Il vuoto che resta

di Silviaria3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tramonto. ***
Capitolo 2: *** Fallo e basta ***
Capitolo 3: *** Lo straniero. ***
Capitolo 4: *** I riflessi di uno specchio ***
Capitolo 5: *** Il bagno caldo ***
Capitolo 6: *** Precipitazione di eventi. ***
Capitolo 7: *** Il compromesso ***



Capitolo 1
*** Il tramonto. ***


cap 1 Aveva visto il sole che stava tramontando, calando dolcemente nel mare, lì sull'orizzonte.

Era da sola sulla spiaggia, l'estate stava quasi finendo ma il clima era ancora clemente. Si era alzata a sedere staccandosi dal libro per contemplarlo meglio.Non voleva perdersi neanche un tramonto di quelli che la vita gli aveva dato a disposizione e ne aveva contemplati a centinaia senza però mai stancarsi.
La notte la spaventa e le stelle non riescono ad esorcizzare la paura, ad allontanare il terrore degli incubi e dell'oscurità.
Vedendo il tramonto chiede al sole di tornare anche domani e lui le promette che lo farà...ha appena scattato una foto che partono dei fuochi d'artificio alla sua destra...è successo tutto in maniera così consequenziale che le fa quasi sperare che non sia tutto lasciato al caso, che ci sia un progetto.
Un momento prima che i fuochi partano una ragazza sulla spiaggia combatte le sue paure e le vince....il padre le fa compagnia oggi, regalandole il ricordo di un abbraccio pieno di calore...è venuto a trovarla la scorsa notte nell'unico modo in cui ancora può farlo.
Nei suoi sogni. 

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Capitolo 2
*** Fallo e basta ***


cap 2 -"Fallo e basta." mi disse.
Era appeso fuori dalla finestra della mia stanza, ed era in una posizione scomoda. Le mani aggrappate alla mensola e i piedi puntellati contro il muro esterno della casa. Il suo corpo era in visibile tensione per lo sforzo, ma la voce non poteva essere più rilassata.
-"Fare cosa?"chiesi dopo un po'.
 La nostra conversazione si svolgeva più lentamente di una conversazione normale, perché mi ero persa dentro me stessa, in quel luogo della mia testa dove vivevano tutti i miei tormenti. Lui c'era abituato.
-"Piangere."sussurò in risposta con calma.
La mia vecchia me ci avrebbe messo un secondo per sbattergli la finestra in faccia e vietargli l'acceso sia alla mia stanza che ai miei pensieri. Ma quello che feci fu aggrapparmi a lui con un singhiozzo soffocato, sbilanciandolo dalla sua già precaria posizione.
Si tirò su velocemente facendo leva con un ginocchio e mi strinse forte. Come al solito in tutto quello che facevamo ci vidi un duplice significato, lui si appigliava a me per non cadere di sotto, ma io mi aggrappavo a lui per non precipitare nel mio di baratro.
Poggiò i piedi per terra e mi abbracciò cominciando ad accarezzarmi la schiena e i capelli con movimenti lenti e calcolati, come un medico che applica la sua cura.
Poi si allontanò da me per guardarmi negli occhi, quando scorse una singola lacrima solitaria che si apriva la sua strada sulla guancia destra, sorrise e ci depositò sopra un bacio, catturandola con le labbra. Le altre seguirono la prima aprendosi nuovi sentieri lungo il viso, nella loro fatale discesa. Alcune evitavano la caduta arginate dai suoi pollici sulle mie guance. Ancora abbracciati l'uno all'altra ci spostammo verso il letto e lì soffocai contro il suo petto i miei singhiozzi bagnandogli la camicia di lacrime.
Lui stava zitto e perfettamente immobile sapendo che altrimenti non avrei tollerato la sua presenza, solo l'alzarsi  e l'abbassarsi del suo ampio  torace mi ricordava che non mi stavo sfogando su qualcosa di inanimato.
Quando, dopo un tempo infinito, esaurì le lacrime e i respiri convulsi, mi misi a fissare la sua camicia blu (che occupava tutto il mio campo visivo), mentre lui mi strinse ancora di più e mi depositò un bacio leggero sulla fronte, poi sussurrò il mio nome con la voce piena di dolcezza e di qualcosa molto simile allo stupore, come chi si ritrova davanti un regalo inaspettato. Quella fu l'ultima cosa che registrai prima di cadere in un sonno profondo e privo di sogni.
Dopo un eternità mi sentivo a casa. Mi sentivo al sicuro.

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Capitolo 3
*** Lo straniero. ***


cap 3 Aprì gli occhi, sopra di me le stelle, nelle orecchie le cuffie.
Ero ancora sulla spiaggia.
 Mi sono addormentata?
No. Ero rimasta con gli occhi chiusi, sveglia e imbambolata ad osservare il trascorrere del tempo. Dov'ero andata con la testa in quelle ore? Com'era potuto succedere? Mi strappai le cuffie dalle orecchie e cominciai a raccogliere freneticamente il telo mare, quando vidi il mio cellulare illuminarsi. Era Camilla. Merda.
-" Pronto Illa?"
-"Cassandra!"rispose l'altra.
Silenzio.
Era arrabbiata, e il fatto che mi avesse chiamata con il nome intero ne era la dimostrazione.
-"Dove-cazzo-sei?"sussurrò in un sibilo mortale.
-"Lo so, lo so...sto arrivando."provo a giustificarmi affannata.
-"Andra, l'avevi promesso!! Che è successo? Dove sei?" mi chiese, sicuramente pensava che volessi rimangiarmi la parola data.
 -"Va tutto bene?" mi domandò poi con apprensione.
Adesso la tua migliore amica è in ansia per te, perfetto.
 Dovevo rimediare subito al danno. Decisi di dire la verità, anche perché non sarei riuscita a risolvere nulla con una bugia.
-"Sono scesa a mare e mi sono addormentata"
-"Come, sei scesa a mare?Con chi sei scesa?"
-"Ho preso un autobus.."
-"Ah..Ce la fai a tornare in tempo?" mi chiede quindi sbrigativa.
-"Sì!" rispondo convinta, sperando che sia vero. Chiusi la telefonata e infilai tutto freneticamente nella borsa. Corsi verso l'autobus che stava passando in quel momento e ci saltai su senza neanche verificare che fosse quello giusto. Sapevo bene che ne passava solo uno e che faceva sempre lo stesso itinerario. Il nostro territorio era molto trascurato. Intanto presi posto e controllai il cellulare: 10 chiamate perse da"Illa", 5 da"mamma", 2 da "Ale" e 1 da"Barb".
Ok. Mi è andata bene.
Usai il finestrino a mo' di specchio e mi pettinai i capelli con le dita. Quando notai riflessa una famiglia. La madre teneva gli occhi chiusi e riposava sul sedile, e affianco a lei il padre e la figlia scherzavano e ridevano, irradiavano una tale tenerezza e un tale affetto che mi sentì gli occhi pizzicare da lacrime di rammarico.
-"Papà, papà...giochiamo ti prego!"
Non c'è la facevo a sopportarlo e mi sentivo non solo stupida ma anche cattiva perché invidiavo il padre a quella bimba così innocente. Così chiusi gli occhi, presi due respiri profondi e mi diedi cinque secondi per ricompormi e non fare l'idiota.

Arrivata a Leone non prenotai la fermata  nella mia zona residenziale, ma in quella in cui abitava Camilla. La mia amica mi aspettava ed ero troppo in ritardo per poter pensare di farmi una doccia o di cambiarmi. Scesi dall'autobus e cominciai a correre verso casa sua. Bussai al citofono e Rosa mi aprì il cancello. Entrai nell'enorme giardino senguendo il vialetto che portava fino alla porta di ingresso, quindi presi a camminare con calma, cercando di farmi passare il fiatone. Nel buoio totale non si riuscivano a distinguere le varie tipologie di alberi e piante, tantomeno i fiori all'interno delle aiuole. Ma lo sguardo corse comunque all'enorme quercia sotto la quale erano appese le nostre altalene, alla cui ombra avevamo passato i nostri pomeriggi migliori a studiare e ridere. Più mi avvicinavo, più riuscivo a percepire la musica  che fuoriusciva dalle ampie finestre, le luci della veranda al piano superiore, che per le occasioni importanti, come quella, era adibita a pista da ballo e le risate e il chiacchiericcio degli invitati, seduti ai tavolini sparsi nel giardino intorno alla casa.
 Illa era ricca, un altro ennesimo elemento che ci differenziava enormemente. Non ce l'avevo con lei per questo, come c'era chi nasceva con gli occhi azzurri e chi con gli occhi marroni, c'era chi nasceva "povero" e chi ricco. Sarebbe stato come arrabbiarsi con lei perché era riccia e io liscia, semplicemente assurdo.
Rosa mi accolse, come sempre, con un sorriso gentile e un abbraccio da mamma, fra le sue braccia grassocce, la sua divisa profumava di lavanda e vaniglia, un odore che associavo alla nostra infanzia fatta di guai e in cui ci cacciavamo e che lei ci aiutava a risolvere. Si staccò da me e si asciugò gli occhi con l'angolo del grembiule.
-"Che è successo?"esclamai spaventata. Consapevole che anche se la festa era iniziata da un pezzo, era già potuta accadere una catastrofe.
-"Oh nulla.. È solo che i miei ragazzi stanno crescendo e presto ve ne andrete tutti di casa."
Mi scappò un sorriso a sentirmi includere nella cerchia dei ragazzi che lei aveva cresciuto come fossero figli suoi.

Rosa era la cameriera di casa Marconi, era stata assunta come bambinaia per i gemelli ed era rimasta in quella casa anche quando di una bambinaia non c'era più bisogno da tempo, diventando una sorta di cameriera-governante tuttofare. Ma Rosa era stata molto di più, aveva sempre ricoperto il ruolo di cui noi avevamo bisogno..un'amica, una confidente, una madre. Sopratutto per Illa lei era stata la figura materna di cui la mia migliore amica aveva bisogno, e le due, inutile dirlo, avevano un rapporto più che speciale. Non feci in tempo a dirle quanto fosse sciocca e quanto comunque le volessi bene, che Illa comparve da dietro l'angolo come una furia, bellissima nel suo vestito nero costoso, truccata e curata, come la si vedeva raramente, ma con una luce negli occhi che nessun altro aveva. Irradiava forza e determinazione che si percepivano solo standole accanto. La sua espressione passò da "furia inceneritrice" a sollievo a gratitudine quando i suoi occhi si posarono su di me. Probabilmente ero il primo invitato gradito  che aveva accolto in tutta la serata.
-"Finalmente" sbraitò come per sgridarmi, anche se si vedeva che era felice di vedermi.
Intanto non aveva arrestato la sua camminata veloce sui suoi "trampoli", che la facevano apparire ancora più alta di quanto già non fosse, venne ad abbracciarmi e mi trascinò via senza che io avessi il tempo di dire "scusa per il ritardo". Giunte nella sua stanza si concesse di fermarsi e mi regalò uno dei suoi sorrisi a trentadue denti che la faceva sembrare una bambina di fronte alla vetrina di una pasticceria.
-"I tuoi capelli sanno di sale."affermò ridendo.
-"Allora?"chiesi, ignorando il suo parere sul mio aspetto. Lo sapevo che ero un disastro,  grazie tante, non c'era bisogno che me lo ricordasse.
-"Solita storia.." cominciò con voce apatica, si mise a cercare nel suo armadio un vestito adatto a me, ancora in infradito e con il sale sulla pelle, ad ogni affermazione continuava ad avanzare lungo l'infinita e magnifica fila di abiti suoi e di sua sorella Nadia, a cui andava tutto il merito di quell'armadio così fornito.
-"I gemelli sono felici, mamma e papà sono orgogliosi, Andre si nasconde e mangia a sbafo, gli invitati sono i soliti ricconi, ereditieri, politici e pionieri dell'economia, c'è anche qualche celebrità..amici della mamma, colleghi di papà. Abbiamo persino giovani universitari comunisti e finti difensori dei deboli e dei poveri con effervescenti idee politiche. Dovresti vedere quanto costano i vestiti che indossano, dei finti stracci da più di 100€ a capo. Ah! E la nonna mi sta oberando di critiche! -Perché non ti vesti sempre così?! Perché non sei più gentile come tua sorella?!-"
Avvertivo una nota di panico nella sua voce e più parlava più prendeva velocità e la voce le diventava isterica.
Poi aggiunse con pacatezza prendendo un profondo respiro per calmarsi.
-"Tutti sono falsi e sono noiosi e alcuni persino annoiati. Tra questi ultimi ci sono io."
Sapevo che nella loro casa potevano entrare un cento invitati e sapevo che Nadia questa volta era riuscita a  farcene entrare più di centosettanta, anche se non avevo alcuna voglia di scoprirlo mi dovevo fare coraggio e pensare che non ero lì per divertirmi, ma ero lì per Illa.
-"Ok." le mostrai il mio "sorriso malandrino"come usava definirlo -"Divertiamoci" le dissi.

La prima cosa che feci, una volta entrata nel salone, fu di dirigermi verso i camerieri con i vassoi e afferrare un bicchiere. Senza preoccuparmi di chiedere cosa contenesse lo mandai giù tutto d'un fiato, ne avrei avuto bisogno. Io non ero nata per partecipare a certi eventi e quella era solo una festa di compleanno festeggiata in casa. Non volevo immaginare gli sfarzosi ricevimenti che questa gente era solita frequentare. Confermai a me stessa che non ero portata per le persone in generale.
Adottai la tecnica "sorridi e annuisci" che mi aveva insegnato Illa e che io avevo soprannominato "carini e coccolosi". La seconda cosa fu cercare i gemelli per fargli gli auguri.
Decisi di cominciare da Nadia. La ragazza era circondata da un piccolo gruppo di amiche universitarie e liceali e rideva allegramente, il suo viso si illuminò quando mi vide e corse ad abbracciarmi. Nadia era decisamente una persona eccentrica, frivola, a volte infantile e si fidava un po' troppo del prossimo. Era meglio starle lontano nei suoi periodi "no", non contraddirla nelle discussioni in cui si infervorava, non toccare la sua roba e non farla arrabbiare facendo qualcosa che le avrebbe tolto il sorriso. Ma era dolce e buona e aveva un entusiasmo bambinesco e una sbadataggine tenera e innocente per cui non si poteva far altro che amarla. Sempre preoccupata com'era a soddisfare i desideri del prossimo e a vedere del bene in tutti. Le augurai tanti auguri e acconsentì alla sua iniziativa di fare con lei tutte le foto che voleva prima della fine della serata.
Poi, dopo quindici minuti di chiacchiere futili e vuote ma molto tenere, mi allontanai con un sorriso in cerca del mio secondo obiettivo: Mattia.
Lo trovai che discuteva animatamente di qualcosa con dei giovani rampolli, probabilmente qualcuno di loro era anche un ereditiere. Il genere di persona fra le cui braccia mi avrebbe "accidentalmente" fatto a inciampare mia madre. Meglio togliersi il dente subito pensai.
Mattia mi vide ma non si allontanò dal gruppo. E lo fece apposta. Era uno dei tanti modi che usava per irritarmi, sapeva che odiavo essere al centro dell'attenzione, ma se c'era un'occasione per farmi mettere in vista e imbarazzarmi lui l'avrebbe trovata. Pensai a tutti i Natali in cui lui proponeva che io cantassi di fronte a un cospicuo numero di persone..per quanto io provassi a scappare la sua nonna tiranna mi obbligava a "comportarmi da signorina a modo". Finché ero piccola mi era stato difficile dire di no, ma divenuta un po' più grande escogitai il modo per tirarmi definitivamente fuori dall'impaccio. Stonai irrimediabilmente, e da allora la nonna Giovanna non mi obbligò più a cantare. Mattia continuò a ridere per settimane.
Non sono più una bambina da tiranneggiare, pensai.
Mi incamminai decisa e determinata fino a lui con gli occhi stretti in due fessure. Mi fermai al centro del gruppo e gli sputai addosso un -"Buon compleanno"che sembrava più un insulto. Mi ricordai che non dovevo fare il suo gioco, così sfoggiai il mio migliore sorriso e con la voce più zuccherosa che trovai aggiunsi
-"Volevo farti tanti auguri, vent'anni sono una tappa importante".
Bene. Ora sembro una che soffre di bipolarismo, come minimo.
I suoi amici, che non mi conoscevano e non potevano sapere che non ero la Barbie che sembravo quella sera, cominciarono a guardarmi con interesse attirati da quella vocetta dolce come il miele...sicuramente pensando che fossi una tipa "accondiscendente". Ma lui mi conosceva bene e sapeva che di vocette dolci non ne avevo. Mi si avvicinò lentamente, con un sorriso pieno di sé e un atteggiamento da re del mondo, e mi abbracciò riconoscente. Fece durare quell'abbraccio un'eternità e già intorno a noi sentivo risatine e tossi dissimulate provenire dai giovani famelici.
Poi disse -"Grazie, è importante per me che tu sia venuta Cassandra, considerato anche che ho passato la maggior parte di questi vent'anni con te."
Anche le allusioni?!
Decisi che ne avevo avuto abbastanza. Non ce la facevo più con quel giochetto idiota, salutai e passai velocemente oltre. Cercai Illa con lo sguardo, eravamo l'ancora di salvezza l'una dell'altra in quelle situazioni. Avremmo bevuto, riso e preso in giro gli invitati e la loro ipocrisia. Ma non la trovai.
Vidi da lontano suo fratello minore Andrea, che mimò con le labbra un "Ciao Cass" abbozzando un sorriso. Risposi al saluto con un cenno della mano e una smorfia buffa che lo fece ridere. Andrea odiava le situazioni che comprendevano più di una decina di persone ed era timido nonostante la sua stazza, che per la sua età era a dir poco inquietante, era alto quasi quanto Mattia ormai. Improvvisamente sentì un calore accanto. Era un ragazzo.
Mi si era accostato senza che io me ne accorgessi.
Ma cos'è un ninja?! pensai, ma poi fui distratta da altro.
Era alto, leggermente muscoloso, abbronzato, con una zazzera di capelli castano chiaro e..bello. Straordinariamente bello.
Tutto in lui trasudava armonia. Dovetti alzare un po' la testa per vedere meglio i suoi occhi azzurri luminosi in un viso amabile e sorridente.
Ah già, mi ero distratta.
Il ragazzo mi stava sorridendo. Risposi al sorriso un po' incerto, educatamente ma con prudenza, non avevo alcuna voglia di abbassare la guardia e non avevo bisogno di nuovi amici. E volevo metterlo subito in chiaro. Ma il ragazzo probabilmente non capiva le sfumature del linguaggio non verbale o le ignorava.
-"Piacere Alan." disse porgendomi una mano.
-"Cassandra."riposi stringendogliela quasi rassegnata.
-"Cosa sei? Un'amica? Una parente?" mi chiese in modo spigliato.
Già cos'ero?!Avevo passato quasi più tempo in quella casa che a casa mia. Ingoiai un "Ma i fatti tuoi!?" e risposi invece
-"Un'amica"..."di famiglia" aggiunsi un po' confusa da quella domanda e irritata dalla mia risposta altrettanto confusa.
-"E tu?" chiesi con un sorriso esagerato, rispondendo all'attacco.
-"I nostri genitori sono amici." rispose con prontezza, mantenendo un sorriso spontaneo. Quella sicurezza mi irritava leggermente, ma purtroppo c'ero abituata e ci avevo anche fatto il callo, conoscevo fin troppe persone sempre sicure di ciò che dicevano e disinvolte in ogni circostanza, il maggiore della prole Marconi in primis.
-"Ti ho vista prima che parlavi con Mattia." continuò lui pacato.
-"Quindi?"
-"Nulla è solo che "la situazione" mi ha fatto un po' ridere. Eravamo amici quando eravamo piccoli e lui è sempre stato un po' sbruffone. Ma sembrava che voi due...aveste una sorta di lotta personale." ammise alla fine, con un sorriso in volto.
-"Si. Io e Mattia non siamo mai andati molto d'accordo" mi lasciai sfuggire.
-"Oh. E lui lo sa?"
-"Cosa? Che non andiamo d'accordo?"chiesi ridendo.
-"No. Che sei innamorata di lui" rispose con calma.
Il sangue mi si era gelato nelle vene.
Cosa?! Ho capito bene?
-"Ma cosa dici! Non è vero!" dissi con forse un po' troppa foga per dare convinzione alle mie parole. Probabilmente fu quella mia risposta affrettata a fregarmi.
E anche il rossore sulle guance contribuì a tradire le mie buone intenzioni. Io non ero innamorata di Mattia. Ma lo ero stata. Per molto tempo.
Il nostro era sempre stato un rapporto di battibecchi continui e ripicche reciproche. Io ero la migliore amica di sua sorella minore, ero più piccola e praticamente invisibile oltre che insignificante.
In più il mio compito ero quello di difendere Illa da Mattia, perché fra tutte le persone, lui prediligeva sempre lei come destinataria delle sue angherie e prese in giro varie.
Non che lei non sapesse difendersi benissimo da sola, aveva la lingua anche più lunga e tagliente della mia. Ma i suoi genitori non volevano sentirli litigare e nonostante iniziasse quasi sempre Mattia era poi Illa a pagare per il fratello che non veniva mai sgridato o punito. Io cercavo di parare il più possibile i colpi per lei e cercavo di evitare che si scannassero. Spesso fallivo, ma da quando Mattia stava frequentando dei corsi preparatori all'università le cose andavano molto meglio. Lui non c'era e noi eravamo molto più serene. Alan si mise a ridere della mia reazione esagerata ma aggiunse
-"Tranquilla non glielo vado certo a dire. Era solo un'osservazione." fece un sorriso sbilenco e si allontanò.
Ero sicura di essere rimasta con la bocca aperta e lo sguardo vacuo finché Illa mi trovò, mi smosse dal torpore porgendomi un altro bicchiere per togliermi quello vuoto dalle mani.
-" Ho incontrato un certo Alan."le dissi cercando di ostentare indifferenza.-"Chi è?" aggiunsi di fretta.
-"Alan?... Alan?"fece pensierosa.  
Quanti diamine di Alan ci possono essere a questa festa?!, pensai spazientita prima che lei potesse rispondere.
 -"Oh! Alan Del Giudice!!" esclamò convinta.
-"Si è trasferito qui da poco, ha la nostra età e verrà a scuola con noi"
Fantastico!, pensai sarcastica. Proprio fantastico.

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Capitolo 4
*** I riflessi di uno specchio ***


cap 4 La festa era  finita ed io e Illa stavamo dando una mano a Rosa per mettere un po' in ordine.

Illa aveva intuito che qualcosa non andava nonostante io avessi cercato di nasconderlo sforzandomi di parlare per distrarla. Probabilmente fu proprio quello a insospettirla, io non amavo parlare.
Quindi stanca di sforzare la mia natura ed esauriti gli argomenti possibili di dialogo, mi concessi di concentrarmi sui miei pensieri mentre caricavo un numero imprecisato di bicchieri in lavastoviglie. Subito Illa cominciò a parlare a raffica mettendo un' enfasi eccessiva nelle sue parole. Lei odiava i silenzi, non li sopportava al punto che avrebbe parlato di tutto e all'infinito per colmarli. Io però la ignoravo consapevole che lei non si sarebbe fatta condizionare dal mio disinteresse.
Pensavo al fatto che la mia sfortuna continuava a perseguitarmi.
Tra tutti quegli invitati doveva interessarsi alla mia conversazione con Mattia proprio quel ragazzo estremamente osservatore e impertinente?!
E proprio quel ragazzo doveva non solo trasferirsi nella mia città, ma doveva anche iscriversi alla mia scuola?!?!

Le scuole a Leone erano poche. Un solo liceo umanistico, un solo liceo scientifico e pochi altri tipi di licei professionali, poi c'erano due tipi di scuole che comprendevano elementari e medie: quella pubblica e quella privata.  Fu così che conobbi Camilla, lei era l'unica della sua famiglia ad aver frequentato la scuola pubblica.

Mattia e Nadia fecero irruzione in cucina ridendo e scherzando. Entrambi molto alti, erano simili sia per la figura snella e slanciata che per  i capelli ricci color castano-miele, la pelle molto scura, adesso per giunta abbronzata, e gli occhi verdi. Parlavano di come era vestito questo, di cosa aveva detto quello.
Cose molto interessanti insomma.
Mentre Nadia stava aprendo il frigorifero Mattia disse -" Rosa abbiamo fame. Ci prepari un panino?"
Più che una richiesta era una pretesa, un ordine.
Ma Rosa non ci fece caso, sorridente interruppe quello che stava facendo e si accinse a cercare gli ingredienti per soddisfare i desideri del suo principino.

Rosa amava i suoi ragazzi, ma aveva una spiccata predilezione per Mattia, quando si parlava di lui i complimenti scorrevano a fiumi. Nessuno mentiva quando affermava che fosse brillante, intelligente e incredibilmente dotato per qualsiasi sport o impiego manuale, ma quel che mi sorprendeva era che nessuno accennava o addirittura vedeva quanto fosse saccente o sbruffone. Se eri suo amico sapevi che il posto riservato a te era il secondo e se eri in un qualsiasi luogo con lui era Mattia a dover brillare.
L'unico ad aver accennato ai suoi difetti era proprio quel ragazzo. Più osservavo Mattia, più mi rendevo conto che per lui non provavo niente, se non irritazione e delusione. Erano finiti i tempi in cui lo idolatravo e lo vedevo come il mio "principe".
Colsi anche un pizzico di timore in me...non sapevo perché, ma capì che inconsciamente non volevo soffermarmi più di tanto nel ricercare il motivo di quella soggezione che provavo nei suoi confronti. Paragonai quella sensazione al trovarsi come davanti ad una tigre che gioca con un gomitolo nell'angolo della tua stanza. La tigre ti conosce e tu conosci la tigre, ma non importa che tu l'abbia allevata e nutrita..lei rimaneva quello che era. E se avesse avuto fame non sarebbe potuta venire meno alla sua natura e ti avrebbe sbranato, mentre tu, incapace di fare del male al tuo cucciolo, avresti avuto la peggio. Era così che mi sentivo. Ed era così che vedevo Mattia, mi voleva bene ma sarebbe stato capace di farmi a pezzi se gliene avessi dato l'occasione.

-"Non puoi fartelo da solo il panino?! Rosa è stanca!" lo accusò Illa infervorata.
Rosa le gettò un'occhiata ammonitrice. -"Non dire sciocchezze Camilla, non sono stanca. E oggi tuo fratello è il festeggiato." ribattè convinta.
-"Ecco vedi?! A Rosa non dispiace. Fatti gli affari tuoi scema!" rimbeccò Mattia.
Illa, che raccoglieva immediatamente qualsiasi provocazione, rispose a tono. Non era esattamente la migliore nel lasciar correre.
Da lì capì che la miccia era stata accesa e che ormai avrebbero preso a litigare per un bel pezzo.

Mi diressi verso il bagno per togliermi le lenti e mettere gli occhiali. Ne approfittai anche per sciacquarmi la faccia e lavarmi i denti. Purtroppo mi ero dimenticata di avere il mascara e l'eye-liner e quando mi guardai allo specchietto avevo gli occhi cerchiati di nero. Stavo per uscire dal bagno anche se sembravo la moglie di Frankenstein, ma decisi di superare la pigrizia e perdere un dischetto struccante. Mi guardavo allo specchio scrutandomi in viso, ma non mi riconoscevo, forse gli altri potevano vedermi bella, addirittura desiderabile, ma per me non era così. Perché sapevo cosa si nascondeva dietro quel viso e quel che si nascondeva non mi piaceva.
Una infelicità desolante e infinita, come un deserto arido le cui uniche acque erano le lacrime dei desolati  fiumi sotterranei.
Sorridevo, ma il più delle volte fingevo, ero brava a fingere. Perfino Illa mi scopriva raramente. Mi chiedevo il motivo di tanta tristezza e mi arrabbiavo con me stessa, perché ero più di così, sapevo essere forte e coraggiosa. "Dovevo", essere migliore.
Mi guardai allo specchio e cercavo di ricordare quando invece di quella immagine lo specchio mi restituiva il riflesso di una persona felice. Mi ricordai di una bambina con la testa piena di treccine e le guanciotte piene sorridenti, gli occhi vivaci con una luce da furbetta vispa e intelligente. Con i capelli castani pieni di nodi, i vestiti strappati e sempre qualche livido o cicatrice nuovi. Le mie avventure, anche se solitarie, erano stupende, ed ero felice perché ero libera e me stessa.
Ora le ciglia erano più folte,le labbra più piene, il naso si era allungato e assottigliato e i capelli si erano come auto-domati. Solo gli occhi risplendevano ancora di quella luce che sembrava spegnersi lentamente in quel viso sciupato e remissivo.

Feci due veloci passi indietro, allontanandomi dallo specchio, spaventata dall'idea di spegnermi del tutto, sentivo già le lacrime salire quando qualcuno bussò alla porta.
Era Nadia, lei era sensibile alle emozioni altrui, le percepiva come un termometro percepisce la temperatura ed era abituata agli sbalzi d'amore altrui. Non mi disse nulla, mi abbracciò e basta. Le lacrime si fermarono subito lì dov'erano.
Non riuscivo a piangere in presenza di qualcun altro, forse perché non volevo sembrare debole. Da quando avevo undici anni ad eccezione di Barb ed Illa, solo mia nonna  mi aveva vista piangere una o due volte.
Dopo cinque minuti, dal corridoio arrivò un -" Cos'è un abbraccio di gruppo?!?"- da un esaltato Mattia, che entrò in bagno di corsa e mi abbracciò da dietro.
I gemelli erano molto alti, come tutti quelli della loro famiglia, ed in mezzo a loro quasi sparivo, minuscola. Sentendo  che stavano invadendo troppo il mio spazio, cominciai a mugugnare di disapprovazione, come tentando di buttarla sul ridere, e sgusciai via da loro con fatica, perché Mattia mi tratteneva con le sue braccia forti.
Così guardando Nadia negli occhi la ringraziai silenziosamente. Era per me difficoltoso esporle la mia gratitudine a voce, sopratutto davanti al suo gemello.
Lei capì al volo e mi rispose con un sorriso
-" Allora resti qui stanotte?" mi chiese
-"No, mi piacerebbe, ma....devo tornare a casa. Mi aspettano."
-"Come vuoi, lo sai che non ti devi fare mai problemi." mi rispose con un sorriso dolce.
-"Ti accompagno io", disse Mattia.
Stavo già per replicare, quando aggiunse che non voleva sentire storie, perché alle tre di notte una ragazza non poteva andare in giro dal sola (e altre stronzate simili).
Allora non sapendo cosa dire, annuì e andai a prendere le mie cose.

Si a volte Mattia la smetteva di essere uno stronzo e si comportava da persona gentile e premurosa, ed era lì che ti fregava. Io ero molto stanca così accettai volentieri il passaggio ricordando a me stessa di stare in campana. Cercai Illa per salutarla e dato che era con Rosa diedi un bacio anche a lei e lasciai che mi abbracciasse e mi avvolgesse nei suoi profumi da mamma. Scendemmo le scale e andammo in garage , Mattia canticchiava allegro o forse dissimulava allegria, non ci feci troppo caso.
Poi uscimmo con la macchina attraversando l'enorme giardino e mentre aspettavamo che il cancello si aprisse lentamente armeggiai con la radio del fuoristrada.
La canzone in cui incappai mi piaceva da impazzire ma purtroppo piaceva molto anche a lui, che cominciò a cantarla, così cambiai ancora stazione e finì per sintonizzarmi su una radio che trasmette musica classica.
Beethoven non mi faceva impazzire, ma sapevo per certo che non piaceva al guidatore, quindi alzai il volume e lo osservai di sottecchi fare le facce disgustate che non riusciva a trattenere. Sogghignai maligna voltandomi verso il finestrino per non farmi scoprire. Quando mancò poco per casa mia, abbassò il volume assordante e mi guardò implorando
-"Non potremo parlare un po' Miss "Non ho gusti per la musica"? "mi chiese guardandomi sardonico, mentre svoltava nella mia via.
-" In realtà sono stanca. Non riuscirei ad intrattenere una conversazione molto brillante."
-"Ok, basta che rispondi alle mie domande" ribattè con una risata.
-" Vai"concessi con un mezzo sbuffo.
-" Ti sei divertita stasera?"mi chiese.
-" Con l'alcol si superano anche le cose peggiori"risposi con un nota ironica.
Lui scoppiò a ridere e riescì a fermarsi solo dopo qualche minuto.
-" Che tipetto. Non ti facevo una che beve.", ammiccò verso di me.
Idiota.
-"Invece mi piace bere", rispondo sulla difensiva.
-" Domani  serata cinema con mia sorella e le ragazze?" Mi volto verso il finestrino e rispondo
-" No, domani  devo lavorare, ho il turno delle....Che stai facendo!?!?" domandai scioccata, con una nota isterica nella voce.
Mentre parlavo Mattia aveva cominciato a sbottonarsi la camicia e a sfilarsela, il tuttto mentre continuava a guidare come se nella fosse.
-" Mi devo cambiare." rispose secco e tranquillo, allungando una mano verso di me.
Io mi ritrassi verso la portiera inorridita pensando che volesse toccarmi, ma in realtà stava solo allungando una mano per prender una T-shirt poggiata sul sedile posteriore, che non avevo notato. Scoppiò a ridere di cuore notando la mia azione.
-"Non fare quella faccia spaventata...non hai mai visto un uomo senza maglietta?"
-"Certo che l'ho visto!" risposi prontamente tra l'arrabbiato e il sostenuto, come se fosse ovvio.

In realtà stavo mentendo. Non avevo mai visto un uomo nudo, escludendo coloro con cui avevo in comune parte del mio DNA, uomini in costume e  attori dei film, o i vari uomini di mia madre. Non mi ero mai trovata con un uomo/ragazzo a torso nudo in un luogo così stretto, a pochi centimetri da me e nel buio quasi totale. 
Ad un tratto mi resi conto di quanto fossi patetica e mi irritai ancora di più. La macchina si fermò, ormai arrivata sotto casa mia.
-"Devo vedere una ragazza. Ha detto che stasera vuole darmi un "regalo speciale"...che non poteva portare alla festa." spiegò con ammiccamenti vari.
Non poteva essere più esplicito. La mia espressione passò dalla sorpresa, al disgusto, al neutrale in pochi istanti. Mattia non sarebbe mai cambiato, (mentre cambiavano le ragazze che gli ronzavano intorno e che gli si concedevano con tale velocità).
-"Bene. Buonanotte e grazie per il passaggio."dissi aprendo lo sportello.
-"Buonanotte Cassandra" rispose.
-"Oh e divertiti" aggiunsi con la voce più stucchevole che riuscì a trovare.
-"Contaci" mi rispose facendomi  un occhiolino d'intesa.
Chiusi lo sportello e girai le chiavi nella toppa senza voltarmi mentre la macchina si allontanava.









Angolo autrce:
 Grazie a tutti coloro che continuano a seguire questa storia e a leggere in silenzio, sopportando l'eternità che passa fra un capitolo e l'altro.
Lasciatemi un commento se volete, per me èfondamentale sapere cosa ne pensate, segnalatemi eventuali errori o incongruenze.
 Vi prometto che il prossimo capitolo arriverà presto. 

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Capitolo 5
*** Il bagno caldo ***


cap 5 Salì fino al mio piano e cercai di fare il più silenziosamente possibile mentre entravo in casa e mi sfilavo le scarpe.

Camminando per la casa al buio capì subito che mia madre non c'era perché  mio fratello si era addormentato con la luce accesa.
Spensi la luce e mi diressi prima nella mia camera, per prendere tutto il necessario, e poi  in bagno dove aprì l'acqua calda che cominciò a riempire la vasca. Quando arrivò quasi fino all'orlo, la chiusi e mi ci immersi completamente. Cominciai a giocare con l'acqua come una bambina, ma non mi sentì una scema nel mentre, feci diverse immersioni, mi districai i capelli e accarezzai le braccia.
Poi mi abbracciai, poggiando il mento sulle ginocchia e mi specchiai nella manopola argentata della vasca di fronte a me ricordandomi di quando ero bambina e facevo la stessa identica cosa. L'unica differenza era che quando ero piccola era mia madre a prepararmi il bagno e ad aiutarmi a lavarmi, mentre ora, in teoria, non potevamo farci il bagno perché avremmo consumato troppa acqua inutilmente.
In pratica io lo facevo lo stesso, di nascosto.

Mi concedevo un bagno, al posto della doccia, quando ne sentivo davvero la necessità. Diedi un occhiata all'orologio.
Le 03:26 e il giorno dopo (o meglio fra poche ore) sarebbe iniziato il primo giorno di scuola. L'estate era ufficialmente finita per me.
Come avrei fatto a sopravvivere alle sei ore di scuola che mi aspettavano senza dormire sul banco?! Magari saltando l'assemblea di inizio anno avrei potuto farmi una mezz'oretta di sonno.
Lo avrei scoperto solo l'indomani.

Uscì dalla vasca, avvolsi i capelli in un turbante e mi tamponai con l'asciugamano il corpo. Poi mi asciugai i capelli con il phone cercando di metterci più buona volontà e attenzione del solito (dato che non avrei avuto tempo di usare la piastra) e proprio mentre avevo quasi finito sentì la chiave nella toppa.
Chiusi subito l'asciugacapelli e diedi un'occhiata alla vasca, che si era svuotata completamente, mentre con una mano presi i vestiti e le ciabatte e con l'altra spesi la luce.
La mia camera era attaccata al bagno quindi mi bastò fare cinque passi in punta di piedi. Mentre sentivo mia madre togliersi le scarpe, gettai i vestiti sulla poltroncina proprio mentre lei faceva cadere la borsa a terra, e posai le ciabatte piano mentre mi infilavo nel letto e pronta a far finta di dormire.
Doveva aver comunque sentito le lenzuola spostarsi perché sussurrò
-"Ale?", mio fratello si svegliava sempre quando tornava o addirittura l'aspettava sveglio.
-"No sono io."dissi fingendo di avere la voce impastata dal sonno.
-"Sono la mamma amore, torna a dormire.", mi disse dandomi una carezza.
Le uniche dimostrazioni d'affetto che mi concedeva erano mentre dormivo.
Rimasi immobile mentre lei cercava di fare piano. Un secondo prima ero talmente sveglia che non sapevo cosa fare per addormentarmi un attimo dopo ero già nel mondo dell'incoscienza.

Quando la sveglia iniziò a suonare mi sentivo come se avessi appena poggiato la testa sul cuscino e questa sensazione unita alla consapevolezza che dovevo andare a scuola mi fece alzare di malumore. Quando però andai in cucina e trovai la colazione pronta mi scappò un sorriso.
In genere ero io ad alzarmi per prima e a chiamare mio fratello. Quel giorno fu il contrario.
-"Buongiorno.", mi disse Ale, mentre si alzava dalla sedia e usciva dalla cucina.
Non risposi, ma gli sorrisi. E lui capì che avevo apprezzato il gesto.
La colazione riusciva sempre a mettermi di buon umore. Quindi quando mi alzai dalla tavola, anche se ero consapevole del mio ritardo, mi sentivo totalmente ripresa.
Nel corridoio incrociai Ale già in uniforme e pronto ad uscire.
-"Sei in ritardo", mi disse senza alzare gli occhi dallo schermo del telefonino. -"Ci vediamo stasera"e uscì di casa.

Corsi verso il nostro bagno e mi cominciai a lavare freneticamente il viso e i denti. Poi mi guardai allo specchio, presi il pettine e riuscì ad ottenere un risultato soddisfacente. Non avevo i capelli lisci come sempre, ma con delle leggere onde che non erano niente male se si ignorava il crespo. Poi aggiunsi un po' di correttore sotto gli occhi per coprirmi le occhiaie, misi l'eye-liner e il mascara e uscì dal bagno mentre calcolavo il percorso che avrei dovuto fare.
Non mi misi l'uniforme, ma la tuta e uscì di casa. Di solito dovevo fare un tratto a piedi e poi prendere l'autobus per raggiungere la scuola.
Ma avevo perso l'autobus quindi mi sarebbe toccato camminare, o meglio correre.
Nessun problema. Mi stavo già infilando le scarpe da ginnastica e scattando fuori di casa.

Arrivai solo con 10 minuti di ritardo. A cui se ne aggiunsero altri 5 perché invece di dirigermi subito in classe dovetti andare in bagno a cambiarmi. Uscita incontrai la bidella Maria, che mi disse che ero in ritardo, con il suo solito sorriso affettuoso.
-"Come sempre." le risposi camminando al contrario verso la mia classe, per sorriderle sincera e farle un saluto con la mano, riprendendo con lei quel l'atteggiamento cameratesco che si era interrotto con l'estate.
Entrata in classe la professoressa mi guardò disgustata
-"Artesi. Cominciamo bene. Il primo ritardo dell'anno....Ce l'hai il permesso del preside?"
-"Non mi ha visto." risposi.
Certo non mi avrebbe potuto beccare neanche volendo.
Ero passata dal retro, prendendo le scale secondarie.
-"Va bene. Per oggi sarò buona. Vatti a sedere."
Occupai l'unico posto vuoto rimasto. Per raggiungerlo dovetti attraversare tutta l'aula.
Primo posto davanti a destra , vicino alla finestra.
Per fortuna il mio compagno mi piaceva. Il ragazzo teneva il cappuccio della felpa nera calato sulla testa e  la testa poggiata sulle braccia incrociate.
Un -"Che cosa ti è successo?" sonnacchioso mi raggiunse da sotto il cappuccio. Girò piano la testa per osservarmi.
-"Nulla. Vince, tipico ritardo." gli risposi con un sorriso d'intesa.
Lui mi sorrise di rimando e si rintanò di nuovo fra le braccia.

Tentai di girarmi per vedere con chi condividevo quella lezione di inglese, ma la professoressa mi marcava stretta, così passai il resto della lezione ad annuire interessata e a prendere inutili appunti. Al suono della campanella tutti scattarono in piedi non volendo tollerare un secondo di più con un essere così maligno e vendicativo: la Morelli. Vincenzo mi afferrò lo zaino prima che riuscissi a mettere tutti i quaderni dentro e uscì fuori lanciandomi un sorriso furbetto.
-"No, ti prego." lo implorai  frustrata in un sussurro.
Cosè tutta quella voglia di giocare di primo mattino?!
 Lo seguì fuori dalla porta per riprendermi la cartella.  Fuori dalla porta mi prese e mi stritolò in un abbraccio facendo cadere lo zaino ai nostri piedi.
-"È questo il modo di salutare un vecchio amico dopo un'intera estate?!"
-"Va bene, va bene" dissi con davvero poco entusiasmo. -"Anche tu mi sei mancato."ammisi più accondiscendente.
-"Così mi piaci" disse lui e finalmente mi lasciò.

Vincenzo, detto Vince, era un ragazzo alto e magro, con le braccia e le gambe così lunghe che sembravano essere fuori dal suo controllo quando si muoveva.
Era conosciuto per il suo cacciarsi sempre nei guai, e famoso per il suo riuscire sempre a farla franca, ma ancora di più, temuto, per la sua aria losca da poco di buono.
Per questo motivo non aveva molti amici. O meglio, tutti lo conoscevano, lo invitavano alle feste, gli chiedevano favori, ma nessuno voleva frequentarlo più del dovuto. E lui stesso si faceva avvicinare solo da chi gli stava a genio e con un solo sguardo allontanava e intimoriva tutti gli altri.
Io e lui eravamo amici dal primo anno. Prima che diventasse alto un metro e ottantacinque e così propenso alle stronzate.
Quando eravamo entrambi due emarginati che non c'entravano nulla in quel posto.
Poi lui si era fatto strada a forza nel gruppo "in". Il suo biglietto d'ingresso: la droga e il contrabbando di cose "particolari" e introvabili.
Non appoggiavo le sue scelte ma era mio amico e gli volevo bene. Era grazie a lui se ero sopravvissuta alle noiose lezioni degli anni precedenti. Per fortuna finivamo spesso insieme nei corsi e nonostante non fossimo mai stai compagni di banco (fino a quel momento), ci mettevamo comunque sempre vicini. Spesso lui dietro e io davanti. Io lo coprivo mentre dormiva o mentre progettava qualcosa di illegale e lui mi suggeriva le risposte molto difficili dei compiti che dovevamo sostenere e mi faceva schiattare dal ridere. Io non ridevo facilmente, le cose stupide, (stile torte in faccia e cadute spettacolari) non mi facevano dirvertire. Ridevo per la sottigliezza delle battute, per il sarcasmo e l'ironia celate, per la satira. Ma quando Vince apriva bocca ero già con il sorriso stampato in faccia.

Aveva questa capacità di farmi ridere fino alle lacrime che mi spaventava e mi aveva già cacciato in non pochi guai. Forse per quel suo misto di faccia tosta, sorriso furbo e sguardo vispo accompagnato alla sul acume tagliente e il suo essere un bravo oratore. Vince era davvero intelligente.
Quel tipo di intelligenza che ti permettere di leggere una  qualsiasi informazione per averla già immagazzinata nella memoria, lui non aveva bisogno di studiare per ore sui libri. Tutti noi dovevamo essere bravi per andare ad una scuola del genere, ma lui era davvero molto bravo. Ed era forse anche per questo che i prof lo odiavano e si accanivano così tanto su di lui. Non potevano concepire una persona come Vince, un "figlio di nessuno", che andasse così bene a scuola. Lo interrogavano, gli devono "compiti speciali" a parte (affinché lui non potesse copiare), lo torchiavano stretto aspettando il minimo passo falso, ma lui non cadeva. Aveva anche un fratello, che veniva con noi a scuola. Ma di lui parlerò dopo.
-"Devo andare Cass. Faccio tardi a lezione."
Si piegò su di me, mi strinse la mandibola fra pollice e indice e ruotandomi la testa di lato mi schioccò un bacio sulla guancia.
-"Aia", feci finta di lamentarmi mentre lui, ignorandomi, si stava già allontanando con le sue lunghe falcate.

Nelle successive lezioni finì in classe con ragazzi e ragazze che già conoscevo, ma non vidi nessun volto amico.
Al suono della quarta campanella ero così stanca (per la notte passata quasi insonne), arrabbiata (per l'orario pressante che avevo dovuto seguire) e delusa (perché non avevo ancora visto nessuna della mie amiche) che decisi definitivamente che mi sarei andata a nascondere e a dormire da qualche parte invece di andare all'assemblea.

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Capitolo 6
*** Precipitazione di eventi. ***


cap 6 Al suono della campanella mi fiondai fuori verso la macchinetta che erogava caffè, mi misi in fila, ma attraverso un'azione scorretta, che non ero abituata a fare, passai avanti. 

Mi tirai i capelli indietro mostrando i piercing all'orecchie e, cercando di sembrare il più minacciosa possibile, guardai con insistenza e arroganza due ragazzi del primo anno che mi fecero passare con un
-"P-prego"impaurito. 
Decisi che era la prima e l'ultima volta che facevo una cattiveria del genere. In realtà non credevo di avere più diritto di loro solo perché ero più grande. 
Poi andai in bagno, nel punto di incontro tacitamente stabilito con le mie amiche.  
-"Mia!!" gridai di gioia e le corsi incontro abbracciandola, cercando di evitare che il caffè le cadesse addosso. 
-"Andra, ma dov'eri??"mi disse con aria frustrata -"Finora ho visto tutti! Tutti tranne te!" 
Le riassunsi le mie ore precedenti e gran parte della mia estate, poiché non ci eravamo viste per nulla nei mesi trascorsi. 

Mia era più alta di me, era più alta di tutte noi (seconda solo a Camilla) e magra come un chiodo. Aveva la pelle bianca e i capelli neri, tagliati di recente a caschetto. 
Un contrasto che la faceva ironicamente sembrare un orientale. Se l'avessi dovuta descrivere l'avrei paragonata ad una forza della natura. 
Era capace di cose bellissime, ma anche di cose orribili. A caratterizzarla erano sopratutto la sua forza e la sua determinazione celate sotto un aspetto così minuto. 
Da bambina avevo un film preferito "Peter Pan", e mi ricordo che c'era la fata, Campanellino o Trilli, che mi ricordava enormemente Mia. 
"Le fate", diceva Peter, "non sono cattive, ma sono tanto piccole che possono provare una sola emozione per volta." 
Così era Mia, veniva invasa dalle sue emozione e non ce la faceva a domarle. Per questo spesso sembrava una bambina. 
Se era felice era capace di saltarti addosso di abbracciarti, baciarti e fare mille feste, ma se era arrabbiata era altrettanto capace di strattonarti. graffiarti e farti davvero male, anche se non avevi provocato tu la sua rabbia se ti aveva a tiro ne subivi le conseguenze. 
Era molto strana sì. Diversa. Come tutte noi. 

In quel momento dal bagno uscì Illa 
-"Hello stranger!"disse alzando le braccia al cielo a mo' di saluto.
Poi si diresse verso il lavandino mentre Mia mi parlava dei manga che aveva letto e io dei film che avevo visto, e ci consigliavamo dei libri a vicenda.
Iniziavamo con "Ti devi assolutamente vedere, ti devi assolutamente leggere!" Anche Illa partecipava alla frenesia nerd, ma io e Mia condividevamo così tante serie TV che ci vergognavamo a enumerarle tute. Quando dal corridoio giunse un 
-"Ti devi assolutamente stirare quei capelli!!!!"
Eccola. La travolgente. L'appariscente. L'eccentrica : Barbara !!  -"l'attrice"- 
Si buttò addosso a Illa spingendola contro la pianta dietro di lei, poi diede un bacio a Mia sulla guancia e si fermò davanti a me con aria disgustata e preoccupata.
-"Ma che hai fatto ai tuoi capelli?! Ti sei messa a correre?" 
Cominciai a pettinarmi i capelli con la mano destra e a guardarmi intorno imbarazzata. Guardai Illa con aria di rimprovero, ma lei disse
-"Ma non le dare retta! Lo sai che è esagerata." 
Barb si voltò verso di lei e le diede un finto spintone. 
Vabbè, Illa non faceva molto caso all'aspetto esteriore, potevo benissimo andare in giro vestita di stracci e lei non l'avrebbe notato. Ma Mia? 
La guardai e lei abbassò lo sguardo. Troppo pudore, non mi avrebbe mai detto di pettinarmi che sembravo una matta.
Ah che pazienza che ci vuole.
-"Ciao Barb, anche tu mi sei mancata." dissi sarcastica.
Un po' di meno delle altre in effetti.
Le volevo bene ma la mia personalità e la sua erano totalmente agli antipodi, io mi nascondevo nel silenzio e nell'ombra mentre lei bramava per ottenere un palcoscenico, o anche solo un pubblico. Era molto bella, piena di energia vitale, alta e "formosa" (non avrei saputo come altro descriverla). 
Ultimamente si stava impegnando molto per ricolmare la mancanza di cultura degli anni passati, si faceva consigliare film da vedere e libri da leggere, andava ancora più spesso a vedere spettacoli e spulciava tutto quello che poteva sul teatro. Voleva diventare un' attrice e inseguiva il suo sogno. 
-"Oggi non devi andare dalla psicologa scolastica?" mi chiese, mentre cercavo di legarmi i capelli in una coda alta. 
Scoppiamo tutte a ridere. Era da tanto che non ridevamo così. 
-" Si è vero...me ne ero dimenticata" dissi fiacca.
-" Cosa le sparerai stavolta?!", mi chiese curiosa Mia asciugandosi una lacrima.
-"Potresti dirle che ti senti molto "rigenerata" da quando fai meditazione e bevi le tisane che ti ha consigliato lei..."proseguì con un tono cospiratorio. 
Uno scoppio di risa.
-" No ragazze. E'  il primo giorno. Devo per forza versare qualche lacrima, lo sapete. Altrimenti lei penserà che mi tengo tutto dentro e che la terapia che stiamo adottando non funziona." continuai io con aria accondiscendente, felice che le mie disgrazie servissero almeno a farle ridere.
-" Oddio ma perché queste sedute non possono essere aperte al pubblico?!" chiese Barb tenendosi un fianco. 
-"Abbraccio!!!"urlò subito dopo, imitando la voce nasale di una ragazza del nostro anno, e ci circondò tutte con le sue lunghe braccia buttandosi di sopra. 
Dissi loro che ho intenzione di saltare l'assemblea, e ci separiamo. 

Mi trascinai stanca, perché il caffè non aveva fatto alcun effetto, verso i sotterranei. Mentre camminavo furtiva controcorrente nella fiumana di studenti che si dirigevano verso la palestra esterna., fuori dalla porta della biblioteca, incontrai Michele, il fratello di Vince. 
Stava parlando con una ragazza, che dal pallore e dal modo in cui le tremano le mani,  non sembrava stare molto bene. 
Le lasciò scivolare una bustina nella mano e con un sorriso e un ammiccamento la congedò. Quando si accorse della mia presenza gli scappò un "Cazzo"spaventato. 
La mia faccia divenne di ghiaccio, mi avvicinai con passo marziale pronta a dirgliene quattro.
-"Che cazzo fai?!"sibillai a denti stretti.
-"Senti Andra, non sono fatti che ti riguardano.", disse lui e facendo per andarsene. 
Lo afferai per un braccio e lo riportai davanti a me con un strattone. 
-"Magari non sono fatti miei, ma non credo che Vince sarà contento di sapere che il suo "fratellino" sta combinando qualcosa di illegale." lo minacciai decisa.
-"Non glielo dirai!"esclamò sicuro studiandomi, tradendo però un briciolo di incertezza.  
Sapeva che Vince gli avrebbe fatto il culo.
-"Vuoi vedere?!"
-"Ok senti, non è niente di illegale. Vendo solo pillole, sigarette e stronzate per l'ansia e gli attacchi di panico, una cosa pulita. Mi sono inventato questo spaccio. Non faccio male a nessuno, e sopratutto non devo pagare nessuno." dice, cercando di convincermi. 
Ma non mi convince. E non solo per il fatto che io non approvavo nessun genere di sballlo, ma anche perché quando si trattava dei nostri fratelli  provavo quel genere di ansia mista ad apprensione che provano in genere le madri.
-"Lo sai che è sempre pericoloso.", (sottolineo la parola sempre con particolare cura.)
-" Potrebbero beccarti! E sopratutto, ti stai mettendo contro altri giri. Non vale la pena che tu lo faccia!" ma anche io tradì un pizzico di  incertezza, perché nella loro famiglia le cose non andavano bene, ed erano i figli che portavano il pane a casa.
-"Ti prometto che starò attento, anzi attentissimo! E che ti terrò al corrente di tutto." disse, e mi sentì già più tranquilla.
-"Voglio un resoconto quasi giornaliero. E che sia sincero. O così o niente." 
Vince mi avrebbe ucciso se mi avesse scoperto, Prima me e poi Michele.
 Era da una vita che mi diceva che preferiva mille volte spacciare lui e rischiare lui pur di sapere i suoi fratelli al sicuro. 
-"Va bene, va bene." fece lui accondiscendente. -"Vuoi una stecca di sigarette? Offre la casa per sta volta." mi propose affabile.
-"No, lo sai che non fumo" risposi secca.
Gli feci segno che lo tenevo d'occhio ed entrai in biblioteca. 
Il bibliotecario, un uomo anziano e malaticcio, stava dormendo. Così mi diressi senza fare rumore verso la sezione più nascosta. Quella dei saggi storici.  
E mi addormentai. 
Finalmente.
Mi svegliò un rumore di gola che raschiava e grattava. Il Sign. Siem si era svegliato. Guardai l'orologio, era passata un'ora e mezza e non ero stata beccata, questa era la prima, e sicuramente l'ultima gioia della giornata. 
-"Oooooooh Cassandra!"gridò lui quando mi vede, poi rise. -"Quando sei entrata?" mi chiese.
-"Prima....avevo bisogno di silenzio." risposi, stringendogli la mano. Era un tipo che ci teneva a queste cose. 
Era un soggetto alquanto strano, ma mi voleva bene, voleva bene a tutti i ragazzi. 
-"E certo, e certo. Ma ora vai che il preside mi fa il bordello, se passa di qui e ti trova." 
-"Vado. Tanto è ora di pranzo. Ci vediamo dopo." lo saltai.
Ma prima che potessi uscire mi avvisò dell' apparizione di un nuovo arrivato a scuola, e che l'aveva per giunta già conosciuto. 
Questa scuola è così dannatamente piccola da dare sui nervi.
-"Meraviglioso"gli risposi secca. Lui rise di rimando notanto il mio improvviso cambiamento d'umore.
-" Perché quella faccia? È un bel ragazzo sai? Ed è anche molto educato, sarà il figlio di qualche ministro..." 
Sì, del presidente!
-"Va bene, devo andare. Arrivederci." 

Il mio essere praticamente invisibile era fantastico. Certo tutti mi conoscevano, la scuola era quella infondo, ma io non avevo alcuna importanza quindi passavo meravigliosamente inosservata, e questo mi dava un grande margine di libertà. 
Gli unici professori che potevano associare il mio volto al mio nome erano quella di italiano, che amava i miei temi, e quelle di greco, che vedeva in me una delle studentesse più interessate alle sue lezioni. C'era anche il prof di educazione fisica anche se l'assenza pressoché totale della mia voglia di competere in generale era talmente in contrapposizione con la sua persona che lui non riusciva ad assimilarla. 
Ogni anno provava ad inserirmi in corsi sportivi nuovi, in cui il gioco di squadra era essenziale. E ogni anno io abbandonavo o addirittura venivo cacciata dalla squadra entro il primo trimestre, l'unico altro sport che mi aveva convinto a fare, oltre alla corsa, era il nuoto, una scoperta dell'anno passato.
Per lui questo era stato un successo tale che mi lasciò in pace e non mi iscrisse ad alcuna gara (a cui comunque non avrei partecipato) per tutto l'anno. 

Queste erano anche le materie che preferivo, e in cui era quindi difficile per me simulare apatia come facevo per tutte le altre. Facevo i compiti, andavo alle interrogazioni, qualche volta partecipavo con interventi e domande, ma ero pressoché  invisibile. Avevo voti medio altri e nelle materie in cui andavo più male come  matematica e arte i professori si unificavano a fine anno alla media generale, senza farsi poi tante domande sulla mie carenze.  
Mentre quella di inglese..quella di inglese mi odiava propio. Però il suo odio nei miei confronti non era personale bensì l'effetto di un odio generale.
Lei odiava tutti gli studenti, quindi anche me. Solo che con me aveva un bersaglio perfetto. 
Mentre il professore che ci faceva storia e filosofia, materie speculative e che richiedevano riflessione e dialogo, era paradossalmente un bigotto, ignorante e idiota, fermamente convinto che i ragazzi non potessero capire la complessità degli argomenti trattati e ancora di più delle sue effervescenti spiegazioni. 
Questo era il mio mondo scolastico, e considerato che passavo a scuola gran parte delle mie giornate e non avevo molta vita sociale all'infuori di essa, costituiva in pratica il mio unico mondo. 
Bella schifezza.

Quindi a parte le bidelle e il bibliotecario, le professoresse di greco e di italiano, e aggiungiamoci pure il professore di educazione fisica (che comunque non comprendeva assolutamente, e anzi guardava con un certo disgusto, la mia repulsione a qualsiasi tipo di competizione agonistica), associava il mio volto al mio nome anche la psicologa scolastica. Federica Gramsci.

Un' adolescente nel corpo di una signora. la barzelletta degli psicologi, la delusione di Freud (o forse ero io la delusione dell'illustre padre della psicoanalisi e lei faceva esattamente quello che si doveva fare con un caso come il mio). 
Ma dubito fortemente.
Fatto sta che andavo da lei e le raccontavo una marea di frottole per tenerla buona, di modo che avrebbe tenuto buona mia madre, che avrebbe lasciato in pace me. 
E quindi non era poi tutta colpa mia. Si sa: se non non si è messi alle strette nessuno vuole raccontare i fatti propri e analizzarli per individuare la fonte della propria follia. Ok...potevo anche accettare di o rendermi la colpa "fifty-fifty". 
Io lo sapevo di essere pazza, sapevo anche che lo ero doppiamente: in primis per una forma ereditaria (diretta, aggiungerei) e in secundis perché tale forma non era latente come si sperava, ma imperversava in ogni angolo del mio essere, dentro e fuori di me, mi rendeva spesso triste, riflessiva e ansiosa.
Cercavo di non pensarci troppo e di ignorare la cosa finché potevo. 
Tuttavia nonostante l'eccessiva bonarietà e ingenuità della suddetta, era talmente ingenua e simpatica che non potevo dire nulla contro di lei, sarebbe stato come sparare sulla croce rossa. Mi voleva bene, come voleva davvero bene a tutte le persone sulla faccia della terra e forse era propio questo a non permetterle di utilizzare il polso di ferro con noi, suooi pazienti. 
"Perché andavo dalla spicologa allora, se non la prendevo sul serio?"
Non ci andavo perché avevo tentato il suicidio. Niente lamette, niente vasca, niente barbiturici e nessun volo dell'angelo. 
Ci andavo, già da un anno, per colpa mia madre. Mia madre io usavo definirla bipolare, (non ho mai capito se lo fosse davvero), ma per spiegare com'è fatta non c'è  esempio migliore del bipolarismo.

Mia madre se ne fregava di tutto e di tutti, le importava solo di se stessa: i suoi divertimenti, le sue storie d'amore, le sue amicizie, la sua vita. Io e mio fratello siamo cresciuti praticamente orfani da una parte e abbandonati dall'altra.
Non potevo farci niente se era così, era mia madre e le volevo bene comunque. Non sapeva nulla di me, cosa mi passava per la testa, cosa mi preoccupava o quale fosse il mio cibo preferito. Se si presentava un problema lei involontariamente lo schivava, si sentiva incapace di affrontare le disgrazie. Sopratutto dopo la morte di mio padre.
La guardavo e mi sembrava fragile psicologicamente. Eppure al contempo era una delle persone più buone e generose che conoscevo, oltre che una delle più forti, aveva dovuto superare moltissime avversità eppure era ancora in piedi.
Era intraprendente, piena di vita e coraggiosa, affermava di fare tutto sempre e solo per me e mio fratello (e a volte mi piaceva crederle), condividevamo lo stesso amore per il cinema, i libri o la musica, e a volte ci ritrovavamo a parlare del senso della vita e a scambiarci opionioni sugli argomenti più svariati.
Come fosse possibile che dentro di lei esistessero e coesistessero queste due persone io non fui mai capace di capirlo.

Tornando al motivo per cui andavo dalla psicologa, era un periodo in cui ero più riflessiva del solito e lei pensò che mi stessi ammalando come mio padre così obbligò la scuola a farmi andare dallo psicologo, non potendoci permettere le sedute da un altro psicologo.
Se saltavo una seduta ero nei guai. Il mio obbiettivo era dimostrare che ero migliorata o addirittura guarita.
Quando iniziai la cura mi sfiorò l'idea che sì, forse avrei potuto parlare dei miei problemi ad un estraneo se avrebbe significato sentirmi meglio.
Ma poi conobbi Federica e capì non potevo raccontare ad una persona, che ancora credeva a Babbo Natale, la mia storia.
Il suo crollo psichico sarebbe stato colpa mia.
Avevo Illa, Mia, Barb e Samantha con cui parlare, avevo i miei nonni, mio fratello e mio zio Damocle che mi volevano bene, e loro mi bastavano.

Mi diressi quindi nell'ufficio della psicologa scolastica con l'intento di mettere in scena uno spettacolo tale che Amleto sarebbe sbiancato vedendomi.
-" Cassandra!!" esclamò felicissima, sobalzò sù dalla sedia e venne ad abbracciarmi.
-"Ciao Federica." dissi un po' imbarazzata, ma sinceramente contenta di vederla.
Dopo i dovuti convenevoli, partì con il racconto di come avevo passato l'estate inventandomi crisi di personalità e risoluzioni lunghe e combattute, qualche litigio tragico che mi aveva fatto sprofondare nel baratro e aiuti miracolosi da parte di persone a me vicine.
Mi ero così calata nel racconto che quando qualcuno bussò, ed entro, pochi secondi dopo (senza neanche aspettare di sentirsi dire avanti), stavo ancora gesticolando e facendo un resoconto dettagliato del perché avevo "deciso di chiudere" con una ragazza che era diventata una mia cara amica durante l'estate e mi aveva ferito, ma la cui unica reale colpa era quella di non esistere realmente.
-"Ah-ah..."continuava a dirmi e ad annuire Federica, in modalità faccia realmente interessata e presa.
-"A sei tu caro." disse portando lo sguardo e l'attenzione sul ragazzo dietro la mia sedia.
Mi girai a tre quarti per vederlo.
Forse è Marco.
Un altro suo paziente (anche se sapevo che Marco avrebbe aspettato il permesso prima di entrare).

Non potevo essere più lontana dalla realtà, l'essere che avevo davanti, o meglio dietro, era un ragazzo sì, ma non era Marco...
Fede si alzò e andò a salutarlo.
-"C'è l'hai fatta a venirmi a trovare, non ho raccomandato altro a tua madre, è da una mattinata che ti aspetto." disse con una finta aria di rimprovero, poi gli diede un buffetto con aria bonaria, come si fa con i bimbi.
Se la situazione non fosse stata tragica mi sarebbe venuto da ridere.
-"Lo so, lo so Chica, ma ci sono quelle cose chiamate lezioni. Sono potuto venire solo ora che facciamo pausa pranzo", la sua voce pacata scatenò in me ondate di puro panico.
Sentivo chiaramente nella testa il segnale d'allarme chi mi diceva di scappare, nascondermi sotto la scrivania o buttarmi dalla finestra, ma non avrei fatto altro che peggiorare le cose. Scivolai con il sedere più in giù e girai lentamente la testa in modo che i capelli potessero nascondere il viso, con la speranza che magari non mi avesse visto, nonostante ero rimasta fino a quel momento voltata totalmente nella sua direzione con le mani conficcate nel poggia gomito destro della poltroncina e sul volto un' irrimediabile aria da idiota.
E infatti la fortuna continuava a non girare per me.
-"Oh Cassandra lui è figlio della mia più cara amica, si chiama Alan."lo presentò cordiale Federica, che a quanto pare non sapeva leggere il linguaggio del corpo o era molto brava a fingere di non vedere la mia espressione totalmente imbarazzata.
Rimanendo seduta, senza neanche raddrizzarmi, gli porsi la mano. E, di nuovo, ci presentammo.
-" Ciao!" Alan aveva stampata in faccia un evidentissima espressione che diceva " Ma tu guarda quanto è piccolo il mondo.." 

-"Sai Chica, io e Cassandra ci siamo già conosciuti ieri, a un compleanno di amici comuni."aggiunse lui, con la solita schiettezza che, avevo già capito, lo contraddistingueva.
La mia faccia divenne se possibile ancora più glaciale.
-"Ma va"disse lei incredula.
-"Cassandra odia le feste! Ma se ha incontrato te sono contenta che ci sia andata."finì poi col dire sorridendo compiaciuta.

Ok. Basta così!
-"Bene Federica, per oggi abbiamo finito no? Alla prossima."dissi, sbrigativa.
-"C-certo ok. A venerdì allora."
Aveva una faccia interdetta, perché in genere solo lei poteva chiudere le sedute, io al massimo potevo dirle che potevo restare poco e lei mi accorciava l'ora. Era la prima volta che mi permettevo una cosa del genere, (era come se avessi surclassato il suo ruolo) e tutto per colpa di quell'imbecille.
-"Devo andare anche io Chica, sto morendo di fame e rischio di rimanere a digiuno proprio il primo giorno." la salutò Alan abbracciandola, mentre io ero già quasi alla porta.
-"Certo tesoro vai anche tu, Cassandra ti farà vedere dov'è la mensa."
Ma mannaia la Malesia...
Uscimmo insieme dall' ufficio, lui mi aprì la porta e mi fece uscire per prima.
Un atteggiamento da vero gentleman non c'è che dire.
Ma io ero troppo impegnata a ignorarlo esplicitamente per dare peso a simili carinerie.
Seduto su una delle sedie addossate al muro c'era Marco, anche se mi stava simpatico non eravamo così amici, quindi, in genere, non intrattenevamo chissà quali grandi conversazioni a parte un "Ciao-ciao".
Ma decisi di fermarmi, prima di tutto perché speravo che Alan capisse e sloggiasse fuori dai piedi, a cercarsi la mensa da solo, e poi perché "L'educazione prima di tutto Cassandra, non dimenticarlo!" mi rimbombò la petulante voce di mia nonna Agata in testa.
-"Ciao"lo salutai.
-"Ciao, hai già finito?"chiese dubbioso.
-" Si vado a..."non riuscì a finire la frase.
Non perché non sapessi dove stavo andando, ma perché non volevo che Alan sentisse. Mi resi conto che stavo diventando paranoica e mi dissi di smetterla.
E' solo un ragazzo non una bestia di Satana...
Il mio essere schiva nei suoi confronti era dovuto al fatto che era molto intuitivo e aveva già scoperto qualcosa sul mio conto con il quale avrebbe potuto benissimo ricattarmi a vita, quindi non volevo "giustamente" che scoprisse altro su di me.
-"Vado a pranzare." finì di dire prima che il silenzio diventasse troppo prolungato. Ed io sembrassi più "mentalmente confusa" di quanto già non lo fossi.
-"A ok, ci vediamo allora." Si alzò mettendosi lo zaino in spalla e si diresse verso la porta dell'ufficio.

Ripresi a camminare con Alan che mi seguiva imperterrito, attraverso i corridoi, salendo e scendendo scale. Mi sembrava di avere una guardia del corpo (anche vista la stazza di colui che mi seguiva) se non fosse che non mi sentivo per niente al sicuro.
-"Questa non è la strada per la mensa." disse messamente.
Le mie converse frenarono bruscamente producendo un suono stridulo che rimbombò in tutto il corridoio vuoto.
-"Allora lo sai dov'è!!" mi girai a fulminarlo con sguardo accusatorio.
-"Certo che lo so, questa scuola è minuscola. Pensavo che dato che dobbiamo andarci entrambi potevamo andarci insieme"
Touché.
-"Devo posare un attimo i libri nell armadietto".
Sta a vedere che adesso mi devo anche giustificare. Le cose stanno proprio degenerando
Attuiamo un piano di attacco.
.

-"Cosa hai l'ora dopo?"mi chiese.
Non risposi.
Ripresi a camminare, dopo aver posato la mia roba nell'armadietto, stavolta dirigendomi davvero in mensa.
-"Che tipi di dolci fanno?"continuò lui.
Silenzio.
Lui forse non sapeva che avevo un fratello.
Posso continuare con la guerra del silenzio tuuuttooo il giorno, caro.

-" Sei di poche parole eh? O forse non ti piacciono i convenevoli. Per quanto io penso che siano indispensabili nella società. Cioè pensa al genio che ha pensato per la prima volta "parliamo del tempo". Che poi si è e evoluto nelle mille varianti di "Come stai?e la mamma, la sorellina, il bisnonno? E come va a scuola? E la fidanzatina? E dove hai parcheggiato?" Ma i più raffinati arrivano a intrattenere anche intere conversazioni riportando altre conversazioni avvenute con gente più o meno importante. Tutto questo per non dover sentirsi vivi o semplicemente empatici nei confronti di un altro essere umano, per evitare di guardarlo nell'anima e limitarsi a guardargli gli occhi (o un punto indefinito della sua faccia)."
Wow.Una filippica molto profonda non c'è che dire...pensai sarcastica.
Ma io non avrei di certo mollato per il primo stoccafisso che mi parlava delle sue elucubrazioni sull' inconsistente ridicolaggine del genere umano.
-"Tu per esempio hai dei begli occhi."mi disse cercando di guardarmi in faccia, ora che mi aveva raggiunto e mi camminava a fianco. Ma io voltai volutamente la testa, cercando di nascondere il leggero rossore che mi copriva le guance.
Potevo fare la sorda, sì. Ma non la cieca, e non riuscivo essere impermeabile ai "complimenti" di quel marcantonio. Non ancora almeno.
-"Quando ti togli quell'aria truce almeno." continuò sardonico.
-" E comunque tornando al dolce" disse
-"Spero che facciano la panna cotta, in tal caso la prenderei con i mirtilli e non al caramello, ma se ci fosse il budino lo prenderei senza dubbio al cioccolato....
Il classico cioccolato...Il caro vecchio banale cioccolato...." dopo il mio ennesimo silenzio, (che valeva più di mille parole), disse:
-"Cassandra, guarda che ti conviene che io parli di stupidaggini piuttosto che di quello di cui vorrei realmente parlare. Sono piuttosto sicuro che non la prenderesti bene..." Quindi ora passiamo alle minacce!? Pensai, con un sorriso diverto sul volto, continuando a camminare imperterrita.

Ormai eravamo davanti alla porta, spinsi il maniglione  antipatico rosso e con lo sguardo cercai le ragazze. C'era troppa gente, troppa confusione.
Tutta quell'euforia del primo giorno.
Mia mi fece cenno dal fondo della sala, da un tavolo ben illuminato che si trovava vicino ad una delle portafinestra. La salutai e mi misi in fila, che per fortuna era abbastanza scorrevole.
-"Ok allora."fece lui rassegnato e compiaciuto al tempo stesso.
Sì, avevo ancora Alan dietro, si era messo in fila con me.
-"Da quanto vai dalla psicologa scolastica?"
Fu più forte di me. Mi voltai di scatto con la testa e lo fulminai con lo sguardo.
Eravamo entrambi appoggiati alla struttura di ferro che ci portava a creare il serpentello della coda. La vicinanza dei nostri corpi, e la rilassatezza con cui erano buttati contro la struttura davano un segnale molto equivoco di persone che si trovano a loro agio.
Ma non volevo essere io a retrocedere e a sembrare una strana, doveva essere lui. Cercai di assumere una faccia sempre più glaciale, che non scalfì minimamente la sue espressione rilassata, così come lo sguardo che gli avevo lanciato prima. Non aveva paura.
Non gli facevo né caldo né freddo e la cosa mi fece arrabbiare ancora di più.
-"E tu da quant'è che la chiami Chica?"sputai fra i denti.
Ma che diamine sto facendo, pensai scioccata, perché non tengo mai la bocca chiusa!?
Almeno riuscì a zittirlo.
-"Ottima osservazione" rispose lui, felice che avessi improvvisamene trovato la parola.
-"Sinceramente non mi ero reso conto di chiamarla così. Lei  è davvero la migliore amica di mia madre. Del tipo che ti insegna a camminare e come allacciarti le scarpe. Comunque te lo chiedevo perché mi sembravate molto intime prima...la chiamavi Federica.." disse lanciandomi uno sguardo con la coda dell'occhio.
-"Ma è lei che mi obbliga a chiamarla per nome!" sbottai perdendo la pazienza.
Nel frattempo nella mia testa una vocina mi urlava "Ma vuoi stare zittaaaa!!"

-"Ah ecco. Immaginavo."fece lui  
-"Cosa prendi?" mi chiese poi facendo scivolare lo sguardo sulla vasta gamma di cibarie.
Non gli risposi.
Nel frattempo cominciai ad ordinare. Mentre aspettavo che mi riempissero il vassoio disse tra il pensieroso e il divertito
-" Ma l'unico modo per farti parlare è provocarti?"
Conta fino a cento....Uno, due, tre...
-"Mi sembra un po' infantile."
Quattro, cinque, sei...
-"Cioè lo trovo divertente è vero, ma un po' stressante..."
Presi il vassoio e senza aspettarlo me ne andai.
-" Ehi!" protestò lui.
Mi diressi al tavolo dove mi aspettavano le ragazze. Accelerai e mi sedetti in scivolata.
-" Se si avvicina, allontanatelo." sussurrai.
-"Chi???" dissero tutte in coro ma con intenzioni diverse.
Mia era spaventa, come se qualcuno stesse minacciando alla mia vita. Illa aveva un'espressione scettica, con sopracciglio alzato e ghigno schernitore. Samantha aveva un cucchiaio in mano, che aveva un aspetto particolarmente minaccioso impugnato in quel modo. E Barbara si guardava intorno interessata, in cerca della persona che volevo evitare. Sicuramente Samanta e Barb pensavano mi stessi riferendo a Mattia.
Guardai meglio i posti del tavolo e mi resi conto che ce n'era uno libero.
Dannazione. 

Propio in quel momento mi passò accanto Vince con il vassoio vuoto in mano.
-"Ei Vince ti siedi un attimo."
Mi guardò scettico.
-" Emh..no?",disse imperturbabile.
-"Ti prego!" lo implorai con lo sguardo.
Sperai che la sua dipendenza dal fumo gli desse un attimo di tregua.
-"Ok" rispose dopo un po', incuriosito dal mio comportamento, e compiendo il giro del tavolo, sempre molleggiando su quelle sue gambe lunghe. 
Lui e Alan toccarono lo schienale della sedia vuota contemporaneamente.
Con la differenza che Alan rimase educatamente titubante per un secondo e ritirò la mano.
Fu quel secondo a fregarlo, perché Vince spostò la sedia e si sedette senza troppi complimenti.
-" Occupato." gli disse sfottendolo.
In genere la gente aveva paura di Vince, in una situazione del genere molti primini me li sarei immaginati già svenuti a terra. Invece avevo capito che Alan non si faceva intimorire facilmente, gettò uno sguardo al  vassoio vuoto e poi lo riportò sul viso del proprietrario senza parlare.
-"Ti ha detto che è occupato.", disse Samantha guardandolo torvo, impugnando sempre il cucchiaio come un'arma.
Lui non sembrò fare caso al cucchiaio, né ai muscoli tesi di Vince, pericoloso, propio perché gli serviva solo una scusa per scattare.
Mi guardò per un secondo.
-"Ok" disse solo. -"Ciao Illa"
E se ne andò.
-"Ciao Alan."rispose lei serena.
Appena si allontanò Barb mi chiese
-" Perché lo eviti?" contemporaneamente a Vince, che disse
-"Che vuole da te?" Mentre sospettoso, continuava a seguirlo con lo sguardo.
Mi accasciai sul tavolo.
....Sono fottuta....

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Capitolo 7
*** Il compromesso ***


cap 7 -"È uno stolcker!"
-"È un figo!"
-"È uno stolcker!!"
-"È un figo!!"
-"È. Uno. Stolcker."
-"Ma è un figone!! Magari uno così mi stolckerizzasse..." 

Questa era la conversazione che stava avvenendo al mio tavolo, e che stava andando avanti già da cinque minuti, fra Mia e Barb. 

Contemporaneamente Samantha e Vincenzo esprimevano il loro odio spontaneo e naturale nei confronti del suddetto stolcker/figo (la disputa era ancora irrisolta) e di tanto in tanto gli lanciavano occhiate cariche di sospetto, come una mamma volpe che osserva un serpente, che dal fondo della radura si avvicina ai suoi piccoli che giocano e si rotolano sereni. Il serpente non sarebbe mai riuscito ad arrivare vivo fino a loro. 
Ok devo dire a mio fratello di darci un taglio con Discovery Channel.
Mentre Illa, di fronte a me a destra, mi guardava con le braccia incrociate come a dire "Ei! Ciao! Quando vuoi parlare, io sono qui, fai con comodo." 
Da quando Alan si era allontanato dal nostro tavolo si era scatenato il caos, mi erano state sputate contro così tante domande che decisi di non rispondere a nessuna e di limitarmi a fissare i miei piatti pieni sul vassoio, tecnica che stavo adottando tutt'ora. 
Illa si era allora autoincaricata di rispondere alle domande più banali, su cui poteva dare qualche informazione in più. 
-"Chi è questo meraviglioso esemplare di essere umano?" (Barb)  
-"Si chiama Alan Del Giudice." (Illa)  
-"Da dove viene?" (Mia)  
-"Non ha un posto che protraemmo definire "casa". So che a causa del lavoro di suo padre la famiglia viaggia spesso. Però sua madre è originaria di Leone, infatti molte estati sono venuti a stare alla loro residenza estiva." 
-"Residenza estiva?!", fece Vince disgustato  -"Perché ora dove risiedono, lor signorie???" 
-"Hanno comprato una villa in città.", rispose Illa guardandolo come a dire "Se se lo possono permettere, di che ti impicci?!"   
-"E quanto rimarranno?", chiese Samantha astiosa.  
-"Oh Sammy che vuoi che ne sappia! Saranno fatti loro. Sono "amici di famiglia", ma non così amici. Di sicuro, avendo comprato, e non affittato, una casa...progettano di rimanere qui un bel po'." 
-"Mi sembra un po' strano.." osservò Vince sospettoso -"Gente come loro.. abituata a vivere in città come : New York, Dubai, Tokyo, che viene a vivere in questa merdosa città del sud Italia." 
-"Non sai dove hanno vissuto. E poi qui è sempre casa loro!" ribattè ,scoccandogli un'occhiataccia, Mia e poi aggiunse-" Forse ora la sua famiglia cerca tranquillità ed ha giustamente pensato di tornare alle origini.." 
-"Ma quindi fatemi capire oltre che a essere bello è anche ricco? E quanti anni ha?" chiese eccitatissima Barb. 
-"Se non mi sbaglio ha la nostra età. Ma era più amico di Mattia che mio, ma forse perché era l'unico maschio della famiglia, oltre ad Andrea, che era troppo piccolo all'epoca per interessarsi ai loro giochi."  
-"Che epoca?" chiese Mia curiosa.
-"Beh io mi ricordo di lui fino agli..undici-dodici anni. Poi la sua famiglia smise di tornare qui per l'estate." rispose Illa come dispiaciuta di aver perso di vista Alan per così tanto tempo.
Per un attimo quel ragazzo mi fece pena. In fondo era appena arrivato e non aveva di certo già trovato molti amici.
Io, dal canto mio, non ero stata per niente gentile con lui, ed anzi, gli avevo rivoltato contro, anche se involontariamente, già due persone. Se solo avesse parlato con un po' meno schiettezza, o fosse stato come gli altri ragazzi, non lo avrei di certo trattato così male, pensai.
Chissà quanti ragazzi stavano parlando di lui ora. " Il nuovo arrivato"..."Carne fresca".
Quella scuola era piccola, ma non era di certo semplice viverci.

Comunque, da lì si diramarono i due discorsi tuttora in atto, ( la disputa e la dichiarazione di guerra), ma naturalmente ero io la diretta interessata, tutti aspettavano che ritornassi dal mondo dei sogni e dessi segni di vita per potermi a farmi il terzo grado. S
tranamente Vince, che prima aveva così tanta fretta, era ora, invece, comodamente spalmato sulla sedia. Si era girato una sigaretta che aveva sistemato dietro l'orecchio, e stava con un braccio buttato penzoloni dietro lo schienale della sedia, e l'altro poggiato placidamente sul tavolo, con le gambe talmente divaricate da toccare con una Illa e con l'altra Mia.
-"Non andavi di fretta?", gli chiesi brusca.
-" No dolcezza. Ho tutta la giornata." disse sarcastico con serenità, poggiandosi con entrambi i gomiti  e gli avambracci sul tavolo e mettendo le mani una nell'altra.
La posizione della schiena, piegata in avanti e tesa verso di me, indicava il suo chiaro interesse alla mia improvvisa resurrezione nonché alle mie future e chiarificatorie risposte.
-" Non vuoi fumarti una sigaretta?" lo incalzai ancora, sapendo che la sua dipendenza dal fumo è tale, che se sente parlare di sigarette sente anche la necessità di fumarle.
-" Vedi tesoro, vorrei. Ma non voglio rovinarmi la giornata.", ammiccò verso le scale antincendio.
-"Cioè?", gli chiesi scettica.
-" Cioè io ora andrò a fumare per rilassarmi, ma se troverò mio fratello lì che fuma, e al 90% sarà così, dovrò dirgli che deve smetterla prima che gli spezzi le ossa, e lui mi dirà di farmi i cazzi miei, al che io sarò costretto a mollargli un destro, per ricordargli chi è il fratello maggiore, gli farò male e gli verrà un occhio nero. Occhio nero, che stasera mia madre noterà e per cui si incazzerà con me dandomi del cattivo fratello maggiore, quando tutta l'intenzione iniziale era agire per il bene di quell'ingrato, o peggio ancora lo dirà a mio padre che farà a me un occhio nero. Ecco come mi rovinerei la giornata."
Appena finì il suo discorso la porta delle scale antincendio si aprì con un cigolio e sull'uscio comparvero Michele e altri due ragazzi della sua età, con cui lui si spintonava per gioco. Vince esalò un respiro esasperato, lasciò cadere in avanti la testa, abbattuto, e la incassò  fra le scapole scrocchiandosi la schiena e le spalle larghe.
Mia, alla sua sinistra, spalancò gli occhi e si allontanò leggermente spaventata.
Io mi ritrovai a chiedermi se Vince avesse mai picchiato una donna. O meglio se mi avesse mai potuto fare del male una volta che avesse scoperto del mio segreto con Michele, o sarebbe più giusto dire, del segreto che io mantenevo per conto di Michele.
Mannaggia a me che non mi faccio mai i fatti miei.
Sperai che la nostra amicizia fosse tanto forte da frenare la sua ira impulsiva.

Vince aveva provato afferrare il budino alla vaniglia di Mia, ma lei, presa da un coraggio che nasceva dal bisogno di affermazione il propio territorio, o del propio cibo, gli girò brusca il polso e se lo riprese.
-" Santo Iddio bambina, tagliati quelle unghie.", disse Vince scioccato.
Di certo aveva sottovaluto la sua forza, lasciandosi ingannare dal suo corpo mingherlino.
-"Allora.." presi la parola rassegnata, facendo un respiro profondo.
-"L'ho incontrato ieri sera alla festa di compleanno dei gemelli, si è avvicinato e abbiamo scambiato due parole. Oggi l'ho rincontrato mentre ero da Fede. Cioè propio mentre ero in seduta da lei. È entrato senza neanche aspettare il permesso. E.."
-"Tipico atteggiamento dei ricchi" mi interruppe Vince, -"Pensano che tutto gli sia dovuto." sentenziò con disprezzo.
Lo guardai scettica, perché i loro atteggiamenti non erano poi tanto differenti..
-"Non è per questo che non lo sopporto." dissi chiaramente.
-"Il punto è che in entrambe le circostanze ha parlato con me...senza peli sulla lingua. Dice tutto quello che gli passa per la testa, senza preoccuparsi di ciò che pensa la gente. Mi ha fatto sentire..."cominciai a dire, ma poi presa dalla codardia finì per dire
-"Voglio dire..è così saccente e presuntuoso. A questo suo atteggiamento di sentirsi sempre a propio agio con tutti e in ogni luogo in cui si trova. È una cosa irritante. E poi non mi mollava. Più io lo ignoravo, più mi veniva dietro!!"
Al tavolo era calato il silenzio da quando avevo iniziato a parlare, ma adesso non volava propio una mosca.
Metà di loro credeva che fossi diventata completamente scema, lo si leggeva dalle loro facce, e l'altra metà aveva capito che stavo nascondendo qualcosa, più specificatamente non avevo riportato quello che ci eravamo detti, neanche una parola, era quello che li insospettiva.
Su cosa si basava allora tutta quella antipatia? Da parte mia poi...sempre pronta a ergermi in difesa e a spezzare una lancia in favore dei bisognosi: nerd, protagonisti dell'ultimo pettegolezzo, ragazzi nuovi. (Anche se il "ragazzo nuovo" in questione non era affatto un bisognoso. Le risate che mi giungevano dal suo tavolo ogni due per tre erano la conferma di come se la cavasse egregiamente risultando simpatico, intelligente e sicuro di sè, come sempre.)
Quei discorsi taciuti aleggiavano nell'aria intorno a noi.
Il punto era che non potevo parlarne, quindi mi sarei accontentata di sembrare scema.
-"A-a" disse Illa, abbandonata sulla sedia, le braccia ancora incrociate sul petto e una faccia che diceva " tu non la stai raccontando giusta, io lo so".
-"Se ti dà fastidio dimmelo." disse semplicemente Vince alzandosi, le mani che già cercavano l'accendino in tasca.
-" Tu non stai bene.", sentenziò Barbara .
-"Ma dico l'hai visto bene?" si allungò con il collo per guardarlo meglio. Per la prima volta anche io mi voltai per guardarlo.
Era un ragazzo normale, parlava amabilmente con il suo gruppo, rispondeva alle domande, ne faceva a sua volta.
Non mi guardava, nessuno al suo tavolo mi guardava. 
Forse si comportava in quel modo solo con me, o forse solo a me dava fastidio che mi si facessero domande così dirette.
Forse ero davvero paranoica.
Presi le posate in mano ed iniziai a mangiare.
-" Secondo me nasconde molto di più di quello che vuole far apparire." concluse Samantha, che se l'era studiato per bene tutto quel tempo. -"Magari è uno strambo."
-" Potrebbe entrare nel nostro club." disse Mia scherzando, ma guardandoci seria una per una.
Non volevo neanche pensarci.


                                                                                                                  *

-"Ragazze dai! Ci siete?" chiese Samanta entusiasta.
Eravamo tutte nello spogliatoio delle ragazze perché di lì a breve avremmo cominciato la prima ora di educazione fisica dell'anno.
Io avevo già finito di cambiarmi e mi sembrava che le altre stessero impiegando il doppio del tempo solo per irritare Samantha. Lei era l'unica ad essere realmente felice di quell'ora sportiva e quasi saltava dalla gioia.
Effettivamente Illa, Barb e Mia non impazzivano per lo sport, la prima era troppo pigra e la seconda odiava sudare e Mia era semplicemente negata per tutto ciò che non fosse la danza classica, la coordinazione occhio-mano non era il suo forte.
Beata lei.
Avevamo dalle due alle due ore e mezza di educazione fisica al giorno e le facevamo tutti insieme, tutti i ragazzi di tutti gli anni. Il punto era che la nostra scuola, che era un "normalissimo" liceo classico, sembrava molto impostata sul modello di istruzione spartano, era come se il nostro motto fosse "mens sana in corpore sano" (una mente sana in un corpo sano).
Quindi tutti eravamo obbligati a fare uno/ due sport a testa...alcuni arrivavano persino a tre.. Ed io non sapevo assolutamente come ci riuscissero dato che comunque entrare in un corso sportivo richiedeva impegno e partecipazione costanti. I più fortunati erano "relativamente" esentati a causa di problemi di salute (dico "relativamente" perché dovevano comunque frequentare la palestra interna) o di inappetenza e "incapacità" personale.
A Mia veniva permesso di fare una sola attività sportiva (danza, nel suo caso classica), e veniva lasciata in pace per tutto il resto.
Io non ero così fortunata.
Il primo anno ci hanno fatto fare tre ore di test sulle nostre capacità fisiche. Un inferno, sembrò di essere in una scuola militare o in un campo di prigionia.
Cominciarono a farci scalare pareti, arrampicare su delle corde, ci scaraventarono palloni da pallavolo e da basket contro (per testare la nostra velocità oltre che in nostri riflessi) e tutti, il giorno dopo, furono mandati nel corso più adatto a loro, i più fortunati o i più bravi riuscirono persino a vedere accettate le loro richieste.
Io il primo anno fui messa nel corso di pallavolo ( non andò bene). Purtroppo per me il mio corpo, piccolo e agile aveva scansato con troppa facilità i palloni, e scalato con eccessiva sicurezza le pareti, tanto da farli pensare di aver trovato "l'oro".
Quanto si sbagliavano.
Mi guardavo intorno confusa e a disagio, come ogni anno, sperando che quel momento passasse in fretta. Il chiacchiericcio crescente e il rumore di  deodoranti spray, di borsoni che venivano lasciati cadere a terra e armadietti che sbattevano, andavano a formare un costante rumore di sottofondo.
Mentre tutte le ragazze intorno a me ridevano e parlottavano fra loro, nonostante alcune non fossero propio entusiaste dell'ora di ginnastica, io chiusi gli occhi, mi appoggiai con la schiena al sostegno di legno della panca e cominciai a respirare lentemente tentando di calmare il tic nervoso della gamba che si muoveva da sola su e giù.
Non amavo i luoghi troppo affollati perché mi mettevano a disagio, ma la mia agitazione era dovuta più che altro a un brutto presentimento.
A un tratto dalla porta sulla mia destra giunse una voce conosciuta
-"Permesso?? Ragazze posso entrare?? Sono già passati quindici minuti. Sù! Stiamo perdendo tempo! Tutte fuori, vi devo parlare".
Il professore Calosoma, un bellissimo uomo suoi trent'anni, a cui stavano per venire i primi capelli bianchi, aveva urlato tutto questo facendo capolino nello spogliatoio femminile con una mano poggiata sugli occhi (accortezza inutile perché eravamo tutte vestite).
Samantha mi prese per un braccio e mi trascinò fuori. In genere trovava in me una valida alleata. Anche io amavo l'ora di ginnastica potendo correre o nuotare, ma quella volta sentivo che era diverso. Sentivo che qualcosa sarebbe andato storto e che sarebbe stato meglio se mi fossi messa sin da subito in guardia.


Il coach cominciò a fare un discorso di benvenuto che era  un misto fra un compiacersi delle vittorie e dei traguardi passati e un incoraggiamento per quelli che avremmo raggiunto in futuro. Accanto a lui c'era la professoressa Rebecca Grimaldi, una giovane donna sui venticinque anni, gentile e solare.
Lui gestiva: pallavolo, calcio, scherma, corsa e nuoto e lei: ginnastica, danza, tiro con l'arco, palestra e arrampicata. Si spostavano in continuazione tra le varie postazioni per seguire tutti gli studenti, ma ogni postazione aveva un proprio assistente, che in genere era un ragazzo poco più grande di noi, e che spesso era appena uscito dalla nostra scuola e non essendo andato all'università preferiva percepire un piccolo guardano da assistente, in genere per un breve periodo.
Mattia era l'assistente dì basket da due anni. Cosa che non aveva sopreso nessuno dato che era stato pochi anni prima il campione indiscusso, e aveva riportato a casa vittorie che ancora venivano ricordate e celebrate da tutti i ragazzi.
Gli assistenti, ragazzi e ragazze, erano tutti in fila dietro il coach, alla parete. Tutti con la stessa divisa: maglietta grigia e pantaloncini viola, al posto della nostra tuta: maglietta grigia e pantaloni blu. Tuttti con le mani dietro la schiena e un fischietto al collo.
Alcuni di loro, i meno severi, salutavano affettuosi e amichevoli i loro beniamini e i loro amici e allievi cercando di non farsi vedere, ma la maggior parte manteneva un aspetto serio e rimaneva assolutamente fermo.
Mattia, rimaneva serio quando il professore si voltava dalla sua parte e salutava praticamente tutti quando si rigirava verso di noi. La nostra non era una scuola militare, ma il suo atteggiamento mi dava ai nervi per la sua incoerenza e mi sembrava propio un presa in giro.
Fu per questo che feci un'azione irrazionale, impulsiva e azzardata. Proprio mentre il coach stava passando lo sguardo lungo la mia fila, mentre continuava a parlare, io feci un sorriso a trentadue denti e mi sbracciai in direzione di Mattia, come se avesse appena cercato la mia attenzione e mi stesse salutando clandestinamente.
Il professore si interruppe bruscamente e si voltò a vedere a chi era rivolto il mio saluto tanto entusiasta. Quando vide la faccia dubbiosa (con tanto di sopracciglia aggrottate) di Mattia, capì subito.
-" Marconi!!" escamò furioso. -"Finiscila di importunarmi le studentesse."
-"Sì professore, mi scusi" rispose Mattia con stoicismo e spirito di sacrificio notevoli.
Il mio sorriso sbilenco soddisfatto e trionfante era inequivocabile. Così come la sua espressione intensa da" prima o poi me la paghi". 
Mia cominciò a ridere sotto i baffi e Barb mi guardò male come per rimproverarmi, invece Illa avvicinò, piano e senza farsi vedere, la mano chiusa a pugno.
Ci scambiammo un'occhiata d'intesa mentre le nocche delle nostre mani chiuse a pugno si toccarono in un trionfo di intesa silenziosa, ma non per questo meno vittoriosa e compiaciuta.
Il professore e la professoressa cominciarono a fare il nome degli studenti e li indirizzarono verso quelli che sarebbero stati i loro sport per tutto l'anno.
La maggior parte non aveva avuto grandi sorprese perché dopo tre anni sia loro che i professori avevano capito dove indirizzare le loro capacità per sfruttarle al meglio. Poi arrivò il mio turno.
-"Artesi!?..Basket".
Sentì le mie amiche trattenere il fiato e molti intorno a me cominciare a ridere o tentare di camuffare le risa sotto colpi di tosse.
Volete scherzare!? Io? Basket?
Ero alta la metà di tutti quelli della squadra di pallavolo. E la metà della metà di quelli di basket.
Poi guardai Mattia, il suo sorrisetto compiaciuto mi fece capire che la sapeva lunga.
-"Artesi, ci diamo una mossa?" disse il professore spazientito.
Mi incamminai verso Mattia e i ragazzi che avevano cominciato a radunarsi intorno a lui.
-"Cosa centri con questa storia?" gli chiesi cercando di restare calma.
-"Non c'entro nulla." rispose con un sorriso innocente.
-"Dimmi la verità!" gli dissi fissandolo negli occhi.
-"Non tocca a me dirtela." mi rispose indicando con il mento verso il coach propio mentre la professoressa fece il nome di Alan Del Giudice e lo assegnò a basket, nuoto e calcio (un carico del genere non era mai stato assegnato ad uno nuovo, quindi doveva aver richiesto lui di far parte di tutti quei corsi e che avrebbero in seguito valutato se era capace di gestire un caric così pesante).
Mi allontanai subito da Mattia e aspettai che finissero di chiamere tutti i nomi.
Mia fu indirizzata come sempre a danza, Samanta a calcio (avrebbe fatto anche tiro con l'arco e scherma) e Illa a scalata e ginnastica artistica e Vince basket, nuoto (e stranamente anche calcio).
Quest'anno si ammazzerà. E poi farà gli stessi sport di Alan, si scanneranno entro la prima settimana.
Le ragazze e Vince avevano confermato le attività degli anni prima. E io? Cos'era questa discriminazione gratuita?
Appena tutti se ne furono andati ad iniziare le loro attività, e io fui salutata dalle ragazze con aria contrita e con cenni d' incoraggiamento.
-"Professore posso parlarle?", lo chiamai andandogli in contro, mi senti sentì subito strattonare indietro da un braccio
-"Che fai?" sibilò Mattia.
Con uno strattone tolsi la sua presa sul mio braccio e mi avvicinai al professore.
-"Nel mio ufficio Artesi." acconsentì  lui con rassegnazione.
Entrammo nella stanza poco illuminata e piena dì scartoffie, alle pareti raffigurazioni del corpo umano, medaglie, premiazioni varie e foto.
Centinaia di foto della Grimaldi e di lui con tantissimi studenti. Era questo che mi piaceva di Calosoma...aveva un lato umano e non lo nascondeva.
-"Io non posso fare basket. Mi ha vista bene? Non sono nemmeno alta 1.58, o vuole che mi uccidano e sembri un incidente...."cominciai tutto d'un fiato.
-"Calma, calma. Ora ti spiego. È una cosa semplice." mi bloccò lui con la solita voce calma da stratega.
-"È troppo semplice per te correre o nuotare. Sono sport in cui sei brava. Voglio spingerti oltre, voglio lanciarti una sfida. Perché sono convinto che tu la saprai cogliere e la saprai superare."
BULLSHIT. Stronzate! Un sacco di stronzate...ed io me le dovrei bere!?
Abbassai gli occhi e d'improvviso provai un sentimento nuovo, fui investita da un ondata di ribellione e per la prima volta non accettai la decisione di un adulto, di un professore.
-"Perché propio il basket?", gli chiesi nascondendo appena la rabbia e guardandolo negli occhi. -"Poteva iscrivermi a quel suasi altro corso."
-"Perché Marconi si è offerto di aiutarti e di aver un occhio di riguardo nei tuoi confronti."
A ecco...
-"No!"
-"Come scusa?!" mi chiese incredulo.
-"Ho detto no." risposi senza scompormi. -"Io voglio correre."
-"Vedi Cassandra, siediti" mi indicò la sedia.
-"Sarò chiaro con te. Siamo una piccola scuola, abbiamo molta competizione. E dobbiamo offrire molte opportunità, come ottimi corsi di approfondimento o una vasta gamma di sport fatti bene e poi dobbiamo metterci in mostra, dobbiamo gareggiare, dobbiamo riportare vittorie. Non è una cosa semplice, ma va fatta, e ognuno deve dare il suo contributo, volente o nolente. E tu.." pre un pausa, mi lanciò un occhiata contrita e continuò
-"Tu Artesi, non lo stai dando. Ho provato a spronarti in tutti questi anni e non ho ottenuto niente, quindi ora stavo addirittura pensando di farti provare tutti gli sport, una settimana ciascuno, a rotazione in modo da trovare quello più adatto a te."
-"La corsa è lo sport più adatto a me!"dissi senza più riuscire a trattenersi.
-"Ah sì? Curioso che tu lo dica con così tanta convinzione, perché alla fine non hai riportato tutti questi grandi risultati."
Aveva raggione. Non avevo mai voluto gareggiare quindi anche mentre correvo non mi spingevo mai fino al mio massimo.
-" Ma Mia Bennini, per esempio, può fare un solo sport. Quello per cui ha fatto domanda. Perché io no?"
-"Mia ha già vinto due secondi posti gli anni passati, e anche il suo lavoro con gli altri ragazzi è ottimo. Tu non ti sei mai cimentata seriamente in nessuna gara, e non hai mai fatto lavoro di squadra.."
Ci guardammo. Potevo benissimo scoppiare a piangere in quel momento, ma la mia rabbia nei suoi confronti era troppa per dargli una tale soddisfazione.
Non volevo passare un intero anno con Mattia e con Alan, con una squadra di persone che mi avrebbe schiacciata e sballottata senza ritegno e a fare uno sport che per mancanze fisiche non poteva essere il mio.
-"Non mi odiare, ok?" si mise a ridere di gusto -"Sai qual'è l'unico sport in cui da anni facciamo davvero schifo?"
Cominciai a capire dove voleva andare a parare..
-" Brava hai indovinato, propio la corsa, dimostriamo una carenza spaventosa. Ti propongo un compromesso: io ti lascio correre, ma tu ti allenerai seriamente e poi parteciperai alle gare a cui ti iscriverò e nel frattempo farai basket. E se ti atterai  al patto, come spero che intelligentemente farai.. Farai tre ore di corsa e solo una di basket a settimana, invece che due e due.Ci stai?"

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