An O'Broden Story di Nicolessa (/viewuser.php?uid=105468)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prime impressioni ***
Capitolo 2: *** Pilot ***
Capitolo 3: *** Preparativi ***
Capitolo 4: *** Fuori copione ***
Capitolo 5: *** Ballerini e chiacchierate notturne ***
Capitolo 6: *** Omino verde ***
Capitolo 7: *** Supporto morale ***
Capitolo 1 *** Prime impressioni ***
An O'Broden StoryAn O'Broden Story
•(1) • Prime impressioni •
Holland POV
Sapete, ci sono cose che le
riviste non dicono. Il che è strano dato che a volte, pur di raccattare
lettori, si inventano storie senza capo nè coda.
Ad esempio, una mattina ricordo
di aver letto una notizia ESCLUSIVA (e badate bene al maiuscolo
molesto) riguardo una mia cara amica, Crystal. La conoscerete
sicuramente: bella come il Sole, dolce come il pane e con una risata
singolare quanto adorabile. Comunque.
Io ovviamente non ho dato
credito a quell'articolo nemmeno per un secondo ma, vedete, può
capitare che la gente possa fare diversamente. Ed è proprio da lì che
nascono i problemi.
Ma parlarvi di gossip non è mai
stata mia intenzione perciò ritorno al punto: ci sono cose che le
riviste non dicono ma che, ahimè, degli sguardi non possono nascondere.
Questa è la storia degli
O'Broden ( è così che ci chiamate, giusto? ) raccontata da chi, questa
storia, l'ha vissuta. E la vive tutt'ora, fortunatamente per me.
Ciao, sono Holland Marie Roden e vi racconterò un po' di quel disagiato di Dylan O'Brien.
Non occorre che ve lo descriva, no? Occhi
nocciola, nei invitanti come gocce di cioccolato e mani ossute; bastano
solo queste qualità per far pensare immediatamente a lui.
Poi arriva la parte che preferisco: la persona che è.
La prima volta che
l'ho visto era un ragazzino di sedici anni iper-attivo e dalla risata
facile. Sia io che lui, all'epoca, facevamo un provino per dei ruoli
diversi.
Eh già, io ero interessata ad interpretare la giovane e coraggiosa Allison Argent e lui il fedele e leale Scott McCall. Credetemi, sconvolge anche me ora come ora ma è proprio così.
Inutile dirvi quanto sia contenta di come siano andate le cose.
Insomma, non faceva che mangiarsi le unghie e battere il piede per terra come Tamburino. Innervosiva anche me!
Si vedeva lontano un miglio quanto volesse far parte di questa famiglia.
«Ti devi calmare»
gli dissi facendo passare per un consiglio quella che era una specie di
supplica. «Sei stato bravo lì dentro, ce la farai.»
Non sono convinta mi abbia dato ascolto al 100% ma, al di là di tutto, alla fin fine ho avuto ragione.
Dopo i primi provini infatti siamo stati nuovamente chiamati con la richiesta di prepararci per dei ruoli diversi.
È lì che mi innamorai di Lydia. Ma sopratutto è lì che mi innamorai dello Stiles interpretato da Dylan.
Vederlo recitare nei panni del vispo figlio dello sceriffo mi tenne di buon umore per il resto della giornata; ansia a parte.
Anche lui dev'essere stato
soddisfatto di sè stesso, lo si vedeva dal largo sorrisetto che aveva
stampato in faccia quella mattina.
«Sai, saresti una Lydia
perfetta per me» mi disse mentre andava via, dandomi il cambio per
entrare in sala. «Cioè, per il mio Stiles» si corresse poi grattandosi
la nuca (al tempo nuda e appena ispida). Adorabile.
Tre giorni dopo ebbi la
conferma ufficiale: il ragazzetto che aveva recitato con J.Lo e quello
dal collo di gomma avrebbero ricoperto rispettivamente i ruoli di Scott
e Stiles.
L'inizio di un'era.
Circa una settimana dopo arrivò
il momento della prova più importante, l'ultimo ostacolo da superare:
il provino per testare la chimica.
Avevo un mucchio di feeling da dover sfoderare! Prima di tutti con Crystal, poi con Dylan ed anche con Colton.
Ah, Colton! Non mi convinceva per niente, sapete? La prima volta che lo
vidi pensai “Ugh, non mi piace proprio. Si dà troppe arie!”
Ennesima conferma del detto “l'apparenza inganna”.
Fatto sta che lo diventai.
Cosa? La sua Lydia.
Onestamente, fu lui a renderlo
possibile: se non fosse stato per il suo credibilissimo sguardo
innamorato perso, a quest'ora sarei... non so dove sarei stata. Ma
sicuramente sarei stata meno felice.
Peccato che allora non riuscissi a vedere quanto Dylan fosse molto vicino a Stiles sotto quel punto vista.
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Capitolo 2 *** Pilot ***
An O'Broden Story (2) Dylan(2) • Pilot •
Dylan POV
Se c’è una cosa che
tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita, è quella di
convivere con i propri amici. Non importa se per dieci giorni o per
dieci anni, né tanto meno il posto: fatelo. Perché niente vi farà
sentire più euforici o liberi.
È proprio così che eravamo io
e Tyler quel pomeriggio dopo il trasferimento. Non avevamo avuto
problemi: dividerci lo spazio o stabilire uno schema a rotazione per
tenere quel posto, non dico pulito, ma quantomeno vivibile era
risultato un gioco da ragazzi. Che poi era ciò che eravamo, in fondo.
Tornati dalla settimana ad
Atlanta eravamo inseparabili. In un certo senso era sempre stato quello
lo scopo -farci legare e darci la possibilità di diventare sul serio
amici prima di cominciare le riprese- ma, ad essere onesti, non ce n’è
mai stato davvero bisogno.
Credo di aver voluto bene a quel fesso fin dal primo istante in cui l’ho visto. Lui e i suoi capelli a fungo.
Abbiamo attaccato bottone senza rendercene conto ed io ho finito per fidarmi di lui ad occhi chiusi appena dopo 15 minuti.
Come dite? Che fine ha fatto Tyler Hoechlin?
Anche lui viveva con noi ad
Atlanta, certo. Ma più che un fratello, per noi era un supereroe (
l’avete capita? Eheh ) . Il guardiano delle nostre malefatte ed il
principale motivo per cui siamo sopravvissuti per anni senza andare in
galera o far esplodere la cucina.
Voi lo sapevate che l’alluminio non va messo nei microonde? T-Pose non lo sapeva.
Convivere con loro è stato uno dei capitoli più divertenti della mia adolescenza, oltre che ad uno dei più importanti.
Grazie a Teen Wolf avevo già trovato due amici che non vedevo l’ora di chiamare fratelli.
E con l’inizio delle riprese avrei trovato anche di più.
«Hai visto che avevo ragione? Alla fine ce l’hai fatta!»
Voce squillante, capelli
biondo-fragola, labbra carnose, unghie cortissime e tacchi che facevano
venire a te, che le stavi di fronte, la voglia di tranciarti i piedi di
netto. Quella nana della Roden.
Se se, lo so! “È facile
parlare adesso che la superi di 20 centimetri buoni” mi direte voi ma,
davvero, Holland è un tappo che cammina. O che si muove inciampando,
che per lei è come dire la stessa cosa. Pensavo che fosse del colpa del
cellulare, che il motivo che la portasse a baciare l’asfalto ogni tre
passi fosse il non guardare per terra ma… no. È solo tanto goffa ed
esilarante. Adorabile.
Ma comunque.
«Ah, beh, sì… anche tu!» Che
osservazione, eh? Grazie, grazie. A dopo i complimenti. «Non che ne sia
sorpreso, cioè, anche tu sei stata brava. Mi hai snobbato benissimo nel
pilot!»
In mia difesa aggiungo che ero
leggermente agitato, okay? Ed anche stanco per via di tutta la
mattinata trascorsa a girare e girovagare nei boschi con un Posey
selvatico che si divertiva a suonare l’inalatore di Scott come una
piccola cornamusa.
La verità è che ero sempre un po’ imbarazzato quando mi trovavo attorno ad Holland.
Tanto che avessi una cotta per lei era chiaro a tutti, a quanto pare.
“ La Luna, il Sole, la verità
e la cotta di Dylan per Holland ”, questo era il mantra che i due
spietati Tyler mi ripetevano quando volevano coglionarmi.
Picchiare Posey era fattibile;
con Hoec neanche ci provavo. Quantomeno apprezzavo la loro discrezione
nel farlo soltanto quando eravamo in casa.
«Non mi sentirò responsabile
per qualcosa che è stata Lydia a fare» mi canzonò lei come una bambina
che avrebbe ben volentieri fatto la linguaccia pur di sottolineare il
concetto.
Pensare “ E quindi lei avrebbe cinque anni più di me? Ma dove?! ” era del tutto lecito.
«Non ci casco, O’Brien. Non mi
farai sentire in colpa» disse con le mani sui fianchi. «Adesso però
devo correre via» annunciò tagliando corto, avviandosi in tutta fretta
verso il guardaroba del set, probabilmente per togliersi la gonna a
scacchi e quei discutibili stivali alti che le avevano fatto indossare
nella sua scena con Crystal e Colton.
«Attenzione laggiù, arriva
Holland La Mina Vagante!» Urlai dispettoso mettendo le mani a coppa
vicino alla bocca per farmi sentire anche da Daniel Flores, il nostro
costume supervisor, occupato a revisionare l’outfit di chissà chi per
chissà quale scena.
Lei mi guardò con quello
sguardo che tradotto in parole si chiamerebbe “ Ah-ah, davvero molto
spiritoso ” e girò i tacchi facendo svolazzare la chioma.
La conversazione sarebbe
potuta andare meglio, lo ammetto, ma contavo di poter recuperare punti
al party organizzato quella stessa sera per celebrare l’inizio della
serie.
Hoec, da buon veterano, ci
aveva spiegato com’è che andavano le cose per le serie tv: party inizio
riprese, party per il break di primavera, party per la fine delle
riprese, party per la prima messa in onda, party con gli sponsor, party
per pubblicizzare la serie, party dell’emittente, party di qua, party
di là, party, party e party.
Che ve lo dico a fare; il
Dylan sedicenne non stava nella pelle, in pratica. Anche se socialmente
disagiato, sapevo ( e so tutt’ora ) riconoscere le buone occasioni per
divertirsi quando mi si presentavano d’avanti.
E quella era anche un’ottima occasione per non farmi snobbare anche da Holland, oltre che da Lydia.
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Capitolo 3 *** Preparativi ***
An O'Broden Story (3) Holland(3) • Preparativi •
Holland POV
Non sono una fan dei
tacchi. Ebbene sì, potrei perfettamente fare la controfigura di uno dei
sette nani di Biancaneve ma pazienza! Non fraintendetemi, mi hanno
salvata MOLTE volte ma, dico io, come si può preferirle alle pantofole?
Fosse per me uscirei sempre con quelle ai piedi! Quando sono nuove si
ha la sensazione di caminare sulle nuvole: è semplicemente meraviglioso!
Ma, seppur quel pomeriggio avessi finito di girare tutte le scene in
scaletta, fui costretta ad indossarli ancora per via di una festa in
programma quella sera per festeggiare l’inizio delle riprese.
Quella mattina Crystal mi comunicò grandi linee ciò che aveva sentito
da Jeff: una festa a porte chiuse - giusto il cast, la crew ed i
produttori - per conoscersi meglio e cominciare a creare qualche legame.
Non avevo il dovere di salire
sui trampolini e torturare le caviglie ma lo feci comunque.
Specialmente dopo la conversazione-lampo che ebbi con Dylan. Il mio
orgoglio da donna ferita voleva dimostrare a quel ragazzetto dalla
lingua lunga quanto fossi capace di rimanere in equilibrio su quei cosi
senza cadere.
Che poi avrei voluto vedere lui! Tzè.
Quando entrai nell’area costumi, Crystal era seduta sulla poltrona, già
tornata nei suoi vestiti e, sopratutto, nella sua personalità.
Credetemi, fare gli attori è più difficile di quanto si creda. Ma di questo avremo occasione di parlarne meglio più avanti.
Lei mi fece un largo sorriso dei suoi e poi guardò gli stivali di
Lydia, trasformando quelle dolci fossette in una sentita smorfia di
sofferenza e solidarietà.
«Non ti invidio per niente» mi confessò. E con una risatina esasperata lasciai cadere quel discorso.
«Mi hai aspettata. È stato carino da parte tua» dissi lasciandomi
totalmente nelle mani della costumista, la quale mi liberò di tutto
l’outfit studiato per Lydia in cinque minuti netti. Perfino lei sapeva
quanto fossimo in ritardo.
«Ne abbiamo parlato questa mattina, ricordi? Avevamo deciso di andarci
insieme» mi fece presente con una lealtà che, onestamente, non ti
aspetti da una collega al primo giorno di lavoro.
È sempre stata brava nelle relazioni sociali. È sempre stata speciale.
Pur sapendo che sarebbe arrivata in ritardo al party, mi aspettò lo stesso.
Lei è fatta così.
«Mi cambio in tre secondi e poi… e poi…» e poi dovevo ancora scegliere
cosa mettere. Ed essendo la prima festa, tra l’altro a porte chiuse,
non avevo nemmeno preso in considerazione di farmi aiutare da qualcuno
per assemblare il mio outfit. Mi sentivo così in colpa.
«E poi mi seguirai» completò la mia frase altrimenti destinata a restare incompiuta.
E io mi misi completamente nelle sue mani.
Da quel giorno il mio angelo custode aveva un nuovo nome: Crystal Marie Reed.
«Hai fatto tutto questo per me?»
Mi aveva condotta in un’altra area del set, quella riservata al
make-up. Era straordinario costatare quanto velocemente avesse imparato
l’intera piantina. Ed io che ancora mi perdevo nel tentativo di
raggiungere il mio stesso trailer.
Nella stanza, posati su tre diverse poltrone, altrettanti tre abbinamenti di abiti erano stati conservati per il mio arrivo.
Come se non bastasse, perfino Elizabeth Hoel-Chang e Talya Melvey in persona erano lì ad attenderci.
Ci misi un po’ a realizzare: la stessa make-up artist che aveva
lavorato per grandi film come Pirati dei Caraibi e Transformers,
assieme alla stessa hair-dresser che avrebbe dato vita, più tardi,
all’iconica treccia di Katniss Everdeen, avrebbero curato il mio trucco
e la mia acconciatura per il party.
E tutto grazie a Crystal. Non so neanch’io come riuscii a non piangere.
«In realtà sono loro che hanno fatto tutto per noi» ridacchiò
scambiando un’occhiata di gratitudine con entrambe le artiste, dando il
merito a chi di dovere.
«Ora scegli l’abbinamento che preferisci e lascia fare il resto a noi»
mi invitò Elizabeth con un caloroso sorrisetto mentre Talya si stava
già occupando della setosa chioma corvina di Crystal. «Anche se si
tratta di una festa interna, non significa che dobbiate essere meno
carine.»
Scelsi dei vestiti semplici, non volevo strafare. Dopotutto era un
piccolo party per farsi conoscere; mostrarsi per chi si era davvero era
lo scopo principale.
E poi bastavano un trucco semplice ma ben fatto e dei capelli sciolti
sulle spalle in delle onde perfette a darmi quell’aria da “giuro che
non me ne sono ricordata all’ultimo momento”.
Una camicia colorata con stampe a fiori infilata sotto una gonna beige
con cinque bottoni neri sul davanti erano uno specchio perfetto per
riflettere agli altri come fosse sul serio la vera Holland.
Non a caso quella gonna è entrata a far parte del mio
guardaroba. È partito come un innocente prestito e poi me l’hanno
lasciata prendere. Certo, ci hanno messo due anni a convincersene ma,
alla fine, hanno vinto i miei occhi a cuoricino che spuntavano fuori
ogni volta che la vedevo appesa allo stand appendiabiti di Lydia.
Ah, c’erano anche i tacchi.
Al di là della muta sfida che avevo con Dylan, né Elizabeth né Talya mi avrebbero mai permesso di presentarmi in pantofole.
Ma tranquilli! Ne ho pagato le conseguenze.
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Capitolo 4 *** Fuori copione ***
An O'Broden Story (4) Dylan(4) • Fuori copione •
Dylan POV
Ricordo che vedere Hoec riflesso nello specchio scatenò in me e T-Pose una sorta di ammirazione di livelli cosmici.
Non aveva assolutamente nulla
di particolare, giusto una t-shirt bianca (avete notato quanto gli stia
bene quel colore?) ed un paio di pantaloni neri. Niente di pretenzioso
o impegnativo; tartaruga a parte. Ma non ne siamo stati invidiosi.
Per noi ragazzi è tutto più
semplice quando si parla di vestiti: ti ci devi sentire bene
nell’indossarli. Fine. Niente “questo colore non si addice al tuo
incarnato” o “quei pantaloni lasciano intravedere i segni delle
mutande”. Cioè, dai, chi se ne frega!
Non smetto mai di ringraziare
il cielo per essere nato uomo, giuro. Anche perché, molto
probabilmente, da ragazza sarei stato un imbarazzante disastro
ambulante. Almeno così ho una scusa quantomeno plausibile al mio essere
stupido, a detta delle ragazze.
«Vuoi davvero andarci vestito
così?» Ecco che arrivò Super-Tyler a demolire le mie convinzioni da
ragazzetto senza il minimo senso dello stile.
«Perché? Cosa c’è che non va?»
Domandai per l’appunto con un innocente animo ferito cercando supporto
morale dall’altro Tyler, quello che aveva accumulato tutti i punti
appena persi dal suo omonimo. E che era già pronto da ore per l’euforia.
Devo ancora capire cosa avesse contro la mia maglia col teschio, comunque.
«Niente, niente» si tirò
indietro alzando le sopracciglia e sorridendo come fa mio padre quando
mi dava (e dà) dell’incompetente con le ragazze.
Posey alzò le spalle allargando le braccia, facendomi così capire che neanche lui avesse afferrato la natura del problema.
Ma quella sera c’era qualcosa di molto importante in ballo perciò dovevo saperlo.
«Sputa il rospo» dissi diretto seppur la mia voce trapelasse un pizzico di esasperazione.
«Non dovrei incoraggiare
questa follia ma d’accordo» alzò le spalle lui avvicinandosi al mio
misero, disordinato armadio con una faccia a dir poco multi-espressiva.
È curioso come una sola smorfia possa esprimere divertimento,
rassegnazione, fiducia e coraggio tutto nello stesso momento.
Ancora oggi non perde occasione per farmi presente quanto il suo gusto sia stato d’aiuto quella sera.
Raggiungemmo la festa tutti e
tre con la stessa auto e, per il vostro bene, eviterò di dirvi quante
volte Tyler abbia pregato il più grande di passargli sotto banco
qualche alcolico “giusto per festeggiare” o di ripetervi tutti gli
appellativi simpatici che usarono per descrivere la mia unica giacca
sportiva.
Andrò dritto al punto in cui
ringraziai Hoec per esserci stato laddove il mio coraggio era venuto a
mancare e mi spinse (addirittura quasi fisicamente) a cercare Holland
tra la folla.
“Dovevo farlo prima che potesse pensarci qualcun altro”.
Ma io lo vidi semplicemente
come un consiglio spassionato (tipo quello dei vestiti) piuttosto che
come una vera e propria informazione in incognito.
Anche se, col senno di poi, è facile arrivarci ora.
Quando la vidi seduta al
tavolo vicino alla console, la voglia di tornare nella confort-zone
assieme a Scrocco-Alcolici-Posey salì alle stelle. Stavo effettivamente
facendo marcia indietro. Ero nervoso, certo che lo ero! Ma non appena
vidi Crystal alzarsi dal posto accanto a lei per indicare un gruppo di
persone (tra le quali riconobbi di primo acchito solo JR) mi dissi
“Okay, adesso o mai più”.
“Devi farlo prima che possa pensarci qualcun altro”.
E per quanto potesse tentarmi quel mai più, l’adesso vinse su tutto.
«Vuoi ballare?» E neanche un
ciao. Capite ora quanto fossi senza speranza, sì? Perché io lo capii
non appena alzò lo sguardo su di me, scrutandomi da capo a piedi come
se stesse tentando di leggermi nella mente. Passarono altri cinque
secondi di silenzio prima che potesse rispondermi.
Credo di essere morto in quei cinque secondi, per la cronaca.
«Oh, ho capito, ho capito»
annuì con gli occhi chiusi in due piccole fessure indagatrici. «Stai
facendo pratica per la scena della puntata undici, giusto?»
Morto di nuovo. Per questo ci
misi più di qualche istante per realizzare che gli occhi spalancati a
mo’ di triglia fuor d’acqua non fossero l’ideale in quel contesto.
E poi non sapevo cosa rispondere.
«. . . sì! Certo, è ovvio!» Esclamai in maniera davvero davvero poco credibile. «Quindi…»
«Passo» disse Lydia.
Quale altra scelta avevo?
Almeno, assecondando quella scena, avrei avuto la certezza che alla
fine avremmo ballato insieme. Perciò non dire la verità uscendomene con
un fiabesco “Dicevo sul serio: balla con me, Holland” fu un’ottima
mossa.
«Lydia, alza il tuo bel sederino e vieni a ballare con me.»
E benché avesse già indossato la maschera del suo personaggio, intravidi nei suoi occhi verdissimi un accenno di sorpresa.
«Non c’è nessun “bel” nel copione.»
«Lo so» ribattei semplicemente accollandomi tutte le responsabilità possibili immaginabili per quella breve licenza poetica.
La vidi sorridere e dentro di
me, in qualche modo, mi sentì come se il cuore avesse appena tirato un
sospiro di sollievo. Per lo meno non era morto ancora una volta, pur
avendone tutto il diritto.
Perché quel sorriso era suo.
«Bene allora» si tirò in piedi
e, prendendomi per mano, si fece strada verso la pista da ballo, già
animata dai balletti scalmanati di Melissa ed altri cameraman e
coordinatori stunt-man.
Mentre seguivo i suoi passi, fu inevitabile notare le scarpe alte che portava ai piedi.
A quel punto quello a
sorridere fui io poiché, conoscendo il suo pensiero sui tacchi, sentivo
che quella scelta fosse stata presa per me.
Anche se solo come risposta ad una stupida provocazione.
E questo poteva significare solo una cosa: che forse un po’ di me le importava.
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Capitolo 5 *** Ballerini e chiacchierate notturne ***
On O'Broden Story (5) Holland(5) • Ballerini e chiacchierate notturne •
Holland POV
Vi faccio una domanda: voi credete che Dylan sappia ballare?
Potete pensarci quanto volete ma dopotutto rispondere dovrebbe essere facile, giusto? O è sì o è no.
Piccolo aiutino: è un attore.
Ebbene sì, lo stesso ragazzo
che avete visto per anni muoversi in modo inconsueto in tv ed alle
convention è effettivamente capace di farlo anche senza sembrare
imbarazzante. E non esagererei se aggiungessi “con una certa sicurezza”
alla descrizione.
Ci ha ingannati tutti, dal primo all’ultimo.
Sarà pure un attore ma prima
di tutto Dylan è un pagliaccio; gli piace far ridere le persone anche
quando, alla fin fine, è di lui che stanno ridendo.
Ricordo con chiarezza un tardo
pomeriggio sul set; stavamo girando la seconda stagione e durante una
pausa Crystal continuava a mandare messaggi a raffica, agitandosi sulla
sua sedia come un giocattolo a cui avevano dato la carica.
Le chiesi cosa ci fosse che non andava almeno tre volte prima che si accorgesse di me.
«Scusami, è che continuano a
cambiare gli orari per la lezione di danza e mi stanno facendo
impazzire» spiegò senza mai staccare gli occhi dallo schermo.
Ho sempre ammirato Crystal per
il suo impegno e la sua vitalità; anche se la tabella di marcia era
rapidissima e passavamo la maggior parte del tempo sul set, lei trovava
sempre il tempo per migliorarsi e dedicarsi ad altre attività; danza,
palestra, nuoto, ginnastica artistica, tiro con l’arco, salto in alto,
hiking, qualsiasi cosa.
Inoltre più il curriculum di
un attore è corposo, più aumentano le possibilità di aggiudicarsi ruoli
particolari ed impegnativi e che di conseguenza danno maggiore
soddisfazione e conducono ad una sana crescita personale e
professionale.
E poi c’ero io che tra una scena e l’altra crollavo in profondi sonnellini ristoratori in pose scompostissime.
Così si spiega come mai abbia
deciso, un paio di giorni più tardi, di unirmi alle lezioni di danza.
Sapevo di non essere completamente negata dopo l’esperienza di “Bring
It On: Fight to the Finish” ( Ragazze nel pallone - Lotta finale )
quindi tanto valeva provarci.
Tornando alla storia, Dylan si
avvicinò a noi assieme al suo inseparabile amico e coinquilino Posey,
chiedendomi cosa avesse Crys che non andava, dato il mancato sorriso
che solitamente sfoggiava con tutti in segno di saluto.
«Tu balli?» Domandò
palesemente stupito dopo la mia spiegazione. Forse anche lui si era
interrogato sul come fosse umanamente possibile da parte sua avere
abbastanza energie da fare altro dopo il lavoro.
Non ricevendo alcuna risposta
da lei, si rivolse nuovamente a me: «Lei balla?!» Annuii con il capo,
esprimendo la mia sorpresa con una plateale scrollata di spalle a
braccia aperte.
Fin qui tutto normale, vi direte voi. Sì, lo era.
Quando cominciò ad ondeggiare
e muoversi tutto rivendicando quei movimenti come “vera danza”, fu
allora che il PagliacciO’Brien venne fuori, ingannandoci.
Crystal alzò lo sguardo dal
cellulare e scoppiò a ridere assieme a me mentre Tyler lo seguiva -come
sempre- a ruota, da bravo complice.
Ci convincemmo che nessuno di quei due scapestrati sapesse realmente ballare.
Una settimana dopo Dyl ci
chiese se poteva aggregarsi ad una lezione. Eravamo entrambe sfinite
fisicamente e psicologicamente ed accettammo, convinte che far lezione
con lui sarebbe stato più rilassante e divertente, che avremmo riso e
scherzato più di quanto avremmo effettivamente ballato.
Ripeto: ci ingannò tutte.
Avrei dovuto capirlo già da
quella sera, al party. Non mi pestò i piedi nemmeno una volta.
Addirittura fu abbastanza abile da non farseli neanche pestare dai miei
tacchi.
O’Brien sapeva ballare ed a quei tempi io non ci avevo minimamente fatto caso.
La mattina dopo il party mi
svegliai -con estremo piacere- più tardi del solito, grata a tutta la
produzione ed a Jeff di aver programmato unicamente scene notturne in
quel giorno. Probabilmente era chiaro a tutti che nessuno si sarebbe
trovato nelle giuste condizioni per girare.
Difatti mi sentivo leggermente
intontita; avete presente quel tipo di mal di testa che ti assilla dopo
aver passato una serata accanto ad una cassa che spara musica ad alto
volume? Quel tipo di mal di testa.
Con ancora addosso camicia
fiorita e gonna beige, mi alzai dal letto e strisciai i piedi nudi fino
al piccolo bagno del trailer. Mi sciacquai il viso, mi affidai alle
cure naturali di una tisana alle erbe e poi controllai il cellulare.
Crystal:
Ehi Holl!
Sei sparita ieri sera, che
fine hai fatto??
Ho chiesto in giro e
mi hanno detto che sei andata via
prima...
Tutto okay?
Andai avanti; le dovevo molte più spiegazioni di quante riuscissi a scriverne in un messaggio appena aperti gli occhi.
L’avrei chiamata.
Avanti il prossimo.
Barbara Vazquez:
Solo un promemoria per ricordarti
di portare indietro al Guardaroba i
vestiti di ieri sera.
Fosse per me te
li farei tenere ma sai come
funziona
xx
Aggiunta la voce
“restituire i vestiti” alla lista delle cose da fare e saltando altri
messaggi poco rilevanti, arrivai all’ultimo.
Mi lasciò di stucco, inutile negarlo.
Colton:
Mi ha fatto davvero piacere
chiacchierare con te ieri.
Dovremmo rifarlo.
Caffè?
Le ho riportate indiero io le
scarpe, non preoccuparti.
Ovviamente le ho fatte riparare,
prima.
Tutto a posto!
Ricordavo come si
fosse conclusa la serata, non ero mica ubriaca! Semplicemente mi stupii
del suo gesto di mandarmi un messaggio. Forse ne ero addirittura
lusingata, non so dirlo con certezza.
Tutto ciò che sapevo era che quella chiacchierata aveva demolito la prima impressione che avevo avuto di lui.
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Capitolo 6 *** Omino verde ***
An O'Broden Story (6) Dylan(6) • Omino verde •
Dylan POV
Colton Haynes e Jackson
Witthemore sono due entità diverse. La prima è una persona reale,
concreta, con emozioni e paure come chiunque altro; la seconda è un
personaggio creato dalla mente geniale di Jeff Davis che viene “portato
in vita” da un attore.
Purtroppo però non tutti sanno
cogliere la differenza e questo per un attore può essere estremamente
frustrante: le azioni del personaggio che si interpreta vengono
accollate alla tua persona e, volente o nolente, si finisce per
sentirsene responsabili, anche quando si sa perfettamente che non è
così che dovrebbe andare o che ci si dovrebbe sentire.
Ecco perché mi sono sempre
ritenuto fortunato nell’interpretare Stiles. Tutto sommato, abbiamo
molte cose in comune (al di là dell’aspetto, eheh) e questo mi ha
aiutato parecchio nel dargli una personalità ben definita.
Per Colton non è mai stato
così. Ma d’altronde la gente non può sapere che dopo il ciak della
scena tra Lydia e Jackson ambientata per i corridoi del liceo di Beacon
Hills, quella nella quale lui la accusa di aver rovinato tutto, se l’è
stretta tra le braccia per quasi dieci minuti. Come potrebbe saperlo?
Fatto sta che, seppure Colton
non avesse fatto altro che il suo lavoro, si sentì in qualche modo
talmente in colpa da dover recuperare con Holland dei punti che era
stato Jackson a perdere… con Lydia.
In sostanza, essere un attore
è un casino. Ed è per questo che tra attori si crea una sorta di legame
naturale, uno che si potrebbe riassumere con “anche io sono un attore,
so quello che provi, ti capisco!”. E la comprensione reciproca è un
grande mattone per il muro di una relazione sociale felice.
…
Ultimamente sto passando troppo tempo con Hoec ed ora sto cominciando a parlare come lui, lo so.
Come quella volta in cui, volendo mettermi al corrente del fatto che Colton e Holl fossero andati via dalla festa insieme,
fece un giro di parole così pieno di fronzoli e di metafore che credevo
si fosse lasciato andare tra le braccia dello spumante, saggiamente
brillo. E invece no. Stava solo sperando che io cogliessi nelle sue
perle da Nonna Salice il messaggio “Ehi, cretino, dovresti darti una
mossa”.
Che illuso.
Alla fine dovette arrivare Colton, la sera dopo, a rendermelo palese.
«I tacchi hanno deciso di
abbandonarla mentre andavamo a prenderci qualcosa da bere all’angolo
bar; l’ha interpretato come un segno divino e così siamo andati via.
Era disperata!» Raccontò a me e Super-Tayler. «Abbiamo raggiunto il
McDrive, mangiato un McFlurry per risollevarle il morale e parlato un
po’. Niente di eccezionale» spiegò con nonchalance prima di sciogliersi
in un sorrisetto ed aggiungere: «È una ragazza dolcissima».
Queste furono le quattro parole che fecero alzare in piedi, infastidito, l’omino verde che neanche sapevo di avere nella testa.
Voglio dire, che diamine! Quelle scarpe le aveva messe per fare un dispetto a me
e loro decidono di ribellarsi quando io non ci sono?! Andiamo! Non
fraintendetemi: adoro Colton. È uno dei tanti fratelli acquisiti che la
famiglia di Teen Wolf mi ha donato, ma avrei dovuto essere io quello a
portarla lì - magari optando per qualcosa di più “consistente”,
conoscendomi -, farla rallegrare con qualche squallida battuta e… e non
lo so! Resta il fatto che sarebbe toccato a me!
E mentre la mia faccia cominciava a sformarsi in una smorfia poco chiara ma palesemente non
entusiasta, Nonna Salice alzava le spesse sopracciglia. Neanche delle
grandi insegne al neon avrebbero potuto esprimere un più esplicito “te
l’avevo detto”.
Ha la bocca da decifrare e le sopracciglia eloquenti. Non si fa mancare nulla.
Cos’è che stavo dicendo?
Ah, sì, giusto! Le due entità diverse.
Il punto è che Colton ha
voluto bene ad Holland sin dall’inizio e, al di là della trama che ha
dovuto seguire per Jackson, non ha mai nemmeno pensato
di ferirla o farla stare male. Era l’ultima cosa che avrebbe voluto per
lei. Ed anche se poi è successo, si è sentito una merda per questo.
Ciò che c’è ora tra loro è
speciale, sul serio. Un legame che è difficile da spiegare a parole ma
che allo stesso tempo è facilmente mal interpretato dagli occhi esterni.
Non mentirò dicendo che sono
stato contento nell’apprendere la notizia del loro fidanzamento, non
sarebbe da me. Posso assicurarvi però che, una volta finita l’ufficiale
relazione amorosa, tra loro è nato qualcosa di ancora più forte.
Entrambi ad oggi concordano che sia stato meglio così ed io mi accodo alla loro opinione.
«Ti ho fatto perdere anni
preziosi, eh?» Scherzò una volta col sorriso sulle labbra ma uno strano
senso di colpa negli occhi. La loro storia era terminata da circa un
mesetto, allora. Per i media invece era ancora tutto un segreto. «Naah,
figurati, amico!» Gli diedi una fraterna pacca sulla spalla. «È andata
come doveva andare!» Tentai di farlo sentire meno uno schifo alzando le
spalle. Gli anni avevano fatto cadere in un lungo coma l’omino della
gelosia. Forse perché vederla felice aveva reso felice anche me, alla
fin fine. «Saremmo rimasti solo amici, con o senza di te.»
«Non ne sarei così sicuro» mi
contraddisse. «Holl è sveglia, la conosci. Una delle persone più
intelligenti che abbia mai conosciuto.» Per sdrammatizzare sparai un
«Modestamente!» compiaciuto (ed ironico) e che lui lo smontò con una
risata ed un «L’importante è crederci!» ma, com’è ovvio, non me la
presi. Sapevo di non essere acuto tanto quanto la genietta biondo
fragola che lavorava come attrice e che contemporaneamente frequentava
il college.
«Sono serio, però. Ci sono
stati momenti in cui le hai fatto da fidanzato più tu di quanto potessi
farlo io. E se l’ho notato io, sono sicuro che l’abbia fatto anche
lei.»
Non capii a cosa si stesse
riferendo, sarò onesto. Mi ero sempre comportato da buon amico con lei,
specialmente quando si mise assieme ad uno dei miei amici/fratelli di
cast. Ma niente più di questo.
Colton mi lesse dentro e,
chiaro come mai sarebbe stato Tyler Hoechlin in vita sua (gli voglio
bene, lo giuro), mi spiegò cosa intendesse.
«Ricordi quando agli MTV Movie Awards le cadde la pochette per terra nel ben mezzo delle foto di gruppo?»
Sarebbe voluta sprofondare
sotto terra mentre Crystal se la rideva di gusto, incapace di aiutarla
lei stessa in quanto entrambe limitate da cortissime gonne che però
facevano divinamente la loro figura. Lo ricordavo, sì, ma non come un
episodio chiave, insomma.
Annuii e lo lasciai proseguire.
«Ti sei chinato a raccoglierla
senza esitare un attimo. Non te n’è importato niente di uscire male
nelle foto, l’hai fatto e basta. In perfetto stile
Dylan-Disagiato-O’Brien ma l’hai fatto!» Mi lasciò mezzo minuto di
silenzio per rifletterci su, sperando che cogliessi i mille messaggi
subliminali che c’erano dietro il suo esempio, e poi riprese. «L’ho
amata per tanto tempo senza capire cos’è che davvero volessi» si
confidò. «Tu invece non hai mai dovuto capirlo perché l’hai sempre
saputo. E in un modo o nell’altro l’hai sempre dimostrato. Sarei
contento di saperla accanto a qualcuno che ci tiene così tanto a lei.
Seppur irrimediabilmente disagiato.»
Fu l’unica volta che parlammo così apertamente di lei.
A quel tempo lasciai cadere il
discorso abbassando la testa e sorridendo, incassando quel velato
complimento con una confusa gratitudine.
Ovunque andassi e con chiunque parlassi, tutto e tutti mi spingevano verso di lei.
Ma sono sempre arrivato in ritardo.
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Capitolo 7 *** Supporto morale ***
An O'Broden Story (7) H-D-H
(7) • Supporto morale •
Holland POV
Mi sento di poter
affermare d’avere un buon rapporto con i media, tutto sommato. Non sono
una a cui piace spiattellare la propria vita privata in primo piano ma,
allo stesso tempo, non vivo da eremita in ritiro spirituale sulla vetta
di una montagna. Attenzione: la mia non è una predica. Chiunque
dovrebbe decidere in totale autonomia cosa farne della propria privacy.
E se lo dice una che è seguita dai paparazzi anche quando esce per
comperare un regalo di compleanno per un’amica, è tutto dire.
Come ho già detto, non è un
gran problema per me. Anche i media, come i paparazzi, svolgono il loro
lavoro ed anche loro, esattamente come in ogni mestiere, possono
decidere se attenersi alle regole o andare oltre la linea gialla di
sicurezza ed azzardare ”il colpo grosso” seppur eticamente scorretto.
Ma fino ad ora non ho sviluppato alcuna mania di persecuzione o paranoia in generale perciò mi ritengo soddisfatta.
Convivo con le pressioni
esercitate dai media ormai da anni, sia riguardo la sfera relazionale
che quella lavorativa. Che nel mio caso sono spesso andate di pari
passo.
«È… un bell’impegno, Holl» disse Crystal raggrinzando su di un lato le labbra.
Eravamo entrambe avvolte in
dei morbidi burritos di coperte in pile, accoccolate sul divano del mio
trailer. Nonostante fosse piena primavera, le temperature tendevano a
scendere parecchio di notte e trascorrere così quelle fredde serate
dopo aver girato tutta la giornata era per noi il top del relax. Ma,
onestamente, quella sera non sarei riuscita a fare nient’altro.
Avevo appena rotto con Colton
ed il mio umore, nonostante avessimo concluso la nostra relazione in
maniera del tutto civile -se non addirittura amichevole-, era sotto
terra.
Me l’aspettavo, però. Anzi, a dirla tutta era perfino sollevata.
Ero contenta che avesse avuto il coraggio e la forza per guardarsi
dentro e realizzare cosa davvero volesse per lui e la sua felicità.
Ciò non toglie che mi sentissi
uno schifo. Ecco perché non me la sentii di dissentire. Erano un
mucchio di responsabilità quelle che mi stava affidando.
«Non state più insieme ma
comunque non potete tranquillamente frequentare altra gente poiché per
il mondo siete ancora una coppia? Non lo so…» si prese una piccola
pausa, forse indecisa se lasciarsi andare a quel suo pensiero critico.
«Colton è fantastico, gli voglio un mondo di bene, ma… mi sembra un po’
troppo da chiedere. Specialmente a te» confessò. Concordai annuendo con
il capo. Ero in quella fase della rottura in cui si perdevano tutte le
parole.
Un rumoroso sospiro uscì dalle
labbra di Crys. Mi si spostò più vicina e con un gesto della mano fece
appoggiare la mia testa sulla sua spalla, in segno di totale supporto.
Una buona amica ed un tè caldo erano tutto ciò di cui avessi bisogno in quel momento.
Dylan POV
«Dovrei andare a vedere come sta» mi alzai di scatto dal divano mollando il controller della PlayStation sul tavolino.
Nessuno mi prese sul serio dato che quella era la quarta volta che mettevo in scena quel teatrino.
«Se se, vai» mi incoraggiò
Tyler approfittando della mia lontananza dalla console per distruggermi
nel gioco. Perfino lui sapeva che non l’avrei fatto sul serio benché lo
volessi. Eccome.
«Questa volta dico sul serio,
amico!» Sbottai quasi innervosito. «Hai visto che faccia aveva oggi?
Non era la sua faccia, quella.»
«Bro, è una ragazza. Una volta al mese a loro è concesso.»
«Beh… che me lo dicesse,
allora!» Risposi nel panico. Meglio dire qualcosa di stupido ed
imbarazzante piuttosto che restare zitti: era una mossa marchiata Dylan
O’Brien.
«Ah, sì. In effetti mi sembri
proprio il tipo perfetto con cui parlare di problemi femminili!»
Ironizzò senza neanche degnarmi di uno sguardo. La stessa cosa fece con
Hoec non appena varcò la soglia del trailer. Era proprio determinato a
vincere a quello stupido gioco!
«Se per oggi non avessi già
messo da parte Derek, ora vi chiederei chi dei due ha “problemi
femminili” e che, per altro, non sarebbe stato nemmeno tanto shoccante
scoprire che ne abbiate, in generale» esordì con un sorrisetto e
lanciandomi la giacca che avevo dimenticato sul set. «Di cosa stavate
parlando?»
«Dylan vuole di nuovo fare lo
strambo con Holland» riassunse alla perfezione T-Pose, esultando appena
due secondi dopo per aver vinto il round contro il mio immobile
personaggio.
«Dalle tregua, per oggi»
troncò le mie intenzioni il più adulto della stanza. Poi scosse la
testa e si mise le mani sui fianchi, pensieroso.
Perché quell’uomo sembrava sempre avere delle informazioni vitali di cui io ero all’oscuro?!
«Perché, cosa c’è che non va?
Cosa sai? Le hai parlato? Ti ha detto qualcosa?» Lo tempestai di
domande raggiungendolo sull’uscio della porta.
«Pare che lei e Colton non stiano più insieme.»
Cioè, gettò quella bomba
nucleare semplicemente facendo spallucce. Lo perdonai solo perché
sembrava sinceramente dispiaciuto. Tyler conosceva Holland da ancor
prima che iniziasse lo show; era davvero affezionato a lei quasi come
se fosse una sorella.
«Oh, merda.» Posey andava proprio bene con i riassunti quella sera.
Il mio cervello andò in blackout. Sapevo che avrei dovuto fare qualcosa per lei ma non sapevo cosa. Cos’è che si faceva in quei casi?
«Mentre tornavo ho incontrato
Crys. Abbiamo parlato un po’ e poi mi ha detto che era appena stata da
lei e che ora dovrebbe stare meglio. Magari sta già dorm-»
Ma ero già uscito dalla porta,
infilandomi frettoloso la giacca che mi era appena stata restituita. E
che avrei dimenticato di nuovo.
Holland POV
«Sicura di star bene? Posso rimanere con te se vuoi.»
«Sei venuta dritta qui dopo
aver girato, Crys. Sul serio, sto bene» insistei cacciandola quasi di
peso fuori dal trailer. Non che non la volessi con me ma aveva bisogno
di riposare. Non potevo trascinare giù con me anche lei, che era
abituata a risplendere alta nel cielo per illuminare le vite di
chiunque avesse la fortuna di conoscerla. «Tu va’, noi ci vediamo… tra
qualche ora.» Turni assurdi da attore. «Sala trucco alle quattro e
mezza, giusto?»
Lei sospirò sconfitta ed infine annuì. «Giusto. Cerca di riposare.»
«Certo! Non voglio dare più
lavoro a Megan di quanto già non ne abbia!» Lo dissi ridendo ma era
tutto vero. Quella donna doveva avere a che fare con la mia pelle
capricciosa ogni giorno; non meritava altre rogne.
«Buona doccia! A dopo!» Chiusi
la porta dopo averle sventolato la mano in saluto e mi rigettai
immediatamente tra le braccia del mio giaciglio; non aveva senso
preferire il freddo letto quando a disposizione avevo ancora il tepore
intrappolato tra i cuscini del divano ugualmente comodo.
Mi rannicchiai per trattenere
meglio il calore e mi accorsi, mio malgrado, che occupavo soltanto metà
dello spazio disponibile sul divano. Mi domandai se per tutti quei mesi
fosse stato così anche per il cuore di Colton.
Ero in quella posizione da un
quarto d’ora circa, rannicchiata, fissa a guardare il disordine sparso
per tutto l’ambiente, in perfetta sintonia con il casino che avevo in
testa.
Poi qualcuno bussò alla porta e mi risvegliò dallo stato semi-catatonico in cui mi trovavo. Ero sicura
fosse Crystal che, pronta ad impormi con tutto l’affetto possibile ed
immaginabile la sua compagnia, aveva fatto marcia indietro. Per un
attimo pensai di lasciarla fuori e farle credere che fossi caduta
vittima di Morfeo ma… non potevo farle questo. Sarebbe stato come
voltare le spalle al proprio angelo custode.
Raggiunsi quindi la porta stringendomi la coperta sulle spalle (e fingendo una punta di sonnolenza? Forse ) e la aprì.
Ma non era lei.
«Colton?»
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