Fairy tales

di elfanika2
(/viewuser.php?uid=945759)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Dall'antologia delle fiabe, Volume primo, la storia di Cappuccetto rosso. ***
Capitolo 3: *** Dall'antologia delle fiabe, Volume secondo, la storia de la bella e la bestia. ***
Capitolo 4: *** Intermission ***
Capitolo 5: *** Dall'antologia delle fiabe, Volume terzo, la storia di Cenerentola. ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Prefazione

 

A tutti voi che ve ne state seduti e vi accingete a leggere questa raccolta, magari seduti su una sedia in legno preferibilmente a dondolo oppure state stesi sul letto sorseggiando una tazza di tè in una giornata che spero sia fredda e uggiosa, con un camino a farvi compagnia, vi do il benvenuto. Tutti nella vita abbiamo ascoltato o letto prima di andare a dormire le fiabe. Che siano le versioni originali, le fiabe per bambini o i cartoni della Disney ci sono delle cose che semplicemente conosciamo tutti, no?

Se pensate che quello che state per leggere sarà come sempre una bella fiaba con un lieto fine ricredetevi. I personaggi principali sono sempre gli stessi, che passano da reame a reame, cambiano d'identità, ma non d'aspetto o di carattere perché i personaggi delle fiabe sono vanitosi e questo si sa. Queste sono le storie di un giovane dall'aria nobile e arrogante che sembra un conte e di un uomo giovane e affascinante, ma così affabile nei modi e cordiale che sembra quasi essere un maggiordomo. Ecco a voi Ciel Phantomhive e Sebastian Michaelis come non li avete mai visti, fuori dalla residenza e, apparentemente, completamente ignari del patto. Cos'è successo? Vi chiederete e fate bene. Cancellata la memoria e persa l'occasione di nutrirsi dell'anima di Ciel, per allontanarlo dai tormenti e dai predatori che stanno in agguato nell'ombra, Sebastian riesce a trascinarlo in un mondo tutto nuovo, nel quale tutto è simile e niente è uguale al nostro e le cose non sono mai come appaiono.

I nostri eroi ammettono cose che non avrebbero mai detto nella loro precedente vita e si lasciano trasportare da atmosfere sconosciute e straordinarie.

Entrate, signori e signore, come al circo, in una dimensione nuova ed elettrizzante, spero che la visita vi piaccia e non vi disturbi troppo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Dall'antologia delle fiabe, Volume primo, la storia di Cappuccetto rosso. ***


" Dall'antologia delle fiabe, Volume primo, la storia di Cappuccetto rosso.

C'era una volta una dolce bimbetta; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna che non sapeva più che cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e poiché‚ le donava tanto, ed ella non voleva portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso. Un giorno sua madre le disse: "Vieni, Cappuccetto Rosso, eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è debole e malata e si ristorerà. Sii gentile, salutala per me, e va' da brava senza uscire di strada, se no cadi, rompi la bottiglia e la nonna resta a mani vuote."

"Sì, farò tutto per bene," promise Cappuccetto Rosso alla mamma, e le diede la mano. Ma la nonna abitava fuori, nel bosco, a una mezz'ora dal villaggio. Quando Cappuccetto Rosso giunse nel bosco, incontrò il lupo, ma non sapeva che fosse una bestia tanto cattiva e non ebbe paura. "Buon giorno, Cappuccetto Rosso," disse questo. "Grazie, lupo." - "Dove vai così presto, Cappuccetto Rosso?" - "Dalla nonna." - "Che cos'hai sotto il grembiule?" - "Vino e focaccia per la nonna debole e vecchia; ieri abbiamo cotto il pane, così la rinforzerà!" - "Dove abita la tua nonna, Cappuccetto Rosso?" - "A un buon quarto d'ora da qui, nel bosco, sotto le tre grosse querce; là c'è la sua casa, è sotto la macchia di noccioli, lo saprai già," disse Cappuccetto Rosso. Il lupo pensò fra sè: Questa bimba tenerella è un buon boccone prelibato per te, devi far in modo di acchiapparla "

 

C'era una volta un bambino che portava sempre sopra tutti gli abiti un mantello rosso sangue e che abitava in un piccolo paese.

Ciel aveva amato qualcuno che indossava il colore rosso. Non ricordava nulla del suo passato ma c'era questo colore che lo perseguitava, una figura femminile avvolta in fiamme rosso vermiglio. Era un ragazzino ancora eppure già in lui spiccavano la tenacia, la decisione e il carisma, qualità insolite in tenera età. Nonostante il carattere spigoloso, la madre era molto affettuosa e gli abitanti del piccolo villaggio erano gentili, tutti amavano quel bambino un po' capriccioso che sfidava tutti a giocare con lui e non perdeva mai una partita, neppure con le persone più scaltre.

Un giorno, mentre aiutava in casa a cucinare un bambino più piccolo di lui lo additò e gli urlò: “ Tu, perché porti una benda sull'occhio? Ti fa sembrare strano e inquietante.”

Ciel non aveva saputo dare una risposta ed era rimasto in silenzio, fingendo di non aver sentito e ignorandolo finché l'altro non se ne fosse andato. Da sempre qualcosa gli diceva che non avrebbe dovuto avere un pentacolo inciso nella carne e una benda a coprirlo. Eppure nonostante il sentimento di confusione e diniego, non avrebbe saputo spiegarlo ma sapeva perfettamente che quel simbolo era l'unica cosa che lo legava alla realtà e che se fosse sparito, qualsiasi appiglio sarebbe scomparso con esso. Era l'unica cosa giusta in qualche modo, in un mondo di cose sbagliate, sottosopra e bizzarre.

Dopo aver sentito le parole del bambino, Ciel non voleva restare in casa con la madre, qualcosa attirava il suo sguardo sempre verso il vasto bosco vicino a casa ed era lì che voleva andare, ma lei non l'avrebbe mai lasciato uscire senza un valido motivo, tanto più che in poche ore sarebbe calata la notte. Per avere il permesso corse dunque dalla donna e chiese con voce dolce: “ Voglio andare a trovare il vecchio saggio che abita nel bosco, è sempre solo e ha detto che quando voglio posso andare da lui. Ho sentito oggi in paese che non si sente tanto bene e volevo portargli qualcosa per farlo star meglio.”
La madre che era di buon cuore, che sapeva cosa voleva dire faticare per stare bene e avere un pezzo di pane da mangiare in tavola, acconsentì a mandare il figlio in aiuto di quell'uomo così gentile, che spesso la aiutava badando al suo bambino mentre lei lavorava nei campi e così preparò un bel cestino. Ci mise del buon vino, una focaccia ripiena e una crostata di mele che aveva preparato proprio quella mattina. Con un bacio sulla fronte del figlio si era poi raccomandata: “ Comportati bene, tratta il signore con gentilezza e mi raccomando, segui sempre la strada maestra e non uscirne altrimenti potresti perderti. Fa in modo di arrivare a casa sua prima che cali la sera e non uscirne durante la notte, chiedigli se puoi dormire sul pagliericcio e domattina torna a casa”
Ciel annuì e tranquillizzò la madre, assicurandole che sarebbe tornato per la colazione e che non doveva preoccuparsi di nulla e partì saltellando verso il fitto degli alberi. Una volta assicuratosi che la casa non fosse più in vista smise di saltellare e tenendo il cestino più per noia che per necessità, si mise a girovagare tra gli alberi, come se una forza misteriosa lo stesse attirando fino ad arrivare ad una radura, al cui c'entro erano sistemate pietre, incastonate in un mare di fiori blu, mossi dalla dolce brezza primaverile. Standosene lì in piedi sembrava una goccia di sangue in un oceano sconfinato, il suo mantello tirato dolcemente dal vento, il cappuccio ormai tirato giù e il cestino dimenticato. Il cielo era infiammato dai colori del tramonto e per quanto potesse essere pericoloso il bosco di notte, non voleva andarsene, lì c'era pace e quel sentimento di agitazione che aveva nel cuore si era placato. In silenzio, mentre Ciel era perso nella contemplazione dei colori che mano a mano sbiadivano diventando di un morbido e vibrante blu scuro, un lupo si avvicinava. Prima che equivochiate, non un lupo vero, ma un uomo che in tutto aveva l'aspetto di un predatore affamato. Con una lungo mantello nero a coprirlo fino ai piedi, capelli corvini e pelle bianchissima su cui due occhi rosso fuoco spiccavano come tizzoni ardenti, ecco Sebastian Michaelis fece la sua comparsa. Mentre la falce di luna e le prime stelle iniziarono il loro corso nel cielo, la sua voce risuonò, melliflua e incantatrice.

“ Cappuccetto rosso, non dovresti vagare nel bosco da solo, è pericoloso. Non hai paura di camminare di notte senza nessuno che ti accompagni?” Ciel si girò e Sebastian era lì a pochi passi di distanza, una figura inquietante ed eterea. Demoniaca quasi. Il pensiero fece venire un brivido inspiegabile lungo la schiena di Ciel, una cosa che non gli capitava spesso e soprattutto che non era spiacevole. Non era una sensazione di paura a smuoverlo quanto un'emozione che somigliava ad...affetto. Era come se lo conoscesse da tempo e che tutto questo fosse solo un modo per stuzzicarsi a vicenda, quindi decise di stare al gioco.

“ Paura? E di cosa esattamente? Di lupi come te?”
“ Oh te ne sei accorto eh?”
“ Non è difficile visto come ti presenti. E poi nei tuoi occhi c'è chiaramente fame.”
“ Dovrò imparare a celarla meglio allora” il ghigno che comparve sul viso del lupo non fece altro che irritare di più il ragazzino che rispose con un certo fastidio: “ Se vuoi provare a mangiarmi, sappi che potresti scoprire che sono molto indigesto e quasi sicuramente ti andrei di traverso.”
“ Sarebbe un pasto molto interessante allora. Vieni e porta il tuo cestino, non mi piace parlare al freddo e a stomaco vuoto”

Il lupo si inoltrò nel cuore della foresta, seguito da cappuccetto rosso che camminava, attento a non perdere di vista il mantello nero che svolazzava nel vento gelido della notte. Si strinse il suo addosso per ripararsi da quelle pugnalate gelide, desiderò ardentemente di potersi riparare da qualche parte. Ecco che arrivarono in una piccola casa, che il ragazzo riconobbe come l'abitazione dell'anziano che lo aveva accolto tante volte. Perplesso varcò la soglia, convinto che avrebbe trovato ad attenderlo seduto su una poltrona logora un uomo dai capelli scuri e gli occhiali spessi, pieno di rughe che con un sorriso caldo l'avrebbe invitato a sedere davanti a se per giocare a scacchi. Chi si sedette sul divanetto liso fu invece il lupo che lo guardò sorridendo e in un attimo Ciel comprese: “ Chi vuole conoscere il suo nemico deve trattarlo come un amico no? Non so come tu abbia fatto a travestirti da vecchietto ma devo ammettere che ha funzionato alla perfezione.”
“ Se avessi voluto divorarti, l'avrei già fatto. Ma qualcosa mi dice che non sei ancora pronto per essere mangiato.” una semplice frase fece venire i brividi al giovane, nonostante la casetta fosse ben riscaldata, il fuoco scoppiettante nel camino e il mantello pesante. Chiuse la porta dietro di sé e con nonchalance posò il cestino sul tavolo accanto alla scacchiera e si sedette al suo solito posto, dove iniziò a sistemare i pezzi. L'uomo emise un verso di disappunto nello svuotare il cestino con le mani avvolte in un paio di guanti neri e poi gli aveva rivolto un sorrisetto malizioso: “ Avevo sperato in un po' di carne, ma mi farò bastare quel che mi hai portato. Vuoi giocare anche stasera?” si sfilò il mantello e Ciel constatò, senza sorpresa, che era vestito di nero anche sotto, una semplice casacca e pantaloni lunghi, vestiti dall'aspetto caldo e comodo. Con naturalezza divise il cibo per entrambi, affrontando con un sorriso lo sguardo perplesso del ragazzino mentre gli dava parte della sua crostata e mangiava. Per il lupo quel cibo non aveva un vero sapore, ma era sufficiente guardare la sua preda mangiare golosamente il dolce semplice e genuino per far si che un sorrisetto comparisse sulle sue labbra. Finito il pasto gli incarti furono accantonati e iniziarono a giocare a scacchi. La partita non era mai accompagnata da chiacchiere o discussioni, era semplice e puro gioco di strategia, fatto di mosse e contromosse complicate per provare a superarsi l'un l'altro.

Ciel, che era così bravo nei giochi vinse anche quella partita, senza capire che in fondo quello che aveva vinto davvero era il suo avversario, che continuava a guardarlo anche dopo che i pezzi furono riposti. Stava per dire qualcosa quando si accorse che le palpebre del più piccolo si stavano già chiudendo accompagnate dal dolce scoppiettio del fuoco. Sebastian quasi inconsciamente riprese un abitudine di un altro mondo e con un piccolo inchino sollevò il ragazzino per sistemarlo sul letto, ma quando fece per lasciarlo tra le coperte, la mano di porcellana lo trattenne per la maglietta, un gesto ovviamente frutto della stanchezza e del freddo pungente che riusciva a penetrare in casa nonostante il calore del focolare e le spesse pareti. Nonostante ciò, il lupo non riuscì a trattenere un espressione sorpresa e quando lo riprese in braccio, la sua piccola preda si raggomitolò tra le sue braccia, contro il suo corpo alla ricerca di calore e inconsciamente andò a prendere la mano marchiata, quella che li teneva ancora saldamente legati. Un attaccamento simile da parte di qualcuno che dovrebbe disprezzarti... quel semplice gesto, inconscio, riuscì a smuovere qualcosa nel petto del demone, qualcosa che sembrava un cuore con dei sentimenti. Decise che per una sera avrebbe semplicemente dimenticato di essere un predatore a caccia, affamato e che si sarebbe concesso di riposare e di godere di quel piacevole calore che si era acceso nel suo petto. Avvolse quindi il braccio libero attorno agli esili fianchi di cappuccetto rosso mentre il mantello scivolava via e si stese sul letto, coprendo entrambi e concedendosi un po' di meritato riposo. Quando al mattino cappuccetto non rientrò a casa, la madre iniziò a preoccuparsi, ma quando il villaggio si mise a cercare il bambino, tutto ciò che trovarono fu una casa vuota, un focolare spento e un mantello rosso lasciato sulla soglia assieme ad uno nero. Mentre si allontanavano tutti, rassegnati e tristi, un bimbo si voltò a guardare e giurò di aver visto quello che sicuramente doveva essere cappuccetto senza il mantello camminare verso l'alba affiancato da un uomo alto vestito di nero. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Dall'antologia delle fiabe, Volume secondo, la storia de la bella e la bestia. ***


" Dall'antologia delle fiabe, Volume secondo, la storia de la bella e la bestia.

In quel punto stesso sentì un gran rumore e vide venirsi incontro una bestia così spaventosa, che ci corse poco non cascasse svenuto:

Voi siete molto ingrato”, disse la Bestia con una voce da far rabbrividire, “vi ho salvata la vita accogliendovi nel mio castello, e in ricambio voi mi rubate le mie rose, che è per l’appunto la cosa che io amo soprattutto in questo mondo. Per riparare al mal fatto non vi resta altro che morire: vi do tempo un quarto d’ora per chiedere perdono a Dio”.

Il mercante si gettò in ginocchio e a mani giunte prese a dire alla Bestia:

Monsignore, perdonatemi: non credevo davvero di offendervi a cogliere una rosa per una delle mie figlie, che me l’aveva domandata”.

Non mi chiamo Monsignore”, rispose il mostro, “ma Bestia. I complimenti non fanno per me; io voglio che ognuno parli come la pensa: per cui non vi mettete in capo d’intenerirmi colle vostre moine. Mi avete detto che avete delle figliuole: ebbene, io potrò perdonarvi a patto che una di codeste figliuole venga qui a morire volontariamente nel posto vostro. Non una parola di più; partite, e caso le vostre figlie ricusassero di morire per voi, giurate che dentro tre mesi ritornerete.”

 

Sarebbe inutile”, soggiunse Bella, “e perché dovrei piangere la morte di mio padre? Egli non morirà una volta che il mostro si contenta di accettare in cambio una delle sue figlie; io voglio mettermi in balìa del suo furore: e sono molto felice, perché così potrò avere la contentezza di salvare il padre mio e di provargli il gran bene che gli ho sempre voluto. Vi do la mia parola, padre mio”, disse Bella, “che voi non anderete a quel palazzo, senza di me: voi non mi potete impedire di seguirvi. Sebbene giovane, io non sono molto attaccata alla vita, e preferisco esser divorata da quel mostro, che morire dalla pena che mi farebbe la vostra perdita.”

 

C'era una volta un mercante molto ricco che aveva tre splendidi figli, due delle quali però erano avide e interessate solo alla bella vita e ai bei mariti, al denaro che il padre poteva dare loro. Il mercante però aveva anche un figlio, che era il più piccolo, ma che aveva un buon cuore. Anche se a volte aveva un carattere assolutamente impossibile, cocciuto e a volte arrogante, amava la sua famiglia e persino le sue sorelle, sempre così crudeli perché lo prendevano in giro per la sua salute cagionevole e per la passione che egli aveva per la lettura e i giochi. Il giovane sapeva suonare e la sua bellezza era incomparabile a quella di qualsiasi altro del tempo e molte giovani l'avevano chiesto in sposo. Guadagnò per questa ragione l'appellativo di Ciel, perché la cosa che sopra ogni altra era bella in quel giovane era il suo occhio, sull'altro portava una benda, azzurro come un angolo di cielo. Ogni volta che riceveva una proposta di matrimonio però, il ragazzo rifiutava e si chiudeva nella sua stanza a leggere e a riflettere, sfidava chiunque fosse in grado di tenergli testa ad uno dei tanti giochi in cui si dilettava in cambio della mano della suddetta ragazza e nessuno mai riusciva a superarlo. Nonostante avesse una vita felice, il ragazzo nascondeva un segreto che nemmeno al padre era permesso conoscere, ovvero la cagione della benda che da sempre portava sull'occhio destro. Nessuno sapeva del pentacolo inciso nella sua carne e del dolore che gli dava sin dalla più tenera età quel simbolo, era come se qualcosa lo chiamasse. Successe poi che il mercante perse tutte le sue fortune e dovette vendere tutto fatta eccezione per una piccola casa di campagna, nella quale si risolse a portare anche i figli. Mentre le figlie facevano un gran baccano e si rifiutavano di lasciare tutti gli amanti e le fortune, Ciel che non era abituato a lavorare, si rassegnò alla prospettiva e disse che era felice di accompagnare il padre e le sorelle in questa nuova casa. Quando arrivarono, mentre il padre lavorava i campi, Ciel si alzava di buon ora la mattina, svegliato dal canto degli uccelli e preparava la colazione e si occupava di tenere pulita la casa. All'inizio gli riusciva tutto difficile per via della sua salute e della scarsa dimestichezza che aveva con i lavori pratici e domestici, ben presto però diventò avvezzo a questo tipo di vita e si irrobustì, mentre le sue sorelle si annoiavano e parlavano solo dei bei tempi andati. La bellezza del giovane, che aveva da poco compiuto sedici anni, era una rosa che era sbocciata, eterea e pura. Le sorelle passavano il tempo a parlarne malignamente, invidiando la sua pelle di porcellana, il suo fisico ora scolpito, i capelli color della cenere che, se accarezzati dalla luce, sfumavano morbidamente in riflessi blu e quell'occhio azzurro come il vasto mare. Accadde che il padre ricevette una bella notizia e che dovesse tornare in città per prendere parte della merce che gli spettava e riguadagnare così parte delle sue ricchezze. Le figlie subito gli chiesero abiti e gioielli, sperando già di poter tornare in città. Quando andò a chiedere al suo primogenito maschio cosa desiderasse lui alzò il bel capo dal libro e rispose:" Vi ringrazio del pensiero padre ma non desidero nulla, se non una rosa visto che qui non ne crescono."

Il mercante partì dunque per la sua strada, ma tornò verso casa più povero di prima e venne persino sorpreso da una tormenta di neve, soffiava un vento così forte che lo gettò per due volte giù da cavallo. Venuta la notte, egli cominciò a credere di dover morire o di fame e di freddo, o divorato dai lupi, che si sentivano ululare tanto forte da sembrare vicinissimi, quando a un tratto vide un fuoco acceso ad una certa distanza. S’avviò da quella parte e ben presto capì che quella luce penetrava dalle finestre di un vasto e ricco palazzo, che era tutto illuminato. Il mercante ringraziò il cielo del soccorso mandatogli e si affrettò a raggiungere questo castello, ma rimase assolutamente basito quando si accorse che non c'era nessuno all'interno. Il suo cavallo che gli andava dietro, avendo visto una bella scuderia aperta, entrò e trovatovi fieno e biada, il povero animale che moriva di fame, iniziò subito a mangiare avidamente. Il mercante lo legò ad un sostegno e dopo averci pensato un po' si avviò verso la casa, dove non trovò nessuno. Entrò quasi subito in una gran sala, vi trovò un bel fuoco acceso, una tavola apparecchiata e servite molte pietanze sebbene ci fosse un solo piatto e una sola forchetta. Essendo bagnato a causa della neve e della pioggia che si era abbattuta su di lui, si avvicinò al fuoco per asciugarsi, dicendo fra sé: “Il padrone di casa e i suoi domestici mi scuseranno della libertà che mi prendo! Sono sicuro che arriveranno presto”. Aspettò a lungo ma nessuno arrivò, il pendolo batté le undici ma ancora nessun anima viva sopraggiungeva. Allora non riuscendo più ad aspettare, prese del pollo e lo mangiò in due bocconi dalla gran fame che aveva, bevve anche qualche sorso di vino. Prese un po’ di coraggio, uscì dalla sala e attraversò moltissime stanze splendidamente decorate e ammobiliate. Alla fine trovò una camera dove c’era un bellissimo letto e visto che già da un po era suonata la mezzanotte ed era stanco morto, prese la decisione di chiudere la porta e andare a dormire.

La mattina dopo si svegliò verso le dieci e figuratevi come rimase, quando trovò un

vestito bellissimo dove aveva abbandonato il suo che era ormai logoro e strappato.

“ A quanto pare" egli disse “ in questo palazzo abita qualche buona fata, che ha provato compassione per me.”

Si affacciò allora alla finestra per guardarsi intorno e non vide più neppure una traccia di neve, ma soltanto una distesa di fiori bellissimi che facevano innamorare soltanto a vederli.

“Grazie tante” disse l'uomo a voce alta “Grazie tante, signora fata, per la gentilezza che mi avete mostrato e vi sono grato dell'ospitalità”

Uscì poi per andare dal suo cavallo e passando sotto un arco di rose bianche si ricordò che Ciel gliene aveva chiesta una e ne raccolse diverse già sbocciate da portargli.

In quello stesso momento sentì un gran rumore e vide corrergli incontro una bestia così spaventosa, che quasi svenne per la paura.

“Siete un uomo molto ingrato”, disse la Bestia con una voce che lo fece rabbrividire, “ Vi ho salvato la vita accogliendovi nel mio castello e in ricambio voi mi rubate le rose, che sono i fiori che preferisco e i più belli dell'intero giardino. Per riparare al male fatto non vi resta altro che morire: vi do tempo un quarto d’ora per chiedere perdono a Dio”. Il mercante si gettò in ginocchio e a mani giunte iniziò a pregare la Bestia: “Monsignore, perdonatemi: non credevo di offendervi cogliendo una rosa per mio figlio, che me l’aveva chiesta”.

“Non mi chiamo Monsignore”, rispose il mostro, “ma Bestia. I complimenti non fanno per me, voglio che voi siate sincero ed onesto, per cui non pensate d’intenerirmi con le vostre dolci parole. Mi avete detto che avete un figlio: ebbene, io potrò perdonarvi a patto che lui venga qui a morire volontariamente al vostro posto. Ora senza dire altro andatevene e giurate che entro tre mesi ritornerete se il vostro erede si rifiuterà di venire qui come vi ho indicato.”

Il vecchio se ne andò con il cuore pieno di tristezza e tornò dai figli, non intenzionato a lasciare che il suo amato erede andasse incontro alla morte per lui. Raccontò dell'accaduto a tutti e subito le sorelle accusarono Ciel, affermando che fosse solo colpa sua, perché invece di chiedere dei vestiti o dei gioielli come loro, aveva chiesto una stupida rosa e aveva portato a questo. Mentre entrambe piangevano lacrime ipocrite e false, l'unico a non versarne neppure una fu proprio il ragazzo che con voce tranquilla affermò: “ Perché dovrei piangere la morte di mio padre? Egli non morirà perché il mostro si accontenta di accettare in cambio me e ne sono felice perché in questo modo potrò salvare mio padre e potrò provargli che gli ho sempre voluto bene."

“ Apprezzo il tuo tentativo figlio mio, ma non voglio che tu muoia per salvare me, giacché sono anziano e mi rimangono pochi anni da vivere, non ho intenzione di gettare via la tua vita per una cosa simile. ”

“Vi do la mia parola, padre mio” disse Ciel “che voi non andrete a quel palazzo, senza di me: non potete impedirmi di seguirvi. Sebbene giovane, io non sono molto attaccato alla vita e preferisco esser divorato da quel mostro che lasciare che questa sorte tocchi a voi se posso fare qualcosa per impedirlo.”

Discussero a lungo ma Ciel volle a ogni costo partire assieme al padre per il palazzo del mostro e alle sorelle non sembrò quasi vero, corrose dall'invidia che provavano nei suoi confronti. Si recarono così al palazzo della bestia e Ciel si stupì di tutto lo sfarzo e della bellezza in esse contenuto. Passeggiò a lungo per i corridoi e le ampie stanze, quel posto gli evocava una sensazione di familiarità che non aveva mai provato in nessun altro luogo. Quando si recarono nella sala da pranzo ed ebbero cenato, udirono un gran fracasso e il mercante, con le lacrime agli occhi, disse addio al suo povero figlio, perché sapeva che la Bestia stava arrivando. Uscì dunque dal palazzo e si disperò a lungo, dopo essere rientrato a casa, del destino di quel figlio così buono e tanto amato.

Ciel osservò il mostro che tanto aveva spaventato il padre e si accorse che nulla di ciò che vedeva lo terrorizzava o gli incuteva alcuna paura. Non era bello, questo era certo, eppure il viso era molto simile a quello di un leone dalla lunga e folta criniera, di sembianze umanoidi. Camminava sulle gambe un essere umano qualsiasi e indossava un abito pregiato di un blu notte, intenso e vibrante. Anche le mani e i piedi erano in realtà delle zampe leonine, ma la cosa più sconvolgente erano gli occhi, rossi e ardenti. Fissò quelle orbite a lungo, provando un'emozione tale da non riuscire a spostare lo sguardo, come se avesse ritrovato qualcosa che aveva perso, assieme alla speranza. La bestia non si era mossa di un passo e teneva a sua volta lo sguardo fisso nel suo, sembrava troppo preso dal guardarlo per fare qualsiasi altra cosa, quasi assorto mentre scrutava i lineamenti del giovane. Dopo un tempo che parve ad entrambi molto lungo, ma non abbastanza da non sentirne la mancanza appena finito, interruppero quel gioco di sguardi e la bestia con voce suadente chiese: " Sei venuto qui di tua spontanea volontà?"
" Si, volevo vedere questo mostro che mio padre ha temuto tanto. Pensavo a qualcosa di peggio onestamente"
" Avevi già visto altri mostri prima di me?"
" Illustrati si, dal vivo nessuno e a dire il vero non mi aspettavo neppure che esistessero davvero, per questo sono venuto."
" Immagino che tu ti sia reso conto del fatto che ora che sei qui non potrai lasciare questa villa."
" Strano che tu la chiami così, avrei detto che somiglia più ad un castello"
" Ti preoccupi di questo ma non della prospettiva di rimanere bloccato con una bestia in una casa, per quanto grande, per tutto il resto della tua vita."
" Mi aspettavo in realtà di dover morire in questo luogo, o così hai lasciato intendere a mio padre, ma non è mai stato questo il tuo obiettivo."
" Sei perspicace, Ciel"
" Come conosci il mio nome?"
" Conosco tante cose che tu nemmeno immagini" la bestia sorrise e vide sotto quell'aspetto leonino un ghigno che gli parve di riconoscere per un breve istante.

Decise di non dire nulla, ma si accorse in quel momento che il dolore che lo affliggeva da sempre all'occhio era svanito e un sospiro di sollievo lasciò le sue labbra.

“ Vieni, ti mostro la tua stanza” disse il mostro, fingendo di non notare l'evidente sollievo che aveva sciolto la tensione sul viso del ragazzo, e gli fece cenno di seguirlo. Gli mostrò una camera con un letto a baldacchino e un baule in fondo al letto pieno di vestiti bellissimi. Addossata alla parete una libreria stracolma di ogni genere di volumi, mentre sistemato in un angolo, assieme a due poltrone, c'era una scacchiera e altri giochi di splendida fattura. Posato su un basso tavolinetto c'era persino uno splendido violino, ogni cosa era lucida e senza un granello di polvere.

“ Ti prego di perdonare il mio errore, tutta la mansione ti appartiene, è tua di diritto d'ora in poi. Ti lascio riposare, mi farò vivo domani sera alla stessa ora, non appena il pendolo batterà le nove” detto ciò la bestia chiuse la porta uscendo e sparì nel buio. Ciel, sfinito dalla giornata piena di emozioni si coricò e riposò per la prima volta a lungo e tranquillamente. Al mattino si svegliò e prese a girare per la sua stanza, trovò sul comodino un vassoio con sopra un abbondante colazione. Passò la giornata leggendo ed esplorando la villa, mentre a ogni scalino che faceva, la sensazione di essere finalmente a casa gli entrava sempre di più nella mente e nel cuore. Quando ebbe cenato attese nella sua stanza la bestia e quando furono le nove, puntuale sentì bussare alla porta.

“ Avanti” la Bestia quindi aprì la porta e si guardò intorno, vide il ragazzo in piedi che lo stava guardando di nuovo.

“ Per il momento è di vostro gradimento questa residenza?”
“ Si, è un bel posto, molto sfarzoso e ricco, immagino appartenesse ad un nobile”
“ Immagini bene. Ti sei svegliato presto stamattina ho visto”

“ Non avevo più sonno e poi sono abituato ad alzarmi appena fa giorno, per me era piuttosto tardi invece.” non appena pronunciò queste parole vide come in un flash una livrea nera da maggiordomo stagliarsi contro i suoi occhi, mentre venivano aperte delle tende. Dopo aver pensato a ciò un acuto dolore alla testa gli fece perdere l'equilibrio e sarebbe caduto a terra se la bestia non lo avesse afferrato al volo, stringendolo così a se. Senza volerlo finì quindi con la testa appoggiata sul petto del mostro e vide, attraverso la giacca appena sbottonata del suo salvatore un pentacolo inciso sul suo petto e sgranò gli occhi, sorpreso. Era lui la creatura che lo stava chiamando da anni, rinchiuso in quel palazzo e alzò lo sguardo per vedere l'essere abbassare il viso e senza timore incontrare ancora una volta i suoi occhi. Ancora una volta sentimenti che non sapeva di provare riemersero e desiderò ardentemente di non staccarsi dalla bestia, anche se la cosa non aveva apparentemente senso. Si costrinse invece a sedersi e chiese di poter giocare a scacchi. Mentre parlavano la bestia disse: “ Persino in questo lusso vedo che non sei affatto felice. Posso chiedertene il motivo?”

“ Può un uomo essere felice se privato della sua libertà? Ho tutto, eccetto la possibilità di scegliere cosa fare della mia vita.”
“ C'è un modo per liberarti da questo luogo e lasciarti andare. Se scoprirai il mio nome allora potrai uscire da qui e andare dove vuoi.”
“ Allora scoprirò quel che mi chiedi. Scacco matto” il giovane Ciel sorrise e parlò ancora a lungo con la bestia, più il tempo passava e più sentiva il desiderio di stare con la creatura. Tutti i giorni li passava cercando questo nome in lungo e in largo, domandandosi quale potesse mai essere, mentre aspettava con ansia che il pendolo battesse le nove e che la bestia venisse a trovarlo nella sua stanza. Mangiavano insieme e parlavano fino a tarda notte di qualsiasi argomento, citando poesie, miti e storie di cui avevano letto nelle ore precedenti. Ciel continuava ad imparare tutto il possibile e non era neppure più sicuro che la libertà lo interessasse davvero, perché da nessun altra parte si era mai sentito così bene come lì. Mentre stava cercando tra tutti i libri presenti nella sua stanza o tra gli oggetti sparsi nella residenza, un indizio che potesse aiutarlo a scoprire questo misterioso nome, trovò un biglietto, lasciato in bella mostra sul tavolo, scritto con una splendida calligrafia, molto elegante.

“ Questa sera ti aspetto a cena nel salone principale” Ciel si trattenne a stento dal mettersi a saltellare per tutta casa, felicissimo per una sciocchezza come un invito a cena, per giunta con quello che tutti avrebbero considerato un mostro.

La bestia dal canto suo si chiedeva con ansia se il ragazzo avesse già trovato quel foglio, perché aveva il bisogno, segreto e intimo di vederlo, sentiva crescere nel suo cuore arido e sterile sentimenti che mai avrebbe immaginato di poter provare e quel diavolo ricordando i mesi prima, quando aveva stretto a sé il piccolo cappuccetto rosso, sentiva il cuore battergli forte nel petto. Spesso si domandava quanto potesse mai avere potere un ragazzino su di lui, una preda, perché il marchio ancora ben visibile sul suo occhio ne era la chiara prova.

Iniziava a comprendere che la fame bruciante che aveva provato da anni e per anni, sin da quando era diventato il maggiordomo di quel bambino, era stata sostituita da un desiderio bruciante di stringerlo a se e proteggerlo da tutto, compreso dal giorno in cui avrebbe reclamato la sua giovane anima e stroncato così la sua vita, una fame che veniva dal cuore e non più dallo stomaco.

Entrambi, ognuno chiuso nella propria stanza, si stavano preparando e dopo un profumato bagno Ciel aveva spalancato il meraviglioso baule e aveva cercato a lungo qualcosa di adatto per una cena. Non sapendo decidersi aveva optato per una giacca più lunga dietro bianco con ricami così belli, complessi e intrecciati che sembrava in effetti essere più del colore dell'oro fuso, un panciotto dorato con sotto una camicia candida come la neve e pantaloni ricamati come la giacca, lunghi, ma non aveva rinunciato a mettere le scarpe con un po' di rialzo per compensare la propria scarsa altezza. Aveva poi trovato in un piccolo scrigno un anello d'oro con un sigillo e uno con la montatura d'argento e una pietra blu dal taglio rettangolare e senza neppure sapere il motivo li aveva indossati. Si era poi immerso nella lettura, ma era troppo agitato e non riuscendo neppure a concentrarsi aveva chiuso di scatto il volume e aveva iniziato a passeggiare nervosamente avanti e indietro per la stanza, aspettando con impazienza che il pendolo suonasse l'ora. Quando finalmente lo fece, quasi si mise a correre, aprendo la porta di scatto e arrivò fino alle ampie scale che lo conducevano al salone principale. Lì, in cima c'era la bestia, con un completo blu zaffiro, lungo e con le maniche ornate di pizzo, i bottoni dorati. Entrambi, nello stesso momento pensarono che l'altro era bellissimo e rimasero qualche istante a fissarsi, incantati. Sebastian aveva notato che il ragazzo era cresciuto di un paio d'anni dall'età che aveva nel loro mondo, ma mai avrebbe pensato che due insignificanti battiti di ciglia per lui, potessero renderlo così incantevole e seducente. Finalmente Ciel si riscosse e si avvicinò alla bestia che con nonchalance gli porse il braccio e lui lo accettò di buon grado. La tavola era già imbandita e apparecchiata in modo impeccabile, cibi di ogni genere erano stati serviti, il lampadario riluceva, le candele nuove e non più in granello di polvere era stato lasciato in giro. Ciel si era accomodato e quasi subito aveva iniziato a parlare con il suo commensale tra un boccone e l'altro. Senza sapere come, con la pancia piena, erano finiti a parlare di balli e in un istante Sebastian aveva colto la palla al balzo e l'aveva invitato a danzare. Ciel voleva rifiutarsi perché lui non era assolutamente in grado di muoversi seguendo la musica, era sgraziato e impacciato, decisamente non nel suo elemento, ma l'altro lo guardava con quegli occhi così fiammeggianti e pieni d'interesse che non seppe dire di no.

Si alzò quindi e accettò di danzare, mentre la musica si levava da sola. Come volevasi dimostrare il ragazzo era visibilmente negato ma si sforzava di andare a tempo e di riflettere su quale passo avrebbe dovuto fare. All'apparenza però la bestia era anche peggiore di lui nel ballo perché continuava a pestargli i piedi. Dopo uno spartito intero di quei movimenti sgraziati che non potevano definirsi passi, Ciel perse la pazienza e senza riflettere esclamò visibilmente irritato: “ Ohi Sebastian! Che stai facendo, non è ballare questo!”

Non appena ebbe pronunciato queste parole, si tappò la bocca con la mano resosi conto di ciò che aveva detto in realtà. La bestia si era spostata, allontanandosi dalla sua lieve stretta ed era finita in ginocchio, mentre con un lamento stava cambiando completamente aspetto. Il pelo fu la prima cosa a sparire, prima dai piedi e poi dalle mani, risalendo fino al petto, da dove scomparve anche il marchio, mentre i capelli iniziavano a scurirsi e accorciarsi. Davanti agli occhi di Ciel comparve dunque un uomo giovane dal viso perfetto, gli occhi rosso sangue e i capelli corvini, la pelle color latte e poi ecco sulla mano ritornare il marchio, le unghie nere. Sebastian. Il suo maggiordomo, fidato e sempre leale, il suo demone. Ecco altri ricordi facevano capolino mentre gli abiti si trasformavano nella livrea classica da maggiordomo, quella con cui lui lo conosceva.

“ È un piacere rivedervi, bocchan.”
“Sebastian, che storia è questa?”

“ Sono spiacente, vi spiegherò tutto a tempo debito ma non ora, andiamo abbiamo delle cose da fare e dobbiamo lasciare questo palazzo il prima possibile”
“ Poi dovrai spiegarmi che sta succedendo”
“ Agli ordini, bocchan”

E così Ciel seguito dalla Bestia, si allontanò nella notte verso una nuova, imprevedibile, avventura. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Intermission ***


Intermission

Sebastian era arrivato al limite. Aveva accettato di essere trattato come un lupo o di farsi ricoprire di peli a causa di una stupida maledizione, di sgobbare in assenza di servitori per tutta la villa e di preparare cene sontuose. Si era fatto pestare i piedi e aveva ballato nel modo peggiore e più sgraziato della sua intera carriera di demone perfetto e sempre fedele a se stesso. Aveva lasciato il suo giovane padrone nell'ozio e nel riposo più assoluto e aveva persino accantonato la sua fame per un po', ma ora, guardandosi intorno, era più che certo di non poter sopportare oltre un affronto simile.

Voleva distruggere tutto quello che gli stava capitando a tiro, perché questo era oltre il limite dell'indecenza e della presa in giro ma poi rifletté e si rese conto che se non avesse continuato con la sua missione, il suo bocchan sarebbe stato da solo contro dei lupi famelici molto peggiori di lui, perché che gli esseri umani potessero essere molto peggiore dei demoni più crudeli delle bestie lui lo sapeva fin troppo bene.

Inspira.

Espira.

Inspira.

Espira.

La calma tornò lentamente nella mente agitata di Sebastian e dovette concentrarsi, ricordando lo sguardo limpido del suo signorino e la sua voce autoritaria, per poi figurarselo terrorizzato e solo per riuscire a frenare ogni suo moto di ribellione o desiderio di fuga. La cosa non dovrebbe andare così, se ne rende perfettamente conto, il terrore e il dolore di un semplice ragazzino umano dovrebbero divertirlo e stuzzicargli deliziosamente l'appetito, dovrebbe anzi dargli il brivido della caccia, invece è una cosa che gli mette inquietudine, una leggera paura persino. Quel piccolo ragazzino, inesperto e dal carattere intrattabile ha attirato la sua attenzione ed è riuscito a legarlo a se, proprio come un cane fedele, come una di quelle bestie che tanto odia il maggiordomo e quel che è peggio è che Sebastian l'ha lasciato fare. È rimasto buono a cuccia mentre Ciel gli infilava il collare e si è lasciato portare a spasso e coccolare, si è trastullato in un falso senso di sicurezza e lentamente anche di appartenenza, come se non sapesse perfettamente che prima o poi dovrà ucciderlo e cibarsi della sua preziosa anima. Il solo pensiero basta a dargli il voltastomaco, soprattutto se lo associa alla prospettiva di perdere tutto il lavoro che ha fatto per ingraziarselo e per ottenere un briciolo della sua fiducia e ne è certo, anche della sua stima a causa di un disgustoso ragno e della sua rete di menzogne di seconda categoria e di scarsissima qualità.

La vita dei demoni si poteva definire come tediosamente lunga, eterna e di solito era come uno stagno senza increspature, liscio e sempre uguale, monotono. Ogni singola cosa che riusciva a spezzare questa litania era una delizia per la creatura in questione. Perciò erano tutti così interessati a Ciel, perché in sua compagnia, la monotonia spesso spariva, lasciando il posto ad un comportamento interessante e imprevedibile che riusciva a scacciare la noia anche per anni. Questo aveva attirato tanto Sebastian all'inizio. Ora? Non ne è più certo. Voleva averlo vicino solo per non annoiarsi? Non scherziamo, tutti sapevano che non era così, non da quando si era messo tra Ciel e Claude, riparando il suo signorino e facendogli scudo con il suo stesso corpo. Certo potreste pensare, come faceva erroneamente lui, che fosse solo per un dolce pasto ma nulla era più lontano dalla verità. Sebastian si riscosse da questi pensieri e si guardò intorno nuovamente, passandosi una mano sul viso. Non ce la poteva fare nemmeno volendo a superare un umiliazione simile. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Dall'antologia delle fiabe, Volume terzo, la storia di Cenerentola. ***


" Dall'antologia delle fiabe, Volume terzo, la storia di Cenerentola.

 

C'era una volta, tanto tempo fa, una vedova che aveva due figlie bruttine e anche un po' antipatiche. Un giorno sposò un ricco gentiluomo, che aveva una figlia. Le sorellastre, invidiose perché era bella e dolce, la presero subito in antipatia.

Anche la matrigna la trattava male affidandole i lavori di casa più pesanti e lasciandola sempre vestita di stracci. Tutte si facevano servire come grandi signore e mentre la fanciulla era sempre gentile ed allegra, loro invece litigavano continuamente. Quando la sera poteva finalmente riposarsi, si sedeva in un angolo del camino. Proprio perché trascorreva la serata vicino al fuoco, aveva sempre le guance ed il vestito sporchi di cenere. Così le sue antipatiche sorellastre per prenderla in giro incominciarono a chiamarla Cenerentola.

 

C'era una volta una giovane donna che aveva avuto due figlie, sgradevoli alla vista e nel carattere, divorate dalla bramosia e da tutti i peggiori vizi. Un giorno questa signora sposò un ricco e meraviglioso uomo con cui diede alla luce un bambino bellissimo. Le sorellastre appena videro com'era bello e dolce, affabile e perfetto, lo presero immediatamente in antipatia. Quando l'uomo morì, la donna mutò comportamento e iniziò ad odiare quel ragazzo e assieme alle figlie decise di rendergli la vita un inferno. Gli facevano indossare i vestiti peggiori che avevano, stracciati e logori, era costretto ad alzarsi prima dell'alba, andava a prender l'acqua, accendeva il fuoco, cucinava, lavava e puliva i pavimenti. Quando aveva finito di sbrigare tutti i lavori, per riscaldarsi era solito sedersi vicino al camino accanto al carbone ed alla cenere. Perciò cominciarono a chiamarlo dita di cenere. La matrigna e le sorellastre dormivano in belle stanze, mentre la piccola camera di Dita di cenere era in soffitta, proprio sotto il tetto della casa, dove vivevano dozzine di topi. Nonostante questo lui rimase gentile e cortese, immaginando il giorno in cui se ne sarebbe potuto andare e incontrare la persona che più desiderava vedere. In tutta la sua vita voleva solo rivedere la persona che gli aveva impresso quel marchio sulla mano e sperava che quel giorno sarebbe arrivato presto.

Dall'altra parte della città c'era il palazzo reale e un giorno il re convocò uno dei suoi consiglieri e gli disse “ È tempo che il principe prenda una moglie e si sistemi”

“ Sire” rispose il marchese “ voi avete tutte le ragioni del mondo, però vostro figlio non sembra interessato a sposare nessuno, tanto meno la fanciulla che voi gli avete promesso, lady Elizabeth.”
Il re sospirò e annuì, sapendo che ciò che quell'uomo aveva detto era verissimo e che il figlio sembrava intenzionato a fare di tutto meno che a prendere moglie e a pensare al bene del regno. Da sempre tutte le donne lo avevano amato per la sua straordinaria e pura bellezza, per il suo sguardo intenso e profondo, autoritario e deciso, per il suo carattere forte e per la sua mente geniale, capace di intrappolare persino il più astuto nella sua tela. Fin dall'infanzia era stato un consigliere meraviglioso e il monarca aveva potuto rendere il suo regno un luogo pacifico e prosperoso solo grazie all'intervento del suo futuro erede. Era certo che un giorno sarebbe stato un sovrano straordinario, ma gli mancava quel qualcuno che sapesse mitigare il suo temperamento irascibile e impulsivo, dare un limite alle sue ambizioni e ai suoi desideri che a volte sembravano non finire mai. Il re ci pensò a lungo finché l'uomo che aveva a fianco, un valido amico e una persona molto furba e schietta non esclamò: “ Sire perché non organizzate un ballo e vi invitate tutti i rampolli e le fanciulle più nobili. Di certo se conoscerà le ragazze giuste, potrebbe decidersi e sposare qualcuna di loro”
“ Non ho intenzione di sposare una donna di cui non potrò innamorarmi.” il principe, con una camicia bianca e un paio di pantaloni, dall'aspetto ben poco regale in quel momento, con un bicchiere di vino in mano e la benda sull'occhio, i capelli scompigliati, stava scendendo le scale.
“ Figlio mio, che indecenza. Dovresti vestirti in modo più appropriato e smettere di bere, tutto questo vino ti farà male”
“ Ti ho ripetuto fino allo sfinimento padre che non potrò sposarmi con una donna che amo. Tanto vale che tu scelga una poveretta qualsiasi e organizzi le cose con lei e la sua famiglia, ti risparmieresti un sacco di problemi”
“ Perché sei così ostinato nel dire che non ti innamorerai mai? Non è una cosa che puoi decidere, specialmente se non conosci nessuno”
“ La verità è che il mio cuore appartiene già ad una persona” lo sguardo del giovane divenne cupo, guardarlo in quel momento era come cercare di penetrare una coltre di nuvole nel bel mezzo di un temporale.

“ Ma è una cosa meravigliosa!” il re ignorò, forse neppure volendolo, lo sguardo pericoloso e pensieroso del giovane ed esclamò con impeto: “ Perché non l'hai detto subito? Invita questa giovane a palazzo e lascia che io e tua madre la incontriamo così potrai sposarla ed essere felice”
“ Non so dove sia questa persona e poi se te la presentassi, tu mi cacceresti da palazzo e mi proibiresti di rivolgerti ancora la parola”
“Non essere sciocco, non può esserci nulla di così grave da farmi assumere un tale comportamento nei tuoi confronti”
“ Organizza la festa padre, troverò una dama che ti soddisfi” disse il giovane stancamente e scese solo per andare a riempirsi il bicchiere di nuovo. Intanto il re fece annunciare da tutti i banditori che era stata organizzata una festa per il giorno successivo in onore del principe e che ogni giovane donna e uomo facente parte di una famiglia importante avrebbe dovuto presentarsi al ballo mascherato. Immediatamente furono spediti gli inviti e il regale biglietto fu portato anche a casa di Dita di cenere. “ Un ballo, un ballo! Andremo a un ballo!” gridarono Anastasia e Genoveffa. “ Anch'io sono invitato, c'è scritto: per ordine del Re ogni fanciulla e fanciulla dai nobili natali dovrà partecipare!” le sorellastre risero all'idea di Dita di polvere che andava ad un ballo indossando il grembiule con una scopa in mano. Ma la matrigna, con un sorriso sornione, disse a Dita di cenere, che sarebbe certamente potuto andare se avesse finito il suo lavoro e si fosse procurato un vestito decente da indossare. E venne il gran giorno. Fin dall'alba le sorellastre furono indaffarate a scegliere abiti, sottovesti ed ornamenti da mettere nei cappelli e non parlarono che del modo in cui si sarebbero vestite per il ballo. La matrigna sapeva quanto il giovane fosse bravo a sistemare tutto in un tempo incredibilmente veloce e quindi gli affidò una montagna di abiti da sistemare e di altre commissioni lunghe e tediose. Quando venne la carrozza il ragazzo non aveva avuto neppure il tempo di prepararsi. “ Bene” disse la matrigna “ Allora non verrai. Che peccato! Ma ci saranno altri balli.”

Dita di polvere salì pieno di rabbia le scale buie e si affacciò alla sua finestra illuminata dalla luna e guardò il palazzo lontano che risplendeva di luci. Sarebbe potuto arrivarci persino a piedi se si fosse impegnato, ma con che coraggio poteva presentarsi al principe in condizioni simili?

All'improvviso una candela venne accesa e vide una donna in piedi, dietro di lui che indossava un lungo mantello nero con un cappuccio a coprirle completamente il viso.

“ Sebastian” Il ragazzo fissò la nuova arrivata, un certo stupore si leggeva nei suoi occhi color fuoco “ Conosco la tua condizione e so che neppure volendolo tu potresti agire senza aiuto. I tuoi poteri in questa realtà sono limitati e l'unico modo per avere ciò che desideri è assecondare il corso degli eventi. Sorridi, io ti darò il modo di andare al ballo e trovare cosa stai cercando. Fa attenzione però, a mezzanotte quando suoneranno le campane, tu dovrai correre via perché i tuoi abiti torneranno stracci e non ti sarà concesso rientrare a casa se tarderai.”

“ Tu chi sei?”
“ Normalmente sarei la tua fata custode, ma nessun essere puro in questo mondo accetterebbe di essere affiancata ad un diavolo, per quanto particolare tu sia. Per questo dovrai accontentarti di una strega che vuole aiutarti, ma tranquillo, non chiedo nessun favore in cambio, se non che tu riesca nel tuo intento.”
Delle mani pallide, con dita sottili come zampe di ragno e aggraziate, soffici, si posarono sul suo petto candido e un formicolio invase il corpo di Dita di Cenere. Gli stracci sporchi che aveva indosso si tramutarono in uno splendido completo bianco, candido e pulitissimo, ogni singolo centimetro della sua pelle era pulito e dei soffici guanti bianchi coprivano il marchio e le unghie nere. Le dita della ragazza, perché intuì che almeno d'aspetto doveva essere giovane come lui, corsero ad allacciare dietro la sua nuca una maschera perla con dei decori rossi e una piuma sull'angolo destro in alto. Nel complesso, Dita di polvere era una visione angelica e perfetta, simbolo di grazia ed eleganza. Anche il modo in cui si muoveva era semplicemente ipnotico, potendo tornare al suo abituale, mellifluo comportamento. La donna lo accompagnò fino ad una splendida carrozza trainata da varie file di cavalli scalpitanti ed ella stessa si sedette per fare da cocchiere. Il viaggio fu breve e tranquillo, per passare il tempo il giovane guardò fuori dal finestrino la foresta scorrergli davanti agli occhi, come di solito faceva il paesaggio quando riusciva a prendere un treno tranquillo al seguito del suo signorino. Nel frattempo il ballo a palazzo era gia iniziato e il principe, fasciato in uno splendido completo color cobalto che faceva risaltare i suoi occhi azzurri e i suoi capelli color antracite. Era circondato da dame che facevano inchini e cercavano in tutti i modi di attirare la sua attenzione, ma c'era così tanto frastuono e così tante persone che faticava a rimanere concentrato. Più le giovani cercavano di mettersi in mostra o di parlargli, più lui perdeva interesse e cercava con lo sguardo i servitori che portavano i calici di vino agli ospiti. Servitori. Il semplice pensiero lo fece sorridere appena e poi rattristire, abbassare lo sguardo con amarezza e rimpianto. Perché Ciel Phantomhive rimpiangeva ogni singolo giorno di non aver confessato i suoi sentimenti a quel diavolo così imprevedibile e assurdo, ma anche così leale, devoto. Quando il giovane all'interno della carrozza arrivò, il ballo era già iniziato e il principe, con aria assolutamente annoiata, stava facendo l'inchino alla duecentodecima e duecentoundicesima damigella: le brutte sorellastre, Anastasia e Genoveffa. All'improvviso alzò lo sguardo e scorse il più bel giovane che avesse mai visto, così simile al suo amato maggiordomo che quasi non gli tolse il fiato. Come trasognato piantò in asso le sorelle e si avvicinò al giovane poi gli sussurrò all'orecchio qualcosa e uscì dall'ampia sala. A quel punto iniziò a conversare con il giovane che rispondeva con eleganza e garbo ad ogni sua domanda, il suo muovo di muoversi, di atteggiarsi erano così familiari che dovette trattenersi con tutte le proprie forze per non afferrarlo per la giacca e baciarlo lì, sotto la luna, in mezzo al giardino e tra le rose rosse e bianche. La serata sembrò volare in quella compagnia, tra scherzi e battute, giochi sottili di parole e continue piccole sfide, mentre il re cercava in lungo e in largo il figlio. Uno dei servitori disse che aveva notato il principe uscire dalla stanza seguito da un giovane vestito di bianco che sembrava davvero un angelo, una visione. Il re allora credette di aver capito perché il figlio rifiutava tutte le spasimanti e del perché avesse parlato in quel modo alla prospettiva di trovare una moglie. Si era innamorato di quel giovane dunque. Quando la luna fu alta nel cielo e le campane batterono la mezzanotte, il giovane Dita di Cenere si guardò intorno e memore delle parole della ragazza, si allontanò in fretta dal principe, una cosa davvero straziante per il futuro sovrano.

“ Devo andare” gridò e cercò di scendere la scalinata in fretta, ma il giovane aristocratico lo prese per mano e così facendo gli sfilò uno dei guanti. Quello che vide fu così scioccante che non riuscì a muoversi per diversi secondi e bastò perché l'altro riuscisse a sgusciare via e a sparire nella notte. Il marchio. Aveva ritrovato il suo Sebastian e poi l'aveva perso ancora. Si era abituato fin dalla più tenera età a ricordare sempre di più della sua vecchia vita e venire a patti con essa era diventato naturale, come il dover avere a che fare con sentimenti che sentiva crescere giorno dopo giorno nel proprio petto. Sapeva benissimo che mai nessuno sarebbe riuscito a scaldargli il cuore come quel diabolico maggiordomo, ma ormai l'aveva accettato, come si era abituato a sentire la solitudine e la mancanza per anni, sapendo chi doveva essere accanto a lui ma che non riusciva in nessun modo a ritrovare. Era come un vuoto nell'anima, un dolore sordo e costante, per questo non appena aveva potuto aveva iniziato a bere vino, per sentire il pungente sapore della bevanda e non quello amaro della tristezza. Sentì un dolore sordo al petto e gli mancò il fiato per qualche istante mentre guardava la figura snella del suo maggiordomo sparire nell'oscurità. Stavolta non si sarebbe dato per vinto. Sapeva che ora, il contratto sarebbe stato in bella mostra e che avrebbe soltanto dovuto cercare la persona che lo portava inciso nella pelle.

Dita di cenere intanto guardava la carrozza passare attraverso il cancello della casa in cui aveva passato gli ultimi anni, con il cuore in gola per la corsa, ma soprattutto per la pena che lasciare il principe gli aveva procurato. Si disse ancora che era soltanto perché aveva notato che la salute del signorino era a rischio ed era suo dovere, come espresso nel contratto, di prendersi cura di lui e di evitare la sua morte in tutti i modi. Non appena entrati, la carrozza sparì, così come i suoi abiti e unico ricordo di quello che aveva avuto per quella notte era il guanto bianco che gli era rimasto. Trovò nella sua stanza ad aspettarlo la giovane strega che abbassò il cappuccio, rivelando un volto pallidissimo e bello.
“ Sebastian, dunque l'hai incontrato e lui ti ha riconosciuto.”

“ Si, è successo. Eppure non capisco.”

“ So cosa c'è nel tuo animo, so che hai scoperto da poco di avere un cuore, ma non lasciare che questa occasione ti sfumi tra le dita. Proprio ora il ragazzo sta cercando di convincere il padre a partire per cercarti in ogni angolo del regno. Ha già da tempo accettato che non può esistere Ciel senza Sebastian e fidati di me, è stato male abbastanza da potersi permettere il lusso di capirlo. Ha sofferto indicibilmente da quando sei sparito perché non riusciva neppure a sentire se eri vivo o morto, ma lo conosci ha un carattere impossibile, per questo pur di non mostrare la sua debolezza ha iniziato a partecipare alle feste che tanto odia e a bere vino pur di non sentire la tristezza. Ti ha trovato e ti ha perso tutto nell'arco di pochi istanti. Potrete tornare a casa una volta che entrambi avrete terminato questa storia, ma se sceglierete di dimenticare tutta l'esperienza, ricorderete il vostro percorso, i vostri sentimenti diventare più forti. Il degno finale di questa fiaba è il principe che trova l'amato e lo bacia. Preparati a questo e decidi se preferisci tenere alto il tuo orgoglio e imprigionare entrambi in un mondo di sofferenza o metterlo da parte e rendervi felici.” la ragazza si mise seduta e il giovane dita di cenere si stese, senza per altro riuscire a riposare. La notte fu terribile anche per il giovane erede che senza riuscire a chiudere occhio si era recato dal padre e l'aveva svegliato scuotendolo piano: “ Padre devo parlarvi”
“ Figlio mio, è tardi cosa mai dovrai dirmi di così importante da non poter aspettare il mattino”
“ Padre lasciate che io prenda delle guardie e un cavallo, devo andare a cercare una persona”
“ Ti riferisci forse al giovane della festa? Non fare quell'espressione sorpresa, ragazzo mio, so che te ne sei innamorato follemente, lo leggo nel tuo sguardo e nel modo in cui ti stai comportando. Se non riesci proprio ad attendere o a prendere sonno, parti con la mia benedizione tutti gli uomini che vuoi. Il regno è vasto, dovrai trovare un modo efficiente per perlustrare tutto il territorio.”
“ Mi inventerò qualcosa, vi ringrazio molto” baciò in segno di deferenza la mano del padre e poi si infilò la corona, prese la spada e si avvolse nel lungo mantello, radunò gli uomini e salito in fretta e furia sul primo cavallo che lo stalliere assonnato gli fece trovare sellato e partì. Dal momento in cui sorse il sole, il giovane non si fermò un attimo neppure per mangiare o per bere e bussò a tutte le case cercando il giovane a cui stesse quel guanto e che ne fosse sprovvisto. Arrivò infine a casa di dita di cenere. La matrigna tutta eccitata, corse a svegliare le sue pigre figlie. "Non abbiamo un minuto da perdere" gridò. "C'è la possibilità che una di voi diventi la sposa del principe, se riuscirà a calzare un guanto" e le mandò giù di corsa dal principe in persina, con la raccomandazione "Non deludetemi"! Poi seguì Dita di cenere, che era andata in camera sua per rendersi presentabile al nobile e la chiuse dentro a chiave. Nessun'altro doveva poter approfittare di un'occasione tanto fortunata. Quando Dita di cenere udì lo scatto della serratura, capì, troppo tardi, cos'era accaduto. "Per favore fatemi uscire." chiese con rabbia girando inutilmente la maniglia. La matrigna si mise in tasca la chiave e se ne andò sogghignando. Non si accorse però che due topolini la seguivano, senza mai perdere di vista la tasca in cui aveva messo la chiave. Nel frattempo Anastasia e Genoveffa stavano discutendo sopra il soffice guanto e ciascuna affermava che era sua. La matrigna le osservò con attenzione mentre cercavano senza successo di far entrare le loro manone nel piccolo guanto. Non si accorsero che i due topolini le sfilavano silenziosamente la chiave dalla tasca e se la portavano via. Il principe riprese il guanto alle due sorellastre immusonite e si avviò alla porta per andare nella casa seguente, quando dita di cenere, chiamò dalle scale: "Per favore Vostra Grazia, aspettate! Posso provare il guanto?" La matrigna tentò di sbarrargli il passo. "E' solo Dita di cenere, il nostro sevo." disse al principe, ma egli la spinse di lato. Da quando Sebastian aveva sceso le scale con il suo solito fare elegante e sensuale, Ciel non aveva saputo spostare lo sguardo da lui neppure per un istante e aveva spinto da parte le ragazze che lo guardavano confuse.

“ Sebastian” fu l'unica cosa che l'udito finissimo del demone riuscì a captare, un sussurro quasi inesistente, ma per il giovane maggiordomo fu abbastanza. Con il suo solito, vecchio sorrisetto, nella sua tenuta di stracci, con il viso e le mani sporche di cenere si inginocchiò davanti al giovane principe e poi con la mano marchiata poggiata sul petto disse: “ Signorino, perdonatemi per il mio comportamento, non sono degno di essere il maggiordomo del casato Phantomhive, vi ho fatto attendere a lungo”

“ La tua mano, Sebastian. Porgimi la mano” disse Ciel ritrovando un po' di voce e facendo qualche passo avanti.

“ Si, bocchan” bastarono queste due parole a mozzare il respiro al giovane che rimase a guardarlo, finché il demone non tese la mano e il giovane rampollo non poté calzargli il guanto che, com'era prevedibile, si infilò alla perfezione. A quel punto le tre donne osservarono scioccate il principe inginocchiarsi davanti a Dita di cenere e dire queste parole: “ Sei rimasto a lavorare in questa casa per tutto questo tempo invece di venire a palazzo da me? Che demone poco intraprendente.” ma gli occhi e i gesti di Ciel dicevano tutta un altra cosa. Nessuno osava muoversi, mentre il principe alzava la mano e accarezzava il viso del suo diavolo, togliendo la cenere con una carezza. “ Mi sei mancato, tu e la tua ossessione per i gatti, persino la mia allergia. Ti ho dato l'ordine di non lasciare più il mio fianco e di rimanere con me, l'hai già dimenticato?” spostò in avanti il busto e sussurrò all'orecchio del demone: “ Mai avrei immaginato che sarebbe andata in questo modo, ma ti amo Sebastian e penso sia meglio che io smetta di mentire a me stesso in proposito.” l'uomo lo guardò tirarsi indietro e rivolgergli un occhiata: “ Ora la scelta spetta a te”
Il momento della verità era giunto e anche se non avrebbe dovuto, fece quello che desiderava più di tutto il resto e rispose con un semplice: “ Anche io” Ciel conosceva il suo carattere e sapeva che non avrebbe mai ottenuto di più, ma per lui quello era più che sufficiente, perché chiuse gli occhi e poggiò le labbra su quelle dell'uomo, mentre con una mano si sfilava la benda, per guardarlo con entrambi gli occhi, uno azzurro come il cielo, l'altro marchiato dalle profondità dell'inferno. Nell'istante in cui le loro labbra si sfiorarono, il marchio iniziò a bruciare, senza dare loro dolore e una sensazione di calore li pervase, come se entrambe le metà della stessa medaglia fossero grate per essersi nuovamente riunite.

La strega apparve alle spalle di Sebastian sorridendo e quello che sembrava un portale si aprì davanti ai due giovani.

“ È il momento di tornare a casa” disse loro e Sebastian prese in braccio il suo giovane signore, il suo giovane amore mentre questi gli passava le braccia attorno al collo e appoggiava la bella chioma sul suo petto.

“ Andiamo, Sebastian”
“ Si, my lord”.

Con un passo entrambi furono di nuovo nel loro mondo, ricordando però tutto quel che era successo nel vecchio e confortandosi con il pensiero che non si sarebbero lasciati per nessuna ragione al mondo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3666294