Feel It All

di Lady I H V E Byron
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I (F) ***
Capitolo 2: *** II (E) ***
Capitolo 3: *** III (E) ***
Capitolo 4: *** IV (L) ***
Capitolo 5: *** V(I) ***
Capitolo 6: *** VI(T) ***
Capitolo 7: *** VII(A) ***
Capitolo 8: *** VIII (L) ***
Capitolo 9: *** IX (L) ***



Capitolo 1
*** I (F) ***


ANNUNCIO: questo 13 novembre andrò al concerto dei TH di Bologna. Eventualmente, se qualcuno volesse "incontrarmi"... può parlarmene qui:
https://www.facebook.com/Lady-I-H-V-E-Byron-1196003080417859/?ref=tn_tnmn  
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-Come puoi vedere, ho la merce. Ora fuori i soldi!-
In un angolo remoto di Lipsia, chiamato “die Drogeviertel”, poiché la maggior parte degli abitanti era costituita da tossicodipendenti e trafficanti di droga, un ragazzo di quasi trent'anni, ma ancora diciottenne di aspetto, era davanti ad un uomo; questi era comodamente seduto su una poltrona, malandata, ma non così tanto da essere lasciata nel cumulo di spazzatura da cui era stata prelevata, mentre fissava i vari sacchetti sistemati sul tavolino di legno con aria indifferente, vuota.
Aveva i capelli neri, ma si poteva notare il bianco della ricrescita, rughe profonde sparse per tutto il volto, vestito con un completo di pelle, con camicia rossa completamente aperta sul petto, mostrando la pelle flaccida, quasi coperta dalle catene dorate che portava. Aveva un anello gemmato per ogni dito.
Espirò una boccata di fumo, prima di parlare.
-Hai davvero una faccia tosta per rivolgerti a me in questo modo, Bill…- commentò, con voce rauca, causata dal sigaro che fumava.
Il fumo si sparse per tutta la stanza, illuminata solo da una lampadina sul soffitto, dando un’atmosfera ancora più cupa all’ambiente e alla situazione. L’odore di muffa si confondeva con quello del sigaro.
-Ma ringrazia il fatto che tu e tuo fratello siete come dei figli per me…- proseguì l’uomo, alzando leggermente un angolo della bocca. Aprì un sacchettino, tirando fuori una collier di brillanti. I suoi occhi si illuminarono, insieme alla luce che si rifletté sui piccoli diamanti. –Questi gioielli sono un modello vecchio… ma, d’altra parte… l’antico ha ancora il suo fascino e, soprattutto, il suo valore, no? Delle donne pagherebbero per avere al collo un oggetto simile…-
Osservò nuovamente il ragazzo.
-Ti sei meritato la ricompensa.- si rivolse ad uno dei due uomini accanto a lui, le sue guardie del corpo –Dagli i soldi e la roba.-
L’altro fece un silenzioso cenno della testa, prima di voltare le spalle a Bill e prendere qualcosa da un altro tavolinetto, che lanciò nella sua direzione.
Un rotolo con banconote da 50 euro e un sacchetto di carta.
Il ragazzo sorrise leggermente alla vista di entrambe.
Anche l’uomo si alzò, ma mantenendo lo sguardo serio.
-Devo tornare in città.- disse, stoicamente, prima di uscire dalla stanza, seguito dalle sue guardie del corpo –Ma tornerò presto da queste parti. Tu e tuo fratello avrete un nuovo incarico. Fatevi trovare pronti, appena vi chiamerò.-
-Sì, signor Trümper …-
Era mezzanotte.
Nel Drogeviertel erano le insegne fuori i palazzi ad illuminare le vie. Durante il giorno aveva piovuto: le strade erano ancora bagnate.
Bill Kaulitz, 25 anni, camminò senza problemi sopra le pozzanghere. Per fortuna, i suoi tronchetti neri erano ancora in buono stato, non erano consumati come la maggior parte delle sue scarpe. Li indossava spesso in momenti simili: erano un po’ le sue “scarpe da pioggia”.
Con la pioggia, però, erano calate le temperature, nonostante fossero quasi a Maggio.
Dopo aver rabbrividito, il ragazzo decise di coprirsi almeno la testa, coperta da fini capelli biondi, con il cappuccio della sua felpa. Per incontrare Gordon Trümper aveva indossato dei fuseaux a fantasia nera e acquamarina, una maglietta bianca a maniche corte e una felpa nera larga. Purtroppo non aveva altri abiti “consoni” da indossare.
Si guardò intorno, con aria preoccupata: le vie pullulavano di barboni che chiedevano elemosina, donne per strada con abiti bondage, tacchi 14 e sigarette in mano che si guardavano intorno (alcune, notando Bill, gli inviarono un bacio, lanciando sguardi provocanti), tossici intenti a fare i loro scambi, altri giovani ubriachi che si erano piegati su loro stessi, nei pressi di un angolo, a vomitare quanto avevano bevuto fino ad allora, e altra gente riunita intorno ad un falò, sperando di riscaldarsi.
L’unica cosa cui un abitante di quel quartiere doveva pensare era sopravvivere e sperare di essere ancora vivo la mattina seguente, se dormivi per strada. Non erano rare le rapine o le aggressioni.
Bill cercava sempre di mantenere il profilo basso ogni volta che camminava, guardando le proprie punte dei piedi, sperando di non essere notato dalle varie gang. Un paio di volte fu vittima di rapina: gli avevano rubato una volta i soldi, un’altra la giacca che portava. Lui non reagiva, preferiva lasciarsi tutto alle spalle.
Odiava la violenza, faceva di tutto per stare lontano da essa. Preferiva, piuttosto, subire.
Un giorno aveva persino rischiato di essere vittima di abusi sessuali da parte di una delle gang del “Drogeviertel”. Per fortuna, non era da solo: Tom, il suo gemello, si era battuto contro di loro per proteggerlo.
Bill, infatti, stava cercando proprio Tom; questi non era voluto andare con lui all’incontro con Trümper.
Solitamente, ci andavano insieme. Vedere il gemello accanto a lui, dava la forza al biondo di affrontare quell’uomo. Quella sera aveva semplicemente immaginato di averlo con lui. Ma senza Tom si sentiva perduto, debole, esposto.
Improvvisamente, si fermò. Avvertì uno strano dolore alle costole, che lo fece leggermente piegare.
Un segnale. Da parte di Tom.
Bill si mise improvvisamente a correre.
-Ma cosa mi combina quello scemo…?!-
Una buona folla si era chiusa a cerchio in una piazzetta. Al suo centro, due giovani erano coinvolti in un combattimento.
Uno di loro, appena caduto per terra, era l’esatto riflesso di Bill, con la differenza dei capelli, neri e lunghi, raccolti con un codino.
Indossava una canotta larga e dei jeans che modellavano le sue gambe snelle.
Osservava il suo avversario, largo due volte lui, con aria fredda e concentrata.
Aveva già il naso sanguinante, dei lividi e ferite in faccia e chissà quante per tutto il torace.
Era già caduto cinque volte, ma aveva sempre trovato la forza di alzarsi.
Intanto, la folla era in visibilio.
-Forza! Piazzate le scommesse!- si sentiva urlare ogni tanto.
Tom respirò lentamente, mentre si alzava, prima di studiare bene l’avversario e girandogli intorno, con i pugni ben alzati.
-Cosa c’è Kaulitz? Non sai fare di meglio?- schernì l’avversario, quasi scoppiando a ridere.
Paragonava la sua corporatura a quella del giovane, ecco cosa lo divertiva.
Come risposta, ottenne un grugnito di disapprovazione, uno sputo di sangue e saliva per terra.
Girò su se stesso, dando un calcio sul suo stomaco e un gancio sulla mandibola, che lo fece barcollare.
-Dicevi, Adrien?- schernì Tom, con un sorriso furbo.
Il ruggito che seguì lo lasciò indifferente.
Tom amava le sfide: Bill era contro la violenza, mentre lui non perdeva l’occasione per dare dei pugni a coloro che, secondo lui, se lo meritavano.
I gemelli venivano visti sempre insieme: se Bill non era mai tornato a casa con un coltello piantato in mezzo alle scapole o completamente derubato, anche dei suoi abiti, era sempre merito di Tom. Era il suo protettore, il suo angelo custode, la sua anima gemella. Era molto protettivo nei confronti del gemello minore, lo difendeva sempre e comunque, fin da quando erano bambini.
Infatti, se uno li osservava attentamente, si accorgeva che, nonostante la grande somiglianza tra i gemelli (escludendo il colore dei capelli), Tom aveva molte cicatrici sul volto, quasi nascoste dalla barba folta.
I segni di tutte le battaglie combattute per proteggere il fratello.
Infatti, si sfiorò una delle cicatrici sul volto, prima di mettere una mano dietro, tastandosi le tasche posteriori, alla ricerca di qualcosa.
Estrasse un coltello, lungo quasi quanto la sua mano.
Ecco il suo piano di riserva. Per fortuna, tutto era valido, in quei combattimenti abusivi, anche uccidere l’avversario. Tanto la polizia aveva praticamente abbandonato da tempo quell’angolo di Lipsia.
Anche il suo avversario aveva un piano di riserva: alle dita aveva un tirapugni.
Ma Tom non ne era per niente intimidito.
Si avvicinò lentamente, con il coltello ben celato nella mano, per evitare che qualche tifoso facesse la spia.
Ormai si sentiva la vittoria in pugno; aspettò di essere abbastanza vicino per sfoderare la sua mossa vincente.
-TOM!-
Il giovane si voltò: aveva percepito la sua presenza, ma non poteva lasciarsi distrarre.
Bill. Era tra la folla. Fra tanti volti esaltati, lui era l’unico a provare paura e preoccupazione.
I loro sguardi si incrociarono: Bill sentiva le sensazioni e i pensieri di Tom e Tom sentiva le sensazioni  e i pensieri di Bill.
Quei brevi secondi furono quasi fatali per il gemello maggiore.
-Ti sei distratto!-
Quando Tom osservò di nuovo in avanti, l’ultima cosa che vide fu il tirapugni a due centimetri dal suo volto.
Sesta caduta. La lama gli scivolò dalla mano. Un filo di sangue gli uscì dal naso e dalla bocca.
Il gemello biondo sentì il suo cuore sussultare.
Adrien, intanto, si avvicinò sempre di più al suo avversario, con passi talmente pesanti che avrebbero fatto tremare la terra.
-Sei una delusione, Kaulitz…- mormorò, minaccioso –Basta davvero il tuo fratellino a farti abbassare la guardia? Allora ecco il trucco per vincere le prossime sfide… beh, sempre se ce ne saranno altre… Ahahahah…!-
Poggiò un piede sul torace del ragazzo moro, pressando con forza, facendolo gemere, prima di calpestarlo, sempre più forte.
Non urla uscirono dalla bocca di Tom, ma respiri insonorizzati.
Era troppo: Bill non poteva stare lì con le mani in mano.
Il gemello era troppo orgoglioso per chiedere aiuto; doveva prendere da solo l’iniziativa.
Scavalcò le transenne, ringraziando di essere alto, correndo verso Tom, prendendogli il volto tra le mani.
-Basta, fermati!- implorò all’avversario, con aria supplichevole –Hai vinto! Non c’è bisogno di fargli ancora più male.-
Tom osservò in alto.
-Bill…- mormorò, riprendendo fiato.
Ma Adrien non si lasciò prendere dalla compassione; anzi, si scrocchiò le nocche e il collo, con aria soddisfatta.
-Beh, tanto meglio…- disse, alzando un pugno -Due Kaulitz in una sola serata!-
Impallidendo, Bill strinse il gemello più forte a sé, facendogli da scudo.
Vedere e sentire la pelle del gemello contro la sua sembrava non bastare a fargli tornare la forza: Tom avrebbe tanto voluto intervenire, ma una quarta mano fermò il pugno dell’avversario. Nel frattempo, aveva come perso i sensi.
-TOM!- esclamò Bill, dando lievi schiaffetti al fratello, per farlo rinsavire.
Ad aver fermato Adrien era stato l’arbitro. Il suo unico incarico era quello di dichiarare l’inizio e la fine del combattimento.
-Adesso basta…- mormorò, prima di prendere uno specchietto e posizionarlo sotto le narici di Tom; si appannò –E’ ancora vivo!- annunciò, prima di posare l’oggetto e alzare un polso di Adrien –Adrien Von Staffeln è il vincitore!-
Il citato esultò, insieme alla folla, specialmente chi aveva scommesso per lui. Quelli che avevano scommesso per Tom, invece, imprecarono e bestemmiarono, lanciando insulti contro di lui e il gemello.
Bill non sapeva cosa provare, se ansia, preoccupazione o sollievo.
Osservò di nuovo il fratello: per poco non rischiò un infarto nel vederlo in quello stato, pieno di sangue e lividi.
In quel momento si era risvegliato: si poteva leggere la delusione nel suo volto.
-Grazie tante, fratellino…- mormorò, tra i denti, prima di rialzarsi lentamente, non senza qualche lamento di dolore.
-Lascia… lascia che ti aiuti…!-
-No, Bill! Hai… hai già fatto abbastanza per stasera… tutto quello che puoi fare è darmi la mia cazzo di sigaretta…-
Senza pensarci due volte, il gemello minore scrutò tra le tasche della sua felpa: aveva due sigarette (sia per lui che per il fratello) e un accendino, come sempre.
Si fermarono in un angolo, per fumare.
Appena inspirò la prima boccata di tabacco, Tom si sentì come rinascere.
-Piuttosto…- proseguì, parlando a fatica a causa dei colpi subiti –Com’è andata dallo stronzo?-
Anche Bill espirò del fumo, guardando nel vuoto.
Rifletteva su quanto l’uno avesse bisogno dell’altro: Bill aveva bisogno di Tom per difendersi dal mondo esterno; Tom aveva bisogno di Bill per calmarsi, per non dare completamente sfogo al suo lato violento. Bill era l’unico con cui mostrava il suo lato calmo e dolce. Tutti, nel quartiere, lo chiamavano “das Untier”, la Bestia, a causa del suo carattere un po’ selvaggio.
-Ha accettato la merce…- rispose, stoicamente, prima di mostrare il rotolo di banconote e il sacchetto di carta –E questa è la nostra ricompensa.-
Il gemello prese il rotolo, esaminandolo in tutti gli angoli, e diede un’occhiata al contenuto del sacchetto.
Alzò le sopracciglia folte.
-Cavolo…- commentò, quasi divertito –Roba da leccarsi le dita…-
Poi tornò ad osservare il rotolo.
-Beh… almeno un po’ di soldi li abbiamo ottenuti…-
Entrambi buttarono le proprie cicche per strada nello stesso momento.
Non per niente erano gemelli.
-Ora si torna a casa.- decise Bill, su due piedi –Ed è meglio che ti medichi quelle ferite. Non mi piacciono per niente.-
Tom fece qualche lamento di protesta, prima di camminare. Zoppicava. Adrien lo aveva colpito anche sulle gambe.
-L’unica cosa che mi farebbe stare meglio è un bel boccale di birra e una bella puttana dalle tette enormi.- disse, prima di barcollare.
Il gemello si allarmò. Senza sentire la sua opinione, mise un suo braccio sopra la sua spalla, mentre con una mano lo teneva sul fianco.
-Bill, non c’è bisogno che mi sostieni. So camminare benissimo da solo…- continuò a lamentarsi l’altro, troppo debole per ribellarsi.
-Se ti lascio camminare da solo, sarà giorno quando saremo a casa.- lo convinse Bill –Ora non cominciare a fare storie…-

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Capitolo 2
*** II (E) ***


Note dell'autrice: questa parte sarà un po' noiosa, vi avverto...

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-Ahi! Ahi! Ahi!-
-Ahi, ahi, ahi… Oh, Tom… ti stai lamentando come un bambino…-
La casa dei Kaulitz altro non era che un piccolo appartamento all’ultimo piano di una palazzina in rovina.
Non c’erano molti mobili, se non quelli necessari per sopravvivere. Non avevano nemmeno la televisione in casa o il telefono. L’unica televisione era quella dell’unico bar del quartiere, sempre affollato.
L’attacco all’energia era abusivo, nelle abitazioni potevano usarla solo per il frigorifero e le luci. Se le forze dell’ordine se ne fossero accorte, avrebbero tagliato la corrente a tutto il “Drogeviertel” e allora sarebbe stata la fine.
-Non batti ciglio per due cazzotti che ti becchi in faccia e ti lamenti per un po’ di alcool…- derise Bill, prima di prendere il volto del gemello -Ora stai fermo…- soffiò delicatamente sulla ferita, appena medicata.
I loro sguardi si incrociarono di nuovo: stavano comunicando attraverso i loro occhi color nocciola.
Poi gli occhi di Bill si abbassarono verso le numerose cicatrici che Tom aveva non solo nel volto, ma anche per tutto il torace. Si era tolto la maglia per farsi medicare anche le ferite in petto. I combattimenti lo avevano formato e allenato: si potevano scorgere dei muscoli, nonostante il fisico snello.
Bill soffriva nel vedere quelle cicatrici, causate per la sua debolezza. Non poteva fare a meno di Tom, ma si sentiva sempre in colpa, ogni volta che combatteva contro le gang del quartiere per difenderlo.
-Ancora, comunque, non ti ho perdonato…- riprese Tom, assumendo nuovamente lo sguardo deluso.
Il gemello inclinò la testa, confuso.
-Avevo Adrien in pugno, prima che arrivassi. E tu hai rovinato tutto.-
-Bel ringraziamento, fratellone…- si offese Bill, serrando le labbra, sentendo il freddo dei piercing al labbro inferiore –Quel tipo poteva ammazzarti.-
-Non mi hai salvato la vita, hai rovinato il nostro futuro!-
-Esagerato…-
-Non hai idea di cosa ci fosse in palio…-
Bingo. Ecco il motivo per cui Tom era tornato a combattere, nonostante i continui rifiuti del fratello.
Non era tanto il combattere, quanto il motivo che lo spingeva a combattere.
-Potevamo davvero uscire da questo buco di merda, se avessi vinto…-
-Di quanto si trattava?- domandò Bill, interessato, e sentendosi anche un po’ in colpa.
-Abbastanza per un affitto in città. E, contando i nostri risparmi… anche per un cucciolo di bulldog inglese.-
Un bulldog inglese. La razza preferita di Bill.
Questi rise. Ma non era una risata divertita.
-Bravo, adesso mi stai facendo sentire in colpa…- commentò, dando una lieve botta sulla spalla del fratello.
-Ahi!- si lamentò Tom, toccandosi la parte offesa, prima di ridere anche lui.
Tornò subito serio, mentre osservava Bill rimettere l’ovatta e l’alcool al loro posto.
-Bill, ma tu non sei stufo?-
-Di cosa?- domandò l’altro, voltandosi.
-Di vivere così. Costantemente nella paura di essere aggredito per pochi spiccioli, in un luogo pieno di gente fuori di testa! Siamo praticamente noi contro tutte le gang der Drogeviertel! E soprattutto, stufo dello stronzone vestito di pelle, forse umana.-
-Beh…- fu la risposta di Bill, mordendosi il labbro inferiore; in realtà, non aveva la minima idea di cosa dire e questo Tom lo sapeva –Il signor Trümper, in fondo, non ci tratta così male… ci chiede solo di fare alcuni lavoretti e lui ci ripaga abbastanza da sopravvivere un mese…-
-Bill, ci sta sfruttando!- tagliò corto il gemello, distendendosi verticalmente sul divano –Siamo solo un pezzo di carne fresca da sodomizzare! Degli agnelli da sacrificare! Se avessi vinto, con quella somma potevamo liberarci definitivamente da lui!-
-Se i nostri genitori non avessero divorziato, ora non saremmo qui!-
L’ultima frase di Bill fece impallidire Tom. Senza volerlo, aveva schiacciato un tasto dolente per entrambi.
Era successo quando avevano sei anni: era un periodo oscuro per la famiglia Kaulitz, soprattutto per i genitori; da un po’ di tempo non andavano più d’accordo. Simone si era resa conto che Jörg non era l’uomo dei suoi sogni, lo stesso valeva per il marito. Per questo avevano deciso di divorziare. Anzi, tecnicamente, non erano sposati, quindi non si trattava di un divorzio vero e proprio, quanto, piuttosto, di una separazione. Tuttavia, c’era anche la questione della progenie. Avevano deciso di prendere lei Bill e lui Tom. I gemelli, avendo sentito tutto, per nulla d’accordo sulla decisione dei genitori, presero le giacche e scapparono di casa, senza dire nulla. Non potevano vivere l’uno senza l’altro. Separarsi significava perdere una parte della loro vita. Meglio, allora, per entrambi, vivere loro due da soli, anche se bambini, che vivere con un genitore, ma praticamente da solo.
Da allora, dovettero contare solo su loro stessi.
Non era facile trovare un rifugio per due bambini; per un mese, mendicarono per strada, per cibo, acqua e soldi. Più volte degli zingari cercarono di rapirli, ma Tom, già da piccolo, non permetteva a nessuno di toccare Bill. La sua prima cicatrice risaliva proprio a quel periodo. Fu allora che si imbatterono in Gordon Trümper: lo videro entrare in un bar, scendendo da una macchina lussuosa. Credendo che al suo interno ci fossero dei soldi, allora i due gemelli decisero, furtivamente di entrarvi. Ma non trovarono niente. Non si aspettavano nemmeno il ritorno improvviso del proprietario della macchina. Per un attimo li osservò con aria fredda, mentre loro erano combattuti tra l’intenzione di scappare o restare paralizzati dalla paura, poi chiuse lo sportello, bloccando le porte. Per un attimo, Bill e Tom temevano di essere condotti dalla Polizia e dai loro genitori, di conseguenza, essere separati. Ma Gordon non lo fece: li prese con sé. Li rifocillò, diede loro un nuovo cambio di vestiti e li fece dormire nella stanza degli ospiti della sua villa. Forse mosso da pietà e compassione, forse perché poteva usarli per i suoi scopi.
Fatto stava, che i due gemelli entrarono sotto l’ala di Trümper. Non fece loro mancare niente: giocattoli, cibo, vestiti, libri… nemmeno l’educazione scolastica, anche se assoldò un insegnante per fare loro lezioni private.
Non potevano sapere che, in realtà, colui che chiamavano “der Protektor”, altro non era che uno dei leader di una rete di trafficanti di droga. Avrebbero dovuto sospettarlo dal primo momento in cui, dopo due mesi di permanenza nella sua magione, aveva loro incaricato di fare la loro prima missione: entrare in una fogna, e rubare il tesoro di un ladro. Erano abbastanza piccoli per entrarvi. Da allora, non si fermò: incaricava spesso i gemelli di svolgere compiti simili, e, man mano che crescevano, gli incarichi diventavano sempre più “sporchi” e non si limitavano a rapine.
Li viziava per portarli dalla sua parte e usare la scusa del “Io vi ho accolto sotto il mio tetto, vi ho dato tutto e voi mi ripagate così?!” ogni volta che osavano ribellarsi a lui o discutere i suoi ordini. I sensi di colpa possono essere più efficienti di qualsiasi tortura per manovrare le persone, specie per menti deboli ed ingenue come quelle dei giovani gemelli.
Fu quando compirono la maggiore età che Trümper li inviò nel “Drogeviertel”, di sua proprietà.
Disse loro che era ormai giunto il momento di affrontare il mondo, che mettessero a frutto tutto ciò che avevano imparato dai loro precedenti incarichi. In realtà, voleva solo sfatare delle voci che giravano su di lui, tra i suoi stessi sottoposti: si diceva, infatti, che i Kaulitz fossero suoi figli. Uno dei motivi per cui li viziava e li coccolava. In tal modo ha dimostrato che non valevano né più né meno degli altri.
Fu un periodo complicato per i gemelli, i primi giorni che passarono in quell’inferno.
Almeno l’appartamento in cui risiedevano, per fortuna, lo avevano trovato vuoto, con discreti impianti elettrico e idrico.
Ma non si liberarono dal loro protettore: egli continuò ad affidare loro incarichi sempre più pesanti, e loro venivano ugualmente ad essere ricompensati con quello che volevano, se avevano svolto perfettamente le loro missioni.
Avrebbero potuto usare i soldi ricavati per scappare alla prima occasione, ma non lo fecero. Sprecavano i loro soldi in bevute, donne, parrucchiere (più volte, infatti, avevano cambiato il proprio look), abiti (anche se scadenti e usati), piercing e tatuaggi.
Inoltre, essere i protetti di un grosso trafficante di droga, non poteva rendere i gemelli immuni alla tentazione di provare la stessa droga che contrabbandavano.
Così fu.
Nel sacchetto che Gordon aveva dato a Bill, infatti, c’era mezzo chilo di eroina.
-Scusa, Tom, non avrei dovuto dirlo…-
Il gemello scosse la testa.
-No, hai ragione.- rifletté, storcendo la bocca -Se c’è qualcuno da incolpare per tutto questo, sono i nostri genitori. Se ci siamo ridotti così è colpa della loro inettitudine…-
Bill sospirò: non era passato un giorno, infatti, in cui non rivolgessero un pensiero furioso ai genitori.
La droga li aiutava a dimenticare, a lasciarsi tutto alle spalle.
Osservò il sacchetto, storcendo la bocca. Poi lo prese e lo ondeggiò davanti al fratello.
-Facciamo a metà?-
 
Percepirono persino la dilatazione delle proprie pupille.
La droga stava facendo il suo effetto, entrando in circolo in tutto il loro corpo.
Ancora una volta, dimenticarono il loro rancore.
 
I sogni rivelano i desideri segreti delle persone. Alcuni fanno riaffiorare dei ricordi.
Bill e Tom erano tornati bambini. Erano con i loro genitori. Erano felici.
Stavano viaggiando su una mongolfiera, sopra Disneyland, dove avrebbero sempre voluto andare.
Sorvolavano tutte le attrazioni e i due bambini non facevano altro che ammirarle, sorridendo e ridendo, anche rischiando di sporgersi troppo dalla ringhiera, pregustando il momento in cui avrebbero provato tutte le giostre e fatto le foto con tutti i personaggi della Disney.
Così, infatti, fu.
Il Phantom Manor, il labirinto di Alice, il Big Thunder… si goderono ogni momento. Tutti insieme, come una vera famiglia.
Un intero giorno nel mondo della Disney.
Per concludere il giro, entrarono nel castello della Bella Addormentata.
Salirono fino all’ultimo piano, alla torre più alta, dove, nel cartone animato, la Bella Addormentata giaceva addormentata.
Dall’unica finestra ivi presente, si poteva vedere tutto il parco e i dintorni, accarezzato dai raggi del tramonto.
I gemelli, inoltre, notarono una mongolfiera.
Era la stessa su cui erano giunti al parco.
C’erano i loro genitori su di essa.
Bill e Tom si osservarono terrorizzati; i loro genitori li avevano abbandonati.
-Starete molto meglio qui.- disse la loro madre, prima di voltare loro le spalle.
Il padre non disse una parola; si limitò anche lui ad abbassare lo sguardo e rivolgendolo alla parte opposta della compagna.
-No! Mamma! Papà!- urlarono i bambini, piangendo.
 
Bill si svegliò di soprassalto.
Era ancora nell’appartamento. Nella camera da letto. Sotto il lenzuolo del lettone.
Il cuore gli batteva forte.
“E’ stato solo un brutto sogno…” pensò, prima di guardare a sinistra.
Tom dormiva come un sasso, raggomitolato come un gatto. Russava lievemente.
Lo scosse un pochino sulla spalla.
Forse il gemello fu svegliato più dal contatto con le sue mani fredde alla sua pelle che dal movimento stesse.
Entrambi avevano indosso solo la biancheria intima; dormivano sempre così, per evitare di sporcare altri abiti di sudore. Tra la roba usata che compravano non erano presenti pigiami.
E poi Gordon aveva detto loro che dormire nudi rafforzava il corpo per il giorno seguente.
-Ehi… Tomi…- sussurrò lievemente Bill.
Tom mugugnò qualcosa, prima di muovere un braccio, prendere la mano del fratello senza voltarsi e stringerla a sé come un bambino fa con il suo orsacchiotto.
-Ho fatto uno strano sogno…- proseguì il giovane biondo, guardando prima il vuoto, poi il profilo dell’altro.
-Che sogno?- biascicò questi, ancora immerso nei fumi del sonno.
-C’erano i nostri genitori…-
-Allora era sicuramente un incubo…- tagliò corto, senza voler sentire altro -Dai, dormi, adesso…-
Forse non aveva tutti i torti. Anzi, non ne aveva proprio.
Bill osservò i capelli di Tom: quando andava a dormire li teneva sciolti. Ricoprivano l’intero cuscino.
Erano uno spettacolo rilassante da vedere. Davano sempre l’idea di essere morbidi.
Li toccò, rendendo la sua mano un pettine gigante: erano morbidi e setosi.
Ridacchiò: una volta era lui moro e il fratello biondo.
Si erano promessi di non essere come gli altri gemelli, con lo stesso taglio di capelli e praticamente lo stesso modo di vestire.
“Non possono esistere due mani destre o due piedi sinistri.” si erano detti, prima di concludere il loro accordo.
Più volte avevano cambiato i loro stili, nel corso di quella decade che li separava dal primo anno di età adulta.
Bill sospirò di nuovo, rivolgendo lo sguardo verso la finestra: era ancora notte.
Liberò il braccio dalla stretta del fratello e si avvicinò ad essa.
Il legno umido faceva un effetto sgradevole ai piedi nudi del ragazzo. Ma ormai ci era abituato.
Dalla finestra vide quasi tutta Lipsia: la parte “normale” era illuminata dai luci dei lampioni. Luci proprio luminose, non come quelle delle insegne del “Drogeviertel”.
In realtà, anche lui, come Tom, voleva scappare da quel luogo, ma, poi, dove andare?
Se avessero ottenuto abbastanza soldi per un affitto in città, cosa avrebbero fatto per guadagnarne altri?
In società non c’era spazio per due tossici e con una lunga lista di reati commessi alle loro spalle. Come minimo, sarebbero stati in prigione per il resto della loro vita.
La morte sarebbe stata la scelta migliore.
Gordon Trümper era la loro famiglia, il suo Drogesreich la loro casa. Senza di essi non erano nessuno.
Qualcosa vibrò, facendo quasi tremare un tavolino.
Un cellulare.
Un regalo di Gordon per il diciottesimo compleanno dei gemelli.
Ma non un cellulare di ultima generazione. Era un cellulare risalente agli anni 2000. Costantemente senza credito.
Era l’unico modo in cui l’uomo comunicava con loro, per avvertirli quando sarebbe giunto nel quartiere o per informarli sui loro nuovi incarichi.
Bill osservò lo schermo verde con aria allarmata: un nuovo messaggio da parte di Gordon.
Vide anche l’ora: erano le 4 di notte.
 
Ho un nuovo incarico per voi.
Alle 9:00 vi chiamerò per i dettagli.
G.T.

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Capitolo 3
*** III (E) ***


Note dell'autrice: scusate la lunghezza e gli errori di grammatica.
P.S.: non ho saputo resistere nel mettere una delle mie citazioni preferite di "The Mask"... Scusate.
 
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Se qualcuno voleva arricchirsi, anche se illegalmente, doveva entrare nel centro città, nel cuore della notte, sperando di evitare le pattuglie notturne.
Strutture importanti come la Banca Centrale dovrebbero essere fra quelle più sorvegliate, ma non c’era nemmeno l’ombra di un poliziotto. Forse facevano tutti affidamento alle telecamere e ai sistemi di sicurezza.
Una delle gang del Drogeviertel, un gruppo chiamato “die Totenköpfe”, “i Teschi”, costituita prevalentemente da africani, avevano proprio intenzione di svaligiare la Banca Centrale. Avevano rubato un furgone, per arrivare più velocemente alla meta. Fortuna che nel quartiere, almeno, non mancavano le armi. Anzi, vi circolavano più armi che cibo.
Non c’era da sorprendersi se alcuni degli abitanti aveva tante cicatrici.
I privilegiati o quelli più fortunati riuscivano a raggiungere il centro, forse la punta di diamante di Lipsia e, per loro, la punta di diamante del mondo. Nell’unica televisione di tutto il “Drogeviertel” venivano sintonizzati soprattutto i canali del calcio o quelli musicali. Mai sul telegiornale.
 E sapevano che gli abitanti di Lipsia, dopotutto, dovevano pur mettere i loro risparmi in un posto più “consono”.
“Beati loro.” verrebbe da dire. Soprattutto dai ladri.
La gang era ormai all’entrata della banca. Vennero subito inquadrati dalle telecamere di sicurezza, ma a loro non importava.
Volevano solo entrare, prendere i soldi e tornare nelle proprie abitazioni.
Alcuni fecero da vedette, altri già erano impegnati ad entrare nella grande porta a vetri, senza buttarla giù per non far scattare l’allarme. Stavano usando dei grimaldelli e un coltello, come si usava una volta.
Improvvisamente, un rumore di moto.
Ma non proveniva dalla strada; sembrava provenire, piuttosto, dall’interno della banca stessa.
Il rumore si faceva sempre più forte. Qualcosa stava venendo da loro.
Una moto uscì dalla banca, sfondando il vetro del portone. Una Harley Davidson, a giudicare dal suono.
Fece una derapata impeccabile, prima di fermarsi.
I membri della “Totenköpfe”, una volta protetti dalle schegge di vetro, riuscirono a scorgere chi vi era alla guida: due ragazzi, dal volto coperto da due caschi. Sul centauro era disegnato il volto di un demonio, mentre sull’altro un’aureola. Questi aveva nelle mani due sacchi enormi, molto probabilmente pieni di soldi.
Il primo alzò la visiera, mostrando due occhi color nocciola che esprimevano divertimento.
-Spiacente, ragazzi!- disse, con tono derisorio -Non c’è trippa per gatti!-
Entrambi si misero a ridere malignamente, mentre la moto ripartiva, dopo un’impennata, che fece quasi cadere il passeggero insieme ai sacchi.
Il capo della gang serrò le labbra carnose.
-Die Zwillinge…- mormorò -Der Teufel und der Engel …-
Der Teufel und der Engel. Il Demonio e l’Angelo. Erano uno dei tanti nomi con cui I Kaulitz venivano chiamati dalle varie gang del Drogeviertel. Uno di essi era la parola inglese “Twinzies”, messo più come presa in giro che per rispetto.
Ma questo li rappresentava in pieno, rappresentava il loro modo di essere uguali, ma diversi: Bill era l’angelo, per il suo carattere mite, timido e la sua tendenza al pacifismo, mentre Tom era il demonio, per la sua violenza, la sua impulsività e il suo essere un po’ aggressivo.
La Harley era un altro dei regali da parte di Gordon: un mezzo per velocizzare le loro missioni, soprattutto quelle al centro di Lipsia.
Ma almeno erano liberi di personalizzarla come volevano: Bill aveva abbozzato delle fantasie su carta e Tom le aveva realizzate sulla moto con le bombolette spray.
La carrozzeria era nera, e i disegni erano delle fiamme, unico disegno che piaceva ad entrambi.
Lo stesso avevano fatto con i caschi.
Ridevano dietro di essi.
-Quella battuta è stata fenomenale, Tomi!- complimentò Bill, stringendosi di più al fratello.
-Beh, è stata improvvisata.- ribatté, modesto, Tom –Ma fenomenale è stata l’idea della rapina! Gordon è davvero un mago in questo!-
Come sempre, il piano era di Gordon; i gemelli erano solo gli agenti.
Per fare una buona rapina, la cosa migliore da fare era entrare nel luogo da rapinare di giorno, mescolandosi tra la gente comune, entrare in un luogo ben appartato, dove nessuno sarebbe mai entrato, e attendere fino a notte fonda.
Il luogo appartato in questione era il magazzino.
Potevano essere avvistati dalle telecamere, ma Gordon aveva assicurato loro che le avrebbe messe fuori uso il tempo necessario per rubare tutti i soldi che potevano.
Niente era andato storto. Era andato tutto esattamente come pianificato. Ovviamente, Trümper aveva anche indicato una via di fuga più efficiente per i suoi “beniamini”.
-…e trovando quella gang di negri, la polizia darà loro colpa di aver rapinato la banca, mentre noi ci godremo l’ennesima ricompensa di Gordon!- cercò di ricordare Tom, prima di ridere di nuovo, di gusto.
Anche la presenza della “Totenköpfe” era prevista nel piano: sapevano che avrebbero cercato di entrare nella banca, senza rischiare di far scattare l’allarme. Ma alla polizia serviva un capro espiatorio, quindi, perché non loro? Facendo scattare l’allarme e non trovando nessun altro di fronte all’edificio, sarebbero stati arrestati al posto dei veri colpevoli.
Infatti, i gemelli udirono delle sirene. Risero sotto i baffi, convinti di avere la via libera fino al Drogeviertel.
Tuttavia, i loro sorrisi svanirono: appena voltato l’angolo, sulla strada principale, c’era un blocco.
Un’intera fila di macchine della polizia erano posizionate appositamente per loro.
Bill e Tom sentirono i loro cuori sussultare.
-Scheiβe!- imprecò il secondo -Die Polizei!-
-Che facciamo, adesso?!-
Urgeva una via di fuga, e rapida, soprattutto. Lo sguardo del gemello maggiore fu rivolto a sinistra. Un vicolo. Sperando che non sia una strada senza uscita. Forse non era meglio che lasciarsi arrestare, ma tentare non nuoceva.
-Reggiti, Billy!- avvertì, eseguendo una curva brusca a 90°. Le gomme lasciarono la loro scia sull’asfalto.
Per fortuna la stradina presa non era un vicolo cieco. La via sembrava sgombra.
Se tutto fosse andato bene, sarebbero tornati al quartiere solo con un quarto d’ora di ritardo.
Erano vicini all’uscita quando le loro speranze si rivelarono vane: altre due macchine della polizia si misero proprio di fronte all’uscita, dalla parte opposta rispetto ai gemelli, proprio pochi secondi prima che la Harley Davidson uscisse.
Sguardi colmi di terrore si materializzarono dietro le visiere oscure.
Urtò contro le macchine, ma la moto non si fermò. Si ribaltò su se stessa e con essa Bill e Tom.
Questi eseguirono un volo di quattro metri, capriolando per aria.
Il tempo sembrò come rallentare, in quel breve istante. Mai come quella volta temettero di morire.
Ebbero un attimo per osservarsi negli occhi e cercare di prendersi per mano. Se proprio dovevano morire, dovevano farlo almeno restando insieme.
Atterrarono sulla strada, rotolando per almeno un metro. Si fermarono più o meno nello stesso punto.
Bill gemette: i caschi avevano protetto le loro teste, ma non si poteva dire lo stesso del resto del loro corpo.
Sentiva un dolore straziante al braccio destro. Forse si era persino rotto.
I lamenti del fratello, fecero dimenticare a Tom le proprie di ferite, nel suo caso, un paio di costole rotte.
Strisciò verso di lui, toccando premurosamente il casco.
-Billy! Stai bene?-
Ma non udì risposta: solo dei lamenti.
La Harley aveva subito dei danni, ma non se ne curarono.
Notarono tre ombre avvicinarsi verso di loro: tre poliziotti. Due in divisa e uno vestito con giacca e cravatta. Doveva essere il capitano.
Fece un cenno con la testa e i due poliziotti rimossero il casco ai due gemelli, rivelando i loro volti.
Tom si avvicinò sempre di più a Bill, facendogli da scudo umano, osservando i poliziotti con aria da sfida.
Ma l’uomo al centro non si scompose: li osservava con aria fredda, strizzando gli occhi scuri.
Aveva sulla mezza età, tipo Gordon, ma aveva meno rughe di lui.
-Klausenburg Straβe…- mormorò, incrociando le braccia –Proprio come aveva detto quella chiamata anonima…-
I gemelli non dissero nulla: Bill aveva smesso di lamentarsi, appena sentito il contatto con le mani del fratello, ma osservava i poliziotti con aria sofferente, quasi supplichevole.
-Capitano Schultz!- esclamò un altro poliziotto, una volta avvicinatosi alla Harley –Ho trovato i soldi rubati alla Banca Centrale! Esattamente come ci è stato detto.-
Quella situazione si faceva sempre più sospetta.
Il capitano Schultz fece un sorriso quasi malefico.
-Davvero credevate di sfuggirci così, Zwillinge?- sibilò, come un serpente –Nessuno mi sfugge. Adesso vediamo cos’altro avete in quelle tasche…! Perquisiteli!-
Nonostante i loro danni, Bill e Tom furono bruscamente strattonati per rialzarsi.
Il dolore al braccio del primo si incrementò.
-Torcetegli un capello e io vi ammazzo!- minacciò il secondo, dimenandosi, prima di ricevere un pugno sulle costole già rotte.
 
Erano passati due anni da allora.
Bill e Tom ricordavano sempre con dolore quel momento.
Era mattina quando ricevettero la chiamata di Gordon.
-Spero abbiate dormito bene, Zwillinge…- disse, parlando al telefono. I destinatari avevano messo il vivavoce sul loro –Perché vi aspetta una lunga giornata e una missione impegnativa.-
I gemelli si osservarono l’un l’altro, poi si presero per mano, quella tatuata: lo scheletro strinse i numeri, ed essi ricambiarono.
-Di cosa si tratta?- domandò Bill, con aria come se stesse dicendo “Che altra scelta abbiamo, in fondo?”
Gordon, dall’altra parte del telefono, sorrise.
-Ecco la domanda che mi piace…- sibilò –Si tratta di un mio concorrente. Un altro trafficante di droga che, come me, ce l’ha sempre, tuttavia non la mette in vendita. Non in soldi, almeno. Cede la droga per prestazioni sessuali, da come avrete intuito, soprattutto se il cliente è di sesso femminile. E la gente preferisce farselo infilare gratis, piuttosto che cedere altri quattrini. In parole povere, questo tale mi sta rubando i clienti. Dovete ucciderlo. Stanotte.-
Uccidere. I gemelli non amavano compiere omicidi, ma se Gordon lo ordinava dovevano farlo.
Da quando avevano compiuto la maggiore età, più volte erano stati costretti ad uccidere nemici del loro “Protektor”, ogni volta in modo diverso: chi veniva annegato, chi avvelenato, chi colpito da una pallottola…
Tutto merito dei Kaulitz.
Entrambi si morsero il labbro inferiore, si guardarono nuovamente l’un l’altro, come se stessero cercando la propria forza, e strinsero ancor più le loro mani.
-Cosa vuoi che facciamo, quindi?- domandò Tom, facendosi serio –Se questo tale non cede la droga per soldi, come facciamo ad entrare in casa sua, senza rischiare che chiami la polizia? Non vorrai mica che gli succhiamo il cazzo o ce lo facciamo infilare nel culo…?-
-Tom!- rimproverò Bill. Quando era nervoso, Tom diventava più volgare del solito.
-Niente di tutto questo.- tagliò corto Trümper, impassibile –Quel compito spetta a una delle mie donnine. Voi dovete solo fare il resto, ovvero ucciderlo e dare fuoco al suo appartamento, mentre lei lo distrae. E, possibilmente, prendere la sua droga. Se volete sapere la vostra ricompensa… beh, diciamo la metà della droga che trovate. E un altro bel gruzzoletto.-
Un’offerta allettante. Dopotutto si trattava di uccidere un sessista, un trafficante di droga e ricattatore. Nessuno avrebbe pianto la sua morte. Tranne i suoi clienti, forse.
-Che altra scelta abbiamo, dopotutto?- sospirò Bill, con aria rassegnata.
Tom lo osservò: odiava vedere il fratello in quel modo. Avrebbe tanto voluto che almeno lui vivesse una vita migliore, libero, senza guinzagli.
Sentì Gordon sogghignare.
-Non se ne ha mai…-
Il gemello volle porre fine il prima possibile a quella chiamata.
-Dove si trova questo tizio?- domandò, aggrottando le sopracciglia.
-Vi invierò un messaggio, dove vi indicherò il suo nome e il suo indirizzo.-
-E cosa ci assicura che questo non sia un altro tuo trabocchetto?-
Seguì un breve momento di silenzio. Si riferiva a quanto accaduto due anni prima.
-Tutto dipenderà da voi, miei cari gemellini.- fu la risposta –Richiamerò a mezzanotte. E farete meglio ad aver compiuto la missione.-
Riattaccò senza sentire alcuna risposta o protesta.
Come promesso, il nuovo messaggio indicava un indirizzo e un cognome.
Si trovava dall’altra parte della città. Tra il centro e un’altra periferia.
Distava circa sei ore dal quartiere.
Ebbero il tempo di fare colazione in un bar vicino.
Una misera colazione: caffè praticamente salato e una brioche rafferma da chissà quanti giorni per 1 euro a testa.
Non mangiavano molto, durante il giorno, tra una missione e l’altra. Non c’era da stupirsi sul perché fossero così magri. Inoltre, sembrava preferissero sprecare soldi per tatuaggi e piercing (a volte per comprarsi la droga, se finivano le loro scorte prima delle missioni di Gordon) piuttosto che per comprare da mangiare o risparmiare per scappare da lì, come aveva suggerito Tom la sera precedente.
Usciti dal bar (dal quale ascoltarono con interesse una canzone di Alice Cooper, poiché il televisore era sintonizzato sul canale musicale), proseguirono per la via principale, dirigendosi verso la rimessa dove tenevano la Harley.
L’aria era umida e fredda; infatti, entrambi i gemelli si erano messi una felpa pesante per coprirsi dal freddo.
Avevano indosso dei jeans, Tom normali e Bill strappati sul ginocchio, che modellavano le loro gambe.
Come sempre, Tom si era legato i capelli in un codino basso.
La rimessa era lontana ancora un isolato. Passarono accanto ad una piazzetta, composta soprattutto da terriccio (o fango, considerando la pioggia del giorno prima).
Come sempre, vi trovarono una delle gang del quartiere.
Stavano fumando marijuana, a giudicare dall’odore, e ridendo.
Dopodiché, il capo alzò la testa, notando i Kaulitz, che continuavano a camminare.
-Ehi, Kaulitz!- esclamò; Tom sapeva si stava riferendo a lui –Sei già in lutto per la tua cara Harley?-
Il ragazzo accennò una risata, facendo uscire dell’aria solo da un angolo della bocca.
-Piuttosto, tu preparati alla sconfitta, Erik!- schernì, fermandosi un attimo a guardarlo negli occhi –Perché ti farò mangiare la mia polvere!-
A volte, nel “Drogeviertel” venivano organizzate gare abusive tra motociclisti e Tom vi partecipava sempre.
Gli piaceva molto farsi notare, essere temuto e conosciuto in tutto il quartiere. Era Bill quello che preferiva restare nell’ombra.
Uguali di aspetto, ma diversi di carattere.
-Ah, già, è vero…- disse Erik, prima di schioccare le dita –Dimentico sempre il tuo trucco per vincere le gare: una bella passata di mano e poi una bella lubrificata al pistone principale dal tuo gemellino.-
Bill divenne tutto rosso in faccia dall’imbarazzo, specie quando si accorse che il giovane aveva accompagnato la frase con uno strano movimento della lingua, come se stesse leccando qualcosa.
Ciò fece infuriare Tom.
SI rimboccò le maniche, in procinto di avvicinarsi a lui.
-CIUCCIATI IL CAZZO, STRONZO!- urlò, con aria minacciosa.
Il gemello lo prese per un braccio, per fermarlo.
-Calmati, Tom!- lo esortò, portandolo via di lì –Non ne vale la pena…-
Il ragazzo moro si calmò all’istante. Solo perché c’era Bill.
Non era la prima volta che i gemelli venivano accusati di incesto, ma la reazione di Tom era sempre la stessa.
-Lo fanno solo perché sanno che reagisci così…- proseguì il biondo, guardando in basso. Non aveva mollato la presa sul gemello, per timore che tornasse indietro per dare inizio ad una rissa.
-Non mi piace che ci trattino così…- fu la risposta, ancora con una punta di ira sulla lingua –E non mi piace vivere qui. Se mi avessi lasciato vincere, a quest’ora saremo già in viaggio verso la libertà, fuori da questa merda, vivere in un buon appartamento, ci saremo trovati un lavoro degno e ogni mattina berremmo succhi di anguria freschi accompagnati da un buon toast.-
Bill si fermò all’improvviso: solo Tom sapeva scavargli nel profondo e conoscere i suoi punti deboli.
Non voleva farlo sentire in colpa per la sera prima, ma sembrava che la rimproverata ricevuta non fosse stata abbastanza.
-Tom! Non lo sapevo!- ribatté, seccato, e guardandolo con le folte sopracciglia aggrottate.
L’altro sospirò.
-Hai ragione.- ammise –E’ colpa mia. Avrei dovuto dirtelo.-
Bastò solo uno sguardo per capire che tutto era ormai perdonato.
Le loro braccia si separarono. Furono le loro mani, a quel punto, ad intrecciarsi.
-Anch’io non ne posso più di vivere qui…- concluse il biondo, facendo strappare un sorriso all’altro -Solo una cosa... Perché proprio l'anguria?-
-Era il primo frutto che mi era venuto in mente...-
 
Era già sera quando raggiunsero la meta.
“Il soggetto si fa chiamare “Little John”.” ricordarono dalla chiamata di Gordon “E’ un afro-americano trasferito a Lipsia per problemi con la legge americana. Vive in un appartamento al quarto piano di un palazzo a Lipsia nell’indirizzo che vi indicherò con il messaggio che invierò dopo la chiamata. Il nome con cui si è registrato nel citofono non ha alcuna importanza per voi: voi dovete solo raggiungere il retro e raggiungere la finestra del salotto dall’esterno.”
La Harley parcheggiò proprio dove indicato dall’uomo. Il palazzo era molto alto, almeno sette piani.
I gemelli lo contemplarono, seri in volto.
Tom constatò di vivere in un luogo simile, non appena avrebbero raccolto i soldi necessari per scappare dal “Drogeviertel”.
-Lo stronzone non si è neppure disturbato di fornirci di rampini per scalare questo castello…- mormorò il moro, prima di controllarsi le tasche: pistola e coltello. In quelle di Bill c’erano le stesse cose. Per il resto dovevano arrangiarsi con quello che trovavano –E’ una fortuna che hanno inventato le grondaie…-
Infatti, senza aggiungere altro, si accinsero ad arrampicarsi sulla grondaia d’acciaio. Pregaarono Dio affinché reggesse il loro peso, seppur leggero.
Raggiunsero il piano destinato. La finestra del salotto era molto grande. Non ci sarebbero stati problemi ad irrompere. Sperando che non fosse a doppi vetri.
Per loro fortuna, c’era un piccolo cornicione, di fronte alla finestra, dove i gemelli poterono camminare, prestando estrema attenzione a non cadere.
-Fortuna che non soffriamo di vertigini…- notò Bill, camminando con cautela, restando praticamente incollato al vetro, come il fratello –Sennò sarebbe stata una vera tragedia…-
Videro ciò che stava accadendo all’interno. Il salotto era ben arredato. “Little John” doveva avere molti soldi per aver comperato tutti quei quadri e quei ninnoli sui soprammobili. I mobili stessi parevano valere molto.
C’era un divano verde scuro di fronte a loro, che dava loro le spalle. Su di esso, una testa marrone, quasi calva, stava come dondolando. I gemelli capirono subito il motivo: c’era una donna, con la testa tra le sue gambe, in ginocchio.
Lo stava distraendo per dare ai gemelli via libera.
Presero le proprie pistole; era uno dei rari momenti in cui Bill usava un’arma.
-Pronto, Billy?-
-Sì, Tomi.-
Spararono dei colpi al vetro, senza colpire il loro obiettivo o la “collega”.
Quegli spari servivano solo per sfondare più facilmente il vetro. Infatti, dopo due colpi dei gemelli, si frantumò e loro entrarono nel salotto, in mezzo ad una cascata di frammenti di vetro.
L’uomo, allarmato dagli spari, si voltò di scatto all’indietro, chiudendosi la patta dei pantaloni.
La prostituta, vedendo i Kaulitz, fece un cenno con la testa e uscì dall’appartamento.
“Ok, il resto spetta a voi.” sembrò dire.
“Little John” non si accorse neppure dei rumori della porta, spaventato com’era dell’irruzione dei gemelli.
Aveva un completo da sera, senza cravatta, e diversi anelli sulle dita, come Trümper. Ma lui era largo il doppio e la sua espressione dura incuteva timore al primo sguardo. Aveva gli incisivi storti.
-E voi chi cazzo siete?- domandò, con accento americano.
I gemelli si guardarono l’un l’altro, per darsi coraggio e supporto a vicenda.
-Siamo qui per portarti un messaggio…- iniziò Bill, scrutando in una tasca della felpa -Gordon Trümper ti manda i suoi saluti.-
-Niente di personale, “Little John”…- mormorò Tom, avvicinandosi, sguainando il coltello –Ma siamo qui per ucciderti.-
Già sentire il nome “Gordon Trümper” fece sobbalzare l’uomo. Senza avere il tempo di contrastare o prendere il telefono per chiamare la polizia, due lame affondarono una nel cuore l’altra nella gola.
Un lavoro talmente rapido che non si era nemmeno accorto dell’estrema vicinanza dei ragazzi.
Guardarono da un’altra parte, per non osservare di nuovo il volto della morte di una delle loro vittime.
Morì quasi senza rendersene conto.
Cadde di pancia, mentre una pozza di sangue si estendeva intorno a lui.
Ora c’era la seconda parte del piano.
-Diamine…- imprecò Bill, nonostante il tono calmo della voce –Lo abbiamo ucciso subito, invece che legarlo e chiedergli dove teneva la droga…-
-Sì, magari anche offrirgli un tè con i biscotti…- canzonò Tom –Andiamo, non è un appartamento così grande! La terrà pure da qualche parte…-
Si divisero, cercando in vari angoli della casa. La trovò il moro, entrando nella sua camera da letto: era nascosta nel suo armadio. Diversi sacchetti di carta messi in un angolo nascosto.
Bill, invece, trovò i nomi dei fornitori: poteva essere utile per Gordon.
Procedettero verso la terza fase del piano: bruciare l’appartamento.
“Peccato…” pensò Tom, storcendo la bocca “Era carino. Poteva essere adatto per noi due…”
Iniziarono con un fiammifero, poi sparsero tutta la casa con l’alcool comunemente usato per disinfettare le ferite. L’ossigeno fece il resto. Se non avessero sfondato il vetro, avrebbero preso in considerazione l’idea di usare il gas dei fornelli per causare un’esplosione.
Quando le fiamme fuoriuscirono dall’appartamento, i gemelli erano già sulla moto, con i loro caschi indosso e con il loro bottino.
Uno spacciatore in meno.
Non lo avevano fatto per Gordon, ma per loro stessi.
Lui li aveva usati per i suoi scopi; ora toccava a lui essere usato per gli scopi dei suoi sottoposti prediletti.

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Capitolo 4
*** IV (L) ***


Note dell'autrice: questa parte sarà costituita quasi prevalentemente da flashback.

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-Pronto?
-Sono io.-
Gordon. Era mezzanotte, proprio l’ora in cui aveva promesso che avrebbe richiamato.
-Com’è andata?-
-“Little John” è morto, abbiamo preso la droga che teneva in casa e poi abbiamo dato fuoco all’appartamento, come stabilito. Missione completata.-
-Perfetto. Non potevo aspettarmi altrimenti dai miei figliocci. Vi meritate la ricompensa.-
Era ancora notte fonda quando i Kaulitz tornarono nel loro appartamento. Si aspettavano le guardie del corpo di Trümper; ma non si aspettavano anche lui in persona.
Li accolse con le braccia aperte.
-I miei figliocci!- salutò, avvicinandosi a loro e mettendo le sue mani sulle loro spalle, orgoglioso; aveva indosso un completo di pelle, con stivaletti a punta.
Tom fece una smorfia di disgusto nel vedere quella mano consumata dalla droga e dall’età sulla sua spalla.
-Non gli bastava inviare i suoi cani da guardia per assicurarsi che avessimo compiuto i nostri doveri?- aveva sussurrato, quando era ancora in moto –Ora ha anche ricoperto il ruolo di avvoltoio?-
-Tom, smettila! Ti farai sentire!-
Fortuna che Trümper non lo udì.
-Mi riempite di orgoglio, lo sapete?- proseguì l’uomo, osservando entrambi i ragazzi, sorridendo –Non credo ci siano persone più felici di me nel mondo, per avere due ragazzi bravi e belli come voi.-
Bill sapeva che Tom avrebbe tanto voluto dare un pugno sui denti di Gordon seduta stante, infatti lo precedette ringraziando a nome di entrambi.
-Facciamo del nostro meglio, signore…- mormorò, abbassando lo sguardo.
L’uomo sorrise di nuovo, lieto della sottomissione del ragazzo. Lasciò le spalle, facendo un passo indietro.
-E ora vediamo quanto avete preso.-
Erano almeno una ventina i sacchetti di carta presi dall’appartamento di “Little John”, tutti contenenti vari tipi di droga. Erano tutti sistemati con cura nel bauletto che avevano messo dietro al posto passeggero.
Era anche un punto d’appoggio per Bill.
Gordon vi guardò dentro, con aria curiosa e annuendo.
Il ragazzo biondo gli porse anche un foglietto.
-E… qui ci sono i nomi dei suoi fornitori…- disse, timido, mordendosi le labbra.
L’uomo prese il foglietto con interesse. Appena vi lesse dentro sorrise di nuovo.
-I migliori…- complimentò –Siete i migliori. Non sarei niente senza di voi, ragazzi miei.-
Un’altra tattica che sfoderava con i gemelli: coprirli di complimenti per incitarli a restare con lui. O meglio, per restare dalla sua parte.
Si rivolse ad una guardia del corpo.
-Dai loro quanto spetta.-
Due rotoli. Uno a testa per i gemelli. Pieno di banconote da 50€.
I Kaulitz ebbero lo stesso pensiero riguardo quei soldi.
-E metà di quanto avete recuperato, come promesso.- disse, prima di congedarsi –Godetevela finché potete. E domani prendetevi la serata libera. Ve la siete meritata.-
Ricompense. Libertà. Promesse. Così Gordon li manipolava.
Per tanti anni aveva funzionato; ma da un paio di anni le cose erano cambiate.
A volte, un piccolo particolare può farti aprire gli occhi sulla tua vita.
Improvvisamente, si fermò.
-Quasi dimenticavo…- si ricordò, voltandosi verso i due ragazzi –Fra tre giorni do una piccola festa insieme a degli amici. Tutta gente per bene.-
Con “gente per bene”, intendeva persone della peggior specie, politici corrotti, persone ricche che non sapevano come spendere i loro soldi, spacciatori dalla mente perversa come la sua.
E le feste che organizzava non erano ricevimenti: sembravano più delle orge.
Uomini e donne, imbottiti di droga fino a scoppiare, completamente nudi, che facevano giochi sessuali su richiesta dei ricchi ospiti, ricevendo soldi per questo.
Anche i gemelli ne avevano preso parte da quando hanno compiuto la maggiore età, ma non come scommettitori, ma come figuranti. Non facevano solo commissioni per Gordon, intrattenevano anche i suoi ospiti. E loro erano i figuranti più richiesti, per la loro bellezza e l’assenza di imperfezioni nei loro fisici.
Entravano in una stanza buia, illuminata solo dalle torce degli “ospiti”. Al centro c’era un tavolino, dove la “festa” si scatenava. I figuranti salivano lì e facevano sesso, masturbazioni, uso di sex toys, una vera e propria orgia. I gemelli venivano spesso costretti a praticare l’incesto, di fronte a quella gente, oltre ad altre cose, sia con uomini che con donne. E questi esultavano, ubriachi, più drogati dei figuranti stessi.
Odiavano quelle feste. Bill tornava sempre a casa piangendo.
-Pensate di unirvi anche voi? Potrei farvi aggiungere qualche extra nel vostro solito stipendio…-
Era quella la scusa che era solito dire per incoraggiarli a partecipare alle sue feste perverse.
Quella sera fu diverso.
-Altri soldi, Gordon?- domandò Tom, sarcastico –Cosa vuoi fare? Renderci ricchi?-
Bill interruppe il discorso.
-Quello che mio fratello vuole dire…- disse, con tono timido ed insicuro –E’ che non possiamo partecipare.-
Tale risposta suonò strana alle orecchie dell’uomo.
-E perché? Che altro avete da fare, dopotutto…?- chiese, con tono derisorio, come volesse prenderli in giro, umiliarli, farli sentire in colpa.
Non si erano preparati ad una domanda simile. Dovevano inventare una risposta plausibile o li avrebbe obbligati a partecipare alla festa.
Si guardarono un attimo: come sempre, trovarono la risposta negli occhi dell’altro.
-Stamattina, al bar, abbiamo sentito in televisione di un concerto in diretta.- rispose Bill, cercando di essere credibile –Il barista aveva persino organizzato una serata di bevute. Quindi… non volevamo perdercela…-
L’uomo storse la bocca e guardò in alto. Sembrava aver bevuto la storia.
-Come volete.- sentenziò –Ma sappiate che era prevista una bella dose per voi. Alla prossima, Zwillinge.-
Se ne andò, agitando la mano.
Una bella dose. Bill sentì quella frase risuonargli nella testa, come un’eco.
I gemelli entrarono nel loro appartamento, con i sacchetti di droga tra le mani.
Tom si abbandonò sul divano, più stressato che stanco.
-Che figlio di puttana…!- imprecò, coprendosi tutto volto con le mani.
Bill osservò tutti quei sacchetti. Poi osservò il sacchetto con la droga avanzata dalla sera prima.
Era quella la loro vita? Imbottirsi di droga e fare i sicari per uno spacciatore?
Non avevano altro.
-Facciamo metà dose?- propose.
Lui si era quasi rassegnato. Tom no.
Scattò in piedi, quasi prendendo a calci la merce appena portata.
-Forse dovremo smettere con questa roba.- decise -Non ricordi più cosa è successo a Cecilia?-
Il biondo assunse un’aria malinconica. Ricordava benissimo.
Cecilia era un’altra delle sottoposte di Trümper, ma non era una delle sue prostitute.
Esattamente come i gemelli, il suo compito era svolgere incarichi per il capo, soprattutto consegnare droga ai clienti.
Fu trovata morta in vasca da bagno dal suo ragazzo Lennard, anche lui collega dei Kaulitz. Si era iniettata più droga del solito, oppure il suo corpo non poteva più sopportare quelle sostanze, nessuno lo seppe con chiarezza. La vide con la schiuma alla bocca e lo sguardo verso il vuoto. Cercò di rianimarla con degli schiaffi, ma fu tutto inutile.
Fu gettata in una fossa comune.
Bill ne era infatuato, ma ormai Cecilia aveva scelto Lennard.
Quel giorno era stato uno dei più tristi per il ragazzo. Nemmeno gli sguardi affettuosi e gli abbracci di Tom servirono per consolarlo.
Il moro si osservò i cavi dietro i gomiti, poi osservò quelli del fratello: erano ormai neri, a causa delle continue iniezioni.
A volte provavano dolore. Un’altra iniezione sarebbe stata fatale.
Inoltre, per quanto si illudessero, la droga non li aiutava a dimenticare.
Il ricordo della separazione dei genitori ritornava sempre. La delusione. L’abbandono.
Tornavano tutti insieme, più potenti di mille pugni sullo stomaco.
Da tempo se ne erano resi conto, ma non riuscivano a trovare altre soluzioni se non accogliere la droga nel loro corpo.
-Allora cosa ne facciamo?- domandò il gemello.
Tom ebbe un’idea. Anzi, l’aveva formulata dalla “fuga” dall’appartamento di “Little John”.
-Noi non la vogliamo più, ma qui fuori c’è chi è disposto a pagare milioni per questa schifezza.- propose, sorridendo in modo furbo, senza mostrare i denti -Che ne dici di accontentarli…? Loro sono soddisfatti e noi guadagniamo altri soldi da mettere da parte per la nostra fuga.-
Bill storse la bocca, riflettendo. Non era male. Sempre meglio che guadagnare soldi provando orgasmi di fronte a gente perversa e corrotta, più drogata di loro.
-E poi, considerando che io non ho sonno, tu nemmeno…-
-Sì, è un’ottima idea, Tomi!-
Passarono l’intera notte nei vicoli del “Drogesviertel”, con i cappucci celati, per non farsi riconoscere, vendendo tutta la loro droga a chiunque fosse interessato, a prezzi ragionevoli.
Dopotutto, come l’oceano è composto da gocce, ogni milione è composto da spiccioli.
Avevano praticamente guadagnato 100€ a testa, quindi 200€, più i soldi “lanciati” da Gordon, più i loro vecchi risparmi…
Sembrava tutto pronto per la famosa fuga.
-Bill? Mi stai ascoltando?-
Uno schizzo di acqua calda sul volto fece cadere il biondo dalle nuvole.
Erano rientrati nel loro appartamento e avevano deciso di farsi il bagno.
Si immergevano sempre insieme. Erano soliti farlo da quando erano bambini.
Dopo la vendita, Tom aveva avuto un’improvvisa voglia di andare al bordello del quartiere. Rassegnato, Bill lo seguì.
Restarono ivi per un’ora.
Mancava un’ora all’alba, quando erano rientrati.
-Era proprio necessario?- si lamentò il biondo, asciugandosi gli occhi.
-Sembrava non mi stessi ascoltando, quindi ho dovuto prendere delle… precauzioni.- fece notare l’altro, sciacquandosi le braccia –Comunque, stavo parlando del gruzzoletto raccolto stasera. Lo stronzone non si renderà conto che da stasera lo useremo per i NOSTRI scopi, anziché i suoi.-
Ridacchiarono entrambi. Quando sorridevano erano esattamente l’uno il riflesso dell’altro.
Lo stesso sorriso. Lo stesso sguardo puro, nonostante le loro anime corrotte.
Ma il sorriso di Bill svanì quasi all’istante, sostituendosi uno sguardo malinconico. Tom capì subito di cosa si trattava: si coprì subito la bocca con la mano, con aria premurosa.
-Scusa…- mormorò.
A Tom mancavano due denti, un canino e l’incisivo accanto.
Ciò che spingeva entrambi i gemelli a ricordare quella notte di due anni prima, quanto era avvenuto dopo la rapina alla banca centrale.
 
-Due sigarette, un accendino, un vecchio telefono cellulare, un preservativo…- disse il poliziotto che stava perquisendo Bill.
Questi, appena scorto l’ultimo oggetto disse: -Non ho mai visto quel preservativo in vita mia…-
Appena ammanettati, i Kaulitz vennero subito sottoposti alla perquisizione, di fronte allo sguardo severo del capitano Schultz. Avevano appena subito quella esterna. Temettero entrambi che sarebbero ricorsi anche quella interna.
-Coltello… pistola…-
-Ehi, non si sa mai cosa si può trovare in queste strade.- si giustificò Tom, mentre vedeva quegli oggetti fuori dalle sue tasche –Meglio essere ben attrezzati. Volete metterci in prigione perché teniamo alla nostra sicurezza?-
Il poliziotto accanto a lui prese un’ultima cosa dalla sua tasca.
-Ehi, questo ha anche la foto della moglie del capitano Schultz…- disse, pentendosene due secondi dopo.
-WAS?!- esclamò il capitano, prendendo la foto.
Bill sgranò gli occhi e Tom si morse il labbro inferiore.
-Oh-oh…-
Sulla foto vi era raffigurata una donna vicina alla mezza età, capelli bruni, vestita con un guêpière blu notte, una vestaglia nera trasparente ed era in posa seducente. In fondo, sopra un numero telefonico, c’era scritto: “Telefonami, maschione.”
-Julia!- esclamò Schultz, prima di guardare il ragazzo moro con aria minatoria –Brutto figlio di puttana! Volevi un movente per finire in prigione? Eccolo!-
Ma l’altro non fu intimidito da quel tono.
-Accidenti, credevo avesse il senso dell’umorismo, dopotutto… SE L’E’ SPOSATA LEI!-
Il capitano fece un urlo: esso coprì un crack! che sentì solo Bill.
Era il pollice di Tom; un trucco insegnato da Gordon per liberarsi dalle manette, slogarsi il pollice.
Infatti, riuscì a sfilarsi una mano, sufficiente per sferrare un pugno al poliziotto che lo stava perquisendo.
Quello era il segnale di Bill per dare un calcio in mezzo alle gambe del secondo poliziotto.
Il capitano, già scioccato per l’adulterio della moglie, fu stupito delle abilità dei gemelli. Approfittando della sua distrazione, colpirono anche lui, quasi provocandogli la perdita dei sensi.
Via libera. Dovevano scappare, prima che arrivassero i rinforzi.
C’era un parco di fronte a loro. Potevano tagliare per quella direzione e poi cercare una via più rapida per tornare al “Drogesviertel”.
Ma non fu una fuga “tranquilla”: sicuri di essere rimasti soli, Bill, seppur correndo, si mise a dare calci a Tom, non appena si ebbe sistemato il pollice.
-Ma cosa hai combinato, cretino!?- lo rimproverò. Alludeva alla foto della moglie del capitano della polizia trovato nella sua tasca. Nemmeno lui ne era a conoscenza –Ora vai a letto con le mogli dei poliziotti?!-
-Ehi, è successo per caso!- si difese Tom, massaggiandosi le parti offese –L’ho trovata, lei mi ha trovato attraente ed è successo! Fine della storia!-
Non era il momento adatto per parlare di un argomento simile, ed entrambi i gemelli lo sapevano.
-Parlando di cose serie…- deviò il moro, mostrando una chiavetta –Guarda che ho scovato nelle tasche del capitano cornuto…-
Bill sorrise divertito: era la chiave per le manette. Anche lui fu libero.
-Bene, adesso dove andiamo?- domandò, massaggiandosi i polsi e guardandosi intorno.
-Quei piedipiatti ci avranno sequestrato la Harley… Non ci resta che proseguire a piedi per tornare nel nostro caro, vecchio quartiere… se solo sapessimo dove cazzo siamo…-
Un rumore di sirene li fece allarmare non poco.
-Scheiβe…- imprecò Tom, digrignando i denti.
I rinforzi. Erano nel parco, per loro.
Il respiro di Bill si fece più affannoso e il cuore riprese a battergli più forte del previsto.
-Tom, cosa facciamo?-
L’altro elaborò un piano in fretta; spinse improvvisamente il fratello verso una strada in discesa, proprio verso l’uscita.
Il ragazzo biondo rotolò, stranito dallo strano comportamento di Tom.
Bastò un secondo per capire cosa aveva in mente.
-Che stai facendo?!- esclamò, preoccupato come non mai.
-Se scappiamo insieme, potrebbero inseguirci, o peggio, spararci per resistenza a pubblico ufficiale, se rimaniamo insieme ci porteranno entrambi in prigione…- spiegò l’altro, sorridendo lievemente e guardando il fratello con tutto l’affetto che provava –Non posso permettere che ti portino dietro le sbarre. Io li distraggo, mentre tu scappi.-
Bill non approvò: era sul punto di tornare dal gemello, quando quattro uomini comparvero nel parco, proprio nella stessa entrata da cui erano entrati, e bloccarono Tom, gettandolo per terra e bloccandolo.
-NO!- esclamò il biondo. Non poteva sopportare quello spettacolo: suo fratello si stava dimenando per liberarsi, mentre i poliziotti lo picchiavano.
Non riusciva a parlare, ma ai gemelli bastava comunicare con lo sguardo per avviare comunicazioni telepatiche.
-SCAPPA, BILL!- esclamò, nella sua mente. I suoi occhi lo imploravano. Si sarebbe sacrificato volentieri per il fratello.
In lacrime, questi si trovò costretto ad accettare. Si girò e corse verso l’uscita, direzione “Drogesviertel”.
Non vi fu secondo in cui non si pentì di aver abbandonato il gemello. Solo contro quattro. Sentiva tutti i colpi che riceveva. Non per niente erano gemelli.
-IO TORNERO’ DA TE!- urlò Tom, con la sua vera voce; i poliziotti erano troppo impegnati a picchiarlo per sentirlo –MI SENTI? TORNERO’ SEMPRE DA TE!-
 
Questi pensieri tormentavano la mente di Bill, da quando aveva visto sorridere Tom, a tal punto da non riuscire a prendere sonno. Anche Tom si sentiva nello stesso modo, ma faceva finta di dormire.
Sentì la fronte del gemello contro la sua schiena, oltre a percepire le sue braccia intorno al torace.
Percepirono entrambi il disagio dell’altro. Per consolarlo, Tom gli toccò amorevolmente le mani, mentre, insieme, pensarono a ciò che era succeduto agli eventi del parco.
 
Bill era sul divano dell’appartamento, piangendo, raggomitolato, nel buio, su se stesso. C’era una siringa vuota di fronte a lui e una cinghia nera. Non era bastato.
Più volte fu tentato di tornare indietro e salvare il fratello, ma lo sguardo di questi gli implorava e gli ordinava nello stesso momento di scappare e non tornare a salvarlo.
E se lo avessero ucciso? E se lo avessero messo in prigione? Questi erano i pensieri del biondo. La sofferenza che stava provando non rese possibile la sua abilità nel percepire il gemello.
Un suono strano lo distrasse. Dei passi strascicati.
Un ladro, forse?
Bill non amava le armi, ma prese un coltello da un comodino e lo strinse tra le mani, senza smettere di piangere. Un senso di rabbia lo pervase all’improvviso: senza Tom si sentiva perduto, come un esploratore che aveva appena perso la bussola.
Se fosse stato un poliziotto che lo aveva inseguito dal parco, tanto meglio: avrebbe vendicato la sua unica famiglia.
Ma quando la porta si aprì, il suo cuore si spezzò: Tom. Si reggeva a fatica sulle sue gambe. Si appoggiava allo stipite, come se avesse fatto tutta la strada di corsa.
Era pieno di sangue, specialmente il volto. Colava dal naso e dalla bocca.
Aveva un occhio quasi chiuso.
-Ehi, klein Brüder…- mormorò, sorridendo, prima di crollare supino sul pavimento. Bill fu abbastanza rapido da prenderlo tra le sue braccia e cadere sulle ginocchia con lui. Gli prese il volto tra le mani, per poi baciarlo senza sosta sulla fronte, continuando a piangere.
-Tomi!- esclamò, preoccupato.
Per consolarlo, Tom allungò una mano, accarezzandogli i capelli biondi, colorandoli di rosso.
-Visto…?- sussurrò, ansimando –Te l’avevo detto che sarei tornato…-
Appena aveva visto Bill lontano dal parco, quindi, al sicuro, Tom trovò tutta la sua forza e si ribellò contro i poliziotti, uccidendoli tutti e quattro con la pistola di uno di loro, che era riuscito ad estrarre dalla fondina.
Il biondo strinse a sé il volto del moro, come se non avesse voluto lasciarlo per nessuna ragione al mondo.
Lui piangeva, l’altro sorrideva, lieto di vedere il gemello in vita.
Fu lì che Bill notò che Tom aveva perso due denti. Da quel momento, Tom decise che non avrebbe mai più sorriso mostrando i denti, per evitare di ricordare al fratello quella sera.
-Com’è successo? Come?!- imprecò il biondo, senza smettere di piangere e abbracciare il moro.
-Il piano era articolato nei minimi dettagli…- rifletté l’altro –Niente doveva andare storto…-
Già, niente doveva andare storto. Il piano di Gordon era perfetto, anche per la via di fuga.
Gordon…
Entrambi si ricordarono.
-Tom! Ti ricordi che Schultz ha parlato di una chiamata anonima?-
-Che ha indicato loro esattamente la via che stavamo prendendo…-
-Ma chi e come poteva saperlo? Nessuno era al corrente del nostro piano! Chi ha mai chiamato la polizia?-
Bastò uno sguardo per trovare la risposta.
-La stessa persona che ha architettato tutto…- sibilò il moro, serrando le labbra.
Due ore dopo, infatti, Tom quasi sfondò la porta della stanza usata da Gordon, durante i suoi brevi soggiorni nel quartiere.
-TU! BRUTTO TRADITORE!- urlò. L’uomo, intento ad accendersi una sigaretta, non fu intimidito da quel tono; non sembrava nemmeno sorpreso di quella “visita”.
-Tom, hai davvero una brutta cera…- commentò, vedendo il volto pallido e pieno di lividi del ragazzo.
Bill si sistemò accanto al fratello.
-SEI STATO TU!- proseguì Tom, battendo le mani sul tavolino, con rabbia sempre più crescente –TU HAI CHIAMATO LA POLIZIA!-
L’uomo non si scompose: si limitò ad espirare una boccata di fumo.
-E anche se fosse?- mormorò, con aria indifferente.
-Tu sapevi che strada stavamo prendendo per tornare qui! Era il TUO piano! PERCHE’ CI HAI FATTO QUESTO?! NOI TI SIAMO SEMPRE STATI FEDELI!-
A quella frase, Gordon sospirò, prima ancora di aspirare il fumo.
-Volevo mettervi alla prova, Zwillinge…- spiegò, come fosse la cosa più normale del mondo –Vedere come ve la sareste cavata con gli imprevisti. E, a quanto pare… ne siete usciti entrambi vivi. Notevole.-
Bill sentì una forte morsa allo stomaco e Tom percepì la propria rabbia ribollirgli nelle vene.
Li aveva traditi. Aveva tradito la loro fiducia. Quella sera scoprirono la vera identità di Gordon. Un opportunista senza scrupoli a cui non faceva né caldo né freddo la perdita di uno dei suoi sottoposti. Per lui erano tutti agnelli da sacrificare. O la testa dell’Idra: ne tagli una e ne ricrescono altre tre.
Il moro agguantò il Protektor per la giacca, furioso come non mai.
-POTEVAMO MORIRE!- fece notare, con la faccia a due centimetri dalla sua –TU CI AVRESTI FATTO UCCIDERE?! DICI SEMPRE CHE SIAMO COME DEI FIGLI PER TE!-
Gordon non fu per nulla intimorito da quel tono: si schiarì la voce.
Un urlo soffocato seguì. Proveniva da Bill.
Infatti, una guardia del corpo, con una mano stava bloccando il suo braccio, con l’altra teneva un coltello che premeva sulla sua gola.
Il ragazzo respirava affannosamente, con il terrore nel volto.
Tom lo osservò nello stesso modo.
-Ti sei dimenticato cosa succede se uno di voi osa minacciarmi…?- sibilò Gordon, con sguardo freddo –Ora lasciami, se non vuoi rimanere figlio unico.-
Il moro, seppur a malincuore, lasciò l’uomo. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvare Bill. Infatti, questi venne rilasciato, tornando dal gemello.
-Stai bene?- domandò l’altro, preoccupato.
-Adesso sì.-
Gordon si sistemò la giacca e ordinò alla guardia, con lo sguardo, di uscire dalla stanza.
-Figli o meno, non posso permettermi di fare preferenze tra i miei sottoposti…- spiegò, aspirando un’altra boccata di sigaretta –Dovete abituarvi a lavorare tenendo conto degli imprevisti. La vita non è una regola, non si può programmare per filo e per segno, c’è sempre qualcosa che cambia i nostri programmi e voi dovete essere pronti a tutto, quando fate il vostro dovere.-
Non era la prima volta che lo diceva. Invero, era una delle sue soliti frasi. E la situazione in cui si erano imbattuti i Kaulitz non era la prima: più volte, durante le loro rapine, erano stati beccati dalla polizia, ma erano sempre riusciti a scappare, insieme, senza spargimenti di sangue.
-Questo non è il mondo delle favole, miei cari gemellini… Dove basta salvare qualcuno e poi vivere per sempre felici e contenti nell’armonia- concluse Trümper, spegnendo la sigaretta –E’ il mondo reale. Il MIO mondo. Mein Reich. Il mio impero. E voi dovete comportarvi come abitanti di tale. Sono stato chiaro? E per quanto mi riguarda… non mi interessa se aveste perso la vita. Ne avrei trovati altri.-
Bill e Tom non sapevano cosa dire. Si limitarono a prendersi per mano.
-Ora sparite.- ordinò. I gemelli eseguirono. –Ah, dimenticavo…- si ricordò –Come punizione per esservi rivolti a me in quel modo, sabato vi ordino di venire da me. Darò una festa e voi sarete i figuranti principali.-
Non dimenticarono mai cosa avvenne: quella sera furono costretti a fare una cosa che gli "ospiti" di Trümper chiamavano "Uno contro culo": si facevano infilare un sex toy di gomma lungo venti centimetri nell'ano e poi dovevano fare in modo di raggiungere l'uno il didietro dell'altro.
Odiavano quel "gioco".
Da quella sera, non videro più Gordon come il loro Protektor, ma come il mostro che effettivamente era.

Per quasi tutta la notte, i gemelli vennero assaliti da una profonda angoscia, da un forte nervosismo che li faceva contorcere e ansimare.
Era l’astinenza. Da droga.
Dopo una vita passata a far sprofondare la propria tristezza nella droga, esserne improvvisamente privati era un balzo troppo grande per loro.

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Capitolo 5
*** V(I) ***


Note dell'autrice: questa parte sarà un po' lunga. Spero avrete la pazienza di leggerla tutta.

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C’era una moltitudine nella piazza più grande del “Drogesviertel”.
Due Harley Davidson erano ferme all’imbocco.
Tom e Erik, prima di indossare i loro caschi, si scambiarono uno sguardo di sfida, poi si strinsero le braccia, come per darsi la mano.
Nessuno dei due voleva augurare “Buona fortuna” all’altro, ma quel gesto era obbligatorio prima di una gara, anche se si trattava di due nemici.
-Ehi, Kaulitz!- esclamò uno della folla, riferendosi al moro –Il tuo fratellino te l’ha lubrificato bene il pistone?-
Grasse risate che seguirono a quello scherno.
Ma Tom non diede loro peso. Sarebbe stato inutile.
L’arbitro si posizionò di fronte a loro, abbassando la bandiera della Germania.
Entrambi i centauri si prepararono: si misero i guanti e si sistemarono i propri caschi.
Tom sospirò profondamente dal naso, aggrottando le folte sopracciglia: anche in quella gara il premio in palio consisteva in soldi. Se avesse vinto, lui e Bill sarebbero finalmente fuggiti da quel quartiere.
Bill, nel frattempo, era tra la folla, con dei soldi in mano.
-50 su Tom!- urlò.
Non amava fare scommesse, anzi, proprio lo ripugnava, in quanto considerate da lui un’attività stupida, ma quella sera era diverso: sapeva che il fratello avrebbe vinto la gara, quindi, nonostante i soldi che avrebbe ottenuto con la sua vittoria, decise di  guadagnarne altri scommettendo su di lui, per sicurezza, per non rimanere senza soldi nel caso avessero veramente trovato un appartamento in affitto.
Ancora prima della gara erano iniziate le scommesse. E Bill, ovviamente, era l’unico a scommettere sul fratello: dopotutto, erano loro contro l’intero “Drogesviertel”
Tom raccolse i pensieri per un’ultima volta, prima di azionare la moto, insieme a quella di Erik.
I motori rombarono.
-Solo una moto vincerà…- annunciò l’arbitro, tenendo stretta la presa sull’asta della bandiera –Pronti?-
Gli occhi nocciola del ragazzo espressero determinazione: la vittoria e la libertà.
-VIA!-
Una nube di fumo riempì tutta la piazza, circondando gli spettatori.
Le urla si facevano più forti, tra tifo e scommesse.
Bill non faceva altro che tirare fuori banconote, disperato: pregò per la vittoria del fratello.
La gara consisteva nel percorrere l’intera piazza e vincere al primo giro.
Valeva tutto. Soprattutto i tamponamenti.
Le due moto erano molto vicine tra loro, rischiando un testa a testa. Erik ne approfittò per avvicinarsi a Tom: diede un calcio alle sue gambe, sperando di far barcollare la moto.
Effettivamente, ci riuscì. Tom rischiò di cadere. Per fortuna, la Harley era resistente, quindi si salvò.
Il biondo strinse i pugni, quasi temendo il peggio per il gemello.
Ciononostante, continuò a scommettere.
Altri, stranamente, cominciarono a scommettere su Tom.
Aveva guadagnato terreno, dopo la prima curva, ma sapeva che non sarebbe durato per sempre.
Infatti, come previsto, la ruota anteriore della Harley di Erik sfiorò quella posteriore della Harley di Tom.
Questo fece sbilanciare questi e fare dei movimenti alquanto pericolosi, rischiando di uscire dalla pista, o peggio, cadere.
Infatti, girò più volte su se stesso, senza, però, cadere. Le missioni di Gordon lo avevano allenato a tali imprevisti: fece una veloce derapata e poi sgassò, cercando di recuperare terreno.
L’avversario era già molto lontano, ma raggiungibile.
Bill tirò un sospiro di sollievo, alla derapata. Tom non poteva perdere: c’era in palio molto più dei soldi, per loro. C’era la loro libertà.
Erano vicini al traguardo: Erik era in testa, ma il ragazzo moro stava recuperando terreno.
Anche lui decise di giocare sporco; sporco se fosse stata una gara normale, ma in gare di quel tipo valeva tutto.
Non poteva colpire la ruota posteriore, o sarebbero caduti entrambi. L’unica cosa da fare era mettersi accanto a lui e attendere il momento giusto.
Erik tentò nuovamente di sbilanciarlo, dandogli dei calci, ma lui resistette. Rapido, gli diede un pugno sul casco.
Mossa illegale, ma che aveva funzionato. L’avversario cadde insieme alla moto, quasi rompendosi una gamba.
Bill esultò: Tom aveva vinto.
Il resto degli spettatori fece dei lamenti di delusione: avevano quasi tutti scommesso su Erik.
Nessuno aveva tifato per il Kaulitz moro, eppure, appena toltosi il casco, alzò le braccia, come se volesse essere acclamato. Il gemello non ci vedeva più dalla gioia: un passo in più verso la libertà, per una vita normale, lontani dalla droga e da Gordon Trümper.
Avevano guadagnato 500€ con quella gara, tra il premio in palio e le scommesse.
Ovviamente, vi furono persone, tra i tifosi di Erik, che non presero bene quella situazione.
Uno di loro, infatti, prese Tom per la giacca di pelle e lo mise letteralmente al muro. Questi non sembrava spaventato.
-Mai esisterà in tutta la storia del mondo che un esserino inutile come te vinca una gara come questa!- esclamò il tipo, minatorio.
Quelle minacce avevano un effetto indifferente su Tom, che osservava chi aveva davanti con passività, come se avesse davanti il vuoto, incrociando le braccia. Voltò gli occhi verso Bill, fra i due quello più spaventato, e questi comprese i pensieri del fratello. Annuì, facendosi serio.
-Le minacce non mi spaventano, Don…- disse il moro –E se fossi in te stringerei le gambe.-
L’altro non comprese il significato dell’ultima frase; lo comprese, invero, due secondi dopo, appena ricevette un calcio in mezzo alle gambe.
Bill aveva i tronchetti neri ai piedi, quindi il colpo risultò più doloroso.
Fu solo l’inizio della rissa che si scatenò per un quarto d’ora, dalla quale i Kaulitz erano usciti vittoriosi.
Il biondo odiava essere coinvolto in situazioni simili, ma se il fratello aveva bisogno di aiuto, interveniva volentieri. Non erano rari i momenti in cui combattevano insieme contro una decina di uomini, a volte persino più grandi di loro.
Decisero di combattere insieme, come sempre: a volte facevano colpi combinati, come, per esempio, quando Tom si piegava in due per permettere a Bill di rotolare sulla sua schiena e colpire un avversario con un calcio; oppure, uno dei gemelli trascinava un avversario a sé ed entrambi sferravano un calcio sulla sua testa, uno sulla fronte, l’altro sul cranio.
La piazza tornò silenziosa, sebbene fosse ancora piena di gente, ma priva di sensi.
Insieme, i gemelli Kaulitz erano imbattibili. Non per niente erano i favoriti di Trümper.
Camminarono per le strade del “Drogesviertel”, con aria soddisfatta, sulla via di riportare l’Harley alla rimessa.
Intorno a loro, tutto scorreva come di norma: gente che si picchiava, prostitute che conducevano i clienti nelle proprie abitazioni per pochi soldi, altri drogati che si stavano accendendo una canna.
Vi fu persino un uomo che cadde proprio di fronte ai gemelli: non una caduta accidentale, come se fosse inciampato ad uno sgambetto, era un vero e proprio suicidio.
Il rumore delle ossa rotte riecheggiò in tutto il quartiere.
Anche casi del genere erano comuni nel “Drogesviertel”: per alcuni, la fame, l’astinenza da droga era un peso troppo grande da sopportare. La soluzione più semplice era il suicidio. Chi si sparava, chi si accoltellava, chi si gettava da un’abitazione…
Del liquido strano macchiò le scarpe dei gemelli. Bill osservò il suicida con terrore, pallido in volto: non era la prima volta che assistevano ad un suicidio di quel tipo, ma ogni volta era come la prima, un’esperienza traumatica. Più volte avevano pensato di fare la stessa cosa, ma qualcosa li tratteneva.
Tom non poteva vedere il fratello in quel modo; doveva trovare un buon argomento su cui conversare, per distrarlo.
Lo prese per mano, per dargli forza; funzionò.
Scavalcarono il cadavere, come se nulla fosse accaduto.
-Abbiamo tutto quello che ci serve per liberarci dello stronzone.- cominciò Tom, con aria pensierosa -Dì, fratellino, se ci avanzassero soldi dall’affitto, come li spenderesti?-
Quella domanda prese quasi di sorpresa il ragazzo biondo: non ci aveva mai pensato, effettivamente.
-Beh…- rifletté –Intanto comprerei dei mobili da riempire l’appartamento: un letto, un tavolo, un armadio…-
Il fratello rise di nuovo.
-Quello mi sembra scontato! Intendevo oltre quello! Qualcosa per te, magari?-
Si dice che tra gemelli basta solo uno sguardo per capire cosa sta pensando l’altro: ma i Kaulitz preferivano parlare, anche se già comunicavano con la mente. Una dote, tuttavia, utile, quando erano in missione e non volevano parlare per evitare di essere scoperti.
Tom sapeva cosa avrebbe fatto Bill con i soldi, ma voleva ugualmente sentirglielo dire.
-Rinnoverei il guardaroba, come minimo.- rispose, come previsto –Non ne posso più di questi abiti ammuffiti.-
Il moro si guardò: non aveva tutti i torti. Non avevano molti vestiti. Alcuni li indossavano persino da dieci anni.
-Non lo dire a me…- si limitò a rispondere –Ora ti dico io cosa comprerei: un bel televisore, una consolle di ultima generazione con due controller e tanti videogiochi, così videogiocheremo insieme tutti i giorni…-
Lo sguardo di Bill si rivolse accidentalmente verso l’incrocio che stavano per attraversare; si fece subito serio e diede un piccolo colpo sul braccio del gemello.
-Tom…- mormorò, indicando a destra.
Anche il moro si fece serio: c’era una macchina, sulla strada parallela a quella che stavano percorrendo, una Volkswagen argentea, ancora in buono stato. Intorno alla macchina c’erano degli uomini, che avevano spinto una giovane donna fuori dalla macchina, con una pistola puntata sulla fronte. Doveva avere all’incirca l’età dei gemelli, lunghi capelli biondo cenere, più biondi sulla via delle punte, vestita anche troppo elegante per essere una del quartiere.
Probabilmente veniva dal centro di Lipsia.
-Merda, quella è la banda di Derek…- osservò Bill, nascondendosi dietro il vicolo.
-Quei sessisti del cazzo…- aggiunse Tom, osservando la scena con rabbia.
Si vedeva da lontano che la giovane provava timore nei confronti degli uomini che l’avevano derubata.
-N-non potete… Non potete lasciarmi qui… così…!- balbettò, sperando, inutilmente, di essere risparmiata e riottenere quello che le era stato rubato.
Il capo della banda, Derek, un uomo di quarant’anni, sempre vestito con un vecchio trench nero che teneva sempre aperto, mostrando il torace ancora muscoloso, le rivolse un sorriso falso, senza smettere di tener puntata la pistola su di lei, per evitare che scappasse o facesse mosse azzardate.
-Oh, hai ragione…- disse, con voce roca, probabilmente dalle sigarette che fumava –Quanto hai ragione, mia signora…- le indicò l’interno della macchina, dentro la quale si erano già sistemati gli altri membri della banda –Vuoi che ti diamo un passaggio?-
Il più alto spostò il sedile del guidatore in avanti, con aria maliziosa.
-Vieni, tesoro.- la invitò –Puoi sederti sulle mie ginocchia.-
Lei sapeva bene dove volessero arrivare tutti. Prese una scelta drastica, ma che, forse, le avrebbe permesso di avere salva la vita.
Scappò.
-Non da quella parte, mia signora!- esclamò Derek, con tono derisorio –E’ un posto pericoloso per persone per bene come lei!-
Ma la giovane non gli diede ascolto. Corse senza avere una meta precisa. Le sue gambe decidevano per lei.
I gemelli avevano visto tutto. Serrarono le labbra: una delle tante cose che odiavano erano le persone che se la prendevano con le donne, reputandole ancora deboli.
Si guardarono l’un l’altro: sentirono il dovere di fare qualcosa.
-Non possiamo stare qui con le mani in mano!- esclamò Bill.
Tom sorrise, determinato.
-Stavo pensando la stessa cosa.- disse, raddrizzando la Harley –Io penso a Derek e ai suoi leccapiedi.-
-Io cerco di salvare la ragazza.-
Stipularono il loro accordo con un pugnetto.
Senza rimettersi il casco, Tom salì sulla moto e si avviò all’inseguimento della Volkswagen rubata, intanto sparita dalla strada. Ma il ragazzo sapeva dove erano diretti.
Prese la strada parallela, sperando di anticipare la banda.
Infatti, così fu. Attraversò il vicolo e fermò la moto in mezzo alla strada.
Si tolse il casco e attese, a braccia incrociate e le sopracciglia aggrottate.
La Volkswagen non tardò ad arrivare: gli uomini all’interno sembravano divertirsi con tutta la tecnologia presente nella macchina.
Per fortuna, il passeggero sul sedile anteriore si accorse di Tom in tempo, a tal punto da avvertire il capo, che stava digitando qualcosa sul cruscotto.
La Volkswagen si fermò a dieci centimetri di distanza dal moro, lasciando una scia nera alle sue spalle.
La frenata spinse bruscamente i passeggeri in avanti. Non si aspettavano una presenza così improvvisa.
Non avevano frenato per non investire Tom, ma per evitare di rovinare la macchina.
Derek uscì dalla macchina, sbattendo lo sportello con forza.
Aveva l’aria infastidita.
-Che delusione, Derek…- iniziò Tom, con aria minatoria –Adesso rubi anche le macchine alle donne, sessista del cazzo?-
Ma l’altro sembrava non averlo ascoltato.
-Levati di mezzo, Kaulitz.- minacciò –Se non vuoi che i miei ragazzi ti diano una bella lezione.-
Anche il resto della banda uscì dalla macchina. C’era nuovamente aria di rissa.
Il ragazzo sorrise senza mostrare i denti.
Si mise in posizione di combattimento.
-Vi insegno io a derubare una donna…- ammonì, guardando i suoi avversari con freddezza.
Nel frattempo, Bill era riuscito ad avvistare la giovane e ad inseguirla. Quando la trovò, era troppo tardi.
Era già entrata in un locale, ma più che un locale sembrava un bordello; era lo stesso frequentato da lui e da Tom, ogni volta che volevano passare una serata “particolare”.
Non seppe spiegarsi il motivo che l’avesse spinta ad entrare in un luogo simile; ma doveva cercarla e trovarla.
Al suo interno, il caos: uomini ubriachi che urlavano e applaudivano alle ballerine di lap dance, incitandole a spogliarsi e lanciare i loro vestiti, coppie, sia etero che omo, intenti a baciarsi. Una ballerina stava persino prendendo tra le mani uno dei serpenti che aveva ai piedi.
Non sarebbe stato facile trovare la giovane in mezzo a quella folla.
Poi, udì un urlo: sopra le scale, con vista sul palcoscenico, il proprietario del locale, Jackob, un uomo alto quanto Bill, ma largo il doppio e altrettanto muscoloso, con il corpo praticamente coperto da tatuaggi di serpenti.
Stava minacciando una donna con un coltello, una donna vestita con un tallieur; era lei.
Senza pensarci due volte, salì le scale di corsa.
-Lasciala stare, Jackob.- ammonì. Era riuscito a raggiungere la giovane appena in tempo; ansimò, dalla corsa che aveva fatto –Non vedi che trema come una foglia?-
Jackob alzò la testa, notando il ragazzo.
-Non mi sembra che abbia chiesto il tuo parere, Engel…- commentò, maleducatamente.
Tom non ci avrebbe pensato due volte a picchiarlo, per salvare la giovane; ma Bill cercava sempre di puntare alla diplomazia per risolvere i problemi.
Si morse le labbra, tremando anche lui. Ma doveva farsi forza. Per fortuna, lo conosceva abbastanza da capire come prenderlo.
-E’ solo un’ochetta che ha sbagliato posto. Lasciala andare, non ne vale la pena…-
La giovane si sentì un poco offesa ad essere chiamata “ochetta”, ma l’uomo decise di dare ascolto a Bill.
-Ringrazia il fatto che tu e tuo fratello siete fra i miei clienti preferiti…-
La osservò minacciosamente un’ultima volta.
-E tu sei fortunata, dolcezza…- sibilò –Di solito, certe sfrontatezze si pagano a caro prezzo.- La gettò a terra con forza, come fosse un grosso carico di mattoni –Levamela di torno!-
Senza pensarci due volte, Bill aiutò la giovane a rialzarsi, per poi portarla via il prima possibile da quel posto.
Lei non disse una parola, nemmeno per ringraziarlo; temeva che anche il ragazzo fosse come Jackob.
Lo studiava con rapide occhiate. Non sembrava cattivo, ma non sapeva se fidarsi o meno. Tutto poteva essere possibile in quartieri come quello.
Bill lesse subito il disagio nel suo volto.
-Scusami, non volevo darti dell’ochetta.- si scusò, imbarazzato, e grattandosi la testa –Ma era l’unico modo per toglierti dalle sue grinfie…-
La giovane accennò una risata, per nascondere la paura.
-No, lo comprendo…- mormorò, ancora scossa per poco prima; durante la caduta aveva battuto la testa, infatti aveva una ferita sopra il sopracciglio destro –Ti ringrazio di avermi salvata, Engel…-
-Figurati…- ringraziò lui, sorridendo -Non sopporto quando persone come Jackob trattano le donne in quel modo. Per lui sono solo oggetti utili per guadagnare denaro e scaldare il sangue agli animali che tanto adora.-
-I serpenti?-
-I clienti. E purtroppo io e mio fratello siamo tra di essi.- concluse, sentendosi un grande ipocrita.
-Tu, però, non mi sembri come quelli che ho visto lì dentro…-
-Non siamo tutti come loro.-
-Senti. Io devo uscire di qui. Mi hanno rubato la macchina, il cellulare, tutto. Non c’è una stazione di polizia da queste parti?-
-No. Per il governo nemmeno esistiamo. Siamo praticamente un mondo a parte. Qui siamo tornati alla preistoria, dove è il più forte a prevalere. Non abbiamo nemmeno una degna istruzione; l’unica cosa che impari è sopravvivere.-
La giovane provò pena per il suo “salvatore”. Aveva un’aria così pura, angelica: non le passò nemmeno per la mente che fosse un sicario di un grosso trafficante di droga.
-Ma stai tranquilla, mio fratello tornerà a momenti con la tua macchina. Ah, a proposito, “Engel” è una specie di nome d’arte.- aggiunse il ragazzo, porgendo la mano alla giovane –Il mio nome è Bill. Bill Kaulitz.-
Lei gli strinse la mano, sorridendo a sua volta.
-Piacere, io sono…-
Un rumore a lei noto la interruppe: la sua Volkswagen. Esattamente come la ricordava. I ladri non l’avevano rovinata, come temeva. Tuttavia, non sapeva spiegarsi come poteva trovarsi lì.
-Beh, parli del diavolo…- commentò il biondo, con sguardo buffo.
La risposta si manifestò appena il finestrino del guidatore si abbassò: Tom aveva un’aria soddisfatta sul volto.
-Qualcuno vuole un passaggio?-
La giovane arretrò, ma Bill la invitò a non preoccuparsi.
-Non temere. Lui è il mio fratello gemello.-
-Tom Kaulitz al tuo servizio, signorina…- si presentò, baciandole la mano –E credo che questo appartenga a te…-
Le aveva mostrato il telefono, poi porto.
Lei lo prese, sempre più confusa.
-Ma come…?-
-Oh, è stato semplice.- tagliò corto il moro, come fosse stata la cosa più normale del mondo –Ho dato una bella lezione a chi ti ha rubato la macchina. La banda di Derek è nota per i suoi attacchi sessisti; ancora ritengono le donne il sesso debole e a noi questo non piace… Proprio per niente.-
-Questo posto non è adatto a te…- proseguì Bill, rivolgendosi a lei –Ti aiuteremo ad uscire di qui. Conosciamo questo quartiere come le nostre tasche. Fidati di noi.-
La giovane fu quasi commossa da tanta generosità.
-Grazie, mille volte grazie!- ringraziò, lacrimando.
-Di niente. A proposito, non mi hai detto come ti chiami…- si ricordò Bill.
Lei si asciugò le lacrime.
-Mi chiamo Linda. Molto piacere.-
 
Linda si era rimessa alla guida della sua auto. Bill si era messo accanto a lei, indicandole i vicoli dove girare per uscire dal quartiere, e Tom aveva preso posto dietro, in caso di nuove “rapine”.
Per tutto il tragitto, lei raccontò come era entrata in quel quartiere: era di ritorno da una cena di lavoro, ma per la via che portava a casa sua c’erano dei lavori che bloccavano la strada. L’alternativa più facile risultò passare per il “Drogesviertel”, più lunga ma sgombra. Non si aspettava certo che una banda la stesse attendendo per derubarla. Era stata una fortuna che i gemelli stessero passando da quelle parti.
E nel locale, aveva chiesto aiuto al proprietario, il quale, in cambio, aveva proposto alla giovane di unirsi allo spettacolo di lap dance, togliendosi i vestiti; lei voleva solo fare una telefonata per farsi venire a prendere, infatti Jackob le avrebbe fatto fare la telefonata, più 500€ e due boccali di birra. Lei, ovviamente, aveva rifiutato, minacciando di dare uno schiaffo all’uomo. Lui, a quel punto, la minacciò con un coltello. Per fortuna, Bill era intervenuto appena in tempo.
Non doveva essere stata una bella esperienza per Linda; loro, ormai, essendoci abituati, non ci facevano più caso, ma non avevano mai pensato di osservare quel posto dal punto di vista di un abitante del centro.
Per sollevarle il morale, decisero di raccontarle su di loro, ma non solo la loro storia, per evitare di farla sentire ancora più a disagio; le raccontarono soprattutto su eventi strani accaduti durante le loro missioni.
-E quindi io ho dovuto vestirmi da inserviente e Tom si era nascosto dentro il carrello della biancheria che stavo trasportando. Gli avevo persino chiesto “Tutto bene, Tom?” e lui “Liscio come l’olio.”. Ah, gira a sinistra.- raccontò Bill, ridacchiando.
La giovane non smetteva di ridere.
-No! E poi?- domandò, sempre più divertita.
-Al mio passaggio, dei clienti iniziarono a mettere la propria biancheria sporca. E alcune mutande erano addirittura sporche, con tanto di aloni! Tutte sulla sua faccia!-
Grasse risate riecheggiarono in tutta la macchina. L’unico a non ridere era Tom: ricordava ancora con imbarazzo quel giorno, nonostante fossero passati nove anni. Erano i tempi in cui lui era biondo con i dread, cappello in testa e con vestiti tre volte più larghi di lui, e Bill aveva i capelli lunghi, neri con delle ciocche albine e con molti meno piercing e tatuaggi.
-Divertente spettegolare sugli altri, vero, fratellino?- commentò, con aria maliziosa –E se raccontassi alla signorina di quelle volte in cui ti eri vestito da donna?-
Il sorriso svanì sulle labbra del gemello.
-Non oserai…?-
Ma Linda continuava a ridacchiare.
-Bill vestito da donna?!- si stupì –Dai, racconta!-
-Ero in missione di copertura!- si giustificò il biondo, imbarazzato.
-Ma molti uomini hanno cercato di sodomizzarti!-
Ora era Tom a ridere con la giovane. Stava diventando blu da quanto aveva riso.
-Sul serio, però, ragazzi: un po’ vi compatisco.- mormorò, facendosi triste –Potevate vivere un altro tipo di vita, normale come tutti. Invece, vi ritrovate qui, in una gabbia di pazzi, criminali e tossici. I vostri genitori hanno preso la decisione sbagliata. Certe persone, soprattutto quelle con figli, dovrebbero pensare bene a queste cose…-
Lo aveva detto con tono strano, quasi con rancore, o rabbia.
-Lo dici come se avessi subito anche te una cosa simile…- commentò Tom, giocherellando con il suo coltello.
-Tom!- rimproverò Bill –Non è una cosa carina da dire. Ah, vai sempre dritto, così, poi gira a destra. Non manca molto.-
-Non sbagli, Tom.- tagliò corto Linda, facendosi più malinconica e seguendo le indicazioni del biondo –Ho una sorella minore, in effetti, a cui voglio molto bene. I miei genitori hanno divorziato quando eravamo piccole, io stavo per iniziare le medie. Se avessimo avuto il vostro stesso coraggio, saremmo scappate anche noi. Invece, io ho dovuto vivere con mio padre e mia sorella con mia madre.-
Lo stesso destino che sarebbe capitato ai Kaulitz, se non avessero deciso di scappare. Non sapevano nemmeno loro quale scelta sarebbe stata la migliore per loro: se scappare di casa insieme, ma cadere nella rete di persone come Gordon Trümper, o seguire i propri genitori, ma separati.
-Ma vi parlate?- domandò Bill, con aria compassionevole.
-Sì, ci chiamiamo spesso e ci incontriamo.- rispose la giovane, sorridendo lievemente -Viene spesso a trovarmi, infatti. E’ stata la mia damigella d’onore al mio matrimonio ed è stata la madrina di mia figlia, per il suo battesimo.-
I due gemelli alzarono le sopracciglia folte.
-Sei sposata?- domandarono, quasi all’unisono.
-Sì, da tre anni.- rispose lei, mostrando la fede nuziale –E abbiamo una bellissima bambina di due anni.-
-Beh… scusa se mi permetto, ma… mi eri sembrata troppo giovane per essere sposata.- commentò nuovamente Tom, lievemente in imbarazzo.
Linda apparve lievemente offesa.
-Perché? C’è un’età precisa per sposarsi?!-
-N-no! Quello che volevo dire è…!-
-Lascialo perdere, Linda.- tagliò corto Bill, sorridendo in modo furbo –Quando vede una donna, il suo cervello si sposta da un’altra parte… Non so se mi spiego…-
-Ehi!-
Il sorriso della giovane svanì in uno sguardo preoccupato: un altro gruppo si era messo di fronte alla macchina.
Un’altra gang del “Drogesviertel”. Come tale, era già armata con pistole, coltelli e catene.
Bill mise la testa sulla spalla sinistra, osservando Tom con la coda dell’occhio e lui annuì: sapeva cosa fare.
-Tranquilla, tesoro… Mantieni la calma…- la rassicurò questi, mostrando il manico del coltello –Qualunque cosa diranno, tu resta dentro la macchina e non fare niente…-
Non era facile per una donna del centro. Soprattutto quando notò la canna della pistola puntata verso di lei, mentre chi la impugnava, un giovane con i lati della testa rasati, ma la parte superiore piena di dread, la invitava ad abbassare il finestrino.
Con dito tremante, spinse il bottone del finestrino. Il respiro si fece sempre più affannoso quando la pistola era praticamente a dieci centimetri dalla sua fronte.
-Scendi dalla macchina.- minacciò il tipo –E dammi tutti i tuoi soldi.-
Non aveva notato i gemelli Kaulitz.
Bill non disse nulla; si limitò ad osservarlo con aria fredda, mentre Tom, pronto all’azione, mormorò: -Resta dove sei.-
Senza aggiungere altro, abbassò il suo finestrino, sporgendo la sua testa di fuori.
Il tipo lo notò con la coda dell’occhio, prima di voltarsi, quasi arretrando. La pistola fu puntata verso di lui.
-T-tu?!- imprecò, con rabbia.
Il moro gli rivolse un’aria di sfida: -Ti sono mancato, Quillian?-
Uno sparo fu la risposta: il ragazzo fu abbastanza rapido da tornare dentro la macchina, mentre Linda urlava: non aveva mai visto una sparatoria dal vivo. Sperò che fosse l’unica cosa estrema a cui avesse assistito quella sera.
Quillian si avvicinò dove si era seduto Tom, sperando di centrargli la fronte. Ma il ragazzo, lesto come un serpente, gli afferrò il polso e gli fece sbattere la testa contro la macchina; precisamente il punto tra la fronte e il naso. Lui indietreggiò, oltre a mollare la pisola. Si ritrovò la portiera in faccia, che lo fece cadere bruscamente all’indietro, battendo la testa contro il muro; quel colpo gli provocò la perdita dei sensi. Dal cranio uscì del liquido rosso.
Gli altri membri della band osservarono quello spettacolo con orrore: come all’interno di un branco, se il capo è a terra, gli altri non sapevano cosa fare. Uno di loro pensò di togliere Linda con la forza dalla macchina, ma si accorsero che le portiere erano bloccate.
Bill, sorridendo con scherno, li salutò. Era stato lui a bloccare le portiere. La giovane era ancora paralizzata per farlo.
Tom era fuori la macchina, con la pistola di Quillian in una mano e il suo coltello dall’altra.
Un’altra rissa. Lui sorrise. Due in una sola serata. Erano troppo poche per lui, ma meglio di niente.
Non era raro che si ritrovasse in combattimenti con lui contro sei persone.
Riuscì a gestire la situazione: se uno lo bloccava alle spalle, mentre altri due si avvicinavano per colpirlo, lui, con un rapido colpo di reni, colpiva entrambi gli avversari con le sue gambe, poi scivolava verso il basso e faceva capriolare chi lo teneva, facendolo schiantare sugli altri. Ogni tanto scivolava sul cofano per colpire chi stava dall’altra parte della macchina, facendo venire degli infarti a Linda, preoccupata sia per il ragazzo che per la macchina.
Bill osservava continuamente il telefono, come per misurare il tempo.
Appena udì il rumore di un pugno che batteva con delicatezza sul finestrino, sbloccò le portiere.
Tom riprese il suo posto con aria trionfante e rilassandosi sul sedile.
All’esterno, tutti i membri della banda giacevano svenuti sul muretto, sistemati lì dal moro per facilitare il passaggio a Linda.
-5 minuti e 3 secondi…- commentò Bill, annuendo –Hai superato il tuo record, fratellone…-
-Sì…!- esultò questi, prima di osservare indietro e fare il gesto dell’ombrello –Questa è la fine dei vigliacchi che se la prendono con le donne! Prrr!!!-
La giovane si mise nuovamente a ridere. Dopodiché, dallo specchietto notò qualcosa che non aveva notato per tutta la serata: un tatuaggio sul suo braccio destro. Non era l’unico che aveva, ma quello attirò la sua attenzione. Poi osservò Bill: indossava la canottiera che lasciava una buona parte del petto scoperta. Aveva lo stesso tatuaggio: un simbolo che ricordava lo stemma degli “Illuminati” circondato da un alone rosso, con una stella e una testa di elefante ai lati e una scritta, sotto: See you in outher space.
-Scusate se mi permetto…- mormorò, titubante, come se avesse il timore di fare l’impicciona -Sbaglio o voi due avete lo stesso tatuaggio?-
I due gemelli non si mostrarono affatto infastiditi da quella domanda, anzi; dal primo momento in cui se lo sono fatto, nessuno ci aveva fatto un commento. Erano più che felici di parlarne.
-Oh, sì, non sbagli affatto.- rispose Bill, mostrandolo con orgoglio -Questo è uno dei tanti elementi che unisce questo cretino e me.-
-Non sforzarti coi complimenti.- commentò Tom, sarcastico. Il gemello gli rispose storcendo la bocca.
-Dì, Linda. Tu credi nella reincarnazione? Ah, qui gira a destra.-
Quella domanda fece quasi basire la giovane.
-Non lo so. Forse. Perché?-
-Io sì. A volte ho strani pensieri, di aver vissuto vite senza Tom. Essere gemelli è una cosa meravigliosa, Linda. Avere di fianco l’unica persona che ti comprende veramente, che capisce tutto con uno sguardo, senza bisogno di parlarne. Noi due siamo anime gemelle, non solo gemelli.-
-Non parlare come se non fossi presente, fratellino…- commentò Tom, quasi rovinando il momento –Comunque, è vero. Nemmeno io non potrei vivere senza questo scemo.-
-Abbiamo deciso di fare questo tatuaggio lo stesso giorno.- proseguì Bill, ignorando la risposta del fratello –Il tatuatore ci ha detto che se due persone si fanno questo tatuaggio, resteranno insieme per il resto delle loro reincarnazioni. Vedi? “See you in outher space”. Letteralmente dovrebbe significare “Ci vediamo in uno spazio esterno”, ma crediamo entrambi che, logicamente, significhi “Ci vediamo in un’altra vita”. Noi due resteremo sempre insieme.-
Bill tendeva al sentimentalismo, Tom era il più duro tra i due, o meglio, mascherava i suoi veri sentimenti con l’ironia.
-Purtroppo…- commentò, a bassa voce.
Ma Bill sapeva che anche lui pensava la stessa cosa.
Linda fu commossa da quelle parole: aveva sentito più volte del legame dei gemelli, più forte di quello tra normali fratelli. I Kaulitz erano la prova di quel legame, la prova assoluta. Abbandonati fin da piccoli in un mondo crudele e avere solo l’un l’altro per consolarsi e ritrovare la forza. La sua compassione per loro non faceva altro che aumentare.
-Bene, siamo arrivati.- annunciò il biondo, indicando in avanti con il volto.
Erano all’entrata del quartiere, la strada che prendevano i gemelli ogni volta che dovevano dirigersi verso il centro.
-Capolinea! La signora è servita!- aggiunse Tom, prima di scendere dalla macchina. Bill fece lo stesso, unendosi a lui.
Linda abbassò il finestrino, sorridendo dolcemente ai gemelli.
-Io… non so davvero come ringraziarvi…- disse, imbarazzata –Non so nemmeno come ripagarvi…-
Si voltò verso la borsa, alla ricerca del suo portafoglio. Tom le mise una mano sulla spalla, intimandole di fermarsi.
-Credici, i soldi non sono un problema per noi…- ringraziò, scuotendo la testa.
-L’unica cosa che puoi fare per noi…- aggiunse Bill, ricambiando il sorriso –E’ quello di non farti più vedere da queste parti. Da qui sai ritrovare la strada di casa da sola, vero?-
-Sì, non preoccuparti.- lo tranquillizzò la giovane, felice di essere uscita da quel posto orribile –Ma almeno permettetemi di ringraziarvi per bene…-
Uscì dalla macchina e abbracciò prima Bill e poi Tom, oltre a dare loro un innocente bacio sulla guancia.
Il secondo le rivolse uno sguardo malizioso.
-Mia cara, ti ricordo che sei sposata…- osservò.
-Tranquillo, lo faccio anche con i miei amici.- concluse lei, mentre rientrava in macchina –Ehi, spero con tutto il cuore che riuscirete a fuggire da qui. Non è posto per ragazzi come voi…-
Partì, mentre mandava un ultimo bacio ai gemelli.
Essi la salutarono con la mano, sorridendo.
Seguirono la Volkswagen con lo sguardo, prima di vederla mescolarsi con le altre macchine.
Non sapevano perché, ma si sentirono improvvisamente leggeri, appagati, felici.
Un sentimento mai provato in tutti quegli anni.
-Tutti questi anni a fare cose cattive…- mormorò Bill, guardando in basso –E dimenticare quanto sia bello aiutare il prossimo...-
Inizialmente, Tom storse lievemente la bocca. Ma fu completamente d’accordo col gemello.
-Prima c’era la droga a consolarci…- ricordò, con dolore e imbarazzo; si osservò l’incavo dietro il gomito: si era formato un grosso livido. Lo stesso in quello di Bill. Troppi anni di iniezioni. Un altro avrebbe probabilmente causato loro la morte. –Ma hai ragione. Aiutare il prossimo sembra essere più appagante. Hai visto quella poveretta? Non raccomanderei a nessuno vivere in questo buco di merda…-
L’avventura passata con Linda li convinse sempre più del loro piano. Si strinsero le mani, per darsi forza.
-Potevamo andare con lei…- commentò il biondo, assumendo uno sguardo triste.
-Già…- Era troppo tardi. Ma non potevano ugualmente. Se Gordon li avesse scoperti, li avrebbe costretti a partecipare alla sua “festa”.
Decisero entrambi di pensare ad altro.
-Prima di dimenticarmene…- iniziò Tom –Ce l’hai la sigaretta?-
-Sì!- rispose, frugando tra le tasche, prima di accenderle entrambe –Ma se veramente vogliamo disintossicarci, forse dovremo anche smettere di fumare...-
-Sì, hai ragione. Ma, se ci fai caso, è l’unica sigaretta in una sola giornata.- notò il moro, con stupore –Direi che siamo ad un buon punto, non trovi?-
Il gemello annuì.
Improvvisamente, i loro pensieri furono turbati da una serie di Bip! strani.
Gordon.
Li stava chiamando.
Si osservarono di nuovo. Dopodiché, Bill schiacciò il tastino verde, mettendo il vivavoce.
-Pronto?-
-Buonasera, Zwillinge…- rispose Gordon, dall’altra parte del telefono –Mi spiace disturbarvi durante la vostra serata libera, ma ho un annuncio importante da farvi. Per domani c’è un cambio di programma, ma non che vi farà perdere la gara di bevute e il concerto in TV…-
Bill e Tom si osservarono, impallidendo.
Cosa aveva in mente?

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P.S.: avete riconosciuto il nuovo personaggio?

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Capitolo 6
*** VI(T) ***


Note dell'autrice: scusate se questa parte è scritta malissimo, ma...

MODIFICA: ho scoperto oggi il vero nome della figlia di Gustav...

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-Cos’è questa roba?! Avevamo detto 5 chili! Questi non sono nemmeno 3!-
-Mi dispiace, ma le cose sono cambiate.- tuonò Bill, con aria fredda e incrociando le braccia –Tuttavia, esigiamo lo stesso prezzo!-
-100€ per questa merda qua?! Dite a Trümper di leccarmi il culo, piuttosto!-
I gemelli erano ormai abituati a questo genere di risposta.
La prima volta, quasi una decina di anni prima, non sapendo cosa fare per convincere il compratore a cedere la cifra richiesta, erano tornati da Gordon a mani vuote, e lui, per punizione, costrinse Tom ad osservare lui mentre molestava sessualmente Bill. Un’esperienza terribile per entrambi. Ma peggiore fu nel secondo fallimento: i gemelli dovevano frustarsi a vicenda, a turno (prima Tom a Bill e viceversa).
Gordon sapeva essere molto severo nelle punizioni. Quelle esperienze li aiutarono ad essere minatori verso i compratori che non volevano cedere la cifra esatta. Inoltre, avevano loro insegnato a riconoscere vari tipi di clienti: quelli con il coraggio di lingua e quelli con il coraggio di palle. Chi sperava di cavarsela parlando con tono da duro e con sguardo minatorio e chi non ci pensava due volte a far partire una rissa pur di avere ragione.
Bastava verificarlo con un solo gesto: Tom mosse la testa avanti e indietro, come per annuire.
-Tutto questo giro di parole per dire che non vuoi la droga che hai richiesto?- domandò, quasi sarcastico.
L’uomo di fronte ai gemelli si mise innanzi al moro, aggrottando le sopracciglia.
-No.- rispose, secco.
Gli angoli della bocca del ragazzo si inarcarono verso il basso.
-Bene…- mormorò –Mettiamola così, allora…-
Rapido, prese l’uomo per il cranio e fece sbattere il suo volto sul tavolo che li separava.
L’altro alzò la testa, urlando dal dolore, quasi piangendo, e tenendo la mano sul naso.
Sul tavolo era presente una grande macchia di sangue.
I due gemelli osservarono il cliente inclinando la testa, delusi.
“Grande e grosso e piange come un bambino…” pensò Bill, abbassando un sopracciglio.
Tom percepì il suo pensiero e gli rispose: “Decisamente, uno bravo solo a parlare…”
-Allora, paghi o no?- disse il biondo, indifferente alla sua sofferenza.
L’uomo, ancora gemendo, annuì.
-Sì, d’accordo, pago! Ma non fatemi ancora del male, vi prego!- si rivolse ad uno dei suoi scagnozzi –Dagli i soldi, cazzo! Dagli i soldi!-
Intimorito anche lui dalla presenza dei gemelli, lo scagnozzo diede due banconote da 50€ ciascuno.
I due ragazzi le studiarono bene, per assicurarsi che non fossero false. Le misero nelle proprie tasche.
Bill sorrise in modo malvagio.
-E’ un piacere fare affari con gente come te…- mormorò, prima di voltare le spalle al compratore, ancora in lacrime per il colpo subito.
-E un’ultima cosa…- ammonì Tom, prima di seguire il fratello –La prossima volta che vuoi fare il duro con noi, cerca almeno di abituarti a prendere dei pugni in faccia…-
Anche lui si mise a ridere in modo malvagio.
Il primo incarico di Gordon si rivelò essere una semplice vendita di droga a vari abitanti del quartiere.
Anzi, praticamente a mezzo quartiere.
Avevano iniziato nel primo pomeriggio, finendo che era quasi il tramonto.
-Allora… lui c’è, lui pure…- ricordò Tom, osservando insieme a Bill la lista di clienti a cui vendere la droga che il loro Protektor aveva scritto tramite SMS. Accanto ad ogni nome c’era una “X”, che indicava a chi avessero già venduto.
-Sì, abbiamo venduto a tutti.- annuì il biondo, prima di prendere delle banconote da 50€ -Facciamo un paio di conti…-
Anche il moro prese le sue, e le contarono.
-Quanto hai, Tom?-
-2500€.-
-Anch’io. Quindi abbiamo guadagnato 5000€.-
-Cazzo! Se lo stronzone ci fa tenere almeno la metà, potremo essere a posto.-
-Lo spero, Tomi…-
Il cellulare squillò.
-Visto?- ironizzò Tom, facendo spallucce –Parli del diavolo… e stavolta abbiamo anche finito in anticipo rispetto al limite che ci ha imposto! Un record…-
Bill gli rivolse uno sguardo buffo, prima di accettare la chiamata e mettendo il vivavoce.
-Allora com’è andata, Zwillinge?- domandò Gordon, dall’altra parte del telefono.
-A meraviglia, abbiamo venduto tutto e guadagnato la cifra che avevi stimato.- rispose il biondo, stoico.
-Non mi deludete mai, Zwillinge. Incontriamoci nello stanzino per lo scambio, dopodiché vi informerò sul vostro prossimo incarico.-
Riattaccò immediatamente, in faccia ai gemelli.
L’odio di Tom nei suoi confronti cresceva a dismisura.
-Certo che gli piace proprio comandare…- commentò, con le labbra serrate –Spero solo che il prossimo incarico non sia fargli il massaggio ai piedi in cambio di 100€ a testa…-
Bill ci fece un pensiero sopra, assumendo uno sguardo disgustato.
-In ogni caso, meglio dirigerci subito da lui.- concluse, prima di camminare -Lo sai che non gli piace aspettare…-
-Oh, sì, non facciamo aspettare il Drogeskaiser…- ironizzò Tom, seguendolo.
Mezz’ora dopo, i Kaulitz si trovarono al cospetto dell’uomo. Gli presentarono i soldi ricavati dalla vendita della droga.
Lui diceva di fidarsi di loro, ma volle ugualmente contarli.
-4950… 5000.- contò, con aria soddisfatta –E precisi, tra l’altro! Bravi, Zwillinge, non mi deludete mai…-
Bill e Tom non sapevano se quello fosse stato un complimento o un’adulazione per esortarli a restare dalla sua parte. Per fortuna, Gordon non sapeva leggere nella mente delle persone. E i due gemelli avevano ormai imparato a mascherare le loro emozioni.
-Grazie, Gordon…- dissero, insieme, stoicamente, come soldati di fronte al proprio superiore.
Lui, contento di questa subordinazione, si alzò in piedi, con il suo solito sorriso malefico.
Li toccò entrambi sulle spalle.
-Io tengo molto a voi, sapete?- disse, guardandoli; i due ragazzi incrociarono il suo sguardo di sfuggita, per poi osservare nuovamente in avanti; sapevano non poteva leggere nella loro mente, ma i suoi occhi erano così penetranti che sembrava che, effettivamente, poteva farlo –E mi aspetto altrettanto da voi.- aggiunse, lasciandoli e tornando a sedere sul suo posto.
I gemelli non sapevano cosa dire. Solo Tom ebbe il coraggio di parlare.
-Hai altri incarichi per noi?-
Deglutì. Solo Bill poté percepire il suo disagio. Sapeva che anche lui aveva paura di Gordon.
Questi si piegò in avanti, fissando il ragazzo con aria seria.
Qualcosa variò nel respiro di Tom: era diventato più affannoso, più frequente.
Anche Bill si allarmò.
Che Gordon sapesse già…?
Il tutto converse in un sospiro di sollievo, quando lo sguardo serio di Gordon si tramutò in un sorriso divertito.
-Sempre pronto a tutto, eh? E’ per questo che mi piaci, Tom…- fece, mettendosi comodo nella poltrona; no, non sospettava nulla –Comunque, sì, ho un altro paio di incarichi per voi, Zwillinge.- si accese un sigaro –Mentre voi eravate in giro a vendere la droga, ho inviato alcuni ragazzi per prelevare uno dei nostri che ha osato mettersi contro di me, minacciando di smascherarmi alla polizia e, di conseguenza, condurre il mio Reich al fallimento. Voi non volete che avvenga, vero?-
In un altro contesto, la risposta dei gemelli sarebbe stata: “Sì che lo vorremmo, brutto stronzo!”
Ma dovevano ancora fingere di stare dalla sua parte, quindi si ritrovarono costretti a dare la risposta che voleva lui.
Gordon, infatti, ne fu compiaciuto.
-Di chi si tratta?- domandò Bill, mostrando sottomissione. Qualsiasi cosa pur di mostrare di essere fedele al loro Protektor. Come un cane con il proprio padrone.
-Faccio prima a mostrarvelo.-
Senza pensarci due volte, Gordon schioccò le dita: due ragazzi, un maschio e una femmina, più giovani di almeno una decina d’anni dei Kaulitz entrarono nello stanzino portando un uomo alto dalla statura robusta, con le mani legate e un sacco sulla testa. Ansimava e tremava. Fu costretto a inginocchiarsi, prima che la ragazza gli togliesse il sacco. Era un mulatto. Il volto era integro, non aveva subito danni.
-Lasciateci.- ordinò Trümper ai due ragazzi, che si congedarono con un lieve inchino.
I gemelli conoscevano l’ostaggio solo di vista: anche lui era un sicario, come loro.
Tremò di più, appena Gordon si mise dinnanzi lui, prendendogli il mento.
-Allora, Bernt…- sibilò, come un serpente –Sei ancora convinto di quello che hai detto alle mie spalle? Che sono un mostro opportunista, spietato e cinico che merita solo la prigione, se non la fossa comune?-
Esattamente quello che i gemelli pensavano su di lui. Ammirarono il collega per il coraggio di averlo solo detto.
L’altro scosse la testa nervosamente, senza pronunciare alcuna parola per esprimere la sua negazione.
Osservava il suo superiore con aria terrorizzata, ansimando dal naso, quasi lacrimando.
-No…?- derise Gordon, senza staccare gli occhi dai suoi –Allora vuol dire che ti penti di quello che hai detto su di me?-
Annuì, con movimenti fulminei. I gemelli si guardarono l’un l’altro, preoccupati.
-Molto bene…- concluse l’uomo, staccandosi dal mulatto –Sei perdonato.-
Invece di un “grazie”, ciò che uscì dalla bocca dell’altro fu: -Non farmi del male, ti prego…-
Sapevano tutti che Gordon Trümper non era uno che perdonava facilmente; o meglio, che non lasciava andare impunite le persone che lo avevano tradito, sebbene avesse detto “Sei perdonato.”.
Infatti, si voltò, con aria innocente.
-Farti del male? Io?- osservò, con voce flautata –No… Lo sai che non mi permetterei mai…- osservò i gemelli; non era mai lui ad infliggere le punizioni, lasciava sempre il compito ai suoi sottoposti, per formarli e insegnare loro cosa succedeva a tradirlo –Ecco il vostro incarico, Zwillinge… Sapete entrambi che, dopo un’accusa così nei miei confronti, non posso lasciarlo andare come se niente fosse accaduto.-
Bill e Tom annuirono: cosa aveva in mente?
-E se lasciamo andare persone come lui, questo potrebbe dar vita a, che so? Una rivolta? A tutto quello che ho costruito? La vostra unica casa?-
Ecco il colpo basso per spingerli nuovamente a obbedire ai suoi ordini.
Scrutò qualcosa dal suo cassetto, estraendo due piccole mannaie, ma dalla lama appena affilata.
-Quindi ecco la vostra missione: prendete le mannaie, mettetelo sul tavolo e tagliategli mani, lingua e… perché no? Il cazzo.-
Quella richiesta fece sussultare i presenti, soprattutto il condannato.
-Un uomo senza lingua non può sparlare di me, un uomo senza mani non può scrivere contro di me, e un uomo senza cazzo non può più prendermi per il culo, o peggio, soddisfare i suoi bisogni sessuali…-
I gemelli osservarono le mannaie con orrore: non era la prima volta che veniva loro ordinato di amputare delle parti del corpo di altre persone, ma ogni volta era come la prima. Era troppo persino per Tom: non era la stessa cosa che picchiare qualcuno.
Ma anche loro sarebbero stati puniti, se non avessero obbedito.
Senza dire una parola, presero le mannaie. Ciò fece esasperare Bernt, mentre veniva agguantato per essere messo sul tavolo.
-NO! TI PREGO! FARO’ TUTTO QUELLO CHE VUOI, GORDON! ANCHE PARTECIPARE ALLE TUE “FESTE”, MA NON PERMETTERE LORO CHE MI FACCIANO QUESTO! TI PREGO!-
Gordon lo osservò con indifferenza, mentre l’altro veniva legato al tavolo e privato dei pantaloni e delle mutande.
-Partecipare alle mie feste? Tu?- derise –Uno come te può solo far scappare i miei clienti. Loro ambiscono a carne giovane, come gli Zwillinge. No, meglio non rischiare. Che me ne farei di un uomo castrato?-
Niente. Niente poteva far cambiare idea a Gordon Trümper.
Non era mai facile per i gemelli amputare delle parti. Si guardarono in faccia, negli occhi color nocciola: in entrambi si poteva leggere il dolore e la paura. Ma bastò un solo sguardo per avere coraggio, anche se per poco tempo.
Entrambi sussurrarono alle orecchie del collega: -Ci dispiace molto…-
Un colpo netto. Le mani caddero dal tavolo con un rumore secco.
L’urlo riecheggiò in tutto il Drogesviertel.
Bill, poi, sforzandosi di non tremare, tagliò la lingua, e Tom i genitali. Rapidi e secchi colpi, come quelli di un macellaio intento a macellare la carne degli animali.
Le urla erano i suoni preferiti di Gordon: il suono della punizione.
Non uscivano più urla dalla bocca di Bernt, ma suoni strani: che altro poteva fare, un uomo senza lingua?
-Ah, cavolo, il tavolino…- imprecò l’uomo, notando il sangue che ormai lordava il suo tavolino; si sarebbe seccato e poi confuso con il sangue delle altre persone lì mutilate –Ora portatelo via di qui e cauterizzate le ferite. Questo tavolino è già sporco di suo. Lì c’è la fiamma ossidrica.-
Lo avevano fatto altre volte; non fecero più caso ai lamenti del collega. Quello che albergava nella mente dei due gemelli era ormai l’agognata fuga da quel posto. Almeno bastava a farli distrarre da quello che stavano facendo.
I lamenti non avevano smesso un solo secondo da quando erano iniziati. Gordon assisteva a quello spettacolo sorridendo. Schioccò di nuovo le dita: le sue guardie del corpo entrarono.
-Gettate questo traditore in mezzo alla strada.- ordinò, con aria sadica –Vediamo come se la cava ora, conciato così…-
I due uomini annuirono ed eseguirono gli ordini: il mulatto venne preso sia per le braccia che per le gambe, come un malato e trasportato verso l’esterno, per poi essere gettato come spazzatura.
Gli abiti, le mani e i volti dei Kaulitz erano sporchi di sangue: non erano fieri di quello che avevano appena fatto, ma dovevano, per non destare sospetti.
Bill era ormai pallido alla vista di tutto quel sangue su di lui. Non ci avrebbe mai fatto l’abitudine.
Persino Tom resisteva  a stento di urlare dalla rabbia e dalla disperazione. Ma cercò ugualmente di non crollare e domandò, sperando con tutto il cuore che quello fosse l’ultimo incarico: -C’è altro, Gordon, che possiamo fare per te?-
L’uomo spense il sigaro, senza smettere di osservare i suoi Zwillinge.
-Intanto, di darvi una bella pulita.- notò, quasi divertito –Per l’ultimo incarico, è più saggio attendere notte fonda. Vi chiamerò io. Avete tempo di fare la vostra famosa gara di bevute. A dopo, Zwillinge...-
La gara di bevute… La scusa che si erano inventati per facilitare la loro fuga. Ma come potevano, alla vigilia di un nuovo incarico? Era come se Gordon, effettivamente, avesse sempre saputo che la loro intenzione era scappare da lì e lui cercava in tutti i modi di posticipare la loro fuga. Anche peggio di una delle sue punizioni. Se fossero scappati e lui li avesse scoperti, li avrebbe di nuovo usati come figuranti in una delle sue feste, costringendoli nuovamente all’incesto.
Non potevano permetterlo. Ancora una volta, dovettero posticipare la fuga.
Si congedarono con un lieve inchino.
-Che razza di stronzo!- imprecò Tom, ormai lontano dallo stanzino –E anche codardo! Non ha il coraggio di punire lui stesso i traditori per paura di sporcarsi le sue belle manine che sgorgano droga!-
-Tom, fai piano!- ammonì Bill –Vuoi finire come quel tipo?-
Nemmeno lui era contento di quello che aveva fatto. Fra i due, Tom era quello più violento, quello più felice alla vista del sangue, ma non in quel contesto, non per punire un innocente. Violento, ma non privo di giudizio. Non se c’era Bill con lui.
-Certo che no.- fu la risposta, con una punta di ironia –Io ci tengo alla mia materia prima.-
Entrambi ridacchiarono a quella battuta. Almeno era servita a rendere più leggera quell’esperienza traumatica.
-Comunque, Gordon ci ha dato chissà quante ore libere per noi…- proseguì Bill, riflettendo –Cosa facciamo prima che ci chiami?-
Anche Tom rifletté. Poi, l’illuminazione.
-Innanzitutto, ci laviamo e ci cambiamo.- decise –E poi… lui ha citato la gara di bevute cui gli avevamo parlato per saltare la sua festa del cazzo… Perché non farla sul serio?-
Lo sguardo del gemello fu la risposta definitiva.
-Accetto.-
 
Il locale sembrava essere in fermento.
-Giù! Giù! Giù! Giù! Giù!- urlavano uomini e donne.
Bill e Tom avevano ormai perso il conto dei boccali di birra bevuti. Ma loro continuavano a bere. Non volevano far vedere alcun segno di crollo.
Batterono i propri boccali vuoti sul bancone, urlando, all’unisono: -ANCORA!-
Erano nello stesso locale dove solevano andare delle sere, lo stesso dove Bill aveva salvato Linda da Jackob, il proprietario. Quella sera sembrava piuttosto turbato: i gemelli stavano attirando più attenzione delle sue donne, quella sera.
Alzarono di nuovo i gomiti e bevvero la birra tutta d’un fiato.
-Giù! Giù! Giù! Giù! Giù!- esclamavano i clienti, facendo il tifo per entrambi.
Come per gli altri boccali, finirono insieme.
Tom esultò, urlando, lo stesso fece Bill. Anche i presenti urlarono, applaudendo.
-NON SONO UBRIACOOO!!!- esclamarono, all’unisono, prima di ballare sulle note della musica usata per le ballerine di lap dance.
Tuttavia, qualcosa fece un movimento strano dentro lo stomaco di Tom: qualcosa stava per salire sulla sua gola, provocandogli un forte senso di nausea. Si tappò la bocca con imbarazzo e scappò.
-Scusate, devo andare in bagno…- si giustificò.
Bill, all’inizio, si mise a ridere.
-E’ crollato per primo!- esclamò –Quindi ho vint…!- anche lui ebbe quella fastidiosa sensazione –Merda… Io lo seguo!-
I gemelli si ritrovarono in bagno: Tom era già chino su un water a vomitare quanto aveva bevuto. Bill si mise in quello accanto, piegandosi su di esso.
-Bleah!- vomitò il moro –Mi sa che la gara di bevute non è stata una buona idea… Bleah!-
-Bleah! Lo penso anch’io… Bleah!-
Finirono dopo pochi minuti, poi tirarono lo sciacquone, prima di dirigersi ai lavandini per lavarsi il volto.
Erano ancora pallidi, ma le loro guance stavano pian piano riprendendo colore.
-Ahh… mi sento ancora male…- si lamentò il biondo, avvertendo ancora un leggero fastidio allo stomaco –Non berrò mai più, dopo stasera. Mai più!- ruttò a volume alto.
Tom alzò le sopracciglia folte, stupito come fosse la prima volta: Bill, nonostante l’aspetto innocente, era più scaricatore di porto di Tom.
-Salute!- commentò questi, prima di ruttare anche lui -Beh, guarda il lato positivo, almeno ci siamo distratti per un attimo. Metti che ci attenda il più pesante degli incarichi, dopo…-
Bill ricambiò con uno sguardo buffo: non aveva tutti i torti. Avevano entrambi dimenticato il disagio provato mentre amputavano Bernt.
-Comunque, il patto era chi crollava per primo pagava da bere per entrambi…- ricordò Tom.
-Infatti sei tu ad essere crollato per primo, quindi paghi tu.-
-Ma se tre secondi dopo mi hai raggiunto in bagno.-
-Appunto, tre secondi, non nello stesso momento.-
-Prima contiamo i boccali, poi si deciderà.-
-Ehi! Così non vale!-
Per fortuna, il barista non li aveva ancora portati via. Contarono i boccali: 30. 15 Bill e 15 Tom. Li avevano terminati nello stesso momento. Si trovarono quasi costretti a pagare la propria metà, nonostante Tom fosse andato in bagno prima di Bill.
Uscirono dal locale quasi ciondolando. A malapena si reggevano l’un l’altro.
-Ah, Cristo…- disse Tom, continuando a ridacchiare –Ci voleva proprio una bella bevuta! Peccato non aver avuto più tempo per spassarcela con le ballerine!-
Bill era ancora sul punto di vomitare.
-Se proprio ci tieni, possiamo tornare dopo il terzo incarico…- mormorò, tra versi di conato –Ma senza bere, grazie…-
-Sì, effettivamente ci siamo andati giù pesanti, stasera… Mi sento ancora male…-
Il cellulare suonò. Un messaggio di Gordon.
-Oh, no…- mormorarono entrambi. Non si aspettavano li chiamasse così presto. Non era nemmeno mezzanotte.
 
Spero non vi siate ubriacati troppo, Zwillinge, visto che per l’incarico di stasera dovrete usare la moto.
Vi aspetto nello stanzino tra mezz’ora.
G.T.
 
Tom si morse il labbro inferiore: era ancora sotto i fumi dell’alcool. Si sarebbe ripreso in tempo per la missione?
In perfetto orario, i due gemelli tornarono dal loro Protektor.
Ormai si aspettavano di tutto da lui.
-Beh, vi vedo abbastanza sobri…- notò, osservando i due ragazzi di fronte a lui –Bene…-
-Qual è la missione?- tagliò corto Bill, deglutendo.
Gordon prese il suo smartphone, digitando o sfogliando qualcosa. Poi lo mostrò ai gemelli: vi era l’immagine di un giovane quasi loro coetaneo, dalla corporatura grassa, occhi scuri dietro ad un paio di occhiali a montatura larga e capelli biondi messi tipo riporto.
-Costui è Gustav Schäfer, un architetto.- spiegò, riprendendo il telefono –Ha lavorato per me, di recente. Mi ha aiutato nella progettazione e nella costruzione di uno dei miei ultimi palazzi. Gli ho anche proposto di divenire mio socio, ma lui ha rifiutato categoricamente la mia offerta, oltre a non darmi dei soldi che mi doveva.-
-Vuoi che lo puniamo, quindi?- domandò Tom, dando per scontato la risposta dell’uomo –Dobbiamo ucciderlo, torturarlo, castrarlo, bruciargli la casa…?-
Stranamente, Gordon scosse la testa. Solitamente, non si faceva scrupoli a dire ai suoi sottoposti: “Uccidilo.”
-No, ho in mente qualcosa di ben peggiore dell’omicidio.- spiegò –Schäfer è sposato ed ha una figlia, e sapete com’è… I figli possono essere il peggiore dei punti deboli. Dovete rapire la figlia e lasciare questo biglietto nel suo lettino.-
Porse una busta sigillata a Bill: probabilmente era il riscatto.
Un rapimento. Gordon non aveva mai esatto ai gemelli un incarico simile. Non con bambini, almeno.
-Perché rapire la figlia?- domandò il moro, incuriosito da quella strana richiesta –Quando le persone non ti danno i soldi, solitamente, ci chiedi di torturarle o roba simile…-
-Con lui è diverso, Tom… Vedrete che quando capirà che è coinvolta la vita della sua piccola figlia si deciderà a darmi i soldi…-
Non si era mai abbassato a tanto.
“Ora ci chiedi anche di rapire i bambini…?” pensò Bill, scioccato al solo pensiero di quello che avrebbero dovuto fare “Questo è troppo, Gordon!”
Avrebbe tanto voluto dirlo. Ma, nonostante ci fosse Tom con lui, non ne ebbe il coraggio. Temeva che Gordon minacciasse di far del male al gemello, se non farlo direttamente. Non poteva permetterlo.
-F-faremo quello che possiamo…- balbettò. Tom lo osservò un po’ basito, ma poi comprese. Alla fine, dovette rassegnarsi anche lui.
L’uomo sorrise.
-Molto bene…- sibilò, mentre digitava qualcosa sul suo telefono –Io mi aspetto sempre il massimo da voi, Zwillinge, lo sapete benissimo. Ho già messo l’indirizzo della sua abitazione sul vostro telefono. Il resto sta a voi.-
Senza aggiungere altro, i Kaulitz, dopo aver salutato il loro Protektor con un silenzioso cenno della testa, si congedarono, per dirigersi verso la rimessa dove tenevano la Harley Davidson.
-Figlio di puttana!- imprecò Tom, mentre metteva in moto. Bill si strinse a lui, pensando la stessa identica cosa. Da dietro il casco di uno si leggeva l’ira, nell’altro la disperazione.
-Tomi, cosa facciamo?!- esclamò il biondo, appena usciti dal quartiere per dirigersi verso l’indirizzo indicato da Gordon –Dobbiamo farlo per forza?!-
Sapevano entrambi che la risposta era negativa. Ma non potevano permetterlo. A loro stessi.
Tom aggrottò ancor più le sopracciglia scure, quasi a formare due linee verticali.
-Non lo so, Billy…- confessò, completamente a disagio, nonostante, fra i due, fosse quello ormai più riluttante a seguire gli ordini del Protektor –Intanto facciamo questo incarico del cazzo, poi si vedrà…-
Bill non si aspettava certo una risposta del genere da parte del fratello: che stesse iniziando a perdere la speranza…? Che ormai si fosse rassegnato anche lui? Era lui, dopotutto, ad aver avuto l’iniziativa di progettare la fuga… cosa lo aveva fatto cambiare idea?
Il gemello, purtroppo, sapeva che cos’era, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo persino a se stesso.
L’indirizzo fornito da Gordon portava ad una piccola villetta appena fuori Lipsia, a tre ore di moto dal quartiere.
Era di due piani, ma era modesta, con un piccolo giardinetto innanzi.
Trovare la stanza da letto della bambina non sarebbe stato facile, ma neppure da far loro perdere tempo: Gordon aveva dato loro fino all’alba per tornare nel quartiere.
I gemelli si erano appena tolti i loro caschi, osservando con rassegnazione l’abitazione in cui dovevano entrare.
-I passamontagna.- disse Tom al gemello, che stava già frugando dentro il bauletto.
Se fossero stati scoperti, almeno i loro occhi sarebbero stati l’unica cosa scorta e non il volto completo per poi far denuncia alla polizia.
Studiarono bene la casa, per decidere da che parte cominciare a cercare.
Tom si sarebbe occupato del piano terra e Bill del piano superiore. Anche lì vi erano delle grondaie, quindi fu facile per lui salire.
Non entrarono subito in casa. Si limitarono, inizialmente, ad osservare dalle finestre.
Per fortuna, Bill era alto; le finestre del piano superiore erano molto distanti tra di loro, ma lui, arrampicandosi sui cornicioni, riusciva a raggiungerle.
“Tom, l’ho trovata!” pensò, sperando che il gemello lo avesse percepito.
Così fu. Anche Tom si arrampicò sulle grondaie, raggiungendo Bill.
Erano davanti ad una finestra che mostrava una stanza piena di giochi, adatta, appunto ad una bambina.
C’era un lettino in mezzo, su cui vi era rannicchiata una figura piccola. Era la finestra che cercavano.
A nessuno dei due piaceva anche solo il pensiero di rapire un’innocente, ma sperarono con tutto il cuore che Gordon non la trattasse male e che i genitori pagassero il più presto possibile il riscatto per riportarla sana e salva.
Tom, senza pensarci due volte, prese il suo coltello e lo mise tra le ante della finestra. Riuscì a sbloccare il fermo dopo pochi minuti. Un altro dei trucchi insegnati da Gordon.
I gemelli entrarono nella stanzetta senza far rumore: si erano messi le scarpe da ginnastica apposta.
Il moro teneva in mano la sua pistola, in caso di emergenza. Cercarono di evitare tutti i pupazzetti sparsi per terra.
Si affacciarono alla culla: una testa piena di riccioli biondi spuntava dalle lenzuola.
Bastò per far titubare, anche se per poco, i due gemelli, soprattutto Bill, tra i due il più sensibile.
“Tom…” pensò, osservando il fratello; anche lui si sentiva a disagio per quello che stavano per fare.
Ma rispose scuotendo la testa, a malincuore. Ma si poteva leggere benissimo la sua angoscia, che si affiancò subito alla sua ira nei confronti di Gordon.
“Mi dispiace…” pensò e Bill comprese.
Lentamente, prese la bambina, facendo ben attenzione a non svegliarla, e mettere rapido il biglietto di Gordon sul cuscino. Aveva solo due anni, ma doveva pesare più di sei chili. Il biondo non era molto forte; infatti, barcollò, facendo un movimento brusco, senza, però, pestare un pupazzo di gomma estremamente vicino alla sua scarpa.
Tom strinse i denti, da dietro il passamontagna, preoccupato.
Silenzio.
Entrambi tirarono un sospiro di sollievo.
Ma fu per breve tempo.
Bill sentì la testina della bambina muoversi verso l’alto.
Sebbene fosse buio, notò il bianco dei suoi occhi.
Li chiuse per un attimo, poi li riaprì.
Fece una faccia strana, appena vide il volto coperto del biondo.
Si mise ad urlare, facendo quasi spaccare i timpani a chi la stava tenendo in braccio.
-Merda! Non ci voleva!- imprecò Tom, digrignando di nuovo i denti.
Bill cercò di calmarla, facendola cullare un pochino.
-Ssshhh! Stai calma! Andrà tutto bene!- disse, invano. Lei stava continuando ad urlare, piangendo.
La luce della stanza si accese, facendo sobbalzare gli stomaci dei gemelli.
Un giovane circa loro coetaneo era entrato nella stanza, in pigiama.
Capelli biondi arruffati, occhi scuri, faccia piena, corporatura grassa.
Gustav Schäfer, il ragazzo cui Gordon aveva parlato loro.
Tom lo osservò quasi disgustato.
“Cavolo, sembra l’abbia partorita lui la figlia…” pensò, abbassando un sopracciglio.
-Ma che ca…!- cominciò Gustav, osservando in cagnesco i due ragazzi, prima osservando la piccola tra le braccia di uno e la pistola nella mano dell’altro. Per fortuna, avevano il passamontagna.
Prima che aggiungesse altro, Tom puntò la pistola non verso di lui, ma verso la lampada, sparando un colpo.
Era a gas, quindi provocò un botto. Il padre si coprì gli occhi, per evitare che i frammenti di vetro lo colpissero. Era quanto bastava a distrarlo e facilitare la fuga dei due gemelli.
Infatti, quando Gustav riaprì gli occhi, la stanza era di nuovo vuota e buia, ma la finestra era ancora aperta.
Stando bene attento a non camminare sul vetro, corse verso la finestra, notando con sgomento la Harley sparire dietro l’angolo. Sentiva ancora i pianti della bimba, ancora stretta a Bill, per evitare di cadere.
-BRITNEEEEE!!!- urlò.
Una seconda persona entrò nella stanza. Una ragazza.
-Gustav!- esclamò, avvicinandosi a lui. Sfiorò una scheggia di vetro, ritirando il piede abbastanza in tempo per evitare di ferirlo. –Cos’è successo? Dov’è la piccola?-
Lui si morse il labbro inferiore. Ma ormai era inutile negare la verità. Le strinse una mano.
-L’hanno rapita…- mormorò, guardando in basso –Hanno rapito nostra figlia…-
Lei si sentì quasi mancare. Infatti si appoggiò sul marito.
-O mio Dio…- mormorò, con voce flebile.
Lui, furioso, batté una mano sulla finestra, per poco non rompendola.
-Maledetti!- imprecò –Se solo sapessimo dove iniziare a cercare…-
-Dovremo chiamare la polizia!-
-E a quale scopo?- fu la risposta, secca -I rapitori avevano il volto coperto e la Harley su cui viaggiavano era troppo lontana affinché potessi vedere la targa. Sono troppi pochi indizi e lo sai che alla polizia piace avere tanti indizi a disposizione per ritrovare qualcuno… L’abbiamo perduta.-
Entrambi persero quasi la speranza. La ragazza si mise a piangere, per lo shock.
Rivolse lo sguardo verso il lettino. La stanza era buia, ma la luce della luna illuminò qualcosa.
Incuriosita, si avvicinò, scoprendo qualcosa che incrementò il suo shock.
-Gustav! Guarda qui!- esclamò, avvicinando il marito –Una busta.-
Senza pensarci due volte, lui la aprì.
Una lettera.
Non era scritta a mano, ma con delle lettere dei giornali incollate.
 
ORA HO TUA FIGLIA.
SE LA VUOI RIVEDERE, PAGA QUANTO MI DEVI.
HAI UNA SETTIMANA DI TEMPO.
APPUNTAMENTO AL SETTIMO PIANO DEL PALAZZO CHE HAI COSTRUITO PER ME.
 
-Gordon Trümper…- mormorò, stringendo il foglio con tale forza da essere vicino a stracciarlo –Lo sapevo che c’era il suo zampino dietro…-
La donna assunse uno sguardo strano, come se quel nome lo avesse già sentito da un’altra parte.
Ma la preoccupazione per la sorte della figlia era più forte della sua sensazione.
-Che cosa facciamo, Gustav…?- domandò, in preda all’angoscia.
Lui scosse la testa.
-Non lo so… Ma la troveremo, Linda!-
 
La Harley era già lontana.
Bill stava cercando di tenersi stretto a Tom e, nello stesso tempo, tenere stretta la bambina, che continuava a piangere. Invero, anche loro stavano piangendo. Rapire i bambini non era come rapire gli adulti.
Il senso di colpa invase i loro cuori. Si sentivano dei mostri. Dei vigliacchi.
Avrebbero dovuto ribellarsi a Gordon, dire di no a quell’incarico. Ma a quale prezzo?
-Lo so, non siamo fieri di quello che abbiamo fatto!- esclamò il biondo, rispondendo alle urla della bambina –Ma ti promettiamo che non ti verrà torto un capello, finché saremo in vita!-

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Note finali: non sapendo il nome della figlia di Gustav ho dovuto... "inventare", per dirla così...

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Capitolo 7
*** VII(A) ***


Note dell'autrice: non so se quello che ci sarà in questo capitolo è un vero e proprio "Incest", ma, per sicurezza, l'ho messo tra gli avvertimenti...
Vi avverto anche che questa parte è scritta d'inerzia. Sono un po' in crisi in questo periodo...


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Era quasi l’alba quando Bill e Tom tornarono da Gordon, con la bambina. Non sapevano neppure il suo nome.
Aveva smesso di piangere. Non aveva proferito parola neppure di fronte all’uomo. Si limitò ad osservarlo con aria impaurita, stringendosi sempre di più alla gamba di Bill. Come risposta, e come tentativo di consolazione, riceveva delle piccole e affettuose pacche sulla testina ricciuta.
Egli, invece, non faceva altro che osservarla sorridendo e camminando avanti e indietro. Ma non la osservava con la tenerezza con cui le persone “normali” solevano osservare i bambini: il suo era un sorriso soddisfatto, come avesse fatto un buon acquisto. Persino la bambina, ai suoi occhi, non era che un mero oggetto per i suoi scopi.
Fino a quanto Gordon si sarebbe abbassato, per far prosperare il suo regno?
Questa era l’unica domanda all’interno delle menti dei Kaulitz.
-E’ davvero un amore…- sibilò l’uomo, senza staccare il suo sguardo dalla piccola.
Bill e Tom conoscevano molto bene quello sguardo: stava tramando qualcosa.
Una voce nella loro mente stava loro dicendo che non gli sarebbe bastato il singolo ricatto…
-S-senti, Gordon…- iniziò il biondo, balbettando; non temeva la reazione del “Protektor”, temeva piuttosto quale sarebbe stata la risposta alla seguente domanda –Noi abbiamo fatto quello che ci hai ordinato: abbiamo rapito la piccola e lasciato la busta con il riscatto. Se Schäfer riesce a darti i soldi entro il limite stabilito, noi gli restituiremo sua figlia, vero…?-
Tom osservò preoccupato il gemello: stava pensando la stessa cosa e aveva il suo stesso timore.
Gordon si voltò verso i suoi figliocci, fissando prima l’uno poi l’altro, con sguardo serio e strizzando gli occhi.
Soffiò dal naso, seguito da una lieve risata divertita.
-Mio piccolo e ingenuo Bill…- rispose, indifferente, come se fosse consapevole che quello che stava facendo era del tutto normale –Possibile che dopo tutto questo tempo tu non abbia ancora imparato niente…?-
Stava per dare la sua risposta: i gemelli facevano il possibile per nascondere il proprio disagio.
-Certo che no.-
I due ragazzi sentirono un gran vuoto nel loro stomaco, il cuore fermarsi all’improvviso, e un bisogno ingente di uscire e prendere aria.
-C-cosa…?!- aggiunse Tom, sgomento quasi quanto il fratello.
Ecco quello che temevano: conoscevano troppo bene Trümper da illudersi che rispettasse un patto.
Ma speravano.
Speravano che la vista della bambina gli facesse cambiare idea.
Ma si resero conto che era inutile sperare che bastasse poco per far cambiare idea a persone come lui.
-Dobbiamo dimostrare a certe persone che con noi, con me, non si scherza.- riprese l’uomo, stoico, indifferente a come l’avrebbe presa la bambina –Devono rendersi conto con chi hanno a che fare. Se lascio andare una persona, se permetto a qualcuno di darmi testa, gli altri prenderanno il suo esempio e si ribelleranno contro di me. Non posso permetterlo e voi lo sapete benissimo.-
Bill e Tom si osservarono per un attimo: i loro pensieri e i loro timori coincidevano.
Mai si erano sentiti in quel modo, prima di allora: un sentimento di angoscia mischiato con i sensi di colpa, tale da far sentire i propri organi interni più pesanti del solito.
Era una sensazione fastidiosa, che entrambi i gemelli facevano fatica a celare.
-Ma cosa ne facciamo di lei, nel frattempo?- proseguì il biondo, quasi respirando affannosamente –Non possiamo abbandonarla per strada. Ha solo due anni…-
Per fortuna c’era Bill e la sua tendenza alla diplomazia: se si fosse presentato solo Tom, non avrebbe esitato a prendere la pistola e sparare a tutti i presenti, meno che alla piccola.
Non aveva aperto bocca dalla rivelazione delle vere intenzioni di Gordon.
Questi inclinò la testa, confuso.
-Mio caro Bill…- mormorò, avvicinandosi a lui, finendo quasi faccia a faccia –Mi sorprende che tu ti dia così tanta pena per una persona che hai rapito… C’è qualche motivo arcano dietro questa tua… particolare domanda?-
I Kaulitz pensarono la stessa cosa, aggrottando lievemente le sopracciglia folte: “Perché lei è una bambina e non una persona adulta, stronzo!”
Almeno in loro era rimasta un po’ di umanità.
-V-voglio dire… Ehm…- riprese Bill, deglutendo; anche Tom provò la stessa ansia del gemello. Rispose lui, al suo posto: Bill era estremamente sensibile in momenti come quello ed era lì che mostrava la sua fragilità.
Ringraziava sempre Dio per avergli dato Tom, per sostenerlo nei momenti più ardui, come quello.
-Quello che Bill vuole dire…- si intromise il moro, con tono fermo –E’ che abbiamo notato che ci sono sempre meno bambini sotto la tua ala, sai, quelli che usi per ingannare la gente comune mentre gli altri rubano o roba simile…-
Bill non poté credere alle sue orecchie.
“Che cazzo stai dicendo, idiota?!” pensò, sperando che il fratello lo “sentisse”.
“Sto cercando un modo per salvare la piccola.” si giustificò l’altro, prima di riprendere a parlare –Quindi… beh… anche lei, in qualche modo, potrà servirti, no? Quando avrà l’età giusta, ovvio. Non sarebbe meglio cercare qualcuno che la accudisca, nel frattempo…?-
L’uomo ascoltò tutto, confuso e divertito allo stesso tempo dalla strana reazione dei suoi Zwillinge: non si comportavano in quel modo, non apparivano così dubbiosi o sgomenti dai loro primi rapimenti.
Infatti, rise.
-E chi la accudirebbe, sentiamo?- commentò –Voi?-
Non perdeva un solo momento per umiliarli e deriderli. I gemelli abbassarono la testa.
Tom cominciò a reputare la sua idea una sciocchezza.
-Vi sentireste davvero all’altezza di accudire una bambina non vostra? Voi che a malapena vi nutrite e spendete i vostri soldi in droga e tatuaggi? Come pensate di nutrirla? Imboccandola di cocaina?-
Riprese a ridere, davanti agli sguardi umiliati e furiosi dei Kaulitz.
“Stavo per dirti la stessa cosa, stronzo…” pensò il moro, digrignando i denti.
Gordon tornò a sedere, mettendosi comodo sulla sua poltrona. Aveva un’aria strana in volto. Sorrideva, ma nascondeva qualcosa.
-Comunque, mio caro Tom…- riprese, con tono normale –La tua idea non è del tutto malvagia. Sì… in effetti, un paio di mani in più non guasterebbero… Ma, come avete detto entrambi, non ha ancora l’età giusta per quello che intendo fare con lei. La affiderò ad una zingara. Ne hanno tanti di bambini. Un bambino in più o in meno non fa alcuna differenza per loro, basta che le aiutino a fare l’elemosina…-
Di male in peggio. I gemelli sentirono la morsa allo stomaco farsi sempre più forte.
-Prendi la bambina.- ordinò l’uomo, rivolto ad una sua guardia del corpo.
Questi fece un cenno col capo, serio, e si avvicinò ai due gemelli, chinandosi per prendere la bambina.
Lei pianse di nuovo, impaurita dalla nuova presenza imponente. Persino nascondersi dietro le gambe di Bill si rivelò inutile.
Una volta in braccio alla guardia del corpo, iniziò ad urlare, a dimenarsi, a chiamare la mamma.
Fu condotta fuori, per essere consegnata, forse, alla prima zingara che avrebbe trovato.
Ma quelle urla…
Bill non poteva sopportarlo.
Erano entrate nella sua mente, divenendo tutt’uno con essa.
Muovendo solo le labbra, disse: “Mi dispiace, piccola…”
Quelle urla gli avevano preso il cuore e trafitto, come una spada. Anche Tom provò quella sensazione, ma su Bill aveva provocato un effetto più devastante, come una tempesta.
Gordon non provò nulla, nemmeno si curò delle reazioni dei suoi figliocci.
-In quanto a voi…- disse, mettendo sul tavolino un altro rotolo con banconote da 50€ e un sacchetto di eroina –Ecco la vostra ricompensa per le missioni di oggi. Vi consiglio di andare a dormire. E’ quasi l’alba e per domani pomeriggio ho altri incarichi per voi. Buonanotte.-
Nessuno ebbe altro da aggiungere.
I gemelli non ebbero il coraggio di protestare sulla sua decisione.
Potevano biasimare lui, ma anche loro avevano fatto la loro parte in quel rapimento.
Dovevano dire di no. Non dovevano rapirla. Dovevano discutere con Gustav e informarlo dei piani di Gordon.
Ma avrebbe creduto a loro? A dei perfetti sconosciuti? A due drogati e dal corpo tatuato?
Che fosse meglio come era realmente accaduto? Col rapimento di un’innocente?
Alcune scelte sono veramente complicate…
Bill e Tom non si erano scambiati una parola da quando erano usciti dallo stanzino di Gordon, per riportare la Harley al suo posto.
Comunicavano mentalmente. Il loro senso di colpa stava parlando per loro. Non avevano bisogno di discutere tra loro per esprimere il loro disagio; entrambi non sapevano cosa fare per salvare la bambina. Non senza che Gordon se ne accorgesse.
Come potevano fuggire dal quartiere, dopo quello che avevano fatto?
Con quale faccia sarebbero fuggiti, pensando che la bambina rapita da loro era ancora lì dentro, tra tossici,  prostitute, criminali, zingare, gente della peggior specie, magari destinata a diventare come loro, per causa dei suoi rapitori?
Erano tornati al punto di partenza.
Era come se Gordon lo avesse sempre saputo e avesse finalmente trovato il modo per tenersi i suoi Zwillinge per sempre.
Aveva vinto lui.
Tom, però, continuava a sperare. Bill aveva ormai gettato la spugna. Da quel momento, parlò sempre di meno. Lo shock era troppo grande per lui, tale da non dormire la notte. Ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva la piccola Schäfer urlare e dimenarsi tra le braccia della guardia del corpo di Gordon. Non passava momento in cui non aveva l’impressione di udire ancora quelle urla.
Nemmeno Tom dormì, dalla rabbia per Gordon, e poiché preoccupato per il gemello.
 
Le missioni che dovevano fare quel giorno erano solo semplici missioni di consegna. Tutto andò come previsto, senza risse o senza che Tom intervenisse per dare un paio di cazzotti a chi non pagava la cifra esatta. Per tutto il giorno, lo sguardo di Bill non aveva fatto altro che vagare nel vuoto e non aveva detto una parola.
Era un robot. Si muoveva, ma senza un motivo preciso. Le sue gambe si muovevano da sole.
Tom non sapeva cosa dire. O meglio, lo sapeva, ma non voleva dire nulla per evitare di ferire ulteriormente il gemello. Ma quest’ultimo sapeva già tutto: gli era bastato incrociare, seppur per un secondo, il suo sguardo.
Sorrise lievemente, ringraziando Dio per aver creato Tom, per essere il suo gemello. L’unica sua famiglia. L’unico in grado di comprenderlo e di consolarlo.
Stavano nuovamente portando la Harley alla rimessa quando Bill parlò nuovamente.
Tom stava nuovamente riflettendo, a voce alta, su come vendere la droga appena donata dal loro Protektor.
-Tomi, scusa. Non mi sento molto bene.- disse con voce molto flebile e con lo sguardo rivolto verso il basso –Penso che tornerò a casa…-
Il moro fu mosso da una profonda premura: prese amorevolmente il volto del gemello, spingendolo gentilmente a guardarlo in faccia. Sapeva benissimo che c’entrava quanto era successo quella notte.
Bill era estremamente sensibile; neppure le torture che aveva afflitto erano servite per cancellare quella parte del suo essere.
-Allora vengo con te.- disse Tom, prima di ricevere, come risposta, uno strano gesto della mano da parte di Bill, come se stesse scacciando un insetto.
-No! No… Ho bisogno di restare solo… Tu vai pure a vendere quella merda…-
Si allontanò subito dal gemello, con passo strano, da zoppo, come se avesse ricevuto un colpo forte alla gamba.
Non poteva più reggere i suoi sensi di colpa e questo Tom lo sapeva benissimo. Doveva andare con lui, per calmarlo e consolarlo, come faceva in momenti simili.
Ma, nello stesso tempo, percepiva i pensieri del gemello: voleva rimanere solo. Ed era meglio non contraddirlo.
A malincuore, proseguì verso la rimessa, per riporre la moto.
Ormai le gambe di Bill proseguivano da sole, come fossero dotate di una mente propria. Non era più lui che le controllava. Nella sua mente regnava il vuoto, persino il suo sguardo non esprimeva più alcuna emozione.
Si sollevò lievemente, quando entrò nell’appartamento.
Chiuse la porta alle sue spalle e non si mosse da lì.
Lentamente, cadde sul pavimento, con le spalle appoggiate alla porta.
Alcune lacrime gli scesero dal volto, le stesse lacrime che a stento aveva trattenuto il giorno precedente.
Urlò, con tutto il fiato che aveva in gola.
Urlò il suo dolore, prima di riprendere a piangere.
Chiuse gli occhi per un attimo: rivide la piccola Schäfer che piangeva e si dimenava tra le braccia di chi la stava portando via.
Ed era solo colpa di chi l’aveva rapita. Dei Kaulitz.
Solo una cosa, in quel momento, poteva aiutare il biondo a cancellare quel dolore.
Si guardò intorno, dopo essersi asciugato gli occhi: non c’era più niente. Ciò che bramava in quel momento non c’era più. Poteva prendere dei soldi per procurarselo, ma Tom se ne sarebbe accorto.
Non ebbe altra scelta: dovette prendere una decisione estrema per ottenere quello che voleva.
Si cambiò d’abito e uscì di casa.
 
Era notte fonda quando Tom tornò a casa. Aveva l’ennesimo livido in faccia, ma niente di grave.
-Bill? Sono tornato.- disse, chiudendo la porta –Scusa se ho fatto tardi, ma è davvero complicato vendere la droga a certa gente, in compenso abbiamo…-
Si interruppe subito quando non udì alcuna risposta. I suoi occhi marroni si rivolsero al pavimento: c’erano indumenti sparsi per tutto il pavimento. Jeans stretti e strappati, anfibi neri, maglia bianca, persino degli slip. Ma ciò che lo sgomentò di più fu la pelliccia che trovò davanti ai suoi piedi proprio nel momento in cui era entrato. La stessa che Bill usava per momenti particolari.
-Oh, no…- mormorò il moro, impallidendo.
Per tutto il tempo, aveva avuto una strana sensazione, ma sperava fosse una sua impressione. Sperava di trovare il gemello a letto. Ma aveva sottovalutato il legame gemellare.
La scia di abiti portava verso il bagno.
Ciò che vide lo privò improvvisamente del fiato: Bill era semisdraiato sul pavimento, completamente nudo, mentre con le braccia cercava di aggrapparsi alla vasca da bagno.
I segni dei punti in cui si era iniettato la droga per tutti quegli anni erano in mostra. Gli stessi che lo stesso Tom portava su di sé.
-BILLY!- esclamò, prendendolo celere tra le braccia e dandogli dei leggeri schiaffi sulle guance, per farlo rinsavire; un leggero rivolo di schiuma stava scendendo dalla sua bocca, come era successo con Cecilia; ma almeno lui aveva gli occhi chiusi –Apri gli occhi, ti prego!-
Sapeva già che cosa gli aveva provocato quella crisi, e ne ebbe la conferma osservando il pavimento: una siringa, una cinghia, un cucchiaio e un accendino.
Si era di nuovo fatto.
Avevano completamente svuotato l’appartamento dalla droga, quindi Bill si era trovato costretto a cercarla fuori, ma senza usare i soldi che avevano risparmiato per la loro fuga.
Si era diretto verso il locale frequentato spesso da lui e da Tom, lo stesso in cui aveva salvato Linda dal proprietario. Non aveva soldi per bere, ma non era per bere che lui era lì.
Si guardò intorno, cercando una persona, una qualsiasi, bastava che gli desse quello che voleva.
Si voltò verso il palcoscenico: come sempre, c’erano le ballerine che stavano facendo la lap dance e, nel frattempo, alcuni clienti mettevano dei soldi nei loro slip. C’era uno, tra di loro, che lo faceva spesso: doveva avere sui quarant’anni, e, dal completo che indossava, doveva essere una persona molto ricca.
Ecco il suo uomo.
Per cose del genere, si sentiva un mostro chiederlo ad una donna.
Si avvicinò a lui e gli sussurrò: -Dieci euro…-
Nonostante il casino del locale e la musica, l’uomo sembrò comunque aver sentito la richiesta.
Infatti si voltò, serio.
Le luci strombo illuminavano il volto del ragazzo: sembrava un cucciolo in cerca di attenzione.
Qualsiasi persona lo avrebbe cacciato via, apostrofando parole poco gentili nei suoi confronti, ma l’uomo sorrise in modo strano.
-Ti servono i soldi per la droga, eh…?- sibilò, prima di prenderlo per la mandibola e studiando entrambi i lati del suo volto. Poi lo osservò completamente, dalla testa ai piedi –Sì, tutto sommato sei carino… Suppongo, quindi, di poterlo fare…-
Bill rispose con un lieve cenno della testa, prima di dargli le spalle, intimandogli, in silenzio, di seguirlo.
Entrarono nei bagni pubblici: come sempre, erano sporchi, ma era il luogo adatto per fare quanto avvenne in seguito.
Il biondo, cercando a stento di non piangere, si mise in ginocchio, sbottonando la patta dei pantaloni dell’altro. Come risposta, lui lo prese per la collottola, spingendolo bruscamente ad alzarsi. Lo spinse con violenza alla parete.
-Ma cosa diavolo hai capito?!- esclamò l’uomo; Bill sentì le sue mani sui suoi fianchi, prima di farsi abbassare i pantaloni e gli slip –Se vuoi fare una scopata, facciamola per bene!-
Doveva immaginare che sarebbe andata in quel modo.
Strizzò gli occhi, mentre sentiva l’uomo entrare dentro di lui e spingere con forza.
Provò dolore, ma cercò di non pensarci: si concentrò sulla piccola, alle sue urla. Il dolore provato in quel momento era più forte del dolore fisico che stava provando. Pensò anche a Tom.
“Mi dispiace…” pensò, immaginando come avrebbe reagito, se avesse saputo cosa stava per fare.
Durò poco, per fortuna.
Bill si era seduto sul gabinetto, con aria sfinita, continuando a lacrimare. L’uomo, come promesso, gli diede una banconota da 10€; non gliela mise in mano, gliela gettò addosso, come fosse spazzatura, mormorando: -Mi fai schifo…-
La banconota cadde a terra. Il ragazzo si gettò a terra, per raccoglierla, con la stessa foga di un mendicante quando gli presentano del pane.
Non era stato facile ottenere la droga, ma alla fine era riuscito a prendere quanto bastava per una persona.
Per questo, Tom, quando era in giro, aveva sentito una strana sensazione, come di rilassatezza. Era l’effetto della droga che si era iniettato il gemello.
-Billy, ti prego…- mormorò il moro, sgomento –Non lasciarmi… Se tutto quello che ho…-
Bill si risvegliò, singhiozzando. Tom tirò un sospiro di sollievo: almeno era ancora vivo.
-Tom… Che cosa abbiamo fatto…?!- esclamò il primo, senza smettere di piangere –CHE COSA ABBIAMO FATTO!?-
Il moro lo strinse a sé, accarezzandogli i capelli biondi, e lacrimando lievemente anche lui.
-Lo so, Bill. Nemmeno io sono fiero di quello che abbiamo fatto, ma non potevamo farci niente…-
“Non potevamo farci niente.”
Non era una sua tipica frase.
-Non ne posso più di questa vita. Dobbiamo fuggire da qui!-
Il biondo smise immediatamente di singhiozzare.
Alzò la testa, osservando il gemello quasi in cagnesco.
-Sono ormai due anni che dici che dobbiamo fuggire da qui, eppure siamo ancora in questo appartamento di merda…- mormorò.
Tom si fece serio.
-Come dici?- domandò, aggrottando le sopracciglia scure.
Come risposta, fu spinto improvvisamente indietro.
-Tu parli tanto ma poi non fai nulla di quello che dici!- proseguì il gemello, furioso, alzandosi -A parte quando devi tirare qualche pugno, si intende...!-
Bill non gli aveva mai parlato in quel modo. Così cinico, insensibile… E non aveva mai agito in maniera aggressiva.
Il moro accennò una risata.
-E’ lo shock mescolato alla droga che ti sei iniettato che ti fa parlare così… So che non lo pensi veramente…-
Bill gli fu di nuovo vicino: aveva preso la sua maglia, stringendola fra i pugni.
Non lo aveva mai visto così arrabbiato.
-Sei tu quello che ha proposto di scappare da qui, dalla nostra vita e da Gordon, e potevamo farlo subito, se non ti fossi ostinato a rimandare la nostra fuga! La verità è che sei solo un VIGLIACCO!-
Tom agì d’impulso: lo colpì alla mandibola. Il pugno era molto forte; infatti, Bill barcollò, cadendo all’indietro, battendo la fronte contro la vasca da bagno.
Sul bordo era presente una piccola macchia di sangue.
Un’angoscia persino più forte del senso di colpa che provava per la sorte della bambina, stava circolando nelle vene del moro al posto del sangue, alla vista del gemello sul pavimento, privo di sensi, per colpa sua.
Lo soccorse senza pensarci due volte.
-Oddio! No! Cosa ho fatto…?- esclamò, prendendo nuovamente il fratello tra le braccia; aveva una piccola ferita sulla fronte -Bill! Billy! Scusami! Non volevo…!-
Per fortuna, il colpo ricevuto non fu così forte: il ragazzo riaprì di nuovo gli occhi.
-Tom…- era impossibile capire cosa stesse esprimendo, se rabbia, disperazione o entrambe.
Persino la mente di Tom era un uragano di sentimenti.
-Hai ragione. Sono un vigliacco…- ammise questi, serrando le labbra e non incrociando lo sguardo del fratello, per non fargli leggere l’imbarazzo che stava provando –Proprio per il mio fatto di essere un vigliacco adesso quella bambina è destinata a vivere la nostra vita. E’ vero, io avrò pure proposto la fuga, ma ho anche paura. Paura di essere scoperti e di cosa ci potrebbe succedere. Cosa potrebbero fare a te, fratellino…-
Il respiro di Bill si stava stabilizzando. Ecco cosa tratteneva Tom da prendere l’iniziativa di prendere la moto ed i soldi e fuggire dal “Drogesviertel”: lui.
-Se siamo ancora qui è per te, fratellino…- concluse il moro, ancora con lo sguardo basso –Se ti dovesse succedere qualcosa… se Gordon osa anche sfiorarti con un dito… non me lo perdonerei mai. Ecco di cosa ho paura. Se devo tener conto del tuo bene, tra la libertà, ma con il rischio di essere scoperti, e la prigionia, ma con la sicurezza di essere, da un certo punto di vista, protetti, preferisco la prigionia. Nel primo caso, non mi importa cosa faranno di me, non permetterò che ti facciano del male.-
I timori di Tom. Bill, in qualche modo, lo sapeva, non per niente erano gemelli, ma sperava che il fratello fosse abbastanza forte da affrontarli.
Scoppiò di nuovo a piangere. Lacrime di rabbia e delusione scesero dalle sue guance.
-Razza di vigliacco!- esclamò, prima di tirare un ceffone al gemello.
Tom sapeva di essere dalla parte del torto, ma non tollerava essere picchiato, nemmeno da Bill. Infatti, rapido, gli afferrò il polso, osservandolo negli occhi con aria molto seria.
Il biondo aggrottò nuovamente le sopracciglia.
-IO TI ODIO!- esclamò. Forse per lo shock, forse per la droga. Nella sua mente regnava il caos, tale da non rendersi quasi conto di quello che stava dicendo. A chi lo stava dicendo.
Tom pensò che, in fondo, non poteva biasimare il gemello per aver detto quella frase: se lo era meritato.
Improvvisamente, il volto di Bill cadde sulla sua spalla, bagnandola di lacrime. Le sue braccia cinsero il suo torace.
-Ti odio, Tomi…- mormorò, con la voce ovattata, poiché parlava dentro la maglia del fratello.
Singhiozzò di nuovo.
Tom non poteva vederlo in quello stato, ma almeno si era calmato.
Lo staccò gentilmente da lui, prendendogli delicatamente il volto, rigato da lacrime continue, e lo coprì di baci, per calmarlo, per chiedergli scusa, per dirgli che era lì e ci sarebbe sempre stato, per consolarlo.
Gli sguardi dei gemelli si incrociarono di nuovo.
Il moro si avvicinò al biondo, posando le labbra sulle sue.
Un bacio.
Un piccolo innocente bacio tra fratelli. No, tra gemelli. Tra due persone uscite dallo stesso grembo.
Di natura si appartenevano l’un l’altro.
Se si può definire incesto? Forse. Ma finiva tutto lì, con piccoli innocenti baci sulla bocca, nulla più.
Si dice che una volta fosse comune, tra fratelli, baciarsi sulla bocca.
Quello che facevano durante le “feste” di Gordon non era per loro volontà: erano costretti a fare l’uno maschio e l’altro la femmina, su richiesta degli ospiti. Il solo pensiero di farlo tra loro, a casa, faceva rabbrividire entrambi di ribrezzo.
Si baciavano spesso sulle labbra, per vari motivi: scambi di affetto reciproco, consolazione…
A volte capitava che lo facessero anche quando erano per le strade del quartiere, per questo girava voce che i Kaulitz fossero incestuosi.
Ma lo sarebbero stati se anche nella loro casa facessero quello che erano costretti a fare durante le feste di Gordon, ma così non era.
Tom si staccò un attimo da Bill.
La tempesta sembrava ormai essere passata.
Poi sentì la mano del gemello premergli sulla nuca, incitandolo ad avvicinarsi di nuovo.
Un altro piccolo bacio, di ringraziamento e di pentimento per le parole dette poco prima.
E poi un altro, e un altro ancora.
Avevano fatto pace.
-Dimmi solo una cosa…- mormorò Tom, appoggiando la sua fronte su quella di Bill –La droga che ti sei iniettato… è servita per alleviare il tuo dolore?-
L’altro, sconsolato, scosse la testa.
-No.-
 
Erano le tre di notte quando riuscirono a prendere sonno.
Entrambi si stavano lamentando in sogno.
Stavano correndo nel buio, tenendosi per mano. Non sapevano se si trovavano nel quartiere, ma ciò che era certo era che stavano scappando da Gordon.
La sua ombra li stava inseguendo ovunque andassero.
Improvvisamente, punto morto: un dirupo si presentò di fronte ai gemelli.
E l’ombra di Gordon era proprio alle loro spalle, con una pistola in mano.
Erano in trappola.
-No!- esclamò Tom, temendo il peggio per lui e per il fratello. Si strinsero le mani, per darsi coraggio a vicenda.
Involontariamente, però, Bill indietreggiò; il suo piede calpestò il vuoto.
Barcollò, per poi cadere, trascinandosi Tom.
Quest’ultimo riuscì ad afferrare il bordo con una mano, mentre con l’altra stringeva ancora la mano di Bill.
-Resisti!- urlò, digrignando i denti dallo sforzo.
Entrambi immaginarono l’ombra di Gordon apparire proprio dove erano caduti e completare l’opera.
La scorsero appena.
Poi, degli spari, seguiti da un tonfo.
Non fu una sola ombra, quella che i due gemelli videro chinarsi verso di loro, ma due.
Le loro forme non erano chiare: non videro nemmeno i volti dei loro “salvatori”.
Tuttavia, allungarono le loro mani, come volessero aiutarli.
Ma Tom non poté resistere a lungo: la sua mano cedette e mollò la presa sul bordo del precipizio.
Lui e Bill caddero nel vuoto, urlando.
 
-Bill! Billy! Svegliati!-
Bill si svegliò di soprassalto, ansimando. Era ancora nell’appartamento del Drogesviertel.
Tom tirò un sospiro di sollievo, togliendo la sua mano dalla fronte dell’altro.
-Grazie a Dio ti sei svegliato…- mormorò.
Quella frase e lo sguardo del gemello fecero allarmare il biondo: infatti, si mise seduto sul letto, stringendogli le spalle.
-Hai fatto anche tu quel sogno, vero?!- esclamò.
Il moro annuì, serio.
-Sì, tu ed io stiamo scappando dallo stronzone, poi cadiamo, veniamo salvati, però poi precipitiamo nel vuoto.- cercò di ricordare.
-E poi ci sono quelle due figure…- aggiunse Bill, sdraiandosi nuovamente sul letto –Tu sei riuscito a vedere i loro volti o le loro forme?-
Anche Tom si sdraiò. Scosse la testa.
-No.-
-Secondo te chi potranno mai essere…?-
-Non ne ho idea. Magari qualcuno che ci aiuterà ad uscire da questo buco di merda del cazzo…-
La fuga. Erano nuovamente tornati su quell’argomento.
Tom ci rimuginò sopra, pentendosene un secondo dopo. Strinse il gemello a sé.
-Scusa, non dovevo dirlo…-
Bill affondò volentieri la testa sotto il suo mento.
Sorrise lievemente. O forse rassegnato.
-Non importa. Se proprio dobbiamo scegliere tra la libertà, ma il timore di essere inseguiti a vita da Gordon, o la prigionia, ma al sicuro dal lato peggiore di Gordon, allora, a questo punto, è meglio la prigione…-

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Capitolo 8
*** VIII (L) ***


Note dell'autrice: qui apparirà un nuovo personaggio...
E ho messo di proposito una scena del video...

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-Questa è una rapina!-
 
Erano passati cinque giorni da quella sera.
I gemelli erano ancora nel quartiere, sotto l’ala “protettiva” di Gordon, a lavorare per lui, per vivere.
Avevano ripreso con le solite missioni: consegne, pestaggi, rapine, ricompense in soldi e droga… tutto come prima.
La prima cosa che fecero, dopo la loro discussione, fu bruciare tutti i soldi che avevano risparmiato per la loro fuga.
I loro cuori si spezzarono alla vista delle fiamme che divoravano lentamente tutta la fatica impiegata per vivere una nuova vita.
Gordon aveva vinto. Che senso poteva avere anche il solo pensiero di fuggire?
Senza guardarsi, si strinsero le mani: almeno avevano ancora l’un l’altro.
Bill non aveva più toccato la droga da allora. Non in presenza del gemello.
Gli eventi di quella sera lo avevano davvero sconvolto: non gli era bastato il bacio del gemello per farlo calmare. Era tornato nel giro, era tornato quello di prima.
Aveva sofferto molto l’astinenza: “l’assaggio” di quella sera gli aveva fatto capire quanto la droga gli fosse mancata.
E non avrebbe più smesso.
Tuttavia, durante il giorno, provava degli strani spasimi, sussulti, movimenti strani che facevano allarmare il gemello. Bill non osava più nemmeno osservare Tom in faccia, per paura che scoprisse che era tornato a farsi.
Anche Tom era tornato ai vecchi ritmi: aveva ricominciato a partecipare alle lotte clandestine, alle gare in moto, e ogni sera tornava con nuove ferite. Si era reso conto che senza la dose che prendeva prima di ogni combattimento lottava molto male; le sue mosse, infatti, erano lente e prevedibili. Ma fra i gemelli, lui aveva ancora la volontà forte, tale da non cedere alla tentazione di drogarsi di nuovo.
Approfittando dell’assenza del fratello, Bill usciva dall’appartamento, in direzione del solito locale; spendeva i soldi delle missioni in birra e altri alcolici, per andare a letto con qualche ballerina del locale, o addirittura lui stesso si prostituiva per avere altri soldi per comprarsi la droga.
Era tornato tutto come prima.
Tuttavia, un piccolo evento sembrò far aprire nuovamente gli occhi del biondo.
Era comodamente seduto su un divanetto del locale. Sembrava assopito, se non fosse che avesse appena tirato su con il naso.
Aveva appena aspirato la sua dose di cocaina e stava attendendo il suo effetto.
Il locale, come al solito, era affollato e molto caotico. Tutto come prima.
Accanto a lui aveva un omone, anche lui nella stessa condizione. Ma a differenza del ragazzo, l’uomo era sveglio, con lo sguardo fisso verso una ragazza. Anzi, sembrava non le avesse staccato gli occhi di dosso dal primo istante in cui l’aveva scorta.
Aveva il volto e lo sguardo troppo innocente per essere un’abitante del quartiere, tantomeno una prostituta. Aveva i capelli biondi, con la ricrescita scura, legati in un codino basso, con dei ciuffi che le sfioravano i tratti delicati del volto, e indossava un abito nero corto attillato che le modellava il corpo snello.
In un modo o nell’altro, sapeva di essere osservata. Gli occhi grigi non facevano altro che osservare nevroticamente da un lato, proprio dove si trovava l’uomo.
Infatti, in silenzio, si alzò dalla sedia in cui era seduta, indossò un giaccone giallo, dando l’impressione di dirigersi verso l’uscita. Tuttavia, si diresse verso i bagni, sperando che l’uomo, in mezzo a quella confusione, non la vedesse.
Invece, appena uscita dal bagno pubblico, lui era lì, di fronte a lei, sorridendo malignamente, pieno di bramosia.
La ragazza avrebbe voluto urlare, ma la paura la fece tacere: le mani del suo aggressore strinsero le sue spalle, per spingerla al muro. Si dimenò, invano. L’uomo si era già messo con prepotenza tra le sue gambe e cominciò a spingere.
Dei lamenti uscirono dalle labbra della ragazza, mentre delle dita grosse le stringevano la mandibola, vicine a farla incrinare.
Poi, il rumore di una bottiglia infranta. L’uomo si separò da lei.
Un ragazzo biondo dalla corporatura magra aveva agito per soccorrerla. Appena l’uomo fu a terra, lo prese a calci sul torace e sullo stomaco.
Stupita da quel salvataggio, la ragazza lo aiutò: anche lei calciò il suo aggressore in vari punti del corpo, compreso il volto, rompendogli il naso.
Avevano entrambi gli anfibi, infatti i colpi sembravano più forti di quanto lo fossero realmente.
Bill aveva subito compreso l’intento dell’uomo: sapeva cosa avrebbe fatto alla ragazza, alla prima occasione.
Sentiva il dovere di intervenire.
Non gli importava se fosse stata una prostituta, una delle ballerine o una semplice cliente del locale, non poteva permettere a quell’uomo di fare una cosa simile. Odiava chi non aveva rispetto per le donne.
Infatti, appena l’uomo si era alzato, anche lui abbandonò il suo posto. Per terra aveva notato una bottiglia vuota. Senza pensarci due volte, la prese, seguendo l’aggressore della ragazza.
L’uomo aveva riportato una ferita alla testa, a causa del colpo di Bill, e i calci ricevuti gli avevano provocato la frattura di alcune costole.
-Questa è la fine di quelli come te, figlio di puttana!- esclamò il ragazzo, sputando su di lui.
La ragazza, sebbene ancora un po’ scossa da quella esperienza, sorrise al suo salvatore.
-Ti ringrazio tantissimo per avermi salvata…- disse; com’era dolce la sua voce –Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per me…-
Il biondo ricambiò il sorriso.
-Non c’è di che. Non sopporto quando certi uomini prendono e stuprano la prima ragazza che vedono, neanche fossimo all’età della pietra. Stai bene, vero?-
La risposta si manifestò in un bacio da parte della ragazza. Sulla bocca. Bill sgranò gli occhi, sorpreso.
L’effetto della droga era immediatamente svanito, lasciando spazio ad un misto di sentimenti tra imbarazzo, sorpresa e piacere.
Sorrise di nuovo, appena si staccarono. Le sole donne che baciava erano le prostitute con cui, successivamente, andava a letto, ma per la prima volta provò qualcosa. Stava veramente comprendendo Tom, cosa volesse dire difendere qualcuno, essere il suo angelo protettore. In quel momento si stava sentendo il principe azzurro che aveva appena salvato la sua principessa.
-Grazie…- disse lui, gradendo non poco quel gesto di ringraziamento.
Non riuscì a chiederle il nome: era uscita di corsa, come se volesse fuggire da quel luogo infernale.
Bill la seguì, sperando di ritrovarla, una volta fuori dal locale.
Niente.
Era come svanita nel nulla.
Un senso di tristezza prese il ragazzo, un’angoscia accompagnata al pensiero di non rivederla più.
Quel bacio… non lo avrebbe dimenticato facilmente. Quel volto così puro, angelico… Una luce rara in mezzo all’oscurità del quartiere.
Mai avrebbe immaginato di provare sentimenti di quel tipo. Non in quella circostanza. Non nelle sue condizioni.
Ma quello che era successo poco prima lo fece riflettere: se lui non fosse intervenuto, quella povera ragazza sarebbe stata stuprata. Il suo intervento aveva capovolto la situazione. E aveva persino ricevuto una ricompensa persino migliore dei soldi o della droga. Un bacio. Un bacio vero. Un bacio di una persona che non fosse suo fratello.
Dopodiché, pensò di nuovo alla piccola Schäfer: sperava che la droga lo aiutasse a dimenticarsi di lei, del rapimento, delle parole di Gordon.
La ragazza del locale le ricordò la piccola; forse lui e Tom potevano sistemare tutto, esattamente come aveva salvato lei dal suo aggressore.
Non era ancora il momento di darla vinta a Gordon.
Aveva ripreso il suo coraggio, la sua determinazione, qualità che il gemello aveva perduto. Tutto dopo un piccolo gesto di giustizia.
Era proprio vero che dalle piccole cose potevano nascere grandi cose.
Erano le cinque di notte, quando tornò nell’appartamento.
Tom stava ancora dormendo. Quella sera non c’erano combattimenti abusivi, quindi aveva deciso di andare a dormire presto.
Bill aveva atteso che si addormentasse profondamente per uscire; erano passate solo due ore.
Senza far rumore, si spogliò e prese posto nel lettone; non aveva sonno, ma voleva comunque stendersi.
Il respiro del gemello si fece più affannoso. Aveva un’espressione triste sul volto e si lamentava.
-No… no… scrivimi… scrivimi…- diceva.
Un incubo di un momento mai avvenuto: cosa sarebbe successo se i gemelli non fossero riusciti a scappare in tempo e, quindi, costretti a vivere vite separati l’un dall’altro per il resto dei loro giorni.
Entrambi non osavano nemmeno pensarci.
Il biondo gli mise amorevolmente una mano sul petto.
-Tomi…- sussurrò, per non farlo svegliare di soprassalto.
Aprì gli occhi di scatto, ansimando.
Tirò un sospiro di sollievo, appena vide il fratello.
-Billi…-
-Sshhh…- fece Bill, per tranquillizzarlo, sfiorandogli una guancia con la mano –Va tutto bene. Hai avuto di nuovo quell’incubo, vero?-
Il moro si passò una mano sul volto, strofinandosi gli occhi.
-Non è sempre così, in fondo…?- biascicò, sarcastico; il suo solito modo di affrontare situazioni complicate, quando non poteva tirare pugni –Almeno una volta a settimana me lo becco…-
Poi osservò il fratello e lesse la sua preoccupazione. Si alzò col busto, mettendosi seduto.
-Scusa, non volevo preoccuparti.- disse, toccandogli il volto con premura.
Il biondo sorrise lievemente, prima di posare anche lui una mano sulla sua guancia, lisciandogli la barba.
-Oh, andiamo… per una volta fammi preoccupare per te…-
Tom ridacchiò a quella battuta. L’amore che li univa non aveva paragoni. Anche se avessero trovato delle compagne di vita, non le avrebbero mai amate come si amavano tra di loro.
-Ok… ma lasciami dire una cosa.- proseguì il moro, osservando serio il gemello –Hai davvero un aspetto orribile. Non hai dormito di nuovo, stanotte…?-
Non sapeva. Forse perché ancora nei fumi del sonno. O forse sospettava qualcosa, ma non voleva dire niente per non vedere Bill soffrire ulteriormente.
Bill non poteva certo dirgli di essere tornato nel locale, nemmeno del salvataggio della ragazza e del bacio.
Tom avrebbe esatto delle spiegazioni. O forse sarebbe bastato solo uno sguardo per chiarirsi, come al solito.
Si trovò costretto a mentire, almeno per metà.
-Come posso dormire pensando che quella povera creatura è ancora lì fuori, al freddo, impaurita, in compagnia praticamente degli scarti del genere umano…?- mormorò, sdraiandosi sul letto, accanto al fratello –Penso a quello che abbiamo fatto e non ci dormo la notte.-
Coprì il proprio volto con una mano, quasi singhiozzando. Sentì la mano di Tom accarezzargli i capelli, per consolarlo.
-Lo so, Billi. Anche per me non passa momento in cui non mi penta di averla abbandonata. Se solo mi fosse venuto altro in mente…-
Ma Bill sapeva cosa fare: intervenire, esattamente come aveva fatto con la ragazza del locale. Semplicemente rapire nuovamente la piccola, stavolta dalle mani delle zingare, e riportarla dai genitori, senza richiedere il riscatto.
Ma Gordon se ne sarebbe accorto. Cosa sarebbe capitato ai gemelli se…?
Il ragazzo non osò nemmeno pensarci.
Prima ancora che lo osservasse negli occhi e capire cosa stava pensando, Tom si trovò la testa del gemello proprio sulla sua spalla destra. Sentiva i suoi singhiozzi.
I due tatuaggi “See you in outher space” erano l’uno di fronte l’altro, uniti.
-Oh, Tomi…- singhiozzò il biondo, senza alzare la testa –Cosa ne sarà di noi? Non so più cosa pensare o credere… Mi sento perduto…-
Effettivamente, stava piangendo. Tom sentiva la sua spalla inumidirsi.
Sorridendo per compassione, lo abbracciò, continuando ad accarezzargli i capelli.
-Ehi, Billi, non fare così…- disse, per consolarlo –Lo sai che non sopporto vederti piangere. Così farai piangere anche a me. Dai, non temere. Io sarò sempre con te. Ti proteggerò dai cattivoni che vogliono farti del male.-
Le stesse parole che gli diceva da quando erano bambini.
Bill ringraziò Dio per averlo messo al mondo insieme a Tom. Il suo protettore. Il suo guardiano. L’altra metà della sua anima.
Si abbracciarono di nuovo, ritrovando nuovamente la pace.
Loro due contro il mondo intero.
Come era sempre stato.
Un suono strano interruppe quel momento.
Il telefono.
Un messaggio di Gordon.
 
Ho un nuovo incarico per voi, Zwillinge.
Vi chiamerò alle 10:00 per i dettagli.
Farete meglio ad essere svegli e in forma, perché sarà una missione tosta.
G.T.
 
-Certo che gli piace far lavorare gli altri, allo stronzone…- commentò Tom, seccato.
-Cosa ne pensi, Tom?-
Il moro sospirò, rassegnato. Si erano ormai chiariti sere fa. Aveva già preso la sua decisione al riguardo.
-Che altra scelta abbiamo, in fondo…?-
I ruoli si erano invertiti: Tom, per timore di una possibile incolumità compromessa nei confronti del gemello, aveva rinunciato al piano di fuga, mentre Bill, dopo la piccola esperienza nel locale aveva cominciato a sperare.
Alle 10:00 in punto, infatti, Gordon chiamò.
-Buongiorno, Zwillinge. Spero che abbiate dormito bene, perché vi aspetta un bel lavoretto.-
Era in vivavoce, come sempre.
-Cosa dobbiamo fare?- domandò il biondo, mordendosi le labbra.
Sentì la mano del gemello stringergli la sua.
-Una rapina.- fu la risposta, con tono stoico –All’indirizzo che vi invierò tramite SMS. Vi consiglio di mettervi il passamontagna e parcheggiare la moto in un luogo nascosto e sicuro. Per fortuna siete veloci e avete le gambe lunghe. Sparate, se necessario, ma cercate di evitare i poliziotti. Vedete di non deludermi. Vi richiamerò alle 18:00, e sperate di aver completato la missione.-
Riattaccò all’istante.
L’odio di Tom nei confronti del “Protektor” non si era placato, nonostante la rassegnazione, anzi. Lo odiava sempre di più.
-Ma dico, lo hai sentito? “Sperate di aver completato la missione”. Ma chi si crede di essere quel ciucciacazzi lì?-
Bill sospirò.
-Si crede uno dei più grandi magnati della droga di tutta la Germania…-
-Grazie tante, Bill… Piuttosto… sarà meglio vestirci subito…-
Pochi minuti dopo, il telefono suonò di nuovo: l’indirizzo della banca da rapinare.
I gemelli si erano già vestiti: Tom indossava una canottiera nera con lo scollo a “U” profonda, che lasciava quasi del tutto scoperto il petto muscoloso, una felpa larga, mentre Bill indossava una camicia a quadri larga, sbiadita e priva di almeno quattro o cinque bottoni, e quindi metteva in mostra il suo tatuaggio, e sopra una giacca leggera, ma entrambi avevano dei jeans malandati, dei cappelli con la visiera davanti e scarpe da ginnastica.
-E andiamo a fare l’ennesima rapina del cazzo…- mormorò il primo –A che punto sei, Bill…?-
Tom notò subito qualcosa di strano in Bill: gli voltava le spalle, osservandosi il braccio sinistro. Il livido sull’incavo, dove sia lui che Tom solevano iniettarsi la droga, stava diventando sempre più nero. Gli faceva male a muoverlo.
Faceva il possibile per non incrociare lo sguardo del gemello, per paura che scoprisse che si stava nuovamente drogando, e che stava soffrendo di astinenza. Ma lo ritrovò davanti a sé, prendendogli il volto tra le mani.
-Ehi…- mormorò, affettuosamente; passò il pollice destro sul suo zigomo sinistro –Te la senti?-
Gli occhi marroni del biondo cercarono di osservare in qualunque punto, purché non negli occhi del fratello.
Annuì in silenzio, mordendosi nuovamente le labbra.
Si abbracciarono di nuovo, scambiandosi un altro bacio, per ritrovare la forza.
Uscirono, dirigendosi verso la rimessa dove tenevano l’Harley.
La banca in cui erano diretti era in un punto vicino al centro di Lipsia. Non era grande come quella che avevano rapinato due anni prima, ma se Gordon aveva ordinato di rapinare proprio quella c’era un motivo.
Bastava almeno che avesse i soldi.
Come suggerito, parcheggiarono la moto in un vicolo non molto lontano dalla banca. Presero le loro pistole,  i passamontagna e i sacchi dove avrebbero tenuto i soldi.
-Sei pronto?- domandò Tom al gemello.
L’altro annuì di nuovo.
Misero i passamontagna, caricarono le pistole ed entrarono in banca.
-QUESTA E’ UNA RAPINA!- gridarono insieme.
Le persone lì presenti, appena videro le pistole, corsero a cercare un nascondiglio, mentre gli impiegati, anche loro colti dal panico, alzarono le mani, specie dopo che uno dei rapinatori (Bill) sparò alle telecamere di sorveglianza.
L’altro (Tom) si avvicinò ad uno sportello e puntò la pistola ad un dipendente.
-Dacci tutti i soldi della cassaforte!- minacciò, con il dito sul grilletto.
I sacchetti vennero riempiti senza opporre alcuna resistenza.
Il suono delle sirene si fece sentire in lontananza.
-Cazzo! Gli sbirri!- imprecò Tom, guardando indietro; poi si rivolse a Bill, intento a reggere il suo sacco, mentre veniva riempito di soldi da alcuni impiegati della banca –Basta così, ora! I sacchi sono abbastanza pieni!-
Non potevano chiamarsi per nome durante una rapina.
Le sirene erano sempre più vicine. I gemelli dovettero correre il più velocemente possibile, per evitare di essere catturati. Ingenuamente, si tolsero i passamontagna, sperando che i poliziotti non li vedessero mai in faccia.
Era troppo tardi. Due macchine della polizia erano già appostate davanti alla banca.
I sacchi erano molto pesanti: era complicato correre. E alcuni poliziotti stavano loro praticamente alle calcagna.
Non era necessario parlare per capire che entrambi i Kaulitz stavano pensando la stessa cosa.
Abbandonarono i sacchi sul marciapiede e continuarono a correre.
Ma ai poliziotti non bastava.
-Fermi! In nome della legge!- urlò uno, prendendo la pistola dalla fondina –Fermi o sparo!-
I gemelli non si fermarono di fronte ad una minaccia simile: erano abituati a ben altro.
Ma il poliziotto non scherzava: senza pensarci due volte, sparò un colpo rivolto ai due inseguiti.
La pallottola aveva strappato una parte dei jeans di Tom, entrando nel suo polpaccio destro. Il ragazzo moro barcollò, fermandosi e piegandosi in avanti.
-TOM!- esclamò il gemello, preoccupato.
-Non è niente! Continua a correre!-
Tom non riusciva più a correre. Zoppicava.
Il biondo sapeva che si sarebbe sacrificato per salvarlo, ma non poteva permetterlo.
Tornò indietro e, senza prestare orecchio alle lamentele del fratello, mise un braccio sulle sue spalle e con una mano lo prese per un fianco, aiutandolo a correre.
Per una volta, era lui ad aiutare l’altro.
Girarono l’angolo, entrando in un’altra via. Correndo, urtarono accidentalmente un passante che camminava in opposto rispetto a loro, senza, però, farlo cadere.
-Scusa!- esclamò Bill, senza voltarsi.
Tom, nel frattempo, si guardava intorno, alla ricerca di un nascondiglio momentaneo, per non scappare per sempre dai poliziotti.
Un vicolo. Con dei cassonetti. Sempre meglio di niente.
Prese il gemello per una manica.
-Presto! Di qua!- esclamò, trascinandolo nel vicolo.
Si nascosero dietro un cassonetto verde, riprendendo fiato e attendendo che i poliziotti si allontanassero.
“Come facevano a sapere che eravamo lì?” pensò Bill, rivolto a Tom; se avessero parlato, si sarebbero fatti scoprire “Di solito, arrivano dieci minuti dopo che uno ha suonato l’allarme…”
“Non ci arrivi, Billi?” rispose il fratello, provando un lieve dolore a causa della nuova ferita “E’ stato Gordon. Quello stronzo ci ha traditi un’altra volta…”
-Lei! Signore!- sentirono urlare –Ha per caso visto due ragazzi passare di qua?-
I due gemelli rabbrividirono, impallidendo: era la fine.
La persona cui venne rivolta quella domanda era lo stesso passante con cui si erano scontrati pochi istanti prima.
-Non saprei.- rispose, confuso -Qui passa molta gente…-
Un altro poliziotto parlò, frettoloso.
-Due gemelli. Uno biondo, l’altro moro. Vestiti come se fossero usciti da una discarica. E uno di loro zoppicava.-
Rifletté, osservando con la coda dell’occhio il vicolo dove si erano nascosti i gemelli.
Lui sapeva.
-Sì, in effetti li ho visti.-
Quella rivelazione fece sussultare lo stomaco del biondo; Tom, per farlo tranquillizzare, lo strinse a sé, cingendogli la schiena con un braccio, mentre con l’altra mano estraeva la pistola. Bill affondò il volto sul petto del fratello e ricambiò l’abbraccio, aspettando il peggio.
Sapeva che Tom lo avrebbe protetto fino alla fine, ma se fosse morto per farlo, voleva morire insieme a lui.
Non osava nemmeno immaginare una vita senza il gemello.
-E dove?!-
-Là, sempre dritto. E poi hanno svoltato da quella parte.-
-La ringraziamo per la sua collaborazione, signore.-
I passi dei poliziotti erano sempre più vicini. Bill si stringeva sempre più a Tom, mentre lui stringeva i denti e teneva pronto il dito sul grilletto.
Ad un tratto, si resero conto che i passi si facevano sempre più lontani.
Erano passati oltre il vicolo, anzi, proprio allontanati, senza nemmeno degnarsi di darvi una rapida occhiata.
Entrambi, senza staccarsi l’un dall’altro, assunsero degli sguardi straniti.
Udirono degli altri passi, più lenti e più felpati.
-Adesso potete uscire. Se ne sono andati, non abbiate timore.- disse una voce, parlando piano. Era il passante. –Non voglio chiedervi il perché vi stessero seguendo. Spero solo non siate dei delinquenti che meritino veramente la prigione, ma non ho molta simpatia per gli uomini in divisa.-
Sembrava sincero.
Bill voleva vedere in faccia il loro “salvatore”, ma Tom mantenne salda la presa su di lui.
“No, Billi! E se fosse una trappola?” pensò, senza abbassare la pistola.
“Una trappola? Ma se ci ha appena salvati…?”
“Lo abbiamo appena urtato. Potrebbe denunciarci per lesioni.”
“Ma è stato un incidente!”
Riuscì a liberarsi dal braccio del gemello, alzandosi e sporgersi dal cassonetto in cui era nascosto.
-Non ti piacciono i poliziotti…?- domandò, confuso -Perché?-
Di fronte a lui, in mezzo al marciapiede, notò un giovane circa loro coetaneo: aveva l’aspetto curato, capelli castani corti lievemente tirati su che mettevano in risalto gli angoli duri e allo stesso tempo morbidi del volto, occhi grigio verde, occhiali a montatura larga, naso a punta e fisico muscoloso coperto da un completo con giacca e cravatta. Nessuna imperfezione. Sembrava persino più giovane degli anni che aveva.
Bill lo studiò dalla testa ai piedi, ammirandone ogni centimetro.
-Gente ipocrita, corrotta e schiava della legge che non sa fare altro che dire “Sì, signore” e “No, signore”, obbediscono a qualunque ordine senza porsi domande, e soprattutto liberano anche il peggiore dei criminali se non hanno a disposizione abbastanza prove da incriminarlo o se vengono pagati bene.-
Anche Tom si convinse. Uscì anche lui dal nascondiglio, zoppicando.
-Lieto di sapere che non siamo i soli a pensarla così sugli sbirri…- mormorò, posando la pistola –Solitamente, voi gente del centro sembrate affidare la vostra stessa vita a loro…-
Il giovane trattenne una risata.
-Quelli più fortunati, forse. O i pezzi grossi, come i politici.- commentò -Ma non è così.-
-Ah, no?- riprese Tom, ancora scettico nei suoi confronti –Strano, perché ogni volta che succede qualcosa, quelli come te o si nascondono sotto i tavoli, o urlano, o minacciano di chiamare la polizia. Cos’è? Non avete le palle per risolvere le questioni da soli?-
-Tom, non dire così…!- lo rimproverò Bill.
-No, ha ragione... La legge dovrebbe, come si dice, “tenerci in riga”, ma ormai è divenuta lo scudo dei più deboli. Uno non può nemmeno toccare una persona che questa fa "Chiamo la polizia!" o "Chiamo il mio avvocato!"- concluse con una lieve risata, poi osservò entrambi i gemelli, prima l’uno poi l’altro –Ma, ditemi una cosa, voi siete davvero gemelli?-
Il moro gli rivolse nuovamente uno sguardo minatorio.
-E a te che t’importa?!- fece, maleducatamente. Ricevette un lieve manrovescio del gemello sul petto, come rimprovero.
-Tom!- Si rivolse verso il giovane –Scusalo, in realtà ti siamo grati per averci salvati da quei poliziotti. Comunque, sì, siamo gemelli. Abbiamo solo stili differenti, ma siamo gemelli omozigoti. Io sono Bill Kaulitz e lui è mio fratello Tom.-
-E digli anche dove abitiamo, visto che ci sei.-
L’altro ridacchiò di nuovo.
-Non fa niente. Lo capisco perfettamente.- chiarì –Anch’io farei così se uno sconosciuto mi salvasse dai miei inseguitori senza sapere il motivo.-
Tom osservò il fratello con aria soddisfatta.
-Hai visto? Finalmente qualcuno che mi da ragione.- Parlò al giovane –Ora, se non ti dispiace, ti leveresti di torno, che…?- parlando, fece un passo in avanti. Il dolore tornò, facendolo urlare leggermente.
Si piegò in avanti, per poi sedersi sul marciapiede. La pallottola era entrata nei muscoli, ma non aveva toccato l’osso, per fortuna. Quella parte del jeans era sporca di sangue.
Bill si piegò su di lui, mentre il giovane lo osservava preoccupato.
-Cielo! Ma quello è sangue?!- esclamò, sgomento.
-MA TI FAI I CAZZI TUOI!?- tuonò Tom, in preda al dolore, digrignando i denti.
Bill lo invitò a calmarsi, toccandogli il petto.
-Buono. Adesso ci penso io…-
Rapido, si chinò su di lui, posando le sue labbra sulla ferita. Il giovane sentì dei suoni strani, dei succhi.
Infatti era quello che stava facendo il biondo. Il moro stringeva i denti per sentire meno dolore.
Fu in quel momento che il castano notò i denti mancanti a quest’ultimo. Assunse un’aria tra il serio e il curioso.
Pochi secondi dopo, Bill alzò la testa, con la pallottola tra i denti, che sputò in direzione del vicolo.
-Incredibile…- si stupì il terzo –Dove hai imparato a farlo?-
-Sai…- fu la risposta –Sono cose che impari da solo…-
Si tolse la giacca, per poi strapparsi una buona parte della camicia e usare la stoffa come benda.
-Hai dell’acqua, per caso…?- domandò al giovane, che scrutò nella valigetta di cuoio che portava in mano.
-Sì, ecco a te.- disse, porgendogli una bottiglietta d’acqua da mezzo litro.
Bill bagnò la stoffa e vi avvolse la parte ferita del polpaccio del gemello, facendo un nodo stretto.
Il castano scosse la testa, mordendosi un labbro.
-E’ davvero una gran brutta ferita…- commentò –Dovresti andare in ospedale.-
-Non è la prima volta che riceve una pallottola…- spiegò il biondo, appena terminata la fasciatura improvvisata –E lui ha anche la pelle dura. Sopravvivrà.- concluse, sorridendo.
-Sì, non ne dubito…- fu il commento, quasi impallidendo alla prima frase. Poi indicò la bocca del moro –E quelli come se li è procurati?-
Alludeva ai denti mancanti.
-MA TU NON HAI ALTRO DA FARE CHE ROMPERE I COGLIONI A NOI?!- rispose Tom, seccato dalla presenza di quel giovane.
-TOM!- fece Bill –Se li è procurati nel tentativo di proteggermi.- spiegò, poi, cortesemente –Era solo contro almeno tre poliziotti, se non di più.-
Il castano storse la bocca, guardando in basso. Stava pensando.
-Beh, non saprò come curare quella ferita da pallottola, ma posso fare qualcosa per quei denti.-
Entrambi i gemelli si illuminarono. Specialmente Bill.
-Qualcosa… per i denti di Tom?- balbettò, scattando in piedi –Sul serio?!-
L’altro sorrise di nuovo.
-Certo, dopotutto è il mio lavoro. Sono un dentista.-
Il biondo non poteva credere alle sue orecchie. Si tappò persino la bocca dalla sorpresa.
-U-un dentista?!- esclamò, prima di rivolgersi al gemello –Tomi! Ti rendi conto?! Un dentista! Potrai tornare a sorridere!-
Tom stesso non sapeva cosa dire, ma anche lui era emozionato all’idea di avere nuovamente 32 denti.
-Davvero puoi sostituire i denti mancanti?- domandò, parlando al giovane.
-Certo, possiamo farlo anche subito.- indicò dietro di lui –Stavo appunto tornando nel mio studio. Non è molto lontano da qui. Possiamo andarci insieme, se non avete niente da fare.-
Erano le 12:30. Mancavano cinque ore e mezzo prima della chiamata di Gordon.
Accettarono.
Bill, entusiasta, allungò una mano.
-Grazie, grazie, dottor…?-
L’altro sorrise, stringendo la sua mano.
-Listing. Georg Listing.-

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Capitolo 9
*** IX (L) ***


Note dell'autrice: per questo capitolo ho dovuto vedere dei video sull'odontoiatria, uno spettacolo quasi orrendo... ah, e scusate se il capitolo è più lungo (per ovvie ragioni...)

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Lo studio in cui entrarono esprimeva freschezza e rilassatezza: pareti in bianco, pavimento cobalto, abbastanza grande da ospitare più di dieci persone, forse l’intero “Drogesviertel”. La sala di attesa era composta da dieci poltroncine color cobalto, un televisore, scaffali con animali imbalsamati e un cesto con diverse riviste e giornali.
Profumava… di pulito, di genuino, di onesto. Esattamente come Georg.
-Accidenti… quante cose da apprendere in una sola giornata…- mormorò questi, appena chiuse la porta –Allora, fatemi capire bene… voi due venite da un quartiere malfamato, giusto?-
-Sì.- disse Bill, annuendo.
-Chiamarlo malfamato è quasi un complimento…- aggiunse Tom, tra i denti.
-E dopo il divorzio dei vostri genitori, questo… Gordon Trümper vi ha presi con sé? Un magnate della droga?-
-Sì.-
Tom tacque.
-Dev’essere dura fare una vita di quel genere…- fu il solo commento del castano, provando compassione per i due gemelli –Quindi vivete di furti, rapine e cose del genere…?-
Bill e Tom si scambiarono una rapida occhiata, colma di malinconia.
-Tutto ciò che si impara, vivendo in posti del genere, è cercare di sopravvivere.- spiegò il biondo, osservando Georg –Non importa come.-
-Ma questo perché siete costretti a farlo. A vedervi così non sembrate malvagi.-
“Non sembrate malvagi.”
Era la prima volta che i Kaulitz sentirono una frase del genere rivolta a loro.
O forse la seconda: anche Linda aveva detto loro una cosa simile.
Non avevano tutti i torti: i loro gesti malvagi, effettivamente, partivano tutti dagli ordini di Gordon a cui dovevano obbedire. Ma ciò non significava che fossero persone cattive.
Salvare Linda, o la ragazza del locale… lì l’iniziativa era partita da loro.
Il dentista, vedendo gli sguardi malinconici dei due gemelli, si sentì in imbarazzo, temendo di essere stato indelicato con la frase appena detta.
Decise di cambiare argomento, avvicinandosi al bancone di fronte all’entrata, dopo aver sceso alcuni scalini.
Dietro di esso vi stava una ragazza bionda, intenta a guardare il computer di fronte a lei.
-Suzanne, a che ora è il prossimo appuntamento?- chiese, dopo averla salutata.
Lei osservò un’agenda che si trovava vicina al computer.
-Ehm… alle 15:45.-
-Ah, perfetto, abbiamo tutto il tempo del mondo. Ah, ragazzi, lei è Suzanne, la mia segretaria, assistente e fidanzata.-
-Salve.- salutò lei, notando i due gemelli.
-Ciao, io sono Bill.-
-Io Tom, molto piacere.-
Georg si rivolse nuovamente a loro.
-Ehm… Immagino che… tu non ti sia lavato i denti, Tom…- domandò, un po’ in imbarazzo.
Tom inclinò la testa, mettendosi una mano sotto il mento.
-Uhm… vediamo un po’… ero così impegnato oggi che devo essermene dimenticato.-
Era chiaro che il suo fosse sarcasmo.
-Ma voi, solitamente, li lavate i denti? Avete lo spazzolino da voi?-
-Sì, sì!- rispose Bill, evitando che il fratello desse un’altra risposta ironica e imbarazzante-Solo che… non oggi non credevamo che…-
-Non importa.- tagliò corto il giovane, prima di indicare a Tom il corridoio di fronte a loro –Lì, nel bagno, troverai degli spazzolini usa e getta, con il dentifricio. Non è la prima volta che capita che alcuni pazienti vengano qui senza lavarsi i denti, quindi mi sono attrezzato di un kit di emergenza. Mentre ti lavi i denti, io mi preparo e preparo il necessario. Bill, se vuoi, puoi attendere nella sala di attesa.-
-No, no, entro anch’io.-
In realtà, era curioso di sapere come avrebbe sostituito i denti di Tom.
 
Tom sputò il dentifricio che aveva in bocca, prima di sciacquarsi la bocca. Si osservò lo spazio tra l’incisivo e il premolare sinistro, passandoci la lingua. Gli piaceva il viscido della gengiva. Sapeva che gli sarebbe mancata quella sensazione, consapevole che da quel giorno avrebbe riottenuto i denti mancanti.
Uscì dal bagno, dirigendosi verso una stanza aperta. Trovò Bill mentre conversava con Georg: aveva indosso il camice e dei guanti di gomma. Bill appariva come disgustato.
-Ah, Tom, eccoti qui.- salutò il castano, invitando il moro ad entrare –Come stavo spiegando a tuo fratello, solitamente, quando ad una persona mancano due denti l’uno vicino all’altro, io metto sempre il ponte. Ma siccome voi due non fate proprio una vita “tranquilla” e, da come mi avete detto poco fa, tu ricevi spesso botte in faccia, il ponte non è proprio consigliabile, in quanto non è molto stabile. Per cui suggerisco un impianto, molto più stabile, ma è necessario che ti privi del premolare per farlo.- osservò Bill, quasi scoppiando a ridere -Dovevi vedere la sua faccia quando gli ho descritto come avrei fatto l’impianto…-
-Praticamente ti metterà delle viti nelle gengive.- tagliò corto Bill, ancora disgustato.
-Non sono proprio viti…-
Tom aveva preso la sua decisione: avrebbe fatto qualunque cosa pur di tornare a sorridere e far dimenticare al gemello la vicenda di due anni prima.
-Fai quanto ritieni necessario.- disse, senza alcun timore.
-Certo, accomodati pure qui.-
Il moro si sistemò sulla poltrona, già sistemata per l’intervento.
In quel momento, entrò anche Suzanne, anche lei con il camice addosso.
Aveva una siringa enorme in mano, piena di un liquido trasparente.
-Che siringona!- commentò Tom, mentre Bill impallidì. Non avevano mai visto una siringa di quelle dimensioni. Solitamente, usavano quelle piccole, per iniettarsi la droga.
-Sì, per l’anestesia locale, così non sentirai nulla, mentre ti mettiamo l’impianto.- spiegò Georg, facendo spruzzare del liquido in aria –Dovremo attendere circa mezz’ora prima che faccia effetto, il tempo di preparare il resto.-
-Così lui ha tutto il tempo di supportarti moralmente.- aggiunse Suzanne, sorridendo dietro la mascherina.
Tom rise a quella frase, poi osservò il gemello.
-Io?! Semmai, è lui quello che necessita supporto morale, in questi momenti...-
Solo Bill capì il senso della frase, infatti tirò fuori un pezzo di lingua, mostrando il piercing, rivolto al fratello.
Lui era entrato nella stanza solo per far compagnia a Tom. Tra i due, era Bill quello un po’ più sensibile al sangue e agli apparecchi usati dai medici.
 
-Un’ultima cosa e… fatto!-
Tom percepì una strana sensazione. Non era l’effetto dell’anestesia locale, ma sentire, anche se solo con la lingua, i denti fino ad allora assenti.
“Che strana sensazione…” pensò.
Ma il vero stupore si manifestò quando gli fu porto uno specchietto: i suoi nuovi denti. Sembravano proprio i suoi.
Finalmente.
Finalmente poteva tornare a sorridere.
-Tomi, i tuoi denti…- mormorò Bill, sorridendo, emozionato.
-Ti avverto che all’inizio ti farà una strana sensazione…- spiegò Georg, togliendosi la mascherina -…ma col tempo li sentirai nuovamente come parte di te.-
Per tutto il tempo dell’operazione, il biondo, quando non soffriva interiormente a causa di quello che stavano facendo alla bocca del gemello per mettergli l’impianto, non faceva altro che osservare Georg, ammirandone la calma, la sicurezza e la cura con cui faceva il suo lavoro. Si vedeva che ci metteva passione nel suo lavoro. Prima di entrare nello studio, infatti, aveva raccontato ai gemelli che il mestiere del dentista gli aveva suscitato interesse da quando era bambino; era stato il padre, dentista anche lui, ad averlo ispirato, tutte le volte che portava il figlio al lavoro e lo faceva assistere agli interventi.
Bill ammirava Georg. Dalla testa ai piedi. Il tipo di persona che sarebbero stati lui e Tom, se avessero vissuto una vita “normale”.
-Billi, hai visto? Ora ho tutti i denti! E’ meraviglioso!- esultò, moderatamente, Tom, alzandosi dalla poltrona per abbracciare il fratello, sollevandolo da terra –Ti posso sorridere di nuovo!-
Ma poi si resero conto che c’erano altre persone lì presenti, che li stavano osservando divertiti. Si separarono immediatamente, imbarazzati.
-Scusate…- mormorarono, grattandosi dietro la nuca.
Il castano si mise a ridere.
-Non importa. E’ una reazione assolutamente normale.-
Sentì improvvisamente le mani del biondo stringere le sue. Gli stava sorridendo, tra le lacrime di commozione.
-Grazie. Grazie tantissime.-
Annuì sorridendo, come per dire: “Non è niente, davvero.”
-Dov’è che si paga?-
Quella frase fece stupire Georg e Suzanne.
Il primo fece un movimento strano con la mano.
-Non è necessario.- disse, modesto e umile –Io ho voluto aiutarvi perché lo volevo e basta, non in cambio di soldi. Non posso chiedere soldi a quelli come voi, che vivono nella povertà.-
Bill serrò le labbra, come Tom: frugò tra le tasche dei pantaloni, tirando fuori due banconote da 50€ e porgendole al dentista.
-Guarda questi soldi, Georg. Guardali bene. Non sono dei falsi.- spiegò, con aria supplichevole –Ti sembriamo persone bisognose? Noi lavoriamo ogni giorno per guadagnare queste banconote. Ogni lavoro sporco ci costa rotoli di queste. Ne siamo pieni, di queste banconote. Tante da cercare e comprare un appartamento in affitto qui in città e costruirci una nuova vita, invece che spenderli in droga, in tatuaggi e piercing e altre cose oscene. Questi servono più a te che a noi; a te che lavori, che ti dai da fare ogni giorno, curando le persone e preoccupandoti per la loro igiene orale, che fai una vita onesta. A te che fai del bene e la gente forse non ti apprezza per il piccolo che fai per loro, mentre noi, che sopravviviamo facendo crimini su crimini, veniamo pagati come milionari. Noi due, invece, ti siamo doppiamente debitori. Ci hai salvato la vita, hai restituito a Tom l’unica cosa che gli mancava per essere felice, e questi soldi sono il nostro ringraziamento. Vorremmo solo fare di più…-
La dimostrazione che anche nei gemelli c’era del buono.
Aver salvato Linda, preoccuparsi ogni giorno della piccola Schäfer, soccorrere la ragazza del locale… erano chiari segni dell’assenza di malvagità nei loro cuori.
Il male che operavano non veniva da loro e tutte le volte che erano costretti a picchiare qualcuno era per difesa, non per attacco.
Commosso da quel discorso, Georg prese le banconote.
-Allora mi basteranno questi…- ringraziò, prima di invitarli a seguirlo.
Li condusse al bancone, dove diede loro due bigliettini, dopo averci scritto qualcosa dietro.
 
Studio dentistico di Georg Listing.
 
Questo c’era scritto, stampato, insieme agli orari di apertura, l’indirizzo e il numero di telefono. Dietro aveva scritto un altro numero.
-E’ il mio biglietto da visita.- spiegò, appena i gemelli lo presero –So che vi servirà a poco, ma per qualunque cosa, non esitate a chiamarmi, anche sul cellulare, che vi ho segnato dietro.-
La loro storia lo aveva commosso; non gli importava se fosse stata una menzogna. Ma se così fosse stato,  perché insistere a pagare? Le banconote sembravano persino autentiche…
Voleva aiutarli, come voleva farlo Linda.
I gemelli sorrisero di nuovo, senza mostrare le labbra.
-Grazie, Georg…- iniziò Bill.
Tom si avvicinò al gemello, cingendogli le spalle con un braccio.
-Sì, grazie. Tantissimo.- aggiunse, mordendosi un labbro –E scusa se prima ti ho risposto male…-
-Non preoccuparti. Avrei fatto così anch’io.- concluse Georg, rispondendo al sorriso.
Erano le 15:30. Mancava sempre meno alla telefonata di Gordon.
-Dobbiamo andare.- disse Bill, osservando l’orologio presente nella sala d’attesa –Ciao, Georg. E grazie ancora.- disse insieme a Tom, in direzione dell’uscita.
-Ciao e arrivederci a voi.- salutò il dentista, accompagnato dal gesto della mano –E… se posso darvi un consiglio…- I Kaulitz, vicini alla porta, si fermarono –Se proprio volete scappare, fatelo subito.-
Si guardarono l’un l’altro. Esattamente quello che non avevano fatto altro che dirsi per tutta la settimana.
Forse non dovevano attendere di aver guadagnato abbastanza soldi per l’affitto e i beni primari.
Senza dire una parola, uscirono.
Georg li seguì con lo sguardo fino a quando non chiusero la porta alle loro spalle.
-Che tipi…- commentò, divertito.
Si stirò la schiena, diretto verso il corridoio. Suzanne aveva ripreso il suo posto di segretaria.
-Che impressione ti hanno fatto quei due gemelli, Suzi?- domandò, appoggiandosi al bancone.
-Molto buona.- rispose lei, sorridendo lievemente –Spero riescano a fuggire da quel luogo maledetto.-
-E’ quello che spero anch’io.-
La porta dello studio si aprì di nuovo.
Georg apparve come stupito.
-Ehi, chi si vede!- salutò, prima di osservare l’orologio –Sei un po’ in anticipo, oggi, Juschtel!-
La persona entrata scese gli scalini con passo pesante. Gustav Schäfer, il giovane a cui i Kaulitz avevano rapito la figlia.
-Lo so, Schorschi, ma, miracolosamente, sono riuscito a trovare parcheggio.-
Nel suo tono, sforzato per apparire il più sereno possibile, si poteva scorgere un velo di angoscia.
Si salutarono come due adolescenti, con un cinque. Ma il dentista percepiva il disagio dietro quel volto sorridente.
-A proposito…- disse, consapevole di toccare un tasto dolente –Ci sono novità su tua figlia?-
Gustav divenne scuro in volto. Scosse la testa.
-Niente. E’ come scomparsa.- mormorò, stringendo un pugno –Non mi sorprenderebbe se, per la polizia, fosse già morta…-
Per consolarlo, Georg gli mise una mano sulla spalla.
-Spero che trovino presto i rapitori e diano loro una bella lezione…- disse, mentre si dirigevano verso il corridoio.
-E’ davvero da vigliacchi…- aggiunse la giovane –Rapire una bambina innocente…-
-A proposito, Gus… non indovinerai mai cosa mi è accaduto oggi…-
Se solo avessero saputo che stavano parlando dei Kaulitz…
Nel frattempo, questi stavano già camminando in direzione della Harley. Pregarono di ritrovarla esattamente dove l’avevano lasciata.
-Che sensazione strana…-mormorò Tom, toccandosi i suoi nuovi denti –Penso che farò fatica ad abituarmici…-
-Figurati io a vederli, allora…- aggiunse Bill, ridacchiando. Poi si ricordò di una cosa –Come va la gamba?-
Tom stava ancora zoppicando, in effetti. Ma sembrava stare meglio.
-Sono sopravvissuto a ferite peggiori…- assicurò, facendo l’occhiolino -A proposito… ho voglia di una sigaretta. Ce l’hai?-
-Sì, tieni.-
Si accesero la loro sigaretta quotidiana, camminando.
-Comunque, Tomi…- riprese il biondo, soffiando del fumo –Se non ci fosse capitata questa vita, cosa ti sarebbe piaciuto fare per lavoro?-
Anche Tom espirò il fumo appena inspirato, prima di guardare il gemello con aria confusa.
-Perché questa domanda?-
-Non so perché, ma… hai visto com’è Georg? Curato nell’aspetto, un lavoro che gli permette di fare del bene agli altri… Elementi di una persona che vive una vita normale. Mi immagino spesso cosa sarebbe capitato a noi, se avessimo vissuto una vita come la sua, tutto qui, invece di vivere come primitivi in un quartiere di psicopatici.-
Quella frase fece riflettere Tom: in effetti, anche lui ci pensava spesso. Fin da quando erano bambini, fantasticavano spesso su cosa sarebbero divenuti da grandi.
-Chi lo sa? Tante cose.- fu la sua risposta –Un medico, un avvocato, magari un pilota.-
-Beh, sul pilota perché no? Sai già guidare una moto…-
-A te cosa sarebbe piaciuto fare?-
-Che tu ci creda o no, non mi sarebbe dispiaciuto fare il poliziotto.-
Tom tossì, una volta aspirato il fumo.
-Cosa?! Il poliziotto?! Tu?!- si mise a ridere sguaiato. Ma smise, appena vide lo sguardo serio del gemello –Ah, dici sul serio? Il nostro peggior nemico?-
-Lo so, ma il loro compito principale sarebbe quello di proteggere le persone da quelli come noi; questo è l’unico fatto che mi affascina, di loro. Oppure il modello.-
-Quello non ti starebbe male…-
-O, perché no? Il cantante.-
Il moro si fermò, stranito.
-Il cantante?-
-Sì, come quelli che vediamo al bar, come Alice Cooper. Salire sul palco e far impazzire orde di ragazzi e ragazze che cantano le nostre canzoni insieme a noi… Sarebbe stato davvero emozionante, non trovi?-
-Già… beh, se tu fossi divenuto cantante, io allora sarei stato il chitarrista.-
Bill ridacchiò al solo pensiero del gemello con una chitarra in mano.
-Tu il chitarrista?-
-Ehi, perché no? Se mi ci metto d’impegno, posso fare qualsiasi cosa…-
A quella frase risero entrambi.
Ma i loro sorrisi svanirono subito.
-Pensiamo piuttosto al presente…- riprese il moro, buttando la cicca della sigaretta sul marciapiede, insieme a Bill –Adesso che facciamo?- Il gemello osservò per terra, con sguardo vuoto –La rapina è andata a puttane, fra quasi due ore lo stronzone ci chiamerà per sapere com’è andata… Non oso neppure immaginare cosa ci accadrà se sapesse come sono andate le cose…-
Tom non aveva tutti i torti. Li avrebbe costretti a partecipare alla sua prossima festa, o a mutilarsi l’un l’altro.
Non potevano continuare a vivere in quel modo.
L’evento capitatogli la sera prima e le parole di Georg convinsero Bill a prendere finalmente una decisione: non sarebbero più tornati indietro.
-Scappiamo.-
Quella parola fece stupire il fratello.
-Sì…- ironizzò, come suo solito –E’ quello che ci diciamo sempre da un paio d’anni, ma poi non…-
-No, Tomi, dico sul serio.- tagliò corto il biondo, prendendolo per le spalle –Stavolta lo facciamo davvero. E subito, come ha detto Georg.-
Tom sorrise: da tempo attendeva che lo dicesse.
Erano tornati nel vicolo dove avevano parcheggiato la Harley quando erano tornati sul discorso apparentemente concluso cinque sere prima.
-Non sai da quanto ho atteso che lo dicessi, fratellino…- proseguì il moro –Solo una domanda: con quali soldi ce ne andiamo, visto che li abbiamo bruciati tutti?-
Bill impallidì e si mise le mani sul volto e sui capelli, quasi rischiando di strapparseli.
-Cazzo, è vero!- imprecò –Ci toccherà nuovamente vendere qualcosa…!-
-Ma… guarda caso…- aprì il bauletto della Harley, con aria da furbo. Sotto il doppio fondo c’erano delle banconote da 50€ -Devo essermi scordato di dare anche queste alle fiamme…-
Lui non aveva mai rinunciato veramente al piano di fuga, ma il gemello era ancora titubante; o, almeno, lo credeva.
Questi resistette alla tentazione di urlare dalla gioia. Ma abbracciò ugualmente il fratello, quasi saltandogli addosso.
-Oh, Tomi, ti adoro!- esclamò, baciandolo –Allora siamo praticamente pronti. Non ci resta da fare che…-
-Billi…- tagliò corto Tom, tornando serio –Non mi devi dire niente?-
Quel tono non gli piaceva.
-In che senso?-
-Come va il tuo braccio? Fa’ vedere…-
Prima che Bill indietreggiasse, Tom gli prese il braccio sinistro, proprio sull’incavo dietro il gomito.
Urlò dal dolore.
Il livido era lo stesso, non si era esteso su tutto il braccio. Ma il moro sospettava ugualmente qualcosa.
Osservò il gemello con aria severa, quasi inquisitoria.
Sapeva.
-Bill…- mormorò, incrociando le braccia.
L’altro si sentì quasi con le spalle al muro.
-Lo hai sempre saputo?- domandò.
-Siamo gemelli, Billi, lo hai dimenticato? Un’unica mente in due corpi. Ovvio che l’ho sempre saputo…-
Il biondo abbassò lo sguardo, triste.
-Mi dispiace. Non volevo farti preoccupare…-
Tom lo abbracciò. Non si aspettava una reazione simile.
-No, sono io che mi devo scusare con te.- aggiunse, guardandolo in faccia –Per tanti anni ti ho sempre protetto da chiunque, ma di recente sono stato un pessimo protettore. Dovevo restarti più vicino. Non saresti tornato a drogarti o qualunque altra cosa tu abbia fatto, altrimenti…-
Insieme a Tom, Bill era la persona più felice del mondo. Gli bastava lui per continuare a vivere.
-Ci sei ora…- fu l’unico commento.
Il gemello sorrise, finalmente mostrando la prima fila di denti, completa.
Fu strano vederla, dopo due anni.
-Ma dimmi…- proseguì questi –Cosa ti ha convinto a cambiare idea sulla fuga?-
Bill gli raccontò della sera prima, della ragazza senza nome, del bacio. Di come tutto gli aveva fatto comprendere che erano ancora in tempo per rimediare al loro errore.
-Ti ha dato un bacio?!- si stupì il moro.
-Sì, senza preavviso. E’ stato meraviglioso… Non era come baciare te o una prostituta.-
-Interessante…- si scorgeva una nota di gelosia nel suo tono –E qual è il suo nome?-
-Non ne ho idea…- Bill tornò malinconico –Quando stavo per chiederglielo, è scappata via… Potevamo portarla con noi...-
-Ah! Intendo chiarire una cosa! Prima di tutto: non intendo dividerti non NESSUNO!- puntualizzò Tom, con una punta di ironia sulla lingua –Secondo: non la conosci nemmeno!-
-Mai sentito parlare di “colpo di fulmine”?-
-Io lo sapevo che leggere troppe favole ti avrebbe fatto male…-
-Ha parlato lui…-
Tom parlava per esperienza personale. Anche a lui era capitata un’esperienza simile: una storia d’amore, purtroppo, finita male. Si augurava che al gemello non fosse mai capitata un’esperienza simile.
Deviò dal discorso.
-Allora, la facciamo o no, la nostra fuga?-
-Aspetta.- si ricordò il biondo, osservando il gemello negli occhi –Prima c’è un’ultima cosa che dobbiamo fare…-
Sapeva di cosa si trattava: infatti, sorrise, determinato.
-Salta su, Billi! Torniamo per l’ultima volta nel quartiere degli psicopatici!-
 
Mancava ancora mezz’ora alla chiamata di Gordon, quando tornarono nel “Drogesviertel”.
Fecero il giro di tutti i vicoli, rivolgendo rapide occhiate alle zingare che vi abitavano.
Erano circondate da bambini di età inferiore ai sei anni, l’età giusta, per Gordon, di svolgere i primi incarichi per lui, come piccoli furti.
Dopo un quarto d’ora trovarono finalmente chi stavano cercando.
Un pianto a loro molto familiare.
Non aveva più il pigiamino rosa che indossava la notte del rapimento, aveva uno squallido abito fatto di stracci, era sporca di terra, ma la sua testina ricciuta era inconfondibile. La piccola Schäfer piangeva e urlava, guardandosi intorno, terrorizzata da chi era circondata.
Come biasimarla?
-Smettila di piangere!- disse la zingara a cui era stata affidata, una donna dalla pelle scura, capelli neri ispidi, che dimostrava almeno dieci anni in più della sua età; esattamente come tutte le zingare che abitavano il quartiere –Si può sapere che cosa hai?! Smettila subito o ti picchio!- minacciò, prendendo un piccolo bastone.
Facendosi strada tra bambini che univano le mani, chiedendo l’elemosina, i gemelli si avvicinarono a lei, rosi dall’ira, per loro stessi; non passava istante in cui non si maledivano per aver condotto la piccola in una situazione simile.
Erano tornati per sistemare tutto.
Decisero di saltare i convenevoli.
-Rivogliamo indietro quella bimba bionda lì…- disse Bill, con aria minatoria.
La bambina smise di piangere, riprendendo fiato, mentre la donna si voltava verso di lui, indifferente.
-E perché mai dovrei farlo?- domandò, maleducatamente –Mi è stata affidata dal signor Trümper, che mi ha detto di occuparmene fino al suo compimento dei sei anni…-
-I piani sono cambiati.- tagliò corto il biondo, aggrottando le sopracciglia folte –Ora il signor Trümper la rivuole indietro. Ha deciso di occuparsene lui stesso.-
La zingara, per poco, non scoppiò a ridere. Sembrava credere alla storia del ragazzo, ma ciò che aveva udito le parve ugualmente assurdo.
-Il Drogeskaiser sentiva la mancanza dei bambini in casa sua…?- commentò, divertita.
I gemelli strizzarono gli occhi, facendosi sempre più minacciosi.
-D’accordo. Se vuole questa bambina, la prenda pure, ma ad un prezzo, miei cari. 100€.-
-100€?!- esclamò Bill, sgomento. Anche Tom era del suo identico parere -100€ per una bambina che ancora non ha fatto niente?!-
-Mi è stato detto che Trümper ha intenzione di usarla per le sue missioni, quindi è speciale.- spiegò, allungando una mano -E una bimba speciale richiede il suo prezzo. Voi non avete problemi di denaro, vero, gemellini?-
Tom si fece avanti: non potevano accettare compromessi.
Dalla tasca della felpa estrasse la pistola, ancora carica, puntandola alla fronte della donna.
-Io ho un’alternativa…- sibilò, serrando le labbra –Che ne dici di una pallottola in testa come pagamento?-
La zingara era abituata a situazioni simili, ma la vista della pistola e lo sguardo furioso del ragazzo la fecero sobbalzare e impallidire.
-Chi penserà a questi bambini, se io ti ammazzo? Pensaci…- concluse il moro, facendo il gesto di premere il grilletto.
Ecco cosa la spinse ad accettare.
-D’accordo, prendetevi pure questa piccola peste! Fateci quello che volete, annegatela, avvelenatela, gettatela da un ponte, non mi importa, levatemela di torno! Non ha fatto altro che piangere da quando l’hanno affidata a me! Non ne posso più.-
Annuendo, Tom rimise la pistola in tasca, mentre Bill scavalcò la donna, prendendo la piccola Schäfer in braccio.
-Stai tranquilla, piccola…- le sussurrò, sorridendo dolcemente –Ora ti riportiamo da mamma e papà…-
-Beh, grazie per la tua generosità, signora…- ironizzò il primo, prima di voltarle le spalle, seguito dal gemello.
La zingara rimase dov’era: non provò nemmeno ad aggredire i Kaulitz.
Si erano già allontanati da quel luogo, pregando e ringraziando Dio di non tornarci mai più.
La piccola era calma. Non piangeva.
-Mi riportate dal mio papà…?- disse, con la sua vocina dolce.
Bill e Tom si stupirono: l’avevano quasi sempre sentita piangere e urlare, ma mai parlare.
Bill si sciolse a sentire la sua voce.
-Ma certo che sì.- rispose, continuando a sorridere –Ti riportiamo subito da lui. Ah, io sono Bill e lui è mio fratello Tom.- Tom la salutò facendo un piccolo gesto con la mano, alzando un angolo della bocca-Tu come ti chiami?-
La piccola, sorridendo anche lei, disse: -Britne.-
Appena tornati alla rimessa, dove avevano messo la moto, sperando per un’ultima volta, il cellulare di Bill squillò.
Lo prese, impallidendo.
Gordon.
La telefonata a cui aveva accennato quella mattina.
Sarebbe venuto a conoscenza del fallimento dei suoi Zwillinge. Se Bill avesse risposto.
Tom, aggrottando le sopracciglia folte, glielo strappò di mano, senza preavviso; poi lo lanciò con tutta la forza che aveva contro il muro.
Il telefono smise di suonare. Si frammentò.
I Kaulitz erano finalmente liberi.
Il moro osservò il gemello, sgomento da quel gesto.
-Adesso basta.- disse, con tono fermo –Facciamolo.-
Bill sorrise, ed annuì, respirando di sollievo.
 
Con un braccio, Bill si reggeva a Tom, con l’altra teneva la piccola, sopita sulla sua spalla, durante il tragitto che separava il quartiere dalla casa di Gustav Schäfer.
Era il tramonto, quando tornarono di fronte alla villetta. Faceva un altro effetto, illuminato, anche se di poco, dal sole. Almeno si potevano vedere i suoi colori: le mura erano in una tonalità tra il giallo e l’arancione, un colore molto particolare, diverso dal solito e noioso bianco o dalle pareti verdi ammuffite delle abitazioni del “Drogesviertel”. Se fossero riusciti nella loro impresa, i gemelli si sarebbero semplicemente accontentati di un appartamento, come quello di Little John”, qualunque cosa pur di vivere come persone normali, per ricominciare. Per dimenticare tutti quegli anni passati a vivere come ladri, assassini, tossici.
Tom spense la Harley, mordendosi entrambe le labbra. Gustav non li aveva visti in faccia, ma forse li avrebbe riconosciuti dal suono della moto, o dalla moto stessa. Sapevano che non avrebbe accettato una semplice discussione diplomatica.
Aiutò il gemello a scendere, ancora con la bimba in braccio.
-Siamo a casa, piccola…- sussurrò il biondo, avanzando con il gemello verso il cortile, in direzione della porta d’ingresso –Ti riportiamo da mamma e papà.-
Non si erano accorti di una presenza minacciosa affacciata su una finestra del piano superiore, della cameretta della piccola, che li aveva visti arrivare.
Infatti, all’improvviso, il portone si aprì: Gustav Schäfer si presentò di fronte ai gemelli, infuriato come non mai, puntando loro un fucile. I capelli biondi erano raccolti in un codino, rendendo il suo volto ancora più grasso di quanto non lo fosse già. La sera del rapimento lo avevano scorto di sfuggita, ma in quel momento, nonostante la sorpresa e il fucile rivolto verso di loro, ebbero l’occasione di studiarlo più accuratamente. Non era chiaro se definirlo “grasso” o “muscoloso”. Forse entrambi. Occhi scuri, più o meno del loro stesso colore, che li fissavano minacciosi.
-A Trümper non bastava il messaggio minatorio, eh?- disse, con voce infuriata; aveva una tonalità di voce molto bassa, quasi quanto quella di Georg –Ora mi manda i suoi sgherri per assicurarsi che paghi il dovuto riscatto per mia figlia? Se non sbaglio, l’appuntamento era all’ultimo piano dell’ultimo palazzo che ho fatto costruire per lui e tra due giorni.-
-Non siamo qui per il riscatto.- tagliò corto Bill, scostando la parte della giacca che teneva quasi nascosta la piccola, per tenerla al caldo e per nasconderla da occhi indiscreti –E non lavoriamo più per Trümper . Vogliamo solo restituirti tua figlia.-
Le sue parole erano sincere, ma il giovane non abbassò la guardia.
-Non ti credo.- disse, caricando il fucile.
Di consueto, Tom avrebbe subito sparato. Ma quella non era una situazione come un’altra. Senza aggiungere altro, dalle sue tasche, tirò fuori la pistola e il coltello, tenendole bene in vista, e poi posarle a terra, come segno di resa, prima di alzare le braccia.
“Che armi hai, Bill?” pensò. Il gemello lo percepì.
“Guarda nelle mie tasche e svuotale.”
Aveva le stesse cose che aveva lui, più l’accendino con cui si accendevano la loro sigaretta.
-Guarda.- aveva detto, nel frattempo –Queste sono le nostre armi.- scavalcò quanto aveva tolto dalle sue tasche e da quelle del fratello, che lo seguì, tenendo la piccola Britne in braccio –Non abbiamo motivo di farti del male.-
Non sembrava bastare per Gustav.
-Prima rapite mia figlia.- disse, aggrottando sempre di più le sopracciglia –Cos’altro volete ora, da me?-
-Gus!-
Una figura femminile si unì, avvicinandosi a lui.
-Ti prego, caro, non fare così.- mormorò, cercando di calmarlo; non aveva ancora visto i due ragazzi –Guarda. Hanno posato le loro armi e ci hanno riportato nostra figlia. Non pensi che siano sinceri?-
I gemelli, invece, appena scoperta l’identità della donna, si guardarono l’un l’altro, con la bocca spalancata.
-Linda?!- esclamarono, all’unisono, guardando nuovamente i coniugi.
Lo sguardo di Linda, per la prima volta, si posò sui due “ospiti”. Anche lei ebbe la loro stessa reazione.
-Bill?! Tom?! Siete davvero voi?!-
Gustav abbassò l’arma, confuso.
-Eh?! Quei due ragazzi di cui tu mi avevi parlato?!- esclamò, sgomento –Quelli che ti hanno portato via dal quartiere dei drogati?!-
-Sì, loro!-
Il giovane ridacchiò, osservando la moglie.
-Strano. Guarda caso, Georg, oggi, mi ha parlato di due ragazzi chiamati Bill e Tom, mentre mi faceva la pulizia dei denti… due poveracci che stavano sfuggendo dalla polizia…-
Tom alzò, sorpreso, le sopracciglia, lo stesso fece Bill.
-Hai detto “Georg”?! E fa il dentista?!-
-Beh, sì, perché?-
Si indicò i denti finti.
-Effettivamente, un dentista di nome Georg mi ha sistemato i denti, oggi.-
-E lui mi ha proprio raccontato di aver messo dei denti finti ad uno di questi due ragazzi, gemelli, per giunta, in particolare a quello moro…-
Gli uomini erano sempre più sgomenti.
-CONOSCETE GEORG?!-
-CONOSCI GEORG?!- esclamarono.
Linda era sempre più confusa. La sorpresa di rivedere la figlia sana e salva, le coincidenze con Georg…
Si mise le mani sopra la testa, cercando di calmarsi.
-A-aspettate un attimo!- intimò, dopo un breve respiro col naso -Facciamo un passo indietro! Se voi due siete qui, con nostra figlia, questo vuol dire…-
I gemelli abbassarono lo sguardo, colmi di vergogna.
Anche Linda si oscurò in volto.
-No… Quindi l’uomo per cui lavorate è…-
I loro sguardi risposero per loro.
I conti tornavano. L’anello della catena che li collegava non era solo Georg era anche Gordon Trümper. Bill e Tom, i due bambini, oramai adulti, che lui aveva preso con sé, divenendo i suoi principali agenti, e Gustav, un semplice architetto finito nella sua rete.
Poi c’era Georg, un innocente coinvolto per caso in quella storia; un semplice dentista, amico di quell’architetto, che aiuta proprio i rapitori della figlia dell’amico, pur essendo venuto a conoscenza del rapimento, senza, però, riconoscere gli autori.
Fu la piccola a rompere quel silenzio quasi imbarazzante; destata dal suo sonnellino, si voltò indietro e, tendendo le braccine in avanti, urlò: -Mamma!-
La donna scosse la testa, tornando nel mondo reale; per poco non scoppiò a piangere quando corse da Bill, prendendo in braccio la figlia, abbracciandola. Anche Gustav si unì a loro, lasciando cadere il fucile, prima di abbracciare sia la moglie che la piccola.
La famiglia era finalmente riunita.
Bill e Tom si sentirono due mostri di fronte a quella bellissima scena familiare. Anche se l’iniziativa non era partita da loro, avevano rischiato di rompere la loro vita familiare, la loro armonia, con il rapimento di Britne. O forse era semplicemente invidia nei loro confronti, perché la loro famiglia non era mai stata unita come lo erano gli Schäfer.
Lui aveva ormai perduto ogni aggressività. Infatti, osservò i due gemelli, sorridendo lievemente.
-Grazie.-
Ma loro sentivano di non meritare quel ringraziamento.
-No, ti prego.- ribatté Bill, mentre dentro di lui cresceva una voglia di nascondersi –Abbiamo rapito tua figlia, quasi rischiando di ucciderti. Non devi ringraziarci.-
L’altro storse la bocca.
-E’ vero.- commentò –Ma avete salvato mia moglie da una gabbia di pazzi senza chiedere niente in cambio e averla riportata da me senza nemmeno averla stuprata, e mi avete riportato il mio piccolo tesoro senza esigere il risarcimento. Avete salvato la mia famiglia. Vi sono debitore. E Georg, anche se vi ha conosciuto per poco, mi ha parlato bene di voi, esattamente come Linda.-
-Avete rapito la piccola, è vero, ma questo perché ve l’ha ordinato quel mostro.- aggiunse Linda, ancora con la bimba in braccio –Voi non siete persone cattive.-
Era la terza volta, in tempi recenti, che udivano quella frase.
Sorrisero.
In fondo, sapevano di esserlo. Potevano essere più che agenti di un magnate della droga. Ora che si erano liberati di lui, potevano essere quello che volevano. Potevano ricominciare da capo. Vivere una vita come le altre. Come persone normali.
Come Gustav, o Georg, o Linda.
Tuttavia, indietreggiarono, riprendendo le proprie armi.
-Ora… dobbiamo andare.- mormorò Bill, mettendo in tasca il coltello.
-Dove andrete?- domandò Linda, premurosa.
-Lontano da qui. Ovunque.- rispose Tom, prendendo il suo casco e quello del gemello -Se Gordon ci avesse scoperti, non vogliamo che ci trovi qui.-
-Non avete nulla di cui temere. Chiameremo subito la polizia e lo faremo arrestare per i suoi crimini.-
-No, Linda!- tagliò corto Bill –Se chiamerai la polizia, lui lo verrà a sapere e Dio solo lo sa cosa potrebbe succedervi.-
-Ma così voi…!-
-Noi sappiamo di cosa è capace Gordon e non lo auguriamo neppure al nostro peggior nemico. Preferiremo pagare da soli il prezzo delle nostre azioni, piuttosto che coinvolgere degli innocenti…-
La donna non sembrava convinta delle sue parole: lasciarli da soli al loro destino non era la soluzione giusta, per lei. Persino Gustav voleva aiutarli, per sdebitarsi con quanto avevano fatto alla sua famiglia, salvando la moglie e la figlia.
Per loro, invero, non rimase altro che augurare il meglio per i due gemelli. Questi, comunque, apprezzarono la premura da parte loro e anche da parte di Georg.
Sorrisero, prima di mettere ognuno il proprio casco.
-Allora, addio…- disse Bill. Tom odiava gli adii. In genere, odiava mostrarsi sentimentale agli occhi del mondo.
La Harley partì di nuovo, scomparendo tra le tenebre.
I coniugi Schäfer, seguendoli con lo sguardo, vennero invasi da un forte senso di colpa: i Kaulitz avevano spiegato in modo esplicito che non volevano ricevere alcun aiuto esterno, per paura che Trümper riservasse loro lo stesso trattamento di coloro che osavano mettersi contro di lui. Si sarebbero sacrificati volentieri per le persone che volevano aiutarli, era questo che spaventava Gustav e Linda.
Loro volevano aiutarli. Perché sapevano che erano persone buone, nonostante la vita che avevano vissuto e il luogo dove abitavano.
Dalla villetta degli Schäfer bastava proseguire per la extraurbana principale per dirigersi al centro di Lipsia.
Bill e Tom avevano già pianificato cosa fare: si sarebbero subito diretti alla stazione di polizia, non per costituirsi, ma per denunciare Gordon, per concludere finalmente quel capitolo della loro vita, per fare in modo che non rovinasse più la loro vita; poi avrebbero trovato un posto per passare almeno una notte. E dal giorno seguente si sarebbero impegnati a cercare un appartamento in affitto, l’inizio della loro nuova vita. A seguire un lavoro, un lavoro onesto, finalmente. Avrebbero cambiato tutto. A partire da loro stessi.
Ma forse era ancora troppo presto per programmare la loro nuova vita, sebbene ci avessero spesso pensato, anche prima del loro progetto di fuga.
Era ormai sera.
La strada doveva essere sgombra. O, almeno, non dovevano circolare molte macchine.
Per raggiungere l’extraurbana, bisognava percorrere una strada a senso unico.
La via sembrava libera.
Tuttavia, i Kaulitz furono bloccati da una macchina. Un’intera fila di macchine.
Tom batté leggermente la mano sui manubri della moto, ringhiando.
-Cazzo! Non ci voleva!- imprecò, prima di ricevere delle leggere pacche sulla schiena da parte del gemello.
-Rilassati, Tomi…- mormorò. Fortunatamente, lui era l’unico in grado di calmarlo dai suoi attacchi d’ira, anche quelli più leggeri.
La fila non era lunga, c’erano solo cinque macchine una dietro l’altra, tuttavia non si muovevano. Eppure le luci erano accese, compresi gli stop, e c’erano delle persone all’interno.
Non c’era nemmeno la polizia.
Non poteva essere un caso di avaria.
I gemelli si osservarono l’un l’altro. Bill impallidì dietro il casco. Scosse lievemente la testa, mentre il respiro si faceva sempre più affannoso.
-No…-
Fu il turno di Tom calmare il gemello. Gli toccò delicatamente la gamba.
-Tranquillo…- mormorò, anche lui impallidendo –Ora cerco di aggirarli…-
La strada era stretta, ma lo spazio lasciato dalle macchine era abbastanza largo per far passare la moto.
Forse avevano ancora una speranza.
No.
Le portiere si aprirono; degli uomini in giacca e cravatta uscirono, puntando delle pistole contro i gemelli.
Non potevano più andare avanti.
-Indietro…- mormorò Bill a Tom, involontariamente –INDIETRO!-
Era esattamente ciò che intendeva fare il gemello. Facendo una rapida e abile inversione a “U”, diedero le spalle alle macchine.
Ma degli abbaglianti costrinsero loro a fermarsi. La frenata fu troppo brusca: la Harley vacillò, cadendo.
I gemelli erano scesi appena in tempo, prima che si fratturassero una gamba. Ma scivolarono ugualmente sulla strada, rotolando per un metro.
La moto finì fuori strada.
Di fronte ai ragazzi si era materializzato un SUV nero come la notte, lo stesso che li aveva abbagliati poco prima. Aveva un teschio disegnato sul cofano.
Da esso uscì una figura estremamente nota ai gemelli: indossava degli stivaletti texani, con la punta, dei jeans strappati e camicia nera che scopriva il petto.
Gordon Trümper.
Appariva alquanto deluso. Incrociò le braccia.
-I miei cari Zwillinge…- sibilò, prima di fare un cenno con la testa; due uomini fecero alzare Bill e Tom, mettendoli in ginocchio, e levando loro i caschi; Bill era terrorizzato e tremava, Tom rivolgeva sguardi minatori al Protektor –Solitamente rispondete subito alle mie chiamate. Pensavo fosse successo qualcosa, ma poi il telefono ha fatto “numero non raggiungibile”. Poi questo…- Il biondo, per poco, non collassò, scoppiando a piangere, ma resistette, guardando in basso; l’uomo che lo teneva gli tirò i capelli, costringendolo a guardare in avanti; se anche Tom non fosse stato bloccato, non avrebbe esitato a torcergli il collo, per trattare il gemello in quel modo –Allora? Come me lo spiegate questo?-
Lo sguardo dell’uomo era penetrante, come suo solito, come se, solo, fosse stato in grado di piegare il mondo alla sua volontà. Bill cedeva facilmente a quello sguardo: ancora non sapeva dove avesse trovato il coraggio di parlargli in modo aggressivo, qualche  giorno prima.
Tom ricambiò quello sguardo: rispose, per lui e il fratello.
-Una fuga, Gordon!- disse, digrignando i denti –Da te, dal tuo mondo di merda, dalla tua cazzo di droga!-
Gordon alzò un sopracciglio: fra i due, il moro era sempre stato quello più aggressivo nei suoi confronti, ma mai come quella sera.
Accennò una risata, prima di recitare nuovamente la parte della vittima.
-Dunque, questo è il vostro ringraziamento?- disse, mostrandosi deluso e dispiaciuto insieme –Io ho fatto così tanto per voi due, Zwillinge… vi ho accolti sotto il mio tetto, vi ho cresciuti come foste figli miei, avete avuto ogni cosa da me. Tutto quello che ho fatto in questi ventun anni è stato solo per voi!-
Bill ebbe di nuovo la tentazione di abbassare lo sguardo, se non fosse per la presa sui suoi capelli, ma Tom si faceva sempre più determinato.
-Ci hai usati fin dall’inizio per i tuoi scopi!- ribatté, più furioso che mai –Quello che tu chiami “amore” non è stato altro che opportunismo: ci hai viziati, affinché stessimo dalla tua parte, affinché vedessimo in te un idolo, un dio da seguire. Per te non eravamo altro che giocattoli, oggetti qualunque da usare a tuo piacimento e poi buttarci nel caso non ti fossimo più serviti. Dicevi di amarci, ma ci hai sbattuto in quel quartiere del cazzo alla prima occasione, facendoci vivere con gli psicopatici!-
-I miei seguaci vi avrebbero ucciso!- si giustificò l’uomo –Io vi ho salvato la vita!-
-Ah, sì? E come? Riempiendoci di droga? Farci vivere in un appartamento in rovina? Farci quasi uccidere dai poliziotti che tu stesso chiamavi ogni volta che compivamo un crimine che tu stesso avevi progettato? Ordinarci di sodomizzarci l’un l’altro per intrattenere i tuoi ospiti? Uccidendo coloro che osavano tenerti testa?!-
-Lo so, me ne rendo conto. Ma è stato tutto per il vostro bene. Io tengo molto a voi.-
-L’unica persona a cui tieni sei tu, brutto stronzo!-
Era troppo. La pazienza di Gordon superò il suo limite. Non tollerava alcun tipo di insubordinazione da parte dei suoi sottoposti.
Annuì, serrando le labbra.
Si avvicinò a lui, estraendo la sua revolver, appoggiando la canna sulla sua fronte.
-Ah, è così che la pensi?-
Il moro resistette alla tentazione di strizzare gli occhi. Anche lui serrò le labbra e tenne lo sguardo fisso sull’uomo.
Ma Bill sentì il proprio cuore battere più forte del previsto, alla vista della pistola puntata verso il fratello.
-NO!- esclamò, con tutto il fiato che aveva in gola. Si stava verificando il più grande dei suoi timori: perdere il proprio gemello. Non sapeva come avrebbe fatto a vivere senza di lui. –Non ucciderlo, ti prego!- supplicò, cedendo alle lacrime –Farò tutto quello che vuoi, ma non uccidere mio fratello, ti prego! E’ tutto quello che ho!-
Tom fulminò il gemello con lo sguardo. Era caduto nella trappola di Gordon. Stava usando la sua arma preferita: il ricatto.
Ridacchiò, divertito.
-Ecco la frase che mi piace…- sibilò, mettendo la sicura alla pistola; accarezzò i contorni del volto del moro con l’impugnatura –Ucciderlo, Bill? No, non mi permetterei mai… altrimenti come potrei spingerti ad obbedire ai miei ordini?-
Senza pensarci due volte, colpì Tom sulla tempia destra con l’impugnatura della pistola; cadde per terra, battendo la testa.
Era vicino a perdere i sensi, ma lottò per rimanere con gli occhi aperti.
Bill era sempre più disperato.
-TOMI…!!!- urlò, in preda alle lacrime. Se la guardia del corpo non lo avesse tenuto con forza, si sarebbe messo su di lui, abbracciandolo e facendogli da scudo.
Gordon osservava il ragazzo appena colpito con indifferenza; anzi, gli mise persino un piede sul volto, facendo lievemente pressione.
-Vai a fare del bene…- mormorò, deluso –E poi si rivoltano contro di te… Che razza di ingrati…-
Tom resisteva al dolore; le immagini erano sfocate, ma cercava con tutte le sue forze di non svenire. Gli bastava vedere Bill a dargli la forza. Quest’ultimo, invece, non riusciva a vedere il fratello in quelle condizioni.
Doveva trovare un modo per salvarlo. Anche se significava tornare nella rete di Gordon. Avrebbe fatto qualunque cosa.
-Smettila, Gordon!- esclamò, prima di essere osservato dal destinatario di quella frase.
Questi accennò di nuovo una risata.
-Sentiamo, perché dovrei smetterla?-
-Verrò con te dove vuoi, farò quello che vuoi, fai di me ciò che vuoi, non mi importa!-
Il moro soffrì più per quelle parole che per la percossa ricevuta. Il piede non premette più sulla sua tempia.
Gordon si avvicinò a Bill, inclinando la testa.
-Fallo alzare.- ordinò alla guardia del corpo, che mollò la presa sul biondo.
La mano ingioiellata lo prese per la mandibola, sorridendo malignamente.
-Un uccellino mi ha riferito che sei tornato a drogarti…- sibilò, divertito –Davvero credevate che non sapessi niente?-
I gemelli ottennero la loro risposta quando un altro membro della guardia del corpo tornò nella strada con diverse banconote da 50€ tra le mani. Era la somma nascosta nel bauletto.
-Io ho occhi dappertutto, Zwillinge… E tu mi stai supplicando di risparmiare tuo fratello, cambiando la sua vita con la tua?-
Bill non ebbe altra scelta che annuire. Dalla paura.
L’uomo storse la bocca.
-D’accordo… posso concedertelo…- decise –Ho una proposta da farti. Ho un grosso carico di droga appena arrivato. E’ tutto tuo, se lo vuoi. Mi devi solo dire “Sì, ti seguirò, signor Trümper.”.-
Una scelta allettante.
Tom, con lo sguardo, stava supplicando il gemello di non accettare. Questi si trovò in un dilemma. C’era in gioco la vita di Tom.
-Gli ho promesso che non mi sarei più drogato…- mormorò, ansimando.
Gordon sorrise di nuovo in modo strano.
-Come vuoi…- sibilò, prima di rivolgersi alle guardie del corpo –Sapete cosa fare.-
Altri due uomini si unirono a quello che teneva il moro. Lo presero per le braccia, facendolo sedere e poi sollevarlo di mezzo metro da terra, costringendolo a stendere le gambe. Il terzo aveva un martello in mano.
-Rompetegli le gambe.- ordinò il Drogeskaiser.
Di fronte a tale ordine, Bill prese la sua decisione.
-NO! D’ACCORDO! SI’, TI SEGUIRO’, SIGNOR TRÜMPER!-
L’ordine venne arrestato da un cenno con la mano.
-Billi…- uscì, lieve, dalla bocca di Tom, con un velo di delusione.
Uno sguardo compiaciuto formò il volto di Gordon.
-Hai visto, Bill? Ci voleva tanto?- mormorò, con voce premurosa, passandogli una mano sul volto, con l’affetto di un padre. I loro sguardi si incrociarono. Gli occhi nocciola erano ormai rossi e gonfi di lacrime.
Non si poteva tornare indietro. –E considerati fortunato, mio caro…- proseguì l’uomo, sorridendo –Almeno posso ancora usarne uno, di voi…-
I gemelli sapevano a cosa si stava riferendo: il biondo impallidì di nuovo.
-Portatelo via. Dove lo sapete.-
Tom, con le sue ultime forze, si dimenò tra le braccia delle guardie del corpo: non gli importava dove lo portassero o cosa facessero di lui, era vivere senza il gemello la vera tortura. Per Bill era lo stesso.
Si allungarono le mani, stringendole, urlando e piangendo i loro nomi, anche se per poco tempo.
I numeri tatuati su quelle mani si unirono. Le loro ore di nascita.
-SEE YOU IN OUTHER SPACE!- esclamò Bill, singhiozzando, appena venne separato bruscamente dal gemello.
-SEE YOU IN OUTHER SPACE!- fu la risposta, nello stesso modo.
Nel frattempo, Gordon era tornado in macchina; tornò dal biondo con una siringa, piena di un liquido dal colore strano. Appena scambiate quelle frasi, infilò l’ago dentro la gola del ragazzo, iniettando ciò che c’era al suo interno.
Bill tacque. Un senso di rilassatezza sostituì la disperazione.
Tom sgranò gli occhi; non era sicuro nemmeno lui se per sgomento o per rabbia, specie quando notò Gordon sussurrare qualcosa all’orecchio del gemello.
Si dimenò sempre di più, urlando, facendo in modo che uno degli uomini che lo tenevano gli strappasse la canotta, mostrando il torace per intero e gli addominali scolpiti.
-IO TI AMMAZZO, STRONZO! SE OSI ANCHE SOLO SFIORARLO, GIURO CHE TI AMMAZZO!-
Qualcosa lo colpì sulla testa. Un oggetto metallico e freddo.
Poi, il buio.

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Note finali: Eh! Credevi...! Invece no, non è ancora finita! Il primo arco è finito, ma non la storia. Anzi, a questo proposito... vi informo che la aggiornerò... un po' tardi, diciamo. La continuerò quando concluderò alcune storie, in particolare:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3648195&i=1 (Quattro Musicisti e Un Investigatore)
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3683060&i=1 (Primus Amor Purus Leopardi)
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3465068&i=1 (Unbreakable Connection)
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3678577&i=1 (The Dragon Fairy, almeno il primo arco)
e alcune storielle su Dragon Age.
Ah, un'altra cosa: dopo questa storia, credo scriverò altre tre storie sui TH (di cui una a sfondo comico, sebbene non sia il mio genere...), sperando mi vengano meglio di questo spunto nell'occhio...
Spero avrete la pazienza di attendere.
Grazie di aver seguito e di aver sopportato.
Ciao a tutti!
I.H.V.E.

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