Amore Rinascimentale.

di comewhatmay
(/viewuser.php?uid=391914)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vento primaverile ***
Capitolo 2: *** Brezza autunnale ***
Capitolo 3: *** Cielo limpido ***
Capitolo 4: *** Nube rossa ***



Capitolo 1
*** Vento primaverile ***


 Capitolo I
-Vento primaverile-
 
  Firenze, 1510.

La fresca aria primaverile gli sferzava il volto, lasciando che i suoi capelli corvini danzassero, liberi. 
Permise ai suoi occhi di catturare ciascun piccolo dettaglio di Via de' Cerretani, ogni volta che vi passava riusciva a scoprire qualche nuova, delicata ma interessante sfumatura in tutto ciò che lo circondava. 
I suoi occhi s'incantarono dinanzi alla maestosa stupefacenza della cupola di Santa Maria del Fiore: quel giorno il sole splendeva in una maniera che poteva sembrare del tutto nuova e la sua luce veniva rifratta dai rossi mattoni dell'immensa calotta in uno mozzafiato tripudio di lucentezza.
Firenze era una città così intensa e lo aveva sempre colpito fin dentro al cuore. Ogni cosa, persino la più superflua, sembrava avere una propria identità.

Il rilassante scalpitio degli zoccoli dei cavalli cessò e l'uomo aspettò che la porta laccata gli venisse aperta dal cocchiere. Scese dalla carrozza e sconvolgenti ma interne furono le emozioni che lo assalirono, circondato dal Battiserio di San Giovanni con la sua verde e bianca marmorea poesia geometrica, dal Campanile di Giotto con la sua intramontabilità e dalla ricchezza della facciata di Santa Maria del Fiore. 
Il suo volto però rimase impassibile: fin da piccolo suo padre gli aveva insegnato a non far trasparire emozion alcuna dal suo viso. Dentro ardeva, bollente ed inestinguibile.

Oltrepassato il portone principale e recatosi all'interno, la fiamma non fece altro che divampare dinanzi a quella grandiosità. Percorse tutta l'ampia navata centrale, ammirando segretamente come le volte ogivali poggiassero sui pilastri a fascio e pregustando la magnificenza che lo aspettava al di sotto della cupola stessa. Vi arrivò ed i suoi occhi, scattanti ma veloci, studiarono il Giudizio Universale affrescato sulla calotta interna, come se fosse la prima.

Un'evidenza si pose dinanzi alla sua coscienza: amava l'arte. 

La fama della Cupola del Brunelleschi, totalmente giustificabile, non aveva mai smesso di attirare l'attenzione degli uomini ma soprattutto quella degli artisti i quali prendevano note incomprensibili su fogli dopo esser stati anch'essi inevitabilmente rapiti dalla bellezza di ogni singola membratura architettonica e di ciascun affresco rinascimentale.

"Ciò la lascia del tutto indifferente, Signore?" Una voce attirò la sua attenzione ma non si girò verso il suo interlocutore, rimanendo a braccia conserte e con lo sguardo rivolto verso l'alto. L'uomo rispose: "Non è detto che un qualsiasi uomo sia capace di esterniare la propria ammirazione, così come non è detto che debba provarla".
Il silenzio discese improvviso tra i due e per un attimo l'uomo pensò di esser stato lasciato in pace, avendo bruscamente messo a tacere il misterioso interlocutore, probabilmente del tutto scoraggiato. 
"Mi permetta di invitarla nel circolo d'arte di cui faccio parte, allo scopo di far cambiare il suo atteggiamento". Nell'uomo, una pesante consapevolezza di fece strada: quella di aver parlando irrispettosamente ad un artista. Quest'ultimo continuò: "È quello più vicino a questa Chiesa. Dubito che un fiorentino non ne abbia mai sentito parlare".
Impercettibilemente, l'uomo sgranò gli occhi mentre le sue pupille si rimpicciolivano. 

"Leonardo di ser Piero da Vinci". L'uomo non ebbe più nulla da dire, da pensare. Passarono lunghi secondi di silenzio fino a quando egli abbassò il capo e guardò in viso l'artista, memorizzandone le fattezze, mantenedo sempre un atteggiamento di totale distacco.
"Levi Ackerman." Fu tutto ciò che potè pronunciare mentre gli strinse la mano che l'altro gli poneva. Gli artisti erano esseri rari nella propria unicità.
Non poteva esser conscio del fatto che questo incontro avrebbe inesorabilmente sconvolto le sue certezze.


-


Disteso sul suo giaciglio, molti pensieri lo assalirono nella notte di quello stesso giorno e in quelle a venire, prima di coricarsi. Con lo sguardo rivolto verso il soffitto chiaro, lasciò che le parole del celebre artista venissero riprodotte incessantemente nella sua testa. 
No, ovviamente l'arte non lo lasciava indifferente. Quello che usava era uno scudo, suo padre lo aveva fermamente disciplinato alla diffidenza, il fatto che poi avesse tenuto tale atteggiamento fino ai suoi ventisei anni era una sua personale e consapevole decisione.
 
Avrebbe ereditato l'attività di suo padre e sarebbe divenuto banchiere. Così era deciso, questa era la strada più razionale e pragmatica. 
L'arte sarebbe stata posta in secondo piano. Sì, così doveva esser. Per il buon nome della famiglia.


-


"Levi, questo è l'indirizzo. Dirigiti e dì loro chi ti manda." Kenny Ackerman, seduto dall'altra parte della scrivania in legno intarsiato, passò uno straccio di pergamena macchiata al figlio. "Conosci già la procedura. Non fare domande." 
E Levi non aveva davvero intenzione di porne. Sapeva già cosa lo avrebbe atteso. Un brutto presentimento si faceva strada nella sua coscienza ma egli lo estinse ancor prima che potesse prender forma. Prima o poi, qualcuno se ne sarebbe accorto. I suoi passi riecheggiarono pesanti tra le pareti lignee dello studio di suo padre.


-Alcuni giorni dopo


Passeggiava per le vie fiorentine, stretto nel suo cappotto nero mentre il bavero bianco legato intorno al collo svolazzava leggiadro a causa del venticello primaverile. A braccia conserte e con occhio indagatore osservava con attenzione come le cornici dell'edificio dinanzi ai suoi occhi correvano lungo tutto il perimetro di quest'ultimo. Immense balconate parsimoniosamente decorate si riversavano sulle strade pullulanti di gente le quali si godevano il clima mite della stagione. Il parlottare delle persone impegnate nei più futili discorsi animava ogni strada.

Via de'Martelli appariva più viva di qualunque altra giornata trascorsa. Donne si raccontavano intersecate ed alquanto inverosimili storie romantiche, con gli sguardi accesi d'aspettativa, altre parlavano della monotonia della loro giornata. Bambini allegri scorrazzavano, tra schiamazzi e risa; per poco uno dei tanti non gli era finito addosso e vedendo l'espressione dura sul suo volto era corso via, terrorizzato. Uomini con le loro mogli passeggiavano rilassati al calar del sole. 

L'uomo notò alcuni ragazzi percorrere la via tenendo una tela bianca sotto il braccio e fu allora che in Levi si smosse qualcosa: era in quella stessa via che il circolo del celebre artista aveva sede. Altri giovani, intenti a discutere di futuri progetti, vi si diressero mentre l'uomo li seguiva curioso con lo sguardo. Rallentò il passo quando li vide in lontananza scostare un tendaggio color panna e far ingresso attraverso un semplice arco a tutto sesto. Meditò a lungo sul da farsi, valutando ogni possibile svolta e conseguenza. Arrivò alla conclusione che si trattasse di un semplice evento, tenibile a bada senza alcuna preoccupazione. Con passo felpato, si avvicinò all'entrata, spinto da un desiderio di conoscenza inspiegabile. Sembrò interminabile l'azione di scostare quella tenda ruvida al tatto.

Un bilocale, oltraggiosamente piccolo e modesto, si materializzò dinanzi ai suoi occhi. Quattro cavalletti erano posizionati lateralmente alla stanza, rivolti verso il centro di questa dove un busto in gesso, probabilmente raffigurante qualche imperatore romano, posava poggiato ad una colonnina di ordine ionico. Economiche sedute, simili a sacchi di iuta, rivestite da un lenzuolo rosso vivo, poggiavano sulla parete rustica opposta ai cavalletti. L'odore di acquaragia s'infiltrava prepotentemente nelle narici, senza delicatezza alcuna, risvegliando sinapsi olfattive. Aria intrisa di passione e dedizione veniva aspirata dai polmoni dell'uomo il quale per la prima volta ne assaporava la vera essenza. 

Con passo lento e calcolato, si diresse verso le tele inclinate appoggiate ai cavalletti per valutarne i disegni. Profili chiaroscurati, ritratti ben dettagliati correvano sotto i suoi occhi. Se ne compiacque altamente. Fermò i suoi passi in corrispondenza di una tela: il soggetto era il medesimo, rappresentato per tre quarti, dal naso incredibilmente tozzo e realistico e lo sguardo fiero e deciso diretto verso nuovi orizzonti da conquistare. La fronte corrugata e le sopracciglia aggrottate conferivano aria austera e autoritaria all'uomo, impercettibili ma sapienti tocchi di luce risaltavano la volumetria dell'essere così come il chiaroscuro ben marcato ne evidenziava le fattezze e i caratteri peculiari, vene rigonfie correvano lungo il suo collo mentre la pelle pareva assumere palpabilità.

"Non male". Fu tutto ciò che seppe dire, nonostante divampasse di stupore dinanzi a tale talento. Il ragazzo, l'unico nella stanza, fermò la sua mano operatrice e il rumore della matita che graffiava la superficie cessò. Fu come se si fosse accorto di Levi solo dopo averne udito la voce, completamente assorto nel suo disegnare. Sollevò il capo e lo guardò negli occhi mentre i suoi, con un accenno di timidezza, si spalancarono. Erano di un verde misto a striature azzurre, pura poesia ed eccezionalità racchiuse in due fari totalmente accecanti. L'uomo segretamente li contemplò, ammirando il tripudio di colori così come era solito fare per affreschi, edifici, sculture. Rimase folgorato. 

"La ringrazio". Il ragazzo sorrise nella sua direzione, fiero del suo operato. Riprese a disegnare, marcando in determinati punti l'incavo del collo dell'Imperatore mentre Levi continuava a studiarne il profilo, in piedi a braccia conserte alle spalle reclinate del ragazzo. 
"È la prima volta che viene qui? Non è solito vedere persone vestite come lei".
Il dolce stridio di sottofondo del grasso lapis usato dal giovane rendeva l'atmosfera intima e informale. Questo indossava una maglietta leggera color verde che risaltava la sua carnagione olivastra mentre dei semplici pantaloni bruni gli fasciavano le cosce. Levi, col suo bavero formale, camicia bianca, pinocchietti neri, scarpe tirate a lucido e cappotto nero di buona fattura, non potè contraddire davanti l'evidenza il giovane. 
"Sì, è la prima volta. Ma quanti anni hai?" Il ragazzo continuò imperterrito a disegnare.
"Appena 19, signore." L'uomo storse leggermente il naso a quel titolo.
"Levi, chiamami Levi" disse. "In questo posto, tale titolo suona come una condanna". Si guardò intorno.
Il ragazzo rise spontaneo mentre il meno giovane inarcò un sopracciglio: cosa ci trovasse di così divertente quel moccioso in quella situazione davvero non riusciva ad afferrarlo. 

"Io sono Eren. Molto piacere." Il ragazzo gli offrì un ampio sorriso mentre Levi sentì il proprio stomaco agitarsi, destabilizzato da tanta immacolata genuinità. Il suo volto rimase impassibile.
"Hai una bella faccia tosta, moccioso. O sei semplicemente un incosciente a rivolgerti con questo tono confidenziale ad un adulto". Il ragazzo rise ancora, più pacato.
"Probabilmente più la seconda cosa" disse, sincero. L'angolo della bocca del maggiore si sollevò appena, in un ghigno di sfida. Questo ragazzo gli avrebbe dato filo da torcere. 

Rimaserò così, in un silenzio rilassante, Levi dietro di lui. Egli osservava con attenzione ogni tratto a cui Eren dava vita ed a ogni forma di cui le sue mani potevano essere proclamate creatrici. Passarono quelle che potevano essere ore o secondi in quella intimità inviolabile mentre il giovane, con parsimonia e cura, ricalcava specifiche zone del disegno, alla ricerca di un ideale di perfezione e bellezza non raggiungibile perchè irreale. Si poteva allora dire, secondo il giudizio dell'uomo, che l'opera sfiorava quello stesso, irraggiungibile ideale con un dito. 
Il ragazzo raddrizzò il busto, osservando nel complesso il suo operato. Levi pensò che il suo fosse uno sguardo di totale soddisfazione.
"Manca ancora qualcosa" fu tutto ciò che disse il ragazzo, sotto l'incredulità del più grande il quale non osò però contraddirlo. Sembrava incredibilmente serio, con una mano sotto il mento e gli occhi indagatori.
"Si è fatto tardi" continuò "è meglio che io vada".
Abbandonate le matite, si alzò e subito la differenza di statura tra i due soggetti fu evidente al più basso.
Quest'ultimo, leggermente irritato, disse: "Vado anch'io" e si diresse verso l'uscita a passo svelto. Il ragazzo, rapido, lo seguì.

Fuori, l'aria tipicamente primaverile era stata sostituita da una leggera brezza autunnale. Le strade erano pressoché deserte, poche persone attraversavano le vie, intente a tornare a casa. Dopo pochi passi, Eren acciuffò l'orlo della manica del cappotto di buona fattura dell'uomo, in un gesto istintivo, dettato dal momento. Levi, sentendosi leggermente tirare, si fermò. Guardò in volto il ragazzo, i loro occhi incatenati: il vivace azzurro si tuffava nel profondo grigio, senza paura alcuna. 

"Spero tornerai" quelle del ragazzo furono parole sussurrate. Le parole scivolavano via, nel cervello dell'altro; un nuovo, inesperimentato ma dosato calore si allargava all'altezza del suo petto, silenzioso come un ladro nel cuore della notte. Tutto ciò che fece fu guardare intensamente il giovane, in un muto e celato assenso. 

"Buonanotte." 
"Buonanotte, Levi. " 
Si girò, tornando sui suoi passi, riecheggianti nell'isolata strada.




~~~~~~~
Allora, premettendo che purtroppo non ho mai visitato la città di Firenze pur amandola alla follia, mi inchino umilmente dinanzi a voi per qualsiasi correzione sia sulla topografia della città sia su qualsiasi incongruenza dei fatti o storica/artistica. Confido in voi! 
Tengo a precisare che: 
- Levi è più giovane, ha soli 26 anni, è nato quindi nel 1484, ho abbassato la sua età a fine della fanfiction 
- Leonardo da Vinci, essendo nato in realtà nel 1452, nella fic dovrebbe avere 58 anni ma, ancora per fini della storia, la sua data di nascita è stata modificata e qui corrisponde al 1469 quindi l'ingegnoso artista ha soli 41 anni
Liberata di queste per me importantissime precisazioni, volevo dirvi grazie di aver aperto questo capitolo ed esser giunti fin qui e di aver riservato un po' di fiducia a questa povera svitata~
Non sono nuova nel fandom, scrissi una ereri circa quattro anni fa ma lì è morta... Ma giuro, a questa fanfiction ci tengo davvero tanto e mi impegnerò al fine di non lasciarla nel dimenticatoio come le altre *sobs*
 Vi ringrazio ancora!


comewhatmay
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Brezza autunnale ***


 Capitolo II
-Brezza autunnale-
 
  
Stretto fra quel vicolo, si sentiva oppresso mentre l'aria faceva fatica a invadere i suoi polmoni. Vi era buio pesto, nel cuore della notte.
Le palpebre si facevano pesanti, aggravate dalla stanchezza della giornata. La pietra era dura e per nulla confortevole sotto le sue natiche, fredda. Nonostante ciò rischiò di addormentarsi e sbattere rovinosamente la testa contro il suolo. Un tocco delicato e gentile, caldo e famigliare sulla guancia lo destò dal suo stato di dormiveglia. Preso coscienza del mondo che lo circondava, il volto di sua madre si materializzò, vicino al suo. 

"Puoi entrare" bisbigliò "è andato via". Ad Eren quelle parole parvero come una benedizione. Con le poche forze che aveva, baciò le guance di sua mamma e con passo sorprendentemente rapido si infiltrò in quella che avrebbe dovuto essere la casa dei suoi due genitori. Carla lo seguì, con le mani premurosamente vicine al busto di suo figlio in modo da evitare un'eventuale caduta dovuta alla mancanza di forze. Chiusa la porta scricchiolante alle sue spalle, la donna osservò il figlio con sguardo velatamente preoccupato.
Il ragazzo solitamente si sforzava, nonostante sfinito, di apparire sereno e gioioso ma stavolta qualcosa era diverso: suo figlio neanche aveva provato a mentirle. "Eren, che succede?" gli chiese, mentre trangugidava con sete un bicchiere d'acqua. Egli ignorò quella domanda e neanche si voltò per guardala in volto. Ciò non poté altro che mettere in allarme sua madre che, momentaneamente, decise di lasciarlo in pace.
Lo condusse nella sua vecchia stanza rimasta intoccata, aiutandolo a stendersi tra quelle lenzuola che profumavano di lavanda, infanzia e ricordi spensierati. Fu un vero toccasana per Eren beneficiarsi della freschezza di tali candidi panneggi. 
Carla, dopo aver rimboccato le coperte al figlio, gli posò un materno bacio sulla fronte e sul volto del ragazzo si formò un lieve e sereno sorriso. Avrebbe dormito davvero bene, per quella notte.


Un caldo raggio solare penetrò dalle finestre, la sua luce attutita dal tendaggio in stoffa preventivamente posto da sua madre.
Lentamente aprì gli occhi, osservando la sua camera: sembrava che il tempo si fosse fermato, lì dentro. Sollevò un braccio verso l'alto, studiò le sue lunghe e consumate dita. Rimembrò quanto era bello avere la certezza di un posto in cui tornare, entrare nella sua dimora assaporando l'odore dello stufato appena cotto da sua madre e trovare lei in piedi, col sorriso che gli scaldava il cuore ed il mestolo tra le mani, mentre girava gli ingredienti immersi nella pentola in rame dalla quale usciva un caldo vapore ed un ottimo profumo. 

Strinse la mano in un pugno fino a quando sentì le vene tirare e le unghie imprimersi nei palmi. Alzò lentamente il busto, scostando il lenzuolo.
Scacciò via quei ricordi dalla sua mente. La consapevolezza del presente gli piombò sulle spalle, con violenza inaudita. 
Con urgenza fuggì dalla sua camera e trovò Carla sorseggiare una tazza di latte fresco. Le schioccò un bacio sulla guancia in fretta. 
"Non fai colazione?" chiese apprensiva. "No, mamma, meglio che vada ora".
E non ci fu da aggiunger altro. Una tacita paura mista ad urgenza aleggiava fra le due figure. 

Con passi svelti si diresse verso l'uscita, riservò un'occhiata di silenzioso saluto in direzione di sua madre, richiuse la porta alle sue spalle e si precipitò nel vicolo mentre i raggi della prima alba gli illuminarono il volto.


-Qualche giorno dopo, Via de'Martelli


Con sapienza stese l'ultima vigorosa pennellata di quella tela. Era davvero soddisfatto: probabilmente avrebbe venduto quell'opera a qualche ossessionato da sfondi notturni ed atmosfere tetre. Il problema rimaneva saper dove cercare e stanare il diretto interessato.
Aveva una certa fretta: dal ricavato dipendeva il suo sostentamento per probabilmente l'intero prossimo mese. Era insolito che un artista lavorasse senza una commissione precisa ma non era la prima volta che Eren, avventatamente, lo faceva. E non se ne pentiva. Era il suo modo di gettare le sue emozioni su una tela inizialmente illibata. 

Una luna bianca e di sostanza eterea e perfetta si stagliava in contrasto con l'oscurità blu della notte mentre sagome indistinte di latifoglie avvolte dal buio erano rappresentate in basso. Nubi misteriose aleggiavano nel cielo, appena percettibili. 
Il ragazzo pensò che mancasse ancora qualche tocco di luce e pensò su quali punti imprimerla. Stabiliti questi ultimi, si voltò per servirsi delle tempere e per poco non fece arretrare la sua schiena dallo spavento con il rischio di far rovinosamente precipitare il suo operato ancora fresco sul pavimento. 

"Ti ho fatto spaventare? Non era mia intenzione". Un uomo era in piedi a pochi passi da lui ed Eren cacciò fuori tutta l'aria che nei polmoni aveva trattenuto al fine di non muoversi troppo ed evitare disgrazie di qualunque tipo. Si ricompose. 
"Signore, sia meno silenzioso la prossima volta". Il suo interlocutore lo fulminò istantaneamente. 
"Ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo, moccioso". A quell'aggettivo il ragazzo portò una mano alla nuca, strofinandola. Dalla sua bocca fuoriuscì una risata nervosa. Levi osservò il dipinto, una mano sotto il mento. 

"È insolito". Sul volto del ragazzo si fece largo un timido sorriso, silenziosamente consapevole. La sua mano continuava a grattare il collo. 
"Perché lo descrive a questo modo?" il ragazzo intinse il pennello nella tempera blu notte, si girò verso il cavalletto ed oscurò ancor di più gli angoli della tela. "Non ho mai visto un quadro che avesse come soggetto la Luna". Un sorriso soddisfatto spuntò sul viso del giovane. 
"Nessuno mi ha ordinato questo dipinto. È solo frutto delle mie strambe idee" Un bagliore intenso animò le pupille grigie del più grande.

'Interessante', pensò. 
Osservò il volto del ragazzo soggetto a pura concentrazione: gli occhi scattanti analizzavano velocemente ciò che avevano davanti mentre la mano, ferma, teneva tra le dita il pennello e dettava ad esso ordini con minuzia, decidendo con sicurezza dove andare a stendere il colore. 
Scorgendo il suo viso, Levi poté notare le labbra impercettibilmente morse dai denti e i capelli leggermente unti, particolare che solitamente disgustava l'uomo. Ciò che lo incuriosirono più di tutto furono le due profonde occhiaie che solcavano il volto del giovane, marcate a fondo. 

"Mi chiedo se qualcuno sarà davvero interessato ad acquistarlo. Ho abbastanza tele compiute e rimaste a prender polvere". 
Al pronunciare quelle parole, il volto del ragazzo rimase oltremodo sereno. "Non mi meraviglierei se quest'ultimo seguisse i passi dei suoi precettori". 

Levi si ritrovò ad immaginarsi ad ogni tipo di quadro a cui quel ragazzo poteva aver dato vita. In cuor suo si accese il silenzioso desiderio di poterli un giorno ammirare. Tutto ciò che avrebbe voluto fare sarebbe stato gustarsi la vera essenza di un'anima giovane e travolta dalla passione, passione realmente palpabile in Eren. 
Levi rimase, come di consuetudine, impassibile. 

"Le piace questo posto?" la domanda del ragazzo fu inaspettata per l'uomo che si ritrovò a dover pesare le sue parole prima di dar loro voce. 
"Approvo ogni cosa che riguardi l'arte". 
"Io l'unica cosa che non approvo di essa è il fatto di rimaner vincolati a icone e temi ripetitivi, ciò che un vero artista auspica è la libertà di potersi esprimere e concretizzare i propri sentimenti ed emozioni. Od almeno, ciò è a cui io auspico". 
Levi capì cosa egli intendeva e, segreta mente, si trovò in accordo con le sue parole. 
"Dunque ciò che fai è considerarti un artista". Il giovane sussultò, l'uomo voleva metterlo alla prova. 
"Non intendevo definirmi tale!" rispose con rapidità, rimanendo umile. 
"Definire è limitare". Quello di Levi fu poco più di un sussulto. Il ragazzo annuì, seppur poco confuso. Non comprendeva a pieno le parole dell'altro. Egli, restando col polso leggero, picchiettò di un grigio perlato i crateri del satellite in realtà non etereo. Aldilà dei sogni, nulla nasceva perfetto. 

"Queste sono frasi che attribuirei ad un perfetto aristocratico". 
"Moccioso, se non ne capisci il senso, non vuol dire che si tratti delle parole prive di senso che quella gente è abituata a pronunciare".
Dal tono che l'uomo aveva assunto, traspariva un impercettibile disprezzo. Per quel poco che gli fu possibile, il ragazzo lo colse. 
"Ora capisco perché non vuole che la chiami Signore". Un ghigno leggero prese forma sul volto dell'uomo. Il ragazzo prese coraggio. "A quale classe sociale appartiene?" 
"Non ti è dato saperlo, ragazzino". 
Alla risposta fredda, Eren non si scoraggiò. "Mi sembra discretamente vestito. Potrebbe essere uno di quei ricchi che lei disprezza, oppure potrebbe trattarsi di una copertura".
 
Il giovane rise allo sguardo fulminante dell'altro. Tutto sommato quest'ultimo si sentì terribilmente attratto dalla sfacciataggine istintiva di Eren: era uno senza peli sulla lingua e di certo, come l'uomo aveva appreso, non pensava due volte prima di parlare. Così ingenuo, così genuino che gli veniva quasi voglia di sporcarlo. 
Levi repentinamente chiuse quell'angolo della sua mente ed evitò di chiedersi la ragione di questi suoi pensieri.
Li accantonò in un luogo remoto ed in cuor suo sperò non di non più doverli riesaminarli.


-Palazzo Ackerman, Largo fratelli Alinari


Levi lesse gli ultimi documenti poggiati sulla sua scrivania laccata, analizzando come al meglio agire in quell'operazione commerciale e non. Arrivò alla conclusione che avrebbe consigliato suo padre ciò che già aveva concluso prima di aver esaminato quelle inutili scartoffie. Ne andava di mezzo il suo futuro, era questa la ragione per la quale doveva per forza aver voce in capitolo. Non avrebbe lasciato decidere suo padre anche i più piccoli dettagli, sapeva già cosa gli spettava e lo accettava ma non voleva che tutto gli venisse dettato per filo e per segno da un'autorità che egli non poteva ancora neanche provare a contrastare. 
I suoi occhi velocemente percorsero le ultime due righe di quella pagina ricolma di formalità. Sentì la testa svuotarsi e le sue pupille fulminee scattarono su altri tipi di documenti alla sua sinistra. Prese tra le sue mani quelle pergamene ricolme di schizzi artistici raffiguranti edifici: riconobbe in vari schizzi i costoloni imponenti di Santa Maria del Fiore e la magnificenza della Sagrestia Vecchia. 

Aveva segretamente recuperato quegli stralci di bellezza dall'archivio impolverato di sua madre e ne era rimasto profondamente colpito. Su un lembo di tela si stendevano colori che magnificamente raffiguravano un paesaggio quasi irreale: un'immensa distesa d'acqua profonda color verde si stagliava su un cielo azzurro dalle striature dorate. 

Inconsciamente la sua mente paragonò quello spettacolo alle pupille del ragazzo conosciuto per puro volere del fato ed allo stesso modo si ritrovò a pensare dell'opera davanti a lui non più come rappresentazione di un contesto naturale ma come concretizzazione stessa degli occhi eccezionali del giovane. 

Sentì una mano bussare pesante alla porta del suo studio e, prima di invitare ad entrare chiunque dietro di essa si celasse, aprì un cassetto e vi ripose ciò che le sue dita affusolate pochi attimi prima trattenevano con cura. 
La porta scricchiolò e la figura composta di suo padre fece capolino da essa. Con passo calcolato si diresse verso la sua scrivania e si accomodò su una delle sedute in pelle rossa poste difronte ad essa. 

"Figlio" pronunciò, con voce autoritaria "mi auguro che tu abbia letto ciò che ti ho consegnato". Gli occhi di Levi lo fissarono, inespressivi. 
"Sì, ho fatto ciò che mi ha ordinato" disse, dal suo tono non era possibile determinare se nelle sue parole fosse contenuta qualsiasi forma di astio. 
"Molto bene" sul volto dell'uomo si andò formando un ghigno soddisfatto. "Mi auguro che tu sia d'accordo con tutti i punti in esso contenuti". 
Quella non era una frase dettata da interesse nei confronti di suo figlio. Levi lo sapeva bene. Era una semplice proposizione che ambiguamente limitava ogni diritto del più giovane ad esprimere un qualsiasi suo pensiero o riflessione. Egli, ugualmente disse: "La soluzione proposta da lei mi sembra estrema". Lo sguardo dell'uomo si fece più affilato solo per il tentativo di suo figlio nell'affermare una propria opinione. "Non posso negare però gli ingenti profitti che la nostra famiglia, me compreso, potrebbe trarre da questa azione".
 
Il ghigno ricomparve sul volto dell'uomo, viscido. "Molto bene figliolo, vedo che hai capito".
 
Si alzò e arrestò i suoi passi in corrispondenza dell'ingresso. Fissando dinanzi a sé, egli enunciò, freddo: "Fisserò la data a debita distanza".
Aprì l'anta lignea e la richiuse alle proprie spalle in un tonfo sordo. 
Quel tono non ammetteva repliche e Levi non aveva la minima intenzione di formularle.


-Qualche giorno dopo


I suoi occhi si soffermarono su alcune figure da lui conosciute intente a parlottare fra loro, attivamente interessate a ciò che impegnava il loro tempo. Del grande tavolo di legno buona parte della superficie era occupata da un enorme foglio per metà immacolato e per l'altra colmo di schizzi ed idee che prendevano forma. La grande stanza del retro bottega era più movimentata del solito, pensò il ragazzo. 

"Ciao, Eren!" udì all'improvviso questo, voltandosi verso il suo interlocutore. Leonardo gli sorrideva, amichevole. "Ciao, Leo!" 
"Era da tanto che non ci si incontrava, da queste parti." 
"Non posso darti torto. È quasi una settimana che non metto piede qui dentro". Un amaro sorriso fece capolino sulle sue labbra. L'altro, accorgendosene, fu abile nello sviare l'argomento. 
"Qui siamo tutti indaffarati. Datti da fare anche tu, fannullone!" disse, con tono sornione, posando amichevolmente una mano sulla spalla del ragazzo. 
"Che si combina, qui?" 
"Abbiamo ricevuto una nuova commissione da Filippo Strozzi. Si tratta di un dipinto impegnativo al fine di celebrare l'inaugurazione del suo palazzo." 
Conosciuti i dettagli, Eren non se lo fece ripetere due volte e si mise all'opera mentre una miriade di idee balenavano nella sua testa.


-Circa due settimane dopo


Il giovane guardò soddisfatto il disegno preparatorio da lui ideato: alla fine la sua creatività aveva sbaragliato la concorrenza ed il maestro aveva affidato lui il compito di occuparsi dei principali aspetti dell'opera. 
Ad affiancarlo nell'impresa vi erano principalmente due ragazzi mentre altri ricoprivano ruoli dalla minore importanza. Il disegno si apprestava perfettamente al voler enfatizzare la ricchezza e l'influenza della famiglia Strozzi sulla cerchia fiorentina: sulla sommità Zeus era posto tra nubi dorate che contrastavano con lo sfondo azzurro e celeste e il suo viso riproponeva le fattezze dello stesso committente. Con le braccia spalancate ed una mano che impugnava scattanti saette, la sua figura imponente torreggiava su tutte le altre: a simboleggiare il contesto prevalentemente metafisico dove vigevano colori sfumati ed irreali vi erano posti numerosi Dei i quali, scossi, poggiavano i loro piedi sulla Terra come se fosse la prima volta. Su di essa Dionisio andava diffondendo tutto ciò che era capace di stordire i sensi umani, egli teneva intrecciati ai suoi riccioli castani interi grappoli d'uva dei più vari colori e con una mano reggeva un calice di vino.
Afrodite sua complice, sensuale, mostrava i propri seni senza vergogna alcuna ed un lungo panneggio le ricopriva le gambe. Il suo capo era coperto da rami di mirto. Ares col suo scudo poggiato sul ginocchio, aveva il capo protetto da un importante elmo. Ade, trafitto da un fulmine, riversava a terra, in ginocchio. Il suo volto era una velata allusione al capostipite dei Medici, famiglia per tradizione schierata contro gli Strozzi. 

All'estrema sinistra del disegno vi era Apollo, rappresentato di profilo, le sue dita sfioravano leggere le corde della lira poggiata sulle sue gambe sottili ma al contempo muscolose. I capelli corvini contrastavano con la pelle diafana, lo sguardo che sembrava perso in realtà era completamente rapito dalle note paradisiache della sua melodia. Il suo naso leggermente all'insù gli conferiva un carattere tutto personale mentre ciocche d'ebano gli ricadevano sugli occhi, quasi a volerli completamente oscurare e la sua fisicità era coperta da un velo leggero. 

L'artista riconobbe in quella figura il riflesso di qualcuno che gli pareva famigliare. Vide quell'uomo basso e misterioso che quasi tre settimane prima era piombato in quel luogo come un fulmine a ciel sereno. Negli ultimi tempi, il giovane era più produttivo del solito ma non si fece problemi e non si domandò il motivo di ciò. Inconsapevolmente, ogni volta che qualcuno varcava la soglia del bilocale, per una frazione di secondo e senza che il suo cervello gli dettasse nulla, Eren sperava di riconoscere dei capelli scuri, l'atteggiamento impassibile e la pelle chiara. 

Puntualmente, ogni volta, la sua aspettativa veniva delusa prima ancora che nascesse. Mettendo da parte quella strana sensazione all'altezza del petto, si focalizzò sul da farsi, come faceva da giorni.


-Largo fratelli Alinari, ore 16:56


Si lasciò sfuggire un sospiro dalle labbra, esausto. Ripose l'ultimo documento sull'altissima pila e rovesciò il capo all'indietro, stropicciandosi gli occhi: non riposava decentemente da troppo tempo e le evidenti occhiaie sotto i suoi occhi ne erano un'inconfutabile testimonianza. Rilassò momentaneamente i muscoli delle sue spalle, poggiati al soffice schienale in pelle. 
Tanti erano stati i giorni impegnati da quelle questioni fastidiose: tutte formalità inutili, scartoffie che neanche i diretti interessati avrebbero letto. Per Levi, quelle erano semplici pratiche di lavoro, niente di più, niente di meno, ma la questione era troppo importante per essere presa con superficialità e ciò non rientrava affatto nel suo modo di fare. 
L'odore di pulito del suo studio, seppur gradevole, stava iniziando seriamente a nausearlo. Erano segnali silenziosi del suo organismo: aveva bisogno di una boccata d'aria fresca. 
Riservò un'ultima occhiata ai documenti. Avrebbe potuto incenerirli con il solo sguardo, tuttavia, non ci badò per troppi istanti. 

L'idea di passeggiare nelle vie della città lo allettava ed ogni pensiero sgradevole veniva posto in un angolo lontano della sua mente. Sentiva la necessità di circondarsi delle bellezze fiorentine, come in astinenza da esse. Sentiva già i polmoni ritornare a respirare. Dormire non era il suo bisogno primario, al momento. Se si fosse rintanato nella sua camera vi ci sarebbe sprofondato con tutti i suoi pensieri tormentevoli e notturni. Doveva assolutamente svuotare la sua mente. 

Si alzò e con passo calcolato uscì dallo studio, richiudendo la porta alle sue spalle, lentamente. Senza avvisare qualcuno, si ritrovò nelle strade di Firenze. Allontanatosi dalla sua dimora, i suoi polmoni si riempirono e gli sembrò di ritornare in superficie dopo lunghe ore di apnea. La testa leggera ed il clima mite furono stranamente sufficienti a renderlo di un celato buon umore. 
Percorse ogni via che conosceva assaporando ciascuna di esse nei più piccoli dettagli. I suoi occhi si bearono di tali meraviglie, corsero per ogni angolo, studiarono ogni palazzo, ogni loro più piccola decorazione, ogni più superfluo carattere che rendeva unico ogni edificio. 

Le strade non erano troppo affollate quel giorno, nonostante fossero appena le ore diciassette. 
Con animo sinceramente disgustato, l'uomo guardò un gruppo di uomini ubriachi marci sull'uscio di una taverna da quattro soldi. Questi, letteralmente riversati su sgabelli, si grattavano lo stomaco con fare disinteressato mentre davano aria alla bocca, parlando a vanvera di ogni cosa passasse per il loro cervello confuso e in mano alle scie dell'alcol. 

Alzavano i loro calici tutti assieme e brindavano alla prosperità futura della città. Levi si sentì oltraggiato: non sapevano neanche da cosa dipendesse quella prosperità alla quale tanto ambivano. I suoi pensieri veloci corsero ai documenti sulla sua scrivania ed una fitta lancinante gli attraversò il capo da una tempia all'altra. Quella gente ignorante non sapeva neanche come ci si doveva insozzare le mani di sporco per garantire quella stessa prosperità. E Levi, era un dato di fatto, odiava lo sporco. 

Nuovamente, raccattò tutta la negatività in un lontano archivio del suo intelletto. L'uomo amava poter avere il controllo delle proprie emozioni e delle proprie azioni, ponendole su un piano completamente razionale così da evitare sgradevoli conseguenze. 
Se c'era una cosa per la quale era più di tutte le altre grato a suo padre, era avergli insegnato tutto questo. 

Con braccia conserte e la giacca poggiata sulle spalle, l'uomo continuò il suo tragitto senza aver meta precisa. Era solito far passeggiate del genere al fine di sentire la testa meno pesante e permettere alle sue membra di rilassarsi quel poco che avrebbe permesso la sopravvivenza. Spesso e volentieri l'ambiente famigliare sapeva essere opprimente. 

Si ritrovò ad esaminare alcuni inusuali mosaici dorati incastonati in un importante portone. Si domandò come fossero arrivati lì e si chiese se forse la loro provenienza fosse orientale. Si sarebbe volentieri documentato al riguardo. 

Arrivato in Via de'Martelli, uno strano calore di espanse all'altezza del suo petto mentre da lontano scrutava l'ingresso di un luogo nel quale era bastato mettere piede due sole volte per permettere che s'insinuasse pericolosamente tra i suoi pensieri giornalieri e non. La tenda bianco sporco era la stessa di tre settimane prima, pensò. Probabilmente, era la stessa degli anni precedenti. Un moto di disgusto accompagnato da una sorta di intimità per esser partecipe al corso dell'esistenza del tendaggio stesso si fece strada in lui. Pareva un dettaglio così di poco conto. 
Cercando di sfiorarlo il meno possibile, lo scostò e una fioca luce proveniente dalle due lanterne poste nella stanza lo illuminò in viso. 

"Salve, Levi!" Leonardo, caloroso, lo salutò non appena varcò la soglia. "Non pensavo saresti tornato in questo posto", l'uomo gli sorrise benevolo, aveva una certa simpatia per quel giovane uomo col quale aveva avuto un curioso dialogo settimane prima. Era come se ogni fibra di lui volesse fortemente che Levi manifestasse le proprie emozioni difronte all'arte e Leonardo era realmente intenzionato a raggiungere il suo scopo. 
"Cosa ti porta qui?" legittima fu la domanda. 
"Semplice curiosità: passavo per caso" in parte, quella di Levi non era che la verità. C'erano più motivi ad averlo spinto a varcare l'ingresso. A Leonardo le persone curiose piacevano. 

"Seguimi nell'altra stanza, ho da mostrarti un nuovo progetto." 
Il più giovane fece come gli fu chiesto mentre un moto di interesse lo attraversò. Ciò che si stagliò prepotentemente dinanzi a lui lo lasciò stupefatto: si trattava di un'immensa tavola con un tanto grande disegno preparatorio. Questi affascinavano tantissimo Levi: erano di per sé un'opera prima che l'opera stessa venisse compiuta. Incredibile.
Leonardo mostrò soddisfazione sul suo volto, nonostante l'espressione dell'altro rimase ferma così come il suo sguardo, in seguito questo vagò per tutta l'ampia superficie. 'Magnifico', pensò.
Dopo aver esaminato al meglio ciò che aveva davanti, la sua attenzione ricadde sul gruppo stanziatosi sul tavolo ligneo che prevedibilmente si stava occupando di quella stessa commissione. Discutevano tranquillamente tra loro. 

Una figura catturò le iridi grigie di Levi. Alle sue, si incatenarono due paia verdi e azzurre, dalle striature dorate. Queste ultime sgranarono, intense. I pensieri in quei occhi presero una loro forma e vi si rifletterono. A studiarli erano altri occhi, incisivi e calcolatori. Il ragazzo rimase interdetto. 

"A seguire questa commissione è un mio ragazzo. Te lo presento" disse Leonardo "il suo nome è Eren". 
Il giovane rimase ad osservare. Trovatosi davanti Levi, tutto ciò che riuscì a farfugliare, fu un semplice "Piacere".
 
Si strinsero la mano ed Eren sentì un brivido attraversarlo fin dentro le viscere. "È mio", sul volto dell'uomo andò prendendo forma il solito atteggiamento provocatorio. 

Fu come se si fossero presentati per la prima volta.


-Qualche ora dopo


Levi richiuse la porta alle sue spalle e, adagiato il cappotto sulla poltrona, si sedette sul materasso e lentamente vi si stese. I suoi occhi erano fissi sul soffitto mentre la sua mente correva lontano, inarrestabile. 
Lentamente, afferrò il pomello in argento del suo comodino e aprì il cassetto. Le sue mani afferrarono qualcosa in particolare: si trattava dello schizzo esaminato per la prima volta molte settimane prima, l'acquerello che sua madre gli aveva consegnato. 

La tela era ruvida al tatto. Le sue dita la trattarono con riguardo. La sua mente, rapida, paragonò ciò che aveva davanti a delle iridi conosciute. Ripensò al viso del ragazzo dopo averlo rivisto in seguito a poco più di tre settimane. Nella sua mente riprese perfettamente forma il volto sgomento di Eren. 
Ciò che lo irrequietò fu l'atteggiamento di distacco che il giovane aveva assunto improvvisamente nei suoi confronti: si concentrava in ogni dettaglio dell'opera da modificare, parlava autoritario ai suoi sottoposti ma soprattutto faceva il possibile per evitare il suo pesante sguardo nonostante l'uomo era ben consapevole del fatto che il ragazzo sapeva che l'altro lo stesse guardando.
Una sola domanda di fece prepotentemente largo nella mente dell'uomo. Non riusciva a capirne il motivo. Decise di cancellare ogni avvenimento dal suo subconscio: era una necessità, non una scelta. 
Di quelle, non ne aveva poi molte: avrebbe dovuto, per il suo bene, eseguire gli ordini di suo padre. 

Nel giro di qualche mese, avrebbe avuto una fede al dito.




~~~~~~~
La bomba è stata sganciata. Ops... 
Spero che nessun personaggi vi risulti troppo OC. Se vi sembra che sia così, non esitate a scriverlo. 
(Forse qualcuno avrà fatto caso al riferimento non troppo velato ad Oscar Wilde, non ho resistito!) 
Ed ora la suspance aumenta, o almeno è quello per cui prego ahahaha
Nulla da aggiungere! 
Grazie a chi è arrivato fin qui!~



comewhatmay

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cielo limpido ***


 Capitolo III
-Cielo limpido-
 
 I raggi solari picchiettavano con leggerezza sul corpo giovane di Eren. 
Steso sulla fresca erba verde, usufruiva dell'ombra proiettata dall'enorme albero accanto a lui per proteggersi il volto. Con un braccio posto al di sotto del capo, guardò il cielo: era limpido e non vi era nuvola ad opprimerlo. La rugiada gli inumidiva le mani e le cicale intonavano il loro canto campagnolo. 

Quello era il posto in cui amava crogiolarsi quando la testa si colmava di pensieri. Solo Leonardo era al corrente sul dove amasse rintanarsi in solitudine, lontano.  

Senza che fosse il suo cervello a dettarglielo, i suoi pensieri mirarono al soggetto principale della sua confusione. Non comprendeva: aver visto quell'uomo misterioso, dagli occhi glaciali, dopo un lungo lasso di tempo, lo aveva destabilizzato. Aveva avvertito le gambe farsi molli e lo stomaco contorcersi su se stesso in una sadica danza che metteva a dura prova il suo bisogno di vomitare.  Non aveva mai provato qualcosa di così strano, non riusciva a definirlo. Allo stesso modo non capiva il motivo di tali sensazioni. Era sotto quello stesso cielo che anch'egli, Levi, si trovava. 

Lentamente, sollevò il busto e scrutò l'orizzonte. Immensa era la distesa verde che correva sotto di lui e sotto quello squarcio di cielo stesso.  Piantati bene i piedi nel terreno, si alzò.  L'infondato pensiero che probabilmente sarebbe tornato in quello stesso posto presto gli balenò in testa, rapido.


-Palazzo Ackerman, Largo fratelli Alinari


Levi lasciò sfuggire un sospiro affaticato dalle sue labbra. 
Era un periodo discretamente stressante: pratiche da leggere e moduli da compilare. Il da farsi ed il lavoro, certamente, non mancavano. Come assistente di suo padre, gli toccava calcolare il guadagno di ogni azione e seguire ognuna per filo e per segno al fine di ritrovarsi preparato quando la professione di mercante sarebbe diventata del tutto sua.
Nonostante l'ingente quantità di mansioni da svolgere, il suo lavoro per quella giornata era appena terminato.  

Se c'era una cosa che Levi amava fare nel tempo libero, oltre che passeggiare, era recarsi in biblioteca ed accerchiarsi di libri colmi di informazioni che mano a mano avrebbe fatto sue. La curiosità era certamente qualcosa da cui non poteva scindersi ed egli sentiva l'impellente bisogno di appagarla. Nel suo immaginario presero forma i mosaici dorati visti settimane prima su un portone dalla forgia catalana e decise che era ora di documentarsene e metter a tacere il senso di curiosità che lo attanagliava da quando li aveva scorti. 
Ricollegò inconsciamente quello stesso giorno all'ultima volta in cui aveva messo piede in bottega. Scacciò velocemente quel luogo dalla sua mente, consapevole del fatto che se non l'avesse fatto, quel luogo si sarebbe infiltrato pericolosamente fra i suoi pensieri.

Di suo padre, nemmeno l'ombra: aveva via libera e si sentì in dovere di approfittarne.  Scese adagio le scale in marmo bianco con venature verdastre della sua dimora mentre il volto veniva illuminato dai tiepidi raggi solari attenuati dal grande finestrone variopinto posto in alto. I colori cangianti delle vetrate dallo stampo gotico si riflettevano con un contrasto netto sulla sua pelle candida. 
I suoi passi riecheggiavano nell'atrio, allo stesso modo vi rimbombò il tonfo del pesante portone ligneo quando l'uomo lo richiuse alle sue spalle.  
La luce tornò ad illuminargli i lineamenti, stavolta direttamente, senza esser filtrata da alcunché.

Si incamminò. Il Sole era alto per esser tardo pomeriggio ed illuminava anche i più solitamente bui vicoletti. Percorse quelle strade conosciute con più fretta del solito: prima sarebbe arrivato alla sua meta, più tempo avrebbe avuto per consultare ciò che gli interessava. 
Dopo poco più che una cinquantina di metri, girò a sinistra e tirò diritto fino alla traversata di Sant'Antonino, proseguendo. Giunse alla sua destinazione ed arrestò quindi i suoi passi.

Una serie di archi percorreva la facciata dell'edificio e l'uomo ammirò come ognuno di essi rispettasse i canoni classici di armonia e proporzione. Si ritrovò ad essere sopraffatto dalla bellezza nel vestibolo, appena vi mise piede. L'ambiente che precedeva la vera e propria biblioteca era una poesia di contrasti tra il nero ed il bianco in una battaglia fatta di contrapposizioni bilanciate. Colonne binate incassate nella muratura erano sormontate da paraste alle quali si alternavano immensi finestroni ciechi in un gioco che ipnotizzava lo sguardo di Levi. 
L'imponente scalinata realizzata da Michelangelo Buonarroti si riversava nello spazio rettangolare, alludendo a lava vulcanica colante sfociante in tre vie.
Con leggerezza l'uomo percorse ogni singolo gradino di quella centrale, beandosi del fatto che il chiacchierar di sottofondo andasse sempre più sfumando mano a mano che egli si avvicinava alla soglia della biblioteca. 
Osservò il pavimento caratterizzato da intarsi modulari ottenuti grazie al contrasto tra due diverse pietre srotolarsi sotto le sue scarpe lucide. Lesene e finestre ritmavano le pareti.
L'imponente soffitto in legno composto da lacunari rendeva l'ambiente serio ed allo stesso tempo intimo: la lettura era qualcosa che, secondo Levi, riguardava chi leggeva ed il libro stesso. Nessuno poteva frapporsi fra i due. 

L'ambiente rettangolare era riempito da banchi e sedili divisi in due file. I tavoli in legno erano dotati di una superficie sollevabile ed era in essi che i libri, classificati secondo l'ordine alfabetico, erano posti. Andò alla ricerca del banco al quale era stata assegnata la lettera M. Il luogo era quella sera discretamente affollato, la stanza avvolta dal consuetudinale silenzio bibliotecario. Leggendo le lettere incise sulla superficie di ciascun bancone, Levi arrestò i suoi passi in corrispondenza di ciò di cui aveva bisogno.
Era il bancone adibito alla lettera M.
L'uomo si sedette, facendo meno rumore possibile. Quasi sprofondò nel soffice rivestimento in pelle delle panche. Appoggiò una mano al di sotto della superficie lignea e tentò di sollevarla. Non ci provò a lungo: una leggera pressione glielo impediva. Solo allora si accorse che in fondo alla sua stessa seduta vi era una figura con i gomiti poggiati sgarbatamente sul bancone. 

Con una mano ella reggeva la sua testa, il peso del corpo spostato a destra. Levi non riusciva a vedere il suo volto, nascosto da un palmo. Fu per un attimo che quelle stesse mani gli apparvero tremendamente famigliari mentre la carnagione di quell'essere lo sfidava a tirar a indovinare. 
Levi osservò meglio i capelli di colui che gli sedeva più o meno vicino: anche quelli gli sembrarono pericolosamente famigliari. 
Una probabilità si pose nel subconscio dell'uomo ma egli fece finta che in esso non fosse mai apparsa. Fu allora che quella stessa figura, come a voler volutamente scacciare ogni ombra di dubbio dalla mente dell'uomo e a confermare quella probabilità silenziosa, raddrizzò la schiena e scostò la mano dal suo volto. In questo modo, Levi fu possibilitato nel studiare il profilo del ragazzo. Le vene sul collo che pulsavano vive, il pomo d'Adamo visibile, la mascella delicata ma al contempo virile, le labbra piene, il naso perfetto e le iridi color turchese appena visibili furono la conferma dei pensieri di Levi: il ragazzo accanto a lui non era un ragazzo qualunque.

L'uomo si prese qualche secondo per ammirarlo e fu la prima volta che egli riconobbe, senza troppi convenevoli, la bellezza rara che risiedeva in Eren. Era una bellezza estremamente ingenua ma terribilmente accattivante.
Levi decise di avvicinarsi, silenzioso. 
Concentrato com'era, Eren non aveva neanche avuto modo di notare la sua presenza.  
L'uomo sbirciò ciò che il ragazzo stava facendo: ammaliato, egli osservava mani snodarsi nelle più svariate posizioni e disegnate con le più variegate matite. Eren voltò la pagina mirando a quella successiva.
Nel compiere l'azione, l'odore piacevole della carta delle pagine del libro misto a quello vellutato del ragazzo invase le narici di Levi, mandando in tilt i suoi fattori cognitivi. Si sentì leggero, durò un attimo. La razionalità prese il sopravvento. 

Eren”.
 
Il suo fu un sussurro leggero, ciononostante il ragazzo sobbalzò e spostò repentinamente il busto di lato. Le sue gote presero colore. 
“Se continua così, morirò giovane". Fu oltremodo divertito il suo tono. Un angolo delle labbra dell'uomo si sollevò.
“Forse oggi, a differenza dell'altra volta, era mia intenzione spaventarti". A quelle parole, Eren si lasciò sfuggire un sospiro fintamente scocciato. 
“Se lei si diverte a sbucare quando meno io me lo aspetti tra lunghi intervalli di tempo e a farmi agitare ogni volta, buon per lei”. 
Appena pronunciate quelle parole, il ragazzo si rese conto di essersene fatta scappare qualcuna di troppo. Da esse traspariva qualcosa che impietosiva persino Eren stesso. Suonava quasi patetico. Era un vero idiota. 
Levi non lasciò sfuggire l'occasione di cogliere ciò che l'altro voleva invece che non captasse.

Ciononostante, l'uomo rimase in silenzio, scrutando l'altro intento a cercare di focalizzarsi invano sul libro che aveva dinanzi. I suoi occhi correvano veloci guardando tutto senza mai davvero osservare qualcosa. Eren stava cercando di evitare qualsiasi discorso troppo imbarazzante che magari sarebbe potuto scaturire dalle sue parole. 

Levi osservò come le sue sopracciglia fossero corrugate e il suo volto fosse tirato, in un'espressione intrisa di disagio.  
“Mani?” 
Alla domanda posta, il ragazzo in cuor suo tirò un sospiro di sollievo.  “Sì”.
Era assurdo: Eren si stava sforzando di contenere quel fiume di parole che spingevano per esser pronunciate, nonostante si era ripromesso di non prender confidenza con Levi a cuor troppo leggero. 
Da moccioso qual era, voleva tener il muso per una ragione stupida. Levi non aveva di certo l'obbligo o il bisogno di giustificare la sua assenza dalla bottega. Non era mica un bambino. Eren voleva mantenere un atteggiamento non troppo confidenziale. 
E non ci riusciva.

“Non mi riescono molto bene nei disegni dal vero e devo rimediare: le mani possono rappresentare un elemento molto espressivo”.
Levi ascoltava, realmente interessato ed allo stesso tempo distratto dal bagliore che si era acceso in quelle iridi profonde.  
“Non posso che trovarmi d'accordo”; l'uomo pose una mano sotto il mento a reggere il capo mentre l'altra correva furtiva sulla superficie del bancone. Si ritrovò silenziosamente a pochi centimetri da quella abile di Eren, poggiata vicino al libro, pronta a sfogliarne le pagine. Il ragazzo non potè evitare che la sua attenzione ricadesse sul fatto che bastasse davvero poco per sfiorare la mano candida dell'altro, dopo aver avvertito un tepore confortante provenire dal corpo non troppo lontano del suo interlocutore. 
Dovette destare il suo cervello al fine di mantenere una qualsiasi forma di contegno.  

“Non posso affermare però che le mani siano per me la parte più espressiva degli esseri umani". Eren distolse lo sguardo dalle loro mani molto vicine ma al contempo troppo lontane e volse il suo sguardo in direzione di Levi. Trovò i suoi occhi magnetici ad attenderlo e si accorse di star trattenendo il respiro mentre un inaspettato calore lo attraversava nelle viscere. 
“Mi sentirei poco saggio nell'esser concorde alle tue parole la seconda volta di fila. Se non lo facessi però, mentirei”. 
Era un semi-complimento celato da un insulto, quello? È ciò che Eren, almeno, interpretò. 
Le iridi grigie lo attraversarono mentre un brivido percorse interamente la sua schiena. 

“Niente è per me paragonabile all'espressività che due paia di occhi possano avere". Nonostante avesse difronte quel viso impassibile, Eren potè giurare che con la fermezza con la quale quelle parole erano state pronunciate quelle stesse parole non potessero esser contraddette. Poteva udire tutta la convinzione con la quale erano intrise.
In un riflesso involontario condizionato dai suoi pensieri, gli occhi turchesi del ragazzo si spalancarono lentamente, mentre le sue pupille si dilatarono. Dinanzi a quel tripudio di colori ed emozioni chiaramente manifestate da Eren, Levi si concesse di sentirsi segretamente compiaciuto. Era quella l'espressività alla quale aveva fatto inconsciamente riferimento poco prima. 

“Ha ragione".
Il ragazzo si impose di non pronunciare una sola parola di più al momento in quanto correva il rischio che ne uscisse un verso indecifrabile e patetico. Sentì la gola farsi arida. Tornò a tentar invano di focalizzare la sua attenzione sulle pagine che correvano sotto i suoi occhi ma in realtà ciò che stava cercando di fare era ignorare quello spiacevole nodo allo stomaco e impedire alle proprie dita di tremare scioccamente. 
Per l'amor del Cielo, era un diciannovenne, non un ragazzetto. La sua mente gli stava ripetendo la stessa frase da qualcosa come una trentina di minuti. 
Riacquistato un certo contegno prese parola, tuttavia non riuscì a sollevare il suo sguardo dal libro. 

“Parliamo di lei, adesso: cosa ci fa qui?” Legittima fu la domanda che pronunciò. 
“Il solito sfacciato".
Passarono secondi prima che Levi riprendesse parola e per l'ennesima volta il ragazzo si domandò se avesse parlato troppo. "Cercavo informazioni su un mosaico in particolare”.

Il ragazzo sollevò i gomiti dalla superficie assieme al libro che poggiò cautamente sulle proprie gambe e finalmente l'uomo poté ricercare ciò che gli interessava. Stanato dopo poco il libro sui mosaici minori presenti a Firenze, Levi lo poggiò sul bancone e prese a sfogliarne le pagine sotto gli occhi poco discreti di Eren.  
Scorsa la via, trovò in seguito il mosaico che tanto lo incuriosiva raffigurato in uno schizzo veloce. Rimase leggermente interdetto dinanzi alle scarsità di informazioni che vi erano scritte al riguardo.
Allungando un poco lo sguardo, il ragazzo riuscì a leggere il nome della via ed allora non gli fu troppo difficile capire di quale mosaico si trattasse.

“È abbastanza insolito trovare mosaici del genere su portoni, soprattutto qui a Firenze, non le pare?” 
“Mi pare chiaro, moccioso. È per togliermi ogni dubbio che son venuto qui”.
“Ma a quanto pare, la ricerca sembra piuttosto insoddisfacente…” 
Sembrò che il ragazzo non avesse finito di pronunciare le parole che nella sua testa girovagavano. Dopo aver velocemente letto quelle due righe, Levi chiuse il manuale in un tonfo sordo.
“Spiegami dove vuoi andare a parare”.
Eren portò una mano sotto il mento mentre l'altra raggiunse un angolo della copertina del libro ancora posto sulle sue gambe e cominciò a torturarlo, sovrappensiero.  
“Sa, quando ero più piccolo, ero curioso. E quel mosaico mi incuriosì esattamente allo stesso modo in cui ha incuriosito anche lei”  I suoi occhi vagarono incerti. 
“Mia madre era ed è tutt'ora una donna curiosa almeno quanto lo sono io e non perse occasione per raccontarmi la storia di quel mosaico. Era indubbiamente un qualcosa fuori dal contesto del resto di Firenze”. 

Il suo sguardo si fece lontano mentre un dolce sorriso si faceva largo sul suo viso.
 
“Lei mi disse che il mosaico proviene da Venezia, la quale lo ottenne da Costantinopoli come bottino di guerra. È un’opera dalle lontane radici storiche e, indubbiamente, orientali. Non saprei esser capace di datarla con poco margine d'errore. Le stesse profonde radici le ha la famiglia che abita in quella dimora"; Levi lo ascoltò mentre il ragazzo godeva della sua completa attenzione. 
“Fu papa Urbano III a donarlo loro in seguito ad un significativo aiuto economico da parte di quella stessa famiglia nei confronti della Chiesa. Non sono sicuro di chi abiti nell’edificio ma questo potrebbe esser forse di sua competenza”. 
L’uomo non aveva fatto troppo caso alla famiglia che vi abitava e, quando lo fece, si accorse di sapere quale fosse. Un sol cognome prese posto nel suo cervello. 

Diamine se avrebbe voluto far a meno di ricordarlo. Quella stirpe aveva ricavato ingenti profitti da quella donazione e con gli anni aveva guadagnato il controllo di buona parte della vita politica della città. Sentì la testa farsi pesante ma quella sensazione spiacevole scomparve quando Levi incontrò due paia di occhi turchesi ad attenderlo con aspettativa.

  “Non male davvero, per un moccioso”.
La mano del ragazzo non sorresse più il suo mento per andar a grattare il retro della nuca con fare imbarazzato dopo aver interpretato le parole dell’altro come un complimento. 
“In gran parte è merito di mia madre”.
 
Levi vide tutto l’affetto che per la figura materna il ragazzo nutriva balenare nelle iridi dell’altro e se ne sentì segretamente partecipe. I ricordi più gioiosi della sua infanzia riaffiorarono, facendo sì che la sua mente corresse lontano a quei giorni spensierati in cui non vi era spazio per pensar a ciò che nel futuro sarebbe accaduto. 
“Anche mia madre era una donna curiosa. Amava l’arte ed è stata lei a trasmettermi questa sua passione. Quand’ero un bambino, le piaceva mostrarmi opere, dalle più rinomate a quelle meno conosciute e descrivermi ognuna di esse coi loro significati simbolici e le loro storie. Mi è stato chiaro con il tempo che senza l’arte noi uomini saremmo assoggettati solo al dovere o alle tristi passioni passeggere”.

L’uomo si rese conto che aveva parlato più a sé stesso che al ragazzo. Non aveva pensato troppo a ciò che aveva detto. Un’ovvietà si pose per la prima volta con fin troppa nitidezza dinanzi a lui, quella stessa ovvietà che aveva subdolamente negato fino a qualche settimana fa, quando ancora egli non ammetteva qualsiasi cosa che non riguardasse il lavoro nella sua esistenza. Non sapeva che un mese dopo quella stessa negazione egli avrebbe invece riflettuto sulle sue stesse verità.
Eren lo ascoltava, silenzioso, completamente rapito. L’esporre un suo ricordo aveva fatto sì che anche l’altro lo facesse ed è per questo che non si pentì di aver mostrato una sua parte delle più intime a Levi. Lo sentiva così inspiegabilmente vicino… 
Una delle sue mani aveva smesso di torturare la copertina del libro posto sulle sue gambe e si era poggiata sulla panca, in quel piccolo spazio che si era formato tra il suo corpo e quello dell’altro.

“L’arte è qualcosa di perpetuo, di inviolabile”.
Mentre Levi pronunciava queste parole, la sua mano si adagiò sulla seduta e per una frazione di secondo, la sua e quella di Eren si sfiorarono ed il più giovane avvertì una scossa all’impercettibile contatto. Avrebbe voluto bearsi di quella sensazione molto più a lungo e a fondo: in modo perpetuo ed inviolabile. 
Eren si accorse di star divagando decisamente troppo ma non si preoccupò di arrestare quel flusso incontenibile di pensieri, pensieri alquanto ridicoli.
Rimasero così, in religioso silenzio, il più giovane esaminava ancora quegli schizzi mentre l'altro analizzava un libro appena preso.
Le loro mani poggiate sul legno liscio, così vicine. Così vicine da potersi sentire, così troppo lontane per assicurarsi che fossero reali.


-


Levi guardò oltre il vetro della finestra nella sua camera: il cielo, da esser limpido, era stato invaso per gran parte da una nube grigia con una nota carminia dovuta al rifrangersi dei raggi solari. Coi gomiti poggiati sulle ginocchia, chinò il capo, osservando la punta lucida delle sue scarpe. 
Dopo un tempo indefinito, risollevò lo sguardo e l'immensa nuvola aveva ormai occupato per tre quarti la visuale che la finestra offriva. 
Si prevedevano precipitazioni.

Era da un po' di giorni che nella sua mente balenava una malsana idea; malsana era dir poco, un'idea più che azzardata. 
Di una cosa era certo però: avrebbe voluto veramente metterla in atto, non di certo per capricci che non era nemmeno abituato a fare. Si chiese se suo padre sarebbe stato d'accordo al suo volere e palese era la risposta a quella sua stessa domanda. 
Non si sarebbe lasciato condizionare troppo facilmente.
Era ormai adulto e quasi totalmente indipendente: con il matrimonio a breve, sarebbe stato capacitato nel prendere in mano le redini della sua vita. Quasi era felice di sposarsi ma non sopportó l'idea di mentirsi a lungo. 
I fondi per ciò che aveva intenzione di realizzare non mancavano, tantomeno i contatti di cui necessitava. La passione, forse, era anche troppa ma ció non poteva esser propriamente considerato un fattore negativo.
 
Dopo le imminenti nozze, sarebbe diventato un mecenate. Ormai, era deciso. Per il suo volere... e per quello di un paio di occhi luminosi.  




~~~~~~~
Chiedo scusa a chi aspettava questo capitolo per l'imbarazzante tempo d'attesa. 
Davvero, perdonatemi. Ci tenevo a fare alcune precisazioni: la Biblioteca Laurenziana, nel 1510, non esisteva ancora in quanto fu completata molto più tardi, nel 1571. 
La parte del mosaico è stata inventata di sana pianta da me, così come la sua storia, che penso però possa essere storicamente plausibile (lo spero, in realtà) 
Fatemi sapere come avete trovato questi primi contatti tra Eren e Levi! 
Non è un capitolo troppo movimentato ma la connessione tra questi due piccoli si fa sentire! (spero) 
Il prossimo capitolo arriverá prima, promesso!


comewhatmay

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Nube rossa ***


 Capitolo IV
-Nube rossa-
 
Scorse in lontananza il tetto di quella casa e senza che nessuno avesse la possibilità di individuarlo, penetrò nel retro. Si sporse quel poco che bastava per guardare oltre il vetro della finestra, ciò che vide lo lasciò contrariato: un lungo e marrone cappotto era appeso vicino alla porta d’ingresso mentre sotto di esso, sul pavimento, era poggiata un'inconfondibile valigia in cuoio marrone, non usurata tuttavia dalle perizie subite in tutti quegli anni nei quali era stata utilizzata. Tutto questo poteva star a significare solamente una cosa: doveva trovare anche per quel giorno un altro rifugio. Ciò non solo perché non potesse varcare la soglia di casa ma soprattutto perché non aveva la benché minima intenzione di farlo. Il sol pensiero di fronteggiarsi con quell’essere che qualunque individuo avrebbe definito suo padre gli dava il voltastomaco e le sue viscere si contorcevano tant’era l’odio che risaliva lungo l'esofago senza alcun remore.
Quello stesso odio, ne era certo, si sarebbe concretizzato in parole non minimamente gentili. Un moto di fastidio si propagò per tutto il suo corpo, esplicitando le proprie intenzioni. 
 
S’incamminò, verso quale luogo non era ancor sicuro. Di una cosa era però certo: non poteva rimanere lì un secondo di più, ne andava dei suoi nervi.
I suoi passi furono svelti. Si trovò presto lontano dalla casa dei suoi genitori e dal luogo del suo presente tormento e delle sue passate gioie.
 
Arrivato in periferia, velocizzò ancor di più il suo andamento. Il sole stava silenziosamente calando, lasciando posto al buio notturno. La possibilità di esser in qualche modo infastidito da gruppi di briganti o simili non lo allettava per niente ed è per questo motivo che avrebbe fatto meglio ad affrettarsi. Di sera, il pericolo incombeva nelle strade non sorvegliate, lontano dal centro della città. Anche se sentiva un gran bisogno di tirar le mani prudergli le nocche, non aveva per nulla voglia di esser assalito da un branco di animali.
 
Si ritrovò in poco tempo fuori dalla periferia e dalle zone ritenute pericolose per il tardo orario. La luce solare era quasi del tutto esaurita mentre il cielo era coperto da una minacciosa nube rossa che s'avvicinava, silenziosa. Non prometteva nulla di buono ma era troppo tardi per trovare un altro luogo. Per quella notte, Eren avrebbe resistito sotto l'enorme salice piangente, lo stesso sotto il quale qualche giorno prima aveva avuto il presentimento che vi sarebbe ritornato.
Raggiunto l'imponente albero ed ormai fuori dalla portata di ogni possibile disturbatore o qualsiasi esser umano, si appoggiò con pesantezza sul tronco e lasciò scivolare la sua schiena lungo il legno umido. Distese le gambe ed osservò ciò che nel suo campo visivo si estendeva: il caldo color degli ultimi raggi di sole era appena percepibile oltre l'orizzonte, il loro arancione sfumava nel cielo blu notte. Non vi era un filo di vento.
La nube arrivò e alterò del tutto quello spettacolo offrendone uno nuovo, dalla sfumatura ben più malinconica. 
Gli ultimi gabbiani migravano lontani, l'erba sotto le sue mani si fece umida. Il caotico contesto urbano divenne uno spiacevole ricordo e venne temporaneamente rimosso dal suo inconscio, assieme agli avvenimenti ad esso legati. 
Incominciò a piovere. La moltitudine di foglie sulla sua figura garantì al giovane un riparo sicuro ed egli fu grato di potersi beare di tale spettacolo.
Gli spilli d'acqua sottili graffiavano l'aria, rinfrescandola. Essi risvegliarono dalla terra quel profumo che al ragazzo tanto piaceva, quel profumo che gli alleggeriva l'anima e gli faceva pregustare quella libertà tanto ambita.
Ora vi era spazio solo per la natura ed Eren approfittò di quell'occasione per goderne al meglio dei modi. Lasciò che il profumo delicato dei fiori s'infiltrasse tra le sue narici, in contrasto con quello più forte e deciso del legno mentre l'aria si faceva più fresca e piacevole. Sarebbe potuto rimanere lì per un tempo indefinito, con la testa leggera, a contemplare quelle meraviglie.
Chiuse gli occhi e, senza fatica alcuna, cullato dalla danza piacevole delle gocce, si addormentò.

 

-Alcuni giorni dopo
 

Il Sole, quasi nel suo punto più alto, riscaldava piacevolmente le sue spalle. Dopo un paio di giornate animate dalla pioggia, le strade non perdevano occasione di pullulare di gente al primo fascio di luce. Il mercato si presentava più affollato che mai mentre mercanti esponevano la loro merce ed altri attiravano l'attenzione della folla, invitandola a dare un'occhiata ai loro prodotti.
Eren trovò quel trambusto incessante piuttosto sgradevole dopo vari giorni passati nella completa e singolare quiete, immerso nella natura. Una fitta lancinante attraversò il suo capo da una tempia all'altra.
Un mormorio provenne dal suo stomaco e il ragazzo si accorse che necessitava di mangiare qualcosa. Si diresse verso la tavola calda più vicina ma fermò i suoi passi quando si rese conto che sarebbe stato meglio per il suo sostentamento cercar di risparmiare più soldi possibile. Avrebbe sicuramente pernottato in una camera nella solita locanda in cui era abituato ad andare, gestita da un vecchio amico di famiglia. Doveva risparmiare se non aveva intenzione di far affidamento solamente sulla fortuna e la magnanimità di quel caro uomo.

Nei suoi pensieri si materializzò la figura di sua madre intenta a rigirare il mestolo nel calderone in rame, sprigionando fragranze che preannunciavano l'eccellente qualità delle pietanze e che facevano venir l'acquolina in bocca al piccolo Eren. Quella stessa acquolina fece capolino nel giovane allo stesso modo in cui nei suoi dolci ricordi rimembrava. 
Si diresse verso la casa dei suoi genitori. Visto l'orario, sua mamma doveva star cucinando come suo solito mentre l'uomo avrebbe dovuto trovarsi altrove e rientrare tra circa il tempo di mezz'ora. 

Arrivato in pochissimi minuti, non si accertò neanche dell'assenza di suo padre guidato da un famelico bisogno. Spalancata la porta in legno grezzo, trovò sua madre e le parve tale e quale ai suoi ricordi. Gli anni volavano via irrefrenabili ma c'era qualcosa che invece non era soggetto all'azione travolgente del tempo. 
Carla smise di trafficare con gli arnesi da cucina e guardò Eren, un moto di spavento le attraversò le grandi iridi marroni. Corse verso la porta ed in un tonfo deciso la richiuse.

"Sei impazzito? Entrare in questa maniera dalla porta principale!", mentre ella esclamava con rabbia mista a preoccupazione queste parole, si avvicinò a suo figlio e lo scosse tenendolo per le spalle guardandolo diritto nelle profonde iridi turchesi. 
"Madre, io-", il ragazzo fece per controbattere ma un inequivocabile lamento fu capace di spezzare la frase in procinto di pronunciare: proveniva direttamente dallo stomaco vuoto di Eren. Dallo sguardo di sua madre tutta la preoccupazione sfumò, lasciando spazio unicamente alla tenerezza. 

"Siediti, ti servo qualcosa". 
Quelle parole risuonarono come una benedizione alle orecchie del giovane. 

 
La ciotola fumante contenente un delizioso stufato fece quasi venir gli occhi lucidi ad Eren. Fu vuota nel giro di pochi secondi e la scena si ripeté per più di un paio di volte. Oramai il vuoto avvertito dal ragazzo nel suo stomaco era una lontana e fastidiosa memoria. Egli avrebbe volentieri voluto che rimanesse tra i meandri del suo subconscio il più a lungo possibile.
Bevuto l'ultimo lungo sorso d'acqua, ringraziò sua madre schioccando due baci sulle sue guance mentre lei sollevava dalla tavola la ciotola assieme al cucchiaio per porli sul ripiano della cucina. 

"Figlio mio, per qualsiasi cosa, sono qui. E sappi che tua madre ti vuole bene e ti ha sempre appoggiato", nel pronunciare codeste parole, Carla poggiò la sua mano sul viso di suo figlio in una dolce carezza materna mentre rivolgeva lui uno dei più dolci ed affettuosi sorrisi che Eren avesse mai visto.
Uno scricchiolio improvviso spezzò la temporanea atmosfera di serenità che tra madre e figlio era andata creandosi. 

Fu per una frazione di secondo che il giovane vide nell'espressione di Carla paura e, altrettanto velocemente, egli fu abile nel raggiungere la vicina porta che dava sul retro e richiuderla alle proprie spalle in una mossa fulminea ma silenziosa.

Lasciò che il peso del suo corpo poggiasse completamente sulla superficie lignea dietro di lui. La voce pesante di suo padre raggiunse i suoi timpani, riuscendo a superare la spessa porta. A quel suono provò un fastidio immenso. Un riflesso incondizionato fece sì che si mordesse con violenza un labbro. Doveva andar via, prima di commetter qualche errore. 
Seppur nulla rimpiangesse, ne aveva commessi fin già troppi.


 
-

 
Avvertiva l'impellente necessità di sfogare la propria frustrazione, in qualche modo. Se l'occasione di menar le mani non si presentava, l'unico alternativo rimedio che nella sua mente balenava era la pittura. Nutriva l'urgenza d'illudersi piacevolmente, ben consapevole che il risveglio da un tale sogno sarebbe stato duro da affrontare. Ciò, al momento, passava in secondo piano difronte ad un'altra priorità. Sentiva il bisogno di macchiare una tela, di distrarsi, di catapultarsi il più lontano possibile da una realtà che avrebbe voluto non gli appartenesse. 

Era questo il motivo che lo aveva spinto a recarsi quanto prima avesse potuto in bottega, quel giorno. Non vi era nessuno ad animare le due stanze che la componevano, oltre il giovane.
Nei giorni antecedenti, i suoi colleghi erano stati capaci di portare avanti in modo più che sublime l'opera commissionata dalla famiglia Strozzi, stando ben attenti a seguire tutte le indicazioni che Eren aveva loro dato. 
Il disegno preparatorio di Zeus era quasi terminato, così come quello di Ade. Afrodite ed Ares erano appena accennati da un leggero strato di matita mentre d'Apollo non si scorgeva neanche la sagoma: sotto l'esplicita richiesta di Eren, nessuno aveva osato raffigurarlo. Era un compito che aveva assegnato esclusivamente a sé stesso: nessuno avrebbe potuto meglio di lui descrivere quel Dio, somigliante così chiaramente a Levi, servendosi dell'arte.
Si sentì inspiegabilmente speciale ed un sorriso fece sì che gli angoli delle sue labbra si sollevassero senza che il giovane potesse accorgersene.

Nonostante tutto, ciò che in quel momento sentiva più premere era il dovere d'imprimere su tela lo spettacolo a cui aveva assistito sotto quel salice giorni prima al fine di fissarlo nel tempo: una volta steso sul tessuto, quell'incanto sarebbe rimasto immutabile e intoccabile dall'incombere irrefrenabile degli eventi.
Munitosi di tela, la poggiò sul cavalletto dinanzi a lui, in corrispondenza dell'angolo più illuminato del bilocale grazie al lume che egli aveva appena infiammato adoperando un fiammifero. Intinse il pennello nella boccetta d'olio scuro e miscelò, servendosi di esso, i pigmenti scuri posti sulla tavolozza in legno che con l'altra mano reggeva. Senza alcuna fase preparatoria iniziò a stendere pennellate blu notte, il panorama ben definito nella sua mente. 

"Eren, non spaventarti".

Una voce provenne dalle spalle del ragazzo. Col pennello ancora alzato, egli torse il suo busto in modo da incontrare lo sguardo del suo interlocutore, già avendolo riconosciuto: quella voce era pressoché inconfondibile.
A quel suono, il suo stomaco si contorse non troppo spiacevolmente. I suoi occhi brillarono, riflettendo la calda luce proveniente dalla candela posta nella lanterna ancorata al soffitto.
L'uomo era sulla soglia del locale, un regale mantello nero poggiato sulle spalle, tra le dita tratteneva un lembo di tenda appena scostato mentre l'altro braccio era conserto sul suo busto, l'espressione consuetudinalmente irremovibile.

"Siamo magnanimi, oggi?".
"Non essere insolente". Quella frase portò solo un'inspiegabile ondata di buon umore nell'animo di Eren. Una risata leggera scappò dalle sue labbra e Levi fu convinto che non avesse udito suono più dolce nei suoi ventisei anni di vita. 
"Pensavo che quando l'avrei rivista, sarei stato troncato da un infarto", Levi si perse nella profondità di quei due abissi turchesi e volentieri si sarebbe lasciato sprofondare in quel piacevole oblio.
Il suo volto rimase impassibile mentre si avvicinava al ragazzo ed i suoi passi riecheggiavano fra quelle spesse mura.

"La prossima volta sarà quella buona", sussurrò l'uomo quando gli fu abbastanza vicino. Eren non poté far a meno di scorgere la nota ironica nel tono dell'altro. Rise ancora, rinnovando quello strano calore che precedentemente all'altezza del cuore di Levi si era sprigionato. 
L'uomo osservò con attenzione ciò a cui il ragazzo stava dedicandosi appena un attimo prima del suo arrivo inatteso: poche ma incisive pennellate di blu si estendevano occupando la parte superiore della tela, senza in realtà coprirla del tutto. Chiaro fu all'uomo che il ragazzo aveva cominciato quel dipinto poco prima che lui mettesse piede in bottega, oscuro però gli restava il soggetto di essa.
L'opera al momento si presentava troppo poco definita per permettere al più grande di decifrare ciò che nella mente dell'artista passasse. Raramente era capitato nella sua esistenza di sentirsi così impotente.

"Di cosa si tratta?", egli chiese, indicando con un cenno del capo ciò che aveva davanti, non riuscendo a tener a freno la sua curiosità. Eren, ricomponendosi, distolse lo sguardo dall'uomo per dedicarlo momentaneamente al precedente oggetto delle sue attenzioni. 
"È uno spettacolo che è stato capace di stregarmi". Lo sguardo ammaliato del ragazzo si fece lontano e Levi avvertì nuovamente un fastidioso senso di estraneità attanagliarlo all'altezza del petto. Tuttavia, non ci fece troppo caso.
Una moltitudine di emozioni attraversarono le iridi del giovane e l'uomo paragonò l'adorazione che il giovane nutriva per ciò che stava raffigurando alla devozione che egli stesso provava per quei grandi, limpidi occhi.
Si sentì stupidamente devoto ad essi, la sua mente eliminò quello sciocco pensiero velocemente. 
Non era la prima volta che, vicino a quel ragazzo, aveva dovuto ricorrere a simili stratagemmi dinanzi alle frivolezze che nella sua testa erano transitate.

"Come se la cava con la pittura, lei?". Eren tornò a rivolgere la sua attenzione unicamente a lui e Levi non poté far a meno di sentirsi, per un motivo che non gli era dato comprendere, segretamente rincuorato.
"Faccio pena", furono le uniche due parole che disse, sincero. Eren apprezzò tutta quella schiettezza e la sua reazione a quella frase non diede motivo all'altro di sentirsi in qualche modo turbato per qualcosa che non era capace di fare. 

Eren riprese il pennello che aveva momentaneamente poggiato vicino agli altri strumenti sul banco posto lateralmente alla sua figura e lo intinse nuovamente nel pigmento sciolto, trattenendo la tavolozza con l'altra mano. Tenendo il pennello tra l'indice ed il pollice, stese semplicemente uno vigoroso tratto sulla parte superiore della tela. Puntò gentilmente in seguito il pennello in direzione di Levi e quest'ultimo non poté evitare di rivolgere lui uno sguardo interrogativo e allo stesso momento accigliato. 
"Non è così complicato come sembra", disse il giovane. L'atteggiamento perplesso dell'altro non mutò minimamente. 

Eren si avvicinò allora ancor di più all'uomo e senza che avesse la possibilità di rendersene conto si trovò alle spalle dell'altro. In un gesto del tutto naturale, dettato dall'istinto, poggiò delicatamente la sua mano esperta su quella titubante di Levi. L'uomo avvertì un brivido silenzioso percorrerlo per tutta la lunghezza della sua schiena a quel contatto inaspettato. Dovette adoperare tutto il suo coraggio al fine di tener la sua attenzione sulla tela dinanzi ai suoi occhi. La mano di Eren era così calda e grande, posata leggera sulla sua, fredda e pallida. 

Il giovane guidò sapientemente le sue dita e col suo ausilio Levi tracciò una spessa ed incontornata fascia scura. Eren fece sì che egli intinse le setole nel pigmento e, nell'avvicinare la tavolozza al fine di compiere l'azione, un braccio del giovane gli fu attorno. All'uomo parve un qualcosa di troppo simile ad un abbraccio ma scacciò via quel ridicolo pensiero dalla sua testa. Cercando il più possibile di ciò che era umanamente lui concesso, ignorò il calore che le membra dell'altro emanavano, quello stesso calore che, impercettibilmente, lo stava avvolgendo.

Focalizzò tutta la sua attenzione sulla lunga scia blu che aveva steso. A quella ne seguirono altre e lentamente Levi acquistava visibilmente fiducia in ciò che faceva. Nonostante ciò, la mano di Eren non abbandonò mai la sua. Dopo pochi tocchi, tre quarti del tessuto dinanzi alle due figure furono del tutto dipinti di blu. 

Il ragazzo lasciò temporaneamente la sua mano e si allontanò dall'altro mentre Levi non poté inconsciamente evitare di sentir la mancanza di quello stesso tepore che fino a pochi attimi prima lo racchiudeva. Sotto lo sguardo attento dell'altro, Eren pose il pigmento giallo sulla tavolozza e, dopo aver miscelato anch'esso servendosi d'una punta d'olio, tornò dove prima era. Nel medesimo modo, catturò una mano dell'uomo nella sua e pose inconsapevolmente l'altro braccio ancor più vicino al busto di Levi. Il respiro caldo del giovane s'infranse sul collo dell'altro e quest'ultimo trovò inspiegabilmente piacevole quel soffio leggero sulla sua pelle ormai divenuta bollente.
Pennellate gialle vennero stese in basso, andando a sfumare man mano tra il blu scuro: adesso striature dorate caratterizzavano l'incontro tra il calar del sole e l'incombere della notte. 

Lo scenario iniziò ad essere più chiaro nell'immaginario di Levi. 
Eren posò la tavolozza sul banco ed allungò il braccio, afferrando la boccetta in vetro contenente il pigmento rosso. Rimosso il tappo servendosi d'una sola mano, lasciò che una piccola parte del contenuto ricadesse sulla tavolozza e in seguito riprese quest'ultima inserendo il pollice nell'apposito foro. L'altra sua mano diresse quella di Levi verso la boccetta contenente l'olio e, una volta intinte le setole del pennello che l'uomo impugnava, mescolò il pigmento carminio. 
Il più grande non lasciò che una singola mossa di quelle semplici ma interessanti manovre sfuggisse alla sua attenzione.

Eren fece sì che il pennello puntasse all'altezza dell'angolo superiore destro della tela. Con leggerezza, le setole sfiorarono il tessuto che lievemente assorbì il colore. Sotto il controllo dell'altro, Levi picchiettò con più decisione nello stesso punto. Uno strato leggero e delicato ma al contempo dal colore pesante e deciso si venne a formare. Eren mescolò a quello stesso pigmento una punta di bianco, dando vita ad una sfumatura rosata che fu capace di dare tridimensionalità a quella che Levi aveva percepito come una minacciosa nuvola.
Essa gli ricordava la stessa che aveva visto pochi giorni fa: uno strano effetto era causato al pensiero che egli avesse condiviso la stessa visione del ragazzo, quel giorno, pur essendo lontani. Era sotto lo stesso cielo che, loro due, esistevano.

Un contrasto soave venne a crearsi tra quella delicatezza rosea ed il blu intenso della notte. 
Fu a causa del flusso inarrestabile dei suoi pensieri che egli non ebbe la possibilità di avvertire come il respiro del giovane si fosse fatto ancor più vicino da divenir quasi palpabile. Il tocco del loro pennello si fece più leggero, permettendo alla nube di non aver una forma ben delineata. Levi notò come il braccio dell'altro si fosse stretto ancor di più all'altezza della sua vita senza però minimamente sfiorarlo. L'uomo voltò impercettibilmente il suo viso e lentamente si ritrovò a rivolgere il suo freddo sguardo completamente al volto dell'altro mentre quest'ultimo continuava indisturbato a servirsi della mano dell'uomo per proseguire il dipinto. Eren fermò la sua mano operatrice e dedicò la sua attenzione all'altro mentre, resosi conto del fatto che Levi lo stesse guardando intensamente da non era al corrente quanto tempo, le sue gote presero una sfumatura rosea e delicata, simile alla nuvola che avevano appena raffigurato, insieme.

Senza timore ma con una malcelata nota d'imbarazzo, il più giovane resse lo sguardo penetrante dell'altro. Levi, per l'infinitesima volta, pensò a quanto fosse dolce il naufragar in quel mare che quelle due immense iridi turchesi contenevano. In esse l'uomo poteva cogliere tutte le emozioni che colpivano l'altro: erano lo specchio della sua anima e rimasero a scrutarsi nel profondo per quelle che sarebbero potute esser ore così come pochi secondi. 
Le narici di Eren vennero pervase dal profumo del più grande. Esso aveva il sapore di muschio, pungente ma delicato e fu capace di stordire completamente i sensi del più piccolo. Egli fu capace di osservare attentamente la pelle nivea dell'altro e bramarla nel suo interiore. 

Deglutì non troppo silenziosamente e Levi osservò come il pomo del giovane potesse sedurlo in un modo del tutto disinteressato. Il volto di Eren era parzialmente illuminato dalla fioca luce della candela e un gioco di ombre e luci veniva a crearsi su quella pelle olivastra. Le labbra involontariamente dischiuse riflettevano audacemente il tepore di quella fiamma e Levi le desiderò come mai prima d'allora aveva fatto.
Senza aver la possibilità di rendersi conto di ciò che stesse facendo, sollevò i talloni dal pavimento reggendosi sulle punte. Eren s'avvicinò pericolosamente al suo viso ed i loro respiri si mescolavano in un'eccitante danza che entrambi ambivano ballare. Lentamente le loro labbra s'avvicinarono e silenziosamente s'incontrarono in un tocco gentile. Il loro bacio fu casto mentre le loro iridi rimasero ancorate, inscindibili. Si risfiorarono impercettibilmente e fu allora che, inaspettatamente la passione li travolse. Il bacio fu profondo e il pennello sfuggì dalle dita tremanti di Levi, tintinnando sordamente dopo la caduta. Egli posò una mano sulla nuca dell'altro che in un inaspettato momento di lucidità aveva poggiato la tavolozza sul vicino banco. L'uomo lo tirò ancor più verso di sé mentre le loro bocche s'assaggiarono fameliche. Le mani di Eren si poggiarono sui fianchi dell'uomo, scendendo in seguito, impercettibilmente.
Levi portò l'altra mano sulla spalla del giovane, avvicinandolo ancora. I loro petti si sfiorarono.

Il ragazzo dischiuse le labbra, silenziosamente concedendo l'accesso alla lingua dell'altro. L'uomo, guidato da un istinto che non gli apparteneva, si lasciò trasportare non perdendo l'occasione. Le loro lingue erano complici d'una erotica danza fatta di desiderio e saliva. 
I loro petti si toccavano mentre le loro mani con discrezione studiavano le une il corpo dell'altro. Eren sentì le gambe divenir molli, essendo lui completamente in balia delle sensazioni. 

Sentirono la tenda venir scostata con poca grazia e Levi, fulmineamente, si staccò lasciando l'altro boccheggiante. 
Leonardo fece capolino nel bilocale, tenendo sottobraccio un paio di documenti e rivolgendo loro due un'espressione sorpresa. "Non m'aspettavo che qualcuno fosse in bottega già a quest'ora", disse. Dedicò la sua attenzione ad un soggetto in particolare.
"Levi", salutò. L'uomo rispose lui con un cenno eloquente del capo. Il rinomato artista si dileguò in fretta nell'altra stanza lasciando i due soli.
L'uomo guardò Eren: le gote arrossate, i capelli scompigliati e l'espressione sconvolta non potevano che renderlo ancora più meraviglioso. Egli non si concesse però il tempo che l'altro avrebbe meritato per esser ammirato. Senza pronunciare parola alcuna, con passo veloce varcò la stessa soia dalla quale era dapprima entrato, sotto lo sguardo confuso del più giovane. 
Quando l'altro non poté più esser colto dal suo sguardo, Eren avvertì un'inspiegabile pesantezza piombargli irruenta sulle spalle. 
Egli non comprendeva. Non ci riusciva.

 

-Palazzo Ackerman, Largo fratelli Alinari

 
Guardò il soffitto scuro. L'espressione impassibile non mutò minimamente ad ogni suo più insignificante pensiero. Una domanda nella sua testa non poteva esser ignorata: per quale motivo aveva deciso di recarsi in quel posto, quel giorno, in quel soleggiato e precoce pomeriggio? 
Aveva completato le sue mansioni in poco tempo e dopo aver riscosso del denaro sotto esplicito ordine di suo padre, aveva deciso di passeggiare per le vie della città: quando la sua mente aveva deciso di sviare il suo percorso senza chiedergli il permesso non gli era dato però saperlo. Era stato spinto dalla sua solita curiosità verso qualunque cosa? Era stato guidato dal veder artisti indaffarati nel dipingere le proprie opere?
Sì, certamente. Questa era parzialmente parte di una verità che ormai era fin troppo chiara anche a lui. C'era qualcosa che lo portava a rigettare quella falsa possibilità.
Mentire a sé stesso, ne era ben conscio, non lo avrebbe portato da nessuna parte, nondimeno a capo della situazione. Era consapevole che il motivo più palese che lo avesse portato in bottega fosse quel minimo di barlume di speranza di incontrare quel ragazzo. 
Era finito in bottega per una persona specifica e nasconderselo non avrebbe avuto il benché minimo senso.  
Eren: ecco il semplice motivo. Chiaro e coinciso.
Voltò il capo verso la grande vetrata ed osservò le stelle brillare, immerse nell'infinita volta blu. S'addormentò così, con una splendida visione a cullare il suo sonno ed un pensiero tormentevole a incombergli sulle spalle. 

 
 
 
~~~~~~~
 
Posso tornare a respirare. Profondamente e lentamente. 
Oddio, perdonatemi, questo capitolo è arrivato non troppo tardi ma non così presto come avrebbe potuto- causa vari impegni. 
E dire che scriverlo è stato impegnativo è dir poco, ma son abbastanza sicura che non c'è finora capitolo migliore di questo. O sbaglio? ;) 
I nostri piccoli hanno fatto un bel passo in avanti. 
Non odiate Leonardo, e scusate le mie citazioni a Leopardi ahah
Nessuna precisazione da fare per questo capitolo, ammesso che non me ne siano sfuggite.
Ora la smetto di annoiarvi con le mie robe, vi aspetto tra le recensioni care~
A presto! ♡

 
comewhatmay

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3663676