raccolta dell'incubo

di giammyx89
(/viewuser.php?uid=786169)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vieni con me ***
Capitolo 2: *** La pergamena ***
Capitolo 3: *** la stele ***
Capitolo 4: *** il ragazzo ***
Capitolo 5: *** il rapitore di innocenti ***
Capitolo 6: *** diario di un'assassino ***
Capitolo 7: *** La confessione di un’eretico ***



Capitolo 1
*** Vieni con me ***


I miei pochi ricordi di quella orribile notte sono molto vaghi, sono sicura che stessi tornando a casa da una festa di compleanno, non ricordo di chi, e che avendo bevuto guidavo piano e con prudenza.
Avevo deciso di prendere la strada che passava per il bosco, era molto buia, e saliva snodandosi contorta lungo il ripido versante di una collina. Ad un certo punto nel bel mezzo del nulla, la mia vecchia macchina, che avevo acquistato di quarta mano da un tizio che aveva messo un'annuncio su internet, decise come per capriccio di spegnersi. Tentai in tutti i modi di riavviare il motore fallendo miseramente, così dopo aver messo la sciarpa e il cappello di lana che la mia cara sorellina mi aveva regalato per natale, decisi scendere dalla macchina per andare a cercare qualcuno che potesse ripararla o che potesse almeno suggerirmi un posto caldo dove passare la notte.
Quei boschi freddi e oscuri incombevano su di me, osservandomi da chissà quali oscuri mondi e dimensioni materiali o immateriali, rabbrividii di colpo come una sferzata di aria gelida mi colpì passando attraverso il giubbotto che indossavo, e facendo sussultare i più profondi strati della mia anima. Fu mentre camminavo per quel sentiero,  pensando a non ricordo bene cosa che la vidi.
Pareva una una bimba, molto carina di cinque forse sei anni, aveva la pelle candida come la neve e lunghi capelli biondi.
Indossava solo un vestitino bianco di cotone e camminava scalza.
Non capisco come questa cosa non mi parve strana.
Cosa ci fa una bambina così piccola in un bosco nel cuore della notte?
Ci saranno sette gradi sotto lo zero, più che sufficienti per far morire assiderato un'adulto vestito in quel modo, come è possibile che questa bambina non battesse neanche ciglio? Forse c'era stato un'incidente ed era solo sotto shock, quindi mi avvicinai.
“va tutto bene?” le chiesi “hai bisogno di aiuto?”
Lei si voltò e ciò che vidi mi fece gelare il sangue, i suoi occhi erano completamente bianchi.
Io ero sia paralizzata da una paura antica, sia affascinata da qualcosa di misterioso e ancestrale.
Mentre ero bloccata e confusa da queste enigmatiche emozioni lei mi si avvicinò lentamente e quando fu abbastanza vicina, iniziò a sussurrarmi qualcosa all'orecchio non ricordo bene cosa, le uniche parole che ricordo sono:
VIENI CON ME!
Non so come ma fui presa dal panico e tentai di fuggire, non importava dove, dovevo solo fuggire da quella cosa diabolica.
Nella foga del momento non vidi il burrone dove caddi. Nella caduta credo di essermi rotta una gamba perché svenni per il dolore.
Questo e l'ultima cosa che ricordo.
E ora eccomi qui condannata per l'eternità a vagare senza pace per questa foresta, ed ad addescare altre persone. Altre vittime sacrificali per quell'empia entità.
Non so perché ti racconto tutto questo, ma ora che sai tutto.
VIENI CON ME!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La pergamena ***


Sono sempre stato un accanito lettore, cercavo sempre testi antichi e sconosciuti, e di tanto in tanto mi capitava tra le mani qualche manoscritto unico e incredibilmente prezioso. Mi ero appassionato in particolare agli antichi testi di magia.
Avevo letto di tutto al riguardo, dalla chiave di Salomone agli antichi testi egizi, fino al Necronomicon di Abdul Alhazred, non chiedetemi come ho fatto a procurarmene una copia, non ve lo rivelerò mai!
Pur di aggiungere nuovi libri alla mia raccolta non mi facevo scrupoli ad usare qualunque mezzo lecito o illecito.
Fu mentre mi accordavo con dei tizi della triade riguardo un'antico manoscritto di alchimia risalente alla dinastia Ming che notai una pergamena a cui non avevo assolutamente fatto caso.
Era scritta in un latino del primo secolo dopo cristo, era un epistola che tradussi io stesso dopo averla acquistata . Questo è più o meno il suo contenuto:

Al Divino Augusto Claudio
Perdonate il modo diretto di rivolgermi a voi, non avrei mai osato se non avessi un così disperato bisogno del vostro aiuto.
Non so nemmeno se questo messaggio arriverà fino a voi, se il messaggero riuscirà a completare la missione.
Abbiamo aperto le porte del Tartaro!
Abbiamo aperto le porte del Tartaro!
Non c'è altra spiegazione a questo orrore.

Maledizione! Se non avessimo intrapreso questa missione. L'augure ci aveva ammonito che era un giorno nefasto per partire, ma noi a causa dell'importanza di questa eravamo partiti ugualmente proponendoci di fare abbondanti sacrifici agli dei al rientro.
Sono partito all'alba con una squadra per una missione esplorativa al di là del confine settentrionale, non vi era nessun uccello in volo, questo mi ha molto inquietato. Abbiamo cavalcato per un intera giornata senza incontrare nessuno fino all'imbrunire quando ho deciso che era meglio accamparci per la notte. Finito di preparare l'accampamento  abbiamo acceso il fuoco e dopo aver cenato ed esserci rilassati un poco e dopo aver stabilito i turni di guardia siamo andati a dormire. Quella notte ho fatto un sogno che mi ha turbato molto:
Mi ritrovavo su una barca che navigava lungo un fiume, a riva c'erano mia madre e la mia giovane sposa vestite a lutto che piangevano.  
Mi sono svegliato di soprassalto e poiché non sarei riuscito a riprendere sonno, ho deciso di dare il cambio al mio sottoposto che stava crollando, ho riattizzato il fuoco con un ramoscello e sono rimasto a fissarlo. Le fiamme facevano un cerchio di luce che mi dava un senso di sicurezza, come se le cose malvagie che si celavano nell'oscurità non potessero avvicinarsi. Ho atteso così fino all'alba quando ho svegliato i miei compagni. Abbiamo mangiato la colazione e fu mentre ci preparavamo a partire che ho trovato per terra una colomba morta, avrei dovuto capire che era un segno inviatoci dagli dei per avvertirci di sospendere la missione, un presagio di sventura, ma anche se ero molto inquieto decisi di non farmi spaventare e di proseguire la missione. Abbiamo cavalcato ancora per tutto il giorno cercando inutilmente qualche segno di presenza umana. Solo al calar del sole abbiamo trovato una misera capanna che pareva completamente abbandonata dove abbiamo passato la notte, il silenzio era più assordante della mischia di una battaglia, decisi di fare io il primo turno di guardia, tanto inquieto com'ero non sarei riuscito a prendere sonno. Nell'oscurità mi parve di udire i sussurri di oscure presenze che ordivano chi sa quale orribile congiura ai nostri danni. Pregai Mitra affinché ci proteggesse da qualunque male e strinsi forte l'elsa della mia spada dato che era l'unica cosa che riusciva a placare la mia inquietudine di quei luoghi infidi, dove perfino gli occhi degli dei pare non osino posarsi. Fu una notte insonne per me fino a quando il sole decise di sorgere, con la sua luce che avevo tanto anelato.
Ci siamo preparati in fretta e decisi comunque di proseguire la missione nonostante la mia inquietudine che andava sempre crescendo. Abbiamo proseguito verso nord il cielo era scuro e inquietante, pareva che gli dei fossero davvero in collera. Fu allora durante una pausa per far riposare i cavalli che un fulmine ci cadde vicino facendoli fuggire. Solo il mio cavallo Argo, il più coraggioso e fedele cavallo che si potesse desiderare non fuggì sebbene fosse anch'egli decisamente spaventato. Ora eravamo davvero nei guai avevamo perso i cavalli e quasi tutte le provviste. Decisi che per mangiare avremmo cacciato, cosi ci preparammo per la battuta. Abbiamo cercato impronte di qualche animale ma non ne trovammo neanche una, così piazzammo delle trappole sperando di essere un po' più fortunati. Ma nulla. Al tramonto abbiamo acceso un fuoco e ho comunicato ai miei uomini che all'alba saremmo partiti per rientrare al castrum. Sembrava che in quei boschi non ci fosse nulla di vivo a parte noi.  Le scarse provviste rimaste non sarebbero durate a lungo e questo mi preoccupava molto. Durante la notte ho visto Marcus il mio luogotenente allontanarsi dal campo, forse doveva appartarsi un momento così mi sono riaddormentato. È stato un grido straziante a svegliarmi. Ho svegliato i miei uomini e ho ordinato di andare a cercarlo. Lo abbiamo cercato fino all'alba senza trovare nemmeno una traccia. Era come se questa malvagia foresta lo avesse inghiottito nei suoi meandri oscuri. Ho ordinato di ritornare all'accampamento prendere solo le armi e il necessario per muoverci e di metterci in marcia verso sud. Abbiamo proseguito a marcia forzata per tre giorni fino a quando non arrivati alla capanna da dove eravamo passati alcuni giorni fa. Rivederla ci riempì il cuore di speranza, ma quella speranza si è presto tramutata in un incubo.
Durante quella notte sentimmo dei rumori che si avvicinavano, io e Publio siamo usciti con le armi in pugno ma ciò  che abbiamo visto ci ha gelato il sangue. Pareva Marcus ma non era lui. Lo vidi che con uno scatto inumano afferrava la gola di Pubblio per spezzargli il collo, un brivido mi corse lungo la schiena mentre si voltò verso di me facendo un sorriso terrificante. Ho raccolto tutto il coraggio che mi era rimasto e dopo aver emesso un urlo con un colpo di spada gli ho tagliato la testa. Ora sono qui divino Claudio mentre vi scrivo questo messaggio sperando nel vostro aiuto. Vi chiedo di inviarci immediatamente i rinforzi.
Con fede Caius Sergius Silo.

Lessi e rilessi questo doccumento cosi tante volte dopo averlo accquistato felice e pienamente soddisfatto del mio acquisto.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** la stele ***


Cara sorella.

Ti scrivo questa lettera perché sono disperata.

Tutto è andato storto dopo che aprii quella tomba mentre facevo quello scavo in Iraq.

Io e la mia equipe fummo entusiasti quando un' uomo ci avvertì che aveva scoperto l'entrata di una nuova tomba facendo di lavori per ampliare la sua cantina.

Così decidemmo di partire immediatamente, per recarci in quel luogo dato che io volevo essere la prima a entrarci.

Quali antichi e arcani misteri ci avrebbe rivelato quella tomba? Quali oscuri segreti quel monumento aveva custodito per così tanti secoli?

Queste domande facevano fremere la mia anima e desiderare come non mai di essere già lì:

quella scoperta sarebbe stata fondamentale per la mia carriera, ma forse sono stata una sciocca. C'è un motivo se alcuni segreti devono restare sepolti e dimenticati ed io l'ho imparato a mie spese.

La tomba si apriva con un lungo corridoio che scendeva con una pendenza non troppo forte fino ad arrivare a un pozzetto. Non avevo mai visto una tomba simile, era la prima credo sia un'unicum, l'emozione era sempre più grande. Chiesi il materiale per calarmi la sotto e dopo che ci fummo procurati corde imbragature e un argano elettrico scendemmo verso l'oscurità di quel pozzetto. Dopo aver percorso trenta metri dovemmo interrompere la discesa perché la corda era finita e ancora non si vedeva il fondo. Ero infastidita ma anche entusiasta; per fare un simile sforzo la persona sepolta qui sotto doveva essere molto importante, decisi quindi di risalire e poiché stava facendo buio dovetti rinviare l'esplorazione all'indomani.

Quella la notte non non so perché ma non chiusi occhio. Sentivo che qualcosa non andava, come qualcosa che mi fissava dalle tenebre. L'indomani dopo che arrivò anche il mio assistente portando altre corde decisi di ritentare la discesa. La discesa fu di sessanta cinque metri, davvero impressionante. Arrivati al piano di calpestio ci trovammo davanti una galleria, accendemmo le torce e iniziammo l'esplorazione del nuovo ambiente. L'oscurità ci avvolgeva come se volesse proteggere i segreti di quei luoghi antichi e proibiti. Lungo le pareti di quel tunnel vi erano bassorilievi che mostravano creature infernali che solo la mente di un folle avrebbe potuto immaginare. Dopo aver camminato per un centinaio di metri mi ritrovai davanti a una parete, appoggiata su questa c'era una stele iscritta. Vi erano due testi uno scritto in una strana lingua che non avevo mai visto e uno scritto in scrittura cuneiforme. Tentai una lettura del testo ma i segni ma formavano nessuna parola di senso compiuto. Forse era una trasposizione fonetica di un'altra lingua.

Ricordo ancora quelle parole di una lingua oscura e malvagia perché mi rimbombano continuamente nella mia mente fino a farmi oseessionandomi:

 

Nyhaqurat-yo

wa ractio sakry-seh rama-meth

 

Mentre le leggevo sentivo che la mia mente veniva risucchiata in una dimensione oscura e fredda, un luogo infrenale popolato da creature diaboliche che strisciano nelle tenebre aspettando il momento più propizio per colpire. Mi risvegliai da questo stato di trans nella mia stanza d'albergo.

I dottori dicono che ho ucciso tutti i membri della mia equipe, ma io non ricordo assolutamente niente. Ti scrivo questa lettera in un breve e raro momento di lucidità.

Io cerco di non abbattermi, di mantenere viva la speranza e convincermi che tutto si risolverà nel migliore dei modi ma è davvero difficile. Sono davvero al limite temo di fare qualcosa dal quale non si può tornare indietro quindi ti chiedo di di venire a salvarmi, da questo manicomio e da questa situazione orribile.

 

Con fede

la tua sorellina Hanna.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** il ragazzo ***


La dottoressa Miranda Collins stava per incontrare per la prima volta il suo nuovo paziente

Francis Smith della camera 1274, 17 anni, non sapeva praticamente nulla di lui. Le poche informazioni che aveva su di lui le aveva lette sulla cartella clinica. Schizofrenia accompagnata da deliri mistico-religiosi, tuttavia pare che non avesse dato segno di comportamento violento quindi la dottoressa si sentiva tranquilla a stare da sola con lui nel suo studio, anche se c'erano comunque due infermieri che lo aspettavano dietro la porta, dopo tutto la sicurezza non è mai troppa.

Il suo studio era piccolo e intimo e c'era un atmosfera estremamente tranquilla e confortevole che rispecchiava il carattere gentile della dottoressa. Le pareti erano tinte con colori caldi, molto sfumati, l'arredamento era semplice ma non spartano. C'era una scrivania di metallo che poteva benissimo essere acquistata in un mercatino dell'usato, dietro la quale c'era una piccola seggiola; davanti vi era una comodissima poltrona.

Appena sentì bussare alla porta la donna ordinò al ragazzo ad entrare nel suo nel suo studio, e lo salutò e lo invitò ad accomodarsi. Come faceva con tutti i suoi pazienti gli invitò una bibita per metterlo a suo agio ma il ragazzo rifiutò con molta cortesia. Era un ragazzo di corporatura molto esile e di statura al quanto piccola, se non avesse letto la sua cartella clinica miranda lo avrebbe scambiato per un ragazzino molto più giovane, pelle chiara e lineamenti molto sottili. Aveva lunghi capelli neri e occhi azzurri che sembravano esprimere una profonda tristezza, sembrava un ragazzo abbastanza tranquillo e anche un po timido, credette quindi che sarebbe stato un'incontro abbastanza semplice. Gli chiese se poteva registrare l'incontro lui rispose che non aveva niente in contrario.

«Buon giorno Francis» lo ha salutò calorosamente la dottoressa Miranda «come stai?»

«Bene credo» rispose il ragazzo timidamente, la sua voce era cosi bassa che pareva un sussurro.

«Come ti trovi qui ti sei ambientato bene?» gli chiese la dottoressa sorridendo.

«credo di si!» rispose il ragazzo. Pareva voler evitare lo sguardo della dottoressa e sentirsi molto a disagio.

«Bene! Questa non è una seduta terapeutica» cercò di tranquillizzarlo la dottoressa «è solo un incontro che serve a presentarci. Per rompere il ghiaccio.»

«ah ok!» disse sorridendo il ragazzino. Sembrava essersi tranquillizzato un poco.

«Ok allora» disse la dottoressa prendendo fiducia «che ne dici di parlarmi un po di te? So che suonavi il pianoforte quindi immagino ti piaccia la musica»

«credo di si» rispose il ragazzo prendendo un po di confidenza

«Sai anche a me piace tanto» disse con molta gentilezza «mi piace tanto Chopin. È cosi rilassante! A te invece cosa piace?»

«io preferisco Beethoven la nona è l'ideale quando serve un po di carica» rispose con un semi sorriso «però apprezzo anche la musica più moderna» aggiunse subito dopo.

«Mi sarei sorpresa del contrario» disse con una risata la dottoressa «dimmi cosa ti piace?»

«io...adoro i Pink Floyd!» rispose guardando verso la dottoressa

«sai hai davvero buon gusto»

Francis si sentiva tranquillo e sereno per la prima volta da cinque anni. Si fidava di questa donna tanto che decise di raccontare alla dottoressa quello che era accaduto quella notte.

 

Era iniziato tutto la notte di halloween del 2009. Lui aveva invitato i suoi amici Lucas e Paul a trascorrere la notte da lui. Il programma era passare una notte tra videogame e film dell'orrore, questo dopo qualche giro di storie dell'orrore.

Dopo che Francis fini di raccontare la storia di candy man Lucas decise di fare qualcosa di più “serio” e tirò fuori un foglietto che aveva preparato in precedenza, sopra ci erano scritte le lettere dell'alfabeto, i numeri da uno a zero, le parole CIAO e ADDIO, era una tavola ouija, come plancette usarono il tappo di una bottiglia.

Francis era molto eccitato. Era la prima volta che faceva qualcosa di simile.

Misero tutti e tre il dito sul tappo della bottiglia e fecero la domanda.

«c'è qualcuno qui con noi?»

il tappo si spostò verso il «si».

«forte!» commentò francis tutto eccitato.

«allora cosa gli chiediamo?» chiese Lucas.

«io!» fece Paul, «chi vincerà il prossimo super bowl?»

il tappo non si mosse per un po'.

Poi inizio a muoversi sul quadrante componendo la parola «bears».

Risero divertiti.

Poi il tappo iniziò a muoversi in maniera incontrollata sul quadrante, i ragazzi iniziarono a preoccuparsi.

«smettetela!» gridò Francis

«noi non stiamo facendo niente» replicò Paul.

Finché il tappo non si fermò.

L'aria divenne gelida e pesante. E una strana sensazione si insinuò nelle loro coscienze. Non erano i soli nella stanza, qualcosa era lì con loro, qualcosa di oscuro e malvagio, che le loro menti si rifiutavano di comprendere. Qualcosa che avrebbero dovuto solo temere. Una paura antica e ancestrale li percosse dal più profondo meandro del loro subconscio.

Nonostante la situazione Lucas riusci a prendere coraggio e a dire:

«basta così! Dobbiamo riprendere il controllo della situazione» dopo di che si rivolse allo spirito dicendo: «addio!» ma lo spirito non se ne andò via.

Prese il tappo e lo sposto con forza sulla parola ADDIO ma neanche questo fu efficace.

Il tappo continuava a muoversi senza controllo, fino a quando si fermò e iniziò a comporre delle parole.

 

Parole malvagie e dal significato oscuro, parole che non possono essere dimenticate.

Parole in una lingua oscura e blasfema che inneggiavano a entità di pura malvagità.

Parole che restarono impresse nella mente del ragazzo come una orribile cicatrice che non svanirà mai:

Nyhaqurat-yo

Wa ractio sakry-seh rama-meth

 

 

Poi doveva aver perso i sensi dato che non ricordava più nulla.

Si era svegliato in ospedale con la polizia che lo avvisò del fatto che i suoi amici erano spariti, lui in quel momento era rimasto completamente attonito e non sapeva cosa rispondere.

 

«Ma cosa vogliono dire?» chiese la dottoressa Miranda

« voglionoi dire:

Nyhaqurat

ci osserva dalle tenebre.»

 

Mentre raccontava questo alla dottoressa al ragazzo iniziava a dolere la testa.

«va tutto bene? gli chiese la dottoressa «mi sembri un po pallido»

«si!» disse tremando, poi iniziò a tossire e fu preso da violente convulsioni, e iniziò a rigettare schiuma dalla bocca.

La dottoressa allarmata chiamò immediatamente gli infermieri, che entrarono di corsa, cercando di intervenire per aiutare il povero ragazzo.

Appena le convulsioni cessarono l'infermiere controllo le pulsazioni del ragazzo mettendogli due dita sulla carotide, ma dopo aver fatto un sospiro disse:

«è morto!»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** il rapitore di innocenti ***


 

Ammetto che i miei ricordi non sono molto chiari.

Mi chiamo, o meglio credo mi chiamassi Francesco Spinoni. Ero un giornalista che lavorava presso la RAI, mi piaceva il mio lavoro.

 

Mi avevano affidato un sevizio sulla scomparsa di alcuni bambini, in un paesino sperduto del Logudoro in Sardegna.

Il paesino è situato in una valle composta da otto colline, dalla quale si affaccia su una vastissima pianura, i signori più anziani mi dicevano che è una comunità molto antica, e che la zona è abitata fin dal neolitico. Ammetto che ne ero molto affascinato.

Comunque arrivo con la troupe verso le dieci del mattino, e vado subito al b&b dove dovevo alloggiare.

Appena arrivato andai in camera per disfare i bagagli.

Era abbastanza carino e confortevole, poi andai a cenare insieme alla troupe e siccome eravamo stanchi per il viaggio, e l'indomani mattina avremmo dovuto alzarci presto, decidemmo di andare a letto presto.

Durante la notte non dormii bene, c'era un incubo che mi tormentava:

Un'uomo molto alto e slanciato vestito di nero con la pelle completamente bianca, mi si presentava. La sua presenza mi incuteva una profonda inquietudine, anzi no terrore. Mi svegliai completamente madido di sudore erano appena le sei del mattino quindi decisi di alzarmi e farmi una doccia. Ero più stanco di quando mi ero messo a letto. Andai verso la cucina e salutai la padrona di casa e Sua figlia Alice di cinque anni, che nonostante l'ora era già sveglia e vispa. Una bimba davvero molto simpatica, sembrava stesse parlando da sola. «Avrà un amico immaginario!» pensai «niente di cosi strano; dopo tutto anche io ne avevo uno alla sua età». Durante il giorno facemmo alcune riprese panoramiche, e andai a intervistare il capitano dei carabinieri che si occupava personalmente del caso, ma che nonostante gli sforzi non aveva trovato nessuna pista che portasse da qualche parte. Tutti gli indizi indicavano un' allontanamento volontario. Ciò che però non si riusciva a capire era perché dei bambini di età compresa tra i cinque e i dieci anni sarebbero dovuti uscire di casa a tarda notte, senza neanche avvisare i genitori tra l'altro. Il caso era davvero complicato non si riusciva a trarne ne capo ne coda.

 

Rientrammo al B&B verso le cinque del pomeriggio, e io vidi Alice che stava disegnando con dei pastelli a cera in un foglio mentre canticchiava una canzoncina forse la musichetta di apertura di un cartone animato o di un programma per bambini. Mi avvicinai incuriosito dal disegno che stava facendo e ne rimasi interdetto. Il protagonista del disegno era un uomo molto alto vestito di nero e con la pelle bianchissima, molto simile a quello che avevo visto nel sogno.

«Ciao. Chi è questo che stai disegnando?» le chiesi con fare curioso «è per caso un personaggio di un cartone animato? »

«No!» rispose semplicemente.

«e allora chi è?» chiesi con gentilezza.

«è un segreto! » rispose la bambina.

«io adoro i segreti. ti va di dirmelo? Sai io sono bravissimo a tenerli» le dissi con gentilezza «qui all'orecchio così non ci sente nessuno. Ok?» le dissi girando la testa e indicando l'orecchio con il dito.

«mi prometti di non dirlo a nessuno?» mi chiese mostrandomi il mignolo,

io feci come per pensarci su e poi risposi «affare fatto!»

«è un mio amico» disse con una risatina.

«oh» feci fingendo complicità «e dimmi il tuo amico ha un nome?» le chiesi con fare curioso.

«si!» mi rispose guardandomi negli occhi «si chiama signor White»

«ohh capisco» risposi «sai sembra davvero un signore simpatico. Vorrei tanto conoscerlo. Potresti presentarmelo?» le chiesi gentilmente.

«ma tu non puoi vederlo» mi rispose ridendo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

«e perché mai?» le chiesi curioso.

«perché tu sei grande. Solo i bambini possono vederlo» rispose ridendo.

«ma certo!» replicai «che sciocco che sono.»

Tuttavia questa conversazione mi rimase impressa.

 

Quella notte mi alzai per andare in bagno e trovai Alice nel corridoio, all'inizio pensai che doveva andare in bagno quindi non ci feci caso, poi notai che era strana, sembrava in trance.

«Forse è sonnambula.» pensai, cosi la seguii. Non volevo che si facesse male facendo magari qualcosa di pericoloso, e sapevo che svegliarla di soprassalto non è consigliabile in questi casi. Aprì il portone di casa e scese in giardino dove c'era ad aspettarla quella cosa.

Non era umana, anzi una cosa del genere non poteva assolutamente appartenere a questo mondo.

Il solo vederlo mi paralizzò totalmente, sentivo il sangue che mi si ghiacciava nelle vene, e il cuore accelerare il suo battito. Paura, solo pura e primordiale paura, come un coniglio ha paura del serpente io avevo paura di questa cosa, sentivo che ero in pericolo, la bambina era in pericolo. L'unica cosa sensata da fare era prendere Alice è scappare il più lontano possibile da quell'essere.

È una figura umanoide, alta tre metri la pelle completamente bianca. Vestita di nero il volto non ha occhi ne naso. Appena vede Alice apre una bocca completamente sproporzionata mostrando un sorriso malefico, dopo parlò e con una voce inumana, quasi metallica e disse «Vieni con me!»

Alice allora inizio ad avanzare verso quella cosa, non so come ma riuscii a sbloccarmi, presi Alice per il colletto del pigiama e la tirai con forza dietro di me. Forse le feci anche male, ma in quel momento questo non era importante.

«Cosa sei? Cosa vuoi?» riuscii a trovare il coraggio di urlare.

Quella cosa mi guardò sorridendo, quasi per deridermi dopo di che mi rispose:

«Ho molti nomi, ma tu non sei degno di conoscere quello vero»

Poi sentii un forte mal di testa, era come se migliaia di aghi incandescenti mi venissero conficcati nel cervello. Il dolore era cosi forte da farmi perdere i sensi.

 

E ora sono qui, non so come ci sono finito, non riesco a capacitarmene.

Questo deve essere l'inferno, non c'è altra spiegazione. Non è come tutti gli altri lo descrivono: non ci sono fiamme o calderoni di olio bollente; c'è solo oscurità e silenzio, pesanti e infiniti. E una paura costante, una continua sensazione di pericolo che sembra volerti continuamente stritolare, la quale accompagnata alla continua deprivazione sensoriale ti fa sentire completamente e continuamente indifeso nei confronti di una orribile minaccia, che non puoi percepire, non sai cosa è, ma sai che c'è. Lo sai anche se solo a livello inconscio.

 

Se qualcuno può sentirmi lo supplico di aiutami o di cercare chiunque sia in grado di farlo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** diario di un'assassino ***


 

Lavoro alla British Library, precisamente nelll'archivio dove sono consevati i doccumenti inediti.

Io mi occupo della conservazione e del restauro e di questi doccumenti antichi, su cui mai occhio umano si è mai posato.

Adoro il mio lavoro. Mi permette l'accesso esclusivo a conoscienze e verità antiche e facendomi sentire un uomo privileggiato.

Una notte ero rimasto in laboratorio per fare degli straordinari, la rata del mutuo andava pagata dopo tutto, per non parlare del vitto e le spese per l'auto. Comunque mentre bevevo il mio ennesimo caffè che mi avrebbe aiutato a restare sveglio, l'occhio mi si posò su un manoscritto del diciannovesimo secolo che a quanto pare un anonimo aveva donato alla biblioteca.

Iniziai a sfogliarlo con delicatezza e a leggerlo, era un diario.

Per lo più parevano i deliri di una folle, ma ciò che mi sconvolse fu soprattutto l'ultima pagina, questa che leggerete qui sotto ne è una fedele trascrizione.

 

 

Non riesco a credere di avelo fatto ancora.

Quella donna Mary Jane Kelly così credo si chiamasse, io, non volevo ucciderla, così come non volevo uccidere neanche quelle altre donne.

Io, non ho avuto scielta. Quelle voci, quelle maledette voci mi hanno costretto a farlo.

Questo diario è una piena confessione dei miei delitti, non voglio fare del male a qualcun'altro per questo ho preso questa decisione.

Le sento nella mia testa. Mi tormentano, continuamente.

Vi prego di non piangere per me, un'assassina come me, la cui anima è destinata alla dannazione, non merita ne lacrime ne preghiere. Piuttosto piangete e pregate per le donne che ho ucciso selvaggiamente e per le persone che le amavano.

Ricordo precisamente quando tutto iniziò:

Dodici anni fa, era il mio compleanno e compievo otto anni. Ero felice come solo una bimba nel giorno del suo compleanno poteva essere, ma c'era qualcosa che turbava la mia felicità.

Ma cosa poteva turbare una bambina di soli otto anni in quello che doveva essere per lei un giorno di festa? Forse un presentimento. Un oscuro presagio di qualcosa che avrebbe irrimediabilmente rovinato la mia vita.

La mia vita.

Forse se quella notte quelle malefiche entità non mi si fossero mai presentate io non avrei mai fatto quelle cose orribili.

Le incontrai la prima volta in sogno la notte prima, quando feci l'incubo più spaventoso che avessi mai fatto, o almeno spero fosse solo un'incubo.

Lo ricordo ancora perfettamente, anche perchè non sono mai riuscita a dimenticarlo nonostante gli sforzi:

Ero distesa nel mio letto e non riuscivo a muovermi. Era tutto buio, tanto buio. Non riuscivo a vedere nulla, solo tre figure incapucciate che mi circondavano incombendo su di me.

Avevo tanta paura. Sentivo le loro diaboliche voci nella mia testa, si insinuavano con forza tra i miei pensieri annullandoli completamente, vedevo immagini terrificanti scorrermi davanti in rapida sucessione.

Immagini di gente che eseguiva blasfemi rituali, motivati dai più abietti intenti. Immagini di luoghi oscuri e remoti, oltre questo spazio e tempo, dove nulla di buono o innocente può sopravvivere.

Tra queste oscure e allucinanti visioni sentii i loro nomi, e qualcosa mi fece intuire che nessun essere umano avrebbe potuto anche solo concepire parole tanto blasfeme.

 

Ga-hala il signore delle ombre

Abson il rapitore di innocenti

Nyaraquarat il seminatore di follia.

 

Appena quest'ultimo che con un dito mi toccò la fronte, io mi svegliai urlando e chiamando la mamma che venne correndo per calmarmi e consolarmi. Mi sentii al sicuro tra le sue braccia e dormii con lei nel suo letto, ma quella sensazione angosciante mi colse appena sveglia al mattino rimase per tutto il giorno rovinandomi la festa che i miei genitori mi avevano organizzato, e mi perseguita tuttora, portandomi a questa decisione.

 

Addio a tutti.

 

Rimasi molto sorpreso da questa pagina, è una cosa che non mi sarei mai  aspettato. Non posso che provare grande pietà e compassione per questa povera ragazza.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La confessione di un’eretico ***


Sono un ricercatore che lavora presso i musei vaticani. La paga è davvero buona, e in più è un lavoro che mi appassiona non potrei desiderare lavoro diverso da questo. 
Un giorno mentre cercavo documenti del XIII secolo, per una mia ricerca, incappai per caso in un particolarissimo documento. Era scritto in lingua volgare della Provenza e sembrava la confessione di un condannato a morte di cui vi riporterò il testo, non so che fine ha fatto il documento originale ma qui riporterò una parte di questo testo:
A sua santità Clemente V
Io… ho visto cose che la mente umana non può neanche concepire. 
So che molti mi credono un eretico e un pazzo, ma in realtà non sono mai stato più lucido di come lo sono in questo modo, non potrei mai essere più lucido di così.
Queste che scrivo sono le mie ultime confessioni, dato che sto per morire.
La santa inquisizione mi ha condannato a bruciare sul rogo.
Con le torture più atroci mi ha estorto la confessione che mi ha portato a questo punto ma essa, ma questa è nulla rispetto a quello che sto per confessare a voi in questo momento. 
Sento di meritare questa condanna, e spero che nostro signore avrà pietà per la mia anima.
 E ora mi trovo qui in attesa che il carnefice venga a prendermi…   Padre! sento che la mia coscienza mi obbliga a confessarvi  tutto , e raccontarvi tutto ciò che accadde fin dall’ inizio. 
Spero profondamente questa mia confessione sia giunta fino a voi perché è un vostro diritto e dovere venire a conoscenza di questa verità.
Era l'anno del Signore MCCXLVII quando scavando in piena notte tra le rovine della biblioteca di Alessandria trovai questo dannato manoscritto che ho ancora con me e che non ho il coraggio di distruggere.
È rilegato in pelle nera ed è intitolato “Necronomicon”.
Non so perché, forse accecato dalla curiosità che caratterizza ogni essere umano, lo aprii e provai a leggerlo ma i simboli al suo interno non appartengono a nessuna lingua conosciuta dall'uomo o che possa essere pronunciata in qualsiasi luogo benedetto da Nostro Signore. 
Tuttavia mentre cercavo di decifrare quell’ antica e arcana scrittura, sentii  un vento freddo che mi colpì facendomi gelare il sangue, forse era un ammonimento di nostro Signore che però non riuscii a comprendere. 
Ma noi, uomini, fatti non fummo per viver come bruti ma per seguir virtù e conoscenza, quindi mi addentrai nella lettura di quel libro, e più mi addentravo più quella diabolica conoscenza entrava nella mia mente, e più conoscenza avevo più ne bramavo, finché quell’essere si palesò a me. 
La sua sola vista farebbe impazzire il più saggio degli uomini, io non so come ho fatto a mantenere il senno, o forse avevo proprio perso il senno e ciò che vidi non era reale. Forse era solo la mia immaginazione… no io l’ho visto davvero proprio come sto vedendo il mio padre confessore in questo momento! 
La sua sola vista ha distrutto in un istante tutta la fede che avevo in nostro Signore. Come può essere anche solo concepita un simile essere? 
Ma volevo sapere! Avevo bisogno di sapere! quindi mi feci guidare lungo le vie della conoscenza occulta, in mondi che trascendono la logica aristotelica. Entrai in contatto con esseri che superavano per raccapriccio qualunque diavolo l’inferno, e vidi genti perverse che danzavano con essi al ritmo di tamburi. "Ph'nglui mglw'naf Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn" Era il canto diabolico che essi cantavano. Vidi i loro riti blasfemi e confesso di averne preso parte. 
Spero, santo pontefice, che questa mia lettera arrivi nelle vostre mani affinché veniate a conoscenza del suo contenuto. 
Con riverenza 
T. B. 


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3667928