva più potere. Bene, sei già sveglia. - disse la donna appena entrata. Elysia finì di mettersi le scarpe e si avviò alla porta. Vieni. - disse la donna, incamminandosi fuori dalla stanza. Elysia seguì la donna mentre lei faceva strada e infine raggiunsero l’entrata principale. Da in cima alla scalinata Elysia vide che il cortile era completamente deserto eccetto che per due cavalli e un uomo che li teneva entrambi, il rogo era ancora lì. Elysia guardò perplessa la donna mentre cominciavano a scendere. Ma gli uomini che dovevano venire con me? - chiese Elysia, per metà sospettosa e per metà stupita, il rogo le metteva ansia. Abbiamo deciso per un gruppo meno numeroso, e quindi meno vistoso. Ti accompagnerà un solo uomo, ma è tra i migliori. - spiegò la donna. Capisco. Mentre finivano di scendere le scale e si avvicinavano il viso dell’uomo era rimasto nascosto da uno dei musi dei cavalli ed Elysia non ebbe modo di vederlo. Uno dei due cavalli le appariva però famigliare, ma non ci badò. Fu quando in fine li ebbero raggiunti che Elysia vide chi era l’uomo e ne rimase profondamente colpita, non se lo aspetta e non sapeva se era un bene o un male che fosse lui ad accompagnarla. Sei pronto, Alexey? - chiese la donna all’uomo che teneva le redini dei due cavalli. Si, signora. - rispose lui. Abbiamo pensato che il viaggio a cavallo sarebbe stato più rapido e meno stancante. Tu sai cavalcare, vero? - chiese poi la donna, rivolgendosi a Elysia. Si, lo so fare. - rispose lei, distogliendo infine gli occhi da Alexey. Alexey porse le redini a Elysia, evitando di incontrare il suo sguardo, lei le prese riluttante e poi si volse verso il cavallo. Mentre quello di Alexey era lo stesso di quando erano andati a prenderla, nero, imponente, fiero e magnifico, il suo era marrone con balze nere che arrivavano poco sotto al ginocchio, uno dei garretti posteriori era bianco, i crini erano anch’essi neri ed era leggermente più basso di quello di Alexey. Gli occhi erano dolci, ma la posa della sua testa era fiera quanto quella dell’altro. Elysia sistemò le redini sul collo del cavallo e, tenendole sempre con una mano, afferrò la sella con l’altra e si issò su. Mentre lei infilava i piedi nelle staffe, trovava la posizione giusta in sella e si sistemava la gonna, Alexey salì agilmente sul suo cavallo ed era pronto prima ancora di lei. Lui era molto più avvezzo ai cavalli, il suo addestramento implicava anche il saper bene cavalcare e combattere in sella e inoltre usava il cavallo per ogni spostamento, non andando quasi mai a piedi per questioni di velocità. Elysia invece aveva imparato a cavalcare da piccola, con un mulo, e per alcuni viaggi aveva affittato dei cavalli da delle locande, ma non aveva mai avuto un addestramento specifico né cavalcava spesso. Elysia fece una carezza sul collo del cavallo, che sbuffò e scosse su e giù la testa contento, e fu piacevolmente sorpresa di sentire il morbido pelo corto ben strigliato e pulito, che alla luce del sole assumeva un bagliore d’oro ramato. Buon viaggio! - disse la donna facendosi da parte, quando loro furono entrambi pronti. Alexey salutò con il capo il suo superiore poi spronò il cavallo a un leggero trotto, dirigendosi verso la porta aperta delle mura. Elysia lo seguì in silenzio, cercando di riabituarsi alle andature del cavallo. Fu piacevolmente sorpresa di scoprire che il cavallo obbediva anche al più lieve comando, non ne aveva mai cavalcato uno così ben addestrato. A quanto pare i soldati non erano i soli a subire un rigoroso addestramento nell’esercito. Alexey salutò i due soldati a guardia della porta, senza rallentare l’andatura, e poi proseguì sicuro lungo la strada, senza voltarsi in dietro per controllare che Elysia lo stesso seguendo, gli bastava sentire il rumore degli zoccoli dell’altro cavallo sull’acciottolato per capire che lo stava facendo. La sera prima, appena dopo che Elysia era stata accompagnata in una delle stanza degli ospiti, Alexey aveva chiesto di poter far parte della squadra che avrebbe accompagnato la strega a Nord. Sapeva che se fosse rimasto lì tutti lo avrebbero guardato diversamente per la perdita che aveva subito e a lui non piaceva essere guardato così. Ed era stato sempre lui a proporre di essere il solo ad accompagnarla dicendo che così non avrebbero avuto problemi ad attraversare il confine con il Nord e se lei avesse mentito avrebbero perso solo un uomo invece che di più. Temeva davvero per i suoi confratelli ma questo gli avrebbe anche permesso di allontanarsi dai loro sguardi comprensivi che gli avrebbero sempre riportato alla mente quello che era successo. Invece dalla strega non avrebbe avuto nessun sguardo comprensivo, per la prima volta preferiva la compagnia di un estraneo a quella dei suoi compagni. I Capi inizialmente avevano esitato, dicendo che doveva essere ancora scosso per quanto accaduto e quindi non abile per missioni così pericolose che richiedevano il massimo. Lui li aveva assicurati che non era così, non era scosso ma perfettamente abile mentalmente e fisicamente, ed era vero: non si piangeva addosso per quello che era successo, cercava di trovare una soluzione. Alla fine i Capi avevano finito per trovarsi d’accordo con lui e gli avevano affidato la missione. E ora che la missione era cominciata, lui era sicuro di sé come sempre, attento a tutto quello che lo circondava compresa la sua compagna di viaggio, il pensiero del fratello era stato rinchiuso in un angolo della sua mente e non lo avrebbe intralciato. Decise di godersi il viaggio e liberare la mente dai pensieri. Quando si furono allontanati dalle mura e le strade erano meno affollate, Alexey spronò il cavallo al galoppo. Elysia fece lo stesso e per fortuna si riabituò in fretta anche a quella andatura, inoltre il cavallo perfettamente addestrato le facilitava di molto le cose. Quando raggiunsero le campagne vicine alla Foresta dei Sussurri, che si cominciava a vedere all’orizzonte, Elysia spronò il cavallo e si affiancò ad Alexey per potergli parlare. Dovremmo fare una deviazione. Devo passare a casa mia a prendere delle cose. - gli disse Elysia. Alexey si voltò a guardarla, lo sguardo duro. Non avevi parlato di questo prima, perché? - chiese infine dopo qualche istante di silenzio. Non pensavo che ai Capi importasse più di tanto un minima deviazione. Che cosa devi andare a prendere? Vari strumenti per prendere il Verleyn. Alexey rimase a lungo in silenzio, guardando fisso davanti a sé, poi infine decise: Va bene, ma faremo in fretta. Elysia annuì contenta e riportò il suo cavallo dietro a quello di di lui, più che altro per non ingombrare troppo la strada. Alexey prese la strada che portava verso la foresta e spronò il cavallo per farlo correre più forte, Elysia non ebbe problemi ad imitarlo, ormai aveva una perfetta padronanza in sella. Ci misero meno di un’ora a raggiungere il limitare della foresta, che si stagliava alto e scuro in contrasto con le basse e verdeggianti pianure e colline che lo circondavano. Alexey fece rallentare gradualmente il cavallo mentre si avvicinavano e quando infine lo raggiunsero lo fece fermare completamente. Elysia lo affiancò. Possiamo proseguire anche a cavallo, così faremo più in fretta. - gli disse Elysia, mettendo il cavallo al passo. Alexey la affiancò immediatamente, non tollerando di stare dietro e seguirla. Procedettero per un po’ in silenzio, Elysia guidava sicura il suo cavallo orientandosi perfettamente tra quegli alti tronchi. Alexey invece non si ricordava nemmeno dove era passato il giorno precedente, quegli alberi erano tutti uguali. Conosci la strada. - disse infine Alexey, accorgendosi che lei sapeva dove andare. Si, è da tempo che vivo qui e conosco quasi tutta la foresta. - gli rispose Elysia, anche se quella di lui non era una domanda. Il resto del tragitto fino alla casa di lei proseguì in silenzio, con Alexey che si lasciava guidare da Elysia, invece di vagare alla cieca come la prima volta, ma rimanendole al fianco, e lei che procedeva tranquilla godendosi la sensazione di sentire di nuovo la magia scorrerle dentro. Quando infine giunsero in vista della casetta Elysia portò il suo cavallo al piccolo trotto, impaziente, e appena fu arrivata davanti all’ingresso ancora spalancato scese al volo, senza nemmeno aspettare che il cavallo si fermasse, e si precipitò dentro. Alexey invece continuò al passo, fece fermare il cavallo, scese e raggiunse la soglia della porta. Per fortuna i cavalli erano stati addestrati affinché rimanessero fermi dopo che il loro cavaliere era sceso, quindi non c’era il problema di trovare un posto dove legarli, se la sosta era breve. Alexey entrò nella casa, si guardò attorno e infine fissò lo sguardo su Elysia che si stava muovendo per la piccola stanza cercando qualcosa. Posso aiutarti? - si decise infine a chiedere Alexey. Si, puoi andarmi a prendere qualche vestito nella stanza di là. - gli disse lei. Perché c’è anche un’altra stanza? - disse sottovoce Alexey mentre si dirigeva verso il fondo della casa. Elysia si fermò un’attimo a guardarlo, avendo sentito perfettamente quello che aveva detto, poi riprese a cercare quello che le serviva, almeno il freddo soldato aveva dimostrato di possedere un po’ di sarcasmo. Alexey si fermò un attimo nel punto dove aveva visto per la prima volta Elysia, la vasca era ancora piena d’acqua e per un breve istante rievocò il ricordo del suo bellissimo e perfetto corpo seminudo, si costrinse subito a scacciarlo dalla mente con la debole giustificazione che lei era una strega ed entrò nella stanza a destra. Questa era piccola, la maggior parte dello spazio occupato da un semplice letto, in fondo al quale c’era un baule. Si diresse verso questo ipotizzando che i vestiti si trovassero lì, dopo averlo aperto vide confermate le sue ipotesi. Tirò fuori vari vestiti e infine ne prese due: una gonna intera blu scuro a maniche lunghe, da indossare sopra a diverse gonne bianche; e una gonna rosso scuro con una camicia dalle ampie maniche bianche e un corpetto quasi nero. Le stoffe di entrambi sembravano abbastanza pesanti, di lana morbida, ma non pregiate, probabilmente avrebbe potuto permettersele un ricco contadino, ma ciò che importava era che sembravano abbastanza comode e confortevoli per un viaggio. Rimise gli altri abiti nel baule, prese i due vestiti scelti e uscì dalla stanza. Elysia si stava infilando dei guanti di cuoi marrone quando Alexey la raggiunse porgendole i vestiti. Grazie. - gli disse lei. Elysia prese i panni che le porgeva e li infilò in una sacca di pelle, questo permise ad Alexey di sbirciare all’interno della sacca per vedere cosa ci avesse messo dentro: un grande sacchetto di cuoio e un libro vecchio. E’ tutto qui quello che dovevi prendere? - chiese Alexey stupido e anche un po’ irritato. Si. - rispose Elysia, poi quando alzò lo sguardo su di lui e vide il suo sguardo, spiegò - Il libro ha una parte dedicata al Verleyn, dicendo tutto quello che c’è da sapere; il sacchetto è fatto apposta per contenere il Verleyn, senza rischi, con una protezione interna; e infine questi guanti che mi servono per trattare il Verleyn minimizzando i rischi e per non ferirmi le mani con le redini. E poi ne ho approfittato per prendere dei vestiti di ricambio. Alexey sospirò. Adesso andiamo. - disse uscendo dalla casa. Aveva fatto pochi passi fuori dalla casa quando venne colpito da un qualcosa che gli si schiantò addosso con grande forza, gettandolo a terra. Neanche un secondo dopo che aveva toccato terra Alexey si era già ripreso e si voltò a guardare da cosa era stato assalito. Quello che vide lo bloccò a terra, nonostante il suo coraggio e il suo addestramento davanti a quello che vide non seppe come reagire, rimase semplicemente lì a fissare i due occhi gialli assassini che lo sovrastavano. Alexey era bloccato al suolo da un enorme lupo, più grande della media. Aveva il pelo bianco sotto e sopra la caratteristica maschera grigio chiaro, che si scuriva appena di più sul centro della schiena e sfumava lievemente sul marroncino sul muso, in particolare sul naso. Il lupo aveva posato le enormi zampe bianche nel terreno proprio vicino alle braccia di Alexey, che così non poteva muoverle, e aveva assunto la posizione di attacco. Il muso era molto vicino al viso del soldato e ringhiava minaccioso scoprendo le bianche e lunghe zanne. I suoi penetranti occhi gialli erano come ghiaccio tagliente ricoperto d’oro e avevano la particolare caratteristica di ipnotizzare e catturare le proprie prede, come era successo con Alexey. Tutti questi elementi si fondevano insieme in quel lupo, facendone il predatore perfetto, il predatore assoluto. Ghost! - urlò Elysia contenta. Elysia era a pochi passi da lui quando l’enorme ombra bianca era passata davanti alla porta e si era schiantata su Alexey, lei sapeva benissimo che cosa era e che cosa era pronto a fare. Corse subito fuori: Alexey era stata scaraventato a qualche metro dalla porta. Sentendosi chiamare, il lupo aveva subito voltato la testa in direzione della voce e i suoi occhi erano diventati apprensivi e affettuosi, un cambiamento incredibile perfino per un umano figurarsi per un lupo. Elysia l’aveva guardato e aveva sorriso, le era mancato. Alexey ritornò subito in sé e cercò di raggiungere con la mano la spada, per sbarazzarsi di quell’enorme bestia. Ma appena mosse un solo muscolo il lupo lo sentì e fece scattare la testa a un centimetro dal viso di Alexey, i denti di nuovo scoperti e gli occhi di nuovo assassini. Conosci questa bestia, strega? - chiese Alexey a denti stretti, senza distogliere lo sguardo da quello del lupo. Si. - rispose lei, tranquilla e compiaciuta di sentire la voce spaventata di lui. Ti dispiace togliermelo di dosso? Non lo so, se Ghost adesso ti uccide io sono libera. Strega! E mi sarei anche vendicata: tu mi hai catturata due volte. Strega! La voce di Alexey era diventata un basso ringhio molto simile a quello del lupo. E potrei assistere alla tua morte esattamente come tu avresti fatto con la mia. La vuoi smettere? Non dovrei nemmeno affaticarmi. Te la farò pagare quando sarò libero! Se mai sarai libero. Adesso basta, strega! Basta? Perché, io mi sto divertendo. Inoltre in questo momento sei in mio potere, quindi ... Strega! Va bene, va bene. Ghost indietro. Ghost si voltò a guardare Elysia dubbioso e, quando lei annuì, lui indietreggiò deluso. Libero Alexey scivolò indietro e si alzò, lanciò un occhiata di fuoco a Elysia e le si avvicinò minaccioso. Ghost vedendo minacciata la sua padrona si preparò a riattaccare, ma Elysia gli fece cenno di stare fermo, sapeva che Alexey non le avrebbe fatto del male, lo sguardo che aveva lanciato alla sua vasca le era bastato per farsi una sua idea. Alexey le si avvicinò fin quasi a toccarla, chinò il viso per poterla guardare in faccia, dal momento che la superava di tutta la testa, e per un lungo momento la guardò in silenzio. Gli occhi viola-gialli di lei erano sicuri, non impauriti, e sostenevano quelli azzurri e furibondi di lui. Se ti avessi voluto uccidere, lo avrei già fatto. - disse infine Elysia, la voce calma e sicura. L’altra volta però non ci sei riuscita. - la provocò lui, la voce fredda. L’altra volta ti ho sottovalutato perché non ti conoscevo, ora si e non commetterò più lo stesso errore. Pensi davvero di conoscermi? Così come tu conosci me. Stai attenta perché se penserò che mi vuoi uccidere ti ammazzo prima. Ne avresti davvero il coraggio? Uccideresti la donna che ti piace? Tu non mi piaci e se sarai una minaccia, io ti vedrò come un nemico non come una donna. Detto questo Alexey le lanciò un’ultimo sguardo e poi si allontanò, verso il cavallo, che dopo essere fuggito un po’ più in là, spaventato dall’enorme lupo, aveva assistito alla scena incuriosito con le orecchie tese in avanti. Elysia lo seguì con lo sguardo e le labbra rosse leggermente piegate in un sorriso. Muoviti! - gli urlò Alexey, dopo che fu salito sul suo cavallo. Elysia lanciò un sguardo a Ghost, sottovoce gli disse di seguirli a distanza e di nascosto, e si diresse lentamente verso il suo cavallo, anch’esso più distante e attento, assicurò la borsa di pelle alla sella, salì in groppa e afferrò le redini. Alexey spronò subito il cavallo al galoppo e Elysia si affrettò a fare lo stesso e a raggiungerlo per fare strada attraverso l’immensa e tutta uguale foresta. Invece di fare la strada che aveva percorso prima, ne prese un’altra che sapeva avrebbe portato un po’ più avanti lungo la strada principale, così avrebbero abbreviato il viaggio. Quando lo disse ad Alexey, lui non commentò e lei la prese come un’approvazione. I cavalli galoppavano tranquilli, il sottobosco morbido non li affaticava e i loro zoccoli a contatto con esso producevano solo un leggero tonfo. Era il terreno perfetto per fare un attacco a sorpresa, nessuno poteva sentire i tonfi leggeri degli zoccoli dei cavalli se non a qualche metro di distanza. Era quindi anche il terreno perfetto per subire un attacco a sorpresa, ma Elysia grazie al suo istinto lo avrebbe sentito comunque molto prima. Molto distante, Ghost correva parallelamente ai due cavalli. Nonostante la lontananza la sua vista da predatore gli permetteva di vedere le due sagome scure dei cavalli, ma nessuno poteva vedere lui. Il suo nome era perfetto per lui anche per un’altro motivo: i suoi enormi piedi colpivano così leggermente il terreno da non provocare neanche un minimo rumore. Hai, miei lettori che leggete la mia storia e che spero vi piaccia. Mi piacerebbe avere qualche vostro commento sia se positivo sia se dovesse essere negativo; in modo di potermi migliorare.

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