Sotto il velo della notte - Serie Legacy Vol.1

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cenni Storici - Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Cenni Storici - Capitolo 1 ***






Brevi cenni storici



Giorgio IV di Hannover (Giorgio Augusto Federico) (Londra, 12 agosto 1762Windsor, 26 giugno 1830) è stato re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e di Hannover dal 29 gennaio 1820. Figlio di Giorgio III e di Carlotta di Meclemburgo-Strelitz, aveva precedentemente esercitato le funzioni di principe reggente a causa dell'infermità mentale del padre.


Giorgio era un monarca ostinato, che spesso interferì negli affari politici (soprattutto riguardo alla questione dell'emancipazione cattolica), sebbene in misura inferiore rispetto al padre. Per la maggior parte della sua reggenza e del suo regno fu Lord Liverpool, il Primo Ministro, ad avere il governo effettivo del Regno.

Gli anni della Reggenza di Giorgio IV (1811-1820) furono segnati dalla vittoria nelle guerre napoleoniche in Europa e da un clima culturale particolarmente vivace in patria. Durante il suo regno vennero abrogati i Combination Acts che proibivano la libera associazione dei lavoratori. Nel 1829 Sir Robert Peel creò la Civilian Metropolitan Force, i cui componenti sono più noti come bobbies.

Giorgio IV è spesso ricordato come un principe e re liberale e stravagante: per questo si guadagnò l'appellativo di First Gentleman. Ebbe pessimi rapporti tanto con il padre che con la moglie, Carolina di Brunswick. Fu patrono delle arti e della letteratura, e visse un'intensa vita mondana, legandosi con i dandy più alla moda di Londra.
 

 

1.

 
 
 
Campagne dello Yorkshire - Aprile 1823

 

Di una cosa poteva essere assolutamente certa.

Quella sua prima Stagione a Londra, sarebbe stata strepitosa.

Per quel magico evento, che lei sognava ormai da quando aveva quattordici anni – e faceva invece tremare suo padre – Elizabeth Kathleen Spencer si era preparata con minuziosa attenzione.

Non voleva assolutamente finire preda di vanesi damerini con bei faccini e intenzioni ben poco onorevoli ma, al tempo stesso, non voleva neppure apparire frigida e scostante.

Sapeva che l’essere figlia di un conte, oltre che di una famiglia onorata e prospera imparentata con il re, avrebbe attirato dei cacciatori di dote da ogni dove.

Sua zia Myriam gliene aveva parlato, e così sua madre, Kathleen, che lei stimava e adorava.

Non nascondeva di voler diventare come lei, un giorno e di potere, forse, sperare in un matrimonio felice come quello tra la madre e il padre.

Era abbastanza romantica da sperarlo, pur se non ci credeva molto.

Trovava che il fatto di essere messe in mostra da Almack’s fosse paragonabile a una fiera del bestiame, e più volte suo padre si era lagnato per il medesimo motivo.

Al tempo stesso, però, ne era attirata come un magnete e, anche se i suoi fratelli si burlavano di lei, per questo, Elizabeth non si era mai scoraggiata.

Kathleen, inoltre, aveva sempre liquidato con un sorriso le lagnanze del marito, rammentandogli che sarebbe stato ingiusto, da parte loro, vietare alla figlia di parteciparvi.

In effetti, Elizabeth amava stare in compagnia delle persone, e Londra la incuriosiva, ed era anche così onesta da ammettere che York cominciava a starle un po’ stretta.

Certo, era una graziosa cittadina del nord, con bei negozi, colline interessanti in cui perdersi in lunghe cavalcate coi fratelli o i cugini, ma tant’era.

Lei voleva ampliare i propri orizzonti, e quale città migliore, se non Londra, per farlo?

Una volta, o forse più d’una, in effetti, suo padre l’aveva bonariamente accusata di essere come suo zio, di avere la sua stessa verve.

Elizabeth non aveva potuto avere l’opportunità di conoscere Andrew Campbell – di cui il suo gemello era l’omonimo – ma tutti, compresi Myriam e suo marito Anthony, ne serbavano bei ricordi.

Anche Randolf, suo cugino e figlio di Myriam e Andrew, aveva in sé vaghi ricordi del padre perso in guerra, pur se amava molto il suo patrigno Anthony Phillips, duca di Thornton.

Divenuto adulto e sposatosi con una giovane del sud, tale lady Savannah Johnson-Pruitt, era succeduto a Anthony come barone Barnes, e ora viveva nella casa di famiglia con la sua prole.

Avevano avuto un bellissimo figlio, Johnathan, che lei personalmente adorava, e Savannah era in attesa di un secondo bambino, che sarebbe nato in autunno.

Elizabeth non poteva certo dichiararsi scontenta della propria vita.

Era una figlia amata, così come una sorella, una cugina e una nipote amata, e lei ricambiava appieno questi sentimenti.

Inoltre, poteva contare su una famiglia unita e su una servitù fedele che le voleva veramente bene.

Sapeva però benissimo che il loro era un esempio di una rarità assoluta, nel mondo affettato, elegante e spesso lezioso del Ton.

Visitando le sue amiche di York, o presenziando nei salottini della madre o della zia Myriam, era stata testimone di vicissitudini tutt’altro che esaltanti.

Il fatto che uno dei suoi zii, William Knight, fosse fratellastro di sua madre, la diceva lunga su quanto fossero timorati di Dio, in realtà, i nobili inglesi.

Nel rallentare l’andatura del suo baio quando raggiunse i confini della casa dello zio, Elizabeth sorrise allo stalliere che l’aveva accompagnata, Bryan, e scese da cavallo.

Legato che ebbe il suo Starlight alla staccionata che segnava la proprietà, pregò Bryan di seguirlo – era inutile che restasse fuori a prendere freddo – e si avviò verso la casa a due piani degli zii.

Bridget si trovava lì a causa del ferimento di Julian, il suo secondogenito, caduto dal ramo di un albero che non avrebbe dovuto scalare.

Tenere fermo – o sotto controllo – il bambino di dieci anni, però, sembrava un’impresa impossibile per tutti.

Bussato che ebbe, Elizabeth attese che qualcuno venisse ad aprirle e, quando la domestica dei Knight la vide sulla porta, le sorrise e disse: “Benvenuta, Miss Elizabeth! Dio vi benedica… chissà che Julian non si calmi un po’, vedendovi!”

Accentuando il suo sorriso, la fanciulla replicò ironica: “Mio cugino fa i capricci?”

La donna, una matrona di cinquant’anni rimasta vedova precocemente, assentì e lanciò uno sguardo esasperato verso l’alto, facendo emergere un risolino dalla gola di Elizabeth.

Julian era sempre stato uno scapestrato, perciò non faticava a immaginarselo mentre faceva ammattire sua madre, o la governante.

Salite le scale verso il primo piano, mentre Bryan si attardava in cucina assieme a Mrs Kittwell per un goccio di tè caldo e cialde ripiene, Elizabeth si diresse verso la camera di Julian con passo spedito.

Lì, dopo aver bussato un paio di volte, aprì il battente e scorse il cugino steso a letto col braccio steccato e la madre, accigliata, forse pronta a suonargliele di santa ragione.

Lo sguardo di sfida del giovane Knight, però, dava l’idea di non essere minimamente spaventato dal cipiglio della madre.

Elizabeth intervenne in quel momento, sperando così di sedare un po’ gli animi e di evitare la rissa.

Salutando il cugino, che le sorrise con autentico affetto, la giovane passò accanto alla zia, sfiorandole un gomito con la mano in segno di comprensione e, piegatasi verso il letto, baciò la fronte di Julian, asserendo: “Hai più forza di un leone, nonostante tutto, cugino. Il braccio ti duole molto?”

Ammiccando coi singolari occhi color brandy – retaggio del padre – Julian replicò con sagacia: “E’ proprio quello che stavo dicendo a mia madre, cugina Elizabeth. Non ho affatto necessità di rimanere steso a letto, o chiuso in camera come un derelitto. Ho dieci anni, per…”

L’occhiata glaciale di Bridget lo azzittì prima che potesse dire qualcosa di troppo e Julian, arrossendo leggermente, borbottò: “Sì, insomma, non penso di dover rimanere a letto come un malato terminale.”

Elizabeth sorrise indulgente e, nel sedersi sul bordo del letto, sistemò il suo abito da cavallerizza con tocchi leggeri delle dita.

Le era sempre parso assurdo dover indossare quell’ingombrante abito in raso color muschio, costringendosi nel rigido corsetto in stecche di balena, ma la moda questo diceva.

Avrebbe preferito di gran lunga andarsene in giro per la campagna come solevano fare i suoi fratelli, con i calzoni al ginocchio e la giacca aperta sul torace.

Ma sapeva bene come doveva comportarsi come una vera lady, e lei lo era fin nel midollo, pur se apprezzava la libertà che i genitori le avevano sempre concesso.

Lappandosi le labbra per entrare meglio nel personaggio, Elizabeth tornò a guardare il cugino con estrema serietà e, sbattendo le ciglia con affettazione, mormorò: “Devi riguardarti, invece, poiché è di vitale importanza il fatto che tu guarisca perfettamente. Se il braccio dovesse guarire male, come potresti cavalcare agevolmente, Julian? E chi aiuterebbe tuo padre nella tenuta, se tu fossi per sempre menomato?”

Fare riferimento al padre era sempre il modo migliore per calmare i bollenti spiriti del cugino, specie se a farlo era lei.

Era scorretto usare l’affetto che Julian provava nei suoi confronti ma, se questo poteva tenerlo fuori da guai, lo avrebbe usato eccome.

Bridget la lasciò fare e, facendo finta di dover sistemare alcune cose del figlio, cercò di lasciare ai cugini il giusto spazio e un po’ di privacy.

Julian, come sempre, si lasciò intenerire dalla cugina e, annuendo grave, replicò: “Hai sicuramente ragione, cugina Elizabeth ma è difficile, per un uomo, rimanere confinato nelle proprie stanze.”

La ragazza cercò di non ridere – il cugino, a volte, si prendeva un po’ troppo sul serio – e asserì a sua volta: “Non lo metto in dubbio, cugino caro ma, proprio per questo, devi capire che il tuo ruolo di uomo, all’interno della famiglia, è così importante che la tua salute non può passare in secondo piano. Senza di te, tuo padre dovrebbe svolgere i propri lavori in solitudine, o appoggiandosi solo ai suoi dipendenti. Ma sappiamo bene entrambi che la fedeltà di un figlio è impagabile.”

Del tutto serio, Julian assentì grave, ed Elizabeth seppe di aver vinto la battaglia, pur se non la guerra.

Sapeva benissimo che, entro qualche giorno, Julian avrebbe ripreso a scalpitare come un cavallo, e che Bridget avrebbe dovuto ricorrere alle corde, forse, per tenerlo a letto.

Per il momento, però, il peggio sembrava essere passato.

Nel salutare il cugino, che sospirò come un’anima in pena pur senza cercare di fuggire, la giovane uscì dalla stanza assieme alla zia e, entrambe, scesero dabbasso.

Dopo aver chiesto tè e pasticcini a Mrs Kittwell, Bridget si accomodò nel salottino di casa assieme alla nipote e lì, con un sospiro, asserì: “Se non fossi arrivata tu, cara, avrei dovuto tramortirlo con una pala. E dopo, chi l’avrebbe sentito, William, vedendo il figlio con un bernoccolo in testa?”

Elizabeth rise sommessamente – sapeva bene che Bridget non sarebbe mai arrivata a tanto – e replicò: “Sarebbe stato interessante ascoltare le tue spiegazioni, zia.”

“Oh, sicuramente!” assentì Bridget, sorridendo quando Mrs Kittwell entrò con la loro merenda.

Dopo averla congedata, con la preghiera che si riposasse un po’, Bridget servì il tè per entrambe ed Elizabeth, sorridendo nel sorseggiare un po’ di bevanda ambrata, mormorò: “Come mai non hai preso nessun altro, per darti una mano con la casa?”

Bridget sorrise indulgente, replicando: “Sono nata domestica, cara e, anche se William ha ereditato una cospicua somma di denaro, alla morte di suo padre, oltre a ciò che gli aveva destinato tuo padre, rimango pur sempre la figlia di un vicario e di una lavandaia.”

La fanciulla scrollò le spalle, incurante delle sue umili origini.

“Ora non lo sei più, però, e potresti contare su almeno due o tre persone che ti aiutino, qui in casa, invece di occuparti di gran parte dei lavori” le fece notare Elizabeth.

Sapeva bene che Mrs Kittwell si occupava solo dei pasti e di poco altro.

Era lì soprattutto perché era un’amica di famiglia, rimasta sola dopo la morte del marito.

Bridget sorrise indulgente, limitandosi a dire: “Le abitudini sono dure a morire.”

“Niente di più vero” assentì laconica la ragazza, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra, ove si scorgeva il contorno rotondo della collina e Green Manor in tutto il suo splendore e i suoi segreti.

Non ne aveva mai conosciuto i motivi, ma si era sempre chiesta come mai suo padre, il primo giorno di ogni anno, sostasse così a lungo nella cappella di famiglia per pregare.

Non si era mai arrischiata a chiedere, temendo potesse essere un ricordo troppo doloroso da rammentare, o qualcosa che i genitori non volessero dirle.

D’altra parte, però, era ormai grande – quanto meno, quel che bastava per poter essere maritata – e credeva fosse importante sapere una cosa simile.

Chi meglio di Bridget, quindi, per sapere cosa fosse successo di così importante, quel giorno?

Tornando a volgersi verso di lei, quindi, la ragazza si lappò nervosamente le labbra e domandò: “Posso importunarti con una domanda, zia?”

Vagamente sorpresa dall’ansia che lesse in quegli splendidi occhi grigio ghiaccio, eredità del padre, la donna assentì, spingendola poi a parlare con un gesto della mano.

Stringendo le mani in grembo, le lunghe dita affusolate ora rattrappite e fredde, Elizabeth le chiese: “Cosa successe, il primo giorno dell’anno? Non so di quanti anni addietro ma, dacché io ricordo, mio padre è solito pregare molto, quel giorno, e non credo che sia per benedire l’anno appena iniziato.”

Bridget impallidì leggermente, a quella domanda, rammentando fin troppo bene cosa fosse successo, … e cosa si fosse rischiato.

Era un periodo della loro vita che nessuno rammentava volentieri, ma ognuno di loro avrebbe dovuto sospettare che, prima o poi, qualcosa sarebbe venuto a galla.

Inoltre, avrebbe anche potuto succedere che, durante i banchetti cui sarebbe intervenuta Elizabeth durante la Stagione, lei potesse venire a conoscenza di qualche diceria.

Poteva lei riaprire quella ferita? O doveva delegare suo padre, o sua madre, perché facessero chiarezza nei dubbi della figlia?

D’altro canto, non voleva sobbarcare i conti di quel brutto episodio occorso nel loro passato, ed era diritto di Elizabeth sapere.

Preso perciò un bel respiro, Bridget le domandò per contro: “Hai mai notato che tua madre, sulla spalla sinistra, ha una cicatrice tondeggiante?”

Vagamente sorpresa, la giovane assentì e, quando Bridget non disse nulla, la contessina venne presa da un principio di panico.

Si portò le mani alla bocca per reprimere un singulto strozzato e, pallida come un cencio, esalò: “Le spararono?! Quella… quella ferita è… è un colpo di pistola? Di fucile?!”

“Di pistola, mia cara” la corresse Bridget. “Tuo padre si batté a duello, l’inizio dell’anno in cui voi nasceste, per difendere l’onore di tua madre… e lei era con lui.”

Sbattendo furiosamente le palpebre, Elizabeth esalò: “Mio… padre? Ma… ma non è illegale battersi?”

Sorridendo teneramente – se c’era una cosa in cui eccelleva la nipote, erano gli studi in legge e la Storia – Bridget si limitò a dire: “E’ una regola che non è mai stata rispettata molto, cara e, nel caso specifico, tuo padre aveva tutte le ragioni per volersi battere.”

Ancora, la fanciulla fece fatica a ricollegare la figura tranquilla e pacifica del padre, con un uomo capace di battersi a morte per difendere l’onore dell’amata.

Il lato romantico che era in lei esultò di calore, ma la sua parte analitica rabbrividì al pensiero di aver quasi perso entrambi i genitori a causa di un duello.

“Come vi entrò mia madre?” chiese a quel punto.

“Kathleen si gettò in mezzo quando lo sfidante di tuo padre, ferito dal colpo esploso da Christofer, non rispettò le regole. Estrasse una seconda pistola e, nello stupore generale, mirò al conte. Tua madre non lo permise, prendendo il colpo al suo posto” le spiegò succintamente Bridget, facendo sgranare gli occhi alla nipote.

“Cielo!” ansò sgomenta, non aspettandosi di certo una reazione simile, in una lady titolata.

Lei aveva sempre pensato che sua madre fosse una persona dalla sopraffina eleganza e compostezza – nessuna rivaleggiava con lei – ma, a questo punto, che pensare?

Certo, l’aveva vista a cavallo, e sapeva che era in grado di cavalcare anche con una sella da uomo, ma… gettarsi in mezzo a un duello?

Era davvero… eccezionale!

Sorridendo orgogliosa ed eccitata, Elizabeth si portò le mani al cuore ed esalò ammirata: “Quanto doveva amarlo, per compiere un gesto simile?”

“Molto, mia cara, ma credimi quando ti dico che tuo padre, per tutto il tempo, si odiò per averla portata con sé, e noi tutti restammo in trepidante attesa di un suo recupero. Non vi fu nulla di romantico, in questo.”

Elizabeth, però, la ascoltò appena, troppo presa dal pensiero che i suoi genitori potessero essersi comportanti come gli eroi di una mitica storia d’altri tempi.

Quando infine rincasò, sempre accompagnata dal fido Bryan, la giovane contessina non poté che ripensare alle parole della zia.

Si era sempre accorta che i genitori, rispetto ad altre coppie di sua conoscenza, avevano un’intimità nello sguardo e nei gesti davvero inusuale.

Questa cosa le era sempre piaciuta e, pur sentendosi un po’ in colpa nell’ammetterlo, si era vantata di questo con le amiche.

Ora che sapeva la verità, o almeno una sua parte, dovette ricredersi. Il loro amore era molto più forte e potente di quanto non avesse mai immaginato!

Consegnato cappellino, guanti e frustino a uno dei lacchè, Elizabeth si diresse quindi verso le scale principali e, da lì, verso lo studiolo del padre.

Aveva tutta l’intenzione di fargli capire quanto lo ammirasse, e la stessa cosa avrebbe fatto con la madre.

Era così orgogliosa di avere due genitori così coraggiosi e innamorati!

Quasi saltellando lungo il corridoio ricoperto di tappeti, Elizabeth raggiunse infine lo studio e lì, dopo aver bussato, si affacciò e sorrise al padre.

Lui levò immediatamente il capo dai documenti che stava leggendo e, depositata la penna nel calamaio, si levò in piedi massaggiandosi la gamba destra.

Sapeva che, ai tempi della guerra – quando era morto zio Andrew – lui era stato ferito gravemente alla gamba, e a causa di ciò aveva mantenuto una leggera zoppia.

Questo, però, non ne aveva mai minato l’eleganza, a modo di pensare della figlia.

Aggirato che ebbe l’ampia scrivania di noce, Christofer si fermò accanto a essa, vi poggiò contro un fianco e, sorridente, esordì dicendo: “Ebbene, mia cara? La passeggiata è stata bella?”

Chiudendosi la porta alle spalle, Elizabeth assentì e, nel sorridergli con affetto, asserì: “Sono stata a casa di William e Bridget per vedere come stava Julian. Fa un po’ i capricci ma, per lo meno, non è in pericolo di vita.”

“Bene. Quel ragazzo ha l’argento vivo addosso, e ho tremato quando ho saputo che si era fratturato un braccio” sospirò di sollievo Christofer.

La figlia non ce la fece proprio più.

In barba all’etichetta, a tutto quanto, raggiunse il padre in poche, rapide falcate e lo abbracciò con foga, sorprendendo non poco l’uomo.

I riccioli chiari di Elizabeth le si sparsero sulla schiena e Christofer, carezzandoglieli con gentilezza, mormorò preoccupato: “Cosa succede, tesoro mio?”

“Ti voglio bene, padre. Davvero tanto” sussurrò con trasporto la giovane.

Vagamente sorpreso da quell’esternazione – la figlia era molto diretta ma, di solito, non si sdilinquiva mai a quel modo – l’uomo le domandò: “Te ne voglio anch’io, tesoro, ma come mai dirmelo ora?”

Lei sorrise contro il suo torace ampio e protettivo e, nel socchiudere gli occhi, mormorò: “Volevo solo fartelo sapere. Tutto qua.”

Pur subodorando altro, Christofer preferì lasciar perdere e, nel tenersela stretta, sussurrò contro i suoi capelli: “Sai che a me e alla mamma puoi dire tutto, vero?”

“Oh, sì. Ma sto bene, davvero” lo tranquillizzò lei, scostandosi per sorridergli.

“Un po’ di ansia pre-Stagione?” ipotizzò allora l’uomo, sistemandole un ricciolo ribelle dietro un orecchio.

Elizabeth rise sommessamente, a quell’appunto e, nello scostarsi, fece una mezza piroetta e replicò divertita: “Quello che è in ansia sei tu, padre. Non hai forse fiducia in me?”

Sbuffando, Christofer borbottò: “Non proprio, cara. Ma so quanto può essere affascinante, quel mondo, per chi non lo ha mai visto. E ci sono tanti baldi giovani dai sorrisi accattivanti, in quelle sale. Davvero non il primo posto in cui lascerei mia figlia.”

Elizabeth si coprì la bocca per non esplodere in una gaia risata divertita e, nel prendere entrambe le mani del padre, lo costrinse a un mezzo giro di minuetto, asserendo: “Adorerò le luci e i colori, ma ricorda anche che ho la testa sulle spalle, e so da chi stare alla larga. I galletti presuntuosi non fanno per me, e neppure quelli troppo melensi e appiccicosi.”

“Lo spero bene” sospirò afflitto Christofer, bloccando quel balletto improvvisato per carezzare il viso della figlia. “Sei un bene troppo prezioso, perché io possa perderlo così alla leggera.”

“Non mi perderai mai, padre” sussurrò la giovane, mordendosi un labbro di fronte all’autentica ansia dimostrata dall’uomo dinanzi a lei.

Poteva davvero essere degna di tanto amore?

In un modo o nell’altro, lo sarebbe stata, e avrebbe conquistato un uomo che l’avrebbe guardata con altrettanto affetto.

O almeno, così lei sperava.


 


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Ed eccoci qui, nuovamente nell'epoca Regency, con la famiglia Spencer, alle prese con la prima Stagione della nostra Elizabeth, ormai divenuta grande e pronta per essere presentata al mondo.


Ma il nostro Christofer sopporterà che altri uomini, oltre a loro della famiglia, entrino in contatto con lei?
Visti i tempi, gli dareste torto?

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 
2.
 
 
 
York – Aprile 1823
 
 
Controllando con attenzione i nastri che aveva tra le mani, mentre sua madre era impegnata a chiacchierare con la modista, Elizabeth si piegò verso Charlotte, la sua migliore amica, e mormorò: “Azzurro, o blu notte?”

“Con i tuoi colori? Puoi indossare quel che vuoi, e ti starà sempre bene” replicò l’amica, soppesando tra le esili dita due nastri di uguale colore, ma diversa larghezza.

La giovane Spencer, allora, consegnò quello blu notte a Charlotte, e tenne per sé l’azzurro ghiaccio, che ben si sarebbe abbinato ai suoi occhi.

Al contrario, quello blu notte sarebbe spiccato in tutta la sua eleganza, grazie ai capelli ramati dell’amica.

Nell’accostarlo alla massa di riccioli ordinati che Charlotte portava su un lato del capo, sorrise e disse: “Sì, questo è tuo.”

“Può anche darsi, ma non cancellerà il fatto che ho i colori sbagliati” si lagnò Charlotte, o Charlie, come la chiamava Elizabeth quando erano sole.

Quest’ultima scosse le esili spalle, sollevò tra pollice e indice uno dei propri riccioli castano dorati e replicò: “Neppure io sono bionda come una scandinava, né ho gli occhi azzurri come il cielo, mi pare. Eppure, non me ne faccio un cruccio, credimi.”

“Sei bellissima” sottolineò per contro Charlotte, sorridendole con affetto. “Molto più di me.”

“E’ opinabile. Tu hai bellissimi occhi verdi, come quelli di mia madre e mio fratello Andrew” le ribatté allora Elizabeth, prendendola sottobraccio per condurla in direzione degli scampoli di raso appena giunti da Parigi.

Curiosando tra quelle splendide stoffe, la giovane Spencer aggiunse meditabonda: “Inoltre, la bellezza non dovrebbe essere il metro di giudizio entro cui scegliere una moglie, ti pare? Dovrebbero apprezzare una mente brillante, oltre a una discreta proprietà di linguaggio, no?”

Charlotte nascose il suo risolino oltre l’orlo della mano sollevata a coprire la sua bocca a cuore, replicando divertita: “E quando mai a un uomo interessa il pensiero di una donna? E poi, noi non siamo qui per apparire giustappunto più belle?”

Elizabeth si guardò intorno corrucciata, i denti bianchissimi intenti a torturare il suo labbro inferiore – vizio che non aveva mai perso – e, poggiate le mani sui fianchi, borbottò: “A me piacciono i vestiti, ma non mi vestirò mai in modo speciale per far piacere a un uomo.”

Lanciando poi uno sguardo alla madre, la ragazza aggiunse: “Inoltre, mio padre tiene in grande considerazione le opinioni di mia madre. Il tuo non lo fa?”

Charlotte batté una mano sul braccio dell’amica e, sospirando leggermente, sussurrò: “Amica mia, i tuoi genitori sono più unici che rari, dovresti saperlo, ormai.”

Sinceramente dispiaciuta all’idea di aver detto troppo, Elizabeth fissò dolente l’amica che, per contro, scosse la testa con un sorriso e aggiunse: “Credo che, più che altro, mio padre non voglia far preoccupare la mamma. Sai quanto è cagionevole di salute. Forse, pensa che occuparsi anche delle questioni riguardanti la tenuta, potrebbe metterle inutili ansie addosso.”

“Oh, sì… hai ragione. Le febbri sono più tornate, dall’inverno scorso?” si informò a quel punto Elizabeth, sinceramente preoccupata per Annabeth, la madre di Charlie.

“Fortunatamente, no. Ma stavolta è stata più dura delle altre. Il medico era assai preoccupato” sospirò Charlotte, scuotendo il capo. “Se continuerà così, mio padre sarà costretto a vendere i suoi possedimenti qui al nord per trasferirsi a sud, nei pressi di Bath, o giù di lì, per permettere a mia madre di curarsi regolarmente.”

Elizabeth ansò di sorpresa e sgomento, turbata all’idea di poter perdere, da un giorno all’altro, la cara amica del cuore.

Il pensiero di sapere lady Annabeth malata, però, surclassò le sue personali ansie e, nel sorridere sicura a Charlotte, mormorò: “Sono certa che si aggiusterà tutto. E tua madre è più forte di quanto non possiamo noi tutti pensare.”

Lo disse per tirarla su di morale, ma non seppe dire, in tutta onestà, quanto vi fosse di vero nel suo dire.

Annabeth non era mai stata in salute ma, da quando era tornata da un viaggio in Spagna assieme al marito, non era più stata la stessa.

Continue febbriciattole l’avevano infastidita fino a farla crollare, due anni addietro, proprio durante le festività del nuovo anno.

Da quel momento, la donna era sempre rimasta sotto stretto controllo medico, e sapeva bene quanto Charlotte e suo padre Michael fossero in ansia per lei.

“Andiamo a vedere cosa combinano le nostre madri” le propose a quel punto Elizabeth, preferendo cambiare argomento.

Non voleva che l’amica si preoccupasse per nulla.
 
***

Alexander Jeffery Chadwick, secondogenito del duca Barrett di Aberdeen, stava avanzando in sella al suo stallone bianco, Apollo, lungo la via principale di York.

Al suo fianco, ritto sulla sella al pari del figlio, Barrett scrutava dinanzi a sé senza un solo pensiero al mondo, tranquillo e saldo come una roccia.

Sarebbe servito un contingente di soldati di Sua Maestà, per preoccuparlo anche solo minimamente e, con tutta probabilità, Maxwell Chadwick non avrebbe fatto altro che arrotolarsi le maniche e combattere.

Il fratello di Alexander, Wilford, di quattro anni più grande di lui ed erede del titolo, era della stessa stoffa del padre.

Alto, robusto come una solida quercia, dal pugno facile e più propenso a risolvere le dispute a suon di cazzotti, piuttosto che a parole.

Alexander, al contrario, aveva preso da sua madre, più riflessiva e attenta nel parlare, oltre che molto scaltra e sottile nell’esprimersi.

Da lei aveva preso anche i colori, dai neri capelli, alla carnagione chiara a quegli occhi blu che facevano pensare alle freddi e limpide notti invernali.

Amava inoltre portare i baffi ben curati e solo appena accennati, per sottolineare la bocca morbida e dal taglio vagamente sprezzante.

Alexander faceva un vanto di non aver mai perso una partita a scacchi, così come un duello in un dibattito politico… o a suon di pugni.

Indipendentemente da chi fosse il suo avversario.

Dopotutto, era pur sempre uno dei figli di Maxwell Chadwick e, pur se preferiva la favella alle mani, qualche pugno ben assestato sapeva tirarlo.

Persino con il Generale Wellington era riuscito ad averla vinta in una disputa politica, e lui ne andava particolarmente fiero.
“A cosa stai pensando, ragazzo? Hai lo sguardo perso nel nulla” lo richiamò Maxwell, con la sua voce tonante e profonda.

Alexander gli sorrise appena, tornando a curiosare dinanzi a sé da sotto la tesa della sua tuba, diritta sul suo capo corvino.
“Nulla di particolarmente interessante, padre. Stavo riandando con la memoria al mio dibattito con lord Wellesley.”

Maxwell rise fragorosamente, nel ricordarlo a sua volta e, dandogli una pacca sulla spalla, esclamò: “Oh, quella fu una giornata memorabile! Il mio figliolo che mette nel sacco niente meno che il generale Wellington!”

Potevano anche essere diametralmente opposti, come carattere ma, se c’era una cosa che Maxwell Chadwick sapeva fare, era apprezzare le qualità di tutti.

In primis, dei suoi figli.

Tutto gongolante, Maxwell aggiunse: “Lo hai davvero stracciato, ricostruendo passo per passo tutti gli errori commessi durante la battaglia di Waterloo, sottolineando come i nostri abbiano vinto soltanto grazie all’intervento del feldmaresciallo Von Blüchen.”

Sminuendosi il giusto per non apparire presuntuoso, Alexander replicò: “Ho solo sottolineato l’ovvio, pur rispettando l’immensa operazione portata avanti dalle nostre forze, congiunte a quelle dei prussiani.”

“Lo hai massacrato” sottolineò invece Maxwell, prima di rallentare l’andatura quando i suoi occhi si posarono su un quartetto assai gradevole da ammirare.

Alexander ne seguì curioso lo sguardo e, rivolgendosi al padre, domandò a bassa voce: “Chi stiamo osservando con così mirabile attenzione, padre?”

“La donna alta e sottile è lady Harford, la moglie Christofer Spencer, il conte …” gli spiegò Maxwell, sfiorandosi il bordo della tuba con una mano per salutare le signore di passaggio sul marciapiede.

Kathleen e il suo gruppo risposero al cortese saluto con un cenno del capo, prima di proseguire e Maxwell, sempre rivolgendosi al figlio, proseguì nell’elenco.

“La signora piccolina e pallida è lady Annabeth, la moglie di Michael. Dovresti ricordarti di lui. Michael Ranking, lord Fitzgerald.”

“Sì, mi rammento di lui. Mi piace come ragiona. Non è il solito borioso nobiluomo che scalda il suo scranno in Parlamento” assentì Alexander, facendo sogghignare divertito il padre.

“Vuoi forse insinuare che io, invece, lo scaldo e basta?” ironizzò l’uomo, facendo sorridere maliziosamente il figlio.

“Affatto, padre. Finché ci sarò io a consigliarti, ciò non succederà mai, ovviamente” sottolineò Alexander con tono serafico.

Maxwell scoppiò in un altro eccesso di risa, annuendo più volte e Alexander, lanciando un’occhiata fugace dietro di sé, domandò: “Le due fanciulle con loro, padre?”

“Mi sembrava strano che non le avessi notate” ghignò l’uomo, dandogli una pacca piuttosto poderosa sulla spalla. “La brunetta e magrolina, è la figlia di lady Kathleen Spencer, e si chiama Elizabeth. La rossa è lady Charlotte, la figlia di Michael e Annabeth. Hai puntato gli occhi su una di loro due?”

“Vuoi davvero liberarti così presto di me, padre?” esalò Alexander, levando le mani come per difendersi.

“Hai ventun anni, giovanotto, e vorrei avere altri nipoti, prima di diventare troppo vecchio per non poter insegnare loro come si fa a pugni” sottolineò Maxwell, facendo ridere il figlio.

“E se avessi solo femmine, per ipotesi?” ironizzò allora Alexander.

“Che diamine! Insegnerei anche a loro. Le damine di oggi sono troppo delicate e a modo, per un mondo inclemente come quello in cui viviamo. Non farebbe loro male un po’ di addestramento” brontolò allora Maxwell, portando il figlio a scuotere esasperato il capo.

Fosse stato per lui, la moglie di suo fratello Wilford avrebbe già dovuto imparare a tirar di spada e con il moschetto.

Peccato che suo fratello, quando si trattava della moglie Clarisse, diventasse un tantino protettivo… e nevrastenico.

L’idea di metterle in mano un’arma qualsiasi, non gli sarebbe mai passata neppure per l’anticamera del cervello.

D’altro canto, bastavano i quattro figli, a far rischiare la vita ogni giorno a Clarisse. E un esaurimento coi fiocchi.

Paul, il primogenito, Rascal, il secondogenito e le due gemelline Sabine e Juliette, erano qualcosa di molto simile ai quattro cavalieri dell’Apocalisse.

Non che Alexander non li amasse tutti, ma sapeva anche essere onesto, quando vedeva una cosa.

E i suoi nipoti erano delle calamità naturali.

Avrebbero dovuto fare santa Clarisse entro la fine del decennio, poco ma sicuro.

Puntando un dito proprio sul naso di Alexander, che sobbalzò di sorpresa, Maxwell lo strappò ai suoi pensieri e borbottò: “Se non mi porterai una nuora degna di tale nome, ti stringerò così tanto i cordoni della borsa, ragazzo, che finirai con lo strozzartici.”

Deglutendo a fatica, lui esalò: “Grazie,… padre. E chi dovrebbe essere questo concentrato di virtù? La madre di Gesù?”

“Non essere blasfemo!” lo redarguì Maxwell. “Non intendevo una pia verginella senza nerbo, ma una ragazza che sappia tenere testa a te e alla tua intelligenza. Non voglio una signorinella che sappia dire solo ‘sì, marito’. E’ chiaro?”

“Non dovrebbe, innanzitutto, piacere a me?” sottolineò con delicatezza Alexander, trovando quella discussione più che mai bizzarra.

Lui non aveva nessuna intenzione di sposarsi a breve. La vita da scapolo gli piaceva troppo, per cambiarla con un cappio al collo definitivo e senza scampo.

“No, affatto!” dichiarò lapidario Maxwell, scuotendo recisamente il capo.

“Va bene, padre. Lascerò a te la scelta, e io farò scappare a gambe levate tutte le dolci donzelle che sceglierai… come sempre” ironizzò Alexander, sorridendo beffardo.

“Tua madre doveva farti meno furbo” brontolò a quel punto Maxwell, pur tornando a sorridere.

“E’ anche colpa tua. O pensi di non aver partecipato?”

Maxwell allora rise, e replicò con un ghigno così ampio che Alexander non poté far altro che lasciar perdere.

Voleva troppo bene al padre, per farlo arrabbiare per più di cinque minuti di seguito.

“Forse, dovrei fare come fece il suocero di lady Spencer. Obbligare il figlio al matrimonio, e poi attenderne i frutti. Dopotutto, con loro non pare essere andata troppo male” dichiarò a quel punto Barrett, incuriosendo il figlio minore.

“Che intendi dire, padre?” esalò il giovane, lanciando un’occhiata dietro di sé.

Del quartetto di donne, non v’era più traccia, ma Alexander non aveva bisogno di rivedere lady Spencer, per rammentare la sua avvenenza.

“All’epoca, fu un mezzo scandalo, visto il fidanzamento brevissimo e la totale mancanza di una vera presentazione in società di lady Kathleen” gli spiegò Maxwell, facendo svoltare il cavallo alla sua sinistra, in una stretta via laterale.

“Non fu presentata a Londra?” esalò Alexander, più che mai sorpreso.

Conosceva abbastanza bene le genealogie familiari del luogo, per sapere che lady Spencer discendeva dal vecchio barone Barnes e da lady Gwendolin Richards.

Una famiglia più che mai altolocata, e dalla lunga discendenza nobile.

Lo stesso si poteva dire degli Spencer, che erano imparentati con la famiglia reale.

Quindi, cosa aveva messo le ali ai piedi alle due famiglie?

“Fu per una gravidanza indesiderata?” ipotizzò Alexander.

“Affatto. All’epoca, io ero solo un ragazzetto poco più grande di te adesso, e sentii mio padre lagnarsi delle intemperanze di noi giovani. Fortunatamente, io ero già sposato, e con te e Wilford a farmi da testimoni, perciò evitai ulteriori rimbrotti, ma venni a sapere da mio padre che Bartholomew, il vecchio Harford, fece maritare il figlio cadetto con lady Kathleen per poter avere un erede. Il figlio maggiore pareva destinato a non averne affatto e, poco tempo dopo, morì con la moglie in un incidente con il calesse.”

Sbattendo sorpreso le palpebre, Alexander esalò: “E così, usarono lady Kathleen come… agnello sacrificale?”

“Che brutta cosa da dire…” brontolò Maxwell. “… dopotutto, non è finita in mano a un mostro, no? Il giovane conte è un bell’uomo.”

“Ma dubito fortemente che lady Kathleen abbia avuto possibilità di scelta” replicò il giovane, accigliandosi.

“Tu e le tue idee liberali. Quando le donne avranno la possibilità di scegliere, il mondo si capovolgerà” replicò il padre, scuotendo esasperato il capo.

“Lo dirò a mia madre, e vedremo chi si capovolgerà” sorrise malizioso Alexander, notando un leggero pallore sulle gote del padre.

Tossicchiando nervosamente, Maxwell borbottò: “Fai una cosa del genere, ragazzo, e la tua borsa la chiuderò ora, e per sempre.”

“Impedendomi così di dare un futuro alla mia ipotetica consorte?” esalò fintamente sconvolto Alexander, facendo incupire ulteriormente il padre.

“Tu e la tua boccaccia…”

Il giovane allora rise sommessamente, scosse una mano per cancellare la minaccia e si limitò a domandare: “Quindi, cosa avvenne, alla fine?”

“Posso dirti quello che vidi io al matrimonio. Una coppia niente affatto bene assortita ma che, dopo poco più di un anno dal ritorno di Harford dalla guerra, rividi al battesimo dei loro gemelli. Beh, non avrei potuto incontrare coppia più affiatata e meglio collaudata” dichiarò Maxwell, sorprendendolo. “Perciò, chissà… forse, dovrei solo obbligarti a sposare una giovane non ancora presentatasi da Almack’s, e vedere come va a finire.”

“Padre, tu fallo, e io partirò per il Continente. Te lo giuro su quanto ho di più caro” lo minacciò Alexander, accigliandosi non poco.

Suo padre lo terrorizzava, quando parlava a quel modo.

Maxwell allora rise di gusto, bloccò il cavallo in prossimità di una succursale di una banca e, dopo essere disceso dalla cavalcatura, chiosò: “Vorrei quasi sfidarti a farlo, sai?”

“Sei impossibile” brontolò Alexander, imitandolo.

Maxwell stava ancora ridendo, quando entrarono in filiale.
 
***

Mentre la carrozza si inerpicava lungo la strada che conduceva a Green Manor, Elizabeth terminò di curiosare nelle borse della madre e chiese: “E così… chi era il gentiluomo che ti ha salutata, giù a York?”

Sorridendo divertita, Kathleen asserì: “Nessuno di cui tu ti debba preoccupare, mia curiosissima figliola.”

Arrossendo leggermente, la ragazza esalò: “Oh… ma non intendevo affatto insinuare che… che tu…”

La madre allora rise sommessamente ed Elizabeth, mettendo un broncio adorabile, borbottò: “So benissimo che non esiste al mondo uomo che tu ami più di mio padre, però… ecco, è raro vederti dare confidenza a gentiluomini che non conosco.”

“Non lo conosci ora, ma lo conoscesti da piccola, in effetti. Lord Maxwell Chadwick, duca Barrett, presenziò al battesimo tuo e di Andrew e, se non ricordo male, tu ti divertisti un mondo a giocherellare con la sua barba” le raccontò Kathleen, sorridendo spensierata.

“Oh… e come mai abbiamo perso i contatti con i Chadwick?” domandò curiosa Elizabeth.

“Semplice. Lord Maxwell vendette i suoi palazzi a York per trasferirsi sulla costa, ad Aberdeen, poiché lady Cristabel, la moglie del duca, ama molto il mare” le spiegò la madre, lanciando un’occhiata distratta al paesaggio, visibile oltre i vetri della carrozza.

“E suo marito è stato così premuroso da accontentarla? Deve averla molto a cuore” esalò sorpresa Elizabeth.

“Non li conosco così bene per poterlo affermare, ma so che Maxwell ha una famiglia molto unita, e un nutrito stuolo di nipoti… grazie al primogenito.”

“Il giovanotto con lui?” si informò la figlia, rammentando un giovane dal portamento elegante, il viso affilato e intelligente e due curiosi occhi scuri come la notte.

“No, lui è Alexander, il secondogenito. Scapolo impenitente, e ben deciso a rimanere tale, a quanto pare” sorrise Kathleen, facendo sorgere un risolino sulle labbra della figliola.

“Oh… un donnaiolo, forse?” ironizzò la ragazza.

“Non necessariamente. Non ho mai sentito di scandali legati al suo nome quanto, piuttosto, a voci sulla sua sottile astuzia e intelligenza. Pare abbia rimesso al suo posto persino lord Wellington.”

“Oh… niente meno!” esalò ora sorpresa Elizabeth.

“Chissà… forse lo rincontrerai a Londra, e potrai fare la sua conoscenza. Se vorrai, te lo presenterà tuo padre” le sorrise Kathleen, facendola leggermente arrossire.

“No, grazie. Sono sicura che, se è veramente così intelligente e sagace come dici, poco apprezzerà una donna che sa pensare. Basterebbe lui per tutti e due, non ti pare?” replicò scocciata Elizabeth, pur ripensando al giovane a cavallo, e al modo in cui aveva arricciato in un sorriso elegante quelle stupende labbra carnose.

Scuotendo leggermente il capo per scacciare quel pensiero, la giovane andò con lo sguardo alla campagna e, nello sporgersi, salutò i fratelli e il padre, di ritorno da una galoppata per il contado.

Non le sarebbe spiaciuto trovare qualcuno con il carattere di suo padre, o dei fratelli.

Voleva loro molto bene ed era certa che, qualcuno con le loro qualità, sarebbe stato adattissimo anche a lei.

Magari, che non le nascondesse le rane nel letto, però.







N.d.A. I nomi in grassetto appartengono a personaggi realmente esistiti.

Ecco che facciamo la conoscenza con due nuovi personaggi: Charlotte, l'amica del cuore di Elizabeth, e Alexander, che avrà un ruolo fondamentale, a Londra, per far vivere a Lizzie tanti momenti divertenti - e non.
Avremo modo di conoscerlo anche più avanti però, direi che già ora vi siete fatti una prima idea di com'è e di come sia la sua famiglia.
Grazie per aver iniziato con me questa nuova avventura, e alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
3.
 
 
 
Il palazzo signorile a mattoni rossi su Parlamient Street, a York, era un esempio classico di abitazione elegante e raffinata, senza per questo essere pretenziosa.

Non vi era rimasto molto di originale, in quella casa disabitata da tempo, poiché Christofer aveva pregato il fratello di non badare a spese, nel rimodernare quell’antico palazzo, sito in una delle vie principali di York.

In quanto figlio cadetto, e ultimo in linea di successione, Wendell non aveva posseduto molti beni personali, almeno fino a quando Christofer non aveva messo mano all’eredità di famiglia.

Per cause diverse, gli altri figli del vecchio Harford erano morti prematuramente, e gli ultimi due Spencer rimasti si erano spalleggiati a vicenda, pur se tra loro vi era più di una decade di età a separarli.

Christofer si era sempre comportato bene con Wendell, anche quando era solo uno dei figli cadetti del loro burrascoso e torvo padre.

Anche per questo, Wendell gli aveva sempre voluto bene e, nel corso degli anni, questo sentimento si era rafforzato, divenendo complicità e amore incondizionato.

Giunto all’età adulta, nonostante un’infanzia segnata dalla debolezza e dalle molte malattie, Wendell era sopravvissuto nonostante coloro che avevano pensato il contrario.

Era diventato un giovane prestante e forte, e Christofer lo aveva integrato sempre di più nelle questioni legate al patrimonio di famiglia.

Intorno ai ventidue anni, in barba alle convenzioni sociali, Wendell aveva chiesto il permesso di sposare una giovane donna di York, e Christofer non aveva rifiutato.

Julianne Wilmington, figlia di un barone decaduto, era stata costretta a diventare un’istitutrice, per mantenere in piedi lo scarno abitato in cui lei e la famiglia si erano dovuti rifugiare dopo la bancarotta.

Wendell l’aveva conosciuta durante una visita presso un amico di York e, da quel momento, lui le aveva fatto una corte serrata.

Naturalmente, Christofer aveva tutelato gli interessi propri e del fratello, tenendo ben lontane le grinfie del decaduto lord Wilmington dai forzieri del loro casato.

Con un appannaggio di mille sterline l’anno, i genitori di Julianne erano stati mandati a Selby, a sud di York, per mandare avanti una piccola fattoria di proprietà degli Spencer.

Lì, avrebbero vissuto un’esistenza tranquilla e, soprattutto, lontana dalle sale da gioco dove lord Wilmington aveva sperperato tutti gli averi della famiglia.

Julianne e Wendell avevano ringraziato profusamente Christofer, per questo e, in separata sede, anche lady Wilmington lo aveva soffocato di ringraziamenti.

Sapere il marito finalmente lontano dai tavoli da gioco, era stato un sollievo, per lei e, con forte determinazione, aveva promesso a lord Spencer che avrebbe badato a che il marito non mettesse mai più fuori i piedi dalla proprietà.

Visto lo sguardo lampeggiante e foriero di tempesta della donna, Christofer si era sentito rincuorato da quelle parole.

Naturalmente, le dicerie sul conto di Julianne si erano sprecate, e molte nobildonne l’avevano guardata dall’alto al basso, tacciandola di essere una cacciatrice di scapoli danarosi.

Wendell, per contro, aveva messo a tacere tutte quelle vipere riottose baciando in pubblico la moglie, e inginocchiandosi dinanzi a lei per declamare il suo amore per Julianne.

Come previsto, questo aveva fomentato un altro scandalo, poiché era impensabile esternare simili pensieri – e azioni – in pubblico, ma tutto era stato presto dimenticato.

Ora, a York, non avrebbe potuto esservi salotto più frequentato di quello di lady Julianne Wilimington Spencer.

Salotto che, in quel momento, era occupato da una nervosissima Elizabeth, in visita dagli zii e già pronta a perorare la propria causa fino allo sfinimento.

Quando infine Julianne entrò nel salottino, la ragazza sorrise spontaneamente e, allargando le braccia, mormorò al figlioletto della coppia: “Vieni da me, Percy…”

Percival, il figlio di sei anni della coppia, trotterellò dalla cugina per farsi abbracciare e la bruna padrona di casa, sorridendo alla nipote, disse: “Quando gli abbiamo detto che saresti passata, ha scalpitato per ore.”

“Ne sono felicissima” sorrise Elizabeth, baciando su una guancia il bambino dalla chioma biondo rossiccia e dai profondi, candidi occhi grigi, retaggio della madre.

Madre che, in quel momento, si accomodò e richiamò a sé il figlio, dicendo: “Vai da AnneMarie e chiedile se ci può portare un tè con la torta di more. Vuoi?”

Il bimbo assentì, salutando la cugina prima di caracollare via di corsa, sbattendosi la porta alle spalle.

Elizabeth rise leggermente e Julianne, sospirando, esalò: “In questo, è ancora un po’ manchevole.”

“Dimostra di essere brioso come il resto dei maschi della famiglia” dichiarò la giovane, pensando ai danni che, negli anni, avevano fatto i fratelli.

Se avesse avuto un penny per ogni guaio che avevano combinato Andrew e Maximilian, nei loro burrascosi anni infantili, sarebbe stata più ricca della regina.

“Oh, come darti torto, cara!” rise maliziosa Julianne, facendo scoppiare a ridere la nipote.

In quel mentre, Wendell fece la sua comparsa nel salottino privato e, salutando la nipote con un frivolo inchino, si chinò un poco per baciarla sulle guance e dire: “Non sono sicuro che sia il momento giusto per mandarti a Londra. Sei davvero troppo bella, per quella città.”

Elizabeth si esibì in un sorriso tutto fossette – adorava quando lo zio le faceva i complimenti – e, lappandosi le labbra nervosamente, replicò: “Beh, ecco, zio… a questo proposito… visto che so perfettamente che mio padre non si riterrebbe tranquillo neppure se io girassi armata, e con dieci battitori al mio fianco, volevo sapere se, ai balli organizzati da Almack’s, zia Julianne potesse essere il mio chaperon.”

Vagamente sorpreso, Wendell lanciò un’occhiata alla moglie, egualmente stupita, prima di mormorare dubbioso: “E tuo padre cosa dice? So che stava cercando una matrona direttamente a Londra, per questo compito.”

Sgranando gli occhi con espressione sgomenta, Elizabeth borbottò: “Oh, so esattamente a chi vorrebbe accoppiarmi, e la cosa mi terrorizza alquanto, zio. Conosci per caso la nomea di lady Shelby Collins?”

“Oh” esalò soltanto Wendell, facendo sorridere divertita la moglie.

“Ecco, appunto” sentenziò la giovane Spencer, chiudendo i pugni sulle ginocchia con aria combattiva. “E’ uno squalo, zio. Lo sanno tutti. Non riuscirò a fare nulla, con lei al fianco! Neppure a scambiare quattro parole degne di tale nome!”

“In effetti, è risaputo che le damigelle sotto la sua ala tendono a maritarsi molto tardi” tentennò Wendell, non sapendo bene che dire.

Non voleva mettersi apertamente contro il fratello, poiché poteva ipotizzare benissimo i perché di quella scelta, ma ugualmente voleva vedere felice la nipote.

“Non è detto che io trovi qualcuno di interessante, né vado a Londra per maritarmi obbligatoriamente…” sottolineò Elizabeth, con tono fermo. “… ma, se voglio anche soltanto lontanamente divertirmi, non può essere lei, il mio chaperon.”

“Pensi che io ti farei fare ciò che vuoi?” le ritorse allora contro Julianne, divertita dalla filippica della nipote.

“Affatto!” esalò la ragazza, facendo tanto d’occhi per lo sgomento. “Non intendo dire che, sotto la tua ala, potrei darmi alla pazza gioia ma, più semplicemente, che potrei stare al fianco di una persona che sa capirmi davvero.”

“Che ne dici, Wendell?” domandò allora la donna, rivolta al marito.

“Di solito, uno chaperon è più anziano” mugugnò l’uomo, soppesando i pro e i contro di quell’offerta.

Julianne era una bella donna, così come la nipote, e quei locali erano pieni di uomini dall’occhio lungo e la mano ancor più lunga.

Non era sicuro di volere nessuna delle due, da Almack’s, ma tant’era.

“In tutta onestà, cara, temo che potrebbero puntare lo sguardo anche su di te, in barba al fatto che tu sia già maritata, e questo mi renderebbe assai nervoso. Se poi penso a Elizabeth in quel covo di uomini, pronti a tutto per fare una conquista, mi prudono le mani. Capisco perché mio fratello voglia lady Collins al suo fianco, ma…”

Interrompendosi, l’uomo lanciò un’occhiata al viso pieno di speranza della nipote e, sospirando, terminò di dire: “… ma capisco anche Elizabeth, e so che tu saresti la persona più adatta per seguirla con attenzione e, al tempo stesso, permetterle di avere qualche possibilità in più di divertirsi… nei limiti del lecito.

“Oh, sì, zio! Non combinerei nessun guaio, te lo prometto!” esclamò subito Elizabeth, sorridendo deliziata alla zia, che assentì felice.

Passandosi una mano tra i capelli rosso fiamma, Wendell sospirò nuovamente, borbottando: “Immagino che dovrò essere io a perorare la causa, vero?”

“Mi faresti felicissima, zio. Davvero” assentì allora Elizabeth, alzandosi dalla poltroncina per andare a inginocchiarsi dinanzi a lui e poggiare il capo sulle sue ginocchia. “Molto, mooolto felice.”

Wendell lanciò un’occhiata disperata alla nipote, un’altra alla moglie, ma seppe di avere perso la battaglia già dal momento in cui era entrato nel salottino.

Quando mai sapeva dire di no ai nipoti?
 
***

Christofer era poggiato contro il telaio della finestra chiusa, nel suo studio, mentre Andrew era impegnato a giocherellare con un pedone degli scacchi, in attesa che Maximilian, il fratello minore, si decidesse a giocare.

Wendell, nel frattempo, era in attesa di una risposta da parte del suo stimato fratello che, con aria pensosa, stava ancora vagliando le sue parole, soppesandole una a una.

Non se l’era sentita di procrastinare molto l’incontro con Christofer perché, come Wendell sapeva bene, più avesse tardato, più il coraggio sarebbe venuto meno.

Perciò, il giorno seguente la visita di Elizabeth, si era recato a casa del fratello per perorare la causa della nipote.

Notando lo stallo tra i due adulti, Andrew sorrise affabile e chiosò: “Non avrai pensato davvero di far accompagnare Lizzie da quella megera, spero… era ovvio che mia sorella avrebbe trovato il modo per metterti i bastoni tra le ruote, padre.”

Il suo tono fu così orgoglioso che Christofer fissò il figlio – ed erede del suo titolo – per poi replicargli torvo: “E’ inutile che tu stia a sottolineare l’ovvio, figliolo. So benissimo che tua sorella è dotata di un’intelligenza sopraffina, specialmente quando deve tirare l’acqua al suo mulino.”

“Lizzie si mangerà il primo damerino che le darà della ‘bambolina’…” ironizzò a quel punto Maximilian, facendo ridere a crepapelle Andrew. “… perciò, non mi preoccuperei per lei, quanto per quei poveri giovani londinesi, che non sono sicuramente pronti per una come lei.”

A tutti gli effetti, Elizabeth non era altissima, e raggiungeva a stento il metro e sessantatré.

Era un’altezza dignitosa, per una donna, ma il suo viso di porcellana, i capelli splendidi e la figura graziosa la rendevano simile a una bambola.

Molte persone, per questo suo aspetto così delicato, tendevano a sottovalutarla, pensandola a torto ben poco intelligente, o dotta.

Per l’appunto, in tutto simile a una bambolina senza cervello.

Christofer sapeva però bene che Elizabeth sarebbe stata in grado di azzittire molti uomini, con la sua parlantina, e aveva il terrore segreto che la sua lingua lunga potesse diventare biforcuta, se messa alle strette.

Non era una fanciulla molto propensa ad accettare le critiche, o gli sberleffi, e il suo aplomb faceva acqua da tutte le parti, quando ciò succedeva.

Andrew, invece, sapeva controllarsi meglio, pur se il suo acume era pari a quello della sorella. Per questo, sapeva essere ancora più imprevedibile, quando voleva.

Maximilian tendeva a fare tutto ciò che faceva il fratello maggiore, perciò era difficile capire cosa vi fosse di suo, nei suoi comportamenti, e quanta fosse emulazione.

D’altronde, aveva solo quattordici anni, e aveva tutto il tempo di maturare un suo carattere personale.

Un quieto bussare alla porta interruppe il divagare mentale di ognuno di loro e, quando fece la sua comparsa Anthony Phillips, Christofer sorrise spontaneamente.

L’uomo, secondo marito di Myriam e nuovo duca Thornton, oltre che patrigno di Raynold Campbell, barone Barnes, sorrise tutti loro ed entrò con passo deciso.

Dietro di lui, simile a un’apparizione angelica, comparve la figlia tredicenne Violet che, nel vedere gli amici, che lei considerava alla stregua di cugini, sorrise spontaneamente e disse loro: “Bene. Vi ho trovati, finalmente. Venite con me. Desidero mostrarvi il nuovo destriero di papà.”

Maximilian balzò subito in piedi, più che desideroso di allontanarsi dai discorsi seriosi degli adulti mentre Andrew, nell’osservare l’amica d’infanzia, replicò: “Sei sicura che sia una buona idea? Sei ancora piccola, per avvicinarti a uno stallone.”

Anthony sorrise al giovane, protettivo come sempre nei confronti di Violet, e disse per contro: “Se c’è un cavallo che adora Violet, è proprio Spartacus. Non temere, Andrew, potete andare a vederlo senza timore.”

Il giovane, allora, si inchinò leggermente all’amico di famiglia e, offrendo il braccio a Violet, uscì dallo studio assieme a Maximilian, già scalpitante e desideroso di nuove avventure.

Rimasti soli, Christofer sorrise all’amico e disse: “Violet sta diventando davvero bellissima. Tra qualche anno, tremerai come sto tremando io adesso. Posso assicurartelo.”

“Non ricordarmelo, ti prego” sospirò Anthony, sorridendo poi a Wendell. “Ebbene? Per quale motivo mi hai chiamato, Christofer?”

“Se ti interessi ancora di segreti e spionaggio – e so che è così – …” ironizzò il conte, ghignando all’indirizzo dell’amico. “… vorrei proporti un gioco, per così dire.”

“Se ciò non comporterà sentire Myriam che mi urla nelle orecchie le peggio cose, potrei anche starci. Non le piace molto, quando ficco il naso negli affari della Corona, visto soprattutto che ormai da anni non lavoro più al Ministero della Guerra” sorrise mellifluo Anthony, facendo sorridere i due uomini.

Myriam non era esattamente una sposa tranquilla e posata, e Anthony aveva sperimentato molte volte il suo carattere riottoso, nel corso degli anni.

Il fatto che avessero tre figlie e un solo maschietto, forse, era indice del fatto che la donna aveva molta forza di volontà anche in quell’ambito.

Anthony, d’altra parte, adorava le sue bimbe così come stravedeva per il figlio di sei anni, perciò sapeva già che avrebbe avuto il cuore spezzato, nel vederli abbandonare il nido.

No, non invidiava affatto Christofer, che già stava iniziando a sentire il taglio ferale di quella speciale lama.

Harford gli sorrise divertito, e replicò: “Niente di così subdolo, credimi. Vorrei soltanto che mi riferissi qualche notizia sulle persone… sui giovanotti che saranno presenti da Almack’s, quest’anno. Non vorrei mai che Elizabeth si infatuasse di un perdigiorno, o peggio, di un donnaiolo impenitente.”

“Oh, amico mio… intendi davvero spiare le sue mosse?” ironizzò allora Anthony, fissando con aperto divertimento l’amico d’infanzia.

“Non le sue mosse. I suoi… interessi” sottolineò Christofer, scuotendo una mano con fare falsamente disinteressato. “Inoltre, grazie all’offerta del mio generosissimo fratello, saprò che Elizabeth è seguita da persone di cui mi fido, perciò le tue maglie non dovranno essere troppo strette.”

“In che senso?” volle sapere Anthony, ora più che mai curioso.

“Mi sono offerto di accompagnare Elizabeth ai balli di società, quando non potrà farlo Christofer a causa dei suoi impegni alla camera dei lord. Inoltre, Julianne sarà lo chaperon di mia nipote, come da richiesta stessa di Lizzie.”

“Mi sembrava strano che avrebbe accettato senza colpo ferire quell’arpia di lady Collins” ironizzò Anthony, ghignando all’indirizzo di Christofer.

“Non è così tremenda…” borbottò Harford.

“Lo è” dissero in coro Anthony e Wendell.
 
***

Carezzando distrattamente il muso nero di Spartacus, mentre Andrew ne ammirava la criniera ondulata e sericea, Elizabeth domandò al gemello: “Allora, come procedevano le cose?”

“Credo che nostro padre capitolerà a breve. Avrai campo libero esattamente come volevi, Lizzie” le sorrise Andrew, dandole una pacca leggera sulla schiena. “Va da sé che, se verrò a sapere che qualche idiota ti ronzerà intorno e non incorrerà nel mio favore, tu non lo sposerai mai. Non voglio per cognato un emerito imbecille. Non pretendo che sia alla tua altezza, ma che almeno le si avvicini.”

Elizabeth sorrise commossa, di fronte alle sue preoccupazioni, e disse soltanto: “Desidero andare a Londra per divertirmi e, se farò cadere ai miei piedi qualche gentiluomo, ben venga, ma non ho intenzione di abbandonare casa mia tanto presto. Solo, nostro padre non mi crede quando glielo ripeto.”

“Perché sa quanto sono volubili le donne, in campo amoroso” motteggiò con fare superiore Andrew, prendendosi un pizzicotto nel fianco per diretta conseguenza.

“Non essere sciocchino, Andrew” brontolò Elizabeth, ignorando le lagnanze del gemello. “Non sono così volubile, esattamente come non lo è nostra madre, o Violet, o Myriam, o qualsiasi altra donna di nostra conoscenza.”

“E’ risaputo che le donne sono facili agli innamoramenti, e tu non fai eccezione, Lizzie. O devo ricordarti di quando, a nove anni, eri innamorata dello zio Wendell?” la prese in giro Andrew, facendola arrossire.

“Ora sei maleducato” sbuffò la gemella, dandogli di gomito. “E poi, lo zio è molto affascinante, e mi adora.”

Tornando a sorriderle gentilmente, Andrew assentì e mormorò: “Avete sempre avuto un rapporto molto speciale. Ed è bello sapere che baderà a te, in quei salotti pieni di sciocchi vanesi, ma ugualmente ti prego di stare attenta. Ci sarò anch’io, ma non potrò sempre ronzarti intorno.”

“E neppure io vorrei tu lo facessi, caro. Comunque, noto che non hai un’alta opinione del tuo stesso sesso, fratello…” ironizzò Elizabeth, ammiccando.

“Perché so quanto possiamo essere deplorevolmente idioti, quando lo vogliamo” sottolineò Andrew, stringendo una mano attorno al suo braccio.

Elizabeth lo fissò turbata, notando il seme del dubbio negli occhi verde-oro del fratello e, in un mormorio soffuso, disse: “Non sarò superficiale, davvero, fratello. Starò attenta.”

“Segui sempre i consigli di Julianne, e non metterti in testa strane idee. Londra non è York, e lì nessuno ti conosce, perciò non avranno remore a fare ciò che vogliono, con te, se non sarai abbastanza furba da non cacciarti nei guai” le ricordò il fratello. “So che desideri l’avventura, Lizzie, ma non cadere nel tranello di un paio di begli occhi e una parlantina affabile.”

“Chiederò consiglio a te, prima” lo rassicurò Elizabeth, prima di ridere sommessamente quando vide tornare Violet e Maximilian, di ritorno dal giardino all’italiana.

“Abbiamo preso Diana, finalmente!” esclamò Violet, sollevando vittoriosa il welsh corgi di famiglia.

“E tu ti sei sporcata da capo a piedi” sottolineò Andrew, allungando una mano in direzione della chioma bionda di Violet per toglierle alcune foglie.

La ragazzina rise gaia, e così Maximilian che, nel carezzare il cane dal pelo fulvo, disse: “Si era infilata sotto una panchina, e non voleva saperne di uscire. Abbiamo dovuto sdraiarci anche noi, per stanarla.”

“Myriam e nostra madre ne saranno felicissime” celiò Elizabeth, osservando gli abiti stazzonati di entrambi.

Max scrollò le spalle e così pure Violet che, dopo aver dato un bacio al tartufo umido di Diana, la rimise a terra.

Il cane rimase docile al suo fianco e Spartacus, allungando il muso enorme verso quel cagnolino dalle zampe cortissime, sbuffò e gli mordicchiò un orecchio.

Diana, allora, abbaiò un paio di volte e il cavallo nitrì come in risposta.

I quattro ragazzi risero di quella strana, nuova amicizia, ma i due animali non badarono affatto alle loro reazioni, limitandosi a studiarsi con curiosità.

Fu così che Kathleen e Myriam li videro, dall’alto del balcone della biblioteca di Green Manor, ridenti e spensierati in quel meriggio di aprile.

Stringendo appena le braccia sotto i seni, lady Spencer sorrise all’amica e disse: “Se Violet diventerà ancora più bella di così, tu e Anthony dovrete nasconderla come fecero con Deidre1 alla sua nascita.”

“Temi potrebbe scatenare guerre e lutti?” esalò Myriam, sorridendo per contro.

“Oh, cielo, spero di no. Ma, sicuramente, Anthony potrebbe avere la tentazione di sguainare la spada, o estrarre una pistola, più di quanto noi tutti pensiamo ora. Ha davvero un viso angelico, ed è la gentilezza fatta persona” replicò Kathleen, lo sguardo perso in contemplazione dei suoi figli. “Si è portati a proteggerla più degli altri.”

“Sarah e Lorainne non sono così… cristalline, se mi passi il termine. E Brandon è uguale a suo padre. Machiavellico in tutto” ammise Myriam, scrutando la figlia che, in quel momento, stava ridendo a una battuta di Andrew. “Capisco cosa intendi, parlando di Violet. Spero soltanto che, divenendo più grande, acquisisca un po’ della scaltrezza del fratello, o di Elizabeth. E’ davvero troppo buona per questo mondo infido.”

“Non è un difetto, essere buoni e generosi, però…” sospirò Kathleen, dando una pacca sulla spalla all’amica. “… rischia che le persone la feriscano, a causa della sua dolcezza.”

“Avrebbe dovuto prendere da me” ammiccò Myriam, facendo ridere Kathleen. “Invece, ha preso da quella buon’anima di mia nonna che, solo grazie a mio nonno, le impedì di trasformare il palazzo in un ricovero di animali sperduti.”

“Nonna Emerald era davvero gentile e generosa… ma capisco cosa intendi. Se tuo nonno Michael non ne avesse frenato gli istinti, avreste posseduto più gatti e cani selvatici, che oro.»

Myriam assentì e, quando Violet riprese in braccio Diana per baciarne il musetto, sospirò.

“Speriamo bene. Per ora, è protetta dalla famiglia e dagli amici, ma tremo al pensiero che, un giorno, dovrà affrontare anche persone che non la ameranno come noi” mormorò Myriam, scuotendo il capo.

“Dobbiamo darle credito… in fondo, neppure io ero quel gran concentrato di coraggio, quando sposai Christofer” ammise Kathleen, sorridendo.

“Con tutto il rispetto, amica mia, ma non desidero per lei un tale calvario, anche se ora potresti tenere testa a qualsiasi uomo di nostra conoscenza” sottolineò per contro lady Phillips, facendo ridere la contessa.

“Beh, neppure io, credimi!” asserì Kathleen, prima di veder comparire William alle loro spalle. “Oh, buongiorno…”

“Signore…” mormorò l’uomo, inchinandosi brevemente.

“Cognato” sorrise Myriam, facendogli spazio sul balcone quando lui si approcciò loro. “Allora, come sta tuo figlio? Il braccio gli duole ancora?”

“Oserei dire che è l’orgoglio a essere stato ferito, non tanto il braccio” ironizzò William. “Vengo a dirvi che le loro signorie vi attendono nel salottino azzurro per il tè delle cinque. Ho idea che li troverete piuttosto… ombrosi.”

“Ancora per la faccenda di Elizabeth? Il caro Christofer dovrà famigliarizzare col fatto che quella ragazza potrebbe maritarsi già l’estate prossima!” rise Myriam, battendo una mano sul braccio dell’amica.

“Credo che sia tornato ad avere gli incubi, a causa di questa possibilità. Ha sonni assai agitati” ammise Kathleen, lanciando poi un’occhiata al fratellastro. “Oh… non dirmi che sei preoccupato anche tu, per questo?”

“Chiedo venia, sorella, ma sì. Ho vissuto a Londra per anni, e visto e sentito cose davvero deplorevoli, che farebbero vacillare il buon nome del Ton. Come ben sai, non è tutto oro, quello che luccica, e io ne sono la riprova vivente.”

“Oh, che diamine, William! Non tirare in ballo il mio ex suocero, per sottolineare l’ovvio!” rise Myriam, sfiorandogli il braccio con una carezza. “Sappiamo bene che esistono uomini dal comportamento non proprio irreprensibile, ma questo non vuol dire che siano tutti così.”

“Verissimo, visto che conosco bene i vostri mariti ma, quando si tratta di mia nipote, li vedrò tutti bruti, cattivi e spinti dalle più riprovevoli intenzioni” ammise William, con una scrollatina di spalle.

“Elizabeth ci stupirà, vedrai…” lo mise in guardia Myriam con un sorrisino.

“Lo spero in bene, o dovrò confortare più uomini di quanto io non possa sopportare” esalò sconsolata Kathleen, lanciando un’occhiata di avvertimento al fratellastro.

“E’ inutile che mi guardi a questo modo, sorella. Elizabeth è una giovane assai intelligente ma rimane, de facto, una ragazza e, per questo, va protetta” sottolineò tenace William, rizzandosi in tutta la sua altezza.

Myriam e Kathleen lo guardarono con eguali espressioni serafiche e, in coro, mormorarono: “Uomini.”

William preferì non replicare. Certe volte, sapeva quando tirarsi indietro da una battaglia, e questo era il caso.


 
 
 
1: Deirdre era la figlia del bardo Fedlimid mac Daill. Quando nacque, il druido Cathbad profetizzò che sarebbe stata davvero bella e che re e lord avrebbero guerreggiato per lei e che a causa sua i più tre grandi guerrieri dell'Ulster sarebbero stati costretti all'esilio. Conchobar mac Nessa, re dell'Ulster, decise di farla educare in reclusione dall'anziana Leabharcham per poi sposarla quando fosse stata abbastanza grande. Tuttavia, lei incontrò, si innamorò e fuggì con il giovane guerriero, cacciatore e cantore Naoise, accompagnati dai due fratelli di lui, i figli di Uisnech. Fuggirono in Scozia, ma il re locale cercò di uccidere Naoise e i suoi fratelli così da avere per lui Deirdre. Alla fine si rifugiarono in una remota isola, dove furono però rintracciati da Conchobar.
Egli inviò Fergus mac Róich che assicurò loro un ritorno sicuro in patria. Alla fine però, Conchobar venne meno alla promessa e affrontò i tre fratelli davanti a Emain Macha. Éogan mac Durthacht uccise Naoise e anche i suoi fratelli caddero nello scontro. Oltraggiato dal fatto che la sua parola era stata infranta, Fergus andò in esilio con i suoi seguaci nel Connacht e combatté contro l'Ulster per Ailill e Medb nel Táin Bó Cúailnge.
Frustrato dallo scarso amore di Deirdre per lui, Conchobar la offrì a Éogan mac Durthacht, l'uccisore di Naoise. A questo punto lei si suicidò. In versioni più tarde di questa vicenda, Deirdre invece morì devastata dal dolore.


_________________________________

Direi che, in generale, i nostri uomini sono assai combattuti tra l'idea di lasciare che Elizabeth conquisti Londra, e il pensiero che dei giovanotti sbagliati la guardino troppo. Non fanno tenerezza?
In compenso, Elizabeth sembra avere le idee molto chiare, e assolda la zia, per farle da chaperon, giusto per essere certa di non rimanere incastrata con una donna troppo acida e mal disposta a concederle un po' di spazio per divertirsi.



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
4.
 
 
 
 
Randolf Wallace Campbell, barone Barnes, stava osservando divertito le sorellastre e il fratellastro mentre, in compagnia del suo figlio più giovane, tentavano di afferrare un cane.

Savannah, la sua adorabile quanto dolcissima moglie, osservava a sua volta la scena con occhi sognanti, le mani sul ventre prominente e l’aria un po’ stanca.

“Non dovresti riposare un po’? La gravidanza è ormai avanzata, e sai che ti stanchi molto, quando passi troppe ore fuori dal letto” le ricordò Randolf, afferrando al volo Quentin per la collottola, prima che potesse inciampare in Sarah.

Il figlioletto di due anni gli sorrise sbarazzino e, quando fu rimesso a terra, continuò la sua caccia al povero Puff.

Nome davvero azzeccato, visto il suo manto assai prolifico e morbido.

Il giovane terranova nero era tutto zampe e testa, ed era il giocattolo prediletto dei bambini. Non v’era giorno in cui non si ruzzolassero con lui sul tappeto.

Savannah levò finalmente il capo a sorridere al premuroso marito e, nel battersi una mano sul ventre, replicò: “Questo qui è tranquillo. Quentin è stato un autentico terremoto, ma questo è pacifico come un angelo e, se nascerà femmina, la chiamerò giustappunto così; Angel.”

“Non insisto oltre. Sai quando darti un limite” assentì Randolf, sfiorandole i capelli con una carezza.

Lei gli sorrise benevola e, in quel mentre, il loro maggiordomo bussò alla porta prima di entrare.

Sorridendo alla coppia, disse: “Lord Phillips è qui, milord, assieme a vostra madre e a miss Violet.”

“La sorellona è tornata!” esclamarono in coro il fratello e le sorelle di Violet.

Quentin rimase più pacifico, già soddisfatto di suo per essere riuscito ad afferrare Puff. Ora, se lo stava spupazzando alla grande.

Sorridendo loro, Randolf dichiarò: “Ve la mando subito qui, assieme a una fetta di torta ciascuno, e a del buon succo di frutta. Va bene?”

I bambini assentirono e Randolf, salutata la moglie con un bacio sulla fronte, seguì il maggiordomo verso l’ingresso della villa a tre piani che era Casa Barnes.

Non molto era cambiato, da quando suo nonno era morto; il suo patrigno aveva preferito lasciare tutto com’era, perché fosse lui a prendere decisioni in merito, una volta adulto.

Randolf, a tal proposito, aveva solo svecchiato i colori dell’ala del palazzo dove soggiornava con la famiglia ma, per il resto, aveva lasciato tutto uguale.

Era una bella e antica costruzione, e non aveva senso toccarla solo per darle un tocco più personalizzato. Erano le persone al loro interno, a farlo.

Quando infine raggiunse i suoi genitori, Randolf congedò Perkins e sorrise alla madre, sollevandole le mani per baciarle teneramente.

Con il patrigno fu più contenuto, limitandosi a stringergli la mano, ma il sorriso che gli tributò fu sincero quanto caloroso.

Voleva bene ad Anthony, e non solo perché era sempre stato buono con lui ma perché, innanzitutto, aveva sempre amato sua madre.

Rammentava pochissimo del suo vero padre, ma sapeva che entrambi i suoi attuali genitori gli avevano voluto bene, e tanto gli bastava.

“Ebbene? Com’è andata la visita agli Spencer? Lizzie ha ottenuto quello che voleva?”

Violet ridacchiò divertita, a quel commento e Randolf, indirizzando un sorriso furbo alla sorellastra, aggiunse: “Dubito fortemente che tu farai diversamente, quando sarà il tuo turno… cosa per cui tremo già ora.”

La ragazzina lo inondò con il suo sguardo ceruleo pieno d’affetto e mormorò: “Ma fratello, non puoi dire sul serio. Mancano, come minimo, ancora tre anni, forse di più, alla mia presentazione in società.”

Randolf rabbrividì istintivamente e, nel lanciare uno sguardo al patrigno, seppe che anche lui era già in pensiero.

Se poteva essere in qualche modo preoccupato per Elizabeth, in quanto amica di lunga data e cugina affettuosa, sapeva però che era una giovane scaltra e machiavellica.

Violet, per contro, si fidava ciecamente delle persone e tendeva a vedere solo il lato buono in ognuna di loro.

Non che fosse un discredito ma, quando si trattava di uomini, poteva essere un dono assai pericoloso e controproducente.

Naturalmente, tutti loro l’avevano sempre protetta e tenuta al sicuro, nel corso degli anni, ma non avrebbero potuto farlo in eterno.

“Devi ricordarti, sorellina, che io sarò sempre in ansia per te, così come per Sarah e Lorainne.”

“E per Paul?”

“Lui è un ragazzo. Saprà badare a se stesso, a tempo debito” ironizzò Randolf, sfiorandole i capelli dorati con una carezza.
Violet storse il bel nasino a punta e borbottò: “Se lo dici tu… vedrò di crederci.”

“Grazie per la fiducia, tesoro” le sorrise lui. “Perché, ora, non raggiungi il resto della ciurma nel salotto degli arazzi? Ti stanno aspettando lì.”

“Molto bene. Vi lascerò ai vostri discorsi da adulti” ironizzò Violet, esibendosi in una riverenza perfetta prima di trottare via allegramente. “Isserò le vele al mezzanino e dirigerò a dritta, approfittando del vento favorevole di bolina.”

Myriam sorrise divertita di fronte al suo gergo marinaresco – vera passione di Violet – e, nell’accettare il braccio del figlio, si diresse verso lo studio di Randolf, asserendo: “Forse, dopotutto, non dovremo preoccuparci per lei, a tempo debito.”

“Se permetti, madre, continuerò ancora per diversi anni, a preoccuparmi. E tu, padre?”

“Ti imiterò bellamente, temo” sospirò Anthony, dandogli una pacca sulla spalla prima di precederlo per aprire la porta della stanza.

Lì, Randolf entrò e pregò i genitori di accomodarsi dopodiché, poggiatosi contro l’imponente scrivania di noce, strinse le braccia sul petto e domandò: “Christofer è in fibrillazione?”

“Più o meno. Mi ha chiesto di ficcanasare, quando Elizabeth parteciperà ai primi balli. Non vuole starle addosso, perciò lascerà che sia Julianne a farle da chaperon, e Wendell la accompagnerà, quando lui sarà impegnato diversamente. Io, nel frattempo, controllerò i… pedigree degli invitati, per così dire.”

Myriam rise sommessamente e, ammiccando al marito, disse: “E’ molto da Christofer, avertelo chiesto. E molto da te, aver accettato.”

Serafico, Anthony replicò: “Sto solo aiutando un amico caro, tesoro.”

“Ammettilo, che l’idea di ficcanasare in giro ti esalta! Sono anni che non ti dedichi più allo spionaggio, e credo che un po’ ti manchi” lo punzecchiò la moglie, facendo sorridere divertito Randolf.

Adorava vedere assieme i genitori, perché il loro rapporto era in netta dissonanza con il Ton, che lui personalmente non approvava molto.

Detestava tutte le regole da tenersi durante i grandi eventi, o quando aveva ospiti a palazzo.

Prediligeva di gran lunga la vita sobria e meno pomposa che si viveva in America.

Aveva visitato New York un paio di anni addietro, con lo scopo di fare visita ad alcuni amici, trasferitisi lì per intraprendere una nuova avventura.

Era stato via quasi un anno ma, quando era tornato, aveva compreso di non apprezzare più tanto le vetuste regole di comportamento vigenti nel regno di Sua Maestà.

D’altro canto, affetti e averi erano lì a York, perciò sarebbe stato sciocco eradicare l’intera famiglia per il suo desiderio di avere – e dare – maggiori libertà a tutti loro.

Forse, i figli avrebbero potuto avere questo vantaggio, ma difficilmente lui avrebbe potuto beneficiarne.

Nel suo piccolo, però, avrebbe cercato di vivere al meglio, e di far vivere al meglio i suoi affetti.

Quando il battibecco amorevole tra i genitori ebbe termine, Randolf chiese: “Mrs Collins è stata bandita, allora?”

“Per sempre. Tra le altre cose, so che Lizzie ha già ricevuto diversi inviti per le maggiori feste previste per il primo periodo della Stagione che, quest’anno, inizierà con i primi giorni di giugno” gli spiegò Anthony, intrecciando le mani su un ginocchio. “Da quel poco che ho scoperto, lady Chelsey desidera ardentemente conoscere Lizzie e, per questo, ha organizzato il primo ballo della Stagione, in barba alle altre patronesse di Almack’s. Ho idea che voleranno ventagli, per questo.”

Myriam ridacchiò a quel commento, e Randolf non poté che imitarla.

L’idea di quelle vecchie signore tutte imbellettate, e preda di una crisi di bile, lo faceva sbellicare.

“Quindi, prima ancora che Christofer ti chiedesse di curiosare in giro, tu lo avevi già fatto?” ironizzò Randolf.

“Figliolo, per chi mi hai preso? Pensi davvero che avrei permesso a quella cara ragazza che è Elizabeth, di infilarsi disarmata in quel ginepraio che è Londra?” replicò falsamente risentito Anthony, portando Randolf a un altro accesso di risa.

Passandosi leziosamente le unghie sul bavero della giacca di velluto scuro, Anthony aggiunse con aria di sufficienza: “Qui si mettono in dubbio la mia intelligenza e le  mie capacità…”

“Affatto, padre!” esalò Randolf, asciugandosi una lacrima di ilarità. “Ma credo che, quando scoprirà le vostre macchinazioni e lo scoprirà, credimi, dovrete trovare un nascondiglio molto buono, per evitare i suoi strali.”

“Pessimista” brontolò il patrigno.

“Realista. Conosco Elizabeth fin da quando è nata, e so che mente affilata ha. E’ ancora un po’ ingenua, su certe cose, ma questo è dovuto all’età. Una volta che sarà stata … addestrata a dovere dai casi della vita, mangerà in testa a tutti noi” celiò Randolf, già pregustando quel momento.

Sarebbe stato esilarante vedere Elizabeth correre dietro ai suoi zii, al padre e a Christofer con un coltellino da burro… o peggio.

Non vedeva l’ora.
 
***

Non amava molto rimanere a York per la notte, ma sapeva bene che imbarcarsi in un viaggio a cavallo con il favore del crepuscolo, era un invito a farsi derubare.

Accettare l’invito dei Greenwald a rimanere per un breve soggiorno, perciò, era sembrata loro l’idea migliore.

Non che Alexander avesse molta voglia di convivialità, quella sera, e temeva neppure suo padre, ma i loro amici erano stati gentili a offrirsi di ospitarli per la notte.

Il loro avvocato si stava occupando della vendita dei loro ultimi terreni in zona, ed erano amici di famiglia da tempo, quindi sarebbe parso scortese non accettare.

Inoltre, i vantaggi di una villa nel centro città erano incommensurabilmente alti, se paragonati alle scomodità delle locande da lì ad Aberdeen.

No, suo padre aveva fatto bene ad accettare di rimanere.

Quando, però, terminò le proprie abluzioni e si sistemò il plastron di seta bianca dinanzi allo specchio, Alexander sperò ardentemente di non dover esibirsi.

Non di nuovo.

Sapeva benissimo di avere una certa nomea, e non nascondeva di andar fiero delle lusinghe che riceveva in giro per salotti.

Era orgoglioso della propria intelligenza e sagacia e, anche se sapeva bene di non essere abile con i pugni come suo padre, si sapeva difendere egregiamente.

Lui e suo fratello avevano imparato fin da piccoli a tirare di spada o con l’arco e, oltre a saper nuotare e cavalcare, avevano imparato la boxe direttamente da un maestro greco.

Wilford era più bravo di lui, vista la stazza simile al padre, ma Alexander non se la cavava affatto male nei combattimenti ravvicinati, grazie alla sua agilità di gambe.

Insomma, non era solo il damerino dalla parlantina raffinata che tutti pensavano, anche se non a tutti raccontava quella parte di sé.

Non era necessario che la gente sapesse ogni cosa di lui e, anzi, tenere dei segreti per sé contava molto, in alcuni casi.

Quando, perciò, discese dabbasso per desinare, sperò ardentemente che il padrone di casa non si lanciasse in qualche elaborata discussione con il solo fine di metterlo alla prova.

Ancora una volta.

Fu Mrs Kendall a riceverlo e, con un sorriso e una riverenza, lo invitò a entrare con lei nella sala da pranzo.

Alexander le offrì galante il braccio e, quando raggiunsero la stanza, vi trovarono all’interno il padrone di casa in compagnia di suo padre, Maxwell, impegnati a discorrere di vini pregiati.

Argomento neutro, grazie al cielo.

I due figli della coppia, Richard e Barnard, lo salutarono compitamente prima di andarsi ad accomodare al loro posto, lasciando quelli d’onore per lui e il padre.

Alexander si sistemò in fretta, senza attendere l’arrivo del maggiordomo – trovava quella incombenza davvero assurda – e, dopo aver disteso il tovagliolo, mormorò a Barnard, al suo fianco: “Inventati qualcosa, se cominciano a parlare di politica. Chiedimi qualcosa sulla navigazione, sulle armi, su qualsiasi cosa.”

Il ragazzino di undici anni, assentendo con un gran sorriso, gli strizzò l’occhio con fare complice e lui, per diretta conseguenza, si esibì in un sorrisone soddisfatto.

Se avesse avuto una spalla, forse sarebbe riuscito a sopravvivere a quella serata.

Con sua somma sorpresa, però, non si cadde mai su argomenti reputati pericolosi da Alexander, anzi, tutt’altro.

Mr Kendall parlò di emancipazione cattolica e di come alcuni suoi amici, facenti parte di quella professione di fede, fossero stati apertamente minacciati dagli uomini del re.

Non era un mistero per nessuno che re Giorgio IV detestasse questo genere di recrudescenza religiosa, all’interno del suo stesso regno.

Forse, ancor più di quanto non era stato per suo padre.

Alexander assentì più e più volte al discorso accorato dell’uomo, plaudendo dentro di sé per il fervore con cui l’avvocato stava dichiarando il proprio sostegno a queste persone.

Naturalmente, tutto ciò era possibile perché, tra i Kendall e i Chadwick, vi era una conoscenza pluridecennale, e fiducia e stima reciproca.

Con tutta probabilità, Mr Kendall non si sarebbe mai permesso di parlare così liberamente, in altre sedi, o con altre persone.

“… dovrebbe preoccuparsi maggiormente di ciò che la gente mormora per i corridoi di palazzo” terminò di dire Foster Kendall, lanciando un’occhiata preoccupata ai due figli, che stavano ascoltando con interesse, gli occhi sgranati per la curiosità.

“Purtroppo, il nostro re non è mai stato un personaggio di polso e tutti sanno che, a Londra, chi comanda veramente è Lord Liverpool, il nostro stimato Primo Ministro” ironizzò Maxwell, poggiando il tovagliolo a fianco del piatto. “Foster, devo andare a fare i complimenti alla tua cuoca. Stavolta si è davvero superata, con il pasticcio di carne. Era sublime.”

Mr Kendall sorrise divertito, sapendo bene di doversi interrompere per non andare su argomenti che i suoi figli non erano ancora pronti ad ascoltare.

Parlare di concubine reali e infedeltà coniugali non era il caso, di fronte a giovani imberbi e non esperti della vita.

E la nomea di lady Elizabeth Denison, marchesa di Conyngham parlava da sola, non aveva bisogno di essere sbandierata ai quattro venti e a orecchie inesperte.

Sciatta e volgare quanto scaltra e furba, era riuscita a infilarsi nel letto del re già da molto prima della morte della regina Carolina, divenendo la droga preferita del sovrano.

Un autentico scandalo, non fosse stato per il fatto che si stava parlando di Giorgio IV, e da lui ci si poteva aspettare questo e altro.

Fu molto più tardi, dopo un buon Porto invecchiato e un paio di sigari, che Alexander e Maxwell salirono nelle loro rispettive camere per la notte.

Sorridendo tra sé, Alexander si ripromise di ringraziare Mr Kendall per la sua gentilezza.

Grazie ai suoi lunghissimi monologhi, aveva intrattenuto con argomenti interessanti i suoi ospiti e, al tempo stesso, non lo aveva obbligato a estenuanti dibattiti sul liberismo.

Foster sapeva già come la pensava, perciò non era necessario che lui parlasse, ma era stato interessante ascoltare i punti di vista di un semplice cittadino, pur se acculturato come Mr Kendall.

Forse, aveva ipotizzato quanto Alexander fosse ormai stanco di essere costantemente messo alla prova, sommerso di domande e rompicapi nel tentativo di farlo cadere in fallo.

Lui e la volta che aveva replicato all’affermazione di Wellington! Gli era costata la pace mentale, poco ma sicuro.

Se solo gli argomenti trattati nei salotti fossero stati interessanti, Alexander avrebbe anche gradito dibattere in tal senso.

Avrebbe anche accettato i meschini sotterfugi dei nobili titolati per vederlo capitolare sconfitto, se gli interlocutori si fossero dimostrati capaci.

Invece, si era ritrovato a combattere battaglie già vinte in partenza, con persone così grette da infastidirlo anche fisicamente.

Mai una volta, in nessuna occasione, le persone con cui aveva parlato – e discusso – aveva toccato gli argomenti che a lui interessavano veramente.

E che avrebbero dovuto interessare a ciascun nobile. Il popolo, le condizioni dei lavoratori, la loro condizione sociale ed economica.

Quanto prima il re si fosse deciso a lasciar perdere la sua personale crociata contro i cristiani, tanto prima si sarebbe accorto dei veri bisogni dei suoi sudditi.

Con un risolino di scherno e malafede, Alexander si denudò per la notte e, nel mettersi a letto, pensò che Giorgio IV, con tutta probabilità, non avrebbe visto la verità neppure in punto di morte.

E Lord Liverpool si sarebbe ben guardato dal fargliela notare.






Note: A quanto pare, qualcosa disturba il nostro Alexander, turbato all'idea di essere sottoposto all'ennesimo esame, come a voler mettere in dubbio le sue qualità di oratore. Questo ci dice che il giovane, nel suo recente passato, sia stato messo sotto torchio, fin quasi a fargli odiare la compagnia delle persone. 
Quanto a Lizzie, sembra che i suoi piani si stiano evolvendo bene, anche se il padre e Anthony stanno portando avanti il loro, di piano. Randolf, però, è convinto che non solo la ragazza li scoprirà, ma si vendicherà anche per bene. Voi che ne pensate?

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
5.
 
 
 
  
Giugno 1823 – Grosvenor Square – Londra
 
 
Un pomeriggio plumbeo, diede il benvenuto alla famiglia Spencer al loro arrivo a Grosvenor Square, ma a Elizabeth e i suoi fratelli poco importò.

Il viaggio non era stato disagevole, tutto sommato, e qualche temporale estivo qua e là non guastava mai, per spezzare la monotonia e l’afa di quei giorni.

Quando la carrozza con gli Spencer entrò nel cortile del palazzo dalle bianche mura, il cocchiere in cassetta arrestò il mezzo e scese subito ad aprire i predellini per la discesa.

Elizabeth lo osservò curiosa dal finestrino e l’uomo, sorridendole divertito, disse: “Ora è tutto pronto, miss.”

“Bene, Mr Thomson” ammiccò lei, aprendo la portiera per poi offrirgli la mano per farsi aiutare a scendere.

Non ne aveva bisogno ma, ogni tanto, le piaceva prendere in giro se stessa, e Howard Thomson, loro uomo di fiducia da anni, era sempre stato al gioco.

Gonfiandosi come un pavone e raddrizzando la schiena fin quasi a spezzarla, Howard le disse pomposo: “Benvenuta a Grosvenor Square, miss Elizabeth. Il sole rischiarerà sicuramente questa giornata, ora che siete giunta a Londra.”

Elizabeth represse a stento una risata pur di rimanere in parte e, altezzosa, discese i predellini replicando: “Ne sono convinta anch’io, Mr Thomson. Sono lieta che siate del mio stesso parere.”

Quando finalmente toccò terra, Andrew balzò al suo fianco, saltando a piè pari i predellini e, lanciata un’occhiata ironica alla gemella, celiò: “Sei la solita sciocchina…”

“Per servirti, fratello. Sai quanto mi piaccia intrattenere te e Max con le mie burle” replicò lei, levando fiera il nasino prima di sorridere grata a Howard, che le tributò un piccolo cenno del capo.

Andrew scosse il capo, ridendo sommessamente e, quand’anche Max fu a terra, Elizabeth lasciò perdere il suo contegno e, raccolte un poco le gonne, corse verso la porta d’entrata.

I suoi fratelli la seguirono subito e, in un batter d’occhio, furono all’interno dell’abitato.

Kathleen sorrise indulgente a Mr Thomson, asserendo: “Grazie ancora, Howard. Ormai è grande per queste ridicolaggini, eppure voi l’accontentate sempre.”

“Immagino che miss Elizabeth sia un po’ in ansia per via del suo debutto in società…” cominciò col dire l’uomo, chiudendo i predellini della carrozza. “… e, se un semplice gesto, può aiutarla a tranquillizzarla, chi sono io per negarglielo?”

Christofer gli batté una mano sulla spalla, replicando: “E’ stato comunque un gesto molto carino, amico mio. Ora lascia pure che ai cavalli e alla carrozza pensino i garzoni della stalla. Scendi in cucina a gustarti qualcosa di buono. Penso proprio sia ora.”

Sorridendo divertito, Howard assentì e disse: “In effetti, dopo quel rognone che ci hanno servito a Hatfield, ho bisogno di rimettere un po’ in sesto il mio stomaco.”

“Non ne dubito” ironizzò Christofer, avendo sentito da più di uno dei loro battitori commenti sarcastici sul sapore di quel piatto, servito prima del loro ultimo tratto per giungere a Londra.

Quella locanda era parsa a tutti un buon posto per riposare prima di giungere alla capitale e, a tutti gli effetti, avevano trovato camere pulite e un servizio ottimo.

La cucina, però… beh, lo chef Thomasson avrebbe fatto dimenticare ben presto quell’esperienza tutt’altro che esaltante.

Probabilmente, i ragazzi erano corsi in casa proprio per questo.

Approfittare di uno dei dolci dello chef era stato il primo desiderio di tutti, ed era probabile che nessuno di loro avesse resistito alla tentazione di correre in cucina.

Mentre Howard scortava i cavalli in stalla e la servitù badava a prelevare i bagagli, Christofer offrì il braccio alla moglie e la accompagnò all’interno.

Le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere e, quando furono all’interno, William pensò a liberare la sorella dal cappellino e la leggera mantella, dicendo: “Vado a vedere se c’è mia madre. Nel frattempo, vi faccio servire qualcosa nel salottino dei fiori?”

“Più che volentieri, grazie, e porgi i nostri saluti a Christine” assentì Kathleen, osservando per un istante il fratello, prima di proseguire verso il salottino.

“Non è ancora convinto di voler lasciare il tuo servizio?” le domandò Christofer, immaginando cosa stesse passando per la testa della moglie.

Kathleen scosse il capo, mormorando: “E’ convinto che io abbia ancora bisogno della sua presenza, e tutti gli altri attendenti che ha visionato non incorrono nel suo favore.”

Christofer rise di quel particolare.

In teoria, avrebbe dovuto essere lui a occuparsi della cosa, ma William aveva insistito, volendo prendersi l’onere di scegliere personalmente il suo sostituto.

Gli impegni erano notevolmente aumentati, per William, da quando era venuto in possesso dell’eredità lasciatagli dal padre naturale.

Nel corso degli anni, aveva delegato il più possibile per rimanere ugualmente al fianco della sorella, e sia Christofer che il suo ex titolare, lord Conroy, si erano spesi per aiutarlo.

Alla fine, però, William aveva sentito impellente il desiderio di badare in prima persona a ciò che il vecchio lord Barnes aveva destinato per lui.

Forse, l’odio covato per anni era infine scemato, o forse, la preoccupazione nei confronti di Kathleen era infine venuta meno.
Il punto era che, comunque, William aveva deciso di prendere in mano le redini di quanto, suo malgrado, era divenuto sua proprietà… ma lasciare Kathleen era  difficile.

“Gli ho spiegato varie volte che, anche se non sarà più il mio attendente, questo non vorrà dire che mi vuole meno bene, o altre sciocchezze simili” sospirò Kathleen, accomodandosi su un divanetto in raso fiorato. “Anche Bridget è d’accordo con me, ma smuovere William è altro affare.”

“E’ difficile allontanarsi anche di poco da chi si vuole così bene” riconobbe Christofer, sorridendole.

“Certo, ma io voglio davvero che lui segua i suoi possedimenti in prima persona. Innanzitutto, sarebbe un buono sprone per Julian per mettere la testa a posto. Secondariamente, sarebbe catartico anche per William” asserì Kathleen, scrollando le spalle.

“Sono sicuro che, prima o poi, arriverà alla quadratura del cerchio, mia cara” la rassicurò il marito, sorridendo quando sentì uno scalpiccio di piedi giungere dall’esterno.

Alcuni attimi dopo, armati di vassoi, dolciumi e un vaso di fiori – tenuto tra le braccia di Elizabeth – i loro figli fecero infine il loro ingresso nel salottino.

Subito, Andrew poggiò il vassoio con il tè sul tavolino, mentre Max provvedeva a sistemare quello con i pasticcini.

Elizabeth, invece, si diresse verso il camino spento, poggiò sulla mensola l’enorme vaso colmo di rose e disse: “Abbiamo evitato un giro inutile alle domestiche, visto che dovevamo venire qui anche noi.”

“L’importante, è che non abbiate rovesciato nulla durante il tragitto” si premurò di dire Kathleen, iniziando a servire il tè per tutti.

La figlia ci pensò su un attimo, lanciò occhiate curiose all’indirizzo dei fratelli, che negarono alcun addebito, e infine disse: “No, direi che non abbiamo combinato guai.”

“Molto bene, allora” dichiarò Christofer, assaggiando un pasticcino. “Oh, questo sì che merita un’ovazione.”

Maximilian assentì, divorandone due in successione prima di bere un po’ di tè e, sorridendo al padre, disse: “E’ quello che abbiamo detto a Mr Thomasson, non appena siamo piombati in cucina. Eravamo disperati, vero, Andrew?”

“Non so se lo fossimo proprio tutti – tu lo eri certamente – ma, di sicuro, lo abbiamo ringraziato profusamente perché, quando siamo entrati, ci ha servito una fetta di torta ciascuno” dichiarò Andrew, mentre Kathleen scoppiava in una risata argentina.

Christofer sospirò esasperato e, nel bloccare la mano del figlio minore, esalò: “Basta, Maximilian! Direi che, per oggi, hai ingurgitato abbastanza dolci, non ti pare?”

“Padre, rammenti che ho dato di stomaco da Hatfield fino a qui, a causa di quella carne di vitello che ci hanno servito alla locanda? Sono totalmente svuotato” replicò sconvolto il ragazzino, facendo tanto d’occhi.

A tutti gli effetti, Max era stato assai male.

Al contrario dei gemelli che, pur se piuttosto pallidi, non avevano dato di stomaco, il minore dei suoi figli aveva quasi rimesso l’anima a Dio.

Sospirando, Christofer lasciò andare la mano del figlio, ma disse perentorio: “Non più di tre ancora. Ponderali bene, perciò.”
“D’accordo” assentì soddisfatto Max, saggiando con lo sguardo il bel vassoio colmo di leccornie.

Elizabeth si avvicinò per prenderne un paio, che poggiò su un tovagliolo di batista bianca e, nell’accomodarsi sull’ottomana di fronte alla finestra, domandò: “Andrete all’orfanotrofio intitolato allo zio, domani?”

Kathleen la guardò curiosa, replicando: “E’ probabile. Perché?”

“Vorrei venire anch’io, se fosse possibile” la mise al corrente la figlia, sorridendo appena.

Christofer se ne sorprese un poco, ma assentì.

Di solito, Elizabeth rifuggiva quelle visite.

L’ultima volta che li aveva seguiti, era stata male al punto da chiudersi nelle sue stanze per giorni, preda della depressione e piangendo fino a farsi venire una terribile emicrania.

Che avesse deciso di sconfiggere una volta per tutte i suoi demoni?

Andrew lanciò un’occhiata preoccupata all’indirizzo della gemella, ma lei non lo stava guardando. Il suo sguardo era fisso sul giardino, su cui si stava abbattendo un temporale estivo.
 
***

Sistemando i pedoni sulla scacchiera per l’ennesima partita con il gemello, Elizabeth sorrise appena quando vide Maximilian steso sul divano, completamente addormentato.

Aveva voluto rimanere con loro in biblioteca per non dover essere messo a letto, ma ora ne pagava le conseguenze.

Scusandosi un momento con Andrew, la ragazza si levò in piedi per recuperare un pannetto leggero, dopodiché lo distese sul fratellino e ne carezzò i capelli bruni.

“Credi dovremmo chiamare papà, o mamma?”

“Lasciamolo qui ancora un po’. Sembra dormire bene” replicò Elizabeth, tornando a intrecciare le gambe sul comodo cuscino su cui si era precedentemente seduta.

In quel mentre, indossava una camiciola da notte, la vestaglia da camera e pianelle di velluto ai piedi, ma non era inusuale che, in casa, portasse i calzoni del fratello.

Era uno strappo alle regole che Christofer e Kathleen le avevano concesso dopo accesi dibattiti, e solo se in compagnia dei fratelli. Mai da sola, o con estranei.

“Perché hai deciso di venire in orfanotrofio, domani?” le domandò a un certo punto Andrew.

Lui non aveva avuto i problemi della sorella, nell’andare a trovare quei bambini rimasti orfani per svariati motivi, ma Lizzie ne aveva sempre sofferto moltissimo.

Perché, quindi, quel cambiamento?

Sospirando, la sorella mormorò: “E’ da sciocchi aver paura della povertà, o del disagio altrui. Devo accettarlo e affrontarlo. Persino Violet ha più coraggio di me, in questo frangente! E’ inutile che io pianga perché i bambini non hanno più la mamma o il papà. Però, posso farli sentire apprezzati, far loro comprendere che qualcuno si occuperà di loro, che li farà crescere e diventare forti.”

Ciò detto, spostò un pedone in avanti, e Andrew lo mangiò col proprio.

“Non devi dimostrare niente a nessuno, sai? I nostri genitori sanno bene che sei una brava persona” sottolineò il gemello, rimuginando sulla mossa seguente.

“Lo faccio per me stessa. Sono sempre vissuta negli agi e nel lusso e, pur se credo di essere una persona con un’etica morale, devo anche metterla in pratica, non solo immaginarla nella mia testa” borbottò Elizabeth.

Sorridendo di fronte al cipiglio severo della sorella, Andrew replicò: “Trovare un marito che ascolti simili lagnanze non sarà facile. Sai che i nobili, per la maggiore, spendono volentieri soldi per loro stessi, ma malvolentieri per gli altri.”

“E chi ha detto che voglio sposarmi?” sbottò lei, fissandolo arcigna.

“Magari non quest’anno, magari non tra due, Lizzie, ma prima o poi ci arriveremo. O vuoi diventare una zitella inacidita, rinchiusa in una delle stanze di Green Manor fino a che i capelli ti diventeranno grigi?” la prese in giro Andrew, vedendola impallidire.

“Tu mi cacceresti di casa?” esalò la sorella, pur aborrendo l’idea di diventare una zitella.

“Anche quanto, avresti la tua villetta al limitare del bosco, quella che ti sta facendo costruire papà” scrollò le spalle Andrew. “Ma no, saresti sempre la benvenuta a Green Manor. Il punto è un altro. E’ questo che vuoi per te? Arroccarti sulle tue prese di posizione, per quanto giuste, e basta? Ci vuole una mente elastica, o ti scontrerai sempre contro muri sempre più alti e impervi.”

“Non transigerò mai su certe cose. Né potrei mai pensare di sposare un uomo che pensa solo alla propria borsa” si impuntò Elizabeth.

“Fai bene ad avere dei punti fermi, ma dovrai anche mostrarti aperta ai cambiamenti, o a nuove scoperte, o idee differenti dalle tue, oppure la gente potrebbe trovarti spocchiosa” la mise in guardia Andrew, muovendo il suo cavallo sulla scacchiera.

“Non sono spocchiosa” mugugnò la sorella.

Andrew ghignò in risposta. “Un po’ lo sei. Ma in senso buono.”

“Come può esserci un senso buono, nell’essere spocchiosa?”

“Perché sei irremovibile su argomenti importanti e, per me, molto belli. Ma non tutti capirebbero, e altri potrebbero inimicartisi solo per questo. Perciò, pondera bene le parole, quando sarai nei salotti di Londra. Una parola di troppo, potrebbe chiuderti molte porte.”

Elizabeth storse il naso, e borbottò: “Sento già che mi verrà un’emicrania.”

“Lady Jersey è una cara amica di nostro padre, ed eviterà che alla festa ci siano persone sgradevoli, ma da Almack’s ci saranno tutti, simpatici e non, l’importante è che abbiano un pedigree coi fiocchi” la mise in guardia Andrew, osservando dubbioso la mossa della sorella.

“E dire che ero così entusiasta di venire a Londra! Quasi quasi, torno indietro!” ironizzò Elizabeth, fissando accigliata la scacchiera.

“E devi esserlo… entusiasta, intendo. Sarà un divertimento, se lo vorrai. Solo, evita di prendere di petto coloro che non la pensano come te. Svicola come so che sei in grado di fare, e non farti cogliere in fallo da chi vorrà approfittare del fatto che sei una ragazza” le ricordò Andrew, spalancando la bocca quando vide Elizabeth muovere. “Oh, ma dai…”

La gemella sorrise soddisfatta, abbatté il re del fratello e disse: “Scacco al re. Scusa, ma ti sei perso a farmi la morale…”

“Subdola manipolatrice…” sbuffò Andrew, passandosi una mano tra i capelli castani. “… mi hai davvero messo con le spalle al muro.”

Sorridendo al fratello, Elizabeth mise da parte la scacchiera e, allungatasi per abbracciarlo, mormorò contro la sua spalla: “Grazie, Andy. Prometto che starò attenta e terrò al guinzaglio la mia lingua biforcuta.”

Andrew replicò all’abbraccio, sussurrando: “Desidero solo che tu sia felice, Lizzie.”

“Cercherò di esserlo” gli promise lei, scostandosi per poi scrutare dubbiosa Max. “Che dici, lo svegliamo?”

“Possiamo sempre trascinarlo fino in camera. Di solito, quando dorme, non lo svegliano neppure le cannonate” ironizzò Andrew, lanciando un’occhiata d’intesa con la gemella.

Elizabeth annuì divertita e, mentre Andrew prendeva Max sotto le ascelle, lei pensò ad afferrarlo alle caviglie.

In qualche modo, riuscirono a sollevarlo e, con una spallata alla porta, Andrew uscì dalla biblioteca assieme a Elizabeth e all’addormentato fratellino.

Una domestica, impegnata a spegnere le candele lungo il corridoio, si bloccò sorpresa nello scrutarli e la giovane Spencer, sorridendole, mormorò: “Abigail, potreste aprirci la porta della stanza di Maximilian?”

“Oh, ma certo, miss Elizabeth. Non preferirebbe che la sostituissi io?” si premurò di dire la domestica, seguendoli.

“Non temete, ci sono abituata. Basta che voi mi apriate la porta e, se poteste, che sistemaste anche le coltri del letto.”

La domestica assentì e li precedette lungo il corridoio, aprendo la porta interessata e riversandosi dentro in fretta.

Quando Andrew ed Elizabeth finalmente giunsero, il letto era già pronto e Abigail li aiutò a inerpicare il piccolo Spencer sul lettone enorme e alto quasi un metro da terra.

Sistemate le coperte e chiusi i tendaggi del baldacchino, Abigail sorrise ai due padroncini e domandò: “Avete bisogno di altro?”

“No, andate pure, e scusateci per l’intoppo” disse Andrew.

“Nessun disturbo, Mr Andrew” mormorò la donna, allontanandosi dopo una riverenza.

Rimasti soli, lui disse alla sorella: “Direi che ormai possiamo andare anche noi.”

“Direi di sì. Buonanotte, allora.”

“A te, sorellina, e vedi di non pensare troppo a domani” le strizzò l’occhio lui, uscendo con lei dalla camera di Max.

Elizabeth non disse nulla e, quando si ritrovò in camera propria, sistemò la vestaglia su una sedia e sorrise.

Andrew aveva capito immediatamente cosa l’avesse tenuta sveglia fino a quell’ora.

Era proprio un bravo fratello, così come Max, che non aveva voluto lasciarla sola, pur stremato com’era.
 
***

Il sole tanto agognato era infine giunto.

Quando la carrozza degli Spencer si fermò nell’infimo quartiere di Whitechapel, nell’East End di Londra, Elizabeth lo scrutò con occhi strizzati, dubbiosi.

Il sole era meno caldo del solito, o era lei a sentirsi così per via di ciò che stavano per fare?

Mr Thomson srotolò i predellini come al solito e, come al solito, aiutò Elizabeth e Kathleen a scendere, mentre alcuni battitori controllavano tutt’intorno.

Trovare dei nobili titolati in quella parte di Londra era inusuale ma, ormai da anni, la presenza degli Spencer era divenuta cosa nota a tutti.

In generale, nessuno avrebbe tentato di levare mano contro di loro, visto che erano dei benefattori, ma non si poteva mai dare nulla per scontato, in quel luogo.

Elizabeth, perciò, si tenne al braccio del fratello e seguì i genitori all’interno dell’Orfanotrofio ‘Andrew Campbell’.

Era un’alta costruzione in mattoni rossi, dalle  strette finestre aperte sui quattro lati, e un piccolo cortile sul retro circondato da mura.

Non appena i battenti in legno vennero chiusi alle loro spalle, Elizabeth inspirò un istante l’aria, avvertendo un leggero sentore di pino silvestre.

Se ne rincuorò subito. Il posto non era sporco, o lasciato all’incuria di chi lo gestiva.

Ma di che stupirsi, dopotutto? I loro genitori non avrebbero mai lasciato quei bambini nelle mani di persone meno che meritevoli.

Una signora corpulenta e di mezza età avanzò verso di loro con un largo sorriso, strinse le mani protese di Christofer e salutò compitamente Kathleen e i giovani Spencer, asserendo: “E’ un vero piacere vedervi tutti. I bambini sono fuori a godersi il sole, visto che oggi ci ha graziati dalla pioggia. Volete vedere prima loro, o le stanze risistemate?”

Rivolgendosi ai figli, Christofer disse loro: “Voi uscite pure a incontrare i bambini. Noi arriveremo tra un po’. Voglio prima sincerarmi che gli operai abbiano lavorato bene.”

“Sì, padre” assentì Andrew, indirizzando un sorriso a Mrs Kenwood, direttrice dell’orfanotrofio.

L’attimo seguente, il giovane si rivolse a miss Keenan, una delle aiutanti e maestre del posto, pregandola di condurli dai bambini.

Elizabeth rimase in religioso silenzio e si incamminò lungo il corridoio con il fratello, lanciando fugaci occhiate alle stanze aperte che incontrarono.

Erano tutte in ordine, tranne una, dove erano sparsi dei giocattoli di legno e dei fogli di pergamena. La stanza dei giochi? Possibile.

Quando miss Keenan aprì per loro una porticina in legno e si ritrovarono infine all’esterno, il cacofonico vociare dei bimbi investì Elizabeth, tramortendola.

Antiche paure la avvolsero, facendola sentire inadeguata al compito di proteggere tante piccole creature, ma Andrew rimase al suo fianco, incoraggiandola con una stretta di mano.

Le sorrise poi rassicurante e, quando i bambini si avvicinarono loro festanti, la lasciò andare e sollevò uno dei bimbi più piccoli sopra la testa, facendolo volare in tondo.

Elizabeth non si arrischiò a tanto – era terrorizzata all’idea di farne cadere uno – ma si sedette su uno dei gradini e abbracciò a turno tutti quanti.

Le bambine le fecero una grossolana riverenza, cui lei rispose con un sorriso deliziato e, quando tutti iniziarono a farle mille domande, Elizabeth si prestò paziente a rispondere a tutte.

Forse, sarebbe riuscita a non piangere. Forse.
 
***

“… e così, abbiamo dovuto ricorrere alla forza, e il manico di scopa si è rotto” sintetizzò Mrs Kenwood, torcendosi appena le mani sotto lo sguardo spiacente di Christofer e Kathleen.

“So che Whitechapel è un quartiere difficile, ma non pensavo potessero arrivare a entrare con la forza in un orfanotrofio” esalò sgomento il conte, sinceramente senza parole.

“Purtroppo, sanno che qui i bambini sono ben curati e che, quindi, ci sono cibo e vettovaglie in abbondanza, per cui…” sospirò la direttrice, scuotendo il capo. “… c’è molta povertà, lord Spencer, ma c’è anche poco rispetto. Perché prendersela con dei bambini, che già stanno soffrendo perché sono senza famiglia?”

Kathleen le sfiorò una spalla con la mano, comprensiva, asserendo: “I bambini si sono spaventati?”

“Oh, beh, io e Dorothy abbiamo cercato di minimizzare, ma i più grandicelli hanno capito e, la notte, dormono davanti alla porta delle nostre stanze, e non c’è verso di allontanarli da lì” sospirò ancora la donna.

Christofer sorrise appena, comprendendo appieno il comportamento dei ragazzi.

Quelle due donne erano le uniche  figure materne che, forse, avevano mai conosciuto in vita loro, e il pensiero che potesse succedere loro qualcosa, li atterriva.

In quegli anni, Christofer aveva sempre cercato di scegliere persone adatte al ruolo, per gli orfanotrofi che aveva aperto, ma non sempre aveva colto nel segno al primo colpo.

Kathleen gli aveva più volte ricordato quanto fosse difficile capire davvero le persone, tentando così di alleggerire il suo animo, ma lui non si era mai dato pace, per questo.

Trovare Mrs Kenwood per l’orfanotrofio londinese, era stato un sollievo.

Vedova e senza figli, le era stata consigliata direttamente dalla madre di William.

Quando l’aveva conosciuta, Christofer si era sentito subito fiducioso e propenso a darle una possibilità.

Alle maestre aveva provveduto Kathleen, e miss Coleen Keenan, o zia Colly, come amavano chiamarla i bambini più piccoli, era giunta lì di sua volontà, chiedendo di poter rimanere coi bimbi anche la notte.

Si era rivelata la scelta migliore mai fatta per quei poveri ragazzi.

“Potrei assumere qualcuno perché rimanga qui la notte, oppure potrei rinforzare la porta e mettere le inferriate al primo piano dello stabile” propose a quel punto Christofer. “Cosa vi farebbe sentire più tranquille, Mrs Kenwood?”

“I bambini non si sentono molto tranquilli, con altri adulti in giro… forse, forse la porta rinforzata, oltre alle inferriate, andranno bene” mormorò la donna, annuendo tra sé.

Non faceva specie che Mrs Kenwood la pensasse a quel modo.

Molti bambini, prima di rimanere soli, erano stati vittime di abusi, perciò non amavano molto le figure maschili.

Quando, però, i coniugi Spencer e Mrs Kenwood raggiunsero il cortile interno, i bambini li accolsero con calore.

Pur se provati da una vita difficile, sapevano ancora riconoscere il bene che veniva loro elargito, e i valori positivi della vita.

Christofer sorrise tutti loro, dispensando strette di mano ai più grandicelli e pacche sul capo ai più piccoli.

Kathleen non fu da meno, e abbracciò un sacco di bambini e bambine, ricevendo in dono piccoli oggetti fatti con ritagli di stoffa, o di carta.

Quando, però, levò lo sguardo per inquadrare i suoi figli, si sorprese nel vedere Elizabeth seduta nell’angolo più lontano del cortile, e in compagnia di un bambino.

Andrew la stava scrutando da una certa distanza, impegnato a giocare a palla con un paio di ragazzini.

Sorpresa, Kathleen domandò alla direttrice: “Chi è quel bambino?”

“Oh, quello con cui sta parlando miss Elizabeth? E’ Roy. Roy Ronson. E’ giunto qui due mesi addietro, lasciato dalla madre indigente. Da quel che sappiamo dai suoi racconti, il padre era un giocatore d’azzardo dei bassifondi, e la madre… beh…”

“Una donna perduta” mormorò Kathleen, sospirando. “Mi sorprende che lo avesse ancora con sé, … sembra avere almeno sette, otto anni.”

“Ne ha undici” asserì la donna, sorprendendo non poco la contessa. “Lo ha sfruttato finché poteva passare attraverso i camini, così da guadagnare qualche spicciolo in più facendolo lavorare come spazzacamino. Quando non è più riuscito a entrarvi, lo ha abbandonato qui, ritenendolo ormai inutile.”

Kathleen scosse il capo, disgustata al pensiero che una donna potesse solo cogliere il profitto, in un proprio figlio, e disgustata ancor di più dall’ambiente che l’aveva costretta a tanto.

Quando, però, vide Elizabeth abbracciare il bambino singhiozzante, si scusò con Mrs Kenwood e raggiunse la figlia.

Accucciandosi accanto alla coppia, seduta su una panchina di pietra a pochi passi dal muro di cinta, Kathleen sorrise a un sorpreso e imbarazzato Roy e disse allegra: “Ciao, Roy. Io sono Kathleen. Mrs Kenwood mi ha detto che sei nuovo, qui, così volevo presentarmi.”

Il ragazzino guardò dubbioso la donna, poi Elizabeth che, sorridendo, annuì incoraggiante.

Roy, allora, si scostò dalla giovane Spencer e, allungata una mano dalle unghie spezzate in più punti, mormorò: “Roy Ronson. Piacere, signora.”

“Piacere tutto mio. Hai già fatto amicizia con mia figlia, vedo. Sono contenta” disse ancora Kathleen, augurandosi che quelle dita potessero guarire in fretta.

Sembravano davvero aver visto l’inferno.

Roy si passò un dito sotto il naso e, accennando un sorriso, mormorò: “E’ bella, vostra figlia… ed è buona. Di solito, le donne sono abbastanza buone con me, però alcune…”

Preferendo non sapere cosa potessero aver fatto alcune donne, con lui, conoscendo il mestiere della madre, Kathleen si affrettò a cambiare discorso, asserendo: “Ho saputo da Mrs Kenwood che sei stato molto coraggioso, qualche sera fa. Mi vuoi raccontare come sei corso a prendere quella scopa, Roy?”

Arrossendo di piacere al pensiero che qualcuno potesse essere interessato a lui, il ragazzino si lanciò in un racconto sperticato, gesticolando e parlando con voce via via più sicura.

Elizabeth ascoltò la vicenda con interesse e, al tempo stesso, strinse la mano che la madre le aveva steso accanto, assorbendo da lei la forza per resistere.

Ciò che Roy le aveva raccontato era orribile, soprattutto se pensava alla sua vita, alla sua età.

I soprusi, le botte, la morte del padre per debiti di gioco, l’obbligo della madre a dare una mano in tutti i modi al mantenimento della stamberga dove vivevano.

No, nessun bambino avrebbe mai dovuto crescere a quel modo.

Molto tempo dopo, a bordo della carrozza che li avrebbe portati a Bow Street, Elizabeth si lasciò andare a un breve scoppio di pianto, cui Andrew provvide subito offrendole un fazzoletto.

Christofer sospirò, mormorando: “Tesoro, se è troppo, per te, non dovresti venire. Non credere che non capisca il tuo dolore, ma non devi sottoporti a questo stillicidio per forza.”

Sbottando, Elizabeth invece replicò: “Invece devo, padre! Io ho sempre vissuto nel lusso, negli agi e circondata da tanto amore, mentre quei bambini no! E ugualmente sopravvivono, dimostrando di essere mille volte più forti di me. Quindi, io posso sopportare di farmi un piccolo pianto, a questo punto.”

“Detto da vera Spencer” ironizzò a quel punto Andrew, dandole un colpetto con la spalla.

Elizabeth rise appena, a quel gesto e Kathleen, nell’osservare il marito, si tranquillizzò.

La figlia ce l’avrebbe fatta, pianto o non pianto a corollario, e l’avrebbe aiutata a superare i propri timori.

“Inoltre…” aggiunse infine Lizzie, levando altezzosa il nasino. “… se lo fa Violet, lo posso fare anch’io. Non sia mai che quella mocciosetta riesca in qualcosa, e io no.”

Andrew e i genitori risero di quel commento, ben sapendo quanto Elizabeth avesse sempre invidiato all’amica la sua capacità di affrontare simili prove.

Se era vero che Violet era tenera come un fiore e dolce come il miele, pareva trasfigurarsi, se qualcuno aveva bisogno di lei.

E, indipendentemente da tutto e da tutti, sapeva come rendersi utile. Non era un caso se Elizabeth l’avesse presa a esempio.

Tornando seria, Lizzie mormorò: “Violet mi ha spinta a migliorare, a combattere le mie sciocche paure, e non mi farò scoraggiare dal dolore che ora provo per loro. Sarò più forte di così.”

“Tu e Violet siete diverse, Lizzie. Ci sono cose che lei non sarà mai in grado di imitare, in te, e viceversa. Avete caratteri dissimili” sottolineò Andrew.

“Saremo anche diverse, ed è ovvio che sia così, fratello, ma rammenta: tu, Anthony, Randolf, tutti quanti l’avete sempre protetta perché vi appare come un delicato angelo sceso in terra, ma Letty è più forte di così. Non è fragile porcellana, e ve lo dimostrerà” sottolineò Lizzie. “Come io dimostrerò di saper controllare questo mio demone personale.”

Accigliandosi leggermente, Andrew borbottò: “Non mi permetterei mai di pensare che Violet è fatta di porcellana.”

“Ma lo fai” soggiunse Elizabeth, ora esibendosi in un mezzo sorriso. “Vorrei ti vedessi, quando corri ad aprirle la porta perché, forse, pensi non ne sia in grado, o quando la aiuti a scendere da cavallo.”

Ora arrossendo leggermente, il gemello brontolò: “E’ semplice educazione!”

“Se vuoi vederla così…” ghignò Lizzie, ammiccando.

“Io non la tratto come una bambola di porcellana!” protestò a quel punto Andrew, fissandola torvo.

“Un po’ lo facciamo, ammettilo, Andrew” intervenne a quel punto Christofer, preferendo evitare che i gemelli passassero dal pianto alle botte senza soluzione di causa.

Erano ormai adulti, ma tutto poteva ancora succedere.

Fissando sconcertato il padre, Andrew esalò: “Ti ci metti anche tu, padre?”

“So ammettere le mie colpe, figliolo, e so che a volte ci sono cascato anche io. Guardo Violet e penso che sia troppo delicata, per questo mondo, così cerco di fare per lei cose che, a ben pensarci, potrebbe fare da sola. E lei è troppo ben educata e gentile, per farmelo notare.”

“Già… invece Lizzie morde alle caviglie, quando la indisponi” replicò Andrew, fissando ironico la gemella.

“Potrei mordere le tue, ora, di caviglie, se non la smetti” gli rammentò la gemella. “Ho soltanto detto la verità, e papà lo ha confermato. Voi uomini tendete a sottovalutarci e, con Violet, toccate vette preoccupanti.”

“Non voglio neppure ascoltarti” bofonchiò il fratello, stringendo al petto le braccia con fare corrucciato.

Kathleen sorrise ai due figli e, nel notare il sorrisino divertito di Lizzie, si tranquillizzò.

Dopotutto, sembrava che il momento di tristezza fosse scemato.

Peccato per il muso lungo di Andrew, ma quello non la preoccupava molto.

Sarebbe durato più o meno il tempo del loro arrivo a Bow Street, per cui poteva anche starci.







Note: Se ricordate, Kathleen aveva espresso, alla sua prima esperienza a Londra, tanti anni prima, di voler fare qualcosa per i bambini orfani. Ora, a distanza di anni, la famiglia Spencer ha aperto diversi centri l'infanzia e, uno di questi, è stato intitolato a Andrew.
L'accenno che fa Lizzie, riguardante Violet, verrà spiegato più ampliamente quando parleremo della figlia di Anthony e Myriam ma, in breve, la ragazzina è molto altruista e ama prendersi cura degli altri (uomini o animali, poco conta), ed Elizabeth vuole imitarla, anche se sente dentro di sè di non essere brava quanto l'amica. Non pensa di essere altrettanto buona o gentile, pur se si smentirà da sola, più avanti.
Nel prossimo capitolo ritroveremo Alexander, comunque... alla prossima!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 
 
6.
 
 
 
 
Accompagnare sua cognata Clarisse a comprare nuovi nastrini per gli abiti, non era esattamente ciò che Alexander avrebbe definito il miglior modo per passare il tempo.

Ugualmente, si era prestato a quest’incombenza tutt’altro che mascolina per un motivo ben preciso.

Suo fratello glielo aveva chiesto come favore personale, desideroso di passare un po’ di tempo con le sue gemelline, divenute ormai appannaggio della moglie.

Alexander trovava ridicolo che quel Marcantonio del fratello, alto e grosso quanto un orso, dovesse ricorrere a simili mezzucci per giocare con le sue bimbe.

Clarisse raggiungeva a stento il metro e sessantacinque, e probabilmente pesava la metà di Alexander.

Inoltre, trovava davvero sconcertante che suo fratello Wilford volesse starsene seduto su un tappeto a giocherellare con le bimbe di poco più di tre anni e mezzo.

Che lo considerassero un insensibile ma, pur adorando i nipoti, non vedeva il motivo di passare il tempo a quel modo.

Quando, perciò, aprì la porta per Clarisse perché entrasse nel suo negozio preferito, a Bow Street, lo fece con un sorriso divertito sul volto.

Sorriso che, ben presto, fu sostituito da un accenno di sorpresa, quando vide due gentildonne di sua conoscenza.
Appresso al capofamiglia e al suo erede, tra le altre cose.

Clarisse si illuminò subito, vedendo gli Spencer e, avviandosi a mani levate verso Kathleen, esclamò a mezza voce: “Lady Spencer! Che piacere inaspettato vedervi già oggi!”

Volgendosi a mezzo, Kathleen replicò con un sorriso e strinse le mani protese di Clarisse.

“Lady Chadwick, non speravo di vedervi così presto! L’aria di mare vi si confà. Avete un colorito splendido.”

Clarisse sorrise grata e, quando inquadrò Elizabeth nel suo campo visivo, mormorò: “Questa opera d’arte non può essere la vostra Lizzie. O sì?”

Elizabeth sorrise a quel complimento e, con una riverenza leggiadra, replicò: “Sono io, in carne e ossa. E’ un piacere rivedervi, lady Chadwick.”

“Per te, cara, sono solo Clarisse” sorrise sbarazzina la giovane moglie dell’erede di Barrett. “Quindi, se so ancora fare due più due, questo colosso splendente è il tuo gemello, carissima.”

Andrew si inchinò con classe, facendole un baciamano con eleganza innata e Alexander, dentro di sé, rise bellamente.

Clarisse adorava riempire di complimenti le persone.

Che lo dicesse sul serio – e questo sembrava essere il caso – o solo per calcolo, sua cognata era un’intrattenitrice nata.

Dopo aver salutato anche Christofer Spencer, Clarisse si ricordò di avere anche un accompagnatore e, volgendosi a mezzo, disse: “Ciarlo così tanto da dimenticare le buone maniere. Lasciate che vi presenti mio cognato, se già non lo avete incontrato.”

Alexander, a quel punto, avanzò con passo tranquillo quanto elegante e si esibì in un inchino formale a Harford, prima di stringere la mano di Andrew.

“Ho già avuto il piacere di incontrare diverse volte lord Spencer qui a Londra, durante la Sessione Estiva della Camera dei Lord e, una volta, alla cena organizzata dagli Edmonton. Temo, però, di non aver mai avuto il piacere di fare conoscenza diretta con vostra moglie, milord…” esordì Alexander, sorridendo affabile a Kathleen. “…e neppure con i vostri figli.”

Lady Spencer levò la mano perché Alexander potesse salutarla convenientemente e, sorridendogli, replicò: “In effetti, ci siamo solo intravisti molte volte, senza aver per questo avuto il piacere di una chiacchierata a quattr’occhi. Anche se vi ho visto ragazzino.”

“Cosa che, sicuramente, voi avrete il cuore di dimenticare” ironizzò Alexander, facendo sorgere un sorriso divertito sul viso di lady Spencer. “Non ho molti ricordi di me stesso da bambino, ma dubito di essere stato una compagnia interessante, o anche solo lontanamente piacevole.”

“Amavate stare in braccio, se rammento correttamente. In braccio alle signore, preferibilmente” stette al gioco Christofer, ammiccando.

“Oh, allora dimostravo fin da piccolo un indubbio gusto” motteggiò a quel punto Alexander, prima di rivolgersi a Elizabeth. “Spero, comunque, che questo particolare non vi scoraggi dal permettermi di presentarmi convenientemente a voi, miss Elizabeth.”

“Niente affatto, lord Chadwick. Anzi, apprezzo chi sa ridere di se stesso” replicò la giovane, offrendogli una mano con grazia.

Alexander, a quel punto, sorrise con una punta di malizia e, quando sfiorò la pelle delicata della mano di Elizabeth, si sorprese nel sentirla calda e leggermente irruvidita sui polpastrelli.

Curioso che una lady non avesse badato a mantenere più morbida la sua pelle.

Evidentemente, non disdegnava i lavori a mano, o apprezzava andare a cavallo senza guanti. Chissà.

Naturalmente, Alexander si limitò a sfiorare quel dorso profumato di pesca, così come era conveniente per un lord suo pari.

Quando, però, si risollevò per tornare al suo posto, notò un leggero rossore sulle gote di Elizabeth e… i segni di un pianto recente?

Perché aveva pianto, visto che si trovava nel luogo per eccellenza più desiderato dalle fanciulle della sua età, e non?

O aveva discusso con i genitori proprio per poterci andare?

Non poté comunque procrastinare oltre il contatto con la sua mano, soprattutto a causa dello sguardo attento del gemello.

Andrew lo seguì con i suoi occhi verde-oro, in tutto simili a quelli della madre, e non lo mollò per un attimo, da quel momento in poi.

Per tutto il tempo in cui egli restò nel negozio assieme a sua cognata, per l’esattezza.

Alexander, naturalmente, non gli diede alcun motivo per rendere più pressante il suo esame e, trastullandosi qua e là per il negozio, fece finta di niente per tutto il tempo.

Almeno in apparenza.

Di straforo, proprio a causa dell’attenzione da segugio di Andrew, Alexander concesse un tempo più prolungato del solito allo studio di miss Elizabeth Spencer.

Sì, era bella come ricordava, con quel corpicino fasciato negli abiti alla moda che tanto mettevano in risalto i vitini da vespa delle giovani.

Dentro di sé, comunque, si chiese quanto li trovassero comodi, con quelle stecche di balena a stritolare quelle povere costole martoriate dalla moda.

Molte, dovevano ricorrere anche a tre cameriere, per farsi rinchiudere in quei corsetti odiosi, ma miss Elizabeth non sembrava averne bisogno.

Si muoveva con fin troppa disinvoltura, per essere una giovane in debito d’aria, cosa di cui invece soffrivano molte nobildonne.

La cosa che lo sorprese un poco fu notare uno strappo sull’abito, nei pressi di uno dei fiocchi che erano applicati sulla gonna a palloncino color lavanda.

Era mai possibile che fosse uscita di casa senza rendersene conto?

Lo trovava assai strano, visto quanto maniacali potevano diventare certe donne, in fatto di abiti.

Questo particolare, però, avrebbe potuto denotare in lei una certa propensione all’essere trasandata, o distratta.

Non che credesse possibile che scegliesse da sola gli abiti da indossare ma, il fatto che non avesse notato un simile difetto, lo incuriosì.

Guardandosi perciò intorno, sorrise non appena inquadrò una scatola ricolma di spille da balia e, dopo averne presa una della misura più adatta, si avvicinò a Elizabeth.

Immediatamente, Andrew balzò sull’attenti, ma Alexander non vi badò, intenzionato a mettere alla prova la ragazza.

Non sapeva esattamente perché, ma voleva sapere.

Fu perciò con casualità che, affiancandola mentre curiosava in una scatola di nastri di seta, le disse: “Ho avuto modo di notare, miss Elizabeth, che il vostro fiocco ha subito un piccolo danno, e vorrei porvi rimedio.”

Lizzie levò a mezzo il capo per scrutarlo con autentica sorpresa, prima di seguirne lo sguardo verso la gonna e fare tanto d’occhi.

Subito, la mano sinistra corse al fiocco di seta color lavanda leggermente strappato e, sorpresa, la giovane mormorò: “Avete ragione, lord Chadwick. Deve essere successo quando siamo andati all’orfanotrofio. Ho giocato coi bambini e, molto probabilmente, si è strappato mentre le bimbe mi afferravano l’abito.”

La risposta sorprese oltremodo Alexander, costringendolo a resettare in toto le sue prime, superficiali ipotesi.

“Orfanotrofio, milady?”

L’ombra cupa di Andrew calò lesta su di loro, obbligando di fatto Alexander a recedere di un passo, mentre il giovane Spencer borbottava: “La mia famiglia ne gestisce diversi, e uno di questi si trova a Londra. Siamo andati lì per far visita ai bambini.”

“Davvero encomiabile, da parte vostra” si affrettò a dire il giovane lord, trovando divertente le inequivocabili intenzioni di Andrew.

Evidentemente, non voleva che stesse troppo vicino alla sorella.

“Elizabeth, mamma ti sta cercando” disse poi Andrew, senza lasciare lo sguardo di Alexander.

“Oh… vi prego di scusarmi, lord Chadwick” mormorò allora la giovane, esibendosi in una breve riverenza prima di raggiungere Kathleen e lady Chadwick.

Rimasto solo con Andrew, Alexander si passò distrattamente una mano sul bavero della giacca di seta scura e, sorridendo a mezzo, asserì: “Ho notato in voi una forte predilezione per l’arte drammatica, sapete, lord Spencer?”

“Che intendete dire, milord?” si incupì Andrew, irrigidendosi.

Tornando serio, Alexander si limitò a dire: “Non avevo nessuna intenzione di irretire vostra sorella, perciò smettetela di arruffare le piume. Vi state comportando come un cavalier servente in piena regola, pronto a sguainare la vostra spada per mietere vittime al primo sguardo irriguardoso lanciato in direzione di miss Elizabeth. Beh, mi sembra quanto meno esagerato.”

“Mia sorella non è abituata ad avere a che fare con i giovani baldanzosi che si trovano qui a Londra, perciò è mio dovere proteggerla da…”

Alexander levò una mano per azzittirlo, e Andrew si vide costretto a bloccarsi, di fronte allo sguardo adamantino del giovane nobiluomo.

Non era un avversario da sottovalutare.

“Devo rammentarvi, milord, che sono più anziano di voi, e che neppure voi potete avere molta esperienza sui fatti di Londra?”

“Ne sono consapevole, ma mia sorella…”

“…vostra sorella non mi sembra una sprovveduta, anche se ho incautamente pensato alcune cose, che mi si sono ritorte subito contro” lo interruppe nuovamente Chadwick, sorridendo appena. “Un errore che, sicuramente, non commetterò due volte.”

“Che intendete dire?” si incupì Andrew.

Volgendo a mezzo lo sguardo, Alexander mormorò: “Non ritengo necessario mettervi al corrente dei miei pensieri, Andrew, ma ora capisco il perché degli occhi rossi di vostra sorella. Si è intristita molto nel vedere quei poveri orfani, non è vero?”

Andrew preferì non parlare, ben deciso a non fornire al nobiluomo alcuna freccia al proprio arco, ma Alexander non ne ebbe bisogno.

“Posso immaginare, senza tema di essere smentito, che gli orfanotrofi non siano luoghi allegri e spensierati. Anche se gestiti dalla vostra famiglia” asserì il giovane, sorridendo un poco ad Andrew. “Così come posso immaginare che vostra sorella, nello stare con loro, si sia resa conto delle ingiustizie di questo mondo. Non vedo altra spiegazione, visto che non se l’è affatto presa per il danno all’abito.”

“Voi supponete troppo, milord.”

Ora, Alexander si esibì in una risatina e replicò: “Se non conoscete la mia nomea, allora vi illuminerò, Andrew. Io amo supporre, e ancor più amo pensare e rimuginare su ciò che non comprendo. Sono intrigato dai misteri e, solitamente, riesco a carpire sempre le verità a me celate, perciò capirete bene quanto, il comportamento di vostra sorella, sia intrigante. Quante altre nobildonne giocherebbero con dei bambini, dei popolani, come se nulla fosse?”

“Con tutto il rispetto, lord Chadwick, ma non sono affari vostri, ciò che fa mia sorella” sibilò Andrew, digrignando un poco i denti.

“Forse, ma è così difficile trovare persone intriganti, di questi tempi!” sorrise affabile Alexander, battendo una mano sul braccio di Andrew. “Chetatevi, ragazzo… non ho alcuna intenzione di infastidirla.”

“Questo, lasciatelo giudicare a me” lo mise in guardia Andrew, prima di perdere tutto il suo cipiglio quando vide tornare la sorella.

Alexander riprese il suo solito contegno e, già sul punto di abbozzare una battuta, si vide puntare addosso un sorriso tutto fossette tale da stordirlo.

L’attimo seguente, dalla mano gli venne tolta la spilla da balia che lui aveva scelto, e che Elizabeth appuntò al fiocco della gonna con estrema disinvoltura.

Soddisfatta, disse: “Sì, può andare. Stavo per dimenticarmene. Grazie per averla trovata per me.”

“Trovata? Cosa, milady?” esalò Alexander, cercando di non apparire un totale idiota.

Cos’aveva in quegli occhi color del ghiaccio, tali da instupidirlo tanto?

“La spilla. Per il fiocco” sorrise lei, scandendo le parole come se stesse parlando con uno sciocco.

“Oh. Giusto. La spilla. Dovere, miss. La prossima volta, troverò per voi un grazioso nastro per il cappellino. So essere molto modaiolo, quando voglio” replicò il giovane, cercando di ritrovare il controllo sul proprio cervello.
Elizabeth rise sommessamente e, nel prendere sottobraccio il gemello, asserì: “La prossima volta, eh? Contate di venire spesso in questo negozio? O potrei trovarvi anche da Florian, lo speziale?”

“Amo molto i profumi” si limitò a dire Alexander, scrollando con negligenza le spalle.

“Spero non troppo” ribatté lei, trascinando poi via Andrew, che fulminò con lo sguardo Alexander mentre si dirigevano verso l’uscita.

Il giovane Chadwick impiegò un attimo più del solito per cogliere il sottile insulto a lui tributatogli e, nel raggiungere sulla porta la cognata, aprì per tutti il battente.

Con un inchino rivolto interamente a Elizabeth, poi, Alexander mormorò: “Non sono solito esagerare in nulla… a meno che non ne valga veramente la pena.”

Andrew non lasciò il tempo alla gemella di replicare, trascinandola via quasi di peso così, al giovane, non restò che salutare gli Spencer prima di accodarsi alla cognata.

Lo sguardo, però, non abbandonò per un secondo la figura minuta e perfetta di Elizabeth che, aiutata dal fratello, salì in carrozza prima di sparire nel traffico cittadino.

Con un risolino, offrì poi il braccio alla cognata e Clarisse, sorridendo divertita all’indirizzo del cognato, asserì: “Ti sei divertito a fare il cascamorto, mio caro Alex?”

“Niente di tutto ciò, mia cara Clary” replicò Alexander, falsamente inorridito.

La donna si limitò a scuotere il capo, lasciando cadere l’argomento. Quando voleva eludere una domanda, nessuno poteva battere suo cognato.
 
***

Kathleen trovò assai divertente notare l’umore completamente dissimile dei suoi figli, mentre rientravano a casa dopo quella lunga giornata.

Se Elizabeth era nuovamente sorridente e serena, e giocherellava spensierata con la gonna del suo abito, Andrew era nero in viso e quasi pronto a menar le mani.

Sorridendo al marito, che ammiccò al suo indirizzo, Kathleen preferì non dire nulla per non scatenare una discussione e, quando furono scesi dalla carrozza, invitò la figlia a seguirla.

Elizabeth accettò senza problemi e Andrew, lasciato solo col suo malumore, chiese al padre di poter uscire a cavallo assieme a Max.

Christofer glielo consentì senza problemi, a patto che fossero di ritorno per l’imbrunire.

Andrew non attese un attimo di più e si lanciò alla ricerca del fratello, mentre Elizabeth si accomodava nel salottino privato della madre, al piano superiore.

Ordinata una limonata e un po’ di frutta come spuntino, Kathleen si accomodò sulla poltrona dirimpetto a quella della figlia e, sorridendo, disse con casualità: “Ti senti meglio, ora, cara?”

“Molto meglio, grazie. Sono stata una sciocca a lasciarmi andare a quel modo, e mi spiace se tu o papà vi siete preoccupati” si premurò di dire Elizabeth, sorridendole.

“E’ giusto che tu ci dica sempre ciò che pensi, Lizzie. Su questo, non devi temere mai un nostro rimprovero” la rassicurò la madre. “A tal proposito… cosa ti stava dicendo lord Chadwick, quando Andrew si è avvicinato a voi?”

Scoppiando a ridere, Elizabeth sfiorò per l’ennesima volta la spilla da balia che il giovane le aveva fornito, e disse: “A volte, Andrew è davvero melodrammatico. Lord Chadwick stava solo prestandomi soccorso. Si è accorto che l’abito si era sgualcito, e mi ha fornito una spilla per sistemarlo sommariamente.”

“Oh, capisco” mormorò Kathleen, temendo non fosse solo quello, il problema. “Ma è stato cortese, con te, non è vero?”

“Andrew, o lord Chadwick?” ironizzò la figlia, facendo sorridere la donna.

“Entrambi.”

“Oh, beh, Andrew ha pensato che bastasse il sorriso affascinante di lord Chadwick, per farmi cadere ai suoi piedi come una sciocca petulante, immagino. E’ stato un po’ scortese che lui lo abbia supposto” iniziò col dire Elizabeth, tamburellandosi un dito sul mento con fare pensoso.

“Sorriso affascinante?” ripeté curiosa Kathleen.

Fissando la madre con aria di sufficienza, la figlia replicò: “Ora sei tu a trattarmi come se fossi una sciocca. Ho gli occhi per vedere, madre, e trovo che lord Chadwick sia un giovane affascinante, cortese e un pizzico pieno di sé.”

“Forse, è abituato ad avere sempre l’ultima parola. Conosci la sua nomea, tesoro?”

“No. Vuoi illuminarmi in tal senso?”

“Pare che il giovane cadetto di Barrett abbia una mente assai brillante, e un conversare erudito e poliedrico” le disse Kathleen, intrecciando le mani in grembo.

“Come dicevo… un pizzico pieno di sé” assentì a quel punto Elizabeth, lieta di non essersi sbagliata.

“Cosa intendeva dire, quando siamo usciti?”

“Il riferimento alla sua mancanza di propensione all’esagerazione?” ironizzò Elizabeth. “Beh, potrei aver velatamente insinuato che non si lava abbastanza, e che il suo amore per i profumi potrebbe derivare dalla sua necessità di coprire odori ben poco piacevoli.”

Kathleen fece tanto d’occhi, a quella notizia e, non potendo farne a meno, scoppiò a ridere assieme alla figlia.

“Cielo, Lizzie… ma che scortesia!” riuscì a dire la madre, pur non sentendosela di infierire troppo.

In fondo, le piaceva che la figlia avesse l’ardire di rimettere al suo posto gli uomini.

“Non intendevo dire che puzzava… tutt’altro! Ma stavamo mantenendo un tono molto goliardico, nella conversazione, così ho pensato di dire una spiritosaggine e, a quanto pare, lui non se l’è presa e ha replicato alla battuta” si limitò a dire Elizabeth.

“Capisco. E dimmi, ti è piaciuto conversare con lui?”

Ora Elizabeth fissò la madre con aria inquisitoria e, per protesta, intrecciò le braccia sotto i seni, borbottando: “Non ho intenzione di sbilanciarmi in commenti di questo genere, avendo parlato con lord Chadwick solo per alcuni, brevi attimi.”

“Sì, giustamente, Lizzie. Hai ragione. Scusami se ho supposto potesse esserti piaciuta la sua compagnia” si affrettò a replicare Kathleen, con aria falsamente contrita. “Quindi, devo dire a tuo padre di cacciarlo, se dovesse presentarsi alla porta per accompagnarti per una passeggiata?”

“Se lo farai, mi arrabbierò molto” la minacciò bonariamente la figlia. “Ma non credo succederà. Immagino che lord Chadwick non ami le ragazze impertinenti. Con me, si è solo divertito, tutto qui. Inoltre, l’idea di avermi vista in babbucce e abitino neonatale, penso scoraggerebbe qualsiasi uomo da qualsivoglia approccio.”

“Dubito se ne ricordi” sorrise divertita Kathleen, mentre la porta si apriva per lasciar entrare la cameriera con la loro merenda.

 
***

Non aveva mai ritenuto possibile che, alla vista di sua sorella insieme a un uomo che non fosse lui, la gelosia lo avrebbe preso a quel modo.

Eppure era successo.

Avrebbe tanto voluto spaccare la faccia a quel damerino dallo sguardo ammaliante ma, alla fine dei conti, lord Chadwick si era comportato in modo educato con Lizzie.

E lei sembrava aver ripreso la sua consueta allegria, grazie a quell’interludio imprevisto quanto, almeno per lui, assai fastidioso.

“Andrew… stai tirando troppo le redini. Sentinel sta irritandosi” lo richiamò all’ordine Max, strappandolo ai suoi pensieri.

“Eh? Oh, sì. Certo” assentì il giovane, sorridendo contrito al fratello minore.

“Mi vuoi spiegare perché sei voluto uscire così di corsa, se poi non ti stai godendo la passeggiata a Hyde Park?” lo redarguì bonariamente il fratello, sorridendogli indulgente.

Max era così. Sempre pronto a risolvere i problemi di tutti.

Se lui ed Elizabeth erano focosi e facili alle liti, Maximilian era il paciere, colui che sedava gli animi dei contendenti.

Non ricordava una sola volta in cui fosse stato il fratello, a iniziare una lite.

Ci si era sempre ritrovato nel mezzo, questo sì, ma non era mai stato il basista.

“Come ti sentiresti se Lizzie trovasse un uomo da sposare, questa estate?” gli domandò a quel punto, lanciando uno sguardo in lontananza, lungo la Promenade, dove altri cavalieri stavano passeggiando placidamente.

Diversi calessini procedevano più lentamente, su cui si trovavano svariate coppie di tutte le età.

Evidentemente, il corteggiamento era già iniziato, nonostante la Stagione da Almack’s dovesse ufficialmente ancora cominciare.

“Lizzie? Deve ancora nascere l’uomo che possa metterla in un guaio simile” ironizzò Max, facendo ridere il fratello.

“Sì, forse.”

“Perché sei così preoccupato, Andrew? In fondo, prima o poi, Lizzie si sposerà. Non vorrai che resti una zitella a vita?!” esalò il fratello minore, sgranando sgomento gli occhi.

Per un istante, Andrew volle dire di sì, ma si sentì uno stupido anche solo per averlo pensato. Lizzie non si meritava una simile, miserevole fine.

“No, certo che non lo voglio, ma temo che nessuno potrà essere alla sua altezza, o potrà renderla felice come facciamo noi” sospirò Andrew, stringendo per un attimo la mano a pugno, prima di rilasciarla per non irritate Sentinel.

Il suo destriero era assai sensibile ai suoi sbalzi d’umore, e non era il caso di esibirsi nel bel mezzo della Promenade con una sgroppata degna di tale nome.

“Non credo che siano due cose paragonabili” motteggiò Max, pensieroso.

“In che senso?”

“Beh… un marito e un fratello. Fanno due cose diverse, no?” gli fece notare il fratellino, sorridendo malizioso. “Tu non baceresti mai Lizzie.”

Il solo pensiero fece rabbrividire Andrew che, disgustato, scosse il capo e borbottò: “Ovvio che no, idiota!”

Max, allora, scoppiò a ridere e replicò: “Ma un marito lo fa. E la mamma è contenta, quando lo fa il papà. Se Lizzie troverà un uomo che la farà felice così, allora io sarò contento per lei, anche se andrà via di casa, e mi mancheranno le partite a scacchi con lei.”

“Giocherai con me” lo tranquillizzò Andrew.

Divertito, il fratellino mormorò: “E’ più brava lei.”

“Lo so” sospirò allora Andrew, scuotendo nuovamente il capo. “Hai ragione, Max. Mi sto preoccupando per nulla. Scusami.”

“Siete gemelli. Una certa differenza la fa, no? Hai sempre detto che sapevi ogni volta quando Lizzie non stava bene, prima ancora di vederla. Mi raccontavi storie?” domandò a quel punto Max, fissando il fratello maggiore con insistenza.

“No, non ti ho raccontato bugie. C’è sempre stato qualcosa, qui,…” mormorò Andrew, sfiorandosi il torace all’altezza del cuore. “… che me lo diceva, me lo faceva capire.”

“Vedi? A me non succede. Ovvio che tu sia più in ansia di me” lo liquidò a quel punto Max, fissandolo saccente.

Andrew non poté che ridere, annuendo e, nel dare una pacca sulla spalla al fratellino, asserì: “Avrai solo quattordici anni, ma sai essere molto più adulto di me, a volte.”

“Lo so” ammiccò Max, ridendo subito dopo.







Note: ​I nostri due protagonisti si sono finalmente presentati ufficialmente e, in barba a tutte le raccomandazioni del padre, Lizzie si è subito 'fatta notare', per così dire, comportandosi in maniera spumeggiante e diretta come è solita fare con tutti.
​Questa sua onestà, però, invece di infastidire Alexander, lo rende curioso e interessato a questa fresca novità e, di buon grado, si presta al simpatico siparietto messo in scena da Elizabeth.
​Andrew, al solo vedere la sorella battibeccare simpaticamente con quel giovane, da di matto ma, come gli fa giustamente notare Max, non può pretendere che Lizzie rimanga sola a vita.
​Che dite, Andrew si ravvederà, o darà del filo da torcere ad Alexander? E, soprattutto, Lizzie glielo permetterà?

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 
7.
 

 
 
 
Osterley Park, il palazzo londinese di lady Sarah Villiers, contessa Jersey, era uno splendore per luci, colori e profumi.

Sito nel borgo di Hounslow, a sud di Londra e lontano dal caos del centro, poteva vantare un boschetto a proteggerne i confini, e diversi laghetti a impreziosire il parco antistante.

Dinanzi alla scalinata principale dell’ingresso, le carrozze erano in religiosa attesa che venisse il loro turno per poter far discendere i loro illustri padroni.

Sbirciando attraverso le tendine di pizzo, Elizabeth sorrise divertita quando, in cima alle scale, intravide una matrona accomodata su un alto scranno di velluto.

La donna, dal ricco abito colorato, era controllata a vista da un maggiordomo zelante che, ogni tanto, le allungava un bicchiere per dissetarsi.

A tutti gli effetti, quella sera era assai calda e afosa.

“E’ lady Villiers, quella che siede all’ingresso della villa?” domandò la giovane, rivolgendosi al padre.

Christofer sbirciò a sua volta per un istante, sorrise e assentì alla figlia, asserendo: “Sarah ha sempre amato accogliere di persona i suoi ospiti e, nonostante siano passati gli anni, continua a farlo. Credo che l’ultima gravidanza l’abbia un po’ provata, ed è per questo che ha optato per lo scranno.”

“Avere un figlio a trentasette anni, non è una cosa da tutti” assentì Kathleen, ammirata.

Annuendo a sua volta, Christofer aggiunse: “L’ultima volta che siamo stati a un suo ballo, è stato due anni addietro, e Sarah desiderava conoscervi assolutamente, ma era davvero troppo presto per portarvi in mezzo a quel caos.”

Incuriosita dalla reazione dei genitori, Elizabeth sorrise di aspettativa mentre Andrew, più contenuto, si limitò a curiosare fuori, chiosando: “Ancora un po’, e rimarremo bloccati qui per l’intera notte. Due carrozze innanzi a noi sono completamente ferme. Temo sia successo qualcosa a una delle ruote della prima delle due. Sembra piuttosto inclinata, vista da qui.”

Elizabeth sbuffò a quella notizia e Christofer, scrollando le spalle, diede un colpetto col bastone alla parete anteriore della carrozza e disse: “Bernard, scendiamo qui.”

“Scelta saggia, milord. Qui ne avremo per un po’, temo. Hanno bagnato il terreno perché non sollevasse polvere, ma così si sono formati degli avvallamenti al passaggio delle carrozze, e temo che una vi si sia irrimediabilmente incastrata” assentì il cocchiere, scendendo lesto assieme a uno dei paggi in cassetta, così da poter sistemare i predellini per scendere.

Come sempre, Elizabeth fu la prima a uscire e, quando si ritrovò a fissare le scale del palazzo, sorrise divertita.

In effetti, Andrew non aveva avuto torto nel dire che la carrozza in questione aveva dei problemi.

Il cocchiere e alcuni uomini della servitù di lady Villiers stavano cercando di liberare la carrozza, rimasta incastrata in quella che aveva l’aria di essere una crepa nel terreno.

I loro tentativi, però, sembravano aver peggiorato la situazione, vista la piega inquietante della carrozza e della ruota destra.

Le voci concitate dei nobili al loro interno, però, erano la cosa più divertente ed Elizabeth, nel prendere sottobraccio il fratello, sussurrò: “Dieci a uno che la carrozza si ribalterà prima che la coppia al suo interno venga liberata.”

“Lizzie, sei davvero cattiva!” rise sommessamente il gemello, mentre i loro genitori si accodavano.

Dietro di loro, Wendell e Julianne li imitarono, scendendo dalla loro carrozza per poi dare il via libera al cocchiere, che si liberò dalla fila per raggiungere la rimessa della villa.

Elizabeth sorrise agli zii e, insieme, si diressero verso l’ampia scalinata in marmo bianco, ricoperta da petali di rose dai colori più disparati.

Lady Villiers, nel notarli, si fece aiutare dal maggiordomo a sollevarsi – la donna sembrava soffrire di dolori alla schiena – e, sorridendo, levò le mani verso Christofer.

“Ma che piacere vedervi, caro! Siete davvero ingiusto con tutti noi, comunque! Il passare degli anni non si nota affatto, su di voi, e diventate un uomo sempre più bello!” lo accolse Sarah, lasciando che Christofer le baciasse entrambe le mani, fasciate da mezzi guanti di pizzo.

“Siete troppo gentile, Sarah. Ma potrei dire la stessa cosa di voi. Ci seppellirete tutti1” le sorrise Christofer, facendola arrossire deliziata.

“Ringraziate vostra moglie, mio bel conte, invece di adulare me. Sono sicura che è merito suo, se siete fresco come una rosa. Quanto a me, ho più rughe di quante vorrei, pur se voi sarete così gentile da non notarle” replicò la donna, prima di curiosare alle spalle dell’uomo. “Ma non mi dite che questi sono i vostri gemelli!”

“Ebbene sì, Sarah… il primogenito, Andrew, e sua sorella Elizabeth. Maximilian, invece, è a casa con alcuni amici” disse Kathleen, inchinandosi alla donna prima di sorriderle cordiale.

“Oh, cara amica, ma sono due capolavori…” mormorò affascinata lady Villiers, allungando le mani verso i due giovani. “… e ora posso ben capire perché mi sembrate così felici e sereni. Qualsiasi genitore sarebbe orgoglioso di figli simili. Io, di sicuro, sono orgogliosa dei miei. Posso immaginare – e sperare – che il giovane Maximilian somigli al fratello maggiore?”

“Ha i capelli più scuri e gli occhi azzurri come la nonna, ma direi che promette bene” le spiegò con un sorriso Andrew, facendole un galante baciamano.

“E tu, mia cara… sei un’autentica bellezza, con i capelli di tua madre e gli occhi di tuo padre” aggiunse Sarah, sfiorandole il viso con una carezza leggera. “Un’autentica bambolina di porcellana. Farai faville, quest’anno, posso assicurartelo.”

“Siete troppo gentile con me, milady. Non merito simili complimenti” replicò compita Elizabeth, cercando di ignorare il ghigno di Andrew, che se la stava ridendo sotto i baffi per quell’accenno alle bambole di porcellana.

Elizabeth detestava essere paragonata a una bambola, sottintendendo quanto apparisse fragile, delicata e graziosa.

Del tutto ignara del livore della giovane, Sarah tornò a guardare Christofer e aggiunse: “Rammentatemi bene quanti anni hanno. Temo di aver perso un po’ la memoria, col passare del tempo.”

“Ne compiranno diciassette il primo di ottobre” sorrise indulgente l’uomo, ben sapendo il perché di quella domanda.

Dubitava davvero molto che Sarah non ricordasse qualcosa, ivi comprese le età dei pupilli e delle pupille di ogni Stagione.

Facendosi maliziosa, lady Villiers allora chiosò: “Oh… quindi avete aspettato un anno, prima di portarmi questa dolce cosina da maritare al più gagliardo scapolo di Londra. Gelosia, mio caro Christofer?”

“Non ne ho forse ragione?” replicò flemmatico il conte, inchinandosi con grazia.

“Verissimo, mio caro. E ora, andate a divertirvi. Almeno qui, le libagioni scorrono a fiumi, e verranno servite verso le undici quando, speriamo, questa calura ci avrà abbandonato per una più sana serata fresca e piacevole.”

“Ci divertiremo di sicuro” assentì Kathleen, entrando a palazzo e lasciando che Wendell e Julianne salutassero Sarah con calma.

Sempre al braccio del gemello, Elizabeth sussurrò: “Ancora un po’, e mi avrebbe aperto la bocca per controllarmi i denti.”

“Non credo si arriverà a tanto, ma questo ti può dare un’idea di come sarà Almack’s. Ancora convinta che ti divertirai come speravi?” la mise in guardia il fratello.

Christofer, che aveva ascoltato il confabulare dei gemelli, si volse a mezzo e sorrise loro, replicando: “Almack’s potrà risultare noioso, in effetti ma qui, per la verità, potrebbe divertirsi persino un morto.”

Non appena si ritrovarono nel salone principale delle feste, i due giovani si bloccarono sorpresi, e Andrew dovette ricredersi alla svelta sulle sue precedenti affermazioni.

All’interno dell’enorme salone, musici dagli abiti allegri e scherzosi stavano suonando allegre gighe dal sapore rom, mentre abili ballerini danzavano per allietare gli ospiti.

All’esterno, invece, nel giardino visibile attraverso le ampie porte-finestre lasciate aperte, era possibile scorgere uomini sui trampoli, giocolieri e diversi animali esotici.

Facendo tanto d’occhi, Andrew esalò: “Ha scritturato un intero circo.”

“Non mi sorprenderebbe di certo. Sono cose che lady Villiers fa di frequente” asserì Christofer, dando una pacca sulla spalla al figlio con fare consolatorio.

Elizabeth fece per dire la sua, quando un uomo azzimato ed elegante si avvicinò al padre con aria affettata, attirando la sua attenzione e quella di Kathleen.

Scusandosi con la figlia con un’occhiata spiacente, Harford si prestò perciò ad ascoltare il discorso del nobile di turno e Kathleen, rivolgendosi ai figli, mormorò: “Rimanete con gli zii… noi ne avremo per un po’.”

“Sì, madre” assentì Elizabeth, volgendosi per scorgere le figure di Wendell e Julianne, appena liberatisi delle chiacchiere incessanti di Sarah Villiers.

Presa sottobraccio Julianne, la nipote esalò allegra e sorpresa: “Non è tutto fantastico, qui? Lady Villiers è incredibile come asseriva papà.”

“Sarah riesce a surclassare qualsiasi altra festa, qui a Londra. Ha una fantasia davvero eclettica, e il marito le permette qualsiasi cosa” ammise la donna, sorridendo poi a Wendell, che la fissò con aria dubbiosa.

“Intendi forse dire che io non ti lascio carta bianca?” replicò l’uomo, affiancato subito dal nipote.

“Oh, no, caro… sei molto indulgente, con me” sorrise melliflua Julianne, accompagnando verso l’esterno la nipote dopo aver salutato il marito con un cenno della mano.

“Lasciamole alle loro chiacchiere, Andrew. Non penso proprio che tua sorella voglia passare la serata con te al fianco” disse a quel punto Wendell, sospingendo il nipote verso il tavolo dei rinfreschi.

Suo malgrado, Andrew dovette assentire con lo zio, pur temendo per la sorella gli incontri più nefandi e tremendi possibili.

Non poteva farci niente; era preoccupato per lei e, anche se ci fosse stato suo padre al fianco di Lizzie, si sarebbe agitato lo stesso.
 
***

Affascinata dalla musica trillante, i colori sgargianti degli abiti degli artisti e la loro indubbia bravura, Elizabeth scrutava intorno a sé con occhi sognanti e persi.

Non si era aspettata una simile allegria, un tale sfoggio di giocosa goliardia, specialmente dopo ciò che le avevano detto su Almack’s.

Lì, si sarebbe soltanto sognata quelle atmosfere leggere e gradevoli.

Almack’s era un salotto molto più contegnoso, dove le libagioni erano scarse e molto contenute, così da permettere ai commensali di rimanere sobri e prediligere il dialogo al cibo.

Inoltre, la lista di coloro che potevano entrare in quel luogo così titolato, era assai corta e molto privilegiata.

Non tutti potevano permettersi Almack’s, anche tra i membri più titolati della nobiltà.

Se non si rientrava nelle grazie delle matrone di Almack’s, quelle porte sarebbero rimaste per sempre chiuse, inaccessibili.

Trattandosi, lady Sarah Villiers, di una delle matrone di quel prestigioso salotto, però, l’entrata in loco per i figli degli Spencer non era mai stata messa in discussione.

Sarah era una vera e leale amica di Christofer e, anche se poteva essere eccentrica e a volte frivola, non avrebbe mai fatto mancare il suo appoggio alla famiglia Spencer.

“Lady Villiers si è davvero superata, questa volta. I giocolieri sono bravissimi” sorrise Julianne, ammiccando all’indirizzo della nipote.

“Sì, sono davvero bravi. Ho visto ben poche volte le evoluzioni degli artisti circensi, ma questi sono veramente eccezionali” assentì Elizabeth prima di sorridere gaia, non appena scorse la sua amica Charlotte.

Giunta lì assieme alla sua chaperon, una cugina di terzo grado che viveva stabilmente a Londra, Charlotte allungò le mani verso l’amica e, afferratala, esclamò: “Non è tutto splendido?”

“Meraviglioso!” assentì allegra Elizabeth, prendendola sottobraccio per passeggiare un po’ con lei tra i mille e più percorsi che si dipanavano in quell’enorme giardino.

Julianne e lady Candice Holdbruck – la cugina di Charlotte – erano dietro di loro, a qualche passo di distanza, intente a dialogare cordialmente.

Si erano già viste, perciò non sarebbe stato difficile, per loro, trovare argomenti di cui dialogare.

Inoltre, il loro compito primario era tenere d’occhio le due giovani innanzi a loro.

Giovani che, intente a chiacchierare allegramente, rischiarono di finire addosso ad Alexander Chadwick, fermo a un bivio tra sentieri e in assorta contemplazione della villa.

“Oh, le mie scuse! Quasi vi urtavamo, lord Chadwick!” esalò sorpresa Elizabeth, arrossendo leggermente.

Esibendosi rapido in un sorriso e un inchino di gran classe, Alexander replicò suadente: “Mai scontro sarebbe risultato più piacevole, miss Elizabeth. E’ un onore rivedervi così presto. Vi state divertendo, voi e la vostra affascinante amica?”

Charlotte sorrise timida, a quel complimento ed Elizabeth, sapendo bene cosa ci si aspettava da lei, disse: “Lord Chadwick, lasciate che vi presenti Charlotte Ranking, una mia cara amica d’infanzia.”

“La figlia di lord e lady Ranking di York? E’ un piacere incontrarvi e conoscervi di persona” asserì Alexander, elegante come sempre. “Spero che la salute di vostra madre non le abbia impedito di venire a Londra. Mia madre la pensa spesso, e vorrebbe invitarla ad Aberdeen, ma non sa se fare cosa gradita, o meno. Non intende metterla in imbarazzo per via di un eventuale rifiuto.”

Sorpresa che il giovane conoscesse così a fondo la sua condizione familiare, Charlotte mormorò: “Oh, siete molto cortese a chiedere. In effetti, mia madre è rimasta a York, poiché non si sentiva molto bene. Non avevo idea che vostra madre conoscesse così bene la mia.”

Sorridendo indulgente, Alexander fece per rispondere ma, quando vide le due matrone alle spalle delle ragazze, si bloccò e disse: “Buonasera, signore. Lady Spencer, lady Holdbruck... spero vi stiate divertendo.”

Julianne lanciò subito un’occhiata a Elizabeth e lei, del tutto tranquilla, le spiegò: “Ho conosciuto lord Chadwick l’altro giorno, dalla modista. Accompagnava la cognata…ed era presente anche mio padre. Siamo stati ufficialmente presentati, quindi, nessun danno.”

“Benissimo” assentì Julianne, soddisfatta. “Sarebbe stato oltremodo imbarazzante scoprire che, già durante la tua prima festa ufficiale, avessi contraddetto le regole del Ton.”

“Sono ben attenta ai suoi dettami, zia, non temere” replicò Elizabeth, accennando un sorrisino furbo. “Ho testé introdotto lord Chadwick alla mia cara amica Charlotte, così che anche lei non dovesse incorrere nel rimprovero di nessuno.”

“Ben fatto, cara” asserì a quel punto lady Holdbruck, sorridendo alla cugina e a Elizabeth.

“Prima di interrompermi per salutare le signorie vostre, stavo giusto dicendo a miss Charlotte che, avendo la mia famiglia soggiornato per diversi anni a York, ha avuto la possibilità di conoscere i Ranking. Trasferendoci ad Aberdeen, abbiamo perso alcuni di questi contatti, ma so che ogni tanto mia madre scrive alla vostra.”

“Allora, sarò lieta di dire a mia madre che la vostra sarebbe felice di averla come ospite, se non vi spiace. Credo che un cambiamento d’aria sarebbe una buona cosa, per lei” si azzardò a dire Charlotte, vedendo Alexander annuire compiaciuto.

“Benissimo. Riferirò il tutto a mia madre, così che casualmente giunga a casa vostra un invito formale. Chissà che, colpendo su due fronti, non la si possa convincere a un viaggio fuori programma” dichiarò il giovane, facendo sorridere Charlotte.

“Sarebbe un’idea davvero ottima” assentì l’amica di Elizabeth.

Udendo dei passi alle sue spalle, Alexander si volse a mezzo e, allargando il proprio sorriso, chiosò: “Ah, bene. Le limonate sono giunte. Sarei morto di sete entro breve, con questo caldo.”

Un giovanotto bruno e dall’aria distinta raggiunse infine il gruppetto e Alexander, tolto da una mano dell’amico un bicchiere di cristallo, dichiarò: “Signore, lasciate che vi presenti lord Raymond Mallory-Jones, erede del Barone Willcott di Edimburgo. Amico mio, loro sono miss Elizabeth Spencer, miss Charlotte Ranking e le loro graziosissime chaperon, lady Julianne Spencer e lady Candice Holdbruck.”

Il giovane si inchinò formalmente e, con tono solo leggermente intimidito, asserì: “E’ un vero piacere fare la vostra conoscenza.”

“Il piacere è tutto nostro, non è vero, Charlotte?” esordì Elizabeth, sorridendo all’amica. “Il pensiero di passare l’intera serata a contemplare le magnificenze organizzate da lady Villiers, era affascinante ma, in compagnia di due gentiluomini come voi, assume tutto un altro aspetto.”

Julianne indirizzò un’occhiata di dolce rimprovero alla nipote che, sorridendo sbarazzina, aggiunse: “Sempre che lor signori abbiano desiderio di accordarci questa gentilezza, s’intende.”

Divertito dallo spirito intraprendente di Elizabeth, Alexander replicò: “Io e Raymond saremo oltremodo onorati di essere i vostri cavalier serventi, nevvero, amico mio?”

“Non potrebbe esservi onore più grande” assentì il giovane al suo fianco, con un leggero cenno del capo. “Posso avere l’ardire di offrire a queste gentili dame una bevanda fresca?”

“Sarebbe cosa gradita, grazie” assentì lady Holdbruck, sottintendendo a questo modo che, per nessun motivo, si sarebbero allontanate dalle loro pupille.

Raymond assentì una sola volta e, rapido, tornò sui suoi passi mentre Alexander, giocherellando abilmente con il taschino del suo panciotto, mormorò: “Ne avete ancora bisogno, miss Elizabeth?”

Incuriosita dalle parole del giovane, rivolte unicamente a lei, Lizzie sbirciò le sue mani eleganti e, sorridendo, vide comparire una piccola spilla da balia.

Scoppiando in una risata argentina, subito mascherata dal ventaglio che teneva allacciato al polso delicato, la giovane esalò: “Oh, cielo, spero di no! Altrimenti, vorrebbe dire che sono finita in mezzo ai cespugli, o peggio. Cosa oltremodo imbarazzante da giustificare, visto che siamo a una festa.”

“La terrò a portata di mano per ogni eventualità, comunque” asserì a quel punto il giovane Chadwick, rinfilandola nel taschino con un abile gesto delle dita.

Chissà perché, prima di partire da casa, aveva infilato nella tasca quell’aggeggio apparentemente insignificante.

L’incontro con miss Elizabeth l’aveva sinceramente colpito e, da quando l’aveva lasciata dinanzi a quel negozio di modiste, aveva continuato a intervalli regolari a pensare a lei.

L’aveva mal giudicata, all’inizio, pensandola un po’ sbadata e superficiale come molte fanciulle della sua età sapevano essere.

Quando, però, aveva scoperto i motivi di quel piccolo difetto nel suo abito, oltre che dei segni recenti di pianto, era rimasto colpito e sì, affascinato dal tono usato da Elizabeth nel descrivere i bambini dell’orfanotrofio.

Non conosceva molte nobildonne impegnate in una simile attività di beneficenza, se toglieva dall’equazione la sua brillante ed eccentrica madre e la sua altrettanto amabile cognata.

Aver scoperto quel particolare, in miss Elizabeth, lo aveva decisamente incuriosito, e questo l’aveva portato a giocherellare per tutto il giorno con una spilla da balia.

Come se, quel piccolo oggetto argentato, avesse potuto fargliela conoscere meglio.

Poiché il destino gliel’aveva fatta incontrare prima del previsto, avrebbe utilizzato quel piacevole incontro per approfondirne la conoscenza.

Dopotutto, un po’ di pubbliche relazioni con il gentil sesso, non guastavano mai.

E, se la compagnia era buona, tanto meglio.

Dopotutto, non doveva certo sposarla, no?
 
***

In piedi accanto a una delle porte-finestre che davano sul giardino, Andrew aggrottò la fronte quando vide lord Chadwick offrire il braccio alla sorella per una passeggiata.

Il giovanotto accanto a lui fece lo stesso con Charlotte, mentre Julianne e Candice li seguivano a qualche passo di distanza, attente senza essere assillanti.

“Rinfodera gli artigli, ragazzo” lo mise in guardia Wendell, poco distante da lui.

Sospirando, Andrew distolse lo sguardo e disse: “Lo so, lo so. Lizzie è qui per divertirsi e, parte del pacchetto, prevede che faccia amicizia con uomini che non appartengono alla famiglia.”

“Oltre al fatto che, prima o poi, la nostra Lizzie dovrà spiccare il volo per altri lidi” sottolineò gentilmente Wendell, vedendo rabbrividire il nipote.

“Non me lo ricordare, zio. Il pensiero che qualcuno tocchi Lizzie in quel modo, mi mette letteralmente i brividi. Eppure, so che succederà, e spero che accada con un uomo che sappia capirla e apprezzarla… ma io…”

Sospirando, Andrew scosse il capo e si azzittì. Era davvero ingiusto, con sua sorella, e maledettamente egoista.

Lui non aveva alcun diritto di prendersela perché la gemella tentava di afferrare la gioia che le veniva offerta.

Come donna, aveva così poche possibilità di essere felice e spensierata, ed era giusto che approfittasse di quei momenti per cogliere appieno il gusto della vita.

Fin troppo presto sarebbe stata richiamata all’ordine, obbligata a sfornare figli per la casata di suo marito e a obbedire a ogni suo ordine, giusto o meno che fosse.

Così andavano le cose, ma non era necessariamente detto che a lui stessero bene. O che stessero bene a Lizzie.

Lei era così piena di vita, così gioiosa e spensierata, da meritare il meglio. E temeva che nessun uomo, a questo mondo, potesse accontentarla.

“Sono sicuro che esiste qualcuno che, non solo capirà tua sorella, ma saprà apprezzarne pienamente le qualità” lo rincuorò Wendell, dando una pacca sulla spalla al nipote.

“Sai benissimo che, la maggior parte degli uomini che conosciamo, non vuole una moglie che pensa, ma solo una brava fattrice e una madre diligente” sospirò Andrew, vedendo aggrottare la fronte dello zio.

Sì, lo sapeva molto bene anche lui. Suo padre, il nonno che Andrew non aveva mai conosciuto, era stato uno di questi uomini.

Whilelmina, la contessa madre, non ne sentiva di certo la mancanza, stando a quel poco che Andrew sapeva di Bartholomew Spencer, vecchio conte Harford.

Nessuno ne parlava mai apertamente e, di certo, le rade parole su di lui non erano mai lusinghiere.

“Christofer non permetterà mai che Elizabeth finisca nelle mani di un uomo scriteriato, e tua sorella è abbastanza intelligente per non mettersi in un guaio simile” si limitò a dire Wendell, lanciando un’occhiata al giardino prima di indirizzare uno sguardo alla sala. “Andiamo a salvare i tuoi genitori dal barone Walforth, piuttosto. Credo che a Kathleen stia per venire un attacco di bile.”

Andrew rise sommessamente nonostante tutto e, annuendo allo zio, si allontanò dalla porta-finestra, lasciando che a Lizzie pensasse zia Julianne.

Doveva dar credito alla sorella e a Julianne, e angustiarsi molto meno.

Tutto sarebbe andato per il verso giusto. Non c’era alcun motivo per preoccuparsi.

Con queste convinzioni, quindi, si spinse in direzione dei genitori e, sfiorato il gomito della madre, le sorrise e disse: “Madre, scusatemi… ho appena incontrato lady Willouby, ed era ansiosa di rivedervi. Posso rubarvi alle gentili attenzioni di lord Walforth?”

L’uomo, sentendosi nominare, annuì con sussiego e disse: “Non sia mai che io scontenti una persona gentile come lady Willouby. Scortate pure vostra madre dalla contessa. E’ stato un piacere parlare nuovamente con voi, milady. Spero di poter replicare quanto prima.”

“Il piacere è stato interamente mio, lord Walforth. Con permesso, mi accomiato” mormorò compita ed educata Kathleen, avvolgendo il braccio del figlio con la sua mano.

Allontanandosi verso un punto a caso della sala, la donna sorrise ad Andrew e mormorò: “Ti comprerò tutto ciò che desideri, per questa via di fuga fortuita.”

“Mi accontento di uscire dal salone. E’ davvero caldo, qui dentro. Inoltre, entro breve ci raggiungeranno anche il papà e lo zio, perciò…”

Kathleen sorrise e, nell’avviarsi verso l’uscita, domandò: “Francine è veramente qui, comunque?”

“Oh, sì. L’ultima volta che l’ho vista, stava divertendosi a mimare le mosse di una ballerina, all’esterno, con gran diletto della ballerina stessa, ma un po’ meno del marito” ironizzò Andrew, facendo sorridere la madre.

“Francine è sempre stata una donna molto… divertente. Non a caso, va così d’accordo con Sarah.”

“Lady Villiers potrebbe farsi amico anche il diavolo, credo. Ha fascino sufficiente per irretirlo” ghignò il figlio, guadagnandosi uno schiaffetto affettuoso al braccio da parte della madre.

“Non si dicono queste cose, Andrew” sussurrò Kathleen, pur sorridendo.

“Lo pensi anche tu, madre… è inutile che fai la puritana con me.”

“Ti preferisco quando mi parli con tono ampolloso e servile” gli ritorse contro, facendolo sorridere.

“Troverò sempre sciocco rivolgermi a te come se stessi parlando con il re. Sei mia madre, ti voglio bene e non capisco perché devo trattarti con tanto formale distacco” brontolò Andrew, da sempre in disaccordo con le regole del Ton.

“Purtroppo, finché vivremo in un mondo del genere, dovrai farlo. Ma solo in ambienti altolocati, caro. Mai tra di noi” lo rincuorò Kathleen, sorridendogli.

Una volta all’esterno, la donna prese un gran respiro di sollievo e, nel notare in lontananza la figlia e la cognata, sorrise e disse: “A quanto pare, lord Chadwick ha un interesse particolare per tua sorella.”

“In che senso?” volle sapere Andrew.

“Che io sappia, non si è mai soffermato più di una volta a dialogare con una donna, se la cosa non gli risultava interessante. Più volte, ha anche dimostrato a chiare lettere quanto, la superficialità di talune donzelle lo angustiasse, guadagnandosi il biasimo dei genitori delle suddette fanciulle” sorrise divertita Kathleen, ammirando un saltimbanco di passaggio.

“Oh. Quindi, è un personaggio molto diretto e per nulla diplomatico” motteggiò il figlio.

“E’ un giovane assai intelligente e sottile, molto apprezzato nei salotti di Londra per il suo pensiero arguto e la sua favella, ma è tutto tranne che un donnaiolo o un vanesio damerino. Anzi, credo che la compagnia femminile non lo attragga come accade ad altri uomini” gli spiegò Kathleen. “Per questo, ti sto dicendo che Elizabeth pare averlo colpito.”

“Non so se la cosa possa farmi piacere” brontolò Andrew.

“Se temi che Alexander possa darle fastidio, ti tranquillizzo. Non ci sono mai stati scandali legati a lui, in quel senso. E’ un gentiluomo, e non metterebbe mai nei guai una fanciulla. Di fatto, anzi, le giovani tendono a evitarlo per non subirne l’esame che, di solito, è impietoso. A meno di non voler dimostrare di essere le uniche a farlo capitolare.”

“E’ molto orgoglioso di se stesso e della propria opinione” commentò sarcastico Andrew.

“Può darsi… ma Elizabeth non è una giovane che si fa mettere i piedi in testa, e penso sarà in grado di replicare a eventuali sue… mancanze” sorrise divertita Kathleen.

“Stiamo a distanza, però. Non voglio rovinare la serata a mia sorella” sottolineò Andrew, aggiungendo poi tra sé. “E non voglio rischiare di dare un pugno in faccia a quel bell’imbusto.”

Kathleen gli sorrise comprensiva e, quando vide infine giungere il marito, chiosò: “Vedo che sei sopravvissuto a tua volta.”

“Stavo per perdere la battaglia, lo ammetto. Stavolta, Gareth voleva offrirmi di comprare delle miniere di ferro in Galles. Come se potessero interessarmi” sospirò stancamente Christofer.

La moglie sorrise e Wendell, scrollando le spalle, asserì: “Per lo meno, stavolta, non ti ha offerto di metterti in affari con lui per il commercio del vino spagnolo.”

“Non me lo ricordare…” scosse il capo il fratello maggiore, facendo sorridere il resto del gruppo.

Guardando la sua famiglia, Andrew lanciò ancora uno sguardo in direzione della sorella, ora impegnata in una fitta conversazione a due con Charlotte, e fu felice per lei.

Si stava divertendo, brillava e il mondo era un enorme cesto regalo tutto da scoprire.

Sperò davvero con tutto se stesso che continuasse così in eterno, per lei.

Quanto a lui, beh non era del tutto sicuro che ci sarebbe stato un lieto fine, nel suo futuro, ma avrebbe fatto l’impossibile che ci fosse per la sorella.







Note: Alexander ed Elizabeth si sono incontrati nuovamente e, ancora una volta, tra i due sono 'scintille', per così dire. Alexander è attirato dalla singolarità della ragazza, e lei è a sua volta stimolata dal giovane, che sostiene con abilità i suoi tentativi di essere divertente e, al tempo stesso, di metterlo in difficoltà.
Nel mentre, facciamo la conoscenza di Raymond che, nel corso della storia, ritroveremo spesso.
Stavolta, Andrew si è tenuto alla larga dalla sorella, ma non può fare a meno di controllarla a vista. E' più forte di lui, poverino ^_^
(1) Se siete curiosi di saperne di più, riguardo a Sarah Villiers, vi rimando a questa pagina. Così sarà spiegata la frase 'profetica' citata da Christofer. La donna, infatti, vivrà molto di più rispetto alla media dell'epoca... anche più dei suoi stessi figli.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 
8.
 
 
 
 
 
Intenta a farsi spazzolare la lunga chioma castano-dorata dalle mani fidate di Lorelai, la sua cameriera, Elizabeth tornò col pensiero alla stravagante festa di lady Villiers.

Era stato strano, per non dire assurdo, partecipare a un evento simile, lei che aveva sempre pensato ai nobili di Londra come a persone noiose e monocordi.

Su lady Villiers, per lo meno, aveva dovuto ricredersi, visto quello che aveva visto – e sentito – quella sera.

Tutto era stato strepitoso, nuovo e affascinante, per lei, così come il muoversi per quel salotto dell’alta società per la prima volta.

Era una debuttante, finalmente, e poteva vivere in prima persona le avventure di cui aveva tanto sentito parlare da sue amiche più mature e ora già maritate.

Certo, non agognava agli sguardi lascivi degli uomini, o ai loro commenti melliflui, quanto piuttosto alla vivacità degli argomenti trattati nei diversi ambienti, o agli spettacoli proposti nei teatri di Londra.

York, per quanto fosse la sua città, era piccola e molto modesta, quanto a mondanità.

Lizzie, invece, bramava le conoscenze e le curiosità che poteva offrirle una metropoli come Londra.

Questo, inevitabilmente, la portò a ripensare a lord Alexander e, subito, un sorriso furbo scaturì sul suo volto.

Era stato interessante e, invero, piacevole ascoltare la sua favella, ribattere ai suoi commenti apparentemente superficiali con risposte argute e inaspettate.

Lord Chadwick aveva impiegato molto poco a cambiare registro, con lei e, per tutta la serata, era rimasto - assieme al suo amico Raymond - in loro compagnia.

Certo, essendo presente sua zia Julianne, si era moderata nei toni, ma aveva avuto il sospetto che lord Alexander avesse compreso quanto, in quell’occasione, si fosse trattenuta.

Non aveva idea se la cosa lo avesse sconvolto, o incuriosito, ma tant’era.

I suoi sorrisini divertiti, comunque, le avevano dato l’idea che il suo comportamento fosse stato apprezzato.

L’occasione, inoltre, si era dimostrata più che fausta anche per un altro motivo.

Lizzie, infatti, non aveva potuto non notare come Charlotte non avesse distolto lo sguardo dal timido lord Mallory-Jones. E viceversa.

Elizabeth aveva avuto una subitanea simpatia nei confronti di quest’ultimo, e aveva prenotato per lui un ballo da Almack’s.

Aveva il forte sospetto che il giovane erede della baronia avesse un debole per Charlotte ma che, mai e poi mai, avrebbe avuto il coraggio di muoversi.

Charlotte, da par suo, sapeva essere spigliata e divertente con tutti, ma aveva il terrore folle di apparire sciocca, se messa a confronto con un uomo.

Lizzie aveva il timore che, di fronte all’interesse di Raymond, si sarebbe tirata indietro per la paura di non essere alla sua altezza.

Ci avrebbe messo lo zampino lei, se avesse scoperto che entrambi erano realmente interessati a conoscersi.

Diversamente, se non avesse scorto una certa serietà di intenti negli occhi di uno dei due, si sarebbe messa in mezzo per evitare un disastro.

Lo doveva in primis alla sua amica e, in seconda istanza, a lord Mallory-Jones.

Le sembrava davvero un bravo giovane, e non v’era bisogno che soffrisse per niente.

Quanto a lord Chadwick… dubitava che lui avesse bisogno di aiuto, con le donne o, più in generale, non le sembrava avesse bisogno di consigli su alcunché.

 Le pareva pronto a tutto, e informato su tutto.

“Siete molto allegra, miss Lizzie. La festa deve essere andata bene” le sorrise Lorelai, più grande di Elizabeth di un paio d’anni.

La giovane sorrise, annuendo e, quando la cameriera ebbe terminato di pettinarle la lunga chioma, mormorò: “Lady Villiers è uno spirito assai faceto. V’erano saltimbanchi, musici e danzatori ovunque. Oh, e pavoni, sia bianchi che colorati, che camminavano liberi per il giardino.”

Sorpresa, Lorelai prese un nastro di seta per comporre una treccia per la padrona e, in un sussurro, asserì: “Assai eccentrica.”

“Oh, sì, molto. Le luci erano così tante, che era quasi impossibile vedere le stelle in cielo” aggiunse sorridente Elizabeth, prima di ammettere con se stessa che, in effetti, lord Alexander era riuscito comunque a mostrargliele.

O meglio, a mostrarle a lei e a tutto il loro generoso corteo.

Dopo aver aggirato l’enorme palazzo di lady Villiers, era riuscito a trovare un angolino appartato e in ombra, dove erano infine riusciti a scorgere le stelle.

Lì, le aveva declamato la posizione degli astri più importanti, prima di giungere alla descrizione del Carro Maggiore e delle sue stelle.

Elizabeth era stata a sentire in religioso silenzio, le mani giunte in grembo mentre lord Chadwick indicava in cielo la posizione di ogni astro.

Giunto a Mizar, però, si era bloccato, facendosi pensieroso, e lei gli aveva domandato delicatamente – ma con un sorriso truffaldino – quale fosse il problema.

La zia l’aveva guardata con una sorta di ammonimento nello sguardo, forse temendo che lei potesse prenderlo in giro, ma Elizabeth non aveva avuto in mente niente del genere.

Il giovane, allora, era stato costretto ad ammettere di aver dimenticato il nome della gemella di Mizar, così lei aveva sorriso compita, mormorando il nome di Alcor.

A quel punto, lui l’aveva squadrata con aperta ammirazione, sondandola con i suoi profondi e intensi occhi blu, prima di chiosare: “Vi ho tediato con nozioni che conoscevate già. Dovevate dirmelo, e vi avrei risparmiato questa mia inutile esibizione.”

Elizabeth aveva scosso il capo, ammettendo a sua volta di non conoscere bene gli astri come lui, ma di ricordare bene quelli del Carro Maggiore, la sua costellazione preferita.

A quel punto, lady Candice aveva preferito che tutti loro tornassero alla festa, giusto per non dare il ‘la’ a possibili conversazioni di stampo romantico.

Le stelle e il cielo notturno potevano far diventare sdolcinato chiunque, e anche una lezione di astronomia avrebbe potuto degenerare in fretta in qualcos’altro.

Di comune accordo, quindi, erano rientrati nel giardino principale della tenuta, e lì avevano trovato zio Wendell e Andrew intenti a passeggiare placidamente.

Lord Chadwick, a quel punto, aveva presentato a entrambi l’amico e, assieme a loro, si erano diretti verso il tavolo dei rinfreschi per prendere altre bibite fresche.

Nel complesso, non v’era più stato un altro momento così particolare, ma Elizabeth era comunque soddisfatta di come era andata la festa.

E aveva rimediato un’altra spilla da balia.

Lord Alexander gliel’aveva allungata assieme al suo bicchiere di limonata e, di nascosto dalle occhiate di Julianne e Andrew, le aveva strizzato l’occhio con fare complice.

In un sussurro, poi, le aveva detto: “Passeggiare per i giardini può danneggiare anche l’abito meglio confezionato, e la seta non rientra  tra le stoffe più resistenti. Non si sa mai.”

Lei aveva assentito, infilando la spilla nell’interno del suo guanto e, con nonchalance, aveva bevuto la limonata come se nulla fosse successo.

Era divertente giocare a quel modo, specialmente con un uomo che non tentava di irretirla con frasi sdolcinate o svenevoli.
 
***

Perché diavolo si fosse spinto a darle quella spilla – la seconda, per la verità – solo Dio lo sapeva, forse.

O, forse, neppure lui era più in grado di capire cosa stesse combinando.

Sospirando, Alexander terminò di bere il suo vinello leggero, prima di spegnere la candela nella biblioteca della loro villa di King’s Street per andarsene a letto.

In silenzio, uscì dalla stanza e si diresse verso la sua camera da letto, dove lo attendeva Quincy, il suo attendente personale.

Lì, si fece aiutare con gli stivali, dopodiché lo congedò per la notte, preferendo fare il resto da solo.

Spogliatosi completamente, avanzò verso la finestra e, osservando la strada deserta e i lampioni a olio accesi per la notte, sospirò.

Non era solito intrattenersi con le dame per più di qualche minuto, trovandole in media piuttosto tediose e ripetitive.

Tutte erano dedite all’arte della seduzione, chi con maggiore successo, chi con esiti disastrosi, ma ognuna di loro tentava di trovare un marito senza darsi la pena di nasconderlo.

Pur essendo solo un cadetto, Alexander era però proprietario di una serie di appezzamenti nei dintorni di Aberdeen, oltre che destinatario di un discreto appannaggio.

Suo padre era stato generoso con lui, pur essendo solo il secondogenito, e il fratello non era stato da meno, nei suoi confronti.

Per lui, aveva fatto costruire una villa con parco annesso davvero graziosa, che avrebbe inorgoglito qualsiasi dama ne fosse diventata la signora.

Vicino al mare quanto bastava per scorgerne i marosi dalle finestre dei piani alti, la villa poteva contare su diverse camere per gli ospiti, un salone enorme per le feste e diversi salottini per gli incontri più personali.

La servitù era minima, per il momento, visto che Alexander vi soggiornava di rado, ma la tenuta era in ottimo stato, ed era davvero gradevole alla vista.

Sì, suo fratello era stato davvero generoso… che lo facesse per ringraziarlo per via di Clarisse, o per altro, Alexander non lo sapeva, né glielo aveva mai chiesto.

Non aveva mai desiderato metterlo in imbarazzo, perciò aveva accettato in silenzio il dono, e suo fratello aveva chiuso la questione con un abbraccio.

Infilatosi finalmente la camicia da notte, Alexander si mise a letto, intrecciando le mani dietro la nuca e, nel buio della stanza, pensò.

Pensò a Clarisse, a quel parto così difficile, al dottore introvabile e a lui che, nel cuore della notte, era partito per la città più vicina per trovare qualcuno per la cognata.

Aveva sfiancato il cavallo, e lui era giunto a palazzo bagnato come un pulcino e con un principio di polmonite, a causa del freddo patito quella notte d’inverno, ma Clarisse si era salvata.

In seguito, aveva vegetato per settimane nel suo letto, preda di febbri altissime portate dalla polmonite che aveva contratto ma, alla fine, si era ristabilito.

Quando suo fratello aveva avuto il permesso di fargli visita, aveva pianto in silenzio al suo capezzale, e Alexander lo aveva canzonato per questo.

Il mese successivo, Alexander aveva finalmente conosciuto il nipotino, e tutti i dolori patiti durante la malattia erano svaniti di colpo.

Era stato in quel momento che suo fratello aveva dato il via alla costruzione della villa per lui.

Alexander non aveva replicato, sapendo bene com’era fatto il fratello.

Niente lo avrebbe fatto desistere dall’intento e, anzi, se lui avesse protestato, forse Wilford avrebbe ingigantito ancora di più la cosa.

O lo avrebbe preso a pugni per farlo accettare.

Ergo, meglio stare in silenzio.

Per lui era stato normale, giusto, precipitarsi fuori nel cuore della notte, nonostante la tempesta, per tentare di salvare Clarisse.

Non solo perché era sua cognata, ma perché era l’amore del fratello, una donna capace di blandire il suo carattere riottoso, e renderlo sempre felice.

Era una perla rara, e per questo lui aveva deciso di proteggerla con ogni mezzo.

Valeva la pena di sacrificarsi, per persone così speciali.

Fu con quel pensiero che, nella sua mente, balenò nuovamente l’immagine di miss Elizabeth, e di come le loro dita si fossero sfiorate nel passarle il bicchiere… e la spilla.

Chissà cosa aveva pensato di lui, mentre le consegnava quell’orpello senza valore!

Eppure, gli era venuto spontaneo, e lui amava la spontaneità, quando poteva metterla in pratica.

Era fin troppo controllato e serioso nei salotti in cui solitamente lo invitavano, dove tutti erano desiderosi di ascoltare le sue parole forbite, segretamente sperando che qualcuno lo sbugiardasse.

O gli facesse fare la figura dell’incompetente.

Troppe volte, ammirazione e gelosia si erano fuse insieme, nell’animo delle persone che conosceva, ed era per questo che poteva contare solo su pochissimi, veri amici.

Raymond era uno di questi e, quando lui gli aveva domandato di poter fare la conoscenza di miss Elizabeth, Alexander lo aveva accontentato.

Quando, però, lo aveva visto omaggiarla di un timido baciamano, aveva avuto l’impulso davvero insolito di allontanarlo.

Assai strano, da parte sua.

Durante la serata, quindi, aveva tentato con ogni mezzo di essere sempre al centro dell’attenzione di miss Elizabeth, cosa che non si era rivelata così difficile, alla fine.

Quasi subito, Alexander si era accorto delle occhiate curiose tributate a miss Charlotte dal suo timido amico.

A quel punto, si era sentito un po’ meno idiota, e aveva proseguito nella sua conoscenza di miss Elizabeth che, confermando le sue prime ipotesi, si era dimostrata divertente e forbita.

Ma, più di tutto, non aveva tentato minimamente di attrarlo con svenevoli occhiate, o con attenti e maliziosi gesti con il ventaglio.

Era bella e sapeva di esserlo, ma non ostentava il suo fascino, pur se i suoi sorrisi avrebbero potuto infliggere severe ferite a un cuore impreparato.

L’episodio delle stelle lo aveva colpito particolarmente, dimostrandogli una volta di più di non avere dinanzi una ragazzina soltanto acculturata, ma anche umile.

Quale altra dama avrebbe ammesso una propria personale lacuna, di fronte a un potenziale candidato come marito?

La sola idea lo fece ridere, ma non poté non pensarlo. Dopotutto, esistevano quegli eventi proprio per impalmare dame e cavalieri!

Rigirandosi nel letto, Alexander mormorò tra sé: “Chi infilerà l’anello al dito di miss Elizabeth, dovrà stare ben attento. Non sarà mai una dama da mettere in mostra come semplice tappezzeria, ma da ascoltare con attenzione e, forse, da seguire, non certo da governare.”
 
***

Imburrando una fetta di pane con gesti sonnolenti, Elizabeth sorrise al fratello nel vederlo entrare nella saletta per la colazione.

“Buongiorno” gli sorrise lei, vedendolo spazzolarsi una mano tra i capelli ispidi.

Christofer e Kathleen, già a tavola, sorrisero al primogenito e il padre, canzonatorio, disse: “Qualcuno ha dormito male, stanotte?”

“Il vino di lady Villiers è più pesante di quanto non avrei immaginato” sospirò il giovane, accomodandosi accanto alla sorella.

Lei sorrise sbarazzina, allungando la fetta imburrata al fratello, e chiosò: “E’ per questo che io non ne ho bevuto.”

“Lungimirante. O te lo ha consigliato lord Chadwick?” borbottò lui, addentando la fetta prima di prendersi una gomitata nel fianco. “Ahia!”

“Te lo meriti, dopo che ti ho offerto così generosamente il mio panino imburrato” replicò flemmatica la gemella, afferrando un secondo panino. “E poi, lord Chadwick non mi ha dato consigli sul vino quanto, piuttosto, su dove mettere i piedi.”

“In che senso?” si incuriosì Kathleen.

“I giardini possono essere luoghi assai pericolosi, per gli abiti delle dame…” celiò misteriosa Elizabeth. “… così, mi ha fatto dono di un’altra spilla da balia, nel caso in cui un rametto irrispettoso mi avesse rovinato il vestito.”

“E quando te l’ha data, scusa? Non ricordo di …” iniziò col dire Andrew, prima di azzittirsi sotto lo sguardo minaccioso della sorella. “Cioè, non è che io vi tenessi d’occhio, perché in fondo c’era la zia, con te, e quindi…”

Sospirando esasperata, Lizzie mormorò saccente: “E’ inutile che tenti di negare l’ovvio, mio caro. Sia lord Chadwick che lord Mallory-Jones lo hanno notato, e Charlotte si è pure messa a ridere quando i due hanno accennato a un certo fastidio alle loro nuche esposte.”

“Benissimo” sbuffò Andrew, mentre i genitori facevano di tutto per non ridere.

Tossicchiando per riprendere il controllo sulla sua ilarità, Christofer chiese alla figlia: “Devo pensare che Alexander ti abbia fatto delle avances, cara?”

“Per niente, se devo essere sincera. Abbiamo parlato di costellazioni, di come l’ultima amante del re si vesta in maniera quasi indecorosa – me lo ha spiegato lui, in effetti, perché io non ho avuto il piacere di vederla – e di quanto la musica fosse piacevole. Tutti argomenti molto tranquilli” lo mise al corrente Elizabeth, sbocconcellando il suo panino.

Kathleen si limitò a sorridere divertita mentre il marito, notando l’aria gioviale della moglie, aggiungeva curioso: “E che mi dici di Raymond? So che è un bravo giovane, pur se un po’ timido.”

“Sì, un po’ lo è, in effetti” sorrise deliziata la figlia. “Ed è anche assai affascinante, oltre che un ottimo ballerino, ma credo sia interessato a Charlotte. Per lo meno, ho avuto questa impressione.”

“E a te non interessa? Hai detto che è affascinante” la interrogò allora il padre, sempre più curioso.

Lizzie rise sommessamente, scrutando con indulgenza il padre, ma disse: “Oh, papà, non pensare che io possa correre tra le braccia di lord Mallory-Jones, perché non accadrà. Ma lo trovo simpatico, e non ho gli occhi dietro la testa, perciò posso dire che è affascinante senza, per questo, sdilinquirmi come un’ochetta sciocca come teme mio fratello.”

“Ehi, dico!” brontolò Andrew, punto sul vivo.

Max scelse proprio quel momento per entrare e, nel vedere il sorrisino beffardo della sorella e lo sguardo accigliato del fratello, rise e disse: “Lizzie te l’ha già fatta sotto il naso? Sono solo le dieci del mattino, fratellone!”

“Non ti ci mettere anche tu, Max” sbuffò il diretto interessato, scatenando le risa della gemella.

Imperterrito, Maximilian prese per sé due panini dolci e della marmellata di ribes, dopodiché celiò: “Dico solo che tu hai una faccia pesta, mentre Lizzie risplende. Qualcuno si è divertito più di qualcun altro, è ovvio.”

“Lo strangolo” minacciò Andrew, sollevando le mani ad artiglio in direzione del fratellino.

Lui, però, gli rise in faccia e Kathleen, conciliante, chiosò: “E’ stata la prima volta per tutti… vedrai che, al prossimo ballo, non troverai così strano vedere tua sorella mentre parla con degli uomini.”

Andrew fece per replicare, quando il maggiordomo bussò alla porta per poi entrare.

Scusandosi per l’interruzione, l’uomo consegnò un biglietto a Christofer che, nel notare a chi fosse indirizzato, sorrise a mezzo e disse: “Qualcuno ti chiede udienza, Lizzie.”

“Oh… e chi?” domandò lei, allungandosi per prendere il biglietto a lei indirizzato.

Aprendolo con una certa curiosità, sorrise subito dopo quando ne lesse il contenuto e, rivolgendosi ai suoi uditori curiosi, disse: “Lord Mallory-Jones mi invita alla Promenade di questo pomeriggio, per una tranquilla passeggiata in calesse.”

Sorpreso e sì, un po’ nervoso, Christofer le domandò: “Ma non avevi detto che…”

Interrompendolo con un sorriso, Elizabeth gli restituì il biglietto, dicendo: “Leggilo ad alta voce. Non vorrei non essere creduta, quando esporrò la mia tesi.”

Sorridendo di fronte al contenuto del messaggio, il padre fece quanto dettogli.

 
Con rispetto, vorrei chiedere alla gentilissima miss Elizabeth 
di concedermi l’onore di accompagnarmi alla Promenade
di questo pomeriggio, alle ore 15:00, per una piacevole passeggiata
con il calesse. E’ mio desiderio parlare con lei di una pressante
quanto, temo, imbarazzante situazione, ma che spero lei possa risolvere.
Mi rendo conto dell’ardire della mia richiesta, ma spero che il cuore
gentile di miss Elizabeth possa trovare un po’ di tempo da concedermi.
Con i miei più sentiti rispetti             Raymond Marcus Mallory-Jones
 
“E cosa ti fa credere che la sua ‘pressante quanto imbarazzante situazione’ non si riferisca a un suo interesse per te?” le ritorse contro il gemello, studiando a sua volta lo scritto.

“Ne capirò poco, di uomini, ma credo che nessun gentiluomo interessato a me troverebbe imbarazzante il proprio interesse. Lo troverebbe piacevole, stimolante, ma mai imbarazzante. Inoltre, parla di cuore gentile, come se ciò di cui mi vuole parlare potesse risultare tedioso, per me e, nuovamente, non penso che un uomo penserebbe ciò dei propri sentimenti” replicò Elizabeth, facendo spallucce prima di rivolgersi al maggiordomo in attesa. “Potreste portarmi carta e penna? Risponderò immantinente.”

“Subito, miss Elizabeth” assentì il maggiordomo.

“Non mi convincono, le tue elucubrazioni.”

“Tant’è. Accetterò l’invito e, alla peggio, gli dirò che non sono interessata a lui per diventare sua moglie ma che, se vorrà, potrò essere sua amica e confidente” ribatté Lizzie, ghignando all’indirizzo del fratello.

“Come se bastassero due semplici parole, per blandire un uomo” le ritorse contro Andrew.

“Invero, fratello mio, dimostri di essere talmente geloso che, al confronto, le ansie di papà potrebbero essere inferiori alle tue” lo prese in giro la gemella, facendolo fremere.

Preferendo evitare una rissa verbale, non insolita per i gemelli, Christofer intervenne e disse: “Lizzie ha ragione, Andrew. Sarebbe scortese rifiutare un invito così educato e, a quanto pare, una richiesta d’aiuto assai urgente. E, se proprio tua sorella avesse torto, l’onestà non ha mai causato danni. Sapere subito la verità, aiuterà lord Mallory-Jones a farsi una ragione per un eventuale rifiuto.”

“Mia sorella può fare ciò che vuole del suo tempo, naturalmente” disse contrito Andrew, lanciando uno sguardo di scuse alla gemella.

Lei, allora, gli diede un colpetto con la spalla, mormorando: “Mi fa piacere il tuo interesse, tranquillo. Ma non esagerare, o dovrò pestarti un piede.”

“Mi reputo avvisato” assentì il gemello, ammiccando.

Max, a quel punto, chiese alla sorella: “Posso venire anch’io, con te?”

“Chiederemo a lord Mallory-Jones e, se riterrà plausibile la tua presenza, potrai venire. Diversamente, resterai a casa, va bene?” gli propose Elizabeth, sorridendo al fratellino.

“D’accordo” assentì senza troppi problemi il piccolo di casa, addentando il suo panino.

Nel giro di mezz’ora, il messaggio venne spedito in direzione della villa dei Mallory-Jones, su Charing Cross Road.

Quando Raymond lo ricevette, direttamente dalle mani del garzone degli Spencer, il giovane sorrise grato al ragazzino, consegnandogli una moneta per il servizio.

Nel rientrare in casa, Raymond venne intercettato dal padre che, nel notare la sua ansia, asserì: “Trovo che la tua richiesta di aiuto sia stata oltremodo fuori luogo, ragazzo. Hai davvero bisogno dell’intercessione di una fanciulla, per averne un’altra?”

Raymond preferì non rispondere a tono al padre – non ne aveva mai apprezzato i modi spicci e diretti, preferendo la diplomazia – e si limitò a dire: “Miss Elizabeth è amica cara di miss Charlotte, e trovo che chiedere a lei informazioni su come rendere felice la dama cui sono interessato, sia una cosa saggia.”

“Basterà mostrarle il tuo appannaggio annuale, se proprio ti interessa tanto quella donzella. Capitolerà subito, e io avrò finalmente una nuora con un buon pedigree” brontolò il barone Willcott, lasciandolo poi solo nell’atrio del palazzo.

Il figlio badò poco alle sue parole irrispettose e, in fretta, aprì il messaggio che miss Spencer gli aveva fatto recapitare.

Fu con gioia che lesse il suo assenso a quel frettoloso appuntamento e, con una punta di divertimento, lesse la richiesta di poter portare anche il fratellino alla Promenade.

Si fosse trattato di Andrew, avrebbe avuto qualche remora in più.

La sera precedente gli era parso così protettivo da metterlo un po’ in ansia, pur se le sue attenzioni non erano andate alla sorella.

Non nel senso temuto dal giovane Spencer, per lo meno.

Si era sentito uno stupido, nel chiedere ad Alexander di presentargliela, visto che il suo scopo primario era passare attraverso lei per conoscere Charlotte.

Ugualmente, lo aveva fatto perché, da quella prima volta a Bath, l’anno precedente, in cui l’aveva scorta a una festa estiva assieme ai genitori, non l’aveva più dimenticata.

Non avendo amicizie in comune, non aveva potuto approcciarla in nessun modo, in quell’occasione.

Quando, però, aveva scoperto che Alexander conosceva un’amica di Charlotte, aveva puntato su quell’esile legame per poter avvicinare la sua personale musa e il suo personale struggimento.

L’aver scoperto in miss Elizabeth una persona oltremodo interessante, lo aveva comunque rincuorato, facendolo sentire un po’ meno sciocco.

Conoscere persone di valore era sempre un valore aggiunto, e miss Spencer poteva tranquillamente essere annoverata tra esse.

La sua bellezza lo aveva certamente colpito ma la ragazza, con la sua modestia e il suo carattere spigliato, lo aveva messo subito a suo agio.

Avrebbe tanto voluto succedesse anche con miss Charlotte, ma il suo interesse per lei lo aveva reso più goffo di quanto avesse desiderato.

Quei grandi occhi verdi lo avevano stordito al primo sguardo, e dialogare spigliatamente con lei era diventato un autentico inferno.

Sperava soltanto di non aver fatto la figura dello sciocco, perché non se lo sarebbe mai perdonato.

Desiderava davvero scoprire qualcosa in più su miss Charlotte ma, per essere in grado di farle la corte nel modo giusto, doveva prima parlare con miss Elizabeth.

Sperando di tutto cuore che lei non lo reputasse un vile, per averla consultata, ritenendolo per questo inadatto per l’amica.

Aveva idea che miss Elizabeth avrebbe potuto diventare un’infida nemica, se lo avesse ritenuto un pericolo per miss Charlotte.

Richiudendo il messaggio per riporlo nella tasca del panciotto, Raymond risalì in fretta le scale, ben deciso a prepararsi degnamente per quell’appuntamento.

Pur sapendo che non era un incontro galante, doveva a miss Elizabeth tutto il rispetto possibile, perciò si sarebbe presentato al suo meglio.








Note: Direi che, in generale, la serata passata presso la villa di lady Villiers, è andata bene, nonostante i mal di testa di Andrew.
Alexander e Raymond paiono davvero colpiti dalle damigelle che hanno frequentato e, almeno per quanto riguarda Lizzie, pare essersi fatta delle idee abbastanza precise su uno di essi.
Vedremo se, anche sull'altro baldo giovane, avrà qualcosa da dire... voi che ne pensate?

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 
9.
 
 
 
 
 
Raymond si presentò puntuale presso il palazzo degli Spencer, a Grosvenor Square, con il suo phaeton trainato da una pariglia di due cavalli dal manto bruno.

Accolto nell’atrio di palazzo da un domestico, Raymond tenne sotto braccio il suo cilindro e nella mano destra i neri guanti di pellame, rifiutando cortesemente di accomodarsi.

Non era necessario scomodare la servitù perché gli servissero tè e dolci, quando non attendeva altro che di uscire con miss Elizabeth… e suo fratello.

Ancora, la cosa lo fece sorridere di triste ironia ma, quando vide avvicinarsi un giovanotto alto e bruno e dal sorriso contagioso, si rilassò.

Probabilmente, non avrebbe subito il terzo grado tanto temuto. I suoi occhi nocciola non sembravano indagatori, quanto piuttosto curiosi e divertiti.

Levando la mano verso di lui, Maximilian esordì dicendo: “Benvenuto, lord Mallory-Jones, io sono Maximilian Spencer, fratello minore di Elizabeth. Mia sorella sarà pronta a minuti. Doveva solo appuntarsi il cappellino.”

“Lieto di fare la vostra conoscenza, Maximilian. Spero di non aver arrecato troppo disturbo, stamani, con la mia richiesta dell’ultimo minuto” mormorò il giovane, contrito.

“Oh, io non credo affatto. Lizzie ama aiutare gli amici, e credo vi reputi tale” sottolineò Max, sorridendo orgoglioso.

Raymond, allora, sospirò di sollievo e disse: “Sono oltremodo lieto che pensi questo di me, ma temo che la deluderò molto, quando saprà le ragioni del mio invito.”

“Io penso non vi sia questo rischio” replicò sagace Max, lanciando poi un’occhiata verso la scalinata. “Ecco che arriva.”

Il giovane Mallory-Jones levò a sua volta il capo e, sorridendo spontaneamente, non poté che trovare miss Elizabeth incantevole come una mattina di primavera.

Nessuno avrebbe potuto trovare un difetto, in lei, eppure ella non riusciva a smuoverlo dentro come, l’incontro con miss Charlotte, aveva saputo fare.

Ritto al fianco di Maximiliam, Raymond studiò quindi le movenze della fanciulla, cercando ancora una volta di capire quali fossero i motivi di un simile evento, ma non vi riuscì.

Tutto lo portava a pensare che miss Elizabeth fosse perfetta, eppure, neppure in mille anni l’avrebbe voluta come moglie.

Come amica, anche subito, come sorella, sarebbe stato un sogno… ma come amante, no.

E lei parve averlo capito in qualche modo, perché si avvicinò a lui tutta sorridente e levando le mani verso di lui con fare amichevole, niente affatto civettuolo.

Come se si conoscessero da anni e, fossero da anni grandi amici.

“E’ stato un vero piacere ricevere il vostro biglietto, Raymond. Posso chiamarvi per nome, giusto? Dopotutto, se penso di aver colto la verità nella vostra richiesta, noi diventeremo molto amici, dopo questa passeggiata” esordì Elizabeth, facendo sorridere con divertimento il fratellino.

“Lo spero vivamente, miss Elizabeth, e sì, sarei onorato se mi chiamaste per nome” replicò lui, esibendosi in un baciamano perfetto prima di offrirle il braccio per uscire.

“Allora, sarò felice se offrirete a me e mio fratello la stessa cortesia” mormorò la giovane, ammiccando a Max.

“Ne sarò lieto” annuì Raymond. “I vostri genitori non sono presenti? Avrei voluto ringraziarli per la loro solerzia nel darvi il consenso a uscire con me.”

“Purtroppo, i molteplici impegni di mio padre nella Camera dei Lord, lo portano a uscire molto presto, la mattina , perciò ora non si trova in casa, e mia madre è in visita presso la villa di lord Thornton, un nostro amico di famiglia” gli spiegò Elizabeth, mentre uno dei domestici apriva loro la porta per uscire.

“Buona giornata, miss Elizabeth, signorino Maximilian… lord Mallory-Jones” mormorò compito il giovane, inchinandosi leggermente.

“Sarà così di sicuro, Sebastian, grazie. Oh, avvertite mia madre, quando rientrerà, e ditele che forse ci attarderemo un po’, così non si preoccuperà troppo” disse Elizabeth, sorridendo al domestico.

“Sarà fatto, miss Elizabeth” assentì il giovane, richiudendo poi la porta senza fare alcun rumore.

“Come mai questo accorgimento, mi… Elizabeth?” si corresse subito Raymond, aiutando Elizabeth a salire sul phaeton.

Sorridendo maliziosa al suo nuovo amico, lei mormorò: “Perché, se ho ragione, avrò molto da dirvi.”
 
***

Le redini in una mano e un sorriso più tranquillo stampato in viso, Raymond stava ascoltando il ciangottare grazioso di Elizabeth, mentre Max si godeva la gita fuori porta.

Hyde Park era, come di consueto, ricco di persone più o meno eleganti, impegnate in passeggiate più o meno legate alla vita sociale ed economica di Londra.

V’erano uomini d’affari immersi in discussioni pressanti, così come giovani coppie uscite per il loro primo appuntamento, o baldi nobiluomini impegnati in veri e propri giri esplorativi.

Non era infatti insolito che gruppi di gentildonne si ritrovassero a Hyde Park per una passeggiata lungo i laghetti, così come non era insolito che nobili titolati si fermassero per dialogare con loro.

Non solo Almack’s fungeva da teatrino per la nobiltà, o da mercato per le giovani donzelle da maritare.

“… e così, se vorrete fare colpo su Charlotte, non dovrete assolutamente pavoneggiarvi del vostro futuro titolo. A lei non interessano i soldi. Ha un appannaggio personale più che dignitoso, e non le piacciono gli uomini che ostentano il denaro” sottolineò Elizabeth, prima di chiudersi la bocca e sorridere al suo interlocutore.

Sperava di essere stata abbastanza chiara ma, soprattutto, non troppo inopportuna.

Non sapeva se agire alle spalle di Charlotte fosse giusto, ma l’amica le era parsa sinceramente interessata a conoscere Raymond.

Peccato che, entrambi, soffrissero di una timidezza congenita, quando v’era di mezzo l’altrui sesso.

Lord Mallory-Jones, infatti, sorrise affabile e vagamente contrito, mormorando: “Non ne avevo comunque l’intenzione. E’ mio padre che avanza impettito come… beh, scusate la similitudine… come un tacchino, non certo io.”

Max rise apertamente, a quel commento, ed Elizabeth mascherò la propria, di risata, dietro l’orlo di pizzo del ventaglio di corno.

Raymond si aprì così in un sorrisino un poco più sicuro di sé, aggiungendo: “Se sapesse che parlo di lui a questo modo, mi strangolerebbe con le sue stesse mani, temo, anche se sono il suo unico erede. Ho appena messo la mia vita nelle vostre mani, con questo segreto.”

“La vostra vita è più che al sicuro con noi, vero, Max?” lo rassicuro la giovane, vedendo annuire con vigore il fratellino.

“Non avete da temere nulla, da noi, Raymond. Inoltre, conosciamo altri personaggi assai simili, e sappiamo come trattarli” dichiarò con una certa baldanza il giovane Spencer, facendo sorridere sia Mallory-Jones che Elizabeth.

“Allora, siete stati più abili di me visto che io, fino a ora, non ho mai ottenuto molto, in quel frangente. Sembra che, qualsiasi cosa io faccia, non incontri il favore di mio padre.”

Il tono solo apparentemente leggero di Raymond mise in allarme Elizabeth che, sinceramente dispiaciuta, poggiò una mano sul braccio del suo nuovo amico, mormorando: “Mi duole dirlo, ma mio padre e mio zio non ebbero sorte migliore, con nostro nonno. Non conosciamo molto la storia di nostro nonno paterno ma, da quel poco che sappiamo, il vecchio conte Harford non deve essere stato un uomo molto tenero.”

“Beh, conoscendo la nomea di vostro padre, posso dire che non è stato scalfito dal suo passato. Mio padre è solito riconoscergli molti pregi, pur se…”

A quel punto, Raymond si interruppe, sorrise contrito e aggiunse: “… pur se non apprezza molto il modo in cui porta in palmo di mano la moglie. Lui la reputa una cosa sciocca. Oltre al fatto che, secondo lui, dovrebbe smettere di seguire i Wighs.”

Elizabeth rise sommessamente, assentendo. “Oh, posso immaginarlo. E’ una critica che più volte mio padre ha ricevuto, ma penso che a lui faccia piacere. Dovete sapere che i nostri genitori sono molto innamorati. Il loro non è affatto un matrimonio di facciata.”

“Allora, li reputo molto fortunati, così come lo siete voi, perché immagino siate cresciuti in un ambiente amorevole e sereno” le sorrise Raymond, svoltando con il phaeton lungo una passeggiata laterale.

Max ed Elizabeth assentirono con vigore. Nessuno avrebbe potuto negare una simile verità.

Tornando serio e pensoso, Mallory-Jones aggiunse: “E’ questo, che mio padre non comprende. A me non interessa un’unione di comodo. Sarò anche sdolcinato, e ditemelo se vi sembro poco mascolino in questo, ma trovo che sposare una donna solo per la sua dote, sia qualcosa di estremamente abbietto. Disgustoso.”

Elizabeth guardò il fratello, compiaciuta, e quest’ultimo si limitò a dire: “Io sono convinto che un uomo che non porta rispetto alla propria donna, non sia un vero uomo. Perciò, che onore potrebbe esservi, nello scegliere una moglie unicamente per ciò che vi reca in dono?”

Raymond gli sorrise con rispetto, tributandogli un ossequioso cenno del capo.

“Siete molto più maturo della vostra età, Maximilian, ma questi pensieri vi renderanno inviso a molti nobiluomini.”

“Ma sarò apprezzato dalle dolci donzelle, no?” replicò con un sorriso il ragazzo, ricevendo per diretta conseguenza una gomitata dalla sorella. “Ahia, Lizzie! Tieni a freno i gomiti, per favore!”

Raymond, allora, rise di puro cuore ed Elizabeth si ritrovò a sospirare deliziata.

Aveva una risata così bella, e il suo viso pareva illuminarsi, dissipando le ombre che solitamente lo ammorbavano.

Quanto era stato schiacciato, Raymond Mallory-Jones, dall’ambiente familiare a lui così ostile?

“Dovreste ridere di più, Raymond. Siete molto bello, quando lo fate” gli disse in tutta onestà Elizabeth, vedendolo arrossire per diretta conseguenza.

“Beh… voi mi lusingate, cara. Ma dubito che, in casa mia, si possano trovare molti motivi per ridere.”

“Charlotte ama ridere, e nella sua famiglia è una cosa molto apprezzata. Non le serve molto, badate. Anche solo notare come quella papera, per esempio, sta sbattendo le ali sull’acqua, sollevando miriadi di schizzi contro le altre” gli spiegò lei, sorridendo divertita.

La papera in questione, in effetti, stava bagnando allegramente le sue compagne che, infastidite, si allontanarono starnazzando.

Raymond sorrise, asserendo: “Le piacciono le cose semplici, da quel che mi pare di capire.”

Lanciando un’occhiata in lontananza, incuriosita da un cavaliere in avvicinamento, lei assentì convinta, pur se distratta dalla vista dell’uomo a cavallo.

“A diverse donne piacciono le cose semplici. Alcune, più di altre, lo danno a vedere. Charlotte morirebbe, piuttosto che imporre il proprio pensiero, per questo mi sono spinta ad accettare il vostro invito. Mi sembrate un uomo che potrebbe renderla felice.”

“Ammesso e non concesso che qualche altro nobile non incorra nel suo interesse, o non la faccia capitolare prima che io metta in atto il mio articolato piano di conquista” le fece notare Raymond, sospirando.

“Un po’ di fiducia, Raymond. Io sono convinta che voi abbiate ottime possibilità per farla innamorare di voi” gli sorrise Elizabeth, dandogli una carezza al braccio.

“Grazie, Elizabeth. Davvero” mormorò Raymond, di nuovo sorridente.

Inclinando il capo, la giovane sollevò un poco il ventaglio per coprirsi la bocca e, in un mormorio, domandò: “Quel cavaliere che sta avvicinandosi da nord, non è lord Chadwick?”

Avvedutosene, Raymond assentì e, sospirando spiacente, disse: “Credo sia fuggito dall’ennesimo salotto, visto il suo sguardo perso nel vuoto e l’aria accigliata che ne solca il viso.”

“In che senso?” volle sapere la giovane, sorpresa dal suo dire.

“Sapete, naturalmente, che Alexander è un apprezzato oratore, per via della sua ampia conoscenza in ambito culturale e politico” le spiegò Raymond.

“Mia madre me ne ha accennato” mormorò lei.

“Beh, per quanto possa apparire strano, il mio amico non apprezza essere interpellato sempre e unicamente per tenere dei comizi, o dei soliloqui, presso le ville dei Pari del Regno.”

“Pensavo che gli piacesse essere al centro dell’attenzione. Ha sempre così tanto da dire…” asserì Elizabeth, sentitamente stupita.

“Se l’auditorium fosse sinceramente interessato, lui ne sarebbe entusiasta. Alexander possiede una discreta dose di esibizionismo, che a me manca totalmente, e gli piace essere ammirato per ciò che conosce ma, soprattutto, ama divulgare ciò che sa perché crede che, più cose si sanno, meno le persone possono calpestarci” le spiegò Raymond, facendola sospirare meravigliata. “Di certo, non ama essere usato”.

“Usato in che senso?” intervenne Max.

“Sempre più spesso, viene invitato perché altri possano tentare di smentirlo o sbugiardarlo. Per quanto sia riprovevole ammetterlo, la gelosia maschile non ha nulla da invidiare a quella femminile… con rispetto parlando” asserì Raymond, sorridendo spiacente a Elizabeth.

Lei, però, scosse una mano con negligenza e replicò: “Oh, cielo, Raymond, non scusatevi. E’ assodato che le donne sono come serpi, quando vogliono. Io stessa so mordere e diventare discretamente velenosa, se lo desidero.”

“Confermo” mormorò divertito Max, guadagnandosi un’occhiata raggelante da parte della sorella.

“Sta di fatto che, ormai da diverso tempo, Alexander sta diradando i suoi interventi nei salotti più altolocati, poiché ha scoperto che non lo intrigano più come un tempo, preferendo a essi i comizi pubblici nelle piazze. Trova che sia diventato sciocco partecipare a pranzi, o party, dove i commensali tentano in ogni modo di metterlo in cattiva luce.”

“Che cosa disdicevole” mormorò contrariata Elizabeth, tornando a osservare il cavaliere che, ormai al passo, stava ammirando con sguardo perso le rose di un vicino cespuglio. “Sembra davvero abbattuto.”

“Non apprezzerà affatto che voi lo notiate. Alexander preferisce che non lo si compatisca e, soprattutto, che non ci si preoccupi per lui. Lui può farlo, ma gli altri non possono, con lui” la mise in guardia Raymond. “A volte, è difficile essere amici di una persona che non vuole farsi aiutare in niente.”

“Già” mormorò Elizabeth, esibendosi in un sorriso sbarazzino. “Però, possiamo strapparlo al suo tedio, no?”

“Sicuramente” assentì il giovane, avviandosi verso la cavalcatura dell’amico.

“E’ lui, il tipo che detesta tanto Andrew?” domandò Max, sorprendendo la sorella e Raymond.

“Perché lo detesta?” esalò la giovane, prima di notare il sorrisino malizioso del fratello. “Oooh, ma che sciocco vanesio che è!”

Max non ebbe il tempo di replicare, perché Raymond aveva già richiamato l’attenzione di Alexander con un saluto a mezza voce.

Il cavaliere fu lesto a mascherare il proprio malumore e, esibendosi in un sorriso di circostanza, si volse a mezzo verso il suono della voce di Raymond.

Notare chi vi fosse sul phaeton assieme a lui, però, lo sconcertò non poco e sì, lo spinse a stringere impercettibilmente le redini del destriero su cui era assiso.

Che ci faceva, miss Elizabeth Spencer, assieme al suo amico, pur se in compagnia di un giovanotto che, chiaramente, fungeva da chaperon?

“Buongiorno, amico mio. Davvero una magnifica giornata per uscire a cavallo” esordì Raymond, fermando il mezzo accanto allo stallone bianco di Alexander.

“Davvero splendida, concordo… specialmente se passata in compagnia di una damigella così affascinante. E’ un piacere rivedervi, miss Elizabeth” replicò Chadwick, togliendosi la tuba per salutarla educatamente.

“Lord Chadwick, buongiorno a voi. Lasciate che vi presenti mio fratello Maximiliam. Max, lui è Alexander Chadwick, secondogenito del duca Barrett di Aberdeen.”

“Lieto di conoscervi, milord” disse educatamente Max, sorridendo affabile.

“Il giovane Spencer? E che mi dite dell’erede? Devo temere di vederlo spuntare da dietro un albero? So che non vi lascia mai veramente sola, miss Elizabeth” sorrise divertito Alexander, ammiccando al suo indirizzo.

Coprendo il proprio sorriso ghignante con il ventaglio, Elizabeth replicò: “Max è qui per questo. Per sopperire alla mancanza di Andrew. Ho ottimi mastini, al mio fianco, per salvaguardare la mia virtù, anche se Raymond è un così galante cavaliere che non metterebbe mai a rischio il mio buon nome.”

Accigliandosi leggermente per un attimo, Alexander lanciò un’occhiata all’amico e asserì: “Siete già giunti ai nomi propri. E dire che ero preoccupato per te, amico mio. Vedo che te la cavi bene anche senza il mio aiuto, a quanto pare.”

“Io ed Elizabeth siamo solo amici. Mi sta… aiutando con una certa cosa, e anche Maximiliam mi è stato di estremo aiuto” si limitò a dire Mallory-Jones, sorridendo ai suoi due nuovi amici.

Max sorrise tutto contento ed Elizabeth, nel battere una mano su quella del giovane lord, asserì: “Evidentemente, lord Chadwick si crede così indispensabile da trovare impensabile che voi riusciate in qualcosa, e senza il suo intervento.”

“Dissento su tutta la linea, mia cara” replicò Alexander, vagamente piccato. “Non ho mai avuto alcun dubbio sulle qualità del mio amico, e ho sempre tentato di convincerlo circa le sue indubbie virtù ma, evidentemente, doveva essere il tocco di una donna a renderlo edotto, non certo il mio.”

Lei, allora, ammiccò da sopra l’orlo del ventaglio e mormorò: “Non avevo dubbi che l’intervento di una donna sarebbe stato migliore di quello di un uomo.”

“Mi trovate d’accordo, in questo. Trovo che la mente delle donne sia oltremodo sottovalutata. Sapete essere più machiavelliche di una decina di generali, impegnati a preparare la battaglia finale per vincere una guerra” ironizzò allora Alexander, sorridendo beffardo.

Spalancando un poco gli occhi, Elizabeth tolse di mezzo il riparo offerto dal ventaglio per affrontare a viso aperto Chadwick e, sbarazzina, asserì: “Avete dinanzi a voi la regina del machiavellismo, ci tengo a sottolinearlo. Non è facile avere ragione della mia mente.”

“Lizzie… non esagerare…” la mise in guardia Max.

“Ho forse torto?” ritorse lei, volgendosi per raggelare il fratellino con un’occhiata.

“Oh, no, io non mi ci metto a discutere con te, poco ma sicuro” si guardò bene dal ribattere Max, levando le mani in segno di resa.

Alexander allora rise di gusto ed Elizabeth venne scossa da un fremito tutto particolare e nuovo, che le fece sorgere un leggero rossore alle gote.

Non era affatto come ascoltare la risata di Raymond, che era sì bella e gradevole, ma non le dava quei brividi di piacere così insoliti.

Lord Chadwick, solitamente affascinante e malizioso, assumeva un aspetto angelico, quando rideva, perdendo parte del suo atteggiamento irriverente, per acquisire fascino puro.

Chetandosi quanto bastò per replicare, Alexander lanciò uno sguardo pieno di ammirazione alla sua interlocutrice e disse: “Se mai mi capiterà l’occasione di mettervi alla prova, ne sarò oltremodo onorato. Ora, purtroppo, impegni pressanti mi attendono, perciò non potrò testare subito la vostra mente brillante.”

“Paura di perdere, milord?” ironizzò Elizabeth, ignorando il pizzicotto al fianco che le diede Max.

“Affatto. Con voi, sarebbe persino piacevole perdere” sorrise sbarazzino Alexander, esibendosi in un inchino formale. “Prenditi buona cura di entrambi, amico mio. Sarebbe un peccato che succedesse loro qualcosa di sgradevole.”

“Sarò più che attento” assentì Raymond, sorridendo all’amico.

“I miei rispetti, miss Elizabeth, Maximilian,… peccato non aver pensato a portare con me un’altra spilla. Scendere dai calessini può essere pericoloso, per le vesti di una signorina” ironizzò Alexander, passando accanto a Elizabeth col cavallo.

“Un problema che non sussiste. Sono molto brava, in queste cose” replicò lei, sbarazzina. “Piuttosto voi, milord. La fascia del sottopancia del vostro cavallo è un po’ allentata, e dovreste farla controllare. Rischiate di finire a terra in malo modo, e non vorrei mai che, per un simile motivo, voi mancaste ai prossimi balli. Come potrò, altrimenti, mostrarvi quanto so essere machiavellica?”

Alexander controllò subito la sua sella, notò in effetti quel difetto e, senza attendere oltre, scese da cavallo con un agile movimento di gambe.

“Mi avete appena salvato la vita, mia benevola Silfide1, e di questo ve ne sarò eternamente grato” asserì Alexander, sistemando meglio il sottosella.

“Il vostro cavallo mi sta già ringraziando” gli replicò la giovane con divertimento, sorprendendolo oltremodo.

Muovendosi lesto per controllare cosa stesse combinando Apollo, Alexander inorridì quando vide la bestia sfiorare il viso di Elizabeth con il proprio muso.

Se il cavallo si fosse imbizzarrito per qualsiasi motivo, avrebbe potuto morderla, deturpandola a vita.

Lesto, perciò, Alexander si aggrappò alla ruota del phaeton per intervenire e mettersi in mezzo, ma il cavallo non lo degnò di uno sguardo, tutto impegnato a ricevere i grattini di Elizabeth.

Strabiliato, il giovane ne ammirò la calma composta e lo sguardo gentile, mentre le sue mani carezzavano quel muso enorme e potenzialmente pericoloso.

“Mia sorella sembra nata su un cavallo, perciò non abbiate timore per lei, lord Chadwick” lo tranquillizzò Max, osservando Elizabeth senza preoccupazione alcuna.

Il bianco destriero sembrava sopraffatto dal tocco gentile della giovane che, con un gesto istintivo, si sollevò appena dallo scranno per baciare la fronte del cavallo.

Questi rimase perfettamente immobile finché lei non si fu rimessa a sedere, dopodiché scrollò la lunga criniera e nitrì, allontanandosi soddisfatto.

Fu a quel punto che Elizabeth sorrise, quel sorriso segreto che le donne riservano per i momenti di raro piacere e Alexander, cogliendone solo in parte la forza, rimase assai sorpreso.

Possibile che il semplice fatto che quell’enorme animale si fosse piegato alle sue moine, le avesse dato un tale piacere?

Nel rimettersi in sella, il giovane Chadwick non poté che scrutare con autentica ammirazione la ragazza e, con un cenno ossequioso del capo, mormorò: “Doppiamente grazie, miss Elizabeth. Ora, il mio Apollo si pavoneggerà con gli altri equini per giorni, avendo avuto la grazia di un vostro bacio.”

“Ha già di che vantarsi. E’ uno splendido esemplare, e voi sembrate esserne pienamente padrone” asserì la giovane, ammirando lo splendido destriero.

“Io e Apollo ci conosciamo da anni, ormai… e ora, vecchio mio, scusami tanto, ma dobbiamo andare. Una piacevole giornata a tutti voi” disse infine Alexander, dando un colpetto ai fianchi del cavallo per spingerlo al trotto.

Elizabeth ne seguì l’andatura elegante per qualche attimo ancora dopodiché si volse, ritrovandosi addosso lo sguardo gentile di Raymond.

“Lo avete sorpreso, Elizabeth, e succede raramente, con Alexander” la mise al corrente lui, riprendendo la loro passeggiata.

“Non mi sembra di aver fatto nulla di speciale” si schernì lei, sorridendo.

“A parte punzecchiarlo fin da quando è arrivato?” la prese in giro Max. “Capisco perché Andrew mal lo sopporta. Ti stavi comportando in un modo davvero insolito, Lizzie.”

“E con questo cosa vorresti dire, Maximiliam Thaddeus Spencer?” lo mise in guardia Elizabeth, facendolo rabbrividire.

Deglutendo a fatica nel sentire il proprio nome per esteso, segno inequivocabile dell’irritazione della sorella, Max fu lesto a levare le mani in segno di scuse.

“Scusa, mi sto impicciando come farebbe Andrew, e mi ero ripromesso di non farlo. Puoi dire ciò che vuoi, e renderti anche ridicola, se ti aggrada.”

“Mi sono forse resa ridicola?” gli ritorse contro Elizabeth.

Max, allora, si tappò la bocca, scosse il capo con decisione e Raymond, ridendo sommessamente, esalò: “Ora so cosa mi sono perso, in questi anni, essendo figlio unico.”

“Oh, cielo! Scusate, Raymond, dobbiamo davvero sembrarvi degli screanzati, neanche ci avessero allevato i lupi” esalò la giovane, avvampando d’imbarazzo.

“Affatto, Elizabeth. Trovo davvero piacevole la vostra compagnia, e assai di più il modo così scanzonato con cui vi trattate vicendevolmente. Conosco fratelli e sorelle che mai, nella vita, si permetterebbero una tale familiarità, pur se nati dalla stessa madre” scosse il capo Raymond, beneficiandola di un bellissimo sorriso.

Oh, sì, Raymond Mallory-Jones sapeva essere davvero attraente, quando si lasciava andare e perdeva la sua consueta timidezza.

“In famiglia siamo tutti piuttosto schietti, in effetti” ammise la giovane, scrollando appena le spalle.

“Lasciatevelo dire da una persona che ha provato sulla propria pelle una famiglia fredda e distante… possedete un dono raro, esattamente come il mio amico Alexander” affermò Raymond, con convinzione. “Sarà anche per questo che mi è sempre piaciuto stare da loro… e Alexander ha sempre trovato scuse su scuse per invitarmi da lui.”

“Generoso, da parte sua” mormorò Elizabeth, diplomatica.

Raymond le sorrise, assentendo, e aggiunse: “Quando Alexander ha accennato alla sua amicizia con Apollo, ne aveva ben d’onde. Balzò su quel cavallo nel bel mezzo di una tempesta, andando a cercare un dottore per la cognata, che stava partorendo con difficoltà. Rimase fuori da palazzo, tra vento e pioggia scrosciante, per ore, finché non riuscì a trovare qualcuno che aiutasse Clarisse. Wilford era terrorizzato, quando lo vide tornare, fradicio e febbricitante, ma con il medico per la moglie.”

Elizabeth fece tanto d’occhi, alla notizia, e Max esalò: “Avrebbe potuto capitargli di tutto, durante una tempesta. Un albero colpito da un fulmine, una caduta da cavallo… qualsiasi cosa.”

“Già, ma lui se ne infischiò. Tiene a Clarisse come se fosse veramente sua sorella, perciò non badò al rischio, a suo tempo… e rimase a letto con la polmonite per settimane.”

Ciò detto, rise divertito e terminò di dire: “Forse non avrei dovuto dirvelo. Alexander non ama che si decantino le sue imprese, ma volevo mostrarvi quanto, anche lui, abbia un rapporto davvero raro, con la sua famiglia... e sappia essere machiavellico.”

“Rimarrà un nostro segreto” gli promise Elizabeth, rimuginando tra sé su ciò che aveva appena saputo.

L’affascinante e misterioso secondogenito dei Chadwick, a quanto pareva, possedeva molte più sfaccettature di quanto non avesse immaginato.

Sorridendo tra sé, Elizabeth si disse che, dopotutto, non sarebbe stato male bisticciare ancora un po’ con lui.

Chissà cos’altro avrebbe scoperto?

 



 
1 Silfide: La Sìlfide è una figura femminile della mitologia germanica. Si tratta di un genio del vento e dei boschi, e possiede una figura agile e snella, tanto che la parola si usa anche per indicare ragazze di analoga corporatura. Se ritengono che l'aiuto a loro richiesto sia giusto allora vengono descritte come capaci di rivoltare il mondo pur di aiutare il loro protetto.




Note: Lizzie ha avuto ragione, nel credere Raymond interessato a Charlotte... ma Charlotte cosa dirà, quando scoprirà che l'amica si è impicciata di una cosa del genere? Lo scopriremo, promesso.
Quanto ai nostri due giovani, hanno rispettivamente scoperto un altro segreto l'uno dell'altra, e l'attrazione che li sta avvicinando sempre di più si fa più che evidente, tanto che Max deve tapparsi la bocca, per non incorrere nelle ire della sorella che, a quanto pare, non vuole ammettere nessun tipo di coinvolgimento. Che dite, Max spiffererà tutto ad Andrew, o rimarrà zitto?

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 
10.
 
 
 
 
 
Non aveva idea del perché si ostinasse a continuare ad accettare simili inviti, se poi il risultato era sempre lo stesso.

Quelle chiacchiere sussurrate negli angoli, con il susseguirsi continuo degli sguardi invidiosi dei suoi pari.

O peggio, il civettare continuo – e spesso disdicevole – di molte nobildonne, …unito a un uso davvero improprio di profumi e orpelli di ogni genere e forma.

Come se lui non potesse notare l’ovvio, se nascosto dalla cosmesi o dalle abili mani delle domestiche di turno.

Non sarebbe mai andato a letto con delle donne sposate, neppure se tali offerte gli venivano porte su un piatto d’argento … e sotto il naso degli sciocchi mariti!

Alla fin fine, forse, accettava soltanto perché non si dicesse che il figlio minore di Barrett si riteneva troppo superiore, per i salotti di Londra.

Volesse il cielo che smettessero di cercarlo, una volta per tutte!

Lui e la volta che aveva intavolato quella discussione con lord Wellington! Tutto era nato da lì, dalla sua strenua volontà di dimostrare quanto valesse, pur essendo all’epoca giovanissimo.

Il suo maledetto orgoglio lo aveva cacciato in un guaio più grande di lui, e ora non sapeva come uscirne senza offendere nessuno.

Quando, infine, riconsegnò Apollo allo stalliere, Alexander risalì in fretta le scale per dirigersi nelle sue stanze, ma il padre lo intercettò prima che vi riuscisse, bloccandolo.

Ombroso in viso e con le braccia nerborute strette sull’ampio petto, Maxwell Chadwick scosse il capo e brontolò: “Ti vieterò di uscire di casa, ragazzo, se i risultati sono quelli che ho davanti. Perché diavolo ti intestardisci a voler andare da quegli sciocchi azzimati e senza cervello?!”

Alexander sorrise nonostante tutto, a quel commento – suo padre non ci andava mai leggero, con gli insulti – e, scrollando le spalle, replicò: “Per non causare disagio alla famiglia. Dopotutto, potrebbero dire che non li reputo alla mia altezza, se non andassi da loro.”

“E avrebbero ragione nel pensarlo! Sono degli emeriti idioti, se ti invitano solo per tentare di renderti ridicolo… senza riuscirvi, per altro” borbottò Maxwell con tono stentoreo e un sogghigno agli angoli della bocca.

“Vivo nella speranza che, una buona volta, mi chiamino per un motivo valido… sono un sognatore senza speranza, evidentemente” chiosò con sarcasmo Alexander, cercando di passare per potersi concedere un bagno ristoratore.

Amava i cavalli, e adorava il suo Apollo, ma non agognava ad averne l’odore.

Il padre, però, non lo lasciò andare e disse perentorio: “D’ora in poi, niente più salotti, solo balli, così non ti tedieranno più di quel tanto con i loro tentativi vani di coglierti in castagna. Sono stanco di vederti triste e sconsolato.”

“Ma non sono triste, padre” replicò Alexander, aprendosi in un sorrisone tutto denti.

Maxwell, però, non si lasciò abbindolare neppure per un secondo e, sorridendogli appena, gli batté una mano sulla spalla, mormorando: “Non mi interessa niente di quello che potrebbero dire quei trogloditi. Che parlino. Io voglio che ti apprezzino davvero per ciò che sei, e tu sei un ragazzo intelligente, spiritoso e dall’animo nobile.”

“Padre…” mormorò Alexander, un po’ sorpreso. Era una rarità che il padre esprimesse così apertamente il proprio pensiero.

Battendogli la grande mano anche sulla guancia, Maxwell si esibì in un sorrisino più malizioso e, ammiccando, aggiunse: “Un uccellino mi ha detto che hai passato molto tempo in compagnia di miss Elizabeth Spencer, l’altra sera, al ballo di quella pazza scriteriata di Sarah.”

Sgranando gli occhi, Alexander si riprese in fretta da quel cambio repentino di argomento ed esalò: “Chi ti avrebbe riferito questo pettegolezzo?”

“Tuo cugino Baxter. Quindi, non fare il furbo con me e racconta” lo prese sottobraccio Maxwell, risalendo le scale con lui.

Messo alle strette – sapeva bene che il padre non avrebbe ceduto, senza neppure uno straccio di informazione – Alexander disse: “Ammetto di avere chiacchierato con lei, ma pare sia interessata a Raymond Mallory-Jones, perciò non mi metterei in testa niente di particolare. Li ho visti anche oggi, alla Promenade, assieme al fratellino di lei.”

Scoppiando a ridere, Maxwell esclamò sardonico: “E pensi davvero che una fanciulla si tirerebbe dietro il fratello, se volesse farsi corteggiare seriamente?”

A ben pensarci…

Alexander non aveva badato molto alla cosa, troppo disturbato all’idea di sapere il suo amico Raymond assieme a Elizabeth, per cogliere appieno quel particolare.

Davvero insolito, da parte sua, non notare quella macroscopica evidenza dei fatti.

Inoltre, Raymond aveva accennato a qualcosa, riguardo a quell’uscita ma, ancora una volta, Alexander era stato distratto dal sorriso birichino della ragazza, e dal suo tentativo di punzecchiarlo.

Cosa, tra l’altro, che le aveva lasciato fare con sommo diletto, salvo poi spaventarsi a morte quando Apollo le si era avvicinato.

Vederla così a suo agio con lui, però, lo aveva favorevolmente colpito e sì, gli aveva fatto sorgere nel petto una certa invidia, quando lei aveva baciato il suo stallone.

“In ogni caso, non sono molto interessato a trovarmi una moglie, per il momento, anche se miss Elizabeth sembra essere assai intelligente, e spigliata nei modi” mormorò Alexander, cercando di rabbonire le speranze del padre.

“Tuo cugino mi ha detto che sembravi imbambolato come un bue tramortito da una bastonata, mentre la guardavi” lo prese in giro Maxwell, facendolo accigliare.

“Dovrò dire due parole a Baxter. Se non ha altro da fare che guardare me, lui non troverà mai una moglie da impalmare” sottolineò Alexander, scrollandosi di dosso il braccio del padre. “E ora, se me lo permetti, mi farò un bagno. O vuoi seguirmi anche in camera da letto, per farmi il terzo grado?”

“No, mio caro. Andrò ad ammirare qualcosa di più interessante del tuo culetto perfetto” rise sguaiatamente il padre, andandosene lungo il corridoio.

Per fortuna, suo padre non usava quel gergo scurrile anche in pubblico, altrimenti lo avrebbero buttato fuori dalla Camera dei Lord a piè pari.

Scuotendo il capo con una risatina ai lati della bocca, Alexander richiamò l’attenzione del suo attendente e, mentre lui si spogliava, venne preparata la vasca per lui.

Avere una villa dotata di tutti i confort più moderni, era un’autentica pacchia, non poteva negarlo.
 
***

Stava ancora rimuginando sulla giornata appena trascorsa, quando Elizabeth vide il padre entrare nella biblioteca della villa.

Appariva particolarmente stanco ma, quando la vide accomodata sul divanetto accanto alla finestra, le sorrise e disse: “Buonasera, cara. Com’è andata la passeggiata?”

Non essendo tornato se non a tarda ora, il padre aveva cenato in solitudine, perciò Elizabeth non aveva avuto modo di affrontare con lui ciò che era avvenuto.

Stranamente, Max non aveva fatto cenno alcuno, a cena, riguardo alla presenza di lord Chadwick durante la Promenade, confermando solo le sue ipotesi sui motivi dell’invito di Raymond.

Avrebbe chiesto lumi il giorno seguente, al fratellino ma, per il momento, gli doveva un favore.

Se avesse parlato di Alexander, sicuramente Andrew si sarebbe irritato.

Il gemello provava una sincera antipatia a pelle, per lord Chadwick, e non era il caso di fomentarla per un nonnulla.

Sistemando sulle ginocchia il libro di avventure che stava tentando di leggere – senza grande successo, per altro – Elizabeth disse: “Come pensavo, Raymond desiderava un aiuto da parte mia per conoscere meglio Charlotte. Il poverino pensa di non essere abbastanza interessante, per poter colpire al cuore la mia cara amica. Inoltre, è assai timido.”

“E tu pensi di aiutarlo? Credi che sia veramente incuriosito dalla tua amica?” volle sapere il padre, sedendosi su una poltrona.

Accigliandosi leggermente, Elizabeth replicò: “Mi ha detto di averla vista per la prima volta a Bath, l’anno passato, e di averla trovata subito bellissima. Purtroppo, non avendo amicizie in comune, non ha potuto avvicinarla così, quando ha saputo da lord Chadwick della sua amicizia con me, ha pensato di farsi presentare. Trovi che sia una cosa strana?”

“Non direi… sembrerebbe davvero incuriosito da Charlotte, se si è speso tanto per conoscerla. Ma lei cosa ne pensa, di lui? Credi che apprezzerà il tuo intervento?”

 “Pensi non dovrei ficcanasare? In effetti, non sono affari miei, ma anche Charlotte mi sembrava incuriosita da lui solo che, con sua cugina alle calcagna, non se l’è sentita di indagare troppo. Candice sa essere peggio di un mastino, quando vuole.”

“E Julianne?” sorrise il padre, accavallando le lunghe gambe.

Sorridendo divertita, la figlia ammise: “E’ gentilissima, pur se molto attenta. In un paio di occasioni, ha distratto per un momento Candice per permettere a Charlotte di sorridere apertamente a Raymond. Fosse stato per lei, probabilmente Raymond avrebbe dovuto porgerle subito un anello di fidanzamento, per poterle parlare liberamente.”

Soffocando una risatina, Christofer replicò: “Essere uno chaperon, a volte, non è semplice. Esattamente come essere una debuttante.”

“Comunque, Raymond trova che la nostra sia una famiglia molto unita, e si è detto molto invidioso di me e di Max” sottolineò Elizabeth, prima di storcere il naso e domandare: “Cosa puoi dirmi di suo padre? E’ così duro come immagino lui sia?”

Sospirando appena, Christofer asserì: “Non posso dire di conoscere lord Mallory-Jones così bene, ma posso dirti questo. Se c’è un uomo cocciuto, è sicuramente lui. E’ anche a causa sua se, stasera, ho fatto tardi. Alla Camera dei Lord, non si arrivava a capo di nulla, proprio a causa dei suoi puntigli assurdi. ”

“E’ un Tory convinto?” ipotizzò Elizabeth, sapendo bene che il padre, invece, faceva parte dello schieramento dei Whigs.

“Già e, poiché la camera ha una maggioranza Tory, riuscire a far passare l’emendamento per dare la possibilità ai lavoratori di unirsi in sciopero, se lo necessitano, sarà difficile. Ma non cederemo” asserì Christofer, prima di sorridere spiacente. “Scusami, tesoro. Ti sto tediando con argomenti tutt’altro che piacevoli, soprattutto vista l’ora.”

“Oh, no, padre. Apprezzo che tu voglia condividere con me i tuoi pensieri e…” mormorò Elizabeth, mordendosi dubbiosa il labbro inferiore. “… a questo proposito; posso farti una domanda?”

“Ma certo. Se posso esserti d’aiuto…” assentì Christofer, facendosi subito attento.

“Oggi, mentre eravamo a Hyde Park, abbiamo incontrato lord Alexander Chadwick, di ritorno da un incontro presso uno dei tanti salotti buoni di Londra. Mi è stato riferito che lo invitano spesso per trovare delle… falle nel suo sapere? Posso dire così?”

Sorridendo spiacente, Christofer assentì suo malgrado.

“Quando diventi famoso per la tua arguzia, e in così giovane età, ti tiri addosso non solo l’ammirazione dei tuoi pari, ma anche molte invidie. Azzittire l’uomo più famoso d’Inghilterra non è cosa da tutti.”

“Oh… quindi Raymond mi ha detto il vero. Alex… lord Chadwick è preso di mira dai suoi pari per motivazioni assai meschine” esalò lei, affrettandosi a correggersi.

Il padre le sorrise indulgente, replicando: “Non è un problema se lo chiami per nome, quando siamo tra noi. Inoltre, tu dici lord Chadwick, e io penso a Maxwell. Chiamalo pure Alexander, se preferisci.”

“Sei sicuro, padre? Andrew non lo ha molto in simpatia, e non vorrei scatenare inavvertitamente un litigio” sottolineò la figlia, esibendosi in un sorrisino malizioso.

“Oh… non gli piace, eh? E ti ha anche detto perché?”

“Dice che ho fatto la smorfiosa con lui, dalla modista” borbottò Elizabeth, sbuffando. “E Max sospetta che Andrew possa essere geloso perché ipotizza che lui… mi piaccia.

Appuntandosi mentalmente di chiedere lumi ad Anthony circa la fama di Alexander, Christofer si mantenne neutro e asserì: “Non mi sembra tu abbia fatto nulla del genere, quel giorno ma, onestamente, non ho prestato molta attenzione. Quanto al resto, penso che solo tu possa risponderti.”

“Ecco, per l’appunto. Alexander è stato solo molto gentile, offrendomi anche una spilla per sistemare l’abito, che si era strappato quando ho giocato coi bambini, all’orfanotrofio” sottolineò piccata Elizabeth, assentendo con convinzione.

“Una… spilla?” ripeté sorpreso il padre.

“Sì, una classica spilla da balia” scrollò una mano la ragazza, come se fosse una cosa da niente. “A ben pensare, me ne ha regalate due. La seconda, me l’ha data al ballo di Sarah Villiers. Temeva che, passeggiando nel parco, potessi rovinarmi l’abito.”

“Pare giri spesso con delle spille in tasca” ironizzò Christofer, già sull’attenti. Che aveva in mente, quel ragazzo?

Sorridendo divertita, la figlia assentì – ignara del cipiglio del padre – e disse: “Sì, probabilmente è sempre pronto a salvare donzelle in pericolo. Come ha fatto per la cognata, d’altronde. Penso sia stato molto coraggioso. Conosci questa storia, per caso?”

“No, tesoro. Raccontamela” la pregò lui, sistemandosi meglio per ascoltare la figlia, e osservarne le reazioni.

Forse, Andrew non aveva soltanto avuto un attacco di gelosia.

Almack’s non era ancora aperto le danze, e lui doveva già mettere le mani avanti per proteggere la virtù della figlia? Evidentemente, sì.
 
***

Disteso nel letto assieme alla moglie, Christofer si volse a mezzo quando Kathleen spense la candela dopo aver riposto il libro che stava leggendo e, attirandosela al petto, mormorò: “Sai che nostra figlia sembra avere un interesse particolare per il giovane Chadwick?”

“Alexander?” chiese Kathleen, vedendolo annuire. “Oh, sì. In effetti, ne parla spesso, in questi giorni. La diverte.”

“La. Diverte” sottolineò il marito, tendendo un poco la mascella.

Sorridendo divertita del tono di Christofer, Kathleen aggiunse: “Non si è sperticata in sospiri da innamorata, se è quello che temi. Anzi, pensa che lui sia troppo orgoglioso e tronfio, per poterla trovare interessante.”

“A quando risale questa notizia?”

“A qualche giorno fa, perché?”

“Beh, pare che l’aria sia cambiata. Mallory-Jones le ha mostrato, suo malgrado, un quadro del giovane assai differente da quello immaginato dalla nostra scoppiettante figliola, e ora sembra più propensa a crederlo un dannato eroe” brontolò Christofer, facendo scoppiare a ridere la moglie. “Beh, che ti prende?”

“Mi prende che sei davvero tenero, quando fai il geloso, proprio come Andrew è tenero nelle parti dell’ombroso fratello preoccupato per la dolce sorellina. Ma sta attento a quel che fai perché, se Lizzie scoprirà quel che hai mandato a fare ad Anthony, ti spellerà vivo, e io osserverò la scena con gran diletto.”

“Non ti preoccupa il fatto che, già quest’autunno, potremmo perderla? Non ha ancora compiuto diciassette anni!” sospirò il marito, passandosi una mano sul viso stanco.

Facendosi seria, Kathleen assentì e disse: “Lo so, tesoro, ma io non ero più giovane di lei, quando fui data in sposa a te.”

“E guarda cos’è successo” si lagnò Christofer, tremando al solo pensiero.

“Tu non sei tuo padre, o il mio, e non la darai mai in mano a una persona senza essere certo che lui le voglia bene. Inoltre, nel mio caso, abbiamo solo avuto una falsa partenza” gli rammentò la moglie, alleggerendo un po’ l’atmosfera.

“Falsa partenza, tesoro? Mi comportai in maniera orribile, nei primi mesi del nostro matrimonio, e mio padre non aiutò di certo a migliorare le cose.”

“Vero. Ma ti sei egregiamente riscattato, e io sono felicemente sposata con te, innamorata di te e gelosissima di te” gli sorrise Kathleen, sollevandosi appena per baciarlo sulle labbra.

“Gelosissima?” ripeté lui, ammiccando divertito.

“Eccome, mio caro. E la prima gran dama che tenterà di farti gli occhi dolci, li perderà a causa mia” sottolineò la moglie, portandosi sopra di lui con fare minaccioso.

Christofer la afferrò ai fianchi, sorridendo divertito, e asserì: “Stai cercando di deviare il discorso lontano da nostra figlia, tesoro?”

“Ci sto riuscendo?” ammiccò lei, baciandolo sul naso.

“Un po’. Ma continuo a pensare che morirò di crepacuore, quando se ne andrà.”

“Non succederà mai, perché lei sarà comunque ancora tua figlia… e ora, vediamo di impegnarci un po’ di più, per farti perdere di vista questo cruccio” asserì lei, chinandosi per baciarlo sul torace nudo.

Dopotutto, non le ci volle molto per farlo andare fuori controllo.
 
***

Sorseggiando del buon tè al mandarino in compagnia della sua cara amica Charlotte, Elizabeth si irrigidì tutta quando la suddetta amica le lanciò un’occhiata raggelante.

Poggiata la tazzina sul piattino di porcellana cinese, la ragazza dalla fulva chioma sbottò di colpo e disse: “Tu hai parlato. Ammettilo!”

“Di cosa? E con chi?” esalò Elizabeth, sinceramente e candidamente confusa.

Erano passate quasi due settimane, dal ballo di lady Villiers e, da quel momento, Elizabeth aveva parlato diverse volte con Raymond, e altrettante con l’amica.

Che il suo nuovo amico avesse commesso un passo falso, e poco prima del ballo inaugurale da Almack’s?

“Lo sai benissimo, con chi. Lo vedo dalla tua aria palesemente colpevole” le ritorse contro Charlotte, prima di ridere divertita. “Dovresti vedere la tua faccia, Lizzie. E’ impagabile!”

Ora vagamente piccata, Elizabeth borbottò: “Non riesco a capire. Sei arrabbiata, o felice?”

“Tutte e due le cose, in effetti” ammise Charlotte, smettendo di ridere. “Ma spiegami una cosa; chi dei due ha avuto l’idea di interpellare l’altro?”

Sospirando nel vedersi scoperta, Elizabeth ammise: “Raymond… e non ti arrabbiare, è stato lui a permettermi di chiamarlo per nome. O il contrario, ma fa lo stesso…comunque, mi ha cercata perché è molto interessato a te e, vista la sua timidezza, voleva essere sicuro di fare le cose nel modo giusto. E’ così dolce!”

“Lo so” ammise Charlotte, arrossendo. “Stamattina è arrivata una singola rosa rossa, stretta da un bellissimo nastro di seta azzurra, corredato da un biglietto in cui diceva che quel nastro sarebbe andato benissimo per uno dei miei cappellini. Sottolineando che lo aveva acquistato sua madre per me. Inoltre, mi domandava se poteva già iscriversi nel mio carnet, per il ballo antecedente la cena da Almack’s.”

“E tu hai accettato, vero?” si interessò subito Elizabeth, eccitata da quelle grandi notizie.

“Ovviamente” sussurrò Charlotte, sorridendo poi timida. “Ma cosa ti è saltato in mente di dirgli che mi piacciono i nastri azzurri?”

“Per la verità, io non gliel’ho detto,… mi ero solo raccomandata sul fatto che a te piacciono le cose semplici. Ergo, non un mazzo di rose, ma una sola” sottolineò Elizabeth, sorridendole.

“Sei sicura? Niente accenni a nessun colore?”

“Niente di niente. Lo giuro. E’ venuto tutto da lui, evidentemente” assentì con vigore la giovane Spencer, sorridendo con autentico affetto a una Charlotte in brodo di giuggiole.

“Oh, cielo, quindi…”

“Quindi, per quanto lui tema di essere goffo e inadatto, sa già come prenderti o, per lo meno, sembrerebbe” sottolineò Elizabeth, battendole una mano sul braccio. “Ma devo avvertirti che suo padre è il suo esatto opposto. Sulla madre, non so dirti nulla, visto che non ho chiesto di lei.”

“Me l’ha detto anche il mio, visto che ho sondato un po’ le acque” sospirò Charlotte, annuendo. “D’altra parte, sarebbe sciocco rifiutare la sua corte, solo a causa del caratteraccio del padre, ti pare?”

“Oltremodo sciocco, di sicuro” annuì Elizabeth, felice per l’amica.

Se nulla fosse sorto a dividere i due, sicuramente entrambi avrebbero trovato nell’altro un degno compagno per la vita.

A meno che tutti loro non si stessero ingannando grandemente, ma Elizabeth ne dubitava.

“E tu che mi dici? Lord Chadwick è tornato all’attacco?” si interessò Charlotte.

“Ma perché pensate tutti che lui sia interessato a me?” esalò Elizabeth, sinceramente stupita.

“Ma come? Mi prendi per sciocca, forse? Da quando in qua, lord Alexander Chadwick, passa tutta la serata a chiacchierare con un’unica dama, e le chiede anche un ballo?” sottolineò Charlotte, fissandola con intenzione.

D’accordo, presso la villa di lady Villiers, lei e Alexander avevano ballato insieme una volta, ma aveva danzato con diversi altri cavalieri e, non a caso, il suo carnet per Almack’s era già quasi pieno.

D’altra parte, perché sottolinearlo con tanta veemenza?

“Credimi, non penso che lui sia così incuriosito da me come tu pensi. Parlo troppo, lo punzecchio in continuazione e non sono compita e a modo come vorrebbe un gentiluomo come lui” sottolineò Elizabeth, scrollando una mano con negligenza.

“Lo punzecchi… in continuazione?” ripeté sorpresa Charlotte, fissandola a occhi sgranati. “E quante altre volte lo avresti visto, per concederti una simile affermazione?”

“Oh, beh, l’ho casualmente incrociato qualche volta, durante le promenade con Raymond a Hyde Park” si limitò a dire Lizzie, scrollando le spalle.

Casualmente” borbottò Charlotte. “E dire che sei una ragazza intelligente, mia cara.”

“Non capisco cosa intendi ma, come tenevo a sottolineare in precedenza, non penso proprio di essere il genere di donna che possa interessargli come futura moglie” brontolò per contro Elizabeth, bevendo nervosamente il suo tè.

“Ora ti denigri a torto, Lizzie. Sei adorabile, e credo che il nostro amabile lord Chadwick ne abbia le tasche piene, di donzelle che sbattono le ciglia dinanzi a lui e al suo bel faccino intelligente” le ritorse contro con gentilezza Charlotte, sorridendole.

“Tu dici?” buttò lì lei, non credendoci più di quel tanto.

“Aspetta domani sera, da Almack’s, e vedrai in quante tenteranno di ballare con lui, e con quante in effetti egli danzerà” la mise in guardia Charlotte, sorridendo furba.

“Hai chiesto informazioni su di lui, per saperlo?” domandò sospettosa Elizabeth.

“Non sei l’unica che trama alle spalle della sua migliore amica” rise Charlotte, dandole un buffetto su una mano per chetarla.

Touché” mormorò a quel punto Elizabeth, finendo con il ridere assieme all’amica.

Nell’udire il tintinnio del campanello della porta, però, Lizzie si azzittì, facendo cenno all’amica di fare lo stesso e, curiosa, andò alla porta del salottino per sbirciare.

Quando vide Anthony Phillips entrare e lasciare tuba e guanti al maggiordomo, per poi dirigersi a grandi passi verso il piano superiore, subodorò guai.

In un sussurro, mormorò a Charlotte: “Seguimi. Deve essere successo qualcosa, vista la fretta di Anthony, e ho tutta l’intenzione di scoprirlo.”

“Attendere che te lo dicano di persona, no, vero?” le replicò Charlotte, pur seguendola.

Elizabeth scosse il capo, si tolse gli scarpini per non fare rumore e, intimato all’amica di fare lo stesso, sgattaiolò al piano superiore, già immaginando dove fosse andato Anthony.

Fatto segno alle cameriere di non dire nulla, quando le videro passare accucciate e con le scarpe in mano, Lizzie si fermò infine accanto alla porta dello studio del padre e lì, origliò.

Ormai era diventata brava, in quella pratica truffaldina, e sapeva come sfruttare al meglio ogni porta.

Inoltre, si impensieriva sempre, quando Anthony piombava in casa e correva per raggiungere suo padre, esattamente come aveva appena fatto.

Era sempre successo qualcosa, quando lo aveva visto così trafelato, e non voleva essere colta alla sprovvista per l’ennesima volta.

Onde per cui, avrebbe ascoltato, e Charlotte sarebbe stata la sua testimone.

Quel che, però, non si aspettò di sentire, fu l’elenco preciso di tutti gli uomini con cui lei avrebbe danzato da Almack’s, oltre a potenziali altri nobili titolati presenti in loco.

Uno a uno, Anthony snocciolò età, titolo e benefit vari, senza tralasciare nulla al caso.

Gli occhi grigi di Elizabeth si sgranarono sempre di più, mentre un caldo rossore di rabbia si irradiava sulle sue gote.

Charlotte la fissò turbata, ben sapendo a cosa sarebbero andati incontro i due uomini, una volta che l’amica fosse esplosa.

Fu lì lì per trascinarla via ma, quando udirono anche il nome di Alexander Chadwick, Elizabeth perse la sua battaglia con l’autocontrollo e afferrò la maniglia della porta.

Senza chiedere il permesso, balzò nella stanza con Charlotte alle calcagna – già in fase scongiuri – e, piazzandosi dinanzi ai due uomini basiti, sbraitò: “Padre, dimmi che non hai fatto ciò che io penso tu abbia fatto!”

“Lizzie cara… ma che vai dicendo?” esalò Christofer, impallidendo leggermente al pari di Anthony.

Charlotte fissò spiacente entrambi gli uomini, annuendo alle mute domande nei loro occhi preoccupati e palesemente colpevoli e, nello sfiorare un braccio all’amica, mormorò: “Lizzie, forse è il caso se li lasci parlare.”

“E cos’altro potrebbero dire, che già non hanno detto?!” sbottò la giovane, fissando livida Anthony. “Dimmi, hai preso loro anche le misure del girovita? Non vorrei mai che mi capitasse di danzare con un uomo troppo in carne, o troppo mingherlino per sostenermi.”

“Ehm, Elizabeth, io…” tentennò l’uomo, non sapendo come difendersi.

Lizzie lo raggelò con lo sguardo, ammutolendolo dopodiché, lanciato un altro sguardo ferale al padre, la giovane sibilò: “Non tentare mai più di ficcare il naso nella mia vita a questo modo, padre, o giuro su quanto ho di più caro che  farò onore al nomignolo che mi diede zia Bridget: stormy.”

Ciò detto, tornò sui propri passi a passo di carica, uscendo dalla stanza con Charlotte appresso e, con un gran sbattere di porta, si allontanò.

Anthony prese un gran respiro solo in quel momento e, nell’osservare l’amico, esalò: “Beh, se non altro, non ci ha tirato addosso nulla di acuminato come aveva paventato Randolf.”

“Aspetta a cantar vittoria. Almack’s è domani sera. Ha tutto il tempo di vendicarsi di noi in mille modi possibili” sospirò Christofer, passandosi una mano sul viso. “La sua mente diabolica potrebbe inventarsi qualsiasi cosa, in poco più di ventiquattr’ore.”

“Le passerà. E tu hai tutto il diritto di ficcare il naso. E’ tua figlia, dopotutto” lo rassicurò l’amico.

“Sarà anche vero, ma rischio di fare gli stessi danni che fece mio padre, pur se per motivi diversi. Non voglio che mi odi. Tutt’altro” asserì Christofer, e Anthony gli batté una mano sulla spalla.

“Quella ragazza non potrà mai odiarti, credimi. Neppure tra cent’anni.”

Prima ancora di poter rispondere, un quieto bussare li interruppe e, quando il viso sorridente di Kathleen spuntò oltre il battente, i due si sentirono chiedere: “Siete già stati redarguiti? Ho visto Elizabeth passare come se fosse pronta per andare in guerra.”

“Era molto arrabbiata?” si preoccupò subito Christofer.

Maliziosa, la moglie asserì: “Io ve l’avevo detto.”

Accigliandosi un po’, il marito replicò: “Non fare la saputella, Katie. Sto solo pensando al suo bene.”

“Ma lo fai nel modo sbagliato. Lascia fare a noi donne, caro” sorrise misteriosa Kathleen, uscendo dalla stanza così come si era affacciata.

Basito, Christofer esalò: “Che intendeva dire?”

“Sai che ti dico? Meglio non saperlo. Se Kathleen è così tranquilla, io direi di lasciarla fare. Inoltre, la nostra brava figura da idioti l’abbiamo già fatta. Limitiamoci a una sola esibizione, e non offriamo il bis, almeno per oggi.”

“Già, sarà meglio.”







Note: E dire che i signori uomini erano stati avvertiti! Che dite? Lizzie troverà qualche oggetto acuminato da tirare loro addosso, mentre attendiamo la settimana prossima per il capitolo seguente? ;-)
A ogni buon conto, sembra che non solo Lizzie stesse ficcando il naso negli affari di Charlotte, ma anche Charlotte stesse facendo domande in giro, sia su Raymond, che su Alexander.

Lizzie ritiene che gli incontri fortuiti avvenuti con quest'ultimo siano del tutto casuali ma, forse, Charlotte ha ragione nel credere il contrario. Per chi parteggiate?
Staremo a vedere come andrà a finire... di sicuro, sappiamo che Maxwell è stanco di vedere suo figlio così abbacchiato e, a giudicare dalle sue reazioni, potrebbe anche decidere di legare al letto il figlio, se scoprirà che qualcun'altro lo ha chiamato per intervenire all'ennesimo party di idioti ^_^
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 
11.
 
 
 
 
Non era certa se stesse ribollendo di rabbia, o di rammarico.

Era peggio sapere che suo padre la stava spiando, o che non si fidava abbastanza del suo giudizio?

Una cosa, però, era ovvia. Lampante.

Suo padre e Anthony si erano mossi assai rapidamente, se erano venuti a conoscenza di così tanti fatti sugli uomini che avrebbero danzato con lei da Almack’s.

E dire che la sua lista non era neppure completa, visto che avrebbe terminato di riempire il suo carnet direttamente in loco, come era a uso in quell’ambiente!

Neanche avessero a che fare con una ragazzetta senza cervello, del tutto priva dell’intelletto necessario per riconoscere un cacciatore di dote!

Forse, e sottolineò forse, dentro di sé, avrebbe potuto capirlo per Violet.

Lei era così buona e gentile che avrebbe acconsentito a parlare con chiunque, persino con un galeotto, probabilmente, e solo per non urtare l’amor proprio di quest’ultimo.

Ma lei?! Lizzie non era mai stata la quintessenza della pazienza, o del candore, e dubitava sarebbe mai cambiata in meglio.

Era ben difficile che riuscisse a nascondere la propria noia, così come il suo disappunto.

Dubitava seriamente che avrebbe potuto interessare a un uomo meno che intelligente, visto che lei lo avrebbe ridotto i restanti a brandelli con il semplice sguardo.

Con un ringhio che sembrò più un singhiozzo, Elizabeth lanciò l’ennesimo cuscino contro l’incolpevole parete e Charlotte, muta testimone della sua rabbia, sospirò.

Avrebbe dovuto sapere quali sarebbero state le conseguenze, se Lizzie avesse sentito qualcosa di spiacevole, ma mai si sarebbe aspettata una simile scoperta!

E così, lord Spencer e lord Phillips si erano dati da fare per scoprire chi fossero i gentiluomini con cui Elizabeth si sarebbe accompagnata la sera seguente.

Se, da una parte, la cosa le faceva sorgere una certa tenerezza nel petto dall’altra, però, comprendeva la giusta rabbia dell’amica, sottovalutata come donna e come figlia.

L’arrivo tempestivo di Kathleen salvò Charlotte dalla terribile decisione di dover dare voce a una qualsiasi frase di circostanza e, con un sorriso di scuse, si dileguò, salutando furtivamente l’amica.

Elizabeth non fece una colpa a Charlotte, se questa decise di defilarsi nel bel mezzo della sua sfuriata.

In quel momento, qualsiasi parola sarebbe stata superflua, inutile, e lei non voleva litigare con Charlotte per una cosa di cui non aveva alcuna colpa.

Quanto a sua madre… sapeva? Era al corrente di ciò che aveva fatto il marito? Suo padre?

Kathleen fissò tranquilla la figlia, lanciò solo una breve occhiata alla sfilata di cuscini riversi a terra e, le mani strette dietro la schiena, disse pacifica: “Bene, vedo che hai già iniziato a sfogarti. E’ una buona cosa. Non è il caso che tu tenga dentro la rabbia che ti leggo negli occhi.”

“Sai, almeno, a cosa è dovuta?” replicò la figlia, gettandosi con malagrazia sul primo divanetto utile, intrecciando le caviglie e puntando i piedini verso l’alto, scivolando in avanti sul cuscino.

Quella postura volutamente inelegante doveva servire a stuzzicare la madre, ma Kathleen non vi fece caso.

Si accomodò compita su una poltrona, sorrise comprensiva a Elizabeth e, intrecciate le mani in grembo, mormorò: “So che tuo padre e Anthony hanno ficcato il naso dove non dovevano, e tu hai malauguratamente origliato, vero?”

Lizzie cercò di non fare caso al tono volutamente malizioso della madre, che aveva sì messo in evidenza le colpe dei due uomini, ma anche quella della figlia.

Raddrizzandosi per imitare la postura della madre, sentendosi sciocca nella parte della bamboccia, la giovane borbottò: “Non avrei dovuto ficcare il naso, te lo concedo. Ma neppure loro avrebbero dovuto mettere il becco nella mia vita privata a quel modo! Significa che non si fidano di me!”

Kathleen, allora, sorrise maggiormente e, scrollando le spalle, replicò: “Non si fidano degli uomini in generale, tesoro. Sanno quanto possono essere subdoli, e vogliono solo proteggerti.”

“Ma mamma…”

La donna bloccò sul nascere le recriminazioni della figlia, aggiungendo: “Non ho detto che io avrei fatto la stessa cosa, ma capisco il perché delle loro goffe macchinazioni. Ti vogliono così bene che sarebbero disposti a tutto, per difenderti.”

Storcendo la bella bocca, Elizabeth mormorò più calma: “Dovrebbero darmi maggiore credito, però. Non ho sbagliato nel leggere le intenzioni di Raymond, dopotutto.”

“Tesoro, Raymond è un’anima buona e gentile, che non farebbe del male a una mosca. Se anche fosse stato interessato a te, tuo padre non avrebbe avuto nulla da ridire, perché sa che è un gentiluomo di sani principi, nonostante abbia un padre burbero e freddo” le fece notare la madre, comprensiva. “Ci sono però uomini che non sono affatto come lui, e che potrebbero abbindolare anche il più scaltro giocatore d’azzardo, figurarsi una donna.”

“Io sono brava a scacchi. Batto sempre Andrew e papà” sottolineò Lizzie, pur comprendendo le parole della madre.

Kathleen rise divertita, assentendo.

“Magari fosse solo una partita a scacchi, cara! Ma c’è molto più di questo, in gioco. C’è la tua felicità, e tuo padre non permetterà a nessuno di metterla a rischio, perché ti ama troppo. Perciò, si è comportato a questo modo, e vi ha tirato dentro Anthony per gli ovvi motivi che tu ben sai.”

“Spia una volta, spia tutta la vita” chiosò Elizabeth, accennando un sorrisino.

Un quieto bussare interruppe il loro discorso e, quando il viso angelico di Violet si affacciò timido, Elizabeth sorrise.

“Ciao, Lettie. Entra pure” la invitò, incitandola con un cenno della mano.

La giovane accettò di buon grado, tirandosi dietro a sorpresa Andrew, che teneva saldamente per mano.

“Eravamo entrambi preoccupati. Quando sono giunta qui con mia madre, abbiamo visto Andrew impalato di fronte alla porta, così abbiamo capito che il peggio era già successo. Mamma, ora, sta sgridando papà” sorrise Violet, lasciando la mano di Andrew per sedersi accanto a Elizabeth. “Lo perdonerai, vero, Lizzie?”

Sorridendo all’amica di famiglia, lei assentì, carezzandole una guancia col dorso della mano.

“Ma certo. Ho capito perché l’ha fatto. Sulle prime, mi sono arrabbiata perché pensavo non avessero fiducia in me, ma poi… beh, mamma mi ha fatto comprendere che hanno agito solo per amore.”

Violet le sorrise e, nel lanciare uno sguardo caloroso ad Andrew, disse: “Anche tuo fratello era molto in pensiero per te.”

Sentendosi interpellare, Andrew si fece paonazzo e, reclinando il capo verso terra, borbottò: “Forse, se andassimo a fare un giro a cavallo a Regent’s Park, potremmo calmarci tutti, no? Non è così assiepato di persone e carrozze come Hyde Park e tu, Lizzie, potresti cavalcare veramente, anche se con la sella da amazzone.”

Sapendo bene che, quella proposta borbottata a mezza bocca, altro non era se non un ramo d’ulivo per le tensioni sorte tra loro, Elizabeth sorrise e annuì.

Lanciata poi un’occhiata a una eccitata Violet, disse: “Porteremo con noi anche Lettie, così ci divertiremo. Possiamo prestarle la giumenta che abbiamo comprato per Bridget. E’ buona, e non avrà problemi a farsi montare.”

Andrew guardò subito Violet in cerca di un responso e lei, assentendo, dichiarò: “Non avrò problemi. Papà dice che sono brava a cavalcare, anche se non quanto te, Lizzie. Se potessi prestarmi una delle tue gonne, eviterei di rovinare questa, che non è propriamente adatta.”

Elizabeth assentì, celiando: “Oddio, questo abito non va affatto bene per una cavalcata. Vieni con me. Credo di avere qualcosa che potrebbe andarti bene, altrimenti lo adatteremo con qualche spilla. E’ inutile che tu torni a King’s Street per un cambio d’abito. Inoltre, sei già alta quanto me, perciò non avremo problema alcuno per sistemarti la gonna.”

Ciò detto, si levò dal divanetto e, guardato il gemello, domandò: “Pensi tu a preparare i cavalli, Andrew?”

“Ma certo. Vi aspetto nella stalla” le promise lui, esibendosi in una frivola riverenza prima di allontanarsi di corsa.

Kathleen assentì soddisfatta e, levandosi in piedi a sua volta, si accodò alle due giovani per aiutarle con gli abiti.

Per il momento, la guerra era evitata.
 
***

Procedendo al passo lungo una delle tante stradine inghiaiate di Regent’s Park, Elizabeth stava godendosi quella passeggiata fuori programma sotto un bel sole estivo.

Aveva mandato un biglietto all’amica, scusandosi per la scenata e promettendole di raccontarle un resoconto della giornata la sera seguente, da Almack’s.

Si sarebbe sdebitata con lei per quello che era stata costretta ad assistere, pur se sapeva che Charlotte, ormai, la conosceva bene, e sapeva dei suoi scoppi d’ira.

Dietro di lei, appaiati, Violet stava spiegando ad Andrew ciò che aveva appena finito di leggere su Lord Nelson, forse il suo eroe preferito, e lui ascoltava tutto attento.

Sorridendo tra sé, Elizabeth si disse che Andrew, per Violet, avrebbe anche invertito la corrente di un fiume, se questo fosse stato un suo desiderio.

Era così premuroso, con lei! Gli veniva naturale.

Queste sue premure erano connaturate in lui, ed era perfettamente inutile che lei si arrabbiasse perché, in quei giorni, Andrew le era apparso scontroso e diffidente.

Se il padre aveva avuto i suoi buoni motivi per ficcare il naso, anche suo fratello ne aveva di ottimi, per tenerle il broncio.

Dopotutto, era la prima volta che si trovava in quel mondo e, per quanto Elizabeth si ritenesse all’altezza del compito, non era detto che lo fosse realmente.

Ammetterlo sarebbe stata una sconfitta, ma dentro di sé sapeva di non conoscere il mondo – e gli uomini – come voleva far credere.

Avvertendo Pilgrim scalpitare sotto di sé – non amava la sella da amazzone – Lizzie sorrise appena e, nel bloccarne l’andatura per accodarsi al fratello, disse: “Faccio fare una galoppata a Pilgrim. Sta mordendo il freno. Voi potete pure fermarvi all’ombra di qualche albero. Il sole sta diventando molto caldo, e Violet potrebbe scottarsi. Io tornerò a breve.”

Indeciso se lasciarla andare o meno, Andrew alla fine cedette e, nell’indicarle una quercia dall’ampia fronda, asserì: “Ci troverai là, va bene?”

“Grazie” sussurrò lei, allungando una mano per dargli un pizzicotto a un braccio prima di lanciare Pilgrim al galoppo.

Sorridendo compiaciuta, Violet asserì: “Hai fatto bene a lasciarla andare. Aveva bisogno di stare un po’ da sola e, con noi tra i piedi, non avrebbe potuto schiarirsi le idee.”

“Le sono stato troppo addosso, in questi giorni” ammise Andrew, avviandosi al passo verso la quercia.

“Le vuoi bene, e desideri solo il meglio, per lei. Sono sicuro che ha capito perfettamente le tue intenzioni” replicò Violet, sorridendo con candore.

Andrew assentì silenzioso e, quando raggiunsero l’albero, aiutò l’amica a scendere.

Era assurdo pensare che, l’anno seguente, il semplice accompagnarla a una gita del tutto innocua come quella, avrebbe potuto apparire sconveniente.

Diamine, conosceva Violet da quando era nata!

Eppure, il Ton non avrebbe tenuto conto di questo, additando Violet come una ragazzaccia.

Scuotendo il capo, cercò di scacciare quei pensieri e, attento, sistemò le redini dei due cavalli, assicurandole a un paio di cespugli nelle vicinanze.

Le regole, a volte, gli davano davvero sui nervi.
 
***

Aveva evitato caldamente Hyde Park, per quell’uscita fuori programma, e aveva fatto davvero bene, a ben vedere.

Lì, il parco era praticamente deserto e, a parte qualche paperella nel laghetto e alcuni passeri tra i rami, poteva dirsi solo. In pace.

O almeno così Alexander pensò fino a quando non vide comparire, oltre il margine di una curva, un baio dalla criniera bianca e il manto marrone, lanciato a tutta velocità lungo la pista inghiaiata.

E montato da una cavallerizza di prim’ordine.

Impiegò alcuni attimi per comprendere di chi si trattava e, quando Alexander registrò quel particolare, un lento sorriso si formò sul suo viso sorpreso.

Pur se su una sella da amazzone, la ragazza procedeva a gran velocità e tenendo le redini dell’animale con competenza e sicurezza innate.

Non doveva stupirsene, comunque, visto come si era comportata con Apollo. Era evidente che i cavalli dovevano essere una delle passioni di miss Elizabeth Spencer.

Quando raggiunge il limitare del parco rallentò, lei volse il cavallo per rientrare con un abile colpo di redini e, a quel punto, lo inquadrò nel suo campo visivo.

Dubitava che Elizabeth fosse uscita da sola, pur se il suo eventuale accompagnatore non era in vista.

Non credeva possibile che lord Spencer lasciasse uscire sua figlia senza un attendente… o che il gemello glielo permettesse.

Quindi, pur se in modo molto stiracchiato, una sua eventuale parola cordiale, non sarebbe parsa sconveniente.

Lui si sarebbe limitato a stare a qualche metro di distanza da lei, a cavallo, e l’avrebbe educatamente ricondotta dal suo chaperon.

Sperando che non fosse l’ombroso gemello.

Togliendosi la tuba per salutarla con garbo, Alexander esordì dicendo: “Ci rivediamo nei posti più disparati, miss Elizabeth. E’ un vero piacere constatare la vostra bravura. Non sono stato così costretto a inorridire di paura, quando avete bloccato l’andatura del vostro baio con mirabile maestria.”

“Le nostre strade continuano a intersecarsi davvero, da quel che vedo. Anche voi alla ricerca di un luogo più tranquillo, rispetto a Hyde Park?” replicò lei, mettendosi al suo fianco, a circa un paio di metri da lui.

Una distanza più che rispettosa, ipotizzò lei.

Annuendo, Alexander ammise: “Desideravo evitare sgradevoli incontri. E voi? Chi vi accompagna? Avete per caso seminato il vostro attendente con quel passo da Valchiria?”

Sorridendo divertita – evidentemente, Alexander doveva amare i poemi norreni e germanici, visto che già l’aveva soprannominata Silfide – Elizabeth asserì: “Mio fratello Andrew e un’amica di famiglia, Violet Phillips. Forse la conoscete.”
“Non ho avuto il piacere” scosse il capo Alexander, lagnandosi tra sé per la presenza del suo gemello. “Mi sorprende non vi abbia seguita.”

“Si sta occupando di Violet. E’ piccola, poco più che quattordicenne, e io sentivo la necessità di una galoppata vera” ammise Elizabeth.

“Se posso permettermi… come mai?” le domandò lui, sorridendo comprensivo.

Poteva esporre davvero il proprio pensiero ad Alexander, o avrebbe trovato l’argomento ridicolo? E poi, perché preoccuparsi del suo giudizio, dopotutto?

Scrollando impercettibilmente le spalle, perciò, asserì: “Sono venuta a conoscenza di un sotterfugio assai discutibile, messo in atto da mio padre e dal padre di Violet, il duca Anthony Phillips.”

Sorpreso, Alexander esalò: “Oh… quel Phillips? Il famoso Vento Nero delle guerre napoleoniche? Non sapevo lo conosceste!”

“Non avevo idea che lo conosceste voi, e così bene da sapere che era una spia al servizio della Corona” replicò per contro Elizabeth, facendo tanto d’occhi.

Sorridendo divertito, il giovane asserì: “Mia cara Valchiria, dovete sapere che ho studiato molto, in gioventù, e le avventure del vostro amico erano tra le mie storie preferite.”

“Mi chiedo come ne siate venuto a conoscenza. Non dovrebbero essere coperte da segreto di Stato, o qualcosa del genere?”

“Non se vostro padre lavorava al Ministero della Guerra. Ebbi modo di leggere diversi rapporti su di lui, o scritti da lui, e ne ammirai fin da subito l’intraprendenza e la scaltrezza. Sarei davvero onorato di fare la sua conoscenza, un giorno” mormorò Alexander, con reale interesse nella voce.

Elizabeth sorrise di fronte a tanto entusiasmo e, provando un po’ meno rabbia nei confronti di Anthony, domandò maliziosa: “Sarete così entusiasta anche in seguito, quando vi dirò che ha indagato su di voi?”

“Come, prego?” gracchiò il giovane, impallidendo leggermente.

A quel punto, Elizabeth gli raccontò ciò che aveva origliato e Alexander, divertito suo malgrado dalla schiettezza della ragazza e dalla sua intraprendenza, esalò: “Cielo! Spero che abbia detto cose carine, su di me.”

“Ho solo sentito dire che siete dedito a visitare salotti di intellettuali o presunti tali, oltre a presenziare a dibattiti di ordine filosofico e politico” enumerò Elizabeth, tamburellandosi un dito sul mento. “Inoltre, ho udito che non siete uno… sciupafemmine? Posso dirlo senza offendervi?”

“Dite pure… sono tutto orecchi e assai curioso” replicò lui, con un sorrisone divertito stampato in viso.

Più tranquilla, allora, Elizabeth proseguì nel suo racconto.

“Oh, ecco, oltre al discorso legato alle donne, ha detto che non siete dedito al gioco d’azzardo, o che siete un amante del vino.”

“Un quadro di per sé assai noioso, mi pare di capire. Non pensavo di apparire così scontato” sospirò Alexander, scuotendo con enfasi il capo.

Sgranando gli occhi per lo sconcerto, Elizabeth si sentì in dovere di porre rimedio a quel suo stato di prostrazione e, subito, aggiunse: “Oh, ma forse Anthony non sa che apprezzate cavalcare, cosa che io reputo un’ottima virtù!”

Alexander, allora, levò appena il capo per sorriderle mesto e, con tono dubbioso, asserì: “Lo dite solo per risollevare il mio spirito.”

“Oh, non siate sciocco! Figurarsi se avete bisogno delle mie parole per tirarvi su di morale!” sbottò lei, fissandolo torva.

Alexander, allora, esplose in una gaia risata, risata che ormai da tempo non si godeva pienamente, se non in famiglia ed Elizabeth, suo malgrado, ne rimase stregata.

Appariva così giovane, mentre rideva senza freni, in barba al galateo e a tutte le sue tediose regole di comportamento!

Asciugandosi una lacrima di ilarità, il giovane le disse: “Oh, cielo… grazie, miss Elizabeth. Mi avete reso il più grande dei servigi.”

“E quale, di grazia?”

“Mi avete fatto ridere, risollevando le sorti di una giornata che, diversamente, mi sarebbe apparsa buia e noiosa” ammise Alexander, lanciando uno sguardo verso il cielo, velato da esili cirri.

Facendosi seria, la ragazza mormorò: “Raymond mi ha detto che tentano di screditarvi, perché sono gelosi del vostro acume. E’ vero?”

Sorpreso dal suo dire, il giovane tornò a guardarla e, già sul punto di buttare sul ridere l’intera faccenda, si ritrovò però ad assentire.

“Raymond mi conosce, e sa che non direi mai di no a un invito, ma sa anche bene come siano le persone, qui a Londra” sospirò Alexander.

“E perché continuate ad andare, dunque?”

“Vorreste che la vostra famiglia fosse additata in maniera dispregiativa?” le domandò per contro lui.

Elizabeth scosse il capo, comprendendo bene cosa volesse dire.

“Temete che un vostro rifiuto potrebbe far incorrere voi, o la vostra famiglia, in un rimprovero da parte dei benpensanti, così vi asservite a questo gioco al massacro che, pur se vi vede sempre vincitore, non vi dà alcuna soddisfazione e spinge i vostri detrattori a tentare, e ritentare, ciò che non riusciranno mai a ottenere. Una vostra caduta” mormorò la ragazza, lanciandogli un’occhiata dubbiosa.

Sperava davvero di non aver detto un’assurdità. Detestava apparire stupida.

Alexander, però, non solo assentì, ma le sorrise con autentica ammirazione, dicendo sommessamente: “Non avreste potuto cogliere meglio il mio pensiero.”

Lei sorrise appena, soddisfatta suo malgrado di non aver errato supposizione.

“Papà è solito dirmi che, se voglio, riesco anche a pensare in maniera sensata.”

Ridendo un poco, lui allora le domandò: “Perché, quando non lo fate, cosa succede?”

“Discuto con il mio gemello, solitamente e, sempre solitamente, ci accapigliamo… ma forse, questo, non avrei dovuto dirvelo. Chissà cosa penserete di me, adesso?” ammise lei, accennando un sorriso birichino.

“Il vostro segreto morirà con me, miss Elizabeth, non dubitate. E posso assicurarvi che anche io e mio fratello, ogni tanto, ci accapigliamo ancora” le confidò Alexander, facendola ridere sommessamente.

Soddisfatto per quel risultato, il giovane fece per aggiungere altro ma, nello svoltare, inquadrò un uomo che non desiderava incontrare, in quel momento.

“Oh, ecco Andrew, assieme a Violet” asserì Elizabeth, ancora sorridente e divertita.

“Pensate dovrei dileguarmi? So di non essergli molto simpatico” le domandò di malavoglia.

Non voleva allontanarsi da lei, e lasciare che quel momento svanisse come era venuto.

Era giunto di colpo, senza che lui se lo aspettasse, ma lo aveva apprezzato in ogni sua parte, e separarsene era assai più difficile di quanto non avrebbe immaginato.

“Credo che Andrew abbia capito quanto fosse esasperante il suo modo di porsi, perciò penso non vi morderà. Forse” ammiccò lei, levando una mano per salutare il gemello.

“Correrò il rischio” dichiarò allora lui, raddrizzandosi sulla sella.

Maliziosa, lei mormorò: “Così coraggioso?”

“O così stupido. A voi la scelta di dirmi cosa ne pensate. So essere assai generoso nell’elargire favori di questo genere, se la persona è meritevole” asserì lui, replicando al suo sorriso malizioso.

“Troppo gentile. Ma riserverò per me la risposta a questo quesito per un’altra volta” mormorò lei, tornando a guardare dinanzi a sé.

“Mi terrete nel dubbio fino a domani? O più avanti ancora?” si lagnò scherzosamente il giovane.

“Può darsi…” ammise lei, prima di esclamare: “… eccomi qui, Andrew! Lord Chadwick è stato così gentile da scortarmi, così che nessuno potesse infastidire la mia passeggiata.”

Ritto accanto al suo stallone, Andrew guardò entrambi, notò le gote rosse della sorella e il sorriso ai lati della bocca del nobiluomo e, ancora una volta, desiderò strozzarlo.

Ma vedere Lizzie così serena quando, fino a un paio d’ore prima, era stata furente e irritata, bloccò qualsiasi sua arringa.

Inclinando perciò il capo in un cenno di saluto a Chadwick, disse: “Devo ringraziarvi, milord. Mia sorella ama galoppare, e sarebbe stato spiacevole se le fosse successo qualcosa mentre non ero con lei a controllarla.”

“Nessun disturbo, lord Spencer. E’ un onore che ho preso su di me con piacere.” Poi, sorridendo a Violet, aggiunse: “Siete dunque voi, la figlia di Thornton? La vostra amica mi ha parlato di voi, ma si è dimenticata di dirmi quando siete graziosa.”

Violet sorrise dolcemente e replicò: “Siete troppo gentile, lord Chadwick, ma sì, sono una delle figlie di lord Thornton. E’ un piacere conoscervi.”

“Sono stato solo onesto, credetemi, miss Violet ma ora, con altrettanta onestà, dovrò accomiatarmi da voi tutti, poiché impegni inderogabili mi attendono. Per lo meno, so che saranno ugualmente piacevoli come la vostra compagnia” asserì Alexander, incuriosendo non poco Elizabeth.

Lui fu tentato di tenerla sulle spine – le piaceva quello sguardo curioso e vagamente piccato – ma preferì non irritarla.

Da quel che aveva capito, quel giorno era stato già abbastanza pesante, per lei.

“Mia cognata e mia madre vogliono che le accompagni per negozi, e quale attività può essere più bella, se non scortare due dame di tale bellezza e gentilezza a far compere?” sorrise lui, levando poi la tuba per salutarli.

Elizabeth lo seguì con lo sguardo mentre, con il suo bel stallone bianco, si allontanava lungo la passeggiata.

Andrew e Violet fecero lo stesso fino a quando quest’ultima, scrutando l’aria persa dell’amica, non disse: “Lo trovo assai affascinante.”

Andrew rabbrividì a quelle semplici parole ma non disse nulla, come ripromessosi dopo la sfuriata più che giustificata della sorella.

Elizabeth, invece, scrutò il viso paonazzo del gemello e, dopo un attimo, esplose in una risata carica di divertimento.

Sfiorando il braccio di Andrew, lo carezzò con affetto e, tra lacrime di ilarità, esalò: “Ti voglio un mondo di bene, fratello.”

“Lo spero proprio” brontolò lui, pur sorridendole.

Sapeva bene quanto gli stava costando, non replicare alle parole del tutto innocenti di Violet, perciò Lizzie non poté che esternargli tutto il suo affetto.

Si appoggiò a lui col capo e Andrew, nell’avvolgerle la vita con un braccio, mormorò: “Rientriamo? Ti senti meglio, ora?”
“Sì, rientriamo” acconsentì Elizabeth.
 
***

Stava ancora sorridendo, quando raggiunse madre e cognata a casa, già pronte nell’atrio della villa in sua paziente attesa.

Lasciato il frustino e la tuba al maggiordomo, Alexander si scusò in fretta con le due donne e, dopo essere corso al piano superiore per un veloce cambio d’abito, ridiscese dopo venti minuti, pronto per gli acquisti.

Offerto un braccio alla madre, il giovane domandò: “Ebbene? Qual è la prima tappa? La modista? Il cappellaio? Il negozio di scarpe?”

“Ma come siamo allegri, mio caro” sorrise Madeleine, sua amata madre e donna dalle molteplici virtù. “A cosa dobbiamo un sorriso così smagliante?”

“Ad Apollo, naturalmente. Galoppare con lui è sempre un piacere” rispose subito Alexander, scortando la madre e la cognata verso la carrozza.

“Eri fresco come una rosa, quando sei rientrato, perciò non hai galoppato per nulla con il tuo stallone nevrastenico, semmai avrai passeggiato e basta” sottolineò divertita Clarisse, battendo il suo ventaglio sul braccio libero del cognato.

“Apollo non è affatto nevrastenico, mia cara… non ama il profumo delle signore. Tutto qui. Allora, sì che diventa pazzo furioso” replicò lui, pur ammettendo con se stesso che, al contrario, quello di Elizabeth sembrava piacergli molto, visto come si era fatto coccolare. “Non è colpa mia se certe dame tentano di ingraziarselo per arrivare a me.”

Clarisse scosse il capo con aria divertita, asserendo: “Lady Waterford ha rischiato di perdere una mano, quando ha tentato di accarezzarlo.”

“Solo perché si è mossa con la stessa grazia di un elefante, e sapete bene quanto Apollo sia sensibile a queste cose” sottolineò irriverente Alexander, facendole ridere entrambe. “Inoltre, aveva così tanto profumo addosso che ha finito con il farlo starnutire.”

“Se ti sentissero le dolci donzelle di Almack’s, rimarresti scapolo a vita!” sorrise Clarisse, salendo in carrozza con l’aiuto di uno dei domestici.

“Volesse il cielo!” scherzò il cognato. “Pensi dovrei rendermi antipatico, per farle allontanare da me?”

“Si allontanerebbero solo le donzelle timorate di Dio, non quelle creature disonorevoli che si assiepano nei salotti per approfittare del mio dolce ragazzo” brontolò lady Chadwick, salendo grazie all’aiuto del figlio.

Alexander rise, sapendo bene a cosa si riferisse la madre.

Certe matrone si erano spinte molto più in là di un semplice commento malizioso, con lui, e alla madre non era affatto piaciuta la cosa, quando era venuta a saperlo.

Sedendosi al suo fianco, il figlio perciò la rassicurò battendole una mano sul braccio.

“Stai tranquilla, madre. Il tuo dolce figliolo è molto schizzinoso, quanto a gentil sesso.”

“Spero non troppo. Voglio dei nipotini anche da te, caro. I tuoi occhi blu devono essere portati avanti da qualcuno!” borbottò la madre, dando il permesso al cocchiere di partire.

Alexander si limitò a sorridere e, nel togliersi la tuba dal capo, pensò ad altri occhi, del colore dell’argento, dicendosi che quelli avrebbero meritato di essere preservati.

Così come la loro padrona.

Fu a quel punto che comprese di essere nei guai. In grandi, profondissimi guai.







Note: La furia di Lizzie è stata stemperata dalle parole della madre e, soprattutto, dall'aiuto di Andrew che, passando sopra a ogni cosa, cerca di riconquistare la fiducia della gemella.
La passeggiata, alla fine, finisce con l'essere più profiqua del previsto e, quando Alexander torna a casa, tutto pimpante e nuovamente allegro, si rende conto - finalmente - di un particolare non da poco e che, da lì in poi, cambierà ogni cosa.
Sarà successa la stessa cosa anche a Lizzie? 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 
12.

 
 
 
D’accordo, forse, dopotutto, era un po’ nervosa.

Non a caso, Lorelai dovette gentilmente richiamarla ben sei volte, perché lei riuscisse ad acconciarle a dovere i morbidi capelli castano dorati.

Con un sorriso di scuse, Elizabeth lanciò un’occhiata spiacente alla sua cameriera che, per tutta risposta, scrollò le spalle e, nel passare il ferro tra i capelli per arricciarli, mormorò: “Sarei agitata anch’io, miss, se avessi l’opportunità di passare del tempo assieme all’élite dell’alta società.”

Accentuando il suo sorriso, la giovane replicò: “Oh, l’agitazione non dipende da questo quanto, piuttosto, dalla mia lingua lunga. Saprò tenere a bada il mio carattere ribelle, di fronte a persone dichiaratamente stupide o vacue?”

Lorelai cercò di non ridere, ma fallì miseramente ed Elizabeth, un poco più tranquilla, aggiunse: “So che devo essere compita e a modo e, il più delle volte, mi riesce. Soltanto, temo che l’essere sottovalutata troppo a lungo, e da troppe persone contemporaneamente, potrebbe farmi perdere le staffe.”

“Perché siete bella e delicata come una graziosa bambola di porcellana, perciò non si può pretendere che vi sia anche un cervello, in quella bella testolina?” motteggiò la cameriera, ripetendo a pappagallo ciò che un nobile in visita a Green Manor, tempo addietro, aveva osato dire su Elizabeth, scatenando le ire della ragazza.

Christofer aveva ascoltato senza colpo ferire, quella volta, limitandosi ad apprezzare il complimento sulla bellezza della figlia ma, in seguito, non aveva più voluto vedere quell’uomo.

Con sommo compiacimento da parte di Lizzie, tra le altre cose.

Quando il nobile, stizzito, aveva chiesto spiegazioni, Christofer si era limitato a dire che la figlia aveva più cervello nel suo dito mignolo, di quanto avrebbe potuto sperare di averne lui in cento anni.

A quella risposta, il nobile non gli aveva più scritto per chiedere il permesso di presentarsi, limitandosi a dire in giro quanto Harford fosse irritante e dai modi irrispettosi.

La giovane, perciò, ghignò alle parole della cameriera, e asserì infida: “Esatto. Come si può pretendere che io sappia anche solo pensare?”

“Se me lo permettete, a volte gli uomini sanno essere assai tardi di mente” mormorò la cameriera, facendo sorridere divertita la sua padrona.

“Oh, potete dirlo davvero, Lorelai. Famigliari esclusi, s’intende.”

“Ovviamente” assentì la donna, ammiccando complice. “Sarete perfetta, miss, non ne dubitate. E sono sicura che gli uomini saranno così rapiti da voi, da non notare se alluderete a qualche loro difetto, o alla loro scarsa intelligenza.”

“Voi credete?”

“Le donne possono essere più deboli fisicamente, ma sanno essere scaltre quanto una volpe. E voi siete assai scaltra, miss.”
“Buono a sapersi” mormorò Elizabeth, più tranquilla.

Forse, dopotutto, avrebbe potuto essere un po’ se stessa, e un po’ una gran signora.
 
***

L’abito in seta color ghiaccio le scendeva a pennello lungo il corpo sinuoso e, pur non essendo alta, la sua figura appariva comunque perfetta quanto deliziosa.

Le maniche, corte e a palloncino, erano strette poco sopra il gomito mediante una fascia di un tono più scuro, abbellita da piccoli fiori di raso.

Il corpetto si stringeva poco sotto i seni, sottolineando la vita sottile con una fascia identica a quella delle maniche dell’abito.

La gonna, invece, diritta e dalle linee semplici, era abbellita da ricami fiorati color argento sull’orlo.

Lo stesso ricamo era riprodotto anche sullo scollo quadrato e molto castigato, ma che delineava le linee deliziose di Elizabeth con eleganza.

Forse troppa, pensò tra sé Christofer, vedendo la figlia scendere al braccio del gemello.

Di fatto, era ben protetta da potenziali sguardi lascivi, eppure gli sembrava che quell’abito rivelasse troppo.

Non era comunque il caso di aprire bocca, visto il mezzo disastro del giorno prima.

Lui e Anthony si erano scusati profusamente con lei, promettendo di smetterla di impicciarsi dei suoi affari, lasciando per così dire il controllo della nave a Lizzie.

Questa promessa, ovviamente, non aveva avuto una data di scadenza, perciò si sarebbero attenuti al piano originale, posticipandolo a quando Lizzie avesse parteggiato per qualcuno in particolare.

Era più forte di lui.

Non poteva lasciare che fosse solo la figlia, a decidere chi vedere. Lui doveva essere certo che, la persona in questione, fosse meritevole delle attenzioni di Lizzie.

Avrebbe avuto decenni interi, per scusarsi.

Quando, perciò, la vide raggiungere l’atrio della villa, si limitò a baciarle una guancia, complimentandosi per quanto fosse bella.

Julianne, al fianco di Wendell, approvò le parole di Christofer e sorrise complice a Kathleen, che si limitò ad ammiccare divertita.

In silenzio, quindi, la comitiva si avviò verso la carrozza che li avrebbe condotti da Almack’s.

Non sarebbe stato un viaggio molto lungo ma, di sicuro, quella serata sarebbe stata, con assoluta certezza, eterna.

Lizzie aveva un carnet di ballo assai fiorente ma, come era prassi, aveva lasciato libero qualche posto per i ballerini presenti da Almack’s.

La sola idea di vederla danzare per tutta la sera con più uomini, stringeva il cuore di Christofer in una morsa tale da togliergli il fiato.

Certo, il minuetto non era una danza particolarmente sensuale, visto che le uniche parti del corpo a toccarsi erano le mani. Inguantate, in quel caso.

La quadriglia, poi, era danzata in gruppo, e questo rendeva ancora più difficile uno scambio di opinioni – o di battute – poco più che accennate.

Era un’autentica fortuna che il valzer viennese non avesse ancora preso piede, anche se Christofer sapeva già danzarlo – così come i figli – e in molte feste private già si suonasse.

No, preferiva non immaginarsi Lizzie tra le braccia di uomo. Non ancora, almeno.

Quando, però, giunsero di fronte al palazzo dove si svolgevano i balli di Almack’s, Harford dovette lasciar perdere quei pensieri per pensare ad altre incombenze.

A Elizabeth avrebbe pensato Julianne, mentre lui, Kathleen, Wendell e Andrew avrebbero stazionato in una delle tante sale del palazzo.

Andrew aveva già rifiutato categoricamente di volersi spingere alla ricerca di una dama da sposare. Riteneva la cosa del tutto assurda, oltre che prematura.

Avrebbe terminato gli studi a Eton, fatto il Grand Tour per l’Europa assieme ai suoi amici e, forse, dopo avrebbe anche pensato a metter su famiglia.

Christofer aveva plaudito la sua scelta, pur se sapeva bene che qualche gentiluomo, quella sera, si sarebbe avvicinato per offrire la figlia al suo Andrew.

Almack’s, in fondo, era un mercato. Molto elegante, raffinato e perbenista, ovviamente, ma pur sempre un mercato.

Il tutto si risolveva in un’infinita sfilata di mercanzia umana, in vendita al miglior offerente.

Christofer detestava quel posto, pur se molti dei suoi amici vi avevano trovato le loro rispettabili consorti.

Kathleen gli strinse un braccio proprio mentre si avvicinavano alle matrone di Almack’s per porgere i loro rispetti e, in un sussurro, disse: “Liscia quella fronte ombrosa, mio caro, e sorridi. Tua figlia non è sciocca e si limiterà a divertirsi, così come ha sempre voluto. Non temere per lei.”

Lui scrutò la moglie, il suo sorriso fiducioso, quegli occhi verde-oro che Andrew aveva ereditato in toto e, assentendo suo malgrado, si stampò un sorriso in volto e fece buon viso a cattivo gioco.
 
***

Bene, ora sapeva cosa voleva dire avere i piedi gonfi e doloranti. E non erano neppure a metà della serata!

Suo malgrado, Elizabeth aveva dovuto ricredersi sulla bravura dei ballerini di città.

Chissà perché, aveva immaginato che, abituati com’erano ai salotti e alle grandi feste, trattassero quell’arte come un’amante ben conosciuta.

Invece, Lizzie aveva rimediato più gomitate e goffi pestoni sulle scarpine di quante non avrebbe mai immaginato.

Naturalmente, come aveva ipotizzato fin da subito, Raymond Mallory-Jones si era dimostrato un ottimo ballerino e un compagno discreto e gentile.

Durante la loro danza, Elizabeth gli aveva chiesto notizie riguardo a Charlotte e lui, con un gran sorriso orgoglioso, aveva parlato di una imminente passeggiata a Hyde Park col calessino.

Lei si era congratulata con il suo nuovo amico, pregandolo di rimanere se stesso e di non tentare di strafare.

Se c’era una cosa che Charlotte detestava, erano le falsità.

Pur non del tutto convinto dei propri mezzi, Raymond aveva accettato il consiglio e, quando la musica era terminata, aveva accompagnato Elizabeth da Julianne e si era congedato.

Ora, Lizzie sedeva al fianco dell’amica e delle loro chaperon – impegnate in una fitta conversazione – e, nel rivolgersi a Charlotte, domandò: “Sei prenotata anche per la quadriglia?”

“L’ho evitata, in effetti. Volevo un po’ di pausa, dopo quattro minuetti e una danza scozzese” sospirò Charlotte, facendosi aria con il ventaglio di pizzo.

Elizabeth la imitò col proprio, in pizzo color argento e costruito con madreperla traslucida e finemente lavorata.

Era un dono che le aveva portato il padre da Madera, dopo un lungo viaggio fatto con la moglie, meno di un anno addietro.

Lizzie lo amava in particolar modo perché, sulle stecche di madreperla, erano stati scolpiti in bassorilievo dei cavalli al galoppo.

Visto il suo amore per l’equitazione, non aveva potuto che approvarne la scelta.

“Ho visto che hai ballato con Raymond… com’è? Devo temere per i miei piedi?” chiese timorosa Charlotte, parlottando a bassa voce dietro la protezione del suo ventaglio.

“Affatto. E’ un ottimo ballerino e, se non fosse che è già innamorato cotto di te, potrei farci un pensiero solo per la sua bravura nel far sentire la propria compagna di ballo come se fosse su una nuvola” le sorrise complice Elizabeth, facendola arrossire.

“Non dire cose di cui non sai nulla, sciocchina” brontolò l’amica, pur sorridendo soddisfatta.

“Quando ballerai con lui, cadrai ai suoi piedi” la minacciò Elizabeth, ammiccando maliziosa.

“Come se mi servisse un ballo, per cadervi!” sospirò Charlotte, scuotendo il capo con espressione afflitta. “Non lo conosco, Lizzie, eppure sento che potrebbe essere quello giusto. Sono davvero così superficiale da rimanere ammaliata da un bel volto e qualche parola gentile?”

Tornando seria, la giovane Spencer avvolse con una mano il braccio dell’amica per stringerlo un poco e infonderle un minimo di coraggio.

“Io credo che esista, l’amore a prima vista e, pur se a me non è capitato nulla di simile, perché non potrebbe essere successo a te e al caro Raymond? Siete anime affini, secondo me e, anche se il padre di lui andrebbe mandato al rogo per la sua stoltezza, non puoi privarti della gioia di stare in sua compagnia solo a causa di un uomo simile, no?”

Charlotte le sorrise di puro cuore e, con un sussurro ricco di gratitudine, asserì: “Spero che capiti anche a te di trovare la persona giusta.”

Nella mente di Elizabeth balenò lo sguardò color della notte di Alexander e, per un attimo, dovette farsi aria col ventaglio per non avvampare.

Che le diceva la testa?

Lord Chadwick si divertiva con lei perché avevano entrambi la parlantina sciolta, ma la cosa finiva lì!

Non poteva essere certo il suo tipo! E lui, poi… beh…

Scuotendo il capo per il fastidio, scacciò quei pensieri dispettosi e disse soltanto: “Sarà quel che sarà. Sono qui innanzitutto per divertirmi un po’ e, anche se tornassi a casa senza un anello al dito, non piangerei di sicuro. E neppure mio padre, se è per questo!”

Charlotte rise sommessamente assieme all’amica ma, quando un’ombra si incuneò tra loro, le due giovani si bloccarono, levando il capo con curiosità.

Subito, Candice e Julianne interruppero le loro chiacchiere per controllare chi fosse giunto ma, vedendo solo lord Chadwick, si tranquillizzarono.

Alexander era uno dei gentiluomini sul carnet di ballo di entrambe le loro protette.

Inchinandosi con eleganza innata, il giovane sorrise a entrambe e, mentre le ultime note di una danza scozzese andavano spegnendosi, lui disse: “Buonasera a entrambe. E altresì a voi, stupende chaperon.”

Julianne e Candice sorrisero bonarie, di fronte ai suoi vacui complimenti, ma lui non vi fece caso e proseguì nel suo dire.

“Posso chiedere a miss Elizabeth di concedermi l’onore di una passeggiata attorno alla sala? Le ultime danze sono state piuttosto… frenetiche, e vorrei sapere se siete disposta a concedermi questo privilegio, invece di scendere sulla pista per un ballo.”

Sorpresa da quella richiesta, Elizabeth lanciò un’occhiata alla zia, che assentì e si levò in piedi per seguirli a distanza di sicurezza.

Levata perciò una mano, Lizzie lasciò che Alexander la avvolgesse delicatamente con la propria e, nell’offrirle un braccio, il giovane si rivolse a Julianne.

“Giudichereste sfrontato se io chiedessi alla vostra protetta chi sono i fortunati che balleranno con lei, dopo di me… se io avessi danzato come doveva essere?”

Piuttosto confusa dalla domanda, Julianne assentì ed Elizabeth, con un mezzo sorriso, celiò: “Perché ho idea che voi sappiate esattamente che, per i prossimi tre turni di danza, non ballerò con nessuno?”

“Ho tirato a indovinare. Ho notato che non apprezzate affatto il cotillon e, da quel che ho saputo, le prossime danze saranno tutte di quel genere” le sorrise appena lui. “Mentre, la seguente i tre cotillon, sarà un reel.”

Assottigliando un poco le palpebre, mentre passeggiavano tranquillamente lungo il limitare del salone gremito, Elizabeth mormorò: “Mi avete osservata così bene, da notare un simile particolare?”

Ridendo sommessamente, Alexander scosse il capo e replicò: “Touché. Ho chiesto a vostro fratello, in effetti.”

Sgranando gli occhi per la sorpresa e lo sgomento, Elizabeth si affrettò a domandargli: “E… e non avete già ingaggiato un duello, o cose simili?”

“No, tutt’altro. Forse, perché l’ho salvato dalle attenzioni piuttosto insistenti di miss MaryBeth Swanson che, se non erro, è un’amica di famiglia…” sorrise malizioso il giovane, scostando appena Elizabeth quando un già alticcio ragazzetto si sbilanciò nelle loro vicinanze.

“Oh, cielo! Non giungerà a fine serata, di questo passo. Ma non erano banditi gli alcolici, da Almack’s?” esalò la giovane, scrutando dietro di sé il passo altalenante del giovane.

“Oh, sì. La cena servita da Almack’s è frugale e del tutto priva di alcolici. Non a caso, è dalla fiaschetta dell’incauto giovane, che giunge il whisky di pessima qualità con cui si sta sollazzando” le fece notare Alexander, facendola volgere a mezzo per farle notare quel particolare.

Elizabeth acuì lo sguardo al pari di Julianne, che si volse a sua volta per comprendere cosa avesse attirato la loro attenzione.

Quando notò la fiaschetta d’argento spuntare dal panciotto del ragazzo, Lizzie sorrise divertita dietro l’orlo del ventaglio e mormorò: “Se lady Villiers lo trova, lo darà in pasto ai suoi mastini.”

“Cosa assai probabile” ammise Alexander, tornando a procedere lungo la sala. “Comunque, dopo aver salvato vostro fratello, e averlo salvato dall’infausta fanciulla, gli ho chiesto aiuto a mia volta e, a seguito di alcuni attimi di attento esame – cosa che mi ha messo un certo nervosismo addosso, lo ammetto – mi ha detto della vostra predilezione per i reel.”

“Ergo, quali sarebbero le vostre intenzioni?” volle sapere lei.

“Visto che non danzerete per diverso tempo, avrò l’onore di chiacchierare con voi finché non verrà il mio turno di danze, con un reel per l’appunto. Perfettamente in linea con le regole. Avrò un solo ballo con voi, come l’esigenza impone, ma questo non esclude che io possa chiacchierare con la vostra persona, vi pare?” le spiegò lui, sorridendo a Julianne, a pochi passi da loro.

La donna aggrottò un poco la fronte, ma non poté dire nulla contro quel ragionamento.

Le regole volevano che una dama concedesse un solo ballo, a meno di non essere già fidanzata con il gentiluomo in questione – o che fossero vicini a un fidanzamento.

Nulla vietava, però, che la damigella chiacchierasse anche lungamente con un solo gentiluomo, pur se in presenza del suo chaperon.

“Per pura curiosità, senza nulla togliere al vostro astuto piano…” cominciò col dire Elizabeth, sorridendo dietro il ventaglio. “… come mai vi siete ingegnato a questo modo per colloquiare con me?”

“Innanzitutto, volevo avere notizie da voi circa la disfida con vostro padre e lord Phillips. Secondariamente, apprezzo la vostra erudizione e, come terzo punto, potrei aggiungere che voi potreste proteggere me dalle attenzioni fastidiose di certe donzelle di mia conoscenza. Volete dunque aiutarmi?”

Elizabeth avrebbe voluto scoppiare in un’allegra risata, di fronte a quegli occhi così speranzosi e divertiti al tempo stesso, ma si contenne.

A fatica.

Muovendo velocemente il ventaglio per farsi aria – contenere quella risata, la fece avvampare – la giovane esalò: “Ma come? Vi affidereste a uno scricciolo di fanciulla, per farvi difendere?”

“Voi sottovalutate il vostro stesso genere, miss Elizabeth. Voi donne avete capacità tattiche che non hanno nulla da invidiare a quelle di un generale in battaglia… e io farei la fine di Napoleone a Waterloo, credetemi, se voi mi lasciaste da solo” sottolineò per contro il giovane.

“Dite sul serio, o mi state prendendo in giro?”

Tornando serio, Alexander asserì: “Posso fare dell’ironia sul mio effettivo bisogno di protezione – pur se non disdegnerò un vostro aiuto, ben inteso – ma non penserò mai meno di quanto ho detto, miss Elizabeth. Ritengo davvero indegno che non vi sia permesso di parlare alla Camera dei Lord, e lo sosterrò sempre.”

“Siete un liberale, dunque” asserì lei, suo malgrado soddisfatta di questa scoperta.

“Lo trovate inappropriato? Se non erro, vostro padre è un Whig convinto. O almeno, così mi ha sempre detto mio padre” le domandò Alexander, incuriosito.

“Oh, no, è corretto. Solo… beh, è difficile che un uomo si schieri così apertamente dalla parte di una donna e, secondariamente, è ancor più difficile che discorra di politica con essa.”

“Argomento troppo fuori luogo, per un ballo?” tentennò il giovane, fissandola dubbioso.

Lei scosse il capo, replicando: “Argomento fuori luogo per una donna.”

Lui, allora, sorrise contrito e disse: “Molti uomini sopravvalutano la propria intelligenza, sottovalutando invece quella delle donne, solo perché la natura le ha volute più delicate e apparentemente più deboli. Di certo, non lo siete nello spirito. Molte di voi, per lo meno.”

Elizabeth accentuò il suo sorriso e asserì: “Conosco uomini che sarebbero oltraggiati da un mio pensiero in tal senso, ma voi non mi sembrate stiate cercando condiscendenza. O sbaglio?”

“La percepisco – e la vedo – troppo spesso, per desiderarla” dichiarò disgustato il giovane, irrigidendosi leggermente.

Nel notarlo, la ragazza levò il viso verso di lui – era davvero tanto più alto di lei, che appariva una nanerottola, al suo confronto – e mormorò: “Tutto bene?”

“Necessito del vostro intervento, temo” sussurrò Alexander.

Elizabeth fu lesta a volgere lo sguardo e, quando individuò una procace damigella dai finissimi capelli biondo cenere, comprese cosa avesse voluto dire Alexander.

C’era davvero calcolo, in quello sguardo color fumo e una determinata, insaziabile volontà di vittoria.

A quanto pareva, però, la bellezza algida di quella dama non interessava minimamente al suo accompagnatore che, invece, sembrava sempre più pronto a una fuga ben poco dignitosa.

Agendo in tutta fretta, perciò, appoggiò tutto il suo peso sul braccio che li univa e, facendosi aria col ventaglio, esalò con voce più che udibile: “Chiedo venia, lord Chadwick! Accompagnatemi sulla veranda, per cortesia. Invero, questa sala è troppo afosa quanto affollata, per me. Ho bisogno di un po’ d’aria, o credo sverrò entro breve.”

Subito, Julianne si mise sull’attenti, ma Elizabeth non vi badò.

Alexander, invece, si premurò di sorreggerla e, avanzando verso una delle verande aperte del palazzo, sfilò di fronte alla bionda – rimasta a bocca asciutta – e poté dirsi salvo.

Quando infine raggiunsero l’esterno, e una fresca brezza li investì con il suo umidore benefico, Alexander le sorrise grato e disse: “Un’interpretazione da manuale.”

Dietro di loro, Julianne mormorò: “Tutto bene?”

“Recitazione pura e semplice” le disse per contro Elizabeth, sorridendo. “Se rimaniamo qui per un po’, è un problema?”

“Non più di dieci minuti, e io me ne starò qui all’imbocco della veranda, va bene?” la mise bonariamente in guardia la zia, strizzandole un occhio.

“Grazie” le sorrise la nipote, tornando a rivolgersi ad Alexander. “Dieci minuti basteranno per farla desistere dalla caccia?”

“Penso di sì. Ci sono abbastanza scapoli, nella sala, perché miss Cordelia McTavish, mia cugina di quarto o quinto grado, non ricordo bene, trovi un’altra vittima” assentì Alexander, appoggiandosi al parapetto in pietra.

Con la luce della sala che la illuminava alle spalle, e l’abito argentato a riflettere quella luminosità calda e suadente, Elizabeth appariva bellissima, ai suoi occhi.

Era stato forse sciocco ammettere, con Elizabeth, il suo tentativo di arrivare a lei tramite il fratello, ma era stato più forte di lui.

Con quella fanciulla così insolita, non se la sentiva di mentire o di usare dei giochi di parole, in cui di solito era tanto abile.

Elizabeth meritava una persona che non giocasse con i suoi sentimenti, o il suo amor proprio.

Era troppo intelligente perché lui scherzasse su cose tanto serie, e fare la parte del pagliaccio per divertirla e basta, non era nel suo stile.

“Come mai miss MacTavish non incorre nel vostro favore, se posso chiedere?” si interrogò Elizabeth, raggiungendolo al limitare della veranda per osservare il giardino dabbasso.

“Usa troppo profumo” ironizzò lui, rammentandole la scherzosa invettiva contro di lui, quel giorno, dalla modista.

Elizabeth rise sommessamente, a quel commento, ed esalò: “Sono stata davvero screanzata, quel giorno. Spero mi scuserete.”

“E’ stato un scambio di battute assai piacevole, invece. Non sono solito battibeccare con una donna, sapete?”

“E lo trovate divertente?” si interessò lei, scrutandolo negli occhi.

Nella penombra di quel luogo, apparivano neri e profondi come il cielo notturno che li sovrastava.

“Stimolante” ammise lui, lanciando poi un’occhiata a Julianne per sincerarsi che quella parola non l’avesse messa in allarme.

Lei fece finta di niente, ma ammiccò nella sua direzione, come per metterlo in guardia a non spingersi troppo oltre, con le affermazioni.

“Temete il biasimo di mia zia?” ironizzò Lizzie, ammiccando maliziosa.

“Se non le piacerò, parlerà male di me a vostro padre, il che sarebbe davvero tragico. Così, oltre a essere considerato un uomo noioso, sarò anche visto come un essere malizioso e perverso” celiò lui, regalando un inchino scherzoso a Julianne, che lo redarguì con il gesto divertito di una mano.

Elizabeth sorrise di quel divertente siparietto e, ancora una volta, si sorprese a voler confidare cose che mai, una debuttante, avrebbe dovuto dire a un uomo.

Alexander, però, la spingeva a voler essere più onesta del dovuto – e dell’accettabile – e questa cosa la sconcertava.

Non le era mai capitato, se non con i suoi fratelli o con Charlotte, di voler aprirsi completamente, di ammettere tutto ciò che pensava senza avere freni di alcun genere.

Inoltre, il suo tocco la riscaldava, mandandola in confusione.

“E come mai volete piacere a mio padre, se mi è consentito?”

“Pensavo fosse evidente” le sorrise a mezzo lui, volgendo poi lo sguardo verso il giardino, avvolto nell’oscurità.

Un violento rossore corse alle sue gote e, nel nascondersi dietro il ventaglio, mormorò: “Non apprezzo le battute di spirito rivolte alla mia persona. E non mi va di essere il vostro giullare, né la vostra ancora di salvezza.”

“Ferireste la mia intelligenza, se lo pensaste davvero, così come ferireste la vostra, di intelligenza, se credeste alle vostre stesse parole” le replicò lui, tornando a scrutarla negli occhi. “Mi concedo di rado di essere così schietto con una donna, e soltanto perché, solitamente, anche un mio più timido interesse viene scambiato per tutt’altro.”

“Capisco… quindi, siete timidamente interessato a conoscermi?” gli ritorse contro lei.

Alexander rise seccamente, battendo una mano sul parapetto e, sorridendole sghembo, asserì: “Vedete? Siete così sottile da ritorcermi contro il mio stesso dire. Sono ben più che timidamente interessato a conoscervi, miss Elizabeth, e proprio perché voi analizzate tutto ciò che dico con scrupolo davvero raro. Sento di poter parlare senza dover soppesare ogni parola per il timore di venire frainteso. Se non per gioco, come state abilmente facendo voi.”

Elizabeth, allora, si volse per scrutare l’oscurità dinanzi a loro, il viso ormai in fiamme e, in un mormorio sommesso, domandò: “Dunque… vi interessa ciò che dico? E basta?”

Ancora quella risata secca, come se le sue paure lo irritassero, ma per motivi più che giustificati.

“Di nuovo, denigrate voi stessa, fingendovi più sciocca di quanto non siete in realtà. Pensate davvero che io non abbia notato la vostra bellezza, mia cara Silfide? Ma trovo assurdo farvelo notare, poiché avete occhi per giudicare voi stessa molto meglio di me. Inoltre, se vi ho compreso almeno un poco, penso che non apprezziate essere giudicata solo come una fanciulla dalla bellezza sopraffina. O sbaglio?”

Dimmi di no, dimmi che non mi sono sbagliato a giudicarti, pensò poi tra sé Alexander, tremando come una foglia nel suo animo agitato.

Perché le stava confessando tutte quelle cose? Perché si stava mettendo a nudo?

Preso un gran respiro, Elizabeth tornò ad affrontarlo e, raccolto ogni briciolo di coraggio dentro di sé, asserì: “Non sbagliate. Detesto essere vista solo come una fragile bambolina di porcellana, e solo perché… perché il buon Dio mi ha fatta così!”

Lo sguardo di Julianne la mise in guardia, ed Elizabeth si rese conto di aver alzato la voce così, chetandosi, si volse verso il giardino e aggiunse in un mormorio: “Non sono abituata a essere apprezzata per ciò che penso, se non dai miei familiari. Mi concederete, quindi, un po’ di confusione.”

“Tutta la confusione che desiderate. Spero solo di non avervi spaventata, ammettendo un mio interesse così candido nel volervi conoscere più approfonditamente” mise le mani avanti Alexander, temendo di aver fatto un passo falso.

E dire che si era bellamente preso gioco di Raymond, reo a suo dire essersi comportato da coniglio, chiedendo consiglio a Elizabeth su come compiacere la dama del suo cuore!

Forse, avrebbe dovuto essere altrettanto scaltro, e chiedere lumi a miss Ranking.

Curioso come, di fronte a Elizabeth, il suo intelletto facesse le bizze.

“Spaventata? No, affatto. Sorpresa, piuttosto. Il mio timore più grande, venendo a Londra, era quello di apparire troppo… liberale nel parlare. Sono abituata a esprimermi su tutto ciò che penso, in famiglia” ammise Elizabeth in un sussurro a malapena udibile.

Julianne l’avrebbe sicuramente sgridata, se avesse saputo quanto stava ammettendo con lord Chadwick, ma lei voleva essere onesta con lui.

Esattamente come lui sembrava esserlo stato con lei.

Alexander, allora, le sorrise e, nel porgerle il braccio, disse: “Credo che i dieci minuti siano scaduti. Torniamo in sala per terminare il nostro giro, prima del reel?”

“Solo se mi promettete di essere un bravo ballerino” replicò lei, attendendo di appoggiare la mano sul suo braccio proteso.
Lui, allora, ghignò beffardo e asserì: “Miss Elizabeth… ora mi offendete. Avete di fronte a voi il miglior ballerino di reel di tutta Londra.”

“Attento a voi. Se mi avete mentito, vi pesterò un piede” lo minacciò scherzosamente lei, ricevendo per diretta conseguenza un’occhiataccia da parte della zia.

Ma un sorriso di puro divertimento da parte di Alexander.

“Sfida accettata” mormorò soltanto lui, continuando nella loro processione ai bordi del salone.

Probabilmente si sarebbe cacciata in un guaio colossale, a dare corda a lord Chadwick, ma non voleva rinunciarvi per nulla al mondo.

Era questo, che aveva sperato di trovare, venendo a Londra.

E ora che lo aveva trovato, avrebbe scoperto fino a che punto avrebbe potuto piacerle, quel genere di rapporto.

Amicizia? Vi sperava davvero.

Amore? Davvero non sapeva dirlo, né sapeva se volerlo, in quel momento.

Una cosa era certa: lord Chadwick le avrebbe dato del filo da torcere, e lei non vedeva l’ora.


 
 
 
 
 
 
 Note: Direi che i due, messi insieme, fanno scintille, e Alexander sembra essersi ormai deciso a lasciarsi andare, con Lizzie. Come andrà a finire, lo vedremo, ma non sarà nulla di così semplice e scontato, o non sarei io... ^_^

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 
13.
 
 
 
 
 
Ritta dinanzi a lord Alexander Chadwick, a una distanza di circa quattro passi, Elizabeth si sentiva stranamente euforica e, sì, vagamente in ansia.

Sarebbe stata in grado di reggere il confronto con il suo ballerino, viste le sue tanto decantate doti?

(Charlotte ne aveva parlato davvero bene, e sapeva che l’amica era molto scrupolosa, quanto a giudizi).

Lizzie si era vantata di amare il reel, ed era vero, così come era vero che, solitamente, era un’ottima ballerina ma, in quel momento, le tremavano le mani.

Sarebbe riuscita a mascherare l’agitazione che le scuoteva le carni, o il suo partner se ne sarebbe reso conto, ipotizzando le più svariate motivazioni per una tale reazione?

Datti una calmata, Lizzie, è solo un ballo, brontolò tra sé la ragazza, prendendo un gran respiro prima di sorridere al ballerino dinanzi a sé.

Alexander accennò a sollevare un angolo della bocca, ma i suoi occhi blu come la notte dissero molto di più, quasi avendo percepito ogni suo minimo dubbio.

Ciò diede un po’ fastidio alla ragazza ma, non avendo prove della sua potenziale colpa, preferì lasciar perdere.

Chiederglielo, poi, sarebbe stato come ammettere la verità. Irritarsi senza motivo avrebbe, invece, rischiato di rovinarle la serata.

E dire che aveva desiderato proprio confrontarsi con uomini degni di lei!

Ora ne aveva l’occasione, e si lamentava pure?

Meglio la mente sottile di lord Chadwick, a quella vanesia di tanti altri, si disse lei, muovendo il primo passo verso Alexander.

Seguendo alla perfezione il ritmo allegro della danza, il giovane balzellò verso la sua ballerina per poi tornare indietro, piroettare e poi tornare da lei.

Stavolta, allungò la mano per stringere quella inguantata di Elizabeth e, quando le loro dita si sfiorarono, lui mormorò: “Direi che stiamo andando bene…”

Lei accennò un sorrisino, roteò e tornò al punto di partenza al pari di Alexander.

Al giro successivo, Elizabeth replicò: “Magnificamente…”

A ogni nuovo giro di passi, i due si scambiarono battute più o meno lineari, come prevedeva l’etichetta, lasciando temporaneamente perdere le confidenze di poco prima.

Quando, però, giunsero alle battute finali, Alexander le disse: “Avevate ragione, sapete?”

Elizabeth sgranò leggermente gli occhi nell’udire quelle parole e, quando tornarono a incontrarsi nel mezzo sella sala, esalò: “In che senso?”

Alexander si limitò a sorriderle da sopra la spalla nel compiere l’ennesima piroetta e, quando la musica ebbe termine, lui la raggiunse nel mezzo del salone e mormorò: “Siete un’eccellente ballerina di reel.”

Detto ciò, le sollevò la mano destra per un elegante baciamano, cui seguì un sorriso che fece avvampare Elizabeth.

Il motivo non le fu affatto chiaro, ma il suo corpo reagì come andando a fuoco.

Quegli occhi blu notte la stavano sondando nel profondo, vedendo oltre i suoi occhi grigi, oltre il suo abito di seta o l’elaborata acconciatura a boccoli.

Stavano cercando lei. Lizzie. Non miss Elizabeth Kathleen Spencer.

Quando lui le offrì il braccio per ricondurla da Julianne, che aveva osservato con attenzione l’intera danza, Elizabeth rimase stordita per alcuni attimi, immobile dinanzi al giovane.

Alexander, allora, la fissò con gentile premura e sussurrò: “Vogliamo tornare da vostra zia, miss Elizabeth?”

“Oh… ah, sì. Grazie” riuscì a dire lei, sentendosi enormemente stupida, di fronte a quel suo temporaneo cedimento.

Ma che le prendeva?

Poco prima di riconsegnarla a Julianne, Alexander si chinò un poco verso di lei e mormorò lesto: “Così tanti balli, danzati a ripetizione, possono far crollare anche lo spirito più saldo. Non temete nulla e continuate a camminare a testa alta, piccola Valchiria. Ne avete la forza e il coraggio.”

Ciò detto, si scostò da lei per inchinarsi e, con un ringraziamento a Julianne, Alexander si allontanò con il suo passo elegante e slanciato.

Elizabeth non poté che seguirlo con lo sguardo per diversi secondi ma, quando la zia le domandò come fosse andata, si stampò un sorriso in viso e le rispose con prontezza.

Alexander le aveva detto le cose giuste al momento giusto, salvandola da un broncio quasi certo e da un senso di sconfitta simile a una débâcle sul campo di battaglia.
 
***

Accompagnata nella sala imbandita per la cena da lord Mortimer Grant, Elizabeth ringraziò con un sorriso il suo ultimo partner di danza, dopodiché si accomodò dove richiesto.

Sorrise un po’ più tranquilla, notando sul suo lato destro la presenza di Alexander, mentre alla sua sinistra si sarebbe accomodato lord Grant, secondogenito del barone Westwood.

Alexander la accolse con un sorriso e, piegandosi verso di lei, sussurrò: “Come stanno i vostri piedi?”

“Temo dovrò gettare le scarpine. Penso che il raso si sia irrimediabilmente rovinato” ammise lei, in un ansito affranto.

Il giovane cercò di non ridere, di fronte al volto fintamente distrutto della ragazza e, per l’ennesima volta, si disse di darci un taglio, con lei.

Era giovane e ingenua, e lui doveva piantarla di flirtare con Elizabeth, se non voleva rischiare di finire invischiato nel suo stesso gioco.

Peccato che ti piaccia troppo, per smetterla, disse una vocetta dispettosa dentro di lui, facendolo accigliare.

Sapeva benissimo da solo di aver pensato a miss Elizabeth fin troppe volte, in quelle ultime settimane.

Eppure, non sembrava trovare requie – né da desto, né durante il sonno – da quegli occhi così intelligenti e vispi, o da quella bocca piegata in un sorriso birichino.

Da perfetta padrona della situazione, Elizabeth rispose educatamente all’altro gentiluomo seduto alla sua sinistra e, per un istante, Alexander desiderò dirne quattro a Mortimer.

Come si permetteva, quell’allupato figlio di papà, di levare lo sguardo sulla sua Elizabeth?!

A quel pensiero, però, si bloccò di colpo, impallidì e sentì pulsargli la nuca, come se qualcuno vi avesse puntato contro una pistola.

Volgendosi lentamente a destra, assottigliò le palpebre quando vide, sul fondo del tavolo, la figura imponente e ghignante del padre, intento a fissarlo con aria saputa.

Non mimò nessuna parola al suo indirizzo, non fece gesti di alcun genere, si limitò a guardarlo, ma Alexander capì al volo cosa stesse ronzando nella testa del padre.

Sbuffò un poco, rigettò quello sguardo ironico e tornò a volgere gli occhi verso la fonte del suo interesse, ora impegnata a sorseggiare della limonata fresca.

Nel frattempo, vennero serviti gli antipasti e, quando ambedue ebbero le loro libagioni sui piatti di porcellana cinese, Alexander mormorò: “E ora, potrete dar fondo alle ben misere riserve che le matrone di Almack’s destinano ai loro commensali.”

Elizabeth si mantenne seria e compita – pur faticando enormemente – e mormorò in risposta: “Se non ricordo male ciò che mi disse mio padre, è fatto tutto a vantaggio nostro, per darci la possibilità di parlare senza apparire degli animali, e per non dilungarci troppo nel riempire i nostri bicchieri di vino.”

“Oh, certo, vediamola pure così. Sarebbe altresì imbarazzante veder scorrazzare donzelle ubriache, e altrettanto ubriachi galletti abbigliati con eleganza, pronti a tutto pur di levare le gonne delle sopracitate dame” chiosò Alexander prima di rendersi conto della sconcezza appena uscita dalla sua bocca.

Non stava parlando con Raymond, dio del cielo! Ma dove aveva la testa?!

Già pronto a scusarsi con la sua interlocutrice, gli occhi contriti e dolenti, Alexander dovette reprimere qualsiasi parola quando scorse lo sguardo acceso di Elizabeth.

Si stava mordendo il labbro inferiore per non ridere ma, i suoi occhi color delle colombe, erano caldi e ridenti, come se il suo intero corpo stesse gaiamente danzando alle sue parole.

Quando ritenne di non farcela più, afferrò il tovagliolo per tergersi un’inesistente macchia intorno alla bocca e, finalmente, poté tossire una risatina.

“Vi chiedo umilmente perdono, miss Elizabeth. E’ stato davvero imperdonabile, da parte mia, parlare a questo modo con voi” si sentì comunque in dovere di dire Alexander, poggiandosi una mano sul petto, all’altezza del cuore.

“Non… non vi scusate…” riuscì a dire la giovane, ritrovando in qualche modo il contegno. “… poiché avete solo espresso quello che stavo pensando io. E forse, questo, non avrei dovuto dirlo.”

“Affatto. Quando siete con me, potete dire tutto ciò che volete, Eliz… miss Elizabeth. Scusate ancora. Stasera sono particolarmente goffo” si lasciò sfuggire Alexander, dandosi mentalmente dell’idiota.

Lei, però, accentuò solo il suo sorriso e, battendogli una volta la mano sull’avambraccio, chiosò: “Siete amico sincero di Raymond, perciò ora lo siete anche per me. Sarò solo Elizabeth, per voi, va bene?”

“E io, solo Alexander… ammesso e non concesso che vostro fratello non mi tagli la testa entro i prossimi venti minuti” ironizzò il giovane, lanciando poi un’occhiata poco alla sua sinistra, sull’altro lato del tavolo.

Elizabeth ne seguì lo sguardo, vide i suoi genitori a poca distanza da Julianne, che la stava vigilando come un falchetto e, poco oltre lei, scorse Andrew.

Appariva torvo in viso, ma non particolarmente arrabbiato. Solo… pensieroso.

“Uhm, no, non dovete temere la morte. Non ora, almeno. Sta solo rimuginando un po’. Niente di pericoloso” si limitò a dire Elizabeth, lanciando un sorriso tutto fossette al gemello che, a bella risposta, si aprì in un sorrisone tutto denti prima di tornare serio.

Il tutto durò solo un paio di secondi, ma a Lizzie bastò per capire che Andrew non era preoccupato per lei.

“Tutto bene, dunque? Quel ghigno non era indirizzato a me, giusto?” si interessò Alexander.

“Oh, no, affatto. Non tutto il mondo gravita attorno a voi, Alexander. Qualcosina riguarda anche gli altri” lo punzecchiò lei, inforchettando un’oliva dal suo piatto.

Fingendosi inorridito, lui rispose a tono e replicò: “Silfide dalla parlata velenosa… come può mai essere che qualcosa sfugga al mio controllo?”

“Scoprirete che avete al vostro fianco la miglior giocatrice di scacchi di tutta York. Non esiste nobiluomo che possa battermi. Andrew mi ha sorriso a quel modo perché sa che, se voglio cominciare a giocare, nessuno può tenere il mio passo. Forse, neppure voi.”

Alexander capì immediatamente che non stava più riferendosi agli scacchi, ma a tutt’altro gioco e, sorridendo affabile, asserì: “Sarete anche scaltra con pedoni e cavalli, mia cara, ma io gioco da più tempo di voi, e conosco trucchi che voi neppure immaginate.”

“Sopperisco alla mancanza di esperienza con molto acume… e alcuni trucchetti nella manica” reagì lei, ammiccando.

“Acume in una donna? Una combinazione diabolica, che potrebbe attirare soltanto uomini molto intelligenti e sagaci” le rinfacciò lui, vedendola sollevare istintivamente il mento per l’orgoglio. “Fortunatamente, io sono entrambe le cose, perciò potrò giocare da pari a pari con voi.”

Quelle parole parvero sorprenderla e, un po’ meno baldanzosa, mormorò: “Da pari… a pari?”

Tornando serio, Alexander prese dal piatto un carciofo e lo portò alla bocca.

Solo dopo averlo mangiato con calma, ammise: “Da me otterrete solo questo, Elizabeth. Se volete discorrere con un uomo diverso, sappiate fin da questo istante che io non sono il tipico gentiluomo che tenta di ammansire una donna. Per essere mia amica, dovrete essere voi stessa, non la figura imbellettata e sciocca che propina il Ton. Un simile stereotipo femminile mi inorridisce e basta.”

Elizabeth assentì in silenzio, mangiò un altro poco e alla fine asserì: “Non vorrei che un mio amico si rivelasse diverso da ciò che avete detto. Potrei solo detestarlo cordialmente.”

A quel punto, Alexander si volse curioso nella sua direzione ed esalò: “Cordialmente?”

“Sono la figlia di un conte, dopotutto. Non potrei mai essere volutamente maleducata” ironizzò lei, scrollando le esili spalle.

Lui si limitò a sorridere, forse un po’ scioccamente, ma sorrise come se lei avesse appena scoperto la più grande verità del mondo.

Forse, fu per questo che commise anche l’errore più grossolano del mondo.

Dopo aver mordicchiato un tenero funghetto, Alexander disse sommessamente: “Vostro padre è stato doppiamente fortunato, a quanto vedo. Il Fato gli ha donato una moglie incantevole e una figlia dall’intelligenza sopraffina.”

“Come, prego?”

“Beh, il matrimonio dei vostri genitori è stato voluto dai loro padri, perciò del tutto al di fuori del loro controllo, eppure Harford può dirsi assai fortunato del risultato di quell’imposizione” asserì Alexander, con naturalezza.

Accigliandosi leggermente, Elizabeth replicò: “Non parlerei di imposizione, visto che mio padre amava mia madre già prima del loro matrimonio.”

Confuso, il giovane commise il suo secondo errore, dando voce una volta di troppo al suo istinto di investigazione.

Voler sapere troppe cose, a volte, conduceva a fini tragiche.

“Da quel che so io, vostra madre venne presentata a vostro padre al di fuori dei canoni tradizionali del Ton, e tutto perché il vecchio Harford voleva obbligare il figlio a sposarsi.”

Elizabeth fissò ora gelida il suo compagno di cena e ribadì secca: “Siete stato male informato, forse. Semmai, mio padre e mia madre hanno piegato il Fato a loro favore. Il loro amore ne è la prova.”

“Prova soltanto che sono stati fortunati, ma null’altro che questo, Elizabeth. Non commettete l’errore di cedere al cieco sentimentalismo. I vostri genitori sono l’eccezione, non la regola” sottolineò il giovane.

“Può anche essere così, ma loro si sono amati fin dal principio. Io lo so” sibilò lei, cercando di darsi un contegno.

“E quali prove avete a vostro carico?” le chiese gentilmente lui.

“Una figlia sa certe cose” sbottò Elizabeth, cominciando a irritarsi.

“Anch’io so che mio padre e mia madre si amano…” le fece notare lui, sorridendo con fare un po’ beffardo. “… ma tutto si può dire, di loro, tranne che si amassero, all’inizio. Chiedete pure a entrambi, se volete. All’inizio, mio padre voleva strangolare mia madre perché parlava troppo, e lei perché mio padre russava di notte ed era sgarbato.”

“Non è il caso dei miei genitori” ribadì ancora Lizzie. “E, comunque, non è una cosa di cui discuterò con voi, poco ma sicuro, visto quanto poco sembrate apprezzare un sentimento nobile e puro come l’amore.”

Più che mai confuso, Alexander esalò: “Scusate? Cosa non saprei apprezzare, io?”

“Parlate di cose che non sapete con una supponenza che mi irrita perciò, se non volete che vi pesti ora un piede sotto il tavolo, chiudiamo l’argomento” gli rinfacciò lei, con occhi che sprizzavano scintille.

“Non sono affatto supponente e, pur se a malincuore, sono costretto a contraddirvi. Siete voi che parlate senza sapere, visto che non eravate ancora nata, quando i fatti si svolsero. Mio padre, invece, fu presente al loro matrimonio e tutto vide, quel giorno, tranne una coppia affiatata e innamorata” replicò piccato Alexander, alterandosi all’idea che lei lo credesse insensibile e, soprattutto, pressapochista.

Elizabeth fece tanto d’occhi, a quelle parole ma, per un’educazione inculcata a fatica negli anni, non esplose in un insulto e si limitò a distogliere lo sguardo.

Per il resto della cena, parlò unicamente con lord Grant, relegando Alexander in un angolo.

Come si era permesso, quello sbruffone, di parlare a quel modo dei suoi genitori?!

E dire che aveva pensato di aver trovato un giovane interessante e schietto, con cui avrebbe potuto parlare di tutto!

Invece, era solo… solo un maleducato pieno di sé!

Irritata, Elizabeth terminò la cena senza lasciar trapelare la rabbia e il risentimento che stava provando nei confronti di lord Chadwick e, quando fu loro permesso di alzarsi, si scusò con Mortimer e raggiunse il fratello.

Andrew le avvolse subito un braccio nella stretta rassicurante della mano e, in un sussurro al suo orecchio, mormorò: “Che succede, Lizzie?”

“Vorrei che tu avessi portato la pistola. Ora come ora, vorrei uccidere lord Chadwick junior!” sbottò la giovane, sorprendendo non poco il fratello.

“E perché mai? Vuoi che lo sistemi io per te?” le propose a quel punto lui, cercando con lo sguardo Alexander, pur non trovandolo.

Dove si era cacciato, quel codardo?

Julianne si avvicinò a sua volta e, sfiorando le spalle della nipote con un braccio, disse: “A un certo punto, sei diventata molto fredda con lord Chadwick. Devo richiamarlo all’ordine?”

Elizabeth le sorrise e mormorò: “Hai un vero occhio di falco, zia.”

“So come sei, tesoro e, a dispetto dei tuoi sorrisi e della tua tranquillità, sapevo che era successo qualcosa ma, visto che non potevo levarmi in piedi e raggiungerti, non ho potuto far altro che guardarti e stare in allerta” sospirò Julianne.

Quando infine giunsero anche i suoi genitori, Elizabeth espresse il desiderio di rientrare a casa e, poiché la festa era quasi terminata, la sua uscita di scena non sarebbe parsa strana.

Christofer intercettò subito un valletto, che spedì nelle scuderie per avvertire il loro cocchiere di preparare la carrozza dopodiché, nel rivolgersi alla figlia, le domandò: “Va tutto bene, tesoro?”

“Solo un po’ di mal di capo, papà. Vorrei andare a riposare, ora. Penso che, per stasera, io abbia danzato a sufficienza” gli sorrise lei, non volendo sollevare alcun problema in quel momento.

Harford si limitò ad assentire e, compatta, la famiglia Spencer si diresse verso le matrone di Almack’s per ringraziare per la bella serata, dopodiché si avventurarono all’esterno.

Fuori, le uniche luci erano offerte dai lampioni lungo la strada.

Le stelle non erano visibili, con quel chiarore innaturale ma, per Elizabeth, fu meglio così.

Se le avesse viste, probabilmente avrebbe pianto.

Era stato così bello parlare con Alexander alla luce delle stelle, su quel terrazzo tranquillo… e lui aveva rovinato tutto comportandosi da sbruffone!

Quando infine salirono in carrozza, Elizabeth poggiò il capo contro la spalla del gemello e Christofer, lanciata un’occhiata a Julianne, domandò: “Non è un mal di testa, vero?”

“Temo sia successo qualcosa con lord Chadwick, durante la cena. Purtroppo, con tutto quel brusio, non ho potuto cogliere nulla” si scusò Julianne, ma il cognato le sorrise cordiale, scuotendo il capo.

“Non è colpa tua, Julianne. Quelle tavolate sono predisposte appositamente perché le coppie non sposate parlino agevolmente tra loro, pur se vigilati sull’altro lato del tavolo dalle famiglie” sospirò Christofer, lanciando un’occhiata turbata all’indirizzo della figlia. “Devo chiamare il padre del ragazzo per avere un giusto tributo?”

“Affatto, papà. Non è davvero il caso. Solo, mi ha dato fastidio sentirgli dire certe cose su di voi” sospirò Elizabeth, facendo sobbalzare di sorpresa entrambi i genitori.

“Che cosa, precisamente, tesoro?” le domandò allora Kathleen, vagamente turbata.

Tergendosi una lacrima rabbiosa, Lizzie borbottò: “Una sciocchezza… ha parlato del vostro matrimonio, di ciò che ha visto suo padre, e di come non gli siate sembrati una coppia affiatata, quando sappiamo tutti benissimo che non è così.”

“Oh” esalò soltanto Christofer, lanciando un’occhiata significativa alla moglie.

E chi si ricordava che lord Maxwell Chadwick era stato invitato al loro matrimonio?

Eppure, a ben pensarci, era vero e, di certo, quella non era stata una giornata edificante, soprattutto per Christofer.

Era stato scostante con gli ospiti per tutto il giorno e, con Kathleen, freddo e dispotico, quasi ai limiti della maleducazione.

Niente di strano che Maxwell ne avesse parlato col figlio, visto quanto il ragazzo sembrava essere interessato a Elizabeth.

“Papà?” ripeté per la terza volta Lizzie, sollevando lentamente il capo dalla spalla del fratello.

Riuscendo finalmente a penetrare entro lo stato di shock in cui era caduto il padre, Elizabeth fissò preoccupata il suo volto, per poi passare a quello turbato della madre.

Andrew fece lo stesso e, parlando per la sorella, mormorò: “Cosa sta succedendo?”

Afferrando la mano del marito, Kathleen sospirò e disse: “E’ arrivato il momento di parlare di un paio di cose con voi, giunti a questo punto.”








Note: Prima che vi venga l'ansia, questo problemino si risolverà subito, e con gran ridere per i lettori, promesso, quindi non agitatevi ^_^
Di sicuro, Alexander non è stato abile, in questo caso, ma il passato di Kathleen e Christofer avrebbe potuto saltare fuori in qualsiasi altro momento, perciò è giusto che si chiariscano con i figli... anche per permettere a Elizabeth di comprendere meglio le parole del giovane che tanto sembra piacerle.



 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


 
14.
 
 
 
 
Accoccolata sul divanetto della biblioteca mentre Andrew se ne stava appoggiato contro il camino spento, Elizabeth stava osservando con il dubbio negli occhi i loro genitori.

Julianne e Wendell non avevano aperto bocca, durante il viaggio di ritorno a Grosvenor Square e, dopo esservi giunti, si erano ritirati nelle loro stanze.

I loro genitori, invece, li avevano pregati di seguirli al piano superiore e, dopo aver chiuso la porta della biblioteca alle loro spalle, si erano accomodati sul divano.

Da quel momento, erano passati almeno dieci minuti, minuti in cui nessuno aveva aperto bocca, gonfiando quel silenzio di tremenda aspettativa.

Quando, infine, Kathleen parlò, Elizabeth sobbalzò sul divanetto, stringendo le mani ancora inguantate sul grembo teso dall’ansia.

“Voi due sapete bene che io e vostro padre ci amiamo molto…”

I due gemelli assentirono e, a quel punto, Christofer prese la parola per aggiungere: “… ciò che, però, nessuno vi ha mai detto è come si è arrivati a questo.”

“Mamma ha sempre detto che ti amava anche prima di… di…” tentennò Elizabeth, recitando meccanicamente ciò che aveva sempre saputo dall’infanzia.

Sospirando, la donna sorrise mesta alla figlia, ammettendo: “E’ vero. Ho sempre amato tuo padre, ma sono successe molte cose, nel mezzo, … tra la vostra nascita e … beh, il resto.”

“Sapete già di avere un fratellino nato morto…” mormorò Christofer, passandosi una mano tra i capelli leggermente striati di grigio. “… e che lui nacque quando io e vostro zio Andrew eravamo in guerra.”

I due giovani assentirono muti e, ancora, loro padre sospirò.

Era così difficile tornare a quel periodo, ma era assurdo non raccontare loro la verità, visto che il dubbio era stato sollevato.

“Rimasi incinta poco tempo dopo il nostro matrimonio, combinato dai nostri genitori per obbligare vostro padre a dare un figlio al casato” aggiunse Kathleen, stringendo maggiormente la mano del marito. “Vostro zio Kenneth e sua moglie non vi erano fin lì riusciti, e l’altro fratello maggiore di vostro padre era morto per una brutta malattia, perciò…”

“Perciò, papà si sposò con te. Ma andava bene, no?” mormorò Elizabeth, timorosa di sapere il resto.

“Fummo gettati nella mischia senza che nessuno dei due volesse realmente quel legame, tesoro…” sussurrò la madre, cercando di essere il più delicata possibile. “… e i risultati non furono dei migliori, all’inizio. Non andavamo molto d’accordo, per svariati motivi.”

Andrew si scostò dal camino per avvicinarsi alla sorella e, dopo averle poggiato le mani sulle spalle, strinse un poco e domandò torvo: “E’ un eufemismo per dire che papà non fu un campione di virtù?”

Christofer non cedette di fronte allo sguardo livido del figlio e, anzi, assentì alle sue parole e ammise: “Esatto, figliolo. Ciò che vostra madre sta tentando di non dire, è che io non fui un bravo marito, all’inizio del nostro travagliato rapporto.”

Elizabeth inspirò con forza e si aggrappò a una delle mani del fratello per farsi coraggio e, di colpo, le parole di zia Bridget le tornarono alla mente con forza.

Chiedi ai tuoi genitori. Solo loro possono dirti la verità su quel periodo.

Volgendo lo sguardo verso la madre, ora al colmo della paura, Lizzie esalò: “Quella ferita… alla spalla… chi te la fece, realmente?”

Kathleen sgranò gli occhi di fronte alla domanda inespressa della figlia e, levandosi in piedi con un gesto improvviso, si pose dinanzi al marito e disse seccamente: “Non vi venisse mai più in mente di pensare questo di vostro padre. Commise un errore, certo, perché è umano come qualsiasi altra persona. Ebbe un’infanzia difficile e un padre orribile, oltre a dei fratelli maggiori davvero terribili. Tutte cose che possono inaridire anche il cuore più gentile.”

“Katie, ti prego…” la richiamò dolcemente Christofer.

“No, tesoro. Non voglio che pensino male di te, anche se hai commesso i tuoi errori in passato. Sei più che redento, e mi hai salvato la vita in tutti i modi possibili, perciò è giusto che sappiano… ma che non ti giudichino prima di aver saputo tutto” replicò con veemenza Kathleen, fissandolo da sopra la spalla.

Rivolgendosi poi ai figli, la donna aggiunse: “La ferita fu causata da un uomo di nome Peter Chappell… il fratello minore di Gregory, per intenderci.”

Sia Elizabeth che Andrew sospirarono di sorpresa, non avendo mai neppure saputo che il loro vicino di tenuta avesse avuto un fratello.

Kathleen tornò a sedersi con un sospiro e, poco alla volta, riaffondò in quel lontano passato, raccontando del loro matrimonio, di come entrambi avessero odiato quell’imposizione.

Christofer parlò un poco della guerra e di Andrew, intervallando il racconto con quello di Kathleen.

Proseguirono per quasi un’ora, parlando alternativamente senza che dai figli venisse un fiato e, quando ebbero terminato, le loro mani erano ancora intrecciate. Salde.

Le mani di Andrew, invece, erano strette a pugno sulle ginocchia, mentre quelle di Elizabeth erano poggiate sulla bocca socchiusa, a trattenere un ansito strozzato.

“Forse, lord Chadwick ha peccato di ingenuità, parlandoti di noi, ma non ha raccontato menzogne. Non sull’inizio del nostro rapporto, per lo meno” sorrise contrito Christofer, fissando spiacente la figlia.

Lei assentì brevemente, non riuscendo ancora a parlare e il padre, con un sospiro, si lasciò andare contro lo schienale del divano, aggiungendo: “Capirò se, per un po’, non vorrete parlarmi, ma vorrei capiste che sono solo un essere umano, e posso sbagliare. Non ho avuto ottimi consiglieri, in gioventù, ma un padre che amava la sferza più della parola. Per questo, con voi, non ho mai voluto levare mano, anche quando, forse, sarebbe stato necessario.”

Ciò detto, l’uomo lanciò un’occhiata significativa al primogenito, il quale reclinò colpevole il capo, sapendo bene a cosa si stesse riferendo.

Certo, il tutto era accaduto quando lui e Lizzie avevano avuto poco più di sei anni, ma Andrew avrebbe portato il peso di quell’incidente per tutta la vita.

Pur se lui non aveva voluto coscientemente fare del male alla gemella.

Giocare sulle scale come avevano fatto, e farla ruzzolare come era poi successo, era stato uno sciocco errore che, solo per pura fortuna, non si era tramutato in una tragedia.

Con tutta probabilità, l’istinto di protezione così radicato in Andrew, era nato da quel grossolano – e solo per caso non fatale – errore di valutazione dei rischi.

Anche Elizabeth comprese cosa volessero dire le parole del padre e, sorridendo al gemello, poggiò una mano su uno dei suoi pugni, facendolo rilassare col suo tocco.

Deglutendo a fatica, perciò, Andrew mormorò: “Cosa… cosa avrebbe fatto, tuo padre, di fronte a una cosa del genere?”

Con un mesto sorriso, Christofer si limitò a levarsi in piedi e, dopo aver tolto la giacca con l’aiuto della moglie, sfilò dai calzoni la camicia di seta.

Slegato il laccio sotto il collo, la sfilò dalla testa e, in silenzio, volse le spalle ai figli, limitandosi a mostrare la schiena.

Elizabeth ansò sconvolta e Andrew, mordendosi il labbro inferiore, trattenne a stento un’imprecazione quando scorse vecchie e bianche cicatrici delineate sul corpo del padre.

Erano di diversa fattura, come se fossero state incise nella carne con oggetti di varia forma, ma erano tutte profonde, ricoperte di candido tessuto cicatriziale.

Rimanendo voltato verso il fondo della biblioteca, Christofer mormorò roco: “Quella sulla spalla destra me la fece Kenneth, con il frustino da equitazione. Il suo cavallo aveva perso un ferro mentre ero con lui durante una passeggiata, e ne diede a me la colpa. Quando rientrammo, poi, malmenò il mastro ferraio, riducendolo in fin di vita.”

Kathleen sospirò, scuotendo il capo, ma lui proseguì.

“Quella slabbrata, poco sotto la scapola destra, la fece mio padre con un alare… non ricordo neppure quale, in effetti. Avevo gettato un ceppo nel fuoco e una scintilla era caduta fuori, rovinando un poco il tappeto. Quella sera, se non ricordo male, aveva bevuto” scrollò le spalle Christofer. “Sulle prime, penso volesse battere Wendell, giusto per divertirsi, ma poi preferì usare me. Mamma avrebbe dato di matto, se avesse toccato Wendell visto che, all’epoca, aveva solo un anno.”

Rimettendosi la camicia, il padre tornò a sedersi e, fissando turbato i figli, aggiunse: “Non voglio accampare scuse, ma spiegarvi con i fatti come una persona possa inaridire dentro, finendo con il commettere degli errori anche terribili.”

Andrew ed Elizabeth assentirono gravi e Kathleen, per chiudere la questione, aggiunse a sua volta: “Io finii con il non fidarmi più di nessuno, a causa del comportamento di mio padre, mio zio e mio suocero, ma vostro padre fu così paziente da restituirmi, giorno per giorno, la speranza che mi era stata strappata via a forza. Fu per questo che mi gettai dinanzi a lui per salvarlo, quel giorno. Per un uomo del genere, ne sarebbe valsa la pena. E lui fece lo stesso per me, in mille modi diversi, finché non si trovò a lottare come un indemoniato contro un uomo grande il doppio di lui, pur di salvarmi da un rapimento.”

“Perché ne valeva la pena, per te” le sorrise a quel punto Christofer, ritrovando un colorito più salubre.

“C’è altro che volete sapere?” domandò a quel punto Kathleen, accennando un sorriso ai figli.

“Per questo… per questo vi occupate degli orfani?” sussurrò Elizabeth, senza sorprendersi più di tanto, nel sentire la sua voce molto simile a un gracidio.

“Per quanto ci è possibile, desideriamo alleviare le loro pene, visto che non hanno nessuno che possa intervenire in loro difesa” assentì Kathleen. “Io e Christofer ci siamo aiutati vicendevolmente, e avevamo i mezzi per poter tramutare una cosa brutta in una bella, stupenda per l’esattezza. Ma loro?”

“Abbiamo voluto che voi foste uniti e solidali, poiché noi abbiamo dovuto subire – pur se in modi diversi – le crudeltà più variegate dalle nostre famiglie. Anche per questo, non abbiamo mai voluto mettervi al corrente del nostro passato, ma forse è stato sciocco tacere proprio su tutto. Ci avete idealizzato, immaginandoci perfetti e questo è sbagliato per più di un motivo. Tutti possono commettere errori, ma bisogna dare a ognuno la possibilità di redimersi.”

Elizabeth ansò all’improvviso, coprendosi la bocca con le mani e tutti i presenti, preoccupati da quella reazione, si volsero verso di lei per comprendere cosa fosse successo.

Quando la ragazza trovò il coraggio di parlare, esalò sconvolta: “E io ho dato del supponente pressapochista a lord Chadwick, per questo! Oh, cielo!”

Per Andrew fu troppo.

Tutte le emozioni fin lì trattenute esplosero in una colossale risata, corollata anche da leggere lacrime liberatorie e, nel guardare il volto scioccato della gemella, celiò: “Beh, se volevi colpirlo, l’hai fatto di sicuro!”

Elizabeth si volse verso di lui con un diavolo per capello, gli diede dell’idiota e si sollevò furente dal divano per andarsene sdegnata.

Già sulla porta, però, tornò indietro di corsa, abbracciò il padre al collo, lo baciò su una guancia e sussurrò: “Ti voglio bene comunque, papà… anche se hai fatto degli errori.”

Ciò detto, passò alla madre, l’abbracciò stretta e infine, fissando con cipiglio il gemello, ringhiò: “A te niente baci, antipatico che non sei altro. Fare dell’ironia su un evento così grave!”

Con un’andatura che avrebbe fatto invidia a tutte le regine del mondo, Lizzie se ne andò poi dalla biblioteca sbattendo la porta e Andrew, con un sospiro, crollò contro il divano, senza forze.

Imbronciato, poi, mugugnò: “Gli piace, vero?”

“Molto probabile” assentì contrariato Christofer.

“Piagnoni che non siete altro” li rabberciò bonariamente Kathleen, prima di sorridere al figlio e aggiungere: “Tutto bene, tesoro?”

Il giovane attese un attimo per rispondere, comprendendo bene quanto fosse profonda quella semplice domanda e, con un cenno solenne del capo, asserì: “Papà non è perfetto. Va bene. Però, ti ha restituito ciò che ti avevano tolto, no? Pareggia i conti e, forse, li fa finire persino in attivo.”

“Sicuramente. Mi ha dato voi” sorrise Kathleen, allungandosi per battergli una mano sul ginocchio.

“Oh, beh, se la metti su questo piano, vince di sicuro” celiò Andrew, levandosi in piedi per poi porsi dinanzi al padre.

Allungata una mano verso di lui, poi, mormorò: “Buonanotte, papà.”

“Buonanotte a te, figliolo” sussurrò Christofer, levandosi in piedi per abbracciarlo.

Il giovane si strinse con forza a lui, digerì anche l’ultimo residuo di risentimento e accettò il fatto che suo padre aveva sbagliato, ma aveva fatto il tutto e per tutto – riuscendoci – per redimersi.

Forse, dopotutto, c’era speranza per tutti. Anche per lui.

Con quel pensiero, abbandonò infine la biblioteca, dirigendosi verso le proprie stanze con passo tranquillo.
 
***

Probabilmente, la carrozza aveva fatto il quarto giro intorno all’isolato, ma poco importava.

La sola idea di rientrare a casa e affrontare il malcontento dei suoi genitori era impensabile, soprattutto perché sapeva benissimo che avrebbero avuto ragione da vendere.

Wilford, seduto dinanzi a lui assieme a Clarisse, lo stava osservando silenzioso, indeciso su cosa dire al fratello minore.

Non aveva la più pallida idea di cosa fosse successo, durante la cena di gala da Almack’s, soprattutto in considerazione del fatto che, sulle prime, tutto era parso andare bene.

Alexander aveva danzato – divinamente, almeno a suo dire – con la fanciulla che tanto sembrava interessargli e, a tavola, si erano ritrovati seduti accanto.

Qualcosa, a quel punto, doveva essere andato storto. Ma cosa?

“Alexander, caro… ne vuoi parlare?” intervenne a quel punto Clarisse, salvandolo da un terzo grado che non aveva intenzione di mettere in piedi.

Già loro padre glielo avrebbe fatto, e Wilford tremava al solo pensiero.

Ricordava bene quando, all’epoca, aveva subito il fuoco incrociato dei genitori.

Un colpo di carronata sarebbe stato preferibile, a ben vedere.

Alexander scelse quel momento per risollevare il suo viso pallido e abbattuto, puntando i suoi mogi occhi blu sulla cognata.

“Temo di aver commesso un errore plateale, carissima, e posso dare la colpa interamente a me stesso, …e alla mia lingua lunga, ovviamente.”

Clarisse fece tanto d’occhi, a quelle parole, ed esalò: “Tu… che pecchi nel parlare? E quando mai succede, caro?”

“Stasera, per l’esattezza, e con l’unica donna con cui non avrei mai voluto commettere un simile passo falso. Ho il terrore di essermi giocato la mia unica occasione, con lei, poiché ho sollevato un argomento a lei molto caro, e che ci ha visti totalmente contrapposti” le spiegò Alexander, battendo poi contro la parete della carrozza per indicare al guidatore in cassetta di procedere verso casa.

Era inutile cincischiare in giro per Londra. Doveva affrontare i coniugi Chadwick in tutta la loro adamantina furia.

Wilford tossicchiò e disse: “Che argomento può avervi visto scontrarvi in modo così acceso? Non penso tu l’abbia insultata in merito al suo abito. Era assai elegante, per quanto ne posso capire io di abiti.”

Clarisse assentì, ma Alexander borbottò: “Fosse stato questo! Probabilmente, ne avremmo riso fino a sfinirci, poiché miss Elizabeth ama ridere di se stessa – e degli altri – se la controparte sa essere altrettanto scherzosa. Ma no, il mio errore è stato enorme. Irrisolvibile.”

I coniugi non seppero che dire, di fronte al suo patimento e, quando infine la carrozza penetrò nel cortile della villa, seppero di non poter fare nulla per lui.

Maxwell Chadwick attendeva ritto e cupo sulla porta del cortile, le nerborute braccia intrecciate sull’ampio torace.

“Temo che qui si dividano le nostre strade, fratello. Neppure io ho il coraggio di mettermi contro papà, quando ha uno sguardo simile” sospirò Wilford, subito raggelato da un’occhiata disgustata della moglie.

“Non preoccuparti, Clarisse. Va bene così. Inoltre, non voglio che Wilford finisca nel mezzo di una discussione in cui non ha colpa alcuna” mormorò Alexander, rabbonendo la cognata.

“Sarà… ma, grande e grosso com’è, dovrebbe essere un tantino più coraggioso” brontolò per contro la donna, aiutata da un paggio a scendere dalla carrozza.

“Non si tratta di coraggio, ma di sopravvivenza” sostenne serio Wilford, discendendo a sua volta prima di salutare frettolosamente il padre ed entrare in casa.

Maxwell lo degnò a malapena di uno sguardo, troppo impegnato a fissare il secondogenito per dire qualcosa al suo erede.

Tipo, di non darsela a gambe troppo frettolosamente, col rischio di sopravanzare la moglie nella fuga.

Ma avrebbe avuto tempo in seguito per quel commento sarcastico; ora, doveva occuparsi di Alexander, e capire cosa fosse successo da Almack’s.

Aveva plaudito le manovre del figlio, si era compiaciuto nel vedere la coppia parlare con espressione così coinvolta e, una volta a cena, tutto gli era parso andare per il meglio.

Ma poi, di colpo, l’atmosfera gli era parsa raggelarsi intorno a loro.

La distanza gli aveva impedito di capire quale fesseria avesse detto il figlio e, quando era tornato con la moglie in carrozza, aveva scoperto che i due figli avevano cincischiato fuori da palazzo, ritardando il rientro.

Madaleine l’aveva pregato di lasciar perdere al mattino seguente, poiché non voleva che angustiasse il figlio, ma Maxwell l’aveva pensata diversamente.

Voleva sapere e, nel caso, risolvere subito l’annoso problema, a costo di trascinare il figlio per un orecchio fino a Grosvenor Square per scusarsi.

Indipendentemente da come avrebbe potuto proseguire il rapporto con miss Elizabeth, non voleva avere dissapori di nessun tipo con la famiglia Spencer.

Gli piacevano troppo, perché vi fossero incomprensioni pendenti.

Quando, perciò, Alexander gli si parò dinanzi, il viso contrito e afflitto, Maxwell gli fece cenno di seguirlo in casa e, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, decise che strategia utilizzare per l’interrogatorio.

Non sarebbe stato violento – dopotutto, era pur sempre suo figlio – ma, di sicuro, entro l’alba avrebbe conosciuto ogni sporco segreto di quella serata danzante.

A costo di cavargli la verità con le pinze da fabbro.







Note: La verità è stata sviscerata in ogni suo punto - anche su cose che non sapevate, come le cicatrici sulla schiena di Christofer - e ora i figli sanno ogni cosa. Sanno che il padre ha commesso degli errori passato, ma che è riuscito non solo a farsi perdonare, ma a creare una famiglia unita e dove l'amore è la prima parola a essere usata.
Quanto al povero Alexander, sa già che il rientro a casa coinciderà con una bastonatura - verbale - da parte del padre, poiché lui si è reso conto che qualcosa è andato storto e, sicuramente, vorrà andare in fondo alla cosa.
Credete che Maxwell arriverà a usare la pinza, per cavargli le parole? ;-)

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


 
 
15.
 
 
 
 
 
Passeggiando nervosamente per la sua stanza, con Lorelai intenta a scrutarla con espressione turbata, Elizabeth sbatté per l’ennesima volta le braccia contro i fianchi, sconsolata.

“Quando mai imparerò a tapparmi la bocca?” sbottò ancora una volta la giovane, irritata con se stessa per la sua lingua lunga.

“Miss Lizzie, sono più che sicura che lord Chadwick non ce l’ha con voi. Avrà sicuramente compreso che avete parlato con il cuore, per difendere i vostri genitori, non certo per offendere lui” cercò di persuaderla la cameriera, pur non sapendo bene cosa si fossero detti i due giovani.

La sua padrona era stata assai sconclusionata, nella sua confessione mattutina, mentre lei era intenta a pettinarle i capelli.

Anzi, forse non aveva mai visto miss Elizabeth così spaventata e spaesata in vita sua.

Ma l’ho fatto!” esalò la ragazza, crollando sul bordo del letto, coprendosi il viso con le mani per la disperazione.

Subito, Lorelai la raggiunse e, sfiorandole una spalla con il tocco consolatorio di una mano, sussurrò: “Coraggio, miss Lizzie… andate a fare colazione, poi fatevi accompagnare da lord Andrew al parco. Sono sicura che una passeggiata vi farà bene.”

Elizabeth assentì meccanicamente e, nel risollevarsi, prese un gran respiro, sorrise coraggiosamente alla cameriera e borbottò: “Scusatemi, Lorelai. Ho scaricato il mio malumore su di voi.”

“Mi spiace soltanto di non poter essere d’aiuto, miss Lizzie” scosse il capo la giovane, offrendole una pezzuola fresca per tergersi il viso.

La ragazza se la passò sul volto con delicatezza e infine uscì, recandosi nel salottino per la colazione dove, con tutta probabilità, avrebbe trovato solo i fratelli.

Sapeva bene che sua madre e suo padre avevano l’abitudine di alzarsi prestissimo, contrariamente ai figli, cui piaceva dormire un po’ di più.
 
***

Forse, presentarsi dinanzi alla villa degli Spencer di primo mattino, non era la soluzione ideale per risolvere il suo stato di prostrazione ma, d’altra parte, cosa gli rimaneva?

Strisciare? Poteva darsi.

Pregare Elizabeth di perdonarlo per la sua stoltezza? Sicuramente.

Farsi battere da suo fratello a una competizione di boxe? Se fosse stato necessario…

Gli sarebbe bruciato perdere un duello ma, per scongiurare la fine prematura della loro amicizia – e di tutto quello che avrebbe potuto seguire a essa – era disposto a tutto.

D’altronde, aveva ricevuto sufficienti insulti da parte del padre – e della madre, dio onnipotente! – per non tentare l’impossibile.

Quando era tornato a casa - la notte precedente - sconsolato e irritato con se stesso, suo padre gli aveva fatto un terzo grado degno della Santa Inquisizione, e sua madre gli aveva dato il colpo di grazia.

Quei due, avrebbero potuto vincere da soli la guerra contro Napoleone, ai tempi.

Un vero peccato che non vi avessero partecipato. Lord Wellington avrebbe avuto vita facile, con loro.

Era stato umiliante ammettere come avesse eccelso nell’arte dell’idiozia, con Elizabeth.

Altrettanto umiliante, era stato notare quanto la cosa avesse fatto ridere a crepapelle il padre.

Prima della reprimenda, ovviamente.

Sua madre era stata più tenera… ma solo i primi dieci minuti.

In seguito, gli aveva fatto una lavata di capo tale da fargli temere di perdere l’uso dell’udito per tutto il resto della sua vita.

Wilford l’aveva guardato con espressione spiacente, avendo già sperimentato in passato il loro fuoco incrociato.

Per questo, non era intervenuto in sua difesa.

Dopotutto, aveva moglie e figli. Era un imperativo, per lui, sopravvivere per prendersene cura.

E Alexander, in fondo, se l’era cavata solo con l’amor proprio calpestato da entrambi i genitori, e l’autostima ridotta al lumicino.

Un giusto prezzo da pagare, per il guaio colossale che aveva combinato.

Dopo una lunga notte insonne, quindi, era disceso nelle cucine simile a un condannato a morte, aveva ingollato un po’ di latte, mangiato un panino dolce ed era infine uscito con Apollo.

Data l’ora antelucana, Alexander non aveva potuto suonare la campanella a lato della porta e, sconsolato, aveva legato il cavallo alla ringhiera e si era seduto sui gradini della villa degli Spencer.

Gradini su cui lo trovò Christofer, aprendo la porta per uscire e recarsi alla Camera dei Lord.

Il suono della porta che si apriva fece sobbalzare Alexander che, levandosi in piedi come una molla, avvampò in viso non appena vide il padrone di casa dinanzi a lui.

Inchinandosi lesto, mormorò un ‘buongiorno’ stentato e infine risollevò il viso, tastando con mano le emozioni dell’uomo.

Il sorriso comprensivo che si ritrovò a fissare lo stupì non poco e, quando Harford lo invitò a entrare, Alexander si chiese fuggevolmente cosa stesse succedendo.

In silenzio, lo seguì in un piccolo salottino dai toni dell’azzurro e lì, dopo averlo pregato di accomodarsi, Christofer chiosò: “A quanto vedo, la notte è stata inclemente anche con voi, Alexander.”

“Non è stata una delle migliori degli ultimi tempi, in effetti” assentì lui, rigirando nervosamente la tesa della tuba tra le mani.

“Siete qui per Elizabeth?” domandò a quel punto Christofer, poggiando il gomito sull’orlo del camino, lo sguardo fisso sul volto piacente del giovane.

Non fosse stato per le profonde borse sotto gli occhi, segno di una nottata difficile e combattuta, Christofer lo avrebbe trovato assai affascinante.

Anche troppo.

Dubitava, comunque, che la figlia si fosse intestardita con quel giovane solo per il suo bel viso, o almeno così sperava.

Le infatuazioni potevano essere belle quanto pericolose, e lui non voleva un matrimonio riparatore, per la figlia, né un’unione senza amore.

Deglutendo a fatica, Alexander mormorò: “Sono qui unicamente per scusarmi con voi, innanzitutto, e con vostra figlia, in seconda istanza.”

“Con me? E perché mai?” replicò sorpreso Christofer. “Per ciò che vi siete detti voi e mia figlia?”

“Ve ne ha parlato, dunque. Bene, così non vi dovrò spiegazioni ulteriori” sospirò il giovane, assentendo. “Non era mia intenzione ferirla, né mettere in dubbio la forza del vostro matrimonio con lady Spencer… davvero non so cosa mi sia preso. E dire che padroneggio più che bene la favella.”

Alexander sospirò pesantemente, scuotendo contrito il capo per il fastidio.

Christofer sorrise maggiormente, pensando tra sé: “Oh, io so bene perché sei andato fuori dal seminato, mio caro…”

“Non avete raccontato nulla che non sia di dominio pubblico, lord Chadwick. Piuttosto, avremmo dovuto essere noi, più chiari con i nostri figli, invece abbiamo tralasciato cose che avrebbero potuto udire da chiunque fosse stato presente il giorno del nostro matrimonio.”

“Ugualmente, avrei dovuto tacere, visto quanto so del suo attaccamento a voi.”

Accigliandosi leggermente, Christofer replicò dicendo: “Ah, sì? E come lo sapete?”

“Semplice. Vostra figlia me ne ha parlato lungamente. Miss Elizabeth non è come le classiche damigelle impostate e, permettetemelo, assai noiose che sono solite varcare la soglia di Almack’s. E’ spontanea e sincera, e questo è un particolare che apprezzo molto, in lei.”

Prima ancora che a Christofer fosse permesso di chiedere altro, la porta del salottino si aprì di botto e, sulla soglia, comparve una trafelata Elizabeth, accaldata in viso e con gli occhi sgranati.

Le onde castano dorate erano sparse confusamente sulle spalle, e qualche ciocca era sfuggita alle spille che Lorelai le aveva applicato sulle tempie.

Al padre non occorse molto per capire che qualcuno aveva fatto la spia, riguardo la presenza di Alexander in casa, e lei si era catapultata al piano terra senza tener conto dei risultati.

Fosse stata un’altra ragazza, sarebbe impazzita di vergogna per il solo fatto di avere i capelli in disordine, ma non la sua Lizzie.

Raddrizzandosi alla svelta e passandosi le mani sulla gonna color rosa pallido per rassettarla, Elizabeth sorrise con grazia, si esibì in una riverenza e mormorò: “Lord Chadwick. Buongiorno.”

Alexander si levò in piedi per un inchino e, sorridendo appena, disse: “Buongiorno a voi, miss Elizabeth. Siete mattiniera.”

“Non come i miei genitori…” replicò lei, ammiccando al padre, che si limitò a sorridere tranquillo, discolpandosi da qualsiasi colpa lei tentasse di imputargli, tipo quella di aver bistrattato il giovane. “…ma sto cercando di migliorarmi.”

“Puntare al miglioramento di se stessi è sempre un’ottima attività” assentì il giovane, con garbo. “Proprio per questo, mi trovo qui. Poiché ieri sera ho dimostrato tutta la mia inettitudine, sono giunto qui per chiedervi umile perdono, sperando di non aver rovinato la nostra neonata amicizia con la mia dabbenaggine.”

Reclinando colpevole il capo, Elizabeth mormorò per contro: “Sono io a dovervi delle scuse, lord Chadwick, poiché ho parlato senza coscienza della verità, e ho finito con il rivolgervi insulti davvero beceri e fuori luogo.”

“Niente affatto, miss Elizabeth. Avrei dovuto essere io, a cogliere quanto fossi in errore. Dopotutto, essendo il più maturo tra noi due, avrei dovuto essere più avveduto, invece mi sono comportato come uno sciocco bambino con il desiderio di prevalere a tutti i costi” le ribatté Alexander, ignaro dell’accorato studio che Christofer stava svolgendo sui due giovani.

Raddrizzando il capo con serio cipiglio, Lizzie replicò: “Affatto, milord. La vostra maggiore età non deve essere una colpa, poiché possiedo assennatezza sufficiente – o dovrei possederne – per capire quando fermarmi, eppure non l’ho utilizzata.”

“Dissento totalmente, Elizabeth. Non avete colpe da rivolgervi, ma potete rivolgerle a me, e a ben d’onde” le ritorse contro il giovane, scuotendo il capo.

“Ma come, Alexander? Cedete così, senza neppure combattere un po’ per la vostra vittoria? Eppure, non mi sembrate un tipo che ama perdere, o lasciar correre” gli rinfacciò Elizabeth, avanzando di un passo.

“Come, prego? Qui non si tratta di vincere o perdere, mia cara Silfide, ma di farvi capire, una volta per tutte, che io ho torto, e voi ragione. Sono un idiota, questo è quanto” sottolineò Alexander, accigliandosi.

Poggiando le mani sui fianchi, Lizzie allora sbottò dicendo: “Oh, ma guarda! Ora mi tocca anche alzare la voce con voi, per avere per me la parte della sciocca, mentre vi sto dando il ruolo del saggio e dell’accorto favellatore. Siete davvero impossibile!”

Schiacciando indice e pollice sull’attaccatura del naso, Alexander replicò vagamente piccato: “Con tutto il dovuto rispetto, piccola Valchiria dall’animo battagliero, non mi pare che tacciarmi di essere saggio e accorto, sia quello che voi avete detto ieri sera. E avevate ragione, naturalmente… ieri sera, intendo. Perciò non capisco perché, stamani, avete deciso di sparigliare le carte a questo modo.”

“Non spariglio niente! Siete voi che lo fate, come vostro solito!” sibilò Elizabeth, puntando un dito contro il suo petto.

Fu solo a questo punto che i due si accorsero di essersi avvicinati l’un l’altra, e di molto, durante quello scontro verbale sempre più sferzante.

Christofer scelse quel momento per scoppiare in una gaia risata, esalando: “Davvero, davvero esilarante.”

“Prego?” gracchiarono entrambi loro, sconcertati.

“Perché non invitate mia figlia per una passeggiata a cavallo nel parco, lord Chadwick? Sarò lieto di darvi il benestare per un invito ufficiale, senza chaperon al seguito” disse a quel punto l’uomo, sorridendo per un istante alla figlia.

Affrettandosi a inchinarsi, Alexander mormorò: “L’onore che mi concedete è grande, milord, e vi prometto che mi prenderò cura di lei nel migliore dei modi.”

“Non mi aspetto niente di meno” assentì Harford. “Coraggio, cara. Vai a cambiarti. O vuoi che lord Chadwick attenda qui un’eternità?”

Elizabeth fece per rimbeccarlo, ma preferì astenersi e, con un’aggraziata riverenza, si involò fuori dal salottino per raggiungere le sue stanze.

Rimasto solo con Christofer, Alexander asserì con maggiore serietà: “La terza cosa che volevo chiedervi era, per l’appunto, quella che mi avete appena concesso. Desidero frequentare vostra figlia, perché credo che potrebbe essere la persona giusta, per me.”

“Sarà Elizabeth a dirmi quello che vorrà per sé, ma avete il mio consenso a frequentarla” assentì Christofer, con altrettanta serietà. “E ora, se volete scusarmi, devo raggiungere in fretta il Parlamento. Posso dire a vostro padre di questo cambio di rotta, o preferite farlo voi?”

“Fatelo pure voi. Si è già divertito stanotte, a darmi dell’idiota per aver irritato miss Elizabeth” sospirò Alexander, sorridendo contrito all’uomo, che sorrise divertito nell’uscire. “Una soddisfazione basta e avanza.”
 
***

Ritta in sella a Pilgrim, lo sguardo perso dinanzi a lei e il cuore che batteva a profusione nel petto, Elizabeth trovò difficile persino respirare correttamente.

Figurarsi parlare.

E dire che era sempre stata un’inguaribile chiacchierona!

Certo, andava pur detto che non si era mai trovata in una situazione simile, con un gentiluomo al suo fianco… su consenso ufficiale di suo padre.

Trattandosi di un appuntamento all’aperto, sua zia non era stata interpellata.

Se si fosse trattato di una semplice uscita, come quelle che aveva avuto con Raymond, sarebbe stata presente, ma così…

Molto semplicemente, Alexander le stava facendo la corte, perciò aveva diritto a passeggiare da solo con lei, pur mantenendo il decoro, ovviamente.

Il viso le andò in fiamme, a quel pensiero e il giovane al suo fianco, avvedendosene, sorrise indulgente e mormorò: “Se fossi avvezzo ai rossori, a quest’ora sarei nella vostra stessa situazione.”

“Come, scusate?” esalò lei, volgendosi per guardarlo.

I suoi occhi blu notte apparivano spauriti, in effetti, e del tutto confusi. Niente affatto sicuri e vagamente ironici come erano solitamente.

Era mai possibile che fosse realmente in imbarazzo anche lui?

Grattandosi una guancia, su cui iniziavano a comparire i segni della barba di un giorno, Alexander ammise: “Se conoscete abbastanza il mio passato – e penso che lord Phillips ve l’abbia riferito…”

“Ho origliato, ricordate?” gli rammentò lei, sorridendo appena.

“Oh, giusto. Sono notizie rubate” sorrise a sua volta il giovane, annuendo. “Comunque, avrete sentito che non sono solito intrattenermi con il gentil sesso per… beh, per intraprendere una relazione di alcun genere.”

“Sì, Anthony ha detto che non siete un perdigiorno e un… un farfallone? Non ho esattamente ben capito cosa intendesse dire, con questo” asserì Elizabeth, poggiandosi il dito indice sul mento.

“Letteralmente, vorrebbe dire indefesso corteggiatore di donne.”

“Oh. Ecco perché è una parola che non ho mai sentito usare, in casa. Mio padre si rivolterebbe, al solo pronunciarla. Teme che io possa caderne vittima a ogni angolo di strada così, se non li nomina, pensa di salvarmi da un tale destino” ammiccò lei, facendolo ridere sommessamente.

“Meno male, Elizabeth… temevo di avervi sconvolto a morte, con questo appuntamento raffazzonato tra capo e collo” sospirò di sollievo il giovane.

“Beh, ecco… sconvolta proprio no, ma… sono curiosa, e molto…” ammise lei, reclinando il viso per curiosare le proprie mani che, con attenzione, trattenevano le briglie.

“Riguardo a cosa, se posso chiedere?”

“Al motivo dell’appuntamento, mi sembra ovvio” replicò la ragazza, tornando a scrutarlo in viso.

Alexander sembrava interdetto, come se la risposta alla sua domanda fosse ovvia.

Accigliandosi leggermente, Elizabeth aggiunse: “Non guardatemi come se fossi sciocca. Vorrei davvero saperlo.”

“Sul serio non avete idea del perché vi abbia invitata?”

“Affatto. Anzi, pensavo che, dopo la mia sfuriata del tutto fuori luogo, non voleste più aver a che fare con me” sottolineò lei, scrollando le spalle.

Il giovane, allora, rise bonario e, nel sorriderle indulgente, asserì: “Ammiro il fatto che non abbiate peli sulla lingua, nel parlare, e non abbiate paura di rinfacciarmi le cose, quando dico sciocchezze.”

“Ma non le avete dette. Io, piuttosto, ho azzardato ipotesi su un argomento che, in realtà, non conoscevo come credevo” borbottò la ragazza, scuotendo il capo.

“Non è questo il punto, mia cara Valchiria. Eravate convinta di ciò che dicevate, e non avete avuto il timore di scontentarmi, asserendo il vostro punto di vista.”

“Le persone vi mentono spesso, Alexander?” gli domandò allora Elizabeth, vagamente turbata.

“Per tentare di entrare nelle mie grazie? Spesso e volentieri” annuì sarcastico lui. “Le matrone del Ton amano avermi nei loro salotti, desiderose di mostrarmi ai loro ospiti. Chi non vorrebbe avere il ragazzo che ha messo a tacere niente meno che lord Wellesley?”

Elizabeth sospirò spiacente nel notare il dolore cocente nei suoi occhi e, dentro di sé, desiderò scagliarsi contro quelle donne che l’avevano trattato al pari di un oggetto.

“Mi fanno offerte che farebbero inorridire anche il più affermato farfallone, per tornare in argomento… i loro mariti, per contro, mi vogliono per motivi molto più spiacevoli, e cioè per dimostrare che non valgo quello che i più dicono di me” aggiunse infine il giovane, sorridendole mestamente.

“Orribile” sentenziò Elizabeth, scuotendo il capo. “Dovreste mandarli bellamente al diavolo, e infischiarvene di tutti. La vostra intelligenza e sagacia dovrebbero essere un vanto, non uno strumento per farsi belli agli occhi degli altri, o un tentativo per dimostrare cose che non esistono.”

Sorridendo con calore, lui mormorò: “Lo dice anche mio padre.”

“Non ho mai avuto il piacere di conoscerlo, ma mi piace già come ragiona” ammiccò Elizabeth prima bloccarsi, mordersi il labbro inferiore e domandare: “E se saltasse fuori che uno dei due non è… interessato all’altro?”

Alexander rise sommessamente, e disse: “Vostro padre è stato chiaro, con me. Sarete voi, e solo voi, ad avere l’ultima parola. E, in cuor mio, non vorrei mai una donna che non mi vuole. Sarebbe un’unione davvero miserevole. Non è un caso se, fino a ora, sono fuggito dalla gabbia del matrimonio a gran velocità. Nessuna donna sembrava desiderare ciò che io volevo per entrambi. Una libera scelta.”

“Oh, giusto… il liberale convinto” ironizzò Elizabeth, pur sentendosi scaldare dentro.

Il padre voleva questo, per lei? La più totale libertà di scelta?

Anche solo per questo, lo avrebbe amato a dispetto di tutto.

Tornando serio, Alexander si volse per osservare la passeggiata deserta che si estendeva dinanzi a loro – il parco di Grosvenor non era molto gettonato, per le promenade – e mormorò: “Sono cresciuto con donne fiere, Elizabeth, e ne ho sempre apprezzato la forza sottile e la sagacia. Non mi permetterei mai di pensare che mia madre è inferiore in qualcosa a mio padre, pur se la cultura dei nostri tempi vi relega in una posizione di ben infimo rilievo.”

“E’ un pensiero molto carino… ma non penso che troverete molti sostenitori, in questo” gli fece notare lei.

“Non mi interessano i sostenitori quanto, piuttosto, mantenere saldi i miei principi” sottolineò il giovane, volgendo lo sguardo verso di lei. “Raymond la pensa come me ma, avendo il padre che ha, spesso e volentieri entra in conflitto con lui.”

“Raymond è davvero troppo gentile, per avere un padre simile” sospirò Elizabeth, spiacente.

“Concordo pienamente ma, a discapito della sua gentilezza, sa essere forte e determinato, quando l’esigenza lo richiede” replicò Alexander, con un mezzo sorriso.

“E’ sicuramente determinato a conquistare Charlotte” sorrise Elizabeth.

“Oh, più che sicuro. Credo di conoscere tutto, di miss Ranking, pur avendola vista ben poche volte, in queste settimane” sorrise divertito Alexander, facendola ridere.

“Beh… entrambi loro sono molto ciarlieri, riguardo l’un l’altra” ammise la giovane. “Hanno molte cose in comune, anche se Charlotte ha sicuramente la lingua più pungente, rispetto a Raymond.”

“Giovani pestifere e dalla mente arguta… qualità che apprezzo molto, tra l’altro” sottolineò Alexander, ammiccando.

Elizabeth sorrise a mezzo prima di bloccare la cavalcatura, fissare con aria di sfida il cavaliere al suo fianco e infine dire: “Voglio mettervi alla prova. Vi lascerete sfidare, milord?”

“Mi tentate,… perciò sì. Ammesso e non concesso che questo non voglia dire mettervi in pericolo” sottolineò Alexander, giusto per prevenire qualsiasi guaio.

“Oh, per difendermi bastate voi, visto il luogo in cui andremo” rise la ragazza, lanciando al galoppo il cavallo e costringendo il giovane a seguirla.

Sperava soltanto non si mettessero nei guai, o Christofer Spencer avrebbe potuto mostrargli il suo lato più oscuro. Poco ma sicuro.
 
***

Quando Elizabeth bloccò la sua cavalcatura dinanzi all’orfanotrofio ‘Andrew Campbell’, nel quartiere di Whitechapel, si volse a mezzo e sorrise ad Alexander.

Non era esattamente il luogo più adatto, per un appuntamento, visto che era uno dei quartieri più degradati di Londra, ma Alexander contava che, in pieno giorno, non succedesse nulla.

Inoltre, quando vide Elizabeth puntare con sicurezza verso la porta d’ingresso, immaginò che quello fosse uno degli orfanotrofi gestiti dalla famiglia.

Seguendola perciò con sicurezza, le porse il braccio e attese con lei che qualcuno venisse loro ad aprire e, nel frattempo, si chiese il perché di quella fermata.

Voleva forse metterlo alla prova, di fronte alle condizioni miserevoli di quei pargoli?

Era possibile.

La maggioranza della nobiltà se ne infischiava del popolino, e forse lei voleva sapere realmente con chi aveva a che fare, e non solo udire la sua favella.

Cosa in cui, per altro, eccelleva.

Quando finalmente il battente si aprì, Alexander fece per inchinarsi alla matrona che si parò loro innanzi ma, quando scorse l’ansia sul volto dell’anziana signora, esalò: “Cos’è successo?”

Elizabeth, però, precedette qualsiasi risposta della donna, penetrò quasi di corsa nello stabile e, nel vedere i bambini in lacrime nel corridoio, esclamò: “Mrs Kenwood, dov’è Roy?! Perché non è qui con i ragazzi?!”

Ai limiti del pianto, Mrs Kenwood scosse il capo, come se non fosse in grado di parlare e uno dei ragazzi più grandi, prendendo in mano le redini della situazione, disse: “E’ sparito, miss Elizabeth. L’abbiamo scoperto stamattina presto, per colazione. Ci siamo messi a cercarlo in lungo e in largo e, caspita, mica si può nascondere, no? Non ci sono buchi o che, qui!”

Elizabeth assentì, cercando di sorridere, e il ragazzino, Jason, proseguì.

“Insomma, quando non ci abbiamo cavato un ragno dal buco, abbiamo chiamato Mrs Kenwood e miss Keegan, che è andata a chiamare i poliziotti… ma io mica sono convinto che vengano. Siamo orfani. Che vuole che gliene importi, a loro?”

Gonfiandosi come un pavone, Elizabeth poggiò una mano sulla spalla del ragazzino, lo fissò con sguardo adamantino e dichiarò: “Importa a me, Jason. Lo dirò a mio padre e, di sicuro, la sua parola peserà a sufficienza perché i poliziotti si impegnino per trovarlo. Va bene?”

“Voi siete buoni con noi, per cui penso che va bene” assentì il ragazzo, prima di notare la presenza di un estraneo. “Vi siete fatta il fidanzato, miss?”

Elizabeth avvampò come uno stoppino, di fronte all’affermazione angelica del ragazzo e, mentre Mrs Kenwood lo richiamava per la sua sfacciataggine, Alexander rise e asserì: “Sono un amico della vostra miss Elizabeth e, se me lo permetterete, aiuterò anche io.”

A quelle parole, la ragazza lo fissò con curiosità e, nell’avvicinarsi a lui, sussurrò: “Cosa avete in mente?”

“Sono abbastanza bravo a ficcare il naso qua e là, sennò non sarei sempre così informato su tutto. Non sarò all’altezza del vostro lord Phillips, ma me la cavo abbastanza, coi segreti” le sorrise malizioso lui, già pregustando l’adrenalina scatenata da quella ricerca.

“Non vi caccerete nei guai, spero!” sussurrò preoccupata Elizabeth.

“Non commetterò errori… nei limiti del possibile.”

E mi riferirete ciò che scoprirete” aggiunse lei, fissandolo con intenzione.

“Sarebbe rischioso.”

“Si sta parlando dei miei protetti, Alexander” sottolineò Elizabeth, perentoria.

Sospirando, il giovane assentì, ma aggiunse: “Il fatto che io vi parli di ciò che scoprirò, non significa che farete qualcosa oltre l’ascoltare.”

“Non vi prometto nulla” si limitò a dire la ragazza, prima di guardare Mrs Kenwood e dire: “Vado a parlare subito con mio padre. Non temete. Ritroveremo Roy.”

“Lo spero tanto, miss Elizabeth. Sarebbe un disastro se sua madre lo avesse portato via da qui, dopo averlo abbandonato” sospirò la donna.

Preferendo non esprimere i propri dubbi, Elizabeth le batté una mano sulla spalla prima di uscire di gran carriera dall’orfanotrofio assieme ad Alexander.

Il loro appuntamento non si stava svolgendo esattamente come aveva immaginato la sua prima uscita con un gentiluomo, ma in quel momento non aveva importanza.

Doveva trovare suo padre, e riferirgli quanto era successo.
 
***

L’agente di Bow Street ascoltò con attenzione la deposizione dei ragazzini più grandi dell’orfanotrofio, oltre che delle due donne che si prendevano cura di loro.

Christofer, nel frattempo, era ritto accanto a Mrs Kenwood per darle conforto, mentre Elizabeth e Alexander erano leggermente defilati, fermi accanto alla stanza dei giochi.

Ormai, il pomeriggio stava volgendo al termine e, per quel giorno, non sarebbe stato fatto nulla per trovare il piccolo Roy, di cui erano spariti anche i pochi averi.

Quando, infine, l’agente se ne andò con un saluto a lord Spencer, Christofer sospirò, diede una pacca sulla spalla a Mrs Kenwood e asserì: “Metterò sulla pista anche un mio fidato amico, Mrs Kenwood, non temete. Ritroveremo Roy in men che non si dica.”

“Mi scuso immensamente per avervi disturbato, lord Spencer…” sospirò la donna, stringendo le mani intorno a quella forte del conte.

L’uomo le sorrise, scosse il capo e, nell’osservare orgoglioso la figlia, replicò: “Elizabeth ha fatto bene a chiamarmi. Ciò che succede qui mi interessa molto, perciò non c’è nulla da perdonare.”

“Spero solo non gli sia successo nulla di grave, altrimenti…” singhiozzò l’anziana, subito soccorsa da miss Keegan.

Mentre Christofer era impegnato a confortare la donna, Alexander si piegò verso Elizabeth e sussurrò: “Non mi fido molto di quell’agente, perciò comincerò subito le mie ricerche.”

“Non è meglio che agiate in concomitanza con Anthony?”

“E perdere l’occasione di dimostrarvi quanto sono bravo? Giammai” ironizzò lui, vedendola scuotere il capo pur sorridendo.

Tornando serio, il giovane poi aggiunse: “Scherzi a parte, lord Phillips ha agganci che io non ho di sicuro, ma penso di avere qualche freccia al mio arco a mia volta. Più notizie raccoglieremo, meglio sarà per quel ragazzo.”

“Non vi fate male, però, e ricordatevi, dovete raccontarmi tutto” sottolineò lei, prima di lasciarlo andare.

Alexander assentì, salutò brevemente i presenti e infine corse via, tenendo una mano sulla tuba perché non gli sfuggisse.

Vagamente sorpreso da quella frettolosa dipartita, suo padre infine la raggiunse e, nell’accompagnarla all’esterno e al suo Pilgrim, le domandò: “Dov’è corso così di fretta, il nostro baldo corteggiatore?”

Arrossendo un po’ di fronte a quella parola del tutto nuova, per lei, Elizabeth riuscì comunque a dire: “Aveva alcune indagini da portare avanti.”

“Indagini?” assottigliò le palpebre Christofer, fissandola dubbioso.

“A quanto pare, non solo Anthony è capace di ficcare il naso in giro” sottolineò la ragazza, fissando con intenzione il padre che, subito, reclinò colpevole il capo.

“Ce l’hai ancora molto con me, per questo?” le domandò lui, aiutandola a salire sul cavallo.

“Non più di tanto. E poi, mi offre un po’ di margine per essere pestifera” gli rinfacciò lei, birichina.

Balzando in sella, Christofer le diede un buffetto sulla guancia e, nel rientrare verso casa con lei, mormorò: “L’importante, è che tu non abbia scheletri nell’armadio, quando si tratta di me.”

“No, papà. Ho capito perché non ci avete parlato di ciò che successe ma, anche se ora so che, in gioventù, hai commesso qualche errore, posso solo dire che ti apprezzo ancora di più, perché ci hai messo l’anima per redimerti.”

“E ho ricevuto in dono quattro gioielli di inestimabile valore” aggiunse lui, carezzandole la guancia prima di ritirare la mano. “Quel giovane ti piace molto, vero?”

“E’… piacevole” asserì lei, lappandosi nervosamente le labbra.

Christofer allora le sorrise, accelerò appena l’andatura e disse: “Ricorda solo una cosa. A dispetto di tutto quello che è successo, io mi fido del tuo giudizio.”

“Lo so.”







Note: Spero di avervi accontentate - e tranquillizzate - con questo capitolo, e di avermi almeno fatto sorridere (io mi sono divertita molto a scriverlo).
Di sicuro, c'è un piccolo problema a fine capitolo che non può che lasciare un attimo in sospeso la situazione, ma tutto si risolverà... come, sarà compito di Elizabeth e Alexander farvelo capire. E penso sfuggirà qualche altra risata.
Alla prossima, e grazie a tutti/e per il vostro appoggio!

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


 
 
16.
 
 
 
 
Le sembrava assurdo partecipare all’ennesimo ballo, quando erano passate due settimane senza avere alcuna notizia di Roy, ma tant’era.

Non poteva chiudersi in casa e fare vita monastica. Non sarebbe servito a nulla.

Inoltre, quell’uscita era un’ottima occasione per parlare un poco con Alexander sui suoi progressi riguardanti l’indagine in corso.

In merito, Anthony era stato ermetico e, quando ne aveva fatto menzione al padre, anche lui si era dimostrato parco d’informazioni.

Le aveva solo riferito che, su Roy – o sul coinvolgimento della madre – non si sapeva ancora niente.

Puntare su Alexander e su quella serata, era l’unico modo per capire quanto, quelle affermazioni, fossero veritiere.

Le sue visite pomeridiane erano state piacevoli, così come le passeggiate in calesse a Hyde Park, ma le distrazioni erano state tali da non permettere loro di parlare del caso.

Tra i continui – quanto studiati – coup de téâtre di Max, che era comparso più e più volte, nel corso delle visite di Alexander, mentre parlavano in salotto, e le chiacchiere dei nobili alle Promenade, tutti avevano congiurato contro di loro.

Stranamente, l’unico a non disturbarli era stato Andrew.

Che avesse perso la sua iniziale antipatia nei confronti del secondogenito dei Chadwick?

Elizabeth non lo sapeva, poiché Andrew era stato criptico, con lei, in merito.

“Avete la testa altrove, Elizabeth… cosa vi turba, oltre il pensiero di Roy?” le domandò Alexander, intento a scortarla intorno al salone dei Willingcott, i padroni di casa e gli organizzatori di quel ballo.

Riprendendosi dai suoi pensieri errabondi per rispondergli, la ragazza mormorò: “Pensavo a quanti ci hanno impedito di dialogare speditamente, in queste settimane. Devo porgervi le mie scuse per il comportamento increscioso di mio fratello. Sa essere un burlone fin troppo desideroso di trovare un pubblico cui esibirsi.”

Sorridendo, il giovane replicò: “Nessun problema, Elizabeth. Anzi, ho apprezzato gli interventi di Maximilian. Mi sembra un ragazzino assai spiritoso e ciarliero… chi mi ha sorpreso è Andrew. Avrei immaginato una sua assillante presenza, invece…”

“L’avevo pensato anch’io, invece sembra come distratto. Vorrei aiutarlo, ma non mi parla” sospirò Elizabeth, scuotendo il capo.

“I maschi sanno essere assai testardi, mia cara Silfide, e accettare l’aiuto di una sorella è forse una delle cose più difficili che esistano. Vorrebbe dire calare la maschera che indossiamo, per mostrare a chi amiamo quanto possiamo essere fragili” la tranquillizzò Alexander, sorridendole benevolo.

“Perché vi ostinate a chiamarmi Silfide?” gli domandò a quel punto lei, sorridendo di rimando.

“Se conoscete l’etimologia di questo personaggio mitico, dovreste rispondervi da sola” le replicò lui, ammiccando.

“Io non sono né leggiadra né tanto meno agile. Come potrei esserlo, se sono alta a malapena un metro e sessanta?” brontolò la ragazza, accigliandosi un poco.

“Vi ho vista spronare Pilgrim a tutta velocità, e con una sella da amazzone, cosa tutt’altro che facile, perciò so che siete agile…” le ricordò lui, prima di aggiungere malizioso: “… e ho danzato con voi, perciò so che siete leggiadra, mia cara. Inoltre, da quando vi ho vista all’orfanotrofio, posso dire che quel nome vi si addice anche per un altro motivo.”

“Oh” mormorò lei, arrossendo suo malgrado.

Elizabeth sapeva bene cosa non stava dicendo Alexander.

Le Silfidi erano conosciute per dedicare anima e corpo a un’impresa, se esse la ritenevano giusta, ed erano disposte a tutto per aiutare coloro che chiedevano il loro intervento.

“Siete molto gentile a tributarmi un simile omaggio, ma sto facendo assai poco” sussurrò imbarazzata.

“Nessuno pretende che saliate sul vostro Pilgrim per girare i docks di Londra uno a uno, ma già il fatto che vi siate prodigata per quel fanciullo, è meritevole.”

Levando immediatamente il capo per guardarlo con curiosità, Elizabeth domandò: “I docks? Perché li avete nominati?”

Alexander le sorrise soddisfatto, lieto che avesse notato quel particolare e, nell’accompagnarla verso una veranda aperta – come suo corteggiatore, poteva farlo senza chaperon al seguito – le disse: “Penso di aver scoperto qualcosa, ma sto approfondendo le indagini per essere certo di non aver preso un abbaglio. Non vorrei mettere inavvertitamente nei guai un onesto commerciante, quando posso evitarlo.”

“Cosa intendete dire?” volle sapere lei, appoggiandosi al parapetto per poi guardarlo da sopra la spalla.

Raggiuntala al parapetto, Alexander notò solo distrattamente la presenza di alcune coppiette appartate tra le siepi, dabbasso, nel giardino oscurato dalla notte.

Personalmente, non si sarebbe mai arrischiato a portare Elizabeth in quell’oscurità così foriera di disastri.

Già rimanere solo con lei su quel balcone, era sufficiente a fargli battere furiosamente il cuore.

Figurarsi trovarsi con lei tra quei profumi stuzzicanti, senza nessun’altro a scorgere i loro movimenti, mentre le loro bocche si sfioravano e…

“Alexander… dove siete, ora come ora?” gli domandò scherzosamente Elizabeth, sorridendogli maliziosa.

Tossicchiando imbarazzato, il giovane tornò prontamente con i piedi per terra e mormorò: “In un luogo in cui sarà meglio non vi porti, se non vogliamo che voi finiate nei guai.”

“Ah” gracchiò lei, avvampando.

“Per l’appunto…perciò, pur se la cosa mi pare assurda al solo pensarla, è meglio che io vi parli di quello che ho scoperto.”

“Perché dite che è assurdo?” gli ritorse contro lei.

“Perché so già cosa mi chiederete dopo e, per me, sarà difficilissimo dirvi di no” sospirò il giovane, passandosi una mano tra gli scuri capelli.

Accigliandosi, Elizabeth strinse nella mano destra il suo ventaglio e borbottò: “Perché dovreste dirmi di no?”

“Perché, consciamente, sarebbe pericoloso darvi il consenso a ciò che, sicuramente, mi chiederete di fare, ma non so se avrò la forza per negarvelo.”

“E come mai?” volle sapere lei, ora più che mai curiosa.

“Mia cara, davvero volete che io vi risponda?”

Elizabeth fu lesta ad aprire il ventaglio per farsi aria e, al tempo stesso, nascondere il profuso rossore che era tornato a invaderle le gote.

Possibile che il semplice accennare al coinvolgimento sentimentale di Alexander, la mandasse così fuori controllo?

A quanto pareva, lui non era l’unico ad avere dei problemi, quando si trovavano insieme, e a breve distanza l’uno dall’altra.

“Prometto che cercherò di non assillarvi, se riterrò di non essere in grado di affrontare ciò che mi direte” riuscì a concedere infine la ragazza.

“Sono certo che voi siate in grado di farlo, il punto è proprio questo. Siete abbastanza coraggiosa per affrontare tutto questo” ammise lui, facendola sorridere di piacere.

“Lo pensate davvero?”

“Ve lo ripeterò fino allo sfinimento, Elizabeth… apprezzo molto la vostra verve, ma so che essa può nascondere anche altro. Il coraggio l’ho già scoperto, o non avreste spinto Pilgrim a quella velocità.”

“Può essere solo dissennatezza” sottolineò lei.

“Vanno di pari passo, come ho scoperto sulla mia pelle” asserì lui, ridendo con contrizione.

“Quando usciste quella notte, per trovare il dottore per vostra cognata” mormorò Elizabeth, annuendo.

Proprio per questo, ho timore di parlarvene. Conoscendo a che conseguenze può portare un sentimento simile, ho paura per voi” asserì lui, afferrandole entrambe le mani per stringerle tra le proprie. “Elizabeth, io…”

“Parlatemene e, vi giuro, farò di tutto per essere obiettiva” lo incitò lei, sorridendogli.

Alexander sapeva di aver perso quella guerra fin dal giorno in cui le aveva promesso di parlarle di ogni cosa ma, in tutta onestà, non sarebbe mai tornato sui suoi passi.

Elizabeth era speciale, probabilmente tutto ciò che aveva sempre cercato in una donna, senza averlo mai trovato prima di quel momento.

Proprio per questo le doveva l’onestà assoluta, pur se questo avrebbe potuto voler dire metterla in pericolo.

“Ho scoperto che il vostro Roy non è l’unico fanciullo scomparso, in questi ultimi tempi” ammise lui, a quel punto. “Pare che vi sia stata un’autentica sparizione di massa, negli ultimi sei mesi, e sempre nei quartieri più degradati di Londra.”

Elizabeth assentì attenta, così ad Alexander non rimase altro che proseguire.

“Ficcanasando in luoghi in cui non vi porterò mai, ho scoperto che sembrano esservi dei commercianti di giovani per… beh… non so come dirvelo senza usare oscenità irripetibili.”

Interrompendosi, Alexander la fissò spiacente ed Elizabeth, nell’impallidire di colpo, dovette allungare una mano per aggrapparsi al parapetto.

Era mai possibile che Alexander stesse anche soltanto ipotizzando una possibile tratta di schiavi sessuali?

“Mi dispiace…” sussurrò spiacente il giovane.

“No, va tutto bene” scosse il capo Elizabeth. “Sono stata io a voler sapere ogni cosa. Quindi, come siete giunto a questa… scoperta?”

“Il tizio con cui ho parlato, un anziano pescatore che bazzica i docks, ha accennato a molti giovani tra i quattordici e i quindici anni, tutti di bell’aspetto. Inoltre, ha detto di aver visto selezionare i ragazzi da certi loschi figuri” mormorò Alexander, notando la scintilla della determinazione brillare negli occhi della giovane innanzi a lui.

Esattamente come aveva temuto.

Era più che certo che, di fronte a una simile oscenità, Elizabeth avrebbe voluto porvi rimedio con ogni mezzo.

“Dite che… che possano aver ricostituito qualche… qualche hellfire club?” riuscì a dire lei, sgomentandolo.

“Come potete anche solo sapere della loro esistenza?” ansò Alexander, sgranando gli occhi per lo sgomento e l’incredulità.

“Leggo troppo e ficco il naso ancor di più, ecco il punto. Mio padre non sa che ne sono a conoscenza, perciò avete una carta da giocare contro di me, Alexander” sospirò Elizabeth, scuotendo il capo per l’imbarazzo.

“Beh, dando per assodato che sappiate davvero cosa fossero quei luoghi di perdizione, è possibile che a qualcuno sia venuta voglia di ricominciare con le dissolutezze” sospirò il giovane, ancora scioccato all’idea che Elizabeth conoscesse le vicende di lord Dashwood e dei suoi fedeli seguaci.

“Dobbiamo assolutamente fermarli. Dovete dirlo alla polizia!” sottolineò con veemenza Elizabeth, stringendo i pugni.

“Il punto è questo, Elizabeth. Non ne ho la certezza, perché vi sto riferendo solo delle voci, e non posso far piombare gli agenti di Bow Street in uno qualsiasi dei capannoni dei docks, senza esserne sicuro. Non ne ho l’autorità, e non interpellerò mio padre, senza esserne assolutamente certo” replicò il giovane, scuotendo il capo.

“Allora, scopriremo noi dove si trovano esattamente, poi chiameremo la polizia” gli propose lei, vedendolo sorridere per l’esasperazione.

“Per l’appunto, ciò che non volevo voi mi proponeste, ma che sapevo avreste fatto” sentenziò lui, attirandola con sé dietro i tendaggi della balconata.

Colta di sorpresa, Elizabeth non cercò di fermarlo e, quando lui la strinse in un abbraccio colmo di calore e preoccupazione, ansò senza fiato contro il suo petto.

“Cosa posso fare, per farvi desistere? Ditemelo, e lo farò” sussurrò Alexander contro il suo orecchio, imponendosi di non andare oltre a quell’abbraccio.

Già permettersi un simile lusso, sarebbe stato considerato una grave infrazione al Ton, se qualcuno li avesse visti.

In quel momento, però, aveva bisogno di sentirla accanto a sé, viva e vegeta tra le sue braccia.

Elizabeth sospirò, strinse un poco le mani sul bavero della sua giacca di seta scura, si levò in punta di piedi e depositò un casto bacio sulla guancia rasata di Alexander.

Fatto ciò, si scostò, sorrise a quel viso ora inebetito e confuso, e disse: “Non c’è nulla che possiate inventarvi, per farmi desistere. Ma sappiate questo, Alexander… sapervi al mio fianco, mi da il coraggio sufficiente per affrontare qualsiasi sfida.”

Sfiorandosi la guancia che lei aveva baciato, Alexander borbottò contrariato: “Sapete di avermi messo con le spalle al muro. Ora, vi concederei anche la luna!”

“Lo so” ammicco lei, birichina.

“E dire che dovrei essere più intelligente di così” sospirò il giovane, prima di veder avvicinarsi a grandi passi la figura di Raymond, accompagnato da Charlotte.

Elizabeth ne seguì lo sguardo con curiosità ma, quando vide il cipiglio del loro comune amico, e l’aria spiacente di Charlotte, avvampò piena di colpa.

“Cos’avete combinato, Elizabeth?” le domandò allora Alexander, già subodorando ulteriori guai.

“Forse, potrei avere inavvertitamente accennato qualcosa alla mia migliore amica, e…” tentennò lei, mordendosi il labbro inferiore con espressione colpevole.

“Dio ce ne scampi e liberi! Non due, vi prego!” esalò Alexander, fissando con espressione sconvolta l’amico, ormai prossimo a raggiungerli.

Quando infine Raymond fu da loro, fissò sbigottito Elizabeth prima di domandare pressante ad Alexander: “E’ vero, amico mio, che permetterai alla giovane che stai corteggiando di imbarcarsi in una missione pericolosa come, mi sembra di capire, sia quella in cui stai ficcanasando?”

“Cosa avete detto, a miss Ranking, di preciso?” sbottò Alexander, fissando malamente Elizabeth.

“Beh, che forse sarebbe stato necessario un nostro intervento diretto” tentennò la ragazza, sapendo di aver fatto il passo più lungo della gamba.

“Mi hai detto che saremmo andate a cercare il ragazzino sparito dal tuo orfanotrofio… è ben diverso” precisò Charlotte, poggiando le mani sui fianchi. “E io dico, facciamolo! Se voi, Alexander, sapete dove cercare, io ed Elizabeth vi aiuteremo. Siamo ragazze di campagna, abituate a muoverci silenziosamente e senza farci vedere. Siamo assai più scaltre di queste pavoncelle di città.”

“Pavoncelle?” esalò Alexander, senza notare il risolino di Elizabeth.

“E perché mai sareste così capaci e scaltre, mi viene da chiedere?” protestò nel mentre Raymond, ormai esasperato.

Evidentemente, prima di quel ricongiungimento con Alexander ed Elizabeth, dovevano aver avuto un’accesa discussione in merito.

“Per vedere i cervi brucare nel bosco, per esempio” sottolineò acuta Charlotte, cercando di sorridere a un accigliatissimo Raymond.

“Ma qui non cerchiamo dei cervi, mia cara miss Charlotte” precisò Alexander, pur sapendo che non le avrebbe mai e poi mai convinte a desistere. “Stiamo cercando delle persone potenzialmente molto pericolose, in un luogo potenzialmente molto pericoloso… non l’attività più sicura in cui imbarcarsi con due donzelle indifese e che…”

Azzittendosi quando Elizabeth e Charlotte lo fissarono malissimo, il giovane esalò: “Andiamo, stiamo solo proteggendo il vostro buon nome! Che direbbe, la gente, se si sapesse che siete uscite di notte, senza il consenso familiare, e con due uomini con cui non siete sposate?! Sarebbe un autentico scandalo. Sareste rovinate!”

“Al diavolo! Qui si parla di salvare dei bambini e, visto che non siete sicuro di dove si trovino, noi dobbiamo scoprirlo. Non interverremo, tranquillo. Ci limiteremo a scoprire dove si trovano i manigoldi, e basta” sottolineò Elizabeth, come per liquidare l’intera faccenda.

“L’idea che siano armati non vi turba minimamente?” le fece notare Raymond, da bravo pacificatore quale era.

Sorridendo a Charlotte, Elizabeth dichiarò: “Sappiamo sparare. E tirare di spada. Tutte e due.”

Che cosa?!” esclamarono in coro i due giovani.

“Ho insistito a suo tempo con mio padre, perché ci insegnasse, e il padre di Charlotte era d’accordo” si limitò a dire Elizabeth, come se nulla fosse. “Anche mia madre sa sparare, se è per questo.”

“Dio, salvami da queste Valchirie in età scolare” sospirò Alexander, pigiandosi l’attaccatura del naso con espressione sofferente.

Sapeva che, prima di mezzanotte, l’emicrania che stava premendo per uscire, si sarebbe scatenata in tutta la sua forza.

Come poteva essere altrimenti, di fronte a tali notizie sconcertanti?

“Ve l’abbiamo detto. Siamo ragazze di campagna, anche se indossiamo abiti di seta e merletti” sorrise compiaciuta Charlotte, osservando affabile uno sconcertato Raymond.

“Hai altre frecce al tuo arco, amico mio?” domandò allora Mallory-Jones, osservando un cupo Alexander.

“No, Raymond, anche perché so che, se parlassi con i genitori di Elizabeth, lei mi odierebbe a morte finché vivo, perciò ho le mani legate. Sono così idiota da non volerla scontentare, né tanto meno rischiare il suo odio imperituro” sospirò il giovane, scrutando il volto vittorioso della ragazza di cui si era innamorato.

E come avrebbe potuto essere diversamente, di fronte a un concentrato simile di virtù… e difetti?

Apprezzava tutto ciò che aveva scoperto su di lei, anche se la metà di ciò che sapeva, lo terrorizzava a morte.

Voleva, in tutta coscienza, che lei fosse in grado di difendersi da sola, che potesse fare ciò che amava in piena libertà… ma cercare dei potenziali assassini?

No, quello non gli garbava per nulla, e non rientrava di sicuro nelle attività che avrebbe desiderato vederle svolgere.

Ma l’amava, e non le avrebbe detto di no anche se, per questo, lord Spencer gli avrebbe tagliato la testa.

“Allora, quando agiamo?” domandò Elizabeth, ansiosa.

“Stanotte. Non possiamo rischiare che li portino via. Potremmo perderne tutte le tracce” sospirò Alexander, guardandola speranzosa. “Servirebbe a qualcosa chiedervi di aspettare con Charlotte all’inizio dei docks, in compagnia di un mio uomo di fiducia?”

“No” dissero in coro le due giovani.

“Raymond?”

“Sarò della partita, ovviamente. Non lascerò mai Charlotte da sola, e in un luogo simile, per giunta” asserì il giovane, sorridendo alla ragazza.

“Grazie” sussurrò Charlotte, sfiorandogli il braccio con una mano.

Davvero erano le donne, a doversi guardare dagli uomini?

Alexander cominciò a nutrire molti dubbi, su quell’adagio assai conosciuto.
 
***

Dopo aver augurato la buonanotte a Lorelai ed essersi accertata che lei dormisse, Elizabeth sbirciò fuori dalla porta della sua stanza e, in punta di piedi, sgattaiolò fuori.

Gli stivali in una mano e il mantello scuro nell’altra, la ragazza utilizzò le scale principali per uscire – lì, non avrebbe trovato la servitù – e, quando scivolò fuori dalla porta, sentì il cuore batterle a mille.

Suo padre e sua madre sarebbero morti di paura, se avessero scoperto la sua mancanza, per non parlare dei suoi fratelli.

Se poi si fosse venuto a sapere quello che stava per fare, la sua nomea sarebbe stata distrutta per sempre.

Ma doveva fare qualcosa per quei bambini, e non poteva permettere che solo Alexander rischiasse in quell’impresa.

Neppure se Raymond fosse stato al suo fianco.

Con lui non si era voluta sbilanciare, ma la verità era parimenti divisa in due.

Da un lato, c’era il desiderio quasi fisico di salvare Roy e gli altri ma, dall’altro, c’era la volontà assoluta di fare qualcosa per Alexander.

Se avesse subito anche solo un graffio per una cosa in cui lo aveva spinto lei, non se lo sarebbe mai perdonata.

Voleva aiutarlo a qualsiasi costo, perché era lui.

Inoltre, saperlo al suo fianco, la liberava da quasi tutte le paure.

Quasi.

Insomma, non era così sciocca da credere che lui fosse indistruttibile perciò, alcune ansie permanevano, ma non così tante da trattenerla entro le mura di casa.

Non appena fu fuori dal palazzo, come promesso, trovò ad attenderla Alexander, nero vestito da capo a piedi e in sella a un cavallo dal manto scuro.

Di sicuro, Apollo sarebbe spiccato come una luce nell’oscurità, con il suo manto pallido mentre, quel baio dalla pelliccia marrone, sarebbe stato più discreto.

“Perché non sono sorpreso dal vedervi in calzoni?” ironizzò Alexander, offrendole una mano per salire a cavallo.

Lei sorrise divertita, scrutò le brache del fratello – che le arrivavano più o meno a metà polpaccio – e replicò: “Non avrete davvero pensato che vi avrei seguito con indosso una gonna, spero? Sarei stata più impacciata di un nano zoppo.”

Alexander cercò di non ridere, a quel commento e, nell’afferrare la sua mano tesa, la issò con facilità – pesava come una piuma – permettendole di scavalcare la schiena del baio.

Posizionatasi comodamente dietro il giovane, Elizabeth poggiò le mani sulle sue spalle, sorrise eccitata e mormorò: “Raymond e Charlotte dove sono?”

“Spero a casa, ma ne dubito fortemente” sospirò Alexander, lanciando un’ultima occhiata al palazzo degli Spencer prima di dare un colpetto ai fianchi del cavallo.

Il baio si mosse, ticchettando flebilmente sull’assito stradale e, nell’allontanarsi dalla luce diafana dei lampioni, lasciò dietro di sé solo la sua ombra e nient’altro.

La città sembrava addormentata, nulla pareva muoversi in quelle vie splendenti e ricche, ma Alexander sapeva bene che era tutta falsità.

Londra viveva anche – e soprattutto – di notte.

Le bische clandestine erano aperte fino a tarda ora, e i docks pullulavano di mercanti disonesti e di prostitute, pronte a vendersi per pochi spiccioli.

I quartieri malfamati, poi, erano un covo di prim’ordine per borseggiatori e assassini, e lui stava portando la ragazza che aveva fatto tremare il suo cuore in quel concentrato di pericolo.

Tutto perché non era in grado di dirle di no.

Sorrise di se stesso, lui che aveva sempre ritenuto di essere superiore a simili sbandate, a simili tentennamenti dell’animo.

Era stato davvero un gran presuntuoso, ed era servito quello scricciolo di ragazza, per farglielo capire.

Lei, con il suo coraggio, la sua intraprendenza, la sua onestà e quel meraviglioso sorriso, che le illuminava un viso naturalmente bello.

Lo aveva stordito con le sue chiacchiere, spingendolo a duellare verbalmente, scoprendo così quanto fosse divertente e piacevole battibeccare con una donna, con lei.

In Elizabeth aveva scoperto una fresca intelligenza, scevra dei punti oscuri che invece contraddistinguevano le donne di città.

Quella purezza di pensiero lo aveva spiazzato, attirandolo nonostante non ne avesse avuto l’intenzione, in un primo momento, e ora lo stava conducendo per mano verso un potenziale disastro.

Ma come fare a negarle qualcosa a cui teneva così tanto?

Desiderava salvare il suo amico, e lui avrebbe fatto di tutto per accontentarla.

Quando infine svoltarono l’angolo, Alexander non si stupì affatto di vedere Charlotte e Raymond assieme, su un cavallo simile al proprio.

Come Elizabeth, anche Charlotte indossava dei lunghi calzoni, ma preferì non chiederle dove li avesse requisiti.

In silenzio, proseguirono verso i docks e, una volta attraversata la città – incontrando ogni tanto degli ubriaconi di ritorno da un tavolo da gioco – si ritrovarono a fissare i contorni dei capannoni dei docks.

Il fetore proveniente dal Tamigi era tangibile, e pungeva le narici come una miriade di spilli, ma Alexander non si fermò.
Era vitale rimanere lì il minor tempo possibile, per evitare di venire scoperti.

“Sembra che abbiano scoperchiato una cloaca” sussurrò Elizabeth, guardandosi intorno con circospezione.

“Qualcosa del genere” ammise Alexander, svoltando con il cavallo per nascondersi tra due file di casse.

Disceso che fu, aiutò Elizabeth a scendere, mentre Raymond faceva lo stesso con Charlotte.

Se si fossero trovati in un’altra situazione, sarebbe stato facile apprezzare il fruscio dei loro corpi mentre si sfioravano, ma Alexander aveva la mente da tutt’altra parte, in quel momento.

Doveva riportare a casa Elizabeth sana e salva, o non se lo sarebbe mai perdonato.

Quasi comprendendo i suoi pensieri, lei lo prese per mano, strinse con forza e sussurrò: “Sono responsabile delle mie azioni, Alexander. Non potete prendervi le colpe di un mio colpo di testa.”

“Ve l’ho permesso, perciò dissentirò col vostro pensiero ancora per molto tempo, cara” replicò lui, pur sorridendole.

Raymond colse quel momento per mormorare: “Dovremmo imbavagliarle e lasciarle al guardiano del porto.”

Charlotte lo fissò malissimo, al pari di Elizabeth, ma Alexander poté solo sorridere, annuendo.

“Sarebbe grandioso, ma ci odierebbero a vita. Meglio portarle con noi, piuttosto che rischiare che queste due Valchirie tramortiscano il loro guardiano, e sgattaiolino fuori da sole per seguirci.”

Quando entrambe le giovani arrossirono, Alexander seppe di aver centrato il punto.

Se anche lui avesse detto loro di non venire, l’avrebbero fatto comunque, rischiando così di finire in guai dannatamente più seri.

Sospirando, Raymond guardò Charlotte e mormorò: “Dovrete rimanere vicino a me… sempre.

“Conto di farlo” assentì lei, sorridendo maliziosa.

Raymond scosse il capo, arrossendo un poco e Alexander, stringendo con forza la mano di Elizabeth, borbottò: “Niente azioni folli, mia fulgida Valchiria. Saremo io e Raymond a rischiare, va bene?”

“E sia” sospirò lei, facendolo tremare di paura.

Non gli piacque per nulla quella concessione ma, a ogni modo, dovevano agire per tempo, se volevano scoprire dove tenevano nascosti quei ragazzini.

In silenzio, quindi, si avviarono verso i capannoni, rasentando gli angoli più bui per poi curiosare dentro i pertugi disponibili.

Tutto era apparentemente pacifico e tranquillo e, a parte lo squittio di qualche ratto e l’uggiolare di alcuni randagi, null’altro sembrava turbare quella notte senza luna.

Era una vera fortuna, che fosse Luna Nuova, e i docks non fossero eccessivamente illuminati.

Questo permetteva loro di muoversi senza il pericolo di essere visti… ma evitava anche a eventuali aggressori di essere scoperti per tempo.

Alexander, quindi, dovette dar fondo a tutta la sua preparazione militare – pur se in tempo di pace, il padre lo aveva fatto istruire da un veterano di Waterloo – e, acuendo i sensi, ascoltò ciò che la notte portava con sé.

Fu così che percepì un pianto sommesso, talmente flebile che, per un attimo, pensò di esserselo sognato.

Bloccando il suo gruppo di avventurieri, chiuse gli occhi per meglio concentrarsi e, quando fu sicuro di aver sentito bene, indicò in silenzio un capannone e si avviò verso di esso.

La mano di Elizabeth, stretta nella sua, fremeva di impazienza e, quando Alexander si volse un momento per controllare come stesse, notò solo una determinazione immensa, in quegli occhi di ghiaccio.

Sì, c’era anche paura, ma ciò che la spingeva era l’affetto verso quel ragazzino, e la volontà di salvare gli altri bambini da una fine ben miserevole.

Sorridendo a mezzo, il giovane tornò a volgere lo sguardo e, quando finalmente raggiunsero il capannone, mormorò: “Ora o mai più.”







Note: Poteva, Lizzie, starsene tranquilla e attendere che Alexander o Anthony risolvessero la situazione? Ma quando mai? ;-)
Il più, sarà capire quanto grande sarà il guaio in cui questo quartetto male in arnese si caccerà prima della fine. Spero abbiate apprezzato il ritorno di Charlotte e Raymond che, a quanto pare, sono più affiatati che mai.
In ogni caso, riusciranno a trovare i ragazzini prima che i rapitori trovino loro?
Spero si sia capito cosa fossero gli hellfire club. In ogni caso, brevemente, vi posso dire che erano ritrovi di nobili di dubbia morale che, guidati tra le altre cose da lord Dashwood, si lasciarono andare alle depravazioni più nefande (vergini immolate, bambini usati in modi abietti, persino nobildonne sfruttate per rituali orgiastici).
Lord Dashwood non fu l'unico, ovviamente ma, nella storia, rimane il più famoso.  Naturalmente, queste 'riunioni' erano segrete, con nomi in codice, cappe, maschere e quant'altro (chi ha visto Eyes Wide Shut, ha capito cosa intendo).

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


 
 
17.
 
 
 
 
Il tanfo all’interno del capannone era, se possibile, peggiore di quello all’esterno.

Era più che evidente che, dentro quell’agglomerato di casse stivate e sartiame marcescente, dovevano essere stati lasciati per giorni degli esseri viventi e i loro escrementi.

Il tutto era semplicemente disgustoso, e non faceva che accrescere ancor di più la rabbia nell’animo di Elizabeth.

Com’era anche solo pensabile di poter trattare qualsiasi creatura a questo modo, a maggior ragione se la creatura in questione era un essere umano?

Quando Alexander e gli altri oltrepassarono uno sbarramento formato da alcune casse, il giovane Chadwick si irrigidì alla vista di ciò che gli si offrì innanzi e, teso, sussurrò: “Sono qui.”

Elizabeth fece per sporgersi, ma il giovane dinanzi a lei glielo impedì, scuotendo il capo con espressione dolente.

Questo non fece che confermare alla ragazza le condizioni miserevoli in cui erano tenuti i ragazzini rapiti, impedendole di fatto di poter chetare il suo livore.

La sua mano corse al pugnale che aveva tenuto nascosto dietro il mantello fino a quel momento e, scansando Alexander, mormorò: “Devo andare a liberarli.”

Il giovane fu lesto ad avvolgerle le spalle con un braccio, bloccandola sul nascere e, al suo orecchio, sussurrò concitato: “Niente colpi di testa, avevamo detto. Ci sono due guardie che li controllano, Elizabeth, e noi non siamo armati.”

“Forse voi…” replicò lei, mostrandogli la lama che teneva stretta tra le dita.

“In nome di Dio, Elizabeth…” ansò Alexander, facendo tanto d’occhi.

“Mi sembrava di aver sentito un profumo troppo buono, da queste parti!” esclamò una voce sopra le loro teste, sgomentandoli e facendoli sobbalzare.

Alexander non perse tempo in chiacchiere e, afferrata la pistola che teneva nascosta nel panciotto, fece fuoco, colpendo a colpo sicuro l’uomo che li aveva trovati.

Quel colpo scatenò il caos nel capannone ed Elizabeth, fissando il giovane con aria irritata, sibilò: “Meno male che non eravate armato! E quella cos’è? Una cuffietta?!”

“L’ho detto solo perché, se aveste saputo che ero armato, sareste scesa come una furia nel mezzo del capannone… e sarebbe stata una mossa azzardata quanto folle” sbottò lui, afferrandola a una mano per fuggire dallo stabile.

Tirandosi dietro una sovreccitata Charlotte, Raymond estrasse la propria, di pistola e, dopo aver colpito un secondo uomo con il calcio dell’arma, esclamò alle sue spalle: “Direi che ora possiamo chiamare gli agenti, visto che siamo certi della loro ubicazione!”

“Più che sì” gridò Alexander prima di lanciare un urlo spaventato, quando vide un terzo uomo puntare la propria arma contro Raymond.

Sospingendo l’amico per toglierlo dalla traiettoria di tiro, Alexander venne colpito di striscio alla spalla dal colpo sparato dal delinquente.

Raymond non perse tempo a chiedergli come stesse; prese la mira e uccise l’uomo che aveva sparato.

Elizabeth, infatti, aveva già pensato a soccorrere Alexander.

Addossandosi a lui, controllò in fretta che la ferita non fosse grave dopodiché, ansante e spaventata, esalò: “Riuscite a camminare?”

“Sono stato colpito alla spalla, non a una gamba” ironizzò lui, avanzando con lei al fianco, mentre Charlotte provvedeva ad aprire la finestra da cui erano entrati.

Un colpo di moschetto, però, li congelò sul posto e, mentre diversi passi si muovevano verso di loro, una voce stentorea disse: “Cosa ci fanno quattro ragazzini allampanati nel mio capannone?”

Alexander si mosse lentamente per mettersi dinanzi a Elizabeth e, così facendo, impedire una linea di tiro pulita e diretta verso i suoi amici.

Con aria sprezzante, poi, asserì a mezza voce: “Stavamo solo cercando un posto interessante per far provare un po’ di brivido alle nostre accompagnatrici ma, a quanto pare, abbiamo scelto il posto sbagliato.”

“Cercavate un pizzico di avventura con due puttane… in un capannone del porto?” ironizzò l’uomo, prendendo la mira.

Elizabeth si irrigidì a quella vista ma Alexander, ancora saldo dinanzi a lei, sussurrò: “La tasca destra del mio panciotto, cara. Siate veloce e mirate bene.”

Ad alta voce, poi, replicò divertito: “Andiamo, siete un uomo anche voi! Dopo aver passato giorni e giorni con le frigide ragazzine che ci propinano nei salotti, dobbiamo pur divertirci altrove, ogni tanto!”

Una risatina si levò dai tre uomini che li tenevano sott’occhio con le loro pistole, ma non dall’uomo che stava mirando al petto di Alexander.

“Perché mai le due pulzelle indossano abiti maschili? Dovete avere dei gusti ben strani, milord” gli ritorse contro l’uomo, attento a ogni loro mossa.

“Ci piacciono le cose singolari… e trovare dei ragazzini non è semplice” si limitò a dire Alexander, come se nulla fosse.

Elizabeth colse quel momento per strattonarlo al mantello, singhiozzando con fare molto teatrale.

Ringraziandola mentalmente per la sua prontezza di spirito, Alexander si volse a mezzo verso di lei, dicendo vagamente scocciato: “Andiamo, ragazzina, stai tranquilla un attimo. Non vedi che sto parlando? Ce ne andremo subito, e ti farai sbattere anche da qualcun altro, prima che la notte sia finita. Non perderai la tua rendita serale, stai serena.”

“Lo spero bene, vossignoria!” sbottò con tono petulante Elizabeth, approfittando di quel momento per afferrare quello che si trovava nella tasca di Alexander.

Lesta di mano, la ragazza fece sparire la pistola tra le falde del proprio mantello e, mentre Alexander tornava a rivolgersi a quello che sembrava essere il capo, borbottò: “La notte è ancora giovane, e io e Lottie abbiamo altri clienti da soddisfare.”

“Ne convengo, bella mia, ma le trattative necessitano del suo tempo, e non mi va di essere interrotto da una come te” sbuffò Alexander, lanciando poi un’occhiata esasperata al tizio dinanzi a lui.

Quello, calando appena il moschetto, celiò: “Ma siete davvero sicuro di volervela sbattere? Sembra più acida di una comare.”
“Vale la pena, se rimane zitta, ma tutte queste armi la agitano” replicò con ironia Alexander, guardandosi brevemente intorno.

I tre uomini armati di pistola avevano calato le canne verso il basso. Cosa positiva.

Ora, doveva convincere soltanto il tizio con il fucile che, però, non sembrava propenso a lasciarli andare.

“Vorrà dire che la calmerò io, poi ve la renderò” decise a quel punto il tizio del fucile, spiazzandoli.

Elizabeth ragionò in fretta, preferendo evitare che quel tipo le si avvicinasse troppo, con il rischio che scoprisse la pistola che teneva in mano.

Dopo aver calcolato bene la distanza di ciò che intendeva colpire, afferrò il braccio di Alexander ed esclamò: “Ehi, dico, vossignoria! Non mi si passa da uno all’altro senza pagare!”

Colto di sorpresa dal suo gesto, Alexander si lasciò trascinare da Elizabeth e, pur rabbrividendo all’idea di volgere le spalle a un uomo armato, si fidò di lei e replicò: “Mica l’ho deciso io, piccola…”

“L’orecchio…” sussurrò poi lei, strizzandogli l’occhio prima di allungare il braccio, poggiare il polso sulla sua spalla e fare fuoco.

Il giovane fu abbastanza veloce da coprirsi l’orecchio sinistro con una mano, mentre Elizabeth esplodeva l’unico colpo nella canna della Kumbley & Brum in suo possesso.

Quel che successe dopo, scatenò il caos più totale.

Con un solo colpo a disposizione, Elizabeth aveva pensato di causare il danno maggiore possibile, permettendo così a tutti loro di avere il tempo di fuggire.

Così, aveva cercato con lo sguardo una possibile soluzione ai suoi problemi, mentre Alexander era indaffarato a tenere impegnati i loro carcerieri.

Non appena aveva notato le carrucole che tenevano in posizione diverse casse di legno, aveva calcolato quale avrebbe potuto centrare con maggiore facilità.

Fatto ciò, aveva escogitato l’espediente della replica ad Alexander; senza un appoggio saldo, non sarebbe mai riuscita a fare fuoco con efficacia.

Fortunatamente, lui si era fidato a sufficienza da seguirla senza fare resistenza e ora, mentre lo strattonava per allontanarsi, una decina di casse stavano cadendo addosso ai carcerieri alle loro spalle.

Charlotte fu la prima a uscire e, subito dopo, fu il turno di Raymond ma, quando Elizabeth si ritrovò dinanzi alla finestra aperta, si bloccò e fissò il capannone sotto di loro.

Quei ragazzi sarebbero rimasti lì, legati e preda di altri potenziali assassini.

No, non poteva accettarlo.

Fissando spiacente Alexander, scosse il capo e non uscì.

A quel punto, il giovane Chadwick guardò Raymond e disse: “Chiamate subito i rinforzi. Noi, nel frattempo, libereremo i ragazzi. Prendete anche Sansone. Non è il caso che rimanga da solo nei docks.”

“D’accordo, prenderemo anche il cavallo ma, a costo di tramortirla, porta fuori da qui miss Elizabeth, se le cose peggiorano” si fece promettere l’amico, prima di aiutare Charlotte a scendere dalle casse che avevano usato per entrare.

Alexander annuì, pur sapendo che non l’avrebbe fatto.

Non avrebbe mai toccato Elizabeth con un dito, figurarsi con qualsiasi altra cosa atta a farla svenire.

Quando infine la raggiunse, la vide ferma a pochi passi dai ragazzi imbavagliati e legati a terra da pesanti catene.

Accertandosi in fretta che i quattro uomini che avevano colpito con le casse fossero fuori gioco, Alexander fu lesto a recuperare le chiavi su un tavolo nelle vicinanze.

Scrutando le carte sparpagliate sopra la superficie lignea, Alexander ipotizzò che li avessero interrotti durante una partita.

Nel lanciare poi uno sguardo a Elizabeth, dovette convenire con gli uomini a terra. Il suo profumo – per quanto gradevole – era più che evidente, nell’aria.

Benedetti profumi femminili… sempre detto che sono fastidiosi, pensò ironicamente tra sé, pur preferendo non farne menzione con Elizabeth.

In quel momento era talmente sovraeccitata che avrebbe potuto decapitarlo, per una battuta simile.

Quando, però, tornò da lei, la vide solo con le lacrime agli occhi e piegata in un abbraccio a un ragazzo in particolare, che stava piangendo al pari suo.

“Immagino sia il vostro Roy” chiosò Alexander, afferrando uno dei lucchetti per provare ad aprirlo con la chiave.

Elizabeth assentì nello scostarsi dal ragazzino e, notando la scottatura sul dorso della mano del giovane, mormorò: “Scusatemi. Non mi è venuto in mente nient’altro.”

“La bruciatura guarirà… inoltre, devo farvi i miei complimenti. Un vero colpo da maestro” le sorrise per un istante Alexander, prima di tirare la catena. “Ecco fatto. Ora, è il caso di sparire alla svelta, ragazzi.”

Uno dopo l’altro, i ragazzini si levarono in piedi, fissarono i loro liberatori con l’adorazione negli occhi e Alexander, nel mettersi a capo di quel gruppo disomogeneo, aggiunse: “Mi raccomando, rimanete tutti uniti.”

Elizabeth chiuse la fila ma, già sul punto di sorridere fiera per la loro impresa, lanciò un grido di terrore quando udì rimbombare il suono di uno sparo.

“Non così in fretta, miei cari” declamò poi una voce, con tono strascicato.
 
***

Perché diavolo non aveva controllato l’uscita del capannone, prima di liberare i ragazzi?

Come aveva potuto essere così superficiale da non farlo?

Risposta. Era troppo impegnato a godersi la vista di Elizabeth, finalmente rasserenata e impegnata ad abbracciare il suo amico.

Ecco cosa succedeva a innamorarsi. Perdevi del tutto il cervello.

Fu per questo che, quando un gruppo di sei uomini armati penetrò da una porta laterale, il suo intelletto andò in tilt per un istante di troppo.

D’istinto, allargò le braccia per pararsi dinanzi al primo ragazzo della fila e, cocente come una lama affondata nelle carni, il proiettile sparato da un uomo col tabarro gli perforò il fianco.

Solo a stento udì l’urlo di terrore di Elizabeth, e il tonfo del suo stesso corpo sul terreno sconnesso del pavimento, troppo stordito dall’onda di dolore puro che si riverberò attorno alla ferita.

“Alexander!” gridò Elizabeth, correndo verso la cima della fila prima di bloccarsi a metà di un passo, quando un secondo proiettile le schivò gli stivaletti di un niente.

“Non un altro passo, ragazza, o faccio un buco nel fianco anche a te” la minacciò l’uomo bruno che aveva sparato.

“Lascia pure che lo raggiunga… è uno scricciolo di ragazza. Che problema vuoi che sia?” ironizzò quello che doveva essere il capo, lanciandole un’occhiata raggelante.

Muovendosi molto più piano, Elizabeth raggiunse infine Alexander, steso a terra con una mano premuta sul fianco e, al colmo del pianto, sussurrò: “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…”

“Sst, Elizabeth… basta…” replicò lui, cercando di mettersi seduto.

“No, no, fermo” ansò lei, trattenendolo dal muoversi prima di lanciare un’occhiata ferale all’uomo che gli aveva sparato. “Siete un vile, a colpire un uomo disarmato!”

“E voi, dei ficcanaso, madamigella…” replicò l’uomo col tabarro, avvicinandosi a lei fin quasi a sfiorarla.

Sorridendole, allungò una mano per carezzarle il viso ma Elizabeth gli schiaffeggiò l’arto proteso, portandolo a sibilare di rabbia.

Sul palmo, lungo e sottile, poteva scorgere un taglio evidente quanto sanguinante.

“Ma cosa diavolo…” ringhiò l’uomo, prima di schiaffeggiarla con violenza.

Elizabeth ricevette il manrovescio in pieno volto e, per la prima volta, assaggiò il dolore puro e la violenza più genuina.

Certo, si era fatta male molte volte, da piccola, ma quello era diverso.

Stordita, sentì a malapena l’imprecazione di Alexander e, a tentoni, poggiò le mani sul suo torace per impedirgli di alzarsi e chiedere vendetta per quel gesto.

Sorridendogli, poi, si chinò su di lui e, dopo avergli dato un bacio leggero sulle labbra, mormorò: “Non esco mai, senza le vostre spille.”

Ciò detto, si aggrappò a tutto il suo coraggio residuo e, con una torsione del busto, tentò di conficcare l’esile ago che teneva tra le dita in una parte qualsiasi del corpo del suo aggressore.

Era un gesto stupido, dettato dalla disperazione – e il grido inorridito di Alexander glielo confermò – ma fu più forte di lei.

Lo avevano ferito per causa sua, e lei avrebbe venduto cara la pelle, pur di salvarlo.

Alexander si era sacrificato per un suo desiderio… stava rischiando la vita per un suo colpo di testa… era lì per lei.

La risata dell’uomo col tabarro esplose nel capannone, quando afferrò con facilità l’esile polso di Elizabeth, a pochi centimetri dalla sua gamba.

Strattonandola fino a farla reggere sulle gambe, lui la fissò divertito e disse: “Una cagna davvero rabbiosa. Sarà divertente darti la lezione che meriti, ma prima finirò il tuo amico… giusto per non lasciare le cose a metà, sai com’è.”

Elizabeth strinse i denti per non piangere, pur sentendo la carne andarle in fiamme a causa della stretta al braccio.

“Lasciatela, vi prego…” ansò Alexander, tentando nuovamente di alzarsi.

Ancora quella risata, e quel sorriso derisorio.

“Deve amarti molto, se non comprende quale sia il suo posto in questo momento” ironizzò l’uomo, fissando la bocca di Elizabeth piegata in una smorfia.

“E’ più che ricambiato” sibilò lei, prima di volgere a fatica il volto per guardare un frastornato Alexander.

“La dichiarazione d’amore più assurda che io ricordi… ma cosa potevo aspettarmi, da una Spencer?” esordì una voce più che mai familiare, e che fece sorgere un sorriso sul volto di Lizzie.

I sei uomini in armi si volsero all’unisono e, loro malgrado, furono costretti a calare le armi, di fronte al folto dispiegamento di agenti presenti alle loro spalle.

“La signorina, Mr Wilson… per favore” sibilò poi Anthony Phillips, avanzando con la pistola sollevata e puntata verso l’uomo che ancora tratteneva Elizabeth.

“Anthony…” sussurrò lei, quasi crollando a terra quando venne liberata.

Thornton scosse il capo al suo indirizzo prima di lasciare che, a quei delinquenti, pensassero gli agenti di Bow Street.

“Che mai ti è saltato in mente, ragazza, di impicciarti di una cosa simile?” sospirò infine Anthony, piegandosi a terra per aiutare Alexander.

Elizabeth, però, non rispose, gli occhi colmi di lacrime e il corpo percorso da brividi così forti da farla barcollare.

Quando Anthony se ne accorse, lanciò un’occhiata lesta alle sue spalle.

A quel cenno, sia Charlotte che Raymond la raggiunsero in fretta per sostenerla.

Roy, contrariamente agli altri ragazzi, non uscì assieme agli agenti e, ritto accanto a Elizabeth, mormorò: “Non vi sentite bene, miss?”

“Ora… ora mi passa…” singhiozzò lei, stringendosi a Charlotte, più che pronta a sorreggerla.

“Lord Mallory-Jones, vi sarei grato se scortaste queste due sciagurate a casa, … non è il caso che rimangano oltre lontano dalle mura domestiche” ordinò a quel punto Anthony, fulminando con lo sguardo il giovane.

Raymond, però, sostenne non solo la sua occhiata piena di rimprovero, ma replicò gelido: “Con tutto il dovuto rispetto, lord Phillips, miss Charlotte e miss Elizabeth hanno dimostrato un coraggio raro, e non meritano il vostro biasimo.”

Charlotte lo tributò di un sorriso dolcissimo ma Elizabeth, scuotendo il capo, replicò: “Dovevamo raccontarti tutto, lo so… abbiamo sbagliato. Ma non andrò a casa. Non con Alexander ferito.”

Consegnato il giovane Chadwick a due agenti, che lo portarono fuori a braccio per caricarlo su una carrozza, Anthony tornò da Elizabeth, le strinse le mani sulle spalle e disse: “Lizzie cara, già così sarà difficile soffocare lo scandalo… vuoi davvero rovinarti la reputazione?”

“Non scherzavo, prima. E, dove va Alexander, vado io” sibilò lei, adamantina nella decisione come nelle azioni.

Scostandosi dall’amico di famiglia, si avviò verso l’uscita, subito seguita a ruota da Charlotte e Raymond.

Ad Anthony non restò che sospirare e scuotere il capo più e più volte.

Roy, in coda al gruppo, sorrise tronfio e motteggiò: “Miss Elizabeth è spettacolare.”

“No, ragazzo. E’ nei guai fino al collo” gli replicò Anthony, torvo in viso.

E anche io, se è per questo, pensò poi tra sé, terrorizzato all’idea di dover essere lui, il latore di quella notizia.
 
***

“Per tutti i demoni dell’inferno, ma che diavolo sta succedendo?!” sbottò Maxwell Chadwick quando, alle tre del mattino, un’autentica masnada di persone si riversò in casa sua assieme al figlio sanguinante e disteso su una lettiga.

“Ogni cosa a tempo debito, lord Chadwick. Dove possiamo portare il ragazzo?” esordì lesto Thornton, indicando poi agli agenti di seguire il padrone di casa.

“Da questa parte” borbottò l’uomo, aprendo per loro una porta, dietro cui si trovava la camera di Alexander.

Lì, il suo valletto esalò un sospiro di sgomento, quando vide il suo padrone sporco di sangue e, in fretta, scostò le coltri e fece luce in camera.

Madaleine, la madre di Alexander, piombò a sua volta nel corridoio pur essendo ancora in vestaglia da camera e, afferrando un braccio del marito, esclamò: “Ma che succede, caro?”

“Vorrei proprio saperlo” borbottò lui, prima di lanciare un’occhiata interrogativa al trio di giovani sull’entrata. “Raymond? Che diavolo ci fai qui, a quest’ora di notte, assieme a miss Charlotte Ranking e miss Elizabeth Spencer?”

“Lord Chadwick…” lo salutò compitamente Mallory-Jones, mentre le due ragazze si esibivano in una goffa riverenza, resa comica dai loro calzoni fuori misura. “… temo che abbiamo sopravvalutato le nostre possibilità, e Alexander è rimasto ferito per salvare degli orfani, catturati da dei loschi figuri per ben miseri scopi.”

Madaleine inorridì a quelle parole e Maxwell, incupendosi ulteriormente, domandò: “Questo non spiega la presenza di queste due fanciulline. I vostri genitori sanno che siete qui?”

“No, lord Chadwick, e potete imputare a me la colpa del ferimento di vostro figlio” esordì Elizabeth, avvicinandosi a lui con sguardo determinato. “L’ho convinto io a darmi una mano per ritrovare quei ragazzi.”

“E come mai, ragazza?”

“Avevano rapito uno dei ragazzini del nostro orfanotrofio, e io volevo assolutamente ritrovarlo, così Alexander è stato così gentile da prestarsi al mio scellerato desiderio di salvarli, e… e ora…”

Non riuscendo più a parlare, le lacrime tornarono ad avvolgerle gli occhi e Madaleine, a quel punto, la avvolse con un braccio, facendole forza.

“Il nostro bambino non farebbe mai nulla che non gli andasse di fare, mia cara Elizabeth…” la rincuorò la donna. “… e, di sicuro, non vorrebbe vedervi in lacrime, e con il rischio di una condanna da parte del Ton a penzolare sulla vostra testa. Lasciate che il nostro maggiordomo vi accompagni a casa e…”

“No!” esclamò lei, bloccandola di colpo. “Rimarrò con lui, costi quel che costi.”

Ciò detto, si scostò dalla donna e aprì la porta della stanza dove si trovava Alexander.

“Oh, cielo!” esalò Madaleine, fissando sgomenta il marito. “Vai a riprenderla, caro! Non può rimanere lì dentro! Sarà rovinata per sempre, se lo fa!”

“Ho idea che ci vorrebbe un plotone di dragoni, per tirarla fuori di lì” sghignazzò Maxwell, fissando con intenzione Raymond e Charlotte per ricevere conferme.

“Dubito la convincereste, Madaleine” cercò di chetarla Raymond. “Elizabeth è innamorata di vostro figlio, e non lo lascerebbe per nulla al mondo.”

“E’ così, milady” assentì a sua volta Charlotte, stringendosi le mani al petto.

“E voi due? Andrete a casa almeno voi due?”

Raymond sorrise a Charlotte e, nel prenderle la mano, disse: “Rimarremo qui per sapere come sta Alexander.”

“Dio onnipotente, Maxwell! Di’ qualcosa! Falli ragionare! Questa povera bambina non subirà sorte migliore di quella ragazza!” sbottò Madaleine, indicando la porta chiusa.

“Su, su, Maddie… non farti venire un attacco di bile. Se queste due fanciulline hanno deciso, chi sono io per replicare?” dichiarò Maxwell, dando una pacca sulla spalla a Raymond. “Ottima scelta, ragazzo. Davvero ottima scelta.”

“Grazie, signore.”

“Oh, cielo! Che razza di nottata!” esclamò fuori di sé lady Chadwick, levando le mani in aria. “Mathilde, Dorothy! Da me, presto!”

In fretta, già sveglie a causa di quel trambusto, due cameriere raggiunsero la loro padrona e lei, sorridendo furba all’indirizzo del marito, disse: “Fate scaldare qualcosa per questi due poveri esuli. Ho idea che sarà una notte mooolto lunga.”

“Sì, milady” assentirono le due donne, scivolando via silenziose.

“Brava la mia Maddie” ghignò Maxwell, dandole una pacca sul braccio.

“E smettila di fare l’idiota. Fai accomodare quei due ragazzi, piuttosto. Hanno tutta l’aria di essere distrutti” brontolò la donna, avviandosi verso le scale. “E guai a te se farai morire mio figlio, mentre io sono di sopra a sistemarmi!”

“Sarà fatto, moglie!” rise Maxwell, prima di sorridere a Raymond e Charlotte. “Coraggio, ragazzi, venite con me. E’ inutile rimanere in corridoio come se fossimo delle statue.”

I due giovani assentirono e, mano nella mano, seguirono il padrone di casa in un salottino adiacente.

Solo quando si volse per chiudere la porte, Maxwell lanciò uno sguardo preoccupato alla stanza del figlio.

Ugualmente, preferì rimanere con i due amici di Alexander.

Per prima cosa, miss Charlotte era già gravemente compromessa, a causa della sua bravata e, da uomo adulto, era compito suo evitare che le cose precipitassero.

Secondariamente, il figlio era in ottime mani, e lui sarebbe stato solo d’intralcio.

In terza istanza, pur se non meno importante, sarebbe impazzito a fissare Alexander mentre veniva ricucito. Poteva sopportare molte cose, ma non vedere i figli soffrire.







Note: Che ne dite? Vi aspettavate un risultato simile? Fatemi sapere, sono curiosa di sapere che esito avevate previsto per questa avventura.
Nel frattempo, vi lascio con l'arma che ha usato Elizabeth, giusto per darvi un'idea di cosa nascondeva Alexander nel panciotto.


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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


 
18.
 
 
 
 
Un gemito si levò dalle sue labbra, piegate in una smorfia dolorosa.

L’attimo seguente, Alexander aprì debolmente gli occhi e si guardò intorno confuso, riconoscendo le pareti amene della sua stanza e… Elizabeth addormentata sulla sua poltrona?!

Rizzandosi a sedere di colpo – e procurandosi un feroce dolore al fianco – il giovane fissò sgomento e terrorizzato la ragazza, profondamente addormentata e coperta da un pannetto leggero.

Durante quella notte così concitata, la crocchia doveva essersi sciolta, e ora i suoi capelli castano dorati le scivolavano attorno al viso come una splendida cornice.

Il punto, però, non era tanto notare la sua indubbia bellezza, quanto piuttosto capire perché lei si trovasse lì, e non al sicuro a casa propria.

Possibile che lord Phillips non se la fosse caricata a forza su una spalla, in barba alle sue proteste?

Un quieto bussare bloccò le sue domande inespresse e, quando diede il benestare al nuovo arrivato, sbiancò in viso quando vide entrare niente meno che Christofer Spencer.

“Ah…l-lord Spencer, io… ecco…” tentennò Alexander, decisamente a corto di parole.

Un’autentica rarità, per lui.

Christofer lanciò solo una breve occhiata alla figlia addormentata, prima di puntare lo sguardo verso il giovane seduto nel suo enorme letto.

Sospirò leggermente, poggiò le mani sui fianchi e infine disse: “Diamo per scontato che io abbia capito il perché di questa bravata. Ma perché portare sia lei che Charlotte…”

Lo sguardo di Alexander corse al viso dormiente di Elizabeth e, subitaneo, un dolce sorriso sorse sul volto del giovane.

“Avete mai provato a dirle di no?” domandò poi il secondogenito dei Chadwick, lanciando un’occhiata significativa a Christofer.

Sospirando nuovamente, Harford scosse la testa e borbottò: “Siamo già a questo punto, ragazzo? Vi ha completamente privato di un minimo di nerbo?”

“Temo di non poter appellare nessuna scusa al riguardo, milord e, ovviamente, visto l’increscioso evento che ci ha portati a questa situazione più che imbarazzante, mi impegno fin d’ora a sposare vostra figlia” ci tenne a precisare Alexander.

Christofer, però, scosse una mano come se la cosa, al momento, non gli importasse e, guardando la figlia, si limitò a dire: “Dovrete imparare a dirle di no, almeno ogni tanto, o vi ritroverete a dover cantare dall’alto di un campanile, la domenica, e solo per farla contenta.”

“Come, prego?” esalò Alexander.

Sorridendogli comprensivo, lord Spencer aggiunse: “Mia moglie andò a caccia di lupi, mentre io ero in guerra, perché mio padre era impossibilitato a uscire con i nostri cacciatori. Quando tornai, rischiai il linciaggio da parte sua, perché aveva desiderio di replicare l’uscita. Dovetti impormi con tutto il mio impegno, per impedirglielo.”

“Cosa fece mia madre?!” sbottò all’improvviso Elizabeth, balzando in piedi dalla poltrona e tenendo il pannetto tra le mani.

I suoi occhi erano sgranati, e più che mai desti.

“Eravate sveglia!” esclamò Alexander, non sapendo se sospirare di piacere nel notare la sua chioma lunga oltre la vita e rilucente alla luce delle candele, o irritarsi per quel tiro mancino.

Christofer si limitò a scuotere nuovamente il capo, sorridere alla figlia e chiosare: “Secondo punto, giovanotto. Rammentate di controllare sempre che le porte siano ben chiuse, e con lei a distanza di sicurezza.”

Ciò detto, si avvicinò a Lizzie, le sfiorò il viso tumefatto con una mano, il polso bendato e infine la baciò sulla fronte, mormorando: “Quando Anthony è venuto a svegliarci, abbiamo rischiato di morire di paura, sappilo. Capisco i motivi che ti hanno spinta, tesoro, ma non farlo mai più.”

“Scusami, padre… ma volevo assolutamente salvare Roy” sospirò la giovane, affondando nel suo abbraccio.

Christofer la strinse a sé, cullandola contro il suo torace come aveva sempre fatto da quando era nata e, dentro il suo animo, si aprì uno squarcio.

Avevano rischiato di perderla e, in qualche modo, la stavano realmente perdendo.

Se non altro, ora Christofer poteva dirsi tranquillo nel perderla per un giovane che aveva ampiamente dimostrato di tenere a lei come persona.

Certo, quel loro colpo di testa avrebbe potuto causare danni immani, ma l’uomo capiva più che bene cosa avesse spinto Alexander a non negarle quell’occasione.

Elizabeth agiva sempre in prima persona, e non avrebbe mai accettato che qualcuno rischiasse al posto suo.

Questo, Alexander l’aveva compreso e, amandola come sembrava amarla, aveva tentato di accontentarla, pur premurandosi di coprire le spalle alla loro brigata raffazzonata tra capo e collo.

Il giovane Chadwick aveva inviato un suo uomo a mettere al corrente Anthony delle loro intenzioni, indicandogli il luogo in cui avrebbero controllato per trovare le prove che cercavano.

A quel punto, forte della sua influenza, il loro comune amico aveva mobilitato una squadra di poliziotti per raggiungere i docks e salvare i ragazzi da un potenziale disastro.

Era stato lì che avevano incrociato Raymond e Charlotte, in sella a due cavalli, intenti a cercare aiuto per i loro amici.

Quando si scostò dalla figlia, Christofer le sorrise e, con gesti teneri, le asciugò le lacrime dalle gote, domandandole: “Hai anche sentito quando il nostro giovane Chadwick ti ha chiesta in moglie?”

Arrossendo, lei assentì e, nel lanciare un’occhiata ad Alexander, gli chiese: “Lo fate solo per salvarmi dallo scandalo?”

“E’ solo un’ottima scusa per obbligare vostro padre ad accettare” dichiarò divertito lui, ammiccando poi a Christofer, che rise brevemente.

“Beh, allora, posso dire che mi dichiaro colpevole, padre. Sono davvero costretta ad accettare la generosa offerta di lord Chadwick perché mai, per nulla al mondo, vorrei mettervi in imbarazzo, gettando uno scandalo simile sulla nostra famiglia” sospirò allora Elizabeth, poggiandosi una mano sul cuore. “In tutta onestà, sarà un gravoso peso da portare ma, per voi tutti, farò questo e altro.”

“Avete più o meno capito a chi siete finito in mano, ragazzo? Se volete, posso cercarvi una via d’uscita” ironizzò a quel punto Christofer, sorridendo a un divertito Alexander.

“Penso di poter affrontare la sfida” disse per contro il giovane.

“Molto bene, allora” sentenziò Harford, scostandosi dalla figlia. “Ti posso offrire due minuti da sola con lui, poi uscirai e andremo a casa. Mamma e gli altri sono in ansia e…”

Interrompendosi quando, nel corridoio, si udì un pesante avanzare di passi, Christofer, Elizabeth e Alexander si volsero verso la porta chiusa, chiedendosi cosa stesse succedendo.

Un battente venne sbattuto di colpo, e la voce stentorea di lord Mallory-Jones riverberò per mezzo abitato, sbottando: “In quale altro guaio ti sei cacciato, scriteriato che non sei altro?!”

Lizzie si coprì la bocca per non urlare sgomenta e Christofer, aggrottando la fronte, si domandò se intervenire o meno.

Non erano affari suoi, dopotutto, ma conosceva anche abbastanza bene il padre di Raymond, per sapere quanto potesse essere poco comprensivo e assai violento.

“In nessun guaio, padre, e vi prego di abbassare la voce. Siamo in casa d’altri, e non mi sembra cortesia urlare come se fossimo al mercato del pesce” replicò la voce pacata di Raymond.

Evidentemente, dovevano essersi portati tutti nel corridoio.

In barba allo sguardo d’ammonimento del padre, Elizabeth sgattaiolò verso la porta chiusa e, con un’abilità sopraffina, la socchiuse senza fare alcun rumore.

Alexander si coprì la bocca per non ridere, di fronte a quella marachella, e Christofer scosse il capo esasperato, pur lasciandola fare.

“Non mi interessa un bel niente di Maxwell Chadwick, in questo momento, ma di te, folle che non sei altro! Che storia è, quella che mi sono sentito propinare da quello sciocco servo che è giunto stamani a casa nostra? Avresti passato la notte fuori con quella sgualdrina della figlia dei Ranking?!”

Elizabeth fece tanto d’occhi, a quelle parole e, rialzandosi in fretta, fece per uscire dalla stanza per cantargliene quattro, ma suo padre la afferrò per tempo, bloccandola.

Scuotendo il capo, le intimò di tacere, e fu a quel punto che Raymond diede il meglio di sé.

“Prima di tutto, vi chiedo… anzi, vi impongo di moderare il linguaggio, visto che è della mia fidanzata, di cui state parlando. Secondariamente, voglio dirvi che, da questo momento in avanti, io non dimorerò più presso casa vostra, padre, ma prenderò possesso del nostro palazzo a Bath. Vi farò visita ogni tanto, come ogni bravo figlio dovrebbe fare, ma nulla più di questo.”

“Che diavolo stai dicendo? E da quando in qua, quella…” cominciò col dire Mallory-Jones, ipoteticamente indicando Charlotte. “… sarebbe diventata la tua fidanzata?”

“Da circa due ore. Ho chiesto il permesso a suo padre, e lui ha convenuto con me che, per il buon esito di questa insolita nottata, io avrei dovuto sposare sua figlia” dichiarò Raymond, con voce insolitamente sicura.

“Passi pure questo fidanzamento raffazzonato, ma non ti permetterò di fare quel che vuoi! Tengo ancora io i cordoni della tua borsa! Farai ciò che ti dirò io, a cominciare dal venire a casa con me ora!” ringhiò l’uomo, con tono lugubre.

“In questo vi sbagliate, padre. Già da anni ho una mia rendita personale, poiché intestaste a me diversi possedimenti nella zona di Bath e nell’Essex. La villa a Bath, inoltre, è sempre intestata a me, se ben ricordate e, se anche doveste togliermi la rendita come vostro erede, potrei vivere dignitosamente con ciò che mi resta” replicò pacifico Raymond. “Inoltre, i coniugi Ranking si sono dimostrati ben disposti verso di me, e hanno pensato di trasferirsi a loro volta a Bath, e acquistare i terreni dappresso ai miei, così da unire le due proprietà.”

“Che cosa?!” sbottò Mallory-Jones.

“Non avete mai nascosto il vostro disprezzo verso di me. Ebbene, vi consegno le chiavi per cacciarmi di casa, pur se io ho già deciso di lasciarla. Dipenderà da voi, e solo da voi, se lasciare o meno il titolo a me, o a qualche mio cugino. Poco mi importa, visto che ho già trovato ciò che voglio” terminò di dire Raymond, facendo esplodere il padre in un’imprecazione degna di nota.

Elizabeth si tappò le orecchie e Christofer, con un sospiro, esalò: “Amen. Questa è andata. L’hai sentita, vero?”

“Sono arrivata tardi. Scusa, padre” mormorò contrita Elizabeth.

“E’ la mattina delle scuse, questa” celiò lui, ascoltando il suono dei passi di Mallory-Jones avventurarsi verso la porta d’entrata, per poi sbatterla con violenza.

Fu in quel momento che la risata di Maxwell Chadwick riverberò per le scale e, nello scendere in direzione di Raymond e Charlotte, esclamò: “Ben fatto, ragazzo. Non avrei saputo esprimermi meglio!”

“Grazie, signore” sorrise impacciato il giovane, stringendo la mano protesa del padrone di casa.

“E tu, ragazza, sei stata impagabile. Non far caso a quel che esce da quella cloaca che è la bocca di quell’uomo. Suo figlio è di tutt’altra pasta” aggiunse poi Maxwell, rivolgendosi a Charlotte.

La ragazza sorrise, assentendo nello stringersi al braccio di Raymond.

Soddisfatto, Maxwell puntò poi alla stanza del figlio e, senza bussare, entrò, esclamando: “Ah, bene! Siete svegli entrambi! Come sta il mio ragazzo?!”

Sorridendo al padre, Alexander dichiarò: “Oserei dire che ti hanno sentito dal fondo della strada. Hai un tono di voce che ammazzerebbe, se fosse di poco più alto.”

“Sono cose da dirsi a un pover’uomo che ha visto giungere il proprio figlio bucherellato come un puntaspilli?” brontolò Maxwell, dandogli una pacca sulla spalla sana.

Elizabeth sorrise al padre e lord Chadwick, nel volgersi verso di loro, raggiunse Lizzie in poche, rapide falcate e la abbracciò stretta, sollevandola poi da terra come un fuscello.

“Oh” gracchiò lei, praticamente stritolata da quell’abbraccio.

“Brava ragazza… sono davvero contento che mio figlio abbia avuto abbastanza sale in zucca da innamorarsi di te” le sorrise poi gioviale Maxwell.

“Ah, beh… grazie” esalò lei, stringendo la mano protesa dell’uomo, e ricevendo per diretta conseguenza un’autentica scossa di terremoto in cambio.

Christofer rise, di fronte alla fisicità del vecchio amico di famiglia e, battendo una mano sulla spalla nerboruta di Maxwell, disse: “Temo dovrai essere più delicato di così, con lei. E’ un po’ piccolina.”

“Oh, già, già… giusto” rise l’uomo, arrossendo un poco. “Ma so da fonti certe che è un piccolo asso, con le armi.”

“Come?” esalò Christofer, fissando curioso Elizabeth, che avvampò in viso.

Lappandosi nervosamente le labbra, lei mormorò: “Posso spiegarti tutto, padre.”

Sospirando nuovamente, Christofer si passò una mano tra i capelli e borbottò: “A casa. Voglio sentire questa storia una volta sola, e poi mai più. Ora, quindi, penso ci accomiateremo. Avrete tempo per parlare più agevolmente quando Alexander si sarà ripreso.”

“D’accordo” assentì la figlia prima di correre verso il letto, stampare un bacio sulla guancia di Alexander e sussurrare: “A presto!”

“Lizzie!” la richiamò all’ordine il padre, facendola scoppiare a ridere.

Con un ultimo saluto, padre e figlia uscirono dalla stanza e, quando Maxwell fu finalmente solo col figlio, tornò serio e mormorò: “Ti senti bene, ragazzo?”

“Tutto bene, davvero. Il colpo mi è passato attraverso, senza ledere alcun organo. Fa solo un po’ male. La spalla, invece, aveva solo un graffio” lo ragguagliò Alexander, sfiorandosi la guancia dove Elizabeth l’aveva baciato.

Sorridendo a mezzo, Maxwell chiosò: “Mi sembra davvero una ragazza in gamba.”

“La è, padre. E la amo.”

“Allora, direi che va bene. E non dovrò neppure insegnarle a sparare, visto che lo sa già fare!” scoppiò a ridere l’uomo, coinvolgendo anche il figlio.
 
***

Tutta la stanchezza accumulata in quelle ore – solo in parte mitigata dal pisolino schiacciato sulla poltrona di Alexander – stava per farla crollare.

Elizabeth, però, sapeva bene che non avrebbe guadagnato la via della camera da letto, se prima non avesse tranquillizzato di persona la sua famiglia.

Quando, perciò, entrò nel salottino dove si erano radunati tutti, si sentì morire dentro nel vedere i risultati del suo colpo di testa.

Violet, con evidenti segni di pianto, dormiva tra le braccia di Andrew, appisolato sopra un divano, un braccio saldamente ancorato attorno alla ragazzina.

Le sorelline e il fratello di Violet si erano divisi il secondo divano, e dormivano saporitamente l’uno contro le altre.

Myriam e Kathleen, invece, stavano sorseggiando del tè di fronte alla finestra che dava sul giardino, Anthony era seduto su una poltrona, intento a leggere e Max era appollaiato su un cuscino, accanto al fratello.

Julianne e Wendell, infine, erano appollaiati su una poltrona. Il marito teneva amorevolmente la moglie sulle ginocchia, e le loro mani si stringevano anche nel sonno.

La sua entrata in scena fece destare gli adulti assonnati e scuotere Andrew e Max dal loro sonnellino.

Subito, Kathleen le corse incontro per abbracciarla e, spiacente, le sfiorò la guancia tumefatta.

Elizabeth le sorrise, mormorando che non le faceva troppo male ma, quando incrociò lo sguardo del gemello, scoppiò in lacrime.

Sospirando, Andrew scostò dolcemente Violet per non svegliarla e, in silenzio, raggiunse la sorella per abbracciarla.

L’attimo seguente, anche Max li raggiunse e, tutti e tre si strinsero in un abbraccio collettivo e senza parole.

Myriam sorrise agli amici e Anthony, lasciato da parte il libro, li raggiunse e disse: “Per dovere di cronaca, il lestofante che ti ha colpita è già a Newgate, e i ragazzini sono stati ricondotti ai rispettivi orfanotrofi.”

Elizabeth assentì e, rivolgendosi al padre, domandò: “Roy come sta?”

“Sta molto bene, e credo abbia già raccontato a tutti di come la sua miss Elizabeth sia giunta a salvarlo” le sorrise Christofer.

“Oserei dire che avrei dovuto fare da chaperon al giovane Chadwick, e non a te, visto come sei riuscita a circuirlo” le sorrise Julianne, avvicinandosi per abbracciarla.

“Scusa, zia… sono stata una pessima pupilla” sospirò Lizzie, ammiccando nel mentre allo zio, che le depositò un bacio su una guancia.

“Lizzie?” mormorò poi all’improvviso una voce, dietro di loro.

Elizabeth si volse a mezzo e, sorridendo nel veder giungere un’assonnata Violet, la strinse in un abbraccio e le baciò i biondi capelli, sussurrando: “Scusa se ti ho fatto spaventare, tesoro.”

“Il papà mi ha spiegato perché sei andata via nella notte… io non avrei mai avuto un coraggio simile. Correre in aiuto di un amico come hai fatto tu!” esalò la bambina, intrecciando le mani e guardandola con estremo orgoglio.

Anthony storse subito il naso e, fissando la primogenita, sottolineò: “Non ti sognare di imitarla, tesoro.”

“Ma padre! Lizzie ha fatto una cosa splendida!” protestò Violet.

“Oltre che folle, e pericolosissima” replicò subito Elizabeth. “Ho rischiato di far succedere delle cose brutte ai miei amici, col mio gesto, quando avremmo potuto chiedere subito l’aiuto di tuo padre.”

Sospirando, Anthony fu costretto ad ammettere: “Probabilmente, non avrei potuto darvelo, senza prove certe a confutazione. Neppure io ho tanto potere. Nonostante tutto, avete agito bene. Quei lestofanti stavano per partire e, pur sapendo di dover cercare nei docks, avremmo impiegato troppo tempo per trovarli. Voi, invece, avete avuto più acume di me, nel trovare il posto, e li avete salvati.”

E tu, come hai salvato noi?” gli domandò Elizabeth, sempre stretta ai fratelli.

Sorridendo appena, Anthony asserì: “Il tuo Alexander mi ha mandato un messaggio, la scorsa notte, in cui mi informava della vostra intenzione di controllare una zona in particolare dei docks, e di far intervenire la polizia con la scusa di un carico di whisky di contrabbando pronto a partire per la Francia. Detto tra noi, c’era realmente. Non so come lo sapesse, ma è stato il movente giusto per far muovere gli agenti. Diversamente, non si sarebbero mai mossi da Bow Street. Brutto da dire, ma è la verità.”

Elizabeth si ritrovò a sorridere con cieco orgoglio e, nell’osservare l’amico di famiglia, asserì: “E’ un tuo grande ammiratore, perciò gli farà piacere sapere che hai apprezzato il suo stile” sorrise Elizabeth. “Forse, per una volta, tornerà a piacergli parlare per un pubblico attento.”

Christofer le sorrise divertito e, nel carezzarle i capelli, disse: “Credo tu abbia bisogno di un buon bagno e una bella dormita. Ti faccio preparare la vasca?”

“Sarebbe molto bello, padre. Grazie” assentì la giovane, vedendolo uscire subito dopo dal salottino.

“Quindi, sorellona, ora che succede? Sposerai Chadwick, dopo questa …avventura clandestina?” ironizzò Max, ammiccando.

Lei arrossì appena, annuì e, rivolgendosi ai fratelli, sottolineò: “Lo sposo perché lo voglio, e perché lui vuole me. Ma lo scandalo è una buona scusa.”

Tutti risero sommessamente e, mentre Violet sospirava lieta all’idea di un imminente matrimonio, Andrew tornò ad abbracciarla, sussurrandole all’orecchio: “Dovrebbe essere un idiota, a non volerti.”

“Grazie.”
 
***

Pettinando i capelli della figlia al posto di Lorelai, Kathleen sorrise al riflesso della figlia nello specchio e, nello stringerle le chiome in una treccia, mormorò: “Sei sicura, tesoro? Papà può trovare una scappatoia, se vuoi.”

“No, madre, sono sicura. Sono andata con lui perché non avrei sopportato se, per una cosa che io volevo, lui avesse avuto a soffrirne e io non fossi stata presente.”

La mano di Kathleen si bloccò per un istante, e la sua mente volò a tanti anni prima, quando un medesimo pensiero l’aveva scossa, portandola su quel colle, la mattina del primo giorno dell’anno.

“Inoltre, lui mi vede, mi ascolta, e apprezza i miei punti di vista, anche quando divergono dai suoi. E’ un liberale come papà, il che non guasta, e vorrebbe più libertà per noi donne” gli elencò lei, sorridendo sempre più orgogliosa.

Ridendo sommessamente, Kathleen assentì e disse: “Va bene, tesoro. Volevo solo essere sicura che tu avessi valutato bene la cosa. In fondo, non vi conoscete da molto. E il suo bel viso avrebbe potuto cospirare contro di te, facendoti vedere cose che non vi sono.”

Sorridendo nell’arrossire, Elizabeth asserì: “Oh, sì… Alexander è bello, non posso negarlo. Ma ha saputo dirmi le cose che io avrei sempre voluto sentire… e ha difeso quei ragazzi. Li ha cercati per me. Ha tentato di salvarmi da quel manigoldo, pur essendo a terra e ferito.”

Baciandole il capo, Kathleen mormorò: “Mi andava già bene quando hai detto che apprezza il tuo punto di vista.”

Volgendosi a mezzo, Lizzie rise e le domandò: “E’ vero che hai dato la caccia ai lupi, madre?”

“Ohibò. E questa cosa come l’hai saputa?” esalò la donna, colta di sorpresa.

Scoppiando a ridere, Elizabeth si levò in piedi, abbracciò la madre ed esclamò: “Ho i genitori migliori del mondo!”

“Ricordatelo, quando saremo vecchi e decrepiti, e diremo sciocchezze per via della demenza senile” la prese in giro Kathleen, pur apprezzando le parole della figlia.

Lei assentì, prima di esclamare: “Oh, una cosa! Anche Charlotte si è fidanzata! Con Raymond! Avresti dovuto sentire come ha inveito contro suo padre, per difendere Charlie e il suo onore!”

Sbattendo le palpebre per la confusione, Kathleen celiò: “E dire che io pensavo che i matrimoni si combinassero da Almack’s, e non nel corridoio di casa di lord Chadwick.”

Lizzie scoppiò a ridere e sua madre con lei.

Pur non avendo rispettato le convenzioni, Elizabeth non poteva lamentarsi. Aveva esaudito tutti i suoi desideri, più uno non previsto.

Si era divertita, aveva danzato in ricche stanze e con pregiate musiche, aveva avuto un’avventura e, a sorpresa, presto si sarebbe sposata.

Di certo, quel viaggio a Londra le aveva riservato più sorprese – e scoperte – di quanto non si sarebbe mai immaginata.
 
***

“Mamma è quasi svenuta, quando ha saputo tutta la storia, ma papà è stato buono con me, e ha capito. Non se l’è presa più di tanto. Inoltre, apprezza Raymond e la sua maturità” sorrise Charlotte, sorseggiando del tè nel salottino privato di Elizabeth.

Annuendo, Lizzie mordicchiò un biscotto e replicò: “Anche i miei genitori hanno compreso, pur se so che li ho fatti morire di paura. Sapevo solo di doverlo fare.”

“E io ti capisco, amica mia. E’ per questo che ti ho seguita… so quanto tieni a quei ragazzi.”

Elizabeth le sorrise e ammise: “Mi è sempre spiaciuto molto per le loro condizioni e, fino a poco tempo addietro, neppure riuscivo a mettere piede in uno degli orfanotrofi dei miei genitori. Sentivo di non esserne degna, di avere tutto senza aver fatto nulla per meritarmelo, e vedere quei bambini senza padre o madre, totalmente indifesi e privi di un difensore, mi faceva star male.”

“Lizzie…” sospirò comprensiva Charlotte, sfiorandole una mano.

“Ora, però, posso guardarli negli occhi, perché so di avere dato il mio contributo e, se potrò, ne aprirò altri a mia volta, e salverò tutti quelli che potrò. E’ mio dovere.”

Charlotte assentì e, nel levarsi in piedi, abbracciò l’amica e sussurrò: “Sono sicura che Alexander ti darà una mano. Io e Raymond, se potremo, faremo qualcosa a nostra volta. Non so come andrà a finire, stasera, ma sono convinta che non sarà una cena così disastrosa come teme lui.”

Ridendo imbarazzata, Lizzie esalò: “Non farmi pensare alla nostra, di cena. Stasera conoscerò il fratello di Alexander, oltre alla sua famiglia. Non oso immaginare che idea si saranno fatti di me.”

“A lord Chadwick sei piaciuta” replicò Charlotte, avviandosi verso la porta per uscire assieme a Elizabeth.

“Incrocio le dita, poi ti farò sapere” le sorrise Lizzie, facendo poi un cenno a uno dei domestici perché preparassero la carrozza per accompagnare Charlotte a casa.

“Niente può essere peggio di quello che abbiamo visto” le ricordò l’amica.

Elizabeth assentì e, anche molto tempo dopo, mentre Lorelai le sistemava i capelli in una crocchia sopra la nuca, si disse che nulla avrebbe potuto cancellarle dalla mente quello scempio.

Però, avrebbe potuto combattere perché non avvenisse più.

Questo poteva farlo, ed era certa che Alexander l’avrebbe sostenuta, in questo.

Al solo pensiero, arrossì e Lorelai, notandolo, sorrise e disse: “State pensando a sua signoria, vero?”

“E’ demoralizzante sapere che sono diventata trasparente” rise divertita Lizzie, sorridendole. “Lo conosco da così poco… eppure, non penso possa esistere persona migliore di lui, per me.”

“Vostro padre mi sembra soddisfatto. E’ un buon indice per giudicare lord Chadwick. Naturalmente, dopo che sarà passato a sua grazia il panico da perdita della figlia.”

Lizzie scoppiò a ridere, annuendo, e ammise: “In effetti, quando ha scritto di suo pugno l’invito a cena per la famiglia Chadwick, era un po’ pallido.”

“Starà bene… ne sono sicura” la rassicurò la cameriera, terminando di sistemarle i capelli. Dopo aver appuntato l’ultima spilla, assentì soddisfatta. “Ora siete perfetta.”

Elizabeth si ammirò allo specchio, sorrise nel vedere i boccoli ricaderle sulle spalle nude, a sfiorare lo scollo orizzontale dell’abito.

Le maniche a sbuffo erano di un tenue color lavanda, al pari della gonna ampia e che le solleticava le caviglie.

Ai piedi portava già delle scarpine di seta bianche, che richiamavano i ricami di fiori che si sollevavano dall’orlo dell’abito verso l’alta cintura di raso che le stringeva la vita.

Sperava davvero che ad Alexander piacesse il color lavanda, perché lei non vi avrebbe mai rinunciato.

Avevano ancora molte cose da imparare, l’uno dell’altra ma, prima di arrivare al loro matrimonio, sarebbero occorsi ancora molti mesi.

Si sarebbero maritati a York, nel mese di ottobre, il giorno del suo compleanno, esattamente come aveva espressamente chiesto Alexander.

Nel frattempo, avrebbero avuto modo di scoprire altro, dei rispettivi gusti e desideri ma, l’importante, già lo conoscevano.

Si rispettavano, e avevano a cuore l’uno le esigenze dell’altra. Il resto sarebbe venuto da sé.
 
***

Non era nervosa, non era nervosa, non era…

La campanella alla porta suonò ed Elizabeth, quasi schizzando in piedi dalla poltrona, neanche l’avessero punta con un ago, esclamò: “Sono qui!”

Andrew la fissò con autentica ironia e Violet, poggiando sulle ginocchia il suo libro sulle tecniche nautiche dell’Ammiraglio Nelson, le sorrise e asserì: “Non vedevi l’ora, vero, Lizzie?”

Elizabeth si limitò ad assentire ma, ricordandosi ciò che aveva promesso al padre, attese compita che si muovesse e uscì dal salottino solo dopo di lui.

Max, però, le fece notare quanto le sue mani tremassero nervose e lei, per diretta conseguenza, gli fece la lingua.

Kathleen sorrise nel vederli scherzare a quel modo ma li richiamò all’ordine e, quando il maggiordomo si fece avanti per avvisare la famiglia dell’arrivo degli ospiti, Christofer assentì compunto.

Anche se avrebbe voluto ridere a crepapelle.

Da quando aveva ordinato a Elizabeth di non combinare altri guai, la figlia si era comportata in modo impeccabile, pur avendo più volte rischiato di peccare nei suoi intenti.

Non si sarebbe mai trattenuta tanto, se Alexander non le fosse realmente interessato.

Così, quando vide Maxwell avvicinandosi per primo con le mani sollevate per stringere le sue, Christofer si disse che, dopotutto, avrebbe potuto andare peggio.

Lizzie avrebbe potuto incapricciarsi di un emerito idiota, e lui avrebbe dovuto impersonare la parte del cattivo, rischiando di inimicarsela solo per il suo bene.

Per un giovanotto come Alexander Chadwick, che aveva dalla sua anche una famiglia che lui apprezzava, sapeva di poter accettare molto meglio la futura partenza della sua Lizzie.

“Christofer, ben ritrovato!” esordì Maxwell, stringendo entrambe le mani dell’uomo. “Allora, dov’è la tua bellissima moglie?”

Harford sorrise e, nel fare un cenno a Kathleen, asserì: “Benvenuto, Maxwell, e un caldo benvenuto alla tua famiglia.”

Kathleen fece una riverenza al nuovo arrivato e Maxwell, con un inchino perfetto, le strizzò l’occhio e celiò: “Ho promesso alla mia Madaleine che non avrei fatto lo sciocco, perciò mi conterrò, per stasera.”

“Caro, ti prego…” sospirò la donna dietro di lui, sorridendo a Kathleen. “E’ irrecuperabile, temo.”

“Saperlo tale, ci rende sereni, piuttosto” replicò Kathleen.

A quel punto, Wilford si fece avanti con la sua famiglia al gran completo, e Alexander sperò dentro di sé che i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse si contenessero.

Come non detto.

Non appena nel loro arco visivo fece la sua comparsa Elizabeth, a poca distanza dai genitori, i quattro bambini fecero tanto d’occhi e, puntandola all’unisono con un dito, si volsero verso Alexander ed esclamarono: “E’ lei, zio, la tua fidanzata?!”

Tutti gli adulti si azzittirono, fissando i bambini chi con sorpresa, chi con estrema esasperazione e chi, infine, con cupa rassegnazione.

Ad Alexander, interpellato suo malgrado, non rimase altro che dire: “Sì, ragazzi, è Elizabeth.”

Le femmine strillarono in coro, esclamando un ‘ma è bellissima!’, mentre i maschietti, più compiti, si voltarono verso lo zio con gran sorrisoni compiaciuti, assentendo a più riprese.

Wilford, a quel punto, guardò contrito Elizabeth e asserì: “Le mie più profonde scuse, miss Elizabeth. Stiamo ancora cercando di addestrarli, ma è un’impresa praticamente impossibile.”

A un cenno del padre, Lizzie si avvicinò e, sorridendo ai ragazzini – che la stavano guardando curiosi – replicò: “Non c’è bisogno di nessuna scusa, lord Wilford. Sono adorabili.”

“L’hai sentita? Siamo adorabili!” esclamarono ancora in coro i quattro furfanti, ghignando vittoriosi.

Sabine e Juliette, ringalluzzite da quel complimento, la presero spontaneamente per mano e, perentorie, dissero: “Noi ci siederemo vicino a lei. Dobbiamo dirle com’è lo zio.”

“Dio ce ne scampi e liberi!” esalò Madaleine, facendosi il segno della croce.

Maxwell, a quel punto, scoppiò a ridere e, allargando le braccia per inglobare tutta la sua famiglia, chiosò: “Che dire? Siamo più un branco, che un clan di persone.”

“Il più bel branco che io abbia mai conosciuto” sorrise Elizabeth.

“Brava ragazza” ghignò Maxwell, dandole un buffetto sulla guancia.

Christofer, a quel punto, sorrise alla figlia e disse: “Perché non mostri la casa ai bambini? Vedo che ti hanno preso in simpatia.”

Poi, scrutando il silenzioso Alexander, aggiunse: “Perché non vai con loro, giovanotto? Nel caso la mia Lizzie abbia bisogno di aiuto.”

Interpellato, Alexander assentì compito e, in silenzio, si accodò al gruppetto, a cui si unirono anche Andrew e Max.

Rimasto con i membri più adulti di casa Chadwick, Christofer a quel punto disse: “Noi, nel frattempo, possiamo avviarci verso la sala da pranzo. Ci serviranno qualche aperitivo, mentre attendiamo il ritorno dei nostri ragazzi.”

“Mi voglio ancora scusare per quelle pesti. Spero che Elizabeth abbia pazienza, perché temo potrebbero sfiancarla” si premurò di dire Clarisse, rivolgendosi a Kathleen.

“Oh, non ci saranno problemi, davvero.”

“Di che ti preoccupi, Clarisse? Quella ragazza ha sparato a un rapitore, per proteggere dei bambini!” intervenne con un borbottio Maxwell. “La mia futura nuora… i miei complimenti, Harford. Grande idea, quella di insegnarle a sparare. Ho provato con questa qua, ma il suo maritino cade svenuto ogni volta che le avvicino una pistola.”

Clarisse scoppiò a ridere, a quel commento, mentre Wilford fissava il padre con aperta riprovazione.

Madaleine, sospirando, chiosò: “Perché non gli ho messo del laudano nel bicchiere di whiskey, prima di uscire?”

“Perché sai benissimo, donna, che niente può farmi tacere, perciò mi avresti soltanto rovinato del buon liquore” sottolineò Barrett, scoppiando poi in una grassa risata.

Sorridendo a Kathleen, che stava facendo di tutto per non esplodere in una calda risata di gola, Christofer dichiarò: “Ho dei figli molto estroversi e, visti i precedenti in famiglia, ho pensato fosse corretto dar loro una buona base di partenza… in tutti i campi.”

“Ottima scelta davvero” assentì Maxwell. “Sono sicuro che Alexander avrà il suo bel daffare per tenerla a freno, ed è giusto che sia così. Quel ragazzo, ogni tanto, tende a essere un po’ borioso, visto quanto è intelligente perciò, avere a che fare con vostra figlia, gli porterà equilibrio.”

“Papà, Alex non è borioso, è solo onesto” sottolineò Wilford.

“Vorresti dire che io sono uno spaccone? No, perché mi sembra che il ragazzo mi abbia chiamato così, giusto l’altro giorno!” sbottò Maxwell, poggiando le mani sui fianchi con fare dittatoriale.

“Ti sei risposto da solo, padre” sottolineò il primogenito, serafico.

Kathleen non ce la fece più.

Scoppiò a ridere di gusto, si aggrappò al braccio del marito per sostenersi e, ai limiti delle lacrime, fissò la nuova famiglia della figlia e mormorò: “Elizabeth vi adorerà, come io vi adoro già.”

“Sempre detto che le donne di questa casa sono intelligenti, oltre che belle” sottolineò Maxwell, ghignante.

“Amen” celiò Madaleine, dando una pacca sulla spalla al marito.
 
***

“Tutto bene?” mormorò a un certo punto Alexander, in piedi accanto a Elizabeth che, invece, sedeva sul bordo della fontana del giardino, mentre i figli di Clarisse e dei coniugi Phillips giocavano a rincorrere Max.

Lizzie levò il capo a scrutarlo e, sorridendo, assentì.

“La vostra famiglia mi piace molto. Assomiglia davvero tanto alla mia…e, a questo proposito…” accennò Elizabeth, facendosi dubbiosa.

“Sì?” le domandò lui, curioso.

“Avete il discutibile vizio di infilare rane nei letti della gente, per caso? Giusto per curiosità” gli domandò a bruciapelo lei, facendolo sgranare gli occhi per la sorpresa.

L’attimo dopo, Alexander scoppiò in una calda risata di gola, finì col sedersi a sua volta e, passandosi una mano sul viso, esalò: “I vostri fratelli… erano soliti farlo?”

“Non usate con tanta leggerezza il passato. L’ultima volta che l’hanno fatto, risale a circa tre mesi addietro.”

“Come, prego?” gracchiò a quel punto il giovane, azzittendo di colpo la propria risata.

“Max è ancora un birbante” celiò Elizabeth, scrollando le spalle.

“Beh, in fede mia, Elizabeth, vi giuro su quanto ho di più caro che, nel vostro letto, non infilerò nessuna rana” si premurò di dire lui, poggiando una mano sul cuore a mo’ di promessa.

A quell’accenno, Lizzie arrossì leggermente e Alexander, sorridendole complice per un istante, tornò a guardare i bambini scorrazzare e aggiunse in un sussurro: “Spero di poter essere la sola creatura al mondo a poter vantare quel diritto. Figli esclusi, s’intende. Di loro, non sarò geloso.”

Elizabeth si coprì la bocca per non ridere sguaiata e Alexander, ghignando, proseguì nel suo monologo.

“Sì, insomma, ho pensato dovessi dirvelo. Dei bambini, ecco. Non so come la pensate voi, ma a me piacerebbe crescerne almeno uno o due. A patto che non siano pesti infernali come i miei adorabili nipoti. Li amo, ma ancora mi domando dove Clarisse tenga le sue sosia, perché non può essere in grado di seguirli da sola.”

Stavolta, la risata le sfuggì e, asciugandosi una lacrima d’ilarità, Lizzie domandò: “Non si fa aiutare da una bambinaia?”

“Oh, sì. Mrs Robertson ha seguito sia me che Wilford, quando siamo nati, e ora aiuta Clarisse. Il punto è un altro; i bambini voglio lei, e solo lei, quando stanno male, si feriscono per qualsiasi motivo, o litigano. Neppure mio fratello riesce a chetarne le ire. Solo Clarisse” le spiegò Alexander, scrollando le spalle.

Osservando l’imponente Wilford che, al pari di Maxwell, sembrava un guerriero vichingo fatto e finito, Elizabeth mormorò: “Forse, si sentono un po’ intimoriti da vostro fratello. Insomma, so che è il loro papà, però…”

“Sembra un grosso orso biondo, vero?” ironizzò Alexander, sorridendo.

“Può darsi che, crescendo, tutto ciò cambi. In fondo, le gemelline hanno quattro anni” sorrise Lizzie, prima di esalare un singulto spaventato, quando vide Violet cadere sull’erba.

Prima ancora che potesse muoversi per raggiungere la cugina, Andrew era già da lei, pronto a sollevarla per poi toglierle gli steli d’erba dalla gonna.

“Un prode cavaliere. Vostro fratello è molto solerte con i più piccoli” notò Alexander.

“Sì, Andrew lo è sempre stato. Forse, per farsi perdonare il ruzzolone di cui fui protagonista da piccola, chissà…”

Alexander la fissò curiosa ed Elizabeth, con un sorriso, si mise d’impegno per raccontargli l’intera storia, mimando le scene e calando e alzando la voce in base al momento della narrazione.

Christofer, in silenziosa contemplazione del giardino, sorrise nel vedere la coppia impegnata in quella dissertazione e Maxwell, al suo fianco, gli poggiò una mano sulla spalla, chiosando: “Mi sembrano una coppia ben assortita.”

“Lui la ascolta, la vede… ed è ciò che io speravo per la mia Lizzie. Inoltre, gli occhi di mia figlia brillano, quando è con lui, e viceversa, perciò, che dire?” asserì Christofer, sorridendo al futuro suocero della figlia. “Sentirò un po’ meno la sua mancanza, sapendola con un uomo che la sa apprezzare, e che lei apprezza a sua volta.”

“Aberdeen e York non sono molto distanti, Harford. Non sarà un problema riportarti tua figlia per qualche mese all’anno” gli sorrise cordiale Maxwell, prima di sussurrare: “Sia chiaro, però. Almeno i loro figli, voglio tirarli su alla mia maniera. Dovranno essere scaltri come i genitori, e non li farò rimbambire con tutte le regole affettate e inutili del Ton.

Ridendo sommessamente, Christofer assentì, replicando: “Se riuscirai a convincere Lizzie, non penso ci saranno problemi.”

“Ah! La tua figlioletta già mi adora!” ghignò l’uomo, poggiando le grandi mani sui fianchi. “Farà quello che le consiglierò io!”

L’attimo seguente, uno scappellotto raggiunse la nuca di Barrett che, contrariato, fissò gli occhi rabbiosi della moglie, in piedi accanto a lui.

“Tu non ficcherai il naso nelle questioni familiari di tuo figlio! Li lascerai fare quello che vogliono” brontolò Madaleine, imitando la posa del marito.

“Ma Maddie…” mugugnò l’uomo, accigliandosi.

“Niente ma! Alexander è capacissimo di decidere cosa vuole per i suoi figli, e penso proprio che anche Elizabeth sappia il fatto suo. NE. RESTERAI. FUORI.”

Sbuffando, Maxwell borbottò: “Di questo passo, le donne vorranno anche il ruolo di Primo Ministro, per sé. Dai loro un dito, e si prendono tutto il braccio.”

“Te lo strapperò, quel braccio, se non la pianti” sbuffò Madaleine, sorridendo l’attimo seguente quando Rascal, il secondogenito dei suoi nipoti, la chiamò per un giro del giardino.

Kathleen si accodò, accompagnata da Paul, il primogenito di Clarisse e Wilford e Christofer, ammirando le due donne, celiò: “Potranno anche prendersi il braccio, caro Maxwell, ma non le cambierei per nulla al mondo.”

“A chi lo dici.”







Note: Capitolo un po' lungo, ma mi spiaceva spezzarlo in due. Che ne dite? Apprezzate come si sono risolte le cose? Avete apprezzato il gesto di Raymond? E Maxwell e famiglia? Personalmente, amo molto i Chadwick. ^_^
Spero anche voi!

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Capitolo 19
*** Epilogo ***


 
Epilogo
 
 
 
York – 2 ottobre 1823
 
Il sole si stava levando a est, illuminando le fronde del bosco che avvolgeva Green Manor, ora ingiallite dall’autunno.

Tutt’intorno il silenzio regnava sovrano, e anche l’enorme villa era tranquilla.

La natura sembrava sonnacchiosa, non ancora pronta a svegliarsi per quell’ennesimo giorno.

Ammirando quel paesaggio a lei così familiare, Elizabeth si chiese se avrebbe imparato ad apprezzare allo stesso modo anche lo scorcio visibile dalla casa di Alexander.

Lui gliel’aveva tratteggiata con parole ispirate, dipingendole un luogo tranquillo, circondato da un piccolo boschetto, a poca distanza dal mare e isolato dalla città portuale.

Non una reggia come Green Manor, ma qualcosa di più intimo, con due ampie scalinate all’ingresso, ampie verande disposte su tre lati dell’abitato e un giardino che si estendeva tutt’attorno.

Due braccia calde e protettive la avvolsero da dietro, mentre il torace nudo di Alexander si andava a poggiare contro il velluto blu della sua vestaglia.

“Come mai così mattiniera, moglie? Il letto ti pare così scomodo?”

Sorridendo a mezzo, lei volse il capo per guardarlo, e Alexander ne approfittò per baciarla con una certa passione.

Lo aveva fatto spesso, la notte precedente, dopo i festeggiamenti per il loro matrimonio.

York aveva praticamente smesso di lavorare, per essere presente al loro matrimonio, che si era svolto nella cattedrale posta nel centro della città.

Quando le carrozze avevano lasciato la chiesa, la cittadina si era quasi svuotata.

Green Manor non era mai stata così colma di invitati, e i balli si erano dilungati fino a notte fonda.

Persino ai bambini era stato permesso di parteciparvi, con gran delizia dei figli di Clarisse e Wilford, così come di quelli di Myriam e Anthony.

Elizabeth e Alexander avevano danzato spesso, intervallando balli tra di loro a danze con i loro parenti più stretti.

Il tutto, accompagnato da una musica allegra e, a volte, divertiti da giocolieri e ballerini gitani.

Sia Lizzie che Alexander avevano voluto gioia e spensieratezza, al loro matrimonio, e Maxwell e Christofer si erano prodigati fino in fondo, per questo.

Solo verso le due del mattino, era stato permesso alla coppia di allontanarsi dalla sala e, a quel punto, Elizabeth aveva sperimentato quello che, la madre, le aveva detto trattarsi di qualcosa di unico. Speciale.

Alexander l’aveva raggiunta nella sua stanza, impacciato e nervoso come mai lo aveva visto e, con un sorriso timido, le aveva consegnato una rosa.

Lei, allora, si era allungata in punta di piedi per baciarlo e, lentamente, le mani di Alexander l’avevano liberata della vestaglia, scoprendola nuda sotto di essa.

Aveva preferito di gran lunga evitare inutili camice da notte o quant’altro.

Era stata più che certa che se, in quel momento, avesse perso tempo nel denudarsi, avrebbe accumulato dentro di sé troppa paura.

Così facendo, invece, Alexander aveva raggiunto subito il fulcro della sua ricerca e, con un sorriso, aveva lasciato che lei facesse lo stesso.

Timida al punto giusto, Elizabeth l’aveva osservato con una sorpresa sempre crescente e Alexander, nel depositarle un bacio sulle labbra, le aveva sussurrato tutto il suo amore.

Certo, non aveva potuto impedirle un certo dolore, durante il loro primo amplesso, ma lui era stato così bravo da stemperarlo il più possibile.

E, per Elizabeth, era parso scontato riprovare subito, giusto per essere sicura di non aver sbagliato nulla.

Le avrebbe dato un fastidio immenso se, per Alexander, quel momento non fosse risultato splendido come lei aveva sperato per il marito.

A nulla era valso rassicurarla, così il giovane si era prestato ben più che volentieri a farla ritentare. E ritentare.

Quando infine Alexander si scostò dalle labbra della moglie, sussurrò: “Pensavo avessi bisogno di dormire. Non abbiamo riposato molto, stanotte.”

“Per la verità, scalerei una montagna, al momento. Mi sento così… soddisfatta” sorrise per contro lei, volgendosi per stringerlo alla vita. “Grazie, per stanotte.”

“Sono io a ringraziare te, mia dolcissima Silfide. Mi hai regalato una notte di nozze meravigliosa, che ricorderò finché avrò vita” replicò lui, baciandole il naso.

Lei sorrise compiaciuta, prima di notare un particolare interessante.

Piegandosi verso il basso, e notando finalmente che il marito era completamente nudo, sorrise maliziosa e disse: “Uhm, pare che qualcuno abbia voglia di un po’ di ginnastica mattutina.”

“Niente affatto. Potrà dire quel che vuole, ma non verrà soddisfatto. Tu, ora, devi fare un bel bagno ristoratore e vestirti per la colazione. Non sia mai che io approfitti ancora di te, dopo gli straordinari di stanotte” scosse il capo lui, scostandosi dalla moglie per andarsi a mettere una vestaglia.

Elizabeth fissò con desiderio quel corpo asservito al suo guardo, quei fianchi stretti e muscolari, quelle ampie spalle e…

Beh, era suo, dopotutto?

Con un risolino, raggiunse in fretta il marito e, con una spinta improvvisa, lo fece cadere lungo riverso sul letto, imprigionandolo poi sotto di sé con aria trionfante.

Alexander, sorpreso, se la ritrovò sopra a cavalcioni e, con un sorriso divertito, celiò: “La mia signora vuole fare ginnastica… bastava dirlo, invece di incolpare me.”

“Non essere bugiardo. E’ più che evidente che la pensiamo tutti e due alla stessa maniera” replicò lei, indicando l’oggetto del contendere.

Alexander, allora, scoppiò a ridere, ribaltò la situazione e, aprendole con un gesto elegante e malizioso la vestaglia, le sussurrò sulle labbra: “Su questo argomento in particolare, penso che avremo sempre la stessa opinione.”

Elizabeth sospirò di puro piacere l’attimo seguente e, con un sorriso sornione, si disse che, a colazione, sarebbero arrivati molto tardi.

Se non altro, avrebbe avuto un’ottima scusa, stavolta, per rimanere a letto fino a tarda ora.







Note: E qui si conclude (per ora) la storia di Lizzie e Alex, che troveremo comunque anche nelle storie di Andrew e Maximilian, non temete.
La settimana prossima ripartiremo con Andrew e le sue "beghe" amorose, perchè tali sono, visto che il ragazzo ama arrovellarsi anche quando forse potrebbe evitare ^_^
A ogni buon conto, molte delle vostre domande su di lui avranno una risposta, finalmente, e avremo modo di conoscere non solo Andrew molto meglio, ma faremo la conoscenza anche con una nuova squadra di personaggi e con la donna che Andrew tanto ama, e per cui si strugge.
Vi aspetto, quindi, e grazie ancora per avermi seguita fino a qui, tra crinoline e merletti! :)

 

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