Los Angeles - Gli Angeli Caduti

di ArtistaMaeda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: L'infiltrata ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: La pistola p.I ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Si svegliò di soprassalto disturbata da una turbolenza passeggera.

“Tutto bene, Lyn?”

La bambina annuì.

“Dove vai?”

Mamma non era molto contenta che Lyn se ne andasse in giro per l’aereo da sola.

“Lasciala andare, mamma! Dove vuoi che vada?”

“Alex, tesoro, ma l’aereo è grande, se si perde?”

“Non mi perdo, mamma! È la terza volta che fo la cabina avanti indietro per intero…”

“Tu cosa?”

Non restò lì a sentirla, la scavalcò, e poi ringraziò quel galante di suo fratello che la lasciava passare, e si avviò per il corridoio di sinistra.

“Non andare troppo lontano!”

“Mamma!”

Osservò le innumerevoli facce della gente, ogni fila 10 posti, due corridoio, e l’aereo era quasi pieno, claustrofobico. Ma la gente dormiva, le luci soffuse, fuori dai finestrini il buio. Quando fu davanti alla porta della toilette, sentì il campanellino delle cinture, e notò che i segnali di allacciarsi le cinture si erano effettivamente accesi sul pannello sopra ogni sedile, accanto ai segnali perennemente accesi di non fumare. Con un sospiro decise di aprire comunque la porta della toilette, e incrociò lo sguardo con una stewardess che si era da poco alzata e camminava sul corridoio. Subito si chiuse nella toilette e girò la serratura.

La stewardess arrivò alla porta e cominciò a bussare delicatamente, tenendosi alla maniglia ed alla parete mentre veniva sballottolata dalle turbolenze crescenti.

“Piccola? Sei nel bagno? Fai svelta che devi tornare seduta, il segnale di allacciare le cinture è acceso, okay?”

Il tono molto gentile e calmo, ma la faccia preoccupata. Una sua collega arrivò al suo fianco, tenendosi anche lei alla parete.

“Mandala a posto. Il comandante ha detto che ci sarà da ballare. Lo sai che quando dicono così non si scherza”

Lo dice con il sorriso, ma gli occhi preoccupati. Quella gentile annuisce e sorride timidamente, e l’altra si avvia a esaminare ogni fila che i passeggeri si stiano allacciando le cinture, svegliando chi dorme.

“Bambina?”

Lyn aprì la porta con cautela, anche lei dovendosi tenere.

“Hai finito?”

Lyn annuì.

“Bene, ti accompagno!” disse la stewardess, tendendole la mano. Lyn l’accetto e si fece accompagnare al proprio posto.

“Lyn! Siediti subito, che il comandante ha acceso il segnale delle cinture. Visto? Che ti avevo detto?”

“Mamma! Per favore!” protesta Alex, stufo della madre. Mamma sbircia Papà, che ancora dormiva, e viene svegliato ora dall’altra stewardess.

“Tom! Dì qualcosa ai tuoi figli! Non vogliono ascoltare”

“Ehm? Che?” Papà non aveva la più pallida idea di cosa parlasse, si limitò ad allacciarsi la cintura come ripeteva l’insistente stewardess.

Lyn riprese posto e si allacciò la sua cintura, e poi osservò fuori dal finestrino le ali che traballavano nella turbolenta aria un velo sopra una cappa di nuvole. La luce della luna le permetteva di vedere che le nuvole si estendevano piatte per un’infinità, tutto il mondo era coperto, e ogni tanto quel mondo là sotto si illuminava di saette.

“Ma è un temporale?” chiese Lyn a Mamma, e poi, ripensandoci, allungò lo sguardo ad Alex e ripeté la domanda, tanto Mamma era comunque impegnata a parlare con Papà.

“Sì, sembra di sì. Non aver paura. Questi aerei ci possono volare dentro ai temporali”

“Sì, lo so, Alex. Però, siamo sopra all’oceano, no?”

“Sì, dovremmo essere vicino alle Hawaii, forse”

Lyn si appiccica di nuovo al finestrino, appannandolo con il suo alito. Sperava forse di scorgere le isole Hawaii in mezzo al mare grigio di nuvole.

“Ma quando dici ‘vicino’, in termini di aerei, parli di…”

“Centinaia di miglia, sì. Lo so”

Lyn, preoccupata, sbirciò il fratello, che gli sorrideva insicuro, e poi tornò a fissare fuori dal finestrino. Disegnò un cuoricino sul vetro appannato. Poi, mentre rimuginava sulla sua immagine riflessa…

 

BOOM!

 

Un tornado improvviso in cabina. Le urla. La bocca spalancata di Lyn che cerca disperatamente aria, e non trovandola, si porta le mani al collo e…

 

“Ah!”

“Tutto bene, Lyn?”

Seby è lì accanto a lei, sul sedile dell’autobus, non è più piccina, è di nuovo sé stessa, ha di nuovo i suoi 16 anni e sorride nel rivedere la faccia del suo coetaneo.

“Soliti sogni?”

Lyn annuisce, diventando seria e chiusa. Seby capisce l’andazzo e tace fino alla loro fermata. Poi si alzano e scendono. Il bus riparte e loro sbarcano davanti ad un 7-11. Nel negozio, sempre aperto anche a queste ore tarde, Lyn nota il negoziante, un tipo di carnagione scura, fattezze indiane, e di una certa età, leggere una rivista adocchiando di tanto in tanto gli scaffali alimentari.

“Stasera c’è il capo” dice Lyn.

“E vabbeh, che ti frega”

“Come che mi frega? Quello c’ha la chiave del cassetto”

“Quello del Remington?”

“Sì. Quell’arnese ti fa un buco nel petto che ci puoi guardare attraverso”

“Ma vabbeh, anche quando c’è il figlio c’ha le chiavi”

“Sì, ma il figlio non lo sa usare, Seby, il padre sì”

“Eh vabbeh, il vecchio non ce la fa in tempo ad aprire il cassetto, te lo posso assicurare”

Seby sfila gli occhiali da sole dal taschino della camicia e li indossa. Poi Lyn fa lo stesso.

“Siamo pronti” dice Seby, e fa strada all’interno.

Il negoziante li riconosce subito e comincia ad agitarsi.

“No, no! Fuori!”

“E dai, amico!” protesta sarcasticamente Seby.

“No, no! Fuori! Voi fuori!”

“Ma vogliamo comprare roba da te, amico! Siamo clienti!”

“No, voi ruba, io mi è stancato ora. Voi va via subito, non causa problemi, io non chiama polizia”

Intanto Seby si dilegua tra gli scaffali e comincia a sgraffignare fumetti vari e infilarli nelle tasche interne del cappotto. Lyn fa finta di niente e s’infila tra gli scaffali delle caramelle e comincia a intascare dolciumi. Il negoziante si altera e abbandona il bancone per andare a braccare i giovani delinqenti.

“Ora voi fa incavolare me, ora io manda via”

“Dai ciccio, sto scegliendo un fumetto… Oh Lyn, guarda, papa ciccio ha preso i nuovi manga!”

Lyn si sente presa in causa e abbandona lo scaffale dolciumi con le mani sporche di zucchero e si avvia a quello dei fumetti.

“Voi va via o io chiama polizia”

“Dai ciccio, stai calmino!”

Seby tiene calmo l’uomo mentre Lyn esamina le nuove uscite. Si carezza una delle due code di cavallo che ha, ugendosi i capelli con l’appiccicaticcio delle caramelle.

“Uuuuh, c’è Bleach, Death Note, c’è pure Full Metal Alchemist”

“Papaciccio! Ti sei aggiornato!”

“Voi va via ora!”

L’uomo diventa isterico, e alza la voce, chiaramente arrabbiato adesso. Seby si volta a guardare Lyn e le lancia un segnale semplicemente sgranando per un attimo gli occhi. Lyn lo capisce e si mette sull’attenti, e risponde con un sorriso complice.

“Ora io arrabbia! Voi va via prima che io chiama polizia!”

L’uomo si avvia di nuovo al bancone e Seby s’intasca un volume ciascuno dei tre manga nominati da Lyn e poi prende un volume di Spider Man e lo porta alla cassa per pagare. Tira fuori i soldi e li mette sul bancone mentre l’uomo è intento a comporre un numero. Ma si ferma con la cornetta in mano a guardare la faccia da schiaffi di Seby.

“Voi ragazzi siete proprio delinquenti. Voi perde tempo e rovina vita. Qua noi lavora tutto giorno e voi arriva e prende in giro. Va a casa da vostra madre”

“Seby, quale madre? Quale casa?” ridacchia Seby, adocchiando Lyn che dopo aver intascato un paio di barrette di cioccolato, arriva anche lei al bancone.

“Io non ho colpa se voi orfani. Io aiuta, ma voi non prende in giro”

“Non ti prendiamo in giro, papaciccio, vedi? Questo te lo pago!”

Seby posa la mano sul volume di Spider Man. In quel momento dalla porta entra una donna con il caschetto biondo e la faccia fin troppo seria per la sua bellezza sobria. Corporatura robusta e vestiario casual, si fa i fatti propri adocchiando il primo scaffale delle bibite gassate, ma poi incrocia lo sguardo già sgranato di Lyn e la riconosce. Lyn distoglie lo sguardo e interpella Seby con una gomitata. Lui si volta a guardarla ancora con il sorriso, e lei, con un semplice e furtivo gesto della testa, lo porta a far caso alla donna appena entrata. Lui diventa serio e annuisce discretamente. Lyn ha il cuore in gola, non sembra aver più voglia di bighellonare, e tiene d’occhio la donna che, notando lo stato alterato del negoziante, procede in aiuto dello stesso avvicinandosi al bancone. Lyn dà un’altra gomitata a Seby.

“Dai papaciccio, accetta ‘sti soldi su”

“No, tu paga per tutto”

“Va bene va bene”

Lyn intanto nota che la donna si è accostata al bancone vicino a loro, compromettendo la loro via di fuga verso l’uscita. Lyn mette l’occhio sullo scaffaletto degli articoli del checkout, unica barriera che la separa dalla donna. In quel momento Seby mette le mani in tasca ma quando le tira fuori, anziché mettere soldi sul bancone, afferra lo scaffalino che affolla il bancone di cianfrusaglie dell’ultimo minuto e lo scaraventa contro l’uomo. Si gira di scatto verso Lyn e le fa:

“Vai!”

Lei rimane folgorata a guardarlo per un momento. Si sente spingere da lui, così si volta e si ritrova la donna già in posizione di placcaggio. Di prontezza, afferra lo scaffale del checkout e lo spinge addosso alla donna, rovesciandole tutti prodotti del checkout tra gomme da masticare, bottigliette gasate e cioccolata varia. In un lampo i due adolescenti sono alla porta e sgattaiolano fuori, poco dopo seguiti dalla donna che li rincorre a grandi falcate. Seby è esilarato, mentre Lyn corre a più non posso impaurita. Seby esulta. Si sta proprio divertendo. Lyn gli grida dietro.

“Ma cosa ti ridi, stronzo!”

Ma poi si lascia andare alle risate anche lei.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: L'infiltrata ***


Arriva al bancone.

“Una Corona!” dice al barista quando gli passa davanti.

“Eh?”

Il barista lo squadra. È un bel ragazzo, bicipiti ben in vista fuori dalla cannottiera, una croce al petto, biondo, occhi verdi, ma i lineamenti del volto un po’ infantili.

“Documenti?”

Il ragazzo protesta con un sorriso bonaccione.

“Maddai! Ho 22 anni!”

Il barista non cede, quindi il ragazzo tira fuori il portafogli e cerca la patente.

“Senti…” inizia, abbassando la voce ma non troppo, perché la musica del gruppo che suona dal vivo copre i rumori.

“Sto cercando Georgia Sykes…”

Mostra la patente al barista che improvvisamente non ne è più interessato. Ignora un altro cliente lì accanto che alza la mano per richiamare la sua attenzione e si rigira uno stuzzicadenti tra i denti.

“Sei quel ragazzo… Ty?”

“Tyler”

“Ty!”

“Sì, okay, sono Ty. Dov’è Georgia?”

Il barista ammicca un mezzo sorriso sarcastico e allunga lo sguardo verso la sala, il gruppo che suona live e la gente che balla divertendosi. Ty si gira a guardare e poi torna sul barista con aria scettica.

“È lei?”

Il barista annuisce con un sorriso. Se la sta spassando.

“Perché non le chiedi l’autografo ahahah!”

 

A concerto finito, Ty ha l’aria di chi ha bevuto una Corona di troppo ed è stufo di starsene al bancone. La sala si è svuotata e sono rimasti solo ubriaconi e roadie del gruppo musicale. Una di questi si ferma al bancone. Ha un gran sorriso soddisfatto, gronda di sudore dalla fronte, ed ha la camicietta fradicia, lasciando intravedere il reggiseno rosso al di sotto. Una catenina sobbalza sul petto sorreggendo un piccolo portafoto d’oro. Ha i capelli arruffati, bionda anche lei. Si ferma al bancone e bercia contro il barista con una certa confidenza.

“Hey Morty!”

Questo sta riempiendo il frigo di bevande e si gira salutandola con un sorriso. Interrompe il lavoro e raggiunge lei e Ty al bancone.

“Lo so che stai chiudendo, ma me lo faresti uno White Russian? Non me ne posso andare troppo sobria”

“Ahahaha, tesoro… Giusto perché m’hai riempito il locale stasera, ti faccio tutti i drink che vuoi”

La ragazza adocchia Ty incuriosita e subito esordisce.

“E un qualsiasi per lui”

Morty il barista si gira anche lui a guardare Ty e attende.

“Ehm!”

Ty non sa che dire.

“Avanti!” lo sprona la ragazza. Spigliata.

“Ehm… Anche io uno White Russian!”

“Ottima scelta. Diventerà il tuo cocktail preferito, te lo prometto” dice lei. Poi si volta a guardare Morty.

“Se ti reggi ancora in piedi una volta fuori di qui”

E se la ride con Morty.

Arrivati i drinks, Morty cade dalle nuvole.

“Ah, già. Gigi, questo è Ty”

Gigi si gira a guardare Ty con interesse mentre sorseggia lo strato di panna sbattuta dal calice.

“Vi lascio soli, tanto ho da fare” dice Morty.

“Grazie caro” risponde Gigi, e poi torna su Ty.

“Allora! Mamma mia, sembri un dodicenne…

“Non sono un dodicenne!”

“Lo so! Ma mi sembri… Va beh. Quindi vuoi usufruire dei miei servizi…”

“Voglio solo la pistola. Nient’altro!”

“Sei nervoso!”

Gigi è calma e ancora eccitata dal concerto. Ty infatti è agitato e impacciato.

“Hai mai sparato prima?”

Certo!”

“Ehi, non ti offendere! Non ho mica detto che sei un pivellino…”

“Ma secondo te perché vorrei una pistola se non avessi mai sparato?”

“Non ti credere! Molti vengono proprio da me a prendere le loro prime armi”

Un bel sorsone, così che il liquido scuro sotto la coltre bianca possa scendere in gola e fare il suo effetto infernale. La panna poi le lascia le labbra imbiancate e se le lecca fino a ripulirle per bene. Ty suda paonazzo dall’imbarazzo. Cait riprende.

“Ma io non gliele vendo. Non voglio essere responsabile di irresponsabili. Dove hai imparato a sparare?”

“Ehm… Al poligono, con mio padre. Ho il porto d’armi”

“Ti devo credere?”

“Puoi benissimo non farlo. E allora ce ne andremo a casa a mani vuote.”

“Che caratterino!”

“È stata un’idea stupida… Addio!”

Ty dà le spalle a Gigi e fa per andarsene. Lei gli posa una mano sulla spalla e lo trattiene.

“Aspetta! Mamma mia, non hai spirito per niente. Sto solo cercando di conoscerti”

Lui gira la testa e la guarda da sopra la spalla con la faccia da Terminator.

“Che senso ha conoscermi? Ti vuoi mettere con me?”

Gigi scoppia a ridere dovendosi pure tenere la pancia. Mette in imbarazzo Ty, che però si calma, si gira, e si appoggia di nuovo al bancone. Cait smette di ridere ma lo guarda sorridente e cerca di essere accogliente e tirarlo su. Dice:

“Dai, bevi!”

Ty acconsente e si concede un sorso. Assaggia solo la panna sbattuta e posa il calice sul bancone. Si lecca via la panna dalle labbra, e sente Gigi ridere.

“No! Devi arrivare alla parte di Black del White Russian, se no che gusto c’è?”

“Eh, ma se dovevo bere la parte “black” allora lo chiamavano Black Russian, no?”

“Ma infatti esiste il Black Russian. È lo stesso drink senza la panna. Questo ha la panna perché va bevuto insieme. C’è chi lo fa mischiandoci il latte, ma non la sopporto quella versione. Ovunque vo, se è un posto nuovo e non mi conoscono, imparano subito a conoscermi se ordino il White Russian, perché glielo devo spiegare che lo voglio con lo strato di panna sbattuta”

“Sei parecchio lavoro!” commenta Ty, e Gigi ride di nuovo. Poi torna seria.

“Allora, Ty. Vedo che sei ansioso di arrivare al punto”

Ty si zittisce.

“Ho tutto in macchina. Tu hai i soldi?”

Ty annuisce, e allunga lo sguardo a Morty che sta spegnendo sistematicamente le luci, pronto a chiudere. Ty tira fuori il telefono allora, e nota l’orario: 04:25 AM. Sgrana gli occhi. Cait esordisce allegramente.

“Bene, allora usciamo! Tanto Morty sta chiudendo. Finiamo prima di bere! Alla goccia!”

Gigi porta il calice alle labbra e lo trattiene, aspettando che Ty la imiti.

“Pronto?”

Al via, mandano giù il cocktail a grandi sorsate. Gigi lo stomaca a dovere, prendendosi qualche momento per digerire il bruciore. Ty invece tossisce come se si fosse intossicato con uno spinello. Gigi si mette a ridere, poi si fa passare da Morty un lungo cappotto che indossa, e accompagna Ty sottobraccio fuori dal locale.

Nel retro è relativamente tranquillo. C’è un piccolo parcheggio quasi vuoto. Gigi si ferma davanti a una Chevrolet Cavalier nera del 2001 con il tettuccio rovinato dal sole. La sera è fresca e Ty si stringe nelle spalle, attirando l’attenzione di Gigi, che subito si preoccupa per lui.

“Non hai freddo?”

“No”

“Okay.”

“È la tua macchina?”

“Sì”

Gigi tira fuori le chiavi dalla tasca del cappotto e sblocca la serratura del bagagliaio. Poi si gira e poggia il sedere contro quest’ultimo per parlare ancora a Ty.

“Ultima domanda. La più importante”

Ty fa una smorfia socciata.

“Tranquillo. La faccio a tutti”

Ty sospira. Gigi diventa seria.

“Perché hai bisogno di una Colt Python tre e cinquantasette?”

Ty viene colto di sorpresa, non sa come rispondere. Gigi allora continua.

“Autodifesa?”

“Sì” risponde secco lui.

Gigi annuisce riflettendo. Poi, sarcasticamente, continua.

“Se mi avessi chiesto una Smith and Wesson trentotto special… Probabilmente non te l’avrei neanche fatta questa domanda. Ma il pistolone che mi hai chiesto… Serve per ammazzare qualcuno. Serve per mandare un messaggio. Del tipo: ‘Non mi rompete i coglioni’”

Ty prende fiato, si sta per alterare.

“Sono affari miei se voglio una 3 e 57! Cosa te ne viene a te?”

Gigi strizza gli occhi per l’alitata di alcol in faccia di Ty.

“Me ne viene che, come ti ho già detto, non mi prendo la responsabilità di irresponsabili. Se dopo averti venduto questo cannone vengo a sapere che hai stecchito un nero a Compton in una sparatoria, io ti vengo a cercare e ti faccio fuori. Non è così che faccio affari, io”

“La fottuta suora dei buoni valori…”

Gigi si stacca dalla macchina e afferra Ty per la cannottiera. L’energia della ragazza è tale da sorprendere Ty che si fa sballottolare. Cait gli abbaia contro.

“Faresti meglio a portare rispetto!”

Lo fissa per un po', seria e minacciosa, fino a che Ty, se pur sudando, si abbandona ad un sorriso sottomesso, allora lo lascia. Si gira e apre il portabagagli.

“Queste strade non perdonano. Io ne so qualcosa. Tu sembri nuovo. Non di qui.”

Gigi sta cercando tra le cianfrusaglie. Ha persino una borsa della spesa lì dentro.

“Sì, beh, sono del Colorado”

“Beh, questo non è il Colorado, Buffalo Bill! Se vai in giro con un cannone credendoti il re della città, tempo zero giri l’angolo e ti ritrovi circondato da venti Buffalo Bills locali armati di cannoni più grossi. Perciò…”

“Ho capito. Puoi adesso per piacere vendermi quell’affare?”

Gigi sospira. Però sorride.

“La tua determinazione mi sta simpatica”

Torna diritta e si gira, con in mano una busta di carta marrone, come quella che si prende al panificio. La tiene da sotto perché pesa.

“C’è anche una scatola di cartucce, per i tuoi bisogni del tutto innocui e deterrenti. Ma voglio sapere a che ti serve”

Ty è esasperato. Prova ad afferrare la busta ma Gigi si ritrae sorridendo come una bambina dispettosa. Ty butta gli occhi al cielo e si arrende.

“Mi devo proteggere da una persona che mi dà la caccia”

“Non sarà mica un poliziotto corrotto al quale devi soldi…?”

Che? No!”

“Ah bene. Perché da queste parti ce ne sono parecchi di casi del genere. Da chi ti devi proteggere?”

Ty tace.

“Argomento delicato, eh? Scommetto che è una questione di famiglia…”

Alle parole ironiche di Gigi, Ty alza lo sguardo e la fulmina. Gigi capisce di aver fatto centro e allenta la presa. Passa la busta a Ty che ne sente il peso e stringe meglio la presa, e poi s’infila la mano in tasca e tira fuori una mazzetta legata da un elastico. Gigi non la accetta subito, ridendoci prima su. Poi la intasca e stringe la mano a Ty.

“Vedi di non farti un buco in un occhio per ispezionarla. Ricorda… La sicurezza prima di tutto!”

Ty la guarda a occhi stretti, non capendo se parla con ironia o cosa. Poi fa per andarsene.

“Ehi! Sei proprio scorbutico!”

Ty si gira e la aspetta. Lei lo raggiunge e gli posa la mano sulla spalla. Abbassa anche la voce.

“Ascolta… Voglio darti un consiglio, perché mi sembri un bravo ragazzo che deve affrontare cose grosse…”

“Tu non mi conosci!”

“Lasciami parlare!”

Ty sospira ma la lascia parlare.

“Quando sentirai l’impulso di premere il grilletto, ricorda due cose:

Uno. Se arrivi a quel punto allora non ci devi neanche pensare. Lo devi fare e basta, perché esitare equivale a morire.

Due. Il tuo obiettivo non dev’essere arrivare a quel punto ma evitarlo a tutti i costi. Questa è la differenza tra autodifesa e fare il sicario. Tutto chiaro?”

Ty annuisce.

“Ricorda sempre questo. È in nostro pieno diritto difenderci. E capisco che hai scelto la via occulta per prenderti quel cannone perché sei già abbastanza sicuro che dovrai usarla. Ma ricordati che puoi evitare quel momento. Esiste la fuga. Esiste la ragione. Usa la testa.”

Ty ascolta pazientemente, ma non molto convinto.

“E se tutto fallisce, allora torna al punto uno

Gigi ridacchia e coinvolge Ty. Si fanno una risata insieme, poi si salutano e Gigi torna alla macchina. Sistema il contenuto del bagagliaio, facendo attenzione a coprire una valigetta nera di metallo con il cappotto e la borsa della spesa. Chiude il bagagliaio.

 

Riapre il bagagliaio.

È giorno da un po'. Il sole è inebriante. È un quartiere residenziale, ma le auto non mancano, così come non mancano gli aerei in fila per l’atterraggio, uno dopo l’altro. I residenti ci sono abituati, non ci fanno caso. Gigi veste adesso un tailleur blu e una gonna nera, e scarpe con tacco, sembra una stewardess generica. Ha i capelli sistemati ed è gradevolmente truccata. Tira fuori la borsa della spesa e ignora il bambino che fa capolino per sbirciare la spesa, passando la busta invece all’adolescente lì accanto, dai capelli castani contenuti in due code di cavallo. La ragazzina afferra la busta con cura e si avvia serviziosamente in casa. Il bambino la segue come un cagnolino.

“Grazie Lyn!” bercia Gigi, che poi emerge di nuovo la faccia nell’ombra del bagagliaio per sistemare la roba e in special modo la valigetta.

“Cait?”

La voce di Lyn riporta Gigi alla realtà, e subito riemerge dal bagagliaio.

“Dimmi, cara…”

“Non per farmi gli affari vostri, eh! Ma la spesa non basta per la settimana…”

Gigi, che si fa chiamare Cait, sorride teneramente, anche se si vede che ha fretta dai movimenti nervosi. Si sposta dal bagagliaio e fronteggia Lyn che le si ferma davanti, con il bambino appresso.

“No, infatti è solo per oggi. Ti scoccia rimanere fino a stasera? Se hai da studiare o pensavi di uscire lo capisco, chiedo a Terry”

No! No, no, no, nessun problema!”

“Sicura?”

“Sì, Cait, sicura” Lyn adesso è nervosa, ma la butta sul sarcasmo.

“Se pure avessi degli impegni, da studiare, o un appuntamento galante con il mio attore preferito… Preferisco i soldi”

Cait ride e Lyn ridacchia in maniera imbarazzata. Cait le carezza la testa e poi carezza la guancia del bambino, che le assomiglia.

“Ti pago extra. Capisco che stare il doppio del tempo a sopportare Kyle sarà un’impresa al quanto ardua

“Non c’è bisogno, Cait, non mi dispiace stare con lui davvero! Non c’è bisogno che mi paghi di più”

Kyle alterna lo sguardo tra le due, sentendosi in qualche maniera offeso da come parlano di lui, le due oche.

“Ma come… Pensavo che ti interessassero i soldi…” ammica un sorriso malizioso, Cait.

“Beh, sì…” risponde titubantemente Lyn.

“Allora affare fatto!”

“Grazie, Cait! Vedrai, cucinerò la pizza. No! Le lasagne! Ho una ricetta italiana che ho preso da zia Betty. Anzi, no, faccio il curry di pollo… Che preferisci, Cait?”

Cait estrae dal bagagliaio un’altra borsa di plastica, marcata Toys R us che sembra contenere una scatola delle dimensioni di un palmo. Niente di eccezionale, ma sufficiente ad attirare l’attenzione e l’obbedienza di Kyle.

“Non ci sarò a cena. Mangiate quello che volete, ho preso il petto di pollo e le piadine se volte farvi i burrito, oppure il macinato e i panini se preferite gli hamburger”

“Sì, ho visto” risponde sorridente Lyn.

“E usa questo come leva. Se fa il bravo a fine giornata glielo dai, se no, no”

Cait passa la busta di ToysRus a Lyn ed entrambe le oche ignorano il bambino. Poi Cait carezza la spalla di Lyn, abbraccia Kyle, e li osserva rientrare in casa. A quel punto torna a immergere la faccia nell’ombra del bagagliaio, controlla la valigetta, e chiude il bagagliaio.

 

Riapre il bagagliaio e tira fuori la valigetta. In centro il traffico è sostenuto e sono più vicini all’aeroporto, a giudicare dal frastuono. Cait lascia il parcheggio, portandosi dietro la valigetta e una valigia a rotelle che le si addice se vuole imbarcarsi a fare la stweardess, ma invece s’imbarca in un albergo a 4 stelle. Alla reception mostra il passaporto alla receptionist che con un grande sorriso confidente le affida la chiave della sua stanza.

“Buona giornata, miss Sykes”

“Grazie Fiona”

Cait, che adesso si spaccia di nuovo per Georgia Sykes, saluta caldamente la receptionist e prende l’ascensore per il terzo piano. Apre la porta della stanza 315 e si chiude a chiave dentro. Dimentica la valigia a rotelle in un angolo e si toglie la giacca che posa sul letto. Si toglie le scarpe e si ferma a qualche passo dal grande finestrone che si affaccia sul complesso di alberghi e clubs dell’isolato. Con cura si tira su la gonna di qualche centimentro così da potersi inginocchiare, e posa la valigetta davanti a sé. Occhi sul metallo. Occhi vispi, seri, determinati, concentrati, non esiste più Kyle, Lyn, spesa, la macchina, Ty, Morty, non esiste più niente, tutto cancellato dalla memoria per concentrarsi su quest’attimo cruciale. Dentro il fuoco, fuori il ghiaccio. La combinazione scatta, la serratura cede, e la valigetta è aperta. Da essa tira fuori pezzo dopo pezzo, metallo nero, forme da sole incomprensibili, che con la sua padronanza mette insieme e ne crea una forma che pian piano diventa sempre più familiare: è un fucile di precisione.

Lo posa accanto alla valigetta e da questa tira fuori ancora un caricatore, un treppiede e una wakie-talkie munita anche di auricolari con microfono integrato. A quel punto scansa la valigetta e indossa gli auricolari. Li collega poi alla radio e la accende. La sintonizza sul canale giusto. Infila la clip della radio nella vita della gonna e sistema il filo degli auricolari oltre la spalla così da non darle fastidio. Poi monta il treppiede e lo sistema con cura in una posizione ben studiata. Ci monta sopra il fucile, infila il caricatore, tira una leva per caricarlo, e una volta finito lo lascia restare sull’impugnatura e solleva il telecomandino che ospita anche il microfono degli auricolari, preme il pulsante, e parla.

“Qui Isabelle, sono in posizione!”

Cait a questo punto ascolta le direttive tenendosi un dito premuto sull’auricolare di sinistra mentre si alza per aprire la finestra e liberarsi la linea di fuoco. Torna davanti alla postazione e questa volta si sdraia sulla pancia e imbraccia il fucile. Poggia la guancia sul calcio e guarda dentro il cannocchiale, puntando il semplice reticolo sul cortile del club dall’altro lato dell’isolato. Facendo cautamente roteare una rotellina sul cannocchiale, aggiusta la messa a fuoco e la gittata del cannocchiale stesso e può quindi riconoscere chiaramente delle persone attraverso le finestre del club, muoversi da una parte all’altra della sala. Imbraccia meglio il fucile e segue due persone specifiche, due uomini in giacca e cravatta che chiacchierano. Si fermano, poi, e si affacciano alla finestra, ancora chiacchierando animatamente. Uno ha la giacca beige e l’altro blu oceano. Beige è grasso e ha la faccia da russo ingordo e blu oceano è di corporatura robusta e ha la faccia da ex-militare serbo con tanto di cicatrice verticale. Cait resta il reticolo sul petto dell’uomo cicatrice e continua ad aggiustare le rotelline fino ad essere soddisfatta.

“Qui Isabelle. Il mirino è caldo”

Scendono lacrime di sudore dalla fronte, i capelli si appiccicano e la solleticano, e il sudore arriva pure sul fucile, fino a terra, sulla moquet beige curata e pulita. Un soffio di brezza marina mista a smog le smuove i capelli e la rabbrividisce ma lei non muove un muscolo, rimanendo con il reticolo ben assestato su quell’uomo. È ciò che vien detto nella radio che la distrae.

“Perché?”

È sorpresa, ma anche scocciata. La spiegazione non fa altro che peggiorare il suo stato d’animo. In un sospiro lascia il fucile e torna in piedi, potendosi finalmente asciugare il sudore, scostarsi la frangia dagli occhi, e sistemarsi la gonna. Dal taschino della camicia tira fuori il suo minuscolo cellulare a conchiglia. Lo apre e richiama un numero rapido. Parte la chiamata, e appena si collega, Cait prende a parlare come un treno.

“Cos’è questa storia, Michael? Ero lì, pronta, bastava una parola ed era tutto fatto. Era tutto perfetto. Non venirmi a dire che per qualche stronzata abbiamo mandato a monte un lavoro di un mese, eseguito ad hoc, perché mi fai incazzare”

“Calmati, Cait, è una situazione complicata”

“Complicata un cazzo! Bastava un attimo ed era tutto fatto. Cosa devi stare ad abortire a fare? Ti sono venute le tremarelle all’ultimo momento? Eh?”

“Cait, mi ascolti un attimo?”

Cait alla fine si calma. Passa il telefono da un orecchio all’altro e si va a sedere sul letto.

“Dobbiamo per forza rimandare. C’è stato un imprevisto. Lo vedi quel ciccione con la giacca beige?”

Cait si alza e si va di nuovo a sdraiare in posizione per imbracciare il fucile e guardare nel cannocchiale. È complicato tenere il telefono all’orecchio e lo stringe a mo di sandwich contro il calcio del fucile. Punta il reticolo sulla finestra di prima e si compiace di ritrovare i due uomini in giacca e cravatta di prima ancora intenti a chiacchierare.

“Sì”

“Beh, è un poliziotto. Infatti è il Capitano della omicidi del dodicesimo dipartimento.”

“E che ci fa al Paradise Club?”

“Non è ovvio?”

Cait sospira infastidita.

“Li stecco tutti e due”

“Cait. Non scherzare su queste cose. Piuttosto, hai sentito Tarja? Non mi riesce di raggiungerla sulla radio e ha il telefono spento”

Cait solleva un sopracciglio. Si scansa dal fucile e impugna meglio il telefono. Torna nel frattempo in piedi e cammina qua e la tra la finestra e il letto.

“L’ultima volta che l’ho sentita stava guidando verso l’Hilton”

“Anche io. Poi silenzio. In parte anche per questo ti ho richiamato. Mi puzza”

“Già…”

Cait si va a sedere sul letto. C’è una lunga pausa nella quale gioca con una ciocca dei capelli sfacendosi la pettinatura e si smangiucchia le unghie. Poi Michael sospira e trae la conclusione.

“Torna a casa. Ti richiamo io”

“Ricevuto”

Cait chiude la conchiglia e si alza dal letto. Lancia un’occhiata al fucile e poi si va ad inginocchiare come prima per smontarlo, esattamente il processo inverso.

Una volta nella lobby dell’albergo, pettinata e ripulita dal sudore, restituisce la chiave a Fiona, si fa ridare il passaporto che infila nel taschino della giacca, e si avvia fuori con le mani impegnate, come prima, a trasportare valigia a rotelle e 24 ore dal fatale contenuto.

Non appena mette piede fuori dall’albergo strizza gli occhi, accecata da un riflesso di sole. L’adrenalina entra in gioco e un momento dopo Cait molla tutto e si accovaccia, con la mano destra già dentro la giacca a tirar fuori qualcosa dal taschino interno sinistro. In quel momento la porta di vetro subito dietro di lei esplode. Non si infrange in mille pezzi, tuttavia rimane un buco ad altezza torace umano dal quale si diramano innumerevoli crepe. La gente grida di spavento ma poi torna il silenzio. Mentre Cait è concentrata e con il volto arrabbiato, le persone lì intorno si chiedono cosa sia stato a rompere la lastra di vetro.

Cait intanto torna dritta impugnando una piccola rivoltella, e con l’altra mano afferra la 24 ore e si mette a correre sul marciapiede, scansando la gente con prepotenza. Cait fa attenzione a tenere la piccola pistola ad altezza fianco per non renderla troppo visibile, e usa i gomiti come sfollagente. Lancia numerose occhiate verso le facciate dei palazzi sull’altro lato della strada, cercando qualcosa di particolare, ma nota solo finestre sobrie e ordinate, e insegne di clubs e alberghi, nulla più. E nessuna sembra essere aperta, tutte chiuse per poter usufruire al meglio dell’aria condizionata che con questo caldo è un’assoluta necessità.

Cait nota la traversa che porta al parcheggio del personale dell’albergo dal quale è uscita. È un vicolo stretto dal quale non passa il grosso della gente. Non appena si defila dal fiume di persone, però, sente il motore di un potente SUV sgasare e le sue grosse ruote da strada sgommare. Si gira già puntando l’arma, e trova il SUV in questione in traversa, fermandosi con l’aiuto del freno a mano in una nube di fumo bianco di gomma bruciata, e gli sportelli dei passeggeri si aprono quasi all’unisono. Senza esitare, Cait spara e svuota la rivoltella con i suoi 5 colpi, poi la getta, e corre via, inseguita dalle pallottole di fucili d’assalto.

Cait svincola nel parcheggio, interrompendo la linea di tiro, e così le raffiche di spari vengono cessate, in cambio di passi sostenuti verso il parcheggio. Sempre mantenendo la concentrazione, Cait raggiunge la sua Chevrolet con le chiavi già in mano, e apre il portabagagli. Ci butta dentro la valigetta e dopo aver brevemente cercato, tira fuori una borsa da palestra. Quindi richiude il bagagliaio a chiave e corre via, appena in tempo per impedire agli assalitori di avere un bersaglio statico.

Le sparano comunque contro ma le pallottole finiscono per danneggiare i veicoli nel parcheggio, inclusa la sua Chevrolet. Cait le lancia un’occhiata e si lascia andare ad un sospiro di rabbia vendicativa per qualche momento, per poi dimenticarsene e tornare a concentrarsi sulla fuga. Corre con la borsa, imbocca un passaggio di servizio che conduce alla lavanderia dell’albergo. C’è un cancelletto chiuso. Senza esitare prende la borsa con entrambe le mani e, con il dovuto sforzo, la lancia dall’altra parte. Quando atterra, la borsa si accascia pesantemente in un tonfo di roba metallica compatta. Attrezzi, armi… Ancor prima che la borsa sia per terra, lei si è già arrampicata sul cancelletto, e un attimo dopo lo scavalca, ma prima di lasciarsi andare si toglie le scarpe e le getta via. Quindi atterra sui piedi scalsi e recupera la borsa. Si guarda le spalle, sentendo i passi di mocassini avvicinarsi, e riprende la corsa nel passaggio, fino a raggiungere una porta. Prova ad aprirla ma è chiusa, perciò usa la borsa come ariete e sfonda la semplice serratura. Qualcuna all’interno grida. È una donna delle pulizie tutta in ghingheri che ha pensato di nascondersi dietro al carrello di panni che probabilmente ha spinto fino a qui nella ronda della lavanderia.

“Levati dalle palle!” le dice, con fare calmo, ma faccia intransigente.

La ragazza annuisce e si alza e scappa nel corridoio. Cait si guarda nuovamente le spalle. Due scagnozzi in giacca e cravatta hanno imboccato il passaggio e proprio adesso le mettono gli occhi addosso. Cait si automaledice e si toglie dalla linea di tiro appena in tempo per evitare la raffica di spari dei due uomini, le cui pallottole trucidano la parete opposta alla porta sfondata da Cait, spargendo schegge a ventaglio nelle immediate vicinanze. Cait sgambetta via portando con sé la borsa e coprendosi la testa con la mano libera.

Si va a nascondere dietro l’angolo, dove si apre un ampio corridoio senza finestre ma pieno di porte anonime, e apre finalmente la borsa. Ne tira fuori per prima cosa un paio di ballerine blu, che indossa più in fretta che può, e poi una pistola Beretta 92. Ha la mano intorno ad un caricatore quanto sente gridare la donna delle pulizie di poco prima, e i passi degli uomini entrare nel corridoio dietro l’angolo. Prende fiato e si dà una mossa a infilare il caricatore nella pistola. La scarrella e poi si slaccia i primi due bottoni della camicia e s’infila due caricatori nel reggiseno, uno per coppa, e abbandona la borsa per correre lungo il corridoio, fino alla porta in fondo. Quando ci arriva sente gli uomini girare l’angolo, e invece di perdere tempo ad aprire la porta, si gira prendendo posizione di tiro, e quando anche gli uomini prendono posizione trovandola in trappola, lei è già pronta a sparare con il mirino sul torace di uno dei due. Fa fuoco due volte consecutive, poi sposta di poco il mirino e fa fuoco altre due volte, il tutto in 2 secondi netti.

Rimane parzialmente sorda dai suoi spari, ma non ne sente altri, e nota gli uomini accasciarsi lentamente a terra. Nota schizzi di rosso sulle pareti in concomitanza dei due uomini, che prima non c’erano, ma lei resta concentrata su di loro, aspettando che siano a terra immobili. A quel punto s’avvia verso di loro, pistola puntata, massima cautela, e quando arriva sopra di loro, si china per accertarsi che siano morti, sentendo le pulsazioni del collo prima di uno. L’altro muove una mano e lei si solleva per metà puntandogli la pistola e fa fuoco in maniera avventata ma colpendolo alla schiena, e poi una seconda volta, colpendolo alla testa. A quel punto il pavimento e le pareti del corridoio sono da riverniciare, ma Cait non è impressionata e rimane concentrata, se pur cavalca le varie scariche di adrenalina. Con la punta della scarpa allontana uno dei due fucili d’assalto M4 e invece si accovaccia per prendere l’altro, infilando la pistola, che mette in sicura, nella vita della gonna. Estrae il caricatore dal fucile e controlla che ci siano cartucce. Solleva il fianco dell’uomo con la testa ancora integra e gli ruba un caricatore per la carabina e lo infila sull’altro fianco.

Esce dal passaggio di servizio per lo scarico rifiuti. Cammina a passo tattico con il fucile sollevato, pronta a puntarlo al primo problema. Si sentono spari lontani e le grida della gente, ma non ancora le sirene della polizia. Il vicolo alle sue spalle finisce in cieco, e avanti a sé dà sulla strada. Cait cammina ancora in maniera tattica puntando la canna sullo sprazzo di marciapiede visibile, sullo sprazzo di strada deserta. Dov’è il traffico? Bloccato dal caos? Poi il motore di un SUV si fa vicino. Cait si ferma. Pensa in fretta, poi si schiaccia contro il muro di destra e si fa parzialmente scudo con la pattumiera, ignorando il puzzo e la sporcizia.

Come prevedibile, il SUV sgomma e si ferma davanti al vicolo, bloccandone l’uscita, ed escono tre uomini armati come Cait, in giacca e cravatta. Lei li ha già sotto tiro e quindi spara colpi singoli mirati. Abbatte il primo, il passeggero davanti, con due colpi consecutivi, e quello va giù come un sacco di patate. Quello del sedile posteriore è sull’attenti e si becca un colpo di striscio quando Cait sposta la mira, ed evita il secondo colpo. Nel frattempo il passeggero dell’altro lato fa il giro, ma quando arriva al lato giusto, Cait apre il selettore dell’automatico e spara una raffica che massacra entrambi gli scagnozzi. Il guidatore, accortosi del fallito tentativo, china la testa e sparisce alla mira di Cait, che decide di uscire dalla copertura con cautela per avvicinarsi a passo tattico al SUV.

Quando è a due passi dal veicolo, nota l’uomo riemergere felinamente con una pistola mitragliatrice pronta all’uso, ma la prontezza di riflessi di Cait la porta ad avere la meglio e sparare un singolo colpo in mezzo agli occhi del malcapitato, che comunque riesce a premere il grilletto e usare la mitragliatrice. I colpi filano attorno a Cait, e uno di questi le scalfisce la coscia destra, costringendola a chinarsi in una posizione scomoda e impratica. Se la esamina a denti stretti ma ne conclude essere una ferita superficiale, e si fa coraggio, sopporta il dolore, e raggiunge il SUV. Esamina con attenzione l’abitacolo, trovandolo solamente armi e munizioni. Nel portaoggetti trova un pacco di cocaina aperto e un blocchetto per appunti impolverato. Cait si lascia andare ad uno sbuffetto ironico, poi afferra il pacco, mentre posa il fucile, allarga il buco con le dita, e poi rovescia il contenuto per terra con soddisfazione vendicativa. Quindi rimbraccia il fucile e abbandona il vicolo.

 

Un altro grosso motore…

 

Cait!”

È Tarja. La bionda armata anch’ella di M4 a bordo di un Ford pickup. Alla guida uno scagnozzo in giacca e cravatta, e lei un vestito diurno da club. Il pickup si ferma in mezzo alla strada deserta e Tarja apre lo sportello a Cait.

“C’è abbastanza posto. Sali” le dice.

Cait senza farsi pregare sale a bordo. Tarja posa il fucile nel cassone, tramite il lunotto posteriore che si apre come un finestrino. Cait invece tiene il suo poggiato fuori dal proprio finestrino, a mo di arma complementare del veicolo, e così si stringono e riescono ad entrare tutti senza ostacolare il guidatore.

“Che diavolo succede?” chiede Cait, finalmente allentando la concentrazione e concedendosi alle emozioni. Il pickup parte e prende velocità.

“Ci hanno venduto. Non è ovvio?”

“Chi? Michael?”

“Non lo so. Lo dubito”

“Anche io, allora chi?”

“Cait, ma stai bene?”

Tarja non può fare a meno di notare il sangue che cola dalla coscia di Cait.

“Sì, sì, un colpo di striscio”

“Sì, ma va tappato, se no mi muori dissanguata”

“Prima togliamoci dai guai”

Il fuoristrada imbocca la strada principale e il guidatore sgrana gli occhi e rallenta alla vista delle voltanti della polizia. Li annuncia, e Cait mette via il fucile, posandolo ai piedi del sedile. Il veicolo incrocia le volanti che procedono a tutta velocità a sirene spiegate nella direzione opposta. Nell’abitacolo cala il silenzio e sale l’ansia, ma quando le volanti sono lontane, si respira sollievo e si torna a parlare.

“Una talpa di sicuro ha parlato. Stjepan si aspettava tutto, e ci ha mandato gli scagnozzi. Barbie e Clayton sono spariti. Probabilmente li hanno sorpresi al rifugio. A me per poco non mi seccavano nel parco, in mezzo alla gente. Non hanno la minima professionalità. Hanno sparato alla cieca e hanno beccato pure gli innocenti”

“Che casino…” commenta Cait.

Lo scagnozzo guida e basta, ma ci tiene a precisare.

“Io non sono la talpa. Ho evitato un colpo alla testa perché ho visto lo stronzo allo specchietto, mentre aspettavo Tarja nel parcheggio. Non so come ho fatto, ma l’ho accoppato con lo sportello”

Le due donne ridono di gusto, si congratulano con l’autista.

“Suppongo che dopotutto i riflessi ce li ho pure io, eh?”

Basta un momento, che si gira a guardare le due donne, con il sorriso sulle labbra, per condividere il plauso, e gli esplode la faccia di rosso. La testa batte contro il poggia testa violentemente e poi rimbalza contro il volante. Le braccia perdono flessione e il volante va per conto suo. Tarja, intenta a pararsi dagli schizzi, adesso s’impegna a rubare il controllo al già cadavere dell’autista, e Cait si tiene alla maniglia e tiene ferma Tarja che altrimenti verrebbe sballottolata. In un’intensa frenata, il veicolo perde il controllo e si va a schiantare contro la barriera che separa la carreggiata dalla banchina. Il fuoristrada si cappotta più volte, fino ad accasciarsi in uno spiazzo appena fuori da un parcheggio, sotto gli occhi di tutti i passanti.

 

Quando Cait si riprende, si rende conto che il veicolo è sottosopra, e nell’abitacolo contorto le vittime sono in posizioni innaturali. Cait si dimena a denti stretti per liberarsi e, non sentendo troppo dolore, s’impegna ancora di più per uscire il prima possibile. Non appena è fuori, si gira, sulle ginocchia, e s’infila dentro di nuovo, allungando le mani verso Tarja. Nota la pistola in un angolo e la prende e se la infila di nuovo alla vita della gonna, ignorando invece la carabina, incastratasi tra cruscotto e sedile. Tarja le risponde stringendole la mano.

“Vai, esci fuori. Se arrivano ora ci trovano con le braghe calate”

“Ti devo aiutare a uscire, così siamo in due”

“No, ho le gambe bloccate. Esci tu, mi copri, e io ce la faccio da sola. Prendi l’M4”

Cait disincastra la carabina, ne controlla il funzionamento delle leve e del caricatore.

“Nel portaoggetti ci sono due caricatori, prendili”

Cait obbedisce e prende i due caricatori, che infila anch’essi nella vita della gonna, che ora si sente molto più stretta e scomoda. Sono entrambe piene di sangue e polvere e l’auto puzza di benzina e gomma bruciata.

“Dai, muoviti, che arrivano”

Cait esce dall’abitacolo e si alza in piedi, fucile imbracciato, a proteggere il veicolo. La gente incuriosita che si è avvicinata, alla vista dell’arma minacciosa scappa via gridando, credendo Cait una terrorista pronta a far fuori chiunque. Cait invece ignora i passanti totalmente, focalizzandosi nel riconoscere invece persone che arrivano nella sua direzione anziché fuggire. Sente nel frattempo i grugniti di Tarja nell’abitacolo che cerca di liberarsi.

Cait poi posa il mirino su una figura che si avvicina armata di carabina a sua volta e prende la mira. Spara solo a colpo sicuro e atterra il malintenzionato, alzando però l’attenzione sui compagni, che si spargono e si nascondono tra veicoli e le colonne del porticato della chiesa poco distante. Cait non può sparare a colpo sicuro, quindi spara a soppressione, un colpo ogni due secondi nelle direzioni dove avvista i nemici, per tenerli sotto stress. A denti stretti, conclude di essere in situazione di svantaggio, si guarda intorno: il furgone ribaltato non offre molta copertura, ed essendo in mezzo a una piazzola, prima di trovare copertura dovrebbe lasciare Tarja da sola.

“Cazzo”

Nota uno dei nemici saltare di covo in covo verso di lei, apparendole in vista solo per attimi fuggenti insufficienti a prendere la mira. Innervosita, Cait cambia tattica e seleziona l’automatico. Spara quindi raffiche distribuendole a tutti e tre i nemici. Svuota il caricatore. Si accovaccia per cambiarlo e sente i colpi nemici, alcuni dei quali impattano contro la fiancata del furgone e per terra. Cambiato il caricatore Cait torna in piedi e riprende le raffiche. Nota le teste dei cattivi smarmottare da dietro le macchine abbandonate dalla gente spaventata, e intanto sente le sirene della polizia in lontananza.

In una pausa tra una raffica e l’altra, Tarja riesce a farsi sentire.

“Cait! Vai! Vai!”

Cait si gira verso la voce e vede Tarja dall’altro lato del furgone che striscia via dall’abitacolo. Poi sposta lo sguardo su una volante della polizia che per prima arriva sulla scena, e quindi su uno dei nemici che prende posizione vantaggiosa dietro una macchina non avendo più ostacoli sulla linea di tiro. Ovviamente questo può essere un vantaggio per entrambi e Cait gli spara contro tutto il caricatore, rimanendo con l’ultimo, che scarica invece contro l’altro assalitore, che arriva sparando come un cowboy. Riesce ad atterrarlo. Ma il primo è più cauto e spara da dietro la copertura. Cait si deve abbassare e schivare le pallottole.

“Cait! Fuori dalle palle! Non sei Neo!” grida Tarja.

Cait la sente e basta, e non si cura neanche di girarsi. Semplicemente getta l’M4 e si guarda intorno mentre estrae la pistola. Nota il sottopassaggio che bypassa il boulevard e scatta verso quello, riuscendo a evitare le raffiche nemiche. Una volta in fondo alla scalinata rallenta il passo e si gira a guardare in su, sperando di trovare l’amica, o un bersaglio facile. Attende, ma non arriva nessuno. Sente la polizia arrivare in gran forza e cominciano le sparatorie che non la riguardano direttamente. Cait pensa a Tarja. È preoccupata.

Attraversa il sottopassaggio e una volta dall’altra parte riemerge e scruta il furgone ribaltato dall’altra sponda del boulevard, impresa resa più difficile dal traffico ininterrotto della grande strada. Non trova Tarja, ma in compenso trova altri scagnozzi sul suo lato della strada che le danno la caccia. Li vede in tempo per scappare, in tempo prima che abbiano preso posizione per sparare. Abbandona la zona aperta e torna tra i palazzi, schivando le pallottole, e una volta in una traversa, rallenta e si gira, per gurdarsi bene di non essere seguita.

Accertatasi di aver seminato per ora gli assalitori, riprende la fuga per il vicolo.

 

“Ferma!”

 

Una voce familiare la riporta indietro nel tempo, costringendola a fermarsi e ragionare.

“Getta la pistola!”

Cait solleva le mani, ma non getta la pistola. Lentamente si gira e fronteggia la poliziotta che la tiene sotto tiro, nel vicolo.

“Robbie! Che piacere vederti! Sei ancora viva!” dice sarcasticamente Cait, col fiatone.

“Piantala! Sono stufa delle tue stronzate, Caitlin. Getta la pistola!”

Cait prende tempo. Il sudore sembra lavar via parte del sangue dalla sua faccia, ma la gamba invece porta un rivolo rosso che sta inzuppando la scarpa corrispondente. Cait ignora il tutto, ovviamente. Studia la poliziotta composta e autorevole rimanendo in aria scherzosa e ironica, fino a riprendere fiato.

“Non è a me che dovresti dare la caccia, sorella. Ci sono tante persone cattive, là fuori, oggi, che non aspettano altro che mettervi una pallottola in testa”

“Staʼ zitta!”

La poliziotta si fa prendere dalle emozioni. Gesticola con la pistola contro Cait, e questa tiene d’occhio i suoi movimenti, occasionalmente concedendosi un passo verso di lei totalmente furtiva. Robbie continua.

“Sei una vergogna per il dipartimento! Ti avrebbero dovuto ammazzare! Infatti ti dovrei ammazzare io, qua, adesso!”

“Woah… Robbie…. Vacci piano, eh!”

Cait pone le mani avanti, se pur con una tiene la pistola, che però cambia d’impugnatura, tenendo la canna puntata in alto, in traverso, un’impugnatura scomoda e impratica.

“Perché non la fai finita?” continua Robbie.

“Per lo meno, arrenditi! Come puoi continuare a fare quello che fai? Hai un figlio, per dio…”

Adesso è Cait a lasciarsi andare alle emozioni.

“Proprio perché ci tengo a mio figlio che devo fare quello che faccio. Ma cosa vuoi capirne, tu… Prima della classeCocca della maestra…”

Vaffanculo!”

Cait ridacchia.

“Gettala” insiste Robbie.

Cait invece continua a ridacchiare e ignorare gli ordini. La provoca parlando.

“Non mi hai ancora raccontato della retata. Ho sentito che è stata una grande operazione… Ti sei presa anche diversi meriti… Una medaglia…”

“Basta, Cait. Non hai scampo, stanno arrivando i rinforzi, non penserai mica che—”

Ma io e te sappiamo entrambe che il vero merito ce l’ha chi ha avuto il coraggio di mettersi in gioco e aprire bocca, perché diciamocelo…”

Robbie ribolle di rabbia, ma in realtà è vergogna, e Cait l’ha notato, nel color paonazzo della faccia di Robbie, dal modo in cui respira con affanno nonostante si trovi in una situazione di vantaggio, quasi come avesse paura che Cait possa infilarle la lama nel petto. Allora continua.

“Noi al dipartimento non siamo altro che una banda di impostori. Chi è corrotto, come me, chi segue troppo l’iter, come te, e chi non ha le palle, come il Capitano Corte. Tutte queste persone in comune hanno che non compicciano mai niente di utile. Abbiamo bisogno di metterlo in culo agli altri per ottenere i nostri successi, giusto?”

“No! Questo è quello che fai tu!”

“Ah, no… Lo fai anche tu, Robbie. Lo hai fatto con quella ragazzina. Se non era per la soffiata, tu te la sognavi la retata”

Robbie sorride, ma è inviperita.

“E indovina chi ti ha salvato le chiappe all’ultimo…”

“Vaffanculo! Sei sempre stata così. Sempre a rigirare la frittata e far passare tutti per coglioni. Perché la Saito deve essere quella più figa e la migliore di tutti… Perché suo padre un tempo era Capitano nella SWAT, allora lei è la meglio—”

“Non toccare mio padre! Non c’entra niente!”

Cait è tornata seria. Robbie continua.

“La verità è che sei una fallita, Caitlin. Non sei stata capace di fare la poliziotta e ora non sei neanche capace a fare la mafiosa. Scommetto che non sei neanche capace di fare la mamma…”

“Brutta figlia di putt—”

Robbie le punta contro la pistola con cattive intenzioni, fermando così il tentativo di Cait di assalirla, probabilmente per un semplice schiaffo. Le due donne rimangono a fissarsi negli occhi a lungo. Ci sono lacrime che vengono trattenute e insulti che vengono ingoiati, e la tensione sale alle stelle, il sudore scende nelle scollature. Poi d’un tratto Cait si aliena, come se avesse visto un fantasma, o la fine del mondo imminente, sgrana gli occhi, allunga una mano verso Robbie, la quale s’irrigidisce e porta il polpastrello nel paragrilletto, sul grilletto, facendo pressione, pronta al fuoco, con la canna che si indirizza al petto di Cait. Però Robbie non è convinta a sparare, c’è qualcosa in Cait, nel suo volto, nel fatto che gli occhi di Cait siano rivolti alle spalle di Robbie, che la fanno esitare, anche quando Cait abbassa l’altra mano, con la pistola, e la punta in avanti, chiaro segnale di minaccia. C’è qualcosa. Il tutto accade così rapidamente, roba di un paio di secondi, impedendo a Robbie di collegare i pezzi, e a Cait di reagire.

Il punto di rottura è quando Cait prende la mira e infila anche lei il dito nel paragrilletto. Stavolta è seria, e Robbie ha appena il tempo di rendersene conto, ma non quello di rendersi conto che Cait non punta la pistola a lei.

Parte il primo colpo, da parte di Robbie. È uno sparo vicino e traumatico, che fredda Cait nel suo tentativo di fare qualsiasi cosa stesse cercando di fare.

Un secondo colpo, lontano, ma non troppo, entra in gioco.

Uno spruzzo di sangue ricopre il volto di Cait che è costretta a chiudere gli occhi. Cade a terra.

Quando riapre gli occhi, vede il cielo, tra i tetti dei due edifici che formano il vicolo. Passa un Boeing 737 della Southwest in finale per LAX. Cait gira lo sguardo e trova il volto di Robbie, irriconoscibile per colpa di un proiettile. Cait ha l’istintiva reazione di piangere, ma un po' per il dolore, un po' per l’ombra che le si pone sopra, si inibisce.

È lui. È l’uomo cicatrice. Ha già la canna della Desert Eagle .50 addestrata tra gli occhi di Cait, e Cait riesce a vedere dentro il tunnel. Non è la prima volta che si è trovata da quel lato della canna, è ha l’impulso di alzarsi e reagire, ma la ferita mortale al torace la tiene ancorata a terra come se fosse legata a un’ancora.

E lui se la ride.

“Miss Saito…”

“Stjepan…”

Si introducono così, i due acerrimi nemici, con odio reciproco, ma anche rispetto.

“Mi spiace per la sua amica. So che era un ottimo poliziotto. Aiutava le vecchiette. Acchiappava le bambine cleptomani. Finiva le scartoffie dei colleghi. E parava il culo alle colleghe ficcanaso…”

La leggerezza ed il sarcasmo del tono di Stjepan infastidiscono Cait che stringe sempre più i denti dalla rabbia vendicativa.

“Fatti fottere, Stje!”

Stjepan se la ride.

“Ma come… Dopo che il nostro rapporto era giunto ad un’intesa così sincera…”

Stjepan si accovaccia sull’inerme Cait. Le sfila la pistola di mano senza difficoltà.

“Ma si guardi… Tutte quelle energie… Dove sono finite? Ha forse paura?”

Cait lo fissa negli occhi, piena di emozioni contrastanti, comunque incapace di metterle in pratica. Stjepan esita a incrociare il suo sguardo, concedendosi prima tutto il tempo di tirar fuori un fazzoletto per pulire il sangue di Robbie dal volto di Cait.

“Ha visto il film Kill Bill? Sicuramente. Una come lei l’ha sicuramente visto. Io sono una persona di stile, lei mi conosce. E mi piace rendere omaggio. Conosce anche questo di me. Perciò…”

Stjepan accartoccia il fazzoletto sporco di sangue e lo racchiude nella mano di Cait, lasciandoglielo in dono, e si siede sui talloni.

“La farò passare a miglior vita come in una scena di Tarantino, così ci potremo divertire tutti e due. Che ne dice?”

“Dico che…”

Cait comincia a far fatica a parlare.

“Uh… Sta perdendo molto sangue, ce la fa a parlare?”

Cait tossisce, ma poi si concentra e stringe le labbra in una smorfia di protesta, prima di riprovare. Stjepan le da spazio per parlare.

“Dico che sei un fottuto psicopatico, e ti ucciderò”

Stjepan ridacchia. Sembra eccitarsi sempre di più.

Questo è il genere di conversazione che mi piace intrattenere! Si guardi! Sul punto di morte, con il sangue in bocca, è capace di dirmi queste cose… La ammiro, miss Saito. Nel giro di un paio di anni è riuscita a cambiare la sua vita, da mocciosa inutile ad artista affermata, come me. Infatti la stimo proprio per questa nostra… Come dire… Analogia. Non trova anche lei?”

Cait impasta la bocca, piena di sangue, con occhi inviperiti, e poi carica uno sputo con le energie rimaste, e schizza di sangue la faccia e la giacca elegante di Stjepan, il quale rimane per lo più impassibile, al massimo chiudendo gli occhi per evitare che sputo e sangue gli vada dentro. Stjepan si limita a tirar fuori un secondo fazzoletto per pulirsi il volto, e non perde calma e sangue freddo che lo caratterizzano, ma anzi, allarga il sorriso sadico.

“Tenacia fino alla tomba. La ammiro sempre più, miss Saito. Mi divertirò a usare la sua pistola preferita per perforarle il cranio. E mi divertirò ancora di più a torturare e uccidere il piccolo Kyle”

Sentendo pronunciare quel nome, Cait perde ogni resistenza e quasi affoga nel sangue che ha in bocca. Comincia a piangere ma non riesce più a parlare, solo a emettere gemiti di sofferenza e disperazione.

“No… Non mi faccia così… Dov’è finita la miss Saito forte e tenace? È perché ho nominato il suo prezioso bambino? È vero, avevo promesso che l’avrei lasciato fare, se lei avesse collaborato. E infatti lei ha collaborato, e quindi adesso io sto rompendo un patto molto importante per tutti e due, perché se per lei conta molto la vita di suo figlio…”

Spiega, carezzando la guancia di Cait, che non reagisce perché soffre internamente.

“Per me conta molto la mia parola. D’altronde, un uomo non è un uomo senza la propria parola. Ma siamo sicuri che io stia veramente rompendo il patto? O è lei che l’ha rotto? Mmmhh”

Stjepan si porta la mano con la quale carezzava Cait al mento, per imitare la posa pensierosa, incurante di sporcarsi il mento di sangue.

“Che dilemma…”

Stjepan resta ancora un po' ad osservare Cait che esaurisce le ultime energie nel piangersi addosso. Poi si alza in piedi, impugna meglio il cannone, lo punta alla testa di Cait, e diventa serio.

“Non si preoccupi, miss Saito. Sarò ordinato con il piccolo Kyle. A differenza di lei e della sua amica, gli lascerò il volto intatto nella sua innocenza. Addio, miss Saito…”

 

KABOOM!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: La pistola p.I ***


Ty saluta Gigi, miss Sykes, o Cait, a seconda dei punti di vista, e lascia il parcheggio per mettersi in strada.

Rientra nel suo appartamento con la borsa di carta e anche una della spesa, e trova il suo mini-me, un biondino un terzo di lui ― una goccia d’acqua ― in pigiama sul divano che gioca con il telefono cellulare (il vecchio indistruttibile Nokia 3310). Quando il bambino vede Tyler si alza, lascia il telefono sul divano, e corre a fargli le feste abbracciandolo.

“Sei ancora sveglio?”

Il bambino torna serio.

“Non riesco più a dormire…”

“Brutti sogni?”

“Sì…”

Ty si accovaccia e abbraccia il bambino.

Il bambino poi sbircia nella spesa e Ty la lascia lì e ne approfitta per portare la busta di carta in cucina. Apre uno sportello della credenza e con occhi vispi ci infila dentro la busta, nel buio e nel vuoto dello scomparto lasciato in serbo apposta per questo.

“Non hai comprato i Twinkies!”

“Thory, ti fanno male i Twinkies!”

No che non mi fanno male!”

Ty chiude lo sportello, con la voce di Thory che ancora protesta.

 

Ty riapre lo sportello e afferra nel panico la busta, dimenticandosi poi dello sportello. Ha la giacca di pelle addosso e le occhiaie e gli occhi stanchi. Afferra e si mette in spalla uno zaino. Thory il suo già ce l’ha, ed è vestito per uscire come se dovesse andare a scuola, ma dorme in piedi e fuori è buio.

Ty tira per il braccio Thory fuori dall’appartamento, con così tanta foga da non curarsi di richiudere la porta, e corrono all’ascensore. Ty preme il pulsante per richiamarlo più volte, come se una non bastasse, mentre Thory cerca di risvegliarsi.

“Dove andiamo?”

Ty lo guarda e basta, fissando il suo viso addormentato e il suo sguardo rintontito. Con un sospiro si impone di calmarsi.

“A fare un giro…”

“Ma io ho sonno!”

“Dormirai in macchina!”

“Andiamo a trovare Leen?”

Le porte dell’ascensore si aprono, ma Ty rimane pensieroso alla richiesta di Thory e si impasta la bocca prima di rispondere.

“Leen adesso ha da fare. Ci andiamo un’altra volta”

A quel punto lo trascina dentro alla cabina dell’ascensore e preme il pulsante per il B1. Dopo una breve attesa le porte si chiudono.

 

Con un beep le porte si aprono. Ty trascina Thory nel parcheggio guardandosi intorno con paranoia. Tiene stretta la busta al petto e l’altra mano invece stringe il braccio di Thory sempre di più, tant’è che il bambino fa una smorfia di dolore, già affaticato dal passo troppo svelto per le sue gambe.

“Mi fai male!”

“Scusa!”

Ty allenta la presa ma non rallenta il passo. Quando arrivano davanti al cofano posteriore di una Honda Acura del ‘98 color rame, Ty si ferma e spinge Thory verso la fiancata destra.

Sali!”

Mentre si guarda intorno, infila la mano ora libera in tasca e tira fuori le chiavi, che usa per sbloccare la serratura centralizzata dell’auto. Thory apre la portiera e sale, ma Ty rimane lì, pietrificandosi al suono di passi in corsa che riecheggiano nel parcheggio sotterraneo. Sull’attenti si guarda intorno e ripone le chiavi in tasca per andare invece a infilare la mano nella busta.

Vede un’ombra in fondo al parcheggio, poi sente il rumore di un grosso furgone e si gira in quella direzione. Riconosce il Ford Pickup e sgrana gli occhi. Estrae la pistola e la punta verso il veicolo che si avvicina sgasando e preme il grilletto.

 

Non succede niente!

 

Il furgone gli si ferma davanti a pochi passi in una sgommata e la sagoma all’interno apre lo sportello per scendere. Ty allora, se pur nel panico, riesce a togliere la sicura e preme di nuovo il grilletto. Stavolta parte un colpo che lo assorda,

 

BOOM!

 

Thory grida di spavento da dentro la Acura. L’uomo del furgone si accovaccia facendosi scudo con lo sportello e Ty spara di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, mentre si muove di lato per accedere alla macchina. Ma si accorge che il Pickup ostruisce l’uscita della sua macchina, se pur parzialmente. Fa i suoi conti in testa e stringe i denti in una smorfia di rabbia. A quel punto usa la mano sinistra per sbattere due colpi sul cofano posteriore della Acura, attirando così l’attenzione di Thory.

“Esci!”

Il bambino gira la testa per guardare il fratellone dal lunotto posteriore, titubante e confuso.

Esci!”

A quel punto Thory obbedisce ed esce dalla macchina, lasciando lo sportello aperto. È terrorizzato, ma sgambetta verso Ty e gli prende la mano sinistra con entrambe le sue, cercando protezione. Ty invece torna a concentrarsi sul furgone, in particolare la sagoma di cui si vedono soltanto le scarpe dietro allo sportello del furgone. Tenendolo sotto tiro, Ty indietreggia, trascinandosi dietro Thory.

A venti metri dal furgone, l’uomo torna in piedi. Ty riconosce una pistola nella mano dell’uomo e così svuota la rivoltella contro lo sportello, costringendo l’uomo a cercare copertura dentro l’abitacolo. A quel punto Ty si gira e trascina Thory via a gambe levate. Quando raggiungono il muro, una pallottola ci si infrange contro, e il rimbalzo coglie impreparato pure Ty che si ferma e si accovaccia, abbracciando Thory. Solo ora Ty si accorge di quanto è terrorizzato Thory; il bambino sta piangendo e rimarrà probabilmente traumatizzato, ma Ty non ha tempo per queste cose. Lancia un’occhiata verso il furgone e proprio in quel momento sente il motore ripartire. Un palpito al cuore e Ty torna in piedi e trascina Thory su per la rampa di uscita.

Il motore ruggente li segue fuori dal parcheggio sotterraneo, per strada. È notte fonda ma la città non dorme mai, ci sono barboni, nottambuli, gente che torna a casa dal lavoro e gente che ci va adesso. Aerei che atterrano, aerei che partono, e macchine. Solo qualcuno si gira a guardare incuriosito i due biondi che corrono spaventati, e nessuno riesce a mettere occhio sulla grossa rivoltella che Ty maneggia.

Il furgone si mette in strada e rallenta, ma continua a seguire i due giovani, che corrono all’impazzata fino alla scalinata che porta alla metro. Prima di scendere, Ty gira la testa per vedere cosa ha intenzione di fare il guidatore del furgone e lo nota proseguire dritto. Con un sospiro di sollievo rallenta il passo e scende gli scalini.

In fondo alle scale si ferma e si gira e si accovaccia, per prendere Thory per le spalle, guardarlo in faccia, con la grossa pistola che pesa sulla spalla sinistra del bambino. Thory non ci fa troppo caso, perso nel piagnisteo, ma i passanti cominciano a posare gli occhi sui due biondi, e prima che Ty dica qualsiasi cosa al fratello, decide di infilarsi la pistola nella cintola dei jeans.

“Stai tranquillo. Siamo a posto adesso. Non è niente”

Thory singhiozza, ma si sta calmando. Ty lo abbraccia e poi torna in piedi, lo prende per mano e riprende il passo. Si guarda le spalle più volte, ma non riconosce nessuno, perciò accompagna Thory alle biglietterie automatiche e se pur con fretta, si prendono la cura di fare i biglietti. Ty continua a tener d’occhio la scalinata. I biglietti sono pronti e li preleva, e per un’ultima volta butta gli occhi sulla scalinata.

“Merda!”

Riconosce l’uomo di prima. Si somigliano. Ty torna vittima del panico e trascina di nuovo via Thory verso il corridoio che conduce a una delle piattaforme. Thory si rimette a piangere.

Arrivano alla piattaforma. Ty legge il pannello informativo che annuncia l’arrivo del prossimo treno in meno di un minuto, allora si sporge per sbirciare nel tunnel nella speranza di scorgere i fari del treno ma non vede altro che buio. Nell’attesa lascia di forza la mano di Thory, che allora abbraccia la vita del fratello, non prima che questo abbia sfilato la pistola dalla cintola. Thory affonda la faccia per piangere contro il fianco di Ty, mentre lui ricarica la pistola sotto gli occhi dei passeggeri della piattaforma, giusto una mezza dozzina di persone, un paio di barboni, e una vecchia squinternata, e nessuno si altera più di tanto, ma si scansano dal ragazzo e dalla pistola.

Ty tiene d’occhio il corridoio e il tunnel mentre sostituisce le cartucce vuote con le nuove, lasciando cadere quelle vuote per terra. Il metallo tintinna contro il cemento e attira ancora di più l’attenzione della gente. Ma il treno finalmente arriva al binario e apre le porte. Nessuno scende, tutti salgono, anche Ty e Thory, che gli scorazza dietro aggrappandosi alla sua cintola. Ricaricata la pistola, Ty mette la sicura e la infila nella tasca interna della giacca di pelle e incrocia uno ad uno gli sguardi degli altri passeggeri, i quali cercano posto negli altri vagoni. I passeggeri che erano già presenti, invece, ignari, continuano a ignorare, e Ty trova posto per Thory e lo fa sedere, mentre lui resta in piedi a fare la guardia fino a che il treno riparte.

Dopo i beep, le porte si chiudono. È allora che Ty incrocia lo sguardo con l’inseguitore, che si ferma sulla piattaforma e lo fissa con preoccupazione, a differenza di Ty che invece lo maledice con lo sguardo. Ma il treno parte, s’infila nel tunnel e i due fratelli riescono a fuggire.

 

“Bel cofano!”

Ty gira la testa alla voce rauca dell’omone nero che gli sorride, riferendosi alla Mazda RX7 rossa altamente modificata e tatuata, sul cui cofano motore Ty poggia il sedere. Ty sorride di rimando.

“Grazie!”

“Devi essere un tipo svelto per esserti fatto una macchina così a giudicare dalla tua età, quanti anni hai?”

“Ventidue”

“Boia!”

L’omone si carezza il catenaccio d’oro al petto e continua a sorridere. Scherzano sulle auto degli altri pischelli parcheggiate accanto e tutte intorno e poi l’omone si presenta come “Tyrese”

“Tu come ti chiami, biondino?”

“Tyler”

“Ah, un’altro Ty!”

“Già!”

“Allora ti chiamo biondino, ti dispiace?”

“No, no, fai pure”

Tyrese accompagna Tyler a fare una passeggiata per la strada popolata da macchine modificate e i loro possessori. Parlottano e indicano, commentano e criticano, poi Tyrese mostra a Tyler la sua Corvette C5 Nera.

“È pura, così com’è uscita di fabbrica, solamente che ha novantamila chilometri sotto al culo”

Novantamila? C’hai fatto la Route 66?”

“No, è che ci corro parecchio”

Tyler ammira la Corvette e Tyrese gli concede un tour completo. Poi comincia a parlare di corse.

“Dovresti partecipare”

“No, sono venuto solo a vedere”

“Hai paura, forse?”

“No!”

“Dai, quella belva mi sembra in grado di tenere il passo a Mitch e la sua Honda S2000”

“Sì, ma non me la sento di rischiare”

“Guarda che non ci giochiamo mica il libretto della macchina, non è Fast & Furious. Non so da dove vieni tu ma qua a Spokane si scommettono i verdoni”

Tyler ridacchia.

“Quant’è la posta in gioco?”

“Duecento”

“Fanculo!”

Dai! Non dirmi che sei venuto fin qui con quel bolide senza soldi in tasca…”

“No, in effetti no”

Alla fine lo convince.

 

6 vetture sportive sono in fila in coppia lungo la strada, motori accesi, pronte a partire. Tyler è in fondo accanto a una raffinata Porsche 993 Cabriolet gialla che lo preoccupa. Davanti a loro ci sono una Chevrolet Camaro del ‘98 Blu con striscie bianche, la Honda S2000 bianca modificata e tatuata analogalmente alla RX7 di Tyler. In prima fila ci sono una Dodge Challenger R/T del ‘70 Verde e la Corvette C5 nera di Tyrese. Davanti a tutti una ragazza in ghingheri si appresta a dare il via, e si scansa dalla strada, con le braccia alzate.

I motori ruggiscono.

La ragazza abbassa le braccia e le macchine partono a razzo in una nuvola di gomma bruciata.

 

Ride.

 

“Fai bene a ridere! Brutto stronzo! Offri da bere almeno!”

Abbaia Mitch, un palo con gli occhiali e i baffetti. Tyrese e gli altri ridono. Tyler prende fiato e cerca di prendere parola, mentre viene sballottolato dalle manate e le spinte dei compagni di corsa, facendolo sbattere contro il bancone del bar.

“Va bene! Offro io! Bevete fino a scoppiare. Ma non vi riporto io a casa!”

Ridono.

Tyrese prende per spalla Tyler e gli parla nell’orecchio.

“Ti stimo fratello. Mitch non perde una corsa da due mesi. Stavamo per tonfarlo di botte e sfasciargli la macchina dall’incazzatura. O almeno io stavo per farlo, ehehe”

“Si vince e si perde” borbotta Tyler, e si gira a ordinare al barista.

Tyrese gli si affianca, per continuare.

“No, seriamente. Cosa cazzo c’è dentro quel cofano? Dinamite? Hai svaligiato una banca?”

“Ho svaligiato un negozio di parti”

Tyrese ride. Poi torna a fare il pagliaccio del gruppo. Tyler si limita a osservare, bere, e pagare per tutti.

 

“Dove l’hai lasciata la macchina?”

Tyrese accosta l’Escalade sul marciapiede ma lascia il motore acceso. Tyler ha bevuto troppo, ma c’è ancora con la testa, e dopo un rutto, risponde.

“Nel garage”

“E come ci sei venuto al bar?”

“Mi sei venuto a prendere tu, stronzo! Non te lo ricordi?”

“Boia! Mi sa che abbiamo bevuto troppo. Ce la fai a salire?”

“Ma vaffanculo!”

Si fanno una risata. Poi Tyrese dà una pacca sulla spalla al nuovo amico.

“Stammi bene biondino. Ci si vede in giro!”

“Certo Ty! Oddio che effetto chiamarti Ty, sembra di chiamare me stesso!”

“Tu sei ubriaco fratello. Vattene a letto!”

Ridono ancora, poi Tyler si decide a uscire dal grosso SUV e saluta Tyrese, avviandosi poi al portone del condominio.

 

Una volta nell’appartamento, chiude la porta e si appoggia con la schiena ad essa, a riprendersi, senza ancora aver acceso la luce. D’un tratto gli cadono le chiavi di mano, in un frastuono.

“Porc…”

Si china faticosamente a raccoglierle e grugnisce come un vecchio, poi accende la luce e si trascina al divano, calciando un oggettino di plastica. Se ne accorge in ritardo, perciò torna indietro e si accovaccia e per poco non cade di muso per terra.

Esamina l’oggetto. Deve prima metterlo a fuoco e tornare un po' sobrio per riconoscerlo, ma poi è chiaro che si tratta del 3310 di Thory, con lo schermo adesso incrinato e la tastierina sguarnita, per colpa della scarpa e del peso di Tyler, ovviamente. Quest’ultimo rimane a lungo a riflettere e a fissare lo schermo incrinato ma acceso del telefono. Non è in stand-by, lo schermo indica un numero di telefono. Tyler lo legge con difficoltà, ma poi una scarica di adrenalina lo fa tornare sobrio tutto d’un pezzo.

Torna dritto e infila il telefono in tasca, e si guarda intorno. Subito si gonfia i polmoni.

“Thory?”

Cerca l’appartamento. Va prima nella cameretta: il letto è sfatto e l’armadio è aperto.

Tyler non vede lo zaino di Thory.

Continua a cercare. Va in camera e apre l’anta dell’armadio e si alza sulle punte delle scarpe per raggiungere la mensola più alta.

La busta di carta non c’è.

Sgrana gli occhi, rimane ancora lì impalato e poi lentamente si rilassa sui talloni e riflette.

D’un tratto impreca.

Compone un numero sul proprio telefono.

Irraggiungibile.

Ne compone un altro.

Irraggiungibile.

“Brutto stronzo, pezzo di merda, figlio di puttana!”

A quel punto, d’impulso, lancia il telefono contro il muro, frantumandolo.

Respira d’affanno ed è su tutte le furie. Quando si calma, tira fuori il 3310 di Thory e lo ammira, prendendosi tutto il tempo per calmarsi del tutto.

Torna nella cameretta di Thory e si siede sul suo letto. Si lascia andare ad un breve pianto di nervoso, poi decide che è sufficiente e si pulisce la faccia con il dorso del braccio e compone un nuovo numero a fatica per via dello schermo incrinato del Nokia.

Dall’altra parte risponde una donna vestita di nero, dalla faccia pallida, la voce morta, disillusa, ma il tono fiducioso.

“Thory?”

Tyler si congela. Ha di nuovo gli occhi lucidi e fa fatica a parlare. Respira solamente nel telefono, facendo capire alla donna dall’altra parte che qualcuno c’è.

“Thory? Sei lì?”

Ancora non parla.

“Non sei Thory, vero?”

“Leen, sono io”

“Tyler! Dov’è Thory?”

Un anno prima…

Tyler entra al Bar Gold, in Downtown Los Angeles, poco prima dell’ora di chiusura. La notte è ancora giovane e non fa freddo, ma Tyler ha comunque addosso una giacca di pelle. Al bancone nota una donna vestita da motociclista, con la schiena ricurva e la faccia immersa in un bicchiere. Scena tipica, niente di rilevante, per il resto il locale è vuoto. Tyler si ferma al bancone e ordina una Vodka liscia. Il barista gli chiede i documenti e lui, ridacchiando sarcasticamente, glieli mostra, e poi ottiene il suo drink, che prende a sorseggiare scuotendo la testa in protesta. Posa gli occhi sulla motociclista, incuriosito. Lei se ne accorge e incrocia il suo sguardo per un attimo, poi torna sul proprio drink. Ma esordisce.

“Che pretendi? Hai la faccia da dodicenne…”

Tyler spalanca la bocca ma resta zitto.

“Tranquillo, li ha chiesti pure a me, niente di personale”

Tyler prende parola.

“Non ha tutti i torti…”

La motociclista emerge lo sguardo dal bicchiere, volgendolo al ragazzo. Ha il volto pallido, i capelli color pece, gli occhi privi di colore e le labbra prive di vita. Pare una vampira. Ma la voce ha un timbro carico di risentimento.

“Stai forse dicendo che ti sembro una dodicenne?”

Tyler resta a fissarla per un po'. Si fa prendere dall’imbarazzo. Poi, accortosene, sdrammatizza con una risatina nervosa, volgendo lo sguardo al proprio drink.

No, veramente parlavo di me…”

La motociclista solleva un sopracciglio. Ormai è incuriosita dal biondino, e il proprio superalcolico può aspettare. Tyler sorseggia invece la sua Vodka, facendo fatica a buttarla giù, e poi si accorge di avere gli occhi della donna addosso. Si sente in dovere di articolare.

“È il mio compleanno oggi. Faccio ventunanni. Posso bere legalmente. Woo Hoo!” dice con ironia.

La donna lo fissa senza muover ciglio. Tyler si sente a disagio, e in soggezione, perciò perde l’ironia, ma non il sarcasmo.

“Ma vabbeh, tanto è una vita che mio padre mi fa ubriacare di birra, quindi… Non si può dire che sia la mia prima bevuta…”

Tyler solleva il bicchiere per un brindisi, con il sorriso sarcastico. La donna non lo asseconda e così Tyler fa il brindisi da solo e poi si scola la Vodka a fatica, quasi rimettendoci le penne, e posa il bicchiere con più forza del necessario, attirando l’attenzione del barista intento a sistemare.

“Un’altro, per favore!”

“Vacci piano, amico. Non ti raccato dal pavimento…”

“No, tranquillo! Solo questo e poi me ne vado. Promesso!”

Il barista lo compiace.

“Soltanto perché è il tuo compleanno!”

“La ringrazio. Lei è molto gentile!”

“Ma fanne meno, pischello! Pensa a trovarti la ragazza, va!”

Tyler ridacchia e accetta il refill, rendendosi conto di come la donna lo stia ancora fissando. A quel punto ridacchia e le propone un altro brindisi.

“Io mi chiamo Tyler. Mi sembri una ragazza spassosa, forse dovremmo uscire insieme!”

Il sarcasmo finalmente incrina la barriera fino ad ora impenetrabile della motociclista, che lascia andare un accenno di sorriso al lato della bocca, con una ruga che raggrinzisce la guancia fino all’occhio. Anche il tono di voce cambia, salendo di qualche tono e risuonando quindi più vivo.

“Non sei il mio tipo”

La risposta secca di lei fa ridere Tyler di gusto. Poi lui beve e lei continua.

“Senza contare che potrei essere tua madre…”

Tyler quasi si affoga nel sorso di Vodka, e si forza di mandarlo giù, per poi intossicarsi come se avesse fumato uno spinello per la prima volta. La donna espira soddisfatta e divertita, ma senza cedere ad un sorriso. Ricompostosi, Tyler lascia lo sgabello per andare ad accostarsi alla donna. L’ultimo passo è cauto, per invadere lo spazio privato di lei gradualmente, lasciandole modo di reagire, ma non reagisce, e quindi Tyler ha modo di accostarsi e prendere posto accanto a lei e riprendere a bere come niente fosse.

Ad un certo punto, Tyler prende parola.

“Fammi indovinare… Esci solo di notte, su una moto di grossa cilindrata, di giorno non ti si vede neanche a pagarti, e quando effettivamente esci, di notte, ti rinchiudi nei ghetti a bruciarti l’anima nell’alcol, perché farti male è l’unica cosa che sai fare bene”

La donna gira la testa e guarda il profilo del volto di Tyler, assorto invece nel proprio drink. Lei è incredula, il suo volto lascia passare l’emozione stavolta senza freni, con tanto di colorito che ritorna alla pelle, che tra l’altro si accapona. Tyler si accorge di nuovo di avere gli occhi addosso di lei e si gira per incrociare il suo sguardo per un attimo, e poi torna sul proprio drink sorridendo ironicamente.

“Scherzo, eh! È che vestita così… Poi io che ne so, neanche ti conosco, non so neanche come ti chiami…”

“Leen”

Tyler si gira per incrociare il suo sguardo, ma Leen ha immerso il proprio nel bicchiere, che svuota.

Rimangono in silenzio. Lei fissa il bicchiere vuoto, lui fissa lei.

Poi lei finalmente si gira e incrocia il suo sguardo. I suoi occhi carichi di rimorso colpiscono quelli di Tyler carichi d’odio.

“Fammi indovinare…”

Alla voce pungente di Leen, Tyler già viene attraversato da una scarica di adrenalina che lo irrigidisce.

“Ti sposti da un posto all’altro in cerca di approvazione, ma in realtà stai scappando da qualcosa. E ti porti dietro un fardello più grande di te”

Tyler ha gli occhi lucidi, e si rende conto che anche Leen ce li ha. Entrambi distolgono lo sguardo l’uno dall’altra. Tyler ha modo di affogare il proprio imbarazzo nella Vodka rimasta. Tossisce, e poi esclama.

“Bingo!”

Con un tono ironico che attira lo sguardo di Leen. Poi lui continua.

“È così evidente?”

Leen lo fissa ancora con gli occhi lucidi, incurante di mostrare quel particolare, e poi distoglie lo sguardo e scansa il bicchiere. Caccia fuori i soldi, troppo abbonandanti per un solo drink. A quel punto risponde.

“No. Non lo è”

Tyler la fissa, ma lei torna impassibile e impenetrabile. Si massaggia la tempia e si asciuga gli occhi con le dita come fosse un’irritazione da cipolla.

“È che sono io che ne ho viste tante. Ho visto tanti occhi come i tuoi”

Tyler continua a studiarla ma non dice nulla. Posa poi l’occhio sul barista che passa e raccatta i soldi di Leen senza dare il resto.

“Non devi farmi la carità”

Leen si gira a guardarlo e ammica un altro dei suoi micro-sorrisi.

“Non ti preoccupare. Godo di buona salute finanziaria”

Tyler invece ridacchia divertito.

“Bel modo di metterla”

 

“Non lo so, Leen! È sparito!”

Tyler si alza in piedi e cammina avanti e indietro nella cameretta di Thory. Leen dall’altra parte è seduta alla sedia del tavolo della cucina, nella penombra da una lampada nell’angolo del salotto.

“Che vuoi dire, sparito? Dove sei, tu?”

Tyler sospira. Cerca di calmarsi. Si ferma. Si poggia al muro.

“Leen… È un po' che non ci si sente. Lo so”

“Non te ne fo una colpa, Tyler, ma dimmi cos’è successo, però!”

La voce di Leen è preoccupata, ma si accende una sigaretta con calma. Tyler comincia a piangere dal nervoso, cercando di controllarsi e di smettere.

“Un po' di tempo fa… Ti ricordi, ti dissi che pensavo di aver visto mio padre che mi pedinava?”

“Sì, me lo ricordo. Mi facesti preoccupare, e poi sei sparito. Sono stata in pensiero”

“Mi dispiace, avrei dovuto chiamarti”

“Io aspettavo una tua telefonata, ma immaginavo che quando saresti stato pronto mi avresti chiamato”

“Non me la sentivo”

“Lo so, non eravamo rimasti nel migliore dei rapporti, l’ultima volta”

“Già”

“Ma Tyler… Non è per un disaccorso che smetterò di rispondere al telefono o di parlarti”

Tyler si asciuga le lacrime e torna a sedersi sul letto.

“Mi dispiace, sono stato un coglione”

“Sì. Quello sì. Sei stato abbastanza un coglione. Diciamo che ti sei comportato troppo impulsivamente. Ma lo capisco, e non ti biasimo. Ora però dimmi che è successo”

Tyler si ricompone. Leen lo attende pazienetemente, fumando intando la sigaretta con soddisfazione. Quando Tyler è pronto, sposta il telefono sull’altro orecchio, trovando refrigerio, e riprende a parlare.

“Alla fine ho dovuto usare quella pistola, Leen”

“Quella che avevi preso sottobanco?”

“Sì”

“Tuo padre si è fatto vivo?”

“Sì”

“Vi ha fatto del male?”

“Non ci è riuscito. L’ho prevenuto”

“Che vuoi dire?”

“Voglio dire che gli ho scaricato la pistola contro prima che potesse arrivare a noi”

“L’hai…?”

“No…”

Tyler sospira, deluso.

“Meno male…”

Meno male? Avrei dovuto freddarlo quel figlio di puttana!”

“Sì, e finire in galera per omicidio. E poi chi ci pensava a Thory?”

Tyler fa una pausa, poi sorride.

“Io conosco una persona…”

Leen spiaccica la sigaretta nel posacenere e già ne accende un’altra, mentre il tono della sua voce cresce d’intensità, spinto dal nervosismo che si impadronisce di lei.

Oh No, Tyler! Non è proprio il caso! Non cominciare con questi discorsi!”

Tyler perde il sorrisetto e si alza di nuovo. Torna in sala e cerca qualcosa in cucina e sul divano e sul tavolinetto della TV, per poi trovarlo nella tasca del giacchetto di pelle che ha ancora indosso: il pacchetto di sigarette.

“Sei ancora lì?”

“Sì, Leen, stavo cercando le…”

Ne tira fuori una, se la mette tra le labbra, si gira di nuovo il telefono di orecchio in orecchio, e poi si accende la sigaretta con il fornello della cucina.

“Le sigarette…?”

“Sì”

“Lo so, anche io sto fumando. Credo di aver capito cosa sia successo poi”

“Beh sì. Siamo scappati al nord. Sono qui a Spokane, in una catapecchia fuori dal centro. Speravo di volare sotto i radar… Capisci? Ma stasera, mentre ero fuori…”

“Hai lasciato Thory da solo?”

“…Deve essere en… Ma scusa eh! Ma mica posso stargli appresso ventiquattrore su ventiquattro! Devo lavorare, devo…”

“Correre…” dice lei con tono pungente.

Tyler sbuffa.

“Ci servono soldi”

No, Tyler. Ti serve lo svago. Lo capisco! Ma è pericoloso!”

“Vabbeh. Leen! Comunque sta di fatto che quando sono rientrato non c’era. L’ha rapito!”

“Ma ne sei sicuro?”

“Certo!”

“Voglio dire… Sei sicuro che Thory non sia uscito per conto suo? Non sarebbe la prima volta…”

“No, Leen. Thory è una peste ma quando gli dico una cosa mi da retta. E poi non era proprio nell’umore di andarsene a giro…”

“Come…? Che vuoi dire?”

Tyler sospira. Fa fatica anche solo a pensare di dover raccontare questa parte.

“Era con me quando ho sparato”

“Thory?”

“Sì”

“Hai usato la pistola con Thory lì vicino?”

“Sì, ma non avevo scelta!”

Leen si massaggia la tempia. Un’altra sigaretta è finita. Un’altra va accesa.

“Tyler…”

“Lo so!”

“Sarà rimasto…”

“Stava bene… Non si è fatto nulla. Però è rimasto un po' scosso e quindi escludo che abbia avuto la voglia di andarsene a giro per conto suo”

Leen si alza e va a sbirciare alla finestra, dovendo spostare la pesante tenda che tiene il mondo esterno all’esterno della sua tana.

“E un’altra cosa…” continua Tyler.

Leen richiude la tenda e va a sedersi di nuovo al tavolo della cucina, ignorando il comodo divano del salotto.

“Che cosa?”

Tyler è pensieroso. Riprende a camminare qua e là. Si accende anche lui un’altra sigaretta.

“Ho trovato il suo telefono per terra in salotto”

“È per questo che mi hai chiamato con il suo?”

“No, è che ho sfasciato il mio…”

“Ah…”

“Comunque… Sul telefono di Thory era composto il mio numero. Forse Thory stava cercando di chiamarmi, prima di… Essere rapito”

“Sì, è probabile”

“Per questo sono sicuro che sia stato lui. E so anche dove l’ha portato…”

“Dove?”

“A Grand Lake”

Leen sospira. Fuma l’ennesima sigaretta e poi conclude.

“D’accordo, Tyler. Non ti muovere da lì. Dammi il tuo indirizzo”

Tyler aggrotta la fronte. Poi si decide e detta.

“Ventidue tredici, East Sprague Avenue”

“Spokane…?”

“Spokane. Hai bisogno dello zip?”

“No”

“Okay. Chiamami a…”

“Sì, ti chiamo a questo numero quando sarò in città. Non fare stupidaggini nel frattempo. Stai tranquillo che risolviamo tutto”

Tyler è poco convinto, ma in un sospiro si fa coraggio.

“Va bene”

Poi riattacca e rimane a rimuginare fissando lo schermo incrinato del telefono.

 

Lo schermo improvvisamente annuncia “Leen” e il telefono prende a squillare con la melodia della sigla “Cha La Head Cha La” del Dragon Ball Z giapponese in suoneria monofonica. Tyler la lascia suonare per un po', divertendosi ad ascoltarla.

Poi risponde.

“Sei già qui?”

Leen accosta la sua Dodge Magnum SRT8 nel parcheggio del condominio, spegne il potente motore, scende, chiude, e s’avvia con il telefono all’orecchio al portone.

“Ho fatto prima che potevo”

Tyler le apre la porta. Si fissano a lungo, poi lui fa la prima mossa e allarga le braccia per abbracciarla. Leen rimane ferma immobile e si lascia abbracciare. Ma poi stringe le braccia dietro la schiena del ragazzo e gli carezza le scapole. Tyler è in canottiera, puzza di sudore, è spettinato, e insomma ha bisogno di una sistemata, mentre lei invece è vestita da motociclista pure se guida una macchina, ed è pettinata e sistemata. Ma non è schizzinosa.

Siedono a bere un caffè e parlare.

“Ma quindi non stai lavorando?” chiede lei, sorpresa.

Tyler immerge il proprio sguardo nella tazza del caffè.

“No”

“E come ti permetti certi lussi?”

Tyler sbircia Leen e solleva un brindisi a lei con la tazza marcata Starbucks.

“Intendi comprare le tazze di Starbucks?”

“No, scemo!”

Leen sospira. Tyler posa la tazza e si accende una sigaretta. Leen si sente autorizzata a copiarlo.

“Corro. Sono bravo a farlo. E ho una macchina vincente”

“Sì, ma come puoi mantenere questo regime? Non pensi ai rischi?”

“Certo!”

“Tyler… Non fai altro che giocare col fuoco… Ti preferivo quando lavoravi in palestra giù a Santa Monica. Almeno era un lavoro onesto…”

“Sì, ma è andata fallita!”

Leen sospira.

“Tyler… Ti ho sempre detto che quando avresti avuto bisogno di aiuto io te l’avrei dato!”

Tyler sbuffa. Fuma.

“Mi scoccia stare sempre a chiedere il tuo aiuto”

“Sì, hai ragione, lo capisco. Ma le corse clandestine?”

Tyler beve. Poi fuma. Poi beve di nuovo. È nervoso e imbarazzato, ma ha una certa determinazione.

“Sì. Mi riesce bene. Guadagno soldi. E sto fuori la notte, mentre Thory dorme, così posso esserci di giorno”

“Beh…”

“Sì, lo so! Mi prendo per il culo da solo, perché lui è venuto proprio di notte. Magari mi ha pedinato e ha visto quello che facevo. Ma la teoria del mio piano non è del tutto sbagliata”

Leen sospira.

“No, infatti è semplicemente pazza. Come puoi pensare di prenderti cura del tuo fratellino facendo corse illegali? Non hai pensato alle conseguenze?”

“Non accadrà!”

“Come fai a dirlo?”

“Perché so guidare bene”

Leen distoglie lo sguardo, abbandona il caffè, e si accende un’altra sigaretta, rilassandosi sul divano.

“Anche Tommy sapeva guidare bene…”

Tyler sbuffa e si alza, portando con sé la tazza che svuota nel lavablo della cucina.

“Sempre con questo Tommy!”

Leen torna a guardare Tyler.

“Mi preoccupo per te! Non voglio che fai la sua stessa fine!”

Tyler sciacqua la tazza distrattamente.

“Non ti preoccupare per me! Piuttosto… Preoccupiamoci di Thory…”

Leen spegne la sigaretta nel posacenere.

“A questo ho già pensato”

Tyler abbandona la tazza e si gira per sbirciare Leen. Lei continua.

“Se sei pronto possiamo partire anche subito, così non perdiamo tempo”

 

“Guarda che mio padre tiene i fucili in casa”

Tyler alterna lo sguardo tra Leen e il Dassault Falcon 2000 parcheggiato nella piazzola dell’aeroporto con il portellone aperto. Il copilota li aspetta ai piedi delle scalette, con gli occhiali da sole perché quest’ultimo è da poco sorto.

“Lo so. Me l’hai detto. Ho fatto sistemare delle armi nell’auto che prenderemo… A noleggio”

Tyler punta lo sguardo su Leen con sorpresa, dimenticandosi per un momento del fascino del jet privato. Leen nota l’interesse di Tyler e, con nonchallance, taglia corto.

“Sì, ma Tyler… Sia chiaro! Non ti sto aiutando a compiere un omicidio premeditato! Perciò togliti dalla testa certe idee…”

“Ma io veramente non stavo pensando all’omicidio. Mi stavo solo chiedendo come riesci a organizzare le cose così bene”

Leen gli concede un mezzo sorriso, rivelando la cara vecchia ruga che arriva fino al lato dell’occhio, ma più profonda, con tanto di una fossetta al lato della bocca, e una chiara luce negli occhi.

“Preparazione. È tutta questione di preparazione”

“E soldi… A quanto vedo, non sembri avere limiti spese”

“Te l’ho detto, Tyler, Godo di buona salute finanziaria”

 

“È quella?”

Leen accosta la Honda Accord sul ciglio della strada secondaria immersa nei boschi, e spenge i fari, rimanendo così alla penombra della sera. Sta puntando il dito sul grosso Cottage sulla loro destra, due case più in là, in fondo a un viale sterrato. Le luci sono spente ma c’è un Ford Pickup parcheggiato in fondo al viale stesso.

“Si, è quella” risponde Tyler.

Sono entrambi seri e concentrati.

“Bene. Allora vuoi un taco o una pizza?”

“Te l’ho detto, Leen… Io voglio agire ora!”

“Tyler! O si fa come dico io, o il mio aiuto te lo scordi, e per giunta chiamo la polizia”

Tyler perde lo sguardo fuori dal finestrino, con risentimento.

“Non lo farai. Thory finirebbe allo scatafascio in affidamento”

“Se mi costringi…”

Tyler sospira.

 

“Vuoi?”

Tyler iniste a voler condividere la sua cena con Leen, ma lei rifiuta, concentrata sulla casa.

“Ma tu mangi mai? O ti nutri di sangue…?”

“Peggio. Mi cibo di anime impure”

“Profonda!”

C’è aria di sarcasmo. Tyler intanto finisce la pizza e scola la lattina di coca. Si sbarazza del cartone di pizza sul sedile posteriore e si pulisce le mani, mentre scruta il furgone che prende vita.

“Cos’abbiamo?”

Leen stringe la mano attorno alla chiave della macchina.

“Pare che tuo padre stia uscendo”

“Dai, dammi una pistola, allora, che vado a prendermi Thory!”

No! Non è questo il piano!”

Lo rimprovera Leen, per come sembra per l’ennesima volta. Tyler sbuffa. Intanto osservano il furgone fare retromarcia e uscire dal vialetto per imboccare la strada. I fari del furgone illuminano la loro macchina e i due complici si schiacciano ai sedili e rimangono immobili, per non farsi vedere. Il furgone sfila accanto a loro per strada e torna tutto buio.

“L’hai visto?” chiede Tyler.

“Era a bordo?”

“No, non credo di averlo visto. C’era solo tuo padre”

“Allora Thory è in casa. Andiamo!”

Tyler già mette mano alla maniglia della portiera. Leen gli posa la mano sulla spalla.

“Aspetta!”

Poi riporta la mano alla chiave nel cruscotto, accende la macchina, e guida. Ferma la macchina nel vialetto della casa accanto, a un centinaio di metri da quella interessata, e spegne di nuovo tutto. Con un sospiro si gira a guardare Tyler.

“Okay. Io ti do la pistola. Ma tu mi prometti che non la usi a meno che è assolutamente necessario. Me lo prometti?”

“Sì, Leen. Dai, non perdiamo tempo!”

Leen tira fuori una valigetta da sotto il proprio sedile. Tyler la osserva incuriosito e affascinato. Leen sblocca la serratura della valigetta e la apre, rivelando la pistola.

“Questa è una Beretta 92 FS. 9 millimetri, 15 colpi”

“Sì, la conosco. L’ho anche usata”

“Ci contavo. Quindi non avrai problemi. Ma ricorda…”

“Solo se assolutamente necessario…”

“Bravo!”

Leen affida la valigetta aperta a Tyler che si prende cura di estrarre la pistola e l’unico caricatore e infilare quest’ultimo al suo posto per caricarla, il tutto con padronanza. Poi nota che Leen di suo tira fuori dalla fondina ascellare sotto alla giacca di pelle una più piccola Taurus PT24/7 rispetto alla sua Beretta.

“Sofisticata come sempre” commenta lui.

Leen non ci fa caso e invece apre la portiera.

“Usa la radio se arriva tuo padre”

“Sì, Leen, ho capito. Ti ho già detto che non sparo a vista”

Leen rimane a metà a guardarlo. Gli regala un sorriso un po' più esteso di sempre e poi esce definitivamente dall’abitacolo.

“Buona fortuna. Stai attento!”

“Anche tu!”

Leen richiude lo sportello.

 

Quando gira l’angolo della casa, Leen arriva alla porta sul retro. Testa la maniglia e la trova chiusa a chiave, ma non se ne sorprende. Depone la pistola in fondina e si china sulla maniglia, tirando fuori un borsellino. Dal borsellino estrae un grimaldello a pistola con il quale si accinge a forzare la serratura.

In quel momento si accende la luce oltre la porta e Leen si congela. Se non si era sorpresa prima si sorprende ora. Passa il grimaldello all’altra mano e porta quella dominante all’impugnatura della pistola, e torna dritta. Ma esita a proseguire perché trova una sagoma di bambino dietro la porta. La mano abbandona la pistola e nasconde il grimaldello nel borsellino, che ripone nuovamente dentro la giacca.

Thory apre la porta.

“Leen!”

Bisbiglia, con il tono sollevato ma nervoso.

“Thory!”

Leen è confusa, e sempre più sorpresa.

“Dov’è Ty?”

“È in…”

“Devi avvertirlo!”

“Perché? Cosa succede? Che ci fai alzato così tardi?”

“Leen!”

Thory è preoccupato e sempre più nervoso. Leen gli posa una mano sulla spalla, con l’intento di calmare lui e sé stessa, ma non serve.

“Papà sa che siete venuti. Dovete andare via!”

A Leen si spezza il cuore. Poi però torna alla realtà e si dimentica per un momento di Thory, facendo mente locale. L’adrenalina la porta ad abbandonare la furtività mantenuta rigorosamente fino a quel momento e al in quel momentoa la voce.

“Tyler!”

Incrocia lo sguardo con Thory ed entrambi sono preoccupati per lui.

E tanto per confermare le loro preoccupazioni…

 

Spari.

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