Parabellum

di ten12
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eredi ***
Capitolo 2: *** Dolore ***
Capitolo 3: *** Preludi e conflitti ***
Capitolo 4: *** Historia ***
Capitolo 5: *** Preparativi ***
Capitolo 6: *** Partenza ***
Capitolo 7: *** Ed Ancore ***



Capitolo 1
*** Eredi ***


Eredi

 

L'odore di pelo bagnato era vecchio di qualche ora. Lykta inspirò a fondo. Era vecchio di mezza giornata per essere più precisi ed era decisamente il pelo di un licantropo delle steppe. Lykta pregustò il sapore della cena ed il sesso offerti dal fratello. D'altro canto era lui quello ossessionato con le usanze: "Sono un assicurazione. Falle rispettare e saprai sempre come affrontare quel che l'inverno ed il destino ti tirano contro" diceva loro padre. Lykta sapeva che Kerint, suo fratello, era più preoccupato da quello che sarebbe potuto succedere SENZA usanze ed il rispetto per esse. Inutile dire che Kerint era il maggiore che dava l'esempio e Lykta la pecora nera scapestrata agli occhi dei genitori. Il figlio dell'orso seguì le tracce lasciate dalla preda cercando di fare il meno rumore possibile e tenendo la mano destra vicino all'elsa della spada. La foresta gli donava tutti gli indizi necessari per trovare il licantropo fintantoché questi fosse rimasto in una zona ricca d'alberi. Lykta udì e riconobbe il masticare famelico del licantropo cinquecento metri alla sua sinistra. La grotta dello zio Jeth. Schizzò in avanti ignorando tutti gli altri odori. Il cuore pompava sempre più velocemente acuendo la vista, l'udito, il tatto ma appiattendo l'olfatto. Vide che il licantropo aveva lasciato tracce. Molte tracce. Le cortecce degli alberi erano scavate da graffi profondi ed il muschio su varie rocce era stato portato via da zampate sommarie lasciando intravedere striature bianche sulla superficie delle pietre sottostanti. Lykta non si soffermò nemmeno un istante ad osservare i segni lasciati dal fuggiasco. Le cime degli abeti sopra di lui scomparivano prima di essere visibili. Sapeva dov'era la preda e la voleva per se, per la gloria. Pensò di nuovo al cibo ed al sesso. In particolare al sesso. Si distrasse ed inciampò in una radice sporgente. Recuperò buttando le mani in avanti e spingendo verso l'alto con i palmi. Una scossa di adrenalina più grande della prima entrò nel suo sangue. Correva così forte da trasformare la condensa del suo fiato in una scia. D'improvviso Iniziò a rallentare. Il cuore si adattò rapidamente al cambiamento. Lykta estrasse la spada. Gli occhi schizzavano alla ricerca di qualsiasi movimento. Girò intorno alla striminzita radura che precedeva l'entrata della grotta rimanendo nascosto tra gli alberi, il muschio e le rocce. La pelliccia di lupo bianco si era appiccicata al corpo sudato. Il cervello gli tirò una palla curva spiattellandogli l'immagine della madre che si lamentava per la sua salute. Lykta scosse la testa scacciando l'idea infastidito: "Trovato" disse trionfante a bassa voce e con un sorriso sul volto sbarbato. Cercò di capire cosa stesse mangiando prima di attaccare poiché poteva cambiare i tempi di reazione della preda. Il licantropo masticava il ventre dell'animale avidamente. Sangue e pezzetti di carne cruda si mischiavano all'acqua ristagnante all'entrata della grotta. Lykta allungò il collo cercando di vedere oltre il corpo muscoloso e tozzo del licantropo. Il sorriso scomparve dal suo volto. Gli occhi azzurri calcolatori di Kerint lo fissavano freddi e morti da dietro la spalla sinistra del licantropo. Il collo del fratello era aperto, la trachea visibile. Si aggrappò all'elsa della spada. Iniziò a piangere lacrime calde ed amare. Il licantropo si girò. Occhi famelici e rossi come il sangue erano puntati su di lui. Lykta si tirò su ed impugnò la spada a due mani mentre la bestia saltava verso di lui.

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Capitolo 2
*** Dolore ***


Dolore

 

Lykta rotolò in avanti a destra. La violenta zampata del licantropo spacco il terreno. Pezzetti di terriccio e pietra saltarono in aria per la forza dell'impatto. Il figlio dell'orso girò velocemente su se stesso e sferrò un fendente al muso della bestia. La lama passo morbidamente attraverso il muscolo della spalla ed il lato sinistro del volto del licantropo. Il metamorfo tirò una seconda zampata di riflesso che Lykta schivò scattando indietro. Il dolore raggiunse il centro nervoso ed il licantropo si afferrò il muso nel punto in cui la lama aveva tagliato a metà l'occhio sinistro. Lykta sfruttò il momento. Il figlio dell'orso prese la rincorsa, saltò e calò a mezz'aria un violentissimo fendente nel cranio della creatura urlando di rabbia e dolore.

 

La bora soffiava sulle scale ghiacciate che portavano all'entrata del Trono Bruno: il palazzo reale, se così lo si voleva definire. Queste, scavate nella roccia viva della montagna Kjita, erano teoricamente coperte dal vento perché concepite come una sorta di sottopassaggio aperto. La bora in particolare però finiva sempre per incanalarsi lì dentro, congelando velocemente la neve che vi si accumulava. Gli stivali in pelliccia di Lykta, grazie ai tacchetti metallici ricurvi, si attaccarono al ghiaccio senza problemi. La testa fracassata del licantropo penzolava dal gancio al fianco del figlio dell'orso. La facciata in pietra levigata dell'edificio luccicava di un blu scuro sotto i deboli raggi di sole. Il corpo di Kerint, sorretto dalle braccia di Lykta, si stava raffreddando rapidamente. Il palazzo era antico millenni. L'intero complesso era stato scavato all'interno della montagna e viveva in sinergia con essa. Nessun mattone o collante aveva mai visto la sommità di Kjita. Il figlio dell'ordine fissava inespressivo le porte di legno fossile rinforzate. Nessuno pattugliava l'entrata a causa del freddo. Lykta posizionò meglio il corpo del fratello. Usò il braccio sinistro e la spalla come schienale e fece passare l'avambraccio sotto alle ginocchia aggrappandosi al lato della gamba più interna. Tenne il fratello così, come un infante addormentato, mentre picchiava il pugno con rabbia contro le porte pesanti tonnellate facendole tremare.

 

Il chiacchiericcio all'interno del palazzo si fece minimo al passaggio della madre dell'orso "Tutto pronto?" Chiese Ivona con la voce femminile deformata dal nervosismo "Quasi mia signore" rispose calma la giovane servitrice dai capelli corvini "Più veloci! Più veloci! Quando quei due scapestrati tornano avranno freddo e fame!" La servitrice annuì ed alzò gli occhi al cielo dopo che la padrona di casa si voltò. Ivona scese la scala a chiocciola che connetteva il piano superiore, quello del trono, e la sala per i "ricevimenti".L'enorme androne era riscaldato da un sistema di tubi sotterranei bucati che lasciavano uscire il vapore bollente attraverso delle grate grezze. I canali erano tre: due sottostanti le alte finestre ai lati dell'edificio ed uno che separava  i tavoli al centro della sala riscaldando i commensali. Ivona concentrò il suo nervosismo sul vecchio guardacaccia "Jatog!  Soffia su quel dannato fuoco!" L'uomo si armò di pazienza cercando di non pensare che quella era la terza volta che la donna scendeva come una tempesta. Jatog era un cacciatore asciutto sul metro e settanta. Capelli, occhi e baffi grigi erano un'addizione all'aura di saggezza che già lo circondava. Avrebbe preferito essere lì fuori ad aiutare i due ragazzi. Si trovava invece a sventagliare sulla legna del forno che scaldava il vapore. Ivona fece capolino "Allora? Forza! Soffia Jatog!" "Guarda che se soffio con la bocca mica migliora" pensò freddamente il guardacaccia rispondendo "Mia signora c'è la sto mettendo tutta" e cercando di sembrare il più convincente possibile. Le porte del palazzo tremarono "Tornati! Tirate fuori quella zuppa! Allungatela con l'acqua se secca! Metteteci del pane se liquida! FORZA! FORZA! Avanti ragazzoni..." Disse indicando i quattro Kjitanet all'entrata "Aprite quelle porte ai vostri luogotenenti!" I soldati si guardarono mentre  tiravano le pesanti ante sperando in cuor loro che Lykta avesse ucciso la preda. Sarebbe stata una notte di bagordi allora.

 

La bora uccise le torce che proiettavano la loro calda luce all'interno dell'androne. In un attimo la sala divenne gelida. Lykta entrò a passi lenti. Teneva il fratello con entrambe le braccia. La sala era ammutolita. La servitrice corvina con cui aveva parlato Ivona poco prima cadde in ginocchio urlando e piangendo vedendo Kerint dal terrazzino al piano superiore.. Il volto giovane fu deformato in una maschera di dolore corrucciata ed incredula. Ivona, la madre di Kerint, non si mosse. Lykta posò il corpo del fratello sul tavolo in legno grezzo dove avrebbero dovuto mangiare. Mentre la giovane si disperava alle sue spalle Ivona si avvicinava silenziosa . Lacrime solitarie si perdevano tra le rughe del vecchio volto. L'anziana donna deglutì, chiuse gli occhi al figlio con una mano e si allontanò verso le sue stanza, incapace di sostenere la situazione. Jatog si fece avanti "Chiudete!" Le guardie erano troppo stordite a fissare il loro amato comandante per sentirlo "Siete sordi dannazione!?CHIUDETE!" I Kjitanet si ripresero e chiusero le antiche porte. Jatog si accostò al figlio dell'orso mettendogli una mano sulla spalla "Lykta dammi una mano a portarlo su in cortile" Il ragazzo rimase a fissare amaramente il volto esangue del fratello. Fiocchi di neve si erano incastrati nelle ciglia "Figliolo per favore. Dobbiamo farlo prima che il corpo cominci a decomporsi" Jatog accompagnò la frase scuotendo Lykta per la spalla. Dopo qualche secondo il figlio dell'orso reagì "Va bene vecchio. Portiamolo su" Jatog ebbe un momento di sorpresa e dolore. Il guardacaccia aveva cresciuto ed addestrato Lykta prendendolo sotto la sua ala. Provò ad ignorare il comportamento del pupillo ipotizzando come causa quel dolore che lui stesso faticava a controllare. Jatog prese il corpo per le braccia, Lykta per le gambe.

 

Avevano evitato di prendere la scala a chiocciola. Era meglio non passare per le stanze dei Kjitanet e del re. Avevano scelto i corridoi della servitù ed erano uscitì sul terrazzo a strapiombo sul ghiacciaio Lykta. Lì, rampicanti millenari vivevano a temperature estremamente fredde aggrappandosi alla faccia posteriore del Palazzo fin sulla cima dell'Occhio di Kjita, la torre più alta delle terre esplorate. Jatog e Lykta posarono il corpo di Kerint su una delle otto panchine in pietra liquida. La faccia superiore d'essa si adattò alla figura del figlio dell'orso deceduto come un guanto. Jatog alzò lo sguardo sul suo pupillo "Cos'è successo la sotto ragazzo".

 

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Capitolo 3
*** Preludi e conflitti ***


Preludi E Conflitti

 

Jatog strinse l'ultimo allaccio dell'armatura. Controllò che i capelli fossero ordinati e posizionò meglio la spada tra le sue mani. Guardò Kerint mesto e dolorante. Il ragazzo aveva avuto cervello. La capacità rara di ascoltare ed agire di conseguenza. Ma più di tutto, quello di cui avrebbero sentito la mancanza era la bontà di cuore che se ne andava con lui. Aveva vissuto millenni ed osservato il lavoro di innumerevoli generazioni di orsi e dei loro figli. Il guardiacaccia era lì fin dalla nascita del Trono Bruno dalle fiamme e dal magma. Lui era stato parte integrante del patto dei cinque spiriti, era presente quando la ribellione nel regno dell'aquila aveva condotto alla sua caduta definitiva. Ne aveva viste tante. E ora Jatog aveva paura per la famiglia dell'orso, per il loro regno e per la guerra che prendeva forma all'orizzonte. Lykta era scapestrato, impulsivo, rabbioso ed autodistruttivo. Jatog temeva che il suo pupillo più che essere incapace di affrontare il futuro, in realtà, non lo volesse affrontare proprio. E lui amava il secondogenito dell'orso come un figlio. Fece qualche passo indietro. La torcia nella sua mano divampava in fuoco blu lapislazzulo. Alle sue spalle i servitori, l'intera guarnigione dei Kjitanet con i vari comandanti e e la famiglia erano in religioso silenzio. Chi piangeva faceva in modo di lacrimare solamente senza lasciarsi sfuggire una smorfia. Quello era un funerale Kjita dopo tutto. Jatog si girò con lo sguardo verso Lykta. Il suo pupillo fissava la superficie ghiacciata del lago con il suo stesso nome. Era perso nel vuoto. Jatog sospirò più mesto di prima e guardò il corpo di Kerint stretto nella sua spessa corazza di pietra infusa. L'elsa di Verztand era salda tra le mani fredde del morto.  "In che situazione ci lasci Kerint" disse Jatog abbassando la torcia sulla pira. Le fiamme si svegliarono, illuminando la superficie ghiacciata del lago sopra cui si trovavano tutti.

 

La notte iniziava ad ingoiare il cielo. Lykta si avvicinò a quello che rimaneva della pira. Avevano già portato via l'armatura di pietra infusa per posizionarla nella Cripta delle venature. L'orso, il padre di Kerint, aveva preso l'elsa intatta di Verztand. Lykta si sedette davanti ai resti. Le stelle facevano lentamente capolino alle sue spalle "Mi dispiace" non c'era solo dolore in quelle parole ma anche un pizzico di vergogna "Io...forse...forse ti avevo sentito.... Forse ti avevo sentito urlare" Lykta si mise una mano sulla fronte massaggiandosela mentre piangeva amaramente "Non so che fare Kerint" gli occhi del giovane divennero rossi. Le pupille a fessura, tipiche di un membro della famiglia dell'orso, erano dilatate in un cerchio molto umano "Non so come reagire"

La notte era arrivata.

 

 

"Ti sei preparato per il viaggio?" La voce autoritaria dell'orso si propagò per il lungo corridoio del quinto piano che connetteva le varie stanze della famiglia di regnanti. Arazzi dai colori intensi erano appesi alle pareti di pietra liscia e viva. Lykta si fermò a pochi passi dalla porta "No" il tono era secco. Irrispettoso. "Preparala stasera. Domani partiamo all'alba" Disse suo padre. Lykta, continuando a dare le spalle al genitore, fece una smorfia di rabbia pensando con disprezzo "Come fai a rimanere così calmo" L'orso fece qualche passo in avanti "Hai capito ciò che ho detto figlio?" Lykta girò la testa "Si padre" rispose con un fondo di odio e calcando l'ultimo termine.

 

 

Fine Preludio

 

 

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Capitolo 4
*** Historia ***


Historia

 

"Qualche millennio fa si formarono i cinque ordini. Ognuno di essi aveva un aspetto e dei metodi talmente diversi da non avere nemmeno una reale definizione comune. Gli Esploratori dell'Aquila: nati dalla necessità e dalla curiosità di studiare le terre del continente ancora sconosciute. La Famiglia dell'Orso: composta da fabbri eccelsi i cui natali avevano avuto luogo sulla leggendaria montagna vivente Kjita. Le Tribù degli Scorpioni: divise sin dalla nascita ma sempre pronte a sostenersi a vicenda per sopravvivere, e vivere, nel loro ostile deserto. La Corporazione delle Volpi: unione dei mercanti e dei navigatori in un solo esercito di ruvidi marinai. Infine, l'Ordine dei Lupi Boreali: figli della feroce persecuzione di un tiranno dell'oltremare ed incorruttibile ordine di soldati e cavalieri. Secondo alcune teorie i poteri furono garantiti a ciascuno di loro dopo il consulto degli "dei". Secondo altri ogni singolo gruppo trovò la sua strada tramite un lungo percorso di attenti studi. È però indubbio che una forza esterna si è inserita nel processo di formazione per ciascuno e che..." Joguntas smise di camminare per l'aula semicircolare. Gli assi di legno vecchio e consumato del pavimento scricchiolarono sotto il suo peso mentre camminava verso il nuovo arrivato. Aprì la porta dell'aula e se la richiuse alle spalle chiudendo fuori l'ingombrante pubblico di allievi di cui aveva interrotto la lezione. Guardò il giovane tutto speranzoso con gli occhi azzurri gioiosi e vispi e lisciandosi con la lunga barba bianca "Allora?" Godwyn, già vestito nella sua nuova uniforme, alzò il diploma fingendosi impassibile "AAAAAH! SI!SI!SI!" Urlò Joguntas con i pugni alzati. Godwyn sorrise di gioia ed abbracciò il professore. Joguntas, ancora più su di giri del vecchio alunno si staccò e lo guardo negli occhi "Tu mi dai una mano con le mie ricerche ora. Lo sai questo vero?" Godwyn rise "Sarà un piacere professore" Joguntas si sfregò le mani tutto felice. L'orgoglio dell'insegnante era stato rapidamente sostituito dalla rapacità della sete di conoscenza "Bene! Bene!" Poi gli venne un dubbio. Joguntas si girò verso la porta dell'aula. Una ventina di studenti era appiccicata al vetro della porta e fissava i due scimmiescamente incuriosita. Godwyn rimase sorpreso "Sono cambiate così tanto le regole?" Joguntas fece un mezzo sorrise "Non sono cambiate quelle, ma gli studenti si. Vieni. Ti offro la colazione"

 

"Hai preparato la cavalcatura?" Lykta tolse lo sguardo dal filo della spada. Jatog si avvicinò a lui. Il figlio del orso era seduto su una panchina di pietra viva. La luce dell'alba iniziava ad illuminare il terrazzo ed il lago Lykta "Si. L'ho preparata" Rispose Lykta freddamente tornando ad affilare la spada con un ciottolo trovato lì. Jatog strabuzzò gli occhi "Lykta! Per i venti della forgia! Che stai facendo con quella pietra!" Il figlio dell'orso continuò imperterrito. Jatog gli strappò il ciottolo dalle mani e sbottò con veemenza "RAGAZZO! Vedi di mettere la testa a posto! Sei l'erede al Trono Bruno! Hai delle responsabilità! Quella che tieni tra le mani è una spada di puro metallo magmatico! Non la puoi rovinare perché non riesci a trovare una distrazione!" Lykta si alzò in piedi, faccia a faccia con il suo vecchio maestro. Guardò Jatog con uno sguardo assassino e disse con tono di superiorità "Ridammi la pietra guardiacaccia. Conosci il tuo posto. RESTACI" Un fulmineo manrovescio impattò contro la guancia di Lykta spaccandogli il labbro. Il figlio dell'orso si portò una mano alla bocca "Ti ho dato tutto. A te, a tuo fratello prima di te, a tuo padre e a suo nonno. NON OSARE! Sono disposto ad aiutarti, ANCHE a guidarti attraverso questo momento difficile se necessario. Solo non dimenticare chi sei e chi sono! QUESTE ERANO LA MIA MONTAGNA E LA MIA TERRA PRIMA CHE UNO SOLO DI VOI VENISSE QUI!" Lykta sputò saliva e sangue per terra "Vaffanculo. Se questa roba era quella che volevi per la tua "TERRA" potevi risparmiarti lo sforzo di aiutarci ed andare a crepare da qualche parte" Un pugno colpì violentemente il volto di Lykta.

 

La porta dell'aula si riaprì dopo mezz'ora. Joguntas la tenne aperta e lasciò che Godwyn entrasse "Mettiti comodo!" Disse il vecchio professore indicandogli una sedia vicino la cattedra. Gli alunni, tutti vestiti con l'uniforme dell'Accademia, erano rimasti lì a chiacchierare: abituati alle sparizioni dell'insegnante e consapevoli che sarebbe tornato ed avrebbe rubato loro il tempo già usato in altro modo "Poi mi dirai se sono migliorato o peggiorato negli anni" disse Joguntas con un sorriso "Sarà sicuramente migliorato" rispose Godwyn cercando di non sembrare troppo leccacelo ne di far capire che non si ricordava una parola delle vecchie lezioni "Non ti ricordi un cazzo, vero" disse Joguntas. Godwyn, seduto nell'angolo dell'aula, arrossì e sorrise imbarazzato "Non c'è problema. Anch'io avrei finto di innamorarmi di qualsiasi cosa per una ragazza" La classe scoppiò a ridere. Joguntas si schiarì la voce e le risa si fermarono "DUNQUE! Dov'ero arrivato?" "Stava per parlare del Cataclisma Eidos professore" disse una ragazza sui vent'anni, bionda e dall'aspetto curato "Saccente" Il commento arrivò da fondo aula fino alle orecchie sensibili di Godwyn. Quelle di Joguntas erano troppo vecchie per captare l'affermazione ed anche se fossero state sufficientemente buone il professore sarebbe stato troppo impegnato a perdersi nella sua spiegazione "Giusto! Grazie mille Isidora. Quindi! Il Cataclisma Eidos è, sempre secondo alcuni, la dimostrazione dell'esistenza di esseri superiori al nostro piano di esistenza e portò alla nascita del cosiddetto sesto ordine o famiglia dei reietti. Intorno ai cinquecento anni fa si ebbe una prima ribellione, nel 3789. Gli abitanti di una tribù degli scorpioni si rifiutarono di pagare il loro tributo di reclutamento, il metodo con cui i Kiscaç rimpinguano le loro fila. La cosa si sarebbe dovuta risolvere velocemente con la sconfitta dei pochi uomini disposti a combattere contro la Milizia dei veleni. Le tribù, però, presero la piccola ribellione sottogamba ed inviarono un piccolo contingente di Kiscaç. Arrivati al villaggio lo trovarono pieno di donne e bambini. Presero l'iniziativa ed iniziarono a radunare il tributo in modo relativamente pacifico..." "Cioè strapparono i figli alle madri!" Urlò un ragazzo dai capelli rossi paonazzo ed evidentemente agitato. Joguntas fece spallucce "Si Kovsti ma nella società dello scorpione è un onore ed un gran vantaggio essere scelti per servire nella milizia dei veleni..."  "Allora perché non hanno accettato dall'inizio?" Chiese un ragazzo bruno ben piazzato "Ragazzi l'ho già detto molte volte. Le domande dopo. Comunque sia. Si sono rifiutati perché il capotribù aveva preannunciato che le scorte d'acqua del pozzo stavano venendo meno ed avevano bisogno di quella generazione per esplorare alla ricerca di una nuova oasi. Vista l'impossibilità di trovarne una a breve era stato consigliato di spostarsi dalla zona ed abbandonarla. La tribù si è opposta e le trattative erano finite ad un punto morto. Perciò i Kiscaç  non stavano compiendo un atto che dal loro punto di vista era così orribile. Ognuno di loro era passato attraverso quel processo. In sostanza ciò che avvenne fu che gli uomini del villaggio tornarono e massacrarono i pochi soldati della Milizia dei veleni. La reazione delle tribù fu estremamente violenta. Quello compiuto era, per la loro società, un oltraggio mai visto. Rasero al suolo il villaggio dopo una votazione unanime nel verdetto. La voce della ribellione però arrivò alle orecchie di altri e per evitare scandali come quello nel regno dello scorpione gli altri ordini stroncarono qualunque cosa che avesse anche una minima somiglianza in segreto. Una sera del 3790 cominciarono a verificarsi eventi ambientali anomali che continuarono per un intera decade di giorni. Sul monte perennemente bianco Kjita, nel regno dell'Orso, la neve iniziò a sciogliersi. I mari del sud furono tempestosi per tutta la decade e varie navi della Volpe furono distrutte. Un enorme uragano di sabbie inghiottì il regno dello scorpione. L'ordine dei Lupi fu colpito da un morbo ed i novizi degli Esploratori dell'Aquila iniziarono a perdere inspiegabilmente la vista..." La campanella delle dodici suonò. Joguntas si interruppe imbarazzato "Scusate ragazzi. Dobbiamo continuare domani" 

 

"Non è cambiato nemmeno un po'" disse Godwyn avvicinandosi al professore. Joguntas sorrise mettendo a posto gli appunti sulla cattedra "Godwyn non ti preoccupare. Ogni volta che ti richiamavo era perché ti eri distratto a guardare Litia. A proposito. Sai che fine ha fatto?" Il sorriso di Godwyn scomparve "Ehm...lei si ricorda che era figlia dell'ambasciatore Colius?" Joguntas capì e smise di ordinare le carte "Con chi l'ha maritata" Godwyn sorrise amaramente "Il figlio di un ammiraglio" "Faraday?" "No. Sirtus" "Saranno presenti al Richiamo?" "Si" Rispose Godwyn piattamente. Joguntas annuì silenzioso poi disse "E se ti accompagnassi?" Godwyn alzò la testa e strabuzzò gli occhi "Come?" "Se venissi con te al Richiamo" Godwyn alzò un sopracciglio "Professore perché vuole venire?" Joguntas sfoderò un sorrisetto furbo "Pensavo, siccome ci devo andare comunque e credevo ti avrebbe fatto piacere la compagnia del tuo vecchio professore..." Il capitano di vascello Godwyn Koflet guardò il suo vecchio insegnante con un pizzico di diffidenza per la prima volta "E poi mi interessa vedere di che parlavano i vari capi..." "Quindi non è perché l'hanno convocata per parlare" Lo interruppe Godwyn "Ci sono state delle convocazioni? Non lo sapev..." Joguntas si bloccò toccato da un pensiero "Va bene. Si ho bisogno di un passaggio per quello. Se mi dai una mano però la tua reputazione ne sarà migliorata. Te lo prometto" la situazione si srotolò come una pergamena davanti agli occhi di Godwyn. Joguntas sapeva già tutto. Il suo addestramento, Litia, la selezione della sua nave all'interno della scorta della volpe. Gli stava indicando la possibilità di riscatto di fronte alla ragazza che amava. Era una questione di reputazione. In cambio voleva passare inosservato, studiare il governo della volpe per la settimana di viaggio necessaria e raggiungere il Richiamo senza che il sesto ordine ficcanasasse su di lui. Il fatto però era che Godwyn non era interessato a fare carriera ed aveva abbandonato l'idea di un amore con Litia. Il miraggio, però, fece capolino. Godwyn....decise di non ignorarlo né abbracciarlo. Non ancora "Va bene" Rispose.

 

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Capitolo 5
*** Preparativi ***


Preparativi

 

 

ASSEX!” Godwyn urlò il nome con tutto il fastidio di cui era capace. Il sole di mezzogiorno era alto in cielo. Un trambusto di passi affrettati si propagò per tutto il ponte. Un uomo sul metro e settanta magro, quasi calvo e dagli occhi neri si mise sull’attenti davanti al parapetto della nave. Godwyn lo fissò contrariato, fermo al centro dell’attracco  “Di chi sono queste casse in più!” Assex abbassò lo sguardo. Godwyn era vestito con la classica uniforme azzurro scuro da capitano della flotta con sulle spalle una pesante cappa verde “Capo!” Assex strabuzzo gli occhi “Ragazzi il capo è il nuovo capitano!” la ciurma si ammassò sul parapetto con occhi sorpresi mentre la nave oscillava leggermente sotto lo spostamento. Un boatò si sollevò. Godwyn perse un po’ di slancio ma riuscì ad imporsi “Assex cosa sono queste” indicò con il mento la pila di valigie e casse ancora una volta. L’uomo fece spallucce “Ne so quanto lei capo!” le voci si seppellirono a vicenda nel tentativo di rispondere “Uno alla volta!” la ciurma ammutolì, poi il più anziano si fece avanti “Comandante. Un tizio più vecchio di me è arrivato dicendo che su suo ordine sarebbe venuto con noi al Richiamo. Poi si è ficcato nella sua stanza” Godwyn squadro gli altri membri dell’equipaggio alla ricerca di conferme. Nel gruppo pochi altri annuirono. Il capitano posò di nuovo lo sguardo su Assex “Dov’eri?” il marinaio impallidi e deglutì “Ero qu…” il navigatore della nave, chiamato Terzo, si inserì “Era con noi al Cantore Muto capo” Assex si zittì facendosi piccolo. Godwyn osservò la scena in silenzio. La sua ciurma era unita, molto, ma nessuno di loro era una cattiva persona. Lasciò perdere. Avrebbe indagato dopo “Quindi non eri qui Assex! Perfetto!...” qualche sorriso iniziò a balenare quando capirono che stava per succedere “Assex e Terzo tirano su le casse signori! Da soli!” la ciurma scoppiò a ridere tirando pacche sulla schiena dei due. Godwyn iniziò a salire la scaletta che univa l’attracco alla nave. Terzo ed Assex si scambiarono uno sguardo. Il navigatore sbuffò infastidito e si mise al lavoro.

 

 

Le sale inferiori del Trono Bruno erano rinomate in tutto il continente, ma non perché avessero una struttura diversa dalle altre. Erano composte da massa magmatica raffreddatasi in modo sorprendentemente schematico e liscio. Per le pareti, i soffitti ed il pavimento passavano venature di pietre preziose proiettando una tenue luce naturale ma insufficiente ad illuminare di notte. Perciò, prima dell'inverno, avveniva la raccolta di resina per candele nelle foreste del monte Kjita e, a partire dalle bufere dell'ultimo mese dell'anno, il palazzo era illuminato a giorno da una calda luce. La cosa curiosa dei piani inferiori però era che, oltre una certa altezza dal terreno, gli oggetti rimanevano sospesi in aria, a poca distanza dal soffitto. Le candele erano incluse. Gli studiosi del regno della volpe avevano ipotizzato l'esistenza di "venti magnetici" ma non avevano mai riscontrato i segni di alcun reale magnetismo. Mentre Lykta sellava il cavallo nella stalla una delle candele scese verso terra fino a lui e si fermò a pochi centimetri dal suo volto. Il figlio dell'orso diede uno sguardo veloce e tornò a concentrarsi, ignorando il fenomeno. Non era la prima volta che un fantasma degli antenati si divertiva ad annoiare i vivi. La candela svolazzò davanti ai suoi occhi. Il ragazzo continuò a non degnarla d'attenzioni cercando di concentrarsi sul chiudere e controllare tutti gli allacci. Socchiuse gli occhi quando la candela si avvicinò così tanto da essere sgradevole. Lykta sentì il calore della fiammella vicino al volto. Continuò ad ignorarla. La candela si impose, fermandosi davanti  al naso. Lykta smise di preparare la sella e guardò infastidito la fonte di luce. Un rumore di passi arrivò dalle scale alle sue spalle. La candela divenne inerte e cadde sul pavimento "Signore. Posso parlarle?" Lykta si girò, freddo. Era la servitrice del terrazzino, quella che era scoppiata a piangere dopo aver visto Kerint. Era vestita con una camicia e pantaloni di un tessuto grigio e grezzo. Il volto era aggraziato, gli occhi dolci, fragili e circondati dalle occhiaie. Aveva tirato i capelli corvini in una lunga treccia dietro la schiena rendendo il suo aspetto ancora più sbattuto. Sembrava una vedova. Lykta scoppiò a ridere. Una servitrice che piangeva un membro della famiglia dell'orso. Era impensabile. Ognuno dei membri delle cinque casate aveva una connessione con la natura di cui le persone normali mancavano completamente. Quella donna era lì a piangere un uomo che l'aveva fatta entrare nel suo letto per divertimento, niente di più. La servitrice lo guardò sorpresa e ferita, poi si avvicinò a passo deciso e gli porse l'elsa di Verztand, la spada del fratello. Lykta aveva smesso di ridere dopo quello sguardo sofferente. Il figlio dell'orso prese l'elsa fissando la servitrice negli occhi con durezza. Quello che aveva fatto era gravissimo. Rubare una proprietà della famiglia dell'orso era punibile con la morte. Prese l'elsa e la mise nella saccoccia del cavallo, poi tornò a guardare la servitrice negli occhi "Perché hai rubato" domandò perentorio. La donna aveva il coraggio di sostenere il suo sguardo. La servitrice lo indicò con un dito e disse "Parlava spesso di te. Sosteneva che eri sperduto. Che senza di lui non avevi una guida" Lykta rimase freddo ed impassibile, ma sotto era in ginocchio. La servitrice socchiuse gli occhi gonfi e scosse la testa "Tu non sei la metà di lui. Dovevi rimanerci tu" la donna si voltò e si allontanò. Lykta, incapace di reagire, la guardò allontanarsi senza proferire nemmeno un lamento sotto quella gragnola di colpi ben assestati. Forse non l'aveva fatta entrare solo nel suo letto.

 

La porta vibrò sotto i colpi "Avanti!" La voce era rauca, con un tocco di allegria. Non era chiaramente la voce di un marinaio. L'allegria era per chi viveva una vita allegra. Godwyn entrò a passo deciso. La luce illuminava il nuovo disordine ordinato nella cabina del professor Joguntas Wart. Godwyn arrivò al letto. Il suo vecchio insegnante raschiava sotto al materasso, cercando qualcosa di indefinito "Professore posso parlarle?" Godwyn non si preoccupò di nascondere un tocco di stizza nel tono. Joguntas, da furbo quale era, affrontò quel tono con un altro allegro sorriso, il più disarmante di cui era capace. Godwyn non si fece toccare minimamente "Avrei preferito sapere che necessitava di un trasporto per ben venti casse di attrezzatura varia. Ed avrei preferito sapere anche l'ora a cui si sarebbe presentato" Sul volto di Joguntas si dipinse un misto tra innocenza e sorpresa "Mio caro qual'è il problema! Pensavo fosse chiaro! Ovvio!" il volto di Godwyn si fece cupò "Sul mare nulla è chiaro o ovvio professore. Il suo peso aggiuntivo rischiava di rallentarci. La fortuna delle quattro volpi ci deve aver graziato perché rischiavamo di ritrovarci senza cibo per il viaggio" Joguntas strabuzzò gli occhi "Senza cibo? Ragazzo andiamo! Questa nave è già enorme per la ciurma che ha! Siamo una trentina dannazione!" Godwyn sorrise freddamente "Professore per andare a pieno regime il mio vascello ha bisogno di un equipaggio di minimo cento marinai. Quella che ha incontrato è la mia ciurma personale. Domani faremo scalo a Istrid. Allora vedrà perché mi preoccupavo" Joguntas aprì la bocca per ribattere ma si bloccò "Chiedo scusa per la mia impertinenza comandante" Godwyn, un po' sorpreso da quel repentino cambiamento, annuì poco convinto "Scuse accettate professore" il neocapitano guardò il disordine in cui era piombata la stanza. Fogli e carte erano affissi al muro e distesi su tavolo e sgabelli. Alambicchi e contenitori di vario tipo erano stipati in cassette di legno per tutto il pavimento "La pregherei di non ci farci saltare in aria" disse semiserio allontanandosi. Joguntas colse la palla al balzo e rispose sorridente "Farò del mio meglio" Godwyn chiuse la porta accompagnandola silenziosamente. Non erano state scuse sincere le sue. Voleva solo evitare un battibecco così prematuramente. Ma il battibecco sarebbe arrivato perché Godwyn era troppo intelligente e Joguntas era pessimo a nascondere le sue ricerche. La prossima tappa era Istrid dunque. Joguntas fissò la porta un po' mestamente. Era passato molto da quando aveva rivisto la capitale del regno della volpe.

 

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Capitolo 6
*** Partenza ***


Partenza

 

 

Lykta rigirò pensieroso l'elsa di Verztand nella mano destra. Le prime luci dell'alba, riflesse sulla superficie ghiacciata del lago, iniziarono ad accecarlo. L'occhio di Kjita era il posto preferito di Kerint. Se non trovava il fratello nel palazzo per raccontargli della sua giornata sapeva di poterlo trovare lì: dov'era ora. Sentì che, centinai di metri sotto di lui, stavano finendo i preparativi per la partenza. Quando Kerint era in vita l'aveva invidiato, ooooh se l'aveva invidiato. Ed una delle cose che aveva invidiato, oltre alla sua schematicità e sicurezza, era stato il fatto che il padre aveva rigorosamente portato lui ai richiami. A tutti i richiami. Lykta invece era sempre rimasto a casa, perdendosi nelle mutandine di qualche servitrice magari, magari più di una. Fingendo con se stesso di essere soddisfatto, di stare persino meglio così. Ora toccava a lui però ed il ragazzo non voleva andarci. Non riusciva ancora a capire come avesse fatto il padre a rimanere così freddo con tutti. Si era chiuso nelle sue stanza con i suoi generali. Non aveva parlato nemmeno con la mamma. Jatog fece capolino da sotto la botola delle scale "Stiamo andando" Lykta si perse ancora per qualche secondo nel panorama. Il sole risaliva la china della cima, rilucendo attraverso i venti. Oltre il lago, oltre la china, venti e nebbie piombavano giù e risalivano vorticosamente in uno schiocco di dita. La cascata del lago, che in estate accompagnava quella danza con il suo rombo, si era ghiacciata tre mesi prima. Non aveva voglia. Non era il suo posto quello, al fianco del padre. Per fare cosa: lo zimbello della spedizione? Lui, dei due fratelli, era sempre stato il "rumoroso". Odiava persino andare a cavallo. Se non era una donna non voleva niente tra le sue gambe "Arrivo" rispose Lykta. La botola si chiuse rumorosamente.

 

"Se aggiustiamo la rotta così...dovremmo farcela in tre quarti di nottata più o meno. Vento in poppa, debole ma sempre meglio del nulla" Fuori dalla cabina e dalla nave le stelle si riflettevano sull'acqua. Godwyn ascoltava Terzo, il suo navigatore, fissandolo. Lo guardava così da circa un minuto. Non aveva proferito parola. Il navigatore, dal canto suo, aveva cautamente evitato di alzare lo sguardo e si era limitato a riferire a pappagallo la rotta studiata. Godwyn capì l'andazzo "È una buona rotta ma le tue informazioni sono datate" puntò un dito su una zona della carte ed aspettò che Terzo alzasse lo sguardo con un'espressione interrogativa. Il navigatore continuò a fissare il dito "Il rapporto che hai consultato è quello delle cinque?" Terzo annui continuando a studiare la mano del capitano "Be è vecchio. Ne hanno fatto uscire un altro alle sette che riferiva di venti forti di bolina e traverso qui e qui" Godwyn indicò altre due aree sulla mappa "Non ci serviranno tre quarti di nottata ma uno" Terzo annui convinto e con più vigore, senza alzare la testa. A Godwyn scappò mezzo sorriso "Sono contento di vederti così zelante. Trasportare quella ventina di casse vi ha fatto bene?" Terzo smise di annuire come un cretino "Magari le potete scaricare e ricaricare quando arriviamo ad Istrid" Terzo aprì la bocca e tracciò una linea sulla carta. Voleva parlare della rotta. Godwyn non glielo lasciò fare "Oppure meglio ancora tu ed Assex venite con me a bere in una taverna degli ufficiali e mi raccontate cos'è successo. Ottimizziamo quei due quarti di nottata" Terzo fissava ostinatamente il suo dito rimasto fermo sulla carta. Un sorriso imbarazzato gli curvò le labbra "Per me non ci sarebbero problemi capitano" Godwyn non gli indorò la pillola "Allora qual'è il problema" Terzo alzò lo sguardo stanco "Non è che sia io a dovergliela dire la storia"

 

Joguntas sentì la nave muoversi sotto il sedere. Erano partiti. Posò il compasso e la matita sul foglio. Si tolse gli occhiali pettinandosi la barba con l'altra mano. Si sentì più giovane. Quella era un avventura dopotutto. Ebbe una fitta agli occhi e se li stropiccìo, tornando vecchio. Si rimise gli occhiali e cercò la candela accesa con lo sguardo. Era poco oltre la metà. Si preparò all'idea di alzarsi e girò sullo sgabello per studiare il suo disordine ordine. Forse non aveva tirato fuori le candele dalla borsa da viaggio. Si maledisse con una pacca sulla fronte e si alzò in piedi. Uscì strascicando piedi e ciabatte. La nave intorno a lui cigolava e scricchiolava dolcemente. Il professore sentì la ciurma di Godwyn russare vorace nelle brande alla sua sinistra. Si domandò chi era rimasto al timone. Vista la classica insonnia probabilmente gli avrebbe fatto visita. Raggiunse le scale della stiva. Scese lentamente, appoggiato alla paratia della nave. Vide le sue cose alla fine della stiva. Passò accanto ai barili di polvere da sparo stando appiccicato al lato opposto. La luce della candela si stava affievolendo. Trovò la borsa di tela rossa. Frugò dentro alla cieca. Sfiorò le tre penne regalategli dai colleghi e si ricordò di barattarle per la torta di mele dell'assistente Elerik al ritorno. Toccò qualcosa di liscio, piacevole e quasi soffice. Non gli venne in mente nulla. Tirò fuori l'oggetto, dimenticando le candele. Era un medaglione. Un vecchio regalo di un uomo morto. Era appartenuto ad un membro dell'ordine dell'Aquila. Un esploratore. Un uomo molto più saggio di Joguntas. Un amico. Il professore avvicinò la candela per vedere meglio le sue condizioni. La luce, sempre più smorzata, danzò debolmente sull'incisione della pallina di metallo. Un sorriso amaro increspò le labbra dell'insegnante. Joguntas riprovò quella sensazione difficile. Si risentì inutile. Non cercava di fingere con se stesso di non esserlo stato. Erano le Aquile il metro di comparazione. Come docente ed intellettuale non c'era paragone. Uomini e donne geniali, abili e corretti. Tre peculiarità difficili da trovare dopo....dopo che quel mondo aveva smesso di farne di persone così. Joguntas rimise la decorazione nella borsa. Si era depresso abbastanza per quella serata. Cercò velocemente un'altra candela e la estrasse. Pensò di andare su a chiacchierare con il timoniere. Aveva bisogno di distrarsi. Non si era ancora accorto della figura mutaforma che lo fissava dall’oscurità dell'altro lato della stiva.

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Capitolo 7
*** Ed Ancore ***


Ed Ancore

 

La staffa cigolò sotto il peso di Lykta. Il figlio dell’orso si tirò su con decisione ed agilità. L’Orso lo osservò dall’alto della sua sella. Lo sguardo era freddo, come se quello che vedesse fosse un cibo strano. Lykta controllò che la spada fosse fissata correttamente per il viaggio. Il vecchio guardacaccia si avvicinò “Hai finito ragazzo?”  Non c’era amarezza nel tono di Jatog,  si limitò ad usare una punta di fastidio per il ritardo del giovane. Lykta alzò lo sguardo dal fodero e studiò la reazione della carovana alla silenziosa critica del vecchio maestro. Il figlio dell’Orso fissò i suoi occhi gialli in quelli grigi di Jatog, poi disse con un sorriso sfacciato “Il mio cazzo è pronto maestro. Io seguo lui” i Kjitanet sorrisero, qualcuno di loro non riuscì a trattenere una risata sommessa riprendendosi un poco, in quel preciso istante, dalla morte di Kerint. I servi all’entrata della stalla  si controllarono meno, lasciandosi andare ad una risata aperta. L’Orso e Jatog furono gli unici a non lasciar trapelare nulla “Quindi si. Direi che sono pronto!” Lykta si guardava intorno soddisfatto “Allora padre! Ordini questa dannata partenza o vuoi aspettare che il mio uccello cambi idea?” molti Kjitanet non reagirono questa volta. I servitori risero più sommessamente. L’Orso guardò il figlio con i suoi occhi dalle pupille marroni con venature gialle “Lo possiamo sempre tagliare” rispose eloquentemente il padre. Lykta tacque. Un silenzio doloroso regnò di nuovo sulle montagne. Il sole mattutino si nascose dietro agli scuri cumulonembi che si addensavano nel cielo, pronti a lasciar cadere altra neve. La foresta davanti a loro era più bianca che verde. La carovana doveva arrivare al quartier generale del sesto ordine, fino alla Voragine degli Spiriti, dove il Richiamo avrebbe avuto luogo. Avrebbero attraversato parte dei deserti del Regno dello Scorpione in due notti, per poi passare nelle pianure dei Lupi Boreali fino ai porti della Volpe. Lì avrebbero affittato delle imbarcazioni fino all’Isola dei Flutti.  L’Orso annunciò la partenza “Che arda il mondo!” “CHE ARDA IL MONDO!” proruppero i Kjitanet seguendo il loro re. Lykta guardò il padre allontanarsi, con l’umiliazione che bruciava ancora. Si accorse che Jatog stava studiando la sua reazione “Cosa c’è vecchio” non provò a controllare la sua aggressività. Il guardiacaccia fissò Lykta di rimando, impassibile, poi si unì alla carovana. Il figlio dell’orso stette silenziosamente in disparte, ad osservare la colonna di Kjitanet superare la sua posizione al trotto. Tutti chinarono il capo in segno di rispetto. Tutti. Lykta non rispose nemmeno una volta, non che fosse tenuto a farlo. Aspettò che l’ultimo dei Kjitanet raggiungesse la colonna del padre. L’inizio della carovana si era ormai perso tra le fronde della foresta, invisibile ai suoi occhi. Lykta fece muovere in avanti il cavallo, goffamente. La bestia nitrì e sbuffò ma si mise in moto. Lykta zigzagò, incapace di controllarla. La colonna dei servitori fidati dell’orso, alle sue spalle, sentì i pittoreschi improperi contro il cavallo. Qualche altra risata sommessa si alzò tra gli alberi. Lykta afferrò le redini con rabbia, tirando la testa dell’animale verso di se “Per la figa della Volpe! Sta fermo dannazione!” il cavallo la prese male. La bestia nitrì, si imbizzarrì e lo disarcionò.

 

Il mutaforma assaporò quelle emozioni senza nemmeno un moto di pietà o rispetto o amicizia. La rabbia dominava e teneva insieme quell’essere: letteralmente. Un oggetto caro l’aveva chiamato lì, come un faro nella notte più buia immaginabile. La vorticosa creatura sentì la vergogna, il ribrezzo per se stesso, l’odio persino. L’uomo davanti a lui era stato un amico di qualcuno che l’Ombra aveva già incontrato o che, addirittura, era parte di lui in quel preciso istante. Ma quella era un inezia. Quella vergogna, quell’odio per se stesso e la sua paura, la sua codardia, erano la dimostrazione che doveva pagare. Aveva guardato. Il mutaforma si infiammò a quell’idea. L’anziano non si era ancora accorto di lui. Avanzò piano. I piedi collassavano e si attorcigliavano su se stessi in volute ad ogni passo. I centinaia, migliaia di occhi che scrutavano la realtà perduta, attraverso quella creatura, agognarono rabbiosamente alla testa dell’uomo che avevano davanti. Era un professore, qualcuno si era ricordato, ma prima era stato qualcosa di diverso. Nel tumulto furioso dei mille in uno solo, ci fu una rottura. Opposizione. La bloccarono e tornarono all’obiettivo comune. Poteva ancora aiutarli! Non c’era nessuno da aiutare, nessuno, niente era salvabile a quel punto. Solo distruzione poteva essere arrecata. Comprendere per aiutare! Il mutaforma si bloccò. I mille occhi tornarono indietro nel tempo, poi fracassarono quell’immagine di loro stessi. LE AQUILE SONO MORTE! MOOOORTEEE!! Il mutaforma avanzò con foga. Mosse vari passi facendo scricchiolare gli assi della stiva ma le gambe non ressero. Piombò a terra. Joguntas si girò verso il rumore. La nave si svegliò nel cuore della notte, messa in allarme dalle grida dell’anziano professore.

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