Malus ventus

di Jeyerre
(/viewuser.php?uid=79907)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Parte III ***
Capitolo 4: *** Parte IV ***
Capitolo 5: *** Parte V ***
Capitolo 6: *** Parte VI ***
Capitolo 7: *** Parte VII, Finale ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Note dell'autrice

Benvenuti lettori! Prima di iniziare, lasciate che vi dica qualcosa riguardo questa long fic. Malus ventus è uno spinoff basato sul mondo di MAGIA, un webcomic scritto, disegnato e colorato dalla sottoscritta che potete trovare e leggere gratuitamente su facebook e che spero possiate apprezzare. 
Gli eventi che andrò a narrare in questa fic fanno parte di una raccolta di storie che non sono raccontate nella graphic novel e, nonostante vi saranno elementi presenti nella trama principale, le vicende narrate qui potranno anche essere lette senza aver totale conoscenza del fumetto. In ogni caso, non esitate ad esprimere le vostre perplessità, qualunque esse siano!
Vi lascio, dunque, alla lettura, sperando possa essere un piacevole scorcio sul mio mondo fatto di maghi, streghe e creature fantastiche. Alla prima storia narrata in MAGIA: The unspoken tales.


Lettera dall'Ovest
 

L'Arcimago della corte di Juvenilia stava leggendo un'importante lettera quando la giovane entrò nella stanza. La ascoltò camminare fino al tavolo con eleganza, mentre portava fra le mani un vassoio con del thè e i suoi biscotti preferiti. Lei riempì una tazza con la bevanda calda; l'odore inebriò le narici e attirò l'attenzione del bambino sedutole vicino.
"Mille grazie, Amelia", disse, dedicandole un sorriso e un'occhiata distratta. 
Nonostante l'autunno fosse già inoltrato, giù a Juvenilia, il tempo era ancora temperato, il sole splendeva su tutta la città e dalla grande finestra che dava sulla terrazza entrava una piacevole brezza.
Eppure a Denzel, mago dal giovanissimo aspetto, non importava più dell'estate riluttante ad andarsene: le parole della lettera erano troppo grevi perché lui potesse sottovalutarle.
"Brutte notizie, mio signore?", chiese con timidezza Amelia, perché non gli suonasse invadente. Il mago, allora, sospirò, allungando una mano verso la tazza da thè ancora calda.
"Mi scrive Cassandra, la Strega dell'ovest. Pare che abbia indetto un concilio tra Maghi, senza distinzione tra più influenti e più giovani. Ci vuole tutti alla sua dimora." 
Amelia assunse un'espressione stranita.
"Tutti mio signore? Che cosa succede?"
"Mi parla di quello che sta accadendo nell'Ordine degli Alchimisti e la setta dei Bramanti. Dice che è tempo di rompere il nostro silenzio e fare qualcosa perché torni l'ordine a Lyra."
Denzel notò che per qualche ragione Amelia si era fatta più preoccupata; allora la invitò a sedersi vicino a lui, con un gesto della mano. Le sorrise, questa volta con più tenerezza.
"Non crucciarti, Amelia cara; non c'è niente che devi temere. I Wendigo non sono un problema di Juvenilia", la rassicurò, accogliendo una mano della giovane nella sua.
A quel gesto ella sobbalzò un poco intimidita.
"Dico davvero," continuò Denzel, "finché rimarrai tra le mura di questa corte, nulla potrà ferirti. Sei sotto la mia protezione, non dimenticarlo."
Le disse una mezza verità, perché non era vero che i Wendigo non rappresentavano un problema a Juvenilia. Gli era giunta voce, purtroppo, che c'erano stati alcuni avvistamenti nelle vie sotterranee della città; bestie inquietanti dall'aspetto grottesco, con la pelliccia nera e gli occhi luminescenti e fumanti. Li avevano descritti come creature dall'aspetto umanoide, ma per nulla simile all'uomo. Erano alte almeno il doppio, le braccia e le gambe lunghe in modo spropositato in confronto al loro busto; erano veloci come gatti e si muovevano a quattro zampe come gli animali. Denzel avrebbe mentito se avesse detto che non li temeva: il loro morso e veleno erano diventati il problema più grosso dei maghi dopo i Draghi.
Non erano come le altre creature magiche: i Wendigo non potevano essere addomesticati con la magia, tanto che il loro veleno aveva ucciso diversi giovani maghi nelle regioni più infestate.
Sperava di non doverne mai incontrare uno. Anche se, da quando le voci riguardanti i sotterranei della città si erano fatte più insistenti, stava cominciando a valutare l'idea di cercare la fonte di tutto quel baccano. Ma ad Amelia mentì sorridendole, perché teneva molto a quella giovane donna e gli dispiaceva saperla spaventata.
L'aveva conosciuta ad un ballo, parecchi anni prima, quando era solo una bambina affascinata dai giochi di magia del giovane mago di corte. Lei aveva espresso sin dalla più tenera età la passione per le arti magiche e il suo entusiasmo sincero era stato sufficiente per comprare l'attenzione di Denzel e convincerlo a prenderla con sé a corte. L'aveva cresciuta con le nozioni di teoria magica e di alchimia, e la fanciulla aveva dato l'impressione di essere un'allieva molto promettente. Con il tempo, Denzel si era reso conto di guardarla con occhi diversi; aveva realizzato che il suo affetto per lei era cambiato e, nonostante fosse consapevole che la sua immortalità gli rendesse impossibile poterla amare, non riusciva a fare a meno della sua compagnia.
A volte l'aveva invidiata: lei cresceva, si faceva sempre più bella e matura, mentre lui rimaneva intrappolato nel corpo di un bambino appena adolescente.
Era un bambino da così tanti anni che ormai ne aveva perso il conto.
"Dovete perdonarmi," disse Amelia, abbassando lo sguardo colpevole, "sono così debole dinanzi a queste cose. Sapete, dopo la morte di mio padre non faccio che pensieri infausti. La paura di perdere tutti i miei cari mi attanaglia e da quando mia madre si è ammalata... lei è già così afflitta dalla malattia, che se il pensiero di quei mostri dovesse farsi più reale, temo di poterla perdere prima del tempo."
Il mago avvertì nella voce della fanciulla il nodo delle lacrime; non vedeva tanta angoscia da molto tempo, perché lui ormai aveva perso già da anni tutti i suoi cari e si era dimenticato di quanto fosse inesorabile l'inevitabilità della morte.
"Portate vostra madre a corte," le disse, "non potrò curare il suo male come vi ho già spiegato, ma potrò tenerla al sicuro come faccio con voi, il Principe e tutta la famiglia reale."
La giovane parve illuminarsi un po'.
"Dite davvero?"
"Mia cara Amelia, non c'è nulla che non farei per voi."
E Amelia, scoppiò a piangere.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte II ***


Il cacciatore I

Si era domandato per settimane perché quel pomeriggio Amelia avesse pianto così tanto, e lo avrebbe chiesto anche a lei se fosse tornata dalla sua tenuta, il giorno che se ne era andata per portare sua madre a corte. 
Aveva aspettato qualche giorno prima di mandare qualcuno che potesse rintracciarla. Ma quando i suoi messaggeri erano, effettivamente, giunti alla villa della fanciulla, l’avevano trovata vuota; non vi erano stati segni di infrazione, né sembrava esserci stata alcuna lotta; nulla faceva presagire che fossero nemmeno partite per un viaggio, poiché vestiti e bauli non erano stati portati via.
La cosa lo aveva impensierito molto, perché, pur avendola cercata anche con la magia, sull’atlante non era apparsa traccia della sua Amelia in tutta Lyra.
Era frustrato e preoccupato, ma, dopo la lettera di Cassandra, aveva dovuto cominciare ad indagare sui movimenti nel sottosuolo e non aveva avuto tempo di star personalmente dietro le ricerche della ragazza.
Così aveva delegato il suo famiglio alla ricerca di Amalia, mentre a lui era spettata una caccia ben più rischiosa.
E quella notte sarebbe stata perfetta.
Guardò fuori dalla vetrata: la luna era piena e, secondo l’ordine degli Alchimisti, le notti di plenilunio erano l’ideale per i riti di magia nera. 
Aveva scoperto dove si incontravano gli Alchimisti appartenenti alla setta dei Bramanti e aveva compreso perché alcuni esemplari di Wendigo fossero stati avvistati nelle vie sotterranee. Il preside dell’accademia dell’alchimia, che era un suo grande amico da molti anni, gli aveva confidato che temeva che alcuni insegnanti si riunissero in alcuni locali sotto l’accademia; ma, per sua grande sfortuna, non aveva le prove per dimostrarlo. Aveva il sospetto che coinvolgessero anche gli alunni negli affari della setta ed era preoccupato per i giovani e i ragazzi più ingenui. 
Così aveva ritenuto opportuno avvisare Denzel di quello che sapeva e il Mago gli aveva promesso che avrebbe indagato anche per lui.
Indossò una cappa nera con dei ricami dorati, prima di uscire, e si fece scortare dai suoi uomini solo fino a metà del tragitto. 
La città era deserta, sicuramente a causa dell’ora tarda. Non gli capitava spesso di uscire dal castello, e la città, così, gli sembrava pericolosa e… inquietante.
Quando fu quasi vicino all’accademia indossò il cappuccio della cappa e cercò un’entrata secondaria presso il cancello che lo separava dai giardini interni alla struttura. 
L’aria cittadina era fresca; l’autunno, che era stato tanto riluttante ad arrivare, sembrava farsi più vicino notte dopo notte. O forse, era solo la paura a farlo tremare.
Aveva quasi duecento anni, eppure, avrebbe potuto dimostrare benissimo l’età che la sua forma suggeriva quella sera.
Individuò una piccola entrata, un cancelletto non usato da anni e ricoperto di edera. Gli bastò un incantesimo per far da parte le piante e schiudere la serratura arrugginita. 
Aspettò, però, ad entrarvi, perché aveva udito delle voci in lontananza. 
Risate. 
Una coppia di giovani sposini ubriachi che rideva inconsapevole dei pericoli portati dalla notte.
Sperò, in cuor suo, che potessero tornare sani e salvi a casa: non avrebbe saputo come giustificare ancora una volta strane sparizioni dei sudditi al suo Re.
Sospirò e finalmente schiuse il cancello per passare dall’altra parte; i giardini ben curati erano solo  il preambolo del grande edificio che si trovò di fronte. 
L’accademia di Alchimia era una grandissima struttura fastosa, divisa in diversi blocchi: c’era il sontuoso avancorpo principale che vantava quasi milleduecento stanze e il doppio delle finestre; ai lati, in maniera trasversale ad esso, vi erano altri due avancorpi più piccoli che ospitavano gli alloggi degli studenti, maschili e femminili.
Il silenzio era agghiacciante: non riuscì ad intravedere nemmeno una guardia all’entrata principale e questo lo stranì più di quanto già non fosse. Camminò attento a non far rumore sulla ghiaia del viale, infilandosi nel vestibolo a pianta ottagonale adornato da immense colonne doriche. 
Il buio non rendeva giustizia alla bellezza di quell’architettura che in passato era stata il vecchio castello reale, dove lui stesso era vissuto. Nulla, però, gli sembrava più familiare tra quelle mura.
Le torce erano accese lungo tutta la rampa di scale che portava all’interno, e guidavano i visitatori verso la prima sala. Le seguì. Si stava quasi pentendo di non aver portato il suo famiglio con sé: la paura teneva in allerta tutti i suoi sensi e ogni minimo rumore o spostamento d’aria lo faceva sobbalzare impaurito.
Si addentrò nell’accademia, seguendo delle ombre che aveva visto muoversi poco più avanti. Scoprì che erano delle figure incappucciate in nero e oro, come lui. Parlottavano con fare ambiguo e con passo svelto si precipitavano tra corridoi che persino a lui erano sconosciuti. Li vide aprire alcuni passaggi segreti attraverso le pareti; porte che non aveva mai visto.
Era sul punto di seguirli attraverso il muro, quando una mano si poggiò sulla sua spalla, strattonandolo un po’. Istintivamente, come un gesto di autodifesa, la sua magia gli cambiò il colore dei capelli, che dall’essere biondi divennero corvini e lunghi; gli occhi color pesca divennero dello stesso colore del cielo d’estate.
Quando si girò, una donna incappucciata lo fissava contrariata.
“Ragazzina,” disse con tono gelido “hai perso la strada?”
Denzel si scansò, indietreggiando.
“No,” disse prontamente e, mimando i gesti di una bambina, prese nervosamente a carezzarsi la lunga treccia che gli era cresciuta magicamente sulle spalle, “mio padre vuole che io osservi questa notte.” 
La donna lo squadrò dall’alto in basso, poi accennò un sorriso inquietante.
“Tuo padre, eh? Vieni, cara, ti mostrerò la via.”
Gli poggiò una mano sulla spalla e l’accompagnò nel tragitto verso la porta segreta. Usò dei simboli alchemici per aprirla. Denzel li riconobbe immediatamente e li memorizzò.
“Tuo padre ti ha mai portata qua prima d’ora?”
“No signora.”
“Male. Sai cosa accadrà questa notte?”
“No, mia signora. Volete dirmelo voi?”
La donna spinse Denzel delicatamente all’interno del corridoio buio e raccolse dal muro una torcia ancora spenta. Prima di chiudere il passaggio dietro di sé, accese la torcia con la magia; un gesto facile per un alchimista.
“Questa notte, mia cara fanciulla, faremo un altro passo verso l’immortalità e sconfiggeremo la morte.”
Chiuse la porta dietro di sé e l’oscurità li avvolse.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Parte III ***


Il concilio di Xenia

Ticchettava nervosamente le dita sul lussuoso tavolo, impaziente. Cassandra lo stava costringendo ad un’attesa di ore: si domandò che razza di ospite fosse per far aspettare l’Arcimago di Juvenilia come un servetto o un messo qualunque.
Il suo famiglio, Arman, non sapeva più come trattenere il lato furente del maestro e si poneva un freno ogniqualvolta aveva voglia di rivolgergli una domanda.
Il palazzo della Strega dell’Ovest era immenso: non si sviluppava in ampiezza, bensì in altezza. Le elevatissime pareti erano ricoperte d’oro e mosaici; dagli alti soffitti pendevano sete e tessuti di ogni colore. Le colonne, che a volte erano di marmo rosso, altre di un verde smeraldo, erano abilmente nascoste da piante esotiche di ogni genere, palme per lo più. La sala nella quale Denzel era stato ricevuto era quadrata; al centro vi era una fontana che riempiva la bassa piscina in cui era possibile ammirare carpe rosse, bianche e nere muoversi svelte sotto la superfice dell’acqua. 
Ma il Mago non era di certo lì per ammirare le lussuose stanze della villa della Strega.
Si riempì il bicchiere di vino; niente thè per lui, questa volta.
“Mio signore,” intervenne Arman, ma Denzel lo zittì con un’occhiataccia.
“Non ho intenzione di aspettare un minuto di più questa donna da sobrio. Prima manda le sue lettere in giro per Lyra lamentando urgenza, e poi? Sembra quasi che non si aspettasse il mio arrivo!”
“Ed infatti è così.” 
La voce di Cassandra, la strega dell’Ovest, risuonò per la sala con immensa autorità.
Quando Denzel si voltò, il suo sguardo era colmo di rabbia e isteria. Posò con forza il bicchiere sul tavolo, si alzò e fece per andarle incontro; Arman, però, lo fermò per una spalla.
La strega non si scompose. Indossava un lungo abito di seta blu a maniche lunghe e larghe, tempestato di pietre preziose che brillavano ad ogni suo movimento. Il volto, fiero, era adornato da gioielli d’oro, la pelle nera abbellita da disegni con polveri dello stesso colore. I lunghi capelli ricci acconciati in un’intricata pettinatura, tenuta in ordine da fermagli con la sagoma di serpenti che sembravano farsi spazio tra le spire delle trecce.
“Di tutti i Maghi che mi aspettavo di vedere, tu sei decisamente l’ultimo che attendevo, mio caro.”
“Risparmia i convenevoli, Cassandra. Dove sono gli altri Maghi e le altre Streghe?”
La donna sospirò, avvicinandosi al suo interlocutore; con un gesto della mano, fece riempire un altro bicchiere di vino senza che lo toccasse. Lo fece levitare fino a lei, poi lo portò alle labbra.
“Arriveranno.”
“Quando?”
“Quanta fretta.”
“Non prendermi in giro. Ho cose più urgenti di cui occuparmi che stare qui a complimentarmi con te del tuo palazzo e del tuo vino.”
Improvvisamente il famiglio di Cassandra annunciò l’arrivo di altre visite. Cassandra annuì, con un cenno lo invitò a far accomodare anche loro.
“Come ti dicevo.”
Si voltò: la sua attenzione era stata richiamata da passi cadenzati.
Entrò il mago della regione di Alcyone, il vecchio Abel Baffo d’Argento. Accennò una breve riverenza che Cassandra ricambiò con un gesto del capo; Denzel, invece, si inchinò rispettosamente. Dietro di lui seguiva una strega che Denzel riconobbe come Musa, dall’entroterra del regno di Juvenilia. Lei gli dedicò un’occhiata divertita, Denzel non ricambiò e aspettò di vedere chi altro stava per varcare quella soglia.
A lui, gli altri suoi simili, non piacevano molto; gli procuravano ansia, lo facevano sentire sempre inadeguato e diverso, perché lui era stato l’unico, fino a quel momento, che aveva scelto di vivere con gli esseri umani e di mescolarsi fra loro. Sapeva che alcuni lo canzonavano alle spalle. Cassandra stessa, ne era certo, lo aveva fatto aspettare appositamente per innervosirlo, perché non lo riteneva all’altezza della loro presenza.
Molti di quelli che entrarono non li riconobbe: alcuni erano suoi coetanei, altri molto più grandi; come Cassandra che, probabilmente, era tra le streghe più vecchie di tutta Lyra.
Dalla regione di Xenia stessa arrivarono altri nomi che lui ignorava. Le terre dell’Ovest erano quasi completamente sconosciute per lui, perché poco abitate ancora dal genere umano; per questo non se ne interessava molto. Era lì infatti che la maggior parte delle creature magiche si riversava alla ricerca di distanza dall’uomo.
Quando la stanza si riempì, si sentì quasi più a suo agio. Alcuni tra loro parlavano con confidenza e lo sollevava che si fossero dimenticati della sua presenza in qualche modo. Li contò: erano otto in tutto. Se alcuni non avevano risposto all’appello di Cassandra, si domandò Denzel, come avrebbero potuto affrontare il problema dei Wendigo solo in otto?
La padrona della tenuta si alzò finalmente dalla sua poltrona, sorridendo con cortesia a tutti i presenti; ma quando fece per aprire bocca, le sue parole furono interrotte ancora una volta dall’arrivo di altri visitatori in ritardo.
La porta si aprì ed entrarono due Streghe. Erano entrambe giovani e belle: una sembrava poco più grande dell’altra, ma l’età apparente, tra creature magiche, non aveva alcuna valenza. La più piccola delle due camminava avanti con passo deciso. Indossava una pesante cappa rossa, adornata di pizzi e ricami dorati. Quando si scoprì il capo, Denzel comprese di chi si trattava.
“La Strega rossa”, bisbigliò al suo famiglio.
Tutti ne conoscevano la fama, ma non molti avevano avuto occasione di vederla di persona. L’avevano descritta in vari modi, ma ogni racconto concordava sulla sua bellezza ancora prematura e sulla giovane età durante la quale, come lui, era diventata una Strega. I suoi capelli biondi splendevano di una luce tale che tutti li paragonavano ad oro colato. Gli occhi gialli e autoritari, sembravano due pezzi di ambra incastonati nel viso di una bambola.
Curvando le labbra rosse e maliziose, sorrise dolcemente ai presenti che la stavano osservando incantati, poi si guardò indietro e prese la mano della giovane Strega che l’accompagnava. Le fece fare qualche passo in avanti, perché tutti la vedessero.
Era Pandora, la sorella minore della Strega rossa.
Era diventata strega qualche anno dopo l’altra, ma questo non sminuiva l’incanto della sua bellezza. Al contrario della sorella, non aveva capelli del colore dell’oro, ma di un castano caldo e chiaro. La pelle diafana brillava come ricoperta di polvere di stelle. La chiamavano il Diamante del nord per questo. Aveva un’aria più timida rispetto alla sorella maggiore; ma dopo che si fu inchinata, Denzel poté vedere il suo sguardo azzurro come il ghiaccio.
“Le due streghe del nord,” disse allora Cassandra, aprendo le braccia come ad accoglierle, “temevo  di non vedervi quest’oggi, amiche mie. Accomodatevi, vi prego.”
La Strega rossa accennò qualche passo, slacciandosi la cappa dal collo.
“Dovrai perdonare il nostro ritardo, ma tutta la regione di Myricae in questa stagione è coperta dalla neve.”
“Charlotte,” Cassandra la chiamò per nome, “ mia cara, non c’è nulla da farvi perdonare.”
Le due nuove arrivate si sedettero di fronte a Denzel. Lui e Charlotte si scambiarono un’occhiata curiosa. Era una novità vedere una strega giovane quasi quanto lui.
Pensò a tutto il potenziale della sua natura e potere… e provò invidia.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Parte IV ***


Il Concilio di Xenia II

La riunione fu difficile. Molti tra i maghi e le streghe di Lyra non credevano all'esistenza dei Wendigo o ne sottovalutavano il potere. Cassandra aveva spiegato loro il reale pericolo che rappresentavano, ma sembrava che la cosa non li smuovesse affatto; tra questi, i più anziani sembravano dubitarne più degli altri. D'altronde erano pochi coloro, fra i giovani, che avevano esposto la propria opinione in merito: sembrava che tutti stessero in silenzio ad osservare come si evolveva la situazione prima di poter esprimere il proprio parere.
Per Cassandra era follia che alcuni di loro mettessero in dubbio l'esistenza di quelle creature.
Altri invece volevano lasciare che fossero gli umani a risolvere da soli tale problema. Ma così non poteva essere.
"Il morso di un Wendigo non solo trasforma gli esseri umani in Wendigo a loro volta, ma è capace di uccidere un mago o una strega," disse Cassandra cercando di mantenere la sua solita flemma.
"Quando si saranno cibati di ogni uomo, donna o bambino di Lyra, saranno così tanti che, prima o poi, diventeranno un problema anche nostro. Dobbiamo intervenire. Molti sono già caduti a causa della nostra incuria."
"Ma non vi sono prove," disse uno dei Maghi di Xenia, "non qui a Xenia se non altro. Draghi sì, ma di Wendigo... nemmeno l'ombra."
"Abbiamo ragione di credere che si nascondano."
"E dove?"
"Sottoterra," dopo un lungo silenzio, fu finalmente Denzel a parlare. Come immaginava, ci furono molti sguardi di sufficienza nei suoi confronti; cercò di ignorarli.
Non aveva nulla di meno di loro.
Sentì Musa deriderlo.
"E come puoi esserne certo?"
"Li ho visti."
Denzel avvertì lo sguardo della Strega rossa addosso; Musa non sembrava altrettanto colpita.
"Sciocchezze. Perché credi che dovremmo fidarci di te?"
"È vero," intervenne Abel di Alcyone, "conosciamo tutti la tua natura. Sei un doppiogiochista, Denzel. Per quanto ne sappiamo, ci daresti tutti in pasto a quelle creature, se potessi."
L'Arcimago di Juvenilia accennò una risata sarcastica. Aveva già pensato anche a quella risposta. La sua natura, ciò che conferiva motivazione ai poteri e al modo d'agire di un Mago o di una Strega, metteva sempre in guardia chiunque si approcciasse a lui. Alla Strega rossa era stata destinata la giustizia, a Pandora la curiosità. Ma a lui una natura quanto meno controversa: la malizia.
"È corretto, ma se dovessi farlo mi ritroverei da solo a combattere queste creature e con tutto il rispetto per il concilio, ma siamo... come dire, già numericamente inferiori a loro. Non vorrei mai servirgli la vittoria su un piatto d'argento."
"Che cosa sai?", fu Charlotte a parlare.
"So che sono molti e potrebbero essere sempre di più nel giro di pochissimo tempo. La setta dei Bramanti ne crea decine ogni plenilunio. Loro cercano la formula per l'immortalità, ma..."
"Alchimisti! Mpf!", Hugo, un altro Mago, lo interruppe sdegnato, "l'ho sempre detto che dovevamo estirpare il problema alla radice. L'uomo non è fatto per governare la magia! Io propongo di abbattere le loro accademie, tutte quante! Giustiziamoli tutti! Bramanti e non. Non avranno alcuna possibilità contro di noi."
"Non dire sciocchezze. Siamo stati tutti umani molto tempo fa," fu di nuovo la Strega rossa a parlare.
"Il peggior periodo della mia vita!", concluse Hugo e Pandora rise silenziosamente.
Charlotte rimproverò in modo blando la sorella con lo sguardo, poi si rivolse a Cassandra.
"Cosa avevi in mente per contrastare questa minaccia? Una guerra?"
"Non vedo un'altra soluzione."
"Che ne sarà dell'ordine?"
"Ne soffrirà per un po', ma il caos a volte è necessario per creare un nuovo assetto."
"Però," intervenne Denzel, "potremmo anche non affrontarli."
Musa di nuovo lo schernì con un riso.
"E cosa proponi, un thè con i biscotti? Sappiamo che sei un gran sostenitore degli alchimisti, ma questa volta devono prendersi la responsabilità delle loro azioni."
"Gli alchimisti non condividono la smania di potere che hanno i Bramanti. È una questione completamente diversa. Loro vogliono aiutarci, unirsi alla causa."
"Morirebbero tutti."
"E non è quello che volete?"
Ci fu un breve silenzio durante il quale Musa si sentì sconfitta. Charlotte dopo un breve momento di riflessione parlò ancora.
"Se vogliono contribuire è giusto che lo facciano. Denzel ha ragione: siamo numericamente inferiori. Non abbiamo molte altre scelte. Se siamo tutti d'accordo saremo solo in dieci."
I maghi parlottavano tra di loro con aria assorta e preoccupata.
"Non lo so," disse Abel, "ad Alcyone gli Alchimisti non sono presi seriamente. Si da loro la stessa importanza che si da ad una bambina che gioca con gli abiti della madre. Sono sciocchi e nulla tenenti. Festaioli senza ritegno. Non sembrano persone di cui preoccuparsi e non vi è stato alcun avvistamento nelle mie terre. Abbiamo un lupo nei boschi, ma non fa danni per ora. I Wendigo non sono un problema di Alcyone, ve lo posso assicurare."
Denzel si girò a guardarlo con apprensione.
"Non dirlo. Erano le mie stesse parole qualche mese fa, prima che li vedessi con i miei occhi. Mi fidavo degli Alchimisti, come fossero fratelli. Poi però... tutto è cambiato quella notte."
Cassandra lo guardò: Denzel aveva gli occhi rivolti alla superficie del tavolo e la sua solita baldanza era sparita nel ricordare gli eventi di cui era stato partecipe.
"Raccontaci, allora."
Il silenzio fu tutto per lui. Gli occhi dorati della Strega rossa, lo sguardo timido di Pandora. Persino l'espressione indispettita di Musa.
Lo osservavano tutti come si guardava qualcuno da cui si aspetta un'importante rivelazione.
"Quella notte...", cominciò, dunque, con un po' di titubanza "...quella notte vidi una donna che si cibava del cuore di un'altra."

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Parte V ***


Il cacciatore II

Quando il buio si diradò intorno a lui, quello che vide fu una grande sala colma di gente incappucciata. L'ambiente non presentava arredi di nessun genere; le pareti erano spoglie e sobrie, ma alte, con un soffitto a volte.
Non era mai stato lì prima di quel momento. Si chiese se qualcuno della famiglia reale conoscesse quel posto e glielo avesse tenuto nascosto.
Camminava a passo lento tra la folla, facendo attenzione a non urtare nessuno; la donna che lo accompagnava teneva salda la presa sulla sua spalla, spingendolo sempre di più a inoltrarsi tra la gente. Potevano esserci un centinaio di persone raccolte là dentro e non era certo di poterne riconoscere qualcuna.
Per qualche ragione, la donna lo spinse fino alla prima linea, davanti a tutti. Lui la guardò insicuro. Sarebbe stato pronto a sfoderare tutti gli incantesimi d'offesa che conosceva se fosse stato necessario, ma non poteva prevedere da chi potesse arrivare il pericolo. Erano tutti una minaccia per lui in quel frangente.
"Stai qui e osserva," gli ordinò la donna.
Poi finalmente lo lasciò libero dalla presa e avanzò al centro della sala.
Aspettò qualche minuto che diverse figure la seguissero alle sue spalle. A quel punto si scoprì il capo e Denzel poté osservarla meglio.
Non la conosceva, ma doveva essere un insegnante dell'accademia, data la sua mezza età.
"Cari fratelli e sorelle, vedo dei volti nuovi oggi," iniziò con tono solenne, muovendo le braccia in gesti teatrali, vagamente famigliari, "siamo qui questa notte, nella cessante ricerca dell'arma definitiva contro la morte dell'uomo. La natura ci ha proibito di nascere prediletti dalla magia, ma ci ha fatto doni altrettanto preziosi, come l'intelligenza e la capacità di imparare. È vero, la natura è severa con noi uomini. Ma tutto quello che vuole in realtà è metterci alla prova; vedere se ci meritiamo il dono al quale aneliamo. E lei ci offre l'immortalità al prezzo più caro: giacere con la morte stessa. Bisogna fare dei sacrifici, bisogna essere pronti a mettersi in discussione come essere vivente per rinascere. E quello che farò oggi davanti a voi è proprio questo. Giacerò con la morte e rinascerò."
Ci fu un applauso.
Denzel si guardò intorno con estremo terrore e si chiese perché trovassero lodevole quel discorso delirante. Ne concluse che se un tempo erano state persone normali, quelle che vedeva oggi erano solo ombre ipnotizzate dalla sete di potere e di vita.
Non aveva mai riflettuto su quello che doveva significare lo scorrere del tempo per creature come loro: fragili e con una scadenza.
Sotto lo scrociare degli applausi la donna si tolse la cappa, rivelando il suo corpo nudo. Con estrema calma alcune figure dietro di lei raccolsero l'indumento dal pavimento e si fecero indietro.
Giunse di lì a poco una seconda donna: più timida ed insicura, si guardava indietro come a cercare coraggio negli occhi di qualcuno.
Si sentì bisbigliare mentre la donna nuda le si avvicinò, prendendole le mani e incoraggiandola a venire sotto la luce delle torce.
Si dissero qualcosa. La donna senza abiti le carezzava dolcemente il volto e non fece una mossa quando, da sotto la cappa, l'altra scoprì una daga.
Quindi diresse la punta della lama sotto il suo sterno. La donna svestita la incoraggiò a spingere tenendole le mani sul manico della daga e Denzel la vide sparire all'interno del corpo nudo come se fosse di burro.
Scorse un rivolo di sangue scendere lungo il busto e insinuarsi tra le cosce. Poi la donna crollò al suolo, senza fare alcun rumore.
Era morta. E solo in quel momento il mago notò sul pavimento simboli alchemici illuminarsi e cominciare a fumare.
La donna incappucciata fu colta come da un istinto animale che la costrinse a chinarsi sul cadavere nudo per squarciarne il petto con le fauci e le mani. Se c'era stata dell'insicurezza in lei, adesso non ve ne era più alcuna traccia.
Denzel era atterrito: non poteva credere che tutti fossero eccitati e curiosi di assistere a quella scena disgustosa. Se fosse stato umano, probabilmente, i suoi sensi lo avrebbero costretto a vomitare.
La donna scavava nel torace del cadavere con avidità crescente, senza ritegno; sembrava che più ne assaggiasse e più ne volesse. La osservò strapparle il cuore e azzannarlo fra le proprie mani insozzate di sangue e resti umani.
Il suo volto risultava contorto dall'ingordigia e gli occhi guizzavano attenti da una parte all'altra della stanza, come a voler star attenta che nessuno si nutrisse del suo fiero pasto. Attimo dopo attimo, tutti presenti potettero assistere a quello che, Denzel ne era certo, fu la perdita dell'umanità di una persona.
Era completamente diverso da quello che accadeva a loro in quanto maghi e streghe. Fu violento, sporco e spaventoso. Duecento anni della sua vita immortale non avrebbero potuto mai prepararlo in ogni caso a quello che stava guardando.
Con un urlo disumano la donna si contorse su se stessa. Denzel poteva udire i suoi lamenti e persino l'angosciante suono delle ossa; ossa che si stavano frantumando per cambiare la loro conformazione. Sotto la cappa che si strappava la donna stava abbandonando la sua bellezza mortale per trasformarsi in una creatura molto vicina alla forma di un incubo.
Gli abiti si lacerarono, il corpo si ricoprì di una pelliccia spessa; nera e lucida. La bocca si riempì di denti lunghi e animaleschi; dovevano essere un centinaio, tanto da somigliare alla bocca di un drago. Gli urli divennero ruggiti acuti e strazianti, gli occhi palle di luce fumanti su di una testa mostruosa munita di palchi di renna.
Quando la trasformazione ebbe fine, gli spettatori erano attoniti e la bestia era confusa e... ancora più affamata.
Ruggì di nuovo.
Denzel e i presenti furono costretti a portarsi le mani sulle orecchie tanto era acuto il suono.
Annusava l'aria con curiosità, cercava la prossima preda. Il suo sguardo vacuo puntò dritto verso il mago che sostava di fronte a lui e lo caricò in un balzo.
Denzel fu abile: si scoprì della cappa e in un gesto che gli costò il travestimento, sparse un incantesimo che sbalzò la creatura lontano, dall'altra parte della stanza.
Ci fu un gran clamore tra i presenti mentre si dileguavano dietro lui spaventati.
"L'Arcimago di Juvenilia è qui!", urlò qualcuno; e gli altri lo seguirono con non celato panico.
La presenza di un mago tra loro era sinonimo di grande pericolo. I Bramanti, infatti, usavano la magia e l'alchimia per scopi impropri; scopi che esulavano l'ordine naturale delle cose.
C'era la pena capitale se si veniva scoperti.
Ma Denzel si sarebbe occupato di loro successivamente: aveva un Wendigo da cacciare. 
Sembrava che la paura, ora, fosse scivolata via da tutto il suo corpo: quando dominava il suo potere sentiva di possedere tutta la sicurezza del mondo.
La sala si illuminò della sua magia, i sigilli magici apparvero ovunque intorno a lui annullando quelli alchemici. Con velocità concentrò il suo potere in un'arma, plasmandola nella forma di un arco; incoccò delle frecce, simili a lame di luce, che si erano materializzate fra le sue mani.
Era sul punto di centrare la bestia e porre fine alla sua esistenza, quando un urlo, conciso e secco, lo fermò.
"No! Vi prego, non fatelo!"
Una figura esile si fece largo tra la folla, frapponendosi fra lui e la bestia. Si scoprì il capo e non ci volle molto a Denzel per riconoscere il volto di Amelia.
Abbassò la guardia dell'arco.
La giovane sostava con le braccia distese e aperte, come a voler proteggere il Wendigo da ogni probabile attacco del mago.
Egli, però, la fissava sconvolto, senza pronunciare alcuna parola.
"Amelia...", riuscì a malapena ad accennare.
La ragazza, che aveva l'affanno e le lacrime agli occhi, lo fronteggiava con finta sicurezza e, ancora, aveva risolto la sua voce in una preghiera.
"Vi prego, non fatele del male."
"Sei impazzita?"
"No, vi prego, lei... è mia madre."
Denzel avvertì il suo corpo essere vittima di sensazioni più umane che magiche. Ebbe la sensazione che il pavimento si muovesse sotto di lui.
"Che cosa avete fatto, Amelia?"
"Io vi avevo chiesto aiuto! Stava morendo e voi mi avevate detto che non potevate fare nulla per lei!", la ragazza piangeva, ma era difficile dire se le sue fossero lacrime di paura o rabbia, "mi avete costretto voi a farlo!", continuò, "voi!"
"Io non..."
L'emotività umana. Denzel l'aveva sempre sottovalutata e ora questa aveva costretto una dolce fanciulla a far patti con i Bramanti pur di avere la vita di sua madre salva; anche se questo significava trasformarla in un mostro dalla fame smisurata e senza coscienza.
Il mago si sentì in colpa per averla lasciata sola ad affrontare tutto questo.
Ma, prima che potesse tentare di consolarla, ci fu un altro urlo a farlo trasalire: il Wendigo aveva aggredito la ragazza, chiudendo le sue fauci sul suo braccio sinistro.
Il mago sgranò gli occhi, urlò il nome di Amelia e si lanciò a separarla dalla bestia.
Fra le sue mani apparve una spada di energia magica e con essa si costrinse a tagliarle l'arto da sopra il gomito per separarla dal Wendigo e impedire che questo l'avvelenasse.
Amelia gridò di dolore, lasciandosi cadere a terra e stringendosi il braccio compulsivamente, mentre il mago si spinse di nuovo contro la creatura, allontanandola con un altro violento incantesimo.
Il Wendigo si scontrò con una colonna, che, ormai distrutta, crollò sulla bestia.
Questa volta nessuno fermò le sue frecce magiche, e Denzel poté tempestare il Wendigo con i suoi attacchi fino a quando non fu più in grado di alzarsi dalle macerie. Lo finì incastrando una serie di colpi fra i suoi due occhi luminescenti.
Quando fu certo che questi si fossero spenti, si precipitò da Amelia.
La raccolse fra le sue braccia minute e osservò che la carne alla base della ferita presentava già segni di corruzione.
"No," disse in panico, "no, no."
Violando le regole dei maghi, impose la sua mano sulla ferita e prese subito a cercare di contrastare l'effetto del veleno del Wendigo.
"Mi dispiace...", disse improvvisamente la ragazza, con un filo di voce. Era affannata, il dolore, lancinante, la stava divorando dall'interno.
"Mi prenderò io cura di te, adesso."
"Io volevo solo che vivesse..."
"Lo so. Avrei dovuto capirlo."
Guardò la ferita, ma questa non mostrava miglioramenti; solo un breve rallentamento del processo di corruzione. Insistette, aumentando l'intensità dell'incantesimo di guarigione sulla ragazza.
"Non la salverai, allungherai solo la sua agonia così facendo."
Una voce famigliare attirò la sua attenzione.
Quando alzò lo sguardo, il preside dell'accademia era di fronte a lui: aveva un'espressione seccata e delusa; Denzel credette che fosse impossibile che anche lui fosse coinvolto in tutta quella faccenda.
Si guardò intorno con sgomento: poteva riconoscere le persone rimaste come tutti i più alti studiosi di Alchimia dell'accademia. Aveva insegnato alla maggior parte di loro i segreti della magia. Li aveva chiamati fratelli.
Non chiese loro perché stessero facendo tutto quello; poteva immaginarlo. Che fosse stata una trappola per ucciderlo o che lo avessero fatto per farsi scoprire e poi far sì che qualcuno mettesse fine alle loro azioni, a Denzel non importava, perché la sua Amelia stava morendo e non poteva salvarla.
"Cosa posso fare?", disse guardando la fanciulla in agonia fra le sue braccia.
"Non c'è modo di invertire il processo."
"C'è sempre un contro incantesimo!"
"Non nell'alchimia. Noi studiamo le azioni e le reazioni. Causa ed effetto. Se c'è davvero una lontana possibilità di una cura per il morso di un Wendigo, l'unico posto dove può essere costudito è nel vaso di Pandora."
Pandora.
Senza volerlo, aveva dato al mago la risposta che cercava.
Caricò di energia magica la sua pietra del mago con tutto il potere che la sua natura gli permetteva. Non aveva mai avuto bisogno di farlo prima di quel momento, ma aveva deciso che non avrebbe dato loro più l'occasione di ripetere gli eventi di quella notte.
Diede un bacio sulla fronte ad Amelia. Le disse che l'amava.
Poi tutto l'edificio si riempì della potenza distruttiva dell'Arcimago di Juvenilia.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Parte VI ***


Il concilio di Xenia III

"E di Amelia che ne fu?", chiese con tono fermo Cassandra quando Denzel interruppe le sue parole. Il mago ci mise un po' a rispondere; il ricordo era ancora una ferita aperta e sanguinante.
"È sparita ovviamente. Assieme a tutti gli altri."
Charlotte, la Strega rossa, lo guardò con apprensione.
"Mi dispiace," gli disse. Era sincera e Denzel si limitò ad annuire fingendo non curanza.
"Non importa, era come se fosse già morta."
Cassandra e tutti gli altri tacquero qualche abbondante minuto, riflettendo su cosa avrebbero potuto fare per fermare questa minaccia che sembrava sfuggire al loro potere. Le due streghe del nord si guardarono preoccupate, Musa si alzò nervosamente e si rivolse alla fontana.
"Dobbiamo bruciare tutti gli alchimisti," disse a denti stretti, governata dalla paura e dalla rabbia, "non resteremo più a guardare gli uomini farsi beffe della nostra natura, contravvenendo a tutte le regole esistenti!"
"Ma non possiamo uccidere anche gli alchimisti che non hanno colpe!", fu Charlotte a parlare; dietro di lei, la sorella annuiva con convinzione, "non sarebbe giusto."
"Neppure ne gioverebbe l'ordine," approvò Cassandra.
La strega dell'Ovest si alzò con un sospiro; Denzel la osservò dare loro le spalle per un momento e poi tornare a guardarli più decisa.
"Troveremo il modo per contrastarli. Tutti noi utilizzeremo le nostre conoscenze per cercare una soluzione ai Bramanti e impedire il contagio di tutte quelle persone che vengono rese vittime innocenti dei morsi dei Wendigo."
A quel punto, Denzel sapeva che era l'unico momento nel quale avrebbe potuto osare chiedere l'impossibile.
"Il Diamante del nord può aiutarci", disse.
"Io?", la giovane Pandora parve confusa e cercò lo sguardo della sorella.
"Sappiamo tutti qual è la fonte del tuo potere. Se potessi aprire il vaso per noi, solo una volta..."
"Questo è fuori discussione," il tono di Charlotte si scurì improvvisamente, "Pandora non ha le facoltà per aprire il vaso."
"E lo hai deciso tu?"
"Lo ha deciso tutta la magia. Se dovessimo aprire il vaso che custodisce, i Wendigo sarebbero l'ultimo problema di cui occuparsi, credimi."
Denzel fu profondamente irritato da quel rifiuto. Avevano bisogno delle risposte di quel vaso, di tutta la sua conoscenza.
"E tu lasci sempre che sia tua sorella a parlare per te?", domandò a Pandora, provocandola. Ma ancora una volta Charlotte si frappose fra lui e la sorella con prepotenza.
"Quello che è giusto, adesso, è non causare ulteriori squilibri nell'ordine di Lyra: il vaso potrà anche contenere la soluzione al problema, ma sarà solo una delle tante alle quali possiamo arrivare senza aprirlo. Cassandra suggerisce la guerra."
"Tu e Cassandra siete le piaghe più grandi che possano camminare su tutta Lyra, molto peggio dei Wendigo o dei draghi stessi!", Denzel esplose in tutta la sua isteria, "ve ne state qui a dire cosa è giusto e cosa non lo è, a badare all'ordine come se fosse un problema nostro o di tutti quanti, ma la verità, e questo dovrete ammetterlo tutti quanti signori miei, è che quello che conta per voi è nutrire la vostra natura magica!"
Si alzò e chiamò il suo famiglio dietro di lui, intento a lasciare la sala, la tenuta, Xenia e le terre dell'Ovest quella sera stessa.
Non voleva più saperne di tutti loro e del loro concilio.
Ma, prima di passare oltre la porta, si voltò e cercò Pandora con lo sguardo.
"E tu, bada bene al guinzaglio che ti stringe al collo l'arpia al tuo fianco. Quando deciderai di brillare del potere che ti spetta, mentre tutti si ricorderanno solo della Strega rossa, rammenta che l'Arcimago di Juvenilia ti darà la possibilità di farlo!"

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Parte VII, Finale ***


Epilogo

 Aveva rivoltato tutta la sua biblioteca, aveva cercato su testi antichi, interrogato e torturato gli alchimisti che erano scappati la prima volta alla sua furia e che non avrebbero goduto del suo perdono, ma il suo affannarsi non faceva che accrescere la frustrazione.
C'erano stati momenti in cui si era abbandonato all'ira e la sua magia aveva distrutto le vetrate della stanza e mandato in pezzi le ceramiche.
Se avesse continuato così sapeva di certo che sarebbe impazzito.
Si sentiva in colpa per non aver capito prima quello che era chiaro quasi per tutti tranne che per lui; si sentiva in colpa per essere stato tanto cieco e oscurato da sé stesso da non essersi accorto di quello che pullulava sotto la sua città. Denzel non poteva perdonarsi, inoltre, di aver lasciato che Amelia si riducesse in quello stato: la notte udiva ancora le sue urla incolparlo di essersi sentita costretta da lui ad unirsi ai Bramanti.
Eppure... sarebbe bastato parlargli.

Quella mattina, il suo famiglio lo stava aspettando alla sua carrozza e Denzel lo osservò fuori dalla finestra mentre una serva finiva di vestirlo. Gli stava giusto appunto sistemando la giubba nera e i decori su di essa quando, innervosito, le scostò la mano e finì da sé, uscendo, poi, dalla stanza.
Tutto era cambiato da quando aveva estinto da Juvenilia l'ordine degli alchimisti: il Re aveva convenuto con lui che era stata la cosa migliore data la corruzione che dilagava tra di essi; aveva dato inizio ad una vera e propria inquisizione nei confronti di chiunque praticasse l'alchimia o la magia in modo sospetto.
Quando Denzel camminava per i corridoi tutti si inchinavano in un gesto che faceva trasparire rispetto quanto terrore. Ma a lui, in fondo, non dispiaceva che fosse così.
Stavano tutti attenti a non parlare in sua presenza, a non attirare l'attenzione in alcun modo. Tra la servitù si mormorava che avesse fatto giustiziare una Lady solo perché l'aveva ascoltata cantare un incantesimo d'amore.
Era una menzogna, ma al mago non importava.

Giunse nel cortile e con sufficienza ordinò al suo famiglio di dire al cocchiere la destinazione predestinata. Salì e si mise a sedere.
Il famiglio eseguì l'ordine del suo mago poi lo seguì all'interno della carrozza nella sua forma animale di gatto incantato. Balzò sulle sue gambe e, facendo le fusa, si arrotolò sotto le carezze del suo padrone che lo accompagnarono lungo tutto il tragitto.
Quando furono arrivati a destinazione nessuno dei due sentì alcuna emozione di fronte all'accademia alchemica ormai abbandonata. Denzel entrò, facendosi strada questa volta attraverso il cancello principale.
Ordinò che nessuno lo seguisse e chiese ad Arman di assicurarsene.
Ripercorse i giardini, la strada attraverso il vestibolo e l'ingresso principale: era pieno giorno, ma quegli ambienti erano vuoti e silenziosi come quella notte di settimane prima. Denzel osservò il disordine dell'abbandono durante la sua camminata, i fogli sparsi per i corridoi e la polvere sulla mobilia. Si disse che sarebbe stato un peccato tenere vuota quella struttura. Così cominciò a fantasticare sul suo utilizzo in un ipotetico futuro.
Niente alchimisti, questa volta.

Entrò di nuovo nel passaggio segreto, dritto verso la grande sala spoglia e buia. Batté le mani quando vi fu dentro e delle fiammelle apparvero lungo le colonne.
Se in passato vi fosse stato un massacro in quella sala enorme, nessuno sarebbe stato in grado di dirlo. Sembrava, al contrario, che fosse stata tenuta con ordine e pulizia maniacali.

Si mosse qualcosa in fondo alla sala: Denzel udì il rumore delle catene e l'ombra della figura rintanata in un angolo farsi più avanti sotto la luce delle lanterne appena accese.
"Amore mio."
La voce del mago produceva un'eco e così fece anche il lamento della creatura a qualche metro da lui.
"Perdonami, sono stato via troppo a lungo", aggiunse.
Arrestò la sua camminata ad un paio di metri dall'ospite della sala, che, dopo aver annusato l'aria, tentò un balzo verso il mago. Le catene la costrinsero di nuovo a terra e lui ne osservò con compassione l'affanno.

"Non fare così, lo sai che non vorrei mai tenerti in queste condizioni. Sono venuto a dirti che dovrò partire nuovamente: la guerra è alle porte e i maghi e le streghe di Lyra richiedono il mio aiuto. Una parte di me vorrebbe lasciarli al loro destino, ma questo è l'unico modo che ho per poter rivedere la custode del vaso. Si occuperà Arman di darti da mangiare. È un famiglio assai premuroso. Amore mio? Mi senti?", si avvicinò alla figura sul pavimento, ignorando la distanza di sicurezza. Si chinò e allungò una mano a carezzarne la testa; non vi fu alcuna reazione pericolosa, la creatura sembrò avvertire come un conforto quel tocco.
"Ti riporterò indietro, Amelia."
Al suono di quel nome, il Wendigo si voltò improvvisamente verso il mago nel tentativo di morderlo. Denzel si scansò in un attimo, cadendo a terra con il cuore che gli scoppiava nel petto.
 

Si alzò, fissando la sua amata ridotta ad una bestia senza coscienza ringhiargli contro e mostrargli i denti aguzzi.
Non aveva avuto il cuore di ucciderla assieme agli altri, quella notte. Ma, al contrario, aveva provato a curarla con ogni mezzo che aveva. La trasformazione, però, era stata inevitabile.
Era riuscito solo a rallentarne il processo. Ma, terminato l'effetto dell'incantesimo, questo aveva ripreso inesorabile a divorare e mutare la giovane con crescente irruenza. Non riusciva nemmeno a considerare l'idea di mettere fine alle sue sofferenze. Si era convinto, infatti, che sarebbe riuscito a porre rimedio al suo errore.

Chissà se lo riconosceva, se era arrabbiata con lui.
"Fa la brava te ne prego. Tornerò appena possibile."
E l'Arcimago di Juvenilia se ne andò, accompagnato nella sua uscita dai ruggiti rabbiosi della sua amata.

 

Nota dell'autrice

Siamo al finale di questa long-fic che spero in qualche modo vi abbia incuriosito, affascinato o anche solo un pò intrattenuto. Il progetto di MAGIA, ha ancora un sacco di storie da raccontare e spero che vogliate rimanere con me a leggerne ancora. Vi ringrazio per il tempo che avete dedicato a me e a Denzel, Arcimago di Juvenilia e Volpe dorata di Lyra; chissà se in futuro non leggeremo ancora di lui. ;) 
Grazie a tutti per ogni lettura!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3667494