i figli del vento

di Elisa24g
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2.1 ***
Capitolo 3: *** 2.2 ***
Capitolo 4: *** 2.3 ***
Capitolo 5: *** 3.1 ***
Capitolo 6: *** 3.2 ***
Capitolo 7: *** 3.3 ***
Capitolo 8: *** 4 ***
Capitolo 9: *** 5 ***
Capitolo 10: *** 6. ***
Capitolo 11: *** Teresa ***
Capitolo 12: *** 8 ***
Capitolo 13: *** Teresa ***
Capitolo 14: *** 10 ***
Capitolo 15: *** Teresa ***
Capitolo 16: *** Stefan ***
Capitolo 17: *** 13 ***
Capitolo 18: *** Stefan ***
Capitolo 19: *** Teresa ***
Capitolo 20: *** 16 ***
Capitolo 21: *** I fantasmi ***
Capitolo 22: *** Stefan ***
Capitolo 23: *** Teresa ***
Capitolo 24: *** 20 ***
Capitolo 25: *** 21 ***
Capitolo 26: *** 22 ***
Capitolo 27: *** 23 ***
Capitolo 28: *** 24 ***
Capitolo 29: *** Teresa ***
Capitolo 30: *** Teresa ***
Capitolo 31: *** Teresa ***
Capitolo 32: *** Teresa ***
Capitolo 33: *** 33 ***
Capitolo 34: *** 34 ***
Capitolo 35: *** 35 ***
Capitolo 36: *** 36 ***
Capitolo 37: *** 37 ***
Capitolo 38: *** 38 ***
Capitolo 39: *** 39 ***
Capitolo 40: *** 40 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Di lei si diceva che fosse una bella ragazza, resa triste dalla vita. Aveva lunghi capelli ramati, che teneva sempre intrecciati, e, come veste, indossava una tunica marrone dalle maniche larghe.

Si diceva anche che fosse nata da qualche incrocio inumano: forse dall'unione di un uomo con un animale, o da un incesto, o una violenza. Fatto sta che era considerata un mostro dalla maggior parte delle persone.

 

Guardandola si rimaneva ammaliati dalla bellezza del suo viso, dal colore intenso dei suoi occhi, azzurri con venature più scure, ma spostando lo sguardo agli arti tutti rimanevano  inorriditi. Le gambe erano ricoperte da peli neri e lunghi, che la riparavano dal freddo, lo stesso si vedeva nelle braccia, mentre alle mani ed ai piedi, che erano sempre scalzi, aveva lunghe unghie affilate. Infine guardandole i denti si provava terrore per quanto fossero aguzzi. Sì, molti credevano che fosse nata da un animale.

 

 Non era cattiva, secondo alcuni, per altri invece era dotata di poteri spaventosi, da poter uccidere un uomo anche solo con la forza del pensiero. 

 

Viveva in una casa isolata dal resto della città, in un bosco, per sua scelta o forse per quella di qualcun altro. Era sola e nessuno osava avvicinarsi.

 

I suoi genitori l'avevano abbandonata al suo destino molti anni prima, quando, appena nata, la Signora del Vento venne a dirgli che quella piccola bambina, ancora dalle apparenze umane, le apparteneva. 

 

<>urlò suo padre, cercando di difenderla.

 

<> rispose la Signora del Vento.    

 

<> chiese sua madre, con voce timida, mentre stringeva al petto sua figlia.

 

<> disse indicando l'uomo, <> le venne risposto.

 

<> le sue parole erano così scioccanti, quasi da far ridere, da pensare che fosse pazza, eppure il suo viso sembrava sincero e, soprattutto, pericoloso.

 

<> rispose con voce glaciale e sparì.

 

Rimasti soli, fissarono la piccola, dal viso dolce e paffuto, le gambette che si muovevano svelte ed i piedini così perfetti. Come poteva essere Figlia del Vento? Era figlia loro, non c'erano dubbi. Crederono che si fosse sbagliata e decisero di allevare la loro piccola. 

 

I giorni seguirono le notti, e la vita continuò tranquilla. Poi, con il tempo, le gambe iniziarono a crescere, coperte da una pelle strana, morta, rimpiazzata da peli lunghi e neri. Sapevano cosa stesse succedendo, ne avevano sentito parlare nei racconti, nella mitologia, ma continuavano a fingere che non fosse vero, che si stessero sbagliando. Poi iniziò a camminare e perfino a correre, così veloce che sembrava volasse. La sua forza cresceva a dismisura, di pari passo con i suoi bei capelli. Sapevano che di lì a poco sarebbe stata pericolosa. 

 

Nei racconti, gli esseri nati metà Vento metà uomo erano crudeli, affamati di sangue e di violenza, così, con il cuore distrutto, un giorno la presero e la portarono alla casa nel bosco, lasciandola lì, dopo un anno dalla sua nascita. 

 

Poi arrivò la Signora del Vento e si occupò di lei: le insegnò come uccidere, come controllare gli animali, come dominare sul mondo. Era l'ultima nata, quindi sarebbe dovuta restare in quella casa ancora per qualche tempo, prima di poter uscire da lì e raggiungere gli altri, <>.

 

Molte volte gli abitanti della città vicina pensarono di ucciderla finché si fosse trovata lì in quella casa, ancora abbastanza innocua, ma la paura della Signora del Vento era troppo forte per potersi avvicinare.

 

~~~~~~~~~~~~~~~~~

 

Quarant'anni prima che tutto ciò avvenisse, i Figli del Vento decisero di attaccare i villaggi vicini, in cerca di donne per continuare la stirpe; un rituale che purtroppo si ripeteva nel corso degli anni, ogni qual volta ne avessero avuto bisogno. 

Non appena varcarono le porte del nostro villaggio, il mio popolo decise di sottomettersi, giurando immediatamente fedeltà. 

 

Gli Uomini del Vento erano potenti, muscolosi, dotati di una forza sovraumana, capaci di uccidere anche solo stringendoti la mano. Vestivano con pelli di animali, avevano capelli lunghi e sciolti al vento, loro alleato, e gli occhi colore del cielo. 

Presero le donne del villaggio e le portarono via, in massa. Lasciarono nella città solo gli uomini ed i bambini, persino le vecchie vennero prese. Le condussero nel bosco e da lì lungo un sentiero che portava alla loro immensa città. Le case erano diverse da quelle degli uomini: non avevano porte o finestre ed erano aperte al Vento, senza alcun tetto. Le strade erano attraversate da un lungo fiume, che scendeva contorto dal monte fino ad ogni casa. C'era una piazza ed un altare, dove la Signora del Vento ed il suo Uomo parlavano alle genti.  Volevano accrescere il loro regno, ed avevano bisogno di nuovi Figli. Così presero quelle donne, spaurite, indifese, che si battevano con i denti e con le unghie per evitare lo scempio che sarebbe accaduto di lì a poco.

 

Dopo averle violentate le riportarono alle loro case e non si fecero vedere per nove mesi, fino a quando vennero a riscuotere il premio. 

Per gli uomini la sorte fu diversa, molto più felice. Nessuno di loro venne ucciso o schiavizzato, gli uomini gli servivano a poco, avevano i loro, che valevano molto di più. Solo uno sarebbe servito, ma solo se fosse stato ritenuto degno. 

 

L'origine della nuova regina non poteva avvenire dalla banale unione di un Figlio del Vento con una donna di un villaggio vicino, ritenuto per di più inferiore.

Ella sarebbe dovuta nascere dalla Signora del Vento ed un determinato uomo, con caratteristiche che solo gli Anziani saggi conoscevano. Una volta trovato, avrebbe dovuto lasciare la sua famiglia, la sua vita, per diventare uno di loro. 

 

 Nei nove mesi di gravidanza gli fu insegnato a cavalcare, a combattere ed a parlare come loro; un cambiamento che per lui non fu tragico, anzi. La vita di prima non gli mancava affatto. Aveva una moglie che i suoi genitori avevano scelto per lui, una casa con del terreno da coltivare, una vita semplice, che però non gli dava alcuna soddisfazione. Gli piaceva saper combattere, sentirsi forte e padrone di sé e degli altri: lui era stato scelto, e tutti lo rispettavano. Si riteneva uno dei Figli del Vento e la sua nuova vita gli piaceva molto.

 

Poi la Signora del Vento partorì.

 

<< Maschio >> urlò una delle Anziane dall'altare.

 

Di lì a poco vi fu il caos. Molti urlarono, rabbiosi:

 

<< L'avete scelto voi! E adesso ha dato un maschio! Avevate detto che sarebbe stato l'uomo giusto! >>

 

<< Silenzio! Come osate contraddirci >> risposero gli Anziani. Erano vecchi e dalla pelle rugosa, molto magri e vestiti di tuniche bianche.

 

<< L'abbiamo scelto secondo la Sacra Legge! Se è nato un maschio vuol dire che così dev'essere! Darà alla luce una figlia e avremo lei. O un figlio e allora aspetteremo ancora finché la nuova Signora del Vento nascerà >>, il silenzio cadde sulla piazza. 

Poi si alzò il Vento. Volò sopra le loro teste e raggiunse l'Uomo, che per tutta la durata della discussione aveva solo capito che era nato un bambino, era diventato padre, ma che questo, per qualche motivo non andava bene.  

Il Vento si sollevò, forte e potente e lo raggiunse, lui divenne pallido, e morì. Poi andò dalla Signora del Vento, le prese il bambino dalle braccia e lo portò alle terre degli uomini.

 

La Signora del Vento non si scompose minimante, quel bambino non era il suo. Lei sapeva, come sua madre prima di lei, quale fosse il suo destino: era nata per regnare. La regina doveva essere potente, forte, veloce, molto più di tutti gli altri, e per fare ciò doveva nascere dalla Signora del Vento con un uomo di un villaggio vicino, da questa unione sarebbe nata una bambina, che avrebbe dovuto regnare dopo di lei; così le era stato insegnato. L'Uomo non era stato scelto bene, la colpa era degli Anziani e adesso lui era stato ucciso per pagare il sacrilegio. Un Uomo innocente.

 

Poi il tempo passò. 

 

Nel villaggio la vita riprese normalmente. Ogni donna odiò il proprio marito per averle costrette a sopportare quelle crudeltà ed odiarono loro stesse, per non essere state in grado di difendersi da sole e per non aver protetto in qualche modo il loro bambino.

 

 Eppure la vita andava avanti, le stagioni proseguivano e nascevano nuovi bambini. 

I piccoli andavano a scuola, mentre gli adulti cacciavano, coltivavano o allevavano bestiame. E del Vento nessuno sentì parlare per molto tempo.

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

"Dall'ultima PrimaVera erano passati più di quarant'anni. E quella donna era comparsa nel bosco. Nessuno sapeva quando fosse nata, poteva essere una figlia dell'ultima strage, o di una nuova di cui non erano a conoscenza, ma comunque lei era lì, e sapevano che sarebbe stata crudele, come il resto della sua gente."

                   ~

Serin bussò alla porta. Era piccolo e magro. Aveva la mia età, i capelli neri arruffati e un volto affamato.

 

<< Vi prego...-disse a mia sorella- non abbiamo da mangiare... >>

 

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Capitolo 2
*** 2.1 ***




Io nacqui anni dopo la PrimaVera, e di queste cose ne sentii parlare solo nei racconti: a scuola ci insegnavano a temere i Signori del Vento.

<< L'anno della PrimaVera fu solo uno dei tanti. Ogni volta che avevano bisogno di donne, se le prendevano. Le città venivano rase al suolo, non rimaneva niente. Si fermavano ad ogni villaggio e chi si opponeva, veniva ucciso. Si dice che usarono armi magiche, o incantesimi, o frecce avvelenate, nessuno lo sa con certezza, perché nessuno rimaneva per raccontarlo.

 Uomo, donna, vecchio o bambino, perfino gli animali venivano uccisi. Poi proseguivano con un secondo villaggio, e la storia si ripeteva. Fino a quando qualcuno si fosse arreso: bastava una sola città, così loro avrebbero rapito le donne e le avrebbero violentate. Poi portavano via un uomo, non si sa per quale motivo. Tutti i villaggi seguenti sarebbero stati risparmiati, non andavano nemmeno a chiedere la loro sottomissione, non aveva importanza. 

Ci furono due PrimaVere, un'Estate e quattro Autunni. Nessun Inverno, almeno che io sappia. 

La seconda PrimaVera, quella a noi più vicina, portò alla morte di ogni villaggio, eccetto questo.... Forse sarebbe stato meglio morire.>> 
La maestra era una donna anziana. Con gli occhi spenti e le labbra sottili. La sua felicità le era stata rubata, con quel bambino che le avevano portato via.

<< Cosa fecero alle donne? E all'uomo >> fu una mia compagna di classe a chiederlo. Avevamo undici anni.

<< Ci portarono nelle loro case. Denudarono, a ci costrinsero a fare cose che non volevamo. Dovevamo rimanere incinte >> la bambina arrossì. Era una domanda sbagliata, tutti l'avevano guardata male nel momento in cui l'aveva posta. Ognuno di loro sapeva in che modo una donna rimanesse incinta, sapevano cosa fosse normale e cosa invece fosse una violenza. Glielo insegnavano fin da subito. Non appena riuscivano a capire. Dovevano sapere cosa sarebbe successo. Perché i figli del Vento prima o poi sarebbero tornati. Potevano passare due anni o dieci, ma sarebbero tornati. Dall'ultima PrimaVera erano passati più di quarant'anni. E quella donna era comparsa nel bosco. Nessuno sapeva quando fosse nata, poteva essere una figlia dell'ultima strage, o di una nuova di cui non erano a conoscenza, ma comunque lei era lì, e sapevano che sarebbe stata crudele, come il resto della sua gente.

Dopo la scuola ognuno doveva aiutare in casa, occuparsi dei campi, degli animali, del raccolto, non c'era tempo per i giochi.

Io ero brava con gli animali, quindi seguivo mio padre nell'allevamento. Mi occupavo dei cavalli, da domare, nutrire e vendere, poi davo da mangiare a maiali, pecore e mucche. Avevamo l'allevamento più grande, gli unici nel villaggio a poter mantenere così tanti animali. I miei fratelli più piccoli, Rodd e Marcus, si occupavano del raccolto, seguivano mia madre mentre raccoglieva i frutti dagli alberi: meli, peri, piante di Torrel e di Cassa. Mia sorella Teresa si occupava della cucina e spesso veniva da noi qualcuno del villaggio, a chiederci qualcosa da mangiare.

Serin bussò alla porta. Era piccolo e magro. Aveva la mia età, i capelli neri arruffati e un volto affamato.

<< Vi prego...-disse a mia sorella- non abbiamo da mangiare.. >>

<< Aspetta qui >> entrò in casa e prese un cestino. Con dentro della carne salata, del miele, alcune conserve, e una pagnotta di pane. Avevamo molti cestini pronti nella dispensa, per chi venisse a chiedere. Quando qualcuno bussava, era perché ridotto allo stremo: nessuno chiedeva aiuto fino a che non  fosse indispensabile, e non accettavano l'elemosina, a meno che non stessero per morire.

<< Prendi. Se avete ancora bisogno tornate a chiedere. Non aspettare troppo, ti prego. Possiamo darvi di più. >>

<< Grazie.. >> rispose Serin con le lacrime agli occhi. Sentiva l'odore del pane e voleva piangere dalla gioia. L'odore del miele e della carne lo tentava, ma avrebbe dovuto resistere fino a casa, Seff stava morendo.

Uscì dal loro cortile quasi correndo. Io lo vidi mentre varcava la soglia, mi guardò solo un secondo, vergognandosi per aver avuto bisogno del nostro aiuto. 

<< Papà, un altro che chiede. >>

<< Lo so, Enn. >> rispose suo padre con lo sguardo triste.

<< Non possiamo fare di più? Qualsiasi cosa di più! >>

<< Lo sai che più di questo non è possibile. Non vogliono animali né regalati né a prezzi dimezzati, non vogliono soldi, nessuno di loro vuole l'elemosina. Lo sai, non è una cosa facile, rinunciare all'orgoglio e chiedere aiuto, se lo fanno, è perché qualcuno di loro sta molto male, forse addirittura morente. >>

<< Vorrei poter fare di più. >>

<< Anche io. Se solo sapessi cosa >>

Sedevamo a cena tutti insieme, i miei genitori uno accanto all'altra, spesso si tenevano anche per mano. Erano abbastanza giovani da essere scampati alla guerra. Si volevano bene, almeno secondo me, però gli occhi di entrambi erano molto tristi, sicuro avevano sofferto anche loro, magari per la perdita dei genitori. Non ne parlavano mai, non raccontavano come fossero morti, ma di sicuro non era stato per morte naturale. Erano parecchi quelli che avevano perso la vita durante la guerra, persino nella loro città di sopravvissuti. Questo perché sì, si erano arresi, ma non tutti erano stati d'accordo nel farlo, alcuni erano stati uccisi proprio dai propri concittadini, altri dagli Uomini del Vento, quando avevano cercato di difendere le mogli. Forse i miei nonni erano tra questi, magari si erano opposti, non erano stati dei codardi come tutti gli altri. Mi piaceva pensare che la mia famiglia fosse diversa, che nessuno di noi avrebbe mai accettato qualcosa del genere, e spesso guardavo con odio tutti i vecchi del paese: loro si erano arresi. 

<< Oggi è venuto Serin, a chiedere da mangiare. Era così magro. >> disse Teresa

<< Si, l'ho visto mentre se ne andava. >> rispose mio padre.

<< Sapete qualcosa su come stanno? Viene a scuola con voi, giusto Enn? >> chiese mia madre, con il viso preoccupato.

<< Si.. Ma lui non parla molto. So che ha una sorellina, e che non sta bene. >> risposi.

<< Deve essere peggiorata >> disse Rodd. Aveva solo un anno meno di meno, dieci anni. Eravamo tutti così piccoli, ma resi grandi per colpa del Vento.

<< Vorrei aiutarlo in qualche modo! >> dissi con le lacrime agli occhi. Avevo visto la sorellina, una volta, la madre la portava in braccio mentre camminava per strada. Aveva all'incirca due anni. 

<< Domani andrò a casa sua, per vedere come stanno. Se vuoi vieni con me, porterò un altro cestino >>disse mia madre, ed io annuii.

La serata passò tranquillamente per me e la mia famiglia, nessuno di noi aveva i crampi per la fame, ma per la coscienza sì: stavamo così bene, e loro così male. A letto, prima di addormentarmi, mi venne in mente che forse Serin avrebbe potuto darci una mano in casa, lavorare con noi, magari mi avrebbe potuto aiutare con i cavalli, non sapevo se sarebbe stato capace, però gliel'avrei potuto insegnare, così non sarebbe stata elemosina, ma lavoro. Mi alzai dal letto, portavo una camicia da notte di tela, marrone, e corsi in camera dai miei.

<< Offriamogli un lavoro! A Serin. Mi aiuterà con i cavalli!Lo dici sempre che sono tanti e che io non basto, mi aiuterà lui! >> i miei sobbalzarono. Stavano dormendo, ed io li avevo svegliati per la mia idea geniale.  

<< Va a dormire Enn.. è tardi. Domani vedremo. >>

<< Grazie! >> risposi, sapevo che mi avrebbe accontentata.



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Capitolo 3
*** 2.2 ***


La mattina seguente non c'era scuola, e mia madre e io andammo a trovarli. C'era un piccolo cortile, senza alcun animale, un vialetto e poi la casa. Era una bella casa, grande, costruita dal nonno di Serin quando ancora stavano bene. Quando tutti stavano bene. In effetti tra la PrimaVera  e la guerra precedente erano passati molti anni, e avevano permesso a  tutti di rifarsi una vita.

<< E' permesso? >> chiese mia madre. 

<< Chi è? >> si affacciò una donna smagrita, con le guance scavate, i capelli sporchi legati in una crocchia.

<< Sono Anne >>

<< Anne! Volevo passare a ringraziarti. >> disse aprendo la porta.

<< Oh..hai portato un cestino. Ci avete già aiutato ieri..non posso accettare.. >> rispose guardando il cibo; si vedeva dagli occhi, verdi, come stesse pensando che ne avevano tanto bisogno, ma no, non potevano accettare.

<< Ascoltami, Glenne, noi abbiamo da mangiare. Questo cestino non farà alcuna differenza per noi. Non pensare all'orgoglio, pensa ai tuoi figli, loro ne hanno bisogno. >> la faccia della donna si contorse per il dubbio: avevano bisogno di cibo. Eppure non potevano continuare ad accettare le nostre offerte.

<< Mamma, digli del lavoro. >>

<< Giusto. Ascolta, abbiamo molti cavalli, e mia figlia e mio marito in due non ce la fanno. Abbiamo bisogno di una mano. E tuo figlio potrebbe aiutarci. In cambio vi pagheremo. >>

<< Ne devo parlare con lui, e con Ted.. vi farò sapere. Grazie. Grazie sul serio >> rispose illuminandosi.

<< Come sta la piccola? >>

<< Peggio. Non ce la fa più.... >>

<< Prendi questo cestino, come anticipo sul lavoro. >> disse mia madre, e glielo mise in mano.

<< Ora andiamo, abbiamo dei giri da fare, manda tuo figlio. A presto. >>

<< Grazie, che il Vento non soffi mai su di voi >> rispose con la frase di rito.

Dopo la nostra visita, ci recammo al mercato, a comprare del pesce ed a vendere alcuni dei nostri prodotti. Il mercato era composto da alcune tende nel mezzo della piazza, si vendeva pesce, carne, ortaggi e frutta. Nessuna bancarella con gioielli o abiti, solo lo stretto necessario. Con il passare degli anni, alcuni dei villaggi rasi al suolo dai figli del Vento, si stavano ricostruendo. C'era Trenin, a pochi chilometri a nord, Merra, qualche chilometro a sud, e Gioven, a est. Tre villaggi dai sette che esistevano in precedenza. Alcuni di noi avevano contribuito a ricostruirli. Avevamo aiutato le genti che venivano da lontano a costruire le loro case, i loro campi, le loro statue, a pochi chilometri da noi. Non appena qualcuno si avvicinava a tutta questa terra abbandonata, e decideva di costruire case e tetti, molti di noi accorrevano in loro aiuto, sperando in pagamenti in denaro. Pagavano bene, e permisero a molti di noi di sopravvivere per anni. Poi però, le costruzioni finirono, e i soldi tornarono a mancare. Così, quando questi popoli, abituati a case, piazze, strade, in condizioni perfette, venivano al nostro mercato a vendere le loro merci, rimanevano stupite, quasi inorridite, dal degrado che trovavano nella nostra cittadina. Le strade erano sporche, topi correvano ovunque, i bambini camminavano scalzi, quasi sempre magri e con pantaloni stracciati. C'era chi stava meglio, come la nostra famiglia, o quella dei Tuster o dei Billi, ma anche noi non indossavamo vesti pregiate, portavamo le scarpe, si, ma comunque i nostri abiti erano rozzi, spesso rattoppati alla meglio. In effetti anche i più ricchi tra noi, non erano neanche lontanamente vicini ad essere benestanti, semplicemente non soffrivamo la fame. Questo perché i nostri raccolti erano stati più fortunati, o anche perché andavamo a vendere i nostri prodotti nelle città vicine.

Una volta al mese, mio padre, mia sorella ed io, ci recavamo negli altri paesi a vendere alcuni cavalli, i migliori, qualche mucca e i nostri ortaggi. Avevamo un carro, non troppo grande, a cui attaccavamo un asino. Sul carro sedeva mia sorella, insieme a tutti i prodotti da vendere, e conduceva la nostra avanzata. Mio padre ed io, invece, ci muovevamo a cavallo. Lui avanzava sul suo sauro, Sabot, un cavallo vecchiotto, ma che non lo aveva mai deluso; portava per le redini una giumenta, seguita a pochi metri dal proprio puledro. Dietro di lui, io montavo Azari, una cavalla color sabbia, che amavo profondamente. Portavo per le redini un altro cavallo, e due erano legati al carro. 

Ogni volta che raggiungevamo il mercato ci rendevamo conto di quanto la vita fosse diversa a Gioven o a 

 Trenin. Nessuno correva scalzo, le strade erano ben lastricate, ed il mercato, ah il mercato, quanto era bello! Era pieno di bancarelle, con tendaggi colorati. In blu c'era una bancarella con il pesce, con il suo odore penetrante e la merce esposta. C'erano salmoni, tonni, pesce spada, cozze, vongole, ogni genere di pesce, di lago o di mare. Poco accanto c'era frutta e verdura, con i loro colori diversi, e spesso, camminando, il mercante ti offriva una ciliegia o una pesca solo per assaggiarla. Ancora più avanti c'era la carne, i maiali ed i salumi appesi, poi i formaggi e molto altro cibo ancora. Ma il mercato non finiva lì. Nella strada principale c'erano tutti i prodotti alimentari, ma nelle traverse, si trovavano bracciali, gioielli, anelli, collane, profumi, sete, stoffe, abiti. E così via.

<< Ah... >> sospirò Teresa

<< Già.. >> risposi io.

<< Ragazze ogni volta è la stessa storia. Invece di iniziare a lamentarvi mettete in mostra la mercanzia! >>e noi ubbidienti prendevamo dal carro un tavolino dove disponevamo i nostri prodotti: carne salata, pomodori, patate, carote, fagioli, cipolle.. Poi io prendevo i cavalli e li portavo ad un recinto, dove venivano esposti tutti gli animali in vendita. Spesso non ottenevamo molto dai nostri ortaggi, c'era talmente tanto cibo in quelle città che la concorrenza era altissima, però i nostri animali piacevano. I miei cavalli erano spesso apprezzati, perché domati bene, docili, ed amabili. Di solito riuscivamo a venderli tutti, e tornavamo a casa con i nostri Azari e Sabot, l'asino ed il carro pieno per metà.

Tornando verso casa, dalla nostra visita a Serin, passammo vicino al bosco e mia madre accelerò il passo.

<< Mamma.. mamma aspetta, rallenta! >> mia madre si girò a guardarmi.

<< Te l'ho detto tante volte, vicino al sentiero per il bosco si accelera e si sta in silenzio! Non vogliamo dare fastidio al Vento! >>

<< No, però, io non ce la faccio al tuo ritmo! >>

<< Belle signore, dove andate? >> disse un vecchio con la barba, che camminava in direzione opposta.

<< Salve, Marc, noi torniamo a casa! Voi dove siete diretto? >> rispose mia madre.

<< Vado a trovare mia figlia, che non si sente molto bene. >>

<< Cos'ha? >> chiese mia madre preoccupata

<< Niente di cui preoccuparsi, il suo solito male. >> la figlia di quell'uomo era una donna rigida, che non mostrava affetto, gioia o perfino rabbia, verso nessuno. Molti dicevano che era stato per colpa del Vento. Chi la conosceva da giovane, raccontava di quanto fosse bella, allegra, sorridente. Aveva una parola dolce per tutti. All'arrivo dei figli del Vento, appena superata la fanciullezza, fu presa anche lei con le altre donne. Da allora non fu più la stessa. Adesso viveva da sola, nessun uomo l'aveva sposata e non aveva avuto figli, abitava all'inizio del villaggio, poco prima della strada che conduceva verso Gioven. Spesso le capitava di stare male, di non riuscire a muoversi, alzarsi dal letto, mangiare, bere o dormire. Stava ferma nel posto in cui si trovava e rimaneva così, finché suo padre non andava ad aiutarla, la riportava in casa, le preparava qualcosa da mangiare, le dava da bere, ed aspettava pazientemente. Ogni giorno malediceva quegli uomini che se l'erano portata via. Lui era tra quelli che non volevano arrendersi, tra quelli che volevano combattere. Uno dei giovani del paese, un altro di quelli che malediceva continuamente, lo rinchiuse in una stalla, sbarrandogli l'uscita da fuori. Sua figlia era andata al mercato, a cercare del cibo da mettere da parte in caso di necessità. Con suo padre avevano deciso che se gli altri si fossero arresi, se nessuno avesse combattuto, allora per lo meno sarebbero scappati. Gli Uomini entrarono lungo la via principale.

<< Vi arrendete? >> chiese il primo a varcare i due pilastri che simboleggiavano l'inizio della città. Aveva un accento diverso dal loro, cavalcava un purosangue. Con i suoi occhi color ghiaccio guardò ognuno di quelli che erano presenti, soprattutto guardò lei. 

<< Si >> rispose un uomo, senza moglie e senza figlie, facile per lui arrendersi.  Gli altri uomini presero le donne, e lui si portò via sua figlia, di appena tredici anni. Quando tutto fu finito, quando loro vennero portate via, allora a Marc fu concesso di uscire, un uomo devastato; anche lui non sarebbe più stato lo stesso.

<< Vi serve qualcosa? >> chiese mia madre, << Torniamo adesso dal mercato, ed abbiamo ancora il nostro miele e un po' di carne. >>

<< No grazie, porto la mia, di roba. >> e se ne andò, zoppicando con un bastone alla sua destra. 

Mia madre riprese il suo passo di marcia, questa volta tenendomi per mano, in meno di dieci minuti eravamo già a casa.

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Capitolo 4
*** 2.3 ***


<< Cosa hanno detto? >> chiese mio padre appena ci vide, anche lui aveva a cuore la sorte della famiglia di Serin.

<< Niente, ma sono riuscita a dargli il cestino, e mi ha promesso che ci penseranno. Credo che lo faranno venire qui. >> poi si avvicinò al marito e parlarono tra di loro, lasciando me alle mia faccende.

<< Credi che sia stata una buona idea? Possiamo permetterci di sfamare anche loro? Sono quattro. >> chiese mia madre.

<< E noi siamo sei. Lo so. Però ognuno di noi ha da mangiare a sufficienza, credo che potremo aiutarli senza dover rinunciare a troppo. >>

<< Lo spero, prima vengono i nostri figli. >>

<< È per Enn che abbiamo accettato di aiutarli, credo che sarà disposta a rinunciare ad un po' di pane visto che è stata una sua idea. >>

<< Si, hai ragione. >> si rassicurò mia madre. << Adesso andiamo a mangiare, credo che Serin non tarderà molto ad arrivare>>

In effetti nel primo pomeriggio, lui era già lì. Bussò alla porta di casa e fu mia madre ad aprirgli, rimanendo scossa dalla sua magrezza, dalle gambe sottili, le mani tremolanti, ed il viso pallido. Come avrebbe potuto aiutarli, lui? I suoi cavalli erano tanti, forti. Dovevano essere nutriti, portati al pascolo, montati. Ed in più c'erano gli altri animali da abbeverare, le mucche da mungere, dove avrebbe trovato la forza? Gli diede un pezzo di pane e lo mandò da me, sarei stata io a dovergli spiegare cosa fare.

<< Ciao >> dissi, Serin rispose con un cenno del capo.

<<. Ci sai fare con gli animali? >> chiesi.

<< Non ho mai avuto un cavallo, ma mi piacciono molto. Mucche e maiali li avevamo anche noi, e so come si deve fare con loro. >>

<< Va bene..io per lo più penso ai cavalli. Mio padre si occupa degli altri animali. Te dovresti aiutare me, se sei capace. >> dissi con aria di sfida.

<< Tranquilla, sono capace di ogni cosa >> ed accennò un mezzo sorriso, sul suo viso pallido.

<< Allora, qui ci sono le stalle. Abbiamo cinque cavalli, due pony e tre puledri. Ognuno di loro deve essere pulito, nutrito e portato al pascolo ogni giorno se possibile...almeno ogni due giorni. I puledri devono essere domati, ed a questo non ci puoi pensare te, lo farò io. Ti faccio vedere dove trovi il fieno e il pastone per i cavalli. >>. Poi gli mostrai dove trovare striglia, brusca e nettapiedi, e gli feci vedere come si puliva un cavallo.

 Iniziammo da Pace. La più buona di tutti, non scalciava mai e si lasciava pulire facilmente sotto gli zoccoli. Gli feci vedere come mettere mani e piedi per evitare di farsi male. Sembrava stanco, già dopo poco, ma non disse nulla e continuò a seguirmi. Avevo deciso di fare la pulizia, per prima cosa, perché era quella più facile. I cavalli erano tutti legati e non potevano scappare. Ai puledri ci pensai io, perché non era facile fargli sollevare lo zoccolo per pulirli. Erano già stati tolti dalle giumente, quindi nessuno di loro voleva correre dalla madre, ma ancora non erano stati avvicinati, e non sopportavano nessun tipo di finimenti. Poi gli mostrai come mettere la cavezza ai cavalli e portarli al prato. Mentre gli animali brucavano l'erba, placidi, gli dissi dove stava la mangiatoia e il pozzo con l'acqua per maiali e mucche. Di solito se ne occupava mio padre, ma anche a lui poteva servire il suo aiuto. Infine, dopo molte ore riportammo i cavalli nella stalle, pronti per la notte. La mia giornata tipo era molto simile a questa, solo che spendevo molte ore cercando di montare i puledri, cosa che per quel giorno era stata rimandata.

<< Te la sei cavata bene >> gli dissi mentre sedevamo all'ombra di un albero, al crepuscolo.

<< Te l'avevo detto. >>

<< Hai solo superato il primo giorno, non ti montare troppo la testa. >>

<< Va bene. Ehm..cosa devo fare adesso? >> chiese imbarazzato, alludendo al pagamento.

<< Con me hai finito, torna domani, qui la giornata inizia all'alba, prima della scuola, poi nel primo pomeriggio. Per la paga devi parlare con mio padre. Ti porto da lui. >> 

A quell'ora doveva stare sotto il portico di casa, probabilmente ad intagliare qualche pezzo di legno per trasformarlo in una statuina. Di solito sedeva su un gradino, da cui poi si entrava in casa. 

<< Papà.. >> lo chiamai

<< Enn! Come è andata? >> chiese guardando un po' me e un po' lui.

<< Se l'è cavata. >> risposi.

<< Bene. Allora.. >> li lasciai parlare di pagamenti, ed andai in casa a farmi un bagno. Avevamo una bella vasca al centro del bagno, d'ottone. L'acqua, fortunatamente, era l'unica cosa che non mancava nella nostra città. C'erano numerosi pozzi, e noi ne avevamo uno proprio dietro casa. Da lì raccoglievamo l'acqua che poi usavamo per lavarci e cucinare. Faceva molto caldo, e l'acqua fresca del pozzo non mi dispiaceva. Mi spogliai ed entrai in acqua. Era facile dimenticarsi di ogni problema mentre l'acqua mi accarezzava la pelle. 

Pensare che molta gente, in quello stesso momento, stesse soffrendo la fame, mi distruggeva. Volevo fare di più, molto di più. Magari avremmo potuto dare un lavoro anche ad altre persone, quelle che avevano più bisogno. Sì, ne avrei parlato durante la cena!

NEL PROSSIMO CAPITOLO:

<< Hai sentito della famiglia di Serin? >> chiese Tom.

<< No, che cosa è successo? >> rispose mio padre.
                     ~
Mentre chiudevo le stalle dei cavalli, brontolando per l'assenza di Serin, mio padre tornò:

<< Enn, dov'è Serin? >>

<< Quel fannullone non si è presentato. >> risposi arrabbiata.

<< Presto, chiama tua sorella e mandala da me. >> rispose con fare concitato. Corsi a chiamare Teresa.

<< Seguimi. >> disse lui senza spiegarle la ragione.

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Capitolo 5
*** 3.1 ***


Mi vestii, portavo dei pantaloni di pelle ed una maglietta chiara; indossavo sempre i pantaloni, per montare il mio cavallo appena fosse stato possibile. Dentro casa non portavo le scarpe, le mettevamo solo per uscire, la suola andava risparmiata. 



 



Entrai in cucina mentre Rodd e Marcus, fratelli gemelli, si stavano lamentando perché dovevano aspettare ancora qualche minuto prima di cenare.



 



<< Ti serve una mano? >> chiesi a Teresa. Era sempre lei a cucinare. Aveva quattordici anni, ed era molto brava in cucina.



 



<< No, ho quasi fatto. Fa smettere quei due di lamentarsi, non ne posso più. >>



 



<< Sembra facile. >> risposi. Erano piccoli di statura, con capelli corti e neri. Molto vivaci, però anche loro, come tutti del resto, aiutavano in casa. Per nessuno c'era spazio per giochi o per riposare, mai. 



 



Erano identici, tranne per un piccolo neo sul collo di Marcus. Io somigliavo a mia madre. Avevo i suoi stessi capelli castani, più vicini al bronzo che al marrone, gli occhi marrone scuro di mio padre. Ero magra. Mia sorella più grande aveva i capelli neri e gli occhi marroni, le forme già di una donna. In molti, tra i ragazzi del paese, la guardavano sognanti. Lei, però, si era innamorata di un ragazzo di Gioven, che aveva incontrato una volta al loro mercato. Lui stava camminando per le strade, insieme a una donna parecchio più grande, probabilmente sua madre, le portava le borse con ciò che aveva comprato. Passarono accanto al nostro carretto, e, per un secondo, i suoi occhi incrociarono quelli di lei, che gli sorrise. Fu amore a prima vista. Lui rimase folgorato dalla sua bellezza, e lei dal suo sguardo penetrante e dalle sue labbra. Si videro molte altre volte, dopo quel primo incontro, sempre al mercato, sempre allo stesso modo. Nessuno dei due aveva ancora trovato il coraggio per parlare all'altro.



 



Mandai i miei fratelli a chiamare mia madre e mio padre, per dirgli che era ora di cena, liberando mia sorella dal loro impiccio.



 



<< Come è andata con Serin? >> mi chiese.



 



<< Bene. Con gli animali se la cava, il problema è che non sa montare, e glielo dovrò insegnare. >>



 



<< Si, ma ti può essere d'aiuto, giusto? >>



 



<< Si, non c'è dubbio. >>risposi.



 



<< Dici che staranno meglio, adesso? >> chiesi dopo qualche momento di pausa.



 



<< Si, almeno avranno qualcosa da mangiare. Devono stare molto male. Spero che la piccola riesca a sopravvivere >> disse mentre portava in tavola degli involtini fatti di pastella, con dentro carne, riso o formaggio.



 



<< Secondo te cambieranno le cose con Serin, in classe? >>



 



<< In che senso? >>



 



<< Beh, finora se ne è sempre stato per conto suo. Molto silenzioso. Certo nessuno nella mia classe è amico con gli altri, però per lo meno qualche parola la scambiamo. >>



 



<< Perché non siete amici? >>



 



<< Non lo so.. >>



 



<< Finalmente si mangia! >> disse Rodd entrando con prepotenza in cucina. Ci sedemmo tutti a tavola.



 



<< Ringraziamo il Cielo per il nostro cibo, e perché ci ha concesso una giornata senza Vento. >> disse mia madre. Noi altri alzammo i calici in alto e iniziammo a mangiare.



 



<< Papà, pensi che potremmo offrire un lavoro anche ad altri? >> chiesi timidamente. Mio padre lanciò uno sguardo significativo a sua moglie, si aspettavano una domanda del genere.



 



<< Enn- rispose mia madre- noi siamo già in sei, con la famiglia di Serin arriviamo a dieci, in più c'è il bestiame da nutrire. È vero, stiamo abbastanza bene da non soffrire la fame, ma non così tanto da poter avere dei dipendenti; abbiamo offerto quel lavoro a Serin perché sua sorella, senza alcun aiuto, andava incontro a morte certa. Questo non vuol dire, però, che possiamo fare lo stesso con altri. >>



<< Ho capito. >> risposi a metà tra il deluso e l'imbarazzato. Credevo che noi stessimo bene senza alcun problema, ma dallo sguardo dei miei genitori capii che evidentemente anche loro facevano dei sacrifici.



Seguì un lungo silenzio. Poi mio padre disse:



<< Teresa, oggi ho incontrato Geff. Mi ha chiesto di te, sembrava molto interessato. >> disse con uno sguardo allusivo.



<< Mh.. >> fu l'unica risposta che ricevette. Geff era uno dei numerosi pretendenti di mia sorella. Il più accanito. Ed aveva anche il favore di mio padre. Era figlio di un maniscalco, alto, forte, muscoloso e bello. Non c'era niente da obiettare sul suo aspetto, e nemmeno sul carattere. Era sempre disponibile, gentile, nessuno capiva perché Teresa lo rifiutasse, soprattutto non lo capivo io, che mi ero presa una cotta per lui.



 



<< Cos'avrà di tanto sbagliato questo ragazzo.. >> disse mia madre.



 



<< Anne, lasciala stare >> rispose mio padre bonariamente.



 



<< Ma se sei stato tu ad aprire il discorso! >>



 



<< Io ho solo detto che mi aveva chiesto di lei, tutto qui. >>



 



<< Va bene, va bene. Ah- si ricordò all'improvviso mia madre- abbiamo incontrato Marc oggi, stava andando dalla figlia. >>



 



<< Di nuovo malata? >> chiese mio padre.



 



<< Già. >> rispose sconsolata mia madre.



 



<< Possibile che non ci sia nessun medicinale, erba o intruglio strano che la possa curare? >> chiese mia sorella, riprendendo la parola dopo che l'argomento su di lei era stato chiuso.



 



<< A quanto pare no. La sua malattia è nella testa. >> rispose mio padre.



 



<< Voi l'avete vista come era prima? >> chiese Marcus.



 



<< No. Siamo nati entrambi dopo la PrimaVera. >> rispose mia madre.



 



<< Dicono che era molto bella. E che aveva tanti pretendenti, come te Teresa. >> disse Rodd, riportando, con molta noncuranza, il discorso su mia sorella.



 



<< Se almeno scegliesse qualcuno! >> disse mia madre.



 



<< Ma che fretta c'è? Sceglierò qualcuno quando mi piacerà qualcuno! >> rispose Teresa, iniziando a scaldarsi.



 



<< Ma lei ha già scelto qualcuno. >> disse mio padre sorridendo.



 



<< Chi? >> chiese mia madre, mentre Teresa, rossa in volto, si alzava per prendere un piatto con salumi e formaggio. In tavola c'era un piccola pagnotta che doveva bastare per tutti.



 



<< Eh..qualcuno che le piace. Non te lo posso dire. >> continuò a sorridere mio padre.



 



<< Oggi, Stella mi ha dato la zampa senza protestare. >> dissi andando in soccorso di mia sorella, che ringraziò con uno sguardo.



 



<< Stella è la puledra giusto? >> chiese mia madre. Le piacevano i cavalli, ma non aveva il tempo di occuparsene.



 



<< Si, era ora che diventasse più disponibile! >> ammise mio padre.



 



<< Già. Domani la porterò nel recinto, magari riesco ad avvicinarle le briglie. >>



 



La cena continuò tranquillamente. Dopo il pasto rimanemmo per un po' a parlare, non molto. Eravamo stanchi, e il giorno seguente ci saremmo dovuti alzare alle cinque, come sempre. 



 



Serin arrivò mentre noi stavamo facendo colazione, con il latte munto dalle nostre mucche, e alcuni frutti di cui non avevamo mai carenza.



 



<< Ciao >> gli aprì la porta mia madre, <> chiese. Il viso di Serin si contorse per il dubbio, non aveva fatto colazione, era evidente.



<< No, grazie, ho già mangiato. >> rispose.



<< Eccomi >> urlai dall'altra stanza. << Andiamo >> dissi mentre uscivo dalla cucina.



<< Allora, ieri ti ho fatto vedere come si fa ogni cosa, quindi il lavoro vero comincia oggi. Portiamo i cavalli ed i pony al prato. I puledri possono restare nel loro recinto dietro alle stalle. Ti darò una mano con il primo, ma poi ho altro da fare. Quindi agli altri ci pensi tu. Dopo che li hai messi nel recinto- mi raccomando chiudi bene altrimenti se scappano correrai tu a riprenderli! Dicevo, dopo mettigli da mangiare nelle stalle. Se ti serve una mano chiamami. >>



<< E tu che fai? >> chiese con fare accusatorio.



<< Io mi occupo dei puledri. >>



<< Non hai detto che possono stare nel recinto dietro? >>



<< Si, ma lì ci devono arrivare, ed il cibo per loro lo devo mettere io. E poi se faccio in tempo posso iniziare a domarli. E comunque non sta a te dire quello che devo fare io. >> risposi piccata.



<< Va bene >> rispose e si diresse verso le stalle.



Passarono più o meno tre ore senza interruzioni, Serin non ebbe bisogno del mio aiuto, e io potei pensare ai puledri senza preoccuparmi. Dopo, i miei fratelli, Serin ed io, ci dirigemmo verso scuola. Era una strada piuttosto lunga da fare a piedi.



<< Come sta tua sorella? >> chiese Teresa durante il tragitto.



<< Meglio >> rispose lui, accennando un sorriso. Il resto del percorso lo passammo per lo più in silenzio, eccetto per Rodd e Marcus, che, come al solito, discutevano animatamente per qualche cosa.



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Capitolo 6
*** 3.2 ***


La scuola era composta da due stanzoni enormi. In uno c'erano tutti i bambini dai sei agli undici anni, nell'altra dai dodici ai quindici.. C'erano solo due insegnanti, uno per classe. Ci insegnavano la lingua, la matematica, la storia e la geografia. Piccole nozioni di ogni cosa. Nella classe dei Maggiori, insegnavano anche a cucire, cucinare, lavorare il legno, il ferro, quando dedicarsi al raccolto, tutto ciò che potesse servire nella vita reale. Invece noi dovevamo sapere la matematica e la lingua per poter fare di conto, vendere, scrivere e leggere lettere. Inoltre dovevamo conoscere la storia, per sapere quello che ci aspettava, e la geografia, per poterci muovere per i paesi e sapere sempre dove si trovasse il nemico.





<< Qui, ci troviamo noi.>> spiegava la maestra indicando una cartina.<< Intorno alla nostra città ci sono i tre nuovi insediamenti, Gioven, Trenin e Merra. Lì c'è il lago di Tara.. >> e così via.





La geografia non mi interessava molto, ero più presa dal guardarmi attorno. Sedevo in terza fila, avevamo banchi singoli e, alla mia sinistra, c'era la finestra. Al di là si poteva vedere una piccola strada, che portava, andando a destra, al resto della città, ma, guardando verso sinistra, si intravedeva appena il bosco. Potevo vedere i salici, così alti e imponenti, rari in mezzo a tante querce.





<< Enn.. >> appena un sussurro, dalla bambina accanto a me.





<< Mh? >> risposi distratta.





<< La maestra sta raccogliendo i compiti, manchi solo tu! >> rispose sorridendo della mia distrazione.





<< Oh..grazie >> risposi, e mi alzai per consegnare il tema svolto a casa. Dovevamo parlare di come si era fondata la nostra città, dei suoi confini, cosa si produce, e di cosa vive la gente. La risposta giusta sarebbe stata che la gente non vive, a malapena sopravvive.





Finite le ore di scuola aspettai Teresa, che frequentava l'altra classe, e tornammo a casa insieme. Accennai appena un saluto a Serin, dicendogli che ci saremmo visti dopo e di essere puntuale.





Per tornare a casa dovevamo passare per la stessa strada dell'altro giorno, vicino al sentiero per il bosco.





<< Chissà cosa sta facendo la strega.. >> disse Rodd





<< Chi?. >> chiese Marcus.





<< La strega! La strega del bosco >>





<< Aaah >> rispose il fratello.





<< Non ricominciate, vi prego. >> li implorò Teresa.





<< A fare? >> chiesero entrambi, con aria innocente.





<< Lo sapete >>





<< Noi non facciamo niente. Solo ci chiediamo se non si sente tutta sola, lì, nel bosco >> disse Marcus





<< Deve essere molto pericolosa, per stare lì, lontana da tutti >> continuò Rodd.





<< Effettivamente, Tes, che ci fa una persona lì da sola? Perché nessuno si può avvicinare? Da dove è comparsa? Quando? >> chiesi io. Erano domande a cui continuavo a pensare e ripensare. E non c'era nessuno che rispondesse. Nessuno sapeva quando fosse arrivata lì, perché dovesse essere nascosta, e soprattutto, quanto fosse pericolosa.





<< Non lo so >> ammise Teresa , << Però non continuate questi discorsi a casa. Lo sapete che a mamma fanno paura. >>





<< Si, si..che fifona. Che cosa può fare una sola donna, contro tutto il paese? Basterebbe andare là ed ucciderla. >> disse Marcus, con aria bellicosa.





<< Shhh >> lo zittì Teresa, << Non le dire queste cose! Magari ti sentono! >>





<< E chi mi dovrebbe sentire? >> chiese lui





<< Loro! Lo sai chi! >>





<< Quelli del Vento, a me non fanno paura! >>





<< Ma cosa dici!! Non lo sai come hanno ridotto le città? Le donne? Che cosa studi in classe?? >> lo rimproverò lei.





<< Mah.. in classe ci vado a passare il tempo. Ne potrei fare a meno. >> le rispose lui, a tono.





<< Ma secondo te >> le chiesi, << Se ci avviciniamo, piano piano, se ne accorge qualcuno? >>





<< Avvicinarci? A fare cosa?! >> rispose lei, inorridita.





<< A dare un'occhiata! >>





<< Si, dai. Non se ne accorge nessuno. Andiamo adesso! >> dissero i miei fratelli in coro.





<< No. Adesso andiamo a casa. >> rispose Teresa, ed aumentò l'andatura.





Non è che noi non avessimo paura. Tutti avevamo paura del Vento. Di quello che era successo e di quello che sarebbe potuto accadere anche se ci sembrava una cosa lontana; in fondo al cuore eravamo convinti che nessuno ci avrebbe attaccati. Inoltre ci chiedevamo perché questa donna, o questo essere, qualsiasi cosa fosse, dovesse stare rinchiusa in una casa lontano da tutti? Persino dal suo popolo? E chi era stato a dire che fosse una donna, o che si trovasse lì, c'era qualcuno che veramente l'avesse vista?





La curiosità lottava continuamente con la paura. Mi riproposi che un giorno mi sarei avvicinata, magari con Azari. Così sarei stata più veloce di lei. "Niente è più veloce del Vento" , disse una vocina dentro di me, ricordandomi a cosa potevo andare incontro.





Nel frattempo ci eravamo avvicinati a casa.





<< Mamma, stavamo per andare nel bosco. >> urlò Rodd, andandole incontro.





<< Nel bosco? >> ripeté lei, impallidendo.





<< È proprio incredibile! >> dissi io ridendo.





<< Lo fa apposta, è sicuro. >> rispose Teresa, trattenendo a stento un sorriso.





Entrammo in casa e ci sedemmo a tavola. C'era pasta di ceci e formaggio.





<< Come è andata a scuola? >>





<< Come al solito >> risposi io, << Qui? >>





<< Tutto bene. Ho già munto le mucche e pensato ai maiali. Oggi pomeriggio devo andare a casa dei Trissi, perché hanno bisogno di una mano con una cavalla che deve partorire. >> rispose mio padre.





<< Possiamo venire anche noi?>>chiedemmo tutti in coro.





<< No, te hai da fare con i puledri, e voi con il raccolto. Non se ne parla proprio>>. Fine del discorso. Mio padre era un uomo buono, un po' burbero. Aveva una barba nera, e gli occhi marroni. Spesso ci si poteva parlare, gli si potevano chiedere consigli, si poteva anche convincere a lasciarti fare cose su cui non era proprio d'accordo, ma una volta che aveva detto no, era no e basta. Non c'era alcuna possibilità.





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Capitolo 7
*** 3.3 ***


Subito dopo pranzo, mio padre si diresse alla casa dei Trissi. Erano una famiglia non molto numerosa, con due figli dell'età di Teresa che si occupavano degli animali e del raccolto. La madre era una donna di mezz'età, non abbastanza in forze per occuparsi di niente se non della cucina. Il padre era morto molto tempo prima. La giumenta che doveva partorire era una bella cavalla, che avrebbe dato un buon puledro, dalla cui vendita avrebbero guadagnato qualche soldo.

<< Salve ragazzi! >> li salutò mio padre.

<< Grazie di essere venuto >> rispose in tono formale il fratello maggiore, Tom.

<< Non c'è problema. Dov'è la cavalla? >>

<< È nel recinto di dietro >>, rispose l'altro fratello, Sam, << però ci sono state delle complicazioni. >>

<< Che genere di complicazioni? >>

<< Non lo so, la cavalla non risponde bene. C'è qualche problema. >>

Non c'erano veterinari nella nostra città, non ne era rimasto nessuno da dopo la PrimaVera, quindi chiunque possedesse del bestiame, doveva agire sia da allevatore che da veterinario, occupandosi di ogni sorta di problemi.

<< Fatemela vedere. >> rispose mio padre.

Passarono alcune intense ore, segnate dal caldo, dalla fatica, dal sangue, dai nitriti e dalla sofferenza. Alla fine riuscirono a dare alla luce un piccolo puledro, troppo segnato dalle fatiche del parto. Non sarebbe sopravvissuto oltre la notte.

<< Mi dispiace ragazzi. >>

<< Già.. ci contavamo molto >> rispose in tono cupo Sam.

<< Ci servivano quei soldi. >> si lamentò Tom.

<< Ce la caveremo, come sempre. >> rispose il fratello cercando di mantenere la sua dignità, di fronte a mio padre.

<< Hai sentito della famiglia di Serin? >> chiese Tom.

<< No, che cosa è successo? >> rispose mio padre.



Nel frattempo, a casa, io stavo iniziando ad arrabbiarmi. "Dove si sarà cacciato?? E meno male che doveva essere puntuale!" brontolavo fra me e me. Nell'attesa iniziai ad occuparmi degli animali, riportai i cavalli nelle stalle, e li strigliai uno per uno, perdendo molto del tempo che avrei dovuto dedicare ai puledri. Dopo aver fatto tutto il suo lavoro, finalmente iniziai a dedicarmi ai puledri, e specialmente a Stella. La portai nel tondino e ne chiusi l'ingresso. La puledra fece una galoppata guardandosi intorno, e, soprattutto, allontanandosi da me. Io avevo in mano una cavezza, e mi avvicinai piano, mostrandole le mani, cercando di farle capire che non c'era pericolo. Mi avvicinai al muso e le feci annusare la cavezza azzurra. La giovane cavalla rispose sgroppando e galoppando in fuga.  Ritentai il mio approccio molte volte, finché non iniziò a farsi buio e decisi che era ora di rientrare. La riportai nel recinto accanto, coperto dalla pioggia e collegato con le stalle ed il tondino: era la via perfetta per far muovere i puledri senza imbrigliarli.

Mentre chiudevo le stalle dei cavalli, brontolando per l'assenza di Serin, mio padre tornò:

<< Enn, dov'è Serin? >>

<< Quel fannullone non si è presentato. >> risposi arrabbiata.

<< Presto, chiama tua sorella e mandala da me. >> rispose con fare concitato. Corsi a chiamare Teresa.

<< Seguimi. >> disse lui senza spiegarle la ragione.

<< Papà è successo qualcosa?>> chiesi io.

<< Tu resta qui. >> rispose lui, ed uscì di casa, con Teresa al seguito, ed io poco distante.

Insieme lo seguimmo fino a casa di Serin. Bussò alla sua porta e la spalancò senza aspettare una risposta.

<< Papà, ma che succede? >> chiese Teresa preoccupata.

Nel frattempo la madre di Serin, Glenne, ci venne incontro.

<< Come sta? >> chiese lui alla donna, ignorando la domanda di mia sorella. Lei rispose con un pianto.

<< Presto Tes, va dalla bambina e vedi se puoi fare qualcosa. >>

A causa della PrimaVera, non solo non si trovavano più veterinari, ma nemmeno dottori. C'era solo un vecchio medico, ormai troppo stanco persino per muoversi. Mia sorella era stata da lui durante quasi tutti i suoi quattordici anni, lo aveva seguito finché era stato in grado di muoversi, ed aveva imparato il più possibile. Voleva diventare una dottoressa fin dalla più tenera età. Mia sorella non perse un secondo, e corse dalla piccola. Era nel letto di suo fratello, troppo grande per il suo corpicino scarno e pallido. Non parlava, non mangiava, non beveva, non rideva e persino non piangeva più. Faceva fatica a respirare.

<< Serin... >> sussurai io, vedendolo seduto per terra, con la mano poggiata sul letto, le gambe incrociate, e la faccia pallida quasi quanto quella della bambina. Mia sorella fece del suo meglio, mettendo in pratica ognuna delle nozioni imparate dal vecchio. Le era già successo di dover aiutare bambini, uomini o anziani con le malattie più gravi. E era sempre stata in grado di guarirli, ma la piccola era troppo grave, troppo magra, troppo piccola. Teresa aveva lo sguardo concentrato, le mani leggermente tremolanti per l'ansia. Mi mandò a preparare del latte con alcune spezie, e cercò di farglielo ingoiare. Poi le tolse le coperte pesanti, con cui l'avevano coperta, che le aggravavano ancora di più la respirazione. Mi guardò per un attimo e capii che era troppo tardi. Ci fu poco altro da fare, mia sorella le rimase accanto per tutto il tempo, fece un cenno alla madre che capì immediatamente cosa volesse dire, e scoppiò in lacrime. Serin era troppo stanco, troppo pallido, le lacrime della madre, i gemiti, gli entrarono da un orecchio ed uscirono dall'altro. Suo padre era fuori e non sarebbe tornato fino alla sera, non c'era modo di contattarlo prima.

Il resto lo ricordo come un sogno, anzi un incubo. Uscimmo di lì che era completamente buio, non si vedevano le stelle o la luna. La donna era in preda alle lacrime, gli arti che le tremavano presi dalla disperazione. Suo figlio era ancora accanto al letto, ancora pallido, ancora senza parole. Li salutammo senza ricevere alcuna risposta. Il tragitto verso casa fu molto difficile, un po' per l'enorme sofferenza che ci aveva assalito, un po' per il buio, impiegammo tantissimo per tornare a casa.

NEL PROSSIMO CAPITOLO : Camminammo nel più completo silenzio, rimanendo, comunque, a nostro agio. Ciò che ci aveva legato era molto forte, un legame che sarebbe durato per sempre. Nella strada verso casa passammo accanto al sentiero diretto al bosco, ed io fui colta dall'idea.

<< Andiamo >> accennando con la testa al sentiero.

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Capitolo 8
*** 4 ***


<< Cos'è? >> chiesi io, spaventata da un rumore alla mia destra.

<< Niente, sarà il vento >> rispose mio padre. Fino a quel momento avevo camminato semplicemente seguendolo, lui che sapeva la strada persino al buio, come un cavallo che si dirige a casa. Da quel rumore capii immediatamente dove fossi: vicino al sentiero per il bosco. 
I pochi che percorrevano quella strada di notte, dicevano che passando lì accanto si potesse sentire il Vento che ululava arrabbiato, che gridava guerra. Dicevano che quando si sentiva quel suono era la sofferenza che si avvicinava, poteva passare un anno, qualche mese o qualche giorno, ma qualcosa di terribile sarebbe successo.

<< Accelerate il passo >> disse mio padre, preoccupato dai miei stessi pensieri.

<< Ero così in ansia >> disse mia madre, il volto sconvolto dalla paura, << Cosa è successo? È così tardi! >>

<< La piccola è morta >> rispose Teresa, in lacrime. Sapeva che prima o poi sarebbe successo, che qualcuno dei suoi pazienti sarebbe morto.

<< Non ti affezionare a loro. Guarda la malattia, guarda il malato, fa del tuo meglio, e poi lascialo andare. >> le aveva detto un giorno il vecchio rugoso dottore.

<< Come si fa a lasciarli andare? >> chiese Teresa.

<< Si soffre, ma ci si abitua. >>


In quel momento Teresa avrebbe voluto prendere la bambina e tenerla stretta a sé, costringendola a non lasciarla mai.

I giorni seguenti fummo tutti sconvolti. Serin non si presentò a scuola, né a lavoro. Ero rimasta da sola a pensare ai miei cavalli, e non facevo che chiedermi se Glenne avesse smesso di singhiozzare, se Serin si fosse mai alzato da quel letto, se Teresa sarebbe mai più riuscita ad essere un dottore, a superare il dolore immenso che l'aveva sconvolta. Infine mi chiedevo come sarebbe stato quando li avrei rivisti, cosa avrei detto. Poi il giorno arrivò.


Indossammo tutti le nostre tuniche migliori, rigorosamente blu notte, con un esile foulard bianco, gli uomini come cintola, le donne come collana. Andammo alla roccia. Tutto il paese si trovava riunito là intorno. Era un masso leggermente squadrato, dove giaceva il piccolo cadavere, perfettamente conservato grazie agli intrugli dei Signori della morte. 

<< Grazie, miei fratelli, per essere qui. >> disse il Primo Signore. Alcuni colpi di tosse gli risposero, altri si mossero irrequieti. Era sempre brutto celebrare una morte, specie di una bambina.

<< La morte della piccola Irin ci riunisce tutti, così dolorosamente. Ci fa riflettere sulla brevità della vita, e sulla sua ingiustizia. Avvicinatevi, porgete l'ultimo saluto, ed aiutatela a cavalcare il Soffio delle anime. >> disse terminando la celebrazione. 
Ognuno di noi, si avvicinò alla bambina. C'era un ordine nel salutare: prima tutti colore che non l'avevano conosciuta da vicino, che non le avevano mai parlato. Poi tutti quelli che, anche solo per una volta, le avevano rivolto la parola; seguivano gli amici. Infine i parenti, chi l'aveva amata, e chi era stato presente nel momento della morte. Ci avvicinammo e le toccammo la manina, sussurrandole un addio. Infine il corpo venne sotterrato, la tomba scavata dai più intimi.

Dopo la celebrazione ci avvicinammo alla famiglia.

<< Siamo addolorati dalla vostra perdita. >> disse mio padre parlando per tutti.

<< Vi ringrazio per ciò che avete fatto per noi, e per essere presenti in questo momento di dolore. >> rispose il padre di Serin. Era un uomo molto alto, con i capelli brizzolati e due baffi prominenti. Anche lui indossava la tunica di rito. Ai piedi, come tutti noi, portava dei sandali.

<< Sappiate che per qualsiasi cosa noi siamo disponibili, e se Serin vuole continuare a lavorare da noi, è il benvenuto. >> continuò mio padre. Il ragazzo era ancora pallido, ancora non parlava, ai miei occhi era ancora lì, per terra accanto a quel letto, chissà se sarebbe mai più riuscito a dormire in quella stanza. Io avevo gli occhi bassi, li alzavo solo ogni tanto per sbirciare i loro volti. Mia madre aveva offerto il braccio alla madre, addolorata, e poi l'aveva abbracciata, dandole piccole pacche sulla schiena mentre lei era, ancora una volta, presa dai singhiozzi, il volto pallido. I miei due fratelli, sempre pronti alla risata, alla battuta, a qualsiasi diavoleria, quel giorno furono molto silenziosi, comportandosi egregiamente. Teresa tenne il viso basso per tutto il tempo della celebrazione e persino in quel momento si teneva in disparte. Poi la sentii prendere fiato, dandosi coraggio.

<< Vi chiedo.. >> fece una piccola pausa cercando la forza,<< Vi chiedo scusa. >>

<< Scusa? >> ripeté l'uomo incredulo, persino sua moglie smise per un attimo di piangere.

<< Si. Vi chiedo scusa per non essere stata all'altezza. >>

<< Hai fatto tutto il possibile. Sono sicuro che nemmeno il dottore ufficiale avrebbe potuto fare di più. >> rispose la donna. Era disperata, non aveva fatto altro che piangere; eppure in quel momento era lei a consolare Teresa. 

<< Andiamo adesso, ricordate che per qualsiasi cosa siamo a vostra disposizione, sempre. Siamo fratelli nel cuore adesso. >> le persone presenti alla morte di qualcuno erano legati alla famiglia del defunto da un legame di sofferenza, che li avrebbe uniti fino allo loro, di morte.


Passarono molti giorni. Serin riprese a seguire le lezioni, sempre con lo sguardo assente, sempre senza parlare. Non credo che avesse detto una sola parola da quella notte. La mia famiglia, ognuno di noi a turno, portava un cesto con del cibo alla famiglia della piccola Irin. Secondo le nostre credenze, noi avremmo dovuto continuare a portare loro dei doni per un mese, che passò velocemente.

Serin non tornò a lavorare da noi, passava le sue giornata tra la scuola e la casa, senza mai concedersi una deviazione.

<< Serin, potresti accompagnarmi a casa? >> gli chiesi un giorno dopo la lezione di storia.<< Mi sono slogata il polso e non riesco a portare i libri. >> lui si avvicinò, prese i miei libri e quaderni, e mi accompagnò, sempre senza dire una parola.


Camminammo nel più completo silenzio, rimanendo, comunque, a nostro agio. Ciò che ci aveva legato era molto forte, un legame che sarebbe durato per sempre. Nella strada verso casa passammo accanto al sentiero diretto al bosco, ed io fui colta dall'idea.

<< Andiamo >> dissi accennando con la testa al sentiero. Lui mi seguì.

Il sentiero era costellato di alberi, sulla destra e sulla sinistra. Erano alberi alti ed antichi, che emanavano odori bellissimi. C'erano anche dei fiori, rossi, gialli, verdi. Alcuni cani ci tagliarono la strada. Erano piccoli, con le orecchie lunghe, e non ci degnarono nemmeno di uno sguardo. Continuando per la strada iniziai a sentire la paura, e, dalla rigidezza con cui Serin si muoveva, capii che anche lui non era tranquillo.

Gli odori, man mano che avanzavamo, iniziavano  a cambiare. Divennero più pungenti, più intensi. I rumori della vegetazione  più forti. Si sentiva il cinguettare degli uccelli, qualche cane che abbaiava, ma, per lo più, il fruscio delle foglie, e persino qualche ramo che si spezzava. Iniziavo ad agitarmi, il sudore mi imperlava la fronte. Più avanti il sentiero curvava, e non si riusciva a vedere cosa ci fosse oltre la curva. Mille pensieri iniziarono ad attraversami, "Forse al di là c'è la casa, oppure siamo già arrivati al loro paese... no, non è possibile, prima ci deve essere la casa.. oppure abbiamo sbagliato strada, ma la strada è solo questa.." e così via. Accanto a me Serin rimaneva nel suo silenzio assoluto, le mani, però, gli tremavano lievemente; volevo quasi dirgli di tornare indietro, ma ormai eravamo lì, ed era stata una mia idea! Poi girammo per la curva, la strada continuava ancora e ancora e ancora, in un rettilineo che sembrava non avesse fine. Doveva essere ora di pranzo, ed i nostri genitori ci dovevano stare aspettando per mangiare, fui tentata di usare questa, come scusa per tornare a casa, ma no, dovevamo continuare. Avanzammo ancora per dieci minuti, mezz'ora, un'ora; il sentiero sembrava non avere fine. 

Poi da lontano avvistammo una casa. Era in legno, con un bel tetto spiovente, un portico, un recinto tutto intorno. Era una casa normalissima, però, al suo interno, avremmo visto la donna. Avevamo sentito parlare di lei in ogni modo, soprattutto di quanto fosse temibile, cosa ci avrebbe fatto se ci avesse visto? Ci avrebbe ucciso, sicuramente; i genitori di Serin avrebbero perso l'unico figlio che gli era rimasto. Se fossi stata meno orgogliosa, più buona, avrei messo da parte la mia dignità e gli avrei detto di rigirarci, e lui mi avrebbe seguito, così come aveva fatto fino a quel momento. Eppure io volevo continuare, volevo vederla, era là, a pochi passi da me. Dovevo andare avanti. Continuammo a camminare, attenti ad ogni più piccolo rumore, ci spostammo dal sentiero ed avanzammo nascondendoci da un albero all'altro, nessuno ci avrebbe dovuto vedere. In quel breve tragitto poggiai le mie mani, le mie guance, su molti alberi, sentii il contatto con la corteccia, il suo odore, il suo sapore, mentre guardavo avanti, controllando che non ci fosse nessuno. Albero dopo albero ci avvicinammo sempre di più.  Eravamo a pochi metri, e non sapevo cosa fare. Volevo guardare all'interno dalla finestra, ma era un rischio tanto elevato; se si fosse affacciata? Se avesse deciso di uscire a prendere una boccata d'aria? Mi girai verso Serin, dietro un albero alla mia sinistra, chiedendogli, solo con lo sguardo, cosa dovessimo fare. E lui mi fece cenno di avanzare: anche Serin voleva vederla, e quella fu la spinta finale. Lasciammo i nostri nascondigli e strisciammo raso terra fino al recinto. Era fatto di legno, con semplici pali infissi per terra, più per evitare che animali uscissero dalla casa, che per tenere lontane le persone; eppure nessuna sorta di bestiame si trovava lì intorno. I pali erano bassi, e li scavalcammo dal lato dietro la casa, dove non c'erano finestra, così che, anche alzandoci, non ci avrebbe visto nessuno. Una volta superato il recinto continuammo a strisciare, e raggiungemmo la finestra, sul lato est della casa. Prima di alzarci, ci tenemmo per mano, rischiavamo tutto per la nostra curiosità, rischiavamo di perdere la vita, di non avere mai una famiglia, un lavoro, rischiamo di distruggere i nostri genitori, i miei fratelli. Eppure ci alzammo. 
L'interno della casa era senza mobili, con solo un piccolo pagliericcio e un tavolo. Non c'era un secondo piano, non c'era niente. E soprattutto non c'era nessuno. Non si vedeva alcun cibo lì intorno, abiti, focolare, niente. La casa era disabitata. Ci alzammo ed entrammo, la porta era appena appoggiata, non c'era nessun catenaccio. Una volta dentro  non notammo grandi differenze, non c'era nient' altro da aggiungere a ciò che avevamo visto da fuori. Era un'unica stanza, un unico piano, un unico pagliericcio, e nessuno che ci vivesse. La donna se ne era andata, realizzammo entrambi nello stesso momento, e ci guardammo preoccupati. Finché fosse rimasta lì, niente sarebbe cambiato, questo lo sapevamo tutti, invece, adesso che se ne era andata, questo poteva significare molte cose, soprattutto, poteva significare l'arrivo di una guerra. 

Uscimmo dalla casa come in trance, percorremmo tutta la strada dell'andata, che sembrò molto più breve e silenziosa. Nel giro di poco, ci ritrovammo a casa mia, entrambi spaventati.

<< Enn! Si può sapere dove eri finita?? >> mi urlò contro mia madre, vedendomi dalla finestra.

<< Vieni subito qui >> disse minacciosa la voce di mio padre da dentro la cucina.

Entrammo.

<< Serin, che ci fai qui? >> chiese mia madre, calmandosi un attimo, per poi proseguire arrabbiata, << I tuoi genitori saranno così preoccupati, un'altra sofferenza da aggiungergli. Avete idea di che ore sono?? >>dal cielo, che iniziava appena a scurirsi, dovevano essere le sei. 

<< Vi devo parlare. >> dissi io, incerta.

<< Questo è poco, ma sicuro. >> rispose mio padre. Nella cucina c'erano solo loro due, seduti uno vicino all'altro, probabilmente i miei fratelli erano stati mandati a cercarmi.

<< Siamo andati alla casa. >> dissi tutto d'un fiato.

<< Quale casa? >> chiese mia madre, già sapendo la risposta.

<< Quella casa... >>

<< Sei un'incosciente! Anzi siete due incoscienti! Due disgraziati! Se vi avessero ucciso?? Che cosa ne sarebbe stato di tua madre, eh Serin?? Non sarebbe sopravvissuta anche alla tua morte!! >> Serin non batté ciglio, non disse una parola, non sembrò nemmeno troppo dispiaciuto.

<< Mamma, è disabitata. >> il terrore invase i loro volti. Molto più che la preoccupazione perché qualcosa sarebbe cambiato, ma vero terrore.

<< Tenete. >> disse mia madre dopo alcuni secondo, con le labbra tese. E ci porse due ciotole con dentro una zuppa di pesce. Serin ed io mangiammo affamati, non avendo messo in bocca niente dall'alba.

Mentre stavamo mangiando vidi i miei genitori parlare, in un angolo in disparte. Mio padre aveva la fronte piena di rughe, e mia madre tremava per l'ansia.

<< Partirò domani stesso, all'alba. Devo per lo meno vedere se la casa è veramente disabitata, se così fosse, vorrebbe dire che è pronta, e non so quanto possa essere pericolosa. >>

<< Va bene.. >> disse lei titubante.

<< Dovrei essere di ritorno domani sera, se così non fosse, aspetta fino al giorno seguente, poi prendi i ragazzi e scappate. Avvisa più gente possibile, e soprattutto... >> indicò con la testa Serin, mia madre rispose solo con uno sguardo preoccupato. Lui le poggiò una mano sulla spalla, gentilmente.

<< Sii forte, per te e per le nostre figlie. >>

<< Lo sarò, >> annuì lei, << Però tu devi tornare. >>

<< Tranquilla, non vi abbandono! >> ripose lui, accennando un sorriso rassicurante.


Noi finimmo il nostro piatto, dopodiché Serin salutò e venne accompagnato da mio padre alla casa.

<< Avete corso un rischio terribile, lo sai vero? E soprattutto inutile, guidati solo dalla vostra curiosità ed egoismo. >> lo stava rimproverando mio padre nel tragitto.

<< Non hai niente da rispondere? Nemmeno per chiedere scusa parli? >> Serin perseguiva nel suo silenzio.

<< Ragazzo, prima o poi dovrai parlare, non puoi continuare in questo silenzio. Pensa a tua madre >>, Serin ci pensava, ai suoi genitori, a quanto stessero male, si poteva leggere nei suoi occhi, eppure continuava a non parlare.

<< Serin! >> gridò suo padre venendogli incontro dalla porta di casa, << Ti abbiamo cercato ovunque! >>

<< Non per il sentiero. >> disse mio padre in tono grave.

<< Per il sentiero? >> ripeté sbigottito l'uomo.

<< Si, lui e mia figlia hanno deciso di fare visita alla donna nella casa. >>

<< Come.. >> fece per sgridarlo , quando mio padre lo fermò.

<< Rimanda a dopo il rimprovero, ti devo parlare. Urgentemente. >>

Serin fu strattonato dentro casa, e loro due rimasero in cortile a discutere.

Nel frattempo, io tentavo di capire da mia madre di cosa stessero parlando in gran segreto.

<< Stavate decidendo come punirmi? >> chiesi io per la terza volta.

<< Non ogni cosa gira intorno a te e alle tue monellerie. >> rispose esasperata mia madre.

<< E allora su cosa gira? Un attimo dopo che io ho fatto qualcosa di sbagliato, voi due confabulate. Di sicuro riguarda me, o quello che ho scoperto. >>

<< Scoperto! >> disse mia madre inferocita, << Tu non hai scoperto proprio niente. Non sai niente. Sei una bambina che crede di essere tanto grande solo perché ha avuto il coraggio di fare una cosa molto stupida. >>

<< Io.. >> stavo per ribattere, quando Tes e i miei fratelli rientrarono.

<< Enn! Dov'eri?? Ti abbiamo cercata ovunque!! >> disse Teresa, arrabbiata quasi quanto mia madre.

<< La signorina aveva deciso di rischiare la sua vita per soddisfare una stupida curiosità >> disse mia madre.

<< Cosa? >> chiese mia sorella, non capendo.

<< É andata a vedere la casa nel bosco. >>

<< Senza di noi?? >> chiesero i due fratelli in coro.

<< Certo si doveva portare dietro anche voi, così in una giornata sola perdevamo tre figli e un fratello nel cuore. >> disse mia madre, sempre più rossa dalla rabbia.

<< Un fratello? Ti sei portata dietro Serin, e non me? >> disse Rodd, arrabbiandosi a sua volta.

<< Ma che volete tutti quanti? Ho sbagliato, va bene. Punitemi e facciamola finita. >> risposi io.

<< Troppo facile, ti vuoi togliere il pensiero subito?! >>

<< E che dovrei aspettare? >>

<< C'è qualcosa di più importante di cui discutere. Però aspetteremo che torni vostro padre. >>

<< Che è andato dove? >> chiese Marcus.

<< A riaccompagnare Serin. >>

<< Nel frattempo te non hai dei cavalli a cui badare? Ti sei dimenticata pure dei tuoi doveri per il tuo egoismo. >>

<< Egoismo.. >> ripetei io mezza arrabbiata e mezza sbigottita. Io non ero egoista, o forse si?

<< Vado. >> dissi, e mi diressi ai cavalli.

Dopo un'oretta mio padre fece ritorno, e ci riunì tutti.

<< Io domani devo partire, tornerò la sera, se non avrò il Vento contro>> mai come in quel momento, quella frase, usata come modo di dire, aveva un senso per lui.

<< Altrimenti dovrei tornare il giorno dopo. Se non mi vedete arrivare dopo questo tempo, voglio che prendete l'indispensabile e vi mettete in viaggio. >>

<< In viaggio? Ma perché? Dove devi andare? Che succede? >> chiedemmo tutti, eccetto mia madre.

<< Ora non ho il tempo per spiegarvelo, ubbidite a vostra madre, e siate sempre forti. >>

<< Questo suona come un addio. >> disse Teresa, con un tono tra il piatto e l'accusatorio.

<< No, quale addio! >> disse mio padre ridendo, cercando di rassicurarci, ma si vedeva benissimo che qualcosa non andava.

<< É per la casa, vero? >> chiesi io,<> dissi io, colta dall'illuminazione.

<< Non vi nego che riguarda la casa. Ma non vi preoccupate, farò ritorno, e non cambierà nulla. >> disse mio padre

Il resto della giornata volò via. Avevo molto lavoro arretrato con i cavalli. "L'indispensabile, cos'è l'indispensabile? Quale di questi cavalli è indispensabile?" pensavo, mentre strigliavo un poni grigio.


Nel frattempo mio padre stava preparando una borsa, in pelle, dove mettere dentro alcune cose. Si sarebbe portato del cibo, un po' di pane, formaggio, e carne, una tunica per cambiarsi e nient'altro. Avrebbe fatto ritorno presto, continuava a ripetere a sua moglie. Avrebbe visto la casa e sarebbe tornato, nient'altro, poi avrebbero deciso insieme il da farsi.


NEL PROSSIMO CAPITOLO:
Si nascose dietro gli alberi, allo stesso modo di Serin e di me, allo stesso modo strisciò, allo stesso modo ebbe paura prima di affacciarsi alla finestra e di vedere che non c'era nessuno. Almeno quella sera sarebbe tornato a casa. Poi avrebbero affrontato ogni cosa insieme. ~
Aprì la porta e si guardò intorno. Non c'era nulla che facesse pensare a qualcuno che vivesse lì. Uscì dalla casa, mangio un pezzo di formaggio e si decise a tornare indietro. Sarebbero dovuti partire, il prima possibile. Riprese il sentiero, ancora una volta percorse quella stretta stradina costeggiata dagli alberi. Poi sentì un rumore. Si fermò di colpo. Il cuore iniziò a battere forte, i nervi a fior di pelle. Afferrò il coltello, e si mise in attesa.






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Capitolo 9
*** 5 ***


 

 

L'alba arrivò rapida, e ci svegliammo tutti, come al solito. Papà era già partito, non ci aveva voluto aspettare.

 

<< Sii forte, farò ritorno presto. >>aveva detto stringendo la mano di sua moglie , con un tocco che voleva dire ogni cosa, tutto il loro amore di quei quindici anni. Poi si abbracciarono, e lui partì.

 

Il viaggio verso la casa fu lungo, anche lui sentì gli odori intensi, che cambiavano avanzando, i rumori, che divenivano più forti, la paura, che insinuava dentro di lui. Non sapeva cosa sperare. Che Enn e Serin si fossero sbagliati, la donna stesse ancora lì, ed in tal caso avrebbe rischiato  la morte per mano sua, o che la casa fosse disabitata, e allora nessuna poteva sapere cosa sarebbe successo.

 

 In ogni caso, il risultato sarebbe stato un disastro. Cosa avrebbero fatto? Sarebbero scappati. Ma per dove? Quanto lontano si doveva correre, per evitare le razzie dei Signori del Vento? Esistevano villaggi al di là di quelli conosciuti da loro? Oppure dovevano aspettare. Ma aspettare cosa? Sarebbero comunque arrivati. Dovevano scappare. Preso dai pensieri non si accorse di un rumore alla sua destra, finche un cane non gli si avvicinò  ed iniziò a ringhiare. 

 

Era piccolo di statura, non sarebbe mai stato pericoloso, eppure continuava a mostrargli i denti, senza lasciarlo passare. Nella borsa aveva messo anche un piccolo coltello da caccia, con la lama affilata, per ogni evenienza. Non lo tirò fuori, non voleva uccidere nessuno. Si inginocchio, divenendo della stessa statura del cane, e lo fissò. Il cane continuò a ringhiare per un po', poi decise che non ne valeva la pena, e se ne andò per i boschi. 

 

Mio padre riprese il cammino, mostrando più attenzioni ai rumori intorno a lui, se non si era accorto di un cane, di certo non si sarebbe accorto nemmeno del Vento. Doveva stare più attento. Il sole era alto in cielo, lo poteva vedere attraverso gli alberi, i suoi figli dovevano essere già a scuola. Continuò a camminare ancora ed ancora, finche vide la curva, il rettilineo, e poi la casa in lontananza. Sentiva che non ci sarebbe stato nessuno. Non si vedevano più animali nei pareggi, non si sentivano più rumori, però fece comunque attenzione. Si nascose dietro gli alberi, allo stesso modo di Serin e di me, allo stesso modo strisciò, allo stesso modo ebbe paura prima di affacciarsi alla finestra e di vedere che non c'era nessuno. Almeno quella sera sarebbe tornato a casa. Poi avrebbero affrontato ogni cosa insieme. Poteva pure evitare di far preoccupare i ragazzi così presto, ma comunque la loro vita sarebbe cambiata di lì a poco, tanto valeva che iniziassero a pensarci. 

 

Aprì la porta e si guardò intorno. Non c'era nulla che facesse pensare a qualcuno che vivesse lì. Uscì dalla casa, mangiò un pezzo di formaggio e si decise a tornare indietro. Sarebbero dovuti partire, il prima possibile. Riprese il sentiero, ancora una volta percorse quella stretta stradina costeggiata dagli alberi. Poi sentì un rumore. Si fermò di colpo. Il cuore iniziò a battere forte, i nervi a fior di pelle. Afferrò il coltello, e si mise in attesa. Il cane uscì dal bosco e gli venne incontro.

 

<< Ancora tu. >> disse sollevato. Il cane, marroncino, con alcune macchie più scure, gli si avvicinò, e lo leccò. << Hai deciso che non sono un nemico, vero? >> disse lui accarezzandolo. Poi il cane si irrigidì, la coda appuntita, e lo sguardo perso nel bosco. Iniziò ad abbaiare, contro qualcosa di lontano, un nemico temibile e crudele. Una folata di Vento passò sulle loro teste. Un Vento freddo e pungente, capace di entrarti dentro  e che annunciava la guerra. "Stanno per arrivare, lo sento." Pensò.

 

Riprese il cammino, questa volta ad un tempo di marcia, per arrivare il prima possibile, con il cane al seguito.

 

Arrivò a casa che era sera. Sua moglie gli venne incontrò, lo abbracciò e baciò, con le lacrime agli occhi.

 

<< Ti avevo detto che sarei tornato. >> disse lui, e le strappò un sorriso bagnato.

 

<< Si, e con un amico. >> rispose mia madre accarezzando il cane.

 

<< Dobbiamo parlare. Raduna i ragazzi.>>

 

<< Sono già tutti in cucina. >>

 

Ed entrarono in casa. Teresa era in piedi, vicino alla porta. Rodd e Marcus sedevano uno accanto all'altro, io in una sedia poco distante.

 

<< Allora, >> esordì mio padre, << La casa è effettivamente vuota. Questo vuol dire che la donna che stava lì è stata portata nel loro villaggio. Non so cosa significhi, ma di certo nulla di buono. Ci sono due possibilità: restare, ed attendere il nostro destino, o scappare. Rodd, Marcus ed Enn, voi seguirete quello che decideremo, adesso uscite un momento. >> Noi protestammo un po', ma seguimmo il suo ordine.

 

<< Tes, te sei abbastanza grande, e sai cosa comporta restare. Se il resto del villaggio, deciderà di opporsi, moriremo. Se invece ci arrenderemo.. beh.. sai cosa faranno a te, tua madre, e alle altre donne del villaggio. Può anche essere che la scomparsa della donna dalla casa non significhi nulla, ma io credo che il Vento sia vicino. Per me, dobbiamo andarcene.  >>

 

<> annuì mia madre.

 

<< Ma dove andremo? >> disse Teresa, << Intorno a noi ci sono solo gli altri tre villaggi, che andranno incontro allo stesso destino, più in là c'è il fiume ed il mare, ed oltre non sappiamo cosa ci sia. Moriremo comunque. >> 

 

<< Almeno avremo tentato. >> disse mia madre.

 

<< E se tentassimo di opporci? >> chiese mia sorella.

 

<< Non c'è speranza contro il Vento. >> disse mio padre. 

 

<< Cosa dobbiamo portare? >> chiese mia madre.

 

<< Prendete più cibo possibile, è l'unica cosa che ci servirà. Ed i cavalli. Enn il suo ed io il mio, andrò nella stalla e ne sceglierò qualcuno per voi. >> nessuno della nostra famiglia, a parte me e mio padre, andava spesso a cavallo, anche se tutti sapevano montare.

 

Uscì e si diresse alle stalle. Avevamo sei cavalli, due pony e quattro puledri, tolti i nostri due, rimanevano sei animali, due per mia madre e mia sorella, due per i genitori di Serin, i due pony  per i miei fratelli. E Serin rimaneva senza cavallo, avrebbe montato dietro suo padre. Poi si diresse alla casa dei nostri fratelli nel cuore.

 

<< Sei tornato! >> esclamò sollevato Ted, il padre di Serin.

 

<< Si, ma non porto buone notizie. >>

 

<< Dunque è veramente disabitata. >>

 

<< Si. Noi partiremo domani all'alba. Ho pronti i cavalli anche per voi. L'unico problema è che Serin dovrà montare dietro qualcuno. Non abbiamo abbastanza animali.>>

 

<< Non ha importanza, ci adatteremo. Grazie per averci avvertito, e tutto il resto. >>

 

<< Siamo fratelli adesso, non c'è da ringraziare. Partiremo domani all'alba, tenetevi pronti. >> E si salutarono.

 

Poi mio padre andò in giro per le casa, bussando ad ognuna.

 

<< Cosa succede? >> risposero molte facce turbate.

 

<< La casa è disabitata, non so quando , ma presto saranno qui. Non so che intenzioni avete, ma noi partiremo domani all'alba. >> disse, senza lasciare spazio a commenti, erano molte le case che doveva visitare. Infine si diresse ad una piccola torretta. Dove un uomo gestiva tutti i piccioni viaggiatori. Erano l'unico mezzo di comunicazione con le città attorno senza dover ricorrere ai cavalli. Anche lì bussò, anche a lui disse quello che stava accadendo.

 

<< Avvisa le altre città.. >> disse mio padre.

 

<< Loro non sanno nemmeno a cosa vanno incontro..>> rispose lui.

 

<< Una ragione in più per dirglielo. Scrivi brevemente quanto sono violenti. Insomma avvertili. >>

 

<< Va bene.. >> rispose lui. Era un vecchio, con le ossa malridotte, i capelli radi, e le palpebre e guance cascanti tipiche della sua età.

 

<< Che il Vento non soffi sul vostro cammino. >> aggiunse l'uomo.

 

Nel frattempo mia sorella e mia madre stavano preparando delle sacche. Una per ognuno di noi, con dentro formaggio, pane, carne salata e gallette. Misero anche del miele e delle marmellate. Io e i miei fratelli stavamo raccogliendo l'acqua dal pozzo in quante più borracce possibili. Finito di preparare le sacche con il cibo, aggiungemmo una tunica di ricambio con dei pantaloni di pelle, e una cappa per proteggerci in caso di freddo. I miei fratelli parlavano eccitati, di cosa avremmo incontrato oltre il nostro villaggio.

 

<< Magari vedremo degli animali strani! >>

 

<< O un castello. Circondato da montagne! >>

 

<< Ma quali montagne, un castello è circondato da un fossato, con un ponte levatoio. >> e così via, per molto tempo ancora. Io non aggiungevo nulla alle loro fantasie, la mia testa era occupata a pensare a ciò che ci avevano insegnato a scuola. "I figli del Vento sono crudeli ed imbattibili, prendono le donne e ne fanno ciò che vogliono. A   undici anni non credo mi considerino una donna, però Tes.. e mamma.. Che cosa ne sarebbe stato di noi?". 

Mia madre e mia sorella parlavano di cose pratiche, di portare questo o quello, di scegliere un indumento o un altro, di quello che avremmo dovuto lasciare.

 

Poi mio padre arrivò a casa, ci chiese se tutto fosse pronto e ci mandò a dormire. La notte la passammo insonne, ognuno preso dalle proprie paure. Ognuno colto dalla nostalgia, dal dispiacere per quello che avremmo lasciato, dal terrore di venire uccisi, o peggio. Cosa sarebbe successo il giorno seguente? Avremmo fatto in tempo? Ci voleva mezza giornata di marcia verso Merra, o Gioven, una giornata per raggiungere Trenin. Noi saremmo dovuti andare oltre. La notte passò, ed il sole sorse.

 

Balzai dal letto e mi vesti rapida, lo stesso fecero i miei fratelli nella stanza accanto, mia sorella nel letto vicino al mio, i miei genitori due camere più in là, Serin, nella stanza dove morì sua sorella, e Ted e Glenn, al piano terra.

 

Mia madre doveva essere già sveglia da molto, aveva preparato una colazione abbondante.

 

<< Dobbiamo essere in forze per il viaggio. >> disse mentre si costringeva a mangiare, l'ansia aveva chiuso lo stomaco, a tutti tranne che a Rodd, l'unico a mangiare di gusto. C'era pancetta, uova, latte, mele, pane, miele e marmellata. In un quarto d'ora finimmo di mangiare. Poi mia sorella diede ad ognuno di noi il sacco di tela con dentro il nostro bagaglio. Un unico, piccolo fagotto, che racchiudeva le nostre speranze di vita, vuotato dei ricordi, o dei sogni. 

Teresa sognava di sposarsi, con quel ragazzo che conosceva appena; aveva immaginato che prima o poi si sarebbero parlati, che lui avesse trovato il coraggio per conoscerla, per innamorarsi e per sposarsi. I miei genitori sognavano la vita che stavano lasciando, avevano costruita una bella casa, avevano dei figli che amavano, un raccolto, del bestiame, dei cavalli. Stavano lasciando una bella vita, per andare incontro all'ignoto. Rodd e Marcus, nonostante tutti i discorsi eccitati del giorno prima, avevano anche loro paura. Uno sognava di diventare medico, di curare le persone come Teresa, l'altro di poter un giorno avere un enorme allevamento, con tanti cavalli ammirati da tutti. Ogni sogno doveva essere abbandonato in quella casa. Io avevo sempre sognato un viaggio, a cavallo di Azari, verso posti sconosciuti, però era un viaggio che desideravo, non una fuga. Serin ed i suoi genitori avevano perso i loro sogni con la morte della bambina e questa fuga era un altro tentativo per rimanere in vita, per continuare a combattere nonostante tutto. Anche loro avevano preparato dei sacchi di tela, con il poco cibo di cui disponevano. Mia madre aveva pensato anche a loro. Preparando tre sacche in più e dandole a Rodd, Teresa e me fino all'arrivo a casa loro.

 

Sellammo i cavalli. Cuscinetto, sella, redini e montammo. Alla testa c'era mia madre con accanto Teresa, dietro i miei due fratelli, ed a chiudere la fila mio padre ed io, che portavamo per le redini i due cavalli per i nostri fratelli nel cuore. Attraversammo la strada del villaggio, passando vicino al sentiero del bosco, e, ancora una volta, sentimmo il Vento aleggiare sulle nostre teste, con una minaccia di morte. Lungo questo primo, breve tragitto, vedemmo attorno a noi solo gli uomini e le donne che si occupavano di raccolti ed animali. Nessuno di loro aveva deciso di mettersi in marcia.

 

<< Ma cosa faranno? >> chiesi a mio padre

 

<< Non lo so. Io ho avvertito tutti. Credo che abbiamo deciso di restare e combattere, o arrendersi. >>

 

Raggiungemmo la casa di Serin che loro erano già sulla porta, ad aspettarci. Indossavano pantaloni di tela e delle camicie comode e larghe. Avevano dei piccoli sacchi, con un po' di cibo e qualche cambio d'abito. Mio padre ed io smontammo da sella, per aiutarli con i cavalli. 

 

Mio padre raccolse i tre sacchi in più da Rodd, Tes e me.

 

<< Tenete. >> disse porgendoli ad ognuno di loro.

 

<< Grazie, ancora una volta. >> rispose Ted per tutti. Mio padre e mia madre risposero con un cenno.

 

Poi diedi le redini del cavallo che portavo, un sauro, a Glenne, e l'aiutai a montare. Al padre di Serin demmo una cavalla grossa e buona, che poteva tranquillamente portare due persone. Infine, ognuno di noi in sella, con un sacco sulla spalla, ci mettemmo in viaggio.

 

<< Verso dove andiamo? >> chiese Marcus

 

<< Verso est, però eviteremo il villaggio, proseguiremo lungo la strada. >> rispose mio padre mentre dava di tacco al cavallo e si metteva in testa alla nostra carovana. Io gli stavo subito dietro. Andavamo al passo, per lo più, tranne in alcuni sentieri proprio rettilinei, dove potevamo trottare. Montavamo tutti sufficientemente bene, chi più chi meno, però sarebbe stato un viaggio lungo, e non potevamo farlo tutto al trotto, anche se io sarei voluta andare al galoppo, e volare via, più veloce che mai.

 

Il sentiero proseguiva dritto, per chilometri e chilometri. C'era un boschetto sulla destra, con pochi piccoli alberi. Sulla sinistra una pianura sconfinata. Iniziammo il viaggio molto silenziosi, ognuno perso nei propri pensieri; dopo circa mezz'ora i miei due fratelli iniziarono ad intrattenerci con alcune canzoncine. Parlavano di sogni, di viaggi, di avventure, con frasi inventate. Rodd iniziava una strofa, e Marcus la proseguiva.

 

<< Sotto il sole noi trottiam.. >>

 

<< Senza sosta camminiam.. >> , e nel giro di poco ci coinvolsero tutti. 

 

Dopo un'altra ora ci stancammo di cantare ed iniziammo a raccontare storie. Cominciai io, con:

 

<< C'era una volta un giovane stregone.. >> e così via. Occupando il nostro tempo nel tragitto

 

Dopo alcune ore ci fermammo per una sosta. C'erano degli alberi che offrivano un'ombra perfetta.

 

<< Stanchi? >> chiese mio padre. Ci eravamo seduti in cerchio, uno accanto all'altro. Ognuno aveva preso un pezzo di pane e formaggio dalla propria sacca, ed un sorso d'acqua. Dovevamo stare attenti a non mangiare troppo.

 

<< Non esagerare Rodd. >> lo ammonì mia madre.

 

<< Insomma.. >> dissi io rispondendo alla domanda di mio padre.

 

Tutti, tranne me e mio padre, avevano le cosce, la schiena e gli addominali doloranti, non essendo abituati a montare per ore di fila.

 

<< Avete idea di quanto manchi da qui a Gioven? >> chiese mia sorella.

 

<< Noi non passiamo per Gioven. >> rispose mio padre.

 

<< Si, lo so. Volevo solo saperlo. >> rispose lei, con lo sguardo basso.

 

<< Avresti voluto incontrare il tuo principe azzurro? >> chiese Marcus, rendendo mia sorella rossa dall'imbarazzo.

 

<< Marcus! >> lo rimbeccò mia madre. << Ti sembra il momento? >> La famiglia di Serin era molto silenziosa, non parlavano tanto se non per poche semplici parole in risposta a nostre domande. 

 

<< Beh, rimettiamoci in marcia. >> disse mio padre, che, evidentemente, guidava la nostra fuga. Noi tutti sospirammo, ci alzammo a fatica, e montammo a cavallo. Sarebbero ricominciate altre ore di viaggio, probabilmente fino a sera. E chissà ancora per quante ore, o giorni!

 

Durante il tragitto mi avvicinai a Serin.

 

<< Come va? >> gli chiesi. Con il fatto che non parlava, nessuno gli faceva domande. Credendo che non ci fosse modo per capirlo. I suoi genitori non gli avevano quasi rivolto parola dall'inizio del viaggio, abituati al suo silenzio. Ognuno di noi, invece, aveva provato a parlarci, una volta o due, e, non avendo risposta, avevamo smesso di farlo. Anche questa volta lui non rispose, però era il suo corpo a parlare. Aveva gli occhi bassi, leggermente chiusi, le mani abbandonate sul collo del cavallo, che camminava semplicemente seguendo il resto del branco, di certo non perché controllato da Serin; infine la schiena era curva.

 

<< Anche io sono stanca. Più per l'agitazione che per la cavalcata. >> dissi. Lui si girò a guardarmi, e accennò un sorriso. Forse avremmo potuto comunicare.

 

<< C'è un ruscello laggiù! >> indicò Rodd, che era avanzato al galoppo.

 

<< Ci possiamo fermare e prendere da bere. >> disse Marcus.

 

<< Si. >> rispose mio padre. << Però prenderemo solo l'acqua, senza fermarci a riposare o mangiare. >>

 

<< Va bene. >> risposero tristemente i due bambini.

 

Era un piccolo ruscello, che doveva arrivare da una fonte non molto lontana. Avevamo già percorso quella strada, mio padre, Tes ed io, per andare al mercato di Gioven. Qualche metro più avanti, dietro una curva, la strada avrebbe proseguito dritta fino alla città. Poche falcate e si arrivava. Noi non avremmo preso quella curva, dovevamo continuare dritti, dove il sentiero sarebbe terminato. Nessuno andava in quella direzione, che bisogno c'era per  proseguire in là? Non si sarebbero incontrati villaggi, né persone, né animali. Niente. 

Solo noi, nove persone in fuga.

 

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO:

Proseguimmo ancora, ed ancora. Ognuno iniziava a pensare che non saremmo arrivati da nessuna parte, che saremmo morti lungo il cammino, così stavamo tutti in silenzio, il nostro passo cullato solo dal suono attutito degli zoccoli sull'erba.

 

Infine il sole sparì dietro l'orizzonte. Non c'erano ripari, luoghi asciutti dove potersi nascondere. Non si vedevano più nemmeno gli alberi, solo qualche piccolo, insignificante arbusto.

 

<< Fermiamoci. >> disse mio padre.

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Capitolo 10
*** 6. ***


Ci fermammo a quel ruscello per pochi minuti, ubbidendo agli ordini di mio padre, e poi ripartimmo.

In un quarto d'ora potemmo vedere la curva alla nostra destra.

<< Da lì si va per Gioven, giusto? >> chiese Ted.

<< Si. Ma noi proseguiremo diritti. Chissà se hanno già ricevuto il nostro messaggio.. >>disse mio padre

<< Li hai avvertiti? >> chiese Glenne.

<< Si, ho fatto mandare dei piccioni viaggiatori. Ma non so se si preoccuperanno troppo. Ho detto di scrivere quanto possano essere pericolosi, ma loro non sanno. >> rispose abbassando lo sguardo. Nemmeno i genitori di Serin erano nati nell'ultima PrimaVera, ma la sofferenza la conoscevamo tutti.


Mi girai per guardare Teresa, sul suo cavallo, dietro a me. Le accennai un sorriso. In quel momento stava dando il suo ultimo addio al suo sogno ed alla sua vita. Chissà se lui avrebbe pensato a lei, si chiese per un attimo, chissà se sarebbe sopravvissuto. Se il suo popolo si fosse arreso, gli uomini sarebbero stati risparmiati, lui sarebbe stato salvo. Mentre lei sarebbe stata lontana. Destino crudele.


Non c'era più alcun sentiero, stavamo proseguendo per i prati, e dovevamo stare più attenti, per eventuali animali, e perché i cavalli potevano inciampare, fermarsi a mangiare, imbizzarrirsi, era una posto che non conoscevano, nessuno di loro. Il prato era sconfinato, con erbacce, fiori, qualche albero qua e là. La terra era dissestata in alcuni punti, in altri era piena di rocce, e il loro cammino venne rallentato di molto. 

La mia Azari  reggeva bene il cammino, era una cavalla che amavo ogni secondo di più. I due pony, con le loro zampe corte, proseguivano inciampando spesso, e rallentando il passo. Ad un certo punto Rodd si fermo di colpa e venne sbalzato leggermente in avanti. Fortunatamente mio fratello era ben saldo nelle staffe, e riuscì a non cadere.

<< Tutto bene? >> chiese mio padre a Rodd.

<< Si, però non riesco più a farlo muovere. >> mio padre lo incitò con la voce,  per un po', disse a mio fratello di dare una sgambata un po' più forte.

<< Sta bene in equilibrio. >> gli disse prima di dargli una bella pacca sul di dietro. Il pony scalciò qualche secondo, e poi riprese il cammino.


Gli altri cavalli proseguirono senza troppi ostacoli. Chissà come sarebbero stati  i puledri, che avevamo dovuto lasciare ad una delle persone con cui mio padre aveva parlato prima di partire: Sal Ledino. Un suo amico che era bravo con gli animali. 

<< Noi partiamo. Io non so che intenzioni avete, non ti chiedo nemmeno di dirmelo. Però, in caso vi arrendeste, i miei animali sono in casa mia, li lasciamo lì. Dì a qualcuno di occuparsi di loro. Non li fate morire, se riuscite a salvarvi. >> gli disse. Dopotutto ci eravamo affezionati a loro.


Proseguimmo ancora, ed ancora. Ognuno iniziava a pensare che non saremmo arrivati da nessuna parte, che saremmo morti lungo il cammino, così stavamo tutti in silenzio, il nostro passo cullato solo dal suono attutito degli zoccoli sull'erba.

Infine il sole sparì dietro l'orizzonte. Non c'erano ripari, luoghi asciutti dove potersi nascondere.Non si vedevano più nemmeno gli alberi, solo qualche piccolo, insignificante arbusto.

<< Fermiamoci. >> disse mio padre.

<< Dove? Non ci sono ripari. >> rispose mia madre.

<< Lo so, ma inizia ad essere buio. Potremmo avanzare ancora un po', però non so. Io mi fermerei qui. >> disse lui.

<< Va bene >> annuì mia madre poggiandosi una mano sulla schiena. La cavalcata doveva averla stancata molto.

Scendemmo da cavallo con le gambe doloranti.

<< Possiamo mangiare un po' di più adesso? >> chiese Rodd.

<< Non molto, dobbiamo conservare più cibo possibile. >>

<< Ma io ho fame. >>

<< Non ti lagnare, Rodd. >> rispose Teresa arrabbiata. Non alzava spesso la voce, quindi doveva essere molto provata dal viaggio.

<< Almeno non fa freddo. >> rispose lui, cambiando discorso.

<< Già, si sente ancora il caldo dell'estate, anche se è già finita. >> rispose  Glenne. Stavano iniziando a parlare di più, lei e suo marito. Forse si stavano facendo prendere dalle nostre conversazioni.

Mio padre poggiò la mano sulla gamba di mia madre, allungata accanto a lui.

<< Sei stanca? >> le chiese in tono affettuoso.

<< Un po'. >> rispose lei.

Eravamo abituati a vederli parlare in tono dolce o a farsi delle carezze. Era bello vedere che anche in mezzo all'erba, lontano dalle mura di casa nostra, loro erano uguali. 

<< Come vi siete conosciuti? >> chiesi io ad un tratto.

<< Vuoi che te lo raccontiamo adesso? Qui nel mezzo del nulla? >> rispose mio padre, stupito.

<< Perché no? >> chiesi io. Forse li imbarazzava un po' la presenza di Serin e la sua famiglia, però ormai erano nostri fratelli.

<< Va bene.. >> disse mio padre, dando un rapido sguardo a mia madre per vedere se anche lei fosse d'accordo.


<< Allora. Come ci siamo conosciuti.. Non credo che tu voglia sapere quando l'ho incontrata per la prima volta, la nostra città è piccola, ci conosciamo tutti.. >>

<< Si, volevo dire come vi siete messi insieme. >> risposi io.

<< Tua madre era molto bella. Come lo è adesso. Quando era giovane aveva molti pretendenti, io.. non ero tra quelli. >> disse sorridendo.

<< Pensava che fossi, "una ragazza viziata, che sdegnava chiunque gli girasse attorno". >> disse lei, citando parole che lui le aveva detto.

<< Beh, avevo visto molti miei amici chiederle di fare una passeggiata insieme, e lei aveva risposto di no a tutti. Mi chiedevo cosa stesse aspettando. Io di certo non aspettavo lei. C'era un'altra ragazza che mi piaceva, non credo che voi l'abbiate mai vista, si è trasferita a Terin. In ogni caso un giorno stavo accompagnando a casa questa ragazza, che abitava vicino alla casa di vostra madre. Lei indossava una tunica azzurrina con una cinta in vita, ed aveva i capelli raccolti. Stava nell'orto a raccogliere gli ortaggi. Non so perché, ma in quel momento capii perché tutti volessero uscire con lei: riusciva ad essere bellissima persino mentre stava sotto il sole da ore, stanca e sudata. >> le sorrise. Mia madre arrossì per un attimo. Noi ascoltavamo rapiti, tutti.

<< Non mi avvicinai a parlarle, non avevo molto da dirle, e soprattutto, lei aveva sentito dire in giro quale alta considerazione avessi di lei. >> disse in tono ironico.<< In ogni caso smisi di vedermi con quella ragazza; nella mia testa c'era solo lei. Nella sua, non sapevo chi ci fosse. >>

<< Non avete mai conosciuto i vostri nonni. Mia madre è morta dandomi alla luce. Così rimanemmo soli, mio padre ed io. C'era molto da fare in casa, non avevo tempo da passare con amici, e, soprattutto, quando raggiunsi l'età adatta per fidanzarmi, mio padre si ammalò. Nella mia testa, quindi, c'era solo lui, la sua malattia, e come fare per aiutarlo. Non avevo tempo da spendere in nessuna frivolezza. O per me stessa. Erano tempi duri, come adesso. >> disse lei.

<< Accelerando un po' la storia, saltiamo alcuni mesi, dove non feci alcuna mossa per conoscerla meglio. Poi mia madre mi disse di portare delle verdure in casa loro. Non me lo feci ripetere due volte. Bussai a casa sua e lei aprì la porta, le dissi che dovevo portarle alcune cose da parte di mia madre così mi fece entrare. Parlammo molto, e da lì iniziai ad andarla a trovare. Sempre più spesso. Era chiaro a tutti che ci stessimo frequentando, tranne che  a noi. Non le avevo chiesto di sposarmi, perché lei era troppo impegnata con suo padre, che, nel corso del tempo, ero arrivato a conoscere anche io. Poi un giorno lui mi disse di entrare nella sua stanza, perché mi doveva parlare. Mi chiamò da dietro la tenda che separava la sua camera dalla cucina. Era nel letto, non aveva più le forze per alzarsi. Mi fissò negli occhi e mi disse:

"Cosa stai aspettando?" , io lo guardai stupito, non capendo a cosa alludesse.

"Voglio vedere mia figlia sposata prima di morire.",disse lui sorridendomi. Così, senza nemmeno chiedergliela, ebbi la sua benedizione. Poi le chiesi di sposarmi. E lei accettò. >> disse finendo il suo racconto. 
Mia sorella aveva gli occhi sognanti, probabilmente vedeva lei e il suo amato come protagonisti di quel racconto. I miei fratelli sorridevano, ed anche io. Ero contenta di avergli chiesto di raccontarmelo. 

<< Dormiamo adesso. >> disse mia madre. Ognuno di noi si raggomitolò nella propria cappa, con solo il cielo a coprirci le teste, e l'erba a farci da materasso. Dormimmo tutti profondamente, il viaggio ci aveva stancato.


L'alba arrivò presto, una rapida colazione, ed eravamo di nuovo in marcia. Quel prato proseguiva sconfinato, ogni filo d'erba coperto da uno strato di rugiada, l'aria fredda del mattino appena iniziato.

<< Piaciuta la storia di ieri? >> chiesi a mia sorella, giusto per passare il tempo.

<< Si, chissà se noi vivremo abbastanza per averne, di storie così. >>

<< Non puoi pensare in questo modo. Se parti credendo di perdere verrai sconfitta sicuro. Devi credere di vincere, credere di avere successo, per riuscirci. >> disse il padre di Serin. Noi lo guardammo.

<< Non è facile credere di vincere, quando si sta abbandonando la propria casa. >> risposi io.

<< No, non è facile, ma non vuol dire che si deve completamente perdere la speranza. Bisogna sperare fino all'ultimo, persino quando si è di fronte alla morte, sperare di vivere, sperare di farcela, e se poi si perde, beh almeno hai provato fino alla fine. >>, stava pensando a sua figlia, aveva lottato fino alla fine, finché non c'era stato nulla da fare. Non trovammo niente da rispondergli, e continuammo il viaggio in silenzio. Il cielo iniziava a schiarirsi, il sole si stava alzando, ed iniziava a fare un po' più caldo. Quel giorno facemmo molta strada, senza trovare alcun intoppo. 

Ci fermammo per mangiare, e ripartimmo, decisi a mettere più strada possibile tra noi e la possibilità del Vento. Arrivammo in un piccolo boschetto. C'erano alberi molto alti, che stavano lì da chissà quanto tempo. Si sentiva l'odore del bosco, la corteccia, i fiori, c'erano persino dei funghi, che non ci azzardammo a prendere per paura che fossero velenosi. Era troppo presto per fermarsi, anche se sarebbe stato un posto perfetto per dormire.

<< Qui avremmo trovato un bel riparo, da pioggia e correnti d'aria. >> disse mia madre, con un'aria sconsolata.

<< Già, ma vorrei avanzare per almeno un paio d'ore ancora. >> rispose mio padre.


Così continuammo, e le ore seguenti passarono rapide; ci fermammo che era già notte. C'era la luna piena ed il cielo era costellato da stelle, così avevamo continuavo a cavalcare ancora un po', avendo abbastanza luce. Poi, con gli occhi che ci si chiudevano dal sonno, ci fermammo sotto un albero. Nonostante avessimo lasciato quel boschetto, alcuni alberi ci avevano accompagnato nel cammino, uno dopo l'altro, così ci sedemmo sotto uno di essi. Aveva le foglie così larghe, i rami enormi, un albero mai visto.

<< Chissà che albero è.. >> dissi con il naso in su. Nessuno mi rispose, mangiammo in silenzio, eravamo tutti troppo stanchi, e l'acqua stava finendo. Avremmo dovuto trovare una fonte al più presto, altrimenti non saremmo sopravvissuti. Ci addormentammo senza una parola, guardai Serin che con gli occhi mi diede la buonanotte, l'unico a parlarmi, senza realmente farlo. 


Il mattino arrivò. Ormai ci eravamo abituati al ritmo, convinti di dover continuare a quel modo per chissà quanto tempo ancora. Il cielo era molto bello, tinto di rosso ed arancione, i colori dell'alba. La natura è bella anche se nel mondo c'è la guerra, così distante dalle sofferenza di noi uomini. Iniziammo a trottare. Era una bella zona pianeggiante, e si potevano accelerare un po'. Faceva molto caldo. Poi ad un tratto i cavalli cominciarono  a nitrire, qualcuno tentò di disarcionarci, dovemmo impegnarci molto per farli fermare. 
Poi lo sentimmo: il Vento. Sopra le nostre teste.

<< Papà.. >> dissi, con gli occhi terrorizzati.

<< Al galoppo! >> rispose lui.<< Più veloce che potete! >>

Mandammo i cavalli ad un galoppo senza fine, con le criniere al vento, il corpo sudato. Il terrore negli occhi nostri e degli animali.

<< Aaah >> fece un urlo che veniva da sinistra. Vedemmo due uomini venirci incontro. Veloci, quali figli del Vento. Montavano dei cavalli bellissimi, dei purosangue, di prima classe, che ci avrebbero raggiunto in un momento. Nel giro di poco ci furono addosso.

<< Correte >> disse mio padre, e si girò con il cavallo, tentando di fermarli. Uno dei due, con i capelli neri al vento, un bracciale nel polso destro, una cicatrice sul petto, puntò contro mio padre. L'altro ci girò attorno, costringendoci a fermarci. 

<< Scendete. >> disse nella nostra lingua, con un accento strano.

<< Andate via. >> gli urlò contro mio padre.

<< Voi nostre. >> disse l'altro uomo, con i capelli lunghi, i pantaloni chiari, e gli occhi con uno sguardo penetrante, indicando le donne. Io non ero stata inclusa.

<< No. >> urlò mio padre. I due uomini si avvicinarono a Teresa e Glenne, senza alcuno sforzo le fecero salire sui loro cavalli. Noi ci avventammo tutti contro di loro, cercando in qualche modo di ferirli, graffiandoli, menandoli con schiaffi che nemmeno li scalfivano. I cavalli nitrivano, impazziti. 
I due uomini ignorarono completamente noi bambini. Non erano così crudeli da fare del male a noi che ancora non eravamo niente. Uno dei due diede una spinta a Ted, facendolo cadere da cavallo. L'altro andò verso mia madre. Mio padre lo spinse con tutte le sue forze, trascinandolo con se per terra. 
I due iniziarono a lottare. Era evidente chi fosse più forte, abituato a combattere, e chi, invece, fosse solo un padre di famiglia. Nel frattempo Ted stava cercando di rialzarsi, aveva del sangue che gli colava dalla fronte. Non riusciva a reggersi in piedi, non vedeva niente. Teresa era davanti all'uomo con il bracciale, sul cavallo, cercava di divincolarsi, di scalciare, di fare qualsiasi cosa, ma lui la teneva stretta. Glenne era rimasta sul cavallo dell'uomo che combatteva con mio padre, si diresse verso di loro, sperando di colpirli con le zampe del cavallo, ma era difficile prendere uno, evitando l'altro. Noi continuavamo a tirare colpi in ogni direzione, senza scalfire nessuno. Poi mio padre, con la mano dell'uomo stretta intorno al collo a soffocarlo, cerco a tentoni qualsiasi cosa intorno a lui, qualsiasi. E qualcosa gli venne incontro, picchiò con tutta la sua forza con un sasso sulla testa dell'uomo, che morì. L'altro prese il suo cavallo, con Teresa sopra, e partì al galoppo. Portando mia sorella con sé. 

Eravamo sopravvissuti, e mia sorella era sparita. Serin, Rodd, Marcus, mia madre ed io partimmo al galoppo, cercando di recuperarli. I primi a doversi fermare furono i miei due fratelli, i loro pony, con le zampe corte, non riuscivano a reggere il ritmo. Poi fu Serin, non abbastanza bravo per galoppare così veloce senza cadere. Mia madre ed io continuammo per circa mezz'ora. All'inizio riuscivamo a vederli in lontananza, poi vedemmo solo la coda, infine niente. Continuammo ancora, sperando di trovarli. Ma non ci fu niente da fare. Tornammo indietro devastate. 

Nel frattempo Glenne aveva fasciato la testa del marito, che continuava a sanguinare. Mio padre stava camminando in tondo, riflettendo e controllando che riuscisse a fare ogni movimento. Tornammo tutti insieme, trovando Serin seduto accanto al cavallo, riprendendo fiato, e i miei due fratelli sui loro pony, che pensavano di riprendere il cammino, scalciando per cercare di far avanzare i due animali. Ci dirigemmo insieme dove era rimasto il resto del gruppo.

Mia madre si avvicinò a mio padre, e gli chiese:

<< E adesso? >>

<< Adesso torniamo indietro. >> rispose lui.

<< Indietro? >> chiese Glenne.

<< Si. Per quando torneremo al villaggio, se è rimasto, saranno passati già due giorni. Loro avranno finito tutte le razzie. Mia figlia verrà riportato nella città che si è arresa, quindi dobbiamo vedere se siamo stati noi, o qualcun altro. >>

<< Ted non ce la farà a montare. >> disse Glenne, trattenendo a stento le lacrime.

<< Vorrei poter fare una barella, in qualche modo, ma non ne abbiamo le risorse. Dovrà montare per forza. Lo aiuteremo a salire. >> disse mio padre.

<< Ce la fate a ripartire subito? >> chiese mia madre, << Tu sei ferito? >> disse rivolgendosi a mio padre.

<< Ho molti graffi, ma nulla di grave. >> rispose lui.

<< Con lui che si fa? >> chiesi io indicando il cadavere dell'uomo.

<< È un nemico, ma pur sempre un uomo. >> disse mio padre. E lo trascinò sotto ad un albero. Una sepoltura a metà, che gli sarebbe dovuta bastare.

 << Ripartiamo. >>

<< Spingetelo dal basso, io lo prenderò da sopra. >> ci disse mio padre, ed, unendo le forze, issammo Ted sul cavallo, davanti a mio padre.  E così ripartimmo.

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

Tentò di correre, scappare, ma le gambe le ressero poco, e cadde a terra, graffiandosi mani e ginocchia. L'uomo non aveva fatto nemmeno lo sforzo di inseguirla, sapeva che sarebbe stata esausta. Con pochi passi la raggiunse, la presa per la vita e la fece rialzare, poi la portò fino al fiume.

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Capitolo 11
*** Teresa ***


Nel frattempo mia sorella continuava a scalciare, graffiare, urlare, piangere, tentò addirittura di strattonare o di menare il cavallo, sperando che s’imbizzarrisse. Eppure niente. Il cavallo reagiva solo agli ordini di quell’uomo, e nient’altro. Sembrava che lei non lo sfiorasse nemmeno. Cavalcarono senza sosta, non si fermarono nemmeno per un attimo, diretti al villaggio del Vento. Raggiunsero il sentiero che portava al bosco che il mondo era già buio. Noi ci avevamo messo due giorni per fare quella strada, con lui, ci volle appena la metà del tempo. Iniziarono a percorrere il sentiero, seguendo lo stesso percorso fatto da Serin e me, prima, e mio padre, poi.

Passarono vicino alla casa, con il suo recinto, Teresa la vide per la prima volta. Le passarono accanto solo per un attimo, galoppando velocissimi, eppure mia sorella ebbe tutto il tempo di pensare che lei, a differenza degli altri, non aveva mai avuto alcuna curiosità nel vederla, non aveva mai provato interesse per la persona nascosta lì, ma era lei che le si stava avvicinando pericolosamente.

 Aggirarono quel piccolo recinto, che noi avevamo scavalcato, e proseguirono dritti dietro alla casa. Era notte fonda, e ancora non si erano fermati.  Continuarono a cavalcare per tutta la notte, dapprima non c’erano stelle in cielo, poi, una dietro l’altra, si iniziarono a vedere le costellazioni, una a forma del Fiore leggendario, una rappresentante il Sole, un altro con un cavallo in cielo. Nessuna di quelle stelle, lì, alte nel cielo, avrebbe potuto fare qualcosa per salvarla.

 Non c’era un sentiero da seguire, e cavalcarono tra gli alberi, continuando a galoppare, ma facendo molte deviazioni, ostacolati da una quercia, un pino od un salice. Poi raggiunsero uno spiazzo, un punto in cui gli alberi si diradavano, creando un passaggio verso un bosco più fitto. SI fermò un momento, sorprendendo Teresa che credeva quella cavalcata non avesse fine. L’uomo scese di cavallo, si avvicinò al primo albero andando alla sua sinistra e poggiò appena la mano sulla sua corteccia; per un attimo, a Teresa sembro che le fronde degli alberi si muovessero in risposta al suo gesto, come a dargli un benvenuto. Poi risalì in groppa al suo destriero. Teresa non ebbe né il tempo, né la forza per tentare una fuga, dove sarebbe potuta andare?

Continuarono la loro cavalcata, con la luna che solo ogni tanto faceva capolino tra gli alberi. Tutto le sembrava eternamente uguale: non c’erano differenze nel sentiero o nella vegetazione, e, anche volendo, lei non sarebbe mai riuscita a trovare la strada di casa. Infine, dopo quella che sembrò un’eternità, si trovarono alle porte del villaggio. Era l’alba. Le strade erano deserte, ognuno si trovava nelle proprie case, non si sentiva alcun rumore, probabilmente ogni donna era già andata incontro al suo destino, solo lei era in ritardo, perché quell’uomo aveva deciso di inseguirli, non gli erano bastate le altre donne??

Passarono lungo una via che costeggiava il fiume, l’uomo scese da cavallo e si abbeverò inoltre si gettò dell’acqua sui capelli, che scendevano neri e lucenti sulla sua pelle. Poi la prese di peso e la fece scendere, il terrore che si insinuava nelle viscere di Teresa. Tentò di correre, scappare, ma le gambe le ressero poco, e cadde a terra, graffiandosi mani e ginocchia. L’uomo non aveva fatto nemmeno lo sforzo di inseguirla, sapeva che sarebbe stata esausta. Con pochi passi la raggiunse, la presa per la vita e la fece rialzare, poi la portò fino al fiume.

<< Bevi. >> disse. E Teresa si avvicinò all’acqua, rendendosi conto solo in quel momento di quanta sete avesse. Poi la rimisi sul cavallo, tutto senza un minimo sforzo. Continuarono a costeggiare il fiume, vedendo le casa sulla destra, sinistra, ovunque. Case senza tetto, con qualche tenda a chiudere le porte, ma, in quel momento, ogni porta era allo scoperto. Si poteva vedere dentro ogni casa, la maggior parte della gente stava dormendo: si vedeva il letto, che si trovava di fronte alla porta, con uomini e donne stesi l’uno accanto all’altra. Tutti adulti o anziani. I giovani uomini che vide, erano sdraiati sui letti, con facce beate ed un telo a coprire, le donne erano per terra, raggomitolate e piangenti. Erano quelle rapite. Poi passarono per la piazza, dove Teresa vide un altare, qualche panca lì intorno. Ed infine raggiunsero la casa. Voleva che il tempo si fermasse, si bloccasse immediatamente, evitandole quello che stava per accadere.

L’uomo smontò, poi la prese per la vita e la fece scendere.

<< Ti prego.. >> iniziò ad implorarlo Teresa tra le lacrime, le gambe che tremavano, il viso sconvolto. Lui le asciugò una lacrima dalla guancia, la prese per mano e la portò dentro.

<< No.. Per favore… >> gli occhi sbarrati dal terrore.

Chiuse la tenda, e la fece sedere sul letto. Lei continuava a guardarlo terrorizzata, continuava ad implorare.

<< Tu molto bella. >> disse lui. E si mise a guardarla, lei seduta sul bordo del letto, tremante.

<< No paura. Io no cattivo. >> continuò lui. Cercava in qualche modo di rassicurarla, e lei, per un attimo credette di potersi salvare.

<< Lasciami andare. >> disse lei, smettendo di piangere.

<< No.. va fatto. >> disse lui. E le afferrò i polsi.

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO:

 Il cibo era quasi finito, l’acqua anche, e, soprattutto, Ted non stava bene. Ci dovevamo fermare spesso per farlo riposare stenderlo sul prato. Stava diventando sempre più pallido.  Avevamo da poco superato la fonte, e ripreso l’acqua, quando Glenne si avvicinò al cavallo di mio padre, e vide il marito con la testa poggiata sul collo del cavallo, gli occhi sbarrati.

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Capitolo 12
*** 8 ***


Nel frattempo noi avevamo ripreso la nostra cavalcata. Il cavallo di Teresa era strano da guardare, sellato, con tutti i finimenti, eppure senza cavaliere; fortunatamente, era stato domato abbastanza bene da seguirci senza bisogno di tenerlo per le redini. Il cibo era quasi finito, l’acqua anche, e, soprattutto, Ted non stava bene. Ci dovevamo fermare spesso per farlo riposare stendendolo sul prato. Stava diventando sempre più pallido.  

Avevamo da poco superato la fonte  e ripreso l’acqua, quando Glenne si avvicinò al cavallo di mio padre, e vide il marito con la testa poggiata sul collo dell’animale, gli occhi sbarrati. 

<< No..Ted..No!!! >> iniziò a piangerlo e a scuoterlo. Mio padre lo fece scendere. Solo per constatare che non c’era nulla da fare. Sapevamo tutti che sarebbe morto, non sarebbe riuscito a sopravvivere nemmeno stando in casa ed avendo le cure adatte, di certo non dovendo montare per ore di fila, senza acqua né cibo. 

<< No.. Ti prego. Non anche tu >>, continuava a piangere ed urlare sua moglie, mentre Serin, in piedi accanto al padre, non versava lacrime, non muoveva un muscolo, era una statua di sale.

<< Serin.. >> mi avvicinai io, e gli poggiai una mano sulla spalla. Lui cadde per terra, perdendo i sensi per alcuni attimi. Sua madre nemmeno se ne accorse, mentre stringeva il corpo del marito morto e piangeva. 

Facemmo stendere Serin per terra, con le gambe leggermente alzate, poi gli se mi qualcosa da bere e da mangiare. Si riprese dopo poco, tornando ad essere il ragazzo muto di prima, con una ferita in più nell’anima. 

<< Glenne..lo so che è dura.. ma dobbiamo continuare, o moriremo tutti . >> le disse, con il tono più dolce possibile, mia madre.

<< No.. >> continuava a piangere ed urlare lei. << Non c’è un sacerdote.... il rito… >> balbettava.

Quando qualcuno moriva in simili circostanze, non c’erano riti da fare, parole da dire, abiti da indossare. Veniva scavata una fossa, se possibile, o, in sua mancanza, il cadavere veniva posto sotto un albero, poi si prendevano rami, foglie, e fiori, e si adagiavano sul corpo. In alcuni casi si componevano delle scritte o si dava un senso particolare alla disposizione del cadavere. In quel caso Glenne e Serin poggiarono un fiore ciascuno sul cuore del marito, simboleggiando il loro amore, che sarebbe durato in eterno. Mio padre poggiò un fiore ciascuno sulle mani del morto, mia madre sui piedi, simboleggiando la sua forza, che lasciava lì e donava al resto dei viventi. I miei due fratelli poggiarono due piccoli fiori sulle sue palpebre chiuse, per aprirgli la vista oltre la morte, chiudendola definitivamente sulla vita. Infine io poggiai l’ultimo fiore sulla sua mente, affinché continui a pensare nel mondo dove sarebbe andato ed affidi la sua saggezza a noi che l’avevamo conosciuto. Poi il tutto venne coperto con rami ed infine foglie, finche di lui non si poté vedere più niente. Era tornato alla natura. Nessuno di noi parlò, non abbastanza saggi da sapere le parole della morte. Ognuno di noi gli disse addio con il pensiero. Poi, ormai senza forze, Glenne salì sul cavallo. Il viso pallido, l’anima abbandonata là dove il marito era morto.  

Raggiungemmo il nostro villaggio senza più alcuna voglia di parlare, senza più la gioia, che avevamo lasciato chissà dove. La nostra città era integra, ci rendemmo conto con meraviglia appena raggiungemmo i pilastri che ne simboleggiavano l’inizio. Ci eravamo arresi, ancora una volta, o forse i figli del Vento non erano arrivati fino a lì, magari qualcuno si era arreso prima. Era mattina inoltrata, ma non si vedeva nessuno in giro per le strade. Non c’erano donne o bambini nei raccolti, uomini o ragazze con animali, non c’era nessuno. Mio padre bussò alla prima porta che trovò.

<< Chi è? >> chiese la voce di un uomo, senza aprire la porta. 

<< Sono Stefan >> rispose mio padre. L’uomo aprì appena uno spiraglio.

<< Cosa è successo? >> chiese mio padre. 

<< Sono venuti. Ci siamo arresi. >> disse l’uomo da dentro. Senza aprire la porta. Un’altra volta. La nostra città era fatta di codardi. Niente di più.

<< Hanno ucciso qualcuno? O distrutto altre città? >> insistette mio padre.

<< Chi voleva combattere è stato rinchiuso prima che arrivassero. Sapevamo del loro arrivo. Solo Merra è stata distrutta. >> poi aprì un po’ di più la porta. << Perché siete tornati? Vi hanno raggiunto? >>

<< Si. Devono aver visto le nostre impronte. >> l’uomo aprì la porta e ci guardò, cercando di capire chi mancasse. Si stupì nel vedere Glenne e mia madre.

<< Abbiamo lottato, siamo riusciti ad evitare che le prendessero. >> poi, con voce incrinata, << Hanno preso mia figlia, e Ted..è morto per le ferite. >> l’uomo ci guardò con fare dispiaciuto. Poi chiuse la porta. Raggiungemmo casa nostra, tutti insieme. Persino Serin e la madre vennero con noi, non potevamo lasciarli da soli. Presto Teresa sarebbe tornata, con tutte le donne, non sarebbe più stata la stessa, ma sarebbe tornata. Ted, invece, avrebbe raggiunto sua figlia, lasciandoli per sempre da soli. 

Mettemmo gli animali nelle stalle, e gli demmo da mangiare e da bere, Serin ed io. Mio padre si occupò degli altri animali. Mia madre ed  i miei fratelli andarono a controllare l’orto. Era tutto come l’avevamo lasciato, era passato così poco, eppure il mondo era cambiato. Mi chiedevo perché gli uomini e le donne che erano sopravvissute alla PrimaVera fossero rimasti in questo posto, perché non avessero cercato di scappare, sapevano perfettamente che sarebbero tornati; forse avevano deciso, fin da subito, che si sarebbero arresi ancora. 

<< Codardi.. >> sibilai tra i denti, arrabbiata. Serin si girò a guardarmi, lo sguardo nel vuoto che non mi vedeva. 

<< Perché non gridi??Non piangi?? Perché non ti arrabbi?? Fa qualcosa!!!! Tu sei ancora vivo! >> gli urlai contro con rabbia. Lui continuava a fissarmi, senza nemmeno aprire la bocca per tentare una risposta.

Iniziai a colpirlo, con tutte le mie forze, finché lui mi fermò le mani, stringendomi i polsi. Scese solo una lacrima sulla sua guancia, una, che conteneva tutta la sua sofferenza. Smisi di tentare di ferirlo, non era colpa sua. Sapevamo di non avere speranze. Stetti un po’ in silenzio, poi gli dissi di andarci a riposare..

Per il momento io ero stata spostata nella camera di Rodd e Marcus, così Glenne e Serin sarebbero potuti stare lì come soluzione temporanea, poi ci saremmo inventati qualcosa. Dormimmo per tutto il pomeriggio e la notte, fino al mattino dopo, quando ci svegliammo all’alba. Mia madre preparò da mangiare, ma nessuno di noi riuscì  a toccare cibo, o persino a parlare. Chissà cosa stava provando, in quel momento, mia sorella. Mio padre aveva lo sguardo più cupo di tutti noi, in più, aveva il volto arrabbiato, stava pensando a cosa fare perché  non sarebbe mai più dovuto succedere qualcosa di simile.

“ Dovremmo andarcene. Questa volta sul serio.. Convincere tutti…si ma come? Non si muoveranno nemmeno se costretti, codardi. Loro. E noi? Che scappiamo?Devo pensare alle mie figlie, a mia moglie. Dicevo andarcene, si, lontani e costruire una nuova città. Ma non abbiamo nemmeno il cibo per sopravvivere in questa di città. Però Gioven e Trenin sì. Ora sanno cosa potrebbe succedere ancora. Si devo andare da loro. Gli dirò di scappare, tutti quanti, il più lontano possibile. Loro metteranno i soldi e noi le forze. Forse potremmo tornare da dove vennero loro. Oppure combattere! Magari tutti insieme siamo più forti! Dobbiamo fare qualcosa! “  continuava a pensare. 

Mia madre si ripeteva, come una ninna nanna, “ Presto tornerà, presto tornerà, presto tornerà.” Ed ondeggiava leggermente con la testa, seguendo le sue parole. Io non sapevo cosa pensare, cosa fare.

<< Vado dai puledri. >> dissi. 

<< Cosa? Come? >> disse mia madre guardandomi con aria torva.

<< Devo fare qualcosa. Sennò impazzisco. >> risposi. E lei capì, si, avrebbe fatto bene ad ognuno di noi fare qualcosa, però mio padre era così perso nei pensieri che nemmeno si accorse di me che uscivo, mia madre continuava a cantarsi la sua ninna nanna, i miei due fratelli si guardavano spauriti e confusi senza sapere cosa fare, Glenne.. non so nemmeno cosa pensasse Glenne: ogni tanto diceva qualche parola sconnessa, ogni tanto parlava con Ted o Iris, ogni tanto piangeva o gridava. Solo Serin si alzò per seguirmi. 

<< Rodd, Marcus, venite >> e gli diedi la mano. Videro la mia mano come un’ancora di salvezza, e vi si afferrarono. D’un tratto non erano più i due ragazzini spavaldi ed allegri, ma due bambini, sui quattro anni, che erano caduti e si erano sbucciati le ginocchia, e non avevano il coraggio per rialzarsi.

Li portai tutti e tre dai puledri. La giovane Stella scalciava come non mai, magrolina e dalla lunga criniera. Era forte e selvaggia. Poi c’era Ciuffo, che se ne stava buono buono in un angolo, senza dare fastidio a nessuno. Erano nel recinto dietro le stalle. Infine Fulmine e Saetta, così simili, entrambi bianchi come il latte, si rincorrevano. Non sapevo cosa fare, dove mettere le mani. Guardavo quei puledri su cui avevo avuto tanti progetti, sapevo perfettamente come domarli, prima. In quel momento non sapevo nulla. Decisi di pensare agli altri cavalli, era più facile dargli da mangiare, strigliarli, portarli al prato e lasciarli  lì, piuttosto che dover insegnare qualcosa a dei cuccioli , quando io non sapevo più niente. Per un attimo pensai addirittura che non ne valesse la pena, che li avrei potuti lasciare liberi, così sarebbero fuggiti verso un posto migliore. Ero ancora immersa nei miei pensieri, quando Serin entrò nel recinto e si avvicinò a Stella, piano piano, un passo dietro l’altro. Lei lo fissava con fare guardingo, non lo conosceva. Mise la mano in avanti, per fargliela annusare, e lei si avvicinò piano, curiosa. Gli sfiorò appena la mano, poi fece un salto indietro, spaventata. Lui rimase immobile, ancora con la mano protesa, lei si avvicinò di nuovo e questa volta non saltò. Le fece una carezza, poi uscì dal recinto. Sempre senza parlare si diresse nello sgabuzzino dove conservavamo il cibo per gli animali. Noi lo seguimmo. Così occupammo tutta la nostra mattinata, pensando agli animali, fermandoci solo per pranzare, quando iniziammo a sentire i crampi della fame. 

Rientrammo in casa e, in cucina, tutto era ancora come prima. I tre adulti erano seduti intorno al tavolo, con ancora le cose per la colazione.

<< Mamma.. >>

<< Si? Cosa? >> chiese stupendosi della mia presenza.

<< È ora di pranzo. Siete stati seduti qui tutta la mattina.. >>  le dissi.

<< Si..è vero.. >> rispose

<< Prepariamo da mangiare? >> Le chiesi.

<< Voi? >> disse non capendo.

<< Se vuoi te ed io, sennò ci penso sola. >>  le risposi. Si alzò dalla sedia e venne con me tra i fornelli. Si muoveva meccanicamente. Preparammo una frittata con patate e cipolla e mettemmo la carne a cuocere in un pentolone con del sugo. Mentre mettevamo il cibo nelle ciotole di terracotta, mio padre si decise a parlare.

<< Non voglio più permettere una cosa del genere. Dobbiamo fare qualcosa. >> disse, di punto in bianco.

<< Che cosa? >> chiese mia madre con il mestolo in mano.

<< Ci sono due possibilità. Una è andarcene, questa volta sul serio. Con calma, senza dover fare una corsa contro il tempo perché tanto prima che tornino passeranno anni, anche se dovremo comunque aspettare i nove mesi della gravidanza. In ogni caso potremmo andarcene ,o combattere, attaccando per primi. In entrambi i casi ci dovremmo alleare con le altre due città rimaste. Non saremo da soli, ma uniti contro di loro. >> disse con rabbia, sbattendo il pugno sul tavolo e facendo tremare i bicchieri.

<< Ma loro sono forti. >>

<< Eppure uno l’abbiamo ucciso. >>

<< Qui non si parla di uno.. Non sappiamo nemmeno quanti siano. >> disse mia madre.

<< E allora ce ne andremo. Costruiremo altre case. >>

<< E tu sai fino a dove loro continueranno a cercare? >> chiese mia madre.

<< No, non lo so. Ma qualcosa va fatto. >> disse mio padre, chiudendo il discorso. Continuammo a mangiare in silenzio. 

Il pomeriggio passò molto lentamente, aspettavamo con ansia il momento in cui sarebbe tornata, e avevamo il terrore di come sarebbe stata. Arrivò la cena ed ancora non si vedevano le donne. Finimmo di mangiare e ancora niente. Andammo a dormire. E ancora nessuno.  Infine arrivò l’alba. E si iniziarono a sentire dei rumori, passi per lo più strascicati, qualche voce. Ci alzammo dai letti, indossammo qualche vestito a caso e corremmo sulla strada.

Fila di donne avanzavano. Una accanto all’altra, alcune si tenevano per mano, altre si sorreggevano con le braccia. Avevano sguardi spenti, persi chissà dove. Non c’erano i Figli del Vento; loro le avevano accompagnate fin quasi al villaggio, e poi avevano lasciato che tornassero da sole. 

Guardai ogni donna che rientrava nel villaggio. C’era la mia maestra, la figlia di Marc, una signora anziana che abitava vicino a noi. Le conoscevo tutte, ed in tutte cercavo mia sorella. Passarono le ultime donne, l’ultima a chiudere la fila una ragazza dell’età di Teresa. Mia sorella non c’era. Mi girai spaventata verso mio padre.

<< E Teresa? >> gli chiesi, come se lui potesse avere una risposta.

Mia madre si avvicinò alle donne, e ad ognuna chiese di sua figlia. Alcune la guardarono senza vederla, altre le dissero arrabbiate perché lei fosse stata risparmiata, altre ancora furono felici per la sua sorte e quella di Glenne, infine una donna rispose:

<< La tengono loro. >>

<< Cosa?? Come? >>disse mia madre. Mio padre afferrò per le braccia la donna e le disse:

<< Non lo fanno. Loro riportano le persone! >>.  La donna non rispose più, aspettò che lui togliesse le sue mani forti dalle braccia esili di lei, e poi se ne andò.

Noi ci guardammo, completamente persi.

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

Si raccontava che i Figli del Vento sapessero quando le loro donne rimanevano incinte, sentivano il vento che entrava nei loro corpi. E solo quando ognuna di quelle donne era stata fecondata, allora le riportavano indietro. Non ci voleva molto tempo. Non era stato violento o crudele, non l’aveva malmenata, si era dimostrato gentile, prima. Poi quello che doveva essere fatto l’aveva fatto, incurante delle sue grida e dei suoi pianti. Si chiese se nelle case attorno qualcuno si fosse svegliato, se avesse pensato che anche l’ultima donna era stata presa. Se qualcuna tra quelle giovani madri avesse versato una lacrima per una loro compagna di tragedia.

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Capitolo 13
*** Teresa ***


Lui era sdraiato sul letto, la tenda della porta era stata aperta, credo a voler dire che ciò che doveva essere fatto era già stato compiuto. Era nudo, coperto solo da un telo. Lei era accoccolata al bordo del letto, con le braccia che stringevano le gambe, e si era rivestita.  Fissava quell’uomo che dormiva beato, incurante di lei e dei suoi sentimenti. E lei in quel momento già portava in grembo suo figlio.

 Si raccontava che i Figli del Vento sapessero quando le loro donne rimanevano incinte, sentivano il vento che entrava nei loro corpi. E solo quando ognuna di quelle donne era stata fecondata, allora le riportavano indietro. Non ci voleva molto tempo. Non era stato violento o crudele, non l’aveva malmenata, si era dimostrato gentile, prima. Poi quello che doveva essere fatto l’aveva fatto, incurante delle sue grida e dei suoi pianti. Si chiese se nelle case attorno qualcuno si fosse svegliato, se avesse pensato che anche l’ultima donna era stata presa. Se qualcuna tra quelle giovani madri avesse versato una lacrima per una loro compagna di tragedia. Poi in poco tempo fu tutto finito. Adesso aspettava di tornare a casa, anche se, una piccola parte di lei, non voleva più farvi ritorno. Non voleva guardare sua madre, o peggio ancora suo padre, sentendosi così sporca. Infangata. Non sarebbe mai più andata al mercato di Gioven pensando al ragazzo che amava; la  sua fanciullezza era sparita, e lei si sentiva solo macchiata, ed arrabbiata. Avrebbe voluto ucciderlo, ucciderli tutti, mentre ancora dormivano, ma sapeva che non ci sarebbe riuscita. 

Poi lui si sveglio.

<< Qui. >> disse, poggiando la mano forte ed ambrata sul letto, la sua pelle era stata scurita dal sole, come anche quella di Teresa, in questo si somigliavano, però lui aveva molte cicatrice sulle sue mani, mani con cui aveva ucciso, mentre lei al massimo aveva strappato qualche ortaggio o frutto della terra. Lei non si mosse, rimase nel suo angolo, determinata a non alzarsi da lì finché non fosse tornata a casa.

<< Io no cattivo. >> ripeté lui, come aveva detto qualche ora prima.

<< Si. Sei cattivo, crudele. Siete tutti crudeli. >> disse, con gli occhi che gridavano la rabbia, mentre le braccia erano ancora strette intorno al corpo.

<< Così vita. >> rispose lui, con la fronte aggrottata. Teresa non capì.

<< Vita. >> disse lui indicandole la pancia al di sotto delle sue ginocchia. Per un attimo mia sorella ebbe l’impulso di colpirsi a sangue sul ventre, così da uccidere la sua preziosa “vita”.

Rimasero in silenzio per un po’. Poi lui si alzò, s’infilò i pantaloni ed uscì dalla casa, sempre senza chiudere la tenda. Ritornò poco dopo, con un secchio pieno d’acqua e lo poggiò accanto a lei. Teresa lo guardò titubante, cercando il permesso per alzarsi e lavarsi, non voleva scoprirsi di fronte a lui, non di nuovo. 

Lui la guardò chiedendosi quale fosse il problema, infine si sdraiò di nuovo sul letto chiudendo gli occhi. Lei lo osservò per un po’, poi vedendo che non accennava ad alzarsi o girarsi verso di lei, si decise a lavarsi. Accanto al secchio c’erano dei teli appoggiati, apposta per lei. Li prese ed iniziò a lavarsi, sperando di levare tutto quello sporco di dosso. Quando ebbe finito di rivestì, e solo allora lui aprì gli occhi.

<< Tu bella. >>

<< Tu crudele. >> rispose lei. E lui sorrise. Teresa pensò che aveva un bel sorriso, e che, probabilmente, se fosse cresciuto in una città come la sua, sarebbe stato un uomo diverso, chissà, forse addirittura buono. Poi lui tese una mano verso di lei, per toccarle una spalla, e Teresa si ritrasse, spaventata, cambiando immediatamente idea: era un uomo cattivo, e cattivi erano tutti loro.

Iniziarono a sentirsi dei rumori, le donne venivano spinte a formare una fila, vennero strattonate, tutte tranne lei. Teresa continuava a stare nella stanza, e l’uomo continuava a non alzarsi, così lei si decise a mettersi in piedi, dirigendosi verso la porta.

<< No. >> disse lui, e lei si girò pietrificata.

<< Stanno tornando a casa. >> disse Teresa indicando le altre donne.

<< Tu no. >> ripeté lui ed uscì di casa. Era diretto alla dimora della Signora del Vento: praticamente identica alle casa degli altri, solo leggermente più grande, e con pochi uomini e donne a servire. Non c’era nessuna porta nemmeno lì.

<< Chiedo il permesso di parlare con la Signora del Vento >> disse, << nostra Madre >>  come forma di rispetto.

Il servo, un uomo della sua stessa età e vestito con pantaloni di tela bianchi, gli rispose di attendere. Parlavano una lingua diversa dalla nostra, molto più fluida, melodiosa, che contrastava con le loro azioni violente. 

<< Puoi entrare >> disse dopo alcuni istanti.

All’interno c’erano tre stanze: una cucina, una camera da letto e una sala per delle udienze, con un tavolo in legno pesante ed una vasca. La Signora del Vento sedeva al posto d’onore, con una grande, ma semplice sedia.

<< Salve Nostra Madre >> disse facendo un lieve cenno con la testa. La donna rispose con un sorriso.

<< Dimmi. >>

<< Voglio tenere la ragazza. >>

<< Che cosa?? >> disse lei alzandosi di scatto.

<< Non voglio che torni indietro. >>

<< Le regole non sono queste. Loro non sono degni di restare tra noi. Servono solo i figli, che noi educhiamo così che possano vivere qui. >>

<< La possiamo educare adesso. >>

<< Troppo grande >>, disse scuotendo il capo e sedendosi nuovamente. L’uomo era in piedi di fronte alla Signora, con lo sguardo deciso.

<< L’Uomo non è troppo grande per essere educato, perché non può essere educata anche lei? >>

<< Le regole non sono queste. >>

<< Te sei la Signora del Vento, Nostra Madre, puoi cambiarle. >> disse con fare adulatorio.

<< Perché vuoi tenerla? >>

<< Mi piace. >> 

<< Non è un motivo sufficiente per farmi anche solo lontanamente pensare ad un cambio di regole. >>

<< Sento che è speciale, voglio che resti. >>

<< Speciale? >>  ripeté con un sorriso di derisione.

<< Zasse, vieni qui. >>  disse chiamando il servo di prima. << Convoca gli Anziani. Sentiremo se loro credono che sia “speciale”. >>

Dopo pochi minuti entrarono tre Anziani, vestiti di tuniche bianche, scalzi, dai capelli lunghi, ma radi, e i visi rugosi. Una donna e due uomini.

<< Vuole tenere la donna. >>  disse la Signora, con disprezzo.

<< Perché? >>  gli chiese la donna Anziana.

<< È speciale. >> disse la Signora con tono ironico. << Può essere speciale, secondo voi, una di loro? >>

<< No. >> risposero tutti e tre in coro.

<< Bene, potete uscire. >> e li congedò.

<< Visto che non è speciale, perché vuoi che resti? >> 

<< Mi piace molto. Non sarà speciale secondo le Sacre Leggi, ma sento che lo è per me. >>

<< Questo vorrebbe dire che una donna in meno tornerebbe al suo villaggio. >>

<< Non è stata nemmeno preso nel villaggio! >> disse lui, con fare ostinato.

<< No, ma sai che appartiene a un villaggio. Che cosa manderemo in cambio? >>

<< Non lo so, ma voglio che resti. >>

In quel momento entrò dalla camera da letto una donna, con peli lunghi su braccia e gambe, l’unica diversa tra loro.

<< Lei è speciale. >> disse la Signora, guardando amorevolmente sua Figlia, anche se non partorita da lei. Era, in effetti, sua nipote.

<< Cosa succede? >> chiese lei.

<< Nulla di grave, torna nella camera. >> le disse << Anzi no, aspetta. Tra due anni sarai tu a regnare, sentiamo il tuo parere. >> e le disse ciò che l’uomo voleva fare.

<< Posso vederla? >> chiese lei.

<< Perché dovresti? È solo una loro donna, niente di più. >>

<< Però lui sembra tenere molto a questa donna. Non mi sembra che altri prima di lui avessero mai avuto un simile desiderio. >>

<< Hai ragione. Zasse, porta la ragazza. >> gli ordinò la Signora del Vento.

Zasse entrò nella casa, e vide Teresa, spaventata, che voleva aggregarsi alle donne, ma aveva troppa paura per farlo.

<< Vieni. >> le disse, e lei lo seguì. Passò davanti alla fila di donne in attesa per il loro ritorno. Avevano tutte lo sguardo spento, i capelli in disordine, e le più giovani erano in lacrime. Erano tutte donne e ragazze che lei conosceva, si guardarono senza parlarsi, senza nemmeno un cenno di riconoscimento.

Entrò nella casa della Signora del Vento. Vide una donna con i capelli lunghi, lisci e neri,gli occhi azzurri. L’età non si riusciva a capirla, ma non doveva essere molto giovane. Accanto a lei c’era una ragazza, con qualche anno più di Teresa, con capelli lunghissimi, fino alle ginocchia e peli su braccia e gambe. Aveva gli occhi più chiari di sua madre, lo sguardo deciso. Si fissarono per qualche istante. 

<< Va bene. Resta. >> disse ad un tratto la Signora del Vento, nella lingua che Teresa non poteva comprendere. << Penserai tu ad educarla, non deve dare problemi. E bisognerà dare in cambio qualcosa al villaggio. Un bambino… >> disse accennando al ventre di mia sorella.

<< No… è mio figlio ed erede. >> disse lui con lo sguardo per la prima volta titubante.

<< Cosa pensi, di averla senza dare niente in cambio? Ne avrai altri da lei. >>

<< Ma…. >>

<< Vuoi rimandarla indietro? Sei ancora in tempo. Decidi. Adesso. >> disse con tono autoritario.

<< Voglio che resti. Gli daremo il bambino. >>

<< Bene. È deciso. Ora va e ringrazia il Vento >> gli disse. 

Lui uscì dalla stanza, prendendo Teresa per mano, che ancora non capiva. La portò fino ad un piccolo prato, con dieci alberi messi a formare un cerchio. Si chinò per terra e disse alcune parole, poi alzò lo sguardo al cielo, e il Vento passò sulle loro teste. Era un Vento leggero, profumato, felice, e l’uomo seppe che aveva fatto la cosa giusta.

<< Cosa.. >> iniziò a dire Teresa, lui le fece segno di tacere e la condusse fuori dal cerchio, poi le disse, con uno sguardo contento ed un sorriso in viso:

<< Tu resti. >>

<< Io..devo tornare a casa. Con le altre donne, perché non torno? >> aveva iniziato a parlare con voce ferma, ma dopo poco sembrava una bambina, con le lacrime pronte a scendere, e la voce rotta dalla disperazione.

<< Non vuoi restare? >> disse lui, stupito.

<< No! >> rispose Teresa, quasi urlando.

<< Tu resti. Tu mia, io tuo! >> disse l’uomo, con un tono arrabbiato, che spaventò mia sorella.

Teresa iniziò a piangere, con le ginocchia per terra, le mani a coprirle gli occhi. Non sarebbe più tornata indietro.

Passò una mezz’ora, con lui seduta sull’erba, a gambe incrociate, mentre la guardava disperarsi, finché non ebbe più lacrime da versare. Poi le offrì la mano, che lei non prese, così la prese per la vita e la fece alzare.

Tornarono alla casa di quell’uomo, che sarebbe diventata sua, passarono per la piazza dove prima erano in fila le donne, adesso non c’era più nessuno, loro erano in viaggio, e avrebbero raggiunto il nostro villaggio la mattina dopo. In casa l’uomo accese un piccolo fuoco ed iniziò a cuocere la carne, con molte spezie, che emanava un odore molto buono, e, nonostante le lacrime e la tristezza e la rabbia, fece venire l’acquolina in bocca a mia sorella. Finito di cucinare lui la portò dietro la casa, dove c’era un tavolo, con delle sedie, poggiò la carne su un piatto e la fece sedere. Rientrò in casa, prese piatti, bicchieri e posate e tornò da lei. Da bere le offrì del vino.

<< Io no cattivo >> disse per la terza volta. << Mangia. >> ed iniziò a mangiare la carne davanti a sé. Dopo poco Teresa lo imitò. Non mangiava da troppo tempo, da quando era partita con noi, e durante il viaggio il nostro cibo non era stato molto. 

Era un tavolo quadrato, e lui poteva toccarle la mano allungando il braccio; ci provò, una volta, ma vide che lei si spaventò e smise  di mangiare, così lasciò stare.

<< Tu no paura, io no male. >> poi sbuffò, evidentemente voleva dirle qualcosa, ma le sue conoscenza della nostra lingua erano limitate, e quella di Teresa, della sua, erano nulle. Finito di mangiare prese i piatti e li portò al fiume, dove uomini e donne stavano lavando le loro stoviglie. Se c’erano avanzi di cibo venivano dati agli animali, che si muovevano liberi per la città. C’erano cavalli, cani, gatti, mucche, pecore, topi, galline e molti altri ancora. Teresa rimase seduta al tavolo in attesa, senza sapere cosa dovesse fare. Mentre lo aspettava le si avvicinò una donna, aveva i capelli racchiusi in una treccia che le arrivava fino al sedere, una  tunica azzurra con alla vita una cinta; era scalza. Le disse qualcosa nella lingua che lei non capiva, così fu costretta ad usare le poche parole che conosceva della nostra di lingua.

<< Perché? >>  chiese, con la fronte aggrottata nello sforzo di comprendere.

<< Perché cosa? >> rispose mia sorella.

<< Tu qui. >> disse la donna. Le stava chiedendo perché si trovasse lì, invece che al suo villaggio, dove sarebbe dovuta tornare.

<< Mi hanno lasciato indietro, te mi sapresti portare a casa? >>  chiese Teresa speranzosa. La donna la guardò con fare sospettoso, poi, mentre stava per risponderle, l’uomo tornò indietro. Parlarono un po’ tra di loro, infine la donna andò via, portando con sé le ultime speranze di Teresa.

<< Tu qui. >> lle disse l’uomo con un tono arrabbiato, evidentemente il suo tentativo di fuga non gli era piaciuto.

<< Tu mia, io tuo. >>

<< Io non sono di nessuno. E non sono di qui.. Riportami a casa, ti prego. >> lo implorò con le lacrime agli occhi. Lui non rispose, strinse la sua mano intorno al polso di mia sorella e la portò fino al suo cavallo. La fece salire, poi montò anche lui. Galopparono per un po’, passando tra le case, tra gli animali, tra i bambini, senza mai rallentare il tempo. “ Mi riporta a casa ” sperò Teresa, finché non vide che la direzione in cui stava andando non era quella da cui erano venuti. Dove la stava portando? Cosa voleva ancora?

Galopparono per una ventina di minuti, finché si fermarono davanti ad una roccia spiovente, alta fino a toccare il cielo. La fece smontare.

<< Seguimi. >> le disse. L’uomo si avvicinò al muro, e lo toccò, cercando degli appigli che conosceva perfettamente. Si batté con le mani sulla schiena, facendole cenno di aggrapparsi. Teresa lo guardò quasi inorridita, non l’avrebbe voluto toccare per nulla al mondo. Eppure lui insisteva, voleva che lei gli si aggrappasse, continuò a farle cenno finché non vide i suoi occhi spaventati, e le mani che tremavano; da sola, non si sarebbe mai avvicinata. Così le prese un braccio e se lo fece passare sulla spalla, stringendole la mano, fece lo stesso con l’altra, e poi le tenne i polsi stretti per un po’, finché lei smise di ribellarsi. 

Infine iniziò ad arrampicarsi, e allora fu lei a stringersi a lui, con il terrore di cadere.

Poteva sentire il contatto della sua pelle, scoperta sulle braccia e sul collo, con la schiena di lui. Sperò che fosse così forte come sembrava, così che lei non sarebbe caduta. 

Iniziarono ad arrampicarsi, lui che si muoveva rapido da un appiglio all’altro, mani e piedi in perfetta sincronia, lei con le braccia strette e gli occhi chiusi per la paura. Nel giro di qualche minuto lui la fece scendere. Teresa aprì gli occhi su un mondo magico. Erano al di sopra della montagna, e da lì poteva vedere ogni cosa. Vedeva il villaggio di questo uomo tanto temibile, con case senza tetti, animali che escono ed entrano dalle abitazioni, un altare al centro di una piazza. Vide un fiume, di un blu intenso, che si gettava nel mare. Soprattutto vide tanti alberi, un mare di foglie verdi che brillavano per la luce del sole. In lontananza riusciva a vedere la casa nel bosco, dove sapeva che seguendo il sentiero sarebbe potuta tornare a casa. Lo guardò con occhi pieni di meraviglia.

<< Tu qui. Con me. >> disse. Teresa non seppe cosa rispondere, nemmeno riuscì a capire cosa volesse dire con quella frase, però era un posto incantato, quello in cui si trovava, e non lo voleva sporcare con parole che non avrebbero avuto senso. L’uomo si sedette sul bordo, con i piedi persi nel precipizio, sicuro di sé, la guardò facendole cenno di sedersi. Teresa si accucciò piano, temendo di cadere. Si sedette con le gambe strette al petto, ben lontana dal precipizio. 

<< Perché non mi riporti a casa? >> chiese Teresa dopo un po’, decidendo che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avrebbe implorato.

<< Questa casa. >> disse indicando il suo villaggio.

<< Questa è la tua, di casa. Io sono di Rannar.>> 

<< Tu qui. >>

<< Ma perché? Da quello che mi hanno insegnato voi riportate le donne alle loro famiglie, e così avete fatto con tutte le altre, perché io devo restare qui? >>

<< Perché tu mia, io tuo. >> disse guardandola con uno sguardo dolce.

<< Io non sono tua. Non sono di nessuno. Nessun uomo mi ha sposata, sono mia e basta. >>

<< Cosa sposata? >> chiese lui non capendo.

“ Non sa cosa vuol dire! “ pensò mia sorella stupita.

<< Marito e moglie.. una famiglia, dei figli. Sai cosa vuol dire? >>

<< Tu mia, io tuo. >>ripeté lui ancora una volta, esasperando Teresa.

<< Non secondo me!Non secondo la mia legge! >>

Lui si guardò intorno confuso, non riuscendo a capire cosa lei volesse dire. Restarono in silenzio per molto tempo, finché il sole iniziò la sua discesa, allora lui si alzò, le fece cenno di aggrapparsi e la riportò indietro, nella casa dove lei sarebbe stata costretta a rimanere.

 

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

. Mia madre era stesa nel letto, con la faccia pallida e le occhiaie, indossava ancora gli abiti del giorno prima; mio padre non c’era.

<>

<<È andato. Anche lui.>>

<> chiesi con il tono angosciato.

<> ripeté lei. 

<>

<>

<> dissi speranzosa.

 

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Capitolo 14
*** 10 ***


Noi rimanemmo per molto tempo a fissare le colonne d’entrata alla nostra città, aspettandoci che, da un momento all’altro, lei sarebbe tornata. Continuammo a guardare finché fu troppo buio per vedere ad un palmo dal naso, finché non rimase più nessuno per le strade, finché solo i pipistrelli e qualche gufo volavano in cielo.

<< Andiamo a casa. >>  disse mio padre, con un volto così triste, da far venire le lacrime agli occhi.

<< Ma…Teresa? >> chiesi io.

<< Non tornerà. >> disse lui, cacciando ogni parola come un macigno dal cuore.

<< Si che tornerà. >> rispondemmo in coro i miei fratelli ed io.

<< No. E non è stando qui ad aspettare che lei potrà tornare a casa. >> disse lui, con un tono duro che non ammetteva repliche. 

C’incamminammo silenziosamente verso casa, senza guardare dove stavamo andando; erano i piedi a guidarci, mentre le nostre teste si trovavano molto lontane. Entrammo dalla porta di casa ed andammo a dormire, tutto senza rendercene conto, ci muovevamo in modo meccanico.

Il mattino dopo arrivò, e nessuno di noi se ne accorse, cosa avremmo fatto? Come avremmo agito? Non sapevamo cosa fare. Nessuno osava parlare, nessuno osava pensare a come comportarci. Io restai nel letto per molto tempo, rifiutando di alzarmi, coperta da un lenzuolo continuavo a rigirarmi nel letto, piangendo, gridando, parlando, o forse solo pensando.. Ad un certo punto mi convinsi che tutto quello che era successo nei giorni passati era  stato solo un brutto sogno, un incubo che sarebbe finito non appena mi fossi alzata. Così levai il lenzuolo, e feci per alzarmi, ripensandoci l’attimo successivo, sapendo che se mi fossi alzata, e se non fosse stato un sogno allora veramente mia sorella era stata rapita.

 Infine mi decisi ad alzarmi, scesi in cucina e trovai tutto apparecchiato. C’era una ciotola con il pane, una brocca piena di latte, e delle marmellate confezionate prima che il mondo ci crollasse addosso. Seduto in una sedia accanto alla porta si trovava Serin, solo lui. Nessuno degli altri si era alzato. Mi sedetti, ma non riuscivo a toccare cibo. Serin si alzò, venne accanto a me e mi fece cenno di mangiare, un cenno brusco con il capo, non cercava mai di mimare quello che voleva dire, forse perché il mimo, anche se silenzioso, è pur sempre una forma di comunicazione, e lui non voleva comunicare. Come avesse trovato la forza per prepararci da mangiare non so dirlo,  quindi, solo per ringraziarlo, acconsentii a mangiare mezza fetta di pane. Passarono alcune ore e nessuno si decideva a scendere, così mi avviai verso la camera dei miei genitori, giusto per dare un’occhiata. Mia madre era stesa nel letto, con la faccia pallida e le occhiaie, indossava ancora gli abiti del giorno prima; mio padre non c’era.

<< Dov’è papà? >>

<< È  andato. Anche lui. >>

<< Cosa vuol dire andato? >> chiesi con il tono angosciato.

<< Andato. >> ripeté lei. 

<< Mamma cosa vuol dire “andato”? >>

<< Via, da Teresa. >>

<< La riporterà qui? >>  dissi speranzosa.

<< Se non porteranno via anche lui. >> disse in tono piatto.

<< Vedrai che la riporterà qui. >>  risposi  rassicurando sia lei che me. E se invece l’avessero preso? Che cosa pensava di fare? Avevo perso una sorella, non potevo perdere anche mio padre. Ebbi un momento di enorme rabbia ,verso  lui, verso quegli Uomini, verso Teresa, mia madre, verso di me. Corsi fuori di casa, corsi e corsi e corsi, finché non seppi più dove mi trovassi. Ero in una viuzza, circondata da case ad ogni lato. Erano case piccole, grigie, con muri rovinati, e calcinacci per terra. Le porte erano scardinate. Dovevo essere in una delle strade rimaste abbandonate dopo la strage dell’Inverno, quando, molti anni fa, avevamo deciso di non arrenderci. Nessuno ci aveva messo più piedi, e le erbacce, i sassi, i topi, si erano accumulati. Iniziai a camminare a ritroso, cercando la via di casa.

<< Dove vai? >> chiese un uomo, sulla sessantina. Aveva i capelli quasi del tutto bianchi, il viso pieno di ferite, le sopracciglia quasi inesistenti. Non si doveva trovare lì, come non dovevo trovarmi io in quel posto. Si raccontavano tante storie di fantasmi. Erano uomini che avevano combattuto fino alla morte, cercando di difendere le loro mogli, finché non erano stati uccisi, tutti quanti. Ora le loro anime erano in attesa, pronte a vendicarsi del male che gli era stato fatto. Alcuni dicevano che avrebbero fatto del male solo agli uomini, qualsiasi uomo che avesse osato attraversare quella via, mentre avrebbero difeso le donne e i bambini. Altri dicevano che non avrebbe fatto alcuna differenza su chi fosse passato per la strada, che la loro sete di vendetta  fosse  talmente forte da renderli ciechi di fronte a sesso o età.

<< Io… >> balbettai.

<< Tu non devi essere qui! >>  e mi afferrò per un braccio, trascinandomi dentro la casa vicina. 

Era completamente buia, nessuna luce filtrava dall’esterno, si sentivano, però, dei rumori provenire dall’alto, o dal basso, non si capiva nulla in quell’oscurità.

<< Di chi sei? >>  chiese la voce dell’uomo che ancora mi stringeva il braccio.

<< Abito poco fuori dal villaggio. Brewi. Ci chiamiamo Brewi. >> dissi.

<< E che ci fai qui? Cosa cerchi? >>

<< Niente. Stavo correndo e mi sono persa. >>

<< Correndo dove? >> chiese con tono inquisitorio.

<< Io.. correvo. Via da casa, da tutti, non lo so. >>

<< Qualcuno ti ha fatto del male? >> disse con tono quasi ironico.

<< No. >>

<< E allora dove te ne volevi andare? Non si lascia la propria casa. Si combatte. >> mi strinse forte il braccio, << Sempre. >>

<< Mi lasci andare, la prego. >>

<< Hai paura di me? >> chiese sorpreso. << Non dovresti. >> disse lasciando il braccio. << Vattene. >> e mi spinse fuori dalla casa. Iniziai a correre a perdifiato, non so in che direzione stessi andando, ma lontano da lì, lontano da quell’uomo. Che cosa stava succedendo in questo mondo? Ogni cosa stava andando storta, ogni pericolo si trovava dietro l’angolo, in agguato, mia sorella non sarebbe più tornata, e probabilmente nemmeno mio padre.

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

<< Noi tutti sappiamo. Uomo uguale donna. >>
<< Non mi sembra che le donne vengano a rapirci. >>
<< Ra..pirci? >>
<< Prendere noi donne, uccidere gli uomini. Fare del male. >>
<< Noi no male. Servono bambini. Voi portate figli. >>
<< Voi rubate i figli. >>
<< No. >> disse lui guardandola male, si stava arrabbiando. Dopo un po’ di tempo le chiese:
<< Nome? >>
<< Teresa. >>
<< Io Arsea >>

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Capitolo 15
*** Teresa ***


L’Uomo portò Teresa alla loro casa, la portò verso un piccolo caminetto con sopra una pentola.

<< Cucini? >>  chiese lui

<< A casa mia si >>

<< Questa casa tua. >>

<< No, te l’ho già spiegato. >> rispose mia sorella.

<< Io cucino >> disse lui con un mezzo sorriso. Aveva un bel sorriso. Le labbra carnose si curvavano ed illuminavano i suoi occhi chiari.

Prese la carcassa di un coniglio, ed iniziò a tagliarla a pezzettini, la mise nella pentola che stava direttamente sul fuoco. Vi aggiunse l’acqua fino a ricoprirlo, una cipolla tagliata a fette, carote, peperoncino ed altre spezie che da noi non si usavano. Poi si sedette per terra, lì vicino, ad aspettare che lo stufato fosse pronto.

<< Mio padre non sa cucinare. >> disse Teresa, cercando di riempire quel silenzio così pesante che li avvolgeva, o che forse solo lei sentiva, visto che quell’uomo, di cui ancora non conosceva il nome, era perfettamente rilassato.

<< Noi tutti sappiamo. Uomo uguale donna. >>

<< Non mi sembra che le donne vengano a rapirci. >>

<< Ra..pirci? >>

<< Prendere noi donne, uccidere gli uomini. Fare del male. >>

<< Noi no male. Servono bambini. Voi portate figli. >>

<< Voi rubate i figli. >>

<< No. >> disse lui guardandola male, si stava arrabbiando. Dopo un po’ di tempo le chiese:

<< Nome? >>

<< Teresa. >>

<< Io Arsea >>

<>

<< Perché? >>

<< Per conoscersi. >>

<< Io ti conosco. Tu hai mio figlio. >>

<< Questo non vuol dire conoscersi, io non so niente di te, e tu niente di me. Non parliamo nemmeno la stessa lingua. >>

<< Tu impari. Io insegno. >> e si guardò intorno, cercando qualcosa da insegnarle. Poi si accorse che l’acqua dello stufato stava iniziando a bollire, così la tolse dal fuoco.

<< Questo Cassera >>disse, poi si allontanò da lei, prese le ciotole e le portò fuori, sul tavolo dove avevano già mangiato.

Si sedettero uno vicino all’altra, e mangiarono in silenzio. Teresa si chiedeva se quel supplizio sarebbe mai finito, se un giorno sarebbe potuta tornare a casa e alla vita che aveva tanto sognato; probabilmente no.

Finito di mangiare, lui la portò in giro per il villaggio, mostrandole cosa dovesse o non dovesse fare. C’erano molti animali di cui occuparsi: non esistevano recinti e potevano circolare liberamente per le strade, ma, in molte piccole vasche, che si trovavano ovunque, lungo la via, dietro le case, o vicino agli alberi, veniva messo il cibo e l’acqua per dargli da bere e da mangiare. Erano liberi, si, ma andavano comunque nutriti. Non c’era un ordine o un lavoro che spettava ad una persona in particolare, chi vedeva che le vasche erano vuote, le doveva riempire. Se un uomo o una donna passavano lì davanti, e non andavano a prendere il mangime, venivano puniti severamente. Il modo in cui le spiegò tutto questo, fu molto difficile, date le differenze linguistiche.

<< Arenia >> disse indicando le vasche. << Lì mangia animale. Tu metti cibo, io e anche loro. >>

Poi la portò al fiume, e le indicò gli uomini e le donne che lavavano i piatti, o gli abiti. Le fece vedere una specie di scuola, dove persone sedute per terra a gambe incrociate ascoltavano un uomo che parlava, nella loro lingua.

<< Lì guerra e medicina, erbe e cucina >> disse dicendole quello che spiegava l’uomo. Era uguale a tutti gli altri, anche lui con la pelle ambrata e gli occhi chiari, i capelli lunghi sciolti al vento; indossava una tunica bianca con una cinta marrone in vita. Guardandolo si rese conto di quanto quegli uomini fossero uguali a loro, lo stesso colore delle pelle, i capelli come quelli che potrebbe avere qualsiasi persona nel loro villaggio, eppure così diversi, nella storia, nelle tradizioni e nella crudeltà.Infine le mostrò la piazza con l’altare al centro.

<< Qui Signora del Vento. >>  disse.  Poi la donna entrò. Seguita dalla figlia con le braccia piene di peli, che avrebbero spinto ogni uomo o donna della sua città a voltarsi dalla parte opposta, mentre tutti, lì, la guardavano con ammirazione. Aveva dei bei occhi castani, così diversi da tutti gli altri. La Signora del vento, con un abito argentato, lungo fino a coprirle i piedi, avanzò fino al centro della piazza, salì sull’altare, ed iniziò a parlare.

<< Aretis ala sane. Is theo.. >>  continuando nel loro linguaggio per almeno una mezz’ora. Erano tutti riuniti ad ascoltarla. Alcuni erano in piedi, altri seduti per terra; ogni tanto rispondevano a quello che la loro regina diceva, ma per la maggior parte del tempo stavano in silenzio. 

Teresa guardava tutti, senza capire. Per lei ogni parola non aveva senso. Si sentiva come un pesce nel profondo di un lago, poteva vedere le luci e le ombre delle persone lì intorno, sentire vagamente le voci, ma non capire nulla.

Ad un tratto tutti si voltarono a guardarla, a fissarla, cercando quasi di leggerle l’anima. Mia sorella abbassò lo sguardo ed aspetto che le voci cessassero, ma il discorso sembrava andare avanti per molto tempo.

<< Lei è la ragazza che Arsea vuole tenere con sé. Deve imparare le nostre usanze, la nostra lingua, essere una di noi; altrimenti dovrà tornare indietro. Il compito di educarla spetta a lui, ma anche voi avrete un vostro ruolo. Ognuno di voi deve decidere se vuole che resti o no, la volete con voi, allora aiutatela, non la volete, ostacolatela, sta a voi scegliere. >> continuava a parlare la regina nella lingua sconosciuta e Teresa continuava a non capire, ma vide che Arsea si stava innervosendo, e preparando a parlare. 

<< Saranno concessi i nove mesi per la nascita dei figli. Quando voi andrete a prenderli porterete con voi lei, se non sarà stata degna di diventare una di noi, o suo figlio, che dovrà essere dato come ricompensa in caso contrario. A voi la scelta. >>

<< Non mi avevi dato un tempo limite. Avevi detto che poteva restare e basta. >> iniziò a parlare Arsea, facendo sussultare Teresa che stava accanto a lui. Le parole che uscivano dalla sua bocca suonavano dure ed aspre, sia per la rabbia che vi metteva, sia per il suono proprio di quella lingua.

<< Io ho detto che avrebbe dovuto imparare, e questo deve fare. La vuoi con te? Allora insegnare quello che sai. Ho finito. >>

<< Arim e tei. >> risposero tutti in coro, come forma di saluto. E la Signora del Vento se ne andò. Molte delle persone là attorno si allontanarono in fretta, riprendendo le loro occupazioni, altri vennero a parlarle. Pronunciavano parola che lei non capiva, nella loro lingua, e, allo sguardo inebetito di Teresa decidevano di andarsene, dicendo prima qualcosa ad Arsea.  Quando rimasero da soli, lei gli chiese di cosa avessero parlato ,ma lui si rifiutò di dirle qualsiasi cosa, e si vedeva chiaramente quanto fosse infuriato.

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

“ Adesso vado alla casa nel bosco e  mi fermo lì per un po’..tanto sarà vuota. Poi…poi prendo l’acqua..quanto tempo potrò stare? Non lo so..intanto mi riprendo dalla prima parte del viaggio. Da lì devo raggiungere la loro città…che non so dove si trovi. Come faccio a raggiungerli? Che cosa è stato?” pensò guardandosi intorno, “ niente di nuovo, i soliti rumori del bosco. Stavo dicendo..cosa stavo dicendo? Ah si..da lì mi conviene muovermi per zone.. prima in una direzione, poi in un’altra..magari li trovo… e se li trovassi..Cosa dovrei fare? “

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Capitolo 16
*** Stefan ***


Mio padre partì  la mattina presto, prima ancora che ci svegliassimo, saranno state le 2, o forse le tre. Aveva detto poche parole a sua moglie ed era sceso in cucina. Nella sacca che portava aveva riposto più cibo possibile, pensando di allontanarsi per molto tempo. Aveva preso carne salata, pane, gallette, formaggio, conserve, una borraccia d’acqua che sarebbe bastata, visto che il bosco era attraversato dal fiume. Infine aveva preso un coltellaccio, di quelli che si usano per ammazzare il bestiame. Si era vestito a strati, così da potersi coprire o scoprire a seconda del tempo.  Si chiuse la porta di casa alle spalle e non si voltò indietro. 

La strada nel bosco iniziava ad essergli familiare, non fece caso a odori o suoni che l’avevano colpito la prima volta, era solo in  allerta per suoni che potessero significare nemici, per il resto era preso dai suoi pensieri.

“ Adesso vado alla casa nel bosco e  mi fermo lì per un po’..tanto sarà vuota. Poi…poi prendo l’acqua..quanto tempo potrò stare? Non lo so..intanto mi riprendo dalla prima parte del viaggio. Da lì devo raggiungere la loro città…che non so dove si trovi. Come faccio a raggiungerli? Che cosa è stato?” pensò guardandosi intorno, “ niente di nuovo, i soliti rumori del bosco. Stavo dicendo..cosa stavo dicendo? Ah si..da lì mi conviene muovermi per zone.. prima in una direzione, poi in un’altra..magari li trovo… e se li trovassi..Cosa dovrei fare? “

Intanto continuava per la sua strada, un passo dietro l’altro si stava avvicinando sempre di più alla casa nel bosco. Da quando era partito aveva mangiato mezza fetta di pane con sopra del formaggio, senza nemmeno fermarsi a riposare. Si trovò davanti alla casa in pochissimo tempo, dopo aver percorso la stessa strada che una volta era sembrata tanto lunga. Non presto molta attenzione a rumori o a cambiamenti lì nei dintorni, andò direttamente alla porta di casa e l’aprì. Per un attimo pensò di trovarsi di fronte qualcuno, un nemico, “ Lo pugnalo nell’attimo in cui mi viene incontro, di certo non si aspetta la mia visita”, ma solo per un attimo, perché la casa era vuota, tale e quale all’ultima volta che l’aveva vista. Quanto tempo era passato? Gli sembrava un’eternità. 

Posò la sua sacca sul tavolo, che si trovava entrando sulla destra, e si stese un attimo nel pagliericcio lì accanto. E se fosse entrato qualcuno? “ No..loro non si faranno vedere per nove mesi, ho tutto il tempo che voglio. Ora dormo.. poi vado al pozzo..ci deve essere un pozzo qui intorno. Si mi sembra che c’era. L’avevo visto quella volta..Sarebbe stato tutto diverso se.. No. Hai fatto le tue scelte ora le devi rispettare. Coraggio. Per la tua famiglia.” e chiuse gli occhi addormentandosi. 

Quando aprì gli occhi non perse nemmeno un attimo, si alzò ed uscì dalla porta. Poi girò dietro la casa e si diresse verso ovest, qualche passo in avanti, poi a sinistra e si trovò davanti al pozzo. Era stato costruito da pochi anni, una quindicina, molti di meno rispetto ai pozzi nella loro città. Era stranamente pulito, senza alcuna incisione o scanalature.

Prese l’acqua dal secchio e la portò dentro casa. Si sedette a tavola davanti ad una fetta di maiale salato e una borraccia d’acqua. Erano passate molte ore da quando era partito, ed il cielo era buio.  In un angolo della casa trovò alcune candele ammucchiate, pezzi di legna e una coperta. Accese la candela. Si era portato da casa un foglio su cui annotare i percorsi che avrebbe seguito. Disegnò una piccola casa per il punto in cui trovava, e una croce, dove stava il pozzo. L’indomani si sarebbe diretto prima a prendere altra acqua, e poi avrebbe continuato da lì sempre verso ovest. Sperando di trovare un segno del passaggio di quegli uomini. 

L’alba arrivò in fretta, prese una parte del cibo che si era portato, solo alcune cose per la giornata, all’imbrunire sarebbe tornato indietro. Si portò anche il coltello e la borraccia da riempire al pozzo. Uscì da casa con l’animo speranzoso, convinto che un essere, un'entità  o uno spirito della terra l’avrebbero aiutato a riprendersi la sua bambina, che ormai bambina non era più. 

“Allora..avevo detto prima di raggiungere il pozzo..La mappa!”esclamo ricordandosi di averla lasciata in casa. Prese la mappa ed un carboncino con cui avrebbe segnato il percorso. 

“Bene.. sono partito nel migliore dei modi.. Allora dicevo adesso dietro la casa..poi a sinistra.. e più in là c’è il pozzo.” Si fermò al pozzo e prese l’acqua, si diede anche una lavata al viso e bevve qualche sorso. Poi si rimise in marcia.

“E adesso verso ovest.” 

La camminata fu lunga, e senza interruzioni. Vide molti alberi, alberi e ancora alberi, ad un tratto un piccolo recinto abbandonato chissà da chi. Non c’erano animali e non c’erano case intorno, e i paletti erano tutti rovinati e corrosi dal tempo. Ancora alberi, alberi ed altri alberi. Ogni tanto si fermava per fare un segno sulla corteccia, così da non perdersi. Ancora e ancora e ancora. Una strada interminabile senza segni di cambiamento. Poi il fiume. Era un corso d’acqua lento e regolare, limpido; si potevano vedere piccoli sassi sul fondale, non era molto profondo. Addirittura qualche pesce. Aveva camminato per almeno due ore, così si fermò per annotare sulla mappa il fiume.

“ Il fiume…sapevo che c’era. Si chiama.. si chiama.. non mi ricordo.  Non ha importanza. Avranno bisogno di acqua nel villaggio. La cosa migliore sarebbe fondare una città vicino al fiume. Però non ho idea di che direzione possa prendere.. magari da qui è un percorso lunghissimo. Vale la pena provare. Adesso lo seguo andando verso destra. E se non trovo niente domani lo percorro verso sinistra. E potrei anche prendere qualche pesce!” , poi si alzò e riprese il suo cammino. 

Alberi, alberi e ancora alberi, questa volta di un altro tipo, meno alti e più radi, e sulla sinistra sempre il fiume, ancora e ancora per altre interminabili ore. Il corso d’acqua ogni tanto curvava per poi ritornare in una retta. Dopo molte ore si fermò a mangiare un boccone e si decise a tornare indietro. Non aveva trovato nulla, nessun segno del passaggio di qualche uomo o di un cavallo, niente che lo spingesse a continuare su quella strada. Aveva bisogno di orme, e lì non ce n’erano.

Arrivò in casa che era ormai notte fonda ; si stese sul pagliericcio e si addormentò immediatamente. Aveva ancora cibo a sufficienza per altri due giorni, visto quanto mangiava poco. Così decise che l’indomani avrebbe proseguito con il suo piano, e il giorno seguente sarebbe andato al fiume a cercare da mangiare.

Il giorno arrivò e si rimise in marcia.

“Ahi le ossa… non sono più giovane come un tempo.. Le mie forze devono bastare solo a riportarla indietro, poi non ha importanza, posso anche morire. Ecco ancora gli alberi..alberi..alberi.. che scenario sempre uguale.. ecco i segni di ieri. È stata una buona idea questa.. si.. così non mi perdo. Ancora alberi e alberi e alberi.. il pozzo l’ho già passato da un bel po’..che sete.. speriamo che l’acqua mi basti. Alberi e alberi.. ecco il fiume. E adesso..allora ieri sono andato di là.. adesso vado in questa direzione.”

E continuò il suo cammino. Il fiume sembrava interminabile, proseguiva in rettilinei, poi curvava, poi ancora dritto.. poi una piccola secca.

“Potrei attraversare.. però poi.. non lo so.. adesso continuo qui. Meglio segnare dove si trova la secca.. in caso decidessi di venire qui. Si sta rivelando tutto più complicato.. Non la troverò mai. No forza! Adesso mangi qualcosa, bevi un sorso d’acqua e riprendi il cammino. Lo devi fare!” e continuò dritto, lasciando l’attraversamento ad un altro giorno. Il corso d’acqua proseguiva ancora e ancora e ancora finché non si fece buio.

“Meglio che mi rigiri.. sono andato troppo avanti.. e non ci sono segni di cavalli o di piedi che hanno calpestato l’erba.. che qui sta diventando sempre più alta.. mi arriva alle ginocchia! Di certo da qui non sono passati. Meglio seguire il fiume al contrario.”

E ricominciò la strada, il tragitto fu molto facile. Aveva poggiato una pietra molto  grande  nel punto in cui aveva iniziato il suo percorso, così da sapere quando avrebbe dovuto tagliare per il bosco. Raggiunto il sasso, la strada si fece molto più complicata. Era difficile vedere i segni sulle cortecce degli alberi senza la luce del giorno, o per lo meno del crepuscolo, così avanzava a tentoni, tastando ogni albero alla ricerca di un segno, e sprofondando nell’ansia quando non lo trovava, o nella gioia più pura quando riconosceva il marchio che aveva impresso. Ci vollero ore ed ore per tornare alla casa, arrivò che stava albeggiando. 

Si  gettò nel letto stremato, chiudendo gli occhi non appena poggiò la testa. Sogno di perdersi nei boschi, di non trovare più la strada e morire affamato e disidratato sotto un albero, mentre vedeva immagini  di sua moglie, dei suoi figli, e persino dei fratelli di sangue, che rimanevano da soli, senza Teresa e senza di lui. 

Si risvegliò con un’ansia incredibile, quando ormai era troppo tardi per poter andare alla ricerca di nuovi sentieri. Così decise di andare solo al fiume a cercare da mangiare. Fece colazione, sempre con il pane raffermo ed un po’ di formaggio. Gli restava ancora della carne e altro formaggio, però era meglio conservarlo, e sfruttare quel giorno per pescare.

 Nel tragitto verso il fiume fece molti più segni negli alberi, per evitare di far avverare il suo sogno. Raggiunto il ruscello si arrotolò i pantaloni fin sopra le ginocchia e si immerse nell’acqua. Sapeva come prendere i pesci con le mani, glielo aveva insegnato suo nonno, quando era ancora piccolo. Lo portava in quello stesso fiume, solo in un’altra zona, e gli faceva vedere come essere silenzioso e veloce abbastanza da poter prendere un pesce vivo nelle mani. Lo sentiva muoversi rapido nelle sue mani, scivoloso, tentando la fuga, ma lui non lo aveva mai lasciato vincere, non da piccolo, e nemmeno adesso. 

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

 

La prima volta che successe eravamo tutti a letto. Serin dormiva accanto a lei e fu il primo a svegliarsi  quando la sentì urlare. Si agitava nel letto, gridando, un urlo continuo, senza tregua. 

<< Cosa succede? >> mi chiese Rodd guardandomi dal suo letto, cercando una risposta in me, come se io potessi rassicurarlo.

<< Non lo so. Vado a vedere. Voi restate qui. >> ero diventata la sorella maggiore, il punto di appoggio di tutta la famiglia, io e Serin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** 13 ***


 

Erano  passati due giorni da  quando mio padre era andato via, e ognuno di noi stava dando il massimo per sopravvivere. Ci occupavamo di tutto, o quasi, Serin ed io. Pensavamo ai cavalli, all’orto, al bestiame ed alla cucina. I miei fratelli ci davano una mano, ma per lo più eseguivano quello che gli dicevo: avevano perso una parte del loro spirito indipendente, ma si vedeva che presto sarebbero tornati alla normalità. Mia madre li aiutava, ogni tanto, ma per lo più si occupava di Glenne. Da quando eravamo tornati non si era mai alzata dal letto, mangiava a stento, solo se imboccata, qualche morso e già non ne poteva più. Dormiva tanto. Era come regredita, una piccola bambina che non era in grado di fare nulla, nemmeno di alzarsi per andare al bagno. 

Serin entrò in camera della madre, per vedere come stesse, e sentì un olezzo incredibile. Se l’era fatta addosso, e nemmeno aveva provato ad alzarsi per rimediare, si era addormentata,  bagnata e puzzolente. Suo figlio  l’aveva trascinata fuori dal letto, spingendola, visto che non riusciva a sollevarla di peso, finché non cadde.

<< Cosa succede? >>  chiese mia madre, che si trovava nella stanza accanto, e che, anche lei, era rimasta come bloccata nel mondo dei sogni. Quando sentì quell’odore, e vide Glenne per terra, con il figlio che la trascinava e le lacrime agli occhi dalla frustrazione, si riscosse dal torpore in cui l’avevano lasciata Teresa e suo marito. Mandò Serin via dalla stanza, prese una pentola, ci mise l’acqua del pozzo, la scaldò per alcuni minuti e poi la portò nella camera  di Glenne, per lavarla. Infine prese le lenzuola che coprivano il letto e le lavò. Da quel momento il suo compito fu quello di occuparsi di lei, mentre noi pensavamo al resto. La scuola era stata chiusa, esattamente come tanti anni prima:  c’era bisogno di rialzarsi, di sopravvivere, prima di poter pensare a studiare di nuovo. 

Stavo strigliando Azari ed intanto pensavo a quell’uomo. Ai suoi occhi, i suoi capelli, a quanta rabbia sembrava trattenere dentro di sé . Mi aveva spaventata, sì, però non credevo che mi avrebbe fatto del male, non so per quale motivo, ma continuavo a pensarci, ripercorrevo nella mia testa ogni attimo di quella giornata, dalla mia fuga da casa alla mia fuga da lui. Ci pensavo e ripensavo; credevo di impazzire. 

Occupava ogni secondo della mia giornata: mentre addestravo i pony, mentre coglievo una carota o una rapa da terra, mentre cucinavo una misera zuppa che non sarebbe mai stata buona come quella di Teresa. Ci pensavo perfino mentre sentivo Glenne urlare dalla sua stanza, in preda a chissà quale angoscia.

La prima volta che successe eravamo tutti a letto. Serin dormiva accanto a lei e fu il primo a svegliarsi  quando la sentì urlare. Si agitava, gridando, un urlo continuo, senza tregua. 

<< Cosa succede? >> mi chiese Rodd guardandomi dal suo letto, cercando una risposta in me, come se io potessi rassicurarlo.

<< Non lo so. Vado a vedere. Voi restate qui. >> ero diventata la sorella maggiore, il punto di appoggio di tutta la famiglia,  insieme a Serin.

<< Cosa succede? >> chiesi a Serin entrando nella sua stanza, lui stava scuotendo la madre, cercando di calmarla, evidentemente non riuscendoci. Mi guardò con un’aria disperata, non sapendo più cosa fare.

<< Glenne..Glenne ascoltami! Ti senti male? Cosa succede? >>  lei continuava a urlare, senza nemmeno guardarmi negli occhi, non esistevo. Dovevo fare qualcosa, ma non sapevo cosa. Poi entrò mia madre.

<< Cos’ha? >> chiese

<< Non si capisce, continua a gridare. Sembra che soffra molto. >>

<< Glenne.. Glenne.. >> la chiamò mia madre.

<< Io.. le vado a preparare una tisana calmante, di quelle che usava Teresa per far dormire. >>

<< Teresa… >> ripeté mia madre, inebetita.

<< Si.. Teresa.. >>  ed uscii dalla stanza. Andai in cucina e presi un tegame, ci misi dell’acqua, e gli ingredienti che usava mia sorella quando accompagnava il suo maestro. L’avevo vista farlo tante volte, senza mai chiedere come si facesse o quali ingredienti usasse, ma li conoscevo tutti, avevo imparato a forza di guardarla, standole accanto.

 Ad un tratto smise di urlare. Io presi la tisana e la portai di sopra. Trovai mia madre nel letto insieme a Glenne, che l’abbracciava forte cantandole una ninna nanna, una di quelle che avevo sentito mentre cullava i miei fratelli, e probabilmente anche mentre si occupava di Teresa e di me.

<< Ecco qui.. >> dissi passano la tazza a mia madre. Aspettammo finché non bevve tutto quel liquido e si addormentò, poi uscimmo dalla stanza. Era ancora notte fonde, così ognuno di noi tornò a dormire, eccetto Serin, che andò di fuori, in cortile. Lo vidi dalla mia finestra mentre guardava da solo le stelle, non piangeva, non parlava, non gridava come sua madre, ma sapevo che soffriva, lui come tutti noi. Il giorno seguente  Serin fu spostato in camera dei miei fratelli, io in quella dei miei genitori e mia madre in quella di Glenne, così da starle vicino. Poi quando mio padre sarebbe tornato avremmo cambiato sistemazione ancora una volta, se fosse tornato.

Continuavo ad essere ossessionata da quell'uomo e, quando non potei più sopportare questa situazione,, mi decisi a tornare là. Sapevo come raggiungere quella parte di città che era stata abbandonata, ma non ricordavo di preciso come arrivare da lui. Mi stavo comportando da egoista, ancora una volta, come quando ero andata alla casa nel bosco; però  la curiosità era troppo forte. Approfittai di un momento in cui tutti erano occupati, e sgusciai via di casa. 

C’era un piccolo archetto, rotto in molti punti, che minacciava di cadere da un momento all’altro; lo attraversai senza pensarci un attimo. Vidi tutte le case senza porte, con polvere, feci di animali, acqua e terra che le circondava. Continuai a vagare a lungo, finché una mano mi afferrò da dietro.

<< Che ci fai qui? Di nuovo? >> chiese l’uomo, lo stesso. Mi aveva spinto dentro una casa, esattamente come l’altra volta. La sua voce proveniva da dietro di me, eppure sentivo il respiro di qualcuno sulla mia faccia.

<< Io..volevo..non lo so.. >> iniziai ad avere paura. Ma cosa mi aveva spinto a tornare? Mi avrebbe ucciso, e sarei stata un’altra perdita da aggiungere alla lista della mia famiglia.

<< Volevi cosa? >>  continuò lui.

<< Sapere…. >>

<< Sapere.. vuoi sapere. Cosa? Cosa ci faccio qui? Se sono uno di quei fantasmi di cui tanto si parla? Se sono assetato di vendetta? O di sangue. Magari del tuo.. >>

<< Non..non credo che mi farai del male. >>

<< Oh no.. io non sono uno dei cattivi. I cattivi sono quei mostri del Vento. Uomini che rubano donne altrui, che stuprano senza distinzione tra giovani e vecchie, purché riescano ad avere dei figli, da far crescere come loro. >>

<<…>>

<< Io sono uno dei buoni. Quindi non ti farò del male. Ma non c’è bisogno di stupide ragazzine qui. Vattene via. Torna a giocare con le bambole. >>

<< Bambole? >> ripetei levando il braccio dalla sua mano, << Non ci sono state bambole nella mia vita. Ci sono stati lavori, fatiche, viaggi per vendere un po’ di cibo per andare avanti. Ci sono state morti, rapimenti e abbandoni. Sarò anche una ragazzina, ma non credere che la mia vita sia tanto facile. >> dissi infuocandomi.

<< Che carattere! >> esclamò  una voce, quella che mi respirava a pochi centimetri dal naso.

<< Allora, visto che non giochi con le bambole, che non sei una ragazzina innocente, che cosa vuoi qui? Che cosa cerchi? >>

<< Cerco i fantasmi di cui si parla, qualcuno che possa vendicare il mio fratello di sangue, che possa riportare indietro mia sorella, e mio padre. >> capendo, mentre pronunciavo quelle parole, il motivo che mi aveva spinto a tornare là.

<< II fantasmi non esistono. Non te l’hanno insegnato, bambina ? O credi ancora nelle favole? >>

<< Non credo in niente, tranne che nella vita e nella morte, che ho visto davanti ai miei occhi. >>

<< Parli bene, per avere solo quanto.. sette anni?

<< Undici .. a breve dodici. >>

<< E cosa pensi di fare a undici anni? Uccidere un uomo con le tue mani? Tornatene a casa. >> riprese l’uomo.

<< Si.. ditemi solo se siete i fantasmi. >>

<< Si, siamo i fantasmi. >> rispose la voce ad un soffio dalla mia faccia.

<< Ora vai via. >> e mi spinsero fuori.

Mi avevano cacciata in malo modo, ma sapevo che non mi volevano fare del male, non erano cattivi. Ora dovevo capire cosa facevano, perché non stavano con il resto delle persone, perché si nascondevano. Così evitai di correre a casa, e continuai a vagare per quelle strade. 

Erano vicoli bui, dove la luce del sole filtrava a malapena tra le case ammassate. Avanzavo piano per evitare d’inciampare tra i detriti e la robaccia accumulata in quei posti. Sembrava tutto deserto, eppure sapevo che c’erano altri fantasmi, altre persone che volevano vendetta, come me. Ad un tratto mi decisi  ad entrare in una casa, la porta era marcita e crollata per terra, c’era polvere ovunque, ragni, pentole incrostate accatastate le une sulle altre. Nessuna traccia di qualcuno che potesse viverci, nessun tipo di cibo. Niente. Quando stavo per uscire sentii un rumore dal piano superiore, alcuni passi, lievi, come quelli di un gatto di cui senti il passaggio solo se le unghie toccano la pietra o se la coda struscia su qualche oggetto. Salii piano le scale, cercando di essere altrettanto silenziosa, impresa non facile, visto che alcuni scalini minacciavano di scricchiolare.

Poi qualcuno mi afferrò da dietro, mi sollevò, portandomi fuori dalla casa. Era un ragazzo castano, con occhi marroni ed intensi, magro ma forte, pieno di cicatrici. Ne aveva una sulla fronte, poco sopra il sopracciglio destro, una sulla guancia, una sul braccio, sopra il gomito, e queste solo quelle che riuscivo a vedere con la poca luce che c’era. Aveva un filo di barba, appena appena, probabilmente la prima barba della sua vita.

<< Ti avevamo detto di andartene. >> disse con la stessa voce che poco prima mi aveva soffiato in faccia.

<< Lo so.. >>

<< E allora che ci fai ancora qui? >>  voleva sembrare minaccioso, eppure i suoi occhi nascondevano un sorriso.

<< Voglio aiutarvi. >>

<< Aiutarci? >> disse ridendo. << E come? Nemmeno sai cosa facciamo! >>

<< Se me lo dici vi posso aiutare. >>

<< E perché dovrei? >>  chiese sedendosi su un gradino.

<< Chi c’è in questa casa? E nelle altre? >>

<< Te sei l’intrusa. Le domande le faccio io. >>

<< Allora domanda. E io risponderò. >>

<< Cosa vuoi? >>

<< Aiuto. >>

<< Non volevi darlo a noi, il tuo prezioso aiuto? >>

<< Si, ma ne ho bisogno anche io. >>

<< Vuoi del cibo? È per questo che non te ne vai? Non mi sembra che tu soffra la fame. >>  disse squadrandomi dalla testa ai piedi.

<< No. Da mangiare ce l’ho. >>

<< E allora che cosa vuoi? Ti serve una mamma e un papà? È questo che cerchi? Qui non ci sono mammine che ti possano accudire. >>

<< Ho già detto che non gioco con le bambole, non sono una bambina. Avrò anche pochi anni, ma la mia vita mi ha fatto crescere in fretta. >>

<< Allora parla chiaro. Dimmi direttamente cosa vuoi e facciamola finita. >>

<< I figli del Vento hanno rapito mia sorella, portandola via  ed infrangendo il loro solito modo di fare: lei  non è tornata con le altre donne. Mio padre è andato a cercarla e non so se tornerà. >>

<< È una storia triste, ma non più di tante altre. >>

<< Uno dei miei fratelli di sangue è morto mentre tentavamo di scappare, la moglie è impazzita e il figlio non parla più. Quello che io voglio è che mia sorella torni indietro; voglio vendetta e voglio che questo non succeda mai più. Io non sarò mai la prossima donna che si porteranno via. Preferisco morire piuttosto. >>

<< Bene. Questo è quello che vuoi tu. E a che punto di questa storia entriamo noi? >>

<< Voi vi nascondete per prepararvi, giusto? Alla vendetta.. >>

<< Questo non ti riguarda. >>

<< Se è così, e credo sia così, allora voglio partecipare. Vi posso aiutare, in qualunque modo. >>  il ragazzo stette in silenzio per alcuni minuti, guardandomi attentamente. Sentivo il suo sguardo che percorreva il mio corpo, studiandomi. Poi parlò:

<< Vai a casa. Torna all’arco di acceso tra due giorni, o forse tre. E aspettami. >>

<< Va bene. >> dissi felice. Mi avrebbe aiutata! Due giorni, forse tre, sarebbero passati in fretta.

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO:

“ Ecco qua.. ho perso anche l’ultima speranza che avevo. Che spreco di tempo. Ma cosa pensavo di fare?? E anche se l’avessi trovata che intenzioni avevo? Mi avrebbero ucciso e basta. Ho lasciato Rodd, Marcus, Enn, e soprattutto Annie. Da soli, tutti da soli. Io pure sono solo. Che idiota.. sciocco…presuntuoso..e là ?>> esclamò sentendo il cuore saltargli in gola. Aveva visto delle impronte. Leggermente spostate sulla destra rispetto al sentiero che stava seguendo. Erano impronte! 

 

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Capitolo 18
*** Stefan ***


Mio padre aveva esplorato in lungo e in largo. Aveva attraversato il fiume, si era diretto ad est e a sud. Erano passati altri tre giorni e ormai aveva perso le speranze. Gli rimaneva solo la strada a nord, e poi se ne sarebbe tornato a  casa con la coda fra le gambe. Aveva segnato ogni percorso sulla mappa, e passava ore a studiarla, cercando di capire da che parte si potessero nascondere. Inoltre iniziava a disperare, era passato troppo tempo, e c’era la possibilità che le impronte fossero scomparse. Se avesse piovuto, se ci fosse stato un temporale, non avrebbe avuto più alcuna speranza, l’avrebbe persa per sempre. 

Quella mattina si preparò come sempre, mise nella sacca il cibo che si sarebbe portato: i pochi avanzi che gli erano rimasti da casa, la carne salata e nient’altro. In ogni caso il giorno dopo sarebbe dovuto tornare indietro, e pensare al resto della sua famiglia, quella che lui stava abbandonando. 

Prese il coltello, l’acqua e uscì. Aggirò il recinto e si diresse a nord. C’erano solo alberi, nient’altro. Nessun fiume, nessuna prateria, alberi e basta. 

“ Ecco qua.. ho perso anche l’ultima speranza che avevo. Che spreco di tempo. Ma cosa pensavo di fare?? E anche se l’avessi trovata che intenzioni avevo? Mi avrebbero ucciso e basta. Ho lasciato Rodd, Marcus, Enn, e soprattutto Annie. Da soli, tutti da soli. Io pure sono da solo. Che idiota.. sciocco…presuntuoso..e là ? " esclamò sentendo il cuore saltargli in gola. Aveva visto delle impronte: fili d’erba schiacciati da qualcosa o qualcuno, leggermente  spostate sulla destra rispetto al sentiero che stava seguendo. Erano impronte! Ce n’era una.. poi un’altra..e un’altra ancora! Non erano perfettamente allineate, era passato parecchio tempo e alcune impronte se ne erano andate, però in alcuni punti si vedevano ancora.

Si fermò, sopraffatto dall’emozione, le mani che gli tremavano, sentì lacrime di gioia scivolargli sulle guance: stava piangendo e non se ne era nemmeno accorto.  

Dentro di sé non credeva realmente di riuscire a trovare qualcosa, qualsiasi cosa; questo era stato un tentativo disperato pur di fare qualcosa, non arrendersi senza nemmeno tentare. Invece le impronte erano lì, e lui le aveva viste.

Continuò a seguire le tracce, il cuore che gli martellava nel petto. Spesso doveva fermarsi, guardare attorno, tastare l’erba prima di rendersi conto di una qualche differenza, del prato che era stato calpestato, o di un vago odore. 

All’inizio camminava in piedi, bastandogli solo lo sguardo per vedere dove fosse l’orma successiva, poi fu costretto ad avanzare carponi, per poter usare tutti i suoi sensi. 

Sentiva il contatto con i fili d’erba, l’odore della terra, la freschezza del giorno che stava per finire, con il sole basso che filtrava tra gli alberi. Vedeva formiche muoversi, ragni ed altri insetti, avanzare e nascondersi dietro i sassi. Aveva i vestiti sporchi, era sudato e stanco, ma avrebbe continuato il più possibile : aveva paura che le orme sarebbero sparite da un momento all’altro, che non sarebbe riuscito a trovarle tornando lì un altro giorno, che avrebbe potuto perdere sua figlia per sempre. 

 La camminata andò avanti per ore, finché si rese conto che stava iniziando ad imbrunire. Non aveva portato cibo a sufficienza per poter continuare.

“ Mi conviene tornare indietro.. alla casa nel bosco. Poi domani potrei andare al fiume, pescare qualcosa, oppure potrei tornare a casa.. Un giorno per arrivare là.. Un altro per tornare… Ci saranno ancora le impronte? Si… A meno che non piova. “, continuava a pensare chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare.

 “ Devo tornare a casa… Da qui al loro villaggio potrebbe esserci ancora molta strada.. Non avrei cibo a sufficienza restando qui.. O acqua..Si, andrò a casa a prendere qualcosa da mangiare, sicuro ci sarà, c’è sempre cibo per via dell’orto..avranno pensato all’orto? Poi il giorno dopo tornerò qui, mi devo segnare bene la strada così fino a questo punto potrò avanzare con tranquillità, e da qui continuerò a caccia di impronte. Teresa ti riporterò indietro! Non ti preoccupare, bambina mia. " 

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO:

Arsea uscì di casa come una furia, probabilmente per andare al fiume e cercare di capire chi fosse stato. Per lei non aveva alcuna importanza. Quei due la odiavano, loro come tanti altri che la guardavano male mentre camminava. Se però li avesse capiti, se avesse compreso quello che le stavano dicendo... doveva imparare, per sapere cosa gli altri dicessero di lei, per potersi difendere.

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Capitolo 19
*** Teresa ***


I giorni nel villaggio passavano tranquillamente. Arsea le preparava da mangiare, le spiegava i nomi degli oggetti e degli animali. Lei ripeteva cercando d’imparare. Dapprima aveva pensato di non volerne sapere nulla, che il fiume si chiamasse Atessin o il gatto Olla,  per lei non aveva importanza, “ Io non sono di qui ” si ripeteva, “ tornerò presto a casa .” Poi ci fu il cambiamento.

Arsea le aveva detto di andare al fiume per lavare le ciotole del pranzo, da sola. Era inginocchiata, con indosso una tunica bianca che le aveva portato quell’uomo, quando due figli del Vento le si avvicinarono. Avevano i capelli scuri, uno li portava intrecciati, l’altro sciolti. Erano entrambi molto muscolosi, quasi identici nei lineamenti.

<< Arem ai tel.. Arsea …ou.. >> e molte, molte altre parole che lei non riuscì a comprendere. Infine uno dei due le diede una spinta, gettandola in acqua. Mia sorella li guardò completamente sconvolta, cosa aveva fatto adesso? Che cosa volevano? Per un attimo ebbe il terrore che la prendessero e la portassero via, invece i due se ne andarono; Teresa si rialzò, aiutata da una donna, una figlia del Vento come tutti gli altri, non un’estranea come lei. 

Tornò in casa con gli abiti ed i capelli completamente zuppi.

<< Cosa? >> chiese Arsea.

<< Due uomini mi hanno spinto in acqua >>

<< Chi? >> chiese lui, già in preda alla rabbia.

<< Non lo so. >>  disse avvicinandosi al caminetto, che era già acceso.

Arsea uscì di casa in tutta furia, probabilmente per andare al fiume e cercare di capire chi fosse stato. Per lei non aveva alcuna importanza. Quei due la odiavano, loro come tanti altri che la guardavano male mentre camminava. Se però li avesse capiti, se avesse compreso quello che le stavano dicendo, probabilmente si sarebbe aspettata la spinta, e avrebbe agito diversamente. Doveva imparare, per sapere cosa gli altri dicevano di lei e potersi difendere.

Così aveva incominciato a prestare attenzione a tutte le parole che Arsea le diceva: le mostrava tutto quello che succedeva nel villaggio, tutto ciò che lei dovesse o, soprattutto, che non dovesse fare. C’era una piccola zona dietro la piazza con l’altare dove si trovavano alcune case diverse dalle altre: avevano porte e finestre, ed erano sbarrate! Solo agli anziani era permesso  entrare lì dentro, e solo nelle ore della notte in cui nessuna persona fosse nei dintorni. 

<< Qui no dopo che sole- Siram- va via .>>

<< Perché? >>

<< Tereeen viene. >>  Tereeen era una delle parola che veniva ripetuta più spesso. Voleva dire “ vento “.

<< Che vuol dire che viene? >>

<< Entra in casa per parlare. Per dire cosa fare. >>

<< Cosa fare cioè? >>

<< Solo anziani sanno. >>

Gli anziani. Spesso camminavano come fantasmi per le strade della città, vicino al fiume o agli animali, senza mai bere, o prendere l’acqua per abbeverare il bestiame. Non mangiavano e non parlavano, salvo in rare, importanti occasioni. Erano molto magri, indossavano sempre la stessa tunica, e sembrava non esserci alcuna differenza tra uomo o donna. Avevano tutti i capelli che arrivavano alle spalle, tutti molto radi ,la pelle era la stessa, rugosa e cascante in tutti, in tutti era glabra. Le gambe erano sottili, ma si vedeva che un tempo erano stati forti. Le tuniche che indossavano erano molto larghe, così non si poteva nemmeno distinguere la presenza di un seno. Erano quasi delle entità a parte. Nessuno parlava con loro, gli rivolgevano solo dei saluti, ma nulla di più.

Tutto sommato Teresa stava bene, a parte per lo spintone di quel giorno, nessuno le aveva fatto del male o l’aveva toccata, nemmeno Arsea, non dopo il tentativo di una delle prime notti.

Teresa sedeva sul bordo del letto, mentre lui stava ancora per le strade. Quando era rientrato l’aveva vista seduta, di profilo, che fissava un punto persa fuori dalla finestra. Si era avvicinato piano e le aveva toccato un braccio, sentendola irrigidirsi immediatamente. Teresa era immobile, non si muoveva, non respirava nemmeno. Poi aveva provato a darle un bacio sulla spalla, niente di eccessivo, quasi con tenerezza. Al contatto delle labbra calde sulla sua pelle fredda, mia sorella era balzata in piedi. Appoggiandosi contro un muro e fissandolo da lontano. Arsea non aveva detto niente, si era tolto gli abiti del giorno e si era messo a dormire. Da lì non l’aveva più sfiorata, non con quelle intenzioni almeno. 

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO:

<< Papà! >> urlarono Rodd e Marcus vedendolo.

<< Ciao ragazzi! >> disse abbracciandoli.

<< Sei tornato! >>  esclamò sollevata mia madre.

<< Si, ma non per molto. >>

 

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Capitolo 20
*** 16 ***


Poi mio padre tornò. Io mi trovavo nelle stalle insieme a Serin, così non lo vidi arrivare; mia madre era in casa a badare a Glenne, e i miei fratelli erano nell’orto a raccogliere i nostri prodotti. Stavamo pensando che era ora di venderli, nelle città vicine che non erano  state distrutte dagli uomini del Vento. Per quei posti la nostra resa è stata una benedizione: loro non erano stati toccati. In ogni caso stavamo decidendo come andare là, con varie discussioni visto che mia madre non mi voleva mandare da sola.

<< Hai undici  anni! >>

<< Intanto tra qualche giorno ne compio dodici . E poi ti sembra che la mia vita sia quella di una bambina di undici anni? Siamo tutti più grandi dell’età che abbiamo. >>

<< Questo lo so, ma da sola non ci puoi andare. >>

<< Andiamo Serin ed io. >>

<>

<< Questo lo abbiamo già detto, ma con Glenne come si fa? >>

<< Ci penserà suo figlio. >>

<< Che non è capace. E poi io ho bisogno di una mano per portare i cavalli! >>

<< Quanti ne dovresti portare? >>

<< Due puledri sono pronti per essere venduti, e pensavo di dare via anche Bella. >>

<< Quindi sono tre. Da sola non ce la fai? >>

<< Se proprio devo.. Ma  i puledri non sono così ben disciplinati, e non sono mai stati portati lungo la strada. >>

<< Serin non ti può aiutare, deve per forza restare con sua madre. Andremo te, Rodd ed io. >>

<< Come vuoi… però non sono convinta. >>

Così quando mio padre arrivò io stavo dando un’ultimo sguardo alle stalle prima di andare a dormire, il giorno seguente pensavamo di partire.

<< Papà! >> urlarono Rodd e Marcus vedendolo.

<< Ciao ragazzi! >> disse abbracciandoli.

<< Vieni dentro. Mamma!! >>  urlò Marcus correndo avanti ad avvisarla.

<< Sei tornato! >>  esclamò sollevata mia madre.

<< Si, ma non per molto. >>

<< Cosa vuol dire? >> un espressione sconfitta nel volto.

<< Ho trovato un sentiero. Ci sono delle orme, ma svaniranno presto. Devo partire subito domani mattina se voglio sperare di trovarla. >>

<< Oh.. pensi che ci sia una speranza? >> chiese mia madre con le lacrime agli occhi, i miei due fratelli che osservavano pieni di gioia, stupore e anche paura.

<< Non lo so, spero di si. Intanto voglio scoprire dove si trova il villaggio, poi si vedrà. >>

<< Ti preparo qualco..>> iniziò a dire mia madre, quando dal piano superiore ricominciarono le grida, che ormai si ripetevano praticamente ogni giorno. 

<< Cosa succede? >>  chiese mio padre.

<< È Glenne, non si è più ripresa >> dissi io entrando in casa, mentre mia madre correva da lei  << lo sapresti se fossi rimasto qui. >>

<< Dovevo cercare Teresa. >>

<< Non mi sembra di vederla qui con te. >>

<< La riporterò, stanne certa. >>

<< Non ne dubito >> dissi in tono ironico. Non che non volessi mia sorella indietro, mi mancava da morire, e sarei corsa pure io a cercarla. Eppure io non potevo muovermi da lì, e mi ero anche dovuta rialzare subito dopo lo sconforto provato, per consolare tutti in questa casa, per guardare gli animali, per permetterci di andare avanti, mentre  mio padre correva via per fare l’eroe, secondo lui, per perdere tempo, secondo me. I figli del vento sarebbero tornati al finire dei nove mesi, da quello che ci avevano insegnato tornavano appena i loro figli erano nati, il che avveniva sempre allo scoccare del tempo, nessuno nasceva prima o dopo, nove mesi esatti. Loro si sarebbero presentati  il giorno seguente, e li avrebbero portati via, letteralmente strappandoli dalle braccia delle madri. Quando sarebbero tornati noi, o mio padre, “l’eroe”, li avremmo potuti seguire, e sperare di poter fare qualcosa approfittando delle urla dei bambini o del caos generato dal ritorno vittorioso dei nuovi padri; ma andare lì adesso, senza una minima possibilità di fare qualcosa, era solo uno spreco di tempo, di energia, dettato dalla sua disperazione ed il suo egoismo. 

<< Quando te ne rivai? >> chiesi.

<< Domani mattina all’alba. >>

<< Bene, allora partiremo insieme. Noi dobbiamo andare al mercato. >>

<< Va bene. >> nessun interessamento, non si chiese come avrei fatto da sola a fare il suo lavoro ed anche il mio.

<< Ora sta meglio. >> disse mia madre scendendo le scale. << Ti preparo da mangiare. >> ed iniziò a cucinare.

Il giorno seguente mio padre tornò alla sua disperata missione, mia madre, Rodd ed io andammo alla città vicina per vendere le nostre cose.

Mia madre sedeva davanti, conducendo il carro, Rodd ed io le andavamo dietro controllando i giovani puledri. Arrivati a Gioven, provammo una punta di gelosia e anche di rabbia, nel vedere come lì non fosse cambiato niente. Le persone camminavano tranquille per le strade, chiacchieravano, erano persino allegre. Erano scampati al pericolo, che si sarebbe ripresentato tra parecchi anni. Invece noi eravamo stati distrutti:  da quando le donne erano tornate, nessuna di loro era uscita di casa, si erano rinchiuse lì dentro, per nascondere la paura, la vergogna e la rabbia; mente i loro uomini camminavano come persi in un altro mondo, colpevoli di non aver fatto nulla. Qualcuno aveva raccontato di come ogni donna avesse cercato di difendersi, di scappare, di combattere, qualsiasi cosa, mentre gli uomini guardavano inerti. Come si poteva continuare a vivere con un uomo che non aveva mosso nemmeno un dito per cercare di proteggerti?

<< Ben tornata! >> esclamo un commerciante di pesce dalla parte opposta della strada.

<< Ciao >> dissi io.

<< E tuo padre? Tua sorella? >>

<< Questa volta sono venuti loro. >>  dissi  facendo un mezzo sorriso, appena accennato, per nascondere ogni cosa.

<< Come state? >>  chiese dopo un po’ l’uomo.

<< Ce la caviamo, cerchiamo di riprenderci. >>  rispose mia madre mentre ci dirigevamo verso uno spazio libero dove mettere le nostre cose in vendita. Stavo legando i puledri ad un palo quando vidi il ragazzo dei “fantasmi”.

<< Torno subito >> dissi a mia madre, e gli corsi dietro. Camminavo tra la folla seguendolo leggermente a distanza: volevo vedere cosa stesse facendo.

” Dietro l’angolo, a destra del pesce, che odore!, poi ancora a destra, dov’è? Ah eccolo..ancora, ma dove va?E ora? Non c’è più! L’ho perso..non ci credo… “

Poi una mano mi afferrò il braccio.

<< Che pensavi di fare? >> chiese

<< Seguirti. >>  risposi io girandomi.

<< Che ci fa una bimbetta come te al mercato? Sei venuta con la mamma a comprare qualche cosa? >>

<< Sto lavorando. >>

<< Ah e il tuo lavoro consiste nel seguirmi? >>

<< Questa è stata una piccola distrazione. Tanto ci saremmo comunque dovuti vedere domani, cosa ti cambia  se ti seguo qui e parliamo? >>

<< No,non  ci siamo capiti. Io non ti ho dato nessun appuntamento, ti ho detto di ripassare dopo due o tre giorni e che forse, solo forse, mi sarei fatto vedere. >>

<< Ma io sapevo che saresti venuto. >>

<< Tu lo sapevi. Bene. Allora visto che sai tutto non c’è bisogno di parlare, tornatene al tuo lavoro. >>

<< Che ci fai qui? >>

<< Non ti riguarda. >>

<< Allora, ci possiamo aiutare o no? >> insistetti, ignorando le sue risposte scontro se.

<< Ti ho detto di vederci dopo due o tre giorni, non qui e non adesso. >> disse correndo via, impedendomi di seguirlo. Era magro, forte e veloce, non avevo alcuna speranza di recuperarlo. Così tornai indietro, dove mia madre stava vendendo i nostri prodotti dell’orto, mentre Rodd guardava inerme i cavalli, e rispondeva con pochi cenni alle domande delle persone: non sapeva cosa dirgli, quello era compito mio!

<< Eccomi, scusate.. dite a me. >>

<< Che mi dici di questa puledra? >>

<< È forte, vivace, il padre è un sauro, mentre la madre… >>  e via dicendo.

Tornammo a casa solo quando ormai era molto buio, ma avevamo venduto tutto, una giornata ben riuscita.

<< Dove sarà papà adesso? >> mi chiese Rodd

<< Probabilmente sarà arrivato alla casa nel bosco già da parecchie ore, e avrà iniziato la sua “caccia” >>.

<< Perché sei arrabbiata con lui? La riporterà indietro.. Vedrai! >>

<< Lo spero, ma non credo che possa essere capace di sconfiggere un villaggio intero di Figli del Vento. >> Rodd non seppe cosa rispondere e rimanemmo in silenzio per il resto del viaggio, lasciandomi libera di pensare a come convincere i fantasmi la prossima vita che li avrei incontrati.

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO:

Tremava dalla gioia, era così vicino, mancava così poco. Si fermò solo quando le gambe iniziarono a cedergli, quando la stanchezza fu troppa per continuare, non cercò nemmeno un riparo, semplicemente si stese per terra e dormì fino all’alba seguente.

Riprese il cammino con l’ansia di chi sa che qualcosa sta per avverarsi. Avanzò un passo alla volta tremando appena perdeva le tracce.

 

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Capitolo 21
*** I fantasmi ***


Io mi trovavo all’archetto, aspettando che quel ragazzo si facesse vedere. Aveva detto che sarebbe venuto, doveva venire, assolutamente, avevo bisogno di lui, di loro. Le ore passavano e non si vedeva nessuno. Stavo iniziando a disperare, d’altra parte non aveva detto che sarebbe venuto, ma che forse, solo forse, si sarebbe fatto vivo, quello giorno o addirittura quello successivo. In ogni caso, non pensavo di tornare indietro, avevo deciso che avrei frugato in ogni edificio, vicolo o strada distrutta finché qualcuno non mi avesse aiutata.

Era stato difficile uscire di casa senza che nessuno mi seguisse. Quel giorno Glenne era stata buona ed in silenzio, aveva mangiato e dormito e non aveva urlato, quindi mia madre era stata libera di occuparsi di altro. Aveva passato la mattinata a sistemare, cucinare e pulire, cosa che non era stato possibile fare fin da quando erano tornati. Aveva preparato altre conserve di pomodoro, marmellate, aveva aiutato Rodd e Marcus nell’orto; per un giorno si era dedicata alle occupazioni che un tempo erano per lei normali. Proprio quel giorno in cui io avevo bisogno che rimanesse rinchiusa in camera, così da non essere vista. 

Anche Serin continuava a darmi fastidio : si doveva occupare di una puledra, una che era abbastanza facile da addestrare, così che imparasse. L’avevo scelta apposta per lui, il primo passo per diventare veramente esperto; eppure  continuava a cercarmi, aveva bisogno di consigli. Ero stata una sciocca ad affidargli la puledra proprio quel giorno. In ogni caso, non so come, riuscii ad andarmene. Arrrivai tutta d’un fiato all’archetto, con il terrore di essere in ritardo, e mi misi ad aspettare. Aspettai, aspettai ed aspettai.

Poi qualcuno mi afferrò alla spalle.

<< Sei venuta. >>

<< La potresti anche smettere di afferrarmi da dietro. Inizio a stancarmi. >>

<< Ma sentila. >> disse ridendo. Mi girai a Guardarlo: sembrava  tranquillo e sicuro di sé. Mi avrebbe aiutato, lo sapevo.

<< Allora.. >>

<< Allora cosa? >>

<< Mi aiutate o no? >>

<< Vai diretta al punto è!? >>

<< Non ho tempo da perdere. >>

<< Bene, perché nemmeno noi ce l’abbiamo. >> disse il vecchio che avevo incontrato la prima volta, uscendo da dietro un vicolo.<< Sappi che nessuno di noi ha intenzioni di farti da balia; se vuoi essere una di noi, devi essere completamente autosufficiente e non venire a piagnucolare da noi quando ti sbuccerai un ginocchio. >>

<< Tranquillo. Io non piango. Non ne ho il tempo. >>

<< Bene. >> disse un uomo sbucato da chissà dove. Aveva i capelli cortissimi, quasi completamente rosato, la barba lunga e una cicatrice lungo tutto il braccio.

<< Cosa sai fare? >>

<< Ma cosa sa fare secondo voi? È solo una bambina. >> disse il ragazzo.

<< So cavalcare, addestrare i puledri e so  montare molto bene. Questo è quello che so già fare, ma posso imparare, qualsiasi cosa che ci possa servire. >>

<< Ci? Credi già di essere una di noi? >> rise il ragazzo.

<< Perché, non lo sono? Non sareste venuti qui altrimenti >>, dissi con aria di sfida.

<< Va bene, la ragazzina ci piace. E c’è bisogno di qualcuno per le stalle. >>

<< Dimmi una cosa, ma una famiglia non ce l’hai? >>

<< Certo che ce l’ho. >>

<< E allora come pensi di fare a venire qui? >>

<< Non posso dirgli niente? >>

<< A meno che non ci possano aiutare in qualche modo, questo deve rimanere un segreto tra di noi. Hai capito? >> disse il ragazzo.

<< Va bene. Verrò qui appena potrò. >>

<< Ah ragazzina, non aspettarti alcun trattamento di riguardo perché sei femmina o per la tua età. Qui siamo tutti uguali, e ognuno fatica allo stesso modo. >>

<< Va bene. >> annuii.

<< Detto ciò, seguici. >> disse il vecchio, poggiandomi una mano sulla spalla.

Mi condusse lungo le strade di quella città abbandonata. Era tutto in disgrazia, tutto rotto, ed era anche immenso. Una parte enorme della città che non era stata ricostruita. 

Avevo mille domande, prima fra tutte perché fossero rimasti nascosti tutto quel tempo, ma non volevo farli irritare, avevo paura che ci ripensassero. Mi portarono fino ad una casa con molte finestre, ognuna senza vetri. Le stanze erano state trasformate in stalle, e c’erano cinque cavalli in tutto. Li guardai con la bocca spalancata.

<< Ma come li avete ridotti? >> dissi in preda alla rabbia. << Sono magrissimi, pieni di ferite, c’è sangue e pus ovunque. Persino gli escrementi. Ma si occupa qualcuno di loro? O sono semplicemente abbandonati qui? >>

<< Abbiamo molto da fare, i cavalli ci servono per viaggiare nelle città intorno, ma non c’è tempo, e soprattutto nessuno di noi è abbastanza bravo da curarli. >>

<< E non sapevate chiedere aiuto? Preferivate lasciarli morire? >> urlai.

<< Bimbetta vedi di calmarti, o ti rimandiamo fuori a calci. >>  disse il ragazzo.

<< Fa silenzio Rodarth >> lo riprese il vecchio.<< Parla perché sa il fatto suo, e questo ci serve. >> poi si rivolse a me.

<< Occupati dei cavalli, per adesso, poi seguirai un addestramento, con gli altri. >>

<< Chi sono gli altri? >>  chiesi.

<< Prima fai il tuo dovere, poi lo saprai. >>

<< Va bene >>

Il vecchio e l’uomo con la cicatrice uscirono, Rodarth rimase con me.

<< Vedi di comportarti bene, e sarai ricompensata. >> disse quasi affettuosamente, parole che stonavano con il suo fare minaccioso; in ogni caso capii che mi aveva aiutato, e che era  stato lui a permettermi di essere lì.

<< Grazie per quello che hai fatto. >>

<< Mi ringrazierai con le tue azioni; qui funziona così. >>

Passai tutta la giornata con quei cavalli, mi munii di brusca, striglia e nettapiedi, visibilmente rovinati e vecchi, ma erano meglio di niente. Diedi una bella ripulita ai cavalli, poi presi le cavezze e li portai di fuori, uno alla volta, e  li feci passeggiare cercando un prato dove potessero mangiare in pace. 

Non trovai alcun recinto dove metterli, così fui costretta a portarne uno con le redini, farlo stare in un prato abbandonato vicino alla casa per un po’, poi tornare indietro e prenderne un altro:un lavoraccio che impiegò tutta la mia giornata. Pulii una stalla alla volta, levando la paglia sporca, poi gli misi dell’acqua pulita, che fortunatamente non mancava, avendo il pozzo lì vicino; per il cibo fui costretta a dividerlo, dandogliene veramente poco a testa. Il giorno seguente l’avrei portato da casa, anche se non avevo idea di come giustificare quelle mie uscite; mi sarei dovuta inventare qualcosa. Quando ormai fu buio venne il vecchio a parlarmi.

<< Quando pensi di tornare? >> chiese.

<< Verrò domani per portare un po’ da mangiare; lo prenderò dalle stalle di casa mia, però non mi potrò fermare a lungo. Gli darò da mangiare e basta, e poi tornerò qui il giorno dopo. >>

<< Va bene. Ora vai e trova una scusa con la tua famiglia. Rodarth ti riaccompagnerà a casa.>>

<< Vieni bimbetta. >>

Camminammo in silenzio per tutto il tragitto, ero stanca morta, ed anche lui era visibilmente provato.

<< Cosa hai fatto tu oggi?Sembri stanco. >>

<< Questo ancora non ti riguarda. Prima pensa a salvare quegli animali, poi anche tu sarai stanca per il mio stesso motivo >>. Furono le uniche parole che ci scambiammo fino al mio arrivo a casa, quando gli dissi “ A domani” , mi salutò con un cenno della mano e andai a dormire. 

Non c’era nessuno in giro per casa, dormivano tutti. Avevo saltato la cena ed avevo fame, così mi diressi in cucina per mangiare qualcosa, poi mia madre scese le scale.

<< Dove sei stata?>>

<<. Avevo delle commissioni da fare. >>

<< Che genere di commissioni? >>

<< Mi servivano delle cose per i cavalli. >> poi ebbi un lampo di genio:

<< Ho incontrato Tomàs lungo la strada. Hanno preso un cavallo, e ha bisogno di qualcuno che gli dia una mano per un periodo. Non ho saputo di dirgli di no. >> era un’idea geniale. Tomàs viveva lontano da noi, mia madre non aveva il tempo per uscire ed incontrarlo, abitava con la madre che adesso era sicuramente troppo sconvolta per fare qualsiasi cosa per casa. Per un attimo mi sentii in colpa ad approfittare della sofferenza di una delle donne rapite, ma avevo bisogno di una scusa valida, e questa era perfetta.

<< Va bene, hai visto la madre come sta? >>

<< No, ho incontrato solo lui, però sicuramente la vedrò in questi giorni. >>

<< Ce la farai ad occuparti anche dei nostri cavalli? >>

<< Si, non ti preoccupare, poi qui c’è Serin a darmi una mano. >>

<< Va bene. Io torno a dormire. Ti devo preparare qualcosa da mangiare o fai da sola? C’è della zuppa avanzata. >>

<< La zuppa andrà benissimo. Buonanotte. >> Me l’ero cavata con pochissimo, ero sparita per tutto il giorno, senza avvertire nessuno e non avevo ricevuto nemmeno un rimprovero ; come era cambiato il mio mondo!

Mangiai la mia zuppa mentre pensavo a quali segreti avrei conosciuto, una volta sistemati i cavalli..avevano parlato di un addestramento! Ero eccitata, finalmente stavo facendo qualcosa di veramente utile. Loro non solo mi avrebbero ridato mia sorella, ma avrebbero anche distrutto quei mostri. Avevano solo bisogno di un po’ di tempo, nulla di più.

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

 

<< Garaab >>, ciao, disse la giovane donna che sarebbe presto diventata la loro nuova regina.

<< Garaab aret >> rispose mia  sorella dopo essersi accertata che stesse parlando proprio con lei. Le fece un mezzo inchino, come forma di rispetto. La donna la guardò per alcuni istanti, poi le sorrise e si allontanò, nulla di più. Eppure era un gesto molto strano da fare: lei, una specie di principessa, che si abbassava a parlare con una specie di prigioniera.

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Capitolo 22
*** Stefan ***


Aveva lasciato la sua casa e la sua famiglia con uno spirito diverso rispetto all’alta volta. La prima volta che era era partito era per un motivo disperato, una minima speranza di poterla ritrovare. Adesso partiva sapendo di essere già riuscito in un’impresa impossibile : trovare una traccia per il villaggio. In tanti anni di terrore, nessuno aveva mai saputo da dove venissero, anche se qualcuno aveva provato a trovarli, non c’era mai riuscito. E adesso lui era a un passo dal risultato.

Raggiunse la casa nel bosco, l’aggirò senza fermarsi nemmeno un attimo, e, con la mappa in mano, si diresse verso  dove aveva trovato le impronte. Da lì continuò ad avanzare, finché non fu  troppo tardi per camminare: quando ormai il mondo diventò buio. Si avvolse in una giacca molto pesante, si stese  sotto un albero ed affrontò  la notte. 

Il mattino seguente si alzò tutto indolenzito, e l’umore del giorno prima l’abbandonò completamente: “ Non ho più vent’anni ” , si ripeteva. “ Ah ..è colpa mia se l’hanno presa, dovevo agire diversamente, scappare prima, uccidere.. dovevo fare qualcosa. Le orme se ne stanno andando, non riuscirò mai a trovarla, non dovevo perdere tempo andando nelle altre direzioni, dovevo partire da qui. ”  

Con lo spirito pieno di dubbi e preoccupazioni si mise a seguire le impronte per molto tempo, finché fece buio ancora una volta. 

“ Devo fermarmi a dormire, quanto tempo perso.. “ pensò stanco morto ed affamato, perché  avrebbe dovuto risparmiare sul cibo per poter tornare indietro. Doveva solo trovarla, segnarsi il posto sulla mappa, poi l’avrebbero presa più avanti, avrebbe chiesto aiuto a qualcuno, si qualcuno l’avrebbe aiutato. Doveva solo raggiungerla, nient’altro. 

Un passo dopo l’altro l’avrebbe trovata, un’impronta, l’erba schiacciata, le feci di un  cavallo, si l’avrebbe raggiunta. Passò attraverso un cerchio di alberi, continuò a camminare e camminare, si fece buio e lui continuò a camminare: un altro giorno  avrebbe potuto fare la differenza. 

Infine incontrò il fiume, il che fu una benedizione, visto che aveva finito l’acqua. Era lo stesso fiume che aveva visto vicino alla casa, doveva fare un giro molto lungo e poi arrivare lì, probabilmente il villaggio era costruito intorno ad esso, proprio come aveva pensato all’inizio! Tremava dalla gioia, era così vicino, mancava così poco. SI fermò solo quando le gambe iniziarono a cedergli, quando la stanchezza fu troppa per continuare, nemmeno cercò un riparo, semplicemente si stese per terra e dormì fino all’alba seguente.

Riprese il cammino con l’ansia di chi sa che qualcosa sta per avversarsi e non può attendere, non può sprecare tempo eppure  spera che le ore passino veloci e che arrivi subito quel momento.  Avanzò con l’animo agitato, tremando appena perdeva le tracce.

Poi finalmente vide il villaggio. Gli sembrò una cosa immensa, con voci che provenivano da ogni dove, gente che camminava, che urlava, cantava, uomini forti che combattevano, che si allenavano, che giocavano a fare la lotta. Giocare con loro l’avrebbe ucciso.

 Si sentì vecchio, era diventato un uomo anziano senza rendersene conto, non avrebbe avuto alcuna speranza contro quegli uomini muscolosi dalle braccia forti allenate a dare e ricevere colpi, gambe pronte a correre, cuori abituati a mantenere i ritmi di un combattimento all’ultimo sangue. Lui sarebbe morto sul colpo. Eppure c’era sempre quella piccola speranza, forse lei… no forse no… avrebbe preferito ucciderlo piuttosto che aiutarlo, e aveva ragione, aveva perfettamente ragione. 

Doveva tornare indietro, prepararsi a combattere, allearsi con le città vicine ed essere pronti a dare battaglia. Però voleva vederla, anche solo per un attimo, poter dire alla sua famiglia come stava, o anche soltanto che era viva. Passò molte ore nascosto sopra un albero, dove era riuscito ad arrampicarsi con molta fatica,  da cui poteva osservare senza essere visto. 

Vide gente riunita in circolo, ad ascoltare alcuni uomini parlare, poi animali che correvano da tutte le parti, senza alcun tipo di recinto. Infine la vide, per un attimo, un breve attimo, vide la sua figura, in lontananza, camminava accanto ad un uomo. Era lei, si, doveva essere lei. Almeno stava bene, non era ferita. Non sembrava che  avesse una pancia da donna incinta, ma era troppo presto per quello, sicuramente era incinta. La sua bambina. Poi un piccolo cagnolino uscì dalle porte della città, si diresse dietro un albero per fare i suoi bisogni, quando si accorse di lui ed iniziò ad abbaiare, “ Brutto cagnaccio va via “ pensò mio padre mentre scendeva sconsolato, prima che il cane avvertisse tutti. 

Fu costretto ad andarsene, ma aveva  segnato ogni deviazione, ogni più piccolo dettaglio nella sua mappa, così che quando sarebbero tornati, in tanti, avrebbero potuto vincere!

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

Io mi trovavo all’archetto, aspettando che il ragazzo si facesse vedere. Aveva detto che sarebbe venuto, doveva venire. Per forza, avevo bisogno di lui, di loro. Le ore passavano e non si vedeva nessuno. Stavo iniziando a disperare, ma, in ogni caso, non pensavo di tornare indietro, avrei frugato in ogni casa finchè qualcuno non mi avesse aiutata.

Poi qualcuno mi afferrò alla spalle.

<< Sei venuta. >>

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Capitolo 23
*** Teresa ***


<< Garaab >>, ciao, disse la giovane donna che sarebbe presto diventata la loro nuova regina.

<< Garaab aret >> rispose mia  sorella dopo essersi accertata che stesse parlando proprio con lei. Le fece un mezzo inchino, come forma di rispetto. La donna la guardò per alcuni istanti, poi le sorrise e si allontanò, nulla di più. Eppure fu un gesto molto strano da fare. Lei, una specie di principessa, che si abbassava a parlare con una specie di prigioniera. Le aveva rivolto uno sguardo gentile, e persino un sorriso. L’unica persona che le era sembrata veramente felice di averla lì, eccetto Arsea, ovviamente. 

Era molto strana, non solo fisicamente ; avanzava per le strade in un silenzio completo, tutti la guardavano, tutti le sorridevano e lei rispondeva cortesemente, eppure era come avvolta da un’aura grigia,  una tristezza enorme che si poteva vedere attraverso i suoi occhi.

 La madre camminava per le strade, alta ed austera, rigida, ma apprezzata , era a suo agio, consapevole del suo potere e della sua bellezza. La ragazza, Sareth, invece, avanzava vergognandosi, volendo nascondere la sua regalità;   le sarebbe piaciuto camminare come le altre donne del villaggio. Le Figlie del Vento, nate e cresciute nel villaggio, erano forti, libere e selvagge. Indossavano tuniche o pantaloni, maglie larghe o addirittura nulla a coprire il petto eccetto i lunghissimi capelli che raggiungevano il sedere per  la maggior parte di loro. Erano donne fiere ,orgogliose, combattenti al pari dei loro uomini. Nella nostra città avevamo sempre e solo temuti gli Uomini, convinti che le donne non rappresentassero alcun pericolo, ma non era così : il loro era un regno matriarcale, era una donna a comandare, e ogni Figlia del Vento era perfettamente capace di difendersi, di uccidere, di sopravvivere in un bosco selvaggio senza alcun aiuto. Venivano addestrati, ognuno di loro, maschi e femmine allo stesso modo: Teresa li aveva visti allenarsi ,combattere a mani nude fino a rotolare per terra esausti. Li aveva guardati ammirata, vedendo come non ci fosse alcuna differenza tra loro , come una donna potesse essere letale quanto un uomo, e aveva provato invidia, un enorme invidia.

<< Forse anche tu. >>  le aveva detto Arsea, mostrandole l’addestramento.

<< Io?! >>  chiese mia sorella stupita.

<< Si, tutti. Prima questo, quando piccolo, poi altro. >>

<< Altro? >>

<< Cure >>

<< Questo lo so fare! >>  esclamò Teresa illuminandosi. <<  So curare. >>

<< Vedremo. Prima una di noi. >> doveva diventare come loro, prima che qualcuno si lasciasse guarire da lei. Doveva guadagnarsi il loro rispetto, anche se loro non avevano il suo.

<< E come potrei essere una di voi? Io sono un’intrusa, portata qui con la forza, e con la rabbia. >>

<< Cosa..? >> chiese lui non capendo, anche se Teresa aveva il dubbio che fingesse soltanto di non capire.

<< Come faccio a diventare una di voi? >>

<< C’è rito, a fine del tempo. >>

<< Quale tempo? >>  chiese mia sorella, ed Arsea indicò il suo ventre. Quel bambino, quando quel bambino fosse nato. Lei sarebbe diventata una di loro, o altrimenti?Cosa sarebbe successo? Non ne aveva idea. E di quel bambino? Che cosa ne sarebbe stato? A volte sperava che non nascesse mai, aveva paura di odiarlo, perché nato da una violenza, aveva paura che sarebbe diventato uno di loro, che se maschio un giorno si sarebbe comportato come suo padre, aveva paura di non essere adeguata, non era una madre, era una figlia, nulla di più, e questo sarebbe voluta restare per almeno qualche altro anno, quando il ragazzo del villaggio vicino avesse chiesto la sua mano. Non ci pensava più a lui. Si costringeva a non pensare nemmeno alla sua famiglia, a non chiedersi come stessero o che cosa facessero. Doveva cancellare il suo passato, per avere una speranza di un futuro in questo luogo, altrimenti non avrebbe avuto più niente. 

Tutto sommato era convinta che Arsea le volesse bene, veramente. Era affettuoso con lei, evitava di toccarla perché sapeva che lei non lo voleva, ma si capiva negli occhi, nei gesti, che provava qualcosa per lei, forse persino amore. Teresa, invece, non provava niente, e allo stesso tempo provava tutto. I sentimenti che sentiva erano talmente forti che non poteva soffermarsi su nessuno di essi, altrimenti sarebbe stata travolta. Viveva la giornata affrontando un attimo dietro l’altro, nulla di più. Pensava a mangiare, cucinare, lavare, nutrire il bestiame, cercare di imparare la lingua, e nulla di più. Ogni gesto era meccanico e senza emozioni, non poteva permettersele. 

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

<< L’ho trovata. >> disse appena aprì gli occhi.

<<. Teresa? >> chiese mia madre, con la speranza dipinta nel volto.

<< Ho trovato la loro città. La riporteremo qui! Solo che abbiamo bisogno dell’aiuto delle città vicine. Domani, o forse oggi stesso, andrò nei villaggi a chiedere aiuto. >>

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Capitolo 24
*** 20 ***


Mio padre era tornato, ancora una volta. Arrivò nel cuore della notte, quando tutti dormivamo, e si mise a riposare  in cucina, su una panca, non volendo svegliarci o forse solo perché troppo stanco per fare le scale; il giorno seguente lo trovammo lì, che ancora dormiva.

 Fu mia madre la prima ad andare in cucina, lo vide ed iniziò a preparargli una bella colazione, con uova, pane, formaggio, latte, insomma ogni cosa, per fargli recuperare le forze. 

<< L’ho trovata. >>  disse appena aprì gli occhi.

<< Teresa? >>  chiese mia madre, con la speranza dipinta nel volto.

<< Ho trovato la loro città. La riporteremo qui! Solo che abbiamo bisogno dell’aiuto dei villaggi  vicini.. Domani, o forse oggi stesso, andrò a chiedere aiuto. >>

<< C’è una speranza.. >>  disse mia madre, più a se stessa che a lui.

<< Si, piccola, ma c’è. >>

<< Cosa succede…papà! >>  esclamai sorpresa di vederlo, << Sei tornato. >>

<< Si. L’ho trovata… ho trovato il loro villaggio. >> mi disse.

<< E adesso? >>  chiesi, la voce tremante per la speranza.

<< Adesso devo andare nelle città vicine, a chiedere aiuto. Tutti uniti, potremmo farcela. >>

<< Vengo con te! >>

<< Non devi restare ad aiutare? >>

<< Mi sembra che fino ad ora non ti sei preoccupato di “aiutare” >>

<< Enn! >>  esclamo mia madre con aria di rimprovero, mentre mio padre mi lanciava uno sguardo torvo.

<< Ci devo pensare. >>

Ci pensò, e mi portò con lui.

Andammo a cavallo, in groppa agli stessi due animali che avevamo preso tante volte, persino quando avevamo tentato la fuga. Andammo al galoppo per la maggior parte del tempo, i cavalli  felici di sentire il vento sulla pelle;  noi sollevati, con l’aria che ci pungeva la faccia, le guance, gli occhi, i capelli liberi, poter finalmente respirare di nuovo, anche solo per un attimo.

Arrivammo al primo villaggio dopo poche ore. 

Qualcuno ci salutò, qualcuno riconobbe mio padre e gli disse qualche parola, chiedendogli informazioni su come stessimo. A chiunque incontrassimo diceva di recarsi nella piazza, perché avrebbe dovuto parlare con tutti loro. La gente piano piano iniziò ad accalcarsi. Erano tutti intorno a noi, ognuno evidentemente nutrito, nessuno soffriva la fame, nessuno aveva lo sguardo perso e sofferente che avevamo noi.

<< Vi devo parlare. Un villaggio è stato distrutto, due risparmiati soltanto perché  il nostro  ha deciso di arrendersi. Le donne sono state stuprate, per poter continuare quella specie mostruosa. Noi abbiamo tentato la fuga e mia figlia..la mia bambina.. è stata rapita, e diventerà madre lontano da noi. >> mentre lui parlava la gente si guardava intorno, alcuni tossivano. << è arrivato il momento di reagire, di fare qualcosa. È ora che chi è rimasto fermo, senza fare nulla, si muova. È ora che quegli uomini paghino per quello che hanno fatto, è ora che ci vendichiamo. So dove si trova il loro villaggio. Li possiamo attaccare. >>

<< Attaccare?? Ma cosa dici? Sono riusciti a distruggere quel villaggio, a violentare le vostre donne senza che voi riusciate a scalfirli, come  pensi di poterli uccidere? >> disse un vecchio.

<< Io non resterò ad aspettare finchéfino a quando  torneranno, perché torneranno, e la prossima saranno le vostre donne a correre i pericoli, sarete voi a morire, voi come tutti noi. È ora di agire. >>

<< Ma siamo mercanti, agricoltori, allevatori! Non guerrieri! >>

<< C’è chi ci può insegnare. >> gridai io ad un tratto. << Dovete solo dire che volete provare, e noi penseremo al resto. >>

<< Ragazzina qui non si tratta di “provare”, ma di morire. >>

<< Morirete comunque!! Avete due scelte, aspettare una morte certa, o rischiare, per la morte o la vita. >>

<< La ragazzina ha ragione! >>  gridò qualcuno.

<< Voi siete pazzi! Io non rischio la vita inutilmente, piuttosto me ne vado! >>

<< Vigliacco. >> e le grida continuarono per molto ancora.

<< Va bene, basta >> gridò mio padre. << Noi inizieremo ad addestrarci, tra tre giorni fatevi trovare nel nostro villaggio, se volete combattere. Portate tutto quello che credete possa servire. >>

Dopo di che ci dirigemmo all’altro villaggio, dove tuto si svolse praticamente allo stesso modo, l’unica differenza fu che ad iniziare a parlare fu un giovane, invece di un vecchio.

<< Hai detto che c’è qualcuno che ci può insegnare.. era solo una bugia? >> mi chiese mio padre lungo la strada del  ritorno.

<< No. Non lo era. Ma prima dovrò fare una cosa. >>

<< Cosa? Ma che stai dicendo? >>

<< Non sei solo tu che si è dato da fare in questo tempo. Vedrai. >>

Non appena arrivammo a casa mio padre andò a dormire, era già molto tardi, mentre io sgattaiolai fuori di casa. Raggiunsi l’archetto, le strade abbandonate, ed infine i cavalli. Mi ero portata dietro il cibo per loro. Li nutrii ed inizia a pulirli. Avevo anche portato dei medicamenti, e sapevo che sarebbero stati meglio, come sapevo anche che di lì a poco uno dei fantasmi  mi avrebbe fatto visita. Fu il vecchio ad entrare.

<< Non è un po’ troppo tardi, bambina? >>

<< No. È l’orario giusto >> risposi.

<< Come stanno? >>

<< Se la caveranno, tranquillo. >>  dissi mentre continuavo a strigliarli .<< E anche noi >> e mi girai a guardarlo.

<< Cosa vorresti dire? >>

<< É arrivato il momento di combattere, e noi siamo pronti, e voi ci dovete insegnare. >>

<< Non ho capito nulla. >>

<< Dovete insegnarci come combattere. >>

<< Insegnare a chi? >>

<< A quelli che verranno in città. Tra tre giorni. >>

<< E noi dovremmo rischiare tutto quello che abbiamo fatto per insegnare a quattro mercanti a combattere? >>

<< Cosa succede? >>  chiese il ragazzo entrando.

<< Ci dovete insegnare. È ora. >>

<< Ci? A chi? >>

<< La ragazzina dice che alcuni verranno per combattere. E noi “dobbiamo” insegnargli quello che sappiamo. >>

<< Noi non dobbiamo fare proprio niente >> disse il ragazzo.

<< Si che dovete! È ora di mostrare quello che sapete fare! È  ora di combattere! Noi siamo pronti. Fateci vedere quello che sapete fare, o non sarete altro che dei codardi, rimasi nascosti mentre gli altri morivano. >>

<< Attenta a quel che dici. >>  disse il ragazzo afferrandomi il braccio.

<< Io dico quello che voglio. Fatevi vedere. >> dissi, ed uscii di lì, correndo a perdifiato verso casa. Sapevo che sarebbero venuti.

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO :

Nei tre giorni che mi occupai dei loro cavalli, nessuno si fece vivo, nessuno mi afferrò un braccio da dietro, nessuno mi chiamò bimbetta o ragazzina, ma sapevo che sarebbero venuti, ed il loro silenzio non faceva altro che alimentare la mia convinzione. 

Poi arrivò il momento.  Ci dirigemmo verso l’entrata della città, ed aspettammo mentre il sole sorgeva e si alzava alto nel cielo.

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Capitolo 25
*** 21 ***


Tre giorni, dovevano passare solo tre giorni, e poi avremmo fatto qualcosa; finalmente avremmo iniziato a combattere. 

I giorni passarono con mio padre che cercava armi in giro per la città, raccogliendo  ogni cosa potesse vagamente somigliare ad un arnese da combattimento:  dalle spade nascoste in soffitte polverose, ai rastrelli, le pale, i bastoni, ogni cosa. 

Io sgattaiolavo via il più spesso possibile, per raggiungere i “fantasmi” ed accertarmi che sarebbero venuti. Nei tre giorni che mi occupai dei loro cavalli, nessuno si fece vivo, nessuno mi afferrò un braccio alle spalle, nessuno mi chiamò” bimbetta” o “ragazzina”, ma sapevo che sarebbero venuti, ed il loro silenzio non faceva altro che alimentare la mia convinzione. 

Poi arrivò il momento. Mio padre, Rodd, Marcus, Serin ed io ci dirigemmo  verso l’entrata della città, ed aspettammo mentre il sole sorgeva e si alzava alto nel cielo.

 Poi la gente cominciò ad arrivare:  venivano in piccoli gruppetti, prima uno, poi un altro, poi un altro ancora. La maggior parte di loro  ci disse che era venuta solo per guardare, per decidere, che il fatto di essere qui non significava che avrebbe combattuto. Eppure per noi il fatto che in così tanti fossero venuti, per curiosità o per aiutarci, significava moltissimo. 

Vedemmo entrare vecchi ingobbiti che si reggevano a bastoni, uomini che portavano forconi, spade, coltelli, pale, lance o addirittura scope. Donne che camminavano accanto ai mariti o che da sole avanzavano fiere, decise a ragionare con la loro testa, a sapersi difendere con le loro forze.

 Io mi guardavo intorno cercando i miei amici, quelli su cui sapevo di poter contare, eppure non si vedevano da nessuna parte.

<< Grazie per essere venuti >> esordì mio padre, << So che molti di voi sono qui solo per ascoltare, ma io non chiedo di meglio: questa è un’occasione per farvi capire come sia arrivato il momento di agire.  Guardatevi intorno, guardate le donne che sono qui. Per la maggior parte vengono dalle vostre città, non da qui. Le nostre donne, le ragazze, le madri, le mogli che noi conosciamo, sono nelle case, si fanno vedere una volta ogni tanto, probabilmente ci osservano dalle finestra, ma sono nelle case. Con delle pance che pian piano crescono, con dei figli che sono nati dalla violenza, con la paura e la vergogna negli occhi. >>

<< Questa è mia figlia, troppo piccola per essere adatta ai Figli  del Vento;  la più grande, Teresa, non è nemmeno qui, l’hanno rapita, abbandonando persino le loro abitudini.

 Noi siamo stanchi di subire, siamo ancora qui perché ci siamo arresi, e voi, voi che siete indecisi se combattere o no, siete ancora qui per lo stesso motivo : perché noi si siamo arresi. Merra  è stata distrutta, perché ha  combattuto, senza essere pronta.. 

I nostri nemici  attaccheranno di nuovo, ma passerà molto  tempo prima che si decidano a farlo: tra pochi mesi avranno i loro figli, quindi aspetteranno prima di tornare a.. “cacciare “.

Dobbiamo approfittarne per imparare, per addestrarci, per allenarci, per poter combattere e difenderci, ognuno di noi. >>

Seguì un lungo silenzio, nel quale nessuno parlò, nessuno fiatò. Poi una donna chiese:

<< Chi ci dovrebbe addestrare? Ti abbiamo visto tante volte al mercato, vendi e domi cavalli, non sai nulla di spade o di guerra. >>

<< Lui no, ma noi si. >> disse il vecchio che avevo imparato ad amare e ad apprezzare.

<< Noi sappiamo farlo. Ci siamo addestrati per anni, abbiamo combattuto nel silenzio, preparandoci al momento giusto, il momento in cui avremmo avuto una speranza. >>

<< E chi sareste voi, come fate a sapere se ci sarà una speranza? >> chiese qualcuno.

<< Lo sappiamo. Sappiamo tante cose, che non spargeremo nell’aria per essere apprese da chiunque. Chi ci seguirà dovrà  essere sicuro di quello che vorrà  fare, dovrà  sapere a cosa va incontro, e dovrà tentare il tutto per tutto. Ora scegliete : chi resterà verrà addestrato da noi, gli altri se ne possono andare anche subito. >>

 

NEL PROSSIMO CAPITOLO:

Iniziarono con le cose più semplici, come difenderci, come rimanere in piedi, come attutire un colpo. Nessuno veniva risparmiato: donne, bambini, uomini, ragazzi, tutti venivano addestrati allo stesso modo.. i nostri nemici erano troppo forti, dovevamo essere pronti.

 

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Capitolo 26
*** 22 ***


E così iniziò l’addestramento. Con nostra enorme sorpresa, furono in molti a seguirci, non eravamo i soli ad essere stanchi. 

Iniziarono con le cose più semplici, come difenderci, come rimanere in piedi, come attutire un colpo. Nessuno veniva risparmiato. Donne, bambini, uomini, ragazzi, tutti venivano addestrati allo stesso modo, niente trattamenti privilegiati, i nostri nemici erano troppo forti, dovevamo essere pronti.
<< Adesso a destra, là, para, schiva, e ora.. colpisci! >> una serie di ordini che il vecchio impartiva. 

Era lui il “generale”, se così si può dire. Era lui che comandava. Non era il solo, però, ad addestrati, c’erano molte altre persone, che non avevo conosciuto prima. Soprattutto c’era Lillibeth.
<< Alza il braccio, non ti fermare, nessuno avrà pietà di noi solo perché siamo donne! Devi saperti difendere! >> era una ragazza di vent’anni, bellissima. Tutti gli uomini erano pazzi di lei, e le donne la invidiavano un po’. Alta, magra, con i capelli lunghi e lisci e gli occhi neri. Per me era l’esempio da seguire: combatteva esattamente come avrei voluto  farlo  io. La imitavo in ogni gesto, ogni mossa, e devo dire che così facendo, stavo diventando molto brava.

<< Però ragazzina, inizi a cavartela con quel bastone. >>  mi disse Rodarth mentre spazzolavo i cavalli.
<< Lo so. >>  risposi, con una punta minuscola di imbarazzo.
<< Che c’è ti vergogni? Non ti piacciono i complimenti? >>
<< Ma quale vergogna! So di essere brava… o meglio so che lo sarò. Intanto, però, con i cavalli so molte più cose di te. >>
<< Vero.  >> disse sorprendendomi.
<< Vero?! E da quando ammetti di non essere più bravo di me in ogni cosa? >>

Nel corso dei nostri allenamenti, Rodarth ed io eravamo diventati amici. Mi aveva insegnato molto, lo devo ammettere. Lui e Lillibeth erano i più bravi a combattere, fatta esclusione per il vecchio, che nonostante la sua età, sembrava imbattibile. Spesso si allenavano insieme, loro tre, i due ragazzi alternandosi contro quell’uomo anziano, che, colpo dopo colpo, continuava a sconfiggerli; era così bello vederli combattere, così forti, così sicuri.
<< Semplicemente non mi piace raccontare bugie, quindi su tutto il resto non posso dirti che sei più brava di me, perché non lo sei.. Qui, però, posso solo imparare. >> mi aveva lasciato senza parole, mi aveva addirittura guardato in modo dolce, non con il solito sguardo a metà tra il superiore e lo sprezzante.
<< Devo essere brava quanto te a difendermi. >>
<< Lo sarai, è per questo che vi stiamo  addestrando. >>
<< Voglio essere più brava, e più in fretta. Mia sorella deve tornare a casa. >>
<>  mi aveva chiamata per nome ,poteva voler dire solo una cosa: brutte notizie. << Non voglio raccontarti bugie, io non credo che tua sorella tornerà mai da te. Siamo pochi, e la maggior parte di noi, o meglio di voi, non aveva mai preso un’arma in mano prima che ci conoscesse. Noi siamo rimasti nell’ombra, siamo vissuti giorno dopo giorno preparandoci a questa guerra, ma voi...voi avete vissuto sperando che nessuno vi toccare. Noi  ci siamo nutriti di armi, di ferite, lividi e muscoli; voi di speranze, illusioni, e anche di cecità, avete evitato di vedere ciò che sarebbe successo. I figli del Vento, sono stati addestrati fin dalla nascita, ma non è solo questo. È proprio nel loro sangue, hanno una forza diversa, data dal Vento. Solo uno di loro sarebbe in grado di competere, e dico competere, non vincere. >>
<< Perché mi dici questo? >> chiesi con la voce tremante, ma gli occhi fissi e seri, non avrei pianto. Non ne avevo il tempo.
<< Perché credo che tu debba saperlo, perché penso che devi conoscere ciò a cui vai incontro. >>
<< E tutti gli altri? Loro non devono saperlo? >>
<< Enn…. >>
<< Che cosa? >>
<< Forse sarebbe stato meglio evitare tutto questo. Scappate, andate lontano.  Non è la vostra guerra, è la nostra. Fuggite via e rifatevi una vita in un posto dove nessuno vi possa fare del male, dove tu possa essere al sicuro. >> disse guardandomi intensamente, come se volesse farmi intendere qualcos’altro, nascosto tra le sue parole. Si spostò una ciocca dei capelli castani che gli copriva gli occhi.
<<  “non è la mia guerra ”?!>> dissi in preda alla rabbia, << Mia sorella è con loro! Questa è la mia guerra molto più della tua! Quale motivo hai per combattere, tu? Eccetto che ti hanno cresciuto per questo?Nessuno. Te non hai motivi. Questa è la mia lotta. E se tu non mi vuoi aiutare non me ne importa nulla. Ci sono altre persone che mi potranno  insegnare.. >>  m’interruppe nel mezzo del mio sfogo per dire:
<< Te non sai niente di me, o delle persone come me. >> iniziò a parlare con rabbia, per poi continuare senza alcuna sfumatura o tonalità, come se stesse parlando di qualcuno lontano. 
<< Sono vissuto giorno dopo giorno preparandomi a combattere, preparandomi a vendicare qualcuno che nemmeno conosco, per difendere persone che per me non hanno alcuna importanza. Sai cosa vuol dire alzarsi ogni mattina alle cinque, incassare una sequenza di colpi e percosse durante tutta la giornata e in tutto questo cercare di sopravvivere? Di mangiare? Di andare avanti? >>
<< E allora perché lo fai? Vattene tu, alla ricerca di “una nuova vita” >>  dissi urlando.
<< Per mia madre. La figlia di quel vecchio che guardi con tanto rispetto, quello che ti insegna a combattere. Lui mi ha costretto giorno dopo giorno a questa vita che non ha senso! Per vendicare sua figlia, quando lui non era stato abbastanza uomo da difenderla. Sta aspettando il momento giusto per combattere dice, e io con lui. Questa è la mia guerra, perché mi è stata inflitta, me l’hanno legata al sangue, lui, mia madre, quel….quell’altro idiota di mio padre, i miei fratelli. Tu non sai assolutamente niente. >> fece un attimo di pausa ,<< Combatti e muori, fa come vuoi. >>  disse uscendo dalla stalla.

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Capitolo 27
*** 23 ***


Mi lasciò senza parole. Cosa avrei dovuto dire? Erano passate varie settimane da quando l'avevo conosciuto, e nel frattempo la sua vita era cambiata. Prima d'incontrarmi, prima che li trascinassi in questa avventura,i fantasmi  avevano vissuto tra le strade abbandonate della città vecchia, sopravvivendo  conv quello che trovavano. Non erano in molti, una cinquantina di persone, di ogni età e sesso. Erano vissuti nascosti e non ho idea di cosa avessero fatto in quegli anni.. 

 

Mentre ci allenavamo, la maggior parte di loro rimaneva in disparte, e ci guardava con un'aria strana: a  volte eravamo come dei bambini che facevano i primi passi, e nei loro occhi si vedeva qualche sprazzo d'orgoglio per un'ottima difesa o un affondo; altre volte ci guardavano con odio, come se li stessimo rallentando. Di certo, però, adesso avevano di che mangiare, i cavalli dormivano in posti decenti e persino i loro vestiti erano cambiati. Eravamo riusciti ad abituarci alla presenza gli uni degli altri, ma mentre noi sapevamo perfettamente perché volessimo combattere, nessuno di noi conosceva le loro storie, nessuno di noi sapeva cosa li avesse spinti a quella vita da reclusi. 

 

 

 

Persa nei miei pensieri, andai dalla mia famiglia, per vedere cosa stesse facendo. Avevamo tutti aderito all'addestramento, fatta eccezione per Glenne, che, giorno dopo giorno, andava peggiorando. Ormai tutte le notti era in preda a grida di dolore, non parlava più, ed era diventato difficile farla mangiare o lavare.

 

 Mia madre si addestrava meno, rispetto a noi, perché doveva occuparsi di lei, mentre Serin non si affacciava quasi più nella stanza di sua madre e passava ogni attimo a combattere. Non aveva ricominciato a parlare, e si vedeva quanto stesse soffrendo, aveva perso tutti ed ormai la sua unica famiglia eravamo noi.

 

 

 

In quel momento stava combattendo con Rodd e Marcus. Era incredibilmente portato per la lotta; con un bastone in mano riusciva a difendersi ed attaccare in una sequenza perfetta, sembrava nato per questo. In poco tempo aveva raggiunto il livello di molti "fantasmi", anche se non quello del vecchio o di Rodarth. 

 

<< Posso allenarmi con te? >> gli chiesi quasi gridando, per sovrastare i loro colpi.

 

<< Si, meno male, non ne potevo più! >>  disse Rodd, abbassando il suo bastone, la guardia,  e prendendo un bel colpo sul braccio, che gli avrebbe procurato un livido.

 

<< Non è giusto, ero distratto! >>  piagnucolò.

 

<< È inutile che ti lamenti!In guerra non ti difenderà nessuno >> disse Marcus mentre cercava di colpirlo.

 

Poi Serin  abbassò il bastone, fece un cenno ai miei fratelli facendogli capire che aveva finito con loro, e venne da me, si mise in guardia e cominciammo ad allenarci. 

 

Io non ero neanche lontanamente al suo livello, devo dire che me la cavavo abbastanza bene , riuscivo a difendermi e anche a sconfiggere molte delle persone con cui combattevo, ma con lui non c'era storia, come ho detto, sembrava nato per questo. 

 

Anche mio padre non era niente male. Combatteva in maniera formidabile, era forte, svelto, agile. Tutto sommato, lui, i miei fratelli, Serin ed io, eravamo tra i migliori, per lo meno eravamo tra quelli che, nel giro di poco tempo, erano riusciti a raggiungere il livello di molti fantasmi. 

 

Per quanto riguardava il resto del villaggio, invece, molti erano decisamente imbranati, alcuni addirittura incapaci. I fantasmi combattevano per lo più con loro, cercando di insegnare il più possibile, per farli migliorare alla svelta, ma, guardandoli, anch'io mi arrendevo allo sconforto, pensando che forse Rodarth avesse ragione, che non ce l'avremmo fatta. 

 

 

 

I fantasmi non avevano un minimo di pietà : attaccavano con tutte le loro forze, insultavano chiunque cadesse  o si arrendesse,  chiedendo di riposarsi un attimo.

 

<< Pensi che in guerra i Figli  del Vento  si fermeranno per farti riprendere fiato? Alzati e combatti! >> gridava un uomo tozzo, dalle spalle larghe e le braccia enormi.

 

<< In piedi! >> strillava un altro e, sorprendentemente, quegli uomini che non avevano mai nemmeno immaginato di usare una spada,  che ora si trovavano a lottare contro la fatica ed il dolore, quelle donne, che avevano lasciato le loro case, per potersi difendere da un destino che non avrebbero mai voluto, si rialzavano, afferravano la loro arma e si mettevano in guardia, ed io tornavo a sperare.

 

 

 

La sera tornavamo a casa pieni di lividi, con i muscoli e le ossa doloranti, ma ci sentivamo un passo più vicini a nostra sorella, mentre Serin si sentiva più vicino a suo padre, e alla sua vendetta, il  motivo che lo spingeva a combattere.

 

 

 

Mentre noi ci riempivamo di graffi , le donne del mio villaggio  vedevano le loro pance crescere e si preparavano per quel momento tanto atteso e odiato allo stesso tempo.

 

I dolori del parto sono terribili, ma nel momento in cui stringi il tuo bambino tra le braccia, quando vedi i suoi occhi, le sue manine, tutto così piccolo e perfetto, ogni pena viene dimenticata. 

 

In questo caso, però, i  neonati verranno subito rapiti, e le loro madri non potranno vederli crescere, camminare o parlare, sarebbero cresciuti insieme a quei mostri, e sarebbero diventati come loro, forse causando la sofferenza di altre donne  in futuro.

 

Il dottore del nostro paese era ormai morto, e mia sorella non era qui per seguire le sue orme, quindi le partorienti  venivano controllate da un medico delle città vicine, anche lui venuto per combattere. Diceva che c'era poco da fare, le gravidanze proseguivano tutte senza alcun intoppo, nessun bambino sarebbe nato prematuro, nessuna donna avrebbe avuto un aborto spontaneo, nessuna avrebbe avuto qualche complicazione durante il parto, non erano bambini normali, erano Figli  del Vento, e sarebbero nati quasi senza alcuno sforzo, già forti e fieri, pronti per combattere.

NEL PROSSIMO CAPITOLO:

Rodarth combatteva con lo sguardo fisso nei miei occhi, anche se sembrava non vederli realmente.  Non mi aveva più detto una parola, così io mi facevo prendere dalla rabbia e colpivo senza nemmeno pensare, finché in qualche modo riusciva ad afferrarmi il braccio e a girarlo contro la schiena.

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Capitolo 28
*** 24 ***


Destra, sinistra, in basso, schiva.  Ripetevo gli ordini a mente perché Rodarth aveva smesso di dirmeli, era ancora arrabbiato per via della nostra discussione e l'avevo dovuto quasi supplicare di allenarsi con me.  Combatteva con lo sguardo fisso nei miei occhi, anche se sembrava non vederli realmente, era perso nel suo mondo lontano ed impenetrabile.  Non mi aveva più rivolto parola, da quando mi aveva detto che questa non era la mia guerra, anche se avevo tentato di parlarci in tutti i modi; convincerlo ad allenarsi con me era la mia ultima speranza.

Credevo che per lo meno mi avrebbe detto come difendermi, o una parola qualsiasi tra un colpo e l’altro, eppure lui continuava ad ignorarmi, si difendeva ed attaccava come se io fossi una ragazza qualsiasi del villaggio, non quella che li aveva spinti ad abbandonare il loro nascondiglio. Vederlo così distante mi dava un fastidio enorme, così mi facevo prendere dalla rabbia e colpivo senza nemmeno pensare, muovendo il mio bastone a caso sperando di fargli del male, per sentire anche solo un lamento uscire dalle sue labbra…  almeno avrebbe detto qualcosa!

La mia furia venne fermata quando, in qualche modo, riuscì ad afferrarmi il braccio e a girarlo contro la schiena; per un secondo mi tenne così, la sua mano sul mio polso, il suo mento che mi sfiorava la testa, il petto contro la mia schiena, sentivo il suo respiro affannato, in sincronia con il mio.

<< L'allenamento è finito. >> disse con voce piatta, lasciandomi il braccio.

<< Io non ho finito di combattere! >> risposi, massaggiandomi il polso.

<< Non ti sei accorta di aver perso? Eri completamente bloccata nelle mie braccia! >>

<< Mi sarei liberata >> risposi, testarda

<< Come credi >> disse dandomi le spalle ed incamminandosi verso una fontana.

<< Cosa vorresti dire? >> chiesi correndogli dietro.

<< Non voglio dire nulla. L'allenamento con me è finito, se vuoi continuare a combattere va da qualcun altro >>

<< Sta tranquillo, mi posso allenare con chiunque! >> dissi girandomi a mia volta. Non riuscivo a capire perché fosse tanto arrabbiato o cosa volesse da me.

<< Lascialo perdere. >> disse una voce alla mia destra.

<< Ciao Atheros … >> era uno dei fantasmi che aveva pressappoco la stessa età di Rodarth.

<< Figurati se m’ importa. >> risposi tutta fiera.

<< È normale che ti importi, sei sua amica, no? >> era un ragazzo molto alto, con i capelli neri come la notte più profonda e gli occhi azzurri, decisamente di bell’aspetto. Pensai che se Teresa l’avesse conosciuto si sarebbe innamorata subito di lui e per un attimo un sorriso mi affiorò sulle labbra, poi realizzai che non sapevo più cosa avrebbe potuto provare Teresa: ora non era un adolescente, ma una donna e presto una madre.

<< Si, sono sua amica. >>

<< E allora non te la prendere troppo se fa così. È sempre stato un tipo piuttosto irascibile, gli passerà presto. >>

<< Lo spero. >> il discorso era finito, non sapevo cos’altro dire così lasciai che un silenzio imbarazzante calasse su di noi per alcuni istanti; stavo per andarmene, quando mi accorsi che lui era ancora nel mezzo della nostra discussione e che stava decidendo se aggiungere qualcosa.

<< Quanti anni hai? >> chiese infine.

<< Undici… quasi dodici >> risposi.

<< Sembri molto più grande, è incredibile che tra noi ci passino quattro anni. >>

<< Come ho fatto capire anche a Rodarth, avrò pure undici anni, ma la vita non è stata facile per me come per nessun altro, si cresce in fretta. >>

<< Già, solo che secondo questo ragionamento Rodarth dovrebbe essere un vecchio. >>

<< Perché? >>

<< Perché non conosco nessun altro che abbia sofferto quanto lui. >>

<< Cosa gli è successo? >> chiesi incuriosita.

<< Credevo te ne avesse parlato. >>

<< Solo in modo vago. >>

<< Beh allora non rimarrò qui a fare pettegolezzi con te. Se vorrà sarà lui a dirtelo. >> disse facendomi un cenno con la testa a mo’ di saluto, e aggiungendo un sorriso strano, che non so come dovesse essere interpretato. Mi diede l’impressione di voler dire molto di più, anche se non saprei spiegare il perché.

<< Non piacciono nemmeno a me i pettegolezzi. Ciao. >> E me ne andai.

In realtà avrei voluto riempirlo di domande, così forse sarei riuscita a capire perché Rodarth ce l’avesse tanto con me. La curiosità, ancora una volta, mi tormentava. Ero anche irritata, o forse delusa, credevo che fossimo amici, avrei voluto sapere di più su di lui, avrei voluto che si fosse confidato con me… d’altra parte lui sapeva già tutto della mia vita ed io così poco della sua.

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Capitolo 29
*** Teresa ***


Erano passati sei mesi da quando era stata rapita, strappata alla sua famiglia e costretta a vivere in quel posto così diverso. In questo tempo era riuscita a imparare la loro lingua, a capire come rivolgersi alle persone, ad assimilare alcuni aspetti della loro cultura.
Si era accorta che si tramandavano una sorta di potere magico, se così si può definire.  Erano in grado di comunicare con il Vento o, più in generale, con gli elementi e la natura.
A volte vedeva alcuni di loro fermarsi nel bel mezzo di un azione, ad esempio mentre davano da mangiare agli animali, o, addirittura, mentre combattevano. Per alcuni istanti si bloccavano a fissare il vuoto, persi in un mondo lontano. La prima volta che Teresa vide questo fenomeno rimase realmente stupita, senza riuscita comprendere cosa stesse accadendo.
Un uomo e una donna si stavano allenando, colpo su colpo in un ritmo frenetico. Erano entrambi molto abili e si scambiavano lividi e ferite. Poi, all’improvviso, la donna si era fermata per fissare un punto lontano e l’uomo, invece di approfittarne per sconfiggerla, aveva aspettato che lei tornasse a guardarlo. Teresa aveva provato a farsi spiegare da Arsea cosa stesse succedendo:
<< Che vuol dire? Perché si fermano? >> chiese nella loro lingua.
<< Parlano con il vento, gli sussurra parole di saggezza. >>
<< Te sei mai riuscito a parlarci? >>
<< Solo una volta, da bambino. È difficile perché non siamo noi a decidere quando o come. Arriva il Vento e ti parla, senti l’aria che entra dentro di te, ti sussurra qualcosa di importante per proteggerti, per aiutarti, per spingerti verso il tuo destino. >>
<< E a te cosa ha detto? >> chiese curiosa.
<< Mi ha spiegato cosa avrei fatto nella mia vita, mi ha detto che un giorno avrei dovuto rischiare tutto per sperare di avere tutto. >>
<< Cosa vuol dire? >>
<< Non lo so, ma mi stava preparando per qualcosa d’importante. Spesso non riusciamo a capire tutto quello che dice e allora ricorriamo agli Anziani  che sanno molto più di noi. >>
<< Ma capita a tutti? >>
<< In che senso? >>
<< Ad ognuno del villaggio? >>
<< Non saprei, può capitare come non capitare. Ti parla solo se c’è qualcosa d’importante, se devi assolutamente saperlo, altrimenti non c’è bisogno di raggiungerti. >>
<< E parlate solo con il vento? >>
<< Non siamo noi a parlarci, è lui a farlo. >> disse vagamente offeso.
<< Scusa, non volevo darti fastidio, a volte è ancora difficile usare le parole giuste. >>
<< Lo so >> disse sorridendo, << Ma presto sarai una di noi e forse il Vento parlerà con te;  allora capirai. >> aveva una scintilla negli occhi e le labbra curvate in un’espressione felice.
<< E se non diventassi una di voi? Se non volessi esserlo? >>
<< Lo sarai. >> rispose mettendo fine al discorso.

Un’altra cosa che aveva notato era che spesso si inginocchiavano a toccare la terra o poggiavano una mano su di un albero senza un motivo apparente.  A volte, invece, le si avvicinavano, per sfiorare la sua pancia. Era una cosa che avevano fatto tutti da quando era iniziata a crescere, la toccavano e dicevano qualche parola, un augurio per una buona nascita, o di diventare forte e avere fortuna. Nessuno le augurava di avere un figlio maschio o una figlia femmina, per loro era perfettamente identico.

Un’altra persona con cui parlava spesso era la figlia della Regina. L’aveva presa in simpatia, anche se Teresa non ne capiva il motivo. Era stata lei ad insegnarle la lingua, a mostrarle come dare da mangiare agli animali, come rispondere alla Signora o alle altre persone. Le aveva anche spiegato che presto anche lei sarebbe stata addestrata, dopo aver partorito. Era fermamente sicura che sarebbe diventata una di loro, ne era certa.
Teresa le voleva bene, era l’unica persona a cui realmente tenesse, e, in qualche modo, non la riteneva responsabile delle sue sofferenze. 
<< Quando verrai considerata una nostra sorella, ti porterò in un posto speciale. >> le disse una volta.
<< Dove? >>
<< Adesso non te lo posso dire, ho provato a chiedere a mia madre di portatrici prima, ma la sua unica risposta è stata un “no” categorico. >>
<< Non ha importanza, ma perché mi ci vuoi portare? >>
<< Perché è un posto speciale, dove il Vento è più vicino, le foglie si muovono e senti la vita scorrere dentro di te. >>
<< Dev’essere un luogo magico!>> esclamò Teresa.
<< Certo! Anzi guarda, ti ci porto! >>
<< Ma sei sicura? Non voglio che passi dei guai! >>
<< Non ti preoccupare, seguimi! >>
 Iniziò  a correre, rapida come il loro elemento, e Teresa dietro che arrancava con la mano a reggersi la pancia. La seguì per almeno una mezz’ora, finché non rimase piegata in due in mancanza d’aria.
<< Non ce la fai? >> le chiese con premura.
<< Mi manca.. l’aria.. fammi riposare solo un attimo >> disse sedendosi per terra. Si trovavano in un prato, lontano dal villaggio, dalle case o dagli animali. C’era solo il verde e nient’altro.
<< Ma adesso dove siamo? >>
<< Questa è la Prather, è dove portiamo gli animali d’estate, dove i bambini appena nati sono felici, i fanciulli corrono rapidi e qui vengono i guerrieri più forti, per allenarsi senza rischiare di ferire qualcuno. >>
<< E quanto manca per il posto dove mi vuoi portare? >>
<< Siamo a metà strada, più o meno. >>
<< Oh…va bene dai, andiamo. >> disse rialzandosi.

Continuarono a camminare per molto, senza seguire nessun percorso specifico, ma affidandosi a lei. Quando arrivarono, Teresa rimase incantata. 
C’erano alberi enormi, dalle foglie arancioni ed i tronchi con mille striature diverse di marrone. Il prato era verde scuro con fiori blu sparsi qua e là, c’erano rocce giganti di un grigio tendente al l'azzurro, ed infine c’era il Vento, che le entrava dentro, le girava attorno, sussurrava parole dolci e magiche. 
Rimase in piedi, con gli occhi chiusi ad assaporare il momento e le parole. Non capì di preciso cosa il Vento le volesse dire, ma provò un forte senso di pace, di amore, di tranquillità, per la prima volta da quando si trovava lì si sentì bene. Sentì l’odore del pane appena sfornato, delle marmellate, dei pasti preparati in casa, poi dei vari impacchi fatti  con il suo maestro, vide il colore del mercato, con le bancarellevariopinte e piene di merci e, senza rendersene conto, si trovò a sorridere. Non riusciva a capire quanto tempo stesse passando, dove si trovasse o cosa stesse facendo, era in pace.

Quando tornò da Arsea aveva una luce diversa nel viso, una sorta di felicità che non riusciva a nascondere.
<< Cosa ti è successo? >> le chiese lui vedendola
<< Ho sentito il vento. >>
<< L’hai sentito? Tu? >>  esclamò sprizzando gioia da tutti i pori.
<< Si… >>
<< Cosa ti ha detto? Devo portarti dalla Signora del Vento…sei una di noi... non c’è bisogno di aspettare...>> disse tutto concitato e l’afferrò per un braccio trascinandola nella casa della Signora.
<< Devo parlarvi >>  esclamò entrando e portando con sé Teresa.
<< Cosa succede? Perché entri con tanta foga? >>
<< Ha parlato con il Vento! >> esclamò lui.
<< Questo sarò io a deciderlo. Vieni avanti ragazza. >>  le disse, incutendole molto timore.
<< Dimmi cosa avresti sentito, nel più minimo dettaglio. >> e  così Teresa le raccontò ciò che era accaduto, come si fosse sentita, trovando parole che non aveva idea da dove venissero.
<< Uscite e fate entrare gli Anziani. >>

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Capitolo 30
*** Teresa ***


I tre vecchi arrivarono in pochissimo tempo, troppo svelti per la loro età. Non degnarono Teresa o Arsea nemmeno di uno sguardo ed entrarono nella stanza, senza aspettare di essere annunciati. Rimasero là dentro per ore, mentre mia sorella non poteva far altro che aspettare.
<< Cosa succederà adesso? >> chiese ad Arsea.
<< Non so, ma sicuramente  sarai una di noi. Il Vento ti ha scelta! Ha parlato con te prima di molti altri che sono nati e vissuti qui. >>
<< Ma ero in quel luogo, forse è per questo… >>
<< Ognuno di noi è stato lì molte volte, sì, ti senti più vicino alla natura, è un posto magico ed è più facile che il Vento ti parli, ma se non sei una di noi non ti parlerà mai. Fai parte del villaggio adesso. Nascerà nostro figlio e te resterai con noi...con me! >>  era raggiante.
<< Non mi riporterai mai dalla mia famiglia? >> chiese lei con le lacrime appena accennate nei suoi occhi.
<< Se sarai una di noi, avrai il diritto di muoverti come vorrai, di tornare indietro o di restare, spetterà  a te decidere. >>  disse diventando cupo in volto. 
Questa dichiarazione lasciò Teresa senza fiato, forse sarebbe potuta tornare alla sua vita, alla sua casa,, alla sua famiglia, anche se lei non era più quella di un tempo. Immaginare di tornare a casa le metteva gioia e terrore allo stesso momento, cosa sarebbe successo?
Dopo un’intera notte e una mattina, gli Anziani uscirono seguiti dalla regina e si diressero all’altare.
Uno di loro, bianco come tutti gli altri, si mise a parlare.
<< Siamo di fronte ad un evento unico: il Vento ha parlato ad una ragazza che non ci appartiene, che non è stata istruita, nella quale non scorre il nostro sangue. Abbiamo discusso a lungo sul significato di queste parole, non tutti saranno d’accordo con quello che diremo, ma questo è ciò che abbiamo deciso.
Teresa entrerà a far parte della nostra civiltà, seguirà le nostre regole e avrà accesso ai nostri segreti, ma prima dovrà affrontare una prova. >>
<< Come una prova?>> chiese qualcuno, << Se il Vento ha parlato non possiamo opporci, non c’è nulla da provare. >>  disse l’uomo guardando per un attimo Teresa che  era terrorizzata, felice, ansiosa, tutto nello stesso istante.
<< Non vogliamo in alcun modo contraddire il Vento >> disse una donna degli Anziani, <<  Solo che non possiamo totalmente fidarci delle parole della ragazza, non possiamo sapere se il Vento le ha veramente parlato finché lei non ce lo dimostrerà. >>
<< E come dovrebbe fare? >>  chiese Arsea.
<< La ragazza ci seguirà e noi le spiegheremo tutto, ma solo a lei. >>
<< Io... >> provò a balbettare mia sorella.
<< Non c’è nulla da dire, seguici e basta. >> e con questo la portarono via da Arsea, che la guardò sfuggirgli  dalle mani come se non la dovesse vedere mai più. Non sapeva quale sarebbe stata la sua prova, ma sapeva perfettamente che sarebbe stato difficile, che forse avrebbe rischiato la sua vita, e anche quella del bambino. 
Non appena ebbero lasciato la piazza ognuno si sentì in dovere di commentare qualcosa, di opporsi o di acconsentire alla decisione, qualcuno si avvicinò ad Arsea e gli disse qualche parola d’incoraggiamento, qualcuno lo guardò con compassione da lontano, qualcun altro gli disse addirittura che gli dispiaceva, in molti la davano per morta o per scomparsa.

La portarono lontano. Mentre camminava Teresa si convinceva sempre più che la volessero soltanto uccidere, poi si ricordava di avere un loro bambino dentro di sé e così tornava a sperare. 
La fecero uscire dal villaggio in sella ad un purosangue color sabbia, attraversare boschi e colline, fermandosi solo per darle da mangiare, finché  il momento tanto atteso arrivò.
<< Resterai qui fino a quando  il vento ti parlerà; non  avrai cibo con te, quindi se il Vento vorrà la tua sopravvivenza sarà lui a salvarti. >>
Sarebbe morta sicuramente. Un conto era vedere immagini del mondo che aveva amato, un altro era farsi salvare dal Vento. Sarebbe morta, ne era certa.

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Capitolo 31
*** Teresa ***


Arsea, appena riuscì ad allontanarsi da tutta la folla che l’aveva assalito, si diresse alla ricerca di mia sorella, maledicendosi per non averli inseguiti subito.
Non aveva idea di dove potessero essere andati, i luoghi sacri per il  Vento  che lui conosceva erano tre: lo stesso posto  dove Teresa era riuscita a parlare, la montagna che aveva scalato con lei quando era appena arrivata e un piccolo spiazzo lungo il lago dove si versa il fiume del villaggio. Escluse il primo, perché sarebbe stato troppo facile, per lei, superare la prova, sul secondo ed il terzo nutriva comunque poche speranze, ma, non avendo altre possibilità, montò a cavallo e si diresse in entrambi i luoghi. 
Prima raggiunse il monte dove l’aveva portata sulle spalle, rendendosi conto solo in quel momento che nessuno degli anziani sarebbe stato in grado di portarla di peso fin là, visto che loro erano troppo vecchi, e lei troppo incinta.
Quindi si rimise in marcia verso il lago, maledicendosi ancora per la sua stupidità.
Arrivò in questo posto bello da mozzare il fiato, con l’acqua cristallina, i ciuffi d’erba tutti intorno, e un albero che sembrava volersi tuffare. Nessuna traccia, di loro.
Dopo alcune ore in preda all’angoscia più totale, si decise a tornare al villaggio, capendo che non avrebbe avuto nessuna possibilità di trovarla. Non sapeva che prova avessero in mente, per quanto avrebbero viaggiato né in che direzione; non aveva speranza.
Appena attraversate le porte della loro città, gli venne incontro la principessa.
<< So dove sono andati! >>  gli disse appena lo vide, << Li ho sentiti parlare con mia madre,  andavano verso le Terre del Fuoco! >>
<< Grazie >> le disse quasi urlando e stringendole la mano con foga, poi corse via.

Le Terre del Fuoco, erano un posto sperduto, dove non crescevano alberi, né piante, né fiori, dove non c’erano animali, dove non c’era vita. Per raggiungerlo dovevi passare  in mezzo a radure rigogliose, che rendevano  il distacco era ancora più evidente, come se un incendio avesse raso al suolo ogni cosa, e da questo derivava il suo nome.
Avrebbero impiegato tre giorni per raggiungerlo, considerato che lei era incinta e non era in grado di cavalcare per troppo tempo. Lui ci avrebbe messo di meno, ma era già indietro di un giorno di marcia.
Corse in casa e prese tutti i viveri che aveva a disposizione, così da poterla nutrire, prese anche un coltello, da mettere alla cintola, ma in ogni caso non avrebbe avuto difficoltà ad uccidere  gli anziani, non nella lotta per lo meno. I problemi sarebbero arrivati dopo, nel  convincersi che aveva fatto la scelta giusta, che non avrebbe scatenato l’ira del Vento, ma a questo avrebbe pensato più tardi, prima doveva salvarla.
Montò a cavallo e partì senza fermarsi mai, cavalcando giorno e notte finché non vide quel luogo in lontananza. Poi mise il cavallo al passo e lo fece avvicinare ancora per qualche metro.
Smontò e gli disse di aspettare lì, cosa che il cavallo avrebbe sicuramente fatto. Continuò a piedi, muovendosi in modo circospetto, non sapeva cosa l’avrebbe aspettato. 
Poi la vide, stesa per terra, raggomitolata su se stessa, senza forze, senza speranza, senza voglia di vivere.
Facendo qualche conto, doveva essere rimasta là , senza cibo né acqua, dalla mattina, o dalla sera prima. 
Intorno non c’era nessuno, ma sapeva che la dovevano stare osservando da qualche parte. 
Non aveva alcuna importanza, si disse, e corse da lei.
<< Teresa..sono io. Non avere paura. >>  le disse mentre la sollevava di peso. Lei aprì appena gli occhi, per richiuderli un attimo dopo.
<< Sta tranquilla, ora ti porto via. Andiamo dal mio cavallo, ho cibo e acqua, non ti preoccupare… non ti preoccupare... ti porto in salvo. >> continuava a ripetere, come una cantilena, fino a che non raggiunse l’animale, la fece bere e le diede qualche cosa da mangiare.
<< Lo so..vorresti riposare; ma non c’è tempo. Dobbiamo andare, tranquilla, ti porto in salvo. >>
“Dove andremo? Non al villaggio. Quando gli anziani saranno di ritorno, avrò tutti contro di me, loro comandano. Dobbiamo scappare. Per dove? Per il cibo non c’è problema, caccerò. Per l’acqua c’è sempre il fiume … però serve un nascondiglio. Un nascondiglio … dove la porto?! Resteremo nei boschi... spostandoci spesso… ma è incinta... non potrà continuare a muoversi…  già è difficile farlo adesso. Dove possiamo andare?!”

Quando si fermarono per riposare, lei iniziò a riprendersi.
<< Arsea… >>
<< Sono qui, sta tranquilla. >> disse accarezzandole la fronte.
<< Sono stanca. >>
<< Lo so… >>
<< Dove siamo? >>
<< Nella foresta, non so di preciso in quale punto. A metà strada tra le Terre dei Fuochi ed il villaggio. >>
<< Le Terre…? >>
<< È dove ti avevano lasciata. >>
<< Cosa faremo... cosa farai adesso? Loro non volevano che mi portassi via. >> disse capendo in quel momento a cosa lui aveva deciso di andare incontro. Lei sarebbe morta, sia se fosse rimasta lì, sia se l’avessero trovata adesso; ma lui avrebbe potuto continuare con la sua vita, tranquillo come se niente fosse successo . Invece adesso era in pericolo, l’aveva fatto per il bambino… no l’aveva fatto per lei.
<< Adesso… non ti preoccupare. Ci penso io a te. >> le disse.
Teresa chiuse gli occhi, e dormì.
Durante la notte Arsea decise che avrebbero seguito il fiume, quando avesse trovato un posto adatto si sarebbe fermati, spostati un po’ più all’interno del bosco e sarebbero rimasti lì, almeno per i primi tempi. Poi avrebbero deciso il da farsi. Non l’avrebbe abbandonata.
<< Buongiorno. >>  gli disse Teresa svegliandosi.
<< Buongiorno. >> le rispose lui mentre le dava una fetta di pane e del formaggio.
<< Tra poco dovremo ripartire. >> le disse con uno sguardo pieno di tenerezza. Lei annuì e mangiò in silenzio.
<< Devo... allontanarmi un attimo. >> gli disse.
<< Perché? >> chiese lui, << Ah… va bene, fa in fretta. >>  disse dopo qualche istante. Ovviamente, aveva bisogno di andare al “bagno”.


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Capitolo 32
*** Teresa ***


Mancava poco ormai; presto sarebbero passati nove mesi. Gli addestramenti avevano sicuramente portato a delle migliorie, però, come Rodarth aveva detto, non avrebbero mai avuto alcuna speranza di sconfiggere I Figli del Vento..
<< È inutile! >> disse ad un certo punto, dopo aver passato ore a combattere contro di me.
<< Basta, smettiamola. Moriremo tutti, tanto vale farla finita adesso! >>
<< Ma cosa dici? >>  chiesi.
<< Non ha senso. Tanto varrebbe godersi questi ultimi attimi di vita e morire in pace. >>
<< “Godersi” >>  chiesi divertita, << Non mi sembri la persona che è capace di godersi la vita.>> dissi facendolo innervosire ancora di più.
<< Nemmeno tu, se è per questo. >>
<< Già, ma almeno tu sai perché, sai cosa mi è successo. Io non so proprio niente di te. >>
<< Hai ragione. >>  disse sedendosi per terra, al centro dello spiazzo per gli addestramenti.
<< Quindi? >>
<< Quindi cosa? >>
<< Non hai intenzione di raccontarmi qualcosa? >>
<< Perché dovrei? Chi sei tu, per me? Non sei nessuno. >> disse facendomi infuriare e mandandomi via. 
Questo genere di conversazioni andava avanti ormai da molto tempo; da quando avevo saputo della sua vita difficile, morivo dalla curiosità. Eppure non era solo questo, volevo che si confidasse, che mi raccontasse cosa gli era successo, cosa aveva provato , volevo che mi sentisse vicina. Eppure lui non si apriva, gli addestramenti erano insufficienti e ognuno di noi aveva perso la speranza.
<< Ascoltatemi. >> disse ad un tratto il vecchio dei Fantasmi.
<< Dovete sapere il motivo per cui ci siamo nascosti e non abbiamo combattuto prima: sapevamo di non essere pronti allora e purtroppo non lo siamo nemmeno adesso. I figli del Vento sono dotati di una forza sovrannaturale, un uomo normale non ha speranze contro di lui. Nessuna. Abbiamo deciso di combattere solamente perché non ne potevamo più di aspettare, ma adesso… è inutile. Solo un figlio del Vento, può sconfiggere i Figli del Vento. >> il silenzio calò su tutta la folla, dal primo all’ultimo ognuno di noi sentì il sangue gelarsi. Era finita, senza nemmeno tentare.
<< Dobbiamo almeno provare! >> gridai con le lacrime agli occhi.
<< Ragazzina, la tua tenacia e il tuo coraggio sono ammirevoli, ma bisogna pensare al bene comune, evitare le morti di tante persone. Puoi pensare di voler perire per questa guerra, ma vuoi veramente che tuo padre, i tuoi fratelli, gli amici, che tutti noi moriamo per questo? >>
<< Allora perché mi hai fatto allenare? Perché mi hai costretto a soffrire giorno dopo giorno per tutta la mia vita? >> urlò Rodarth.
<< Aspettavamo un figlio del Vento, lo sai. >>
<< E perché un Figlio del Vento si sarebbe dovuto interessare a noi? Perché uno di loro avrebbe dovuto scegliere di rivoltarsi contro la sua gente? >>
<< Lo sai anche tu che accadrà. >>
<< Io non so nulla, conosco soltanto le storie che tu mi hai raccontato da quando sono nato. Dove sono queste storie adesso? Ora non credi più che uno di loro possa entrare nella nostra città fantasma e spingerci a combattere? E poi dimmi, vecchio, che cosa dovrebbe fare uno di loro contro tutto il loro villaggio?>>
<< Abbi rispetto per me. Sono tuo nonno! >>
<< Io non ho rispetto per nessuno. Dammi una risposta. >> disse avvicinandosi.
<< Ci avrebbe insegnato quello che loro già sanno. >>
<< Ma loro non sanno niente! Sono così e basta; sono violenti, crudeli, spietati e forti. Questo e nient’altro. >>
Poi entrarono. Era bella come la ricordavo, solo molto stanca, e... grassa.
Era in groppa ad un cavallo davanti all’uomo che l’aveva portata via.
<< Teresa! >> urlai, e così fecero mio padre, mia madre, e i miei fratelli.
Ci corse incontro ed abbracciò, ad uno ad uno. Poi iniziò a raccontare. Ci parlò di come fosse arrivata da loro, di quello che avesse imparato, di come si fosse sentita giudicata dalla gente del villaggio, come ogni giorno fosse una prova per vedere se lei appartenesse o no a quel posto.
Davanti a tutta la gente della nostra cittadina, ai fantasmi che non conosceva, e alle persone dei paesi vicini, ci disse di come il Vento le avesse parlato. Raccontò delle immagini che aveva visto e di quello che aveva provato, lo disse con imbarazzo, per paura che noi la giudicassimo come una nemica. Poi arrivò a parlare degli Anziani e di dove l’avessero portata: le Terre di Fuoco. Solo allora parlò di Arsea, dicendoci che l’aveva salvata e che adesso anche lui era considerato un nemico. L’aveva portata a cavallo per i boschi e per giorni erano rimasti nascosti. Lui si svegliava presto, mentre lei ancora dormiva, ed andava a caccia, non si allontanava mai troppo, per paura che la potessero trovare. Poi, un giorno, Teresa gli aveva detto quello che stava pensando da quando erano scappati:
<< Arsea... >>
<< Sì? >>
<< Penso che dovremmo andarcene. >>
<< Andarcene!? Dove? Finora qui non si è avventurato nessuno, non ha senso cercare un altro posto. >>
<< Non voglio “cercare” un altro posto, voglio tornare a casa; dalla mia famiglia. Ormai siamo considerati entrambi dei nemici, tanto vale andare dove possiamo trovare altre persone come noi. >>
<< Come te... >>
<< Anche come te. So quanto ti faccia male dirlo, ma adesso non fai più parte del villaggio, non c’è più niente che ti leghi a quel posto. >>
<< Si ma... >>
<< Sono stata con te finora, adesso spetta a te seguirmi. >> gli disse.
<< Io ti posso anche seguire, ma presto loro verranno a prendersi i bambini, mancano solo tre mesi. >>
<< Sì, ma verranno solo per i figli. Mi è stato raccontato cosa succede quando tornano: entrano tutti insieme, aprono le porte delle case e prendono i loro bambini, senza cercare altre persone o altre donne, solo i figli. >>
<< Si, ma cercheranno in tutte le case. >>
<< Non in tutte. C’è una zona della città che è completamente disabitata e per lo più distrutta, lì non verranno. Ci basterà nasconderci là quando sarà il momento. >>
<< Anche ammettendo che su questo tu abbia ragione, noi abbiamo fatto qualcosa di diverso dal solito... c’è la possibilità che ci cerchino. >>
<< Non penseranno mai che tu mi abbia seguito a casa mia! E poi, se l’avessero fatto, sarebbero già stati là, ci basterà aspettare ancora qualche giorno, giusto per essere sicuri, e poi potremo andare. >>
<< Non so... >> le rispose. 
Eppure in quel momento erano lì, davanti a noi. Lui l’aveva seguita.

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Capitolo 33
*** 33 ***


Finito di parlare decidemmo di portare Teresa a casa, seguita da Arsea. Passammo attraverso la folla di persone, molte felici di averla con noi, altri  ci guardavano dubbiosi, alcuni addirittura intimoriti; cosa credevano, che lei fosse diventata una di loro? Passai davanti a Rodarth che mi rivolse appena uno sguardo, tra il triste  e l’arrabbiato.
 
<< Vieni... mettiti seduta, ti preparo da mangiare. >> le disse mia madre spostando lo sguardo su Arsea e non sapendo come comportarsi.
Teresa si sedette a capotavola, con accanto mio padre, i miei fratelli, Serin ed io, eravamo tutti uno di fianco all’altro, come se dovessimo affrontare un nemico. Arsea era in piedi vicino alla porta, silenzioso, quasi invisibile. 
<< Arsea, mangia anche tu qualcosa >>  gli disse nel loro linguaggio, facendoci sussultare tutti.
<< Parli la loro lingua? >> chiese Rodd con gli occhi sgranati e la bocca aperta.
<< Si, ho dovuto impararla. >>
<< Forte! >> esclamarono lui e Marcus insieme, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di mio padre. Io non dissi niente, e nemmeno Serin ovviamente. Non parlava, ma sapevo cosa stesse pensando. “ Teresa è tornata, meno male... almeno una persona che torna… non posso dire lo stesso di papà… o di mamma… Loro non torneranno mai. E poi quello là… era con lui... con l’uomo che ha ucciso mio padre… chissà forse è stato proprio lui ad ucciderlo... non ricordo… nella lotta…” gli strinsi la mano, senza dire nulla.
<< Cosa gli hai detto? >> le chiese mio padre con fare accusatorio.
<< Di mangiare anche lui; deve essere affamato quanto me. >>
<< Non abbiamo abbastanza cibo per lui. >> gli rispose.
<< Non dire sciocchezze. So che avete abbastanza cibo per entrambi. >>
<< No! >>
<< Dategli da mangiare o lo farò io stessa. >>  disse alzandosi, mettendo una mano sul pancione per sorreggersi. Non era più Teresa, era più forte, sicura di sé, ed era incinta.
<< Ecco tieni, vieni qui. >>  gli disse nella nostra lingua dopo aver poggiato una ciotola con la minestra nel posto accanto al suo.
<< Io… non c’è bisogno. >> rispose Arsea.
<< Sì che c’è, devi mangiare. >>
<< Tu mangi. Io via. >>
<< Non vai da nessuna parte. >> gli urlò contro mio padre, alzandosi di scatto e avvicinandosi per afferrarlo.
<< Non ti muovere. >> urlò Teresa. << Forse non eri attento prima, ma ti ho detto che lui mi ha portato via da quelle Terre, che lui mi ha salvato e guidato fin qui. >>
<< Sì, ma prima...  chi ti ha portato via? Mi sembra che è stato proprio questo tuo “eroe”… a rapirti... e... >> si fermò mentre fissava la sua pancia.
<< Pensavo di poter aspettare per questo discorso, ma invece no, andiamo subito al punto. >>
<< Teresa. No, io via. >> 
<< Si, è stato lui a portarmi via >> continuò lei, ignorando il tentativo di Arsea di fermarla .<<  Ha fatto quello che doveva fare, mi ha portata via e messa incinta. Poi non ha più alzato un dito contro di me, mi ha preparato da mangiare,  mi ha insegnato a parlare, mi è stato vicino. E mi ha salvata. Ha accettato tutto quello che gli ho detto. Non volevo che mi toccasse in alcun modo, e non l’ha fatto, non volevo dormire con lui e ha dormito per terra, per tutto questo tempo. Non gli volevo parlare, e l’ha accettato. Questo non  giustifica quello che ha fatto all’inizio, ma sto cercando di farvi capire >>
<< Capire... cosa? >> chiesi io
<< Chi è Arsea, così come  l’ho capito io quando mi ha salvata. È  una persona che è stata capace di ascoltarmi e di salvarmi, andando contro tutto il suo villaggio. >>
<< E allora, questo Arsea dov’era quando sei stata rapita? >> chiese ancora mio padre.
<< Questo è il punto dove volevo arrivare ed  è quello che voglio dire anche al resto della città. Quello che gli Uomini  del Vento fanno e hanno fatto, dipende da ciò che gli è stato insegnato. Sono cresciuti convinti che rapirci fosse l’unico modo per continuare la stirpe, che quella fosse la cosa giusta da fare. La colpa non è loro, ma di chi gliel’ha insegnato. >>
<< Cioè? >> chiese mia madre, unendosi per la prima volta al discorso.
<< Gli Anziani e la regina. Io non so se veramente esiste il Vento, se veramente parla, se quello che ho visto erano immagini mandate da lui o dalla mia fantasia; quello che so, però, è che sono sempre gli Anziani ad “interpretare”, a decidere cosa sia giusto e cosa no. Sono loro che dettano la legge, loro e la regina. >>
<< Con questo vorresti dire che in realtà sono tutti buoni? Che abbiamo passato la vita ad odiare degli innocenti? >> chiese mio padre, calcando l’ultima parola.
<< Non dico che siano innocenti; per esserlo non bisognerebbe aver fatto nulla di male e  loro l’hanno fatto. Quello che dico è che non è del tutto colpa loro. Sono stata in grado di andare avanti, con Arsea. Non dico che quello che mi abbia fatto sia stato giusto o perdonabile, ma riesco in qualche modo a capire cosa l’abbia spinto. >>
<< Capire? >> disse mia madre, << Non si può capire una cosa del genere. Lui ti ha stuprata. >>  disse dando voce a ciò che tutti stavamo pensando.
<< Sì,  l’ha fatto; ma  io so chi sia lui in realtà. So che adesso è cambiato,  imparato da quello che gli ho raccontato. In sei mesi non mi ha mai sfiorata. Mai. Mi ha solo difesa. Quello che ha fatto non è colpa sua, ma degli Anziani. Ora... lui è stato in grado di cambiare, non so se anche gli altri lo potranno fare, quello che so è che per evitare  che succeda ancora, bisogna uccidere gli Anziani. >>
<< Tu stai giustificando uno stupro! >> urlai, in preda alla rabbia.
<< Io non lo sto giustificando! Non potrei mai. Quello che sto dicendo è che se tu >> disse indicando mio padre, << o tutti voi che state là e mi guardate come se fossi impazzita >> si rivolse ai miei fratelli, << Se foste nati nel loro villaggio... proprio voi che lo giudicate tanto, avreste fatto la stessa cosa! Quello che sto dicendo è che la colpa è di chi gli ha insegnato ad essere così ed il merito di Arsea è stato nel capire che ero più di un contenitore per sfornare figli, ma una persona; e l’ha potuto capire solo dopo che mi ha conosciuto, solo quando ha parlato con qualcuno che era stato educato diversamente. >> disse infervorandosi.
<< Calmati. >>  le disse Arsea vedendola diventare rossa dalla rabbia. << Io… difficile parlare come voi. Perl provo. So che non volete me qui. Io dovevo solo salvare Teresa. Ora posso... andare. >>
<< Che animo nobile. >>  disse mio padre con il tono più acido che potesse usare.
<< Ci è stato insegnato che quando vediamo qualcuno morire, la sua famiglia diventa parte della nostra, diventano fratelli, come Serin. Io non ho assistito alla sua morte, questo no, ma lui ha rischiato la vita per salvare me, anche ora, se lo dovessero trovare, verrebbe sicuramente ucciso. Questo non lo rende parte della nostra famiglia, in qualche modo? >>  ci chiese.
<< Stai prendendo le nostre tradizioni e le stai cambiando a tuo gusto e piacimento. >>
<< Io sto cercando di farvi capire. Potete pensare quello che volete, ma il punto è che lui mi ha salvata rinunciando a tutto, ed io non lo abbandono, perché mi è stato insegnato a comportarmi così; inoltre vi sto dicendo che esiste un modo per fermarli :attaccando gli Anziani. >>
<< Dove vai? >> mi urlarono dietro i miei genitori mentre già correvo per strada.
<< Dai fantasmi! >> gridai. Da quel momento  avremmo avuto un piano! 

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Capitolo 34
*** 34 ***


Corsi a perdifiato fino alla città fantasma, cercando Rodarth da ogni parte. Infine lo trovai nelle stalle, che guardava pensieroso i cavalli.
<< Eccoti! >> esclamai.
<< Che c’è? >> 
<< Come che c’è! Abbiamo un Figlio  del Vento! Non era questo, quello che volevi? >>
<< No. >>
<< No? >> ripetei stupita.
<< No. Lui non è quello che ci serve. >>
<< Ma che dici?! Volevi un Figlio del Vento e adesso ce l’hai. >> risposi con le labbra e I pugni stretti.
<< Ti dico che non è quello che aspettavamo. >>
<< E perché no?! >> era snervante non capire mai quello che gli passava per la testa.
<< Perché non è come diceva il vecchio. >>
<< E come doveva essere?>> chiesi innervosita, << Ti dispiace parlare? Raccontarmi tutto per bene? >>
<< Lui diceva che un giorno avremmo trovato un Figlio  del Vento… >>
<< Eccolo. È arrivato. >>  dissi interrompendolo.
<< Diceva che sarebbe stato diverso da tutti loro e diverso da tutti noi, e che dopo essere stato addestrato, ci avrebbe portato alla vittoria. >>
<< E non può essere lui? >>
<< Ti sembra diverso dagli altri? >>
<< Ha deciso di scappare, questo non lo rende diverso? >>
<< Non abbastanza. >> disse e  mi diede le spalle, dando da mangiare ai cavalli.
<< Va bene, non sarà quello che aspettavate. >>  ripresi dopo qualche minuto, << Ma è comunque uno di loro  e ci può insegnare a combattere, molto meglio di come abbiamo fatto finora. >>
<< E tu pensi che lo farà? Che combatterà contro il suo popolo? >>
<< L’ha già fatto. È andato contro la loro legge per mia sorella. >>
<< Esatto, per tua sorella. >>
<< Cosa vorresti dire? >>
<< Che l’ha fatto solo per lei. Quindi… potrebbe combattere contro di loro in caso che lei sia in pericolo, ma pensi che guiderebbe un assalto ai suo amici e fratelli? Che ci farebbe entrare di nascosto nella città? Che assassinerebbe la sua regina? >> aveva un tono arrabbiato e non riuscivo a capire il perché.
<< Forse no, ma  pur di difenderla, sarà disposto ad insegnarci.. È già qualcosa. E poi Teresa ci ha detto una cosa  importante. >> avevo aspettato fino all’ultimo per dirglielo, mi aspettavo che sarebbe saltato dalla gioia perché dopo la mia rivelazione avremmo avuto un piano.
<< Sarebbe? >> chiese senza alcuna curiosità, convinto che qualsiasi cosa non sarebbe servita a niente.
<< Ha detto che sono gli Anziani a comandare tutto, loro e la regina; che il resto del popolo non farebbe quello hanno fatto se non fosse per loro. Forse uccidendo gli Anziani, tutto questo avrà fine. >> conclusi sorridendo.
<< Forse… >>  rispose con tono dubbioso.
Se ne andò dalla stalla, lasciandomi sola con i cavalli. Restai qualche istante a fissarli, persa in una rabbia nei confronti di quel ragazzo che non capiva nulla. Poi, come in un lampo, mi venne in mente mia sia, Teresa che era tornata. Mia sorella era tornata! Mia sorella era tornata! Potevo pensare solo a questo, era con me…era tornata... e sarei anche diventata zia!
Corsi a casa decidendo che quello che Rodarth pensava o non pensava non era affar mio, tutto ciò che contava era avere la mia famiglia unita.



Nel frattempo, a casa, i miei genitori avevano raccontato a Teresa tutto quello che fosse successo da quando era stata rapita “da quell’uomo  innocente”, le ripetevano con fare ironico e rabbioso.
<< Quindi state dicendo che ci sono persone, famiglie, che sono rimaste nascoste nella città senza che noi ce ne accorgessimo? >>
<< Esatto >>  le rispose mia madre.
<< E come mai adesso hanno deciso di uscire allo scoperto? >>
<< Non so di preciso, credo che tua sorella li abbia convinti. >>
<< Mia sorella? La mia sorellina di undici anni?! >> chiese stupita.
<< Non sei l’unica ad essere cambiata >> le rispose mio padre.
<< Va bene. Sono stanca, dove… dove devo dormire? >>
<< Dormirai con Enn e i ragazzi, lo so, siete in tanti, ma dobbiamo arrangiarci per ora. >>
<< E… Arsea? >>
<< Per me può anche dormire nella stalla. >>  rispose mio padre. << O meglio ancora tornarsene da dove è venuto. >>
A quel punto Arsea iniziò a discutere con Teresa nella “loro” lingua.
<< Dormirò da qualche parte, non c’è motivo per cui io debba essere un peso per la tua famiglia. Andrò in una di quelle case abbandonate, qualcosa farò >>
<< Ma... >>
<< Non c’è nessun ma; faremo così. >>  disse ed uscì di casa.
Camminò per le vie di quella città per lui così sconosciuta. Aveva abbandonato tutto per ritrovarsi solo,  ma per lo meno lei era salva, era al sicuro. Sarebbe stata ancora più protetta se non l’avesse mai incontrato, se lui non l’avesse portata via. Fin da piccolo gli avevano insegnato che, ad un certo momento, gli Anziani gli avrebbero detto che era ora, che dovevano andare nelle città vicine e prendere una donna, avere  un figlio e continuare la stirpe. Gli avevano detto che chi si fosse opposto sarebbe dovuto morire, questo era il volere del Vento. Essere i padroni degli altri villaggi, dimostrare la loro supremazia,  così da non essere distrutti, questo gli avevano detto, per ore ed ore ed ore. E lui era convinto che fosse la cosa giusta. Per tutta la sua vita aveva creduto che il momento in cui avrebbe dovuto avere un figlio sarebbe stato perfetto, perché era questo che il Vento voleva, eppure non sentiva nessuna perfezione in tutto ciò, ma solo un enorme senso di colpa. Teresa era una ragazza buona, dolce, addirittura capace di perdonarlo, e lui era un mostro. Semplicemente un mostro.
Era perso in questi pensieri quando il vecchio dei fantasmi gli si avvicinò.
<< Capisci la mia lingua? >>  gli chiese di punto in bianco.
<< Si. >>
<< Perché sei venuto? >>
<< Tu chi sei? >>
<< Sei tu l’estraneo, quindi sono io a farti le domande. In ogni caso sono qualcuno che vuole tutta la tua gente morta. >>
<< Sono venuto per salvare Teresa. >>
<< E come l’avresti salvata portandola qui? >>
<< La volevano uccidere… Anziani. >>
<< E perché? >>
<< Lei parla con Vento. Loro non vogliono. >>
<< E credi che qui sarà al sicuro? Verranno. Prima o poi qualcuno di voi tornerà e noi non ci sottometteremo più, così la tua gente ci ucciderà e Teresa morirà. >>
<< Io prottegerò >> stava facendo una fatica enorme per parlare nella nostra lingua, ma aveva uno sguardo determinato.
<< Per proteggerla una persona sola non basta, non uno contro tutto il tuo popolo. Per salvarla ...  se davvero la vuoi salvare… ci devi insegnare a combattere, a combattere come voi. >>
Aveva ragione ed Arsea lo sapeva. Per quanto lui fosse un abile guerriero, da solo non sarebbe bastato, aveva bisogno di altre persone, quindi noi avremmo dovuto imparare, proprio dal nostro nemico.

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Capitolo 35
*** 35 ***


Iniziammo un duro e strano allenamento. Combattevamo con mani e con piedi, con unghie, morsi, con il nostro corpo. Loro non usavano armi, le loro braccia erano sufficienti a distruggere qualsiasi cosa, mentre noi non sapevamo se le nostre piccole, insignificanti, e soprattutto non addestrate mani, sarebbero state in grado di fare qualcosa di simile.

Arsea si faceva capire a gesti, quando il suo linguaggio non bastava, non c’era nessuno che gli facesse da interprete perché Teresa non venne mai a guardarlo combattere o a vedere come noi ce la stessimo cavando. Rimaneva in casa, con Glenne, si occupava di lei, ma soprattutto credo che pensasse e ripensasse a tutto quello che era successo. Era tornata in famiglia, al sicuro e aveva la possibilità, per la prima volta, di pensare a quello che le era successo e di cercare di capire se sarebbe mai più stata la stessa.

 

<< Te la stai cavando bene, addirittura meglio di me! >> mi disse Rodarth con imbarazzo.

<< Già, questa cosa delle mani mi viene più semplice, non ho bisogno di impugnare spade pesanti e ingombranti. >>

<< Sei brava pure nella preghiera >> disse con fare ironico.

La preghiera. Arsea ci aveva insegnato a parlare con la natura, a piegarci e a toccare la terra, ad assaporare il Vento, sentirlo scorrere dentro di noi e cercare di comunicare con esso; dovevamo farlo prima e dopo ogni addestramento.

<< Non mi prendere in giro. >> dissi arrossendo, sentendomi colpita e affondata. Mi piaceva toccare la terra con le mani e sentirmi tutt’uno con essa, ascoltare il rumore della pioggia sulle mie guance, sentire il Vento soffiare su di me, sulla mia testa, dicendomi di combattere, parlando solo con me e con nessun altro.

Ogni volta che un filo d’aria soffiava, io riuscivo a sentirlo, sapevo che in qualche modo mi voleva comunicare di andare avanti, di lottare, di essere pronta. Questo mi rendeva una di loro?! Me lo chiedevo continuamente.

<< Che fai, arrossisci? Tu? >>

<< Lasciami stare >> dissi dirigendomi verso casa.

 

Lungo il percorso incontrai il vecchio, l’uomo che nonostante tutto aveva deciso di dare retta ad una ragazzina di... dodici anni ... il mio compleanno era passato e non me ne ero neanche accorta.

<< Ciao >>

<< Finito l’allenamento? >> mi chiese.

<< No, sto solo andando a casa, controllo gli animali e poi torno qui >>

<< Bene. È meglio che ti alleni il più possibile, ho visto che sei brava >> disse guardandomi in modo strano.

<< Si, lo so >>

 

Il tempo passava, inesorabile, e la pancia di Teresa cresceva a dismisura, presto sarebbe finito il tempo, sarebbe nato mio nipote, e sarebbero arrivati i figli del Vento.

Il vecchio ci riunì nella piazza per parlarci.

<< Siete stati tutti molto valorosi, addestrandovi giorno e notte, lottando contro la stanchezza. Vi devo dire, però, che non siete, non siamo pronti. A breve i figli del Vento saranno qui, sfidandoli ora, moriremo tutti. Il mio consiglio, approvato da tutto il mio gruppo, da noi “fantasmi”, è di aspettare che vengano e lasciare che ripartano >> si iniziarono a sentire voci e urla di sottofondo.

<< Silenzio! Ascoltate! Abbiamo passato anni a prepararci e non lasceremo che la fretta rovini tutto. Non è questo il momento, non ancora. >>

<< E ti aspetti che noi lasciamo andare i nostri figli? >> chiese una donna

<< Mi aspetto che facciate ciò che è giusto. Il figlio che portate in pancia, nato dalla violenza, verrà preso, ma eviterete la morte dei vostri altri bambini, di vostro marito, dei vostri fratelli e concittadini. E non sto dicendo che lo terranno loro, sto dicendo che in questo momento non siamo pronti, ma li riprenderemo. Ricordatevi bene le facce degli uomini che li porteranno via, imprimetele nella vostra mente, perché avrete la vostra vendetta, l’avremo tutti. >> e se ne andò, lasciandoci ognuno perso nei propri pensieri.

 

Vidi Rodarth seguirlo, e mi avvicinai piano, mi tenni alla giusta distanza per non essere vista, ma poter ascoltare i loro discorsi.

<< Cosa vuol dire che non siamo pronti? Ci siamo allenati per niente? >>

<< Proprio tu me lo chiedi? Sai benissimo cosa aspettavamo, e quel qualcosa non è arrivato, non siamo in grado di sconfiggerli, non ancora >>

<< Ma io credevo… >>
<< So benissimo cosa credevi. Sei stanco di vivere questa vita con me, ma non l’ho scelto io, ci è stato affidato un compito e lo dobbiamo portare a termine >>

<< Sono passati quattordici anni dalla mia nascita, e tu già parlavi di questo compito a mio padre prima di me, sono convinto che non succederà mai e che io butterò la mia vita dietro alle tue follie, così come papà >> lo schiaffo arrivò violento e preciso sulla guancia di Rodarth.

<< Come osi? Ho sofferto per la morte di tuo padre quanto te. Ogni piccola parte del mio corpo mi ricorda piange per l’enorme assenza che è rimasta da quando lui se ne è andato. Era mio figlio! Non ti azzardare mai più a dire che ha buttato la sua vita dietro alle mie follie, lui, a differenza tua, credeva in quello che facciamo, aspettava con ansia il giorno in cui le nostre fatiche sarebbero servite a qualcosa >>

<< Lo aspetto anche io con ansia, per poter essere finalmente libero! >> urlò lui di rimando, con le lacrime agli occhi.

Durante tutta la conversazione rimasi in silenzio, nascosta dietro una casa, sempre in silenzio li guardai allontanarsi, ero piena di domande, ma sapevo che non avrei potuto ottenere una risposta, almeno non in questo momento.

 

Tornai a casa e trovai tutta la mia famiglia a discutere sul da farsi.

<< Non possiamo continuare a vivere nel terrore! >> urlava Rodd

<< Io dico di combattere  >> continuava Marcus.

<> disse mia madre.

<< Siamo diventati più forti, questo è vero >> disse guardando per un attimo Arsea << Ma non so se questo sarà sufficiente >>

<< Volete continuare a sottomettervi? >> chiesi io.

<< Sottometerci... >> ripeté mio padre, << No, ma nemmeno buttare le nostre vite senza motivo >>

<< E allora cosa dovremmo fare? >> chiesi

<< Lo so che è brutto, che sembra sbagliato, ma credo che quel vecchio abbia ragione. Ci siamo allenati duramente, abbiamo messo troppe cose in gioco per rischiare tutto per la fretta. Secondo me dobbiamo lasciare che vengano e che se ne rivadano, poi avremo tutto il tempo per continuare a prepararci, specie perché potrebbero passare anni prima del loro ritorno >> disse mio padre, con la sofferenza dipinta nel volto.

<< Ma tu non eri quello che voleva scappare piuttosto che sommettersi? >> sbottò Rodd.

<< Si... certo… ma prima che succedesse tutto quello che è successo. Adesso credo che questa sia la soluzione migliore. >>

<< E… noi? >> chiese timidamente Teresa

<< Voi? >>

<< Si, noi, Arsea, il bambino ed io. >>

<< Voi farete quello che avevate programmato all’inizio. Vi nasconderete ed aspetterete che se ne vadano. Non penseranno mai che noi possiamo ospitare un nostro nemico >> disse guardando con disprezzo Arsea.

<< E poi? >>

<< E poi... e poi si vedrà! Non ho tutte le risposte! Anzi, non ne ho nessuna. Vi sto dicendo cosa penso sia meglio secondo me. >>

<< Mamma? >> chiesi guardandola, ancora non aveva espresso la sua opinione.

<< Lo so che sembra egoista, ma noi non perderemo niente lasciando che vengano e se ne rivadano; non prenderanno nessuno di noi. Ho già rischiato di perderti, Teresa, e non voglio rischiare di perdere anche voi altri, soprattutto senza un valido motivo… cioè... ancora non siamo pronti.>>

<< Non posso credere che tu faccia un discorso del genere! >> esplose Marcus, << Non puoi pensare solo a te stessa! >>
<< Non penso a me, penso a voi. E penso che nessuno è ancora pronto per la guerra, ma che presto lo saremo >>

Il discorso di mia madre ci lasciò senza parole. Era sempre stata la prima a voler aiutare gli altri, chiunque, persino chi non conoscevamo, eppure, in quel momento era pronta a lasciare che altre persone soffrissero, che madri vedessero i loro bambini sparire, che quelle donne che erano state rapite e violentate andassero incontro ad un’altra sofferenza. Tutti i nostri sforzi erano stati vani, avevamo passato mesi a prepararci, e non avremmo dovuto fare niente? Tutto questo avrà mai fine?!

Uscii di casa e mi diressi dai fantasmi, dovevo sapere cosa stessero aspettando.

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Capitolo 36
*** 36 ***





Mi rivolsi a Rodarth, l’unico che forse mi avrebbe dato una risposta.
<< Ho bisogno di sapere. >>
<< Sapere cosa? >> chiese mentre fissava una delle case di fronte a lui che, come tutte quelle della città fantasma, era completamente distrutta.
<< Cosa state aspettando, perché non volete combattere, perché dite che è troppo presto. Voglio sapere tutto. >>
Rodarth sospirò.
<< Dammi una risposta, ti prego. >>
<< La vedi questa sottospecie di casa? Senza nemmeno un tetto decente? È qui che io sono cresciuto. In questo posto distrutto e maleodorante. Noi dovevamo essere gli eroi, quelli che prima o poi avrebbero distrutto il nemico… prima o poi. Intanto gli anni sono passati, i miei genitori sono morti e io sono ancora qui… ad aspettare ciò che non verrà mai. 
È inutile che ti dica cosa stiamo aspettando, perché non ha senso. Abbiamo passato tutta la vita nell’attesa di un qualcosa, basandoci su quello che ci è stato detto, su quello che ci è stato insegnato. E non succederà mai. >>
<< Ma cosa? >>
<< Lo vuoi così tanto sapere- disse guardandomi con disprezzo- per te è così importante e per me non vale nulla; eppure è la mia vita che si è distrutta dietro a questo. I miei genitori sono morti, ho passato la mia infanzia con mio nonno ad insegnarmi le sue “magie” perché qualcuno doveva pur sapere cosa fare, nel caso lui fosse morto prima del tempo.>>
<< Magie?! >> esclamai.
<< Non ti entusiasmare, non siamo stregoni, non ho poteri magici né niente. Secondo mio nonno, però, qualcuno li dovrebbe avere  e noi lo dovremmo addestrare, sempre secondo lui. Quindi sappiamo quali saranno i suoi poteri, le sue capacità, una volta che gliele avremo insegnate. So parlare una lingua che te non comprenderesti mai, so in quale modo questa persona potrebbe uccidere i nostri nemici, ma questa persona non verrà mai! E i miei genitori sono morti per questo! >>  disse con lo sguardo pieno d’odio, rancore e sofferenza.
<< Come...  come sono morti? >> chiesi
<< Ci hanno detto che quest’uomo, o questa donna, sarebbe stato uno di loro, ma che comunque sarebbe appartenuto a noi, in qualche modo. Sarebbe stato uno di noi, e noi l’avremmo riconosciuto. 
All’inizio- disse dopo una piccola pausa- credevamo che noi lo dovessimo cercare. Quindi mio padre decise di andare nel loro villaggio per cercarlo, ma ovviamente non trovò niente, se non la morte. Non fece mai ritorno. Io avevo sei anni. Da quel momento mia madre non riuscì più a... vivere … >>  mi guardò senza continuare.
<< Mi dispiace >> gli dissi toccandogli un braccio.

La conversazione era finita, così, nel vuoto; rimanemmo in silenzio per molto tempo, finché semplicemente mi alzai, gli diedi un bacio sulla guancia e me ne andai.
Non so cosa fece Rodarth dopo la nostra conversazione, io mi diressi a casa, con le idee ancora più confuse di prima, i pensieri che giravano all’impazzata. Aveva parlato di magia, magia! Non siamo stregoni, aveva detto, però aveva comunque parlato di magia, o di poteri, insomma, qualsiasi cosa fosse, sarebbe stata un’arma! Un’arma che ci avrebbe salvato… poi aveva detto dei genitori... doveva aver sofferto molto, tutta la sua vita con quel vecchio burbero per il quale nessuno sforzo sarebbe mai stato abbastanza. Avrei voluto fare qualcosa per lui, ma non sapevo cosa. Poi mi venne in mente Serin, così, dal nulla. Pensai a come avessi voluto aiutarlo, quasi un anno fa, a come avessi convinto i miei genitori, a come fosse diventato un nostro fratello. Io avevo tanti fratelli, Rodarth nessuno, nessuno con cui confidarsi, a cui chiedere aiuto… doveva essere tanto solo. Forse se avessi raccontato ai miei genitori quello che mi aveva detto, loro avrebbero potuto fare qualcosa... ma sarebbe stato come un tradimento... 
Eppure non riuscivo a smettere di pensarci, in più rimaneva il fatto che tutti i nostri allenamenti sarebbero stati abbandonati o per lo meno accantonati. 
Così mi decisi.

<< Ho parlato con Rodarth, oggi… >> esitai
<< Sì, quindi? >> disse mio padre alzando appena lo sguardo.
<< Mi ha detto cosa stanno aspettando. Dice che doveva arrivare qualcuno appartenente sia al Vento, che a noi… qualcuno a cui avrebbero dovuto insegnare delle… magie >> conclusi, piena di dubbi. Mio padre alzò gli occhi e mi guardò in un modo strano che non riuscii a decifrare. Poi si alzò e andò in camera da letto, dove rimase per molto tempo a parlare con mia madre. Credetti che stessero decidendo cosa fare, forse stavano pensando che ci eravamo affidati a dei pazzi, che credevano in poteri magici e che  quindi eravamo spacciati.
Poi scese le scale.
<< Chiama i tuoi fratelli, dovete essere tutti qui. Solo la famiglia >> disse guardandomi intensamente, a sottolineare come dovessimo essere solo noi, non Arsea.
Dopo pochi minuti i miei due fratelli sedevano uno accanto all’altro, Teresa in una poltrona, con la mano sulla pancia ormai enorme, Serin ed io a un capo del tavolo e i miei genitori al lato opposto.
Poi mio padre iniziò a camminare per la stanza, visibilmente nervoso.
<< Cosa succede? >>  chiese Rodd.
Mio padre continuava a camminare e noi iniziammo a guardarci preoccupati, specie perché il volto di mia madre era pieno di dolore.
<< C’è qualcosa che dovete sapere… qualcosa di molto… lungo, complesso... che… non so da dove cominciare >>
<< Papà ci stai spaventando! >> disse Marcus.
Mio padre sospirò e  poi iniziò a parlare.
<< Forse dovrei cominciare dall’inizio, ma l’inizio mi era sconosciuto fino al momento della fine… Sto facendo confusione.
Va bene vi racconterò come ho saputo io ogni cosa, nel mio ordine. 
Qualche mese dopo esserci sposati, vostra madre rimase incinta. Eravamo felici, come ogni coppia può essere felice. Poi partorì… e nacque una bambina. Così bella, paffuta, con le braccia e le gambe rosee >>  si fermò per avvicinarsi a sua moglie e  poggiarle una mano sulla spalla.
<< Potemmo guardarla solo per qualche istante, prima che la Signora del Vento venisse da noi. >>
<< La… >>  iniziò Marcus.
<< La Signora del Vento. Ricordo le sue esatte parole “Quell’essere che hai partorito non è nato da te, non è il tuo corpo ad averlo generato, ma il mio”. Ci disse che la bambina era sua, che se la sarebbe presa e che, se anche ci fossimo opposti, sarebbe stata la nostra stessa figlia ad ucciderci >>
<< Teresa… >>  dissi io guardandola.
<< Non… non era Teresa >> continuò mia madre. << Tenemmo la bambina per un anno esatto, quando ci accorgemmo che i suoi cambiamenti… erano... evidenti, pericolosi. Era velocissima, forte, ed aveva gli arti ricoperti di peli >> Teresa sussulto quando capì di chi stesse parlando.
<< In ogni caso... >>  continuò mio padre,<< Dopo… l’intrusione della Signora del Vento nelle nostre vite, andammo a parlare con mia madre, chiedendole se lei sapesse qualcosa.
Ci disse che durante la loro invasione precedente, mio padre era stato portato via, senza più fare ritorno. In quell’attacco avevano preso le donne, come sempre, ma anche un uomo, quello scelto per dare alla luce la nuova regina. Eppure qualcosa, non sapeva cosa, era andato storto, e mia madre era stata svegliata nel cuore della notte dal pianto di un bambino. Era poggiato sul letto, accanto a lei, poi il Vento l’aveva attraversata, e le aveva, non so bene come, fatto capire che quel bambino era figlio di suo marito e della Signora del Vento. Lei mi aveva cresciuto come suo figlio, anche se sapeva perfettamente come non lo fossi. >> mio padre esitò un attimo, prendendosi una pausa. 
<< Quando la bambina nacque, la Signora del Vento venne a prendersi la sua nuova principessa, quella che sarebbe dovuta nascere al posto mio >> disse mio padre concludendo e sedendosi, esausto.

Rimanemmo in silenzio per non so dire quanto tempo, poi iniziammo a balbettare tutti insieme.
<< Abbiamo... abbiamo il sangue del Vento >> disse Rodd, tra il meravigliato e il disgustato.
<< Siamo come loro... siamo loro! >> continuavo a ripetere all'impazzata.
I miei genitori si tenevano la mano, senza più parlare, erano come vuoti, avevano perso quel segreto che li aveva divorati per tanto tempo.
Poi realizzai:
<< Sei tu! Cioé… siamo noi! >>
<< Noi cosa? >> chiese Marcus.
<< Quello che stanno aspettando i fantasmi. Siamo noi! Siamo parte di questo villaggio, ma siamo anche parte di "loro"... oh... impareremo a fare magie! >> conclusi entusiasta.
<< Aspetta, non abbiamo ancora deciso se parlarne o no con il resto della gente. Abbiamo tenuto questo segreto per quasi vent'anni, ora… dobbiamo pensare prima di fare qualsiasi cosa >>
<< Cosa c'è da pensare?  È così… e i fantasmi lo sapevano da tutta la vita; ci stavano aspettando e noi siamo qui >>
<< Vuoi riflettere per un secondo? >>  disse Teresa prendendo la parola all'improvviso. << Vuoi che tutti ti guardino e pensino "Lei è una figlia del Vento, fa parte di quei… mostri"? Perché è così che ci guarderanno... ancora di più  per me... che aspetto un loro figlio >>
<< Teresa, noi dobbiamo dirlo, è nostro dovere >> disse Marcus.
<< Devo... non ancora... >> rispose uscendo dalla stanza e lasciandoci tutti ancora più confusi.
<< Quello che dice Teresa non ha importanza, noi dobbiamo parlare! Potremmo essere l'unica speranza per sconfiggerli! >> disse Rodd.
<< Lasciateci riflettere per un po' >> rispose mio padre.
<< No! >>
<< Enn? >>
<< No. Non spetta a voi riflettere. Siamo stati tutti segnati da questa guerra, ognuno di noi. Siamo tutti cresciuti prima del dovuto, abbiamo visto morte e violenza, con i nostri occhi. Non spetta a voi decidere. Avete lasciato passare vent'anni prima di parlarne alla vostra famiglia, a noi; dobbiamo aspettare altri vent'anni prima di parlarne con i fantasmi? Prima di fare qualcosa? Io non manterrò questo segreto perché voi non sapete decidere, o per vergogna o perché non voglio essere vista come un mostro dal resto del villaggio. É la cosa giusta da fare e la farò con o senza di voi >>

Dopo questo mio monologo seguirono esclamazioni di assenso da parte dei mie fratelli, su cui non avevo alcun dubbio, e il silenzio dei miei genitori, altra cosa di cui ero certa. Infine, senza più dire nulla, ci alzammo e ci dirigemmo verso la porta, per andare a liberarci di questo segreto.
<< Dove andate? >>  disse Teresa spaventata quando le passammo davanti. Sedeva sotto il portico, con la mano sulla pancia e Arsea al fianco; ebbi il sospetto che gli avesse detto tutto, ma non potevo saperlo, visto quanto si vergognava di essere una di "loro".
<< A fare la cosa giusta >> risposi.
<< Bene. Io non vengo >>
<< Puoi anche non venire, ma noi comunque diremo la verità e tu sarai l'unica ad essere rimasta qui, l'unica a non voler combattere.>>

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Capitolo 37
*** 37 ***


ll tragitto verso i fantasmi fu breve e silenzioso.
Non ricordo le parole di mio padre, non ricordo la risposta del Vecchio, ma ricordo le facce.
La mia era un misto tra l'imbarazzo e la felicità, la possibilità di fare qualcosa, e, soprattutto, la soddisfazione nel vedere il volto del Vecchio illuminarsi dopo aver realizzato che non doveva più attendere, che era vissuto abbastanza per agire.
Il volto di Rodd, concentrato, attento, pronto a combattere, e quello di Marcus, decisamente più... colpevole, forse il suo pensiero era più vicino a quello di Teresa di quanto lui stesso avesse immaginato.
Le facce dei miei genitori mostravano solo imbarazzo e senso di colpa, profondo senso di colpa, che probabilmente non li avrebbe lasciati mai.
Realizzai in quel momento il valore e le conseguenze delle mie azioni: quando mio padre era andato nel bosco per controllare la casa, non si era trovato di fronte ad una nuova avventura, ma un ritorno al passato, probabilmente ad un momento di enorme sofferenza. Ero stata io a spingerlo ,Serin ed io, senza un minimo di preoccupazione per quello che avrebbero generato le nostre azioni.
<< Adesso bisogna iniziare a lavorare >> stava dicendo il Vecchio, sprizzando gioia da tutti i pori. << Rodarth... Rodarth! Vieni qui! Dove sarà?! Non c'è mai quando serve... Restate qui. Lo vado a cercare. Non vi muovete mi raccomando! >>
Tornò dopo una decina di minuti con suo nipote al seguito, con lo stupore dipinto sul volto.
<< Allora..adesso dovremo iniziare l'addestramento... uno, due, tre, quattro... siete solo in quattro! >>
<< No, siamo in cinque, vedi? >> 
<< No, siete quattro; tua madre non conta. Dov'è l'altra figlia? Ah... è incinta! Questo è un problema...un problema... >> parlava più a se stesso che a noi. Così fu Rodarth a spiegarci.
<< Dobbiamo addestrare tutti voi... che avete il... ecco... il loro sangue, cioè il vostro sangue... insomma voi che avete il Vento nelle vene >> non l'avevo mai visto così titubante.
<< Quindi io? Non servo a niente? La ragazza del bosco è mia … figlia >>
<< Sì, ma voi non avete sangue del Vento nelle vostre vene, signora.>>
<< Capisco. >>
<< Allora dovremo aspettare che Teresa partorisca, altrimenti non ci potrete allenare? >>
<>
<< Quindi tra un mese, un mese e mezzo >>
<< E nel frattempo? >>
<< Nel frattempo nulla, aspetterete, così come abbiamo aspettato noi per tutta la vita.>>

Un mese, mancava solo un mese, e poi avremmo imparato ad usare la magia! Per me e i miei fratelli c’era solo eccitazione, voglia di combattere, emozione, felicità; per mio padre c’era ancora un vago senso di colpa, che aleggiava sulla sua testa ricordandogli come tanti anni prima avesse abbandonato la sua primogenita; per Teresa esisteva solo la paura, tanta, immensa: paura di essere giudicata, paura di essere davvero una figlia del Vento, paura per il bimbo che sarebbe nato e paura di dover combattere. Noi eravamo quelli che da questa storia avevano ricevuto la possibilità di essere addestrati, per il resto della mia famiglia, le cose erano diverse.
Mia madre era quella che stava peggio, aveva il senso di colpa, lo stesso di mio padre, ma non c’era nulla di buono a sollevarle il morale, non avrebbe combattuto, non come noi almeno, non avrebbe imparato nessuna magia, non avrebbe ottenuto nulla, se non un’enorme ferita che negli anni le era parso di aver rimarginato, mentre invece era rimasta sempre lì, nascosta sotto strati di pelle.
Poi c’era Serin. Non parlava, come sempre, non aveva detto nulla da quando aveva saputo la nostra verità, ma io lo conoscevo bene e sapevo leggere i suoi pensieri. Era solo come non mai, aveva perso tutto e tutti, suo padre, sua sorella, sua madre, che era ancora in vita, ma era come se non ci fosse, e adesso aveva perso anche noi. Non eravamo fratelli, ma fratelli nel sangue, legati dalla morte, e adesso comprendeva quanto questo volesse dire: potevamo condividere la casa, mangiare lo stesso cibo, ma lui comunque non era e non sarebbe mai stato nostro fratello.
Infine Glenne; non era cambiato nulla in lei, perché non le avevamo detto nulla e,  in ogni caso, non lo avrebbe capito. Continuava a svegliarci urlando nella notte, a volte bagnava il letto, e non si alzava né lavava o mangiava a meno che non fosse mia madre, con tanta pazienza, ad aiutarla. Parlava poco o niente, e se diceva qualcosa, il più delle volte non aveva alcun senso. L’avevamo persa quando era morto suo marito, o forse ancora prima, alla morte della figlia, in ogni caso non era più la madre di Serin, e nessuno di noi aveva idea di come farla tornare indietro. Inoltre, per quanto brutto possa sembrare, in quel momento la sua salute non aveva importanza, almeno non per noi… figli del Vento.
<< Come stai? >> chiese Arsea a mia sorella nella loro lingua… o forse dovrei dire nella nostra.
<< Bene >>
<< Non hai mangiato molto oggi, devi nutrirti, lo sai >>
<< Sì, lo so >>
<< Teresa… sei arrabbiata con me? >>
<< Con te? >>
<< Da quando hai saputo della tua famiglia ogni cosa che ho detto, o fatto, non è andata bene. Sembra... sembra come all’inizio >>
Mia sorella semplicemente non rispose, la nostra casa era piena di silenzi, erano cominciati con Serin e adesso continuavano con lei e con mia madre, che ci evitava tutti, rifugiandosi sempre più spesso nella stanza di Glenne con la scusa di doverla aiutare, mentre sapevamo tutti come in realtà volesse solo nascondersi.
Credo che si vergognasse molto, adesso  sapevamo come i nostri genitori avessero abbandonato la loro primogenita per puro egoismo, o paura, o non so bene cosa, ma in ogni caso c’era stato un cambiamento: ai nostri occhi non erano più quelle persone che avevamo imparato a conoscere, i cestini che preparavano per il resto del villaggio non sembravano più un gesto di bontà, ma un modo per liberarsi del loro senso di colpa, come se così facendo potessero compensare a quanto male avessero fatto o credessero di aver fatto.
In ogni caso avevamo smesso di rispettarli.
 Teresa non rispondeva a nessuno di noi, perché avevamo confessato il nostro segreto e era in collera con i nostri genitori per aver creato questo segreto.
Io ed i miei fratelli passavamo sempre meno ore con il resto della nostra famiglia, per lo più giravamo intorno ai fantasmi, sperando che vedendoci lì vicino si sarebbero decisi ad iniziare prima il nostro addestramento.
Nel frattempo il tempo passava, le pance crescevano ed arrivò il momento. 
Al cominciare del nono mese, Teresa ed Arsea si trasferirono in una delle case distrutte della città, la più isolata possibile e circondata da fantasmi, nascosti in angoli dove nessuno di noi li avrebbe trovati, ma pronti a difendere, in caso di necessità, questa figlia del Vento a metà, che sarebbe stata importante per la nostra futura rivolta.

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Capitolo 38
*** 38 ***



Dopo che noi avemmo confessato il nostro segreto, il Vecchio radunò tutto il villaggio per parlare loro, noi sapevamo già cosa avrebbe detto..
<< In questi giorni tristi c’è finalmente una bella notizia. Abbiamo aspettato per anni l’arrivo di qualcuno che avesse sia il sangue dei nostri nemici sia le nostre credenze, che sarebbe stato così forte  da poterli distruggere. C’era stato profetizzato il suo arrivo. E noi aspettavamo un uomo o una donna, uno soltanto. Invece questa volta il mondo e la Natura sono stati buoni con noi: abbiamo un’intera famiglia che sarà addestrata e pronta per combattere.>>
Iniziarono a sollevarsi delle voci, volevano sapere chi fosse questa famiglia. Ognuno di noi guardava in basso, tentando in qualche modo di mimetizzarsi con la gente, ma sapevamo che di lì a.. un secondo?.. il vecchio avrebbe parlato di noi.
<< Stefan, Teresa, Enn, Rodd e Marcus; sono  loro >> si sollevarono cori di dubbi ed esclamazioni di sorpresa.
<< E come facciamo a saperlo? Sono stati con noi per tutta la vita, perché adesso dovrebbero essere questi prescelti? >>
<< Fidatevi >>
<< Ma quale” fidatevi”... noi vogliamo sapere! >>
E così mio padre fu costretto a raccontare tutto ancora una volta, a vedere le facce dei suoi concittadini mutare davanti ai suoi occhi, passando dalla consueta ammirazione allo stupore, rabbia e persino orrore.
Quando mio padre smise di parlar il Vecchio continuò:
<< Non fatevi ingannare dal suo tono triste e colpevole, questa è una buona notizia, vuol dire che finalmente avremo una possibilità, forse addirittura probabilità di fermarli, ma solo dopo che si saranno addestrati >>
<< E quanto durerà l’addestramento? >> chiese qualcuno tra la folla.
<< Vedremo, è qualcosa che non è mai stato fatto prima, non posso darvi un tempo preciso, quello che so è che con loro ce la possiamo fare. È tutta la vita che li aspetto! >> concluse, sprizzando gioia da tutti i pori. C’è da dire che a questo vecchio burbero non importava nulla delle nostre sofferenze, delle nostre paure, per lui era finalmente arrivato il suo momento, l’ora di agire, non c’era spazio per nient’altro.
Così il villaggio si rassegnò ad aspettare ancora, dopo la nascita di mio nipote noi saremmo stati addestrati, dovevamo solo pazientare un altro po’.
All’arrivo dei Figli del Vento nessuno si ricordò della gioia provata da un uomo che doveva essere la nostra guida, nessuno pensò che avremmo mai avuto qualche speranza. Ogni persona del villaggio si nascose nelle proprie case, nel silenzio più totale, cercando persino di non respirare pur di sentire gli zoccoli dei cavalli segnare il loro arrivo. 
Tutto avvenne in così poco tempo : varcarono i cancelli del villaggio, entrarono nelle case e presero i bambini. Videro gli uomini inermi, che stringevano i pugni e si costringevano a non agire, sperando che il Vecchio avesse ragione; strapparono i neonati dalle braccia delle loro madri che si gettarono per terra ed implorarono pietà.
Gli Uomini del Vento non risposero alle suppliche, né con gesti né con parole, non alzarono le mani e non combatterono con nessuno, non c’era  motivo per battersi, avevano già vinto. Lo scontro avrebbe dovuto esserci la prima volta che arrivarono, quando ancora avevamo la possibilità di opporci e morire,  adesso erano solo venuti a prendere la loro ricompensa.
Se ne andarono rapidi e silenziosi, lasciando nei nostri animi la voglia enorme di vendetta, la disperazione e il vuoto più totale.
Nella mia famiglia il terrore era maggiore rispetto a tutti gli altri, la nostra paura era che qualcuno trovasse Teresa, perché in quel caso non sarebbe stato solo un bambino ad andarsene, ma sicuramente anche Arsea e mia sorella avrebbero rischiato la morte.
Eppure i figli del Vento non pensarono neanche lontanamente a cercarli, ognuno andò diretto  alla casa dove si sarebbe trovato suo figlio, non so, forse avevano visto dove erano entrate le donne quando erano tornate al villaggio, forse avevano un qualche tipo di senso in più che gli permetteva di trovare rapidamente il proprio figlio, fatto sta che tutto avvenne molto velocemente e in poco tempo la minaccia passò.










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Capitolo 39
*** 39 ***



Così ebbe inizio l’addestramento.
I fantasmi ci riunirono in una piazza dove molti curiosi si affollavano per vederci.
Eravamo tutti stretti l’uno all’altra, timorosi di quello che sarebbe potuto succedere.
<< Bene, inizieremo con qualcosa di semplice... Rodarth, fagli vedere >>
Rodarth prese un bastone, lo toccò appena con le mani ed il bastone andò in mille pezzi.
<< Questo si chiama Tresana: significa che l’energia del vostro corpo si concentra in un solo punto, arrivando a distruggere quello che tocca. Per noi sono serviti anni ed anni per impararlo, a voi dovrebbe bastare molto meno >>.
<< Certo! Dimmi cosa devo fare e lo faccio! >>  esclamò Rodd, entusiasta.
<< Prendete tutti un legnetto, di piccole dimensioni, le più piccole possibili… per iniziare non potrete rompere un bastone, ma qualcosa di leggero, che riuscireste a spezzare anche con la forza normale. Adesso poggiatelo nel palmo della mano e  focalizzate la vostra attenzione sul legno, non dovete pensare a nient’altro, esiste solo il legno... solo il legno... guardatene il colore, sentitene il peso, la consistenza sulla vostra mano, provate ad immaginare la sensazione di romperlo, a sentirne il contatto, persino a sentire le vostre emozioni una volta che ci sarete riusciti. Prendetevi tutto il tempo di cui avete bisogno, poi toccatelo con l’altra mano, dovete solo toccarlo e si romperà. Non fate nulla finché non sarete sicuri di poterci riuscire >>
A parole sembrava molto semplice, concentrarsi e poi romperlo, non usando la forza, ma solamente toccandolo. Eppure dovevamo svuotare le menti, per noi sarebbe dovuto esistere solo quel pezzo di legno, nient’altro.. cosa più facile a dirsi, che a farsi.
Il primo a cedere fu proprio Rodd.
<< Io non capisco cosa dovrei fare! >>
<< Quello che ho detto, continua a concentrarti, senti la sensazione del legno sulla mano, la consistenza, la forma e immagina di romperlo. Chiudi gli occhi, ti potrebbe aiutare >>
La folla iniziò a diradarsi, alcuni lamentandosi e dicendo che non avremmo mai avuto alcuna speranza; I fantasmi li rincuorarono spiegando  come il primo esercizio fosse effettivamente il più difficile, tutto il resto sarebbe venuto da sé.
Non so dire quanto tempo passò, I nostri muscoli iniziarono a dolere per la posizione, la mano tremava per la stanchezza e soprattutto le nostre menti urlavano : “ Questo non ha alcun senso”.
Poi sentimmo il Vento. Soffiò sopra le nostre teste, entrò nella pelle, come sussurrando parole di conforto, di calma e d’incoraggiamento , e, in quel momento, ognuno di noi toccò il pezzo di legno, non con la speranza di romperlo, ma con la certezza matematica che sarebbe successo.
Il vecchio rimase senza parole, e noi anche; si aspettavano che ci saremmo riusciti, ma non tutti insieme, non nello stesso momento.
<< Beh…direi che questa è la conferma della veridicità della vostra storia. Vediamoci domani all’alba >>
E così finì la nostra prima giornata. Nessuno parlò nella strada verso casa, né noi, che eravamo esausti e stupiti da quello che era successo, né Arsea, mia madre o Serin che erano stati per tutte quelle ore ad osservarci pazientemente.

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Capitolo 40
*** 40 ***


I giorni seguenti furono un susseguirsi di prove esasperanti, non tanto dal punto di vista fisico, quanto mentale. 
Dovevamo passare ore a fissare oggetti insignificanti per poi romperli, così come avevamo fatto con il pezzetto di legno, aumentando pian piano le dimensioni. Per i primi giorni continuammo a svolgere gli esercizi insieme, riuscendo nel tentativo solo nel momento in cui il Vento soffiasse su di noi; poi i tempi cambiarono. Ognuno di noi aveva un modo diverso per concentrarsi e portare a termine il compito, non dovevamo più aspettare un segno dal cielo, ma eravamo noi stessi a controllare il Vento, sentendolo nelle nostre mani, nei nostri corpi, come parte di noi stessi .
I fantasmi erano soddisfatti di ogni più piccolo insignificante progresso, addirittura estasiati.
<< Bravissimi! Fantastico! >>  non faceva che ripetere il Vecchio, da burbero che era si stava trasformando in un uomo raggiante, contento di ogni più piccolo risultato. 
<< Sei stata brava oggi >> mi disse Rodarth alla fine di un’altra giornata di lavoro.
<< Certo, sono riuscita a spezzare un sassolino >>  risposi in tono ironico, << Di questo passo tra cent’anni il mio lavoro servirà a qualcosa >>
<< Vedrai come tutto diverrà più facile, ogni cosa ti sembrerà automatica >>
<< È successo così per te? È diventato tutto automatico? L’attesa, gli esercizi... la solitudine >> ci sedemmo per terra, sul bordo della strada che, passando accanto al sentiero del bosco, portava a casa mia..
<< Con il tempo… >>
<< Il tempo… e quanto tempo credi che dovremo aspettare? Sembra che tutto stia perdendo significato. Ogni giorno è uguale al successivo, cambiano solo gli oggetti, e non posso  più  cavalcare, o addirittura studiare >>
<< Andiamo ora!>> esclamò lui, preso da un attimo d’impulsività. Corremmo fino a casa, sellammo i cavalli e partimmo per una passeggiata.
Trascorremmo la maggior parte del tempo in silenzio, nel sentiero verso la città che un tempo era Marra e di cui adesso non era rimasto nulla.
<< Ci sei mai stata? >>  disse indicando il cartello che avrebbe portato verso il villaggio distrutto.
<>
<< Già, sei brava... >>
<< Te non ti sei mai spostato, vero?A parte quando sei venuto al mercato… >> dissi dopo alcuni minuti di silenzio.
<< No, ho trascorso tutta la mia vita aspettando te e la tua famiglia >>  rispose lui, con una punta di risentimento, << E voi eravate già qui >>
<< Non lo sapevo, non sapevo nemmeno che ci stavate aspettando, o che stavate aspettando qualcuno.. non sapevo della vostra esistenza >>
Dopo alcuni secondi presi le redini con la mano sinistra e  spinsi leggermente sulle staffe fino ad arrivare a toccargli un braccio con la destra..
<< Andiamo! >>
<< Dove? >>
<< Nel villaggio. Andiamo adesso. Voglio vedere come è stato ridotto e così tu uscirai di qui >>
<< Ma quanto ci vorrà? Te hai l’addestramento all’alba >>
<< Ci vorrà un’oretta e mezza, un’ora al galoppo, e all’alba manca ancora tantissimo >>
<< Ma non sei stanca? >>
<< Sì, sono stanca. Sono tre settimane che non faccio altro che svegliarmi, andare nella piazza e fissare uno stupido sasso, o pezzo di legno, o bastoncino, rimanere ferma in una rigida posizione finché non sarà stato  distrutto, poi cambiare oggetto, tornare a casa, dormire e svegliarmi per ricominciare ancora >>
<< Ci sei quasi, un paio di giorni e potrai iniziare a fare cose serie, che io non ho mai nemmeno immaginato di poter realizzare >>
<< Ancora un paio di giorni, certo, ma nel frattempo ho bisogno di correre via >>  e iniziai a galoppare, sapendo che mi avrebbe seguito.
La galoppata servì a farmi tornare le energie, a sentirmi libera, veloce e potente, il vento tra i capelli, la velocità, il rumore degli zoccoli sul sentiero, ta-ta-tan ta-ta-tan, attutiti dal terreno soffice, tutto mi rendeva nuovamente felice, potevo quasi sentire la mia anima ricomporsi.
 Rodarth era al mio fianco, galoppava bene, seguiva il ritmo del cavallo ed era un tutt’uno con lui.
Arrivammo alla città nel giro di un’ora, così come avevo predetto, smontammo e portammo i cavalli a bere nel fiume; erano madidi di sudore.
<< Sei una prepotente >> mi disse ridendo e dandomi una spinta sulla spalla.
<< Io? E perché? >>
<< Perché mi hai costretto a seguirti, senza avvertire nessuno, anzi sei incosciente >>
<< Non ti ho obbligato a seguirmi, potevi benissimo restare indietro o tornare a casa, smontare, dissellare i cavalli e dire ai miei genitori dove ero andata >>
<< Sì, certo, e lasciarti da sola >>
<< Perché no?Mi sembra che la strada la conosco molto meglio di te >>
<< È un modo per dire che la mia presenza non serve a nulla? >>
<< Beh... mi fai compagnia, ma non sei indispensabile! >>
<< Grazie mille >> rispose fingendosi arrabbiato.
Camminammo tenendo i cavalli per le briglie, percorrendo tutto il villaggio, di cui non era rimasto nulla. C’erano case diroccate, strade abbandonate, erbacce e tronchi buttati qua e là, nessuna traccia di persone; la desolazione più totale.
Ci sedemmo per qualche minuto su di un prato, ognuno perso nei propri pensieri, infine, con un sospiro, ci decidemmo a tornare indietro, alle nostre vite.

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