How soon is Now?

di Ormhaxan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Prologo ***
Capitolo 2: *** 02. ***
Capitolo 3: *** 03. ***
Capitolo 4: *** 04. ***
Capitolo 5: *** 05. ***
Capitolo 6: *** 06. ***
Capitolo 7: *** 07. ***
Capitolo 8: *** 08. ***
Capitolo 9: *** 09. ***
Capitolo 10: *** 10. ***



Capitolo 1
*** 01. Prologo ***




HS_09

 



When you say it’s gonna happen now,
When exactly do you mean?
See I’ve already waited too long
And all my hope is gone.




 

Tic. Tac. Tic.
La pioggia continua a cadere da un manto di nubi grigio e rosa, si schianta suicida sui vetri della finestra del mio appartamento, un trilocale situato in un condominio residenziale modesto, popolato per lo più dalla media borghesia di Londra.
La pioggia mi ha sempre resa malinconica, il suo suono ha il potere di fare brutti scherzi alla mia mente che, ipnotizzata dal suo ritmo regolare, tende a perdersi tra i meandri nebulosi dei miei ricordi; sono questi i momenti in cui riaffiorano immagini da tempo rinchiuse in bauli ossidati dallo scorrere degli anni, sigillati con lucchetti arrugginiti da una patina verdastra, in un vano tentativo di cancellarli per sempre dalla mia vita.
Pioggia estiva inglese.
I ricordi sono tutto ciò che mi è rimasto, unico mezzo che ho per non dimenticare per sempre le risate, i sorrisi, i volti di chi si è perso per strada; sono sentimenti dolci e amari allo stesso tempo, di quelli che puntualmente ti ritrovi a sorridere malinconicamente, a maledire il destino da cui, come soleva ripetermi mia nonna quando ero una mocciosa, dipende ogni cosa.
Ned e il suo sogno di diventare un professore stimato, Leslie dai grandi occhi verdi, la sua voglia di conquistare quei quindici minuti di notorietà promessi; il rullante di una batteria, le note di una chitarra elettrica e la voce soave e allo stesso tempo graffiante di una ragazza. E poi lui…
Se chiudo gli occhi posso ancora vederli, i loro volti illuminati da brandelli di luce, i loro sorrisi spensierati, i loro occhi sempre attenti, la loro perenne fame; posso sentire la musica sparata a tutto volume, che rischia di spaccarmi i timpani, una canzone degli Smiths mandata ancora e ancora, la voce di Morrissey sbiascicata che si diffonde tra gli ambienti, nel profondo delle nostre anime marce e incazzate.
Loro contro il mondo, noi tutti contro il mondo, figli ed eredi di niente in particolare, come cantavano gli Smiths in una delle loro più famose canzoni. Noi instancabili guerrieri sempre pronti a lottare per la promessa di un domani migliore.
Domani. Ma quando sarà adesso?

Un fruscio quasi impercettibile di lenzuola mi fa trasalire e il mio istinto sempre allerta fa precipitare il mio smagrito e ancora provato corpo alla culla di vimini, uno dei pochi regali che qualcuno ha avuto la decenza di fare.
Sorrido, dandomi della sciocca quando la trovo addormentata, immersa in un sonno profondo, tranquillo: non mi sono ancora abituata a questa nuova situazione, alla mia nuova esistenza, eppure quello che inizialmente mi è parso un errore adesso mi sembra – no, non sembra, ma è senza alcun dubbio — la cosa migliore che abbia mai fatto.
Ho fatto tante cazzate nella mia vita, mi ritrovo a pensare mentre osservo mia figlia, di appena una settimana, dormire nella sua culla, ma avere lei è stata la cosa migliore che potesse mai accadermi.
Se potessi vedermi ora, saresti felice per me. Forse, nel luogo in cui sei adesso lo sei ugualmente, perché finalmente sai che tutto il dolore provato è nel passato e il presente è sereno. Perché sai che il domani migliore che abbiamo sempre voluto è finalmente qui.

La porta dall’altra parte della stanza si apre, permettendo ad un fascio di luce giallastra di fendere la semioscurità della stanza, rischiarirla. La figura che accompagna quello spiraglio di luce è aitante, si impone immediatamente tra quelle quattro pareti anche grazie alla sua lunga ombra proiettata sulla moquette scura, portando allo stesso tempo il freddo di quella insolita giornata di inizio estate e il calore della sua presenza.

«Sei tornato. – sussurro per non svegliare la bambina — Perché ci hai messo tanto?»
«Perdonami, — risponde lui, prima di circondarmi la vita con un braccio e posare un affettuoso bacio sulla mia fronte — sono stato trattenuto.»


 


*
 



Angolo Autrice: Hello, Folks! Non so bene cosa aspettarmi da questa storia, sarò sincera, perchè è davvero tanto che non scrivo una storia non storica - chi mi conosce sa che vivo per i romanzi storici - quindi tornare alle origini, se così possiamo dire, mi fa strano. Inoltre, questo prologo è stato praticamente scritto di getto, senza punti precisi.
Per questa storia attingerò a molte fonti, idee per storie scritte e poi cancellate o mai pubblicate, sperando di non essere mai banale o scontata. Se mai dovessi diventarlo, vi prego di farmelo presente e di perdonarmi.
Non so bene cos'altro aggiungere, se non che spero davvero di ricevere opinioni perchè, come mai prima, ne ho davvero bisogno.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 2
*** 02. ***


 
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Londra, 1985





Alza il bavero del pesante cappotto scuro e aumenta il passo. Lip alza lo sguardo al cielo, osserva le nuvole scure e compatte che si distendono a perdita d’occhio come un mare di fuliggine, constatando suo malgrado che quella non è la classica pioggia inglese, ma un temporale con i fiocchi.

A Londra da meno di un giorno e già un bel temporale di fine autunno. Spero solo di non prendermi un raffreddore, perché Ned non mi farà da balia.

Ha comunicato il suo arrivo a Londra cinque giorni prima con una chiamata internazionale dalla Germania, dove si trovava da oramai tre mesi, che era costata un occhio della testa sia a lui, ospite di amici che aveva dovuto rimborsare fino all’ultimo centesimo per quella notevole spesa, che a suo fratello.
Edward è stato sorpreso di sentirlo: Lip non è mai stato un tipo da telefonate, da sempre preferisce a queste lunghe e dettagliate lettere spedite nei momenti e dai posti più assurdi, ma quando il minore aveva annunciato il suo ritorno in patria, stanco di girovagare il mondo come un gitano insieme alla loro madre, indipendente fotografa con due divorzi alle spalle e uno spirito libero, Ned non si era tirato indietro e aveva accettato subito di prenderlo in casa e dividere, momentaneamente, lo stesso tetto.
Edward è sempre stato come loro padre, ligio al dovere e fedele fino alla morte alla famiglia, ai principi che fanno di una persona un vero uomo, un padre di famiglia. Loro padre non ha mai accettato il divorzio, la scelta della moglie di voler essere libera da quella prigione dorata che, senza cattiveria, lui le aveva costruito attorno; ancor meno ha accettato o compreso la scelta di Lip, allora dodicenne, di andare con la madre in giro per il mondo, anche lui impaziente come lei di lasciare la caotica Londra e immergersi a capofitto nel fluire del mondo, dei suoi colori e dei suoi suoni, delle sue civiltà e dei suoi curiosi linguaggi.
Solo Ned era rimasto a Londra, quattordicenne dalla mente sveglia e pupillo di suo padre, che per lui sognava una carriera accademica in una delle università più prestigiose del paese – Oxford o Cambridge — il riconoscimento di una mente arguta e brillante.
Ha fatto strada, Edward: si è laureato con lode in Letteratura e, meno di un anno dopo, si ritrova a condividere la cattedra di Storia Medioevale alla UCL; molti, nell’ambiente, sostengono che tale carica sia stata ottenuta grazie all’influenza di suo padre, papabile futuro rettore della Royal College of Art, ma Lip è certo che quella posizione Edward se la sia meritata. Suo fratello è un genio, lo è sempre stato; ha una mente brillante, attenta, una fame di conoscenza che lo ha portato a laurearsi prima di tutti gli altri del suo corso.
Merita il meglio, Edward, perché è lui il migliore dei due. Lo è sempre stato e sempre lo sarà.
 
Un ragazzo coperto da capo a piedi saetta alla velocità della luce su di una bicicletta sgangherata, in spalle una custodia di quello che, in un primo istante, pare un basso o una chitarra. Va veloce come il vento che in quel momento sferza il viso di Lip eppure non abbastanza per impedire alla mente del ragazzo di ripensare, dopo tanti mesi, a una sua vecchia conoscenza londinese.
Sono passati quasi due anni dall’ultima volta che ha visto o sentito Leslie, quella folle bassista dal colore di capelli sempre diversi con cui, spesso, si è ritrovato a suonare sia per noia che per passione; la musica è sempre stata una costante della vita di Lip, nella sua mente l’immagine di una chitarra strimpellata viene ancor prima di un libro, del saper leggere o scrivere, e in cuor suo ha sempre sognato di poter vivere di quello.
Non che diventare una rock star gli interessi; Lip non vuole diventare il prossimo Keith Richards o il futuro Jimmy Page, semplicemente vuole vivere facendo ciò che più lo fa sentire vito, senza rimpianti.
Si domanda, a pochi isolati dalla casa di suo fratello, se Leslie suoni ancora, se sia interessata a un chitarrista, fondare una sgangherata band, a fare le cose sul serio; gli piacerebbe suonare con lei, con quella ragazza mezza pazza che non ha paura di nulla, che suona il basso con tutta l’energia che ha in corpo. Insieme sarebbero una forza e con un buon batterista e un cantante abbastanza carismatico…

Meglio non costruirsi castelli in aria: non sa ancora come rintracciarla, in effetti non sa niente di niente; la sua mente, come al solito, è stata precipitosa e si è fatta prendere dall’entusiasmo delle fantasticherie da sempre definite da suo padre come sciocche.
La verità, la triste e crudele verità, è che non ha un lavoro, in tasca ha circa cinquanta sterline, tutto ciò che gli è rimasto dopo settimane di bagordi e nessuna idea su cosa fare della sua misera e disastrata vita.
Dopo tutto, non a caso lui è sempre stato il fratello problematico, quello che ha lasciato gli studi dopo il diploma, che non ha mai saputo fare altro se non suonare la chitarra.

 

**


Edward accoglie il fratello minore sulla soglia della porta del suo appartamento piuttosto spazioso. Non vede Lip da un anno, non ha idea di cosa abbia combinato in Germania in tutto quel tempo, tantomeno cosa o chi lo abbia convinto a tornare a Londra.
Lui ha sempre odiato Londra, il suo trambusto, la gente troppo grigia e troppo concentrata sulla sua vita per accorgersi di guardarsi intorno; non ha mai sopportato il loro padre, spesso si è scontrato anche con lui, eppure adesso è tornato ed Edward non ha idea di quanto tempo rimarrà là o cosa farà.
Sinceramente, non ha neanche avvisato suo padre del ritorno del figlio minore, troppo preoccupato di una sua reazione spropositata, della reazione di Lip. Suo fratello non accetterebbe mai l’aiuto del vecchio, di questo ne è convinto, così come il vecchio non riuscirebbe a prodigarsi per mettere qualche buona parola qua e là, immischiarsi nella già incasinata vita di suo figlio.

Lip non è come me, non lo è mai stato. Lui è uno spirito libero, un giovane uomo a cui le regole non sono mai piaciute. Lip è come nostra madre.

Quando i loro occhi si incontrano, Edward nota subito l’espressione infreddolita sul suo volto, il naso simile al suo completamente arrossato dal freddo e pensa che mettere dell’acqua per il thè sul fuoco sia stata una grande idea. Non ha idea di quanti chilometri si sia fatto a piedi, di quanto le sue mani e i suoi piedi siano freddi; il vento di Londra è ancor più freddo di quello tedesco, totalmente diverso da quello dell’Africa o dell’Oriente. Lip dovrà farci l’abitudine e presto.
«Ciao, fratellino! – esclama con un sorriso sornione e le braccia incrociate — Pensavo ti fossi perso tra le strade della City.»
«Quei dannati taxi neri sono più lenti di quanto ricordassi. Sono certo che l’indiano, o qualsiasi fosse la sua nazionalità, abbia allungato il percorso di proposito. – risponde, sfregandosi le mani guantate – L’ho costretto a fermarsi a metà strada e ho fatto a piedi l’altra restante. Per rimanere in forma, sai…»
Edward scuote la testa: «Ora capisco perché sei magro come un chiodo. – lo squadra da capo a piedi — Ti trovo bene.»
«Tu, invece, sei sempre il solito impettito. Un fottuto cockney della classe abbiente.»
 
Si scambiano uno sguardo complice e, scostandosi, Edward fa accomodare Lip in casa. Entrambi, una piccolissima parte di entrambi, vorrebbe abbracciare l’altro; entrambi, però, non sono inclini agli slanci di affetto e alle smancerie. Su questo, sono uguali al padre.
Lip si guarda intorno mentre appoggia sfila lo zaino e poggia la custodia rigida in cui è conservata la sua chitarra, una Gibson Les Paul gialla e arancione del ’75 che sua madre gli ha comprato per i suoi diciotto anni.
È la sua piccola bambina, il suo tesoro più prezioso e Lip la custodisce da sempre come un amante geloso della propria donna. A nessuno è permesso suonarla, anche solo sfiorare le sue corde, i tasti in madreperla; solo Ned l’ha suonata una volta, durante le feste di Natale passate insieme a Londra cinque anni prima, strimpellata per pochi secondi in un modo talmente orrendo che a Lip è venuta la pelle d’oca e una gran voglia di maledire il fratello.

«Non c’è che dire: un’ottima casa. Mi domando quanto nostro padre l’abbia pagata.»
Ned aggrotta la fronte, per nulla contento di quella frase: «Nostro padre ha pagato solo la metà e solo perché ha insistito. Io, invece, sto pagando il resto con il mio stipendio di assistente universitario. – asserisce piccato, guardando torvo Lip — E, se proprio vuoi saperlo, non credo sia giusto che il vecchio venga tenuto all’oscuro di tutto. Sei sempre suo figlio.»
«Sarà, ma sei sempre stato tu il suo preferito. E questo anche prima del divorzio. — Lip si lascia cadere a peso morto sul divano in pelle del salotto dalle pareti beige — Inoltre, non si è mai interessato troppo alla mia vita, ai miei interessi, degli interessi che lui ha sempre osteggiato e ritenuto bizzarri. Proprio come quelli di mamma.»
«Questo non toglie che ti vuole bene. – incalza nuovamente Ned — Inoltre, come giustamente hai fatto presente, questa è anche casa sua e io non ho intenzione di ospitarti alle sue spalle. Se dovesse chiedermelo, io non mentirò per te.»
Lip ghigna: «Da te non mi sarei mai aspettato niente di meno. – intreccia le braccia dietro la nuca, mettendosi comodo — Nonostante questo, per quanto sia assurdo, sono contento di essere qui e di poter avere finalmente una sana relazione tra fratelli.»
«Questo significa che resterai qui per molto?»
«Perché, vuoi già sbarazzarti di me, fratellone?»
Edward si gratta la nuca: «Che stronzate vai dicendo? Certo che no. Sei mio fratello, questa sarà anche casa tua se lo vorrai, ma vorrei anche sapere cosa ti frulla per la testa.»
«Sinceramente? — domanda retoricamente — Non ho ancora un piano, ma di una cosa sono certo: fare il gitano mi ha stancato, così come stare dietro i casini di nostra madre, a ritmo della sua scapestrata vita, sempre a cambiare un uomo dopo un altro. Un divorzio dopo l’altro. Ho voglia di stabilità e dove cercarla se non qui, da mio fratello?»
«In questo caso è meglio che tu inizi a pensare a trovare un lavoro serio, perché non ho intenzione di provvedere al tuo flaccido culo piatto per i prossimi mesi.»
«Sì, Professore!»
«Fanculo, stronzetto!»
«Crepa, idiota!»
Edward ride: «Mi sei mancato, Lip.»
«Anche tu mi sei mancato, Ned.»
 

**
 


In piedi con una tazza fumante tra le mani, Lip osserva curioso l’ampia libreria stracolma di libri perfettamente impilati negli scaffali. Ne legge i titoli, alcuni noti e altri mai sentiti nominare, quando il suo sguardo cade sulle fotografie incorniciate in portafoto di metallo sullo scaffale centrale: una raffigura Ned e sua madre il giorno della sua laurea, avvenuta qualche anno prima, l’ultima volta in cui si sono rivisti tutti e quattro insieme; un’altra raffigurava loro due da piccoli, mentre giocavano in spiaggia. Lip ricorda perfettamente quell’estate: aveva sei anni e Ned ne aveva otto; insieme ai loro genitori, erano partiti per due settimane per un viaggio in Italia, nella calda Roma. Là, tra un barboso museo e un altro, avevano ritagliato un’intera giornata in spiaggia, in una città vicina alla capitale, dove avevano preso una cabina e un ombrellone. Di quel giorno ricorda il caldo, il vociare degli italiani, sempre così rumorosi ma simpatici, le onde del mare, i castelli di sabbia costruiti con fatica insieme a suo fratello e i sorrisi dei loro genitori, all’epoca ancora felici e innamorati.
Sorride malinconicamente, passando alla foto successiva racchiusa in una cornice laccata di bianco che raffigurava suo fratello con due amici, un ragazzo con una zazzera di capelli neri e una ragazza con lunghi capelli biondi e il viso ovale.
La ragazza è di una bellezza particolare, indossa un chiodo di pelle e dei jeans scuri; ha delle scarpe da ginnastica, una pesante sciarpa che le nasconde parte del mento e sorride spensierata. Si domanda se suo fratello li frequenti ancora, se la frequenti ancora, perché qualcosa dentro di sé gli dice che quella tipa è particolare, qualcuno che vale la pena conoscere, avere come amica. O semplicemente portare a letto.

«Chi sono? – chiede, continuando a fissare la foto – La ragazza è carina: te la sei scopata?»
«Lip! – Ned lo riprende, sentendosi immediatamente bacchettone. Dopo tutto quello è suo fratello, pensa, e con lui può anche smettere di essere così ingessato — Cazzo, ma non sai pensare ad altro? E comunque no, non mi sono scopato Andrea.»
«È così che si chiama? Andrea?»
Ned annuisce: «Ci siamo conosciuti durante il liceo. Io facevo il quinto e lei il terzo; eravamo nello stesso club di letteratura e siamo diventati quasi subito amici. L’altro ragazzo è Justin, un nostro comune amico che adesso vive in America.»
«Anche lei si è trasferita in America?»
«No, curiosone, lei è ancora a Londra. Frequenta l’università e lavora in un pub come cameriera. Nonostante la borsa di studio e il lavoro in banca di suo padre è sempre stata una ragazza indipendente.»
«Indipendente, proprio come me. – Lip fece schioccare la lingua sul palato – Chissà, magari siamo spiriti affini.»
«Giù le mani, fratellino. – Ned tenta di simulare un tono scherzoso, ma dalla sua frase trapela fastidio, quasi gelosia – È una brava ragazza, una ragazza seria. Non fa per te.»
«Tranquillo, fratellone, tranquillo. – Lip scuote la testa e ride — Ti stavo solo prendendo in giro e poi neanche la conosco. Probabilmente non la conoscerò mai, visto che da quando sembra non la vedi o senti da un bel pezzo, quindi rilassati.»
«Piuttosto, – continua subito dopo — cosa mi hai preparato per cena? Muoio di fame.»
«Mi hai preso per una fottuta massaia? Se hai fame vai in cucina, sfoglia l’agenda con i ristoranti d’asporto e ordina qualcosa. Una pizza, magari, o del cinese. -  si inumidisce le labbra secche – Sai, ora che mi ci fai pensare ho proprio voglia di un riso alla cantonese.»


 

*

 
Angolo Autrice: Salve, gente! In questo secondo capitolo conosciamo i due protagonisti maschili di questa storia, i fratelli Lip e Ned. Entrambi, anche se diversamente, sono piuttosto incasinati e con un passato alle spalle non facile. Il ritorno di Lip porterà aria di cambiamento nella vita di Ned, un cambiamento che non sarà sempre positivo. Cosa ve ne pare di loro? Vi siete già fatti una prima idea? Sono molto curiosa! :3
Grazie, infine, a chi ha recensito il primo capitolo. Ho apprezzato moltissimo.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 3
*** 03. ***



 



Continua a guardarsi nello specchio, capo leggermente inclinato e braccia conserte, e sbuffa. Tornare al suo colore naturale probabilmente non è stata una buona idea: si è tinta i capelli per la prima volta a quindici anni di un rosso elettrico così intenso da risultare quasi impossibile alla vista; a diciassette anni è stata la volta del verde e infine del blue, scelta questa presa seguendo la scia punk che si era diffusa anni prima in tutta l’Inghilterra, e ora che è ritornata al biondo, a quei capelli che ha sempre odiato perché uguali a quelli di suo padre, quel porco che ha lasciato sua madre e i suoi due figli per una ragazzina cinque anni prima, stenta a riconoscersi.
Non è stata una scelta facile quella, più che sua è stata di sua sorella, prossima al matrimonio, che l’ha scelta come sua testimone e quindi imposto un aspetto decoroso, normale. Leslie ha sempre odiato la normalità.

«Lex!» una voce che conosce da cinque anni la fa sobbalzare appena.
Jeff fa il suo ingresso nel garage di Brixton, a Sud di Londra, infreddolito e con i capelli completamente zuppi per la pioggia che, da tre giorni, non smette di cadere. La guarda con stupore misto a perplessità, stentando quasi a riconoscerla con quei capelli biondi che le danno un aspetto totalmente diverso, le conferiscono – ma questo non glielo confesserà mai – una bellezza diversa dal solito, meno aggressiva e più delicata, sensuale.
«Che cazzo hai combinato? – le chiede, quando vorrebbe solo dirle che sta bene, che la trova bellissima e che la sua vista basta per fargli battere forte il cuore – Cosa sono quei capelli biondi degni di una Barbie?»
«Lo so, lo so, sembro una fottuta posh, una di quelle che girano a Soho con le loro borsette firmate e le loro scarpe da centinaia di sterline, fottendosene dello stato in cui versano i lavoratori in tutto il paese. — risponde piccata, facendo uscire il suo lato da attivista, da ragazza cresciuta in una famiglia modesta, di pescatori — Mia sorella ha insistito: è il suo giorno, cazzo, il suo perfetto giorno e vuole che tutto sia perfetto, compresa la sua testimone di nozze.»
Jeff si avvicina, prende una ciocca di capelli tra le dita e se la rigira con calma; Leslie alza lo sguardo, fingendosi offesa per le parole del suo ragazzo, per quel modo di fare che, lo sa, è solo un modo tutto loro per scherzare, per evitare di dirsi robe sdolcinate e romantiche.
«Da vicino non sono male, - le dice con un ghigno sulle labbra sottili – potrei anche abituarmici e, con il passare dei giorni, potrebbero addirittura iniziare a piacermi sul serio.»
«È un modo carino per dire che mi donano?» chiede, afferrando delicatamente il maglione umido, attirandolo verso di lei per baciarlo.
Sono ufficialmente una coppia da un anno, anche se la loro storia va avanti da un anno e mezzo tra alti e bassi iniziali: all’inizio è stata una cosa prettamente fisica, un’attrazione irresistibile che esplodeva ogni qual volta rimanevano soli in una stanza, spesso alticci o inebriati dal troppo fumo di una canna condivisa; all’inizio nessuno dei due ha voluto dare un nome a quel rapporto, definendolo passeggero, un’amicizia con dei benefici, del sesso occasionale. Poi, però, sono arrivate la gelosia e la mancanza, un senso di vuoto quando l’altro non c’era, di pura rabbia quando qualcuno cercava di flirtare spudoratamente in un locale gremito di gente, in un pub, alla fine di un concerto suonato per cinquanta persone più ubriache che sobrie.
Inaspettatamente e contro tutte previsioni era stata lei, Leslie, la ragazza indipendente, distaccata e allergica alle relazioni a fare il primo passo, a urlare la sua frustrazione quando, dopo l’ennesima gatta morta senza vergogna schiacciata con il suo corpo tutto curve e plastica contro quello del suo chitarrista, del suo amico, del suo uomo, si era ritrovata faccia a faccia con Jeff  in uno stanzino che odorava di muffa e chiuso.
«Lo sai…» lascia la frase in sospeso, il suo è un modo per farle chiedere ciò che lei non vuole, un gioco privato che spesso fanno quando l’altro non ha il coraggio di dire qualcosa per paura di essere giudicato debole o stupido.
«No, invece! — esclama piccata — Dimmelo, Jeff, dimmelo: mi trovi bella?»
Jeff sorride trionfante e compiaciuto: «Bellissima.»

Le labbra di lui sono immediatamente sulle sue, morbide e affamate; la lingua di Jeff gioca con la sua, l’assapora lentamente, senza fretta, mentre le sue braccia la stringono.
Sono stati giorni difficili quelli appena passati, il loro comune sogno sembra sempre più lontano, eppure il loro legame è sempre più forte.
Leslie percepisce quasi subito la voglia che Jeff ha di lei, la sente pulsare e premere contro la sua coscia e anche lei si scopre desiderosa di averlo al più presto.
«Non lasciarmi mai, Jeff. — sussurra mentre lui lascia una scia umida di baci sulla sua gola, fa scivolare una mano sotto il suo maglione rosso e accarezza un suo piccolo seno sopra la stoffa del reggiseno nero foderato con del leggero pizzo — Non so cosa farei senza di te.»
Jeff la bacia ancora, questa volta percependo tutta la sua frustrazione, e vorrebbe poter fare qualcosa per lei: due settimane prima la loro cantante è andata via, urlando e sbraitando, dopo l’ennesima lite con Lex e anche il loro chitarrista, la loro chitarra solista, l’ha seguita, stufo di quello stallo in cui da tempo la band è caduta, deciso a mollare la musica e dedicarsi a qualcosa di più concreto, agli studi che con buona probabilità lo trasformeranno nell’ennesimo inglese barboso e impettito pieno di soldi.
La prende con forza, nel modo in cui lei vuole essere presa, sul mobile sgangherato poco distante da loro; affonda in lei velocemente, facendola urlare di piacere tra un bacio e l’altro, sentendola sempre più vicina all’apice; si inebria del profumo della sua pelle, dei loro capelli che sanno di pioggia e lavanda e le permette di graffiargli la schiena pallida.
Il piacere arriva per entrambi, violento e inarrestabile, li lascia appagati ma senza fiato.
Ci sono tante cose di cui parlare, problemi da affrontare, ma in quel momento nessuno dei due vuole pensarci: in quel momento ci sono solo loro due, ansimanti e con il viso arrossato, complici nella vita tanto quanto su di un palco; in quel momento, tutto il resto non esiste, tutto il resto può aspettare.


«Ieri sera e stamattina ho tappezzato di volantini tutta la zona di Camden e spero che questa volta qualcuno di davvero motivato ci chiami.»
Sono ancora stesi sul divano mezzo sfondato, abbracciati l’uno all’altra mezzi nudi, con una sola coperta di pesante lana a coprirli, quando Jeff si decide a parlare.
«L’ultimo è stato un tale disastro… - ricorda Leslie, che ancora ha i brividi al pensiero del ragazzino di sedici anni che, più che suonare una chitarra, sembrava colpirla ad ogni battuta – forse Roger ha ragione, forse dovremmo smetterla di inseguire un sogno irraggiungibile e iniziare a fare qualcosa di concreto per il nostro futuro.»
«Roger è un coglione e tu non devi permettere alle sue parole di minare le tue sicurezze: sono sicuro che, al momento giusto e più inaspettato, qualcuno busserà alla nostra porta.»
«Come fai ad essere sempre così fottutamente positivo?»
«Qualcuno dovrà pur esserlo. – rispose pacato, scrollando le spalle e baciandola sulla guancia – Magari, proprio in questo momento, qualche giovane ragazza sta passeggiando per le vie di Camden o limitrofe, ancora ignara di ciò che le accadrà, di come un semplice annuncio attaccato su di un palo della luce le cambierà per sempre la vita.»


 

**



È pomeriggio inoltrato e, finalmente, ha smesso di piovere. Zoe cammina tranquilla per le strade di Camden, godendosi i suoi colori, gli edifici unici, gli odori speziati provenienti dalle cucine dei ristoranti indiani, il vociare di gente che riempie i locali, le bancarelle, i mercatini ambulanti. Quella è una delle zone di Londra che preferisce insieme ai parchi, un luogo capace di trasportarti fuori dal mondo, in un Paese delle Meraviglie popolato da giovani vestiti di pelle e con creste alte svariati centimetri dai più assurdi colori. Camden è vita, ribellione, è una pinta di birra in un pub, due chiacchiere con la sua migliore amica di sempre, Andrea.
È sabato e, come ogni sabato, Andrea ha lavorato all’ora di pranzo ed è proprio da lei che Zoe sta andando: come tutti i sabato pomeriggio, le due amiche si vedono per una cioccolata calda in un bar ogni volta diverso, ma sempre conosciuto, per fare due chiacchiere sulla loro settimana piena di impegni tra università e lavoro. Di tanto in tanto vanno a fare shopping, si divertono a mischiarsi tra la folla dei mercatini delle pulci e scovare qualche piccolo tesoro a buon prezzo, una borsa da sempre desiderata o delle scarpe della giusta misura. Andrea è stata una delle prime persona che Zoe ha conosciuto quando, a diciotto anni appena compiuti, si è trasferita dal Galles a Londra nella speranza di fuggire da una mentalità chiusa e coronare il suo sogno: diventare una cantante professionista.
Sin da piccolissima sua madre le ha fatto prendere lezioni di canto da un maestro privato, tale Mr. Davis, svelando così la sua dote naturale e il suo talento; a sette anni ha iniziato a cantare nel coro della chiesa, quella dannata chiesa per cui è stata costretta a cantare fino a sedici anni, fino al momento della ribellione e delle liti giornalieri con i suoi genitori. A diciotto anni è andata via con pochi soldi in tasca e tanta determinazione, anche grazie all’aiuto di sua nonna e di sua zia, uniche persone schierate al suo fianco: arrivata a Londra, ha iniziato a cantare nei locali senza troppo successo, abbastanza per racimolare qualcosa per tirare avanti, non abbastanza per arrivare a fine mese.
Proprio durante queste serate, sei mesi dopo il suo arrivo e a qualche settimana dal suo diciannovesimo compleanno, ha conosciuto Andrea in un pub: a quei tempi la bionda aveva appena iniziato a fare la cameriera per quattro soldi, per non gravare troppo sui genitori e, a suo dire, per farsi le ossa e prendersi l’indipendenza.
Subito le due ragazze sono andate d’accordo, istaurato un feeling particolare, condiviso traguardi importanti e delusioni scottanti. La famiglia di Andrea, quella splendida, calorosa e unita famiglia, l’ha accolta come una seconda figlia e grazie a tutti loro si è sentita meno sola, meno strana, meno tutte le cose che i suoi bigotti genitori per più di un anno le avevano rinfacciato con sdegno.
Come tutte le settimane, prima di passare dal pub Zoe si ferma in un negozio di musica dove, da parecchio tempo, la gente lascia annunci: ne legge qualcuno con poco interesse, i soliti scritti da ragazzini di quindici anni che vogliono mettere in piedi la solita rock band che, probabilmente, non sfonderà mai. Sta per abbandonare la ricerca, pronta a salutare con garbo il proprietario del negozio, un tipo sui quaranta sposato e con famiglia a carico che nel pomeriggio insegna musica ai bambini, quando il suo sguardo cade sull’ultimo volantino, quello che, come scoprirà più tardi, ha lasciato un ragazzo dai lunghi capelli neri e il viso squadrato la sera prima. Il volantino recita:


Rock band cerca cantante femminile e chitarrista solista per gruppo con esperienza triennale nei pub e nei locali di Londra e inglesi. Età non inferiore ai 21, astenersi perdigiorno. Per info, chiamare numero qui sotto o presentarsi all’indirizzo riportato.

Cheers,
Jeff, Lex e Mike

 

Senza pensare oltre, Zoe stacca uno dei tagliandini su cui è scritto numero e indirizzo di recapito della band: qualcosa, un sesto senso mai provato prima, le sussurra nella testa che quella è l’occasione che sta aspettando dalla vita, la volta buona, quella che cambierà per sempre tutto.

 
*



Angolo Autrice: Confesso, questa storia mi sta piacevolmente prendendo la mano. Lo so, la nostra protagonista ancora non si è fatta vedere, ma prometto che nel prossimo la conosceremo come si deve. Nel frattempo, conosciamo la famosa Leslie, il suo ragazzo Jeff e la migliore amica di Andrea, Zoe.
Nella mia mente, Leslie assomiglia a Emma Stone, ma voi potete immaginarla come più vi piace.
Infine, ringrazio come sempre tutti voi che leggete, seguite e lasciate recensioni.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 4
*** 04. ***


 
 




Si dondola sulle punte dei piedi e si guarda attorno con aria impaziente. Il suo turno al pub è finito da quasi venti minuti, di cui dieci trascorsi fuori in attesa, e sta iniziando a chiedersi che fine abbia fatto la sua amica: Andrea non è mai stata un’amante dell’attesa, la sua natura sempre puntuale e precisa la porta facilmente a spazientirsi, borbottare come una vecchia donna dal viso rugoso e nubile – Zoe la chiamerebbe vecchia zitella, lo fa sempre quando la bionda si spazientisce – che divide l’appartamento con troppi gatti.
Ci dev’essere un ottimo motivo per quel ritardo, pensa, Zoe non è mai stata una tipa che ritarda più di cinque minuti: normalmente è già fuori, appoggiata al muro del palazzo dalla facciata rovinata o sul cofano di una macchina qualsiasi parcheggiata, quando stacca dal lavoro.
Sì, sicuramente ci sarà una spiegazione a tutto, non può essere altrimenti.

«Ancora in attesa? – la voce bassa e profonda di John, il suo collega e nipote del titolare del pub, la coglie di sorpresa – Per caso è successo qualcosa? Solitamente è Zoe ad aspettare te, non il contrario.»
John ha ventisei anni, tre più di lei, che ne compirà ventitré tra qualche settimana; è un ragazzo gioviale, sempre allegro, alto quasi due metri e con delle spalle larghe come due ante di un armadio. Andrea si è trovata subito bene con lui, ha instaurato un’ottima amicizia sebbene lui, qualche mese dopo la sua assunzione al pub, ha cercato in tutti i modi di portarla fuori a cena e trasformare l’amicizia in altro. Ad essere sinceri, Andrea alcune volte pensa che lui abbia ancora una cotta per lei, ma cerca in tutti i modi di non darci peso e trattarlo come sempre, come un ottimo amico e una spalla su cui contare durante il lavoro.
«Spero proprio di no. - risponde con calma lei — Forse si è semplicemente fermata al negozio di musica per qualche annuncio, come fa sempre una volta alla settimana, e si sarà intrattenuta in una lunga conversazione con il buon Peter. Arriverà presto, vedrai.»
«In caso contrario, puoi sempre uscire con me. Ti porterò dove vuoi, ovunque vorrai sulla mia sfrecciante moto.  – John le fa un occhiolino e Andrea ride – Che ne dici, pupa?»
«Dico di no, grazie. La tua moto è sempre bellissima, ma credo che resterò qui ad aspettare ancora un pochino la mia amica.»
«Peccato, non sai cosa ti perdi. – schiocca la lingua sul palato e scrolla le spalle – Ci vediamo domani sera, Andy.»
«A domani.»


L’osserva allontanarsi con le mani in tasca e le spalle appena ricurve, domandandosi se quella appena presa sia la scelta giusta: John è un bravo ragazzo, uno dei migliori che abbia mai conosciuto, ma non è quello giusto. Tra loro non funzionerebbe, finirebbe col farlo soffrire e non sarebbe giusto per nessuno dei due.
Improvvisamente, le torna alla mente Edward, il suo amico conosciuto durante il suo percorso scolastico alla Grammar School grazie a un club di letteratura di cui lui, essendo all’ultimo anno, era presidente.
Anche lui, come John, è stato subito gentile con lei, dimostrando una sensibilità più che unica; sin da subito, ricorda, Ned l’ha inserita nel gruppo, mettendola a proprio agio, instaurando con lei un’amicizia fatta di complicità e serate passate a vedere film o commentare le ultime letture.
Anche lui, come John, ha avuto una cotta per lei – in verità, lei ed Edward si sono baciati qualche volta, dopo la fine di un film romantico visto sul divano in pelle del salotto di lui o dopo aver bevuto una cioccolata calda mentre fuori nevicava; lui è stato il primo ragazzo che Andrea, all’epoca non ancora sedicenne, abbia mai baciato e di questo la ragazza non si è mai pentita – ma anche all’epoca, come oggi, Andrea aveva percepito di non essere pronta, di non voler andare oltre, impegnarsi in qualcosa per cui avrebbero sofferto tutti.
Si domanda come se la stia passando, se alla fine sia riuscito nel suo intento di vincere la candidatura per la cattedra di Storia medioevale in università, insegnare come ha sempre desiderato.
Il loro non è stato un allontanamento voluto, semplicemente è accaduto e basta. L’inizio del suo lavoro al pub è stata la prima causa del loro allontanamento, così come causa sono stati i molteplici impegni di lui dopo la laurea; nessuno dei due si è volontariamente allontanato dall’altra, le loro strade avevano momentaneamente preso strade diverse. O almeno è questo che le piace pensare…
Eppure, in cuor suo la ragazza spera di rivederlo quanto prima, poter chiacchierare ancora con lui, magari davanti a una tazza di buon thè o una birra scura.

Magari per Natale. – pensa – O magari prima, per il mio compleanno. Potrei passare da casa di suo padre, scrivergli una lettera o qualcosa del genere. Sicuramente, Ned ne sarà felice…
 
Ricorda con malinconia un Natale di qualche anno prima: aveva diciotto anni all’epoca ed Edward ne aveva venti. Lei era al primo anno di università, una matricola, mentre lui era già al suo terzo anno, un universitario navigato.
Ricorda di quando hanno passato quel giorno speciale dell’anno insieme, a casa dei suoi genitori, con suo fratello Adam e la sua ragazza Linda, mangiando prelibatezze cucinate da sua madre che, da sempre, è un asso ai fornelli.
Ricorda di come aveva scoperto, quasi per caso, che il suo amico avrebbe trascorso il Natale da solo, senza sua madre, impegnata in un servizio fotografico in Madagascar, dove viveva con il suo secondo marito e il fratello minore di Ned, Philip, o suo padre, bloccato a Tokyo dalla neve dopo una conferenza importante.
Quella sera, dopo essere andati via, Edward si era sbronzato – non ha mai retto l’alcool, lui – bevendo della birra comprata in un minimarket poco lontano dall’allora appartamento di Andrea, un monolocale di dubbio gusto, e si era sfogato per ore con lei, finendo per criticare ogni sua scelta, ogni aspetto della sua vita.
«Sono sempre stato il pupillo di mio padre, - aveva detto nel delirio dell’alcool – ma mai abbastanza per mia madre. Lei ha occhi solo per mio fratello, mi ha sempre visto come un prodotto di mio padre, senza mai capire che ciò che ho fatto l’ho fatto per me. Perché era ciò che volevo, che desideravo: io non sarò mai come lei, non diventerò mai un uomo che parte all’avventura senza una meta, senza sapere cosa accadrà tra una settimana o un mese. Io non sono mio fratello, un gitano senza radici, ma un ragazzo che ama la città in cui è nato e vissuto.»
Andrea non ha mai conosciuto il fratello di Edward, per lei è sempre stato una figura sfocata, lontana nel tempo e nello spazio. Lo stesso Ned non parlava spesso di lui, ma quella sarebbe rimasta l’unica volta in cui il ragazzo avrebbe parlato di lui con una sfumatura di astio e gelosia, con frustrazione e rabbia.
Quella sera è stata anche l’ultima volta in cui lui e Andrea si sono baciati, in cui hanno rischiato di andare oltre, verso un punto di non ritorno pericoloso; probabilmente, in quella stessa sera qualcosa tra loro due si è rotto, perché successivamente, con il trascorrere dei mesi e degli anni, i due amici si sono sentiti sempre meno, visti ancor più di rado.
Ora che ci pensa, quella è la prima volta da molti mesi che ripensa a lui e a quello che è successo, che sente fortemente la sua mancanza…


«Andy! – la voce squillante di Zoe la desta dai suoi pensieri. La sua amica è appena sbucata da dietro l’angolo, si avvicina a lei quasi correndo, e dal tono di voce si percepisce affaticamento – Perdonami, sono in ritardo, ma giuro che c’è una spiegazione più che valida.»
«Lo spero bene! – esclama piccata la bionda, fintamente offesa – Ho passato più di quindici minuti qui fuori, a gelarmi le chiappe, quindi sarà meglio che questa ragione sia davvero valida.»
«Mi dispiace davvero, credimi. – intreccia le dita in segno di preghiera e abbassa leggermene il capo – Scusa, scusa e ancora scusa. Per farmi perdonare ti offro una cioccolata calda. Con panna.»
Andrea arriccia le labbra e assume un’aria pensierosa: «Non importa, mi basta che tu mi dica nei minimi dettagli cosa cavolo è successo.»
Zoe sorride, ringraziando mentalmente la comprensione dell’amica che, in un’altra circostanza e con qualcun altro, non avrebbe mai lasciato correre: «Sono passata dal negozio di musica di Peter e, senti questa, ho trovato un annuncio!»
«Un annuncio? – Andra sgrana quasi impercettibilmente gli occhi – Oddio, Zoe, devi raccontarmi tutto. Tutto, capito?»
Zoe ride: «Allora sarà meglio incamminarci, perché fa davvero freddo e io muoio dalla voglia di raccontare.»

 


**



«E così da lunedì potresti diventare la cantante di una rock band: chi l’avrebbe mai immaginato?»
Sono sedute ad un tavolino di un bar dall’arredamento rustico e sorseggiano una cioccolata calda quando Andrea pronuncia quelle parole. Zoe, entusiasta come una bambina la mattina di Natale, come poche volte l’amica l’ha vista, ha appena concluso un lungo monologo in cui ha raccontato nei minimi dettagli dell’annuncio trovato sulla bacheca del loro negozio di musica e della telefonata, avvenuta in una cabina dipinta di rosso, che è seguita.
Dall’altra parte della cornetta, inizialmente assonnato, ha risposto un ragazzo che si è presentato come Jeffrey, chitarrista ritmico della band, il quale si è dimostrato inaspettatamente gentile e alla mano, impaziente di conoscerla quanto prima.
«Ancora non posso crederci, sai? Da quello che ho capito, sono una band piuttosto esperta, e i tre componenti sono uniti tra loro, una squadra compatta. In effetti, se non ho capito male Jeffrey e la bassista, Leslie, sono fidanzati.»
«Spera solo che non siano una coppia che litiga ogni giorno, altrimenti sei fregata. – puntualizza Andrea, da sempre contraria alle relazioni sul lavoro — Quello che voglio dire, è che spero siano maturi abbastanza da tenere separati i problemi di coppia dalla musica.»
«Sono sicura che non ci saranno drammi e poi non sarò la sola nuova del gruppo: cercano anche un chitarrista, probabilmente lo troveranno a breve o l’hanno già trovato. – Zoe sospira sognante e si lascia scivolare leggermente sulla sedia in legno – Chiamami sciocca, ma ho la sensazione che questa è la mia grande occasione, la svolta della mia vita.»
«E io te lo auguro con tutto il cuore, solo… - fa una pausa e sospira: odia essere sempre così maledettamente realista —Rimani con i piedi per terra, okay?»
Zoe rotea gli occhi e scuote la testa: «Sempre positiva tu, vero?»
«Perdonami, non era mia intenzione… - allunga le mani e afferra i polsi dell’amica – Sono davvero contenta per te, okay? Davvero contenta e ti auguro tutto il meglio. Dopo tutto, se le tue sensazioni sono giuste, presto sarò la migliore amica di una rock star.»
«Una rock star? – Zoe ride – Rock star: mi piace. Allora brindiamo alle rock star.»
«Con una cioccolata calda?» Andrea si acciglia quando l’amica alza a mezz’aria la tazza ancora mezza piena.
«Zitta e bevi, stupida!»
Ridono ancora, poi Andrea prende la sua tazza e, prima di farla cozzare con quella di Zoe, esclama: «Alle rock star. Salute!»
 


*



Angolo Autrice: E rieccomi, again! Finalmente è comparsa la nostra Andrea e con lei parte del suo passato, un passato che comprende il nostro Edward. Ben presto, le strade di tutti e sei questi personaggi - Andrea, Zoe, Ned, Lip, Leslie e Jeff - si incroceranno o torneranno ad incrociarsi, portando scompiglio e novità. Come continuerà? Si accettano ipotesi! *lol*
(Nella GiF, la mia Andrea ideale, che ha il volto di Sky Ferreira, modella e cantante. Voi, ovviamente, potete immaginarla come meglio preferite).
Grazie, come sempre, a tutti voi che leggete, seguite e recensite.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 5
*** 05. ***









Si lascia cadere, esausto, con le spalle contro lo schienale della sedia divenuta improvvisamente comoda e sbuffa sollevato quando anche l’ultimo dei ragazzi abbandona l’aula.
Sono passati già due mesi da quando ha preso ufficialmente il ruolo di primo assistente della cattedra di Storia Medioevale all’università, sobbarcandosi non solo i doveri che il suo ruolo comporta, ma anche quelli del professore, un dinosauro nato con molta probabilità quando ancora l’uomo delle caverne non aveva scoperto il fuoco, che ha onorato i suoi allievi della sua presenza una ed una sola volta: il giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico e della relativa presentazione del corso.
Ned ha sempre sognato di lavorare in ambito accademico, seguire le orme di suo padre, associare a questo un attento lavoro di ricerca, scritture di saggi approfondite e studi che lo avrebbero reso grande, ancor più grande del suo vecchio, una leggenda tra le università inglesi e del Regno Unito.
A lui non è mai importato delle voci, delle accuse che lo danno come raccomandato; è abituato alle occhiate colme di disprezzo, è divenuto sordo ai sussurri pronunciati alle sue spalle che lo accompagnano dall’età di sedici anni, da quando ha ricevuto la lettera da parte di una delle università più prestigiose di Londra prima di ogni suo compagno o amico…
Amico: Ned non ha mai avuto tanti amici, quelli che ha considerato tali si possono contare sulle dita di una mano e anche quelli, con il passare del tempo e a causa di scelte che li hanno portati a percorrere strade diverse, sono pian piano spariti dalla sua vita.
Ogni tanto riceve lettere o cartoline da Justin, che da anni vive in America e sta conducendo un dottorato che, a suo parere, lo porterà lontano; ogni tanto si vede per un caffè con Bill, che lavora nella facoltosa azienda di suo padre, in una delle sue filiali da poco aperte nello Yorkshire e che lo tengono lontano da Londra, da casa; ha perso ogni contatto da quasi due anni con Andrea, la ragazza taciturna ma bellissima per cui, anni prima, ha preso una forte sbandata, una cotta molto più simile all’amore che ha portato entrambi ad allontanarsi per il bene comune.
Ned sorride ripensando ad Andrea, ma poi quello stesso sorriso svanisce ripensando alle parole che suo fratello, Lip, ha pronunciato solo due settimane prima: è stato uno sciocco a credere che lei ricambiasse i suoi sentimenti, lei che non si era mai legata sentimentalmente a nessuno, preferendo relazioni brevi, poco impegnative e che, lo sa, potrebbe persino essere sensibile al fascino di quella testa calda del suo fratellino.
Il pensiero ci ciò che potrebbe accadere se mai un giorno dovessero conoscersi gli dà quasi la nausea: Lip la tratterebbe come ha sempre trattato le donne, con superficialità e arroganza, con un finto fascino che sarebbe scemato dopo una notte di sesso; Andrea, come chiunque altro delle sue amiche, sarebbe diventata l’ennesima tacca su di un immaginario quaderno, un vezzo per farsi vanto davanti a una birra con degli amici.
Alcune volte, Edward si domanda come loro due possano essere fratelli, se abbiano davvero lo stesso DNA, gli stessi genitori: se solo sua madre fosse stata più severa, se solo gli avesse imposto delle regole, semplici norme da seguire, forse Philip non sarebbe così scapestrato e inaffidabile sotto ogni punto di vista.
Allenta il nodo della cravatta, chiedendosi cosa stia facendo suo fratello, se a quest’ora ha già trovato un lavoro o se sta ancora dormento beatamente o pascendo davanti alla tv, seduto sul suo divano di pelle costato quasi mille sterline.

Dannazione, devo smetterla di fare questi stupidi ragionamenti. – si rimprovara – Devo smettere di ragionare come mio padre o finirà che, un giorno di questi, mi trasformerò in una sua copia carbone. E io non sono lui, non voglio essere come lui!



«Buongiorno, Professore!» esclama emozionata e imbarazzata una studentessa del secondo anno quando lo incrocia nei corridoi mezz’ora dopo e lui accenna un sorriso.
La ragazza sembra stravedere per lui, ora che ci pensa un suo collega, professore di cattedra di Storia Moderna da quasi cinque anni e molto più grande di lui, non fa altro che ripetergli quanto le ragazzine stravedano per il giovane assistente da poco laureato, di come pendano dalle sue labbra anche grazie ai suoi occhioni verdi e al suo sorriso accattivante.
Se ci pensa, Edward non può non ammettere a se stesso che molte di quelle stesse ragazze sono carine, davvero molto carine e che, in altre circostanze, forse non avrebbe esitato a postarsene a letto una o due. In altre circostanze, certo, ma non in quella: lui è un assistente, una figura professionale e certi comportamenti non sono ammessi.
— Eppure papà non ha mai esitato, dopo il divorzio, a scoparsene una mezza dozzina! – Ricorda la sua memoria infallibile prima di scacciare prontamente quel pensiero: quella non è una giustificazione abbastanza valida e poi lui non è suo padre.
Lui vuole trovare una ragazza giusta, innamorarsi, avere un matrimonio solido e duraturo e fare un paio di marmocchi a cui trasmettere la sua passione per i libri e insegnar loro a stare al mondo. Le scopate passeggere può tenersele suo padre, pensa, oppure Lip.
«Buongiorno, Professore!»
«Buongiorno!» ricambia, stando attento a non far cadere l’occhio sulla scollatura della maglietta bianca della morettina, dalla quale si può intravedere un reggiseno di pizzo: quelle ragazzine lo vogliono morto, ne è quasi sicuro e quello che ha davanti sarà un anno molto difficile per la sua buona volontà, la sua pazienza e, soprattutto, per i suo ormoni maschili.

 
**



«Secondo me ti fai troppi problemi! – esclama piccato Lip, mentre nuvolette di fumo grigiastro escono dalle sue labbra sottili e una sigaretta quasi consumata viene riportata alla sua bocca — Scegline una a caso, invitala nel tuo ufficio, poi mettila a novanta sulla tua scrivania e scopatela. Vedrai, dopo ti sentirai molto meglio.»
Hanno da poco finito di mangiare del sushi che Ned ha comprato sulla strada di casa e adesso sono entrambi seduti sul divano del salotto e sorseggiano della discreta birra giapponese mentre si raccontano le loro rispettive giornate.
«Così da essere sospeso e sbattuto fuori? O, peggio ancora, denunciato? No, grazie. – la reazione di Ned è tempestiva, non ammette repliche — Anche se la nostra età è molto vicina e loro sono maggiorenni, non rischierò di mandare all’aria tutto a neanche sei mesi dall’inizio di questo importante lavoro.»
«Come se il licenziamento fosse davvero un’opzione. – fa notare il minore con una sfumatura di ilarità nella voce, continuando a bere la sua birra — Nostro padre è troppo potente, non lo permetterebbe mai e al massimo saresti ammonito o una stronzata del genere. Inoltre, avrai reso un favore alla ragazza prescelta, rendendola meno isterica e più vicina al massimo dei voti nel tuo corso.»
«Le ragazze parlano, parlano troppo e in men che non si dica la cosa potrebbe arrivare alle orecchie di mezza università, di tutto il campus e chissà che altro, inoltre non è nel mio stile. Io non sono come te, non riesco a fregarmene.»
«No, certo. – concorda Lip – Tu hai letto troppe stronzate sull’amore cavalleresco e altre stranezze medioevali simili per poter fare aprire le gambe a una donzella senza rimorsi; tu sogni l’amor cortese, le lunghe passeggiate sul Tamigi e chissà quali altre stupidaggini.»
«A te, invece, basta sapere un nome e la taglia di un reggiseno. – Ned sorride sghembo, conscio di essere andato a segno — Una scopata e poi tanti cari saluti.»
«Cristo, Edward, così sembro un essere senza cuore! — esclama offeso — Solo perché non voglio impegnarmi non significa che prendo per il culo le ragazze, tantomeno che non desidero, un giorno molto remoto, incontrare una persona che mi faccia mettere la testa a posto e con cui passare gli anni migliori della mia vita.»
Ned aggrotta la fronte e nasconde un sorriso sornione: «Sicuro di sentirti bene?»
«Vaffanculo, stronzo! Guarda che ho sentimenti e un cuore anche io e un giorno, tra molti anni, busserò alla tua porta con una strafiga al mio fianco che ti presenterò come mia fidanzata ufficiale. – Lip ghigna – Prima, però, ho intenzione di scoparne molte altre per altrettanti molteplici anni.»
Ned scuote la testa, sconcertato ma allo stesso tempo divertito, immaginando il viso sfocato della povera malcapitata che, un giorno, sposerà suo fratello.

«Parlando di cose serie… - Lip cambia argomento, mantenendo la frase in sospeso — Non ci crederai, ma stamattina il tuo fratellino ha trovato un lavoro in un negozio di musica nella zona di Camden.»
Ned strabuzza gli occhi, incredulo: «Davvero?»
«Sai che non scherzo su queste cose. – risponde serio l’altro – Certo, non è il lavoro del secolo e sicuramente non è paragonabile al tuo, ma la paga è onesta e il tipo, che oltre al negozio insegna anche musica ai bambini, ha davvero degli ottimi gusti in fatto di musica. Inoltre, il negozio è bazzicato da molti musicisti, musicisti che lasciano spesso annunci e sai quanto ci tenga a riprendere a suonare seriamente ed entrare in un gruppo solido.»
«Ora si spiega tutto…»
«Ti prego, Ned, non iniziare! Lo so cosa stai per dirmi, la classica storia di come io stia sprecando il mio tempo a vent’anni suonati e tutto il resto la so a memoria, nostro padre non fa altro che raccontarmela appena ha occasione, quindi risparmiami almeno tu.»
«Mi dispiace, perdonami. – Ned sospira – Non volevo accusarti di nulla, anzi ammiro la tua tenacia e il tuo impegno in ciò che ami; inoltre, aver trovato un lavoro a neanche due settimane dal tuo ritorno a Londra credo sia fantastico e sono davvero contento per te.»
«No, scusami tu: so quanto odi essere paragonato anche lontanamente a nostro padre e non avrei dovuto mettermi subito sulla difensiva. – Lip poggia la bottiglia ormai vuota di birra sul tavolino davanti a loro e si alza — Piuttosto, forse è meglio che io vada a dormire, perché domani mattina voglio essere fresco e riposato per il mio primo giorno di lavoro.»
«Allora buona notte e… in bocca al lupo, fratellino.»
«Viva il lupo!» esclama, accompagnando la frase con il tipico gesto della pace e subito dopo lascia la stanza.
L’indomani, pensa mentre si incammina verso la sua stanza da letto, sarà un giorno davvero importante, un nuovo capitolo della sua movimentata vita.

 

*



Angolo Autrice: E rieccomi qua, nuovamente con un capitolo dedicati ai nostri fratelli! In questo, a differenza del primo, approfondiamo meglio il carattere di Edward (protagonista anche del banner iniziale e che nella mia mente ha il volto di quella meraviglia di Harry Lloyd), un carattere complesso tanto quanto quello di Lip. Un Lip che, scopriamo, si sta dando da fare e ha trovato lavoro in un posto che, spero tutti, dovreste aver riconosciuto.
E, nulla, ringrazio chi ha letto, chi ha messo la storia tra le seguite e chi ha recensito fino ad ora. Spero che la storia continui a piacere! :)

Alla prossima,
V.

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Capitolo 6
*** 06. ***






 


Zoe apre e chiude le mani, stringe i pugni e fa un respiro profondo.
La salivazione sembra essersi bruscamente azzerata e le sue labbra sono secche tanto quanto la sua gola mentre osserva l’ingresso di quel garage situato nella zona a Sud di Londra, a Brixtol.
Prende un respiro profondo, controllando per l’ennesima volta l’indirizzo scritto a penna sul foglietto che tiene nella tasca destra della sua giacca scamosciata di seconda mano che le arriva poco sotto i glutei: nessuno sbaglio, il posto in cui si trova è esatto, oltre quella saracinesca grigio scuro la stanno aspettando i tre ragazzi che, con un po’ di fortuna, nel giro di qualche giorno diventeranno ufficialmente la sua band.
Il suo sguardo ricade su di un piccolo campanello nascosto nell’angolo destro del muro, un pulsantino rosso che non ha notato fino a quel momento; titubante, Zoe avvicina il dito, tentenna un paio di volte prima di premerlo – probabilmente, pensa un attimo prima di schiacciare il bottone rosso, ha sbagliato a non far venire Andrea con lei, a persuaderla a non accompagnarla in quella che potrebbe essere la volta della sua vita.
Trattiene il fiato, in attesa, e sussulta quasi impercettibilmente quando la serranda si alza emettendo un rumore stridulo, così acuto da provocarle la pelle d’oca: un ragazzo con lineamenti spigolosi e neri capelli che gli ricadono sulle spalle si guarda intorno, accennando un fugace sorriso quando il suo sguardo gentile incontra quello della ragazza, indentificandola immediatamente come colei che ha chiamato qualche giorno prima e con cui lui stesso ha parlato.
«Devi essere Zoe! – esclama serafico e la rossa annuisce – Avanti, entra, così ti presento gli altri. Sai, ti stavamo tutti aspettando con una certa impazienza.»
Zoe lo segue, meravigliandosi di come all’interno l’ambiente sia più luminoso di quanto abbia precedentemente immaginato: pallidi raggi di luce obliqua entrano da due finestre, una molto più grande dell’altra, e le pareti sono dipinte di una calda tonalità di beige, tappezzate da poster di rock band famose o locandine di concerti.
Qua e là ci sono delle chitarre, un basso acustico e uno elettrico, mentre sul fondo della stanza c’è la batteria; al centro della stanza è stato messo un divano di pelle marrone rovinato e mezzo sfondato da un lato, mentre attorno a un piccolo tavolino di plastica ci sono tre sedie fatte dello stesso materiale.
«Da dove vieni? – chiede curioso Jeff – Non hai un accento di queste parti, l’ho capito quasi immediatamente quando ci siamo parlati per telefono.»
«Vengo dal Galles, ma vivo a Londra da qualche anno.»
«La ridente Valley! – esclama con tono palesemente sarcastico – Come biasimarti? A parti invertite, anche io sarei fuggito da quella massa di pecoroni bigotti dell’Ovest, stando ben attento a non tornarci.»
Zoe non replica, sapendo che quelle parole rispecchiano tutto il suo malessere nei confronti della sua terra natia: da quando è andata via di casa si è ben tenuta lontana da quel luogo, da quella comunità bigotta, persino dai suoi stessi genitori.
Solo una volta ha chiamato sua madre per farle gli auguri di Natale, ma ben presto quella stessa telefonata aveva assunto toni piuttosto freddi, concludendosi con parole piene di astio e di biasimo, ammonimenti circa la vita sregolata e peccaminosa che, a dire dei suoi genitori, la ragazza stava conducendo.
«Tu devi essere Zoe! – una voce femminile e squillante la desta dai suoi pensieri astratti – Io sono Leslie, Lex, ragazza di Jeff e bassista della band.»
Le sorride, come sorridenti sono i suoi grandi occhi verdi, trasmettendole uno strano senso di tranquillità: la biondina dal viso leggermente punteggiato di lentiggini emana una vitalità e una strana euforia che metterebbe di buon umore il più burbero degli anziani, delle vibrazioni positive tali da riuscire a calmare i nervi di Zoe, farle credere per la prima volta da giorni che tutto andrà bene, che troverà dei buoni amici in quei tre.
«Piacere di conoscerti, Leslie.» risponde accennando un sorriso, prima che il suo sguardo cada oltre la bionda, verso un ragazzo con i capelli neri e ricci che se ne sta seduto a gambe penzoloni su di un amplificatore.
«Lui è Mike, il nostro batterista. – informa Lex, intercettando il suo sguardo e leggendole nella mente – Non è un grande oratore, anzi il più delle volte se ne sta zitto in un angolo.»
«Basti tu per tutti e tre in fatto di parlantina. – ghigna e accenna un saluto con il capo in direzione di Zoe – Felice di conoscerti, ginger. Spero vivamente che ci salverai da questa tetra situazione in cui siamo caduti.»
«Mike!» Leslie lo ammonisce: sebbene il batterista abbia ragione, è troppo orgogliosa per ammettere davanti ad un’estranea che la loro band, la sua band, la cosa più importante che ha costruito nella sua vita, sta andando a pezzi. È troppo orgogliosa anche solo per ammettere che Zoe sembra la loro ultima possibilità, la sua unica speranza per risollevare le sorti di tutti loro. Lei e un chitarrista non ancora trovato.
«Non starlo a sentire, - continua, questa volta rivolgendosi esclusivamente a Zoe – la nostra band va alla grande, andrà ancor meglio quando avrai finito di cantare e stupirci tutti con la tua voce. Hai detto che canti nei pub e nei bar da un paio d’anni, giusto?»
«Sì, esatto. – conferma la rossa, annuendo – Principalmente bluse, ma me la cavo bene anche con il rock. Sai, roba alla Patti Smith, Blondie, alle volte canto anche qualcosa di Janis, ma solo quando ho la voce al massimo della potenza.»
«Che ne dici allora di farla ascoltare anche a noi questa soave voce?» interviene per la seconda volta Mike, provocatorio, e per la seconda volta sia Lex che Jeff vorrebbero metterlo a tacere.
«Magari prima potremmo bere qualcosa, magari una birra o qualcosa del genere. – propone Jeff, cercando di mettere la rossa a proprio agio – In frigo abbiamo abbastanza assortimento.»
«No, grazie, sto apposto così. – Zoe abbozza un sorriso che non nasconde nervosismo – Se per voi va bene, vorrei cantare.»
«Certo, nessun problema. – Lex ricambia il sorriso – È già tutto pronto, puoi iniziare quando vuoi.»

E così Zoe si posiziona dietro il microfono, ne regola l’altezza e, preso un respiro profondo, si appresta a cantare: ha passato due giorni interi a decidere cosa cantare, se optare per qualcosa di più soft oppure su qualcosa di più graffiante, incisivo, qualcosa capace di far venire la pelle d’oca.
Ha provato vari pezzi, ognuno dei quali è stato minuziosamente studiato ed eseguito davanti ad Andrea, la quale le ha dato preziosi consigli; alla fine, Zoe ha optato per ciò che da sempre sa eseguire meglio, per una canzone del 1965 reinterpretata da Nina Simone, la prima cantante che ha ascoltato nella sua vita grazie ad un vinile impolverato nascosto tra i tanti collezionati da suo padre e di cui si è immediatamente innamorata.
Le note di I put a Spell on You iniziano a vibrare nell’aria per mezzo della sua voce ferma e decisa, graffiante quando serve; la reinterpreta a modo suo, dandole una sfumatura più selvaggia, più rock, senza però dimenticare le sue radici bluse, il suo groove intenso.
Leslie, Jeff e Mike l’ascoltano in silenzio, seduti sul divano di pelle malandato, si lasciano cullare da quella voce calda e fredda allo stesso tempo, una voce che da tanto tempo stavano cercando e che, si dice Lex mentre l’ascolta ad occhi chiusi, porterà tutti loro lontano.
Nessuno ha il coraggio di interromperla, così Zoe continua a cantare fino alla fine, fino all’ultima nota che si espande leggera nell’aria tiepida di quel garage, accarezza le orecchie dei tre ragazzi  e svanisce improvvisamente.
«Cazzo! – Jeff è il primo a parlare, sbalordito da quella ragazza minuta e dalla sua energia – Sei stata grande, cazzo, grande! Non sentivo una voce così da… bè, probabilmente qui a Londra non ho mai sentito una voce come la tua.»
«Dici sul serio?»
«Certo che sì, - interviene Leslie – la tua voce è tutto ciò che stavamo cercando, è graffiante, calda e decisa. In giro non c’è nulla di simile e te lo dice una che ogni sera gira pub e american bar alla ricerca di qualcosa di nuovo; ora che ci penso, forse non ne ho girati abbastanza, perché mi sono persa una bomba come te.»
Lex si avvicina a Zoe, la guarda dritto negli occhi e poi, supplichevole, dice: «Entra a far parte del nostro gruppo, Zoe. Insieme, ne sono sicura, andremo lontano e… - sospira – odio ammetterlo, lo odio, ma abbiamo dannatamente bisogno di te!»
Zoe guarda Jeff e Mike, anche loro impazienti di sapere la sua risposta, desiderosi di averla con loro; neanche nei suoi sogni più remoti si è immaginata una cosa del genere, di fare colpo alla prima canzone, di conquistarli tutti così facilmente. Finalmente, quella è la sua occasione, l’occasione che stava cercando. Loro erano quelli giusti: intraprendenti, caparbi, testardi anche, delle persone che non si sarebbero fermate davanti al primo ostacolo e avrebbero conquistato a tutti i costi successo e fama.
«Mi farebbe molto piacere suonare con voi.»
Leslie urla dopo aver ricevuto quella domanda e, un attimo dopo, la sta abbracciando.
«Sapevo che saresti stata quella giusta. Lo sapevo. – sorride euforica – Benvenuta tra noi, Zoe, benvenuta negli Helter Skelters.»


 

**



È sera quando Zoe lascia il garage di Brixtol, ma non è ancora così tardi come crede.
I negozi sono ancora aperti, c’è tempo per fare qualche commissione, per passare dal negozio di musica di Peter e ringraziarlo per averle consigliato quell’annuncio, per averla spronata a provarci nonostante le porte in faccia ricevute nei mesi passati, a non arrendersi.
Si sente leggera mentre cammina per la strade di Londra, merito sia dell’euforia che delle tre lattine di birra che si è scolata con gli altri, mentre milioni di pensieri le affollano la testa: cambierà davvero la sua vita? Sarà davvero una svolta, riuscirà ad essere all’altezza delle aspettative dei ragazzi e non rovinare tutto?
Entra nel negozio di musica come un fulmine, accompagnata dal rumore della campanella che annuncia la sua presenza, e sta per iniziare il suo lungo ed entusiasmante monologo quando nota che quello dietro il bancone della cassa non è Peter, il proprietario, ma un ragazzo con lunghi capelli castani legati in una coda morbida che arriva fino poco meno di metà spalla e degli occhi scuri indagatori.
Il suo fisico è slanciato, è abbastanza alto, le sue braccia sembrano muscolose da sotto la felpa che indossa; ha la barba, una barba folta ma curata e, deve ammettere Zoe, è davvero un bel ragazzo.
«Posso fare qualcosa per te?» chiede il tipo dal nome misterioso, restando impassibile.
«Cercavo Peter.»
«È impegnato con i ragazzini e ha lasciato il negozio a me. – informa – Sono una sottospecie di commesso, anche se praticamente Peter mi fa fare qualsiasi cosa gli passi per quella testa malata.»
«In questo caso ripasserò domani. – dice con calma, sopprimendo una risata al pensiero di Peter che urla ordini di ogni genere da dietro il bancone – Magari potresti dirgli che Zoe è passata e che tutto è andato per il meglio?»
«Non ho idea di cosa significhi ma certo, nessun problema. – il ragazzo abbozza un sorriso algido – Allora ci si vede, Zoe.»
«Grazie mille, te ne sono molto grata.  Alla prossima…»
«Lip! – esclama il ragazzo, concludendo per lei la frase — Mi chiamo Lip.»

 




*




Angolo Autrice: Hello, folks! Nuovo capitolo, in cui le cose iniziano finalmente a muoversi. Zoe (che nel banner iniziale ha il volto di Karen Gillan, mio prestavolto ideale) è entrata a far parte della band di Leslie e Jeff - il nome della band, per chi non lo sapesse, è ispirato ad una canzone dei Beatles - e, per circostanze apparentemente casuali, ha conosciuto il nostro Lip.
Una dopo l'altra, ogni strada si incrocerà per la prima volta o nuovamente, ma prima che avvenga dovrete avere pazienza.
Avviso subito che non so quando aggiornerò nuovamente, è molto probabile che prima dell'ultima settimana di Marzo non venga aggiornato nulla - questo vale per tutte le mie storie. Ultimo ma non meno importante, ringrazio tutti voi che leggete, seguite e soprattutto quelle sante persone che recensiscono!

Alla prossima,
V.

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Capitolo 7
*** 07. ***


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Le acque del Tamigi vengono increspate da un vento tiepido, formando piccole onde permeate dalla luce dei raggi del sole di fine autunno.
Jeff osserva distrattamente la corrente del fiume inglese scorrere attraverso gli archi di pietra del Westminster Bridge, all’ombra del vecchio Ben che, imponente, scandisce il tempo e osserva statuario l’andirivieni nervoso e regolare della gente che, proprio come l’acqua verdastra del Tamigi, defluisce ai suoi piedi.
Lentamente si incammina verso Saint James Park, parco non molto lontano dalla dimora di reali, Buckingham Palace: disteso sull’erba distante pochi metri dalla sponda est del piccolo lago, inizia a sbocconcellare delle noccioline comprate poco prima da un carretto ambulante mentre, attorno a lui, i germani reali planano leggiadri sul filo dell’acqua e gli scoiattoli dalla buffa coda si rincorrono sugli alberi dall’ampio tronco.
Uno di questi si avvicina a lui, curioso e furbo, puntando immediatamente la busta di carta marrone contenente le noccioline: Jeff sorride, intuendo le intenzione del roditore dal muso paffuto, allungandogliene una che, fulminio, l’animaletto prende al volo, sfiorando solo per un istante le sue zampine con le dita dai polpastrelli callosi del moro.
La quiete che si respira in quel posto è finalmente riuscito a calmarlo, a far scemare la rabbia che, quella mattina, è montata prepotente dentro di lui: fonte di tale rabbia, come sempre, è la sua famiglia.
Jeff ha sempre avuto un rapporto piuttosto singolare, come lo definisce lui, con la sua altolocata e schizzinosa famiglia: suo padre, alto dirigente d’azienda e uomo tutto d’un pezzo, gli ha sempre permesso di fare ciò che voleva, senza però mai interessarsene davvero o preoccuparsene; sua madre, discendente di una casata nobiliare minore, lo ha indirizzato per la prima volta alla musica grazie al piano, ma proprio come suo padre non si è mai interessata più di tanto dei suoi progressi o dei suoi sogni; i suoi due fratelli maggiori, Richard e Laura, lo hanno sempre visto come il fratellino fastidioso, il bambino curioso rispettivamente di undici e otto anni più piccolo, da trattare come un bambolotto e prendere poco seriamente in ogni discorso.
Suo fratello Richard è il pupillo di suo padre, il suo erede, il fiore all’occhiello della famiglia, sposato felicemente con una donna ricca e con un gran fiuto degli affari; sua sorella Laura, invece, è sposata con un tipo altrettanto ricco e dal futuro promettente, ha una sua linea di scarpe e all’età di trentaquattro anni ha già due figli e una carriera invidiabile.
Lui, infine, è sempre stato libero di fare le sue scelte, di vivere la sua vita nella maniera più decorosa possibile, facendo ciò che ha sempre amato – purché questo non rechi disonore alla famiglia, come gli dice sempre suo padre — e intraprendendo relazioni con chi ha ritenuto essere, nel corso degli anni, la giusta compagnia.
Jeffrey, ventiseienne aspirante chitarrista di professione, è il figlio non previsto, il figlio della vecchiaia, quello da cui nessuno si aspetta nulla e in cui nessuno ha riposto alcunché: in conclusione, può fare ciò che gli pare, con chi gli pare e quando gli padre, purché questo non danneggi la famiglia e la sua reputazione nella società.
A nessuno importa davvero di lui, a nessuno frega nulla delle sue opinioni, la sua stessa esistenza è un mero accidente ed è proprio questo che fa più male: il perenne ricordarsi che nessuno la ha voluto, che non è poi così importante, che a nessuno importa davvero di lui.
A nessuno importa davvero ciò che pensa, che fa; a nessuno importa ciò che accade nella sua vita, del suo entusiasmo, delle sue piccole vittorie, dei suoi sogni.


«Ti ho trovato! – una voce squillante che riconoscerebbe ovunque attira la sua attenzione – Ti ho praticamente cercato ovunque, sai?»
Il suo sguardo cade per la prima volta dopo ore sulle lancette del suo orologio e, mentalmente, si dà del completo idiota: «Scusami.»
«Tutto qui? – la ragazza aggrotta le sopracciglia sottili – Ti ho aspettato a casa per un’ora, ho chiamato persino a casa tua e parlato con quella stronza di tua madre per sapere dove fossi; ho letteralmente percorso mezza Londra per arrivare fin qui e trovarti seduto sul tuo culo floscio a guardare con sguardo perso e depresso chissà cosa e tutto ciò che sai dirmi è un banale scusa?»
«Scusa. – dice nuovamente, dandosi dell’imbecille – Okay, okay, senti… mi dispiace davvero, va bene? Ho perso la nozione del tempo e sai cosa succede quando inizio a rimuginare da solo per le strade di Londra senza meta.»
«Presumo, dunque, che il pranzo sia stato un fiasco.»
Jeff sbuffa, portando le gambe al petto e Lex non può fare altro che sedersi al suo fianco e appoggiare la fronte sulla sua spalla: «Sono degli stronzi, una massa di imbecilli che non sa apprezzare il tuo talento e tu lo sai. Non permetter loro di rovinare questo momento, non ora che siamo così vicini a costruire qualcosa di concreto e duraturo.»
«Ti ricordo che non abbiamo ancora trovato un chitarrista valido.»
«Lo troveremo presto, ne sono convinta. – risponde a tono lei, che non ha intenzione di permettere a nessuno di intaccare la loro fiducia, la loro positività — E poi, se proprio dovesse andare tutto storto, tu potrai sempre recitare la parte del figlio scapestrato che sperpera il patrimonio di famiglia e io quello della tua perfida moglie che ti tiene legato con qualche strano ricatto e del sesso estremo e perverso.»
I due ragazzi si guardano in silenzio per un breve istante e, subito dopo, scoppiano in una fragorosa risata che li procura un gran mal di pancia.
«A mio padre potrebbe venire un infarto alla sola idea e, sinceramente, non mi dispiacerebbe: almeno verrei notato per una volta tanto, riuscirei a prendermi i miei quindici minuti di notorietà, il mio posto come figlio, seppur come il figlio che porta alla morte il proprio padre.»
«Immagina cosa si potrebbe fare con tutti i suoi bei soldi, quali avventure vivere e quante case lussuose comprare. Potremmo fare una vita da nababbi.»
«Adesso sì che parli come una futura perfida moglie.»
«Una perfida moglie che ama il sesso estremo e perverso. – sottolinea lei, ammiccante — Odio vederti così, odio il fatto che debbano sempre rovinare tutto con la loro sufficienza e la loro indifferenza.»
«E io amo il fatto che tu sia sempre pronta a difendermi e che riesca, nonostante tutto, a farmi sentire meglio. – sfrega i loro nasi e la bacia con trasporto — Ti amo.»
Lex sorride in risposta e gli accarezza una guancia: «Adesso però non diventare smielato, altrimenti giuro che ti lascio.»
«Non lo faresti mai, non potresti.»
«Cosa vuoi fare, mettermi alla prova?»
Sanno entrambi che Jeff ha ragione, che Lex ha bisogno di lui come ha bisogno dell’aria che respira e della musica che suona, così come entrambi sanno che non è tipa da smanceria o da grandi dichiarazioni d’amore. Poche volte, durante quei mesi trascorsi come coppia, ha pronunciato le due paroline magiche, dichiarato apertamente il suo sconfinato amore per il chitarrista, ma non per questo ha mancato di provarglielo con la sua costante presenza, con piccoli gesti che, per il moro, sono valsi più di mille parole.
«Inizia a far freddo. – nota dopo che una folata di vento freddo fa tremare entrambi – Forse dovremmo incamminarci verso la metro, verso casa.»
«Credo anche io. – risponde Lex – Magari sulla via possiamo noleggiare un VHS e prenderci del cibo d’asporto. Ho proprio voglia di cucina indiana o di una pizza condita con qualsiasi cosa.»
«Tu hai sempre voglia di una pizza.» la prende in giro il moro, intrecciando la sua mano con la propria e baciandola di sfuggita.
«È sempre il momento giusto per una pizza! – esclama lei, piccata, incamminandosi con lui verso l’uscita del parco e la fermata di Green Park —Sai, stavo pensando che domani pomeriggio potremmo passare dal negozio di Peter. Potremmo chiedergli se qualcuno si è fatto vivo per l’annuncio e, magari, potremmo comprare quel vinile dei Cure che vuoi da qualche mese.»
«Perché no. – risponde prontamente l’altro – Dopo tutto non vedo Peter da un mese e poi non vedo l’ora di aggiungere The Head on the door alla mia collezione.»


 
 

**


Lip sbuca dalla porta posteriore del negozio, dove si trova il magazzino, giusto in tempo per vedere due potenziali clienti, un ragazzo con lunghi capelli neri lisci e una ragazza con i capelli biondi, entrare nel negozio di musica.
È lunedì pomeriggio, il giorno della settimana che lui odia più di tutti, e sin da subito quella giornata non si è dimostrata clemente con lui: la sveglia non ha suonato, Ned è stato costretto a buttarlo letteralmente giù dal letto e Peter, il proprietario del negozio, gli ha fatto una bella lavata di testa quando si è presentato con quasi mezz’ora di ritardo.
Inoltre, come se tutto ciò non fosse bastato, ha dovuto scaricare la merce appena arrivata da chissà dove, firmare bolle su bolle e mettere al proprio posto ogni singolo oggetto contenuto in ognuna delle suddette scatole di cartone. Un inferno!
«Buongiorno! — esclama Lip, annunciando la sua presenza nell’apio ambiente prima di prendere posizione dietro il bancone della cassa — Per qualsiasi cosa chiedete pure.»
«Dov’è Peter?» chiede il ragazzo, squadrandolo da capo a piedi.
«Impegni. – liquida Lip, ricambiando l’occhiata indagatoria — Posso fare qualcosa per voi? Avete per caso ordinato qualcosa o degli annunci da lasciare?»
Annunci: in quelle settimane passate Lip non ha avuto neanche tempo di consultarli adeguatamente, troppo impegnato ad eseguire gli ordini di Peter, a scaricare merci, impilarle e servire clienti rompipalle che, in alcune occasioni, lo hanno spinto al limite della sua sopportazione.
Lavorare in quel negozio, per il ragazzo, è stata vista come un’occasione per aggiornarsi sulla situazione musicale in città, sulle band della zona, sulle nuove promesse; è stato un modo per cercare un occasione, uno spazio in quella giungla musicale, ma fino a quel momento Lip è stato così distratto da altro da non avere neanche il tempo di cercarlo quello spazio vitale per il suo futuro.
«Effettivamente sì, siamo qui per un annuncio lasciato qualche tempo fa. – si intromette la ragazza che, incredibilmente, ha un’aria famigliare — Stavamo cercando una cantante, una cazzuta intendo, e grazie all’annuncio che Peter ci ha permesso di attaccare in bacheca abbiamo conosciuto questa rossa fiammante.»
Anche Leslie osserva meglio il ragazzo, i suoi lunghi capelli color nocciola, i tratti seminascosti dalla folta barba, gli occhi di una tonalità più scura dei capelli. Stranamente, sorprendentemente, ha un aspetto dannatamente famigliare, gli ricorda un ragazzo conosciuto tanti anni prima, un suo amico giramondo amante della musica che amava la sua chitarra più di qualunque altra cosa.
«Lex? – pronunciano il suo nome, ma non è Jeffrey a pronunciarlo, bensì il ragazzo dietro il bancone – Leslie Chapman!»
Leslie punta il suo sguardo dritto in quello del ragazzo, chiedendosi come diavolo conosca il suo nome e dove lo abbia visto prima. Poi, come un lampo nella notte più buia, tutto diventa chiaro: «Lip?»
«In carne e ossa, ragazza. – scavalca il bancone e in un attimo l’abbraccia sotto lo sguardo perplesso e nervoso di Jeff — Cazzo, senza i tuoi dannati capelli colorati inizialmente non ti avevo riconosciuta.»
«Stessa cosa vale per me e la tua barba. – confessa, accarezzandola distrattamente — Devo dire che ti dona, ti rende virile.»
«Le ragazze la amano!» esclama ammiccante, ridendo insieme alla sua ritrovata amica.
«Pensi di introdurmi o faccio da solo?» chiede annoiato Jeff, guardando severo la sua ragazza che, subito, ritorna seria.
Jeff ha uno sguardo indagatore, uno sguardo che presto potrebbe riempirsi di malsana gelosia e Lex non vuole che questo accada: il loro passato, il suo e quello di Lip, sarà già abbastanza difficile da spiegare senza aggiungere nuovi malintesi all’elenco.
«Scusami. – sussurra, portandosi nervosamente un ciuffo di capelli dietro l’orecchio – Jeff, lui e Philip, Lip, un mio vecchio amico. Lip, lui è Jeff, il mio ragazzo.»
«Tanto piacere. – Lip è il primo ad allungare la mano verso l’altro, che la stringe saldamente — Tu sei il primo ragazzo ufficiale di Lex che conosco, a dire il vero non avrei mai pensato di conoscerne uno visto ciò che per anni ha sostenuto a gran voce.»
«Sono passati diversi anni da quei giorni, le cose sono cambiate e anche io. – fa notare la bionda, prendendo sottobraccio il suo ragazzo — Jeff è la mia metà e insieme siamo felici.»
«Buon per te, allora! – esclama e poi si corregge — Per entrambi, ovviamente: Leslie è una ragazza fantastica e posso senza ombra di dubbio affermare che tu sei molto fortunato.»
«Ne sono consapevole. – la voce di Jeff è ancora algida, il suo corpo è teso come una corda di violino, la sua mano stringe quella di Lex con forza — Piuttosto, perché non so nulla di te?»
«Sono passati anni dall’ultima volta che ci siamo visti, io stessa non avrei mai pensato di rivederlo qui, in Inghilterra, a Londra. – risponde lei – Siamo amici d’infanzia, abbiamo frequentato la stessa scuola prima del trasferimento di Lip e, qualvolta lui tornava qui per le vacanze, ci siamo sempre visti per strimpellare qualcosa e aggiornarci sulle nostre vite.»
«Mia madre è una sottospecie di gitana, negli anni ho perso il conto di quanti paesi ho visitato stando con lei, quante lingue ho ascoltato e cercato di imparare.»
«Immagino, dunque, che qualcosa di importante ti abbia spinto a tornare nella vecchia e borghese Londra.»
«Che tu ci creda o no, è stata la voglie di stabilità a farmi tornare. – confessa – Alla lunga la vita da nomade dà a noia, perde il suo fascino e mai come adesso sto cercando qualcosa di concreto, qualcosa che duri nel tempo.»
«Spero che questo tuo nuovo stile di vita comprenda la musica, perché sarebbe davvero un peccato gettare all’aria il tuo talento di chitarrista. – gli dice e poi si rivolge e Jeff – Lip è un chitarrista strepitoso, un vero talento nato.»
«Tutt’altro, sono in cerca di una band, una vera band, gente seria con cui costruire qualcosa di nuovo, sfondare in questa giungla musicale.»
Gli occhi di Leslie si illuminano, le parole del suo vecchio amico sono una manna da cielo e lui è proprio quello che stanno cercando e che hanno cercato per così tanto tempo: «Allora noi siamo ciò che fa per te, ciò che stai cercando! – esclama euforica – Stiamo cercando un chitarrista solista, ma non un chitarrista qualsiasi: vogliamo qualcosa di unico, qualcuno con uno stile inconfondibile, con carisma e passione da vendere. Qualcuno come te.»
«Lex…» Jeff cerca di intervenire, qualcosa gli dice che la ragazza sta correndo troppo, che sta succedendo tutto troppo frettolosamente.
«Cosa? – risponde bruscamente – Cazzo, Jeff, tu non hai idea di cosa sia capace. Lui è quello giusto, credimi.»
«Abbiamo in affitto un garage a Brixtol, - continua imperterrita – e da qualche giorno abbiamo anche una nuova cantante, una ragazza con una voce graffiante che ricorda Janis Joplin e con te alla chitarra so che possiamo farcela.»
«Se per il tuo ragazzo va bene…»
«Certo che sì! – esclama Lex al posto di Jeff, ancora perplesso e sempre più nervoso per quella presa di posizione del tutto fuori luogo e piuttosto dispotica — Ti scrivo l’indirizzo su di un pezzo di carta, così già domani potrai venire da noi e farci sentire qualcosa. Che ne dici, ci stai?»
«Perché no? – chiede retoricamente – Dopo tutto, è ciò che ho aspettato dal primo momento in cui ho rimesso piede in Inghilterra.»
«Grande! — Lex saltella, lo abbraccia e lo bacia su entrambe le guance — Allora è deciso, ti aspettiamo domani per le prove. Vedrai, sarà grandioso, strepitoso! E poi abbiamo così tanto da raccontarci, così tante cose che… oh, Lip, sarà bellissimo!»
«Dobbiamo andare!» esclama freddo Jeff, prendendola per una mano e strattonandola leggermente verso di lui. I suoi occhi sono due pozze di ghiaccio, la sua mascella è contratta, la sua postura trapela nervosismo e irritazione. Lex capisce che è pronto ad esplodere, che il suo entusiasmo è tutto fuorché ricambiato.
«Allora ci vediamo presto, ragazzi. – è Lip a prendere la parola — È stato bello rivederti dopo tanto, Lex, e un piacere conoscere te, Jeff.»
Jeff risponde con un fugace gesto del capo e, senza dire nulla, trascina letteralmente fuori dal negozio la bionda, anche lei adesso in totale silenzio.

I due camminano in silenzio fino alla stazione della metro, stando ben attenti a non sfiorarsi neanche con il corpo. Jeff stringe i pugni, Leslie cammina con le braccia intrecciate sotto il seno, lanciando di tanto in tanto occhiate non corrisposte al moro.
Hanno sempre preso decisioni insieme, loro due, consultandosi ogni volta prima di una qualsiasi scelta, parlandone a lungo insieme e con il loro batterista, Mike. Quella volta, però, è stata diversa e la bassista sa di aver sbagliato, di aver agito in scorrettamente, come una qualsiasi leader prepotente e capricciosa che non ascolta le voci degli altri.
È stata la gioia, la sorpresa, una serie di emozioni inaspettate scaturite alla vista di Lip a farla agire così precipitosamente; è stata la sua impulsività a far scaturire in Jeff la gelosia, la rabbia, l’irritazione nei confronti del ragazzo sconosciuto, del loro nuovo possibile chitarrista, per quel tipo sconosciuto che ha un trascorso con lei, con la sua ragazza.
«Scusami, mi dispiace.» sussurra mentre aspettano il treno, fermi sulla banchina della metro, tra la folla che sta tornando a casa dal lavoro.
Jeff non dice nulla, non la guarda, ma non discosta la mano quando lei l’afferra e la stringe nella propria con forza, in una muta richiesta di perdono, di affetto, di amore.
La metro arriva insieme ad un turbinio di vento, di suoni di metallo che cozza contro altro metallo, di luci giallastre che sfrecciano davanti ai loro occhi ed è quello il momento in cui Jeff stringe la mano di Lex, forte, facendole capire che va tutto bene, che tutto andrà bene, che non ha rovinato tutto come pensa e che, domani mattina, l’avrà già perdonata.




 

*






Angolo Autrice: Salve, gente! Questa storia sta diventando più corale del previsto, anzi si può dire che quella che era nata come protagonista indiscussa, Andrea, a momento è quella che ho meno analizzato tra tutti. Arriverà anche il suo momento, promesso.
Nel banner iniziale è presentato il mio prestavolto ideale di Jeff, Tom Sturridge, ma voi siete liberi di immaginarvelo come più credete!
Inoltre, nel capitolo viene menzionato The Head on the door, album del 1985 dei Cure, contenente singoli e successi quali In Between Days o Close to me.

Al solito, ringrazio tutti voi che avete letto, seguito e recensito la storia fino a questo momento! ;)

Alla prossima,
V.
 

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Capitolo 8
*** 08. ***











Trascorrere la sua serata libera in un pub non è certamente ciò che Andrea aveva sperato, specie da quando è costretta a passare tutte le altre dietro il bancone di un pub non molto diverso da quello in cui si trova in quel momento.
Zoe ha tanto insistito ad incontrarsi là, in quel pub da poco aperto che sta avendo gran successo tra i giovani e lei non ha potuto tirarsi indietro.
La sua amica ha organizzato una serata allegra all’insegna di ottima birra e tante chiacchiere quattro giorni prima, quando l’ha chiamata a casa di sera tardi per annunciarle che era stata presa come cantante in quella band di cui Andrea ignorava il nome grazie a una canzone di Nina Simone e a una buona dose di carisma e personalità.
Per un momento Andrea è stata in dubbio sul buon esito di quella storia, temendo che quella fosse l’ennesima fregatura londinese, l’ennesimo buco nell’acqua; molte, in quel periodo, erano le band — o le così dette tali, almeno — che cercavano avvenenti chitarristi, tenebrosi bassisti, carismatici cantanti, ma poche erano quelle davvero serie, che volevano raggiungere il successo non per la fama e i soldi, ma per l’amore della musica.
Forse, si dice mentre se ne stava seduta da sola al tavolo di legno precedentemente riservato, in attesa dell’arrivo degli altri, sta diventando fin troppo diffidente, misantropa, poco incline a vedere il buono negli altri, ad approcciarsi al prossimo.
Ha avuto una naturale propensione alla solitudine lei, di quelle solitudini che ti spingono a non cercare lo sguardo degli altri, a non volere legami di qualsiasi tipo: a volte è addirittura partita da sola per destinazioni senza meta, per le regioni più selvagge dell’Inghilterra e della Scozia, luoghi silenziosi in cui ha potuto ritagliarsi momenti per leggere un romanzo o fare lunghe passeggiate tra il verde.
Quella solitudine non la mette mai in soggezione come fa con altre persone, non è per lei motivo di autocommiserazione, poiché non vede alcun motivo per autocommiserarsi: la sua vita è sempre andata bene così com’era, completa nel suo essere incompleta, sempre in cerca di nuovi stimoli, di avventure cercate e alle volte anche trovate tra le pagine di guide turistiche ammassate in polverosi scaffali di librerie deserte o durante avvincenti conversazioni tenute con proprietari di discutibili ostelli o avventori che, proprio come lei, affollavano quegli stessi ostelli con i letti a castello dalla vernice smangiata e i materassi sfondati.
Sospira, osservandosi attorno nel pub affollato di uomini di mezza età dai volti cupi e gli occhi cerchiati da profonde occhiaie grigie appena usciti dal lavoro, universitari pieni di vita che sperano in un futuro roseo o semplici turisti giunti da chissà dove per vivere un’esperienza indimenticabile in quella città multiculturale che da sempre sa affascinare chiunque la visiti.
Torna a guardare fuori, oltre i vetri, pensando a quanto Londra a fine autunno abbia qualcosa di affascinante nonostante il suono lamentoso del traffico e l’andirivieni nervoso della gente: probabilmente sono le capigliature scarlatte degli alberi ad affascinarla, i tappeti di foglie dai colori vivaci e il loro rumore scricchiolante quando queste vengono calpestate durante una passeggiata al parco, all’uscita di un bar dopo aver gustato lentamente una buona tazza di tea inglese.
Ed è proprio una capigliatura rossa come le foglie sugli alberi a destarla dalle sue fantasticherie, dai suoi pensieri di giovane donna solitaria: Zoe fa il suo ingresso pochi secondi dopo nel pub insieme ad una ragazza, alla sua amica Lucy che Andrea ha conosciuto più di un anno prima e incontrato solo occasionalmente.

«La dannata metro è rimasta ferma in galleria per più di dieci minuti! – esclama piccata Zoe, sfilandosi la sciarpa di lana – Spero tu non abbia aspettato troppo.»
«Non troppo, no.»
«Ricordi Lucy?» chiede Zoe, guardando prima quest’ultima e poi Andrea.
«Certo. – risponde prontamente Andrea, abbozzando un sorriso – Come stai?»
«Molto bene, grazie. – anche la ragazza dal caschetto moro e la pelle olivastra ricambia il sorriso di cortesia – Chi altri stiamo aspettando?»
«Luca dovrebbe passare più tardi, mentre Roger ed Elizabeth mi hanno informata ieri sera che non riescono a venire a causa di una cena organizzata all’ultimo minuto dai genitori di lei.»
«Questo è quello che succede quando decidi di accasarti e sistemarti una volta per tutto: la famiglia ti inghiotte interamente e la tua vita non è più veramente tua.»
«Sempre positiva tu, vero?»
Andrea scrolla le spalle e risponde: «Sai come la penso su queste cose. Non che io non ami la mia famiglia o non abbia invidiato di tanto in tanto il lungo matrimonio felice dei miei genitori, ma queste cose non sono proprio fatte per me.»
«Io trovo che Roger e Lizzie siano una coppia bellissima.» ribatte Lucy.
«Mai detto il contrario. — mette in chiaro Andrea, temendo di essere fraintesa – Dico solo che, quando hanno deciso di aprire un american bar, fidanzarsi, sposarsi e decidere di provare a fare dei marmocchi avrebbero dovuto mettere in conto anche tutte queste rotture di palle.»
«Senza speranza! – Zoe scuote la testa e sogghigna — Ma non vi ho fatto venire qui per parlare di queste cose da vecchie bisbetiche. Piuttosto, siete qui per festeggiare con me le occasioni colte al volo, la giovinezza, la spensieratezza e, soprattutto, la libertà!»
«Devi raccontarci tutto! — Andrea si sporge in avanti, impaziente di sapere i dettagli di quella storia solo accennata per telefono – Come sono quei tipi e che genere di musica fanno? Sono cordiali, fanno le cose sul serio, vogliono ciò che vuoi tu?»
«E, soprattutto, sono dei gran fighi?» conclude Lucy, facendo ridere le altre due.
«Jeff e Leslie sono fidanzati, quindi lui è fuori dai giochi nonostante il suo fascino tenebroso e Mike… - increspa le labbra, ripensando al guardingo ragazzo dietro le pelli — A dire il vero ho parlato poco con lui e nonostante le spalle larghe e i bicipiti muscolosi non posso dire che sia proprio il mio tipo. Inoltre, le relazioni in una band sono sempre un casino, quindi penso che cercherò qualcuno di altrettanto intrigante tra il pubblico.»
«Avete già una data, qualche concerto fissato?» chiede Lucy, intrecciando le dita affusolate sotto il mento.
«No e non credo ne avremo presto qualcuna. – Zoe pare seccata — Siamo ancora alla ricerca di una chitarra solista e poi ci sono le canzoni da comporre e mettere insieme; la strada è ancora lunga, ma siamo tutti molto motivati e positivi a riguardo.»
«It’s a long way to the top if you wanna rock ‘n roll!» canticchia Andrea, imitando al suo meglio la voce leggermente stridula di Bon Scott.
«Mai frase fu più veritiera, purtroppo per noi.»
«Sono sicura che andrà bene. – la incoraggia Lucy, sfoderando un sorriso sfavillante che avrebbe persuaso chiunque a crederle — Magari già domani troverete un buon chitarrista, qualcuno con la tua stessa fame di musica e nel giro di sei mesi chissà…»
«Lex è davvero molto motivata, una delle ragazze più appassionate che abbia mai conosciuto. Sembra instancabile, sempre di buoni propositi e sono sicura che piacerebbe tantissimo anche a voi.»
«Una buona occasione questa per organizzare una festa e conoscerci tutti. – propone ancora una volta Lucy, spostando i suoi occhi scuri da Andrea a Zoe — Non ti pare una buona idea, Zoe?»
Zoe non saprebbe dire se quella appena proposta sia una buona o una cattiva idea: conosce appena Leslie e gli altri, non ha idea di che tipi siano, se l’idea di una festa sarebbe accolta con entusiasmo o con noia. Jeff pare uno taciturno, molto schivo, che parla poco — tutto il contrario della sua ragazza, insomma — mentre Mike è stato così schivo da non spiaccicare più parole del dovuto. Ora che ci pensava, non sa neanche quanti anni ha, da quanti anni suona la batteria o i suoi gusti musicali.
Magari, pensa, prima di prendere in considerazione a qualsiasi tipo di festa o di incontro tra loro tre e i suoi amici dovrebbe parlarne con i primi, conoscerli meglio, capire se sono interessati alla sua vita come lei lo era delle loro.
«Prima dovrei discuterne con loro, credo. — risponde alla fine, rimanendo vaga — Io stessa li conosco appena e, anche se mi sembrano tutti dei bravi ragazzi, tipi con cui potrei diventare ottima amica, preferirei aspettare almeno una decina di giorni o qualcosa di più prima di presentar loro l’idea di una festa.»
«Mi sembra una saggia decisione.»

Andrea non aggiunge altro, preferisce non dire che, molto spesso, le prime impressioni non sono quelle giuste e che dietro sorrisi e gentilezze può nascondersi egoismo e personale tornaconto. Inoltre, non vuole smorzare l’entusiasmo della sua amica, sempre propensa a vedere il buono in ogni persona, con il suo consueto cinismo e il suo essere schiva verso l’umanità in generale.
Se Zoe vede sempre il bicchiere mezzo pieno, lei è portata a vedere quello mezzo vuoto, ad aspettarsi il peggio nelle situazioni anche quando non è necessario; non sa bene da cosa derivi questo cinismo, probabilmente è nato quando lei era appena adolescente e suo padre ha scoperto il tradimento di sua madre e il loro matrimonio è entrato in una crisi profonda, salvo poi rinascere come una fenice dalle sue ceneri e tornare più forte di prima.
Non che questo tradimento l’abbia portata ad odiare o portare rancore per sua madre — al contrario, con il passare degli anni ha capito le motivazioni dietro il suo tradimento, il suo bisogno di colmare quel senso di solitudine e di affetto che, in quegli anni, suo padre non era in grado di riempire — eppure qualcosa in lei si era irrimediabilmente intaccato nel suo cuore di ragazza, portandola a diffidare di chiunque. Specialmente dei sentimenti propri e altrui.  

Sono da poco passate le dieci di sera quando escono dal locale. Andrea si affretta a salutare Zoe e Lucy, che si incamminano nella direzione opposta, e a passo svelto si avvia verso la stazione della metropolitana più vicina.
Ha iniziato a piovigginare, rade e sottili goccioline d’acqua cadono dal cielo scuro e si schiantano al suolo, sugli ombrelli variopinti che iniziano ad aprirsi attorno a lei.
È stata una serata divertente dopo tutto, si trova a pensare mentre cammina con sguardo basso e solo un cappuccio nero a coprire i capelli biondi sempre più arruffati per l’acqua e l’umidità dell’aria; Lucy non è una pessima compagnia, potrebbe persino prendere in considerazione di diventare sua amica.
Amica: Zoe è a momento l’unica vera amica che le rimane, si trova a pensare; ogni sua amicizia di vecchia data si è persa con il passare degli anni, a causa di incomprensioni o di decisioni che hanno condotto a strade diverse. Non che lei sia mai stata l’anima della festa, una di quelle tipe civettuole circondate da maschi adoranti e femmine pronte a ubbidire come cagnolini al minimo schiocco di dita. Andrea è sempre stata piuttosto schiva, riservata, una di quelle che preferiscono sedere da sole durante il pranzo servito in una di quelle mense dai muri scrostati in cui si servono cibi dalla dubbia provenienza; ha sempre trovato noiosi i suoi coetanei, tutti troppo fissati con l’edonismo e quelle strambe idee da super uomini importati dall’America di Ronald Reagan, attoruncolo di serie B capitato per caso alla Casa Bianca.

Arrivata alla stazione della metropolitana, si avvia verso la banchina dove una discreta quantità di gente attende la metro che arriverà, secondo il display luminoso su cui svettano numeri rossi, entro cinque minuti; abbassa il cappuccio, scuotendo i capelli e frizionandoli frettolosamente con una mano, constatando con gioia che non sono così fradici come ha temuto.
Il convoglio arriva poco dopo, precisamente a quattro minuti dal suo arrivo, illuminando la galleria buia alla sua sinistra e sfrecciando silenzioso davanti ai suoi occhi; una delle due entrate si apre proprio davanti a lei, permettendo l’uscita di parecchia gente — la stazione fa da interscambio con altre due linee ed è colma di gente quasi fino alla chiusura — tra le quali Andrea giura di vedere un volto amico.
È un attimo, un breve istante in cui la ragazza si gira di scatto, giurando di aver visto una silhouette famigliare, un viso che un tempo le è stato amico.
«Ned?» si ritrova a sussurrare, cercando di capire se la sua mente le ha giocato un brutto scherzo o se il ragazzo vestito con un completo nero e un lungo impermeabile color crema sia davvero lui, l’amico che lei stessa ha allontanato mesi prima per paura dei sentimenti di entrambi.
«Signorina, si muova!»
Una donna, una signora con il viso visibilmente stanco e pallido, la rimprovera e solo in quel momento Andrea si rende conto ti essere rimasta immobile, impalata tra la banchina e la metro, bloccando la fila di persone che ancora deve entrare.
«Mi perdoni!» esclama mortificata, affrettandosi ad entrare, non prima però di aver buttato un ultimo sguardo verso l’uscita, dove il ragazzo con l’impermeabile è scomparso tra la folla.
  
 


*





Angolo Autrice: Ed eccomi qua, con un nuovo capitolo. Capitolo di passaggio, certo, però importante per capire di più Andrea, personaggio che fino a questo momento sento di aver analizzato ben poco.
Spero che la storia continui a piacervi, perchè dalle visualizzazioni e delle recensioni temo che non sia molto di vostro gradimento. Quindi se avete critiche muovetele pure, non mi offendo, specialmente se sono critiche costruttive. Insomma, tutto per dire di farvi sentire! ;)

Alla prossima,
V.

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Capitolo 9
*** 09. ***


HS_09
 







Una massa di capelli arruffati fa capolino nell’ingresso non appena Ned si chiude la porta alle spalle.
Il maggiore dei fratelli incrocia immediatamente lo sguardo color cioccolato del minore, intuendo che qualcosa di nuovo bolle in pentola, una qualche stramba idea che Lip gli sta anticipando con uno dei suoi soliti ghigni furbi.
«Sei tornato! – esclama Lip, passandosi una mano tra i capelli ribelli — Solitamente non torni così tardi: altre noiose scartoffie universitarie?»
Ned annuisce distrattamente mentre si toglie l’impermeabile e lo posa sull’attaccapanni alla sua destra; quella appena passata è stata una giornata davvero stressante e non ha alcune voglia di parlare dell’università e delle stramberie che ogni giorno è costretto ad affrontare.
«Credimi, nulla che tu voglia ascoltare. Piuttosto, dalla tua faccia direi che devi dirmi qualcosa, una qualche novità che probabilmente non mi piacerà.»
Il ghigno di Lip diventa più ampio e, facendo un cenno con la testa, invita il fratello a seguirlo nel soggiorno e sedersi sul divano.
«Ti ricordi Leslie? – chiede una volta che entrambi si sono seduti — Andavamo a scuola insieme quando mamma e papà erano ancora insieme e ogni tanto suonavamo insieme.»
«Intendi dire la ragazzina con i capelli corti e l’aria da maschiaccio? – chiede retoricamente, mentre nella sua mente affiorano ricordi sfocati di quella bambinetta rumorosa ma indiscutibilmente spassosa — Sì, certo che me la ricordo. Anche volendo, sarebbe impossibile dimenticarsi di un tipetto come lei.»
«Sapevo di poter contare sulla tua memoria infallibile. — Lip si sistema meglio sul divano e poi continua — Sai, non pensavo di rivederla, anche se non posso negare di aver pensato a lei qualche volta nelle ultime settimane, quindi quando me la sono ritrovata in negozio puoi immaginare la mia grande sorpresa.»
«Londra è più piccola di quanto uno possa pensare. — scherza Ned, buttando la testa all’indietro e chiudendo per un istante gli occhi stanchi — Come se la passa Lex?»
«Bene, in gran forma. Credo sia fidanzata, anche se il tipo che frequenta non mi sembra tutta questa simpatia; però ha una band, un gruppo rock e mi ha chiesto se suono ancora. Ovviamente, io le ho detto di sì e lei mi ha detto che cercano un chitarrista e…»
«Fammi indovinare: ti ha chiesto di unirti a loro, di suonare insieme come ai vecchi tempi?»
«Ha detto che le farebbe piacere, sì, ma prima ne avrebbe parlato con il resto del gruppo. A quanto capito hanno fatto da poco qualche cambiamento, trovato una nuova cantante dalla voce graffiante e potente, ma Lex mi è sembrata abbastanza positiva: domani pomeriggio farò la mia strabiliante audizione e sono sicuro che, per la fine della settimana, entrerò a far parte di un vero e proprio gruppo. Con un po’ di fortuna, presto potremmo farci notare e sfondare nell’ambiente.»
«E tanti cari saluti alla stabilità e al voler costruire qualcosa di serio. – Ned sospira e si alza dal divano – Lip, so quanto la musica conti per te, ma tra poco avrai ventiquattro anni ed è il caso di iniziare a pensare a un’alternativa seria.»
Lip si acciglia, preparandosi ad incassare i colpi e rispondere: «E finire a vestire come un pinguino, diventare uno dei tanti impomatati sempre in giacca e cravatta? No, grazie.»
«Che tu ci creda o meno, io amo il mio lavoro.»
«Per lavoro intendi essere l’assistente sottopagato e schiavizzato di una vecchia mummia che oramai non riesce neanche più a tenere una lezione senza rischiare l’embolia polmonare? — il tono di Lip è aspro mentre si alza dal divano — Io voglio vivere Ned, voglio vivere a pieno, non arrivare a quasi ventisei anni e vedere nel riflesso dello specchio qualcosa che non sono, qualcuno di triste senza alcun interesse o vita sociale, che passa il suo tempo a…»
«Qualcuno come me, dici? — Ned sorride amaramente e, alzatosi anche lui in piedi, si porta a pochi centimetri dal fratello minore, più basso di qualche centimetro dispetto a lui — Lo so che mi compatisci, lo hai sempre fatto, fin da quando eravamo ragazzini. Tu sei sempre stato quello più interessante, con carisma e tante storie da raccontare, mentre io ero quello che passava le giornate in biblioteca, a studiare, con pochi amici e taciturno.»
«Ti prego, risparmiami il monologo sul cane bastonato…»
«Vuoi dire che non è vero? Vuoi forse dire che non mi ritieni una persona noiosa, monotona, schematica; una persona come nostro padre?»
«Questo lo dici tu, non io.»
Ned scuote la testa e si lascia scappare un’amara risata: «Fottiti, Lip.»

Lip deglutisce a fatica, si sente davvero uno stronzo per ciò che ha appena insinuato, ma lui è fatto così: quando si sente minacciato attacca, diventa un bastardo insensibile, si prende gioco degli altri e delle loro passioni, del loro essere o pensare diverso dal suo.
Un movimento d’aria dice che suo fratello sta lasciando la stanza, che ne ha abbastanza per quella sera di stronzate, di litigare come due bambini che si contendono un gioco o creano la bugia più fantasiosa pur di incolpare l’altro per qualche disastro causato in giardino o nel salone pieno di oggetti preziosi e fragili dentro il quale loro sono entrati senza permesso.
«Non volevo finisse così, lo sai? – gli urla praticamente dietro il minore, seguendo i passi del maggiore fuori dal soggiorno e verso le stanze da letto — Volevo solo che tu condividessi la mia felicità, che fossi contento per me e…»
«Vuoi che ti dica che sono contento e che ti auguro buona fortuna? – Ned si volta bruscamente, la mano ferma sulla maniglia della porta della sua stanza — Bene, allora: buona fortuna, fratello.»
«Ora, se vuoi scusarmi, sono molto stanco. — continua aprendo la porta — Buona notte.»


In un attimo, la porta si richiude alle sue spalle, davanti a Lip che, frustrato, ha le mani serrate a pugno e la mascella contratta: quella che è iniziata come una bella giornata è finita come una giornata da dimenticare; una parte di lui vorrebbe solo prendere a pugni Ned, urlargli insulti e tutta la sua frustrazione, anche se sa che c’è verità nelle parole del fratello. Eppure…
Sospira. Non darà a nessuno la soddisfazione di vederlo vacillare, insicuro; non cederà adesso, non ora che è tanto vicino dal costruire qualcosa, dal sentirsi realizzato. Arriverà fino in fondo a quella storia, raggiungerà il suo obbiettivo e dimostrerà a suo fratello che si sbaglia, che la vita può essere diversa da quella che la società insegna, un viaggio che vale la pena essere vissuto.
 

**
 
Nello stesso momento, in un quartiere distante da quello in cui abitano i fratelli, Zoe è appena rientrata a casa dopo una serata trascorsa in compagnia dei suoi amici. È piuttosto tardi, domani si dovrà alzare presto per lavorare, ma non si pente della scelta del pub e delle due pinte e mezza che ha bevuto.
Lascia cadere la borsa vicino all’appendiabiti in legno e si toglie le scarpe prima di buttarsi a peso morto sul divano e schiacciare il pulsante della segreteria telefonica che le annuncia, attraverso una piccola spia rossa lampeggiante, che qualcuno le ha lasciato un messaggio.


Zoe, sono Lex. Ho delle notizie importanti, grandi novità, quindi appena torni richiamami. Non importa l’orario, anche se è tardi e pensi che io stai dormendo chiamami, okay? A dopo. —



Lancia un’occhiata all’orologio a muro: sono le 11:36 di sera, forse con la sua chiamata rischia di svegliare Lex e anche Jeff se quest’ultimo si è fermato da lei com’è solito fare. Però, si dice, è stata lei per prima a dirla di richiamarla a qualsiasi ora, quindi non ci sono motivi per farsi scrupoli.
Alza la cornetta, compone il numero e, sistemandosi i capelli scarmigliati in una coda morbida, attende che qualcuno dall’altra parte risponda.

«Sono io, Zoe.»
«Zoe? – la voce di Lex è impastata di sonno e una piccola parte della rossa si sente in colpa — Come mai chiami a quest’ora e perché… ma certo!»
Zoe cerca di sopprimere una risata quando nota la voce della bionda farsi improvvisamente più squillante e dalla sfumatura di entusiasmo che ha colto può quasi certamente sostenere che la notizia che sta per comunicarle è alquanto importante.
«Abbiamo trovato un chitarrista! – esclama ad alta voce, forse troppo alta, perché Zoe giura di sentire in sottofondo una voce maschile, probabilmente Jeff, che borbotta qualcosa di incomprensibile — O meglio, spero di averlo trovato, perché come sai siamo un gruppo e non mi sognerei mai di prendere una decisone così importante da sola; però devo dirti che è davvero molto bravo, uno che ci sa fare, che suona da anni e anni.»
«Da come ne parli sembri conoscerlo piuttosto bene.»
«È un mio amico d’infanzia, uno dei primi con cui ho suonato da adolescente. Si chiama Lip, è appena tornato a Londra dopo una vita in giro per il mondo e suona la chitarra come se ne dipendesse la sua vita.»
«Una persona interessante: quando pensi di farmelo conoscere?»
«Domani. – risponde la bionda — Domani pomeriggio, in effetti: tu sei libera, vero?»
«Lavoro solo la mattina, quindi sì, nessun problema.»
«Perfetto! Ho già avvisato Mike, ci vediamo al garage per le cinque e se tutto va bene domani a quest’ora staremo festeggiando l’entrata nel gruppo dell’ultimo membro degli Helter Skelters.»
«Lo spero vivamente. – Zoe sorride anche se l’altra non può vederla — Ci vediamo domani, quindi. Buona notte, Lex.»
«Buona notte, Zoe.»

 


**



 
«Io ti conosco! — esclama Zoe non appena Lip arriva al garage con una chitarra chiusa in una custodia in pelle nera tra le mani — Lavori al negozio di musica, da Pete.»
Il moro studia la figura davanti a lui, il fisico nello, la carnagione lattiginosa e gli occhi che sfumano dal marrone al verde scuro a seconda della luce che li permea. Non è molto alta, anzi è abbastanza bassina, ma la sua figura è forte, anche grazie ai lunghi capelli ramati: un viso così, si ritrova a pensare Lip, non lo si dimentica così facilmente.
«La ragazza dell’annuncio. – Lip ghigna avvicinandosi a lei — Anche io mi ricordo di te, sai? È un piacere rivederti, Zoe.»
«Ricordi il mio nome?» chiede la rossa, piacevolmente stupita.
«Io non dimentico mai nulla, specialmente il viso e il nome di una bella ragazza.»
«Bene, bene, bene, a quanto vedo non dovrò neanche fare le presentazioni. – interviene Lex, portandosi le mani sui fianchi e sorridendo sghemba nel notare lo scambio di sguardi tra i due e il leggero rossore che imporpora le gote della cantante  — Jeff, il mio ragazzo, lo hai già conosciuto, mentre l’orso dietro le pelli è Mike, il nostro ombroso batterista.»
I due ragazzi si scambiano un cenno di saluto, ritenendolo abbastanza per i loro caratteri; Mike, di primo impatto, potrebbe quasi intimorire con quelle ampie spalle e quelle braccia muscolose tatuate con dell’inchiostro nero che risalta sulla pelle pallida. Da quello che ha capito quella mattina, parlando con Lex al telefono, il batterista ha ventisei anni e per vivere tatua la gente in un negozio della periferia Nord di Londra gestito da alcuni suoi amici. Non ha ben capito come la bassista lo abbia conosciuto, ma si fida di lei e del suo giudizio, quindi si fiderà di conseguenza di Mike.
«Che ne dite di iniziare ora che le presentazioni sono fatte?» chiede Jeff, alle prese con la chitarra che sta accordando minuziosamente.
«Quando volete.» risponde Lip con una scrollata di spalle.
«Conosci Miss you dei Rolling Stones?» chiede Zoe, che ha scelto quella canzone insieme agli altri poco prima.
«I’ve been hanging on the phone, I’ve been sleeping all alone. I want to kiss you! – canticchia Lip, ammiccando spudoratamente nella direzione della rosa e facendola leggermente arrossire per la seconda volta nel giro di cinque minuti — Sì, direi che la conosco.»
«E io direi che, senza perdere ulteriore tempo, possiamo iniziare! — Lex sorride entusiasta e, scambiata un’occhiata complice con Jeff, trotterella come una bambina verso il suo basso — Ai posti di combattimento, ciurma!»

Due minuti dopo, Mike dà il tempo agli altri e il garage si riempie delle note della canzone dei Rolling Stones e della voce calda ma graffiante di Zoe.
Quando, quattro minuti più tardi, la musica termina è chiaro a tutti che tra loro cinque c’è una particolare alchimia, un feeling che pochissime volte hanno provato e che dà la pelle d’oca; quando, quattro minuti dopo, la musica si ferma, è chiaro a tutti che loro cinque sono ufficialmente una band e che la loro musica li condurrà lontano.

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Capitolo 10
*** 10. ***


 






Nevica. Silenziosi fiocchi di neve cadono da un cielo rossastro, illuminati dalla luce pallida dei lampioni e vanno a ricoprire i marciapiedi e le macchine parcheggiate.
Andrea si stringe nel pesante cappotto di cammello che le arriva quasi alle caviglie, copre il viso nella sciarpa di lana grigia che sua madre le ha regalato lo scorso Natale e affretta il passo; non sa bene cosa l’aspetta quella sera, ha accettato l’invito di Zoe più per gentilezza che per reale voglia di uscire e mischiarsi a gente che non conosce e, probabilmente, non rivedrà tanto presto.
Una parte di lei è curiosa di conoscere finalmente i compagni di band della sua migliore amica, quei quattro curiosi ragazzi di cui ha sentito continuamente parlare nei precedenti venti giorni; una parte di lei spera di vedere in loro le stesse cose che è riuscita a vedere Zoe, magari di diventarci amica con il passare del tempo, ma come sempre Andrea preferisce essere realista e non concedere troppo alle sue speranze.
Si guarda attorno: per le strade non c’è un cane, ogni anima con un briciolo di buon senso è rintanata in un pub o, meglio ancora, sotto le coperte del proprio letto. In una serata come queste non è consigliabile andarsene a zonzo eppure Andrea non può fare a meno di pensare che c’è qualcosa di decadente e al tempo stesso romantico nel camminare per strada, sotto la neve che cade, in un silenzio che fa nascere pensieri e riflessioni.
Certo, Brixton non è proprio un quartiere indicato per pensieri filosofici e riflessioni sulla vita, tantomeno se sei una ragazza sola alle dieci di sera — preferirebbe di gran lunga Soho o South Kensington, ma al solito si deve accontentare con quello che le viene offerto.

Le luci rosa di un neon la distraggono per un secondo dai suoi pensieri, unico colore diverso da quello dei lampioni che gettano sull'asfalto pozze di luce di un arancio nebbioso.
Nel bar dell’angolo ragazzi e persone adulte sono impegnate a vedere quella che sembra una partita di calcio, mentre altri se ne stanno chini su di una birra dal colore scuro e sussurrano tra di loro, lo sguardo disinteressato e il viso in penombra.
Il semaforo diventa verde, la marcia ricomincia per altri due isolati, fino a quando alle orecchie di Andrea non arriva una musica ovattata, bassi e grancasse che rimbombano ovattate tra le pareti di quello che ha tutta l’aria di essere un palazzo fatiscente che poggia su di un garage ancor più malconcio.
Frugando tra le tasche del cappotto prende un pezzo di carta appallottolata e legge l’indirizzo che quel pomeriggio Zoe le ha dato: non c’è alcun dubbio, adesso, quello è effettivamente il posto in cui c’è la festa, il garage dove tre volte alla settimana la band della rossa tiene le prove.

Un respiro profondo, un secondo respiro profondo: la bocca diventa improvvisamente secca, le sue mani sudate e mentalmente si insulta per aver accettato.
Non è un animale da festa, non le piacciono le serate passate al chiuso di un locale gremito di gente e che puzza di fumo e sudore, rancido e chissà che altro.
Improvvisamente ha voglia di una sigaretta, di riempire i polmoni di nicotina e cercare in qualche modo di rilassarsi — e dire che fumare a lei fa anche schifo.
Si guarda attorno, notando quattro ragazzi in cerchio che, poco distante da lei, sembrano presi in quella che pare una conversazione accesa; ancor più vicino, in ombra e seduto sul davanzale di una finestra che ha decisamente visto giorni migliori, la sagoma di un ragazzo che sbuffa nuvolette grigiastre di fumo attira la sua attenzione.

«Hai una sigaretta?» chiede con voce non troppo convinta, tenendo le mani nelle tasche e abbassando leggermente la testa.
Il ragazzo alza lo sguardo, i suoi occhi scuri incontrano i propri e le sue labbra contornate da una folta barba si increspano in un sorriso sornione.
«Dipende chi me la chiede.» il suo tono è strafottente, il suo sguardo vaga sul corpo di Andrea, studiandola come fosse una qualche strana creatura.
La bionda rotea gli occhi, pentendosi immediatamente di aver chiesto una paglia e sbuffando fa un passo indietro e si incammina verso la porta d’ingresso poco distante.
«Aspetta! — esclama il ragazzo, la voce alta e un tono che quasi la intimorisce — Se ti ho infastidita oppure offesa in qualche modo ti chiedo scusa. Stavo solo scherzando.»
Andrea alza un sopracciglio, per nulla divertita: «Peccato, perché non mi hai fatto neanche lontanamente ridere.»
«Ammetto che la simpatia non è il mio forte, ma per farmi perdonare vorrei offrirti una sigaretta. — sorride sghembo e Andrea scuote la testa con fare rassegnato — Ecco, prendine quante ne vuoi, anche tutto il pacchetto.»
Le porge la piccola scatola di cartone bianca e rossa e, avvicinatasi, Andrea nota le sue mani affusolate e all’apparenza callose — non rovinate e dure come quelle tipiche di chi fa un lavoro usurante, ma ben curate ed eleganti come quelle di un musicista.
«Grazie.» dice semplicemente, estraendone una e portandosela tra le labbra carnose, ridando poi il pacchetto al suo legittimo proprietario.
«Ecco, aspetta!» con un balzello il ragazzo scende dal davanzale e, preso un accendino, porta le mani attorno alla sigaretta, poco distanti dal viso di Andrea, e con un movimento secco del pollice dà vita ad una tremolante fiammella rossastra.
«Ha qualcosa di maledettamente familiare, — confessa il ragazzo, facendo un passo indietro — eppure non riesco a capire se ci siamo già visti da qualche parte.»
«Dubito. — risponde secca, lasciando andare la prima boccata di fumo — È la prima volta che vengo qui e poi una faccia come te me la ricorderei.»
«Una faccia irresistibile?»
«Una faccia che mi fa venir voglia di prenderti a schiaffi.»
Il ragazzo scoppia in una fragorosa risata, una di quelle che ti fa portare il capo all’indietro e una mano all’altezza della pancia. La bionda gli piace, non ha peli sulla lingua ed è una delle persone più intriganti che abbia conosciuto da quando è tornato a Londra.
«Piuttosto, ti dispiace se ti faccio una domanda?»
«Tutto quello che vuoi, baby
«Non chiamarmi baby! — minaccia, anche se non riesce a trattenere l’ombra di un sorriso — Piuttosto, toglimi una curiosità e dimmi da dove arrivi perché, nel caso non te ne fossi accorto, ha un accento piuttosto bizzarro.»
«Colpa della erre, vero? Troppo vibrante. — fa una pausa e si aggiusta i lunghi capelli scuri, legandoseli in una coda più ordinata — Che tu ci creda o meno sono nato e cresciuto a Londra, ma ho passato tutta la mia adolescenza e la prima parte dei miei vent’anni in giro per il mondo, diventando così una specie di ibrido.»
«Sei una specie di nomade.»
«Lo sono stato, anche se mi sono più che altro limitato a seguire mia madre, una donna che in tutti questi anni ha cercato di fuggire dalle proprie radici. — chiarisce, perché se in un primo momento l’appellativo di nomade è stato per lui un vanto, adesso è qualcosa che vuole togliersi di dosso come uno zaino divenuto troppo pesante — A differenza sua non sono riuscito mai del tutto a voltare le spalle alle mie radici, anzi credo di non averle mai dimenticate del tutto ed è per questo che sono tornato.»
È più di una risposta quella data, è una confessione che non è riuscito a fare neanche alla sua stessa famiglia, mentre con questa sconosciuta le parole sono uscite con semplicità, quasi non fosse la sua vita quella appena raccontata.
Si guardano negli occhi, notando come il loro colore si incredibilmente simile — non marrone e neanche verde, ma una via di mezzo, una tonalità quasi indefinibile — ed entrambi si riscoprono a voler sapere qualcosa di più dell’altro, a volerlo conoscere come si conosce un vecchio amico, una persona intima.
«Lip!» esclama semplicemente, allungando la mano in attesa di stringere quella della bionda.
«Andrea.» risponde con altrettanta semplicità, come se rivelare il proprio nome sia la sola cosa giusta da fare, la sola che importa davvero.

La mano di Lip è stranamente calda, seppur callosa come immaginato non è ruvida, il suo tocco è piacevole e le comunica una sensazione di calma e sicurezza.
«Sicura che non ci siamo già incontrati? — chiede ancora, perché qualcosa in lei risveglia una sensazione a cui non riesce a dare un nome, uno strano senso di appartenenza — Dannazione, giuro che qualcosa in te…»
«Magari nei tuoi sogni. — scherza Andrea, sorridendo per la prima volta — In un sogno, come in quel dannato cartone animato, quello con la tipa che si addormenta e…»
«Stai insinuando che adesso dovrei iniziare a cantare e ballare? Perché, ti avviso, sono stonato come una campana e il ballo non è proprio il mio forte.»
Entrambi ridono di gusto, immaginando quanto surreale potrebbe essere una cosa del genere, quando dannatamente pazza e fuori luogo — qualcosa che potrebbero considerare solo dopo aver bevuto almeno quattro birre o aver inghiottito una di quelle pasticche colorate capaci di portarti non solo nel mondo delle fiabe, ma addirittura nel fottutissimo Paese delle Meraviglie.
«No, grazie, preferisco persone reali a principi dalla presunta virilità. — declina con fare sornione — Inoltre devi sapere che sono abbastanza cinica da non credere alla cazzata del vissero per sempre felici e contenti.»
«Concordo perfettamente ed è per questo che ti propongo di entrare, prenderci da bere e brindare al cinismo e alla vita di tutti i giorni.»
«Accetto! Prego, fai pure strada.»


 


**





Una canzone dei Depeche Mode di cui non ricorda il nome sta suonando a tutto volume quando entrano.
Ci sono almeno quaranta persone in quella sottospecie di garage, persone della loro età avvolte da una coltre di fumo e sudore; oscillano al ritmo di musica, portando le mani in aria, bevendo birra e chiudendo gli occhi.
Andrea sente l’aria mancarle, vorrebbe tornare immediatamente fuori, ma la mano che le sfiora il polso in qualche modo la fa desistere: Lip fa un cenno con il capo, chiedendole silenziosamente di seguirlo e fidandosi si lascia condurre verso una scala che porta ad un soppalco, in una stanza più silenziosa dove ci sono solo una decina di persone.

«Lip! Dove cazzo eri finito?»
Un ragazzo dal viso squadrato e il fisico da giocatore di rugby si avvicina a loro: ha un’espressione divertita, nonostante la sua stazza non è minaccioso come la bionda ha temuto in un primo momento.
«Tutto questo casino mi aveva dato alla testa e sono uscito a prendere una boccata d’aria. — risponde asciutto il moro, scrollando le spalle — Lei è Andrea.»
«Una boccata d’aria, uh? — il ragazzo sorride sornione — Io sono Mike e, se posso darti un consiglio, voglio metterti in guardia dal ragazzino e dai suoi modi: fa strage di cuori, quindi è meglio se lo lasci perdere e dai le tue attenzioni a qualcun altro.»
«Qualcuno come te? — rimbecca Lip — Non ascoltarlo, baby, non sa di cosa parla.»
«Ho già detto che non devi chiamarmi baby, baby! — esclama piccata Andrea, provocando in Mike una risata — Piuttosto, sapete dirmi dove posso lasciare il mio cappotto, così da poter cercare la mia amica?»
«Amica? — chiede curioso Mike, inclinando la testa — Perché non hai detto subito che c’era anche un amica? Dimmi come si chiama, magari la conosco o, magari, potresti presentarmela.»
Andrea scuote la testa e, anche se non vorrebbe, dice: «Si chiama…»
«Andy!» una voce squillante la interrompe e, in un batter d’occhio, la rossa le si lancia addosso, facendole quasi perdere l’equilibrio.
«Sei arrivata, finalmente. — prosegue con voce alta, più alta del dovuto nonostante la musica che arriva dabbasso — Per un momento ho temuto che non venissi e… non dirmi che questi due ti stavano importunando?»
«Li conosci?» chiede curiosa la bionda, guardando prima Zoe e poi i due ragazzi.
«Ovviamente! Andrea, loro sono Lip e Mike, rispettivamente il chitarrista e il batterista della mia band. — introduce senza sapere che le presentazioni sono già state fatte — Ragazzi, lei è Andrea, la mia amica. La mia migliore amica.»
«Certo, ma certo! Tu sei Andrea, quella Andrea, la Andrea di cui sentiamo parlare da settimane! — ridacchia Mike — È un vero piacere conoscerti, meno lo è sapere che la tua amica è la nostra cantante. Peccato, un vero peccato.»
«Non fare il melodrammatico, Mike: ci sono decine di ragazze stasera e sono sicura che ne troverai una disposta a venire a casa con te. — rimbecca Zoe — Dai, Andy, vieni che ti presento gli altri. Vedrai, adorerai Lex e anche lei sarà pazza di te.»

Senza attendere una risposta la trascina per un braccio, dandole il tempo di voltare brevemente il capo e incontrare lo sguardo di Lip, rimasto in silenzio per tutto quel tempo, che le rivolge un sorriso gentile.
Ricambia il sorriso e mormora un timido “scusa”: non sa neanche lei perché sta chiedendo scusa, alla fine si sono appena conosciuti e non hanno mai avuto intenzione di passare il resto della serata a chiacchierare e bere qualcosa insieme; nessuna promessa è stata fatta, eppure sente una strana sensazione mentre si allontana da lui, un senso di colpa e rammarico per non poter stare per qualche altro minuto con Lip, godere della sua compagnia e…

Smettila! — si rimprovera mentalmente — È il chitarrista della band della tua amica, il ragazzo di cui ti ha parlato ripetutamente per venti giorni e qualsiasi pensiero tu abbia fatto su di lui non ha più importanza.

Quella sera conosce Lex e il suo ragazzo, Jeff, parla con loro per molto tempo e instaura un inspiegabile feeling con la bassista; beve anche qualche birra, balla fino a quando i piedi non iniziano a farle male: si gode la serata e si diverte come non si è divertita da tanto tempo.
La festa è grandiosa, tutto è perfetto eppure Andrea non riesce a togliersi dalla testa Lip, a non cercare il suo sguardo tra le ombre della stanza: ripensa alla sensazione delle sue mani affusolate che stringono il suo polso, al suo sorriso sgembo e appena accennato e ogni volta che incontra il suo sguardo perennemente fisso su di lei rabbrividisce. E' una strana sensazione quella che sente durante quelle ore, un’attrazione inspiegabile che poche volte ha provato nella sua vita e questo le fa quasi paura perché nel profondo sa che Lip è sbagliato per lei, un ragazzo che la incasinerebbe, eppure…
Eppure qualche ora dopo, mentre sta attendendo un taxi chiamato poco prima, non riesce a negargli quella semplice richiesta.

«Ti ho pensato tutta la sera. — sussurra al suo orecchio, facendola rabbrividire per quella vicinanza agognata per ore  — Vieni a casa con me.»
Non lo ha visto o sentito arrivare, si è avvicinato a lei silenzioso come un felino, e quando poggia delicatamente una mano sul suo fianco destro Andrea non può fare altro che annuire: l’attrazione è troppo forte e anche se è sbagliato, anche se probabilmente l'indomani mattina se ne pentirà, si dice che quella sarà solo una cosa di una notte senza, troppa importanza e che nessuno lo verrà mai a sapere.
Lip le apre lo sportello del taxi, l’aiuta a salire e insieme si avviano verso la conclusione di una notte che cambierà le loro vite.






*
 


Angolo Autrice: No, non state sognando. Sì, ho davvero aggiornato dopo tutti questi mesi. Non ho molte scusanti, posso dire solo che è un periodo in cui scrivere non mi viene facile e per ogni capitolo ci metto anni. Inoltre è anche un periodo strano della mia vita e... ma non siamo qua a psicanalizzarmi!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che qualcuno vorrà darmi un parere onesto. Ringrazio, inoltre, chi ha pazientemente aspettato.

Alla prossima,
V.

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