Assassina

di vesta
(/viewuser.php?uid=349074)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Sera: seconda vita ***
Capitolo 4: *** La serata ***
Capitolo 5: *** Bella Addormentata ***
Capitolo 6: *** Azzurro coraggio ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


“L’hai ucciso, sei stata tu.”
“Assassina”
“Tu vivi, lui è morto”
 
Tutte le notti lo stesso incubo.
 
“Luce è ora!”
“è giorno!”
“Sei in ritardo…”
“è uscito l’ultimo CD di quel cavolo di cantate… Come si chiama… J-J-J qualcosa…”
“JEMIE CARTERA!!!!! Devo andare a comprarlo, ora subito!!! Levati Carmen!”
“Stavo scherzando… Non è uscito un niente di un bel niente se non la tua puntualità!”
“Cosa? Oddio ma sono le otto e mezza!!!!!!”
 
Prendo la mia borsa dal pavimento della stanza e volo letteralmente fuori dalla porta. Non mi ero assolutamente accorta che fosse così tardi! Dovevo essere al lavoro mezz’ora fa… Mara questa volta mi licenzia!
Cerco di entrare di nascosto dalla porta sul retro del bar in cui lavoro. Odio questo vicolo! C’è sempre un casino per terra e un odore da far paura… Beh almeno nessuno verrà mai qui dietro. “Cosa stai cercando di fare MariaLuce?”                                                                                        Cavolo! Conosco questa voce… E ovviamente sbaglio sempre quando c’è di mezzo lui! Mi volto dalla parte da cui ho sentito parlare e i miei occhi confermano ciò che già avevano compreso le mie orecchie: Max!
Alla velocità di un battito di ciglia volto la testa verso l’entrata facendo finta di niente, sperando ancora di passare inosservata, anche se ormai so essere solo un’illusione piuttosto utopistica…
“Stai insultando la tua intelligenza MariaLuce, o almeno, quel poco che ti è rimasta, se ti è rimasta. Sai di avermi visto, sai che già tutti dentro sanno che sei in ritardo, compresa Mara.”
Lo odio. Odio il fatto che riesca a dire cose così fastidiose e malefiche con una voce così melliflua!
“Vai al diavolo Max!” Sibilo infine a denti stretti prima di sbattere la porta dietro le mie spalle.
Neanche il tempo i fare un respiro che, chiusa la porta, sbatto violentemente contro qualcosa di morbido e grosso… Molto grosso. “B-buongiorno Mara” cerco di dire nella maniera più naturale possibile, ovvero, in questa particolare situazione, come se ti avessero appena detto che hai mangiato il tuo animale domestico.
 
 
“Allora com’è andata oggi Luce?”                                                                                                         
La domanda di Carmen appena sono tornata a casa, dopo otto ore di lavoro interminabili, mi suscita, ad essere pienamente sincera, un insulto dal profondo, che però non dico. In fondo non è colpa sua se oggi è andata di merda, lei ha anche cercato di svegliarmi, sono io che sono un disastro… “Bene bene… come al solito” rispondo infine non cercando neanche lontanamente di fingere di credere a ciò che sto dicendo.
Oggi alla fine Mara era fuori di testa e me le ha fatte pagare una per una, sarebbe stata una salvezza il licenziamento, tenendomi invece ha l’opportunità di torturarmi senza fine. Max, inoltre, ha aspettato che finissi il turno e dal bar fino a quando non sono salita sul pullman non ha fatto altro che ricordarmi quanto sono inutile ed incapace.
Direi che è stata una giornata impegnativa…
 
Dopo aver fatto i compiti mi rinchiudo in bagno. Mi metto uno strato ben fitto di eylaner, un bel po’ di mascara, rossetto, profumo, t-shirt e pantaloncini e sono pronta giusto in tempo al suono della fin troppo familiare suoneria: “Sono arrivato, scendi”.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
 
Salgo nella macchina di Matt respirando affannosamente. A lui non piace che lo si faccia aspettare.
“Hey ciao piccola… Forza vieni qui, dammi un bacio!” Si avvicina in maniera brusca e rozza alla mia faccia, poggia le sue labbra sulle mie e, senza neanche chiedermelo, irrompe violentemente con la sua lingua nella mia bocca. Un sapore di fumo e alcol mi invadono e vorrei tanto vomitare, ma ovviamente mi contengo.                                                                                                                                                                                                                                                       Dopo che ci siamo staccati gli sorrido come se fosse la cosa più bella del mondo, giuro, poteri fare l’attrice! Lui mi accarezza una coscia di rimando e mi fa un sorrisino che non prospetta nulla di buono. Capendo come si sta mettendo la situazione guardo velocemente l’ora e mi sbrigo a far notare che se non partiamo subito arriveremo in ritardo. Lui allora parte sbuffando.
In fin dei conti, anche se è diventato “un cattivo ragazzo”, è sempre il secchione che non vuole arrivare in ritardo… Sogghigno divertita al pensiero. “Che cazzo hai da ridere?” Mi domanda lui scocciato, molto probabilmente sapendo perfettamente a cosa sto pensando.
“Niente, niente… Secchione” Rispondo sussurrando l’ultima parte. Lui, che evidentemente, seppur i miei sforzi, ha capito anche quell’ultima parte, mi lancia uno sguardo omicida e io non faccio altro che scoppiare a ridere più forte di prima.
Matt, ovvero, Matthew Gibran, ha 19 anni, la mia età, è alto 1,85, ha un viso ovale, ora senza barba (anche se io personalmente lo preferisco con), ha capelli lisci castano chiaro e degli occhi così verdì che ti fanno sembrare le fronde degli alberi in primavera delle mere imitazioni. Matt è sempre stato una persona molto gentile, simpatica e rispettosa, a volte fin troppo, delle regole. Se aveva un appuntamento alle 15 lui arrivava alle 14, e quando aveva la scadenza di un compito lui lo finiva sempre una settimana prima. Gli piacciono un sacco i bambini, ha un carattere così mite, gentile e puro che a volte lo sembra addirittura un bambino!                                                                                                                                                                                                                                                                           Sua madre ha lasciato lui e suo padre molti anni fa. Quasi non se la ricorda più sua madre, se non fosse per una foto che tiene nella collana dalla quale non si stacca mai, gliel’ho regalata io a 13 anni. Suo padre si è trasferito, per lavorare, vicino ad una miniera quando lui aveva 17 anni e mensilmente gli spedisce degli assegni per pagare le spese della casa. Ovviamente anche Matt lavora. Quando ha compiuto i 18 anni lo hanno assunto in un locale dalla dubbia natura; ero molto preoccupata per lui in quel periodo, avevo paura che la gente che frequentava il Postaccio (non ha un nome, tutti lo chiamano così, e solo da questo si potrebbero capire tante cose) lo avrebbero cambiato, traviato, portato su brutte strade… E questo avvenne infatti, ma non nel modo in cui credevo.
I miei ricordi si interrompono con la brusca frenata della macchina davanti a scuola.                                                                                                                        Si, scuola, Mett ed io frequentiamo una scuola serale per prenderci il diploma, visto che lavoriamo entrambi durante il giorno, siamo all’ultimo anno e io spero che finisca il più presto possibile, non ce la faccio più a vivere così.
“Muoviti scendi!” Mi urla Matt, probabilmente è ancora infastidito dall’appellativo che gli ho dato, o perché siamo davvero in ritardo…
Fatto sta che io non mi muovo. Matt può pur essere diventato più rude e truce, ma alla fine rimane sempre il ragazzo che da piccoli, quando giocavo ad essere la principessa, faceva sempre il cavallo portandomi in groppa, perché non si riteneva degno di farmi da principe o cavaliere.                                                           Qualche secondo più tardi, infatti, dopo avermi urlato, è davanti al mio finestrino che, accendendosi una sigaretta mi apre la portiera assumendo un’espressione da finto scocciato, ma in realtà so che sta sorridendo.
Scendo e, dopo aver sentito sbattere lo sportello dietro di me, mi volto e lo ringrazio con un bacio sulla guancia seguito poi da un sorriso, questa volta sincero, e che lui ricambia.
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sera: seconda vita ***


Matt ed io ci dirigiamo in classe mano nella mano. Tutti ci osservano. Solita routine... Effettivamente però non posso dare torto ai mille occhi che lo fissano, é molto, molto bello Matt.

In classe ci sediamo ai nostri soliti posti. La lezione inizia, é chimica...Io odio la chimica! Però devo impegnarmi a stare attenta, non posso permettermi un'insufficienza.

"Hei piccola, non mi ignorare, o mi potrei arrabbiare...." Mi sussurra Matt vicino all'orecchio dopo avermelo baciato, procurandomi brividi freddi per tutto il corpo.

Matt non sta mai attento durante le lezioni, non ne ha bisogno, quindi passa il tempo stuzzicando mi, ma io non posso dargli le attenzioni che richiede perché al contrario suo non sono un fottuto genio. A volte penso che Matt sia ancora a scuola solo a causa mia, poteva finire il liceo molto prima degli altri, ma per qualche motivo ha sempre rifiutato e dopo il suo 'cambiamento' ha preso la brutta abitudine di fare il minimo indispensabile per non essere bocciato.

"Senti, Mr Nonmiservestareattentoperchésonounfottutogenio, io sono una comune mortale, con un cervello comunissimo, quindi lasciamo in pace" Gli rispondo spazientita allontanandomi un po' dalle sue mani da polipo.

"Mi piace quando fai un po' la ritrosa..." Mi risponde lui avvicinandosi a me con uno strano sguardo che purtroppo riconosco.

"Non ci provare neanc-" cerco di ammonirlo, ma lui mi ha già ficcato la sua lingua in bocca e sta cercando di prendermi i fianchi.
Certo che il senso del pudore non é una Delle sue piú grandi qualità... Voglio dire, siamo in una classe nel bel mezzo di una lezione tutti ci stanno fissando!!

"Ugh ugh.." un colpo di tosse della professoressa mi permette di staccarmi e tirare un calcio a Matt. Lui per tutta risposta ghigna e mi mette una mano sul fondo schiena.

Le cinque ore di lezione passano così, io che tento di stare attenta alle spiegazioni e lui che mi provoca. Solita giornata di lezione insomma...

Dopo il suono dell'ultima campanella Matt mi afferra un braccio e mi trascina nel bagno. Mi blocca poggiando le sue braccia ai lati del mio viso, mi infila una gamba fra le gambe, avvicina le sue labbra alle mie, sento il suo respiro caldo sulla mia pelle... Infine mi bacia con quel suo solito impeto violento e possessivo e io come al solito lo lascio fare.

"Ok ora possiamo andare" sentenzia alla fine lui staccandosi da me e riprendendomi per mano mi conduce alla macchina.
Saliti sull'auto guardo velocemente l'ora e quando capisco che manca pochissimo mi cominciano a sudare le mani.  Cavolo! Lo faccio da così tanto tempo eppure mi sento sempre così prima....
"Adesso chi é la secchiona preoccupata dell'orario eh..." Mi provoca Matt, questa volta é il suo turno di sghignazzare.

"Taci" sentenzio allora io stizzita e con il battito che accelera ad ogni spostamento della lancetta dell'orologio.

Cavolo cavolo cavolo..... La mia testa continua a non sfiorare neanche un pensiero di senso compiuto, il mio cuore batte all'impazzata, le gambe mi tremano e le mani mi sudano.
"Vuoi stare tranquilla? Sarai bravissima come sempre!" Mi dice Matt all'orecchio in mezzo ad una folla asfissiante. Prima che io mi stacchi da lui per andare alla mia postazione lo guardo, lui capisce, mi da un bacio sulla guancia e io penso che quando fa così potrei davvero innamorarmi di lui.

Raggiunta la mia postazione guardo attentamente la mia console, l'agitazione scompare, la musica comincia a pulsarmi nelle mani e sollevo la prima leva....

 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La serata ***


MATT
Appena Luce comincia la sua prima canzone la pista da ballo, già affollatissima prima, ora è decisamente invivibile!
Un centinaio di persone, tra ragazzi e ragazze, si dimenano forsennatamente al ritmo frenetico della musica. L’odore di corpi sudati, alcol e fumo impregna l’aria. Tutto questo mi dà il voltastomaco, vedere però il sorriso di quella ragazzina che si crede già un’adulta rende tutto sopportabile, quasi piacevole.
“Vodka” richiedo senza tanti convenevoli al bancone dove una donna, della quale si vede sicuramente più pelle che vestiti, si prodiga per esaudire tutte le persone al bancone.
Una ragazza dai capelli neri si siede sullo sgabello affianco al mio, e la cosa mi infastidisce non poco, infatti, visto che quasi tutte le persone sono a dimenarsi come degli animali, non c’è quasi nessuno al bacone e ci sono molti posti liberi.
“Un BlodyMary grazie” la sento ordinare… ragazzina.
“Notevole la DJ vero?” cerca di attaccare bottone con me la ragazzina dai capelli neri. Mi volto dalla sua parte per riservarle uno sguardo di avvertimento per farle capire di lasciarmi perdere, poi noto che la ragazzina sta fissando il mio… piede. Stranito me lo guardo anch’io e noto che sto tenendo il tempo della musica.
“Allora la mia vodka?” richiedo la mia ordinazione con tono seccato smettendo di muovere il piede ed ignorando la ragazzina che si è appena messa a ridacchiare.
 
 
“Adesso lo fai con la mano”
Poso il bicchiere vuoto e mi volto verso la mora ancora al mio fianco.
“Cosa?” le chiedo con un cipiglio misto tra lo stranito e lo spazientito.
Lei come risposta indica la mia mano destra poggiata sui jeans dicendo:” Ora stai tenendo il ritmo con la mano” seguito dalla stessa risatina di poco prima.
Dopo aver strofinato la mano sui jeans ed averla messa sopra il bancone fisso la persona al mio fianco con uno sguardo ormai molto infastidito e sbotto: “Si può sapere che diavolo vuoi ragazzina?”
Lei mi sorride e mi richiede: “Notevole la DJ vero?”
La fisso per un paio di secondi sbigottito, poi mi alzo per andarmene, ma qualcosa, meglio, qualcuno, mi trattiene.
“Non è carino andarsene senza aver risposto” mi apostrofa lei mettendo su un finto broncio divertito.
“Senti ragazzina-“
“Adrianne” mi interrompe lei.
“Cosa?”
“Oh signore, abbiamo un problema di comprensione o di udito? Mi chiamo Adrianne, tu?” mi spiega e chiede la ragazzina riassumendo quel sorrisino fastidioso.
Sto per andarmene e lasciare li quella ragazzina rospiscatole, ma ovviamente non mi riesce…
“Matthew! Amico ti ho trovato!”
“Matthew” ripete lentamente la ragazzina senza staccare gli occhi da me, io invece mi volto verso l’idiota.
“Io ti uccido Steve” ringhio verso la persona che ha rivelato il mio nome alla ropiscatole prendendolo per il collo della maglietta.
“Non sono io quello che devi uccidere stasera amico” mi informa lui come se nulla fosse.
Lascio la presa sulla maglietta di Steve e senza chiederglielo nemmeno mi spiega l’informazione che mi ha appena dato.
“Stasera Rob si è azzardato a venire qui, Cam vuole che tu gli dia una lezione.”
“Scordatelo” rispondo bruscamente.
“Non devi di certo dirlo a me, ma comunque è inutile dirlo anche a lui… Ricordi?” e con lo sguardo si volta dove sta uscendo ad altissimo volume un ritmo assordante con sottofondo il suono incalzante di violini. Mi irrigidisco all’istante e l’unica cosa che mi faccio uscire dalle labbra è: “Dov’è?”
 
LUCE
Il ritmo della musica mi pompa dentro l’orecchio destro, l’unico sul quale ho posto la cuffia.
In quella sinistra mi concentro a sentire un ritmo differente: quello delle mie mani sulla consolle.
Le pulsazioni che il ritmo della musica trasmettono al mio corpo, costringendomi a muovermi, sono per me come una droga, non posso fare senza. Vedere tutte queste persone che si muovono all’unisono con il ritmo che produco mi dà alla testa ancora di più ed a volte penso persino sia meglio di un orgasmo.
Sono ormai tutta sudata per via del caldo e dei movimenti frenetici a cui mi costringe la musica. Decido di mettere come traccia, che sarà anche la mia ultima per stasera, una che ho già praticamente mixato interamente, perciò non dovrei affaticarmi troppo e riprendere così un po’ di fiato.
Il suono dei bassi conquista pian piano i corpi della massa sulla pista e quando oramai vedo tutti muoversi al ritmo della mia musica inserisco senza alcun tipo di climax i violini, questo fa sì che la massa cominci davvero a dimenarsi freneticamente ed allora decido di buttarmici in mezzo anch’io.
Nel momento in cui sto per lasciare la consolle impostata e scendere in pista i miei occhi captano qualcosa, non capisco esattamente cosa, ma sento comunque un brivido risalirmi la schiena che mi costringe a cercare qualcosa, senza sapere comunque cosa, in mezzo ad una stanza enorme, piena di gente che continua a muoversi senza tregua e con delle luci tutt’altro che in grado di aiutarmi nella mia ricerca.
Un azzurro agghiacciante mi cattura, i brividi sulla mia schiena non fanno altro che aumentare, tra centinaia di corpi sudati ed immersa in un’aria tutt’altro che rinfrescante io mi sento gelare. Mi sento come paralizzata, mi chiedo come in un luogo come in quello che mi ritrovo io riesca a vedere così chiaramente ed indistintamente quegli occhi così maledettamente azzurri.
In mezzo alla musica assordante tutto introno a me tace improvvisamente. Il silenzio creatosi si squarcia al grido di quella parola diventata per me ormai così famigliare: assassina.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Bella Addormentata ***


Assassina, assassina, assassina…

Il mio cervello oramai non produceva più alcun pensiero oltre a quello. Dentro la mia mente veniva scandito, lentamente, lettera per lettera.

Azzurro.

I miei occhi non vedevano altro.

Un azzurro chiarissimo.

Glaciale.

Profondo.

Familiare.

Uguale al suo.


Come se fossi paralizzata il mio corpo non si muove di un millimetro. Non so neanche se il petto si stia alzando per incanalare aria. So solo che mi sento morire.
Proprio come quella sera.

Quella dannatissima sera.

Un’altra sensazione familiare mi assale.
Pur avendo fatto un sacco di progressi negli ultimi mesi, quell’azzurro, quel fottutissimo azzurro… Sto per avere un attacco di panico.

Il mio cuore ha cominciato a pompare ad una velocità tale che mi fa male il petto.

Non riesco a respirare.

Le gambe non le sento più.

Azzurro…
 
 
 
“Matt… Scusa… Dovrei avere i calmanti in borsa…” Cerco di formulare frasi di senso compiuto.
Mi sento sollevata da terra e la mia faccia è senza dubbio schiacciata contro un petto, di uomo, muscoloso, Matt ovviamente. Tutte le volte che in passato ero stata presa da un attacco di panico e perdevo i sensi, Matt mi prendeva in braccio, proprio come adesso, e mi portava in fretta e furia nel mio posto segreto, l’unico luogo dove riuscivo a respirare senza sentire dolore. Dolore per essere ancora viva.

“Matt… I calmanti…” gli ricordai ancora. I calmanti mi erano stati prescritti dalla psichiatra dalla quale mi avevano costretto ad andare dopo l’incidente. Sinceramente speravo che mi prescrivesse qualcosa di più forte, ma l’unica cosa che era stata in grado di diagnosticare fu un insignificante disturbo post-traumatico da stress. Quindi niente antidepressivi, solo stupidi, inutili calmanti…

“Scusa Bella Addormentata, ma proprio non so dove possa essere la tua borsa…”

“Nella macc-“

Aspetta, aspetta, aspetta…

Bella Addormentata?

Matt non mi chiama mai così…

E poi sa benissimo che lascio sempre la borsa nella sua auto…

E… e…. Questa non è la voce di Matt!!

“Lasciami immediatamente!” Comincio ad urlare ed a scalciare come un’esagitata.

“Asp-“ Cerca di fermarmi lo sconosciuto prima che io gli tirassi una ginocchiata diritta dritta sul mento.

Sarò pure piccola, ma indifesa no di certo!

Cadiamo in men che non si dica per terra come sacchi di patate.

Mi rialzo immediatamente e sto per infierire sullo sconosciuto tirandogli un calcio nello stomaco, ma il mio piede si frena bruscamente alle sue parole:
“Stai bene? Ti sei fatta male?”

Questo è tutto andato, gli ho tirato una ginocchiata, l’ho fatto cadere, gli sto per tirare un calcio e chiede a ME come sto?

Sto per rispondergli che sarebbe meglio se si preoccupasse più per sé stesso, quando nei miei pensieri si fa chiara una cosa che stavo tralasciando…

Mi stava rapendo fino a tre secondi fa sto stronzo! Ovvio che ha più di qualche problema! Non mi farò di certo impietosire.

Il mio piede riprende la sua corsa, ma riviene fermato, questa volta però da una cosa contro la quale non poso di certo oppormi.

Azzurro.

I suoi occhi sono i suoi occhi. Azzurri. Maledettamente azzurri. Ma sono la MIA maledizione… Quegli occhi…
 
“Hey, hey… Ti sei fatta così tanto male? Dove?” Lo sconosciuto con i suoi occhi si rialza tutto preoccupato e mi asciuga le lacrime che non mi ero accorta neanche che avessero cominciato a scendere.

“No… No…” Sono le uniche cose che riesco a proferire tra un singhiozzo e l’altro, cercando di dire che no, non mi sono fatta male da nessuna parte, ma l’unica cosa che riesco a fissare sono quegli occhi. Così uguali ai suoi… E prima che io possa pensarlo le mie mani si muovono da sole…

“Gli occhi… I tuoi occhi… Azzurri… Uguali… Identici ai suoi…” Cominciai a dire parole senza una connessione logica toccandogli continuamente il viso, specialmente intorno a quelle due pozze cristalline.

Lui, probabilmente molto spaventato dalla pazza fuori di testa che gli stava davanti, io per la precisione, ammutolì e restò immobile.
 


Dopo minuti che parvero ore mi staccai da lui come se improvvisamente avessi toccato una fiamma.

“S-scusa… Io… Mi dispiace.” Comincio a scusarmi tentando di formulare una giustificazione che non sia degna di una pazza squilibrata fuori di testa…

Sai hai gli tessi occhi del mio ragazzo morto, quindi vorrei non smettere mai di guardarli…

Ecco… Appunto: una pazza.

“Io-“ Tento ancora, ma vengo bloccata da lui.

“Stai tranquilla, non ti preoccupare, eri sotto shock. Probabilmente dovrei scusarmi io con te. Insomma, ti ho caricata in braccio quando sei svenuta e non mi sono neanche presentato… Penserai che sono un pazzo!” Dice tutto ciò con una risatina nervosa e grattandosi la testa. Per la prima volta perdo il contatto visivo con i suoi occhi e allora lo vedo.

Un ragazzo alto, non molto muscoloso, insomma, meno di Matt di sicuro, ma abbastanza da caricarmi in braccio. Ha i capelli chiari, non riesco molto a distinguere il colore perché fuori, dove siamo noi, è buio.

“Ecco… Quindi scusa, spero che tu adesso stia meglio. Ad un certo punto dentro, ho sentito qualcuno fissarmi, quando ho capito che in realtà ti stavi sentendo
semplicemente male sono accorso e…Beh il resto lo sai”. Finì di dire sempre con una risatina nervosa.

È in imbarazzo…

“No, no! Non ti devi scusare! Sono io quella che ti ha tirato una ginocchiata, ti ha fatto cadere, ti ha… toccato come una pazza, tu hai solo cercato di aiutarmi. Quindi sono io che, prima ti chiedo immensamente scusa, poi ti ringrazio a non finire.” Dissi allora io per far cessare il suo imbarazzo immotivato.

“Beh effettivamente non l’avevo vista in questa maniera…” Cominciò a scherzare sulla situazione.
“Dovrei chiederti i danni fisici e morali allora!” Scoppiammo entrambi a ridere.

“Comunque…” Riprese lui dopo alcuni minuti.
“Piacere Bella Addormentata io mi chiam-“

“Luce andiamo” Mi sento afferrare violentemente per un braccio e solo dopo formulo mentalmente le parole che mi sono state rivolte e capisco a chi appartengano.

Stavolta non c’è dubbio…

“Matt aspetta!” Cerco di opporre un minimo di resistenza al suo atteggiamento da solito troglodita delle caverne. Insomma, vorrei almeno sapere il nome del mio salvatore con i suoi occhi azzurri.

“ADESSO” ringhia ferocemente Matt nel mio orecchio non accorgendosi minimamente del ragazzo davanti a me.

Cerco ancora di farmi valere in qualche modo, ma la mia bocca si cuce all’istante non appena sento colare dal braccio che Matt sta stritolando, nel vero senso della parola, qualcosa di viscoso e caldo…

Sangue.

Vedo poi, con la coda dell’occhio, il ragazzo dagli occhi azzurri che sta per intervenire in mio soccorso.

Effettivamente questa scena vista da fuori non deve promettere nulla di buono…

“Grazie” sussurro in direzione del mio salvatore sollevando una mano facendogli intendere che non serve il suo intervento e, a malincuore, assecondo la spinta del troglodita e lo seguo, ma in realtà l’unica cosa che vorrei seguire è quell’azzurro.

Il suo azzurro.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Azzurro coraggio ***


LUCE
“Matt!”
“Matt!”
“Lasciami Matt!”
“Cazzo Matt mi fai male! Mollami!” Dico l’ultima volta prima di puntare i piedi e strattonare il ragazzo, troppo forte, che mi sta trascinando per un braccio.
“S-scusa” Proferisce subito dopo avermi mollata come se ad un tratto scottassi. Comincio a sfregarmi il punto dove mi ha afferrata.
-cavoli…Mi lascerà un livido…-
“Scusa un cazzo Matt! Che ti è preso si può sapere?” Gli urlo in faccia cercando nelle tasche qualcosa con cui pulirmi il braccio sporco di sangue. Quando non lo trovo, fisso il mio sguardo ancora più furente in quello del mio amico.
-Se lo è ancora almeno, un mio amico…-
Per tutta risposta lui abbassa lo sguardo e con movimenti nervosi si sfrega le nocche delle mani, in un vano tentativo di pulirsi dal rosso che le ricopre.
Non ricevendo alcuna spiegazione, infastidita, lo supero e mi dirigo alla macchina.
“Ferma…”
“FERMA” Dice, prima titubante, quasi fosse una supplica, poi in maniera più ferma, me lo ordina. Il sangue mi si gela e non intenzionalmente il mio corpo si blocca all’istante, incoraggiando così Matt a parlare.
“Vieni a fare la ramanzina da fidanzatina logorroica, ma TU dove cazzo eri? TU con chi cazzo eri e Tu che minchia stavi facendo?” Non chiede arrabbiato, ma fermo, ed è questo che mi intimidisce, non esprime alcuna sfumatura d’emozione.
Resto bloccata come una statua dove mi ero fermata poco prima e passa non so quanto tempo.
Ad un tratto lui mi passa accanto e mi mette rudemente un fazzoletto in mano oltrepassandomi. Mentre lo vedo raggiungere la macchina sento delle lacrime scorrermi sulle guance. Vedo che apre velocemente la portiera dal lato del passeggiero per poi sedersi a quello di guida. Mi incammino allora anch’io verso la macchina, ma non senza prima aver voltato lo sguardo in cerca di quel azzurro in cui ero immersa poco prima e nel quale, seppure faceva un male tremendo, mi sentivo così a casa…
 
“Smettila” mi ordina ancora con quel maledetto tono apatico che odio così tanto da volerglielo far passare a suon di schiaffi!
“Di far cosa sentiamo? Di respirare?” Chiedo stizzita non sapendo a cosa si riferisca.
“Di piangere, sai che mi fa incazzare” Per un momento resto senza parole, non mi ero accorta di star ancora piangendo. Velocemente, con lo stesso fazzoletto che mi ha dato lui stesso mi asciugo le lacrime.
“Sono stanca” Proferisco subito dopo.
“Beh ti sto portando a casa no?” mi risponde lui, travisando però il senso della mia affermazione.
“No, sono stanca Matthew” Ripeto, sta volta voltando i miei occhi verso i suoi.
Lui accosta subito, senza preoccuparsi neanche che sia consentito o meno parcheggiare o sostare lì dove ci siamo fermati ed esce dall’auto. Lo vedo camminare avanti ed indietro per una decina di metri e dopo alcuni minuti risale in macchina, chiude la portiera accanto a sé e fissa il suo sguardo sul mio.
“Continua” mi incoraggia subito dopo.
-Tipico…- mi ritrovo a pensare. Sì, perché è proprio tipico di Matt un atteggiamento del genere, quando io invece preferirei mi urlasse contro o piangesse, non so, che facesse qualcosa, qualsiasi cosa che per una volta riguardi lui, solo lui.
“Non ne posso più di questo – col dito indico pima lui poi me stessa- Il nostro non è un rapporto, nessun tipo di rapporto! È un possesso, una conquista, una proprietà, tutto, tutto tranne che un rapporto!” Dico tutto d’un fiato con voce stanca ed arrabbiata, terribilmente arrabbiata.
Lui continua a fissarmi, sul suo volto nessun cambiamento d’espressione e poi mi fa un cenno con la testa incoraggiandomi a proseguire nel mio discorso.
-Come odio il fatto che mi conosca così bene… Lo odio-
“Sono esausta, fingo ogni maledettissimo giorno di amarti, ma quello che abbiamo costruito non centra proprio un bel niente con l’amore, neanche lontanamente! La mattina vado al lavoro fino al pomeriggio, torno a casa, la sera andiamo insieme a scuola, sempre insieme andiamo al locale, tu mi obblighi a fornirti il resoconto dettagliato di ogni mio singolo passo, pensi di poter avermi quando e come vuoi e io di te non so nulla. Non so più niente di te di te Matt… Cosa fai durante la tua giornata? Sei contento della tua vita? Cosa provi in questo momento? Cos’hai fatto stasera? Come ti sei ritrovato a ridurti le mani in questo modo? Sono tutte domande che mi frullano in testa, ma alle quali tu non risponderai mai ed anche il perché di questo si aggiunge alle mille domande senza una tua risposta… Non ho passato tutto ciò che ho passato per ridurmi così! Cazzo guardami Matt! Non sono neanche l’ombra di quello che ero una volta! Io non volevo, non voglio e non vorrò mai essere l’oggetto di quello che una volta, non mi ricordo neanche più quanto tempo fa, era il mio migliore amico e che solo per questo, per il ricordo di quel bambino con gli occhi verdi a cui volevo un bene dell’anima continuo con questa sceneggiata. Lo faccio per il ricordo di quel bambino, perché adesso di lui non è rimasto più niente, come di tutte le cose della mia vita… Ma tu, tu tieni vivo quel ricordo, ricordi che sono l’unica cosa che mi tengono in vita, di certo quando ti guardo il ricordo è l’unica cosa che vedo, perché tu sei un estraneo, non ti conosco.”
Finisco il mio monologo nel bel mezzo del quale hanno anche ricominciato a scorrermi sul viso le lacrime, ormai così familiari che è come se fossero sempre con me, e lo sono, se non a rigarmi il viso, sicuramente a scavarmi l’anima.
Gli occhi dello sconosciuto che mi ritrovo davanti assumono un’ombra di tristezza e all’improvviso vengo trasportata, con i ricordi, a quel giorno in cui persi tutto, ma vengo ricapultata dolorosamente alla realtà non appena la sua bocca, sulla quale si era disegnato un live ghigno si apre.
“Cosa cazzo ti aspetti che faccia adesso? Che ti consoli? Ti abbracci? Ti dica delle merdate, tipo che d’ora in avanti andrà meglio? Che ti faccia qualche insulsa promessa che tanto sai non manterrò? Oppure vuoi che ti lasci? Che non ti veda più? Beh, non succederà, niente di tutto questo succederà, ora ti riporterò a casa, domani andrai a lavoro, tornerai a casa, la sera andremo a scuola e poi al locale e così anche il giorno dopo e quello dopo ancora, non cambierà niente! La tua vita rimarrà la stessa e mi dispiace se non ti va bene, se non ti piace, ma non puoi farci niente, quindi accettalo e ti sentirai meglio, se ti può servire inizia a fare attività fisica per scaricare la rabbia o la frustrazione, per quello ti posso aiutare molto volentieri, sai che il mio letto è sempre pronto per riceverti… Ma nient’altro.”
Nelle sue parole c’è rabbia, disprezzo, delusione, astio, odio, ma tutte queste reazioni non sono ancora le sue, sono ancora una volta per me. Sono parole dolorose, che mi feriscono, ma la cosa più triste è forse quella che sapevo già che le avrebbe dette.
“E asciugati quelle cazzo di lacrime di merda!” Mi ordina rabbioso subito dopo aver riavviato l’auto buttandomi sul grembo un intero pacchetto di fazzoletti.
Azzurro
All’improvviso, come un fulmine, ma dal colore di un celeste degno della più bella giornata estiva, mi invade la mente.
Lo rivedo.
Li rivedo.
Mi rivedo.
Chi sono diventata?
“Ferma la macchina” dico piano ma ferma.
“Cosa?” Mi domanda.
“Ferma. Immediatamente. La. Macchina.” Ripeto scandendo perfettamente ogni parola.
“Che cazzo stai dicendo? Sei diventata pazza?”
“Ti ho detto di fermarti!”
“Perché dovrei fermarmi? Eravamo fermi dieci secondi fa!”
“Voglio scendere” Gli confesso, sempre con tono fermo.
“NO” mi risponde lui perentorio.
“Fermati” Ripeto per l’ennesima volta.
“No”
“ok” acconsento prima di aprire la portiera dalla mia parte.
Lui, spaventato a morte, frena bruscamente ed io ne approfitto per scendere dall’auto e cominciare a mettere più distanza possibile tra me e quello sconosciuto che so già che mi è dietro.
“Fermati!” mi ordina lui sta volta.
“No” Tocca a me replicare questa volta e mi sfugge un risolino per il repentino cambio di ruoli.
“Si può sapere che ti è preso?” Mi domanda senza smettere di seguirmi.
-Dico, si può essere così stupidi? Come fa a farmi una domanda del genere dopo quello che ci siamo detti?-
“No, TU per chi mi hai presa?” Replico, mi aspetto che lui dica qualcosa, ma l’unica cosa che accade è lui che prima mi raggiunge, mi solleva, con troppa facilità, mi carica in spalla, si volta e poi si rincammina verso la macchina senza dire niente.
 
Azzurro.
Azzurro.
Quel fottuto azzurro mi ha invaso la mente.
 
Senza che lui se lo aspetti, sollevo un piede e lo scaglio successivamente contro le parti basse del mio sequestratore, che si accascia istantaneamente. Io ne approfitto e comincio a camminare più velocemente in direzione di casa, ma non senza prima essermi voltata ed avergli ripetuto:
“Per chi mi hai presa?”
 
 
Appena entro in casa chiudo a chiave la porta. Cosa che Linda non fa mai.
-Pazza… Non si sa mai, Matt potrebbe irrompere in casa…-
“Hei Luce! Come è andata?” mi chiede Linda seduta sul divano, con una vaschetta di gelato, mentre sta guardando uno di quei stupidi programmi televisivi.
“Bene bene” rispondo sbrigativa e mi dirigo immediatamente in camera mia.
 
Dopo essermi messa a letto ho sentito provenire dall’ingresso il suono di vari colpi alla porta. Dopo di ché ho sentito la Voce di Linda che parlava con Matt, non ho distinto molto bene le parole che si sono scambiati, ma dovrei farmelo dire da Linda, dato che Matt se n’è andato senza irrompere nella mia stanza come una furia…
-Strano…-
Quasi non finisco di pensarlo che subito il mio cellulare si illumina, ipotizzando già chi ne sia il colpevole decido d’ignorarlo, chiudere gli occhi e concentrami sull’azzurro.
Sull’azzurro che mi ha dato coraggio.
L’azzurro che mi aveva ucciso nel perderlo.
L’azzurro che ritrovandolo mi ha ridato la vita.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3668273