Per Rompere il Ghiaccio

di Kia_1981
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Contrattempo ***
Capitolo 2: *** Jane ***
Capitolo 3: *** Sul Ghiaccio ***
Capitolo 4: *** Amorevoli cure. ***
Capitolo 6: *** Sulla via del ritorno. ***
Capitolo 7: *** Il ritratto. ***



Capitolo 1
*** Contrattempo ***


« Lord! Fermo dove sei!»
Il richiamo adirato che raggiunse Julian un istante prima che riuscisse a mettere un piede sul predellino della carrozza, ebbe lo stesso effetto di un pugnale scagliato con precisione fra le scapole del giovane Cavaliere. Il ragazzo alzò seccato gli occhi al cielo: era sgattaiolato fuori dalla chiesa appena terminata la funzione del mattino, già pregustando la giornata che lo attendeva, ma evidentemente avrebbe dovuto avere ancora un po’ di pazienza. Sfoggiando un sorriso sfrontato, si voltò a fronteggiare la sua nemesi.
«Stuart. Qualunque cosa tu voglia, sappi che dovrai aspettare domani. Oggi non sono di turno e non posso assolutamente rinunciare alla mia giornata libera. Ho già preso impegni»
«Certo, lo so bene che genere di impegni hai preso!», sbottò nervosamente il Capitano facendo un cenno in direzione della sacca che Julian aveva appoggiato a terra. «Ti avverto: se pensi di far scappare ancora una volta Sofia di nascosto per qualche assurdità che ti sei inventato…»    
« Non so di cosa parli», lo interruppe seccato l’altro «Non ho niente del genere in programma. Non per oggi, almeno.»  
Provocare Gabriel era sempre molto divertente.
«Non ti credo. Tu vuoi portare Sofia a pattinare. L’ho vista mentre tirava fuori quei dannati affari e li nascondeva in una sacca. Ho seguito il valletto a cui l’ha affidata per recapitarla al Collegio di Aldenor.» lanciò uno sguardo severo al fratello della sua promessa sposa che continuava a fissarlo in modo apertamente provocatorio. Se fosse stato necessario, gli avrebbe cancellato quel sorrisetto dalla faccia a suon di pugni.
« Spero che tu non le abbia fatto una scenata, per questo motivo. Hai ragione: sto andando a pattinare sul ghiaccio, ma i pattini non sono per Soph. Me li ha semplicemente prestati per la persona che verrà con me.»
Il principe lo studiò, non del tutto convinto.
« Sentiamo; chi sarebbe la fortunata?»
« Non sono affari tuoi » fu la concisa risposta, accompagnata da un sorriso sornione.
Gabriel valutò la reazione, poi sospirò incredulo. Si passò una mano sul volto, scuotendo la testa.
«Non mi dire che si tratta di nuovo dell’Onorabile Megan! Non ti è bastato quel disastroso pic-nic a cui l’avevi trascinata tempo fa?» sogghignò il giovane.
« Non sarebbe stato tanto disastroso, se non fossi arrivato tu!» ribattè Julian seccato.
Gabriel scrollò le spalle: non era certo colpa sua se Julian non si era spiegato a dovere con la propria sorella, creando l’equivoco che aveva contribuito a trasformare un appuntamento galante in un pic-nic di gruppo.
«Smettila di illuderti, Lord. Non avresti concluso niente in ogni caso. Lady Linnett è inarrivabile per chiunque, soprattutto per te », sogghignò il Capitano divertito.
«Dici così solo perché a te è andata male», lo rimbeccò Julian. « Adesso, se non ti dispiace, perdonami ma ho fretta di andare al mio appuntamento. E smettila di dare il tormento a Soph, o ti darò un buon motivo per lamentarti.»
Il ragazzo saltò in carrozza, lasciando l’altro a fissare esasperato la vettura che si allontanava. 

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Capitolo 2
*** Jane ***


Megan tamburellava sul tavolo con gesti nervosi, mentre la sua colazione diventava irrimediabilmente fredda sotto le occhiate di disapprovazione di miss Potter. Lo sguardo della giovane, invece, vagava assorto e senza meta nel paesaggio innevato incorniciato dalle finestre della sala da pranzo. Il suo nervosismo era una presenza quasi tangibile, per questo motivo l’anziana governante preferiva tacere nella speranza di vederla calmarsi.

«Ho deciso: non vado!»

Annunciò risoluta la giovane, ed enfatizzò le sue parole battendo con forza il palmo della mano sul tavolo. Quel rumore secco e inaspettato fece sobbalzare la povera miss Potter che per lo spavento rovesciò il tè che stava sorseggiando.

«Megan!» , la donna cercò di ricomporsi. «Mia cara, una giovane di buona famiglia che, come te, ha ricevuto un certo tipo di educazione, mantiene sempre gli impegni presi; oppure evita di prendere impegni che non è sicura di voler onorare.»

«L’altro giorno avete presentato le vostre rimostranze quando avete saputo che sarei stata sola con un ragazzo. Dovreste compiacervi per il fatto che abbia cambiato idea», la provocò Megan.

«Sono sempre convinta che non sia né opportuno né decoroso prendersi una simile libertà; ma i tuoi genitori non hanno avuto obiezioni in merito, perciò io posso solo raccomandarti di comportarti come si deve.»

L’anziana donna era rassegnata: questi giovani non avevano regole né disciplina, ascoltavano solo quello che faceva loro comodo e si comportavano in modo estremamente inopportuno. L’espressione di Megan si rabbuiò ulteriormente quando sua cugina Jane, ospite dei suoi genitori in occasione delle feste, irruppe nella sala da pranzo spalancando con entusiasmo le porte e mancando per un soffio la cameriera che stava passando lì davanti. Miss Potter alzò gli occhi al cielo: quella ragazzina era il fulgido esempio della corruzione dei costumi dei giovani. Dal canto suo, Megan si sforzò di reprimere l’istinto di andarsene senza degnare di uno sguardo la nuova arrivata e nascose la propria irritazione dietro un freddo sorriso.

«Buon giorno, Jane» , la salutò. «Non ti credevo tanto mattiniera.»

Jane aveva quasi sedici anni, un carattere esuberante ed estroverso, esteriormente somigliava tanto a Megan da essere scambiata spesso per sua sorella.

«Cugina!» esordì Jane con voce squillante, un suono che, a quell’ora del mattino risultava oltremodo molesto.

«Vedo che sei già pronta per uscire: devi assolutamente accompagnarmi in un posto.»

Alla dottoressa non era sfuggita l’occhiata con cui la cugina l’aveva misurata: il semplice e comodo abito di lana che aveva scelto di indossare quel mattino, in vista della lezione di pattinaggio sul ghiaccio, faceva una ben misera figura paragonato all’abbigliamento ricercato e alla pettinatura elaborata di Jane.

«Buon giorno, Jane», Megan rimarcò il saluto con enfasi, sperando invano che la cugina capisse di aver dimostrato, poco prima, una scarsa educazione. La ragazza chinò il capo esibendo una piccola smorfia contrariata: da lei non ci si sarebbe potuto aspettare di più.

«Dove dovrei accompagnarti?»  volle sapere Megan.

Jane si rianimò, la contrizione che era stata costretta a mostrare era rimasta solo un vago ricordo.

«A Messa!» Annunciò l’altra entusiasta.

Le labbra della dottoressa si stirarono in un pigro sorriso: era certa di aver capito quale fosse l’obiettivo della cugina ma, a beneficio di Miss Potter decise di far finta di niente per costringere la ragazza a rivelare le sue vere intenzioni.

«Non me la sento di uscire, ma visto che ci tieni tanto, potresti chiedere ai miei genitori di portarti con loro più tardi: mi pare che vogliano partecipare alla funzione in cattedrale. Di sicuro saranno felici se ti unirai a loro.»

L’espressione di disappunto che si stava disegnando sul volto di Jane suscitò in Megan una certa soddi-sfazione. La ragazzina attraversò la sala per andare a sedersi accanto alla cugina.

«Veramente…» sussurrò in tono cospiratorio chinandosi verso di lei. «Vorrei assistere alla funzione per la benedizione delle armi. Mi incuriosisce», terminò con un sorrisetto malizioso.

Megan riuscì a controllarsi a stento: il suo primo impulso era stato di saltare in piedi gridando “Ci avrei scommesso!”

Al pranzo di Natale, a cui Megan aveva invitato i propri amici, Jane si era decisamente fatta notare: voleva entrare allo Studium, l’anno successivo, così aveva preso di mira Jordan e Julian e li aveva tempestati di domande. Dal modo in cui li guardava, però, era fin troppo evidente che quella di informarsi sull’Università era solo una scusa per attirare l’atten-zione dei giovani cavalieri. La cosa che più aveva irritato Megan era l’atteggiamento di Julian: diverse volte l’aveva sorpreso a indugiare con lo sguardo da lei alla cugina, quasi stesse facendo mentalmente dei paragoni fra loro due. Inva-riabilmente, al termine di quei rapidi esami, tornava a rivolgere la sua completa attenzione alla curiosità della più giovane, dando prova di una pazienza ammirevole: Jane era tanto insistente da dimostrarsi insopportabile e asfissiante. Perfino Jordan, appena gliene si era presentata l’occasione, era stato ben lieto di svignarsela per diversi minuti, per riposare mente e udito dalle interminabili chiacchiere della ragazza.

Il sorriso di Megan si allargò davanti alla prospettiva di dare una brutta notizia alla cugina.

«Credo sia già finita, quella funzione.»

La dottoressa finse di lanciare un’occhiata distratta all’orologio a pendolo. In realtà non ne avrebbe avuto alcun bisogno: aveva passato l’ultima mezz’ora a contare i minuti, cercando dapprima di indovinare a che punto fosse arrivata la funzione, poi se Julian si fosse già avviato per raggiungerla (secondo i suoi calcoli avrebbe già dovuto essere arrivato, perché era in ritardo?) e cercando di decidere, nel frattempo, quale scusa addurre per aver cambiato idea dal momento che aveva deciso di non voler andare a pattinare con lui.
Come Megan aveva previsto, Jane sfoderò il piccolo broncio che di solito le permetteva di far capitolare più o meno chiunque si rifiutasse di accontentarla. Vedendosi ignorata, la ragazza si agitò impaziente sulla sedia, ma sua cugina non dava segno di voler riaffrontare l’argomento.

«In questo caso potresti portarmi a…»

«Jane», la interruppe spazientita l’altra: ne aveva abbastanza di lei. «Sono stanca perché ho dormito poco e male, e non ho alcuna voglia di portarti a zonzo per la città.»

Doveva già occuparsi ogni santo giorno di un mucchio di idioti che avevano in mente di tutto tranne che fare il proprio dovere. Era in vacanza e non aveva intenzione di farsi carico di una ragazzina viziata e frivola il cui unico obiettivo, in quel momento, era andare a civettare all’ordine della Croce.
Jane squadrò indispettita la cugina, poi esibì un sorriso calcolatore.

«Visto che sei tanto stanca, immagino non andrai all’appuntamento che avevi in programma con Julian, vero?» Domandò con voce suadente.

«Non ho un appuntamento con Lord», fu la secca precisazione in cui risuonava l’eco minacciosa di una  rabbia tenuta faticosamente a freno. «E non uscirò. Ho intenzione di rimanere a casa a studiare.»       

«Non hai lasciato i libri in Collegio come ti ha chiesto la zia?» Jane non aveva intenzione di lasciarle scampo: cercava di farle perdere la pazienza e ci stava riuscendo benissimo.

«Hai ragione, li ho lasciati in Collegio, perciò credo proprio che andrò lì a studiare: lontana dalle distrazioni e, soprattutto, dalle seccature.»

«E non pensi a Julian? Gli rovinerai la giornata.»

Megan fece un gesto infastidito. Continuava a ripetere a se stessa che al giovane non sarebbe importato, dal momento che era abituato ai suoi rifiuti. Non doveva sentirsi in colpa per la decisione che aveva preso.

«Lord se ne farà una ragione» asserì alzando, senza rendersi conto, il tono di voce.

«Bene» disse Jane con studiata tranquillità e un sorriso malizioso. «Visto che mi dispiace per lui, mi offrirò di accompagnarlo al posto tuo.»

Megan aprì e chiuse la bocca, cercando di non esplodere. Si sentì gelare e poi avvampare al pensiero che Julian avrebbe accettato quello scambio. Con uno sforzo ammirevole la giovane riuscì a controllarsi e a rispondere con una gelida calma.

«Non ti azzardare: non puoi andare da nessuna parte senza il permesso dei tuoi genitori. O dei miei» soggiunse con un sorriso velenoso, certa della risposta che la ragazzina zii avrebbe ricevuto dagli zii, responsabili di lei durante la vacanza:  il loro responso sarebbe stato certamente negativo, dal momen-to che i genitori di Megan non avevano l’abitudine di farsi persuadere dai capricci della nipote.
Perfino la signora Potter stava dando segni di insofferenza di fronte a tanta insistenza.

«Jane», s’intromise infatti la donna. «Come ho già avuto modo di ricordare a Megan, non è opportuno che una fanciulla passi del tempo sola con un giovanotto. Soprattutto non è opportuno per una bambina come te, che si trova lontana da casa e dai propri genitori.»

«Non sono una bambina!» sibilò Jane indispettita, fulminando con lo sguardo Megan che stava ridacchiando per quell’ultima osservazione.

Le due cugine si stavano fronteggiando silenziosamente quando l’ingresso in sala di una cameriera distolse l’attenzione delle ragazze da quel muto battibecco.

«Lady Linnett, vostra madre vi prega di andare all’ingresso: c’è un giovane che chiede di voi»

Jane schizzò in piedi e corse via, Megan avrebbe voluto rincorrerla e prenderla per i capelli ma si trattenne solo perché altrimenti qualcuno avrebbe potuto pensare che le importasse qualcosa di quella specie di impegno preso con Lord. Quando raggiunse con calma l’ingresso, trovò Jane che chiacchierava vivacemente con Julian, il quale sembrava, come sempre, perfettamente a suo agio. Completava il quadro Lady Linnett, che osservava la nipote con malcelata disapprovazione.

«Megan!» esclamò la donna con sollievo non appena notò la presenza della figlia.

Julian sollevò verso di lei uno sguardo intenso, salutandola con un profondo inchino. Non appena si fu rialzato, Jane si aggrappò al suo braccio con un gesto possessivo.

«Julian, mia cugina si sente poco bene» annunciò con dolcezza. «Penso che potrei sostituirla io per la gita che avevate in programma oggi, così non sarai costretto a rinunciare» terminò con un sorriso angelico.
Il giovane guardò sorpreso la ragazzina al proprio fianco.

«Davvero?» Domandò cercando conferma sul volto di Megan, che si ritrovò improvvisamente al centro dell’attenzione di tre paia di occhi: quelli indagatori di Julian, quelli carichi di disappunto di sua madre e quelli beffardi di Jane. La giovane si rabbuiò, incrociò le braccia e raddrizzò la postura.

«Ho dormito poco», confermò infastidita, notando distrattamente un lieve incresparsi dell’espressione di
Julian alla  notizia. Avrebbe accettato la proposta di Jane, ne era certa, e lei avrebbe potuto passare la giornata sui libri senza avere intorno quell’oca di sua cugina.

«Mi spiace, Onorabile Megan» commentò il Cavaliere con un sorriso mesto; quindi si rivolse alla madre della dottoressa.

«Lady Linnett, è meglio che io tolga il disturbo, così che vostra figlia possa riposarsi. Non posso nemmeno accettare di portare con me vostra nipote: sarebbe molto sconveniente, dal momento che dubito che i suoi genitori le abbiano dato alcun permesso in tal senso», affermò con la massima serietà.

Lady Linnett lo guardò benevola, Jane, incredula e profondamente delusa era rimasta a bocca aperta e con gli occhi sgranati. La sua espressione risultò quasi troppo comica per Megan che si trattenne a stento dallo scoppiare a ridere e le fece venire voglia di prendersi una rivincita su quella piccola e irritante impicciona.

«Non avere tanta fretta, Lord», lo fermò, voltandosi verso Jane con un sorriso tagliente. «Mia cugina si dimostra fin troppo apprensiva nei miei riguardi: ho semplicemente affermato di aver dormito male, non di sentirmi male. Sarò pronta per uscire entro pochi minuti, se vuoi accomodarti mentre mi aspetti...»

«Con piacere, Milady» acconsentì Julian con entusiasmo prima di porgere il braccio alla madre di Megan che gli stava facendo cenno di dirigersi in sala da pranzo.

Megan lo ignorò completamente: il suo solo obiettivo, in quel momento, era indispettire la cugina e ri-tenne di aver perfettamente raggiunto l’obiettivo. Salì composta le scale, diretta in camera sua. Alle sue spalle Jane non si curava di nascondere il malcontento e pestava i piedi sui gradini in segno di protesta, facendo gemere  la scala di legno, sotto l’impeto dei suoi passi infuriati. 

«Mi sembrava di aver capito che oggi volessi studiare» ringhiò la ragazzina infilandosi nella stanza della cugina e chiudendo la porta senza nemmeno chiederle il permesso.

«Jane, questa è la mia camera, e non devo certo rendere conto a te delle decisioni che prendo» replicò, gelida, l’altra togliendo da un cassetto sciarpa e guanti.

«Lui è troppo giovane per te!» Protestò Jane paonazza, la voce strozzata. Stava evidentemente cercando di farsi venire una crisi di nervi.

La dottoressa continuò a prepararsi, reagendo all’isteria dell’altra con una risposta annoiata.

«Mia cara cugina, se pensi che mi importi qualcosa di Lord, ti sbagli di grosso: il mio solo interesse, al momento, è prepararmi bene alla professione che voglio intraprendere.»

La giovane cugina si era seduta sul bracciolo di una poltrona e la guardava con aria scettica. Megan la squadrò con un sogghigno.

«Fossi in te, comunque, non mi farei illusioni», soggiunse. «Sei troppo giovane per lui.»
Per poco Jane non cadde dalla poltrona per la sorpresa e Megan, passandole accanto, le diede un buffetto sulla guancia.

«Non credo te ne abbiano parlato, ma la condizione delle matricole è davvero miserevole: gli studenti anziani, di solito, non perdono tempo con loro.»

Jane tremava per la rabbia: non poteva sopportare di non vedere esaudita una sua richiesta, né tantomeno di essere sbeffeggiata in quel modo. Aprì e richiuse la bocca in cerca delle parole adatte per replicare, mentre chiazze scarlatte le fiorivano sulla pelle delicata emergendo dalla scollatura dell’abito elegante.

«Quando sarò al secondo anno…»

Megan alzò gli occhi al cielo, stanca e irritata.

«Non cambierà niente! Sarai ugualmente troppo giovane per i suoi gusti: a Jules sono sempre piaciute le donne più grandi di lui», la rimbeccò senza pensare a quello che stava dicendo.

Jane sobbalzò.

«Jules? » ripeté con enfasi mentre un sorriso insinuante si allargava sul suo viso. « Non credo siano in molti a chiamarlo così. Quindi è per questo che non mi vuoi tra i piedi: lui ti piace.»

L’altra scrollò le spalle infastidita.

«Come ho già detto poco fa, i miei soli interessi al momento sono lo studio e il lavoro», puntualizzò astiosa. «Non ti azzardare a dire in giro il contrario.»

Il tono freddo e minaccioso di Megan riuscì finalmente a zittire la sua giovane interlocutrice che la seguì fuori dalla stanza con un broncio cupo che le deformava i graziosi lineamenti.
Le due cugine trovarono Julian in sala da pranzo, intento a rendere onore all’abilità della cuoca nel preparare i dolci, mentre si intratteneva con i suoi ospiti. Megan non riusciva a credere ai suoi occhi: sua madre rideva divertita, suo padre guardava il giovane Cavaliere con aria soddisfatta, mentre la signora Potter aveva un’espressione intenerita che avrebbe potuto riservare ad un nipote che non vedeva da tempo. Non potè fare a meno di domandarsi quale potesse essere l’argomento della conversazione, poi decise che, in fondo, non le importava affatto: Julian era un abile affabulatore, ma con lei non aveva speranze.

«Lord, quando hai finito con la colazione, io sono pronta», avvertì in tono secco, al limite della maledu-cazione, guadagnandosi più di un’occhiata di disapprovazione dagli astanti insieme al solito sorriso radioso da parte dell’interpellato.

«Non è giusto», mugugnò Jane alle sue spalle, senza nemmeno preoccuparsi di tenere la voce bassa. «Zio, dovrei accompagnare mia cugina: non è… opportuno che lei se ne vada in giro chissà dove, da sola, con un ragazzo. Fiorirebbero pettegolezzi di ogni genere.»

Se avesse potuto, Megan l’avrebbe incenerita. Julian si bloccò, riuscendo a mascherare con successo la tensione che si stava impadronendo di lui: tutti i suoi programmi rischiavano di andare a rotoli a causa del capriccio di una ragazzina. Lord Linnett inspirò a fondo, considerando la reazione della nipote.

«Jane, mia cara, avvicinati», la invitò l’uomo. La giovane obbedì, avvicinandosi allo zio con il passo lieve e il sorriso sicuro di chi si sente già la vittoria in pugno. L’uomo scostò la sedia accanto alla propria e battè la mano sul sedile.

«Accomodati qui e dimmi: da quanto mi ha riferito la signora Potter, stamattina hai manifestato l’intenzione di… occuparti della tua crescita spirituale, giusto?» Domandò affabile. La confusione sul volto di Jane lo indusse a precisare, «Volevi assistere ad una funzione, io e tua zia saremmo davvero felici di accompagnarti. A meno che non abbiamo tutti frainteso le tue parole.»

«No, zio. Nessun fraintendimento», ammise Jane a denti stretti, serrando i pugni. Era impallidita e tene-va lo sguardo basso, così non vide il bonario gesto di saluto con cui lord Linnett congedò Julian e Megan. Lady Linnett accompagnò i giovani alla porta.

«Julian Lord»

A quel richiamo il Cavaliere si fermò accanto alla donna, in attesa delle sue parole.

«Spero ti renda conto che vi stiamo dimostrando una grande fiducia», il ragazzo fece un solenne cenno di assenso . «Mi auguro che questa fiducia, alla fine della giornata, non risulti malriposta.»

«Milady, farò del mio meglio per non deludervi», replicò Julian con un profondo inchino, prendendo congedo dalla donna.
Megan seguì lo scambio di battute con sguardo torvo, sbuffò e incrociò le braccia sul petto, poi si infilò velocemente in carrozza, per evitare che sua madre decidesse di fare qualche discorsetto anche a lei. Mentre saliva le sembrò di sentire Lord promettere a sua madre che si sarebbe preso cura di lei… come se ne avesse bisogno! Quel ragazzo aveva davvero esagerato e Megan era decisa a fargli capire, una volta per tutte, che doveva imparare a stare al suo posto.
Dopo aver dato istruzioni al cocchiere, Julian salì in carrozza, dove Megan stava ancora meditando su come fargli rimpiangere quello che gli aveva appena sentito dire. Il giovane si accomodò il più possibile lontano dalla dottoressa, rivolgendole uno di quei sorrisi con cui riusciva sempre a far sospirare la sprovveduta di turno ma che su di lei non sortirono altro effetto se non quello di irritarla ancora di più.
La giovane rivolse la sua attenzione al panorama cittadino che scorreva fuori dal finestrino ma non appena si rese conto che qualcuno avrebbe potuto vederla, decise di socchiudere la tendina, lasciando solo uno spiraglio da cui entrava un poco di luce.
 
« Avete un’espressione sofferente, Milady », constatò comprensivo Julian. « Siete proprio sicura di voler partecipare a questa piccola gita? Se preferite posso sempre farvi portare al vostro Collegio.»
 
Una vampata di rabbia accese di un improvviso rossore il volto della ragazza. Quell’impiccione non poteva proprio badare agli affari suoi, una volta tanto?
 
« Ho preso un impegno e lo manterrò » gli rispose in tono neutro, senza staccare gli occhi dal finestrino.

« Ne siete proprio sicura?»
 
La voce di Julian, vicina e sommessa, la colse di sorpresa. Si voltò di scatto e, trovandoselo di fronte, non poté fare a meno di maledirlo per essere stato tanto silenzioso nello spostarsi.
 
«Lord», lo avvertì a denti stretti. «Stai al tuo posto».
 
Il Cavaliere si raddrizzò, appoggiandosi allo schienale. Continuò ad osservarla con un’espressione che Megan non riusciva a decifrare e che, per questo motivo, la irritava particolarmente.
 
«Non amo ripetermi, Lord. Se speri di sentirmi dire che sono entusiasta di questa tua assurda idea, sei proprio un illuso», sbottò la dottoressa incrociando le braccia.
Julian inspirò a fondo, mostrando tranquillità.
 
«Onorabile Megan, non sentitevi vincolata dall’ impegno che abbiamo preso. Vorrei solo che passaste una giornata piacevole, quindi, se preferite, vi faccio lasciare in un luogo dove possiate stare sola e tranquilla».
 
Megan riuscì a stento a dissimulare la sua sorpresa: come mai Julian si comportava in quel modo accondiscendente? Doveva esserci sotto sicuramente qualcosa. Era da un po’ di tempo che non lo vedeva bazzicare alla Misericordia, o nascondersi in fondo all’aula quando lei faceva da assistente alle lezioni di Dominus Fenaretes. Ogni tanto si sorprendeva a scandagliare l’aula, in cerca del suo sguardo impertinente e, non trovandolo, si sentiva quasi disorientata. 
 
«Lascia perdere», sospirò rassegnata. «Se lo facessi davvero e poi la mia famiglia lo venisse a sapere… non ho né l’età né l’indole per accettare una ramanzina per simili sciocchezze»
 
Julian ridacchiò.
 
«Non ridere!» Il severo ammonimento fu immediato.
 
«Vi chiedo scusa», rispose il giovane tentando di contenere la propria ilarità. «Il vostro commento mi ha fatto pensare a vostra cugina»
 
Megan si fece improvvisamente seria: era sicura che, presto o tardi, l’argomento sarebbe saltato fuori. Il fatto che questo la infastidisse così tanto non faceva che aumentare il suo disappunto. Cercò di mostrare un distacco e un disinteresse che in realtà non provava.
 
« Davvero? E cosa ne pensi di lei?»
 
Non era certa di essere pronta ad ascoltare la litania di complimenti che venivano generalmente riservati alla ragazza. Julian, però, sembrava esitare.
 
«Mi concedete di parlare liberamente?» Domandò circospetto.
 
«Immagino che lo faresti comunque», osservò Megan in tono ironico, accompagnando le parole con un gesto spazientito. L’altro fece un respiro profondo e proseguì.
 
«Trovo che siate tanto simili nell’aspetto quanto diverse nel carattere e nel comportamento»
La giovane sbuffò e guardò fuori dal finestrino. Stava andando tutto come aveva previsto. Non avrebbe dovuto dare corda a Lord, ma l’aveva fatto e ora le sarebbe toccato passare chissà quanto tempo a sentirgli elencare i presunti pregi della cugina.
 
«Jane è così… esuberante», cominciò Julian con prudenza. «Forse fin troppo esuberante. A tratti l’avrei definita perfino invadente. E, forse sbaglierò, ma mi sembra anche piuttosto viziata.»
 
Megan si voltò a guardarlo a bocca aperta: forse il giovane Lord si stava solo prendendo gioco di lei.
 
«Perdonatemi se vi ho offesa, ma vi ricordo che siete stata voi a darmi il permesso di essere sincero. Purtroppo non posso dire che vostra cugina mi abbia fatto una buona impressione, tutt’altro.»
 
Julian sembrava pronto a rincarare la dose e Megan si rese conto che doveva essere proprio convinto della propria opinione. Senza volerlo, la dottoressa scoppiò a ridere.
 
«Ma come, Lord, non sei rimasto affascinato dalla sua parlantina sciolta? Non ti ha fatto desiderare di inginocchiarti ai suoi piedi, quando ti guardava facendoti gli occhi dolci?», lo provocò.
 
Il giovane stirò pigramente le labbra in un sorriso ironico.
 
«Vi prendete gioco di me, lady Linnett? C’è stato perfino un momento, mentre mi si aggrappava addosso quasi che volesse staccarmi un braccio, in cui mi è balenato in mente il sospetto che me l’aveste messa di proposito alle calcagna.»
 
Megan sghignazzò, riuscendo però a ricomporsi subito dopo: evidentemente Julian si riferiva alla lezione che gli aveva impartito l’anno precedente.
 
«Se stai di nuovo pensando a quell’infermiera, sappi che sei fuori strada. Mia cugina ha fatto tutto da sola.»
 
«Devo riconoscere, allora, che è anche una ragazza intraprendente. Una dote che potrebbe tornarle molto utile in futuro», sogghignò il giovane con un cenno di assenso. «Forse il suo anno da matricola potrebbe essere meno difficile del previsto»
 
«State insinuando che mia cugina potrebbe…»
 
Il passaggio al tono freddo e formale con cui si era espressa Megan sarebbe stato un chiaro segnale di allarme per chiunque, ma Julian si limitò ad alzare le mani per arginare quella reazione irritata: si era reso conto di come avrebbero potuto essere interpretate le sue parole e voleva rimediare all’equivoco.
 
«… tenere una condotta disonorevole per sé e per la propria famiglia? No, Milady, non avevo intenzione di insinuare niente del genere. Dovete ammettere, però, che vostra cugina sembra avere un talento naturale per manipolare le persone. Sono sempre tutti attenti a concederle quello che desidera prima ancora che lei chieda qualcosa. A parte i vostri genitori, che sembrano del tutto immuni al suo fascino»
 
«Come avete rilevato poco fa, Onorabile Julian, io e mia cugina siamo profondamente diverse, soprattutto grazie all’educazione che abbiamo ricevuto. Io non ho tempo da perdere con le sciocchezze a cui Jane sembra tanto interessata. E vi prego di non sollevare più la questione». L’attenzione di Julian sembrava essersi focalizzata su quel confronto e, nonostante lei ne stesse uscendo vincitrice, la indispettiva rendersi conto del fastidio che provava ogni volta che il suo accompagnatore pronunciava il nome di Jane.    

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Capitolo 3
*** Sul Ghiaccio ***


«Come preferite, Milady», concesse il ragazzo tranquillamente, prima di tornare a sedersi al posto che aveva occupato appena partiti. Nella carrozza cadde un pesante silenzio.
In principio Megan ne fu felice e decise di fingere di addormentarsi per evitare che Lord decidesse di rimettersi a parlare. Mentre si congratulava con se stessa per quello stratagemma, però, cominciò ad avvertire la sgradevole sensazione di essere osservata. Aprì un occhio ed ebbe immediatamente la conferma del suo sospetto: un paio di caldi occhi scuri la stavano studiando con attenzione. Le venne una gran voglia di insultarlo.
 
«Maledizione, Lord!», sbottò irritata. «Hai una vaga idea di quanto sia fastidioso essere fissati in quel modo mentre si dorme?»
 
Il giovane si passò una mano sul volto con un’espressione forzatamente seria; in realtà si capiva benissimo che stava facendo di tutto per non ridere.
«Mi dispiace, Milady», riuscì a dire dopo aver ripreso il controllo, «Non ne avevo idea. Non mi pare mi sia mai capitato di essere fissato mentre dormo.»
 
Quello che avrebbe voluto dirle era che, se fosse stata lei a fissarlo, sarebbe stato felicissimo di svegliarsi trovandosi davanti quegli occhi meravigliosi. L’avevano colpito fin dalla prima volta in cui aveva visto Megan: la notte di Ognissanti del suo primo anno, quando lui, Jordan e Sophia si erano visti rifilare una punizione esemplare per aver violato il coprifuoco imposto alle matricole, mettendo sé stessi in grave pericolo. Gli avevano sempre dato dell’illuso, eppure ora era lì, con lei, e non poteva fare a meno di pensare che, forse, la sua situazione era meno disperata di quanto potesse apparire. Certo, qualcuno avrebbe potuto obiettare che Megan non sembrava poi così felice di quella scampagnata, ma a Julian non importava.
 
«Siete proprio sicura di sentirvi bene? Perché altrimenti…»
 
«Un’alta parola, Lord», lo interruppe minacciosa «E, te lo giuro, sarai tu quello che non si sentirà bene. Io sto benissimo»
 
Inaspettatamente Julian si spostò accanto a lei. Megan si ritrasse, sentendosi in trappola.
 
«Ho l’impressione che non sia del tutto vero», insistette con gentilezza.
 
«Tieni le distanze, Lord», gli intimò seccamente.
 
Obbedendo senza protestare, il ragazzo tornò al suo posto. Si voltò verso il finestrino, fingendo di guardare il paesaggio mentre, in realtà, poteva spiare le reazioni di Megan nel riflesso del vetro.
 
«La mia intenzione era di regalarvi una giornata di svago. Qualche ora di libertà dagli impegni dello studio, del lavoro… e dalla vostra famiglia. Avete bisogno di riposarvi, non negatelo».
Ripensò a come era crollata addormentata appoggiandosi alla sua spalla durante la Messa di Natale. Sospirò.
 
«Se preferite, poco più avanti, c’è una locanda: potete passare la giornata lì»
 
Megan era più che sorpresa, era sicura di avere frainteso. Fece quasi fatica a formulare la domanda che aveva in mente.
 
«Non credo di aver capito. Stai dicendo che mi lasceresti lì da sola?»
 
«Dubito che vorreste la mia compagnia», le rispose girandosi per guardarla sfacciatamente negli occhi. «Tornerei a prendervi all’ora che preferite».
 
«E tu? Cosa farai?» Non che le importasse, ma la domanda le uscì spontanea occhieggiando la sacca in cui erano riposte due paia di pattini.
 
Julian scrollò le spalle
 
«Andrò a pattinare da solo, immagino»
 
Lo sbuffo sonoro di Megan espresse con chiarezza il suo scetticismo: di sicuro quel ragazzo aveva un piano di riserva, nel caso lei avesse deciso di non seguirlo. Era più che certa che non avrebbe passato la giornata “da solo”…
 
«Milady, vorrei solo vedervi più tranquilla e rilassata. Se questo significa, per me, dover rinunciare alla vostra compagnia, non ha importanza», ammise parlando con trasporto. Più di quanto avesse voluto, sicuramente più di quanto fosse opportuno.
Megan si sentì a disagio per quel tono. Per un istante si rese conto che il fatto il giovane fosse sempre meno presente, la destabilizzava. Lo vedeva raramente intrufolarsi alle sue lezioni, e ancor più raramente lo trovava ad aspettarla fuori dall’ospedale alla fine dei suoi turni. Chissà cosa stava combinando.
 
«Verrò a pattinare con te ma, ti prego, risparmiami questi atteggiamenti da martire».
 
«Ma  certo, vedo che preferite essere voi ad interpretare quel ruolo», le disse amaramente.
Julian chiuse gli occhi: non era riuscito ad impedirsi di pronunciare quelle parole e se ne era pentito prima ancora di finire di parlare. Era stato uno stupido a farle capire che voleva solo farla stare bene, ed era stato ancora più stupido a rovinare tutto con la sua ultima, infelice uscita. Aveva firmato la propria condanna, senza dubbio. Si sentiva perfino peggio di quando l’aveva quasi baciata.
 
Megan era impallidita quindi era diventata paonazza per la rabbia. Aveva inspirato a fondo più volte per cercare di calmarsi: come si era permesso di essere tanto irrispettoso? Come aveva potuto farle un’osservazione del genere? Il suo affronto era di una gravità inaudita. La cosa che più le dava fastidio, però, era il dover ammettere con se stessa che Julian, in fondo, non aveva avuto tutti i torti nel rivolgerle quel rimprovero.
 
«Per il vostro bene, Onorabile Julian», gli comunicò con freddezza, «fingerò che non abbiate mai pronunciato quell’insulto che vi è appena rotolato fuori di bocca»
 
«Vi ringrazio, Milady e vi chiedo umilmente perdono», era sinceramente dispiaciuto e si augurava che Megan se ne rendesse conto. Non gli era sfuggito il distacco con cui gli si era rivolta, reso ancora più evidente dai termini formali che aveva scelto per esprimersi.
 
«Non sarò altrettanto indulgente una seconda volta. Tenetelo a mente», Megan accompagnò il monito con un’occhiata assassina a cui Julian rispose con un cenno di assenso.
La giovane distolse lo sguardo, fissandolo sul paesaggio che scorreva fuori dai vetri, più che decisa ad ignorare il Cavaliere per il resto del viaggio.
Anche il ragazzo cominciò a guardare fuori, la mente persa in chissà quali pensieri.
Poco dopo si arrischiò a sbirciare la sua compagna di viaggio: la vide intenta a giocherellare con il ciondolo che portava al collo, il fiocco di neve che lui stesso le aveva donato.
Finse di non aver notato quel gesto distratto e abituale, sorrise tra sé, e tornò a concentrarsi sul paesaggio.
 
***
 
La vettura si fermò, interrompendo le cupe considerazioni di Megan che non era ancora riuscita a decidere se sarebbe stato peggio passare la giornata con la propria famiglia o se fosse peggio passarla in compagnia di Lord.
La giovane fece scivolare il ciondolo nella scollatura e si accinse a scendere, ignorando ostentatamente Julian che, fuori dalla carrozza, le porgeva la mano per aiutarla. Megan si lasciò cadere dal predellino atterrando sul-la neve soffice; a fatica si trattenne dall’impulso infantile di mettersi a ridere e giocare per l’euforia che le procurava il paesaggio imbiancato. Si guardò intorno a bocca aperta: davanti a loro si stendeva un lago, più grande di quanto immaginasse, sulla cui superficie completamente indurita si potevano scorgere, in alcuni punti, i segni lasciati dalle lame di molti pattini; vicino alla riva alcuni rami spogli di un salice piangente erano rimasti intrappolati nella gelida morsa del ghiaccio. Il pallido sole invernale faceva risplendere alcune gocce cristallizzate sui quei rami come piccole gemme luminose creando qua e là sulla neve minuscoli arcobaleni evanescenti. Intorno al lago si estendeva un bosco di abeti molto alti, anch’essi carichi di neve che di tanto in tanto cadeva producendo un tonfo ovattato.
Tutto quel bianco faceva quasi male agli occhi, ma a Megan non importava: le piaceva quel paesaggio freddo, morbido e silenzioso. C’era solo una cosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
 
«Non è bello quanto Aldenor, ma ci si avvicina abbastanza».
 
La voce quasi trasognata di Julian la convinse che quell’unica cosa a cui avrebbe rinunciato con gioia era, senza ombra di dubbio, proprio il suo accompagnatore. Lo osservò mentre si guardava in giro e respirava l’aria gelida a pieni polmoni e un’espressione di pura gioia gli si disegnava sul volto. Era già pronta a respingere qualunque suo tentativo di attaccare discorso, ma il ragazzo le passò accanto fischiettando, la sacca con i pattini buttata su una spalla, in cerca di un posto comodo dove sedersi per indossarli.
Strano che non le avesse chiesto niente, ancora più strano che non le avesse offerto il braccio. Non che avesse intenzione di accettare alcunché da lui, ma l’improvviso disinteresse di Julian nei suoi confronti la infastidiva abbastanza. D’altra parte, cosa ci si poteva aspettare da un maschio? Erano tutti inutili idioti.
 
«Lady Linnett!», il richiamo la distolse dalle sue riflessioni. Alzò lo sguardo individuando Julian che aveva trovato un tronco abbattuto che poteva essere usato come panca. Stava già togliendo i pattini dalla sacca e Megan lanciò un’occhiata diffidente alle lame affilate fissate sotto gli stivaletti. Si avvicinò, nascondendo la titubanza dietro un cipiglio seccato, le braccia conserte e il passo rigido.
Julian la guardava divertito.
 
«Siete pronta a cominciare?», le domandò provocatorio. «In caso contrario, potete ancora tirarvi indietro»
 
«Non ho intenzione di tirarmi indietro», affermò la dottoressa scandendo le parole con fermezza. Lord stava mettendo a dura prova la sua pazienza, facendole venire voglia di punzecchiarlo a sua volta.
«Sai cosa penso?», gli domandò con voce carezzevole, sedendosi e allungando un piede verso di lui, un chiaro invito a rendersi utile che il giovane fu pronto a cogliere inginocchiandosi davanti a lei e cominciando a scioglierle i lacci degli stivali.
 
«Cosa Milady?», le chiese cercando di non pensare a quello che lei gli stava lasciando fare.
 
«Penso che continui a farmi questa domanda perché non hai nessuna voglia di insegnarmi, o forse non ti senti all’altezza della situazione, e speri di farmi cambiare idea»
Il Cavaliere si bloccò, punto sul vivo. Finì di allacciare i pattini a Megan brontolando qualcosa di incomprensibile, suscitando in lei non poca soddisfazione nel vederlo così contrariato.
 
«Non credo di avere capito, Lord», richiamò provocatoriamente la sua attenzione. «Ti spiacerebbe ripetere a voce più alta?»
 
Stavolta fu il turno di Julian di provocarla.
«Dicevo, Milady», esordì con un sorriso malizioso, «che se mi starete molto vicina, potrei insegnarvi davvero molte cose».
La dottoressa gli rivolse uno sguardo freddo, poi si spinse gli occhiali sul naso e, mormorando insulti e maledizioni come se stesse dicendo un rosario, cercò di mettersi in equilibrio per raggiungere il ghiaccio.
Aveva mosso solo un paio di passi incerti e già le era venuta voglia di lasciar perdere tutto: era difficile stare in piedi con addosso quei maledetti pattini, usarli per scivolare sul ghiaccio era impensabile, almeno per lei. Per fortuna, una piccola ma solida staccionata che costeggiava la riva, le fornì un appiglio; vi si aggrappò e, con molta cautela, raggiunse lo specchio d’acqua. Julian la stava già aspettando (era stato veloce lui o lei aveva impiegato un’eternità per coprire quei pochi metri che separavano il tronco su cui si era seduta dal lago?); il fatto che avesse la decenza di non fare commenti, non riusciva comunque a mitigare il fastidio provocato in lei dalla sua espressione ilare.
Ancora saldamente aggrappata al suo appiglio, e decisa a rimanere così il più a lungo possibile, si sentì prendere per mano, mentre un braccio le circondava la vita.
 
«Andiamo. Non è più difficile che imparare a danzare»
Quel gesto irritò Megan che, con un movimento brusco, tentò di liberarsi riuscendo soltanto a ritrovarsi ancora più avvinghiata a Julian per evitare una rovinosa caduta.
 
«Dannazione, Lord!», imprecò.
Il giovane si staccò con cautela da lei, lasciandola libera di muoversi. La dottoressa non aveva idea di cosa fare o di come muoversi: quei dannati pattini le facevano venire i sudori freddi con le loro lame taglienti, ed era sicura che sarebbe caduta, facendosi molto male.
Julian stava cercando di trattenere le risate e lei lo fulminò con un’occhiataccia. Nel farlo, però, doveva essersi mossa in modo sbagliato, perché perse l’ equilibrio; fortunatamente si sentì afferrare poco prima di cadere rovinosamente. Quel salvataggio fu accompagnato da una risata sommessa.
«Cominciamo bene», borbottò Megan, ancora meno convinta di voler fare quell’esperienza.
 
***
 
«Forse sarebbe meglio fare una pausa».
 
Pattinando all’indietro, Julian si affiancò alla dottoressa.
 
«E poi vi ho detto che dovete guardare davanti a voi, non in basso».
 
Megan sbuffò, frustrata: era tesa, stanca morta - ma non lo avrebbe mai ammesso - le facevano male le gambe – e il fondoschiena, dal momento che aveva imposto al suo giovane insegnante di non aiutarla, cambiando idea dopo un paio di dolorose cadute -  e aveva talmente tanta fame che avrebbe mangiato qualunque cosa le avessero presentato su un piatto.
 
«Sei seccante, lo sai?», ringhiò stizzita al suo indirizzo. «Continui a girarmi intorno, pavoneggiandoti nel mostrarmi quanto sei bravo, mi dai fastidio e io non riesco ad imparare niente!»
Il tono di voce della ragazza si era alzato sempre di più, inducendo alcune persone che pattinavano poco lontano, ad occhieggiare incuriositi verso di loro.
 
«Non mi pavoneggio!», protestò Julian incrociando le braccia con disappunto.
 
«E poi non è vero che non riuscite ad imparare: considerando che è la vostra prima volta, state andando piuttosto bene», aggiunse incoraggiante.
Megan lo guardò, poco convinta. Le sembrava di essere arrivata al limite delle forze, mentre il ragazzo di fronte a lei appariva tranquillo e rilassato, come se non avesse passato la mattina a ripeterle decine e decine di volte istruzioni che le aveva già dato; lei era ben consapevole di quanto fosse impegnativo non spazientirsi in casi del genere, dal momento che con gli idioti che le venivano affidati in ospedale faticava a mantenere la calma.
 
Se fosse stata una di quelle sciocche che sospiravano al suo passaggio, si sarebbe già arresa e gli avrebbe chiesto di aiutarla a tornare indietro per andare a pranzo. Lui ne sarebbe stato felice, le avrebbe preso una mano e circondato la vita con un braccio, come era successo prima, poi l’avrebbe portata fino alla riva. L’avrebbe aiutata a sedersi e a togliere quei dannatissimi strumenti di tortura che aveva ai piedi, quindi sarebbero andati a rifocillarsi in una locanda nei paraggi, dove lui avrebbe sorriso - in quel modo apparentemente irresistibile - ad una cameriera che gli avrebbe sorriso a sua volta servendogli portate molto generose…
 
«Onorabile Megan?»
 
La voce di Julian la riscosse, richiamandola all’attenzione. Megan si passò una mano guantata sul viso: da dove le erano venuti quei pensieri di poco prima? Doveva essere davvero stanca.
 
«E va bene, Lord», si arrese «Forse è meglio interrompere e cercare un posto in cui pranzare».
 
«Fantastico!», approvò il ragazzo sorridendo. «Ho proprio una fame da lupi!»
 
«Ma non mi dire!», lo apostrofò ironicamente a bassa voce, provocando la reazione divertita di Julian.
«Andiamo!», la invitò ridendo. «Posso offrirvi il braccio? Solo se siete stanca, ovviamente»
 
«Ovviamente non sono stanca», gli rispose sbuffando con sufficienza e inchiodandolo con un’occhiataccia.
Non appena si voltò e si rese conto di quanto si fossero allontanati dal loro punto di partenza, cominciò a pensare di essere stata precipitosa nel rifiutare l’offerta del Cavaliere.
Inspirò a fondo.
Julian era accanto a lei e le stava porgendo il braccio con la sua abituale galanteria.
Senza nemmeno guardarlo gli rifilò una debole gomitata, rischiando di cadere per l’ennesima volta; quindi, soddisfatta per essere riuscita a mantenere l’equilibrio, cominciò ad avviarsi con cautela verso il salice piangente che segnalava la sua meta.
Cercò di ignorare la risata alle sue spalle e si concentrò per poter oltrepassare senza danni un gruppo piuttosto nutrito di pattinatori esperti: il pensiero di doversi avvicinare la innervosiva, dal momento che alcuni di loro sembravano estremamente disinvolti – per non dire spericolati.
Sperava ancora di poter tranquillamente passare inosservata, quando una ragazzina si staccò dal gruppo, sfrecciando rapida verso di lei e tagliandole la strada. Megan sarebbe certamente caduta se Julian non l’avesse afferrata da dietro tenendola saldamente. La giovane lasciò andare un sospiro di sollievo mentre si appoggiava al petto del ragazzo.
La ragazzina che l’aveva spaventata, nel frattempo, stava dimostrando una perizia che lasciò Megan a bocca aperta: la piccola si muoveva con grazia, i pattini che scavavano delicati arabeschi nel ghiaccio. All’improvviso si slanciò verso l’alto, piroettando in aria, per poi ricadere con fluida precisione, in una perfetta esibizione di equilibrio e controllo.
Alle sue spalle Julian fischiò, lanciando in aria il pugno in segno di approvazione. La ragazzina si voltò sorridendo e si esibì in un delizioso inchino.
 
«Bravissima!», esclamò entusiasta. «Bravissima come sempre, Elsie!»
 
Megan stava ancora cercando di capire come Julian potesse conoscere quella piccola sconsiderata, quando un richiamo irritato li raggiunse.
 
«Elsie!», tuonò una voce decisamente tesa e arrabbiata. «Quante volte ti ho detto che devi fare attenzione agli altri? Non ci sei solo tu, su questa pista!»
 
A Megan sembrava anche una voce nota. Tenendosi istintivamente aggrappata a Julian si arrischiò a sbirciare dietro di loro: si trovò faccia a faccia con qualcuno che conosceva molto bene.
 
«Ciao Julian!», salutò la nuova arrivata che sembrava stupita di vedere il giovane. «Onorabile Megan! Che sorpresa!».
La dottoressa desiderò che il ghiaccio si aprisse sotto di lei, facendola inghiottire dalle gelide acque sottostanti: davanti a lei, Annabel Leigh le sorrideva amichevole, come faceva ogni giorno quando si incontravano in ospedale. Annabel si era laureata l’anno prima entrando ufficialmente in servizio alla Misericordia dove si occupava soprattutto dei bambini e i suoi piccoli pazienti la adoravano.
Quel giorno i suoi lunghi capelli castani erano raccolti in una treccia elaborata da cui era sfuggita qualche ciocca. Il volto pallido dai tratti delicati era arrossato sulla punta del naso e sulle guance a causa del freddo e del movimento; l’aria pungente aveva reso i suoi occhi lucidi e brillanti. Anche così in disordine, però, appariva bellissima, notò Megan con un lieve disappunto.
 
«Spero che mia sorella non ti abbia spaventata, a volte è un po’ irresponsabile. E imprudente».
 
Elsie si era avvicinata e le due sorelle avevano cominciato a scherzare e ridere. Julian si era unito a quel piccolo divertimento mentre lei si sentiva sempre peggio: Annabel l’aveva vista con Julian, quindi era molto probabile che, nel giro di pochi giorni, si sarebbero diffuse stupide chiacchiere e pettegolezzi in proposito. Non voleva pensarci.
Borbottò un saluto e si congedò rapidamente, poi con le gambe rese malferme dalla tensione, riprese a dirigersi vero la riva.
 
«Non dovresti lasciarla andare da sola: si vede che è inesperta, potrebbe essere pericoloso».
 
Il rimprovero pacato che Annabel rivolse a Julian raggiunse Megan, aggiungendo una certa dose di umiliazione al fastidio provocato dall’incontro imprevisto. E la colpa era solo di Lord e delle sue assurde idee: chissà perché finiva sempre con il dargli retta.
Doveva andarsene.
Cercò di mettere in pratica tutti i suggerimenti che il ragazzo le aveva dato durante la mattinata e smise di guardare in continuazione i suoi piedi, facendo più affidamento sull’istinto. Dopo qualche ultimo momento di incertezza che le servì per assestare l’equilibrio, si rese conto con sua estrema meraviglia e profondo orgoglio, di essere riuscita ad aumentare l’andatura.
 
***
 
«Mi sembra molto sicura. Hai fatto un buon lavoro, a quanto pare», si complimentò Annabel osservando Megan.
 
«Sta andando troppo veloce», realizzò Julian trattenendo il fiato con apprensione.
 
«Le hai insegnato come rallentare e fermarsi, vero?», si informò l’altra senza staccare gli occhi da Megan. Quando il suo sguardo si posò su Julian, notò la sua espressione tesa e le sfuggì un gemito disperato.
«Ti prego», lo implorò, «dimmi che le hai almeno insegnato la teoria».
 
Il Cavaliere scosse la testa.
 
«Come se fosse facile insegnarle qualcosa!», si concesse uno sfogo a denti stretti. «Non ascolta e non collabora. Non ho avuto modo di… Oh, dannazione! Vado da lei»
 
Si lanciò all’inseguimento di Megan, dandosi dell’idiota per non averle dato indicazioni indispensabili: ora lei aveva quasi raggiunto la riva, era troppo veloce, mentre lui era ancora decisamente troppo lontano.
La vide inciampare e allargare le braccia, roteandole nel disperato tentativo di mantenere un equilibrio irrimediabilmente perso.
Gridò il suo nome mentre la guardava cadere all’indietro senza poter fare niente per evitarlo.  
                

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Capitolo 4
*** Amorevoli cure. ***


Freddo.
Sentiva freddo, e voci concitate intorno a sé.
Era confusa, non sapeva cosa stesse succedendo e avrebbe solo voluto un po’ di silenzio per poter riflettere e ricordare. Dal momento che non sembrava esserci modo di avere più tranquillità, Megan decise di fare uno sforzo per disperdere la nebbia che le avvolgeva i pensieri.
 
Stava pattinando. Con Lord. E poi?
 
Era tutto così confuso… ricordava che voleva solo andarsene e tornare a casa in fretta.
Il caos intorno a lei era insopportabile; forse uno dei suoi famosi fischi avrebbe riportato la calma: in ospedale funzionava sempre.
 
«State lontani, vi ho detto! Sono un medico».
 
Megan si rese conto di conoscere quella voce: Annabel! Era a causa sua che si era allontanata precipitosamente.
 
Perché le era sembrata così in confidenza con Julian... no, assurdo, non poteva essere per quel motivo.
Perché era sicura che l’intero Studium avrebbe scoperto che era uscita con Lord, e lei detestava quel genere di pettegolezzi…
 
«Si sta congelando», sentì protestare. Qualcosa di caldo, con un profumo familiare, le venne appoggiato addosso, facendola sentire meglio.
Si prese un momento per ripensare all’accaduto mentre si prendevano cura di lei.
 
Ricordò la riva davanti a sé, mentre pattinava a velocità sostenuta.
Ricordò di essersi sentita fiera per quanto fosse riuscita ad imparare in così poco tempo, giusto un istante prima di realizzare che non aveva assolutamente idea di come fare per fermarsi.
All’improvviso le cose avevano assunto una strana prospettiva: le era sembrato di spiccare il volo, poi si era ritrovata a contemplare la punta dei suoi pattini che si stagliava contro il cielo pallido. Infine un dolore alla testa e il buio completo.
 
«Julian, smetti di agitarti e lasciami finire».
 
La voce di Annabel ebbe effetto anche su Megan. La giovane cercò di recuperare abbastanza lucidità in modo da poter ordinare a se stessa di reagire e rassicurare la collega sulle proprie condizioni di salute così, forse, l’avrebbero finalmente lasciata in pace.
Mosse la testa e fu come se uno spettacolo pirotecnico le stesse esplodendo dietro le palpebre serrate, dipingendo il dolore lancinante con tinte luminose e vivaci.
Un lamento soffocato le sfuggì dalle labbra, mentre qualcuno le stringeva la mano. Quella stretta, decisa e premurosa, la rassicurò, nonostante considerasse l’autore di quel gesto l’artefice del suo incidente.
 
«Va tutto bene, Megan», la tranquillizzò Annabel, «Non c’è niente di rotto, sei ancora tutta intera», proseguì evidentemente sollevata.
 
«Julian, sei in grado di portarla fino alla carrozza?»
 
Non ci fu alcuna risposta a quella domanda, ma Megan si sentì sollevare con molta delicatezza. Nonostante questo, l’intenso dolore alla testa e il disorientamento provocato dal cambiamento di posizione, le causarono un forte attacco di nausea.
Si portò una mano alla bocca e le braccia che la sostenevano si irrigidirono immediatamente.
 
«Spero abbiate la cortesia di avvisarmi se decideste di dare di stomaco», bofonchiò Julian teso, risvegliando in lei il ricordo di una notte d’estate sulla riva del fiume che attraversa la Vecchia Capitale: lei aveva bevuto troppo, durante una festa e si sentiva piuttosto frastornata e confusa. Julian l’aveva letteralmente raccolta da terra e le era rimasto accanto, l’aveva accompagnata in Collegio e poi… poi cercava sempre di non pensare a come fosse finita quella serata.
 
«Jules», lo ammonì in un sussurro, «Sei un idiota».
 
Appoggiata contro il suo petto, la giovane sentì il battito del ragazzo accelerare leggermente in risposta alle sue parole. Una lieve risata le riecheggiò contro l’orecchio mentre le braccia che la sostenevano sembravano più rilassate.
Avvertì un evidente sollievo anche nella voce del cavaliere quando, chinandosi su di lei, replicò a bassa voce.
 
«Sono davvero felice di sentirtelo dire, Milady».
 
Le sue labbra le avevano sfiorato leggermente la fronte, provocandole uno strano e piacevole brivido.
Borbottò un nuovo, colorito insulto all’indirizzo del giovane che rise un po’ più forte.
Esausta, Megan chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quel suono, dal ritmo dei passi di Julian e dal suo profumo ormai così familiare.
 
***
Il dolore alla testa era tornato forte e martellante al punto da essere insopportabile.
Megan si agitò, mentre il sonno in cui era sprofondata si trasformava, poco a poco, in dormiveglia.
Percepì una presenza silenziosa al proprio fianco. Prese nota di fargliela pagare appena possibile perché la stava di nuovo fissando mentre dormiva.
Ancora indecisa se aprire gli occhi o meno, fu raggiunta dal suono di una risatina. Una risatina decisamente femminile.
Julian si voltò verso la direzione da cui proveniva quel suono e disse qualcosa a voce molto bassa, per poi allontanarsi da lei.
Continuò a chiacchierare sommessamente con la sua interlocutrice, che sembrava divertirsi molto.
Dal canto suo, Megan cominciava a sentirsi alquanto seccata e indispettita dall’atteggiamento di Lord: l’ave-va messa in una situazione imbarazzante, era stato la causa del suo incidente ed ora, mentre lei se ne stava ferita e dolorante in un letto sconosciuto, lui aveva la faccia tosta di fare l’idiota con una ragazza. In sua presenza, oltretutto!
 
«Allora, ti piace?», domandò il giovane alla sua misteriosa compagna. Megan, irritata, artigliò le coperte.
 
«Altrochè!», squittì con entusiasmo una vocetta infantile.
 
Constatando che Julian stava parlando con una bambina, la dottoressa, suo malgrado, si rilassò.
 
«È bellissimo, questo disegno, grazie!».
 
Si udì un fruscio, il rumore di un bacio sulla guancia, la risata nervosa e imbarazzata del Cavaliere.
 
«Mi faresti vedere anche l’altro?»
 
Seguì un momento di silenzio, che a Megan parve interminabile, durante il quale le venne voglia di alzarsi per andare a vedere cosa diavolo stesse combinando Lord. Ricordò che Eloise le aveva accennato qualcosa, in proposito. Uno stupido pettegolezzo secondo cui Julian stava prendendo lezioni di disegno da qualcuno. Non che la cosa avesse importanza, in fondo: non le interessava assolutamente cosa facesse il giovane nel suo tempo libero.
 
«Oh, Julian! Che meraviglia, l’hai ritratta benissimo! È splendida!».
 
L’entusiasmo della ragazzina venne subito smorzato da Julian.
 
«Mi raccomando, Elsie: è un segreto. Non ne devi parlare né con lei né con nessun altro»
 
«Mi piacciono i segreti!», esclamò la ragazzina battendo le mani. Megan pensò che fosse insopportabilmente rumorosa.
 
«Prometto che sarò muta come un pesce».
 
«Bene. Ti ringrazio. Adesso vado a cercare tua sorella, nel frattempo posso affidarti Lady Linnett?»
 
Non appena Megan fu certa che Julian fosse uscito dalla stanza, decise di riaprire gli occhi.
Sobbalzò, trovandosi inaspettatamente di fronte il volto lentigginoso di Elsie.
 
«Siete sveglia!».
 
La ragazzina quasi gridò per la contentezza, provocando a Megan l’ennesima fitta dolorosa: la dottoressa eb-be l’impressione che la sua testa fosse sul punto aprirsi in due.
 
«Ti prego!», gemette massaggiandosi le tempie.
 
«Chiedo scusa», sussurrò subito l’altra, intimidita.
 
Seguì qualche momento di benedetto silenzio, che, se da una parte rese felicissima Megan, dell’altra sembrò stimolare la naturale irrequietezza di Elsie che cominciò ad agitarsi e sembrava aver perso la capacità di stare ferma.
 
«Mi dispiace per avervi distratta mentre stavate pattinando. Mia sorella voleva che mi scusassi con voi il prima possibile», esordì infine contrita, stropicciandosi le mani. «Come vi sentite? Ve lo chiedo perché poi vorrà saperlo».
 
«Non ti preoccupare», tagliò corto Megan nella speranza di liberarsi rapidamente di quella piccola seccatrice. «Parlerò io con tua sorella».
 
Sperava che la ragazzina non volesse giocare a fare l’infermiera, prendendosi cura di lei. Le tornò la nausea ma cercò di ricacciare indietro quella sensazione.
La risatina di Elsie risuonò lievemente tesa.
 
«Non mi riferivo a mia sorella. Parlavo di Julian», ammise candidamente, con un lieve sospiro trasognato. «Era tanto preoccupato e si è dimostrato così premuroso con voi»
Si lasciò sfuggire un altro sospiro, poi cominciò a parlare con aria ispirata, osservando il foglio che aveva tra le mani.
«Quando sarò più grande – ma non grande quanto voi – troverò anche io un fidanzato come Julian: gentile, divertente, attento, bello e forte. Perché di sicuro deve essere molto forte, visto che è riuscito a portarvi in braccio fino a…»
 
«Elsie!»,  la interruppe Annabel in tono autoritario. Non ebbe bisogno di aggiungere altro, perché la bambina si affrettò a lasciare la stanza mentre la sorella entrava, dimenticando perfino sul letto in cui era distesa Megan, il disegno che aveva gelosamente custodito fino a pochi istanti prima.
La dottoressa ribolliva di rabbia: quella piccola vipera le aveva appena fatto capire che la considerava vecchia, sovrappeso, e, soprattutto, fidanzata con Lord: un insulto peggiore dell’altro. Stringeva convulsamente le coperte per cercare di mantenere il controllo e non mettersi ad urlare contro quella piccola sciagurata, che probabilmente non si era nemmeno resa conto di quanto l’avesse offesa. Nonostante la mente annebbiata dalla rabbia, Megan riuscì ad accorgersi del disegno che le era stato abbandonato in grembo giusto un istante prima di cominciare a stropicciarlo come stava facendo con le coperte. 
Sorpresa di trovarsi quel foglio tra le mani, gli dedicò una veloce occhiata, trovandosi ad osservare un ritratto di Elsie. Non che si intendesse di arte, ma quello che stava guardando le sembrava un buon lavoro. Dunque era vero che prendeva lezioni. Non poté fare a meno di pensare che probabilmente doveva essere una donna a dargli lezioni. Una bella donna, visto l’impegno che il giovane sembrava riversare in quel nuovo passatempo.
 
«…stavo parlando con lei, poi all’improvviso è diventata pallida e tremava. Secondo me sta davvero molto male».
 
La voce di Elsie raggiunse le due dottoresse dal corridoio. Si scambiarono uno sguardo rapido, poi Megan alzò gli occhi al cielo e si coprì il volto con le mani mentre sprofondava fra i cuscini. Cosa aveva fatto di male?
 
«Forse le tue continue chiacchiere hanno stordito Lady Linnett», commentò Annabel ironica, «Sbaglio, o avevo detto di lasciarla tranquilla?», aggiunse con un velato rimprovero.
 
Sulla porta apparve Julian. Il Cavaliere aveva entrambe le mani occupate: da una parte teneva Elsie che lo stava letteralmente trascinando nella stanza, dall’altra aveva la borsa da medico della loro ospite che le porse immediatamente, ricevendo in cambio un sorriso colmo di gratitudine.
 
«Grazie, Lord. Ora uscite e lasciatemi lavorare»
 
«Perdonatemi solo un istante, Onorabile Annabel», tergiversò il giovane. «Ho dimenticato una cosa».
 
Entrò e si diresse verso la poltrona, seguito a ruota dalla bambina.
 
«Anche io ho dimenticato una cosa!», annunciò quest’ultima nel suo solito tono squillante. Corse verso Megan e le tolse di mano, senza troppi complimenti, il proprio ritratto, rimirandolo deliziata.
La dottoressa non fece caso a quell’irruenza perché era troppo occupata a controllare cosa stesse combinando Lord: il ragazzo aveva recuperato il blocco su cui stava disegnando e aveva strappato un foglio. Dopo averlo osservato brevemente, l’aveva piegato con cura e riposto in una tasca della giacca.
Quando aveva alzato la testa, aveva incontrato lo sguardo inquisitorio di Megan e aveva sostenuto quel-l’ennesimo, silenzioso confronto con la consueta tranquillità. Le aveva rivolto un cenno di saluto ed era uscito dalla stanza chiudendo la porta dietro di sé.
Lei era rimasta pensierosa a fissare la porta chiusa, facendosi vaghe domande sul soggetto di quel disegno: la curiosità la stava divorando, provocandole una sensazione davvero fastidiosa. Era giunta alla conclusione che si trattasse di un ritratto di Annabel. Forse tra lei e Lord c’era qualcosa; evidentemente al ragazzo non importava che l’altra fosse ad un passo dall’altare… Megan sbuffò: Julian era un vero idiota.  
Una mano posata sulla sua la fece sobbalzare. Si voltò verso Annabel che la stava scrutando intensamente.
 
«Come ti senti?», le domandò con la premura che contraddistingueva il suo modo di trattare i pazienti.
 
«Ho un trauma cranico», fu la diagnosi espressa in tono incolore da Megan. Annabel fece un cenno affermativo.
 
«Ho una leggera nausea e mi sento piuttosto assonnata».
 
«Come va la memoria? Ricordi cosa è successo?»
 
Megan accennò un sì con la testa, sperando che Annabel non insistesse per sapere il motivo della sua fuga, dal momento che non voleva ammettere nemmeno con se stessa di aver provato qualcosa di molto simile ad un attacco di gelosia. Si agitò, a disagio sotto lo sguardo indagatorio dell’altra.
 
«Megan?», cercò di attirare la sua sfuggente attenzione. «Se Julian ha fatto qualcosa di male, perché non gli hai semplicemente affibbiato una punizione? Che bisogno avevi di scappare in quel modo?»
 
La bionda sbuffò. Non voleva rispondere. Ma, pensandoci, non era forse vero che la colpa di quanto accaduto era solo di Lord? Dal suo punto di vista, lo era certamente.
 
«Mi ha fatto saltare i nervi», si decise a dire alla fine. «Volevo solo allontanarmi il più in fretta possibile»
 
Riflettendoci, non era poi così lontano dalla realtà.
 
«Credo che lo spedirò a dare una mano al vecchio Dominus Fenaretes», proseguì appoggiandosi sui cuscini più rilassata. Fu solo per un istante, dal momento che le si affacciò il ricordo di un’altra punizione, inflitta da poco, che sarebbe stata incompatibile con la sua decisione di spedire Julian alle camere mortuarie della Misericordia.
 
«O forse no. Questa settimana avrà già la Miller fra i piedi, quindi sarà già abbastanza infastidito da lei»
 
Annabel si lasciò sfuggire un verso angosciato.
 
«Gli hai spedito quel supplizio di ragazza? Cos’altro ha combinato? Io sono stata sul punto di suggerirle di cambiare il suo corso di studi ogni volta che ho avuto a che fare con lei!»
 
«Forse passare tanto tempo con Fenaretes le farà finalmente prendere questa decisione», rise Megan.
 
Annabel annuì e terminò finalmente di esaminare Megan.
 
«La buona notizia è che sembra sia tutto a posto. La cattiva… ecco, sai bene come bisogna agire, vero? Devi essere tenuta in osservazione per una notte e ogni quattro ore qualcuno deve svegliarti e controllare se sei reattiva e se sei in grado di rispondere a delle semplici domande».
 
«Non credo sia necessario, sto benissimo», tagliò corto Megan.
 
«Volevo avvisare subito la tua famiglia dell’incidente», le confessò Annabel. «Lord mi ha convinta ad aspettare».
 
«Ovviamente. C’era da aspettarsi che avrebbe fatto di tutto per tenere nascosto il fatto, dal momento che è stata tutta colpa sua», replicò convinta.
 
«Megan!», sbottò spazientita l’altra, alzando gli occhi al cielo. «Ha semplicemente detto che avresti dovuto essere tu a prendere questa decisione. Non ha cercato di tenere nascosto nulla. Non che abbia qualcosa da nascondere, comunque».  
 
«Voglio tornare a casa», Megan era stanca di tutte quelle chiacchiere: voleva solo andare a rinchiudersi in camera sua e dormire. Chiuse gli occhi e si distese.
 
«Prima riposa», suggerì Annabel prendendo la sua borsa e avviandosi verso la porta. «Sarai affamata. Ti farò portare qualcosa di leggero da mangiare, non appena ti sarai svegliata».
 
Megan chiuse gli occhi e si riaddormentò.
 
***
 
Non aveva idea di quanto avesse dormito.
Socchiuse gli occhi e vide Julian, lo sguardo perso fuori dalla finestra, in direzione del lago. Teneva una mano nella tasca in cui aveva riposto il disegno.
Rimase ad osservarlo in silenzio, dal momento che non voleva essere trasformata nell’oggetto delle sue at-tenzioni, ma fu una precauzione inutile: il giovane si voltò e, vedendola sveglia, le sorrise.
 
«Avete dormito bene, Milady?»
 
«Vai al diavolo», ringhiò lei.
 
«A quanto pare state decisamente meglio», affermò il Cavaliere portando una sedia vicino al letto e accomo-dandosi accanto a lei. 
 
«Annabel non ti ha detto che ho bisogno di stare tranquilla?»
 
Julian sorrise, scaltro.
 
«Mi ha anche detto che probabilmente avreste avuto bisogno di mangiare qualcosa».
 
Megan incrociò le braccia, contrariata.
 
«Vi procuro tè e biscotti», continuò Julian, lasciandola sola e sorpresa per quel comportamento.
Approfittò di quel momento di pace per alzarsi: non aveva intenzione di stare a letto come se fosse malata.
Andò a sedersi ad un tavolino vicino alla poltrona su cui Julian era seduto a disegnare. C’era ancora il blocco che il ragazzo aveva usato e Megan lo prese, cominciando a sfogliarlo senza particolare interesse.
C’erano alcuni scorci della Vecchia Capitale: una locanda in cui doveva appena essersi verificata una rissa, un vicolo dall’aspetto sinistro, l’ospedale, il borgo di Altieres, la riva del fiume, la biblioteca… man mano che girava le pagine avvertiva una strana sensazione; aveva come l’impressione che quei soggetti, in quella precisa sequenza, potessero dirle qualcosa. Quello che era raffigurato nell’ultima pagina le diede un senso di nausea e le fece capire a cosa fosse dovuta quell’impressione di familiarità che aveva provato.
Tornò al primo disegno: era la sala della Locanda della Luna Piena. Sullo sfondo, tra tavoli e sedie ribaltati, c’era un gruppo di quattro studenti, due ragazzi e due ragazze. Uno dei ragazzi teneva fra le braccia una ragazza, sorreggendola come se le avesse appena evitato una caduta.
Ricordava quella sera: aveva appuntamento con Eloise, poi Julian e Jordan si erano aggregati e a causa di una lite fra ubriachi non erano neppure riusciti a cenare.
Poi il Canale dei Fraticelli, dove era stata chiamata per un’emergenza e si era trovata scortata da Julian.
La villa in cui il giovane Cavaliere aveva allestito il pic-nic per lei. Forse nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere un incontro romantico, invece si erano ritrovati a passare il pomeriggio in compagnia di Sophia e Gabriel.
Il fiume, la notte delle stelle cadenti, la notte in cui si era quasi ubriacata e poi… passò direttamente all’ultima pagina, saltando le altre che aveva già guardato prima: lì, in fondo, c’era qualcosa che gli aveva chiesto di fingere non fosse successo.
Due persone con la parte superiore del volto in ombra. Quello che si notava erano le loro labbra, appena socchiuse e appena separatesi dopo un bacio. Con la punta del dito sfiorò quello spazio vuoto, poi seguì il contorno delle labbra del ragazzo.
Sconvolta, si portò la mano davanti alla bocca.
 
«Lord, sei morto», sibilò furiosa, domandandosi se qualcuno, oltre a lei, avesse visto quei disegni. Doveva stare tranquilla e pensare ad una punizione esemplare.              
 
Pochi minuti più tardi, un bussare discreto annunciò l’arrivo di qualcuno.
 
«Avanti», rispose con voce ferma, sperando che fosse una delle cameriere con il suo tè. Quando la porta si aprì, non poté evitare di alzare gli occhi al cielo.
 
«Credevo avessero del personale di servizio in questa casa», commentò sarcastica mentre Lord entrava reggendo un grande vassoio con la merenda che le aveva promesso.
 
Il giovane si era limitato a rivolgerle uno dei suoi soliti sorrisi e una scrollata di spalle.
«Non volevo perdermi l’occasione di servirvi, Milady»
 
La dottoressa preferì tacere, per non dare corda a quell’impertinente. Rimase a guardarlo in silenzio, mentre le metteva davanti la tazza e le preparava il filtro con il tè. Il giovane riempì anche una tazza per se stesso, quindi sistemò in mezzo al tavolo un paio di piattini con un piccolo assortimento di dolci.
Il profumo si diffuse nell’aria e Megan si rese conto, in quel momento, di essere davvero affamata.
Immerse il filtro nell’acqua bollente e rimase ad osservarla mentre si tingeva di un colore dorato.
Julian, nel frattempo, si era reso conto che il suo prezioso album non era più dove ricordava di averlo la-sciato e si guardava in giro, cercandolo.
 
«Hai perso qualcosa?», gli domandò Megan, in un tono che lo indusse ad alzare lo sguardo verso di lei: stava sventolando l’album, tenendolo per un angolo.
La sua espressione non prometteva niente di buono.
 
«Posso riaverlo?», domandò tendendo una mano verso di lei.
 
Avrebbe preferito gettarlo nel fuoco, piuttosto che ridarlo a lui, tuttavia, senza aggiungere una parola, glielo porse.
 
«Cos’è quella roba?», gli chiese non appena il blocco sparì dalla sua vista.
 
«Solo scarabocchi che faccio durante i miei pochi momenti liberi»
 
Megan era furiosa. Chissà in quanti avevano visto quei disegni… chissà se qualcuno aveva intuito. Ripensò al disegno del bacio e si sentì male di nuovo. Non doveva pensarci.
 
«Ma certo. Come prima, quando io me ne stavo priva di sensi in un letto e tu passavi tranquillamente il tuo tempo chiacchierando, ridendo e facendo di tutto per tenere nascosto il mio incidente», ribatté irritata mentre faceva cadere un paio di cucchiaini di zucchero nella sua tazza.
Julian seguiva con attenzione i suoi movimenti.
 
«Forse avreste preferito trovarmi accanto a voi, svegliandovi?», la provocò. «Magari con la vostra mano fra le mie e un’espressione preoccupata in volto?»
 
«Oh, scommetto che ti piacerebbe!», rispose inviperita, accantonando il fatto che, in effetti, si era stupita che non si fosse comportato esattamente in quel modo. Non le era sfuggito che lui la stava ancora fissando. Era molto serio, teso, e non aveva ancora toccato cibo.
Mentre portava la tazza alle labbra, le venne un terribile sospetto.
 
«Hai messo qualcosa nel mio tè?».
 
Julian impallidì, sbarrando gli occhi.
 
«Che cosa?», boccheggiò incredulo. «Non posso credere che me lo abbiate chiesto davvero»
 
«Questa potrebbe essere l’occasione ideale per rifilarmi un filtro d’amore», continuò spietatamente lei.
 
Il giovane si rabbuiò e distolse lo sguardo scuotendo la testa. Sembrava dispiaciuto, ferito da quel sospetto, ma a Megan non importava: probabilmente gli dispiaceva solo di essere stato scoperto.
 
«Ma che razza di persona credete che sia?», le chiese infine, gelido.
 
La dottoressa si rese conto di averlo fatto arrabbiare, ma questo rafforzò ancora di più la convinzione che il motivo fosse l’essere stato smascherato.
 
«I ragazzi giovani fanno cose stupide», replicò lapidaria. «Soprattutto quando sono innamorati».
 
«Questa insinuazione non merita una risposta», affermò il giovane, alzandosi e rimettendo a posto la sedia.
 
Senza aggiungere altro uscì dalla stanza.
La porta si chiuse silenziosamente alle sue spalle, spalancando in Megan un enorme, probabilmente ingiustificato, senso di colpa: di sicuro Lord sarebbe andato a farsi “consolare” da qualche cameriera o, addirittura, da Annabel. 

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Capitolo 6
*** Sulla via del ritorno. ***


Julian non si era più fatto vedere.
Megan era rimasta da sola a lungo, ripensando a quello che era successo. Forse era stata troppo brusca. Probabilmente non avrebbe dovuto rivolgergli quell’accusa che lo aveva offeso tanto, ma ormai quello che era fatto era fatto e non poteva certo tornare indietro.
Si stava preparando per fare ritorno a casa, dopo aver rifiutato l’offerta di Annabel di rimanere per la notte, quando qualcuno bussò. Convinta di trovarsi davanti Lord, andò ad aprire, decisa a sbarazzarsi di lui senza nemmeno lasciargli il tempo di aprire bocca; tuttavia si rese subito conto di essersi sbagliata.
 
«Posso entrare?», le chiese Annabel oltrepassando la soglia. «Parliamo un momento».
 
Megan la guardò perplessa augurandosi che la collega volesse solo essere rassicurata sulle sue condizioni di salute prima di lasciarla partire.
 
«Avrei preferito che ti fermassi qui, stanotte», esordì infatti quella. «Julian ha fatto di tutto per convincermi a non insistere con te su questa linea».
 
«E da quando il suo parere ha tutta questa importanza?», sbottò Megan. «Non è un medico, lui».
 
«Però devi ammettere che ha imparato molto alle tue lezioni!», rise la collega mentre lei roteava gli occhi esasperata. Non vedeva l’ora di andarsene.
 
«Ascolta, Annabel, se sei venuta per assicurarti che vada a farmi controllare, non ti preoccupare. Se invece sei qui per Lord…», inspirò a fondo, cercando il modo più delicato per farle capire di poter contare sulla sua discrezione. «Insomma, lo sanno tutti che tipo è. Non amo i pettegolezzi, ti assicuro che non dirò niente su di voi»
 
La collega la guardò come se non riuscisse a capire il senso di quella frase. Poi rise.
 
«Ma cosa dici? Come ti è venuta in mente un’idea del genere? Io e Lord?»
 
Rideva talmente tanto che era quasi piegata in due. Aveva perfino le lacrime agli occhi quando, finalmente, sotto lo sguardo spazientito di Megan, riuscì a calmarsi.
 
«Scusa. Lo conosco da quando era una matricola: mi recapitava messaggi e regali da parte di un giovane appartenente all’ordine della Chiave». Sorrise dolcemente a quel ricordo. «E la prossima primavera quello stesso giovane diventerà mio marito. Lord veniva sempre molto volentieri a cercarmi in ospedale, sai? Altre matricole preferivano intercettarmi in collegio».
 
Megan riuscì a non manifestare la sua sorpresa. Se tra Julian e Annabel non c’era niente, allora di chi era il ritratto che lui si era messo in tasca? Doveva trovare il modo di scoprirlo.
 
«Ascolta, nemmeno io amo i pettegolezzi. Il motivo che ti ha spinta a venire qui, con lui, riguarda solo te. Per quanto ne so io, stavi semplicemente imparando a pattinare».
 
«Infatti è proprio quello che stavo facendo».
 
«Splendido. Adesso rimane solo una questione da chiarire», affermò decisa Annabel. La faccia afflitta di Megan le suggerì che l’altra avesse intuito cosa stesse per dire.
 
«Spero che durante il viaggio di ritorno possiate appianare qualunque divergenza ci sia stata: non ha aperto bocca da quando è venuto a portarti il tè».
 
«L’ho accusato di aver cercato di rifilarmi un filtro d’amore con la scusa del tè», ammise, rendendosi conto di quanto fosse stato assurdo prendere in considerazione una simile eventualità. Lo conosceva abbastanza da avere la certezza che non si sarebbe mai abbassato a tanto.
 
Annabel era costernata.
 
«Sono sicura che sarà più che disposto ad accettare le tue scuse».
 
«Indubbiamente». 
 
***
 
Megan era appena salita in carrozza quando vide Lord uscire dalla casa che li aveva ospitati in compagnia di Annabel. Scambiarono poche parole, poi Julian la salutò con un perfetto inchino e un galante baciamano, quindi diede indicazioni al vetturino e salì.
Si sistemò il più possibile lontano da Megan, lasciando vagare lo sguardo fuori dal finestrino.
La dottoressa si sentì stranamente a disagio per quel comportamento, forse perché era ben consapevole di essere la causa del cattivo umore del giovane.
Doveva scusarsi, era stata davvero ingiusta: in fondo quei disegni, per chiunque altro, non avrebbero avuto alcun significato. Solo lei li aveva collegati alle esperienze che avevano condiviso, solo lei conosceva la storia che raccontavano. Ma qual era il soggetto del disegno che lui aveva tolto dall’album? Aveva un solo modo per scoprirlo: impadronirsi di quel foglio, a qualunque costo.
Sapeva già come fare, anche se non era entusiasta dell’unica idea che era riuscita a farsi venire.
Chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Sarebbe riuscita nel suo intento.
 
«Lord?», cercò di richiamare la sua attenzione, ma il ragazzo sembrava non avere alcuna intenzione di reagire.
 
«Sì, Milady?», rispose infine compiendo un evidente sforzo.    
 
«Non avrei dovuto dirti quelle cose, prima», ammise a bassa voce.
 
Quelle poche parole sembrarono folgorare il Cavaliere. Si raddrizzò e la guardò stupefatto, in cerca di qualcosa da dire che non rischiasse di allontanarla.
 
«State forse cercando di scusarvi con me?».
 
Megan si morsicò il labbro. Julian sembrava esitante, come se fosse rimasto spiazzato da quello che gli aveva detto. Forse era il momento migliore per portare avanti il suo piano.
Cercò di non pensare troppo a quello che stava per fare.
Si spostò sul sedile occupato da Julian e si avvicinò a lui, che la guardava interdetto. La dottoressa cominciò a pensare che raggiungere il suo obiettivo avrebbe potuto essere più facile del previsto.
 
«Mi dispiace. So che non faresti mai una cosa del genere», annuì sorpresa di sentirsi davvero in colpa.
 
L’altro non disse niente. Fissava le proprie mani che stringevano le ginocchia con forza: teso come una corda di violino, era certa di averlo in pugno.
Si avvicinò ancora di più e appoggiò una mano sulla sua mentre infilava l’altra mano nella tasca del ragazzo, in cerca del disegno.
 
«Mi perdoni?», chiese, inchiodandolo con lo sguardo. Lui stava trattenendo il respiro. Lo vide deglutire nervosamente.
Uomini: così prevedibili, così infantili, così facilmente manipolabili… sarebbe stato davvero semplice sottrargli quel foglio, se solo avesse cercato subito nella tasca giusta!
Sfortunatamente si rese conto troppo tardi di aver commesso un errore. Avrebbe dovuto portare avanti ancora per un po’ quella commedia, purtroppo.
Appoggiò la testa alla sua spalla.
 
«Julian?», lo richiamò leggermente spazientita.
 
«Sì. Va bene», acconsentì rilassandosi leggermente. «Credo che potrei fingere che non sia mai successo», soggiunse ironico. Megan lottò con se stessa per non reagire a quella provocazione: gli aveva detto la stessa cosa quando lui aveva cercato di scusarsi per averla baciata.
 
«Bene», annuì. Doveva raggiungere la tasca sull’altro fianco, come poteva fare? All’improvviso le venne un’idea.
 
«Credo di sentirmi ancora piuttosto assonnata», sbadigliò.
 
«Ma… avete già dormito tantissimo», ribatté preoccupato. «Forse sarebbe stato meglio accettare di fermarsi per la notte».
 
«Andrò subito in ospedale», promise Megan, «Voglio solo riposarmi un pochino durante il viaggio. Ti spiace se mi appoggio a te?»
 
Si accoccolò contro di lui, che sembrava sempre più confuso e incapace di reagire.
Era meraviglioso vederlo così insicuro e sentirsi finalmente padrona della situazione, perfino con lui.
Gli cinse la vita con le braccia, visto che era l’unico modo che aveva per frugargli nell’altra tasca. Lo sentì irrigidirsi e ridacchiò tra sé: era talmente scombussolato che non si sarebbe accorto se gli avesse messo le mani in tasca.
Cominciò a cercare, stringendosi sempre di più a lui. Dove diavolo era quella dannata tasca? Le sfuggì uno sbuffo frustrato.
A quel suono Julian sembrò improvvisamente tornare in sé.
 
«Sono a tua completa disposizione, Milady».
Ricambiò quello che doveva aver scambiato per un abbraccio nell’esatto momento in cui Megan stava esultando per aver infine raggiunto il suo obiettivo. Con mano leggera sfilò il foglio dalla tasca mentre una parte della sua mente registrava le parole e i movimenti di Julian. Si sentì avvolgere dalla sensazione rassicurante che provava ogni volta che la stringeva e non riuscì a impedirsi di chiudere gli occhi per un istante e godersi quel momento.
D’un tratto si riscosse: era forse impazzita? Perché si stava comportando in quel modo? Aveva recuperato il disegno, non aveva motivo di stare ancora lì. Inoltre Lord si era appena preso una confidenza che lei non gli aveva mai accordato.
Riuscì a nascondere il prezioso foglio nella tasca del proprio cappotto senza farsi scoprire, così si staccò da lui, spingendolo via.
 
«Mi hai dato di nuovo del tu?», lo apostrofò furiosa. «Se non sbaglio ti avevo già detto una volta di non parlarmi con tanta familiarità. Ti ho chiesto scusa, non ti ho concesso nient’altro».
 
Lasciando il giovane sbalordito, si alzò per tornare al suo posto, congratulandosi con se stessa per gli stra-tagemmi con cui aveva ottenuto quello che voleva, quando la carrozza sbandò. Cercò di mantenere l’equilibrio, o almeno di trovare un appiglio a cui aggrapparsi, ma non ci riuscì. Si sentì catapultare all’indietro e si preparò ad un altro doloroso capitombolo.
Con sua grande sorpresa, non successe niente di quello che aveva temuto perché finì dritta dritta in braccio a Julian. D’istinto il Cavaliere la prese al volo, stringendole la testa per proteggerla da un eventuale urto, così Megan si ritrovò con la fronte appoggiata contro il collo del ragazzo. Questa volta toccò a lei sentirsi confusa da quella vicinanza.
Si scostò un poco e alzò lo sguardo, incontrando gli occhi di Julian. Sotto quello sguardo le sembrava di non poter nascondere alcun segreto. Forse si era accorto del suo piccolo furto?
Sembrò passare un’eternità prima che il ragazzo si decidesse a parlare.
 
«Milady, vi state comportando in un modo molto strano. Vi state prendendo gioco di me?», le domandò in un tono sommesso che le procurò un brivido.
 
Maledizione a lui e al vantaggio che era riuscito a prendersi di nuovo! Continuava a fissargli le labbra, chiedendosi se stesse di nuovo pensando di provare a baciarla. Si era messa in trappola da sola, incoraggiandolo come aveva fatto prima: non era come tutte quelle che civettavano con lui e poi erano felici quando riuscivano a ricevere le sue attenzioni. Non voleva niente da lui, eccetto quello che si era già presa.
Sentiva la sua mano accarezzarle i capelli, poi scese ad accarezzarle il collo, le sfiorò la gola con il dito e poi le sollevò il mento.
Megan sentiva il cuore battere sempre più forte mentre si malediva per essersi bloccata in quel modo. Era come se una parte di lei si fosse arresa e volesse solo stare a guardare cosa sarebbe successo.
 
«Forse il colpo in testa vi ha disorientata?», inspirò a fondo quindi le rivolse un sorriso sereno. «Sì, di sicuro è stato quello. Sempre se per voi va bene, ovviamente».
 
Scuse, sempre scuse. Era bravo a trovare ogni volta la giustificazione ideale, quella che le sarebbe sembrata più coerente, più accettabile. Quella più adatta a metterla in pace con se stessa.
Annuì.
 
«Ho dato disposizioni per essere lasciato alla Reggenza di Altieres. Poi la carrozza vi porterà in ospedale, o a casa, se preferite».
 
«Grazie», mormorò faticosamente Megan.
 
«E adesso ditemi, Milady, fino a quando pensate di sentirvi confusa per il trauma cranico?», le chiese e il suo sorriso si allargò ancora di più mentre un lampo di malizia gli attraversava lo sguardo, allarmandola. «Prendetevi pure tutto il tempo che vi serve, per me non è un disturbo tenervi qui».
 
«Imbecille», sbottò lei, divincolandosi per sciogliersi da quell’abbraccio. Qualcosa però sembrava trattenerla, così si liberò con uno strattone deciso.
 
La risata sommessa e divertita di Lord la accompagnò mentre tornava a sedersi.
Decise di lasciargli l’illusione di essere in vantaggio, tanto era riuscita ad ottenere quello che voleva.
Con un sogghigno soddisfatto rivolse l’attenzione al buio che si andava addensando all’esterno. Non vedeva l’ora di rimanere da sola per sbarazzarsi del ritratto.

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Capitolo 7
*** Il ritratto. ***


Era stato bello tenerla per un poco fra le braccia, accarezzarle i capelli, guardarla negli occhi.
Quanto avrebbe voluto darle un bacio, un bacio vero: non gli sarebbe bastato sfiorare le sue labbra come era successo tempo prima.
Avrebbe voluto rimanere ancora con lei, ma la carrozza si allontanava sempre di più, mentre lui era ancora fermo ad osservarla.
Salutò i soldati di guardia ai cancelli della Reggenza di Altieres e, guidato da un servitore, raggiunse un piccolo salotto dove trovò Sophia che si intratteneva con Stuart. Aveva sperato di non doverlo rivedere, invece…
 
«Lord!», lo apostrofò il Capitano con un sogghigno, alzando verso di lui il bicchiere da cui stava bevendo un liquore ambrato . «Vedo che sei ancora vivo, complimenti!»
 
Sophia lo fulminò con lo sguardo, mentre Julian si limitò ad ignorare la provocazione.
 
«Grazie Stuart. Soph, grazie ancora per i pattini», glieli mise fra le mani e si chinò verso di lei. «Ovviamente sono a tua disposizione per una pattinata, non appena riesci a liberarti del tuo guardiano qui presente», le bisbigliò facendole l’occhiolino.
 
«Ti ho sentito!», lo avvertì Gabriel osservando con disappunto il mezzo sorriso della sua promessa sposa che, di sicuro, stava già pensando a quali stratagemmi ricorrere per guadagnarsi una mezza giornata di assoluta libertà.
 
«Se non ti fidi, puoi sempre venire con noi» rise Julian.
 
«Quanto siete stupidi», affermò Sophia alzando gli occhi al cielo.
 
«Allora, Jules, adesso vuoi dirmi chi era la fortunata, questa volta?», chiese al fratello offrendogli da bere.
 
Gabriel sogghignò alla domanda, Julian si concesse un sorso di liquore prima di rispondere.
 
«L’Onorabile Megan», ammise infine.
 
Sophia sgranò gli occhi, prese un altro bicchiere e versò una generosa dose di liquore per se stessa.
 
«Allora sarà il caso di festeggiare, visto che sei tornato sano e salvo», sorrise accingendosi a bere, sotto lo sguardo di disapprovazione di Stuart.
 
«Non capisco perché la cosa vi sorprenda tanto», sospirò esasperato Julian.
 
«Sai cosa mi sorprende in realtà?», domandò Gabriel avvicinandosi a lui dopo essere riuscito a sottrarre il bicchiere, ancora mezzo pieno, a Sophia. Julian inarcò il sopracciglio con aria interrogativa, l’altro Cavaliere allungò una mano verso di lui come per afferrare qualcosa.
Un istante dopo gli stava sventolando davanti qualcosa di luccicante.
 
«Mi stupisce che ti sia stata abbastanza vicina da lasciarti questo ricordino. È di Lady Linnett, vero, questo bel fiocco di neve?».
 
«Certo che devi averla osservata davvero bene, l’Onorabile Megan, per poter dire con assoluta certezza che quel gioiello le appartiene», fu il commento sarcastico di Sophia che annullò istantaneamente l’ilarità del suo fidanzato.
Julian ne approfittò per recuperare il maltolto. La catenina si era rotta ed era un miracolo che il ciondolo non si fosse perso. Probabilmente era successo in carrozza, quando lei gli era caduta in braccio: doveva essere rimasta impigliata nei suoi bottoni e si era strappata quando lei aveva cercato di spostarsi.
«Soph, sai dirmi a chi mi posso rivolgere per farla riparare?», domandò sperando che la sorella lo avesse sentito, dal momento che sembrava sul punto di voler iniziare una lunga discussione con Stuart.
 
«Certo. Alexis ti indicherà come arrivare dal gioielliere di fiducia della famiglia. Il laboratorio dovrebbe essere ancora aperto», rispose lei incrociando le braccia.
 
«Grazie mille, sorellina!», disse scoccandole un bacio sulla guancia. «Mi conviene scappare», sogghignò.
«Per essere sicuro di trovare qualcuno al laboratorio, ovviamente», soggiunse con sfacciata innocenza, ignorando l’occhiataccia di Gabriel.
 
***
 
Megan aveva quasi gettato il disegno nel fuoco, senza nemmeno guardarlo.
Quasi.
Era arrabbiata per aver perduto il suo fiocco di neve.
Aveva cambiato idea all’ultimo momento e aveva appoggiato il foglio, ancora piegato, sul ripiano della specchiera. Non riusciva a decidersi ad aprirlo perché non voleva ritrovarsi a guardare in faccia una delle tante fiamme di Lord mentre se ne stava tranquilla nella sua stanza.
Aveva cominciato a spazzolare i lunghi capelli biondi, sperando di rilassarsi, ma alla fine aveva ceduto: non riusciva più a trattenere la curiosità e, con cautela, aveva cominciato a dispiegarlo.
Ora il ritratto era lì, aperto accanto a lei, e la dottoressa gli lanciava occhiate sospettose come se si trovasse in presenza di una creatura del Presidio.
Era un disegno del suo volto e tra i suoi capelli erano stati disegnati dei fiori. Anche se i fiori erano solo abbozzati, poteva distinguere bene di quali fiori si trattasse perché facevano parte di un mazzo che le era stato regalato in modo anonimo: erano anemoni, che simboleggiavano la perseveranza e volevano anche dire “torna da me”…
Sobbalzò quando bussarono alla porta.
 
«Avanti».
 
Una ragazza bruna, che si sforzava di nascondere la preoccupazione dietro un sorriso tirato, entrò, salutandola con un breve inchino.
Prima di tornare a casa, Megan era passata in ospedale per un controllo. Avendo espresso la volontà di non passare lì la notte, era stata costretta ad accettare la proposta di Domina Heraclis: ospitare una delle tirocinanti che si sarebbe occupata di controllarla durante la notte.
 
«Buona sera. Siete l’Onorabile Sarah, la tirocinante incaricata da Domina Heraclis?», la accolse la dottoressa.
 
L’altra annuì. Per fortuna sembrava una ragazza di poche parole.
 
«Vi siete già sistemata? Sapete qual è il vostro compito, vero?»
 
«Sì, Onorabile Megan», confermò la giovane. «La Domina mi ha dato tutte le indicazioni».
 
Rimase ferma sulla porta e Megan la guardò infastidita. Si alzò e si avvicinò alla finestra.
 
«Sto per mettermi a letto. Ci vediamo fra quattro ore», cercò di congedarla, ma la ragazza ancora non si mosse. «Vi serve qualcosa, Onorabile Sarah?».
 
L’altra sembrava intimidita.
 
«Ecco… mentre entravo in casa, è arrivato un giovane e mi ha chiesto di consegnarvi questo», le allungò un involto che Megan guardò con la stessa diffidenza con cui aveva osservato il disegno.
 
«Quale giovane?», chiese improvvisamente a disagio. Si stava augurando che non si trattasse di Lord.
 
«Era… ha detto di essere il figlio del più famoso orafo del borgo di Altieres», riuscì a dire d’un fiato.
«Dice che un cavaliere si è presentato stasera al loro laboratorio e ha portato un gioiello da riparare, chiedendo che vi fosse riconsegnato il prima possibile. C’è anche un biglietto», soggiunse.
 
«Va bene, grazie. Lascialo pure sulla specchiera e vai a riposare».
La giovane fece come le era stato detto ma, mentre appoggiava pacchetto e biglietto, si lasciò sfuggire un’esclamazione.
 
«Oh! State pensando di farvi fare un ritratto? Questo è davvero molto bello», esclamò entusiasta.
 
«Ho bisogno di riposare», ribadì la dottoressa che non aveva alcuna voglia di approfondire il discorso.
 
L’altra si decise finalmente a lasciarla sola, dopo averle augurato la buonanotte assicurandole di presentarsi puntuale per il controllo.
Megan si avvicinò alla specchiera e svolse la stoffa che proteggeva il suo fiocco di neve. Sorrise sollevata e se lo allacciò immediatamente.
Poi lesse il biglietto:
 
«Spero non ne abbiate sentito troppo la mancanza: probabilmente si è rotto mentre eravamo sulla via del ritorno.
Mi auguro che vi sia stato riconsegnato rapidamente.
Grazie per aver accettato di passare la giornata in mia compagnia.
 
               J. L. »
 
Lanciò un’ultima occhiata al ritratto: le sembrava così strano aver potuto pensare che appartenesse ad un’altra.
 
«E adesso, Jules?», si domandò scuotendo la testa, tormentando il fiocco di neve.
 
***
 
«Jules, ti spiacerebbe andartene a letto e finirla di agitarti?», sbottò Jordan esasperato dal continuo andirivieni dell’amico, che stava misurando la stanza con ampie falcate, mettendo sottosopra tutto quello che gli capitava davanti.
 
«Non posso averlo perso!», mugugnò Julian continuando ad aggirarsi come un’anima in pena per controllare più e più volte tra i vestiti che aveva appena tolto.
 
«Vai a dormire. Se è qui, qualunque cosa tu stia cercando, probabilmente salterà fuori domattina».
 
«Non importa. Temo che ormai ci dovrò rinunciare», sospirò costernato buttandosi sul letto. Probabilmente, se fosse stato superstizioso, lo avrebbe interpretato come un cattivo presagio.
 
«Posso chiederti cosa hai perso di tanto prezioso?», domandò il giovane principe incuriosito.
 
«Un ritratto», rispose l’altro laconico.
 
Jordan considerò l’espressione afflitta del suo migliore amico.
Non gli aveva mai chiesto come mai si fosse messo in testa di imparare a disegnare; non gli aveva nemmeno mai domandato chi gli desse lezioni, dal momento che Julian aveva sempre dimostrato una certa reticenza ad affrontare l’argomento, ma probabilmente aveva appena intuito il motivo di quel comportamento così insolito per lui.
 
«Non dirmi che hai fatto un ritratto a…», cominciò, ma l’altro lo interruppe.
 
«Se preferisci ti posso raccontare una pietosa bugia», commentò ironico. «Ad ogni modo sì, lo confesso, era un suo ritratto. L’unico modo per poterla avere sempre con me»
 
«Credo che tu sia impazzito, Jules. E credo sia stata una fortuna, per te, perderlo: se lei lo avesse scoperto ti avrebbe ucciso e fatto a pezzi. Con grande gioia di Eldridge, che avrebbe potuto studiarti con comodo».
 
«Forse hai ragione», concordò Julian pensieroso. «Anche se qualcuno lo trovasse e glielo consegnasse, non credo riuscirebbe a risalire a me, visto che non lo avevo firmato».
 
Difficilmente gli sarebbe capitata un’occasione come quella che aveva avuto quel giorno: era impensabile sperare di trovarsi di nuovo solo con lei per così tanto tempo.
 
«Almeno era fatto bene?», volle sapere Jordan.
 
«Altroché!», confermò Julian, ripensando ai fiori che aveva cominciato a disegnarle fra i capelli. «Gli mancava solo la parola».
 
«Amico mio, stiamo parlando di un ritratto dell’Onorabile Megan», sogghignò Jordan. «Se avesse potuto parlare, probabilmente avrebbe aperto bocca solo per insultarti».
 
Suo malgrado, Julian scoppiò a ridere.     

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