An O'Broden Story

di Nicolessa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prime impressioni ***
Capitolo 2: *** Pilot ***
Capitolo 3: *** Preparativi ***
Capitolo 4: *** Fuori copione ***
Capitolo 5: *** Ballerini e chiacchierate notturne ***
Capitolo 6: *** Omino verde ***
Capitolo 7: *** Supporto morale ***



Capitolo 1
*** Prime impressioni ***


An O'Broden StoryAn O'Broden Story


(1) Prime impressioni






Holland POV


Sapete, ci sono cose che le riviste non dicono. Il che è strano dato che a volte, pur di raccattare lettori, si inventano storie senza capo nè coda.
Ad esempio, una mattina ricordo di aver letto una notizia ESCLUSIVA (e badate bene al maiuscolo molesto) riguardo una mia cara amica, Crystal. La conoscerete sicuramente: bella come il Sole, dolce come il pane e con una risata singolare quanto adorabile. Comunque.
Io ovviamente non ho dato credito a quell'articolo nemmeno per un secondo ma, vedete, può capitare che la gente possa fare diversamente. Ed è proprio da lì che nascono i problemi.
Ma parlarvi di gossip non è mai stata mia intenzione perciò ritorno al punto: ci sono cose che le riviste non dicono ma che, ahimè, degli sguardi non possono nascondere.
Questa è la storia degli O'Broden ( è così che ci chiamate, giusto? ) raccontata da chi, questa storia, l'ha vissuta. E la vive tutt'ora, fortunatamente per me.
Ciao, sono Holland Marie Roden e vi racconterò un po' di quel disagiato di Dylan O'Brien.



Non occorre che ve lo descriva, no? Occhi nocciola, nei invitanti come gocce di cioccolato e mani ossute; bastano solo queste qualità per far pensare immediatamente a lui.
Poi arriva la parte che preferisco: la persona che è.
La prima volta che l'ho visto era un ragazzino di sedici anni iper-attivo e dalla risata facile. Sia io che lui, all'epoca, facevamo un provino per dei ruoli diversi.
Eh già, io ero interessata ad interpretare la giovane e coraggiosa Allison Argent e lui il fedele e leale Scott McCall.
Credetemi, sconvolge anche me ora come ora ma è proprio così.
Inutile dirvi quanto sia contenta di come siano andate le cose.


Insomma, non faceva che mangiarsi le unghie e battere il piede per terra come Tamburino. Innervosiva anche me!
Si vedeva lontano un miglio quanto volesse far parte di questa famiglia.

«Ti devi calmare» gli dissi facendo passare per un consiglio quella che era una specie di supplica. «Sei stato bravo lì dentro, ce la farai.»
Non sono convinta mi abbia dato ascolto al 100% ma, al di là di tutto, alla fin fine ho avuto ragione.

Dopo i primi provini infatti siamo stati nuovamente chiamati con la richiesta di prepararci per dei ruoli diversi.
È lì che mi innamorai di Lydia. Ma sopratutto è lì che mi innamorai dello Stiles interpretato da Dylan.
Vederlo recitare nei panni del vispo figlio dello sceriffo mi tenne di buon umore per il resto della giornata; ansia a parte.

Anche lui dev'essere stato soddisfatto di sè stesso, lo si vedeva dal largo sorrisetto che aveva stampato in faccia quella mattina.
«Sai, saresti una Lydia perfetta per me» mi disse mentre andava via, dandomi il cambio per entrare in sala. «Cioè, per il mio Stiles» si corresse poi grattandosi la nuca (al tempo nuda e appena ispida). Adorabile.
Tre giorni dopo ebbi la conferma ufficiale: il ragazzetto che aveva recitato con J.Lo e quello dal collo di gomma avrebbero ricoperto rispettivamente i ruoli di Scott e Stiles.

L'inizio di un'era.

Circa una settimana dopo arrivò il momento della prova più importante, l'ultimo ostacolo da superare: il provino per testare la chimica.
Avevo un mucchio di feeling da dover sfoderare! Prima di tutti con Crystal, poi con Dylan ed anche con Colton.
Ah, Colton! Non mi convinceva per niente, sapete? La prima volta che lo vidi pensai “Ugh, non mi piace proprio. Si dà troppe arie!”

Ennesima conferma del detto “l'apparenza inganna”.

Fatto sta che lo diventai.
Cosa? La sua Lydia.
Onestamente, fu lui a renderlo possibile: se non fosse stato per il suo credibilissimo sguardo innamorato perso, a quest'ora sarei... non so dove sarei stata. Ma sicuramente sarei stata meno felice.
Peccato che allora non riuscissi a vedere quanto Dylan fosse molto vicino a Stiles sotto quel punto vista.

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Capitolo 2
*** Pilot ***


An O'Broden Story (2) Dylan(2) Pilot 





Dylan POV




Se c’è una cosa che tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita, è quella di convivere con i propri amici. Non importa se per dieci giorni o per dieci anni, né tanto meno il posto: fatelo. Perché niente vi farà sentire più euforici o liberi.
È proprio così che eravamo io e Tyler quel pomeriggio dopo il trasferimento. Non avevamo avuto problemi: dividerci lo spazio o stabilire uno schema a rotazione per tenere quel posto, non dico pulito, ma quantomeno vivibile era risultato un gioco da ragazzi. Che poi era ciò che eravamo, in fondo.
Tornati dalla settimana ad Atlanta eravamo inseparabili. In un certo senso era sempre stato quello lo scopo -farci legare e darci la possibilità di diventare sul serio amici prima di cominciare le riprese- ma, ad essere onesti, non ce n’è mai stato davvero bisogno.
Credo di aver voluto bene a quel fesso fin dal primo istante in cui l’ho visto. Lui e i suoi capelli a fungo.
Abbiamo attaccato bottone senza rendercene conto ed io ho finito per fidarmi di lui ad occhi chiusi appena dopo 15 minuti.
Come dite? Che fine ha fatto Tyler Hoechlin?
Anche lui viveva con noi ad Atlanta, certo. Ma più che un fratello, per noi era un supereroe ( l’avete capita? Eheh ) . Il guardiano delle nostre malefatte ed il principale motivo per cui siamo sopravvissuti per anni senza andare in galera o far esplodere la cucina.
Voi lo sapevate che l’alluminio non va messo nei microonde? T-Pose non lo sapeva.
Convivere con loro è stato uno dei capitoli più divertenti della mia adolescenza, oltre che ad uno dei più importanti.
Grazie a Teen Wolf avevo già trovato due amici che non vedevo l’ora di chiamare fratelli.
E con l’inizio delle riprese avrei trovato anche di più.



«Hai visto che avevo ragione? Alla fine ce l’hai fatta!»
Voce squillante, capelli biondo-fragola, labbra carnose, unghie cortissime e tacchi che facevano venire a te, che le stavi di fronte, la voglia di tranciarti i piedi di netto. Quella nana della Roden.
Se se, lo so! “È facile parlare adesso che la superi di 20 centimetri buoni” mi direte voi ma, davvero, Holland è un tappo che cammina. O che si muove inciampando, che per lei è come dire la stessa cosa. Pensavo che fosse del colpa del cellulare, che il motivo che la portasse a baciare l’asfalto ogni tre passi fosse il non guardare per terra ma… no. È solo tanto goffa ed esilarante. Adorabile.
Ma comunque.
«Ah, beh, sì… anche tu!» Che osservazione, eh? Grazie, grazie. A dopo i complimenti. «Non che ne sia sorpreso, cioè, anche tu sei stata brava. Mi hai snobbato benissimo nel pilot!»
In mia difesa aggiungo che ero leggermente agitato, okay? Ed anche stanco per via di tutta la mattinata trascorsa a girare e girovagare nei boschi con un Posey selvatico che si divertiva a suonare l’inalatore di Scott come una piccola cornamusa.
La verità è che ero sempre un po’ imbarazzato quando mi trovavo attorno ad Holland.
Tanto che avessi una cotta per lei era chiaro a tutti, a quanto pare.
“ La Luna, il Sole, la verità e la cotta di Dylan per Holland ”, questo era il mantra che i due spietati Tyler mi ripetevano quando volevano coglionarmi.
Picchiare Posey era fattibile; con Hoec neanche ci provavo. Quantomeno apprezzavo la loro discrezione nel farlo soltanto quando eravamo in casa.
«Non mi sentirò responsabile per qualcosa che è stata Lydia a fare» mi canzonò lei come una bambina che avrebbe ben volentieri fatto la linguaccia pur di sottolineare il concetto.
Pensare “ E quindi lei avrebbe cinque anni più di me? Ma dove?! ” era del tutto lecito.
«Non ci casco, O’Brien. Non mi farai sentire in colpa» disse con le mani sui fianchi. «Adesso però devo correre via» annunciò tagliando corto, avviandosi in tutta fretta verso il guardaroba del set, probabilmente per togliersi la gonna a scacchi e quei discutibili stivali alti che le avevano fatto indossare nella sua scena con Crystal e Colton.
«Attenzione laggiù, arriva Holland La Mina Vagante!» Urlai dispettoso mettendo le mani a coppa vicino alla bocca per farmi sentire anche da Daniel Flores, il nostro costume supervisor, occupato a revisionare l’outfit di chissà chi per chissà quale scena.
Lei mi guardò con quello sguardo che tradotto in parole si chiamerebbe “ Ah-ah, davvero molto spiritoso ” e girò i tacchi facendo svolazzare la chioma.

La conversazione sarebbe potuta andare meglio, lo ammetto, ma contavo di poter recuperare punti al party organizzato quella stessa sera per celebrare l’inizio della serie.
Hoec, da buon veterano, ci aveva spiegato com’è che andavano le cose per le serie tv: party inizio riprese, party per il break di primavera, party per la fine delle riprese, party per la prima messa in onda, party con gli sponsor, party per pubblicizzare la serie, party dell’emittente, party di qua, party di là, party, party e party.
Che ve lo dico a fare; il Dylan sedicenne non stava nella pelle, in pratica. Anche se socialmente disagiato, sapevo ( e so tutt’ora ) riconoscere le buone occasioni per divertirsi quando mi si presentavano d’avanti.
E quella era anche un’ottima occasione per non farmi snobbare anche da Holland, oltre che da Lydia.

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Capitolo 3
*** Preparativi ***


An O'Broden Story (3) Holland(3)Preparativi





Holland POV


Non sono una fan dei tacchi. Ebbene sì, potrei perfettamente fare la controfigura di uno dei sette nani di Biancaneve ma pazienza! Non fraintendetemi, mi hanno salvata MOLTE volte ma, dico io, come si può preferirle alle pantofole? Fosse per me uscirei sempre con quelle ai piedi! Quando sono nuove si ha la sensazione di caminare sulle nuvole: è semplicemente meraviglioso!
Ma, seppur quel pomeriggio avessi finito di girare tutte le scene in scaletta, fui costretta ad indossarli ancora per via di una festa in programma quella sera per festeggiare l’inizio delle riprese.
Quella mattina Crystal mi comunicò grandi linee ciò che aveva sentito da Jeff: una festa a porte chiuse - giusto il cast, la crew ed i produttori - per conoscersi meglio e cominciare a creare qualche legame.
Non avevo il dovere di salire sui trampolini e torturare le caviglie ma lo feci comunque. Specialmente dopo la conversazione-lampo che ebbi con Dylan. Il mio orgoglio da donna ferita voleva dimostrare a quel ragazzetto dalla lingua lunga quanto fossi capace di rimanere in equilibrio su quei cosi senza cadere.
Che poi avrei voluto vedere lui! Tzè.

Quando entrai nell’area costumi, Crystal era seduta sulla poltrona, già tornata nei suoi vestiti e, sopratutto, nella sua personalità.
Credetemi, fare gli attori è più difficile di quanto si creda. Ma di questo avremo occasione di parlarne meglio più avanti.
Lei mi fece un largo sorriso dei suoi e poi guardò gli stivali di Lydia, trasformando quelle dolci fossette in una sentita smorfia di sofferenza e solidarietà.
«Non ti invidio per niente» mi confessò. E con una risatina esasperata lasciai cadere quel discorso.
«Mi hai aspettata. È stato carino da parte tua» dissi lasciandomi totalmente nelle mani della costumista, la quale mi liberò di tutto l’outfit studiato per Lydia in cinque minuti netti. Perfino lei sapeva quanto fossimo in ritardo.
«Ne abbiamo parlato questa mattina, ricordi? Avevamo deciso di andarci insieme» mi fece presente con una lealtà che, onestamente, non ti aspetti da una collega al primo giorno di lavoro.
È sempre stata brava nelle relazioni sociali. È sempre stata speciale.
Pur sapendo che sarebbe arrivata in ritardo al party, mi aspettò lo stesso.
Lei è fatta così.
«Mi cambio in tre secondi e poi… e poi…» e poi dovevo ancora scegliere cosa mettere. Ed essendo la prima festa, tra l’altro a porte chiuse, non avevo nemmeno preso in considerazione di farmi aiutare da qualcuno per assemblare il mio outfit. Mi sentivo così in colpa.
«E poi mi seguirai» completò la mia frase altrimenti destinata a restare incompiuta.
E io mi misi completamente nelle sue mani.
Da quel giorno il mio angelo custode aveva un nuovo nome: Crystal Marie Reed.



«Hai fatto tutto questo per me?»
Mi aveva condotta in un’altra area del set, quella riservata al make-up. Era straordinario costatare quanto velocemente avesse imparato l’intera piantina. Ed io che ancora mi perdevo nel tentativo di raggiungere il mio stesso trailer.
Nella stanza, posati su tre diverse poltrone, altrettanti tre abbinamenti di abiti erano stati conservati per il mio arrivo.
Come se non bastasse, perfino Elizabeth Hoel-Chang e Talya Melvey in persona erano lì ad attenderci.
Ci misi un po’ a realizzare: la stessa make-up artist che aveva lavorato per grandi film come Pirati dei Caraibi e Transformers, assieme alla stessa hair-dresser che avrebbe dato vita, più tardi, all’iconica treccia di Katniss Everdeen, avrebbero curato il mio trucco e la mia acconciatura per il party.
E tutto grazie a Crystal. Non so neanch’io come riuscii a non piangere.
«In realtà sono loro che hanno fatto tutto per noi» ridacchiò scambiando un’occhiata di gratitudine con entrambe le artiste, dando il merito a chi di dovere.
«Ora scegli l’abbinamento che preferisci e lascia fare il resto a noi» mi invitò Elizabeth con un caloroso sorrisetto mentre Talya si stava già occupando della setosa chioma corvina di Crystal. «Anche se si tratta di una festa interna, non significa che dobbiate essere meno carine.»


Scelsi dei vestiti semplici, non volevo strafare. Dopotutto era un piccolo party per farsi conoscere; mostrarsi per chi si era davvero era lo scopo principale.
E poi bastavano un trucco semplice ma ben fatto e dei capelli sciolti sulle spalle in delle onde perfette a darmi quell’aria da “giuro che non me ne sono ricordata all’ultimo momento”.
Una camicia colorata con stampe a fiori infilata sotto una gonna beige con cinque bottoni neri sul davanti erano uno specchio perfetto per riflettere agli altri come fosse sul serio la vera Holland.
Non a caso quella gonna è entrata a far parte del mio guardaroba. È partito come un innocente prestito e poi me l’hanno lasciata prendere. Certo, ci hanno messo due anni a convincersene ma, alla fine, hanno vinto i miei occhi a cuoricino che spuntavano fuori ogni volta che la vedevo appesa allo stand appendiabiti di Lydia.
Ah, c’erano anche i tacchi.
Al di là della muta sfida che avevo con Dylan, né Elizabeth né Talya mi avrebbero mai permesso di presentarmi in pantofole.
Ma tranquilli! Ne ho pagato le conseguenze.

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Capitolo 4
*** Fuori copione ***


An O'Broden Story (4) Dylan(4) Fuori copione





Dylan POV


Ricordo che vedere Hoec riflesso nello specchio scatenò in me e T-Pose una sorta di ammirazione di livelli cosmici.
Non aveva assolutamente nulla di particolare, giusto una t-shirt bianca (avete notato quanto gli stia bene quel colore?) ed un paio di pantaloni neri. Niente di pretenzioso o impegnativo; tartaruga a parte. Ma non ne siamo stati invidiosi.
Per noi ragazzi è tutto più semplice quando si parla di vestiti: ti ci devi sentire bene nell’indossarli. Fine. Niente “questo colore non si addice al tuo incarnato” o “quei pantaloni lasciano intravedere i segni delle mutande”. Cioè, dai, chi se ne frega!
Non smetto mai di ringraziare il cielo per essere nato uomo, giuro. Anche perché, molto probabilmente, da ragazza sarei stato un imbarazzante disastro ambulante. Almeno così ho una scusa quantomeno plausibile al mio essere stupido, a detta delle ragazze.

«Vuoi davvero andarci vestito così?» Ecco che arrivò Super-Tyler a demolire le mie convinzioni da ragazzetto senza il minimo senso dello stile.
«Perché? Cosa c’è che non va?» Domandai per l’appunto con un innocente animo ferito cercando supporto morale dall’altro Tyler, quello che aveva accumulato tutti i punti appena persi dal suo omonimo. E che era già pronto da ore per l’euforia.
Devo ancora capire cosa avesse contro la mia maglia col teschio, comunque.
«Niente, niente» si tirò indietro alzando le sopracciglia e sorridendo come fa mio padre quando mi dava (e dà) dell’incompetente con le ragazze.
Posey alzò le spalle allargando le braccia, facendomi così capire che neanche lui avesse afferrato la natura del problema.
Ma quella sera c’era qualcosa di molto importante in ballo perciò dovevo saperlo.
«Sputa il rospo» dissi diretto seppur la mia voce trapelasse un pizzico di esasperazione.
«Non dovrei incoraggiare questa follia ma d’accordo» alzò le spalle lui avvicinandosi al mio misero, disordinato armadio con una faccia a dir poco multi-espressiva. È curioso come una sola smorfia possa esprimere divertimento, rassegnazione, fiducia e coraggio tutto nello stesso momento.
Ancora oggi non perde occasione per farmi presente quanto il suo gusto sia stato d’aiuto quella sera.



Raggiungemmo la festa tutti e tre con la stessa auto e, per il vostro bene, eviterò di dirvi quante volte Tyler abbia pregato il più grande di passargli sotto banco qualche alcolico “giusto per festeggiare” o di ripetervi tutti gli appellativi simpatici che usarono per descrivere la mia unica giacca sportiva.
Andrò dritto al punto in cui ringraziai Hoec per esserci stato laddove il mio coraggio era venuto a mancare e mi spinse (addirittura quasi fisicamente) a cercare Holland tra la folla.
“Dovevo farlo prima che potesse pensarci qualcun altro”.
Ma io lo vidi semplicemente come un consiglio spassionato (tipo quello dei vestiti) piuttosto che come una vera e propria informazione in incognito.
Anche se, col senno di poi, è facile arrivarci ora.



Quando la vidi seduta al tavolo vicino alla console, la voglia di tornare nella confort-zone assieme a Scrocco-Alcolici-Posey salì alle stelle. Stavo effettivamente facendo marcia indietro. Ero nervoso, certo che lo ero! Ma non appena vidi Crystal alzarsi dal posto accanto a lei per indicare un gruppo di persone (tra le quali riconobbi di primo acchito solo JR) mi dissi “Okay, adesso o mai più”.
“Devi farlo prima che possa pensarci qualcun altro”.
E per quanto potesse tentarmi quel mai più, l’adesso vinse su tutto.

«Vuoi ballare?» E neanche un ciao. Capite ora quanto fossi senza speranza, sì? Perché io lo capii non appena alzò lo sguardo su di me, scrutandomi da capo a piedi come se stesse tentando di leggermi nella mente. Passarono altri cinque secondi di silenzio prima che potesse rispondermi.
Credo di essere morto in quei cinque secondi, per la cronaca.
«Oh, ho capito, ho capito» annuì con gli occhi chiusi in due piccole fessure indagatrici. «Stai facendo pratica per la scena della puntata undici, giusto?»
Morto di nuovo. Per questo ci misi più di qualche istante per realizzare che gli occhi spalancati a mo’ di triglia fuor d’acqua non fossero l’ideale in quel contesto.
E poi non sapevo cosa rispondere.
«. . . sì! Certo, è ovvio!» Esclamai in maniera davvero davvero poco credibile. «Quindi…»
«Passo» disse Lydia.
Quale altra scelta avevo? Almeno, assecondando quella scena, avrei avuto la certezza che alla fine avremmo ballato insieme. Perciò non dire la verità uscendomene con un fiabesco “Dicevo sul serio: balla con me, Holland” fu un’ottima mossa.
«Lydia, alza il tuo bel sederino e vieni a ballare con me.»
E benché avesse già indossato la maschera del suo personaggio, intravidi nei suoi occhi verdissimi un accenno di sorpresa.
«Non c’è nessun “bel” nel copione.»
«Lo so» ribattei semplicemente accollandomi tutte le responsabilità possibili immaginabili per quella breve licenza poetica.
La vidi sorridere e dentro di me, in qualche modo, mi sentì come se il cuore avesse appena tirato un sospiro di sollievo. Per lo meno non era morto ancora una volta, pur avendone tutto il diritto.
Perché quel sorriso era suo.
«Bene allora» si tirò in piedi e, prendendomi per mano, si fece strada verso la pista da ballo, già animata dai balletti scalmanati di  Melissa ed altri cameraman e coordinatori stunt-man.
Mentre seguivo i suoi passi, fu inevitabile notare le scarpe alte che portava ai piedi.
A quel punto quello a sorridere fui io poiché, conoscendo il suo pensiero sui tacchi, sentivo che quella scelta fosse stata presa per me.
Anche se solo come risposta ad una stupida provocazione.
E questo poteva significare solo una cosa: che forse un po’ di me le importava.

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Capitolo 5
*** Ballerini e chiacchierate notturne ***


On O'Broden Story (5) Holland(5) Ballerini e chiacchierate notturne





Holland POV


Vi faccio una domanda: voi credete che Dylan sappia ballare?
Potete pensarci quanto volete ma dopotutto rispondere dovrebbe essere facile, giusto? O è sì o è no.
Piccolo aiutino: è un attore.
Ebbene sì, lo stesso ragazzo che avete visto per anni muoversi in modo inconsueto in tv ed alle convention è effettivamente capace di farlo anche senza sembrare imbarazzante. E non esagererei se aggiungessi “con una certa sicurezza” alla descrizione.
Ci ha ingannati tutti, dal primo all’ultimo.
Sarà pure un attore ma prima di tutto Dylan è un pagliaccio; gli piace far ridere le persone anche quando, alla fin fine, è di lui che stanno ridendo.
Ricordo con chiarezza un tardo pomeriggio sul set; stavamo girando la seconda stagione e durante una pausa Crystal continuava a mandare messaggi a raffica, agitandosi sulla sua sedia come un giocattolo a cui avevano dato la carica.
Le chiesi cosa ci fosse che non andava almeno tre volte prima che si accorgesse di me.
«Scusami, è che continuano a cambiare gli orari per la lezione di danza e mi stanno facendo impazzire» spiegò senza mai staccare gli occhi dallo schermo.
Ho sempre ammirato Crystal per il suo impegno e la sua vitalità; anche se la tabella di marcia era rapidissima e passavamo la maggior parte del tempo sul set, lei trovava sempre il tempo per migliorarsi e dedicarsi ad altre attività; danza, palestra, nuoto, ginnastica artistica, tiro con l’arco, salto in alto, hiking, qualsiasi cosa.
Inoltre più il curriculum di un attore è corposo, più aumentano le possibilità di aggiudicarsi ruoli particolari ed impegnativi e che di conseguenza danno maggiore soddisfazione e conducono ad una sana crescita personale e professionale.
E poi c’ero io che tra una scena e l’altra crollavo in profondi sonnellini ristoratori in pose scompostissime.
Così si spiega come mai abbia deciso, un paio di giorni più tardi, di unirmi alle lezioni di danza. Sapevo di non essere completamente negata dopo l’esperienza di “Bring It On: Fight to the Finish” ( Ragazze nel pallone - Lotta finale ) quindi tanto valeva provarci.
Tornando alla storia, Dylan si avvicinò a noi assieme al suo inseparabile amico e coinquilino Posey, chiedendomi cosa avesse Crys che non andava, dato il mancato sorriso che solitamente  sfoggiava con tutti in segno di saluto.
«Tu balli?» Domandò palesemente stupito dopo la mia spiegazione. Forse anche lui si era interrogato sul come fosse umanamente possibile da parte sua avere abbastanza energie da fare altro dopo il lavoro.
Non ricevendo alcuna risposta da lei, si rivolse nuovamente a me: «Lei balla?!» Annuii con il capo, esprimendo la mia sorpresa con una plateale scrollata di spalle a braccia aperte.
Fin qui tutto normale, vi direte voi. Sì, lo era.
Quando cominciò ad ondeggiare e muoversi tutto rivendicando quei movimenti come “vera danza”, fu allora che il PagliacciO’Brien venne fuori, ingannandoci.
Crystal alzò lo sguardo dal cellulare e scoppiò a ridere assieme a me mentre Tyler lo seguiva -come sempre- a ruota, da bravo complice.
Ci convincemmo che nessuno di quei due scapestrati sapesse realmente ballare.

Una settimana dopo Dyl ci chiese se poteva aggregarsi ad una lezione. Eravamo entrambe sfinite fisicamente e psicologicamente ed accettammo, convinte che far lezione con lui sarebbe stato più rilassante e divertente, che avremmo riso e scherzato più di quanto avremmo effettivamente ballato.
Ripeto: ci ingannò tutte.

Avrei dovuto capirlo già da quella sera, al party. Non mi pestò i piedi nemmeno una volta. Addirittura fu abbastanza abile da non farseli neanche pestare dai miei tacchi.
O’Brien sapeva ballare ed a quei tempi io non ci avevo minimamente fatto caso.



La mattina dopo il party mi svegliai -con estremo piacere- più tardi del solito, grata a tutta la produzione ed a Jeff di aver programmato unicamente scene notturne in quel giorno. Probabilmente era chiaro a tutti che nessuno si sarebbe trovato nelle giuste condizioni per girare.
Difatti mi sentivo leggermente intontita; avete presente quel tipo di mal di testa che ti assilla dopo aver passato una serata accanto ad una cassa che spara musica ad alto volume? Quel tipo di mal di testa.
Con ancora addosso camicia fiorita e gonna beige, mi alzai dal letto e strisciai i piedi nudi fino al piccolo bagno del trailer. Mi sciacquai il viso, mi affidai alle cure naturali di una tisana alle erbe e poi controllai il cellulare.



Crystal:

Ehi Holl!
Sei sparita ieri sera, che
fine hai fatto??
Ho chiesto in giro e
mi hanno detto che sei andata via
prima...
Tutto okay?


Andai avanti; le dovevo molte più spiegazioni di quante riuscissi a scriverne in un messaggio appena aperti gli occhi.
L’avrei chiamata.

Avanti il prossimo.



Barbara Vazquez:

Solo un promemoria per ricordarti
di portare indietro al Guardaroba i
vestiti di ieri sera.
Fosse per me te
li farei tenere ma sai come
funziona
xx



Aggiunta la voce “restituire i vestiti” alla lista delle cose da fare e saltando altri messaggi poco rilevanti, arrivai all’ultimo.
Mi lasciò di stucco, inutile negarlo.



Colton:

Mi ha fatto davvero piacere
chiacchierare con te ieri.
Dovremmo rifarlo.
Caffè?

Le ho riportate indiero io le
scarpe, non preoccuparti.
Ovviamente le ho fatte riparare,
prima.
Tutto a posto!




Ricordavo come si fosse conclusa la serata, non ero mica ubriaca! Semplicemente mi stupii del suo gesto di mandarmi un messaggio. Forse ne ero addirittura lusingata, non so dirlo con certezza.
Tutto ciò che sapevo era che quella chiacchierata aveva demolito la prima impressione che avevo avuto di lui.


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Capitolo 6
*** Omino verde ***


An O'Broden Story (6) Dylan(6) Omino verde





Dylan POV


Colton Haynes e Jackson Witthemore sono due entità diverse. La prima è una persona reale, concreta, con emozioni e paure come chiunque altro; la seconda è un personaggio creato dalla mente geniale di Jeff Davis che viene “portato in vita” da un attore.
Purtroppo però non tutti sanno cogliere la differenza e questo per un attore può essere estremamente frustrante: le azioni del personaggio che si interpreta vengono accollate alla tua persona e, volente o nolente, si finisce per sentirsene responsabili, anche quando si sa perfettamente che non è così che dovrebbe andare o che ci si dovrebbe sentire.
Ecco perché mi sono sempre ritenuto fortunato nell’interpretare Stiles. Tutto sommato, abbiamo molte cose in comune (al di là dell’aspetto, eheh) e questo mi ha aiutato parecchio nel dargli una personalità ben definita.
Per Colton non è mai stato così. Ma d’altronde la gente non può sapere che dopo il ciak della scena tra Lydia e Jackson ambientata per i corridoi del liceo di Beacon Hills, quella nella quale lui la accusa di aver rovinato tutto, se l’è stretta tra le braccia per quasi dieci minuti. Come potrebbe saperlo?
Fatto sta che, seppure Colton non avesse fatto altro che il suo lavoro, si sentì in qualche modo talmente in colpa da dover recuperare con Holland dei punti che era stato Jackson a perdere… con Lydia.
In sostanza, essere un attore è un casino. Ed è per questo che tra attori si crea una sorta di legame naturale, uno che si potrebbe riassumere con “anche io sono un attore, so quello che provi, ti capisco!”. E la comprensione reciproca è un grande mattone per il muro di una relazione sociale felice.



Ultimamente sto passando troppo tempo con Hoec ed ora sto cominciando a parlare come lui, lo so.
Come quella volta in cui, volendo mettermi al corrente del fatto che Colton e Holl fossero andati via dalla festa insieme, fece un giro di parole così pieno di fronzoli e di metafore che credevo si fosse lasciato andare tra le braccia dello spumante, saggiamente brillo. E invece no. Stava solo sperando che io cogliessi nelle sue perle da Nonna Salice il messaggio “Ehi, cretino, dovresti darti una mossa”.
Che illuso.
Alla fine dovette arrivare Colton, la sera dopo, a rendermelo palese.
«I tacchi hanno deciso di abbandonarla mentre andavamo a prenderci qualcosa da bere all’angolo bar; l’ha interpretato come un segno divino e così siamo andati via. Era disperata!» Raccontò a me e Super-Tayler. «Abbiamo raggiunto il McDrive, mangiato un McFlurry per risollevarle il morale e parlato un po’. Niente di eccezionale» spiegò con nonchalance prima di sciogliersi in un sorrisetto ed aggiungere: «È una ragazza dolcissima».
Queste furono le quattro parole che fecero alzare in piedi, infastidito, l’omino verde che neanche sapevo di avere nella testa.
Voglio dire, che diamine! Quelle scarpe le aveva messe per fare un dispetto a me e loro decidono di ribellarsi quando io non ci sono?! Andiamo! Non fraintendetemi: adoro Colton. È uno dei tanti fratelli acquisiti che la famiglia di Teen Wolf mi ha donato, ma avrei dovuto essere io quello a portarla lì - magari optando per qualcosa di più “consistente”, conoscendomi -, farla rallegrare con qualche squallida battuta e… e non lo so! Resta il fatto che sarebbe toccato a me!
E mentre la mia faccia cominciava a sformarsi in una smorfia poco chiara ma palesemente non entusiasta, Nonna Salice alzava le spesse sopracciglia. Neanche delle grandi insegne al neon avrebbero potuto esprimere un più esplicito “te l’avevo detto”.
Ha la bocca da decifrare e le sopracciglia eloquenti. Non si fa mancare nulla.
Cos’è che stavo dicendo?
Ah, sì, giusto! Le due entità diverse.
Il punto è che Colton ha voluto bene ad Holland sin dall’inizio e, al di là della trama che ha dovuto seguire per Jackson, non ha mai nemmeno pensato di ferirla o farla stare male. Era l’ultima cosa che avrebbe voluto per lei. Ed anche se poi è successo, si è sentito una merda per questo.
Ciò che c’è ora tra loro è speciale, sul serio. Un legame che è difficile da spiegare a parole ma che allo stesso tempo è facilmente mal interpretato dagli occhi esterni.
Non mentirò dicendo che sono stato contento nell’apprendere la notizia del loro fidanzamento, non sarebbe da me. Posso assicurarvi però che, una volta finita l’ufficiale relazione amorosa, tra loro è nato qualcosa di ancora più forte.
Entrambi ad oggi concordano che sia stato meglio così ed io mi accodo alla loro opinione.
«Ti ho fatto perdere anni preziosi, eh?» Scherzò una volta col sorriso sulle labbra ma uno strano senso di colpa negli occhi. La loro storia era terminata da circa un mesetto, allora. Per i media invece era ancora tutto un segreto. «Naah, figurati, amico!» Gli diedi una fraterna pacca sulla spalla. «È andata come doveva andare!» Tentai di farlo sentire meno uno schifo alzando le spalle. Gli anni avevano fatto cadere in un lungo coma l’omino della gelosia. Forse perché vederla felice aveva reso felice anche me, alla fin fine. «Saremmo rimasti solo amici, con o senza di te.»
«Non ne sarei così sicuro» mi contraddisse. «Holl è sveglia, la conosci. Una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto.» Per sdrammatizzare sparai un «Modestamente!» compiaciuto (ed ironico) e che lui lo smontò con una risata ed un «L’importante è crederci!» ma, com’è ovvio, non me la presi. Sapevo di non essere acuto tanto quanto la genietta biondo fragola che lavorava come attrice e che contemporaneamente frequentava il college.
«Sono serio, però. Ci sono stati momenti in cui le hai fatto da fidanzato più tu di quanto potessi farlo io. E se l’ho notato io, sono sicuro che l’abbia fatto anche lei.»
Non capii a cosa si stesse riferendo, sarò onesto. Mi ero sempre comportato da buon amico con lei, specialmente quando si mise assieme ad uno dei miei amici/fratelli di cast. Ma niente più di questo.
Colton mi lesse dentro e, chiaro come mai sarebbe stato Tyler Hoechlin in vita sua (gli voglio bene, lo giuro), mi spiegò cosa intendesse.
«Ricordi quando agli MTV Movie Awards le cadde la pochette per terra nel ben mezzo delle foto di gruppo?»
Sarebbe voluta sprofondare sotto terra mentre Crystal se la rideva di gusto, incapace di aiutarla lei stessa in quanto entrambe limitate da cortissime gonne che però facevano divinamente la loro figura. Lo ricordavo, sì, ma non come un episodio chiave, insomma.
Annuii e lo lasciai proseguire.
«Ti sei chinato a raccoglierla senza esitare un attimo. Non te n’è importato niente di uscire male nelle foto, l’hai fatto e basta. In perfetto stile Dylan-Disagiato-O’Brien ma l’hai fatto!» Mi lasciò mezzo minuto di silenzio per rifletterci su, sperando che cogliessi i mille messaggi subliminali che c’erano dietro il suo esempio, e poi riprese. «L’ho amata per tanto tempo senza capire cos’è che davvero volessi» si confidò. «Tu invece non hai mai dovuto capirlo perché l’hai sempre saputo. E in un modo o nell’altro l’hai sempre dimostrato. Sarei contento di saperla accanto a qualcuno che ci tiene così tanto a lei. Seppur irrimediabilmente disagiato.»

Fu l’unica volta che parlammo così apertamente di lei.
A quel tempo lasciai cadere il discorso abbassando la testa e sorridendo, incassando quel velato complimento con una confusa gratitudine.
Ovunque andassi e con chiunque parlassi, tutto e tutti mi spingevano verso di lei.

Ma sono sempre arrivato in ritardo.

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Capitolo 7
*** Supporto morale ***


An O'Broden Story (7) H-D-H
(7) Supporto morale





Holland POV

Mi sento di poter affermare d’avere un buon rapporto con i media, tutto sommato. Non sono una a cui piace spiattellare la propria vita privata in primo piano ma, allo stesso tempo, non vivo da eremita in ritiro spirituale sulla vetta di una montagna. Attenzione: la mia non è una predica. Chiunque dovrebbe decidere in totale autonomia cosa farne della propria privacy. E se lo dice una che è seguita dai paparazzi anche quando esce per comperare un regalo di compleanno per un’amica, è tutto dire.
Come ho già detto, non è un gran problema per me. Anche i media, come i paparazzi, svolgono il loro lavoro ed anche loro, esattamente come in ogni mestiere, possono decidere se attenersi alle regole o andare oltre la linea gialla di sicurezza ed azzardare ”il colpo grosso” seppur eticamente scorretto.
Ma fino ad ora non ho sviluppato alcuna mania di persecuzione o paranoia in generale perciò mi ritengo soddisfatta.
Convivo con le pressioni esercitate dai media ormai da anni, sia riguardo la sfera relazionale che quella lavorativa. Che nel mio caso sono spesso andate di pari passo.

«È… un bell’impegno, Holl» disse Crystal raggrinzando su di un lato le labbra.
Eravamo entrambe avvolte in dei morbidi burritos di coperte in pile, accoccolate sul divano del mio trailer. Nonostante fosse piena primavera, le temperature tendevano a scendere parecchio di notte e trascorrere così quelle fredde serate dopo aver girato tutta la giornata era per noi il top del relax. Ma, onestamente, quella sera non sarei riuscita a fare nient’altro.
Avevo appena rotto con Colton ed il mio umore, nonostante avessimo concluso la nostra relazione in maniera del tutto civile -se non addirittura amichevole-, era sotto terra.
Me l’aspettavo, però. Anzi, a dirla tutta era perfino sollevata. Ero contenta che avesse avuto il coraggio e la forza per guardarsi dentro e realizzare cosa davvero volesse per lui e la sua felicità.
Ciò non toglie che mi sentissi uno schifo. Ecco perché non me la sentii di dissentire. Erano un mucchio di responsabilità quelle che mi stava affidando.
«Non state più insieme ma comunque non potete tranquillamente frequentare altra gente poiché per il mondo siete ancora una coppia? Non lo so…» si prese una piccola pausa, forse indecisa se lasciarsi andare a quel suo pensiero critico. «Colton è fantastico, gli voglio un mondo di bene, ma… mi sembra un po’ troppo da chiedere. Specialmente a te» confessò. Concordai annuendo con il capo. Ero in quella fase della rottura in cui si perdevano tutte le parole.
Un rumoroso sospiro uscì dalle labbra di Crys. Mi si spostò più vicina e con un gesto della mano fece appoggiare la mia testa sulla sua spalla, in segno di totale supporto.
Una buona amica ed un tè caldo erano tutto ciò di cui avessi bisogno in quel momento.




Dylan POV

«Dovrei andare a vedere come sta» mi alzai di scatto dal divano mollando il controller della PlayStation sul tavolino.
Nessuno mi prese sul serio dato che quella era la quarta volta che mettevo in scena quel teatrino.
«Se se, vai» mi incoraggiò Tyler approfittando della mia lontananza dalla console per distruggermi nel gioco. Perfino lui sapeva che non l’avrei fatto sul serio benché lo volessi. Eccome.
«Questa volta dico sul serio, amico!» Sbottai quasi innervosito. «Hai visto che faccia aveva oggi? Non era la sua faccia, quella.»
«Bro, è una ragazza. Una volta al mese a loro è concesso.»
«Beh… che me lo dicesse, allora!» Risposi nel panico. Meglio dire qualcosa di stupido ed imbarazzante piuttosto che restare zitti: era una mossa marchiata Dylan O’Brien.
«Ah, sì. In effetti mi sembri proprio il tipo perfetto con cui parlare di problemi femminili!» Ironizzò senza neanche degnarmi di uno sguardo. La stessa cosa fece con Hoec non appena varcò la soglia del trailer. Era proprio determinato a vincere a quello stupido gioco!
«Se per oggi non avessi già messo da parte Derek, ora vi chiederei chi dei due ha “problemi femminili” e che, per altro, non sarebbe stato nemmeno tanto shoccante scoprire che ne abbiate, in generale» esordì con un sorrisetto e lanciandomi la giacca che avevo dimenticato sul set. «Di cosa stavate parlando?»
«Dylan vuole di nuovo fare lo strambo con Holland» riassunse alla perfezione T-Pose, esultando appena due secondi dopo per aver vinto il round contro il mio immobile personaggio.
«Dalle tregua, per oggi» troncò le mie intenzioni il più adulto della stanza. Poi scosse la testa e si mise le mani sui fianchi, pensieroso.
Perché quell’uomo sembrava sempre avere delle informazioni vitali di cui io ero all’oscuro?!
«Perché, cosa c’è che non va? Cosa sai? Le hai parlato? Ti ha detto qualcosa?» Lo tempestai di domande raggiungendolo sull’uscio della porta.
«Pare che lei e Colton non stiano più insieme.»
Cioè, gettò quella bomba nucleare semplicemente facendo spallucce. Lo perdonai solo perché sembrava sinceramente dispiaciuto. Tyler conosceva Holland da ancor prima che iniziasse lo show; era davvero affezionato a lei quasi come se fosse una sorella.
«Oh, merda.» Posey andava proprio bene con i riassunti quella sera.
Il mio cervello andò in blackout. Sapevo che avrei dovuto fare qualcosa per lei ma non sapevo cosa. Cos’è che si faceva in quei casi?
«Mentre tornavo ho incontrato Crys. Abbiamo parlato un po’ e poi mi ha detto che era appena stata da lei e che ora dovrebbe stare meglio. Magari sta già dorm-»

Ma ero già uscito dalla porta, infilandomi frettoloso la giacca che mi era appena stata restituita. E che avrei dimenticato di nuovo.




Holland POV

«Sicura di star bene? Posso rimanere con te se vuoi.»
«Sei venuta dritta qui dopo aver girato, Crys. Sul serio, sto bene» insistei cacciandola quasi di peso fuori dal trailer. Non che non la volessi con me ma aveva bisogno di riposare. Non potevo trascinare giù con me anche lei, che era abituata a risplendere alta nel cielo per illuminare le vite di chiunque avesse la fortuna di conoscerla. «Tu va’, noi ci vediamo… tra qualche ora.» Turni assurdi da attore. «Sala trucco alle quattro e mezza, giusto?»
Lei sospirò sconfitta ed infine annuì. «Giusto. Cerca di riposare.»
«Certo! Non voglio dare più lavoro a Megan di quanto già non ne abbia!» Lo dissi ridendo ma era tutto vero. Quella donna doveva avere a che fare con la mia pelle capricciosa ogni giorno; non meritava altre rogne.
«Buona doccia! A dopo!» Chiusi la porta dopo averle sventolato la mano in saluto e mi rigettai immediatamente tra le braccia del mio giaciglio; non aveva senso preferire il freddo letto quando a disposizione avevo ancora il tepore intrappolato tra i cuscini del divano ugualmente comodo.
Mi rannicchiai per trattenere meglio il calore e mi accorsi, mio malgrado, che occupavo soltanto metà dello spazio disponibile sul divano. Mi domandai se per tutti quei mesi fosse stato così anche per il cuore di Colton.

Ero in quella posizione da un quarto d’ora circa, rannicchiata, fissa a guardare il disordine sparso per tutto l’ambiente, in perfetta sintonia con il casino che avevo in testa.
Poi qualcuno bussò alla porta e mi risvegliò dallo stato semi-catatonico in cui mi trovavo. Ero sicura fosse Crystal che, pronta ad impormi con tutto l’affetto possibile ed immaginabile la sua compagnia, aveva fatto marcia indietro. Per un attimo pensai di lasciarla fuori e farle credere che fossi caduta vittima di Morfeo ma… non potevo farle questo. Sarebbe stato come voltare le spalle al proprio angelo custode.
Raggiunsi quindi la porta stringendomi la coperta sulle spalle (e fingendo una punta di sonnolenza? Forse ) e la aprì.
Ma non era lei.

«Colton?»



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